JEFFERY DEAVER LA BAMBOLA CHE DORME (The Sleeping Doll, 2007) Per il G Man Cambiamenti e cambiamenti, restiamo sempre uguali. PAUL SIMON, The boxer
13 SETTEMBRE 1999 Il «Figlio di Manson» riconosciuto colpevole della strage della famiglia Croyton SALINAS, CALIFORNIA. Oggi la giuria di Monterey County, dopo appena cinque ore di consultazione, ha riconosciuto Daniel Raymond Pell, trentacinque anni, colpevole di quattro capi d'accusa per omicidio di primo grado e uno per omicidio colposo. «Andava fatta giustizia», ha dichiarato il pubblico ministero James J. Reynolds ai giornalisti, dopo avere comunicato il verdetto. «Abbiamo a che fare con un uomo estremamente pericoloso, autore di crimini orribili.» Pell è stato soprannominato il «Figlio di Manson» per i parallelismi tra la sua vita e quella di Charles Manson, detenuto per omicidio, che nel 1969, nella California meridionale, si rese responsabile dell'uccisione rituale dell'attrice Sharon Tate e di numerose altre persone. Al momento dell'arresto la polizia ha rinvenuto, nell'abitazione di Pell, numerosi libri e articoli sulla vita di Manson. Le accuse di omicidio si riferiscono alle morti di William Croyton, di sua moglie e di due dei tre figli, avvenute il 7 maggio a Carmel, in California, centonovanta chilometri a sud di San Francisco. Quella per omicidio colposo è relativa al decesso di James Newberg, ventiquattro anni, che viveva con Pell e l'accompagnò a casa Croyton la notte dei delitti. Il pubblico ministero ha affermato che Newberg intendeva inizialmente prendere parte agli omicidi, ma poi cambiò idea e Pell lo uccise.
Croyton, cinquantasei anni, era un ricco ingegnere elettronico e un genio dell'informatica. La sua società situata a Cupertino, California, nel cuore della Silicon Valley, crea programmi all'avanguardia che girano nei più diffusi personal computer. A causa dell'interesse di Pell per Manson, alcuni sostengono che, come quelli del 1969, i delitti abbiano connotazioni ideologiche, ma la polizia non ha trovato indizi a sostegno di un movente religioso o politico. Secondo Reynolds, il furto pare la ragione più plausibile dell'irruzione. Pell ha al suo attivo dozzine di condanne per scippi, violazioni di domicilio e furti risalenti all'adolescenza. All'aggressione è sopravvissuta solo una bambina, Theresa, di nove anni, sfuggita a Pell perché addormentata nel suo lettino, nascosta tra i giocattoli. Per questo è stata soprannominata «la bambola che dorme». Come Charles Manson, Pell emanava un oscuro carisma che aveva attirato un gruppo di seguaci devoti e fanatici: la sua «Famiglia», termine mutuato dal clan mansoniano. Su di loro ha esercitato il più completo controllo. Nel periodo dei delitti Croyton, il gruppo comprendeva Newberg e tre donne che vivevano tutti insieme in una squallida abitazione a Seaside, a nord di Monterey, California. Si tratta di Rebecca Sheffield, ventisei anni, Linda Whitfield, venti, e Samantha McCoy, diciannove. Whitfield è la figlia di Lyman Whitfield, presidente e direttore generale del Santa Clara Bank and Trust con sede centrale a Cupertino, la quarta catena bancaria dello Stato. Le donne non sono state accusate delle morti di Croyton e Newberg, ma hanno a loro carico numerose condanne per furto, violazione di proprietà privata, truffa e detenzione di refurtiva. La Whitfield è stata anche accusata di ostacolo alle indagini, falsa testimonianza e distruzione di prove. A seguito del patteggiamento, la Sheffield e la McCoy sono state condannate a tre anni di prigione, la Whitfield a quattro e mezzo. Anche il comportamento di Pell al processo rifletteva quello di Charles Manson. Seduto immobile sul banco della difesa, fissava i giurati e i testimoni con l'apparente tentativo di intimorirli. Si dice che abbia poteri psichici. Una volta l'imputato è stato fatto uscire dalla sala dopo che un testimone è svenuto dinanzi al suo sguardo. Domani la giuria emetterà il verdetto: è probabile che Pell verrà
condannato a morte. LUNEDÌ 1 L'interrogatorio cominciò come tutti gli altri. Kathryn Dance entrò nella stanza e vide un quarantatreenne seduto a un tavolo di metallo, in manette, che la fissava. I detenuti lo fanno sempre, ovvio, ma mai con quegli occhi stupefacenti. Erano azzurri, ma non del colore del cielo, del mare o di qualche famosa gemma. «Buon giorno», disse, sedendosi di fronte. «Buon giorno a lei», rispose Daniel Pell, l'uomo che otto anni prima aveva accoltellato a morte quattro membri di una famiglia per motivazioni ignote. La voce era tranquilla. Sul volto barbuto comparve un lieve sorriso, poi l'individuo, non molto alto e muscoloso, si appoggiò allo schienale, calmo. Il volto, incorniciato da lunghi capelli brizzolati, era piegato da un lato. Aveva mani e piedi incatenati. In prigione molti interrogatori avevano come sottofondo un continuo sferragliare, che accompagnava i tentativi degli accusati di dimostrare la loro innocenza tramite gesti ampi e prevedibili. Ma Daniel Pell sedeva perfettamente immobile. Kathryn Dance, specialista in interrogatori e linguaggio non verbale, lesse nel suo comportamento e nella sua postura prudenza, ma anche sicurezza e, strano a dirsi, divertimento. L'uomo indossava una tuta arancione con stampato sul petto CAPITOLA CORRECTIONAL FACILITY e sulla schiena, come se ce ne fosse stato bisogno, DETENUTO. Al momento, comunque, Daniel Pell e Kathryn Dance non si trovavano a Capitola, bensì a una cinquantina di chilometri, a Salinas, in una stanza di massima sicurezza adibita ai colloqui presso il palazzo di Giustizia della contea. Pell non smetteva di osservarla. Cominciò con gli occhi, di un verde complementare al suo azzurro, incorniciati da un paio di occhiali dalla montatura nera e quadrata. Proseguì con i capelli biondo scuro raccolti a treccia e la giacca nera con sotto una spessa camicetta bianca per nulla trasparente. Notò pure la fondina vuota che portava al fianco. Era scrupoloso e non aveva fretta; intervistatore e intervistato non nascosero una mutua curiosità. Durante i seminari Kathryn spiegava ai suoi allievi: «Studiano te almeno
quanto tu studi loro... spesso ancora più a fondo, visto che hanno di più da perdere». Rovistò nella sua borsetta azzurra in cerca del tesserino. Quando vide il piccolo pipistrello giocattolo risalente allo scorso Halloween non batté ciglio. Wes, dodici anni, o sua sorellina Maggie, se non tutti e due, dovevano averglielo infilato in borsa quella mattina, per farle uno scherzo. La sua non era una vita contraddittoria? Un'ora prima faceva colazione con i figli nella cucina dell'accogliente casa vittoriana nell'idilliaco Pacific Grove, con ai piedi due cani vivaci che imploranti fissavano il bacon. E ora eccola qui, seduta a un tavolo di ben altra specie, di fronte a un detenuto per omicidio. Trovò il tesserino e glielo mostrò. L'uomo lo fissò a lungo, proteso in avanti. «Dance. Nome interessante. Chissà da dove viene. E il California Bureau... che cos'è?» «Un'agenzia investigativa. Una specie di FBI. Ora, signor Pell, lei è consapevole che questa conversazione viene registrata?» Lui lanciò un'occhiata allo specchio, dietro cui si udiva il ronzio di una telecamera. «Perché, secondo lei, penso che quello sia lì per potermi sistemare i capelli?» Gli specchi non venivano invece piazzati nelle sale adibite agli interrogatori per nascondere videocamere o testimoni: per questo esistevano tecnologie più avanzate. Il fatto era che dinanzi al proprio riflesso si era meno inclini a mentire. Kathryn sorrise debolmente. «Ed è consapevole del fatto di potersi ritirare da questo interrogatorio quando lo desidera e di aver diritto alla presenza di un avvocato?» «Conosco la procedura meglio di tutti i laureandi della Hastings Law School messi insieme. Piuttosto buffa come immagine, a pensarci.» La risposta era più articolata di quanto Kathryn si aspettasse. Più acuta, anche. La settimana precedente Daniel Raymond Pell, condannato all'ergastolo dal 1999 per l'omicidio di William Croyton, della moglie e di due dei loro figli, aveva avvicinato un detenuto in attesa di rilascio da Capitola e aveva tentato di pagarlo perché, una volta libero, gli facesse un favore. Gli aveva parlato di alcune prove di cui si era sbarazzato anni prima gettandole in un pozzo di Salinas e temeva che quegli oggetti lo coinvolgessero nel delitto rimasto insoluto di un ricco agricoltore. Aveva letto di recente che Salinas stava rinnovando il sistema idrico. Il fatto gli aveva rinfrescato la memoria
e Pell aveva cominciato a preoccuparsi che le prove venissero a galla: voleva che il detenuto le trovasse e le distruggesse. Aveva scelto l'uomo sbagliato. Il detenuto aveva spifferato tutto alla direttrice, che aveva chiamato il Monterey County Sheriff's Office. Gli investigatori si erano chiesti se esistesse un legame con l'omicidio rimasto irrisolto di Robert Herron, proprietario terriero, ucciso a martellate una decina di anni prima. L'arma del delitto non era mai stata trovata. Lo sceriffo aveva inviato una squadra a perlustrare tutti i pozzi in quella zona della città. E infatti erano stati trovati una maglietta a brandelli, un martello a granchio e un portafogli vuoto con stampate le iniziali R.H. Sull'arma, due delle impronte digitali erano di Daniel Pell. Il procuratore di Monterey County aveva deciso di presentare il caso alla giuria dell'udienza preliminare di Salinas e aveva chiesto all'agente del CBI Kathryn Dance di interrogarlo, con la speranza che confessasse. «Per quanto tempo ha vissuto nella zona di Monterey?» L'uomo parve sorpreso: la sua interlocutrice non aveva esordito in modo aggressivo. «Per qualche anno.» «Dove?» «A Seaside.» Era una città sui trentamila abitanti, a nord di Monterey, sulla Highway 1, popolata per la maggior parte da giovani famiglie di operai e pensionati. «Lì con i propri sudati guadagni si tira avanti decentemente», spiegò. «Meglio che nella sua snobbissima Carmel.» Gli brillavano gli occhi. Grammatica e sintassi sono buone, notò Kathryn, ignorando il tentativo di estorcerle informazioni sulla sua residenza. Continuò a chiedergli della vita a Seaside e di quella in prigione, senza smettere di osservare il suo comportamento durante il colloquio. Non lo faceva per avere informazioni: Kathryn si era preparata e conosceva ogni risposta. Piuttosto, voleva cogliere il suo profilo base. In un interrogatorio teso a evidenziare il falso, i fattori da considerare sono tre: il comportamento non verbale (il linguaggio del corpo o cinesica), la qualità dell'eloquio (il tono della voce e le pause prima di rispondere) e il suo contenuto (quello che il sospetto dice). I primi due fattori sono gli indicatori più affidabili di menzogna: è più facile controllare ciò che diciamo, anziché come lo diciamo, a partire dalle reazioni istintive del nostro corpo. Il profilo base si riferisce all'insieme degli atteggiamenti messi in atto dal soggetto quando dice la verità. È lo standard che l'intervistatore raf-
fronterà in seguito con il comportamento dell'interlocutore, nelle occasioni in cui potrebbe aver motivo di mentire. Le differenze tra i due modelli sono indici di menzogna. Quando Kathryn ebbe ricavato un profilo soddisfacente di Daniel Pell, veritiero, si decise a raggiungere il punto cruciale della missione che l'aveva portata in quella sala moderna e spersonalizzata, in una nebbiosa mattina di giugno. «Vorrei farle alcune domande riguardo a Robert Herron.» Gli occhi dell'uomo fissarono i suoi, osservandola in modo più approfondito: il ciondolo a forma di conchiglia che portava al collo, fabbricato da sua madre, le unghie corte smaltate di rosa. La fede con la perla grigia che portava all'anulare valse due occhiate. «Dove ha conosciuto Robert Herron?» «Lei dà per scontato che io lo conoscessi. Invece no, non l'ho mai visto in vita mia. Giuro.» L'ultima affermazione era chiaramente falsa. Eppure, ancora una volta, il suo corpo non segnalò che stava mentendo. «Però ha detto al detenuto di Capitola di andare al pozzo a recuperarle il martello e il portafogli.» «No. Questo è quello che lui ha riferito alla direttrice.» Pell fece un altro sorriso divertito. «Perché non glielo chiede? Lei ha la vista acuta, agente Dance. Me ne sono accorto da come mi guardava per capire se dicevo la verità. Sono sicuro che le ci vorrà un attimo per decidere se quel ragazzo è sincero.» Lei non reagì, ma pensò che quasi mai un sospetto si rende conto di essere sottoposto a un'analisi cinesica. «Allora come sapeva delle prove all'interno del pozzo?» «Oh, l'avevo immaginato. Qualcuno mi ha rubato un martello, ha ammazzato Herron e l'ha buttato lì dentro per incolparmi. Portava i guanti. Quelli di gomma che si mettono tutti in CSI.» Era ancora rilassato. Il linguaggio corporeo non si discostava dal profilo base. Mostrava solo emblemi, gesti comuni che tendono a sostituire le parole, come stringersi nelle spalle e segnare con il dito. Niente autocontatti, segni di ansia o indicatori emozionali. «Però, se quelle erano le intenzioni dell'assassino», osservò Kathryn, «perché non poteva avvisare allora la polizia e dirle dove si trovava il martello? Perché aspettare più di dieci anni?» «Perché è furbo, credo. Se ne è stato buono buono in attesa della sua occasione. E poi ha fatto scattare la trappola.»
«Ma perché il vero assassino avrebbe dovuto contattare il detenuto di Capitola? Perché non rivolgersi direttamente alla polizia?» Pell esitò. Poi rise. Gli occhi gli brillarono di un'eccitazione che sembrava genuina. «Perché anche loro ci sono dentro. La polizia. Sicuro... I poliziotti si sono accorti che il caso Herron è rimasto irrisolto e vogliono dare la colpa a qualcuno. Perché non a me? Per di più sono già al fresco. Scommetto che quel martello l'hanno messo loro.» «Ragioniamoci un attimo. Lei mi ha detto due cose differenti. Innanzitutto, che qualcuno ha rubato il suo martello prima della morte di Herron, se ne è servito per ammazzarlo e ora, dopo tutto questo tempo, ha fatto una soffiata ai suoi danni. Ma secondo l'altra versione è stata la polizia ad avere il suo martello da qualcun altro dopo l'omicidio di Herron e a metterlo nel pozzo per incolparla. Sono due affermazioni contraddittorie. Solo una delle due può essere vera. Che ne pensa?» «Uhm.» Pell rifletté qualche istante. «D'accordo, scelgo la seconda. Quella della polizia. Volevano incastrarmi. È andata così, sicuro.» Kathryn lo fissò: occhi verdi contro occhi azzurri. Annuì amichevolmente. «Ammettiamo che sia così. Innanzitutto, dove la polizia si sarebbe procurata il martello?» L'uomo rifletté: «Quando mi hanno arrestato per quell'affare di Carmel». «Gli omicidi Croyton del '99?» «Già. Si sono procurati le prove nella mia casa a Seaside.» Kathryn aggrottò la fronte. «Ne dubito. Le prove sono catalogate con troppa precisione. Propendo per un'ipotesi più plausibile: che il martello sia stato rubato di recente. Ci sono altri posti dai quali potrebbero sottrarle un martello? Ci sono altre abitazioni di sua proprietà nello Stato?» «No.» «Parenti o amici in possesso di suoi attrezzi?» «In effetti, no.» Non si trattava di una risposta affermativa o negativa; era ancor più ambigua di «non ricordo». Kathryn notò inoltre che alla parola «parenti», Pell aveva posato sul tavolo le mani dalle unghie lunghe e pulite. Ecco una deviazione dal suo profilo di base. Non era sinonimo di menzogna, ma sicuramente di stress. Le domande l'avevano messo in agitazione. «Ha parenti in California, Daniel?» Lui esitò; doveva aver sospettato che lei era capace di verificare ogni suo commento, come infatti era. «Mi è rimasta una zia. A Bakersfield.» «Si chiama Pell?»
Un'altra pausa. «Sì... Questa mi piace, agente Dance. Scommetto che proprio quei poliziotti che non hanno combinato niente con il caso Herron hanno rubato il martello da casa di mia zia e l'hanno messo nel pozzo. Ci sono loro sotto tutta la faccenda, soltanto loro. Perché non prova a farci due chiacchiere?» «Vedremo. Adesso parliamo del portafogli. Quale può essere la sua provenienza? Un'ipotesi. E se non fosse mai appartenuto a Robert Herron? E se il poliziotto disonesto di cui parlavamo ne avesse comprato uno con stampigliate sul cuoio le iniziali R.H. e poi l'avesse nascosto nel pozzo assieme al martello? Potrebbe essere successo il mese scorso. O la settimana passata. Che ne pensa, Daniel?» Pell chinò il capo, nascondendo lo sguardo, e tacque. Proprio come lei si aspettava. Kathryn l'aveva costretto a scegliere la più credibile delle due versioni riguardo alla sua innocenza e, passo dopo passo, gliel'aveva smontata. Nessuna giuria sana di mente avrebbe creduto che la polizia avesse fabbricato prove e rubato attrezzi da una casa a centinaia di chilometri dalla scena del crimine. Ora Pell si stava rendendo conto dell'errore commesso. La trappola si stava chiudendo. Scacco matto... Pensò che forse ora l'uomo avrebbe pronunciato la parola «patteggiamento» o simili e sentì il cuore batterle all'improvviso. Si sbagliava. Pell spalancò gli occhi di scatto e la perforò con uno sguardo carico di odio. Fece un balzo in avanti. Solo le catene lo trattennero alla sedia metallica, bloccata al pavimento di piastrelle tramite bulloni, e gli impedirono di affondarle i denti nella carne. Kathryn fece un salto all'indietro, ansimando. «Troia maledetta! Ora capisco. Ci sei dentro anche tu, chiaro! Sì, sì, è tutta colpa di Daniel. È sempre colpa sua! Io sono il bersaglio più facile. E tu ti presenti qui, fai l'amicona, mi fai qualche domanda. Cristo, sei come tutti gli altri!» Il cuore della donna batteva all'impazzata, ora, e aveva paura. Poi notò rapida che le catene avevano tenuto e Pell non avrebbe potuto balzarle addosso. Guardò lo specchio, certa che l'agente che manovrava la videocamera dietro di esso era pronto a venirle in aiuto. Ma fece cenno di no con il capo. Era importante capire fin dove sarebbero arrivati. All'improvviso la rabbia di Pell si tramutò in una gelida calma. Tornò a
sedere, respirò a fondo e riprese a osservare la sua interlocutrice. «Hai passato i trent'anni, agente Dance. E sei piuttosto carina. Eterosessuale, suppongo, e sono certo che ci sia un uomo nella tua vita. O c'è stato.» Lanciò una terza occhiata all'anello con la perla. «Se la mia versione non le piace, Daniel, tiriamone fuori un'altra. Su quello che è successo davvero a Robert Herron. Pell ignorò le sue parole. «E hai dei bambini, vero? Sicuro che ce li hai. Lo vedo. Racconta. Parlami di quei frugoletti. Saranno più o meno coetanei e non troppo cresciuti, suppongo.» Kathryn si innervosì e in quel momento le vennero in mente Maggie e Wes. Eppure lottò per mostrarsi impassibile. Lui non sa che ho dei bambini, ovvio. Non può saperlo. Però si comporta come se ne fosse sicuro. Ha notato qualcosa nel mio modo di fare? Qualcosa che gli ha fatto capire che sono una madre? Studiano te almeno quanto tu studi loro... «Mi ascolti, Daniel», fece Kathryn dolcemente, «le prese di posizione non portano a nulla.» «Ho degli amici fuori, lo sai. E sono in debito con me. Sarebbero lieti di venire a farti visita. O di conoscere tuo marito e i tuoi figli. È dura la vita del poliziotto, eh? Quei frugoletti passano un sacco di tempo da soli, vero? Forse sarebbero felici di avere degli amici con cui giocare.» Kathryn ricambiò il suo sguardo, senza esitare. «Potrebbe parlarmi del suo rapporto con quel detenuto di Capitola?» «Sì, potrei. Ma non lo farò», ribatté lui con fredda ironia. Kathryn si accorse di essere stata poco professionale, di aver formulato la domanda con troppa noncuranza. «Credo sia ora che torni nella mia cella», mormorò l'uomo. 2 Alonzo «Sandy» Sandoval, procuratore di Monterey County, era un bell'uomo paffuto dalla folta capigliatura nera e dai grossi baffi. Sedeva nel suo ufficio, due piani sopra le celle, dietro una scrivania ingombra di pratiche. «Ciao, Kathryn. Allora, che mi dici del nostro uomo? Si è battuto ripetutamente il petto implorando perdono?» «Non esattamente.» Lei si sedette, lo sguardo fisso nella tazzina da caffè che aveva abbandonato sulla scrivania tre quarti d'ora prima. La panna si era rappresa formando una schiumetta sulla superficie. «Lo definirei uno
degli interrogatori peggio riusciti di tutti i tempi.» «Mi sembri scossa, capo», commentò un giovanotto basso e snello, con ricci rossi e lentiggini, in jeans, maglietta e giaccone a quadri. Per essere un agente del CBI, l'agenzia più conservatrice dello Stato della California, la tenuta di TJ era decisamente anticonvenzionale, ma coerente con la sua persona. Single e sulla trentina, TJ Scanlon viveva in collina a Carmel Valley. La sua casa sgangherata sarebbe potuta essere un diorama in un museo sulla controcultura californiana degli anni Sessanta. TJ tendeva quasi sempre a lavorare da solo, anziché fare squadra con un altro agente del CBI, secondo la procedura standard dell'agenzia. L'abituale partner di Kathryn si trovava in Messico a lavorare su un caso di estradizione, e TJ non si era lasciato scappare l'occasione di conoscere il Figlio di Manson. «Scossa, no. Soltanto curiosa.» L'agente raccontò di come il colloquio stesse andando per il verso giusto quando, all'improvviso, Pell se l'era presa con lei. Dinanzi allo sguardo scettico di TJ, ammise: «D'accordo, un po' scossa lo sono. Non è la prima volta che ricevo delle minacce. Ma mai come le sue». «In che senso?» chiese Juan Millar, un giovane detective alto e di carnagione scura, della divisione investigativa dell'MCSO, il Monterey County Sheriff's Office, la cui sede principale non era lontana dal palazzo di Giustizia. «Minacce pacate», spiegò Kathryn. TJ aggiunse: «Minacce sorridenti. È quando smettono di urlare e cominciano a parlare sottovoce che sai di essere nei casini». Quei frugoletti passano un sacco di tempo da soli... «Cos'è successo?» domandò Sandoval. Sembrava più preoccupato del suo caso che delle minacce nei confronti di Kathryn. «Quando ha negato di conoscere Herron non ha mostrato segnali di stress. Solo quando l'ho fatto parlare del complotto da parte della polizia ha cominciato a dare segni di ostilità e rifiuto. Anche alcuni movimenti degli arti si scostavano dal suo profilo base.» Spesso Kathryn Dance veniva soprannominata lie detector, ma non era esatto. In realtà, come tutti gli analisti di cinesica e gli specialisti in colloqui, era una stress detector. Ecco la chiave per scoprire la menzogna; evidenziato lo stress, Kathryn indagava sull'argomento che lo originava, finché il soggetto non crollava. Gli esperti di cinesica identificano diversi tipi di stress individuale. Alcuni emergono principalmente quando il soggetto non dice tutta la verità.
Kathryn lo definiva «stress da menzogna», ma le persone ne sperimentano anche uno generico, quando sono nervose o a disagio, che non ha niente a che fare con il dire bugie. Si tratta di ciò che tutti proviamo quando siamo in ritardo al lavoro, dobbiamo parlare in pubblico o stiamo male fisicamente. Kathryn aveva notato che i due tipi di stress hanno come espressione comportamenti verbali differenti. Lo spiegò e aggiunse: «Ho avuto l'impressione che Pell avesse perso il controllo del colloquio e che non riuscisse a riprenderlo. Per questo è andato su tutte le furie». «Anche se ciò che dicevi era in sua difesa?» L'allampanato Juan Millar si grattò la mano sinistra, assente. Tra il pollice e l'indice aveva una cicatrice, quello che restava del tatuaggio di una gang che si era fatto togliere. «Già.» Poi la mente di Kathryn fece uno dei suoi balzi sorprendenti. Dal punto A al punto B al punto X. Non sapeva spiegare come avvenissero, ma non li sottovalutava. «Dove è stato assassinato Robert Herron?» Si diresse verso la cartina della Monterey County appesa alla parete, vicino a Sandoval. «Qui.» Il procuratore indicò una zona all'interno di un trapezio giallo. «E il pozzo in cui hanno trovato il martello e il portafogli?» «Diciamo qui intorno.» Era a circa quattrocento metri dalla scena del delitto, in un'area residenziale. Kathryn osservò la carta. Sentiva gli occhi di TJ puntati addosso. «Qualcosa non va, capo?» «Avete una foto del pozzo?» chiese la donna. Sandoval scartabellò il fascicolo. «I ragazzi di Juan, quelli della scientifica, ne hanno scattate parecchie.» «I ragazzi della CSI di giocare non smettono mai», fece Millar. La rima suonava strana in bocca a un tipo come lui. Sorrise timidamente. «L'ho sentita da qualche parte.» Il procuratore estrasse un mucchio di foto a colori e le sfogliò finché non trovò quelle che cercava. Kathryn le guardò e chiese a TJ: «Sei o forse otto mesi fa seguivamo un caso da quelle parti, ti ricordi?» «Certo. Un incendio doloso in quel nuovo complesso abitativo.» La donna proseguì, picchiettando sulla cartina nel punto in cui era situato il pozzo. «Il complesso è ancora in costruzione. E quel pozzo...» indicò una foto «... è scavato nella dura roccia.» Tutti sapevano che in quella zona della California l'acqua era preziosa e che quei tipi di pozzi, dotati di una scarsa riserva idrica, non venivano uti-
lizzati per irrigare, bensì per uso domestico. «Merda!» Sandoval batté le palpebre. «Dieci anni fa, quando Herron venne ucciso, lì era tutta campagna. Ai tempi il pozzo non esisteva.» «E non esisteva nemmeno un anno fa», mormorò Kathryn. «Ecco spiegato lo stress di Pell. Non ero lontana dalla verità... qualcuno ha davvero sottratto il martello da casa di sua zia a Bakersfield, ha preso un finto portafogli e li ha gettati là dentro di recente. Non allo scopo di incastrarlo, però.» «Oh, no», sussurrò TJ. «Cosa?» fece Millar, guardando in faccia i poliziotti. «Pell ha costruito da solo tutta la storia», fece Kathryn. «Perché?» si incuriosì Sandoval. «Perché non poteva evadere da Capitola.» Il complesso, simile a quello di Pelican Bay a nord, era un supercarcere ad alta tecnologia, riservato ai detenuti più pericolosi. «Ma da qui può.» Kathryn Dance afferrò il telefono. 3 Chiuso in una cella speciale, isolato dagli altri detenuti, Daniel Pell scrutava al di là delle sbarre il corridoio che conduceva all'aula del tribunale. Sembrava rilassato, ma aveva il cuore in tumulto. Durante il colloquio, la poliziotta l'aveva spaventato parecchio, con i suoi calmi occhi verdi dietro gli occhiali dalla montatura nera e la voce imperturbabile. Non si aspettava che qualcuno riuscisse a entrare nella sua testa così rapidamente e così a fondo. Era come se lei avesse letto i suoi pensieri. Kathryn Dance... Pell si voltò verso Baxter, la guardia, oltre le sbarre. Sembrava una brava persona, un tipo qualunque, non come quello che l'aveva scortato da Capitola, un nero massiccio, duro come l'ebano, che ora sedeva, silenzioso e vigile, davanti all'altra porta. «Te l'ho detto», fece Pell, continuando la sua conversazione con Baxter. «Il Signore mi ha aiutato. Prima fumavo tre pacchetti al giorno. Poi Lui mi ha inserito nel suo programma e mi ha dato una mano. Ho smesso quasi senza rendermene conto.» «Magari aiutasse anche me», brontolò la guardia. «Ti dirò», dichiarò Pell. «È stata più dura smettere di fumare che di bere.»
«Ho provato con il cerotto, quella roba che ti metti sul braccio. Non faceva granché. Forse domani pregherò Dio per avere un aiuto. Io e mia moglie preghiamo ogni giorno.» Pell non si stupì. Aveva notato la spilla a forma di pesce che aveva sul bavero. «Buon per te.» «La scorsa settimana ho perso le chiavi. Abbiamo pregato per un'ora. Il Signore mi ha rivelato dov'erano. Sai, Daniel, pensavo che nei giorni del processo tu sarai qui. Se ti va, possiamo pregare insieme.» «Apprezzo il pensiero.» Il telefono di Baxter squillò. Un istante dopo un allarme risuonò così forte da rompere i timpani. «Che diavolo succede?» La guardia che l'aveva scortato da Capitola balzò in piedi. Un'enorme palla infuocata esplose nel parcheggio. La finestra posteriore della cella era aperta e una fiammata divampò all'interno attraverso le sbarre. Un fumo oleoso e nerastro si sprigionò nella stanza. Pell si gettò a terra. Si rannicchiò. «Mio Dio!» Baxter fissava impietrito le fiamme incandescenti che avvolgevano l'intera zona alle spalle del palazzo di giustizia. Afferrò il telefono, ma sembrava che fosse saltata la linea. Estrasse il walkie talkie dalla cintura e segnalò l'incendio. Daniel Pell chinò il capo e prese a recitare il Padre Nostro. «Ehi, Pell!» Il detenuto aprì gli occhi. L'imponente guardia di Capitola gli era accanto, impugnando un Taser, pronto a folgorarlo con una scarica elettrica. Gettò al detenuto un paio di anelli di ferro per le caviglie. «Mettiteli. Attraversiamo quel corridoio, usciamo dall'ingresso principale e poi entriamo nel furgone. Tu...» Altre fiamme divamparono nella cella. I tre uomini si rannicchiarono. Era esploso il serbatoio della benzina di un'altra macchina. «Tu dovrai stare esattamente di fianco a me. Capito?» «Sì, certo. Andiamo! Per favore!» Si allacciò ben strette le cavigliere. Sudato e con la voce incrinata, Baxter disse: «Che razza di roba è? Terroristi?» La guardia di Capitola lo ignorò; non staccava lo sguardo da Pell. «Se non fai esattamente come ti dico, ti ritrovi cinquantamila volt a fulminarti il culo.» Puntò il Taser contro il prigioniero. «E se non mi converrà trasportarti fuori, ti lascerò qui a bruciare tra le fiamme. Chiaro?»
«Sissignore. Andiamo. Per favore. Non vorrei che lei o il signor Baxter vi faceste male per colpa mia. Farò tutto quello che vuole.» «Apri», abbaiò la guardia a Baxter, che premette un pulsante. La porta si aprì verso l'esterno con un ronzio. I tre uomini percorsero il corridoio, attraversarono un'altra porta di sicurezza e infine un altro corridoio tetro e fumoso. Suonò di nuovo l'allarme. Un momento, si disse Pell. C'era un secondo allarme... il primo era suonato poco prima dell'esplosione là fuori. Che qualcuno avesse intuito le sue mosse? Kathryn Dance... Stavano passando davanti a un'uscita di sicurezza quando Pell si guardò alle spalle. Un fumo denso aveva invaso il corridoio. Gridò a Baxter: «No, è troppo tardi! Brucerà l'intero edificio! Usciamo di qui». «Ha ragione!» Baxter si protese verso la maniglia dell'uscita di sicurezza, anch'essa collegata a un allarme. La guardia di Capitola, calma, dichiarò categorica: «No. Si esce dalla porta principale che dà sul furgone del carcere». «Sei pazzo!» saltò su Pell. «Per l'amor di Dio. Moriremo.» Aprì la porta con una spinta. Gli uomini furono investiti da una violenta vampata di calore, fumo e scintille. Fuori, un muro di auto, arbusti e bidoni dell'immondizia dilaniati dalle fiamme. Pell si buttò in ginocchio, coprendosi il viso. «I miei occhi! Dio, che male!» «Pell, dannazione!» La guardia avanzò, puntando il Taser. «Mettilo giù. Non andrà da nessuna parte», fece Baxter, con rabbia. «È ferito.» «Non ci vedo», gemeva Pell. «Qualcuno mi aiuti!» Baxter si voltò verso di lui, si chinò. «Non lo fare!» urlò la guardia. Baxter barcollò all'indietro, stupito, mentre Pell gli affondava ripetutamente un coltello affilato nel ventre e nel petto. L'uomo cadde in ginocchio, sanguinando copiosamente, con la mano sinistra in cerca della bomboletta spray per l'autodifesa. Pell lo afferrò per le spalle e lo fece ruotare, mentre l'energumeno di Capitola azionava il Taser. L'arma si scaricò senza nemmeno sfiorarlo. Il detenuto spinse via Baxter e si gettò sulla guardia. L'omone fissò il coltello, impietrito, con il Taser inutilizzabile che gli penzolava dalla mano. Gli occhi azzurri di Pell studiarono il suo volto nero e imperlato di su-
dore. «Non lo fare, Daniel.» Pell avanzò. L'energumeno serrò i pugni. «Okay, te la sei voluta, allora.» Non c'era motivo di parlare. Chi ha il controllo non ha bisogno di umiliare, minacciare o fare ironia. Pell si avventò in avanti, schivando i pugni dell'avversario, e lo colpì una dozzina di volte, la lama rivolta verso il basso stretta nel pugno destro. Quello era il modo migliore per usare un coltello contro un avversario forte e pronto al contrattacco. La guardia crollò da un lato, scalciando, la faccia stravolta. Si portò le mani al petto e alla gola. Un attimo dopo non si muoveva più. Pell prese le chiavi delle cavigliere e le aprì. Baxter si allontanava strisciando. Con le dita sanguinanti tentava ancora di estrarre lo spray dalla fondina. Quando Pell si avvicinò, sbarrò gli occhi. «Ti prego, non farmi del male. Stavo solo facendo il mio lavoro. Siamo tutti e due buoni cristiani! Sono stato gentile con te. Io...» Pell lo afferrò per i capelli. Era tentato di dire: Hai fatto sprecare a Dio tutto quel tempo pregando per... le chiavi della tua macchina? Non umiliare, minacciare o fare ironia, mai. Si chinò e gli tagliò di netto la gola. Morto Baxter, Pell tornò indietro. Si riparò gli occhi e afferrò la sacca ignifuga di metallo che si trovava proprio fuori dalla porta. Era da lì che aveva preso il coltello. Stava per rientrare, quando sentì la canna di una pistola puntata contro il suo collo. «Non ti muovere.» Pell si bloccò. «Getta il coltello.» Esitò un istante. La pistola restava immobile; Pell capì che, chiunque la impugnasse, era pronto a sparare. Sospirò di rabbia. Il coltello cadde a terra, tintinnando. Lanciò un'occhiata all'uomo, un giovane agente in borghese, dai tratti latini, che lo fissava stringendo una radio. «Qui Juan Millar. Kathryn, ci sei?» «Dimmi», la voce della donna risuonò metallica. Kathryn... «Undici-nove-nove, serve assistenza immediata alla porta antincendio, piano terra, appena fuori dall'area di detenzione. Due guardie a terra. Ferite gravi. Nove-quattro-cinque, serve un'ambulanza. Ripeto, undici-nove...»
In quell'istante il serbatoio dell'auto accanto alla porta esplose. Una vampata arancione attraversò l'ingresso. L'agente si buttò a terra. Pell non lo fece. La sua barba prese fuoco, le fiamme gli lambirono le guance, ma lui non si mosse. Tieni duro... 4 Kathryn Dance chiamava da una radio Motorola: «Juan, dov'è Pell?... Juan, rispondi. Che sta succedendo lì?» Nessuna risposta. L'undici-nove-nove era un codice della stradale, ma era noto a qualunque poliziotto californiano. Voleva dire che un agente aveva immediato bisogno di soccorso. E, dopo quella comunicazione, Juan non aveva più risposto. Il capo della sicurezza del tribunale, un ex poliziotto dai capelli grigi a spazzola, infilò la testa nell'ufficio. «Chi si occupa delle ricerche? Chi è il responsabile?» Sandoval lanciò uno sguardo a Kathryn. «È lei quella con maggiore anzianità.» A Kathryn Dance non era mai capitata una situazione del genere: una bomba incendiaria assieme all'evasione di un assassino del calibro di Daniel Pell. Non sapeva nemmeno di altri suoi colleghi sulla penisola a cui fosse successo. Poteva coordinare gli interventi in modo che subentrasse qualcuno dell'MCSO o della stradale. Era fondamentale agire subito e con decisione. «D'accordo», disse. Ordinò al capo della sicurezza di radunare immediatamente le altre guardie al piano di sotto e presso le porte da cui la gente stava sfollando. Urla. Persone che correvano in corridoio. Messaggi radio che fioccavano avanti e indietro. «Guardate», fece TJ, indicando la finestra. Il fumo nero oscurava totalmente la visuale. «Mio Dio!» Nonostante le fiamme, che ora divampavano all'interno del palazzo, Kathryn Dance decise di restare nell'ufficio di Alonzo Sandoval. Non voleva perdere tempo nel trasferimento o nell'evacuazione. Se l'incendio fosse divampato nel tribunale, sarebbero potuti saltare dalle finestre sui tetti
delle auto parcheggiate di fronte, tre metri più in basso. Tentò nuovamente di collegarsi a Juan Millar, ma non ricevette risposta né telefonica né via radio. Allora si rivolse al capo della sicurezza: «Dobbiamo perlustrare l'edificio, stanza per stanza». «Sissignora.» L'uomo si allontanò di corsa. «E nel caso ce la facesse a uscire, voglio posti di blocco lungo la strada», disse Kathryn a TJ. Si tolse il giubbotto, lo gettò sulla sedia: aloni di sudore le si erano formati sotto le ascelle. «Qui, qui e qui...» Le corte unghie battevano con veemenza sulla cartina plastificata di Salinas. TJ osservò i punti che indicava e chiamò la stradale, la polizia di Stato della California e l'MCSO. Sandoval, il procuratore, fissava torvo e inebetito il parcheggio invaso dal fumo. Le fiamme si riflettevano sui vetri. Tacque. Arrivarono i rapporti: nessuna traccia di Pell né dentro il palazzo né fuori. E nemmeno di Juan Millar. Il capo della sicurezza fu di ritorno qualche minuto dopo, il volto annerito. Tossiva forte. «L'incendio è sotto controllo. È stato limitato alla zona esterna.» Poi aggiunse, con voce tremante: «Però, Sandy... te lo devo dire, Jim Baxter è morto. E pure la guardia di Capitola. Accoltellati. Non so come, ma a quanto pare Pell è riuscito a procurarsi un coltello». «Oh, no», mormorò Sandoval. «No.» «E Millar?» chiese Kathryn. «Sparito! Potrebbe averlo preso in ostaggio. Abbiamo trovato una radio e crediamo sia la sua, però non abbiamo idea di dove sia andato Pell. Qualcuno deve aver aperto la porta antincendio, ma fino a qualche minuto fa c'era fuoco dappertutto: non può essere fuggito di là. L'unica altra possibilità è che sia rientrato nell'edificio... certo che con la divisa da carcerato l'avremmo avvistato.» «A meno che non indossasse i vestiti di Millar», osservò Kathryn. TJ la fissò, inquieto. Entrambi avevano ben presenti le implicazioni di tale scenario. «Avvisi tutti che potrebbe essere vestito di scuro, con una camicia bianca.» Millar era più alto di Pell. La donna aggiunse: «Potrebbe essersi rimboccato i pantaloni». Il capo della sicurezza accese la radio e comunicò il messaggio. TJ alzò lo sguardo dal telefono e riferì: «Monterey sta preparando le auto». Indicò la cartina. «La stradale ha mobilitato una mezza dozzina di ra-
diomobili e diverse moto. Dovrebbero bloccare le arterie principali nel giro di un quarto d'ora. Avevano dalla loro che Salinas non era una grande città. Era un centro agricolo di circa centocinquantamila abitanti, detto «l'insalatiera nazionale». Nei dintorni si estendevano campi di lattuga, ortaggi, cavolini di Bruxelles, spinaci e carciofi, limitando il numero di strade e autostrade utili per la fuga. Inoltre, se Pell fuggiva a piedi, non sarebbe stato difficile individuarlo, in mezzo ai campi di verdura bassa. Kathryn ordinò a TJ di inviare foto segnaletiche dell'evaso agli uffici dello sceriffo e agli agenti della stradale destinati ai posti di blocco. Che altro devo fare? si chiese. Toccò la treccia stretta nell'elastico rosso in cui l'energica Maggie le aveva legato i capelli quel giorno. Era una tradizione di famiglia: ogni mattina i suoi figli sceglievano il colore del nastro o dell'elastico. In quel momento ripensò alla sua bambina che, sgranando i vivaci occhi castani da dietro gli occhiali, le raccontava della lezione di musica e dei dolci da comprare l'indomani per la festa di compleanno del nonno. Doveva essere stato in quell'occasione che Wes le aveva infilato il pipistrello nella borsetta. Le tornò in mente anche il colloquio con quel leggendario criminale. Il Figlio di Manson... La radio del capo della sicurezza crepitava. Una voce disse rapida: «Abbiamo un ferito. Molto grave. Quel detective di Monterey County. Sembra che Pell l'abbia spinto dritto nel fuoco. Quelli del pronto intervento richiedono un trasporto urgente. È pronto un elicottero». No, no... Kathryn e TJ si guardarono negli occhi. Lo sguardo del giovane, di solito colmo di ironia, era ora costernato. Lei sapeva che Millar era in preda a dolori atroci, eppure aveva bisogno di avere indicazioni su dove fosse andato Pell. Fece un cenno in direzione della radio. Il capo della sicurezza gliela porse. «Qui agente Dance. Il detective Millar è cosciente?» «Nossignora. Sta... sta piuttosto male.» Si interruppe. «Indossa dei vestiti?» «Indossa... può ripetere?» «Pell ha preso gli abiti di Millar?» «Oh, assolutamente no.» «È armato?» «Niente armi.» Merda.
«Avvisate tutti che Pell è armato.» «Ricevuto.» Kathryn ebbe un'altra intuizione. «Voglio un poliziotto sull'elicottero di soccorso dall'istante in cui atterra. Pell potrebbe avere in mente di scroccare un passaggio.» «Ricevuto.» Restituì la radio ed estrasse il suo cellulare, premette rapida il tasto quattro. «Cardiologia», disse con voce bassa e calma Edie Dance. «Mamma, sono io.» «Katie, cos'è successo? I bambini?» Kathryn si immaginò quella donna robusta, dai capelli corti e grigi e i grandi occhiali tondi posati sul viso senza età. Sicuramente si era protesa in avanti, la sua reazione istintiva alla tensione. «No, noi stiamo tutti bene. Ma uno dei detective di Michael ha riportato delle ustioni. Gravi. C'è stato un incendio doloso al palazzo di Giustizia, per favorire un'evasione. Lo sentirai al telegiornale. Abbiamo perso due guardie.» «Oh, mi dispiace», mormorò Edie. «Il detective... Si chiama Juan Millar. Devi averlo visto un paio di volte.» «Non ricordo. Lo stanno portando qui?» «Arriverà tra poco. Sono andati a prenderlo in elicottero.» «È così grave?» «Avete un'unità per il soccorso ustionati?» «Niente di che. Fa parte dell'unità di rianimazione. Per casi più seri bisogna portarlo il più rapidamente possibile ad Alta Bates, U.C., a Davis o a Santa Clara. O forse a Grossman.» «Potresti dargli un'occhiata di tanto in tanto? Farmi sapere come sta?» «Certo, Katie.» «E, se c'è modo, voglio parlare con lui. Qualunque cosa abbia visto, potrebbe essermi d'aiuto.» «D'accordo.» «Sarò occupata tutto il giorno, anche se lo troviamo. Puoi chiedere a papà se va lui a prendere i ragazzi?» Stuart Dance, un biologo marino in pensione, lavorava di tanto in tanto al famoso acquario di Monterey, ma quando serviva era disponibile ad andare a prendere i figli di Kathryn. «Lo chiamo subito.»
«Grazie, mamma.» L'agente riattaccò, alzò gli occhi e scorse il procuratore Alonzo Sandoval che fissava la cartina, assente. «Chi lo stava aiutando?» mormorò. «E dove cazzo è finito Pell?» Domande simili mulinavano anche nella mente di Kathryn, accompagnate da un ulteriore interrogativo: Come avrei dovuto fare per interpretare meglio il suo comportamento? E per impedire questa tragedia? 5 L'elicottero che portava Juan Millar all'ospedale si levò in volo dal parcheggio. Le pale dei rotori dispersero vortici di fumo tutt'intorno. Vaya con Dios... Kathryn ricevette una chiamata. Lanciò uno sguardo al display. Si stupì che ci avesse messo così tanto a richiamarla. «Charles», rispose al suo capo, responsabile della sede del CBI. «Sto arrivando al palazzo di Giustizia. Che cosa succede, Kathryn?» La donna lo aggiornò sull'accaduto, comprese le due morti e le condizioni di Frank Millar. «Mi dispiace... Ci sono delle piste, c'è qualcosa da raccontargli?» «Da raccontare a chi?» «Ai giornalisti.» «Non ne ho idea, Charles. Non ne sappiamo granché. Potrebbe essere ovunque. Ho dato ordine di disporre posti di blocco e stiamo perquisendo una stanza dopo l'altra.» «Niente di più specifico? Nemmeno una direzione?» «No.» Charles Overby sospirò. «D'accordo. In ogni caso, conduci tu le operazioni.» «Come?» «Voglio che sia tu a occuparti di questa caccia all'uomo.» «Io?» Kathryn si meravigliò. Certo, il caso era di competenza del CBI. Erano le forze dell'ordine più importanti dello Stato e Kathryn Dance era l'agente di grado più alto. Nessuno aveva una competenza maggiore della sua per dirigere il caso. Comunque, il CB1 era un'agenzia investigativa e non disponeva di molto personale. Spettava alla California Highway Patrol e al Monterey County Sheriff's Office fornire gli uomini per la ricerca. «Perché non qualcuno della CHP o dell'MCSO?»
«Ritengo che sia necessario un coordinamento centrale. Mi sembra la scelta migliore. Comunque, è già deciso. Ho chiarito la questione con tutti quanti.» Di già? Kathryn si domandò se fosse per questo che lui non l'aveva richiamata subito. Stava coinvolgendo il CBI in un caso di grossa risonanza mediatica. Be', Kathryn non poteva che essere d'accordo con lui. Si sentiva personalmente coinvolta nella cattura di Pell. Ripensò a quei denti digrignati e alle sue lugubri parole. È dura la vita del poliziotto, eh? Quei frugoletti passano un sacco di tempo da soli, vero? Forse sarebbero felici di avere degli amici con cui giocare... «D'accordo, Charles. Ci sto. Ma voglio che ci sia dentro anche Michael.» Michael O'Neil era il principale referente di Kathryn all'MCSO. Lei e il detective, abitante di lunga data a Monterey, collaboravano da anni: O'Neil era stato il suo mentore quando lei era entrata nel CBI. «D'accordo.» Bene, pensò la donna. Anche perché l'aveva già contattato. «Sarò lì al più presto. Voglio fare un'altra riunione prima della conferenza stampa.» Overby riattaccò. Kathryn si stava dirigendo verso il retro del palazzo di Giustizia quando lampi di luce la abbagliarono. Riconobbe una Taurus del CBI, la grata del radiatore pulsava di rosso e blu. Rey Carraneo, l'ultima acquisizione dell'ufficio, accostò lì vicino e la raggiunse. Era magro, con un paio di occhi neri celati da folte sopracciglia, e aveva all'attivo due soli mesi di lavoro. In realtà, non bisognava lasciarsi ingannare dal suo aspetto da novellino: aveva lavorato tre anni come poliziotto dalle parti di Reno, città tosta, poi si era trasferito nella penisola con la moglie per assistere la madre malata. Doveva ancora smussare alcuni aspetti del carattere e maturare una maggiore esperienza, comunque era un collega instancabile e fidato. Ed era questo che contava. Carraneo aveva soltanto sei o sette anni meno di Kathryn, ma erano fondamentali nella carriera di un poliziotto, così non si permetteva di darle del tu, nonostante lei glielo ripetesse di frequente. Di solito, come in quell'occasione, la salutava con un rispettoso cenno del capo. «Vieni con me.» Kathryn ripensò alle prove dell'omicidio Herron e alla bomba. Aggiunse: «Deve avere un complice e sappiamo che è armato.
Quindi, occhi aperti». I due proseguirono diretti verso il retro dell'edificio, dove gli investigatori e la scientifica di Monterey County dell'Enforcement Operations Bureau esaminavano il luogo della strage. Sembrava di essere in territorio di guerra. Quattro auto erano ridotte allo scheletro, altre due erano sventrate per metà. Il retro del palazzo era annerito dalla fuliggine e dai serbatoi di benzina liquefatti. Si levava in aria una nuvola di fumo grigio bluastro, assieme al puzzo di gomma bruciata e a un odore ancora più repellente. Kathryn esaminò il parcheggio. Lo sguardo le cadde sulla porta aperta del retro. «Non può essere uscito di lì», osservò Carraneo. La donna era d'accordo. A giudicare dalle auto distrutte e dall'asfalto bruciato, era chiaro che il fuoco aveva circondato la porta; le fiamme dovevano servire come diversivo. Ma allora dov'era finito? «Queste auto sono state identificate?» chiese Kathryn a un vigile del fuoco. «Sì. Erano tutte di proprietà dei dipendenti.» «Ehi, Kathryn, abbiamo trovato l'ordigno», le annunciò un uomo in uniforme. Era il comandante dei vigili del fuoco della contea. La donna gli rivolse un cenno di saluto. «Che cos'è?» «Un trolley, molto grande, pieno di contenitori del latte in plastica colmi di benzina. Qualcuno deve averlo infilato sotto quella Saab. Una miccia a lenta combustione.» «Sarà un professionista?» «Credo di no. Abbiamo trovato i residui della miccia. Roba che si può fare in casa. Deve aver letto le istruzioni su internet. Sembrano quelle che costruiscono i ragazzini quando vogliono far esplodere qualcosa. E spesso saltano in aria anche loro.» «Si può risalire a qualche traccia?» «Forse. Lo mandiamo al laboratorio dell'MCSO e vediamo.» «Si può sapere quando è stato piazzato?» Il comandante dei vigili indicò con il capo l'auto sotto cui era stata infilata la bomba. «Il proprietario è arrivato qui intorno alle nove e un quarto, dunque dev'essere successo dopo.» «Eventuali impronte?» «Ne dubito.» Kathryn Dance se ne stava in piedi, le mani sui fianchi, a scrutare il teatro della strage. Qualcosa non la convinceva: il cemento imbrattato di san-
gue e quel tetro corridoio che si scorgeva attraverso la porta aperta. La porta aperta. Si voltò lentamente a ispezionare la zona. In un boschetto di pini e cipressi, dietro l'edificio, c'era una pianta da cui pendeva un nastro arancione, di quelli usati per contrassegnare gli alberi e gli arbusti da potare. Si avvicinò e notò che alla base c'era una montagnola di aghi di pino più grossa delle altre. Kathryn si inginocchiò e scavò. Trovò un borsone bruciacchiato in maglia di metallo. «Rey, ci vogliono dei guanti.» Il fumo la faceva tossire. Il giovane poliziotto ne chiese un paio alla scientifica dell'MCSO. Dentro la borsa c'era la divisa arancione da carcerato di Pell e alcune tute grigie con cappuccio, che si scoprirono essere a prova di fuoco. L'etichetta diceva che l'indumento era in fibre PBI e Kevlar e aveva una classificazione SFI di 32 A/5. Kathryn non aveva idea di che cosa volesse dire, a parte che il materiale doveva essere sufficientemente protettivo da permettere al detenuto di uscire indenne dall'esplosione dietro il palazzo di Giustizia. Fremette. Una tuta antincendio? E chi se lo sarebbe aspettato? «Non capisco», brontolò Rey Carraneo. Kathryn gli spiegò che, quasi sicuramente, il complice di Pell che aveva messo la bomba doveva aver depositato all'esterno il borsone ignifugo, con dentro la tuta e il coltello. E forse anche una chiave universale per aprire cavigliere e manette. Dopo aver disarmato Juan Millar, Pell si era infilato la tuta ed era corso attraverso le fiamme fino all'albero con il nastro arancione, in cui il suo complice aveva nascosto abiti da civile. Poi si era cambiato ed era corso via. Kathryn prese il Motorola e riferì la sua scoperta, poi fece segno a un agente della scientifica dell'MCSO di raggiungerla sul posto e gli affidò le prove. Carraneo, che esaminava un pezzo di terreno un po' più in là, la chiamò. «Impronte.» Erano parecchie, a intervalli di un metro e venti, come di qualcuno che stava correndo. Erano senza dubbio di Pell: ne aveva lasciate di riconoscibili fuori dalla porta di sicurezza del palazzo di Giustizia. I due agenti del CBI si misero a correre in quella direzione. Le impronte terminavano in una strada lì accanto, San Benito Way. Lungo la via si scorgevano terreni incolti, un negozio di liquori, una squallida taqueria, un corriere espresso in franchising, un banco di pegni e un bar.
«Dunque è qui che il suo socio è venuto a prenderlo», osservò Carraneo, guardando lungo San Benito Way. «Eppure sul lato opposto del palazzo di Giustizia c'è una via più vicina di una settantina di metri. Perché proprio qui?» «L'altra è più trafficata?» «Può darsi.» Kathryn scrutò attenta la zona, continuando a tossire. Infine riprese a respirare e il suo sguardo si posò dall'altro lato della via. «Avanti, muoviamoci!» L'uomo, sulla trentina, in pantaloncini e maglietta della Worldwide Express, attraversava con il suo furgoncino verde le strade del centro di Salinas. Era pienamente consapevole della canna della pistola puntata contro la spalla e singhiozzava: «Guardi, signore, non ne so proprio niente, davvero, però noi non trasportiamo contanti. Ho qui cinquanta sacchi dei miei e sono felice di...» «Dammi il portafogli.» Il criminale indossava un paio di calzoncini, una giacca a vento e un cappellino degli Oakland Athletics. Aveva il volto striato di fuliggine e la barba riccia e bruciacchiata. Doveva avere sui cinquant'anni, ma era magro e robusto. I suoi occhi avevano uno strano colore azzurrino. «Tutto quello che vuole, signore. Solo non mi faccia del male. Ho famiglia.» «Il porta-fogli...» A Billy, che era piuttosto grassoccio, ci volle un momento prima di riuscire a estrarlo dai pantaloncini attillati. «Ecco.» L'uomo guardò all'interno. «E adesso, William Gilmore, abitante in Rio Grande Avenue al 3435, Marina, California, padre di questi due bei bambini, sempre che le foto siano aggiornate...» Il terrore si fece strada nel povero fattorino. «... E marito di questa adorabile mogliettina. E guarda quei ricci! Sono naturali, ci scommetto quello che vuoi. Ehi, occhio alla strada. Hai sbandato leggermente. Prosegui per dove ti ho detto.» Poi aggiunse: «Passami il tuo cellulare». Billy notò che parlava con calma, e quello era un bene. Voleva dire che non intendeva compiere gesti stupidi o avventati. Sentì che stava componendo un numero. «Pronto. Sono io. Scrivi.» Ripeté l'indirizzo di Billy. «Ha una moglie e due figli. Lei è davvero carina. I suoi capelli ti piaceranno.»
Billy mormorò: «Con chi sta parlando? La prego, signore... Per favore. Si prenda il furgone, si prenda tutto quanto. Le lascerò tutto il tempo che vuole per allontanarsi. Un'ora. Due. Soltanto non...» «Shhhh.» L'uomo continuò la sua conversazione telefonica. «Se non mi vedi arrivare, vuol dire che non ce l'ho fatta a superare i posti di blocco perché William non è stato troppo convincente. Andrai a fare visita alla sua famigliola. Sono tutti per te.» «No!» Billy si voltò di scatto e balzò verso il telefono. La canna della pistola gli sfiorò la faccia. «Continua a guidare, figliolo. Non è il momento migliore per finire fuori strada.» Il delinquente chiuse il telefono con uno scatto e se lo ficcò in tasca. «William... 'Bill', è così che ti chiamano?» «Di solito 'Billy', signore.» «Allora, Billy, la situazione è questa. Sono evaso da quella prigione là.» «Sissignore. Sono felice per lei.» L'uomo rise. «Be', ti ringrazio. Adesso hai sentito quel che dicevo al telefono. Il mio piano lo conosci. Tu mi aiuterai a superare i posti di blocco, io ti lascerò andare e nessuno farà del male alla tua famiglia.» Billy era paonazzo, quasi febbricitante, lo stomaco che gli si rivoltava dalla paura. Si asciugò le guance paffute. «Tu per me non sei una minaccia. Tutti sanno chi sono e come sono fatto. Sono Daniel Pell e a mezzogiorno la mia foto sarà trasmessa su tutti i telegiornali. Quindi non ho nessun motivo di farti del male, sempre se fai quello che ti dico. Ora cerca di stare calmo. E concentrato. Se ti ferma la polizia, voglio vedere un fattorino sorridente e curioso, che domanda perplesso che cosa è capitato giù in città. Tutto quel fumo e quel casino. Mamma mia, accidenti... Ho reso l'idea?» «La prego, farò qualunque...» «Billy, so che mi hai sentito. Non voglio che tu faccia 'qualunque cosa'. Voglio che tu faccia quello che ti ho chiesto. E basta. Niente di più semplice.» 6 Nella filiale della You Mail It su San Benito Way, Kathryn Dance e Carraneo avevano appena saputo che un fattorino della Worldwide Express era partito poco dopo l'evasione per il giro di consegne giornaliero. Dal punto A al punto B al punto X...
Kathryn immaginava che Pell potesse requisire un furgone per superare i posti di blocco e aveva contattato il direttore della Worldwide Express di Salinas. Questi confermò che il fattorino aveva saltato tutte le consegne in programma. L'agente si procurò il numero di targa del veicolo e lo inoltrò all'MCSO. Tornarono all'ufficio di Sandy Sandoval e si coordinarono per individuare il furgone. Purtroppo ce n'erano venticinque della Worldwide in zona. Kathryn chiese al direttore di ordinare agli altri fattorini di accostare immediatamente alla prima stazione di servizio. Il veicolo ancora in movimento sarebbe stato quello con a bordo Daniel Pell. La cosa avrebbe comunque comportato un certo tempo. Il direttore avrebbe dovuto avvisare i dipendenti tramite cellulare, dato che una comunicazione via radio avrebbe messo Pell in stato di allerta. Una figura apparve sulla soglia. Kathryn si voltò e vide Michael O'Neil, il vicesceriffo capo dell'MCSO che aveva contattato poco prima. Lo salutò con un sorriso; la sua presenza le procurò un immediato sollievo. Non conosceva altro agente al mondo con cui condividere quel duro fardello. O'Neil aveva lavorato per anni con il Monterey County Sheriff's Office. Aveva cominciato come recluta e si era dato da fare, fino a diventare un detective metodico e affidabile, con alle spalle uno stupefacente numero di arresti e, soprattutto, di detenzioni. Ora rivestiva la carica di vicesceriffo capo e detective presso l'Enforcement Operations Bureau della divisione investigativa dell'MCSO. Aveva rifiutato tanto le offerte di entrare in qualche compagnia di sicurezza privata, vantaggiose dal punto di vista economico, quanto quelle di entrare a far parte delle maggiori forze di polizia come il CBI o l'FBI. A O'Neil non andava l'idea di doversi trasferire o di dover viaggiare molto per lavoro. La sua casa era la penisola di Monterey e non desiderava vivere da nessun'altra parte. I suoi genitori abitavano ancora lì, nella casa affacciata sull'oceano dove lui e i suoi fratelli erano cresciuti. Ora suo padre soffriva di demenza senile e la madre stava valutando di vendere la casa e trasferire il marito in un pensionato; O'Neil aveva progettato di acquistare la proprietà perché restasse in famiglia. Con tutto quell'amore per la baia, per la pesca e per la sua barca, Michael O'Neil sarebbe potuto essere il protagonista di un romanzo di John Steinbeck, risoluto e solitario, come il Doc di Vicolo Cannery. Il detective infatti, avido collezionista di libri, possedeva la prima edizione di ogni opera dell'autore. Il suo preferito era Viaggio con Charley, un
libro autobiografico che narrava il viaggio dello scrittore attraverso l'America in compagnia del barboncino Standard. Prima o poi, O'Neil l'avrebbe emulato. Il venerdì precedente Kathryn e O'Neil erano riusciti ad acciuffare un tipo noto come Ese, un trentenne a capo di una gang di messicani che operava fuori Salinas. Per festeggiare avevano stappato una bottiglia di spumante Piper Sonoma sul ponte di un battello ristorante infestato dai turisti. Sembrava che fossero trascorsi secoli da quel brindisi, o addirittura che non fosse mai avvenuto. La divisa dell'MCSO era quella color kaki tipica degli sceriffi di contea, ma O'Neil preferiva vestirsi in modo meno vistoso. Quel giorno indossava un completo blu marina con una camicia antracite senza cravatta, che si intonava ai capelli brizzolati. Aveva occhi castani che si muovevano rapidi mentre osservava la carta. Il fisico era imponente e le braccia muscolose, sia per costituzione sia per la pesca d'altura che praticava a Monterey Bay, quando il tempo gli consentiva di uscire in barca. O'Neil fece un cenno di saluto a TJ e Sandoval. «Notizie di Juan?» chiese Kathryn. «Resiste.» Un sospiro. O'Neil e Millar spesso avevano lavorato in coppia, e un mese prima erano anche andati a pescare insieme. Kathryn sapeva che, mentre si recava da loro, O'Neil si era tenuto in costante contatto con i medici e con la famiglia di Millar. Il CBI non disponeva di una centrale di comunicazione radio per contattare autopattuglie, ambulanze e imbarcazioni di soccorso; dunque O'Neil aveva disposto che l'ufficio dell'MCSO passasse ai suoi uomini e alla stradale le informazioni relative al furgone scomparso. Comunicò loro che nel giro di qualche minuto il veicolo in questione sarebbe stato l'unico a non essere fermo a una stazione di servizio. L'uomo annuiva al telefono e intanto si dirigeva verso la cartina. Teneva l'apparecchio tra l'orecchio e la spalla, mentre prendeva da una scrivania un blocchetto di post-it a forma di farfalla e li attaccava sulla carta. I posti di blocco, si disse Kathryn. O'Neil tolse la comunicazione. «Sulla 68, sulla 183, sulla 100... Tutte le strade secondarie per Hollister, Soledad e Greenfield sono coperte. Ma se finisce ai Pascoli del Cielo, lì è dura star dietro a un furgone, anche con una moto... e adesso la nebbia complica le cose.» I «Pascoli del Cielo» era il titolo di un libro di John Steinbeck e anche il nome con cui l'autore aveva soprannominato una vallata colma di frutteti
accanto all'Highway 68. Gran parte dei dintorni di Salinas erano distese pianeggianti di terreno coltivabile, ma per trovare alberi non c'era bisogno di andare troppo lontano. E poco più in là si estendeva la zona di Castle Rock, che con i suoi boschi, i dirupi e i burroni era un posto perfetto per far perdere le proprie tracce. Sandoval disse: «Se il socio di Pell non è alla guida del veicolo della fuga, allora dov'è?» TJ suggerì: «Si saranno dati appuntamento da qualche parte?» «Oppure sarà qui intorno», osservò Kathryn, facendo un cenno oltre la finestra. «Cosa?» fece il procuratore. «E che ci guadagna?» «Per osservare come ci muoviamo, cosa sappiamo. E cosa non sappiamo.» «Come idea mi sembra un po'... fumosa, no?» TJ rise, indicando le auto fumanti. «Be', mi sembra un termine adeguato alla situazione.» O'Neil osservò: «O forse vuole farci perdere tempo». Kathryn replicò: «Anche questo ha senso. Pell e il suo complice non sanno che siamo sulle tracce del furgone. Secondo loro, noi crediamo ancora che sia in zona. Chi lo aiuta potrebbe avere il compito di farci credere che Pell sia nei dintorni, forse sparando a qualcuno per strada oppure piazzando un altro ordigno». «Merda. Un'altra bomba?» Sandoval fece una smorfia. Kathryn chiamò il capo della sicurezza e lo avvisò che il complice poteva ancora essere da quelle parti e avrebbe potuto rappresentare una minaccia. Ma presto si accorsero che non c'era il tempo di riflettere se il socio di Pell si trovasse lì intorno oppure no. Il piano del furgone aveva funzionato. Una chiamata radio diretta a O'Neil dall'MCSO riferiva che due poliziotti del posto avevano rintracciato il criminale ed erano partiti al suo inseguimento. Il furgone verde scuro adibito alle consegne sollevò una nube di polvere sulla stradina. L'agente in divisa, un ex marine che era stato in guerra, manovrava il volante dell'auto della polizia di Salinas come se stringesse il timone di una barchetta di tre metri in un mare con onde alte quattro metri. Il collega, un ispanico piuttosto muscoloso, con una mano si teneva al cruscotto e con l'altra stringeva il microfono. «Qui polizia di Salinas, Unità
Sette. Gli siamo sempre dietro. Ha svoltato in una strada dissestata fuori Natividad, circa un chilometro e mezzo a sud di Old Stage.» «Ricevuto... Centrale alla Sette, siete avvisati. Il soggetto può essere armato ed è pericoloso.» «Se è armato, è chiaro che è pericoloso», brontolò il guidatore, mentre perdeva gli occhiali da sole per colpa di un forte scossone. I due agenti non riuscivano quasi a vedere la strada: il furgone della Worldwide sollevava più polvere di una tempesta di sabbia. «Centrale a Sette, tutte le unità disponibili convergono sulla zona.» «Ricevuto.» Ottima idea quella dei rinforzi. Girava voce che Daniel Pell, il santone di quel culto delirante, l'emulo moderno di Charles Manson, avesse sparato a una dozzina di persone, dato fuoco a un autobus pieno di bambini e si fosse fatto largo a coltellate in mezzo a una folla di giurati, ammazzandone quattro. O due. O forse otto. In ogni caso, gli agenti richiesero il maggior numero possibile di rinforzi. L'ex marine borbottò: «Dove sta andando? Laggiù non c'è niente». Quello era un sentiero utilizzato da trattori e da autobus adibiti al trasporto dei lavoratori messicani nei campi. Non conduceva a nessuna strada principale o autostrada. Non era un giorno di raccolto, ma si capiva a che cosa servisse lo sterrato dalle sue condizioni, dalle cisterne d'acqua e dai gabinetti-roulotte parcheggiati sul ciglio. Possibile comunque che Daniel Pell non ci avesse pensato e l'avesse scambiato per una strada come tutte le altre. Invece terminava, all'improvviso, in un campo di carciofi. Dinanzi a loro, a circa una trentina di metri, Pell inchiodò in preda al panico e il furgone cominciò a sbandare, sollevando un fungo di polvere. Impensabile frenare in tempo. Le ruote anteriori finirono dritte in un basso fossato per l'irrigazione, quelle posteriori si sollevarono per poi abbattersi al suolo con grande fragore. L'autopattuglia si fermò a poca distanza. «Qui Sette», comunicò il poliziotto latino. «Pell è finito fuori strada.» «Ricevuto, è...» Gli agenti balzarono fuori dall'auto, le pistole spianate. «Si arrende! Si arrende!» Dal furgone non uscì nessuno. I poliziotti si avvicinarono. Nello schianto, la portiera posteriore era saltata e si era aperta, e si scorgevano soltanto dozzine di lettere e di pacchi sparpagliati sul fondo.
«Eccolo, guarda.» Pell giaceva sdraiato all'interno del veicolo stordito e a faccia in giù. «Forse è ferito.» «E chi se ne fotte!» Gli agenti gli furono addosso, lo ammanettarono e lo tirarono fuori. Lo rovesciarono a terra, sulla schiena. «Ci hai provato, amico, ma...» «Merda. Non è lui.» «Cosa?» fece il collega. «Scusa... sembra un quarantatreenne bianco?» L'ex marine si inginocchiò accanto al ragazzotto tramortito, con una lacrima tatuata sulla guancia: il tatuaggio di una gang. «E tu chi sei?» tuonò in spagnolo, lingua masticata da tutti i poliziotti di Salinas e dintorni. Il ragazzo, evitando di guardarli, borbottò in inglese: «Io no dire niente. Potete andare a quel paese». «Oh, Cristo!» Il poliziotto ispanico lanciò un'occhiata all'interno del furgone. Le chiavi penzolavano dal cruscotto. Allora capì. Pell aveva abbandonato il veicolo con il motore acceso in una via cittadina, sapendo che sarebbe stato rubato, e nel giro di qualche secondo. Così la polizia sarebbe corsa all'inseguimento permettendogli di fuggire in un'altra direzione. Un'altra intuizione. Niente di buono. Si voltò verso l'ex marine. «Che dici, quando abbiamo detto di avere Pell in pugno e che ci servivano tutti i rinforzi disponibili... insomma, avranno smontato i posti di blocco?» «No, non penso proprio. Sarebbe stata una mossa davvero stupida, cazzo.» I due uomini si guardarono. «Cristo.» Il poliziotto latino corse alla volante e afferrò il microfono. 7 «È un'Honda Civic», riferì TJ, dopo aver sentito la motorizzazione. «Di cinque anni. Rossa. Ho la targa.» Avevano scoperto che ora Pell si trovava a bordo dell'auto personale del fattorino della Worldwide Express, che mancava dal parcheggio della ditta a Salinas. TJ aggiunse: «Lo farò presente ai posti di blocco». «Quando torneranno in posizione», mormorò Kathryn. I poliziotti e O'Neil avevano scoperto, costernati, che gli agenti ai posti di blocco avevano ricevuto ordine a livello locale di convergere sul furgone. Il volto calmo di O'Neil era stato attraversato da un'espressione di di-
sgusto: aveva serrato le labbra e richiamato subito indietro le auto. La squadra si trovava in sala riunioni, in fondo al corridoio, oltre l'ufficio di Sandoval. Ora che non c'erano più dubbi che Pell fosse lontano dal palazzo di Giustizia, Kathryn voleva fare ritorno al quartier generale del CBI, ma Charles Overby le aveva detto di restare lì fino al suo arrivo. «Credo faccia di tutto per non farsi scappare, se non altro, la conferenza stampa», commentò TJ, strappando un risolino amaro a Kathryn e a O'Neil. Poi aggiunse sottovoce: «Si parla del diavolo... ed ecco che arriva! Tutti ai vostri posti!» Una figura entrò a passo sicuro nella stanza. Charles Overby, un poliziotto di carriera sui cinquantacinque anni, salutò O'Neil e i suoi agenti. Chiese a Kathryn: «Nel furgone non c'era?» «No. A bordo c'era un ragazzotto della malavita locale. Pell ha abbandonato il veicolo in giro. Sapeva che qualcuno l'avrebbe rubato e che noi gli saremmo stati dietro. Se n'è andato con l'auto del fattorino.» «E il fattorino?» «Scomparso.» «Cristo!» Charles Overby era un uomo abbronzato, dai capelli castani, con fianchi larghi e spalle strette, che giocava a tennis e a golf. Era il capo di recente nomina dell'ufficio centrale ovest del CBI: aveva sostituito Stan Fishburne, costretto al pensionamento anticipato per motivi di salute. I suoi sottoposti erano molto dispiaciuti sia per l'infarto che aveva colpito Fishburne sia per quelli che avrebbe procurato loro il suo successore. Mentre O'Neil rispondeva a una chiamata, Kathryn aggiornò Overby. Gli riferì i dettagli del nuovo veicolo usato da Pell e lo mise a parte del suo timore che il complice fosse ancora nei dintorni. «Sul serio può aver piazzato un altro ordigno?» «Difficile. Ma stanno controllando.» O'Neil concluse la telefonata. «I posti di blocco sono stati riallestiti.» «Chi aveva dato ordine di sgombrarli?» domandò Overby. «Non sappiamo.» «Di sicuro non siamo stati noi e nemmeno tu, vero Michael?» chiese Overby, nervoso. Calò un imbarazzante silenzio. Poi O'Neil disse: «No, Charles». «E chi è stato?» «Non si sa.» «Dovremmo scoprirlo.» Kathryn e O'Neil tacquero. Quelle prese di posizione erano snervanti. Il
detective promise che avrebbe cercato di fare luce sulla faccenda. Lei sapeva che non l'avrebbe mai fatto. Con quell'osservazione l'interrogatorio da parte del capo cessò. O'Neil riprese: «Nessuno ha intercettato la Civic. Ormai è troppo tardi. Pell potrebbe aver imboccato la 68 o la 101. Anzi, la 68 credo di no». «Già», convenne Overby. La Highway 68 era più stretta e avrebbe condotto Pell diritto alla popolosa città di Monterey. La 101, ampia come un'interstatale, l'avrebbe messo in comunicazione con le maggiori autostrade della California. «Stanno preparando nuovi posti di blocco a Gilroy. E altri a una cinquantina di chilometri a sud.» O'Neil puntava i post-it a forma di farfalla sulla cartina. «Hai fatto sorvegliare le stazioni dei bus e gli aeroporti?» chiese Overby. «Certo», rispose Kathryn. «E i dipartimenti di polizia di San José e Oakland sono stati allertati?» «Sì. Anche quelli di Santa Cruz, San Benito, Merced, Santa Clara, Stanislaus e San Mateo.» Si trattava delle contee vicine. Overby scarabocchiò qualche appunto. «Bene.» Alzò gli occhi e disse: «Ah, ho appena parlato con Amy». «Grabe?» «Esatto.» Amy Grabe era l'agente speciale in carica dell'ufficio FBI di San Francisco. Kathryn la conosceva bene. La giurisdizione dell'ufficio centrale ovest del CBI si estendeva fino a nord della baia e Kathryn aveva avuto numerose occasioni di collaborare con lei, così come il suo defunto marito. Overby continuò: «Se non prendiamo Pell al più presto, all'FBI hanno uno specialista che voglio mettere a lavorare sul caso». «Un che?» «Qualcuno nell'ufficio in grado di destreggiarsi in situazioni del genere.» Si tratta di un'evasione, pensò Kathryn. Che tipo di specialista intende? Le venne in mente Tommy Lee Jones ne Il fuggitivo. Anche O'Neil era curioso. «Un negoziatore?» «No, un esperto di sette. Ha spesso a che fare con gente come Pell.» Kathryn alzò le spalle in un gesto illustrativo, ovvero teso a rafforzare il contenuto verbale, e in questo caso la sua perplessità. «Be', non so quanto possa aiutarci.» Aveva lavorato in diverse squadre miste. Non che non volesse spartire il suo ambito di competenza con l'FBI o altri, ma il coinvolgimento di altre agenzie avrebbe inevitabilmente rallentato i tempi. Inoltre,
non vedeva come le tecniche di fuga adottate dal capo di una setta potessero essere tanto differenti da quelle di un assassino o di un rapinatore. Overby comunque aveva già deciso: si capiva dal tono e dal comportamento non verbale. «È un brillante profiler, riesce davvero a entrare nelle loro teste... la mentalità di questi santoni è diversa da quella dei vostri soliti assassini.» Davvero? Il nuovo capo porse a Kathryn un foglietto con un nome e un numero di telefono. «Adesso è a Chicago per chiudere alcuni casi. Potrà essere qui stasera o domattina.» «Allora ne sei sicuro, Charles?» «Con Pell ci serve ogni aiuto possibile. Per forza. A maggior ragione da un esperto di Washington: vuol dire più competenza e più efficacia.» E più responsabili su cui far ricadere la colpa, pensò lei, cinica. Aveva capito com'era andata. Grabe aveva domandato se l'FBI potesse collaborare alle ricerche e Overby non se l'era fatto dire due volte. Se fossero rimasti coinvolti altri innocenti o l'evaso fosse riuscito a fuggire, lui non sarebbe stato da solo sul podio durante la conferenza stampa: sarebbero stati in due. In ogni caso, Kathryn non smise di sorridere. «D'accordo. Speriamo arrivi prima che ci tocchi seccare qualcun altro.» «Oh... Kathryn? Volevo solo che lo sapessi: Amy si è chiesta come avesse fatto Pell a evadere e io le ho detto che la fuga non aveva niente a che vedere con il tuo colloquio.» «Il mio... che?» «Tranquilla. Le ho detto che tu non hai aiutato in nessun modo Pell a fuggire.» Kathryn si sentì avvampare, sicuramente era arrossita. Colpa dell'emozione. Nel corso degli anni aveva scoperto numerose menzogne proprio perché vergogna e colpevolezza innescano un improvviso flusso sanguigno. Come la rabbia. Forse Amy Grabe non era nemmeno al corrente del fatto che lei aveva interrogato Pell, né avrebbe mai pensato che una sua leggerezza ne avesse agevolato la fuga. Ma ora sia lei sia l'ufficio di San Francisco senza dubbio lo sospettavano. E anche a Sacramento, il quartier generale del CBI. La risposta secca fu: «È evaso dalla cella del tribunale, non dalla stanza degli interrogatori». «Dicevo che forse Pell poteva essersi procurato attraverso di te informa-
zioni da usare al momento della fuga.» Kathryn percepì la tensione di O'Neil. Il detective nutriva un forte istinto di protezione verso coloro che lavoravano da meno tempo di lui. Ma sapeva che la sua collega era una donna indipendente. Restò in silenzio. Kathryn era furiosa con Overby perché aveva parlato in quei termini ad Amy Grabe. Ora capiva: ecco perché il suo capo voleva che il caso venisse affidato al CBI. Se fosse finito ad altre agenzie, equivaleva a un'ammissione che loro fossero in qualche modo responsabili della fuga. E non aveva ancora finito. «Allora, per quanto riguarda la sorveglianza... sono sicuro che era stretta. Che con Pell erano state prese precauzioni speciali. Ho detto ad Amy che te ne sei occupata tu.» Dato che quella non era una domanda, Kathryn si limitò a rispondere fredda al suo sguardo, senza minimamente rassicurarlo. L'uomo si rese conto di essersi spinto troppo oltre. Eluse l'occhiata e proseguì: «Sono certo che tutto è stato fatto con il massimo della cura». Altro silenzio. «D'accordo, ora ho quella conferenza stampa. A ognuno la sua croce.» Overby fece una smorfia. «Se avete altre notizie, aggiornatemi. Tra dieci minuti sarà il mio turno.» E se ne andò. TJ guardò Kathryn e, con un marcato accento sudista, fece: «Dannazione, così sei stata tu l'unica a non chiudere la porta della stalla dove interrogavi i buoi! Ecco com'è scappato. Mi pareva». O'Neil trattenne a stento un sorriso. «Non provocatemi», mormorò Kathryn. Si avvicinò alla finestra: fuori era tutto un brulichio di gente che era stata fatta evacuare e voleva, oppure doveva, rientrare nel palazzo. «Sono preoccupata per quel complice. Chissà dov'è e cosa ha in mente.» «Chi vorrebbe far uscire uno come Daniel Pell di galera?» fece TJ. Kathryn ripensò alla reazione cinesica del criminale durante l'interrogatorio, quando si parlava della zia di Bakersfield. «Credo che, chiunque sia il complice, è lui che ha preso il martello dalla zia. Di cognome fa Pell. Dobbiamo rintracciarla.» Le venne un'altra idea. «Oh, e quel tuo amico nella resident agency, giù a Chico?» «Eh?» «È un tipo discreto, vero?» «Superdiscreto. Specie quando andiamo in giro per i bar a rimorchiare donne.» «Riesce ad avere informazioni su questo tipo?» Kathryn gli porse il pez-
zetto di carta con il nome dell'esperto di sette dell'FBI. «Per lui sarà un gioco da ragazzi, ci scommetto. Dice che gli intrighi negli uffici lo appassionano di più di quelli nel barrio.» TJ si annotò il nome. O'Neil ricevette una chiamata e parlò brevemente. Al termine, spiegò: «Era la direttrice del carcere di Capitola. Ho pensato che dovremmo parlare con la guardia responsabile del blocco in cui era recluso Pell, per vedere se ha qualcosa da dirci. Ci porta anche tutto il contenuto della sua cella». «Ottimo.» «E c'è un detenuto che sostiene di avere informazioni su Pell. La direttrice ha detto che lo fa chiamare e poi ci risentiamo.» Il cellulare di Kathryn suonò. Gracidava come una rana. O'Neil alzò il sopracciglio. «Wes e Maggie si sono dati da fare, eh?» Era un classico scherzo di famiglia, come gli animaletti nella borsa. I ragazzini dovevano aver modificato la suoneria a insaputa della mamma. Vigeva un patto: mai silenziarlo né programmarlo su stupide canzoncine della boy band del momento. La donna rispose. «Pronto?» «Sono io, agente Dance.» Nonostante il rumore di fondo e la generica risposta «io», Kathryn capì dall'accento che si trattava di Rey Carraneo. «Cosa c'è?» «Nessuna traccia né del complice né di altri ordigni. La sicurezza vuole sapere se possiamo far rientrare la gente. Il comandante dei vigili ha dato l'okay.» Kathryn si confrontò con O'Neil. Decisero di aspettare ancora un po'. «TJ, esci fuori e aiutali a perlustrare la zona. Questa storia che il complice sia irreperibile proprio non mi piace.» Si ricordò quello che le aveva raccontato suo padre quando aveva rischiato uno scontro con uno squalo bianco nelle acque del nord dell'Australia: «Lo squalo che non vedi è sempre più pericoloso di quello che riesci a vedere». 8 Un uomo robusto, pelato e barbuto, cinquant'anni portati male, se ne stava davanti al palazzo di Giustizia a osservare la confusione. Il suo occhio attento non perdeva di vista nessuno, dalla polizia, alle guardie, ai civili. «Ehi, agente, tutto okay? Ha un minuto? Solo qualche domanda... le
spiace dire due parole al registratore?... Oh, certo, capisco. La cercherò più tardi. Come no! Buon lavoro.» Morton Nagle aveva visto l'elicottero scendere lentamente e atterrare per portare via il poliziotto ustionato. Aveva visto uomini e donne attrezzarsi per la ricerca, seguito le loro strategie, osservato i volti. Aveva concluso che non avevano mai avuto a che fare con un'evasione. Aveva visto un sacco di persone inquiete pensare prima a un incendio doloso, poi ai terroristi e poi venire a conoscenza dell'accaduto. E la verità le aveva terrorizzate ancora di più che se dietro all'esplosione ci fosse stata Al-Qaeda. E in effetti, non avevano torto. «Scusi, ha un minuto per parlare?... Oh, la capisco. Nessun problema. Perdoni il disturbo, agente.» Nagle vagava tra la folla. Si tirava su i pantaloni marroni ciondolanti e intanto aguzzava lo sguardo e studiava attentamente la zona: le autopompe dei vigili del fuoco, le auto della polizia con le luci che perforavano la foschia fumosa. Estrasse la digitale e scattò altre foto. Una signora di mezza età scrutò il suo giubbotto trasandato, di quelli da pescatore con dozzine di tasche, e la custodia sdrucita che conteneva la macchina fotografica. Disse stizzita: «Voi giornalisti... siete tutti avvoltoi. Perché non lasciate che la polizia faccia il suo lavoro?» L'uomo fece un sorrisetto: «Non mi sembrava di disturbarla». «Siete tutti uguali.» La donna si voltò e continuò a fissare adirata il palazzo di Giustizia avvolto dal fumo. Una guardia raggiunse Nagle e gli domandò se avesse notato qualcosa di sospetto. Buffa come domanda. Sembra uscita da un vecchio telefilm, pensò l'uomo. Come: «Soltanto i fatti, signora...» «No», rispose. Poi si disse: Non c'è nulla che riesce a sorprendermi. Ma forse sono la persona più sbagliata a cui chiederlo. Nagle percepì una vampata maleodorante, carne e capelli bruciati, e gli uscì una risatina inopportuna. E se ne rese conto. Era stato Pell a farglielo venire in mente. Si era messo a ridere in un momento che tutti avrebbero considerato fuori luogo, se non indice di cattivo gusto. Come adesso, davanti a quella strage. Nel corso degli anni, aveva assistito a numerose morti violente, scene che avrebbero disgustato la maggior parte della gente. A lui spesso facevano ridere.
Forse era un meccanismo di difesa. Una strategia per impedire che la violenza - un soggetto con cui aveva così tanta familiarità - prendesse il controllo della sua anima. Come probabilmente era già successo, a giudicare da quelle risate inopportune. Poi un agente fece un annuncio. Disse che presto sarebbe stato possibile rientrare nel palazzo. Nagle si tirò su i pantaloni, sistemò la custodia con la digitale sulla spalla e passò al setaccio la folla. Individuò un giovane latino in giacca e cravatta, senza dubbio un poliziotto in borghese. Parlava con una donna che portava un cartellino da giurato. Erano da parte, non avevano molta gente intorno. Perfetto. Nagle squadrò l'agente. Era proprio quello che cercava: giovane, ingenuo, affidabile. Gli andò incontro, lentamente. Era sempre più vicino. L'uomo, ignaro della presenza di Nagle, si spostò alla ricerca di altri eventuali testimoni da interrogare. Quando fu a tre metri di distanza, si tolse la tracolla con la digitale, aprì la custodia e frugò all'interno. Un metro e mezzo. Si avvicinò ancora di più. Sentì qualcuno stringergli violentemente il braccio. Nagle ansimò e si sentì mancare. «Che ne dici di tenere quelle mani bene in vista?» Era un uomo basso e scattante, un agente del CBI; Nagle lo lesse sul distintivo che portava al collo. «Ehi, che cosa...» «Shhhhh», sibilò l'agente, rosso e riccioluto. «E quelle mani? Ti ricordi dove le voglio? Belle in vista... Ehi, Rey.» Il latino li raggiunse. Anche lui aveva un distintivo del CBI. Squadrò Nagle dall'alto in basso. Lo condussero da un lato del palazzo, attirando l'attenzione della gente che li circondava. «Guardate, non so...» «Shhhhh», ripeté l'agente muscoloso. L'altro lo perquisì con cura, facendo cenni d'assenso con la testa. Gli tolse dal collo il pass da giornalista e lo porse all'agente più basso. «Uhm», fece lui. «È leggermente scaduto, non crede?» «Tecnicamente sì, ma...»
«Signore, risale a quattro anni fa», specificò l'agente di nome Rey. «Molto tecnicamente», commentò il suo collega. «Devo aver preso quello sbagliato. Sono un inviato del...» «Dunque se chiamiamo questa testata, ci diranno che lei è un loro dipendente a tutti gli effetti?» In realtà, gli avrebbe risposto un numero non funzionante. «Lasciate che vi spieghi.» L'agente basso si accigliò. «Certo che vorremmo avere una spiegazione, chiaro. Vede, ho appena parlato con uno dei sorveglianti. Mi ha detto che un uomo che rispondeva alla sua descrizione era qui alle otto e trenta di stamattina. A quell'ora non c'erano altri giornalisti. E perché? Perché non c'era stata ancora nessuna evasione... Arrivare sul posto prima ancora della notizia. Questo è una specie di... come diavolo lo chiamano, Rey?» «Vuoi dire scoop?» «Già, una specie di scoop. Intanto, prima ancora di darci qualunque spiegazione, voltati e metti le mani dietro la schiena.» Nella sala riunioni al secondo piano del palazzo di Giustizia, TJ porgeva a Kathryn ciò che aveva trovato addosso a Morton Nagle. Niente armi, né detonatori o mappe dell'edificio o di strade per la fuga. Soltanto contanti, portafogli, macchina fotografica, registratore e taccuino. Assieme a tre libri di true crime con il suo nome sulla copertina e la foto sul retro, in cui appariva più giovane e capelluto. «È un paperback writer», canticchiò TJ, senza rendere giustizia ai Beatles. La biografia presentava Nagle come «ex corrispondente di guerra e cronista di nera, ora scrittore di true crime. Vive a Scottsdale, Arizona, ed è autore di tredici opere di non-fiction. Si dichiara giramondo e cantastorie». «Questo non basta a scagionarlo», ribatté Kathryn, secca, poi si rivolse all'uomo: «Che cosa ci faceva qui? E perché si trovava al palazzo di Giustizia prima dell'incendio?» «Non volevo coprire la fuga. Sono venuto qui presto per fare alcune interviste.» «A Pell? Lui non rilascia dichiarazioni», fece O'Neil. «No, no, non a Pell. Ai famigliari di Robert Herron. Ho sentito che sarebbero venuti a testimoniare alla giuria dell'udienza preliminare.» «E il finto pass da giornalista?» «Be', è da quattro anni che non collaboro con giornali o riviste. Il mio
lavoro è scrivere libri. Ma senza un pass da giornalista non puoi andare da nessuna parte. Non fanno mai caso alla data.» «Quasi mai», lo corresse TJ con un sorriso. Kathryn sfogliò uno dei libri. Parlava del caso Peter, avvenuto in California qualche anno prima. Sembrava ben scritto. TJ alzò lo sguardo dal portatile. «È pulito, capo. O almeno, non ha precedenti. Ho controllato anche la foto della patente.» «Sto scrivendo un libro. È tutto legale. Verificate pure.» Gli diede il nome del suo editor a Manhattan. Kathryn telefonò e parlò con la donna che rispose con un: «Diamine, stavolta in che pasticcio si è cacciato Morton?» In ogni caso, confermò che aveva firmato un contratto per scrivere un nuovo libro su Pell. Kathryn disse a TJ: «Togligli le manette». O'Neil si rivolse allo scrittore. «Di che cosa parla il libro?» chiese. «È completamente diverso dai soliti true crime. Non parla degli omicidi. L'hanno già fatto. È sulle vittime di Daniel Pell. Su com'erano prima della strage e su come sono ora quelli che sono sopravvissuti. Sapete, la maggior parte delle opere di questo genere, sia i libri sia in TV si concentrano sull'assassino e sugli omicidi, sugli aspetti più macabri e cruenti. I più dozzinali. Io li detesto. Il mio libro parla di Theresa Croyton, la ragazza scampata, degli amici e parenti. Si intitolerà La bambola che dorme. Era questo il soprannome di Theresa. Ho intenzione di inserire anche le donne che facevano parte della cosiddetta 'Famiglia' di Pell, quelle a cui ha fatto il lavaggio del cervello. E anche le altre sue vittime. Sono centinaia, a pensarci. I crimini violenti sono un po' come una pietra gettata in uno stagno. I cerchi si estendono praticamente all'infinito.» C'era passione nella sua voce, sembrava un predicatore. «C'è talmente tanta violenza nel mondo! Ne siamo imbevuti e anestetizzati. Mio Dio, pensate alla guerra in Iraq. E a Gaza, all'Afghanistan. Quante immagini di auto bruciate o di madri in lacrime vi servono per diventare insensibili? Quand'ero corrispondente di guerra in Africa e in Bosnia, io lo sono diventato. E non c'è bisogno di essere lì di persona. Succede la stessa cosa quando sei nel tuo salotto e guardi il telegiornale, o qualche film truculento... in cui la violenza non ha conseguenze reali. E se vogliamo davvero la pace, se vogliamo fermare la violenza e le guerre, tutti hanno bisogno di sperimentare le conseguenze. E non fissando intontiti corpi sanguinanti, ma concentrandosi sulle esistenze modificate irreparabilmente dal male. In principio, volevo analizzare soltanto il caso Croyton. Poi però ho scoperto
che Pell aveva ucciso anche altra gente... come quel Robert Herron. Ho pensato di inserire quelli che sono stati colpiti dalla sua morte: parenti, conoscenti. E adesso ho sentito che due guardie sono morte.» Non aveva smesso di sorridere, eppure il suo era un sorriso triste. Kathryn Dance, madre e agente che aveva lavorato su dozzine di casi di stupro, aggressione e omicidio, provò empatia nei suoi confronti. «Ecco un altro problema.» L'uomo gesticolò. «Quando il caso è vecchio, è molto più difficile rintracciare le vittime e i membri delle loro famiglie. Herron è stato ucciso una decina di anni fa. Pensavo...» Nagle abbassò la voce e si incupì, anche se, stranamente, una scintilla tornò a brillare nei suoi occhi. «Un momento... Oh, mio Dio! Pell non c'entra niente con l'omicidio Herron, vero? Ha confessato per poter uscire da Capitola ed evadere da qui.» «Non lo sappiamo», ribatté Kathryn, cauta. «Stiamo ancora indagando.» Nagle non ci credette. «Ha falsificato le prove? O ha trovato qualcuno che si facesse avanti e inventasse una storia? Scommetto di sì.» Con voce calma, Michael O'Neil disse: «Vorremmo evitare che voci e pettegolezzi interferissero con le indagini». Quando il vicesceriffo capo suggeriva le cose con quel tono, la gente invariabilmente gli dava retta. «D'accordo. Non aprirò bocca.» «Le sono grata», fece Kathryn; quindi domandò: «Signor Nagle, è in possesso di informazioni che potrebbero esserci utili? Per esempio dove potrebbe essere andato Pell, che cosa ha in mente di fare, chi lo sta aiutando...» Con quel pancione, gli occhi vivaci e la risata furba, Nagle ricordava un elfo cinquantenne. Si tirò su i pantaloni. «Non saprei, mi dispiace. Sono partito con questo progetto circa un mese fa. Sto facendo delle ricerche di fondo.» «Ha detto di voler parlare anche delle donne della Famiglia di Pell. Le ha contattate?» «Ne ho scovate due. Gli ho domandato se sono disponibili a farsi intervistare.» «Sono fuori di prigione?» chiese O'Neil. «Sì. Loro non erano coinvolte nell'omicidio Croyton. Hanno avuto condanne brevi, soprattutto per furto.» O'Neil diede voce al sospetto di Kathryn. «È possibile che una, o tutte e due, siano sue complici?» Nagle rifletté. «Non credo. Pell è la cosa peggiore che sia capitata nella
loro vita.» «Chi sono?» si informò O'Neil. «Rebecca Sheffield, vive a San Diego. E Linda Whitfield che sta a Portland.» «Hanno cambiato vita?» «Credo di sì. Non ho trovato niente a loro carico. Linda abita con il fratello e la moglie di questi. Lavora per una chiesa. Rebecca ha un'agenzia di consulenza per piccole imprese. La mia impressione è che si siano lasciate alle spalle il passato.» «Ha i numeri di telefono?» Lo scrittore si mise a sfogliare un taccuino dalle pagine unte. Aveva una grafia grossa e disordinata e il blocco era spesso. «C'era una terza donna che faceva parte della Famiglia», disse Kathryn, ricordandosi delle ricerche fatte per il colloquio con Pell. «Samantha McCoy. È scomparsa anni fa. Rebecca dice che ha cambiato nome e si è trasferita. Sembrava si fosse stufata di essere conosciuta come una delle 'ragazze di Pell'. Ho fatto qualche piccola ricerca, però non sono ancora riuscito a rintracciarla.» «Nessuna pista?» «Da qualche parte sulla West Coast, Rebecca non ha saputo dire altro.» «Samantha McCoy... Dobbiamo trovarla», fece Kathryn a TJ. L'agente riccioluto balzò da un angolo della stanza. Anche lui sembrava un elfo, pensò Kathryn. Nagle trovò i numeri delle due ragazze e lei li annotò. Chiamò Rebecca Sheffield a San Diego. «Women's Initiatives», rispose la centralinista con un lieve accento ispanico. «Posso aiutarla?» Un attimo dopo l'agente Dance parlava con il presidente della società, una donna seria dalla voce bassa e stridula. Le raccontò della fuga di Pell. Rebecca Sheffield rimase sconvolta. E arrabbiata, pure. «Credevo che fosse rinchiuso in una specie di supercarcere.» «Infatti non è evaso di lì. Si trovava nella cella del palazzo di Giustizia della contea.» Kathryn chiese alla donna se avesse qualche idea su dov'era andato Pell, su chi fosse il suo complice o quali altri amici potesse contattare. Rebecca non sapeva. Spiegò che si era unita alla Famiglia solo pochi mesi prima dei delitti Croyton. Poi disse di aver ricevuto una telefonata circa un mese fa da un tipo, forse uno scrittore. «Ho pensato che fosse una
persona seria. Ma potrebbe essere coinvolto nell'evasione. Di nome faceva Murray o Morton. Dovrei avere il suo numero da qualche parte.» «È tutto a posto. Si trova qui con noi. Abbiamo già indagato sul suo conto.» Rebecca continuava a non sapere dove si trovasse Samantha McCoy o quale fosse la sua nuova identità. Aggiunse, inquieta: «A quei tempi, circa otto anni fa, non ho testimoniato contro Pell, però ho collaborato con la polizia. Pensate che possa essere in pericolo?» «Non si può dire. In ogni caso, finché non lo troviamo, dovrebbe contattare la polizia di San Diego.» Kathryn lasciò alla donna il suo numero del CBI e il cellulare. Rebecca le promise che avrebbe fatto mente locale per risalire a chi avrebbe potuto aiutare Pell o al luogo in cui poteva essere fuggito. L'agente terminò la telefonata e compose il secondo numero, che si scoprì essere quello della Chiesa della Santa Fratellanza di Portland. Le passarono Linda Whitfield. Nemmeno lei sapeva nulla dell'evasione. La sua reazione fu completamente diversa: il silenzio, intervallato da mormorii quasi incomprensibili. Tutto ciò che Kathryn riuscì a capire fu solo: «Gesù mio». Sembrava una preghiera, più che un'imprecazione. La voce si smorzò oppure qualcuno la interruppe. «Pronto?» fece Kathryn. «Sì, ci sono», mormorò Linda. L'agente le rivolse le stesse domande che aveva posto a Rebecca Sheffield. Linda non aveva notizie di Pell da anni, anche se dopo i delitti Croyton erano rimasti in contatto per circa un mese e mezzo. Poi la donna aveva interrotto la corrispondenza e da allora non aveva saputo più nulla di lui. Nemmeno lei era informata su dove si trovasse Samantha McCoy, ma raccontò a sua volta di essere stata contattata da Morton Nagle il mese precedente. L'agente la rassicurò dicendo che erano al corrente della sua esistenza e la convinse che lo scrittore non lavorava per Pell. Linda non seppe dare nessuna indicazione su dove si trovasse il criminale, né aveva idea su chi potesse essere il suo complice. «Non sappiamo che cos'ha in mente», spiegò Kathryn alla donna. «Non abbiamo motivo per credere che lei sia in pericolo, però...» «Oh, Daniel non mi farebbe mai del male», la interruppe lei, rapida. «In ogni caso, dovrebbe allertare la polizia locale.» «Be', ci penserò.» Quindi aggiunse: «Esiste un numero speciale a cui si
può telefonare per conoscere gli sviluppi?» «Non abbiamo allestito niente del genere. Ma la copertura stampa è totale: il telegiornale le fornirà le informazioni in tempo reale, nello stesso istante in cui arrivano a noi.» «Oh, mio fratello non ha il televisore.» Non ha il televisore? «Be', se ci saranno sviluppi significativi, glieli comunicherò. E se le viene in mente qualcos'altro, per favore ci chiami.» Kathryn le diede il suo numero e riattaccò. Pochi minuti dopo Charles Overby, il capo del CBI, entrò a grandi passi nella stanza. «La conferenza è andata bene, direi. Mi hanno fatto alcune domande spinose, come sempre, comunque mi sono destreggiato alla grande, devo ammetterlo. Riuscivo sempre a precederli. Vedete?» Indicò con il capo il televisore nell'angolo. Nessuno si scomodò ad alzare il volume per ascoltare la sua performance. «Ce la siamo persa, Charles. Eravamo impegnati a telefonare.» «E lui chi è?» domandò Overby. Fissava Nagle come se dovesse conoscerlo. Kathryn fece le presentazioni e in un attimo lo scrittore scomparve dal raggio visivo dell'uomo. «Niente sviluppi?» Il capo del CBI lanciò uno sguardo alla carta. «Non abbiamo ricevuto segnalazioni», disse Kathryn. Poi raccontò che avevano contattato due donne un tempo appartenenti alla Famiglia di Pell. «Una è di San Diego, l'altra di Portland e la terza la stiamo cercando. Almeno sappiamo che le prime due non sono sue complici.» «Perché, gli avete creduto?» chiese Overby. «L'hai dedotto dal loro tono di voce?» Gli altri agenti nella stanza tacquero. Così toccò a Kathryn comunicare al capo che stava trascurando la cosa più ovvia. «Dubito che possano aver messo le bombe e poi essere riuscite a tornare in tempo a casa.» Ci fu una breve pausa. Overby brontolò: «Oh, le hai chiamate a casa. Non me l'avevi detto». Kathryn Dance, ex giornalista ed ex consulente per la selezione delle giurie, aveva un'ottima esperienza del mondo reale. Ignorò l'occhiata di TJ e disse: «Hai ragione, Charles. Scusami». Il capo del CBI si rivolse a O'Neil. «Questo è un caso tosto, Michael. Pieno di complicazioni. Siamo davvero lieti di poter contare sul tuo aiuto.» «E io sarò lieto di fare il possibile per darvi una mano.» Ecco Charles Overby al meglio. Usava l'espressione «contare sul tuo aiuto» per chiarire chi conduceva il gioco e nello stesso tempo sottolineare
che la responsabilità era tanto sua quanto dell'MCSO. Far ricadere la colpa... Overby annunciò che sarebbe tornato in ufficio al CBI e abbandonò la sala conferenze. Kathryn si rivolse a Morton Nagle. «Ha fatto delle ricerche su Pell che potrei consultare?» «Sì, credo di sì. Per quale motivo?» «Forse ci aiuteranno a capire dove è diretto», osservò O'Neil. «Vi posso dare le copie», ribatté lo scrittore. «Non gli originali.» «Va bene», accondiscese Kathryn. «Uno di noi passerà più tardi a ritirarle. Dov'è il suo ufficio?» Nagle lavorava in una casa in affitto a Monterey. Diede a Kathryn indirizzo e numero di telefono, poi rimise i suoi effetti personali nel borsone della macchina fotografica. Kathryn la guardò. «Un attimo.» Nagle notò che l'agente ne scrutava il contenuto. Sorrise. «Mi farebbe piacere.» «Pardon?» Lo scrittore afferrò una copia di uno dei suoi libri, Fiducia cieca, e glielo autografò con uno svolazzo. «Grazie.» Kathryn lo posò e indicò il vero oggetto della sua attenzione. «La sua macchina. Ha scattato foto stamattina? Prima dell'incendio?» «Oh.» L'uomo sorrise con ironia al malinteso. «Sì, ne ho fatte.» «È una digitale?» «Esatto.» «Possiamo vederle?» Nagle estrasse la Canon e cominciò a premere pulsanti. Kathryn e O'Neil si curvarono davanti al piccolo monitor. La donna rilevò un nuovo dopobarba. Era un profumo che la faceva sentire a suo agio. Lo scrittore passò in rassegna le fotografie. La maggior parte ritraeva le persone che giravano nel palazzo di Giustizia, alcune erano scatti artistici dell'edificio circondato dalla foschia. A un certo punto il detective e l'agente dissero simultaneamente: «Aspetti». La foto a cui si riferivano riguardava il vialetto che conduceva al luogo in cui era scoppiato l'incendio. Si intravedeva qualcuno dietro una macchina, ma erano visibili appena la testa e le spalle. Portava un giubbotto azzurro, un cappellino da baseball e un paio di occhiali da sole. «Guarda il braccio.»
Kathryn annuì. Sembrava che trascinasse qualcosa, come se avesse un trolley. «È possibile sapere l'ora?» Nagle la richiamò dalla memoria. «Le nove e ventidue.» «Tutto quadra», osservò Kathryn, ricordandosi la stima fatta dal capo dei vigili sull'ora in cui era stato piazzato l'ordigno. «Può ingrandire l'immagine?» chiese. «Non nella macchina fotografica.» TJ disse che si poteva fare sul suo computer, se non aveva problemi. Nagle gli diede la memory card e Kathryn rispedì TJ al quartier generale del CBI. «Ricordati di Samantha McCoy. Rintracciala. E anche la zia. È di Bakersfield», si raccomandò. «Puoi scommetterci, capo.» Rey Carraneo era ancora fuori, alla ricerca di testimoni. Ma Kathryn temeva che il complice se ne fosse andato; ora che Pell forse era riuscito a eludere i posti di blocco non c'era motivo di restare lì intorno. Mandò anche lui al quartier generale. Nagle disse: «Mi darò da fare per quelle copie... Oh, non se lo dimentichi». Le porse il libro autografato. «So che le piacerà.» Quando se ne fu andato, Kathryn Dance lo prese in mano. «Con tutto il mio tempo libero...» E lo diede a O'Neil per la sua collezione. 9 All'ora di pranzo una donna sui venticinque anni sedeva nel patio fuori dalla drogheria Whole Foods al Del Monte Center di Monterey. Man mano che la foschia si diradava, appariva lentamente un pallido disco di sole. In lontananza si udivano una sirena, il tubare di una colomba, un clacson, un bambino che piangeva, poi uno che rideva. Il canto degli angeli, il canto degli angeli, pensò Jennie Marston. L'odore di pini riempiva l'aria fresca. Niente vento. Una luce tetra. Una tipica giornata sulla costa californiana. Eppure tutto le sembrava più intenso. Era così che ci si sentiva quando si era innamorate e si stava per incontrare il proprio ragazzo. Anticipation... Era una vecchia canzone pop, ricordò Jennie. Ogni tanto sua madre la cantava, con la voce stonata e arrochita dal fumo, spesso incomprensibile.
Jennie, autentica bionda californiana, sorseggiò il suo caffè chiaro, autentica miscela californiana: costoso, ma squisito. Non era proprio il suo tipo di negozio; lei era una commessa part-time ventiquattrenne che faceva acquisti da Albertsons o da Safeway. In ogni caso quello era il luogo ideale per un appuntamento. Jennie indossava un paio di jeans attillati, una camicetta rosa chiaro e sotto un completino rosso Victoria's Secret. Quella lingerie era un lusso che non si poteva permettere, come il caffè. Ma per alcune cose valeva la pena spendere. Inoltre, pensò, quell'intimo si poteva considerare un regalo. Per il suo ragazzo. E questo la portò ad abbandonarsi ad altre riflessioni. Si grattò la gobba che aveva sul naso. Smettila, si disse. Non lo fece. Ancora due grattate. Il canto degli angeli... Perché non l'aveva conosciuto un anno dopo? Dopo l'intervento di chirurgia estetica, sarebbe stata bellissima. Almeno poteva fare qualcosa per quel naso e per le tette. Se solo avesse potuto scolpire le spalle a stuzzicadenti e i fianchi da ragazzino... ma anche il più talentuoso dei chirurghi non sarebbe riuscito nell'impresa. Sei magra, magra, magra... eppure non fai altro che mangiare! Due volte più di me, guarda. Il Signore mi ha dato una figlia come te per farmi santa. Jennie osservò le donne che spingevano meste il carrello della spesa fino alla macchina e si chiese: Amano davvero i mariti? Di sicuro non lo amavano tanto quanto lei amava il suo fidanzato. Le dispiacque per loro. Finì il caffè e tornò nel negozio. Osservò gli ananas giganteschi, le buffe teste di lattuga e le bistecche perfettamente allineate nella vetrina. Fissò a lungo i dolci e la pasticceria, come un pittore che esamina la tela di un collega. Non aveva appetito né voleva fare acquisti, costava tutto tantissimo. E poi era sempre troppo irrequieta per rimanere a lungo nello stesso posto. Ecco come avrei dovuto chiamarti. Jennie Stai-Ferma. Cazzo, ragazza mia. Stai seduta. Osservava la merce, la carne disposta in bell'ordine. Le donne con i mariti noiosi. Si chiese se la passione che provava per il fidanzato fosse dovuta semplicemente alla novità. Sarebbe svanita tra breve? Di buono c'era il fattore età: loro erano adulti, non si trattava di una stupida cottarella adolescenzia-
le. Erano persone mature. E soprattutto le loro anime erano fortemente legate, cosa che di solito non accade. Ognuno sapeva con esattezza come si sentiva l'altro. «Il tuo colore preferito è il verde», le aveva detto la prima volta che si erano parlati. «Scommetto che dormi con una trapunta verde. Ti concilia il sonno.» Oh, mio Dio! Aveva ragione. Era una coperta, non una trapunta. Ma era verde come l'erba. Quale altro uomo poteva avere un'intuizione simile? Si fermò all'improvviso; percepiva una conversazione nelle vicinanze. In quel momento due delle casalinghe annoiate non sembravano così annoiate. «Qualcuno è morto. A Salinas. È appena successo.» Salinas? pensò Jennie. «Oh, ti riferisci all'evasione da quel carcere o che? Sì, l'ho sentito anch'io.» «David Pell, no, Daniel. Proprio lui.» «È lui il figlio di Charles Manson, o qualcosa del genere?» «Non ho idea. Però ho saputo che è morta della gente.» «Non è il vero figlio di Manson. È solo un soprannome.» «Chi è Charles Manson?» «Mi prendi in giro? Ti ricordi di Sharon Tate?» «Chi?» «Ehi, ma quando sei nata?» Jennie si avvicinò alle donne. «Scusate, di che cosa state parlando? C'è stata un'evasione?» «Già. Dal carcere di Salinas. Non ha sentito?» fece una delle casalinghe con i capelli corti, fissando il naso di Jennie. Lei non ci badò. «Dicevate che hanno ucciso qualcuno...» «Delle guardie. Poi un altro è stato sequestrato e ammazzato, credo.» Non sembravano saperne di più. Jennie si voltò e se ne andò, le mani sudate e il cuore in tumulto. Controllò il cellulare. Il suo fidanzato l'aveva chiamata qualche tempo prima, poi più nulla. E non c'erano messaggi. Provò a telefonargli. Nessuna risposta. Jennie fece ritorno alla Thunderbird turchese. Sintonizzò la radio sul notiziario e girò lo specchietto retrovisore nella sua direzione. Estrasse dalla borsa il necessario per il trucco e la spazzola. È morta della gente...
Stai tranquilla, si disse. Si concentrò sul viso, come le aveva insegnato sua madre. «Illumina qui, scurisci qua... dobbiamo fare qualcosa per quel tuo naso. Appiattisci questa zona, armonizza quest'altra. Perfetto.» Anche con sua madre, bastava un istante e la bellezza andava in frantumi. Be', stai bene finché non lo rovini. Sinceramente, che cos'hai che non va? Rifatti il trucco. Sembri una puttana. Daniel Pell passeggiava sul marciapiede che andava dal piccolo garage a un palazzo di uffici a Monterey. Era stato costretto ad abbandonare l'Honda Civic di Billy prima del previsto. Aveva sentito alla radio che la polizia aveva trovato il furgone della Worldwide Express, il che voleva dire che probabilmente sapevano che lui era al volante della Civic. A quanto sembrava, era riuscito a superare i posti di blocco appena in tempo. Che ne dici, Kathryn? Proseguì lungo il marciapiede, a capo chino. Non aveva paura di farsi vedere in giro, non ancora. Nessuno si sarebbe aspettato di incontrarlo lì. Per di più, appariva diverso. Oltre agli abiti da civile, era ben rasato. Dopo aver abbandonato l'auto di Billy, si era intrufolato nel parcheggio nel retro di un motel e si era messo a rovistare nell'immondizia. Aveva trovato un vecchio rasoio e una bottiglietta omaggio di crema per il corpo. Si era fatto la barba accovacciato dietro a un bidone della spazzatura. Ora sentiva la brezza accarezzargli la pelle e l'odore delle alghe e della salsedine. Era la prima volta da anni. Adorava quel profumo. Nel carcere di Capitola respiravi l'aria che volevano loro. Te la mandavano attraverso il condizionatore o l'impianto di riscaldamento ed era inodore. Passò davanti a lui una volante. Tieni duro... Pell fu attento a mantenere l'andatura, a non guardarsi intorno e a proseguire per la sua strada. Cambiare comportamento dà nell'occhio. E ti mette in una situazione di svantaggio, dà informazioni alla gente su di te. Li porta a ragionare sui motivi del tuo cambiamento e a usarteli contro. Come era successo al palazzo di Giustizia. Kathryn... Pell si era già preparato per quell'interrogatorio: come superarlo senza creare sospetti, come ricavare dall'intervistatore informazioni, per esempio il numero di guardie presenti nel palazzo e la loro posizione.
