KATHERINE KURTZ IL SIGNORE DEI DERYNI (High Deryni, 1973) A MARGARET FRANCES CARTER: perché ogni madre che ha generato u...
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KATHERINE KURTZ IL SIGNORE DEI DERYNI (High Deryni, 1973) A MARGARET FRANCES CARTER: perché ogni madre che ha generato uno scrittore dovrebbe avere un libro a lei dedicato dalla sua progenie. CAPITOLO PRIMO All'esterno faceva strage la spada, All'interno mieteva la morte. Lamentazioni 1:20 Il nome che avevano dato al ragazzo era Royston... Royston Richardson, come suo padre... e la daga che lui stringeva con tanta paura nella luce sempre più tenue del crepuscolo non era sua. Tutt'intorno, sui campi della Valle di Jennan, i corpi dei morti, sempre più rigidi, erano sparsi fra le messi di grano maturo. Gli uccelli notturni lanciavano i loro richiami nel silenzio mortale e i lupi guaivano fra le lontane colline, verso nord, mentre al di là dei campi le torce cominciavano ad accendersi nelle vie della cittadina, per invitare gli abitanti ad approfittare del conforto, per quanto tenue, che potevano trarre dalla reciproca vicinanza. Troppi morti, da ambo le parti, giacevano quella notte nella Valle di Jennan: la battaglia era stata violenta e sanguinosa anche secondo i criteri di valutazione dei contadini. Lo scontro aveva avuto inizio nel cuore della giornata. L'avanguardia di Nigel Haldane, lo zio del re-ragazzo Kelson aveva raggiunto la periferia del villaggio poco dopo mezzogiorno, con le bandiere recanti l'emblema reale del leone che sventolavano, carminie e oro, sotto il sole meridiano e con i cavalli leggermente sudati per la calura estiva. Il principe aveva detto che il contingente costituiva soltanto un'avanguardia, che lui e i suoi trenta uomini erano là con l'unico intento di trovare un percorso adatto per l'esercito reale, in marcia alla volta di Coroth, ad est. Coroth, infatti, sede del governo del ribelle Ducato di Corwyn, era nelle mani di Loris e di Corrigan, gli arcivescovi insorti che, aiutando e sostenendo il fanatico Warin e i suoi seguaci, stavano cercando di scatenare una nuova persecuzione contro i Deryni, la razza di potenti maghi che un tempo aveva regnato sugli Undi-
ci Regni; i Deryni, da lungo tempo perseguitati e temuti, e personificati ora dal Duca di Corwyn, per metà deryni... quell'Alaric Morgan che gli arcivescovi avevano scomunicato come eretico deryni appena tre mesi prima. Il Principe Nigel aveva cercato di rassicurare gli abitanti della Valle di Jennan, ricordando loro che le truppe reali non saccheggiavano né depredavano le terre di Gwynedd perché il giovane Kelson lo proibiva, proprio come aveva fatto il defunto Re Brion, suo padre e fratello di Nigel. Aveva anche affermato che il Duca Alaric non costituiva una minaccia per la pace degli Undici Regni... sebbene gli arcivescovi avessero decretato il contrario. La convinzione che la razza dei Deryni, come tale, fosse malvagia, era una stupida superstizione! Lo stesso Brion, pur non essendo un Deryni, aveva ripetutamente affidato la propria vita a Morgan e aveva stimato quel nobile deryni al punto di nominarlo Campione del Re, nonostante le proteste del Consiglio: non c'era la minima prova che Morgan avesse tradito la fiducia concessagli, allora o adesso. Ma gli abitanti della valle si erano rifiutati di ascoltarlo. La rivelazione che Kelson era per metà deryni, avvenuta il giorno della sua incoronazione, aveva aperto la porta alla diffidenza nei confronti degli Haldane, anche se fino ad allora lo stesso Kelson aveva ignorato quel particolare relativo alla propria ascendenza... una diffidenza che non era certo stata dissipata dalla cocciutaggine con cui Kelson aveva continuato a sostenere l'eretico Duca Alaric e il suo cugino deryni, il prete Duncan McLain. Correva voce che perfino adesso il re continuasse a proteggere il Duca Alaric e McLain, che di conseguenza fosse stato scomunicato e che, insieme all'odiato Duca Alaric e a un esercito di altri guerrieri deryni, avesse in mente di marciare su Coroth per stroncare il movimento anti-Deryni uccidendo Loris, Corrigan e l'amato Warin. Lo stesso Warin lo aveva predetto. Di conseguenza, i partigiani locali avevano condotto gli uomini di Nigel dall'altra parte della valle, seguendo il percorso più lungo e promettendo loro acqua e pascoli per le truppe reali che li avrebbero seguiti. Poi, nei verdi campi di grano non ancora maturo, i ribelli avevano aggredito le truppe a tradimento, seminando morte e distruzione fra i soldati colti alla sprovvista. Quando finalmente gli uomini del re erano riusciti a disimpegnarsi e a ritirarsi con i feriti, oltre una ventina di cavalieri, di ribelli e di cavalli da battaglia giacevano ormai al suolo, morti o morenti, le bandiere con il leone erano abbandonate, calpestate e macchiate, fra le messi. Per un istante, Royston s'immobilizzò, con la mano sull'elsa della daga, poi oltrepassò un corpo immobile e proseguì lungo lo stretto sentiero per
carretti, diretto verso casa. Aveva appena dieci anni ed era minuto per la sua età, ma questo non gli aveva impedito di partecipare al saccheggio dei corpi, quel pomeriggio: la sacca di cuoio che portava appesa alla spalla era piena di cibo, di finimenti e di altri oggetti poco pesanti che era riuscito a sottrarre ai nemici morti; perfino la daga finemente lavorata e il fodero infilato nella sua rozza cintura di corda erano stati prelevati dalla sella di un cavallo da guerra morto. Il ragazzo non aveva avuto remore a depredare i cadaveri... almeno alla luce del giorno, perché quella era una cosa normale per i contadini, in tempo di guerra, ed era diventata anche una pressante necessità, ora che essi erano in rivolta contro il loro duca... addirittura contro il loro re. Le armi di cui i villici disponevano erano poche e di rozza fattura, per lo più picche, falci e randelli, con l'aggiunta di qualche rara daga o spada ottenuta con attività come quella in cui era attualmente intento Royston, mentre i nemici caduti possedevano armamenti più sofisticati, armature ed elmetti, e a volte avevano addirittura addosso monete d'oro o d'argento: le possibilità erano illimitate, e su quel campo dove i cavalieri in ritirata avevano raccolto i loro feriti e i contadini avevano portato via i compagni, c'erano solo cadaveri di cui preoccuparsi, e perfino un ragazzo giovane come Royston non aveva paura dei morti. Nonostante questo, Royston mantenne un passo veloce, effettuando un giro per evitare un altro corpo che si stava irrigidendo. Non aveva paura... la paura non rientrava nelle caratteristiche degli abitanti delle campagne di Corwyn, ma c'era sempre la possibilità assai reale d'imbattersi in un morto che non era tale... e questa era una prospettiva che non andava a genio a Royston. Quasi in risposta al suo umore sempre più tetro, un lupo ululò, molto più vicino; il ragazzo rabbrividì, tornando nel centro del sentiero, e cominciò ad avere l'impressione di scorgere ombre in agguato dietro ogni cespuglio, dietro la sagoma spettrale di ogni albero: se da un lato non aveva ragione di temere i morti, una volta che fosse caduta la notte, nei campi sarebbero arrivati ben più letali predatori a quattro zampe, che lui non desiderava minimamente incontrare. Notando all'improvviso un movimento più avanti e sulla sinistra rispetto al sentiero, Royston serrò maggiormente l'arma, s'incurvò e usò l'altra mano per frugare fra le pietre che fiancheggiavano la strada finché ne incontrò una grossa quanto un pugno. Si gettò quindi a terra, trattenendo il respiro, e parlò con voce rauca e tremante, protendendo il collo per sbirciare fra
i cespugli. — Chi è là? — chiamò. — Dimmi chi sei, altrimenti non mi avvicinerò! Fra i cespugli ci fu un altro fruscio, seguito da un gemito e da una supplica proferita con voce flebile. — Acqua... per favore qualcuno... Royston si assestò la sacca sulla schiena e si alzò con cautela, sfilando la daga dal fodero. Era pur sempre possibile che la persona che stava chiamando fosse un soldato ribelle e quindi un amico... uno di essi poteva non essere stato trovato durante il pomeriggio. Ma se si fosse trattato di un realista? Un passo per volta, Royston avanzò fino a trovarsi all'altezza dei cespugli che si erano smossi, tenendo pronti il sasso e la daga, con i nervi tesi. Era difficile distinguere con precisione le sagome, nella luce del crepuscolo, ma d'un tratto il ragazzo comprese che quello steso fra i cespugli era un ribelle: si, non potevano esserci dubbi, con lo stemma del falcone cucito sulla spalla del mantello grigio-acciaio dell'uomo. Gli occhi del ferito erano chiusi, sotto il semplice elmo d'acciaio, le mani erano inerti, ma quando si accostò per scrutare la faccia barbuta dell'altro, Royston non riuscì a trattenere un sussulto. Conosceva quell'uomo, era Malcom Donaldson, uno dei migliori amici di suo fratello! — Mal! — Il ragazzo si precipitò fra i cespugli, lasciandosi cadere in ginocchio accanto al ferito. — Dio abbia pietà, Mal, cosa ti è successo? Sei ferito gravemente? L'uomo chiamato Mal aprì gli occhi, mise faticosamente a fuoco la faccia del ragazzo e contorse le labbra in uno stentato sorriso, tornando poi a serrare le palpebre per parecchi secondi, come per un dolore lancinante, prima di emettere un debole colpo di tosse e di cercare ancora di guardarsi intorno. — Bene, ragazzo mio, era ora che mi trovassi. Ho temuto che uno di quei furfanti tagliagole mi scovasse per primo e mi uccidesse per prendermi la spada. L'uomo batté un colpetto su una piega del mantello, accanto a sé, e attraverso la rozza stoffa apparvero i rigidi contorni dell'impugnatura a croce di uno spadone a due mani. Il giovane Royston sgranò gli occhi nel riconoscere la sagoma, poi sollevò un lembo del mantello per accarezzare con ammirazione la lunga lama insanguinata. — Ah, Mal, è una bella spada. L'hai presa ad uno degli uomini del re? — Sì, ragazzo, sull'elsa c'è l'emblema reale. Però uno dei suoi soldati mi
ha lasciato un pezzo di acciaio in una gamba, dannazione a lui. Vuoi dare un'occhiata e controllare se ha smesso di sanguinare? — L'uomo si sollevò su un gomito mentre il ragazzo si chinava per obbedire. — Sono riuscito a legarla con la mia cintura prima di svenire la prima volta, ma... aiiii! Attento, ragazzo! Così mi farai ricominciare a sanguinare. Il tratto di mantello steso sulle gambe di Mal era rigido per il sangue rappreso, e quando lo alzò per guardare la ferita Royston per poco non svenne: Mal aveva ricevuto un profondo colpo di spada alla coscia destra, e il taglio cominciava subito sopra il ginocchio e si allungava per una dozzina di centimetri; in qualche modo, il ferito era riuscito a improvvisare una fasciatura prima di applicare un laccio emostatico di emergenza, e questo gli aveva salvato la vita, fino a quel momento. La fasciatura aveva però da tempo cessato di servire a qualcosa e brillava ora di un rosso vivo. La luce sempre più tenue impedì a Royston di esserne certo, ma gli parve che il terreno sotto la ferita apparisse umido e chiazzato di una tonalità più cupa e rossiccia. Con la vista un po' appannata, il ragazzo sollevò lo sguardo sull'amico e deglutì a fatica. — Allora, ragazzo? — Sta... sta ancora sanguinando, Mal, e non credo che il sangue si arresterà da solo. Hai bisogno di aiuto. — Non serve, ragazzo — sospirò Mal, tornando ad adagiarsi a terra. — Non mi posso muovere e non credo che potrai convincere qualcuno a venire qui, con la notte che sta per calare. Quello che mi crea problemi è quel pezzo d'acciaio: forse puoi tirarlo fuori tu. — Io? — Royston sgranò gli occhi e tremò al solo pensiero. — Non posso, Mal! Se soltanto mi azzardo ad allentare il laccio, ricomincerai a sanguinare, e non posso rischiare che tu muoia perché non so cosa devo fare! — Avanti, ragazzo, non discutere... Mal s'interruppe a metà della frase, spalancando la bocca per lo stupore e fissando qualcosa che si trovava alle spalle di Royston. Senza alzarsi in piedi, il ragazzo si volse di scatto e scorse due cavalieri che si stagliavano contro la luce del tramonto, a meno di sei metri di distanza. I due smontarono, e Royston si sollevò con cautela, stringendo maggiormente la daga. Chi erano quegli uomini? E da dove diavolo erano sbucati? Mentre si avvicinavano, riuscì a distinguere ben pochi dettagli, perché il sole al tramonto era alle spalle dei due sconosciuti, e tingeva di rosso i loro elmi d'acciaio. Notò comunque che erano giovani... quando si accostarono
e si tolsero l'elmo, Royston vide che erano di poco più anziani di Mal e di certo non avevano superato i trent'anni, ed anche che uno era bruno e l'altro biondo. Entrambi indossavano i lunghi e grigi mantelli degli uomini del falcone e portavano alla cintura una spada infilata in un logoro fodero di cuoio. Quello con i capelli chiari si mise l'elmo sotto il braccio e si arrestò ad un paio di metri di distanza, protendendo le mani per mostrare che era disarmato; l'altro rimase più indietro di qualche passo, ma osservò la reazione di Royston con un sorriso gentile che quasi indusse il ragazzo a dimenticarsi di avere paura. — È tutto a posto, figliolo, non ti faremo del male. Possiamo esserti d'aiuto? Per un istante, Royston scrutò con attenzione i due individui, notando i mantelli color grigio-acciaio, le barbe lunghe, l'apparente cordialità, e decise che gli andavano a genio. Lanciò un'occhiata a Mal, in cerca di rassicurazione, e lo vide annuire debolmente, un gesto che lo indusse a indietreggiare per permettere ai nuovi venuti di chinarsi sul ferito; dopo un secondo di esitazione, il ragazzo s'inginocchiò a sua volta accanto all'amico, con occhi colmi di preoccupazione, chiedendosi cosa avrebbero potuto fare quei due sconosciuti. — Voi siete seguaci di Warin — dichiarò Mal, con sicurezza, e riuscì ad abbozzare un sorriso mentre l'uomo dai capelli più scuri posava per terra l'elmo e cominciava a sfilarsi i guanti. — Vi ringrazio per esservi fermati, con la notte così vicina e tutto il resto. Io sono Mal Donaldson, e lui si chiama Royston. Quel pezzo d'acciaio deve essere tirato fuori, giusto? L'uomo bruno tastò con delicatezza la ferita, poi si alzò in piedi e tornò al suo cavallo. — C'è un pezzo d'acciaio, non ci sono dubbi — convenne, prelevando una borsa di cuoio dalla sacca della sella. — Prima lo estrarremo e meglio sarà. Royston, puoi farti prestare un cavallo? — Noi non abbiamo cavalli — sussurrò il ragazzo, seguendo con occhi sgranati le mosse dell'uomo, che stava tornando indietro con una borraccia appesa alla spalla. — Non... non potremmo trasportarlo con uno dei vostri? La casa di mia madre non è lontana... lo giuro. Lanciò un'altra ansiosa occhiata ai due, mentre lo sconosciuto bruno tornava a inginocchiarsi di fronte a lui; questa volta, tuttavia, fu il biondo a parlare. — Mi dispiace, ma non abbiamo tempo. Ti puoi procurare un asino? Un mulo? Un carretto andrebbe ancora meglio.
— Sì, un asino. — Lo sguardo di Royston si rischiarò. — Smalf il Mugnaio ne ha uno e mi permetterà di prenderlo a prestito. Tornerò prima che sia buio. Si alzò in piedi e accennò ad avviarsi, ma poi indugiò e si girò a fissare con ammirazione i mantelli grigi. — Voi siete uomini di Lord Warin — sussurrò. — Scommetto che siete in missione speciale per conto dello stesso Warin e che è per questo che non potete perdere tempo. Ho indovinato? I due si scambiarono un'occhiata e l'uomo bruno s'immobilizzò dove si trovava; il biondo però sorrise e allungò una mano per assestare una pacca sul braccio del ragazzo, con aria da cospiratore. — Sì, temo che tu abbia indovinato — mormorò, — però non lo dire a nessuno. Ora corri a prendere quell'asino, mentre noi ci occupiamo del tuo amico. — Mal? — Va', ragazzo. Non mi succederà nulla: questi uomini sono come fratelli, e sono agli ordini di Lord Warin. Ora corri. — Sì, Mal. Il ragazzo si allontanò in fretta lungo la strada e il cavaliere bruno aprì la borsa di cuoio, prelevandone bende e strumenti. Mal cercò di sollevare la testa per vedere cosa stesse facendo, ma lo sconosciuto biondo lo costrinse con gentilezza a riadagiarsi sul terreno e lo tenne fermo in quella posizione senza che riuscisse a scorgere qualcosa. Il ferito avvertì una sensazione fredda e umida quando l'altro uomo cominciò a lavare via il sangue rappreso dalla ferita, poi provò un leggero dolore per un'ulteriore, lieve torsione applicata al laccio emostatico. Il biondo cambiò posizione e lanciò uno sguardo verso il cielo. — Ti serve una luce maggiore? Posso preparare una torcia. — D'accordo — annuì il suo compagno. — Fra poco avrò bisogno del tuo aiuto: dovremo agire velocemente se vogliamo impedire che l'emorragia lo uccida. — Vedrò cosa posso fare. Il biondo rivolse a Mal un cenno rassicurante, poi si alzò e prese ad armeggiare fra i cespugli, vicino alla testa del ferito; questi si contorse e lo guardò in silenzio per parecchi minuti chiedendosi come quel tizio pensasse di accendere una torcia in aperta campagna, poi lanciò un'occhiata all'uomo che gli stava curando la gamba. Nel sondare la ferita, lo sconosciuto urtò accidentalmente il pezzo d'acciaio conficcato in essa e Mal sussul-
tò, tossì e cercò di schiarirsi la gola. — A giudicare dal vostro modo di parlare, siete stranieri da queste parti — cominciò, con esitazione, nel tentativo di non pensare a quello che l'uomo stava per fare. — Siete venuti da lontano per aiutare Lord Warin? — Non da molto lontano — replicò il bruno. — Siamo stati in missione speciale durante le ultime settimane e ora siamo diretti a Coroth. — Allora state andando dallo stesso Lord Warin... ahie! — Scusami — mormorò l'uomo, nel momento in cui Mal gridò, poi scosse il capo e riprese a lavorare. Una luce brillò alle spalle del ferito non appena la torcia prese fuoco, ma quando Mal poté guardarsi di nuovo intorno, essa stava ormai ardendo allegramente accanto a lui. L'uomo biondo la conficcò meglio nel terreno, vicino alla gamba ferita, quindi s'inginocchiò e cominciò a sfilarsi i guanti, mentre Mal assumeva un'espressione stupefatta e gli occhi prendevano a lacrimargli per il fumo della torcia. — Come hai fatto? Non ho visto né pietra né acciarino. — Allora non li hai notati, amico mio — sorrise l'uomo, battendo un colpetto sulla sacca che portava alla cintura. — Che altro modo può esistere? Credi forse che io sia un Deryni e che possa evocare il fuoco dal cielo per accendere una torcia? Lo sconosciuto esibì un sorriso disarmante e ridacchiò, tanto che anche Mal fu costretto a sorridere. Era ovvio che quell'uomo non poteva essere un Deryni. Nessuno che servisse Lord Warin poteva appartenere a quella razza maledetta, visto che Warin aveva giurato di distruggere tutti coloro che praticavano la magia. Doveva essere in preda al delirio: era ovvio che lo sconosciuto aveva usato pietra e acciarino. Mentre l'uomo biondo concentrava la propria attenzione su ciò che il compagno stava facendo, Mal si rimproverò per la propria stupidità e girò il capo per osservare il cielo; a mano a mano che i due lavoravano, uno strano senso di sonnolenza si stava impadronendo di lui, come se l'anima stessa gli si stesse librando fuori del corpo. Poteva sentire che gli sondavano la gamba, e avvertiva il dolore, ma esso era una cosa remota, una sensazione calda e disgiunta dal resto, che gli sembrava in qualche modo aliena. Vagamente, si chiese se stava morendo. — Mi dispiace, se ti abbiamo fatto male — disse il biondo, e la sua voce sommessa trapassò le fantasticherie di Mal come l'acciaio gli aveva trapassato la gamba, riportandolo subito alla realtà. — Cerca di spiegarci cosa è successo: potrebbe aiutarti a distogliere la mente dalla sofferenza che avverti.
Mal sospirò e sbatté le palpebre. — Ci proverò. Ah, sì, siete stati in missione per conto di Lord Warin, quindi non potete sapere quello che è accaduto qui. — Sussultò, mentre l'uomo biondo scuoteva il capo. — Ecco, per oggi abbiamo vinto. — Mal riadagiò a terra la testa e sollevò lo sguardo verso il cielo sempre più buio. — Abbiamo messo in fuga trenta soldati del re guidati dallo stesso Principe Nigel. Ne abbiamo uccisi una ventina ed abbiamo ferito lo stesso principe, ma non durerà. Il re manderà altri uomini e saremo puniti per essere insorti contro di lui. È tutta colpa del Duca Alaric, sia maledetto il suo nome! — Davvero? — Il volto dell'uomo biondo, per quanto coperto dalla barba, appariva avvenente e calmo, per nulla minaccioso, e tuttavia Mal avvertì un brivido nell'incontrare lo sguardo dei suoi occhi grigi come l'ardesia; a disagio, si affrettò a guardare altrove, chiedendosi come mai si sentisse così turbato nel parlare in quel modo del suo signore con uno sconosciuto, ma poi si trovò di nuovo a scrutare il viso di quell'uomo: cosa c'era di così... imperioso nei suoi occhi? — Lo odiano tutti quanto te? — chiese l'uomo, in tono sommesso. — Ecco, se devo essere sincero, nessuno di noi, qui nella Valle di Jennan, voleva effettivamente insorgere contro il duca — si trovò a dire Mal. — Era un signore abbastanza buono, finché non ha cominciato a usare quella dannata magia deryni, e c'erano perfino degli uomini di chiesa che si definivano suoi amici. — Il ferito indugiò per un attimo e batté la mano a terra per dare maggiore enfasi alle proprie parole. — Ma gli arcivescovi dicono che ha superato i limiti, anche per un duca. Lui e quel suo cugino Deryni hanno dissacrato il Santuario di San Torin, lo scorso inverno — aggiunse, sbuffando con disprezzo. — Quello è un uomo che la pagherà nell'Aldilà... quel McLain: un Deryni che si fa consacrare prete. «In ogni caso, quando si sono rifiutati di arrendersi e di sottoporsi al giudizio della Curia e alcuni abitanti di Corwyn hanno deciso che sarebbero rimasti dalla parte del duca e di suo cugino, anche se erano scomunicati, gli arcivescovi hanno posto tutto Corwyn sotto Interdetto. Warin afferma che l'unico modo in cui possiamo far togliere l'Interdetto è quello di catturare il duca per consegnarlo agli arcivescovi, a Coroth... e aiutare lo stesso Warin a liberare il paese da ogni altro Deryni. Questa è l'unica soluzione... aiiie! Sta' attento alla mia gamba, uomo! Semisvenuto, Mal si accasciò al suolo, vagamente consapevole, attraver-
so la nebbia della sofferenza, che i due erano chini con aria intenta sulla sua gamba; sentì il sangue che gli fluiva caldo lungo la coscia, la pressione della benda applicata da uno dei due, il nuovo fiotto di sangue che sopraggiunse quando la benda ormai intrisa dovette essere sostituita con un'altra. Stava ormai perdendo conoscenza a causa della debolezza indotta dall'emorragia quando avvertì sulla fronte il tocco di una mano fresca e udì una voce sommessa. — Calma, Mal, rilassati. Andrà tutto bene, ma ti dovremo dare un piccolo aiuto. Rilassati e dormi... e dimentica tutto questo. Mentre sprofondava nell'incoscienza, Mal udì l'altro uomo mormorare parole che non riuscì a capire, avvertì un senso di calore alla ferita e una profonda calma che gli pervadeva i sensi. Poi riaprì gli occhi e si trovò con una scheggia di metallo insanguinato stretta in mano; i suoi due soccorritori erano intenti a riporre le loro cose nella sacca di cuoio e il biondo gli sorrise con fare rassicurante quando notò che aveva gli occhi aperti, sollevandogli poi la testa per accostargli una fiasca alle labbra. Mal bevve meccanicamente, con la mente che vorticava, impegnata nello sforzo di ricordare cosa fosse accaduto. Gli strani occhi grigi del biondo erano a pochi centimetri dai suoi. — Io... sono ancora vivo — sussurrò, stordito. — Pensavo di essere morto, lo pensavo davvero. — Lanciò un'occhiata alla scheggia di metallo che stringeva in mano. — È... è quasi un miracolo. — Sciocchezze. Sei svenuto, ecco tutto. Puoi metterti a sedere? La tua cavalcatura è arrivata. L'uomo gli riadagiò a terra la testa, richiudendo la fiasca, e Mal si accorse soltanto allora della presenza di altre persone: il ragazzo, Royston, che teneva per la logora cavezza un asino irsuto; una donna magra dall'aria fragile, avvolta in un rozzo scialle, che poteva essere soltanto la madre del ragazzo. D'un tratto, si rese conto di cosa fosse la scheggia di metallo che aveva in mano e lanciò un'altra occhiata all'uomo biondo, evitando però di incontrare il suo sguardo. — Io... non so come ringraziarti — balbettò. — Mi hai salvato... — Non servono ringraziamenti — rispose l'uomo, con un sorriso, poi protese la mano e aiutò Mal ad alzarsi in piedi. — Non toccare le bende per almeno una settimana, poi cambiale pure ma bada a tenere pulita la ferita finché non sarà guarita. Sei stato fortunato, era meno seria di quel che sembrava. — Sì — sussurrò Mal, stordito, accostandosi zoppicando all'asino.
Quando raggiunse l'animale, Royston lo abbracciò per un momento, poi tenne ferma la testa della bestia mentre i due uomini aiutavano Mal a montare; la donna rimase in disparte con aria spaventata, senza capire cosa fosse accaduto e fissando con rispetto i mantelli grigi che i due sconosciuti indossavano. Mal si puntellò contro le spalle dei due finché riuscì a trovare una posizione comoda per la gamba ferita, quindi si raddrizzò e strinse l'irsuta criniera dell'animale. I due si trassero indietro e Mal rivolse loro un cenno del capo, sollevando una mano in un gesto di saluto: la scheggia di metallo brillava ancora nel suo pugno serrato. — Grazie di nuovo, signori. — Ora pensi di potercela fare? — chiese l'uomo con i capelli scuri. — Sì, se questa bestia non s'imbizzarrisce e non mi scaraventa in un fosso. Vi auguro buon viaggio, amici. E quando lo vedrete, riferite a Lord Warin che noi siamo pronti a obbedire ai suoi ordini. — Lo farò — promise il biondo. — Puoi starne certo — aggiunse sottovoce, mentre l'uomo sull'asino, il ragazzo e la donna si avviavano lungo la strada, scomparendo nella notte. Quando il gruppetto fu lontano, l'uomo biondo tornò fra i cespugli e recuperò la torcia; la tenne sollevata finché il suo compagno ebbe preso per le redini i due impolverati cavalli da battaglia, quindi la premette contro l'umida argilla della strada per spegnerla. I suoi occhi grigi erano tornati cupi. — Allora, ti pare che io abbia oltrepassato i limiti, anche per un duca, guarendo quell'uomo, Duncan? — chiese, infilandosi i guanti con un gesto impaziente. Il cugino scrollò le spalle, porgendogli le redini del suo cavallo. — Chi lo sa? Abbiamo corso un rischio... ma non è una novità. Non dovrebbe ricordare nulla di compromettente, ma non si può mai dire, con questa gente di campagna. Devo forse essere io a ricordartelo? Dopo tutto, questo è il tuo popolo, Alaric. Alaric Anthony Morgan, Duca di Corwyn, Campione del Re ed ora scomunicato mago deryni, sorrise e montò in sella al suo alto cavallo da battaglia, mentre Duncan faceva lo stesso. — Il mio popolo. Sì, suppongo che lo sia, che Dio lo benedica. Dimmi, cugino, tutto questo è davvero colpa mia? Non ci avevo mai pensato prima, ma nelle ultime settimane l'ho sentito ripetere tanto spesso che comincio quasi a crederci. Duncan scosse il capo, premendo i talloni rivestiti d'acciaio contro i
fianchi del cavallo e avviandosi lungo la strada. — Non è colpa tua, non è colpa di nessuno. Gli arcivescovi hanno soltanto trovato in noi una comoda scusa per poter agire come volevano fare da anni: è una cosa che stava maturando da generazioni. — Hai ragione, naturalmente — convenne Morgan, poi spinse il cavallo al trotto e si affiancò al cugino. — Ma questo non ci renderà più facile spiegare la situazione a Kelson. — Lui l'ha già capita — replicò Duncan. — Sarà più interessante osservare come reagirà alle informazioni che abbiamo raccolto nel corso dell'ultima settimana: non credo che si sia reso conto della portata dei disordini che covano in questa parte del suo regno. — Non me n'ero reso conto neppure io — sbuffò Morgan. — Hai calcolato quando arriveremo a Dol Shaia? — Dopo mezzogiorno — dichiarò Duncan. — Sono pronto a scommettere, se vuoi. — Davvero? — sogghignò Morgan. — Affare fatto. Ora muoviamoci. I due proseguirono lungo la strada che lasciava la Valle di Jennan, accelerando sempre più l'andatura non appena la luna sorse a rischiarare il cammino. I due giovani signori deryni non avevano da temere che la loro identità venisse scoperta, in quanto Malcom Donaldson e il ragazzo, Royston, non avrebbero creduto di essere stati alla presenza di quell'infame coppia neppure se se lo fossero sentiti dire: duchi e monsignori, Deryni o meno che fossero, non viaggiavano vestiti come semplici soldati ribelli al servizio di Lord Warin, avvolti in mantelli grigi e sfoggiando lo stemma del falcone e barbe lunghe di tre settimane. Era una cosa impossibile, ecco tutto. E inoltre due eretici deryni non si sarebbero certo mai fermati ad aiutare un ribelle ferito... soprattutto uno che, poche ore prima, aveva recato la morte ad alcuni cavalieri realisti. Anche questa era una cosa inaudita. E così i due uomini cavalcarono sempre più rapidi, per andare a incontrarsi il giorno successivo, a Dol Shaia, con il loro giovane sovrano deryni. CAPITOLO SECONDO I tuoi capi sono dei ribelli, compagni di ladri. Isaia 1:23
Il giovane dai capelli neri come la notte sedeva rilassato su un basso sgabello da campo, con uno scudo a forma di aquilone posto in equilibrio, a faccia in giù, fra le sue ginocchia e il letto coperto di velluto rosso; le dita sottili lavoravano con paziente lentezza, avvolgendo una striscia di cuoio intorno all'impugnatura dello scudo, e gli occhi grigi apparivano velati, sotto le lunghe ciglia scure. La mente del giovane non era però concentrata sulla riparazione che stava effettuando, e neppure stava pensando in quel momento allo stemma, eseguito con eleganza ed abilità e rappresentante il Leone Reale di Gwynedd, oro in campo rosso, che spiccava sulla superficie dello scudo avvolta in una tela protettiva, così come lontani dai suoi pensieri erano il preziosissimo tappeto kheldish steso sotto i suoi stivali polverosi e la spada dall'impugnatura ingioiellata che pendeva, a portata di mano, nel consunto e semplice fodero di cuoio. Il giovane che lavorava da solo nella sua tenda a Dol Shaia, infatti, era Kelson Haldane, figlio del defunto Re Brion; a pochi mesi di distanza dal suo quattordicesimo compleanno, Kelson era adesso Re di Gwynedd e signore di una ventina di ducati e baronie di minore importanza e, in quel momento, era anche un giovane molto preoccupato. Kelson lanciò un'occhiata verso l'ingresso della tenda e si accigliò; il telo era chiuso, per garantire intimità, ma la quantità di luce che filtrava dalle fessure era sufficiente a fargli capire che il pomeriggio stava volgendo al termine. All'esterno, poteva sentire il passo cadenzato delle sentinelle, il fruscio delle bandiere di seta agitate dal vento, il calpestio e gli sbuffi dei grandi cavalli da battaglia che pascolavano, legati con le pastoie, in una macchia d'alberi poco distante. Kelson tornò con rassegnazione al proprio lavoro, portandolo avanti in silenzio per alcuni minuti, prima di sollevare lo sguardo con espressione colma di aspettativa quando il telo d'ingresso fu tratto di lato ed entrò un giovane in cotta di maglia e avvolto in un mantello azzurro. — Derry! — esclamò il re, rasserenandosi. Derry abbozzò un inchino quando Kelson pronunciò il suo nome, poi attraversò la tenda per appollaiarsi sul bordo del letto: non era molto più anziano di Kelson... doveva avere all'incirca venticinque anni... ma gli occhi azzurri erano cupi sotto la massa di riccioli castani; una sottile striscia di cuoio gli pendeva dalle dita e lui la depose sullo scudo con un lieve cenno del capo, lanciando al tempo stesso un'occhiata al lavoro svolto da Kelson. — Avrei potuto farlo io per te, sire. Aggiustare uno scudo non è compito
di un sovrano. Scrollando le spalle, Kelson assestò un ultimo strattone alla striscia di cuoio e prese a rifilarne le estremità con una daga cesellata in argento. — Non avevo nulla di meglio da fare, questo pomeriggio. Se stessi svolgendo il compito che spetta a un re, a quest'ora sarei entrato da tempo in Corwyn, soffocando la rivolta di Warin e costringendo gli arcivescovi a porre fine alla loro stupida lite. — Passò le dita lungo l'impugnatura dello scudo e ripose la daga con un sospiro. — Ma Alaric mi ha detto che non devo... non ancora, per lo meno, e così aspetto e cerco di ingannare il tempo e di coltivare quelle doti di pazienza che so che lui vorrebbe che io esibissi. — Kelson spinse lo scudo sul letto e appoggiò le mani sulle ginocchia. — E cerco anche di trattenermi dal porre domande a cui capisco che sei riluttante a rispondere. Adesso, tuttavia, è arrivato il momento di formularne alcune. Quanto ci è costato lo scontro della Valle di Jennan, Derry? Il prezzo era stato alto. Dei trenta uomini che due giorni prima erano partiti con Nigel ne erano tornati meno di venti. Quanto rimaneva della pattuglia di Nigel era arrivato a Dol Shaia verso la metà della mattinata, appiedato, stanco e rabbioso, e parecchi di coloro che erano tornati non erano vissuti oltre mezzogiorno. Oltre a provocare una perdita di vite umane, la sconfitta della Valle di Jennan aveva anche inferto un brutto colpo al morale. Mentre ascoltava il rapporto di Derry, Kelson sentì gravare su di sé, opprimente, il peso dei suoi quattordici anni. — È ancora peggio di quel che temevo — mormorò infine, quando gli furono stati riferiti anche gli ultimi, cupi dettagli. — Prima gli arcivescovi con il loro odio nei confronti dei Deryni, poi questo fanatico Warin de Grey... e il popolo lo appoggia, Derry! Anche se potessi fermare Warin e riconciliarmi con gli arcivescovi, non posso sconfiggere un intero ducato. — Credo che tu sbagli nella tua valutazione dell'influenza di Warin, sire — replicò Sean Lord Derry, scuotendo il capo con comprensione. — Essa è potente quando lui è nelle immediate vicinanze, e la gente accorre al suo fianco dopo qualche miracolo, ma ritengo che la tradizione della fedeltà nei confronti del re sia più antica e più forte del fascino di questo nuovo profeta... specialmente di un profeta che propone una guerra santa. Una volta eliminato Warin, i contadini rimarranno senza capo e il loro impeto si smorzerà. Warin ha commesso un fatale errore, insediandosi a Coroth con gli arcivescovi: adesso viene considerato uno dei seguaci di Loris e di Corrigan.
— C'è pur sempre la questione dell'Interdetto — obiettò Kelson, dubbioso. — Pensi che i contadini se ne scorderanno tanto in fretta? — I nostri rapporti indicano che i ribelli presenti nelle aree circostanti sono male armati e male organizzati — rispose Derry, con un sorriso rassicurante. — Quando dovranno affrontare la dura realtà del tuo esercito che marcia loro contro, si sparpaglieranno come tanti topi. — Non mi pare che si siano sparpagliati come topi, nella Valle di Jennan — sbuffò Kelson. — In effetti, non riesco ancora a capire come una manciata di contadini armati alla meno peggio abbia potuto cogliere di sorpresa un'intera pattuglia. Dov'è mio zio Nigel? Mi piacerebbe sentire la sua spiegazione in merito a quanto è accaduto ieri. — Cerca di essere paziente con lui, sire — lo pregò Derry, abbassando lo sguardo. — È rimasto con i dottori e con i feriti da quando è arrivato, questa mattina, e soltanto un'ora fa sono riuscito a persuaderlo ad affidarsi a sua volta alle cure dei medici. — È ferito? — Una repentina preoccupazione affiorò negli occhi di Kelson. — È grave? E perché non mi hai informato? — Mi ha chiesto lui di non farlo, sire. Non è grave, ha soltanto la spalla sinistra slogata e qualche taglio superficiale, ma avrebbe preferito morire piuttosto che perdere quegli uomini. — Lo so. — La bocca di Kelson si contrasse in una smorfia di comprensione, poi abbozzò uno stentato sorriso. — La colpa non è sua. — Allora provvedi a ricordarglielo, sire — consigliò Derry, in tono quieto. — Lui è convinto di esserti venuto meno. — Non Nigel. Lui non potrebbe mai. Il giovane re si alzò e scrollò stancamente le spalle sotto la tunica di lino bianco, piegando il collo all'indietro per scrutare il soffitto della tenda. I suoi lisci capelli neri, tagliati corti al di sopra degli orecchi in occasione della campagna militare, erano arruffati, e lui li ravviò con la mano abbronzata prima di tornare a rivolgersi a Derry. — Quali altre notizie ci sono dai Tre Eserciti, nel nord? — Poche che tu già non conosca. — Derry si alzò a sua volta, con fare attento. — Il Duca di Claibourne riferisce che dovrebbe riuscire a tenere bloccato l'accesso della Gola di Arranal a tempo indefinito, a patto che non venga attaccato contemporaneamente anche da sud. Sua Grazia ritiene che Wencit concentrerà con ogni probabilità il grosso dei propri sforzi più a sud, al Passo di Cardosa, quindi ha schierato ad Arranal un contingente minimo.
Kelson annuì, si pulì il davanti della tunica da qualche frammento di cuoio e si accostò ad un basso tavolo da campagna, coperto di mappe. — Nessun messaggio dal Duca Jared o da Bran Coris? — Nessuno, sire. Kelson prese un compasso e sospirò, rosicchiando con aria meditabonda un'estremità dello strumento. — Che qualcosa sia andato storto? Supponi che il disgelo primaverile sia finito prima del previsto... che sia già finito: per quel che ne sappiamo, Wencit potrebbe essersi già addentrato nell'Eastmarch. — Lo avremmo saputo, Sire: almeno un corriere sarebbe riuscito a passare. — Davvero? Ne dubito. Il re studiò per parecchi minuti la mappa che aveva davanti, socchiudendo gli occhi grigi nel valutare, forse per la centesima volta, tutte le possibili strategie. Allargò il compasso e misurò parecchie distanze, calcolando di nuovo mentalmente le cifre corrispondenti, poi si ritrasse per soppesare ancora le varie possibilità, ottenendo soltanto una conferma di quanto già sapeva. — Derry, ripetimi quello che Lord Perris ha detto in merito a questa strada — chiese, invitando con un cenno il giovane lord ad avvicinarsi e tornando a chinarsi sulla mappa. Usò un braccio del compasso per seguire una sottile linea che vagava attraverso i pendii occidentali della catena montuosa che separava Gwynedd da Torenth. — Se questa strada fosse praticabile anche soltanto con una settimana di anticipo, potremmo... La discussione fu interrotta sul nascere dal rumore di un cavallo al galoppo che si arrestava bruscamente all'esterno della tenda, seguito dall'esplosivo ingresso di una sentinella avvolta in un mantello rosso. L'uomo abbozzò un saluto affrettato mentre Kelson si girava di scatto con aria allarmata e Derry balzava in piedi, pronto a proteggere il re, se necessario. — Sire, il generale Morgan e Padre McLain stanno arrivando! Hanno appena oltrepassato il posto di guardia più esterno. Con un inarticolato grido di gioia, Kelson gettò sul tavolo il compasso e si precipitò verso l'uscita, con tale impeto che per poco non travolse la sorpresa sentinella. Nel momento stesso in cui lui e Derry sbucavano all'esterno, un paio di cavalieri in abiti di cuoio fermarono i cavalli davanti al padiglione reale e smontarono in una nuvola di polvere, in mezzo alla quale soltanto gli ampi sorrisi e le barbe arruffate erano visibili sotto i semplici elmi d'acciaio. I mantelli grigi e gli stemmi con il falcone che i due ave-
vano sfoggiato il giorno precedente erano stati da tempo accantonati, e quando essi si sfilarono gli elmi impolverati fu impossibile non riconoscere la capigliatura biondo chiaro di Alaric Morgan e quella castana di Duncan McLain. — Morgan! Padre Duncan! Dove siete stati? — chiese Kelson, poi si ritrasse con irritazione quando i due si liberarono gli abiti dalla polvere. — Chiedo scusa, mio principe — ridacchiò Morgan, soffiando via la polvere dall'elmo e scrollandola dai capelli chiari. — Per San Michael e tutti i santi, com'è secco, qui intorno! Cosa ci ha spinti a scegliere Dol Shaia come luogo per accamparci? — Se ben ricordo — ribatté Kelson, incrociando le braccia sul petto e lottando invano per soffocare un sorriso, — è stato un certo Alaric Morgan a suggerire che mi dovevo accampare lungo la frontiera, il più vicino possibile ma senza farmi vedere. Dol Shaia era il punto più adatto. Ora, mi vuoi spiegare perché ci avete messo tanto? Nigel e gli ultimi dispersi sono rientrati questa mattina presto. Morgan lanciò a Duncan un'occhiata rassegnata, poi passò con aria cameratesca un braccio intorno alle spalle di Kelson e si avviò con lui verso la tenda. — Che ne diresti di parlarne mentre mangiamo qualcosa, mio principe? — suggerì, indicando con un cenno a Derry di provvedere. — E se qualcuno potesse convocare Nigel e i suoi capitani, questo mi permetterebbe di informare tutti contemporaneamente: non ho il tempo né la voglia di ripetere più volte quanto ho da dire. Una volta all'interno, Morgan si gettò su una sedia da campo posta accanto al tavolo e sistemò i piedi su uno sgabello con un grugnito, lasciando scivolare a terra accanto a sé l'elmetto. Più attento alle norme dell'etichetta, Duncan attese che Kelson si fosse seduto su un seggio dallo schienale più alto prima di accasciarsi a sua volta su una sedia da campo vicina a quella di Morgan e di deporre l'elmo ai propri piedi. — Avete un aspetto terribile — commentò infine Kelson, osservandoli con occhio critico. — Tutti e due. E non credo di avervi mai visti con la barba, prima d'ora. — Assai probabile, mio principe — sorrise Duncan, e si appoggiò allo schienale della sedia, intrecciando le dita dietro la testa e stiracchiandosi. — Però devi ammettere che abbiamo ingannato i ribelli. Perfino Alaric, con quella sua faccia di bronzo e i suoi vistosi capelli biondi è riuscito a farsi passare per un soldato semplice, e viaggiare durante le ultime due set-
timane vestiti da soldati ribelli è stata una trovata addirittura brillante! — E pericolosa — interloquì Nigel, occupando il posto che gli spettava, alla sinistra di Kelson, e segnalando a tre capitani di prendere posizione intorno al tavolo. — Spero che sia valsa la pena di correre un tale rischio. Nel nostro caso non è stato certo così. Morgan tornò subito serio e tolse i piedi dallo sgabello, accantonando l'atteggiamento scherzoso ora che gli interessati erano tutti presenti. Nigel aveva il braccio sinistro sostenuto da una fascia di seta nera e sfoggiava un livido scuro sulla guancia destra; a parte questo, però, era quasi il ritratto del defunto Brion, e Morgan dovette fare uno sforzo per allontanare quell'immagine dalla propria mente. — Mi dispiace, Nigel. Ho saputo cosa è successo. In effetti, ne abbiamo visto le conseguenze nella Valle di Jennan: eravamo dietro di te di poche ore appena. Con un grugnito indifferente, Nigel abbassò lo sguardo, e Morgan si rese conto che doveva fare qualcosa per dissipare quell'atmosfera opprimente. — Le ultime settimane sono state istruttive anche sotto altri aspetti, comunque — continuò, in tono vivace. — Alcune informazioni da noi raccolte parlando con i soldati ribelli sono state decisamente illuminanti, sebbene inutili da un punto di vista strategico. Il numero di dicerie e di concezioni semileggendarie che la gente del popolo sembra aver elaborato sul nostro conto ha dello straordinario. Incrociò le braccia e si appoggiò allo schienale, con un lieve sorriso. — Lo sapevate, per esempio, che corre voce che io abbia zoccoli biforcuti al posto dei piedi? — Allungò uno stivale e si contemplò il piede con aria distratta, mentre i presenti sembravano fare altrettanto. — È ovvio che ben poche persone... e soprattutto la gente del popolo... mi hanno mai visto scalzo. Credete che possa essere vero? — Naturalmente stai scherzando. — Nonostante tutto, Kelson fu costretto a sorridere. — Chi potrebbe credere a una cosa del genere? — Tu hai mai visto Alaric senza scarpe, sire? — chiese Duncan, in tono malizioso. Derry arrivò in quel momento con un piatto di cibo, che offrì con un sorriso. — Io ho visto i suoi piedi, sire — interloquì, mentre Morgan infilzava un pezzo di carne con la daga e prendeva una fetta di pane, — e ti posso assicurare che non ha zoccoli biforcuti... non ha neppure un dito di troppo. Morgan rivolse a Derry un cenno di saluto con la mano con cui reggeva
il pezzo di carne, poi addentò il boccone e rivolse un'occhiata interrogativa a Kelson e a Nigel. Il principe era di nuovo se stesso, ora, e sedeva rilassato sulla sedia con un lieve sorriso, consapevole di quello che Morgan aveva cercato di fare e del successo che aveva ottenuto. Kelson invece, alquanto sconcertato da quello scambio di battute, lasciò vagare più volte lo sguardo da uno all'altro dei due uomini, giungendo infine alla conclusione che si stavano divertendo alle sue spalle. Dopo un po', scosse il capo ed esibì un ampio sogghigno. — Zoccoli biforcuti, come no! — sbuffò. — Per un momento, Morgan, mi hai quasi indotto a crederti. — Non si può rimanere costantemente sotto tensione, sire — ribatté Morgan, scrollando le spalle. — Ora, che notizie sono giunte, da quando siamo partiti? Cosa è successo che ti ha posto in uno stato d'animo così agitato? — In effetti non c'è nulla di nuovo — rispose Kelsen, scuotendo il capo, — e suppongo che sia questo il motivo per cui mi sento così irrequieto. Sto ancora cercando di stabilire quale sia il modo migliore per porre fine a questa lotta interna, il che ci riporta al problema di base, e cioè quello di trovare un modo per riconciliarci con il clero e con i miei sudditi ribelli. Duncan accompagnò l'ultimo boccone di carne con un sorso di vino e annuì. — Durante gli ultimi giorni abbiamo riflettuto a lungo su questo problema, mio principe, e siamo giunti alla conclusione che la tattica più ragionevole sia quella di tentare innanzitutto una riconciliazione con i sei vescovi ribelli di Dhassa. Quei vescovi ti vogliono aiutare, e la loro animosità è diretta esclusivamente verso Alaric e me... tu non ne sei coinvolto. — Questo è vero. Se poteste essere ufficialmente assolti delle accuse sollevate contro di voi dalla Curia e reintegrati nelle vostre posizioni, io potrei accettare l'aiuto di quei vescovi senza preoccuparmi di compromettere il loro onore. Finora mi sono rimasti fedeli perché io sono il re, e forse anche perché mi conoscono di persona e si fidano di me... per lo meno il Vescovo Arilan. — Giusto, mio principe — convenne Morgan, pulendo la daga contro il lato dello stivale e riponendola nel fodero. — E questo è uno dei motivi per cui abbiamo riflettuto con tanta attenzione su questa possibilità prima di discuterne con te. Qualsiasi cosa faremo, non vogliamo danneggiare la fiducia che i Sei di Dhassa ancora hanno nei tuoi confronti. — E tuttavia vi proponete di andare a Dhassa e di tentare una riconcilia-
zione — osservò Kelson. — Supponi che non vi riusciate, che i Sei non si lascino persuadere? — Credo che tu possa placare le tue ansie al riguardo, sire — replicò Duncan. — Se ben ricordi, io ho fatto parte del seguito del Vescovo Arilan per qualche tempo e lo conosco piuttosto bene. Ritengo che sarà leale con noi e che persuaderà i suoi colleglli ad agire nello stesso modo. — Vorrei poterne essere altrettanto certo. Kelson tamburellò con le dita sul bracciolo della sedia, poi incrociò le mani in grembo. — Quindi vi volete affidare alla misericordia dei vescovi sulla base della fiducia che nutrite per un solo uomo — commentò, e sollevò bruscamente lo sguardo. — Tuttavia, rimane il fatto che siete entrambi colpevoli delle accuse sulla cui base siete stati scomunicati: è impossibile negare gli eventi verificatisi a San Torin. È vero che ci sono state circostanze attenuanti, e si può sperare che il diritto canonico sostenga la vostra difesa, almeno nei punti essenziali. Se però doveste fallire, se la scomunica non venisse ritirata, allora che faremo? Credete che i Sei vi permetteranno di lasciare Dhassa? Fuori della tenda si udirono alcune voci sommesse, come se fosse in corso un alterco, e Kelson s'interruppe per lanciare un'occhiata in direzione dell'ingresso; in quel momento, una sentinella trasse di lato il telo ed entrò. — Sire, il Vescovo Istelyn desidera vederti e insiste di non poter aspettare. — Fallo passare — ordinò Kelson, accigliandosi. Mentre la guardia si traeva indietro, Kelson scrutò i presenti con una rapida occhiata, soffermandosi soprattutto su Morgan e Duncan. Istelyn era uno dei dodici vescovi itineranti di Gwynedd che non avevano sede fissa, ed era uno di quelli che non erano stati presenti alla scissione della Curia, avvenuta l'inverno precedente. Quando era stato informato degli eventi di Dhassa, tuttavia, Istelyn si era schierato dalla parte di Arilan, di Cardiel e del resto dei Sei, e parecchie settimane prima si era aggregato all'esercito di Kelson, di stanza lungo la frontiera di Corwyn. Si trattava di un prelato serio, dal temperamento calmo e poco propenso a sfoggiare il proprio potere ecclesiastico, ed era assolutamente insolito da parte sua ricorrere a tale autorità per introdursi di forza alla presenza del re mentre questi era in riunione, a meno che non fosse accaduto qualcosa di una gravità assoluta. Kelson permise quasi al proprio viso di tradire l'ansietà che provava mentre il vescovo oltrepassava
la soglia della tenda con un rotolo di pergamena stretto in una mano e con un'espressione minacciosa sul volto. — Vostra Maestà — salutò Istelyn, con un solenne inchino. — Lord Vescovo — replicò Kelson, alzandosi lentamente in piedi, imitato dagli altri. Istelyn si guardò intorno, rivolgendo un cenno ai presenti, e Kelson segnalò a tutti che potevano rimettersi a sedere. — Suppongo che le notizie che porti non siano buone, milord — mormorò quindi, senza distogliere lo sguardo da quello di Istelyn. — La tua supposizione è esatta, sire. Il vescovo superò con pochi passi lo spazio che lo separava da Kelson e porse al giovane il rotolo che aveva in mano. — Mi... rincresce di essere io a portarti queste carte, ma ho ritenuto che dovessi riceverle. Quando Kelson sfilò il documento dalle sue dita, Istelyn s'inchinò e indietreggiò di qualche passo, non più disposto a incontrare lo sguardo del suo sovrano. Con lo stomaco stretto da una morsa di apprensione, Kelson lesse il primo foglio, serrando le labbra in una sottile linea bianca a mano a mano che ne scorreva le righe; con gli occhi grigi che divenivano sempre più gelidi ad ogni secondo che passava, sorvolò il fin troppo familiare sigillo apposto in fondo alla pagina e prosegui la lettura, passando al secondo foglio. A quel punto, sbiancò in viso e fu soltanto con un visibile sforzo di autocontrollo che riuscì a impedirsi di accartocciare il documento senza un secondo di esitazione. Velando con le lunghe ciglia i suoi gelidi occhi Haldane, il giovane procedette ad arrotolare di nuovo la pergamena. — Lasciateci soli, per favore... tutti quanti — ordinò con una voce glaciale che non ammetteva repliche, senza sollevare lo sguardo. — Istelyn, tu non dovrai fare parola di questo con nessuno finché non avrai la nostra autorizzazione. — Naturalmente, Vostra Maestà. — Istelyn indugiò per eseguire un solenne inchino, poi si avviò verso la soglia. — Grazie. Morgan, Padre Duncan, per favore, rimanete ancora un momento. I due, che si stavano avviando insieme agli altri, si fermarono e si scambiarono un'occhiata perplessa prima di rivolgere lo sguardo verso il loro giovane ed enigmatico sovrano. Kelson si era alzato in piedi, volgendo le spalle ai nobili in procinto di uscire, e si stava dondolando leggermente stilla punta dei piedi, tamburellando con il rotolo di pergamena contro il
palmo della mano sinistra. Morgan e Duncan tornarono ai loro posti, aspettando con ansia, ma quando Nigel accennò ad unirsi a loro, Duncan lo bloccò sollevando una mano e scuotendo il capo, e anche Morgan si mosse come per sbarrare il passo al principe; Nigel scrollò allora le spalle con rassegnazione e girò sui tacchi per seguire gli altri fuori del padiglione, lasciando soli i tre uomini fra le pareti di tela azzurra. — Se ne sono andati? — sussurrò Kelson. Il giovane non si era mosso durante il lieve scambio di cenni con Nigel, e anche adesso i suoi unici movimenti erano il lieve tamburellare della pergamena contro il palmo della mano e il respiro controllato. Duncan inarcò un sopracciglio in direzione di Morgan, poi lanciò un'altra occhiata al re. — Sì, sire, se ne sono andati. Cosa succede? Kelson si girò di scatto, scrutandoli attentamente in viso entrambi; nei suoi occhi grigi tipici degli Haldane brillava un fuoco che i due uomini non avevano più visto dai tempi di Brion. D'un tratto, il giovane appallottolò il documento e lo scagliò al suolo in un gesto di disgusto. — Avanti, leggete! — sbottò quindi, e si accostò a grandi passi al letto, gettandosi prono su di esso e calando un pugno sul materasso con quanta forza aveva in corpo. — Che siano tre volte dannati, cosa dobbiamo fare? Mio Dio, siamo rovinati! Morgan rivolse al cugino uno sguardo di sconcertato stupore, poi si accostò al giaciglio con aria preoccupata, mentre Duncan recuperava i fogli. — Cosa c'è, Kelson? Spiegaci cosa è successo. Stai bene? Con un sospiro, Kelson rotolò su se stesso e si puntellò sui gomiti per fissare i due uomini con una certa calma; l'ira presente nel suo sguardo appariva ora ridotta ad una lieve, gelida fiamma. — Perdonatemi, non avreste dovuto assistere a questo scoppio d'ira — si scusò, tornando a sdraiarsi sul letto per contemplare il soffitto della tenda. — Io sono il re, ed avrei dovuto sapermi controllare. È una pecca, sapete? — E qual è la pecca di quel messaggio? — insistette Morgan, scrutando la faccia calma di Duncan, che era intento a leggere il documento. — Avanti, mettici al corrente. — Sono scomunicato, ecco cosa è successo — ribatté Kelson, in tono asciutto. — Inoltre, tutto il mio regno è posto sotto Interdetto, e chiunque continuerà a prestarmi fedeltà dovrà a sua volta considerarsi scomunicato. — Tutto qui? — Morgan esalò un lungo sospiro di sollievo e segnalò a Duncan di portargli i fogli che Kelson aveva scagliato via con tanta rabbia.
— A giudicare dalla tua reazione, avevo creduto che fossero effettivamente notizie terribili. Kelson si sollevò a sedere di scatto nel centro del letto. — Tutto qui? — ripeté, incredulo. — Morgan, mi sembra che tu non capisca. Spiegaglielo tu, Padre Duncan: sono scomunicato, e così anche chiunque rimarrà con me! E Gwynedd è sotto Interdetto! Duncan ripiegò in due la pergamena, accentuando la piega con l'unghia, e la gettò sul letto. — È un documento privo di valore, mio principe. — Cosa? — Non ha valore — ripeté Duncan, con calma. — Gli undici vescovi che siedono in conclave a Coroth non sono in numero sufficiente... la nostra legge canonica richiede dodici votanti, un requisito inalterabile come qualsiasi dogma della fede, quindi i vescovi di Coroth non potranno vincolare né te né nessun altro con le loro deliberazioni finché non avranno trovato un dodicesimo votante. — Il dodicesimo votante. Per Dio, hai ragione! — esclamò Kelson, spostandosi in tutta fretta per afferrare il documento e fissarlo di nuovo. — Come ho potuto dimenticarmene? — È comprensibile, mio principe — sorrise Morgan, tornando alla propria sedia, accanto alla quale lo attendeva un bicchiere di vino ancora pieno a metà. — Tu non sei abituato quanto noi all'anatema. Ricorda che noi siamo ormai scomunicati, in modo legale ed effettivo, da tre mesi... il che non ci ha particolarmente danneggiati... considerazione che ci riporta alla nostra discussione iniziale. — Sì, certo. — Kelson si alzò in piedi e occupò a sua volta il proprio seggio, continuando a scuotere il capo nel contemplare i fogli che teneva in mano. Anche Duncan si unì agli altri, servendosi una piccola mela mentre Kelson si decideva infine ad accantonare la pergamena. — Ciò che hai sottinteso è che questo rende ancora più urgente che voi arriviate a Dhassa il più in fretta possibile. Ho ragione? — Hai ragione, mio principe — annuì Morgan. — E se i colleghi di Arilan non volessero seguire i suoi consigli? Essi costituiscono la nostra sola speranza di riconciliazione con il resto del clero, Morgan, e se dovessero venirci meno, soprattutto in considerazione di questo nuovo Interdetto con scomunica che incombe su di noi, non riusciremmo mai a ridurre alla ragione Loris e Corrigan. Morgan congiunse gli indici, tamburellando con essi contro i denti per
un momento, poi guardò verso Duncan. Il prete gli sedeva accanto con aria rilassata e sembrava intento a rosicchiare la mela in tutta tranquillità, ma Morgan sapeva che stava anche riflettendo intensamente. Se non fossero riusciti a venire ad un accordo con Loris e Corrigan, gli istigatori dell'ostilità della Curia contro lui stesso e contro Duncan, Gwynedd era condannato. Non appena fosse cessata la piena primaverile, Wencit di Torenth sarebbe calato su di esso dalla catena dei Monti Rheljan, usando Cardosa Alta come base, e se non fosse stato possibile mandare rinforzi a causa del perdurare al sud del conflitto fra le due fazioni interne, per Wencit sarebbe stato semplice isolare i Tre Eserciti e distruggerli a proprio piacimento. La controversia relativa a Corwyn andava dunque risolta al più presto. Morgan spostò in avanti la sedia e raccolse l'elmo dal pavimento, dove lo aveva lasciato cadere. — Faremo del nostro meglio, mio principe. Nel frattempo, quali sono i tuoi progetti per il periodo in cui saremo lontani? So che quest'inattività deve riuscirti logorante. Kelson studiò il rubino che portava all'indice e scosse il capo. — Infatti — ammise, poi sollevò il capo ed esibì un lieve sorriso. — Ma per il momento dovrò tenere a freno la mia impazienza e rimanere dove mi trovo, giusto? Mi informerete, non appena avrete raggiunto un accordo con i Sei di Dhassa? — Certamente. Ricordi dove abbiamo stabilito di incontrarci? — Sì. Mi piacerebbe mandare a nord anche Derry per un tratto di strada, se non ti dispiace. Mi servono notizie dei Tre Eserciti. — D'accordo — acconsentì Morgan, giocherellando con la cinghia dell'elmo. — Se vuoi, possiamo organizzare le cose in modo che tu ti possa tenere in contatto con lui per mezzo del medaglione, come abbiamo già fatto in passato. Ti sembra soddisfacente? — Ma certo. Ora, Padre Duncan, potresti provvedere ad informarlo e ad effettuare i preparativi per la vostra partenza? Vi serviranno cavalli freschi, provviste... — Sarò lieto di provvedere, sire — lo interruppe Duncan, finendo il vino e raccogliendo l'elmo nell'alzarsi per andarsene. — Cercherò il Vescovo Istelyn e rassicurerò anche lui. Dopo che il prete fu uscito, Kelson fissò la soglia per un lungo secondo, prima di tornare a guardare Morgan; indugiò a osservare l'alta figura sottile che sedeva rilassata di fronte a lui e che lo stava scrutando a sua volta con i suoi indecifrabili occhi grigi, poi abbassò lo sguardo sulle proprie mani.
Con sua sorpresa, si accorse che le dita gli tremavano, e le intrecciò con un gesto seccato. — Ah... quanto tempo pensi che impiegherete per raggiungere i vescovi e per fare quello che dovete, Alaric? Io... avrò bisogno di sapere quando dovrò venirvi incontro con l'esercito. Con un sorriso, Morgan batté un lieve colpetto sulla sacca che portava appesa alla cintura. — Ho il tuo Sigillo del Leone, mio principe: sono il tuo campione, ed ho giurato di proteggerti. — Non è questo che ti ho domandato, e tu lo sai! — ribatté Kelson, alzandosi e cominciando a camminare avanti e indietro, con nervosismo. — Voi intendete affidarvi alla misericordia di un pugno di vescovi che potrebbero con la stessa facilità ascoltarvi o tagliarvi la gola, e tu te ne stai qui a proclamare di essere il mio campione, che ha giurato di proteggermi. Che il Diavolo ti porti, Morgan, io voglio sapere che sensazioni hai riguardo a questa faccenda. Devo dirtelo a chiare lettere? Voglio sapere se ti fidi di Arilan e di Cardiel! Morgan, che aveva tenuto d'occhio il giovane sovrano mentre questi passeggiava nervosamente, lo squadrò ora da testa a piedi quando Kelson andò a fermarsi dietro la propria sedia, posando entrambe le mani sullo schienale; negli occhi grigi del giovane brillavano intelligenza, apprensione e una sfumatura d'irritazione, e Morgan fu costretto a soffocare un sorriso: anche se era re per legittimo diritto e conservava il trono grazie a poteri grandi quanto quelli dello stesso Morgan, sotto molti aspetti Kelson era ancora un ragazzo, ed a volte la sua brusca franchezza divertiva Morgan, che però aveva il buon senso di capire quando il suo re parlava sul serio, così come aveva sempre fatto con suo padre. Abbassò per un momento lo sguardo sull'elmo che teneva in grembo, poi tornò a fissare Kelson. — Ho incontrato Arilan una volta soltanto, mio principe, e non ho mai visto Cardiel, ma a mio parere quei due sono la nostra sola speranza. Arilan ha sempre dato l'impressione di essere più o meno dalla nostra parte. Ti è stato accanto durante l'incoronazione e non è intervenuto, anche se deve aver sospettato che ci fosse sotto qualche magia, e mi è stato anche riferito che lui e Cardiel sono stati fra i tuoi più strenui sostenitori quando la questione dell'Interdetto si è trasformata in una crisi. Credo che fidarci di loro sia la nostra unica alternativa. — Ma entrare a Dhassa, dove c'è una taglia sulla vostra testa... — cominciò Kelson.
— Pensi davvero che ci riconosceranno? — sbuffò Morgan. — Guardami. — Quando mai ho avuto la barba o sono andato in giro vestito da popolano, o sono stato a Dhassa, già che ci siamo? Io, Alaric Morgan? E quale scomunicato fuggiasco sano di mente prenderebbe in considerazione l'idea di penetrare nella più sacra città di Gwynedd, quando sa che tutto il paese gli sta dando la caccia? — Alaric Morgan lo farebbe — sospirò Kelson, con rassegnazione. — Supponi comunque che riusciate ad arrivare a Dhassa ed a penetrare nel palazzo episcopale senza essere scoperti... che farete a quel punto? Non siete mai stati là... come potrete anche solo cominciare a cercare Arilan e Cardiel? E che accadrà se sarete catturati prima di averli trovati? Supponi che qualche guardia troppo zelante decida di accaparrarsi tutta la gloria e vi uccida prima di condurvi al cospetto dei vescovi. Morgan sorrise e intrecciò tranquillamente le mani intorno all'elmo. — Tu dimentichi una cosa, mio principe: noi siamo Deryni, e per quanto ne so questo conta ancora qualcosa. Per un istante, Kelson fissò Morgan con aria interdetta, poi gettò indietro il capo e scoppiò in una risata, tornando a sedersi. — Tu sei un'ottima cura per me, Morgan, lo sai? Senza prediche, riesci comunque chissà come a dire al tuo re che sta pensando come uno stupido, ma lo fai senza irritare minimamente. Credo che tu ottenga questo risultato lasciandomi farneticare a ruota libera, finché esaurisco gli argomenti e mi rendo conto di quanto sono stato ridicolo. Perché? — Vuoi sapere perché continui a farneticare a ruota libera o perché io te lo lascio fare? — Sai cosa intendo — sorrise Kelson. Morgan si alzò in piedi, spolverandosi ancora i vestiti e lucidando con una manica il davanti dell'elmo. — Sei giovane, mio principe, sei curioso per natura e manchi dell'esperienza che soltanto gli anni possono dare — replicò con disinvoltura, — ed è per questo che parli a ruota libera. Quanto al perché io te lo permetta — proseguì, concedendosi un momento di riflessione, — lo faccio perché mettere a nudo le proprie paure e affrontarle è la cura migliore contro l'ansia. Una volta che ci si è resi conto di quali siano i timori ridicoli e di quali siano invece quelli reali, si è a buon punto per dominare entrambe le categorie. Soddisfatto? — Soddisfatto — rispose Kelson, alzandosi per accompagnare Morgan all'uscita. — Starai attento, comunque, vero?
— Lo prometto sul mio onore, sire. CAPITOLO TERZO Questi abiterà in luogo eccelso, rupi inaccessìbili saranno sua roccaforte; gli sarà data abbondanza di pane e l'acqua non gli verrà meno. Isaia 33:16 Da quasi un mese, nella pianura sottostante Cardosa era accampato l'esercito di Bran Coris, Conte di Marley, forte di duemila uomini assolutamente fedeli al loro giovane comandante. Alloggiati nelle file di tende disposte con ordine sull'umida pianura, i soldati stavano ormai aspettando da oltre una settimana che la piena primaverile si esaurisse, impazienti di vederla finire e tuttavia timorosi del momento in cui Wencit di Torenth avrebbe riversato i suoi uomini lungo la gola di Cardosa. I soldati di Wencit potevano usare la magia in battaglia... o almeno così si credeva... e ciò spaventava gli avversari in attesa. Nonostante questo, tuttavia, gli uomini di Marley sarebbero rimasti al fianco del loro giovane conte nonostante il pericolo, perché Lord Bran era un abile stratega e condottiero, oltre ad essere sempre stato generoso con quanti lo appoggiavano, e non c'era nulla che lasciasse supporre che questa campagna di Cardosa potesse alterare la sua consueta reazione a un buon servizio. E a lungo andare, cosa poteva chiedere ancora un soldato, oltre a una buona retribuzione e a un condottiero che potesse rispettare? Era primo mattino, e il campo era sveglio da quasi due ore. Lord Bran, a proprio agio in una sottotunica azzurra, se ne stava appoggiato contro uno dei pali esterni di sostegno del suo padiglione, intento a sorseggiare un boccale di vino caldo speziato e a scrutare le montagne avvolte nel chiarore del mattino. I suoi occhi, leggermente socchiusi nello sforzo di penetrare la foschia, erano di un castano dorato, e la piega della bocca ben modellata denunciava un carattere cocciuto e deciso. Coris agganciò un pollice nella cintura ingioiellata e sorseggiò dell'altro vino, immerso in pensieri remoti e indecifrabili. — Ci sono ordini speciali per oggi, milord? A parlare era stato il Barone Campbell, da lungo tempo vassallo della famiglia del conte; l'uomo si assestò con affettata noncuranza il plaid azzurro e oro fermato sulla spalla e si avvicinò, con l'elmo nel cavo del brac-
cio. — Ci sono cambiamenti nel livello del fiume, questa mattina? — chiese a sua volta Bran, scuotendo il capo. — Anche ai guadi siamo ancora ad una profondità di quasi un metro e mezzo, signore, e ci sono buche che potrebbero inghiottire un uomo e il suo cavallo senza lasciarne traccia. Dubito che il re di Torenth scenderà oggi dalla sua montagna. — Allora procederemo come di consueto — annui Bran, dopo aver bevuto un altro sorso di vino. — Pattuglie regolari e sentinelle lungo il perimetro occidentale, e un servizio ridotto di guardia nel resto del campo. E avverti il mastro armaiolo di venire da me in mattinata: nell'impugnatura del mio nuovo arco continua ad esserci qualcosa che non va. — Sì, signore. Mentre Campbell salutava e si ritirava per andare a riferire gli ordini di Bran, un altro uomo che indossava il grigio abbigliamento di un segretario arrivò da una tenda vicina, portando in mano un fascio di pergamene. Bran lanciò una pigra occhiata nella sua direzione e l'uomo eseguì un impacciato inchino prima di porgere al conte una penna dalle piume marroni. — La tua corrispondenza è pronta per essere firmata, milord, e i corrieri stanno attendendo i tuoi ordini. Bran prese le lettere con un lieve cenno del capo, le sfogliò rapidamente con aria annoiata, poi passò all'uomo il boccale perché glielo reggesse e scribacchiò la propria firma in fondo a ciascuna pagina. Quando ebbe finito, restituì le lettere al segretario, recuperò il boccale ed avrebbe anche ripreso a scrutare pigramente le montagne se non fosse stato per gli insistenti colpetti di tosse dell'altro. — Ah, milord... Un po' irritato, Bran degnò l'uomo di un'altra occhiata. — La lettera per la Contessa Richenda, milord... non desideri sigillarla? Bran spostò lo sguardo dalla pergamena nelle mani del segretario alla faccia di quest'ultimo, con un sospiro annoiato, quindi si sfilò dal pollice un pesante sigillo in argento e lo lasciò cadere nella mano del dipendente. — Vuoi provvedere tu, Joseph? — chiese. — Sì, milord. — Già che ci sei, consegna di persona la lettera. Se riuscirai a persuaderla, credo che sarebbe una buona idea se la contessa si trasferisse con il mio erede in un luogo neutrale... magari a Dhassa. Presso i vescovi, sarebbero entrambi al sicuro.
— Molto bene, signore. Partirò immediatamente. Ad un cenno di ringraziamento di Bran, il segretario s'inchinò e strinse a sé il sigillo, indietreggiando quindi per permettere ad un uomo in divisa da capitano di avvicinarsi e di salutare il conte. Il nuovo venuto era avvolto dal collo alle ginocchia in un mantello di lana di un azzurro sbiadito e una piuma azzurra gli ondeggiava sull'elmo d'acciaio. Bran accolse il suo inchino con un sorriso, che l'altro ricambiò. — Qualche problema di cui dovrei essere informato, Gwyllim? — chiese il conte. Il capitano scosse il capo, facendo tremare nuovamente la piuma. — Nulla, milord. Gli uomini del Quinto Cavalleggeri chiedono l'onore di essere passati in rivista da te, questa mattina. — Il capitano lanciò un'occhiata in direzione dei monti che il suo signore stava scrutando. — In ogni caso sarà più interessante che osservare quelle dannate montagne. — Non ne dubito. — Bran indirizzò a Gwyllim un lento, pigro sorriso. — Ma devi essere paziente, amico mio: quando questa situazione di stallo cesserà, ci sarà abbastanza azione da soddisfare perfino te. Wencit di Torenth non rimarrà in eterno sulla sua montagna. — Già, quanto a questo hai ragio... Mentre parlava, Gwyllim aveva di nuovo indirizzato lo sguardo verso il passo, ed ora si raddrizzò sulla persona, scrutando con maggior attenzione la nebbia del mattino. Notando quel rinnovato interesse per il panorama da parte di Gwyllim, Bran guardò nella stessa direzione, poi schioccò le dita per chiamare un paggio che, per tutto il tempo, si era tenuto nelle vicinanze, ma abbastanza lontano da non sentire quanto si diceva. — Eric, il mio cannocchiale, presto; Gwyllim, suona l'allarme. Potremmo esserci. Mentre il ragazzo si affrettava ad obbedire al conte, Gwyllim indirizzò un cenno a parecchi dei suoi uomini che attendevano a poche decine di metri di distanza, e la notizia venne rapidamente diffusa. Bran si riparò gli occhi con la mano e continuò a scrutare la foschia, ma le immagini rimasero vaghe e indistinte. Lungo il pendio stavano scendendo alcuni cavalieri, forse anche una dozzina, montati su cavalli bai il cui pelo lucido brillava sotto il sole del primo mattino, in contrasto con l'opaco rosso tendente all'arancione del mantello dei cavalieri. L'uomo che procedeva in testa alla piccola colonna era vestito di bianco e stringeva una lancia dalla cui sommità pendeva, floscia, una bandiera dello stesso colore. Accigliandosi, Bran si accostò il cannocchiale all'occhio e studiò più da vicino il gruppo.
— I cavalieri portano lo stemma di Torenth — osservò a bassa voce, continuando a scrutare la colonna mentre Gwyllim gli tornava accanto, accompagnato da Campbell. — L'uomo di testa ha in mano una bandiera da parlamentare e ce ne sono altri due senza livrea che devono essere i negoziatori. — Abbassò il cannocchiale e lo passò a Campbell, spostandosi quindi su un lato della tenda per schioccare le dita e indicare il gruppo che si avvicinava. — Bennet, Graham, andate loro incontro con una scorta: onorate la tregua finché la rispetteranno anche gli inviati di Wencit, ma teneteli d'occhio. Questo potrebbe essere un trucco. — Sì, milord. Mentre il gruppo proseguiva la sua discesa, la scorta ordinata da Bran oltrepassò la tenda del conte con un tintinnare di finimenti e di cotte di maglia, e parecchi vassalli e capitani di Coris si diressero verso il padiglione del loro comandante: era chiaro per tutti che lo stato di allarme era stato sospeso, ma anche che qualcosa sarebbe per forza accaduto quando il conte avesse parlato con gli emissari di Torenth. Bran rimase a guardare finché i due contingenti di cavalieri si incontrarono, a circa trecento metri dal limitare del campo, poi entrò nella tenda per riemergerne pochi secondi più tardi con una daga alla cintura e con una coroncina d'argento in testa, e i suoi vassalli gli si raccolsero intorno in una dimostrazione di forza mentre la delegazione circondata si avvicinava al passo. Ora che i nuovi venuti erano a portata di voce, Bran poté verificare che la sua supposizione in merito alla presenza dei due nobili nel gruppo era stata esatta. Quello dei due che vestiva con maggiore sfarzo, un individuo alto, dall'aria vagamente esotica, avvolto in un manto di broccato nero e in una tunica carminia, smontò dal suo destriero baio e si diresse a grandi passi verso il gruppo in attesa. Gli abiti dell'uomo erano umidi per la lunga cavalcata nella gola inondata dalla piena, ma il suo magro volto barbuto rimase imperscrutabile mentre l'uomo si toglieva l'elmo dalla piuma nera e lo infilava nel cavo del braccio destro. I capelli del nobile erano lunghi e bruni, fermati sulla nuca da un fermaglio d'argento e nell'elegante fascia di seta che gli cingeva la vita era infilata con noncuranza una daga d'argento dalla lama serpentina, con l'impugnatura rivolta verso sinistra. A parte la daga, l'uomo appariva disarmato. — Sei tu il Conte di Marley, comandante di questo esercito? — chiese l'emissario, in tono un po' condiscendente.