Invece, con suo grande stupore, quella donna era arrivata a un passo dall'intuire le sue intenzioni. Adesso parliamo del portafogli. Quale può essere la sua provenienza?... Così era stato costretto a cambiare i piani. E in fretta. Aveva fatto del proprio meglio, ma non appena aveva sentito l'allarme aveva capito che lei l'aveva preceduto. Se ci fosse arrivata soltanto cinque minuti prima, in quel momento lui sarebbe stato sul furgone del carcere, di ritorno a Capitola. Il piano di fuga sarebbe andato in fumo. Kathryn Dance... Un'altra volante gli passò davanti a tutta velocità. Anche stavolta nessuno lo notò e Pell continuò per la sua strada. Eppure sapeva che era ora di andarsene da Monterey. Si infilò nell'affollato centro commerciale all'aperto. Osservò i negozi: Macy's, Mervyns e i più piccoli che vendevano dolcetti Mrs. See's, libri (che Pell amava e divorava: più sai e più controlli), videogame, attrezzature sportive, abbigliamento poco costoso e bigiotteria. Il luogo era affollato. Era giugno e molte scuole erano chiuse. Da un negozio uscì una ragazza, poteva essere un'universitaria, con una borsa a tracolla. Sotto la giacca portava un top rosso e attillato. Gli bastò uno sguardo per eccitarsi. La bolla si espandeva. Era passato un anno da quella volta che aveva corrotto una guardia e intimidito un detenuto per organizzare un incontro coniugale con la moglie di questi. Un anno lungo, lungo... Fissò la ragazza e le andò dietro, a soli trenta centimetri di distanza, godendosi la vista dei suoi capelli e dei jeans aderenti. Tentava di respirare il suo profumo, di andarle così vicino da strofinarsi a lei, passandole accanto veloce. Era una violenza in piena regola, non molto diversa dal trascinarla in un viale e spogliarla sotto la minaccia di un coltello. Lo stupro, secondo Daniel Pell, era una questione soggettiva. Ah... la ragazza era entrata in un altro negozio scomparendo per sempre dalla sua vita. Peggio per me, mia cara, pensò Pell. Ma non per te, chiaro. Scorse una Ford Thunderbird azzurra nel parcheggio. All'interno, si intravedeva una donna che si spazzolava i lunghi capelli biondi. Ah... Si avvicinò. Aveva un brutto naso ed era magrolina, e pure scarsa di tette. Ma questo non gli impediva di eccitarsi, anzi. La bolla si stava ingran-
dendo, dieci, cento volte. Presto sarebbe scoppiata. Daniel Pell si guardò in giro. Intorno non c'era nessuno. Si infilò tra le auto nel parcheggio, sempre più vicino. Jennie Marston aveva finito con i capelli. Ecco una parte del suo corpo che amava. Erano folti e lucenti, e quando scuoteva la testa le ricadevano sul viso come quelli delle modelle nelle pubblicità dello shampoo. Rimise a posto lo specchietto della Thunderbird. Spense la radio. Si toccò il naso, all'altezza della gobba. Smettila! Avvicinò la mano alla maniglia e sussultò. La portiera si stava aprendo da sola. Jennie fissò immobile l'individuo dalla corporatura scattante che si piegava verso di lei. Per tre o quattro secondi nessuno dei due si mosse. Poi l'uomo aprì del tutto la portiera. «Sei il ritratto della bellezza, Jennie Marston», fece. «Ancora più bella di quanto immaginassi.» «Oh, Daniel.» Paura, sollievo, colpa... sentimenti contrastanti la travolsero. Sopraffatta dalle emozioni, Jennie Marston non seppe dire altro. Si catapultò fuori dall'auto, ansimando, e si gettò nelle braccia del suo fidanzato. Tremava e lo stringeva così forte che dal petto dell'uomo sfuggì un sibilo sottile. 10 Salirono sulla Thunderbird. Mentre Daniel studiava con attenzione il parcheggio e la strada accanto, Jennie appoggiò la testa alla sua. La ragazza pensò a come era stata dura nei mesi precedenti costruire una relazione basata su e-mail, rare telefonate e fantasie, senza mai poter vedere di persona l'amato. Ma sapeva anche che far nascere una storia a distanza era molto meglio. Come le donne che restavano a casa quando gli uomini erano al fronte: come era successo a sua madre quando il padre era in Vietnam. In realtà era tutta una bugia, l'aveva scoperto in seguito, questo però non toglieva valore alla verità: che l'amore iniziava dalla comunione tra due anime e solo dopo arrivava il sesso. Non le era mai capitato di provare un sentimento simile a quello che le ispirava Daniel Pell. Era divertente. E spaventoso, anche.
Sentì affiorare le lacrime. No, no, trattieniti. Non piangere. Se piangi, non ti vorrà. Gli uomini vanno fuori di testa quando succede. Invece lui le chiese teneramente: «Che cos'hai, tesoro?» «Sono così felice.» «Avanti, dimmi.» Be', non sembrava fuori di testa. Ci pensò, poi disse: «Avevo un po' di pensieri. C'erano delle donne in drogheria... Ho acceso la radio. Hanno detto... che qualcuno era gravemente ustionato, un poliziotto. E anche che erano state ammazzate due persone, a coltellate». Daniel aveva detto che il coltello gli sarebbe servito soltanto a puntarlo contro le guardie. Che non voleva fare del male a nessuno. «Cosa?» esclamò. I suoi occhi azzurri si fecero gelidi. No, no, cosa stai facendo? si disse Jennie. Così lo fai arrabbiare! Perché gli hai fatto una domanda del genere? Adesso hai mandato tutto a puttane! Il cuore le palpitava e le venne da piangere. «L'hanno fatto un'altra volta. Lo fanno sempre! Quando sono scappato, nessuno è stato colpito. Sono stato molto attento! Sono uscito dalla porta antincendio come avevamo deciso e l'ho chiusa.» Annuiva con il capo. «Lo so... sicuro. C'erano altri detenuti nella cella accanto alla mia. Volevano che facessi uscire anche loro, ma io non ho voluto. Scommetto che hanno provocato una rivolta e quando sono arrivate le guardie a farli smettere, due sono state uccise. Alcuni di loro avranno avuto degli shiv, credo. Sai che cosa sono?» «Una specie di coltello?» «Un coltello di fortuna. Ecco com'è andata. E se qualcuno si è ustionato, è perché non ha fatto attenzione. Io ho controllato bene... quando ho attraversato l'incendio non c'era nessun altro là fuori. Come avrei potuto ammazzare due persone tutto da solo? Non scherziamo! Ma la polizia e i telegiornali danno la colpa a me, come al solito.» Il suo viso magro si era fatto paonazzo. «Sono il bersaglio più comodo.» «Proprio com'è successo con quella famiglia otto anni fa», mormorò Jennie timidamente, tentando di calmarlo. Daniel le aveva raccontato che lui e un amico si erano recati dai Croyton per fare una proposta d'affari al genio dei computer. Purtroppo l'amico aveva un'intenzione completamente diversa: rapinare la coppia. Aveva preso a botte Daniel e sterminato la famiglia. Daniel se ne era accorto e aveva tentato di fermarlo. Infine era stato costretto a ucciderlo per autodifesa. «Hanno dato la colpa a me... perché lo sai bene: la gente detesta che l'as-
sassino muoia. Un tipo va in una scuola, spara agli studenti e poi si ammazza. Noi il cattivo lo vogliamo vivo. Abbiamo bisogno di qualcuno su cui scaricare la colpa. È la natura umana.» Ha ragione, rifletté Jennie. Si sentiva sollevata, e anche impaurita, all'idea di averlo fatto innervosire. «Perdonami, caro. Non avrei dovuto dirti nulla.» Si aspettò che lui le ordinasse di stare zitta e forse anche di scendere dalla macchina e andarsene. Ma l'uomo sorrise dinanzi al suo timore e le scompigliò i capelli. «Tu mi puoi dire qualsiasi cosa.» Lei lo abbracciò un'altra volta. Le sue guance erano di nuovo bagnate di lacrime. Le asciugò. Il fondotinta si era screpolato. Si tirò indietro e si osservò le dita. Oh, no. Guarda! Lei che voleva essere tutta carina per lui. Le sue paure riaffiorarono dal profondo. Oh, Jennie, hai intenzione di pettinarti in quel modo? Sicura? Perché non ti fai la frangia? Così ti copri quella fronte così alta. Cosa sarebbe successo se non fosse stata all'altezza delle sue aspettative? Daniel Pell le strinse il viso con le sue mani vigorose. «Amore, tu sei la donna più bella sulla faccia della terra. Non hai nemmeno bisogno di truccarti.» Neanche avesse potuto leggere nei suoi pensieri. Continuava a piangere. «Avevo paura di non piacerti.» «Infatti non è che mi piaci. Io ti amo, piccola. Ti ricordi quello che ti ho scritto via e-mail?» Jennie se lo ricordava, parola per parola. Lo guardò negli occhi e gli accarezzò le mani. «Oh, sei una così bella persona!» Premette le labbra contro le sue. Pur se nelle sue fantasie facevano l'amore quotidianamente, quello fu il loro primo bacio. Lei sentì i denti di lui contro le sue labbra, e la sua lingua. Si strinsero in un abbraccio colmo di passione per quella che le sembrò un'eternità, anche se doveva essere passato soltanto qualche secondo. Jennie aveva perso il senso del tempo. Desiderava sentirlo dentro di lei e premeva forte, sentiva il suo petto respirare contro il suo. È dalle anime che l'amore deve avere inizio, ma ai corpi tocca entrare in gioco dannatamente presto. La donna fece scivolare la mano lungo la gamba nuda e muscolosa di lui. L'uomo rise. «Senti una cosa, amore, forse è meglio che ce ne andiamo via di qui.» «Certo, come vuoi.»
«Hai il telefono su cui ti ho chiamato?» le chiese. Daniel le aveva detto di comprare tre cellulari con carta prepagata, in contanti. Jennie gli diede quello da cui lei aveva risposto quando le aveva telefonato subito dopo la fuga. L'uomo lo prese e gli tolse la batteria e la SIM. Le gettò in un cestino dell'immondizia e tornò in macchina. «E gli altri?» Glieli porse. Daniel gliene diede uno e l'altro se lo mise in tasca. Disse: «Ora dovremmo...» Suono di sirene in lontananza. «Andiamocene, amore.» Jennie annuì. «Potrebbero tornare.» Indicò la direzione da cui provenivano le sirene. Daniel sorrise. «Non me ne importa niente di quelle. Mi basta restare solo con te.» La donna sentì un brivido di felicità percorrerle la schiena. Le fece quasi male. La sede regionale del CBI per la California centro-ovest, in cui lavoravano dozzine di agenti, era un palazzo moderno a due piani, vicino alla Highway 68, non molto diverso dagli edifici circostanti, rettangoli funzionali di vetro e pietra che ospitavano studi di medici, avvocati e architetti, ditte di informatica e simili. L'architettura dell'edificio era convenzionale, i parcheggi sempre mezzi vuoti. La campagna intorno si adagiava su morbide colline, ora verde brillante per merito della recente pioggia. Spesso tuttavia il terreno era brullo come quello del Colorado in un periodo di siccità. Un jet della United Express sfrecciò rapido, si inclinò, infine tornò in assetto orizzontale, scomparendo oltre gli alberi per poi atterrare al Monterey Peninsula Airport. Kathryn Dance e Michael O'Neil si trovavano nella sala conferenze del CBI, situata al piano terra, esattamente sotto l'ufficio di lei. Studiavano fianco a fianco la grande cartina su cui erano indicati i posti di blocco, stavolta con puntine da disegno, non più con Post-It entomologici. Non avevano ancora ricevuto segnalazioni della Honda del fattorino della Worldwide Express e la rete di posti di blocco era stata estesa più indietro, nel raggio di centotrenta chilometri. Kathryn scrutò il profilo del volto di O'Neil e vi lesse un complicato alternarsi di ansia e determinazione. Lo conosceva bene. Si erano incontrati
anni prima, quando lei era consulente per la selezione delle giurie: studiava il comportamento dei potenziali giurati durante l'esame preliminare per accertarne la competenza e segnalava agli avvocati chi doveva essere ammesso e chi no. Kathryn era stata chiamata dai procuratori federali per aiutarli a selezionare giurati per un processo sul crimine organizzato, in cui O'Neil era un testimone chiave. Stranamente, Kathryn aveva incontrato suo marito in una circostanza simile, quando lei, come giornalista, si occupava di un processo a Salinas in cui lui era un testimone dell'accusa. Kathryn e O'Neil avevano fatto amicizia ed erano rimasti in contatto nel corso degli anni. Quando la donna aveva deciso di entrare nella polizia e aveva avuto un posto nell'ufficio regionale del CBI, si era trovata spesso a lavorare con lui. O'Neil era stato suo mentore, assieme a Stan Fishburne. In sei mesi, aveva imparato di più sull'arte dell'investigazione dall'amico detective che dall'intero apprendistato precedente. Si completavano alla perfezione. L'uomo, più calmo e riflessivo, prediligeva tecniche di indagine classiche come le perizie medico-legali, il lavoro sotto copertura, la sorveglianza e la gestione di confidenti. Invece la specialità di Kathryn erano l'interrogatorio e il colloquio con i testimoni e le vittime. Lei sapeva che senza l'aiuto di O'Neil non sarebbe mai diventata detective. E anche senza il suo senso dell'umorismo e la sua pazienza, assieme ad altre doti vitali, tipo assicurarsi che non salisse mai sulla sua barca senza aver preso la dramamina. Anche se il loro approccio al lavoro e le loro abilità erano differenti, l'istinto era lo stesso, ed erano perfettamente in sintonia l'una con l'altro. Kathryn se ne accorse divertita, mentre O'Neil fissava la carta: si vedeva che anche lui aveva notato la stessa cosa. «Cosa c'è?» chiese l'uomo. «In che senso?» «C'è qualcosa che ti infastidisce. Ancora di più di essere tu a dover dirigere il gioco.» «Già.» Kathryn rifletté qualche istante. O'Neil spesso la costringeva, prima di parlare, a mettere ordine tra le sue intuizioni confuse. Spiegò: «Si tratta delle vibrazioni negative emanate da Pell. Ho l'impressione che non gliene importi niente della morte delle guardie. E nemmeno di Juan. E quel fattorino della Worldwide Express? È morto anche lui, lo sai.» «Lo so... Tu dici che Pell vuole uccidere?» «No, non è che vuole. O non vuole. Agisce secondo il suo interesse, qualunque esso sia. Il che fa più paura e rende più difficile anticiparne le
mosse. Ma mi auguro di essermi sbagliata.» «Tu non sbagli mai, capo.» Apparve TJ, con un portatile. Lo appoggiò sul malconcio tavolo da riunioni, sotto un cartello che diceva: I PIÙ RICERCATI DELLO STATO. Sotto c'era una top ten che rifletteva la distribuzione demografica della popolazione californiana: nell'ordine, sudamericani, anglosassoni, asiatici e afroamericani. «Avete trovato la McCoy o la zia di Pell?» «Non ancora. I miei ragazzi ci stanno lavorando. Comunque guardate qua.» Sistemò lo schermo del computer. Si piazzarono intorno al PC, su cui apparve un ingrandimento ad alta risoluzione della fotografia scattata da Morton Nagle. Ora che era più grande e dettagliata, si scorgeva una figura con un giubbotto scolorito sul vialetto che conduceva al retro del palazzo, da dove era scoppiato l'incendio. L'ombra scura si era trasformata in una grossa valigia nera. «Una donna?» fece O'Neil. Era possibile fare una stima della sua altezza paragonandola alle automobili vicine. Più o meno era alta come Kathryn, circa uno e sessantotto, ed era anche molto magra. Il cappello e gli occhiali da sole nascondevano il volto, ma nel riflesso del finestrino si intravedevano fianchi leggermente più larghi di quelli che poteva avere un uomo di quell'altezza. «E c'è un luccichio. Lo vedi?» TJ toccò lo schermo. «Un orecchino.» Kathryn fissò il buco che TJ aveva all'orecchio, dove ogni tanto compariva un diamantino o una borchia. «Statisticamente parlando», aggiunse TJ, a sua difesa. «Okay, sono d'accordo.» «Una bionda, sul metro e sessantotto o giù di lì», ricapitolò O'Neil. «Peso sui cinquanta chili, all'incirca», aggiunse Kathryn. Le venne un'idea. Chiamò Rey Carraneo nel suo ufficio al piano di sopra, gli disse di raggiungerli. Un istante dopo era lì. «Agente Dance...» «Torna a Salinas. Parla con il responsabile della filiale di You Mail It.» Era probabile che la complice avesse controllato di recente la scheda consegne della Worldwide Express. «Verifica se qualcuno di loro si ricorda di una donna che risponde a questa descrizione. Se sì, genera un ritratto con l'EFIS.» L'Electronic Facial Identification System era una versione computerizzata del vecchio identikit, utilizzato dagli investigatori per ricostruire i volti dei sospetti tramite le indicazioni dei testimoni.
«Va bene, agente Dance.» TJ premette alcuni tasti e l'ingrandimento fu trasferito wireless alla stampante nel suo ufficio. Carraneo l'avrebbe recuperato di là. Il telefono di TJ squillò. «Eccomi.» Durante la breve conversazione scarabocchiò qualche appunto e concluse con un «Ti amo, tesoro». Riattaccò. «Era un'impiegata dell'anagrafe di Sacramento. B-r-i-t-n-e-e. Adoro questo nome! Che ragazza dolce, troppo dolce per me. Ma non escludo che tra noi non funzionerebbe.» Kathryn sollevò un sopracciglio, che in cinesica voleva dire: Vieni al sodo. «L'ho messa al lavoro sul membro mancante della Famiglia, con la F maiuscola. Cinque anni fa Samantha McCoy ha cambiato il suo nome in Sarah Monroe: così non ha dovuto buttare via tutto l'intimo con le iniziali ricamate, suppongo. Poi, tre anni fa, una persona con quel nome sposa Ronald Starkey. Tanti saluti alle iniziali. Comunque, ora vivono a San José.» «Sicuro che sia la stessa McCoy?» «La vera McCoy, intendi. Ho aspettato prima di dirlo. Sì. Il merito è della buona vecchia previdenza sociale. Con l'aiuto della commissione per la scarcerazione sulla parola.» Kathryn chiamò il servizio informazioni e si procurò indirizzo e numero di telefono di Ronald e Sarah Starkey. «San José», fece O'Neil. «È abbastanza vicino.» A differenza delle altre due donne della Famiglia con cui Kathryn aveva già parlato, Samantha avrebbe potuto piazzare l'ordigno quella mattina e farsi trovare a casa un'ora e mezza dopo. «Lavora?» chiese Kathryn. «Non ho controllato. Mi informo, se vuoi.» «Lo vogliamo», fece O'Neil. TJ non l'aveva chiesto a lui, ma nella consolidata gerarchia delle forze di polizia il CBI batte l'MCSO. In ogni caso, una richiesta del vicesceriffo capo Michael O'Neil valeva almeno quanto una fatta da Kathryn Dance. Se non di più. Pochi minuti dopo TJ fu di ritorno. Disse che, secondo l'ufficio imposte, Sarah Starkey era impiegata presso una piccola casa editrice scolastica di San José. Kathryn prese il numero. «Vediamo se stamattina c'è.» «Perché la chiami? Non è meglio che non sospetti che siamo sulle sue tracce?» osservò O'Neil. «Oh, io mentirò», fece lei, disinvolta. Chiamò la casa editrice da una li-
nea non identificabile. Rispose una donna. L'agente disse: «Salve! Qui boutique El Camino. Abbiamo una consegna per Sarah Starkey. Il fattorino ha detto che stamattina non c'era. Sa quando la posso trovare?» «Sarah? Credo che ci sia un errore. È qui dalle otto e mezza.» «Davvero? Be', allora ne riparlerò con il fattorino. Se non riferirà nulla alla signora Starkey, gliene sarò grata. È una sorpresa.» Kathryn riattaccò. «È rimasta lì tutta la mattina.» TJ applaudì. «E l'Oscar alla miglior performance dell'agente che circuisce il cittadino va a...» O'Neil si incupì. «Non approvi le mie tattiche rivoluzionarie?» fece Kathryn. Il detective, con la sua solita ironia, rispose: «No, è solo che ora devi mandare qualcosa a quella donna. La centralinista ti tradirà. Dille che Sarah ha un ammiratore segreto». «Hai ragione, capo. Mandiamole uno di quei mazzi di fiori con il messaggio 'Congratulazioni per non essere tra i sospetti'.» Maryellen Kresbach, l'assistente di Kathryn, una donna minuta, entrò nella stanza portando il caffè per tutti. L'agente non glielo chiedeva mai, però lei lo offriva sempre. Madre di tre figli, portava tacchi alti e rumorosi, capelli dalle acconciature complicate e unghie scenografiche. I presenti in sala riunioni ringraziarono. Kathryn sorseggiò il delizioso nettare. Sperava che Maryellen avesse portato un po' dei biscotti che teneva sulla scrivania. L'agente invidiava il talento della donna nell'essere al tempo stesso un'abile casalinga e l'assistente più brillante che lei avesse avuto. Notò che, dopo aver portato il caffè, Maryellen non se ne andava. «Non sapevo se disturbarti... ti ha cercata Brian.» «Davvero?» «Ha detto che forse non avevi ricevuto il suo messaggio di venerdì.» «Invece me l'avevi riferito.» «Lo so. Ma non gli ho detto né sì né no. Così...» Kathryn, sentendosi puntati addosso gli occhi di O'Neil, rispose: «Okay, grazie». «Vuoi il suo numero?» «Ce l'ho.» «Bene.» L'assistente continuava a rimanere davanti al suo capo, annuendo lentamente. Be', come momento era piuttosto imbarazzante.
Kathryn non voleva parlare con Brian Gunderson. Lo squillo del telefono in sala riunioni la salvò. Rimase un istante in ascolto, poi disse: «Fatelo salire subito in ufficio». 11 L'uomo robusto, con la divisa da guardia carceraria della prigione californiana, si sedette davanti alla scrivania di Kathryn. Era uno di quei mobili qualunque forniti dal governo su cui giacevano penne sparpagliate, una lampada, diverse medaglie e varie fotografie: Kathryn assieme a un uomo attraente dai capelli argentati, i suoi due bambini, sua madre, suo padre e i due cani, ognuno fotografato con uno dei figli. Sul ripiano di laminato scadente giacevano una dozzina di fascicoli a faccia in giù. «È terribile», fece Tony Waters, una guardia che era da molto tempo in servizio presso il Capitola Correctional Facility. «Sono senza parole.» Nella voce sconvolta, Kathryn scorse tracce di un accento del sudest. La penisola di Monterey richiamava gente da ogni parte del mondo. In quel momento era da sola con Waters. Michael O'Neil si trovava con la scientifica a discutere dei rilievi sul luogo dell'evasione. «Lei era il responsabile del braccio in cui era detenuto Pell?» «Esatto.» Waters, un uomo massiccio e dalle spalle cascanti, era proteso sulla sedia. Doveva essere sui cinquantacinque. «Pell non ha mai detto dove intendeva andare?» «Nossignora. Mi scervello da quando ho saputo quel che è successo. Mi sono seduto cercando di ricordare tutto quello che aveva detto la scorsa settimana o giù di lì. Purtroppo, nulla. Tra l'altro, Daniel non parlava granché. Non con noi secondini, almeno.» «Frequentava la biblioteca?» «Sì, parecchio. Passava tutto il tempo a leggere.» «Si può risalire a cosa leggeva?» «I libri non sono controllati e i detenuti non possono prendere niente in prestito.» «E i visitatori?» «Non ne ha avuti, nell'ultimo anno.» «E le telefonate? Vengono controllate?» «Sissignora. Ma non registrate.» Rifletté. «Pell non ne ha ricevute molte, a parte alcuni giornalisti che volevano intervistarlo. Non ha mai richiamato. Credo che abbia parlato una volta o due con sua zia. Altro non ricor-
do.» «E per quanto riguarda i computer, le e-mail?» «Ai detenuti è vietato l'accesso. Ci sono quelli per noi, ovvio. Si trovano in un'area speciale, una zona di sorveglianza. Siamo molto severi al riguardo. Sa, ci ho pensato e se ha comunicato con qualcuno all'esterno...» «Cosa probabile», sottolineò Kathryn. «Già. Sicuramente lo ha fatto tramite un detenuto appena rilasciato. Se vuole controllare...» «La direttrice mi ha detto che il mese scorso ci sono stati soltanto due rilasci in libertà condizionata. Il sorvegliante ha garantito per loro questa mattina, però potrebbero aver comunicato con qualcun altro. Gli addetti stanno verificando.» Kathryn notò che Waters si era presentato a mani vuote. «Ha ricevuto la nostra richiesta di visionare il contenuto della cella?» gli chiese. La guardia si incupì. Scosse il capo, guardando in basso. «Sissignora. Era vuota. Non c'era assolutamente nulla. A dire il vero, era così da un paio di giorni.» Poi aggiunse: «Non ci sono arrivato». «Arrivato a cosa?» «Il fatto è che ho lavorato al top, nelle carceri di Soledad, Lompoc e cinque o sei altre. Impariamo a far caso a certe cose. Vede, se sta per andare in porto qualcosa di grosso, le celle dei detenuti cambiano. Gli oggetti spariscono... e a volte è la prova che un carcerato ha intenzione di evadere oppure che ha combinato qualche stronzata che non vuole farci sapere. O che sta per combinarla. Perché sa che dopo analizziamo la cella da cima a fondo con il microscopio.» «Però con Pell non vi siete insospettiti.» «Nessuno è mai evaso da Capitola. È impossibile. I reclusi vengono sorvegliati a vista. Non possono mettere le mani addosso a un altro... ammazzarsi, intendo.» L'uomo divenne paonazzo. «Avrei dovuto anticiparlo. Se fosse successo a Lompoc, avrei afferrato subito la situazione.» Si strofinò gli occhi. «Mi sono fatto fregare.» «Non era facile riuscire a prevedere un'evasione osservando la cura della sua cella», lo rassicurò Kathryn. La guardia alzò le spalle e si guardò le mani. Non portava anelli, ma Kathryn notò il solco di una fede nuziale. Pensò che, per una volta, non si trattava di un segno di infedeltà, bensì di una direttiva legata al lavoro. Forse, avendo a che fare con detenuti pericolosi, era meglio non indossare nulla che potessero rubare.
«Sembra che lei lavori da un po' nel settore.» «Dopo il servizio militare sono diventato agente di custodia. E lo faccio da allora.» Si grattò i capelli a spazzola, ridacchiando. «A volte sembra un'eternità. Altre, soltanto ieri. Ancora due anni alla pensione. È buffo, ma mi mancherà.» Si era tranquillizzato, aveva capito che nessuno l'avrebbe preso a frustate perché non aveva saputo prevedere l'evasione. Kathryn gli chiese dove viveva e della sua famiglia. Era sposato: infatti, per sottolinearlo, alzò la mano sinistra, con un sorriso. Una dimostrazione che la sua deduzione riguardo all'anello era corretta. Lui e la moglie avevano due figli, entrambi all'università, disse con orgoglio. Eppure, mentre parlavano, Kathryn sentì un allarme risuonare silenzioso dentro di sé. Aveva afferrato la situazione. Tony Waters mentiva. Molte menzogne non venivano alla luce semplicemente perché la persona ingannata non se l'aspettava. In questo caso, Kathryn aveva chiesto a Waters soltanto informazioni su Daniel Pell e non intendeva interrogarlo. Se Waters fosse stato un sospetto o un testimone non collaborativo, l'agente avrebbe fatto attenzione ai segnali di stress nel dare determinate risposte. Quindi avrebbe indagato a fondo su tali argomenti, finché il soggetto non avesse ammesso di mentire; alla fine, avrebbe detto la verità. Però questo metodo funziona soltanto se il profilo base del soggetto, colto nel momento in cui dice il vero, viene determinato prima di cominciare a porre le domande rivelatrici. Cosa che in quel momento Kathryn, convinta della sincerità dell'uomo, non aveva fatto. In ogni caso, anche senza un confronto con il profilo base, un interrogatorio ben fatto basato sulla cinesica può portare alla luce la menzogna. Lo testimoniano due particolari indizi: un lieve aumento del tono di voce, perché la bugia innesca una risposta emotiva in gran parte degli individui, e le emozioni tendono a restringere le corde vocali. L'altro segnale consiste in una pausa prima e durante la risposta: mentire rappresenta infatti una sfida mentale. Chi racconta una bugia deve avere costantemente presente ciò che lui e gli altri hanno già detto al riguardo, per poi fabbricare una risposta fittizia che tenga conto delle affermazioni precedenti e delle supposte convinzioni dell'interlocutore. Durante la sua conversazione con la guardia, Kathryn aveva avuto l'impressione che in diversi momenti l'uomo alzasse la voce e si interrompesse dove non avrebbe avuto ragione di farlo. Quando se ne accorse, ripensò agli altri suoi comportamenti e notò che molti emanavano inganno: dare più
informazioni del necessario, divagare, mettere in atto gesti di negazione (toccarsi il capo, il naso e soprattutto gli occhi) e gesti di avversione (darle le spalle). Non appena emergono le prove della menzogna, un colloquio si trasforma in interrogatorio e l'agente modifica il suo approccio. Era stato a quel punto che Kathryn aveva sospeso le domande su Pell e aveva cominciato a parlare di argomenti su cui Waters non avrebbe avuto motivo di mentire, come la sua vita privata, la penisola e così via. Questo per stabilire il profilo base. Nel frattempo, Kathryn aveva messo in atto sul soggetto la sua analisi standard in quattro parti, per farsi un'idea sul modo in cui portare avanti l'interrogatorio. Innanzitutto, si era chiesta qual era il suo ruolo nell'incidente. Ne aveva concluso che, nella migliore delle ipotesi, Tony poteva essere un testimone reticente e, nella peggiore, un complice di Pell. Secondo: l'uomo aveva un motivo per mentire? Certo. Waters non voleva essere arrestato o perdere il lavoro perché, intenzionalmente o per negligenza, aveva aiutato il detenuto a fuggire. Inoltre, nell'aiutare l'assassino, poteva ricavare un tornaconto personale o economico. Terzo: qual era il suo tipo di personalità? Chi conduce un colloquio ha bisogno di saperlo per poter regolare il comportamento in base al soggetto intervistato. Doveva mostrarsi decisa oppure accomodante? Alcuni agenti si limitano a individuare il grado di introversione o estroversione dell'interlocutore, per decidere in che misura mostrarsi assertivi. Kathryn, invece, prediligeva un approccio più approfondito basato sul Myers Briggs Type Indicator. Tale metodo include, oltre alle tipologie fondamentali «introverso» ed «estroverso», altre tre sfaccettature legate al modo in cui l'individuo si rapporta al mondo interiore ed esteriore: pensiero o sentimento, sensazione o intuizione, giudizio o percezione. Kathryn concluse che Waters era un estroverso che ricorreva al pensiero, alla sensazione e al giudizio. Dunque con lui poteva essere più diretta che con un soggetto emotivo e introverso e utilizzare diverse tecniche di ricompensa-punizione per farlo confessare. Infine si chiese in che tipologia di mentitore rientrasse Waters. Ne esistono parecchi: per esempio, il manipolatore o machiavellico, che non ci vede nulla di male a mentire spudoratamente e usa l'inganno come mezzo per realizzare i propri obiettivi in amore, affari, politica, nel crimine. Il bugiardo sociale, invece, lo fa per esibizionismo, e l'insicuro mente per co-
municare un'immagine positiva di se stesso. Kathryn stabilì che Waters rientrava ancora in un'altra categoria. Lo dedusse dalla sua vita trascorsa a fare la guardia carceraria e dalla disinvoltura con cui tentava di spostare la conversazione lontano dalla verità. Era un attore, uno per cui il controllo era una conquista fondamentale. Questa tipologia di individui non mente spesso, ma solo quando è necessario, ed è meno esperta dei machiavellici, anche se si tratta comunque di abili bugiardi. La detective si tolse gli occhiali dall'elegante montatura rosso scuro e, con la scusa di pulirli, li posò da una parte e se ne mise un paio con il contorno in acciaio scuro. Erano gli occhiali da «predatrice» che aveva indossato durante l'interrogatorio di Pell. Si alzò, fece il giro della scrivania e si sedette accanto all'uomo. Lo spazio immediatamente intorno al soggetto è chiamato «zona prossemica», ed è questa la distanza utilizzata durante gli interrogatori. È al confine con la «zona intima», che va da quindici a quarantacinque centimetri, mentre la «pubblica» si estende dai tre metri e oltre. Lo spazio che Kathryn prediligeva per gli interrogatori si trovava all'interno della zona «personale», intorno al mezzo metro. Waters osservò curioso il suo spostamento, ma non disse nulla. Lei nemmeno. «Ora, Tony, vorrei ripetere un'ultima volta alcune cose che abbiamo detto.» «Sì, certo.» Waters appoggiò la caviglia sul ginocchio in un movimento che poteva sembrare indice di relax, e invece era una chiara manovra difensiva. L'agente tornò su un argomento che in Waters era stata fonte di numerosi indicatori di stress. «Mi spieghi ancora una volta dei computer a Capitola.» «Dei computer?» Rispondere con una domanda era un classico segnale di menzogna; il soggetto cerca di prendere tempo per capire dove vuole arrivare il suo interlocutore e tenta di elaborare una risposta. «Sì. Che tipi di computer avete?» «Oh, non sono un tecnico, io. Non saprei.» Batteva il piede. «Sono Dells, mi sembra.» «Fissi o portatili?» «Tutti e due. Soprattutto fissi. Non che ne abbiamo centinaia, poi.» La
guardia le rivolse un sorriso complice. «Visti i contributi statali e tutto il resto.» Parlò degli ultimi tagli finanziari ministeriali, storia che Kathryn trovò interessante solo in quanto evidenziava il suo tentativo di divagare. Lo riportò al discorso precedente. «Ora, parliamo dell'accesso ai computer a Capitola. Me lo spieghi un'altra volta.» «Ai detenuti è vietato, gliel'ho già detto.» Tecnicamente, la risposta era vera. L'uomo però non aveva detto che i detenuti non li usavano. Mentire non è soltanto dire una bugia, ma comprende anche le risposte evasive. «Ma potevano accedervi?» «Non proprio.» Era una mezza verità, come dire «quasi incinta». «Che cosa intende, Tony?» «Mi pare di aver detto che no, non possono.» «Però ha anche detto che gli impiegati e le guardie possono utilizzarli.» «Esatto.» «Ora, perché invece un detenuto non può?» Prima Waters aveva detto che non era possibile perché i computer si trovavano in una zona di sorveglianza. La detective aveva notato un comportamento inquieto e un lieve cambio del tono di voce nel pronunciare la frase. Lui si interruppe un istante; secondo l'agente Dance, stava cercando di ricordare ciò che aveva detto. «Si trovano in una zona il cui accesso è controllato. Solo i detenuti non violenti possono entrarvi. Alcuni di loro danno una mano in ufficio, naturalmente con la nostra supervisione. Svolgono compiti amministrativi. Ma è loro vietato usare i computer.» «E Pell aveva il permesso di entrare?» «È classificato Uno A.» Kathryn notò la risposta elusiva. E il gesto di chiusura nel pronunciarla: sfregarsi le palpebre. «Questo vuol dire che in nessun caso gli era permesso di... mi ripeta di che aree si trattava.» «Aree AL. Ad accesso limitato.» Ora si ricordava quello che aveva detto in precedenza. «O zone di sorveglianza.» «Sorvegliate o di sorveglianza?» Fece una pausa. «Di sorveglianza.» «Sorvegliate è più logico. Sicuro che non si dica così?» Waters cominciava ad agitarsi. «Be', non saprei. Che differenza fa? Noi
le chiamiamo in tutti e due i modi.» «E usate quel termine anche per altri posti? Tipo l'ufficio della direttrice e la vostra stanza con gli armadietti... anche quelle sono zone di sorveglianza?» «Certo... Cioè, c'è chi usa quell'espressione più spesso di altri. L'ho imparata in un altro carcere.» «E in quale?» Una pausa. «Oh, non ricordo. Guardi, forse da come l'ho detto può averla scambiata per un'espressione ufficiale. Invece è solo un modo di dire. Tutti dentro lo usano. In tutte le prigioni, insomma. Non c'è niente di ufficiale o cose così. Lo fate anche voi al CBI, no? Lo fanno tutti.» L'uomo portava avanti un duplice gioco. Spesso i soggetti bugiardi tendono a instaurare un rapporto cameratesco con i loro interlocutori («lo fate anche voi») e usano generalizzazioni e astrazioni («tutti, tutte»). Con voce ferma e pacata, Kathryn domandò: «In qualunque zona fosse, autorizzato o no, Pell si è mai venuto a trovare, a Capitola, nella stessa stanza in cui c'era un computer?» «Non l'ho mai visto davanti a un computer, giuro. Sul serio.» Lo stress che i soggetti sperimentano quando mentono li pone in uno di questi quattro stati emotivi: rabbia, depressione, diniego o negoziato per togliersi dall'imbarazzo. Le espressioni usate da Waters: «giuro» e «sul serio», unite al nervosismo riflesso dal suo comportamento non verbale, molto diverso dal suo profilo standard, dicevano a Kathryn che la guardia si trovava nello stadio del diniego. Di qualunque cosa si fosse reso colpevole in carcere, la riteneva inaccettabile e non voleva ammetterne la responsabilità. È importante determinare in quale stato di stress si trova il soggetto per poter organizzare una serie di domande strategiche. Per esempio, quando l'individuo si trova nella fase della rabbia, è utile farlo sfogare fino a esaurimento. Nel caso del diniego, si attaccano i fatti. Che era quello che Kathryn aveva intenzione di fare. «Lei ha accesso all'ufficio in cui ci sono i computer, vero?» «Sì, certo... e allora? Tutti i secondini ce l'hanno. Ehi, cosa significa? Io sto dalla vostra parte.» Tipico tentativo di deviare il discorso in caso di diniego. Kathryn lo ignorò. «E mi ha detto che è possibile che alcuni detenuti possano entrare in quell'ufficio. Pell c'è mai entrato?»
«Sono ammessi soltanto i detenuti non pericolosi...» «Pell c'è mai entrato?» «Giuro su Dio che non l'ho mai visto.» Kathryn notò i gesti utilizzati per scaricare la tensione: flettere le dita, battere il piede, la posizione di tre quarti (come un giocatore di football in difesa), frequenti occhiate rivolte alla porta (spesso i bugiardi cercano con gli occhi la via per sfuggire a un interrogatorio stressante). «Credo sia la quarta volta che non risponde alla mia domanda, Tony. Ora, Pell ha mai messo piede in una stanza con dentro un computer a Capitola?» La guardia fece una smorfia. «Mi dispiace. Non volevo fare il difficile, sa. È solo che mi sono agitato, credo. Voglio dire, mi sono sentito come se lei accusasse me di qualcosa. D'accordo, non l'ho mai visto davanti a un computer, sul serio. Non era una bugia. È che la cosa mi ha abbastanza sconvolto. Come può immaginare.» Le spalle gli si afflosciarono e abbassò lievemente il capo. «Certo che lo immagino, Tony.» «Può anche darsi che Daniel ci sia entrato.» Dopo l'attacco di Kathryn, Waters si era reso conto che era più faticoso sopportare il logorio dell'interrogatorio piuttosto che ammettere di aver mentito. Tutto d'un colpo, l'uomo si trovò nella fase di negoziazione: il soggetto era vicino a confessare l'inganno, ma teneva ancora per sé l'intera verità, nel tentativo di sfuggire alla punizione. Kathryn sapeva che era il momento di abbandonare l'attacco diretto e di offrirgli qualche scappatoia per salvare la faccia. In un interrogatorio il nemico non è colui che mente, bensì la menzogna. «Dunque», fece la donna in tono amichevole, sedendosi al di fuori dallo spazio personale di Waters, «è possibile che in qualche modo Pell potesse accedere al computer?» «Immagino che sia potuto succedere. Ma non saprei dire con sicurezza di avercelo visto davanti.» Abbassava sempre di più il capo. Parlava con voce flebile. «È solo che... è dura fare il nostro lavoro. La gente non si rende conto. Fare il secondino. Nessuno ne ha idea.» «Lo immagino», concordò Kathryn. «Dobbiamo fare i maestri e i poliziotti insieme. E...» La voce era ridotta a un mormorio. «Il capo ci sta sempre con il fiato sul collo, ci dice di fare questo e quell'altro, di mantenere l'ordine e di avvisarla quando succede qualche casino.»
«Forse è un po' come fare il genitore. Devi sempre stare dietro ai tuoi figli.» «Già, esatto. È come avere dei figli.» Spalancò gli occhi. Segno che esprimeva un'emozione. Kathryn annuì, empatica. «Naturalmente, Tony, è chiaro che si preoccupa dei detenuti. E di fare un buon lavoro.» I soggetti in fase di negoziazione devono essere rassicurati e perdonati. «Non è nulla, in realtà. Succede.» «Continui.» «Avevo fatto una scelta.» «Il suo è un lavoro duro. Ogni giorno le tocca fare delle scelte.» «Già. Ogni ora.» «Allora, che cosa aveva scelto?» «D'accordo... vede, Daniel era diverso.» Kathryn notò che l'aveva chiamato per nome. Pell aveva fatto credere a Waters che erano amiconi e aveva approfittato di quella finta amicizia. «In che senso?» «Lui ha quella specie di... come dire, di potere sulla gente. Persino sulle gang carcerarie: gli Aryans, gli Official Gangsters, i Lats. Va dove vuole e nessuno lo tocca. Non avevo mai visto in prigione uno così, prima. La gente fa tutto quello che vuole lui. E gli racconta tutto.» «E così le ha passato delle informazioni. O sbaglio?» «Ottime informazioni. Roba a cui altrimenti non saremmo arrivati. Tipo, che una guardia spacciava metamfetamina. Un detenuto è andato in overdose. Non c'era modo di scoprire chi gliel'avesse passata. Pell però me l'ha detto.» «Ha salvato delle vite, scommetto.» «Oh, sì, signora. E se qualcuno aveva intenzione di prendersela con qualcun altro, o di prenderlo a botte eccetera, Daniel me lo riferiva.» Kathryn alzò le spalle. «E in cambio lei ha chiuso un occhio nei suoi confronti. Gli ha permesso di entrare in ufficio.» «Già. La Tv dell'ufficio funziona via cavo. A volte a Daniel piaceva guardare una partita che agli altri non interessava. Ecco com'è andata. Non c'erano rischi. L'ufficio si trova in una zona chiusa di massima sicurezza. Non aveva vie di fuga. Io facevo il mio giro di ronda e lui si guardava la partita.» «Quante volte è accaduto?» «Tre o quattro.»
«Quindi poteva anche essersi connesso a internet?» «È possibile.» «Quando è successo l'ultima volta?» «Ieri.» «Va bene, Tony. E adesso parliamo dei telefoni.» Quando l'uomo gli aveva detto che Pell aveva telefonato solo a sua zia, Kathryn ricordava di aver colto una reazione di stress. Waters si era toccato le labbra in segno di chiusura. Quando un soggetto ha confessato un crimine, spesso è più facile portarlo a confessarne un altro. Waters disse: «L'altra cosa su Pell, glielo diranno tutti, riguarda il sesso. Voleva fare delle telefonate erotiche, e io non gliel'ho vietato». Kathryn notò subito una deviazione dal profilo base. Concluse che, anche se stava confessando, si trattava di un crimine di poco conto. Il che significava che ne nascondeva uno più grosso. «E allora le ha fatte?» chiese lei, diretta, protendendosi un'altra volta nella sua direzione. «E come ha pagato? Con la carta di credito? O ha fatto una chiamata a pagamento?» Una pausa. Waters non aveva pensato bene alla bugia: si era dimenticato che le telefonate erotiche erano a pagamento. «Non mi riferivo a quei numeri pubblicizzati sul retro dei giornali. Credevo di essermi spiegato. Daniel chiamava delle donne di sua conoscenza. Penso fossero quelle con cui corrispondeva. Riceveva un sacco di posta.» Sorrise debolmente. «Ammiratrici. Se lo immagina? Un tipo come lui.» Kathryn gli andò più vicino. «Ma da quanto ha potuto ascoltare non parlava di sesso, vero?» «No, io...» Si rese conto di aver sbagliato a dire che aveva ascoltato. Ormai era troppo tardi. «No. Stavano solo parlando.» «Li ha sentiti entrambi?» «Sì, ero sulla terza linea.» «Quando è stato?» «Circa un mese fa, la prima volta. Poi ce ne sono state un altro paio. Ieri. Mentre era in ufficio.» «Quelle chiamate sono state registrate?» «No. Non quelle locali.» «Se si trattava di interurbane invece sì?» Waters fissò il pavimento. Era patetico. «Cosa, Tony?» «Gli avevo dato una carta telefonica. Si chiama un numero verde, si di-
gita un codice e poi il numero che si vuole.» Kathryn conosceva quel metodo. Il numero era irreperibile. «Mi deve credere, davvero. Non l'avrei fatto, se non fosse stato per le informazioni che mi ha dato... erano utili. Hanno salvato...» «Di che cosa parlavano?» gli domandò Kathryn, amichevole. Mai fare i duri con un soggetto che confessa; è appena diventato il tuo nuovo amico. «Cose varie, sa... Soldi, se ricordo bene.» «E in particolare?» «Pell le aveva chiesto quanto era riuscita a mettere da parte e lei aveva risposto novemiladuecento dollari. E lui: 'Così poco?'» Le telefonate erotiche costano, pensò Kathryn, sarcastica. «Poi lei gli aveva chiesto se poteva venire a trovarlo e lui aveva risposto che non era una buona idea.» Dunque Pell non aveva voluto che la donna gli facesse visita. Non dovevano esistere prove di loro due insieme. «Non ha idea di dove fosse?» «Daniel aveva nominato Bakersfield. Aveva detto esattamente 'a Bakersfield'.» Doveva averle detto di andare da sua zia a prendere il martello da mettere nel pozzo. «Ecco, ora mi ricordo bene. La donna gli aveva parlato dei cardinali.» «È cattolica?» Risuonò una risata, anche se disperata. «No, parlava di uccelli: di cardinali e di colibrì nel cortile sul retro. E di cibo messicano. 'Il cibo messicano è gratificante.' Diceva così.» «Aveva un accento straniero o regionale?» «No, non mi sembra.» «Aveva un tono di voce alto o basso?» «Basso, direi. Piuttosto sexy.» «Sembrava furba o stupida?» «Oddio... non saprei.» Waters pareva sfiancato. «Non sa nient'altro che potrebbe esserci d'aiuto, Tony? Avanti, dobbiamo prendere quell'uomo a ogni costo.» «Niente che mi venga in mente. Mi dispiace.» Kathryn lo guardò e gli credette: non sapeva altro. «D'accordo. Per ora è tutto.» L'uomo fece per andarsene. Sulla porta, si fermò e si voltò. «Scusi, ero piuttosto confuso. È stata una giornata dura.»
«Già, lo è stata per tutti», concordò Kathryn. La guardia rimase immobile sulla porta, come un cane bastonato. Visto che non otteneva la rassicurazione che sperava, se ne andò. Kathryn chiamò Carraneo che, in quel momento, era diretto alla filiale di You Mail It e gli comunicò le informazioni ricavate da Waters. La complice sembrava avere una voce bassa e priva di accento. Il che avrebbe potuto aiutare il responsabile a ricordarla meglio. Poi l'agente chiamò la direttrice del carcere di Capitola e le raccontò l'accaduto. La donna restò un attimo in silenzio, poi sussurrò: «Oh». Kathryn chiese se in prigione c'era un esperto di computer. C'era, e l'avrebbero chiamato a ispezionare quelli dell'ufficio amministrativo riguardo all'attività on line e alla posta elettronica del giorno prima. Non sarebbe stato difficile: il personale di domenica non lavorava e forse Pell era stato l'unico a connettersi, se mai l'aveva fatto. «Mi dispiace», fece Kathryn. «Già. Grazie.» L'agente non si riferiva tanto all'evasione di Pell, quanto a una delle sue conseguenze. Kathryn non conosceva la direttrice, ma immaginò che gestire un supercarcere come quello richiedesse determinate doti, e che la donna ci tenesse al suo lavoro. Era un peccato che la sua carriera in ambito carcerario, come quella di Waters, dovesse concludersi a breve. 12 Era stato bravo, il suo amore. Aveva seguito le istruzioni alla perfezione. Aveva preso il martello dal garage di sua zia a Bakersfield. Come ci era arrivata Kathryn Dance? Aveva fatto incidere sul portafogli le iniziali di Robert Herron, poi l'aveva messo nel pozzo di Salinas. Aveva fabbricato l'ordigno a gas: per lei era stato facile come seguire la ricetta di un dolce. Infine aveva piazzato il borsone contenente la tuta ignifuga e il coltello e aveva nascosto gli abiti sotto il pino. Nonostante ciò, Pell non era così sicuro della capacità della complice di mentire alla gente guardandola negli occhi. Per questo non era ricorso a lei per fuggire in auto dal palazzo di Giustizia. Anzi, si era accertato che non si trovasse lì nei pressi al momento della fuga. Voleva evitare che la fermassero a un posto di blocco e mandasse tutto a puttane perché si metteva a balbettare o diventava rossa. Jennie Marston stava guidando senza scarpe, cosa che Pell trovava piut-
tosto bizzarra, e intanto chiacchierava, con un sorriso allegro stampato sulla faccia. Pell si era chiesto se si era bevuta davvero la storia della sua innocenza riguardo alle morti al palazzo di Giustizia. Ma in tanti anni in cui era riuscito a convincere la gente a fare ciò che voleva, quello che lo stupiva di più era che per credergli fossero disposti a gettare al vento la razionalità e l'istinto di conservazione. Ed era quanto lui desiderava di più. Comunque, questo non significava che Jennie avrebbe creduto a tutto ciò che lui le avrebbe detto e, in vista dei suoi progetti per i giorni seguenti, avrebbe dovuto sorvegliarla attentamente, per osservare in cosa era pronta ad appoggiarlo e in cosa no. Attraversarono una complicata rete di strade secondarie, per evitare quelle principali e gli eventuali posti di blocco. «Sono felice di averti qui», disse lei, esitante, posandogli una mano sul ginocchio, in preda a sentimenti ambivalenti. Pell sapeva quel che provava: era combattuta tra il desiderio di manifestargli il suo amore e il timore di spaventarlo. Avrebbe vinto il primo. Era tipico di donne come lei. Oh, Daniel Pell sapeva tutto di tutte le Jennie Marston del mondo, di quelle che amano innamorarsi dei bastardi. Se ne era accorto anni prima, visto che era un detenuto recidivo. Se entri in un bar e annunci di essere stato in galera, la maggior parte delle donne batte le palpebre e sparisce nella toilette. Ma ce ne sono altre che si bagnano solo a sussurrargli i tuoi crimini e quanto sei stato dentro. Fanno uno strano sorriso e ti si avvicinano, pronte a conoscere qualcosa di più sul tuo lato oscuro. Omicidio incluso, a seconda di come glielo facevi passare. E Daniel Pell era bravo a far passare le cose. Già, Jennie era proprio la classica amante del bastardo di turno. Dall'aspetto non l'avresti detto: magrolina, i capelli biondi e lisci, un bel visetto deturpato da un brutto naso, vestita come una borghesuccia che va a un concerto di Mary Chapin Carpenter. Non l'avresti detta il tipo che si mette a scrivere agli ergastolani di Capitola. Caro Daniel Pell, tu non mi conosci, ma ho visto in tivù un servizio su di te e non credo che sia tutto vero. Ho anche comprato i libri che parlano di te, li ho letti e mi sei sembrato una persona affascinante. E anche se hai fatto tutto quello che dicono, sono certa che è stata colpa delle circostanze. Lo leggo dai tuoi occhi. Anche se fissavi la te-
lecamera, era come se stessi guardando dritto nei miei. Ho avuto un passato non tanto diverso dal tuo. Mi riferisco alla tua infanzia, anzi, all'infanzia che non hai vissuto, e posso capire da dove vieni. Completamente. Se ti va, ci possiamo scrivere. Cordialmente, Jennie Marston E non era l'unica, naturalmente. Daniel Pell riceveva molte lettere. Chi gli faceva complimenti per aver ammazzato un capitalista, chi lo condannava per aver sterminato una famiglia, chi era pronto a dargli consigli e chi a richiederne. Molte lettere contenevano anche avance. Parecchie finivano con il perdere lo slancio e riprendere il raziocinio. Ma Jennie aveva continuato e le sue lettere erano diventate man mano più passionali. Mio caro Daniel, oggi guidavo attraverso il deserto. Passavo accanto all'osservatorio di Palomar, dove tengono quell'enorme telescopio. Il sole stava per tramontare, il cielo era sconfinato ed erano appena spuntate le stelle. Non riuscivo a smettere di pensare a te. E al fatto che nessuno ti capisce e che tutti ti incolpano per cose che non hai fatto... dev'essere terribile. Loro non ti comprendono, non vedono la verità. Io invece sì. Anche se tu sei modesto e non vuoi ammetterlo, il fatto è che non sanno cogliere la tua perfezione. Ho fermato la macchina, era più forte di me, e ho cominciato a toccarmi dappertutto, tu sai come... e ci scommetto che lo sai, sporcaccione! E noi, io e te, abbiamo fatto l'amore laggiù, sotto le stelle. Ho detto «noi» perché tu eri lì, accanto a me, nello spirito. Sono pronta a fare qualunque cosa per te, Daniel... Lettere del genere rispecchiavano una totale mancanza di autocontrollo e una tale voglia di farsi ingannare da convincere Pell a servirsi di lei per la sua fuga. «Hai fatto attenzione a tutto quanto, vero? Nessuno può rintracciare la Thunderbird, no?» le chiese. «No. L'ho rubata fuori da un ristorante. C'era quel tipo con cui sono uscita un paio di anni fa. Voglio dire, non abbiamo dormito insieme né niente», aggiunse rapida, e Pell se li immaginò che scopavano come ricci. Non che gliene importasse. Jennie continuò: «Lui lavorava lì e quando u-
scivamo mi ero accorta che nessuno faceva caso al pannello in cui l'addetto al parcheggio appendeva le chiavi delle auto. Allora venerdì sono arrivata fino là in autobus e ho aspettato dall'altra parte della strada. Quando ho visto che gli addetti erano impegnati, ho preso le chiavi. Ho scelto la Thunderbird perché la coppia era appena entrata, quindi sarebbe rimasta dentro per un bel po'. Nel giro di dieci minuti ero sulla 101». «Hai tirato dritto fino a qui?» «No, ho dormito a San Luis Obispo... E ho pagato in contanti, come mi hai detto.» «E prima di andartene hai bruciato tutte le lettere?» «Ah-hah.» «Bene. Le cartine le hai?» «Certo.» Toccò la borsetta. Pell la osservò. La lieve curva dei seni, le gambe e il sedere magri. I lunghi capelli biondi. Le donne sanno farti capire quali licenze ti puoi permettere: Daniel aveva la certezza di poter toccare Jennie quando e dove voleva. Le posò la mano sulla nuca. Com'era fragile e sottile. La ragazza sembrava quasi fare le fusa. La bolla dentro di lui continuava a crescere. E anche le fusa. Pell resistette finché poté. Vinse la bolla. «Accosta qui, piccola.» Indicò una stradina sotto un boschetto di querce. Sembrava un vialetto che conduceva a una fattoria abbandonata nel mezzo di un campo incolto. Jennie frenò e svoltò. Pell si guardò intorno. Non c'era un'anima. «Qui?» «È perfetto.» La mano di Pell le scivolò lungo la nuca fin sulla camicetta rosa. Doveva essere nuova. L'aveva comprata apposta per lui. Lui le sollevò il viso e premette delicatamente le labbra contro le sue, senza aprire la bocca. La baciò lievemente, poi indietreggiò, aspettando che fosse lei ad avvicinarsi. Più la stuzzicava, più lei si agitava. «Ti voglio dentro di me», gli sussurrò. Pell sentì alle sue spalle il fruscio di una borsa. Nelle mani di lei comparve un preservativo. «Non abbiamo molto tempo, piccola. Ci stanno cercando.» Lei afferrò il messaggio.
Nonostante l'aria ingenua, le donne che si innamorano dei criminali sanno quello che fanno. E Jennie Marston non aveva nemmeno quell'aria così ingenua. Si sbottonò la camicetta e si sdraiò sul sedile del passeggero, sfregando il reggiseno imbottito in mezzo alle sue gambe. «Sdraiati, tesorino. Chiudi gli occhi.» «No.» Lei esitò. «Ti voglio guardare», mormorò. Mai permettere loro di avere un potere più grande del tuo. Altre fusa. Jennie gli sbottonò i pantaloncini e si abbassò. Pochi minuti dopo era venuto. Era brava come si aspettava... Jennie non aveva molto su cui puntare e sfruttava il poco che aveva. E fin qui andava bene, poi quando si sarebbero trovati nell'intimità di un motel, lui avrebbe alzato decisamente la posta. Ma per ora, era perfetto. Quanto a Jennie, Pell sapeva che il suo piacere era una soddisfazione più che sufficiente per la ragazza. La guardò. «Sei strepitosa, amore. È stato davvero speciale.» Jennie era talmente ubriaca di emozioni che anche il più trito dialogo da pornofilm le sarebbe parso una dichiarazione d'amore da romanzo d'altri tempi. «Oh, Daniel!» L'uomo tornò al suo posto e si sistemò i vestiti. Jennie cominciò ad abbottonarsi la camicetta. Pell osservò la stoffa rosa, i ricami, il colletto con le punte metalliche. Lei se ne accorse. «Ti piace?» «Carina.» Guardò i campi, fuori dal finestrino. Non era la polizia che lo preoccupava, ragionava sulla ragazza. Sapeva che si stava concentrando sulla camicetta. «È tremendamente rosa. Forse troppo. Appena l'ho vista on ho saputo resistere.» «Ma no, va bene. È interessante.» Mentre Jennie proseguiva, Pell notò le perle, i ricami e i polsini. Per permettersela, doveva aver lavorato duro una settimana intera. «Se vuoi, più tardi mi cambio.» «No, se piace a te, va bene», disse lui, cercando di mantenere il tono giusto, come un cantante impegnato in una nota difficile. Lanciò un ultimo sguardo al suo abbigliamento, poi le si avvicinò e la baciò... sulla fronte, non sulla bocca. Riprese a guardare i campi. «Dovremmo tornare sulla
strada.» «Okay.» Jennie voleva ancora parlare della camicetta. Che cos'aveva che non andava? Non gli piaceva il rosa? O forse una sua ex ne aveva una uguale? Le faceva le tette piccole? Naturalmente, non disse nulla. Lui le accarezzò la gamba. La donna sorrise, mise in moto la macchina, poi rientrò in strada, lanciando un'ultima occhiata alla camicetta. Pell sapeva che non l'avrebbe indossata mai più. Il suo intento era che se ne liberasse e sentiva che lei l'avrebbe fatto. L'ironia era che la camicetta le stava davvero bene e anche a lui non dispiaceva. Ma mostrarle la sua sottile disapprovazione e osservare come reagiva gli forniva un quadro della personalità della donna. Di quanto fosse influenzabile e leale. Il buon insegnante sa capire quando un allievo fa progressi. Michael O'Neil era seduto su una sedia nell'ufficio di Kathryn e si dondolava su e giù, i piedi posati sul consunto tavolino da caffè. Era la sua posizione preferita. Dal punto di vista cinesico, Kathryn lo imputò al nervosismo e ad altri fattori, ma, vista la loro amicizia, decise di non analizzare a fondo. I due, assieme a TJ, fissavano il telefono dal quale parlava, a viva voce, il tecnico dei computer di Capitola. «Ieri Pell si è connesso, ma sembra che non abbia inviato nessuna mail... non allora, almeno. Prima, non posso stabilirlo. Ieri si è limitato a navigare. Ha cancellato la cronologia dei siti visitati, ma ha dimenticato di rimuovere quella delle ricerche. Ho scoperto che cosa stava cercando.» «Continua.» «Ha digitato su Google 'Alison' e 'Nimue'. Le ha inserite insieme, per limitare la ricerca.» La detective se le fece sillabare. «Quindi ha digitato 'Helter Skelter'.» O'Neil e Kathryn si guardarono preoccupati. Era il titolo di una canzone dei Beatles che ossessionava Charles Manson, al punto da dare quel nome a una guerra razzista che avrebbe dovuto avere luogo in America. Era anche il titolo di un bestseller sul satanista scritto dall'uomo che l'aveva fatto arrestare. «Poi è andato su Visual Earth. Una specie di Google Earth. Ti permette di vedere foto satellitari di quasi tutto il nostro pianeta.»
Perfetto, pensò Kathryn. Anche se non era poi così vero. Non c'era modo di restringere il campo e risalire alla sua ricerca. «Può aver controllato qualsiasi autostrada della California, come Parigi, Key West o Mosca.» «E 'Nimue'? Cos'è?» «Non ho idea.» «Si riferisce a qualcosa di Capitola?» «No.» «Avete un dipendente di nome Alison?» La voce asettica del tecnico rispose: «No. Ma, come stavo per dire, potrei scoprire su quali siti ha navigato. Dipende se si è limitato a cancellarli o li ha eliminati dal cestino. Se li ha eliminati, niente da fare. Invece nell'altro caso dovrei riuscire a trovarli, agganciati da qualche parte nella memoria del disco fisso.» «Ogni tentativo è apprezzato», fece Kathryn. «Mi darò da fare.» L'agente lo ringraziò e tolse la comunicazione. «TJ, verifica quel 'Nimue'.» Il ragazzo digitò rapido sulla tastiera. Scorse i risultati sul monitor. Dopo qualche minuto disse: «Sono comparse centinaia di voci. Sembra che siano in molti a utilizzarlo come nome al PC». O'Neil osservò: «Sarà qualcuno che conosce sulla rete. O un nick. Oppure un vero e proprio cognome». TJ proseguì, fissando lo schermo: «Ci sono anche molte marche con quel nome: di cosmetici, di apparecchiature elettroniche e pornografiche... non avevo mai visto roba del genere». «TJ», lo richiamò Kathryn. «Scusa», continuò a scorrere i risultati. «Interessante. Molti si riferiscono a Re Artù.» «Nel senso di Camelot?» «Credo.» Riprese a leggere. «Nimue era la Signora del Lago. Quel mago, Merlino, si era innamorato di lei... lui doveva avere un centinaio di anni e lei soltanto sedici. E solo con questo, sarebbero una ventina di minuti allo show del Dr. Phil.» Proseguì nella lettura. «Merlino le insegnò come diventare una strega. Oh, e fu lei che diede a Re Artù la spada magica.» «Excalibur», fece O'Neil. «Come?» chiese TJ. «La spada. Excalibur. Non l'avevi mai sentita?» chiese il detective.
«No, all'università non seguivo il corso di Roba Noiosa.» «Mi piace pensare che si tratti di qualcosa che Pell stesse cercando. Prova a fare una ricerca incrociata con 'Nimue' più 'Pell, Alison, California, Carmel, Croyton'. C'è altro?» «Le donne: Rebecca Sheffield, Samantha McCoy e Linda Whitfield», suggerì O'Neil. «Ottimo.» Dopo parecchi minuti di digitazione ininterrotta, l'agente guardò Kathryn. «Spiacente, capo. Zero.» «Verifica i termini della ricerca nel VICAP e negli altri maggiori database criminali.» «Agli ordini.» Kathryn fissò le parole che aveva trascritto. Che cosa volevano dire? Perché Pell si era connesso, a suo rischio, per poterle controllare? Helter Skelter, Nimue, Alison... E che cosa stava cercando su Visual Earth? Un posto per nascondersi o da rapinare? «Notizie dalla scientifica?» chiese a O'Neil. Il detective consultò i suoi appunti. «Niente di risolutivo. Quasi tutto è bruciato o si è fuso. La benzina era dentro bottiglie di plastica del latte contenute in un trolley da quattro soldi, di quelli comprati al Wal-Mart o al Target, negozi così. Il borsone e la tuta antincendio sono stati fabbricati dalla Protection Equipment Inc., New Jersey. Li distribuiscono in tutto il mondo, ma li comprano soprattutto nel sud della California.» «Per gli incendi?» «Per il cinema, per gli stuntmen. Ci sono dozzine di punti vendita. Ma non abbiamo grandi piste da seguire: non hanno numeri di serie. Non sarebbero riusciti a prendere un'impronta dal borsone o dalla tuta. Ora, dagli additivi contenuti all'interno sembra benzina della BP, ma non è possibile limitare il campo a un distributore in particolare. La miccia è fatta artigianalmente... una corda imbevuta in sostanze chimiche a lenta combustione. Nemmeno quelle sono rintracciabili.» «TJ, come va la storia della zia?» «Per ora nulla. Attendo ansioso qualche progresso.» Il telefono di Kathryn squillò. Un'altra chiamata da Capitola. La direttrice era con il detenuto che diceva di avere informazioni su Daniel Pell, e chiedeva se l'agente desiderava parlargli. «Certo.» Premette il pulsante del vivavoce. «Parla l'agente Dance. Sono
qui con il detective O'Neil.» «Salve. Sono Eddie Chang.» «Eddie», aggiunse la direttrice, «sta scontando qualche anno per rapina in banca.» «Conosceva bene Daniel Pell?» «Non benissimo. Come tutti, d'altronde. Ma sa, lui non mi vedeva come una minaccia, così era piuttosto aperto nei miei confronti.» «E ha avuto da lui delle informazioni?» «Sì, signora.» «Perché ha intenzione di aiutarci?» chiese O'Neil. «Tra sei mesi dovrei avere la libertà condizionale. Se vi aiuto, tornerà a mio vantaggio. A patto che lo prendiate, ovvio. In caso negativo, credo che me ne resterò qui a Capitola finché non ci riuscite, visto che sto per sputtanarlo.» O'Neil domandò: «Pell ha parlato di una fidanzata o di qualcun altro, che aveva fuori? In particolare una donna?» «Si vantava delle tipe che si era fatto. Ci raccontava delle storie... era come guardare un porno. Oh, amico, impazzivamo per quei racconti.» «Si ricorda i nomi? Qualcuna chiamata Alison?» «No, mai sentito.» Dopo quello che gli aveva detto Tony, Kathryn sospettò che Pell inventasse le storielle sexy per usarle come incentivo e convincere i detenuti a fare ciò che voleva. «Allora, che cosa ci vuoi raccontare?» gli chiese. «Ho in mente dove può essere diretto.» Kathryn e O'Neil si guardarono. «Fuori Acapulco. Lì c'è un paese sulle montagne, Santo Rosario.» «Perché proprio lì?» «Dunque... è andata così. Circa una settimana fa siamo seduti io e lui a cazzeggiare e c'è uno nuovo, Felipe Rivera, uno dal grilletto facile che entra ed esce per furto d'auto. Stiamo parlando e Pell scopre che lui è messicano. Allora Pell gli chiede di questa Santa Rosario. Rivera non l'ha mai sentita nominare, però Pell è ansioso di saperne di più, allora comincia a descriverla, sperando di rinfrescargli la memoria. In primavera lì fa molto caldo, è lontana dalle grandi autostrade e vicino c'è una montagna ripida... Ma Rivera proprio non si ricorda. Allora Pell lascia stare e cambia discorso. Per questo immaginavo che lui avesse in mente quel posto.» «Prima di allora, aveva mai nominato il Messico?» domandò Kathryn. «Può darsi. Io non me lo ricordo.» «Cerca di farlo, invece, Eddie. Sei mesi, un anno fa. Pell non ha mai
nominato altri posti in cui gli sarebbe piaciuto andare?» Un'altra pausa. «No. Mi dispiace. Voglio dire, non ricordo nessun posto in cui lui ha detto 'devo andare là perché è fico' o roba così.» «E di qualcuno che almeno gli interessava? O lo incuriosiva? «Oh... ehi, ha nominato un paio di volte quel paese di mormoni.» «Salt Lake City.» «No. Voglio dire lo Stato. Lo Utah. Gli piaceva il fatto che puoi avere un sacco di mogli.» La Famiglia... «Diceva che nello Utah la polizia non ti rompe i coglioni perché sono i mormoni che comandano e non vogliono che l'FBI o la polizia di Stato ficchi il naso. Nello Utah sei libero di fare tutto quello che vuoi.» «Quando te l'ha detto?» «Non so. Qualche tempo fa. L'anno scorso. O forse un mese fa.» Kathryn lanciò uno sguardo a O'Neil e lui annuì. «Un momento che richiamo. Può attendere?» Chang rise. «E dove vuole che vada?» L'agente riattaccò; subito dopo chiamò Linda Whitfield e infine Rebecca Sheffield. Nessuna delle due sapeva di un interesse di Pell verso il Messico o lo Utah. Riguardo all'attrazione per la poligamia dei mormoni, Linda disse che non ne aveva mai parlato. Rebecca rise. «A Pell piaceva andare a letto con tante donne. Che è diverso da sposarsi con tante donne. Molto diverso.» Kathryn e O'Neil si diressero verso l'ufficio di Charles Overby al piano di sopra e lo aggiornarono sulle possibili mete di Pell, oltre ai tre indizi trovati su Google e ai risultati della scientifica. «Acapulco?» «No. Era una falsa pista, sicuro. Ne ha parlato proprio la scorsa settimana e davanti ai detenuti. È troppo scoperto. Lo Utah è più probabile. Ma devo saperne di più prima di poter azzardare un'ipotesi.» «D'accordo, stacci dietro allora, Kathryn», fece Overby. «Ha appena chiamato il New York Times.» Squillò il telefono. «È Sacramento sulla due», fece il suo assistente. L'uomo afferrò la cornetta, sospirando. Kathryn e O'Neil si congedarono. Appena furono in corridoio, squillò anche il telefono di O'Neil. Lei lo osservò a lungo, mentre camminavano. In quell'uomo gli indicatori delle emozioni erano virtualmente invisibili per la maggior parte del
tempo, ma non a Kathryn. Immaginò che la chiamata riguardasse Juan Millar. Si scorgeva senza ombra di dubbio quanto fosse sconvolto dalle gravi condizioni del collega. Non ricordava di averlo visto altre volte così preoccupato. O'Neil riattaccò e le fornì un resoconto delle condizioni del detective: erano stazionarie, ma si era svegliato una volta o due. «Va' a trovarlo», disse Kathryn. «Sicura?» «Qui ci sono io.» L'agente Dance tornò in ufficio e si fermò da Maryellen Kresbach per riempirsi la tazza di altro caffè. L'assistente non parlò più di messaggi telefonici; Kathryn comunque capì che avrebbe voluto farlo. Ha chiamato Brian... Stavolta si servì dei biscotti al cioccolato su cui aveva fantasticato. Si sedette alla scrivania e richiamò la direttrice di Capitola per parlare con Chang. «Eddie, voglio che continui a rifletterci. Mi devi dire qualcosa in più su Pell. Qualunque cosa... quel che ha detto, quel che ha fatto, quel che lo fa ridere e che lo irrita.» Una pausa. «Non so che cosa dirle, sul serio.» Chang sembrava confuso. «Ehi, che ne pensi di quest'idea? Facciamo finta che qualcuno voglia organizzarmi un appuntamento con Pell. Che cosa mi racconteresti su di lui prima del nostro incontro?» «Un appuntamento con Daniel Pell? Cazzo, solo a pensarci è spaventoso.» «Fa' il possibile, Cupido.» 13 Kathryn sentì di nuovo le rane gracidare in ufficio e prese il cellulare. Era Rey Carraneo: diceva che il responsabile della filiale di You Mail It di San Benito Way a Salinas si ricordava di una donna che era entrata una settimana prima. «Però non ha spedito nulla, agente Dance. Ha soltanto chiesto quando passavano i diversi servizi di consegna. Il tipo le ha detto che la Worldwide Express era la più regolare, puntuale come un orologio. Gli sarebbe passato di mente, se non l'avesse notata lì fuori qualche giorno dopo, seduta su una panchina dall'altra parte della strada. Credo fosse venuta a controllare i tempi di persona.»
Purtroppo Carraneo non era in grado di costruire un identikit EFIS perché la donna portava un cappellino da baseball e occhiali scuri. Né il responsabile aveva visto la sua auto. Riattaccarono. Kathryn si domandò un'altra volta quando avrebbero trovato il corpo del fattorino. Ancora violenza, ancora morte, l'ennesima famiglia distrutta. Le conseguenze dei crimini si espandono praticamente all'infinito... Mentre le parole di Morton Nagle le riecheggiavano nella mente, telefonò Michael O'Neil. Il caso voleva che chiamasse proprio per informarla di che fine aveva fatto il fattorino. Kathryn era al volante della sua Taurus. Nello stereo, un pezzo gospel dei Fairfield Four tentava di distrarla dalla strage del mattino. «I'm standing in the safety zone...» La musica era la salvezza di Kathryn. Il suo lavoro nella polizia non voleva dire stare attaccata ai computer o alle provette, bensì avere a che fare con la gente. Significava entrare a contatto con loro usando la testa, il cuore, le emozioni, avvicinarsi al punto da riuscire a cogliere la verità che a loro è nota ma esitano a rivelare. Spesso gli interrogatori erano impegnativi, talvolta strazianti, e il ricordo delle azioni e dei pensieri di quei criminali non la abbandonava mai del tutto. Con le melodie dell'arpa celtica di Alan Stivell, l'irrefrenabile motivo ska-cubano di Natty Bo e Benny Billy o i pezzi di Lightnin' Hopkins che le colmavano la mente e i pensieri, Kathryn riusciva a non rivivere gli inquietanti interrogatori con violentatori, assassini e terroristi. Si abbandonò a quel ruvido motivetto vecchio di cinquant'anni. «Roll, Jordan, roll...» Cinque minuti dopo accostò in un parcheggio per impiegati a Monterey nord, appena fuori Munras Avenue, e scese dall'auto. Entrò in un garage al pianterreno dove trovò l'Honda Civic rossa del fattorino, il cofano aperto, le lamiere insanguinate. Accanto c'erano O'Neil e un poliziotto locale. E qualcun altro. Billy Gilmore, il fattorino. Kathryn era certa che sarebbe stata la prossima vittima di Pell. Invece si accorse che era ancora vivo. L'uomo era grassoccio, con parecchie contusioni e una grossa fasciatura sulla fronte, all'altezza del taglio che sembrava la causa apparente dell'emorragia. Si scoprì poi che non era stato Pell a procurargli le ferite, ma che
se le era fatte lui stesso, agitandosi all'interno del bagagliaio. «Non cercavo di uscire. Avevo paura. Ma qualcuno mi ha sentito, credo, e ha chiamato la polizia. Devo essere rimasto tre ore lì dentro, come mi ha ordinato Pell. Se non obbedivo, ammazzava mia moglie e i miei figli.» «La famiglia sta bene», spiegò O'Neil a Kathryn. «È sotto protezione.» Le riferì il racconto di Billy, di come Pell si fosse impossessato del furgone e poi dell'auto. Il fattorino confermò che il criminale era armato. «Che cosa indossava?» «Pantaloncini corti, una giacca a vento scura, un cappellino da baseball. Non saprei. Ero davvero fuori.» O'Neil comunicò la nuova descrizione ai posti di blocco e alle squadre di ricerca. Pell non aveva fatto capire in alcun modo a Billy dove era diretto, però era stato molto preciso nell'indicargli quel garage. «Sapeva perfettamente dov'era e che sarebbe stato deserto.» Era ovvio che la sua complice l'aveva controllato in precedenza. Forse si erano dati appuntamento lì e poi erano partiti per lo Utah. «Si ricorda altro?» domandò Kathryn. Billy disse che, non appena Pell aveva chiuso il cofano, aveva risentito la sua voce. «C'era qualcuno con lui?» «No, era da solo. Credo che stesse facendo una telefonata. Aveva il mio cellulare.» «Il suo cellulare?» fece Kathryn, stupita. Guardò O'Neil. L'uomo contattò subito lo staff di tecnici dello Sheriff's Office che si misero alla ricerca del provider del telefono per rintracciare la chiamata. Kathryn chiese a Billy se avesse captato qualcosa della conversazione di Pell. «No. Lo sentivo solo borbottare.» Il cellulare di O'Neil squillò. Lui restò qualche minuto in ascolto, dopo di che disse a Kathryn: «Niente. O l'hanno distrutto o si è scaricata la batteria. Non riescono a rintracciare il segnale». Lei diede un'occhiata al garage. «L'avrà gettato da qualche parte. Spero qui vicino. Dovremmo far controllare a qualcuno i cestini dei rifiuti e i tombini in strada.» «E anche i cespugli», suggerì O'Neil, e incaricò due dei suoi uomini della ricerca. TJ si unì a loro. «Pell è passato di qui. Prendimi per pazzo, capo, ma non mi sembra sulla strada che io farei per andare nello Utah.»
Che Pell fosse diretto in quello Stato oppure no, la sua comparsa nel centro di Monterey era stupefacente. Si trattava di una piccola cittadina e l'avrebbero potuto individuare facilmente. Inoltre, sia a est sia a nord e a sud le vie di fuga non erano numerose. Un luogo rischioso per incontrare la sua complice, ma nello stesso tempo una mossa brillante. Era l'ultimo posto che si sarebbero aspettati. Un altro interrogativo la tormentava. «Billy, un'altra domanda. Perché lei è ancora vivo?» «Io... be', l'ho supplicato di non farmi del male. In pratica mi sono messo in ginocchio. È stato umiliante.» Mentiva. Kathryn non aveva bisogno di un profilo base per accorgersi dello stress che il suo corpo emanava. Il fattorino guardava dall'altra parte, rosso in viso. «Ho bisogno di sapere la verità. Potrebbe essere importante», lo incalzò lei. «Dico sul serio. Piangevo come un bambino. Credo di avergli fatto pietà.» «Daniel Pell non ha mai avuto pietà di nessun essere umano in vita sua», replicò O'Neil. «Vai avanti», lo spronò Kathryn, calma. «Be', d'accordo...» Billy deglutì e diventò paonazzo. «Abbiamo fatto un patto. Lui stava per ammazzarmi. Ne ero certo. Gli ho detto che se mi lasciava in vita...» Aveva gli occhi gonfi di lacrime. Era dura guardare in faccia la disperazione, ma Kathryn doveva capire. Capire Pell e capire perché quell'uomo era ancora vivo, mentre altri due, in circostanze simili, erano stati uccisi. «Continua», lo incoraggiò gentilmente. «Gli ho detto che se non mi ammazzava avrei fatto qualunque cosa per lui. Nel senso che gli avrei dato dei soldi, cose così. Lui però voleva che io... be', ha visto la foto di mia moglie e mi ha detto che la trovava carina. Allora mi ha... mi ha chiesto di raccontargli che cosa facevamo insieme. Sapete, le cose intime.» Fissò il pavimento di cemento del garage. «Voleva sapere ogni dettaglio. Voglio dire, tutto quanto.» «C'è altro?» «No, tutto qui. È stato imbarazzante.» «Billy, per favore, dimmelo.» L'uomo abbassò lo sguardo e i suoi occhi si riempirono di lacrime. La mascella gli tremava.
«Come?» Il fattorino fece un respiro profondo. «Ha voluto il mio telefono di casa. E ha detto che ogni tanto, di notte, mi chiamerà. Forse il mese prossimo, o tra sei mesi. Non lo saprò mai. E quando chiamerà, io e mia moglie saremo a letto. E, voi sapete...» Le parole gli rimasero in gola. «Dovrò lasciare la cornetta alzata, in modo che possa sentirci. Pam dovrà dire alcune cose che lui mi ha ordinato.» Kathryn guardò O'Neil che sospirò. «Lo prenderemo prima che possa capitare una cosa del genere.» L'uomo si asciugò il viso. «Stavo per dirgli 'Fottiti, bastardo, piuttosto ammazzami'. Ma non ce l'ho fatta.» «Vai dalla tua famiglia. E andate a stare fuori città per un po'.» «Glielo stavo per dire. Lo farò di sicuro.» Un infermiere lo riportò sull'ambulanza. O'Neil mormorò: «Con chi diavolo abbiamo a che fare?» Kathryn pensava la stessa cosa. «Ecco il cellulare, detective», intervenne un uomo dell'MCSO venendogli incontro. «Era in strada, in un bidone della spazzatura. La batteria era in un altro bidone, dalla parte opposta della via.» «Ottima scoperta», commentò O'Neil. Kathryn chiese a TJ un paio di guanti in lattice, li indossò, poi prese il cellulare e vi infilò la batteria. Lo accese e scorse le ultime chiamate. Pell non ne aveva ricevuta nessuna, ma dal momento dell'evasione ne aveva effettuate cinque. Lo riferì a O'Neil che era di nuovo al telefono con i tecnici. Fecero una ricerca all'indietro. Il primo numero non era attivo e il prefisso inesistente. Dunque Pell non aveva mai chiamato la sua complice per parlare della famiglia di Billy. Era una semplice simulazione per spaventarlo e indurlo a collaborare. La seconda e la terza chiamata erano dirette a un altro numero, che si scoprì essere quello di un cellulare con scheda prepagata. In quel momento era spento, forse distrutto: non si intercettava alcun segnale. Gli ultimi due numeri si rivelarono più utili. Il primo era un 555-1212, un servizio di informazioni abbonati. Il prefisso era quello dello Utah. L'ultimo, quello che forse Pell aveva ottenuto dall'operatore, era quello di un campeggio fuori da Salt Lake City. «Bingo!» esclamò TJ. Kathryn digitò il numero e si presentò. Chiese se una quarantina di mi-
nuti prima avessero ricevuto una chiamata. L'impiegata rispose di sì: un uomo dal Missouri, diretto a ovest, voleva sapere quanto costasse parcheggiare lì un piccolo Winnebago durante la settimana. «E in quel lasso di tempo non avete ricevuto altre chiamate?» «Mia madre e due ospiti che si lamentavano di una cosa o di un'altra. E basta.» «L'uomo ha detto quando sarebbe arrivato?» «No.» Kathryn ringraziò la donna e le disse di avvisarli all'istante nel caso l'individuo avesse richiamato. Comunicò a O'Neil e a TJ le parole dell'impiegata, poi contattò la Utah State Police: conosceva un comandante a Salt Lake City e gli spiegò la situazione. La USP mandò all'istante una squadra di sorveglianza al campeggio. Gli occhi di Kathryn tornarono sul povero fattorino, che aveva ripreso a guardare verso il basso. Le dispiacque per lui: l'uomo non avrebbe mai dimenticato, in tutta la sua vita, l'orrore vissuto quel giorno. Forse avrebbe patito di più per il degradante accordo stretto con Pell che per il rapimento in se stesso. Kathryn pensò a Morton Nagle: Billy era scampato, ma restava comunque una vittima di Daniel Pell. «Devo avvisare Overby di questa storia dello Utah?» chiese TJ. «Vorrà diramare la notizia.» Venne interrotto da una chiamata. «Aspetta», gli disse Kathryn, e rispose. Era l'esperto di computer del carcere di Capitola. Il giovanotto riferì eccitato di essere riuscito a scoprire uno dei siti visitati da Pell. Aveva a che fare con la ricerca di Helter Skelter. «È stato piuttosto furbo», spiegò. «Non credo che gli interessasse la parola in sé. L'ha utilizzata per raggiungere un forum in cui la gente invia messaggi riguardanti crimini e omicidi. Si chiama Manslaughter. È diviso in varie categorie, a seconda del tipo di crimine. Per esempio, il Bundy Effect riguarda i serial killer. Avete presente Ted Bundy, no? 'Helter Skelter' è dedicato agli assassini legati alle sette. Ho trovato un messaggio postato di sabato che credo fosse diretto a lui.» Kathryn disse: «Quindi non ha scritto direttamente nell'URL manslaughter.com, per evitare che, controllando il computer, arrivassimo a quel sito». «Esatto. Ha preferito usare il motore di ricerca.» «Furbo. Puoi scoprire chi ha postato il messaggio?» «Era anonimo. Non c'è alcun modo di risalirvi.»
«E che cosa diceva?» Il giovane lo lesse; era di poche righe. Senza dubbio si riferiva a Pell: dava gli ultimi dettagli della sua fuga. L'autore del messaggio aveva aggiunto al fondo qualcos'altro ma, quando Kathryn lo sentì, scosse il capo. Era privo di senso. «Scusa, puoi ripetere?» L'uomo obbedì. «Okay», fece l'agente. «Ti ringrazio molto. Inoltramene una copia.» Gli lasciò il suo indirizzo e-mail. «Fatemi sapere se posso aiutarvi ancora.» Kathryn riattaccò e restò un attimo in silenzio, riflettendo sul messaggio. O'Neil si accorse che era preoccupata, e non le fece domande per non disturbarla. Kathryn era combattuta. Infine prese una decisione. Chiamò Charles Overby e gli spiegò del campeggio nello Utah. Il capo fu felice della notizia: finalmente aveva qualcosa di concreto da raccontare ai giornalisti. Poi lei si ricordò della conversazione con Eddie Chang riguardo al suo immaginario appuntamento con Pell e richiamò Rey Carraneo, per affidargli un'altra consegna. Non appena il giovane agente sentì la richiesta, rispose perplesso: «Be', d'accordo, agente Dance. Credo di sì». Kathryn non gliene fece una colpa: il compito era a dir poco non ortodosso. In ogni caso, aggiunse: «Molla la zavorra». «Uhm.» Immaginò che non avesse capito. «Datti da fare.» 14 «Ci prendiamo dei sandwich con i sand dabs.» «Okay», fece Jennie. «Ma che cos'è?» «Pesce. Tipo l'acciuga, ma non è salato. Ne prendiamo un po'. Per me vanno bene due. Tu?» «Me ne basta uno, tesoro.» «Mettici sopra l'aceto. Ce l'hanno sui tavoli.» Jennie e Pell si trovavano a Moss Landing, a nord di Monterey. Dal lato della terraferma, svettavano le due enormi ciminiere gemelle della centrale nucleare di Duke Power. Dall'altra parte dell'autostrada si estendeva una stretta lingua di terra, un'isola in realtà, accessibile soltanto tramite un pon-
te. Su quella striscia sabbiosa sorgevano stabilimenti marittimi, la banchina e la bizzarra ed enorme struttura in cui sedevano Daniel e Jennie: Jack's Seafood. Era da settantacinque anni che quel locale era sulla cresta dell'onda. John Steinbeck, Joseph Campbell, Henry Miller e Flora Woods, la donna più famosa di Monterey, avevano trascorso parecchio tempo seduti a quei tavoli macchiati e scalcinati, ridendo e bevendo fino all'ora di chiusura e a volte anche oltre. Ora il Jack's era diventato nel contempo uno stabilimento per la lavorazione del pesce, una pescheria e un grosso ristorante. Non era intriso della stessa atmosfera imprevedibile e bohémienne degli anni Quaranta e Cinquanta, ma in compenso gli avevano dedicato un servizio speciale su Food Channel. Pell si ricordava di quel posto da quando lui e seguaci vivevano poco lontano, a Seaside. La Famiglia non usciva spesso a mangiare fuori, ma lui mandava Jimmy o Linda a comprare sandwich ai sand dabs, patatine fritte e insalata di cavolo. Adorava quel cibo, e fu davvero felice che il ristorante non avesse chiuso. Doveva occuparsi di alcune faccende nella zona, ma non poteva farlo subito: aveva da organizzare un po' di cose e raccogliere informazioni. Intanto era digiuno ed era meglio approfittare dell'occasione. La polizia non era alla ricerca di una felice coppia di turisti, soprattutto in quel luogo. Secondo i notiziari radiofonici, dovevano essere in viaggio per lo Utah, a circa metà strada: l'aveva annunciato un coglione che rispondeva al nome pomposo di Charles Overby. Il Jack's disponeva di una terrazza con vista sulle barche da pesca e sulla baia, tuttavia Daniel voleva restare all'interno, per tenere d'occhio la porta. Si sedette a tavola, evitando accuratamente di sistemarsi l'automatica che gli premeva alla cintola. Jennie gli si mise accanto, sfregò il ginocchio contro il suo. Pell sorseggiava tè ghiacciato. Lanciò un'occhiata alla donna, notò che stava osservando un nastro trasportatore su cui giravano enormi fette di torta. «Dopo il sandwich prendi un dolce?» «No, caro. Non mi sembrano granché.» «Dici?» Nemmeno a lui sembravano granché; Pell non impazziva per i dolci. Ma quelle fette di torta erano dannatamente grosse. A Capitola, un pezzo così lo barattavi con un pacchetto di sigarette. «C'è solo zucchero, farina e aromi vari, sciroppo di granturco e cioccola-
to da quattro soldi. Sembrano buone e saranno anche dolci, però non sanno di niente.» «Per le vostre ditte di ristorazione fate anche queste?» «No, no, niente del genere.» Jennie parlava animatamente, indicando con un cenno le torte. «La gente mangia un sacco di roba così perché non la soddisfa e ne vuole sempre di più. Invece i dolci al cioccolato che faccio io non hanno farina. Solo cioccolato, zucchero, nocciole, vaniglia e tuorli d'uovo. Poi ricopro la torta di gelatina di lamponi. Te ne bastano due morsi e sei subito un uomo felice.» «Sembra molto buona.» Pell la trovava nauseante. Ma lei gli stava parlando di sé, e la gente va sempre incoraggiata quando lo fa. Lascia che si ubriachino, poi falli parlare. La conoscenza è un'arma più potente di un coltello. «È di questo che ti occupi, soprattutto? Lavori per le pasticcerie?» «Be', le pasticcerie sono le mie preferite, perché ho più controllo. Faccio tutto da sola. Per le ditte, c'è altra gente che prepara parte dei piatti.» Controllo, pensò Pell. Interessante. E archiviò l'informazione. «Poi qualche volta ho servito. Quando servi ti danno la mancia.» «Immagino che tu ne riceverai di ottime.» «Sì, in effetti. Dipende.» «E ti piace?... Perché ridi?» «È che... non ricordo l'ultima volta che qualcuno... voglio dire un mio ragazzo, mi ha chiesto se mi piace il mio lavoro... Comunque sì, certo, servire è divertente. E a volte faccio finta che non sto servendo. Fingo che quella sia la mia festa, con i miei amici e la mia famiglia.» Fuori dalla finestra un gabbiano affamato si librò su un paletto, poi atterrò goffamente, in cerca di avanzi. Pell non se li ricordava così grossi. Jennie continuò: «È come quando cucino una torta... intendo una torta nuziale. A volte credo che siano queste piccole cose a renderci felici. Prepari una delle tue torte migliori e alla gente piace. Oh, non dura per sempre. Ma che cosa su questa terra può renderti felice per sempre?» Ottima osservazione. «Non mangerò mai altre torte, se non le tue.» Lei rise. «Oh, non credo che lo farai sul serio, tesorino. Ma sono felice che l'hai detto. Grazie.» Quelle poche parole l'avevano fatta apparire matura. Cioè, con la situazione sotto controllo. Pell si mise sulla difensiva. Così non gli piaceva. Cambiò discorso. «Be', spero che il sandwich ti piaccia. Io ne vado matto. Vuoi altro tè freddo?» «No, per ora sono a posto. Vieni solo più vicino. Non voglio altro.»
«Diamo un'occhiata alle carte.» Jennie le tirò fuori dalla borsetta. Ne aprì una e Pell la esaminò. Si accorse che in otto anni l'aspetto della penisola era cambiato. Fece una pausa, consapevole di provare una strana sensazione. Non riusciva bene a descriverla, oltre al fatto che era qualcosa di molto positivo. Poi capì. Era libero. La prigionia, otto anni sotto il controllo altrui, era finita, e ora poteva riprendere a fare la propria vita. Dopo aver portato a termine la sua missione laggiù, sarebbe partito in cerca di fortuna e avrebbe creato una nuova Famiglia. Pell si guardò intorno, osservando gli altri clienti del ristorante. In particolare notò una ragazzina, due tavoli più in là, i cui genitori erano curvi in silenzio sui piatti, come se per loro conversare fosse una tortura. Non sarebbe stato difficile convincere la ragazza grassottella a distaccarsi da casa sua, dopo averla incontrata tutta sola in un centro commerciale o in uno Starbucks. Ci avrebbe messo al massimo due giorni a farle capire che nel furgone con lui sarebbe stata al sicuro. C'era anche quel giovanotto seduto al bancone, a cui non avevano servito la birra perché «aveva dimenticato» la carta d'identità. Era pieno di stupidi tatuaggi che forse rimpiangeva di aver fatto, indossava abiti trasandati e mangiava minestra, segno inequivocabile che non aveva molti soldi. Aveva gli occhi appiccicati su ogni ragazza dai sedici anni in su. Pell sapeva che arruolare il ragazzo sarebbe stata questione di poche ore. Notò una giovane madre, single, se l'anulare spoglio non mentiva. Era abbandonata sulla sedia, con l'aria depressa. Problemi di uomini, ovvio. Quasi non si accorgeva del bambino nel passeggino accanto a lei. Non lo guardò nemmeno una volta. E che se non si mettesse a piangere: avrebbe perso subito la pazienza. La postura da perdente e gli occhi colmi di risentimento celavano una storia che Pell non era interessato a scoprire. L'unica fonte di interesse era il fragile legame che aveva nei confronti del figlio. Sapeva che, una volta convinta la madre a seguirlo, non sarebbe stato molto difficile separarla dal bambino, e Pell sarebbe diventato padre all'istante. Ripensò alla storia che gli aveva letto sua zia Barbara, quando aveva vissuto presso di lei a Bakersfield: Il Pifferaio Magico. Nel Medioevo, il Pifferaio Magico aveva liberato un paesino della Germania da un'invasione di topi, ma gli abitanti si erano rifiutati di pagarlo. Allora lui aveva fatto sparire tutti i bambini, che si erano allontanati danzando al suono della sua musica. Il piccolo Daniel era rimasto molto colpito da quella storia e non se l'era mai dimenticata. Quand'era diventato adulto, si era informato
sull'episodio. La realtà era diversa da come l'avevano raccontata i fratelli Grimm o da come la dipingeva la tradizione. Forse non c'entravano né topi né conti da saldare; si trattava semplicemente di un gruppo di bambini che era svanito da Hamelin e non era mai più stato trovato. La scomparsa, unita all'indifferenza dei genitori, o almeno così era stato detto, erano rimaste avvolte nel mistero. Una spiegazione era che i ragazzini, affetti dalla peste o da una malattia che induceva spasmi simili alla danza, fossero stati condotti a morire fuori città perché gli adulti temevano il contagio. Un'altra versione diceva che il Pifferaio Magico aveva organizzato un pellegrinaggio religioso per i bambini, i quali morirono lungo la strada per calamità naturali o perché erano capitati in mezzo a una battaglia. C'era ancora un'altra teoria, che Pell preferiva, secondo la quale i bambini avevano abbandonato i genitori di loro spontanea volontà per seguire il Pifferaio nell'Europa dell'Est, e lì avessero fondato una comunità, di cui l'uomo era il capo assoluto. Daniel era innamorato dell'idea che esistesse una persona in grado di trascinare dozzine, secondo alcuni centinaia, di giovani lontano dalle famiglie per diventare la loro nuova figura paterna. Si chiedeva che tipo di talento avesse quel pifferaio, se lo possedeva dalla nascita o se l'aveva perfezionato con il tempo. Sopraggiunse la cameriera con il cibo, riscuotendolo dalle fantasticherie. Lo sguardo di Pell vagò prima sul suo seno, poi sulle portate. «Sembra delizioso, tesorino», fece Jennie, osservando il piatto. Lui le porse una bottiglia. «Qui c'è l'aceto di malto. Mettilo sopra. Cospargilo bene.» «Okay.» Pell diede un altro sguardo al locale: la ragazzina imbronciata, il giovanotto nervoso, la madre distante... Certo, adesso non avrebbe fatto la posta a nessuno. Era semplicemente estasiato dinanzi alle molteplici opportunità che gli si profilavano dinanzi. Dopo essersi stabilizzato, nel giro di un mese o giù di lì, allora avrebbe ripreso la caccia nei centri commerciali, da Starbucks, al parco, nei cortili scolastici e alle università, da McDonald's... Il Pifferaio Magico della California... Daniel Pell si concentrò sul pasto e cominciò a mangiare. Le auto correvano verso nord sulla Highway 1. Michael O'Neil era al volante della sua Ford civetta dell'MCSO con Kathryn al fianco. Dietro c'era TJ sulla Taurus del CBI, seguita da due vo-
lanti della polizia di Monterey. Anche la CHP partecipava con parecchie autopattuglie, e la città vicina, Watsonville, ne aveva inviata una diretta a sud. O'Neil teneva i centotrenta. Sarebbe andato anche più veloce, ma c'era molto traffico (alcuni tratti di strada avevano solo due corsie). Avevano acceso solo le luci, evitando le sirene. In quel momento si trovavano lungo la strada in cui pensavano che Pell e la sua complice bionda stavano, nonostante la situazione, consumando un lauto pranzetto. Kathryn non era molto convinta sul fatto che il criminale fosse diretto nello Utah. L'intuito le suggeriva che, come il Messico, si trattava di una falsa pista, specie dopo che Rebecca e Linda le avevano detto che Pell non aveva mai menzionato lo Stato dei mormoni. Inoltre avevano rinvenuto il cellulare opportunamente gettato nei pressi dell'auto del fattorino. E, soprattutto, l'autista del furgone non era stato ucciso, cosicché riferisse alla polizia del cellulare e di aver sentito Pell fare una chiamata. Il gioco sessuale messo in atto con Billy era una semplice scusa per non ammazzarlo. Kathryn si stupì infatti che un evaso, per quanto perverso, perdesse tempo a farsi raccontare dettagli pornografici. Poi aveva parlato con l'esperto di computer di Capitola, che le aveva letto il messaggio postato dal complice sul forum di Manslaughter, sotto la categoria «Helter Skelter». Il pacco sarà li alle nove e venti. Il furgone del WWE passerà da San Benito alle nove e cinquanta. Nastro arancione sul pino. Ci vediamo davanti al verduriere che sappiamo. Quella era la prima parte del messaggio, la conferma del piano di fuga. Ciò che aveva sorpreso di più Kathryn, comunque, era la frase finale. La stanza è pronta e ho controllato i posti intorno a Monterey che volevi. Il tuo amore Il che voleva dire, in mezzo allo stupore generale, che forse Pell sarebbe andato a stare nei dintorni. A Kathryn e a O'Neil non sembrava un'idea molto logica. Pura follia. Ma, se doveva essere così, lei aveva deciso di farlo sentire il più possibile
a suo agio affinché uscisse allo scoperto. Allora si era comportata come non avrebbe mai fatto altrimenti: si era servita di Charles Overby, sapendo che, non appena gli avrebbe detto dello Utah, lui avrebbe subito avvisato la stampa e annunciato che le ricerche erano concentrate sulle strade dirette a sud. Il che avrebbe fatto sentire l'evaso al sicuro e avrebbe aumentato le possibilità di una sua comparsa pubblica. Ma dove? Sperava di trovare la risposta attraverso le conversazioni con Eddie Chang, tentando di dare un senso alle preferenze espresse da Pell, ai suoi interessi e desideri. Chang diceva che erano per lo più incentrati sul sesso, il che poteva significare che sarebbe andato in cerca di massaggiatrici, case di appuntamento o escort service, anche se sulla penisola non ce n'erano molti. Però c'era la sua complice, e forse avrebbe pensato lei a soddisfarlo sotto quel punto di vista. «C'è altro?» aveva chiesto a Chang. «Oh, mi è venuta in mente una cosa. Il cibo.» Sembrava che Daniel Pell avesse un debole per il pesce, in particolare per i sand dabs. In diverse occasioni aveva dichiarato che sulla Central Coast c'erano solo quattro o cinque ristoranti in grado di cucinarli bene. Ed era piuttosto intransigente su come andassero preparati. Kathryn aveva segnato i nomi dei ristoranti che Chang si ricordava. Tre avevano chiuso mentre Pell era in carcere, però altri due erano ancora aperti. Si trattava del Fisherman's Wharf a Monterey e di un altro locale a Moss Landing. Era questo il compito non ortodosso che l'agente aveva assegnato a Carraneo: chiamare quei due ristoranti oltre ad altri sulla Central Coast che proponevano un menù simile e informarli dell'eventuale presenza del criminale in compagnia di una donna bionda e magra. Era una bella pista, anche se Kathryn non aveva molte speranze di esserne ripagata. Ma Carraneo aveva appena parlato con il padrone del Jack's Seafood, il locale di punta sulla costa di Moss Landing. In quel momento c'era una coppia che gli sembrava si comportasse in modo sospetto: mentre la maggior parte dei clienti stava sulla terrazza, i due erano seduti all'interno, in una posizione da cui si poteva vedere la porta d'ingresso. E l'uomo non smetteva di scrutarla. Era ben rasato, portava occhiali da sole e un cappellino e non si poteva dire se si trattasse veramente di Pell. La donna sembrava bionda, anche se indossava anche lei un cappellino e un paio di occhiali scuri. Eppure la loro età corrispondeva. Kathryn aveva richiamato di persona il padrone del locale, gli aveva
chiesto se era in grado di scoprire con che macchina erano arrivati. L'uomo non ne aveva idea. Ma il cortile non era affollato, così uno degli aiutocamerieri era uscito e le aveva riferito, in spagnolo, i numeri di targa di tutte le auto parcheggiate. Un rapido controllo alla motorizzazione aveva rivelato che una di queste, una Thunderbird azzurra, era stata rubata proprio il venerdì precedente, anche se, strano a dirsi, non nella zona ma a Los Angeles. Forse si trattava di un falso allarme. In ogni caso Kathryn aveva deciso di raggiungere il posto; al massimo avrebbero arrestato un ladro d'automobili. Dopo aver avvisato O'Neil, aveva detto al padrone: «Saremo lì il più presto possibile. Non faccia nulla. Li ignori e si comporti normalmente». «Comportarmi normalmente...» fece l'uomo con la voce che gli tremava. «Okay, d'accordo.» Kathryn Dance si stava già prefigurando il suo prossimo interrogatorio a Pell quando sarebbe tornato sotto custodia. La prima domanda di cui era ansiosa di conoscere la risposta era perché fosse rimasto in zona. Dopo aver attraversato Sand City, una passeggiata piena di negozi sulla Highway 1, il traffico diminuì e O'Neil premette a fondo l'acceleratore. Sarebbero stati al ristorante nel giro di dieci minuti. 15 «Dimmi se non è la cosa più buona che hai mai mangiato.» «Sì, sono buoni, tesoro... sandwich ai sandy dabs.» «Sand dabs», la corresse Pell. Stava pensando di ordinarne un terzo. «Quindi, quello era il mio ex», continuò lei. «Non l'ho più sentito né ho avuto sue notizie. Grazie a Dio.» Gli aveva appena raccontato del marito, un ometto imbranato che faceva il contabile e l'uomo d'affari. E che, incredibile, l'aveva mandata due volte all'ospedale per lesioni interne e una volta con il braccio rotto. Le urlava contro se le lenzuola non erano stirate, se non era rimasta incinta dopo un mese e se i Lakers perdevano la partita. Le diceva che aveva le tette di un ragazzino e che era per quello che non gli veniva duro. E dichiarava davanti agli amici che sarebbe stata carina con il naso rifatto. Un tipo meschino, pensò Pell, in grado di controllare tutto, a parte se stesso. Poi ascoltò gli ultimi sviluppi della soap opera: gli uomini frequentati dopo il divorzio. Come il marito, sembravano i classici bastardi. Ma non
alla sua altezza, pensò. Uno era un ladruncolo che stava a Laguna, tra Los Angeles e San Diego, e viveva di piccole truffe. Uno era uno spacciatore. Uno un biker. Un altro soltanto un coglione. Pell aveva avuto la sua dose di terapia. Per la maggior parte era stata inutile, ma a volte poteva capitare che uno strizzacervelli se ne venisse fuori con qualche buona intuizione e lui la teneva in conto. Non tanto per la propria salute mentale, ovvio, quanto perché sarebbe stata un'ottima arma da utilizzare contro la gente. Dunque, perché Jennie era attratta dai bastardi? Per lui era chiaro: rappresentavano sua madre. Inconsciamente li andava a cercare nella speranza che cambiassero e, anziché sfruttarla o ignorarla, si innamorassero di lei. Tutto questo tornava molto utile a Daniel, anche se avrebbe dovuto dirle: In ogni caso, tesoro, lascia perdere. Noi non cambiamo. Non cambieremo mai. Scrivitelo da qualche parte e mettitelo in testa. Ovviamente, invece, si tenne queste sagge parole tutte per sé. «Tesoro?» Lei aveva smesso di mangiare. «Uhm?» «Posso chiederti una cosa?» «Certo, cara.» «Non mi hai mai detto niente di quelle ragazze, sai, quelle che vivevano con te quando ti hanno arrestato. La Famiglia.» «Mi pare di no.» «Sei rimasto in contatto con loro e tutto il resto? Come si chiamavano?» «Samantha, Rebecca e Linda», rispose lui. «E anche Jimmy... quello che ha tentato di uccidermi.» Jenny gli lanciò un'occhiata. «Non te lo dovevo chiedere, vero?» «No, tranquilla. Puoi chiedermi qualunque cosa.» Mai dire a qualcuno di non parlare di un certo argomento. Sorridi e cerca di trarne più informazioni che puoi. «Quelle donne... ti hanno consegnato alla polizia?» «Non proprio. Non sapevano neppure che andavamo dai Croyton, io e Jimmy. Ma, una volta che sono stato arrestato, non hanno fatto niente per aiutarmi. Okay, Linda ha bruciato alcune prove e ha mentito alla polizia. Alla fine però anche lei è crollata e ha collaborato.» Rise sarcastico. «Guarda, con tutto quello che ho fatto per loro! Gli ho dato un tetto. I loro genitori non hanno mai fatto un cazzo. E io gli ho dato una famiglia.» «Ti sei agitato? Non volevo.» «No.» Pell sorrise. «È tutto a posto, tesoro.»
«Pensi ancora spesso a loro?» Ah, allora era così. Era tutta la vita che Pell si sforzava di cogliere il significato nascosto di quello che diceva la gente. E solo adesso si era accorto che Jennie era gelosa. Era un sentimento meschino, facile da celare, ma era anche uno dei motori dell'universo. «No. Sono anni che non so più nulla di loro. Per un po' ho scritto a tutte e tre, e Linda era l'unica a rispondermi. Poi mi ha fatto sapere che secondo il suo avvocato comprometteva la sua libertà condizionata e ha smesso. Ci sono stato male, per la verità.» «Mi dispiace, tesoro.» «Per quel che ne so, quelle possono essere morte o felicemente sposate. All'inizio mi sono incazzato, ma ho capito che avevo sbagliato... Le avevo scelte male. Non come con te. Tu sei adatta a me, loro non lo erano.» Jennie portò la sua mano alla bocca e gli baciò le dita, una dopo l'altra. Pell riprese a esaminare la carta. Amava le carte. Quando ti perdi, sei indifeso, privo di controllo. Si ricordava di come una cartina, anzi, la sua mancanza, avesse giocato un ruolo fondamentale nella storia di quella zona della California dove si trovavano ora, cioè Monterey Bay. Anni prima, la Famiglia era seduta in cerchio dopo pranzo e Linda leggeva a voce alta. Pell sceglieva spesso libri di autori locali o ambientati nei dintorni; se ne ricordava uno sulla storia di Monterey. La baia era stata scoperta dagli spagnoli agli inizi del Seicento. La Bahia de Monte Rey, battezzata così da un ricco mecenate che aveva finanziato la spedizione, era considerata una terra fertile, un porto perfetto e un punto strategico, e il governatore intendeva dunque edificarvi una grande colonia. Purtroppo, quando gli esploratori se ne andarono sulle loro navi, persero di vista la baia. Numerose altre spedizioni tentarono di localizzarla, senza successo. Con il passare degli anni, Monterey Bay diventò un luogo mitico. Da San Diego partì un grosso contingente e puntò a nord, via terra, determinato a individuare la baia. I conquistadores setacciarono lo Stato da San Francisco in su, esponendosi a calamità naturali e ai grizzly, ma nemmeno loro riuscirono a individuare l'enorme baia. Semplicemente perché non avevano una carta dettagliata. A Capitola, quando Pell era riuscito a connettersi alla rete, si era entusiasmato scoprendo Visual Earth, un sito che permetteva di cliccare su una mappa e vedere una vera immagine via satellite del luogo che ti interessava. Era rimasto stupefatto. Aveva dovuto occuparsi di alcune cose importanti e non aveva avuto tempo di navigare. Attendeva con impazienza il
momento in cui la sua vita si sarebbe stabilizzata e avrebbe potuto passare ore su quel sito. Ora Jennie gli stava indicando alcune località sulla carta aperta davanti a loro e Pell stava immagazzinando le informazioni. Ma, come sempre, prestava anche attenzione a tutto quello che succedeva intorno a lui. «È un bravo cucciolo, ha soltanto bisogno di un altro po' di addestramento.» «C'è parecchio da guidare, ma, se ce la prendiamo con calma, ci divertiamo. Non trovi?» «Ho ordinato dieci minuti fa. Può controllare come mai ci vuole così tanto?» Dopo quest'ultimo commento, Pell alzò gli occhi verso il bancone. «Mi scusi», disse l'uomo alla cassa, sulla cinquantina, rivolto a un cliente. «Oggi siamo a corto di personale.» L'individuo, che poteva essere il titolare del locale o il responsabile, era a disagio e guardava ovunque, eccetto Pell e Jennie. La gente furba si accorge del perché sei cambiato e lo usa contro di te. Quando Daniel aveva ordinato da mangiare, c'erano tre o quattro cameriere che facevano la spola avanti e indietro tra i tavoli e la cucina. Ora c'era solo quell'uomo che lavorava: evidentemente aveva detto ai dipendenti di mettersi al riparo. Pell balzò in piedi, rovesciando il tavolino. Jennie fece cadere la forchetta e si alzò di scatto. Il padrone li fissava, allarmato. «Tu, figlio di puttana», mormorò Pell, ed estrasse la pistola dalla cintola. Jennie urlò. «No, no... io...» L'uomo esitò un istante poi corse in cucina, abbandonando i clienti che gridavano e si gettavano a terra. «Che cosa succede, tesoro?» chiese Jennie, terrorizzata. «Andiamo. In macchina.» Afferrò la carta e fuggirono. Fuori, in lontananza, verso sud, scorse alcune luci intermittenti. Jennie si bloccò, spaventata, sussurrando: «Il canto degli angeli, il canto degli angeli...» «Sbrigati!» Balzarono in auto. Pell fece rapidamente retromarcia, quindi ingranò la marcia e partì a tutta velocità, diretto verso l'Highway 1, oltre il ponticello. Quando passarono sulla pavimentazione sconnessa dall'altro lato della struttura, per poco Jennie non scivolò giù dal sedile. Giunto sull'autostrada, Pell svoltò a nord, fece un centinaio di metri e inchiodò a uno stop. Dalla
direzione opposta arrivava un'altra auto della polizia. Pell guardò a destra e schiacciò l'acceleratore a tavoletta, dirigendosi dritto contro il cancello della centrale nucleare. Si trattava di un'enorme e orribile struttura che non aveva nulla a che vedere con i dintorni da cartolina delle vacanze, ma ricordava piuttosto le raffinerie di Gary, Indiana. Kathryn e O'Neil erano a non più di cinque minuti da Moss Landing. Lei aveva le dita strette intorno al calcio della Glock, che teneva appesa al fianco destro. Non l'aveva mai usata in servizio e non era una gran tiratrice. Sparare non le veniva naturale. Inoltre, con i bambini per casa, la presenza di un'arma la faceva sentire a disagio, tanto che la teneva chiusa in una cassaforte accanto al letto, di cui solo lei conosceva la combinazione. Invece Michael O'Neil era un tiratore scelto, così pure TJ. Era lieta di trovarsi assieme a loro. Si chiese se sarebbero arrivati a una sparatoria. Non lo sapeva, ovvio, però sapeva che avrebbe fatto qualunque cosa per fermare l'assassino. Ora la Ford strideva lungo la curva e poi sulla collina. Non appena furono dall'altra parte O'Neil mormorò: «Oh, dannazione...» Frenò. «Tenetevi forte!» Kathryn ansimò e si afferrò al cruscotto, mentre l'auto inchiodava violentemente a un metro e mezzo da un semirimorchio fermo in mezzo alla strada. L'autostrada era completamente bloccata fino a Moss Landing. Le corsie opposte scorrevano, sia pure lentamente. Parecchi chilometri più avanti, Kathryn riconobbe i lampeggianti e capì che gli agenti stavano facendo tornare indietro i veicoli. Un posto di blocco? Il detective chiamò con la sua radio Motorola la centrale di Monterey County. «Qui O'Neil.» «Proceda, signore.» «Siamo sulla 1, in direzione nord, poco prima di Moss Landing. Il traffico è fermo. Che succede?» «Vero. Fate attenzione. C'è... stanno evacuando Duke Power. Un incendio, roba del genere. Piuttosto grave. Ci sono stati parecchi feriti e due vittime.» Oh, no! pensò Kathryn, sospirando. Basta morti. «Un incendio?» chiese O'Neil. «Proprio come quello provocato da Pell al palazzo di Giustizia.» Kathryn strizzò gli occhi per vedere meglio. Scorse una colonna di fumo
nerastro. I progettisti della sicurezza avevano preso serie precauzioni per evitare i rischi di un'esplosione nella zona. Parecchi anni prima era divampato un grosso incendio provocato da un serbatoio di petrolio abbandonato all'interno della centrale (oggi la struttura funziona a gas, non a petrolio, e i rischi sono minori). In ogni caso, avevano ritenuto importante bloccare la Highway 1 in entrambe le direzioni e cominciare a evacuare la zona. O'Neil disse seccamente: «Riferite alla California Highway Patrol, ai vigili del fuoco di Monterey o a chiunque altro stia gestendo la faccenda di aprirci un varco. Dobbiamo passare. Stiamo inseguendo un evaso». «Ricevuto, detective... Attenda...» Un minuto di silenzio. Poi: «Mi ascolti. Ho appena sentito i vigili del fuoco di Watsonville. Non capisco... D'accordo, la centrale non sta bruciando. L'incendio è circoscritto a un'auto davanti al cancello principale. Non so chi ha chiamato il 911. Pare non ci sia nessun ferito. Si tratta di una falsa segnalazione... Inoltre abbiamo ricevuto alcune chiamate dal Jack's. Il sospetto ha minacciato tutti con la pistola e si è dato alla fuga». «Dannazione, ci ha fregato», mormorò O'Neil. Kathryn prese il microfono. «Ricevuto. Ci sono poliziotti sul posto?» «Un istante... Affermativo. C'è un agente di Watsonville. Gli altri sono vigili del fuoco e addetti al soccorso.» «Un solo agente», fece Kathryn, torva, scuotendo la testa. «Ditegli che Pell è lì da qualche parte, nei dintorni. Ed è armato, pronto a sparare ad agenti e civili.» «Ricevuto. Riferisco.» Kathryn si chiese come se la potesse cavare un unico agente; i più gravi crimini commessi a Moss Landing erano guida in stato di ebbrezza o furti d'auto e di barche. «Hai sentito la storia, TJ?» «Merda», gracchiò questi all'apparecchio. TJ se ne infischiava delle procedure. O'Neil sbatté via il microfono con rabbia. La richiesta di passare attraverso il traffico non stava avendo alcun esito. Kathryn disse: «Cerchiamo di farci largo comunque. Pazienza se poi dobbiamo portare la macchina in carrozzeria». O'Neil annuì. Accese la sirena e imboccò la corsia laterale di emergenza. Attraversò la sabbia, le rocce e diversi punti difficilmente transitabili. Poi la coda cominciò a muoversi, lentamente.
16 Quando furono a Moss Landing, di Daniel Pell e fidanzata non c'era più traccia. Kathryn e O'Neil parcheggiarono. Un attimo dopo accostava anche TJ, accanto alla Thunderbird bruciata, ancora fumante. «L'auto di Pell», indicò la donna. «Quella rubata venerdì a Los Angeles.» Disse a TJ di rintracciare il padrone del Jack's Seafood. Il poliziotto di Watsonville, O'Neil e altri agenti andarono in cerca di testimoni. Molti dovevano essere fuggiti, spaventati dalla Thunderbird in fiamme e dall'assordante sirena della centrale... forse credendo che stesse bruciando un reattore nucleare. Kathryn interrogò alcune persone vicino alla centrale: riferirono che un individuo rispondente alla descrizione e una bionda al volante di una Thunderbird azzurra avevano attraversato a tutta velocità il ponte accanto al Jack's Seafood, per poi inchiodare violentemente davanti alla centrale. Erano scesi dall'auto poco prima che venisse avvolta dalle fiamme. Un passante li aveva visti correre sulla strada dall'altra parte della spiaggia, ma nessuno sapeva che cosa ne era stato di loro. Probabilmente lo stesso Pell aveva provveduto a chiamare il 911, segnalando che la centrale stava andando a fuoco e che c'erano alcuni feriti e due morti. Kathryn si guardò intorno. Pell e la complice avevano bisogno di un'altra macchina, non potevano essere scappati da lì a piedi. L'agente osservò la baia: con l'ingorgo sulla 1, avrebbe avuto più senso rubare una barca. Radunò vari poliziotti del luogo, attraversò l'autostrada di corsa e passò un angosciante quarto d'ora a parlare con la gente sulla spiaggia per capire se Pell si fosse impossessato di una barca. Nessuno aveva visto la coppia, e non mancava alcuna imbarcazione. Tempo sprecato. Tornarono sull'autostrada. Kathryn notò un negozio dall'altra parte della centrale, una baracca che vendeva dolci e souvenir. Sulla porta c'era un cartello con scritto CHIUSO, ma le era parso di vedere un viso di donna che guardava fuori. Che Pell fosse lì dentro con lei? Fece un cenno a un vicesceriffo, gli spiegò il suo sospetto e si diressero insieme verso la baracca. Kathryn bussò. Nessuna risposta. Bussò un'altra volta e la porta si aprì lentamente. Un donnone dai capelli corti e ricci guardò allarmata le loro mani posate sulle pistole e ansimò:
«Sì?» «Le spiace uscire?» fece Kathryn, fissando l'interno in penombra. «Uhm, certo.» «C'è qualcun altro dentro?» «No. Che cosa?...» Il vicesceriffo entrò dietro di lei e accese le luci. Kathryn lo seguì. Dopo una breve ricerca constatarono che la baracca era vuota. Kathryn tornò dalla donna. «Scusi il disturbo.» «Di nulla. Quello che è successo è spaventoso. Li avete presi?» «Li stiamo ancora cercando. Ha visto quel che è accaduto?» «No. Ero dentro. Quando ho guardato fuori c'era la macchina che bruciava. Ho pensato subito all'incidente del serbatoio di qualche anno fa. Una brutta cosa. Eravate qui per quello?» «Effettivamente... Si vedeva da Carmel.» «Sapevamo che il serbatoio era vuoto, o quasi. Ma eravamo tutti in tilt. E quei cavi elettrici! L'elettricità fa sempre paura.» «Per questo ha chiuso?» «Già. Avevo intenzione di andarmene al più presto, comunque. Non sapevo per quanto tempo l'autostrada sarebbe rimasta chiusa. Non ci sono molti turisti interessati a comprare dolci tipici con una centrale in fiamme dall'altra parte dell'autostrada.» «Immagino. Mi piacerebbe sapere perché ci ha chiesto se li abbiamo presi.» «Oh, un criminale come quello? Spero che venga arrestato il più presto possibile.» «Ma lei ha detto li. Come faceva a sapere che non era da solo?» Una pausa. «Io...» Kathryn le sorrise, ma i suoi occhi erano imperturbabili. «Ha detto di non aver visto nulla. Di aver guardato fuori solo dopo aver sentito la sirena.» «Credo di averne parlato con qualcuno. Fuori.» Credo... Una tipica espressione di diniego. Inconsciamente alla donna sembrava di dare un'opinione, non di raccontare una menzogna. «Chi gliel'ha detto?» «Non li conoscevo.» «Un uomo o una donna?» Un'altra esitazione. «Una ragazza, una donna. Non della zona.» Girava
la testa dall'altra parte e si grattava il naso, un indicatore di avversionenegazione. «Dov'è la sua auto?» chiese Kathryn. «La mia...» Nell'analisi cinesica gli occhi hanno un ruolo ambiguo. C'è una credenza diffusa tra molti agenti: se si fissa un sospetto e questi guarda alla sua sinistra, è segno di menzogna. Kathryn sapeva che si trattava soltanto di una leggenda: era troppo difficile controllare i movimenti oculari, che dunque non avevano una correlazione diretta con la menzogna. Ce l'avevano, invece, gli spostamenti del volto e del corpo in direzione opposta all'interlocutore. Ma gli occhi erano ugualmente rivelatori. Mentre Kathryn parlava, si era accorta che la donna fissava una particolare zona del parcheggio. Ogni volta che lo faceva, comparivano indicatori generici di stress: spostava il peso da un piede all'altro, intrecciava le dita. Kathryn capì. Pell le aveva rubato la macchina dicendole che, se avesse parlato, lui o la sua infame complice avrebbero ammazzato la sua famiglia. Proprio come con il fattorino della Worldwide Express. Sospirò, tormentata. Se la donna si fosse fatta avanti al momento del loro arrivo, forse sarebbero riusciti ad acciuffare l'evaso. O se non avessero creduto ciecamente al cartello con la scritta CHIUSO e avessero bussato subito, si disse con amarezza... «Io...» la donna scoppiò a piangere. «Capisco. Faremo in modo di mettervi al sicuro. Che tipo di auto aveva?» «Una Ford Focus blu scuro. Di tre anni. Con un adesivo sul paraurti contro il buco dell'ozono. E un'ammaccatura sul...» «Dove erano diretti?» «A nord.» Kathryn si segnò il numero di targa e chiamò O'Neil, che a sua volta avvisò l'MCSO perché allertasse tutte le unità per rintracciare la macchina. La commessa si organizzò per andare a stare da un'amica fino alla cattura di Pell. Intanto Kathryn fissava con rabbia la nube di fumo che aleggiava nell'aria attorno alla Thunderbird. Era riuscita a compiere un'ottima inferenza basandosi sulle informazioni fornite da Eddie Chang. Avevano messo a punto un solido piano per l'arresto, ma si era rivelato un fallimento. TJ la raggiunse in compagnia del proprietario del Jack's Seafood, che le
espose la sua versione degli eventi, omettendo chiaramente alcuni fatti, per esempio l'aver inavvertitamente rivelato a Pell l'arrivo della polizia. Kathryn non gliele fece una colpa. Ricordava come si era comportato Pell durante l'interrogatorio e come aveva agito quel giorno. Il padrone descrisse la donna. Era una ragazza magra, forse sui venticinque anni, carina e con un viso da topo che aveva fissato adorante l'uomo per gran parte del pasto. In principio aveva pensato che i due fossero in luna di miele perché lei non smetteva di mettergli le mani addosso. Avevano studiato con attenzione una carta per quasi tutto il pranzo. «Di che posto?» «Di qui, Monterey County.» Michael O'Neil li raggiunse, chiudendo il cellulare. «Nessuna traccia della Focus», dichiarò. «Potrebbe essersi nascosta in mezzo al traffico durante l'evacuazione. Dannazione! Potrebbe aver svoltato verso sud ed essersi allontanata dietro di noi.» Kathryn chiamò Carraneo. Il giovane sembrava stanco. Aveva avuto una giornata dura e ancora non era finita. «Scopri tutto quello che puoi sulla Thunderbird. E chiama pensioni e motel da Watsonville a Big Sur. Verifica se una bionda si è registrata e se ha segnato una Thunderbird sul modulo. O se qualcuno ha notato un'auto del genere. Se è stata rubata venerdì, la donna si sarà registrata venerdì, sabato o domenica.» «D'accordo, agente Dance.» Kathryn e O'Neil guardarono verso ovest, al di là della calma distesa d'acqua. Il sole era un disco piatto e sconfinato che si levava dal Pacifico, ma non era più così luminoso: non era ancora calata la nebbia, anche se il cielo al crepuscolo era uggioso e torbido. La baia di Monterey somigliava a una distesa di deserto azzurrino. O'Neil osservò: «Pell rischia grosso a restare qui intorno. Deve avere in mente qualcosa di importante». Proprio in quell'istante lo chiamò una persona che forse poteva avere una risposta proprio a quella domanda. 17 In California dovevano esistere migliaia di vie chiamate Mission Street. James Reynolds, il procuratore in pensione che otto anni prima aveva incriminato Daniel Pell, viveva in una delle più eleganti. Il suo codice di avviamento postale era quello di Carmel, anche se quella
via non si trovava nella zona più bella della città, il luogo da fiaba che ogni weekend veniva invaso dai turisti, per i quali i locali nutrivano un sentimento di amore e odio. Reynolds viveva con la Carmel che lavora, anche se non si trattava esattamente di un sobborgo operaio. Il procuratore aveva una bella proprietà recintata di tre quarti di acro non lontano dal Barnyard, il centro commerciale multipiano dove si vendevano gioielli, quadri, complicati gadget da cucina, articoli da regalo e souvenir. Kathryn imboccò il lungo vialetto. Pensò che chi possedeva una tenuta così vasta poteva essere soltanto un vecchio residente oppure appartenere all'élite dei nuovi ricchi, neurochirurghi o informatici sopravvissuti alla recessione della Silicon Valley. Reynolds, che aveva fatto il procuratore, doveva appartenere alla prima categoria. L'uomo - robusto, abbronzato, sui sessantacinque anni - la accolse sulla porta e le fece strada all'interno. «Mia moglie è al lavoro. Cioè, al volontariato. Stavo preparando il pranzo. Venga in cucina.» Kathryn lo seguì lungo il corridoio della casa ben illuminata. Tra le cornici alle pareti era riflessa la storia della sua vita. Le scuole dell'East Coast, la laurea in legge a Stanford, il matrimonio, i due figli e la figlia, le loro lauree. Le foto più recenti non avevano cornici. L'agente indicò una pila di fotografie. Sulla sommità ce n'era una di una giovane donna bionda, giovane e bella, con un elaborato vestito bianco, attorniata dalle damigelle. «È sua figlia? Congratulazioni.» «L'ultima ad abbandonare il nido.» Reynolds fece un cenno d'approvazione e sorrise. «E i suoi?» «Oh, ci vuole ancora un po' per il matrimonio. Per ora vanno solo alle elementari.» Lei notò anche alcune pagine di quotidiani incorniciate: riguardavano le cause più importanti che il procuratore aveva vinto. E anche, si accorse divertita, quelle che aveva perso. L'uomo si accorse che ne stava osservando una e rise. «Le vittorie sono lì per rafforzare l'ego. Le sconfitte per ricordarmi l'umiltà. Per fare bella figura dico di avere imparato qualcosa dagli innocenti. Il fatto è che, purtroppo, a volte la giuria proprio non capisce niente.» Kathryn lo sapeva molto bene, vista la sua precedente esperienza in qualità di consulente. «Come il nostro amico Pell. La giuria avrebbe dovuto richiedere la pena di morte. Però non l'ha fatto.»
«Perché? Per circostanze attenuanti?» «Già. Se è questo il nome che si dà alla paura. Temevano che la Famiglia andasse a cercarli per vendicarsi.» «Ma non hanno avuto problemi a giudicarlo colpevole.» «Oh, no. Il caso era inappellabile. E poi mi sono dato da fare con l'accusa. Sono stato io a coniare l'espressione Figlio di Manson, quel soprannome l'ho inventato io. Ho insistito su ogni aspetto del parallelismo: Manson diceva di avere il potere di controllare la gente; poi c'era una storia di crimini meschini e una setta di donne servili. Aveva quasi sterminato una ricca famiglia. Inoltre presso l'abitazione di Pell la scientifica aveva rinvenuto numerosi libri su Manson, pieni di sottolineature e annotazioni. In realtà Pell ha contribuito a farsi dichiarare colpevole», aggiunse Reynolds con un sorriso. «Ha interpretato quel ruolo. Si è seduto in aula e fissava i giurati, tentando di minacciarli e far loro paura. Ci ha provato anche con me. Io gli ho riso in faccia e gli ho detto che non credevo che i poteri telepatici potessero avere effetto sugli avvocati. Ha riso anche la giuria. E l'incantesimo si è rotto.» Scosse il capo. «Non è bastato a fargli meritare l'iniezione, ma sono stato felice per l'ergastolo.» «Lei ha processato anche le tre donne della Famiglia?» «Le ho fatte assolvere. Si trattava di reati decisamente minori. Loro non avevano niente a che fare con il caso Croyton, ne sono sicuro. Prima di incappare in Pell, le cose più gravi per cui erano state fermate erano ubriachezza molesta o qualche canna, credo. Pell gli ha fatto il lavaggio del cervello... Jimmy Newberg era di un'altra pasta. Aveva una storia di violenza alle spalle, furti aggravati, spaccio di droga...» Giunto nella spaziosa cucina, decorata in giallo e beige, Reynolds si mise un grembiule. Doveva esserselo tolto per aprire la porta. «Ho cominciato a dedicarmi alla cucina da quando sono in pensione. È un contrasto interessante. A nessuno piace un procuratore. Ma...» Indicò una grande padella arancione piena di frutti di mare, «il mio cioppino? Quello tutti lo adorano.» «Allora», fece Kathryn guardandosi intorno, «è così che è fatta una cucina.» «Ah, parlo con una regina del takeaway... Come me quando ero scapolo.» «Poveri i miei figli! La buona notizia è che stanno imparando a cucinare per difesa. Per la scorsa festa della mamma mi hanno fatto le crépes alla fragola.»
«E a lei è toccato soltanto pulire. Avanti, ne provi un po'.» Kathryn non riuscì a resistere. «Okay, solo un assaggio.» Reynolds le riempì un piatto. «Dev'essere accompagnato da vino bianco.» «Quello lo passo.» Lei assaggiò la zuppa di frutti di mare, piatto tipico della cucina californiana. «Eccellente!» Il procuratore era rimasto in contatto con Sandoval e con lo sceriffo di Monterey County e aveva appreso gli ultimi dettagli della caccia all'uomo, compreso il fatto che Daniel Pell era in zona. Kathryn notò che, nell'ambito del CBI, l'ex procuratore si era rivolto a lei, non a Charles Overby. «Farò il possibile per aiutarvi a incastrare quel bastardo.» Reynolds sbucciava con cura un pomodoro. «Mi dica solo di cosa ha bisogno. Ho appena chiamato l'archivio della contea, e mi faranno avere il fascicolo sul caso. Forse il novantanove per cento non vi servirà, ma potrebbe contenere una o due intuizioni. E io sono pronto a rileggere ogni dannata pagina, se ce n'è bisogno.» Kathryn osservò i suoi occhi, determinati e scuri come il carbone. Non brillavano come quelli di Morton Nagle. L'agente non aveva mai lavorato su nessun caso assieme a Reynolds, però sapeva che era un procuratore accanito e intransigente. «Ci sarà di grande aiuto, James. Le sono grata.» Kathryn terminò la zuppa, sciacquò il piatto e lo mise nel lavandino. «Non sapevo nemmeno che fosse in zona. Avevo sentito che si era ritirato a Santa Barbara.» «Lì, io e mia moglie abbiamo una casetta. Ma stiamo qui gran parte dell'anno.» «Be', quando mi ha contattato, ho parlato con Michael O'Neil. Mi piacerebbe che ci fosse un agente di guardia qua fuori.» Reynolds rifiutò. «Ho un ottimo sistema di allarme. Sono virtualmente irraggiungibile. Quando sono diventato procuratore capo, ho cominciato a ricevere minacce... per il processo alla gang di Salinas. Il mio telefono non è sull'elenco e ho trasferito l'intestazione della casa a una società. Pell non può risalire a me in nessun modo. E ho anche il porto d'armi.» Kathryn non aveva intenzione di accettare un no. «Oggi ha già ucciso parecchie volte.» L'uomo alzò le spalle. «Bah, che diamine. Mandatemi una babysitter. Non fa mai male... Oltretutto viene anche a trovarmi il mio figlio minore. Perché rischiare?» Kathryn si piazzò su uno sgabello, appoggiando le zeppe marroni della
Aldos sui supporti. I cinturini erano decorati con margherite. Persino sua figlia Maggie, che aveva dieci anni, era più conservatrice di lei nello scegliere le scarpe, una delle passioni di Kathryn. «Intanto, potrebbe parlarmi degli omicidi di otto anni fa? Potrebbe essere utile per capire che cosa Pell ha in mente di fare adesso.» Reynolds si sedette su uno sgabello accanto al suo, sorseggiando vino. Ripercorse tutti gli eventi del caso: come Pell e Jimmy Newberg avevano fatto irruzione nella casa di William Croyton a Carmel, ucciso l'uomo d'affari, sua moglie e due dei tre figli. Erano stati tutti pugnalati a morte. Newberg compreso. «La mia teoria è che Jimmy si sia tirato indietro all'idea di far fuori i bambini e si sia scontrato con Pell, che l'ha ammazzato.» «Non c'era nessun legame tra Pell e Croyton?» «Niente a cui possiamo risalire. Ai tempi, però, Silicon Valley era al culmine e Croyton era uno dei ragazzi più in vista. Era sempre sui giornali... Non solo aveva creato gran parte dei programmi, era anche a capo delle vendite. Il classico tipo sopra le righe. Grosso, abbronzato, fracassone... Uno che lavorava duro e giocava duro. Non fu tra le vittime più compiante di questa terra. Era un manager senza scrupoli, detestato dai dipendenti, sospettato di adulterio. Ma se fosse considerato un crimine solo il delitto contro le brave persone, a quest'ora noi procuratori saremmo disoccupati. Quell'anno nella sua ditta c'erano stati un paio di furti, prima degli omicidi. I ladri se n'erano andati con i computer e con il software... purtroppo Santa Clara County non è mai riuscita a identificarli. Non ci sono prove che tra questi ci fosse anche Pell. Mi chiedo spesso se non sia stato lui.» «Che fine ha fatto la ditta dopo la sua morte?» «È stata assorbita da qualcun altro, dalla Microsoft, dalla Apple o da un'azienda di videogiochi, non saprei.» «E i suoi beni?» «La maggior parte sono stati lasciati in fidecommesso a sua figlia, altri credo alla sorella della moglie, la zia che ha preso in custodia la ragazzina. Croyton aveva lavorato nell'informatica fin da quando era giovanissimo. Possedeva sui dieci, venti milioni di dollari di vecchio hardware e di programmi che ha lasciato allo Stato della California-Monterey Bay. Il museo di computer è di grande effetto. Vengono esperti da tutto il mondo a fare ricerche nel suo archivio.» «Ancora oggi?» «Pare di sì. Croyton era molto avanti con i tempi, dicono.»
«E anche ricco.» «Molto più che ricco.» «È questo il vero motivo degli omicidi?» «Be', non si sa con certezza. Per stare ai fatti, si trattava di una semplice rapina. Credo che Pell abbia sentito parlare di Croyton e pensato che sarebbe stato un gioco da ragazzi farsi un bel po' di dollaroni.» «Però non ha preso granché, ho letto.» «Qualche migliaio di dollari. Si sarebbe trattato di un reato di poco conto... se non fosse stato per i cinque cadaveri, ovvio. Quasi sei. Meno male che la ragazzina era al piano di sopra.» «Che cosa si sa di lei?» «Povera bambina! Sa come l'avevano soprannominata?» «La bambola che dorme.» «Esatto. Lei non ha testimoniato. Anche se avesse visto qualcosa, non mi andava di sottoporla al processo, non con quello stronzo presente in aula. Avevo prove a sufficienza.» «Lei non si ricorda nulla?» «Niente di utile. Quella sera era andata a letto presto.» «E adesso dov'è?» «Non ho idea. È stata adottata dagli zii, che si sono trasferiti.» «Che cosa sosteneva la difesa di Pell?» «Che erano andati là per proporre un affare. E che Newberg era andato fuori di testa e aveva ammazzato tutti quanti. Pell aveva cercato di fermarlo, avevano lottato e, cito, 'Pell era stato costretto a ucciderlo'. Ma non c'erano prove che Croyton avesse fissato loro un appuntamento. Quando i due si sono presentati, la famiglia stava ancora cenando. Inoltre, la scientifica è stata chiara: ora della morte, impronte, tracce, macchie di sangue, tutto quanto.» «In carcere Pell aveva accesso a un computer. Senza alcuna sorveglianza.» «Molto male.» Kathryn annuì. «Abbiamo individuato alcune cose che stava cercando. Una è 'Alison'. Le dice qualcosa?» «Non era una delle ragazze della Famiglia. Non conosco nessun altro collegato a quel nome.» «Un'altra parola era 'Nimue'. Un personaggio preso dal mito. La leggenda di Re Artù. Ma credo che sia il nome oppure il nick di qualcuno che Pell voleva contattare.»
«Mi dispiace, non mi dicono nulla.» «Ha altre idee su quale possa essere il suo piano?» Reynolds scosse il capo. «Purtroppo no. È stato un caso importante, per me e per la contea. Ma il punto è che non è stato così degno di nota. Pell è stato colto in flagrante, i risultati della scientifica erano inappellabili e lui era recidivo, con un passato criminale alle spalle risalente all'adolescenza. Voglio dire, questo tipo e la sua Famiglia avevano ricevuto denunce da diverse comunità della costa, da Big Sur a Marina. Dovevo proprio farla grossa per fallire.» «D'accordo, James. È meglio che vada», fece Kathryn. «Le sono grata per la collaborazione. Se trova qualcosa nei faldoni, me lo faccia sapere.» Reynolds annuì solennemente. Non aveva più l'aspetto del novello pensionato o del padre della sposa. Nei suoi occhi si scorgeva la feroce determinazione che aveva caratterizzato il suo approccio in tribunale. «Farò il possibile per far tornare quel figlio di puttana da dove è venuto.» Si erano separati e ora, a centinaia di metri di distanza, si erano incamminati a piedi diretti a un motel nella pittoresca Pacific Grove, nel cuore della penisola. Pell camminava con piacere, gli occhi spalancati, come un turista sbalordito che non aveva mai visto il surf prima di allora se non in Baywatch. Si erano cambiati d'abito. Avevano acquistato i vestiti da Goodwill, nella parte povera di Seaside. Daniel si era divertito a vedere Jennie esitare prima di liberarsi dell'amata camicetta rosa. Ora lui indossava una giacca a vento grigio chiaro, pantaloni di velluto a coste, un paio di scadenti scarpe da ginnastica e un cappellino da baseball messo al contrario. Aveva anche una macchina fotografica usa e getta. Ogni tanto si fermava a fotografare il tramonto, basandosi sulla teoria che un assassino in fuga difficilmente si ferma a immortalare un paesaggio di mare, per quanto attraente esso sia. Lui e Jennie erano partiti da Moss Landing e avevano guidato verso est a bordo della Ford Focus rubata, evitando le strade principali. Avevano anche tagliato attraverso un campo di cavolini di Bruxelles. Infine erano tornati in direzione Pacific Grove. Tuttavia, man mano che la zona diventava più popolata, Pell aveva capito che era ora di sbarazzarsi dell'auto. La polizia sarebbe presto venuta a sapere della Focus. Perciò l'aveva nascosta in mezzo all'erba alta, in un grande campo fuori dalla Highway 68, davanti a un cartello che diceva: IN VENDITA - ZONA COMMERCIALE. Aveva deciso che nel tratto di strada verso il motel fosse meglio separar-
si. Jennie non voleva, ma erano rimasti in contatto con i cellulari a scheda. Lei lo chiamava ogni cinque minuti, finché Pell non le spiegò che era meglio evitare, perché la polizia avrebbe potuto essere in ascolto. Non era vero, naturalmente, ma non ne poteva più delle sue frasi mielose e aveva bisogno di riflettere. Daniel Pell era preoccupato. Come aveva fatto la polizia a rintracciarlo al Jack's Seafood? Esaminò le varie possibilità. Forse il padrone del locale non si era lasciato ingannare dal cappellino, dagli occhiali da sole e dal viso rasato. Del resto, chi avrebbe potuto pensare che un assassino appena evaso si sarebbe seduto a un tavolo come un turista di San Francisco per divorarsi un piatto di gustosi sandwich ai sand dabs? Soprattutto dopo avere appena fatto una strage e incendiato il palazzo di Giustizia, a poco più di una ventina di chilometri di lì? Oppure avevano scoperto il furto della Thunderbird. Ma chi è che si mette a inseguire la targa di una macchina rubata a seicentocinquanta chilometri di distanza? Anche in questo caso, perché mobilitare tutti quei poliziotti per recuperare un'auto? A meno che non sapessero che fosse legata a Pell... La polizia pensava che lui fosse diretto a quel campeggio fuori da Salt Lake City a cui aveva telefonato. Kathryn? Pell aveva la sensazione che lei non avesse creduto alla storia dello Utah. Non era servito lasciare in vita Billy per mettere in atto il tranello del telefono. Forse l'agente aveva comunicato apposta alla stampa l'idea della sua fuga nello Utah, per farlo uscire allo scoperto. E la cosa aveva funzionato, pensò con rabbia. Ovunque lui andasse, aveva la sensazione che fosse lei a coordinare quelli che gli davano la caccia. Pell si chiese dove abitasse. Ripensò nuovamente all'impressione che si era fatto di Kathryn durante il colloquio: i figli, il marito... Cercò di ricostruire quando aveva reagito lievemente e quando no. Figli? Sì, doveva averne. Un marito, forse no. Un divorzio era improbabile. Pell si interruppe per fotografare il sole che calava nell'oceano Pacifico. Era un paesaggio niente male. Kathryn vedova. Interessante. La bolla si stava di nuovo gonfiando. Mise da parte quella conclusione.
In attesa del momento giusto. Comprò alcune cose in una bodega. La scelse perché sapeva che lì non si vedeva la sua foto trasmessa ogni cinque minuti, a ciclo continuo, dal notiziario. E in effetti aveva ragione: il minitelevisore era sintonizzato su una soap opera in spagnolo. Si incontrò con Jennie ad Asilomar, un parco bellissimo con una spiaggia a mezzaluna per surfisti irriducibili e un bagnasciuga che verso Monterey si faceva sempre più selvaggio, con le onde che si frangevano sulle rocce. «Tutto okay?» chiese lei, cauta. «A meraviglia, tesoro. Ce la stiamo cavando a meraviglia.» Jennie lo condusse per le tranquille vie di Pacific Grove, un ex ritiro metodista, pieno di bungalow colorati in stile Tudor e vittoriano. Nel giro di cinque minuti annunciò: «Eccoci arrivati». Indicò il Sea View Motel. Era un edificio marrone, con piccole finestrelle piombate, il tetto in legno e pietra e placche a forma di farfalle sulla porta. Tra i primati che il villaggio ostentava, oltre a quello di essere l'ultimo paese all'asciutto della California, c'era quello della farfalla monarca. Il luogo era invaso dall'inverno alla primavera da migliaia di esemplari di quell'insetto. «Carino, non trovi?» Pell rifletté. «Carino» per lui non voleva dire niente. Quello che contava era che la camera non si affacciasse sulla strada e che il parcheggio nel retro fosse provvisto di vialetti, utili per un'eventuale fuga. Jennie non avrebbe potuto trovare un posto migliore. «È perfetto, tesoro. Proprio come te.» Sul visetto di lei si stampò un altro sorriso, anche se stavolta non proprio convinto: la ragazza era ancora scossa dall'incidente al ristorante. Pell non se ne preoccupò. La bolla dentro di lui aveva continuato a espandersi. Non sapeva se fosse dovuta a Kathryn o a Jennie. «Qual è la nostra stanza?» Lei la indicò. «Vieni, tesoro. Ho una sorpresa per te.» Uhm. Daniel non amava le sorprese. Jennie aprì la porta. Lui fece un cenno. «Dopo di te, tesoro.» Mise una mano alla cintola e strinse la pistola. Si irrigidì, pronto a spingerla davanti come scudo sacrificale e a cominciare a sparare al suono della voce di un poliziotto. Ma non era un'imboscata. La camera era vuota. Si guardò intorno. Era addirittura più bello di quanto prometteva da fuori. Lussuoso. Mobili pre-
giati, tendaggi, asciugamani, persino accappatoi. E anche bei quadri. Raffiguravano spiagge, Lonesome Pine e ancora altre dannate farfalle. Poi c'erano le candele. Tante: ovunque avrebbe potuto essercene una, c'era. Oh, era quella la sorpresa! Grazie a Dio, non erano accese. Ci mancava solo quello: ritornare dopo una fuga e trovare il rifugio in fiamme. «Hai tu le chiavi?» Jennie gliele porse. Le chiavi. Pell le amava. Potevano essere quelle di un auto, di una stanza d'albergo, di una cassaforte o di una casa, ma chi le possedeva deteneva il controllo. «Che cosa c'è lì dentro?» chiese la donna, guardando la borsa. Pell si era accorto che quella borsa l'aveva già incuriosita, quando si erano incontrati alla spiaggia, poco tempo prima. «Solo alcune cose che ci servono. E del cibo.» Jennie batté le palpebre, sorpresa. «Hai comprato del cibo?» Perché, era la prima volta che il suo uomo faceva la spesa? «Avrei dovuto farlo io», aggiunse rapida. Poi indicò il cucinino e aggiunse formale: «Allora ti preparo il pranzo». Strana frase. Doveva averla imparata da qualcuno. Dal suo ex, oppure da uno di quei fidanzati violenti. Tim il biker, per esempio. Zitta e preparami il pranzo... «Tranquilla, tesoro. Faccio io.» «Tu?» «Certo.» Pell conosceva uomini che esigevano che la «moglie» facesse da mangiare. Si sentivano i re della casa, a farsi servire. Dava loro un senso di potere. Ma non capivano che dipendere da qualcuno, per una qualunque cosa, era un segno di debolezza. E poi, era da stupidi. Si sa che non ci vuole niente ad aggiungere il topicida alla minestra. Pell non era uno chef, però anni prima, quando Linda era la cuoca ufficiale della Famiglia, gli piaceva bazzicare tra i fornelli, dare una mano, vedere cosa succedeva. «Oh, hai preso cibo messicano!» Jennie rise mentre estraeva il manzo tritato, le tortillas, i pomodori, i peperoncini in scatola e le salse. «Dicevi che ti piaceva. Cibo 'gratificante', no? Ehi, tesoro.» La baciò sulla testa. «Oggi al ristorante sei stata davvero una dura.» La donna distolse lo sguardo dalle provviste, fissò il pavimento. «Sono corsa fuori. Avevo paura. Non volevo mettermi a gridare.» «No, no, tu hai tenuto duro. Sai che cosa vuol dire?»
«Non proprio.» «È una vecchia espressione che usavano i marinai. Se la tatuavano sulle nocche. Così quando stringevano i pugni, si leggeva: 'Tieni duro'. Vuol dire non scappare.» Jennie rise. «Non scapperei mai da te.» Pell le sfiorò la testa con le labbra. Sapeva di sudore e di profumo scadente. Jennie si grattò il naso. «Siamo una squadra, tesoro», continuò Daniel, notando che aveva smesso di grattarsi. Andò in bagno, pisciò a lungo e si lavò. Quando uscì, trovò un'altra sorpresa. Jennie si era spogliata. Indossava solo le mutandine e il reggiseno e si dava da fare con l'accendino intorno alle candele. Alzò gli occhi. «Avevi detto che ti piaceva il rosso.» Pell ridacchiò, le andò incontro. Le fece correre la mano lungo la spina dorsale. «O forse preferisci mangiare.» La baciò. «Mangeremo dopo.» «Oh, ti voglio, tesorino», sussurrò lei. Era senza dubbio una battuta che faceva parte del suo repertorio, in passato. Ma non significava che non fosse vera, adesso. Daniel le prese l'accendino. «L'atmosfera, dopo.» La baciò e la attirò a sé. Lei sorrise, stavolta in modo indefinibile, e gli premette forte in mezzo alle gambe. «Credo che anche tu mi voglia.» Fece le fusa. «Altroché, tesoro.» «Adoro quando mi chiami così.» «Hai un paio di collant?» chiese Pell. Jennie annuì. «Sì, neri. Vado a mettermeli.» «No. Non è per quello che li voglio», mormorò lui. 18 Un'ultima commissione prima della fine di quell'interminabile giornata. Kathryn Dance accostò davanti a un'abitazione modesta nei bassifondi tra Carmel e Monterey. Quando la base militare di Fort Ord era la principale attività della zona, gli ufficiali di medio grado sceglievano di vivere e ritirarsi da quelle parti.
Prima, ai tempi del conservificio, c'erano soprattutto capi squadra e manager. Kathryn parcheggiò di fronte a un bungalow disadorno. Attraversò il cancello e il sentiero di pietra che conduceva all'ingresso principale. Un istante dopo una donna lentigginosa sui trenta abbondanti la accolse sorridendo. L'agente si presentò. «Sono qui per vedere Morton.» «Venga avanti», fece Joan Nagle, senza smettere di sorridere. Dal suo volto per nulla stupito né preoccupato si deduceva che il marito l'avesse informata su ciò che gli era capitato quel giorno, forse omettendo alcuni dettagli. Kathryn entrò in un salottino. Gli scatoloni mezzi pieni di abiti e vestiti, soprattutto di questi ultimi, testimoniavano che si erano trasferiti da poco. Le pareti erano coperte di stampe da pochi soldi. Di nuovo odore di cibo; stavolta l'aria sapeva di hamburger e cipolle, non di erbe aromatiche italiane. Una bella ragazzina grassoccia, con i codini e un paio di occhiali dalla montatura metallica, stringeva un album da disegno. Guardò in su e sorrise. Kathryn la salutò. Doveva avere l'età di Wes. Sul divano, un ragazzino sui quindici anni era immerso in un videogame e schiacciava bottoni su bottoni, come se il destino dell'umanità fosse nelle sue mani. Morton Nagle apparve sulla soglia, tirando su la cintura. «Salve, salve, salve agente Dance.» «Kathryn, per favore.» «Kathryn. Hai conosciuto mia moglie, Joan.» Sorrise. «E... ehi, Eric, spegni quel... Eric!» esclamò a voce alta, ridacchiando. «Spegni quella roba.» Il ragazzo salvò la partita (Kathryn sapeva quanto fosse importante) e posò i comandi. Poi balzò in piedi. «Lui è Eric. Eric, saluta l'agente Dance.» «Agente? Come quelli dell'FBI?» «Esatto.» «Forte!» Kathryn accarezzò la testa del ragazzo che fissava la pistola appesa alla cintola. La ragazzina si avvicinò timidamente, senza mollare l'album da disegno. «Forza, presentati», la incoraggiò sua madre. «Ciao.» «Come ti chiami?» chiese Kathryn. «Sonja.»
Essere grassa per Sonja è un problema, osservò l'agente. Sarebbe stato bene che i genitori se ne occupassero al più presto, ma, vista la loro stazza, era difficile che si rendessero conto dei problemi della figlia. Le conoscenze cinesiche di Kathryn le fornivano numerose intuizioni sui problemi psicologici ed emotivi delle persone. Le toccava ripetersi di continuo che lei era una poliziotta, non una psicologa. «Ho seguito il telegiornale. L'avete preso?» «No, per pochi minuti», rispose l'agente, con una smorfia. «Posso offrirti qualcosa?» chiese la moglie. «No, grazie», rifiutò Kathryn. «Posso fermarmi solo qualche minuto.» «Vieni nel mio studio», la invitò Nagle. Entrarono in una piccola camera da letto che odorava di urina di gatto. Gli unici mobili erano una scrivania e un paio di sedie. Accanto a una lampada, c'era un portatile con le lettere A, H e N scolorite. Ovunque montagne di carta e forse due o trecento libri, dentro gli scatoloni, sugli scaffali, sopra il termosifone e impilati sul pavimento. «Mi piace circondarmi dei miei libri.» Fece un cenno verso il salotto. «Piace anche a loro, anche al nostro mago dei videogame. Scegliamo un libro e ogni sera ne leggo un pezzo ad alta voce.» «Bello.» Anche Kathryn faceva qualcosa di simile assieme ai figli, ma con la musica. Wes e Mags erano divoratori di libri e preferivano leggerseli da soli. «Ovviamente, troviamo anche il tempo per occuparci della Cultura con la C maiuscola... come Survivor e 24.» Gli occhi di Nagle non smettevano di brillare. Quando Kathryn vide la quantità di materiale che aveva per lei, l'uomo le indirizzò un altro dei suoi sorrisetti. «Non preoccuparti, il tuo è il più piccolo.» Indicò uno scatolone pieno di videocassette e fotocopie. «Sicura di non volere niente?» chiese Joan dalla soglia. «No, grazie.» «Se vuoi puoi restare per cena.» «Mi dispiace, non posso proprio.» La donna sorrise e se ne andò. Nagle guardò nella sua direzione. «È una scienziata, laureata in fisica.» E non aggiunse altro. Kathryn spiegò a Nagle gli ultimi particolari del caso e gli disse che era certa che Pell fosse rimasto nella zona. «Sarebbe una follia. Lo stanno cercando tutti, sulla penisola.» «È quello che pensiamo anche noi.» Gli riferì le parole cercate da Pell in
rete, ma Nagle non ebbe nessuna intuizione su Alison o Nimue. Né sapeva spiegarsi perché il criminale aveva navigato in cerca di foto via satellite. Kathryn lanciò un'occhiata allo scatolone che Nagle le aveva preparato. «C'è una biografia lì dentro? Qualcosa di breve?» «Di breve? No, non proprio. Ma se vuoi un riassunto, te lo preparo, sicuro. Vanno bene tre o quattro pagine?» «Sarebbe ottimo. Ci metterei troppo tempo a ricavare notizie da tutta quella roba.» «Tutta quella roba?» L'uomo fece un sorrisetto. «Ma quello è niente. Quando sto per scrivere un libro, ho cinquanta volte quel materiale tra fonti e appunti. In ogni caso, tranquilla, farò una sintesi.» «Ciao», fece una vocina. Kathryn sorrise a Sonja, che era comparsa sulla soglia. La ragazzina osservava con invidia la figura snella dell'agente e i suoi capelli. «Ho visto che guardavi i miei disegni, quando sei entrata...» «L'agente Dance è impegnata, tesoro.» «No, non c'è problema.» «Li vuoi vedere?» Kathryn si inginocchiò e guardò l'album. Era pieno di disegni di farfalle, stranamente ben fatti. «Sonja, sono bellissime. Potrebbero essere esposte in una mostra all'Ocean, a Carmel.» «Sul serio?» «Sicuro.» La ragazzina sfogliò alla ricerca di una pagina. «Questa è la mia preferita. È un macaone.» Il disegno raffigurava una farfalla blu scuro dai colori iridescenti. «Era posata su un girasole messicano. Gli succhiava il nettare. Quando sono a casa, andiamo nel deserto e io copio i cactus e le lucertole.» Kathryn si ricordava che lo scrittore aveva un'altra casa a Scottsdale. Sonja continuò: «Laggiù io e la mamma andiamo in giro per i boschi a fare foto. Poi le disegno». «Mia figlia è il James Audubon delle farfalle», osservò Nagle. Joan apparve sulla soglia e costrinse la ragazzina a uscire. «Dici che servirà a qualcosa?» domandò lo scrittore, indicando la scatola. «Sono certa di sì. Abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile.» Kathryn augurò una buona serata alla famiglia, rifiutò l'ennesimo invito a cena e tornò in macchina.
Sistemò la scatola sul sedile accanto al suo. Quelle fotocopie erano invitanti. Era tentata di accendere la luce dell'auto e dargli subito un'occhiata. Invece avrebbero aspettato. Kathryn era una brava investigatrice, come era stata una brava giornalista e una brava consulente della giuria. Ma era anche una madre e una vedova. Gestire tutti questi ruoli l'aveva aiutata a capire quando era il momento di staccare da uno per passare all'altro. E adesso era ora di tornare a casa. 19 Lo chiamavano il Ponte. Una superficie di compensato di sei metri per nove che si estendeva dalla cucina di Kathryn fino al cortile posteriore, con sopra sedie da giardino spaiate, poltroncine, tavoli. Uniche decorazioni alcune lucine natalizie, globi di ambra, un lavandino e un grande frigorifero, assieme a qualche piantina anemica in vasi di terracotta. Una scaletta conduceva al cortile, non molto curato ma pieno di piante spontanee: macchie di quercia e aceri, nimoli gialli, astri, lupini, patate rampicanti, quadrifoglio e dicondra. Una palizzata lo divideva da quello dei vicini. Accanto alle scale, appesi a un ramo, c'erano due piscinette e una mangiatoia per colibrì. Per terra giacevano due scacciaguai, nel punto in cui Kathryn li aveva buttati giù un mese prima, quando era uscita in pigiama in una notte tempestosa. La classica casa vittoriana, color verde scuro e con la ringhiera, le persiane e le decorazioni grigie e segnate dalle intemperie, frequente a nord ovest di Pacific Grove. Chi amava il rischio e voleva sporgersi, poteva godere della vista dell'oceano, un chilometro più in là. Kathryn passava parecchio tempo sul Ponte. Al mattino presto il freddo e la nebbia non permettevano sempre di farvi colazione, ma nei weekend, quando il sole aveva fatto svanire la nebbia, lei e i bambini ci andavano spesso, dopo aver passeggiato sulla spiaggia con i cani e consumato ciambelle, crema di formaggio, caffè e cioccolata calda. Quella terrazza aveva ospitato numerosi pranzi e cene. Proprio sul Ponte suo marito, Bill, aveva annunciato fermamente ai propri genitori di voler sposare Kathryn. E non la ragazza mondana proveniente da Napa che la madre aveva sponsorizzato per anni. Quel gesto gli era costato più coraggio di tutte le sue imprese all'FBI. Sul Ponte avevano celebrato la sua messa funebre. Era anche un punto di ritrovo per gli amici della Penisola, poliziotti e
non. Kathryn Dance apprezzava la loro amicizia, anche se dopo la morte di Billy aveva scelto di passare il tempo libero con i figli, e non le piaceva portarli al bar o al ristorante con altri adulti. Preferiva che fossero gli amici a venire nel loro mondo. Nel frigo esterno teneva birra e bibite gassate e una bottiglia o due di chardonnay Central Coast o di pinot grigio e cabernet. C'era anche un barbecue, arrugginito e macchiato ma funzionante, e un bagno al piano terra, accessibile dal cortile. Spesso Kathryn tornava a casa e trovava i genitori, qualche amico o collega del CBI o dell'MCSO che bevevano una birra o un caffè. Erano tutti invitati a fare un salto, anche se la padrona era assente e anche senza avvisare. Vigeva una regola tacita e rispettata da tutti: fuori si era sempre benvenuti, in qualunque momento, però l'interno della casa era off limits, a meno che non si trattasse di vere e proprie feste programmate. La privacy, il riposo e i compiti erano sacri. Kathryn percorse i ripidi gradini dal lato del suo cortile e salì sul Ponte. Aveva con sé lo scatolone pieno di nastri e fotocopie, su cui aveva poggiato un pollo takeaway comprato da Albertsons. I cani, un retriever nero dal pelo raso e un pastore tedesco nero e marroncino, corsero a salutarla. La donna accarezzò la testa agli animali e gettò loro qualche vecchio giocattolo, poi proseguì in direzione dei due uomini seduti sulle sedie di plastica. «Ciao, tesoro.» Stuart Dance dimostrava molto meno dei suoi settant'anni. Era alto, aveva spalle larghe e capelli bianchi folti e ribelli. La sua pelle pagava lo scotto delle ore passate al mare; si scorgevano anche alcune cicatrici del bisturi e del laser del dermatologo. Teoricamente in pensione, lavorava ancora per l'acquario parecchi giorni a settimana e nessuno al mondo riusciva a tenerlo lontano dalla scogliera sulla costa. Lui e la figlia si scambiarono un bacio. «Hmmm.» Era Albert Stemple, agente della Major Crimes del CBI. L'uomo massiccio e dalla testa rasata era in jeans, stivali e t-shirt nera. Anche lui aveva diverse cicatrici sul volto e, a quanto alludeva, anche in altri posti non visibili alla luce del sole. E quelle non gliele aveva fatte il dermatologo. Stava bevendo una birra, seduto con le gambe allungate. Gli agenti del CBI non erano considerati cowboy, ma Albert Stemple era un tipo alla Wild Bill Hickok, uno che si faceva da solo le proprie regole. Aveva all'attivo molti arresti, tanti quanti i richiami dai superiori, ed era di questi ultimi che andava più orgoglioso. «Grazie per aver dato un occhio, Al. E scusa se sono tornata più tardi di quanto pensavo.» Kathryn, in seguito alle minacce di Pell durante l'inter-
rogatorio e la permanenza in zona del criminale, aveva chiesto a Stemple di sorvegliare la casa fino al suo ritorno. O'Neil aveva poi attivato i poliziotti del luogo perché tenessero d'occhio l'abitazione finché l'evaso era a piede libero. Stemple grugnì. «Nessun problema. Overby mi offrirà il pranzo.» «Charles ha detto così?» «No. Ma me lo offrirà lo stesso. Qui tutto tranquillo. Ho fatto il giro dell'isolato un paio di volte. Niente di strano.» «Vuoi qualcosa da bere per il viaggio?» «Certo.» L'omone prese dal frigorifero due Anchor Steams. «Tranquilla. Tanto prima di arrivare alla macchina le ho finite. Stammi bene, Stu.» Si avviò lungo il Ponte, che scricchiolò sotto il peso. L'uomo scomparve e quindici secondi dopo si sentì che metteva in moto la Crown Victoria e partiva. Senza dubbio con le birre strette tra le cosce. Kathryn scrutò in salotto, attraverso i vetri impolverati. Il suo sguardo finì su un libro poggiato sul tavolino. Le rinfrescò la memoria. «Ehi, ha chiamato Brian?» «Oh, il tuo amico? Quello che era venuto a cena?» «Esatto.» «Come faceva di cognome?» «Gunderson.» «Il consulente finanziario.» «Proprio lui. Ha chiamato?» «No, che io sappia. Vuoi che chieda ai ragazzi?» «No, non importa. Grazie ancora, papà.» «Niente grattacapi.» Quell'espressione l'aveva imparata durante il soggiorno in Nuova Zelanda. Si voltò e batté sulla finestra. «Ciao!» «Nonno, aspetta!» Maggie corse fuori, con la treccia castana al vento. Aveva in mano un libro. «Ciao, mamma», disse allegra. «Quando sei tornata a casa?» «Appena adesso.» «E non hai detto niente!» esclamò la ragazzina di dieci anni, dandole un colpetto agli occhiali. «Tuo fratello dov'è?» «Non so. In camera sua. Quando si mangia?» «Tra cinque minuti.» «Che cosa c'è?» «Poi lo vedi.»
Maggie porse il libro al nonno, indicando una piccola conchiglia marina grigia e viola, a forma di nautilo. «Guarda! Avevi ragione.» Non provò nemmeno a pronunciare quel nome. «Un'amphissa colombiana», disse il nonno, ed estrasse la penna e il taccuino che portava sempre con sé. Se lo segnò. Aveva trent'anni più di sua figlia e non gli servivano gli occhiali. Kathryn aveva scoperto che la sua predisposizione genetica derivava dalla madre. «Si tratta di una conchiglia trasportata dalla marea», spiegò a Kathryn. «È molto rara da queste parti. E Maggie ne ha trovata una.» «Era proprio laggiù», disse la ragazzina. «Okay, io me ne torno a casa dal sergente: sta preparando la cena ed è richiesta la mia presenza. 'Notte a tutti.» «Ciao, nonno.» Mentre suo padre scendeva le scale, Kathryn ringraziò per l'ennesima volta Dio, il destino o chiunque fosse per aver dato a lei, vedova con figli, una figura maschile affidabile. Mentre si dirigeva in cucina, squillò il telefono. Rey Carraneo riferiva che la Thunderbird di Moss Landing era stata rubata il venerdì precedente dal parcheggio riservato di un esclusivo ristorante sul Sunset Boulevard a Los Angeles. Nessun indiziato. Erano in attesa del resoconto dell'LAPD ma, come succede per molti furti d'auto, la scientifica non aveva fatto rilievi. Inoltre, la ricerca del motel, hotel o pensione che la donna poteva aver prenotato era stata infruttuosa. «Ce ne sono troppi», ammise. Benvenuto nella Penisola di Monterey. «Dobbiamo mettere al sicuro i turisti da qualche parte, Rey. Insisti. E comincia a salutare tua moglie.» Kathryn si mise a spacchettare la cena. Un ragazzino snello dai capelli castani girovagava per la veranda accanto alla cucina. Era al telefono. Anche se aveva solo dodici anni, era alto quasi quanto la madre. La donna gli fece un cenno e lui le andò incontro. Lo baciò sulla fronte e lui non si ritrasse. Era come se le dicesse: Ti voglio tanto bene, cara mamma. «Basta telefonare», disse. «È ora di cena.» «Ho quasi finito.» «Niente 'quasi'.» «Che cosa c'è da mangiare?» Il ragazzo riattaccò. «Pollo», fece Maggie, perplessa. «Albertsons ti piace, no?»
«E come la mettiamo con l'aviaria?» Wes fece una risatina. «Ma non lo sai? La prendi solo dai polli vivi.» «Una volta era vivo», replicò la ragazzina. Maggie l'aveva messo all'angolo. Wes continuò: «Be', non è un pollo che viene dall'Asia». «Yu-huu? Gli uccelli migrano. E sai come muori? Vomiti fino a quando non ne puoi più» «Mags, stiamo per mangiare!» esclamò Kathryn. «Be , e così.» «Oh, anche i polli migrano? Mah! E qui non c'è nessuna aviaria. Altrimenti l'avremmo saputo.» Fratello e sorella si punzecchiavano. Ma Kathryn sapeva che c'era qualcosa di più. Wes era rimasto parecchio colpito dalla scomparsa del padre. Questo lo rendeva più sensibile dei suoi coetanei dinanzi alla morte. La donna cambiò discorso: compito arduo per una costretta a inseguire criminali per vivere. Dichiarò: «Se il pollo è cotto, va tutto bene». Non era sicura che fosse vero, e si chiese se Maggie l'avrebbe contraddetta. Ma la figlia si era immersa di nuovo nel libro sulle conchiglie. Il ragazzo fece: «Oh, c'è anche il purè di patate. Sei grande, mami». Maggie e Wes apparecchiarono la tavola e tirarono fuori il cibo, mentre Kathryn si lavava. Quando la mamma tornò dal bagno, Wes domandò: «Mami, non vai a cambiarti?» Fissava il suo abito nero. «Sto morendo di fame. Non ce la faccio.» Kathryn non gli disse che il vero motivo per cui non si era tolta il completo era che aveva indosso la pistola. Di solito, quando arrivava a casa, la prima cosa che faceva era mettersi in jeans e t-shirt e far scivolare la pistola nella cassaforte accanto al letto. È dura la vita del poliziotto, eh? Quei frugoletti passano un sacco di tempo da soli, vero? Forse sarebbero felici di avere degli amici con cui giocare... Wes osservò ancora una volta il suo vestito come se sapesse esattamente quello che la madre stava pensando. Finalmente tornarono alla cena. Mangiarono e si raccontarono la loro giornata; i ragazzi, almeno. Naturalmente Kathryn non disse nulla della sua. Wes era stato in un campo sportivo a Monterey e Maggie a uno musicale a Carmel. Sembrava che entrambi si fossero divertiti. Grazie a Dio nessuno fece domande su Daniel Pell.
Quando la cena fu conclusa, il terzetto sparecchiò e lavò i piatti. I figli di Kathryn collaboravano sempre ai lavori di casa. Poi Wes e Maggie andarono in salotto a leggere o a giocare ai videogame. Kathryn accese il computer e controllò la posta elettronica. Non c'era nessun messaggio relativo al caso, ma ce n'erano parecchie riguardanti l'altro suo «lavoro». Con la sua amica Martine Christiansen curava un sito chiamato American Tunes, dal titolo della canzone di Paul Simon degli anni Settanta. Kathryn Dance non era una cattiva musicista, ma il suo breve tentativo di dedicarsi a tempo pieno alla carriera di cantante e chitarrista non l'aveva soddisfatta. Per questo, purtroppo, aveva perso il pubblico. Aveva deciso che il suo vero talento stava nell'ascoltare la musica e incoraggiare la gente a produrla. Durante le vacanze o nei weekend lunghi, Kathryn andava in cerca di musica artigianale, spesso con figli e cani al seguito. La sua seconda attività si poteva definire «folklorista» o, più popolarmente, song catcher, «acchiappacanzoni». Il più famoso era Alan Lomax che, negli anni Cinquanta, aveva raccolto musiche dalla Louisiana agli Appalachi per la Library of Congress. Mentre Lomax spaziava dal black blues alla mountain music, la ricerca di Kathryn andava più lontano, verso aree che riflettevano le mutazioni sociologiche del Nord America: musiche radicate in territorio latino, caraibico, in Nuova Scozia, Canada, musiche afro-americane e dei nativi. Lei e Martine aiutavano i musicisti a tutelare i diritti dei loro pezzi, ospitavano sul sito le tracce e distribuivano loro il denaro ricavato dal download degli utenti. Un giorno, quando Kathryn si fosse stancata o non se la sarebbe più sentita di inseguire criminali, sapeva che la musica sarebbe stata un'ottima attività da coltivare durante la pensione. Le squillò il cellulare. Guardò, il nome che compariva sul display. «Ciao.» «Ehilà», fece Michael O'Neil. «Com'è andata con Reynolds?» «Niente di particolarmente utile. Comunque andrà a rispolverare il fascicolo del caso Croyton.» Aggiunse che si era procurata anche il materiale di Morton Nagle, ma non aveva ancora avuto tempo di dargli un'occhiata. O'Neil le comunicò che la Focus rubata da Moss Landing non era stata localizzata e che al Jack's Seafood non avevano ricavato altro di utile. La scientifica aveva recuperato due tipi di impronte dalla Thunderbird e dalle posate: quelle di Pell e un altro paio comuni a entrambe le fonti, probabil-
mente quelle della donna. Una ricerca attraverso i database statali e federali aveva rivelato che era incensurata. «Abbiamo scoperto una cosa che in un certo senso ci ha allarmato. Peter Bennington...» «Il tuo tecnico di laboratorio.» «Esatto. C'era dell'acido sul pavimento della Thunderbird, dalla parte del sedile del guidatore, quella che non è bruciata. Era recente. Peter ha detto che si tratta di un acido corrosivo... in gran parte diluito. Eppure i poliziotti di Watsonville hanno inondato la macchina da cima a fondo per spegnere le fiamme, quindi quell'acido doveva essere piuttosto potente quando Pell l'ha rovesciato lì dentro.» «Sai che io e la scientifica parliamo due lingue diverse, Michael.» «Okay... La conclusione è che l'acido era stato mescolato con la stessa sostanza presente nelle mele, nell'uva e nelle caramelle.» «Vuoi dire che Pell voleva... cosa? Mettere il veleno da qualche parte?» Il cibo era la ragion d'essere della California centrale. C'erano migliaia di acri di campi e di frutteti, una dozzina di grosse industrie vinicole e altre compagnie alimentari nel raggio di mezz'ora di macchina. «Non lo escludo. O forse si è nascosto in un frutteto o in un vigneto. A Moss Landing l'abbiamo spaventato e può aver rinunciato ad andare a stare in un motel o in una pensione. Pensa ai Pascoli... Dovremmo mandare un po' di ragazzi a fare ricerche.» «Hai qualcuno disponibile?» chiese Kathryn. «Posso spostare qualche truppa. E chiamare la CHP. Mi secca spostare la ricerca dal centro città e dalla 1, ma non credo che ci sia molta scelta.» Kathryn fu d'accordo. Lo aggiornò sulle informazioni di Carraneo relative alla Thunderbird. «Non filiamo proprio alla velocità della luce, vero?» «No», concordò Kathryn. «Che stai facendo?» I compiti. «Credevo che i ragazzi fossero in vacanza, d'estate.» «I miei compiti, dicevo. La caccia all'uomo.» «Adesso ti raggiungo. Vuoi che ti temperi la matita e cancelli la lavagna?» «Basta una mela per l'insegnante.» 20
«Ciao, Michael», fece Wes, dandogli un cinque. «Ehilà.» Parlarono del campo estivo di tennis e di come accordare la racchetta. Anche O'Neil sapeva giocare. Il figlio snello e muscoloso di Kathryn riusciva molto bene in quasi tutti gli sport, e in quel momento si stava dedicando al tennis e al calcio. Voleva provare a praticare il karatè o l'aikido, ma la madre tentava di dissuaderlo. A volte il ragazzo attraversava momenti di rabbia, dovuti alla morte del padre, e non le piaceva incoraggiarlo alle tecniche di combattimento. O'Neil si era impegnato a tenere occupata la mente di Wes con sport salutari e altri diversivi. L'aveva avviato a due attività tra loro opposte: collezionare libri e passare il tempo nel posto che il poliziotto preferiva sopra ogni cosa. Monterey Bay. A volte Kathryn pensava che il detective fosse nato nel periodo sbagliato. Se lo immaginava come capitano di un vecchio vascello o di una barca da pesca degli anni Trenta. A volte, quando lei organizzava con Maggie un'uscita madre-figlia, Wes passava il pomeriggio sulla barca di O'Neil a pescare o a cercare le balene. Mentre Kathryn pativa il mal di mare e non poteva fare a meno della dramamina, Wes sembrava nato in acqua. O'Neil e il ragazzo parlarono di un'eventuale gita in barca nel giro di qualche settimana, quindi Wes gli augurò la buona notte e andò in camera sua. Kathryn versò il vino. Il detective amava il rosso e prediligeva il cabernet. Lei si servì del pinot grigio. Andarono in salotto, si sedettero sul divano. O'Neil finì esattamente sul cuscino accanto alla foto di matrimonio di Kathryn. Lui e Billy Swenson erano stati buoni amici e spesso avevano collaborato. Prima della morte del marito c'era stata una breve parentesi in cui Kathryn, Bill e O'Neil avevano lavorato tutti insieme su un caso. Il marito come federale, Kathryn come statale, O'Neil per la contea. Il detective aprì con uno schiocco la confezione di plastica con il sushi takeaway che aveva portato. Il fruscio agì da moderno campanello pavloviano per i cani che balzarono verso di lui. Il pastore tedesco si chiamava Dylan, dal nome del famoso cantautore, e il retriever Patsy, in onore di Patsy Cline, la cantante country preferita da Kathryn. «Posso?...» O'Neil teneva tra le bacchette un pezzo di tonno. «Sì, se poi gli lavi tu i denti.» «Mi dispiace, ragazzi», disse il detective ai cani. Anche Kathryn declinò e lui cominciò a mangiare, rinunciando ad aprire
il contenitore della salsa di soia e del wasabi. Sembrava molto provato. O forse soltanto non aveva voglia di lottare con i pacchetti. «Una domanda», fece Kathryn. «Lo sceriffo è d'accordo che il CBI si occupi della caccia all'uomo?» O'Neil posò le bacchette e passò una mano tra i capelli brizzolati. «Be', ti dirò. Quando mio padre era in Vietnam ogni tanto alla sua squadra toccava distruggere i tunnel dei vietcong. A volte trovavano delle trappole esplosive, altre volte dei vietcong armati. In guerra, quello era il lavoro più pericoloso. Papà non si è mai tolto di dosso quella paura per tutta la vita.» «Claustrofobia?» «No. Volontario-fobia. Dopo aver ripulito il primo tunnel, poi non si è offerto mai più. Nessuno ha mai capito perché l'ha fatto quella volta.» Kathryn rise: «E secondo te io l'ho capito, vero?» Gli raccontò della mossa di Overby per prendere il controllo dell'operazione, passando davanti al CHP e allo stesso ufficio di O'Neil. «L'avevo immaginato. Solo per la cronaca, Fish ci manca quanto a voi.» Si riferiva a Stanley Fishburne, il precedente capo del CBI. «No, a noi manca di più», replicò lei, decisa. «Okay, forse hai ragione. Comunque, per rispondere alla tua domanda, tutti sono felici che tu diriga la faccenda. Che Dio ti benedica e ti aiuti.» Lei spostò da una parte pile di libri e riviste, poi tirò fuori il materiale di Morton Nagle. Quei fogli potevano anche rappresentare una percentuale molto piccola dei libri, dei ritagli e degli appunti del giornalista, ma la quantità restava comunque scoraggiante. Kathryn trovò un inventario delle prove e di altri oggetti rimossi dall'abitazione di Pell a Seaside dopo gli omicidi Croyton. C'erano una dozzina di libri su Charles Manson, parecchi fascicoli e una relazione dell'agente della scientifica: Reperto n. 23. Trovato nello scatolone assieme ai libri su Manson: Trilby, un romanzo di George du Maurier. Il libro è stato letto numerose volte. Presenta numerosi appunti a margine. Nulla di rilevante ai fini del caso. «Tu lo sapevi?» chiese. O'Neil era un gran lettore, con un'enorme biblioteca che riempiva tutto il suo soggiorno e che conteneva ogni genere di libro esistente... Quello però non lo conosceva.
Kathryn prese il portatile, si connesse e controllò. «Interessante... George du Maurier era il nonno di Daphne du Maurier.» Lesse diverse recensioni e sinossi del libro. «Pare che Trilby fosse un bestseller, una specie di Codice da Vinci dell'epoca. Chi è Svengali?» «Il nome l'ho già sentito... dev'essere un ipnotizzatore. Ma non so altro.» «Interessante. È la storia di un musicista fallito, Svengali, che incontra una cantante di nome Trilby, giovane e bella, ma priva di successo. Svengali si innamora di lei, la ragazza non vuole saperne, allora lui la ipnotizza. Trilby raggiunge il successo, ma diventa schiava della sua mente. Alla fine Svengali muore e muore anche lei. Secondo du Maurier un automa non può sopravvivere al suo padrone.» «Immagino che non ci sia un sequel.» O'Neil sfogliava pile di appunti. «Nagle aveva un'idea dei piani di Pell?» «Non proprio. Ci sta preparando una sua biografia.» Trascorsero le ore successive a passare al vaglio fotocopie, alla ricerca di riferimenti a posti o persone nella zona che a Pell potessero interessare, o di motivi che lo spingessero a restare nella Penisola. Non trovarono alcun cenno né ad Alison né a Nimue. Nulla. Molte delle videocassette erano reportage televisivi o servizi speciali su Pell, sugli omicidi Croyton o su Croyton stesso, l'imprenditore sopra le righe di Silicon Valley. «Le solite stronzate sensazionalistiche», dichiarò il detective. «Sensazionalistiche e superficiali.» Proprio come aveva osservato Nagle riguardo ai resoconti televisivi di cronaca nera e di guerra. Però c'erano altri due nastri contenenti interrogatori della polizia che Kathryn trovò più interessanti. Uno si riferiva a un furto con scasso, avvenuto tredici anni prima. «Qual è il tuo parente più prossimo, Daniel?» «Nessuno. Non ho famiglia.» «E i tuoi genitori?» «Se ne sono andati. Da tempo. Sono orfano, si può dire.» «Quando sono morti?» «Quando avevo diciassette anni. Ma mio padre se n'è andato prima.» «Andavate d'accordo, tu e lui?» «Io e mio padre? È una storia difficile.»
Pell parlava all'agente del padre violento, che aveva costretto il giovane Daniel a pagare l'affitto da quando aveva tredici anni. Se il ragazzino non tornava con il denaro, lo picchiava, e picchiava anche la madre se prendeva le difese del figlio. Per questo, secondo lui, aveva cominciato a rubare. Infine il padre li aveva abbandonati. Casualmente, i genitori separati erano morti lo stesso anno: la madre di cancro, il padre per guida in stato di ebbrezza. A diciassette anni Pell era da solo. «E non hai nessun fratello?» «Nossignore... Ho sempre pensato che se avessi avuto qualcuno con cui dividere la mia sofferenza, le cose sarebbero andate diversamente... Comunque, neanch'io ho dei figli. È il mio rimpianto, lo ammetto... ma sono giovane. Ho ancora tempo, vero?» «Oh, se ti rimetti in riga, Daniel, non c'è motivo perché tu non possa avere una famiglia.» «La ringrazio per le sue parole, agente. Davvero. E lei, agente? Ce l'ha una famiglia? Vedo che ha la fede al dito.» L'altro nastro della polizia risaliva a dodici anni prima e proveniva da un paesino della Central Valley, dove Pell era stato arrestato per furto. «Daniel, ascolta, adesso ti faccio alcune domande. Non ci provare a mentirci, d'accordo? Farai solo peggio.» «Nossignore, sceriffo. Sono qui per parlare sinceramente. Giuro su Dio.» «Obbediscimi e io e te saremo buoni amici. Ora, perché c'erano la TV e il videoreggistratore di Jake Peabody nel bagagliaio della tua auto?» «Li ho comprati, sceriffo. Giuro. Per strada. Era un messicano. Che intanto che si parlava ha detto che aveva bisogno di soldi, che lui e sua moglie ci avevano il figlio ammalato.» «Hai visto come fa?» chiese Kathryn. O'Neil scosse il capo. «Il primo intervistatore era colto. Parlava correttamente, rispettava la grammatica e la sintassi. E Pell gli rispondeva allo stesso modo. E il secondo agente? Non aveva la cultura del primo e faceva errori: videoreggistratore. Pell ne teneva conto e li riproduceva. 'Che intanto che si parlava'
oppure 'ci avevano'. È un trucco machiavellico.» Indicò il materiale. «Pell ha il controllo totale di entrambi gli interrogatori.» «Non so... Io gli avrei dato un quattro meno meno per quelle storie patetiche», osservò O'Neil. «Non cercate di comprare la mia simpatia.» «Vediamo.» Kathryn trovò i resoconti che Nagle aveva allegato alle registrazioni. «Spiacente, professore. Loro gli hanno dato dieci e lode. La prima accusa è stata ridotta da furto aggravato a ricettazione, ed è stata sospesa. Nel secondo caso, invece, è stato rilasciato.» «Obiezione accolta.» Passarono al setaccio il materiale per un'altra mezz'ora. Non c'era nient'altro di utile. O'Neil guardò l'orologio. «Devo andare.» Si alzò stancamente e Kathryn lo accompagnò fuori. L'uomo accarezzò la testa ai cani. «Spero che domani ce la farai per la festa di papà.» «Speriamo che domani, a quell'ora, sia tutto finito.» Salì sulla Volvo e si allontanò in mezzo alla foschia. Il cellulare di Kathryn gracidò. «Sì?» «Ehi, capo.» La musica assordante impediva di sentire. «Puoi abbassare?» «Aspetta che chiedo alla band. Notizie di Juan?» «Nessuna novità.» «Domani vado a trovarlo... ascolta...» «Ci provo.» «Ah-ha. Primo, la zia di Pell. Si chiama Barbara Pell e ha il cervello in pappa. La polizia di Bakersfield dice che ha l'Alzheimer. Lei non sa neanche che ora è, comunque dietro casa sua c'è un capanno da lavoro o un garage con dentro alcuni attrezzi e altra roba di Pell. Chiunque potrebbe essere entrato lì e aver preso un martello. I vicini non hanno visto nulla. 'Sorpresa, sorpresa, sorpresa'.» «Era una battuta di Andy Griffith?» «No, era in The Andy Griffith Show, ma lo diceva sempre Gomer Pyle.» «Quelli di Bakersfield andranno a dare un'occhiata a casa della donna?» «Affermativo... E adesso, capo, ho un pettegolezzo in esclusiva per te. Riguarda Winston.» «Chi?» «Winston Kellogg, il tipo dell'FBI. Quello mandato da Overby a farti da
babysitter.» Babysitter... «Conosci qualche termine migliore?» «A supervisionarti. A comandare il gregge. A sottometterti.» «TJ!» «Okay, ecco lo scoop. Ha quarantaquattro anni. È di Washington, ma adesso è a Los Angeles. È un ex militare, stava nell'esercito.» Proprio come mio marito, pensò Kathryn. Stessa età e stessa provenienza. «Prima era detective presso il dipartimento di polizia di Seattle, poi è entrato nei federali. Appartiene a una divisione specializzata in sette e crimini relativi. Rintracciano i leader, gestiscono le trattative per gli ostaggi e cercano di liberare i membri dal condizionamento. È stata creata dopo Waco.» La situazione di stallo in Texas tra i federali e David Koresh. L'azione per salvare i membri si era conclusa tragicamente. Il complesso era bruciato e la maggior parte delle persone all'interno erano morte, compresi alcuni bambini. «Ha una buona reputazione nel Bureau. È uno che va dritto al bersaglio, ma non gli dispiace sporcarsi le mani. Cito le parole esatte del mio amico, anche se non ho idea di cosa voglia dire. Oh, c'è dell'altro, capo. La ricerca di Nimue... Non è riportato nel database di nessun dipartimento, e ho anche controllato centinaia di nick su internet. Metà non sono più in uso, e l'altra sembra riferirsi a smanettoni sedicenni. I veri cognomi sono soprattutto europei e non trovo nessuno che abbia un legame con questa faccenda. Però ho scovato un'alternativa piuttosto interessante.» «Davvero? Quale?» «Si tratta di un gioco di ruolo online. Hai presente?» «Per computer, vero? Ti riferisci a quelle scatole con i fili elettrici che escono fuori?» «Bingo, capo. È ambientato nel Medioevo e tu devi ammazzare troll e draghi e salvare principesse. Un po' quello che ci tocca fare per vivere, se ci pensi. Comunque, il motivo per cui non è comparso subito è che è scritto in modo diverso: N-i-X-m-u-e. Il logo è la parola Nimue con una grande X rossa nel centro. È uno dei giochi più di moda oggi. Ne vendono centinaia di milioni. Ah, chissà che fine ha fatto Pacman... era il mio preferito.» «Non credo che Pell sia il tipo da videogame.» «Ma è il tipo da ammazzare un programmatore.»
«Ottima osservazione. Indagaci su. Eppure continuo a pensare che si tratti del nome o del nick di qualcuno.» «Tranquilla, capo. Posso controllare entrambe le teorie, con tutto il tempo libero che mi hai lasciato a disposizione.» «Divertito al concerto?» «Centrato in pieno.» Kathryn portò fuori Dylan e Patsy per i loro bisogni serali, poi perlustrò in fretta la proprietà. Non c'erano macchine sconosciute parcheggiate nei dintorni. Fece rientrare i cani. Di solito gli animali dormivano in cucina, ma quella notte li lasciò a guardia della casa: quando si avvicinava qualche estraneo, facevano molto chiasso. Inserì anche l'allarme alle porte e alle finestre. Andò in camera di Maggie e l'ascoltò mentre suonava alla tastiera un breve pezzo di Mozart. Le diede il bacio della buona notte e spense la luce. Rimase qualche minuto con Wes. Le raccontò di un nuovo ragazzino conosciuto al campo, che si era trasferito in città con i genitori da pochi mesi. Quel giorno si erano divertiti a giocare insieme qualche partita. «Vuoi invitare lui e i suoi a venire domani? C'è il compleanno del nonno.» «No. Credo di no.» Dopo la morte del padre, Wes era diventato più timido e chiuso. «Sicuro?» «Magari più avanti. Non saprei... mami?» «Dimmi, tesoro mio.» Un sospiro angosciato. «Sì?» «Com'è che hai ancora addosso la pistola?» I bambini... Non gli sfugge mai nulla. «Dimenticatela. Tra poco torna al sicuro.» «Posso leggere un po'?» «Certo. Dieci minuti. Che libro è?» «Il Signore degli anelli.» Lo guardò, ma senza aprirlo. «Mami?» «Sì?» Kathryn non udì nulla. Sapeva che cosa gli girava per la mente. Le avrebbe parlato solo se gli andava di farlo. Si augurò che non gli andasse; era stata davvero una lunga giornata. Poi Wes disse: «Niente», con un tono che voleva dire: Invece una cosa c'è, ma non mi va ancora di parlartene. Tornò alla Terra di Mezzo.
Kathryn chiese, indicando il libro: «Dove stanno gli hobbit?» «Nella Contea. E i cavalieri li cercano.» «Solo un quarto d'ora.» «'Notte, mami.» Kathryn richiuse la Glock in cassaforte con una combinazione a tre numeri, facile da aprire al buio. Ci provò in quell'istante, a occhi chiusi: ci impiegò meno di due secondi. Fece una doccia, indossò una tuta e scivolò sotto la pesante coperta. La sofferenza della giornata le aleggiò intorno come l'aroma di lavanda dal potpourri sul comodino. Dove sei? Pensava a Daniel Pell. Chi è la tua complice? Che cosa stai facendo, ora? Dormi? O sei in giro nei dintorni, alla ricerca di qualcosa o qualcuno? Hai deciso di uccidere ancora? Perché sei rimasto nella zona? Che cos'hai in mente? Mentre si addormentava, risentì nella testa alcune battute del nastro ascoltato con Michael O'Neil. Comunque, neanch'io ho dei figli. È il mio rimpianto, lo ammetto... ma sono giovane. Ho ancora tempo, vero? Oh, se ti rimetti in riga, Daniel, non c'è motivo perché tu non possa avere una famiglia. Kathryn spalancò gli occhi. Restò sdraiata a letto qualche minuto, fissando le ombre sul soffitto. Poi si infilò le ciabatte e andò in salotto. «Tornate a dormire», disse ai due cani. Nelle ore successive, tuttavia, i due animali non smisero di osservarla, mentre rovistava un'altra volta nello scatolone che Morton Nagle le aveva preparato. MARTEDÌ 21 Di buon mattino Kathryn Dance, con TJ al suo fianco, si trovava nell'ufficio di Charles Overby. La pioggia tamburellava sui vetri. I turisti credevano che a Monterey il clima tendesse al coperto con minaccia di acquazzoni; in realtà l'area soffriva di siccità cronica, e il grigiore del cielo non era altro che l'abituale cappa di smog della West Coast. Quel giorno, però, pioveva sul serio. «Ho bisogno di una cosa, Charles.» «Cioè?»
«L'autorizzazione a sostenere certe spese.» «A quale scopo?» «Non stiamo facendo nessun passo avanti. Non ci sono piste da Capitola, la scientifica non ci dà risposte, Pell non si vede da nessuna parte. E, cosa più importante, non so perché sia rimasto in zona.» «Che cosa intendi per 'spese'?» «Voglio le tre donne che facevano parte della Famiglia.» «In arresto? Pensavo che ormai rigassero dritto.» «No. Voglio interrogarle. Hanno vissuto con lui, sono arrivate a conoscerlo a fondo.» Oh, se ti rimetti in riga, Daniel, non c'è motivo perché tu non possa avere una famiglia. Era quella battuta dalla registrazione dell'interrogatorio che le aveva dato l'idea. Dal punto A al punto B al punto X. «Vogliamo organizzare una riunione di Famiglia», disse TJ, allegro. Kathryn sapeva che aveva passato la notte fuori, ma il suo viso tondo, sotto i capelli rossi e ricci, era fresco come una rosa. Overby non gli fece caso. «E chi ti dice che ti vogliano aiutare? Non pensi che simpatizzino per lui?» «No. Ho parlato con due di loro e non hanno alcuna simpatia per Pell. La terza ha cambiato identità, pur di lasciarsi quella vita alle spalle. Anche questo non mi sembra un segno di simpatia.» «E perché portarle qui? Perché non andare a interrogarle dove stanno?» «Le voglio insieme, per tentare un approccio gestaltico. I ricordi di una possono innescare quelli di un'altra. Sono stata sveglia fino alle due per documentarmi. Rebecca non è rimasta a lungo con la Famiglia, solo qualche mese, ma Linda ha vissuto con Pell per oltre un anno e Samantha per due.» «Ne hai già parlato con loro?» chiese Overby, esitante, come se sospettasse che lei stesse cercando di metterlo di fronte a un fatto compiuto. «No», rispose Kathryn. «Volevo prima chiedere a te.» Overby parve soddisfatto: la sua autorità non era stata scavalcata. Scosse ugualmente il capo. «Biglietti aerei, guardie, trasporti... troppa burocrazia, non so se riesco a convincere la direzione a Sacramento. È troppo poco ortodosso.» Notò un filo pendente dal polsino e lo strappò. «Temo che dovrò dire di no. Utah, sono sicuro che è lì che sta andando in questo momento. Dopo che gli abbiamo fatto prendere paura a Moss Landing. Sarebbe paz-
zo a restare qui. La Utah State Police? È ancora in stato di allerta?» «Sì», rispose TJ. «Lo Utah sarebbe perfetto. Davvero perfetto.» Il che, intuì Kathryn, significava che se Pell fosse stato arrestato nello Utah, il CBI si sarebbe assunto ugualmente i meriti, senza che vi fossero altre perdite umane in California. Ma se la Utah State Police non ci fosse riuscita, il fallimento sarebbe stato tutto suo e non del CBI. «Charles, sono certa che lo Utah sia una falsa pista. Se ci manda in quella direzione non è per...» «A meno che», disse il suo capo, trionfante, «non sia un doppio inganno. Prova a pensarci.» «Già fatto. È non è nel profilo di Pell. Vorrei proprio portare avanti la mia idea.» «Non sono sicuro che...» Una voce alle spalle di Kathryn. «Posso chiedere di che idea si tratta?» Lei si voltò e vide un uomo vestito di scuro, con una camicia azzurro polvere e una cravatta a righe nere e blu. La sua non era una bellezza classica: aveva un po' di pancia, le orecchie a sventola e, se abbassava la testa, gli spuntava il doppio mento. Però aveva un'espressione sicura di sé e divertita negli occhi castani e un ciuffo di capelli dello stesso colore che gli ricadeva sulla fronte. Tanto l'aspetto quanto l'atteggiamento rivelavano rilassatezza. Sulle labbra sottili aveva un abbozzo di sorriso. Overby chiese: «Posso esserle utile?» L'uomo fece un passo avanti e mostrò un tesserino dell'FBI: Agente speciale Winston Kellogg. «È arrivata la babysitter», disse TJ sottovoce, coprendosi la bocca con una mano. Kathryn non gli diede retta. «Charles Overby. Grazie per essere venuto, agente Kellogg.» «La prego, mi chiami Win. Sono distaccato alla Divisione CCVM.» «Che sta per...» «Crimini Coercitivi con Vittime Multiple.» «È così che chiamate le sette, adesso?» «Una volta ci chiamavano Cult Unit, ma non era un'FPC.» TJ si accigliò. «Droga?» «Frase Politicamente Corretta.» Questa era buona. Lei rise e si presentò: «Sono Kathryn Dance». «TJ Scanlon.»
«Che sta per 'Thomas Jefferson'?» TJ rispose con un sorriso enigmatico. Nemmeno Kathryn conosceva il suo nome completo. Poteva anche essere TJ e basta. Kellogg si rivolse a tutti gli agenti del CBI. «Voglio chiarire subito una cosa. Sì, sono dell'FBI. Ma non intendo arruffare le piume di nessuno. Sono qui come consulente, il mio compito è aiutarvi a capire come ragiona e agisce Pell. E non ho la pretesa di mettermi al volante.» Anche se non era sincero al cento per cento, Kathryn apprezzò quella rassicurazione. Era raro, con l'egocentrismo diffuso nell'FBI e in altre agenzie, sentire uno di Washington che diceva una frase del genere. «La ringrazio», disse Overby. Kellogg si voltò verso di lui. «Ottima la sua idea di controllare i ristoranti, ieri. Io non ci avrei mai pensato.» Il capo del CBI esitò. «In effetti, credo di avere detto a Amy Grabe che l'idea è stata di Kathryn.» TJ tossicchiò sommessamente. Lei non osò voltarsi. «Be', di chiunque fosse, era un'ottima idea.» Kellogg si rivolse a lei. «E che cosa stava suggerendo, un attimo fa?» Kathryn glielo spiegò. L'agente dell'FBI fece un cenno di assenso. «Rimettere insieme la Famiglia. Buona idea, anzi, ottima. Ormai il processo di deprogrammazione dovrebbe essere completo. Anche se non fossero state in terapia, il tempo dovrebbe avere ormai cancellato qualsiasi traccia di sindrome di Stoccolma. Dubito che provino ancora lealtà nei suoi confronti. Credo che dovremmo procedere.» Vi fu silenzio per un momento. Kathryn non aveva intenzione di accorrere in aiuto di Overby, che alla fine disse: «È proprio una buona idea. Assolutamente. L'unico problema è il nostro budget. Di recente...» «Paghiamo noi», lo prevenne Kellogg. Poi tacque e fissò il capo del CBI. Kathryn avrebbe voluto mettersi a ridere. «Voi?» «Le farò portare con un jet dell'FBI, se sarà necessario. Siete d'accordo?» Privato dell'unico argomento che gli poteva venire in mente sui due piedi, Overby disse: «Come possiamo rifiutare un regalo di Natale dallo Zio Sam? Grazie, amigo».
Kellogg, TJ e Kathryn erano nell'ufficio di quest'ultima quando entrò Michael O'Neil. Vi furono presentazioni e strette di mano. «Nessuna novità dalla scientifica di Moss Landing», annunciò O'Neil, «ma abbiamo qualche speranza sui Pascoli del Cielo e i vigneti. C'è al lavoro anche una squadra del dipartimento della Salute che sta raccogliendo campioni. Nel caso li abbia adulterati con dell'acido.» Informò Kellogg delle tracce rilevate sulla Thunderbird durante la fuga di Pell. «C'è qualche ragione per cui potrebbe averlo fatto?» «Un diversivo. Oppure, semplicemente, può voler fare del male a qualcuno.» «Le prove fisiche non sono il mio campo, ma mi sembra saggio farlo.» Kathryn aveva notato che l'agente dell'FBI aveva distolto lo sguardo mentre O'Neil gli esponeva i dettagli: si stava concentrando per memorizzarli. Poi Kellogg disse: «Potrebbe essere utile darvi qualche dato sulla mentalità delle sette. Al CCVM mettiamo insieme un profilo generale, e sono certo che tutto o in parte si può applicare a Pell. Spero possa servire a formulare una strategia.» «Bene», approvò O'Neil. «Credo che nessuno abbia mai avuto a che fare con un tipo del genere.» L'iniziale scetticismo di Kathryn sull'utilità di un esperto di sette stava svanendo, dopo che Pell aveva dimostrato di avere un piano che a loro sfuggiva. Aveva l'impressione che fosse molto diverso da qualsiasi altro assassino. Kellogg si appoggiò alla sua scrivania. «Innanzitutto, come si intuisce dal nome della nostra unità, consideriamo i membri della setta come 'vittime'. Il che è assolutamente vero. Dobbiamo però ricordare che i membri possono essere pericolosi quanto il leader. Charles Manson non era nemmeno presente ai delitti Tate-LaBianca: a commettere gli omicidi sono stati i suoi adepti. A proposito di leader, ho la tendenza a parlarne al maschile, ma le donne non sono necessariamente meno abili e spietate degli uomini. A volte sono persino più contorte. Il profilo di base è questo... il leader di una setta non risponde ad alcuna autorità eccetto la propria; detiene il potere al cento per cento; è lui a stabilire come gli affiliati trascorrono ogni minuto del loro tempo. Assegna loro compiti di ogni genere, anche solo per tenerli impegnati ed evitare che abbiano tempo libero, tempo per pensare. Il leader di una setta si crea la propria etica, definita esclusivamente in base a ciò che è bene per sé e per mantenere in vita il culto; leggi e moralità esterne sono irrilevanti. Il leader convince gli adepti che è
eticamente giusto fare ciò che lui dice... o suggerisce loro di fare. Di solito i leader sono maestri nel dare istruzioni ambigue e sottili, in modo tale che, anche se fossero registrate, non sarebbero sufficienti a incriminarli. Ma il soggetto è in grado di interpretarle correttamente. Quando espone concetti, il capo lo fa in termini elementari, in bianco e nero: 'Loro sono contro di noi, la setta ha ragione e chiunque non ne faccia parte ha torto e ci vuole distruggere'. E non ammette alcun dissenso. Può prendere posizioni estreme e offensive e attendere che un adepto le metta in discussione, per testarlo. Si aspetta che i soggetti gli diano tutto quello che hanno... il loro tempo, il loro denaro.» Kathryn gli disse dei novemiladuecento dollari. «A quanto pare, la donna ha finanziato la fuga di Pell.» Kellogg annuì. «Il leader si aspetta che mettano a sua disposizione anche il loro corpo. A volte persino i bambini. Esercita un controllo assoluto sugli adepti, che sono tenuti a rinunciare al loro passato... lui darà loro nuovi nomi, spesso di fantasia, che possono riflettere il modo in cui li vede. Sceglie preferibilmente individui vulnerabili e gioca sulle loro insicurezze. Cerca soggetti solitari e li convince ad abbandonare gli amici e la famiglia. Gli adepti cominciano a vedere in lui l'unica fonte di sussistenza e lui minaccia di negarsi a loro, probabilmente l'arma più efficace. Potrei andare avanti per ore, comunque questo può bastare a darvi un'idea dei processi mentali di Daniel Pell.» L'agente dell'FBI sollevò le mani. Un gesto da professore. «Che cosa significa questo per noi? Da un lato, ci dice qualcosa dei suoi punti deboli. Fare il leader di una setta è molto impegnativo: devi mantenere un controllo ininterrotto sugli adepti, intuire i dissensi e stroncarli sul nascere. Quindi, qualora possano sussistere influenze esterne, per strada o in luoghi pubblici, rimangono particolarmente cauti. Nel loro ambiente, al contrario, sono più rilassati e pertanto meno accorti e più vulnerabili. Pensate a quanto è successo al ristorante... era molto guardingo, perché si trovava in pubblico. Se fosse stato a casa sua, probabilmente sareste riusciti a prenderlo. L'altra implicazione è la seguente: la complice, la donna, è pronta a credere che Pell sia nel giusto e che abbia legittimamente motivo di uccidere. Questo vuol dire due cose: che non ci darà aiuto e che è altrettanto pericolosa. Sì, è una vittima, anche se ciò non esclude che vi ucciderà se ne avrà l'occasione... Ecco, queste sono alcune considerazioni generali.» Kathryn rivolse lo sguardo a O'Neil. Sapeva che le sue reazioni non dovevano essere diverse dalle proprie: la competenza di Kellogg nel suo
campo faceva un'ottima impressione. Forse per una volta Charles Overby aveva preso una decisione saggia, anche se solo per pararsi il culo. Nondimeno, dopo quanto aveva detto Kellogg, il loro avversario la preoccupava ancora di più. Aveva avuto esperienza diretta dell'intelligenza di Pell ma, se il profilo esposto dall'agente dell'FBI era corretto almeno in parte, l'uomo cui davano la caccia era eccezionalmente pericoloso. Kathryn ringraziò Kellogg e la riunione si sciolse. O'Neil andò all'ospedale per avere notizie di Juan Millar, TJ si preoccupò di trovare un ufficio temporaneo per Kellogg. Lei prese il cellulare e tra le chiamate recenti trovò il numero di Linda Whitfield; lo ricompose in automatico. «Oh, agente Dance. Ha saputo qualcosa di nuovo?» «No, purtroppo no.» «Abbiamo sentito la radio... L'avete quasi preso, ieri.» «Eh, già.» Un altro mormorio. Di nuovo una preghiera, forse. «Signorina Whitfield?» «Eccomi.» «Le chiedo una cosa, ma voglio che ci pensi, prima di rispondere.» «Mi dica.» «Vorremmo che lei venisse qui ad aiutarci.» «Come?» sussurrò lei. «Daniel Pell è un mistero per noi. Siamo quasi sicuri che sia rimasto sulla penisola, però non riusciamo a immaginare perché. Nessuno lo conosce meglio di lei, di Samantha e di Rebecca. Speriamo possiate aiutarci a capire qualcosa.» «Loro vengono?» «Lei è la prima che chiamo.» Una pausa. «E io che cosa potrei fare?» «Voglio parlare di Pell con lei, vedere se le viene in mente qualcosa che ci permetta di capire cosa ha intenzione di fare e dove voglia andare.» «Non so niente di lui, da sette-otto anni a questa parte.» «Ma qualcosa di quell'epoca potrebbe darci qualche indizio. Pell corre grossi rischi a restare da queste parti. Sono sicura che ha un motivo per farlo.» «Be'...» Kathryn aveva familiarità con le difese mentali. Si immaginava Linda alla frenetica ricerca di ragioni, che rifiutava o cui si aggrappava, per non fare ciò che le veniva chiesto. Non fu una sorpresa quando la sentì dire: «Il problema è che sto aiutando mio fratello e la moglie con i loro fi-
gli adottivi. Non è che me ne posso andare dall'oggi al domani». La detective ricordava che Linda viveva con la coppia. Le chiese se i due potevano cavarsela da soli con i bambini per un paio di giorni. «Non ci vorrà molto di più.» «Non credo sarà possibile.» Il verbo «credere» è molto significativo, negli interrogatori. Tradisce un tentativo di negazione, come «Non ricordo» o «Probabilmente no». Il vero senso è: Mi tengo al riparo senza dire esplicitamente di no. Tra le righe, Kathryn leggeva che la coppia poteva benissimo fare a meno di lei. «Capisco che è chiedere molto, ma abbiamo bisogno del suo aiuto.» Dopo una pausa, Linda se ne uscì con la scusa numero due. «E anche se potessi liberarmi, non avrei abbastanza soldi per il viaggio.» «Viaggerà a bordo di un jet privato.» «Privato?» «Dell'FBI.» «Oh, santo cielo.» La detective affrontò la scusa numero tre prima ancora che si presentasse. «E viaggerà sotto scorta. Nessuno saprà che è qui e sarà sorvegliata ventiquattr'ore su ventiquattro. La prego, vuole aiutarci?» Di nuovo silenzio. Poi: «Dovrò chiedere». «A suo fratello? Al suo direttore al lavoro? Posso chiamarli io e...» «No, non loro. Voglio dire, devo chiederlo a Gesù.» Oh... «Be', d'accordo.» E, dopo una pausa: «Potrebbe chiederglielo quanto prima?» «La richiamo, agente Dance.» Dopo di che Kathryn chiamò Winston Kellogg e lo informò che erano in attesa dell'intervento divino. Lui si mostrò divertito. «Chiamata in teleselezione...» Kathryn decise che non avrebbe detto a Charles Overby a chi Linda doveva chiedere il permesso di collaborare. Ma era davvero una buona idea, tutto sommato? Poi telefonò alla Women's Initiatives a San Diego. Quando le rispose Rebecca Sheffield, disse: «Salve. Sono di nuovo Kathryn Dance, da Monterey. Stavo...» Rebecca la interruppe. «Sono ventiquattr'ore che seguo le notizie. Cos'è successo? L'avevate quasi preso, ma lui è scappato?» «Temo di sì.» Dall'altra parte si sentì un sospiro rauco. «Be', avete visto?» «Visto cosa?»
«L'incendio al tribunale. L'incendio alla centrale elettrica. Due volte, un incendio doloso. Ha trovato qualcosa che funzionava. E l'ha fatto di nuovo.» Proprio come la detective aveva pensato. Non cercò di difendersi. Si limitò a dire: «È del tutto diverso da qualsiasi altro fuggitivo». «Be', sì.» «Signorina Sheffield, c'è una cosa...» «Un momento. Prima ho io una cosa da dirle.» «Prego», disse Kathryn, a disagio. «Mi scusi, ma voi non avete la minima idea della persona che avete contro. Dovete fare quello che io dico alla gente nei miei seminari su come essere più forti negli affari. Molte donne pensano che possono vedere le amiche per un drink, sparlare del capo idiota, dell'ex o del fidanzato egoista e, voilà, tutto a posto. Non ci si può girare intorno, non si può improvvisare.» «Be', apprezzo...» «Primo, identifichi il problema: per esempio, non sei a tuo agio quando ti invitano a uscire. Secondo, identifichi i fatti alla radice del problema: in circostanze analoghe sei stata vittima di uno stupro. Terzo, strutturi la soluzione: non esci a tutti i costi tentando di ignorare le tue paure, né ti chiudi a riccio cercando di dimenticarti gli uomini. Fai un piano: cominci gradualmente, vedi uomini a pranzo, li incontri in luoghi pubblici, scegli quelli che non hanno un atteggiamento impositivo e che non invadono la tua privacy, che non bevono eccetera. Ti fai un'idea. Poi, pian piano, allarghi il quadro. Dopo tre mesi, sei, un anno, hai risolto il problema. Capisce che cosa intendo?» «Sì, capisco.» Kathryn pensò due cose. La prima: i suoi seminari probabilmente facevano il tutto esaurito. La seconda: Rebecca Sheffield non era il tipo di persona che avrebbe voluto frequentare fuori dall'orario di lavoro. Si domandò se il monologo fosse finito. Non ancora. «Okay. Oggi ho un seminario che non posso annullare. Ma se entro domattina non lo avete preso, voglio venire da voi. Può darsi che quello che ricordo di otto anni fa possa esservi utile. O questo va contro le vostre procedure?» «No, per niente. È un'ottima idea.» «Perfetto. Senta, adesso devo andare. Che cosa mi voleva chiedere?» «Niente d'importante. Speriamo che si risolva tutto prima di domattina;
in caso contrario cercherò di farla venire qui.» «Questo sì che sembra un piano», tagliò corto la donna. E riagganciò. 22 Al Sea View Motel, Daniel Pell alzò lo sguardo dal computer di Jenny, con il quale si era collegato a internet, e vide che lei gli rivolgeva uno sguardo carico di seduzione. La sentì fare le fusa e sussurrare: «Torna a letto, tesoro. Scopami». Pell ridusse la pagina web a un'icona, in modo che lei non vedesse che cosa stava cercando, e la cinse alla vita sottile. Uomini e donne esercitano di continuo il proprio potere gli uni sulle altre e viceversa. Per l'uomo, all'inizio, è più difficile: deve oltrepassare le difese di una donna, costruire sottili legami, scoprire ciò che le piace o non le piace, le sue paure... tutte cose che lei cerca di nascondere. Possono occorrere settimane o mesi per arrivare a metterle un guinzaglio. Ma, una volta che ci riesce, lui può fare quello che gli pare, finché vuole. Accanto a me, nello spirito... Una donna, dal canto suo, ha le tette e la fica e le basta avvicinarle a un uomo, a volte neanche troppo, per potergli far fare virtualmente qualsiasi cosa. Il problema della donna arriva dopo: quando si esaurisce il sesso, il controllo scompare dallo schermo radar. In certi momenti, dopo la fuga, era stata Jennie Marston ad avere il controllo della situazione, su questo non c'era dubbio: sul sedile anteriore della T-bird, poi a letto, inguainata nelle calze, poi ancora - più comodo e piacevole - sul pavimento, con certi accessori che Daniel Pell trovava interessanti (lei, naturalmente, non era attratta da quel particolare tipo di sesso, ma la sua trepida acquiescenza era risultata molto più stimolante che se fosse stata davvero eccitata). Ora lei stava perdendo molta della sua magia, ma un insegnante non permette mai allo studente di coglierlo disattento. Pell sogghignò e guardò il corpo di Jennie come se fosse una tentazione irresistibile. Sospirò: «Lo vorrei tanto, amore, però mi hai lasciato senza forze. E poi, ho bisogno che tu mi faccia un favore». «Io?» «Già. Ora che sanno che sono qui, è diventato necessario.» I notiziari riferivano che Pell doveva trovarsi ancora nelle vicinanze, dunque occorreva prudenza. «Oh, va bene, ma preferirei scopare.» Una smorfietta. Doveva essere
una di quelle donne convinte che l'espressione funzionasse con gli uomini. Non era vero e, prima o poi, lui gliel'avrebbe insegnato. Ma in quel momento c'erano cose più urgenti che Jennie doveva imparare. Le disse: «Adesso ti devi tagliare i capelli». «I capelli?» «Sì. E te li devi tingere. Quelli del ristorante ti hanno vista. Ti ho comprato la tintura al negozio messicano.» Daniel tirò fuori una scatola dal sacchetto. «Oh! Pensavo fosse per te.» Jennie sorrise imbarazzata, intrecciando una dozzina di ciocche tra le dita e tenendole strette. Ciò che importava a Daniel Pell era che, con i capelli corti e tinti, sarebbe stato più difficile riconoscerla. Tuttavia si rendeva conto che c'era di mezzo qualcos'altro. I capelli di Jennie erano come la sua preziosa camicetta rosa. Lui si incuriosì immediatamente. Ricordò quando l'aveva vista per la prima volta, seduta sulla T-bird nel parcheggio del Whole Foods, mentre si spazzolava orgogliosamente la chioma. Ah, quante cose lasciamo scoprire di noi stessi... Jennie non voleva tagliarsi i capelli. Non voleva proprio. I capelli lunghi dovevano dire qualcosa, per lei. Probabilmente, in qualche momento della sua vita, li aveva fatti crescere come difesa contro l'immagine spiacevole che aveva di se stessa. La chioma era l'emblema di un patetico trionfo sul suo seno piatto e il brutto naso. Non si mosse dal letto. Un attimo dopo disse: «Tesoro... cioè, certo che me li taglio. Tutto quello che vuoi». Un'altra pausa. «Solo che stavo pensando... non sarebbe meglio se ce ne andassimo, adesso? Dopo quello che è successo al ristorante? Non ce la farei se ti capitasse qualcosa... Prendiamo un'altra macchina e andiamo ad Anaheim! Vivremo bene, tesoro, te lo prometto! Posso mantenerci tutti e due. Tu potrai restare a casa fino a quando si saranno dimenticati di te.» «Una prospettiva meravigliosa, amore. Ma non possiamo ancora andarcene.» «Oh!» Jennie si aspettava una spiegazione. Pell disse solamente: «Adesso tagliati i capelli». E in un sussurro aggiunse: «Corti, molto corti». Le consegnò le forbici. Le prese con mani tremanti. «Okay.» Andò nella piccola stanza da bagno e accese tutte le luci. Forse perché aveva imparato a farlo dal parrucchiere presso cui lavorava una volta, o forse per guadagnare tempo, fissò le ciocche con le mollette, prima di tagliarle. Si guardò allo specchio, gioche-
rellando inquieta con le forbici. Socchiuse la porta. Lui si mise sul letto, in un punto in cui poteva vederla. Nonostante quanto aveva dichiarato poco prima, Daniel si accorse che si stava facendo rosso in viso. La bolla cominciava a crescere dentro di lui. Avanti, amore, fallo! Con le lacrime che le rigavano le guance, Jennie sollevò una ciocca e si mise a tagliare. Inspirava a fondo, poi faceva scattare le forbici. Si asciugò il viso, tagliò un'altra ciocca. Pell la fissava, proteso in avanti. Si tirò giù i pantaloni e le mutande. Se lo strinse forte, muovendo la mano su e giù, ogni volta che una cascata di capelli biondi precipitava sul pavimento. Jennie se la prendeva comoda. Cercava di tagliarli il meglio possibile e si interrompeva spesso per riprendere fiato e asciugarsi le lacrime. Pell era concentrato su di lei. Il suo respiro accelerava. Tagliali, amore. Tagliali! Una o due volte fu sul punto di venire, ma riuscì a rallentare il ritmo giusto in tempo. Dopotutto, era il re del controllo. Il Monterey Bay Hospital era una bella struttura, situata su una curva della Highway 68. Ibrido tra una tangenziale, una strada commerciale e una via di paese, la 68 parte da Pacific Grove, attraversa Monterey e arriva fino a Salinas. È la giugulare della terra di John Steinbeck. Kathryn Dance conosceva bene quell'ospedale. Era lì che aveva partorito i due figli. Era lì che, al reparto cardiologia, aveva tenuto la mano di suo padre dopo il bypass. Era lì che aveva vegliato un collega del CBI tra la vita e la morte dopo che gli avevano sparato tre colpi al petto. Ed era stato all'obitorio del Monterey Bay Hospital che aveva identificato il cadavere del marito. La struttura, circondata da una foresta, sorgeva tra le pinete sulle colline vicino a Pacific Grove. Gli edifici, bassi e a più ali, erano intervallati da giardini. I pazienti potevano risvegliarsi da un'operazione e vedere un colibrì sospeso fuori dalla finestra, o un cervo che li fissava con gli occhi sgranati dalla curiosità. Dalla sezione del reparto terapia intensiva in cui era ricoverato in quel momento Juan Millar non si vedeva nessun panorama. Né vi erano mobili o quadri che potessero risultare graditi ai pazienti; solo attrezzature medi-
che e poster che elencavano numeri di telefono e procedure incomprensibili ai profani. Millar era in una stanzetta a vetri e sigillata, per minimizzare i rischi di infezione. Kathryn raggiunse Michael O'Neil fuori dalla stanza e gli si mise spalla a spalla. Sentì il bisogno di prenderlo per un braccio. Non lo fece. Rimase a guardare il detective ustionato, ricordando il suo sorriso timido nell'ufficio di Sandy Sandoval. I ragazzi della CSI di giocare non smettono mai... L'ho sentita da qualche parte. «Ha detto qualcosa?» domandò lei. «No. Dall'ultima volta che sono stato qui, non ha mai ripreso conoscenza.» Kathryn guardò le ustioni e le bende e decise che era meglio che fosse privo di sensi. Molto meglio. Tornarono nella sala d'attesa del reparto, dov'erano seduti alcuni parenti di Millar: i genitori, una zia e due zii, se Kathryn aveva capito bene le presentazioni. Espresse loro la propria sentita solidarietà. «Katie...» Lei si voltò verso una donna con corti capelli grigi e un paio di occhiali dalle lenti spesse. Un tesserino appeso al camice colorato la identificava come E. DANCE INFERMIERA e un altro l'accreditava come appartenente al reparto cardiologia. «Ciao, mamma.» O'Neil ed Edie Dance si scambiarono un sorriso. «Nessun cambiamento?» le chiese Kathryn. «Sembra di no.» «Ha detto qualcosa?» «Niente di intelligibile. Avete visto il nostro esperto di ustioni, il dottor Olson?» «No», rispose Kathryn. «Sono appena arrivata. Che cosa dice?» «Il paziente si è svegliato, di tanto in tanto. Si è mosso leggermente: per noi è stato una sorpresa. Ma è sotto morfina, in dosi così massicce che quando le infermiere gli hanno fatto delle domande non è riuscito a rispondere in modo coerente.» Occhieggiò verso l'uomo nella stanzetta a vetri. «Non ho visto una prognosi ufficiale, però le sue condizioni sono pessime. Non c'è quasi pelle, sotto quelle bende. Non ho mai visto un caso di ustioni come questo.» «Sul serio?»
«Sì, purtroppo. Come vanno le cose con Pell?» «Non abbiamo molte piste. È rimasto in zona, non si sa perché.» «Hai ancora intenzione di partecipare alla festa di Stu, questa sera?» chiese Edie. «Certo. I ragazzi non vedono l'ora. Io forse ci farò solo un salto, dipende, ma non voglio rinunciarci.» «Tu vieni, Michael?» «Ci sto pensando. Vedremo.» «Capisco. Spero di sì.» Il cercapersone di Edie Dance si mise a suonare. Lei lo guardò. «Devo andare in cardiologia. Se vedo il dottor Olson gli chiedo di venire a parlarvi.» Se ne andò. Kathryn guardò O'Neil, che fece un cenno di assenso. Mostrò il distintivo all'infermiera del reparto, che li aiutò a indossare camici e mascherine. I due detective entrarono. O'Neil rimase in piedi, mentre lei prendeva una sedia e l'accostava al letto. «Juan, sono Kathryn. Riesci a sentirmi? C'è qui anche Michael.» «Ehi, partner», fece questi. «Juan?» L'occhio destro di Millar, quello scoperto dalle bende, rimase chiuso, ma Kathryn ebbe la sensazione che la palpebra si fosse mossa lievemente. «Mi senti?» Un altro leggero movimento della palpebra. A voce bassa e rassicurante, O'Neil disse: «Juan, lo so che provi molto dolore. Stiamo facendo in modo che tu abbia le cure migliori possibili». Kathryn aggiunse: «Vogliamo prenderlo, quell'uomo. A ogni costo. È ancora in zona. È ancora qui». La testa di Millar si mosse. «Abbiamo bisogno di sapere se hai visto o sentito qualcosa che può esserci utile. Non sappiamo che cos'ha in mente.» Un altro cenno del capo, appena percettibile; Kathryn notò che il mento si muoveva appena, sotto le bende. «Hai visto qualcosa? Fai cenno di sì se hai visto o sentito qualcosa.» Stavolta, nessun movimento. «Ehi!» fece una voce maschile, dalla porta. «Che cazzo crede di fare?» Il primo pensiero di Kathryn fu che si trattasse di un dottore e che sua madre avrebbe avuto una ramanzina per averla lasciata entrare. Ma l'uomo che aveva parlato era un giovanotto, un latino robusto in giacca e cravatta.
«Julio», disse O'Neil. Accorse l'infermiera. «No, no, per favore, chiuda la porta! Non può entrare senza mascherina...» Julio Millar l'allontanò con un braccio e continuò, rivolto a Kathryn: «Lui è in quello stato e lei lo interroga?» «Sono Kathryn Dance del CBI. Suo fratello potrebbe sapere qualcosa di utile sull'uomo che lo ha ridotto così.» «Be', non le sarà un cazzo utile, se lo fa crepare!» «Se non chiude subito la porta chiamo la sicurezza», minacciò l'infermiera. Julio non si mosse. Kathryn e O'Neil uscirono dalla stanza e chiusero la porta alle loro spalle. In corridoio, il fratello di Juan Millar se la prese con lei: «Non ci posso credere. Non ha rispetto...» «Julio», disse il padre, raggiungendoli. I due poliziotti si tolsero camici e mascherine. Arrivò anche la madre, un donnone con i capelli nerissimi e spettinati. Il figlio li ignorò e continuò a fissare Kathryn. «Non pensa ad altro, vero? Lui le dice quello che le serve, poi può anche crepare.» Lei mantenne la calma: Julio era giovane e stava perdendo la testa. Non era il caso che anche lei la prendesse come un fatto personale. «Siamo ansiosi di catturare l'uomo che lo ha ridotto così.» «Figliolo, per favore! Ci metti in imbarazzo.» La madre lo afferrò per un braccio. «In imbarazzo?» le fece eco lui, beffardo. Tornò a guardare Kathryn. «Ho chiesto in giro. Ho parlato con un po' di gente. Oh, lo so cos'è successo. L'ha mandato tra le fiamme.» «Prego?» «In tribunale. Lo ha mandato di sotto, tra le fiamme.» Kathryn notò che O'Neil si irrigidiva, ma riuscì a controllarsi. Sapeva che la collega non voleva che fossero altri a combattere le sue battaglie. Lei si protese verso Julio. «Sei sconvolto. Lo siamo tutti. Perché non...» «Ha scelto lui. Non Mikey. Non uno del CBI. Ha preso l'unico poliziotto chicano e ha mandato lui.» «Julio», intervenne il padre, severo. «Non dire cose del genere.» «Vuole sapere una cosa di mio fratello? Eh? Lo sa che voleva entrare nel CBI? Ma non lo hanno voluto. Perché era un latino.» Assurdo! In tutte le forze dell'ordine in California, CBI compreso, c'era
un'elevata percentuale di latinos. La sua migliore amica al Bureau, Connie Ramirez della Major Crimes, aveva più medaglie di qualsiasi altro agente dell'ufficio centro-ovest. Naturalmente la rabbia di Julio non era rivolta alle rappresentanze etniche nelle forze dell'ordine. Era dovuta alla paura per le sorti del fratello. Kathryn aveva molta esperienza della rabbia: come il diniego e la depressione, era una delle reazioni di stress esibite dai soggetti che tendono a negare l'evidenza. Quando qualcuno fa una scenata, la tattica migliore è lasciarlo sfogare. La rabbia intensa può essere sostenuta solo per un breve periodo. «Per lavorare con voi non andava bene, però per farsi bruciare vivo sì.» «Julio, per favore», implorò la madre. «Non fare così, mamma! Non gliela si può sempre far passare liscia.» Le lacrime colarono sulle guance della donna, rigando la cipria. Il giovane si voltò nuovamente verso Kathryn. «Avete mandato Latino Boy, il chulo della situazione.» «Adesso basta!» abbaiò il padre, prendendo il figlio per un braccio. Julio si divincolò. «Io lo dico ai giornali. Chiamo la radio. Faccio venire qui un reporter e sapranno tutti cos'ha fatto. Lo diranno in tutti i notiziari.» «Julio...» cominciò O'Neil. «No, tu stai zitto, Giuda. Lavoravate insieme. E hai lasciato che fosse sacrificato.» Julio prese il cellulare. «Io li chiamo. Subito. E vi faranno un culo così.» Kathryn disse: «Possiamo parlare un momento a quattr'occhi?» «Oh, ha paura, adesso.» L'agente si allontanò dal gruppo. Pronto alla battaglia, Julio la guardò in faccia. Teneva il telefono come se fosse un coltello e si protese verso la zona prossemica di lei. Per Kathryn non era un problema. Non si mosse di un millimetro e lo fissò dritto negli occhi. «Mi spiace molto per tuo fratello e capisco quanto sei sconvolto. Ma non accetto minacce di alcun genere.» Julio scoppiò in una risata amara. «Lei è proprio come...» «Ascoltami», continuò lei, calma. «Non sappiamo esattamente che cosa sia successo, ma quello che è certo è che un detenuto ha disarmato tuo fratello. Juan lo teneva sotto tiro, poi ha perso il controllo della sua arma e della situazione.» «Sta dicendo che è stata colpa sua?» fece Julio, sgranando gli occhi. «Sì, sto dicendo proprio questo. Non è stata colpa mia, non è stata colpa
di Michael. È stata di tuo fratello. E se tu sollevi la questione con la stampa, questo fatto verrà fuori.» «Mi sta minacciando?» «Ti dico solo che non voglio mettere a repentaglio questa indagine.» «Oh, lei non sa che cosa sta facendo, signora.» Julio le voltò le spalle e si allontanò a passo di marcia lungo il corridoio. Lei lo seguì con lo sguardo, cercando di calmarsi. Respirò a fondo. Poi raggiunse gli altri. «Mi spiace molto», mormorò il signor Millar, che teneva un braccio sulle spalle della moglie. «È sconvolto», disse Kathryn. «La prego, non gli dia ascolto. Dice cose di cui poi si pentirà.» Kathryn dubitava che Julio si sarebbe pentito anche di una sola parola. Però sapeva che non avrebbe chiamato i giornalisti molto presto. La madre si rivolse a O'Neil. «Juan parla sempre bene di lei. Non dà la colpa a lei o a nessun altro. Lo so che non lo fa.» «Julio vuole bene a suo fratello», li rassicurò O'Neil. «È solo preoccupato per lui.» Arrivò il dottor Olson, un uomo esile e calmo, che aggiornò agenti e famigliari sulle condizioni di Millar. Non erano molto cambiate. Stavano cercando di stabilizzarle e, appena i rischi di choc e di sepsi fossero stati sotto controllo, sarebbe stato trasferito in un centro specializzato in grandi ustionati. La situazione era molto grave, ammise il medico. Non poteva garantire che si sarebbe salvato, ma stavano facendo tutto il possibile. «Ha parlato dell'aggressione?» domandò O'Neil. Il dottore fissò il monitor. «Ha detto qualcosa, niente di coerente.» I genitori continuavano a scusarsi per il comportamento del figlio minore. Kathryn li rassicurò per qualche minuto, poi lei e O'Neil li salutarono e uscirono dall'ospedale. Il detective stava giocherellando con le chiavi della macchina. Un esperto di cinesica sa che è impossibile tenere nascosti i sentimenti più forti. Charles Darwin scrisse: «Le emozioni represse vengono sempre in superficie sotto forma di movimenti del corpo». Normalmente a tradirle è una mano o un dito che tamburella, o un piede battuto sul pavimento. Può essere facile mantenere il controllo delle nostre parole, degli sguardi, delle espressioni del viso, ma non quello delle estremità. Michael O'Neil non si accorgeva nemmeno di stare giocherellando con le chiavi.