— Sono io. — Allora il mio messaggio è destinato a te, milord — dichiarò l'uomo, con un lieve inchino. — Io sono Lionel, Duca di Arjenol, e servo Sua Maestà Re Wencit, che mi ha ordinato di trasmettere le sue felicitazioni a te ed ai tuoi uomini. Bran socchiuse gli occhi, scrutando il suo interlocutore, poi agganciò i pollici alla cintura ingioiellata che portava in vita. — Ho sentito parlare di te, milord: non sei forse un parente dello stesso Wencit? — Ho questo onore — ammise Lionel, con un sorriso e con un secondo inchino. — Mia moglie è la sorella del nostro amato sovrano. Confido, milord, che garantirai la nostra sicurezza finché ci troveremo nel tuo campo. — Finché voi onorerete la tregua annunciata dalla vostra bandiera. Quale messaggio mi porti da Wencit, a parte le sue felicitazioni? Lionel lasciò scorrere lo sguardo dei suoi occhi neri su Bran e sui suoi uomini, poi s'inchinò ancora. — Milord Conte di Marley, Sua Serena Maestà Wencit di Torenth, Re di Torenth e di Tolan e delle Sette Tribù dell'Est, desidera l'onore della tua presenza nella sua temporanea residenza, nella Città di Cardosa. Là vorrebbe discutere con te della possibilità di una cessazione delle ostilità e del contemporaneo ritiro di entrambi dalla zona contesa, o magari eventuali altre soluzioni che tu possa voler proporre. Sua Serena Maestà non nutre rancori nei confronti del Conte di Marley e non vorrebbe dover combattere contro una persona che stima da tanti anni, quindi attende subito una tua risposta. — Non andare, milord — tuonò Campbell, accostandosi maggiormente a Bran, come per fargli da scudo con il suo corpo. — È un trucco. — Non ci sono trucchi, milord — ribatté Lionel. — Affinché tu potessi essere sicuro della sua sincerità, Sua Maestà ha ordinato a me ed alla mia scorta di rimanere qui come ostaggi fino al tuo ritorno. Se lo desideri, potrai portare con te uno dei tuoi ufficiali ed anche una scorta d'onore di dieci uomini, e sarai libero di lasciare Cardosa per tornare al tuo accampamento nel momento stesso in cui riterrai che ulteriori discussioni siano inutili o contrarie ai tuoi interessi. Ritengo che si tratti di un'offerta più che generosa, milord, non sei d'accordo? Per parecchi istanti Bran fissò il suo interlocutore con espressione indecifrabile, poi segnalò a Gwyllim e a Campbell di seguirlo all'interno della
tenda. Dentro, le pareti erano coperte da velluti azzurri e ocra, e ricche pellicce erano stese sui tappeti e drappeggiate sulle sedie da campo di legno intagliato. Bran si arrestò nel centro della tenda e giocherellò con l'impugnatura della daga, girandosi infine per scrutare in volto i suoi capitani. — Allora, che ne pensate? Devo andare? I due si scambiarono un'occhiata furtiva, poi fu Campbell a parlare. — Chiedo scusa, milord, ma la faccenda continua a non piacermi. Cosa possiamo mai ottenere da un incontro del genere se non una ulteriore possibilità di tradimento? Nonostante le affermazioni di questo Duca Lionel, non posso pensare neppure per un momento che Wencit intenda ritirarsi: non ci sono dubbi su una sua possibile vittoria, qualora decidesse di scendere dalla montagna, e l'incognita si riduce soltanto alla quantità di uomini che dovrà perdere per conseguirla. E se userà la magia... — Fedele Campbell — sorrise, cupo, Bran, — sempre pronto a fare la parte del profeta di sventure e a ricordarmi verità che preferirei dimenticare. Gwyllim? Il capitano scrollò le spalle sotto il mantello di lana azzurra. — Campbell ha ragione, milord, almeno in parte. Credo che noi tutti abbiamo sempre saputo che non potremo tenere a lungo il passaggio se Wencit deciderà di forzarlo, e mi chiedo che sorta di accordo speri di poter concludere. Inoltre, sono propenso a convenire con Campbell che questa storia puzza di trappola, ed esito quindi a darti un consiglio, in un senso o nell'altro. Bran lasciò scorrere le dita sull'elmo e sulla cotta di maglia che giacevano su una delle sedie, accarezzando poi la pelliccia drappeggiata sotto di essi. — Chi era quell'altro barone che accompagnava Lionel, quello che è rimasto in sella? Uno di voi lo conosce? — Era Merritt di Reider, milord — rispose Campbell. — Possiede vaste terre verso nordest, vicino a Tolan. Mi sorprende che Wencit lo abbia incaricato di una missione del genere, soprattutto se sta tramando qualcosa. — Proprio quello che stavo pensando — convenne Bran, continuando ad accarezzare distrattamente la pelliccia con lo sguardo fisso sulla parete della tenda. — Mi è anche venuto in mente che questo potrebbe essere il modo in cui Wencit cerca di dirci che le sue intenzioni sono serie, tanto serie che è disposto a rischiare il cognato e un potente alleato consegnandoli come ostaggi al fine di rassicurarci. Non nutro false illusioni sul valore della mia persona, e dubito che Wencit rischierebbe la vita di quei due
uomini là fuori soltanto per catturarmi o per uccidermi: se questo fosse stato il suo unico intento, c'erano una decina di sistemi meno costosi e pericolosi a cui poteva ricorrere. — Mio signore — replicò Gwyllim, schiarendosi la gola, — hai considerato la possibilità che Wencit desideri che gli ostaggi facciano qualcosa qui nel campo, mentre tu sarai lontano? Se sono due Deryni, per esempio, è impossibile prevedere quali danni potrebbero arrecare... magari di natura tale da non essere individuabili che quando tu sarai tornato e loro saranno ripartiti. — È vero, milord — concordò Campbell. — Cosa può impedire agli ostaggi di scatenare l'inferno quando tu sarai a Cardosa? Non ti fidare di loro, signore! Bran si passò una mano sulla faccia e fissò il soffitto per un momento, riflettendo su quanto avevano detto i due uomini; infine sospirò e si girò di nuovo verso di loro. — Non posso controbattere la logica dei vostri ragionamenti, ma chissà come ho la sensazione che in questo particolare caso non ci siano inganni in agguato. Se Lionel e Merritt fossero due Deryni, allora avrebbero già avuto tutto il tempo di distruggerci, se tale fosse stato il loro intento. E se non sono due Deryni, sarebbe stupido da parte loro tentare qualsiasi cosa, circondati come sono. «Giusto per rassicurarvi, però, potrei ordinare a Cordan di preparare un potente sonnifero da somministrare a tutti gli ostaggi che rimarranno qui. Se essi acconsentiranno a questa misura precauzionale, credo che sarà per me relativamente sicuro acconsentire al colloquio chiesto da Wencit. Dopo tutto, il loro consenso richiederà un po' di fiducia, non vi pare? Gwyllim scosse il capo con aria dubbiosa, poi scrollò le spalle con rassegnazione. — È pur sempre un rischio, signore. — Ma lo ritengo un rischio ragionevole. Campbell, vuoi rintracciare Cordan e provvedere per la pozione? Gwyllim, tu verrai con me a Cardosa. Aiutami a indossare la cotta di maglia. Pochi minuti più tardi, Bran e Gwyllim lasciarono la tenda e si accostarono agli emissari in attesa. Bran aveva sostituito la tunica con la cotta di maglia e un mantello azzurro, e lo stemma raffigurante un'aquila era ricamato in azzurro sul petto della sopravveste di cuoio. L'acciaio della cotta era visibile soltanto alla gola e oltre le corte maniche della sopravveste, e l'impugnatura d'avorio della spada sporgeva da un balteo di cuoio bianco
passato di traverso sul petto. Gwyllim gli era al fianco e stringeva nella sinistra l'elmo con le piume azzurre e i guanti di Bran. Una luce astuta brillava negli occhi dorati del conte quando questi uscì sotto la luce del sole. — Lord Duca — annunciò con disinvoltura, — ho deciso di accettare l'invito del tuo re. Lionel s'inchinò, frenando un lieve sorriso. Merritt e parecchi uomini della scorta erano smontati di sella durante l'assenza di Bran, ed erano adesso raccolti alle spalle di Lionel. — Tuttavia — proseguì Bran, — vi sono parecchie condizioni che devo porre prima di procedere alla volta di Cardosa con il vostro portabandiera, e non sono certo che le accetterete. Campbell, un soldato semplice e un uomo magro vestito da chirurgo militare s'insinuarono nel gruppo che circondava Bran, e lo sguardo di Lionel saettò, sospettoso, verso di loro. Il medico aveva in mano un grosso contenitore di terracotta munito di manici su entrambi i lati. Merritt si accostò a Lionel e gli mormorò all'orecchio qualcosa che lo indusse ad accigliarsi, nel riportare la sua attenzione su Bran. — Specifica le tue condizioni, milord. — Spero che la mia cautela non ti offenderà, milord — annuì Bran, — ma devo avere la garanzia che tu e i tuoi uomini non compirete azioni dannose durante la mia assenza. — È comprensibile. — Sapevo che ne avresti convenuto. Di conseguenza, al fine di proteggermi da eventuali tradimenti durante il tempo in cui io sarò lontano e voi vi troverete qui, ho chiesto al mio medico di preparare un semplice sonnifero, che tu, Lord Merritt e il resto delle guardie dovrete bere prima della mia partenza. Vedi, ora come ora, non ho modo di sapere quali siano i vostri effettivi intenti, dal momento che non posso leggervi nella mente. Per quel che ne so, potreste anche essere maghi deryni. Allora, acconsenti a queste condizioni? Lionel si scurì in volto mentre Bran parlava, e prima di rispondere lanciò un'occhiata nervosa a Merritt e agli altri. Era chiaro che tanto lui quanto Merritt non erano entusiasti all'idea di trascorrere alcune ore intontiti da una droga, e tuttavia rifiutare le condizioni poste da Bran sarebbe equivalso ad ammettere che non si fidavano di lui e forse anche che l'invito di Wencit non era ciò che sembrava. Era ovvio che Lionel aveva ricevuto ordini precisi, quindi rispose al giovane conte in tono freddo e formale. — Devi perdonare la mia esitazione, milord, ma non avevamo previsto
condizioni del genere da parte tua. Naturalmente, comprendiamo la tua cautela, e desidero assicurarti che non è intenzione di Sua Maestà scatenare su di te il disastro mediante la magia: se tale fosse stato il suo intento, avrebbe potuto realizzarlo senza rischiare le nostre vite. D'altro canto, dovrai perdonarci se a nostra volta ci mostreremo cauti: prima di acconsentire alle tue condizioni, chiediamo una ragionevole prova che la tua pozione sia effettivamente l'innocuo sonnifero di cui tu hai parlato. — È naturale — convenne Bran, indicando al medico di avvicinarsi. — Cordan, chi dovrà assaggiare la pozione a beneficio di Sua Grazia? Cordan diede di gomito a un soldato che aveva accanto e si fece avanti, inchinandosi, mentre il soldato scattava sull'attenti. — Sono Stephen de Longueville, milord — mormorò l'uomo, reggendo il contenitore di terracotta con mano salda e tenendo lo sguardo fisso su Bran. — Eccellente. Lord Duca, quest'uomo ti soddisfa come cavia? — Il tuo medico avrebbe potuto prepararlo in qualche modo speciale, milord — obiettò Lionel, scuotendo il capo. — Se hai intenzione di avvelenarci, gli potrebbe essere stato somministrato un antidoto. Posso effettuare io una scelta? — Ma certo. Devo chiederti di escludere i miei ufficiali, in quanto avrò bisogno dei loro servigi durante la mia assenza, ma uno qualsiasi degli altri andrà bene. Sentiti libero di scegliere chiunque tu voglia. Lionel consegnò l'elmo ad uno dei suoi uomini e si accostò a grandi passi ai cavalieri che ancora circondavano la sua scorta. Li scrutò tutti con estrema attenzione e infine si accostò ad uno di essi, posando la mano sulla briglia del suo cavallo, che agitò la testa e sbuffò. — Quest'uomo, milord. È impossibile che sia stato preparato in anticipo, quindi sarà lui a provare la pozione che vorresti farci bere. Bran annuì e rivolse un breve cenno al soldato, che smontò di sella. Mentre si avvicinava a Bran, Lionel gli si tenne accanto, osservandolo con attenzione, e quando l'uomo si tolse l'elmo e cercò di porgerlo ad un compagno che faceva parte della scorta del conte, Lionel s'interpose e prese personalmente l'elmo, passandolo poi all'uomo a cui il soldato aveva inteso consegnarlo: il duca non intendeva correre il minimo rischio che qualcosa venisse passato di nascosto alla sua cavia. Lionel segnalò quindi a Merritt di sorvegliare il soldato e si avvicinò a Bran, togliendo dalle mani di Cordan il recipiente di terracotta e tenendolo fra sé e Bran, mentre i suoi occhi neri soppesavano per un momento il con-
te; il volto magro del duca assunse quindi un'espressione irritata, prima che lui sollevasse appena la tazza in un cenno di saluto e si girasse per tornare là dove aspettavano il soldato e Merritt. Uno degli uomini di Merritt prese il recipiente e l'esaminò, annusandone con sospetto il contenuto, e soltanto allora al soldato di Bran fu concesso di avvicinarsi e di posare a sua volta le mani sul contenitore. Lionel e Merritt si misero ai lati dell'uomo per osservare ciò che succedeva, e Lionel indirizzò a Bran un'occhiata sospettosa prima di dare inizio alla prova. — Qual è la dose richiesta? — Un sorso sarà sufficiente, Vostra Grazia — replicò Cordan. — Il sonnifero agisce molto in fretta. — Ma davvero — mormorò Lionel, riportando la propria attenzione sull'uomo che reggeva la tazza. — Molto bene, buon uomo: bevi, se osi. Si dice che il tuo comandante sia un uomo di parola, nel qual caso ti sveglierai più tardi senza danno. Bevi. Guidato dal soldato che reggeva la tazza, l'uomo si accostò il bordo alle labbra e bevve un sorso, inarcando le sopracciglia per il sapore della pozione prima di lanciare un'occhiata a Lionel e di deglutire. Ebbe il tempo di leccarsi una volta le labbra con soddisfazione... Cordan era famoso per gli ottimi vini che mescolava alle sue pozioni... poi barcollò e sarebbe caduto se Lionel e Merritt non lo avessero afferrato al volo, adagiandolo al suolo. Quando lo distesero, l'uomo era già immerso in un sonno profondo, da cui scossoni e richiami non furono sufficienti a destarlo. L'uomo di Lionel che reggeva la coppa la porse a Merritt e si chinò per esaminare il soldato, sollevandogli le palpebre e controllandogli il polso, che batteva con vigore, prima di annuire con riluttanza. Lionel si alzò in piedi e guardò verso Bran, con espressione cupa ma rassegnata. — A quanto pare, il tuo medico è davvero abile, milord. Naturalmente, quanto abbiamo appena visto non ci permette di escludere l'eventualità di un veleno ad azione ritardata, o la possibilità che ci vengano somministrate altre sostanze mentre saremo in stato d'incoscienza o addirittura che veniamo assassinati. D'altro canto, la vita è piena di rischi, giusto? E Sua Maestà starà aspettando il tuo arrivo o il mio ritorno, e perfino io sono restio a tenerlo in attesa. — Allora accetti le mie condizioni? — Così pare — replicò Lionel, inchinandosi. — Confido tuttavia che ci sarà permesso di dormire altrove e non sul terreno, come il nostro fiducioso amico. — Lanciò un'occhiata alla guardia addormentata ed esibì un sar-
donico sorriso. — Al nostro ritorno a Cardosa, Sua Maestà rimarrebbe sgomento se venisse a sapere che io e i miei compagni abbiamo dormito nella polvere. Bran abbozzò un inchino e sollevò il telo della sua tenda, ricambiando il sorriso di Lionel con un altro non meno sardonico. — Venite, allora. Dormirete nel mio padiglione: non vorrei che si dicesse che i nobili di Gwynedd non sanno come si trattano gli ospiti. Bran e i suoi si trassero di lato e Lionel segnalò al resto della sua scorta di smontare, precedendo quindi il gruppo nella tenda. Il duca osservò con apprezzamento il ricco arredo, scambiò un'occhiata rassegnata con Merritt e pochi altri fra i suoi compagni, e scelse la più comoda fra le numerose sedie. Sedutosi, si sfilò i guanti e li posò per terra ai propri piedi insieme all'elmo, appoggiandosi allo schienale per rilassarsi. I suoi lunghi capelli neri brillarono sotto la luce che filtrava dall'ingresso, e lui assestò una ciocca spettinata nel sistemare le gambe su uno sgabello di cuoio. La lama serpentina della daga che portava alla vita scintillò alla luce di una candela portata da un aiutante di campo, e Lionel giocherellò pigramente con l'elsa dell'arma, mentre i soldati della scorta si sistemavano ai suoi piedi, sulle pelli. Merritt occupò la sedia adiacente a quella di Lionel, con un'espressione tesa e apprensiva sul volto scialbo, e l'uomo che reggeva la coppa si arrestò, a disagio, vicino al palo centrale della tenda. Quando Bran e Gwyllim entrarono a loro volta nel padiglione, il portabandiera di Torenth si portò sulla soglia per sbirciare all'interno, tanto pallido in volto da sembrare più bianco della bandiera che ancora stringeva in pugno: soltanto lui e l'uomo con la coppa, infatti, avrebbero avuto la certezza di tornare a Cardosa dopo che gli altri avessero bevuto la pozione. Lionel scrutò i cinque uomini che sedevano con aria fiduciosa ai suoi piedi, quindi segnalò al soldato con la coppa di avvicinarsi a ciascuno di essi. Ogni uomo tenne lo sguardo fisso su Lionel nel bere un sorso dal recipiente, e nel momento in cui esso giunse a Merritt, il primo membro della scorta si accasciò al suolo, supino. L'uomo con la coppa si arrestò, allarmato, quando altri due crollarono in rapida successione, e Merritt accennò ad alzarsi dalla sedia, ma Lionel scosse leggermente il capo e gli segnalò di bere. Con un sospiro di rassegnazione, Merritt obbedì e si accasciò sulla sedia nell'attimo in cui un quarto soldato si addormentava. Quando tutti gli altri furono immobili, l'uomo con la tazza s'inginocchiò accanto a Lionel e gli porse il recipiente con mani tremanti; nello sguardo del duca affiorò
qualcosa che rasentava la tenerezza mentre accettava la tazza, tenendola per un momento fra le dita sottili. — Quelli sono uomini notevoli, Lord Bran — disse in tono sommesso, lanciando al conte uno sguardo velato. — Mi hanno affidato la loro stessa vita, ed io ho giocato usando quelle vite come posta. Se in qualsiasi modo tu dovessi far sì che io venga meno alla fiducia accordatami, se dovesse accadere qualcosa di male ad uno di questi uomini, giuro che li vendicherò, anche dalla tomba. Mi hai capito? — Ti ho dato la mia parola, milord — ribatté Bran, in tono neutro, — ed ho promesso che non vi accadrà nulla di male. Se le intenzioni del tuo signore sono onorevoli, allora non hai di che temere. — Io non nutro timori, milord, porgo solo un avvertimento — lo corresse Lionel. — Bada di mantenere la tua parola. Lanciò quindi un'occhiata all'uomo che gli aveva offerto la tazza e sollevò il recipiente in un gesto di saluto. — C'raint! — mormorò, bevendo e restituendo la coppa all'uomo. Nel riappoggiarsi allo schienale fu colto da un lieve brivido, come per un gelo improvviso, anche se nella tenda faceva caldo, poi adagiò la testa all'indietro e perse conoscenza. L'uomo che reggeva la tazza la depose sul pavimento e controllò le pulsazioni del suo signore; infine, consapevole di non poter fare altro, si alzò in piedi e rivolse un secco inchino a Bran Coris. — Se sei pronto ad assolvere alla tua parte dell'accordo, è ora di mettersi in marcia, milord. Ci aspetta un viaggio difficoltoso, per buona parte in mezzo ad acqua gelida. E Sua Maestà sta aspettando. — Naturalmente — mormorò Bran, osservando con ammirazione i suoi ostaggi addormentati mentre si metteva l'elmo. Di certo quella gente non mancava di disciplina. — Abbi cura di loro, Campbell — raccomandò, infilandosi i guanti e muovendosi verso l'ingresso della tenda. — Wencit li rivorrà indietro in buona salute, e non ci converrebbe deluderlo. CAPITOLO QUARTO Darò a te ricchezze nascoste e tesori sotterrati. Isaia 45:3 La città fortificata di Cardosa si trova a circa milleduecento metri al di
sopra della pianura di Eastmarch, su un elevato pianoro di liscia roccia; è stata sede di conti e di duchi, a volte anche di re, ed è protetta a est e ad ovest dall'infido Passo di Cardosa... il principale passaggio attraverso i Monti Rheljan. Ogni autunno, verso la fine di novembre, la neve giunge dal grande mare settentrionale, isolando la città e ostruendo il passo, una situazione che si protrae fino a marzo, quando ormai l'inverno si è concluso in tutto il resto della zona. E a quel punto la neve che si scioglie trasforma il Passo di Cardosa in una rabbiosa cataratta per i successivi tre mesi. Anche nel passo, tuttavia, il disgelo non è uniforme. A causa della diversa inclinazione dei pendii montani, il passaggio orientale diventa accessibile con alcune settimane di anticipo rispetto a quello occidentale, una stranezza che è stata un fattore di primaria importanza nell'alternarsi dei diversi domini su quella città, nel corso degli anni... lo stesso fattore che aveva permesso a Wencit di Torenth di catturare la città, affamata per il lungo inverno, senza incontrare resistenza: con gli effettivi ridotti a causa delle precedenti lotte estive, sfinita per il perdurare della neve, Cardosa Alta non era stata in condizione di aspettare le truppe di rinforzo e le provviste inviate dalla reale Gwynedd. Wencit, d'altro canto, poteva fornire immediatamente quelle cose, di conseguenza Cardosa si era arresa. E fu così che mentre Bran Coris, accompagnato da una nervosa scorta si avvicinava alle porte cittadine, il nuovo padrone di Cardosa si stava rilassando nell'appartamento della Casa di Stato di cui si era appropriato, preparandosi a ricevere il suo riluttante ospite. Accigliandosi, Wencit di Torenth lottò per allacciare l'alto colletto del giustacuore e piegò il collo per assestare l'indumento. Qualcuno bussò con discrezione alla porta, e Wencit lisciò il velluto incrostato d'oro sul proprio petto con un gesto impaziente e si infilò una daga ingioiellata nella fascia che portava in vita, sollevando poi lo sguardo con un accenno di irritazione negli occhi azzurri come il ghiaccio. — Avanti. Quasi immediatamente, un giovane alto e dinoccolato che doveva avere all'incirca ventiquattro anni oltrepassò la soglia e s'inchinò. Come tutti i servitori della casa reale, Garon indossava la livrea azzurra e viola della Casa di Furstan, con un nero cuore in un cerchio bianco posto sul petto, a sinistra. Garon portava però anche sulle spalle una catena di piatti anelli d'argento, che lo indicava come uno dei membri della servitù personale di Lord Wencit. Con un'espressione piena di anticipazione e di acuto interes-
se, Garon osservò il suo signore mentre questi cominciava ad arrotolare i documenti che si trovavano su uno scrittoio vicino alla finestra, procedendo poi a inserirli in alcune custodie di cuoio. — Il Conte di Marley è qui, sire — annunciò infine, con voce bassa ed educata. — Devo farlo entrare? Wencit gli rivolse un breve cenno affermativo, finendo di riporre i documenti, e Garon si ritirò senza aggiungere altro. Non appena la porta si fu richiusa, Wencit serrò le mani dietro la schiena e prese a passeggiare avanti e indietro con nervosismo sullo spesso tappeto che copriva il pavimento. Wencit di Torenth era un uomo alto e magro, tanto da sembrare quasi angoloso, prossimo alla cinquantina, con i capelli di un vivido rosso ruggine striato di grigio e con occhi tanto chiari da apparire quasi incolori. Ampie e cespugliose basette e lunghi baffi dello stesso rosso acceso dei capelli enfatizzavano gli zigomi alti e la struttura triangolare della faccia, e quando si muoveva sfoggiava una grazia disinvolta insolita per un uomo delle sue dimensioni e della sua statura. Nel complesso, il suo aspetto aveva indotto i nemici, che erano molti, a paragonarlo ad una volpe... almeno quando non ricorrevano ad altri paragoni meno cortesi. Wencit era infatti un mago deryni purosangue di antica stirpe, ed era diretto discendente di una famiglia che aveva conservato il potere nell'est durante tutto il periodo della Restaurazione e delle persecuzioni contro i Deryni che ad essa erano seguite. Sotto molti aspetti, Wencit era una volpe, e non c'erano dubbi sul fatto che, quando voleva, sapesse essere altrettanto astuto, crudele e pericoloso quanto qualsiasi volpe. Wencit era però consapevole dell'effetto che aveva sugli umani, e quando la cosa gli tornava comoda sapeva come minimizzare gli aspetti negativi della sua ascendenza; per questo motivo, quel giorno aveva scelto il proprio abbigliamento con particolare cura: l'elegante giustacuore e i calzoni, rispettivamente di velluto e di seta, erano della stessa tonalità rossiccia dei capelli, e l'effetto monocromatico era accentuato, piuttosto che rovinato, dai ricchi ricami dorati del giustacuore, dal bagliore dei topazi che gli ornavano il collo, gli orecchi e le mani; un mantello di seta color ambra incrostata d'oro gli frusciava sulle spalle ad ogni movimento, e una coroncina in cui erano incastonate pietre di un giallo dorato era posata sullo scrittoio dove lui aveva lavorato fino a poco prima, muto simbolo del rango e dell'importanza dell'uomo che aveva il diritto di indossarla. Wencit non accennò però a porsi in capo la coroncina per completare la propria immagine regale: Bran Coris non era infatti un suo suddito e l'im-
minente incontro non aveva nulla di ufficiale... per lo meno, non nel senso comune del termine. D'altro canto, in Wencit di Torenth c'era ben poco che potesse essere definito comune. Bussarono alla porta con discrezione, poi Garon oltrepassò di poco la soglia e s'inchinò. Alle sue spalle c'era un uomo giovane, di statura e di corporatura media, vestito con un'umida sopravveste di cuoio, una cotta di maglia e un mantello azzurro addirittura inzuppato. L'uomo era accigliato. — Sire — mormorò Garon, — sua signoria il Conte di Marley. — Entra — invitò Wencit, indicando il resto della stanza con un gesto. — Ti chiedo scusa per l'umida cavalcata lungo il passo, ma temo che neppure i Deryni possano controllare le bizzarrie del clima. Garon, per favore, prendi il mantello del conte e portagliene uno asciutto, dal mio guardaroba. — Molto bene, sire. Mentre il nuovo venuto entrava nella stanza con aria guardinga, Garon gli tolse dalle spalle il manto bagnato e scomparve oltre una porta laterale, riemergendone pochi secondi più tardi per porre addosso a Bran un mantello di velluto verde chiaro, orlato di pelliccia; assicurato l'indumento alla gola del conte, Garon gli prese l'elmo e lasciò la stanza con un inchino. Bran si strinse addosso il manto, grato per quel favore che alleviava il gelo che lo pervadeva, ma non distolse lo sguardo dal suo ospite; Wencit gli indirizzò il suo più disarmante sorriso e indicò con disinvoltura una sedia adiacente al massiccio scrittoio. — Siedi, per favore: non siamo obbligati ad attenerci all'etichetta. Per un momento, Bran adocchiò con sospetto Wencit e la sedia, poi tornò ad accigliarsi quando Wencit si accostò al focolare e prese ad armeggiare con qualcosa che Bran non poteva vedere. — Devi perdonarmi se non sembro apprezzare molto la tua cortesia, milord, ma non riesco a capire cosa possiamo avere da dirci. Sarai certo al corrente del fatto che io sono il più giovane dei tre comandanti schierati lungo i Monti Rheljan per combatterti. Di conseguenza, qualsiasi accordo a cui tu ed io potessimo addivenire non sarebbe vincolante per i miei colleghi o per Gwynedd. — Non ho mai pensato il contrario — ammise tranquillamente Wencit, nell'accostarsi allo scrittoio, su cui era posato un piccolo recipiente colmo di liquido fumante; riempì del liquido due coppe dall'aspetto delicato e sedette infine sulla più vicina delle due sedie, indicando a Bran di occupare l'altra. — Vuoi bere con me una coppa di darja? È un liquore distillato dalle foglie e dai fiori di un grazioso cespuglio che cresce qui sui vostri Monti
Rheljan e credo che ti piacerà, soprattutto se si considera come devi sentirti umido e infreddolito. Bran raggiunse il tavolo e sollevò una coppa per osservarla, poi un asciutto sorriso gli attraversò rapido le labbra quando si girò di nuovo verso Wencit. — Ti comporti da perfetto ospite, milord, ma non credo che accetterò. Gli ostaggi che mi hai mandato mi hanno fatto l'onore di bere con me — aggiunse, lanciando un'occhiata alla coppa fumante, — ma d'altronde io ho detto loro cosa conteneva la coppa da cui hanno bevuto. — Davvero? — Le rosse sopracciglia s'inarcarono e nella voce, pur sempre cortese ed educata, affiorò una nota metallica. — Questo m'induce a supporre che ciò che hanno bevuto non fosse semplice vino o tè, e tuttavia non è possibile che tu sia stato tanto stolto da far loro del male per poi venire a vantartene con me. In ogni caso, hai risvegliato la mia curiosità, se questa era la tua intenzione. Cosa hai dato loro? Bran si sedette, ma non si portò la coppa alle labbra. — Converrai con me che non avevo modo di sapere se i tuoi emissari erano Deryni e se avevano ricevuto l'ordine di seminare il caos nel mio campo mentre io ero intento a scambiare piacevolezze con te. Di conseguenza, ho ordinato al mio medico di preparare per loro un semplice sonnifero, e dal momento che quei gentiluomini mi hanno assicurato di non essere Deryni e di non avere intenti malevoli nei miei confronti, non dubito al mio ritorno di trovarli sani e salvi, anche se un po' assonnati. Si tratta di una precauzione che anche tu avresti potuto prendere, se fossi stato al mio posto. Wencit posò la coppa e si appoggiò allo schienale della sedia, lisciandosi i baffi per nascondere un sogghigno; quando risollevò il boccale, una traccia di sorriso gli aleggiava ancora sulle labbra. — Una buona mossa. Ammiro la prudenza in coloro con cui desidero trattare, ma lascia che ti assicuri che la tua coppa non contiene simili additivi. Puoi bere senza timori, hai la mia parola. — La tua parola, milord? — Bran fece scorrere un polpastrello guantato lungo il bordo del boccale ed abbassò lo sguardo su di esso, prima di spingerlo delicatamente lontano da sé di qualche centimetro. — Perdonami se ti sembro scortese, ma non mi hai ancora fornito una giustificazione soddisfacente per questo colloquio. Non posso evitare di chiedermi cosa possano avere in comune il Re di Torenth e un nobile che a Gwynedd ha una posizione alquanto secondaria.
Wencit scrollò le spalle con innocenza e osservò il suo ospite. — Ti propongo di discuterne, amico mio. Se quanto ho da dire non ti interesserà avremo perduto soltanto un po' di tempo. D'altro canto... ecco, io ritengo che abbiamo in comune più di quanto tu creda, e sono certo che scopriremo una quantità di aree che interessano entrambi, se soltanto indagheremo con un po' di attenzione. — Davvero? — ribatté Bran, cauto. — Puoi essere un po' più preciso? Mi vengono in mente parecchie cose che tu potresti fare per me, o per qualsiasi altro uomo che decidessi di favorire, ma che io sia dannato se riesco a pensare ad una sola cosa che io abbia e che tu possa volere. — Devo volere qualcosa? — Wencit congiunse le dita e scrutò Bran con astuti occhi da volpe. Il conte si appoggiò allo schienale della sedia e incontrò con fermezza lo sguardo di Wencit, in silenzio, il mento appoggiato alla mano guantata; dopo un momento, Wencit sorrise. — Molto bene: sai aspettare, una dote che ammiro in un uomo, e soprattutto in un umano — commentò. Scrutò Bran per parecchi altri secondi, poi aggiunse: — Dunque, Lord Bran, in un certo senso hai ragione: voglio qualcosa da te, ma non userò la coercizione per costringerti ad agire contro la tua volontà, perché non vi ricorro mai con coloro che spero mi diventino amici. D'altro canto, puoi aspettarti di essere abbondantemente ricompensato per qualsiasi tua eventuale collaborazione. Dimmi, che ne pensi della mia nuova città? — Poco m'importa del tuo uso del pronome possessivo — ribatté, asciutto, Bran. — La città appartiene a Kelson, nonostante la tua attuale occupazione. Vieni al punto. — No, non smentire la mia impressione iniziale — lo rimproverò il mago. — Ho i miei motivi per procedere con lentezza, e non rileverò la tua frecciata relativa alla mia città. Ora come ora, la politica locale non m'interessa, perché sto pensando in termini molto più ampi. — È quanto mi hanno riferito. Tuttavia, se stai meditando di espanderti ulteriormente ad ovest, ti suggerisco di ripensarci. Ammetto che il mio piccolo esercito non ti potrebbe tenere testa a lungo, ma anche tu subiresti considerevoli perdite. Gli uomini di Marley vendono a caro prezzo la loro vita, milord! — Tieni a freno la lingua, Marley! — scattò Wencit. — Se volessi, potrei schiacciare te e i tuoi soldati come insetti, e tu lo sai! — Allungò un dito, sfiorando le punte della coroncina, e scrutò Bran come avrebbe fatto
un gatto. — Tuttavia, non era mia intenzione combattere contro il tuo esercito... per lo meno, non nel senso a cui tu stai alludendo: per il momento, pensavo di spostarmi un po' più a sud di dove tu ti trovi, verso Corwyn, Carthmoor e il resto di Gwynedd. Ho pensato che tu potessi essere interessato a... oh, alle regioni settentrionali... Claibourne e il Kheldish Riding, tanto per cominciare. Ci sono modi in cui ti potrei aiutare a ottenerle. — Muovere contro i miei alleati, signore? — Bran scosse il capo. — Lo ritengo improbabile. E poi, perché dovresti desiderare di consegnare ad un nemico due fra le più ricche province degli Undici Regni? Mi sento indotto a chiedermi quali particolari del tuo piccolo piano mi siano stati nascosti. — Ma io non ti considero un nemico, Bran — ribatté Wencit, con un sorriso di approvazione. — Per ora, limitiamoci a dire che sto tenendo d'occhio i tuoi progressi già da qualche tempo, e che ritengo che potrebbe essere alquanto rassicurante avere le province settentrionali sotto il controllo di un uomo del tuo calibro. È ovvio che per te ci sarebbe il titolo di duca, oltre ad altri... vantaggi. — Per esempio? — chiese Bran. Il suo tono era ancora sospettoso, ma il suo progressivo interesse era evidente, come lo era la scintilla di avidità calcolatrice che si era accesa nei suoi occhi dorati. Wencit si concesse una risatina sommessa. — Quindi sei interessato. Cominciavo a credere che fossi incorruttibile. — Stai parlando di tradimento, milord. Anche ammesso che acconsentissi, cosa t'induce a credere che potresti fidarti di me? — Non sei privo di un tuo personale senso dell'onore — mormorò Wencit. — E quanto al tradimento, è un termine così sfruttato! So per certo che in passato ti sei opposto ad Alaric Morgan... e anche a Kelson, già che ci siamo. — Morgan ed io abbiamo avuto delle divergenze — ammise Bran, in tono piano, — ma sono stato sempre fedele a Kelson: come hai detto tu stesso, non sono privo di un mio senso dell'onore. E poi, non mi considererei di certo della stessa pasta del nostro buon duca deryni... o anche di Kelson, già che ci siamo. — Kelson è soltanto un ragazzo! Dotato del potere, sì, ma pur sempre soltanto un ragazzo. E Morgan è un mezzosangue deryni, un traditore della sua razza. — Ah, traditore è un termine così sfruttato! — citò Bran, senza il minimo accenno di emozione. Wencit indirizzò al giovane nobile un'occhiata rovente, poi si alzò di
scatto e permise ai propri lineamenti di rilassarsi. Bran accennò ad alzarsi a sua volta, ma Wencit lo trattenne con un cenno e si accostò a grandi passi ad un piccolo cofanetto intagliato posto su uno scaffale, dalla parte opposta della stanza: sollevato il coperchio, prelevò un oggetto luminoso e scintillante, che tenne nascosto nella mano sinistra, poi richiuse il cofanetto e tornò alla sua sedia, seguito dallo sguardo perplesso e curioso di Bran. — Bene — commentò Wencit, asciutto, puntellando i gomiti sui braccioli della sedia e appoggiandosi all'indietro, con le mani serrate dinanzi a sé. — Ora che abbiamo stabilito che hai uno spirito arguto e pronto, dimmi cosa pensi dei Deryni. — In generale o in particolare? — Innanzitutto, in generale — rispose Wencit, passando l'oggetto da una mano all'altra senza però permettere a Bran di vedere cosa fosse. — Per esempio, nel 917, durante il Concino di Ramos, la vostra Chiesa Militante ha decretato che usare la magia deryni è un anatema, un sacrilegio. Il Ducato di Corwyn è attualmente posto sotto Interdetto perché il suo duca, di nota ascendenza deryni, è stato scomunicato per aver usato la magia e rifiuta ora di sottoporsi al giudizio della Curia. Non posso dire di biasimarlo. «Tuttavia, se nutri scrupoli morali o religiosi riguardo all'uso degli incantesimi, sarebbe più saggio che tu vi accennassi adesso, prima che il tuo coinvolgimento diventi eccessivo. Come sai, sono un mago praticante, e mi aspetto che i miei alleati siano capaci di agire all'interno di un sistema che utilizza la magia, una cosa che la tua Curia non capirebbe. Questo ti turba? L'espressione di Bran era ancora guardinga, ma era chiaro che il suo interlocutore aveva toccato un tasto sensibile, come era anche chiaro che il conte faceva fatica a tenere a freno la propria curiosità in merito all'oggetto che si trovava nelle mani di Wencit. Bran si sorprese nuovamente a fissare quelle mani, e dovette fare uno sforzo per riportare la propria attenzione sulla faccia di Wencit. — Non temo la Curia di Gwynedd, milord — rispose, con cautela. — Quanto alla magia, la tua è una domanda puramente accademica: la magia è uno strumento di potere... del potere di altre persone... e niente altro. Non ho mai avuto esperienze dirette al riguardo. — E ti piacerebbe averne? — Cosa... cosa intendi, milord? — Bran impallidì. — Ti piacerebbe avere un'esperienza diretta in fatto di magia? — ripeté Wencit. — Ti sentiresti a disagio ad usarla tu stesso?
— Dal momento che sono umano e che non appartengo ad una famiglia toccata dal dono dei Deryni — rispose Bran, senza esitare ma deglutendo a fatica, — non ho mai avuto l'opportunità di scoprirlo. Se mi fosse data tale opportunità, tuttavia... no, non credo che la cosa mi turberebbe minimamente. E non credo nell'Inferno. — Neppure io — sorrise Wencit. — Supponiamo allora che io ti dicessi che tu sei in effetti un Deryni, almeno in parte, e che posso dimostrartelo. Bran sgranò gli occhi per lo stupore e rimase a bocca aperta. Era del tutto impreparato a una simile affermazione, e non si accorse neppure che in quel momento la sua posizione stava cambiando da avversario a vassallo. — Questo ti spaventa, vero, Bran? — prosegui Wencit, mantenendo un tono discorsivo. — Sei rimasto a bocca aperta. Bran si affrettò a richiudere la bocca con un sussulto, poi ritrovò in parte il controllo. — La reazione che hai scorto era di sorpresa, milord, e non di paura — mormorò, deglutendo ancora. — Non... non ti stai prendendo gioco di me, vero? — Perché non lo accertiamo? — ribatté Wencit, rallegrandosi con se stesso nel notare il cambiamento nel tono con cui Bran gli si era rivolto. — Milord? — Accertiamo se sei o meno in parte Deryni — specificò Wencit, con disinvoltura. — Se lo sei, questo mi renderà molto più facile trasmetterti il potere necessario per fare di te un efficace alleato. E se non lo sei... — Se non lo sono? — ripeté Bran, a bassa voce. — Credo che non sia ancora il momento di preoccuparci di una simile eventualità. Wencit si protese in avanti e aprì la mano: sul suo palmo c'era un grosso cristallo color ambra delle dimensioni di una noce, attaccato ad una catenella d'oro. Il cristallo era grezzo, lucido e non sfaccettato, e sembrava brillare di una luce interna. Wencit strinse con delicatezza la catena fra il pollice e l'indice e l'allontanò dal cristallo, lasciando però la pietra posata sul proprio palmo. Bran la fissò, ed ebbe la certezza che stesse brillando. — Questo è un cristallo di shiral, Bran — mormorò Wencit. — Nei circoli occulti è risaputo da lungo tempo che lo shiral è sensibile alle emanazioni di energia psichica associate alla discendenza deryni: puoi vedere che brilla leggermente ora che lo tengo in mano. Se una persona appartiene alla razza deryni, le basta un minimo di concentrazione per attivare il cristallo. — Wencit sollevò lo sguardo su Bran. — Togliti un guanto.
Bran esitò per un istante appena, poi si umettò le labbra e si sfilò il guanto destro. Quando Wencit protese il cristallo, tenendolo per l'estremità della catena d'oro, Bran porse la mano e sussultò nel sentire la pietra fredda che gli si posava sul palmo. Nel momento in cui Wencit lasciò andare la catena d'oro, la luce nel cristallo si spense, e Bran fissò Wencit con una tacita domanda nello sguardo. — Non devi preoccuparti di questo. Ora voglio che tu chiuda gli occhi e che ti concentri sul cristallo, immaginando che il calore presente nella tua mano passi in esso, riscaldandolo e facendolo brillare. Immagina la luce che viene assorbita ed emanata dal cristallo. Bran obbedì, e Wencit rivolse la propria attenzione al cristallo di shiral che giaceva inerte sul palmo del conte. Quando non accadde nulla per parecchi secondi, un cipiglio increspò la fronte di Wencit, ma finalmente un lieve brillio si accese nella pietra. Con una smorfia pensosa, Wencit si protese e toccò la mano di Bran: questi riaprì gli occhi con un sussulto, appena in tempo per vedere il cristallo che ancora brillava mentre Wencit lo recuperava. — Ha funzionato — mormorò Bran, stupefatto. — Infatti. Sembra però che tu non sia un vero Deryni, in fin dei conti. — Wencit notò l'espressione sgomenta apparsa sul volto di Bran e sorrise, certo di avere ormai in pugno il conte. — Non ti preoccupare: hai il potenziale necessario per acquisire pieni poteri, come lo avevano gli umani dei tempi antichi che hanno realizzato la Restaurazione. Forse è meglio così, sotto molti aspetti, perché saresti stato costretto a imparare ad usare i poteri deryni, mentre quelli acquisiti sono subito completi e pronti ad essere utilizzati. — Cosa significa? Wencit si alzò con noncuranza e si stiracchiò, con il cristallo di shiral che gli pendeva dalle dita, appeso alla catena. — Significa che il prossimo passo consisterà nell'usare su di te la Visione Mentale, al fine di valutare il tuo potenziale e di instaurare le condizioni perché io possa trasmetterti il potere. Non ti preoccupare dei dettagli: i re di Gwynedd fanno la stessa cosa, con successo, da generazioni, quindi non c'è pericolo. Non hai difficoltà a fermarti per la notte, vero? — Non avevo progettato di farlo, ma... — Ma lo farai, viste le circostanze — concluse Wencit, al suo posto, con un lieve sorriso, poi aggirò lo scrittoio e sedette su di esso, alla sinistra di Bran. — Rimanderò al campo il capitano che ti ha scortato, perché rassicu-
ri i tuoi uomini. È un peccato che tu abbia neutralizzato i miei emissari: il Duca Lionel, mio cognato, possiede pieni poteri deryni acquisiti, pari a quelli che tu riceverai fra breve, ed io avrei potuto trasmetterti le necessarie informazioni per suo tramite, se tu non gli avessi somministrato quel sonnifero. Così invece, Lionel sarà intontito, irritabile e assolutamente insopportabile per parecchi giorni, finché l'effetto si sarà esaurito del tutto. In ogni caso, questo è il prezzo che bisogna pagare per progredire, e lui lo sa. Appoggiati allo schienale e rilassati, per favore. — Cosa... cosa intendi fare? — mormorò Bran, con apprensione, perché era talmente sconcertato che aveva perso del tutto il filo del ragionamento del mago. — Te l'ho detto: usare la Visione Mentale. — Wencit torse la catena d'oro in modo da far ruotare dinanzi a sé il cristallo. — Ora voglio che tu ti rilassi. Non opporre resistenza, se non vuoi ritrovarti con un feroce mal di testa, quando avremo finito. La tua collaborazione renderà tutto più facile per entrambi. Bran si agitò sulla sedia, a disagio, dando l'impressione di voler protestare, e Wencit si accigliò, assumendo un'espressione severa e un tono di voce più freddo. — Ora ascoltami, Conte di Marley: se dobbiamo essere alleati, dovrai pure cominciare a fidarti di me, prima o poi. Il momento è questo, quindi non obbligarmi a forzarti. — Mi dispiace. — Bran trasse un profondo respiro. — Cosa devo fare? Il volto di Wencit perse in parte la sua durezza e lui riprese a far ruotare il cristallo, spingendo gentilmente con la mano libera il giovane nobile contro lo schienale della sedia. — Rilassati e fidati di me. Guarda il cristallo. Guardalo ruotare e ascolta la mia voce. Non c'è nulla da temere. Mentre guardi il cristallo che ruota e ruota, le palpebre ti si appesantiscono... sono tanto pesanti che non riesci a tenere gli occhi aperti. Lascia che si chiudano; un senso di sonnolenza e di calma cala su di te, accettalo, permettigli di penetrarti, di avvilupparti. Lascia che la tua mente si svuoti e immagina, se vuoi, una stanza buia come il velluto della notte, con una porta scura nel muro nero; immagina che quella porta si apra lentamente sulla fresca oscurità al di là di essa. Gli occhi di Bran erano chiusi, quindi Wencit abbassò il cristallo, pur continuando a parlare, sempre di meno e a intervalli che si allungavano via via che il soggetto si rilassava. Alla fine, protese una mano, toccò le palpebre del conte con il pollice e l'indice e pronunciò le parole magiche che si-
gillavano la trance; rimase quindi in silenzio per un lungo momento, con gli occhi freddi e lucenti permeati da un'espressione velata e distaccata, prima di riabbassare la mano e di chiamare l'uomo per nome. — Bran? Il conte sollevò le palpebre e si guardò intorno, ricordando con un sussulto ciò che era presumibilmente accaduto. Quando vide che Wencit non si era mosso e che la sua benevola espressione non aveva subìto mutamenti, si costrinse a rilassarsi ed a valutare la situazione. Questa volta, quando guardò Wencit, lo fece senza apprensione, e avvertì invece che fra loro si era formato uno strano rapporto: per quanto l'uomo che aveva di fronte sapesse ora tutto ciò che c'era da sapere su Bran Coris, Conte di Marley, questo non aveva importanza. Non era una sensazione di sottomissione, che sarebbe riuscita intollerabile a Bran e che Wencit non avrebbe voluto in qualcuno che doveva essere suo alleato; era piuttosto un senso di comprensione, un'impressione soddisfacente e lungi dall'essere repellente come lui aveva temuto. Anche se la mente gli vorticava ancora sotto l'influenza del recente contatto, aveva l'impressione che nuove cognizioni gli fossero state impartite e si trovassero ora in lui, se soltanto fosse riuscito a ricordarle: era un sottile senso di potere, ancora troppo vago per poter essere valutato, ma decise che ciò che provava gli piaceva. Tornò di scatto alla realtà quando Wencit si alzò. — La tua reazione è stata eccellente — commentò il mago, sporgendosi alle spalle di Bran per tirare un pesante cordone di broccato. — Lavoreremo bene insieme, tu ed io. Quando ti manderò a chiamare, domattina, procederemo ad approfondire maggiormente le cose. — Perché non adesso? — domandò Bran, alzandosi in piedi e barcollando, con sua sorpresa. Wencit allungò una mano per sostenerlo. — Per questo, mio giovane e impaziente amico. La magia è assai stancante per un non iniziato, e per oggi ne hai avuto una dose sufficiente. Fra circa dieci minuti, o poco più, scoprirai di non riuscire a rimanere in piedi per un altro istante, e non vorrei che Garon dovesse trasportarti di peso nel tuo alloggio. — Ma io... — cominciò Bran, passandosi una mano sulla fronte con aria stordita. — Non aggiungere altro — lo interruppe Wencit, con fermezza, indietreggiando di un passo. La porta si aprì e Garon entrò nella stanza, ma Wencit non guardò nella sua direzione, preferendo invece osservare ogni
mossa di Bran, mentre il giovane conte cercava di orientarsi. — Accompagna Lord Bran nel suo alloggio e mettilo a letto, Garon — ordinò Wencit, in tono sommesso. — È molto stanco per il suo lungo viaggio. Controlla che anche i suoi uomini siano ben alloggiati e che al suo capitano sia permesso di tornare al campo per rassicurare l'esercito. — Certamente, sire. Da questa parte, milord, prego. Garon condusse lo sconcertato Bran Coris alla porta, e Wencit seguì i due con uno sguardo pensoso; quando il battente si fu richiuso alle loro spalle, si accostò ad esso con passo tranquillo e tirò il chiavistello. Ritornando verso lo scrittoio di quercia, formulò una domanda nella stanza vuota. — Allora, Rhydon, che te ne pare? Mentre Wencit si sedeva, uno stretto pannello si aprì per un momento nella parete opposta per far passare un uomo alto e bruno vestito in azzurro. L'uomo si avvicinò con noncuranza alla sedia lasciata libera da Bran e si appoggiò con entrambe le mani all'alto schienale intagliato; alle sue spalle, il pannello si richiuse senza il minimo rumore. — Allora, che te ne pare? — ripeté Wencit, rimanendo comodamente seduto, nell'osservare l'amico. — Come al solito, ti sei comportato in maniera impeccabile — replicò Rhydon, scrollando le spalle. — Che altro posso dire? — Il tono era tranquillo, ma gli occhi grigi che brillavano nel viso da falco, riflettevano molto più di quanto lui aveva espresso a parole; Wencit se ne accorse e annuì, poi posò il cristallo di shiral sul tavolo, accanto alla coroncina d'oro, e raddrizzò con cura la catenella prima di risollevare lo sguardo su Rhydon. — Bran ti preoccupa. Perché? Certo non penserai che possa costituire un pericolo per noi, vero? — Definiscilo un cinismo innato, se vuoi. — Rhydon scrollò ancora le spalle. — Non lo so. Sembra una pedina abbastanza sicura, ma gli umani possono essere imprevedibili. Guarda Kelson. — Lui è Deryni soltanto per metà. — Anche Morgan. Anche McLain. Scusami se mi dimostro scettico, ma forse non ti sei accorto dell'attenzione che il Consiglio Camberiano sta dedicando alla cosa: Morgan e McLain, in qualità di presunti mezzosangue deryni, costituiscono attualmente il fattore più imprevedibile degli Undici Regni. Continuano a compiere cose che non dovrebbero essere capaci di fare, e so che di questo ti sei accorto benissimo. — Rhydon aggirò la sedia e vi si sedette, prendendo quindi la coppa di darja che Bran aveva lasciato
intatta e svuotandola in un solo sorso. Wencit sbuffò con fare ironico. Rhydon di Eastmarch non era più un uomo avvenente: una cicatrice lasciata da un colpo di sciabola, che gli andava dall'attaccatura del naso all'angolo della bocca lo aveva deturpato per sempre. Nonostante questo il suo aspetto era pur sempre notevole; i capelli neri che cominciavano ad ingrigire alle tempie e i folti baffi brizzolati incorniciavano un volto magro e ovale, mentre una piccola barba attenuava la forma aguzza del mento. La bocca era piena e ampia, ma di solito serrata in una linea decisa, con una sfumatura di crudeltà. Nel complesso, Rhydon aveva un'aria quasi sinistra, qualità che la mente penetrante nascosta dietro quella faccia crudele apprezzava e coltivava. Rhydon di Eastmarch era un signore deryni di prima grandezza, un uomo pari a Wencit sotto ogni aspetto ed a lui complementare, un uomo da non sottovalutare. Lui e Wencit si fissarono a vicenda per un lungo momento, poi Wencit rientrò bruscamente in azione. — Molto bene — disse, raddrizzandosi di scatto e tirando a sé parecchi tubi di cuoio contenenti documenti. — Vuoi presenziare all'iniziazione di Bran, domani, oppure ti sei convinto che non rappresenta un pericolo? — Non sono del tutto convinto che esista qualche umano che non costituisca un pericolo — ribatté Rhydon, — ma non ha importanza. Lascerò che sia tu a giudicare al riguardo. — Si passò un dito sottile lungo il naso in un gesto automatico, seguendo inconsciamente la linea della lunga cicatrice che si perdeva nei folti baffi. — Quelli sono i nostri piani di battaglia? Wencit estrasse una mappa da uno dei tubi e l'allargò sul tavolo. — Sì, e la situazione migliora di ora in ora. La defezione di Bran dividerà in due le forze di Kelson presenti lungo la frontiera, e potremo così isolare la parte settentrionale di Gwynedd. A sud, Jared di Cassan e le sue truppe dovrebbero costituire un ostacolo facile da sormontare allorché ci sposteremo in quella direzione, fra pochi giorni. — E cosa mi dici di Kelson? — chiese Rhydon. — Quando scoprirà quello che stai progettando, ci manderà alle calcagna l'intero esercito reale. — Kelson non lo saprà — garantì Wencit, scuotendo il capo. — Faccio affidamento sulle condizioni che in questo periodo dell'anno rendono difficili le comunicazioni e impossibili i viaggi perché lui rimanga all'oscuro dei nostri piani finché sarà troppo tardi per intervenire. E poi, i disordini civili e religiosi di Corwyn dovrebbero tenerlo abbondantemente occupato fino al momento in cui saremo pronti ad affrontarlo.
— Prevedi problemi, quando quel momento arriverà? — Da parte di Kelson? — Wencit scosse ancora il capo e sorrise. — Non lo credo proprio. Nonostante ciò che gli statuti asseriscono in merito alla maggiore età dei sovrani, Kelson è ancora soltanto un ragazzo di quattordici anni, per quanto per metà deryni. E devi ammettere anche tu che negli ultimi tempi il fatto di essere per metà deryni non è stato di molto aiuto al nostro ambizioso giovane principe... anzi, i suoi leali sudditi stanno cominciando a chiedersi se sia un bene avere un re-ragazzo nelle cui vene scorre il sangue della blasfema e malvagia razza deryni. — È ovvio che le voci da te messe in circolazione non hanno nulla a che vedere con questo mutamento d'animo della popolazione. — Come puoi pensare una cosa simile? Rhydon ridacchiò senza allegria ed accavallò le gambe. — Dimmi allora quali sono i tuoi progetti riguardo a questo ragazzo meraviglia, mio re. Come posso esserti d'aiuto? — Liberami di Morgan e di McLain — replicò Wencit, ora completamente serio. — Finché rimarranno al fianco di Kelson, scomunicati o meno che siano, essi costituiranno una minaccia per noi, sia per l'aiuto che possono dargli sia per i poteri che posseggono. Dal momento che non possiamo prevedere la portata della loro forza o della loro influenza, non ci rimane altra scelta che eliminarli. Voglio però che la cosa abbia una veste legale, perché non intendo avere guai con il Consiglio. — Veste legale? — Rhydon inarcò un sopracciglio, con fare scettico. — Non sono certo che sia possibile. In quanto mezzosangue, Morgan e McLain non possono essere sfidati ad un confronto arcano dai Deryni puri, e le probabilità di ottenere che siano giustiziati dalle autorità laiche o ecclesiastiche sono talmente remote da essere quasi inesistenti. Sai che godono della protezione personale di Kelson. Wencit raccolse un sottile stilo e tamburellò distrattamente con esso contro i propri denti, guardando fuori della finestra con aria pensosa. — Può però esserci un altro sistema, uno su cui il Consiglio non troverà da ridire. Anzi, il Consiglio stesso potrebbe diventare lo strumento della loro distruzione. — Continua — lo incitò Rhydon, raddrizzandosi e assumendo un'espressione attenta. — Supponi che il Consiglio dichiari che Morgan e McLain possono essere sfidati ad un duello arcano, e che li privi della loro attuale immunità. — Su quale base?
— Sulla base del fatto che a volte entrambi mostrano di possedere pieni poteri deryni — dichiarò Wencit, con un sorriso astuto. — Il che è vero, come tu sai. — Capisco — mormorò Rhydon. — E tu vuoi che mi presenti al Consiglio e chieda ai suoi membri di prendere in considerazione questa mozione? È fuori discussione. — Oh, non pensavo a te personalmente: conosco la tua avversione nei confronti del Consiglio. Chiedi a Thorne Hagen di provvedere: mi deve parecchi favori. Rhydon emise un verso sprezzante. — No, parlo sul serio — insistette Wencit. — Se preferisci, avvertilo che non è una semplice richiesta, ma un ordine diretto da parte mia. Credo che collaborerà. Rhydon ridacchiò, poi si alzò e si assestò le maniche. — Se la metti in questi termini, gli rimane ben poca scelta. Molto bene, glielo chiederò. — Rhydon si guardò intorno e si sfregò le mani in un gesto pieno di anticipazione. — C'è altro di cui hai bisogno, prima che vada? Forse un piccolo miracolo o due? L'esaudimento del tuo più caro desiderio? Nel pronunciare quelle ultime parole, Rhydon protese le mani dinanzi a sé e le mosse con lentezza nell'aria, mormorando poche sillabe sottovoce. Nell'attimo in cui completò il movimento, un mantello lungo e munito di cappuccio, di morbidissima pelle di daino, apparve dal nulla e gli si posò sulle spalle con un fruscio di cuoio. Wencit aveva assunto una posa incredula, con le mani sui fianchi, mentre il collega eseguiva l'incantesimo, ed ora scosse il capo con aria costernata, mentre Rhydon si affibbiava il mantello alla gola. — Se hai finito di giocare con i tuoi poteri, questo mi è più che sufficiente, grazie. E adesso ti sarò grato se te ne andrai e mi lascerai lavorare. Qualcuno deve pur farlo, lo sai. — Ah, sono irreparabilmente offeso — commentò Rhydon, asciutto. — Tuttavia, dal momento che me lo hai chiesto, andrò a trovare il tuo buon amico Thorne Hagen, e poi tornerò per studiare meglio questo Bran Coris che sembra averti così affascinato. Forse in lui c'è qualcosa di buono, dopo tutto, anche se io ne dubito. Magari cercherò di valutare il pericolo che rappresenta... quel pericolo che, a tuo parere, non esiste — Ma certo, fallo pure. Rhydon se ne andò in un vorticare di cuoio color indaco, e Wencit tornò
a concentrarsi sulle sue mappe, analizzando le linee rosse, azzurre e verdi che illustravano la sua strategia; il senso del potere accese un bagliore nei suoi occhi azzurro ghiaccio mentre lui muoveva le dita sulla pergamena color crema, e una nuova tensione gli irrigidì le spalle. — Un solo governante deve unire gli Undici Regni — mormorò fra sé, nel tracciare le linee lungo cui far avanzare le truppe. — Un solo governante per tutti gli Undici Regni, e non si tratterà di quel re-ragazzo che siede sul trono di Rhemuth! CAPITOLO QUINTO Mirate il grande sacerdote che, a suo tempo, ha compiaciuto Dio. Ecclesiaste 44:16, 20 Quello stesso giorno, di primo mattino, altre due persone stavano discutendo della sorte dei due rinnegati Deryni. Si trattava di due prelati, membri autoesiliati di quella stessa Curia di Gwynedd che Wencit aveva menzionato con tanta derisione alcune ore prima, gli stessi prelati che erano stati ampiamente responsabili dello scisma che ora divideva il clero di Gwynedd. Thomas Cardiel, nella cui cappella privata i due erano intenti a discutere, non aveva mai pensato di essere un probabile candidato per una ribellione. Titolare della prestigiosa Sede di Dhassa per quasi cinque anni ed appena quarantunenne, non si era mai aspettato di essere a capo degli eventi che si erano verificati due mesi prima. All'epoca in cui era stato consacrato vescovo, Cardiel era un maturo, anche se giovane sacerdote di indole salda e del tutto fedele alla Chiesa che serviva, più che adatto al ruolo neutrale svolto per tradizione dal Vescovo di Dhassa. E neppure il suo collega, Denis Arilan, aveva mai immaginato a cosa avrebbe portato la convocazione di due mesi prima. All'età di trentotto anni, il più giovane vescovo di Gwynedd aveva cominciato a conquistarsi una posizione di tutto rilievo fin da quando era entrato in seminario; adesso, tuttavia, a meno che gli eventi non avessero subito presto un drastico cambiamento per il meglio, era improbabile che tanto lui quanto Cardiel avanzassero ulteriormente nella carriera ecclesiastica, e sarebbero stati addirittura fortunati se fossero riusciti a sopravvivere alle settimane successive. Secondo la Curia di Gwynedd, i peccati commessi da Cardiel e da Ari-
lan erano gravi: insieme a quattro colleghi, infatti, essi avevano sfidato apertamente la Curia in pieno Sinodo, dichiarando la loro intenzione di provocare una scissione se il progetto di infliggere l'Interdetto a Corwyn non fosse stato abbandonato. Il progetto non era stato però accantonato. Avendo già deciso di imporre con la forza l'Interdetto, l'Arcivescovo Loris aveva sfidato quello che considerava un bluff da parte dei Sei, ed ora a Gwynedd c'erano due Curie: i Sei di Dhassa, che avevano espulso Loris e i suoi seguaci dalla città, e gli Undici di Coroth, la capitale di Morgan da essi occupata, che si erano schierati con il ribelle Warin e sostenevano di conservare in loro pugno la vera autorità della Chiesa. Una riconciliazione non sarebbe stata facile, ammesso che fosse stato possibile giungervi. Cardiel stava passeggiando avanti e indietro, con aria agitata, davanti alla balaustra dell'altare della piccola cappella, intento a leggere e a rileggere un'accartocciata pergamena. Scorrendo ancora una volta il testo, il vescovo scosse il capo con aria sconcertata ed emise un sospiro perplesso nel riportare lo sguardo sulla sommità della pagina; il suo compagno, Arilan, sedeva su uno dei primi banchi, in apparenza rilassato, e soltanto l'incessante tamburellare delle dita sullo schienale tradiva la sua tensione interiore. Cardiel scosse ancora il capo e si sfregò il mento con la mano, con un ennesimo sospiro; colpita dalla luce di una candela, un'ametista brillò sulla sua mano destra. — Non ha senso, Denis — dichiarò Cardiel. — Com'è possibile che la gente di Corwyn si sia rivoltata proprio contro il Principe Nigel? La contaminazione deryni che ha toccato Kelson si è dunque estesa anche a suo zio? Nigel non è un Deryni. Arilan cessò di tamburellare per il tempo appena sufficiente ad abbozzare un gesto d'impotenza, poi si accorse di quello che stava facendo e si costrinse a smettere. Anche lui era rimasto sconvolto dalla notizia della rotta della Valle di Jennan, risalente a due giorni prima, ma la sua mente acuta stava già vagliando tutti gli aspetti noti della situazione, nel tentativo di mettere insieme un piano d'azione. Si passò con irrequietezza le dita fra i capelli scuri, togliendosi la calotta di seta viola e giocherellando per un attimo con essa prima di lasciarla cadere sulla panca, accanto a sé. Un lampo viola gli brillò sulla mano e sulla pesante croce d'argento che portava sul pettorale, mentre lui incrociava le braccia sul petto. — Forse abbiamo sbagliato a trattenere il nostro esercito qui a Dhassa — disse infine. — Forse saremmo dovuti andare in aiuto di Kelson alcuni
mesi fa, quando questa storia ha avuto inizio. O forse sarebbe nostro dovere andare a Coroth per placare i sentimenti offesi degli arcivescovi. Finché non ci sarà una riconciliazione con loro, non ci potrà essere una vera pace in Corwyn. — Arilan lanciò un'occhiata alla croce che portava al collo, prima di proseguire, con voce sommessa: — Abbiamo addestrato bene il nostro popolo, noi vescovi-pastori di Gwynedd. Quando scoppia il tuono dell'anatema, le pecore obbediscono... anche se l'anatema è errato e le pecore sono mal guidate, e coloro contro cui l'anatema è stato scagliato sono innocenti delle accuse loro rivolte. — Allora pensi che Morgan e McLain siano innocenti? Arilan scosse il capo, studiando la punta di una pantofola di velluto che sporgeva da sotto il suo saio. — No. Da un punto di vista tecnico sono colpevoli, su questo non ci sono dubbi. San Torin è stato incendiato, alcuni uomini sono stati uccisi. E Morgan e Duncan sono Deryni. — E se ci fossero circostanze attenuanti e quei due potessero fornire una spiegazione... — mormorò Cardiel. — Forse. Se, come tu suggerisci, Morgan e Duncan hanno agito per autodifesa, al fine di districarsi da una situazione causata da un tradimento inteso a prenderli in trappola, allora potrebbero essere assolti per quanto concerne la faccenda di San Torin. Perfino l'omicidio può essere perdonato, se commesso per legittima difesa. — Arilan sospirò. — Ma sono pur sempre due Deryni. — Sì, questo è vero. Cardiel aveva smesso di passeggiare, ed ora se ne stava appoggiato alla balaustra di marmo dell'altare, davanti ad Arilan, con un'espressione malinconica sulla faccia. La luce emanata dalla lampada perpetua, che brillava appesa al soffitto, a pochi passi dalla sua testa, proiettava un bagliore rossiccio sui suoi capelli grigio-ferro e sulla porpora della calotta. Cardiel indirizzò un'occhiata distratta alla pergamena che aveva ancora in mano, prima di piegarla e di infilarsela nella cintura, poi appoggiò entrambe le mani alla ringhiera che aveva alle spalle e scrutò il soffitto a volta, riportando infine lo sguardo su Arilan. — Pensi che verranno da noi, Denis? — chiese. — Pensi che Morgan e Duncan oseranno fidarsi di noi? — Non lo so. — Se soltanto potessimo parlare con loro e scoprire cosa è effettivamente successo a San Torin, allora potremmo fungere da intermediari con gli
arcivescovi e porre forse fine a questa ridicola controversia. Non avevo nessun desiderio di scindere in due la Curia alla vigilia di una guerra, Denis, ma non potevo neppure sostenere l'Interdetto che Loris voleva infliggere a Corwyn. — Cardiel fece una pausa e aggiunse, in tono più basso: — Continuo a frugare nel mio cuore alla ricerca di una diversa linea d'azione che avrei potuto adottare, per evitare di arrivare al bivio a cui ora ci troviamo, ma la risposta a cui giungo è sempre la stessa. La logica mi dice che ho fatto la sola cosa che mi era possibile, se volevo rimanere in pace con me stesso, ma c'è un'altra piccola parte del mio io che insiste nel sostenere che ci doveva essere un'altra soluzione. Sciocco, vero? — Non è sciocco — replicò Arilan, scuotendo il capo. — Loris ha lanciato un potente appello emotivo, gridando all'eresia, al sacrilegio e all'assassinio, ed ha dato l'impressione che l'Interdetto fosse la sola punizione ammissibile per un ducato il cui duca aveva offeso Dio e gli uomini. «Ma tu non ti sei lasciato sgomentare. Hai privato il suo discorso di ogni istrionismo, delle aggressioni verbali studiate per scatenare l'isterismo, e ti sei attenuto con saldezza ai criteri in base ai quali hai sempre vissuto. Ci è voluto parecchio coraggio, Thomas. — Arilan sorrise con gentilezza e inarcò un sopracciglio. — E ci è voluto del coraggio per seguire il tuo esempio, ma fra noi non c'è nessuno che rimpianga la sua scelta o che non rimarrà con te, qualsiasi decisione tu prenda. Noi tutti condividiamo la responsabilità di questo scisma. — Grazie. — Cardiel esibì un debole sorriso e abbassò lo sguardo. — Apprezzo queste parole, considerato che vengono da te. Il problema è che non ho la minima idea su quale possa essere la prossima mossa. Siamo così soli. — Soli? Con tutta la città di Dhassa alle nostre spalle, oltre alla tua milizia personale? La gente non si è lasciata travolgere dalle farneticanti parole di Loris, Thomas. Naturalmente, tutti sanno che Morgan e Duncan sono responsabili della distruzione di San Torin e alcuni impiegheranno qualche tempo a perdonarli, per quanto benintenzionati Morgan e Duncan possano essere stati, ma la lealtà del popolo nei confronti di Kelson rimane comunque incrollabile. Guarda le dimensioni del nostro esercito. — Sì, guardiamole — ribatté Cardiel. — Un esercito che a Kelson non serve a nulla, accampato dov'è ora, alle porte di Dhassa. Denis, non credo che possiamo osare di attendere ancora che Morgan e McLain si facciano vivi. Sto pensando seriamente di mandare a Kelson un altro dispaccio per dirgli che lo raggiungeremo dove e quando lui vorrà. Quanto più aspet-
tiamo a muoverci, tanto più aumenteranno la potenza dei ribelli di Warin e l'ostinazione degli Arcivescovi. — Io ritengo che dovresti attendere ancora un poco, Thomas — obiettò Arilan, scuotendo il capo. — Qualche altro giorno in più o in meno non avrà importanza cruciale, per quanto riguarda Warin e gli arcivescovi, ma se potessimo chiarire le cose con Morgan e con Duncan prima di congiungerci a Kelson, questo contribuirebbe in misura notevole a placare qualsiasi sospetto nei nostri confronti. Allora potremmo marciare contro Coroth e contro Loris presentando un fronte unito, con qualche speranza di arrivare ad una riconciliazione. Affrontiamo la realtà: quando abbiamo rifiutato di accettare l'Interdetto della Curia, ci siamo anche schierati indirettamente con Morgan, con Duncan e con tutta la causa dei Deryni, non importa se lo abbiamo fatto di proposito o meno. La frattura creatasi può essere saldata soltanto dimostrando che fin dall'inizio avevamo ragione in merito all'innocenza di Morgan e di Duncan. — Bene, Dio mi è testimone che spero che si possa provarla! — borbottò Cardiel. — Per quanto mi riguarda, trovo di mio gradimento la maggior parte delle cose che ho sentito sul conto di Morgan e di McLain, e capisco anche perché McLain abbia tenuto nascosti per tutti questi anni i suoi poteri deryni. Se anche non posso perdonare il fatto che abbia preso gli ordini sacerdotali, sapendo di essere un Deryni, devo tuttavia ammettere che sembra essere stato un ottimo prete. — Il che, di per sé, costituisce un'osservazione notevole sul conto dei Deryni — sorrise Arilan. — Ricordi quando mi hai chiesto, parecchi mesi fa, se ritenevo che i Deryni fossero malvagi per natura? — Certamente. Hai detto che c'erano senza dubbio alcuni Deryni malvagi, proprio come chiunque può esserlo, ed hai aggiunto di non ritenere che Kelson, Morgan o McLain fossero malvagi. — E lo credo ancora — dichiarò Arilan, con un bagliore negli occhi fra l'azzurro e il viola. — Davvero? Non capisco dove tu voglia andare a parare. — Non lo capisci? Hai detto tu stesso che Duncan sembra essere stato un ottimo prete, pur essendo un Deryni. Il fatto che sia diventato un prete, in aperta sfida ai regolamenti, e che sia stato un buon prete, nonostante tutto, non suggerisce forse che il Concilio di Ramos può aver commesso un errore? E se il Concilio ha errato su un punto così importante, cosa impedisce che abbia sbagliato anche in merito ad altri? — Arilan inarcò un sopracciglio in direzione di Cardiel. — Questo ci potrebbe costringere a riva-
lutare l'intero problema del rapporto fra Deryni ed umani. — Non avevo pensato alla questione in questi termini. Estendendo la tua logica, potremmo eliminare il divieto a prendere gli ordini sacerdotali, il divieto a detenere pubblici uffici e a possedere della terra... — E così addio alla grande cospirazione deryni — annuì Arilan, con una sfumatura di sorriso. Cardiel arricciò le labbra, poi scosse il capo, accigliandosi. — Forse no, Denis. Alcuni giorni fa mi è giunta all'orecchio una strana voce, di cui avevo già intenzione di parlarti. Si sussurra che possa effettivamente esistere una cospirazione deryni... che avrebbe addirittura veste formale. Secondo tali voci, esiste un consiglio di Deryni di nobile nascita che funge da portavoce per la sua razza e che a volte controlla le attività dei Deryni noti. Questo consiglio non ha ancora fatto nessuna mossa, ma... — Cardiel si alzò e cominciò a contorcersi le mani, giocherellando con l'anello di ametista mentre un'espressione grave e preoccupata gli affiorava nello sguardo. — Denis, supponi che ci sia davvero una cospirazione deryni, e che Morgan e McLain ne facciano parte. O addirittura Kelson, che Dio lo aiuti! Sono passati più di duecento anni dalla fine dell'Interregno, due secoli da quando il dominio degli umani è stato restaurato nella maggior parte degli Undici Regni, ma il popolo non ha dimenticato come si vivesse sotto la dittatura di quei maghi che usavano il loro potere per fini malvagi. E se una cosa del genere stesse per ripetersi? — Se? Se? — ripeté Arilan, in tono secco e impaziente, fissando Cardiel negli occhi. — Se c'è una cospirazione deryni, Thomas, si trova soltanto nella mente di Wencit di Torenth. Lui ed i suoi agenti sono indubbiamente responsabili delle voci che hai sentito circolare, e quanto alla minaccia di una dittatura deryni, essa è l'esatta descrizione del modo in cui Wencit governa a Torenth: la sua famiglia ha conservato così il dominio per tutti quei duecento anni a cui hai accennato. Quella, amico mio, è la sola cospirazione deryni che potrai vedere nel prossimo futuro, e quanto al consiglio dei Deryni... — Arilan scrollò le spalle, e i suoi modi si fecero più pacati. — Ecco, io devo ancora vedere qualsiasi prova di un suo intervento, ammesso che ne abbia compiuti. Alquanto sconcertato dall'intensità del tono del collega, Cardiel sbatté le palpebre parecchie volte mentre Arilan smetteva di parlare. Poi gli occhi violetti di Arilan si addolcirono, e il freddo fuoco che vi brillava si estinse. Con un sospiro che era quasi di sollievo, Cardiel prese il proprio mantello
dal sedile adiacente a quello del collega ed azzardò un timido sorriso nel gettarselo intorno alle spalle. — Sai, Denis, a volte mi preoccupi. Non riesco mai a prevedere con precisione come reagirai, e tu hai la capacità di tranquillizzarmi e al tempo stesso di spaventarmi a morte. Arilan protese una mano e strinse il braccio di Cardiel con fare rassicurante. — Mi dispiace. A volte mi lascio trasportare. — Lo so — sorrise Cardiel. — Vuoi unirti a me per bere qualcosa? Quando mi preoccupo riguardo ai Deryni, mi viene sempre la gola secca. Arilan ridacchiò e si alzò in piedi per avviarsi alla porta con Cardiel. — Ti raggiungerò forse fra un po'. Pensavo di meditare un poco, prima di ritirarmi: il mio carattere irascibile è un brutto difetto. — Allora ti auguro di aver successo nel sottometterlo — replicò Cardiel. — Perché non mi raggiungi, quando avrai chiarito le cose con Lui? — aggiunse, indicando il crocifisso appeso sull'altare. — Tanto non dormirò presto... non dopo tutto questo. — Più tardi, magari. Buona notte, Thomas. — Buona notte. Quando la porta si fu richiusa alle spalle di Cardiel, il vescovo più giovane si raddrizzò la tonaca e lanciò un'occhiata in direzione della navata. Con un sospiro, andò a recuperare quindi il proprio manto di seta, indossandolo e legando i lacci viola sotto la gola, poi si rimise la calotta sui capelli neri. Lanciato un ultimo sguardo alla cappella, come per memorizzarne i particolari, rivolse infine un cenno rispettoso all'altare e si accostò al transetto di sinistra, arrestandosi di fronte ad un piccolo altare laterale. La lastra di marmo era spoglia, tranne che per un bianco panno di lino e una sola candela accesa, ma ciò che interessava ad Arilan non era comunque l'altare. Esaminato il pavimento di marmo sotto di sé, il vescovo si mise su un tratto di mosaico dal disegno vagamente arrotondato e avvertì un lieve solletichio, conferma che si trovava nel punto giusto. Con un ultimo sguardo alla porta chiusa che conduceva fuori della cappella, Arilan si avvolse nel mantello e chiuse gli occhi. Pronunciate mentalmente le parole richieste, raffigurò la destinazione desiderata... e scomparve dalla cappella di Dhassa. Qualche minuto più tardi, la porta si aprì e Cardiel fece capolino all'interno. Il vescovo accennò a dire qualcosa, aspettandosi di scorgere la ma-
gra figura di Arilan inginocchiata da qualche parte all'interno della cappella, ma rimase in silenzio quando si accorse che non vi era invece nessuno a cui rivolgersi. Cardiel inarcò le sopracciglia con costernazione, perché non si era allontanato di molto dalla cappella prima di tornare sui suoi passi per riferire ad Arilan un'altra voce che aveva sentito circolare. Ed ora Arilan era sparito, mentre aveva affermato di voler meditare. Forse, si disse, il giovane vescovo aveva sottinteso che era sua intenzione andare a meditare nella propria stanza, ed in questo caso Cardiel non lo avrebbe disturbato. Sì, si ripeté Cardiel, probabilmente era proprio così ed Arilan era adesso inginocchiato nella sua camera. Molto bene, quell'altra diceria avrebbe potuto attendere fino al mattino successivo. Ma il Vescovo Denis Arilan non era nella sua stanza, e non era neppure più a Dhassa. CAPITOLO SESTO Le parole dei saggi e il loro oscuro significato. Proverbi 1:6 Thorne Hagen, Deryni, rotolò su un fianco ed aprì un occhio, rimanendo deluso di scoprire che nella stanza era molto buio. Guardando oltre la spalla liscia e bianca della sua compagna di letto, scorse il sole ammantato di foschia che tramontava dietro il Picco Tophel, riversando un alone rossastro ma sempre più sbiadito sui pallidi bastioni del castello. Sbadigliò con delicatezza e agitò le dita dei piedi, poi permise al proprio sguardo di vagare ancora sulla spalla candida che aveva accanto e protese una mano per accarezzare l'arruffata testa castana. Le sue dita scivolarono lungo la schiena della ragazza, che ebbe un brivido sensuale e si girò per guardarlo con adorazione. — Hai riposato bene, mio signore? Thorne ricambiò pigramente il suo sorriso, vagando con lo sguardo lungo la figura di lei con una disinvoltura derivante dall'abitudine. La ragazza si chiamava Moira, ed aveva poco più di quindici anni. Thorne l'aveva incontrata in un cupo mattino di febbraio, mentre stava attraversando il mercato di Kharthat sulla sua portantina colma di pellicce... allora Moira gli era apparsa come una ragazzina infreddolita, magra e af-
famata, con il terrore della notte dipinto negli occhi scuri. In quel momento qualcosa di tacito era passato fra loro, perché molti uomini nutrono simili, profondi terrori, e così Thorne si era sporto dalla portantina ed aveva proteso una mano, sfoggiato il suo esitante, timoroso sorriso e rivolto un invito con lo sguardo. E lei era venuta. Thorne non avrebbe saputo spiegare il motivo per cui l'aveva chiamata a sé. Forse gli aveva ricordato la figlia che aveva perduto, la triste Cara, dai capelli neri come la notte che si agitavano nella foschia del mattino; comunque l'aveva chiamata, e lei era venuta. Se fosse vissuta, Cara avrebbe avuto la stessa età di Moira. Scrollando il capo con impazienza, Thorne assestò un'energica pacca sul posteriore della ragazza ed accantonò quei pensieri dalla mente. Si sedette per stiracchiarsi, e Moira gli sfiorò il braccio con le dita in un gesto interrogativo accompagnato da un sorriso; fu con lodevole autocontrollo che Thorne riuscì ad allontanare la mano di lei e a scuotere il capo. — Mi dispiace, piccola, ma è ora che tu vada. Il Consiglio non aspetta, neppure per i nobili di puro sangue Deryni. — Si protese per baciarle la fronte in un gesto paterno. — Comunque, non farò troppo tardi: perché non torni verso mezzanotte? — Ma certo, mio signore. — Moira si alzò di scatto e cominciò ad infilarsi un'ampia vestaglia gialla, accarezzandolo con i suoi occhi scuri nel dirigersi verso la porta. — Forse ti porterò perfino una sorpresa! Quando la porta si fu richiusa alle sue spalle, Thorne scosse ancora il capo ed emise un sospiro compiaciuto, mentre uno sciocco sorriso gli aleggiava sul volto. Scrutò la stanza in penombra con meditabonda soddisfazione, poi si alzò e si accostò alla porta del guardaroba; mentre camminava, borbottò una frase sottovoce ed eseguì un ampio e noncurante gesto con la mano destra: le candele si accesero in tutta la camera, e Thorne si passò le dita fra i radi capelli castani, lanciando uno sguardo alla propria figura riflessa in uno specchio a parete. Era in forma, questo era certo. A cinquant'anni, il suo corpo era compatto e muscoloso quanto lo era stato un quarto di secolo prima. Naturalmente, aveva perso un po' di capelli e aggiunto qualche chilo, da allora, ma lui preferiva pensare che quei cambiamenti gli conferissero un aspetto più maturo. Le guance rosee e gli occhi azzurri dalla perenne espressione stupita erano stati una maledizione durante la maggior parte della sua gioventù, tanto che soltanto verso la trentina la gente aveva cominciato a convincersi che avesse superato la maggiore età. Adesso, tuttavia, quel particolare co-
minciava finalmente a tornare a suo vantaggio, perché mentre i coetanei di Thorne Hagen erano invecchiati ed erano ora caratterizzati dal tipico aspetto della mezza età, Hagen poteva invece farsi passare ancora per un trentenne, con un abbigliamento adeguato e con le guance rasate. E non c'erano dubbi, pensò, ricordando la ragazza che se n'era appena andata, che quel suo aspetto giovanile avesse innegabili vantaggi. Thorne rifletté se era il caso di chiamare la sua servitù personale perché lo aiutasse a lavarsi e a vestirsi per la riunione del Consiglio, poi decise che era meglio evitarlo. Aveva un po' di tempo a disposizione, e se fosse stato attento, sarebbe forse riuscito ad eseguire quell'incantesimo dell'acqua che Laran aveva cercato di insegnargli durante tutto il mese precedente. Lo seccava il fatto di essere apparentemente incapace di assimilare quell'incantesimo, perché sembrava esserci un punto di coordinazione oltre il quale non riusciva ad andare. Ma avrebbe tentato ancora. Portatosi nel centro della stanza, Thorne piantò per terra i piedi nudi, a circa un metro di distanza uno dall'altro, e si eresse sulla persona, congiungendo le mani sulla testa per formare una sagoma simile ad un cuneo nella tremolante luce delle candele. Quando cominciò a cantilenare le parole dell'incantesimo fra sé e sé, il vapore acqueo si condensò intorno a lui come una tempesta in miniatura, completa di lampi; Thorne serrò gli occhi e trattenne il respiro mentre l'acqua gli sfregava il corpo e i lampi in miniatura lo solleticavano. Poi, essendo arrivato a quel punto conservando il completo controllo dell'incantesimo, si tese per affrontare la parte più difficile. Isolati l'acqua e i lampi, Thorne usò la propria volontà per concentrare il tutto in una nube intorno al proprio torace... una minuscola nube tempestosa che crepitava e borbottava alla tenue luce delle candele. Sollevate leggermente le palpebre, vide la nube che si librava al suo posto, e stava cominciando a manovrarla in modo che andasse a scaricarsi fuori della finestra, quando ci fu un vivido lampo proveniente dalla direzione del Portale di Trasferimento. Thorne girò la testa di scatto per vedere chi fosse arrivato, e in quel momento perse il controllo dell'incantesimo. Un piccolo lampo descrisse un doloroso arco che andava dalla nube al mago, e l'acqua si riversò sul pavimento con una magnifica ondata, inzuppando le pietre di marmo, un tappeto ad arazzo di enorme valore e la dignità di Thorne. Nel momento in cui Rhydon emerse dal Portale di Trasferimento, Thorne prese a imprecare con violenza, e gli occhi azzurri gli si colmarono di rabbia e di indignazione. — Che il diavolo ti porti, Rhydon! — farfugliò, quando riuscì finalmen-
te ad esprimersi con coerenza. — Possibile che non annunci mai il tuo arrivo? Questa volta ci sarei riuscito, ed ora mi hai fatto invece inondare tutta la stanza! Indietreggiò per togliersi dalla pozzanghera e pestò per terra i piedi nudi, cercando invano di asciugarli e di conservare qualche brandello di dignità nonostante la sua nudità, poi lanciò un'altra occhiata rovente a Rhydon, che stava attraversando la stanza. — Mi dispiace, Thorne — ridacchiò Rhydon. — Vuoi che rimetta in ordine al tuo posto? — Mi dispiace Thorne, vuoi che rimetta in ordine al tuo posto? — ripeté Thorne, facendogli il verso, e i suoi piccoli occhi avidi si rannuvolarono. — E probabilmente sei anche capace di farlo. Non c'è nessuno che non sappia eseguire quell'incantesimo, tranne me! Frenando un sorriso, Rhydon allargò le mani sul pavimento e mormorò parecchie frasi concise, mentre i suoi occhi grigi assumevano un'espressione velata. L'umidità scomparve e Rhydon scrollò le spalle, inarcando un sopracciglio con aria apologetica nel riportare lo sguardo su Thorne. Il mago non disse nulla, ma gli lanciò un'occhiata colma di petulanza nel girare sui tacchi per scomparire a grandi passi nel proprio guardaroba. Dopo pochi secondi, dalla porta aperta giunse il tenue frusciare di tessuti pregiati. — Mi dispiace davvero di averti disturbato, Thorne — affermò Rhydon, in tono colloquiale, gironzolando per la stanza e osservando gli svariati oggetti che vi si trovavano. — Wencit voleva che ti chiedessi un favore. — Per Wencit forse, ma non per te. — Ora non mettere il broncio. Ti ho detto che mi dispiace. — D'accordo, d'accordo. — Ci fu una pausa poi, con riluttante curiosità, Thorne domandò: — Che cosa vuole Wencit? — Che tu convinca il Consiglio a dichiarare che Morgan e McLain possono essere sfidati come se fossero Deryni purosangue. Puoi farlo? — Poter essere sfidati come Deryni purosangue... parli sul serio? — Ci fu un'altra pausa, poi Thorne proseguì, apparentemente dimentico dell'ira di poco prima: — Posso provarci, ma spero che Wencit si ricordi che non ho più sul Consiglio l'influenza di un tempo. Il mese scorso abbiamo cambiato i Coadiutori. Perché non presenti tu stesso la mozione? Tu sei un Deryni purosangue, e ti è pur sempre permesso di parlare davanti al Consiglio, anche se non sei più un membro del Circolo Interno. — Hai la memoria corta, Thorne — ribatté Rhydon. — L'ultima volta
che mi sono presentato davanti al Consiglio, ho giurato che non avrei più messo piede in quella stanza o in qualsiasi altra in cui si trovasse Stefan Coram. Non ho mai infranto quel giuramento in sette anni, e non intendo farlo stanotte. Wencit dice che devi essere tu a presentare la mozione. Thorne emerse dal guardaroba, intento ad aggiustare con meticolosa cura le pieghe di una tunica violetta sotto il mantello di broccato d'oro. — D'accordo, d'accordo, non c'è bisogno che ti agiti. Comunque, è un peccato: se non fosse stato per Coram, a quest'ora saresti potuto diventare tu stesso Coadiutore, e invece tu e Wencit... be', lo sai anche tu. — Già, formiamo una bella coppia, vero? — ribatté, mieloso, Rhydon, fissando Thorne con occhi socchiusi. — Wencit è una volpe, e non lo nasconde. Ed io... se ben ricordo, quel giorno Coram mi ha paragonato a Lucifero: l'angelo precipitato nell'oscurità esterna, lontano dalla luce del Circolo Interno. — Rhydon esibì un cupo sorriso e si osservò le unghie, nell'appoggiarsi alla mensola del camino. — In effetti, Lucifero mi è sempre piaciuto. Dopo tutto, prima della sua caduta era il più luminoso fra gli angeli. Le fiamme aumentarono d'intensità alle spalle di Rhydon, avvolgendolo per un momento in un bagliore carminio, e Thorne deglutì rumorosamente, riuscendo soltanto con uno sforzo a frenare l'impeto di tracciare il segno della croce per proteggersi. — Per favore, non dire questo genere di cose — mormorò, a disagio. — Qualcuno ti potrebbe sentire. — Chi, Lucifero? Sciocchezze. Temo, mio caro Thorne, che il nostro buon Principe delle Tenebre sìa soltanto un demone immaginario, una leggenda da favola studiata per spaventare i bambini cattivi. I veri diavoli sono uomini come Morgan, come McLain, e faresti bene a ricordartelo. Accigliato, Thorne ritoccò in fretta il mantello e si assicurò intorno alla fronte un sottile filetto d'oro con dita scosse da un lieve tremito. — Molto bene, Morgan e McLain sono diavoli. Sei tu ad asserirlo, quindi deve essere vero, ma non è una motivazione che io possa fornire al Consiglio. Anche se Morgan e McLain sono come tu li dipingi... ed io non posso affermarlo con cognizione di causa perché non li ho mai incontrati... sono Deryni soltanto per metà e quindi non possono essere sfidati ad un confronto arcano da nessuno di noi. Per alterare questo stato di cose, dovrò avere motivazioni assai convincenti da offrire. — E allora le avrai — ribatté Rhydon, massaggiandosi distrattamente la cicatrice accanto al naso. — Basterà che tu ricordi al Consiglio che Mor-
gan e McLain sembrano capaci di cose che non dovrebbero poter compiere. Se non sarà sufficiente a convincerli, potrai anche aggiungere che se questo dovesse continuare, i due potrebbero costituire una minaccia per l'esistenza stessa del Circolo Interno. — Ma loro non sanno neppure dell'esistenza del Consiglio! — Ma le voci hanno la tendenza a sfuggire e a diffondersi — replicò, secco, Rhydon. — E tu potresti anche ricordare, a tuo esclusivo beneficio, che Wencit vuole che questa deliberazione sia approvata. Devo aggiungere altro? — Non... ah... non sarà necessario. — Thorne si schiarì la gola con nervosismo e si girò per osservare il proprio riflesso nello specchio, controllando la tendenza della mano a tremare nell'apportare un ultimo tocco al colletto. — Ho detto che farò ciò che mi chiedi — proseguì, in tono più deciso, — ma confido che tu ricorderai a tua volta a Wencit il rischio che corro parlando a suo vantaggio. Non so cosa abbia in serbo per Morgan e per McLain, e non lo voglio sapere, ma il Consiglio dovrebbe essere un organo neutrale, ed è severo con qualsiasi suo membro che si schieri con l'una o l'altra fazione politica. Lo stesso Wencit avrebbe potuto fare parte del Consiglio, sai, se soltanto fosse stato più obbediente — concluse, con una nota di petulanza nella voce. — L'obbedienza non è una delle principali virtù di Wencit — avvertì Rhydon, in tono sommesso, — e neppure delle mie. Comunque, se hai da dire con uno di noi due, sono certo che si presenterà un'opportunità in cui qualcuno possa avere soddisfazione. Dicono che sia il periodo giusto per le sfide. — Certo non penserai che io possa sfidare...? — Una sfumatura dell'antico terrore riaffiorò per un momento negli occhi azzurro chiaro. — Certo che no. Thorne deglutì con difficoltà, poi ritrovò il controllo e prese posizione sui viticci e sui fiori intagliati che contrassegnavano le piastrelle del suo Portale di Trasferimento. — Ti farò sapere qualcosa in mattinata — promise, avvolgendosi nel mantello dorato e nei pochi brandelli di dignità che gli rimanevano. — Sarà soddisfacente per voi? Rhydon s'inchinò in silenzio, con un'espressione beffarda nello sguardo. — Allora ti auguro la buona sera — aggiunse Thorne, e svanì. Sulla sommità di un ben protetto pianoro, all'interno di una grande camera ottagonale la cui volta sembrava intagliata in un'ametista sfaccettata,
si stava radunando il Consiglio Camberiano. Sotto la cupola purpurea, la distesa di piastrelle di onice rifletteva il bagliore delle porte di metallo battuto che andavano dal pavimento al soffitto, su un lato della stanza. Le altre sette pareti erano rivestite di pannelli di antico avorio incorniciato in legno e riccamente intagliato, e la luce di un centinaio di candele di cera si rifletteva sulle figure in bassorilievo di uomini famosi nella storia Deryni. Torce più luminose, spesse quanto il pugno di un uomo, ardevano negli anelli dorati inseriti nel legno posto fra i pannelli, e il centro della stanza era occupato soltanto da un massiccio tavolo ottagonale e da otto sedie dall'alto schienale. Vicino a cinque di quelle sedie erano in piedi altrettanti Deryni. Tre uomini e due donne aspettavano con aria rilassata sotto la cupola purpurea, tutti vestiti nei colori oro e viola del Circolo Interno dei Deryni, tranne uno. La sola eccezione era costituita da Denis Arilan che, remoto e distaccato nel suo saio nero sovrastato dal purpureo mantello di vescovo, si teneva in disparte e si limitava ad annuire di tanto in tanto in risposta ad una conversazione in corso fra la statuaria Lady Vivienne alla sua destra ed un giovane bruno dall'aria intensa e dagli occhi color mandorla: Tiercel de Claron. Dall'altra parte del tavolo, un uomo canuto dalle mani pallide e quasi trasparenti, stava parlando con una ragazza più giovane di lui di una cinquantina d'anni; la ragazza, che portava i capelli ramati raccolti sulla nuca in un'acconciatura a forma di fiamma, sorrideva ed ascoltava con interesse; Arilan soffocò uno sbadiglio, poi si girò a guardare quando le porte dorate si aprirono per lasciar entrare Thorne Hagen. Thorne era agitato, e la faccia di solito florida era pallida, tranne che per due chiazze di colore sugli zigomi; distolse lo sguardo non appena si accorse che Arilan lo stava fissando, e si affrettò ad attraversare la stanza per avviare una conversazione con il vecchio e la ragazza che si trovavano dalla parte opposta rispetto al vescovo. Mentre parlava con loro, Thorne si calmò, e ritrovò gradualmente la consueta espressione ingenua... ma non prima che Arilan lo vedesse asciugarsi di nascosto le mani sudate contro le gambe e nascondere il lieve tremito che gli scuoteva le dita all'interno delle maniche violette. Arilan finse di disinteressarsi di Hagen e di seguire i discorsi dei suoi due compagni, assumendo un'espressione indifferente; la sua mente, tuttavia, era molto lontana dall'avventura di caccia che Lady Vivienne stava raccontando. Quella notte, qualcosa aveva sconvolto Thorne, ma cosa? Non poteva
certo essersi trattato di un umano, e se si trattava di un Deryni, questo era di sicuro l'unico posto in cui Thorne non aveva nulla da temere: anche se era diventato il bersaglio di un altro Deryni, qui Thorne era al sicuro, perché nessun Deryni poteva levare il proprio potere contro un suo simile che si trovasse entro i confini di quella camera. Addirittura, senza l'autorizzazione della maggior parte dei presenti e del soggetto in questione, in quel luogo non si poteva verificare nessuna magia, e il vincolo di protezione era sigillato dal giuramento di sangue di ciascun consigliere, proferito e rinnovato con l'acquisizione di ogni nuovo membro da parte del Circolo Interno. Qui non poteva esserci nessun pericolo in agguato per Thorne Hagen. Con un lieve sorriso, Arilan fece scorrere la punta delle dita lungo il bordo del tavolo d'avorio, avvertendo i lisci e freddi segmenti d'oro che ne dividevano la superficie in settori. Naturalmente, esisteva sempre un'altra possibilità: presto o tardi, Thorne avrebbe dovuto lasciare la camera del Consiglio, e fuori di essa vi erano Deryni che non facevano parte del Circolo Interno, che addirittura non riconoscevano i dettami del Consiglio e che non avrebbero rispettato la carica che Thorne rivestiva al suo interno. Esistevano, ed erano sempre esistiti, Deryni rinnegati come Lewis ap Norfal, Rhydon di Eastmarch, Rolf MacPherson nel secolo precedente... uomini che avevano rifiutato l'autorità del Consiglio, oppure erano stati espulsi da esso o ancora avevano compiuto atti di aperta ribellione. Possibile che uno di costoro stesse minacciando Thorne Hagen? Esisteva forse un complotto contro il Consiglio? Arilan lanciò un'altra occhiata ad Hagen e sorrise, rendendosi conto di non avere per il momento altri indizi che non fossero i propri sospetti. Forse Thorne aveva soltanto litigato con la sua ultima amante oppure con il suo maggiordomo. Qualsiasi cosa era possibile. Alle spalle di Arilan ci fu un leggero frusciare di broccato, e il vescovo, nel girarsi, scorse gli ultimi due membri del Consiglio che oltrepassavano l'alta soglia, entrambi con il bastone d'avorio di Coadiutore stretto in pugno... Barrett de Laney, il più anziano dei due e presidente del Consiglio per quella riunione, era un uomo dalla figura notevole, avvenente nonostante la completa calvizie, con occhi color smeraldo che brillavano in un volto finemente cesellato. Perfino Stefan Coram, dai capelli biondi incanutiti anzitempo, elegante e sicuro di modi, non poteva paragonarsi a Barrett per la prestanza fisica. Coram procedette in silenzio accanto a Barrett, accompagnando l'uomo più anziano fino al posto libero fra Laran e Tiercel, poi raggiunse il proprio
seggio dalla parte opposta del tavolo. Quando entrambi ebbero posato il bastone sul tavolo, Coram protese le mani, una con il palmo verso l'alto, l'altra verso il basso, e tutti lo imitarono, posando ciascuno la mano su quella del vicino. Infine, Coram si schiarì la gola e prese la parola. — Partecipate, miei signori e signore. Partecipate e avvicinatevi. Ascoltate le parole del Maestro: che tutti siano Uno nello Spirito con la Parola. Barrett chinò il capo per un momento, poi lo sollevò verso il cielo e verso una sfera di cristallo appesa al centro della cupola mediante una lunga catena d'oro. La sfera tremolò leggermente nell'aria silenziosa e immobile, e Barrett parlò nel lento e musicale linguaggio degli antichi rituali deryni. — Ora siamo riuniti. Ora siamo Uno con la Luce. Mirate le antiche usanze. Non percorreremo più questa via. — Barrett s'interruppe e tornò al linguaggio comune. — Così sia. — Così sia. Gli otto presero posto con un fruscio di ricchi abiti, e qualcuno di essi sussurrò un commento ai vicini; non appena tutti furono sistemati, Barrett si appoggiò allo schienale e posò entrambe le mani sui braccioli, apparentemente in procinto di aprire la riunione. Prima che potesse parlare, però, il vecchio dall'aria fragile che era alla sua destra si schiarì la gola e si protese in avanti. Lo stemma che decorava il suo seggio lo identificava come Laran ap Pardyce, sedicesimo Barone di Pardyce. La sua espressione era severa. — Barrett, prima di iniziare la procedura formale, mi chiedo se potremmo interessarci di una voce che mi è giunta all'orecchio. — Una voce? — Non abbiamo tempo per le dicerie, Laran — interloquì Coram. — Ci sono urgenti... — No, anche questo è urgente — ribatté Laran, tagliando l'aria con una mano pallida e trasparente. — Ritengo che si tratti di una diceria su cui dobbiamo indagare: ho infatti sentito dire che Alaric Morgan, un mezzosangue deryni, possiede l'antica capacità di risanare! Sugli otto scese uno sconvolto silenzio. — Di risanare? — chiese poi qualcuno. — Morgan ha manifestato poteri guaritori? — Devi esserti sbagliato, Laran — aggiunse una voce femminile. — Nessuno di noi ha più quel potere. — Esatto — convenne, rigido, Barrett. — Tutti i Deryni sanno che il dono di guarire gli altri è andato perduto con la Restaurazione.