Kathryn disse: «Qui è nelle mani dei medici migliori. E mia madre lo terrà sotto osservazione. La conosci. Se pensa che richieda cure particolari, è capace di portare di peso il primario nella stanza». Un sorriso stoico. A Michael O'Neil venivano bene. «Possono fare miracoli», insistette lei. Anche se non aveva la minima idea di quello che i dottori potevano o non potevano fare. Nel corso degli anni a lei e a O'Neil era capitato in diverse occasioni di doversi rassicurare a vicenda, a volte in campo professionale, altre a livello personale, come quando era morto il marito di Kathryn o la salute mentale del padre di lui si era deteriorata. Nessuno dei due era particolarmente bravo a esprimere simpatia o rassicurazione. Le banalità avrebbero indebolito il loro rapporto. Di norma, la semplice vicinanza reciproca era più efficace. Speriamo. In prossimità dell'uscita, Kathryn ricevette una chiamata di Winston Kellogg dal suo ufficio provvisorio al CBI. Lei si fermò, mentre O'Neil proseguiva fino al parcheggio. Kathryn mise il collega dell'FBI al corrente delle condizioni di Millar. E lui a sua volta la informò che i controlli dei federali a Bakersfield non avevano permesso di individuare alcun testimone dell'effrazione nel garage o nel capanno degli attrezzi della zia di Pell. Quanto al portafogli con le iniziali RH, trovato in fondo al pozzo assieme al martello, gli esperti della scientifica federale non erano stati in grado di rintracciarne un acquisto recente. «E... Kathryn, ho pronto il jet a Oakland, nel caso Linda Whitfield riceva la sua autorizzazione dall'alto. Un'altra cosa: la terza donna?» «Samantha McCoy?» «Già. L'hai chiamata?» In quel momento Kathryn guardò casualmente verso il parcheggio. Vide Michael O'Neil con il telefono in mano, mentre una bionda alta e attraente andava verso di lui. La donna gli sorrise, lo abbracciò e lo baciò. Lui ricambiò il bacio. «Kathryn, ci sei?» chiese Kellogg. «Come?» «Samantha McCoy.» «Scusa.» Kathryn distolse lo sguardo da O'Neil e dalla bionda. «No. Andrò in macchina fino a San José. Se si è data tanta pena per tenere nascosta la propria identità, è meglio che la veda di persona... non credo che una semplice telefonata basterà a convincerla a darci una mano.» Chiuse la comunicazione e si diresse verso O'Neil e la donna che lo stava abbrac-
ciando. «Kathryn.» «Anne, come stai?» chiese lei alla moglie di O'Neil. «Bene, grazie.» «I ragazzi?» «Venerdì era l'ultimo giorno di scuola, per cui ora sono al settimo cielo. Maggie e Wes?» «Già in vacanza.» Anne O'Neil accennò all'ospedale. «Sono venuta a vedere Juan. Mike mi ha detto che non è messo bene.» «No, è grave. Ora è in stato di incoscienza. Ma ci sono i suoi. Sono sicura che gli farà piacere un po' di compagnia.» Anne aveva una macchina fotografica Leica appesa alla spalla. Grazie ad Ansel Adams e all'f64 Club, la California settentrionale e centrale era diventata una delle grandi mecche fotografiche del mondo. Anne gestiva una galleria a Carmel in cui vendeva fotografie da collezione. Il termine «da collezione» definiva solitamente le opere di autori passati a miglior vita, come Adams, Alfred Stieglitz, Edward Weston, Imogen Cunningham e Henri Cartier-Bresson. Collaborava inoltre in veste di free-lance con diversi giornali, tra cui grossi quotidiani di San José e San Francisco. «Michael ti ha detto della festa di stasera?» chiese Kathryn. «Il compleanno di mio padre?» «Sì. Dovremmo riuscire a venire.» Anne diede un altro bacio al marito ed entrò in ospedale. «Ci vediamo, tesoro.» «Ciao, cara.» Kathryn fece un cenno di saluto e salì in macchina, gettando la borsa sul sedile del passeggero. Si fermò a un distributore Shell per fare benzina e prendere un caffè e una ciambella, poi imboccò la Highway 1 in direzione nord, godendosi il panorama della baia. Superò il campus del Cal State di Monterey Bay, che sorgeva sui resti del vecchio Fort Ord: probabilmente l'unico college del Paese con vista su una zona militare piena di ordigni inesplosi. All'istituto, ricordò, era stata destinata buona parte dell'hardware e del software di William Croyton. Se gli esperti di computer stavano ancora conducendo ricerche sulla base dei suoi studi di otto anni prima, Croyton doveva essere un vero genio, rifletté Kathryn. I programmi che usavano Wes e Maggie sembravano sorpassati dopo un anno o due al massimo. Quante brillanti innovazioni aveva negato al mondo Daniel Pell, uccidendo William Croyton?
Kathryn sfogliò il suo taccuino e trovò il numero dell'ufficio di Samantha McCoy. Lo chiamò e chiese che gliela passassero, pronta a riagganciare nel caso avesse risposto lei. La centralinista le disse che Samantha quel giorno lavorava a casa. L'agente allora contattò TJ via SMS per farsi mandare le indicazioni per raggiungere il domicilio della donna. Il telefono suonò dopo qualche minuto, proprio mentre Kathryn stava premendo il tasto play del lettore CD. Guardò il display. Per puro caso, i Fairfield Four riattaccarono il loro gospel mentre lei rispondeva «Pronto» a Linda Whitfield, che la chiamava dalla sagrestia. «Amazing grace, how sweet the sound...» «Agente Dance...» «Mi chiami Kathryn, per favore.» «... that saved a wretch like me...» «Volevo dirle solo che... domattina sarò da lei. Se vuole ancora il mio aiuto.» «Mi farebbe molto piacere. La chiameranno dall'ufficio per i dettagli. La ringrazio molto.» «... I once was lost, but now I'm found...» Un'esitazione. Poi, in tono formale: «Prego». Due su tre. Kathryn si chiese se quella riunione, alla fine, avrebbe dato qualche risultato. 23 Seduto davanti alla finestra aperta del Sea View Motel, Daniel Pell batteva goffamente sui tasti del portatile. Era riuscito ad avere occasionalmente accesso ai computer in prigione, al Q e a Capitola, ma non aveva mai avuto tempo di mettersi a capire come funzionavano. Pubblicità, notizie, pornografia... era stupefacente. Ma, ancora più seducente del sesso, era la sua capacità di ottenere informazioni, di scoprire cose sulla gente. Pell aveva ignorato le oscenità e si era dato da fare. Per prima cosa, aveva letto tutto il possibile sul conto di Jennie - ricette, a tonnellate, e-mail e pagine web preferite - assicurandosi che corrispondesse a come gli si era presentata (e così era). Dopo di che aveva cercato alcune persone che appartenevano al suo passato (farlo era importante) senza fortuna. Provò quindi con i registri delle tasse, gli atti immobiliari, gli uffici anagrafici. Ma per quasi tutto, scoprì, ci voleva la carta di credito. E le carte di credito, come i telefoni cellulari, lasciavano
tracce evidenti. Ci rifletté sopra, poi passò in esame gli archivi dei giornali locali e delle stazioni televisive. La ricerca si rivelò più fruttuosa. Pell annotò parecchie informazioni. Tra i nomi sulla sua lista figurava Kathryn Dance. Si divertì a scarabocchiarvi intorno una cornice. Dalla ricerca non ricavò tutte le notizie che gli servivano, comunque era un inizio. Sempre attento a quanto gli accadeva intorno, notò una Toyota Camry nera che entrava nel parcheggio e si fermava fuori dalla finestra. Strinse la pistola. Poi sorrise, mentre la macchina si fermava esattamente sette posti più in là. Ne scese lei. Brava la mia ragazza. Tieni duro... Lei entrò. «Ce l'hai fatta, amore.» Daniel guardò la Camry. «Non sembra niente male.» Lei gli diede un rapido bacio. Le tremavano le mani. E non riusciva a controllare l'agitazione. «È andata benissimo! Davvero, tesoro! All'inizio ero un sacco tesa e non sapevo se lo avrebbe fatto. Non gli andava la storia delle targhe. Ma io ho fatto come mi avevi detto tu e lui è stato d'accordo.» «Ottimo, amore.» Jennie aveva usato un po' dei suoi contanti, i novemiladuecento dollari che aveva incassato per finanziare la fuga e tenersi al riparo per un po', nell'acquisto di una macchina da un uomo che viveva a Marina. Sarebbe stato troppo rischioso far registrare il veicolo sotto il vero nome di lei, ma Jennie lo aveva persuaso a lasciarle le sue targhe. Lei gli aveva raccontato che la sua auto si era rotta a Modesto e che avrebbe avuto le targhe nuove entro un giorno o due. Ci avrebbe pensato lei a cambiarle e a rispedirgli per posta quelle vecchie. Era illegale e anche parecchio stupido: nessun uomo lo avrebbe fatto per un altro uomo, neanche dietro un pagamento in contanti. Ma Pell aveva mandato Jennie, una donna, con i jeans attillati, la camicetta mezza sbottonata e il reggiseno rosso in bella mostra. (Nel caso a vendere la macchina fosse stata una donna, lui avrebbe mandato Jennie senza trucco, vestita in modo dimesso, e le avrebbe attribuito quattro figli, un marito militare morto in guerra e un nastrino rosa della lotta al cancro del seno. Lui aveva imparato che non si è mai troppo ovvi.)
«Bene. Posso avere le chiavi?» Lei gliele consegnò. «Ecco le altre cose che volevi.» Jennie appoggiò sul letto due sacchetti. Pell li esaminò e fece un cenno di approvazione. Jennie prese una bibita dal minibar. «Tesoro, posso chiederti una cosa?» La naturale riluttanza di lui a rispondere alle domande, quantomeno a rispondere con la verità, tornò improvvisamente a galla. Pell comunque sorrise. «Certo, tutto quello che vuoi.» «La scorsa notte, mentre dormivi, hai detto qualcosa. Stavi parlando di Dio.» «Dio?! E cos'ho detto?» «Non saprei. Ma hai proprio detto 'Dio'.» Pell si voltò lentamente verso di lei. Si accorse che le proprie pulsazioni acceleravano e che stava battendo con il piede sul pavimento. Smise di farlo. «Eri proprio fuori. Volevo quasi svegliarti, ma non fa bene. L'ho letto da qualche parte... Reader's Digest, o Health, non so. Quando uno fa un brutto sogno, non bisogna mai svegliarlo. E hai detto anche qualcosa tipo... 'Cazzo, no'.» «Davvero?» Jennie fece cenno di sì. «Strano. Tu non dici mai parolacce. Era vero. La gente che imprecava aveva meno potere di quelli che non lo facevano. «Che cosa stavi sognando?» chiese lei. «Non ricordo.» «Chissà se stavi sognando Dio.» Per un attimo, Pell provò il curioso desiderio di parlarle di suo padre. Poi si disse: Ma che diavolo ti viene in mente? Rispose: «Non ne ho idea». «Un po' la religione mi interessa», continuò lei, incerta. «Un pochino. Più roba spirituale che Gesù, sai?» «Be', per quanto riguarda Gesù, non credo che fosse il figlio di Dio o roba del genere, comunque ti dico una cosa: lo rispetto. Poteva far fare a tutti quello che voleva lui. Voglio dire, anche adesso, ti basta dire il nome e bang, la gente si mette in marcia. Questo è vero potere. Però è pericoloso affidarsi a tutte quelle religioni, quelle organizzate. Ci rimetti troppo: non ti lasciano pensare come vuoi tu. Ti controllano.» Pell fissò la camicetta e il reggiseno di Jennie. L'eccitazione ricominciò, quel centro di pressione che gli cresceva nel ventre. Cercò di non farci ca-
so e riguardò gli appunti che aveva preso mentre faceva le ricerche su internet. Era evidente che Jennie voleva chiedergli che cosa avesse in mente, ma non osava farlo. Di sicuro sperava che lui stesse cercando un percorso per lasciare la città, una strada che presto o tardi li avrebbe portati a Orange County. «Devo occuparmi di alcune cose, piccola. Mi dovrai dare un passaggio.» «Certo. Dimmi quando.» Pell studiava con attenzione la cartina. Alzò lo sguardo e vide che lei era uscita dalla stanza. Ricomparve poco dopo, reggendo alcune cose che aveva preso dalla borsa nell'armadio. Le dispose davanti a lui, sul letto, poi si inginocchiò sul pavimento. Era come un cane che porta una palla al padrone, pronto a giocare. Daniel esitò. Poi rammentò a se stesso che, di quando in quando, se le circostanze lo permettono, può essere conveniente allentare l'autodisciplina. Le si avvicinò, ma lei si sdraiò da sola a pancia in giù. Ci sono due strade per arrivare a San José da Monterey. Si può prendere la Highway 1, che percorre tortuosa la costa passando da Santa Cruz, quindi tagliare per la vertiginosa 17 e attraversare Los Gatos, città di sedicenti artisti in cui si possono comprare oggetti artigianali, cristalli, incenso e vestiti stile Janis Joplin (e anche di Roberto Cavalli e D&G). Oppure si può scegliere la scorciatoia della 156 fino alla 101 e, se si viaggia su un'auto ufficiale, premere l'acceleratore a piacimento e arrivare a destinazione in un'ora. Kathryn Dance aveva scelto la seconda. Il gospel era finito ed era passata alla musica latinoamericana: la cantante messicana Julieta Venegas. Dagli altoparlanti usciva a tutto volume la sua accorata Verdad. La Taurus viaggiava a centrotrenta all'ora quando superò Gilroy, capitale mondiale dell'aglio. Poco lontano c'erano Castroville (idem per i carciofi) e Watsonville, con la sua distesa di frutti di bosco e funghi. A lei quelle cittadine piacevano, e non sopportava i detrattori che ridevano dell'elezione della Reginetta del Carciofo o del Festival del Calamaro di Monterey. Dopotutto, quegli schizzinosi cittadini erano gli stessi che pagavano a prezzi osceni l'olio di oliva e l'aceto balsamico d'importazione per condire quegli stessi carciofi e calamari. Erano cittadine accoglienti, autentiche e ricche di storia. Ed erano anche
il suo territorio, dal momento che ricadevano sotto la giurisdizione dell'ufficio centro-ovest del CBI. Kathryn avvistò un cartello che attirava i turisti verso un vigneto di Morgan Hill e le venne in mente una cosa. Chiamò Michael O'Neil. «Ehi», disse lui. «Stavo pensando all'acido trovato sulla Thunderbird a Moss Landing. Hai saputo qualcosa?» «I tecnici di Peter ci hanno lavorato su, ma non hanno ancora trovato piste specifiche.» «Quanti sono a cercare tra frutteti e vigneti?» «Una quindicina di agenti della CHP, cinque dei nostri, qualche poliziotto di Salinas. Non hanno trovato niente.» «Ho un'idea. Che cos'è quell'acido, con precisione?» «Aspetta.» Alternando sguardi alla strada e al taccuino appoggiato sul ginocchio, Kathryn annotò gli incomprensibili termini che Michael le dettava. «E così la cinesica non basta più? Ti occupi anche del lavoro della scientifica?» «Una donna saggia deve conoscere i propri limiti. Ti richiamo fra un po'.» Poi Kathryn premette un tasto di selezione rapida e sentì gli squilli di un telefono a più di tremila chilometri di distanza. Un click e una voce rispose: «Amelia Sachs». «Ciao. Sono Kathryn.» «Come stai?» «Bene, ma sono stata meglio.» «Posso immaginare. Stiamo seguendo il caso. Come sta quel poliziotto, quello ustionato?» Kathryn si sorprese che Lincoln Rhyme, il ben noto criminologo di New York City, e la sua compagna Amelia Sachs, detective presso l'NYPD, si interessassero alla fuga di Pell. «Piuttosto male, purtroppo.» «Abbiamo parlato di Pell. Lincoln si ricorda del caso del '99, quando uccise quella famiglia. State facendo qualche passo avanti?» «Non molti. È furbo, troppo furbo.» «Lo avevamo capito dalle notizie. Come stanno i bambini?» «Bene. Stiamo sempre aspettando che ci veniate a trovare. Anche i miei genitori. Vogliono conoscervi tutti e due.» Amelia rise. «Ve lo porterò presto. È una sfida.» A Lincoln Rhyme non piaceva viaggiare. E non solo per la sua disabilità in quanto tetraplegico.
Era proprio che detestava i viaggi. Kathryn aveva conosciuto Lincoln Rhyme e Amelia Sachs l'anno precedente, mentre stava tenendo un corso a New York ed era stata chiamata a collaborare a un caso. Erano rimasti in contatto. In particolare, Amelia e lei erano diventate molto amiche. Capita alle donne nel difficile settore delle forze di polizia. «Qualche notizia di quell'altro nostro amico?» chiese Amelia. Si riferiva al criminale cui avevano dato la caccia a New York l'anno prima. L'uomo era riuscito a fuggire e a far perdere le proprie tracce, forse dirigendosi in California. Kathryn aveva aperto un fascicolo presso il CBI, ma la pista si era raffreddata ed era possibile che il criminale avesse ormai lasciato il Paese. «Temo di no. Il nostro ufficio di Los Angeles sta ancora seguendo le sue tracce. Ti chiamo per un'altra ragione. Lincoln è libero?» «Un attimo solo. È proprio qui.» Si sentì un click e subito dopo la voce di Rhyme. «Kathryn!» Non era il tipo incline alle chiacchiere, ma trascorse qualche minuto a conversare con lei. Non della sua vita privata o dei bambini, naturalmente: Rhyme era interessato ai casi su cui Kathryn stava lavorando. Era uno scienziato e non aveva tempo da perdere con il lato «umano» della polizia, per dirla con le sue parole. Anche se, nel corso della loro recente indagine, aveva cominciato a comprendere e ad apprezzare il valore della cinesica (cogliendo l'occasione per sottolineare che era basata su una metodologia scientifica e non, aveva detto con spregio, sul semplice intuito). «Vorrei che fossi qui», stava dicendo lui. «Ho un testimone in un caso di omicidi multipli che vorremmo tanto farti torchiare. Puoi usare anche le maniere forti.» Kathryn se lo immaginava sulla sua rossa sedia a rotelle motorizzata, con gli occhi incollati a uno schermo ultrapiatto collegato a un microscopio o a un computer. Rhyme amava gli indizi quanto lei amava gli interrogatori. «Vorrei poterti accontentare, ma sono già troppo indaffarata.» «Ho sentito. Chi c'è in laboratorio?» «Peter Bennington.» «Oh, sicuro. Lo conosco. Si è fatto le ossa a Los Angeles. Ha seguito uno dei miei seminari. Un tipo in gamba.» «Devo chiederti una cosa per il caso Pell.» «Certo. Spara pure.» «Abbiamo qualche indizio che potrebbe farci capire che cos'ha in mente,
forse l'adulterazione di cibi, o dove si nasconde. Ma controllare entrambe le ipotesi richiede troppo personale. Devo sapere se vale la pena di mobilitare tanta gente, che altrimenti potremmo impiegare in modo diverso.» «Di che indizi si tratta?» «Faccio del mio meglio per pronunciarlo giusto.» Di nuovo Kathryn alternò le occhiate alla strada e al taccuino. «Acido carbossilico, etanolo e acido malico, amminoacidi e glucosio.» «Dammi un minuto.» Kathryn udì una conversazione con Amelia Sachs, che doveva essersi messa a consultare uno dei database di Rhyme. Distingueva perfettamente le parole: il criminologo non era in grado di coprire il telefono con una mano mentre parlava con qualcuno nella stanza. «Okay, aspetta, guardo alcuni dati...» «Mi puoi richiamare», disse Kathryn. Non si aspettava una risposta immediata. «No, resta in linea... Dove è stata trovata la sostanza?» «Sul pavimento della macchina di Pell.» «Hmm. La macchina.» Un momento di silenzio. Rhyme mormorò qualcosa tra sé. Poi domandò: «È possibile che Pell avesse appena mangiato in un ristorante? Un ristorante specializzato in pesce, o un pub britannico?» Kathryn scoppiò a ridere. «Pesce, sì. Come fai a saperlo?» «L'acido è aceto, aceto di malto, per la precisione, perché amminoacidi e glucosio indicano colorante al caramello. Il mio database mi dice che è comune nella gastronomia britannica, nei pub e nei ristoranti che cucinano pesce e frutti di mare. Thom... ti ricordi di lui? È Thom che mi ha aiutato a compilare quella voce.» «Certo! Salutalo da parte mia.» Il giovane che si occupava di Rhyme era anche un cuoco con i fiocchi. In dicembre le aveva servito il miglior manzo bourguignon che Kathryn avesse mai assaggiato. «Purtroppo non ci dice dov'è andato Pell», osservò il criminologo. «No, no, va bene, Lincoln. Sospendo le ricerche. Ritiro le truppe dall'area e le sposto dove saranno più utili.» «Chiama quando vuoi. È un criminale che non mi spiacerebbe aiutarti a rimettere dentro.» Si salutarono. Kathryn richiamò O'Neil e gli disse che con tutta probabilità l'acido veniva dal Jack's Seafood e non li avrebbe guidati da Pell né aiutati a capire le sue intenzioni. Era meglio che gli agenti si dedicassero alla caccia del
killer. Tolse la comunicazione e continuò a guidare. Era una strada familiare che portava fino a San Francisco, dove confluiva direttamente sulla Van Ness Street. Un centinaio di chilometri a nord di Monterey, Kathryn svoltò verso ovest, alla volta di San José, la città che veniva presentata come l'antitesi al narcisismo di Los Angeles in quella vecchia canzone di Burt Bacharach e Hal David, Do You Know the Way to San José? Ma adesso, grazie a Silicon Valley, San José esibiva un ego tutto suo. Le indicazioni la condussero in un dedalo di agglomerati residenziali, fino a uno costituito da case pressoché identiche. Se i filari simmetrici di alberi erano stati piantati all'epoca della costruzione, si poteva stimare che risalisse a venticinque anni prima. Piccole, anonime, senza pretese, ognuna di quelle case poteva tuttavia valere più di un milione di dollari. Kathryn trovò quella che cercava e la superò, parcheggiando un isolato più avanti, sul lato opposto della strada. Tornò indietro a piedi. Sul vialetto davanti alla casa erano ferme una Jeep rossa e un'Acura blu scuro. Sul prato riposava un grosso triciclo di plastica. Kathryn vide che in casa le luci erano accese. Si diresse verso il portico e suonò il campanello dell'ingresso. Si era preparata una storia di copertura, nel caso ad aprire fosse venuto il marito di Samantha McCoy, oppure uno dei figli. Non era detto che la donna avesse tenuto nascosto il proprio passato al consorte, ma era meglio presumere che lo avesse fatto. A Kathryn l'aiuto di Samantha serviva e non era il caso di inimicarsela. La porta si aprì e apparve una donna magra, con un viso ovale e grazioso che ricordava quello dell'attrice Cate Blanchett. Aveva un paio di eleganti occhiali dalla montatura blu e capelli castani ricci. Rimase sulla soglia, con la testa protesa in avanti e una mano sottile stretta allo stipite. «Sì?» «La signora Starkey?» «Sono io.» Il viso era molto diverso dalla foto di Samantha McCoy di otto anni prima. La donna si era sottoposta a un esteso trattamento di chirurgia estetica. Ma i suoi occhi confermarono all'istante che non c'era alcun dubbio sulla sua identità. Non tanto per il loro aspetto, quanto per il lampo di orrore, seguito da sgomento. L'agente si presentò a bassa voce. «Sono Kathryn Dance, del California Bureau of Investigation.» E mostrò il tesserino, tenendolo basso, con discrezione. Lo sguardo della donna fu troppo rapido perché potesse leggerne anche solo una parola.
Dall'interno si udì una voce maschile. «Chi è, tesoro?» Gli occhi fissi su quelli di Kathryn, Samantha rispose: «Quella nostra vicina di cui ti ho parlato, quella che ho incontrato al Safeway». E questo chiariva quanto avesse tenuto segreto il suo passato. Kathryn pensò anche: Abile. I bravi bugiardi hanno sempre pronta una risposta credibile e conoscono la persona cui stanno mentendo. Dalla reazione di Samantha si capiva che il marito non ricordava nei particolari le chiacchiere casuali e che la donna aveva considerato ogni situazione in cui potesse essere costretta a mentire. Samantha uscì, chiudendosi dietro la porta. Si fermarono a metà del vialetto. Da vicino Kathryn notò l'aspetto teso di Samantha: gli occhi rossi, le occhiaie scure, la pelle del viso secca e le labbra screpolate. Un'unghia era spezzata. Sembrava che non avesse dormito. Kathryn capì perché quel giorno «lavorava a casa». Un'occhiata verso la porta, poi Samantha si rivolse a Kathryn con uno sguardo implorante e sussurrò: «Io non c'entro niente, lo giuro. Ho sentito che qualcuno lo ha aiutato, una donna, l'ho visto al telegiornale, ma...» «No, no, non è per questo che sono qui. Ho già controllato: lei lavora in quella casa editrice sulla Figueroa. Ieri è stata in ufficio tutto il giorno.» Allarme: «Non avrà...» «Non lo sa nessuno. Ho chiamato con il pretesto di consegnare un pacco.» «Ecco... Toni mi ha detto che avevano cercato di consegnare qualcosa e avevano chiesto di me. Allora era lei.» Samantha si passò una mano sul viso, poi incrociò le braccia: atteggiamento di negazione. Traboccava stress. «Quello era suo marito?» chiese l'agente. Samantha annuì. «Non sa niente?» «Non sospetta nemmeno.» Stupefacente, rifletté Kathryn. «C'è qualcuno che lo sa?» «Qualche impiegato del tribunale in cui ho cambiato nome. E il poliziotto che segue la mia condizionale.» «E gli amici, la famiglia?» «Mia madre è morta. A mio padre di me non potrebbe importare di meno. I miei se ne fregavano di me già prima che incontrassi Pell. Dopo i delitti hanno smesso di richiamarmi quando telefonavo. Quanto ai vecchi amici... Qualcuno è rimasto in contatto per un po'... ma sa cosa significa avere avuto anche solo lontanamente a che fare con un tipo come Daniel
Pell? Diciamo che hanno trovato delle scuse per scomparire dalla mia vita prima che potevano. Tutti quelli che frequento adesso li ho conosciuti dopo essere diventata Sarah.» Occhieggiò nuovamente la porta, quindi tornò a guardare Kathryn, a disagio. Sussurrò: «Che cosa vuole?» «Se ha visto i telegiornali, sa che non abbiamo ancora ritrovato Pell, ma si trova nell'area di Monterey. E non sappiamo perché. Rebecca e Linda verranno ad aiutarci.» «Sul serio?» Sembrava stupefatta. «E vorrei che venisse anche lei.» «Io?» Le tremò la mandibola. «No, no, io non potrei. Oh, la prego...» La voce le venne meno. Kathryn colse le avvisaglie dell'isteria. Si affrettò ad aggiungere: «Non si preoccupi. Non voglio rovinarle la vita. Non dirò niente di lei. Le chiedo solo il suo aiuto. Non riusciamo a capire che cosa Pell stia combinando, e lei potrebbe sapere qualcosa...» «Io non so niente. Proprio niente. Daniel Pell non è come un marito, un fratello o un amico. È un mostro. Ci ha usate. Nient'altro. Ho vissuto con lui per due anni e non ho mai capito che cosa gli passasse per la testa. Mi deve credere, glielo giuro.» Classici segnali di diniego, che non indicavano inganno, quanto piuttosto l'impossibilità di confrontarsi con il proprio passato. «Sarà sotto protezione, se è questo che...» «No. Mi spiace. Vorrei poterlo fare. Lei deve comprendere. Mi sono creata una nuova vita. Ci è voluto un grande sforzo, ed è tutto così fragile...» Bastava vedere il suo viso, l'orrore nei suoi occhi e la bocca che tremava, per capire che Samantha non avrebbe accettato. «Capisco.» «Mi spiace. Non posso proprio.» Samantha le voltò le spalle e tornò verso la casa. Sulla porta si voltò e le rivolse un ampio sorriso. Avrà cambiato idea? Per un attimo Kathryn lo sperò. Poi la donna le fece un cenno di saluto. «Arrivederci», disse. «Torni a trovarmi.» Samantha McCoy e la sua bugia rientrarono in casa. La porta si richiuse. 24 «Hai sentito?» chiese Susan Pemberton a César Gutierrez, seduto di fronte a lei al bar dell'albergo. Finì di zuccherare il caffellatte e indicò il te-
levisore su cui era apparso un numero di telefono locale, con la didascalia: NUMERO VERDE FUGGIASCO «Non dovrebbe essere fuggitivo?» chiese Gutierrez. Susan batté le palpebre. «Non saprei.» L'uomo d'affari riprese: «Non volevo fare una battuta. È una cosa terribile. Ho sentito che ha ucciso due persone». L'avvenente uomo d'affari ispanico cosparse di cannella il suo cappuccino, lo assaggiò e si macchiò i pantaloni. «Oh, guarda! Quanto sono goffo.» Rise. «Non mi si potrebbe portare a un pranzo di gala.» Cercò di ripulirsi, ma riuscì solo ad allargare la macchia. «Oh, be'.» Quello era un incontro di lavoro. Susan, che di mestiere organizzava eventi, doveva preparare una festa per l'anniversario di nozze dei genitori di Gutierrez. E, dato che al momento era una trentanovenne single, stava automaticamente valutando l'uomo anche da una prospettiva personale. Non le era sfuggito che lui aveva solo qualche anno di più e non portava la fede. Avevano già passato in rassegna i dettagli della festa: banco del bar, pollo e pesce, vino per tutti, un quarto d'ora per rinnovare le promesse matrimoniali e poi serata danzante con disc jockey. Così adesso Susan e il cliente chiacchieravano del più e del meno davanti a un caffè, prima che lei rientrasse in ufficio per elaborare un preventivo. «Ormai avrebbero dovuto prenderlo», disse Gutierrez. Guardò fuori, accigliato. «Qualcosa non va?» chiese Susan. «Lo so che sembra strano... Sai, mentre arrivavo ho visto un'auto che si fermava. Ne è sceso uno che sembrava proprio quello lì.» Indicò il televisore. «Chi? L'assassino?» Gutierrez annuì. «Al volante c'era una ragazza.» Al telegiornale avevano appena ripetuto che il complice del killer era una giovane donna. «Da che parte è andato?» «Non ci ho fatto caso. Credo verso il garage vicino alla banca.» Susan guardò in quella direzione. L'uomo d'affari le rivolse un sorriso. «È assurdo. Figuriamoci se è qui.» Accennò all'esterno del locale. «Cos'è quello striscione? L'ho già visto.»
«Oh, il concerto di venerdì. Per la celebrazione di John Steinbeck. Tu lo leggi?» «Oh, sì», rispose Gutierrez. «La valle dell'Eden, La lunga vallata... Sei mai stata a King City? È un posto bellissimo. Il nonno di Steinbeck aveva un ranch da quelle parti.» Susan si portò una mano al petto, con fare reverente. «Furore... Il libro più bello che sia mai stato scritto.» «E venerdì c'è un concerto, hai detto? Che genere di musica?» «Jazz... per via del Monterey Jazz Festival. È la musica che preferisco.» «Anch'io amo il jazz. Vado al festival ogni volta che posso.» «Davvero?» Susan resistette all'impulso di toccargli un braccio. «Magari al prossimo ci incontriamo.» «Penso che...» aggiunse lei. «Ecco, vorrei che ci fosse più gente che ascolta certa musica. Musica vera. Non credo che ai giovani interessi.» «Al jazz.» Gutierrez toccò la tazza di lei con la propria. «La mia ex moglie... lasciava che nostro figlio ascoltasse il rap. Certi testi... sono disgustosi. E lui ha solo dodici anni.» «Non è neanche musica», dichiarò Susan. E intanto pensava: E così ha un'ex moglie. Bene. Si era ripromessa di non uscire con un quarantenne che non fosse mai stato sposato. Lui esitò prima di chiederle: «Pensi di andarci, al concerto di venerdì?» «Sì, ci voglio andare.» «Be', non so come sei messa, però, ecco, se vuoi... ci potremmo vedere là.» «Oh, César, sarebbe divertente.» Una specie di avance... Oggigiorno valeva quasi come un invito formale. Gutierrez si stiracchiò. Disse che doveva mettersi in macchina. Dopo di che aggiunse che era stato un piacere conoscerla e, senza esitazione, le diede la santa trinità dei numeri di telefono: lavoro, casa e cellulare. Prese la sua valigetta e insieme i due si diressero alla porta. Lei notò tuttavia che lui si era fermato a guardare fuori, da dietro gli occhiali con la montatura scura. L'uomo d'affari si accigliò di nuovo. «Qualcosa non va?» «Dev'essere lui», sussurrò Gutierrez. «Quello che ho visto prima. Là, lo vedi? Era qui, in albergo. Che guardava dalla nostra parte.» L'atrio era pieno di piante tropicali. Susan intravide appena una figura che si voltava e usciva dalla porta. «Daniel Pell?»
«Non è possibile. È da stupidi... Sarà, be', la forza della suggestione o qualcosa del genere.» Arrivarono alla porta e Gutierrez guardò fuori. «Se n'è andato.» «Pensi che dovremmo dirlo a qualcuno alla reception?» «Avviserò la polizia. Può darsi che mi sbagli, ma di sicuro male non fa.» Prese il cellulare e chiamò il 911. Parlò per qualche minuto, quindi rimise in tasca l'apparecchio. «Dicono che manderanno qualcuno a controllare. Non sembravano molto entusiasti. Be', probabilmente di chiamate del genere ne ricevono cento ogni ora. Se vuoi ti accompagno alla macchina.» «Mi farebbe piacere», disse lei, non tanto perché temesse il fuggitivo, quanto perché avrebbe gradito passare qualche minuto in più in compagnia di Gutierrez. Si incamminarono sull'Alvarado, la via principale del centro, che ospitava ristoranti, caffè e negozi per turisti: era molto diversa dallo scenario da Far West di un centinaio di anni prima, quando i soldati e i lavoratori di Cannery Row ci andavano per prendere sbronze, frequentarne i bordelli e di tanto in tanto spararsi addosso in mezzo alla strada. Durante la passeggiata, la conversazione languì. Scrutavano entrambi intorno. Susan notò che le strade erano insolitamente deserte. Colpa dell'evaso? Cominciò a sentirsi a disagio. Il suo ufficio era di fianco a un cantiere, a un isolato dalla Alvarado. C'erano cumuli di materiale da costruzione, dietro i quali, se Pell fosse andato da quella parte, sarebbe stato facile nascondersi. Susan rallentò il passo. «È quella la tua macchina?» chiese Gutierrez. Lei annuì. «Qualche problema?» Susan fece una smorfia e un risolino forzato. Rispose che temeva che Pell fosse nascosto nel cantiere. Lui le sorrise. «Anche se davvero fosse qui, non potrebbe aggredirci tutti e due insieme. Vieni.» «César, aspetta.» Susan mise una mano in borsetta e gli porse un cilindretto rosso. «Tieni.» «Che cos'è?» «Spray al peperoncino. Non si sa mai.» «Non credo che corriamo nessun rischio. Come funziona, comunque?» Gutierrez si mise a ridere. «Non vorrei spruzzarmelo in faccia.» «Devi solo prendere la mira e premere qui. È pronto all'uso.» Proseguirono fino all'auto. Quando la raggiunsero, Susan si sentiva stu-
pida. Non c'era nessun killer impazzito in agguato dietro i cumuli di mattoni. Si chiese se i suoi capricci le avessero fatto perdere punti con Gutierrez alla voce «uscire insieme». Le pareva di no. A lui sembrava piacere il ruolo di gentiluomo galante. Susan aprì la portiera. «Questo è meglio che lo tenga tu», disse lui, tendendole la bomboletta spray. Lei allungò la mano. Ma Gutierrez balzò in avanti, l'afferrò per i capelli e le tirò indietro la testa con brutalità. Le infilò a forza l'erogatore dello spray nella bocca, aperta in un grido soffocato. Premette. L'agonia, rifletté Daniel Pell, è forse il modo più rapido per controllare qualcuno. Sempre sotto le mentite spoglie di uomo d'affari di origine messicana, un travestimento che si era rivelato efficace, Pell era al volante dell'automobile di Susan Pemberton e si stava dirigendo verso un luogo deserto in riva all'oceano, a sud di Carmel. L'agonia... farli soffrire intensamente, dar loro un po' di tempo per riprendersi e poi minacciare di fargli nuovamente del male. Gli esperti sostengono che la tortura non funziona. Sbagliato. La tortura non è elegante. Non è pulita. Però funziona benissimo. Lo spruzzo nella bocca e nel naso di Susan era durato solo un secondo, ma dalle sue urla strozzate e dal tremito delle membra si capiva che il dolore era pressoché insostenibile. Lui aveva lasciato che si riprendesse. Poi aveva scosso la bomboletta davanti agli occhi della donna, traboccanti di lacrime e panico, ottenendo all'istante ciò che voleva. Lo spray non era previsto, naturalmente: nella valigetta aveva un rotolo di nastro adesivo e un coltello. Ma Pell, divertito, aveva cambiato i piani quando lei gli aveva offerto la bomboletta... o meglio, quando l'aveva offerta al suo alter ego César Gutierrez. Daniel Pell aveva alcune cose da fare in pubblico e, con la sua fotografia in onda ogni mezz'ora sulla televisione locale, doveva diventare qualcun altro. Dopo avere acquistato la Toyota con l'aiuto di bugie, moine e scollatura, Jennie Marston aveva comprato tintura per tessuti e crema abbronzante istantanea, che aveva rimescolato fino a ottenere un colorante che gli avrebbe scurito la pelle. Pell si era tinto di nero i capelli e le sopracciglia. Si
era servito di colla e ciocche di capelli per fabbricarsi un paio credibile di baffi. Per gli occhi non c'era niente da fare: se anche ci fossero state lenti a contatto in grado di far diventare castano l'azzurro, non avrebbe saputo dove trovarle. Comunque gli occhiali, da quattro soldi, con la montatura nera, avrebbero distratto chiunque dal profondo blu delle iridi. Nel pomeriggio aveva chiamato la Brock Company e aveva parlato con Susan Pemberton, che gli aveva dato un appuntamento per discutere dei dettagli della festa di anniversario. Aveva indossato un vestito poco costoso che Jennie gli aveva comprato da Mervyns e aveva incontrato Susan al Doubletree, dove si era messo all'opera, facendo ciò che Daniel Pell sapeva fare meglio. Oh, era stato divertente! Prendere Susan all'amo era stata una goduria, persino meglio di quando aveva guardato Jennie che si tagliava i capelli o si liberava della camicetta o contraeva il viso quando lui le sferzava le magre natiche con l'appendiabiti di metallo. Ora ripensava alle tecniche che aveva usato: condividere una paura (il killer in fuga), trovare passioni comuni (John Steinbeck e il jazz, di cui sapeva ben poco, ma era bravo a bluffare), giocare sul sesso (l'occhiata di lei al suo anulare senza fede e il sorriso sofferto di Susan quando lui aveva parlato di figli gli avevano detto molte cose sulla vita sentimentale della Pemberton), fare qualcosa di sciocco e riderne (il cappuccino rovesciato sui pantaloni), guadagnarsi simpatia (i commenti su quella stronza della sua ex moglie che rovinava il figlio), apparire una brava persona (la festa per l'anniversario dei genitori, l'offerta cavalleresca di accompagnarla alla macchina) e deviare qualsiasi sospetto (la falsa chiamata al 911). Conquistare fiducia un po' alla volta e, in questo modo, ottenere il controllo. Era esaltante tornare a praticare l'arte nel mondo reale. Pell trovò la deviazione che attraversava un fitto boschetto, fino all'oceano. Il sabato prima dell'evasione, dietro sua richiesta, Jennie aveva fatto un po' di ricognizioni e aveva scovato quel luogo deserto. L'auto proseguì lungo la strada coperta da uno strato di sabbia. Oltrepassò un cartello di proprietà privata e arrivò alla spiaggia, lontano dalla vista dei veicoli sull'autostrada. Quando Daniel scese dalla macchina, udì le onde che si frangevano su un vecchio molo poco distante. Il sole era basso e il tramonto spettacolare. Non dovette attendere a lungo. Jennie era in anticipo. Fu lieto di vederla. Se una persona arriva presto, vuol dire che è sotto il tuo controllo. Bisogna sempre tenere d'occhio quelli che ti fanno aspettare.
Lei parcheggiò, scese dalla macchina e si diresse verso di lui. «Non sei qui da molto, spero.» Jennie gli prese la faccia tra le mani e lo baciò, vorace. Disperata. Pell dovette riprendere fiato. Lei rise. «Non è facile abituarsi a vederti così. Cioè, sapevo che eri tu, ma stentavo a riconoscerti, sai? È come per me con i capelli corti... Un giorno ricresceranno e tu tornerai ad avere la pelle bianca.» «Vieni qui.» Pell la prese per mano e si mise su una duna bassa, facendola sedere accanto. «Non ce ne andiamo?» chiese lei. «Non ancora.» Jennie accennò alla Lexus. «Di chi è quella macchina? Pensavo che il tuo amico ti accompagnasse e poi ti lasciasse qui.» Lui non replicò. Guardarono l'oceano Pacifico, a occidente. Il sole era un disco pallido appena sopra l'orizzonte sempre più infuocato. In quel momento Jennie doveva pensare: Vuole parlare? Vuole scoparmi? Che succede? Incertezza... Pell la lasciò crescere. Non sorrideva e lei lo avrebbe notato. La preoccupazione fluiva come un'alta marea. Lui avvertiva la tensione nella mano e nel braccio di Jennie. Finalmente disse: «Quant'è grande il tuo amore per me?» Lei non esitò, anche se Pell avvertì una certa cautela nella sua risposta. «Come quel sole lì.» «Visto da qui sembra piccolo.» «Cioè, grande come il sole è davvero. No, grande come l'universo», aggiunse prontamente, come se cercasse di correggere una risposta sbagliata alla maestra. Pell rimase in silenzio. «Che cos'hai, Daniel?» «Ho un problema. E non so come uscirne.» Lei si tese. «Un problema, tesoro?» Dunque è «tesorino» quando è felice, «tesoro» quando è preoccupata. Buono a sapersi. Pell ne prese nota mentalmente. «Sai quell'appuntamento di cui ti ho parlato?» Le aveva detto soltanto che doveva vedere una persona per una «questione di affari». «Non è andata bene», continuò. «Avevo fatto tutti i miei programmi. Questa donna doveva ridarmi un sacco di soldi che le avevo prestato. Mi
ha mentito.» «Cos'è successo?» Pell guardò Jennie dritto negli occhi. Gli passò per la testa che l'unica persona che lo avesse colto a mentire era stata Kathryn Dance, ma pensare a lei lo avrebbe distratto e la scacciò dalla mente. «Il fatto è che lei aveva un piano tutto suo. Voleva usarmi. E usare anche te.» «Me? Mi conosce?» «Non sa come ti chiami. Però i telegiornali hanno detto che siamo insieme. Lei voleva che ti lasciassi.» «Perché?» «Per mettersi con me. Voleva che scappassimo insieme.» «È una che conoscevi da prima?» «Proprio così.» «Oh.» Jennie si zittì. Gelosia... «Naturalmente le ho detto di no. Non c'era neanche da pensarci.» Jennie cercò di fare le fusa. Non le riuscì. Tesoro... «E Susan si è arrabbiata. Ha detto che sarebbe andata alla polizia e ci avrebbe fatto arrestare tutti e due.» Pell fece una smorfia di dolore. «Ho cercato di convincerla a lasciar perdere, ma quella non mi stava ad ascoltare.» «E allora?» Pell guardò verso l'auto. «L'ho portata qui. Non avevo altra scelta. Stava cercando di chiamare la polizia.» Jennie, allarmata, guardò a sua volta la macchina: non vide nessuno. «Nel bagagliaio.» «Oddio. È?...» «No, sta bene», rispose Daniel, lentamente. «È legata. È questo il problema: adesso non so che cosa fare.» «Vuole sempre farti arrestare?» «Non è incredibile?» replicò lui, ansimando. «L'ho supplicata, ma lei non ci sta con la testa. Come tuo marito, hai presente? Continuava a farti del male anche se sapeva che sarebbe stato arrestato. Susan è lo stesso: non riesce a controllarsi.» Sospirò con rabbia. «Io mi sono comportato bene con lei. E lei mi ha ingannato. Ha speso tutti i soldi. Quelli con cui volevo ripagarti... per la macchina, per tutto quello che hai fatto.» «Non devi preoccuparti per i soldi, tesoro. Io voglio spenderli per noi.»
«No, io te li voglio restituire.» Mai, mai far capire a nessuno che ti interessa solo per i soldi. E mai, mai essere in debito con un altro essere umano. Pell diede un bacio a Jennie, mantenendo un'espressione preoccupata. «E adesso che cosa facciamo?» Lei evitò il suo sguardo e fissò il tramonto. «Non... non lo so, tesoro. Io non sono...» La voce le si spense, come i suoi pensieri. Lui le appoggiò una mano su una gamba. «Non posso permettere a nessuno di farci del male. Ti amo tanto.» Jennie, sottovoce: «E io amo te, Daniel». Pell sfilò il coltello dalla tasca. Lo guardò. «Non voglio, davvero. Ieri c'è stata gente che ha sofferto per causa nostra.» Nostra, non mia. Jennie colse la distinzione. Pell sentì le spalle di lei che si irrigidivano. Proseguì: «Solo che non l'ho fatto apposta. È stato un incidente. Ma questo... non lo so». Rigirò il coltello nella mano. Jennie si strinse a lui, fissando la lama che brillava alla luce del tramonto. Il suo corpo era scosso da brividi. «Mi aiuterai, amore? Da solo non ce la faccio.» Jennie si mise a piangere. «Non so, tesoro. Non credo di riuscirci.» Ora aveva gli occhi fissi sul bagagliaio della Lexus. Pell le diede un bacio sul capo. «Non possiamo permettere che nessuno ci faccia del male. Non potrei vivere senza di te.» «Nemmeno io.» Jennie risucchiò una boccata d'aria. Il mento le tremava quanto le mani. «Aiutami, ti prego.» Un sussurro. Pell si alzò e l'aiutò a rimettersi in piedi. Si diressero verso la Lexus. Lui le diede il coltello e chiuse la propria mano intorno a quella di lei. «Non sono abbastanza forte per farlo da solo», confessò. «Insieme, però... possiamo farcela, insieme.» La fissò con gli occhi che brillavano. «Sarà come un patto... un patto d'amore. Vorrà dire che saremo legati l'uno all'altra come nessun altro. Come fratelli di sangue. Saremo amanti di sangue.» Aprì la portiera e premette il pulsante per aprire il bagagliaio. Jennie si lasciò sfuggire un grido soffocato. «Aiutami, amore, ti prego.» La condusse al bagagliaio. Jennie si fermò. Gli riconsegnò il coltello, tra i singhiozzi. «Ti prego... mi dispiace. Mi dispiace tanto, tesoro. Non arrabbiarti. Non ce la faccio. Proprio non ce la faccio.» Pell non disse niente, si limitò a un cenno di assenso.
Gli occhi di Jennie erano disperati, le sue lacrime riflettevano il rosso del sole che si scioglieva all'orizzonte. Era uno spettacolo inebriante. «Non ti arrabbiare con me, Daniel. Non voglio che ti arrabbi.» Pell esitò, il tempo di tre battiti di cuore, l'intervallo perfetto per fomentare l'incertezza. «Va tutto bene. Non sono arrabbiato.» «Sono sempre il tuo amore?» Un'altra pausa. «Certo che lo sei.» Le disse di aspettare in macchina. «Io...» «Vai ad aspettarmi. Va tutto bene.» Dopo un po' la convinse e Jennie tornò alla Toyota. Lui aprì il bagagliaio della Lexus e guardò dentro. Guardò il corpo senza vita di Susan Pemberton. L'aveva uccisa un'ora prima, nel parcheggio vicino al suo ufficio. L'aveva soffocata con il nastro adesivo. Pell non aveva mai avuto intenzione di farsi aiutare a ucciderla. Sapeva che Jennie non sarebbe arrivata fino in fondo. Era stata solo una nuova lezione per istruire la sua allieva. Jennie aveva fatto un altro passo nella direzione in cui lui voleva condurla. Ora la morte e la violenza non le erano estranee: per almeno cinque o dieci secondi aveva considerato l'idea di conficcare un coltello in un corpo umano, si era preparata a veder scorrere il sangue, a guardare mentre una vita se ne andava. La settimana prima sarebbe stato un pensiero inconcepibile, quella successiva avrebbe potuto considerarlo per più di dieci secondi. Poi forse sarebbe stata in grado di aiutarlo davvero a uccidere qualcuno. E dopo ancora? Chissà, poteva arrivare a commettere lei stessa un omicidio. Pell aveva indotto le ragazze della Famiglia a fare cose contro la propria volontà, ma si era trattato solo di piccoli reati. Niente di violento. Daniel Pell, tuttavia, era convinto che, con il suo talento, sarebbe riuscito a trasformare Jennie Marston in un robot obbediente, disposto a fare tutto quello che lui voleva, compreso uccidere. Chiuse con forza il bagagliaio. Poi strappò un ramo di pino e se ne servì per cancellare le orme. Si incamminò verso l'auto, continuando a spazzare la sabbia. Disse a Jennie di tornare sulla strada, fermandosi dove c'era la ghiaia, quindi cancellò anche le tracce degli pneumatici. La raggiunse. «Guido io», le disse. «Mi spiace, Daniel», mormorò lei asciugandosi il viso. «Mi farò perdonare.» Supplicava di essere rassicurata.
Ma il programma delle lezioni prevedeva che lui non le desse alcuna risposta. 25 Un curioso individuo, stava pensando Kathryn Dance. Morton Nagle si tirò su i pantaloni che gli andavano larghi, si sedette al tavolino nell'ufficio dell'agente e aprì una valigetta consunta. L'uomo aveva un aspetto piuttosto disordinato, con i radi capelli spettinati, una barbetta irregolare, i polsini della camicia grigia consumati. Ma all'analista cinesica sembrava che fosse a proprio agio con quel fisico grassoccio. I movimenti, precisi e misurati, non indicavano tracce di stress. Gli occhi, quasi da elfo, passavano in rassegna ogni caso, decidendo all'istante che cosa fosse importante e cosa no. Al suo ingresso in ufficio, aveva ignorato l'arredamento, notando subito l'espressione di Kathryn, che probabilmente tradiva stanchezza. Poi aveva rivolto a Rey Carraneo un'occhiata socievole e irrilevante al tempo stesso e si era concentrato su Winston Kellogg. Quando aveva saputo per chi lavorava, lo scrittore aveva contratto le palpebre, chiedendosi che cosa ci facesse lì un agente dell'FBI. Rispetto alla precedente apparizione, quel giorno Kellogg non era vestito «da agente federale»: indossava una giacca sportiva a scacchi, morbidi pantaloni scuri e una più seria camicia azzurra, senza cravatta. Tuttavia l'atteggiamento era quello tipico degli uomini dell'FBI, neutro e inespressivo. Disse a Nagle che era lì solo in qualità di osservatore e «per dare una mano». Lo scrittore fece una delle sue risatine, che sembrava voler dire: Ti farò parlare. «Rebecca e Linda hanno acconsentito ad aiutarci», annunciò Kathryn. Nagle inarcò un sopracciglio. «Sul serio? E l'altra, Samantha?» «No, lei no.» Lo scrittore prese tre fogli dalla valigetta e li dispose sul tavolino. «La mia piccola enciclopedia di Daniel Pell. Breve storia di un assassino.» Kellogg spostò la sedia accanto a quella di Kathryn. A differenza di O'Neil, accanto a lui non si sentiva profumo di dopobarba. Nagle ripeté quanto aveva detto il giorno prima: il suo libro non riguardava Pell, bensì le sue vittime. «Sto lavorando su tutte le persone la cui vita è stata condizionata dalla morte dei Croyton. Dipendenti compresi. Dopo qualche tempo la società di Croyton venne acquisita da una grossa
compagnia di software e centinaia di persone furono licenziate. Forse questo non sarebbe accaduto se lui non fosse morto. E che dire del campo professionale? Anche quello è una vittima. All'epoca Croyton era uno dei progettisti più innovativi di Silicon Valley. Aveva dozzine di copyright su programmi e hardware in anticipo sui tempi. Molti non avevano ancora applicazioni pratiche, tanto erano avanti. Ora tutto è perduto. Sarebbero potuti essere programmi rivoluzionari per la medicina, la scienza o le comunicazioni.» Kathryn ricordò di avere pensato la stessa cosa mentre passava vicino al campus della Cal State, che aveva ereditato buona parte del materiale di Croyton. Nagle accennò a quanto aveva scritto e riprese: «È interessante: Pell modifica la sua autobiografia a seconda dell'interlocutore. Per esempio, vuole stabilire un contatto con qualcuno che ha perso i genitori da piccolo? Ebbene, lui gli racconta che è rimasto orfano a dieci anni. Oppure vuole approfittare di qualcuno il cui padre è stato nell'esercito? Allora diventa la mascotte di un reggimento, orfano di un soldato morto in battaglia. A sentirlo, ci sono almeno venti Pell diversi. Ecco, la verità è questa: è nato nell'ottobre del 1963, il sette, però racconta a tutti di essere venuto al mondo il ventidue novembre... il giorno in cui Lee Harvey Oswald sparò a Kennedy». «Ammira l'assassino di un presidente?» chiese Kellogg. «No, sembra che consideri Oswald un perdente. Troppo influenzabile e stupido. Ciò che ammira è il fatto che un uomo solo, con una singola azione, possa avere tanta influenza: far piangere così tanta gente, cambiare il corso della storia di un Paese... be', del mondo. Dunque, Daniel non ha avuto un'infanzia difficile. Il padre, Joseph Pell, era un rappresentante; la madre, Elizabeth, faceva la receptionist, quando riusciva ad avere un lavoro. Beveva parecchio: dobbiamo presumere che fosse distante, comunque non risultano abusi né arresti. È morta di cirrosi quando Daniel aveva più o meno sedici anni. Rimasto vedovo, il padre fece del proprio meglio per crescere il ragazzo da solo, ma Daniel non voleva permettere a nessuno di prendere il controllo della sua vita. Aveva problemi con l'autorità, che fossero insegnanti, datori di lavoro o, soprattutto, suo padre.» Kathryn parlò del nastro che avevano guardato lei e O'Neil e di quanto aveva raccontato Pell: il padre che gli faceva pagare l'affitto, lo picchiava, abbandonava la famiglia... la morte dei suoi genitori. «Tutto falso», disse Nagle. «Di sicuro Pell aveva un rapporto difficile
con il padre. Joseph era religioso, molto religioso, severissimo. Era ministro di un culto presbiteriano, una setta conservatrice di Bakersfield, ma non aveva una chiesa sua. Era un semplice assistente, anche se alla fine lo misero da parte: c'erano state lamentele per la sua intolleranza, per i giudizi troppo pesanti sui parrocchiani. Cercò di avviare una propria chiesa, ma il sinodo presbiteriano non gli rivolgeva nemmeno la parola e lui si ritrovò a vendere immaginette e libri religiosi, roba del genere. Suo figlio deve aver fatto una vitaccia. Immagino sia stato anche per questo che la moglie si era data al bere.» La religione non aveva una posizione centrale nella vita di Kathryn. Lei, Wes e Maggie celebravano Pasqua e Natale, anche se in quei casi i simboli delle feste erano un coniglio e un ometto allegro vestito di rosso. Kathryn preferiva trasmettere ai figli la propria etica: regole solide e incontrovertibili, comuni quasi a ogni fede. Tuttavia aveva passato nelle forze dell'ordine un tempo sufficiente a capire che la religione ha spesso un ruolo importante nel crimine. Non solo per quanto riguardava atti premeditati di terrorismo, ma anche in casi più semplici. Una volta lei e Michael O'Neil avevano passato insieme dieci ore in un affollato garage a Marina, una città poco lontano, a negoziare con un ministro fondamentalista che in nome di Cristo intendeva uccidere la moglie e la figlia teenager, perché quest'ultima era incinta. Erano riusciti a salvare la famiglia; a Kathryn era rimasta la fastidiosa sensazione che la religiosità portata all'estremo potesse essere molto pericolosa. Nagle continuava: «Il padre di Pell si ritirò, traslocò a Phoenix e si risposò. La seconda moglie è morta due anni fa e Joseph l'anno scorso. Attacco di cuore. Non risulta che il figlio sia rimasto in contatto con lui. Non aveva zii né da parte di madre né da parte di padre, tranne quella di Bakersfield». «Quella con l'Alzheimer?» «Sì. In compenso Pell ha un fratello.» Dunque non era figlio unico, come aveva affermato. «Un fratello maggiore: si è trasferito a Londra da anni e si occupa delle vendite di una compagnia import-export americana. Non rilascia interviste. Tutto quello che ho è un nome, Richard Pell.» «Vedrò di farlo rintracciare», disse Kathryn, rivolta a Kellogg. «Cugini?» chiese l'agente dell'FBI. «La zia non si è mai sposata.» Lo scrittore batté un dito su un foglio e ridacchiò. «E adesso arriviamo a quando Pell aveva diciassette-diciotto
anni. Faceva dentro e fuori dal riformatorio, più che altro per scippi, taccheggio, furto d'auto. Ma nessun precedente per atti di violenza. La sua fedina, all'inizio, è sorprendentemente tranquilla: non risultano risse o aggressioni, sembra che non perdesse mai la calma. Un poliziotto disse di avere l'impressione che il ragazzo potesse fare del male a qualcuno solo se gli era utile sul piano tattico. Non traeva piacere dalla violenza, né la aborriva. Per lui era semplicemente uno strumento.» Kathryn pensò alla sua valutazione precedente: uccidere senza emozioni, solo quando era conveniente. «Inoltre, nessun precedente per droga. Pell non sembra averne mai fatto uso. E non beve, o non beveva, alcool.» «E l'istruzione?» «Questo sì che è interessante. È un soggetto brillante. Al liceo sarebbe stato il primo della classe, ma la sua frequenza scolastica era bassa. In carcere ha studiato legge da autodidatta e si è difeso da solo al processo di appello per il caso Croyton.» Kathryn ripensò ai commenti di Pell sulla Hastings Law School. «Ed è arrivato dritto fino alla Corte Suprema della California. Solo che l'anno scorso lo hanno respinto. Dev'essere stato un brutto colpo. Pell era sicuro che lo avrebbero rilasciato.» «Be', si vede che è furbo, anche se non abbastanza da stare fuori di prigione.» Kellogg indicò un paragrafo della biografia da cui risultava qualcosa come settantacinque arresti. «Questo sì che è un curriculum!» «E non è che la punta dell'iceberg. Di solito Pell faceva in modo che fossero altri a commettere i reati. Probabilmente centinaia di volte è stato arrestato qualcun altro al suo posto: rapine, furti, taccheggio, borseggio. Era così che viveva, facendo fare il lavoro sporco a quelli che gli stavano intorno.» «Oliver», disse Kellogg. «Come?» «Charles Dickens. Oliver Twist... L'avete mai letto?» «Ho visto il film», rispose Kathryn. «Paragone azzeccato. Fagin, quello che organizzava la banda di borseggiatori. Così faceva Pell.» «'La prego, signore, posso averne ancora?'» disse Kellogg, con un pessimo accento cockney. Kathryn rise e lui si strinse nelle spalle. «Pell lasciò Bakersfield e andò a San Francisco. Entrò in un giro, si fece beccare per qualcosa, niente di serio. Per un po' non si seppe niente di lui,
fino a quando non fu fermato nella California settentrionale, nel corso di un'indagine per omicidio.» «Omicidio?» «Già. L'assassinio di Charles Pickering a Redding. Pickering lavorava per la contea, all'ufficio del catasto. Fu pugnalato a morte sulle colline fuori città circa un'ora dopo essere stato visto mentre parlava con qualcuno che assomigliava a Pell. Un delitto brutale. La vittima ricevette dozzine di coltellate. Un bagno di sangue. Ma Pell aveva un alibi: una ragazza con cui stava al momento del delitto. E non c'erano prove dirette a suo carico. La polizia locale lo tenne dentro una settimana per vagabondaggio, poi alla fine lo lasciò andare. Il caso non fu mai risolto. Dopo di che il nostro Daniel mise insieme la Famiglia a Seaside. Altri anni di furti e taccheggio, qualche aggressione, uno o due incendi dolosi. Fu sospettato di avere picchiato a sangue un biker che viveva nelle vicinanze, la vittima però non lo denunciò. Più o meno un mese dopo avvenne la strage dai Croyton. Da allora è rimasto in prigione... be', fino a ieri.» «Che cosa dice la ragazza?» «La ragazza?» «La bambola che dorme. Theresa Croyton.» «Che cosa potrebbe dire? Al momento dei delitti stava dormendo. Questo è stato ormai stabilito.» «Davvero?» chiese Kellogg. «E da chi?» «Dagli investigatori dell'epoca, suppongo.» La voce di Nagle era incerta. Non doveva averci mai pensato. «Adesso dovrebbe avere... vediamo, diciassette anni», calcolò Kathryn. «Le vorrei parlare. Potrebbe sapere qualcosa di utile. Vive con gli zii, giusto?» «Sì, l'hanno adottata.» «Posso avere il loro numero?» Nagle esitò. I suoi occhi si spensero e si abbassarono. «C'è qualche problema?» «Be', ho promesso che non avrei detto niente a nessuno della ragazza. Theresa non l'ho incontrata nemmeno io. La zia è molto protettiva, ed è stata categorica su questo. Forse, insistendo, potrebbe accettare, ma se le dessi il suo numero non credo che le parlerebbe. E ho idea che poi non riuscirei più a farlo neppure io.» «Ci dica solo dove vive. Ci faremo dare il numero dalla compagnia telefonica. Senza fare il suo nome.»
Lo scrittore scosse la testa. «Hanno cambiato cognome, si sono trasferiti. Avevano paura che qualcuno della Famiglia desse loro la caccia.» «Eppure lei ha dato a Kathryn i nomi delle donne», obiettò Kellogg. «Erano sulla guida e negli archivi ufficiali: potevate trovarli da soli. Ma Theresa e gli zii non sono rintracciabili.» «Lei li ha trovati», disse Kathryn. «Tramite fonti riservate. Che, vi garantisco, saranno ancora più riservate adesso che Pell è scappato. Mi rendo conto che è importante... Vi dico che cosa posso fare: andrò a parlare di persona alla zia. Le dirò che lei vuole parlare di Pell con Theresa. Non cercherò di convincerla a tutti i costi... se dice di no, è no.» Kellogg assentì. «Non chiediamo di più. Grazie.» Kathryn diede un'occhiata alla biografia e disse: «Più cose scopro di lui e meno lo conosco». Lo scrittore rise. Gli occhi tornarono a illuminarsi. «Oh, vuole conoscere il 'perché' di Daniel Pell?» Infilò una mano nella valigetta, prese un mucchio di fogli e lo aprì in corrispondenza di un post-it giallo. «Qui c'è un brano di uno dei colloqui con lo psichiatra del carcere. Per una volta è stato sincero.» Si mise a leggere. PELL: Mi vuole analizzare, vero? Vuole sapere che cosa mi fa reagire? Ma lei sa già la risposta a questa domanda, dottore. È lo stesso per tutti: la famiglia, naturalmente. Papà mi picchiava. Papà mi ignorava. La mamma non mi ha allattato. Lo zio Joe ha fatto chissà che. Natura o cultura, è sempre tutto colpa della famiglia. Ma se pensi troppo a loro, va a finire che ti ritrovi addosso qualsiasi parente o antenato della tua vita ogni volta che devi fare qualcosa e ti senti paralizzato. No, no, l'unico modo per sopravvivere è lasciarli perdere tutti e ricordare che tu sei chi sei e che sarai sempre così. DOMANDA: E tu chi sei, Daniel? PELL (ride): Oh, io? Sono quello che tira i fili della tua anima e ti fa fare cose di cui non ti saresti mai creduto capace. Sono quello che suona il piffero e ti porta in luoghi in cui hai paura di andare. E lasci che le dica, dottore: si stupirebbe di quanta gente vuole avere un burattinaio o un Pifferaio Magico. Quando Nagle se ne fu andato, Kathryn disse: «Devo tornare a casa».
Sua madre e i figli l'aspettavano con ansia per la festa del nonno. Kellogg si scostò il ciuffo dalla fronte, che ricadde un attimo dopo. Lui ci riprovò. Kathryn vide il gesto e osservò un dettaglio che non aveva notato prima. Una benda che spuntava dal colletto della camicia. «Ti sei fatto male?» «Una ferita superficiale. Durante un arresto a Chicago l'altro giorno.» Il linguaggio del corpo lasciava intendere che non avesse voglia di parlarne e lei preferì non insistere. Comunque lui aggiunse: «Il sospetto non ce l'ha fatta», in un certo tono e con un certo sguardo. Era lo stesso modo in cui lei diceva alla gente di essere vedova. «Mi spiace. Va meglio adesso?» «Va bene.» Subito dopo si corresse: «Okay, bene no, comunque mi sto riprendendo. Certe volte non si può fare di più». D'impulso Kathryn gli domandò: «Ehi, hai programmi per stasera?» «Riferire al mio superiore, poi fare un bagno in albergo, uno scotch, un hamburger e dormire. Be', okay, due scotch.» «Ho una domanda.» Kellogg sollevò un sopracciglio. «Ti piacciono le torte di compleanno?» Dopo una breve pausa, lui rispose: «È uno dei miei alimenti preferiti». 26 «Hai visto, mamma, che razza di terrazza?» Kathryn diede un bacio alla figlia. «Divertente, Mags.» Sapeva che la bambina moriva dalla voglia di fare quel gioco di parole. Il Ponte era pronto per la festa. I ragazzi avevano passato tutto il pomeriggio a decorarlo: bandierine, lanterne cinesi, candele dappertutto. L'avevano imparato dalla mamma: nelle grandi occasioni, forse gli ospiti di Kathryn Dance non trovavano una cucina da gourmet, ma l'atmosfera era sicuramente grandiosa. «Quand'è che il nonno apre i regali?» Wes e Maggie avevano messo da parte le mancette per comprare a Stuart Dance l'attrezzatura da pesca: un paio di stivaloni e una rete. Kathryn sapeva che suo padre avrebbe gradito qualsiasi regalo da parte dei nipoti, ma questi gli sarebbero stati particolarmente utili. «I regali dopo la torta», annunciò Edie Dance. «E la torta dopo cena.» «Ciao, mamma.» Kathryn e sua madre non si abbracciavano ogni volta
che si vedevano, ma quella sera Edie strinse a sé la figlia, approfittandone per sussurrarle all'orecchio che voleva parlarle di Juan Millar. Le due donne si trasferirono in salotto. Kathryn capì subito che la madre era preoccupata. «Cosa c'è?» «Non è migliorato. È tornato in sé solo un paio di volte.» Edie si guardò intorno, presumibilmente per sincerarsi che i bambini non la potessero sentire. «Solo per qualche secondo. Non sarebbe in grado di rilasciare una dichiarazione. Ma...» «Che cosa, mamma?» Edie abbassò ancora di più la voce. «Ero in piedi vicino a lui. Non c'era nessun altro che potesse sentire. L'ho guardato: aveva gli occhi aperti... Voglio dire l'occhio non coperto dalle bende. Muoveva le labbra. Mi sono chinata. Ha detto...» Un'altra occhiata intorno. «Ha detto: 'Uccidimi'. Due volte. Poi ha richiuso gli occhi.» «Soffre così tanto?» «No, con tutto quello che gli hanno somministrato non può sentire niente. Ma è riuscito a vedere le bende. E le apparecchiature. Non è uno stupido.» «I suoi sono ancora lì?» «Quasi tutto il tempo. Be', suo fratello passa di continuo. Ci guarda come un falco. È convinto che non stiamo curando Juan al meglio perché è un latino. E ha fatto qualche commento su di te.» Kathryn storse la faccia. «Scusa. Ho pensato che dovresti saperlo.» «Hai fatto bene a dirmelo.» Kathryn era preoccupata. Non per Julio Millar, naturalmente, lui non era un problema. La turbava la disperazione del giovane detective. Uccidimi... «Betsey ha chiamato?» chiese Kathryn. «Ah, tua sorella non può venire», rispose Edie con leggerezza. Le parole non dette erano che la irritava che la figlia minore non facesse quattro ore di autostrada da Santa Barbara per venire al compleanno del padre. Certo, con la caccia a Pell in pieno svolgimento, se la situazione fosse stata rovesciata, Kathryn stessa non avrebbe fatto quattro ore di viaggio. Secondo un'importante regola delle famiglie, tuttavia, le trasgressioni ipotetiche non contano, e il fatto che Kathryn fosse presente in ogni caso comportava che Betsey facesse brutta figura. Tornarono sul Ponte. Maggie chiese: «Mamma, possiamo far uscire Dy-
lan e Patsy?» «Vedremo.» I cani avrebbero potuto fare confusione alla festa. E avrebbero consumato troppo cibo umano per il loro bene. «Tuo fratello dov'è?» «In camera sua.» «Che cosa sta facendo?» «Cose sue.» Kathryn mise la pistola sottochiave. La sicurezza era garantita da un uomo dell'MCSO appostato fuori casa. Lei fece una doccia e si cambiò. Trovò Wes in corridoio. «La maglietta no. È il compleanno del nonno.» «Mamma, è pulita.» «Metti una polo. O la camicia bianca e azzurra.» Kathryn conosceva meglio di lui il contenuto del suo armadio. «Oh, va bene.» Kathryn osservò lo sguardo triste del figlio. Non aveva niente a che fare con la camicia. «Qual è il problema?» «Niente.» «Avanti, fuori il rospo.» «Rospo?» «Ai miei tempi si diceva così. Che problema c'è?» «Niente.» «Vatti a cambiare.» Dieci minuti dopo, Kathryn stava impilando cumuli di antipasti appetitosi, mormorando un silenzioso ringraziamento alla filiale locale di Trader Joe's. Con la camicia infilata nei pantaloni e i polsini abbottonati, Wes passò a volo radente e prese una manciata di noccioline, lasciando dietro di sé una scia di profumo. Stava bene. Essere madre era una sfida, però c'erano anche molte soddisfazioni. «Mamma?» Wes lanciò una nocciolina in aria e la prese con la bocca. «Non lo fare. Potrebbe andarti di traverso.» «Mamma?» «Sì?» «Chi c'è stasera?» Il ragazzo distolse rapidamente lo sguardo e le voltò le spalle. Questo significava che la domanda nascondeva qualcos'altro. Kathryn sapeva che cosa lo tormentava: la stessa cosa della sera precedente. Solo che adesso era il momento di parlarne. «Noi e un po' di altra gente.» La domenica ci sarebbe stata una festa più in grande, con molti degli amici di Stuart Dance, al Marine Club, vicino
all'acquario di Monterey. Ma il vero compleanno era quella sera, e Kathryn aveva invitato a cena meno di una decina di persone. Enumerò: «Michael e sua moglie, Steve e Martine, i Barbers... e basta. Oh, c'è anche uno con cui sto lavorando su un caso. Viene da Washington.» Wes annuì. «E basta? Nessun altro?» «Nessuno.» Kathryn gli lanciò un sacchetto di pretzels, che lui afferrò con una mano sola. «Mettili in tavola. Lasciane qualcuno anche per gli ospiti.» Il ragazzo, visibilmente sollevato, andò a riempire le scodelle. Quello che temeva era che lei avesse invitato Brian Gunderson. Era da lui che veniva il libro bene in vista nel salotto. Era lui che aveva chiamato Kathryn alla sede del CBI, come le aveva riferito Maryellen Kresbach, diligente. Ha chiamato Brian... Kathryn aveva conosciuto Brian Gunderson, quarantenne dirigente di una banca di investimenti, a un appuntamento alla cieca organizzato da Maryellen, abile e insistente nel cercare di creare coppie quanto lo era nel preparare torte e caffè e nel gestire la vita professionale degli agenti del CBI. Brian era simpatico, disinvolto, persino divertente. Al loro primo incontro aveva ascoltato le spiegazioni di Kathryn sulla cinesica e si era affrettato a nascondere le mani sotto le cosce. «Così non potrai capire le mie intenzioni.» La cena si era protratta piacevolmente. Divorziato, senza figli anche se li avrebbe voluti, Brian lavorava troppo, e tra i suoi impegni e quelli di lei i rapporti procedevano, inevitabilmente, a rilento. Il che per lei andava bene. Sposata a lungo e vedova da poco, non aveva nessuna fretta. Dopo un mese di cene, caffè e cinema, Kathryn e Brian avevano fatto un giro in macchina e si erano ritrovati sulla spiaggia di Asilomar. Un tramonto dorato, un folto gruppo di lontre marine che giocavano vicino alla riva... Come resistere a un bacio o due? E infatti... Kathryn ricordava che le era piaciuto. E di essersi sentita in colpa per questo. Ma le era piaciuto più di quanto si fosse sentita in colpa. Si può fare a meno di quella parte della vita per un po', non per sempre. Tuttavia Wes si era messo di mezzo. Senza essere maleducato o creare imbarazzo, ma lasciando intendere - in modo chiarissimo per una madre che Brian non gli piaceva per niente. Kathryn aveva superato il lutto, anche se di tanto in tanto vedeva ancora una terapeuta, che le aveva spiegato come far accettare delicatamente ai figli un suo possibile interesse sentimentale. Kathryn aveva fatto tutto come si doveva. E Wes l'aveva battuta. Si mostrava imbronciato o diventava passivo-aggressivo ogni volta che si
toccava l'argomento «Brian» o quando lei tornava a casa dopo averlo visto. Ecco cosa Wes avrebbe voluto chiederle la sera prima, quando stava leggendo Il signore degli anelli. E stasera, dietro la domanda casuale su chi sarebbe venuto alla festa, in realtà suo figlio voleva chiederle: Viene anche Brian? E il corollario era: Vi siete davvero lasciati? Sì, davvero. Benché Kathryn si chiedesse se anche Brian la vedesse così. Dopotutto, da quando si erano lasciati, l'aveva chiamata diverse volte. La terapeuta le aveva spiegato che il comportamento di Wes era normale e che lei, con pazienza e determinazione, avrebbe potuto averla vinta. La cosa più importante, in ogni caso, era non permettergli di controllarla. Tuttavia, alla fine, Kathryn aveva stabilito di non essere abbastanza paziente e determinata. Così, due settimane prima, aveva lasciato Brian, con tatto, spiegandogli che era passato troppo poco tempo dalla morte del marito, che non era pronta. Per Brian era stata una brutta sorpresa, ma aveva retto bene il colpo. Nessun risentimento. E avevano lasciato aperta la questione. Dammi solo un po' di tempo... A dire la verità, la separazione era un sollievo. I genitori devono scegliere attentamente le loro battaglie, e in quel momento, aveva stabilito Kathryn, non era il caso di perdere tempo con schermaglie riguardanti la sua vita amorosa. Ciononostante le faceva piacere sapere che lui l'aveva cercata e si era accorta di sentire la sua mancanza. Quando portò sul Ponte il carrello con le bottiglie di vino, trovò il padre che mostrava a Maggie un libro con un'illustrazione di un pesce abissale luminescente. «Ehi, Mags, sembra appetitoso», disse Kathryn. «Mamma, che schifo...» «Tanti auguri, papà.» Lo abbracciò. «Grazie, cara.» Kathryn sistemò i vassoi, mise in fresco la birra, poi andò in cucina e prese il cellulare per sentire le ultime notizie da TJ e Carraneo. Non avevano avuto fortuna né con la caccia a Pell e con la ricerca della Ford Focus scomparsa, né avevano scoperto chi potesse chiamarsi o farsi chiamare Nimue o Alison, e neppure in quale albergo, motel o residence potessero nascondersi il ricercato e la complice. Fu tentata di chiamare Winston Kellogg, nel caso volesse cambiare idea; decise di no. Sapeva dove trovarla: se voleva venire, sarebbe venuto. Aiutò la madre a preparare altro cibo, quindi tornò sulla Terrazza per sa-
lutare i vicini, Tom e Sarah Barber, che avevano portato vino, un regalo di compleanno e il loro socievole cane meticcio, Fawlty. «Mamma, per favore!» chiamò Maggie. Il significato era chiaro. «Okay, okay, facciamoli uscire di prigione.» Maggie liberò Patsy e Dylan dalla camera da letto e le tre bestiole si misero a scorrazzare nel cortile sul retro, buttandosi a terra l'un l'altro e andando alla ricerca di nuovi odori. Pochi minuti dopo, apparve un'altra coppia. Steven Cahill, quarantenne, avrebbe potuto fare il modello per la pubblicità delle Birkenstock, con tanto di pantaloni di velluto a coste e coda di cavallo sale e pepe. La sua affascinante e voluttuosa moglie, Martine Christensen, a dispetto del cognome scandinavo, era bruna e avrebbe potuto avere sangue spagnolo o messicano nelle vene. Ma i suoi antenati erano più antichi dei coloni: discendeva in parte dagli indiani onlohe, un gruppo di piccole tribù di cacciatori dell'area tra Big Sur e San Francisco; per secoli, forse millenni, gli onlohe erano stati gli unici abitanti di quella regione. Qualche anno prima, Kathryn aveva conosciuto Martine a un concerto a un community college, sulla falsariga del celebre Monterey Folk Festival in cui Bob Dylan aveva debuttato nel 1965, che in seguito si era trasformato nell'ancor più famoso Monterey Pop Festival. Qui erano stati lanciati Jimi Hendrix e Janis Joplin. Il concerto in cui le due donne si erano incontrate non aveva l'importanza storica dei precedenti, ma ne aveva acquisita a livello personale. Kathryn e Martine avevano simpatizzato all'istante ed erano rimaste a parlare di musica a lungo dopo lo spettacolo. Ben presto erano diventate le migliori amiche l'una dell'altra. Dopo la morte di Bill, più volte Martine aveva strappato con la forza Kathryn alla seduzione della clausura post-vedovanza. Mentre alcune persone la evitavano e altre (compresa sua madre) la esortavano con estenuanti manifestazioni di simpatia e sostegno, Martine si era imbarcata in una campagna che poteva essere definita «antidolorifica». Allettava, scherzava, discuteva, tramava. Malgrado la reticenza, Kathryn si era resa conto che, accidenti, la tattica funzionava. L'amica era probabilmente la persona che più di ogni altra l'aveva rimessa in pista. I figli di Steve e Martine, due gemelli di un anno più piccoli di Maggie, li seguivano sulle scale. Uno dei due trascinava la chitarra della madre, l'altro un regalo per Stuart. Dopo i saluti, Maggie condusse i due ragazzi nel cortile sul retro, dove Wes fece girare il suo Gameboy. Gli adulti gravitavano intorno a un tavolo traballante illuminato da can-
dele. Kathryn osservò che Wes era di buon umore, più di quanto lo avesse visto da diverso tempo. Era un organizzatore nato, e ora stava occupandosi dei giochi dei ragazzi. Lei ripensò a Brian, poi lasciò perdere. «L'evasione. Sei tu che...» La voce melodiosa di Martine sfumò, quando vide che lei aveva capito. «Sì. Sono io a occuparmene.» «Quindi sei nell'occhio del ciclone», commentò l'amica. «In pieno. Se devo scappare prima della torta e delle candeline, sapete perché.» «Che strano», fece Tom Barber, giornalista locale e scrittore free-lance. «Passiamo tutto il tempo a preoccuparci dei terroristi. Sono loro i cattivi 'di moda'. Poi d'un tratto salta fuori uno come Pell. Si tende a dimenticare che il pericolo maggiore possono essere quelli come lui.» «La gente si chiude in casa», aggiunse la moglie di Barber. «In tutta la penisola. Hanno paura.» «L'unico motivo per cui sono qui», disse Steven Cahill, «è che sapevo che c'era gente con la pistola.» Kathryn rise. Michael e Anne O'Neil arrivarono con i due figli, Amanda e Taylor, di nove e dieci anni rispettivamente. Di nuovo Maggie si arrampicò sulle scale. Scortò i due nuovi arrivati in cortile, dopo avere fatto scorta di bibite e patatine. Kathryn mostrò dov'erano il vino e la birra e andò in cucina a dare una mano. Ma la madre le disse: «Hai un altro ospite». E indicò la porta d'ingresso. «Sono venuto a mani vuote», si scusò Winston Kellogg. «Abbiamo più di quanto riusciremo a mangiare. Potrai portarti via una razione, se vorrai. A proposito, sei allergico?» «Al polline? Sì. Ai cani? No.» Kellogg si era cambiato di nuovo. La giacca sportiva era la stessa, ora però indossava una polo e un paio di jeans, scarpe Topsider e calzini gialli. Non gli sfuggì l'occhiata di Kathryn. «Lo so. Per essere un federale, sembro più un papà che accompagna il figlio a giocare al pallone.» Kathryn gli fece strada passando per la cucina, dove gli fece conoscere la madre. Quindi proseguirono fino al Ponte, dove l'agente dell'FBI fu accolto da un'ondata di presentazioni. Lei si tenne sul vago per quanto riguardava i compiti di Kellogg, che disse soltanto di essere arrivato da Wa-
shington per lavorare con Kathryn su qualche progetto. Dopo Kathryn lo condusse su per le scale, fino al cortile, e gli presentò i bambini. Notò che Wes e Tyler lo guardavano incuriositi, di certo per scoprire se era armato, e si bisbigliavano all'orecchio a vicenda. O'Neil raggiunse i due agenti. Wes lo salutò calorosamente, poi, dopo aver dato un'altra occhiata a Kellogg, tornò al gioco, che a quanto pareva stava inventando al momento, regole comprese: aveva qualcosa a che fare con lo spazio profondo e draghi invisibili. I cani erano alieni, i gemelli erano membri di qualche casa reale e una pigna era un globo magico o una bomba a mano o forse entrambe le cose. «Hai detto di Nagle a Michael?» chiese Kellogg. Kathryn fece al detective un breve riassunto di quanto lo scrittore aveva raccontato loro della storia di Daniel Pell e spiegò che Nagle avrebbe cercato di procurare loro un incontro con Theresa Croyton. «Allora pensi che Pell sia qui per qualcosa che riguarda quei delitti?» domandò O'Neil. «Non lo so», ammise lei. «Ma qualsiasi informazione mi può fare comodo.» Il detective sorrise e si voltò verso Kellogg. «Non lasciare nulla di intentato. Così si può descrivere il suo stile.» «L'ho imparato da lui», aggiunse Kathryn, ridendo. Il detective disse: «Oh, stavo pensando una cosa... Ricordi? Una delle telefonate di Pell da Capitola era per una faccenda di soldi». «Novemiladuecento dollari», disse Kellogg. Kathryn era sorpresa dalla sua memoria. «Ecco, stavo pensando: sappiamo che la Thunderbird è stata rubata a Los Angeles. È logico pensare che la ragazza di Pell venga da lì. Perché non contattiamo le banche nella contea di Los Angeles, per vedere se una cliente ha incassato quella cifra... diciamo, negli ultimi due mesi?» A Kathryn l'idea piaceva, anche se avrebbe comportato un sacco di lavoro. «Avremo bisogno di voi», disse O'Neil a Kellogg. «Il Tesoro, il fisco, la Homeland Security, immagino.» «È una buona idea, giusto per pensare ad alta voce, però... temo che avremmo un problema di manodopera.» Era la stessa preoccupazione di Kathryn. «Stiamo parlando di milioni di clienti. So già che l'ufficio di Los Angeles non ce la farebbe e la Homeland si metterebbe a ridere. Oltretutto, la donna potrebbe avere avuto l'accortezza di ritirare i soldi a piccole
somme per volta. O incassare assegni di terzi e mettere da parte i contanti.» «Oh, certo, può darsi. Comunque sarebbe un bel colpo poter identificare la ragazza. Sai: 'Un secondo sospetto'...» «... 'aumenta logaritmicamente le probabilità di localizzazione e arresto'», concluse Kellogg, citando un vecchio manuale delle forze dell'ordine, cui Kathryn e O'Neil facevano spesso riferimento. L'agente dell'FBI sostenne lo sguardo del detective. «Noi federali non abbiamo tutte le risorse che credete voi. Penso proprio che non avremmo abbastanza uomini neanche per fare le telefonate. Sarebbe un lavoro monumentale.» «Mi domando: non sarebbe più facile controllare i database, almeno delle banche più grosse?» Michael O'Neil era piuttosto tenace. «Ti servirebbe un mandato?» chiese Kathryn. «Probabilmente per avere il nome», rifletté il detective. «Ma se una banca è disposta a collaborare, potrebbe confrontare le cifre e dirci se c'è una corrispondenza. E in mezz'ora potremmo ottenere un mandato per avere nome e indirizzo.» Kellogg sorseggiò un po' di vino. «Il fatto è che c'è un altro problema. Se andiamo dai miei superiori o alla Homeland con qualcosa di così labile, c'è il rischio che poi non ci diano retta in seguito quando avremo qualcosa di più solido.» «Mai gridare al lupo, eh?» O'Neil assentì. «Ho idea che voi avete più problemi politici di noi.» «Pensiamoci, però. Farò qualche telefonata.» O'Neil guardò alle spalle di Kathryn. «Ehi, buon compleanno, giovanotto.» Stuart Dance, con appeso alla giacca un distintivo con la scritta BIRTHDAY BOY fabbricato da Maggie e Wes, strinse le mani agli ospiti, rabboccò i bicchieri di O'Neil e della figlia e disse a Kellogg: «Non si parla di lavoro. È vietato. La porto via da questi bambini, venga a giocare con gli adulti». Kellogg fece una risatina timida e seguì l'uomo sul Ponte, dove Martine aveva sfoderato la sua usurata chitarra Gibson e stava coinvolgendo gli altri perché cantassero tutti insieme. Kathryn e O'Neil rimasero in piedi, da parte. Lei notò l'occhiata di Wes, che sembrava studiare gli adulti. Poi si voltò, tornando alla sua improvvisazione stile Guerre stellari. «Sembra in gamba», disse O'Neil, accennando con la testa all'agente dell'FBI.
«Winston? Sì.» Come abitudine, il detective non l'era presa se le sue idee erano state respinte. O'Neil era l'antitesi della meschineria. «È stato ferito, di recente?» Si toccò il collo. «Come fai a saperlo?» La benda non era visibile sotto il colletto. «Si stava toccando come si fa con una ferita.» Lei rise. «Ottima analisi cinesica. Sì, è successo da poco. L'indiziato ha sparato per primo, immagino, e Win ha risposto al fuoco, uccidendolo. Non è entrato nei dettagli.» Tacquero entrambi, guardando verso il cortile, i bambini, i cani e le luci che brillavano nel crepuscolo. «Lo prenderemo.» «Tu dici?» mormorò lei. «Sì, commetterà un errore. Lo fanno sempre.» «Non lo so. Lui è diverso, in qualche modo. Non ti pare?» «No. Non è diverso. È solo... di più.» Michael O'Neil, la persona più colta che Kathryn conoscesse, aveva una filosofia di vita sorprendentemente semplice. Non credeva nel bene e nel male, tantomeno in Dio e Satana. Quelle erano astrazioni che distraevano dal lavoro. Un lavoro che consisteva nell'arrestare chi trasgrediva le regole che gli uomini avevano creato per la propria salute e sicurezza. Né bene né male, solo forze distruttive che dovevano essere fermate. Per O'Neil, Pell era uno tsunami, un terremoto, un tornado. Il detective guardò i bambini che giocavano e disse: «Mi sembra di capire che con il tipo con cui uscivi... è una storia chiusa?» Ha chiamato Brian... «L'hai saputo, eh? Tradita dalla mia stessa assistente.» «Mi spiace. Davvero.» «Sai come vanno certe cose», disse Kathryn, rendendosi conto di avere usato una di quelle frasi insignificanti che servono da riempitivo nelle conversazioni. «Già.» Kathryn si voltò per controllare a che punto fosse la madre con la cena. Vide che la moglie di O'Neil, Anne, li stava guardando. Sorrideva. Lei ricambiò il sorriso e si rivolse al detective. «Allora, andiamo a cantare con gli altri?» «Devo proprio cantare anch'io?» «Assolutamente no», si affrettò a rispondere lei. Michael aveva una bella voce quando parlava, con un vibrato naturale, ma non sarebbe riuscito a
essere intonato nemmeno sotto tortura. Dopo mezz'ora di musica, pettegolezzi e risate, Edie Dance, la figlia e la nipote misero in tavola soccoscio di manzo marinato in salsa Worcestershire, insalata, asparagi e patate gratinate. Kathryn si sedette accanto a Winston Kellogg, che sembrava a suo agio pur non conoscendo quasi nessuno. Lo sentì raccontare anche un paio di barzellette, di un umorismo glaciale che le ricordò il marito, di cui Kellogg condivideva non solo la carriera ma anche i modi disinvolti, almeno quando riponeva il tesserino dell'FBI. La conversazione passò dalla musica ai commenti di Anne O'Neil sull'arte a San Francisco, dalla politica in Medio Oriente a quelle di Washington e di Sacramento, fino alla storia ben più importante del cucciolo di lontra marina nato in cattività all'acquario due giorni prima. Era una serata piacevole: amici, risate, cibo, vino e musica. Anche se, ovviamente, Kathryn Dance non riusciva a rilassarsi del tutto. Sottile e penetrante, come i bassi della chitarra di Martine, sottostava il pensiero che Daniel Pell era ancora a piede libero. MERCOLEDÌ 27 Kathryn Dance era seduta in un bungalow del Point Lobos Inn. Era la prima volta che andava in quel costosissimo residence in stile Tudor vicino alla Highway 1, a sud di Carmel, che prendeva il nome dallo splendido e selvaggio parco statale su cui si affacciava. Era un luogo isolato, in fondo a un lungo viale: dalla sua macchina parcheggiata davanti all'entrata, l'agente del Monterey County Sheriff's Office aveva una perfetta visuale di tutte le vie d'accesso. Era per questo che Kathryn lo aveva scelto. Si era registrata assieme a O'Neil, che in quel momento si stava occupando della denuncia di una persona scomparsa a Monterey. Kathryn chiamò TJ e Carraneo. Il primo non aveva niente da riferire, il secondo ammise che ancora, fra tutti gli alberghi, motel e residence di bassa categoria che aveva controllato, non aveva trovato quello in cui si nascondeva Pell. «Bassa categoria?» Un momento di esitazione. «Esatto, agente Dance. Non mi sono occupato di quelli costosi. Non credo che un fuggitivo abbia soldi a sufficienza.»
Kathryn ricordò la conversazione telefonica clandestina di Pell a Capitola e l'accenno ai novemiladuecento dollari. «Probabilmente Pell ha pensato la stessa cosa. E questo significa...» Lasciò che Carraneo arrivasse da solo alla conclusione. «Che se è furbo se ne starà in uno costoso. Hmm. Okay, provvedo. Aspetti. Dove si trova ora, agente Dance? Pensa che?...» «Ho già controllato tutti quanti, qui», lo rassicurò. Kathryn tolse la comunicazione, guardò di nuovo l'orologio e si domandò se quell'idea strampalata sarebbe servita a qualcosa. Cinque minuti dopo, qualcuno bussò alla porta. Lei l'aprì e vide l'agente Albert Stemple del CBI che oscurava con la sua mole una donna di poco meno di trent'anni. Linda Whitfield, piuttosto robusta, con un viso grazioso che non conosceva il trucco, e corti capelli rossi. I suoi vestiti erano alquanto usurati: pantaloni stretch con le ginocchia lucide e un maglione rosso da cui pendevano fili. Sullo scollo a V posava una croce di peltro. Kathryn non sentì alcun profumo e notò che le unghie erano corte e senza smalto. Si strinsero la mano. Linda aveva una stretta forte. Stemple inarcò un sopracciglio. Voleva dire: C'è altro? Kathryn lo ringraziò. Il robusto agente mise per terra la valigia di Linda e se ne andò con passo tranquillo. Kathryn richiuse la porta, mentre la donna entrava nel salotto dell'ampio bungalow, dotato di due camere da letto. Linda guardava quel posto elegante come se non fosse mai stata in qualcosa di meglio di un Days Inn. «Santo cielo!» «Sto preparando il caffè.» Kathryn indicò la cucina. «Tè, se ne hai.» Kathryn gliene fece una tazza. «Spero che non ti dovrai trattenere a lungo. Forse neanche stanotte.» «Novità su Daniel?» «Niente di nuovo.» Linda passò in rassegna le due camere da letto, come se sceglierne una comportasse restare più a lungo di quanto avesse voglia. Per un attimo, la sua serenità sembrò offuscarsi. Scelse una stanza e vi portò la valigia, poi riapparve per prendere il tè. Aggiunse del latte e si sedette. «Erano anni che non salivo su un aereo. E quel jet... incredibile. Così piccolo, ma al decollo mi sono sentita spingere sul sedile. C'era un'agente dell'FBI a bordo. Sei stata molto gentile.» Tra le due poltrone su cui erano sedute c'era un tavolino. Linda si guardò
nuovamente intorno. «Santo cielo, è proprio bello.» Certo che lo era. Kathryn si domandò che cosa avrebbero detto i contabili dell'FBI quando gli sarebbe arrivato il conto: quel bungalow costava quasi seicento dollari a notte. «Rebecca sta arrivando. Ma forse noi due possiamo già cominciare.» «E Samantha?» «Non vuole venire.» «Allora le hai parlato?» «Sono andata a trovarla.» «Dove vive? No, aspetta, non me lo puoi dire.» Kathryn sorrise. «Ho sentito che ha fatto la plastica facciale e ha cambiato nome e tutto quanto.» «Sì, e vero.» «All'aeroporto ho comprato un giornale, per vedere che cosa succedeva...» Kathryn si chiese il motivo dell'assenza di un televisore in casa del fratello di Linda, dove lei viveva. Era una scelta etica o culturale? O economica? Ormai con qualche centinaio di dollari si poteva avere la TV via cavo. Ma non le sfuggì che i tacchi delle scarpe di Linda erano quasi del tutto consumati. «Ho letto che ha ucciso due guardie.» La donna depose la tazza. «Mi ha sorpreso: Daniel non era violento. Faceva del male solo per autodifesa.» Dal punto di vista di Pell, era proprio per quello che aveva massacrato le guardie, pensò Kathryn. «Ma», continuò Linda, «qualcuno lo ha lasciato andare senza fargli del male. L'autista, quello del furgone.» Solo perché gli faceva comodo. Kathryn le chiese dell'uomo assassinato a Redding. «Charles Pickering?» Gli occhi della donna esplorarono l'angolo cucina, mentre rifletteva. «Daniel non ne ha mai parlato. Però, se la polizia lo ha rilasciato, forse vuol dire che non è stato lui.» Logica interessante. «Come lo hai conosciuto?» «È stato dieci anni fa, al Golden Gate Park di San Francisco. Ero scappata di casa ed era lì che dormivo. Daniel, Samantha e Jimmy vivevano a Seaside con un po' di altra gente. Andavano su e giù per la costa, come zingari. Vendevano oggetti che avevano comprato o fabbricato. Sam e
Jimmy erano bravi: facevano cornici per fotografie, porta-CD, portacravatte, cose del genere. Be', io quel weekend ero scappata... Niente di particolare, lo facevo di continuo. Daniel mi ha visto vicino al Japanese Garden. Si è seduto e ci siamo messi a chiacchierare. Daniel ha un dono. Ti ascolta. È come se tu fossi il centro dell'universo. È molto... sai, molto seducente.» «E non sei più tornata a casa?» «No, sono tornata. Anche se avrei voluto sempre andarmene senza fermarmi. Mio fratello l'ha fatto: se n'è andato di casa a diciotto anni e non si è mai voltato indietro. Ma io non ero abbastanza coraggiosa. Abitavamo a San Mateo. I miei... erano molto severi. Come istruttori militari. Mio padre era a capo della Santa Clara Bank and Trust e...» «Un momento, quel Whitfield?» «Già. Il Whitfield multimilionario. Quello che ha finanziato una buona parte di Silicon Valley ed è sopravvissuto al crollo. Quello che stava per entrare in politica, solo che una certa figlia finì sui giornali con un grosso scandalo.» Un sorriso amaro. «Hai mai visto una persona ripudiata dalla famiglia? Ce l'hai davanti. Quando ero ragazzina erano molto autoritari. Dovevo fare tutto a modo loro... dal riordinare la mia stanza, a cosa mettermi, da quello che dovevo studiare, i voti che dovevo prendere. Mio padre mi ha sculacciata fino a quando ho avuto quattordici anni, credo abbia smesso solo perché mia madre gli ha detto che non era una buona idea con una ragazza di quell'età... Dicevano che era perché mi volevano bene, che volevano fossi felice e avessi successo nella vita. Invece no: erano solo fanatici del controllo. Cercavano di trasformarmi in una bambolina da vestire e con cui giocare. «Be', sono tornata a casa, però non riuscivo a togliermi Daniel dalla testa. Avevamo parlato per... non so, solo qualche ora, ed era stato meraviglioso. Mi trattava come se fossi una persona vera. Mi diceva che dovevo fidarmi dei miei giudizi, che ero intelligente e carina.» Rise di se stessa. «Oh, non è che lo fossi, né l'una né l'altra cosa. Ma quando lo diceva gli credevo. Una mattina mia madre entrò nella mia stanza e mi disse di alzarmi e vestirmi perché dovevamo andare a trovare una zia o qualcuno del genere. Io dovevo indossare una gonna, ma volevo mettermi i jeans. Non era una cosa formale, ci saremmo fermati solo per pranzo. Ma lei ha fatto una scenata, si è messa a gridare: 'È una vergogna...' Hai capito? Be', io ho preso lo zaino e sono uscita. Avevo paura che non lo avrei più trovato. Grazie al cielo mi sono ricordata che aveva detto che la settimana dopo sarebbe stato a un mercatino delle pulci al Boardwalk, a Santa Cruz.»
Il Boardwalk era un famoso parco di divertimenti sulla spiaggia. Ci andavano molti ragazzi. Kathryn pensò che sarebbe stato un ottimo terreno di caccia, se Daniel Pell era in cerca di vittime. «Lui ci andava spesso. Era lì che aveva conosciuto Jimmy, e poi Rebecca. Così ho fatto l'autostop sulla Highway 1... e l'ho trovato. Sembrava contento di vedermi. Non credo che sia mai capitato, ai miei genitori.» Rise. «Gli ho chiesto se conosceva un posto in cui potessi stare. Ero nervosa, non sapevo come dirglielo. Lui ha risposto: 'Certo che lo conosco. Da noi'.» «A Seaside?» «Ah-hah. Avevamo un piccolo bungalow. Era bello.» «Tu, Samantha, Jimmy e Pell?» «Esatto.» Il linguaggio del corpo diceva che a Linda piacevano quei ricordi: la postura rilassata delle spalle, le pieghe ai lati degli occhi, gli ampi gesti con cui enfatizzava il contenuto delle parole, suggerendo le proprie reazioni a quanto stava dicendo. Linda riprese la tazza e sorseggiò il tè. «Quello che dicono i giornali, la setta, la droga, le orge... è tutto sbagliato. Era un posto comodo, accogliente. Cioè, niente droga e neanche alcool. Qualche volta un po' di vino a cena. Oh, era bello! Mi piaceva stare con gente che mi vedeva per come ero, che non cercava di cambiarmi, che mi rispettava. Io mandavo avanti la casa. Facevo da mamma, si può dire. Era bello che fossi io a organizzare le cose, una volta tanto. Senza che nessuno mi urlasse dietro se avevo le mie opinioni.» «E che cosa mi dici dei furti?» Linda si tese. «C'erano anche quelli. Ogni tanto. Non così spesso come dice la gente. Un po' di taccheggio, cose così. E a me non è mai piaciuto. Mai.» Si vedeva qualche gesto di diniego, ma Kathryn intuì che non stava cercando di ingannarla. Lo stress cinesico era dovuto al fatto che Linda ne minimizzava l'importanza. La Famiglia era responsabile di ben più del taccheggio: c'erano furti con scasso, così come scippo e borseggio, questi ultimi reati contro la persona, quindi più gravi di quelli contro la proprietà. «Ma non avevamo scelta. Per essere nella Famiglia bisognava partecipare.» «Com'era vivere con Daniel?» «Non così brutto come si potrebbe pensare. Bisognava solo fare quello
che voleva lui.» «Altrimenti?» «Non ci faceva mai del male. Non fisicamente. Più che altro... non ti rivolgeva la parola.» Kathryn rammentò il profilo del capo di una setta esposto da Kellogg: Minaccia di negarsi a loro, probabilmente la sua arma più forte. «Ti voltava le spalle. E tu ti spaventavi. Non sapevi mai se questa era la fine e saresti stata cacciata fuori. Alla chiesa una signora mi ha raccontato di quei reality show, Il grande fratello, Survivor.» Kathryn assentì. «Mi diceva che sono molto popolari. Credo che la gente ne sia ossessionata. C'è qualcosa di terrificante nell'idea di essere scacciati dalla tua famiglia.» Alzò le spalle e giocherellò con la croce che le pendeva sul petto. «Hai avuto una condanna più pesante degli altri. Per avere distrutto alcune prove. Com'è la storia?» Linda serrò le labbra. «Sono stata stupida. Mi sono fatta prendere dal panico. So solo che Daniel ha telefonato e ha detto che Jimmy era morto, che era successo qualcosa di brutto. Dovevamo fare i bagagli e prepararci ad andar via. La polizia gli avrebbe dato la caccia. Daniel aveva tutti quei libri su Charles Manson in camera sua e un sacco di ritagli di giornale. Ne ho bruciati un po' prima che la polizia arrivasse. Ho pensato che avrebbero avuto una brutta impressione se avessero scoperto che aveva quella passione per Manson.» Ma lui l'aveva, rifletté Kathryn, memore dell'enfasi su Charles Manson con cui la pubblica accusa aveva ottenuto la condanna per Pell. Linda rispose anche a domande sulla sua vita recente. In carcere era diventata molto religiosa e, una volta libera, si era trasferita a Portland, dove aveva trovato lavoro presso una chiesa protestante di cui il fratello era diacono. Usciva con un uomo, anche se la chiesa era tutta la sua vita, quando non faceva da bambinaia per i figli adottivi del fratello. Lei stessa avrebbe voluto adottare un bambino: non poteva averne di suoi, per problemi medici. Però era difficile, visti i precedenti penali. In tono conclusivo, aggiunse: «Non possiedo molte cose materiali, ma la mia vita mi piace. È una vita ricca, nel senso buono della parola». Le interruppe qualcuno che bussava alla porta. La mano di Kathryn corse alla pistola. «Sono TJ, capo. Ho scordato la parola d'ordine.» Kathryn aprì la porta e fece entrare il giovane, che accompagnava un'al-
tra donna. Alta, snella, sui trentacinque anni, con uno zaino appeso a una spalla. L'agente Dance accolse il secondo membro della Famiglia. 28 Rebecca Sheffield aveva qualche anno in più di Linda. Il suo aspetto era florido e atletico, anche se i capelli corti prematuramente ingrigiti, i gioielli vistosi e l'assenza di trucco le davano un'aria austera. Indossava un paio di jeans e una T-shirt di seta sotto una giacca marrone scamosciata. Rebecca diede una forte stretta di mano a Kathryn, e rivolse la sua attenzione a Linda, che si stava alzando dalla poltrona e le sorrideva. «Be', guarda chi c'è!» Rebecca andò ad abbracciarla. «Dopo tutti questi anni...» La voce di Linda venne meno. «Santo cielo, mi viene da piangere.» E così fu. Le due donne si sciolsero dall'abbraccio, ma Rebecca continuò a tenerle le mani. «È bello rivederti, Linda.» «Oh, Rebecca... Ho pregato tanto per te.» «Ti sei data alla religione, adesso? Una volta non sapevi distinguere una croce da una Stella di David. Be', grazie per le preghiere. Non sono sicura che abbiano funzionato.» «No, no, fai tante belle cose. Davvero! In parrocchia, in ufficio abbiamo un computer, e ho visto il tuo sito. Donne che diventano imprenditrici. È meraviglioso. Sono sicura che fa un sacco di bene.» Rebecca pareva sorpresa che Linda avesse seguito le sue attività. Kathryn indicò la camera da letto ancora libera. Rebecca vi portò lo zaino, poi andò in bagno. «Capo, se hai bisogno di me, chiamami», disse TJ, uscendo. Kathryn si richiuse la porta alle spalle. Linda prese la tazza e ci giocherellò, senza bere. La detective rifletté che la gente lo faceva spesso, in situazioni di stress. Aveva interrogato sospetti che per allentare la tensione giocavano con penne, posacenere, confezioni di cibo e persino con le scarpe. Rebecca tornò e lei le chiese se voleva del caffè. «Ci puoi scommettere.» Kathryn le riempì una tazza, offrendole latte e zucchero. «Qui non c'è un ristorante, ma hanno il servizio in camera. Ordinate quello che volete.» Sorseggiando il caffè, Rebecca si rivolse a Linda: «Devo proprio dire
che ti trovo bene». L'altra arrossì. «Oh, non so. Vorrei essere più in forma. Tu sei stupenda. E magra. E adoro i tuoi capelli.» Rebecca rise. «Non c'è niente come un paio di anni in prigione per farti ingrigire, eh? Ehi, niente fede. Non sei sposata?» «No.» «Neanch'io.» «Stai scherzando? Non dovevi sposare un bellissimo scultore italiano? Ormai pensavo che fossi accasata.» «Non è facile trovare l'Uomo Giusto quando si viene a sapere che il tuo ragazzo era Daniel Pell. Ho letto di tuo padre su Business Week. Sta espandendo la sua banca.» «Davvero? Non lo sapevo.» «Ancora non vi parlate?» Linda scosse il capo. «Neanche mio fratello gli parla. Siamo tutti casa e chiesa. È meglio così, credimi. Dipingi sempre?» «Ogni tanto. Non a livello professionale.» «No? Davvero?» Linda si voltò verso Kathryn, con gli occhi che luccicavano. «Oh, Rebecca era così brava! Dovresti vedere i suoi lavori. È eccezionale.» «Ogni tanto faccio qualche schizzo, così, per divertirmi.» Passarono qualche minuto a raccontarsi le loro vite. A Kathryn sembrò strano che, pur vivendo entrambe sulla West Coast, non avessero più comunicato dai tempi del processo. Rebecca la guardò. «Ci raggiungerà anche Samantha, o come si chiama adesso?» «No, siete solo voi due.» «Sam è sempre stata la più timida.» «'Topolina', ricordi?» disse Linda. «Eh, sì. Era così che la chiamava Pell: la sua Topolina.» Riempirono di nuovo le tazze. Kathryn tornò al lavoro, ponendo a Rebecca le stesse domande di base che aveva fatto a Linda. «Sono stata l'ultima a essere imbrogliata dal signor Pell», disse la nuova arrivata. «È stato solo... quando?» Un'occhiata a Linda. «A gennaio», le venne in soccorso l'altra. «Quattro mesi prima dell'affare Croyton.» Affare. Non delitti, notò Kathryn. «Come hai conosciuto Pell?»
«Andavo in giro per la West Coast. Tiravo su qualche soldo facendo ritratti alle fiere o sulla spiaggia. Un giorno Daniel si fermò davanti al mio cavalletto. Voleva che gli facessi il ritratto.» Linda sorrise. «Mi sembra di ricordare che non c'è stato nessun ritratto... Siete finiti nel retro del furgone e ci siete rimasti per un bel po'.» Il sorriso di Rebecca ne tradiva l'imbarazzo. «Be', Daniel è quel tipo di persona... Ma abbiamo anche parlato a lungo. E mi ha chiesto se volevo andare con gli altri a Seaside. All'inizio ero dubbiosa... cioè, conoscevamo tutti la sua reputazione, il taccheggio eccetera. Però mi sono detta: 'Accidenti, sono una bohémienne, una ribelle, un'artista, anche se sono cresciuta come un'educanda. Perché rinunciare?' Così ci sono andata. Funzionava. C'erano brave ragazze come Linda e Sam. Non dovevo lavorare dalle nove alle cinque e potevo dipingere come mi pareva e piaceva. Che cosa si poteva chiedere di più dalla vita? Certo, poi mi sono resa conto che mi ero messa insieme a Bonnie e Clyde, una banda di ladri. Questo non era tanto bello.» A quel commento, Kathryn vide il viso di Linda oscurarsi. Dopo essere stata scarcerata, raccontò Rebecca, si era dedicata al movimento per la donna. «Ho pensato che essermi prostrata davanti a Daniel Pell, trattandolo come se fosse il re del pollaio, doveva avere riportato indietro la causa femminista di parecchi anni. Volevo rimediare.» Alla fine, dopo parecchi consulti, aveva aperto un'agenzia per aiutare le donne ad aprire e finanziare piccole attività. E da allora si era dedicata a questo. Doveva renderle bene, a giudicare dai gioielli, dai vestiti e dalle scarpe italiane che, se la stima di Kathryn era giusta (aveva un certo occhio per la calzature), dovevano costare quanto le sue due paia migliori messe insieme. Di nuovo, qualcuno bussò alla porta. Era arrivato Winston Kellogg. Kathryn fu lieta di vederlo, tanto sul piano professionale quanto su quello personale. Le aveva fatto piacere cominciare a conoscerlo sul Ponte, la sera precedente. L'agente dell'FBI si era rivelato incredibilmente socievole, per essere un uomo sempre in viaggio da una città all'altra. In diverse occasioni Kathryn aveva conosciuto parecchi colleghi del marito e li aveva trovati sempre silenziosi, introversi, riluttanti a parlare. Ma Win Kellogg, assieme ai suoi genitori, era stato l'ultimo ad andarsene alla fine della festa. L'agente dell'FBI salutò le due donne e, seguendo il protocollo, mostrò loro il tesserino. Quindi si riempì una tazza di caffè. Fino a quel momento Kathryn aveva fatto domande generali ma, ora che Kellogg era presente, era il momento di venire al sodo.
«Molto bene, la situazione è questa: Pell, probabilmente, è ancora da queste parti, purtroppo non riusciamo a capire dove o perché. Non ha alcun senso. Tutti gli evasi si allontanano più in fretta che possono dalla prigione in cui erano rinchiusi.» Kathryn raccontò i dettagli del piano di fuga dal tribunale e gli sviluppi fino a quel momento. Le due donne ascoltarono con interesse, mostrandosi scosse o disgustate a seconda dei momenti. «Per cominciare, vorrei chiedervi della complice.» «La donna di cui ho letto?» chiese Linda. «Chi è?» «Non lo sappiamo. Solo che dovrebbe essere bionda e giovane. Intorno ai venticinque anni.» «E così ha una nuova ragazza», disse Rebecca. «Daniel non cambia mai.» «Non conosciamo la natura della loro relazione», intervenne Kellogg. «Probabilmente è una sua fan. Pare che i detenuti, anche i peggiori, abbiano legioni di donne che si gettano ai loro piedi.» Rebecca rise e guardò Linda. «Tu ne hai ricevute di lettere, mentre eri dentro? Io nessuna.» L'altra fece un sorrisino educato. «C'è la possibilità», riprese Kathryn, «che non sia un'estranea. Doveva essere molto giovane, all'epoca della Famiglia, ma mi chiedevo se non potrebbe essere una che conoscete.» Linda corrugò la fronte. «Se adesso ha venticinque anni, a quei tempi doveva essere una teenager. Non me ne ricordo nessuna.» «Quando io ero nella Famiglia», aggiunse Rebecca, «c'eravamo solo noi cinque.» Kathryn prese un appunto. «Adesso voglio chiedervi com'era la vostra vita in quel periodo. Che cosa diceva Pell, cosa faceva, che cosa gli interessava, quali erano i suoi piani? Forse ricordate qualcosa che può farci capire cosa sta combinando.» «Primo step: definire il problema. Secondo step: raccogliere i fatti.» Rebecca stava fissando Kathryn. Linda e Kellogg non capivano; lei sì. Per fortuna Rebecca non sembrava in vena di tenere un'altra conferenza come quella del giorno prima. «Dite quello che vi passa per la testa. Se avete un'idea che vi sembra bizzarra, ditela lo stesso. Ci interessa tutto quello che vi viene in mente.» «D'accordo», disse Linda. «Spara», fece Rebecca.