— Allora forse nessuno ha pensato di informare Morgan di questo piccolo particolare! — scattò Laran. — Lui è Deryni soltanto per metà, lo sai! — Indirizzò a Barrett un'occhiata rovente, poi scosse la testa canuta con rincrescimento. — Mi dispiace, Barrett. Se c'è qualcuno che risente della scomparsa di tale dono, quello sei tu. Laran lasciò a mezzo la frase, con imbarazzo, ricordando come Barrett avesse perso la vista oltre cinquant'anni prima, a causa di un ferro rovente accostato ai suoi occhi color smeraldo, e come avesse pagato quel prezzo per salvare una ventina di bambini deryni dalle spade dei persecutori. Barrett chinò il capo e protese una mano per stringere la spalla di Laran in un gesto di conforto. — Non biasimare te stesso, Laran — sussurrò il cieco. — Ci sono cose più preziose della vista. Parlaci ancora di questo Morgan. — Non ho prove, Barrett — replicò Laran, scrollando le spalle. — Ho soltanto sentito parlare della cosa, e questo ha destato la mia curiosità di medico. Se Morgan... — Morgan, Morgan, Morgan! — esplose Tiercel, battendo una manata sul tavolo. — Ormai non si parla più di altro. Abbiamo forse intenzione di scatenare una caccia alle streghe contro un membro della nostra stessa razza? Pensavo che questa fosse una delle cose di minor pregio fra quelle svanite con la Restaurazione! Vivienne sbuffò con derisione, girando la testa brizzolata verso il compagno più giovane con atteggiamento sdegnoso. — Tiercel, agisci in modo consono alla tua età! Non è come se Morgan fosse uno di noi: è soltanto un traditore mezzosangue, una vergogna per il nome dei Deryni, che va in giro di qua e di là facendo uso indiscriminato dei suoi poteri. — Morgan? — Tiercel gettò il capo all'indietro e rise. — Questa è una considerazione davvero interessante. È un mezzosangue; può essere o meno un traditore, a seconda della fazione per cui si parteggia... sono certo che Kelson non lo riterrebbe tale. Quanto ad essere una vergogna, milady, che io sappia, Morgan non ha mai fatto nulla per screditare il nome dei Deryni. Al contrario, lui è l'unico Deryni che io conosca che non abbia paura di dichiararsi apertamente per quello che è. Qualsiasi vergogna sia stata gettata sul nostro nome, vi è stata riversata molto tempo fa, da uomini molto più esperti di un mezzosangue deryni come Alaric Morgan! — Ah! Ma ammetti anche tu che è un mezzosangue — intervenne Thorne, afferrando l'occasione di svolgere l'incarico ricevuto da Wencit. — E lo
è anche Duncan McLain. Voi tutti riconoscete che sono due mezzosangue, ne parlate come di individui che non hanno nulla a che fare con noi, e tuttavia, di tanto in tanto, essi agiscono in modi che non concordano con la loro presunta ascendenza. Ed ora si suppone che possano risanare! «Nessuno di voi ha mai preso in considerazione la possibilità che essi non siano Deryni solo per metà, dopo tutto? Che potremmo trovarci di fronte ad un paio di Deryni purosangue rinnegati? Kyri, la ragazza dal capelli ramati che sedeva alla destra di Thorne, gli sfiorò il braccio con aria leggermente accigliata. — Deryni purosangue, Thorne? Non puoi crederlo davvero. Contrasterebbe con quello che sappiamo delle loro famiglie di appartenenza. — Sappiamo con certezza l'identità delle madri — commentò Vivianne, sprezzante, — e sappiamo che erano due Deryni purosangue. Circa il padre, quanto si può mai essere certi, in questioni del genere? La donna inarcò un sopracciglio, mentre un coro di sommesse risatine di apprezzamento accompagnava la sua battuta. Tiercel arrossì. — Se hai intenzione di gettare fango sui natali di Morgan e di McLain — ribatté, — forse è meglio che ti ricordi che fra noi ci sono alcuni i cui natali non reggerebbero ad un'indagine attenta. Oh, siamo tutti Deryni, nessuno potrebbe negarlo, ma è mai possibile sapere, con assoluta certezza, chi sia stato il padre di ciascuno di noi? — Basta così! — scattò Coram, posando la mano sul bastone d'avorio in un gesto pieno di autorità. — Calma, Stefan — intervenne Barrett. — Tiercel, non è permesso indulgere in insulti verbali. — Il cieco si girò lentamente verso l'uomo più giovane come se i suoi occhi potessero vederlo. — La legittimità della nascita di Morgan e di McLain... o anche della tua o della mia... non ha qui rilevanza se non per il fatto che potrebbe avere effetto sul punto sollevato da Thorne. Se, come lui ha suggerito, i due uomini in questione non si sono comportati in maniera consona alle loro supposte origini, allora è opportuno indagare sul perché di tale fenomeno, un'indagine che non richiede appassionata retorica da nessuna delle due parti. È chiaro? — Chiedo perdono se ho parlato impulsivamente — rispose Tiercel, ma la sua espressione cupa smentì le parole della frase di rito. — Allora approfondiremo questa voce di cui sei giunto a conoscenza, Laran. Hai affermato che si ritiene che Morgan abbia risanato qualcuno? — Così dicono. — Chi lo dice? E chi si ritiene che abbia risanato?
Laran si schiarì la gola e lanciò un'occhiata ai presenti. — Ricorderete che la notte precedente l'incoronazione c'è stato un attentato alla vita del re. Per ottenere accesso alle sue camere, gli aspiranti sicari hanno sopraffatto le guardie notturne, uccidendole o ferendole. Fra i feriti c'era l'aiutante di campo di Morgan, Sean Lord Derry, un giovane signorotto delle Marche. «Uno dei chirurghi reali convocati sul posto asserisce di aver esaminato il suddetto Lord Derry poco prima che Morgan uscisse dalla camera del re, e che quel giovane era in punto di morte. Quando Morgan si è avvicinato, il chirurgo lo ha informato, poi si è allontanato per prodigare le sue cure ad altri. Qualche minuto più tardi, Morgan ha convocato un secondo medico e gli ha detto di assistere il giovane nobile, che non era ferito gravemente come si era temuto. È stato soltanto alcuni giorni più tardi che i due dottori hanno avuto occasione di confrontare le reciproche esperienze e di scoprire che era accaduto qualcosa di simile ad un miracolo: Derry, infatti, era sopravvissuto, anche se la sua ferita era mortale e nessuna procedura medica nota avrebbe potuto salvarlo. Il giorno successivo, Derry ha accompagnato Morgan all'incoronazione. — Cosa ti induce a credere che si sia trattato dell'applicazione dell'arte risanatrice deryni? — domandò Coram. — Anch'io credevo che tali cognizioni fossero andate perdute molto tempo fa. — Io mi limito a riferire ciò che ho udito — ribatté Laran. — In qualità di medico, non posso spiegare in altro modo ciò che è accaduto a meno che, naturalmente, si sia trattato di un miracolo. — Ah! Io non credo nei miracoli — dichiarò, caustica, Vivienne. — Tu che ne dici, Denis Arilan? Sei tu il nostro esperto in questioni del genere: è una cosa possibile? Arilan indirizzò un'occhiata a Vivienne, che sedeva alla sua destra, poi scrollò leggermente le spalle. — Se possiamo credere a ciò che i Padri della Chiesa riferiscono nei loro antichi documenti, sì, suppongo che sia possibile. — Arilan tracciò un disegno sulla superficie del tavolo con un dito, facendo brillare l'anello con l'ametista. — Ma in tempi moderni, per lo meno negli ultimi quattro o cinquecento anni, i miracoli possono essere spiegati, o quanto meno duplicati, mediante qualche forma della nostra magia. Questo non significa che non ci siano miracoli, ma soltanto che noi possiamo spesso determinare fenomeni che possono apparire come miracoli, ricorrendo ai nostri poteri. Quanto a ciò che state asserendo sul conto di Morgan, io non ne so nulla. L'ho incontrato soltanto una volta.
— Ma sei stato presente all'incoronazione, non è vero, vescovo? — chiese lentamente Thorne. — Stando a tutti i rapporti, lo stesso Morgan è rimasto ferito in modo piuttosto serio nel suo duello con Lord Ian, e tuttavia quando è arrivato il momento di giurare fedeltà al re si è avvicinato con portamento eretto e senza tradire dolore, per posare le mani fra quelle di Kelson. Morgan era alquanto sporco di sangue, d'accordo, ma non sembrava certo un uomo nella cui spalla fossero da poco penetrati sette o otto centimetri di acciaio. Come lo spieghi? — Non posso spiegarlo — replicò Arilan, scrollando le spalle. — Forse la ferita non era grave come sembrava. Monsignor McLain si è preso cura di lui, e può darsi che la sua abilità... — Non lo credo, Denis — lo interruppe Laran, scuotendo il capo. — Questo McLain è un abile medico ma... naturalmente, se anche lui ha poteri risanatori... È una cosa incredibile. Se due mezzosangue... Il giovane Tiercel non riuscì a controllarsi oltre e si appoggiò allo schienale della sedia con un sospiro esplosivo. — Mi nauseate! Se è vero che Morgan e McLain hanno ritrovato il perduto dono del risanamento, allora dovremmo cercarli e piegare il ginocchio dinanzi a loro, pregandoli di condividere il loro sapere con noi... e non sottoporre i loro nomi a quest'assurda inquisizione! — Ma sono due mezzosangue — azzardò Kyri. — Oh, al diavolo questa storia dei mezzosangue! Magari non lo sono. Come potrebbero esserlo ed avere al tempo stesso il potere di risanare? Gli antichi documenti ci dicono ben poco su tale dono, ma noi sappiamo che quello della guarigione era uno dei poteri deryni più difficili da dominare, perché per controllarlo erano necessarie una grande energia e una notevole concentrazione. Se Morgan e McLain possono fare questo, credo che dobbiamo accettare la possibilità che essi siano in qualche modo Deryni purosangue, che c'è in loro qualche componente che non abbiamo ancora scoperto, oppure dobbiamo rianalizzare nel complesso la nostra comprensione di ciò che significa essere Deryni. «Può darsi che la derynità non sia una qualità cumulativa: forse si è Deryni oppure no, senza possibilità intermedie. Noi sappiamo che i poteri, in se stessi, non si cumulano fra due persone, se non nella misura di permettere a un individuo più debole o inesperto di raggiungere il suo pieno potenziale. Se così non fosse, i Deryni si potrebbero riunire in gruppi, e quelli più numerosi e forti distruggerebbero quelli più piccoli e deboli ad ogni scontro.
«Sappiamo però che le cose non funzionano in questo modo, almeno in battaglia. Badiamo che i duelli fra noi avvengano sulla base di uno contro uno e vietiamo che più di un individuo avanzi contemporaneamente la sua sfida in virtù di un'usanza che si perde nella leggenda... ma da cosa è nata quell'usanza? Forse proprio dal fatto che i poteri non sono cumulativi. «E forse la loro ereditarietà è governata da un principio molto simile: ci sono altre caratteristiche che vengono ereditate completamente da un genitore oppure dall'altro. Perché non la derynità? Segui un lungo silenzio, durante il quale il Consiglio assimilò ciò che il suo membro più giovane aveva appena detto; infine, Barrett sollevò la testa calva. — Gli insegnamenti impartitici dai nostri giovani sono preziosi — dichiarò, in tono sommesso. — C'è chi sappia dove si trovano attualmente Morgan e McLain? Nessuno rispose, e Barrett lasciò vagare sui presenti lo sguardo cieco. — Qualcuno di voi ha mai toccato la mente di Morgan? — chiese ancora. Un altro silenzio. — E quella di McLain? — insistette Barrett. — Vescovo Arilan, ci è dato di capire che Duncan McLain è stato per un certo tempo tuo collaboratore. Hai mai toccato la sua mente? — Non ho mai avuto ragione di sospettare che Duncan fosse un Deryni — rispose Arilan, scuotendo il capo. — Se avessi cercato di leggere in lui per qualsiasi altro motivo, avrei rischiato di rivelare la mia identità. — Bene, può darsi che presto tu desideri di averlo fatto — ribatté Thorne. — Si dice che lui e Morgan siano in viaggio per venire da te. Pare che intendano cercare di dimostrare la loro innocenza dalle accuse che hanno provocato la scomunica pronunciata da te e dai tuoi vescovi. Personalmente, non sarei sorpreso se cercassero di ucciderti. — Dubito che esista un tale pericolo — ribatté Arilan, con sicurezza. — Anche se avessero motivo di odiarmi, il che non è, Morgan e Duncan sono abbastanza astuti da capire che questo regno è sull'orlo di una guerra civile e di un'invasione, e che è necessario risolvere il primo problema per prevenire il secondo. Se le forze di Gwynedd rimarranno divise per questa controversia relativa a Morgan, non potremo respingere gli invasori, e la normalizzazione dei rapporti fra umani e Deryni subirà un ritardo di almeno due secoli. — Per ora lascia perdere questo — intervenne con impazienza Thorne.
— Nel caso che tutti gli altri se ne siano scordati, esiste ancora il problema di come regolarsi in merito a Morgan e a McLain, e si tratta di una controversia che risale all'epoca dell'incoronazione di Kelson. Questo, fra le altre cose, è il motivo per cui Morgan è andato incontro alla censura ed è anche il motivo per cui McLain è stato inizialmente invitato a comparire al cospetto degli arcivescovi: l'illecito e imprevedibile uso di poteri che entrambi non avrebbero dovuto avere... sia secondo i criteri della Chiesa e dello Stato, per i quali essi non dovrebbero averne affatto, sia per i nostri, che dovrebbero almeno essere in grado di prevedere le loro capacità. «Ora, io non ho nulla da obiettare sul fatto che ci siano in circolazione Deryni che non sanno usare i loro poteri. È una cosa che va avanti da anni e non vedo come porvi rimedio. Ma Morgan e McLain sanno come usare i loro poteri, e pare che stiano apprendendo sempre meglio il loro impiego ad ogni giorno che passa. Finora sono stati al sicuro, in quanto li abbiamo considerati due mezzosangue e quindi immuni da una sfida diretta da parte nostra. Ora però le cose sono cambiate, e credo che dovremmo dichiarare che possano essere sfidati con piena procedura, come se fossero Deryni purosangue. Per quanto mi riguarda, non vorrei dovermi trovare in una situazione che mi obblighi a disobbedire ad un'ingiunzione del Consiglio per poterli fermare. — Quanto a questo, ci sono ben pochi pericoli — affermò Arilan. — E poi, l'ingiunzione del Consiglio non parla dell'autodifesa ed è stata creata soltanto per difendere coloro che detengono poteri minori da un attacco da parte di Deryni purosangue, di fronte ai quali non avrebbero nessuna speranza di poter resistere. Se un Deryni vuole sfidare un nobile dotato di pieni poteri e resta ucciso, si è trattato di una sua scelta. — Comunque, sarebbe interessante scoprire se sono Deryni purosangue — rifletté Laran. — Potremmo limitare la sfida a uno scontro non letale... tranne, naturalmente, per l'autodifesa. Credo che un confronto con Alaric Morgan sarebbe estremamente istruttivo. — Un eccellente suggerimento — approvò Thorne. — Avanzo la mozione. — Quale mozione? — chiese Coram. — Che Morgan e McLain possano essere sfidati secondo le regole, con l'esclusione del combattimento mortale salvo che per autodifesa. Dopo tutto, dobbiamo chiarire questa faccenda dei poteri risanatori. — Ma è necessario sfidarli? — domandò Arilan. — Thorne Hagen ha specificato che non sarà permesso un combattimen-
to mortale — replicò Barrett, in tono piano. — Non mi sembra una proposta fuori luogo, e poi si tratta di una questione puramente accademica, visto che nessuno sa dove quei due si trovino. — Allora siamo d'accordo? — Thorne soffocò un sorriso e incrociò le dita grassocce. — Possiamo sfidarli? — Voto orale — obiettò Tiercel, scuotendo il capo. — Ad uno ad uno. Reclamo l'antico diritto, e chiedo che ciascun votante specifichi le sue ragioni. Barrett si volse verso Tiercel, fissandolo per un lungo momento con i suoi occhi ciechi e sfiorandogli la mente, poi annui. — Come desideri, Tiercel: voto orale. Laran ap Pardyce qual è il tuo parere? — Sono d'accordo. L'idea di una sfida limitata mi piace e, come medico, sono quasi ansioso di appurare questo aspetto dei poteri risanatori, — Thorne Hagen? — Ho avanzato io la proposta, per i motivi che ho già specificato. È ovvio che sono d'accordo. — Lady Kyri? — Credo che la prova sia valida, se si riuscirà a scovarli — annuì lentamente la giovane donna dai capelli rossi. — Accetto la mozione. — Stefan Coram, tu cosa dici? — Sono d'accordo. Quando giungerà il momento, dovranno essere messi alla prova. Mi pare che una sfida non letale non costituisca un rischio per nessuno. — Bene. Vescovo Arilan? — No. — Arilan si protese in avanti sulla sedia e intrecciò le dita, giocherellando con l'ametista che portava alla mano destra. — Ritengo che questa sia una misura non soltanto inutile ma anche pericolosa. Se costringerete Morgan e Duncan ad usare i loro poteri per difendersi da membri della loro stessa razza, li getterete nelle mani degli arcivescovi. Semmai, Morgan e Duncan dovrebbero essere persuasi a non usare i loro poteri in nessuna circostanza... almeno in nessuna circostanza di cui gli arcivescovi possano venire al corrente. Kelson ha un disperato bisogno del loro aiuto, se vuole tenere unito il regno e bloccare Wencit dall'altra parte delle montagne. Io sono nel mezzo di quella controversia, conosco la situazione e voi no. Non mi chiedete di andare contro qualcosa in cui credo. Coram sorrise e lanciò un'occhiata in tralice al giovane che gli sedeva accanto.
— Nessuno sta chiedendo a te di sfidarli, Arilan. Così come stanno le cose, tu sarai probabilmente il primo a vederli, e noi tutti sappiamo che nessuno potrebbe costringerti contro la tua volontà a rivelare dove si trovino. — Non mi era parso che simpatizzassi con loro, Coram. — Simpatizzo, sì. Mi addolora la loro situazione... mezzosangue deryni costretti ad agire come Deryni a pieno titolo, contro i membri di entrambe le razze a cui appartengono, quella umana e quella Deryni. Ma non sono stato io a creare le regole, Denis, e mi limito a giocare osservandole. Arilan abbassò lo sguardo sul suo anello, poi scosse il capo. — La mia risposta è sempre no. Io non li sfiderò. — E non farai neppure parola con loro della possibilità che vengano sfidati? — insistette Coram. — No — sussurrò Arilan. Coram annuì in direzione di Barrett, trasmettendogli un'immagine mentale della scena, e Barrett ricambiò il cenno. — Lady Vivienne? — Concordo con Coram. I giovani devono essere messi alla prova per vedere di che pasta sono fatti. — La donna volse la testa argentea per scrutare i presenti. — Vorrei però chiarire che non si tratta di malizia, ma di curiosità: non abbiamo mai avuto fra noi un paio di mezzosangue tanto promettenti, nonostante le mie precedenti affermazioni sul loro conto, e per quanto mi riguarda mi interesserebbe verificare di cosa siano capaci. — Una saggia osservazione — convenne Barrett. — Tiercel de Claron? — Sai che il mio voto è negativo. Non mi ripeterò. — Ed io devo votare a favore della proposta — affermò Barrett, concludendo il cerchio. — Credo che non sia necessario un conto ufficiale — aggiunse, alzandosi lentamente in piedi. — Miei signori e signore, la mozione è approvata. Da questo momento e fino a quando il Consiglio si riunirà ancora per modificare il proprio decreto, i mezzosangue deryni noti come Alaric Morgan e Duncan McLain potranno di conseguenza essere sfidati in maniera formale, con la sola esclusione del combattimento mortale. Tale ingiunzione contro attacchi letali non preclude, naturalmente, l'autodifesa, nel caso che i suddetti uomini risultassero dotati di pieni poteri e capaci di controbattere con energia tale da uccidere. Se tuttavia qualsiasi membro di questo Consiglio o qualsiasi Deryni che si attiene alle decisioni del Consiglio si sentisse tentato di ignorare il presente decreto, ciò lo esporrà alla censura del Consiglio stesso. Così sia messo per iscritto.
— E così sia fatto — risposero all'unisono i consiglieri. Alcune ore più tardi, Denis Arilan stava camminando avanti e indietro nella sua stanza, nel Palazzo Vescovile, a Dhassa. Quella notte, Arilan non riuscì a chiudere occhio. CAPITOLO SETTIMO Molte cose che vanno al di là della comprensione umana ti sono state rivelate. Ecclesiaste 3:25 Morgan sbirciò fuori della finestra della torre in rovina, scrutando la pianura sottostante. Lontano, verso sud, riuscì a fatica a distinguere la sagoma di un cavaliere che stava rapidamente scomparendo dalla sua visuale... Derry, in viaggio per raggiungere l'esercito stanziato al nord. Subito sotto la finestra, vicino alla base della torre, due cavalli scuri dai finimenti logori e di fattura comune, stavano brucando con avidità la nuova erba primaverile. Duncan, che era in attesa ai piedi della scala diroccata, intento a picchiare contro uno stivale fangoso con il frustino di cuoio marrone, sollevò lo sguardo quando Morgan si staccò dalla finestra. — Visto qualcosa? — Soltanto Derry. — Morgan superò con un agile salto il tratto finale della scala, formato da un cumulo di detriti, ed atterrò accanto al cugino. — Sei pronto a ripartire? — Prima ti voglio mostrare qualcosa — replicò Duncan, accennando con il frustino in direzione delle rovine che si stendevano alle sue spalle e avviandosi in quella direzione. — L'ultima volta che siamo stati qui, tu non eri in condizione di apprezzare quello che sto per mostrarti, ma credo che ora ti interesserà. — Ti riferisci al Portale disattivato da te trovato? — Esatto. Procedendo con cautela, Morgan seguì Duncan lungo la navata della cappella diroccata, tenendo la mano sull'elsa della spada. San Neot era stato una fiorente scuola di monaci, famosa nel periodo del suo massimo fulgore come una delle principali sedi di insegnamento deryni. Tutto questo aveva però avuto fine con la Restaurazione, quando il monastero era stato saccheggiato e incendiato, e molti monaci erano stati assassinati sui gradini di quello stesso altare accanto a cui i due erano appena passati. Morgan
e Duncan attraversarono la navata della cappella della scuola per contemplare i resti di un'altra cosa che risaliva a quel tempo perduto. — Quello è l'altare di San Camber di cui tu mi avevi parlato — spiegò Duncan, accennando in direzione di quel che rimaneva di una lastra di marmo sporgente dal muro orientale. — Mi sono reso conto che non era possibile che un Portale fosse stato collocato in un punto così esposto, anche nel periodo dell'Interregno, e così ho prolungato le ricerche. Da questa parte. Nell'indicare, Duncan si chinò per strisciare attraverso uno stretto passaggio ricavato nel muro pericolante; travi cadute e fatiscenti sostenevano i contorni del passaggio, e cumuli di detriti erano sparsi al suolo da entrambi i lati, ma nel seguire il cugino Morgan si accorse comunque che quella doveva essere stata una sagrestia, o una sorta di spogliatoio. Spolverandosi una contro l'altra le mani guantate, si alzò in piedi nella camera in rovina, notando il marmo incrinato che copriva il pavimento, le travi che ancora sostenevano buona parte del soffitto. Contro la parete opposta, distinse i resti di un altare per la vestizione, i cui pannelli d'avorio erano stati anneriti dal fumo, e frammenti di armadi, di cassepanche e di fatiscenti guardaroba ai due lati dell'altare. Per terra erano sparsi blocchi di pietra caduti dalle pareti pericolanti, pezzi di legno marcio e frammenti di vetro, mentre le impronte lasciate da piccoli animali spiccavano sullo spesso strato di polvere che copriva ogni cosa. — Qui — segnalò Duncan, raggiungendo un punto antistante l'altare devastato e accoccolandosi sui talloni. — Guarda, puoi ancora vedere i contorni della lastra che contrassegnava il Portale. Posa le mani su di essa e sondala con la mente. — Devo sondarla? — Morgan si lasciò cadere in ginocchio accanto al cugino e posò la mano guantata sul quadrato, rivolgendo a Duncan un'occhiata interrogativa. — Cosa dovrei avvertire? — Limitati a sondare con delicatezza la lastra — lo incitò Duncan. — Gli Antichi hanno lasciato un messaggio. Morgan inarcò un sopracciglio con aria scettica, poi svuotò la mente di ogni cosa e la protese a poco a poco verso la lastra sotto le sue dita. Attento, Deryni! Qui si cela il pericolo! Sorpreso dall'intensità del contatto, Morgan si ritrasse involontariamente e guardò verso Duncan con espressione sempre più interrogativa, prima di collocare di nuovo la mano sulla lastra e di costringersi ad ascoltare. Attento, Deryni. Qui si cela il pericolo! Di cento fratelli, io solo rimango
per tentare, con le mie forze sempre più deboli, di distruggere il Portale prima che possa essere dissacrato. Fratello, ascoltami: proteggi te stesso, Deryni. Gli umani uccidono ciò che non comprendono. Benedetto San Camber, proteggici da questa spaventosa malvagità! Morgan interruppe il contatto e guardò verso Duncan. Il prete aveva un'aria solenne, i suoi occhi brillavano di un azzurro intenso nella penombra della camera, ma sulle sue labbra aleggiava un vago sorriso mentre si alzava in piedi. — Ci è riuscito — commentò Duncan, con malinconia, guardandosi intorno. — Probabilmente questo gli è costato la vita, ma ha distrutto il Portale di Trasferimento. È strano, vero, come a volte siamo costretti a distruggere ciò che più ci è caro. È ciò che abbiamo fatto, come razza. Guarda quanto sapere si è perduto, quanta ruggine ricopre il nostro luminoso retaggio. Morgan si alzò a sua volta, stringendo la spalla di Duncan con aria rassicurante. — Smettila, cugino. In buona misura, i Deryni sono stati essi stessi artefici del loro destino, e tu lo sai. Vieni, è meglio che ci rimettiamo in cammino. La luce del sole li accolse, vivida, quando lasciarono la sagrestia devastata per tornare nella navata in rovina; i raggi filtravano intensi dalle finestre senza vetri, ed i granelli di polvere danzavano dentro di essi, intrappolati, avvolgendo ogni cosa in nitidi contrasti chiaroscurali. I due erano sul punto di varcare la soglia per raggiungere i cavalli in attesa, quando l'aria davanti a loro prese a tremolare, lucente, come se fosse stata molto calda: i due uomini esitarono quando l'aria cambiò consistenza, e indietreggiarono in preda a un assoluto stupore nel veder apparire sulla soglia la figura incappucciata di un uomo che indossava una grigia tonaca monacale e stringeva nella destra un bastone di legno; intorno alla testa dell'uomo brillava un alone di luce dorata più intensa anche di quella solare. Si trattava della figura che i due avevano imparato ad associare a quella di San Camber di Culdi, l'antico Patrono della Magia Deryni. — Khadasa! — esclamò Morgan, spiccando un involontario balzo all'indietro per la sorpresa. — Dio del Cielo! — gli fece eco Duncan, tracciando un affrettato segno di croce. La figura sulla soglia non scomparve e varcò anzi l'apertura, avanzando verso di loro di parecchi passi. Morgan indietreggiò a sua volta di un altro
passo, non desiderando affrontare lo strano individuo, chiunque potesse essere, poi sussultò con un grugnito di sgomento quando incontrò con la spalla sinistra qualcosa di liscio e resistente... qualcosa che emise un bagliore dorato nel momento in cui venne a contatto con il suo corpo. La spalla continuò a formicolargli per parecchi secondi, e Morgan se la massaggiò leggermente senza distogliere lo sguardo dallo sconosciuto; Duncan, dal canto suo, si accostò al cugino, ma anche lui tenne lo sguardo fisso sull'apparizione. Mente entrambi l'osservavano con reverenziale timore, lo sconosciuto sollevò la sinistra per spingere indietro il cappuccio, rivelando un paio di occhi, al tempo stesso gentili e penetranti, dello stesso colore griogioazzurro del cielo e un volto anziano e senza tempo, circondato da un'aura di capelli argentei che sembravano intrappolare la luce del sole. — Non urtare ancora i custodi, altrimenti resterai ferito — avvertì l'uomo. — Per ora, non vi posso permettere di andarvene. Le labbra dello sconosciuto si mossero, ma le sue parole si trasmisero direttamente alla mente, più che giungere come suoni. A disagio, Morgan lanciò un'occhiata a Duncan, e si accorse che il cugino stava scrutando lo sconosciuto con rapita attenzione e con espressione incredula. Questo lo indusse a chiedersi se si trattasse dello stesso uomo che Duncan aveva incontrato sulla strada di Coroth, alcuni mesi prima, e nel momento stesso in cui formulava quell'interrogativo comprese che doveva essere proprio lui. Duncan accennò a parlare, ma l'uomo sollevò una mano per indurlo a tacere e scosse il capo. — Per favore, non ho molto tempo. Sono venuto ad avvertire te, Duncan... ed anche te, Alaric... che la vostra vita è in grave pericolo. — Questa non è certo una novità — ribatté Morgan, senza riuscire a controllare uno sbuffo di derisione. — In qualità di Deryni, è inevitabile che abbiamo dei nemici. — Nemici deryni? Duncan sussultò, ma Morgan si limitò a socchiudere gli occhi con espressione astuta. — Quali nemici deryni, signore? Tu, forse? Lo sconosciuto scoppiò in una risatina argentea, come se quella risposta lo avesse soddisfatto, e per la prima volta parve rilassarsi leggermente. — Io non sono certo un vostro nemico, Alaric. Se lo fossi, crèdi che sarei venuto ad avvertirvi? — Potresti avere le tue ragioni.
Duncan assestò una gomitata nelle costole del cugino, poi piegò il capo in direzione dello sconosciuto. — Allora chi sei, signore? Il tuo aspetto è quello di San Camber, ma... — Suvvia. Camber di Culdi è morto due secoli fa. Come potrei essere lui? — Non hai risposto alla domanda di Duncan — insistette Morgan. — Sei Camber di Culdi? — No, non sono Camber di Culdi. — L'uomo scosse il capo, con aria divertita. — Come ho detto a Duncan, sulla strada di Coroth, sono soltanto uno degli umili servitori di Camber. Morgan inarcò un sopracciglio con aria scettica. Nonostante quel diniego, i modi dello sconosciuto non suggerivano certo che questi fosse l'umile servitore di qualcuno; al contrario, l'uomo era avvolto da una netta aura di comando, e si aveva l'impressione che fosse molto più abituato a dare ordini che a riceverne. No, chiunque fosse, il loro interlocutore misterioso non era un servitore. — Sei uno dei servitori di Camber — ripeté infine Morgan, incapace di dissimulare la sfumatura di incredulità che gli si avvertiva nella voce. — Sarebbe un'impertinenza chiedere quale? Oppure non hai un nome? — Ho molti nomi — sorrise l'uomo, — ma ti prego di non insistere, per ora. Preferirei non doverti mentire, e la verità potrebbe essere pericolosa per tutti noi. — Ma certo. Tu sei un Deryni — dedusse Morgan. — Devi esserlo, se puoi fare queste cose e andare e venire in questo modo. — Rifletté ancora, mentre lo sconosciuto lo scrutava con aria vagamente ironica. — Però nessuno sa che sei un Deryni — proseguì, dopo una lieve pausa. — Ti stai nascondendo, come ha fatto Duncan per tutti questi anni, e non puoi permettere che la tua identità sia scoperta. — Se così ti piace credere. Morgan si accigliò e guardò verso Duncan, rendendosi conto che quell'uomo stava giocando con lui come il gatto con il topo; il prete, però, si limitò a scuotere il capo. — Questo pericolo di cui parli — chiese Duncan, avvicinandosi per guardare meglio il loro visitatore, — questi nemici deryni... chi sono? — Mi dispiace, ma non ve lo posso dire. — Non ce lo puoi dire? — cominciò Morgan. — Non posso perché non lo so neppure io — lo interruppe lo sconosciuto, sollevando una mano per ingiungergli di tacere. — Ciò che posso dirvi
è che coloro il cui compito è quello di indagare su queste cose, si sono convinti che voi possediate forse l'intero spettro dei poteri deryni... compresi alcuni di cui essi stessi ignoravano l'esistenza. I due cugini lo fissarono a bocca aperta, increduli, mentre lui indietreggiava fino a portarsi di nuovo sulla soglia rischiarata dal sole e si tirava su il cappuccio. — Ricordate tuttavia che, indipendentemente da quali siano i vostri effettivi poteri, ci sono alcuni che vorranno verificare la teoria che vi ho appena esposto e che vi sfideranno a un duello arcano per scoprire la vostra forza effettiva. — L'uomo si girò leggermente, per fissarli un'ultima volta. — Pensateci, amici miei, e badate che non vi trovino prima che abbiate acquisito il completo controllo dei vostri poteri... quali che possano essere. Con quell'ultimo avvertimento, l'uomo indirizzò loro un breve cenno e si avviò con passo tranquillo verso il punto in cui i cavalli, che non parvero vederlo avvicinarsi, erano intenti a pascolare. Morgan e Duncan raggiunsero a loro volta la soglia per seguirlo con lo sguardo e lo sconosciuto sollevò una mano, come in un gesto di benedizione, prima di aggirare i cavalli e di scomparire. Soffocando un'imprecazione, Morgan si portò di corsa dietro le due bestie e si mise ansiosamente alla ricerca di qualche traccia dello sconosciuto, senza però riuscire a trovarne. Duncan indugiò invece sulla soglia per parecchi secondi, intento a concentrarsi su un lontano ricordo, prima di varcare l'apertura e di avvicinarsi ai cavalli, accarezzandone uno. — Non lo troverai, Alaric — avvertì, in tono sommesso. — Non più di quanto abbia potuto trovarlo io quando è scomparso sulla strada di Coroth, qualche mese fa. — Si guardò intorno e scosse il capo. — Niente impronte, nessun segno del suo passaggio: è come se non fosse mai stato qui, e forse non c'è stato davvero. Morgan si girò per osservare il cugino, poi andò ad esaminare la soglia e il pavimento polveroso al di là di essa. Anche ammesso che ci fossero state delle impronte, esse erano certo state distrutte da quelle degli stivali di Morgan e di Duncan, e comunque non c'era traccia del passaggio dell'uomo sull'erba umida che cresceva all'esterno. — Nemici deryni — sussurrò Morgan, tornando accanto al cugino. — Ti rendi conto di cosa questo sottintenda? — Sottintende — annuì Duncan, — che i Deryni sono molto più numerosi di quanto abbiamo mai immaginato, e che si tratta di Deryni consapevoli di essere tali e capaci di usare i loro poteri. — E noi non conosciamo l'identità di nessuno di loro, a parte Kelson e
Wencit di Torenth — mormorò Morgan, passandosi distrattamente le dita fra i biondi capelli arruffati dal vento. — Per il Sangue di Dio, Duncan! In che situazione ci siamo cacciati? La situazione in cui si erano cacciati sarebbe diventata sempre più evidente con il trascorrere di quella giornata. Parecchie ore più tardi, Morgan e Duncan condussero le cavalcature in un folto boschetto poco distante dalla strada di Dhassa e tirarono le redini, rimanendo in ascolto. Barbuti, sporchi di fango e in sella a cavalli ordinari di razza incerta, non avevano destato il minimo sospetto nei viaggiatori incontrati lungo la strada assai trafficata. Avevano oltrepassato contadini e soldati, mercanti con carovane di merci e, una volta, perfino un paio di messaggeri a cavallo che indossavano la livrea del Vescovo di Dhassa. Nessuno si era però interessato a loro, e adesso che stavano per affrontare il tratto di vallata che portava a Dhassa, la strada era momentaneamente deserta. Al di là delle alture che avevano dinanzi c'erano la valle e San Torin... ed entrambi divennero più seri in volto nel ricordare il loro ultimo viaggio in quel luogo. San Torin era il santo patrono di Dhassa, e l'usanza richiedeva che quanti si avvicinavano alla città da sud, come stavano facendo ora Morgan e Duncan, si fermassero a rendere omaggio al santo protettore prima di avere il permesso di attraversare il lago e di raggiungere le porte cittadine. In passato... per l'esattezza fino a tre mesi prima... vicino al lago c'era stato un santuario, una costruzione antica di secoli realizzata interamente in legno locale. Là, dopo essere entrato nel santuario da solo e disarmato (e dopo aver offerto un obolo), il pio viandante riceveva un emblema di peltro da mettere sul cappello, che lo identificava come un pellegrino osservante delle usanze e che gli permetteva di ottenere un passaggio sui piccoli traghetti che attraversavano il lago fino alla città. La presenza dello stemma era l'unico mezzo per ottenere il trasporto, e i battellieri erano incorruttibili, per cui i viaggiatori che desideravano entrare in città da sud (ed evitare così una cavalcata di due giorni fino alla porta settentrionale, dove l'accesso era libero) presentavano il loro omaggio a San Torin. Per lo più, il tempo così risparmiato valeva bene una preghiera. Ma il prezzo chiesto a Morgan e a Duncan, tre mesi prima, era stato molto più elevato: i due non erano mai arrivati a Dhassa. Quando era entrato nel santuario, Morgan era caduto nell'imboscata tesagli sotto forma di un ago, intriso di una droga deryni che appannava la mente, il merasha, e
sistemato in un punto su cui lui avrebbe dovuto per forza posare la mano. Morgan si era punto, e la droga aveva avuto effetto; al risveglio, impotente e intontito, si era trovato prigioniero del ribelle Warin de Grey e di uno dei sacerdoti al seguito degli arcivescovi. Soltanto il tempestivo intervento di Duncan aveva salvato Morgan da una morte lenta e spaventosa. E anche quel salvataggio aveva avuto un suo prezzo, perché nel corso dello scontro che era seguito, Duncan era stato costretto a rivelare la propria identità di Deryni e a usare la proibita magia deryni per garantire la salvezza di entrambi. Nel corso della lotta e della fuga dal santuario divenuto una trappola mortale, alcune torce cadute avevano appiccato il fuoco all'edificio, trasformando l'antica struttura in legno in un inferno rovente. Era stato questo fatto, insieme agli atti da loro compiuti prima dell'incendio, che aveva scatenato il vento dell'anatema sulla testa dei due uomini che ora stavano tornando là, ed erano questi gli eventi a cui essi speravano di porre rimedio con l'espiazione, una volta raggiunto il rifugio relativamente sicuro delle camere vescovili. I due rimasero a lungo nel boschetto, ascoltando e fiutando l'aria, poi scivolarono giù di sella senza far rumore. Avevano scorto il fumo azzurro che si levava da oltre l'altura, nel calore meridiano... il fumo di parecchi fuochi da campo; nell'ascoltare e nel sondare il vento con i sensi acutizzati dalla magia, essi percepirono ora anche i rumori prodotti da numerosi animali impastoiati oltre la collina, un mormorio di voci nella vallata sottostante, e il pungente aroma del fumo che aleggiava nell'aria primaverile. Con un sospiro di rassegnazione, Morgan lanciò un'occhiata al cugino, poi legò il cavallo e prese a risalire lentamente il pendio, verso la cresta dell'altura. Lungo la salita, la foresta forni loro un'abbondante copertura, sostituita nelle vicinanze della sommità dai cespugli e dall'erba alta. I due percorsero comunque l'ultima decina di metri strisciando sulle mani e sulle ginocchia, lasciandosi poi cadere proni quando arrivarono vicino all'orlo del costone. Sbattendo le palpebre a causa dell'intensa luce solare, sollevarono infine la testa con cautela per sbirciare in basso. Il fondovalle pullulava di uomini armati: fin dove arrivava lo sguardo, a sud e ad est, si scorgevano tende e padiglioni circondati da soldati, fuochi da campo, forge, corde a cui erano legate file di cavalli impastoiati, recinti pieni di animali da macello. Il fondo della vallata era cosparso di radi alberi, che però celavano ben poco alla vista dei due uomini acquattati sul costone. Alcune bandiere araldiche sventolavano in cima ai pali, davanti alle tende più sfarzose; gli stemmi brillavano sotto il sole di mezzogiorno, ma
molti di essi erano sconosciuti e soltanto alcuni erano effettivamente familiari ai due osservatori nascosti; le bandiere viola e oro che si scorgevano qua e là e i ricchi stendardi porpora che sovrastavano quelli da battaglia, erano l'unica cosa che identificasse quelle truppe come un esercito episcopale. A giudicare dalle condizioni del campo, quei soldati si trovavano là da qualche tempo e tutto sembrava indicare che intendessero rimanervi ancora a lungo. Mentre Morgan soffocava un sospiro di sgomento, Duncan gli diede di gomito e indicò verso sinistra con il mento. In quella direzione, tanto lontano da essere quasi fuori del suo campo visivo, Morgan distinse a fatica quello che era stato il santuario di San Torin. Nel punto in cui era sorto il santuario c'era adesso una fossa annerita... un groviglio carbonizzato di travi e di mura crollate che era quanto restava del famoso luogo di pellegrinaggio. Sulla destra, altri soldati stavano tagliando nuove travi: a quanto pareva, i vescovi avevano messo all'opera almeno una parte delle loro truppe per avviare la ricostruzione di San Torin, mentre attendevano di dare inizio alla guerra. Scuotendo il capo con espressione cupa, Morgan indietreggiò strisciando fino a potersi alzare in piedi senza correre il rischio di essere visto, e si avviò giù per il pendio. Quando ebbero raggiunto la relativa sicurezza offerta dal luogo dove avevano lasciato i cavalli, si appoggiò alla sella con un braccio e scrutò con attenzione il volto del cugino. — Di certo — osservò poi, a bassa voce, — non possiamo sgusciare inosservati accanto all'intero esercito episcopale. Ti viene in mente qualche soluzione alternativa? — È difficile a dirsi. — Duncan giocherellò con una cinghia della staffa e si accigliò. — A quanto pare, non è più richiesto che i viaggiatori sostino al santuario, perché il santuario ha cessato di esistere. D'altro canto, dubito però che permettano a chiunque di attraversare il lago e di arrivare a Dhassa. — Hmm, mi chiedo se sia così. — Morgan si grattò pensosamente la barba con l'indice e fece una smorfia. — Che ne diresti di cercare di passare con l'inganno? — propose Duncan, dopo una pausa. — Con questi abiti, e barbuti come siamo, dubito che qualcuno ci riconoscerebbe. Hai visto quanto sono state scarse le reazioni che abbiamo provocato questa mattina, lungo la strada, e se pensi che agire in pieno giorno sia troppo pericoloso, potremmo aspettare la notte per cercare di rubare una barca.
— Anche così, è un rischio che non possiamo correre — ribatté Morgan, scuotendo il capo. — Dobbiamo arrivare dai vescovi. Se fossimo catturati prima di giungere al loro cospetto e fossimo costretti a ricorrere ai nostri poteri per toglierci dai guai, non riusciremmo mai a convincere i vescovi della nostra sincerità. — Allora cosa suggerisci? Di perdere due giorni di viaggio per raggiungere la porta settentrionale? Non mi sembra una soluzione accettabile. — No, ci deve essere un'altra via. — Morgan fece una pausa. — Ah, non è che per caso nelle vicinanze c'è qualche Portale di Trasferimento, vero? Mi chiedo come facessero gli Antichi a costruirli. — Tanto varrebbe che ti chiedessi perché non possiamo volare! — sbuffò Duncan. — Quello che però potremmo fare, mentre cerchiamo di escogitare una soluzione, è parlare con qualche abitante della zona per appurare l'effettiva situazione esistente nella valle. Se dovesse accadere il peggio, ci potremmo sempre appropriare di un altro emblema di Torin e tentare di entrare alla luce del sole. Sai, io ho ancora il mio. Con sorpresa di Morgan, Duncan procedette ad estrarre l'oggetto in questione dalla sacca della sella e ad attaccarlo al davanti del cappello di cuoio. Morgan osservò l'intera operazione con silenzioso apprezzamento per la previdenza del cugino, poi annuì lentamente nel prendere in considerazione l'ultimo suggerimento di Duncan. Pochi secondi più tardi, i due stavano tornando indietro verso la strada per scegliere un informatore adeguato. Non dovettero aspettare molto. Dopo aver lasciato passare una carovana di animali da soma e la loro scorta senza farsi notare, furono ricompensati dell'attesa dall'avvicinarsi di un uomo grasso dalla calvizie incipiente, vestito come un funzionario di basso rango. L'uomo si asciugò il sudore dalla fronte con la manica nel giungere all'altezza del punto dove si trovavano nascosti i due: siccome lungo la strada non c'era nessun altro e loro non avevano molto tempo, Duncan rivolse un'ultima occhiata al cugino ed avanzò con un elaborato inchino. — Buona giornata, messer Funzionario — salutò, cortese, togliendosi il cappello di cuoio con un sorriso accattivante e accertandosi che l'uomo scorgesse l'emblema di Torin. — Potresti dirmi a chi appartiene l'esercito accampato nella valle sottostante? L'improvvisa apparizione di Duncan colse l'uomo di sorpresa, inducendolo a ritrarsi con aria allarmata, sgranando gli occhi, e questo lo mandò a finire contro Morgan, che gli chiuse la bocca con una mano.
— Rilassati, amico mio — mormorò Morgan, ricorrendo all'impiego dei suoi poteri quando l'uomo prese a dibattersi. — Indietreggia e non opporre resistenza. Non ti sarà fatto nulla di male. Assumendo uno sguardo leggermente vitreo, l'uomo obbedì tremando, e Morgan lo trascinò quasi di peso fra i cespugli, fino ad un punto dove non erano visibili dalla strada. Quando ebbero raggiunto un luogo adatto, Duncan posò le dita sulle tempie dell'uomo e mormorò le parole che sigillavano la trance, poi sorrise, cupo, quando le palpebre del malcapitato si chiusero e lui si accasciò contro Morgan. Adagiato a terra il viandante con la schiena contro un albero, Morgan si accoccolò sui talloni, osservando la scena con un sorriso, mentre Duncan si accertava che il controllo da loro assunto fosse totale. — È stato troppo facile — mormorò Duncan, sollevando lo sguardo con un bagliore negli occhi. — Mi sento quasi colpevole. — Prima di cominciare a vantarti, vediamo se può dirci qualcosa di utile — consigliò Morgan, appoggiando con leggerezza la mano sulla fronte dell'uomo. — Come ti chiami, amico mio? Avanti, è tutto a posto. Puoi aprire gli occhi. Il viandante sollevò le palpebre e fissò Morgan con leggera sorpresa. — Come, io sono Mastro Thierry, signore... un dipendente di Lord Martin di Greystock. — Il suo sguardo era innocente e sincero, e in esso non affiorava nessuna traccia di paura, a causa della trance indotta dai poteri deryni. — Quelle raccolte nella vallata sono le truppe del Vescovo Cardìel? — domandò Duncan. — Sì, signore. Ormai sono accampate là da oltre due mesi, in attesa di un messaggio del re. Si dice che il nostro giovane sovrano verrà presto a Dhassa per essere assolto dal grave peccato che ha attirato su di sé. — Grave peccato? — ripeté Morgan. — Quale sorta di grave peccato? — I poteri deryni, signore. E corre anche voce che abbia dato asilo al terribile Duca Alaric di Corwyn e a suo cugino, il prete eretico, quando tutti sanno che quei due sono stati scomunicati durante la riunione dei vescovi dello scorso aprile. — Ah, sì, ne siamo al corrente — commentò Duncan, a disagio. — Ma dimmi, Thierry, come si fa adesso ad entrare in città? I viandanti devono ancora rendere omaggio a San Torin? — Ah, San Torin deve ancora essere onorato, signore. Tu porti l'emblema, e dovresti saperlo. I simboli di pellegrinaggio vengono distribuiti vici-
no al luogo dove sorgeva la vecchia cappella. Coloro che l'hanno bruciata, questa primavera, erano terribili furfanti. Il Duca Al... — Chi sorveglia i traghetti? — lo interruppe Morgan, con impazienza. — È possibile corrompere i battellieri? In che misura sono sorvegliati i moli? — Corrompere, signore? I battellieri di San... — Rilassati, Thierry — ingiunse Duncan, toccando la fronte dell'uomo ed esercitando un maggiore controllo. — È possibile per due uomini attraversare il lago senza essere fermati sul molo? Al tocco di Duncan, Thierry si era accasciato di nuovo contro l'albero, ed ora riprese a fornire le informazioni richieste in tono meccanico. — No, signore. Le guardie hanno l'ordine di perquisire tutti i viaggiatori e di trattenere quelli che hanno un'aria sospetta. — Fece una pausa e aggiunse, in tono malinconico: — E devo dire che voi, signori, avete l'aria sospetta. — Come no — mormorò Morgan, sottovoce. — Prego? — Ho chiesto se c'è un altro modo per arrivare a Dhassa senza attraversare il lago. Thierry non ne conosceva, e neppure gli altri tre viandanti che Morgan e Duncan interrogarono e lasciarono addormentati sotto gli alberi. Per fortuna, il loro quinto informatore, un brizzolato mastro ciabattino, fu più utile. La sua risposta alla fatidica domanda cominciò come quella di tutti gli altri, ma si concluse in maniera diversa. — E tu conosci un'altra via per arrivare in città, evitando di attraversare il lago? — domandò pazientemente Morgan, senza immaginare che avrebbe ricevuto una risposta affermativa. — No, signore. Ce n'era un'altra, ma è inutilizzabile ormai da vent'anni. — Ce n'era? — mormorò Duncan, sedendosi più eretto e lanciando un'occhiata penetrante al cugino. — Sì, c'era una pista che attraversava l'alto passo, a nord — rispose l'uomo, in tono cortese, — ma è stata ostruita dalle piene quando io ero ancora un ragazzo, ed è meglio così, altrimenti qualche anima irreligiosa potrebbe cercare di raggiungere la nostra santa città senza presentare i suoi rispetti al nostro patrono, e questo naturalmente sarebbe... — Oh, inimmaginabile, è ovvio — convenne Morgan, accostandosi per fissare l'uomo negli occhi. — Dimmi, Dawkin, dov'era questa pista? Come possiamo arrivarci?
— Vi ho detto che non potete passare: è ostruita. Se volete entrare a Dhassa, dovete prendere il traghetto, a meno che preferiate raggiungere a cavallo la porta settentrionale. — No, proveremo questa vecchia pista — affermò Morgan, con un sorriso. — Ora spiegaci dove si trova. — Ma certo. — L'uomo scrollò le spalle. — Tornate indietro fino alla strada, e seguitela per circa ottocento metri, poi imboccate una pista che punta a nord: dopo qualche centinaio di metri, la pista entra in una gola e si biforca, verso nord e verso ovest. Prendete il ramo che va a nord... l'altro porta al villaggio di Garwode. A quel punto, sarete sulla vecchia pista. — Ci sei stato di grande aiuto, Dawkin — sogghignò Morgan, girandosi verso Duncan. — Oh, ma non vi servirà a niente — continuò a chiacchierare l'uomo, mentre Duncan si protendeva verso di lui. — È ostruita, e voi... La voce gli si spense e la testa gli si chinò in avanti non appena Duncan applicò il proprio controllo, poi l'uomo prese quasi subito a russare tranquillamente. Con un sorriso, Duncan si alzò in piedi e lanciò un'occhiata al viandante; poi, come per un ripensamento, si protese, staccò l'emblema di Torin dalla casacca del ciabattino e lo porse a Morgan con un asciutto sorriso, nel tornare con lui verso i cavalli. Morgan lucidò l'emblema rubato contro una manica, prima di appuntarselo sul cappello, dove esso brillò di una calda luce argentea mentre i due montavano in sella. — Duncan, ricordami di recitare una speciale preghiera di ringraziamento per Mastro Dawkin, la prossima volta che visiteremo ufficialmente San Torin. — Non mancherò di farlo — ridacchiò Duncan. — La prossima volta che visiteremo San Torin ufficialmente. Un'ora più tardi, i due cavalieri erano in alto fra le montagne che separavano il lago Jashan e Dhassa dalle ampie e ondulate pianure occidentali. Dopo aver oltrepassato il bivio descritto da Dawkin, avevano disceso un gentile pendio fino ad un prato erboso, dove pascolavano tranquille una mezza dozzina di pecore e di capre ossute; gli animali avevano però degnato di ben poca attenzione i due viandanti, e si erano limitati a tenere d'occhio con sospetto i loro cavalli per qualche minuto. Era stato necessario un po' di tempo per individuare il punto in cui la pista ricominciava dalla parte opposta del prato, ma alla fine l'avevano trovata e si erano rimessi in cammino.
La pista era poco più che un sentiero, ed era ovvio che non era molto usata: il nuovo strato di verde erba primaverile era quasi intatto, e i fiori sembravano intenzionati a spuntare con ribelle abbondanza da ogni tratto di terra e di roccia. La pista andò però peggiorando, e divenne sempre più erta e impervia; i cavalli erano ancora in grado di procedere senza troppi problemi, ma più avanti si sentiva un rumore di acqua corrente. Morgan, che avanzava per primo, ascoltò quel suono mordendosi pensosamente un labbro, e alla fine si girò per lanciare un'occhiata a Duncan. — Hai sentito? — Sembra il rumore di una cascata. Cosa vuoi scommettere che... — Non lo dire — lo interruppe Morgan. — Anch'io sto pensando la stessa cosa. Lo scrosciare dell'acqua era divenuto più intenso, e quando oltrepassarono la successiva curva del sentiero, i due non rimasero stupiti nel trovarsi di fronte un corso d'acqua di buone dimensioni che bloccava loro il cammino. Sulla sinistra, una cascata scendeva ruggendo dal fianco della montagna, formando un torrenziale ruscello che scompariva poi nella foresta, sulla destra, in direzione del Lago Jashan. Non pareva che ci fosse modo di aggirare l'ostacolo. — Allora, cos'abbiamo qui? — domandò Morgan, arrestando il cavallo per osservare il ruscello in piena. Duncan si fermò accanto a lui e scrutò la cascata con sgomento. — Nel caso tu desideri una risposta, quella è una cascata. Hai qualche brillante idea? — Nulla di brillante, temo. — Morgan guidò il cavallo più a valle di qualche metro, studiando il ruscello. — Quanto credi che sia profondo? — Dai tre ai cinque metri, suppongo. In ogni caso, è troppo profondo per noi: i cavalli non potrebbero mai guadarlo, con quella corrente. — Probabilmente hai ragione — ammise Morgan, poi arrestò nuovamente il cavallo, girandosi sulla sella per scrutare la cascata. — Che ne dici di passare sopra la cascata? Noi potremmo riuscire ad arrivare dall'altra parte, anche se i cavalli non ce la facessero. — Vale la pena di dare un'occhiata. Duncan passò una gamba oltre il pomo della sella e balzò a terra, assestandosi sulle spalle il mantello di cuoio e lasciando penzolare le redini nell'erba; mentre lui iniziava ad arrampicarsi su per un sentiero abbastanza agevole che portava alla cascata, Morgan smontò a sua volta e legò il cavallo, seguendo quindi il cugino.
Avevano percorso circa i due terzi della distanza che li separava dalla parete dell'altura, quando Duncan s'immobilizzò per un momento prima di dare una mano a Morgan. Il costone su cui i due si trovavano pareva inizialmente del tutto normale, ma Duncan indirizzò l'attenzione del cugino verso il particolare che aveva attratto il suo sguardo: una profonda fenditura nella roccia che saliva in verticale per oltre dieci metri, fino a perdersi nel velo di nebbia che si levava dalla cascata sottostante. Era necessario muovere parecchi passi su un terreno difficile per arrivare ad un punto da cui entrambi potessero sbirciare nella fenditura. La fessura era stretta... non misurava più di un metro e mezzo nel punto di accesso... ma da dove si trovavano non potevano scorgerne il fondo, perso nell'ombra. Per quel che potevano vedere, le pareti laterali erano coperte da un verde strato di muschio e di licheni, la cui vellutata perfezione era interrotta soltanto di tanto in tanto da qualche chiazza rossa o gialla. Nel fondo della fenditura, che si trovava parecchie decine di centimetri più in basso rispetto a dove erano loro, scorreva un rigagnolo gelido che scaturiva da un buco nella nuda roccia, e l'acqua era tanto fredda che l'aria sopra di essa appariva condensata in una nebbia tremolante là dove un sottile raggio di sole giungeva a colpirla. Morgan e Duncan contemplarono con meraviglia la nebbia vorticante per qualche secondo, senza che nessuno dei due fosse disposto ad infrangere l'etereo incantesimo di quel luogo. Poi sbirciarono insieme nella fenditura. — Che ne pensi? — sussurrò Morgan. — È possibile che arrivi fino in cima? Duncan scrollò le spalle e si calò con cautela nella spaccatura per guardare più da vicino, ma dopo aver dato appena un'occhiata superficiale, scosse il capo e si arrampicò per tornare sul costone. Morgan si protese per porgergli una mano e aiutarlo a risalire, ma Duncan stava ancora scuotendo il capo quando lo raggiunse. — È profondo soltanto un metro circa. Vediamo com'è in cima. Là le prospettive non parvero migliori di quanto fossero state dabbasso. L'acqua scorreva rapida, riversandosi su rocce ineguali e su enormi massi che costellavano il fondo del ruscello. Non era molto profonda... probabilmente misurava poco più di un metro nel punto di maggiore profondità... ma la corrente era traditrice, ed un solo passo falso avrebbe potuto far perdere l'equilibrio ad un uomo e trascinarlo sulle rocce sottostanti. Più a monte, il corso d'acqua appariva ancora peggiore, con ripide sponde che
s'inclinavano verso l'alto su entrambi i lati, senza che ci fosse lo spazio necessario per raggiungere il livello dell'acqua, e tanto meno per passare a guado. Sarebbe stato necessario trovare un altro punto per guadare, magari più a valle, sotto la cascata. Con una smorfia di frustrazione, Morgan accennò a ridiscendere la parete dell'altura, e il cugino si preparò a seguirlo. Morgan aveva però appena iniziato la discesa che Duncan, nel lanciare un'occhiata verso il basso, s'immobilizzò e gli toccò la spalla in un gesto allarmato. — Morgan — avvertì in un sussurro, appiattendosi contro la roccia e trattenendo il cugino, — non ti muovere e guarda in silenzio alle tue spalle! CAPITOLO OTTAVO Estendi la tua ombra nel pieno del giorno come nella notte. Isaia 16:3 Morgan girò lentamente il capo e sbirciò oltre il bordo della sporgenza, guardando nella direzione indicata da Duncan. In un primo momento, non scorse nulla di inconsueto, soltanto uno dei cavalli che brucava pacifico accanto al ruscello sottostante, poi si rese conto che non poteva vedere l'altro cavallo e notò invece un rapido movimento proprio sotto di sé, più vicino alla cascata. Si sporse per verificare la natura di quel movimento e s'immobilizzò per lo stupore, incapace di credere al propri occhi. Quattro bambini, con i capelli umidi e arruffati e con le tuniche fatte in casa appiccicate al corpo, stavano guidando il secondo cavallo nell'acqua, al limitare della cascata. L'animale era stato bendato con ciò che sembrava essere una coperta prelevata dalle sacche della sella, e uno dei bambini gli teneva una mano sul muso per impedirgli di nitrire mentre veniva spinto nell'acqua gelida. Il più grande dei quattro dimostrava circa undici anni, il più piccolo poteva averne al massimo sette. — Cosa diavolo? — mormorò Morgan, lanciando una rapida occhiata al cugino. Duncan contrasse le labbra in una smorfia incupita, poi si mosse come per scendere il pendio, all'inseguimento dei bambini. — Andiamo. Quei piccoli ladri ci ruberanno entrambi i cavalli, se non li fermiamo.
— No, aspetta. — Morgan afferrò Duncan per il mantello, costringendolo a fermarsi, e rimase a guardare i bambini che avanzavano con il cavallo in direzione della cascata, attraversando un tratto di ruscello dove la corrente era meno violenta. — Sai, credo che quei ladruncoli conoscano un guado. Guarda. Nel momento stesso in cui Morgan sussurrava quelle parole, i bambini e il cavallo scomparvero dietro la cascata. Morgan si guardò intorno, poi si affrettò a discendere in parte il fianco dell'altura e segnalò a Duncan di raggiungerlo al riparo di una sporgenza rocciosa. Si erano appena nascosti quando i bambini e il cavallo riapparvero dalla parte opposta della cascata, inzuppati e tremanti, ma illesi. Il membro più giovane del gruppetto, una bambina con lunghe trecce che le gocciolavano sulla schiena, si arrampicò sulla riva con l'aiuto dei compagni, poi prese le redini e guidò il cavallo fuori dell'acqua; la ragazzina procedette quindi a calmare l'animale spaventato, togliendogli la coperta dagli occhi e usandola per asciugarlo, e i suoi tre complici scomparvero di nuovo dietro la cascata. Con un'espressione esultante nello sguardo, Morgan assestò una pacca sulla spalla del cugino, per segnalargli che era ora di muoversi, e si avviò lungo il lato dell'altura, tenendosi il più possibile in ombra; il suo viso era cupo ma soddisfatto mentre lui e Duncan si nascondevano accanto all'unico cavallo rimasto, e dovette trattenersi dal sorridere quando i tre bambini sbucarono dalla cascata e si arrampicarono sulla riva. I tre guardarono in direzione della compagna, che stava ora permettendo al cavallo di pascolare ed era intenta a scrutare l'altura sovrastante il prato, poi si avvicinarono con mosse furtive al secondo animale. Morgan lasciò che arrivassero quasi a toccare la bestia e attese addirittura che uno di loro ne prendesse le redini e allungasse la mano per accarezzarle il muso: a quel punto, lui e Duncan balzarono fuori dal nascondiglio e cominciarono ad afferrare bambini a piene mani. — Michael! — strillò la ragazzina rimasta sulla riva opposta. — No! No! Lasciateli andare! In un vorticare di strilli, di frenetiche contorsioni e di braccia e gambe che si dimenavano, i bambini cercarono di evitare Morgan e Duncan. Morgan riuscì ad afferrare saldamente il primo dei tre, quello che stava toccando il cavallo, e per un attimo la sua mano si strinse anche intorno al secondo. Questi però era anche il più grande del gruppetto, e prese a lottare con notevole energia: con poche contorsioni si liberò e fuggì strillando verso la cascata.
Duncan, che aveva le mani impegnate a trattenere il terzo bambino, tentò di catturare anche il secondo mentre questi gli saettava accanto, ma tutto ciò che gli rimase fra le dita fu una tunica inzuppata. Il ragazzino proseguì la corsa verso la cascata e si gettò nel ruscello come un'anguilla, scomparendo dietro il muro d'acqua prima che i due uomini potessero muovere più di un paio di passi verso di lui. I due ladruncoli che erano stati catturati continuavano intanto a strillare e a dimenarsi, e Morgan fu costretto a mettere a tacere il primo con un tocco magico applicato in tutta fretta. Nel frattempo, la ragazzina che si trovava sulla riva opposta era balzata in groppa al cavallo e lo aveva condotto verso la cascata, protendendo una mano verso il compagno in fuga che stava proprio allora risalendo affrettatamente la riva. A Morgan non rimase altra scelta che ricorrere ad un incantesimo: la magia avrebbe spaventato ancora di più i bambini, ma non poteva permettere loro di fuggire e di riferire ad altri la presenza dei due uomini che stavano cercando di guadare il ruscello. Lasciò quindi scivolare a terra il suo giovane prigioniero e sollevò le braccia. I due dall'altra parte del ruscello tentarono infatti di fuggire, battendo freneticamente con le gambe nude contro i lati della pesante sella nel tentativo di indurre il grosso cavallo a muoversi, e in quel momento un muro incandescente sì concretizzò all'improvviso dinanzi a loro, bloccando il passaggio. I bambini fecero arrestare di scatto la cavalcatura e osservarono con occhi sgranati il muro di luce che si allargava a semicerchio, imprigionandoli a ridosso della riva del corso d'acqua. Duncan addormentò il ragazzino da lui afferrato e lo depose di traverso sulla sella dell'altro cavallo, poi si portò alle labbra una mano insanguinata e si chinò per lavarla nel ruscello. — Uno di quei piccoli mendicanti mi ha morso! — mormorò, mentre Morgan sistemava l'altro bambino sulla sella accanto al primo e lanciava uno sguardo ansioso ai due ladruncoli bloccati sulla sponda opposta. — Rimanete dove siete e non vi accadrà nulla di male — ammoni, puntando un dito contro di loro. — Non ho intenzione di maltrattarvi, ma per ora non potete ancora andarvene, quindi rimanete dove siete. Sotto lo sguardo dei bambini, terrorizzati nonostante le parole di Morgan, Duncan prese il cavallo rimasto per le redini e lo guidò verso la cascata, bendandolo con la tunica strappata al ragazzino in fuga; Morgan si avviò accanto all'animale, sorreggendo sulla sella i bambini addormentati e tenendo d'occhio gli altri due. Il contatto con l'acqua gelida gli strappò un
sussulto e per un istante gli fece quasi perdere il controllo del cerchio di luce, ma si riprese e si avviò accanto all'animale, sotto la cascata. Dietro il ruggente muro d'acqua c'era una stretta sporgenza rocciosa, posta a circa un metro di profondità e coperta di fanghiglia verdastra e di lisci ciottoli rotondi che scivolavano sotto i piedi. Nonostante questo, riuscirono ad arrivare dall'altra parte senza incidenti e non appena il cavallo innervosito ebbe risalito la riva, Duncan tolse di sella i bambini addormentati e li depose con delicatezza sull'erba, sotto il sole. Morgan procedette a calmare il cavallo, poi inarcò un sopracciglio e si avviò a grandi passi verso i due ladruncoli in groppa all'altro animale. I due rimasero immobili in sella, anche se con aria di sfida, mentre Morgan oltrepassava il muro di luce e allungava una mano bagnata verso la briglia, sollevando lo sguardo sui due ragazzini e lasciando svanire la cortina di luce. — Ora, mi volete dire cosa pensavate di farne del mio cavallo? — chiese con calma. La ragazzina, che era la più vicina a lui, si girò con un gemito per lanciare un'occhiata al compagno, poi tornò a fissare Morgan con aria atterrita. Il ragazzo più grande le cinse la vita con le braccia, con fare rassicurante, e incontrò lo sguardo di Morgan con occhi in cui un'espressione dura trapelava insieme alla paura. — Sei un Deryni, vero? Venuto a spiare i nostri vescovi. Reprimendo un sorriso, Morgan si protese per togliere di sella la bambina; la piccola si accasciò non appena lui la toccò, per il terrore più che per una qualsiasi manifestazione di potere deryni, e il ragazzo assunse una posizione più eretta, con gli occhi indaco che brillavano gelidi nel giovane viso abbronzato. Morgan porse la bambina a Duncan e ricevette in cambio la tunica bagnata, che gettò al ragazzo. Nei suoi occhi grigi apparve un'espressione divertita quando il ladruncolo l'accettò senza una parola e se la infilò. — Allora? — insistette il ragazzo, assestandosi l'indumento con un gesto di sfida. — Non sei forse un Deryni? E non sei qui per spiare? — Il primo a porre domande sono stato io. Cosa ci volevi fare con il mio cavallo? Venderlo? — No. I miei fratelli ed io intendevamo portarlo a nostro padre, in modo che potesse partire con l'esercito dei vescovi. I capitani gli hanno detto che il nostro cavallo da tiro era troppo vecchio e non avrebbe potuto reggere ad una marcia prolungata. — Volevate portarlo a vostro padre — annuì Morgan. — Figliolo, lo sai
come si definiscono le persone che prendono cose che non sono di loro proprietà? — Non sono un ladro e non sono tuo figlio! — dichiarò il ragazzo. — Abbiamo guardato in giro e non abbiamo visto nessuno, quindi abbiamo pensato che i cavalli si fossero allontanati dall'accampamento sottostante. Dopo tutto, sono cavalli da guerra. — Ma davvero? E vi è parso probabile che animali del genere andassero a zonzo da soli? Il ragazzo annuì con aria solenne. — Stai mentendo, naturalmente — dichiarò Morgan, secco, poi afferrò il ragazzo per un braccio e lo tirò a terra. — Del resto era prevedibile. Dimmi, ci sono altri ostacoli fra qui e le porte di Dhassa, oppure...? — Siete spie! — sbottò il ragazzo, e prese a dimenarsi nel momento stesso in cui toccò il terreno con i piedi. — Lasciami andare! Ahi, mi fai male! Smettila! Scuotendo il capo con espressione seccata, Morgan torse il braccio del ragazzo dietro la schiena, esercitando pressione fino ad indurre il ladruncolo a piegarsi in due per il dolore. Quando questi ebbe cessato di dibattersi per concentrare l'attenzione sul braccio dolente (che, scoprì, non doleva per nulla se lui non si muoveva), Morgan abbandonò di colpo la presa e girò il ragazzo in modo da guardarlo in faccia. — Ora rilassati! — ingiunse, fissandolo con i suoi grandi occhi grigi per sottoporlo alla Lettura del Vero. — Non ho il tempo di ascoltare i tuoi isterismi. Il ragazzo cercò di resistere, ma la lotta con Morgan era impari. Gli occhi azzurri fissarono senza cedere quelli grigi per un secondo, poi la giovane volontà s'indebolì e le palpebre sbatterono sulle pupille azzurre. Non appena il ragazzo fu abbastanza calmo da poter essere sondato, Morgan lo lasciò andare ed emise un sospiro di sollievo nell'assestarsi la cintura e nell'allontanare una ciocca di capelli quasi asciutti dalla fronte. — Adesso — riprese, tornando a fissare il ragazzo negli occhi, — cosa puoi dirmi in merito al resto della pista? Potremo percorrerla? — Non con i cavalli — rispose, tranquillo, il ragazzo. — È probabile che riusciate a passare a piedi, ma non con i cavalli. Più avanti c'è una zona franosa... fango e ghiaia... e neppure i pony di montagna la possono oltrepassare. — Una zona franosa? Non c'è modo di aggirarla? — Non se si va a Dhassa. La strada da cui siete venuti porta a Garwode,
e questa è ormai una pista in disuso, perché non la si può percorrere con ammali da soma o bagagli. — Capisco. Non puoi dirci altro su questa zona franosa? — No. Il tratto peggiore è lungo un centinaio di metri, ma si può vedere l'altra estremità della pista prima di iniziare ad attraversarlo. In questo periodo dell'anno sarà fangoso, e dovrete cercare di passare come meglio potrete. Morgan lanciò un'occhiata a Duncan, che gli si era accostato durante l'interrogatorio. — C'è altro? — Cosa ci può dire delle porte di Dhassa? Avremo problemi ad oltrepassarle? Il ragazzo guardò verso Duncan con aria pensosa, notando l'emblema di Torin appuntato sul suo cappello, poi scosse il capo. — Quegli emblemi vi permetteranno di entrare. Mescolatevi alla gente che scende dai traghetti. In questo periodo, a Dhassa ci sono centinaia di stranieri. — Eccellente. Altre domande, Duncan? — No. Ma che ne faremo di loro? — Li lasceremo qui con i cavalli e con qualche ricordo fasullo che copra il tempo trascorso. Del resto, non possiamo portare con noi le bestie. — Morgan sfiorò la fronte del ragazzo e lo sostenne quando si accasciò, deponendolo accanto agli altri bambini. — È davvero un piccolo diavolo, non trovi? — Non mi sorprenderebbe scoprire che è stato lui a mordermi — commentò Duncan, con un sorriso. — Hmm, probabilmente avrei fatto lo stesso anch'io — ribatté Morgan. Toccò di nuovo il ragazzo sulla fronte, per un momento, riorganizzando i suoi ricordi, poi tolse le sacche dalla sella e se le gettò su una spalla. — Pronto per una bella scivolata, cugino? — sogghignò. La scivolata di cui Morgan aveva parlato con tanta leggerezza per poco non costò loro la vita. Il tratto di pista interessato dalla frana, per quanto di un terzo più corto di quanto fossero stati indotti a ritenere, era almeno due volte più pericoloso e ripido del previsto: oltre ad essere scivoloso per la sabbia e la ghiaia, era anche fangoso, e non si trattava di un fango denso e appiccicoso, che potesse fungere da freno in caso di uno scivolone, ma piuttosto di una viscida melma che tendeva a diventare semiliquida senza
il minimo preavviso. Durante l'attraversamento Duncan perse le sacche della sella, e per poco non perse anche la vita, ma una volta oltrepassato il pendio, il resto del tragitto risultò facile come aveva preannunciato il ragazzo. Quando raggiunsero la sponda del lago Jashan su cui sorgeva Dhassa, verso la metà del pomeriggio, incontrarono scarse difficoltà ad oltrepassare le porte cittadine mescolandosi ad un gruppo di nuovi arrivati che erano appena sbarcati dai traghetti. Quel giorno e il successivo erano giornate di mercato, e in effetti a Dhassa c'erano molti stranieri, il che rendeva particolarmente facile per i nuovi arrivati raggiungere l'affollata piazza del mercato antistante il Palazzo Vescovile. Morgan prelevò parecchi frutti da una bancarella e gettò una moneta al gestore, poi tornò a immergersi fra la folla per osservare ed ascoltare. Ormai, lui e Duncan si trovavano nella piazza da quasi un'ora, durante la quale si erano mescolati agli abitanti, avevano posto qualche domanda o si erano semplicemente limitati a tenere gli orecchi aperti, senza però riuscire a scoprire, fino a quel momento, un modo per penetrare nel palazzo senza essere notati. Era essenziale per loro stare molto attenti a ciò che dicevano perché nella piazza del mercato circolavano parecchi soldati, ma al tempo stesso non osavano indugiare ancora ad agire perché presto la piazza si sarebbe svuotata per il sopraggiungere dell'oscurità e loro avrebbero corso il rischio di essere scoperti. Nell'attuale stato di cose, non avevano dove rifugiarsi una volta calato il buio. Le immagini, i suoni e gli odori del mercato pervadevano la piazza in un groviglio di vivaci colori, di voci sonore e di animali stridenti, il tutto accompagnato dal pungente odore delle spezie e del letame, dal profumo del pane fresco e della carne che arrostiva sugli spiedi, dagli strilli di maiali e pecore, dal frenetico chiocciare delle galline e di altri volatili da cortile. Morgan osservò con noncuranza una compagnia di giocolieri che si esibiva davanti ad un padiglione di seta, ed avvertì una folata di profumo eccessivamente dolciastro quando un soldato ubriaco oltrepassò barcollando il suo ingresso. Dall'interno giungevano un'allegra musica metallica e un suono di risa, e lo sguardo del soldato aveva un che di vitreo mentre lui si allontanava ondeggiando fra la folla. Un paio di serve lo spintonarono, aprendosi un varco fra la ressa con i cesti carichi, ma le due ragazze erano trasandate e sporche... e decisamente non andavano a genio a Morgan. Questi si assestò sulle spalle il peso delle sacche e addentò una delle mele che aveva comprato, assaporandone il gusto asprigno. Continuando a scrutare la folla, individuò suo cugino a qualche banco di distanza, intento
a comprare un po' di pane fresco e una fetta di formaggio rustico; Duncan indugiò per scrutare il padiglione da cui esalavano profumo dozzinale e musica, poi si accigliò e si allontanò da esso. Soffocando un sogghigno, Morgan si avviò nella stessa direzione presa da Duncan, continuando a mangiare il frutto e a guardarsi intorno. Alla fine, Duncan sedette su un muretto adiacente a una fontana pubblica e cominciò a mangiare pane e formaggio, tagliando grossi pezzi di entrambi con la daga. Morgan si accostò alla fontana e posò le mele e le sacche della sella vicino a Duncan; nell'appoggiarsi al muro per osservare l'affollata piazza del mercato, dovette compiere un netto sforzo per mantenere indifferenti i propri modi: non si poteva mai sapere chi stesse guardando. — Un posto affollato, vero? — commentò in tono sommesso, finendo la mela e gettando il torsolo ad un asino assai carico. Prese quindi a rosicchiare un po' di pane e formaggio, senza cessare di scrutare la folla. — Spero che tu abbia scoperto qualcosa di più rispetto a me. Duncan inghiottì un boccone di pane e formaggio e si guardò intorno con cautela. — Ben poco che possa esserci di immediata utilità, temo. Ma posso dirti che i vescovi si troveranno presto nei guai se non agiranno tempestivamente. Ora come ora, il popolo sostiene Cardiel e il suo esercito, ma ci sono molti che non approvano i suoi piani e che ritengono vergognoso che i capi della Chiesa abbiano litigato fra loro al punto da arrivare ad uno scisma. Devo dire che non mi sento di biasimare chi la pensa cosi, soprattutto se si considera che siamo alla vigilia di una guerra. — Humph. — Morgan tagliò un altro pezzo di formaggio e si guardò alle spalle prima di protendersi maggiormente verso Duncan. — Hai sentito del Vescovo Wolfram? — No, cosa è successo? — C'è stato un attentato alla sua vita, qualche settimana fa. Non ha avuto successo, ma.... — Morgan s'interruppe quando un paio di soldati passarono nelle vicinanze, e prese un terzo pezzo di formaggio, masticando con calma finché i due non furono fuori portata d'udito. — Comunque, è per questo che le porte del palazzo sono così sorvegliate. Cardiel non osa correre il rischio che accada qualcosa ad uno dei suoi vescovi. Se uno dei Sei venisse ucciso adesso, Loris e Corrigan nominerebbero il suo successore, e noi tutti sappiamo a chi andrebbe la fedeltà del nuovo vescovo. — E questo fornirebbe a Loris e a Corrigan i dodici voti di cui hanno bisogno per rendere i loro decreti validi anche di fatto e non soltanto di nome
— sussurrò Duncan. Morgan finì di mangiare il formaggio e si pulì le mani guantate contro i pantaloni, prima di voltarsi per prendere acqua dalla fontana. Mentre beveva, il suo sguardo indugiò sulle porte del palazzo per poi spostarsi sulle torri che le dominavano. Riempì quindi ancora il recipiente e lo porse al cugino, rimettendosi a sedere sul muretto in attesa che Duncan si dissetasse. — Sai — mormorò Morgan, scrutando la piazza, — credo che la folla cominci ad assottigliarsi. Presto daremo nell'occhio, se non decidiamo sul da farsi. — Lo so — convenne Duncan, restituendogli il recipiente e asciugandosi la bocca con una manica. — Ci sono meno soldati e più religiosi. Le campane presero a squillare in cima ad una torre lontana, alle loro spalle, e ad esse fecero presto eco le grandi campane del palazzo vescovile. Quando lo scampanio ebbe inizio, Duncan s'immobilizzò, senza cessare di scrutare la folla, poi si raddrizzò lentamente con un'espressione intenta sul viso. — Cosa c'è? — sussurrò Morgan, badando a non tradire la minima emozione con il volto o con la voce, perché i soldati avevano ripreso a circolare. — I monaci, Alaric — sussurrò Duncan, accennando in direzione delle porte. — Guarda dove stanno andando. Con cautela, Morgan si girò e guardò nella direzione indicata dal cugino: una pusterla era stata aperta nella parte inferiore delle grandi porte del palazzo, per permettere l'accesso a un gruppetto di monaci incappucciati. Nel riportare lo sguardo su Duncan, vide che il cugino stava riponendo quanto rimaneva del pane e del formaggio nelle sacche della sella. Notando la sua occhiata in tralice, Duncan gli indirizzò un rapido sorriso da cospiratore e s'impadronì dell'ultima mela, lucidandola contro una manica. Sconcertato, Morgan raccolse le sacche della sella e seguì il cugino, che si era avviato con passo lento e tranquillo verso le porte del palazzo, sfiorandogli un gomito in un gesto interrogativo mentre entrambi costeggiavano il perimetro della piazza. — Hai visto dove stanno andando i monaci? — mormorò Duncan, addentando la mela. — Sì. — E nessuno li ferma, giusto? — proseguì Duncan, fra un boccone e l'altro, senza fermarsi. — Adesso guarda da dove arrivano, alla tua sinistra,
ma bada a non farti notare. Morgan sbirciò con noncuranza nella direzione indicatagli e individuò una porta che dava accesso a un cortile in ombra, apparentemente l'ingresso laterale di un monastero. A intervalli, quella porta si apriva per lasciar passare uno o due monaci avvolti in un nero saio munito di cappuccio. In base a quanto Morgan riuscì a vedere, tutti i monaci che uscivano dal convento si dirigevano verso il palazzo, e a nessuno di loro veniva negato l'ingresso. — Dove vanno tutti quanti? — chiese sottovoce, rivolto al cugino, che aveva finito la mela e si stava assestando la cintura con la spada, sotto il mantello. Le porte principali della chiesa si trovavano più in giù, verso sinistra, sotto le tozze torri di pietra, e parecchi cittadini le stavano varcando, accolti da alcuni monaci che sostavano sulla soglia per salutare i fedeli. — Avrei dovuto rendermi conto — sussurrò Duncan, — che in una città dove esiste una grande comunità monastica, i fratelli devono avere l'abitudine di assistere alle funzioni nella basilica del vescovo, se ce n'è una. Stanno andando ai Vespri. — Ai Vespri — ripeté Morgan, in tono altrettanto sommesso. Seguì un breve silenzio, mentre entrambi si avviavano verso la chiesa, allontanandosi dalle porte del palazzo. — Non assisteremo ai Vespri in quella chiesa, vero, Duncan? — domandò poi, ma si trattava di un'affermazione, più che di una domanda. Duncan scosse leggermente il capo, e Morgan ebbe difficoltà a frenare un sorriso. — È ciò che pensavo anch'io. Dieci minuti più tardi, altri due monaci si unirono alla fila dei confratelli che stavano entrando lentamente nel palazzo del vescovo; i due monaci ritardatari si avvicinarono con passo deciso, avvolti nelle lunghe tuniche il cui cappuccio nero era sollevato, e chinarono il capo con umiltà nell'oltrepassare le sentinelle, tenendo le mani nascoste nelle ampie maniche. Una volta all'interno, percorsero con andatura pacata i lunghi corridoi luminosi, e i loro passi risultarono stranamente soffocati rispetto a quelli degli altri monaci, calzati di sandali. I due si mossero però con cautela, evitando di fare qualsiasi cosa che desse nell'occhio, perché c'era dell'acciaio celato sotto i rozzi sai... ciascuno aveva la spada alla cintura e coltelli nascosti negli stivali e nelle maniche, e una lucida cotta di maglia brillava sotto la sopravveste di cuoio coperta dal saio. C'era però anche un ulteriore dettaglio che distingueva quei
due particolari monaci dagli altri, sebbene tutti lo ignorassero: i due in coda alla fila, infatti, erano Deryni ed avevano la magia nell'anima. Morgan e Duncan si trassero in disparte quando i religiosi entrarono nella basilica, celandosi nell'ombra offerta da una rientranza di un vicino corridoio. Dopo qualche momento, giunse fino a loro il canto corale dei monaci, seguito dalle preghiere dei Vespri; parecchie volte, le porte si aprirono per ammettere alcuni ritardatari, e una volta Duncan ebbe l'impressione di sentire nella basilica la voce di Cardiel. Infine i Vespri si conclusero e i battenti si spalancarono: i servi del palazzo vescovile, paggi e uscieri, parecchi nobili con le loro dame e molti prelati sciamarono dalla cappella, conversando fra loro in tono sommesso e prendendo direzioni diverse là dove il corridoio si biforcava, vicino alle porte. In mezzo agli altri c'erano anche Cardiel ed Arilan, accompagnati da prelati, funzionari e da altri nobili e dame. Nel veder apparire i due vescovi Duncan, che conosceva Arilan ed aveva già visto Cardiel di sfuggita, in passato, diede di gomito al cugino. Morgan, però, s'immobilizzò, trattenendo bruscamente il respiro, nel vedere una donna e un bambino che seguivano a breve distanza il resto dei nobili; la donna, avvolta in un abito azzurro-cielo, stava parlando con un'altra dama e teneva una mano sulla spalla di un bambino di circa quattro anni. Era alta e snella, il suo portamento era regale senza essere imperioso, e gli occhi di Morgan si dilatarono leggermente nell'assorbire ogni dettaglio. Profondi occhi azzurri erano incastonati nel viso a forma di cuore incorniciato da un sottilissimo velo di seta; i capelli, che avevano il colore di una fiamma esposta ai raggi del sole, le si allargavano alle tempie come un paio di ali ed erano raccolti in un morbido nodo sulla nuca, il naso era delicato e un po' all'insù, gli zigomi alti e rosati, le labbra piene, rosse e invitanti. Il bambino che le camminava accanto aveva i capelli rossi arruffati e un'espressione assonnata negli occhi grigi. Morgan aveva visto quei due una volta soltanto... se si escludevano i sogni... e questo era stato un'eternità prima, in una carrozza ferma fuori del santuario ora in rovina, non molto lontano da Dhassa. Ricordò a se stesso che quella donna era sposata, che il bambino era figlio di un altro uomo, e si chiese ancora una volta chi fossero. Avvertì infine una leggera pressione contro il gomito sinistro e, nel voltarsi, scoprì che Duncan lo stava fissando in maniera un po' strana; Morgan gli indirizzò uno sguardo apologetico e ritrovò il controllo, azzardando infine un'ultima occhiata nel corridoio prima di riportare l'attenzione sui due vescovi: la donna e il bambino se
n'erano andati. Calatosi maggiormente il cappuccio sulla faccia, Duncan lasciò il nascondiglio con passo pacato, e Morgan lo seguì, cercando di imitare come meglio poteva l'andatura e i modi umili del cugino. I due vescovi avevano intanto oltrepassato la svolta dell'intersezione successiva, ma Morgan e Duncan li riavvistarono e li seguirono ad una discreta distanza finché i due prelati scomparvero dietro una porta a due battenti. Incerti, i due Deryni si arrestarono a breve distanza dalla soglia, per riflettere sulla mossa successiva. — Sai cosa ci sia là dentro? — sussurrò Morgan. — Non sono mai stato qui prima d'ora — replicò Duncan, scuotendo il capo. — Per quel che ne so, potrebbe essere la camera della Curia. Dovremo rischiare... S'interruppe quando una squadra di soldati aggirò l'angolo e si fermò davanti alla porta. Uno di essi bussò con rispetto, e un altro si guardò intorno, scorgendo i due monaci fermi. Accigliandosi leggermente, il soldato si girò per mormorare qualcosa ad uno dei compagni, poi si diresse con decisione verso i due. Morgan e Duncan si scambiarono un'occhiata piena di apprensione e cercarono di apparire quanto più innocui possibile. — Buona sera, fratelli — salutò il soldato, osservandoli con curiosità. — Posso chiedervi cosa ci fate qui? Sapete che non vi è permesso circolare in questa zona del palazzo senza un'autorizzazione del vostro superiore. Duncan avanzò di un passo e s'inchinò, badando a tenere la faccia in ombra. — Dobbiamo vedere con urgenza Sua Grazia il Vescovo di Dhassa, signore. È una cosa di vitale importanza. — Temo che non sia possibile, fratello — replicò il soldato, scuotendo il capo. — Le loro eccellenze sono già in ritardo per una riunione. — Ci vorranno appena pochi minuti — azzardò Duncan, guardando fugacemente verso Morgan e chiedendosi come avrebbero fatto a districarsi da quella situazione. — Forse, se potessimo parlare con loro mentre si recano alla riunione... so che sarebbero contenti di vederci. — Mi sembra alquanto improbabile — ribatté il soldato, che cominciava ad irritarsi per l'insistenza di quei monaci. Intanto, la prolungata conversazione aveva attirato l'attenzione dei suoi colleghi, compreso l'ufficiale che comandava la squadra. — Tuttavia, se voleste fornirmi i vostri nomi, potrei... — Qual è il problema, Selden? — chiese l'ufficiale, avvicinandosi len-
tamente, fiancheggiato da parecchi dei suoi uomini. — Non dovreste essere qui, fratelli. Selden non ve lo ha detto? — Oh, lo ha fatto, signore — mormorò Duncan, inchinandosi ancora, — ma... — Signore — interloquì una delle guardie, scrutando Morgan con aria sospettosa, — quell'uomo sembra avere qualcosa sotto la tonaca. Fratello, sei... L'uomo si protese verso Morgan che, d'istinto, indietreggiò di un passo e portò la mano all'elsa della spada; quel movimento fu sufficiente ad agitare il saio, delineando così la sagoma dell'arma celata sotto il tessuto e mettendo allo scoperto uno stivale e non il sandalo monacale che avrebbe dovuto accompagnare l'abito. I soldati sussultarono all'unisono, nel comprendere cosa questo significasse, poi scattarono in avanti per ridurre all'impotenza il falso frate, bloccandolo contro il muro ed immobilizzandogli il braccio destro. Morgan ebbe appena il tempo di accorgersi che anche Duncan era stato aggredito, poi qualcuno gli afferrò la tonaca all'altezza della spalla e tirò finché il tessuto si lacerò con un suono soffocato; i capelli biondi di Morgan brillarono come un liscio elmo d'oro quando il cappuccio scivolò via. — Dio del Cielo, non è un monaco! — esclamò uno dei soldati, ritraendosi involontariamente di fronte allo sguardo dei freddi occhi grigi del prigioniero. Trascinato a terra dal peso di cinque o sei uomini, Morgan continuò a lottare e, per un momento, giunse quasi a divincolarsi; alla fine, però, si trovò inchiodato a terra, impotente, con alcune spade puntate alla gola e al fianco, una delle quali gli premeva pericolosamente contro la vena iugulare. All'improvviso, smise di divincolarsi e permise ai suoi avversari di disarmarlo, mordendosi un labbro per il disappunto quando lo privarono anche del pugnale che portava al polso, in un fodero sottile. Nello strappargli di dosso la tonaca nera, i soldati scoprirono la sopravveste di cuoio e la cotta di maglia, e Morgan si costrinse a rimanere rilassato, nella speranza di evitare così reazioni brutali da parte loro. I suoi catturatori mostrarono di apprezzare quella collaborazione, e si limitarono a consolidare la presa: un uomo gli si sedette su ciascun arto e un quinto gli si inginocchiò accanto, puntandogli una daga alla gola. Morgan accennò a sollevare il capo, per vedere come se la stesse cavando Duncan, ma decise che era meglio non muoversi, perché non osava correre il rischio che gli tagliassero la gola prima che avesse avuto modo di fornire le spiegazioni necessarie a toglier-
si da quel pasticcio. L'ufficiale di guardia si raddrizzò, con il respiro affannoso, e ripose la spada con aria disgustata, indirizzando ai prigionieri un'occhiata rovente. — Chi siete? Sicari? — chiese, pungolando Morgan con la punta di uno stivale, con ben poca gentilezza. — Qual è il tuo nome? — Lo dirò soltanto ai vescovi — replicò Morgan, in tono sommesso, fissando il soffitto e costringendosi a rimanere calmo. — Ma davvero? Frugalo, Selden. Davis, cosa puoi dirmi dell'altro? — Addosso non ha nulla che possa identificarlo, signore — rispose una delle guardie che si trovavano accanto a Duncan. — Selden? Selden armeggiò con la sacca che Morgan portava alla cintura, poi l'aprì e ne estrasse alcune monete d'oro e d'argento e una piccola custodia di pelle di daino, chiusa da un laccio. Nel toglierla dalla sacca, il soldato si accorse che la custodia era pesante, e l'ufficiale notò un'alterazione nell'espressione del prigioniero, quando Selden gli consegnò l'oggetto. — Qualcosa che è più importante del denaro, vero? — intuì l'ufficiale, allentando i lacci e aprendo la custodia. Quando la rovesciò a testa in giù, due anelli gli rotolarono in mano. Il primo era un pesante cerchio d'oro in cui era incastonata un'onice, su cui era inciso il dorato Leone di Gwynedd... l'anello del Campione del Re. Sull'altro spiccava un grifone di smeraldo inserito su una superficie d'onice... il sigillo di Alaric, Duca di Corwyn. L'ufficiale sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta nel vedere lo stemma, poi scrutò ancora il prigioniero, cercando di distinguerne i lineamenti attraverso la barba e sussultò nel riconoscere l'uomo disteso ai suoi piedi. — Morgan! — sussurrò, mentre gli occhi gli si dilatavano ancora di più. CAPITOLO NONO La mia coscienza mi sta più a cuore di ciò che dice la gente. Cicerone — Morgan! — Mio Dio! I Deryni sono fra noi! Parecchi uomini si fecero furtivamente il segno della croce, e quelli che tenevano fermi i prigionieri si ritrassero, anche se non allentarono la presa.