Kathryn chiese della struttura della Famiglia. «Era una specie di comune», rispose Rebecca. «Il che per me era strano, essendo cresciuta in uno di quegli ambienti da sit-com.» Da come la descrissero, tuttavia, le regole non erano esattamente quelle di una comune tradizionale, piuttosto un nucleo che seguiva la teoria: da ciascuno quello che Daniel Pell richiede, a ciascuno quello che Daniel Pell decide. Ciononostante, la Famiglia funzionava, almeno a livello pratico. Linda mandava avanti la casa e gli altri contribuivano. Mangiavano bene e tenevano il bungalow pulito e in ordine. Tanto Samantha quanto Jimmy Newberg se la cavavano discretamente con le riparazioni e lavori vari. Per ovvie ragioni (la camera da letto era piena di refurtiva) Pell non voleva che il proprietario intervenisse per far dipingere o aggiustare qualcosa. Perciò dovevano essere del tutto autosufficienti. «Quella era una delle basi della filosofia di vita di Daniel. Fiducia in sé, il saggio di Ralph Waldo Emerson. L'ho letto a voce alta una dozzina di volte. Gli piaceva ascoltarlo.» Rebecca sorrise. «Ti ricordi le letture notturne?» Linda spiegò che Pell credeva nei libri. «Li amava. Quando buttò via il televisore, ne fece una cerimonia. Quasi tutte le sere io leggevo qualcosa a voce alta, con tutti gli altri raccolti in cerchio sul pavimento. Quelle erano belle serate.» «C'erano vicini o amici a Seaside con cui avesse legami?» «Non avevamo amici», rispose Rebecca. «Daniel non era il tipo.» «Ma a volte conosceva qualcuno che veniva a stare da noi e poi se ne andava. Lui raccoglieva sempre gente.» «Falliti come noi.» Linda si irrigidì. Poi ribatté: «Be', io direi 'persone sfortunate'. Daniel era generoso. Gli dava da mangiare, a volte anche dei soldi». Dai da mangiare a un affamato e lui per te farà qualsiasi cosa, pensò Kathryn, ricordando il profilo del leader di una setta e dei suoi adepti. Le due donne continuarono a raccontare, ma non ricordavano chi potessero essere quegli ospiti. Kathryn passò oltre. «Recentemente, Pell ha fatto alcune ricerche su internet. Mi chiedevo se per voi possano significare qualcosa. Una era sulla parola 'Nimue'. Potrebbe essere un nome. Il nick di qualcuno.» «No, mai sentito. Che cosa significa?» «È un personaggio della leggenda di re Artù.» Rebecca guardò la donna più giovane. «Ehi, hai mai letto qualcuna di
quelle storie?» Linda rispose di no. E nessuna delle due aveva mai sentito parlare di qualcuno che si chiamasse Alison. «Raccontatemi una giornata-tipo in Famiglia.» Linda alzò le spalle. «Eravamo proprio come una famiglia. Parlavamo delle cose di cui si parla normalmente in una casa: il tempo, i progetti, i viaggi che volevamo fare. Chi sarebbe andato a lavorare dove. Ogni tanto, dopo colazione, mentre lavavo i piatti, mi mettevo a piangere dalla felicità. Finalmente avevo una famiglia vera.» Rebecca convenne che la loro vita non era diversa da quella di chiunque altro, anche se era molto meno sentimentale della sua complice e consorella. Continuarono la discussione, senza rivelare niente di utile. Nei colloqui e negli interrogatori, una regola ben nota è che la generalizzazione oscura i ricordi, mentre i dettagli li riportano a galla. «Fatemi un favore», disse Kathryn. «Scegliete un giorno preciso. E raccontatemelo. Un giorno che ricordate tutte e due.» Ma né all'una né all'altra veniva in mente un giorno in particolare. «Pensate a una festa. Giorno del Ringraziamento, Natale...» Linda propose: «E quella Pasqua?» «La mia prima festa in Famiglia. La mia unica. Certo. È stato divertente.» Linda raccontò che aveva preparato una grande cena con il cibo che Sam, Jimmy e Rebecca avevano «procurato». Kathryn colse immediatamente l'eufemismo: le provviste erano state rubate. «Ho cucinato il tacchino. L'ho arrostito tutto il giorno in cortile. Santo cielo, è stato proprio divertente.» Kathryn le incoraggiò: «E c'eravate voi due e Samantha, che era sempre silenziosa, avete detto». «La Topolina.» «E il giovane che è andato dai Croyton assieme a Pell», intervenne Kellogg. «Jimmy Newberg. Parlateci di lui.» «Va bene», disse Rebecca. «Jimmy era un cucciolo simpatico. Anche lui era scappato di casa. Da Seattle, mi pare.» «Carino. Però non aveva tutte le rotelle a posto.» Linda si batté un dito sulla fronte. Una risata dalla sua amica. «Era sempre fumato.» «Ma sapeva fare di tutto. Lavori da falegname, elettronica, qualsiasi co-
sa. Sapeva tutto di computer, si preparava da solo i programmi. Ogni tanto ci spiegava qualcosa e non capivamo neanche una parola. Voleva aprire un sito internet, ricordi? Prima ancora che ce l'avessero tutti. Doveva essere molto creativo. Mi è dispiaciuto per lui. A Daniel non era molto simpatico. Perdeva spesso la pazienza con lui. Voleva sbatterlo fuori, credo.» «E poi a Daniel piacevano le donne. Non gli andava di avere uomini intorno.» Kathryn riportò il discorso sulla Pasqua. «È stata una bella giornata», riprese Linda. «C'era il sole, faceva caldo, ascoltavamo musica... Jimmy aveva messo insieme un bell'impianto stereo.» «Avete detto la preghiera di ringraziamento per il cibo?» «No.» «Anche se era Pasqua?» «Io l'ho proposto», disse Rebecca, «ma Daniel ha detto di no.» «Infatti», confermò Linda. «Si è arrabbiato moltissimo.» Suo padre, pensò Kathryn. «Abbiamo giocato in cortile: frisbee, volano... Poi ho messo la cena in tavola.» Rebecca disse: «Io avevo portato un buon cabernet e noi ragazze e Jimmy l'abbiamo bevuto. Daniel no, non beveva mai. Oh, mi sono presa una bella sbronza. E anche Sam». «E abbiamo mangiato tantissimo.» Linda si strinse la pancia con le dita. Kathryn continuò a sondarle. Si era accorta che Kellogg non prendeva parte alla conversazione. Lui era l'esperto di sette, ma in questo caso si stava affidando all'esperienza della collega. Lei lo apprezzò. Linda continuò: «Dopo cena siamo rimasti fuori a parlare... Sam e io ci siamo messe a cantare, Jimmy armeggiava con il computer, Daniel leggeva qualcosa». Ora i ricordi si susseguivano, era come una reazione a catena. «Bevevate e parlavate. Una festa di famiglia.» «Già.» «Vi ricordate di che cosa avete parlato?» «Oh, del più e del meno...» Linda tacque. Poi: «Aspetta. Questo mi fa ricordare una cosa che forse ti interessa». Chinò il capo da un lato: significava che aveva identificato qualcosa, anche se il suo sguardo, fisso su un vaso con una finta amarillide, indicava che il pensiero non aveva ancora preso completamente forma. Kathryn rimase zitta: spesso fare domande dirette può avere l'effetto di
cancellare i ricordi più sfuggenti. Linda riprese: «Non era Pasqua. Era un'altra cena. Ma ripensando a quella di Pasqua mi è tornata in mente... Daniel e io eravamo in cucina. Mi stava guardando mentre facevo da mangiare e c'è stato un gran baccano dalla casa accanto. I vicini stavano litigando. Allora Daniel ha detto che non vedeva l'ora di andarsene da Seaside. E ritirarsi in cima alla sua montagna». «In cima alla sua montagna?» «Già.» Kellogg domandò: «La sua?» «Ha detto così.» «Aveva qualche proprietà?» «Non ha mai detto niente di preciso. Forse ha detto 'la sua' perché era qualcosa che voleva che diventasse suo, un giorno.» Rebecca non ne sapeva niente. Linda disse: «Me lo ricordo chiaramente. Voleva andarsene lontano da tutti. Solo noi, solo la Famiglia. Nessun altro intorno. Non credo che ne abbia parlato altre volte, né prima né dopo». «Non nello Utah? Avete detto tutte e due che non ne ha mai fatto cenno.» «No», confermò Rebecca. «Aspetta. Sai, pensandoci... Non so se può essere utile, ma anch'io ricordo una cosa simile. Una notte eravamo a letto e lui diceva: 'Devo fare un grande colpo. Mettere insieme abbastanza soldi per potermene andare lontano da tutti'. Me lo ricordo. Ha detto: 'Grande colpo'.» «Che cosa intendeva? Una rapina per poter comprare qualche proprietà?» «Può darsi.» «Linda?» Lei disse di non sapere nulla. Sembrava turbata al pensiero di non essere stata la destinataria di tutte le sue confidenze. Kathryn pose la domanda più ovvia: «Questo grande colpo poteva essere un furto in casa Croyton?» «Non so», rispose Rebecca. «Non ci aveva neanche detto che era lì che Jimmy e lui andavano quella notte.» Kathryn ragionò. Forse, dopotutto, Pell aveva effettivamente rubato qualcosa di valore a casa dei Croyton. Qualcosa che poteva avere nascosto prima dell'arrivo della polizia. Pensò all'auto con cui era andato dalle sue
vittime: era stata perquisita a fondo? Dov'era adesso? Forse era stata distrutta, forse ce l'aveva qualcun altro. Prese nota di localizzare il veicolo. E anche di controllare se risultasse che Pell aveva qualche proprietà. La cima della sua montagna... Che fosse quello ciò che stava cercando a Capitola, sul sito di Visual Earth? C'era almeno una dozzina di montagne a un'ora di macchina dalla penisola. 29 Kathryn Dance e Winston Kellogg camminavano su una strada coperta da uno strato sottile di sabbia umida. TJ e Michael O'Neil erano in piedi accanto al bagagliaio aperto di una Lexus ultimo modello. C'era anche un uomo calvo e rotondetto appartenente alla Coroner's Division, che a Monterey County fa parte dello Sheriff's Office. «Kathryn», la salutò questi. Lei gli presentò Kellogg, che occhieggiò il bagagliaio. La vittima, una donna, era sdraiata su un fianco, con le gambe piegate e il nastro adesivo che le bloccava le mani e le chiudeva la bocca. Il naso e la faccia erano di un rosso intenso. I vasi sanguigni si erano spezzati. O'Neil disse: «Susan Pemberton. Domiciliata a Monterey. Single, trentanove anni». «Probabile causa della morte, soffocamento?» Intervenne l'uomo della Coroner's Division: «Abbiamo anche dilatazione dei capillari e infiammazione alla mucosa. Quel residuo... sono sicuro che è oleoresina di capsico». «Le ha spruzzato spray al peperoncino e poi l'ha imbavagliata con il nastro adesivo.» L'uomo annuì. «Terribile», commentò O'Neil. Sola, in preda al dolore, con un bagagliaio a farle da ignobile bara. Kathryn provò un sussulto di rabbia nei confronti di Daniel Pell. O'Neil spiegò che era proprio Susan la donna di cui era stata denunciata la scomparsa. «Siamo sicuri che si tratti di Pell?» «È lui», confermò l'uomo della Coroner's Division. «Le impronte coincidono.» O'Neil aggiunse: «Ho richiesto l'esame immediato delle impronte per ogni caso di omicidio nell'area». «Qualche idea sul movente?»
«Forse. Susan Pemberton lavorava per un'agenzia che organizza eventi. A quanto sembra, Pell si è fatto dire dove si trovavano gli schedari. Ha rubato tutto. La scientifica ha esaminato l'ufficio. Niente di decisivo, finora, a parte le sue impronte.» «Che cosa ha rubato?» volle sapere Kellogg. «Tutto.» «Qualcuno ha idea del perché?» «Neanche l'ombra.» «Come ha fatto a trovarla?» «La direttrice dell'agenzia ha detto che Susan è uscita dall'ufficio ieri sera verso le cinque. Aveva un appuntamento per un aperitivo con un potenziale cliente.» «Pell?» O'Neil si strinse nelle spalle. «Chissà. La direttrice non sapeva chi fosse. Può darsi che Pell l'abbia vista e l'abbia seguita.» «Parente più prossimo della vittima?» «Da queste parti nessuno, almeno sembra», disse l'uomo della Coroner's Division. «I suoi genitori sono a Denver. Li chiamerò quando torno in ufficio.» «Ora della morte?» «Ieri sera, probabilmente fra le sette e le otto. Ne saprò di più dopo l'autopsia.» Pell non aveva lasciato molte tracce, solo una serie di impronte appena accennate sulla sabbia, in direzione della spiaggia, che spariva nell'erba pallida delle dune. Non c'erano altre orme né segni di pneumatici. Che cosa poteva esserci nelle schede che aveva rubato? Che cosa non voleva che scoprissero? Kellogg fece un giro sulla spiaggia, cercando di cogliere l'atmosfera della scena del delitto. Forse la stava esaminando alla luce della sua specializzazione in mentalità delle sette. Kathryn riferì a O'Neil l'idea di Rebecca: Pell intendeva fare un 'grande colpo', presumibilmente per poter acquistare un rifugio da qualche parte. «Linda ha parlato della 'cima di una montagna'. Il grande colpo poteva essere l'irruzione a casa Croyton.» Era possibile che Pell avesse nascosto la refurtiva sull'auto della fuga. «Credo fosse questo che cercava su Visual Earth. Voleva controllare il posto.» «Teoria interessante», ammise O'Neil. Quando lavoravano insieme a un caso, i brainstorming tra loro erano frequenti. Di quando in quando se ne
uscivano con teorie bizzarre che, a volte, risultavano esatte. Kathryn chiese a TJ di controllare dove fosse finito il veicolo guidato da Pell la notte dei delitti a casa Croyton e se esistesse un inventario del contenuto dell'auto. «E vedi se Pell risulta avere proprietà da qualche parte in California.» «Agli ordini, capo.» Kathryn si guardò intorno. «Perché abbandonare qui la macchina? Poteva andare a est, tra i boschi, dove nessuno l'avrebbe trovata per giorni. Qui è molto più visibile.» O'Neil indicò il moletto che si protendeva verso l'oceano. «La T-bird è fuori causa e ormai avrà mollato anche la Ford Focus. Potrebbe essere fuggito in barca.» «In barca?» fece lei. «Le orme vanno da quella parte, non verso la strada.» Kellogg assentì lentamente. Il suo atteggiamento diceva in realtà: Non credo proprio. «È piuttosto difficile attraccare qui, non credi?» «Non se uno sa quello che fa.» «Tu ce la faresti?» «Io? Sicuro. Dipende dal vento.» Winston Kellogg tacque ed esaminò la scena. La pioggia cominciava a cadere con regolarità. Lui non sembrò farci caso. «Io direi piuttosto che si sia diretto da quella parte per qualche ragione, forse per depistarci. Ma che poi sia tornato sui suoi passi, verso le dune, e abbia incontrato la sua complice qui intorno.» Frasi come «io direi piuttosto» oppure «la mia opinione è» erano ciò che Kathryn definiva «anestetici verbali». Il loro obiettivo era ammorbidire una critica o un'affermazione contraria a quella dell'interlocutore. Come ultimo arrivato, l'agente dell'FBI esitava a contraddire apertamente O'Neil, ma era evidentemente convinto che si sbagliasse per quanto riguardava la barca. «Che cosa te lo fa pensare?» domandò Kathryn. «Quel vecchio mulino.» In corrispondenza della deviazione dalla Highway che conduceva alla spiaggia c'era una stazione di servizio abbandonata, ai piedi di un pittoresco mulino a due piani. «Avrà quaranta o cinquant'anni: le pompe hanno un contatore a due cifre, come se nessuno credesse che un giorno la benzina sarebbe venuta a costare più di novantanove centesimi. Pell conosce la zona. La sua complice probabilmente è di queste parti. Ha scelto il posto non solo perché è deserto, ma anche perché
c'è un punto di riferimento preciso: 'Svolta a destra al mulino'.» L'espressione di O'Neil non mostrava cedimenti. «Può essere. Certo, se era questa l'unica ragione, c'è da chiedersi perché non abbia scelto un posto più vicino alla città. Di aree deserte ce ne sono parecchie, e sarebbe stato più semplice dare appuntamento alla complice. E a pensarci bene... se l'auto era rubata e c'era un cadavere nel bagagliaio, sarebbe stato più logico liberarsene il più presto possibile.» «Sì, ha senso», convenne Kellogg. Si guardò intorno, stringendo le palpebre nella foschia. «Io però sto pensando un'altra cosa. Credo che sia venuto qui non tanto per il molo, quanto perché è deserto e c'è una spiaggia. Non è un killer ritualistico, ma la maggior parte dei leader di sette ha un lato mistico, in cui spesso rientra l'acqua. Qui è accaduto qualcosa, una specie di cerimoniale, direi. Potrebbe riguardare la sua complice. Forse sesso dopo il delitto. O forse qualcos'altro.» «Che cosa?» «Non saprei. Comunque scommetto che si sono visti qui. Per qualcosa che lui aveva in mente.» «Però», sottolineò O'Neil, «non ci sono tracce di un'altra auto, né che sia tornato indietro fino alla strada. Avrebbe dovuto lasciare delle impronte.» «Potrebbe averle cancellate», disse Kellogg. Indicò un punto della strada coperta di sabbia. «Quei segni non sembrano naturali. Può avere spazzato la sabbia con rami o foglie. Forse addirittura con una scopa. Io passerei al setaccio tutta l'area.» O'Neil non cedette. «In ogni caso, non credo che faremmo male a controllare se sono state rubate delle barche. E io preferirei che la scientifica cominciasse dal molo.» Il palleggio continuava. L'agente dell'FBI consigliò: «Con questo vento e questa pioggia... io partirei dalla strada». «Sai, Win, credo che cominceremo dal molo.» Kellogg chinò il capo, come per dire: La squadra della scientifica è vostra, io mi faccio da parte. «Nessun problema. Ci darò un'occhiata io, se non vi spiace.» «Certo, fai pure.» Senza guardare Kathryn - non aveva voglia di mettere alla prova la lealtà di nessuno - Kellogg si diresse verso la strada per esaminare le tracce sospette. Lei tornò verso la propria macchina, lieta di lasciarsi alle spalle la scena del delitto. Il lavoro della scientifica non era il suo forte. Né i maschi che
facevano a cornate per mostrare chi era il capo. Il volto del dolore. Kathryn Dance lo conosceva bene, da quando come giornalista aveva intervistato superstiti di delitti e incidenti. E da quando, in qualità di consulente per le giurie, aveva osservato i volti di testimoni e vittime che raccontavano di ingiustizie e di sofferenze personali. Infine, l'aveva conosciuto nella sua stessa vita di vedova, quando lo specchio le restituiva l'immagine di una Kathryn Dance molto diversa, con il rossetto sospeso in mano, prima di allontanarlo dalla maschera che stava disegnando sul proprio viso. Perché pensarci, perché pensarci? Ora vedeva la stessa espressione sul volto della direttrice dell'agenzia per cui lavorava Susan, Eve Brock. «Non mi sembra vero.» Non lo sembra mai. Aveva smesso di piangere, ma Kathryn percepiva che era solo per il momento. La direttrice, una donna robusta di mezz'età, stava esercitando un forte autocontrollo su se stessa: sedeva protesa in avanti, con le gambe intrecciate sotto la sedia, le spalle rigide, la mascella tesa e la cinesica del dolore che le segnava il volto. «Non capisco il computer e le schede. Perché?» «Presumo che ci fosse qualcosa che lui voleva mantenere segreto. Forse un episodio di qualche anno fa di cui non voleva si venisse a sapere.» La prima domanda che Kathryn aveva rivolto alla direttrice era stata: l'agenzia era in attività prima dell'arresto di Pell? Sì, lo era. Le lacrime tornarono a scorrere. «Una cosa che volevo sapere. Lui l'ha?...» Kathryn riconobbe il tono e rispose alla domanda incompleta. «Non c'è stata violenza sessuale.» Chiese alla donna se sapesse qualcosa del cliente con cui Susan aveva appuntamento, ma lei non aveva niente da dire. «Mi può scusare un momento?» Eve Brock stava per cedere al pianto. «Certo.» Eve prese una chiave dalla sua scrivania e si ritirò in bagno. Kathryn guardò le pareti dell'ufficio di Susan, decorato dalle fotografie di lavori passati: matrimoni, bar mitzvah, anniversari, gite, raccolte di fondi elettorali, feste per aziende, banche, circoli, licei, college. L'agenzia si
era occupata anche di catering per ricevimenti in occasione di funerali. Con sua sorpresa, Kathryn riconobbe il nome delle pompe funebri che si erano occupate di suo marito. Eve Brock tornò con il viso rosso e gli occhi gonfi. «Mi scusi.» «Non si preoccupi. Dicevamo che aveva appuntamento con un cliente, dopo l'orario di ufficio.» «Sì.» «E doveva andare a prendere un caffè o un aperitivo con lui.» «Probabile.» «Qui vicino?» «Di solito sull'Alvarado.» Era la strada principale del centro di Monterey. «Oppure al Del Monte Center o a Fisherman's Wharf.» «Qualche bar preferito?» «No, dipendeva dal cliente.» «Un attimo.» Kathryn prese il telefono e chiamò Rey Carraneo. «Agente Dance», rispose lui. «Dove ti trovi?» «Vicino a Marina. Sto controllando se ci sono barche rubate, per il detective O'Neil. Ancora niente. Lo stesso vale peri motel.» «Okay. Continua.» Kathryn chiuse la comunicazione e chiamò TJ. «E tu dove sei?» «Il tono mi dice che mi ha chiamato per secondo.» «Ma la risposta è?» «Monterey, zona centro.» «Bene.» Gli passò l'indirizzo dell'agenzia di Eve Brock e gli diede appuntamento in strada di lì a dieci minuti, per fornirgli una fotografia di Susan Pemberton e mandarlo a setacciare i bar e i ristoranti del circondario, poi il centro commerciale e il Fisherman's Wharf. E anche Cannery Row. «Lei sì che mi vuole bene, capo. Bar e ristoranti: il mio lavoro preferito.» Kathryn gli chiese anche di controllare presso la compagnia telefonica le chiamate dirette al cellulare della vittima. Non pensava che il cliente potesse essere Pell: per quanto avesse fegato, non sarebbe mai venuto in centro a Monterey in pieno giorno. Tuttavia il cliente poteva forse sapere dove Susan fosse diretta dopo il loro appuntamento. Si fece dare da Eve Brock il numero di cellulare di Susan e lo passò a TJ. Dopo la telefonata, Kathryn chiese: «Che cosa poteva esserci nelle schede rubate?»
«Oh, tutto quello che riguarda la nostra attività. Clienti, alberghi, fornitori, chiese, pasticcerie, servizi di catering, ristoranti, negozi di liquori, fioristi, fotografi, agenzie di pubbliche relazioni che si sono rivolte a noi... tutto quanto.» Recitare quell'elenco sembrava averla messa a dura prova. Che cosa poteva premere così tanto a Pell da far sparire le schede? «Ha mai lavorato per William Croyton o la sua compagnia?» «Per?... Oh, l'uomo che è stato ucciso assieme alla famiglia. No, non abbiamo mai lavorato per lui.» «Forse per una sussidiaria della sua compagnia, o uno dei suoi fornitori.» «Non lo escludo. Organizziamo parecchie feste aziendali.» «Non ci sono altre copie del materiale?» «Qualcosa negli archivi: registri fiscali, matrici di assegni, cose del genere. Forse copie delle fatture. Ma non ho mai pensato di fare un backup. Non mi è mai venuto in mente che qualcuno potesse rubare le schede. Le copie le ha il mio commercialista, a San José.» «Potrebbe recuperarne il più possibile?» «C'è così tanto materiale...» La mente di Eve Brock era in stallo. «Si limiti a otto anni fa, fino al maggio del 1999.» Fu in quel momento che, come le capitava ogni tanto, qualcosa scattò nel cervello di Kathryn. Era possibile che Pell fosse interessato a qualcosa che l'agenzia aveva in programma per il futuro? «E anche i suoi prossimi lavori.» «Farò tutto il possibile, certo.» La tragedia l'aveva sconvolta. Kathryn ripensò al libro di Morton Nagle, La bambola che dorme. Quella che aveva di fronte era una delle tante vittime di Daniel Pell. I crimini violenti sono un po' come una pietra gettata in uno stagno. I cerchi si estendono praticamente all'infinito. Kathryn si procurò una fotografia di Susan da dare a TJ e scese le scale per raggiungerlo in strada. Le squillò il cellulare: sul display, fu lieta di vedere il numero di O'Neil. «Pronto.» «Devo dirti una cosa.» «Ti ascolto.» O'Neil parlò sottovoce. Lei lo ascoltò senza che il suo viso tradisse alcuna emozione. «Arrivo il prima possibile.»
«È stato meglio per lui», le disse la madre di Juan Millar, tra le lacrime. In piedi accanto a Michael O'Neil, scuro in volto, nel corridoio del Monterey Bay Hospital, Kathryn la vedeva fare di tutto per rassicurare loro, quasi respingendo le espressioni di cordoglio. Winston Kellogg li raggiunse, fece le condoglianze alla famiglia e strinse la mano di O'Neil appoggiandogli la sinistra sul bicipite, un gesto che esprime sincerità tra uomini di affari, politici e in lutto. «Mi dispiace molto.» Erano fuori dalla sala rianimazione. Attraverso il vetro si vedeva il letto circondato dalle complesse attrezzature da astronave: cavi, valvole e strumenti. Al centro c'era una sagoma immobile, coperta da un lenzuolo verde. Lo stesso colore del lenzuolo che aveva coperto il marito di Kathryn. Lei ricordava che, quando lo aveva visto, aveva pensato, febbrile: Ma dov'è andata la vita? Dov'è andata? In quel momento era arrivata a odiare quella particolare tonalità di verde. Guardò il corpo e sentì nella memoria le parole sussurrate da sua madre: Ha detto: «Uccidimi». Due volte. Poi ha richiuso gli occhi. Il padre di Millar era nella stanza e stava ponendo al dottore domande le cui risposte sarebbero state difficili da digerire. D'altra parte, era quello che implicava il ruolo di genitore sopravvissuto al figlio; quello e molto altro nei giorni a venire. Anche Kellogg mostrò simpatia nei confronti della madre, che cambiò argomento e ribadì che per suo figlio era stato meglio così, senza dubbio, che si era risparmiato anni di cure, anni di innesti cutanei... «Meglio così, assolutamente», ripeté lui, facendo ricorso all'avverbio preferito di Charles Overby. Edie Dance, impegnata in un turno di lavoro supplementare e imprevisto, apparve in corridoio con un'espressione turbata ma decisa, che la figlia conosceva bene. A volte era simulata, altre volte autentica, ma quell'espressione le era sempre stata utile. Quel giorno rifletteva il suo vero stato d'animo. Edie puntò dritta verso la madre di Millar, la prese per un braccio e, riconoscendo i sintomi di un imminente attacco isterico, la tempestò di domande - sulle sue condizioni, ma soprattutto su quelle del marito e degli altri figli - allo scopo di distogliere la sua attenzione da quella tragedia impossibile da accettare. La madre di Kathryn era un genio nell'arte della compassione. Era per questo che come infermiera aveva tanto successo. Rosa Millar si calmò e si mise a piangere. L'orrore incombente si faceva
dolore, qualcosa con cui era possibile fare i conti. Il marito le raggiunse. Edie gli passò la donna come un trapezista che lancia un acrobata a un collega a mezz'aria. Kathryn disse: «Signora Millar, vorrei solo...» Poi si trovò a cadere di lato, lasciandosi sfuggire un grido. Anziché alla pistola, le sue mani corsero alla testa, per proteggerla dall'impatto con uno dei carrelli parcheggiati in corridoio. Il suo primo pensiero: Come ha fatto Daniel Pell a entrare in ospedale? «No!» gridò O'Neil. O Kellogg. Forse ambedue. Kathryn atterrò su un ginocchio, rovesciando sul pavimento spire di tubi gialli e bicchieri di plastica. Anche il dottore fece un balzo in avanti, ma fu Winston Kellogg a immobilizzare il furente Julio Millar, torcendogli un braccio dietro la schiena. Una mossa rapida che sembrava non essergli costata alcuno sforzo. «No, figliolo!» gridò il signor Millar. La madre piangeva ancora più forte. O'Neil aiutò Kathryn a rialzarsi. Non si era fatta niente, se non qualche contusione che l'indomani mattina sarebbe stata un livido. Julio cercò di liberarsi, ma Kellogg, che doveva essere molto più forte di quanto desse a vedere, aumentò la stretta. «Stai calmo e non farti del male. Stai calmo.» «Troia, maledetta troia! Lo hai ucciso. Hai ucciso mio fratello!» O'Neil disse: «Julio, ascolta... i tuoi genitori sono già abbastanza sconvolti. Non peggiorare le cose». «Peggiorare? Come potrebbero peggiorare?» Julio cercò di scalciare. Kellogg schivò i colpi e gli torse il braccio ancora di più, strappandogli un gemito e una smorfia. «Rilassati. Ti farà solo bene.» L'agente dell'FBI guardò i due genitori e i loro occhi disperati. «Mi dispiace.» «Julio», disse il padre. «Le hai fatto male. È una poliziotta. Ti metteranno in galera.» «Dovrebbero metterci lei in galera! È lei l'assassina!» Millar senior alzò la voce. «No, basta! Tua madre, pensa a tua madre. Basta!» Con un gesto lento e fluido, O'Neil prese le manette. Esitava. Guardò Kellogg. Erano entrambi combattuti. Julio sembrò calmarsi. «Okay, okay, lasciami.» O'Neil disse: «Dovremo metterti le manette, se non riesci a controllarti. Capito?»
«Sì, sì, capito.» Kellogg lo lasciò andare e lo aiutò e rimettersi in equilibrio. Tutti guardarono Kathryn. Che tuttavia non aveva voglia di portare quella storia davanti a un magistrato. «Va tutto bene. Nessun problema.» Julio la fissò negli occhi. «Oh, sì che c'è un problema. Un grosso problema.» E se ne andò a passo di marcia. «Mi spiace tanto», disse Rosa Millar, tra le lacrime. Kathryn la rassicurò. «Vive in casa con voi?» «No, in un appartamento vicino.» «Gli dica di passare da voi la notte, che avete bisogno del suo aiuto. Per il funerale, per prendervi cura degli affari di Juan, qualsiasi cosa vi venga in mente. Soffre come tutti quanti noi, solo che non sa che cosa fare.» La madre si avvicinò al letto su cui giaceva suo figlio, parlando sottovoce. Edie Dance le si avvicinò, le sussurrò qualcosa all'orecchio e la prese per un braccio. Un gesto di intimità tra due persone che erano completamente estranee fino a due giorni prima. Poi Edie tornò dalla figlia. «Vuoi che i bambini vengano da me, stasera?» Un momento di esitazione. Una parte di Kathryn avrebbe voluto che Wes e Maggie stessero con lei. Ma, guardando il risultato della malvagità di Pell che giaceva sotto il lenzuolo verde - quell'orribile verde -, si sentiva contaminata. Non voleva che i figli fossero esposti anche solo in modo indiretto a quell'orrore. E sapeva che sarebbe bastato loro solo uno sguardo per leggerle il tormento negli occhi. Pensò ai propri sforzi per proteggere Wes dal mondo della violenza. «Grazie. Forse è meglio.» Poi si rivolse ai Millar. «C'è qualcosa che possiamo fare? Qualsiasi cosa?» Il padre parve perplesso. «No, no.» Quindi aggiunse: «Che altro rimane da fare?» 30 La città di Vallejo Springs, a Napa Valley, California, è famosa per svariate ragioni. Vi ha sede un museo che ospita molte opere di Edward Muybridge, il fotografo del diciannovesimo secolo cui si attribuisce l'invenzione del cinematografo e che, cosa molto più interessante della sua arte, uccise l'amante della moglie, lo ammise al processo e se ne andò libero e impunito. Un'altra ragione sono i vigneti locali, che producono una varietà partico-
larmente pregiata di merlot, una delle tre uve più famose vinificate in rosso. Contrariamente a una voce messa in giro da un film di qualche anno fa, il merlot non è affatto l'ultima ruota del carro in fatto di uve: basta considerare che il Pétrus, un vino del distretto di Pomerol del Bordeaux, quasi interamente a base di uve merlot, è forse il più costoso del mondo. Morton Nagle, tuttavia, stava entrando in città a causa della terza attrazione locale, nota soltanto a pochissime persone: Theresa Croyton, «la bambola che dorme», abitava con gli zii a Vallejo Springs. Lo scrittore aveva fatto i compiti. Dopo avere seguito per un mese un dedalo di piste, si era imbattuto in un reporter di Sonoma, il quale gli aveva dato il nome di un avvocato che aveva svolto alcuni lavori per conto della zia di Theresa. Benché riluttante a dare informazioni a Nagle, non aveva esitato a dire che la donna era pesante, antipatica... e tirchia: l'avvocato aveva dovuto sollecitare ripetutamente il pagamento di una delle sue consulenze. Una volta convinto che Nagle era davvero uno scrittore, gli aveva rivelato il nuovo cognome della famiglia e quello della città in cui essa abitava, a patto di restare anonimo. «Fonte confidenziale» non è altro che un sinonimo di «smidollato». Nagle era andato parecchie volte a Vallejo Springs per incontrare la zia della bambola che dorme, nel tentativo di ottenere un'intervista con la ragazza (lo zio, aveva appreso, non figurava nell'equazione). Per quanto la donna si mostrasse riluttante, lo scrittore era convinto che, presto o tardi, avrebbe acconsentito. Di ritorno nella pittoresca cittadina parcheggiò la macchina vicino alla grande casa, in attesa di avere l'opportunità di parlare da solo con la zia. Avrebbe potuto telefonare, naturalmente, ma Nagle aveva la sensazione che le telefonate, come le e-mail, fossero un modo inefficace di comunicare. Al telefono la persona con cui si parla è in una situazione di parità. Si ha molto meno controllo e potere di persuasione rispetto a un incontro faccia a faccia. E poi, l'altro può anche riattaccare. Doveva fare attenzione. Aveva notato l'autopattuglia che passava davanti alla casa a intervalli regolari. La cosa, di per sé, non significava nulla: Vallejo Springs era una cittadina ricca e investiva grandi somme nella forza di polizia. Ma la macchina sembrava rallentare davanti alla casa di Tod e Mary Boiling, il cognome assunto dalla famiglia. Lo scrittore osservò anche che c'erano in giro molte più autopattuglie rispetto alla settimana precedente, il che confermava un suo sospetto: Theresa era molto benvolu-
ta in città. I poliziotti erano in stato di allarme per evitare che le accadesse qualcosa. Se Nagle avesse passato i limiti, lo avrebbero scortato fuori città e gettato nella polvere, come un pistolero sgradito in un brutto western. Si appoggiò allo schienale del sedile, senza togliere gli occhi dalla porta di casa, pensando a un possibile incipit del suo libro: Carmel by the Sea è una città piena di contraddizioni, una mecca per i turisti, il gioiello della corona della Central Coast. Eppure, dietro la sua bellezza incontaminata, troverete il mondo segreto dei ricchi e spietati di San Francisco, Silicon Valley e Hollywood. Hmmm. Doveva lavorarci su. Nagle ridacchiò. Poi vide il SUV, un Escalade bianco che usciva dal vialetto dei Boiling. La zia della ragazza, Mary, era al volante, sola in macchina. Bene. Se ci fosse stata a bordo Theresa, non sarebbe riuscito ad avvicinarsi. Nagle avviò il motore, una Buick che tutta intera valeva il costo della sola trasmissione del SUV, e lo seguì. La zia di Theresa si fermò a una stazione di servizio Shell per fare il pieno di super. Si fermò a chiacchierare con un'altra donna alla pompa accanto. Mary Boiling sembrava sotto tensione: i capelli grigi erano spettinati e aveva l'aria stanca. Le si vedevano le occhiaie anche a distanza. La donna lasciò la stazione di servizio e ripartì verso il centro, quello tipico e inequivocabile di una cittadina della California: un viale adorno di piante, fiori e strane sculture, sui cui lati si allineavano caffè, ristoranti poco appariscenti, un centro per il giardinaggio, una libreria indipendente, una scuola di yoga e pilates e un negozio che vendeva vino, cristalli, souvenir e abbigliamento stile L.L. Bean. Qualche centinaio di metri più avanti si trovava la zona commerciale in cui la gente del posto faceva i propri acquisti, tra un negozio di alimentari Albertsons e un drugstore RiteAid. Mary Boiling lasciò il veicolo nel parcheggio ed entrò nel negozio di alimentari. Nagle lasciò la Buick accanto al SUV. Si stiracchiò e desiderò intensamente una sigaretta, anche se non fumava da vent'anni. E intanto, dentro di lui, continuava l'interminabile conflitto. Fino a quel punto non aveva trasgredito ad alcuna regola. Poteva ancora tornarsene a casa senza alcun danno morale. Ma era questo che doveva fare?
Non ne era sicuro. Morton Nagle riteneva di avere uno scopo nella vita: mettere in luce il male. Era una missione importante, alla quale si appassionava. Una missione nobile. Ma l'obiettivo era svelare il male, lasciando che la gente traesse le proprie conclusioni, non combatterlo di persona. Perché, una volta passato il confine tra fare luce e fare giustizia, si andava incontro ai rischi. A differenza della polizia, non aveva la Costituzione che gli diceva che cosa gli era permesso o meno fare, il che poteva comportare abusi. Nel chiedere a Theresa Croyton di aiutare a trovare un assassino, avrebbe esposto lei e la sua famiglia, così come se stesso e la propria, a un pericolo reale. Daniel Pell non avrebbe avuto alcuna difficoltà a uccidere ragazzini. Era molto meglio scrivere di esseri umani e dei loro conflitti, piuttosto che esprimere giudizi in proposito. Lasciare che fossero i lettori a decidere che cosa fosse bene o male e agissero di conseguenza. D'altro canto, era giusto che lui se ne stesse tranquillo senza intervenire, mentre Pell continuava a uccidere? Il momento dei dubbi e delle riflessioni ebbe fine. Mary Boiling uscì da Albertsons, spingendo il carrello con la spesa. Sì o no? Morton Nagle esitò solo qualche secondo, poi aprì la portiera, scese dalla macchina e si tirò su i pantaloni. Si fece avanti. «Mi scusi, signora Boiling. Sono io.» Lei si fermò, batté le palpebre e lo squadrò. «Che cosa ci fa qui?» «Io...» «Non ho acconsentito a farla parlare con Theresa.» «Lo so, lo so... Non è...» «Come si permette di presentarsi così? Ci sta seguendo?» Il cellulare le era apparso in mano. «Per favore», disse Nagle. Ormai disperava di riuscire a convincerla. «È per un'altra questione. Sono qui per fare un favore a qualcuno. Del libro parleremo dopo.» «Un favore?» «Sono venuto in macchina da Monterey per chiederle una cosa. Volevo vederla di persona.» «Di cosa sta parlando?» «Ha saputo di Daniel Pell?» «Certo che l'ho saputo!» Lo disse come se Nagle fosse lo scemo del vil-
laggio. «C'è una poliziotta che vorrebbe parlare a sua nipote. Pensa che forse Theresa potrebbe aiutarla a trovare Pell.» «Che cosa?» «Non si preoccupi, non ci sono rischi. Lei...» «Non ci sono rischi? Ma è pazzo? Può averlo condotto fin qui!» «No, è da qualche parte a Monterey.» «Ha detto a qualcuno dove siamo?» «No! Questa poliziotta può incontrarla dove vuole lei. Qui. Da qualsiasi parte. Vuole solo chiedere a Theresa...» «Nessuno parla con Theresa. Nessuno la vede.» La donna si protese in avanti. «Se non se ne va immediatamente, ci saranno serie conseguenze.» «Signora Boiling, Daniel Pell ha ucciso...» «Li vedo i fottuti telegiornali. Dica a quella poliziotta, chiunque sia, che Theresa non ha proprio niente da dirle. Quanto a lei, si può scordare di parlarle per il suo maledetto libro.» «No, aspetti, per favore...» Mary Boiling gli voltò le spalle e tornò all'Escalade. Il suo carrello abbandonato imboccò la rampa nella direzione opposta. Nagle si precipitò ansante a fermarlo prima che si scontrasse con una Mini Cooper, mentre il SUV usciva a tutta velocità dal parcheggio. Non molto tempo prima, un agente del CBI, ora ex agente, l'aveva battezzato «Reparto Pupe». Si riferiva a quella parte del quartier generale di Monterey in cui avevano il loro ufficio due agenti di sesso femminile Kathryn Dance e Connie Ramirez - così come Maryellen Kresbach e la serissima Grace Yuan dell'amministrazione. A fare l'infelice commento era stato un poliziotto sulla cinquantina, una di quelle figure presenti negli uffici di tutto il mondo, che si svegliano ogni giorno, da quando hanno vent'anni, contando quanto manca alla pensione. Aveva fatto un po' di arresti presso la Highway Patrol qualche anno prima, ma il suo passaggio al CBI era stato un errore. Non era all'altezza del compito. E, a quanto pareva, era completamente privo dell'istinto di sopravvivenza. «E questo è il Reparto Pupe», aveva detto, a voce abbastanza alta da farsi sentire da tutti, mentre durante l'ora di pranzo mostrava la sede del CBI a una ragazza cui stava facendo il filo. Kathryn e Connie Ramirez si erano scambiate un'occhiata.
Quella sera erano andate in missione: acquisto collant. Quando il povero agente si era ripresentato in ufficio l'indomani, lo aveva trovato invaso da una ragnatela di calze in maglia, a rete e in lucente tessuto sintetico. Nella decorazione figuravano anche alcuni prodotti per l'igiene personale. L'agente si era precipitato a lamentarsi dall'allora capo del CBI Stan Fishburne, che a stento era riuscito a mantenersi serio. «Come sarebbe che hai detto solo 'Reparto Pupe', Barton? Sul serio hai detto così? Sei matto?» L'agente aveva minacciato di esprimere le sue rimostranze alla sede centrale di Sacramento, ma non era rimasto al CBI abbastanza a lungo da far seguire alle parole i fatti. Ironia della sorte, appena se ne fu andato, il personale di quella parte dell'ufficio adottò il soprannome: il settore era ormai noto a tutti come RP. In quel momento, Kathryn Dance ne stava percorrendo lo spoglio corridoio. «Maryellen, ciao.» «Oh, Kathryn, ho saputo di Juan. Mi dispiace. Vorremmo fare una donazione. Sai dove i suoi genitori vorrebbero che andasse?» «Michael gli sta parlando proprio adesso.» «Ha chiamato tua madre. Se per te va bene, poi passerà con i bambini.» Quando un caso le portava via molto tempo e doveva lavorare fino a tardi, Kathryn si preoccupava di vedere i figli ogni volta che poteva, anche in ufficio. «Perfetto. Come va la situazione Davey?» «Questione risolta», rispose la donna, con decisione. La persona in oggetto era il figlio di Maryellen, della stessa età di Wes, che aveva avuto problemi a scuola con quella che risultava essere un gang di pre-teenager. Il sorriso malizioso con cui l'assistente comunicava la notizia lasciava pensare che misure estreme fossero state prese nei confronti della gang: i membri dovevano essere stati trasferiti o neutralizzati in qualche altro modo. Kathryn era convinta che Maryellen sarebbe stata una gran brava poliziotta. Entrò in ufficio, mise la giacca sulla spalliera della sedia, appese al fianco l'ingombrante Glock e si sedette. Esaminò la posta elettronica. Solo uno dei messaggi riguardava il caso Pell: il fratello, Richard, rispondeva da Londra. Agente Dance, ho ricevuto la sua e-mail, inoltratami dall'ambasciata statunitense. Sì, ho saputo dell'evasione, ha fatto notizia anche qui. Sono
dodici anni che non ho contatti con mio fratello, da quando fece visita a me e a mia moglie a Bakersfield; in quei giorni la sorella ventitreenne di mia moglie era venuta a trovarci da New York. Un sabato ricevemmo una telefonata dalla polizia: era stata arrestata in una gioielleria per tentato furto. La ragazza era una studentessa universitaria dagli ottimi voti e si dedicava molto alla chiesa. Non si era mai messa nei guai prima di allora. A quanto pare, aveva cominciato a uscire con mio fratello, che l'aveva convinta a rubare «qualche cosa». Guardai nella sua stanza e trovai refurtiva per diecimila dollari. Mia cognata ebbe la libertà vigilata e per poco mia moglie non decise di lasciarmi, in seguito a questa storia. Non ho più avuto niente a che fare con lui. Ho avuto sue notizie solo una volta. Dopo i delitti a Carmel, nel '99, ho deciso di trasferirmi in Europa con la mia famiglia. Se dovessi sentirlo, di sicuro la informerò, anche se è improbabile. Il modo migliore per descrivere i miei attuali rapporti con lui è il seguente: ho contattato la London Metropolitan Police, che ha messo un agente a sorvegliare la mia casa. Tanti saluti a quella pista. Il cellulare di Kathryn squillò. Era Morton Nagle. La sua voce era preoccupata. «Ha ucciso qualcun altro? Ho appena sentito le notizie.» «Purtroppo sì.» Lei gli illustrò i dettagli. «E Juan Millar, l'agente ustionato, è morto ieri sera.» «Mi dispiace molto. Ci sono altri sviluppi?» «No.» Kathryn gli disse che aveva parlato con Rebecca e con Linda, da cui aveva avuto informazioni che forse avrebbero potuto essere utili, ma niente che portasse direttamente a Pell. Nelle sue ricerche, lo scrittore non aveva mai trovato nulla che potesse riferirsi a un grande colpo o alla cima di una montagna. Quanto ai suoi sforzi, non aveva avuto successo. Aveva parlato con la zia di Theresa Croyton, che tuttavia rifiutava un incontro della ragazza con lui o con la polizia. «Mi ha minacciato.» Era turbato. Kathryn era sicura che in quel momento i suoi occhi non fossero brillanti come al solito. «Dove si trova adesso?» Nagle non rispose. «Non ha intenzione di dirmelo, vero?» «Mi spiace, non posso.»
Kathryn guardò il numero sul display: lo scrittore stava chiamando dal proprio cellulare, non da un albergo o da una cabina. «Pensa che possa cambiare idea?» «Ne dubito. Avrebbe dovuto vederla: ha abbandonato un; carrello con cento dollari di spesa ed è corsa via.» Kathryn era delusa. Daniel Pell era un mistero, e scoprire tutto il possibile su di lui stava diventando un'ossessione. L'anno prima, a New York, quando aveva assistito Lincoln Rhyme in un caso, aveva notato quanto il criminologo fosse ossessivamente affascinato da ogni dettaglio degli indizi. A lei capitava lo stesso con il lato umano di un'indagine. Ma ci sono diversi tipi di atteggiamenti compulsivi: un conto è controllare e ricontrollare ogni elemento emerso da un interrogatorio, un altro è schivare le crepe nel marciapiede sulla strada di casa. Bisogna distinguere che cosa è davvero importante e cosa no. Kathryn decise che avrebbe dovuto lasciar perdere anche la bambola che dorme. «Apprezzo il suo aiuto.» «Ci ho provato. Davvero.» Dopo quella telefonata, Kathryn parlò di nuovo con Rey Carraneo. Ancora nessuna novità per quanto riguardava i motel o le barche rubate. TJ chiamò subito dopo: aveva avuto notizie dalla Motorizzazione. L'auto che Pell aveva guidato la sera dei delitti Croyton non era più registrata da anni, il che significava che era stata rottamata. Se Pell vi aveva nascosto la refurtiva, ormai doveva essere andata perduta o fusa con le lamiere. TJ aveva controllato anche l'inventario degli oggetti trovati a bordo del veicolo: era una breve lista e non risultava niente che potesse provenire dalla casa dell'imprenditore. Lei gli disse di Juan Millar. Il silenzio con cui il giovane agente le rispose indicava che era profondamente scosso. Poco dopo arrivò una chiamata da Michael O'Neil, con il suo abituale: «Ehi, sono io». La voce tradiva stanchezza e sofferenza. La morte di Millar gli pesava moltissimo. «Qualunque cosa ci fosse sul molo, dove abbiamo trovato la Pemberton, ormai non c'è più. Ho appena parlato con Rey: mi ha detto che finora non risultano denunce di barche rubate. Forse ho preso un granchio. Il tuo amico ha trovato qualcosa sulla strada?» Kathryn notò l'enfasi sulla parola «amico» e rispose: «Non l'ho sentito. Non credo sia inciampato nell'agenda di Pell o in una chiave d'albergo». Gli riferì del fallito tentativo di Nagle di contattare Theresa. «Non vuole collaborare?»
«La zia si rifiuta. E bisogna passare attraverso lei. Non so quanto Theresa potrebbe esserci utile, in ogni caso.» «A me l'idea piaceva», disse O'Neil. «È l'unico collegamento tra Pell e quella notte.» «Dovremo cavarcela senza. Tu come stai?» «Bene», rispose lui. Stoico... Qualche minuto dopo quella conversazione, arrivò Winston Kellogg. Kathryn gli chiese: «Trovato qualcosa sulla scena del delitto Pemberton, lungo la strada?» «Niente. Abbiamo cercato per un'ora. Niente tracce di pneumatici, nessun indizio. Forse aveva ragione Michael e Pell se n'è andato davvero in barca.» Kathryn rise tra sé. I due maschi combattivi avevano appena ammesso che l'altro poteva avere ragione. Anche se forse non se lo sarebbero mai detto di persona. Lei lo informò delle schede rubate nell'ufficio di Susan Pemberton e del fallimento di Morton Nagle. Gli disse che TJ stava cercando il cliente che Susan aveva incontrato prima di essere uccisa. Non si poteva escludere che fosse l'assassino. Guardò l'orologio. «Ho un appuntamento importante. Vuoi venire?» «Riguarda Pell?» «No. La colazione.» 31 Mentre percorrevano i corridoi della sede del CBI, Kathryn chiese a Kellogg dove viveva. «Il Distretto... quello che voi chiamate Washington DC. E quelli che guardano i talk-show della domenica mattina chiamano 'dentro la Beltway'. Sono cresciuto nel Northwest, a Seattle, ma non ho sofferto per il cambiamento. Non sono uno che ama la pioggia.» La conversazione si spostò sulle rispettive vite private. Di sua spontanea volontà, Kellogg raccontò che lui e la ex moglie non avevano figli, anche se lui proveniva da una famiglia numerosa. I suoi genitori erano ancora vivi e abitavano sulla East Coast. «Ho quattro fratelli, io sono il minore. Credo che i miei avessero finito le idee per i nomi e siano passati ai prodotti di consumo. Così io sono
Winston, come le sigarette. Il che è una pessima idea se il tuo cognome fa pensare ai corn flakes. Se fossero stati ancora più sadici, il mio secondo nome sarebbe Oldsmobile.» Kathryn rise. «Io sono convinta che non mi abbiano invitato al ballo della scuola perché nessuno voleva portare una Dance a un dance party.» Kellogg si era laureato in psicologia alla University of Washington, poi era entrato nell'esercito. «CID?» chiese lei pensando al marito, che sotto le armi aveva fatto parte della Criminal Investigations Division. «No, pianificazioni tattiche. Che voleva dire carte, carte, carte. Be', computer, computer, computer. Mi innervosiva. Volevo entrare in azione e così ho lasciato l'esercito per il Seattle Police Department. Sono arrivato al grado di detective e mi sono specializzato in profili e negoziati. Poi ho cominciato a interessarmi alla mentalità delle sette e ho pensato di approfondire l'argomento. So che sembra stupido, ma non mi piaceva l'idea di predatori che approfittano della vulnerabilità altrui.» A lei non sembrava affatto stupido. Percorsero altri corridoi. «E tu come sei arrivata a questo lavoro?» Kathryn gli espose la versione abbreviata della storia: aveva lavorato per alcuni anni come cronista di nera, aveva incontrato il marito seguendo un processo (lui le aveva concesso un'intervista esclusiva in cambio di un appuntamento) e quando si era stancata del giornalismo era tornata a studiare, laureandosi in psicologia e comunicazione. Affinate le doti naturali di osservatrice e l'abilità di intuire pensieri e sentimenti degli interlocutori, era divenuta consulente per la selezione delle giurie. Però anche quel lavoro la lasciava insoddisfatta e, con la sensazione che il suo talento sarebbe stato più utile nelle forze dell'ordine, era arrivata al CBI. «E tuo marito era un feebie come me?» «Ti sei informato, eh?» Il defunto marito di Kathryn, William Swanson, era stato un affidabile agente speciale di carriera dell'FBI, ma non era diverso da decine di migliaia di altri. Non c'era ragione per cui uno specialista come Kellogg ne avesse sentito parlare, a meno che non fosse andato a controllare. Un sorriso imbarazzato. «Mi piace sapere dove vado a lavorare. E chi trovo quando ci arrivo. Spero che non ti sia offesa.» «Per niente. Quando intervisto un soggetto studio tutto quello che posso sul suo terrarium.» Kathryn tacque il fatto che aveva chiesto a TJ di rac-
cogliere informazioni tramite il suo contatto a Chico. Dopo un secondo, Kellogg domandò: «Posso chiederti che cosa è successo a tuo marito? È morto in servizio?» Nel corso degli anni Kathryn si era abituata al colpo allo stomaco che quella domanda provocava. «In un incidente.» «Mi dispiace.» «Grazie. E adesso... benvenuto a Chez CBI.» Gli indicò la sala mensa. Si versarono due tazze di caffè e occuparono uno dei tavolini, tutt'altro che lussuosi. Il cellulare di Kathryn trillò. Era TJ. «Brutte notizie: ho finito di girare per i bar. E avevo appena cominciato. Ho trovato dov'è andata la Pemberton prima di essere uccisa.» «E quindi?» «Era con un latino al bar del Doubletree. Secondo il cameriere era un incontro d'affari, il cliente voleva che lei organizzasse qualche evento. Se ne sono andati verso le sei e mezza.» «Hai la ricevuta di una carta di credito?» «Sì: ha pagato lei. Spese di rappresentanza. Ehi, capo, dovremmo cominciare a farlo anche noi.» «Qualcos'altro sull'uomo?» «Zero. Ma la foto di lei sarà in TV, quindi potrebbe farsi vivo lui.» «Le chiamate di Susan?» «Una quarantina, ieri. Le controllo quando torno in ufficio. Oh, il catasto: niente. Pell non possiede né cime di montagne né altro. Ho controllato anche nello Utah. Niente neanche là.» «Bravo. Me n'ero dimenticata.» «Neanche nell'Oregon, nel Nevada o nell'Arizona. Non è che sono diligente, volevo solo prolungare la permanenza al bar.» Tolta la comunicazione, Kathryn riferì le notizie a Kellogg, che fece un'espressione delusa. «Un testimone, eh? Che vedrà le foto in televisione e deciderà che è il momento ideale per prendersi una vacanza in Alaska.» «E non potrei biasimarlo.» Poi l'agente dell'FBI sorrise, guardando dietro le spalle di Kathryn. Lei si voltò e vide entrare nella sala sua madre e i bambini. «Ciao, tesoro», disse a Maggie, poi abbracciò Wes. Ci sarebbe stato un giorno, molto presto, in cui gli abbracci in pubblico sarebbero stati verboten e doveva fare la scorta per i tempi di siccità. Suo figlio, per il momento, era ancora tollerante verso certe effusioni.
Edie e Kathryn si scambiarono uno sguardo. Anche se non lo dissero a voce, stavano pensando alla morte di Juan Millar. Lo stesso sguardo intercorse tra Edie e Kellogg quando si salutarono. «Mamma, Carly ha spostato il cestino della carta straccia del signor Bledsoe!» annunciò Maggie, concitata. «Tutte le volte che buttava via qualcosa finiva per terra.» «Sei riuscita a non metterti a ridere?» «Per un po'. Poi Brendon ha cominciato e non siamo riusciti a smettere.» «Di' ciao all'agente Kellogg.» Maggie obbedì, mentre Wes si limitò a un cenno del capo e distolse lo sguardo. Kathryn avvertì immediatamente avversione da parte sua. «Volete una cioccolata calda?» propose lei. «Sììì!» fu il gridolino di Maggie. Wes disse che anche lui la voleva. Kathryn si tastò le tasche della giacca. Il caffè era gratis, ma qualsiasi cosa fosse un po' più fantasiosa andava pagata in contanti. E lei aveva lasciato la borsetta in ufficio. Edie non aveva spiccioli. «Ci penso io», si offrì Kellogg, frugandosi nelle tasche. Wes intervenne subito: «Mamma, io voglio un caffè, invece». Lo aveva assaggiato due volte nella sua vita e lo aveva trovato orribile. Maggie si accodò. «Anch'io voglio il caffè.» «Niente caffè. Cioccolata o bibita.» Kathryn suppose che Wes non volesse niente che gli fosse offerto dall'uomo dell'FBI. Che cosa stava succedendo? Poi ricordò come Wes aveva squadrato Kellogg sul Ponte, la sera prima. Lei aveva pensato che il figlio stesse guardando se era armato, in realtà solo ora capiva che Wes stava esaminando l'uomo che la mamma aveva portato alla festa di compleanno del nonno. Che Winston Kellogg, ai suoi occhi, fosse un nuovo Brian? «Okay», si arrese la figlia. «Cioccolata.» Wes mormorò: «Okay. Io non prendo niente». «Forza, faccio un prestito alla vostra mamma», disse Kellogg, distribuendo le monete. I bambini le presero, Wes con riluttanza e solo dopo sua sorella. «Grazie», brontolò. «Grazie tante», fece Maggie. Edie versò il caffè. Si sedettero al tavolino traballante. Kellogg ringraziò nuovamente la madre di Kathryn per la cena della sera prima e le chiese del marito. Quindi si rivolse ai bambini e chiese loro se gli piacesse pescare.
Maggie disse: «Una specie». Non le piaceva. A Wes piaceva moltissimo, però rispose: «Non proprio. Sa, è un po' noioso». Kathryn sapeva che l'agente non aveva altro fine che quello di rompere il ghiaccio, probabilmente ispirato dalla conversazione con Stuart Dance riguardo alla pesca a Monterey Bay. Era visibile qualche reazione di stress, come se Kellogg cercasse a tutti i costi di fare una buona impressione. Wes tacque e sorseggiò la cioccolata, mentre Maggie inondava gli adulti con gli eventi della mattinata al corso di musica, inclusa una replica dettagliata dell'avventura del cestino della carta straccia. Kathryn si irritò: il problema con Wes era ricominciato. E senza ragione, visto che lei non stava uscendo con Kellogg. Ma, conoscendo qualche trucco da madre, in pochi minuti riuscì a fargli raccontare con entusiasmo della partita di tennis di quella mattina. La postura di Kellogg cambiò una o due volte: Kathryn percepì che anche lui giocava a tennis e voleva intervenire, però doveva avere colto l'atteggiamento di Wes nei suoi confronti, per cui si limitò a sorridere e ad ascoltare, senza dire niente. Kathryn annunciò che doveva tornare al lavoro e che avrebbe accompagnato madre e figli all'uscita. Kellogg disse che si sarebbe messo in contatto con l'ufficio FBI di San Francisco e salutò: «È stato un piacere vedervi». Edie e Maggie gli risposero con: «Arrivederci». Dopo un momento lo fece anche Wes; solo per non essere da meno della sorella, fu la sensazione di Kathryn. L'agente imboccò il corridoio, diretto verso il suo ufficio temporaneo. «Torni a casa per cena?» chiese Maggie. «Farò il possibile, Mags.» Mai fare una promessa se non si è certi di poterla mantenere. «Ma se non riesce», disse Edie, «di cosa avete voglia?» «Pizza», rispose subito Maggie. «Con pane all'aglio. E cioccolatini alla menta come dolce.» «E io voglio un paio di Ferragamo», disse Kathryn. «Che cosa sono?» «Scarpe. Sai, tra ciò che vogliamo e ciò che possiamo avere a volte c'è differenza.» La madre mise un'altra offerta sul tavolo. «E una bella insalata di gamberetti?» «Sì!»
«Buona», concesse Wes. I bambini erano gentilissimi con i nonni. «Ma per il pane all'aglio, qualcosa si può fare», aggiunse Kathryn, riuscendo finalmente a strappare un sorriso al figlio. Un impiegato dell'amministrazione uscì dalla sede del CBI per portare alcuni documenti al Monterey County Sheriff's Office di Salinas, quando notò un'auto scura che entrava nel parcheggio. Al volante, una donna che indossava gli occhiali da sole, nonostante la nebbia, si stava guardando intorno. C'è qualcosa che la preoccupa, si disse l'impiegato. Capitava spesso: gente che veniva a costituirsi, testimoni riluttanti... La donna si guardò nello specchietto retrovisore, si calò in testa un berretto e scese dall'auto. Non si diresse verso l'ingresso, ma si rivolse all'uomo. «Mi scusi.» «Sì, signora?» «È qui il California Bureau of Investigation?» Se avesse osservato il palazzo, avrebbe visto la grande insegna che rispondeva alla sua domanda. Comunque, da buon impiegato coscienzioso, l'uomo rispose: «Sì, è qui. Posso esserle utile?» «È questo l'ufficio in cui lavora l'agente Dance?» «Kathryn Dance? Sì.» «Ed è qui, adesso?» «Non...» L'impiegato guardò verso il parcheggio e scoppiò a ridere. «Be', pensi un po', signorina: eccola, proprio là. La donna più giovane.» Aveva appena visto l'agente Dance con la madre e i due bambini, che l'uomo aveva incontrato un paio di volte. «Okay, grazie agente.» L'impiegato non la corresse. Gli faceva piacere essere scambiato per un poliziotto. Salì in macchina e mise in moto. Quando occhieggiò lo specchietto retrovisore vide che la donna era rimasta dove lui l'aveva lasciata. Aveva un'aria inquieta. Avrebbe potuto dirle che non c'era niente di cui preoccuparsi. Per lui, Kathryn Dance era una delle persone più gentili di tutto il CBI. Kathryn chiuse la portiera della Toyota Prius di sua madre e fece un cenno di saluto. Guardò l'auto dalla carrozzeria argentata immettersi nella strada tortuosa che portava alla Highway 68. Non si sentiva tranquilla. Continuava a immaginarsi la voce di Juan Millar.
Uccidimi... Pover'uomo. Indipendentemente dallo sfogo del fratello, Kathryn Dance si sentiva sul serio in colpa per avere detto a lui di scendere a vedere che cosa stava succedendo. Era stata la scelta più logica, ma forse il giovane Juan Millar era meno cauto di quanto sarebbe potuto essere un collega più anziano. Era impossibile pensare che Michael O'Neil, o il grosso Albert Stemple o lei stessa si sarebbero lasciati disarmare da Pell. Si voltò verso il palazzo, pensando al momento dell'incendio e dell'evasione. Avevano dovuto reagire in fretta. Sarebbe stato meglio aspettare e riflettere meglio sulla strategia? Congetture e ripensamenti. Facevano parte del mestiere. Si diresse all'ingresso, canticchiando la canzone di Julieta Venegas. Le note le giravano in testa - non riusciva a liberarsene - e la distraevano dalle orribili ferite e dalle terribili parole di Juan Millar, dalla morte di Susan Pemberton... e dagli occhi di suo figlio Wes, nei quali la gioia si era spenta all'istante quando l'aveva vista in compagnia di Winston Kellogg. Come affrontare il problema? Kathryn attraversò il parcheggio deserto. Se non altro, aveva smesso di piovere. Era a un passo dalla gradinata quando sentì uno scalpiccio sull'asfalto e si voltò di scatto. Una donna veniva verso di lei. Era solo due metri più in là. Kathryn si immobilizzò. Anche la donna, che spostò il proprio peso da un piede all'altro. «Agente Dance, io...» Per un momento, nessuna delle due aprì bocca. Poi Samantha McCoy disse: «Ho cambiato idea. Voglio aiutarla». 32 «Dopo che ci siamo viste, non sono più riuscita a dormire. E quando ho sentito che ha ucciso un'altra persona, quella poveretta, ho capito che dovevo venire.» Samantha e Kellogg erano nell'ufficio di Kathryn. La donna sedeva con la schiena dritta, le mani strette sui braccioli, guardando alternativamente l'uno e l'altra, mai per più di un secondo. «Siete sicuri che sia stato lui?»
«Sì, siamo sicuri», disse l'agente dell'FBI. «Perché l'ha fatto?» «Non lo sappiamo. Stiamo cercando di capirlo. La donna si chiamava Susan Pemberton. Lavorava per Eve Brock. I nomi significano qualcosa per lei?» «No.» «Si tratta di un'agenzia che organizza eventi. Pell ha svuotato gli archivi e con ogni probabilità ha distrutto tutto il materiale. C'era qualcosa che voleva far sparire o che gli interessava. Ha idea di che cosa potesse essere?» «No, mi spiace.» Kathryn le disse: «Vorrei che raggiungesse quanto prima Linda e Rebecca». «Sono qui tutt'e due?» «Sì.» Samantha annuì, lentamente. «Io devo controllare un paio di cose», intervenne Kellogg. «Arrivo dopo.» Kathryn comunicò dove andava a Maryellen Kresbach e accompagnò Samantha fuori dalla sede del CBI. Le fece parcheggiare l'auto nel garage sorvegliato del sotterraneo, perché nessuno potesse vederla. Quindi salirono sulla Ford dell'agente. Samantha allacciò la cintura di sicurezza e guardò dritto davanti a sé. D'un tratto se ne venne fuori con: «Una cosa: mio marito, la sua famiglia... i miei amici... non sanno ancora niente». «Come ha giustificato la sua partenza?» «Un convegno di editori. E Linda e Rebecca? Non sanno il mio nome, vero? Non sanno della mia famiglia? Per me sarebbe meglio.» «Nessun problema. Non ho detto nulla che non sapessero già. Allora, pronta?» Un sorriso incerto. «No, per niente. Comunque, andiamo.» Quando giunsero al Point Lobos Inn, Kathryn scambiò due parole con l'agente dell'MCSO messo di guardia, che riferì di non avere visto niente di sospetto dentro o fuori dal bungalow. Kathryn invitò Samantha a scendere dall'auto. La donna obbedì, seppure con una certa esitazione. Strinse gli occhi e si guardò intorno. Era naturale, date le circostanze, che fosse circospetta. Ma Kathryn ebbe la sensazione che ci fosse dell'altro.
Samantha abbozzò un sorriso. «Gli odori, il rumore dell'oceano... Non tornavo sulla penisola dai tempi del processo. Mio marito mi chiede sempre di venirci per il weekend. Ho inventato le scuse più assurde: allergie, mal d'auto, editing di manoscritti...» Il sorriso sfumò. Fissò il bungalow. «Carino.» «Ci sono solo due camere. Ormai non ti aspettavo più.» «Se c'è un divano, posso dormire lì. Non voglio infastidire nessuno.» Samantha la modesta, Samantha la timida, rammentò Kathryn. La Topolina. «Spero che non sarà per più di una notte.» Kathryn andò verso la porta che, per Samantha, si apriva sul passato. La Toyota puzzava di fumo di sigarette, una cosa che Pell detestava. Non aveva mai fumato in vita sua, anche se al Q e a Capitola aveva barattato sigarette come fosse un operatore di borsa. Non aveva mai proibito di fumare ai ragazzi della Famiglia (dopotutto le dipendenze altrui possono essere sfruttate a proprio vantaggio). Detestava quell'odore. Gli ricordava quando era piccolo: il padre seduto sulla grossa poltrona, che leggeva la Bibbia e prendeva appunti per sermoni che nessuno avrebbe ascoltato, fumando una sigaretta dietro l'altra. E, vicino, la madre, che non solo fumava, ma beveva anche e non faceva nient'altro. E il fratello, che non fumava e tutto quello che faceva era tirare fuori Daniel dai suoi nascondigli, l'armadio, la casa sull'albero, il bagno in cantina. «Non voglio fare da solo tutto questo cazzo di lavoro.» E andava a finire che suo fratello non faceva nessun lavoro. Appioppava a Daniel il secchio, la scopa o lo straccio e se ne andava in giro con gli amici. E quando tornava a casa se la prendeva con lui se la casa non era tirata a lustro. La pulizia, figliolo, ci accosta a Dio. Ci avvicina alla verità. E adesso lucida i posacenere: voglio vederli brillare. Ora lui e Jennie viaggiavano con i finestrini aperti, facendo turbinare nell'auto il profumo dei pini e la fredda aria salmastra. Jennie si grattava il naso, come se a forza di massaggiarselo potesse far sparire la gobba, e se ne stava in silenzio. Sembrava contenta. Non arrivava a fare le fusa, però era tornata alla calma. La sera prima, dopo che lei aveva esitato a «uccidere» Susan Pemberton sulla spiaggia, lui si era mostrato distante. Aveva funzionato. Erano tornati al Sea View e lei aveva fatto l'unica cosa che sapeva fare per riconquistarlo. Una dimostrazione che si era protratta per due ore, estenuanti. Sulle prime Pell si era sottratto,
con aria infastidita, ma lei aveva insistito. Cominciava persino a piacerle il dolore. A Pell ricordava la volta in cui la Famiglia si era fermata a Carmel Mission, anni prima, quando aveva sentito raccontare dei monaci che si fustigavano a sangue, godendo nel nome di Dio. Questo gli faceva venire in mente la figura tozza di suo padre che alzava lo sguardo dalla Bibbia, dietro una nube di fumo di Camel, per cui respinse quell'immagine. La notte precedente, dopo il sesso, Daniel si era mostrato più tenero verso di lei. Poi era uscito, con il pretesto di fare una telefonata. Giusto per tenerla sulle spine. Quando era tornato, lei non gli aveva chiesto della telefonata e lui si era messo a sfogliare le schede che aveva rubato nell'ufficio di Susan Pemberton. Poi era tornato su internet. Quella mattina le aveva detto che doveva andare a vedere una persona. Aveva lasciato cadere quella frase generica, senza aggiungere altro, osservando le manifestazioni di insicurezza di Jennie, che si era grattata il naso e aveva ripetuto «Tesoro» cinque o sei volte. Alla fine, le aveva detto: «Vorrei che venissi anche tu». «Davvero?» Come un cane assetato che leccava l'acqua dalla ciotola. «Sì, però non so... Potrebbe essere difficile per te.» «No, voglio venire, per favore.» «Vedremo.» Lei lo aveva tirato di nuovo sul letto e avevano ripreso il loro gioco di equilibrio di poteri. Pell si era lasciato temporaneamente trascinare sul terreno di Jennie. Ma in quel momento, mentre guidava, Pell non aveva alcun interesse verso il corpo della ragazza. Aveva ripreso saldamente il controllo. «Hai capito com'è andata, ieri sulla spiaggia? Mi sentivo strano. Mi capita, quando qualcosa cui tengo è in pericolo.» Poteva sembrare che le stesse chiedendo scusa. Chi avrebbe potuto resistere? E al tempo stesso le faceva presente che sarebbe potuto accadere di nuovo. «È una delle cose che amo di te, tesorino.» Non «tesoro», stavolta. Bene. Quando la Famiglia era ben sistemata a Seaside, Pell aveva usato numerose tecniche per controllare le ragazze e Jimmy. Forniva loro obiettivi comuni, distribuiva equamente le ricompense, affidava loro vari compiti senza nasconderne i motivi e li teneva sulla corda finché non erano consumati dall'incertezza. E (il modo migliore per cementare la lealtà e tenere a bada i dissensi)
aveva creato un nemico comune. In quel momento Pell disse a Jennie: «Abbiamo un altro problema, amore». «Oh. È questo che stiamo andando a fare?» Una grattatina sul naso. Era un meraviglioso barometro. «Infatti.» «Te l'ho detto, caro. Non m'importa dei soldi. Non c'è bisogno che me li restituisci.» «Questo non c'entra. È una cosa più importante. Molto più importante. Non ti chiedo di fare quello che ho fatto ieri sera. Non ti chiedo di fare del male a nessuno. Ma ho bisogno di aiuto. E spero che tu me lo darai.» Doveva giocare sull'enfasi con attenzione. In quel momento Jennie si stava sicuramente chiedendo della telefonata della notte prima, domandandosi con chi avesse parlato. «Certo, tutto quello che posso fare.» Passarono accanto a una graziosa brunetta, sui diciotto-diciannove anni, che camminava sul marciapiede. Pell notò subito il suo viso e il suo atteggiamento: passo deciso, espressione rabbiosa, capelli spettinati. Tutto lasciava pensare che avesse appena litigato. Forse con i genitori, forse con il ragazzo. Era così splendidamente vulnerabile! Un giorno di lavoro e Daniel Pell avrebbe potuto portarla via con sé. Il Pifferaio Magico... Naturalmente, quello non era il momento adatto. La lasciò indietro, sentendo la frustrazione di un cacciatore impossibilitato a fermarsi sul ciglio della strada per catturare una preda perfetta. Ma quella sensazione non lo turbò. Ci sarebbero state tante altre ragazze come lei, in futuro. E poi, sentendo la presenza della pistola e del coltello alla cintola, Pell sapeva che molto presto la sua bramosia di caccia sarebbe stata soddisfatta. 33 In piedi sulla soglia del bungalow, Rebecca Sheffield disse a Kathryn: «Bentornata. Stavamo spettegolando e spendendo i tuoi soldi con il servizio in camera». Indicò una bottiglia di cabernet Jordan che solo lei stava bevendo. Guardò Samantha, non la riconobbe e la salutò: «Salve». Forse pensava che fosse anche lei una poliziotta che lavorava al caso. Quando furono entrate, Kathryn chiuse la porta a doppia mandata. Samantha guardò Rebecca e Linda. Sembrava aver perso la voce. Per un
attimo Kathryn pensò che volesse scappare. Rebecca batté le palpebre e disse: «Un momento... Oh, mio Dio!» Linda non capì e aggrottò la fronte. «Non l'hai riconosciuta?» chiese Rebecca. «Cosa?... Aspetta... Sei tu, Sam?» «Salve.» La figura snella di Samantha tradiva un forte disagio. Non riusciva a sostenere uno sguardo per più di qualche secondo. «La tua faccia», disse Linda. «Sei così diversa. Santo cielo!» Samantha si strinse nelle spalle e arrossì. «Ah-hah. Più bella. E hai messo un po' di carne addosso, una buona volta. Eri così magrina!» Rebecca andò ad abbracciarla. Poi fece un passo indietro, tenendole le mani sulle spalle. «Gran bel lavoro. Cos'hanno fatto?» «Impianti, mascella e zigomi. Labbra e occhi, soprattutto. Il naso, naturalmente. E...»Abbassò gli occhi sul proprio seno. Un sorrisetto. «Ma quello avevo sempre voluto farlo.» Linda stava piangendo. «Non ci posso credere.» Un altro abbraccio. «Come ti chiami adesso?» Samantha non guardò nessuna delle due. «Preferisco non dirlo. Sentite, vi prego, non raccontate a nessuno di me. Se prendono Daniel e parlate con i giornalisti, non nominatevi.» «Non preoccuparti.» «Tuo marito non sa niente?» chiese Linda, notando la fede di Samantha. Lei scosse il capo. «E come ci sei riuscita?» domandò Rebecca. Samantha deglutì. «Ho mentito.» Kathryn sapeva che nelle coppie sposate le menzogne sono frequenti, anche se meno che tra quelle non sposate. Ma di solito sono piccole bugie; di rado riguardano questioni fondamentali, come nel caso di Samantha. «Dev'essere dura», osservò Rebecca. «Ci vuole buona memoria.» «Non ho avuto scelta.» Kathryn riconobbe l'atteggiamento difensivo: con le braccia piegate, Samantha sembrava diminuire di statura e manifestava aperta avversione. Era un vulcano di stress. «Ma non può non sapere che sei stata dentro», disse Rebecca. «Sì.» «E allora?...» «Gli ho detto che era una questione finanziaria, che ho aiutato il mio capo in un'appropriazione indebita perché doveva pagare un'operazione alla
moglie.» «E lui ci è cascato?» Samantha rivolse a Rebecca uno sguardo timoroso. «È una brava persona. Ma mi lascerebbe se scoprisse la verità. Che facevo parte di una setta...» «Non era una setta», si affrettò a dire Linda. «Qualunque cosa fosse, c'era dietro Daniel Pell. Ed è una ragione sufficiente per lasciarmi. Non potrei fargliene una colpa.» Rebecca domandò: «E i tuoi genitori? Sanno qualcosa?» «Mia madre è morta e a mio padre non è mai importato niente di me. Mi spiace, preferisco non parlarne.» «Certo, Sam», convenne Rebecca. L'agente tornò a occuparsi dei dettagli del caso. Per prima cosa, informò le donne dell'assassinio della Pemberton e del furto delle schede dell'agenzia. «Sei sicura che sia stato lui?» fece Linda. «Sì. Ci sono le sue impronte.» Linda chiuse gli occhi e mormorò una preghiera. Il volto di Rebecca si indurì, rabbioso. Nessuna delle due aveva mai sentito il nome Pemberton, né quello della Brock Company. Non ricordavano che Pell fosse stato presente ad alcun evento organizzato da un'agenzia. «A quei tempi non era il tipo che si metteva lo smoking», commentò Rebecca. Kathryn chiese a Samantha della complice di Pell, ma lei, come le altre, non aveva idea di chi potesse essere. Né ricordava nulla di Charles Pickering a Redding. Kathryn riferì dell'e-mail di Richard Pell e chiese se qualcuna di loro avesse avuto contatti con lui. «Chi?» si stupì Rebecca. Kathryn glielo spiegò. «Un fratello più grande?» la interruppe Linda. «No. Scotty era più piccolo. Ed è morto un anno prima che conoscessi Daniel.» «Aveva un fratello?» chiese invece Rebecca. «Mi aveva detto che era figlio unico.» Kathryn raccontò dei reati che Pell aveva fatto commettere alla cognata di Richard. Linda scosse la testa. «No, no. Ti sbagli. Suo fratello si chiamava Scott ed era un minorato mentale. È una delle ragioni per cui andavamo d'accordo: mia cugina ha lo stesso problema.»
«E a me ha raccontato che era figlio unico, come me.» Rise. «Mentiva per guadagnarsi la nostra simpatia. A te cos'ha detto, Sam?» Samantha era riluttante a rispondere. Poi disse: «Richard era il maggiore. Non andavano d'accordo. Richard era prepotente. La loro madre era sempre ubriaca, non puliva mai la casa, e il padre faceva sbrigare ai figli le faccende. Richard però costringeva sempre Daniel a fare tutto il lavoro. Altrimenti lo picchiava». «A te ha detto la verità?» chiese Linda in tono secco. «Be', me lo ha accennato.» «Un punto per la Topolina.» Rebecca rise. Linda replicò: «A me ha detto che non voleva che nessun altro in Famiglia sapesse del fratello. Si fidava solo di me». «E io non dovevo lasciarmi sfuggire che era figlio unico», disse Rebecca. Linda assunse un'espressione inquieta. «Capita a tutti di raccontare balle. Scommetto che il fatto della cognata, quello di cui parla l'e-mail, o non è successo nemmeno o non è stato così grave, e suo fratello ne ha approfittato come scusa per tagliare i ponti.» Rebecca non ne era convinta. Kathryn immaginò che Pell avesse identificato Linda e Rebecca come potenziali minacce, al contrario di Samantha. Linda era la madre della Famiglia e aveva una certa autorità. Rebecca non aveva peli sulla lingua. Samantha, invece... Pell la poteva controllare più facilmente e sapeva di poterle concedere la verità. O almeno una piccola parte. Era una fortuna che Samantha si fosse unita al gruppo. In quel momento stava guardando la caffettiera. «Ne vuoi?» propose Kathryn. «Sono un po' stanca. Non dormo molto, ultimamente.» «Benvenuta nel club», disse Rebecca. Samantha stava per alzarsi, ma Kathryn le fece cenno di restare seduta. «Latte? Zucchero?» «Oh, non disturbarti, davvero.» L'agente notò che Linda e Rebecca si scambiavano un sorrisetto di fronte all'atteggiamento remissivo di Samantha. Topolina... «Grazie. Latte.» Kathryn riprese: «Linda ha accennato che forse Pell aveva intenzione di trasferirsi da qualche parte in campagna, o meglio, sulla cima di una mon-
tagna. Hai idea di che cosa intendesse?» «Be', Daniel mi ha detto un bel po' di volte che voleva andarsene in campagna. Non gli piacevano i vicini, non gli piaceva il governo. Voleva avere spazio per più persone. Voleva che la Famiglia crescesse.» «Davvero?» fece Rebecca. Linda non aprì bocca. «Ha mai parlato dello Utah?» «No.» «Poteva avere in mente qualche posto in particolare?» «Non lo diceva. Ma sembrava averci riflettuto molto.» Kathryn ricordò la possibilità che Pell avesse lasciato la scena del delitto Pemberton in barca. Ebbe un'idea. «Ha mai parlato di un'isola?» Samantha rise. «Un'isola? Neanche a parlarne.» «Perché no?» «Perché è terrorizzato dall'acqua! Non salirebbe mai su qualcosa che galleggia.» Linda batté le palpebre. «Non lo sapevo.» Rebecca nemmeno. Un sorriso amaro. «Certo che no. Condivideva le proprie paure solo con la sua Topolina.» «Secondo Daniel l'oceano è un mondo che appartiene a qualcun altro. Non ci si dovrebbe andare... non bisogna stare in un posto di cui non si può avere il controllo. Lo stesso per il volo: non si fidava né dei piloti né degli aerei.» «Pensavamo che potesse avere lasciato la scena del delitto in barca.» «Impossibile.» «Sei sicura?» «Assolutamente.» Kathryn si scusò, chiamò Rey Carraneo e gli ordinò di sospendere la ricerca della barca rubata. Rifletté che la teoria di O'Neil era sbagliata e quella di Kellogg giusta. «Adesso vorrei ragionare sul motivo per cui è rimasto qui. Potrebbero essere i soldi?» Accennò a quanto Rebecca aveva detto di un grande colpo, rapina o furto che fosse. «Pensavo che potrebbe essere ancora nei paraggi perché ha nascosto denaro o oggetti di valore da qualche parte. Oppure ha qualche conto da regolare. Forse qualcosa che riguarda i delitti Croyton?» «Soldi?» Samantha scosse il capo. «No, non credo proprio che sia quello.» Rebecca ribadì con decisione: «Io so che lo ha detto».
«Oh, no, non dico di no», si affrettò ad aggiungere la Topolina. «Solo che forse non intendeva 'grande' come lo intenderemmo noi. Non gli piaceva commettere reati troppo vistosi. Qualche furto con scasso...» «Be', quasi mai», la corresse Linda. Rebecca sospirò. «Be', molto spesso, Linda. E voi vi davate già da fare prima che arrivassi io.» «Esagerata!» Samantha non prese posizione a favore né dell'una né dell'altra. Appariva a disagio, come se avesse paura di essere chiamata di nuovo a fare da arbitro. «Diceva che, se avessimo fatto qualcosa di troppo illegale, saremmo finiti sui giornali e la polizia se la sarebbe presa con noi sul serio. Perciò stavamo alla larga dalle banche e dagli uffici di cambio. Troppa sorveglianza, troppi rischi.» Alzò le spalle. «E poi, i furti... non erano mai per i soldi.» «Ah, no?» domandò Kathryn. «No. Avremmo potuto guadagnare altrettanto facendo lavori normali. Ma non era questo che eccitava Daniel. A lui piaceva costringere le persone à fare cose che non volevano fare. Era la sua droga.» Intervenne Linda: «Da come lo dici, sembra che non facessimo altro». «Non intendevo questo...» «Non eravamo una banda di criminali.» Rebecca ignorò Linda. «Per me lui pensava solo a fare soldi.» Samantha sorrise incerta. «Ecco, io avevo la sensazione che gli interessasse di più manipolare la gente. Non gli serviva tanto denaro. Non lo voleva.» «Doveva pure pagarsela, la cima della sua montagna», puntualizzò Rebecca. «Questo è vero, immagino... Potrei sbagliarmi.» Kathryn intuì che questo era un punto cruciale per capire Pell. Ecco perché volle sapere delle loro attività criminali, sperando di innescare qualche ricordo specifico. Samantha disse: «Era bravo, Daniel. Anche se sapevo che stavamo facendo qualcosa di sbagliato, non riuscivo a non ammirarlo. Lui conosceva i posti migliori per andare a borseggiare, le case in cui si poteva entrare. Come funzionava la sicurezza nei grandi magazzini, su quali etichette c'era l'anti-taccheggio e quali no, quali commessi accettavano la merce in resa senza lo scontrino». Linda disse: «Tutti lo descrivono come un criminale terribile. Ma per lui
era solo un gioco. Come quando ci travestivamo. Vi ricordate? Parrucche, vestiti diversi, occhiali finti. Era un divertimento innocuo». Kathryn era propensa a condividere la teoria di Samantha: le missioni in cui venivano mandati i membri della Famiglia erano più una questione di potere che di denaro. «E che cosa mi dite del legame con Charles Manson?» «Oh», rispose Samantha, «non c'era nessun legame con Charles Manson.» Kathryn era sorpresa. «Eppure lo hanno scritto tutti i giornali.» «Be', lo sai com'è la stampa.» La negazione di Samantha era tipica, tuttavia la donna si mostrava molto sicura di quello che diceva. «Era convinto che Manson fosse un esempio di cosa non si doveva fare.» Linda invece scosse la testa. «No, no! Aveva tutti quei libri e quegli articoli su di lui.» Kathryn ricordava che Linda aveva subito una condanna maggiore perché la notte dei delitti Croyton aveva distrutto parte del materiale su Manson, che temeva potesse servire a incriminare Pell. L'idea che il suo atto eroico potesse essere stato inutile le dava fastidio. «Gli unici paralleli erano che viveva con molte donne e che faceva commettere reati per conto proprio. Per il resto, Manson non controllava nemmeno se stesso. Si è tatuato una svastica sulla fronte, pensava di avere poteri paranormali, delirava di politica e razzismo. Quello era un altro esempio di emozioni che ti controllano: tatuaggi, piercing o pettinature strane. Danno agli altri informazioni sul tuo conto, e le informazioni permettono di controllarti. No, per Daniel Manson aveva sbagliato tutto. I suoi eroi erano Hitler...» «Hitler?» si stupì Kathryn. «Già. Solo che Daniel non condivideva 'la faccenda degli ebrei'. Era stata una debolezza. Diceva che se Hitler avesse lasciato perdere e tollerato gli ebrei, o addirittura li avesse fatti entrare nel governo, sarebbe stato l'uomo più potente della storia. Ma non era in grado di controllare se stesso, quindi meritava di perdere la guerra. Daniel ammirava anche Rasputin.» «Il monaco russo?» «Proprio lui. Si era fatto strada fino a entrare in casa di Nicola e Alessandra. A Daniel piaceva come Rasputin si serviva del sesso per controllare le persone.» Rebecca rise, Linda arrossì.
«E anche Svengali.» «Quello di Trilby, il romanzo di George du Maurier?» «Oh, lo conosci? A Daniel piaceva moltissimo. Linda lo ha letto una dozzina di volte.» «E francamente era tremendo», intervenne Rebecca. «Quella scrittura vecchio stile! Troppo melodrammatico.» L'agente guardò il taccuino e chiese all'ultima arrivata delle parole chiave che Pell aveva cercato in prigione. «Nimue?» ripeté Samantha. «No. Però una volta ha avuto una ragazza di nome Alison.» «Chi?» domandò Linda. «L'ha conosciuta quando era a San Francisco. Prima di noi... Era in un gruppo simile alla Famiglia.» «Di che cosa stai parlando?» Samantha fece cenno di sì con la testa e guardò Linda, a disagio. «Non era il suo gruppo. Era solo di passaggio, aveva conosciuto questa Alison e incontrato qualcun altro della setta, o quello che era. Daniel non ne era membro, non accettava ordini da nessuno, ma ne era affascinato ed è rimasto un po' con loro. Ha imparato molto su come controllare le persone. Però gli altri si sono insospettiti, per cui lui e Alison se ne sono andati. Si misero ad andare su e giù in autostop. Poi lui fu arrestato o fermato dalla polizia per qualche ragione e lei è tornata a San Francisco. Anche quando eravamo insieme lui la cercava ancora. È per questo che ogni tanto andava sulla baia. Non so perché la cerchi adesso.» «Qual era il cognome?» «Non lo so.» Kathryn si chiese se Pell stesse cercando questa Alison, o qualcuno chiamato Nimue, per vendicarsi. «Era rischioso per lui usare il computer di Capitola. Doveva avere una buona ragione per farlo.» «Oh», fece Samantha. «Daniel non credeva nella vendetta.» «Non ne sono sicura, Sam», la contraddisse Rebecca. «E quel biker? Daniel l'ha quasi ucciso.» Kathryn ricordò che Nagle le aveva parlato dell'aggressione a un vicino di Seaside. «Per cominciare», replicò Linda, «non è stato Daniel. È stato qualcun altro.» «Be', no. Lo ha massacrato di botte, lo ha quasi ucciso.» «La polizia però lo ha lasciato andare.»
La prova di innocenza preferita da Linda, rifletté Kathryn. «Solo perché quello non aveva le palle per denunciarlo.» Rebecca si rivolse a Samantha. «È stato il nostro ragazzo? L'altra si strinse nelle spalle, distogliendo lo sguardo. «Credo di sì. Cioè, sì. Daniel lo ha preso a botte.» Linda non sembrava convinta. «Non era una questione di vendetta. Quel tipo era una specie di padrino del circondario. Cercava di ricattare Daniel, minacciava di andare alla polizia a raccontare cose che non erano mai successe. Daniel andò a parlargli e cominciò a fare i suoi giochetti mentali. Solo che l'altro gli rise in faccia e gli disse che doveva venire con i soldi. Subito dopo c'era un'ambulanza fuori da casa sua: aveva i polsi e le caviglie spezzate. Ma non era vendetta. Era perché era immune a Daniel. Se sei immune, Daniel non ti può controllare e questo fa di te una minaccia. E lui ripeteva sempre: 'Le minacce devono essere eliminate'.» «Controllo», ripeté Kathryn. «È la parola chiave di Daniel Pell, vero?» Quello, a quanto sembrava, era l'unico aspetto del loro passato su cui tutti i tre membri della Famiglia si potevano trovare d'accordo. 34 Dalla macchina, l'uomo del Monterey County Sheriff's Office osservava con occhio vigile il territorio: i terreni, gli alberi, i giardini, la strada. Fare la guardia era di gran lunga la parte più noiosa del mestiere di poliziotto. La sorveglianza dei sospetti seguiva a ruota, ma almeno il soggetto era uno dei cattivi, il che significava che c'era speranza di tirare fuori la pistola o di spaccare qualche testa. Prima o poi, insomma, qualcosa si combinava. Ma fare la babysitter ai testimoni e ai buoni, specie quando i cattivi neanche sapevano dov'erano nascosti, era una nooooia. Si finiva con schiena e piedi doloranti e bisognava bilanciare le pause per il caffè con quelle per pisciare e... «Oh, accidenti», mormorò l'agente. Non avrebbe dovuto pensarci. Adesso gli scappava. Poteva farla tra i cespugli? Non era una buona idea, considerando che quello era un posto di lusso. Avrebbe dovuto usare il bagno. Prima fare un giro veloce per vedere che tutto fosse a posto, poi andare a bussare. Scese dall'auto e si incamminò lungo il viale, guardandosi intorno tra al-
beri e cespugli. Niente di particolare. Tipico del luogo: una limousine che passava lenta, guidata da un autista con berretto, come quelli che si vedono nei film; una giovane donna che, sull'altro lato della strada, stava dando istruzioni al giardiniere sui fiori da piantare intorno alla cassetta delle lettere. Il pover'uomo era frustrato dalla sua indecisione. La donna alzò gli occhi, vide il poliziotto e lo salutò con un cenno del capo. Lui ricambiò il saluto. Fantasticò che lei gli si avvicinasse per dirgli quanto le piacevano gli uomini in divisa. Il poliziotto aveva sentito storie di donne che «pagavano le multe» dietro gli alberi vicino alla Highway o sul sedile posteriore di un'autopattuglia (in qualche versione era il sellino di una Harley-Davidson). Ma erano sempre storie tipo «so di uno che sa di uno». Non era mai capitato a nessuno dei suoi amici. Il poliziotto sospettava poi che se qualcuna, persino quella casalinga disperata, gli avesse fatto qualche avance, non gli si sarebbe neanche rizzato. Il che lo riportò alla situazione sotto la cintura e all'urgenza di alleggerire la vescica. Poi si accorse che la donna gli stava facendo un cenno e veniva verso di lui. Si fermò. «È tutto a posto, qui, agente?» «Sissignora.» Era bene restare sempre sul vago. «È qui per via della macchina?» «Macchina?» Lei fece un cenno con una mano. «Da quella parte. L'ho vista fermarsi dieci minuti fa, in mezzo agli alberi. Strano modo di parcheggiare. Sa, ci sono stati alcuni furti, ultimamente.» In allarme, il poliziotto fece qualche passo nella direzione indicata. Tra i cespugli si intravedeva il bagliore del cromo o del vetro. L'unica ragione di parcheggiare un'auto in quel modo era nasconderla. Pell, si disse. Portò la mano alla pistola e avanzò. Wsssssh. A quello strano suono, il poliziotto si voltò, proprio mentre il giardiniere lo colpiva alla spalla e al collo con la vanga. Una sorda nota metallica. Un gemito. L'agente cadde in ginocchio, gli occhi offuscati da un bagliore giallognolo punteggiato di macchie nere. «No! Aiuto!» supplicò. Ma la risposta fu un altro colpo di vanga, stavolta assestato meglio.
Con indosso la sua tuta da giardinaggio sporca di terra, Daniel Pell trascinò il poliziotto tra i cespugli, dove non lo si poteva vedere. Non era morto, solo stordito e ferito. Pell gli tolse la divisa e la indossò, rimboccando i pantaloni, troppo lunghi. Gli chiuse la bocca con il nastro adesivo e gli mise ai polsi le sue stesse manette. Poi si mise in tasca la sua pistola e i caricatori di riserva, infilando nella fondina la Glock che aveva portato con sé. Aveva familiarità con quell'arma, che aveva fatto scattare a vuoto per abituare il dito alla pressione da esercitare sul grilletto. Si voltò. Vide Jennie che raccoglieva i fiori dal rettangolo di terra vicino alla cassetta delle lettere e li gettava in un sacchetto di plastica. Aveva interpretato bene il ruolo della casalinga. Aveva distratto il poliziotto alla perfezione e quasi non aveva battuto ciglio quando lui aveva steso quel povero bastardo a colpi di vanga. La lezione dell'invito a uccidere Susan Pemberton stava dando i suoi frutti: Jennie era più vicina al nucleo oscuro della propria anima. Ma Pell non doveva commettere imprudenze: uccidere il poliziotto sarebbe stato eccessivo. In ogni caso, Jennie stava venendo su bene. Lui ne era entusiasta. Niente lo rendeva più felice del trasformare una persona in una propria creatura. «Prendi la macchina, amore.» Le porse la sua tuta da giardiniere. La bocca le si allargò in un sorriso. «Subito.» Jennie si avviò di buon passo, portando con sé vestiti, sacchetto e vanga. Si voltò e mosse le labbra come per dire Ti amo. Pell la guardò, apprezzandone il passo sicuro. Poi si incamminò sul vialetto che conduceva alla casa dell'uomo che aveva commesso un peccato imperdonabile contro di lui. L'ex pubblico ministero James Reynolds. Daniel Pell sbirciò in un'apertura tra le tende di una delle finestre. Vide Reynolds che parlava a un cordless, con una bottiglia di vino nell'altra mano, passando di stanza in stanza. Una donna, presumibilmente sua moglie, entrò in cucina. Stava ridendo. Pell si era illuso che nell'era di internet fosse facile trovare chiunque. Aveva scoperto informazioni interessanti e forse utili sul conto di Kathryn Dance. Ma James Reynolds era invisibile: non risultava sulla rubrica telefonica, non figurava sulla lista dei contribuenti o delle associazioni di categoria. Forse si poteva trovare qualche informazione all'anagrafe, tuttavia Pell riteneva che non fosse saggio presentarsi nello stesso palazzo da cui
era appena fuggito. E poi non aveva molto tempo. Doveva finire quello che aveva da fare a Monterey e andarsene. Quindi aveva avuto l'idea di consultare via internet gli archivi dei giornali locali. Sul Peninsula Times aveva trovato l'annuncio delle nozze della figlia di Reynolds. Aveva chiamato lo stabilimento termale in cui avrebbe avuto luogo il ricevimento, il Del Monte Spa and Resort, e scoperto il nome dell'agenzia che lo organizzava, la Brock Company. Con un po' di caffè... e di spray al peperoncino, grazie a Susan Pemberton, Pell aveva messo le mani sulle schede dell'agenzia, trovando il nome e l'indirizzo dell'uomo che pagava la festa di nozze: James Reynolds. E adesso era il momento. Altri movimenti all'interno della casa. C'era anche un uomo sui venticinque-trent'anni, forse un figlio, il fratello della sposa. Pell avrebbe dovuto ucciderli tutti, naturalmente: chiunque fosse in quella casa. Non che gli interessasse sopprimere il resto della famiglia, solo che non poteva lasciare nessuno vivo. Non era altro che una questione pratica, per avere il tempo di scappare assieme a Jennie. Li avrebbe tenuti sotto tiro, riunendoli in uno spazio chiuso, nel bagno o in uno studio, e avrebbe usato il coltello, perché nessuno sentisse sparare. Con un po' di fortuna, i corpi non sarebbero stati trovati prima che avesse completato la missione sulla penisola, quando lui sarebbe stato lontano. L'ex procuratore mise giù il telefono e si voltò. Pell si ritrasse dalla finestra, controllò la pistola e suonò il campanello. Si sentì rumore di passi all'interno, quindi un'ombra oscurò lo spioncino. Pell si mise in modo da far vedere bene l'uniforme, guardando in basso con aria distratta. «Sì? Chi è?» «Signor Reynolds, sono l'agente Ramos.» «Chi?» «Ho dato il cambio al mio collega. Vorrei parlarle.» «Un attimo solo, ho una pentola sul fuoco.» Pell strinse l'impugnatura della pistola. Sentiva che la rabbia presto si sarebbe sfogata. D'un tratto cominciò a eccitarsi. Non vedeva l'ora di riportare Jennie al Sea View. Ma forse non avrebbe aspettato di arrivare al motel, l'avrebbe posseduta sul sedile posteriore della macchina. Si spostò all'ombra di un grande albero frondoso vicino alla porta, godendo del peso dell'arma che teneva in mano. Trascorse un minuto. Un altro.
Tornò alla porta. «Signor Reynolds?» «Pell, non ti muovere!» gridò una voce. Veniva da fuori, alle sue spalle. «Getta la pistola.» Era la voce di Reynolds. «Sono armato.» No! Cos'era successo? Pell ebbe un brivido di rabbia. Era così sconvolto che gli venne quasi da vomitare. «Stammi a sentire, Pell. Se ti muovi di un millimetro, ti sparo. Prendi la pistola per la canna, con la mano sinistra, e mettila giù. Subito!» No, no! Aveva pianificato tutto alla perfezione! La rabbia gli toglieva il fiato. Sbirciò dietro di sé. Reynolds teneva un grosso revolver con entrambe le mani. Sapeva quello che stava facendo e non era per niente nervoso. «Aspetti, aspetti, procuratore Reynolds. Mi chiamo Hector Ramos e sono...» Sentì il click del cane che veniva alzato. «Okay! Non so cos'è questa storia, ma okay. Gesù!» Pell prese la pistola per la canna, con la sinistra, e si chinò per appoggiarla a terra. In quel momento la Toyota nera entrò nel vialetto e frenò con uno stridore di pneumatici e il clacson che suonava. Pell si gettò a terra, raccolse la pistola e sparò in direzione di Reynolds. Il procuratore si chinò e rispose al fuoco, ma cedette al panico e mancò il bersaglio. Si sentivano sirene in lontananza. Combattuto tra l'istinto di sopravvivenza e il bisogno di uccidere l'uomo, Daniel esitò un istante. Prevalse la sopravvivenza. Si mise a correre lungo il vialetto, verso Jennie, che gli aveva aperto la portiera dal lato del passeggero. Si gettò dentro. L'auto partì a tutta velocità. Pell si tolse almeno la soddisfazione di svuotare il caricatore sparando verso la casa, augurandosi che almeno un colpo andasse a segno. 35 Kathryn, Kellogg e il procuratore erano sul prato umido di rugiada, immersi in un paesaggio suggestivo illuminato dalle luci intermittenti dei lampeggianti. La sua prima preoccupazione, spiegò Reynolds, ancora scosso, era che nessuno fosse stato colpito dai proiettili suoi o di Pell. Aveva sparato per difendersi, in preda al panico, terrorizzato all'idea di colpire accidentalmente qualcuno dei vicini. Era corso in strada per prendere la targa, ma la Toyota era ormai lontana; poi aveva controllato che nelle case adiacenti nessuno fosse rimasto ferito da un proiettile vagante. Il poliziotto di guar-
dia, trovato fra i cespugli, aveva riportato una commozione cerebrale e delle contusioni, ma a detta dei medici non era niente di grave. Quando il campanello era suonato e «l'agente Ramos» si era annunciato, Reynolds aveva appena parlato al telefono con Kathryn Dance, che lo aveva messo in guardia: Pell sapeva dove abitava, aveva intenzione di ucciderlo ed era possibile che si avvicinasse, forse facendosi passare per un latino. Il procuratore aveva preso il revolver e mandato moglie e figlio a chiamare il 911, quindi era uscito dalla porta di servizio, arrivando alle spalle del finto poliziotto. Se non fosse intervenuta la ragazza a salvare Pell, forse Reynolds avrebbe sparato per uccidere: ci era andato molto vicino. Il procuratore rientrò in casa dalla moglie per vedere come stava, e tornò poco dopo. «Pell si è preso tutto questo disturbo per una vendetta? L'ho proprio sottovalutato.» «No, James, non per una vendetta.» Senza fare il nome di Samantha stavano già arrivando i giornalisti -, Kathryn illustrò quanto aveva saputo della psicologia di Pell e raccontò dell'episodio a Seaside e del biker che aveva riso in faccia a Pell. Senza accorgersene, era passata all'uso del «tu». «Hai fatto lo stesso in tribunale, quando lui ha cercato di controllarti, ricordi? E, quel che è peggio, tu hai controllato lui. Lo hai dipinto come un nuovo Manson, lo hai fatto diventare qualcun altro. Era nelle tue mani. Pell non può accettarlo. Sei troppo pericoloso per lui.» «E questa non è una vendetta?» «No, riguarda i suoi piani per il futuro», spiegò Kathryn. «Sapeva che non ti lasci intimidire, che lo conosci a fondo e disponi di informazioni; forse hai qualcosa nei tuoi appunti sul caso. È certo che non avrai pace finché non sarà ricatturato. Anche se sei in pensione.» Ricordava l'espressione decisa dell'ex pubblico ministero. Dimmi solo di cosa hai bisogno... «Non hai paura di aiutarci a rintracciarlo. Questo fa di te una minaccia. E, come dice Pell, 'le minacce vanno eliminate'.» «Che cosa intendi dire con 'futuro'? Che cos'ha in programma?» «Questo è il grande interrogativo. Non lo sappiamo proprio.» «Ma come diavolo hai fatto a chiamarmi due minuti prima che mi arrivasse alla porta?» Kathryn si strinse nelle spalle. «Susan Pemberton.» «La donna uccisa ieri.» «Lavorava per Eve Brock.»
Un bagliore negli occhi di Reynolds. «L'addetta del catering che ha organizzato il ricevimento di nozze di Julia! Mi ha trovato attraverso di lei? Brillante.» «In un primo tempo pensavo che Pell avesse usato Susan per entrare nell'ufficio e distruggere qualche prova. O che cercasse informazioni su qualche evento imminente. Continuavo a chiedermi perché l'avesse uccisa. E avevo in mente il suo ufficio, con le fotografie appese al muro: politici, matrimoni... Poi mi sono ricordata delle fotografie delle nozze di tua figlia che avevo visto da te. È scattata l'associazione di idee. Ho chiamato Eve Brock, che mi ha confermato che eri stato loro cliente.» «E come facevi a sapere del travestimento da latino?» Kathryn raccontò che Susan era stata vista in compagnia di un ispanico poco prima di essere uccisa, e Linda aveva raccontato della passione di Pell per i travestimenti. «Che potesse passare per un latino mi sembrava quasi incredibile, ma a quanto pare ci è riuscito.» Guardò i fori dei proiettili sul muro della casa del procuratore. Arrivarono TJ e Carraneo, dopo avere fatto il giro della zona: nessuna traccia della nuova macchina del ricercato. Li raggiunse anche Michael O'Neil, che aveva seguito il lavoro della scientifica in strada e in giardino. Fece un cenno di saluto alla volta di Kellogg: i recenti disaccordi erano acqua passata. La scientifica, riferì, non aveva trovato molto: i bossoli di una Glock 9mm, inutili tracce di pneumatici (così consumati che non si riusciva a risalire alla marca) e «circa un milione di indizi che non ci porteranno da nessuna parte». Un'iperbole cui O'Neil ricorreva quando era frustrato. L'agente di guardia era riuscito a dare solo una descrizione confusa e inarticolata del suo aggressore e della ragazza che lo accompagnava, senza aggiungere niente a ciò che già sapevano. Reynolds telefonò alla figlia. Dal momento che Pell sapeva come si chiamavano lei e il marito, le raccomandò di lasciare la città fino a quando il killer non fosse stato preso. La moglie e il figlio del procuratore li avrebbero raggiunti molto presto. Quanto a Reynolds, si rifiutava di andarsene: avrebbe preso una stanza in albergo, sotto sorveglianza, in attesa di riesaminare il fascicolo del caso Croyton, che presto sarebbe arrivato dagli archivi del tribunale. Era sempre più deciso ad aiutare la polizia a catturare Pell. La maggior parte degli agenti se ne andò, tranne due che rimasero a fare la guardia a Reynolds e alla sua famiglia e altri due che tenevano alla larga i giornalisti. Di lì a poco Kellogg, O'Neil e Kathryn rimasero soli sull'erba
profumata. «Io torno a Point Lobos», annunciò lei. Poi si rivolse a Kellogg: «Vuoi che ti porti in ufficio, così riprendi la tua macchina?» «Vengo con te a Point Lobos. Se non ti spiace.» «Certo.» «La macchina la prendo dopo.» «E tu, Michael? Vieni con noi?» Kathryn lo vedeva ancora fortemente scosso dalla morte di Millar. Il vicesceriffo guardò Kellogg e lei, uno accanto all'altra, come se fossero una coppia davanti alla loro casa fuori città, che dava la buona notte agli ospiti dopo una cena. «Credo di no. Rilascerò una dichiarazione alla stampa e poi farò un salto dalla famiglia di Juan.» Sospirò. Il suo alito si condensò nell'aria fredda. «È stata una giornata molto lunga.» Morton Nagle era esausto. In pancia aveva quasi un'intera bottiglia di buon merlot di Vallejo Spring. Non era affatto il caso che tornasse a casa quella sera, affrontando il traffico aggressivo di Contra Costa County e le strade non meno scoraggianti intorno a San José. Aveva trovato un motel vicino ai vigneti in cui si era aggirato tutto il giorno e vi si era registrato. Si era lavato le mani e la faccia, aveva ordinato un sandwich al servizio in camera e stappato il vino. In attesa che gli portassero da mangiare, chiamò a casa e parlò con la moglie e i figli. Quindi telefonò a Kathryn Dance, che gli disse che Pell aveva tentato di uccidere il pubblico ministero del caso Croyton. «Reynolds? No!» «Stanno tutti bene», lo rassicurò l'agente. «Pell è riuscito a scappare.» «Pensi che fosse quello il suo obiettivo? È per questo che non se n'è andato?» L'agente ne dubitava. Era convinta che avesse intenzione di uccidere Reynolds come preludio al suo vero piano, perché aveva paura dell'ex procuratore. Ma quale fosse il vero piano restava un mistero. Kathryn Dance sembrava stanca e scoraggiata. Come lui. «Morton, ti senti bene?» «Mi stavo solo chiedendo che mal di testa avrò domattina.» Bussarono alla porta. Nagle salutò Kathryn e riagganciò il ricevitore. Mangiò senza grande appetito, mentre cambiava canale senza far caso alle immagini sullo schermo della TV. Si sdraiò sul letto, togliendosi le
scarpe e calciandole lontano. Mentre sorseggiava il vino da un bicchiere di plastica, ripensò a una foto a colori di Pell che aveva visto su Time anni prima. Era di tre quarti, ma gli occhi azzurri fissavano la macchina fotografica. Sembravano seguirti ovunque andassi: anche dopo avere chiuso la rivista avevi la sensazione che lui ti scrutasse ancora dentro l'anima. Nagle era di cattivo umore. Non era riuscito a convincere la zia di Theresa; il viaggio era stato una perdita di tempo. Ma poi si disse che, se non altro, non aveva tradito l'etica di giornalista: aveva protetto le sue fonti e la ragazza. Aveva fatto del proprio meglio, non aveva disobbedito alle regole né rivelato a Kathryn Dance il nuovo nome e l'indirizzo della «bambola che dorme». No, aveva fatto tutto quello che doveva, a dispetto della difficile situazione. L'alcool cominciava a farlo stare meglio. L'indomani sarebbe tornato a casa, dalla moglie e dai figli. Si sarebbe rimesso a scrivere il suo libro. Aveva sentito Rebecca Sheffield, che si era detta d'accordo: aveva preso parecchi appunti sulla vita nell'ambito della Famiglia ed era certa che sarebbe riuscita a convincere anche Linda Whitfield a farsi intervistare. E le vittime di Pell di cui scrivere non mancavano. Forse, come titolo, sarebbe andato bene La Famiglia. No, faceva troppo mafia, troppo Tony Soprano. Be', qualche idea gli sarebbe venuta. Gliene venivano sempre. Alla fine, ubriaco e più o meno soddisfatto, Morton Nagle si assopì. 36 Erano incollate al televisore a guardare il notiziario, una accanto all'altra, come tre sorelle che si ritrovavano dopo molto tempo. E in un certo senso era così, pensava Samantha McCoy. «Non è incredibile?» chiese Rebecca, a voce bassa ma colma di rabbia. Linda, che assieme a Sam stava finendo gli avanzi di una cena servita in camera, scosse la testa desolata. James Reynolds, il pubblico ministero, bersaglio di Daniel Pell. Sam era profondamente turbata dall'episodio. Ricordava bene Reynolds, un uomo severo ma ragionevole. Il suo avvocato aveva detto che il procuratore si era dimostrato generoso nei confronti delle loro richieste. Lei stessa lo aveva trovato piuttosto clemente. Non c'era alcuna prova di un loro coinvolgimento nei delitti Croyton: come le altre, Sam era rimasta
sconvolta da quella notizia. Tuttavia la lista dei reati commessi dalla Famiglia era piuttosto lunga, e James Reynolds, se avesse voluto, avrebbe potuto portarle in aula e ottenere condanne più severe. Reynolds però era stato comprensivo, immaginava quello che dovevano avere passato, capiva che erano sotto l'incantesimo di Daniel Pell. L'aveva definita «sindrome di Stoccolma». Sam si era documentata: era un legame emotivo che si creava tra la vittima di un sequestro nei confronti dei suoi rapitori. Sam era pronta ad accettare la clemenza di Reynolds, ma non a cavarsela ricorrendo a qualche pretesto psicologico. Si vergognava ogni giorno dei furti che aveva commesso e di avere consentito a Pell di rovinarle la vita. Dopotutto, non era stata sequestrata ma era andata a vivere volontariamente con la Famiglia. Sullo schermo apparve un disegno raffigurante Pell con la pelle più scura, i capelli neri, gli occhiali e un aspetto vagamente ispanico: il suo travestimento. «Questo sì che è strano», fece Rebecca. Trasalirono quando sentirono bussare alla porta. Kathryn Dance si annunciò e Linda le andò ad aprire. A Samantha, Kathryn era simpatica: una poliziotta con un gran sorriso, che oltre alla pistola portava l'iPod e scarpe con grosse margherite sul cinturino. A Sam non sarebbe dispiaciuto averne un paio così. Era raro che si comperasse qualcosa di frivolo e divertente. Ogni tanto guardava le vetrine e si diceva: Carino, mi piacerebbe. Ma poi la sua coscienza si risvegliava e lei decideva: No, non me lo merito. Anche Winston Kellogg sorrideva, anche se in modo diverso. Sembrava come il suo distintivo, qualcosa da mostrare per una frazione di secondo, quasi a dire: Non sono come credete. Sono un agente federale, un essere umano. Era attraente, sebbene non si potesse dire bello in senso classico. Aveva un accenno di pancia e di doppio mento. Ma i suoi modi, la voce e gli occhi lo rendevano sexy. Kathryn guardò lo schermo della TV. «Avete sentito di Reynolds?» Rispose Linda: «Meno male che si è salvato. C'era anche la sua famiglia?» «Stanno tutti bene.» «In TV hanno detto che un agente è rimasto ferito...» si informò Linda. «Niente di grave», replicò Kellogg. E raccontò di come Pell e la sua complice avessero pianificato l'assassinio di Reynolds, uccidendo Susan Pemberton il giorno prima allo scopo di scoprire l'indirizzo del procurato-
re. Sam ripensò a ciò che l'aveva colpita anni prima: la mente ossessiva e inarrestabile di Daniel Pell. «Volevo ringraziarvi», intervenne Kathryn. «Sono state le informazioni che ci avete dato voi a salvare la vita di Reynolds.» «Noi?» chiese Linda. «Già.» E spiegò come le loro osservazioni, in particolare la reazione di Pell quando veniva deriso e la sua passione per i travestimenti, le avevano permesso di prevedere che cosa stesse progettando l'assassino. Rebecca scuoteva il capo. Le sue labbra, sempre molto espressive, erano serrate. Disse: «Ma, a quanto pare, è riuscito a sfuggirvi». Sam si sentì imbarazzata da quel commento sarcastico. La stupiva sempre come la gente non esitasse a criticare e a insultare, anche quando non ce n'era motivo. «Infatti», disse Kathryn, sostenendo lo sguardo di Rebecca, più alta di lei. «Non siamo arrivati in tempo.» «Al notiziario hanno detto che Reynolds ha cercato di catturarlo da solo», continuò Rebecca. «È così», ammise Kellogg. «Allora forse è colpa sua se Pell è scappato.» Kathryn la guardò negli occhi, calmissima. Sam le invidiava quel talento. Suo marito le diceva spesso: «Ehi, qual è il problema? Guardami in faccia». L'unico che lei riuscisse a guardare negli occhi era il suo bambino piccolo. Kathryn si rivolse a Rebecca: «Può essere. Ma Pell era davanti alla porta di casa sua, con una pistola. Non ha potuto fare diversamente». Rebecca alzò le spalle. «Sì, però lui è da solo e voi siete in tanti.» «Insomma», intervenne Linda, in tono brusco. «Fanno del loro meglio. Lo conosci Daniel: pensa sempre a tutto. È impossibile prevedere le sue mosse.» L'agente dell'FBI disse: «No, hai ragione, Rebecca. Dobbiamo fare di più. Siamo troppo sulla difensiva, ma lo prenderemo, te lo prometto». Samantha notò lo sguardo che Kellogg rivolse a Kathryn Dance. Accidenti, ha un debole per lei, pensò. Una frase che veniva dalle centinaia di vecchi libri che leggeva nelle sue estati di ragazzina. E la poliziotta? Hmmm, può essere. Non le era chiaro. Comunque non intendeva perdere tempo a riflettere sulle vite sentimentali di due persone che conosceva solo da un giorno e facevano parte di un mondo che intendeva lasciarsi alle
spalle il più presto possibile. Rebecca si calmò. «Be', se stavolta ci siete andati vicini, forse la prossima riuscirete ad arrivare un po' prima.» Kathryn annuì. «Vi ringrazio. Di tutto. Apprezziamo molto il vostro aiuto. E ora un paio di cose. Giusto per rassicurarvi, ho fatto mettere un agente in più fuori dalla porta. Non c'è motivo di credere che Pell possa sapere che siete qui, ma di sicuro non fa male.» «Sono d'accordo», approvò Rebecca. L'agente guardò l'orologio. Erano le dieci e un quarto. «Direi che per stanotte possiamo chiudere. Se vi viene in mente qualcosa su Pell o sul caso, posso essere qui in venti minuti. Altrimenti, ci ritroviamo domattina. Sarete esauste.» Samantha disse: «Capita, quando ci si ritrova dopo tanto tempo». Dopo avere parcheggiato la Toyota sul retro del Sea View, Jennie spense il motore. Daniel Pell non scese dall'auto. Si sentiva stordito, tutto gli sembrava surreale: le luci come aure spettrali nella nebbia, le onde al rallentatore sulla spiaggia di Asilomar... Un mondo alternativo, uscito da uno degli strani film proiettati per i detenuti a Capitola, di cui poi si discuteva per mesi. E tutto per quel bizzarro imprevisto a casa del procuratore. «Ti senti bene, tesorino?» Lui non disse niente. «Non mi piace quando sei infelice.» Lei gli appoggiò una mano sulla coscia. «Peccato che le cose non ti siano andate bene.» Pell stava pensando al processo di otto anni prima, quando aveva rivolto i suoi occhi, azzurri come il ghiaccio, sul pubblico ministero James Reynolds. Voleva intimidirlo, per fargli perdere la concentrazione. Ma il procuratore aveva ricambiato il suo sguardo e aveva sogghignato. Poi aveva strizzato l'occhio ai giurati. E loro avevano riso. Tutti i suoi sforzi erano stati vani. L'incantesimo era stato spezzato. Pell si era convinto di poter essere assolto, di essere in grado di far credere alla giuria che l'assassino era Jimmy Newberg, mentre lui era a sua volta una vittima e aveva agito esclusivamente per legittima difesa. E Reynolds aveva riso, come se Pell fosse un bambino che faceva le boccacce ai grandi. Lo aveva chiamato «Figlio di Manson».