In quel momento, una metà della doppia porta che dava accesso alla stanza si aprì e un prete fece capolino: il religioso diede una sola occhiata ai soldati ammassati nel corridoio, sussultando nel notare i due uomini immobilizzati al suolo, poi si affrettò a scomparire di nuovo nella stanza per riapparire poco dopo con un uomo alto che indossava una tonaca viola. Il volto del Vescovo di Dhassa era calmo e sereno sotto la massa di capelli grigio-ferro, e una croce in oro e gemme gli brillava sul pettorale dell'abito vescovile. Anche lui rivolse una sola occhiata alla scena, concentrando poi sull'ufficiale di guardia lo sguardo dei suoi occhi chiari. — Chi sono questi uomini? — chiese Cardiel, in tono quieto. L'ametista dell'anello episcopale lanciò un bagliore mentre lui posava la mano sulla maniglia della pesante porta, e l'ufficiale deglutì con difficoltà, nell'accennare ai prigionieri. — Que... questi intrusi, Vostra Eccellenza, loro... Senza aggiungere altro, l'uomo si accostò al vescovo e protese la mano tremante in cui teneva i due anelli. Cardiel li prese e li esaminò, scrutando quindi con attenzione Morgan e Duncan, che ricambiarono il suo sguardo con fermezza. D'un tratto, poi, Cardiel si girò di scatto verso la stanza alle sue spalle. — Denis? — chiamò, ed avanzò nel corridoio. Qualche secondo più tardi, il Vescovo Arilan apparve sulla soglia e fu costretto ad esercitare un notevole controllo sulla propria espressione, quando scorse i prigionieri. Cardiel aprì la mano per mostrargli i due anelli, ma Arilan li degnò appena di un'occhiata superficiale. — Padre McLain, Duca Alaric — disse, soppesando le parole, — vedo che avete finalmente raggiunto Dhassa. — Incrociò quindi le braccia sul petto, e il suo anello vescovile ammiccò come un freddo fuoco nel silenzio. — Ditemi, siete venuti per cercare la nostra benedizione o la nostra morte? Il volto di Arilan era severo, gli occhi viola erano freddi, e tuttavia dal suo volto traspariva qualcosa che Duncan interpretò come soddisfazione e non come ira... gli parve quasi che Arilan stesse recitando a beneficio delle guardie. Schiarendosi la gola, Duncan cercò di sollevarsi, ma i suoi sforzi rimasero vani finché Arilan non segnalò alle guardie di lasciarlo andare, sia pure parzialmente; quando infine poté sedersi, Duncan lanciò un'occhiata in tralice a Morgan, che si stava a sua volta mettendo a sedere sul pavimento del corridoio. — Vostra Eccellenza, imploriamo perdono per il modo in cui ci siamo
presentati, ma dovevamo vedervi entrambi. Siamo venuti per consegnarci alla vostra autorità e al vostro giudizio. Se abbiamo agito in maniera errata, ora o in passato, supplichiamo che ci siano indicati e perdonati i nostri errori; se invece siamo stati falsamente accusati, speriamo che ci venga dato il modo di dimostrarlo. Le guardie sussultarono nel registrare il significato di quelle parole, ma Arilan rimase impassibile. Il suo sguardo andò da Duncan a Morgan, tornando poi a posarsi sul prete; infine, il vescovo si girò e spalancò il doppio battente, traendosi quindi di lato e rivolgendosi ancora una volta alle guardie. — Conduceteli dentro e lasciateci soli. Il Vescovo Cardiel ed io sentiremo cos'hanno da dire. — Ma, Vostra Eccellenza, questi uomini sono fuorilegge, condannati dal tuo stesso decreto. Hanno distrutto San Torin, ucciso... — So quello che hanno fatto — interruppe Arilan, — e sono perfettamente consapevole che si tratta di due fuorilegge. Adesso obbedisci. Puoi anche legarli, se ciò servirà a placare i tuoi timori. — Molto bene, Eccellenza. Mentre alcuni soldati issavano con cautela in piedi i prigionieri, altri procurarono strisce di cuoio e legarono le mani dei due uomini, sul davanti. Cardiel osservò la scena in silenzio, imitando l'esempio di Arilan, che attendeva immobile accanto alla soglia. Il prete che poco prima aveva fatto capolino rientrò nella stanza e girò un paio di sedie che si trovavano accanto al camino, disponendole in modo che guardassero verso la stanza; poi, mentre i vescovi, i prigionieri e le guardie entravano nella camera, il religioso si trasse di lato e osservò attentamente Duncan. Questi gli lanciò uno sguardo e cercò di sorridergli, nel passargli accanto, ma l'uomo si limitò a chinare il capo con sgomento: Padre Hugh de Berry e Duncan erano stati amici per molti anni, ma adesso soltanto Dio sapeva ciò che il destino aveva in serbo per McLain. Arilan raggiunse una delle due sedie e si sedette, congedando quindi il suo segretario e le guardie con un cenno. Padre Hugh si mosse immediatamente per obbedire, ma parecchi soldati esitarono sulla soglia e Cardiel, che era rimasto accanto alla porta, li rassicurò con la promessa che potevano rimanere di guardia all'esterno e che sarebbero stati chiamati subito in caso di bisogno. Il vescovo attese, inflessibile, che tutti fossero usciti, poi chiuse la porta e tirò il catenaccio, andando infine a prendere posto accanto ad Arilan. Il più giovane dei due vescovi congiunse le dita e fissò a lungo i
prigionieri, prima di parlare. — E così, Duncan, sei tornato da noi. Quando hai lasciato il nostro servizio per diventare il Confessore del Re, abbiamo perduto un abile assistente, ma ora sembra che la tua carriera abbia preso una piega che nessuno di noi due avrebbe mai immaginato. Duncan chinò il capo, a disagio, nel cogliere l'uso formale del plurale maiestatico. La dichiarazione del vescovo era stata abbastanza neutrale, ma poteva essere interpretata anche in altro modo, per cui Duncan avrebbe dovuto agire con cautela fino a quando fosse riuscito a determinare la posizione del vescovo: per ora, Arilan intendeva mostrarsi severo. Duncan lanciò un'occhiata a Morgan, e comprese che il cugino stava aspettando che fosse lui a parlare. — Mi dispiace se ho deluso Vostra Eccellenza, e spero di poter offrire una spiegazione che incontri almeno la tua comprensione. Attualmente, non oso sperare nel tuo perdono. — Questo resta da vedersi. Comunque, siamo d'accordo sul motivo della vostra venuta, giusto? — Avevamo l'impressione — intervenne Morgan, schiarendosi la voce, — che Vostra Eccellenza fosse stata in contatto con il re e che questi avesse comunicato lo scopo della nostra visita. — È vero — ammise Arilan. — Speravo tuttavia di sentire da voi una conferma di tale scopo. Il vostro intento è quello di discolparvi dalle accuse sollevate dalla Curia, questa primavera, e di ottenere l'assoluzione dalla scomunica impostavi all'epoca, esatto? — È così, Eccellenza — mormorò Duncan, inginocchiandosi e chinando ancora una volta il capo. Morgan gli lanciò un'occhiata e lo imitò. — Bene. Allora ci capiamo a vicenda. Credo che sarebbe meglio ascoltare separatamente le vostre rispettive versioni di quanto è accaduto a San Torin. — Arilan si alzò in piedi. — Tu verrai con me, Lord Alaric, e lasceremo questa stanza al Vescovo Cardiel e a Padre McLain. Da questa parte, prego. Morgan indirizzò un altro sguardo al cugino, poi si alzò in piedi e segui Arilan oltre una porta, sulla sinistra, che conduceva in una piccola anticamera dotata di una sola finestra dai vetri piombati, posta alquanto in alto nella parete. Parecchie candele ardevano su uno scrittoio addossato al muro in cui si apriva la finestra, e davanti al tavolo c'era una sedia dallo schienale diritto. Arilan allontanò la sedia dallo scrittoio, la girò e si sedette, segnalando a Morgan di chiudere la porta. Morgan obbedì, poi si volse
e rimase in piedi, a disagio, davanti al vescovo; non lontano da Arilan, contro la parete opposta, c'era una bassa panca, ma Morgan non osò sedervisi di sua iniziativa, non avendo ricevuto nessun invito in tal senso. Celando con cura i propri sentimenti, piegò un ginocchio al suolo dinanzi ad Arilan e chinò la testa bionda, appoggiando i polsi legati sul ginocchio rimasto sollevato; cercò in fretta le parole giuste con cui cominciare, poi risollevò il capo e incontrò lo sguardo di Arilan: gli occhi grigi e quelli violetti si scrutarono con calma fermezza. — Si deve trattare di una confessione formale, Eccellenza? — Soltanto se lo desideri — replicò Arilan, con un lieve sorriso, — e sospetto che tu non nutra tale desiderio. In ogni caso, ho bisogno che tu mi autorizzi a discutere con Cardiel di quanto mi dirai. Sei disposto a sciogliermi fino a questo punto dal voto del silenzio? — Per quanto concerne Cardiel, sì. Non ci sono più segreti in merito a ciò che abbiamo fatto, in quanto tutti sanno che siamo Deryni. Ma... potrei doverti confidare cose che sarebbe meglio tenere celate ai più. — Lo comprendo. Come dovrò regolarmi con gli altri vescovi? In che misura potrò aprirmi con loro, nel caso questo si rendesse necessario? — Dovrò fidarmi della tua valutazione, Eccellenza — rispose Morgan, abbassando lo sguardo. — Dal momento che mi devo rappacificare con voi tutti, non sono certo nella posizione più adatta per dettare condizioni. Potrai riferire agli altri ciò che riterrai opportuno. — Ti ringrazio. Seguì una breve pausa, e Morgan si rese conto che toccava a lui cominciare; si umettò le labbra con nervosismo, acutamente consapevole dell'importanza dell'effetto che quanto stava per dire avrebbe avuto. — Dovrai... dovrai essere paziente con me, Eccellenza: tutto questo mi è molto difficile. L'ultima volta che mi sono inginocchiato per confessarmi è stato ai piedi di un uomo che aveva giurato di uccidermi. Warin de Grey, con cui si trovava anche Monsignor Gorony, mi teneva prigioniero nei sotterranei di San Torin, e per guadagnare tempo sono stato costretto a confessare peccati che non avevo commesso. — Nessuno ti ha costretto a venire qui, Alaric. — No. Arilan attese per qualche istante, poi sospirò. — Sostieni quindi che voi due siete innocenti delle accuse sollevate contro di te dalla Curia? — No, Eccellenza. — Morgan scosse il capo. — Temo che abbiamo ef-
fettivamente compiuto la maggior parte delle cose di cui Gorony ci ha accusati. Quello che voglio spiegare è il perché delle nostre azioni, e desidero anche chiedere se, a tuo parere, avremmo potuto comportarci in maniera diversa e sperare di sopravvivere al tradimento organizzato a nostro danno. — Tradimento? — Arilan congiunse la punta delle dita e si accostò le mani alle labbra. — Parlami dunque di questo tradimento, Alaric. Mi è dato di capire che vi è stata tesa una trappola. Spiegami com'è andata. Morgan sollevò lo sguardo verso Arilan, ma subito si accorse che non poteva guardare negli occhi il vescovo e riuscire al tempo stesso a raccontare con accuratezza quanto era accaduto a San Torin. Con un profondo sospiro, abbassò ancora una volta lo sguardo e prese a parlare con voce tanto bassa che Arilan dovette protendersi in avanti per sentire le sue parole. — Eravamo in viaggio per venire a supplicare la Curia di non pronunciare l'Interdetto — iniziò Morgan. Il suo sguardo vagò in su fino all'altezza del petto di Arilan, e si concentrò sul centro della croce che il prelato aveva indosso. — Eravamo convinti, e ancora lo siamo, che l'Interdetto fosse un errore... come avete deciso anche tu e i tuoi colleghi, qui a Dhassa... e speravamo che se ci fossimo presentati al cospetto della Curia avremmo potuto ragionare con voi della cosa, o almeno addossarci il fardello della vostra ira ed evitare che ricadesse sul mio popolo. La voce di Morgan assunse un tono cupo a mano a mano che il ricordo dell'orrore vissuto gli affiorava alla memoria. — Avevamo deciso di passare da San Torin e di visitare il santuario come qualsiasi altro pellegrino, perché già allora mi si guardava con sospetto e non potevo entrare ufficialmente in Dhassa come Duca di Corwyn senza il permesso del Vescovo Cardiel. E sapevo che il vescovo non avrebbe mai osato darmi tale permesso, con l'intera Curia qui riunita. — Sbagli nel giudicarlo, ma continua pure — mormorò Arilan. — Duncan visitò il santuario per primo e tornò fuori — prosegui Morgan, deglutendo a fatica, — poi entrai a mia volta. C'era... un ago imbevuto di merasha infisso nel cancelletto. Sai cosa sia quella sostanza, vescovo? — Sì. — Mi... mi sono graffiato una mano nell'aprire il cancello, e il merasha mi ha drogato. Sono svenuto e al risveglio mi sono trovato nelle mani di Warin de Grey e di una decina dei suoi uomini. Con loro, c'era anche Monsignor Gorony. Warin mi ha spiegato che i vescovi avevano deciso di consegnarmi a lui, se fosse riuscito a catturarmi, e che Gorony era stato mandato sul posto soltanto per fornire alla cosa una parvenza di legalità e
per assistere la mia anima, se avessi deciso di pentirmi dei miei peccati. «Avevano intenzione di bruciarmi, Arilan — sussurrò Morgan, gelido. — Avevano già preparato il palo e non avevano nessuna intenzione di permettermi di discolparmi. A... a quel tempo non lo sapevo, però. — S'interruppe e si umettò ancora le labbra, deglutendo a fatica. — Alla fine, Warin ha deciso che era giunto il momento di uccidermi. Ero nelle sue mani, impotente, perché riuscivo a malapena a rimanere cosciente e non ero certo in condizione di usare i miei poteri per difendermi. Allora mi è stato detto che mi era concessa una parziale grazia: anche se la mia vita era ormai condannata, mi sarebbe stato almeno permesso di tentare di salvarmi l'anima, confessandomi con Gorony. L'unica cosa che ricordo con chiarezza, di quel momento di disperazione, è che dovevo guadagnare tempo, che se soltanto fossi riuscito a sopravvivere abbastanza a lungo, Duncan mi avrebbe certamente trovato. E così... — E così ti sei inginocchiato davanti a Gorony — lo incitò Arilan, con voce salda. Morgan chiuse gli occhi e annuì dolorosamente, ricordando la scena. — Ed avrei confessato qualsiasi cosa pur di tenere a bada la morte... ero pronto a inventare peccati per prolungare la confessione finché... — È... comprensibile — mormorò Arilan. — Cosa hai detto a Gorony? — Non ho avuto la possibilità di aprire bocca — rispose Morgan, scuotendo il capo. — In quel momento qualcuno deve aver sentito le mie preghiere, perché Duncan è piombato giù da un'apertura nel soffitto e la sua spada ha aperto un solco di morte in quel sotterraneo. Nella stanza accanto, il Vescovo Thomas Cardiel sedeva, rigido, nella rientranza di una finestra, con Duncan inginocchiato ai suoi piedi. Pur avendo i polsi legati, Duncan aveva intrecciato le dita in un'attitudine di preghiera, appoggiandole sul cuscino che copriva il sedile adiacente a quello del vescovo, e stava parlando con voce salda, anche se a capo chino, mentre Cardiel lo ascoltava con espressione incredula, lo sguardo fisso su di lui. — Non so con certezza quanti ne ho uccisi... quattro o cinque, suppongo, e ne ho feriti parecchi altri. Quando però Gorony ha tentato di accoltellarmi, l'ho afferrato e l'ho usato come scudo: credo di essermi ricordato che anche lui era un prete soltanto dopo aver attraversato metà della stanza insieme a lui. Alaric era in brutte condizioni, gli avevo visto uccidere almeno un uomo e sapevo di doverlo proteggere. Gorony era la mia garanzia fin-
ché non fossi riuscito ad arrivare alla porta con Alaric e a lasciare quel posto. Inoltre, l'intero edificio era in fiamme, naturalmente. — È stato a questo punto che hai rivelato di essere un... Deryni? — chiese Cardiel. — Quando Alaric ha cercato di aprire la porta, ci siamo accorti che era chiusa dall'esterno, e che quella era la garanzia di Warin. In passato, Alaric aveva usato i suoi poteri per forzare altre serrature, quindi sapevo che era una cosa possibile, ma lui non era in condizione di provarci. Avevo... avevo una scelta da fare, e l'ho fatta. Mi sono servito dei miei poteri per uscire di là con Alaric. Gorony ha visto tutto, naturalmente, e si è messo a strillarlo ai quattro venti. Allora anche Warin ha cominciato a gridare al sacrilegio, mentre noi ce ne andavamo. Non c'era nulla che potessimo tentare per salvare il santuario, quindi siamo montati in sella e ci siamo allontanati. Credo che alla fine sia stato proprio l'incendio a salvarci, perché non ci hanno inseguiti: se ci avessero dato la caccia, sono quasi certo che ci avrebbero catturati, perché Alaric era... molto debole. Duncan chinò il capo e serrò gli occhi nel tentativo di allontanare quei ricordi, mentre Cardiel scuoteva il capo con stupore. — E cosa hai fatto dopo di allora, figlio mio? — chiese con gentilezza. Nel volgere alla conclusione della sua storia, Morgan aveva ritrovato il consueto tono deciso, ed ora sollevò di nuovo lo sguardo su Arilan. Il volto del prelato era sereno e pensoso, ma Morgan ebbe l'impressione di scorgere anche una sfumatura divertita sui suoi lineamenti avvenenti. Un momento più tardi, Arilan distolse lo sguardo per fissare le proprie mani, che teneva conserte in grembo, e l'anello episcopale che gli brillava al dito. Infine si alzò, volgendo in parte le spalle a Morgan e parlando in tono pratico. — Come siete riusciti ad entrare in Dhassa, Alaric? Gli indumenti che indossavate quando siete stati catturati indicano che dovete aver privato della tonaca un paio dei poveri monaci di Thomas. Non avrete fatto loro del male, vero? — No, Eccellenza. Li troverete nella cripta sottostante l'altare principale, intenti a dormire per smaltire un incantesimo deryni. Mi rincresce, ma ci è parso il solo modo di realizzare il nostro intento senza arrecare danni effettivi a quei monaci, e ti assicuro che l'accaduto non avrà conseguenze per loro. — Capisco. — Arilan si volse e scrutò, pensoso, l'inginocchiato Morgan,
prima di volgere lo sguardo verso l'alta finestra. — Non ti posso dare l'assoluzione, Alaric — disse. Morgan sollevò la testa di scatto, e parole roventi gli salirono alle labbra. — No, non m'interrompere — lo prevenne Arilan, prima che potesse proferirle. — Quello che intendevo è che non ti posso ancora concedere l'assoluzione, perché ci sono alcuni dettagli della tua storia su cui dovrò indagare ulteriormente. Comunque, non è il momento di discutere di queste cose. Vieni; se Cardiel e Duncan hanno finito — prosegui, aggirando Morgan per socchiudere la porta e infine spalancarla, — come sembra che abbiano, dovremmo tornare da loro per stabilire il da farsi. Morgan si alzò in piedi, fissando Arilan con espressione interrogativa mentre il vescovo passava nella stanza più grande. Duncan sedeva a capo chino nella rientranza della finestra, e Cardiel era in piedi accanto ad un'altra finestra, con la testa appoggiata all'avambraccio puntellato contro lo stipite. Quando i due rientrarono, Cardiel alzò lo sguardo e accennò a dire qualcosa, ma Arilan scosse il capo. — È opportuno che parliamo in privato, Thomas. Vieni, le guardie rimarranno con loro. Arilan spalancò quindi la porta principale e i soldati sciamarono nella camera con la mano sull'elsa della spada; ad un segnale del vescovo, tuttavia, indietreggiarono e si limitarono a disporsi lungo il perimetro della stanza, fissando con timore i prigionieri. Non appena i battenti si furono richiusi alle spalle dei due prelati, Morgan si avvicinò con passo lento alla finestra e sedette accanto al cugino. Il rumore del respiro lieve di Duncan gli giunse nitido mentre reclinava la testa all'indietro contro i vetri e chiudeva gli occhi per concentrarsi. Spero che abbiamo fatto la cosa giusta, Duncan, sussurrò la sua mente, nel silenzio mortale. Nonostante le nostre buone intenzioni, potremmo aver firmato la nostra condanna a morte, se Arilan e Cardiel non ci crederanno. Come ti pare che l'abbia presa Cardiel? Non lo so, rispose Duncan, dopo un lungo momento. Davvero non lo so. CAPITOLO DECIMO Io formo la luce e creo le tenebre. Isaia 45:7 — Allora, cosa ne pensi di Morgan e di Duncan? — chiese Arilan.
I due vescovi ribelli si trovavano ancora una volta nella cappella privata di Cardiel, le cui porte erano chiuse e sbarrate dall'interno, mentre un'ansiosa scorta composta dalle Guardie di Palazzo di Cardiel aspettava all'esterno. Arilan era appoggiato con noncuranza alla balaustra dell'altare, a sinistra rispetto alla navata centrale, intento a giocherellare distrattamente con il crocifisso d'argento che portava al collo. Cardiel, irrequieto e pieno di energia nervosa, stava invece passeggiando di fronte a lui sul pavimento di marmo, andando avanti e indietro lungo lo stretto transetto e gesticolando mentre parlava. — È che non sono sicuro, Denis — dichiarò, perplesso. — Anche se so che dovrei essere più cauto, sono propenso a credere alle loro storie: sono plausibili, molto più di tante altre che ho ascoltato, ed a parte la diversa ottica con cui sono viste le cose, concordano perfino con quanto Gorony ci ha riferito il giorno in cui tutto è accaduto. Francamente, non vedo come avrebbero potuto agire in modo diverso e sopravvivere per raccontarlo. Con ogni probabilità, mi sarei comportato anch'io come loro. — Al punto di usare la magia? — Sì, se ne fossi stato capace. Arilan mordicchiò un anello d'argento della catena, con aria meditabonda. — Credo che tu abbia colpito nel segno, Thomas. Non si tratta tanto di quello che hanno fatto, ma di come lo hanno fatto. Il nocciolo effettivo della questione è la magia, e il suo uso sconsiderato. — È sconsiderato difendersi quando si viene aggrediti? — Può darsi di sì, se ci si difende ricorrendo alla magia. Per lo meno, questo è ciò che ci è sempre stato insegnato. — Allora forse abbiamo sbagliato — ribatté Cardiel, accigliandosi, — e non sarebbe la prima volta. Sai, se Morgan e Duncan non fossero due Deryni, a quest'ora sarebbero già stati assolti, visto come si sono presentati a noi... ammesso che fossero stati scomunicati, naturalmente. — Ma sono Deryni e sono stati scomunicati, e non sono stati assolti — gli ricordò Arilan. — Devi ammettere che il secondo e il terzo punto sembrano dipendere dal primo ma... è giusto che sia così? È giusto applicare diversi criteri di giustizia ad un uomo soltanto perché è nato dai genitori sbagliati, per via di qualcosa su cui lui non ha controllo e che non può modificare? — Non è giusto — convenne Cardiel, scuotendo cocciutamente il capo. — Sarebbe ridicolo quanto sostenere che tu sei migliore di me perché i
tuoi occhi sono azzurri e i miei sono grigi... caratteristiche fisiche che né tu né io possiamo alterare. — Il vescovo trapassò l'aria con l'indice, in un gesto pieno di enfasi. — Ora, tu puoi essere migliore di me a causa di ciò che vedi con i tuoi occhi, o di come agisci in base a ciò che vedi. Ma il colore dei tuoi occhi, o il fatto che tua madre avesse un occhio azzurro e uno verde, non c'entra proprio niente! — Mia madre aveva gli occhi grigi — sorrise Arilan. — Sai cosa intendo dire. — Sì, lo so, ma contrapporre gli occhi grigi a quelli azzurri è un conto, mentre contrapporre il bene al male è tutt'altra faccenda. Tutto si riduce a stabilire se il bene o il male presenti in un uomo dipendano in qualche modo dal fatto che per puro caso quell'uomo è un Deryni per nascita. — Non ritieni valida la mia analogia? — Non si tratta di questo, Thomas. Come ho già affermato in passato, io non credo che tutti i Deryni siano malvagi, ma come si può trasmettere questa semplice verità, se è una verità, all'uomo comune a cui per tutti gli ultimi tre secoli è stato insegnato ad odiare i Deryni? O, per essere più specifici, come si può convincere l'uomo comune che Alaric Morgan e Duncan McLain non sono malvagi, visto che la Chiesa sostiene il contrario? Tu sei completamente convinto? — Forse no — mormorò Cardiel, evitando lo sguardo di Arilan. — Ma ci sono occasioni in cui è necessario credere all'incerto. Forse alcune cose devono essere accettate con un atto di fede, anche nel mondo reale distaccato dai criteri metafisici della religione, della dottrina e di tutte le altre nozioni che di solito si associano a quella semplice virtù. — Semplice fede — commentò Arilan. — Vorrei che fosse tanto semplice. — Deve esserlo. So che devo crederci, almeno per ora; che voglio crederci, disperatamente, perché se mi sbaglio sul conto dei Deryni, se essi sono davvero le creature malvagie che noi abbiamo visto in loro in questi tre secoli di odio, allora siamo tutti perduti. Se i Deryni sono una razza malvagia, allora Morgan e McLain ci tradiranno, e così anche il nostro re. E Wencit di Torenth ci travolgerà come un vento vendicatore. Arilan tenne a lungo lo sguardo basso ed assunse un aspetto solenne, mentre continuava a tormentare la croce che portava al collo. Poi, con un sospiro di rassegnazione, rivolse un cenno a Cardiel e gli pose una mano sulla spalla, conducendolo verso il lato sinistro della cappella, dove un mosaico decorava il pavimento.
— Vieni, c'è qualcosa che dovresti vedere. Cardiel lanciò una strana occhiata al collega, quando entrambi si arrestarono dinanzi al nudo altare laterale, dove il bianco lume perpetuo proiettò un bagliore argenteo sulla testa dei due prelati. Il viso di Arilan aveva assunto un'espressione impenetrabile. — Non capisco — mormorò Cardiel. — Ho visto... — Non hai visto quello che intendo mostrarti — lo interruppe Arilan, in tono quasi tagliente. — Guarda verso il soffitto... quel punto dove le travi s'incrociano... Arilan chiuse gli occhi e lasciò che le Parole prendessero consistenza nella sua mente, avvertendo la vibrazione del Portale, sotto i propri piedi. Tirando bruscamente Cardiel verso di sé con una stretta ferrea, protese i propri pensieri e concretizzò l'incantesimo. Udì Cardiel sussultare, poi entrambi effettuarono il salto e la cappella svanì, lasciandoli in piedi nel buio più totale. Cardiel barcollò come un ubriaco quando l'oscurità lo colpì, e protese le mani alla cieca nel ritrovare l'equilibrio. Arilan non era più dietro di lui, e nel buio non riusciva a discernere nulla; la sua mente vorticò, in preda al caos, cercando di fornire una spiegazione razionale per quanto era appena accaduto e di orientarsi nelle tenebre, nel silenzio totale che l'avvolgevano. Il vescovo si raddrizzò nel buio, con cautela, muovendo una mano nell'aria dinanzi a sé e proteggendosi gli occhi con l'altra; alla fine trovò il coraggio di parlare, mentre un terribile sospetto acquistava consistenza sempre maggiore dentro di lui. — Denis? — sussurrò con esitazione, quasi timoroso di non ricevere risposta. — Sono qui, amico mio. A qualche metro di distanza, alle spalle di Cardiel, ci fu un fruscio di stoffa, seguito da un bagliore luminoso; il vescovo si girò con lentezza e sbiancò in volto nell'individuare la fonte di quel chiarore. Arilan era in piedi di fronte a lui, immerso in un tenue fulgore argenteo, con il viso incorniciato da un'aureola argentata che tremolava e variava d'intensità come se fosse stata viva; l'espressione di Arilan era calma e serena, gli occhi di un azzurro violetto erano gentili e rassicuranti, e fra le mani teneva una sfera di lucente fuoco freddo, da cui emanava una mobile luce simile ad argento vivo che si riversava sulla sua faccia, sulle mani e sulle pieghe violette della tonaca. Cardiel fissò con stupore il collega per
qualche secondo, con gli occhi sempre più sgranati e con il sangue che gli rombava negli orecchi ad ogni pulsazione. Poi la stanza prese a vorticare, l'oscurità roteò tutt'intorno, e Cardiel ebbe l'impressione di precipitare. Quando riacquistò consapevolezza, si trovò disteso su una superficie morbida e al tempo stesso consistente, con gli occhi serrati e con una mano gentile che gli sorreggeva la testa per accostargli una tazza alle labbra. Il vescovo bevve, senza neppure rendersi conto di quello che faceva, e infine sollevò le palpebre quando sentì in gola la frescura del vino: Arilan era chino su di lui con espressione ansiosa, un boccale d'argento stretto in mano, e gli sorrise quando vide che aveva aperto gli occhi. Cardiel sbatté le palpebre, quindi fissò ancora Arilan, ma l'immagine non si dissolse. Intorno alla testa dell'altro non c'era però adesso nessun alone argenteo e la stanza in cui si trovavano era rischiarata da normalissime candele infilate in alcuni candelabri a molte braccia. Sulla sinistra, un fuoco ardeva in un camino, e Cardiel poté distinguere vagamente le sagome dei pezzi di mobilio disseminati lungo il perimetro della camera. Si accorse di essere disteso su una pelliccia e, puntellandosi su un gomito, vide che si trattava della pelle di un grosso orso nero, la cui testa digrignava minacciosa le zanne da un lato. Con gli occhi ancora dilatati per lo shock, si massaggiò la fronte con una mano, e d'un tratto ricordò ogni cosa. — Tu — sussurrò, sollevando lentamente su Arilan uno sguardo da cui trasparivano meraviglia e un certo timore. — Ho visto davvero...? Arilan annuì, badando a mantenere sul volto un'espressione neutra, e si alzò in piedi. — Sono un Deryni — ammise, in tono sommesso. — Sei un Deryni — ripeté Cardiel. — Allora tutte le cose che hai detto sul conto di Morgan e di McLain... — Erano vere — concluse per lui Arilan. — Oppure si trattava di aspetti che era imperativo che tu prendessi in esame prima di arrivare ad una decisione sulla questione deryni. — Deryni — mormorò Cardiel, ritrovando a poco a poco la consueta prontezza mentale. — Ma allora Morgan e McLain... non lo sanno? — Non lo sanno — confermò Arilan, scuotendo il capo. — E, per quanto mi dispiaccia tutta l'angoscia che devo indubbiamente aver causato loro mantenendo il segreto, non devono essere informati. Fra gli umani, tu sei l'unico a conoscere la mia vera identità, in quanto non è una rivelazione che sia solito fare alla leggera.
— Ma, se sei un Deryni... — Se puoi, prova ad immaginare in che posizione mi trovo — lo interruppe Arilan, con un paziente sospiro. — Sono il solo Deryni che abbia indossato l'abito vescovile nell'arco degli ultimi duecento anni... il solo. E sono anche il più giovane fra i ventidue vescovi di Gwynedd, il che mi pone in una posizione storicamente precaria. «So quello che stai pensando... che astenendomi dall'agire in favore della causa deryni ho probabilmente permesso innumerevoli uccisioni, indicibili sofferenze scatenate da persecutori come Loris e quelli della sua risma. Lo so... e ogni notte, nelle mie preghiere, chiedo perdono a ciascuno di quegli sfortunati. — Arilan sollevò lo sguardo e incontrò quello di Cardiel con estrema fermezza. — Ma ritengo che la più grande virtù sia a volte quella di saper aspettare, Thomas. Ci sono occasioni in cui, per quanto il prezzo sia quasi intollerabile e la mente, il cuore, l'anima levino grida di protesta, un uomo deve attendere che i tempi siano maturi. Spero soltanto di non aver atteso troppo a lungo. Cardiel distolse lo sguardo, incapace di reggere oltre il confronto con quegli occhi violetti. — Che posto è questo? Come ci siamo arrivati? — Con un Portale di Trasferimento — replicò Arilan, in tono neutro. — L'accesso passa attraverso il disegno sul pavimento della tua cappella, ed è molto antico. — Magia deryni? — Sì. Cardiel si sollevò a sedere, rigirando nella mente quell'ultima informazione. — Allora è qui che sei venuto la scorsa notte, dopo che ti ho lasciato solo nella cappella? Quando sono tornato indietro, pochi minuti più tardi, tu non c'eri più. — Temevo che tu facessi una cosa del genere — confessò Arilan, con un sorriso contrito. — Mi dispiace, ma non ti posso dire dove sono andato — aggiunse, e protese una mano per aiutare l'altro ad alzarsi in piedi. Cardiel, però, ignorò il gesto. — Non puoi o non vuoi? — Non posso — ripeté Arilan, in tono comprensivo. — Non ancora, almeno. Cerca di essere paziente con me, Thomas. — Il che implicherebbe che ci sono altri che hanno autorità su di te? — Il che implica che ci sono cose che per ora non ti posso rivelare —
sussurrò Arilan, assumendo un'espressione supplichevole e porgendo ancora la mano. — Vuoi fidarti di me, Thomas? Giuro che non tradirò la tua fiducia. Cardiel fissò a lungo la mano che gli veniva offerta, gli occhi che lo scrutavano, timorosi, dal volto familiare, poi si protese lentamente per stringere la mano di Arilan, che lo tirò in piedi con facilità. La stretta si protrasse per qualche secondo, durante i quali ciascuno dei due cercò di leggere tutto ciò che poteva negli occhi dell'altro, infine Arilan sorrise e batté una pacca sulla spalla di Cardiel. — Vieni, fratello mio, abbiamo altro lavoro che ci attende, stanotte. Se hai davvero intenzione di accogliere nuovamente fra noi Morgan e Duncan, dobbiamo informarli e provvedere ai necessari preparativi. Inoltre, ci sono ancora i nostri recalcitranti fratelli della Convocazione, che si staranno chiedendo quale sia la causa del nostro ritardo. Sarà necessario persuaderli, anche se suppongo che seguiranno con prontezza la tua guida. Cardiel si passò nervosamente la mano fra i capelli grigio-ferro e scosse il capo con aria incredula. — Quando vuoi, sai muoverti in fretta, vero, Denis? Devi perdonarmi se negli ultimi minuti sono parso un po' lento di comprendonio, ma mi ci vorrà qualche tempo per abituarmi a tutto questo. — Ma certo — ridacchiò Arilan, guidando Cardiel verso il centro della stanza, dove un disegno era intagliato nel pavimento. — E tanto vale iniziare tornando nella tua cappella. Le guardie cominceranno ad innervosirsi. — Il... Portale di Trasferimento di cui mi hai parlato? — chiese Cardiel, osservando con nervosismo il pavimento. — Esatto — confermò Arilan, sistemandosi dietro Cardiel e posandogli di nuovo le mani sulle spalle. — Ora sta' calmo e lascia che pensi io a tutto. Non c'è nulla di pericoloso, quindi rilassati e cerca di svuotare la mente. — Ci proverò — sussurrò Cardiel. Il pavimento scomparve sotto i loro piedi in un morbido vorticare nero. Durante l'ora successiva, Morgan e Duncan furono informati della decisione dei vescovi. Non fu un incontro cordiale, perché tutti erano troppo guardinghi e tesi: i due fuggitivi erano rimasti esclusi dal seno della Chiesa per tanti mesi che adesso erano istintivamente portati a diffidare di un paio dei più potenti prelati di quella stessa Chiesa, un sentimento che era in certa misura reciproco.
L'atteggiamento dei vescovi non era però ostile, e sembrava quasi che i due stessero mettendo alla prova i penitenti, per sondare la loro reazione alla decisione da essi presa; dopo tutto, i vescovi avevano la responsabilità del benessere spirituale di quei figli dissidenti della Chiesa. Cardiel parve di umore taciturno e parlò di rado, un particolare che sembrò strano a Morgan, che ricordava alcune brillanti lettere che il prelato aveva inviato a Kelson durante gli ultimi tre mesi. Il Vescovo di Dhassa continuava a guardare verso Arilan con una strana espressione interrogativa che Morgan non riusciva ad interpretare e che a volte gli faceva venire la pelle d'oca, anche se non avrebbe saputo spiegare il perché. Arilan, d'altro canto, appariva adesso rilassato, in vena di umorismo e apparentemente per nulla influenzato dalla gravità della situazione; il giovane vescovo ebbe però anche cura di sottolineare, poco prima che tutti e quattro entrassero nella stanza in cui attendeva la Convocazione, che il vero pericolo aveva appena iniziato a profilarsi: in quella camera c'erano ancora una mezza dozzina di vescovi che dovevano essere convinti dell'innocenza e del pentimento dei due nobili deryni.... e dopo di loro gli undici prelati che si trovavano a Coroth. E tutti questi problemi dovevano essere risolti prima che si potesse anche soltanto cominciare a pensare di affrontare Wencit di Torenth. L'ingresso dei quattro suscitò qualche leggera protesta. Siward sussultò, Gilbert si fece furtivamente il segno della croce, cercando con i piccoli occhi porcini il sostegno dei compagni, e perfino il vecchio e coriaceo Wolfram de Blanet, il più strenuo oppositore dell'Interdetto, tradì un leggero pallore: nessuno di quei prelati era mai stato consapevolmente in presenza di un solo Deryni, e tanto meno di due. Quei vescovi erano però uomini ragionevoli e, pur non essendo del tutto convinti della benevolenza dei Deryni in generale, erano quanto meno disposti ad ammettere che forse quei due particolari Deryni avevano subìto dei torti, più che averne arrecati. Ora che avevano mostrato pentimento, era necessario togliere la scomunica e impartire l'assoluzione. Tale decisione non servì peraltro a risolvere la situazione. Infatti, se i vescovi riuniti a Dhassa erano, per la maggior parte, uomini razionali e colti, non troppo inclini alla superstizione e di certo esenti da isterismo, lo stesso non si poteva dire della gente comune, e questo era un problema che andava preso in considerazione. Da lungo tempo, l'uomo comune nutriva la radicata convinzione che i Deryni fossero una razza maledetta e che la loro semplice presenza in un luogo fosse sufficiente a recare morte e rovina, e
per quanto Morgan avesse conservato una reputazione abbastanza accettabile nel prestare servizio agli ordini di Brion e di Kelson, e la reputazione di Duncan fosse stata addirittura impeccabile fino all'episodio di San Torin, questi dati di fatto erano gettati ampiamente in ombra dalla consapevolezza che entrambi erano Deryni. Era necessario dimostrare in maniera più tangibile che Morgan e Duncan avevano effettivamente corretto il loro comportamento deryni, e di conseguenza una semplice assoluzione non poteva bastare ad appagare il popolo, i cittadini, i soldati, gli artigiani e i commercianti che costituivano e alimentavano qualsiasi esercito. La fede semplice di quella gente esigeva una riconciliazione più solenne, una prova più tangibile di umiltà e di pentimento da parte dei due nobili deryni. Era necessaria una cerimonia pubblica, con cui dimostrare alla popolazione che i vescovi e i due Deryni erano adesso in completo accordo agli occhi dell'Onnipotente. Sarebbero stati necessari altri due giorni prima di poter completare i piani di battaglia, due giorni prima che l'esercito dei vescovi potesse comunque mettersi in marcia, e inoltre Morgan e Duncan avevano portato la notizia che Kelson sarebbe giunto al punto d'incontro prestabilito soltanto al tramonto del quarto giorno, mentre da Dhassa ne bastavano due per arrivarci. Di conseguenza, si decise che la riconciliazione solenne avrebbe avuto luogo due sere più tardi, alla vigilia della partenza per andare incontro a Kelson. Durante quei due giorni, Morgan e Duncan avrebbero conferito con i vescovi e con i loro consiglieri militari di grado più elevato, progettando la strategia da adottare nella guerra imminente, e i monaci del Vescovo Cardiel avrebbero circolato fra la popolazione, diffondendo la notizia che Morgan e Duncan si erano costituiti ed erano pentiti. La sera del secondo giorno, poi, i due sarebbero stati ufficialmente accettati di nuovo nel seno della Chiesa, davanti a tutti i soldati e i cittadini che fossero riusciti ad accalcarsi nella grande cattedrale di Dhassa. Là, con una solenne esibizione di potere religioso, Morgan e Duncan sarebbero rientrati nel gregge con il cerimoniale più complesso e impressionante di cui la Chiesa disponeva, e il popolo avrebbe approvato. Due giorni più tardi, sul limitare della grande distesa di Llyndreth Meadows, sotto Cardosa, Sean Lord Derry si sfilò l'elmo e si asciugò il sudore dalla fronte abbronzata. A Llyndreth Meadows faceva già caldo, l'aria era già pervasa dall'afa dell'estate imminente, e i capelli di Derry erano umidi
dove l'elmo li aveva incollati alla testa, mentre il sudore gli procurava un leggero prurito fra le scapole, sotto la cotta di maglia. Frenando un sospiro, Derry scrollò le spalle per placare il prurito e appese l'elmo al braccio sinistro mediante la cinghia, avviandosi poi con passo furtivo e con il minimo rumore possibile, verso la radura dove aveva legato il cavallo. Aveva scelto di proposito di tornare attraverso il prato, perché passando fra gli alberi avrebbe corso il rischio di spezzare qualche ramo o di far scricchiolare le foglie seccate dal lungo inverno. Essere catturato adesso avrebbe potuto significare per lui una morte lenta e dolorosa per mano di quanti erano accampati nella pianura sottostante. Lanciando un'occhiata alla propria sinistra, Derry scorse il boschetto che stava cercando. Verso est, i Monti Rheljan levavano i loro picchi aspri e irregolari fino a raggiungere un'altezza di oltre milleseicento metri sopra la pianura, e al loro riparo la città fortificata di Cardosa sorgeva nella fenditura del passo omonimo. Wencit di Torenth era là, o almeno così si diceva. Ad ovest, però, cioè alla destra di Derry, la piana di Llyndreth Meadows si stendeva per chilometri e chilometri, ed appena oltre la sommità dell'altura che si trovava alle sue spalle erano ammassate le truppe di Bran Coris, il traditore Conte di Marley ora alleato di quello stesso Wencit di Torenth la cui presenza a Cardosa minacciava l'esistenza di Gwynedd. L'immagine che stava prendendo forma nella mente di Derry non era piacevole, e neppure ci si poteva aspettare di vederla migliorare nell'immediato futuro. Dopo essersi separato da Morgan e Duncan, due giorni prima, Derry si era diretto a nordest attraverso le verdi e rocciose colline del Corwyn settentrionale, diretto alla volta di Rengarth, dove si supponeva che fosse accampato il Duca Jared McLain con le sue truppe. A Rengarth non aveva però trovato l'esercito ducale, ma soltanto un pugno di contadini, dai quali aveva appreso che le truppe erano partite verso il nord cinque giorni prima. Derry aveva proseguito il viaggio, e le ondulate colline di Corwyn avevano presto ceduto il posto alle spoglie e silenziose pianure di Eastmarch. Invece dell'esercito, aveva trovato le tracce di una terribile battaglia appena combattuta: abitanti terrorizzati che si nascondevano nelle rovine dei villaggi saccheggiati e bruciati, corpi mutilati di uomini e di cavalli che giacevano insepolti e marcivano al sole, selle su cui spiccava il tartan dei McLain, sporco di sangue, stendardi dallo stemma rosso, azzurro e argento che giacevano spezzati e calpestati sui polverosi campi intrisi di sangue. Derry aveva interrogato i pochi abitanti che era riuscito a convincere ad
uscire allo scoperto. Sì, l'esercito del duca era giunto nella zona e si era unito ad un altro esercito che, in un primo tempo, era parso amico: i due condottieri si erano stretti la mano quando i loro contingenti si erano incontrati. Ma subito dopo la carneficina aveva avuto inizio. Un uomo riteneva di aver visto la bandiera verde e gialla di Lord Macanter, un nobile del confine settentrionale che aveva servito spesso agli ordini di Ian Howell, defunto Signore di Eastmarch, ed un altro aveva descritto la preponderanza di stendardi azzurri e bianchi... i colori del Conte di Marley. Chiunque fosse il comandante dell'altro esercito, in ogni caso i soldati con la livrea bianca e azzurra erano piombati senza pietà sugli uomini del duca, sterminandoli quasi fino all'ultimo uomo e catturando i pochi superstiti. Quando la battaglia era finita, poi, qualcuno si era ricordato di aver visto alcune bandiere bianche e nere nella retroguardia, e il Cuore Rampante della Casa di Furstan: decisamente, era stato commesso un tradimento. La pista di sangue e di morte finiva a Llyndreth Meadows. Derry vi era arrivato all'alba ed aveva trovato l'esercito di Bran Coris accampato in cerchi concentrici intorno alla bocca della grande gola di Cardosa. Pur essendo consapevole che avrebbe dovuto allontanarsi di là finché poteva per riferire ciò che aveva visto, Derry sapeva che non avrebbe avuto modo di parlare con Morgan mediante il prestabilito contatto mentale se non a tarda notte, ed aveva pensato che per allora avrebbe potuto scoprire dell'altro. Aggirandosi con discrezione lungo le propaggini più esterne dell'accampamento, Derry aveva appreso parecchie cose: a quanto pareva, Bran Coris era passato dalla parte di Wencit di Torenth alla vigilia stessa della guerra, non più di una settimana prima, tentato e catturato da oscure promesse le cui implicazioni erano troppo orribili per poter anche solo essere contemplate. Perfino gli uomini di Bran erano a disagio quando ne parlavano, se ne parlavano, pur essendo a loro volta attirati dalla fama e dalla ricchezza promesse a tutti da Wencit. Ora, Derry doveva soltanto riuscire a rimanere libero abbastanza a lungo da contattare Morgan, quella notte: doveva conservare la sua libertà fino a qualche ora dopo il tramonto, e a quel punto sarebbe stato facile scivolare in quello strano sonno deryni mediante il quale poteva comunicare con il suo signore anche da quella distanza. Il re doveva essere informato del tradimento di Bran prima che fosse troppo tardi, ed era anche necessario cercare di scoprire cosa ne fosse stato del Duca Jared e dei superstiti del suo
esercito. Derry si addentrò fra gli alberi, ed aveva quasi raggiunto il cavallo quando il lieve crepitio di un ramo spezzato lo mise in guardia; immobilizzatosi, si pose in ascolto, con la mano sull'elsa della spada, ma non gli giunsero altri suoni. Era ormai prossimo a convincersi che il rumore da lui udito doveva essere stato uno scherzo giocatogli dai nervi tesi, quando sentì un cavallo sbuffare e scuotere il capo nella radura che gli stava davanti. Possibile che l'animale lo avesse fiutato? No, era sottovento rispetto al boschetto: quella situazione mostrava tutte le caratteristiche di una trappola. Alla sua sinistra ci fu un altro, lieve fruscio, e Derry ebbe allora la certezza che si trattava di una trappola. Non poteva però sperare di fuggire senza un cavallo, quindi doveva proseguire, in quanto quella era la sua unica possibilità di scampo. Tenendo la mano sulla spada, entrò a grandi passi nella radura dove aveva legato la sua cavalcatura, evitando di proposito qualsiasi atteggiamento furtivo. Come aveva temuto, ad aspettarlo c'erano alcuni soldati... tre in tutto. Suppose però che dovessero essercene altri che non poteva scorgere, magari anche qualche arciere pronto a piantargli una freccia nella schiena in quel preciso momento. Doveva agire come se avesse avuto il diritto di trovarsi là. — State cercando qualcosa? — domandò, arrestandosi con cautela dopo essersi addentrato di qualche metro nella radura. — Qual è il tuo reggimento, soldato? — chiese quello dei tre che si trovava più vicino a lui. Il suo tono era noncurante, e conteneva soltanto una vaga nota di sospetto, ma c'era un che di minaccioso nel modo in cui l'uomo teneva i pollici infilati nella cintura. Uno dei suoi compagni, il più basso e tozzo dei tre, dimostrava una più aperta ostilità e giocherellava con l'elsa della daga, nell'osservare Derry. Derry assunse una delle sue espressioni più innocenti e allargò le braccia in un gesto conciliante e guardingo che fece dondolare l'elmo appeso alla cinghia. — Il Quinto, naturalmente — azzardò, supponendo che ci dovessero essere almeno otto reggimenti a cavallo nell'esercito di Bran. — Quale reggimento è questo, a proposito? — Risposta sbagliata — dichiarò il terzo soldato, fissandolo con occhi roventi e portando la mano alla spada. — Gli uomini del Quinto vestono di giallo, e la tua sopravveste è marrone. Chi è il tuo ufficiale comandante?
— Suvvia, signori — ammonì Derry, indietreggiando e calcolando la distanza che lo separava dal suo cavallo. — Non sono in cerca di guai. — Li hai già trovati, figliolo — borbottò il primo uomo, i cui pollici erano ancora agganciati alla cintura. — Ora, hai intenzione di seguirci tranquillamente oppure no? — Credo proprio di no! Scagliando l'elmo in faccia al suo stupito interlocutore, Derry estrasse la spada e scattò in avanti, eliminando il soldato basso e grasso con il primo, abile affondo. Nel momento stesso in cui liberava la lama, però, gli altri due soldati lo attaccarono, superando con un balzo il corpo del compagno caduto per incalzarlo con la spada, gridando. Altre grida risposero da lontano, e Derry comprese che i suoi avversari stavano chiedendo rinforzi: doveva liberarsi di loro immediatamente, oppure sarebbe stato troppo tardi. Si lasciò cadere per un attimo su un ginocchio, estraendo nel rialzarsi la daga che portava nello stivale sinistro, con cui lacerò le nocche di uno degli attaccanti. L'uomo urlò e l'arma gli sfuggì di mano, ma subito Derry fu pressato dal compagno del soldato e da altri due armigeri prima di poter sfruttare il vantaggio acquisito. Una fugace occhiata alle proprie spalle gli rivelò che altri sei uomini stavano sopraggiungendo di corsa, con la spada già snudata, e Derry imprecò fra sé nell'aprirsi un varco verso il cavallo. Menando colpi con la daga e scalciando con un piede, cercò d'issarsi in sella, ma qualcuno aveva allentato la cinghia del sottopancia e la sella gli scivolò via di sotto. Mentre agitava le braccia per mantenere l'equilibrio, parecchie mani si protesero e lo afferrarono per i vestiti e per i capelli, si agganciarono alla sua cintura per tirarlo giù di sella. Derry avvertì quindi un dolore lancinante al bicipite destro quando qualcuno lo trafisse con la daga, e sentì la spada che gli sfuggiva dalle dita rese viscide dal sangue... il suo sangue. Un momento più tardi fu trascinato al suolo da una massa di corpi rivestiti di cotta di maglia, che gli bloccarono gli arti contro il terreno e quasi gli tolsero il respiro. CAPITOLO UNDICESIMO Son tranquille le tende dei predoni, sicuri sono coloro che irritano Dio. Giobbe 12:6
Derry sussultò e soffocò un gemito quando un paio di mani rudi lo girarono sulla schiena e presero a tastargli il braccio ferito. Aveva perso conoscenza per breve tempo quando i soldati lo avevano trascinato giù di sella, riprendendosi poi mentre veniva trasportato quasi di peso là dove ora si trovava, disteso sull'erba umida. Tre soldati armati lo tenevano bloccato al suolo... tre uomini dall'aspetto cupo e in tenuta da guerra che portavano la livrea bianca e azzurra del Conte di Marley, uno dei quali puntava con disinvoltura una daga contro la gola del prigioniero. Un quarto individuo, che indossava la tunica di un chirurgo militare e che era inginocchiato accanto alla testa di Derry, emise un brontolio di disapprovazione mentre scopriva la ferita per cominciare a curarla. Concentrandosi, Derry riuscì a mettere a fuoco una ventina di altri uomini, raccolti tutt'intorno con aria guardinga e intenti a fissarlo; con un senso di sgomento, comprese che ormai la fuga era praticamente impossibile. Non appena il medico ebbe fasciato la ferita, uno dei soldati si sfilò dalla cintura una striscia di cuoio grezzo e l'avvolse con abilità intorno ai polsi di Derry; quando ebbe finito, controllò il proprio operato e si sollevò, fissando il prigioniero con aria sospettosa, come se lo avesse riconosciuto, prima di scomparire dal campo visivo di Derry, che alzò la testa e cercò di orientarsi mentre i soldati incaricati di trattenerlo lasciavano la presa e si univano al cerchio degli spettatori. Era di nuovo nel campo, disteso in parte all'ombra di una bassa tenda di cuoio marrone. Non riconobbe quel posto e neppure si aspettò di farlo, dal momento che aveva visitato soltanto una piccola porzione dell'accampamento... ma non ebbe nessun dubbio di essere al suo interno. La tenda era del genere usato dagli uomini delle pianure di Eastmarch, bassa e tozza ma ben rifinita... ed a giudicare dal suo aspetto doveva essere la tenda di un ufficiale. Derry si chiese fugacemente a chi appartenesse, perché fino a quel momento non aveva visto nessuno di grado elevato: forse quei soldati non si erano resi conto dell'importanza del loro prigioniero e questo gli avrebbe permesso di evitare di incontrarsi con qualche nobile che potesse riconoscerlo. D'altro canto, se non lo avevano riconosciuto e lo avevano preso per una spia qualsiasi, correva il rischio di essere giustiziato immediatamente, senza avere neppure l'opportunità di districarsi da quella situazione. Però gli avevano curato la ferita... il che sarebbe stato una stupida perdita di tempo se avessero avuto intenzione di ucciderlo. Si chiese chi fosse il comandante di quegli uomini e, quasi in risposta a quel suo pensiero, un
individuo alto di mezz'età che indossava una cotta di maglia e un plaid azzurro e oro, si accostò al prato adiacente alla tenda e gettò il proprio elmo crestato ad uno dei soldati. L'uomo era snello, aveva il portamento aristocratico e nei suoi movimenti vi era una decisione che denotava subito in lui il combattente esperto. Alcune gemme brillavano sul pomo della spada ed ammiccavano fra gli anelli della massiccia catena d'oro che portava al collo. Derry lo riconobbe subito: era il Barone Campbell di Eastmarch. Campbell lo avrebbe riconosciuto a sua volta? — Bene, cosa abbiamo qui? È stato il re a mandarti, ragazzo? Derry si accigliò per il tono condiscendente dell'altro, e si domandò se si trattava di un'esca per prenderlo all'amo o se effettivamente Campbell non aveva capito chi era. — È ovvio che mi ha mandato il re — si decise infine a rispondere, lasciando trapelare dalla voce una sfumatura d'indignazione. — Trattate sempre così i messaggeri reali? — Allora sostieni di essere un messaggero reale? — domandò Campbell, piegando il capo da un lato con aria pensosa. — Non è quello che mi hanno riferito le guardie. — Le guardie non hanno chiesto chi ero — ribatté Derry, con disprezzo, sollevando il capo in un atto di sfida. — E poi il mio messaggio non era destinato alle guardie. Ero in viaggio per raggiungere le truppe del Duca Ewan, nel nord, per conto del re, e mi sono imbattuto nel vostro accampamento per errore. — Sì, in effetti è stato un errore, ragazzo — mormorò Campbell, scrutando Derry con sospetto. — Sei stato catturato mentre ti aggiravi intorno al limitare del campo, hai mentito agli uomini che ti hanno chiesto chi eri ed hai ucciso uno dei soldati che hanno cercato di arrestarti. E addosso non hai credenziali né messaggi, nulla che possa indicare che sei ciò che affermi di essere e non una spia. Io ritengo invece che tu sia proprio una spia. Come ti chiami, ragazzo? — Non sono una spia, sono un inviato reale, e il mio nome ed i miei messaggi non sono destinati ai tuoi orecchi! — esclamò Derry, in tono rovente. — Quando il re scoprirà come avete trattato... In un lampo, Campbell fu in ginocchio accanto a Derry e lo afferrò per la cotta di maglia, sotto il collo, torcendo fin quasi a soffocarlo e fissando in faccia il prigioniero. — Non mi parlare con quel tono, giovane spia! E se speri di arrivare ad
un'età matura, il che mi sembra sempre più improbabile, tieni a freno quella tua lingua a meno che non riesca a proferire parole educate! Mi sono spiegato? Derry sussultò quando l'uomo accentuò la stretta, e represse la risposta rovente che avrebbe certo segnato la sua fine, se l'avesse proferita. Abbozzò invece con il capo un lieve cenno di assenso e trasse un profondo respiro quando Campbell lo lasciò andare. Si stava chiedendo cosa avrebbe potuto fare a quel punto, quando Campbell prese tale decisione al suo posto. — Portiamolo da Sua Signoria — dichiarò, alzandosi in piedi con un sospiro. — Io non ho tempo da perdere con lui, ma forse i nobili deryni amici del conte riusciranno ad estorcergli la verità. Mentre ancora stava assimilando quelle parole, Derry fu issato in piedi e sospinto lungo un sentiero fangoso verso il centro dell'accampamento. Il passaggio del gruppo fu accompagnato da occhiate interrogative, e più di una volta Derry ebbe l'impressione di scorgere alcune facce che si giravano verso di lui come se lo avessero riconosciuto, ma nessuno gli si avvicinò, e il giovane era già troppo impegnato a sforzarsi di rimanere in piedi per scrutare attentamente chiunque. In ogni caso, non aveva importanza se qualcuno lo avesse riconosciuto o meno, perché Bran Coris avrebbe capito subito chi era e cosa ci faceva là. E l'allusione ai suoi alleati deryni era tutt'altro che confortante. Aggirarono un rado boschetto di querce per emergere nella zona del quartier generale, dove una splendida tenda azzurra e bianca dominava il centro di un ampio prato vellutato; altri padiglioni, di poco inferiori per dimensioni e splendore, circondavano quello centrale, gareggiando fra loro per attirare l'attenzione con i colori vivaci delle tele e degli stendardi. Non molto lontano, il corso ribollente del grande fiume Cardosa solcava la pianura con le sue acque ancora alte e gelide per il disgelo primaverile. Gli uomini che scortavano Derry gli diedero uno spintone quando il giovane esitò, poi lo gettarono in ginocchio davanti a una tenda nera e argento adiacente a quella azzurra di Bran. Il braccio ferito aveva cominciato a dolergli in maniera intollerabile a causa del rude trattamento inflittogli, e le corde di cuoio grezzo gli stavano lacerando i polsi; dall'esterno, poté sentire nella tenda parecchie voci che discutevano in tono acceso, anche se le parole erano soffocate e indecifrabili a causa dello spesso tessuto delle pareti del padiglione. Il Barone Campbell esitò per un secondo, apparentemente intento a valutare se fosse consigliabile o meno presentarsi nella tenda, poi scrollò le spalle e scomparve oltre il telo d'ingresso, sollevato. Si
udì una violenta ed indignata esclamazione, seguita da una sommessa imprecazione proferita con accento straniero ed infine dalla voce di Bran Coris. — Una spia? Dannazione, Campbell, mi hai interrotto per avvertirmi che avete catturato una spia? — Penso che si tratti di qualcosa di più, milord. È... ecco, è meglio che veda tu stesso. — Oh, d'accordo. Sarò di ritorno fra poco, Lionel. Derry si sentì assalire dallo sgomento quando Campbell uscì dalla tenda, e volse la testa da un lato per nascondere la faccia all'uomo snello vestito di azzurro che aveva seguito il barone alla luce del sole. Dal punto in cui si trovava Bran giunse un sussulto soffocato, e Derry si accorse di due paia di stivali fermi davanti a lui, a pochi passi di distanza, uno dei quali era nero e lucido, con speroni d'argento. Posporre l'inevitabile non sarebbe servito a nulla, quindi Derry sollevò con un sospiro di rassegnazione la testa verso la faccia familiare di Bran Coris. — Sean Lord Derry! — esclamò Bran, e i suoi occhi dorati divennero gelidi. — Allora! Cosa fa il mio dubbio collega fuori delle camere del Consiglio del Re? Non avrai abbandonato il tuo prezioso Morgan, vero? — Un lampo d'ira attraversò lo sguardo di Derry. — No, non pensavo che lo avessi abbandonato. Lord Lionel, vieni a vedere cosa ci ha mandato Morgan! Ritengo che si tratti della sua spia favorita. Alle parole di Bran, Lionel emerse dalla tenda e si accostò al conte con passo felpato, senza distogliere lo sguardo da Derry. Lionel era alto e possedeva una regalità stranamente esotica, mentre la barba scura e i corti baffi accentuavano la piega crudele delle labbra sottili. Una sopravveste di bianca seta frusciante gli ricadeva dalle ampie spalle fino alla punta degli stivali di velluto rosso, ma là dove la sopravveste si apriva, sul petto, erano visibili il bagliore di una tunica rossa rivestita di maglia e il lampo di una daga ricurva infilata nella fascia che cingeva la vita. I capelli erano lunghi e neri, raccolti sulla nuca in una coda e trattenuti sulla fronte da un ampio cerchio d'argento. I reggipolsi ingioiellati mandarono bagliori rossi, verdi e violetti quando Lionel incrociò le braccia sul petto. — Dunque questo è il seguace di Morgan — commentò, lasciando vagare con disgusto il suo sguardo freddo su Derry. — Sean Lord Derry — confermò Bran, con un cenno del capo. — Kelson lo ha nominato successore di Lord Ralson presso il Consiglio, lo scorso autunno, e prima di allora è stato per qualche tempo l'aiutante di campo
di Morgan. Dove lo hai trovato, Campbell? — Lungo il costone, a sud di qui, milord. Una pattuglia ha notato il suo cavallo ed ha atteso che tornasse a prenderlo, ma lui ha ferito alcuni dei nostri quando hanno cercato di catturarlo. Peter Davency è morto. — Davency? Un uomo tarchiato dal carattere piuttosto irascibile? — Proprio lui, milord. Bran infilò i polsi nella cintura ingioiellata e fissò a lungo Derry, dondolandosi sui piedi e serrando la mascella; per un momento, il giovane temette che Bran lo prendesse a calci, e si preparò ad incassare il colpo, che però non giunse. Dopo quella che parve un'eternità, Bran controllò la propria ira e si girò verso Lionel, non osando concedersi di fissare oltre Derry. — Se fosse esclusivamente mio prigioniero, quest'uomo sarebbe già morto per ciò che ha fatto — disse, con voce che era poco più di un sussurro. — Tuttavia, l'ira non mi acceca al punto d'impedirmi di capire il valore che può avere per te e per Wencit. Vuoi chiedere a tuo cognato quale sorte desidera sia riservata a questo miserabile? Con un breve inchino, Lionel girò sui tacchi e rientrò nella tenda, seguito da Bran; i due si fermarono appena oltre la soglia, e le loro sagome si delinearono nitide contro l'oscurità dell'interno; Derry notò un tenue gioco di luci appena fuori del proprio campo visivo, al di sopra della testa dei due uomini, e si rese conto che essi stavano usando una magia per contattare Wencit. Pochi minuti più tardi, Bran riemerse dal padiglione da solo, con aria pensosa e quasi divertita. — Bene, mio caro Lord Derry, pare che i miei alleati siano inclini ad essere misericordiosi: ti verrà risparmiata la fine che si riserva alle spie e invece questa notte sarai ospite di Sua Maestà Re Wencit, a Cardosa. Personalmente, non posso garantire la qualità degli intrattenimenti che là ti verranno offerti: a volte, i divertimenti dei Torenthiani sono un po' bizzarri per i miei gusti, devo ammetterlo, ma forse a te piaceranno. Campbell? — Sì, milord? L'espressione di Bran s'indurì mentre lui fissava l'impotente Derry. — Campbell, mettilo su un cavallo e portalo via di qui: la sua vista mi dà la nausea. Morgan percorse tutta la lunghezza della piccola anticamera, poi si passò una mano sulla guancia rasata di fresco e si girò per sbirciare con impazienza attraverso il fondo dell'alta finestra chiusa da un'inferriata. Fuori, l'oscurità era prossima a calare, e la nebbia notturna stava scendendo rapi-
da, come spesso accadeva in quel territorio montuoso, ammantando tutta Dhassa in un umido e surreale sudario. Anche se non era ancora del tutto buio, le torce cominciavano ad accendersi nella penombra incalzante, e le loro fiammelle tremolavano pallide e spettrali sullo sfondo della nebbia illuminata dal sole al tramonto. Le strade, che un'ora prima straripavano di soldati, adesso erano quasi silenziose, e sulla sinistra Morgan poteva scorgere una guardia d'onore raggruppata davanti alle porte della Cattedrale di San Senan di Dhassa, mentre decine di soldati in cotta di maglia e mantello e di cittadini in abiti borghesi avanzavano lungo l'alta navata. Di tanto in tanto, quando c'era un momento di stasi nell'afflusso dei fedeli alla cattedrale, Morgan poteva vedere oltre le porte la grande navata e distinguere il bagliore delle centinaia di candele che la illuminavano quasi a giorno. Fra poco, lui e Duncan sarebbero entrati nella cattedrale con i vescovi, e Morgan si chiese quale accoglienza avrebbero ricevuto. Con un sospiro, volse le spalle alla finestra e lanciò un'occhiata a Duncan che, dalla parte opposta della stanza, sedeva tranquillo su una bassa panca di legno. Una candela ardeva all'estremità della panca occupata dal prete, che era assorto nella lettura di un volumetto rilegato in cuoio con le pagine dai bordi dorati. Come Morgan, anche Duncan indossava un abito viola da penitente ed il suo volto rasato rivelava un particolare pallore là dove c'era stata la barba. Il prete non si era preso ancora il fastidio di allacciare l'abito sul davanti, perché nella piccola camera faceva caldo, in contrasto con l'aria notturna che fluttuava fuori sulle ali della nebbia; tunica, calzoni e stivali di cuoio, tutti bianchi, spiccavano sotto l'abito viola, e quel totale candore non era spezzato da nessun gioiello o ornamento. Con un altro sospiro, Morgan abbassò lo sguardo sull'abito e sulla tunica che anche lui indossava, sugli anelli, uno con il grifone e l'altro con il leone, che gli ammiccavano alle dita, poi si portò sul lato della stanza dove si trovava Duncan ed abbassò lo sguardo su di lui. Duncan non appariva minimamente preoccupato per il fatto che suo cugino stava camminando avanti e indietro in quel modo da circa un quarto d'ora... e non sembrava neppure essersi accorto che Morgan si era finalmente fermato. — Non ti stanchi mai di aspettare? — chiese Morgan. — A volte. — Duncan sollevò lo sguardo dal libro con un leggero sorriso. — Si tratta però di un'abilità che i preti devono acquisire piuttosto presto nel corso della loro carriera... oppure devono imparare a fingere di possederla. Perché non ti rilassi e non la smetti di camminare? Quindi Duncan se n'era accorto.
Morgan si lasciò cadere pesantemente sulla panca accanto al cugino e appoggiò la testa all'indietro, contro il muro, incrociando le braccia sul petto in un atteggiamento annoiato. — Rilassarmi? Per te è abbastanza facile dirlo. A te piacciono i riti religiosi e sei abituato alle cerimonie, mentre io mi sento nervoso come uno scudiero al suo primo torneo, senza contare che credo di essere prossimo a morire di fame: non ho toccato cibo per tutto il giorno. — Neppure io. — Si, ma tu ci sei più abituato di me, e tendi a dimenticare che io sono invece un degenerato nobiluomo solito a indulgere nel cibo ogni volta che gliene viene il capriccio. Mi accontenterei perfino di un sorso di quell'orribile vino che hanno qui. Duncan chiuse il libro e si appoggiò a sua volta al muro con un sorriso. — Non sai quello che dici. Pensa all'effetto che il vino avrebbe sulla tua lucidità mentale, dopo due giorni di digiuno. E poi, conoscendo il vino di Dhassa, preferirei morire di sete. — Hai ragione, lo ammetto — sorrise Morgan, chiudendo gli occhi. — Questo ti dimostra quale effetto può avere il digiuno: non mortifica l'anima, corrode il cervello. — Forse i vescovi non troverebbero da ridire se tu mangiassi qualcosa — ridacchiò Duncan. — Non credo proprio che ci vogliano veder svenire durante la cerimonia per mancanza di cibo. — Questo dimostra che sei meno smaliziato di quel che credi — sogghignò Morgan, e si alzò per rimettersi a camminare. — Svenire è forse la cosa migliore che potremmo fare là fuori. Pensaci: i penitenti deryni, indeboliti da tre giorni di digiuno, con lo spirito mortificato e il cuore purificato, svengono alla presenza del Signore. — Sai, questa... In quel momento qualcuno bussò sommessamente alla porta e Duncan s'interruppe con aspettazione, alzandosi in piedi e lanciando un'occhiata al cugino. Il Vescovo Cardiel entrò nella camera con un fruscio di vesti color porpora, il cappuccio del mantello di satin gettato all'indietro sulle spalle. Mentre Morgan e Duncan si chinavano a baciargli l'anello, il vescovo congedò con un cenno il monaco che lo aveva accompagnato e richiuse la porta alle sue spalle, infilando quindi una mano sotto il mantello per tirare fuori una pergamena piegata. — Questo è arrivato un'ora fa — disse a bassa voce, porgendo il messaggio a Morgan e guardando fuori della finestra, a disagio. — Lo manda
il re, che ci augura buona fortuna per quanto ci attende questa notte e si dice impaziente d'incontrarci dopodomani a Col Ramet. Spero che non dovremo deluderlo. — Deluderlo? — Morgan, che si era accostato alla candela per leggere la lettera, sollevò il capo di scatto. — Perché, c'è qualcosa che non va? — Nulla, per ora — replicò Cardiel; protese una mano per riavere la lettera, e Morgan gli restituì la pergamena senza una parola. — Nessuno di voi ha delle domande in merito alla cerimonia di stanotte? — Padre Hugh ci ha ragguagliati alcune ore fa, Eccellenza — replicò Duncan, con cautela, scrutando la faccia di Cardiel. — Se c'è qualche difficoltà che ci riguarda, signore, dovremmo esserne informati. Cardiel li fissò entrambi per un lungo momento, poi si volse e posò una mano guantata sull'alto davanzale; per parecchi secondi contemplò la finestra sbarrata, come se stesse cercando le parole adatte, infine si girò parzialmente verso i due Deryni; la sua testa grigia si delineò così sullo sfondo del cielo sempre più buio, e il mantello si aprì leggermente a causa del braccio sollevato: sotto di esso, un bianco camice sacerdotale risplendette come argento contro la pietra grigia, e Morgan si rese allora conto che il vescovo aveva interrotto la propria vestizione per venire da loro. Si chiese cosa Cardiel stesse cercando di dire. — Avete fatto una buona impressione durante la processione di questo pomeriggio, lo sapevate? — osservò poi Cardiel, in tono leggero. — Al popolo piace vedere i penitenti che forniscono pubbliche dimostrazioni di contrizione, perché così la gente si sente più giusta. Francamente, la maggior parte di quanti assisteranno alla cerimonia di stanotte è disposta a credere alla sincerità della vostra riconciliazione. — Tuttavia... — azzardò Morgan. Cardiel abbassò lo sguardo e sorrise, nonostante tutto. — Già, c'è sempre un «tuttavia», vero? — Il vescovo fissò Morgan negli occhi. — Alaric, cerca di credere che io mi fido di te... di tutti e due — aggiunse, lanciando un'occhiata a Duncan. — Però... ecco, molti fra quanti saranno presenti stanotte non sono ancora convinti. Per quanto vi mostriate pentiti, temo che ci vorrebbe un miracolo per convincere alcuni di loro che voi siete innocui e ben disposti. — Vostra Eccellenza ci sta chiedendo di fornire un miracolo? — mormorò Morgan, incontrando lo sguardo di Cardiel. — Dio del Cielo, no! È l'ultima cosa che voglio! — esclamò Cardiel, scuotendo il capo. — In effetti, questo è forse il nocciolo di quanto sono
venuto a dirvi. — Intrecciò le dita e fissò il proprio anello episcopale. — Alaric, ormai sono vescovo di Dhassa da quattro anni, e durante l'episcopato di almeno cinque dei miei predecessori, non c'è mai stato il minimo scandalo associato alla Sede di Dhassa. — Forse avresti dovuto prendere in considerazione questo fatto prima di unirti allo scisma, milord — commentò Morgan, in tono sommesso. — Ho fatto quanto era necessario — dichiarò Cardiel, sia pure con espressione afflitta. — La tua mente lo sostiene — intervenne Duncan, — ma il tuo cuore ha paura di quello che potrebbero fare due Deryni. Non è così? Cardiel sollevò lo sguardo su entrambi e soffocò un colpetto di tosse nervosa. — Io... forse sì. — Si schiarì la gola. — Forse si tratta di questo. — Fece una pausa, poi aggiunse: — Duncan... chiedo la vostra solenne promessa che non userete i vostri poteri stanotte... nessuno dei due. Qualsiasi cosa accada, devo avere la garanzia che non farete nulla, assolutamente nulla, che possa differenziarvi da qualsiasi altro penitente che sia mai entrato nella mia cattedrale per riconciliarsi con la Chiesa. Sono certo che comprendete l'importanza della mia richiesta. Morgan fissò il pavimento, con le labbra atteggiate a una smorfia pensosa. — Devo supporre che Arilan sappia che sei venuto da noi? — Lo sa. — E conosce l'argomento della conversazione? — Sì, ed è d'accordo. Non dovrà esserci magia. — Allora — osservò Duncan, scrollando le spalle e lanciando un'occhiata a Morgan — sembra che dovremo darti la nostra parola. Hai la mia, monsignore. — Ed anche la mia — aggiunse Morgan, dopo una pausa quasi impercettibile. — Grazie. — Cardiel emise un profondo sospiro di sollievo. — Ora vi lascerò soli per qualche altro minuto, perché immagino che vorrete prepararvi alla cerimonia. Arilan ed io torneremo fra breve a prendervi. Non appena la porta si chiuse alle spalle di Cardiel, Duncan volse lo sguardo verso il cugino. Morgan si era girato mentre il vescovo lasciava la stanza, ed ora l'unica candela che ardeva all'estremità della panca proiettava lunghe ombre danzanti sulle pareti di pietra e trasformava la faccia di Morgan in una maschera di concentrazione. Duncan lo scrutò per un lungo
momento, avvertendo un vago disagio che gli nasceva nella mente, poi accennò ad attraversare la stanza per accostarsi al cugino. — Alaric? — chiese, a bassa voce. — Cosa... Morgan si riscosse bruscamente e si portò un dito alle labbra, lanciando un'occhiata alla porta prima di avvicinarsi alla panca e di inginocchiarsi davanti ad essa. — Temo di essere stato lontano dalla preghiera nelle ultime settimane, Duncan — mormorò, segnalando al cugino di raggiungerlo e adocchiando ancora la porta. — Vuoi pregare con me? In silenzio, Duncan s'inginocchiò accanto a lui, socchiudendo gli occhi con aria interrogativa nel farsi il segno della croce. Accennò poi ancora a parlare, azzardandosi a scrutare la porta alle loro spalle, ma notò che le labbra di Morgan sillabavano in silenzio un diniego e chinò invece il capo. Continuando ad osservare Morgan con la coda dell'occhio, Duncan parlò quindi in tono tanto sommesso da avere la certezza che soltanto il compagno potesse udirlo. — Vuoi dirmi cosa succede? — mormorò. — So che hai paura che ci sorveglino, ma non si tratta soltanto di questo. Ti sei mostrato riluttante a dare la tua parola a Cardiel... perché? — Perché potrei non essere in grado di mantenere la mia promessa — sussurrò Morgan. — Non mantenerla! — ribatté Duncan, ricordandosi appena in tempo di rimanere a testa china. — E perché non dovresti? Cosa succede? Morgan si protese leggermente in avanti per sbirciare la porta, poi si riadagiò sui talloni. — Derry. Doveva contattarci la scorsa notte, o al massimo stanotte, e il momento fissato per la comunicazione cadrà nel bel mezzo della cerimonia. — Gesù! — esplose Duncan, sottovoce, poi si fece il segno della croce, ricordando che si supponeva stesse pregando, e tornò a chinare il capo. — Alaric, non possiamo concentrarci per intercettare la chiamata di Derry mentre saremo nella cattedrale... non dopo aver promesso a Cardiel che non useremo i nostri poteri. Se ci sorprendessero... — Lo so — convenne Morgan, annuendo. — Ma non c'è altra soluzione. Temo che possa essere successo qualcosa a Derry, quindi dovremo rischiare e sperare di non essere colti in flagrante. — Ho l'impressione che tu abbia riflettuto a lungo sul problema — sospirò Duncan, affondando la faccia fra le mani. — Hai un piano?
Morgan chinò di nuovo il capo e si accostò maggiormente al cugino. — Sì. Ci sono parecchi momenti della liturgia, sia durante la cerimonia in se stessa che nel corso della Messa che la seguirà, in cui non dovremo fornire molte risposte. Userò quei momenti per rimanere in ascolto della chiamata di Derry, mentre tu starai di guardia. Se sembrerà che stiano per scoprirci, uscirò dalla trance. Tu potrai... Sentendo muoversi la maniglia, Morgan piegò ulteriormente il capo e lasciò a mezzo la frase. Entrambi si fecero il segno della croce e si alzarono in piedi quando Cardiel oltrepassò la soglia, seguito da Arilan; i due vescovi erano splendidi negli abiti violetti, con il pastorale in mano e la mitra ingioiellata sulla testa. Alle loro spalle, c'era una fila di monaci incappucciati, ciascuno dei quali teneva in mano una candela accesa. — Possiamo cominciare, se siete pronti — annunciò Arilan. Il satin violetto della sua casula rifletteva la cupa tonalità azzurro-violetta degli occhi, trasformandoli in gemme scintillanti alla luce delle candele, e l'ametista dell'anello episcopale gli ammiccava, fredda, sul dito. Con un inchino, Morgan e Duncan si unirono alla processione. Presto sarebbe sceso il buio. Sui Monti Rheljan era già buio quando Derry e i suoi catturatori raggiunsero finalmente Cardosa. Derry era stato legato di traverso sulla sella come un fagotto, anziché avere il permesso di montare in sella come si addiceva ad un uomo... ed era certo che questo fosse un tocco aggiuntivo calcolato per privarlo di qualsiasi senso di dignità. Risalire la gola in quella posizione, con la testa che penzolava fra le gambe del cavallo, era stata un'esperienza umida, gelida e spesso terrificante, perché in certi punti gli animali erano affondati nell'acqua fin quasi al garrese, e parecchie volte Derry si era trovato con la testa sommersa e con i polmoni gonfi fin quasi a scoppiare nello sforzo di non affogare. Si sentiva i polsi intorpiditi ed escoriati a causa dell'attrito dei lacci di cuoio grezzo, ed i piedi erano come di piombo per il freddo e lo scarso afflusso di sangue. Quei piccoli dettagli non parvero però turbare minimamente la sua scorta. Non appena il gruppetto si arrestò in un piccolo e buio cortile, i lacci che trattenevano Derry furono tagliati e lui venne trascinato rudemente a terra; la spalla ferita gli si era irrigidita durante il lungo e difficile tragitto, e il giovane per poco non svenne per il dolore quando gli legarono di nuovo i polsi, davanti al corpo. Il rovente ritorno della circolazione negli arti intorpiditi e torturati fu più di quanto potesse sopportare, tanto che fu quasi
lieto del sostegno fornito dalle due guardie che lo tenevano per le braccia. Cercò quindi di concentrarsi su un esame di quanto lo circondava, nella speranza che lo aiutasse a ignorare il dolore. Si trovava all'interno di Esgair Ddu, la nera fortezza che proteggeva la fortificata città di Cardosa; mentre si costringeva a rimanere in piedi, scorse sopra di sé i nudi e incombenti bastioni, ma non poté indugiare ad osservare meglio il posto perché un paio di guardie che indossavano la livrea bianca e nera di Furstan lo tolsero alla custodia della sua scorta iniziale e lo trascinarono giù per una rampa di scalini irregolari e coperti di muffa. Derry si obbligò a prestare attenzione al percorso che stavano seguendo e memorizzò ogni svolta ed ogni curva dell'ombroso corridoio attraverso cui lo condussero le guardie. I piedi però rifiutavano di obbedirgli, e lui era troppo stanco e sofferente per essere attento quanto avrebbe voluto: quando infine raggiunsero una porta rinforzata in ferro ed uno dei due soldati lo sorresse mentre l'altro girava la chiave nella serratura, gli ci vollero tutte le sue energie semplicemente per rimanere cosciente, tanto che in seguito non avrebbe neppure saputo dire come avesse varcato la soglia e raggiunto la sedia intagliata e munita di braccioli su cui lo fecero sedere. Gli uomini della scorta gli legarono i polsi ai braccioli, poi gli passarono alcuni giri di fune intorno alla vita, al torace e alle caviglie, lasciandolo solo. A poco a poco, il dolore si placò e fu sostituito da un'opaca e tormentosa stanchezza. Infine, Derry si costrinse ad aprire gli occhi e ad osservare la stanza in cui era. La camera sembrava essere una delle migliori segrete di Esgair Ddu; grazie alla luce dell'unica torcia fissata alla parete, Derry notò che il pavimento, per quanto coperto di paglia, per lo meno non mostrava tracce di muffa, e la paglia era pulita. Le pareti, inoltre, non erano umide e gocciolanti.... una cosa che lui aveva sempre temuto, nella sua scarsa esperienza in fatto di segrete. Le pareti erano tuttavia pur sempre quelle di una prigione, corredate da anelli di ferro disposti in maniera strategica, da catene in perfetto stato e da altri attrezzi al cui scopo Derry preferì non pensare. Addossato al muro che si trovava alla destra di Derry, inoltre, c'era un grosso baule rinforzato in cuoio, un oggetto tozzo e sinistro che appariva fuor di luogo in un ambiente del genere. Sul manico del baule spiccava uno scudo araldico su cui si scorgeva uno stemma elaborato e dall'aria vagamente esotica, in cuoio dorato su fondo nero. La luce era però troppo tenue, e il baule troppo distante, perché Derry potesse distinguere bene lo stemma; ebbe comunque l'im-
pressione che quel baule costituisse un'aggiunta recente all'arredo della segreta... e non provò il minimo desiderio di incontrarne il proprietario. Si costrinse a distogliere lo sguardo e a riprendere l'esame della cella. Si accorse soltanto allora della presenza di una finestra che per poco non era sfuggita alla sua attenzione, incassata com'era in profondità nella parete che gli stava di fronte. Quasi subito, però, si rese conto che la finestra non gli sarebbe servita a nulla: era alta e stretta e, pur superando il metro di larghezza all'interno, la sua apertura all'esterno si riduceva ad una ventina di centimetri. La finestra era chiusa da una grata metallica, anziché dalle consuete sbarre, e nell'osservare la griglia Derry notò che se anche fosse riuscito a smuoverla, poi non sarebbe passato comunque attraverso lo stretto vano. Inoltre, se non aveva perso del tutto l'orientamento, quella finestra doveva aprirsi su una parete rocciosa liscia e del tutto verticale. Anche ammesso che avesse oltrepassato l'apertura, una volta fuori non avrebbe avuto dove andare... a meno che, naturalmente, non avesse scelto un'altra forma di fuga: le rocce alla base di Esgair Ddu avrebbero potuto fornirgli una forma definitiva di liberazione, se la situazione fosse degenerata fino a quel punto. Con un sospiro, Derry tornò a concentrare la propria attenzione sull'interno della cella. Contemplare il genere di libertà che avrebbe potuto trovare fuori della finestra non gli sarebbe servito a nulla, innanzitutto perché non sarebbe mai riuscito a passare da quel pertugio e poi perché, indipendentemente dalle emozioni negative evocate in lui dall'idea del suicidio, sapeva che da morto non sarebbe stato utile a nessuno. Vivo invece, se fosse riuscito a sopportare ciò che i suoi catturatori avevano in serbo per lui, avrebbe sempre avuto la possibilità di fuggire... per quanto tenue; vivo, avrebbe ancora potuto riferire a Morgan ciò che aveva appreso, prima che fosse troppo tardi. Quel pensiero portò con sé l'improvvisa consapevolezza che in effetti lui aveva il modo di contattare Morgan, se soltanto fosse riuscito a usarlo, perché portava ancora al collo il medaglione di San Camber datogli da Morgan: finché non glielo avessero tolto, gli sarebbe rimasta la possibilità di stabilire il contatto all'ora prevista. Derry effettuò un rapido calcolo mentale e decise che doveva essere vicina l'ora in cui Morgan avrebbe atteso la sua chiamata; allontanò quindi dalla mente il pensiero di ciò che sarebbe accaduto se la sua speranza fosse risultata vana: l'incantesimo avrebbe funzionato... doveva funzionare... anche se, legato com'era, Derry non sapeva con certezza come avrebbe fatto
ad attivarlo. Traendo un profondo respiro e pregando che gli fosse concesso il tempo di cui aveva bisogno, Derry contorse leggermente il torace e si concentrò sul medaglione. Morgan gli aveva detto che per stabilire il contatto doveva tenerlo in mano, ma dal momento che questo era fuori discussione nella situazione attuale, avrebbe dovuto sperare che bastasse il contatto del medaglione contro il torace. Ecco! Sentì il medaglione che si riscaldava fino a raggiungere la temperatura del suo corpo, un po' spostato sulla sinistra. Ora, se soltanto fosse bastato il contatto con la pelle, senza dover ricorrere alla mano... Derry chiuse gli occhi e cercò di visualizzare il medaglione, immaginando di stringerlo fra le dita, di sentire sotto il pollice i suoi intarsi, quindi si rilassò e lasciò affiorare nella mente le parole dell'incantesimo insegnatogli da Morgan, concentrandosi sul ricordo del medaglione di San Camber chiuso nel palmo della propria mano. Sentì di essere in procinto di scivolare nella trance simile al sonno che accompagnava l'incantesimo e giunse sul punto di abbandonarsi alle sue fresche profondità... ma poi s'irrigidì, sentendo con orrore il chiavistello che scorreva sulle guide arrugginite, nella porta alle sue spalle. I cardini scricchiolarono, il battente si aprì e Derry udì un rumore di passi che si avvicinava. Con fatica, controllò l'impulso di girare la testa per vedere chi fosse entrato. — Molto bene. Ci penserò io — disse una voce fredda e misurata. — Deegan, dovevi darmi qualcosa? — Soltanto questo dispaccio del Duca Lionel, sire — rispose una seconda voce che, a giudicare dal tono, doveva appartenere a un subordinato. Ci fu un mormorio di assenso, a cui seguì lo scricchiolio di un sigillo infranto e il tenue fruscio di una pergamena. Mentre le due voci parlavano, Derry aveva avvertito una contrazione allo stomaco, perché in tutto Esgair Ddu c'era un solo uomo che poteva fregiarsi del titolo di «sire»; nel momento in cui la sua mente registrava quella tetra realtà, qualcuno oltrepassò la soglia portando un'altra torcia, che proiettò sulla parete ombre irregolari e deformi, la cui vista fece rizzare i capelli sulla nuca a Derry, che sentì il cuore cominciare a battergli all'impazzata. Il giovane si disse che le ombre non riflettevano l'effettivo aspetto dei loro proprietari, che il terrore di cui era preda era frutto della luce incerta delle torce, ma un angolo della sua mente gli sussurrò ciò che lui già sapeva, e cioè che uno di quegli uomini doveva essere Wencit di Torenth. Adesso non sarebbe più riuscito a contattare Morgan.