Era lui che controllava me! Quello era stato il peccato imperdonabile. Non accusarlo, no, molti lo avevano fatto. Ma poterlo controllare. Muovere i suoi fili come se fosse un burattino, per far ridere gli altri. E ora Reynolds, che per lui rappresentava una minaccia seria, al pari di Kathryn Dance, sarebbe andato a nascondersi, diventando molto più difficile da scovare. Pell provò un brivido di rabbia. «Tutto okay, caro? Sembri sconvolto. Vuoi dirmi qualcosa?» In quel momento, sentendosi come se fosse in un'altra dimensione, Pell raccontò a Jennie ciò che Reynolds aveva fatto in tribunale e del pericolo che rappresentava per lui. Una storia che nessuno conosceva. E, strano a dirsi, a lei non sembrò così insolito. «È terribile. Mia madre lo faceva sempre, rideva di me di fronte agli altri. E mi picchiava. Ma quando rideva era peggio. Molto peggio.» Pell era sinceramente commosso dalla comprensione di Jennie. «Ehi, amore, hai tenuto duro stasera.» Lei sorrise e protese i pugni, come per mostrare le lettere tatuate: T-I-EN-I-D-U-R-O. «Sono orgoglioso di te. Forza, andiamo dentro.» Jennie non si mosse. Smise di sorridere. «Stavo pensando una cosa.» «Cosa?» «Come faceva a saperlo?» «Chi?» «Quell'uomo di stasera, Reynolds.» Jennie si voltò, con un'espressione seria sul viso. «Mi ha visto, suppongo. Mi ha riconosciuto.» «No, non credo. Sembrava che le sirene stessero arrivando... prima che tu bussassi alla porta.» «Dici davvero?» «Credo di sì.» Kathryn... con gli occhi verdi quanto i miei sono blu, con le corte unghie rosa, l'elastico rosso intorno alla treccia, la perla al dito e una conchiglia lucida al collo. Con i buchi alle orecchie ma niente orecchini. La ricordava alla perfezione. Poteva quasi sentirla accanto a sé. La bolla dentro di lui cominciò a espandersi. «Ecco, c'è questa poliziotta... È un problema.» «Parlami di lei.» Pell la baciò, insinuò una mano lungo la sua schiena ossuta, oltre la spal-
lina del reggiseno, e discese fino alla vita, arrivando a sfiorare le mutandine. «Non qui. Andiamo dentro. Te ne parlo quando siamo dentro.» 37 «Ne ho avuto abbastanza», disse Linda Whitfield, facendo un cenno con la testa alla volta del televisore, su cui passavano incessanti le notizie su Daniel Pell. Samantha era d'accordo. Linda andò all'angolo cottura a preparare caffè decaffeinato e tè, poi mise in tavola le tazze, il latte e lo zucchero, assieme a qualche biscotto. Rebecca prese il caffè, ma rimise subito giù la tazza e continuò a sorseggiare vino. Sam disse: «È stato bello quello che hai detto a cena». Linda aveva recitato una preghiera di ringraziamento, a quanto pareva frutto di improvvisazione, ma piuttosto articolata. Samantha di per sé non era religiosa, però era rimasta toccata dalle parole di Linda, che invocavano la pace per le anime delle vittime di Daniel Pell e le loro famiglie, esprimevano gratitudine per l'occasione di riunirsi alle sue due sorelle e supplicavano una soluzione incruenta di quella triste situazione. Persino Rebecca, il «fiore d'acciaio» delle tre, era apparsa commossa. Quando era piccola, Sam sperava che ogni tanto i suoi la portassero in chiesa. Non era interessata a una chiesa in particolare, ma molte sue amiche ci andavano con le famiglie e le sembrava una cosa che genitori e figli potevano fare insieme. Sarebbe stata altrettanto felice se l'avessero portata a fare la spesa, oppure all'aeroporto a guardare gli aerei che decollavano e atterravano, mangiando gli hot-dog comprati al furgoncino davanti alla recinzione, come facevano i suoi vicini Ellie e Tim Schwimmer con i loro genitori. Samantha, vorrei tanto venire con te, ma lo sai quanto è importante questa riunione. Non riguarda solo Walnut Creek... può avere conseguenze su tutta Contra Costa. Anche tu puoi fare un piccolo sacrificio. Il mondo non gira intorno a te, cara... Adesso basta, si impose Sam. Durante la cena la conversazione era stata superficiale: la politica, il tempo, le loro opinioni su Kathryn Dance. Ora Rebecca, che aveva bevuto parecchio vino, cercava di scoprire cosa fosse accaduto a Linda in carcere per farla diventare così religiosa. Ma lei doveva avere percepito, come
Sam, che dietro le domande c'era una provocazione e aveva preferito eluderle. Rebecca era sempre stata la più indipendente e la più diretta delle tre. Tuttavia Linda aveva parlato della sua vita quotidiana. Gestiva il centro di quartiere, che Sam aveva dedotto essere una cucina in cui si preparava la zuppa, e dava una mano al fratello e alla cognata con i figli adottivi. Dalla conversazione, così come dai suoi vestiti malridotti, si intuiva che Linda non era in buone condizioni finanziarie. Però continuava ad affermare di avere una «vita ricca», nel senso spirituale del termine: lo ripeté diverse volte. «Proprio non ci parli, con i tuoi?» le chiese Sam. «No», rispose Linda, sottovoce. «Mio fratello sì, ogni tanto. Ma io no.» Sam non riusciva a capire se dietro quelle parole ci fosse sfida oppure malinconia. Ricordava che il padre di Linda si era candidato in qualche elezione ed era stato sconfitto dopo che il suo rivale aveva stampato manifesti in cui si diceva che, se Lyman Whitfield non riusciva a mantenere la legge e l'ordine in famiglia, difficilmente avrebbe potuto farlo per la comunità. Linda aveva raccontato anche che usciva con un uomo che frequentava la chiesa. Lo aveva descritto come «carino» e aveva detto che lavorava alla Macy's, ma non era entrata nei particolari. Samantha si chiedeva se ci fosse qualcosa tra loro o se fossero solo amici. Rebecca fu più esplicita nel parlare di sé. Women's Initiatives andava bene e aveva uno staff di quattro dipendenti full-time. Lei abitava in un condominio con vista sul mare. Quanto alla vita sentimentale, aveva parlato del suo ultimo fidanzato, un architetto del paesaggio in fase di divorzio, più vecchio di quasi quindici anni ma di bell'aspetto e piuttosto benestante. Rebecca aveva sempre avuto intenzione di sposarsi però, mentre raccontava del suo futuro con lui, Sam aveva avuto la sensazione che ci fossero alcuni ostacoli e si era chiesta se l'uomo volesse davvero divorziare. In ogni caso, Rebecca vedeva anche altri uomini. Di questo Sam provava invidia. Dopo il carcere, aveva cambiato nome e si era trasferita a San Francisco, sperando di perdersi nell'anonimato di una grande città. Aveva evitato di socializzare, per paura di lasciarsi sfuggire qualcosa della sua vera identità, o che qualcuno potesse riconoscerla, nonostante la chirurgia plastica. Alla fine non aveva più sopportato la solitudine e aveva cominciato a uscire. Il terzo uomo che aveva incontrato, Ron Starkey, era un ingegnere
laureato alla Stanford. Era affettuoso, timido e un po' insicuro: un classico nerd. Non era particolarmente interessato al suo passato. In effetti, sembrava non far caso a niente, tranne ai sistemi di navigazione aerea, al cinema, ai ristoranti e, ora, al loro bambino. Non era il tipo di uomo che avrebbe fatto impazzire la maggior parte delle donne. Ma Samantha aveva deciso che fosse adatto a lei. Sei mesi dopo si erano sposati, un anno più tardi era nato Peter. Sam era soddisfatta. Ron era un buon padre, un uomo solido. Lei avrebbe preferito solamente incontrarlo qualche anno più tardi e avere il tempo di vivere un po' da sola, dopo la Famiglia e il carcere. Sentiva che l'incontro con Daniel Pell era un grosso buco nella sua vita, un buco che non avrebbe mai potuto essere riempito. Tanto Linda quanto Rebecca cercarono di indurre Sam a parlare di se stessa. Lei era reticente. Non voleva che nessuno, tantomeno quelle due donne, potesse avere il minimo indizio sulla sua vita come Sarah Starkey. Se fosse corsa la voce, Ron l'avrebbe abbandonata. Ne era certa. Si erano già lasciati per qualche mese dopo che lei, in preda alle lacrime, aveva «confessato» la falsa appropriazione indebita. Se fosse venuto a sapere che la moglie aveva avuto rapporti con Daniel Pell e gli aveva mentito per anni, sarebbe uscito immediatamente di casa, portando con sé il bambino. Linda offrì di nuovo il vassoio con i biscotti. «No, no», disse Samantha. «Sono piena. Sarà un mese che non mangio così tanto a cena.» Linda, seduta accanto a lei, mangiò mezzo biscotto. «Oh, Sam, prima che tu arrivassi, abbiamo raccontato a Kathryn di quella cena di Pasqua, l'ultima che abbiamo fatto insieme. Te la ricordi?» «Se me la ricordo? È stata fantastica.» Era stata veramente una bella giornata. Si erano seduti all'aperto, intorno a un tavolo fabbricato da Jimmy Newberg con legname di scarto. Un sacco di cibo, grande musica suonata sul complicato stereo di Jimmy, da cui spuntavano cavi dappertutto. Avevano colorato le uova di Pasqua, spandendo per tutta la casa l'odore di aceto caldo. Sam aveva tinto le proprie di azzurro: come gli occhi di Daniel. La Famiglia non era sopravvissuta a lungo. Sei settimane dopo, i Croyton erano stati sterminati, Jimmy era morto e loro erano stati arrestati. Quella però era stata una bella giornata. «Il tacchino», disse Sam, scuotendo la testa al ricordo. «L'avevi affumicato, vero?»
Linda assentì. «Quasi otto ore, nell'affumicatolo che mi aveva costruito Daniel.» «Il cosa?» chiese Rebecca. «Il forno sul retro. Quello fatto da Daniel.» «Lo ricordo, ma non l'aveva fatto lui.» Linda rise. «Sì che era opera sua. Gli avevo detto che lo avevo sempre desiderato. I miei ne avevano uno e mio padre ci affumicava prosciutto, pollo e anitre. Io volevo aiutarlo, ma loro non mi lasciavano. E allora Daniel me ne ha fabbricato uno.» Rebecca era confusa. «No, no. L'ha avuto da come-si-chiama, quella che abitava più avanti.» «Più avanti?» Linda si accigliò. «Ti sbagli. Daniel si è fatto prestare gli attrezzi e lo ha fabbricato usando un vecchio barile di olio. È stata una vera sorpresa.» «Aspetta, si chiamava... Rachel, ecco, sì. Te la ricordi? Non era granché... capelli rosso fiammante con le radici grigie.» Rebecca guardò Linda perplessa. «Non puoi non ricordartela.» «Me la ricordo, Rachel», replicò l'altra, stizzita. «Ma lei cosa c'entra?» Rachel era una tipa fumata che aveva provocato una seria disarmonia all'interno della Famiglia perché Daniel aveva passato parecchio tempo a casa sua facendo... be', quello che gli piaceva più di ogni altra cosa. A Sam non importava: qualsiasi cosa le evitasse i momenti più spiacevoli in camera da letto con Pell, per lei andava bene. Invece Linda era gelosa. L'ultimo Natale che avevano passato insieme, Rachel si era fermata da loro con qualche scusa, in assenza di Daniel. Linda l'aveva buttata fuori. Pell lo aveva saputo e aveva promesso che non l'avrebbe più rivista. «L'affumicatoio l'ha avuto da lei», disse Rebecca, che era arrivata dopo quella sfuriata natalizia e non sapeva niente della gelosia. «No, non è vero. L'ha fatto lui per il mio compleanno.» Sam intuì il disastro in arrivo e intervenne rapidamente: «Be', in ogni caso hai cucinato un tacchino buonissimo. Credo che poi abbiamo mangiato sandwich per due settimane». Le due la ignorarono. Rebecca bevve un altro sorso di vino. «Linda, lui te lo ha dato per il tuo compleanno perché è andato da Rachel quella mattina e lo ha preso da lei. Un surfista l'aveva fatto per Rachel, ma lei non sapeva cucinare.» «È andato da lei?» mormorò Linda. «Il giorno del mio compleanno?» Pell le aveva detto di non avere più visto Rachel dopo l'episodio di Natale,
e il compleanno di Linda era in aprile. «Sì, ci andava tre volte la settimana, o giù di lì. Vuoi dire che non lo sapevi?» «Non importa», intervenne Sam. «È stato tanto...» «Zitta», ordinò Linda. Si rivolse a Rebecca: «Ti sbagli». «Che c'è? Sei sorpresa che Daniel ti abbia mentito?» Rebecca stava ridendo. «A te ha raccontato che aveva un fratello ritardato, a me che era figlio unico. Chiediamo all'autorità. Sam: Daniel vedeva Rachel, quella primavera?» «Non lo so.» «Risposta sbagliata... Sì che lo sai», dichiarò Rebecca. «Oh, andiamo. Che differenza può fare?» «Giochiamo a chi conosceva meglio Daniel. A te ha detto qualcosa? Diceva tutto alla sua Topolina.» «Non c'è bisogno di...» «Rispondi alla domanda.» «Non ne ho idea. Rebecca, andiamo. Lascia perdere.» «Allora?» La verità era che, sì, Daniel andava da Rachel, ma Sam preferì rispondere: «Non me lo ricordo». «Stronzate.» «Perché avrebbe dovuto mentirmi?» «Perché tu gli hai detto che mamma e papà non ti lasciavano giocare alla cuoca. Questo gli ha dato qualcosa su cui lavorare. E ne ha approfittato. E non ha neanche detto di averlo comprato: ha finto di averlo fatto con le sue mani. Che sant'uomo del cazzo!» «Sei tu che stai mentendo.» «Perché?» «Perché Daniel per te non ha mai fatto niente.» «Oh, per favore. Siamo tornate a scuola?» Rebecca squadrò Linda. «Oh, capisco. Eri gelosa di me! Ecco perché eri così incazzata! E perché sei incazzata anche adesso.» Anche questo era vero, rifletté Sam. Dal momento in cui Rebecca era entrata nella Famiglia, Daniel aveva passato meno tempo con le altre. A Sam andava bene: qualsiasi cosa purché lui fosse felice e non la scacciasse. Ma Linda, nel suo ruolo di madre, si era sentita punta sul vivo quando era sembrato che Rebecca volesse soppiantarla. Tuttavia ora Linda negava. «Non è vero. Come ci si potrebbe permettere
di essere gelosi in una situazione del genere? Con un uomo e tre donne che vivono insieme?» «Come? Perché siamo esseri umani, ecco come. Accidenti, tu eri gelosa di Rachel.» «Era diverso. Lei era una troia. Non era una di noi, non faceva parte della Famiglia.» Sam disse: «Sentite, non siamo qui per noi. Siamo qui per aiutare la polizia». Rebecca rise, sprezzante. «Come sarebbe a dire che non siamo qui per noi? La prima volta che ci vediamo dopo otto anni? Pensi che dovevamo venire qui, scrivere la top ten, 'Cose che ricordo di Daniel Pell', e tornarcene a casa? Questa cosa riguarda noi proprio come riguarda lui.» Linda scoccò un'occhiata furibonda a Sam. «E tu non mi devi proteggere.» Accennò sdegnata a Rebecca. «Non vale la pena di difenderla. Non è stata con noi dal principio. Non faceva parte della Famiglia, e invece si è intromessa a forza.» Si voltò verso l'altra. «Io sono stata con lui per più di un anno. E tu? Solo qualche mese.» «Me lo ha chiesto Daniel. Non sono io che ho insistito.» «Prima andava tutto bene, poi sei arrivata tu.» «Andava tutto bene?» Rebecca mise giù il bicchiere di vino e si sedette in punta di sedia. «Ma lo senti quello che dici?» «Rebecca, per favore», disse Sam. Il cuore le batteva forte. Aveva voglia di piangere, guardando quelle due donne rosse in viso che si fronteggiavano ai lati di un tavolino di legno verniciato e ingiallito. «Non fare così.» Rebecca non le fece caso. «Linda, ti sono stata a sentire da quando sono arrivata. Lo difendi, dici che non è poi così cattivo, che non abbiamo rubato così tanto. Forse Daniel non ha ucciso taldeitali... Be', sono stronzate. Guarda in faccia la realtà. Sì, la Famiglia era marcia, completamente marcia.» «Non lo dire! Non è vero!» «Sì che è vero, accidenti! E Daniel Pell è un mostro. Pensaci. Pensa che cosa ha fatto a noi...» Gli occhi di Rebecca fiammeggiavano, la mascella le tremava. «Ti guarda e vede una persona a cui i genitori non hanno mai dato un briciolo di libertà. E allora che cosa fa? Ti dice che sei una ragazza bella e indipendente a cui stanno tarpando le ali. E ti mette a capo della casa. Ti fa diventare la mamma. Ti dà un potere che tu non hai mai avuto prima. E in questo modo ti intrappola.» Gli occhi di Linda si riempirono di lacrime. «Non era così.»
«Hai ragione. Era peggio. Pensa poi a quello che è successo. La Famiglia va in rovina, finiamo in galera e tu dove ti ritrovi? Esattamente dov'eri prima. Con una figura maschile dominante, solo che stavolta al posto di Papà c'è Dio. Se pensavi di non poter dire di no al tuo vero padre, pensa adesso a quello nuovo.» «Non devi fare così», mormorò Sam. «Oh, invece devo. Guardiamo un po' la tua storia, Topolina. I tuoi non sapevano nemmeno che esistevi. Te ne vai per conto tuo, Sammy. Mamma e papà hanno troppo da fare con Greenpeace o con la National Organization for Women o con la marcia per i malati di AIDS per venire a rimboccarti le coperte. E che cosa fa Daniel per te? D'un tratto è il genitore attento che non hai mai avuto. Si prende cura di te, ti dice che cosa fare, quando lavarti i denti, ridipingere la cucina, metterti a novanta gradi... E tu credi che questo voglia dire che ti ama. Sai una cosa? Sei in trappola anche tu. E adesso? Sei tornata al via, proprio come Linda. Prima non esistevi per i tuoi, ora non esisti per nessuno. Perché tu non sei Samantha McCoy. Sei diventata un'altra.» «Smettila!» Ora Sam era in lacrime. Quelle parole crude, specchio di una dura verità, le facevano molto male. Anche lei avrebbe potuto dire certe cose, parlare dell'egoismo di Rebecca, della sua franchezza che rasentava la crudeltà, ma si trattenne. Era impossibile per lei mostrarsi severa, anche per legittima difesa. Topolina... Ma Linda, a differenza di Sam, non esitò a ribattere: «E a te chi dà il diritto di parlare? Non eri che una vagabonda che fingeva di fare la bohémienne». La voce vibrava di rabbia, le lacrime le rigavano il viso. «Certo, avevamo dei problemi, Sam e io, ma ci preoccupavamo l'una dell'altra. Tu eri solo una puttana. Ed eccoti qui a giudicarci. Non eri meglio di noi!» Rebecca si appoggiò allo schienale, il volto privo di espressione. Si poteva quasi sentire la sua furia che si dissolveva. Abbassò gli occhi sul tavolo. «Hai ragione, Linda. Hai assolutamente ragione. Non sono affatto migliore. Ci sono cascata anch'io. Ha fatto lo stesso a me.» «A te? Tu non avevi niente da spartire con Daniel. Eri lì solo per scopare!» «Esatto», disse Rebecca, con un sorriso triste, uno dei più tristi che Samantha McCoy avesse mai visto. Le chiese: «Che cosa vuoi dire, Rebecca?» Un altro sorso di vino. «Come credi che sia riuscito a intrappolare me?»
Un altro sorso ancora. «Non vi ho mai detto che non ero andata a letto con nessuno da tre anni, prima di incontrarlo.» «Tu?» «Strano, eh? Io, così sexy, l'artista femme fatale della Central Coast. La verità era molto diversa. Che cosa ha fatto per me Daniel Pell? Mi ha fatto sentire bene con il mio corpo. Mi ha insegnato che il sesso era bello. Non era una cosa sporca.» Depose il bicchiere. «Che non era solo quello che succedeva quando mio padre tornava dal lavoro.» «Oh», mormorò Sam. Linda non aprì bocca. Rebecca svuotò il bicchiere. «Due o tre volte la settimana. Alle medie e al liceo. Volete sapere qual è stato il mio regalo per il diploma?» «Rebecca... mi dispiace tanto», intervenne Sam. «Non hai mai detto niente.» «Hai parlato di quel giorno sul furgone, quando ci siamo incontrati.» Si rivolgeva a Linda, impassibile. «Sì, ci siamo stati tre ore. Pensavi che stessimo scopando, ma abbiamo solo parlato. Mi stava rassicurando perché io ero fuori di testa. Come molte altre volte, quando c'era un uomo che mi voleva e io volevo lui, solo che non ci riuscivo. Non potevo lasciarmi toccare. Una bella confezione sexy... senza passione dentro. Daniel invece sapeva esattamente che cosa fare perché mi sentissi a mio agio. E adesso guardatemi: ho trentatré anni e quest'anno sono uscita con quattro uomini diversi. E sapete una cosa? Non ricordo nemmeno il nome del secondo. Oh, e tutti erano più vecchi di me di almeno quindici anni... No, non sono meglio di voi, ragazze. E tutto quello che vi ho detto per me vale il doppio. Andiamo, Linda, guarda a Daniel com'è e a quello che ci ha fatto: la cosa peggiore che si possa immaginare. Sì, davvero... Scusate, sono sbronza e questa storia ha portato a galla più merda di quella che ero preparata ad affrontare.» Linda non replicò. Le si leggeva in viso il conflitto che la tormentava. Un momento dopo disse: «Mi dispiace per quello che ti è successo. Pregherò per te. Ora, per favore, scusami. Vado a letto». Stringendo la Bibbia tra le mani, si ritirò nella sua camera. «Non l'avete presa molto bene», brontolò Rebecca. «Mi spiace, Topolina.» Si appoggiò nuovamente allo schienale, con gli occhi chiusi, e sospirò. «È strano. Sfuggire al passato è come essere un cane alla catena. Per quanto voglia correre, non si può allontanare.»
38 Kellogg era con Kathryn nell'ufficio di quest'ultima, presso il CBI. Avevano già aggiornato Overby, che una volta tanto si era trattenuto fino a tardi. Da TJ e da Carraneo non risultavano nuovi sviluppi. Erano le undici passate. Kathryn mise il computer in stand-by. «Okay, questo è tutto. Per stasera, basta.» «Sono d'accordo.» Mentre percorrevano il corridoio poco illuminato, Kellogg disse: «Stavo pensando... Sono davvero una famiglia». «Loro, al bungalow?» «Esatto. Tutte e tre. Non sono imparentate tra loro. Non hanno nemmeno una particolare simpatia reciproca. Ma sono proprio una famiglia.» Dal tono sembrava che stesse definendo la parola dal punto di vista della sua assenza. L'interazione delle tre donne, che Kathryn aveva osservato con sguardo clinico e trovato rivelatrice, a tratti persino divertente, aveva colpito anche Kellogg, in qualche modo. Lei non lo conosceva a sufficienza da capire perché o da chiedergliene spiegazioni. Notò che le sue spalle erano leggermente sollevate e che stava facendo schioccare due unghie della mano sinistra, segno di stress generale. «Vai a prendere i bambini?» chiese lui. «No, stasera restano dai nonni.» «Sono simpaticissimi, sul serio.» «Hai mai pensato ad avere figli?» «Non seriamente.» La voce di Kellogg sfumò. «Lavoravamo tutti e due. Io ero sempre in strada. Sai... Coppie di professionisti.» Negli interrogatori e nell'analisi cinesica, di solito il contenuto del discorso è secondario rispetto al tono, alla «qualità verbale» con cui le parole vengono dette. Kathryn aveva sentito molte persone affermare di non avere avuto figli e il tono con cui erano pronunciate le parole spiegava se questo fatto era per loro irrilevante, una scelta di comodità oppure un dolore persistente. Dalla frase di Kellogg si intuiva qualcosa di significativo. Kathryn osservò altri indicatori di stress, piccole esplosioni di linguaggio del corpo. Forse era un problema fisico da parte di sua moglie. O forse era stato oggetto di discussioni in seno alla coppia, magari la causa della loro separazione.
«Wes ha dei dubbi su di me», disse Kellogg. «Ah, è solo che è molto sensibile, quando vede la mamma in compagnia di altri uomini.» «Dovrà abituarsi, prima o poi, non credi?» «Oh, certo. Ma per il momento...» «Mi rendo conto», fece lui. «Anche se mi sembra a suo agio quando sei con Michael.» «Oh, ma è diverso. Michael è un amico. Ed è sposato. Non è una minaccia.» Si rese conto di quanto aveva appena detto e si affrettò ad aggiungere: «È solo che sei appena arrivato. Ancora non ti conosce». Dopo una lieve esitazione, Kellogg replicò: «Certo, capisco». Lei lo guardò per scoprire l'origine dell'esitazione, ma il volto dell'uomo non tradiva nulla. «Non prendere la reazione di Wes come un fatto personale.» Un'altra pausa. «Forse è un complimento.» Il suo volto rimase neutro anche dopo questa frase. Uscirono dal palazzo. L'aria era così pungente che in qualsiasi altra regione sarebbe stata un'avvisaglia dell'autunno. Le dita di Kathryn tremavano di freddo, ma era una sensazione piacevole. Come ghiaccio, pensò, su una ferita. La nebbia si condensava in pioggia. «Ti accompagno con la macchina fino alla tua.» Quella di Kellogg era dietro il palazzo. Salirono nell'auto di lei. Kathryn lo accompagnò alla macchina che lui aveva noleggiato. Nessuno dei due si mosse per un minuto. Lei mise in folle, poi chiuse gli occhi, si stiracchiò e appoggiò la testa allo schienale. Era gradevole. Risollevò le palpebre e lo vide voltarsi verso di lei, lasciando una mano sul cruscotto e appoggiando l'altra sulla spalla più vicina, una presa salda eppure, in qualche modo, ancora incerta. Stava aspettando un segnale. Lei non ne diede, ma lo guardò negli occhi e rimase in silenzio. L'uno e l'altro erano ugualmente segnali. Lui non esitò oltre: si protese in avanti e la baciò, puntando dritto alle sue labbra. Kathryn sentì sapore di menta. Kellogg doveva avere strategicamente mangiato un Tic Tac o qualcosa di simile mentre lei non guardava. Furbo, pensò, ridendo tra sé. Lei aveva fatto lo stesso con Brian quella sera sulla spiaggia, davanti a un pubblico di foche e lontre marine. Kellogg si ritrasse leggermente, in attesa della sua reazione, dando così a Kathryn il tempo di capire come gestire la situazione.
Prese una decisione e, la seconda volta, lo incontrò a metà strada, con la bocca aperta, ricambiando il bacio con ardore. Gli appoggiò le mani sulle spalle, che sentì muscolose come se le era immaginate. La barba di un giorno le raschiò le guance. Lui fece scivolare una mano dietro il collo di lei, attirandola a sé con più decisione. Kathryn si lasciò andare, sentendo il cuore che accelerava; attenta a non toccare la zona ferita, premette il naso e le labbra contro l'osso sotto l'orecchio di lui, il punto in cui appoggiava la faccia quando faceva l'amore con suo marito. Le piaceva la sensazione della pelle liscia, l'odore di sapone e dopobarba, il pulsare del sangue. Poi la mano di Kellogg si staccò dal suo collo e trovò il mento, costringendola a voltare di nuovo il viso verso di lui. Si baciarono ancora, intensamente partecipi, entrambi con il respiro accelerato. Le dita di lui le esplorarono le spalle, localizzarono la spallina di satin e, usandola come una mappa, cominciarono a scendere all'esterno dalla sua camicetta. Lentamente, pronte a cambiare rotta al minimo segno di riluttanza. Per tutta risposta, lei lo baciò con maggiore forza. Kathryn aveva il braccio appoggiato sul suo grembo e avvertì l'erezione che le solleticava il gomito. Lui cambiò posizione, forse per non sembrare troppo avido, troppo diretto, troppo adolescente. Ma Kathryn lo attirò a sé mentre chinava il capo, rivelando, sul piano cinesico, una posizione sottomessa. Una o due volte le vennero in mente immagini di suo marito, tuttavia le osservò a distanza. In quel momento era completamente sola con Winston Kellogg. Poi la mano di lui raggiunse il cerchietto metallico che segnava la transizione fra la spallina e la coppa bianca del Victoria's Secrets. E si fermò. La mano si ritrasse, nonostante nulla fosse cambiato sotto il gomito di Kathryn. I baci diminuirono di frequenza, come una giostra che rallenta quando si toglie la corrente. A lei sembrò la cosa più giusta. Erano arrivati alla vetta più alta raggiungibile date le circostanze, che comprendevano una caccia all'assassino, una conoscenza molto recente e le morti orribili che si erano appena verificate. «Credo...» sussurrò lui. «No, va bene.» «Io...» Sorrise e a piccoli baci lo fece tacere.
Lui tornò a sedersi, stringendole la mano. Kathryn si rannicchiò accanto a lui, sentendo il battito del proprio cuore che decelerava. Si trovava in un curioso equilibrio, la stasi perfetta tra riluttanza e sollievo. La pioggia cominciò a punteggiare il parabrezza. Kathryn notò che preferiva sempre fare l'amore nei giorni di pioggia. «Una cosa...» fece lui. Lei lo guardò. «Questo caso non andrà avanti per sempre.» Volesse il cielo... «Se tu fossi interessata a continuare, dopo, come ti sembra?» «'Dopo' è una bella parola. Proprio bella.» Mezz'ora più tardi, Kathryn parcheggiava davanti a casa sua. Seguì la routine abituale: un'ispezione di sicurezza, un bicchiere di pinot grigio, due fette di carne fredda avanzate dalla sera prima e una manciata di noccioline miste, per accompagnare la colonna sonora della segreteria telefonica. Poi bisognava dar da mangiare ai cani, portarli nel cortile sul retro e riporre la Glock. Quando i bambini non erano in casa non la teneva sottochiave, ma la metteva in ogni caso al solito posto: la forza dell'abitudine gliel'avrebbe fatta trovare automaticamente anche se si fosse svegliata da un sonno molto profondo. L'allarme era inserito. Aprì le finestre di pochi centimetri, per non fare scattare l'allarme ma lasciare entrare l'aria fresca e profumata. Una doccia, una T-shirt pulita e un paio di pantaloncini. Si buttò a letto, proteggendosi dalle follie del mondo sotto uno spesso piumone. Pensò: Dannazione, ragazza! Ti fai baciare in macchina, su un sedile a tre posti fatto giusto per sdraiarcisi con l'uomo del momento. Ricordò il sapore di menta, le mani di lui, il ciuffo di capelli, l'assenza di dopobarba. Risentì la voce di suo figlio e il suo sguardo di quel giorno. Guardingo, geloso. Le tornarono in mente i commenti di Linda. C'è qualcosa di terrificante nell'idea di essere scacciati dalla tua famiglia. Che era, in definitiva, la paura di Wes. Una preoccupazione irragionevole, naturalmente, ma questo non importava. Per lui era reale. Stavolta Kathryn sarebbe stata più attenta. Non avrebbe fatto incontrare Wes e Kellogg, non avrebbe pronunciato le parole «uscire insieme», gli avrebbe fatto capire che, come lui, anche la madre poteva avere amici e amiche. I figli
sono come indiziati durante un interrogatorio: non è astuto mentire, ma non occorre dire loro tutto quanto. Molto lavoro, molti inganni. Tempo e sforzo... Chissà, si disse mentre i pensieri vorticavano rapidi, forse sarebbe stato meglio dimenticarsi di Kellogg e aspettare uno o due anni prima di uscire con qualcuno. Per un tredicenne o un quattordicenne le cose non erano come per un dodicenne. A quell'età Wes sarebbe stato meno sensibile. Eppure Kathryn non voleva rinunciare a Winston. Non riusciva a scordare le tante sensazioni che gli avevano dato le sue mani, il suo sapore. Pensò alla sua tensione quando si parlava di figli, allo stress che manifestava. Si chiese se fosse perché era a disagio con i bambini e ora stava formando un legame con una donna che ne aveva già due. Come cavarsela in quel frangente? Poteva darsi che... Un momento, non correre troppo. Ti sei fatta baciare. Ti è piaciuto. Aspetta a organizzare il banchetto di nozze. Rimase distesa nel letto, ad ascoltare i rumori della natura, che in quel luogo non era mai troppo lontana: i versi gutturali degli animali marini e gli uccelli bizzosi, sopra il rumore di fondo delle onde. Talvolta Kathryn soffriva di attacchi di solitudine, un serpente che colpiva all'improvviso, ed era in momenti come quello, a letto, tardi, ad ascoltare la musica della notte, che lei era più vulnerabile. Come sarebbe stato bello sentire accanto la presenza di un amante, ascoltare l'adagio di un respiro sommesso, svegliarsi all'alba per il fruscio di qualcuno che si alza. Suoni altrimenti insignificanti che costituivano il rassicurante battito cardiaco di una vita insieme. Kathryn Dance supponeva che sentirne la mancanza fosse segno di debolezza e di dipendenza. Ma che cosa c'era di male? Mio Dio, guarda queste fragili creature. Dobbiamo proprio dipendere da qualcosa? E allora perché non soddisfare quella dipendenza con un uomo che sa farti ridere e offre una compagnia piacevole e un corpo che è bello abbracciare a tarda notte? Perché non tenere duro e sperare per il meglio? Ah, Bill... Ripensava al suo defunto marito, Bill... Ricordi lontani l'attiravano. Ma anche ricordi più recenti, con pari forza di gravità. Dopo. Come ti sembra? 39
In cortile, di nuovo. La sua Contea, la sua Narnia, il suo Hogwarts, il suo Giardino Segreto. Theresa Croyton Boiling, diciassette anni, era seduta a leggere sull'altalena di teak grigio Smith & Hawkins. Voltava lentamente le pagine del volumetto che teneva in mano. Era una giornata magnifica, l'aria odorava come il reparto profumeria della Macy's e le vicine colline di Napa erano quiete come sempre, coperte di erba e di trifogli, verdeggianti di vigneti, pini e cipressi nodosi. I pensieri lirici di Theresa erano ispirati dalla lettura: poesie di squisita fattura, scritte con passione, profonde... E assolutamente noiose. Sospirò forte, augurandosi che la zia la sentisse. Lasciò cadere in grembo il tascabile e tornò a guardare il cortile. Un luogo in cui aveva la sensazione di passare metà della sua vita: la «prigione verde», come la chiamava di tanto in tanto. Altre volte amava quel posto. Era bello, ideale per leggere ed esercitarsi con la chitarra (Theresa voleva fare la pediatra, o la scrittrice di viaggi o, nel migliore dei mondi possibili, diventare come Sharon Isbin, la famosa chitarrista classica). In quel momento era in cortile, anziché a scuola, a causa del viaggio imprevisto che gli zii dovevano fare. Oh, Tare, sarà divertente. Roger ha questo impegno a Manhattan, una conferenza, una ricerca, non so bene. Non ci ho fatto caso. Continuava a parlare... sai com'è fatto tuo zio. Ma non è bello partire così, come per un capriccio? Un'avventura? Ed era per questo che la zia era venuta a prenderla a scuola alle dieci di lunedì. Solo che non erano ancora partiti, il che era un po' strano. La zia le aveva spiegato che c'erano «problemi logici, sai com'è». Theresa era l'ottava tra i duecentocinquantasette studenti del suo corso alla Vallejo Springs High School. Aveva risposto: «Sì, lo so. Vuoi dire 'logistici'». Ma quello che la ragazza non riusciva a capire era: dal momento che non erano a bordo di un fottuto aereo per New York, perché lei non poteva andare a scuola fino a quando i «problemi» non fossero stati risolti? La zia aveva detto: «E poi questa settimana devi studiare. Allora studia». Che non voleva dire studiare. Voleva dire niente televisione. E voleva dire non uscire con Sunny o Travis o Kaitlin, né andare alla
grande serata di beneficenza pro-alfabetizzazione a Tiburon di cui la ditta dello zio era sponsor (Theresa aveva persino comprato un vestito nuovo per l'occasione). Naturalmente erano tutte palle. Non c'era nessun viaggio a New York. Non c'erano problemi logici o logistici o di altro genere. Era solo una scusa per tenerla nella prigione verde. E perché le bugie? Perché l'uomo che aveva ucciso i suoi genitori, suo fratello e sua sorella era evaso. Cosa che la zia si illudeva di poterle tenere nascosta. Figuriamoci. Le notizie erano la prima cosa che si vedeva sulla home page di Yahoo. E tutti quanti in California ne parlavano su MySpace e Facebook. (In qualche modo la zia aveva disabilitato il wireless router di casa, ma Theresa si era connessa alla rete non protetta di un vicino.) La ragazza si lasciò ondeggiare avanti e indietro, mentre si sfilava l'elastico dai capelli castano-rossicci e rifaceva la coda di cavallo. Era grata alla zia: si rendeva conto di quanto avesse fatto per lei in tutto quel tempo. Dopo i terribili giorni a Carmel di otto anni prima, si era presa cura della ragazza che tutti chiamavano «la bambola che dorme». Theresa era stata adottata, trasferita, ribattezzata (Theresa Boiling, poteva andare peggio) e fatta rimbalzare da un terapeuta all'altro, tutti gentili e comprensivi e pronti a studiare «percorsi di benessere psicologico esplorando l'elaborazione del lutto con particolare attenzione al valore del trasferimento delle figure dei genitori nell'ambito della cura» (era l'ottava del suo corso, dopotutto). Certe cure funzionavano, altre no. Ma a compiere la magia era stato il fattore più importante: il tempo. Theresa era diventata una persona diversa dalla «bambola che dorme», la superstite di una tragedia vissuta nell'infanzia. Era una studentessa, occasionalmente una fidanzata, un'assistente veterinaria, una discreta sprinter nei cinquanta e cento metri, una chitarrista che sapeva suonare The Entertainer di Scott Joplin senza far stridere le corde, passando da un accordo all'altro. Adesso, però, viveva una battuta d'arresto. L'assassino era scappato, vero, ma non era questo il problema. No, era che la zia controllava tutto. Era come riportare indietro l'orologio, rimandandola a sei, sette, oddio, otto anni prima. Theresa si sentiva come se stesse perdendo tutto quello che aveva conquistato, per tornare a essere la bambola che dorme. Tesoro, tesoro, svegliati, non avere paura. Sono una poliziotta, vedi il distintivo? Perché non prendi i tuoi vestiti e non vai in bagno a cambiarti? La zia era tesa, in preda al panico, paranoica. Era come quella serie della
HBO che Theresa guardava l'anno prima da Bradley. Su una prigione. Quando succedeva qualcosa di brutto, le guardie sigillavano il carcere. Theresa, la bambola che dorme, era in isolamento. Rinchiusa qui a Hogwarts, nella Terra di Mezzo, a Oz... La prigione verde. Questa è buona, pensò. Daniel Pell è fuori di prigione e io sono dentro. Riprese il libro di poesie, pensando al compito di letteratura inglese. Lesse altri due versi. Nooooia. Poi si accorse che un'auto passava di là dalla recinzione. Sembrava che rallentasse, come se il guidatore stesse guardando tra i cespugli. Dopo un momento di esitazione, l'auto proseguì. Theresa mise i piedi per terra e smise di dondolare. L'auto poteva essere di chiunque: vicini, un ragazzo che bigiava la scuola... Theresa non era preoccupata. Non troppo. Certo, grazie all'oscuramento mediatico della zia, non aveva idea se Pell fosse stato arrestato di nuovo o se l'ultima volta che lo avevano visto fosse diretto a Napa. Ma era assurdo. Grazie alla zia, lei era praticamente nel programma protezione testimoni. Come avrebbe potuto trovarla? In ogni caso, un'occhiata al computer l'avrebbe data, per sapere come andavano le cose. Sentì una lieve stretta allo stomaco. Si alzò in piedi e si diresse verso la casa. Okay, forse sto un po' esagerando. Si guardò indietro, verso l'apertura tra i cespugli in fondo alla proprietà. Nessuna macchina. Niente. Mentre si voltava verso la casa, si immobilizzò. L'uomo aveva scalato la recinzione alta un metro e ottanta ed era atterrato a sette metri da Theresa, tra lei e la casa. La guardava, ansante per lo sforzo, in ginocchio tra due folte azalee. Gli sanguinava una mano: si era tagliato sul filo spinato in cima alla recinzione. Era lui. Daniel Pell! Theresa emise un grido strozzato. Era arrivato fin lì. Voleva completare i delitti della famiglia Croyton. Con un sorriso, si alzò goffamente e si incamminò verso di lei. Theresa Croyton scoppiò a piangere. «Va tutto bene», sussurrò l'uomo, mentre si avvicinava. «Non ti faccio
niente. Shhh.» Theresa era in tensione. Si disse che doveva correre. Sbrigati! Ma le sue gambe non volevano muoversi, la paura la paralizzava. E poi, non poteva andare da nessuna parte. L'uomo era tra lei e la casa e non era possibile saltare la recinzione. Le restava solo la possibilità di correre in cortile, tuttavia lui avrebbe potuto placcarla e trascinarla tra i cespugli, dove... No, era troppo orribile. Scosse lentamente la testa, singhiozzando, avvertendo in bocca il sapore della paura. Sentiva le forze venirle meno. Cercò un'arma: niente, solo un mattone, un beccatoio per gli uccellini, Tutte le poesie di Emily Dickinson. Theresa tornò a guardare Pell. «Hai ucciso i miei genitori... Tu... non farmi del male!» L'uomo si accigliò. «No, mio Dio», disse sgranando gli occhi. «Oh, no, io voglio solo parlarti. Non sono Daniel Pell, te lo giuro.» Gettò qualcosa che atterrò a tre metri da lei. «Guardalo. Sul retro. Giralo.» Theresa scrutò verso la casa. L'unica volta che aveva bisogno della zia, lei chissà dov'era. «Guarda», disse l'uomo. La ragazza fece un passo avanti e l'uomo indietreggiò, lasciandole spazio. Lei si avvicinò e vide un libro. Uno sconosciuto nella notte, di Morton Nagle. «Sono io. Prendilo.» Theresa non voleva raccoglierlo. Lo rivoltò con un piede. Sul retro del volume c'era una fotografia: una versione più giovane dell'uomo che aveva di fronte. Era vero? D'un tratto Theresa si rese conto che aveva visto solo poche foto di Daniel Pell, scattate otto anni prima. Aveva letto di nascosto gli articoli su internet: la zia le aveva detto che avrebbe avuto una ricaduta psicologica se avesse letto qualcosa sugli omicidi. Ma, guardando la foto giovanile dell'autore, le era chiaro che questo non era l'uomo scarno e spaventoso che ricordava. Theresa si passò una mano sul viso, asciugandosi le lacrime. La rabbia esplose dentro di lei, come un palloncino che scoppia. «Che cosa ci fa qui? Mi ha spaventato a morte, cazzo!» L'uomo si tirò su la cintura, come se intendesse incamminarsi di nuovo
verso di lei. Poi però decise di no. «Non c'era altro modo per parlarti. Ho visto tua zia ieri, mentre andava a fare la spesa. Volevo che ti chiedesse...» Theresa guardò la recinzione. Nagle disse: «La polizia sta arrivando, lo so, ho visto l'allarme sulla recinzione. Saranno qui fra tre o quattro minuti e mi arresteranno. Pazienza. Comunque devo dirti una cosa... l'uomo che ha ucciso i tuoi è scappato di prigione». «Lo so.» «Lo sai? Tua zia...» «Mi lasci in pace!» «Una poliziotta a Monterey sta cercando di prenderlo, ma le serve aiuto. Tua zia non te ne vuole parlare, e se tu avessi undici o dodici anni non te lo chiederei mai. Ma sei grande abbastanza per decidere da sola. Lei ti vuole parlare.» Theresa batté le palpebre. «Una poliziotta?» «Per favore, chiamala. È a Monterey. Puoi... Oddio!» Lo sparo alle spalle di Theresa fu assordante, molto più forte che nei film. Fece tremare le finestre e scappare gli uccellini verso il cielo terso. La ragazza si rannicchiò a terra, in ginocchio, guardando Morton Nagle che agitava le braccia in aria prima di stramazzare sull'erba umida. Con gli occhi spalancati dal terrore, la ragazza guardò verso il portico sul retro della casa. Strano. Non sapeva nemmeno che sua zia avesse un fucile. Tantomeno che lo sapesse usare. L'attenta perlustrazione del vicinato di James Reynolds effettuata da TJ Scanlon non aveva portato a nessun indizio utile. «Niente macchine, niente di niente.» Stava telefonando da una strada non lontano dalla casa del procuratore. Kathryn, nel suo ufficio, si stiracchiò. I piedi scalzi giocherellarono con un paio di scarpe delle tre che teneva sotto la scrivania. Voleva a tutti i costi una descrizione della nuova macchina di Pell, se non il numero di targa. Reynolds aveva saputo dire solo che era una berlina nera, e l'agente colpito con la vanga non ricordava nemmeno di averla vista. La squadra della scientifica dell'MCSO non aveva trovato neppure una traccia che potesse suggerire dove Pell fosse diretto. Dopo avere ringraziato e salutato TJ, Kathryn raggiunse O'Neil e Kellogg nella sala riunioni del CBI, dove Overby avrebbe chiesto loro qualco-
sa da dare in pasto ai giornalisti nella prossima conferenza stampa e che cosa raccontare a Amy Grabe dell'FBI e al capo del CBI a Sacramento, cui forniva un aggiornamento quotidiano della situazione. Entrambi erano molto preoccupati perché Daniel Pell era ancora a piede libero. Purtroppo, quella mattina, la riunione con Overby avrebbe riguardato soprattutto i funerali di Juan Millar. Gli occhi di Kathryn incrociarono quelli di Kellogg, ma entrambi distolsero lo sguardo. Non avevano ancora avuto modo di commentare quello che era successo in macchina la sera prima. Anche se, dopo questo pensiero, lei si domandò che cosa ci fosse da commentare. Dopo. Come ti sembra? Fu in quel momento che Rey Carraneo si affacciò con la sua testa perfettamente tonda nella sala riunioni e disse ansante: «Agente Dance, scusi se la interrompo». «Cosa c'è, Ray?» «Credo...» La voce gli venne meno. Aveva corso e gocce di sudore gli colavano sul viso scuro. «Cosa c'è? Qual è il problema?» «C'è che l'ho trovato, agente Dance.» «Chi?» «Pell.» 40 Il giovane agente spiegò che aveva chiamato il Sea View, un lussuoso motel di Pacific Grove, giusto a pochi chilometri da dove viveva Kathryn, scoprendo che una donna vi si era registrata sabato: sui venticinque anni, attraente, bionda, di corporatura snella. Martedì sera il portiere l'aveva vista andare in camera con un latino. «È la macchina che taglia la testa al toro», disse Carraneo. «Alla reception ha detto che era una Mazda e ha dato un numero di targa falso, ho controllato. Ma il direttore è sicuro di avere visto una T-bird turchese per uno o due giorni. Adesso non c'è più.» «Sono al motel, in questo momento?» «Lui crede di sì. La tenda è tirata, ma ha visto la luce accesa e movimenti all'interno.» «Come si chiama?» «Carrie Madison. Niente carta di credito, ha pagato in contanti e ha mo-
strato un tesserino militare consumato in un portadocumenti di plastica. Potrebbe essere falso.» Kathryn si appoggiò al bordo del tavolo, fissando la cartina. «Quanta gente c'è al motel?» «È pieno.» Lei aggrottò la fronte. Troppi innocenti intorno. Kellogg disse: «Facciamo un piano d'attacco». Poi, a Michael: «Le squadre tattiche sono allertate?» O'Neil stava guardando il volto preoccupato di Kathryn. Kellogg dovette ripetere la domanda. «Possiamo averle sul posto in venti minuti», rispose il detective. Sembrava riluttante. Anche lei lo era. «Non sono sicura.» «Di cosa?» chiese l'uomo dell'FBI. «Sappiamo che è armato e non esita a colpire i civili. E conosco il motel. Le stanze danno su un parcheggio e un cortile. Non c'è praticamente copertura. Se cerchiamo di evacuare le stanze accanto e di fronte, ci scoprirà. Se non le evacuiamo, qualcuno resterà ferito: quelle pareti non fermerebbero un calibro 22.» «Che cosa proponi?» domandò Kellogg. «Sorveglianza. Mettere una squadra a circondare il motel e a controllarlo non-stop. Quando esce, lo prendiamo in strada.» O'Neil assentì. «Voto anch'io per questo.» «Voti per cosa?» volle sapere Charles Overby, entrando nella sala. Kathryn gli spiegò la situazione. «Lo abbiamo trovato? Benissimo!» Si rivolse a Kellogg. «Squadre tattiche FBI?» «Non arriverebbero in tempo. Dovremo usare la SWAT della contea.» «Michael, li hai chiamati?» «Non ancora. Kathryn e io non siamo d'accordo sul fare irruzione.» «Che cosa?» fece Overby, seccato. Kathryn gli espose i rischi. Il capo del CBI comprese, ma scosse il capo. «Lo abbiamo in pugno.» Anche Kellogg insisteva. «Non credo che possiamo permetterci di aspettare. Ci è già sfuggito due volte.» «Se si accorge che stiamo arrivando... e per farlo gli basta guardare fuori dalla finestra, si barricherà. Se c'è una porta comunicante con la stanza accanto...» «C'è», disse Carraneo. «Ho chiesto.»
Kathryn fece un cenno di assenso: apprezzava lo zelo. Continuò: «Potrebbe prendere degli ostaggi. Dovremmo mettere una squadra sul tetto dall'altro lato e qualcuno con le uniformi del personale, poi sederci e aspettare. Quando se ne va, lo talloniamo. Appena è a un incrocio deserto, lo blocchiamo e lo circondiamo. Si arrenderà.» O resterà ucciso nello scontro a fuoco. In un modo o nell'altro... «Potrebbe sfuggirci», ribatté Kellogg. «Lo sorprendiamo nel motel, ci muoviamo in fretta e lui cede.» Il nostro primo battibecco, pensò Kathryn, con ironia. «E lo riportiamo a Capitola? Non credo proprio. Combatterà. Con le unghie e con i denti. Dopo quanto mi hanno detto le tre donne, non ho dubbi. Non sopporta di essere controllato a confinato.» Michael O'Neil intervenne: «Lo conosco anch'io il motel. Gli sarebbe facile barricarsi. E non credo che Pell sia il tipo con cui si possa trattare». Kathryn era in una situazione strana. L'istinto le diceva che un'azione rapida sarebbe stata un errore, ma con Daniel Pell era stanca di seguire le proprie intuizioni. «Vediamo un po'», disse Overby. «Se ci ritroviamo sul serio con Pell barricato, potrebbero servirci a qualcosa le donne della Famiglia? Sarebbero disposte a parlare con lui e a convincerlo a uscire?» Kathryn fu inamovibile. «Perché dovrebbe ascoltarle? Non avevano presa su di lui otto anni fa. Di sicuro non ce l'hanno adesso.» «Tuttavia sono quanto di più simile a una famiglia Pell abbia mai avuto.» Overby si diresse al telefono. «Io le chiamo.» L'ultima cosa che Kathryn voleva era che Overby le spaventasse. «No, le chiamo io.» Telefonò al Point Lobos Inn e parlò con Samantha, spiegandole la situazione. Lei supplicò Kathryn di non coinvolgerla: c'era il grosso rischio che il suo nome finisse sui giornali. Rebecca e Linda, invece, si dissero disposte a fare il possibile, nel caso Pell avesse preso ostaggi. Kathryn depose il ricevitore e riferì tutto ai presenti. «Bene», approvò Overby. «Ora abbiamo un piano di emergenza. Ottimo.» Kathryn non era convinta che Pell si sarebbe consegnato se gli avessero chiesto gentilmente di arrendersi. Nemmeno, o forse specialmente, se a farlo erano due ex membri della sua cosiddetta Famiglia. «Io sono ancora per sorvegliarlo. Prima o poi dovrà uscire.» «Sono d'accordo», dichiarò O'Neil.
Kellogg guardava distratto una cartina appesa al muro. Si rivolse a Kathryn. «Se sei così contraria, okay. A te la scelta. Ma ricorda quello che ho detto sul profilo delle sette. Quando è in strada, Pell è guardingo, si aspetta sempre qualche brutta sorpresa ed è pronto a reagire. Nel motel invece si lascerà cogliere di sorpresa. Si sente al sicuro nel suo castello. Come tutti i leader delle sette.» «A Waco non è andata tanto bene», gli fece notare O'Neil. «A Waco c'era una situazione di stallo. Koresh e i suoi sapevano che fuori c'era l'FBI. Pell non immagina che stiamo arrivando.» Ha ragione, rifletté Kathryn. «Questo è il campo di Winston», le rammentò Overby. «È il motivo per cui è qui. Io sono convinto che dovremmo intervenire subito.» Forse il suo capo era davvero convinto. D'altra parte non poteva contraddire l'esperto che lui stesso aveva chiamato. Far ricadere la colpa... L'agente guardò la cartina di Monterey. «Kathryn?» la sollecitò Overby. Lei era combattuta. «Okay. Interveniamo.» O'Neil si irrigidì. «Possiamo aspettare un momento?» Kathryn esitò di nuovo. Guardò Kellogg, che esaminava a sua volta la cartina, fiducioso. «No», disse questi. «Dobbiamo agire subito.» «Bene», fece Overby. «L'intervento diretto è la cosa migliore. Assolutamente.» Intervento diretto, pensò Kathryn, con amarezza. Una buona definizione per la conferenza stampa. Si augurò che l'annuncio ai media riguardasse la cattura di Daniel Pell, senza ulteriori perdite tra i civili. «Michael», chiese il capo del CBI, «vuoi contattare le squadre?» O'Neil era titubante. Ma poi chiamò l'ufficio dell'MCSO e chiese che gli passassero il comandante della SWAT. Sdraiato a letto nella luce del mattino, Daniel Pell stava pensando che ora avrebbero dovuto essere particolarmente cauti. La polizia ormai sapeva che aspetto aveva con il suo travestimento da latino. Poteva anche cambiare un'altra volta il colore dei capelli, ma era una mossa prevedibile. Tuttavia non se ne poteva andare. Aveva ancora una missione da compiere sulla penisola, quella più importante, la vera ragione per cui non se n'era andato. Preparò il caffè, e quando tornò a letto portando le due tazze trovò
Jennie che lo guardava. Come la notte prima, la sua espressione era diversa. Sembrava più matura di quando si erano incontrati. «Cosa c'è, amore?» disse lui. «Posso chiederti una cosa?» «Sicuro.» «Non vuoi venire con me a casa mia, ad Anaheim, vero?» Quelle parole lo colpirono profondamente. Esitò, incerto su come rispondere. «Perché lo pensi?» «Me lo sento.» Pell appoggiò il caffè sul comodino. Voleva mentire: gli veniva spontaneo. E forse sarebbe riuscito a convincerla. Invece disse: «Ho altri piani per noi, amore. Non te l'ho ancora detto». «Lo so.» «Lo sai?» Pell era stupito. «L'ho sempre saputo. Non proprio saputo, era una sensazione.» «Quando avremo finito qui, andremo da un'altra parte.» «Dove?» «Ho un posto. Lontano da tutto quanto. Non c'è nessuno intorno. È bello, meraviglioso. Nessuno ci disturberà. È su una montagna. Ti piacciono le montagne?» «Credo di sì.» Bene. Perché Daniel Pell ne possedeva una. La zia di Bakersfield, per quanto lo riguardava, era l'unica brava persona in famiglia. Zia Barbara pensava che il fratello, il padre di Pell, fosse pazzo: un prete mancato, fumatore incallito, ossessionato dal fare esattamente ciò che la Bibbia gli diceva, terrorizzato da Dio, impossibilitato a prendere decisioni da solo nel timore di offenderLo. Perciò la donna faceva del suo meglio per distrarre i ragazzi. Richard non voleva averci a che fare, ma Daniel passava molto tempo con lei. Zia Barbara non lo imprigionava, non gli dava ordini in continuazione. Lo lasciava andare e venire come gli pareva, spendeva soldi per lui, gli chiedeva che cosa stava facendo, lo portava in giro. Pell ricordava le gite in macchina sulle colline, i picnic, lo zoo, il cinema... dove sedeva immerso nell'odore dei popcorn e nel forte profumo della zia, ipnotizzato dalle infallibili certezze hollywoodiane dello schermo, dove i cattivi erano cattivi e i buoni erano buoni. Era stato il suo rapporto con lei a indurlo a creare la Famiglia. La zia gli aveva rivelato le proprie opinioni, tra cui la convinzione che nel Paese presto o tardi si sarebbe scatenata una guerra razziale: aveva
previsto alla fine del millennio, anche se su questo si era sbagliata. Aveva comprato duecento acri nella California settentrionale, la cima di una montagna vicino a Shasta. Daniel Pell non era mai stato razzista, e non era nemmeno stupido. Quando lei farneticava della Grande Guerra tra Bianchi e Neri, si mostrava d'accordo con lei al cento per cento. Nel suo testamento, zia Barbara lasciava la terra al nipote, perché lui e altre brave persone benpensanti (definite «caucasiche») potessero rifugiarvisi quando fossero cominciati i combattimenti. Da ragazzo Pell non aveva ragionato molto su quella proprietà. Ma poi ci era andato, facendo l'autostop, e si era reso conto all'istante che quello era il posto per lui. Adorava il panorama, l'aria e, più di ogni altra cosa, la privacy. Sarebbe stato irraggiungibile, tanto per la polizia quanto per qualsiasi visitatore indesiderato. C'erano persino grandi grotte e, con la bolla che si espandeva dentro di sé, fantasticava spesso su cosa vi sarebbe potuto accadere. Da solo, aveva sistemato un po' di cose e costruito una casetta. Sapeva che un giorno quello sarebbe divenuto il suo regno, la destinazione finale in cui il Pifferaio Magico avrebbe condotto i bambini per dare inizio alla nuova Famiglia. Tuttavia Pell voleva essere sicuro che, dati i suoi precedenti e la sua propensione al crimine, la proprietà restasse nascosta, più alle forze dell'ordine che a ipotetiche minoranze etniche in rivolta. Aveva comprato libri sulla sopravvivenza, pubblicati da estremisti di destra, che insegnavano come occultare proprietà allo Stato. Il che era sorprendentemente facile, a patto che le tasse fossero pagate con regolarità: bastava un fondo o un conto da qualche parte. La disposizione si «autorinnovava», un termine che Daniel Pell adorava. Non dipendeva da nessuno. La cima della montagna di Pell. Solo un piccolo dettaglio aveva interferito con il piano. Dopo che lui e quella ragazza, Alison, si erano conosciuti a San Francisco, si era imbattuto in un funzionario della contea, Charles Pickering. Questi era venuto a conoscenza della spedizione di materiali alla proprietà. Voleva dire che stava costruendo qualcosa? Ciò avrebbe significato un aumento del valore catastale, il che di per sé non sarebbe stato un problema: bastava che Pell aggiungesse soldi al fondo. Ma era accaduta la peggiore di tutte le coincidenze. La famiglia di Pickering abitava a Marin County e aveva riconosciuto Pell da un articolo su un giornale locale, quando era stato arrestato per furto con scasso. «Ehi, io ti conosco», aveva detto Pickering.
E quelle erano state le sue ultime parole. Pell aveva sfoderato il coltello e il funzionario era morto trenta secondi dopo essere stramazzato a terra in una pozza di sangue. Niente poteva mettere in pericolo il suo rifugio. In quell'occasione Pell se l'era cavata, anche se la polizia lo aveva trattenuto per qualche tempo. Quanto bastava perché Alison decidesse che tra loro era finita e partisse verso il sud. Lui la cercava da allora: lei doveva morire, era chiaro, dal momento che sapeva dove si trovava la sua proprietà. Quel luogo era ciò che gli permetteva di andare avanti, dopo quanto aveva passato al Q e a Capitola. Lo sognava incessantemente. Era ciò che lo aveva indotto a studiare legge per difendersi al processo d'appello per i delitti Croyton. Era convinto che sarebbe stato scagionato e rilasciato con tante scuse. Ma l'anno precedente l'appello era stato respinto. E lui aveva dovuto cominciare a pensare all'evasione. Adesso era libero e, una volta concluso ciò che doveva fare a Monterey, sarebbe corso verso la sua montagna il più presto possibile. Quando quell'idiota della prigione lo aveva lasciato entrare nell'ufficio, domenica, Pell era riuscito a dare un'occhiata al posto attraverso il sito Visual Earth. Non conosceva con esattezza le coordinate della proprietà, però ci si era avvicinato a sufficienza. Ed era stata un'emozione constatare che il luogo era più deserto che mai: non c'erano costruzioni nel raggio di chilometri. E le grotte erano invisibili all'occhio indiscreto del satellite. Seduto sul letto del Sea View Motel, raccontò a Jennie di quel posto... in termini generali, ovvio. Era contro la sua natura rivelare troppo. Non le disse, per esempio, che lei non sarebbe stata l'unica a viverci. E naturalmente non poteva spiegarle la sua visione di come sarebbe stata la vita sulla montagna. Pell si rendeva conto degli errori che aveva commesso a Seaside dieci anni prima. Era stato troppo indulgente, troppo restio a fare ricorso alla violenza. Questa volta, qualsiasi minaccia sarebbe stata eliminata. Ma Jennie si mostrò contenta, persino emozionata da ciò che lui le raccontava. «Dico sul serio. Verrò dove tu andrai, tesorino...» Gli tolse di mano la tazza del caffè, la depose sul comodino e si sdraiò. «Fai l'amore con me, Daniel, ti prego.» «Fai l'amore», non «scopami». Era il segno che la studentessa aveva passato un nuovo esame. Fu que-
sto, più che il corpo di Jennie, a far espandere la bolla dentro di lui. Le lisciò una ciocca di capelli sulla fronte e la baciò. Le sue mani cominciarono a esplorarla, un'esperienza familiare eppure sempre nuova. Che fu interrotta da uno scampanellio stridente. Con un'espressione infastidita, Pell prese il telefono, ascoltò quanto gli veniva detto, poi appoggiò una mano sul ricevitore. «È la cameriera. Ha visto il cartellino 'Non disturbare' sulla porta e chiede quando può rifare la stanza.» Jennie fece un sorriso malizioso. «Dille che ci serve almeno un'ora.» «Facciamo due. Per essere sicuri.» 41 L'adunata era al primo incrocio oltre l'angolo del Sea View Motel. Kathryn non era ancora convinta che fosse saggio avventurarsi in un'operazione tattica, ma, una volta presa la decisione, entravano automaticamente in gioco certe regole. Una delle quali era che le toccava solo il ruolo di spettatrice. Quello non era il suo campo, e non poteva esserle concessa altra funzione. Albert Stemple e TJ avrebbero rappresentato il CBI nelle squadre di intervento, costituite essenzialmente da agenti delle SWAT di Monterey County e della California Highway Patrol: otto uomini e due donne, raccolti a bordo di un furgone anonimo, equipaggiato con armi e munizioni sufficienti a sedare una piccola rivolta. Pell era nella stanza prenotata dalla donna. Le luci erano spente, ma un agente di sorveglianza aveva inserito un microfono nella parete sul retro e riferito che all'interno si sentivano rumori. Non ne era certo, però gli sembrava che i due stessero facendo sesso. Buone notizie, pensò Kathryn. Un sospetto nudo è più vulnerabile. Aveva parlato al telefono con il direttore del motel, chiedendo notizie delle camere adiacenti a quella di Pell. Quella a sinistra era vuota: gli ospiti erano usciti con l'attrezzatura da pesca, il che lasciava supporre che non sarebbero tornati troppo presto. Purtroppo la camera a destra era occupata da una famiglia, tuttora all'interno. La reazione iniziale di Kathryn sarebbe stata di chiamare gli ospiti della camera accanto e dire loro di sdraiarsi sul pavimento, sul retro. Ma, naturalmente, era l'ultima cosa da fare in quel frangente. I genitori avrebbero spalancato la porta e sarebbero scappati, trascinando fuori i bambini. E Pell, che aveva l'istinto di un gatto, avrebbe capito subito che cosa stava
succedendo. Kathryn poteva immaginare facilmente le reazioni degli ospiti delle stanze accanto e del personale del motel. E pensò: Ferma l'operazione. Fai come ti dice l'istinto. Ne hai l'autorità. A Overby non sarebbe piaciuto e ne sarebbe venuta fuori una battaglia, ma O'Neil e l'MCSO le avrebbero dato manforte. Poteva farcela. D'altra parte, non era il caso di affidarsi all'istinto in quel momento. Lei non conosceva i soggetti come Pell: in quella situazione, l'esperto era Winston Kellogg. L'uomo dell'FBI arrivò proprio in quel momento. Si avvicinò agli uomini delle squadre tattiche, stringendo mani e presentandosi. Si era cambiato un'altra volta e il suo nuovo look era tutt'altro che da country club: jeans neri, camicia nera e uno spesso giubbotto antiproiettile. La benda sul collo era in piena vista. Kathryn risentì le parole di TJ. È uno che va dritto al bersaglio, ma non gli dispiace sporcarsi le mani. Vestito in quel modo, con quello sguardo acuto, Kellogg le faceva venire in mente ancora di più il defunto marito. Bill passava la maggior parte del suo tempo svolgendo indagini di routine; di tanto in tanto, però, si preparava anche lui per le operazioni tattiche: una o due volte lo aveva visto vestito allo stesso modo, mentre imbracciava con sicurezza una complicata mitragliatrice. In quel momento Kellogg mise un colpo nella canna della sua pistola automatica argentata. «Quella sì che è un'arma di distruzione di massa», commentò TJ. «Schweizerische Industrie Gesellschaft.» «Come?» fece lei, in tono impaziente. «In sigla, S-I-G. Come in SIG-Sauer. È la nuova P220 45.» «Calibro 45?» «Già. A quanto pare i federali hanno adottato una nuova filosofia: 'Fare in modo che una volta steso non si rialzi'. Non posso dire di essere contrario.» Kathryn e i suoi colleghi del CBI avevano solo le Glock 9mm, preoccupati che un calibro superiore potesse aumentare il rischio di danni collaterali. Kellogg indossò una giacca a vento con le insegne dell'FBI e raggiunse Kathryn e O'Neil, che per la circostanza portava l'uniforme kaki da vicesceriffo e, a sua volta, il giubbotto antiproiettile. Lei li informò entrambi
della situazione nelle stanze vicine a quella del bersaglio. L'uomo dell'FBI disse che, al momento dell'irruzione, avrebbe mandato qualcuno nella stanza accanto per mettere al riparo la famiglia. Non era molto, comunque meglio di niente. Rey Carraneo chiamò via radio: era in posizione in fondo al parcheggio, nascosto dietro un cassonetto, da dove poteva controllare tutto passando inosservato. Non si vedeva nessuno, al momento, anche se c'erano diverse macchine ferme e il personale del motel, come da istruzioni di Kellogg, continuava a lavorare come se niente fosse. All'ultimo istante, alcuni poliziotti avrebbero provveduto a portare al sicuro i dipendenti. Cinque minuti dopo tutti gli agenti, raccolti in un cortiletto vicino alla direzione del motel, avevano indossato i corpetti antiproiettile e controllato le armi. Guardarono O'Neil e Kathryn in attesa di ordini, ma fu Kellogg a parlare per primo. «Voglio un'entrata in successione: una squadra dalla porta, la seconda di rincalzo subito dopo.» Mostrò loro uno schizzo della stanza abbozzato dal direttore. «La prima squadra qui, verso il letto. La seconda, armadi e bagno. Mi serve qualche flash-bang.» Si riferiva alle granate stordenti, che avevano l'effetto di accecare e confondere i sospetti senza provocare seri danni. Uno degli uomini dell'MCSO gliene passò alcune. Kellogg se le mise in tasca. «Io vado di punta con la prima squadra.» Kathryn avrebbe preferito di no. Nelle SWAT dello Sheriff's Office c'erano uomini più giovani, per la maggior parte ex militari con esperienza di combattimento. «Avrà con sé la donna», continuò l'agente dell'FBI. «Potrebbe farla sembrare un ostaggio, ma va considerata pericolosa quanto lui. Non dimenticate che è stata lei a far saltare in aria il tribunale e a uccidere Juan Millar.» Gli agenti risposero con un cenno di assenso. «Gireremo intorno alla costruzione e passeremo veloci davanti alla facciata. Chi passa sotto le sue finestre, stia pancia a terra. Non accovacciato. Tenetevi aderenti alla parete. Date per scontato che lui sia alla finestra e guardi fuori. Voglio uomini con giubbotti antiproiettile pronti a portare il personale al riparo dietro le auto. Poi entriamo. Non escludete che dentro siano più di due.» Quelle parole ricordarono a Kathryn la conversazione con Rebecca Sheffield. Strutturare la soluzione.
Kellogg si rivolse a lei. «Sei d'accordo?» Non era questa la vera domanda. Più esattamente, le stava chiedendo: Ho autorità, qui? Le stava usando la cortesia di dare il via all'operazione. «D'accordo. Procedete.» Kathryn stava per dire qualcosa a O'Neil, ma non riuscì a convertire i pensieri in parole precise. E, del resto, non era nemmeno sicura di quello che stava pensando. Il vicesceriffo non guardò tuttavia verso di lei. Sfoderò la Glock e si unì alle squadre di rinforzo, assieme a TJ e Stemple. «Prendiamo posizione», ordinò Kellogg agli uomini della squadra tattica. Kathryn raggiunse Carraneo dietro il cassonetto e indossò la cuffia con auricolari e microfono a stelo. Qualche minuto dopo una scarica elettrostatica precedette la comunicazione di Kellogg. «Al mio cinque ci muoviamo. In sequenza arrivarono le risposte dai leader delle varie squadre. «Andiamo: uno, due...» Kathryn si asciugò la palma della mano sui pantaloni prima di stringerla intorno al calcio della pistola. «... tre, quattro, cinque, via!» Il gruppo di uomini e donne spuntò dall'angolo. Gli occhi di Kathryn corsero da Kellogg a O'Neil. Ti prego, pensò, basta morti. Avevano preparato bene il piano? Avevano individuato gli schemi ricorrenti? Kellogg arrivò per primo alla porta e fece un cenno al robusto agente dell'MCSO che portava l'ariete. Il pesante tubo fracassò la porta. L'uomo dell'FBI lanciò una granata all'interno. Due poliziotti irruppero nella stanza adiacente, altri ancora sospinsero le cameriere dietro le auto nel parcheggio. Quando le flash-bang esplosero con un lampo abbagliante, Kellogg e O'Neil si gettarono dentro. Poi: silenzio. Nessuno sparo, nessun urlo. Dopo di che si udì la voce di Kellogg coperta da una scarica elettrostatica. La frase finiva con: «... lui». «Ripeti», lo incalzò Kathryn. «Ripeti. Lo avete preso?» Un'altra scarica. «Negativo. È sparito.»
Il suo Daniel era brillante, il suo Daniel sapeva ogni cosa. In macchina, mentre si allontanavano dal motel, veloci ma senza superare i limiti, Jennie Marston si voltò indietro. Non si vedevano ancora autopattuglie, niente luci né sirene. Il canto degli angeli, recitò fra sé. Il canto degli angeli ci protegga. Il suo Daniel era un genio. Venti minuti prima, quando stavano cominciando a fare l'amore, lui si era irrigidito e si era seduto sul letto. «Cosa c'è, tesoro?» gli aveva chiesto lei, allarmata. «Le cameriere. Hanno mai chiamato per rifare la camera?» «Non mi pare.» «E allora perché stavolta sì? È anche presto. Semmai più tardi. Qualcuno voleva vedere se eravamo in camera. La polizia! Vestiti subito.» «Vuoi che...» «Vestiti!» Jennie era balzata fuori dal letto. «Prendi tutto quello che puoi. Ricordati il computer e non lasciare in giro niente di personale.» Pell aveva gettato abiti e altri oggetti in una borsa. Aveva guardato fuori, poi era andato alla porta di comunicazione con la stanza accanto, pistola alla mano, e l'aveva aperta con un calcio, spaventando i due occupanti. Sulle prime i giovanotti avevano pensato che lui volesse ucciderli, ma Pell aveva ordinato loro di alzarsi in piedi e voltarsi. Quindi li aveva legati con il filo da pesca e li aveva imbavagliati con asciugamani fissati da nastro adesivo. Aveva preso i loro portafogli e li aveva esaminati. «Conosco i vostri nomi e indirizzi. State qui in silenzio. Se parlate con qualcuno, le vostre famiglie sono morte. Okay?» I due avevano fatto cenno di sì con la testa. Pell aveva bloccato la porta di comunicazione con una sedia, aveva svuotato a terra il frigorifero portatile e le borse dei due pescatori, infilandoci dentro i bagagli suoi e di Jennie. Non restava che indossare le cerate gialle e i berretti da baseball degli ostaggi e uscire con l'equipaggiamento, completo di canne da pesca. «Non guardarti intorno. Vai dritta alla nostra macchina. Senza fretta.» Avevano attraversato il parcheggio. Pell aveva caricato i bagagli, impiegandoci qualche minuto, come se tutto fosse normale. Jennie, tesissima, avrebbe voluto scoppiare in lacrime. Però era anche molto eccitata, doveva ammetterlo. Era uno sballo totale. Non si era mai sentita così viva come nel momento in cui erano partiti dal
motel. Ripensava al suo ex marito, ai suoi fidanzati, a sua madre... Con nessuno di loro aveva mai vissuto un'esperienza del genere. Avevano incrociato quattro auto della polizia che si dirigevano a tutta velocità verso il motel. Senza sirene. Il canto degli angeli... Le sue preghiere erano state ascoltate. Ormai erano a parecchi chilometri dal motel e nessuno li stava inseguendo. Daniel si abbandonò a una risata e a un lungo sospiro. «Che ne dici, amore?» «Ce l'abbiamo fatta, tesorino!» Jennie lanciò un grido di gioia e scosse la testa come se fosse a un concerto rock. Poi, giocosa, gli diede un bacio sul collo, mordicchiandolo. Poco dopo entrarono nel parcheggio del Butterfly Inn, un motel da squattrinati sulla Lighthouse, la strada commerciale di Monterey. «Vai a chiedere una camera», disse Daniel. «Fra non molto qui avremo finito, ma potrebbe volerci fino a domani. Tu prendila per una settimana, così darai meno nell'occhio. Meglio sul retro, anche stavolta. Magari quel cottage. Di' alla receptionist che hai lasciato la carta d'identità in valigia e gliela porti dopo.» Jennie si registrò e tornò alla macchina. Pell portò dentro il frigorifero e gli altri bagagli. Poi si sdraiò sul letto, con le braccia intrecciate dietro il collo. Lei si accovacciò accanto a lui. «Ci dovremo nascondere. C'è una drogheria più indietro. Vai a prendere da mangiare, ti spiace, amore?» «E altra tintura per capelli?» Lui sorrise. «Buona idea.» «Posso farmi rossa?» «Anche verde, se vuoi. Ti amo lo stesso.» Dio, è l'uomo perfetto... Sentì il vocio della TV mentre usciva dalla stanza, rimettendosi il berretto in testa. Pochi giorni prima non avrebbe mai immaginato di non avere reazioni né scrupoli al pensiero di Daniel che faceva del male alla gente, di dire addio alla sua casa di Anaheim, di non vedere più i colibrì e i passeri nel suo cortile. Ora le sembrava perfettamente naturale. Anzi, le pareva meraviglioso. Qualsiasi cosa per te, Daniel. Qualsiasi cosa.
42 «E come faceva a sapere che voi eravate lì?» chiese Overby, in piedi nell'ufficio di Kathryn. Era sulle spine. Non solo aveva fatto in modo che fosse il CBI a condurre la caccia all'uomo, ma si era ufficialmente dichiarato a favore della fallimentare operazione tattica al motel. Che fosse nervoso non lo si capiva solo dal linguaggio del corpo, ma anche dal contenuto verbale: aveva detto «voi», laddove lei oppure O'Neil avrebbero detto «noi». Far ricadere la colpa... «Deve avere avvertito qualcosa di insolito al motel. Può darsi che il personale si stesse comportando in modo strano», rispose Kellogg. «Come in quel ristorante a Moss Landing. Ha l'istinto di un gatto.» Le stesse parole che aveva pensato Kathryn. «Michael, ma i tuoi uomini non hanno detto di averlo sentito in camera?» «Un porno», disse Kathryn. Il detective spiegò: «Aveva sintonizzato il televisore su un porno pay per view. È questo che ha sentito la sorveglianza». Il bilancio era sconcertante, per non dire imbarazzante. Si era scoperto che il direttore, senza saperlo, aveva visto Pell e la donna che se ne andavano, prendendo il posto dei due pescatori della stanza accanto, due giovani venuti in cerca di calamari e salmoni a Monterey Bay che erano stati ritrovati legati e imbavagliati. I due erano riluttanti a parlare, ma Kathryn era riuscita a cavargli di bocca che Pell sapeva dove abitavano e aveva minacciato di uccidere le loro famiglie se avessero chiamato aiuto. Schemi... maledetti schemi. Winston Kellogg era furente, ma non pentito. Aveva preso la decisione di intervenire, come aveva fatto Kathryn a Moss Landing. Il suo piano avrebbe potuto avere successo, se il fato non avesse interferito. Era apprezzabile che l'uomo dell'FBI non si perdesse in rabbia o autocommiserazione e si concentrasse sulle mosse successive. Li raggiunse l'assistente di Overby: scura in volto, riferì che lo avevano cercato da Sacramento e che c'era Amy Grabe da San Francisco in attesa sulla linea due. Con un ringhio, il capo del CBI girò sui tacchi e seguì l'assistente in ufficio. Carraneo chiamò per riferire che la perlustrazione e le domande fatte da
lui e parecchi altri poliziotti alle persone nel motel e nei dintorni non avevano portato a niente, almeno fino a quel momento. A una donna delle pulizie sembrava di avere visto un'auto scura che usciva dal parcheggio poco prima del raid. Non aveva fatto caso alla targa. Nessuno aveva visto altro. Una berlina scura. La stessa descrizione inutile che avevano avuto a casa di James Reynolds. Un vicesceriffo dell'MCSO arrivò con un grosso pacco, che consegnò a O'Neil. «Dalla scientifica.» Il detective ne estrasse fotografie e una lista dei reperti. Dalle impronte digitali risultava che i due occupanti della stanza erano effettivamente Pell e la sua complice. Erano stati ritrovati vestiti, confezioni vuote di cibo, cosmetici, oggetti di igiene personale. E anche mollette per bucato, un frustino fabbricato con un appendiabiti metallico su cui c'erano tracce di sangue, collant annodati alla testiera del letto, preservativi a dozzine - nuovi e usati - e un grosso tubetto di lubrificante K-Y. Kellogg commentò: «Tipico dei leader delle sette. Ricordate Jim Jones, in Guyana? Faceva sesso tre o quattro volte al giorno». «E perché?» «Perché possono. Possono fare tutto quello che vogliono.» Il telefono di O'Neil squillò. Lui rispose e ascoltò per qualche secondo. «Bene. Mandalo al computer dell'agente Dance. Ce l'hai la suo e-mail? Grazie.» Pochi minuti dopo, Kathryn aprì il messaggio sul proprio computer e stampò l'allegato pdf. From:
[email protected] To:
[email protected] Re: Jennie, mia amata, sono riuscito a entrare in un ufficio per scriverti. Dovevo farlo. C'è una cosa che ti voglio dire. Mi sono svegliato pensando a te, ai nostri programmi di andare in spiaggia e nel deserto, di guardare i fuochi artificiali tutte le sere dal tuo cortile. Stavo pensando che sei intelligente, bella e romantica. Che cosa si potrebbe volere di più dalla vita? Ci abbiamo girato intorno senza dirlo, ma adesso è il momento: io ti amo. Non ho dubbi, non ho mai conosciuto nessuna come te. Ecco, l'ho detto. Adesso devo andare. Spero che
queste mie parole non ti abbiano sconvolta o spaventata. A presto, Daniel E così, Pell aveva davvero inviato le e-mail da Capitola. Ma Kathryn notò che lo aveva fatto prima di domenica. Era per questo che il tecnico non li aveva trovati. JMSUNGIRL... Il nome di battesimo era Jennie. E l'iniziale del cognome, o del secondo nome, doveva essere M. O'Neil aggiunse: «Il nostro ufficio tecnico sta contattando il provider, in Gran Bretagna. Anche se all'estero non sempre sono disposti a collaborare. Incrociamo le dita». Kathryn stava studiando l'e-mail. «Avete visto? Parla di spiaggia, deserto e fuochi artificiali tutte le sere. Tutti e tre devono essere vicini alla casa di lei. Dovrebbe farci venire qualche idea.» Kellogg rifletté: «La prima auto è stata rubata a Los Angeles. La ragazza viene da qualche parte della California meridionale: spiaggia e deserto. E i fuochi artificiali tutte le sere?» «Anaheim», disse Kathryn. O'Neil, l'altro genitore presente, spiegò: «Disneyland». I loro sguardi si incrociarono. «La tua idea», fece lei. «Le banche in cui qualcuno ha incassato novemiladuecento dollari. Verificare tutta la contea di Los Angeles era troppo complesso, ma ad Anaheim la ricerca è molto più ristretta. E ora sappiamo anche il suo nome di battesimo. E forse pure un'iniziale. I tuoi se ne possono occupare, Win?» «Certo», convenne Kellogg. «È decisamente più fattibile.» Prese il telefono e inoltrò la richiesta all'ufficio dell'FBI a Los Angeles. Kathryn chiamò il bungalow del Point Lobos Inn e raccontò quanto era accaduto al Sea View Motel. «È scappato di nuovo?» domandò Samantha. «Temo di sì.» Kathryn le disse dell'e-mail, compreso l'indirizzo del destinatario, ma nessuna delle tre donne ricordava qualcuno che potesse avere quel nome e quelle iniziali. «Abbiamo trovato anche tracce di pratiche sadomaso.» Descrisse le attrezzature. «È stata un'idea di Pell oppure della donna? Se si tratta di lei, si potrebbe restringere la ricerca. Una professionista, una dominatrice, forse...» Samantha rimase in silenzio per un attimo, prima di rispondere: «Io, ehm... Dev'essere stata un'idea di Daniel. Lui è fatto così». Un certo imba-
razzo. Kathryn la ringraziò. «Lo so che siete ansiose di andarvene. Vi prometto che non vi tratterrò molto.» Qualche minuto dopo, Kellogg ricevette una telefonata. Quando alzò lo sguardo, i suoi occhi rivelavano sorpresa. «L'hanno identificata. La settimana scorsa una donna di nome Jennie Marston ha incassato novemiladuecento dollari presso la Pacific Trust di Anaheim. In contanti. Praticamente ha svuotato il conto. Stiamo chiedendo un mandato. Gli agenti di Orange County perquisiranno casa sua e ci riferiranno quello che trovano.» Ogni tanto qualcosa si riesce a scoprire. O'Neil prese il telefono e in capo a cinque minuti sul computer di Kathryn apparve l'immagine jpeg della fotografia della patente di Jennie Marston. Kathryn convocò TJ in ufficio. «Sì?» Lei indicò lo schermo. «Prepara un'immagine EFIS. Falla diventare bruna, rossa, con capelli lunghi e corti. Mandala al Sea View Motel: voglio essere sicura che sia lei. E se sì, che ne arrivi una copia a tutti i giornali e stazioni TV della zona.» «Ci puoi scommettere, capo.» TJ, senza sedersi, inoltrò l'immagine dal computer di Kathryn e corse via, come se volesse arrivare in ufficio prima della foto. Charles Overby comparve sulla soglia. «La chiamata da Sacramento era...» cominciò. «Un momento, Charles.» Kathryn lo aggiornò sull'ultima scoperta. L'umore del capo del CBI cambiò all'istante. «Bene, una pista, finalmente. Ma abbiamo un altro problema. Il Napa County Sheriff's Office ha telefonato alla sede di Sacramento.» «Napa?» «Hanno messo in galera un certo Morton Nagle.» Kathryn annuì lentamente. Non aveva detto a Overby di avere reclutato lo scrittore nella ricerca della bambola che dorme. «Ho parlato con lo sceriffo. Era di pessimo umore.» «Che cos'ha fatto Nagle?» chiese Kellogg, guardando Kathryn con un sopracciglio inarcato. «Theresa Croyton. Vive da quelle parti con gli zii. A quanto pare, quell'uomo voleva convincere la ragazza a parlare con Kathryn.» «Infatti.»
«Oh, io non ne ero al corrente.» Overby lasciò la questione nell'aria. «La zia ha detto di no. Ma stamattina è entrato di soppiatto nella loro proprietà e ha cercato di convincere la ragazza di persona.» E tanti saluti al giornalista obiettivo che non vuole farsi coinvolgere. «La zia gli ha sparato.» «Cosa?» «Lo ha mancato, ma lo sceriffo dice che, se non fossero intervenuti i suoi uomini, al secondo tentativo lo avrebbe ucciso. E non sembra che il pensiero li abbia turbati troppo. Credono che ci siamo dietro noi. Sta scoppiando un casino monumentale.» «Ci penso io», disse Kathryn. «Noi non c'entriamo, vero? Io gli ho detto di no.» «Ci penso io.» Overby rifletté, poi le diede il numero dello sceriffo e tornò nel proprio ufficio. Kathryn chiamò lo sceriffo di Napa County, si identificò e gli spiegò la situazione. «Be', agente Dance», borbottò l'uomo, «capisco il problema, Pell e tutto il resto. Abbiamo sentito le notizie, le assicuro. Ma non possiamo rilasciarlo. Gli zii di Theresa lo hanno denunciato. Devo dirle che qui da noi abbiamo un occhio di riguardo per quella ragazza, sapendo tutto quello che ha passato. Il magistrato ha fissato la cauzione a centomila dollari e nessuno dei nostri garanti è interessato a occuparsene.» «Posso parlare con il procuratore?» «È impegnato in un processo. Per tutto il giorno.» Morton Nagle avrebbe dovuto passare un po' di tempo dietro le sbarre. A Kathryn dispiaceva per lui. E apprezzava il fatto che avesse cambiato idea. «Vorrei parlare con la zia o con lo zio della ragazza.» «Non so quanto potrà servire.» «È importante.» Una pausa. «Be', ecco, agente Dance, non credo proprio che saranno d'accordo. Anzi, glielo posso dire con certezza.» «Vuole darmi lo stesso il loro numero? Per favore.» Le domande dirette spesso sono le più efficaci. Ma anche le risposte dirette. «No. Adesso la saluto, agente Dance.» 43
O'Neil e Kathryn erano soli nell'ufficio di lei. L'Orange County Sheriff's Department le aveva comunicato che il padre di Jennie Marston era morto, mentre la madre aveva qualche precedente per piccoli reati, uso di droga e problemi psichici: al momento non se ne conosceva il domicilio. Jennie aveva qualche parente sulla East Coast, ma nessuno di loro sapeva qualcosa di lei da moltissimo tempo. La ragazza aveva frequentato un community college per un anno: dietologia; poi aveva lasciato gli studi, probabilmente perché si era sposata. Aveva lavorato dodici mesi per un parrucchiere, quindi era passata alla cucina, presso vari servizi di catering e pasticcerie di Orange County. Era tranquilla, puntuale, efficiente. Conduceva una vita solitaria. Ai poliziotti non risultavano conoscenti o amici intimi. L'ex marito non le rivolgeva la parola da anni, ma dichiarava che, qualsiasi cosa le fosse successo, se lo meritava. Non c'era da sorprendersi se dagli archivi risultava una storia di relazioni difficili: l'ospedale aveva chiamato cinque o sei volte la polizia per sospetti di violenza domestica nei confronti dell'ex marito e di almeno altri quattro partner. I Social Services avevano aperto parecchi fascicoli, ma Jennie non aveva mai fatto denunce, né aveva mai richiesto mandati di restrizione. Proprio il tipo di donna che poteva cadere preda di uno come Daniel Pell. Kathryn riferì tutto a O'Neil, che ascoltò, annuendo. Guardava fuori dalla finestra, verso i due pini che, nel corso degli anni, avevano intrecciato i loro rami fino a comporre un fitto intrico all'altezza degli occhi. Quando gli elementi di un caso non concordavano, lei stessa li fissava pensosa. «Allora, che cos'hai in testa?» gli chiese Kathryn. «Ci tieni a saperlo?» «Be', se te l'ho chiesto...» fece lei in tono scherzoso. Umorismo che O'Neil non ricambiò. Rispose, indispettito: «Avevi ragione tu. E lui aveva torto». «Kellogg? Al motel?» «Avremmo dovuto seguire il tuo piano iniziale: allestire un perimetro di sorveglianza appena abbiamo saputo dov'erano, invece di perdere mezz'ora per preparare l'assalto. È così che se n'è accorto. Qualcuno si è tradito.» L'istinto di un gatto... Kathryn odiava difendersi, specie di fronte a qualcuno che le era molto vicino. «In quel momento aveva senso fare un tentativo. Stavano accadendo molte cose, e tutte troppo in fretta.»
«No, non aveva senso. E tu lo sapevi. Per questo hai esitato. Fino all'ultimo non eri convinta.» «Chi può essere convinto di qualcosa, in una situazione del genere?» «Okay. Avevi l'impressione che non fosse la mossa giusta da fare. E di solito le tue impressioni sono esatte.» «Pura sfortuna. Se fossimo arrivati prima, lo avremmo preso.» Kathryn si pentì di quella frase, temendo che lui la interpretasse come una critica all'MCSO. «E qualcuno sarebbe morto. Siamo stati fortunati che non ci siano state vittime. Il piano di Kellogg era uno scontro a fuoco assicurato. Ci è andata bene che Pell non ci fosse più. Abbiamo rischiato una carneficina.» O'Neil incrociò le braccia. Un gesto autoprotettivo, paradossale dal momento che aveva ancora indosso il giubbotto antiproiettile. «Hai ceduto il controllo dell'operazione. Della tua operazione.» «A Winston?» «Sì, esatto. È un consulente. Ma sembra che sia lui a dirigere le indagini.» «Lui è lo specialista, Michael. Io no. E neanche tu.» «Specialista? Scusa tanto, ma continua a parlare di mentalità di setta, di profili... eppure non l'ho visto fare passi avanti nella caccia a Pell. Sei tu che li hai fatti.» «Guarda le sue credenziali, il suo background. È un esperto.» «Okay, ha fatto qualche osservazione utile. Ma non è stato abbastanza esperto da catturare Pell un'ora fa.» O'Neil abbassò la voce. «Hai visto, Overby era dalla parte di Winston. Per forza: è stato lui a volerlo in squadra! E tu sei sotto pressione tanto da parte dell'FBI quanto dal tuo capo. Comunque non è una novità né per te né per me. Avremmo potuto tenerli a bada.» «Che cosa stai cercando di dire? Che sto delegando tutto a Winston per qualche altra ragione?» O'Neil distolse lo sguardo, un gesto di avversione. La gente non è sotto stress solo quando mente, a volte lo è anche quando dice la verità. «Sto dicendo che hai lasciato troppo spazio a Kellogg, troppo controllo sull'operazione. E, francamente, anche su di te.» In tono severo, Kathryn replicò: «Perché mi ricorda mio marito? È questo che vuoi dire?» «Non lo so. Dimmelo tu. Ti ricorda tuo marito?» «Questo è ridicolo.»
«Sei stata tu a parlarne.» «Be', qualsiasi cosa esuli dal tuo giudizio professionale, non è affar tuo.» «Va bene», tagliò corto O'Neil. «Mi limiterò al giudizio professionale, allora. Winston ha preso una cantonata. Tu lo hai lasciato fare, pur sapendo che si sbagliava.» «Pur sapendo?» ribatté lei, aspra. «Le probabilità erano cinquantacinque a quarantacinque. Avevo un'opinione e poi l'ho cambiata. Può capitare a qualsiasi buon poliziotto.» «In base alla ragione. In base alla logica.» «E tu? Quanto sei obiettivo?» «Io? Perché non dovrei esserlo?» «Per via di Juan.» Una reazione negli occhi di O'Neil. Ammissione. Kathryn aveva fatto centro. Si domandò se per qualche ragione il detective si sentisse personalmente responsabile della morte del giovane agente. Forse pensava di non averlo addestrato a sufficienza. I suoi protetti... Kathryn e O'Neil avevano avuto altre discussioni in precedenza: non è possibile essere amici e lavorare insieme senza screzi. Ma non c'era mai stata tanta tensione tra loro. E perché lui si intrometteva nelle sue questioni personali? Sembrava quasi che fosse geloso. Tacquero entrambi. Il detective alzò le mani e scrollò le spalle: un gesto emblematico che significava: Ho detto quello che dovevo dire. La tensione nella stanza era pari a quella dell'intrico di rami fuori dalla finestra: maglie d'acciaio. Ripresero a discutere dei passi successivi da compiere: verificare con Orange County i dettagli su Jennie Marston, proseguire la ricerca di testimoni e di indizi al Sea View Motel. Spedirono Carraneo all'aeroporto, alla stazione degli autobus e alle agenzie di autonoleggio con la fotografia di Jennie. E presero in considerazione qualche altra idea sul da farsi. Ma il clima nell'ufficio si era raffreddato, come se si fosse passati dall'estate all'autunno. E, quando tornò Winston Kellogg, O'Neil si ritirò spiegando che doveva chiamare lo sceriffo per aggiornarlo. Si congedò con un generico «Arrivederci», che non era rivolto a nessuno dei due. Con la mano ancora dolorante per il taglio riportato quando si era arrampicato sulla recinzione di casa Boiling, Morton Nagle occhieggiò la guardia fuori dalla cella del centro di detenzione maschile di Napa County.
L'uomo, un latino robusto, ricambiò lo sguardo con un'occhiata gelida. A quanto pareva, Nagle aveva commesso il crimine numero uno di Vallejo Springs: non la violazione di domicilio o l'aggressione (e questa come se l'erano inventata?) ma il reato ben più grave di avere disturbato la calma della mascotte del villaggio. «Ho il diritto di fare una telefonata.» Nessuna reazione. Lo scrittore voleva rassicurare la moglie, dirle che stava bene. Soprattutto voleva far sapere a Kathryn Dance dove si trovava Theresa. Aveva cambiato idea, lasciando perdere tanto il libro quanto l'etica di giornalista. Accidenti, voleva fare tutto il possibile perché Daniel Pell fosse preso e rispedito a Capitola. Ma i poliziotti gli proibivano di comunicare con il resto del mondo fintanto che ne avevano i mezzi. «Vorrei proprio fare una telefonata.» La guardia lo fissò come se Nagle fosse stato colto in flagrante a vendere crack ai bambini fuori dalla scuola. Non aprì bocca. Lo scrittore si alzò in piedi e si mise a passeggiare avanti e indietro per la cella. Gli occhi del secondino sembravano dirgli: Siediti. Nagle infatti si sedette. Dieci lunghissimi minuti più tardi, sentì una porta che si apriva e passi in avvicinamento. «Nagle.» Era comparsa un'altra guardia. Più grossa della prima. «In piedi.» Il nuovo secondino premette un pulsante e la porta si aprì. «Allunga le braccia.» Era ridicolo. Come porgere caramelle a un bambino. Nagle offrì i polsi e vide scattare le manette. «Da questa parte.» La guardia lo afferrò saldamente a un braccio. Aveva l'alito che puzzava di aglio e sigarette. Nagle avrebbe voluto divincolarsi, ma non gli parve una buona idea. Proseguirono così, in un tintinnio di catene, lungo un corridoio scarsamente illuminato. Quindici metri più avanti, si fermarono davanti alla Sala Colloqui A. La guardia aprì la porta e gli fece cenno di entrare. Nagle esitò. Theresa Croyton, la bambola che dorme, era seduta a un tavolo e lo stava guardando con i suoi occhi scuri.
La guardia sospinse all'interno lo scrittore, che si sedette di fronte alla ragazza. «Salve di nuovo», le disse. La ragazza gli guardò le braccia, la faccia e le mani, quasi per verificare che non fosse stato vittima di violenze in prigione. O forse invece era proprio quello che sperava. Nagle sapeva che aveva solo diciassette anni, eppure non c'era niente di giovane in lei, a parte la delicatezza della pelle chiara. Theresa non era morta con la sua famiglia, ma la sua infanzia sì. La guardia si fece da parte, senza allontanarsi troppo. Lo scrittore ne avvertiva la presenza alle proprie spalle. «Può lasciarci soli», disse Theresa. «Devo restare qui, signorina. Sono le regole.» Aveva un sorriso intercambiabile: cortese con la ragazza, ostile con Nagle. Theresa esitò, poi rivolse lo sguardo sullo scrittore. «Mi dica quello che voleva dirmi in cortile. Riguardo a Daniel Pell.» «Per qualche motivo è rimasto nella zona di Monterey. La polizia non riesce a capire perché.» «E ha cercato di uccidere il pubblico ministero che lo ha mandato in carcere.» «James Reynolds, proprio così.» «Sta bene?» «Sì. La poliziotta di cui ti ho parlato è riuscita a salvarlo.» «Chi è lei, esattamente, signor Nagle?» Una domanda diretta, priva di emozioni. «Tua zia non ti ha detto niente?» «No.» «Sono mesi che parlo con lei di un libro che volevo scrivere. Su di te.» «Su di me? E perché vuole scriverlo? Io non sono una persona interessante.» «Oh, io credo di sì. Voglio raccontare le storie di persone che sono state vittima di esperienze drammatiche. Com'erano prima, come sono diventate dopo. Fino a che punto è cambiata la loro vita... e come sarebbero andate le cose se non fosse successo niente.» «No, mia zia non me ne ha mai parlato.» «Lo sa che sei qui?» «Sì, gliel'ho detto. Mi ha accompagnata lei in macchina. Non vuole che prenda la patente.» Theresa rivolse uno sguardo al secondino, poi tornò a
Nagle. «Non volevano nemmeno che parlassi con lei, i poliziotti. Ma non si sono potuti rifiutare.» «Perché sei venuta qui, Theresa?» «Quella poliziotta di cui ha parlato...» Nagle era sorpreso. «Vuoi dire che... ti va bene se viene a trovarti?» «No», affermò lei, scuotendo il capo. Lo scrittore non poteva biasimarla. «Capisco, ma...» «Voglio andare io da lei.» Nagle non era sicuro di avere capito bene. «Vuoi andare da lei?» «Voglio andare a Monterey e incontrarla di persona.» «Oh, non sei tenuta a farlo.» Lei assentì, con decisione. «Invece sì.» «Perché?» «Perché sì.» Una risposta che Nagle trovò buona quanto qualsiasi altra. «Dirò a mia zia di portarmici in macchina.» «E lei acconsentirà?» «Altrimenti prenderò l'autobus. O farò l'autostop. Può venire con noi, signor Nagle.» «Ecco, c'è un problema», fece lo scrittore. La ragazza si accigliò. Lui ridacchiò. «Sono in prigione.» Lei guardò il secondino, stupefatta. «Non gliel'avete detto?» L'uomo scosse la testa. Theresa disse: «Ho pagato la sua cauzione». «Tu?» «Mio padre aveva un sacco di soldi.» Stavolta fu lei a fare una risatina, sincera, di cuore. «Sono una ragazza ricca.» 44 Passi in avvicinamento. In un attimo Pell ebbe in mano la pistola. Guardò fuori dall'alberghetto, un posto a buon mercato che sapeva di deodorante e insetticida. Vide che era Jennie e rimise l'arma alla cintola. Spense il televisore e aprì la porta. La ragazza entrò con un pesante sacchetto della spesa. Lui glielo prese e lo depose sul comodino, accanto a una sveglia su cui lampeggiavano le 12:00.
«Com'è andata, amore? Hai visto qualche poliziotto?» «Nessuno.» Jennie si tolse il berretto e si grattò la testa. Lui le baciò i capelli: sentì un odore acre di sudore e tintura. Un'altra occhiata fuori dalla finestra. Dopo un lungo momento, Daniel Pell giunse a una decisione. «Andiamo fuori per un po', amore.» «Fuori? Non hai detto che non era una buona idea?» «Oh, conosco un posto. Saremo al sicuro.» Lei lo baciò. «Come per un appuntamento romantico?» «Proprio così.» Si misero i berretti e andarono alla porta. Il sorriso di Jennie sfumò quando lei si voltò a guardarlo. «Stai bene, tesoro?» Tesoro. «Certo, amore. Ho solo preso paura prima al motel. Adesso è tutto a posto. A postissimo.» Percorsero in macchina un dedalo di vie, fino a una spiaggia lungo la strada per Big Sur, a sud di Carmel. Passerelle di legno serpeggiavano tra le rocce e le dune, protette da cavi sottili a tutela del fragile paesaggio. Lontre marine e foche nuotavano sulle onde. A ogni riflusso, le pozze d'acqua salata diventavano prismi che riflettevano interi universi. Quello era uno dei più bei tratti di spiaggia della Central Coast. E uno dei più pericolosi. Ogni anno ci morivano tre o quattro persone, di solito mentre si inerpicavano sulle rocce scoscese per scattare fotografie, solo per essere spazzati via a sorpresa da un'onda alta sette metri e risucchiati nell'acqua gelida. L'ipotermia poteva essere letale, ma la maggior parte delle vittime non viveva abbastanza a lungo: di solito, prima che il freddo potesse ucciderli, si schiantavano urlando sugli scogli, o annegavano intrappolati nel reticolo di rocce del fondale. La spiaggia era quasi sempre affollata, tranne che in quel momento: con la fitta nebbia portata dal vento, quel giorno non c'era nessuno. Daniel Pell e il suo amore scesero dall'auto e andarono verso il mare. Un'onda grigia esplose sugli scogli a una quindicina di metri da loro. «Oh, è bellissimo, anche se fa freddo! Abbracciami.» Pell le passò un braccio intorno alla vita. La sentiva rabbrividire. «È straordinario. Vicino a casa mia le spiagge sono tutte piatte. Tutte sabbia e onde. A meno di andare a La Jolla. Ma neppure là c'è niente di simile. Questo posto è molto spirituale. Oh, guarda!» Jennie sembrava una scolaretta. Stava guardando le lontre. Una di esse, piuttosto grossa, si era appoggiata una pietra sul torace e vi batteva sopra qualcosa.
«Cosa sta facendo?» «Sta aprendo una conchiglia. Una vongola o un'orecchia di mare.» «Chi gli insegna come si fa?» «La fame, immagino.» «Quel posto in cui andiamo, la tua montagna... è bello come qui?» «Anche più bello, direi. E molto più deserto. Non vogliamo turisti intorno, vero?» «No, no.» Jennie si portò una mano al naso. Stava forse sentendo che qualcosa non andava? Mormorò una frase, ma le parole si persero nel vento incessante. «Come dici?» «Il canto degli angeli.» «Amore, lo ripeti sempre. Che cosa vuol dire?» Jennie sorrise. «È come una preghiera, un mantra. Lo pronuncio e mi fa sentire meglio.» «Il tuo mantra è 'il canto degli angeli'?» Lei rise. «Quando ero piccola e la mamma veniva arrestata...» «Per cosa?» «Oh, è troppo lunga da raccontare.» Pell si guardò intorno, di nuovo. Non c'era nessuno. «Era molto brutto, eh?» «Ne faceva di tutti i colori. Taccheggio, minacce, persecuzione, persino aggressione: picchiava mio padre... e gli amanti che la mollavano. Succedeva spesso. Quando scoppiava una rissa, arrivava la polizia. Di solito avevano fretta e accendevano la sirena. E quando la sentivo, mi dicevo: Grazie, Dio, adesso la portano via per qualche giorno. Come angeli che venivano a salvarmi. Era così che vedevo le sirene: 'il canto degli angeli'.» «Il canto degli angeli. Mi piace.» Pell fece un cenno di assenso. D'un tratto si voltò e la baciò sulla bocca. Poi la guardò in faccia. La stessa faccia che aveva visto in TV al motel mezz'ora prima, mentre lei era fuori a fare la spesa. «Un nuovo sviluppo nella caccia all'evaso Daniel Pell. La sua complice è stata identificata come Jennie Ann Marston, di Anaheim, California. Venticinque anni, un metro e sessantacinque, cinquanta chili. In alto a sinistra potete vedere la fotografia della sua patente. Le immagini a destra e in basso sono una ricostruzione di come potrebbe apparire adesso, dopo essersi tagliata e tinta i capelli. Se la incontrate, non cercate di fermarla. Chiamate il 911 o il numero verde in basso sullo schermo.»
Nella foto Jennie non sorrideva, come se temesse che la macchina fotografica della Motorizzazione mettesse in risalto il brutto naso rispetto agli occhi, alle orecchie o alle labbra. Probabilmente Jennie aveva lasciato qualcosa al Sea View Motel, nonostante le raccomandazioni di lui. Pell si voltò verso la furia dell'oceano e si piazzò dietro le spalle della ragazza. «Il canto degli angeli», sussurrò lei. Pell la tenne stretta per un istante, poi le diede un bacio su una guancia. «Guarda lì», disse fissando la spiaggia. «Dove?» «Quel sasso nella sabbia.» Si chinò a raccogliere una pietra liscia che doveva pesare quasi mezzo chilo. Era di un grigio luminescente. «A che cosa ti fa pensare, amore?» «Oh, se lo tieni così, sembra un gatto, non ti pare? Un gatto che dorme accovacciato. Come la mia Jasmine.» «Era il tuo gatto?» Pell soppesò la pietra nella mano. «Quando ero piccola. Mia madre le voleva molto bene. A Jasmine non faceva mai del male. A me sì, e a tante altre persone. Ma non a Jasmine. Non è strano?» «Era proprio quello che pensavo, amore. Sembra davvero un gatto.» Kathryn chiamò per primo O'Neil per dargli notizie. Il collega non rispose e lei gli lasciò un messaggio. Non era da lui, ma Kathryn sapeva che non stava filtrando le chiamate. Il suo attacco - be', non esattamente -, la sua critica ormai doveva essere passata in secondo piano, di fronte all'impegno nel gestire il caso con la massima efficienza possibile. Come le capitava di tanto in tanto, le venne da chiedersi cosa volesse dire vivere con quel poliziotto che collezionava libri e amava le barche. Dovevano esserci vantaggi e svantaggi in pari quantità. Kathryn trovò Kellogg in sala riunioni. «Abbiamo Theresa Croyton», annunciò. «Nagle ha appena chiamato da Napa. La ragazza gli ha pagato la cauzione.» «Chi l'avrebbe mai detto! Napa, eh? È là che si sono trasferiti. Vuoi andare a parlarle?» «No, viene lei da noi. Con la zia.» «Da noi? Con Pell in libertà?»
«Lo ha deciso Theresa. In effetti, ha insistito per farlo. O così o niente.» «Coraggiosa, la ragazza.» «Direi proprio di sì.» Kathryn chiamò il massiccio Albert Stemple e gli ordinò di fare da guardia del corpo a Theresa appena fosse arrivata. Poi alzò lo sguardo. Kellogg era entrato in ufficio e stava studiando le fotografie sulla scrivania, quelle di Wes e Maggie. Il suo volto era imperscrutabile. Era il fatto che lei fosse una madre di famiglia a toccarlo o turbarlo? Quello era un interrogativo rimasto in sospeso tra di loro. Kathryn si domandò se ce ne fossero altri. O, piuttosto, quali fossero gli altri. La complicata odissea del cuore... «A Theresa ci vorrà un po' per arrivare», disse Kathryn. «Vorrei tornare al Point Lobos Inn e parlare con le nostre ospiti.» «Lascio fare a te. Credo che una figura maschile potrebbe distrarle.» Kathryn era d'accordo. Il sesso dei partecipanti può influenzare un interrogatorio, e spesso, a seconda del soggetto, le toccava assumere un'apparenza androgina, a vari livelli. Dal momento che Daniel Pell era stato determinante nelle vite delle tre donne, la presenza di un uomo poteva alterare le dinamiche del colloquio. In precedenza, Kellogg si era fatto da parte, lasciando che fosse lei a porre le domande, ma era meglio che lui non si facesse vedere per niente. Lei glielo spiegò e aggiunse che apprezzava la sua comprensione. Mentre Kathryn stava per alzarsi dalla scrivania, a sorpresa lui le disse: «Aspetta, per favore». Lei tornò a sedersi. Kellogg fece una risatina e la guardò negli occhi. «Non sono stato del tutto sincero con te, Kathryn. Non avrebbe importanza, se non fosse per... ieri sera.» Di che si trattava? Del fatto che la sua ex non era esattamente una ex, quanto una donna molto presente nella sua vita? Né l'una né l'altra cosa faceva molta differenza, in quel momento. Si conoscevano appena e il loro coinvolgimento emotivo poteva avere sviluppi come non averne. Qualunque cosa fosse, era meglio affrontarla subito. «A proposito dei figli.» Kathryn si rese conto che la cosa non la riguardava direttamente. Si appoggiò alla scrivania, concedendogli tutta la sua attenzione. «Mia moglie e io una figlia l'abbiamo avuta.» Il verbo al passato le fece provare una stretta allo stomaco. «È morta in un incidente d'auto quando aveva sedici anni.»