— Ci penserò io, Deegan. Ora lasciaci soli — ingiunse quindi la voce fredda. Ci fu un suono di pergamena piegata, uno strusciare di cuoio e un tintinnare di metallo quando qualcuno si girò per uscire, poi la porta si richiuse sui cardini scricchiolanti, il chiavistello scivolò di nuovo al suo posto. Sulla sinistra, la luce della torcia cominciò ad intensificarsi, per quanto Derry fosse certo della presenza di una persona anche alla sua destra. Infine un rumore di passi sulla paglia fece scattare nella testa di Derry mille campanelli d'allarme. CAPITOLO DODICESIMO Non star lungi da me, perché sono in angustie, stammi dappresso, che nessuno mi soccorre. Salmi 22:12 Nella cattedrale di San Senan, a Dhassa, la cerimonia di riconciliazione dei due penitenti deryni era in pieno svolgimento. Dopo essere entrati nella cattedrale in processione solenne, insieme agli otto vescovi e ad un numero imprecisato di preti, di monaci e di altri assistenti, Morgan e Duncan erano stati presentati al Vescovo Cardiel, che officiava il rito, ed avevano formalmente dichiarato il loro desiderio di essere di nuovo accolti in comunione con la Santa Madre Chiesa. I due si erano quindi inginocchiati sul gradino più basso dell'altare, ed avevano ascoltato Cardiel, Arilan e gli altri recitare le formule previste dal rito. Quello era stato un momento di concentrazione e di pericolo, perché entrambi dovevano rispondere spesso e in maniera complessa alle domande e partecipare ai canti. Era poi giunta una parte della cerimonia in cui i penitenti avrebbero dovuto dire o fare ben poco. Morgan e Duncan evitarono di guardarsi a vicenda mentre due preti li accompagnavano all'ampio gradino antistante l'altare e li facevano adagiare sul tappeto, dove avrebbero atteso, prostrati, per tutta la fase successiva del rituale. — Benedica il Signore l'anima mia — stava recitando Cardiel, — e non dimentichi tutti i suoi benefici: Colui che perdona tutte le iniquità, Colui che cura tutti i mali, Colui che redime la vita dalla perdizione, Colui che ti ha incoronato... Mentre i vescovi continuavano la loro recitazione, Morgan modificò
leggermente la propria posizione, con la testa posata sulle mani intrecciate, spostando appena le dita in modo da poter vedere il sigillo con il grifone. Ora che i vescovi erano assorti nel loro compito di prelati, era giunto per lui il momento di cercare di contattare Derry, sia pure di sfuggita. Se non ci fossero state difficoltà da parte di Derry e lui avesse effettuato il contatto, sarebbe stato infatti abbastanza semplice spostare il momento dell'appuntamento a più tardi, quando esso non avesse comportato un rischio così elevato. Morgan socchiuse appena un occhio, notando che Duncan lo stava osservando di soppiatto e che per il momento nessuno sembrava prestare loro attenzione: avrebbe avuto a disposizione circa cinque minuti, e pregò che fossero sufficienti. Richiusi entrambi gli occhi, avvertì il lieve tocco della presenza di Duncan, che gli segnalava di essere pronto, quindi socchiuse nuovamente le palpebre per usare il sigillo con il grifone come punto focale. A poco a poco, permise ai suoi sensi di escludere la luce delle candele, il mormorio dei vescovi, il pungente odore d'incenso che lo avviluppava, il rozzo contatto del tappeto di lana che aveva sotto le ginocchia, e scivolò nello stadio iniziale della trance di Thuryn, protendendo la mente per cogliere quella di Sean Lord Derry, sia pure in un contatto fugace. — ... Contro di te, di te solo, ho peccato ed ho commesso quest'iniquità al tuo cospetto, o Signore; che tu possa essere giustificato quando levi la tua voce, e giusto quando giudichi — disse Cardiel. Ma Morgan non lo sentì. Derry cercò di non tradire la propria apprensione quando i due uomini gli si portarono davanti, uno per lato, nella stretta cella. L'individuo sulla sinistra era alto, aquilino di lineamenti, con una terribile cicatrice che partiva dal naso aristocratico e si perdeva nei baffi e nella barba ben curati; i capelli scuri erano argentei alle tempie e gli occhi erano chiari come argento alla luce delle torce. Era lui che teneva in mano la seconda torcia le cui ombre avevano destato tanto terrore in Derry pochi minuti prima, e la sua vista suscitò nel giovane una nuova, incontenibile paura mentre l'uomo si girava con noncuranza per inserire la torcia in un anello fissato alla parete, non lontano dalla prima. Quello però non era Wencit. Derry lo comprese d'istinto, non appena ebbe lanciato un'occhiata al secondo visitatore, perché l'uomo che gli era passato accanto sulla destra, per poi fermarsi di fronte alla sua sedia, era
diverso dal suo compagno sfregiato quanto più era possibile immaginare: alto e angoloso, e tuttavia aggraziato, con capelli e baffi rossi, l'individuo stava fissando con impassibili occhi azzurri il giovane prigioniero che gli stava davanti. Wencit indossava una veste da camera di seta color ambra su una tunica di satin della stessa tonalità; un'ampia cintura di pesanti anelli d'oro gli stringeva la vita e in essa era infilata con noncuranza una daga dall'elsa ingioiellata. Un paio di pantofole di velluto rossiccio, con la punta rivolta all'insù e con ricami in oro lungo il bordo, apparivano sotto il bordo della veste da camera e, per quanto Derry poteva vedere, la daga sembrava essere l'unica arma di Wencit. Questo, tuttavia, contribuì ben poco a rilassarlo. — E così... — cominciò l'uomo. La sua voce era la stessa che poco prima Derry aveva supposto essere quella di Wencit, il che confermò il suo crescente timore. — E così, tu sei l'illustre Sean Lord Derry. Sai chi sono io? Derry esitò, poi rispose con un breve cenno di assenso. — Splendido — commentò Wencit, in tono troppo amabile. — Non credo però che tu conosca il mio collega, Rhydon di Eastmarch, anche se può darsi che il suo nome ti riesca familiare. Derry lanciò un'occhiata all'altro uomo, appoggiato con indifferenza al muro alla sua sinistra, e ricevette un breve cenno di saluto. Rhydon era abbigliato come Wencit, ma i suoi colori erano azzurro cupo e argento, anziché ambra e oro, e l'effetto che tali tinte producevano su di lui era quello di far apparire Rhydon il più temibile dei due e di conferire per contrasto a Wencit un aspetto vagamente debole ed effemminato. Derry si disse però che non doveva lasciarsi attirare in quella trappola e che Wencit era di certo dieci volte più temibile di Rhydon, nonostante quest'ultimo avesse la reputazione di essere un Deryni di grandissimo potere. Non doveva permettere che il loro aspetto esteriore lo confondesse: era da Wencit che si doveva guardare. Wencit fissò a lungo il prigioniero, notandone la reazione all'aspetto di Rhydon, poi sorrise e incrociò le braccia sul petto; il lieve fruscìo prodotto dalle maniche di seta riportò immediatamente su di lui l'attenzione di Derry, e Wencit si permise un mezzo sorriso, notando che esso pareva preoccupare il giovane più del suo aspetto severo di poco prima. — Sean Lord Derry — esordì quindi, in tono riflessivo. — Ho sentito parlare molto di te, mio giovane amico. Mi è dato di capire che sei l'aiutante di campo di Alaric Morgan e che adesso siedi anche nel consiglio di
quel reuccio Haldane... ecco, non proprio adesso, suppongo — aggiunse, e osservò Derry mordersi un labbro in reazione a quella frecciata. — Sì, in effetti ho sentito parlare davvero molto delle attività di Sean Lord Derry, e pare che presto potremo constatare di persona se la tua impeccabile reputazione sia meritata o meno. Raccontami qualcosa di te, Derry. Derry cercò di non lasciar trasparire la propria ira, ma seppe di non esserci riuscito. Molto bene, che Wencit si rendesse conto che quell'interrogatorio non sarebbe stato tanto facile: se sperava davvero che lui avrebbe ceduto senza lottare, Wencit era... Wencit mosse un passo verso di lui, e Derry s'immobilizzò, costringendosi ad incontrare lo sguardo del mago con aria quasi di sfida, anche se osava a stento respirare; rimase sorpreso quando Wencit si ritrasse leggermente, e lo sgomento seguì alla sorpresa non appena notò che l'altro aveva preso a giocherellare con l'elsa ingioiellata della daga. — Capisco — commentò Wencit, estraendo l'arma e facendola roteare abilmente fra le dita. — Presumi di sfidarmi, vero? Ritengo che sia giusto avvertirti che la cosa mi delizia: dopo tutto ciò che mi hanno raccontato sul tuo conto, cominciavo a temere che mi avresti deluso, e detesto le delusioni. Prima che Derry potesse reagire a quell'affermazione, Wencit superò di scatto i due passi che lo separavano dalla sedia e appoggiò la punta della daga contro la gola del giovane; nell'esercitare una lieve pressione, osservò attentamente il volto di Derry alla ricerca di qualche segno di paura, ma non ne trovò... né si aspettava di trovarne. Con un lieve sorriso, Wencit abbassò la punta dell'arma fino al laccio più alto del giustacuore di cuoio di Derry, tagliandolo. Il giovane sussultò quando il laccio cedette, ma poi si costrinse a rimanere impassibile mentre Wencit procedeva a spostare la lama lungo la fila di lacci, tagliandoli ad uno ad uno. — Lo sai, Derry — taglio, — mi sono chiesto spesso cosa ci sia in Alaric Morgan che ispiri tanta fedeltà nei suoi seguaci — taglio. — O in Kelson e in quegli altri suoi strani antenati Haldane — taglio. — Non ci sono molti uomini che saprebbero starsene seduti qui come fai tu — taglio, — rifiutando di parlare pur sapendo che andranno incontro a qualcosa di sgradevole — taglio, — e rimanendo fedeli a un capo che è lontano e che, se anche sapesse cosa sta accadendo, non potrebbe mai sperare di aiutarli. La lama di Wencit s'insinuò sotto un altro laccio, a metà del torace, e si mosse per tagliarlo, ma questa volta fu bloccata da un oggetto che produsse un suono metallico. Wencit inarcò un sopracciglio in un gesto di finta
sorpresa e sollevò lo sguardo su Derry. — Cosa succede? — chiese, piegando la testa con fare interrogativo. — Sembra che qualcosa abbia fermato la mia lama, non ti pare, Derry? — Wencit assestò qualche altro colpo verso il basso, con maggior forza, ma ottenne come solo risultato un secco rumore metallico. — Rhydon, tu cosa pensi che sia? — Non lo so proprio, sire — mormorò l'altro uomo, accostandosi con passo tranquillo a Derry, dall'altro lato. — E neppure io — dichiarò Wencit, in tono mieloso, spostando di lato il giustacuore con la daga fino a rivelare una robusta catena d'argento, la cui estremità inferiore scompariva sotto la camicia di Derry. Wencit rivolse al prigioniero un'occhiata distratta, poi inserì la punta dell'arma sotto la catena e la ritrasse lentamente fino a far comparire un pesante medaglione d'argento. — Una medaglia sacra? — chiese, con un sorriso che gli contraeva gli angoli della bocca. — Davvero commovente, Rhydon: la porta addirittura sul cuore. — Viene quasi la tentazione di chiedersi quale santo potrebbe secondo lui proteggerlo da te, sire — ridacchiò Rhydon. — Ma naturalmente non ce n'è nessuno. — Già, nessuno — convenne Wencit, con un'occhiata in tralice alla medaglia. Subito, però, l'osservò con maggiore attenzione. — San Camber? I suoi occhi si scurirono fino a trasformarsi in pozze di colore indaco mentre lui sollevava lo sguardo sul volto di Derry, che sentì il cuore mancargli un battito. Con lenta determinazione, Wencit prese a decifrare le parole incise lungo i contorni della medaglia, e nella sua voce affiorò una sfumatura di disprezzo mentre ne scandiva le sillabe. — Sanctus Camberus, libera nos ab omnibus malis... liberaci da ogni male... La sua mano si chiuse intorno al disco d'argento, tirando la catena fino a portare la faccia di Derry a pochi centimetri dalla propria. — Sei tu dunque un Deryni, piccolo essere? — sussurrò Wencit in tono aspro, e un gelo terribile pervase le sue parole. — Tu invochi un santo deryni, mio giovane e stolto amico. Credi che lui possa proteggerti da me? Lo stomaco di Derry ebbe una lenta, tremante contrazione mentre Wencit imprimeva una lieve torsione alla catena. — Non vuoi rispondere, piccolo essere? I suoi terribili occhi parvero trapassare Derry, che distolse lo sguardo
con un brivido e, pur sentendo Wencit sbuffare in tono di disgusto, non si lasciò indurre ad affrontare ancora quelle spaventose pupille. Ci fu un lieve allentarsi della pressione intorno alla gola di Derry, ma un attimo dopo la mano di Wencit si mosse con rapidità fulminea, spezzando la catena e sottoponendo il collo del giovane a una tensione improvvisa, prima che il metallo cedesse. Con un sussulto, Derry riportò lo sguardo sul mago, sulla catena spezzata che pendeva dalle sue lunghe dita bianche; la parte posteriore del collo gli bruciava, là dove la pelle era stata escoriata dall'attrito causato dal passaggio della catena, e lui si rese conto, con un senso di sgomento, che il medaglione era adesso in possesso di Wencit. Ora non avrebbe più potuto sperare di resistergli: la magia era svanita, lui era solo e Morgan non avrebbe mai saputo nulla. Deglutì a fatica e tentò, senza successo, di calmare il proprio cuore che batteva all'impazzata. Quando le lunghe preghiere si conclusero, Morgan si costrinse ad emergere dalla profondità della trance e ad aprire gli occhi. Doveva stare molto attento, perché ben presto si sarebbe dovuto alzare in piedi per partecipare alla fase successiva della cerimonia, fornendo risposte coerenti, e non doveva lasciar trapelare nulla da cui si sospettasse che negli ultimi cinque minuti era accaduto qualcosa fuori dell'ordinario. Non dovevano esserci sospetti. Aveva comunque l'impressione di aver sfiorato una parte della mente di Derry, anche se non poteva esserne certo: era come se Derry avesse cercato di contattarlo ma fosse stato interrotto, e alla fine, appena un momento prima, era seguita una sensazione lacerante, una devastante scarica di paura che lo aveva raggiunto mentre lui protendeva ulteriormente i suoi sensi... stordendolo al punto da impedirgli quasi di tornare indietro con le sue sole forze. Morgan si rilassò, applicando il metodo deryni per allontanare la stanchezza, e si obbligò a sollevare il capo e ad alzarsi in ginocchio quando i preti gli diedero il segnale. Nel mettersi in piedi per sfilarsi la veste viola che copriva la tunica bianca, si accorse che Duncan lo stava guardando e cercò di rassicurarlo in qualche modo; Duncan capì però che c'era qualcosa che non andava, lo intuì dalla tensione che scorse sul viso del cugino quando questi s'inginocchiò dinanzi all'altare. Morgan si sforzò di schiarirsi la mente mentre Cardiel iniziava un'altra preghiera. — Ego te absolvo... Io assolvo te, Alaric Anthony Morgan, e te, Duncan
McLain, e con l'assoluzione vi libero da ogni eresia e scisma, e da ogni giudizio, censura e penitenza per quanto è accaduto. E vi accolgo nuovamente nell'unità della nostra Santa Madre Chiesa... Morgan intrecciò le mani in un gesto devoto e cercò di formulare un piano d'azione. Essendo riuscito a stabilire il contatto una volta, sia pure fugacemente, sapeva che avrebbe dovuto tentare ancora, perché qualcosa di terribile doveva essere accaduto dov'era Derry, dovunque questi si trovasse. Ma cosa poteva essere successo? E fino a che punto poteva osare di concentrarsi, all'interno della cattedrale? I preti tornarono ad affiancarlo, aiutandolo ad alzarsi in piedi, e vide che alla sua sinistra la stessa assistenza veniva offerta a Duncan. Si accostò al primo gradino che aveva dinanzi e s'inginocchiò di nuovo, con Duncan alla sua sinistra, mentre Cardiel si veniva a fermare davanti a loro: era il momento dell'imposizione delle mani, la parte centrale della cerimonia, e Morgan chinò il capo e tentò di schiarirsi la mente per evitare che le sue risposte fossero del tutto sconclusionate, ascoltando poi Cardiel proferire frasi antiche di secoli nel protendere le mani per calarle lentamente sulla testa dei due penitenti. — Dominus Sanctus, Patri Omnipotenti, Deus Aeternum... Signore Santo, Padre Onnipotente, Dio Eterno, che copri la terra e il cielo con il tuo favore, noi tuoi indegni sacerdoti come supplici ti chiediamo e ti imploriamo affinché ti degni di volgere a noi l'orecchio della tua misericordia e rimettere ogni offesa e perdonare ogni peccato di questi tuoi servitori, Alaric Anthony e Duncan Howard; e ti imploriamo di concedere loro il perdono in cambio delle loro afflizioni, gioia invece del dolore, vita in luogo della morte. Le mani di Cardiel si posarono con leggerezza sulla loro testa. — Signore, concedi che essi, per quanto decaduti dalle altezze celesti, possano essere giudicati degni di perseverare mediante le tue ricompense fino a raggiungere la pace e i luoghi celesti della vita eterna. Per eundem Dominum nostrum Jesum Christum Filium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancii Deus, per omnia saecula saeculorum... Nel nome di nostro Signore Gesù Cristo Figlio tuo, che con te vive e regna in unità con lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli, amen. La congregazione si alzò fra uno strisciare di piedi e un coro di colpetti di tosse per schiarirsi la gola, e Morgan e Duncan si mossero per avviarsi verso il lato del presbiterio. Ora avrebbe avuto inizio una speciale Messa
di Ringraziamento con cui sarebbe stato celebrato il loro ritorno nel gregge, ed entrambi presero posto ad un ampio inginocchiatoio, dove sarebbero rimasti per tutta la durata della messa; mentre s'inginocchiavano fianco a fianco, Morgan lanciò una furtiva occhiata al cugino, incontrandone lo sguardo. — È successo qualcosa — mormorò Morgan, con voce appena udibile. — Non so che cosa, ma dovrò cercare di scoprirlo, e per poterlo fare dovrò entrare in una trance più profonda. Se dovessi concentrarmi eccessivamente e perdere il filo di quello che sta accadendo qui, mi riporterai indietro e ricorreremo alla scusa di cui abbiamo discusso prima. Se necessario, farò addirittura in modo di svenire. Duncan annuì in maniera impercettibie, scrutando la cattedrale con lo sguardo. — D'accordo, ti coprirò le spalle come meglio potrò, ma sta' attento. Con un lievissimo sorriso, Morgan affondò il volto fra le mani e chiuse gli occhi, azionando di nuovo il primo stadio della trance di Thuryn e passando questa volta subito agli stadi più profondi. Wencit aprì le dita e fissò nuovamente il medaglione di Camber prima di passarlo a Rhydon, che lo ripose in una sacca che portava alla cintura. Il mago era ancora calmo e composto, ma Derry notò in lui una sfumatura d'irritazione, una traccia di disagio. La luce delle torce proiettava un bagliore rossastro sui capelli di Wencit, conferendogli con il gioco di chiaroscuri un aspetto ancora più malefico, e d'un tratto Derry si rese conto che la posta in gioco era la sua stessa vita. Quel pensiero lo scosse come niente altro avrebbe potuto fare in quel momento, perché nella sua mente non rimase più il minimo dubbio che Wencit non avrebbe esitato ad ucciderlo, se questo gli fosse convenuto. Sentì su di sé lo sguardo del Deryni e si costrinse a incontrarlo, cercando di dissolvere il proprio crescente timore. — Ora — cominciò Wencit, in tono pacato e sinistro, — cosa ne dobbiamo fare di questo impiccione, Rhydon? Di questa spia piovuta fra noi? Dobbiamo ucciderlo? — chiese, appoggiando entrambe le mani sui braccioli della sedia di Derry in modo da trovarsi con la faccia a pochi centimetri da quella del prigioniero. — O magari potremmo darlo in pasto ai caradot — proseguì poi, in tono colloquiale. — Sai cosa sono i caradot, piccolo nobiluccio? Derry deglutì con difficoltà e non si fidò di rispondere, perché nutriva qualche sospetto sulla natura di quelle creature. Wencit sorrise.
— Non sai cosa sia un caradot? Temo che questa sia una grave lacuna nella tua istruzione: il tuo Morgan è stato assai trascurato. Mostragli un caradot, Rhydon. Con un breve cenno di assenso, Rhydon si accostò a Derry, sulla sinistra, ed assunse un'espressione molto severa, tracciando nell'aria uno strano segno con l'indice mentre Wencit si spostava dietro la sedia, sulla destra. Nel disegnare il segno, Rhydon mormorò sottovoce alcune parole di una lingua aliena, pronunciando così le sillabe di un antico incantesimo, poi l'aria crepitò intorno alle sue dita e nella cella si diffuse un fastidioso odore di piombo fuso. In quel momento, Derry intravide una creatura che doveva provenire direttamente dall'Inferno: un essere terrificante verde, carminio e rossastro che strideva e ululava, con una bocca famelica e ondeggianti tentacoli che si protendevano avidi verso i suoi occhi, sempre più vicini... Urlò, serrando gli occhi e lottando istericamente contro i legami, immaginando di avvertire sulla faccia l'acido respiro dell'essere infernale mentre udiva il ruggito del mostro accompagnato da un puzzo quasi soffocante di piombo fuso. Seguì poi un silenzio improvviso, totale, accompagnato da una brezza fresca, e Derry comprese che l'apparizione era svanita. Riaprì gli occhi e scoprì che Wencit e Rhydon lo stavano osservando con ironico divertimento, anche se gli argentei occhi di Rhydon erano ancora ammantati nel velo di un oscuro e indicibile potere. Con il respiro irregolare e tremante, Derry fissò inorridito i due uomini, e la bocca di Wencit si contrasse in un'espressione seccata che si trasformò poi in un piccolo sogghigno condiscendente, mentre lui rivolgeva a Rhydon un inchino noncurante e appena abbozzato. — Grazie, Rhydon. — L'onore è stato mio, sire. Derry deglutì a fatica, incapace di parlare, e cercò di placare l'insensato panico che ancora gli indugiava nella mente. Si disse che non avrebbero permesso a quella cosa di afferrarlo... almeno finché non avessero appreso ciò che volevano sapere... ma quel pensiero contribuì ben poco a placare i suoi timori. A poco a poco, riuscì a regolare il proprio respiro, anche se a prezzo di un notevole sforzo che gli lasciò la mente vorticante. — Allora, mio piccolo amico — disse Wencit, con voce vellutata, appoggiando ancora una volta le mani sulla sedia di Derry. — Dobbiamo darti in pasto ai caradot? Oppure dobbiamo trovare un modo migliore di utilizzarti? Ho avuto l'impressione che il nostro animaletto non ti piacesse,
anche se tu di certo piacevi a lui. Derry deglutì ancora, lottando contro un'ondata di nausea, e Wencit ridacchiò. — Niente caradot? Tu che ne pensi, Rhydon? — Io — replicò Rhydon, freddo, — penso che si potrebbe trovare per lui una sorte più adatta, sire. Tutto questo mi diverte quanto diverte te, ma non dobbiamo dimenticare che Sean Lord Derry è il figlio di un conte, un uomo di nobile nascita. Non mi pare cibo adatto per i caradot, non sei d'accordo anche tu? — Ma quella bestia sembrava così attratta da lui — protestò Wencit, osservando con sguardo ilare Derry che si ritraeva sulla sedia. — Tuttavia, hai ragione tu. Sean Lord Derry vivo costituisce per me una pedina molto più utile che Sean Lord Derry morto... anche se lui potrebbe desiderare il contrario, prima che questa notte sia finita — concluse, incrociando le braccia sul petto e fissando Derry con aria indulgente. — Ora, puoi cominciare raccontandoci tutto quello che sai in merito alle forze di cui Kelson dispone... militari e arcane. E quando avrai finito, ci dirai tutto quello che c'è da sapere in merito al tuo Morgan. — Mai! — esclamò Derry, irrigidendosi per l'indignazione con gli occhi azzurri che brillavano, pieni di sfida. — Non tradirò mai... — Basta! — Wencit interruppe Derry a metà della frase e si protese verso di lui con un'intensità terribile. Per un momento, il suo sguardo incontrò e catturò quello del prigioniero, e i suoi terribili occhi danzarono dinanzi a Derry come due polle di zaffiro fuso, poi il giovane distolse con violenza il proprio sguardo e girò il capo, serrando gli occhi con la forza della disperazione, consapevole... anche se non avrebbe saputo spiegare come... che Wencit aveva cercato di sottoporlo alla Lettura del Vero. Il tocco di quella mente aliena era per lui una cosa insopportabile. Si arrischiò infine a socchiudere appena le palpebre e vide che Wencit si stava raddrizzando con un'aria di leggera sorpresa e con la fronte aggrondata. Il mago lo scrutò con sospetto per un momento, poi attraversò la cella e si accostò al baule appoggiato al muro di destra, sollevandone il coperchio e frugando a lungo fra il suo contenuto prima di trovare ciò che stava cercando. Quando si raddrizzò e si girò, aveva in mano una piccola fiala di cristallo, piena di un liquido bianco e opalescente. Prese quindi una seconda fiala... questa di terracotta... e lasciò cadere quattro gocce del suo contenuto dorato nel liquido opalescente racchiuso nella prima, che si tinse di un rosso lucente, simile a sangue; Wencit lo sollevò alla luce della torcia e
tornò verso il prigioniero agitando la fiala con lenti movimenti circolari della mano. — È un peccato che tu abbia deciso di non collaborare, mio giovane amico — disse, appoggiando un gomito sullo schienale della sedia nell'accostare ancora la fiala alla luce per ammirarne il colore. — Del resto, suppongo che tu non abbia avuto scelta, come me: questo Morgan e il suo reuccio ti hanno schermato bene. Purtroppo, però, i poteri forniti dai Deryni hanno gli stessi limiti di quelli dei Deryni che li forniscono... purtroppo per te, naturalmente. Il contenuto di questa fiala eliminerà ogni resistenza da parte tua. Derry fissò la fiala, sentendosi la gola arida. — Cos'è? — riuscì a sussurrare. — Ah, allora la curiosità non è morta, dopo tutto, vero? Francamente, però, non credo che ne sapresti molto di più, anche se te lo spiegassi. Il merasha è una sostanza abbastanza comune, ma le altre... — Wencit ridacchiò nel vedere Derry serrare i denti con apprensione. — Hai sentito parlare del merasha? Non importa. Rhydon, tienigli la testa. Derry girò di scatto il capo per stabilire dove fosse il secondo Deryni, ma era ormai troppo tardi: le mani di Rhydon gli serrarono la testa in una morsa ferrea, bloccandogliela brutalmente contro il torace del nobile deryni; Rhydon sapeva dove si dovesse esercitare pressione, e Derry sentì la bocca che gli si apriva con la stessa facilità di quella di un neonato. Il liquido carminio gli colò in gola, bruciandogli la lingua e soffocandolo mentre lui lottava per non inghiottirlo; Derry avvertì l'oscurità che calava su di lui quando Rhydon accentuò la pressione per obbligarlo a deglutire e finì per mandare giù il liquido, nonostante tutti i suoi sforzi per resistere... per poi scoppiare in un frenetico accesso di tosse quando Rhydon gli lasciò andare la testa. Aveva la lingua intorpidita, la bocca pervasa da un sapore metallico, i polmoni che ardevano come fuoco per via del filtro che era passato così vicino ad essi. Tossì ancora, scrollò il capo per schiarirsi la mente e cercò di costringersi a vomitare ciò che Wencit lo aveva forzato a bere, ma fu inutile. Mentre la tosse si placava, insieme al bruciore ai polmoni, Derry si accorse di avere la vista sempre più annebbiata, e un grande ruggito gli echeggiò negli orecchi, come se il vento più violento del mondo stesse cercando di soffiarlo via. I colori lampeggiarono e si fusero davanti ai suoi occhi e tutto parve divenire più scuro. Tentò di sollevare il capo, ma lo sforzo si rivelò eccessivo; cercò allora
di mettere a fuoco lo sguardo, senza però riuscirvi. Scorse la punta delle pantofole dorate di Wencit accanto alle gambe della sedia, quando la testa gli dondolò verso destra, ed udì l'odiata voce mormorare qualcosa che lui avrebbe dovuto poter capire, ma che gli giunse come un suono indistinto. Poi l'oscurità lo avvolse. Il silenzio era calato sulla cattedrale con l'avvicinarsi del momento culminante della messa, e Morgan cercò disperatamente di costringersi a tornare alla realtà. Aveva colto una fugace immagine dell'oscurità, subito prima che essa sopraffacesse Derry, anche se non aveva potuto localizzarne la fonte, o la vittima, pur comprendendo che doveva essere in qualche modo connessa al giovane e che era accaduto qualcosa di terribile. Non era però riuscito a scoprire altro. Si tese per lo sforzo del rientro da quel momento di terrore, e nell'uscire infine dalla trance di Thuryn barcollò leggermente sull'inginocchiatoio. Duncan se ne accorse e gli lanciò uno sguardo furtivo, senza farsi notare. — Stai bene, Alaric? — domandò. Ma ciò che chiedevano i suoi occhi azzurri era se quella di Morgan era finzione o un effettivo malessere. Morgan deglutì e scosse il capo, cercando di allontanare lo sfinimento con la forza di volontà. I recenti sforzi, uniti alla mancanza di cibo, gli avevano però indebolito la mente; sapeva che entro un po' di tempo si sarebbe ripreso, ma in quel luogo, circondato da gente che presto si sarebbe insospettita, la situazione era quasi critica. Si sedette all'indietro sui talloni e si appoggiò pesantemente al braccio di Duncan quando una nuova ondata di vertigini lo assalì, consapevole che non sarebbe riuscito a tenere a bada l'oscurità ancora per molto. Duncan sbirciò in direzione dei vescovi, parecchi dei quali li stavano fissando, poi si accostò all'orecchio di Morgan. — Ci stanno guardando, Alaric. Se hai davvero bisogno di aiuto, dimmelo. I vescovi sono... oh-oh, Cardiel ha interrotto la messa e sta venendo verso di noi. — Pensa tu a tutto, allora — sussurrò Morgan, chiudendo gli occhi e barcollando ancora. — Credo di essere sul punto di svenire. — Deglutì. — Sta' att... Senza concludere la frase, si accasciò inerte contro la spalla del cugino; Duncan lo adagiò sul pavimento e gli controllò la fronte, poi sollevò il capo e scoprì Cardiel, Arilan e altri due vescovi che li stavano fissando con preoccupazione; si rese conto che avrebbe dovuto distrarre al più presto la
loro attenzione. — È il digiuno. Lui non ci è abituato — spiegò, chinandosi sul cugino privo di sensi per slacciargli il colletto. — Per favore, qualcuno gli può portare un po' di vino? Ha bisogno di nutrimento. Un monaco fu inviato a prendere il vino e Duncan cambiò posizione in modo da poter sondare la mente di Morgan, scoprendo che il cugino era effettivamente svenuto: adesso non c'erano dubbi in merito, a causa del pallore, del polso accelerato e del respiro affaticato. Pur sapendo che Morgan si sarebbe presto ripreso da solo e senza riportare danni, Duncan non osò prolungare la scena più del necessario. Cardiel si era chinato accanto a lui e stava tastando a sua volta il polso di Morgan, e parecchi baroni, generali e condottieri che si trovavano vicino al presbiterio avevano lasciato i loro posti per arrestarsi, incerti, nel centro della navata, alcuni con la mano posata sull'elsa della spada o della daga e con un'espressione insospettita nello sguardo. Era necessario rassicurare subito quella gente, altrimenti ci sarebbero stati guai. Dimostrando una preoccupazione che non era del tutto fittizia, Duncan prese fra le mani la testa del cugino, come per osservarlo più da vicino, e applicò l'incantesimo deryni che dissolveva la stanchezza. Avvertì la mente di Morgan che si ridestava nella sua molto prima che il corpo si muovesse leggermente; infine Morgan emise un gemito sommesso e piegò la testa da un lato, sbattendo le palpebre nel tornare in sé. Un monaco s'inginocchiò accanto a loro con un boccale di vino, e Duncan puntellò la testa del cugino contro la propria gamba, accostandogli la coppa alle labbra nel momento in cui lui apriva lentamente gli occhi. — Bevi questo — ordinò Duncan. Morgan annuì, remissivo, e si lasciò somministrare parecchi sorsi di vino, posando entrambe le mani su quella con cui Duncan reggeva la coppa, prima di portarsene una alla fronte, come per cancellare uno sgradevole ricordo. Nello stesso tempo, contrasse l'altra intorno alle dita del cugino, che comprese che il pericolo era passato e che Morgan aveva riacquistato il controllo. Morgan accettò un altro sorso di vino, questa volta assaporandolo e giudicandolo troppo dolce, poi allontanò da sé il boccale e si mise a sedere, mentre i vescovi indugiavano accanto a lui con un misto di preoccupazione, di indignazione e di sospetto e parecchi nobili si accalcavano vicino alla balaustra dell'altare per sentire quale spiegazione Morgan avrebbe fornito. — Signori, dovete scusarmi, è stata una cosa stupida da parte mia —
mormorò Morgan, lasciando che l'effettivo sfinimento rendesse esitanti le sue parole. — Temo di non essere abituato a digiunare. Lasciò che la voce gli si spegnesse, come per lo stordimento, e deglutì a fatica, ad occhi bassi. I vescovi annuirono: una reazione del genere al digiuno era una cosa che potevano capire e, considerata la tensione degli ultimi tre giorni, non era poi sconveniente che il Duca di Corwyn fosse svenuto durante la messa. Cardiel sfiorò la spalla di Morgan in un gesto di comprensione e si alzò per rassicurare i nobili e i generali. Arilan, tuttavia, continuò a fissare i due Deryni per parecchi secondi, mentre essi s'inginocchiavano di nuovo, e tornò al suo posto soltanto quando Cardiel salì i gradini dell'altare. Notando la sua esitazione, Morgan e Duncan si scambiarono un'occhiata guardinga, ma la messa proseguì senza altri incidenti fino alla sua conclusione. I due penitenti ricevettero la comunione e recitarono le preghiere di commiato, poi finalmente la popolazione e i prelati sciamarono fuori della cattedrale... e Cardiel, Arilan e i due Deryni passarono nella sagrestia. Arilan si ritirò nella piccola cappella adiacente la sagrestia, ancora in tenuta da cerimonia, mentre il resto dei prelati finiva di cambiarsi e se ne andava: soltanto allora il giovane vescovo raggiunse gli altri e si tolse la mitra ingioiellata, accostandosi quindi alla porta con passo lento e chiudendola a chiave. — C'è qualcosa che forse desideri dirmi, Duca di Corwyn? — chiese, in tono freddo, con la faccia ancora rivolta verso la porta chiusa. Morgan lanciò uno sguardo a Duncan e poi a Cardiel, che si teneva in disparte in un angolo, in silenzio e con aria molto tesa. — Non sono certo di capire cosa intendi sottintendere, milord — replicò quindi, con cautela. — È una cosa consueta che il Duca di Corwyn svenga durante una messa? — insistette Arilan, voltandosi per fissare Morgan con i freddi occhi violetti. — Io... come ho spiegato, non sono abituato a digiunare. È una cosa che si fa di rado, nella mia famiglia. E gli impegni degli ultimi tre giorni, le poche ore di sono, la mancanza di cibo... — ... Non costituiscono una scusa accettabile, Alaric! — scattò il vescovo, avvicinandosi per fissare Morgan negli occhi. — Questa notte, voi siete venuti meno alla parola data. Ci avete mentito. Avete usato i vostri poteri deryni proprio nella cattedrale, anche se noi ve lo avevamo proibito... tutti e due! Confido che possiate fornire una valida giustificazione per quanto avete fatto!
CAPITOLO TREDICESIMO Ti circonderò di palizzate e contro te rizzerò dei bastioni. Isaia 29:3 Per parecchi secondi Morgan incontrò con fermezza lo sguardo di Arilan, poi annuì lentamente. — Sì, ho usato i miei poteri stanotte. Non avevo altra scelta. — Non avevi altra scelta? — gli fece eco Arilan. — Hai osato mettere a repentaglio con la tua disobbedienza la riuscita dell'intera operazione, il lavoro di settimane di accurata progettazione, e dici che non avevi altra scelta? «E tu, Duncan — proseguì, includendo anche Duncan nel proprio sguardo rovente. — In qualità di prete, avrei supposto che la tua parola significasse qualcosa di più. Devo credere che anche tu non avessi altra scelta? — Abbiamo fatto ciò che andava fatto, Eccellenza. Se non avessimo avuto un grave motivo, non avremmo neppure preso in considerazione l'eventualità di infrangere la nostra parola. — Se esisteva un grave motivo, avrei dovuto esserne informato. Se vogliamo guidare con efficacia le nostre truppe, Cardiel ed io dobbiamo essere al corrente di ciò che succede e non possiamo rischiare che voi due prendiate senza dirci nulla decisioni che potrebbero essere di cruciale importanza. — Saresti stato informato a tempo debito, milord — ribatté Morgan, frenando a stento la propria collera. — Considerata la situazione, la decisione non spettava a te. Se fossi un Deryni, lo capiresti! — Davvero? — sussurrò Arilan, mentre il suo sguardo si faceva impenetrabile e remoto. Il vescovo si girò quindi di scatto, serrando le mani, e Morgan si azzardò a lanciare un'occhiata a Duncan; così facendo, non poté evitare di notare Cardiel, che appariva pallido e teso, bianco in volto quasi quanto il camice che si era appena sfilato, e che teneva lo sguardo fisso su Arilan. Prima però che Morgan avesse il tempo di valutare la strana reazione di Cardiel, Arilan tornò a voltarsi e avanzò verso di lui con due lunghi passi, fermandosi poi a squadrarlo in viso, con le mani sui fianchi. — Molto bene, Alaric. Non ritenevo ancora opportuno dirtelo, ma forse
in fin dei conti questo è il momento più adatto. Non penserai di certo che tu e Duncan siate gli unici Deryni esistenti al mondo, vero? — Gli unici...? — Morgan s'interruppe, comprendendo all'improvviso perché Cardiel stesse fissando il collega in modo tanto strano. — Tu... — mormorò. — Esatto — annuì Arilan. — Anch'io sono un Deryni, e adesso spiegami perché non avrei capito ciò che voi avete fatto stanotte. Morgan rimase senza parole. Scuotendo il capo con aria incredula, indietreggiò di qualche passo fino a incontrare dietro di sé una sedia su cui si abbandonò con sollievo, incapace di distogliere lo sguardo dal vescovo deryni. Duncan, che si trovava poco distante, si limitò invece a guardare Arilan e ad annuire lentamente, come se stesse mettendo insieme i pezzi di un rompicapo, pezzi di cui lui era in possesso da tempo senza però sapere che potevano formare un disegno. Cardiel, dal canto suo, non disse nulla e Arilan abbozzò infine un lieve sorriso, girandosi e cominciando a togliersi i paramenti, mentre con la coda dell'occhio continuava ad osservare gli altri. — Allora, nessuno ha qualcosa da dire? Duncan, tu devi aver nutrito dei sospetti. Sono dunque un attore così abile? Duncan scosse il capo e cercò di non far trapelare dalla voce la propria amarezza. — Fra i migliori che io abbia mai visto, Eccellenza. So per esperienza personale quanto sia difficile vivere nella menzogna, tenere il segreto che tu ed io abbiamo nascosto. Ma dimmi, non ti è mai costato rimanere inerte mentre il nostro popolo soffriva e moriva per mancanza di aiuto da parte tua? Nella tua posizione, tu potevi aiutarli, Arilan, e tuttavia non hai mosso un dito. Arilan abbassò lo sguardo, poi si tolse la stola e l'accostò alle labbra prima di rispondere. — Ho fatto ciò che potevo, Duncan. Vorrei che fosse stato di più, ma essere al tempo stesso un prete e un Deryni non è una cosa facile, come sono certo che converrai anche tu. Per quel che ne so, tu ed io siamo gli unici Deryni che siano stati consacrati da parecchi secoli a questa parte, e non ho osato rischiare di compromettere, agendo prematuramente, il bene maggiore che avrei potuto ottenere. Riesci a capirlo, vero? — Duncan non rispose, e Arilan s'interruppe per posargli una mano sulla spalla in un gesto pieno di comprensione. — So cosa devi aver passato, Duncan, ma non sarà sempre com'è stato finora.
— Forse hai ragione. Non lo so. Con un paziente sospiro, Arilan riportò la propria attenzione su Morgan, che non si era mosso. Mentre i due preti parlavano, Morgan aveva ritrovato la padronanza di sé, ed ora stava fissando Arilan con un atteggiamento che era quasi di sfida. Il vescovo comprese immediatamente i suoi sentimenti, e si accostò alla sedia da lui occupata. — È così difficile fidarsi, Alaric? So che anche il tuo non è stato un cammino facile: noi preti non abbiamo il monopolio del dolore. — Perché mi dovrei fidare di te? — ribatté Morgan. — Ci hai già ingannati una volta... cosa potrebbe impedirti di farlo ancora? Cosa ci garantisce che non ci tradirai? — Soltanto la mia parola — ammise Arilan, con un pallido sorriso. — Oppure... no, c'è un altro modo. Vuoi permettermi di mostrarti perché dovresti fidarti, Alaric? Se non hai paura, lascia che condivida con te una piccola porzione dell'altro lato: ciò che vedrai potrebbe sorprenderti. — Vorresti... entrare nella mia mente? — sussurrò Morgan. — No, sarai tu ad entrare nella mia. Prova. Morgan parve esitare, ma Arilan si lasciò cadere improvvisamente in ginocchio accanto a lui e posò una mano sul bracciolo della sedia occupata da Morgan. Non ci fu un contatto fisico fra loro... condizione che Morgan aveva sempre creduto essere essenziale per un primo Tocco Mentale fra sconosciuti... ma Arilan non parve aspettarsi che questo fosse necessario. Morgan protese la mente con esitazione... e d'un tratto si trovò in quella di Arilan, e fluttuò senza sforzo attraverso un intelletto ordinato e razionale, al cui fascino non riuscì a resistere. Intravide immagini di Arilan come un giovane che studiava in seminario, come un parroco nella sua prima parrocchia, come vescovo che, nella camera della Curia, il marzo precedente, si opponeva all'Interdetto. Quante cose c'erano là che lui non si era aspettato di trovare! Poi fu di nuovo all'esterno. Arilan si limitò a fissarlo, quindi si alzò senza una parola e riprese a spogliarsi, indossando infine il consueto abito porpora con il mantello dello stesso colore. Soltanto allora incontrò di nuovo lo sguardo di Morgan, con aria calma e pratica, come se non fosse accaduto nulla. — Vogliamo andare? — chiese con disinvoltura, accostandosi alla porta per aprirla. Morgan annuì con espressione contrita e si alzò in piedi, avviandosi verso la porta seguito da Duncan e da Cardiel.
— Lungo la strada potrai dirci cosa è successo nella cattedrale — aggiunse Arilan, allargando le braccia per includere gli altri tre in un abbraccio cameratesco, — e poi credo che faremo meglio ad andare tutti a riposare. Dovremo metterci in marcia alle prime luci dell'alba, e non sarebbe bello far attendere Kelson. Due giorni più tardi, a Dol Shaia, Kelson ricevette l'omaggio dei vescovi ribelli e s'inginocchiò per ricevere a sua volta l'assoluzione formale che lo dichiarava libero dal peccato di aver dato asilo a due ex scomunicati ed eretici. Allo scadere delle successive quarantotto ore, le truppe arrivarono alle porte di Coroth. Stranamente, Kelson non parve troppo sorpreso di apprendere che Arilan era un Deryni: fin dal primo momento in cui si era incontrato con Morgan, Duncan e i vescovi ribelli, il giovane sovrano si era accorto di un cambiamento di vitale importanza; a parte Cardiel, nessuno degli altri prelati sapeva dell'identità di Arilan, ma anche così si notava una sottile differenza nel modo in cui essi si rivolgevano a lui rispetto a quello che usavano con Cardiel, come se percepissero il potere del giovane vescovo senza esserne consapevoli a livello cosciente. Kelson, abituato da tempo a cogliere le minime sfumature del linguaggio e dei movimenti, aveva notato perfino un cambiamento nell'atteggiamento che Morgan e Duncan tenevano nei confronti di Arilan... qualcosa che neppure lui, che pure li conosceva entrambi da lungo tempo, aveva saputo spiegare. Così, quando Arilan gli aveva rivelato la propria natura deryni, Kelson non aveva avuto difficoltà ad assimilare l'informazione, come se la derynità di Arilan fosse stata un fatto noto e scontato, e questa pronta accettazione era stata un fattore che aveva giocato a suo favore, perché grazie ad esso quando l'esercito reale era giunto in vista di Coroth, nel tardo pomeriggio, i quattro Deryni formavano ormai una squadra affiatata. Di conseguenza, era stato un Kelson rilassato e sicuro di sé quello che si era arrestato in cima ad un'altura per osservare l'esercito che si schierava intorno alla città di Morgan, occupata dai ribelli. Durante l'avanzata verso Coroth, l'esercito aveva snidato parecchi gruppi di grigiovestiti cavalieri ribelli, quindi l'eventuale vantaggio della sorpresa era già andato perduto da parecchio tempo allorché l'avanguardia regia aveva infine avvistato la città. Adesso la pianura antistante Coroth era vuota, deserta, e la brezza del tardo pomeriggio agitava la distesa d'erba, trasformandola in un ondeggiante oceano di un verde pallido. A sudest, lungo
un ampio tratto di spiaggia, era possibile scorgere il brillio del mare, verde e argenteo nella nebbiolina della prima serata, e l'aria era permeata del profumo di salsedine e dell'odore pungente delle alghe che marcivano e del fango del fossato del castello. Kelson osservò la scena per parecchi minuti, scrutando le cupe mura del castello, la vuota distesa della pianura e le dune di sabbia, deserte tranne che per le truppe che avanzavano rapide. Lontano, a nordovest, scorse le bandiere viola di Cardiel, con lo stemma del Piede Giosuaico, poi i vessilli di guerra cedettero gradualmente il posto alle lance e quindi ai fanti muniti di grandi scudi a forma di aquilone, a mano a mano che sormontavano l'altura. Più vicino, sul fianco sinistro, gli arcieri guidati dal Principe Nigel stavano prendendo posizione lungo una serie di dune di sabbia e i tamburini del reggimento, sgargianti nella livrea delle terre basse, a strisce verdi e viola, scandivano un ritmo rapido e complicato, facendo volteggiare con abilità i loro bastoni sulla testa e lanciando qualche grido occasionale nel segnare il tempo con i piedi. Ogni arciere era accompagnato da un fante munito di lancia e di scudo, il cui compito era quello di proteggere l'arciere dalle frecce nemiche, e tutti gli uomini del reggimento sfoggiavano la coccarda verde e viola del Corpo degli Arcieri Haldane sul davanti degli elmi di cuoio. Alle spalle di Kelson, poi, attendeva il fiore della cavalleria di Gwynedd. Cavalieri e scudieri, paggi e armigeri si stavano schierando rapidi dietro il loro re, e gli stendardi dei signori di Horthness e di Varian, di Linndestark e di Rhoau, di Bethenar e di Pelagog fluttuavano al di sopra di quei cavalieri... indicando la presenza dei capi delle più grandi casate di Gwynedd, progenie di famiglie fedeli alla corona dall'inizio della nobile storia di quel paese, dalla nascita stessa degli Undici Regni. La bandiera del grifone era visibile sulla destra, dove Morgan era intento a discutere di alcune secondarie questioni strategiche, e Duncan stava sopraggiungendo a sua volta, accompagnato da uno scudiero che reggeva il vessillo dei McLain, con il leone dormiente e le rose, contrassegnato da una striscia rossa a tre punte che lo identificava come l'erede di Cassan e di Kierney, ora che il suo fratello maggiore, Kevin, era morto. Duncan era in tenuta da guerra, e soltanto la croce pettorale in argento, che spiccava fra lo stemma e il plaid dei McLain, indicava la sua qualità di sacerdote. Raggiunto Kelson sull'altura, Duncan si arrestò accanto a lui, salutandolo, poi si girò per guardare Morgan, che si stava dirigendo verso di loro. La
bandiera con il grifone si unì a quella con il leone e le rose e al Leone di Gwynedd, a cui si aggiunsero poco dopo la bandiera episcopale di Rhemuth, che accompagnava Arilan, e quella di Dhassa, al seguito di Cardiel. Il leone rampante di Nigel si stava approssimando a sua volta. — Allora, Morgan, che ne pensi? — chiese Kelson, sfilandosi l'elmo e arruffando i neri capelli umidi con la mano guantata. — Tu sei quello che meglio dovrebbe conoscere le difese della città... è conquistabile? Morgan sospirò e si accasciò sulla sella, incrociando le braccia sull'alto pomo di cuoio lavorato. — Detesterei tentare di prenderla con la forza delle armi, sire. Avendo a disposizione tempo e attrezzature adeguate, qualsiasi muro può essere sbrecciato. Naturalmente, preferirei riavere la mia città intatta, ma mi rendo conto che non è possibile, perché il tempo stringe. Arilan osservò il sole al tramonto, appena visibile in mezzo alla nebbia sempre più fitta, poi si girò sulla sella per guardare verso Kelson; quel movimento fece scricchiolare il cuoio della sella e strappò un bagliore di fuoco al piviale del vescovo, colpito dalla luce evanescente del tramonto. Arilan e Cardiel portavano entrambi cotta di maglia e armi sotto gli abiti vescovili... due vescovi guerrieri pronti a battersi per la Chiesa Militante. Lo sguardo acuto di Arilan cercò quello di Kelson, con aria interrogativa. — Prestò sarà buio, sire. A meno che tu intenda combattere di notte, dovremmo cominciare ad approntare il campo. — Hai ragione. È troppo tardi per agire oggi stesso — convenne Kelson, allontanando una mosca dagli orecchi del suo cavallo. — Però voglio parlamentare con loro. C'è pur sempre la possibilità, anche se tenue, che si possa addivenire ad un accordo senza ricorrere alle spade. — Mi sembra assai poco probabile, mio principe — ribatté Duncan. — Almeno finché Warin avrà voce in capitolo: quell'uomo è divorato da un odio profondo per tutti i Deryni, e ci vorrà parecchio a convincerlo. — Lo so — ammise Kelson, accigliandosi. — Ma dobbiamo tentare in ogni caso. Cardiel, convoca gli altri vescovi in assemblea con noi qui davanti alle prime linee. Morgan, Padre Duncan, vorrei che diffondeste la voce che stanotte ci accamperemo qui e che ordinaste agli uomini di iniziare i relativi preparativi. Prima del tentativo di parlamentare, sarà anche opportuno che stabiliate i turni di guardia: non voglio che il perimetro dell'accampamento sia tormentato questa notte da pattuglie ribelli. — Sì, mio principe.
In alto, sui bastioni della città, altri occhi seguivano le attività dell'esercito reale. Al riparo di una merlatura, vicino alla grande porta chiusa da un'inferriata, Warin de Grey e parecchi dei suoi luogotenenti stavano sbirciando la pianura dalle mura del castello e stavano osservando i preparativi in corso. Gli occhi grigi di Warin scrutarono con attenzione la piana, mentre lui prendeva nota mentalmente delle bandiere dei grandi nobili raccolti laggiù e calcolava le centinaia di soldati intenti ad accamparsi. L'aspetto di Warin non era quello che ci si sarebbe potuti immaginare in un uomo che aveva messo in ginocchio mezzo Corwyn. Si trattava di un individuo di altezza media, con capelli e barba tagliati corti e di un comune colore castano. Tunica e cappello erano grigi, e così anche il mantello che ora Warin si stava stringendo maggiormente intorno alle spalle strette, e soltanto lo stemma nero del falcone che spiccava sul davanti della tunica di cuoio veniva a spezzare la monotonia di quel grigio opaco; l'acciaio della cotta di maglia era visibile ai polsi e alla gola, le gambe erano protette da schinieri, ma perfino il bagliore dell'acciaio appariva spento. Soltanto gli occhi spiccavano in quell'uomo noto ormai come Lord Warin, ed erano gli occhi di un mistico, di un veggente... di un santo, affermavano alcuni. Si diceva che, con quegli occhi, Warin potesse penetrare nell'anima di un uomo, che potesse risanare come facevano gli antichi santi e profeti. Warin era giunto dal nord, predicando che bisognava riservare una morte violenta a chiunque fosse di sangue deryni e invocando una guerra santa per liberare il popolo dalla piaga deryni che da troppo tempo affliggeva la nazione. Warin era stato inviato da Dio... o almeno questo era ciò che lui credeva. In ogni caso, i suoi successi, il carisma con cui guidava i suoi seguaci, tutto questo sembrava confermare quella supposizione, e perfino la Curia di Gwynedd si era associata alla sua causa, anche perché il Primate di Gwynedd, l'Arcivescovo Edmund Loris, era lui stesso un accanito nemico dei Deryni da parecchi anni. Ora i ribelli militanti e le truppe della Curia erano schierati spalla a spalla dietro le mura del Castello di Coroth, pronti a combattere contro il legittimo signore di quella città e contro il loro re. I ribelli avevano preso il castello grazie al tradimento di un pugno di uomini che al suo interno occupavano posizioni di determinante importanza strategica, poi avevano conquistato l'orgogliosa Coroth senza causare un solo morto o un ferito grave. Ora i più agguerriti sostenitori di Morgan si trovavano rinchiusi nelle segrete della Fortezza di Coroth, nutriti e trattati con riguardo, ma comunque
prigionieri delle fanatiche forze religiose che si erano impadronite della città. Il carisma di Warin aveva incantato perfino gli abitanti di Coroth, sopraffacendo la radicata fedeltà che essi nutrivano per il loro duca e per il re. Adesso, sbirciando dall'alto delle mura di Coroth, Warin stava osservando nuovamente il nemico. Una spada strisciò contro la pietra, alle sue spalle, ed uno dei suoi luogotenenti si schiarì la gola. — Hanno molti uomini, signore. Le mura basteranno a respingerli? — Per ora, Michael — annuì Warin. — Almeno per ora. Morgan non è certo stato trascurato quando ha fortificato la sua città, e deve aver provveduto a proteggerla da qualsiasi tipo di aggressione sia riuscito a prevedere. Come potrà quindi abbattere le difese che lui stesso ha elevato? — La situazione non mi piace, signore — intervenne un secondo uomo, Paul de Gendas, scuotendo il capo. — Tu sai quale sorta di furfante sia questo Morgan. Ricorda ciò che ha fatto a San Torin, quando non era neppure in grado di ricorrere al suoi poteri, e adesso con lui ci sono altri Deryni: quel prete, McLain, il re stesso e forse perfino lo zio del re e i suoi figli. Tutti i membri della famiglia Haldane sono da temere, signore. — Non essere ansioso — ammoni Warin, in tono sommesso. — Ho ragione di credere che neppure i poteri deryni siano sufficienti ad abbattere queste mura, se non con enorme difficoltà. A proposito, dove sono gli arcivescovi? Sono stati informati di quanto sta succedendo qui? — Stanno arrivando, signore — annunciò un terzo uomo, inchinandosi leggermente nel rispondere alla domanda. — Il Signore di Valoret si è infuriato, quando ha appreso la notizia. — Non ne dubito — mormorò Warin, permettendo ad un fugace sorriso di affiorargli sulle labbra. — Il Signore di Valoret è un uomo di indole violenta, e fortunatamente non teme di affrontare Morgan faccia a faccia, il che farà di lui il nostro più formidabile portavoce, questo pomeriggio. Tutt'intorno, lungo gli ampi bastioni, arcieri e lancieri stavano prendendo posizione. Grandi cumuli di pietre erano stati preparati già nel giorni precedenti, ed ora parecchi uomini robusti dagli abiti chiazzati di sudore erano in attesa, pronti a scagliare quei massi sugli attaccanti, in caso di necessità. Nel girarsi per osservare le torri alle proprie spalle, Warin scorse i colori degli arcivescovi apparire sulla sommità del torrione più alto; il suo stendardo con l'emblema del falcone stava già sventolando da una torre meno elevata, sferzato dalla brezza marina, e ben presto Warin vide issarsi lungo i bastioni le bandiere degli altri nove vescovi, insieme a quelle di alcuni nobili che erano stati persuasi ad unirsi alla loro causa.
Warin riportò infine la propria attenzione sulla piana sottostante, e notò che i condottieri nemici si stavano radunando dinanzi all'esercito ammassato e che una figura vestita di bianco era ferma, a cavallo, accanto al re. In quel momento, Warin fu raggiunto dagli arcivescovi, Loris e Corrigan, e da alcuni vescovi minori. Loris indossava un semplice saio da lavoro dalla cupa tonalità porpora, ed aveva sulle spalle un mantello della stessa tinta, per difendersi dal freddo vento di mare; la calotta vescovile lasciava sfuggire alcune ciocche di capelli candidi che formavano una sorta di alone, e Warin si sorprese a chiedersi cosa permettesse a quel copricapo di rimanere al suo posto nonostante la brezza. Una croce pettorale in argento e l'anello con l'ametista erano gli unici ornamenti che spezzassero l'uniformità cupa dell'abbigliamento di Loris, e la faccia del prelato era pallida e tesa. Accanto a lui c'era Corrigan, che era ingrassato di qualche chilo nei tre mesi trascorsi dalla riunione di Dhassa, e che continuava a scoccare occhiate nervose e spaventate oltre Loris e Warin, in direzione delle truppe schierate nella piana sottostante. I luogotenenti di Warin s'inchinarono profondamente quando i prelati si unirono al gruppo, e Warin piegò il capo in un cenno di saluto a cui Loris rispose brevemente nell'accostarsi al parapetto. — Stavo già per venire qui quando il tuo messaggero mi ha raggiunto — disse, adocchiando l'esercito che aveva circondato la città su tre lati. — Quando credi che agiranno? — Sembra che abbiano intenzione di parlamentare, Eccellenza, e dubito che attaccheranno, con il buio così vicino. Là davanti, comunque, puoi vedere Kelson, vestito di carminio, accanto a quel cavaliere in bianco. E là ci sono i vescovi Cardiel e Arilan, gli altri vescovi ribelli, il Principe Nigel e, naturalmente, Morgan e il prete McLain. A quanto pare, devono aver indotto i vescovi ribelli a credere nella loro innocenza, visto che sono entrambi in tenuta da battaglia. — La loro innocenza, come no! — sbuffò Loris. — Dio sa che non devo parlare a te della loro «innocenza», Warin. Tu eri a San Torin. — Infatti c'ero, milord — replicò Warin, con calma. — Rimane comunque il fatto che quegli «innocenti» sono ora accampati davanti a noi e sembra che desiderino parlamentare. Tu sei d'accordo nell'ascoltare cosa vogliono? Loris si sporse in fuori per vedere meglio, poi tornò accanto a Warin, mentre un gruppetto di cavalieri si staccava dalla massa degli assedianti e si dirigeva verso le mura cittadine. Uno dei cavalieri portava una bandiera
bianca di tregua. — Molto bene, li ascolteremo. Segnala ai tuoi uomini di non tirare e di onorare la bandiera bianca. Nel frattempo, il cavaliere in bianco si portò davanti agli altri e si diresse verso le mura procedendo a zigzag. L'uomo era a testa scoperta e ad occhio nudo sembrava disarmato; in mano stringeva una bandiera di seta bianca, la cui asta brillava argentea e dorata nella luce del tardo sole pomeridiano. Warin si portò all'occhio un cannocchiale e riuscì così a distinguere il blasone sulla sopravveste del cavaliere, identificandolo come Conall, il figlio maggiore del Principe Nigel. Abbassato il cannocchiale, Warin osservò il giovane che si arrestava ad una cinquantina di metri dalle mura e sollevò una mano per evitare qualsiasi azione ostile da parte dei suoi uomini. Subito lance e archi furono abbassati lungo tutto il muro e il giovane parlamentare riprese ad avvicinarsi, ora al passo, fino a portarsi a circa venti metri dalle mura. Warin notò allora che Conall stava scrutando i bastioni, probabilmente alla ricerca di una persona di rango a cui indirizzare le sue parole. — Reco un messaggio per l'Arcivescovo Loris e per l'uomo chiamato Warin de Grey — esclamò quindi il ragazzo, sollevando la testa con atteggiamento di sfida per scrutare gli uomini raccolti sui bastioni. Loris s'irrigidì leggermente, poi si fece avanti, affiancato da Warin; il ragazzo li scorse e indusse il cavallo a caracollare di lato, per accostarsi al punto in cui i due si trovavano. Perfino Warin fu costretto ad ammettere che Conall era un ottimo cavaliere. — Lord Arcivescovo? — chiamò il ragazzo, in tono un po' brusco e con la voce giovanile resa acuta dalla tensione. — Io sono l'Arcivescovo Loris, e Warin de Grey mi è accanto. Qual è il tuo messaggio? Il ragazzo esegui un lieve inchino sulla sella, poi riportò lo sguardo sui due. — Il mio nobile cugino, il re, mi chiede di riferire che desidera conferire con voi. Domanda soltanto che la tregua indicata da questa bandiera sia rispettata, in modo da permettere a lui e al suo seguito di avvicinarsi abbastanza da poter parlare. Gli concederete, con onore, ciò che domanda? Loris lanciò un'occhiata in tralice a Warin, poi annuì. — Glielo concederemo, con onore — rispose, formalmente. — Ma riferisci a Sua Maestà che a meno che abbia intenzione di rappacificarsi con la Chiesa da lui tradita e di consegnare al nostro giudizio i due Deryni a cui dà rifugio, questa trattativa non servirà a nulla. Ci sono alcune cose su cui
siamo inflessibili. — Lo informerò, milord — replicò il ragazzo, con un inchino, quindi fece girare il cavallo e tornò al trotto verso le prime linee di truppe, con la bandiera bianca che si agitava sotto la brezza. Warin e Loris l'osservarono allontanarsi dalle mura e accostarsi alla figura in carminio che si trovava al centro del gruppo dei condottieri nemici, poi Loris serrò la mano e batté il pugno contro la merlatura di pietra. — Non mi piace, Warin — mormorò. — Non mi piace affatto. È meglio che tu faccia circolare i tuoi luogotenenti fra gli uomini, nel caso che si stia tramando qualche tradimento. Temo proprio di non aver più la minima fiducia nel mio re. Fra le truppe regie, Kelson sollevò lo sguardo in direzione delle due figure in piedi accanto al parapetto del castello, una ammantata della porpora vescovile, l'altra nella grigia tenuta dei ribelli, quindi si mise in testa l'elmo completo di corona e segnalò al portabandiera di muoversi. Quando il ragazzo, che aveva appena un anno meno dello stesso Kelson, si avviò, il giovane sovrano diede di sproni e lo seguì, affiancato da Morgan sulla destra e dal Vescovo Cardiel sulla sinistra. Il portatore dello stendardo reale superò i tre e si schierò davanti a Kelson e leggermente sulla destra, mentre due cavalieri di nobile nascita si portavano alle spalle del re. La luce del sole al tramonto brillava sul sottile cerchio d'oro che cingeva l'elmo di Kelson, sulla piuma verde che sormontava quello di Morgan e sulla semplice mitra di Cardiel. Kelson sollevò lo sguardo e lo lasciò indugiare sul suo stendardo dorato rappresentante un leone, prima di abbassarlo sull'identico stemma ripetuto sulla sopravveste carminia da lui indossata. Morgan, alla sua sinistra, era avvolto in un mantello di un verde brillante che copriva la sopravveste di cuoio e la cotta di maglia; alla sua destra, Cardiel stringeva in pugno il pastorale vescovile, al posto della lancia, e davanti a lui Conall brandiva la bandiera bianca come se fosse stata lo stendardo reale, con la testa corvina eretta in un atteggiamento orgoglioso. Mentre si avvicinavano al tratto di mura dinanzi al quale Conall si era arrestato poco prima, Kelson lanciò un'occhiata verso l'alto, accorgendosi che Loris lo stava fissando, e deglutì nervosamente nell'incontrare per un attimo lo sguardo di Warin. Un momento più tardi i due portabandiera si spostarono per fiancheggiarlo, e altre facce sbirciarono in basso fra le mura merlate. Chiamando a raccolta il proprio coraggio con un lento e misurato respiro, il sovrano
temporale di Gwynedd levò lo sguardo verso il capo spirituale di quella stessa nazione e prese a parlare. — Salute a te, Lord Arcivescovo, e grazie per averci concesso di avvicinarci. — Quando un re si avvicina con sincero pentimento, sire, quale prete potrebbe rifiutargli udienza? — replicò Loris, con un leggero cenno del capo. — Pentimento, arcivescovo? — Kelson indirizzò un fugace sguardo a Cardiel, poi concentrò di nuovo la propria attenzione su Loris. — Non intendo mettermi a discutere su ogni singola parola, signore. Ho deciso che è imperativo risolvere i nostri contrasti e ritrovare l'unità nell'interesse di Gwynedd. Queste liti intestine devono cessare, e subito, altrimenti saremo sopraffatti dal pericolo che si profila nel nord. Loris incrociò le braccia sul petto e sollevò ulteriormente il mento. — Sarò lieto di riconciliarmi con te, sire, se mi farai la cortesia di spiegarmi per quale motivo frequenti traditori ed eretici. Oppure hai forse dimenticato il motivo che ci ha condotti alla situazione attuale? Coloro che ti cavalcano accanto sanno di cosa sto parlando. — Milord — intervenne Cardiel, schiarendosi la gola e spingendo avanti il cavallo di un passo, — io ed i miei fratelli in Cristo siamo convinti che il Duca Alaric e suo cugino McLain siano tornati fra noi con sincero pentimento. Essi sono stati riammessi alla comunione e ogni controversia esistente fra noi si è così risolta. — Questo è assurdo — dichiarò Loris. — Morgan e McLain sono stati scomunicati mediante legale decisione della Curia di Gwynedd, cosa di cui essi stessi erano consapevoli, e si è trattato di una decisione a cui avete contribuito anche tu e i tuoi colleghi ribelli. — Loris scoccò un'occhiata in direzione dei vescovi raccolti davanti alle truppe, poi ne accantonò la presenza con uno sprezzante cenno della mano. — Ed ora presumete di rescindere l'azione di quella Curia mediante la volontà di sette uomini soltanto? Non se ne parla neppure. — Siamo otto, milord, non sette, ed abbiamo riconosciuto di aver commesso un errore. Di conseguenza, il Duca di Corwyn e Padre McLain sono stati nuovamente accolti nella nostra grazia, e così anche Sua Maestà e tutti i suoi fedeli seguaci che avevano sofferto a causa del nostro giudizio. — È assurdo — insistette Loris, accennando a voltare le spalle al gruppo in un gesto di disgusto. — Non potete sovvertire la decisione della Curia. Perché dovrei ascoltarti? È chiaro che sei impazzito.
— Allora ascolta il tuo re, arcivescovo — intervenne Kelson, socchiudendo le palpebre con aria minacciosa nel fissare Loris. — Noi abbiamo un altro motivo di contrasto con te, e specificatamente le azioni del tuo supposto sostenitore ed alleato, Warin. Le sue bande stanno devastando Corwyn ormai da quasi sei mesi, minacciando i miei baroni, bruciando i campi, predicando l'insurrezione contro di me... — Non contro di te, sire — ribatté Warin, rigido, — ma contro i Deryni. — E non sono forse io Deryni per metà? — replicò Kelson. — Predicando contro di loro, non predichi forse anche contro di me? Warin abbassò su di lui lo sguardo dei suoi freddi occhi grigi. — È un vero peccato che tu abbia sangue deryni nelle vene, sire, ma avevamo preferito ignorarlo perché tu sei il nostro re. La nostra crociata è rivolta contro i veri Deryni, come l'uomo che ti siede accanto. Non dovresti frequentare simili compagnie, sire. — Osi presumere di rimproverare il tuo re? — scattò Kelson. — Warin, non ho il tempo di discutere con te la questione dei Deryni. Wencit di Torenth è alla frontiera, pronto ad invaderci, e Wencit è un uomo malvagio, indipendentemente dal suo sangue deryni. La guerra civile che tu e gli arcivescovi avete scatenato deve dargli una soddisfazione incredibile. Loris scosse il capo con rabbia ed assunse un atteggiamento sprezzante. — Non biasimare noi per le azioni di Wencit di Torenth, sire. La questione attuale non riguarda Wencit, ed io non intendo compromettere la volontà del Signore, neppure per compiacere la volontà di un re. — Allora farai meglio ad ascoltare ciò che ti dico in qualità di re — ammonì Kelson, freddo e calmo. — Come tu hai sottolineato, io sono il legittimo sovrano di Gwynedd: tu stesso hai versato l'olio consacrato sul mio capo e mi hai incoronato, e ciò che così è stato fatto non può essere disfatto da nessun uomo. «Di conseguenza, in virtù dell'autorità che mi è stata conferita in nome di Nostro Signore, io comando a voi tutti di deporre le armi e di consegnare questa città al suo legittimo signore. In seguito, quando avremo più tempo, potremo discutere delle nostre divergenze sulla questione dei Deryni. Alle spalle di Loris echeggiarono sonori borbottii di dissenso, e l'arcivescovo scosse il capo. — Riconosco la tua autorità, sire, e mi rincresce di non poterti obbedire. Non posso cedere la città, e devo inoltre consigliarti di ritirarti insieme alla tua scorta prima che qualcuno dei miei uomini, irritato dalle tue parole,
getti la vergogna su tutti noi tentando un regicidio. Pur essendo obbligato dalla mia coscienza a disobbedirti, non desidero però macchiarmi le mani con il tuo sangue reale. Ammutolito per l'ira, Kelson fissò l'arcivescovo per dieci lunghi secondi, poi girò di scatto il cavallo e tornò al galoppo verso le sue linee, seguito dai compagni che rimasero sul chi vive per tutto il percorso, nel timore dell'intervento di qualcuno di quegli arcieri troppo zelanti a cui Loris aveva accennato. Soltanto quando ebbe raggiunto la sicurezza del proprio schieramento Kelson tirò le redini e si fidò di parlare, senza mostrare di essersi accorto della presenza degli altri generali e dei nobili che gli si stavano accalcando intorno per sentire cosa era accaduto. — Allora, Morgan? Cosa avrei dovuto dire a quel prete insolente? — esclamò, sfilandosi l'elmo con un gesto furente e gettandolo ad uno scudiero in attesa. — Avanti, parla, Campione del Re. Cosa avrei dovuto dire? La sfacciataggine di quell'uomo ha dell'incredibile... osare di minacciare me! — Calma, mio principe — mormorò Morgan. Il cavallo di Kelson si stava agitando, in reazione al nervosismo del suo padrone, e Morgan posò una mano sulle redini per calmarlo. — Signori, vi prego di scusarci e vi assicuro che non esiste nessun motivo di allarme immediato. Nigel, e voi signori vescovi, volete continuare a sorvegliare la preparazione del campo? Duncan, tu, Arilan e Cardiel venite con noi, per favore. Sua Maestà ha bisogno dei nostri consigli. — Non sono un bambino, Morgan — mormorò Kelson, liberando le redini con uno strattone e rivolgendo a Morgan un'occhiata tagliente, — e ti sarei grato se non mi trattassi come tale. — Il mio signore vorrà però di certo ascoltare il parere dei suoi fidati consiglieri — proseguì Morgan, spingendo il proprio cavallo contro quello di Kelson per allontanarlo dagli altri ufficiali e indirizzarlo verso il padiglione reale. — Duncan, tu hai familiarità con la maggior parte della disposizione del Castello di Coroth, vero? — Certamente — convenne Duncan, comprendendo che Morgan stava cercando di togliere Kelson dal centro dell'attenzione. — Credo che Alaric abbia un piano, mio principe. Kelson si lasciò infine guidare in disparte, là dove i soldati avevano appena finito di erigere il suo padiglione e stavano procedendo ad alzare le altre tende, e quando il suo sguardo tornò a posarsi su Morgan, parve che l'ira del giovane si fosse finalmente placata.
— Mi dispiace, non intendevo fare una scenata — disse, a bassa voce, — ma Loris mi rende furioso. Hai davvero un piano? — Ce l'ho — confermò Morgan, chinando il capo, mentre un lieve sorriso gli appariva sulle labbra. Si guardò quindi intorno con aria guardinga e smontò di sella, segnalando agli altri di imitarlo. Quando furono tutti all'interno del padiglione, attese che i compagni si fossero seduti, poi si fermò dinanzi a loro, con le mani sui fianchi. — Per ora non possiamo fare nulla, perché abbiamo bisogno della protezione dell'oscurità e di tempo per i necessari preparativi. Ora vi spiegherò però come intendo agire non appena calerà la notte. CAPITOLO QUATTORDICESIMO Ecco il mio servo, che proteggo, il mio eletto in cui si compiace l'anima mia. Isaia 42:1 Quella notte, un migliaio di fuochi di guardia si accesero nella ventosa pianura antistante Coroth, tremolando luminosi come migliaia di occhi che scrutassero la città assediata. Davanti alla tenda del re erano in attesa cinque cavalli preparati in maniera particolare, con i finimenti e gli zoccoli fasciati e anneriti in modo da evitare qualsiasi rumore o brillio che potesse rivelarne la presenza. Il figlio di Nigel, Conall, era di guardia a quei cavalli: il suo compito sarebbe stato quello di riportarli indietro una volta che i loro cavalieri fossero giunti a destinazione. Il ragazzo si strinse nel mantello nero e strisciò uno stivale nella sabbia, poi sollevò di scatto la testa quando il telo della tenda si mosse, rivelando la figura di suo padre, con le spalle ancora rivolte all'esterno; Conall si accostò all'ingresso del padiglione e in quel momento Morgan, Duncan, il re e infine i due vescovi ne uscirono. — Allora hai capito quali siano i miei ordini nel caso dovessimo fallire, zio? — stava dicendo il re. — Li ho capiti — annuì Nigel, serio. — Vescovo Arilan — aggiunse il giovane re, — so di poter contare su di te. — Dubito che il mio aiuto sarà necessario, sire — replicò il vescovo, permettendo ad un sorriso di aleggiargli sulle labbra. — Il tuo piano sembra sicuro. In ogni caso, se dovessi averne bisogno, sai come raggiunger-
mi. — Speriamo che non sia necessario — mormorò Kelson poi s'inginocchiò, imitato da Morgan e da Duncan. Dopo una lieve esitazione, Conall si inginocchiò a sua volta, e Cardiel chinò il capo. — Dio accompagni voi tutti, mio principe — mormorò Arilan, benedicendoli con un segno di croce. — In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen. Conclusa la benedizione, i quattro montarono a cavallo e presero silenziosamente le redini nelle mani guantate; mentre Morgan si avviava in testa al gruppo, seguito da Duncan, Arilan trattenne il cavallo di Cardiel per le briglie e segnalò al vescovo di chinarsi verso di lui. — Dio ti conservi, amico mio — augurò, a bassa voce. — Mi rattristerebbe vederti perire anzitempo. Tu ed io abbiamo molto lavoro che ci aspetta. Cardiel annuì con aria grave, non fidandosi di parlare, ed Arilan sorrise. — Capisci perché sei tu ad andare con loro e non io, vero? — Ho capito che devi aiutare il Principe Nigel, in caso di bisogno. Qualcuno deve rimanere qui per dargli una mano, nell'eventualità che a Kelson dovesse accadere qualcosa... Dio non voglia. — In parte si tratta di questo — sorrise Arilan, piegando leggermente il capo da un lato. — Tuttavia, non hai riflettuto sul fatto che dei quattro uomini che stanno per intraprendere questa missione, tu sei l'unico completamente umano? Cardiel fissò il collega per un momento, poi abbassò lo sguardo. — Avevo supposto che la scelta fosse caduta su di me perché, almeno in apparenza, sono il capo dei vescovi ribelli, per cui gli altri potrebbero prestarmi ascolto. Ma c'è un altro motivo, vero? — Certo che c'è un altro motivo... ma non è nulla di sinistro, te lo garantisco — lo rassicurò Arilan, battendogli una pacca sulla spalla. — Spero soltanto che così avrai l'opportunità di vedere all'opera alcuni Deryni decisamente abili: pur sapendo che a livello razionale tu credi a ciò che ti ho detto riguardo ai Deryni, voglio che tu abbia un'esperienza diretta e che creda alle mie parole anche con il cuore. Cardiel incontrò lo sguardo di Arilan con un debole sorriso. — Grazie, Denis. Io... cercherò di mantenere una mente... ed un cuore aperti. — Non chiedo altro — replicò Arilan. A quelle parole, Cardiel girò il cavallo e seguì gli altri, al trotto, scompa-
rendo nella miriade di ombre tremolanti proiettate dai fuochi da campo; senza perdere il sorriso che gli aleggiava sulle labbra, Arilan si volse verso Nigel, che ancora attendeva sulla soglia della tenda reale. Circa mezz'ora più tardi, i cinque cavalieri si arrestarono in una ripida gola a sudovest del Castello di Coroth e smontarono. All'inizio avevano puntato verso ovest, poi avevano tagliato a sud per poter sfruttare il riparo offerto dalla costa rocciosa, e adesso si trovavano a circa ottocento metri di distanza dalla cinta più esterna delle difese cittadine. Morgan segnalò agli altri di fare silenzio, poi assicurò le redini del suo cavallo alla sella di un altro e ripeté il procedimento finché i quattro animali rimasti senza cavaliere furono legati in colonna. Quando ebbe finito, porse le redini del cavallo di testa al giovane Conall. — Dio ti accompagni, Conall — sussurrò. — Bada bene di tagliare verso l'entroterra fino a raggiungere il punto in cui abbiamo imboccato la gola, venendo qui. Non voglio che tu sia avvistato dal castello. — Starò attento, Vostra Grazia. — Bene. Ora va' — sussurrò Morgan, battendo un colpetto sul ginocchio del ragazzo in segno di assenso e indietreggiando. — Duncan, signori, vogliamo muoverci? Mentre Conall girava il cavallo e si avviava lungo la spiaggia, Morgan si accostò ad un mucchio di rocce che si trovavano vicino al limitare dell'alta marea e cominciò ad arrampicarsi in mezzo ad esse; gli altri lo seguirono fino alla base del cumulo e rimasero a guardare, avvolti nei mantelli scuri, finché Morgan sollevò una mano guantata e segnalò loro di raggiungerlo. Morgan indicò ai compagni un buco profondo che si apriva fra le rocce, un'apertura stretta e quasi nascosta dalle pietre e da un groviglio di cespugli che crescevano sulle dune sabbiose dell'entroterra e si protendevano sopra di loro; Morgan si calò quindi nel buco, scomparendo in una cavità nascosta; gli altri tre... Duncan, Kelson e Cardiel... si guardarono a vicenda, poi fissarono il pertugio, ed infine Duncan vi infilò la testa per dare un'occhiata: l'interno del buco era pervaso da un buio assoluto, e Duncan sussultò quando la faccia di Morgan comparve all'improvviso a pochi centimetri dalla sua. — Gesù! Mi hai spaventato! — annaspò Duncan, deglutendo sonoramente. — Non riuscivamo a vedere dove fossi finito. Morgan sorrise, e i suoi denti candidi brillarono sotto la luce della luna. — Venite dentro, a piedi in avanti: dopo esservi infilati fino alla vita,
dovrete ancora superare un salto di circa un metro. Prima tu, Kelson. — Io? — Avanti, spicciati. Duncan, aiutalo: per lui, si tratterà di un salto maggiore. Mentre Kelson obbediva, infilandosi nel buco, Morgan scomparve e Duncan si chinò per aiutare il suo giovane sovrano. Kelson appariva pallido sotto la luce lunare, e guardò con apprensione in direzione del suolo di cui gli era stata garantita la presenza ma che non poteva vedere. Poi il giovane scomparve bruscamente, dall'oscurità sottostante giunse un'esclamazione soffocata, seguita da un rapido rumore di passi, quindi Duncan scorse il viso di Kelson che sbirciava dalla profondità del buco come aveva fatto Morgan poco prima. Con un sogghigno soddisfatto, Duncan segnalò a Cardiel di seguirlo, ed entro pochi secondi furono tutti in piedi nell'oscurità quasi totale della camera sotterranea. Morgan concesse loro parecchi secondi di pausa, perché gli occhi si abituassero al buio, poi tastò con la mano lungo la parete, fino a trovare un varco che dava accesso ad un'oscurità ancora più profonda. Sorridendo, si girò infine verso i tre compagni e li raccolse intorno a sé. — Fin qui, tutto bene. È proprio come lo ricordavo. Non oso però accendere una luce finché non avremo superato un paio di curve... non si sa mai chi potrebbe esserci di guardia di sopra... quindi per ora ci limiteremo a legarci uno all'altro con la cintura e a procedere per un po' nell'oscurità. Per la prima decina di metri potrò trovare la strada al buio senza problemi. Ci furono alcuni grugniti di assenso, poi i quattro formarono una fila, con Morgan in testa, seguito da Kelson, da Cardiel e da Duncan; quando Morgan si avviò verso le tenebre più fitte, Kelson lanciò un'ultima occhiata alla tenue luce che brillava attraverso il buco da cui erano entrati, prima di andargli dietro con passo deciso. Dopo un tempo che parve durare anni ma che in effetti si ridusse a pochi minuti, Morgan si fermò: adesso il buio era davvero totale, e non si riusciva più a capire da che parte erano venuti. — Tutto bene? — chiese Morgan. Ottenuti mormorii d'assenso dai compagni, staccò la mano di Kelson dalla propria cintura e si allontanò di qualche passo. Kelson cercò di scorgere qualcosa nell'oscurità, e inarcò un sopracciglio, comprendendo le intenzioni dell'altro, quando un tenue bagliore cominciò ad emanare da dietro il corpo di Morgan; sentì Cardiel sussultare, poi Morgan si girò verso di loro, con una sfera di luce soffusa e verdastra nel cavo della mano sinistra. — Rilassati, vescovo — mormorò Morgan, accostandosi a Cardiel con
la mano protesa. — È soltanto una luce, non è né buona né malvagia. Avanti, toccala: è fredda e assolutamente innocua. Cardiel rimase immobile mentre Morgan gli si avvicinava, e tenne lo sguardo fisso sulla faccia del giovane generale anziché sulla luce; soltanto quando Morgan si arrestò dinanzi a lui, il prelato si decise ad abbassare lo sguardo per osservare nuovamente la luce: era fredda e verde, un tenue bagliore simile a quello che aveva circondato Arilan la notte in cui questi si era rivelato come un Deryni. Alla fine, Cardiel protese le dita, e scopri che non c'era nulla di concreto da toccare: la sua mano avvertì soltanto la fresca illusione di un alito di brezza, e attraversò il punto in cui ci sarebbe dovuta essere la luce fino a raggiungere la mano di Morgan. A quel punto, Cardiel incontrò lo sguardo del Deryni e si costrinse a sorridere. — Mi devi perdonare se ti sembro un po' schizzinoso, ma... — Ma certo — lo rassicurò Morgan, ricambiando il sorriso. — Avanti, non ci vorrà molto, ora che abbiamo la luce. La previsione di Morgan si rivelò esatta. In effetti, non ci volle molto a raggiungere l'estremità del passaggio, soltanto che essa si presentò prima del previsto, sotto forma di un ammasso di roccia e di ghiaia franato in un'ampia polla formata dalla marea... un ostacolo che Morgan non si era aspettato di incontrare. Passando una mano sulla sfera verde, Morgan la fece librare nell'aria, quindi si accostò alla parete di roccia e segnalò a Duncan e a Kelson di unirsi a lui. I tre si appoggiarono con le dita alla roccia e chiusero gli occhi, protendendo la mente oltre l'ostruzione e fino al corridoio sgombro al di là di essa. A poco a poco, si spostarono lungo tutto il fronte della frana, senza incontrare nessuna apertura, poi Morgan si diresse verso la polla e riaprì gli occhi, fissando il profondo laghetto per qualche istante, prima di cominciare a togliersi il mantello e i guanti. — Cosa stai facendo? — chiese Cardiel, accostandosi a Morgan e sbirciando nella polla. La sua domanda riscosse gli altri due dal loro sondaggio, e anch'essi rimasero a guardare mentre Morgan continuava a spogliarsi, fino a conservare indosso soltanto una leggera camiciola senza maniche in lino e la cintura con la daga. — Credo che ci sia un passaggio sommerso — spiegò Morgan, calandosi nell'acqua e accostandosi all'ammasso roccioso che bloccava loro il passo. — Tornerò fra un momento. Trasse quindi un profondo respiro e s'immerse, spingendosi verso il basso con una bracciata e con un possente colpo di gambe. Gli altri tre l'osser-
varono svanire sotto la superficie opaca e attesero, senza però vederlo riaffiorare. Accigliandosi, Duncan guidò la sfera luminosa più vicino a sé e scrutò nella polla. Finalmente, i tre scorsero alcune bolle d'aria che affioravano a qualche metro di distanza da dove Morgan si era immerso, seguite poco dopo dalla testa bionda del generale. Con un sogghigno, Morgan si allontanò i capelli dagli occhi e nuotò verso i compagni. — Ho trovato il passaggio — annunciò, scuotendo il capo per liberare gli orecchi dall'acqua. — È lungo soltanto un metro, ma si trova ad almeno due metri di profondità. Sai nuotare, Vescovo Cardiel? — Ecco, io... si, ma non ho mai... — Non importa, te la caverai benone — sorrise Morgan, allungando una mano per assestare una pacca rassicurante alla gamba del prelato. — Kelson, andrai tu per primo. Dall'altra parte è buio, naturalmente, ma il bordo della polla dista soltanto pochi metri. Non appena raggiunta la riva, crea una luce e poi rientra in acqua per aiutare Cardiel. Io aspetterò con lui il tempo sufficiente perché tu possa fare tutto quanto. Kelson annuì, finendo di spogliarsi mentre Morgan gli impartiva quelle istruzioni. — Ma come faremo con le armi? — chiese poi. — Non potremo portarle con noi, ma una volta dall'altra parte ci potrebbero servire. — Ne troveremo altre nella mia stanza della torre. Innanzitutto andremo là — rispose Morgan, allungando una mano per aiutare Kelson ad entrare in acqua. — D'accordo, mostrami questo tuo passaggio sommerso. Con un cenno di assenso, Morgan trasse un profondo respiro e si tuffò, seguito da Kelson che si tenne subito dietro di lui e leggermente sulla destra. Entrambi scomparvero quasi subito alla vista, e dopo parecchi secondi Morgan riaffiorò da solo. Intanto, Duncan si era preparato, e Morgan gli segnalò di entrare in acqua, ripetendo il procedimento. Quando riaffiorò, sulla riva lo aspettava Cardiel, molto pallido e vestito soltanto di una lunga camiciola di lino bianco; dal collo gli pendeva un semplice crocifisso di legno, con cui il vescovo prese a giocherellare nervosamente mentre Morgan nuotava fino al bordo della polla e sollevava lo sguardo verso di lui. — Adesso? — mormorò Cardiel, con imbarazzo. Morgan annuì e protese una mano umida; con un sospiro, Cardiel si chinò e sedette sul bordo del laghetto, rabbrividendo nell'infilare le gambe nell'acqua gelida, mentre i suoi occhi grigi apparivano scuri e vagamente brillanti alla tenue luce proiettata dalla sfera di Morgan. Con pazienza, il
giovane Deryni protese ancora la mano e sorrise quando Cardiel l'afferrò e scivolò in acqua con un sussulto. Un momento più tardi i due stavano galleggiando al di sopra del punto in cui erano scomparsi Kelson e Duncan. Cardiel deglutì con nervosismo e tese il collo fuori dell'acqua per tentare di guardare in basso. Morgan segnalò alla luce di accostarsi. — Credi di potercela fare? — domandò Morgan, a bassa voce. — Non ho scelta. — Il vescovo era pallido, ma appariva rassegnato al suo fato. — Mostrami soltanto cosa devo fare. — L'entrata del passaggio è a quasi due metri di profondità, sotto e davanti rispetto a te — annuì Morgan. — La vedi? — Suppongo di sì, in modo vago. — Bene. Ora voglio che ti tuffi, proprio come hai visto fare a noi tre, ed io mi immergerò con te e ti spingerò avanti. La cosa più importante da ricordare è che non devi respirare finché non sarai dall'altra parte. D'accordo? — Ci proverò — rispose il vescovo, dubbioso. Con una silenziosa preghiera all'ignoto santo che proteggeva i vescovi inetti, Morgan chiamò a sé la luce e vi passò sopra una mano: la luce si attenuò per poi intensificarsi mentre Morgan toccava la spalla di Cardiel per segnalargli che era il momento di andare. Con un sonoro sussulto, il prelato serrò gli occhi, trattenne il fiato e sì tuffò, affiancato da Morgan. Fu però subito evidente per Morgan che non ce l'avrebbero fatta. Anche se stava scalciando con tutte le sue forze e agitando seriamente le braccia, Cardiel non riusciva a raggiungere la profondità necessaria. Morgan afferrò il vescovo per la vita e cercò di spingere in basso entrambi verso il passaggio, ma fu tutto inutile: il vescovo non era abbastanza esperto in ciò che avrebbe dovuto fare. Scuotendo il capo, Morgan trascinò di nuovo Cardiel verso la superficie: non appena si erano immersi, la luce si era attenuata e poi spenta, così ora affiorarono nell'oscurità totale, e Cardiel prese ad agitare le braccia per il panico, smettendo soltanto quando Morgan gli posò una mano sulla spalla in un gesto rassicurante. Il vescovo trasse un respiro ansante e affaticato nel galleggiare accanto al Deryni. — Siamo passati, Alaric? — chiese. Morgan fu lieto che l'oscurità impedisse a Cardiel di vederlo in faccia. — Temo di no, amico mio — rispose, cercando di sembrare più ottimista di quanto si sentisse. — Ma questa volta passeremo, non ti preoccupare. Credo che tu non abbia scalciato con sufficiente energia. Seguì un breve, imbarazzato silenzio, poi Cardiel tossì, l'unico suono
nella caverna echeggiante a parte qualche occasionale sciacquio prodotto dai loro corpi. — Mi dispiace, Alaric. Io... ti avevo avvertito che non sono un buon nuotatore. Non credo di poter scendere a quella profondità. — Dovrai riuscirci — ribatté Morgan con voce sommessa. — Altrimenti dovrò lasciarti qui, e non posso farlo. — No, suppongo di no — convenne Cardiel, con voce flebile. — D'accordo — sospirò Morgan, — ritentiamo. Questa volta, voglio che tu lasci uscire in parte l'aria prima di immergerti; ti aiuterà a raggiungere la profondità necessaria, e poi ci penserò io a trascinarti dall'altro lato. — Ma, se espiro prima di tuffarmi, non rimarrò senz'aria? — La domanda del vescovo aveva un'intonazione lamentosa, e Morgan comprese che l'altro era più spaventato di quanto volesse ammettere. — Non ti preoccupare, e pensa soltanto a non respirare — mormorò, afferrando Cardiel per la spalla. — Ora espira e andiamo. Sentì il vescovo inspirare ed espirare lentamente, poi Cardiel s'immerse e tentò di tuffarsi nel modo giusto. Morgan lo tenne per le spalle e lo guidò verso il punto in cui sapeva trovarsi il passaggio, ma quando raggiunsero l'imboccatura si accorse che Cardiel cominciava a dare segni di panico. Scuotendo il capo con rassegnazione, Morgan spinse a forza il corpo del vescovo nel varco e lungo il passaggio. Nel seguirlo fino all'apertura opposta, però, notò che Cardiel aveva cessato di lottare e si era accasciato: lanciato un silenzioso richiamo a Duncan e a Kelson, procedette quindi a trascinare il vescovo verso la superficie, dove poteva scorgere una tenue luce, pregando che Cardiel non avesse respirato troppa acqua. Tanta o poca che fosse la quantità di acqua respirata da Cardiel, questi era comunque privo di sensi quando Morgan lo portò alla superficie. Nel momento stesso in cui raggiunse il pelo dell'acqua, Morgan si scosse i capelli dagli occhi e gridò a Duncan e a Kelson di aiutarlo. I due erano già nell'acqua e vennero in suo soccorso quasi prima che lui avesse il tempo di chiamarli, ma anche così ci vollero parecchi preziosi secondi per trascinare la forma accasciata del vescovo fino al bordo della polla e issarla su di esso. Morgan girò quindi Cardiel sullo stomaco e cominciò a massaggiargli la schiena con mosse energiche e ritmiche per liberargli i polmoni dall'acqua, scuotendo il capo con irritazione nel vedere la quantità di liquido che usciva dalla bocca e dal naso del vescovo. — Dannazione! — imprecò, mentre Cardiel ancora non accennava a riprendere a respirare per conto suo. — Gli avevo detto di non respirare, là
sotto. Cosa crede di essere... un pesce? Girò quindi Cardiel supino, ma il torace del vescovo rimase inerte. Soffocando un'altra imprecazione, Morgan prese a schiaffeggiarlo, mentre Kelson gli massaggiava i polsi e Duncan gli soffiava l'aria direttamente nei polmoni. Dopo quella che parve un'eternità, Cardiel respirò una volta fuori tempo rispetto alla respirazione artificiale praticata da Duncan, e i tre ripresero i loro sforzi, venendo infine ricompensati da un debole colpo di tosse che si trasformò ben presto in una crisi irrefrenabile. Cardiel rotolò su un fianco, sputò fuori altra acqua, poi aprì gli occhi e girò il capo per fissare debolmente i compagni. — Siete certi che non sono morto? — chiese, con voce rauca. — Stavo avendo degli incubi terribili. — Ci è mancato poco che morissi — rispose Morgan, brusco, traendo un respiro di sollievo. — In cielo ci deve certo essere qualcuno che ti protegge, monsignore. — Prego Dio che sia sempre così — sussurrò Cardiel, facendosi in fretta il segno della croce. — Vi ringrazio, tutti. Sostenuto da Duncan, si mise a sedere con fatica e tossì ancora, segnalando poi agli altri di aiutarlo ad alzarsi in piedi. Senza una parola, ma con un sorriso di compiaciuta approvazione per la resistenza del vescovo, Morgan protese la mano e issò in piedi Cardiel. Entro pochi minuti, i quattro raggiunsero una biforcazione del corridoio: il ramo di sinistra si perdeva nel buio, ma quello di destra era bloccato da una grossa frana. Morgan sondò delicatamente l'ostacolo con le dita e con i suoi poteri, ma alla fine si raddrizzò e si pulì le mani con un sospiro rassegnato. — Siamo sfortunati. Speravo di usare questo passaggio per arrivare nelle mie stanze, dopo che ci fossimo vestiti ed armati nella camera della torre. — Ma non possiamo raggiungere la camera della torre da qui? — chiese Kelson. — Certamente, ma poi di là non potremo andare da nessun'altra parte: dovremo usare i corridoi e rischiare di essere visti. Adesso venite: davanti a noi c'è un piccolo labirinto di passaggi, seguito da alcuni gradini. State zitti, perché il suono delle voci potrebbe arrivare lontano. Dopo alcuni metri, Morgan li condusse su per una scala lunga e strettissima, non più larga delle spalle di un uomo, che descriveva una lieve spirale sulla destra e sembrava salire all'infinito. Finalmente, Morgan si arrestò e segnalò ai compagni di non far rumore; ridotto il suo fuoco fatuo a un tenue e irreale bagliore, avanzò di sei passi rispetto agli altri, quanto bastava
perché i compagni non potessero vedere con esattezza cosa stava facendo. Gli altri tre percepirono frammenti di una frase mormorata a bassa voce, che non riuscirono a comprendere, e scorsero luci spettrali riflettersi sulle pareti del passaggio, schermate dal corpo di Morgan; poi le luci si spensero e Morgan si girò per segnalare ai compagni di raggiungerlo: una porta si aprì dinanzi a loro ed i quattro entrarono nella stanza della torre, il rifugio privato di Morgan, a cui nessuno poteva accedere senza il suo esplicito consenso. La stanza era silenziosa e in penombra, rischiarata soltanto dal fioco chiarore delle stelle e della luna calante, che filtrava attraverso il lucernario e le sette finestre di vetro verde, una per ciascuna parete; Morgan avanzò nella camera, senza che i piedi nudi producessero il minimo rumore sul tappeto, e fece con la mano un gesto distratto che ebbe l'effetto di oscurare le finestre e di accendere un fuoco nel camino. Mentre gli altri sbattevano le palpebre per la luce improvvisa, Morgan prelevò un ramo ardente dal fuoco e accese le candele infilate in un candelabro posato su un tavolinetto circolare adiacente al camino. Il chiarore delle candele tremolò e si riflesse in una sfera d'ambra grande quanto un pugno posta nel centro del tavolo e sostenuta da un grifone d'oro: nel vedere la sfera, Cardiel trattenne il fiato per la meraviglia e prese ad avanzare verso di essa con aria affascinata finché la sua attenzione non fu distratta da un sommesso richiamo da parte di Duncan. Subito dopo, il vescovo e gli altri si misero a frugare nei bauli e nelle cassepanche, sostituendo gli indumenti bagnati con altri asciutti. Quando ebbero finito, soltanto Morgan e Duncan apparivano abbigliati in maniera adeguata, anche se Kelson era riuscito a scovare una corta tunica di Morgan che gli arrivava al ginocchio e un mantello che strisciava di poco per terra. Quanto a Cardiel, aveva messo insieme una tenuta completamente nera, per quanto ogni somiglianza con un abito ecclesiastico finisse con il colore. La tunica gli andava un po' stretta in vita e gli stivali erano piccoli per i suoi piedi, ma un lungo mantello nero era sufficiente a nascondere molte magagne. Cardiel asciugò come poteva il crocifisso di legno e lucidò l'anello episcopale contro la tunica fino a farlo brillare, mentre accanto a lui Morgan e Duncan si affibbiavano alla vita le spade e le daghe prelevate dalla scorta di armi che Morgan teneva in quella stanza. Segnalando agli altri di tacere, Morgan si accostò infine alla porta principale... un ampio battente intagliato di legno di quercia su cui spiccava un grande grifone verde... e avvicinò l'occhio a quello del grifone per sbirciare
dall'altra parte, portandosi un dito alle labbra per chiedere ancora silenzio nel socchiudere la porta. Oltre il battente in quercia ce n'era un secondo, e Morgan ascoltò a lungo accanto ad esso prima di tornare sui suoi passi e di richiudere la porta interna dietro di sé. — Là fuori c'è una guardia, proprio come temevo. Duncan, vuoi venire ad ascoltare con me? Se quell'uomo è abbastanza ricettivo, dovremmo poterlo controllare attraverso la porta, altrimenti saremo costretti ad ucciderlo. — Proviamoci — assentì Duncan, dirigendosi verso la soglia familiare e sgusciando con Morgan oltre il primo battente. I due sostarono a lungo con la testa e le mani appoggiate alla seconda porta, con gli occhi chiusi e il respiro leggero e controllato. Alla fine, però, Morgan scosse il capo e sollevò le palpebre, estraendo un sottilissimo stiletto e provandone la punta contro il pollice. — Pronto? — sillabò in silenzio, rivolto a Duncan, e il prete annuì, cupo, accostandosi alla serratura della porta. Mentre Kelson e Cardiel si avvicinavano a loro volta, seguendo la scena con morbosa attenzione, Morgan si lasciò cadere su un ginocchio e fece scorrere le dita della mano sinistra lungo il battente, fino a trovare una stretta fessura. Inserita la punta dello stiletto nella fessura, esitò un secondo, quindi spinse l'arma nella fenditura con un colpo deciso e sicuro. Quando la ritrasse, la lama brillava di un umido chiarore rossastro, e dalla parte opposta della porta giunsero un gemito e un suono strisciante. Scuotendo il capo, Duncan spalancò il battente, incontrando una leggera resistenza: all'esterno, a ridosso della porta, giaceva il corpo inerte di una guardia ribelle, sul quale una chiazza di sangue si stava allargando all'altezza della schiena. Morgan afferrò l'uomo sotto le ascelle e lo trascinò nella camera; Cardiel si oscurò in volto quando Morgan depositò il cadavere su un tratto di pavimento dove non c'erano tappeti, poi tracciò il segno della croce nell'aria, sopra il morto, e scavalcò il corpo per raggiungere gli altri. — Mi dispiace, vescovo, ma era necessario — mormorò Morgan, chiudendo la porta alle spalle del gruppo e segnalando ai compagni di seguirlo. In silenzio, Cardiel si limitò ad annuire e ad obbedire. Cinque minuti di furtivo cammino li condussero fino ad una serie di elaborati pannelli intagliati, all'estremità di un corridoio. Una torcia ardeva in un anello d'ottone, accanto ad essi, e Morgan l'afferrò con la mano guantata, muovendo nello stesso tempo sui pannelli le dita dell'altra mano, in una
rapida sequenza. Quello centrale si mosse, ritraendosi quanto bastava per permettere ai quattro di oltrepassarlo, uno alla volta; Morgan si fece precedere dai compagni, poi li seguì e richiuse il pannello, procedendo quindi per parecchie decine di metri prima di girarsi e di rivolgersi nuovamente agli altri. — Ora ascoltatemi, e ascoltatemi con attenzione, perché è probabile che non abbia il tempo di ripetermi. Il luogo in cui ci troviamo adesso è l'inizio di una serie di passaggi segreti che corrono nelle mura del castello. Il ramo che imboccheremo porta alle mie stanze, dove sono pronto a scommettere che si devono essere installati o Warin o gli arcivescovi. Da questo momento, nessuno parlerà più finché non lo dirò io. D'accordo? Non ci furono proteste, e i quattro ripresero a camminare, raggiungendo infine una porzione del passaggio corredata da un folto tappeto e da arazzi appesi alle pareti. Morgan porse la torcia a Duncan e si accostò al muro di sinistra, tirando di lato un pesante arazzo di velluto e accostando l'occhio ad uno spioncino. Scrutò a lungo la camera che si trovava dalla parte opposta, osservando tutti i familiari oggetti che fino a pochi mesi prima gli erano appartenuti, poi si ritrasse con un'aria di cupa determinazione. Come aveva sospettato, Warin de Grey era l'attuale occupante dell'alloggio ducale, e sembrava essere in riunione con alcuni dei suoi uomini. Con un gesto deciso, Morgan segnalò a Duncan di spegnere la torcia, poi indicò ai compagni parecchi altri spioncini: avrebbero ascoltato quello che il capo ribelle aveva da dire ai suoi seguaci, prima di irrompere senza essere annunciati. — Credi che ci sia qualcosa che lui può fare contro di noi? — stava chiedendo, in tono lamentoso, uno degli uomini di Warin. — Non temo di combattere contro i Deryni, e non ho neppure paura di morire, se sarà necessario, ma che faremo se il duca userà la magia contro di noi? Allora non avremo altra difesa che la fede. — E questo non è abbastanza? — ribatté Warin, che sedeva sulla poltrona adiacente al camino, incrociando le dita. — Sì, ma... — Abbi fiducia nella giustezza della nostra missione, Marcus — intervenne un secondo uomo. — Il Signore non si è forse schierato dalla nostra parte quando Warin ha messo il Deryni con le spalle al muro, a San Torin? Quel giorno la sua magia non gli è servita a nulla. — Non è un'analogia valida, Paul — osservò Warin, scuotendo il capo, con lo sguardo fisso sul fuoco. — Quando l'ho catturato a San Torin, Mor-
gan era drogato, e ritengo che mi abbia detto la verità, che non potesse davvero utilizzare i suoi poteri finché era sotto l'effetto di quella droga deryni che annebbia la mente. Se così non fosse stato, suo cugino non avrebbe rivelato la propria natura deryni: Duncan McLain aveva conservato il suo segreto troppo a lungo per tradirsi per un motivo che non fosse veramente gravissimo. — Allora non sappiamo di cosa potrebbe essere capace il duca — interloquì ancora Marcus. — Magari potrebbe far crollare tutto il castello sulla nostra testa, se volesse. Potrebbe... — No, pur essendo un Deryni, è un uomo razionale, e non distruggerebbe questo luogo se non come estrema soluzione. Lui... Bussarono alla porta, una volta, poi un'altra ancora, prima che qualcuno dei presenti potesse reagire. Warin lasciò incompleta la frase che stava per pronunciare e lanciò un'occhiata ai suoi luogotenenti. — Avanti — disse quindi. Chi si trovava all'esterno bussò di nuovo, con maggiore insistenza, e Paul si diresse in fretta verso la porta. — Non ti possono sentire, signore, perché questo ambiente è molto ben isolato acusticamente. Aprirò io. Nel momento in cui arrivava alla porta, i colpi si ripeterono, se possibile con urgenza anche maggiore, e non appena ebbe tirato il chiavistello, un sergente che indossava la tenuta della milizia cadde quasi nella stanza. — Signore, signore, ci devi aiutare! — singhiozzò l'uomo, attraversando a precipizio la camera per gettarsi ai piedi di Warin. — Alcuni dei miei uomini erano impegnati ad ammucchiare pietre vicino al bastione settentrionale, quando l'intero mucchio è crollato. Warin si raddrizzò di scatto sulla poltrona, fissando intensamente il sergente. — Ci sono feriti? — Sì, signore: Owen Mathisson. Tutti gli altri sono riusciti a spostarsi in tempo, ma Owen... le sue gambe sono rimaste imprigionate sotto la frana, signore! Le sue gambe sono spezzate! Warin si alzò in piedi, mentre altri quattro uomini entravano dalla porta ancora spalancata, trasportando la forma inerte dello sfortunato Owen. Nello stesso tempo, il sergente afferrò il bordo della veste di Warin, se lo portò alle labbra e se lo strinse al petto, sussurrando: — Aiutalo, signore. Si potrà salvare, se tu lo vorrai. I quattro miliziani si fermarono con aria incerta nel centro della stanza, e
Warin annuì lentamente, indicando loro di deporre il ferito sul letto ducale, dall'altra parte della camera. I quattro si affrettarono a obbedire e si ritrassero ad un cenno di Warin, che si accostò al letto e segnalò a Marcus di richiudere la porta alle spalle dei soldati. Warin osservò quindi il ferito con occhi colmi di compassione. Owen era un uomo robusto, ma la sua forza non gli era servita quando le rocce gli erano cadute addosso: dalla vita in su era ancora intatto, senza nessun segno di lesioni, ma le gambe avvolte nei calzoni di cuoio erano piegate e contorte secondo angolazioni mai previste per tali umane appendici. Warin indicò a Paul di accostare le candele al letto mentre Owen riacquistava conoscenza, poi posò una mano sulla fronte del ferito, il cui viso rude era contratto in una smorfia di dolore. — Riesci a sentirmi, Owen? L'uomo sollevò le palpebre con aria intontita e il suo sguardo vagò un poco prima di mettere a fuoco il volto di Warin: in esso affiorò una fugace consapevolezza prima che le palpebre tornassero ad abbassarsi. — Perdonami, signore. Avrei dovuto stare più attento. Warin scrutò la sagoma inerte del ferito, tornando quindi a concentrare la propria attenzione sulla sua faccia. — Soffri molto, Owen? Owen annuì e deglutì a fatica, serrando la mascella per il dolore; infine riaprì gli occhi e fissò Warin con un'espressione supplichevole che non ebbe bisogno di ulteriori conferme verbali. Warin si raddrizzò, lanciò un'ultima occhiata alle gambe del ferito, poi allungò una mano verso Paul. — La tua daga. Mentre Paul gli porgeva l'arma richiesta, Owen sgranò leggermente gli occhi e diede l'impressione di essere in procinto di cercare di sollevarsi, ma Warin lo spinse con gentilezza contro il letto. — Calma, amico mio, non ho intenzione di darti il colpo di grazia. Credo che ci rimetterai i calzoni, ma spero non la vita. Abbi pazienza. Il ferito si riadagiò, perplesso, e Warin inserì la punta della daga sotto l'estremità di un gambale intriso di sangue, tagliandolo fino ad arrivare all'altezza della vita. Al primo tocco, Owen urlò di dolore per lo scossone inflitto all'arto ferito, poi fu abbastanza fortunato da svenire mentre anche il secondo gambale veniva aperto nello stesso modo, per rivelare gli arti contorti e insanguinati. Warin lasciò cadere il coltello sul letto, accanto ad Owen, fissò in silen-
zio le lesioni per un momento, quindi segnalò a Paul e a Marcus di aiutarlo a raddrizzare le gambe, una alla volta. Quando ebbero finito, Warin indugiò appena un altro istante, a mani giunte, prima di rivolgersi ai tre uomini che lo stavano osservando. — È ferito molto gravemente — disse, a bassa voce. — Se non sarà aiutato in fretta, morirà. — Dopo un lungo silenzio, infranto soltanto dal respiro dei presenti, aggiunse: — Finora, non ho mai tentato di guarire una lesione così grave. — Fece un'altra pausa. — Volete pregare con me, amici miei? Anche se è volontà di Dio che quest'uomo sia risanato, avrò comunque bisogno del vostro sostegno. All'unisono, Paul, Marcus e il sergente s'inginocchiarono e levarono uno sguardo reverenziale su Warin; questi continuò a fissare il pavimento per qualche altro istante, quasi fosse stato solo nella stanza, poi allargò le braccia, sollevando lo sguardo. — In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancii, Amen. Oremus. Warin iniziò a pregare, con gli occhi chiusi, e una tenue aura apparve intorno alla sua testa; le sue parole erano un mormorio sommesso nella quiete della camera, quindi gli osservatori nascosti dietro i pannelli non riuscirono a distinguerne il significato; non poterono però fraintendere la natura dell'aura che ora circondava il capo ribelle, né ignorare la calma sicurezza con cui Warin protese le mani verso le gambe del ferito, fino a toccarle. In silenzio, i quattro osservarono le mani di Warin passare sugli arti dell'uomo, guardarono mentre le fratture irregolari, visibili anche da quella distanza, si ricomponevano sotto il suo tocco. Infine il capo ribelle concluse la sua preghiera e sollevò le gambe del ferito, prima una e poi l'altra: esse erano di nuovo sane e diritte, come se non fossero mai state schiacciate dalle pietre. — Per Ipsum et cum Ipsum et in Ipso est tibi Deo Patri Omnipotenti in unitate Spiritus Sancti, omnis onor et gloria. Per omnia saecula saeculorum, amen. Nel momento in cui il suono delle parole di Warin si spense, Owen riaprì gli occhi e si mise a sedere, fissando con stupore le proprie gambe e passando le mani su di esse come per rassicurarsi, mentre gli altri si rialzavano in piedi. Warin osservò la scena per un momento, poi si fece devotamente il segno della croce. — Deo gratias — mormorò. Il miracolo era ultimato. Dietro i pannelli, Morgan si preparò ad entrare in azione. Segnalato a Duncan e a Kelson di avvicinarsi, sussurrò loro qualche parola e si rad-
drizzò, guardando ancora una volta dallo spioncino; nello stesso tempo, Duncan estrasse la spada e sgusciò via nel buio alla sua sinistra. Lasciato infine ricadere l'arazzo, Morgan chiamò a sé Cardiel con un cenno. — Ora entreremo, Eccellenza. Attieniti quanto più potrai a quello che farò io. Quella gente ha preparato il terreno per un'entrata spettacolare, e voglio mantenere l'atmosfera il più a lungo possibile. Sei d'accordo? Cardiel annuì con aria solenne. — Kelson? — Sono pronto. Mentre Warin e i suoi luogotenenti conversavano in tono sommesso in merito alla guarigione di Owen, dalle vicinanze del focolare giunse un rumore. Soltanto Paul era girato da quella parte, e quando il suo sguardo saettò in direzione del rumore, s'immobilizzò e sussultò, incredulo, sgranando gli occhi per il terrore. — Mio signore! — esclamò. Al suo grido, Warin e gli altri si voltarono, scorgendo una grande apertura nella parete, a sinistra del camino, rischiarata in maniera incerta dalle basse fiamme che ardevano nel focolare. Seguì un momento di raggelata incredulità quando Kelson varcò la soglia, i suoi giovani lineamenti inconfondibili alla luce del fuoco, poi echeggiò un gemito d'angoscia non appena l'alta e bionda figura di Morgan andò ad occupare il posto che le spettava di diritto, alla destra del re. Alle spalle dei due c'era una terza sagoma, che Warin non riconobbe, un uomo i cui capelli grigi come il ferro riflessero il chiarore del fuoco quando l'apertura si richiuse alle sue spalle. Un momento più tardi Warin prese a guardarsi disperatamente intorno, e i suoi uomini si precipitarono verso la porta, ma soltanto per arrestarsi di colpo alla vista di Duncan, che se ne stava appoggiato al battente, avvolto da un chiarore verde e con la spada snudata tenuta di traverso davanti al corpo, in un atteggiamento vigile anche se non minaccioso. Warin s'immobilizzò e fissò per un istante Duncan, ricordando il suo ultimo incontro con quell'orgoglioso giovane Deryni che ora si parava davanti a lui con tanta sicurezza, poi chiuse gli occhi e cercò di ricomporsi con uno sforzo evidente. Soltanto allora si decise a girarsi per affrontare la sua nemesi e il suo sovrano. CAPITOLO QUINDICESIMO Non dir nulla del re, neppure con il tuo pensiero.
Ecclesiaste 10:20 — Ordina ai tuoi uomini di arrendersi, Warin. Ora qui comando io — ingiunse Kelson. — Non posso permetterlo, sire — replicò Warin, incontrando lo sguardo del re senza la minima traccia di timore. — Paul, chiama le guardie. — Rimani lontano dalla porta, Paul — ammonì il giovane sovrano, prima che il luogotenente potesse muoversi per obbedire. Nel sentire il suono del proprio nome sulle labbra del re, Paul s'immobilizzò e guardò verso Warin, in cerca di un consiglio. Alle spalle di Duncan, la porta brillava ancora di un tenue chiarore verdastro, e il prete spostò in maniera infinitesimale la mano lungo l'impugnatura della spada snudata, in un gesto calcolato apposta per incutere timore. Lo sguardo di Warin andò dalla porta luminescente al volto di Paul, su cui si leggevano indecisione e paura, per poi scrutare gli occhi indecifrabili di Morgan, fermo accanto al suo re; infine, con un sospiro, Warin fissò il pavimento ed accasciò le spalle con aria abbattuta. — Siamo sconfitti, amici miei — disse, in tono stanco. — Gettate le armi e indietreggiate: non possiamo resistere con il semplice acciaio alla stregoneria deryni. — Ma, mio signore... — protestò uno degli uomini. — Basta così, James — intimò Warin, incontrando di nuovo lo sguardo di Kelson. — Tutti conoscono la sorte di chi sfida il suo re e fallisce. Per lo meno, tu, io e gli altri moriremo con la consapevolezza di aver lottato dalla parte di Dio, mentre tu, o re, pagherai un alto prezzo per le nostre vite, nell'Aldilà. Dai quattro uomini raccolti alle spalle di Warin si levò un sommesso e costernato mormorio, ma subito essi cominciarono a slacciare con mosse lente le cinture e le bandoliere a cui erano attaccate le spade; il tonfo soffocato dell'acciaio avvolto nel cuoio sul pavimento coperto dal tappeto fu l'unico suono udibile nella camera rischiarata dal fuoco mentre gli uomini gettavano le armi e indietreggiavano ulteriormente alle spalle del loro capo, conservando però sempre un atteggiamento di sfida. Kelson notò quel loro comportamento, insieme a molti altri particolari, poi segnalò a Duncan di raccogliere le armi. Il movimento di Duncan distrasse in parte l'attenzione dei prigionieri, e Morgan ne approfittò per rivolgere a Kelson un cenno impercettibile, indicandogli la bassa poltrona accostata al camino. Kelson annuì appena e si accostò alla poltrona, attendendo che Morgan si
fosse girato per affrontare Warin e i suoi prima di sedervisi e di aggiustarsi intorno al corpo, con un gesto pieno di regalità, le pieghe del mantello preso a prestito. Una volta che Kelson si fu sistemato, Morgan andò a mettersi alle spalle della poltrona, sulla destra, mentre Cardiel rimaneva nell'ombra, sulla sinistra del camino. L'effetto così ottenuto fu quello di un re che concedeva udienza, sia pure nello splendore relativamente inferiore della camera da letto di un castello... un effetto che non mancò di essere notato dagli uomini di Warin, che seguirono con apprensione la scena, attendendo con ansia di scoprire cosa avrebbe fatto il loro giovane sovrano. — Noi non esigiamo la tua vita né quella dei tuoi uomini — esordì quindi Kelson, rivolto a Warin, scivolando automaticamente nell'uso del plurale maiestatico. — Esigiamo soltanto la vostra fedeltà d'ora in avanti... oppure, se non la vostra fedeltà, almeno la vostra disponibilità ad ascoltare ciò che noi diremo nei prossimi minuti. — Io non devo nessuna fedeltà ad un re deryni — ribatté Warin, — e non mi sento neppure più intimidito dal tuo sangue reale. Voi Deryni vi sentite molto coraggiosi, quando avete la magia a proteggervi. — Davvero? — fece Kelson, inarcando un sopracciglio. — Ci sembra di ricordare che una volta tu abbia avuto il Generale Morgan alla tua mercé, come desideravi, privato perfino delle facoltà più umane, affinché non potesse difendersi in nessun modo. Pare dunque che la tendenza a sfruttare la propria posizione di vantaggio sia anche un tratto umano, e non soltanto deryni. — Non voglio avere nulla a che vedere con chi pratica la magia — insistette Warin, protendendo in fuori il mento barbuto in un'espressione cocciuta e girando parzialmente le spalle a Kelson. — No? — intervenne Morgan, frenando a fatica un sorriso. — Allora come riesci ad essere coerente con te stesso, Warin? Dopo tutto, il dono di saper risanare è una sorta di magia, giusto? — Magia? — infuriò Warin, voltandosi di scatto per fronteggiare il generale. — Ciò che dici è blasfemo! Come osi profanare un così santo segno del favore divino comparandolo con i tuoi immondi ed eretici poteri? Nostro Signore era un guaritore, mentre tu non sei neppure degno di respirare la Sua stessa aria! — Può anche darsi — convenne Morgan, in tono neutro. — Non sta a me giudicare. Spiegami però fino a che punto comprendi la natura del dono del risanamento. — Risanamento? — Warin sbatté le palpebre e lanciò in fretta un'oc-
chiata agli altri, senza però riuscire a cogliere il minimo indizio in merito a quello che poteva essere lo scopo della domanda. — Le Sacre Scritture ci dicono che Nostro Signore guariva i malati, e così anche i Suoi discepoli, dopo la Sua scomparsa. Perfino tu dovresti saperlo. — E tu, Vescovo Cardiel — annuì Morgan, — concordi con quanto asserisce Warin? Cardiel, che volutamente si era tenuto in disparte fino a quel momento, sussultò nel sentir pronunciare il suo nome e si accostò con esitazione al cerchio di luce proiettato dal fuoco, affiancandosi a Morgan. Le fiamme danzarono purpuree sull'anello del vescovo quando Cardiel portò la mano al crocifisso di legno che aveva al collo, nel sollevare lo sguardo sul capo ribelle. — È sempre stata mia convinzione che Nostro Signore e i Suoi discepoli guarissero i malati e gli storpi — convenne, cauto. — Eccellente — annuì Morgan, tornando a girarsi verso Warin. — Allora entrambi sostenete che quello di poter guarire il prossimo è un dono che viene da Dio, con cui non si deve scherzare, giusto? — Sì — confermò Cardiel. — Certamente — ribadì Warin, impassibile. — Ed i tuoi personali poteri risanatori, Warin... devono anch'essi essere considerati un dono di Dio? — I miei perso... Kelson sospirò ed accavallò le gambe in un gesto di esasperazione. — Suvvia, Warin, non essere timido. Sappiamo che puoi guarire il prossimo: ti abbiamo visto, pochi minuti fa, e sappiamo anche per certo che hai guarito un uomo a Kingslake, la primavera scorsa. Lo neghi? — Io... naturalmente no — ribatté Warin, arrossendo leggermente ed assumendo una posa più eretta. — Se il Signore mi ha scelto perché fossi il Suo portavoce, chi sono io per dubitare della Sua parola? — Sì, lo so — annuì Morgan, con impazienza, e protese una mano per chiedere silenzio. — Sostieni quindi che poter guarire è un segno del favore di Dio? — Sì. — E che soltanto coloro che godono del favore di Dio possono guarire il prossimo? — Sì. — Allora, supponi che un Deryni sia capace di guarire? — domandò Morgan, in tono quieto.
— Un Deryni? — Io ho risanato, Warin, e tu sarai certo il primo ad ammettere che sono un Deryni. Non potremmo allora dedurre che il dono di risanare potrebbe essere anche un potere deryni? — Un potere deryni? Gli uomini di Warin parvero paralizzati dallo stupore, e lo stesso Warin impallidì fino a farsi bianco come la neve, al punto che gli occhi dall'espressione sconcertata sembrarono essere l'unica cosa viva nel suo volto raggelato. Quella reazione produsse un furtivo mormorio fra i suoi uomini, che subito s'interruppe quando Warin barcollò improvvisamente all'indietro e si appoggiò al braccio di uno di essi per trovare un momentaneo sostegno. Poi il capo ribelle, che ora non appariva più tanto ribelle, ritrovò un certo controllo e fissò Morgan con incredulità e quasi con terrore. — Sei pazzo! — sussurrò, quando riuscì finalmente a parlare. — La corruzione deryni ti ha confuso la mente. I Deryni non possono risanare. — Ho guarito Sean Lord Derry, quando giaceva morente per il colpo di spada di un sicario, a Rhemuth, la primavera scorsa — dichiarò Morgan, in tono quieto. — Più tardi, nella cattedrale, ho anche guarito le mie stesse ferite. Sto dicendo la verità, Warin, anche se non so spiegare come ho potuto fare tutto questo: tanto gli umani quanto i Deryni hanno sperimentato la mìa capacità di guarire. — È impossibile — mormorò Warin, quasi fra sé. — Non può essere. I Deryni sono progenie di Satana. Così ci è sempre stato insegnato. — Lo so — ammise Morgan, intrecciando le dita e fissandosi le unghie. — A volte, io stesso mi sono sentito quasi disposto a crederlo, nel ricordare le terribili persecuzioni inflitte ai Deryni negli ultimi anni. Anche a me, però, è stato insegnato che la capacità di guarire viene da Dio, e se le mie mani possono risanare... ecco, allora forse Lui è con me, almeno in minima parte. — No, tu menti — insistette Warin, scuotendo il capo. — Menti, e stai cercando di coinvolgermi nelle tue menzogne. Morgan sospirò, e guardò verso Kelson, verso Cardiel e infine verso Duncan, notando che il cugino stava riponendo la spada nel fodero con uno strano sorriso sulle labbra. Il prete inarcò un sopracciglio nell'incontrare lo sguardo di Morgan, poi si accostò con passo tranquillo ai compagni, accanto al camino. Warin e i suoi uomini si ritrassero con sospetto, e alcuni di essi adocchiarono la porta, ora priva di sorveglianza. — Alaric non sta mentendo — dichiarò Duncan, pacato. — E se vorrete
ascoltare me, invece di pensare ad un'impossibile fuga, forse ve lo potrò dimostrare senza ombra di dubbio. Gli uomini di Warin si affrettarono a riportare la loro attenzione su Duncan, e il capo ribelle fissò il prete con sospetto. — Vorresti forse che guarisse qualcuno a nostro beneficio? — domandò poi Warin, sprezzante. — È esattamente ciò che intendo proporre — rispose Duncan, lasciando riaffiorare il lieve sorriso di poco prima. Duncan notò che Morgan aveva aggrottato la fronte, e che Cardiel si stava agitando con ansia, serrando la mano intorno al crocifisso, mentre Kelson seguiva la scena con espressione intenta, perché neppure lui aveva mai visto Morgan guarire qualcuno. Duncan tornò quindi a fissare Warin, e si accorse di avere l'assoluta attenzione dei ribelli. — Allora, Warin? — Ma... chi dovrebbe guarire? — Ecco cosa propongo — spiegò Duncan, riprendendo a sorridere. — Warin, tu ti rifiuti di ascoltarci a meno che Alaric possa dimostrarti in maniera convincente che dice la verità. Alaric, tu a tua volta non puoi fornire a Warin la prova che lui chiede senza avere a disposizione qualcuno da guarire. Suggerisco quindi che uno di noi si lasci ferire in maniera non grave, in modo che Alaric possa dimostrare i suoi poteri guaritori e soddisfare Warin. Dal momento che l'idea è mia, mi offro volontario. — Cosa? — esclamò Kelson. — È fuori discussione — aggiunse Morgan, con fermezza. — Duncan, non devi! — ammonì nello stesso momento Cardiel. Warin e i suoi uomini riuscirono soltanto a fissare i quattro con assoluta incredulità. — Perché no? — domandò Duncan. — A meno che uno di voi abbia una proposta migliore, non credo che ci resti altra scelta. E non è necessario che si tratti di una ferita grave: anche un graffio basterebbe a dare la dimostrazione che ci serve. Tu cosa ne dici, Warin? La mia proposta ti soddisfa? — Io... — Warin era senza parole. — E chi dovrebbe infliggerti questo «graffio», secondo te? — domandò infine Morgan, i cui occhi grigi esprimevano un'evidente disapprovazione. — Tu... Kelson... non ha importanza — rispose Duncan, cercando di mantenere disinvolto il proprio tono di voce. — Non posso permetterlo — intervenne Cardiel, scuotendo il capo con
aria inflessibile. — Tu sei un prete, Duncan, e un prete non dovrebbe... — Sono un prete sospeso, Eccellenza. E tu sai che ciò che devo fare è necessario. Duncan ebbe una lievissima esitazione, poi estrasse la daga che aveva alla cintura e la protese verso gli altri tre, con l'elsa in avanti, appoggiando la lama all'avambraccio. — Suvvia, uno di voi si assuma l'incarico e facciamola finita. Altrimenti, potrei perdere il coraggio. — No! — esclamò d'un tratto Warin, poi avanzò di parecchi passi verso i quattro e si arrestò, teso ma eretto, fissandoli con timore. — Hai qualche obiezione? — domandò Kelson, alzandosi lentamente in piedi. Warin si torse le mani e prese a camminare avanti e indietro per la stanza con nervosismo, scuotendo il capo e agitando le braccia per sottolineare le proprie parole. — Questo è un tradimento, un tradimento! Non oso fidarmi di voi! Se lo facessi, non saprei mai se avete organizzato questa messinscena per ingannarmi, se avete dato l'impressione di ferire quest'uomo e poi di guarirlo. Questa non è una prova. Satana è un maestro nell'arte delle menzogne e dell'illusione. Duncan lanciò un'occhiata ai compagni, poi si girò di scatto e porse la daga a Warin. — Allora versa tu il mio sangue, Warin — propose, pacato. — Infliggi tu la ferita il cui risanamento ti convincerà che diciamo il vero. — Io? — esitò Warin. — Ma io non ho mai... — Non hai mai versato del sangue, Warin? — lo interruppe Morgan, affiancandosi a Duncan per offrirgli il suo sostegno. — Ne dubito. Ma se è vero, allora è ancora più importante che sia tu a usare la daga. Se vuoi una prova, l'avrai, ma dovrai essere parte integrante nel fornirla. Warin fissò a lungo i due Deryni, come se stesse lottando con la propria coscienza, poi indietreggiò di un passo e osservò la daga con diffidenza. — Molto bene, lo farò. Ma non con questa daga. Devo averne una delle nostre, che so non essere contaminate dalla magia deryni. — Come desideri — rispose Duncan. Procedette quindi a riporre la sua daga nel fodero e a slacciarsi la cintura con la spada, mentre Warin si accostava lentamente alle armi confiscate in precedenza e ammucchiate in un angolo, lasciandosi cadere in ginocchio accanto ad esse. Fissò l'assortimento di armi per parecchi secondi prima di
fare una scelta, quindi prese una sottile daga con l'elsa d'avorio a forma di croce. La luce del fuoco brillò sulla lama quando lui la snudò e baciò la reliquia racchiusa nell'elsa, per poi alzarsi in silenzio. — Devo chiederti di limitarti a una ferita che tu stesso potresti guarire — avvertì Duncan. Aveva slacciato la camicia di lino bianco ed ora la tirò fuori dalla cintura dei pantaloni, preparandosi a togliersela. — Inoltre, se deciderai di infliggere un colpo potenzialmente letale, pretendo che non sia tale da arrecare una morte istantanea, perché non mi piacerebbe perdere la vita prima che Alaric abbia il tempo di applicare i suoi poteri. Warin distolse lo sguardo, a disagio, e serrò la mano sudata intorno all'elsa d'avorio della daga. — Non sarà una ferita che io stesso non possa guarire. — Grazie. — Duncan si sfilò la camicia dalla testa e la porse a Morgan, che la fece cadere sulla poltrona lasciata libera da Kelson. Pallido ma deciso, il prete si fermò davanti a Warin. Il capo ribelle portò la daga all'altezza della vita e si accostò, cauto e riluttante ma al tempo stesso attirato dall'orribile incanto derivante dal fatto che quel nemico fosse disposto a permettere quanto stava per accadere. Gli passò per la mente il pensiero che, se avesse voluto, avrebbe potuto uccidere almeno quel Deryni, ma un'altra parte del suo essere si ritrasse stranamente da quell'idea, come se stesse già cominciando ad accettare l'eventualità che quei Deryni dicessero la verità, per quanto si trattasse di un'eventualità spaventosa a contemplarsi. Giunto a un braccio di distanza da Duncan, Warin si fermò e si costrinse a incontrare lo sguardo dei sereni occhi azzurri che lo stavano fissando, prima di abbassare lo sguardo sul corpo sottostante. Il torso di Duncan, raramente esposto al sole, era pallido come avorio, quasi quanto quello di una donna... anche se là cessava ogni somiglianza del genere. Le spalle erano ampie e forti, muscolose e robuste, e sul torace spiccavano alcune sottili cicatrici, probabilmente lasciate dall'addestramento con le armi... una lungo le costole, a sinistra e un'altra sul bicipite destro. Lentamente, Warin sollevò la daga all'altezza degli occhi e l'appoggiò appena contro la spalla sinistra di Duncan. Il prete non sussultò nel sentire il contatto dell'acciaio contro la pelle, ma Warin non riuscì più a incontrare il suo sguardo. — Fa' ciò che devi — sussurrò poi Duncan, preparandosi a incassare il colpo.
CAPITOLO SEDICESIMO Tu mi scruti e mi conosci. Salmi 139:1 Duncan sentì un dolore acuto, lancinante alla spalla sinistra, seguito da un violento tremito che gli percorse tutto il corpo. Nel trauma del primo istante di sofferenza, ebbe il tempo di notare la luce di follia apparsa negli occhi di Warin, di udire il sussulto allarmato di Kelson e di avvertire la stretta della mano di Morgan sotto il braccio sano, prima di cominciare ad accasciarsi. Poi crollò al suolo, mentre Alaric inveiva contro Warin, con un lampo d'ira negli occhi grigi, e l'espressione del capo ribelle tornava ad essere razionale... e inorridita per quanto lui aveva appena fatto. Duncan percepì la presenza delle dita di Alaric vicino alla lama ancora conficcata nella sua spalla, la forza rassicurante con cui il braccio del cugino gli sorreggeva la testa; subito dopo, gli altri indietreggiarono... tranne Alaric... e Warin fu quello che rimase più vicino a loro due. Alaric si chinò quindi per scrutarlo negli occhi e mosse le labbra, formulando parole che Duncan non riuscì del tutto a comprendere. — Duncan? Duncan, mi senti? Dannazione a te, Warin! Non era necessario che lo colpissi con tanta forza! Duncan, sono Alaric, ascoltami! Duncan scoprì che, concentrandosi, poteva far combaciare il movimento delle labbra con le parole che gli arrivavano all'orecchio; sbatté le palpebre e fissò il cugino con aria stordita per quella che parve un'eternità, poi abbozzò un debole cenno di assenso. Guardando oltre il proprio mento, Duncan si accorse che poteva a stento scorgere l'elsa d'avorio della piccola daga di Warin, e nell'osservarne gli intarsi notò che l'avorio appariva stranamente macchiato. Riportò quindi lo sguardo sul cugino e avvertì il calmo tocco della sua mente quando Alaric gli sfiorò la fronte con la destra, prima di spostare la mano per appoggiarla sull'impugnatura della daga. — È una brutta ferita, Duncan — mormorò il biondo Deryni, scrutando gli occhi del cugino. — Avrò bisogno del tuo aiuto. Se riesci a sopportare il dolore preferirei che rimanessi cosciente mentre procedo a curarti, perché non sono sicuro di farcela da solo. Duncan girò appena il capo, per guardare ancora la daga, e appoggiò per un momento la guancia alla mano di Morgan.
— Comincia pure — sussurrò. — Rimarrò cosciente. Vide gli occhi grigi chiudersi per un attimo in un gesto di assenso, poi sentì che il braccio che lo sorreggeva si muoveva leggermente, in modo da sollevarlo e da puntellarlo contro il torace di Alaric: adesso la sinistra di Morgan era pronta a tamponare la ferita, non appena la destra avesse estratto la lama. Duncan alzò a sua volta la mano destra fino ad accostarla alla sinistra del cugino, pronto a fornire tutto l'aiuto che fosse stato necessario, e si preparò a sopportare la nuova ondata di dolore che sapeva lo avrebbe aggredito con l'estrazione dell'arma. — Adesso — mormorò. Sentì il metallo che strisciava contro l'osso, che sgusciava fra i muscoli, i tendini, i nervi... poi un flusso carminio gli scaturì dalla spalla quando il sangue prese a fiottare nella calma aria notturna. Duncan avvertì la pressione delle mani di Alaric sulla ferita, il tepore del sangue che fluiva, caldo e abbondante, sulle sue stesse dita doloranti... quindi percepì la mente di Alaric che si protendeva a sfiorare la sua, calmandolo e allontanando il dolore. A quel punto, il cervello di Duncan si distaccò dalla sofferenza fisica, e di colpo lui riuscì ad aprire gli occhi e a fissare le grigie profondità di quelli di Alaric: il contatto fra loro si stabilì nel raggio di un secondo, le menti si congiunsero più saldamente di quanto avrebbero mai potuto fare le mani, ed entrambi chiusero gli occhi. Duncan ebbe l'impressione di avvertire un profondo, musicale ronzio, percepito da una facoltà che non era però l'udito, e nello stesso tempo il legame divenne più profondo e una pace totale discese su di lui, come se una mano impalpabile, priva di forma o di sostanza, gli si fosse posata sulla fronte arroventata dalla febbre. Ebbe la fugace sensazione che un'altra Presenza fosse là con loro, qualcuno che non aveva mai visto prima, poi il dolore cessò insieme all'emorragia e lui risollevò le palpebre, trovando la testa bionda di Alaric ancora china su di lui e avvertendo al tempo stesso che il legame si dissolveva. Si mosse leggermente contro l'appoggio del braccio del cugino mentre questi riapriva gli occhi a sua volta, e sollevò il capo quanto bastava per gettare un'occhiata alle tre mani insanguinate che gli poggiavano sulla spalla sinistra. Alaric allontanò quindi la destra, che sovrastava le altre due, e subito dopo la sinistra, lasciando libero Duncan di ritrarre la propria mano: la ferita era scomparsa. Sulla pelle si scorgeva una tenue linea nel punto in cui era penetrata la daga... una linea che stava già svanendo, com'era scomparsa anche l'enor-
me quantità di sangue sgorgato dal corpo di Duncan, di cui rimaneva ben poca traccia, tranne che sulle dita di entrambi i cugini. Duncan sollevò la mano, lanciò un'occhiata ad Alaric, poi lasciò ricadere la testa contro la spalla di questi e osservò per la prima volta il cerchio degli spettatori. Warin era il più vicino... pallido, teso, sgomento... e accanto a lui c'erano Kelson e Cardiel, mentre gli uomini di Warin formavano un po' più a destra un gruppetto incredulo e spaventato. Duncan riuscì a sorridere, sia pur debolmente, e riabbassò la mano, fissando Morgan. — Grazie — mormorò. Alaric si limitò a ricambiare il sorriso, spostando il peso del corpo di Duncan per aiutarlo a sedersi. — Allora, Warin — disse quindi il Deryni, — puoi accettare quello che hai visto? Sei disposto ad ammettere che, se la tua premessa che quello di poter guarire sia un dono elargito da Dio è esatta, allora Dio invia i Suoi doni anche ai Deryni? Pallido, Warin scosse il capo per la meraviglia. — Non può essere vero, i Deryni non possono risanare. E tuttavia tu lo hai fatto, quindi il risanamento deve essere anche un potere deryni. Ed io, che a mia volta guarisco gli... Il capo ribelle lasciò la frase in sospeso quando si rese improvvisamente conto di ciò che le sue stesse parole sottintendevano e, se possibile, divenne ancora più pallido. Morgan notò quella reazione e comprese che, finalmente, aveva ottenuto almeno una parte dell'effetto che si era sforzato di creare. Con un sorriso comprensivo aiutò Duncan a mettersi in piedi e si accostò a Warin. — Sì, Warin, adesso devi affrontare questa possibilità — affermò, in tono sommesso. — Se te lo avessimo detto prima, non ci avresti neppure ascoltati, ma noi riteniamo che anche tu possa essere un Deryni. — No, questo non è possibile — mormorò Warin, stordito. — Non posso essere un Deryni: ho odiato i Deryni per tutta la vita, e so che non ce ne sono nella mia famiglia. È impossibile. — Forse no — interloquì Kelson, raggiungendo Morgan e scrutando attentamente Warin. — Molti di noi trascorrono tutta la vita senza mai scoprire ciò che sono, a meno che accada qualcosa di drastico. Forse avrai sentito parlare del modo in cui mia madre ha scoperto il suo retaggio deryni... e nessuno avrebbe mai sospettato che Jehana di Gwynedd potesse essere una Deryni, perché la sua avversione per i Deryni era insormontabile quanto la tua, Warin. Anzi, sotto parecchi aspetti lo era forse anche di più.
— Ma come... come si può accertarlo? — domandò Warin, timidamente. — Come si fa a saperlo? — Jehana lo ha scoperto usando poteri che ignorava di possedere, quando non le è rimasta altra scelta — sorrise Morgan. — D'altro canto, ci sono persone che manifestano poteri che non possono essere giustificati dalla presenza di sangue deryni nelle loro vene. L'unico modo per appurarlo senza ombra di dubbio è la Visione Mentale. Se vuoi, posso provvedere io. — La Visione Mentale? — Dovresti porti in uno stato mentale ricettivo e permettermi di entrare nella tua mente con la mia. Non posso spiegarti come farò a capire se sei o meno un Deryni, una volta che sarò in contatto con te, ma lo capirò. Devi accettare a priori che io abbia questa capacità. Vuoi permettermi di procedere? — Entrare... entrare nella mia mente? Io... — Warin lanciò un'occhiata supplichevole a Cardiel, appoggiandosi inconsciamente all'autorità che questi deteneva come vescovo. — È... è una cosa permessa, Eccellenza? Io... io non so valutare questa situazione, e imploro la tua guida. — Io mi fido di Morgan — affermò Cardiel, a bassa voce. — Non so come giunga ai risultati che ottiene, ma accetto come un dato di fatto tali risultati e, pur non avendo mai avvertito di persona il tocco della sua mente, credo nelle sue buone intenzioni. Devi capire che quanto è accaduto in passato era errato, Warin, ed unirti a noi, perché dobbiamo unificare Gwynedd per poter resistere a Wencit di Torenth. Sono certo che lo capisci. — Ma, permettere a Morgan... — iniziò Warin, e non concluse la frase, lanciando al generale deryni un'occhiata significativa. Morgan, dal canto suo, annuì con aria comprensiva. — Condivido la tua riluttanza, perché i miei sentimenti nei tuoi confronti risentono in pari misura dei tuoi di quanto è accaduto in passato. Attualmente, però, non c'è nessun altro che possa applicare la Visione Mentale. Kelson, per quanto possegga un notevole talento, non ha la mia stessa esperienza al riguardo, e temo che tu abbia indebolito Duncan al punto che non posso ora permettergli di correre un simile rischio. Ciò che dobbiamo fare richiede una notevole quantità di energia di cui, francamente, Duncan non può fare a meno, ora come ora. Pare quindi che ti rimanga una sola alternativa... sempre che tu voglia scoprire la verità, è ovvio. Warin abbassò lo sguardo, contemplandosi i piedi per parecchi secondi,
poi si girò con lentezza verso i suoi uomini. — Siate sinceri — disse loro, con voce che era poco più di un sussurro. — Credete che io sia un Deryni? Paul? Owen? Paul scambiò una rapida occhiata con i compagni, poi avanzò di qualche passo. — Io... io ritengo di parlare anche a nome degli altri, signore, e... in tutta franchezza non sappiamo cosa pensare. — Ma che devo fare? — mormorò Warin, quasi fra sé e sé. Paul consultò ancora i compagni con lo sguardo, prima di replicare. — Scopri con certezza quale sia la verità, signore. Forse ci siamo sbagliati tutti sul conto dei Deryni e certamente, se tu sei uno di loro, allora non è possibile che siano tutti malvagi. Noi verremmo con te all'Inferno, signore, e tu lo sai. Ma scopri la verità. Warin accasciò le spalle in un atteggiamento di sconfitta, quindi tornò a voltarsi verso Morgan, senza però incontrare il suo sguardo. — Pare che mi debba sottomettere a te — disse. — I miei fedeli devono sapere qual è la mia posizione, e confesso che ho bisogno anch'io di saperlo. Cosa... cosa devo fare? Morgan restituì a Duncan la sua camicia e girò la poltrona verso il camino. — In realtà non si tratta di sottomissione, Warin — rispose, segnalando agli altri di spostarsi in modo da non trovarsi fra lui e la poltrona, mentre gli tornava alla mente un'altra occasione simile a quella. — Ciò che proveremo sarà una condivisione delle nostre sfere coscienti, durante la quale opereremo congiuntamente. Se in un qualsiasi momento del contatto tu dovessi avere paura e non desiderassi procedere oltre, ti prometto che potrai infrangere il legame: non intendo impormi contro la tua volontà. Siediti qui, per favore. Deglutendo con difficoltà, Warin guardò verso la poltrona, ora girata in direzione del fuoco, poi si costrinse a sedere con cautela su di essa. Morgan si portò davanti a lui e gli posò le mani sulle spalle, spingendolo in modo che si appoggiasse allo schienale e cominciando a parlare senza allentare la leggera stretta. Gli altri si erano spostati tutti dietro la poltrona, da dove potevano scorgere soltanto Morgan e la nuca e le spalle di Warin. La voce del giovane Deryni risuonò sommessa e rilassante nella penombra rischiarata dal fuoco del camino. — Rilassati, Warin. Rilassati e osserva le fiamme nel focolare. Rilassati e osserva le fiamme. Concentrati sul suono della mia voce e sul contatto
delle mie mani. Non ti farò del male, Warin, te lo prometto. Rilassati e fluttua insieme a me. Lascia che il morbido tremolio delle fiamme divenga l'unico movimento del tuo universo. Rilassati e fluttua con me. Mentre la sua voce continuava a risuonare, monotona, salendo e scendendo di tono all'unisono con l'ondeggiare del fuoco, Morgan si accorse che Warin stava effettivamente cominciando a fluttuare. Allentò la stretta intorno alle sue spalle e Warin non sussultò per quel movimento... un buon segno. A poco a poco, il capo ribelle cadde sempre più sotto l'incantesimo di quella voce sommessa e Morgan estese i propri sensi intorno a sé, abbassando lo sguardo sul sigillo con il grifone e azionando il primo livello del contatto mentale deryni. Ormai Warin era immerso in una leggera trance, il suo respiro diveniva sempre più lento e profondo, le palpebre gli tremolavano, prossime a chiudersi. Con delicatezza, Morgan spostò le mani fino a posarle sulle tempie dell'altro, celando il movimento dietro un leggero accentuarsi del controllo da lui esercitato. Warin non reagì al nuovo, più intimo sondaggio della sua mente, e con un sospiro di sollievo Morgan si permise di scivolare in un contatto più profondo. Adagiò con gentilezza la testa di Warin contro il torace, scrutò i suoi occhi ormai chiusi, poi chinò a sua volta il capo e abbassò le palpebre, entrando nella mente dell'altro. Trascorsero forse cinque minuti prima che si riscuotesse, sollevando leggermente il capo per guardare verso Kelson e Duncan, con occhi sempre velati. — Sotto tutto il suo condizionamento anti-deryni ha una mente dotata di uno splendido ordine — sussurrò, — ma sono quasi sicuro che non sia un Deryni. Volete darmi una conferma? In silenzio, Kelson e Duncan si portarono accanto a Morgan e posarono a loro volta la mano sulla fronte di Warin, ritraendosi dopo qualche secondo. — Aveva ragione. Non è un Deryni — sussurrò Duncan. — E tuttavia possiede il dono di risanare — mormorò Kelson, meravigliato, — e sembra avere anche una certa capacità nell'area della Lettura del Vero. Fra tutti i poteri deryni, questi sono forse i due più utili a un uomo come lui, che credeva di avere una missione divina da adempiere. — Sono d'accordo — annuì Morgan, riportando lo sguardo sulla faccia di Warin. — Gli fornirò qualche informazione sulla storia effettiva dei Deryni, per aiutarlo a combattere ciò che gli è stato insegnato finora, poi lo sveglierò.
Chiuse gli occhi per un momento, quindi li riaprì e tornò a posare le mani sulle spalle di Warin, stringendo le dita in un gesto rassicurante. Nel momento in cui la sua mente fu libera, Warin sollevò a sua volta le palpebre e girò la testa per fissare Morgan con aria meravigliata. — Non... non sono un Deryni — sussurrò, con un'espressione meravigliata sul volto. — E tuttavia mi sento... quasi deluso. Non avevo idea... — Ma ora capisci, vero? — chiese Morgan, con uno stanco sospiro. — L'unica cosa che non capisco è come possa essermi sbagliato a tal punto sul conto dei Deryni. E la mia vocazione... è mai esistita davvero? — I tuoi poteri devono provenire da una fonte, che non è deryni — affermò Duncan, con voce sommessa. — Forse sei stato chiamato, ma hai frainteso la natura del compito che ti era stato affidato. Warin sollevò lo sguardo su Duncan, assimilando le sue parole, e soltanto allora si rese conto che Kelson era in piedi accanto a lui, intento ad osservarlo severamente con i suoi occhi grigi. D'un tratto, ricordò che non sarebbe dovuto rimanere seduto in presenza del re, e si affrettò ad alzarsi con aria sgomenta. — Perdonami, sire. Le cose che ti ho detto prima, le azioni che ho compiuto contro di te negli ultimi mesi... come potrò mai fare ammenda? — Dammi la tua fedeltà — rispose semplicemente Kelson. — Aiutaci a convincere gli arcivescovi di ciò che tu hai appena scoperto, in modo che possiamo presentare un fronte unito contro Wencit. In cambio della vostra fedeltà perdonerò a te ed ai tuoi seguaci le azioni commesse in passato. Ho bisogno del tuo aiuto, Warin. — Ed io sono pronto a dartelo, sire — rispose Warin, lasciandosi cadere su un ginocchio e chinando il capo in segno di omaggio. I suoi uomini, stupefatti da quanto avevano appena visto, lo imitarono. Kelson sfiorò la spalla di Warin in un cenno di assenso, poi invitò tutti a rialzarsi. — Vi ringrazio signori, ma non abbiamo tempo per le cerimonie. Warin, la prossima mossa dovrà essere quella di far circolare la notizia del cambiamento subito dalle tue convinzioni. Hai qualche suggerimento? — Credo di sì, sire — annuì Warin, dopo aver riflettuto per un istante. — Spesso, in passato, ho fatto sogni significativi in momenti di importanza cruciale. La mia gente lo sa, e crederà alle mie parole. Mi basterà raccontare di aver avuto una visione, di notte, nella quale un angelo è venuto ad avvertirmi che dovevo tornare ad esserti fedele, affinché Gwynedd non cada. Ci sarà tempo in seguito per rivelare come sono effettivamente anda-
te le cose. Per ora, se metteremo subito in circolazione questa storia, entro domattina sarà stata ingigantita abbastanza da giustificare la tua presenza qui e da garantirci un consistente appoggio quando affronteremo gli arcivescovi. La mia idea incontra la tua approvazione? — Morgan? — chiese Kelson. — Non si può negare che tu sia portato per gli intrighi, Warin — sorrise Morgan. — I tuoi luogotenenti possono provvedere immediatamente ad attuare questo piano? Il capo ribelle annuì. — Eccellente. Quando avrete finito, vorrei che voi tutti ci raggiungeste sulle scale della torre. Inoltre, ci sono parecchi miei ufficiali della cui esperienza avrò presto bisogno. Sono nelle segrete? — Temo di sì — ammise Warin. — Non importa. So come tirarli fuori di là. Allora, ci troviamo fra due ore? — Fra tre sarà giorno — avvertì Paul de Gendas. — Non possiamo farci nulla — replicò Morgan, scrollando le spalle. — Ci serve tempo. Fra due ore sulle scale della torre, allora. Siamo d'accordo? CAPITOLO DICIASSETTESIMO Egli alza un segnale ad un popolo lontano... Isaia 5:26 All'alba c'erano ormai ben poche persone all'interno del Castello di Coroth che non sapessero almeno qualcosa della strana e meravigliosa visione apparsa in sogno quella notte a Lord Warin. Le truppe di Warin, che costituivano il grosso dei difensori di Coroth, rimasero salde nella fedeltà che nutrivano nei confronti del loro carismatico capo, pur non pretendendo di capire il perché di questo apparente ammorbidirsi della politica da lui seguita in precedenza nei confronti dei Deryni. Quanto ai pochi soldati che erano venuti a Coroth al seguito degli arcivescovi, essi si mostrarono esitanti a respingere come fasulla quella nuova informazione, consapevoli com'erano della propria inferiorità numerica. Durante le prime ore del mattino, parecchi di quei soldati avevano commesso l'errore di dubitare della veridicità del sogno di Warin, e di cercare di opporsi a quella novità, e molti di coloro che lo avevano fatto erano ben presto finiti nelle segrete del
castello, per opera dei seguaci di Warin. Così il nuovo giorno trovò gli arcivescovi Loris e Corrigan e una mezza dozzina dei loro colleglli raccolti con aria timorosa nella cappella ducale, apparentemente per le preghiere del mattino, ma in effetti per discutere fra loro delle possibili conseguenze degli eventi di quella notte. Nessuno, fra i prelati, era molto entusiasta della voce secondo cui Warin aveva avuto una visione, e nessuno immaginava come stessero realmente le cose. — Vi ripeto che è assurdo — stava dicendo Loris. — Warin sta esagerando. Parlare di «visioni», in un momento come questo! È inaudito! I prelati erano raccolti in un gruppetto da un lato della cappella, vicino all'altare, e Loris stava camminando avanti e indietro davanti ai subordinati seduti. Corrigan, che appariva teso e invecchiato al di là dei suoi sessant'anni di età, sedeva su un piccolo sgabello, in disparte dagli altri, come si conveniva alla sua condizione di comandante in seconda di Loris, e il resto dei vescovi... de Lacey, Creoda di Carbury, Carsten di Meara, Ifor e due vescovi itineranti, Morris e Conlan... sedeva di fronte a lui e a Loris, con aria ansiosa. Nella cappella non c'era nessun altro, e la porta era sbarrata dall'interno. Dopo un po' Conlan, uno dei più giovani fra i presenti, si schiari la gola con una specie di ringhio. — Tu puoi anche sostenere che è inaudito, signore, ma francamente la cosa mi preoccupa, perché sembra che Warin intenda adottare una politica più mite nei confronti dei Deryni. Che accadrà se dovesse decidere di schierarsi dalla parte del re? — Esatto — convenne Ifor. — Ho perfino sentito dire che sta prendendo in considerazione una mossa del genere, nel qual caso ci verremo a trovare in una situazione seria, con le truppe reali accampate sotto le mura. Loris scoccò un'occhiata tagliente ai due vescovi, poi tossicchiò, sprezzante. — Non oserebbe, e poi neppure Warin ha una simile influenza sulle sue truppe: non può cambiare completamente idea nell'arco di una notte. — Forse no — ansimò Creoda. La voce del vecchio vescovo era sottile e tremante, e lui era costretto a tossire di tanto in tanto. — Forse non può, ma stamattina sta succedendo qualcosa di strano, lo sento nell'aria. Inoltre due uomini della mia scorta personale... due degli uomini che sono venuti qui con noi... stamattina erano spariti, e molti posti di guardia erano occupati da facce mai viste prima. — Hmph! — sbuffò ancora Loris. — Fra voi c'è qualcuno che sappia con esattezza la natura di questa cosiddetta «visione» avuta da Warin?
— Non nei particolari — rispose de Lacey, giocherellando con l'anello con l'ametista. — Ma secondo il mio cappellano, una delle guardie avrebbe affermato che Warin ha visto in sogno un angelo. — Un angelo? — È assurdo! — sbuffò Loris. — È quanto mi è stato detto — ribatté de Lacey, scrollando le spalle. — Pare che un angelo dotato di corna di luce sia apparso in sogno a Warin e lo abbia ammonito a riesaminare ciò che sta facendo. — Dannazione, si sta spingendo troppo oltre! — esplose Loris. — Non può rinnegare tutto ciò in cui credeva per un semplice sogno! Chi pensa di... Qualcuno bussò alla porta, e sulla cappella calò un silenzio improvviso. I colpi si ripeterono, e tutti gli sguardi si fissarono su Loris. Questi rivolse un cenno a Conlan, che si alzò e si accostò alla porta. — Chi è? — chiese, con la mano sul chiavistello. — Sono Warin — rispose una voce, dopo una lieve pausa. — Cosa succede? Perché le porte della cappella sono chiuse? Loris accennò ancora, e Conlan spinse il pesante chiavistello di ferro, spostandosi poi di lato con aria costernata quando Warin, i suoi luogotenenti e un intero squadrone di soldati armati entrarono nella cappella e i soldati si schierarono lungo le pareti della stanza. Uno di essi spinse Conlan verso gli altri vescovi, che si erano intanto alzati in piedi. — Cosa significa tutto ciò? — domandò Loris, ergendosi sulla persona e tentando di proiettare autorità sacerdotale. Warin gli rivolse un lieve inchino e assunse un'espressione solenne. — Buon giorno, lord arcivescovo — disse, tenendo le mani rigide lungo i fianchi. — Confido che tu e i tuoi colleghi abbiate dormito bene. — Basta con i convenevoli, Warin — scattò Loris. — Perché hai interrotto le nostre preghiere del mattino irrompendo qui con questi armigeri? Non c'è posto per le armi nella casa del Signore. — Tali azioni sono a volte necessarie, arcivescovo — ribatté, pacato, Warin. — Sono venuto a chiederti di revocare una scomunica. — Con una scorta armata? — cominciò Loris, indignato. — Ascoltami, arcivescovo. Voglio che tu revochi la scomunica che hai inflitto ad Alaric Morgan, a Duncan McLain e al re, e che revochi anche l'Interdetto di cui hai fatto oggetto Corwyn. — Cosa? Devi essere impazzito! — No, non sono impazzito, arcivescovo, ma sarò presto molto irritato se
non acconsentirai alla mia richiesta. — Questa... questa è pura follia! — farfugliò Loris, furibondo. — Corrigan, chiama le guardie. Non ci sottometteremo a questo... — Paul, sbarra la porta — ordinò Warin, interrompendo Loris a metà della frase. — E tu, arcivescovo, tieni a freno la lingua e ascolta. Vuole Vostra Maestà degnarsi ora di entrare? I prelati sussultarono alle parole di Warin, poi la porta della sacrestia, adiacente all'altare, si aprì e da essa uscì Kelson, avvolto in un manto rosso e seguito da Morgan, da Duncan, da Cardiel e da parecchi ufficiali di Morgan, salvati dalle segrete del castello. Kelson portava un cerchio d'oro sui capelli corvini ed era splendido in una tunica di stoffa dorata e di satin, sotto il mantello carminio. Morgan aveva indossato una delle sue tuniche con il grifone, la cui sagoma alata era raffigurata in oro e smeraldi sulla casacca di seta, mentre Duncan vestiva in nero, con il plaid dei suoi antenati McLain fermato sulla spalla mediante una grande spilla d'argento. Anche Cardiel era in nero, ma portava in aggiunta uno splendido piviale in tessuto argentato, e un'alta mitra bianca e argento gli copriva i capelli grigi. I prelati impiegarono un secondo ad assimilare l'impressione fornita dal gruppetto, poi parecchi di essi si affrettarono a farsi il segno della croce; Conlan e Corrigan erano impalliditi visibilmente, e perfino Loris era ammutolito per l'ira. Senza preavviso, Warin e i suoi uomini si inginocchiarono quindi in segno di omaggio e gli armigeri portarono il pugno al petto in un orgoglioso gesto di saluto. Kelson sfiorò con lo sguardo i vescovi paralizzati dallo stupore, poi segnalò a Warin e ai suoi di alzarsi; quando infine attraversò la cappella con il suo seguito per raggiungere Warin, i vescovi si ritrassero con timore. Una volta vicino a Warin, Kelson si girò per fronteggiare Loris e gli altri, mentre i compagni gli si radunavano alle spalle in una dimostrazione di solidarietà. — Allora, Loris, non ricordi il giuramento di fedeltà che ci hai prestato? — chiese Kelson, scrutando i prelati con un'espressione fredda negli occhi grigi. Loris si eresse sulla persona e cercò di raccogliere intorno a sé gli ultimi brandelli di dignità. — Con tutto il rispetto, sire, tu sei scomunicato, e la scomunica ti priva di certe prerogative che ti spetterebbero in condizioni normali. Ai nostri occhi tu sei morto, sire. — Ah, ma non lo sono, arcivescovo — ribatté Kelson. — E neppure
Morgan, o Padre McLain, o chiunque altro di coloro su cui tu hai gettato l'anatema sulla base di un incidente che è stato frainteso. Ora perfino Warin ci rende onore. — Warin è un traditore! — esplose Loris. — È stato ingannato dai tuoi trucchi deryni. Lo avete corrotto! — Al contrario — lo interruppe Kelson. — Warin è un suddito fedele. È stato indotto a capire l'erroneità delle sue precedenti convinzioni e si è volontariamente unito a noi: l'incidente di San Torin, su cui sembra basarsi tutto il caso giuridico da te creato, è chiuso, e se tu continuerai a fondare la tua disubbidienza su di esso, noi dovremo concludere che esistono altri motivi che ti inducono a rivoltarti contro il tuo re. Non è Warin il traditore: lui non ha scelto di perseverare a sfidarci. — Gli hai fatto qualcosa! — gridò Loris, indicando Warin e tremando per la rabbia. — Hai usato i tuoi vili poteri per corrompere la sua mente! Lui non sarebbe cambiato in questo modo se tu non lo avessi manipolato. Morgan avanzò di un passo e fissò Loris con aria minacciosa. — Non dimenticare con chi stai parlando, arcivescovo — ammonì, con voce vellutata ma letale. — Anche la pazienza di un re può raggiungere il punto di rottura. — Bah! — Loris alzò le braccia in un gesto di disgusto e levò gli occhi al cielo. — Dobbiamo proprio ascoltare questo eretico? Non ho altro da dire a nessuno di voi due. Non ci lasceremo scuotere dalla nostra fede. — Allora sarete incarcerati qui a Coroth finché non cambierete idea — replicò Kelson, in tono quieto. — Non tollereremo questa sfida. Guardie, arrestate l'Arcivescovo Loris. Vescovo Cardiel, in questa sede noi ti nominiamo primate temporaneo di Gwynedd, carica che conserverai fino a quando la Curia potrà riunirsi ufficialmente per ratificare la tua nomina o per scegliere un altro vescovo a noi fedele che sia più di suo gradimento. L'Arcivescovo Loris non è più accettabile come primate agli occhi della Corona. — Vostra Maestà non può fare questo! — infuriò Loris, mentre due guardie lo afferravano. — È assurdo. — Taci, arcivescovo, altrimenti sarai imbavagliato. Ora, coloro fra voi che non desiderano condividere la sorte di Sua Eccellenza hanno soltanto due alternative. Quanti ritengono di non potere, in tutta coscienza, unirsi a noi per respingere l'invasione di Wencit, avranno il permesso di ritirarsi nelle loro rispettive sedi, a condizione che giurino di rimanere neutrali fino alla soluzione di questo conflitto.
«Se però non vi sentite di pronunciare tale giuramento di neutralità, vi chiediamo di non macchiarvi di spergiuro fingendo il contrario, perché per voi sarà molto meglio trovarvi sotto custodia qui a Coroth che affrontare la nostra ira qualora dovessimo scoprire che avete infranto la parola dataci. «Agli altri di voi, e preghiamo che ce ne siano alcuni, offriamo l'opportunità di rinnegare le azioni compiute negli ultimi mesi e di mondare il loro nome. A chiunque piegherà ora il ginocchio dinanzi a noi, rinnovando il suo giuramento di fedeltà, saremo lieti di concedere il perdono per le passate offese e il privilegio di essere nuovamente il benvenuto al nostro cospetto. Le vostre preghiere e il vostro sostegno ci saranno di immenso bisogno quando affronteremo Wencit, fra qualche giorno. Kelson lasciò vagare di nuovo lo sguardo sui prelati. — Allora, signori, cosa scegliete? Le segrete, il monastero oppure la Corona? Conoscete le vostre alternative. La frase conclusiva di Kelson fu troppo per il furente Loris. — Ciò che vi offre non è una scelta! — infuriò l'arcivescovo. — Non ci può essere scelta quando si tratta di eresia! Corrigan, non tradirai la tua fede, vero? Creoda, Conlan, non intenderete piegarvi alla volontà errata di questo impulsivo giovane re, vero? A un secco cenno della mano di Kelson, una delle guardie che trattenevano Loris si sfilò un pezzo di stoffa dalla tunica e procedette ad imbavagliare l'arcivescovo. — Eri stato avvertito — dichiarò Kelson, scrutando prima Loris e poi gli altri con fredda intensità. — Allora, cosa scegliete? Non abbiamo il tempo di aspettare che riflettiate. Il Vescovo Creoda tossì nervosamente, guardò verso i colleghi, poi mosse un passo avanti. — Non posso parlare per i miei confratelli, sire, ma io non desidero essere ancora in contrasto con te. Se piace a Vostra Maestà, mi ritirerò temporaneamente a Carbury. Io... in realtà non so più cosa credere. Kelson annuì brevemente e fissò gli altri. Dopo una lieve esitazione, Ifor e Carsten vennero avanti, e Ifor s'inchinò prima di parlare. — Anche noi chiediamo la tua indulgenza. Accettiamo la tua offerta, e ci ritireremo nelle nostre rispettive sedi. Hai la nostra parola. — È gli altri? — incalzò Kelson, annuendo. — Vi ho detto che non ho tutta la giornata a disposizione. Con un gesto deciso, il Vescovo Conlan si accostò a lui e si lasciò cadere su un ginocchio.
— Io mi inginocchio nuovamente al tuo cospetto, sire, e non porterò avanti ulteriormente l'incidente di San Torin. Se tu credi nell'innocenza di Morgan e di McLain, questo mi è sufficiente. Noi tutti ci siamo lasciati trascinare da quanto è accaduto al santuario. Ti prego di perdonarci, sire. — Hai il mio perdono, Vescovo Conlan — garanti Kelson, chinandosi per toccare l'altro sulla spalla. — Verrai a nord con noi, allora? — Con tutto il cuore, sire. — Bene — commentò Kelson, scrutando gli altri... Loris, che si dimenava fra le mani delle guardie e lottava per parlare, Creoda, Ifor e Carsten, che sarebbero andati a rinchiudersi nei rispettivi monasteri, e i due prelati che ancora non avevano preso una decisione. — Tu cosa decidi, de Lacey? De Lacey abbassò lo sguardo per un momento, poi si alzò in piedi con difficoltà e s'inginocchiò là dove si trovava. — Perdona la mia apparente indecisione, giovane sovrano, ma io sono vecchio, e le antiche abitudini stentano a morire: non sono abituato a disobbedire né ai miei arcivescovi né al mio re. — Ora pare però che sarai costretto a disobbedire ad uno dei due, de Lacey. A quale? — Verrò con te, sire — scelse de Lacey, chinando il capo. — Tuttavia, se potessi avere una portantina anziché un cavallo da guerra... le mie ossa sono troppo vecchie per reggersi in sella all'andatura che tu imporrai alle truppe. — Capitano, provvedi a far approntare una portantina per Sua Eccellenza. E tu cosa decidi, Corrigan? Devo dunque interrogarvi singolarmente? Ormai avete avuto tempo a sufficienza per decidervi. Corrigan era cinereo, e la sua faccia era lucida e umida di sudore. L'arcivescovo guardò a lungo i colleghi e Loris, fra le mani delle guardie, poi tirò fuori un grosso fazzoletto e si asciugò la faccia mentre si accostava a Kelson con passo pesante. Quando fu a circa tre metri dal giovane re, Corrigan lanciò un'ultima occhiata a Loris, poi abbassò il capo e si osservò le mani. — Perdonami, sire, ma sono vecchio e stanco, e incapace di continuare a combattere: per quanto io tema che tu sia in errore, non ho la forza di oppormi a te, e credo che non potrei sopravvivere nelle segrete. Chiedo quindi il permesso di ritirarmi nella mia tenuta di Rhemuth, sire. Io... non sto bene di salute. — Molto bene — acconsentì Kelson, pacato. — Se ho la tua parola che
non ti opporrai a me, sei libero di andare. Signori, vi ringrazio per non aver reso tutto questo più difficile del necessario. Ed ora... Morgan, Warin, Lord Hamilton, desidero partire da qui entro mezzogiorno, se possibile, quindi vi prego di provvedere a prendere le misure necessarie. Era ormai tardo pomeriggio, e non mezzogiorno, quando gli eserciti congiunti furono pronti a muovere, ma Kelson impartì ugualmente l'ordine di mettersi in marcia. Viaggiando durante la notte ed evitando di fermarsi fino al mezzogiorno successivo, avrebbero potuto attraversare la maggior parte di Corwyn prima di dover sostare. Avrebbero poi riposato fino all'alba dell'indomani e avrebbero così raggiunto Dhassa per mezzogiorno, il secondo giorno. Una volta là, sarebbero stati necessari almeno altri due giorni per fondere l'esercito con quello già accampato nella valle vicino alla città e, nel complesso, sarebbe trascorsa quasi una settimana prima che potessero sperare di incontrare le truppe di Wencit, nel nord. Kelson pregò che quella perdita di tempo non fosse eccessiva. Era pomeriggio inoltrato, ma nessuno sentì il minimo desiderio di lamentarsi per quella partenza ad un'ora tarda quando i battaglioni dell'avanguardia lasciarono Coroth e si avviarono verso nordovest. Le bandiere regie, con l'emblema del leone, procedevano accanto agli stendardi grigi e neri con il falcone, appartenenti agli ex-ribelli di Warin, e misto ad essi si scorgeva il porpora delle bandiere episcopali che accompagnavano le truppe scelte venute da Dhassa al seguito di Cardiel. I carri con le provviste avanzavano scricchiolando, e la cavalleria procedeva con il fragore del tuono sul verde dei prati; gli animali da soma sbuffavano e stridevano mentre i loro sorveglianti li pungolavano sulla scia dell'esercito, e i finimenti brillavano allegri sotto il sole pomeridiano. Le ricche sopravvesti ricamate dei vassalli di Morgan si mescolavano alle uniformi dei Lancieri Reali Haldane, del Piede Giosuaico, dei Corpi di Arcieri Haldane, e nobili e popolani erano uniti dal comune vincolo di fedeltà verso il giovane sovrano che cavalcava con l'avanguardia. Non appena tornato al campo, Kelson aveva indossato nuovamente la cotta di maglia dorata dei re di Gwynedd e gli stivali carmini dai lacci d'oro, affibbiandosi in vita la grande cintura di cuoio bianco con decorazioni dorate da cui pendeva la spada cesellata in oro che suo padre aveva brandito in battaglia quando aveva la sua stessa età. L'elmo dorato di Kelson brillava come un brunito raggio di sole, con un cerchietto d'oro cosparso di gemme fissato alla visiera e con una piuma carminia che ondeggiava sulla
sua sommità. Le spalle erano avvolte in un manto scarlatto, alle mani portava guanti della stessa tinta; il suo bianco cavallo da battaglia caracollò e inarcò il collo quando Kelson tirò le redini di cuoio scarlatto. Accanto a lui, cavalcavano i nobili del suo seguito: Morgan, Duncan, Cardiel e Arilan, Nigel e suo figlio Conall, i luogotenenti di Morgan e molti altri. Con questo schieramento lasciarono Coroth quel pomeriggio... lo stesso schieramento con cui avrebbero ingaggiato battaglia contro Wencit, entro pochi giorni. Per ora, tuttavia, era sufficiente per loro aver ritrovato l'unione ed essere nuovamente in marcia, diretti a incontrarsi con altre truppe fedeli e rassicurati dalla convinzione di aver conseguito una vittoria, quanto meno morale, fra le mura di Coroth. Sarebbero venuti giorni più splendenti per Kelson, Re di Gwynedd, ma c'era da dubitare che qualsiasi altro sarebbe stato da lui ricordato con altrettanto affetto in futuro, perché il giorno in cui lasciò Coroth segnò per Kelson la sua prima vera vittoria militare, nonostante non fosse stata alzata neppure una spada. E il morale sarebbe stato ancora alto quando avessero raggiunto le porte di Dhassa, due giorni più tardi. CAPITOLO DICIOTTESIMO Anche il mio consigliere di cui mi fidavo, che mangia il mio pane, ha alzato contro di me il calcagno. Salmi 41:9 Giunsero a Dhassa come programmato e vi rimasero per una notte e un giorno, approntando i piani finali per la campagna contro Cardosa, senza però che dal fronte giungessero notizie. Da quasi una settimana non si sapeva più nulla degli eserciti del nord... anzi, non si sapeva nulla di quanto accadeva a nord e ad est di Dhassa... e la preoccupazione andava aumentando di ora in ora. Adesso che le truppe di Gwynedd erano di nuovo unite, l'esito della guerra imminente cominciava ad apparire più promettente, almeno per quanto riguardava la quantità di uomini a disposizione, ma il prolungato silenzio nel nord faceva presagire male per i giorni a venire, e Morgan in particolare era assai preoccupato per non essere riuscito a ristabilire la comunicazione con Derry... e non certo per mancanza di sforzi da parte sua.
La notte precedente, come già in molte altre occasioni dopo quell'ultimo, fugace contatto ottenuto la notte della riconciliazione, Morgan e Duncan avevano unito le loro forze e tentato di contattare Derry attraverso l'incantesimo del medaglione, che in passato si era rivelato spesso assai utile. I loro sforzi erano però stati vani. Morgan aveva avuto la certezza di poter almeno determinare dove Derry si trovasse, specialmente ora che la distanza fra loro era relativamente scarsa, ma non aveva trovato traccia del giovane nobile; anche estendendo i propri poteri fino al limite massimo della sua tolleranza, non era riuscito comunque a stabilire il minimo contatto ed aveva quindi dovuto concludere, sia pure con riluttanza, che Derry doveva o essere morto oppure trovarsi nella morsa di un potere così mostruoso da impedirgli di percepire la chiamata di Morgan o di essere da lui contattato. Morgan temeva che l'ipotesi più esatta fosse la prima, e questa fu una doccia fredda per lui, soprattutto dopo le esaltanti vittorie della settimana precedente. La notte della vigilia della partenza delle truppe alla volta di Cardosa, le candele rimasero accese fino a tardi nel Palazzo Vescovile di Dhassa. Il Vescovo Cardiel aveva gentilmente messo a disposizione la grande Camera della Curia come luogo di riunione, in modo che Kelson, i suoi generali e i suoi consiglieri militari potessero avere un ambiente adatto per lavorare. Fuori delle mura cittadine e al di là del lago, nella valle, i soldati di Gwynedd dormivano accanto a migliaia di fuochi da campo, mentre i loro capi ultimavano i piani di battaglia. Il consiglio di guerra era in riunione. Nella camera della Curia, i piatti e le stoviglie della cena erano stati rimossi già da parecchie ore, per essere sostituiti da mappe, carte e testi di strategia militare... gli strumenti di lavoro dei generali. In mezzo al rombo soffocato di una cinquantina di voci brusche, la parte intellettuale della conduzione di una guerra proseguiva incessante, mentre segnalini a colori vivaci venivano spostati su mappe colorate, e dita segnate da cicatrici si protendevano per indicare le varie posizioni. Un'ora prima i servi avevano portato un leggero spuntino a base di frutta e di formaggi, e qualcuno dei presenti ne aveva approfittato con distrazione... a questo punto, però, nessuno era particolarmente interessato al cibo, e anche se i boccali di vino erano sparsi in abbondanza sui tavoli e venivano sollevati di tanto in tanto alle labbra, l'atmosfera era nel complesso decisamente sobria. Generali ed esperti di strategia lavoravano fianco a fianco con i principi della Chiesa che, a volte, avanzavano suggerimenti di un'originalità sorprendente, per quanto sostenessero di essere del tutto i-
gnoranti di cose secolari; perfino gli ufficiali di grado minore della cavalleria e della fanteria venivano interrogati perché fornissero il loro parere specializzato, quando se ne presentava la necessità, e la grande sala echeggiava di continuo per il battere dei tacchi rinforzati in acciaio sul pavimento di marmo e per i tonfi sordi prodotti dalle armi che, nel fodero, urtavano contro il mobilio, durante il costante andirivieni di uomini. Quella notte, il re aveva deciso di tenersi in disparte. Vestito con una semplicissima tunica carminia, con la testa corvina priva di qualsiasi ornamento regale, Kelson aveva trascorso la maggior parte della serata gironzolando fra il clero e i nobili di minor rango della sua corte, nel tentativo di placare il nervosismo generale. Affidate tutte le decisioni, tranne quelle più critiche, alle mani capaci di Morgan, di Nigel e degli altri generali, Kelson si era tenuto di proposito ai margini delle discussioni, impegnandosi soprattutto a rassicurare quei nobili che avevano ben poco da offrire, a parte la loro buona volontà. Quando si rendeva necessario, Kelson sospendeva quello che stava facendo e raggiungeva i generali per discutere qualche importante questione strategica o per prendere una decisione che spettava soltanto a lui, ma era abbastanza furbo da rendersi conto che, in linea di massima, i generali e i consiglieri militari di cui disponeva ne sapevano molto più di lui in fatto di guerra e di tattica bellica, anche se lui era il figlio di Brion. Ora come ora, sembrava che l'unica cosa utile che poteva fare era stare tranquillo e non offendere nessuno, perché senza il sostegno di ogni singolo uomo dell'esercito regio, non avrebbero potuto sperare di resistere a Wencit di Torenth, nella settimana che stava per iniziare. Kelson non era solo nei suoi sforzi di placare i contrasti e di seminare pace fra i nobili di Gwynedd. Dall'altra parte della stanza, Morgan e il vescovo Conlan stavano discutendo con tre baroni occidentali, vassalli dello stesso Morgan, che si erano uniti a loro a Coroth, e parecchi nobili più giovani, fra cui il figlio di Nigel, Conall, stavano ascoltando e osservando con occhi sgranati. Anche Nigel aveva partecipato alla discussione, fino a poco prima, ma adesso era tornato al tavolo principale per dirimere una piccola disputa fra Warin e il Conte di Danoc. Kelson pensò che soltanto Duncan non sembrava coinvolto nell'apparente confusione di quella notte, notando il prete che guardava con aria malinconica fuori della finestra. Duncan si era tenuto in disparte per la maggior parte della serata, adducendo come scusa il fatto di non essere esperto in questioni militari più di quanto lo fosse lo stesso Kelson, ma il giovane so-
vrano sapeva che Duncan era un abile spadaccino e che di certo doveva aver appreso le nozioni fondamentali di strategia militare quando era ancora molto giovane, prima di sentire la vocazione sacerdotale. Mentre altri due vescovi gli si accostavano per sottoporgli un nuovo problema, Kelson si chiese distrattamente cosa stesse tormentando Duncan, dato che non era tipico del carattere del prete rimanere appartato in quel modo. Duncan sospirò e si appoggiò stancamente al davanzale, riassestando con un gesto inconscio il plaid che gli stava scivolando da una spalla; i suoi occhi azzurri scrutarono con espressione velata l'oscurità che ammantava le montagne ad est di Dhassa, e le dita sottili e prive di anelli presero a tamburellare con irrequietezza contro la pietra del davanzale. Se anche qualcuno glielo avesse chiesto, Duncan non avrebbe saputo spiegare perché quella notte era tanto pensieroso. Certamente, le incessanti discussioni cominciavano a logorare i nervi di tutti, e la tensione andava aumentando di ora in ora, a mano a mano che si avvicinava il momento della partenza, ma il prete era preoccupato anche per Derry, e soprattutto per l'ansia che Morgan nutriva nei confronti del giovane nobile scomparso. Se davvero a Derry era accaduto qualcosa di male, Duncan sapeva che la sua morte non sarebbe stata soltanto una grave perdita per Gwynedd, ma avrebbe anche avuto un profondo e deleterio effetto su Morgan perché Derry, nonostante il suo temperamento irruente e a volte rissoso, era riuscito a stabilire con Morgan un rapporto concesso a pochi umani. Se Derry era morto in conseguenza dell'ordine impartitogli da Morgan di andare «a spiare»... per quanto l'idea fosse partita inizialmente da Kelson... Duncan sapeva che sarebbe dovuto trascorrere molto tempo perché il cugino riuscisse a dimenticare. Oltre a questo, rimaneva poi sempre presente l'angoscia personale di Duncan, derivante dai voti sacerdotali osservati e non osservati, un problema che non avrebbe trovato soluzione finché lui non fosse venuto a patti con la sua derynità. I lupi ulularono fra le lontane colline e Duncan lasciò vagare ancora una volta lo sguardo lungo le mura. Alcune torce si stavano avvicinando alle porte del palazzo, provenienti dal lago... una mezza dozzina di danzanti punti di luce trasportati da uomini a cavallo. Vide che la saracinesca veniva sollevata all'avvicinarsi dei cavalieri, poi un pugno di cavalli si ammassò nello stretto cortile sottostante. Uno dei cavalieri... un paggio o uno scudiero, a giudicare dal suo aspetto... si teneva basso sul collo della sua cavalcatura, e la testa gli dondolò da un lato in maniera allarmante quando
l'animale si arrestò bruscamente. A causa della distanza era difficile stabilirlo con certezza, ma il cavallo del ragazzo sembrava azzoppato e sfiancato. Altre torce brillarono nel buio all'avvicinarsi degli stallieri, e quando uno di essi afferrò le briglie del cavallo barcollante, la povera bestia crollò in ginocchio, sbalzando di sella il cavaliere, che si accasciò a terra. Lo sfortunato ragazzo si rialzò a fatica e si appoggiò ad una delle guardie, poi sollevò per un istante lo sguardo in direzione della finestra a cui si trovava Duncan, prima di avviarsi verso le scale sorreggendosi al braccio del soldato. Duncan serrò le mani intorno a davanzale e sussultò, seguendo automaticamente con lo sguardo il cavaliere mentre questi scompariva su per le scale: aveva riconosciuto la tunica indossata dal ragazzo, perché la livrea di seta azzurra dei McLain era un'immagine per lui familiare fin dall'infanzia, come anche il leone dormiente raffigurato in grigio argento sul petto della livrea. La tunica del ragazzo era però lacera e sporca, chiazzata di un marrone troppo rossastro per essere fango, e lo stemma del leone era quasi cancellato da un grande strappo che andava dalla gola alla cintura. Cosa poteva essere accaduto? Il ragazzo aveva portato notizie delle truppe del Duca Jared? Il bagliore di una lama che eliminava il cavallo azzoppato strappò Duncan dalle sue stordite riflessioni, riportandolo di colpo alla realtà. Certo che il ragazzo sarebbe subito stato condotto da Kelson, Duncan accennò a girarsi per cercare Morgan e il re, e in quel momento le grandi porte si spalancarono per lasciar passare una guardia e un paggio che poteva avere nove o dieci anni, sporco e con i biondi capelli arruffati. I laceri brandelli di quanto rimaneva della livrea dei McLain gli pendevano dalle spalle e le chiazze di cui erano cosparsi avevano, come Duncan aveva temuto, la cupa e rossastra tinta del sangue secco. Un grosso livido spiccava sotto l'occhio sinistro del ragazzo, e sul gomito sinistro c'era un brutto taglio incrostato di sangue, in aggiunta ad un assortimento di altri graffi e lividi. Gli occhi castani del paggio scrutarono ansiosamente la stanza mentre lui oltrepassava la soglia, barcollando in maniera tale che sarebbe caduto, se il suo accompagnatore non lo avesse afferrato per il braccio illeso, sostenendo la maggior parte del suo peso. — Dov'è il re? — annaspò il ragazzo, vacillando contro l'uomo che lo sorreggeva e lottando per mantenere a fuoco la vista. — Ho notizie urgenti di... sire!