«Oh, Win...» Kellogg indicò la fotografia di Kathryn con il marito. «Abbiamo qualcosa in comune: un incidente... Mi sentivo di merda, non riuscivo ad affrontare la situazione. Ho cercato di essere al fianco di Jill, ma senza successo, non quanto avrei dovuto. Lo sai che cosa vuol dire fare il poliziotto. Il lavoro può riempirti la vita finché vuoi. E io ho lasciato che la riempisse troppo. Abbiamo divorziato e gli anni successivi sono stati molto difficili. Per tutti e due. Adesso le cose sono tornate a posto, più o meno, e siamo di nuovo amici. E lei si è risposata. Devo ammettere che la questione dei bambini... Per me è difficile comportarmi in modo naturale con loro. È una parte della mia vita che ho cancellato completamente. Sei la prima donna a cui mi sia avvicinato sul serio che abbia dei figli. Voglio dire che... se mi vedi un po' rigido, non è a causa tua, oppure di Wes e Maggie. Loro sono splendidi. È una cosa che sto cercando di superare in terapia. Ecco tutto.» Alzò le mani, gesto emblematico che significava che aveva detto ciò che voleva dire: Che ti piaccia o no, cosi stanno le cose. «Mi spiace tanto, Win.» Kathryn gli prese una mano e gliela strinse. Lui ricambiò la stretta. «Mi fa piacere che tu me l'abbia detto. Capisco quanto dev'essere stato difficile. E avevo intuito qualcosa, anche se non sapevo esattamente cosa.» «Occhio d'aquila.» Lei rise. «Una volta ho sentito Wes che diceva a un amico che avere una mamma poliziotto è una vera rottura.» «Specie se la mamma è un lie detector vivente!» Kellogg sorrise a sua volta. «Anch'io ho i miei problemi, per via di Bill.» E anche per via di Wes, pensò lei, ma non lo disse. «Prendiamo le cose senza fretta.» «Senza fretta è meglio.» Lui le appoggiò una mano sull'avambraccio, un gesto semplice, intimo e appropriato. «Adesso devo tornare alla riunione di Famiglia.» Kathryn accompagnò Kellogg nel suo ufficio provvisorio, quindi prese la macchina e tornò al Point Lobos Inn. Le bastò entrare nel bungalow per avvertire che l'atmosfera era cambiata. La cinesica era completamente diversa, rispetto al giorno prima. Le donne erano irrequiete, sulle spine. Le posture e le espressioni denotavano tensione, atteggiamento difensivo, aperta ostilità. Colloqui e interrogatori
erano processi lunghi, e non era insolito che a un giorno di successi ne seguisse uno completamente sprecato. Kathryn, scoraggiata, intuì che sarebbero occorse parecchie ore, se non addirittura giorni interi, per ricomporre un equilibrio mentale grazie al quale le donne avrebbero potuto fornire altre informazioni utili. Non si diede per vinta. Ricapitolò ciò che aveva scoperto sul conto di Jennie Marston e chiese alle tre se sapessero qualcosa di lei. Assolutamente niente. Kathryn cercò allora di riprendere la conversazione del giorno precedente, tuttavia ormai commenti e ricordi erano superficiali. Linda sembrò parlare a nome di tutte: «Non so quanto ancora potrò continuare. Vorrei tornare a casa». Kathryn era convinta che il loro contributo fosse già stato molto prezioso: avevano salvato la vita di James Reynolds e della sua famiglia, avevano messo in luce vari aspetti del modus operandi di Pell e, cosa ancora più importante, il suo obiettivo di rifugiarsi da qualche parte in cima a una montagna. Prima o poi, proseguendo le indagini, la polizia avrebbe potuto scoprire dove. Nondimeno, Kathryn voleva trattenerle almeno fino a dopo l'incontro con Theresa Croyton, nella speranza che le dichiarazioni della ragazza facessero scaturire altri ricordi. Preferì non parlare dell'imminente visita di Theresa: non voleva correre il rischio che la voce si diffondesse. In ogni caso, le tre donne accettarono la sua richiesta di restare per qualche ora. Quando Kathryn se ne andò, Rebecca l'accompagnò fuori. Si trattennero sotto una tenda, al riparo dalla pioggerellina. L'agente aggrottò la fronte, chiedendosi se la donna intendesse farle un'altra predica sulla sua incompetenza. Il messaggio era ben diverso. «Forse è evidente, ma ho pensato che fosse meglio parlarne. Sam non si rende conto di quanto Daniel sia pericoloso e Linda pensa ancora che sia un povero ragazzo incompreso dall'infanzia difficile...» «Continua.» «Quello che ti stavamo dicendo ieri su di lui, tutte quelle questioni psicologiche... be', è tutto vero. Io però ho fatto una lunga terapia e ho capito quanto è facile concentrarsi sulla terminologia e sulla teoria e perdere di vista la persona. Sei riuscita a fermare Pell un paio di volte e l'hai quasi beccato. Lui lo sa come ti chiami?» Kathryn annuì. «Pensi che perderebbe tempo a darmi la caccia?» «Tu sei immune al suo influsso?» chiese Rebecca, inarcando un soprac-
ciglio. Quella era la risposta. Sì, lei era immune al suo controllo. Pertanto rappresentava un rischio. Le minacce devono essere eliminate... «Ho idea che sarà preoccupato. Sei un vero pericolo per Daniel. Lui vorrà fermarti. E minaccia le persone attraverso le loro famiglie.» «Sempre gli stessi schemi», commentò Kathryn. Rebecca assentì. «La tua famiglia abita da queste parti, immagino.» «I miei genitori e i miei figli.» «I tuoi figli stanno con tuo marito?» «Sono vedova.» «Oh, mi spiace.» «Comunque in questo momento non sono a casa. Sono sotto sorveglianza.» «Bene, ma anche tu devi guardarti le spalle.» «Grazie...» Kathryn occhieggiò l'interno del bungalow. «È successo qualcosa ieri sera? Tra di voi?» Rebecca rise. «Credo che abbiamo rivissuto il passato più di quanto ci potessimo permettere. Abbiamo tirato fuori i panni sporchi, una cosa che avremmo dovuto fare parecchi anni fa. Ma non credo che le altre l'abbiano vista in questo modo.» Poi tornò dentro e chiuse la porta a chiave. Kathryn sbirciò da uno spiraglio della tenda. Linda stava leggendo la Bibbia, Samantha stava guardando il suo cellulare, di sicuro in cerca di qualche scusa per spiegare al marito il prolungarsi della sua assenza. Rebecca si sedette al tavolo con l'album degli schizzi e cominciò a tracciare linee con gesti in apparenza rabbiosi. L'eredità di Daniel Pell, la sua Famiglia. 45 Kathryn Dance se n'era andata da mezz'ora quando un vicesceriffo chiamò il bungalow per controllare se tutto andasse bene. «Va tutto bene», rispose Samantha. A parte la tensione che cresceva tra le ospiti. Il poliziotto le chiese di controllare che porte e finestre fossero ben chiuse. Lei obbedì e gli diede conferma. Erano sotto chiave. Samantha provò una rabbia improvvisa: Daniel Pell
le aveva intrappolate di nuovo, questa volta in un bungalow. «Non ne posso più», dichiarò Rebecca. «Devo uscire.» Linda alzò gli occhi dalla Bibbia. «Non credo che dovresti.» Samantha notò che la pagina a cui il volume era aperto era molto stropicciata e si domandò in quale passaggio particolare Linda stesse trovando conforto. Avrebbe voluto anche lei avere qualcosa di così comodo e semplice in cui trovare la pace della mente. Rebecca alzò le spalle. «Faccio solo due passi.» Indicò il Point Lobos State Park. «Sul serio, non dovresti uscire», la redarguì Linda. «Starò attenta. Metterò le galosce e mi guarderò bene intorno.» «È da stupida, ma fai come ti pare.» «Senti», fece Rebecca, «mi spiace per ieri sera. Avevo bevuto troppo.» «Va bene», disse l'altra, distratta, e continuò a leggere la Bibbia. «Vado in uno dei rifugi. Voglio fare qualche disegno.» Rebecca prese l'album e le matite, indossò la giacca di pelle e uscì, tirando su il cappuccio. Samantha le lesse negli occhi che era dispiaciuta per i suoi aspri commenti della sera prima. «Chiudi a chiave quando sono uscita.» Sam andò alla porta, rimise la catena e chiuse a doppia mandata. Guardò Rebecca che si allontanava lungo il sentiero. Avrebbe preferito anche lei che non uscisse. Ma per una ragione completamente diversa. Adesso era sola con Linda. E non aveva più scuse. Sì o no? Il dilemma interiore che era cominciato diversi giorni prima, stimolato dall'invito di Kathryn Dance ad aiutarla, non accennava a quietarsi. Torna indietro, Rebecca, pensò. No, stai lontana. «Non credo che avrebbe dovuto uscire», mormorò Linda. «Dobbiamo avvisare le guardie?» «A che servirebbe? È maggiorenne.» Una smorfia. «Te lo direbbe lei per prima.» Sam disse: «Quello che le è successo con suo padre... è una cosa terribile. Non ne avevo idea». Linda continuò a leggere. Poi alzò lo sguardo. «Lo vogliono uccidere, lo
sai.» «Chi?» «Daniel. Non gli daranno scampo.» Sam non replicò. Sperava ancora che Rebecca tornasse indietro. E che non lo facesse. Con voce tesa, Linda insistette. «Potrebbe essere salvato. Non è senza speranza. Ma loro vogliono solo averlo sotto tiro e liberarsi di lui.» Su questo non c'è dubbio, pensò Sam. Tuttavia, circa la possibile redenzione di Daniel, non sapeva trovare una risposta. «Quella Rebecca... è proprio come me la ricordavo», borbottò Linda. Sam domandò: «Che cosa stai leggendo?» «Ti direbbero qualcosa capitolo e versetto?» «No.» «E allora...» Linda fece per riprendere a leggere, ma alzò di nuovo gli occhi. «Si sbaglia. Rebecca, intendo. Non era un... covo di inganni come dice lei.» Sam tacque. Okay, si disse. Vai avanti. Questo è il momento. «Su una cosa si sbaglia di sicuro.» «Quale?» Un lungo sospiro. «Non ero sempre la Topolina.» «Oh, quello. Non prenderla sul serio. Io non ho mai detto che lo eri.» «Una volta mi sono ribellata. Gli ho detto di no.» Una breve risata. «Dovrei farmelo stampare su una T-shirt: 'Ho detto no a Daniel Pell'.» Linda strinse le labbra. Il tentativo di scherzarci sopra era fallito. Sam raggiunse il televisore e lo spense. Poi si sedette su una poltrona, protesa in avanti. Linda, diffidente, disse: «Vuoi arrivare da qualche parte, lo vedo. Ma non sono in vena di altre ramanzine». «Stavolta tocca a me, non a te.» «In che senso?» Sam respirò a fondo. «Quando ho detto di no a Daniel...» «Sam...» «Lo sai perché sono venuta qui?» Una smorfia. «Per aiutare la polizia a catturare il perfido evaso. Per salvare delle vite. Perché ti senti in colpa. Perché volevi fare una gita fuori città. Non ne ho idea, Sam. Perché sei venuta?» «Perché Kathryn ha detto che tu eri qui. E io volevo vederti.» «Hai avuto otto anni. Come mai proprio adesso?»
«Altre volte avevo pensato di venirti a cercare. Una volta ci sono quasi riuscita, però non ce l'ho fatta. Mi serviva una scusa, una motivazione.» «Avevi bisogno che Daniel scappasse di prigione? Che cos'è questa storia?» Linda depose la Bibbia. Samantha osservò le note prese a margine in matita, fitte come api in un alveare. «Ti ricordi quella volta che sei finita all'ospedale?» «Certo», rispose Linda a voce bassa ma decisa. Fissava Sam. Diffidente. Era la primavera precedente i delitti Croyton. Daniel Pell aveva detto a Sam che intendeva seriamente ritirarsi lontano dalla civiltà. Prima però voleva aumentare il numero dei membri della Famiglia. «Voglio un figlio», aveva annunciato, con il tono di un sovrano medioevale che reclamava eredi. Un mese dopo, Linda era incinta. E un mese dopo ancora aveva avuto un aborto spontaneo. Non avevano l'assicurazione, e quindi erano stati costretti ad andare in uno degli ambulatori del barrio, frequentati dalla manovalanza delle campagne e dai clandestini. L'infezione aveva portato all'isterectomia. Linda ne era uscita devastata. Aveva sempre voluto avere bambini e aveva detto spesso a Sam che cosa avrebbe significato per lei essere madre: sapendo come l'avevano trattata i suoi genitori, era certa che sarebbe stata all'altezza del ruolo. «Perché lo tiri fuori proprio adesso?» Sam prese una tazza di tè tiepido mezza piena. «Perché non avresti dovuto essere tu a rimanere incinta. Avrei dovuto essere io.» «Tu?» Sam annuì. «Lo ha chiesto prima a me.» «Davvero?» Gli occhi di Sam si riempirono di lacrime. «Solo che proprio non me la sentivo. Non potevo avere un figlio da lui. Altrimenti mi avrebbe controllato per il resto della mia vita.» A quel punto era inutile trattenersi, rifletté. Guardò il tavolo e aggiunse: «Perciò ho mentito. Gli ho detto che tu non eri sicura di restare con la Famiglia. Che da quando era arrivata Rebecca pensavi di andartene». «Che cosa?» «Lo so.» Sam si asciugò il viso. «Mi dispiace. Gli ho detto che per te avere un figlio da lui era la dimostrazione di quanto voleva che restassi con la Famiglia.» Linda batté le palpebre. Si guardò intorno, prese la Bibbia e ne accarezzò la copertina. Sam proseguì: «E adesso non potrai mai più avere figli. Te ne ho tolto la
possibilità. Ho dovuto scegliere tra me e te. E ho scelto me». Linda guardò un brutto quadro in una graziosa cornice. «Perché me lo dici adesso?» «Rimorso, credo. Vergogna.» «Quindi questa confessione riguarda te, giusto?» «No, riguarda noi, tutte noi.» «Noi?» «D'accordo, Rebecca è una stronza.» Quella parola suonava aliena nella sua bocca. Non ricordava quando fosse l'ultima volta che l'aveva usata. «Non pensa prima di dire le cose. Ma aveva ragione, Linda. Nessuna di noi ha una vita normale. Rebecca dovrebbe avere una galleria d'arte ed essere sposata con qualche pittore sexy e girare il mondo. Invece continua a passare da un uomo all'altro, tutti più vecchi di lei... adesso sappiamo perché. E tu dovresti avere una vita vera, sposarti, adottare bambini, un sacco di piccoli, e viziarli da morire. Non passare la tua esistenza a preparare la zuppa per i poveri o a preoccuparti di piccoli che vedi per un paio di mesi e poi mai più. E forse dovresti dare un colpo di telefono a tua madre e a tuo padre... No, Linda, non è una vita ricca la tua, per niente. Ti senti triste e afflitta. Lo sai. E ti ci nascondi.» Guardò la Bibbia. «E io?» Rise. «Be', io mi nascondo ancora di più.» Si alzò e andò a sedersi accanto a Linda, che si scostò. «L'evasione, Daniel che ritorna così. È la nostra occasione di rimettere a posto le cose. Guarda, eccoci qui! Di nuovo tutte e tre in una stanza, insieme. Possiamo aiutarci a vicenda.» «E tu, adesso?» Sam si asciugò il viso. «Adesso?» «Hai dei figli? Non ci hai detto niente della tua vita misteriosa.» Un cenno di assenso. «Ho un figlio.» «Come si chiama?» «Mio?...» «Come si chiama?» Sam esitò. «Peter.» «È un bel bambino?» «Linda...» «Ti ho chiesto se è un bel bambino.» «Linda, tu pensi che non fosse poi così male a quei tempi, nella Famiglia. E hai ragione. Ma non grazie a Daniel. Grazie a noi. Perché riempivamo tutte le lacune delle nostre vite di cui ha parlato Rebecca. Ci aiuta-
vamo a vicenda! Poi è crollato tutto e ci siamo ritrovate daccapo. Però possiamo aiutarci ancora! Come vere sorelle.» Sam si allungò fino a prendere la Bibbia. «Tu ci credi, vero? Credi che le cose avvengano per uno scopo. Be', io credo che noi fossimo destinate a ritrovarci. Per avere la possibilità di rimettere a posto le nostre vite.» «Guarda che la mia va benissimo», replicò Linda, calma, riprendendo la Bibbia dalle dita tremanti di Sam. «Della tua puoi fare quello che vuoi.» Daniel Pell parcheggiò la Camry in una piazzola deserta nei pressi della Highway 1, vicino alla Carmel State River Beach, accanto a un cartello che segnalava che le acque erano molto pericolose. Era solo in macchina. Percepì un effluvio del profumo di Jennie. Fece scivolare la pistola in una tasca della giacca a vento e scese dall'auto. Ancora quel profumo. Si accorse che gli erano rimaste tracce del sangue di Jennie sotto le unghie. Ci sputò sopra e se le pulì, ma non riuscì a toglierlo del tutto. Si guardò intorno, tra i prati, i cipressi, i pini, le querce, le formazioni irregolari di granito. Nell'oceano grigio nuotavano e giocavano leoni marini, foche e lontre. Una mezza dozzina di pellicani volavano in perfetta formazione sopra la superficie irrequieta della acque. Due gabbiani si contendevano a forza un brandello di cibo lasciato a riva dalla risacca. A testa bassa, Pell si diresse verso sud, tra il fitto degli alberi. C'era un sentiero ma non osò prenderlo, per quanto il parco sembrasse deserto. Non voleva rischiare di essere visto mentre andava verso la sua destinazione, il Point Lobos Inn. La pioggia si era interrotta, ma il cielo era coperto e incombevano altri acquazzoni. L'aria era fredda e densa del profumo di pini ed eucalipti. Chino in avanti, Pell arrivò sul retro e proseguì lungo un altro sentiero, fermandosi di quando in quando per orientarsi e controllare che non ci fossero poliziotti intorno. Quando vide apparire un vicesceriffo, si immobilizzò, la mano stretta sul calcio della pistola. Lo guardò mentre perlustrava il terreno e poi tornava di fronte al bungalow. Sta' calmo, si impose. Questo non è il momento di fare errori. Tranquillo. Camminò per cinque minuti tra i profumi e la foschia della foresta, girando intorno al retro del Point Lobos Inn. Un centinaio di metri più avanti, lontano dalla vista del bungalow e del poliziotto, c'era una radura con un rifugio all'interno: una tettoia e sotto una panca per i picnic.
Il cuore di Pell, contrariamente alle sue abitudini, ebbe un sobbalzo. La donna stava guardando l'oceano. Aveva in mano un album su cui stava disegnando. Qualunque cosa fosse, di sicuro era bello: Rebecca Sheffield aveva talento. Pell ricordava quando si erano conosciuti: un giorno limpido e fresco, sulla spiaggia in cui la Famiglia aveva allestito un mercatino delle pulci. Lei aveva socchiuso gli occhi, guardandolo al di sopra del cavalletto... «Ehi, ti va se ti faccio un ritratto?» «Perché no? Quanto viene?» «Te lo puoi permettere. Siediti.» Pell si guardò intorno di nuovo e, non vedendo nessuno, si diresse verso la donna, che non si era accorta della sua presenza. Era troppo concentrata sul panorama e sui movimenti della matita. L'uomo accorciò rapidamente le distanze, fino a quando fu alle sue spalle. Si fermò. «Ciao», mormorò. Lei si lasciò sfuggire un singhiozzo, lasciò cadere l'album e scattò in piedi. Si voltò. «Gesù.» Un attimo di silenzio. Poi Rebecca, esitante, fece un sorriso e un passo avanti. Il vento li sferzò, quasi portandosi via le sue parole. «Accidenti se mi sei mancato.» «Vieni qui, amore», disse lui, e l'attirò a sé. 46 Si spostarono verso il boschetto, dove nessuno dai bungalow avrebbe potuto vederli. «Sanno di Jennie», disse Rebecca. «Lo so, l'ho visto in TV.» Pell storse la bocca. «Ha lasciato qualcosa al motel. L'hanno identificata.» «E?...» Lui alzò le spalle. «Non sarà più un problema.» Abbassò gli occhi sulle sue unghie. Baciò di nuovo Rebecca. Non poteva dimenticare che era la più eccitante delle ragazze della Famiglia. La bolla dentro di lui riprese a espandersi. Sussurrò: «Amore, se non mi avessi chiamato, non so che cosa sarebbe successo». Dopo che Jennie e lui si erano registrati al Sea View Motel, Pell aveva lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica di Rebecca, a casa, dicendole dove si trovava. La chiamata che aveva ricevuto e che aveva detto ve-
nire dalla cameriera, era in realtà da Rebecca, che sottovoce lo avvisava dell'imminente imboscata della polizia: Kathryn Dance aveva chiesto alle tre donne se sarebbero state disposte ad aiutarla nel caso vi fossero stati degli ostaggi. Pell non voleva che Jennie sapesse di Rebecca, per cui aveva inventato la storia della cameriera. «Tutta fortuna», disse lei, asciugandosi l'umidità dal viso. Pell la trovava molto bella. Jennie non era male, a letto, ma non era una sfida. Rebecca invece poteva tenerlo sveglio tutta la notte. Jennie aveva bisogno del sesso per essere accettata. Rebecca aveva, semplicemente, bisogno di sesso. Lui sentì un sussulto dentro di sé. La bolla che cresceva. «Come si comportano le mie ragazzine sotto pressione?» «Bisticciano e mi fanno impazzire, quelle stronzette. Voglio dire, è come se non fosse passato un giorno. Proprio come otto anni fa. Solo che Linda adesso è sempre attaccata alla Bibbia e Sam non è più Sam. Ha cambiato nome. E si è pure rifatta le tette.» «E danno una mano agli sbirri, è così?» «Oh, ci puoi scommettere. Ho cercato di depistarli meglio che ho potuto. Però non troppo apertamente.» «Non sospettano niente di te?» «No.» Pell la baciò ancora. «Sei la migliore, bambina. Sono qui solo per merito tuo.» Jennie Marston era solo una pedina nella fuga. Era stata Rebecca a pianificare tutto. Dopo che l'appello di Daniel Pell era stato respinto, lui aveva cominciato a pensare all'evasione. Era riuscito a fare qualche telefonata clandestina da Capitola e a parlare con Rebecca, che per un po' aveva considerato la possibilità di farlo fuggire. Senza successo, fino a quando lei non gli aveva detto che le era venuta un'idea. Aveva letto di un caso irrisolto di omicidio, quello di Robert Herron, e aveva deciso di trasformare Pell nell'indiziato numero uno. In questo modo, per il processo, lui sarebbe stato trasferito in una struttura con un minore livello di sicurezza. Rebecca aveva trovato un vecchio martello che le era rimasto dai tempi della Famiglia a Seaside e lo aveva nascosto nel garage della zia a Bakersfield. Nel frattempo, Pell aveva passato in rassegna la posta delle sue fan, in cerca di una candidata disposta ad aiutarlo. Aveva scelto Jennie Marston, una giovane donna della California del Sud, che soffriva di una sindrome peculiare: adorava i cattivi ragazzi. Sembrava meravigliosamente disperata e vulnerabile. Pell godeva solo di un accesso limitato ai computer, ma Re-
becca aveva aperto un indirizzo e-mail irrintracciabile e, fingendosi lui, aveva conquistato il cuore di Jennie e messo in atto il piano. Una delle ragioni della scelta era il fatto che Jennie viveva solo a un'ora da dove abitava Rebecca, così che quest'ultima era in grado di controllarla e scoprire ogni dettaglio della sua vita, dandole l'impressione che tra la ragazza e Pell ci fossero legami spirituali. Accanto a me, nello spirito... L'amore per i cardinali e i passeri, per il colore verde, per il cibo messicano... In questo triste mondo ci vuole poco per trasformare una come Jennie Marston nella tua anima gemella. Alla fine Rebecca, sempre fingendosi lui, via e-mail, aveva convinto Jennie della sua innocenza nei delitti Croyton e l'aveva indotta ad aiutarlo a evadere. Rebecca aveva avuto l'idea delle bombe dopo avere controllato tanto il tribunale di Salinas quanto gli orari delle consegne della filiale della You Mail It. E poi aveva mandato le sue istruzioni alla ragazza: rubare il martello, preparare il finto portafoglio e lasciare l'uno e l'altro a Salinas. Dopo di che, come preparare le bombe con la benzina e dove comprare i vestiti e la borsa antincendio. Dopo avere verificato via e-mail con Jennie che tutto fosse pronto, aveva postato il messaggio sul bollettino di Manslaughter: ogni cosa era a posto. In quel momento Pell le chiese: «Ha risposto Samantha quando ho chiamato, vero?» La chiamata, mezz'ora prima, in apparenza da una delle guardie, veniva in realtà da Pell, d'accordo con Rebecca per chiedere a chiunque avesse risposto - qualora non fosse lei - di controllare porte e finestre. Significava che lui stava per arrivare e che Rebecca avrebbe dovuto aspettarlo nella radura. «Non ha capito. È ancora una Topolina. Proprio non ci arriva.» «Voglio andarmene più presto che posso, amore. Quanto ci vorrà?» «Non molto.» Pell disse: «Ho il suo indirizzo. Quello della Dance». «Oh, una cosa che ti può interessare... i suoi figli non sono in casa. Non ha detto dove sono, ma sulla rubrica telefonica ho trovato uno Stuart Dance, probabilmente il padre o un fratello. Immagino che siano lì. Ah, c'è un poliziotto a sorvegliarli. Non c'è un marito.» «Vedova, giusto?» «Come fai a saperlo?» «Così. Quanti anni hanno i figli?»
«Non lo so. Ti importa?» «No. Semplice curiosità.» Rebecca fece un passo indietro e lo guardò. «Per essere uno straniero senza documenti, hai un bell'aspetto. Davvero.» Lo abbracciò. La vicinanza del corpo di lei, avvolto nel profumo dei pini e del mare, aumentò il desiderio di Pell. Le accarezzò il fondoschiena. La pressione aumentava. La baciò avidamente, insinuandole la lingua in bocca. «Daniel... non ora. Devo tornare dentro.» Pell non la ascoltava. La condusse nel fitto della foresta, le appoggiò le mani sulle spalle e la spinse verso il basso. Lei alzò un dito. Mise l'album sul terreno umido e vi si inginocchiò sopra. «Si chiederebbero perché ho le ginocchia bagnate.» E gli abbassò la cerniera lampo. La Rebecca che conosceva, rifletté lui. Pensava sempre a tutto. Michael O'Neil telefonò, finalmente. Kathryn fu lieta di sentire la sua voce, anche se il tono era puramente professionale: il detective non aveva voglia di parlare della loro discussione. Era ancora arrabbiato - lei se ne accorse subito -, un atteggiamento insolito per Michael. Si preoccupò, ma non c'era tempo di pensarci, con la notizia che lui doveva darle. «Mi ha chiamato la CHP. Degli autostoppisti a metà strada verso Big Sur hanno trovato una borsetta e alcuni effetti personali sulla spiaggia. Di Jennie Marston. Non c'è ancora il corpo, ma hanno visto del sangue sulla sabbia. E sangue, capelli e tessuto cutaneo su una pietra. Ci sono sopra le impronte di Pell. La Guardia Costiera ha mandato fuori due barche. Nella borsetta non c'era niente di utile: documenti e carte di credito. Se era lì che la ragazza teneva i suoi novemiladuecento dollari, adesso ce li ha Pell.» L'ha uccisa... Kathryn chiuse gli occhi. Pell aveva visto la foto di Jennie in TV, sapeva che era stata identificata. Per lui era diventata un rischio. Un secondo sospetto aumenta logaritmicamente le possibilità di arresto... «Mi spiace», disse O'Neil. Aveva intuito i suoi pensieri: Kathryn non aveva immaginato che diffondere la fotografia della complice ne avrebbe provocato la morte. Lei stava pensando: Credevo che ci avrebbe aiutato a catturare quell'uomo terribile.
Il detective disse: «Era la cosa giusta da fare. Dovevamo farlo». Dovevamo. Non dovevi, come avrebbe detto Overby. «Quando è successo?» «Secondo la scientifica, un'ora fa. Stiamo controllando la Highway 1 e le strade vicine. Purtroppo non ci sono testimoni.» «Grazie, Michael.» Kathryn non aggiunse altro. Aspettava che lo facesse lui, qualcosa sul loro litigio di prima, qualcosa sul conto di Kellogg. Non importava cosa, giusto una frase che le desse la possibilità di andare sull'argomento. Ma lui si limitò a: «Sto preparando una cerimonia in memoria di Juan. Ti farò sapere». «Grazie.» «Ciao.» Click. Kathryn chiamò Kellogg e Overby per dare loro la notizia. Il capo era incerto se fosse buona o cattiva: un altro era stato ucciso, ma per lo meno era uno di coloro a cui davano la caccia. Tutto sommato, lasciava capire il suo tono di voce, la stampa e l'opinione pubblica l'avrebbero visto come un punto a favore dei buoni. «Non ti pare, Kathryn?» Lei non ebbe il tempo di formulare una risposta: in quello stesso momento la chiamò il centralino del CBI. Era arrivata Theresa Croyton, la bambola che dorme. La ragazza non era affatto come Kathryn Dance se l'era immaginata. Maglione e pantaloni larghi, alta, snella, con i capelli lunghi fino a metà schiena, castani con riflessi rossi. Sull'orecchio sinistro c'erano quattro orecchini di metallo, cinque sull'orecchio destro. A quasi tutte le dita portava anelli d'argento. Il viso, privo di trucco, era magro, grazioso e pallido. Ad accompagnare la ragazza nell'ufficio di Kathryn c'erano Morton Nagle e la zia, una donna robusta con corti capelli grigi. Mary Boiling era torva e guardinga: era chiaro che quello era l'ultimo posto al mondo in cui avrebbe voluto trovarsi. Vi furono strette di mano e saluti. La ragazza era serena e socievole, anche se un po' nervosa, ma la zia era un pezzo di ghiaccio. Nagle avrebbe voluto essere presente, come era comprensibile, dato che parlare alla bambola che dorme era il suo obiettivo da ben prima dell'evasione di Pell. Tuttavia, a quanto pareva erano stati presi alcuni accordi e
per il momento avrebbe dovuto farsi da parte. Lo scrittore disse che, se ci fosse stato bisogno di lui, lo avrebbero trovato a casa. Kathryn gli rivolse un sincero ringraziamento. «Arrivederci, signor Nagle», disse Theresa. Lui rivolse un cordiale cenno di saluto tanto alla ragazza quanto alla donna che aveva cercato di sparargli (e che aveva tutta l'aria di dispiacersi di non esserci riuscita), fece una delle sue risatine, si tirò su la cintura e se ne andò. «Grazie per essere venuta. Ti chiamano 'Theresa'?» «Di solito 'Tare'.» Kathryn si rivolse alla zia. «Le spiace se parlo da sola con sua nipote?» «Va bene.» Era stata la ragazza a rispondere. «Va bene», ripeté più decisa, e con una punta di esasperazione. Come i musicisti con i loro strumenti, i giovani riuscivano a trarre un'infinita varietà di sfumature dalla loro voce. Kathryn aveva prenotato una stanza in un motel vicino alla sede del CBI, sotto uno dei nomi fittizi che usava ogni tanto per i testimoni. TJ scortò la zia nell'ufficio di Albert Stemple, che l'avrebbe accompagnata al motel e sarebbe rimasto ad aspettare con lei. Una volta sole, Kathryn girò intorno alla scrivania e chiuse la porta. Ignorava se la ragazza conservasse ricordi nascosti da recuperare, qualcosa che potesse servire a rintracciare Pell. Tuttavia intendeva scoprirlo, anche se sarebbe stato difficile. Nonostante la forte personalità di Theresa Croyton e la sua dimostrazione di coraggio, la reazione sarebbe stata la stessa di qualsiasi altro diciassettenne al mondo: innalzare una barriera a livello del subconscio per proteggersi dal dolore della memoria. Non si sarebbe ottenuto niente da lei fino a quando quella barriera non fosse stata abbattuta. Nei suoi colloqui e negli interrogatori, l'agente non praticava l'ipnosi classica. Ma sapeva che, quando un soggetto si sentiva rilassato e non si concentrava su stimoli esterni, poteva ricordare eventi che altrimenti gli sarebbero sfuggiti. Kathryn condusse Theresa al divano e spense il neon al soffitto, lasciando accesa solo la luce gialla della lampada sulla scrivania. «Sei comoda?» «Direi di sì.» Theresa aveva però ancora le dita intrecciate e le spalle sollevate. Rivolse a Kathryn un sorriso a denti stretti. Stress, rilevò l'agente. «Quell'uomo, il signor Nagle, mi ha detto che lei voleva chiedermi di quello che è successo la notte in cui i miei genitori, mio fratello e mia so-
rella sono stati uccisi.» «Esatto. So che in quel momento dormivi, ma...» «Come?» «So che dormivi al momento del delitto.» «Chi gliel'ha detto?» «Be', i giornali... la polizia.» «No, no. Io ero sveglia.» Kathryn batté le palpebre, sorpresa. «Eri sveglia?» L'espressione della ragazza era più sorpresa della sua. «Ecco, sì. Voglio dire, pensavo che fosse per questo che mi voleva vedere.» 47 «Continua, Tare.» Kathryn sentì il cuore accelerare. Si trattava forse di una porta che si apriva su un indizio trascurato, che avrebbe potuto fare luce sull'obiettivo di Pell? La ragazza si pizzicò il lobo dell'orecchio con i cinque orecchini di metallo. La punta di una scarpa si sollevò leggermente, segno che stava piegando le dita dei piedi. Stress... «Prima ho dormito, per un po'. Non mi sentivo molto bene. Ma poi mi sono svegliata. Avevo fatto un sogno. Non ricordo quale, ma doveva essere brutto. Mi sono svegliata con un gemito... sa come succede?» «Certo.» «O forse un grido. Solo che...» La voce sfumò. Theresa stava nuovamente pizzicandosi l'orecchio. «Non eri sicura di essere stata tu a fare quel suono? Poteva essere qualcun altro.» La ragazza deglutì. Forse stava pensando che poteva essere stato qualcuno della sua famiglia, mentre moriva. «Sì.» «Ricordi che ora era?» Kathryn sapeva che l'ora della morte era stata stabilita tra le sei e trenta e le sette di sera. Ma Theresa non rammentava con precisione. Potevano essere le sette. «Sei rimasta a letto?» «Uh-huh.» «Hai sentito altro, dopo quel suono?» «Sì, voci. Non riuscivo a distinguere molto bene quello che dicevano,
ero mezza addormentata. Ma sono sicura di averle sentite.» «Chi erano?» «Non lo so. Voci maschili. Di certo non erano mio padre o mio fratello, questo me lo ricordo.» «Tare, lo hai raccontato a qualcuno, all'epoca?» «Sì.» La ragazza fece un cenno affermativo. «Ma non interessava a nessuno.» Com'era possibile che Reynolds si fosse lasciato sfuggire una cosa del genere? «Be', raccontalo a me, adesso. Che cosa li hai sentiti dire?» «Un paio di cose. Per cominciare, parlavano di soldi. Quattrocento dollari, me lo ricordo bene.» Pell ne aveva di più su di sé quando lo avevano arrestato. Forse lui e Newberg stavano guardando nel portafogli di Croyton e commentando quanti soldi c'erano. O forse la frase esatta era quattrocentomila dollari? «E poi?» «Okay, poi un uomo, qualcun altro, disse qualcosa sul Canada. E un altro fece una domanda. Sul Québec.» «Qual era la domanda?» «Voleva sapere che cos'era il Québec.» Come si fa a non sapere cos'è il Québec? Kathryn si chiese se non si trattasse di Newberg: le donne avevano detto che era un genio della falegnameria, dell'elettronica e dei computer, ma non aveva tutte le rotelle a posto a causa della droga. Dunque, c'era una pista canadese. Era laggiù che Pell intendeva fuggire? Dopotutto era più facile varcare il confine con il Canada di quello con il Messico. E c'erano parecchie montagne, lassù. Kathryn sorrise e si protese in avanti. «Forza, Tare. Stai andando benissimo.» «Poi», riprese la ragazza, «qualcuno si mise a parlare di auto usate. Un altro uomo, a voce bassa. Parlava in fretta.» Le rivendite di auto usate erano uno strumento abituale per il riciclaggio di denaro sporco. Ma potevano anche discutere dell'auto da usare per la fuga. Inoltre non c'erano solo Pell e Newberg. C'era almeno una terza persona presente. «Tuo padre aveva interessi anche in Canada?» «Non lo so. Viaggiava molto, però non credo ne abbia mai parlato... Non ho mai capito perché la polizia non mi abbia chiesto altro. Finché Pell era in prigione, non faceva differenza, ma adesso che è fuori... Dopo che il si-
gnor Nagle ha detto che lei aveva bisogno di aiuto, ho cercato di dare un senso a quello che ho sentito. Forse lei può capirci qualcosa.» «Spero di sì. Hai sentito altro?» «No, dev'essere stato in quel momento che mi sono riaddormentata. E quando mi sono svegliata di nuovo...» Deglutì. «C'era quella donna in uniforme. Una poliziotta. Mi disse di vestirmi... Non ricordo altro.» Kathryn considerò: quattrocento dollari, una macchina usata, una provincia del Canada francese. E un terzo uomo. Era possibile che Pell fosse diretto a nord? Dovevano chiedere alla Homeland Security e all'Immigrazione di tenere d'occhio il confine settentrionale. Kathryn fece un nuovo tentativo di ricondurre la ragazza agli eventi di quella notte. Ma fu tutto inutile: Theresa non sapeva altro. Quattrocento dollari... Canada... Cos'è il Québec? Auto usate... Che fosse qui in mezzo la chiave del complotto di Pell? D'un tratto a Kathryn venne in mente qualcosa che riguardava la propria famiglia: lei, Wes e Maggie. Esaminò mentalmente i fatti. La teoria divenne sempre più credibile, anche se la conclusione non le piaceva affatto. Riluttante, domandò: «Tare, hai detto che erano circa le sette di sera?» «Sì, forse.» «Dove cenavate di solito?» «Dove? In genere nel salottino. La sala da pranzo era solo per le grandi occasioni.» «Guardavate la TV all'ora di cena?» «Sì, tanto. O almeno io, mio fratello e mia sorella.» «Il salottino era vicino alla tua camera?» «Sì... giù dalla scala. Come fa a saperlo?» «Guardavate mai Jeopardy?» Theresa si accigliò. «Sì.» «Tare, non è che le voci che hai sentito venivano dal gioco a quiz? Forse qualcuno aveva scelto 'Geografia' per quattrocento dollari. E la risposta era 'La provincia del Canada in cui si parla francese'. La domanda poteva essere: 'Cos'è il Québec?'» La ragazza tacque. Aveva gli occhi fissi. «No», disse con decisione, scuotendo il capo. «No, assolutamente. Ne sono sicura.» «E le auto usate... non poteva essere la pubblicità? Un uomo che parla in fretta e sottovoce, come nelle réclame delle auto?»
La ragazza arrossì di sgomento. Poi di rabbia. «No!» «Ma potrebbe essere», suggerì Kathryn, con delicatezza. Theresa chiuse gli occhi. «No.» Un sussurro. «Forse. Non lo so.» Era per questo che Reynolds non aveva dato importanza alla testimonianza della bambina. Anche lui doveva avere capito che ciò che aveva udito erano le voci di un programma televisivo. Il misterioso terzo uomo era il presentatore, Alex Ribes, oppure l'attore della pubblicità. Le spalle di Theresa scesero in avanti, come se crollassero. Un movimento lieve, eppure Kathryn ne colse il significato cinesico: dolore e sconfitta. La ragazza era convinta di ricordare qualcosa di importante che avrebbe permesso di catturare l'uomo che le aveva sterminato la famiglia. E in quel momento si rendeva conto che il coraggio che l'aveva portata fin lì, la sfida alla zia e tutti i suoi sforzi erano stati vani. Era mortificata. «Mi spiace...» Gli occhi le si riempirono di lacrime. Kathryn Dance sorrise. «Tare, non preoccuparti. Non è niente.» Le porse un Kleenex. «Non è niente? È terribile! Volevo tanto essere d'aiuto...» Un sorriso di incoraggiamento. «Oh, Tare, credimi, siamo solo in fase di riscaldamento.» Nel corso dei suoi seminari, Kathryn Dance raccontava la storiella del forestiero che si fermava in un villaggio per chiedere indicazioni a un contadino. Lo straniero guardava il cane accucciato ai piedi del contadino e gli chiedeva: «Il suo cane morde?» Il contadino rispondeva di no, ma quando il forestiero si chinava per accarezzare la bestiola, veniva morso. «Però lei ha detto che il suo cane non morde!» protestava. E l'altro: «Il mio cane no. Ma questo non è il mio cane». L'arte del colloquio non consiste solo nell'analizzare le risposte del soggetto, l'atteggiamento e il linguaggio non verbale. Comprende anche il porre le domande giuste. I fatti relativi ai delitti Croyton e alle successive indagini erano stati documentati in abbondanza dalla stampa e dalla polizia. Perciò Kathryn decise di indagare sul lasso di tempo su cui nessuno aveva mai chiesto nulla: quello precedente i delitti. «Tare, vorrei sapere che cosa è successo prima.» «Prima?» «Esatto. Cominciamo dalla mattinata.» Theresa aggrottò la fronte. «Oh, non ricordo molto. Voglio dire... quello
che è successo la sera è come se avesse cancellato tutto il resto.» «Provaci. Pensa: era maggio. Andavi a scuola, no?» «Sì.» «Che giorno era della settimana?» «Uhm, era venerdì.» «Te lo sei ricordata subito.» «Perché di venerdì papà ci portava in giro. Quel giorno dovevamo andare alle giostre a Santa Cruz. Però è saltato tutto perché non mi sentivo bene.» Theresa si sfregò gli occhi, mentre ricordava. «Brenda, Steve... mia sorella, mio fratello... e io dovevamo andare con papà. La mamma stava a casa perché sabato aveva una serata di beneficenza o qualcosa del genere e doveva organizzarla.» «Ma il programma è cambiato?» «Sì. Noi, ecco, stavamo per andare...» Theresa abbassò lo sguardo. «Non mi sono sentita bene. In macchina. E allora siamo tornati indietro.» «Che cosa avevi? Un raffreddore?» «Mal di stomaco. Influenza.» La ragazza strinse gli occhi e si portò una mano alla pancia. «Oh, tremendo. Non lo sopporto.» «Sì, proprio una rottura.» «E a che ora siete tornati a casa?» «Verso le cinque e mezza.» «E sei andata subito a letto?» «Sì, proprio così.» Theresa guardò fuori dalla finestra, verso gli alberi contorti. «E poi ti sei svegliata, sentendo le voci dalla TV.» La ragazza arrotolò una ciocca di capelli castano rossicci. «Québec.» Abbozzò un sorriso triste, In quel momento Kathryn fece una pausa. Doveva prendere una decisione, molto importante. Non aveva dubbi: Theresa le nascondeva qualcosa. Durante la loro conversazione casuale e poco dopo, quando aveva raccontato delle voci dalla TV, il comportamento cinesico della ragazza era aperto e rilassato, anche se denotava uno stress generale, del tutto normale per chiunque parlasse con la polizia nel corso di un'indagine, anche quando si trattava di una vittima innocente. Tuttavia, appena si erano messe a parlare della gita a Santa Cruz, erano cominciate le esitazioni. Theresa si era coperta parte del viso e un orecchio, gesti di negazione. Aveva guardato
fuori dalla finestra, segno di avversione. Cercava di apparire calma, però tradiva lo stress battendo ritmicamente il piede. Kathryn riconosceva gli schemi: la ragazza era in fase di negazione. Tutto quello che le stava dicendo corrispondeva presumibilmente a fatti verificabili. Ma l'inganno comprende anche elusioni e omissioni, oltre alle bugie conclamate. C'era qualcosa che Theresa non le stava dicendo. «Tare, mentre eravate in macchina è successo qualcosa che ti ha turbato, è vero?» «Turbato? No, davvero. Giuro di no.» Tre segnali: due espressioni di negazione unite al rispondere a una domanda con un'altra domanda. La ragazza era rossa in viso e il piede batteva sul pavimento, una serie evidente di reazioni da stress. «Andiamo, dimmelo. Va tutto bene. Non c'è niente di cui preoccuparsi.» «È che... sa... I miei genitori, mio fratello e mia sorella... sono stati uccisi. Chi non sarebbe sconvolto?» Una punta di rabbia, adesso. Kathryn assentì, solidale. «Mi riferisco a prima. Siete partiti da Carmel, diretti a Santa Cruz. Tu non ti sei sentita bene. Siete tornati a casa. Che cos'è che ti ha turbato, mentre eravate in macchina?» «Non lo so. Non ricordo. È stato tanto tempo fa.» Quella frase, in una persona in fase di negazione, significava: Ricordo perfettamente ma non te lo voglio dire, fa troppo male. «Eravate in macchina e...» «Io...» cominciò Theresa, ma si zittì. Posò la testa fra le mani e scoppiò in lacrime. Un torrente, accompagnato da singhiozzi incessanti. «Tare...» Kathryn si alzò e le porse una manciata di fazzolettini. La ragazza piangeva sommessamente, ma i singhiozzi erano sempre più violenti. «Va tutto bene», disse l'agente, provando compassione. Le appoggiò una mano su un braccio. «Qualunque cosa sia successa, va tutto bene. Non preoccuparti. È tutto a posto.» «Io...» La ragazza era paralizzata. Stava chiaramente cercando di prendere una decisione. Ma, si chiedeva Kathryn, per il sì o per il no? Poteva rivelare tutto, oppure chiudersi dietro un muro. In questo secondo caso, il colloquio sarebbe finito. Poi Theresa disse: «Oh, volevo dirlo a qualcuno. Solo che non potevo. Non ai dottori, agli amici, a mia zia...» Ancora singhiozzi. Testa china, mani in grembo quando non asciugavano le lacrime. Segni da cinesica da manuale: la ragazza stava spostandosi nella fase di accettazione della rea-
zione emotiva. Stava per liberarsi del terribile fardello che si portava dentro. Finalmente stava confessando. «È colpa mia. È colpa mia se sono morti!» Appoggiò la testa allo schienale del divano. Il volto era arrossato, i tendini allo spasimo. Il maglione era umido di lacrime. «Brenda e Steve, mamma e papà... tutti per colpa mia!» «Perché ti sei sentita male?» «No, perché ho fatto finta di sentirmi male!» «Raccontami.» «Non volevo andare alle giostre. Non ce la facevo, non mi piaceva! L'unica idea che mi è venuta era fingere di star male. Pensavo a quelle modelle che si mettevano un dito in gola così vomitavano e non ingrassavano. Ho fatto lo stesso quando eravamo in macchina, in autostrada, mentre nessuno mi vedeva. Ho vomitato sul sedile posteriore e ho detto che avevo l'influenza. Faceva schifo, tutti si sono arrabbiati e papà ha girato la macchina e ci ha riportati a casa.» Dunque era questo. La povera ragazza si era convinta che la famiglia fosse morta a causa sua, perché lei aveva raccontato una bugia. E aveva vissuto con quel peso per otto anni. Una verità era stata riportata alla luce. Un'altra ancora restava nascosta. E Kathryn aveva intenzione di disseppellirla. «Dimmi, Tare. Perché non volevi andare alle giostre?» «Non volevo e basta. Non era divertente.» Confessare una bugia non implica necessariamente rivelarle tutte. La ragazza era tornata in fase di negazione. «Come mai? A me lo puoi dire. Avanti.» «Non lo so. Non era divertente.» «Perché no?» «Be', papà aveva sempre da fare. Allora ci dava i soldi e diceva che poi sarebbe venuto a prenderci. Intanto andava a fare delle telefonate e cose così. Era noioso.» Il piede riprese a battere. Theresa si pizzicava gli orecchini in modo compulsivo: quello in cima, poi quello in basso, poi i tre di mezzo. Lo stress la stava consumando. Ma non era solo la cinesica a mandare segnali rilevanti di inganno a Kathryn Dance. I bambini, i ragazzi, anche una studentessa di diciassette anni, spesso sono soggetti difficili da analizzare. In molti casi viene effettuato solo un esame dei contenuti, valutandone la sincerità in base a ciò
che dicono, non a come lo dicono. Quello che Theresa stava dicendo non aveva senso, né in base alla storia che stava raccontando, né in base all'esperienza diretta di Kathryn dei bambini e del luogo in questione. Wes e Maggie, per esempio, andavano matti per le giostre di Santa Cruz e avrebbero fatto salti di gioia al pensiero di poter passare qualche ora senza adulti intorno e con un po' di soldi in tasca. C'erano tante attrazioni, oltre alle giostre: cibo, musica e giochi. E a Kathryn non sfuggì un'altra contraddizione: perché quel venerdì Theresa non era semplicemente rimasta a casa con la mamma, lasciando che il padre portasse a Santa Cruz il fratello e la sorella? Era come se volesse che anche loro non ci andassero. Kathryn rifletté per un momento. Dal punto A al punto B... «Tare, stavi dicendo che tuo padre lavorava e faceva telefonate mentre tu, tuo fratello e tua sorella andavate sulle giostre?» La ragazza abbassò gli occhi. «Sì, credo di sì.» «Dove andava a fare le telefonate?» «Non lo so. Aveva il cellulare. A quei tempi non erano in molti ad averlo. Ma lui sì.» «Vedeva qualcuno a Santa Cruz?» «Non lo so. Può darsi.» «Tare. Chi vedeva? Con chi si incontrava?» Theresa alzò le spalle. «Erano altre donne?» «No.» «Sei sicura?» Theresa non aprì bocca. Guardava dappertutto, sfuggendo lo sguardo di Kathryn. Finalmente si decise a dire: «Può essere. Qualche volta, sì». «E tu pensi che potevano essere... le sue ragazze?» Un cenno di assenso. Di nuovo lacrime. A denti stretti, Theresa cominciò: «E...» «Che cosa, Tare?» «Diceva che, quando tornavamo a casa, se la mamma ce lo chiedeva, dovevamo dire che era rimasto con noi. Altrimenti lei si arrabbiava, perché diceva che lavorava troppo e non si prendeva mai un momento di svago.» La ragazza era arrossita. Kathryn ricordava che Reynolds aveva accennato alla fama di donnaiolo di Croyton.
Dalle labbra tremanti di Theresa sfuggì una risata amara. «L'ho anche visto. Brenda e io saremmo dovute restare alle giostre, ma eravamo andate a una gelateria dall'altra parte di Broad Street. E l'ho visto. C'era quella donna in macchina e lui la stava baciando. E non era l'unica. L'ho visto anche con un'altra: andava nel suo appartamento o in una casa sulla spiaggia. Era per questo che non volevo che si recasse a Santa Cruz. Volevo che tornasse a casa e stesse con la mamma e con noi. Non che andasse con un'altra.» Si asciugò le lacrime dal viso. «E allora ho detto una bugia», concluse, più calma. «Ho fatto finta di star male.» E così Croyton incontrava le sue amanti a Santa Cruz, usando i bambini come alibi per ingannare la moglie, abbandonandoli a loro stessi finché non aveva finito. «E la mia famiglia è stata uccisa. È stata tutta colpa mia.» Kathryn si protese verso Theresa e le disse con voce bassa e piena di calore umano: «No, Tare, non è stata affatto colpa tua. Siamo sicuri che Daniel Pell aveva in ogni caso intenzione di uccidere tuo padre. Non è stato un evento casuale. Se non foste stati a casa quella sera, sarebbe tornato un'altra volta». Theresa si era acquietata. «Davvero?» Kathryn non avrebbe potuto giurarlo, però non poteva permettere che la ragazza vivesse con quel terribile senso di colpa. «Davvero.» La ragazza si sentiva meglio. «Che stupida.» Era in imbarazzo, adesso. «Sono stata stupida. Volevo aiutarla a prenderlo. E invece mi sono comportata come una bambina.» «Oh, stiamo andando benissimo», lo consolò Kathryn. Dal suo tono di voce trapelavano i pensieri che le stavano affollando la mente. «Sul serio?» «Oh, sì! Tant'è che mi sono venute in mente altre domande. Spero che tu mi possa rispondere.» Lo stomaco di Kathryn borbottò proprio in quel momento. Non poteva scegliere un momento migliore. Risero entrambe e l'agente disse: «A patto che nel nostro immediato futuro ci siano due frappuccini e un paio di biscotti». Theresa si asciugò gli occhi. «Ci sto, sì.» Kathryn chiamò Rey Carraneo e lo incaricò della missione di procurarsi viveri da Starbucks. Quindi fece un'altra telefonata, stavolta a TJ, per dirgli di rimanere in ufficio: era convinta che ci sarebbe stato un cambio di programma. Dal punto A al punto B al punto X...
48 Nell'auto parcheggiata vicino al Point Lobos Inn, lontano dalla vista delle guardie, Daniel Pell fissava un punto tra i cipressi. «Avanti», mormorò. Ed eccola, pochi secondi più tardi: Rebecca correva tra i cespugli con lo zaino in spalla. Salì in macchina e gli diede un bacio. Poi si appoggiò allo schienale. «Che tempo di merda», brontolò. Sogghignò e lo baciò ancora. «Non ti ha visto nessuno?» Lei rise. «Sono uscita dalla finestra. Pensano che sia andata a letto presto.» Pell mise in moto e si diresse verso l'autostrada. Quella era la sua ultima notte sulla penisola di Monterey e, in un certo senso, la sua ultima notte sulla Terra. Poi avrebbe rubato un'altra auto, forse un fuoristrada o un furgone, e avrebbe percorso le strette e tortuose strade che portavano nella California del Nord, fino a raggiungere la sua proprietà. Sarebbe stato il re della montagna, il re della Famiglia. Non avrebbe dovuto rispondere a nessuno, non avrebbe subito interferenze. Nessuno lo avrebbe sfidato. E avrebbe conquistato una dozzina, due dozzine di giovani, tutti sedotti dal Pifferaio Magico. Il paradiso... Prima però doveva portare a termine la missione. Doveva garantirsi il proprio futuro. Pell passò a Rebecca la cartina di Monterey County. Lei aprì un foglietto, lesse la via e il numero civico, quindi si mise a studiare il percorso. «Non è molto lontano. Ci vorrà un quarto d'ora o poco più.» Edie Dance guardò fuori dalla finestra. L'auto della polizia era davanti alla casa. Quella presenza la rassicurava, con un assassino evaso in giro lì nei pressi. Apprezzava il fatto che Katie si fosse presa cura di loro. Ma in quel momento non era Daniel Pell a occupare i suoi pensieri. Era Juan Millar. Edie era stanca, le sue vecchie ossa non facevano il loro dovere ed era lieta di avere deciso di non fare il turno straordinario, per il quale tutte le infermiere si potevano sempre offrire volontarie. La morte e le tasse erano le uniche certezze della vita, ma lo erano anche le cure sanitarie, e a Edie il
lavoro non sarebbe mai mancato. Non riusciva a capire perché a suo marito la vita marina interessasse più di quella umana. Era così affascinante vedere la gente, aiutarla, rassicurarla, alleviare la loro sofferenza. Uccidimi... Presto Stuart avrebbe fatto ritorno con i bambini. Edie amava i nipotini, naturalmente, e adorava stare in loro compagnia. Era una fortuna che Katie abitasse vicino: molti suoi amici avevano figli che vivevano a centinaia o addirittura a migliaia di chilometri di distanza. Sì, era felice che Wes e Maggie stessero da loro, ma lo sarebbe stata molto di più quando quell'uomo terribile fosse stato arrestato e messo in prigione. Il fatto che Katie fosse diventata un'agente del CBI l'aveva sempre preoccupata. A Stu sembrava far piacere, cosa che la irritava ancora di più. Edie Dance non avrebbe mai chiesto a una donna di rinunciare alla propria carriera: lei stessa aveva lavorato per tutta la vita. Però, santo cielo, andare in giro con una pistola ad arrestare assassini e trafficanti di droga! Edie non avrebbe mai confessato il suo desiderio segreto: che la figlia incontrasse un altro uomo, si risposasse e abbandonasse la polizia. Katie aveva avuto successo come consulente per le giurie. Perché non poteva tornare a farlo? E poi lei e Martine Christensen avevano quel bellissimo sito internet che rendeva qualche soldo. Se vi si fossero dedicate a tempo pieno, chissà che successo avrebbero potuto avere. Edie era molto affezionata a Bill Swenson, un uomo simpatico, un ottimo padre. E l'incidente che gli era costato la vita era stato un'autentica tragedia, ma da allora erano passati anni, e ormai era tempo che la figlia lo superasse. Peccato che Michael O'Neil non fosse libero: lui e Katie sarebbero stati una bella coppia (Edie non capiva che cosa lui trovasse in quella primadonna di Anne, che sembrava trattare i bambini come fossero decorazioni natalizie e si preoccupava più della sua galleria d'arte che della casa). E anche quell'agente dell'FBI che era venuto alla festa di Stu, Winston Kellogg, sembrava carino. A Edie ricordava un po' Bill. E poi c'era Brian Gunderson, l'uomo con cui la figlia era uscita ultimamente. La madre non aveva mai messo in dubbio il buon senso di Katie quando si trattava di scegliere un fidanzato. Il problema era lo stesso che Edie aveva nello swing quando giocava a golf: l'accompagnamento. E ne sapeva la ragione: Katie le aveva confidato che a Wes non andava che lei uscisse con qualcuno. Edie aveva lavorato tanto con gli adulti quanto con i bambini, e aveva visto come questi ultimi potessero essere astuti e influenti, anche a
livello inconscio. Sua figlia doveva proprio affrontare la questione. Solo che non voleva e vi si nascondeva dietro. Certo che non spettava alla nonna parlare con il ragazzo. I nonni possono godere della compagnia dei nipoti, ma il prezzo è che devono rinunciare a intervenire al posto dei genitori. Edie aveva detto la sua alla figlia, che si era trovata d'accordo, eppure, a quanto pareva, aveva ignorato i suoi consigli, rompendo con Brian e... La donna si voltò. Un rumore da fuori, dal cortile. Guardò il posto macchina, per vedere se Stu era arrivato. No, la Prius non c'era. L'auto della polizia era ancora al suo posto davanti alla casa. Edie sentì di nuovo quel rumore. Ghiaia smossa. Abitavano in riva all'oceano, su un lungo pendio che scendeva dal centro della città fino a Carmel Beach. Il loro cortile era un giardino a gradoni, bordato di muri in pietra. Quando si camminava lungo il sentiero che collegava il cortile con quello del vicino, talvolta la ghiaia cadeva lungo le pareti. Era quello il rumore che aveva sentito. Edie uscì sul portico, nel retro. Non vide nulla e non udì altri rumori. Doveva essere stato un cane o un gatto. Gli animali domestici non avrebbero dovuto essere liberi, i regolamenti di Carmel erano piuttosto severi. Ma in città c'era simpatia per gli animali (l'attrice Doris Day aveva un bellissimo albergo a Carmel, dove cani e gatti erano i benvenuti) e capitava spesso che ce ne fosse qualcuno in giro. Edie Dance chiuse la porta. Sentì l'auto di Stu che imboccava il vialetto e si dimenticò del rumore. Andò al frigorifero per tirare fuori qualcosa per i nipotini. Il colloquio con la bambola che dorme aveva portato a una conclusione interessante. Rientrata nel suo ufficio, Kathryn si assicurò che zia e nipote fossero al sicuro al motel, protette dal monolitico agente del CBI, equipaggiato con due grosse pistole. Stavano bene, assicurò Albert Stemple, e aggiunse: «La ragazza è simpatica, mi piace. La zia te la puoi tenere». Kathryn lesse gli appunti che aveva preso nel corso della conversazione, poi li rilesse. E infine chiamò TJ. «Il genio è pronto a obbedire, capo.» «Portami tutto quello che abbiamo raccolto finora su Pell.» «Tutto il malloppo?»
«Sì.» Kathryn stava esaminando gli appunti di James Reynolds quando, solo tre o quattro minuti più tardi, TJ arrivò trafelato. Forse gli aveva dato l'ordine con più decisione del necessario. Dispose le carte sulla scrivania, coprendola con uno strato spesso un paio di centimetri. In poco tempo avevano accumulato una sorprendente quantità di materiale. Kathryn cominciò a sfogliare i fascicoli. «La ragazza è stata di aiuto?» «Sì», rispose lei distrattamente, lo sguardo fisso su una pagina. TJ fece qualche altro commento, ma Kathryn non gli prestò attenzione. Sfogliava i rapporti e gli appunti scritti a mano, confrontandoli con la ricostruzione di Reynolds e con altre trascrizioni. Quindi disse: «Ho una richiesta da fare al computer. Tu te ne intendi. Controllami questi». Segnò con un cerchio alcune parole su un foglio. Lui lo guardò. «Perché?» «Mi puzza.» «Non è un termine tecnico dell'informatica, comunque ci penso io, capo. Noi non dormiamo mai.» «Abbiamo un problema.» Kathryn si stava rivolgendo a Charles Overby, Winston Kellogg e TJ. Erano nell'ufficio del capo del CBI, che stava giocherellando con una palla da golf di bronzo montata su un piedistallo di legno. Sembrava il cambio di una macchina sportiva. Era un peccato che non ci fosse Michael O'Neil. E in quel momento lei lasciò cadere la bomba. «Rebecca Sheffield è complice di Pell.» «Che cosa?» proruppe Overby. «C'è di più. Credo che ci sia lei dietro l'evasione.» Il capo del CBI scosse la testa. Quella teoria lo preoccupava e di sicuro si stava chiedendo se aveva autorizzato qualcosa che avrebbe fatto meglio a evitare. Winston Kellogg, invece, incoraggiò Kathryn. «Interessante. Continua.» «Theresa Croyton mi ha raccontato certe cose che mi hanno insospettito. Per cui ho ricontrollato tutti gli indizi che avevamo finora. Ricordate quell'e-mail che abbiamo trovato al Sea View? Pell avrebbe dovuto inviarla a Jennie dalla prigione. Ma guardate.» Mostrò agli altri la stampata. «L'indirizzo dice 'Capitola Correctional'. Però c'è scritto punto-com. Se fosse davvero un indirizzo del dipartimento, dovrebbe finire con punto-
gov.» Kellogg storse la bocca. «Accidenti! Mi è sfuggito.» «Ho chiesto a TJ di controllare l'indirizzo.» Il giovane agente spiegò: «Il provider si trova a Seattle. Si può creare il proprio dominio con qualsiasi nome, a condizione che non l'abbia già preso qualcun altro. È un account anonimo, ma abbiamo chiesto un mandato per avere accesso agli archivi.» «Anonimo? E perché hai pensato a Rebecca?» «Guardate qua. Questa frase: 'Che cosa si potrebbe volere di più dalla vita?' è particolare: l'ho notata perché ricorda una frase in una vecchia canzone di Gershwin.» «E perché è importante?» «Perché Rebecca ha usato la stessa espressione la prima volta che l'ho vista di persona.» Overby disse: «Tuttavia...» Kathryn non era in vena di interruzioni. «Guardiamo i fatti. Venerdì Jennie ruba la Thunderbird al ristorante a Los Angeles. Sabato si registra al Sea View Motel. Il suo telefono e la carta di credito attestano che per tutta la scorsa settimana non si muove da Orange County, sennonché la donna che si è presentata alla filiale della You Mail It c'è andata di mercoledì. Abbiamo trasmesso via fax un mandato alle compagnie delle carte di credito di Rebecca, che risulta essere andata in volo da San Diego a Monterey martedì, avere noleggiato una macchina ed essere poi rientrata giovedì.» «Okay, bene», convenne Overby. «Quello che penso è che non era con Jennie che Pell parlava da Capitola. Era con Rebecca. L'hanno scelta perché Jennie viveva non lontano da lei, così a Rebecca era più facile scoprire tutto sul suo conto.» «Quindi Rebecca sa dove si trova Pell», intervenne Kellogg. «È al corrente di cosa sta combinando.» «Deve saperlo.» Overby disse: «Andiamo a prenderla. Poi fai la tua magia, Kathryn». «La voglio sotto custodia, ma mi occorrono altre informazioni prima di interrogarla. Devo parlare con Nagle.» «Lo scrittore?» Kathryn annuì. Si rivolse a Kellogg: «Puoi andare a prendere Rebecca?» «Certo, se mi trovi un rinforzo.» Overby disse che avrebbe chiamato l'MCSO e che un agente avrebbe at-
teso Kellogg fuori dal Point Lobos Inn. Il capo del CBI colse Kathryn di sorpresa sottolineando un aspetto a cui lei non aveva pensato: non c'era motivo di sospettare che Rebecca fosse armata ma, dal momento che era arrivata in macchina da San Diego e non era passata attraverso alcun controllo aeroportuale, non si poteva escludere che avesse una pistola. Kathryn disse: «Bene, Charles». Poi fece un cenno a TJ. «Andiamo a parlare con Nagle.» Erano in macchina quando squillò il telefono di Kathryn. «Pronto?» Il tono di Winston Kellogg era insolitamente concitato. «Kathryn, se n'è andata.» «Rebecca?» «Sì.» «Le altre stanno bene?» «Sì. Linda dice che Rebecca non si sentiva bene ed è andata a letto presto. Non voleva essere disturbata. Abbiamo trovato la sua finestra aperta. Ma la sua macchina è ancora al CBI.» «Quindi Pell è passato a prenderla.» «Suppongo.» «Quando?» «Rebecca si è chiusa in camera un'ora fa. Le altre non sanno quando può essere uscita.» Se Pell e Rebecca avessero voluto fare del male alle altre due donne, avrebbe potuto occuparsene lei, o lasciare entrare l'uomo dalla finestra. Dunque, specie con le guardie intorno, Linda e Samantha non correvano un pericolo immediato. «Dove ti trovi adesso?» chiese Kathryn. «Sto tornando al CBI. Credo che Pell e Rebecca tenteranno la fuga. Chiederò a Michael di allestire di nuovo i posti di blocco.» Dopo quella conversazione, Kathryn chiamò Morton Nagle. «Pronto?» rispose questi. «Sono Kathryn. Senti, Rebecca è con Pell.» «Che cosa? L'ha rapita?» «Sono complici. È stata lei a organizzare l'evasione.» «No!» «Forse si stanno allontanando dalla città, ma c'è la possibilità che tu sia in pericolo.»
«Io?» «Chiudi le porte. Non far entrare nessuno. Noi stiamo arrivando. Saremo lì tra cinque minuti.» In realtà ce ne vollero dieci, anche con la guida aggressiva di TJ (lui preferiva chiamarla «decisa»), perché le strade erano piene di turisti in partenza anticipata per il weekend. Si fermarono sgommando davanti alla casa dello scrittore e andarono alla porta. Kathryn bussò. Nagle venne ad aprire poco dopo. Guardò TJ e poi la strada. I due agenti entrarono. Lo scrittore chiuse la porta. Aveva le spalle curve. «Mi spiace», mormorò con voce rotta. «Mi ha detto che, se mi fossi lasciato sfuggire qualcosa al telefono, avrebbe ucciso la mia famiglia. Mi spiace tanto.» Daniel Pell, in piedi dietro la porta, appoggiò la canna della pistola alla nuca di Kathryn. 49 «Ecco la mia amica. Il gatto che dà la caccia al topo. Con quel nome ridicolo: Kathryn Dance...» Nagle riprese: «Quando hai chiamato, è apparso il tuo numero sul display. Mi ha costretto a dirgli chi era, e farti credere che andava tutto bene. Non volevo. I miei figli...» «Non preoccuparti...» cominciò lei. «Shhh, signor Scrittore e signora Interrogatrice. Shhh.» Nella stanza da letto sulla sinistra, Kathryn vide la famiglia di Nagle: la moglie, Joan, il teenager Eric e la piccola, rotondetta Sonja erano stesi a pancia in giù con le mani legate dietro la testa, ai piedi di Rebecca, seduta sul letto e armata di coltello. La donna rivolse a Kathryn uno sguardo privo della minima emozione. L'unica ragione per cui la famiglia non era ancora stata uccisa era che a Pell serviva per controllare Nagle. Gli schemi che si ripetono... «Vieni qui, amore, dammi una mano.» Rebecca si alzò dal letto e li raggiunse. «Prendigli pistole e telefoni.» Pell tenne la pistola all'orecchio dell'agente mentre la complice la disarmava. Poi l'uomo ordinò a Kathryn di ammanettarsi da sola. Lei obbedì.
«Sono troppo larghe.» Pell strinse i bracciali, strappandole una smorfia di dolore. Lo stesso trattamento fu riservato a TJ. Dopo di che Pell li spinse entrambi sul divano. «Attento a quello che fai», mormorò TJ. Pell si rivolse a Kathryn. «Stammi a sentire. Mi ascolti?» «Sì.» «Sta per venire qualcun altro?» «Non ho chiamato nessuno.» «Rispondi alla domanda Dovresti saperlo, tu che sei l'asso degli interrogatori.» L'essenza della calma. «Per quanto ne so, nessuno. Venivo solo a fare qualche domanda a Morton.» Pell depose i loro cellulari su un tavolino. «Se qualcuno vi chiama, ditegli che state tutti bene. Tra un'ora circa sarete di nuovo in ufficio. Ma adesso non potete dire niente. Siamo d'accordo su questo? Se no, prendo uno dei ragazzini e...» «D'accordo», rispose Kathryn. «E ora non voglio più sentire una parola. Noi...» «Non sei per niente furbo», disse TJ. No, no, pensò Kathryn. Lascia che ti controlli. Non puoi sfidare Daniel Pell. L'assassino si mise davanti a TT e, tranquillamente, gli appoggiò la canna della pistola alla gola. «Che cosa vi ho detto?» Al poliziotto era passata la voglia di scherzare. «Che non vuoi sentire una parola.» «Però tu hai detto qualcosa. Chi te lo ha fatto fare? È stata una cosa stupida.» Lo ucciderà, pensò Kathryn. No, per favore. «Pell, ascoltami...» «Hai parlato anche tu», disse l'assassino, puntando la pistola su di lei. «Chiedo scusa», sussurrò TJ. «Altre parole.» Pell si rivolse a Kathryn. «Ho qualche domanda da fare a te e al tuo amichetto, fra un minuto. State seduti buoni e godetevi la scenetta di gioia domestica.» Si voltò verso Nagle. «Continua.» Lo scrittore tornò al lavoro che, evidentemente, era stato interrotto dall'arrivo di Kathryn e TJ: gettare nel caminetto gli appunti e il materiale delle sue ricerche. Pell contemplò il falò e aggiunse, distrattamente: «E se trovo qualcosa
che hai tralasciato, taglio le dita a tua moglie. Poi passo ai tuoi figli. E smettila di piangere, non è dignitoso. Un po' di controllo». Trascorsero dieci allucinanti minuti di silenzio, mentre Nagle cercava gli appunti e li buttava nel fuoco. Kathryn si rendeva conto che, appena lui avesse finito e Pell avesse saputo da loro due ciò che gli interessava, sarebbero stati uccisi tutti quanti. La moglie di Nagle stava piangendo. «Ci lasci stare, per favore, per favore, qualsiasi cosa... Faccio qualsiasi cosa, per favore...» Kathryn guardò verso la camera da letto, dove la donna era sdraiata a terra accanto ai figli. Sonja singhiozzava in modo patetico. «Silenzio, signora Scrittore.» L'orologio di Kathryn era nascosto dalle manette. Si chiese che cosa stessero facendo in quel momento i suoi figli. Il pensiero le risultò troppo doloroso: si impose di concentrarsi su quanto stava avvenendo in quella stanza. C'era qualcosa che poteva fare? Scendere a patti con lui? Ma per farlo, le occorreva un elemento che per Pell potesse avere qualche valore. Resistere? Le sarebbe servita un'arma. «Perché fa questo?» gemette Nagle, mentre le fiamme consumavano gli ultimi fogli di appunti. «Zitto, tu.» Pell si alzò e smosse le fiamme con un attizzatoio. Quindi si ripulì le mani. Mostrò le dita nere di fuliggine. «Mi fa sentire a casa. Mi hanno preso le impronte digitali almeno cinquanta volte nella mia vita. Capisco sempre quando uno è nuovo del mestiere: gli trema la mano quando ti preme le dita sulla carta. Okay, allora...» Si voltò verso Kathryn. «Dalla tua chiamata al signor Scrittore ho capito che avevi scoperto il gioco di Rebecca. Ed è di questo che ti devo parlare. Che cosa sai di noi? E chi altri lo sa? Dobbiamo fare progetti e abbiamo bisogno di sapere che cosa fare adesso. E renditi bene conto, agente Dance, che non sei l'unica che riconosce un bugiardo a cinquanta passi. Sono capace anch'io. Abbiamo un talento naturale, tutti e due.» Che lei mentisse o no, non faceva differenza. Tanto, erano tutti morti. «Oh, devo dirti anche che Rebecca mi ha procurato un altro indirizzo. Quello di un certo Stuart Dance.» Era un colpo basso per Kathryn. Dovette reprimere una nausea improv-
visa. Sentì una vampata di calore al petto e al viso, come una secchiata di acqua rovente. «Figlio di puttana!» sbottò TJ. «E se mi dici la verità, tua madre, tuo padre e i tuoi bambini staranno bene. Ho indovinato tutto sui tuoi figli, vero? Al nostro primo incontro. E niente marito. Una povera vedova, mi ha detto Rebecca. Molto spiacente. Be', scommetto che i bambini sono con i nonni, al momento.» In quel momento, Kathryn Dance arrivò a una decisione. Era un azzardo, e in altre circostanze sarebbe stata una scelta difficile se non impossibile. In quel momento, però, anche se probabilmente le conseguenze sarebbero potute essere tragiche in un senso o nell'altro, non aveva alternative. Non aveva armi, a parte le parole e l'intuito. Dal punto A al punto B al punto X... Doveva bastare. Kathryn cambiò posizione sul divano, in modo da guardare in faccia Pell. «Non sei curioso di sapere perché siamo qui?» «Questa è una domanda. Non voglio una domanda. Voglio una risposta.» Il marchio di fabbrica di Pell: deve sentire di avere il controllo. «Per favore, lasciami continuare. Sto già rispondendo alla tua domanda. Per favore.» Pell la guardò accigliato. «Pensaci: perché saremmo dovuti arrivare qui di corsa?» Normalmente si sarebbe rivolta al soggetto chiamandolo per nome. Ma a Pell poteva sembrare un tentativo di dominarlo, mentre doveva sempre sentire di avere la situazione in pugno. Lui fece una smorfia, impaziente. «Arriva al punto.» Rebecca le rivolse uno sguardo severo. «Sta cercando di prendere tempo. Andiamocene, caro.» Kathryn disse: «Perché dovevo mettere in guardia Morton...» Rebecca mormorò: «Finiamola e andiamocene. Cristo, stiamo sprecando...» «Aspetta, amore.» I luminosi occhi azzurri di Pell fissavano Kathryn con attenzione, come avevano fatto a Salinas durante il colloquio, lunedì. Sembrava fossero passati anni da allora. «Sì, volevi mettere in guardia Morton su di me. E allora?» «No, volevo metterlo in guardia su Rebecca.»
«Di cosa stai parlando?» Kathryn sostenne lo sguardo. «Volevo avvisarlo che lei ha intenzione di servirsi di te per ucciderlo. Come si è servita di te otto anni fa con William Croyton.» 50 Kathryn vide il bagliore nell'azzurro irreale degli occhi di Daniel Pell. Aveva toccato un tasto dolente per il dio del controllo. Si è servita di te... «Questa è una stronzata!» proruppe Rebecca. «Potrebbe esserlo», disse Pell. Kathryn notò che aveva usato il condizionale. Non era un'affermazione assoluta. Si protese in avanti. Si tende a credere che chi si avvicina sia più propenso a dire la verità rispetto a chi si allontana. «Ti ha incastrato, Daniel. E vuoi sapere perché? Per uccidere la moglie di William Croyton.» Pell scuoteva il capo, ma non si perdeva una parola. «Era l'amante di Croyton. E poiché la moglie non voleva concedergli il divorzio, Rebecca ha deciso di servirsi di te e di Jimmy Newberg per ucciderla.» Rebecca rise, aspra. Kathryn disse: «Ti ricordi la bambola che dorme, Daniel? Theresa Croyton?» Ora gli si rivolgeva per nome, per consolidare il legame contro il nemico comune, un tipico espediente da interrogatorio. Pell non replicò. Guardò Rebecca, poi di nuovo Kathryn, che continuò: «Ho appena parlato con la ragazza». Per Rebecca fu uno choc. «Che cosa?» «Abbiamo fatto una lunga chiacchierata. Da cui ho scoperto molte cose.» Rebecca cercò di recuperare terreno. «Daniel, non le ha parlato affatto. È un bluff per salvarsi il culo.» Kathryn continuò imperterrita. «C'era il televisore acceso, la sera in cui tu e Newberg siete andati da Croyton. Non stavano trasmettendo Jeopardy? Me lo ha detto lei. Chi altri poteva saperlo?» Che cos'è il Québec? L'assassino batté le palpebre. Kathryn seppe di avere la sua completa attenzione. «Theresa mi ha raccontato che suo padre aveva delle amanti. La-
sciava i bambini alle giostre di Santa Cruz per incontrarle. Una sera trovò Rebecca che faceva i suoi ritratti e tra loro nacque una relazione. Lei avrebbe voluto che divorziasse, ma lui non era d'accordo, o non poteva, a causa della moglie. Perciò Rebecca decise di ucciderla.» «Oh, questo è ridicolo!» protestò Rebecca, furiosa. «Si sta inventando tutto.» Stava mentendo, si vedeva: era rossa in viso e tanto le mani quanto i piedi si muovevano incessantemente, sottili ma inequivocabili segnali di stress. Ora Kathryn era sicura di avere colto nel segno, o di esserci andata molto vicina. Guardò Pell con decisione. «Le giostre... Rebecca deve avere sentito parlare di te da quelle parti, Daniel, non credi? Era là che la Famiglia vendeva le sue cose, oltre a commettere furti e borseggi. Quella setta di criminali faceva parlare di sé. Vi chiamavano zingari, eravate sui giornali. Scommetto che è stato proprio così che Rebecca ha saputo di te. Le serviva un uomo di paglia, un killer. Linda mi ha detto che vi siete conosciuti alle giostre. Pensavi di averla sedotta? No, è stata lei a sedurre te.» La voce di Rebecca era tornata calma. «Zitta. Sta mentendo, Dan...» «Silenzio!» tagliò corto Pell. «Si è unita al vostro clan... quando? Non molto prima dei delitti Croyton. Qualche mese?» Kathryn non mollava la presa. «Ha convinto la Famiglia ad accettarla. Non ti è sembrato che tutto accadesse molto in fretta? Non ti sei chiesto perché? Lei non era come gli altri. Come Linda, Samantha o Jimmy: solo dei bambini che facevano quello che volevi. Rebecca era diversa. Indipendente, aggressiva.» Le tornò alla mente l'osservazione di Kellogg. Le donne non sono necessariamente meno abili e spietate degli uomini. A volte sono persino più contorte... «Quando fu entrata nella Famiglia, ha capito subito che anche Jimmy Newberg poteva farle comodo. Gli disse che Croyton aveva qualcosa di valore a casa sua. Ed è stato lui a suggerire di andare a derubarlo, non è così?» Kathryn comprese che la risposta era sì. «Ma Rebecca aveva altri progetti per Jimmy. Una volta dai Croyton, lui avrebbe dovuto uccidere prima la moglie, poi te. Dopo di che lui e lei avrebbero preso le redini. Naturalmente, l'idea di Rebecca era di far arrestare Jimmy una volta commessi i delitti... o forse addirittura ucciderlo lei stessa. William Croyton avrebbe trascorso un opportuno periodo di lutto e poi l'avrebbe sposata.» «Tesoro, no, questo è...» Pell si tuffò verso Rebecca e l'afferrò per i capelli corti, tirandola a sé.
«Non dire un'altra parola. Lasciala parlare!» Gemente di dolore, lei si rannicchiò sul pavimento. Mentre Pell e Rebecca erano distratti, Kathryn intercettò lo sguardo di TJ, che fece un lieve cenno di assenso. Riprese: «Rebecca pensava che in casa avreste trovato solo la moglie di Croyton; invece c'era tutta la famiglia, perché Theresa aveva detto che stava male. Qualunque cosa sia accaduta quella sera - e solo tu lo sai, Daniel - alla fine morirono tutti. E quando tu chiamasti la Famiglia per dire cos'era successo, Rebecca fece l'unica cosa che poteva per salvarsi: ti denunciò. Fu lei a fare la telefonata che ti fece arrestare.» «Stronzate!» gridò Rebecca. «Sono io che l'ho fatto uscire di galera, adesso!» Kathryn rise, gelida. Continuò a rivolgersi a Pell: «Perché doveva servirsi di te un'altra volta, Daniel. Per uccidere Morton Nagle. Qualche mese fa, ha ricevuto una sua telefonata. Lui le ha parlato del libro che stava per scrivere, La bambola che dorme, e di come intendesse raccontare la vita della famiglia di Theresa prima dei delitti e quella della ragazza dopo. Morton avrebbe scoperto le avventure extraconiugali di William Croyton e presto o tardi qualcuno avrebbe fatto due più due, scoprendo che lei aveva ordito tutto per uccidere la moglie. Perciò Rebecca ha escogitato il piano per farti uscire da Capitola.» Aggrottò la fronte e guardò Pell. «Quello che non so, Daniel, è che cosa ti abbia detto per convincerti a uccidere Morton.» Lanciò un'occhiata colma d'ira a Rebecca, come se ciò che aveva fatto al suo amico Pell la offendesse personalmente. «Che bugie gli hai raccontato, stavolta?» Pell gridò a Rebecca: «Quello che mi hai detto... è vero o no?» Prima che lei potesse parlare, l'assassino afferrò Nagle. «Che cosa volevi dire di me nel libro che stai scrivendo?» «Il libro non era su di te. Era su Theresa e i Croyton e le ragazze della Famiglia. Tutto qui. Era sulle tue vittime, non su di te.» Pell lo buttò a terra. «No, no! Tu volevi scrivere della mia terra!» «Terra?» «Sì!» «Di cosa stai parlando?» «La mia terra. La cima della mia montagna. Hai scoperto dov'era e volevi scriverlo nel tuo libro!» Ah. Ora Kathryn capiva, finalmente. La preziosa montagna di Pell. Rebecca lo aveva convinto che l'unico modo per conservare il segreto fosse
uccidere Morton Nagle e distruggere i suoi appunti. «Non ne so niente, lo giuro!» Pell si chinò a guardarlo. Kathryn capì che credeva allo scrittore. «E una volta ucciso Nagle e la sua famiglia, Daniel, lo sai che cosa sarebbe successo? Rebecca avrebbe ucciso te. Dicendo che l'avevi rapita.» Una risata triste. «Oh, Daniel, come ti ha usato... Per tutto il tempo è stata lei il Pifferaio Magico, è stata lei il burattinaio.» A quelle parole, Pell batté le palpebre. Si sollevò e si voltò verso Rebecca, abbattendo un tavolino mentre le puntava contro la pistola. La donna si rannicchiò a terra, ma d'un tratto balzò in avanti, agitando il coltello come una furia. Ferì Pell al braccio e afferrò la pistola per la canna. Partì un colpo e il proiettile scheggiò un mattone rosato del caminetto. In quello stesso istante, Kathryn e TJ scattarono in piedi. Con un calcio, il giovane agente colpì Rebecca alle costole, poi afferrò la mano di Pell. I due uomini lottarono per il possesso dell'arma, finendo sul pavimento. «Chiama il 911!» gridò Kathryn a Nagle, che corse al telefono. Lei si precipitò al tavolo su cui erano state appoggiate le armi, ripetendosi mentalmente: Controlla che nessuno stia dietro il bersaglio, prendi la mira, premi tre volte il grilletto, conta i colpi, al dodici espelli il caricatore, ricarica. Controlla che nessuno... Strilli della moglie di Nagle, gemiti della figlia. «Kathryn», urlò TJ, quasi senza fiato. Lei vide che Pell stava puntando a forza la pistola su di lei. L'arma sparò. Kathryn si era gettata a terra appena in tempo. Il proiettile le passò sopra. TJ era giovane e forte, ma era impedito dai polsi ancora ammanettati e Pell aveva dalla sua la disperazione e l'adrenalina. Con la mano libera colpì l'agente al collo e alla testa, fino a liberarsi e a impadronirsi della pistola. TJ rotolò, cercando disperatamente di rifugiarsi sotto il tavolo. Con uno sforzo, Kathryn tentò di rialzarsi. Sapeva che non sarebbe mai arrivata alle armi in tempo. TJ stava per morire. Si udì una detonazione assordante. Un'altra. Kathryn si buttò in ginocchio e guardò alle sue spalle. Morton Nagle aveva afferrato una delle loro pistole e stava sparando a Pell. Era evidente che non aveva familiarità con le armi: ogni volta che
premeva il grilletto perdeva la mira e i proiettili mancavano il bersaglio. Comunque non si arrese e continuò a far fuoco. «Figlio di puttana!» Accovacciato a terra, le mani levate in un futile tentativo di proteggersi, Pell esitò. Poi sparò un colpo al ventre di Rebecca, balzò verso la porta e si precipitò fuori. Gli agenti corsero alla porta semiaperta, e in quel momento un proiettile strappò schegge di legno dallo stipite. Si tuffarono a terra. Kathryn pescò la chiave delle manette dalla giacca e aprì i bracciali. TJ fece lo stesso. Guardarono cautamente verso la strada. Nessuno. Un attimo dopo udirono lo stridore di pneumatici di un'auto che accelerava. Kathryn si voltò verso Nagle per gridargli: «Tieni in vita Rebecca! Ci serve!» Poi corse alla macchina e prese il microfono appeso al cruscotto. Le scivolò dalle mani tremanti. Tirò il fiato, riprese il controllo e chiamò il Monterey County Sheriff's Office. 51 Un uomo in preda all'ira non è padrone di se stesso. Ma Daniel Pell non riusciva a spegnere la rabbia. Mentre si allontanava a tutta velocità da Monterey, ripensava a quanto era appena accaduto. La voce di Kathryn Dance, il volto di Rebecca. E ritornava agli eventi di otto anni prima. Jimmy Newberg, quel maledetto, strafatto genio dei computer, aveva detto di aver avuto una dritta su William Croyton da un programmatore licenziato sei mesi prima. Era riuscito a scoprire il codice dell'allarme della casa e a mettere le mani su una chiave della porta sul retro (ora Pell capiva da chi avesse avuto l'una e l'altro: da Rebecca, naturalmente). Jimmy aveva aggiunto anche che l'eccentrico Croyton teneva in casa grandi somme di denaro in contanti. Pell non avrebbe mai rapinato una banca o un ufficio postale. Ma i soldi gli servivano per espandere la Famiglia e trasferirsi in montagna. E quella era un'occasione unica. In casa non ci sarebbe stato nessuno, diceva Jimmy, quindi non avrebbero corso rischi. Se ne sarebbero andati via con centomila dollari e Croyton si sarebbe limitato a una telefonata di routine alla polizia e all'assicurazione, poi si sarebbe dimenticato della faccenda. Le cose invece erano andate come le aveva descritte Kathryn Dance. I due erano entrati di nascosto nel sontuoso giardino della proprietà, raggiungendo la casa. Pell aveva visto le luci accese, ma Jimmy gli aveva det-
to che funzionavano con un timer: una misura di sicurezza. Erano passati dalla porta di servizio. Eppure c'era qualcosa che non tornava. L'allarme era disattivato. Pell aveva detto a Jimmy che forse c'era in casa qualcuno, ma l'altro era andato dritto in cucina. E si erano imbattuti in una donna di mezza età che stava preparando la cena, voltando loro le spalle. No! ricordava di aver pensato Pell, impietrito. Che cosa stava facendo Jimmy? La stava per assassinare, ecco cosa. Usando un tovagliolo di carta, Jimmy aveva estratto un coltello da cucina dalla tasca, uno di quelli che usavano in Famiglia. Con sopra le impronte di Pell, aveva compreso questi. Poi, messa una mano sulla bocca della vittima, Jimmy aveva affondato la lama nel corpo della donna, che era crollata a terra. Infuriato, Pell aveva sussurrato: «Che diavolo fai?» L'altro, esitante, si era voltato. Gli si leggevano in faccia le sue intenzioni. Quando si era fatto avanti, Pell era pronto a scansare la lama insidiosa. Aveva afferrato una padella e aveva colpito Jimmy alla testa, stordendolo. Quindi lo aveva finito con un grosso coltello preso dal bancone. Un attimo dopo, William Croyton era accorso in cucina, richiamato dai rumori della lotta. Lo seguivano i due figli maggiori, che si erano messi a urlare isterici di fronte al corpo della madre. Pell aveva estratto la pistola e li aveva costretti a entrare nella dispensa, poi era riuscito a calmare Croyton e gli aveva chiesto dov'erano i soldi. L'uomo d'affari aveva risposto che li teneva nella scrivania del suo studio, al piano terra. Daniel Pell aveva guardato la famigliola singhiozzante e terrorizzata come se fossero erbacce, cornacchie o insetti. Non aveva intenzione di uccidere nessuno, quando era arrivato, però in quel momento, se voleva mantenere il controllo della propria vita, non aveva scelta. In due minuti i Croyton erano morti. Aveva cancellato tutte le impronte digitali che poteva, aveva recuperato il coltello portato da Jimmy e la sua carta d'identità, dopo di che si era precipitato nello studio, dove aveva scoperto che tutti i soldi nella scrivania ammontavano a un migliaio di dollari. Un brutto colpo. Una rapida ricerca nella camera da letto al piano terra gli aveva permesso di trovare solo qualche spicciolo e bigiotteria. Non era nemmeno salito al piano di sopra, dove dormiva la bambina. (E ora era contento di non averlo fatto: ironia della sorte, se l'avesse uccisa quella sera, non avrebbe mai scoperto il tra-
dimento di Rebecca.) E, sì, con la colonna sonora di Jeopardy dal televisore, era tornato in cucina, dove aveva intascato il portafogli del morto e l'anello di brillanti della moglie. Poi fuori, in auto. E solo un chilometro e mezzo più in là era stato fermato dalla polizia. Rebecca... Ripensò al loro primo incontro, in apparenza casuale, vicino alla giostra di Santa Cruz. In realtà lei lo aveva programmato con cura. Pell ricordava quanto gli piacevano i parchi dei divertimenti: la gente si consegnava anima e corpo a qualcun altro, rischiando la vita sull'ottovolante o nelle cadute libere. Diventava una folla di cavie senza cervello sulle giostre, come la famosissima Looff, che girava e girava da almeno cent'anni. Ricordava Rebecca nove anni prima, proprio vicino a quella giostra, che gli faceva cenno di raggiungerlo. «Ehi, ti va se ti faccio un ritratto?» «Perché no? Quanto viene?» «Te lo puoi permettere. Siediti.» E poi, nel giro di cinque minuti, dopo avere appena tracciato i contorni del suo viso, lei aveva deposto il carboncino, lo aveva squadrato e gli aveva chiesto, con aria di sfida, se ci fosse un luogo in cui appartarsi. Erano andati sul furgone, sotto gli occhi di Linda Whitfield che li osservava con espressione solenne. Pell quasi non si era accorto di lei. E dopo altri cinque minuti di baci frenetici, mentre lui le metteva le mani addosso, lei si era ritratta. «Aspetta...» Che c'è? si era chiesto lui. Lo scolo? L'AIDS? Ansimante, lei gli aveva detto: «Io... devo dirti una cosa». Una pausa, lo sguardo basso. «Avanti.» «Il sesso... non mi piace, se non mi fai male. Cioè, male sul serio. A un sacco di uomini non va. È okay se...» Per tutta risposta, lui l'aveva rigirata sul ventre piatto. E si era tolto la cintura. In quel momento, Pell sogghignò. Si rendeva conto che era stata tutta una stronzata. In qualche modo, in quei pochi minuti sulla spiaggia e nel furgone, lei aveva capito quali erano le sue fantasie e ne aveva approfittato.
Svengali e Trilby... Continuò a guidare per alcuni minuti, finché il braccio destro non prese a pulsare di dolore a causa della coltellata che Rebecca gli aveva inferto a casa di Nagle. Accostò, si aprì la camicia e osservò la ferita. Non era terribile. L'emorragia stava diminuendo. Ma faceva un male dannato. Mai però quanto la ferita del tradimento di Rebecca. Ora Pell si trovava ai confini della zona più tranquilla della città. Avrebbe dovuto proseguire attraverso aree più popolose, in cui la polizia gli avrebbe dato la caccia. Fece un'inversione a U e ripercorse la strada fino a un semaforo, rallentando dietro un'Infiniti, una macchina di lusso. C'era solo una persona a bordo. E non c'erano altre auto intorno. Non frenò fino a quando non urtò rumorosamente il paraurti. L'Infiniti avanzò di un metro. Il guidatore guardò nello specchietto retrovisore e scese dall'auto. Pell scosse il capo e scese a sua volta. Si fermò a esaminare il danno. «Ma non guarda dove va?» Il guidatore era un latino di mezza età. «L'ho comprata il mese scorso.» Alzò gli occhi e notò il sangue sulla camicia di Pell. «Si è fatto male?» Seguì con lo sguardo la macchia fino alla mano di Pell e vide la pistola. Ma a quel punto era troppo tardi. 52 Rientrata in casa di Nagle, mentre TJ comunicava con il quartier generale, per prima cosa Kathryn Dance chiamò l'autopattuglia che sorvegliava la sua famiglia e ordinò di condurre tutti sotto scorta al CBI. In quel momento dubitava che Pell avrebbe perso tempo per portare a compimento le sue minacce, comunque non voleva correre rischi. Poi chiese allo scrittore e alla moglie se Pell avesse accennato a dove aveva intenzione di scappare, in particolare alla sua montagna. Nagle era stato sincero: non aveva mai sentito parlare del rifugio dell'assassino. Né lo scrittore, né la moglie, ne i figli seppero aggiungere altro. Rebecca era gravemente ferita e in stato di incoscienza. O'Neil mandò con lei in ambulanza un agente che avrebbe chiamato Kathryn appena la donna fosse stata in grado di parlare. Infine la detective raggiunse Kellogg e O'Neil fuori casa. Stavano discutendo del caso, a capo chino. Qualunque riserva personale potesse avere il detective dell'MCSO sul collega dell'FBI, e viceversa, non traspariva né
dalla postura né dai gesti. Stavano coordinando con efficienza e rapidità i posti di blocco e pianificando una strategia di ricerca. O'Neil ricevette una telefonata. Aggrottò la fronte. «Okay, certo. Chiama Watsonville... Ci penso io.» Tolse la comunicazione e annunciò: «Abbiamo una pista. Un'auto rubata a Marina. Un uomo che corrisponde alla descrizione di Pell, ferito, ha rubato un'Infiniti nera. Ha una pistola», aggiunse, tetro. Un testimone ha detto di avere sentito uno sparo e, quando ha guardato, Pell stava chiudendo il bagagliaio.» Kathryn chiuse gli occhi e sospirò, affranta. Un'altra vittima. «Non credo proprio che resterà ancora sulla penisola», disse O'Neil. «Ha rubato l'auto a Marina, quindi si sta dirigendo a nord, probabilmente verso la 101.» Salì sulla sua macchina. «Faccio allestire un posto di comando a Gilroy e a Watsonville, nel caso rimanga sulla 1.» Gli altri due lo guardarono partire. «Seguiamolo», disse Kellogg, dirigendosi verso l'auto. Mentre Kathryn lo seguiva, sentì suonare il telefono. Era James Reynolds. Lei lo aggiornò sugli ultimi sviluppi. L'ex procuratore le disse che aveva esaminato le carte del caso Croyton e non aveva trovato niente che indicasse dove Pell potesse essere diretto. Tuttavia aveva scoperto qualcosa di curioso. Le chiese se avesse un minuto. «Certo», disse Kathryn. E con una mano fece cenno a Kellogg di aspettare. Sam e Linda, rannicchiate l'una accanto all'altra sul divano, guardavano il telegiornale. Daniel Pell aveva tentato di fare un'altra vittima, lo scrittore Morton Nagle. Rebecca, descritta come complice di Pell, era rimasta ferita. E Daniel era fuggito ancora una volta. Aveva rubato una macchina, uccidendone il proprietario, e ora era diretto, presumibilmente, a nord. «Oh, santo cielo», mormorò Linda. «Rebecca è sempre stata sua alleata.» Sam fissava lo schermo, sconvolta. «Ma chi le ha sparato? La polizia? Daniel?» Linda chiuse gli occhi per un istante. Sam non sapeva se stesse pregando o se fosse solo esausta, dopo quello che avevano passato negli ultimi giorni. Daniel era la loro croce, pensò, ma non lo disse all'amica, troppo cristiana per tollerare certe espressioni. Una giornalista parlò per qualche minuto della donna ferita: Rebecca Sheffield, fondatrice della Women's Initiatives di San Diego, già membro
della Famiglia di Pell all'epoca dei delitti Croyton, era nata nella California meridionale; orfana di padre dall'età di sei anni, era stata allevata dalla madre che non si era mai risposata. «Dall'età di sei anni», sussurrò Linda. Sam batté le palpebre. «Ha mentito. Quello che ha raccontato di suo padre non è mai successo. Oh, accidenti, ci ha prese in giro!» L'altra scosse la testa. «Per me è davvero troppo. Io me ne vado.» «Linda, aspetta.» «Non voglio parlarne, Sam. Ne ho abbastanza.» «Lascia che ti dica solo una cosa.» «Me ne hai già dette troppe.» «Forse non mi stavi ascoltando.» «Nemmeno se le dici di nuovo.» Linda si diresse verso la sua camera da letto. Sam sobbalzò quando squillò il telefono. Era Kathryn Dance. «Oh abbiamo appena sentito...» cominciò Sam. Ma l'agente la interruppe: «Ascoltami, Sam, Non credo stia andando a nord. Credo stia venendo da voi». «Cosa?» «Ho appena parlato con James Reynolds, che ha trovato nelle sue carte un accenno a quella Alison. Sembra che durante l'interrogatorio dopo i delitti Croyton, Pell lo abbia aggredito. Reynolds gli stava chiedendo dei fatti di Redding, l'assassinio di Charles Pickering. Voleva sapere di quella ragazza, Alison. Pell ha perso il controllo e gli è saltato addosso... o ha cercato di farlo. È successa la stessa cosa con me a Salinas. Vuol dire che Reynolds si stava avvicinando a qualcosa di importante. Ora pensa che Pell abbia ucciso Pickering perche sapeva della sua montagna. Ed è per questo che sta cercando Alison: lo sa anche lei.» «E perché dovrebbe prendersela con noi?» «Perché a te ha raccontato di Alison. Forse non è sicuro che tu possa collegarla alla sua proprietà e nemmeno che te ne ricordi. Ma quel posto è troppo importante per lui. È il suo regno. Ed è pronto a uccidere chiunque possa metterlo a repentaglio... comprese voi, tutte e due.» «Linda, vieni qui!» L'altra donna apparve sulla soglia, con aria infastidita. Kathryn continuo: «Ho comunicato via radio con gli uomini che vi proteggono. Vi condurranno alla sede del CBI. L'agente Kellogg e io stiamo arrivando. Aspetteremo nel bungalow, nel caso arrivi Pell.»
Sam, ansante, disse a Linda: «Kathryn dice che Daniel potrebbe venire a cercarci». «No!» Le tende erano tirate, ma entrambe guardarono d'istinto verso le finestre. Poi Sam si voltò verso la camera da letto di Rebecca. Si era ricordata di chiudere la finestra, dopo che avevano scoperto la sua fuga? Sì, lo aveva fatto. Qualcuno bussò alla porta. «Signore, sono il vicesceriffo Larkin.» Sam si voltò verso l'altra. Entrambe raggelarono, poi Linda si avvicinò lentamente alla porta e guardò dallo spioncino. Fece un cenno di assenso e aprì. L'uomo dell'MCSO entrò. «Mi hanno detto di portarvi al CBI. Lasciate tutto e venite con me.» Fuori c'era un altro agente, che controllava il parcheggio. Sam disse al telefono: «È il vicesceriffo, Kathryn. Adesso usciamo». Riagganciò e prese la borsetta. «Andiamo.» La voce le tremava. Il vicesceriffo, con la mano vicina alla pistola, fece loro cenno di uscire. Fu in quel momento che il proiettile lo colpì alla tempia. L'uomo crollò a terra. Un altro colpo e il suo collega si portò le mani al petto e stramazzò sul marciapiede. Linda emise un grido soffocato: «No!» Si udivano passi di corsa sull'asfalto. Daniel Pell stava arrivando. Sam era paralizzata. Poi si lanciò sulla porta e la chiuse con violenza. Riuscì a mettere la catena e a farsi da parte un attimo prima che un altro proiettile trapassasse il legno. Sam corse al telefono. Daniel Pell diede due calci violenti alla porta. Il secondo la fracassò all'altezza della serratura, ma la catena resistette, impedendole di aprirsi più di qualche centimetro. «La stanza di Rebecca!» gridò Sam. Corse verso Linda e la prese per un braccio, ma lei rimase immobile sulla soglia. Sembrava paralizzata dal panico. Sul suo volto non c'era traccia di paura. Linda si staccò da Sam e chiamò: «Daniel!» «Che fai?» strillò l'altra. «Vieni!» Pell diede un altro calcio alla porta; la catena non cedette.
Sam sospinse Linda verso l'altra camera, ma lei si divincolò. «Daniel», ripeté. «Per favore, ascoltami. Non è troppo tardi. Puoi costituirti. Ti troveremo un avvocato. Farò in modo che...» Pell le sparò. Non ebbe che da mirare attraverso la fessura nella porta. La colpì all'addome, con la stessa noncuranza con cui avrebbe schiacciato una mosca. Cercò di spararle di nuovo; Sam però riuscì a trascinare Linda nella camera di Rebecca. Pell diede un altro calcio alla porta, che stavolta si spalancò, sbattendo contro il muro e mandando in pezzi un quadretto raffigurante la costa. Sam chiuse a chiave la porta della camera di Rebecca. A bassa voce, con determinazione, disse: «Dobbiamo uscire, subito! Non possiamo aspettare qui». Pell provò la maniglia. Prese a calci la porta, che tuttavia si apriva verso l'esterno e rimase ben fissa sui cardini. Sam ebbe il terrificante presentimento che lui avrebbe cercato di sparare di nuovo, attraverso il legno. Avrebbe potuto colpirla. La donna aiutò l'amica a salire sul davanzale e la spinse fuori dalla finestra. Quindi si gettò a sua volta sulla terra umida e profumata. Linda, con una mano sul fianco, gemeva di dolore. Sam la aiutò a rimettersi in piedi, stringendole il braccio in una morsa. La guidò a passo rapido verso il Point Lobos State Park. «Mi ha sparato», si lamentò Linda, ancora stupefatta. «Fa male. Guarda... Aspetta. Dove stiamo andando?» Sam non le prestò attenzione. Pensava solo ad allontanarsi il più possibile dal bungalow. Non avrebbe saputo dire verso quale destinazione. Davanti a sé vedeva solo alberi, rocce aspre e, alla fine del mondo, l'oceano grigio che esplodeva di onde. 53 «No», ansimò Kathryn Dance. «No.» Winston Kellogg si fermò in dérapage vicino ai due corpi stesi sul marciapiede di fronte al bungalow. «Guarda come stanno», disse l'agente dell'FBI, mentre prendeva il cellulare per chiamare rinforzi. Con la pistola nella mano sudata, Kathryn si inginocchiò accanto al vicesceriffo. Il suo sangue era una macchia più scura sul suo letto di morte
d'asfalto. Anche l'altro aveva subito lo stesso destino. Alzò la testa e mormorò: «Li ha uccisi». Kellogg richiuse il cellulare e la raggiunse. Anche se non erano stati addestrati insieme, si avvicinarono al bungalow come due partner ben affiatati, attenti a non diventare facili bersagli e controllando l'interno attraverso la porta semiaperta. «Vado io», disse Kellogg. Lei annuì. «Ti seguo.» «Pensa solo a coprirmi. Tieni d'occhio le porte interne. Ininterrottamente. La prima cosa che vedrai sarà la sua pistola, quindi attenta a qualsiasi riflesso metallico. Se dentro ci sono vittime, ignorale finché non ti segnalo via libera.» Le sfiorò un braccio. «È importante, okay? Ignorale anche se gridano e chiedono aiuto. Non possiamo fare niente se siamo feriti. O morti.» «Capito.» «Pronta?» No, nemmeno un po'. Comunque fece cenno di sì. Lui le poggiò una mano sulla spalla. Poi inspirò a fondo varie volte e si tuffò oltre la soglia, puntando la pistola ora a destra, ora a sinistra. Kathryn era dietro di lui. Ricordava che doveva tenere d'occhio le porte... e sollevare la canna della sua arma quando lui le passava davanti. Attenta, attenta, attenta... Di quando in quando guardava dietro di sé, perché nessuno si avvicinasse dalla porta aperta. Pell avrebbe potuto girare intorno al bungalow per coglierli di sorpresa. «Via libera», dichiarò Kellogg. E all'interno, grazie al cielo, niente corpi. Anche se l'agente dell'FBI indicò alcune macchie di sangue: le più fresche erano sul davanzale della finestra aperta, nella stanza che era stata usata da Rebecca. Ce n'erano anche sulla moquette, notò Kathryn. Fuori c'erano altre macchie di sangue e impronte sul terreno, ai piedi della finestra. Lei le mostrò a Kellogg e aggiunse: «Devono essere scappate. E lui le sta inseguendo». «Vado io», disse l'agente dell'FBI. «Perché non aspetti qui i rinforzi?» «No», rispose lei. «La riunione è stata un'idea mia. E non le lascio morire. Glielo devo.» Kellogg esitò. «Va bene.» Corsero alla porta sul retro. Kathryn inspirò a fondo e la spalancò. Uscì
per prima, di corsa, seguita da Kellogg. Si aspettava da un istante all'altro uno sparo, l'impatto del proiettile e il buio che sarebbe sceso su di lei. Mi ha ferita. Il mio Daniel mi ha fatto del male. Perché? Il dolore nel cuore di Linda era quasi pari a quello al fianco. Aveva perdonato Daniel per quanto riguardava il passato. Ed era pronta a perdonarlo per il presente. Ma lui mi ha sparato! Avrebbe voluto sdraiarsi a terra. Lasciare che Gesù le proteggesse, le salvasse. Lo sussurrò a Sam, o forse no. Forse fu solo la sua immaginazione. Samantha non parlava. Continuava a farla correre. Linda avanzava in agonia lungo i sentieri tortuosi di quel parco, uno scenario splendido e severo al tempo stesso. Paul, Harry, Lisa... I nomi dei suoi figli adottivi le scorrevano nella mente. No, quello era l'anno prima. Adesso non c'erano più. Ne aveva altri. E i loro nomi quali erano? Come mai non ho una famiglia? Perché Dio Padre Nostro aveva altri piani per me, ecco come mai. Perché Samantha mi ha tradito. Pensieri folli, che le si accavallavano in testa come, poco più in là, le onde del mare sulle rocce ossute. «Fa male.» «Non ti fermare», mormorò Sam. «Kathryn e l'agente dell'FBI saranno qui da un minuto all'altro.» La vista le si appannò. Stava per svenire. E allora che cosa avrebbe fatto la Topolina? Si sarebbe caricata in spalla i suoi settanta chili? No, mi tradirà come ha già fatto una volta. Samantha, la mia Giuda. Tra il fragore delle onde e il sibilo del vento tra pini e cipressi, Linda sentiva Daniel Pell alle loro spalle: lo schioccare di un ramo, un fruscio di foglie... Affrettarono il passo. Ma poi il piede le rimase incastrato nella radice di una quercia e lei cadde a terra. Sentì un dolore terribile al fianco. Lanciò un urlo. «Shhhh.»
«Fa male.» La voce di Sam tremava di paura. «Avanti, Linda. Alzati. Ti prego!» «Non posso.» Altri passi. Era più vicino, adesso. Linda pensò che potesse essere la polizia: Kathryn e l'agente, quello carino. Voltò la testa e fece una smorfia di dolore. Non era la polizia. Quindici metri più indietro scorse Daniel Pell. Le aveva trovate. Lo vide rallentare il passo, riprendere fiato e dirigersi verso di loro. Linda si girò verso Samantha. Ma lei non c'era più. L'aveva abbandonata di nuovo, come quella volta, anni prima. Ripensò a quelle terribili notti nella camera da letto di Daniel Pell. Abbandonata allora, abbandonata adesso. 54 «Amore mio. Linda mia.» Si avvicinava lentamente. Il volto della donna era contratto dal dolore. «Daniel, ascoltami. Non è troppo tardi. Dio ti perdonerà. Costituisciti.» Lui rise, come se quello fosse una specie di scherzo. «Dio», le fece eco. «Dio che mi perdona... Rebecca me l'ha detto che eri diventata religiosa.» «Mi vuoi uccidere.» «Dov'è Sam?» «Per favore. Chi ti obbliga? Puoi cambiare.» «Cambiare? Oh, Linda, la gente non cambia. Mai, mai, mai. Anche tu sei la stessa persona che eri quando ti ho trovata, un fagotto con gli occhi rossi sotto quell'albero al Golden Gate Park. Appena scappata di casa.» La vista di Linda era offuscata da sabbia nera e luci gialle. Un'ondata di dolore quasi le fece perdere i sensi. Quando tornò in superficie, lui era chino sopra di lei, con il suo coltello. «Mi spiace, cara. Non ho altro modo.» Una scusa assurda ma sincera. «Sarò rapido. So quello che faccio. Non sentirai quasi niente.» «Padre Nostro...» Daniel le spostò la testa da una parte, scoprendole la gola. Linda cercò di resistere, ma non ne aveva le forze. La nebbia si era dissolta, e quando il coltello si avvicinò rifletté il sole basso con un bagliore rosseggiante.
«... che sei nei cieli. Sia santificato...» E in quel momento cadde un albero. O una valanga di pietre franò sul sentiero. O uno stormo di gabbiani infuriati calò su di lui. Con un'esclamazione indistinta, Daniel Pell stramazzò sulle rocce. Samantha McCoy si risollevò e, isterica, colpì l'assassino alla testa e alle braccia con un pesante ramo. Pell sembrava allibito: la sua Topolina lo aveva aggredito, la ragazza sempre pronta a obbedire a ogni suo ordine, che non gli aveva mai detto di no... Tranne una volta... Daniel tentò un affondo con il coltello, ma lei era troppo veloce per lui. Lui strinse il calcio della pistola, finita sul sentiero. Il ramo si abbatté di nuovo su di lui, e ancora, e ancora. Lo colpì alla testa, gli ferì un orecchio. «Maledizione!» Daniel gemette di dolore. Cercò di rialzarsi. Riuscì a colpirla con un pugno al ginocchio e la fece cadere a terra. Daniel si tuffò sulla pistola, l'afferrò. Indietreggiò, si rimise in piedi e puntò l'arma verso di lei. Samantha si rialzò a sua volta e lo colpì di nuovo, a una spalla, reggendo il ramo con due mani. Lui fece un passo indietro, incerto. Due parole dal passato riaffiorarono nella memoria di Linda. Quelle che Daniel era solito dire quando era orgoglioso di qualcuno nella famiglia. «Hai tenuto duro, amore.» Tieni duro... Samantha ripartì all'assalto, agitando il ramo. Stavolta Daniel era ben saldo sulle gambe e riuscì ad afferrarlo con la sinistra. Per un attimo si fissarono, a un metro l'uno dall'altra, collegati dal ramo come se fosse un cavo elettrico. Daniel fece un sorriso triste e sollevò la pistola. «No!» gridò Linda. Anche Samantha sorrise. E diede una forte spinta in avanti, per poi lasciare la presa. Daniel scivolò all'indietro... nel vuoto. Era sul ciglio del sentiero, qualche metro sopra un altro sentiero naturale. Lui lanciò un urlo, cadde all'indietro e precipitò verso le rocce. Linda non sapeva se fosse sopravvissuto oppure no. Almeno sulle prime. Poi intuì che doveva essersi salvato: Samantha guardava verso il basso con una smorfia. Sam aiutò l'amica ad alzarsi. «Dobbiamo andarcene. Subito.» E la condusse nella foresta.
Esausta, dolorante, Samantha McCoy lottava per tenere in piedi Linda. La vedeva pallida, ma non le sembrava che stesse perdendo molto sangue. Anche se la ferita doveva farle molto male, quantomeno l'amica riusciva a camminare. Un sussurro. «Che cosa?» «Pensavo che mi avessi abbandonata.» «Neanche per idea. Ma aveva la pistola. Dovevo coglierlo di sorpresa.» «Ci ucciderà.» Linda era ancora incredula. «No. Non parlare. Dobbiamo nasconderci.» «Non ce la faccio più.» «Vicino all'acqua, sulla spiaggia. Possiamo ripararci in una delle grotte. Fino all'arrivo della polizia. Kathryn potrebbe già essere qui. Ci cercheranno.» «No, non ci riesco. Sono chilometri.» «Non è così lontano. Ce la possiamo fare.» Proseguirono per altri quindici metri, poi Sam cominciò a dubitarne. «No, no. Non ci riesco. Mi spiace.» Sam fece appello a tutte le sue forze e sostenne Linda per altri pochi metri. Poi crollò a terra, nel peggiore punto possibile: una radura visibile nel raggio di un centinaio di metri. Si aspettava che Pell comparisse da un momento all'altro. Le avrebbe localizzate di sicuro. Poco lontano c'era una gola stretta tra le rocce. Poteva essere un buon nascondiglio. Linda stava mormorando qualcosa. «Come?» le chiese Sam. Le si avvicinò. Stava parlando a Gesù, non a lei. «Forza. Dobbiamo muoverci», la incalzò. «No, no, vai tu. Per favore. Dico sul serio... Non devi pensare di essere in debito con me. Un minuto fa mi hai salvato la vita. Siamo pari. Ti perdono per quello che è successo a Seaside. Io...» «Non ora, Linda!» protestò Sam. La donna ferita cercò di risollevarsi, ma non riuscì a restare in piedi. «Non ce la faccio.» «Devi.» «Gesù si prenderà cura di me. Vai tu.» «Forza!»