In quell'istante il paggio individuò Kelson, che aveva cominciato a farsi largo per raggiungerlo non appena il ragazzo aveva aperto bocca, e accennò a inginocchiarsi, protendendo una mano sporca, finendo però poi per accasciarsi con un sussulto di dolore. La guardia lo adagiò a terra e Kelson gli si inginocchiò accanto quasi subito, mentre Morgan e Duncan si aprivano un varco fra i presenti e s'inginocchiavano a loro volta ai due lati del ragazzo. I quattro furono ben presto circondati da una moltitudine di nobili apprensivi e stupefatti. — È svenuto per lo sfinimento — spiegò Morgan, senza rivolgersi a nessuno in particolare; il generale aveva sistemato la testa del paggio contro il proprio ginocchio, ed ora gli sfiorò la fronte con una mano, scuotendo il capo. — Ed ha anche la febbre, a causa delle ferite. — Conall, porta un po' di vino — ordinò Kelson. — Padre Duncan, il ragazzo indossa la livrea di tuo padre. Lo conosci? — Se mai l'ho incontrato in passato, non me ne ricordo, sire — replicò Duncan, pallidissimo, scuotendo il capo. — L'ho visto arrivare, però, e so che ha ucciso almeno un cavallo per raggiungere Dhassa. — Hmm — grugnì Morgan, tastando il corpo del paggio per controllare se vi fossero altre ferite o fratture. — Di certo deve aver passato dei momenti molto brutti... ehi, cos'è questo? Aveva avvertito uno strano rigonfiamento sotto la tunica del ragazzo, vicino al cuore, e un'ulteriore indagine portò alla luce un lacero panno di seta, piegato più volte; cercò quindi di aprire il panno, ma gli riuscì difficile, perché la seta era irrigidita dal sangue secco. Kelson si protese allora per afferrare l'altro bordo e, fra tutti e due, spiegarono infine quello che era ovviamente uno stendardo da battaglia. Nel centro del panno di seta spiccava un cuore rampante nero in un cerchio d'argento, e il resto della seta, là dove non era coperto di sangue e di fango, era di un rosso fiammante che tendeva all'arancione. Kelson emise un fischio soffocato e lasciò andare la seta, pulendosi inconsciamente le mani sui pantaloni in un gesto di disgusto. Non era necessario dire nulla, perché tutti nella sala conoscevano lo stemma di Torenth, il cuore rampante, e capivano cosa poteva implicare la presenza di quello stendardo. Nel profondo, sconvolto silenzio, Kelson riportò lo sguardo sul volto pallido del paggio svenuto, e in quel momento Conall tornò con il vino; Morgan gli prese la coppa e l'accostò alle labbra del ragazzo, che gemette quando il generale gli sollevò la testa, appoggiandosela contro il braccio sinistro.
— Avanti, bevi, giovanotto — mormorò Morgan, versando a forza un po' di vino fra i denti serrati del paggio; questi cercò di girare il capo da un lato, ma Morgan fu inflessibile. — No, bevi ancora un po'. Bravo ragazzo. Adesso apri gli occhi e cerca di dirci cosa è successo. Sua Maestà sta aspettando. Soffocando un singhiozzo, il paggio si costrinse a sollevare le palpebre e lasciò vagare lo sguardo da Morgan a Kelson, che gli si trovava di fronte, a Duncan, che lo scrutava ansiosamente dall'alto, prima di richiudere gli occhi per un attimo e di mordersi un labbro. Morgan restituì la coppa a Conall e passò con gentilezza una mano sulla fronte del paggio. — È tutto a posto, figliolo. Dicci cosa è successo, poi potrai riposare. Il ragazzo deglutì e si umettò le labbra prima di risollevare le palpebre, poi fissò Kelson, come se la presenza del suo sovrano fosse l'unica cosa che ancora gli permetteva di conservare l'anima attaccata al corpo. Anche per chi non possedeva la minima esperienza in fatto di medicina, fu chiaro che era sul punto di svenire di nuovo. — Sire — cominciò, debolmente, — siamo perduti. Terribile battaglia... traditore fra noi... l'esercito del Duca Jared, tutto... andato... La voce gli venne meno e gli occhi gli si rovesciarono all'indietro mentre l'incoscienza tornava ad assalirlo. Morgan gli controllò il polso con ansia, poi guardò verso Kelson con espressione cupa. — Non sembra aver subito ferite gravi... soltanto qualche taglio e qualche livido, nonostante tutto il sangue che ha sui vestiti. Ma è troppo sfinito per poter essere fatto rinvenire ancora. Magari, fra qualche ora... Morgan lasciò a mezzo la frase e fissò Kelson, che però scosse il capo. — Non va, Alaric, non possiamo aspettare tanto. Una battaglia, un «traditore» fra noi, l'esercito del Duca Jared «andato»... Dobbiamo scoprire cosa è successo. — Costringendolo a tornare ancora in sé potrei ucciderlo. — Allora è un rischio che dovremo correre. Morgan lanciò un'occhiata alla faccia del ragazzo, prima di riportare lo sguardo su Kelson. — Lascia che tenti in un altro modo, mio principe. Si tratta di un metodo che non è esente da pericoli, ma... I suoi occhi scrutarono quelli di Kelson per parecchi secondi, e alla fine il giovane sovrano annuì leggermente. — Puoi agire qui con un ragionevole margine di sicurezza? — chiese Kelson, riferendosi tanto alla sicurezza di Morgan quanto a quella del pag-
gio. — Tu hai bisogno delle informazioni, mio principe — replicò Morgan, distogliendo lo sguardo, — e i tuoi nobili mi dovranno comunque vedere in azione, prima o poi. Credo che non ci rimangano molte alternative. — Allora procedi — sussurrò Kelson, sollevandosi sulle ginocchia e scrutando Morgan con fermezza. — Signori, vi prego di indietreggiare e di dare a Sua Grazia lo spazio di cui ha bisogno per agire. È indispensabile conoscere le informazioni di cui questo ragazzo è in possesso, e soltanto il talento di Lord Alaric ci permetterà di venirne a conoscenza senza mettere a repentaglio una vita innocente. Nessuno di voi correrà il minimo pericolo. Dai nobili e dal clero si levò un coro di mormorii costernati, e parecchi si avviarono di soppiatto verso la porta, arrestandosi soltanto quando lo sguardo tagliente di Kelson si posò su ciascuno di essi, inchiodandolo al suo posto. Coloro che si trovavano più vicino al gruppo indietreggiarono un poco, finché soltanto Duncan e lo stesso Kelson rimasero in ginocchio accanto a Morgan e al paggio svenuto. Quando poi Morgan cambiò posizione, mettendosi a sedere e prendendo in grembo il ragazzo, ogni mormorio cessò e sulla sala scese il silenzio perché, salvo pochissime eccezioni, questa sarebbe stata per tutti la prima occasione in cui avrebbero visto un Deryni usare i suoi poteri. Morgan sollevò lo sguardo sui presenti, osservando i loro volti timorosi e, in alcuni casi, ostili. Mai il giovane Deryni era apparso così umano, così vulnerabile come ora, seduto per terra con un bambino fra le braccia; mai i suoi occhi grigi avevano assunto un'espressione così pacata in presenza di potenziali nemici. Era però necessario un atto di fiducia. Questo non era il momento di lasciar affiorare antiche ostilità, di permettere ad antiche paure di insorgere accanto alla fiducia che bisognava generare... questo doveva essere un momento di apertura, di nuda verità, perché era indispensabile convincere quegli uomini, una volta per tutte, che gli spaventosi poteri dei Deryni potevano essere usati per arrecare del bene. Moltissimo dipendeva da ciò che sarebbe accaduto nei prossimi minuti, e non dovevano esserci errori. Morgan si concesse un sorriso infinitesimale, mentre studiava ciò che avrebbe dovuto dire. — Comprendo la vostra apprensione e i vostri timori, signori — mormorò quindi. — Avrete sentito molte voci relative ai miei poteri e ai poteri del mio popolo, ed è naturale che inizialmente abbiate paura di ciò che non
capite. «Ciò che fra poco vedrete e sentirete vi sembrerà senza dubbio molto strano, ma l'ignoto sembra sempre strano prima di diventare familiare. — S'interruppe per un istante, poi aggiunse: — Neppure io posso prevedere con certezza ciò che accadrà nei prossimi minuti, perché non ho idea di quello che è successo a questo ragazzo. Vi chiedo soltanto di non interferire, qualsiasi cosa accada, e di guardare e ascoltare in silenzio, perché il procedimento comporta per me alcuni rischi. Mentre riabbassava lo sguardo sul ragazzo, fra gli astanti passò un mormorio lieve come un sospiro, seguito dal silenzio più assoluto. Morgan lisciò con gentilezza i capelli chiari del ragazzo, poi sistemò la mano sinistra in modo che il sigillo con il grifone si venisse a trovare accanto al mento del paggio; rivolta un'ultima occhiata a Duncan e a Kelson, fissò quindi il grifone e compì uno sforzo per rilassarsi, respirando a fondo, come aveva imparato a fare da molto tempo per attivare la trance di Thuryn. A poco a poco, il capo gli si chinò, gli occhi si chiusero e il respiro gli divenne lento e pacato. Il ragazzo si agitò una volta sotto la sua mano, poi giacque immobile. — Sangue. Fu Morgan a sussurrare quella parola, ma nella sua voce filtrò qualcosa di alieno che destò un senso di gelo fra i nobili che osservavano la scena. — Tanto sangue — mormorò ancora Morgan, ora a voce più alta. — Sangue dappertutto. — Sollevò leggermente la testa, anche se gli occhi rimasero chiusi. Duncan scoccò un'occhiata penetrante a Kelson, poi si accostò al cugino, scrutando il suo viso familiare che aveva assunto ora un'espressione strana; il prete cominciava a sospettare ciò che Morgan stava tentando di fare e, per quanto ne comprendesse la tecnica e ne conoscesse la meccanica, quel pensiero lo raggelò. Si umettò nervosamente le labbra, senza distogliere lo sguardo dal viso teso di Morgan. — Chi sei? — chiese, a bassa voce. — Oh, mio Dio, chi arriva? — rispose la voce di Morgan, come se questi non avesse sentito la domanda, e da essa trapelò una nota infantile, proprio come Duncan aveva sospettato. — Oh, è soltanto Lord Jared con i suoi buoni alleati, il Conte di Marley e i suoi amici... «Ragazzo, servi del vino al signore di Marley. Bran Coris è venuto a portarci rinforzi. Servi il vino, ragazzo. Mostra il tuo rispetto per il Conte di Marley!» Morgan s'interruppe, poi riprese a parlare in tono più basso e cupo, tanto
che i presenti dovettero avvicinarsi per cogliere ciò che diceva. — Le truppe di Bran Coris si uniscono alle nostre. Le bandiere azzurre di Marley si uniscono e si mescolano ai leoni dormienti di Cassan, e tutto va bene. «Ma, aspetta! I soldati di Bran Coris snudano la spada! Morgan aprì gli occhi di scatto, ma continuò a parlare, e la sua voce divenne più acuta, quasi prossima a spezzarsi per la tensione. — No! Non un tradimento! Non può essere! Gli uomini di Bran Coris hanno lo stemma del cuore di Furstan nascosto sotto le coperture degli scudi! Uccidono gli uomini del duca! Seminano la strage fra i ranghi di Cassan! «Milord! Lord McLain! Fuggi se ti è cara la vita! Gli uomini di Marley ci assalgono a tradimento! Fuggi, oh, fuggi milord! Siamo perduti! Oh, milord, siamo perduti! Con un grido d'angoscia, Morgan riabbassò bruscamente la testa sul petto, e violenti singhiozzi gli scossero tutto il corpo. Kelson accennò a protendere una mano per toccarlo, ma Duncan si accigliò e scosse il capo. Entrambi rimasero a guardare, tesi, mentre i singhiozzi di Morgan infine si placavano e lui tornava ad alzare il capo. I suoi occhi grigi erano vacui e tesi, le guance stranamente umide, la sua espressione era quella di un uomo che avesse appena visto l'Inferno. Fissò gli altri senza vederli, per parecchi secondi, poi riprese a parlare: — Vedo il mio signore, il duca, cadere sotto un colpo di spada — sussurrò, in tono spento, e Duncan frenò a stento un sussulto angosciato. — Non so se è morto. Cado da cavallo e per poco non finisco calpestato, ma sfuggo all'attenzione e mi fingo morto. — Morgan rabbrividì e represse un altro singhiozzo. — Rotolo sotto il corpo di un cavaliere morto, il suo sangue mi ricopre, ma così nessuno mi vede. Presto la battaglia finisce, ma neppure adesso trovo sicurezza. Gli uomini di Marley raccolgono i prigionieri, e alcuni gruppi di Torenthiani eliminano i feriti più gravi. Nessuno lascia vivo quel campo di morte, se non in catene. «Quando tutto è silenzio, striscio fuori da sotto il corpo del cavaliere morto e mi alzo in piedi barcollando. Comincio a sussurrare una preghiera per l'anima del cavaliere, perché mi ha salvato involontariamente dai nemici. — La faccia di Morgan si contrasse e lui serrò nella destra la bandiera di seta che giaceva sul petto del ragazzo. — Ma poi vedo la bandiera con il cuore nero nelle mani del cavaliere morto, le aquile azzurre di Marley sul cuoio della sua sopravveste. — Soffocò un singhiozzo. — Prendo
la bandiera come prova di ciò che ho visto, e mi allontano barcollando nella notte. Due... no, tre cavalli muoiono per lo sfinimento prima che arrivi alle porte di Dhassa con le mie notizie. Gli occhi di Morgan divennero leggermente vitrei, inducendo Duncan a pensare che il cugino stesse per emergere dalla trance, ma poi la voce sconosciuta riprese a parlare, e le labbra di Morgan si piegarono in un sorriso teso, strano. — Però ho compiuto la mia missione. Il re sa del tradimento di Bran Coris. Anche se il mio signore Lord Jared giace morto, il nostro sovrano lo vendicherà. Dio salvi... il re... Con quelle parole, Morgan accasciò di nuovo la testa sul petto, e questa volta Duncan permise a Kelson di appoggiare una mano tremante sul braccio del generale. Dopo qualche secondo, le spalle tese si rilassarono e Morgan esalò un profondo sospiro, piegando le dita della destra intorno alla seta che ancora stringeva in pugno e riaprendo gli occhi. Fissò per un lungo momento la forma immobile del ragazzo che aveva fra le braccia, ricordando l'orrore che aveva condiviso con lui, poi lasciò andare lo stendardo di seta e posò la mano destra sulla fronte del paggio. I suoi occhi grigi si chiusero per un attimo, si riaprirono, e infine Morgan si raddrizzò e incontrò lo sguardo di Kelson; le guance del giovane generale erano ancora umide e lucenti per le lacrime versate insieme al paggio, ma lui non tentò in nessun modo di asciugarle. — Ha portato un pesante fardello per te, mio principe — dichiarò Morgan, in tono quieto. — E non accolgo certo con piacere le notizie che ci ha recato. — Nessuno può accogliere con piacere la notizia di un tradimento — mormorò Kelson, il cui sguardo era remoto e velato. — Stai bene? — Sono soltanto un po' stanco, sire. Duncan, mi dispiace per tuo padre, e vorrei che il ragazzo avesse potuto vedere che ne è stato di lui. — Sono il solo figlio che gli rimanga — sussurrò Duncan, in tono spento. — Avrei dovuto essere là con lui, al suo fianco. Stava diventando troppo vecchio per comandare un esercito. Morgan annuì, sapendo come dovesse sentirsi il cugino, poi rivolse lo sguardo in direzione dei vescovi e dei nobili raccolti tutt'intorno. Due scudieri vennero a prelevare il paggio per portarlo dove potesse riposare, ma evitarono di guardare Morgan nel togliergli il ragazzo dalle braccia. Il generale deryni si alzò in piedi, appoggiandosi alla spalla di Kelson, e scrutò con freddezza la sala rischiarata dalle torce: i suoi occhi apparvero scuri,
quasi completamente occupati dalla pupilla, all'incerto chiarore delle torce... due cupe polle di potere e di mistero, anche se il corpo a cui appartenevano era esausto. Con sua sorpresa, tuttavia, gli uomini sfiorati dal suo sguardo non si ritrassero dinanzi ad esso. I vescovi strisciarono i piedi, contorsero il saio purpureo con dita nervose, ma non indietreggiarono, ed anche generali e capitani fissarono Morgan con una nuova espressione di riluttante rispetto, timorosi ma finalmente fiduciosi. Nel complesso, nella sala non c'era un solo individuo che non si sarebbe subito inginocchiato davanti a Morgan, se gli fosse stato chiesto di farlo... nonostante il Re di Gwynedd fosse presente nella stanza. Soltanto Kelson, intento a spolverarsi le ginocchia dei calzoni con gesti studiatamente noncuranti, parve rimanere insensibile alla meraviglia destata dalla manifestazione di magia a cui avevano appena assistito, ed i suoi modi non espressero stupore ma piuttosto ira e un pizzico di rassegnazione quando lui si scostò da Morgan per scrutare la corte in attesa. — Come avrete supposto, signori, la notizia della defezione di Bran Coris mi ha profondamente sconvolto ed ha destato la mia ira. E la perdita del Duca Jared verrà avvertita da noi tutti per molti anni a venire — aggiunse, lanciando un'occhiata comprensiva a Duncan, che chinò il capo. — Credo però che non ci siano dubbi su ciò che è necessario fare adesso — proseguì il re. — Il Conte di Marley sì è alleato con il nostro nemico, schierandosi contro la sua gente, e per questo sarà punito. — Ma gual è la sua gente, sire? — sussurrò il Vescovo Tolliver. — Cosa siamo noi, se non un miscuglio di umani, di Deryni e di individui che sono per metà una cosa e per metà l'altra? Dov'è la linea di demarcazione? Chi è dalla parte della giustizia? — Chi serve la giustizia — replicò Cardiel in tono sommesso, girandosi per fronteggiare i colleglli, — che sia umano o Deryni o metà di entrambe le cose. Non è il sangue che un uomo ha nelle vene a renderlo buono o malvagio, ma ciò che si trova nella sua anima. — Ma noi siamo così diversi... — azzardò Tolliver, lanciando a Morgan un'occhiata colma di reverenziale timore. — Non ha importanza — insistette Cardiel. — Umani o Deryni, noi tutti condividiamo almeno un vincolo comune, che è più forte di quello del sangue, o di un giuramento, o di un incantesimo che tragga forza dall'oscurità, e che è costituito dall'assoluta consapevolezza di essere dalla parte della Luce. E chi si schiera con l'Oscurità può soltanto essere nostro nemi-
co, indipendentemente dal suo sangue o da qualsiasi giuramento o incantesimo. Gli altri vescovi, con l'eccezione di Arilan, si scambiarono tacite occhiate e non replicarono; dopo aver scrutato il volto di ognuno, Cardiel tornò a voltarsi verso Kelson e s'inchinò. — Io e i miei confratelli ti assisteremo in ogni modo possibile, sire. La notizia relativa a Bran Coris modificherà il tuo progetto di partire all'alba? Kelson scosse il capo, grato per l'intervento del vescovo. — Credo di no, Eccellenza. Suggerisco quindi che voi tutti cerchiate di dormire un poco e provvediate subito agli accordi per gli approvvigionamenti. Nei giorni a venire avrò bisogno dell'aiuto di ciascuno di voi. — Ma noi non siamo uomini d'armi, sire — protestò debolmente il vecchio Vescovo Carsten. — Quale utilità possiamo mai... — Allora pregate per me, Eccellenza. Pregate per tutti noi. Carsten aprì la bocca, poi la richiuse in silenzio, simile ad un pesce. Infine s'inchinò e indietreggiò verso il resto dei suoi colleghi. Dopo una pausa, coloro che si trovavano alla periferia del gruppo cominciarono ad avviarsi per uscire dalla stanza, mentre Nigel e i suoi colleghi tornavano alle loro mappe e riprendevano la discussione interrotta, per quanto in tono molto più sommesso. Kelson vide Morgan accompagnare Duncan verso un sedile incassato in una finestra e parlare con lui per parecchi minuti, prima di rivolgere nuovamente la propria attenzione al consiglio di guerra. Ci fu un ticchettare di indicatori spostati, un alzarsi e abbassarsi del tono della conversazione dovuto alla tensione derivante dalle modifiche apportate ai piani, e dopo un po' Kelson si staccò dai suoi consiglieri militari e si accostò con passo lento ad uno dei focolari, dove fu ben presto raggiunto da Morgan, che aveva notato la sua assenza dal gruppo, anche se essa era passata inosservata agli altri. — Spero che non intenderai sostenere che la defezione di Bran è stata colpa tua — affermò Morgan, a bassa voce. — Ho appena ascoltato Duncan spiegarmi come tutto questo si sarebbe potuto evitare se lui si fosse trovato a Rengarth con l'esercito di suo padre. Kelson abbassò lo sguardo, studiando le decorazioni della sua ampia cintura di cuoio. — No — rispose, poi fece una pausa. — La moglie e l'erede di Bran sono qui a Dhassa. Lo sapevi? — Non mi sorprende. Sono venuti qui in cerca di rifugio? — Suppongo di sì — replicò Kelson, scrollando le spalle. — Ci sono pa-
recchie dorme e bambini che si sono trasferiti qui. Bran possiede un maniero non molto lontano, ma a quanto pare ha deciso che Dhassa sarebbe stata un luogo più sicuro per la sua famiglia. Non credo che si aspettasse la piega che poi hanno preso le cose, o almeno vorrei pensare che non se la aspettasse. — Non ritengo che la defezione di Bran sia stata premeditata — affermò Morgan. — Nessun uomo manderebbe deliberatamente la moglie e il suo erede dove sa che diventeranno ostaggi, se potesse evitarlo. — Ma il potenziale per il tradimento era presente... doveva esserci — mormorò Kelson. — Ed io avrei dovuto notarlo. Noi tutti sapevamo che Bran nutriva profondi sentimenti di odio, e non avrei mai dovuto mandarlo così vicino al fronte. — Mi pareva di aver capito che non ti saresti biasimato — osservò Morgan, con un leggero sorriso. — Se ti può consolare, anch'io avrei agito come te... e come te avrei sbagliato. Non si può agire sempre nel modo giusto. — Io avrei dovuto saperlo — ripeté cocciutamente Kelson. — Era mio compito saperlo. Morgan annuì e lanciò un'occhiata distratta in direzione del consiglio di guerra, desiderando di poter cambiare argomento. — Hai accennato ad un erede... credi che ci causerà qualche problema? — Il giovane Brendan? — sbuffò Kelson, con un sorriso sardonico. — Non lo credo proprio. Ha soltanto tre o quattro armi. — Poi tornò serio, fissando le fiamme nel camino, dinanzi a sé. — Mi sgomenta però l'idea di informare la contessa. Secondo le mie informazioni, lei e la sua famiglia sono sempre stati profondamente devoti alla Corona, e non sarà facile dirle che suo marito è un traditore. — Vuoi che ti accompagni? — No — rifiutò Kelson, scuotendo il capo, — è un compito che spetta a me. La tua presenza è necessaria qui, con i generali, e poi ho una certa esperienza su come trattare una donna isterica. Mia madre era molto abile in questo genere di cose, lo sai. Morgan sorrise nel ricordare la Regina Jehana, ora in ritiro presso un monastero nel cuore di Gwynedd per tentare di venire a patti con la sua anima deryni. Sì, Kelson aveva una notevole esperienza in fatto di donne sconvolte, e Morgan non dubitò che il suo giovane sovrano potesse affrontare la situazione in maniera ammirevole... e da solo. — Molto bene, mio principe — convenne Morgan, con un lieve inchino.
— Nigel ed io provvederemo a concludere la riunione entro la prossima ora, per poi mandare tutti a riposare. Se dovesse rendersi necessaria la tua presenza, ti invierò un messaggio presso il tuo alloggio. Kelson annuì, lieto di avere l'opportunità di sgusciare via dalla sala senza ulteriori discussioni, e girò sui tacchi per andarsene; mentre lui usciva, Duncan si mosse dal sedile su cui ancora si trovava, lanciò un'occhiata in direzione di Morgan e attraversò la stanza, lasciandola dalla stessa porta usata da Kelson ma prendendo la direzione opposta. Morgan lo seguì con lo sguardo, consapevole che in quel momento il cugino aveva bisogno di rimanere un po' solo, poi si accostò nuovamente al tavolo con le mappe e si fece largo fra i presenti fino a raggiungere una posizione da cui potesse vedere e sentire ciò che succedeva. Gli aiutanti di campo avevano piazzato altri indicatori per rappresentare l'alleanza di Bran Coris con Wencit di Torenth, e adesso la pianura fra Dhassa e Cardosa spiccava vuota sulle carte, non più occupata dall'esercito di Jared. Più lontano, a nord, indicatori di un acceso colore arancione mostravano l'area in cui le forze del Duca Ewan erano schierate lungo il tratto più lontano della frontiera; quelle truppe erano però relativamente poco numerose e non si poteva dare per certa la loro posizione. In considerazione delle notizie apprese durante l'ultima ora, infatti, era possibile che perfino l'esercito di Ewan avesse già cessato di esistere e che l'armata reale raccolta a Dhassa fosse ora l'unica barriera fra Wencit e il resto di Gwynedd. — Dunque, adesso sappiamo per certo che Jared è stato sconfitto a Sud di Cardosa, in un punto imprecisato della piana di Rengarth — stava dicendo Nigel. — Ignoriamo ancora quanti uomini Wencit abbia a sua disposizione, ma stando alle ultime informazioni, gli effettivi di Bran si dovrebbero aggirare intorno ai 3500 uomini. Per quanto ne sappiamo, Coris è ancora accampato qui. — Nigel indicò il limitare orientale della pianura che arrivava all'imboccatura del Passo di Cardosa. — I nostri eserciti congiunti contano circa 12.000 uomini. Con un giorno di marcia forzata potremo aggirare l'estremità della Catena di Coamer e trovarci in posizione davanti al passo entro domani al tramonto. Una volta raggiunta quella posizione, però, ciascuno di noi dovrà difendere l'area a lui assegnata a qualsiasi costo... e non sappiamo quanti uomini Wencit abbia aggiunto alle forze di Bran. Ci furono alcuni grugniti di assenso. — Molto bene. Elas, mi aspetto che tu e il Generale Remie teniate il fianco sinistro, qui. Godwin, tu e Mortimer vi schiererete...
Nigel procedette ad illustrare le responsabilità di ciascun generale nell'ambito della marcia dell'indomani e dello schieramento di battaglia, e Morgan si trasse in disparte per osservare le reazioni dei presenti. Poco dopo, uno degli aiutanti di campo di Nigel si accostò al tavolo per consegnare al principe un fascio di dispacci, ma Morgan lo intercettò e prese a sfogliare personalmente i messaggi, per evitare che Nigel venisse disturbato. Dai sigilli, era evidente che per lo più si trattava di comunicazioni di routine, e in quei casi Morgan si limitò ad una lettura superficiale. C'era però una sporca busta marrone con il sigillo giallo di cui era impossibile stabilire la natura e la provenienza. Con una lieve smorfia d'irritazione, Morgan ruppe il sigillo ed apri la lettera, soffocando subito dopo un sussulto di stupore quando cominciò a leggerne il contenuto. Un momento più tardi si aprì a forza un varco fino a Nigel e gli strinse una spalla con eccitazione, attirando così la sua attenzione. — Chiedo scusa, Nigel, ma ho qui una buona notizia. Signori, ho in mano un dispaccio del Generale Gloddruth che, come la maggior parte di voi saprà, si trovava con il Duca Jared a Ren... Un coro di esclamazioni d'incredulità e di stupore gli impedì di continuare, e Morgan fu costretto a picchiare sul tavolo con le nocche per ristabilire l'ordine: fu soltanto con evidente difficoltà che i presenti smisero di scambiarsi illazioni e ripresero ad ascoltarlo. — Gloddruth afferma che il Duca Jared non è stato ucciso, ma ferito e catturato insieme al Conte di Jenas, al Signore di Canlavay, ai Lord Lester, Harkness e Collier, e al Vescovo Richard di Nyford. Comunica inoltre di essere riuscito, insieme a Lord Burchard, ad allontanarsi dalla mischia con un centinaio di uomini, e ritiene che qualche altro centinaio possa essere sfuggito alla trappola, verso ovest. Quelle ultime parole provocarono un grido di entusiasmo, ma Morgan sollevò una mano per chiedere silenzio. — Queste sono ovviamente buone notizie, ma Gloddruth prosegue affermando di considerare la battaglia una completa sconfitta, in quanto è sua opinione che il sessanta per cento dell'esercito sia stato massacrato e che quasi tutto il rimanente sia stato preso prigioniero. Ci raggiungerà domani a Drellingham con i soldati che è riuscito a disimpegnare dallo scontro. — Cosa? — Che diavolo dici? — Morgan, dove...
— Che altro si dice nel dispaccio, Vostra Grazia? Morgan scosse il capo e cominciò ad indietreggiare verso la porta, tenendo la lettera in alto, dietro la propria testa. — Mi dispiace, signori, ma sapete già tutto quello che so io. Nigel, tornerò fra poco: Duncan e Kelson devono essere informati delle novità. Non riuscì a trovare Duncan; quanto a Kelson, in quel momento era occupato con una questione molto più imbarazzante, seppure meno urgente, degli eventi appena verificatisi nella camera del consiglio. Dopo aver lasciato il consiglio di guerra, Kelson si era messo alla ricerca dell'alloggio della Contessa Richenda, la moglie di Bran Coris; l'aveva infine localizzato al piano superiore dell'ala orientale del palazzo, ma ci era voluta quella che a lui era parsa un'eternità prima che i servitori della dama provvedessero a svegliare la loro signora, e Kelson aveva trascorso quel tempo attendendo, a disagio, nel salotto dell'appartamento, mentre alcuni servi assonnati provvedevano a riordinare l'ambiente e ad accendere una fila di candele su un alto candelabro. La luce della luna filtrava, bianca, da una finestra aperta che si affacciava ad oriente, ed avvolgeva la camera in un chiarore strano e spettrale che contribuì ad aumentare ancora di più il nervosismo di Kelson. Finalmente, la porta della stanza interna si aprì e la dama lo raggiunse, ma Kelson fu colto alla sprovvista dalla figura giovane e snella che avanzò con grazia e gli rivolse una riverenza, perché Lady Richenda non era per nulla come Kelson, conoscendo Bran Coris, se l'era immaginata. La dama aveva un viso delicato, a forma di cuore, incorniciato da una massa di capelli di un biondo ramato raccolti in un fazzoletto di pizzo e rischiarato da un paio di occhi di un cupo azzurro mare. Pur sapendo che quella donna era la moglie di Bran Coris e la madre del giovane erede di quest'ultimo, Kelson fece fatica a tenere a mente che la contessa doveva avere almeno una decina di anni più di lui e che non era invece una fanciulla appena uscita dall'adolescenza. Il suo abbigliamento, però, era austero per una donna tanto giovane... bianco su bianco, privo di ornamenti tranne il ricamo inserito nella stoffa... come se la contessa avesse già saputo prima ancora di entrare nella stanza la terribile notizia che il giovane re era venuto a portarle. Dopo aver congedato i servi, Lady Richenda ascoltò con calma, quasi senza mutare espressione, mentre Kelson la informava del tradimento di cui si era macchiato il marito, poi girò le spalle al sovrano e rimase a lungo ferma a
guardare fuori della finestra, con la snella figura bianca e oro delineata dalla luce della luna. — Devo chiamare una delle tue cameriere, signora? — domandò Kelson, a bassa voce, temendo uno svenimento o una crisi isterica, reazioni che aveva sentito dire fossero comuni fra le donne di nobile nascita. Richenda chinò il capo e lo scosse leggermente in un cenno di diniego... e quel gesto le fece cadere dai capelli ramati il fazzoletto di pizzo. Un anello d'oro su cui spiccava un pesante sigillo... l'anello di fidanzamento datole dal marito... le brillò sulla mano sinistra quando lei fece scorrere le dita sul davanzale, e Kelson ebbe per un attimo l'impressione di scorgere qualcosa di umido sulla pietra. Le mani della contessa cancellarono però la lacrima, se di una lacrima si era davvero trattato, senza tradire il minimo tremito mentre la donna abbassava lo sguardo su di esse, pur non vedendole. Richenda di Marley era la figlia di un nobile, allevata sulla base di ideali di dignità e di stoicismo di fronte agli eventi della vita, e Kelson trovò che gli ricordava leggermente sua madre. — Mi dispiace, milady — aggiunse infine il giovane sovrano, desiderando di poter dire qualcos'altro che lenisse il dolore della contessa. — Se... se questo potrà renderti più facile sopportare la tua angoscia, ti assicuro che per quanto mi concerne il tradimento di tuo marito non avrà ripercussioni su di te e su tuo figlio. Entrambi avrete la mia personale protezione finché... Un colpo secco risuonò contro la porta, seguito subito dopo dal suono della voce di Morgan. — Kelson? Nel sentire il proprio nome, Kelson si girò per avviarsi verso la porta, e questo gli impedì di notare l'effetto che la voce di Morgan aveva avuto sulla donna ferma alla finestra; non appena Morgan entrò, poi, Richenda impallidì e serrò con le mani il davanzale rischiarato dalla luna. Morgan abbozzò un inchino di circostanza in direzione della contessa, senza però guardarla effettivamente, perché era troppo concentrato sul messaggio che era venuto a comunicare a Kelson. Mentre lui e Kelson prendevano a parlare, Richenda li osservò con stupore, quasi non riuscisse a credere a quanto stava vedendo e udendo. — Perdona l'interruzione, mio principe — mormorò Morgan, chinando il capo per indicare la firma apposta sul messaggio che Kelson stava girando in modo da esporlo alla luce, — ma sapevo che ti avrebbe fatto piacere
vedere subito questo dispaccio. A quanto pare, il Duca Jared è prigioniero, ma vivo, e il Generale Gloddruth è riuscito a salvarsi con alcuni altri. Il consiglio è già stato informato. — Gloddruth! — sussurrò Kelson, accostandosi al candelabro e prendendo a leggere con ansia. — Ed anche Burchard! Chiedo scusa, milady, ma queste sono notizie importanti. Alle parole di Kelson, Morgan sollevò lo sguardo, ricordandosi soltanto allora che nella stanza c'era una terza persona; i suoi occhi fissarono quelli azzurri della contessa e dalle labbra per poco non gli sfuggì un sussulto. Per un fugace istante, gli riaffiorò alla mente un ricordo che risaliva alla primavera precedente... la strada di San Torin, una carrozza diretta a Dhassa bloccata dal fango, una dama i cui capelli avevano il colore della fiamma colpita dai raggi del sole; a quel ricordo si sovrappose poi quello di una donna e di un bambino visti mentre si allontanavano dopo aver assistito ai Vespri nella cappella del vescovo, appena una settimana prima. Era la stessa donna, quella sul cui conto Morgan per poco non aveva chiesto informazioni a Duncan; quella donna il cui volto gli era rimasto inciso nella memoria fin dal loro primo, breve incontro sulla strada di Dhassa. Chi era? E cosa ci faceva li, nelle camere della Contessa di Marley? Morgan mosse involontariamente un passo verso la dama, poi si arrestò, in preda ad una confusione che mascherò alla meglio dietro un inchino formale; il sangue gli pulsava con violenza negli orecchi e non riusciva a pensare con chiarezza. Nel sollevare lo sguardo verso quello di lei, tutto ciò che fu capace di dire fu un semplice: — Milady? La dama gli rivolse un esitante sorriso. — A quanto pare, l'uomo che ha soccorso la mia carrozza, quel giorno sulla strada di San Torin, non era un semplice cacciatore di nome Alain — rispose in tono sommesso, e i suoi occhi assunsero una tonalità azzurra come quella delle acque dei laghi di Rhenndall. — Il tuo viso è stato l'ultima cosa che io abbia ricordato prima di sprofondare nell'oblio, in quel giorno terribile, milady — mormorò Morgan, gettando al vento ogni cautela e scuotendo il capo con meraviglia. — Dopo di allora ti ho vista una volta soltanto, senza che tu mi scorgessi. Ma nei miei sogni... Lasciò la frase in sospeso, rendendosi conto di non avere nessun diritto di esprimersi in quel modo, e la dama abbassò lo sguardo, giocherellando con una piega dell'abito.
— Chiedo scusa, milord, ma non conosco il tuo nome. Io... In quel momento Kelson finì di leggere il dispaccio e sollevò il capo con un sussulto nel vedere che gli altri due stavano conversando fra loro, affrettandosi poi ad attraversare la stanza per raggiungerli. — Mia signora, devi perdonare le mie cattive maniere. Avevo dimenticato che tu non hai ancora avuto modo di fare la conoscenza di Sua Grazia, il Duca di Corwyn. Morgan, questa è naturalmente la Contessa Richenda... la moglie di Bran Coris. Nel sentir pronunciare da Kelson il nome del conte traditore, Morgan avvertì una lenta contrazione allo stomaco, e dovette fare uno sforzo per mantenere una calma esteriore che velasse la sua costernazione. Era ovvio che quella dovesse essere la moglie di Bran. Altrimenti per quale motivo si sarebbe trovata in quella stanza? Richenda di Marley! La moglie di Bran Coris! Quale perverso scherzo della sorte poteva averli fatti incontrare sulla strada di Dhassa soltanto per poi dividerli definitivamente lì, all'interno delle mura di quella stessa città? Richenda di Marley... Dio, come aveva potuto essere così ottuso? Morgan si schiarì nervosamente la gola e s'inchinò ancora in risposta alla presentazione, mascherando la propria delusione con un lieve colpo di tosse. — Ecco, sire, Lady Richenda ed io ci siamo già incontrati, in un certo senso. Alcuni mesi fa, ho aiutato a liberare la carrozza di sua signoria dal fango, davanti a San Torin. A quell'epoca ero... in incognito, e lei non ha potuto capire chi fossi. — Né lui chi fossi io — mormorò Richenda, sollevando il mento con coraggio ma evitando di incontrare lo sguardo di Morgan. — Oh — fece Kelson, scrutando ora l'uno ora l'altra, nel tentativo di capire il motivo della strana reazione di Morgan. Alla fine, però, si arrese ed esibì un luminoso sorriso. — Bene, mi fa piacere sentire che ti comporti cavallerescamente anche quando sei in incognito, Morgan. Mia signora, se vuoi perdonarci, ora dobbiamo prendere congedo da te, perché Lord Alaric ed io abbiamo altri doveri da assolvere. Inoltre, immagino che vorrai rimanere sola per qualche tempo. Ti prego di non esitare a chiamarmi se potessi esserti di qualche utilità. — Sei molto gentile, sire — mormorò Richenda, con una profonda riverenza, abbassando di nuovo lo sguardo. — Oh, sì. Vogliamo andare, Morgan?
— Come desideri, mio principe. — Un momento, sire. Girandosi, Kelson scoprì che la dama lo stava fissando in modo strano. — C'è qualcos'altro, milady? Richenda trasse un profondo respiro e gli si avvicinò di qualche passo, con le mani intrecciate nervosamente all'altezza della vita, quindi si lasciò cadere in ginocchio davanti a lui e chinò il capo, mentre Kelson guardava verso Morgan con aria stupefatta. — Sire, imploro da te una concessione. — Una... concessione, milady? — Sì, sire. — Richenda sollevò la testa e incontrò lo sguardo di Kelson. — Permettimi di venire con te a Cardosa. Forse potrò parlare con Bran, convincerlo a rinunciare a questa follia... se non per me, almeno per nostro figlio. — Venire con noi a Cardosa? — ripeté Kelson, rivolgendo con gli occhi a Morgan una frenetica implorazione d'aiuto. — Non è possibile, milady. Un esercito non è un luogo adatto ad una dama di nobile nascita, né ti potrei esporre ai rischi di una battaglia, anche se fosse disponibile una sistemazione adeguata a te. Noi stiamo andando in guerra, milady! Richenda abbassò lo sguardo, ma non accennò a rialzarsi. — Sono consapevole dei problemi, sire, e sono disposta a sopportare qualche disagio. Questo è il solo modo in cui posso tentare di fare ammenda al tradimento di mio marito. Per favore, sire, non mi negare il favore che ti chiedo. Kelson guardò verso Morgan, in cerca di un consiglio, ma il generale si rifiutò di incontrare il suo sguardo e parve intento a contemplare il pavimento di legno. Per un istante, Kelson ebbe la fugace, inspiegabile sensazione che Morgan volesse che lui acconsentisse alla richiesta di Richenda, anche se di certo non aveva detto nulla che inducesse a supporlo. Kelson tornò a fissare la contessa, inginocchiata in silenzio dinanzi a lui, poi protese le mani per aiutarla a rialzarsi, prima di fare un ultimo tentativo per dissuaderla. — Non sai quello che chiedi, milady. Non sarebbe conveniente per te viaggiare senza scorta all'interno di un esercito... — Potrei viaggiare sotto la protezione del Vescovo Cardiel, sire — rispose Richenda, seria. — Forse tu non ne sei informato, ma Cardiel è lo zio di mia madre, e so che non avrebbe da obiettare. — Nel qual caso è uno stolto — ribatté Kelson. Osservò per un momen-
to il pavimento, poi scrutò in viso la dama con aria rassegnata. — Morgan, tu hai qualche obiezione? — Soltanto quelle consuete, sire — replicò Morgan, in tono quieto, continuando ad evitare lo sguardo di Kelson. — E la contessa sembra averle già sormontate. — Molto bene, milady — annuì Kelson, sospirando. — Ti concedo il permesso di venire, a condizione che il Vescovo Cardiel acconsenta a sua volta. Partiremo alle prime luci dell'alba, fra poche ore. Potrai essere pronta per allora? — Sì, sire. Ti ringrazio. — Morgan provvederà alla tua sistemazione — annuì ancora Kelson. — Come desideri, sire. — Buona notte, allora. Con quel saluto, Kelson rivolse alla dama un breve inchino e uscì dalla stanza, con il dispaccio ormai dimenticato stretto in una mano. Morgan accennò a seguirlo, ma prima di chiudersi la porta alle spalle indugiò un momento per osservare ancora una volta la dama vestita di bianco rischiarata dalla luce della luna. Richenda era pallida e tesa, ma sul suo viso c'era un'espressione decisa, mentre lei sostava accanto alla finestra. Quando Morgan indugiò, la contessa gli indirizzò un leggero inchino, ma evitò d'incontrare ancora il suo sguardo. Con un perplesso sospiro, Morgan chiuse la porta e seguì Kelson. CAPITOLO DICIANNOVESIMO S'incoraggiano nei loro iniqui intenti, cospirano per tendere tranelli e dicono: «Chi li potrà scoprire?» Salmi 64:6 A Cardosa era mezzogiorno, e il sole ardeva intenso nella rarefatta aria montana, anche se chiazze di neve erano ancora visibili nelle rientranze e nelle fenditure più profonde della catena montuosa. Nelle prime ore di quella mattina, Wencit, Rhydon e il cognato di Wencit, Lionel, avevano disceso il Passo di Cardosa per incontrarsi con Bran Coris e con quei generali torenthiani che ora lo stavano aiutando a schierare le forze d'assalto di Wencit. I lavori per l'erezione delle difese erano già stati ispezionati, ed ora il re di Torenth e il suo seguito si arrestarono dinanzi ad un grande pa-
diglione color fiamma, che sarebbe diventato la base da campo di Wencit non appena il nemico fosse sopraggiunto. Numerosi soldati con la livrea bianca e nera di Furstan erano al lavoro intorno alla piccola altura su cui era stato eretto il padiglione reale, impegnati con i pali e le funi di sostegno delle tende e nell'installazione di tutti quegli oggetti di comodità personale che Wencit riteneva essenziali nel corso di qualsiasi operazione sul campo. La tenda era enorme, una gigantesca cupola a forma di cipolla che occupava un'area pari a quella della sala delle udienze di Wencit, a Beldour. All'interno, la struttura era divisa in una mezza dozzina di diverse stanze mediante pareti formate da pesanti arazzi e pellicce, studiate in modo da essere molto estetiche e da escludere al tempo stesso i suoni e il calore. Nel complesso, il padiglione offriva spazio a sufficienza per tenervi qualsiasi tipo di riunione Wencit potesse desiderare di indire, ma questi ritenne che la giornata fosse troppo calda per rimanere al chiuso e segnalò ai servi di disporre alcune sedie sul ricco tappeto steso dinanzi alla tenda. Mentre i servitori si affrettavano ad obbedire, uno dei valletti personali di Wencit venne a prelevare il mantello del suo padrone, inzuppato d'acqua a causa della cavalcata lungo la gola, e ad offrirgli in cambio una veste di seta color ambra simile ad un cafetano; Wencit la infilò sopra gli sporchi abiti di cuoio che aveva indosso, sedendosi quindi su una sedia da campo di cuoio per permettere a un altro servitore di sfilargli gli stivali umidi e di rimpiazzarli con un paio di pantofole asciutte. Dopo aver osservato il maggiordomo che versava il tè caldo nelle fragili tazze di porcellana, Wencit rivolse infine un cenno ai suoi colleghi, invitandoli a prendere posto sulle sedie approntate dai servitori, e prelevò con le sue stesse mani una tazza dal vassoio offerto dal maggiordomo, porgendola a Bran Coris. — Bevi e rinvigorisciti, amico mio — disse a bassa voce, mentre Bran si protendeva in avanti per accettare la tazza. — Oggi ti sei comportato bene. Quando Bran ebbe preso la tazza, Wencit ne prelevò altre due e le passò a Rhydon e a Lionel; servitosi a sua volta, sorrise nell'assaporare l'aroma della quarta tazza. — Invero, sono davvero impressionato dalla diversione da te progettata, Bran — proseguì il mago, osservando le piccole onde che il suo respiro creava nel darja fumante. — Hai anche svolto un lavoro degno di lode nell'integrare le nostre rispettive truppe, moltiplicando le nostre forze ed eliminando le nostre debolezze. Siamo davvero fortunati ad avere un simile alleato, vero, Lionel?
Lionel abbozzò un breve inchino prima di sedersi su una sedia uguale a quella di Wencit. — È una fortuna che il signore di Marley abbia scelto di unirsi a noi, sire, perché sarebbe stato un avversario formidabile, in quanto possiede un'abilità incredibile nello sfruttare al massimo tutte le risorse disponibili. — Gli occhi scuri di Lionel, capaci di ardere di un fuoco freddo quando lui era adirato, oggi erano caldi, quasi aperti, come se fra lui e il giovane nobile si fosse creato un sottile legame di affinità. — Perfino io ho avuto modo di imparare alcune cose da lui, sire — aggiunse quindi Lionel, quasi per un ripensamento. — Davvero? — ridacchiò Wencit. Bran, confortato dall'approvazione di Wencit e di Lionel, bevve un sorso di tè e si rilassò, non notando l'attento esame a cui lo stava sottoponendo intanto Rhydon. Seguì un momento di silenzio, mentre i quattro uomini bevevano, poi Rhydon avviò di nuovo la conversazione. — Mi è appena venuto in mente che non abbiamo esaminato i prigionieri cassaniani, sire — osservò, scrutando Bran da sopra il bordo della sua tazza. — La diversione escogitata da Bran e da Lord Lionel è eccellente, ed incontra la mia assoluta approvazione, perché l'effetto che eserciterà sulle truppe di Kelson sarà notevole, se non devastante. Ma i prigionieri cassaniani... indubbiamente è stata una trascuratezza non mostrarci il loro recinto da vicino. Spero proprio che nei confronti di quei prigionieri non siano stati formulati ulteriori progetti che noi ignoriamo. Lionel scoppiò in una sommessa e minacciosa risatina, giocherellando con l'estremità dei capelli intrecciati. — Parli come se pensassi che io e Bran dovessimo giustificare ai tuoi occhi le nostre azioni, Rhydon. Non ti preoccupare. I piani relativi ai prigionieri cassaniani non ti devono riguardare. — Ti aspetti allora la mia opposizione? — Mi aspetto che tu non interferisca — ribatté Lionel. — Ci è stata data l'autorità di impiegare quei prigionieri nel modo per noi più vantaggioso, ed è esattamente quello che faremo. A parte questo, non hai bisogno di sapere altro. — Suvvia, non dovete litigare — sorrise Wencit, divertito da quel diverbio. — Rhydon, neppure io sono stato informato di tutti i piccoli dettagli di questa campagna, e non è necessario che lo sia: faccio affidamento sui miei generali e sui miei consiglieri, come Lionel, perché si occupino di queste cose. Mi fido del giudizio di Lionel come mi fido del tuo, e se lui
mi garantisce che sta facendo tutto il necessario, allora devo presumere che sia così. Vorresti forse discutere con me al riguardo? — Ovviamente no — replicò Rhydon, bevendo un altro sorso di darja. — Non era mia intenzione sollevare una discussione, e se l'ho fatto me ne scuso. — D'accordo — annuì Wencit, con noncuranza. Rhydon rigirò la tazza fra le dita, prima di continuare. — A proposito, dopo che ci sono giunti i dispacci di questa mattina, ho ricevuto un ulteriore messaggio dal Generale Licken. Le pattuglie da lui inviate in avanscoperta confermano che l'esercito di Kelson non dovrebbe arrivare qui prima del tramonto, a seconda della misura in cui la nostra diversione rallenterà la sua avanzata. Non dovremo quindi temere nessuna azione militare fino a domattina. — Eccellente. — Wencit si girò sulla sedia e rivolse un segnale al maggiordomo, che stava aspettando abbastanza lontano da non udire cosa dicessero; subito, l'uomo gli portò una grossa cartella per dispacci in cuoio con angoli rinforzati da oro battuto. Mentre il servitore indietreggiava, Wencit aprì la cartella e sfogliò un fascio di dispacci fino a trovare quello che stava cercando, lo estrasse dal mucchio con un grugnito di soddisfazione e, dopo avervi apportato una piccola annotazione, lo rimise con gli altri e ne prelevò un secondo, leggendolo rapidamente. — Questa mattina ho ricevuto una notizia che ti riguarda, Bran — affermò, sollevando lo sguardo con espressione malinconica. — Pare che Kelson sia venuto a sapere della tua defezione e abbia messo la tua famiglia sotto la sua custodia. Bran s'irrigidì e si eresse lentamente sulla persona, serrando le dita intorno alla tazza fino a far sbiancare le nocche. — Perché non sono stato informato? — Ti sto informando adesso — replicò Wencit, protendendosi sulla sedia per porgergli il messaggio in questione. — Ma non sgomentarti troppo: tua moglie e tuo figlio sono stati presi a Dhassa, ma a quanto ci risulta non corrono immediato pericolo. Leggi tu stesso. Bran diede una rapida scorsa al dispaccio, e le labbra gli si serrarono in una linea sottile quando ebbe finito. — Affermi che non c'è un immediato pericolo quando qui si dice che Kelson li sta portando con sé come ostaggi? — I suoi occhi fissarono con sfida quelli di Wencit. — Supponi che Kelson cerchi di usarli contro di me. Credi che potrei rimanere inerte sapendo che la vita di mio figlio è in pericolo? Che potrei guardarlo morire?
Rhydon inarcò un sopracciglio, alquanto divertito dalla reazione di Bran. — Suvvia, Bran — commentò, — sai che Kelson non agirebbe mai così. Tu o io potremmo minacciare la famiglia di un uomo per sottometterlo alla nostra volontà, ma questo principino di Gwynedd non è fatto della stessa stoffa. E poi — aggiunse, osservandosi le unghie con espressione maliziosa e annoiata, — puoi sempre avere altri figli, giusto? Bran s'irrigidì e lanciò a Rhydon un'occhiata rovente. — E questo cosa dovrebbe significare? — sibilò. — Basta così, Rhydon — ridacchiò Wencit, scuotendo il capo in un gesto di rimprovero. — Non devi stuzzicare il nostro giovane amico: lui non capisce il nostro modo di scherzare. Bran, non ho nessuna intenzione di permettere che accada qualcosa di male alla tua famiglia. Forse si potrà organizzare uno scambio di ostaggi, e in ogni caso la valutazione che Rhydon ha fatto di Kelson è esatta: il giovane Haldane non è tipo da muovere guerra contro donne e bambini innocenti. — Devo supporre che tu me lo possa garantire? Il sorriso di Wencit svanì, e nei suoi occhi apparve un bagliore metallico. — Posso garantire di fare del mio meglio — ribatté, in tono sommesso. — Non vuoi forse ammettere che il mio meglio sia comunque molto più di quanto potresti sperare di realizzare da solo? Bran abbassò lo sguardo, ricordando la propria posizione... che stava diventando sempre più precaria... e rendendosi conto che ciò che Wencit aveva affermato era vero. — Chiedo perdono, sire. Non intendevo mettere in dubbio la validità del tuo giudizio, ero soltanto preoccupato per la mia famiglia. — Se non lo avessi pensato, adesso non saresti più vivo — replicò Wencit, con calma, tendendo la mano per farsi consegnare il dispaccio che era ancora in possesso di Bran. Il conte restituì il documento senza una parola, mascherando con cura il proprio sgomento mentre Wencit riponeva il foglio nella cartella. Dopo un momento di pesante silenzio, Wencit sollevò di nuovo lo sguardo, da cui sembrava essere svanita ogni traccia della sua momentanea ira. — Ora, Rhydon, quali notizie ci sono oggi del nostro giovane Derry? Posso sperare che tutto sia come dovrebbe essere? — Mi hanno riferito che è pronto per vederci — rispose Rhydon. — Bene. — Wencit sorseggiò il darja quasi freddo, poi vuotò la tazza d'un fiato. — Allora penso che tu ed io dovremmo andare a trovarlo.
Nelle profonde segrete sottostanti la Fortezza di Cardosa, la rocca nota come Esgair Ddu, Derry giaceva supino su un mucchio di paglia secca, con i polsi tesi lateralmente dal peso delle catene affisse ad un muro. Febbricitante per le ferite, il giovane era rimasto là in quelle condizioni ormai per quasi un'intera giornata, senza ricevere la minima attenzione tranne una tazza di acqua e un pezzo di pane stantio che gli erano stati elargiti. Adesso aveva lo stomaco contratto per la fame e la testa dolente, ma si costrinse ad aprire gli occhi ed a mettere a fuoco il soffitto umido, trovando infine la forza di rotolare su un fianco e di sollevare il capo. Era pieno di dolori... una sofferenza pulsante gli pervadeva la testa e la spalla, e quando cercò di piegare un ginocchio per sciogliere un crampo, avvertì una fitta acuta alla coscia. Serrando i denti, si mise faticosamente a sedere, aggrappandosi alle catene che gli partivano dai polsi e terminavano con un paio di anelli di ferro incastrati nel muro a circa due metri e mezzo da terra. Sapeva quale fosse la funzione di quegli anelli. I carcerieri che lo avevano condotto là lo avevano in un primo tempo incatenato al muro, colpendolo con i pugni e con le fruste finché lui era stato abbastanza fortunato da perdere i sensi, risvegliandosi parecchie ore più tardi sulla paglia umida e ammuffita su cui adesso sedeva. Si asciugò la faccia sudata contro la spalla sana e sbatté le palpebre con difficoltà, poi procedette ad issarsi in piedi. Sulla sinistra, rispetto al punto in cui erano fissate le due catene, c'era una finestra da cui, se ricordava bene la struttura di Esgair Ddu, avrebbe dovuto poter vedere una parte della pianura. Sorreggendosi alle catene, trasse un respiro e si trascinò fino alla finestra, per sbirciare fuori. Lontano, sulla piana sottostante, le truppe di Wencit erano ormai schierate. Qualcuno aveva pensato di piazzare gli arcieri a nord, su una piccola altura, per fornire loro una posizione avvantaggiata, mentre ancora più a nord e ad est c'erano la cavalleria e la fanteria, disposte in modo da poter eseguire una manovra a tenaglia, in caso di necessità; altri squadroni di cavalleria stavano scendendo dal passo per piazzarsi al centro dell'accampamento... la cavalleria costituiva infatti il cuore delle forze di Wencit. Derry vide un flusso costante di cavalieri fradici d'acqua che si riversava sulla pianura dal punto in cui lui sapeva esserci l'ultimo guado, e gli parve quasi di sentire le grida dei capitani che tenevano in fila i loro uomini e li spingevano ad avanzare. A sudest, direttamente di fronte al passo, i soldati torenthiani sciamava-
no intorno a quella che doveva essere la base da campo dello stesso Wencit, dove il mago torenthiano si sarebbe certo recato non appena l'esercito di Kelson si fosse avvicinato, pronto a dirigere di là la battaglia. Quanto alle forze di Kelson, Derry non riuscì ancora a scorgerne la minima traccia, pur sapendo che dovevano essere ormai nelle vicinanze. Qualcuno doveva aver avuto modo di scampare e di riferire al sovrano la sorte toccata agli uomini di Jared, e Derry sperò che Kelson avesse risolto le questioni interne e raccolto intorno a sé un esercito unito e privo di fazioni. Si chiese, fugacemente, se Morgan e Duncan erano riusciti a rappacificarsi con i vescovi. Con un sospiro si girò e osservò le catene, forse per la centesima volta, assestando loro uno strattone: non aveva infatti nessuna possibilità di liberarsi, finché fosse rimasto legato come un animale in gabbia. D'altro canto, indebolito com'era dalle ferite, dubitava che sarebbe comunque riuscito ad andare lontano, anche senza le catene. La gamba aveva ora cominciato a pulsare per lo sforzo di sostenerlo, e nuove fitte di dolore la pervadevano ogni volta che lui cercava di spostarla; la sofferenza causatagli dalla spalla era invece diminuita, sia pure di poco, con il movimento imposto all'arto dallo sforzo di raggiungere l'attuale posizione, ma Derry aveva la sgradevole impressione che fosse proprio quella ferita a farlo sentire così febbricitante e stordito. Aveva cercato di darle un'occhiata, alcune ore prima, quando le guardie gli avevano portato la scarsa razione di pane e di acqua, senza però avere molto successo, perché le bende erano troppo strette e lui non aveva potuto allentarle. Si chiese se la ferita si stesse infettando. Il rumore di una chiave nella serratura interruppe le sue riflessioni, e lo indusse a girarsi a fatica per sbirciare in direzione della porta, puntellandosi contro le catene. Una guardia fece capolino dalla stretta apertura, lanciandogli un'occhiata sprezzante, poi oltrepassò la soglia e tenne aperto il battente per lasciar passare un uomo alto dai capelli rossi, avvolto in sete color ambra. Era Wencit, ed alle sue spalle c'era anche Rhydon. Derry sussultò con violenza, trattenendo involontariamente il fiato, poi fissò con ira i due Deryni entrati nella sua cella. Sotto le vesti di seta e di pelliccia, i due indossavano abiti da equitazione: Wencit era abbigliato nelle varie tonalità dell'ambra e dell'oro, e il vestiario di Rhydon era di un uniforme blu cupo. Negli occhi del re di Torenth si accese un freddo bagliore color acquamarina mentre lui osservava il prigioniero dalla soglia, tormentando distrattamente con le dita guantate un sottile frustino di cuoio che gli pendeva dal polso sinistro.
Quando Wencit si avvicinò di qualche altro passo, Derry si eresse più che poteva sulla persona, cercando di ignorare il doloroso pulsare della gamba e il rombo che gli assordava gli orecchi. La guardia rimase ferma accanto alla porta, impassibile e con lo sguardo fisso dinanzi a sé, e Rhydon si appoggiò con noncuranza ad una parete, puntellando un piede contro di essa. — E così — osservò Wencit, — il nostro piccolo prigioniero è sveglio, ed è anche in piedi, per di più. Bravo, ragazzo, il tuo padrone sarebbe orgoglioso di te. Derry si sforzò di non ribattere, sapendo che ora Wencit avrebbe cercato di suscitare la sua ira, e decise che non gli avrebbe dato quella soddisfazione. — Naturalmente — continuò Wencit, — non bisogna dare troppo valore alle lodi di un padrone come quello. Dopo tutto, un uomo che è un vigliacco e un traditore non può ispirare molta lealtà. Negli occhi di Derry si accese un bagliore minaccioso, ma il giovane si costrinse a mantenere il silenzio, pur non sapendo per quanto tempo sarebbe riuscito a sopportare quelle provocazioni, dal momento che non si sentiva la mente molto limpida. — Allora sei d'accordo con me? — insistette Wencit, inarcando un sopracciglio e avvicinandosi ancora. — Mi sarei aspettato di meglio da te, Derry, ma del resto questo indica la qualità dell'uomo che ti ha addestrato, non credi? La gente dice infatti che tu e Morgan siete molto intimi... più di quanto due uomini abbiano il diritto di esserlo... e che condividiate segreti mai neppure immaginati dagli uomini comuni. Derry chiuse gli occhi per farsi forza, ma Wencit fece schioccare il frustino accanto alla sua faccia, abbassando leggermente le palpebre sugli odiosi occhi azzurri. — Nessuna reazione, Derry? Suvvia, non essere timido. È vero che tu e Morgan siete... come potrei dire... amanti? Che ti rende partecipe del suo letto, oltre che della sua magia? Con un grido inarticolato, Derry si scagliò contro il suo tormentatore, cercando di roteare le catene in modo da fracassare con esse quella faccia beffarda, ma Wencit aveva calcolato la distanza al millesimo, ed affrontò l'attacco senza sussultare, consapevole che quella distanza era di qualche centimetro superiore alla portata delle catene. Con un gemito, Derry si accasciò al suolo e Wencit gli lanciò un'occhiata sprezzante, prima di segnalare alla guardia di risollevarlo.
L'uomo fece scorrere le catene negli anelli e le fissò in modo che Derry venisse a trovarsi ora appeso al muro; Wencit riprese a osservare il prigioniero semisvenuto, tamburellando con il frustino sul palmo della mano, poi congedò la guardia con un secco cenno del capo. La porta si richiuse alle spalle del carceriere con uno stridio di cardini arrugginiti, e Rhydon fece scorrere il pesante chiavistello interno, appoggiandosi con aria languida al battente massiccio, in modo da coprire con le spalle lo spioncino. — Dunque in te rimane ancora un po' di orgoglio, vero, mio giovane amico? — commentò Wencit, accostandosi a Derry e sollevandogli il mento con l'estremità del frustino. — Che altro ti ha insegnato Morgan che tu debba ora disimparare? Derry si costrinse a mettere a fuoco l'orecchio destro di Wencit, e cercò di ritrovare il controllo. Sapeva che non avrebbe mai dovuto reagire in quel modo, che aveva agito esattamente come Wencit voleva, e diede la colpa a quella dannata febbre che gli offuscava la mente. Se soltanto avesse potuto pensare con maggiore chiarezza... Wencit ritrasse la frusta, certo di avere ora l'attenzione del prigioniero, e prese a giocherellare con il laccio che gli fissava il frustino al polso. — Dimmi, Derry, cos'è che temi di più? La morte? — Derry non reagì. — No, vedo dal tuo sguardo che la morte, di per sé, non ti spaventa: per tua sfortuna, si tratta di una paura che hai imparato a dominare, e questo significa che ora io dovrò estrarre terrori ancora più spaventosi dagli oscuri abissi della tua anima. Wencit si voltò, con aria pensosa, e prese a passeggiare lentamente in cerchio sulla paglia, riflettendo ad alta voce mentre camminava. — Dunque, ciò che temi è una perdita, ma non della vita. Di che cosa, allora? Del tuo rango? Della ricchezza? Dell'onore? — Di nuovo, si girò verso Derry. — È così, Derry? Ciò che più temi è la perdita dell'onore, dell'integrità? E, in questo caso, di quale integrità? Del corpo? Dell'anima? O della mente? Derry non replicò e si costrinse a fissare con espressione serena una piccola fessura alle spalle di Wencit, oltre la sua testa. Nella fessura c'era un piccolo ragno intento a strisciare avanti e indietro e a tessere una fragile ragnatela, e Derry decise che si sarebbe concentrato contando i fili di quella ragnatela, per poter ignorare le parole di quello spregevole... Snap! Il dolore solcò la faccia di Derry come un colpo di sciabola in concomitanza con lo schioccare della frusta di Wencit.
— Non mi stai prestando attenzione, Derry! — ringhiò il Deryni. — Ti avverto, non tollero gli allievi inetti! Derry controllò il desiderio di ritrarsi e si sforzò di affrontare il suo tormentatore, che era fermo a mezzo metro di distanza, con l'odiata frusta che gli pendeva dal polso. Gli occhi del mago erano come due polle d'argento vivo. — Ora — proseguì Wencit, in tono sommesso, — ascolterai quello che ho da dire, e non mi ignorerai, altrimenti ti farò soffrire, Derry, ti farò soffrire finché non mi presterai attenzione o non morirai. Mi stai ascoltando, Derry? Il giovane riuscì ad annuire e si obbligò a stare a sentire. Aveva le labbra aride, la lingua sembrava essere diventata troppo grande per la sua bocca e poteva avvertire qualcosa di caldo e umido che gli colava lungo la faccia, dove la frusta lo aveva colpito. — Bene — mormorò Wencit, facendo scorrere la frusta lungo la guancia e il collo del prigioniero. — Ora, la prima lezione che dovrai imparare oggi consiste nel renderti conto fino in fondo che io tengo la tua vita nelle mie mani... alla lettera. Se volessi, potrei spingerti a implorare l'oblio, a supplicare l'arrivo di una morte pietosa che ponesse fine ai tormenti che io posso infliggerti. Senza preavviso, Wencit protese di scatto la mano libera e torse il bicipite ferito di Derry. Il giovane si lasciò sfuggire un grido e giunse sul punto di svenire, ma il dolore svanì prima che lui potesse avvertirlo appieno, e Derry si trovò a sollevare ancora una volta la testa per fissare Wencit con orrore. Questi gli teneva ancora la mano sulla spalla ferita, e Derry cercò di non sforzarsi di prevedere quale sarebbe stata la mossa successiva del mago. Poi Wencit esibì un sorriso malevolo. — Ti ho fatto male, Derry? — mormorò, con voce mielata, massaggiando la spalla con dita gentili. — Ah, ma non è questa la mia intenzione. Non c'è bisogno di torturarti, perché io possiedo già su di te ogni potere che potrebbe servirmi. Sei già stato condizionato in modo da obbedirmi, e anche se la tua mente può ancora ribellarsi ai miei ordini, il tuo corpo obbedirà, qualsiasi cosa io gli comandi di fare. Con un astuto sorriso, Wencit lasciò scorrere con leggerezza la mano lungo il corpo di Derry, poi si ritrasse e prese a battere pensosamente con il frustino contro un elegante stivale; un momento più tardi, gettò la frusta a Rhydon e si assestò meglio i guanti, scrutando ancora una volta Derry con aria sprezzante.
— Dimmi, sei mai stato benedetto? — chiese, intrecciando le dita per tendere ulteriormente i guanti. — Nessun sant'uomo ha mai tracciato i segni sacri sulla tua testa? Derry aggrottò la fronte con costernazione quando Wencit sollevò la destra come per impartire una benedizione. — Temo di non essere un sant'uomo, ma del resto questa non è una vera benedizione — proseguì Wencit. — Ricorderai che prima ho parlato di una perdita dell'integrità... dell'integrità del corpo, dell'anima e della mente. Credo che cominceremo con l'anima, Derry, e con questo segno calo su di te il mio incantesimo. La mano sollevata si abbassò con lentezza, con le dita piegate in una perfetta imitazione di una benedizione sacerdotale, muovendosi con scioltezza da sinistra a destra e da destra verso sinistra. Nel momento in cui la mano gli passava davanti agli occhi, Derry si sentì assalire da una strana sonnolenza, che gli pervase gli arti di una gelida sensazione di pesantezza. Sussultò, cercando di capire cosa stesse accadendo alla sua mente, e gemette quando Wencit sfiorò le manette che lo trattenevano, liberandolo. Non riuscì a reggersi in piedi, perché gli arti erano inerti, incontrollabili. Nel momento in cui le gambe cominciavano a piegarglisi, però, si sentì sostenere da un paio di braccia robuste, mentre la testa gli dondolava contro la parete della cella e i capelli gli si impigliavano dolorosamente nella pietra grezza. Gli occhi azzurri di Wencit fissarono i suoi, avvicinandosi sempre di più, e una bocca crudele e famelica premette con violenza contro la sua in un lungo e osceno bacio. Scivolò dalla stretta di Wencit e si accasciò impotente contro un muro, con gli occhi serrati, le mascelle tese per il disgusto e il corpo che vibrava per un'indesiderata reazione. Si nascose la faccia fra le braccia tremanti e attraverso una sorta di nebbia densa e pesante gli giunse all'orecchio la risata di Wencit, a cui fece eco, beffarda, una risatina di Rhydon. Poi Wencit prese a pungolarlo con insistenza nel fianco con uno stivale, e lui si trovò a sollevare il capo per fissarlo, sia pure con espressione nauseata; Wencit sorrise e lanciò un'occhiata a Rhydon, che aveva osservato tutta la scena con aria divertita, protendendo una mano verso di lui per farsi consegnare la sua daga. Rhydon gli tirò l'arma con grazia disinvolta, e Wencit l'afferrò al volo; l'elsa era d'oro, tempestata di perle, e la lama emise un freddo bagliore sotto la luce fioca quando Wencit si chinò per accostarne la punta alla gola di Derry, sotto il mento. — So quanto mi odi — dichiarò, a bassa voce. — Stai pensando che se
soltanto ti riuscisse di mettere le mani su questa daga mi taglieresti la gola, per quello che ti ho detto e che ti ho fatto. Bene, avrai la tua opportunità. Senza aggiungere altro, Wencit capovolse l'arma, tenendola per la punta, quindi prese la mano destra di Derry e la sistemò intorno all'elsa della daga. — Avanti, uccidimi, se lo puoi. Per un istante, Derry rimase come paralizzato, incapace di credere che Wencit potesse fare una cosa simile, poi si lanciò istericamente contro il mago deryni. Com'era prevedibile, il suo attacco andò a vuoto. Wencit si spostò di lato con una mossa precisa, strappando con facilità la daga dalle dita di Derry, e respinse contro il muro il giovane che si accasciò, debole come un gattino appena nato. Impotente, Derry rimase a guardare mentre Wencit scoppiava in una risata e si chinava per insinuare la lama nel collo della sua camicia, lacerando tutto il davanti dell'indumento con un solo, abile colpo; il mago allontanò quindi la stoffa dal torace di Derry con un rapido gesto e posò con leggerezza la mano destra poco al di sopra del cuore del giovane, tenendo la daga fra le dita della sinistra. Gli occhi di Wencit brillarono freddi e remoti nella cella in penombra, e Derry seppe con spaventosa certezza di essere sul punto di morire. Cosa, nel nome di tutto ciò che era sacro, lo aveva indotto a credere di poter uccidere Wencit con una daga? Quell'uomo era un demone... no, era il Diavolo in persona! — Così, mio caro Derry, hai visto come ogni resistenza sia inutile. Ora la tua anima mi appartiene, e così anche il tuo corpo, se lo desidero, e tu hai perso la capacità di uccidere: non puoi togliermi la vita, Derry — dichiarò Wencit, in tono sommesso. — Ma io posso ordinarti di uccidere te stesso, e tu mi obbedirai. Prendi il coltello, Derry, e appoggia la punta qui vicino alla mia mano, sopra il tuo cuore. Derry vide la propria mano muoversi come se non gli fosse più appartenuta, e afferrare la daga offerta da Wencit, poi l'osservò con incredulità spostarsi per premere l'arma contro la pelle, al di sopra del cuore. Questa volta non ci fu nessun senso di panico, nessun tentativo di lottare contro ciò che stava succedendo: Derry sapeva che quella era la sua stessa mano, e che lo avrebbe ucciso se Wencit lo avesse ordinato. E sapeva anche che non c'era assolutamente nulla che lui potesse fare. Wencit ritrasse le dita e si appoggiò all'indietro sui talloni, bilanciandosi con disinvoltura sulla paglia scricchiolante.
— È ora di cominciare, e cominceremo con una piccola incisione che faccia appena affiorare il sangue. Il coltello si mosse sotto lo sguardo affascinato di Derry, guidato dalla sua mano in modo da tracciare una linea sottile, lunga appena tre dita. Il sangue scaturì dal taglio in piccole gocce che risplendettero come gemme sulla pelle bianca del torace, poi la lama si arrestò, attendendo la mossa successiva. — E così abbiamo versato il primo sangue — mormorò Wencit, con voce morbida quanto il velluto dei suoi abiti. — Ed ora possiamo soffermarci sull'orlo della morte, soltanto tu ed io. Basta una lieve pressione, amico mio... appena una lieve pressione, e potremo conversare con l'angelo della morte, quando passerà per questa piccola infelice cella. La lama cominciò a penetrare nel torace di Derry, altro sangue sgorgò là dove il metallo incontrava la carne, e il volto del giovane divenne grigiastro. Poteva sentire la punta che gli trapassava la pelle, avvertiva la fredda lama apportatrice di morte che muoveva inesorabile verso il suo cuore, e non c'era nulla che lui potesse fare. Chiuse gli occhi, in preda al panico, e cercò di calmare la propria anima invasa dal terrore richiamando alla mente santi e preghiere dimenticati fin dall'infanzia. Poi la mano di Wencit gli afferrò il polso, allontanando la lama, e un quadrato di seta bianca premette leggermente contro la ferita. Wencit gli prese infine la destra e fece qualcosa che trasmise a Derry un senso di freddo, quindi si rialzò con un sorriso soddisfatto sul volto e si girò per segnalare a Rhydon che aveva finito, che era ora di andare. Mentre la porta si apriva, Derry lottò per sollevarsi sui gomiti, dimentico della daga ancora stretta in mano, e osservò la figura ammantata d'azzurro di Rhydon svanire nel corridoio. Una guardia venne a rischiarare la penombra con una torcia e Wencit si soffermò sulla soglia, sollevando il frustino in un saluto. — Riposa bene, mio giovane amico — disse, e i suoi occhi parvero abissi azzurri al chiarore della torcia. — Spero che tu abbia imparato qualcosa dai miei piccoli passatempi, perché ho in mente un compito importante da affidarti: riguarda te e Morgan, e il modo in cui tu agirai per tradirlo a mio vantaggio. Derry serrò le dita intorno alla daga, e ricordò così improvvisamente di esserne ancora in possesso; subito s'immobilizzò, cercando di riparare l'arma dietro il corpo, ma Wencit notò quel movimento e sorrise. — Puoi tenere quel giocattolo, a me non serve più. Temo però, amico
mio, che non ti divertirai molto con esso perché non ti posso permettere di usarlo. Del resto lo scoprirai anche troppo presto. Quando la porta si richiuse e la chiave girò ancora una volta nella serratura, Derry sospirò e si adagiò sulla paglia, sfinito; per qualche momento rimase disteso dov'era con gli occhi serrati, cercando di dimenticare l'orrore di quell'ultima ora. Non appena la mente gli si schiarì e il dolore si fece meno intenso, tuttavia, le parole di Wencit echeggiarono d'un tratto nei suoi pensieri: lo tradirai a mio vantaggio. Con un singhiozzo isterico, Derry rotolò su un fianco per affondare il viso nel cavo del braccio sano. Dio! Cosa gli aveva fatto Wencit? Aveva sentito bene? Oh, certo che aveva sentito bene! Il mago aveva affermato che lui avrebbe tradito il suo signore, che avrebbe svolto il ruolo di Giuda a danno del suo amico e signore, Morgan. No! Non poteva essere! Sollevatosi a fatica, Derry tastò intorno a sé fino a trovare la daga che Wencit gli aveva lasciato, afferrandola con mani febbrili e fissandola con orrore. Per un attimo, fu distratto da uno strano anello che gli brillava all'indice della destra, un anello che non ricordava di avere mai visto, ma poi la luce riflessa dalla lama della daga tornò ad attirare la sua attenzione e lo richiamò al suo intento originale. Wencit era il responsabile di tutto questo. La situazione aveva raggiunto un orribile culmine per cui adesso Wencit controllava il corpo di Derry nello stesso modo assoluto con cui controllava il più infimo dei suoi sudditi. Il mago aveva detto che l'avrebbe costretto a tradire il suo signore, e il giovane non dubitò neppure per un momento che Wencit non potesse fare quanto aveva affermato. Inoltre, gli aveva anche tolto la possibilità di sfuggire alla sua sorte con la morte... anche se forse questo era un divieto che poteva essere aggirato. Derry non voleva, non poteva permettere che Wencit lo usasse come uno strumento che tradisse Morgan. Liberata una piccola area di pavimento dalla paglia, Derry utilizzò la daga per scavare nel nudo suolo di argilla, ricavando un buco abbastanza grande da potervi incastrare l'elsa dell'arma. Lanciò quindi uno sguardo verso la porta, nella speranza che nessuno stesse osservando ciò che lui era in procinto di fare, ed infine si sdraiò prono accanto al piccolo buco da lui preparato tenendo la daga con entrambe le mani. Il suicidio era una cosa inconcepibile, anche a livello di pensiero, per un uomo che, come Derry, credeva nel Dio della Chiesa Militante; per un credente, togliersi la vita era un peccato molto grave, che condannava l'anima
di chi lo commetteva al tormento eterno dell'Inferno. Derry si disse però che esistevano cose peggiori dell'Inferno, come tradire se stesso e i propri amici. Quanto al tradimento contro se stesso, non poteva farci nulla: era stato messo a confronto con il Signore di Torenth ed era risultato inferiore, una cosa per cui non c'era nessuno da biasimare. Ma Morgan... l'alto generale deryni gli aveva salvato più di una volta la vita, più di una volta lo aveva strappato alle fauci della morte quando la situazione sembrava ormai disperata, e poteva ora Derry, in tutta coscienza, rifiutare di fare lo stesso per lui? Stringendo la daga per la lama, il giovane fissò per un lungo momento l'impugnatura a forma di croce, mentre decine di preghiere risalenti all'infanzia gli tornavano alla mente soltanto per venire accantonate, quindi si portò brevemente l'elsa alle labbra e la incastrò nel piccolo buco nel pavimento. Dio avrebbe capito, e la fede che Derry nutriva nella compassione divina avrebbe dovuto sostenerlo in ciò che stava per compiere. Ora che la lama era puntata verso l'alto come una fiamma argentea, Derry si sollevò sui gomiti e si sistemò in modo da avere la punta appoggiata contro il petto. Non ci sarebbe voluto molto tempo. Le braccia avrebbero ceduto entro pochi secondi, e lui non sarebbe più riuscito a tenere il proprio corpo lontano dall'acciaio lucente: perfino Wencit non avrebbe potuto impedire il crollo di un corpo sfinito. Quando gli arti cominciarono a tremargli chiuse gli occhi e ripensò a un giorno lontano in cui lui e Morgan avevano cavalcato ridendo fra i campi di Candor Rhea. Ricordò le battaglie e i cavalli di razza, le ragazze con cui si era rotolato nel fieno nelle stalle paterne e la prima caccia al cervo... E poi cominciò ad accasciarsi. CAPITOLO VENTESIMO Il Signore mi ha dato in loro balìa e non posso rialzarmi. Lamentazioni 1:14 Fu assalito dal panico. Non poteva farlo! Nel momento in cui la lama cominciò a premergli contro la carne, le braccia gli si irrigidirono e lo sollevarono in alto e da un lato, lontano dalla morte desiderata. Con un gemito disperato, Derry strappò l'arma dal pavi-
mento e cercò di tagliarsi prima i polsi, poi la gola stretta da un nodo soffocante, ma fu tutto inutile: non poteva farlo. Era come se una mano invisibile stesse annullando tutti i suoi sforzi, guidando sempre la lama verso destinazioni innocue. Wencit! Wencit aveva avuto ragione! Derry non poteva neppure uccidersi! Versando incontrollabili lacrime di frustrazione, Derry si gettò a terra prono e prese a singhiozzare, con le ferite che gli bruciavano per gli sforzi compiuti e con la testa che gli pulsava. Aveva ancora in mano la daga, e la conficcò più volte istericamente nella paglia che copriva il pavimento d'argilla. Dopo qualche tempo, quel vano agitarsi cessò e i singhiozzi si placarono, mentre il dissolversi della consapevolezza annullava in parte l'orrore della situazione. Una volta gli sembrò di riprendere i sensi, o forse fu soltanto un sogno. Gli parve di aver dormito per pochi minuti appena quando si accorse di un tocco gentile sulla spalla... di un esitante contatto da parte di una mano umana. Sussultò e s'irrigidì, pensando che Wencit fosse tornato a tormentarlo, ma la mano non gli recò sofferenza, e quando trovò infine il coraggio di girare la testa verso l'intruso, rimase stupefatto nel vedere uno sconosciuto avvolto in un saio con cappuccio grigio che lo stava fissando con preoccupazione. Chissà come, non ebbe paura, anche se sapeva che probabilmente avrebbe dovuto averne. Accennò ad aprire la bocca per dire qualcosa, ma l'uomo scosse il capo e gli posò una mano fresca sulle labbra in un cenno di avvertimento. Gli occhi dello sconosciuto avevano una tonalità fra il grigio e l'argento, e il loro bagliore scaturiva gelido da sotto il cappuccio di stile monacale; Derry ebbe l'impressione di scorgere un alone di capelli fra il biondo e l'argento e gli parve anche di aver già visto altrove quella faccia... sebbene non riuscisse a ricordare dove. Poi però la visione cominciò a farsi indistinta e lui tornò ad andare alla deriva. Vagamente, percepì che le mani dell'uomo gli scorrevano lungo il corpo, sondando le ferite, e notò che il dolore diminuiva, ma non riuscì a mettere di nuovo a fuoco lo sguardo. Sentì che lo sconosciuto gli toccava la mano destra, e gli parve di udire un sospiro di sgomento quando l'uomo gli sollevò la mano per osservare meglio qualcosa di freddo e di argenteo che brillava intorno all'indice, ma non trovò la forza di irrigidire i muscoli per resistere. Prese a scivolare ancora una volta verso la perdita di conoscenza e
in quel momento lo sconosciuto si alzò; Derry si chiese in maniera confusa se aveva davvero scorto un'aura di luce intorno alla testa dell'uomo o se stava soltanto avendo un'allucinazione. Chissà come, questo non sembrò avere importanza. Infine l'uomo indietreggiò verso la porta, fissandolo in modo strano, e mentre il battente si richiudeva alle spalle della figura in grigio, Derry ebbe la netta impressione di intravedere una sfumatura di blu nel vestiario del visitatore, e che lineamenti più bruni tremolassero dietro l'esteriorità bionda. Gli passò per la mente il pensiero che era appena accaduto qualcosa di strano, che in quanto era successo c'erano elementi che avrebbe dovuto poter connettere fra loro. Ma non ci riuscì. Con quell'ultima riflessione, la testa gli ricadde all'indietro sulla paglia e lui dormì, scivolando di nuovo nel pietoso oblio. Derry non poteva sapere che l'esercito di Kelson si stava avvicinando proprio allora a Llyndreth Meadows. Dal momento che il giovane sovrano era impaziente di raggiungere prima di notte il luogo fissato per la battaglia, le truppe regie erano in marcia fin da prima dell'alba, e per tutto il giorno pattuglie d'avanguardia e singoli esploratori erano stati mandati in avanscoperta, nella speranza che raccogliessero informazioni relative all'area circostante ed evitassero che il grosso delle truppe s'imbattesse in qualche pericolo imprevisto. Gli esploratori non avevano riferito nulla di anormale fino al tardo pomeriggio, quando l'esercito era ormai a tre ore di cammino dalla piana di Cardosa. La notizia che essi avevano portato, però, era stata sconvolgente. Una delle pattuglie si era spinta avanti e ad ovest rispetto alla linea di marcia delle truppe, ed aveva così scorto quella che sembrava essere una fila di fanti in attesa in un canalone pieno di cespugli. Non desiderando rivelare la propria presenza, gli esploratori si erano trattenuti dall'avvicinarsi maggiormente per identificare con certezza i pennoni di battaglia del contingente, che era parso tuttavia consistere di una cinquantina di uomini, a giudicare dalle corazze, dagli elmi e dalle lance su cui si rifletteva la luce del sole. Si trattava senza dubbio di un'imboscata. Gli esploratori erano tornati subito indietro per informare Kelson, e il giovane re si era accigliato, cercando di capire quale fosse l'intento del nemico. Quell'imboscata poteva avere soltanto lo scopo di un diversivo di qualche genere, perché una banda così piccola non poteva sperare di infliggere seri danni alle forze congiunte di tutto Gwynedd. Una missione
come quella sarebbe peraltro equivalsa a un suicidio per gli uomini incaricati di portarla a termine... a meno che, naturalmente, non fosse stata attuata qualche magia per proteggerli e per rovesciare le sorti di uno scontro in apparenza impari. Quel pensiero ebbe un effetto immediato su Kelson che, dopo un momento di riflessione, convocò il Generale Gloddruth, che fungeva da suo aiutante di campo da quando era tornato sano e salvo dal tradimento perpetrato a Rengarth. Gloddruth ascoltò con attenzione le modifiche agli ordini di marcia impartite dal suo giovane comandante in capo; quando poi Gloddruth si girò per trasmettere quegli ordini lungo la catena di comando, Kelson si avviò verso l'avanguardia per localizzare Morgan e sentire la sua opinione. Trovò il giovane generale deryni in sella a un grande cavallo bianco alla testa della colonna principale, insieme a Duncan, a Nigel e al Vescovo Cardiel. Morgan stava interrogando un giovane esploratore dall'aria spaventata, che sembrava a stento capace di tenere sotto controllo il nervoso baio che montava. Più in là, una mezza dozzina di cavalieri si agitava in un cerchio serrato, e le giacche di cuoio e i distintivi che tutti indossavano li qualificavano come esploratori della stessa unità a cui apparteneva il giovane che stava parlando con Morgan. Il generale pareva irritato, e Cardiel stava giocherellando nervosamente con le redini, e così soltanto Nigel rivolse un saluto a Kelson quando questi si unì al gruppo. Con sgomento, poi, Kelson si accorse che Duncan aveva fra le mani i resti laceri e insanguinati di uno stendardo da battaglia su cui spiccavano le rose carminie e il leone dormiente dei McLain, e fissò in silenzio Morgan, rivolgendogli con gli occhi una tacita domanda. — Non so dirti cosa sia successo, mio principe — dichiarò Morgan, dando un brusco strattone alla sua cavalcatura, che si era protesa per mordere il cavallo nero di Kelson. — A quanto pare, qualcuno ci ha lasciato un avvertimento piuttosto esplicito, dall'altra parte dell'altura. Dobbs ha portato con sé quella bandiera — proseguì, accennando al pezzo di seta fra le mani di Duncan, — ma sembra riluttante a fornire altre spiegazioni, quindi credo che sarà opportuno andare a indagare. — Pensi che sia una trappola? — domandò Kelson, lanciando un'altra occhiata alla bandiera e rabbrividendo. — Dobbs, cos'hai visto laggiù? Dobbs rivolse un'occhiata furtiva al suo re, poi strinse con maggior fermezza le redini e si fece il segno della croce con un brivido. — Dio abbia pietà di loro, sire... io non posso parlarne — sussurrò, con
voce rauca. — Era orribile, osceno. Sire, abbandoniamo questo posto, finché siamo in tempo! Non possiamo combattere contro nemici che fanno cose simili ai loro avversari. — Andiamo — intervenne Morgan, scuotendo con fermezza il capo per evitare altre domande. Assestando un impaziente strattone al morso, Morgan fece ruotare il cavallo e lo spronò verso il pendio dell'altura, seguito da Kelson, da Duncan e dagli altri. Sulla cima, trovarono ad attenderli Warin e due dei suoi luogotenenti; con loro c'era il Vescovo Arilan, che stava in piedi sulle staffe per scrutare meglio la pianura sottostante. Quando gli altri si fermarono accanto a lui, Warin rivolse loro un breve cenno del capo. — È uno spettacolo macabro, sire — avvertì a bassa voce, accennando in direzione della pianura che si stendeva dinanzi a loro. — Osserva gli avvoltoi e i falchi che volano in cerchio laggiù. Ed alcuni sono già scesi a terra. Non mi piace! Kelson guardò nella direzione indicata da Warin, e dalle labbra gli sfuggì un sussulto. Sulla pianura, a circa ottocento metri di distanza, era ben visibile quello che sembrava essere un gruppo di uomini in piedi, sull'attenti, in mezzo a una macchia di bassi cespugli. Gli uomini proiettavano lunghe ombre sottili sotto il sole del tardo pomeriggio, che tingeva di una tonalità fra il rosso e l'oro armature ed elmi. Non c'era però traccia di movimento, tranne l'incessante volteggiare degli uccelli che volavano bassi, e guardando con maggiore attenzione Kelson riuscì a scorgere altri volatili che, ormai sazi, zampettavano ondeggianti fra le sagome immobili degli uomini. Più ad ovest, un numero ancora maggiore di uccelli anneriva il cielo al di sopra della piccola gola dove gli esploratori di Kelson avevano avvistato la prima supposta banda di nemici, e ci voleva poca immaginazione per capire cosa stesse succedendo laggiù. Kelson abbassò il capo e deglutì a fatica. — Le... le bandiere sono nostre? — chiese, con voce soffocata. — Così sembra, sire — replicò uno dei luogotenenti di Warin, ripiegando un cannocchiale. — Sono... tutti morti. — Quelle ultime parole uscirono dalle labbra dell'uomo come un suono strozzato e confuso, e lui fu costretto a reprimere un singhiozzo. — Basta così — intervenne Morgan, assumendo momentaneamente il comando. — Wencit ci ha lasciato un macabro messaggio... questo è chiaro. Rimane da leggerne il contenuto nella sua totalità. Nigel, segnala ad una scorta di raggiungerci. Gli altri vengano con me.