Linda chiuse gli occhi e si mise a recitare una preghiera a bassa voce. «Non ti lascio morire qui! In piedi!» Linda fece un profondo respiro e, con l'aiuto di Sam, a fatica, si rialzò. Entrambe malferme sulle gambe, inciampando tra cespugli e radici, si diressero verso la gola tra le rocce. Erano su un promontorio, una quindicina di metri al di sopra dell'oceano. Il rumore delle onde era incessante, fragoroso come il motore di un jet. Il sole basso le inondò di un'abbacinante luce arancione. Sam dovette stringere le palpebre per vedere dove si stavano dirigendo. Erano vicine. Si sarebbero sdraiate a terra, coprendosi di rami e di foglie. «Stai andando bene. Ancora qualche metro.» Be', forse sei. Poi solo tre. E finalmente raggiunsero il loro rifugio. La gola era più profonda di quanto Sam avesse pensato, ma sarebbe stata perfetta per nascondersi. Si apprestò a farvi scendere Linda. D'un tratto, tra gli scricchiolii del sottobosco, apparve una figura che si diresse verso di loro. «No!» gridò Sam. Lasciò che Linda si accasciasse a terra e raccolse una pietra, un'arma ridicola. Poi si lasciò sfuggire un singhiozzo, che divenne una risata isterica. Kathryn Dance si accovacciò al suolo e mormorò: «Lui dov'è?» Con il cuore in gola, Sam rispose un inudibile: «Non lo so». Dovette ripeterlo, a voce più alta. «Lo abbiamo visto cinquanta metri più indietro, da quella parte. È ferito. Però camminava.» «È armato?» Un cenno di assenso. «Una pistola e un coltello.» Kathryn si guardò intorno, gli occhi stretti nella luce abbagliante. Verificò le condizioni di Linda. «Caliamola.» Indicò la gola. «Falla stare sdraiata e premile qualcosa sulla ferita.» Insieme, fecero scendere la donna nel nascondiglio. «Ti prego, resta con noi», sussurrò Sam. «Non preoccuparti. Non vado da nessuna parte.» 55 Winston Kellogg doveva trovarsi in qualche punto a sud rispetto a loro. Lasciato il Point Lobos Inn, a una biforcazione del sentiero Kathryn e lui
avevano perso di vista orme e macchie di sangue sul terreno. Si erano divisi arbitrariamente: lei a destra, lui a sinistra. Kathryn si era mossa silenziosa tra la vegetazione, tenendosi lontana dal sentiero, fino a quando aveva notato dei movimenti vicino alla scogliera. Aveva avvistato le due donne e di lì a poco le aveva raggiunte. Chiamò l'agente dell'FBI via radio. «Win, ho qui Sam e Linda.» «Dove sei?» «A circa cento metri da dove ci siamo separati. Sono andata in direzione ovest. Siamo quasi sugli scogli. C'è una roccia tonda vicino a noi, alta seisette metri.» «Sanno dov'è Pell?» «Qui vicino. Prima si trovava sotto di noi, cinquanta metri alla nostra sinistra. È sempre armato: pistola e coltello.» Kathryn si fece tesa. «Win, dove sei? Sulla spiaggia?» «No, su un sentiero. La spiaggia è sotto di me, a un centinaio di metri.» «Okay, Pell è laggiù! Vedi quell'isolotto a circa quindici metri dalla riva? Ci sono sopra foche e gabbiani.» «Lo vedo.» «La spiaggia di fronte.» «Da qui non la vedo. Ma vado da quella parte.» «No, Win. Se ti avvicini, non hai copertura. Ci vuole un supporto tattico. Aspetta.» «Non abbiamo tempo. Ci è già sfuggito troppe volte. Non voglio che accada di nuovo.» Quell'atteggiamento da pistolero... Kathryn era molto preoccupata. D'un tratto si accorse che non voleva che a Winston Kellogg accadesse qualcosa. Dopo. Come ti sembra? «Stai attento. L'ho perso di vista. Prima era sulla spiaggia, adesso è tra gli scogli. Ci sono molti punti da cui potrebbe sparare. È in grado di coprire tutti gli accessi.» Kathryn si alzò in piedi, schermando gli occhi con una mano sulla fronte, e guardò verso la spiaggia. Dov'era andato a finire, Pell? Lo scoprì un secondo più tardi. Un proiettile colpì la roccia, non lontano da lei. E un istante dopo si udì la detonazione. Samantha gridò. Kathryn si gettò a terra per rifugiarsi nell'anfratto, graffiandosi sulle rocce. Era infuriata con se stessa: aveva scioccamente offerto un bersaglio a Pell.
«Kathryn», fece Kellogg alla radio. «Sei tu che spari?» «No, era Pell.» «Tutto okay?» «Stiamo bene.» «Da dove veniva il colpo?» «Non l'ho visto. Dev'essere tra le rocce vicino alla spiaggia.» «Stai giù. Ora conosce la tua posizione.» Kathryn chiese a Samantha: «Conosce il parco?» «La Famiglia ha passato parecchio tempo qui. Lo conosce molto bene, credo.» «Win, Pell conosce Point Lobos. Potresti finire dritto in una trappola. Davvero, perché non aspetti?» «Un momento.» La voce di Kellogg era calma e aspra. «Mi sembra di vedere qualcosa. Passo e chiudo.» «Aspetta, Win. Ci sei?» Kathryn cambiò posizione: si appostò a una certa distanza, in un punto in cui Pell non l'avrebbe cercata. Sbirciò tra due rocce, ma non riusciva a vedere niente. Poi scorse Winston Kellogg che avanzava verso la spiaggia. Sembrava così fragile, su quello sfondo di rocce massicce, alberi contorti e vastità dell'oceano. Per favore... Lei gli mandò un silenzioso messaggio, pregandolo di fermarsi, di aspettare. Naturalmente lui non si fermò. La tacita supplica di Kathryn era inutile. Sarebbe stato lo stesso, rifletté, se Kellogg l'avesse rivolta a lei. Daniel Pell sapeva che altri sbirri erano in arrivo. Ma era fiducioso. Conosceva alla perfezione quella zona. A Point Lobos aveva derubato un bel po' di turisti, alcuni così stupidi da diventare complici involontari: lasciavano i valori in macchina e nelle aree da picnic, convinti che nessuno potesse derubare chicchessia in un contesto così spirituale. Lui e la Famiglia ci avevano passato parecchio tempo anche solo a rilassarsi, fermandosi di ritorno da Big Sur quando non avevano voglia di fare tutta la strada fino a Seaside. Pell conosceva i percorsi per arrivare all'autostrada o alle residenze private dei dintorni. Percorsi invisibili. Avrebbe rubato un'altra macchina e si sarebbe diretto a est, quindi lungo le strade secondarie della Central Valley, via Hollister, in direzione nord. Fino alla cima della montagna. Per il momento doveva fare i conti con i suoi inseguitori: probabilmente
due o tre. Non li aveva visti chiaramente. Forse erano passati dal bungalow e avevano trovato i due poliziotti morti, decidendo di dargli la caccia. Ma a quanto pareva ce n'era solo uno nelle vicinanze. Pell chiuse gli occhi per un istante, lottando contro il dolore. Si premette una mano sulla ferita al braccio, che si era riaperta cadendo sulle rocce. Il suo orecchio, colpito da Samantha, faceva ancora più male. Topolina... Maledizione! Appoggiò la testa e la spalla su una roccia umida e fredda. Per un attimo trovò un po' di sollievo. Si chiese se tra i suoi inseguitori ci fosse Kathryn Dance. In tal caso, non doveva essere una coincidenza se gli sbirri erano arrivati al bungalow. Probabilmente lei aveva capito che non aveva rubato la Infiniti per fuggire verso nord e che la sua vera intenzione era tornare lì. Be', in un modo o nell'altro, quella donna non sarebbe stata una minaccia ancora per molto. È dura la vita del poliziotto, eh? Quei frugoletti passano un sacco di tempo da soli, vero? Forse sarebbero felici di avere degli amici con cui giocare. Ma come risolvere la situazione più immediata? Lo sbirro si stava avvicinando. C'erano solo due accessi al punto in cui si trovava, una formazione di rocce vicino alla spiaggia. Per arrivarci, l'inseguitore avrebbe dovuto arrampicarsi su una parete rocciosa alta sette metri, restando allo scoperto, oppure seguire il sentiero, svoltando un angolo in cui sarebbe stato pericolosamente esposto. Pell sapeva che solo un esperto di operazioni tattiche avrebbe tentato di arrampicarsi sulla parete. E il suo inseguitore non aveva certo l'attrezzatura adatta. Quindi sarebbe venuto dalla spiaggia. L'assassino si distese dietro un grappolo di rocce, invisibile tanto dall'alto quanto dal basso. Appoggiò la pistola su una grossa pietra e attese che il poliziotto si avvicinasse. Non avrebbe sparato per uccidere. Lo avrebbe ferito, al ginocchio, per esempio. E poi, una volta a terra, lo avrebbe accecato con il coltello. Gli avrebbe lasciato la radio a portata di mano, in modo che lo sbirro, in preda all'agonia, chiamasse aiuto, urlasse e distraesse i colleghi. Pell ne avrebbe approfittato per rifugiarsi in un'area deserta del parco. Sentì che qualcuno si avvicinava, cercando di non fare rumore. Ma l'udito di Pell era quello di un animale selvatico. Strinse le dita intorno alla pi-
stola. Ogni emozione era sfumata. Rebecca, Jennie, persino l'odiosa Kathryn Dance erano molto, molto lontane dai suoi pensieri. Daniel Pell aveva un autocontrollo perfetto. Kathryn si era spostata ancora, lungo la cresta. Guardò verso il basso, nascosta tra i pini. Winston Kellogg si trovava sulla spiaggia, probabilmente non era lontano dal punto da cui le aveva sparato Pell. L'agente procedeva lentamente, guardandosi intorno, tenendo la pistola con entrambe le mani. Poi alzò gli occhi verso una parete, come se valutasse la possibilità di scalarla: era troppo impervia e Kellogg aveva scarpe da città, inadatte a quelle rocce scivolose. Oltretutto, sarebbe stato un bersaglio troppo facile, quando avesse cercato di scendere dall'altra parte. Poi l'uomo dell'FBI tornò a guardare il sentiero davanti a sé e si chinò per osservare qualcosa. Doveva avere trovato le impronte di Pell sulla sabbia. Era in quel punto che Kathryn lo aveva avvistato, poco prima. L'agente si fermò dietro un gruppo di rocce che affioravano dalla sabbia. «Cosa succede?» chiese Samantha. Kathryn scosse la testa. Si voltò a guardare Linda: si trovava in stato di semincoscienza ed era impallidita ulteriormente. Doveva avere perso molto sangue. Le occorrevano cure immediate. La detective chiamò la centrale dell'MCSO e chiese notizie dei rinforzi. «Squadra tattica in cinque minuti, barche in quindici.» Kathryn sospirò. Perché ci voleva tanto, prima che arrivasse la cavalleria? Diede la sua posizione approssimativa e trasmise le istruzioni per la squadra medica, che avrebbe dovuto avvicinarsi senza entrare nella linea di tiro. Dopo di che guardò giù: Kellogg era una sagoma rosso scuro sotto il sole basso. Si stava dirigendo verso il punto in cui Pell era sparito poco prima. Trascorse un lunghissimo minuto. Due. Dov'era? Che cosa... L'eco di un'esplosione. Che diavolo era stato? Una serie di spari tra le rocce. Una pausa, quindi altre detonazioni. «Cos'è successo?» chiese Samantha. «Non lo so.» Kathryn prese la radio. «Win! Win! Ci sei? Passo.» Non sentì altro che il fragore delle onde e le grida dei gabbiani che si le-
vavano in volo spaventati. 56 Kathryn Dance si precipitò lungo la spiaggia, rovinando le scarpe di Aldo, tra le sue preferite, nell'acqua salata. Non le importava niente. Dietro di lei, sulla cresta rocciosa, la squadra medica aveva recuperato Linda e la stava caricando sull'ambulanza parcheggiata al Point Lobos Inn. Samantha sarebbe andata con lei. Kathryn fece un cenno di saluto a due uomini dell'MCSO, i primi ad arrivare sulla scena, che stavano distendendo il nastro giallo tra una roccia e l'altra, anche se l'unico intruso sulla scena della sparatoria sembrava poter essere l'alta marea. Lei vi passò sotto e svoltò l'angolo. Si fermò per un istante. Poi andò dritta verso Winston Kellogg e lo strinse in un rapido abbraccio. L'agente sembrava scosso e non distoglieva lo sguardo dalla figura stesa a terra davanti a loro: il cadavere di Daniel Pell. L'assassino era di schiena, con le ginocchia sporche di sabbia, sollevate, e le braccia lungo i fianchi. La pistola era caduta vicino alla sua mano. Gli occhi di Pell erano semiaperti. Avevano perso la loro lucentezza azzurra e ora erano offuscati dalla morte. Kathryn si accorse di tenere ancora una mano sulla spalla di Kellogg. La lasciò cadere e si scostò. «Cos'è successo?» «Me lo sono trovato quasi davanti. Era nascosto lì.» Indicò una roccia. «L'ho visto appena in tempo. Mi sono messo al riparo. Avevo una delle flash-bang avanzate dal raid al motel. L'ho lanciata verso di lui, abbagliandolo. Pell si è messo a sparare, ma io ho avuto fortuna: avevo il sole alle spalle. Credo che fosse accecato. Ho risposto al fuoco e...» Si strinse nelle spalle. «Ti senti bene?» «Oh, certo. Mi sono fatto qualche graffio sulle rocce. Non sono abituato ad arrampicarmi.» Il cellulare di Kathryn squillò. Lei guardò il display e rispose: era TJ. «Linda se la caverà. Ha perso un po' di sangue, ma non è stata colpita in organi vitali. Oh, e Samantha non si è fatta molto male.» «Samantha?» Kathryn non si era accorta che fosse ferita anche lei. «Che le è successo?» «Tagli e lividi, nient'altro. Ha avuto un incontro di lotta con il defunto.
Prima del decesso, ovviamente. È un po' dolorante, comunque le passerà presto.» Aveva lottato con Pell? Topolina... Arrivarono gli uomini della scientifica dell'MCSO, che diedero inizio ai rilievi. Kathryn notò l'assenza di Michael O'Neil. Uno dei tecnici si rivolse a Kellogg. «Ehi, congratulazioni.» E indicò il corpo. L'agente dell'FBI abbozzò un sorriso neutro. Come sanno gli esperti di cinesica, il sorriso è il più elusivo dei segnali generati dal volto umano. Una fronte aggrottata o uno sguardo affettuoso possono significare solo una cosa, mentre un sorriso può trasmettere odio, indifferenza, ironia o amore. Kathryn non riusciva a interpretare quello di Kellogg. Ma si accorse che un attimo dopo, mentre l'agente dell'FBI fissava l'uomo che aveva appena ucciso, il sorriso era svanito, come se non ci fosse mai stato. Kathryn Dance e Samantha McCoy passarono a trovare Linda Whitfield al Monterey Bay Hospital. La donna era cosciente e stava meglio. Avrebbe trascorso la notte in ospedale, ma secondo i dottori poteva uscire l'indomani stesso. Rey Carraneo fece da autista a Samantha. La riaccompagnò al Point Lobos Inn, dove lei aveva deciso di trascorrere la notte, anziché ritornare subito a casa. Kathryn le aveva chiesto se voleva cenare con lei; Sam aveva risposto che voleva trascorrere un po' di tempo «fuori servizio». Chi poteva biasimarla? Kathryn lasciò l'ospedale e ritornò al CBI, dove trovò Theresa Croyton Boiling e la zia nel parcheggio, accanto all'auto di quest'ultima. L'aspettavano per congedarsi. Il viso della ragazza si illuminò quando vide Kathryn Dance. Si salutarono calorosamente. «Abbiamo sentito le notizie», disse la zia, con espressione grave. «È morto?» Come se le servissero ulteriori conferme. «Sì, è morto.» Kathryn raccontò loro quanto era accaduto a Point Lobos. La zia si mostrava spazientita, mentre Theresa era ansiosa di conoscere ogni dettaglio. Kathryn le fornì la versione integrale. Theresa assentiva e ascoltava le notizie senza manifestare particolari reazioni emotive. «Non ti ringrazieremo mai abbastanza», disse l'agente. «Ciò che hai fatto
ha salvato molte vite.» Né lei né la ragazza accennarono a quello che era realmente avvenuto la notte in cui i Croyton erano stati uccisi, né al finto malessere di Theresa. Kathryn suppose che sarebbe rimasto un segreto tra loro due. E perché no? Condividere qualcosa con una persona a volte non è meno catartico che svelarlo al mondo intero. «Tornate a casa stasera?» «Sì», rispose la ragazza, lanciando uno sguardo alla zia. «Prima però facciamo una tappa.» L'agente si chiese: Una cena a base di frutti di mare? Shopping nei negozietti di Los Gatos? «Voglio vedere la casa. La mia vecchia casa.» Quella in cui erano morti i suoi genitori, suo fratello e sua sorella. «Abbiamo appuntamento con il signor Nagle. Ha parlato con la famiglia che ci vive: hanno acconsentito a farmela vedere.» «Lo ha suggerito lui?» In quel caso, Kathryn era pronta a intervenire, certa che gli avrebbe fatto cambiare idea. «No, sono io che ci ho pensato», rispose Theresa. «È una cosa che... ecco, che volevo fare. E il signor Nagle tornerà a Napa per intervistarmi. Per il suo libro, La bambola che dorme. È quello il titolo. Non è strano quando qualcuno scrive un libro su di te?» Mary Boiling non aprì bocca, anche se il linguaggio del corpo - le spalle lievemente sollevate, la mascella contratta - rivelavano in modo molto chiaro che non approvava e che c'era stata una discussione in merito. Capita spesso che, dopo eventi significativi della vita, quali la riunione della Famiglia o il viaggio di Theresa a Monterey per aiutare la polizia a trovare l'assassino, ci si aspetti qualche cambiamento fondamentale nei partecipanti. Ma ciò non avviene molto spesso, e Kathryn dubitava che sarebbe successo in questo caso. Aveva davanti le stesse persone di prima: una donna di mezza età dall'atteggiamento protettivo, testarda e seriamente impegnata nel difficile compito di diventare una sostituta della madre, e una teenager indipendente che d'impulso aveva fatto una scelta coraggiosa. Avevano opinioni divergenti su come trascorrere la serata, ma la ragazza l'aveva avuta vinta, di sicuro a prezzo di qualche concessione. Forse, tuttavia, il fatto che il disaccordo fosse stato risolto era di per sé un passo avanti. In fondo, pensò Kathryn, era così che la gente cambiava: un po' per volta. Abbracciò Theresa, strinse la mano alla zia e augurò loro buon viaggio.
Cinque minuti dopo era di nuovo nel Reparto Pupe della sede del CBI, dove Maryellen Kresbach le serviva un caffè forte. Accompagnato, stavolta, da un biscotto all'avena. Quando entrò nel suo ufficio, scalciò via le scarpe rovinate e ne cercò un altro paio nell'armadietto: sandali Joan and David. Si stiracchiò e si mise a sedere, sorseggiando il caffè. Cercò sulla scrivania i resti di un pacchetto di M&M che aveva lasciato di scorta qualche giorno prima. Le mangiò lentamente, si stiracchiò di nuovo e contemplò le fotografie dei figli. E quelle di suo marito. Quanto le sarebbe piaciuto, quella sera, stare sdraiata nel letto accanto a lui e raccontargli del caso Pell! Ah, Bill... Il suo cellulare squillò. Kathryn sobbalzò. Guardò il display e sospirò di sollievo. «Ciao», disse a Michael O'Neil. «Ehi, ho appena saputo le notizie. Stai bene? Ho sentito che c'è stata una sparatoria.» «Mi è solo passato un proiettile vicino. Tutto qui.» «Linda come sta?» Kathryn glielo disse. «E Rebecca?» «In rianimazione. Se la caverà, anche se ci vorrà parecchio tempo.» Dal canto suo, lui le raccontò dell'auto che Pell sembrava avere usato per la fuga, la sua tecnica di depistaggio preferita: il guidatore dell'Infiniti era stato costretto da Pell a telefonare alla polizia per comunicare tanto il furto della macchina quanto il proprio assassinio. Dopo di che era tornato a casa, aveva messo l'auto in garage e si era seduto al buio, fino a quando non aveva sentito la notizia della morte dell'uomo. Il detective disse anche che le avrebbe mandato i rapporti della scientifica sul Butterfly Inn, in cui Pell e Jennie si erano registrati dopo la fuga dal Sea View Motel, e sulla scena dello scontro a fuoco di Point Lobos. Kathryn era lieta di sentire la sua voce. Eppure c'era una nota stonata: Michael manteneva un tono molto professionale. Non che fosse arrabbiato, però non sembrava troppo contento di parlarle. Lei continuava a pensare che i commenti del detective a proposito di Kellogg fossero fuori luogo ma, anche se non esigeva le sue scuse, avrebbe voluto che i rapporti tra loro tornassero normali. «Va tutto bene?» gli chiese. A certe persone bisognava forzare un po' la
mano. «Bene», rispose lui. Quella maledetta parola, che poteva voler dire tutto e il contrario di tutto, da «a meraviglia» fino a «ti odio». Kathryn invitò O'Neil a passare al Ponte, quella sera. «Non posso, mi dispiace. Anne e io abbiamo un impegno.» Ah. Un impegno. Un'altra di quelle parole. «Devo andare. Volevo solo dirti del guidatore dell'Infiniti.» «Certo. Stammi bene.» Click. Kathryn fece una smorfia all'indirizzo di nessuno e tornò a guardare un dossier. Dieci minuti dopo, Winston Kellogg si affacciò alla porta. Lei gli indicò la sedia e lui vi si lasciò cadere. Non si era cambiato: aveva ancora indosso i vestiti sporchi di fango e sabbia. Kellogg notò le scarpe di lei, vicino alla porta, e le mostrò le proprie. Rise, indicando la dozzina di paia nel suo armadietto. «Non credo che ce ne sia un paio adatto a me.» «Spiacente», ribatté lei, in tono ironico. «Sono tutte trentasette.» «Peccato. Il verde lime ha un certo fascino.» Discussero dei rapporti da completare e dell'udienza con la commissione che si sarebbe occupata del rapporto finale sulla sparatoria conclusasi con la morte dell'evaso. Kathryn si domandò quanto a lungo Kellogg si sarebbe dovuto trattenere a Monterey. Che le chiedesse o meno di uscire con lui, sarebbe rimasto almeno altri quattro o cinque giorni, il tempo necessario perché la commissione si riunisse, ascoltasse i testimoni ed elaborasse il rapporto. Dopo. Come ti sembra? Anche Kellogg sentiva il bisogno di stiracchiarsi, allo stesso modo di lei pochi minuti prima. Sul viso dell'uomo apparve un segnale appena percettibile: tormento interiore. Doveva essere a causa della sparatoria. Kathryn non aveva mai sparato a un sospetto. Aveva contribuito alla caccia di pericolosi criminali, alcuni dei quali erano rimasti uccisi mentre resistevano all'arresto. Altri ancora erano stati reclusi nel braccio della morte. Ma in ogni caso era diverso dal puntare una pistola su qualcuno e porre fine di persona alla sua vita. Invece a Kellogg era capitato due volte in un breve lasso di tempo.
«E adesso che cosa ti aspetta?» chiese lei. «Devo tenere un seminario a Washington sul fondamentalismo religioso. Ha molto a che vedere con la mentalità delle sette. Poi mi prenderò un po' di vacanza. Se il mondo reale me lo consente, è chiaro.» Kellogg allungò le gambe e chiuse gli occhi. Con i suoi vestiti casual spiegazzati, il ciuffo di capelli e un accenno di barba, era un uomo molto attraente, rifletté Kathryn. «Scusa», disse lui, riaprendo gli occhi. Rise di nuovo. «Non è educazione dormire negli uffici dei colleghi.» Il sorriso era sincero e i pensieri che lo avevano tormentato poco prima si erano dileguati. «Oh, un'altra cosa. Stasera dovrò occuparmi delle scartoffie, ma domani posso rinnovare il mio invito a cena? Adesso è 'dopo', ricordi?» Lei esitò. Pensava: Conosci la strategia dei soggetti intelligenti durante un interrogatorio. Anticipare ogni domanda e avere una risposta pronta. Ma anche se ci aveva pensato, si lasciò cogliere di sorpresa. Allora, qual è la risposta? chiese a se stessa. «Domani?» ripeté lui. Sembrava timido, strano per un uomo che aveva appena abbattuto uno dei più pericolosi criminali della storia di Monterey County. Sei in stallo, si disse Kathryn. I suoi occhi corsero alle foto dei figli, dei cani, del marito. Pensò a Wes. Disse: «Domani sarebbe perfetto». 57 «È finita», disse lei, sottovoce, alla madre. «Ho saputo. Ce l'ha detto Michael in ufficio.» Erano tornati a casa dei genitori di Kathryn, a Carmel, dopo che la famiglia si era arroccata negli uffici del CBI. «Lo ha sentito anche la gang?» Ovvero i figli di Kathryn. «Ho addolcito un po' la pillola. Tipo: 'Oh, la mamma stasera torna presto perché quel suo stupido caso è chiuso, hanno preso il cattivo, non conosco i dettagli'. Mags non ci ha fatto troppa attenzione: sta preparando una nuova canzone per il corso di musica. Wes stava andando verso la TV ma ho convinto Stu a trascinarlo al tavolo da ping-pong. Anche lui sembra essersi dimenticato della storia. Comunque la parola chiave è 'sembra'.» Kathryn aveva detto ai genitori che preferiva minimizzare le notizie rela-
tive alla morte e alla violenza, specie se collegate al suo lavoro, almeno finché non fosse passato più tempo dalla morte del padre. «Lo terrò d'occhio. E grazie.» Kathryn aprì una birra e la divise in due bicchieri. Ne passò uno alla madre. Edie ne bevve qualche sorso, quindi aggrottò la fronte e chiese: «Quando lo avete preso, Pell?» Kathryn le disse l'ora, con una certa approssimazione. «Perché?» La madre guardò l'orologio e disse: «Ero sicura di avere sentito qualcuno in cortile verso le quattro-quattro e mezzo. Pensavo che non fosse niente, poi però mi sono chiesta se Pell non avesse scoperto dove abitiamo. Che volesse vendicarsi o qualcosa del genere. Ho cominciato ad avere paura, anche con l'autopattuglia davanti a casa». Pell, di sicuro, non avrebbe esitato a fare loro del male. Anzi, probabilmente faceva già parte dei suoi piani. Ma i tempi non concordavano: a quell'ora era già a casa di Morton Nagle, o quantomeno ci stava andando. «Probabilmente non era lui.» «Sarà stato un gatto. O il cane dei Perkins. Dovrebbero imparare a tenerlo in casa. Ci farò due chiacchiere.» Kathryn sapeva che la madre non avrebbe esitato. Andò a prendere i figli e li condusse al Pathfinder, dove li aspettavano i cani. Poi abbracciò il padre e si accordò per passarli a prendere domenica sera e portarli alla festa di compleanno al Marine Club. Kathryn era l'autista designata, in modo che i suoi si potessero divertire e bere tanto champagne e pinot nero quanto volevano. Pensò quasi di invitare anche Winston Kellogg, ma decise di aspettare. Voleva vedere come sarebbe andato il «dopo» dell'indomani. Pensò alla cena, senza riuscire a farsi venire voglia di cucinare. «Ce la fate a sopravvivere con dei pancakes a Bayside?» «Woo-hoo!» approvò Maggie. E cominciò a riflettere ad alta voce su quale sciroppo volesse. Anche Wes era contento, sebbene stesse più sulle sue. Quando arrivarono al ristorante e furono seduti a un tavolo, Kathryn ricordò al figlio che toccava a lui scegliere quale sarebbe stata la loro avventura di quella domenica pomeriggio, prima della festa di compleanno. «Allora, qual è il nostro piano? Cinema? Gita?» «Non lo so ancora.» Wes esaminò a lungo il menù. Maggie avrebbe voluto ordinare qualcosa anche per i cani. La madre le fece presente che i pancakes non erano per festeggiare la riunione famigliare (cani compresi), solo perché lei non era in vena di cucinare.
Quando arrivarono i grandi piatti fumanti, Wes domandò: «Oh, hai sentito di quella cosa del festival? Le barche?» «Barche?» «Ce lo stava dicendo il nonno. Una sfilata di barche nella baia e un concerto. A Cannery Row.» Kathryn ricordava che c'era una sorta di festival dedicato a John Steinbeck. «È domenica? È lì che vorresti andare?» «È domani sera. Sarà divertente. Ci andiamo?» Kathryn rise tra sé. Era impossibile che Wes fosse al corrente della cena con Kellogg in programma l'indomani. O no? Se lei aveva certe intuizioni per quanto riguardava i figli, perché non poteva essere viceversa? Ricoprì i pancakes di sciroppo e si concesse anche un poco di burro. Non sapeva cosa replicare. «Domani? Fammi pensare.» La sua reazione iniziale, di fronte all'espressione corrucciata di Wes, fu di chiamare Kellogg e rinviare, o addirittura cancellare, la cena. A volte è più facile... Impedì a Maggie di annegare i pancakes in un'impressionante valanga di sciroppo al mirtillo e alla fragola. Poi si voltò verso Wes e d'impulso gli disse: «Oh, giusto, tesoro. Non posso. Ho da fare». «Oh.» «Ma sono sicuro che il nonno vorrà portarvi.» «E tu che cosa devi fare? Vedere Connie? O Martine? Non vorranno venire anche loro? Potremmo andare tutti insieme. Possono portare i gemelli.» «Sì, mamma, i gemelli!» fece Maggie. Kathryn era combattuta. Risentiva le parole della terapeuta. Non puoi guardare la sostanza delle sue parole. I genitori tendono a pensare che i loro figli sollevino valide obiezioni riguardo a potenziali patrigni, e persino ad accompagnatori occasionali. Non devi interpretarle in questo modo. Ciò che lo turba è il fatto che vede un potenziale tradimento della memoria di suo padre. Non ha niente a che vedere con il partner in questione. Kathryn prese una decisione. «No. Vado a cena con l'uomo con cui ho lavorato.» «L'agente Kellogg», fece Wes. «Esatto. Sta per tornare a Washington e voglio ringraziarlo per tutto il lavoro che ha fatto per noi.» Kathryn si sentiva un po' disonesta a sottintendere gratuitamente che, dal momento che abitava lontano, Kellogg non
avrebbe rappresentato una minaccia a lungo termine. (E supponeva che il suo sensibilissimo figlio sarebbe facilmente balzato alla conclusione che la madre già programmasse di sradicarli da amici e famiglia sulla penisola per trasferirsi con loro nella capitale nazionale.) «Okay», brontolò il ragazzino. Tagliò i pancakes e ne mangiò qualche boccone, pensoso. «Ehi, figliolo, qual è il problema?» «Niente.» «Il nonno sarà contento di andare con voi a vedere le barche.» «Certo.» Poi lei, seguendo un altro impulso, chiese: «Non ti è simpatico, Winston?» «È okay.» «Puoi dirmelo.» Kathryn cominciava a perdere interesse nel cibo. «Non lo so... Non è come Michael.» «No, non lo è. Ma non ci sono molte persone come Michael.» Il caro amico che ultimamente non risponde alle mie chiamate. «Questo non vuol dire che non possa andare a cena con qualcuno, ti pare?» «Boh.» Mangiarono per qualche minuto. E Wes se ne venne fuori con: «Neanche a Maggie è simpatico.» «Non è vero! Non dire cose che non ho detto.» «Sì che l'hai detto. Hai detto che ha la pancia.» «Non è vero.» Maggie si tradì arrossendo. Kathryn sorrise e depose la forchetta. «Ehi, voi due, state a sentire. Che io vada a cena con qualcuno o no, o anche ci vada insieme al cinema, per noi non cambia niente. La casa, i cani, le nostre vite. Niente. Ve lo prometto. Okay?» «Okay», disse Wes. La risposta sembrava un po' forzata, ma con un fondo di sincerità. Ora però era il turno di Maggie. «Non è che ti vuoi risposare?» «Mags, che cosa te lo fa pensare?» «Così, mi chiedevo.» «Non riesco a immaginare di risposarmi.» «Non hai detto di no», mormorò Wes. Kathryn sorrise: una perfetta osservazione da interrogatore. «Be', è la mia risposta. Non riesco proprio a immaginarlo.» «Voglio fare la testimone», disse Maggie.
«Damigella d'onore», precisò Kathryn. «No. L'hanno detto al doposcuola. Adesso fanno diverso.» «Diversamente», la corresse di nuovo la madre. «Adesso basta distrazioni. Abbiamo i pancakes e il tè freddo da finire, e i progetti per domenica. Devi decidere tu, Wes.» «Ci penso.» Il ragazzo sembrava essersi rassicurato. Kathryn finì la cena, soddisfatta dalla sua vittoria: era stata sincera con il figlio e aveva avuto la sua autorizzazione a uscire con Winston Kellogg. Quel piccolo successo fu determinante per farle passare di mente gli orrori di quella giornata. Alla fine decise di assecondare l'ennesima richiesta di Maggie e ordinò un pancake e salsicce per i cani. Senza sciroppo. Maggie servì loro la cena sul retro del Pathfinder. Dylan divorò la sua porzione in vari bocconi, mentre la sdegnosa Patsy mangiò la salsiccia e mise il resto in uno spazio inaccessibile tra i sedili posteriori, serbandolo per i giorni di carestia. A casa, Kathryn si dedicò per alcune ore ai lavori domestici e a ricevere telefonate, tra cui una di Morton Nagle, che la ringraziava ancora di ciò che aveva fatto per la sua famiglia. Winston Kellogg non chiamò: bene, voleva dire che l'appuntamento per cena dell'indomani era ancora valido. Non chiamò nemmeno Michael O'Neil, e in questo invece Kathryn non vedeva niente di buono. Le condizioni di Rebecca Sheffield erano stabili, dopo la lunga operazione a cui era stata sottoposta. Sarebbe rimasta sotto sorveglianza in ospedale per altri sei o sette giorni. E probabilmente sarebbe stata operata altre volte. Kathryn parlò con Martine Christensen del loro sito American Tunes, dopo di che, concluse le telefonate di lavoro, venne il momento del dessert: popcorn. Aveva senso, dopo una cena dolce. Trovò una videocassetta di Wallace & Gromit, la riavvolse e riuscì a recuperare i popcorn dal forno a microonde un attimo prima che si trasformassero in un'arma di distruzione di massa, com'era successo la settimana prima. Stava versandoli in una scodella quando il telefono squillò di nuovo. «Mamma», fece Wes, impaziente. «Muoio di fame.» Il suo tono era incoraggiante: sembrava che finalmente gli fosse passato il cattivo umore. Lei annunciò: «È TJ», e aprì il cellulare.
«Digli ciao», fece il ragazzino, prima di mettersi in bocca una manciata di popcorn. «Wes dice ciao.» «Ricambia. Oh, digli che sono arrivato al livello otto di Zarg.» «E questo è bene?» «Non immagini quanto.» Kathryn riferì la notizia. «Otto? Impossibile!» esclamò Wes. «È molto colpito. Allora, cosa c'è?» «Chi si prende tutta la roba?» «Cosa intendi per 'roba'?» «Indizi, rapporti, e-mail, tutto quanto. Il malloppo, hai presente?» Intendeva dire: a chi spettava il fascicolo relativo al caso, che stavolta sarebbe stato piuttosto voluminoso, con tutti quei reati e gli incartamenti delle varie agenzie coinvolte nelle operazioni? D'altra parte era stata lei a gestire l'indagine, e la giurisdizione primaria era del CBI. «A me. Anzi, a noi.» «Preferivo la prima risposta, capo. Oh, a proposito, ti ricordi 'Nimue'?» La parola misteriosa... «Che cosa mi dici di Nimue?» «Ho trovato un riferimento. Vuoi che continui a scavare?» «Meglio di sì. Voglio mettere tutti i... puntini sulle i, per così dire.» «Va bene domani? Non e che ho proprio un appuntamento, ma Lucretia potrebbe essere la donna dei miei sogni.» «Devi uscire con una che si chiama Lucretia? Ti dovrai concentrare. Facciamo così: portami il malloppo e anche quello che hai trovato su Nimue. Me ne occupo io.» «Capo, sei la migliore. Ti invito al matrimonio.» VENERDÌ 58 Kathryn Dance, con un tailleur nero e un maglione di cotone bordeaux, era seduta fuori dal Bay View Restaurant, vicino al Fisherman's Wharf di Monterey. Il nome del ristorante manteneva la promessa: la vista sulla baia era un panorama da cartolina che arrivava fino a Santa Cruz, in quel momento era
tuttavia invisibile a causa della foschia. Era un esempio perfetto delle mattinate di giugno sulla penisola: la nebbia sul pontile era densa come fumo e la temperatura era sui tredici gradi. La sera prima, Kathryn si sentiva soddisfatta. Daniel Pell era stato fermato, Linda se la sarebbe cavata, Nagle e la sua famiglia erano salvi. Lei e Kellogg avevano fatto i loro progetti per «dopo». Quel giorno, però, la situazione era diversa. Un'ombra gravava su di lei. Non riusciva a liberarsene. E non era il tempo a condizionare il suo umore. Le cause erano molte, non ultime i funerali delle guardie uccise in tribunale, degli uomini assassinati da Pell al Point Lobos Inn il giorno prima e, infine, di Juan Millar. Kathryn sorseggiò il caffè e batté le palpebre sorpresa quando vide un colibrì apparire dal nulla e tuffarsi sul beccatoio appeso a una parete del ristorante. Un altro uccello arrivò a volo radente e scacciò il primo. Erano splendide creature, gioielli viventi, ma tra di loro erano aggressivi come cani affamati. Poi una voce disse: «Salve». Winston Kellogg le posò un braccio sulle spalle e la baciò su una guancia. Non troppo vicino alla bocca, ma nemmeno troppo lontano. Lei gli sorrise e lo abbracciò. Lui si sedette. Kathryn fece un cenno alla cameriera, che le riempì la tazza di caffè e ne versò anche per Kellogg. «Ho fatto qualche ricerca su questa zona», disse lui. «Pensavo che stasera potremmo andare a Big Sur, in un posto chiamato Ventana.» «È bello. Sono anni che non ci vado. Il ristorante è meraviglioso. È un po' lunga arrivarci.» «Non importa. Highway 1, giusto?» Sarebbero passati vicino a Point Lobos. Le tornarono in mente gli spari, il sangue, il corpo di Daniel Pell disteso sulla schiena, i suoi vitrei occhi azzurri rivolti al cielo blu scuro. «Grazie per essere venuto così presto», disse Kathryn. «Colazione e cena con te. Il piacere è tutto mio.» Lei gli sorrise di nuovo. «Ti spiego il problema. Credo che TJ abbia finalmente trovato la spiegazione di 'Nimue'.» Kellogg annuì: «La parola che Pell cercava a Capitola». «Prima avevo pensato che fosse il nick di qualcuno. Poi che potesse avere a che fare con quel gioco famoso, 'Nimue' con la X.»
L'agente scosse il capo. «Pare che sia uno dei più gettonati. Avrei dovuto chiedere ai miei esperti... i miei figli. Il fatto è che partivo dall'ipotesi che Daniel Pell e Jimmy Newberg fossero andati da Croyton per rubare del software prezioso. Mi sono ricordata che Reynolds mi aveva detto che tutte le ricerche di Croyton erano state affidate al Cal State di Monterey Bay. Forse c'era qualcosa negli archivi del college che Pell aveva intenzione di trafugare. Invece no: risulta che Nimue era tutt'altra cosa.» «Cioè?» «Non lo sappiamo con certezza. Per questo mi serve il tuo aiuto. TJ ha trovato un file sul computer di Jennie Marston. Il titolo era...» Kathryn prese un foglietto e lesse: «Virgolette... Nimue - Setta suicida a Los Angeles». «Che cosa c'era nel file?» «Ecco il problema. TJ ha cercato di aprirlo, ma serviva una password. Dovremo mandarlo alla sede centrale di Sacramento per scoprire che cosa contiene; il fatto è che ci vorranno settimane. Potrebbe non essere importante, ma mi piacerebbe sapere di che si tratta. Speravo tu potessi avere qualcuno al Bureau capace di decifrarlo più in fretta.» Kellogg le disse che al field office dell'FBI a San José, nel cuore della Silicon Valley, conosceva un genietto dei computer. «Se qualcuno ci può riuscire, è lui. Glielo faccio arrivare oggi stesso.» Lei lo ringraziò e gli consegnò il Dell, chiuso in una busta di plastica. Kellogg firmò il modulo di consegna della prova e depose il computer accanto a sé. Kathryn fece un cenno alla cameriera. Non aveva appetito e ordinò solo un toast; Kellogg una colazione completa. «Adesso parlami di Big Sur», disse lui. «Dev'essere un bel posto.» «Da mozzare il fiato. Uno dei posti più romantici che tu abbia mai visto.» Kathryn era in ufficio quando Kellogg passò a prenderla alle cinque e mezzo. Era vestito a metà tra il formale e il casual, quasi come lei: giacche marroni, camicie chiare e jeans, azzurri quelli di lui, neri quelli di lei. Il Ventana era un posto di lusso, ma dopotutto erano in California. Solo a San Francisco, Los Angeles e Sacramento era obbligatoria la cravatta. Anche per i funerali, non poté fare a meno di pensare Kathryn. «Per prima cosa, togliamoci i pensieri di lavoro.» Kellogg aprì la vali-
getta e le consegnò la busta di plastica con il computer trovato al Butterfly Inn. «Oh, ce l'hai già?» chiese lei. «Il mistero di Nimue sta per essere risolto?» Lui fece un'espressione desolata. «Temo di no.» «Niente?» «O il file era un'accozzaglia di simboli senza senso, oppure aveva dentro una wipe bomb. Così ha detto il mio amico.» «Wipe bomb?» «Una specie di trappola esplosiva digitale. Quando TJ ha cercato di aprire il file, lo ha ridotto in poltiglia. Riferisco quanto mi è stato detto.» «Poltiglia.» «Caratteri a casaccio.» «Non c'è modo di ricostruirlo?» «Nessuno. E, credimi, lui è il migliore nel suo campo.» «Immagino che non fosse molto importante», disse Kathryn, stringendosi nelle spalle. «Era solo un dettaglio da chiarire.» Lui sorrise. «Ti capisco. Anch'io detesto quando ci sono fili pendenti. È così che li chiamo.» «Fili pendenti. Mi piace.» «Allora, sei pronta?» «Solo un secondo o due.» Kathryn si alzò e andò alla porta. Albert Stemple e TJ erano in corridoio. Lei li guardò, sospirò e fece un cenno affermativo. Il massiccio agente dalla testa rasata fece il suo ingresso nell'ufficio, seguito da TJ. Entrambi sfoderarono le pistole. Kathryn non ne aveva il coraggio. In pochi secondi, Winston Kellogg fu disarmato e ammanettato. «Che diavolo succede?» protestò lui, furibondo. Fu Kathryn a rispondere, sorpresa di quanto fosse calma la propria voce quando disse: «Winston Kellogg, sei in arresto per l'assassinio di Daniel Pell». 59 Si trovavano nella stanza 3, una delle sale destinate agli interrogatori nella sede del CBI a Monterey. Era più grande dell'altra (la stanza 1, non esisteva una stanza 2). E lo specchio semiriflettente era più lucido. C'era
una finestra, di solito con le tende aperte, da cui si vedeva un albero: a volte Kathryn usava il panorama per distrarre i soggetti che interrogava o indebolire la loro resistenza. Quel giorno le tende erano tirate. Kathryn era sola con Kellogg. Dietro lo specchio, la videocamera era in funzione. Overby e TJ erano invisibili, anche se la presenza dello specchio sottintendeva che qualcuno stesse osservando quanto avveniva nella stanza. Winston Kellogg aveva declinato l'offerta di un avvocato ed era disposto a parlare. Cosa che fece con una calma irreale (non diversa da quella ostentata da Pell durante il suo interrogatorio, un pensiero che mise a disagio l'agente del CBI). «Kathryn, vediamo di mettere subito le cose in chiaro. D'accordo? Non so che cosa ti sei messa in testa, ma non è questo il modo di gestire la situazione, credimi.» Dietro quelle parole c'era arroganza. E il corollario: tradimento. Lei cercò di soffocare il dispiacere personale e si limitò a replicare: «Cominciamo». Si mise gli occhiali dalla montatura nera, quelli da predatrice. «Forse hai avuto informazioni errate», continuò lui. «Perché non mi dici quale credi sia il problema, così ti spiego come stanno realmente le cose?» Sembrava quasi che stesse parlando a un bambino. Lei guardò Kellogg negli occhi. È un interrogatorio come un altro, si disse. Anche se in realtà non era così. Si trovava davanti a un uomo che le aveva mentito e, per giunta, con cui stava per avere un interludio romantico. Un uomo che l'aveva usata, come Daniel Pell aveva usato... be', chiunque. Tuttavia Kathryn doveva mettere da parte le proprie emozioni personali, per quanto fosse difficile, e concentrarsi sul compito che l'attendeva. Doveva piegare Kellogg. E niente l'avrebbe fermata. Dal momento che ormai lo conosceva bene, non tardò a programmare l'analisi. Primo: come doveva essere classificato nel contesto del reato? Come un sospetto in un caso di omicidio. Secondo: aveva un motivo per mentire? Sì. Terzo: qual era la tipologia della sua personalità? Estroverso, pensoso, giudizioso. Ma lei poteva essere alla sua altezza. Quarto: qual era la sua personalità come mentitore? Un High Mach, machiavellico ad alto livello: intelligente, dotato di buona memoria, abile nelle tecniche di inganno e pronto a servirsi della sua abilità per costruire bu-
gie a proprio vantaggio. Se scoperto, avrebbe smesso di mentire e avrebbe usato altre armi per attribuire ad altri la colpa, per minacciare o attaccare. Sarebbe stato umile o prepotente, avrebbe cercato di innervosirla e di sfruttare le sue reazioni emotive, uno specchio oscuro del suo ruolo di interrogatrice. E avrebbe cercato di raccogliere informazioni da utilizzare contro di lei. Bisognava stare molto attenti, con gli High Mach. Il passo successivo nell'analisi cinesica sarebbe stato determinare le reazioni di stress di Kellogg quando mentiva: rabbia, negazione o patteggiamento. E sondarne le affermazioni quando le riconosceva come bugie. Ma questa era la parte più difficile. Anche se Kathryn era una delle migliori analiste cinesiche d'America, non aveva identificato le bugie di Kellogg quando le aveva avute sotto il naso. Il comportamento dell'uomo non era tanto di aperta menzogna, quanto di elusione, il più difficile da scoprire. Però lei era allenata anche in questo. L'aspetto più significativo, stabilì Kathryn, era che Kellogg apparteneva alla rara categoria di individui virtualmente immuni all'analisi cinesica e alla macchina della verità: soggetti che credevano in loro stessi, come certi malati mentali e i serial killer. E come i fanatici. Ed era questa la vera natura di Winston Kellogg. Non era il leader di una setta, ma non era meno fanatico né meno pericoloso. Era un uomo convinto di essere nel giusto. Tuttavia, Kathryn doveva farlo confessare. Doveva arrivare alla verità e, a questo scopo, doveva identificare i suoi segnali di stress per sapere in quale direzione indagare. Per questo partì all'attacco, dura e rapida. Dalla borsetta estrasse un registratore digitale, che depose sul tavolo in mezzo a loro. Premette il tasto play. Lo squillo di un telefono. «Risorse Tecniche. Parla Rick Adams.» «Sono Kellogg, 9th Street, CCVM.» «Certo, agente Kellogg. Che cosa posso fare per lei?» «Mi trovo in zona e ho un problema con il mio computer. Ho un file protetto e quello che me l'ha inviato non ricorda la password. È un sistema operativo Windows XP.» «Va bene. Facilissimo. Ci penso io.» «Preferisco non approfittare di voi per una questione personale. Altrimenti al quartier generale protestano.»
«C'è una società a Cupertino a cui subappaltiamo qualche lavoro. Non sono a buon mercato.» «Sono rapidi?» «Oh, quello sì.» «Ottimo. Mi dia il numero.» Kathryn spense il registratore. «Winston, Pell non ha mai scritto niente su Nimue o le sette suicide. Ho creato io quel file, ieri sera.» Lui non poté fare altro che fissarla. Lei proseguì: «Nimue era una falsa pista. Non c'era niente del genere sul computer di Jennie, fino a quando non ce l'ho messo io. TJ ha scoperto un riferimento a Nimue, ma era solo un articolo di giornale a proposito di una donna di nome Alison Sharpe. Un'intervista a un giornale locale del Montana: Ho passato un mese con Daniel Pell, o qualcosa di simile. Si erano conosciuti a San Francisco circa dodici mesi prima, quando lei viveva in un gruppo simile alla Famiglia che si faceva chiamare 'Nimue'. Il leader battezzava tutti con nomi presi dalla leggenda di re Artù. Alison e Pell se ne andarono in giro per lo Stato, ma lei lo lasciò quando lui fu fermato a Redding come sospetto di omicidio. Pell probabilmente non sapeva il cognome della ragazza e ha cercato le uniche due parole che poteva associare a lei: Alison e Nimue. Forse voleva ucciderla perché lei sapeva dov'era la cima della sua montagna». «E così tu hai falsificato il file e mi hai chiesto di aiutarti a decifrarlo. A che scopo questa buffonata, Kathryn?» «Ora te lo spiego. Il linguaggio del corpo non si limita alle persone vive, sai? Puoi capire molte cose anche dalla postura di un cadavere. Ieri sera TJ mi ha portato il fascicolo completo del caso. Nelle fotografie scattate a Point Lobos ho trovato qualcosa che non mi ha convinto. Pell non era nascosto tra le rocce: era allo scoperto, sdraiato sulla schiena. Le ginocchia erano piegate e c'erano chiazze di acqua e sabbia sulle ginocchia. Entrambe le ginocchia, non uno solo. È strano... durante una sparatoria, casomai, si appoggia un ginocchio soltanto e si tiene un piede saldamente piantato a terra. Invece la posizione era la stessa che ho visto in un regolamento di conti tra gang: la vittima era stata costretta a inginocchiarsi per chiedere pietà, prima che le sparassero. Per quale motivo Pell avrebbe dovuto uscire allo scoperto e inginocchiarsi, per spararti?» «Non so di che cosa stai parlando.» Kellogg non tradiva alcuna emozione.
«Secondo il rapporto del coroner, l'angolazione dei proiettili nel corpo di Pell era dall'alto verso il basso, il che indica che tu eri in piedi, non accovacciato. In un vero scontro a fuoco, avresti dovuto assumere una posizione difensiva e tenerti basso. E poi ricordavo la sequenza dei rumori. La flash-bang è esplosa qualche secondo prima degli spari. No, io credo che tu abbia visto dove si trovava Pell, abbia gettato la flash-bang e lo abbia rapidamente sopraffatto, disarmandolo. Lo hai fatto inginocchiare e gli hai gettato davanti le manette, perché se le mettesse da solo. E quando lui ha fatto per prenderle, tu gli hai sparato.» «Ridicolo.» Lei continuò, imperturbabile. «E la flash-bang? Dopo il raid al Sea View Motel, avresti dovuto restituire tutta l'attrezzatura. Perché conservarla? Perché stavi aspettando un'occasione per ucciderlo.» Kathryn alzò una mano. «Ma, che la mia teoria sia ridicola o no, la morte di Pell ha sollevato in ogni caso alcuni interrogativi. Dovevo verificare. Volevo saperne di più sul tuo conto. Ho avuto il tuo dossier da un amico di mio marito sulla 9th Street. E ho scoperto alcuni fatti interessanti. Sei stato coinvolto nella morte di alcuni sospetti leader di sette nel corso di scontri a fuoco al momento del loro arresto. Altri due si sono suicidati in circostanze dubbie, mentre tu facevi da consulente per le forze dell'ordine locali. Quello più inquietante è l'episodio di Los Angeles: una donna si è suicidata buttandosi da una finestra al settimo piano, due giorni dopo che eri arrivato in città per collaborare con l'LAPD. Il fatto strano è che nessuno l'aveva mai sentita parlare di suicidio. Non c'era nessun biglietto di addio e... sì, l'indagine riguardava esclusivamente il sospetto di frode fiscale. Una ragione singolare per ammazzarsi. Per questo ti dovevo mettere alla prova, Winston. Dovevo preparare quel file.» Il documento consisteva in una falsa e-mail secondo cui una ragazza che si faceva chiamare Nimue faceva parte della setta della donna che si era apparentemente suicidata e sosteneva che la sua morte fosse sospetta. «Mi sono procurata un mandato per intercettare le tue telefonate. Ho messo una banale password di Windows sul file e ti ho consegnato il computer per vedere che cosa avresti fatto. Se tu mi avessi detto di avere letto il file e il suo contenuto, chiuso l'argomento. In questo momento saremmo sulla strada per Big Sur. Invece no: hai telefonato al tecnico, ti sei fatto aprire il file e lo hai letto. Non c'era nessuna wipe bomb. Sei stato tu a distruggerlo. Non potevi fare altro. Avevi paura che scoprissimo che nel corso degli ultimi sei anni la tua vita è consistita nel viaggiare per il Paese per
uccidere individui come Daniel Pell.» Kellogg scoppiò a ridere. Una falsa deviazione cinesica: il tono era diverso. Era un soggetto molto attento, sì, ma provava ugualmente stress. Kathryn doveva averlo punto sul vivo. «Per favore... Perché mai avrei dovuto fare una cosa del genere?» «Per tua figlia», disse Kathryn, non senza una certa comprensione. Il fatto che lui non le desse risposta e si limitasse a sostenere il suo sguardo come se provasse un profondo dolore indicava, seppure debolmente, che lei si stava avvicinando alla verità. «Ce ne vuole per ingannarmi, Winston. E tu sei molto, molto bravo. L'unica variazione rispetto al tuo comportamento base che avevo notato era quando si parlava di famiglie e di figli. Non ci avevo dato molto peso. In principio pensavo che fosse per i nostri rapporti, che tu non fossi a tuo agio con i bambini e fossi contrario ad averne. Poi forse, quando hai notato che ero curiosa, o addirittura sospettosa, hai confessato di avere mentito, che avevi avuto una figlia. E mi hai raccontato della sua morte. Naturalmente è un vecchio trucco, quello di confessare una bugia per nasconderne un'altra. E qual era la bugia? Tua figlia morì effettivamente in un incidente d'auto, ma non nelle circostanze che hai descritto. A quanto pare hai distrutto il dossier della polizia di Seattle, nessuno è stato in grado di trovarlo. TJ e io però siamo riusciti lo stesso a ricostruire la storia, facendo un po' di telefonate. A sedici anni tua figlia è scappata di casa perché tu e tua moglie stavate divorziando. È finita in un gruppo di Seattle molto simile alla Famiglia, con cui è rimasta per sei mesi. Poi lei e tre membri della setta sono morti in seguito a un patto suicida, perché il leader aveva detto loro di andarsene. Non li considerava abbastanza leali. E loro si sono buttati con la macchina nel Puget Sound.» C'è qualcosa di terrificante nell'idea di essere scacciati dalla tua famiglia... «Così sei entrato nel CCVM e hai dedicato la vita a fermare gente del genere. Solo che la legge non sempre cooperava. Quindi hai deciso di occupartene personalmente. Prima di arrivare in California eri a Chicago. Ho chiamato un amico del CPD. Tu eri l'esperto di sette che li stava aiutando nell'indagine. Secondo il rapporto, il sospetto ti ha sparato e tu hai dovuto 'neutralizzare la minaccia'. Ma io non credo che ti abbia sparato. Credo che tu lo abbia ucciso e poi ti sia ferito da solo.» Kathryn si appoggiò un dito sul collo, indicando la posizione della benda di Kellogg. «Anche questo è un delitto. Come nel caso di Pell.»
Kathryn si stava irritando. Fu come un raggio di sole improvviso dopo il passaggio di una nube. Controllati, si disse. Impara da Daniel Pell. Impara da Winston Kellogg. «La famiglia del morto ha presentato un esposto. Hanno detto che era una montatura. È vero, aveva una fedina penale lunghissima, come Pell, ma non aveva mai toccato una pistola in vita sua. Aveva paura che qualcuno lo accusasse di possesso di arma da fuoco.» «Ne ha toccata una abbastanza a lungo da spararmi.» Un lievissimo cambio di posizione del piede, quasi impercettibile, comunque un segnale di stress. Dunque Kellogg non era del tutto immune all'interrogatorio. La sua risposta era una bugia. «Ne sapremo di più una volta esaminati i dossier. E stiamo controllando anche presso le altre giurisdizioni, Winston. A quanto pare, hai l'abitudine di insistere ad aiutare le polizie locali di tutto il Paese, ogni volta che c'è un caso che riguarda una setta.» Charles Overby aveva sempre fatto credere che fosse stata un'idea sua quella di invitare uno specialista federale a occuparsi dell'indagine. La sera prima, tuttavia, Kathryn aveva cominciato a sospettare che non fosse andata in quel modo e aveva chiesto a bruciapelo al suo capo come Kellogg fosse giunto a fare da consulente presso di loro. Overby aveva menato il can per l'aia, e alla fine aveva ammesso che era stato proprio l'agente dell'FBI a proporsi ad Amy Grabe, presso il field office federale di San Francisco: voleva partecipare alla caccia a Pell, non intendeva sentire discussioni e sarebbe arrivato appena concluse le pratiche a Chicago. «Ho riesaminato il caso Pell. Michael O'Neil era assolutamente contrario al raid al Sea View Motel. Quanto a me, mi sono chiesta perché tu volessi essere il primo a entrare nella stanza. La risposta è: perché volevi avere la possibilità di sparare a Pell. E ieri, sulla spiaggia di Point Lobos, lo hai fatto mettere in ginocchio. Prima di ucciderlo.» «Sarebbero queste le tue prove, Kathryn? La posizione del cadavere? Siamo seri...» «Inoltre la scientifica ha trovato il proiettile che tu mi hai sparato mentre ero sulla cresta.» A queste parole, Kellogg si zittì. «Oh, mi rendo conto, non hai sparato con l'intenzione di colpirmi. Volevi solo che restassi dov'ero, con Samantha e Linda, in modo che non interferissi con i tuoi progetti su Pell.»
«È stato un colpo accidentale», disse lui, con estrema naturalezza. «Una mia grave distrazione. Avrei dovuto ammetterlo, ma era troppo imbarazzante. Accidenti, sono un professionista.» Bugia... Sotto gli occhi di Kathryn, Kellogg curvò leggermente le spalle e serrò appena le labbra. Lei sapeva che non avrebbe ottenuto una confessione, né se l'aspettava. Ma notò che il soggetto stava passando a un'altra situazione di stress. Non era una macchina del tutto priva di emozioni, a quanto sembrava. Lei lo aveva colpito duramente e lui ne aveva sofferto. «Non parlo mai del mio passato e di quanto è capitato a mia figlia. Avrei dovuto essere più aperto con te, però nemmeno tu dici molto di tuo marito.» Kellogg tacque per un istante. «Guardati intorno, Kathryn. Guarda il mondo. La famiglia è un concetto in via di estinzione, eppure tutti ne cerchiamo una che ci dia conforto. Ne abbiamo un bisogno disperato. E allora che cosa succede? Si fanno avanti persone come Daniel Pell, che risucchiano gli elementi più vulnerabili e indifesi. Le donne della sua Famiglia, Samantha e Linda, erano brave ragazze che non avevano mai fatto niente di male. Eppure si sono lasciate sedurre da un assassino. Perché? Perché lui ha offerto loro qualcosa che non avevano: una famiglia, appunto. Era solo questione di tempo perché quelle due oppure Jennie Marston uccidessero qualcuno. O rapissero bambini per abusarne. Persino in carcere Pell aveva 'discepoli'. E quanti di loro avrebbero seguito il suo modello, una volta rilasciati? Quella gente deve essere fermata. Ho un approccio aggressivo ma ottengo risultati. E non oltrepasso i limiti.» «Non oltrepassi i tuoi limiti, Winston. E non sei autorizzato ad applicare le tue regole personali. Non è così che opera il nostro sistema. Neanche Daniel Pell pensava che stava facendo qualcosa di male.» Lui le rispose con un sorriso e un'alzata di spalle. Gesti emblematici che lei interpretò come: Tu la vedi a modo tuo, io a modo mio. E non saremo mai d'accordo su questo. Era un'ammissione non verbale, certo. Eppure per Kathryn equivaleva a: Sono colpevole. Poi il sorriso sfumò, come il giorno prima sulla spiaggia. «Quanto a... noi due: era vero. Qualsiasi cosa tu pensi di me, quello era vero.» Kathryn Dance rammentò quando, nel corridoio del CBI, Kellogg aveva fatto alcuni commenti sulla Famiglia, sottintendendo certe mancanze nella propria vita... solitudine, un lavoro che prendeva il posto di un matrimonio fallimentare, la terribile morte della figlia. Kathryn non ne dubitava: anche
se l'aveva ingannata riguardo alla propria missione, quell'uomo solitario aveva cercato sinceramente di costruire un rapporto con lei. E come analista cinesica poteva confermare che la sua frase, «Quello era vero», era assolutamente sincera. Ma era anche irrilevante ai fini dell'interrogatorio e non valeva la pena di sprecare il fiato per replicare. Poi una V appena percettibile si formò tra le sopracciglia di Kellogg e il falso sorriso tornò a disegnarsi sulle sue labbra. «Davvero, Kathryn. Non è una buona idea. Sarebbe un incubo seguire un caso del genere. Per il CBI... e per te personalmente.» «Per me?» Kellogg contrasse le labbra per un istante. «Mi sembra di ricordare che siano stati sollevati certi interrogativi sulla tua condotta durante l'interrogatorio in tribunale, a Salinas. Forse è stato detto o fatto qualcosa che ha permesso a Pell di fuggire. Non conosco i dettagli. Probabilmente non è niente... ho sentito Amy Grabe che diceva di avere un paio di appunti in proposito.» Si strinse nelle spalle, sollevando le mani. Le manette tintinnarono. Quello che Overby aveva detto all'FBI con l'intento di coprirsi il culo non era stato privo di conseguenze. La minaccia di Kellogg faceva ribollire il sangue di Kathryn, che comunque non mostrò alcuna reazione visibile. La sua alzata di spalle fu ancora più definitiva di quella di lui. «Se qualcuno tirasse in ballo l'argomento, basterà considerare i fatti.» «Immagino di sì. Spero solo che questo non abbia effetti duraturi sulla tua carriera.» Kathryn si tolse gli occhiali e si protese in avanti, verso una zona prossemica più personale. «Winston, sono curiosa. Dimmi... che cosa ti ha detto Daniel prima che tu lo uccidessi? Aveva gettato la pistola ed era in ginocchio. Stava per prendere le manette. Poi ha alzato lo sguardo. E ha capito tutto, vero? Non era uno stupido. Sapeva che lo avresti ucciso. Ha detto qualcosa?» A Kellogg sfuggì un involontario segno di trasalimento. Ma non replicò. L'uscita di Kathryn era inappropriata, naturalmente, e lei sapeva che avrebbe segnato la fine dell'interrogatorio. Ma non le importava. Aveva avuto le sue risposte, sapeva la verità, o almeno qualcosa che vi si avvicinava. Il che, stando all'elusiva scienza dell'analisi cinesica e dell'interrogatorio, di solito era sufficiente. 60
Kathryn e TJ erano nell'ufficio di Charles Overby. Il capo del CBI era seduto alla sua scrivania e annuiva, con lo sguardo su una foto in cui stava catturando un salmone con il figlio. O forse, Kathryn non ne era certa, sull'orologio da tavolo che segnava le otto e trenta. Per due sere di fila, Overby rimaneva in ufficio fino a tardi: un record. «Ho assistito a tutto l'interrogatorio. Hai materiale ottimo, assolutamente. Ma lui è stato furbo. Di fatto non ha ammesso niente. Non si può certo dire che abbia confessato.» «È un machiavellico ad alto livello con una personalità antisociale, Charles. Non è il tipo che confessa. Stavo solo sondando le sue difese e il modo in cui struttura le negazioni. Ha distrutto un dossier quando pensava che lo implicasse in quel suicidio sospetto a Los Angeles. Ha usato materiale non autorizzato. La sua pistola avrebbe esploso accidentalmente un colpo nella mia direzione. Una giuria comincerebbe a ridere e non smetterebbe fino al verdetto di colpevolezza. Per lui l'interrogatorio è stato un disastro.» «Sul serio? Mi sembrava molto sicuro di sé.» «Certo. E sarà un ottimo imputato, se si arriva al processo. Ma sul piano tattico il suo caso è senza speranza.» «Stava arrestando un assassino armato. E tu affermi che il suo movente è che la figlia è morta a causa di una setta? Non è un argomento inoppugnabile.» «Non mi preoccupo mai troppo del movente. Se un uomo uccide la moglie, alla giuria non importa se è stato perché gli ha servito una bistecca bruciata o se voleva i soldi dell'assicurazione sulla vita. L'omicidio è omicidio. Sembrerà molto meno una soap-opera quando collegheremo Kellogg alle altre persone che ha ammazzato.» Kathryn aveva detto a Overby delle altre morti, della sparatoria sospetta a Chicago la settimana prima e di altre analoghe a Forth Worth e a New York. Oltre che dei due suicidi. Un caso particolarmente spiacevole si era verificato in Florida, dove Kellogg aveva assistito la polizia di Dade County in un rapimento, l'anno precedente. Un latino gestiva una specie di comune alla periferia di Miami: aveva un certo numero di seguaci, alcuni dei quali piuttosto fanatici. Kellogg gli aveva sparato mentre lui, in apparenza, stava cercando di prendere una pistola nel corso di un raid. L'arma non era mai stata trovata. Si era scoperto in seguito che la comune gestiva anche una mensa per i poveri, un rispettato gruppo di studi biblici e una
raccolta di fondi per un asilo destinato ai bambini di genitori single del quartiere, aperto negli orari di lavoro. Le accuse di rapimento erano risultate una montatura, a opera dell'ex moglie della vittima. I giornali locali stavano tuttora mettendo in discussione le circostanze della morte. «Interessante. Però non sono sicuro che tutto questo sia ammissibile», osservò Overby. «Che cosa dice della spiaggia, la scientifica?» Kathryn si dispiacque profondamente che Michael O'Neil non fosse presente per illustrare l'aspetto tecnico del caso. Perché non si faceva vivo? «Hanno trovato il proiettile che ha sparato a Kathryn», disse TJ. «Corrisponde senza dubbio a una SIG.» «Un colpo accidentale», bofonchiò Overby. «Rilassati, Kathryn. Qualcuno deve pur fare l'avvocato del diavolo, qui.» «I bossoli espulsi dalla pistola di Pell sulla spiaggia sono stati trovati più vicini alla posizione di Kellogg che a quella del morto. Probabilmente è stato lo stesso Kellogg a sparare con l'arma di Pell, per farla sembrare legittima difesa. Oh, il laboratorio ha trovato sabbia nelle manette di Kellogg. Questo vuol dire che...» «Suggerisce», corresse Overby. «Suggerisce che Kellogg abbia disarmato Pell, quindi lo abbia portato allo scoperto, per poi gettargli le manette e ucciderlo prima che se le mettesse», precisò Kathryn. «Senti, Charles, non sto dicendo che sarà facile, ma Sandoval può vincere la causa. Io posso testimoniare che Pell non costituiva una minaccia nel momento in cui è stato ucciso. La posizione del corpo è inequivocabile.» Gli occhi di Overby scandagliarono la scrivania e si fermarono su un'altra fotografia di una scena di pesca. «Movente?» Non le aveva prestato attenzione, prima? Forse no. «Be', sua figlia. Sta uccidendo tutti quelli che sono collegati a...» Il capo del CBI alzò gli occhi, acuti e penetranti. «No, non il movente per cui Kellogg lo ha ucciso. Il nostro movente. Per aprire il caso.» Ah, giusto. Naturalmente Overby intendeva il movente di Kathryn. Era il desiderio di farla pagare a Kellogg perché aveva tradito la sua fiducia? «Ce lo chiederanno, lo sai», fece lui. «Dovremo dare una risposta.» Il capo era in forma, quella sera. Ma anche lei. «Perché Winston Kellogg ha ucciso qualcuno nella nostra giurisdizione.» Il telefono di Overby suonò. Lui lo guardò e rispose al quarto squillo. TJ sussurrò: «Come movente è ottimo. Più di 'Mi ha servito una bistecca
bruciata'». Il capo del CBI riappese il ricevitore. Guardò la foto con il salmone. «Abbiamo visite.» Si aggiustò la cravatta. «C'è qui l'FBI.» «Charles, Kathryn...» Amy Grabe prese la tazza di caffè che l'assistente di Overby le porgeva e rivolse un cenno di saluto a TJ. Kathryn si sedette accanto alla responsabile del field office dell'FBI a San Francisco, una donna attraente dall'aspetto serio. Preferì la sedia al più comodo ma basso divano di fronte ad Amy Grabe: trovarsi anche solo due o tre centimetri sotto l'interlocutore mette chiunque in una posizione di svantaggio psicologico. Quindi l'agente aggiornò la nuova arrivata sugli ultimi dettagli riguardanti Kellogg e Nimue. La Grabe ne sapeva qualcosa, ma non tutto. Aggrottò la fronte, immobile, a differenza di Overby, che giocherellava con una matita sulla scrivania. Il braccio destro della donna era appoggiato sulla manica sinistra del suo elegante tailleur bordeaux. Kathryn illustrò la propria posizione. «È un agente in servizio attivo che va in giro a uccidere, Amy. Ci ha mentito. Ha organizzato un assalto spettacolare quando in realtà non ce n'era bisogno. Ha messo a repentaglio la vita di una dozzina di persone. Qualcuno poteva restare ucciso.» La matita di Overby batteva sulla scrivania come la bacchetta di un percussionista. Quanto a TJ, la sua cinesica equivaleva a: Okay, questo sì che è un momento imbarazzante. Gli occhi di Amy Grabe, sotto le sue sopracciglia perfette, esaminarono tutti i presenti mentre diceva: «È tutto molto complesso. Me ne rendo conto. Ma qualsiasi cosa sia successa, io ho ricevuto una telefonata. Vorrebbero che fosse rilasciato». «Chi? La 9th Street?» La Grabe assentì. «Anche più in alto. Kellogg è una star. Ha un alto numero di arresti all'attivo, ha salvato centinaia di persone da quelle sette e sta per occuparsi di fondamentalismo religioso. Terroristi, cioè. Ora, se vi può far sentire meglio, ho parlato con loro: apriranno un'inchiesta, controlleranno i rapporti sulle sparatorie, verificheranno se vi è stato un uso eccessivo della forza.» «La pistola più potente conosciuta dall'uomo», recitò TJ, poi si zittì a un'occhiata severa del suo capo. «Controlleranno?» ripeté Kathryn, incredula. «Stiamo parlando di morti
sospette, di falsi suicidi. Amy, per favore! È una vendetta, pura e semplice. Gesù, persino Pell era al di sopra di certe cose. E chissà che cos'altro ha combinato Kellogg.» «Kathryn...» l'ammonì Overby. «Il fatto è», disse la Grabe, «che Kellogg è un agente dell'FBI che indaga su criminali particolarmente pericolosi e astuti. In qualche caso, sono rimasti uccisi mentre resistevano all'arresto. Capita di continuo.» «Pell non stava affatto opponendosi all'arresto. Posso affermarlo in tribunale, da testimone esperta. È stato assassinato.» Overby continuava a battere con la matita sul sottomano immacolato. Era un groviglio di stress. «Kellogg ha arrestato - perché alcuni li ha arrestati - parecchi individui pericolosi. Alcuni sono rimasti uccisi.» «Va bene, Amy. Potremmo andare avanti per ore. Quello che mi interessa è solo presentare un singolo caso di omicidio a Sandy Sandoval, che a Washington piaccia oppure no.» «Il federalismo al lavoro», commentò TJ. Tap, tap... La matita di Overby rimbalzò e lui si schiarì la voce. «Non è neanche un grosso caso», puntualizzò la Grabe. A quanto pareva, aveva letto i dettagli mentre arrivava a Monterey in macchina o in elicottero. «Non deve per forza essere un colpo grosso. Sandy può vincere lo stesso.» La Grabe depose il caffè e rivolse il suo viso tranquillo verso Overby. Lo fissò severa. «Charles, hanno chiesto di lasciar perdere.» Kathryn non aveva intenzione di cestinare il caso. E, d'accordo, una parte del suo dannato movente era il fatto che l'uomo che le aveva chiesto di uscire con lui e che stava quasi conquistando il suo cuore l'aveva tradita. Dopo. Come ti sembra? Gli occhi di Overby si soffermarono su altre foto sulla scrivania. «È una situazione scomoda. Sapete che cosa disse Oliver Wendell Holmes? Che i casi difficili portano a una cattiva giustizia. O forse che i brutti casi portano a una cattiva giustizia, non ricordo.» E questo cosa c'entra? si chiese Kathryn. La Grabe disse, a bassa voce: «Kathryn, Daniel Pell era un uomo pericoloso. Ha ucciso poliziotti, gente che conoscevi, e persone innocenti. Hai fatto un ottimo lavoro in una situazione impossibile, hai fermato un terribile malfattore. E Kellogg ha dato il suo contributo... Per tutti merita una
medaglia». «Assolutamente», disse Overby. Depose la matita. «Lo sai che cosa mi ricorda, Amy? Jack Ruby, quando uccise l'assassino di Kennedy. Te lo ricordi? Non credo che a nessuno sia dispiaciuto quello che ha fatto Ruby... ammazzare Oswald.» Kathryn chiuse la bocca e strinse i denti, strofinando il pollice e il medio. Dopo avere «rassicurato» la Grabe della sua innocenza nella fuga di Pell, ora Overby la stava vendendo di nuovo, rifiutando di sottoporre il caso a Sandy Sandoval. Stavolta il capo del CBI non si stava semplicemente parando il culo: era colpevole di omicidio tanto quanto Kellogg. Kathryn si appoggiò allo schienale e abbassò le spalle. Con la coda dell'occhio vide la smorfia di TJ. «Esatto», replicò la Grabe. «Quindi...» Overby alzò una mano. «Sai qual è la cosa strana di quel caso?» «Quale caso?» chiese la donna. «Il caso Ruby. Il Texas lo arrestò per omicidio. E, indovina un po', fu condannato e mandato in galera.» Overby alzò le spalle. «Devo dirti di no, Amy. Sottoporrò il caso Kellogg all'ufficio del procuratore di Monterey County. E raccomanderò una condanna per omicidio... non preterintenzionale. Oh, e aggressione aggravata a un agente del CBI. Dopotutto, è stato Kellogg a sparare a Kathryn.» Ho sentito bene? si chiese Kathryn; il cuore le batteva all'impazzata. TJ la fissò con un sopracciglio inarcato. Ma anche Overby la stava guardando. «E dovremmo anche accusarlo di avere abusato di un procedimento legale e di avere mentito a un agente investigativo. Che cosa ne pensi, Kathryn?» A questo non aveva pensato. «Eccellente.» La Grabe si grattò una guancia con un'unghia corta, smaltata di rosso scuro. «Pensi davvero che sia una buona idea, Charles?» «Oh, sì. Assolutamente.» SABATO 61 Con le lacrime che le riempivano gli occhi, una donna giaceva nel letto di un alberghetto da quattro soldi alla periferia di Del Monte, vicino alla Highway 1. Ascoltava il sibilo del traffico e fissava il soffitto.
Avrebbe voluto smettere di piangere. Ma non ci riusciva. Perché lui era morto. Il suo Daniel non c'era più. Jennie Marston si toccò la testa, sotto la benda. Il dolore era ancora fortissimo. Continuava a rivivere le ultime ore trascorse insieme, giovedì. Sulla spiaggia a sud di Carmel, quando lui aveva preso in mano la pietra la cui forma ricordava Jasmine, il gatto a cui sua madre non avrebbe mai fatto del male. Rammentava il suo Daniel che afferrava la pietra e la rigirava tra le mani. «Era proprio quello che pensavo, amore. Sembra davvero un gatto.» Poi l'aveva stretta forte e le aveva sussurrato: «Stavo guardando il telegiornale». «Oh, al motel?» «Esatto, amore. La polizia ha scoperto chi sei.» «Chi sono?...» «Come ti chiami. Sanno il tuo nome.» «Lo sanno?» «Sì.» «Oh, no... Daniel, tesoro, mi spiace...» Jennie aveva cominciato a tremare. «Hai lasciato qualcosa nella stanza, vero?» Poi lei se n'era ricordata. Lo stampato dell'e-mail. Era nella tasca dei jeans. Con un filo di voce aveva mormorato: «Era il primo messaggio in cui mi dicevi che mi ami. Non potevo buttarlo via. Mi avevi detto di farlo, ma proprio non ce la facevo. Mi spiace tanto, io...» «È tutto okay, amore. Adesso dobbiamo parlare.» «Certo, tesoro», aveva detto lei, rassegnata al peggio. Si era grattata il naso. Neanche recitare Il canto degli angeli, il canto degli angeli le sarebbe servito. Lui l'avrebbe lasciata. L'avrebbe mandata via. Le cose però erano molto più complicate. Le aveva detto che una delle donne della Famiglia stava lavorando per lui. Rebecca. Insieme avrebbero fondato una nuova Famiglia, sarebbero andati sulla sua montagna e avrebbero vissuto per conto loro. «Tu non avresti dovuto farne parte, amore, ma dopo averti conosciuta ho cambiato idea. Ho capito che non posso vivere senza di te. Parlerò con Rebecca. Ci vorrà un po'. Lei è un tipo... difficile.
Ma alla fine farà come le dico. Diventerete amiche.» «Non lo so.» «Tu e io, amore, saremo la squadra. Con lei non ho mai avuto questo legame. Era una cosa diversa.» Se voleva dire che ci aveva fatto sesso, okay. Per quello Jennie non era gelosa. Lo sarebbe stata se lui avesse amato un'altra, avesse riso con lei, le avesse raccontato storie. Se un'altra fosse stata il suo amore. Lui aveva continuato: «Ma ora dobbiamo stare attenti. La polizia ti conosce e ti troverà facilmente. Per questo devi scomparire». «Scomparire?» «Per un po'. Un mese o due. Oh, non piace neanche a me. Mi mancherai.» E lei sapeva che era vero. «Non preoccuparti. Andrà tutto bene. Non ti lascerò andare via.» «Davvero?» «Fingeremo che ti ho uccisa. La polizia smetterà di cercarti. Ti farò un taglietto. Macchieremo di sangue la borsetta e la pietra. Penseranno che ti ho colpito alla testa e ti ho gettata nell'oceano. Farà un po' male.» «Se vuol dire che poi potremo restare sempre insieme...» (Anche se pensava: No, non i miei capelli, di nuovo! Che aspetto avrebbe avuto, questa volta?) «Preferirei dovermi tagliare io. Purtroppo non c'è altro modo.» «Okay.» «Vieni qui. Siediti. Stringi la mia gamba. Stringila forte. Così sentirai meno male.» Il dolore era stato terribile. Ma lei si era morsa la manica, aveva stretto forte la gamba di lui ed era riuscita a non urlare mentre il coltello la tagliava e il sangue scorreva. Il sangue sulla borsetta, sulla statua di Jasmine... Lui le aveva dato un indirizzo a cui andare a San Francisco, un albergo sulla Sutter. L'avrebbe chiamata lì quando tutto fosse stato risolto. Erano andati in macchina dove lui aveva nascosto la Ford Focus rubata a Moss Landing. Lui le aveva dato le chiavi. Si erano salutati e lei aveva preso una stanza. Appena vi era entrata aveva acceso il televisore, si era sdraiata sul letto e, con le mani premute sulla dolorosa ferita alla testa, aveva visto al telegiornale l'annuncio che Daniel era rimasto ucciso a Point Lobos. Aveva gridato nel cuscino. Aveva percosso il materasso con i pugni ossuti. Aveva continuato a singhiozzare fino a quando non era stata
sopraffatta da un sonno tormentato. Poi si era risvegliata e non si era mossa dal letto. Fissava il soffitto, con gli occhi che andavano da un angolo all'altro, incessanti, compulsivi. Le tornavano in mente le ore interminabili di quando, ai tempi del suo matrimonio, distesa a letto con la testa all'indietro, aspettava che il sangue smettesse di colarle dal naso, che il dolore se ne andasse. E nella camera da letto di Tim. E in dozzine di altre. Sdraiata, aspettava, aspettava, aspettava... Jennie sapeva che si sarebbe dovuta alzare, che avrebbe dovuto muoversi. La polizia la stava cercando, lei stessa aveva visto la fotografia della sua patente in TV, senza sorriso, con quel naso enorme. Le bruciava la faccia per l'orrore, davanti a quell'immagine. Alza il culo... Nel corso delle ultime ore, però, sdraiata su quel misero, duro letto, con le molle del materasso che la pungevano, aveva cominciato a provare qualcosa di strano. Un cambiamento improvviso, come il primo gelo di autunno. Si domandò che cosa fosse. Poi comprese. Rabbia. Era un'emozione insolita per Jennie Marston. Oh, era bravissima a sentirsi male, ad avere paura, a scappare terrorizzata, ad aspettare che il dolore se ne andasse. O che cominciasse. Ma in quel momento era rabbiosa. Le mani le tremavano e il respiro era accelerato. E poi, anche se la furia non si era spenta, provò una calma assoluta. Era come preparare lo zucchero caramellato: lo si cuoce il tempo necessario perché cominci a ribollire (e diventi pericoloso: colla rovente che si può appiccicare alla pelle) e lo si rovescia sul marmo, finché non si raffredda formando uno strato lucente. Era ciò che sentiva adesso. Una rabbia fredda e dura dentro il cuore. Dura... Con i denti stretti e il cuore che batteva forte, Jennie andò in bagno e fece una doccia. Dopo si sedette alla scrivania malconcia, davanti a uno specchio, e si truccò. Vi si dedicò per quasi mezz'ora. Infine guardò il proprio riflesso. E le piacque quello che vedeva. Il canto degli angeli... Ripensava al giovedì precedente, quando si erano salutati vicino alla
Ford Focus. Lei piangeva, abbracciando Daniel. «Mi mancherai tanto, tesorino.» Lui aveva abbassato la voce. «Adesso, amore, devo occuparmi di un paio di cose. Devo garantire che la nostra montagna sia al sicuro. Ma ho bisogno che tu mi faccia un favore.» «Che cosa, Daniel?» «Ti ricordi quella sera, sulla spiaggia? Quando avevo bisogno del tuo aiuto? Con quella donna, nel bagagliaio?» Lei aveva annuito. «Tu... tu vuoi che ti aiuti ancora così?» I suoi occhi azzurri si erano fissati in quelli di lei. «Non voglio che tu mi aiuti. Ho bisogno che lo faccia tu.» «Io?» Si era chinato su di lei, continuando a fissarla. «Sì. Se non lo fai, non avremo mai pace, non potremo mai stare insieme.» Lei aveva annuito, lentamente. Daniel le aveva consegnato la pistola che aveva sottratto al poliziotto di guardia alla casa di James Reynolds e le aveva spiegato come si usava. Jennie si era sorpresa che fosse tanto facile. Ora, sentendo dentro di sé quella rabbia, come una crosta di zucchero caramellato, Jennie si avvicinò al letto e svuotò il contenuto del sacchetto di plastica che usava al posto della borsetta: la pistola, metà dei soldi che le restavano, qualche effetto personale e il foglietto che Daniel le aveva dato. Lo aprì e lesse i nomi Kathryn Dance Stuart ed Edie Dance più vari indirizzi. Aveva sentito la voce del suo amante mentre le metteva la pistola nel sacchetto. «Sii paziente, amore. Prenditi il tempo necessario. E qual è la cosa più importante che ti ho insegnato?» «Mantenere il controllo», aveva recitato lei. «Dieci più, amore.» E infine le aveva dato quello che sarebbe stato il loro ultimo bacio. 62 Lasciato l'ufficio, Kathryn si diresse al Point Lobos Inn, per trasferire il conto dalla carta di credito di Kellogg alle casse del CBI.
Charles Overby non era contento di quella soluzione, era ovvio, ma c'era un conflitto di interessi: non potevano far pagare a un imputato il conto delle spese sostenute per aiutare la stessa istituzione che lo aveva arrestato. Per cui il capo del CBI aveva acconsentito a pagare l'albergo. Il suo momento di gloria quando aveva deciso di mandare Kellogg sotto processo non si era esteso ad altri aspetti della sua personalità. Si era lamentato parecchio del conto («Cabernet Jordan? Chi lo ha bevuto? E ben due bottiglie?») Kathryn gli aveva taciuto che si era offerta di farvi alloggiare Samantha per qualche altro giorno. Mentre guidava, ascoltava una canzone di Altan, il gruppo celtico: Green Grow the Rushes O. La melodia era ossessiva, il che le sembrava adatto alla circostanza, dato che stava andando nel luogo in cui alcune persone erano morte. Stava pensando alla gita nella California del Sud prevista per il weekend successivo, con figli e cani al seguito. Voleva registrare un gruppo di musicisti messicani vicino a Ojai: erano fan del suo sito e le avevano inviato alcuni MP3 della loro musica. I ritmi erano affascinanti. Kathryn non vedeva l'ora. Da quelle parti le strade non erano affollate. Era tornato il brutto tempo. Kathryn vide solo una macchina lungo tutta la strada, una berlina blu che andava nella sua stessa direzione, ottocento metri dietro di lei. Imboccò la svolta per il Point Lobos Inn. Guardò il cellulare. Ancora nessun messaggio da O'Neil, constatò preoccupata. Avrebbe potuto telefonargli lei con il pretesto del caso e lui l'avrebbe richiamata immediatamente. Ma preferiva di no. E poi forse era meglio mantenere una certa distanza. C'è una linea sottile da non valicare, quando si è amiche di un uomo sposato. Parcheggiò in fondo al vialetto e ascoltò la fine della canzone. Le tornò alla mente il funerale del marito. Era logico che Bill, con una moglie, due figli e una casa a Pacific Grove, fosse sepolto nelle vicinanze. Ma la suocera, ostinata, voleva a tutti i costi che fosse seppellito a San Francisco, la città da cui lui era fuggito a diciott'anni, per tornarvi solo in occasione delle feste, e nemmeno tutte. La signora Swenson era stata molto insistente, quando avevano discusso il luogo dell'eterno riposo di Bill. Aveva prevalso Kathryn, anche se le era dispiaciuto vedere la suocera in lacrime, e aveva pagato la propria vittoria a suo modo, negli anni successi-
vi. Ora Bill si trovava su una collina da cui si potevano vedere molti alberi, una striscia di oceano e uno scorcio della nona buca del campo di Pebble Beach, una sepoltura per cui molti golfisti avrebbero pagato un occhio della testa. Anche se né lei né il marito avevano mai giocato a golf, avevano fatto programmi per prendere lezioni. «Magari quando andiamo in pensione», aveva detto lui. «Pensione? In che senso?» Kathryn andò alla reception e compilò i moduli. «Abbiamo ricevuto delle telefonate. Giornalisti che volevano scattare foto del bungalow. E qualcuno che intendeva organizzare gite sulla spiaggia in cui hanno sparato a Pell. C'è gente malata, in giro.» Sì, ce n'era. Morton Nagle non avrebbe approvato. Forse lo spregiudicato imprenditore si sarebbe guadagnato una nota ne La bambola che dorme. Mentre tornava alla macchina, Kathryn si accorse della presenza di una donna che stava contemplando l'oceano avvolto dalla foschia. La sua giacca fluttuava alla brezza. Kathryn proseguì e la donna smise di guardare il panorama e si incamminò, mantenendo lo stesso passo dell'agente, a poca distanza. Nel parcheggio c'era un'automobile che aveva qualcosa di familiare. Era quella che Kathryn aveva notato dietro la propria macchina, lungo la strada? Si accorse che era una Ford Focus e rammentò che l'auto rubata a Moss Landing non era mai stata ritrovata. Era blu, come questa. Che ci fossero altri elementi in sospeso che... In quel momento la donna la chiamò con una voce aspra, nel sibilo del vento. «Lei è Kathryn Dance?» Sorpresa, l'agente si voltò. «Sono io. La conosco?» La donna si fermò a un metro da lei. Si tolse gli occhiali, rivelando un viso conosciuto, che Kathryn non riuscì però a identificare. «Non ci siamo mai incontrate, ma in un certo senso ci conosciamo. Sono la ragazza di Daniel Pell.» «Sei...» La voce di Kathryn venne meno. «Jennie Marston.» La mano di Kathryn corse alla pistola. Prima che potesse stringersi intorno al calcio, Jennie disse: «Mi voglio costituire». E le offrì i polsi per farsi ammanettare. Un gesto lento e considerato, che Kathryn non aveva mai visto in tutta la sua vita in polizia. «Mi aveva chiesto di ucciderla.»
Quella notizia non la mise in allarme come avrebbe potuto, dal momento che Pell era morto, che Jennie era ammanettata e non c'erano armi né su di lei né a bordo della sua auto. «Mi ha dato una pistola, ma l'ho lasciata al motel. Davvero, non le farei mai del male.» Vero, non ne sembrava capace. «Diceva che nessun poliziotto gli era mai entrato nella mente come lei. Gli faceva paura.» Le minacce devono essere eliminate... «Allora ha simulato la tua morte.» «Mi ha tagliato con il coltello.» Jennie mostrò una benda sulla nuca. «Pelle, capelli e sangue. Ne esce tanto, dalla testa. Poi mi ha dato l'indirizzo suo e quello dei suoi genitori. Avrei dovuto ucciderla, secondo lui. Sapeva che lei non l'avrebbe mai lasciato scappare.» «E tu gli hai detto di sì?» «Non gli ho detto né sì né no.» Jennie scosse il capo. «Era difficile dirgli di no. Lui ha pensato che lo avrei fatto. Perché io ho sempre fatto quello che lui voleva. Io dovevo ucciderla e poi andare a vivere con lui e Rebecca in montagna, da qualche parte. Avremmo cominciato una nuova Famiglia.» «Sapevi di Rebecca?» «Me lo ha detto.» Un filo di voce. «È stata lei a scrivermi le e-mail... fingendo di essere lui?» «Sì.» Jennie strinse le labbra. «Non erano scritte come parlava lui. Avevo pensato che le avesse fatte qualcun altro, però non volevo chiederglielo. Certe volte una non vuole sapere la verità.» Amen, si disse Kathryn Dance. «Come sei arrivata fino a qui? Mi hai seguita?» «Sì. Volevo parlarle di persona. Ho pensato che se fossi andata alla polizia mi avrebbero portata subito in prigione... Volevo chiederle una cosa: lei c'era quando gli hanno sparato? Ha detto qualcosa?» «No, mi spiace.» «Era solo che volevo saperlo.» Labbra strette, un segnale cinesico di rimorso. Poi Jennie la guardò. «Non volevo spaventarla.» «Ho avuto spaventi peggiori, ultimamente. Perché non sei scappata? Di qui a qualche settimana, constatato che il tuo corpo non era tornato a riva, avremmo avuto qualche sospetto. Intanto tu potevi arrivare in Messico o in
Canada prima che cominciassimo a cercarti.» «Forse mi sono liberata del suo incantesimo... Pensavo che le cose sarebbero state diverse con Daniel. Lo avevo conosciuto sul serio prima che... sì, insomma, fossimo insieme fisicamente, e tra noi c'era un vero rapporto. O credevo che ci fosse. Ma poi ho pensato che forse era tutto una bugia. Forse Rebecca gli aveva detto ogni cosa di me, in modo che lui mi potesse agganciare, sa... come mio marito e i miei fidanzati: mi trovavano nei bar o dove andavo a fare il catering. Daniel ha fatto lo stesso, solo che è stato molto più furbo. Per tutta la vita ho sempre pensato di avere bisogno di un uomo. Dopo che Daniel è stato ucciso, stavo in quella stanza al motel e all'improvviso mi sono sentita diversa. Mi sono arrabbiata. Era una cosa strana. Mi sentivo proprio arrabbiata. Non mi era mai successo prima. E sapevo che dovevo fare qualcosa. Non piangere per Daniel, e neanche andare fuori a cercare un altro uomo, come ho sempre fatto in precedenza. No, volevo fare qualcosa per me stessa. E la cosa migliore lo sa qual era? Farmi arrestare.» Scoppiò a ridere. «Sembra stupido. Ma l'ho deciso io e nessun altro.» «Hai preso una buona decisione.» «Vedremo. Penso di sì.» Sì, decise Kathryn. Accompagnò Jennie alla Taurus. Mentre si dirigevano alla volta di Salinas, l'agente enumerò mentalmente i capi di imputazione: incendio doloso, complicità in evasione e in omicidio e molti altri. Tuttavia Jennie si era consegnata spontaneamente e sembrava realmente contrita. Kathryn l'avrebbe interrogata più tardi, se la ragazza era d'accordo. E, se era sincera come sembrava, si poteva sempre dire una parola buona a Sandoval. Kathryn la consegnò al centro di detenzione e diede inizio alle procedure. «Vuoi che chiami qualcuno?» le chiese. Jennie stava per dire qualcosa, ma si trattenne e si mise a ridere. «No. Meglio di no. Preferisco ricominciare dall'inizio. Sto bene così.» «Ti troveranno un avvocato. E forse tu e io parleremo ancora insieme.» «Certo.» Quindi Jennie fu condotta lungo lo stesso corridoio da cui il suo amante era fuggito una settimana prima. 63
Forse, cento metri più in alto, era un limpidissimo, spettacolare sabato pomeriggio. Ma, al livello del mare, il Monterey Bay Hospital era avvolto da una densa nebbia grigia che portava con sé fragranze di pino, eucalipto e fiori... Gardenia, pensò Kathryn Dance, anche se non ne era sicura. Le piante le piacevano ma, come con il cibo, preferiva acquistarle già pronte e preparate da chi ne sapeva, piuttosto che tentare da sola e rischiarne la distruzione. Kathryn guardò Roger Whitfield che spingeva la sedia a rotelle su cui si trovava sua sorella Linda. Era un uomo magro e austero di età imprecisata tra i trentacinque e i cinquantacinque anni. Corrispondeva alle aspettative dell'agente: tranquillo, conservatore, con indosso jeans stirati, una camicia inamidata e una cravatta a righe tenuta a posto da un fermaglio con una croce. Aveva salutato Kathryn con una salda stretta di mano e senza alcun sorriso. «Vado a prendere il furgone, scusate», disse prima di allontanarsi. «Te la senti di fare il viaggio?» chiese Kathryn a Linda. «Si vedrà. Conosciamo delle persone a Mendocino, venivano nella nostra chiesa. Roger li ha chiamati. Forse ci fermiamo da loro per la notte.» Gli occhi di Linda erano un po' vacui e ogni tanto ridacchiava senza particolare motivo. Kathryn ne dedusse che gli antidolorifici che le avevano somministrato dovevano essere molto, molto efficaci. «Ti consiglio di fermarti un po'. Prenditela comoda. Fatti coccolare.» «Coccolare.» Linda rise a quella parola. «Come sta Rebecca? Non ti ho ancora chiesto di lei.» «Ancora sotto stretta osservazione.» Kathryn accennò all'ospedale. «Probabilmente non lontano da dove stavi tu.» «Si rimetterà?» «Pensano di sì.» «Pregherò per lei.» Un'altra risata. Sembrava quasi Morton Nagle. Kathryn si chinò su di lei. «Non ti ringrazierò mai abbastanza per quello che hai fatto. Lo so che è stata dura, e mi dispiace che tu sia rimasta ferita. Ma senza di te non saremmo mai riusciti a fermarlo.» «Dio fa il Suo lavoro, la vita va avanti. Ed è tutto per il meglio.» Kathryn non capì che cosa volesse dire. Era un po' come i non sequitur di Charles Overby. Linda batté le palpebre. «Dove verrà sepolto Daniel?» «Abbiamo chiamato sua zia a Bakersfield, ma non ricorda nemmeno il
proprio nome. Suo fratello Richard ha detto che non gliene importa niente. Sarà cremato dopo l'autopsia a Monterey County e portato in un cimitero pubblico. Un funerale per indigenti.» «È terra consacrata?» «Non saprei. Immagino di sì.» «Altrimenti, non si può trovargli un posto adeguato? Pagherò io.» Per l'uomo che aveva cercato di ucciderla? «D'accordo.» «Grazie.» In quel momento un'Acura blu scuro arrivò a tutta velocità lungo il vialetto e si fermò bruscamente, con uno stridore di pneumatici. Kathryn era già pronta con la mano sulla pistola. Si rilassò immediatamente quando vide Samantha McCoy scendere dall'auto. La donna le raggiunse e chiese a Linda: «Come ti senti?» «Mi hanno dato delle pillole. Credo che domani tornerà il dolore. E me lo terrò almeno per un mese.» «Te ne andavi senza salutare?» «Santo cielo, come puoi pensarlo? Volevo telefonarti.» Kathryn capì subito che mentiva. E forse se ne accorse anche Sam. «Hai un bell'aspetto.» Come risposta arrivò un'altra risata indistinta. Silenzio. Un silenzio profondo. La nebbia fagocitava ogni rumore ambientale. Samantha guardò Linda, con le mani sui fianchi. «Sono stati giorni strani, eh?» Stavolta la risata aveva un che di guardingo. «Linda, ti vorrei telefonare. Potremmo rivederci.» «Perché? Mi vuoi psicanalizzare? Vuoi salvarmi dalle grinfie della Chiesa?» «Vorrei solo vederti. Non occorre altro.» Con un certo sforzo, Linda disse: «Sam, eravamo diverse otto o nove anni fa. Ora lo siamo ancora di più. Non abbiamo niente da spartire». «Niente da spartire? Be', non è vero. Siamo state all'inferno insieme.» «Sì, è vero. Dio ci ha aiutate e ora ci manda in direzioni diverse.» Samantha si chinò su di lei e le appoggiò una mano sul braccio, facendo attenzione alla ferita. Si trovava decisamente all'interno della zona prossemica di Linda. «Ascoltami.»' «Che cosa?» Un tono impaziente.
«C'è un uomo...» «Un uomo?» «Ascolta. Un uomo è in una casa e c'è una grande inondazione. Il fiume ha riempito d'acqua il piano terra, ma arriva una barca per salvarlo. Però lui dice: 'No, andate via. Mi salverà Dio'. E va al piano di sopra. L'acqua continua a salire. Arriva una seconda barca e lui ripete: 'No, andatevene. Mi salverà Dio'. Tuttavia il fiume continua a salire e l'uomo si rifugia sul tetto. Arriva un elicottero e lui insiste: 'No, andatevene. Mi salverà Dio'. E l'elicottero vola via.» Intontita dai medicinali, Linda disse: «Dove vuoi arrivare?» Sam continuò, senza batter ciglio: «E poi l'acqua sommerge il tetto e l'uomo annega. Un attimo dopo è in cielo, vede Dio e gli chiede: 'Dio, perché non mi hai salvato?' E Dio scuote la testa e risponde: 'Strano, non capisco che cosa non abbia funzionato: ti ho mandato due barche e un elicottero'». Kathryn rise. Linda batté le palpebre. L'agente ebbe l'impressione che volesse ridere anche lei ma si sforzasse di non farlo. «Linda, siamo ognuna l'elicottero dell'altra.» Silenzio. Sam mise un biglietto da visita nella mano di Linda. «Questo è il mio numero.» L'altra tacque, fissando il biglietto da visita. Poi chiese: «Sarah Starkey? È così che ti chiami?» Samantha sorrise. «Non posso cambiarlo di nuovo, però dirò tutto a mio marito. Tutto quanto. Adesso sta venendo qui con nostro figlio. Passeremo qualche giorno da queste parti. Almeno spero: dopo che gli avrò parlato, potrebbe anche girare la macchina e tornare indietro.» Linda non replicò. Batté il pollice sul biglietto e guardò il furgone color argento pieno di ammaccature che si stava avvicinando. Il veicolo si fermò e ne scese Roger Whitfield. Samantha si presentò al fratello di Linda, usando il suo nome vero, non «Sarah». L'uomo la salutò con un sopracciglio inarcato e una formale stretta di mano. Quindi lui e Kathryn aiutarono Linda a salire sul veicolo. L'agente chiuse la portiera. Samantha salì sul predellino. «Linda, ricorda... Gli elicotteri.» L'altra disse: «Arrivederci, Sam. Pregherò per te». Senza aggiungere altro, senza cenni di saluto, fratello e sorella partirono.
Samantha e Kathryn seguirono le luci posteriori che svanivano nella nebbia, lungo la strada tortuosa. Dopo di che Kathryn domandò: «Quando arriva tuo marito?» «È partito un'ora fa da San José. Sarà qui tra non molto, credo.» Poi Sam accennò alla strada su cui si era allontanato il furgone. «Pensi che mi chiamerà?» Con tutto il suo talento di investigatrice e di analista del linguaggio del corpo, Kathryn non sapeva rispondere. «Be', non ha buttato via il tuo biglietto di visita.» «Non ancora», mormorò Samantha. Abbozzò un sorriso e tornò alla sua macchina. Quella sera il cielo era limpido: la nebbia se n'era andata da qualche altra parte. Kathryn Dance era sul Ponte, da sola, a parte Dylan e Patsy che vagavano in cortile, impegnati nelle loro investigazioni canine. L'agente aveva terminato i preparativi per la grande festa di compleanno di suo padre dell'indomani, sorseggiando una birra tedesca mentre ascoltava A Prairie Home Companion, il varietà radiofonico di Garrison Keileor di cui era una fan da anni. A fine programma spense la radio e sentì in lontananza Maggie che si esercitava nella scala musicale e i bassi sommessi dello stereo di Wes. Con il sottofondo della musica preferita di suo figlio - Coldplay, le sembrava - Kathryn rifletté per un istante, poi d'impulso prese il cellulare, trovò un numero in rubrica e lo chiamò in automatico. «Ehi, ciao», le rispose Brian Gunderson. Il display dei cellulari aveva creato un nuovo meccanismo di risposta, pensò Kathryn. Brian aveva avuto tre secondi pieni per stabilire un piano di conversazione su misura per lei. «Ciao. Senti, mi spiace per non averti richiamato. So che hai telefonato diverse volte.» Lui rise. Kathryn ricordò i momenti che avevano passato insieme, a cena, sulla spiaggia. Brian aveva una risata piacevole. E baciava bene. «Be', non hai bisogno di giustificazioni: ho visto i telegiornali. Chi è Overby?» «Il mio capo.» «Oh, quel pazzo di cui mi hai parlato?» «Esatto.» Forse era stata un po' indiscreta. «Ho visto una conferenza stampa in cui lui ha fatto il tuo nome. Ha detto che sei stata la sua assistente nella cattura di Pell.»
Kathryn rise. Se TJ aveva visto anche lui la TV, di lì a poco le sarebbe arrivato un messaggio per «l'assistente Dance». «E così l'hai preso», disse Brian. «Già.» E non solo lui. «E a te come va?» «Bene. Sono stato a San Fran per qualche giorno, a spremere soldi a gente che li spremeva da qualcun altro. Io mi sono spremuto una commissione. E tutti siamo contenti.» Aggiunse che aveva forato una gomma sulla 101, mentre tornava a casa, e che un quartetto di cantanti a cappella di ritorno da uno spettacolo si era fermato a dirigere il traffico e a cambiargli lo pneumatico. «E intanto cantavano?» «Purtroppo no, comunque andrò a un loro spettacolo a Burlingame.» Era un invito? «Come stanno i ragazzi?» «Bene. Ragazzeggiano.» Kathryn esitò, chiedendosi se doveva provare a invitarlo per un aperitivo, oppure puntare direttamente a una cena. Dal momento che non cominciavano da zero, poteva azzardare la cena. Brian disse: «Be', grazie per avere richiamato». «Certo.» «Ma non era importante.» Non era importante? «Sai perché ti avevo chiamato? Vado con un'amica a La Jolla, questa settimana.» Amica. Una parola meravigliosamente piena di sfumature. «Bravo. A fare snorkeling? Lo avevi detto.» Da quelle parti c'era un parco subacqueo con una fauna straordinaria. Lei e Brian ne avevano parlato. «Sì, infatti. Mi serviva quel libro che ti ho prestato, sulle piste di montagna vicino a San Diego.» «Oh, scusa.» «Nessun problema. L'ho ricomprato. Tienilo pure. Sono certo che ci andrai, un giorno o l'altro.» Lei rise, in stile Morton Nagle. «Certo.» «Tutto il resto va bene?» «Benissimo, sì.» «Ti chiamo quando torno.» Kathryn Dance, analista cinesica e veterana degli interrogatori, sapeva che spesso la gente dice bugie sperando di essere scoperta. Di solito in contesti come quello. «Ottimo, Brian.» Era pronta a scommettere che non
si sarebbero mai più rivolti la parola in vita loro. Richiuse il telefono e andò in camera da letto. Spostò il mare di scarpe e trovò la sua vecchia chitarra Martin 00-18, un modello di quarant'anni prima, con il retro e i lati in mogano. Il legno della parte anteriore si era scurito con il tempo. Tornò sul Ponte, si sedette e, con le dita intorpidite dal freddo e dalla mancanza di allenamento, accordò la chitarra e cominciò a suonare. Dopo scale e arpeggi, attaccò Tomorrow is a Long Time di Bob Dylan. I suoi pensieri vagavano da Brian Gunderson a Winston Kellogg sul sedile anteriore della Taurus del CBI. Sapore di menta, profumo di dopobarba... Mentre suonava, notò un movimento all'interno della casa. Wes puntava verso il frigorifero, per tornare poi in camera sua con un biscotto al cioccolato e un cartone di latte. Il raid si era svolto in trenta secondi complessivi. Kathryn si sorprese a pensare che fino a quel momento aveva considerato l'atteggiamento del figlio come una specie di aberrazione, un problema da risolvere. I genitori tendono a pensare che i loro figli sollevino valide obiezioni riguardo a potenziali patrigni, e persino ad accompagnatori occasionali. Non devi interpretarle in questo modo. Kathryn non ne era troppo sicura. Forse ogni tanto le obiezioni erano valide. E magari bisognava dare loro ascolto, con la mente aperta, come quando si interroga un testimone durante un'indagine. Probabilmente lei aveva dato tutto troppo per scontato. Certo, Wes era suo figlio, non il suo compagno, ma questo non gli negava il diritto di voto. Eccomi qui, un'esperta di cinesica, che stabilisce linee di base e vede nelle deviazioni i segnali che qualcosa non va. Con Winston Kellogg aveva deviato dalla sua linea di base? Forse sì, e la reazione di Wes lo aveva evidenziato. Qualcosa su cui riflettere. A metà di una canzone di Paul Simon di cui non ricordava le parole e si limitava ad accennare la melodia, sentì il cigolio del cancello che si apriva sul Ponte. La chitarra tacque. Sulle scale apparve Michael O'Neil. Indossava il maglione grigio e marrone che lei gli aveva comprato quando era andata a sciare in Colorado parecchi anni prima. «Ehi», fece lui. «Disturbo?» «Mai.»
«Anne ha un vernissage tra un'ora. Ma ho pensato di fare un salto da te. Per dirti ciao.» «Mi fa piacere.» Michael prese una birra dal frigorifero e, a un cenno di Kathryn, ne tirò fuori una anche per lei. Le si sedette accanto. Stapparono le Beck's e ne bevvero entrambi una lunga sorsata. Lei cominciò a suonare una trascrizione per chitarra di una vecchia canzone celtica dell'irlandese Turlough O'Carolan, l'arpista cieco itinerante. O'Neil non parlava. Bevve la birra, dondolando la testa al ritmo. I suoi occhi, notò Kathryn, erano rivolti all'oceano, anche se non poteva vederlo. Il panorama era coperto da pini verdeggianti. Lei ricordò che una volta, dopo avere visto quel vecchio film con Spencer Tracy che faceva il pescatore, Wes aveva soprannominato O'Neil «il vecchio e il mare», cosa che aveva molto divertito tanto lui quanto Kathryn. Quando lei ebbe finito la canzone, O'Neil disse: «C'è un problema con Juan. Hai sentito?» «Juan Millar? No. Che cosa?» «Abbiamo avuto il referto dell'autopsia. Il coroner ha trovato delle cause secondarie e le ha classificate sospette. Abbiamo aperto un fascicolo all'MCSO.» «Cos'è successo?» «Non è morto per lo choc o l'infezione, come capita di solito nel caso di ustioni gravi, ma per un'interazione di morfina e difenidramina, un antistaminico. La flebo di morfina era più aperta del dovuto e nessuno dei dottori aveva prescritto un antistaminico. Mescolarli è pericoloso.» «Intenzionale?» «Probabile. Volevo che lo sapessi.» Kathryn risentì la madre che le riferiva le parole di Millar. Uccidimi... «Può averlo fatto da solo?» «No, l'hanno escluso.» Kathryn si chiese chi potesse essere stato: doveva trattarsi di un suicidio assistito, una tipologia di reato particolarmente complessa ed emotivamente sfiancante per gli investigatori. Scosse la testa. «Dopo tutto quello che ha passato la famiglia... Sappimi dire se posso fare qualcosa.» Rimasero seduti in silenzio per qualche secondo. Nell'aria si sentiva odore di legna bruciata misto al dopobarba di O'Neil. Una combinazione piacevole. Kathryn riprese a suonare: la versione di Freight Train di Eliza-
beth Cotten era la melodia più contagiosa che conoscesse. Le avrebbe infestato il cervello per giorni. Quando ebbe finito, O'Neil disse: «Ho saputo di Winston Kellogg. Ci siamo messi in un bel casino». Le voci corrono. «Già.» «TJ mi ha riferito tutti i dettagli più scabrosi.» Scosse il capo e fece un cenno a Dylan e Patsy, che andarono verso di lui. O'Neil prese un paio di biscotti da una scatola che giaceva sul tavolo, accanto a una bottiglia di tequila di dubbia origine. I cani presero i biscotti e corsero via. «Sarà un caso difficile. Ci saranno pressioni da Washington, ci scommetto.» «Oh, sì. Non si sono risparmiati.» «Se ti interessa, potremmo fare qualche telefonata.» «Chicago, Miami o Los Angeles?» O'Neil rise, battendo le palpebre. «Ci hai pensato anche tu, eh? Qual è il caso più evidente?» «Io punterei su Los Angeles, il suicidio sospetto. È nello Stato, quindi sotto la giurisdizione del CBI. E Kellogg non può dire che la vittima sia morta in una sparatoria. Ha persino distrutto il dossier. Perché avrebbe dovuto farlo, se non fosse colpevole?» Se Kellogg se la fosse cavata per l'assassinio di Pell, il che non era da escludere, lei lo avrebbe attaccato su un altro fronte. E a quanto pareva non sarebbe stata sola. «Bene», approvò O'Neil. «Vediamoci domani ed esaminiamo gli indizi.» Lei annuì. Il detective finì la birra e se ne prese un'altra. «Immagino che Overby non sarà favorevole a una gita a Los Angeles.» «Che tu ci creda o no, io penso di sì.» «Sul serio?» «Se voliamo in classe turistica.» «E torniamo in giornata.» Risero. «Qualche richiesta?» fece lei, battendo le dita sulla vecchia Martin, che risuonò come un tamburo. «No.» O'Neil si appoggiò allo schienale e allungò le gambe davanti a sé. «Suona quello che hai voglia.» Kathryn Dance ci pensò su per un istante e poi si mise a suonare.
NOTA DELL'AUTORE Il California Bureau of Investigation, nell'ambito dell'ufficio del procuratore generale, esiste realmente, e spero che gli uomini e le donne che fanno parte di questa grande istituzione mi perdoneranno se mi sono preso la libertà di riorganizzarla, creando un ufficio nella pittoresca penisola di Monterey. Ho rielaborato un po' anche l'eccellente Monterey County Sheriff's Office. Allo stesso modo, confido che gli abitanti della bella Capitola, vicino a Santa Cruz, mi perdoneranno per avere collocato un immaginario supercarcere dalle loro parti. Chi fosse interessato agli argomenti della cinesica e dell'interrogatorio e desiderasse leggere qualcosa in proposito, potrà apprezzare i seguenti libri, che io ho trovato molto interessanti e che troneggiano sugli scaffali miei e di Kathryn Dance: Principles of Kinesic Interview and Interrogation e The Truth about Lying di Stan B. Amys; Detecting Lies and Deceit di Aldert Vrij; The Language of Confession, Interrogation and Deception di Roger W. Shuy; Practical Aspects of Interview and Interrogation di David E. Zulawsky e Douglas E. Wicklander; What the Face Reaveals, a cura di Paul Ekman ed Erika Rosenberg: Reading People di Jo-Elian Dimitrius e Mark Mazzarella; Introduction to Kinesics: An Annotation System for Analysis of Body Motion and Gestures di R.L. Birdwhitsell (che lasciò la danza per l'antropologia e a cui viene attribuita la creazione del termine «cinesica»). E grazie, come sempre, a Madelyn, Julie, Jane, Will e Tina. FINE