Con quelle parole, diede di sprone e si avviò al galoppo giù per il pendio, seguito da Duncan e dai due vescovi. Kelson guardò con esitazione verso Nigel, che sembrava attendere una conferma di qualche genere dal suo reale nipote, poi gli rivolse un cenno di assenso e raggiunse Morgan e gli altri. Warin gli si affiancò, scendendo con lui il fianco della bassa altura, e Nigel tornò indietro per convocare la scorta richiesta. Anche se all'inizio l'andatura era stata rapida, i cavalli rallentarono il passo quando si avvicinarono alla macabra scena, perché l'aria era pervasa dal fetore della morte. Parecchi cavalli scartarono quando i grandi avvoltoi ormai sazi spiccarono il volo, abbandonando il luogo del banchetto. Il fato degli uomini che si trovavano sotto gli uccelli volteggianti divenne ben presto chiaro. Essi portavano tutti la livrea azzurra, argento e carminia di Kierney e Cassan... la casata di Duncan... e ciascuno era stato impalato su un palo di legno piantato saldamente nel terreno, la cui punta aguzza era stata conficcata verticalmente nel corpo. Parecchi cadaveri... quelli meno protetti dall'armatura... erano stati divorati quasi del tutto dagli uccelli, e l'aria puzzava di carne in decomposizione e di escrementi animali. Kelson impallidì fino a divenire più bianco della piuma di airone che gli decorava il cappello, e anche gli altri sbiancarono e si fecero silenziosi, nel tirare le redini. Duncan scrollò il capo e chiuse gli occhi, come per allontanare quella macabra vista, e Warin barcollò sulla sella, dando l'impressione di essere sul punto di svenire da un istante all'altro. Cardiel si sfilò un fazzoletto di lino bianco da una manica e se lo premette contro il naso e la bocca per un lungo momento, ovviamente impegnato a combattere contro una ribellione dello stomaco, prima di fissare Kelson con occhi opachi. — Sire... — cominciò Cardiel, ma la voce gli si strozzò in gola e dovette ricominciare la frase da capo. — Sire, che razza di uomo può fare una cosa del genere ai suoi simili? È dunque un uomo senz'anima? Evoca i demoni dalle profondità oscure perché lo servano mediante la magia? — Niente magia, vescovo — sussurrò Kelson, scuotendo il capo con amarezza. — Questo è orrore umano, studiato per incutere un terrore molto maggiore di quello che Wencit potrebbe provocare con la sua magia, a una tale distanza. — Ma, perché questo? — Wencit conosce le paure umane — spiegò Morgan, a bassa voce, trattenendo a stento il cavallo nervoso e deglutendo a fatica. — Quale orrore maggiore ci potrebbe essere per i nostri soldati che vedere i loro compagni
mutilati e uccisi in questo modo? L'uomo che ha concepito questo... — Non un uomo... un Deryni! — esclamò con disgusto Warin, dando uno strattone al cavallo per girarlo in modo da fissare Morgan con occhi roventi. — Un individuo che è un Deryni e un pazzo! Sire — proseguì, con lo sguardo acceso da un bagliore fanatico che Kelson aveva creduto estinto per sempre, — vedi ciò di cui i Deryni sono capaci! Nessun condottiero umano avrebbe inflitto una simile sorte ai suoi nemici. È stato un Deryni a fare questo! Ti ho avvertito che non ci si può fidare... — Dimentichi con chi stai parlando, Warin! — scattò Kelson, interrompendo l'ex-ribelle a metà della frase. — Non posso perdonare azioni come questa, ma fra gli umani esistono numerosi precedenti storici relativi ad atti altrettanto feroci, per nostra grande vergogna. Non voglio più sentirti sollevare la questione dei Deryni, almeno per la durata di questa guerra. Mi hai capito? — Sire! — cominciò Warin, con indignazione. — Tu mi fai torto. Non ho mai inteso dire che tu... — Sua Maestà sa cosa intendevi — intervenne Arilan, in tono stanco, spostando il proprio peso sulla sella e scrutando la scena che avevano davanti. — Ora come ora, però, la cosa più importante è... Il vescovo s'interruppe, assumendo un'espressione pensosa nel guardare i corpi impalati poi, all'improvviso, appese il mantello al fianco del cavallo e smontò. Seguito dallo sguardo sconcertato degli altri, si accostò al cadavere più vicino e spostò una piega del suo mantello, ripetendo quindi la stessa mossa con il corpo successivo, dopo essersi concesso una pausa di riflessione. Infine, con la testa piegata da un lato in un gesto di costernazione, il vescovo tornò verso i compagni, che erano ancora in sella. — Sire, vorresti venire qui per un momento? Tutto questo è molto strano. — Venire a guardare dei morti? Non ho bisogno di vederli più da vicino, Arilan. Sono morti: non è sufficiente? — No — insistette Arilan, scuotendo il capo, — io credo che non lo sia. Morgan, Duncan, venite anche voi. Io ritengo che questi uomini fossero già morti quando sono stati messi qui... forse uccisi in battaglia. Sono tutti coperti di ferite, ma sul terreno vi è ben poco sangue. Scambiandosi un'occhiata perplessa, Morgan e Duncan smontarono e raggiunsero Arilan, imitati da Kelson. In quel momento Nigel e una scorta armata discesero al galoppo il pendio e fermarono i cavalli con aria inorridita nel vedere ciò che si parava dinanzi a loro. Alle spalle del gruppo, altri
generali di Kelson si stavano raccogliendo sulla cresta dell'altura, incuriositi da ciò che stava accadendo sulla pianura sottostante. Nigel scese infine di sella, e Arilan gli segnalò di raggiungere lui e gli altri, indicando un terzo corpo. — Guardate: ora sono certo di avere ragione. Parecchie ferite non collimano neppure con le macchie di sangue e le lacerazioni degli indumenti. È perfino possibile che abbiano cambiato le uniformi per creare un effetto più impressionante, da lontano. Addirittura — proseguì, accennando a togliere l'elmo del quarto cadavere, — questi potrebbero non essere neppure i nostri... Il vescovo diede uno strattone all'elmo, e i presenti sussultarono per l'orrore quando esso gli rimase fra le mani, vuoto: il cadavere su cui l'elmo era stato posato era senza testa, e l'annerito moncherino del collo sporgeva là dove essa si sarebbe dovuta trovare. Arilan cercò di nascondere la propria delusione passando al corpo successivo, ma la rimozione dell'elmo produsse lo stesso risultato: anche quel cadavere era senza testa. Con un'imprecazione soffocata, Arilan si spostò lungo la fila, e ogni volta il rotolare via dell'elmo rivelò un corpo senza testa. Infuriato, il vescovo girò le spalle ai compagni e picchiò il pugno sul palmo dell'altra mano. — Che Dio li condanni alla perdizione eterna! Sapevo che era spietato, ma non credevo Wencit capace di una cosa simile! — Questa... questa è opera di Wencit? — riuscì a balbettare Nigel, deglutendo con difficoltà nell'osservare quel carnaio. — È quanto dobbiamo supporre. — Mio Dio, qui ci devono essere almeno cinquanta uomini... — Nigel scosse il capo con incredulità, e soffocò un singhiozzo. — E sarei pronto a scommettere che sono stati tutti decapitati, fino all'ultimo. Questi erano nostri amici, nostri compagni d'armi e ora non sappiamo più neppure chi sono! Noi... S'interruppe e girò di scatto le spalle alla scena; Kelson scoccò una rapida occhiata a Morgan ma, a parte il nervoso contrarsi delle mani guantate, il giovane generale deryni appariva impassibile e non tradiva segni esteriori di emozione. Anche Duncan stava nascondendo bene la propria angoscia... sebbene Kelson non riuscisse neppure a immaginare quanto questo gli costasse. Morgan dovette sentire su di sé l'attenzione di Kelson, perché in quel momento sollevò lo sguardo e strinse la spalla del giovane sovrano in un gesto rassicurante, prima di avanzare per affrontare il resto del gruppo.
— Sarà necessaria una squadra che si occupi della sepoltura, signori... no, meglio un rogo funebre, perché non abbiamo il tempo di seppellire tutti questi uomini. Qualcuno dovrà provvedere anche a quelli che si trovano nella gola, dall'altra parte della pianura. Kelson — proseguì, girandosi in parte verso il sovrano, — ritieni che gli uomini debbano essere informati dell'accaduto? — Devono saperlo. — Sono d'accordo — convenne Morgan, — e ritengo che si debba sottolineare il fatto che questi poveretti erano già morti prima di essere portati qui, che con ogni probabilità sono morti onorevolmente in battaglia e non infilzati in questo modo come animali selvatici. — Ciò dovrebbe contribuire a rassicurare alquanto le truppe — approvò Arilan, — ricordando però loro al tempo stesso perché stiamo combattendo... e le misure a cui Wencit potrebbe arrivare per conseguire i suoi fini. — Molto bene — annuì Kelson, che aveva ritrovato quasi del tutto il controllo. — Zio Nigel, ordina ai tuoi uomini di tirare giù quegli sventurati e di preparare un rogo funebre. — Naturalmente, Kelson. — Warin, tu e gli uomini che riterrai necessario utilizzare vi occuperete di quelli nella gola... — Come desideri, sire — rispose Warin, rigido, inchinandosi sulla sella. — Arilan, Cardiel... non ci sarà il tempo per tenere un adeguato servizio funebre, ma forse voi e i vostri confratelli potrete recitare qualche preghiera mentre i soldati appronteranno i roghi. Se poi doveste trovare delle indicazioni in merito all'identità delle vittime, io... io gradirei esserne informato. So che è ... difficile, mancando le teste, ma... — Rabbrividì e distolse lo sguardo. — Per favore, fate quello che potete. A capo chino, Kelson tornò con passo deciso verso il proprio cavallo, e lo girò in modo da poter montare senza essere costretto a guardare anche per un altro secondo il terribile spettacolo che si stava lasciando alle spalle. Mentre il giovane sovrano risaliva al galoppo il pendio per raggiungere gli altri generali, Arilan lo seguì con lo sguardo, osservando poi gli uomini di Warin che, insieme a Cardiel, si avviavano attraverso la pianura in direzione della gola e la scorta di Nigel, già impegnata nel macabro compito di preparare i corpi massacrati per l'estremo riposo. I soldati cominciarono a sparpagliarsi fra le file dei morti, e Arilan si accostò lentamente a Morgan e a Duncan, che stavano fissando la scena con occhi cupi, mettendosi in mezzo a loro e posando un braccio sulla spalla di ciascuno in un gesto di
conforto. — Il nostro giovane re è molto turbato, amici miei — disse a bassa voce, guardando con morboso interesse i soldati che aprivano a poco a poco un sentiero in quella terribile foresta di pali. — Che effetto avrà tutto questo su di lui, nei giorni che verranno? — Hai il talento di porre sempre domande a cui non so rispondere, vescovo — sbuffò Morgan, incrociando le braccia sul petto. — Come reagirà ognuno di noi? Sai cosa mi preoccupa più di ogni altra cosa? Arilan scosse il capo e Duncan guardò verso il cugino con espressione apprensiva. — Ecco — proseguì Morgan, a bassa voce, — per ora abbiamo soltanto i corpi. Per quel che ne sappiamo, quelli potrebbero essere anche soldati torenthiani vestiti con uniformi cassaniane... anche se ne dubito. — Fece una pausa, socchiudendo gli occhi. — Ma qualcuno, da qualche parte, sa chi siano effettivamente quei morti. I corpi sono qui, ma le teste sono altrove, ed io mi sto chiedendo come reagiranno i nostri uomini quando troveremo quelle teste. L'avanzata subì un'altra ora di ritardo per permettere prima di preparare i roghi funebri e poi di dare ad ogni colonna di soldati l'occasione di rendere l'estremo omaggio ai caduti nel passare accanto alle loro pire fumanti. Anche se al diffondersi della notizia della strage fra le truppe c'erano stati dei borbottii, accompagnati da timori e supposizioni in merito all'identità dei morti e dei loro uccisori, nel complesso l'esercito aveva sopportato bene l'incidente. Ormai non esistevano più dubbi di sorta sulla malvagità di Wencit di Torenth, che poteva permettere che si perpetrassero simili atrocità ai danni di un nemico sconfitto... anche se le mutilazioni erano state inflitte quando gli uomini erano ormai morti. Un individuo come Wencit non meritava pietà da parte del Re di Gwynedd, e quando la battaglia avesse avuto inizio, il mattino successivo, sarebbe di certo stata violenta e sanguinosa. Così l'esercito aveva proseguito la marcia, lasciandosi alle spalle due fari ardenti da cui si levava una nube sempre più larga di fumo oleoso. Non ci furono ulteriori incidenti: forse il nemico aveva ritenuto che lo spettacolo preparato in precedenza rendesse inutili altre misure, o forse stava soltanto risparmiando le forze in previsione della battaglia dell'indomani. Quale che fosse il motivo di quella calma, Kelson fu lieto del suo perdurare, quando finalmente raggiunsero il luogo prestabilito per accamparsi, perché l'oscu-
rità stava ormai scendendo e le ultime ore della giornata erano state lunghe, macabre e stancanti da un punto di vista emotivo, per cui l'esercito avrebbe avuto bisogno di tutto il riposo possibile. Ci vollero quasi tre ore per approntare l'accampamento, ma alla fine Kelson fu abbastanza soddisfatto delle difese predisposte intorno ad esso da ritirarsi nella sua tenda per concedersi una cena leggera. Morgan, Duncan e Nigel si unirono a lui, e badarono a portare avanti una conversazione superficiale per tutta la cena, perché nessuno di loro desiderava discutere nei dettagli degli eventi della giornata. Quando giunse il momento dell'ultimo bicchiere di vino, Kelson sollevò il proprio boccale, segnalando agli altri di alzarsi in piedi. — Un brindisi, signori. Alla vittoria: possa domani essa arridere al giusto! — E al re! — aggiunse Nigel, prima che Kelson avesse il tempo di bere. — Possa il suo regno essere lungo! — Alla vittoria ed al re! — ripeterono gli altri, svuotando i bicchieri. Kelson accolse quel brindisi con un asciutto sorriso, portandosi quindi il bicchiere alle labbra e bevendo un sorso, prima di posarlo su un tavolinetto e di lasciarsi ricadere sulla sedia. Scrutò con stanchezza ciascuno dei compagni, poi scosse il capo e sospirò. — Se siete stanchi anche soltanto la metà di quanto lo sono io... — cominciò, quindi sospirò ancora con rassegnazione. — Ma non importa. Noi tutti abbiamo dei doveri da assolvere. Morgan, posso chiederti un favore? — Certamente, mio principe. — Bene — annuì Kelson. — Vorrei che tu ti recassi da Lady Richenda e le spiegassi cosa è accaduto oggi.. scendendo il meno possibile nei dettagli, naturalmente, dato che è una dama molto sensibile. Dille che capirò, se lei domani non se la sentisse di tentare di rivolgere un appello al marito. — Stando a quel che ho udito — ridacchiò Duncan, — Alaric dovrà faticare parecchio a convincerla: può darsi che Lady Richenda sia una dama sensibile, ma di certo è anche molto cocciuta. — Lo so — sorrise Kelson, — ma non posso certo biasimarla quando tale cocciutaggine è messa al servizio della Corona. Morgan, cerca di farle capire chi abbiamo di fronte. Considerate le circostanze, non ho il diritto di chiedere il suo aiuto, e non avrei neppure dovuto permetterle di venire. — Farò del mio meglio, mio principe — promise Morgan, con un inchino. — Ti ringrazio. Nigel, mi chiedo se verresti con me a dare un'occhiata
alle difese più settentrionali. Non sono certo che siano adeguate, e vorrei la tua opinione. Mentre Kelson procedeva a impartire i suoi ordini, Morgan si congedò e sgusciò fuori del padiglione reale, sentendosi al tempo stesso contento e irritato per la richiesta di Kelson, in quanto non era per nulla certo che avrebbe dovuto rivedere Richenda, dopo quel loro incontro, breve ma denso di emozione, a Dhassa. Una parte del suo animo, naturalmente, desiderava rivederla, ma un'altra parte più cauta... che lui sospettava essere collegata al suo senso dell'onore... lo stava avvertendo di tenersi alla larga, che l'onore non poteva permettergli di nutrire dei sentimenti per la moglie di un altro uomo... soprattutto se si trattava di un uomo che lui avrebbe forse dovuto uccidere l'indomani. Adesso però la decisione non dipendeva più da lui: aveva ricevuto un ordine dal suo re, e doveva obbedire. Soffocando lo strano senso di esaltazione che gli derivava dall'essere così costretto ad aggirare il pungolo della coscienza, attraversò il campo fino a raggiungere l'area occupata dagli uomini del Vescovo Cardiel. Il vescovo era assente, probabilmente impegnato da qualche parte a controllare con Warin e con Arilan la sistemazione delle truppe, ma le guardie del prelato lasciarono passare Morgan senza fermarlo, e così entro pochi minuti lui poté raggiungere lo spiazzo rischiarato da torce antistante la tenda azzurro chiaro di Richenda. Due torce ardevano ai lati dell'ingresso, ma Morgan poté vedere attraverso il telo aperto che l'interno era illuminato dal bagliore più sommesso di una candela. Deglutendo nervosamente, si accostò all'apertura e si schiarì la gola. — Lady Contessa? — chiamò in tono sommesso. Ci fu un frusciare di stoffa, poi una sagoma alta e scura si avvicinò alla soglia. Per un istante, il cuore di Morgan cessò di battere, ma subito riprese il ritmo normale, perché quella era una suora, e non Lady Richenda. — Buona sera, Vostra Grazia — mormorò la suora, chinando il capo. — Sua signoria è dentro, impegnata a mettere a letto il padroncino. Desideri parlare con lei? — Sì, sorella, per favore. Ho un messaggio da parte del re. — Glielo riferirò. Vostra Grazia vuole attendere qui, per piacere? Mentre la suora si allontanava, Morgan si girò e prese a scrutare l'oscurità al di là del cerchio delle torce. Gli parve che passassero soltanto pochi secondi, poi dalla soglia giunse un altro fruscio che accompagnò il sopraggiungere di una sagoma diversa. Lady Richenda indossava un ampio abito bianco coperto da un mantello azzurro cielo, e portava i capelli color
fiamma sciolti sulle spalle. Una candela infilata in una bugia d'argento riversava una luce dorata sul suo viso. — Milady — s'inchinò Morgan, cercando di non fissarla troppo intensamente. Richenda gli rivolse una riverenza appena accennata e piegò il capo. — Buona sera, Vostra Grazia. Sorella Luke ha accennato al fatto che porti un messaggio del re. — Sì, milady. Suppongo che tu abbia sentito qualcosa a proposito del ritardo che abbiamo subito questo pomeriggio, prima di raggiungere il luogo fissato per il campo. — Infatti. — La risposta fu sommessa, diretta, e la donna abbassò lo sguardo. — Vuole Vostra Grazia entrare, per favore? La tua reputazione deryni non ne uscirà certo migliorata se ti vedranno fermo davanti all'ingresso della mia tenda. — Preferiresti che mi vedessero entrare, milady? — sorrise Morgan, piegando il capo per oltrepassare la soglia. — Sorella Luke potrà garantire la correttezza del mio incontro con Vostra Grazia — replicò Richenda, ricambiando il sorriso. — Ti prego, scusami per un momento, mentre controllo se mio figlio sta dormendo. — Ma certo. Il padiglione era diviso in due da una tenda di tonalità azzurra, spessa ma leggermente trasparente, il che permise a Morgan di scorgere ancora il bagliore della candela di Richenda, quando la donna passò dall'altra parte, anche se non poté distinguere i dettagli; suppose comunque che oltre la tenda ci fossero i giacigli per la contessa, per suo figlio e per Sorella Luke, dal momento che nell'ambiente in cui si trovava non c'era nulla di simile. L'arredo di quella metà del padiglione, infatti, pareva ridursi a due sedie da campo pieghevoli, a qualche piccolo baule e a una fila di candele gialle poste vicino al palo centrale. Il pavimento era coperto di tappeti, a protezione dall'umidità, ma non si trattava di nulla di speciale... probabilmente erano tappeti prelevati dai magazzini del vescovo, considerato il breve preavviso che aveva preceduto la partenza. Morgan sperò che la dama e suo figlio non stessero sopportando eccessivi disagi. Richenda rientrò nella camera esterna e si portò un dito alle labbra, mentre un tenero sorriso le rischiarava il volto. — Ora sta dormendo, Vostra Grazia. Ti piacerebbe vederlo? Ha soltanto quattro anni, ma temo di essere terribilmente orgogliosa di lui. Vedendo che Richenda lo desiderava, Morgan annuì e la seguì nella ca-
mera interna. Al loro ingresso, la suora sollevò il capo dalla pila di lenzuola che era intenta a riordinare e accennò un inchino, come se intendesse andarsene, ma Richenda scosse il capo e guidò Morgan fino al piccolo pagliericcio su cui riposava suo figlio. Brendan aveva ereditato i capelli fra il rosso e l'oro di sua madre e a parere di Morgan mostrava assai poca somiglianza con il padre, Bran Coris. C'era sì qualcosa che lo ricordava, soprattutto nella forma del naso, ma per il resto i lineamenti risentivano dell'influenza materna ed erano delicati, quasi troppo per un bambino destinato a diventare un uomo; le lunghe ciglia poggiavano sulle guance come ragnatele e i capelli arruffati che Morgan aveva visto per la prima volta nella carrozza, vicino a San Torin, brillavano dorati alla luce della candela. Morgan non riusciva a ricordare il colore degli occhi del piccolo, ma ebbe l'improvvisa certezza che fossero azzurri. Richenda sorrise e sistemò le coltri intorno al figlio dormiente, segnalando poi a Morgan di ritirarsi con lei nella camera esterna; nel seguirla, Morgan non poté fare a meno di notare nell'ambiente interno un altro pagliericcio, questo sormontato da un baldacchino di seta azzurra e crema, ma si costrinse ad allontanare quell'immagine dalla mente quando Richenda si girò di nuovo per fronteggiarlo. — Ringrazio Vostra Grazia per essere venuto — disse, sedendo su una delle due sedie e invitando Morgan con un cenno ad approfittare dell'altra. — Devo confessare di aver sentito la mancanza di compagnia umana nei giorni trascorsi da quando abbiamo lasciato Dhassa. Sorella Luke è una brava donna, ma la sua conversazione si riduce allo stretto necessario, e gli altri... preferiscono non avere contatti con la moglie di un traditore. — Anche quando la moglie del traditore ha offerto il proprio aiuto alla Corona ed è una donna giovane e indifesa? — chiese Morgan, in tono sommesso. — Anche in questo caso. Morgan abbassò il capo, chiedendosi cosa poteva osare di dire a quella squisita creatura verso cui si sentiva fortemente attratto. — La tua terra... è come Corwyn? — chiese poi, d'un tratto, alzandosi e prendendo a passeggiare nei confini della camera esterna. Richenda rimase inespressiva, ma lo seguì con lo sguardo mentre lui andava avanti e indietro. — Alquanto, anche se non è altrettanto collinosa. Voi di Corwyn avete il monopolio delle belle montagne, in questa parte della nazione, sai. Bran
dice che... — La voce le si inceppò, e dovette ricominciare daccapo. — Mio marito dice che però Marley ha ricchi campi... alcuni fra i più ricchi degli Undici Regni. Lo sapevi che in più di quattrocento anni a Marley non c'è mai stata una seria carestia? Anche quando nelle altre terre ci sono siccità e pestilenze, Marley quanto meno sopravvive. Io... ero solita pensare che questo fosse un segno del favore divino. — Ed ora? Richenda si osservò le mani, che teneva congiunte in grembo, e scrollò le spalle. — Oh, non credo che questo cambi il passato, ma ora che Bran... oh, ma a che serve? Continuo a tornare sullo stesso argomento, giusto? E so che l'ultima cosa di cui desideri parlare alla vigilia di una battaglia è un conte traditore. Perché il re ha mandato da me Vostra Grazia? — In parte a causa di ciò che è accaduto oggi, milady — replicò Morgan, dopo una lievissima esitazione. — Mi hai accennato di aver sentito la ragione del nostro ritardo. Sei consapevole della portata... — Corpi decapitati infilzati su pali di legno — lo interruppe lei, con voce secca e scandita. — Uniformi cassaniane su corpi mutilati le cui ferite non collimavano con le lacerazioni nel vestiario. — Richenda lo fissò negli occhi. — Il re ha forse mandato Vostra Grazia a chiedermi se ritengo che sia stato mio marito a fare queste cose? E vuoi che io dica di sì, che Bran è capace di azioni del genere? Come certo non ignori, ormai mi trovo sotto la custodia del re da parecchi giorni, e quindi non posso sapere se sia stato effettivamente mio marito a compiere questo scempio. Morgan rimase sconcertato dal candore e dal tenore della sfuriata della contessa. — Perdonami, milady, ma tu sbagli nel giudicare tanto me quanto il re. Nessuno ha mai inteso sottintendere che tu potessi sapere qualcosa dei progetti di tuo marito, ed anzi tutto lascia supporre che la sua defezione sia stata un puro e semplice gesto dettato dall'opportunismo. Un uomo che avesse in mente di tradire il suo re non lascerebbe certo in ostaggio la moglie e il figlio. Se hai ricevuto l'impressione che si mettesse in discussione la tua fedeltà, allora devo scusarmi, perché non era questa la mia intenzione. Richenda lo scrutò a lungo, senza mai distogliere gli occhi azzurri dai suoi, poi tornò ad abbassare lo sguardo in grembo, osservando l'anello di fidanzamento che splendeva cupo alla luce delle candele. — Mi dispiace. Non avrei dovuto sfogare la mia frustrazione su di te, né
il re è da biasimare per le mie apprensioni — dichiarò, con voce salda. — Quanto a Bran, non posso dire se hai ragione o meno. Prego che il suo tradimento non sia stato premeditato, e tuttavia so che lui era... è... ambizioso. Anche il nostro matrimonio è stato stretto soprattutto per consolidare vaghe pretese di proprietà che lui aveva in merito ad alcuni manieri adiacenti Marley. «Però è stato un buon padre, anche se non un marito modello. Ama molto Brendan, per quanto il rapporto esistente fra noi sia puramente formale. — Fece una pausa, poi scosse il capo. — No, neppure questo è giusto. Credo che con il tempo Bran sia giunto ad amarmi, a modo suo, anche se dopo quanto è accaduto oggi non penso che questo faccia molta differenza. — Allora ritieni che non ci sia più speranza di indurlo alla ragione? — chiese Morgan, in tono sommesso, non desiderando parlare ancora del rapporto personale esistente fra Richenda e Bran. — Non ho modo di saperlo, milord — replicò Richenda, scrollando le spalle. — Se ha potuto acconsentire a ciò che è successo oggi, allora qualsiasi cosa io possa dirgli non farà probabilmente molta differenza, per lui, per quanto forse mi ascolterebbe per amore di Brendan. In ogni caso, sono ancora disposta a tentare, se il re lo permetterà. — È un rischio inutile, milady. — Può darsi, ma ciascuno di noi deve recitare la sua parte così com'è scritta, e la mia sembra essere quella della moglie di un traditore che implora per la vita del marito. D'altro canto, non posso certo pretendere che il re sacrifichi interi eserciti per me, e quando tutto sarà finito, io e Brendan non potremo aspettarci di avere altro che il nome di un traditore, indipendentemente dall'esito della battaglia. Non è una situazione piacevole da contemplare, non trovi? — No, non lo è — mormorò Morgan. Richenda si appoggiò a un palo della tenda e si girò per scrutare Morgan. — E tu... cosa spera di guadagnare Vostra Grazia? Tu hai grandi poteri e molte ricchezze, godi del favore del re, e tuttavia giochi tutto questo con un solo tiro di dadi. Se Gwynedd dovesse perdere la guerra, non potrai sperare di sopravvivere, perché è risaputo che Wencit non tollera la presenza di Deryni sottomessi nei suoi domini, in quanto uomini del genere costituirebbero una minaccia per il suo potere. Morgan abbassò il capo, studiandosi la punta di uno stivale impolverato. — Non sono certo di poterti rispondere, milady. Come tu senza dubbio
saprai, sono stato per tutta la vita una specie di ribelle, e non ho mai tenuto segreta la mia discendenda Deryni. La prima volta che ho usato apertamente i miei poteri è stato per aiutare Re Brion a conservare il trono, più di quindici anni fa, e suppongo che da allora il mio scopo, sia pure indiretto, sia stato quello di continuare ad usare quei poteri senza sotterfugi, nella speranza che un giorno tutti i deryni potessero essere liberi quanto me. E tuttavia, anche in questo c'è dell'ironia... perché quando mai, come Deryni, io sono stato completamente libero? — Hai usato i tuoi poteri, giusto? — Di tanto in tanto — convenne Morgan, allargando le mani in un gesto carico di deprecazione. — Devo però confessare che questo ha spesso provocato disastri più che portare ricompense. Tutta la recente controversia con gli arcivescovi può essere fatta risalire alle azioni da me compiute il giorno dell'incoronazione di Kelson, e poi a San Torin. Se non ci fosse stato l'uso della magia, adesso potremmo benissimo essere tutti al sicuro nei nostri letti. — Infatti — ammise lei, schietta. — E tuttavia, se così fosse, ora Kelson non sarebbe re, e dubito che tu e gli altri come te dormireste sonni sereni, la notte. Morgan scoppiò in una risatina di apprezzamento, poi tornò serio quando si accorse che Richenda non si era unita alla sua risata. — Perdonami, milady, ma mi capita così di rado di incontrare uno sconosciuto comprensivo che non so come comportarmi in questi casi. Per la maggior parte delle persone è difficile capire come io possa anche soltanto ammettere alcune cose che ho fatto, ed a volte incontro difficoltà anch'io ad accettarle. È necessario un certo tempo per farci l'abitudine. — E perché? Ti vergogni forse delle tue azioni? — No, non me ne vergogno — dichiarò Morgan, piegando il capo verso di lei in un gesto di leggera sorpresa. — Se dovessi tornare indietro, credo che agirei di nuovo nello stesso modo, ma dato che questo è ovviamente impossibile, si tratta di una questione accademica, giusto? — Forse, anche se è necessario basare le decisioni future su quelle passate, non ne convieni anche tu? — La tua logica è impeccabile, milady — ammise Morgan, con riluttanza, — ma è possibile che il problema abbia radici più profonde di quanto tu immagini. Noi Deryni siamo un po' diversi dagli uomini comuni, come certo avrai dedotto. — Tanto diversi?
Richenda gli rivolse un sorriso un po' strano, poi gli girò parzialmente le spalle e Morgan poté osservare il suo profilo, delineato in oro sullo sfondo della fila di candele. Dopo un momento, la contessa tornò a voltarsi verso di lui, con espressione indecifrabile a causa della luce che le batteva intensa alle spalle. — Mio signore, posso farti una confessione? — Non sono un prete, milady — replicò Morgan, in tono leggero, appoggiandosi al bordo di un baule rilegato in cuoio. Richenda avanzò verso di lui di qualche passo, mentre il chiarore delle candele rendeva ancora impossibile scorgere bene il suo viso. — Ringrazio tutte le Potenze che tu non sia un prete, milord, perché se lo fossi non oserei mai proferire ciò che ora ti devo dire. Esiste un vincolo che ci attira, milord. Fato... destino... volontà divina... chiamalo come vuoi, anche se io credo che... per favore, milord, non mi guardare in quel modo! Morgan era rimasto come paralizzato fin da quando lei aveva iniziato a parlare, ed ora la stava fissando in silenzio, stupefatto: che Richenda gli si fosse rivolta in quei termini era al tempo stesso una cosa troppo meravigliosa e troppo terribile per poterla contemplare. Morgan aveva creduto di avere sotto perfetto controllo le proprie emozioni, ma ora che Richenda aveva espresso quei sentimenti... Distolse il volto e lo sguardo, cercando di ritrovare un certo controllo. — Milady, non dobbiamo. Io... — S'interruppe, poi riprese il discorso, esprimendosi in termini che sperava lei potesse capire. — Milady, molto tempo fa tu ti sei unita in matrimonio con un uomo, gli hai dato un figlio, e quell'uomo vive ancora. Indipendentemente dai sentimenti che voi avete condiviso, o dalla loro assenza, tu sei ancora... Richenda, può darsi che domani io debba uccidere tuo marito. Questo non significa nulla per te? — Bran è un traditore e deve morire... lo so. — La voce della donna era un sussurro nella stanza in penombra. — Piangerò il bene che era in lui... perché un po' ce n'era. E piangerò per mio figlio, che non avrà un padre... perché Bran era anche questo. Ma se domani il fato guiderà la tua spada — proseguì, in tono ancora più sommesso, — o i tuoi poteri, e tu gli toglierai la vita, non ti odierò per questo. Come potrei? Tu possiedi il mio cuore. — Oh, dolce Gesù... non devi parlare così — mormorò Morgan, chiudendo gli occhi per allontanare l'immagine di lei. — Non dobbiamo, non possiamo osare... — Oh, devo forse dirtelo chiaro e tondo? — sussurrò lei, prendendogli una mano nelle proprie e appoggiando le labbra sulla pelle abbronzata del
dorso. Morgan sussultò a quel contatto, poi si costrinse a guardarla mentre lei gli prendeva anche l'altra mano. Quando lo toccò, fu come se una grande luce brillasse intorno ad entrambi e, di colpo, le loro menti furono una cosa sola. Richenda era una Deryni... una Deryni purosangue nata dagli antichi signori del passato. Una Deryni... in tutto il suo splendore, il suo orgoglio e il suo pieno potere, senza sensi di colpa. Nel primo momento di estasi derivante dall'unione con la mente di lei, Morgan si sentì pervadere da un senso di meraviglia così profondo che in quell'istante comprese, con una certezza che nasceva dalla radice di tutti i suoi poteri, di aver trovato quell'altra metà di se stesso, di cui aveva avvertito la mancanza per tutta la vita. Comprese che con quella donna al fianco avrebbe potuto sopportare qualsiasi cosa fosse accaduta l'indomani, e in tutti i giorni rimanenti della sua esistenza. Alla fine, tornò a vederla con gli occhi, anziché con la mente, e indietreggiò, liberando le mani in un gesto di stupore. La fissò per un lungo momento, chiedendosi fugacemente se la suora che si trovava nella camera accanto stava dormendo... e pregando che così fosse... poi abbassò lo sguardo sul tappeto ai propri piedi. La realtà tornò ad assalirlo con violenza e, con essa, tutti i problemi dell'indomani. — Ciò che è successo... mi renderà molto più difficile affrontare la giornata di domani, e tu lo sai — mormorò, con riluttanza. — Ho delle responsabilità che mi sono assunto molto tempo prima che questo fardello mi venisse posto sul cuore, perché sono stato il catalizzatore di gran parte di quanto è accaduto. — Allora io ti ho dato molto di più per cui combattere — ribatté lei, in tono altrettanto sommesso. — Sì. E se domani sarò costretto ad uccidere Bran, o comunque ne causerò in qualche modo la morte, che accadrà? — Se si arriverà a questo, sapremo entrambi che lo avrai fatto per il giusto motivo — dichiarò Richenda. — Davvero? Prima che lei potesse rispondere, dallo spiazzo esterno giunse un lieve rumore, prodotto dalle guardie che scattavano sull'attenti, seguito quindi da un suono di voci nel buio. Con un sussulto, Morgan si accostò alla soglia della tenda e trasse indietro il telo per vedere chi stesse arrivando; finalmente, una vaga forma vestita di nero emerse dal cerchio di oscurità che si
stendeva al di là delle torce e si diresse verso la tenda. Era Duncan e, a giudicare dall'espressione del suo volto, c'era qualcosa che non andava. — Cosa succede? — domandò Morgan, portandosi sulla soglia in modo da impedire a Duncan di vedere all'interno della tenda. — Mi dispiace disturbarti — replicò il cugino, schiarendosi la gola con un leggero imbarazzo, — ma ti ho cercato nella tua tenda, e non c'eri. Kelson vuole mostrarti qualcosa. — Arrivo subito. Girandosi, Morgan incontrò ancora una volta lo sguardo di Richenda... non erano necessarie altre parole... poi s'inchinò e lasciò il padiglione per raggiungere Duncan. — Scusami, ma ho impiegato un tempo maggiore del previsto. Qua! è il problema? — Non lo so con certezza — spiegò Duncan, badando a mantenere un tono di voce impersonale e a evitare qualsiasi riferimento al luogo che Morgan aveva appena lasciato. — Speriamo che possa dircelo tu. A giudicare dai rumori, sembra che gli uomini di Wencit stiano costruendo qualcosa. — Costruendo qualcosa? — Stavano superando un posto di guardia, e Morgan per poco non ignorò il saluto della sentinella, nel girarsi per fissare il cugino, che si limitò a scrollare le spalle. — Vieni. Da qui potremo sentire meglio. Quando raggiunsero i confini settentrionali del campo, una delle guardie dell'ultimo avamposto si staccò dai compagni e si avviò nel buio; Morgan e Duncan la seguirono, accoccolandosi quando la guardia segnalò loro di percorrere gli ultimi metri strisciando. Sulla cresta di un'altura, trovarono Kelson, Nigel e un paio di esploratori, stesi sullo stomaco e intenti a scrutare l'accampamento nemico. I fuochi di guardia torenthiani si stendevano a nord a perdita d'occhio e in alto, sulla sommità del passo, ammiccavano le luci delle torri di guardia di Cardosa. Avendo già ispezionato in precedenza la pianura, Morgan dedicò soltanto una rapida occhiata allo schieramento, poi strisciò accanto a Kelson e urtò il giovane re con il gomito. — Cos'è questa storia che starebbero costruendo qualcosa? — sussurrò. Kelson scosse leggermente il capo e accennò in direzione dell'accampamento nemico. — Ascolta. È molto debole, ma a volte il vento porta con sé il suono con maggiore intensità. A te cosa sembra?
Morgan estese a poco a poco i propri sensi deryni per intensificare l'udito, ma in un primo tempo percepì soltanto i normali rumori tipici di un accampamento militare, provenienti tanto dal loro campo quanto da quello nemico: cavalli che sbuffavano e battevano a terra gli zoccoli, il sommesso richiamo che accompagnava il cambio della guardia, il tmtinnio prodotto dagli utensili da cucina e dalle armi che venivano puliti. Poi riuscì però ad escludere i suoni normali, e infine ne percepì un altro che era molto più strano. Piegò il capo e chiuse gli occhi per ascoltare meglio, quindi guardò verso Kelson con un'espressione perplessa sul viso. — Hai ragione. Sembra che stiano martellando sul legno, e a volte giunge un rumore di ascia. — Anche noi avevamo avuto questa impressione — replicò Kelson, appoggiando il mento sulle mani e scrutando ancora la notte. — Ora, la prossima domanda è cosa stia costruendo Wencit. Cosa sta combinando con legno, asce e martelli nel cuore della notte precedente la battaglia? E perché? CAPITOLO VENTUNESIMO Egli ha convocato contro di me un'assemblea, per schiacciare i miei giovani scelti. Lamentazioni 1:15 La giornata sarebbe diventata calda e umida, più di quanto fosse ragionevole in quella stagione, non appena il sole fosse sorto completamente, ma in quelle prime ore dell'alba indugiava ancora una piacevole frescura, mentre l'esercito di Gwynedd prendeva posizione per la battaglia. Gli uomini erano stati svegliati già da parecchio tempo, ed i capitani li avevano passati in rassegna, controllando la distribuzione delle razioni e delle armi, lasciando poi ai preti il compito di svolgere le loro sacre funzioni; in parecchi casi, le ultime istruzioni e i sacramenti vennero impartiti contemporaneamente, perché c'erano molte cose da dire e poco tempo per farlo. All'alba, gli uomini erano già schierati, colonna dopo colonna, fila dopo fila. Quasi 2000 erano cavalieri, poi veniva un numero doppio di arcieri e infine la fanteria; tutti erano stranamente silenziosi, e perfino i cavalli erano calmi nel chiarore del primo mattino. Il nemico dava ancora ben pochi segni di attività, anche se i soldati di Gwynedd sapevano che le sue schiere si stavano certo preparando a loro volta, a un chilometro e mezzo circa di di-
stanza; poi mormorii interrogativi presero a diffondersi fra le truppe, quando il sole salì in cielo, ad oriente e alle spalle del nemico, senza che ancora si scorgesse qualcosa che indicasse l'imminente inizio della battaglia. Kelson e i suoi consiglieri si erano intanto raccolti su una collinetta, a destra del centro dello schieramento, per osservare il teatro dello scontro. L'alba aveva portato con sé lo spettacolo, non del tutto inatteso, di una serie di teste recise piantate su picche lungo il limitare dell'accampamento nemico, ed ora Warin e Nigel stavano cercando a turno di scrutare le facce dei morti con il cannocchiale, nella speranza di poter identificare qualcuno di essi. La distanza era eccessiva, e la decomposizione troppo avanzata, perché fosse possibile un effettivo riconoscimento, ma lo spettacolo stava ottenendo l'effetto voluto sugli uomini in attesa: anche se sapevano che Wencit stava soltanto cercando di minare il loro morale, che quelle teste potevano addirittura non appartenere a Cassaniani uccisi, i soldati di Gwynedd non potevano tuttavia saperlo con certezza, e continuavano a sforzare lo sguardo per vedere al di là del chilometro e mezzo che separava i due eserciti, e a mormorare supposizioni. Tutto questo era peraltro inutile, e i nervi già tesi si logorarono sempre più con il trascorrere del tempo. Kelson, nel frattempo, era assorbito dalle proprie preoccupazioni, intento a studiare una mappa stando in sella, completamente dimentico della galletta che teneva nella destra mentre si protendeva verso Morgan per sentire ciò che questi voleva dirgli in merito alla dislocazione delle unità di cavalleria di riserva. Il giovane sovrano appariva rilassato e riposato, ma continuava a scoccare occhiate in direzione delle teste recise disposte davanti alle prime linee dello schieramento nemico, dove non si scorgeva ancora traccia di Wencit o dei suoi ufficiali e dove le truppe se ne stavano in posizione di riposo, fila dopo fila, nonostante il sole si stesse alzando sempre più nel cielo. Dopo qualche tempo, il Vescovo Arilan e il Vescovo Cardiel lasciarono i loro uomini e risalirono il fianco della collinetta su cui Kelson si trovava, raggiungendo Duncan e il preoccupato Generale Gloddruth, fermi a qualche metro di distanza dal re. Arilan fu il primo a notare un accenno di movimento fra le schiere nemiche, e subito spostò il cavallo per sfiorare la manica di Kelson e indicargli la cosa, mentre le file nemiche si aprivano e da esse si staccava un gruppetto di cavalieri, il cui capo era munito della tradizionale bandiera bianca. — Nigel, qua! è il suo stemma? — chiese Kelson, annaspando nelle sacche della sella alla ricerca del cannocchiale.
— Non posso vederlo, a questa distanza, sire. Devo mandare una squadra incontro a quegli uomini? — No, non ancora. Aspettiamo di verificare le loro intenzioni. Gloddruth, ordina ad uno dei tuoi di tenersi pronto a muoversi. I cavalieri si arrestarono a circa quattrocento metri di distanza dalle loro linee, e soltanto l'uomo munito della bandiera bianca proseguì verso il centro del campo. Con un cenno, Kelson segnalò a Gloddruth di mandare il suo uomo; mentre il cavaliere di Gwynedd si avviava, Kelson sollevò il cannocchiale per scrutare gli uomini in attesa nella pianura sottostante. Alle spalle di quello con la bandiera, c'erano sette cavalieri. Quattro di essi erano una scorta di arcieri a cavallo che indossavano la vivace livrea arancione di Wencit, con il cuore di Furstan raffigurato in nero sul petto; quegli uomini erano barbuti, muniti di elmo e armati di tozzi archi ricurvi che portavano sulla schiena e di corte spade appese alla sella, accanto al ginocchio. Gli altri tre, invece, non erano soldati. Kelson ritenne che uno di essi fosse un monaco, a causa della lunga tunica nera sollevata intorno alle ginocchia e di un mantello scuro con cappuccio gettato sulle spalle; gli ultimi due, infine, erano nobili di rango, sgargianti come pappagalli nella loro tenuta da battaglia in acciaio e seta. Arilan riconobbe in uno di essi il Duca Lionel di Arjenol, parente dello stesso Wencit. Si trattava del cavaliere che portava una sopravveste di seta bianca sull'armatura, le cui maglie dorate brillavano al sole; una lunga treccia nera come l'ebano gli pendeva sulle spalle, sotto l'elmo adorno di una coroncina ducale tempestata di gemme. Nel riferire l'identità del secondo, Arilan assunse un'espressione sinistra: si trattava di Rhydon di Eastmarch, un Deryni purosangue per il quale Arilan non sembrava nutrire molta simpatia, anche se il vescovo non lo disse apertamente. Rhydon portava sull'armatura un fluente cafetano di broccato azzurro e oro. Quanto al suo volto, nonostante il cannocchiale Kelson non riuscì a vederlo a causa della distanza. Kelson abbassò il cannocchiale. I due portavoce muniti di bandiera bianca si erano incontrati nella pianura, a circa ottocento metri da lui, e stavano ora discutendo mentre le loro cavalcature si muovevano in stretti cerchi. Kelson lanciò un'occhiata in direzione di Morgan, per valutarne la reazione, e si accorse che il giovane generale stava fissando un punto al di là dello schieramento nemico, dove era apparsa una piccola foresta di bandiere di seta a colori vivaci: un gruppo di cavalieri di alto rango si stava radunando su un'altura alle spalle dell'area centrale delle truppe nemiche, e
Morgan si lasciò sfuggire un grugnito nel mettere a fuoco il cannocchiale. — Wencit è là — avvertì a bassa voce. — Mi pareva che fosse ormai giunto per lui il momento di farsi vedere. Credo che l'uomo alla sua sinistra sia Bran. Kelson studiò il gruppo per un momento, poi guardò ancora una volta verso Morgan. — Ritengo che faremo meglio a rinunciare all'idea che Lady Richenda cerchi di convincere Bran Coris a tornare dalla nostra parte. Questo non è posto per una donna, e non avrei mai dovuto portarla con noi. Morgan scrollò le spalle e ripose il cannocchiale nella sua custodia, vicino al ginocchio. — Penso che ti sarà piuttosto difficile dissuaderla, mio principe. Io ho tentato di farlo, la scorsa notte, e lei... ecco, è una donna molto orgogliosa. — Sì, lo so — sospirò Kelson, girandosi quindi sulla sella quando Duncan spinse il suo destriero roano verso di lui, dopo aver conferito con un capitano della guardia. Ora gli uomini con la bandiera bianca stavano galoppando verso lo schieramento di Gwynedd. — L'inviato di Wencit è stato identificato come il Barone Torval di Netterhaven — avvertì Duncan. — È uno degli ufficiali scelti di Wencit. Sarà accompagnato qui sotto nutrita scorta perché riferisca il suo messaggio. Kelson annuì e si girò verso Morgan. — Non c'è da pensare che Wencit voglia già offrire delle condizioni, vero? — È improbabile, mio principe. In ogni caso, si tratterebbe di condizioni per te inaccettabili, perché queste sono le regole del gioco. La mia supposizione è che si tratti di un altro tentativo di intaccare il nostro morale. Attento a ciò che dirai a quell'inviato. — Non ti preoccupare. Non appena i due cavalieri furono vicini, le linee si aprirono e un gruppo di uomini scelti di Kelson circondò il messaggero nemico per scortarlo in cima all'altura, da Kelson. L'uomo, che non poteva avere più di vent'anni, era a testa scoperta e arrogante e sicuro nei modi; fermò il cavallo a qualche metro di distanza, e la sua sopravveste di satin giallo brillò sotto il sole quando lui s'inchinò leggermente sulla sella. — Kelson di Gwynedd? — Sono io. Riferisci il tuo messaggio. Il giovane s'inchinò ancora, e un sorriso untuoso gli apparve sulle labbra. — Io sono Torval di Netterhaven, milord, e ti porto i saluti del mio si-
gnore il Duca Lionel, cognato del nostro re — annunciò, accennando con la testa in direzione del gruppetto fermo in sella al centro della pianura. — Sua Grazia il Duca è qui per conto del nostro signore, Re Wencit, per proporre alcune condizioni per l'imminente battaglia. È suo desiderio che tu e una scorta pari alla sua scendiate nella pianura per discutere della cosa. — Ma davvero? — ribatté Kelson, sarcastico. — E perché dovrei trattare con un semplice duca? Perché dovrei rischiare la mia sicurezza personale, se il vostro re non è disposto a fare altrettanto? Non scorgo Wencit là sulla pianura. — Allora nomina un altro al tuo posto — replicò Torval, altrettanto sarcastico. — Io rimarrò qui come ostaggio fino al ritorno dei tuoi inviati. — Capisco — commentò Kelson, con voce glaciale, e i suoi occhi divennero duri come acciaio nel fissare Torval, che alla fine fu costretto ad abbassare lo sguardo. Allora Kelson lanciò un'occhiata a Morgan e agli altri generali, e strinse più saldamente le redini. — Molto bene. Incontreremo il tuo Duca Lionel. Zio Nigel, tu avrai il comando fino al nostro ritorno. Morgan, tu ed Arilan mi accompagnerete al centro della pianura, mentre Duncan e Warin ci seguiranno per un tratto, con una scorta — proseguì, accennando a due dei cavalieri che avevano accompagnato Torval sull'altura. — Sergente, accertati che il nostro buon barone non sia armato, poi vieni con noi. Torval, consegna la tua daga. Torval ridacchiò nel consegnare la corta daga che aveva alla cintura, e si lasciò affiancare da due massicci cavalieri, e continuò a ridacchiare anche quando le due guardie lo guidarono dietro Kelson e gli altri, lungo il pendio. Le truppe applaudirono al passaggio di Kelson, ma tornarono a farsi silenziose mentre il gruppo si avviava nella pianura. Percorsi circa quattrocento metri, la delegazione si arrestò per un momento, poi soltanto Kelson, Morgan e Arilan proseguirono verso il centro della piana. Quasi contemporaneamente, Lionel e Rhydon si staccarono dalla loro scorta e si avviarono incontro ai tre nella quiete del mattino, turbata soltanto dal sommesso tamburellare degli zoccoli sull'erba. Kelson osservò i due che venivano verso di lui, e cercò di tenere la testa eretta e le mani salde sulle redini, ma parte della sua tensione dovette comunicarsi alla cavalcatura, perché il nervoso destriero nero prese a caracollare di lato e a lottare contro il morso nell'avvicinarsi ai due cavalieri. Kelson scoccò una rapida occhiata a Morgan, alla sua destra, ma l'attenzione del generale deryni pareva concentrata sui due uomini che stavano per incontrare; Arilan, alla sinistra di Kelson, appariva calmo e sereno e i suoi
lineamenti non tradivano la minima emozione: sembrava talmente rilassato che si sarebbe quasi potuto credere che stesse andando in chiesa ad assistere ad una funzione. — Salve, Re di Gwynedd! — esclamò Rhydon, accennando un inchino, quando i due gruppi s'incontrarono e si arrestarono. — Non pensavo che saresti venuto di persona a trattare con noi, ma non importa. Il mio re manda i suoi cordiali saluti. Arilan lanciò a Rhydon un'occhiata rovente, mentre un muscolo gli si contraeva nella mascella. — Attento a ciò che dici, Rhydon. Se anche rechi dei saluti, noi abbiamo la certezza che essi non sono cordiali. La tua reputazione è ben nota. Rhydon si girò sulla sella per rivolgere al vescovo un inchino vellutato, poi accennò a Lionel con un gesto aggraziato. — Questi è Sua Grazia il Duca di Arjenol, cognato di Wencit, come forse saprai. Ed io sono Rhydon di Eastmarch. Conosco già il Vescovo Arilan, da tempi ormai trascorsi di cui è meglio non parlare, quindi il biondo sconosciuto che ti cavalca accanto può essere soltanto il grande Morgan. Il mio signore, Wencit di Torenth, ha uno speciale saluto per Vostra Grazia... e un dono. Rhydon infilò una mano nella tunica e ne estrasse qualcosa, tenendolo serrato nel pugno coperto di cuoio, poi diede di tallone alla propria cavalcatura in modo da portarsi accanto a Morgan. Quando Rhydon protese la mano, Morgan azzardò un esitante sondaggio per accertarsi che non ci fosse sotto nessun tradimento, quindi permise al proprio sguardo di posarsi sulla mano che si stava aprendo lentamente. — Credo che questo ti appartenga — mormorò Rhydon, nel rivelare l'argento lucente di una catena e di un medaglione. — Wencit ha pensato che ti avrebbe fatto piacere riaverlo. Penso che chi lo portava abbia un tempo significato qualcosa per te. Temo purtroppo che la catena sia rotta. Morgan non ebbe bisogno di un'altra occhiata per sapere cosa ci fosse nella mano di Rhydon. Senza parlare, protese il proprio palmo guantato e lasciò che Rhydon versasse l'argento nella sua mano, avvertendo un vago permanere dell'essenza di Derry quando le sue dita si chiusero sul medaglione di San Camber. Il suo volto e la sua voce non lasciarono però trapelare nessuna emozione quando lui sollevò lo sguardo su Rhydon. — Derry è morto? — No. Ma può darsi che finiate per desiderare il contrario, se non collaborerete con noi.
— Ti servi della vita di Derry per minacciarci? — sibilò Kelson. — Non proprio, mio giovane amico — replicò Rhydon, con una risatina sommessa e pericolosa. — Abbiamo appreso... non importa come... che hai in tua mano alcuni prigionieri di rango che hanno per noi molta importanza. Il mio signore, Re Wencit, è disposto a scambiare Derry, vivo e illeso, con la nostra gente. — Non sapevo che fra noi ci fossero prigionieri torenthiani, e tu, Morgan? — chiese Kelson, accigliandosi. — A chi ti stai riferendo, Rhydon? — Ho detto che si trattava di Torenthiani? Ti prego di perdonare la mia imprecisione. I prigionieri a cui mi riferivo sono la Contessa di Marley e suo figlio, il giovane Lord Brendan. Il Conte Bran desidera la restituzione della sua famiglia. Morgan sgranò gli occhi e si sentì salire il cuore in gola, ma non osò guardare verso Kelson; poteva avvertire lo stupore che quella richiesta aveva generato nel giovane re e sapeva che Kelson era rimasto momentaneamente interdetto di fronte alle parole di Rhydon... ma sapeva anche che doveva essere Kelson a decidere, sebbene Morgan fosse personalmente coinvolto. Non era uno scambio accettabile, e Morgan ne era consapevole; d'altro canto, non poteva decretare lui stesso la condanna a morte di Derry... il giovane nobile meritava una sorte migliore, per quanto Morgan non potesse purtroppo concedergliela. Il giovane generale deryni serrò il pugno intorno al medaglione che aveva in mano, fino a far sbiancare le nocche sotto i guanti di cuoio nero, ma non distolse per un solo momento lo sguardo dalla faccia di Rhydon. Kelson si mosse sulla sella, a disagio, e dopo qualche istante tornò a incontrare lo sguardo di Rhydon. Quanto ad Arilan, anche lui non disse nulla, consapevole che la decisione spettava a Kelson... e ben sapendo quale essa dovesse essere. — Tu offri uno scambio — affermò infine Kelson, in tono cauto. — Anche ammesso che fossimo disposti a prendere in considerazione la cosa, in che modo possiamo essere certi che Derry sia ancora vivo e illeso, come tu sostieni? Con un untuoso inchino, Rhydon si girò e rivolse un cenno alla propria scorta, sempre in attesa a qualche centinaio di metri di distanza. Immediatamente, la figura vestita di nero che Kelson aveva ritenuto essere quella di un monaco, si staccò dalle altre e si avvicinò con lentezza. Il cappuccio scivolò dalla testa dell'uomo quando questi si arrestò a qualche metro di distanza, alle spalle di Lionel e di Rhydon, e il suo sguardo incontrò per un
momento quello di Morgan, senza però che fosse pronunciata parola: non potevano esserci dubbi che quello fosse effettivamente Sean Lord Derry. Kelson rivolse una dura occhiata a Lionel e a Rhydon, poi passò con decisione fra loro per avvicinarsi a Derry. Pallido come la cera, il giovane nobile sollevò lo sguardo sul suo re, e Kelson si accorse che le sue mani stavano stringendo con forza disperata l'alto pomo della sella: Derry sapeva quale fosse la posta in gioco... e quale dovesse essere la decisione finale. Tutt'a un tratto, Kelson provò una grande compassione per il giovane lord. — Sei proprio tu, Derry? — chiese, in tono sommesso. — Ahimè, sire, temo di sì. Io... sono stato catturato poco dopo aver scoperto la defezione di Bran, e non ho potuto avvertirti in nessun modo. Mi dispiace. — Lo so — sussurrò Kelson, poi protese una mano per stringere il polso di Derry in un gesto di comprensione e distolse lo sguardo, girando il cavallo e ripassando fra Lionel e Rhydon. Il suo viso era pallido sullo sfondo della tunica carminia, ma ora le sue mani erano salde sulle redini. — Perdonami, Derry, ma so che comprenderai ciò che devo fare. Non posso permettere che donne e bambini siano usati come pedine in questo gioco. — Kelson sollevò il capo e fissò Rhydon negli occhi. — Mio signore, puoi riferire al tuo padrone che lo scambio non è accettabile. Lady Richenda e suo figlio sono effettivamente sotto la mia custodia e non sarà fatto loro nulla di male, ma non li consegnerò a voi per nessun motivo. Essi non hanno nulla a che vedere con il tradimento di Lord Bran, e non chiederei né permetterei loro di consegnarsi al nemico... neppure per salvare la vita di uno dei miei più cari e fidati nobili. Derry accolse quelle parole con un sorriso coraggioso e abbassò il capo con rassegnazione, mentre Rhydon annuiva. — Prevedevo la tua risposta, giovane signore, e comprendo perfettamente. È ovvio che è del tutto inutile sperare che Lord Wencit non si adiri e non cerchi vendetta: non è abituato a venire meno alle promesse fatte a coloro che lo servono bene, e sospetto che pagherai a caro prezzo la tua decisione. — Non mi aspetto nulla di diverso. — Molto bene, allora. Rhydon s'inchinò ancora sulla sella, quindi fece girare il cavallo, imitato da Lionel, e segnalò a Derry di tornare verso le guardie in attesa. Nell'obbedire, Derry scoccò un'ultima occhiata a Morgan, ma poi tenne la testa al-
ta nel dirigersi verso le file nemiche, e Morgan avvertì una fitta di dolore nel guardare i tre che si allontanavano, perché sapeva che Derry stava andando incontro alla morte. Incapace di reggere ancora a quella vista, si avviò a sua volta verso le proprie linee, e Kelson ed Arilan gli si affiancarono in silenzio. Come Derry, neppure loro si guardarono indietro. Duncan McLain vide i tre cavalieri tornare verso di lui e verso l'ostaggio, e comprese dal loro atteggiamento che l'incontro non aveva avuto successo. Sapeva che il terzo cavaliere giunto dallo schieramento nemico era Derry... lo aveva visto con il cannocchiale... e non ebbe difficoltà a intuire la natura della decisione a cui si doveva essere arrivati. Accanto a Duncan, Lord Torval sedeva in sella con aria compiaciuta, mentre la luce del sole faceva ancora brillare la sua sopravveste di satin; il volto del giovane nobile aveva un'espressione tanto serena da rasentare la trance, le mani posavano con leggerezza sul pomo della sella, e per un istante Duncan ebbe l'impressione che Torval non fosse effettivamente là con la mente, perché il lord sembrava preoccuparsi ben poco della propria sicurezza. Alla destra di Torval, Warin stava giocherellando con l'elsa della daga, nervoso come un gatto a causa di ciò a cui aveva appena assistito, e le due guardie aspettavano in sella un po' più indietro, spostando lo sguardo cupo dal prigioniero al re che stava tornando con i suoi compagni. Nel complesso, la scena appariva stranamente calma e pacifica, quasi come in un sogno, e di colpo Duncan comprese che questo non poteva durare. E poi accadde. I cavalieri che si stavano ritirando si erano allontanati di appena una decina di metri dal punto dell'incontro, quando dietro le linee nemiche ci fu un improvviso fervere di attività. Cinquanta robusti pali, sulla sommità di ciascuno dei quali era saldamente inchiodata una trave, in senso perpendicolare, furono sollevati e inseriti nei buchi già approntati per riceverli. Sul braccio sporgente di ogni palo fu poi gettata una corda che terminava con un cappio. Mentre i pali calavano negli alveoli, Duncan si sollevò sulle staffe, puntando il cannocchiale, e non riuscì a soffocare un sussulto quando cento prigionieri, tutti vestiti con i colori di Cassan, azzurro, argento e carminio, furono spinti a forza sotto i pali. Uno stendardo prese poi a sventolare al centro della linea... la bandiera ducale di Cassan, quella del padre di Duncan... e un uomo alto e brizzolato, che portava sulla sopravveste il leone dormiente e le rose dello stemma di Cassan, venne fatto salire su una piccola piattaforma sottostante una delle sbarre inchiodate ai pali. Mentre il cappio scendeva intorno al collo del-
l'uomo, Duncan si lasciò sfuggire un gemito: quello era il Duca Jared, e i soldati nemici stavano lentamente e deliberatamente tendendo la corda intorno al suo collo. Raggelato dall'orrore, Duncan vide le corde che venivano passate intorno al collo dei cento uomini che erano con Jared, che furono poi costretti a salire su una fila di basse rocce poste sotto le sbarre fissate ai pali... due uomini per ciascun palo, tutti con le mani legate dietro la schiena. Vide Morgan, Kelson ed Arilan fermarsi in mezzo alla pianura, a qualche centinaio di metri di distanza, per poi girarsi e fissare la scena a bocca aperta, e il cavallo di Kelson cominciare a scartare e a impennarsi mentre il giovane re cercava di controllarlo. Dalle file nemiche si levò quindi un grande applauso nel momento in cui le corde furono tese al massimo e i prigionieri si sollevarono da terra, rimanendo impiccati. Le truppe di Gwynedd risposero all'applauso con un ruggito di rabbia tanto violento da scuotere l'aria... e tre cose accaddero contemporaneamente. Con un soffocato grido d'indignazione, Warin estrasse la spada e la conficcò nel fianco del sorridente Lord Torval, precedendo di una frazione di secondo Duncan, il cui viso aveva assunto una selvaggia espressione d'orrore per la morte brutale inflitta a suo padre. Kelson, pallidissimo e ancora impegnato a controllare il cavallo, scattò con Arilan e Morgan verso le proprie linee, segnalando con cenni frenetici a Warin e a Duncan di ritirarsi. Morgan però ebbe una lievissima esitazione e costrinse poi la sua cavalcatura a ruotare su se stessa, spronandola in direzione di Rhydon e di Lionel, che ancora si stavano ritirando, e snudando la spada che gli brillò in pugno come una saetta. — Derry! — urlò, mentre cavalcava, grigio in volto per l'ira impotente. Alle sue spalle, le file dell'esercito regio si stavano già spostando in avanti, pronte a rompere la formazione e ad attaccare, ma Morgan non vi badò e gridò ancora il nome dell'amico. Nel sentire la voce di Morgan, Derry girò la testa di scatto e arrestò il cavallo, a bocca aperta per lo stupore. Il giovane esitò per un istante, valutando la situazione... i corpi che si contraevano, appesi alle corde, dietro lo schieramento nemico, Rhydon e Lionel che spronavano i cavalli, avendo udito anch'essi il richiamo di Morgan, e lo stesso Morgan che stava puntando verso di loro a un galoppo sfrenato, con la spada in pugno. Un attimo dopo, Derry girò il cavallo e fuggi verso Morgan, seguendo
d'istinto una traiettoria diagonale che lo portasse il più lontano possibile da Rhydon e da Lionel. I due nobili nemici erano vicini... non potevano essersi trovati a una distanza superiore ai dieci metri quando Derry aveva girato il cavallo... e si stavano accostando in fretta. Derry vide che Morgan stava rapidamente guadagnando terreno a spese dei cavalli da guerra torenthiani, più massicci, e che la sua cavalcatura era quasi all'altezza del grosso baio di Lionel. Dietro di lui, però, gli arcieri a cavallo di Rhydon stavano già incoccando le frecce negli archi. Lionel cercò di tagliare la strada a Derry per impedirgli la fuga, ma ormai Morgan gli era accanto e assestò uno strattone verso sinistra alla testa del proprio cavallo, gettando il peso dell'animale contro la cavalcatura di Lionel, che incespicò e cadde in seguito al calcio violento sferratole da Morgan con uno stivale. Lionel rotolò su se stesso quando il cavallo crollò a terra, e Morgan lo oltrepassò a precipizio, guadagnando terreno su Rhydon mentre Lionel si rialzava e afferrava le redini del destriero barcollante. Una pioggia di frecce cominciò a cadere su di loro per opera della scorta torenthiana, e i dardi rimbalzarono senza recare danno sugli elmi d'acciaio e sulle cotte di maglia di Morgan e di Rhydon. I cavalli, tuttavia, erano privi di protezione, e una freccia trafisse per puro caso la gola di quello di Rhydon, che si accasciò nitrendo. Rhydon atterrò in piedi e spiccò subito la corsa verso Lionel, che era già rimontato in sella, agitando al tempo stesso freneticamente le braccia verso gli arcieri per segnalare loro di cessare il tiro. Un'altra freccia, però, colpì Derry alla schiena nel momento stesso in cui Morgan gli si affiancava e gli arcieri abbassavano gli archi. Morgan gettò Derry, prossimo a svenire, di traverso sulla propria sella e si precipitò verso le linee di Gwynedd, mentre Rhydon montava in sella dietro Lionel e si allontanava con lui verso est. Nel lanciarsi una timorosa occhiata alle spalle, Morgan vide che Rhydon stava imprecando, nel mettersi al sicuro con Lionel; il giovane generale assestò poi meglio la forma inerte di Derry sull'arcione e si tenne chino sulla sella nel proseguire la fuga verso lo schieramento di Gwynedd. L'esercito era però in fermento, e gli uomini si agitavano con rabbia dietro le prime linee, brandendo le spade e le asce. Kelson stava galoppando con determinazione avanti e indietro lungo la parte centrale dello schieramento, nel tentativo di tenere a freno gli ufficiali, ma non poteva essere dovunque nello stesso momento; il ruggito degli uomini stava salendo di tono ed essi agitavano lance e spade con rabbia per ciò che l'infido nemico aveva appena fatto ai loro compagni.
— Abbassate le armi! — stava gridando Kelson. — Abbassatele, vi dico! Non capite? Vogliono che attacchiamo! Riponete le armi! È un ordine! Le sue parole erano però quasi inudibili, a causa del fragore. Quando le linee si aprirono per lasciar passare Morgan e Derry, l'ala sinistra scattò in avanti di sua iniziativa, perché gli ufficiali non erano più in grado di mantenere il controllo. Kelson comprese le intenzioni dei soldati e, dopo un ultimo, inutile tentativo di ordinare loro di ritirarsi, girò il cavallo e oltrepassò al galoppo gli uomini decisi ad attaccare, per poi arrestarsi e far ruotare l'animale con una manovra perfetta. Il cavallo rimase immobile come una roccia quando Kelson ne abbandonò le redini, sollevandosi sulle staffe e gettando indietro il capo; il giovane levò le braccia al cielo e pronunciò parole proibite, che soltanto il vento udì. Una luce simile a fuoco carminio gli scaturì allora dalla punta delle dita e tracciò una linea ardente e rossa come il sangue sull'erba primaverile. I soldati che avevano infranto lo schieramento si arrestarono, inorriditi e confusi, mentre i cavalli terrorizzati presero a impennarsi selvaggiamente nel vedere le fiamme carminie che si stavano alzando lungo tutta la linea. Nel frattempo, le truppe torenthiane non accennarono a muoversi. Rhydon, Lionel e gli arcieri della scorta avevano raggiunto la protezione delle loro linee nel momento in cui l'esercito di Kelson iniziava a perdere il controllo, ma per ora questo non interessava al giovane sovrano, che abbassò le braccia e fissò i soldati con i suoi orgogliosi occhi Haldane; i soldati riuscirono infine a calmare i cavalli terrorizzati e tornarono verso i loro posti dello schieramento, cercando di riportare l'ordine nel caos. La quiete scese quindi su entrambi gli eserciti, e Kelson allargò di nuovo le braccia e passò le mani, a palmo in giù, sul fuoco da lui creato: le fiamme si spensero, la linea ardente scomparve e l'aura carminia che aveva avvolto la figura del giovane si dissolse con l'abbassarsi delle sue braccia. Il Re di Gwynedd era tornato ad essere umano. Non si udì il minimo suono mentre Kelson raccoglieva le redini e girava lentamente il capo per osservare il nemico, scrutando a lungo con i suoi grigi occhi Haldane ogni stendardo, ogni dettaglio degli orrendi frutti che pendevano dalle forche, come per imprimersi ogni cosa nella memoria. Dopo un momento, tornò a girarsi verso il proprio esercito e avviò il cavallo per rientrare fra le sue file, mantenendo un'andatura regale e pacata. Il silenzio si prolungò, assoluto, fino a quando lui ebbe quasi raggiunto le prime linee, poi una spada isolata prese a battere contro uno scudo in un gesto di approvazione; quel suono venne raccolto e ripetuto da altri, in
numero sempre maggiore, finché l'intero esercito fu avvolto dalla vibrazione dell'acciaio sul cuoio che rivestiva gli scudi. La testa di Kelson era eretta, con orgoglio, quando il giovane tornò ad arrestarsi e, dopo un momento, sollevò una mano per chiedere silenzio mentre Morgan, che teneva ancora di traverso sulla sella il corpo accasciato di Derry, osservava con incredula meraviglia gli occhi del sovrano che a poco a poco tornavano ad essere del tutto umani. — È morto? — chiese Kelson, in tono quieto. — Non ancora. — rispose Morgan, scuotendo il capo, e segnalò a due armigeri di prelevare Derry dalla sella. — Però è in brutte condizioni. Capitano, vuoi chiamare Warin, per favore? Credo che possa essere guarito. — Provvedi — annuì Kelson. — Morgan, che ne pensi della piccola rappresentazione che Wencit ha appena messo in scena a nostro beneficio? Morgan si affrettò ad adeguarsi al cambio di argomento da parte di Kelson, per quanto fosse un po' sorpreso che il giovane potesse accantonare così rapidamente ciò che aveva appena compiuto e tornare a concentrarsi sul nocciolo del problema da risolvere. — Ci voleva pungolare affinché ingaggiassimo la battaglia prima di essere pronti, mio principe, e tuttavia dubito che lui stesso fosse pronto a sostenere lo scontro. Non capisco. — Anch'io ho riportato la stessa impressione — annuì Kelson, girandosi sulla sella per lanciare un'occhiata a Duncan. — Stai bene, Padre Duncan? Duncan sollevò il capo e fissò Kelson con occhio spento per un attimo, prima di annuire lentamente; aveva riposto la spada nel fodero, ma le sue mani erano ancora rosse per il sangue dell'ostaggio che lui e Warin avevano ucciso, e abbassò lo sguardo su di esse dopo aver guardato in direzione dei corpi che penzolavano ancora davanti allo schieramento nemico. — Io... ho ucciso quell'ostaggio in un impeto d'ira, sire. Non spettava a me farlo, e avrei dovuto trattenermi. — Non è vero. — Kelson scosse il capo con aria solenne. — Tu e Warin mi avete risparmiato la fatica di ucciderlo di persona. Quando è venuto qui, Torval sapeva che ci avrebbe rimesso la vita, in caso di tradimento. — Un'azione giusta commessa per il motivo sbagliato — sorrise Duncan, con cinismo. — Ciò non la rende però giusta ai miei occhi, mio principe. — Forse no, ma è comunque perdonabile. Io avrei... — Sire! Wencit viene verso di noi! — esclamò all'improvviso un uomo, con voce strozzata.
Kelson ruotò di scatto sulla sella, aspettandosi di veder avanzare l'intera orda torenthiana; invece, si trattava soltanto di un gruppetto di cavalieri che si stava staccando dallo schieramento nemico e che era composto da un portabandiera che reggeva il vessillo con il cuore rampante, nero su argento, da Lionel, da Rhydon, da una figura snella e orgogliosa che poteva appartenere soltanto a Bran Coris... e dallo stesso Wencit. I cavalieri procedettero con andatura decisa verso il centro del campo, e Kelson li seguì con lo sguardo, socchiudendo le palpebre in un'espressione di sospetto. — È una trappola — mormorò Duncan, lanciando ai cavalieri un'occhiata rovente. — Non vogliono trattare, ma soltanto tramare qualche inganno. Non ti fidare di loro, sire. — Morgan, qual è il tuo parere? — chiese Kelson, senza distogliere lo sguardo dal Re di Torenth. — Convengo con Duncan che non ci si debba fidare di loro, mio principe, ma sebbene non abbia maggior simpatia per i Torenthiani di quanta ne nutra Duncan, temo che sia il caso di andare di nuovo a sentire cosa vogliono. — Ben detto — approvò Kelson. — Vescovo Arilan, vuoi accompagnarmi anche questa volta? Apprezzo molto i tuoi consigli. — Verrò, sire. — Bene. Duncan, vorrei che venissi con noi, ma non te lo ordinerò, considerate le circostanze. Ritieni di poter tenere a freno la tua ira ancora per qualche tempo? — Non ti recherò vergogna, mio principe. — Allora unisciti a noi. Nigel, il comando resta a te fino al mio ritorno. Kelson si avvolse le redini intorno alla mano sinistra, poi lanciò un'occhiata in direzione di un giovane barone appiedato, che reggeva lo stendardo reale; con un cupo sorriso, fece caracollare il cavallo verso il nobile, protendendo quindi la mano guantata e stringendola intorno all'asta. Il barone s'immobilizzò per un istante, poi esibì un ampio sorriso e sollevò lo stendardo in modo che la base dell'asta poggiasse sulla staffa del sovrano. Kelson assestò lo stendardo contro il proprio fianco e un grido di approvazione si levò dalle schiere dei suoi uomini, mentre la brezza mattutina s'impadroniva del drappo di seta carminia e lo stendeva sotto il sole. Kelson girò quindi il cavallo verso il nemico e diede di sprone. Caracollando, il grande destriero nero precedette le cavalcature di Morgan, di Duncan e del Vescovo Arilan e condusse Kelson all'incontro con il suo nemico Deryni.
CAPITOLO VENTIDUESIMO Impugnano l'arco e il giavellotto, sono barbari e senza misericordia: il loro rumore è come il rimbombo del mare, sono a cavallo, ognuno è equipaggiato e pronto a combattere contro di te. Geremia 50:42 — E così, tu sei Kelson Haldane — commentò Wencit. La sua voce era pacata e colta, i suoi modi rivelavano una sicurezza assoluta, e Kelson provò per lui un odio immediato. — Mi fa piacere che si possa discutere della situazione attuale in maniera civile, da uomini adulti — proseguì Wencit, scrutando Kelson da capo a piedi con aria sprezzante. — O quasi adulti. Kelson non si concesse il lusso di indulgere nella risposta rovente che avrebbe voluto pronunciare, e si costrinse invece a studiare a sua volta Wencit con altrettanta attenzione, memorizzando ogni dettaglio di quel magro Deryni dai capelli rossi noto come Wencit di Torenth. Wencit montava il grande cavallo roano come se fosse nato sulla sella e le sue mani guantate stringevano con leggerezza le ampie redini di velluto decorate con disegni in oro brunito. Una piuma color porpora, fissata alle briglie, sul muso dell'animale, ondeggiò e tremolò sotto la brezza quando il destriero ramato scosse il capo e sbuffò contro il cavallo nero di Kelson. Oro e porpora erano anche i colori dell'abbigliamento dello stesso Wencit, il cui corpo, tranne la testa, era completamente avvolto in una lucente cotta di maglia e nel ricco broccato porpora e oro del mantello che gli partiva dal collare d'oro tempestato di gemme. Altre pietre preziose scintillavano sui bracciali che proteggevano i polsi, là dove essi s'incontravano con gli eleganti guanti di capretto, e una massiccia catena brillava sul tessuto dorato della sopravveste. Sul capo, Wencit portava un'elaborata corona di oro battuto e decorato con perle e pietre preziose di colore dorato. Su qualsiasi altro uomo, un abbigliamento del genere avrebbe prodotto un effetto ridicolo, ma su Wencit era impressionante, tanto che Kelson si sentì indotto quasi inconsciamente a reagire alla semplice immagine offerta dall'uomo che aveva di fronte, e dovette costringersi a scrollarsi di dosso quella sensazione, a sedere un po' più eretto sulla sella e ad alzare il capo con maggiore orgoglio. Permise quindi al proprio sguardo di vagare sui com-
pagni di Wencit: l'accigliato Rhydon, l'untuoso Lionel, il traditore Bran, che si rifiutò di incontrare il suo sguardo, almeno per ora. Infine, riportò la propria attenzione su Wencit, fissandolo negli occhi con espressione dura e senza il minimo sussulto. — La tua affermazione m'induce a supporre che tu ti consideri un uomo civile — replicò quindi, soppesando le parole. — D'altro canto, l'uccisione brutale di cento prigionieri inermi non sembra certo un'azione studiata allo scopo di dimostrare di possedere un qualsiasi grado di civiltà. — Infatti non lo era — convenne Wencit, fin troppo amabile. — Era però studiata allo scopo di dimostrare fino a che punto sono pronto ad arrivare, se necessario, pur di avere la garanzia che tu esamini con la dovuta attenzione la proposta che sono in procinto di farti. — Una proposta? — ripeté Kelson, sprezzante. — Non penserai certo che io abbia intenzione di trattare, dopo la brutalità a cui ho appena assistito. Che razza di stolto credi che io sia? — Oh, non sei uno stolto — rise Wencit. — Ed io non sono neppure tanto stupido da sottovalutare la minaccia che tu costituisci per me... anche se ti stai misurando con gente di classe superiore alla tua. È quasi un peccato che tu debba morire. — Finché la mia morte non sarà un fatto accertato, ti suggerisco di pilotare la conversazione su altri argomenti. Si sta facendo tardi, Wencit, quindi esponi la tua proposta. Wencit sorrise e s'inchinò leggermente sulla sella. — Dimmi, come sta il mio giovane amico, Lord Derry? — E come dovrebbe stare? — Suvvia, Kelson, ti prego di attribuirmi almeno un minimo di intelligenza — ribatté Wencit, schioccando la lingua in un verso di disapprovazione e scuotendo il capo. — Perché avrei dovuto ordinare la morte di Derry? Lui era l'ostaggio che speravo di utilizzare per riavere la famiglia di Lord Bran, e ti assicuro che gli arcieri hanno agito senza aver ricevuto nessun ordine da parte mia e sono stati puniti. Derry è vivo? — Questo non ti riguarda — replicò Kelson, asciutto. — Allora è vivo. Meglio così — annuì Wencit, con un leggero sorriso. Abbassò per un momento lo sguardo sulle mani guantate, poi tornò a fissare Kelson. — Molto bene, quello che sono venuto a dire è questo: per quanto mi riguarda, non è necessario che ci sia una grande battaglia che coinvolga i nostri rispettivi eserciti e che ci sia una carneficina fra i nostri uomini perché si risolvano le cose fra noi due.
— E che genere di alternativa avresti in mente? — domandò Kelson, socchiudendo gli occhi con aria sospettosa. — Uno scontro personale — rispose Wencit. — O, per essere più specifico, uno scontro personale a livello di gruppo: un duello di magia combattuto fino alla morte, Deryni contro Deryni. Io stesso, Rhydon, Lionel e Bran contro te e altri tre che sceglierai. Suppongo che Morgan, McLain e magari il tuo regale zio costituiscano la scelta più logica, ma naturalmente sei libero di optare per chiunque tu voglia. Nei tempi antichi, uno scontro del genere era definito un duello arcano. Kelson si accigliò e lanciò un'occhiata ai compagni; la proposta di Wencit aveva destato in lui un improvviso senso di disagio, e l'idea di un duello arcano lo spaventava, perché era certo che in tutto questo dovesse esserci un inganno che bisognava ad ogni costo portare alla luce. — Il vantaggio di cui tu godresti in un confronto del genere è ovvio, signore. Tu ed i tuoi compagni siete Deryni addestrati nell'uso dei vostri poteri, mentre la maggior parte di noi non lo è. D'altro canto, pur usufruendo di tale vantaggio, tu non mi sembri il genere di uomo disposto a rischiare il tutto per tutto in un singolo scontro. Cos'è che hai trascurato di dirmi? — Sospetti qualche sotterfugio? — chiese Wencit, inarcando un sopracciglio in un gesto di finta sorpresa. — Forse la tua diffidenza è una cosa saggia, ma io avevo creduto che gli altri vantaggi derivanti dall'uso di questo metodo fossero ben chiari. Se impegneremo una battaglia su questo campo, un esercito contro l'altro, il fiore della cavalleria andrà distrutto, da entrambe le parti: a che mi servirebbe un regno morto... un regno abitato soltanto da vecchi, da ragazzi, da donne e da bambini? — Neppure io desidero di veder perire i miei migliori combattenti in battaglia — convenne Kelson, scrutando attentamente il re nemico. — Se oggi combatteremo, le conseguenze di questa battaglia si faranno sentire per parecchie generazioni. Tuttavia, non posso fidarmi di te, Wencit: se anche ti sconfiggessi, chi potrebbe prevedere cosa accadrà la prossima primavera? Chi... Wencit gettò il capo all'indietro e scoppiò a ridere, imitato sia pure in tono minore dai compagni, e Kelson si mosse sulla sella in un gesto di disagio, perché non si era accorto di aver detto qualcosa di umoristico. Stava per parlare ancora, quando Wencit smise improvvisamente di ridere e fece avanzare il cavallo di qualche passo. — Perdonami, giovane principe, ma la tua ingenuità è commovente. Lo scontro a quattro che ti ho proposto è fino alla morte, e in tali circostanze è
assai improbabile che i vinti possano ancora costituire una minaccia per i vincitori... a meno che, è ovvio, tu non creda che alcuni uomini possano tornare dalla tomba. Kelson si accigliò, perché nel corso degli anni aveva sentito attribuire a Wencit di Torenth azioni anche più incredibili, ma poi si costrinse ad accantonare quel pensiero e a riflettere invece sulla proposta di Wencit: un duello di magia, fino alla morte. La sua esitazione parve però infastidire Wencit, che assunse un'espressione contrariata e si accostò ancora di più per posare la mano guantata sulle redini di Kelson. — Se ancora non te ne sei accorto, Kelson, io sono un uomo impaziente e non ammetto interferenze con i miei piani. Se stai pensando di rifiutare la mia proposta, ti suggerisco di abbandonare immediatamente una simile idea. Ti ricordo che ho ancora in mia mano circa un migliaio dei tuoi uomini, e che ci sono morti molto peggiori dell'impiccagione. — E questo cosa dovrebbe significare? — sussurrò Kelson, con voce glaciale. — Significa che se non accetterai la mia sfida, ciò che hai visto durante l'ora appena trascorsa sarà niente in confronto a ciò che vedrai. A meno che tu non lo impedisca dandomi il tuo assenso, duecento uomini saranno sventrati e squartati al cospetto del tuo esercito, al tramonto, e altri duecento saranno impalati vivi e lasciati là a morire al sorgere della luna. Se speri di salvarli, ti consiglio di non esitare troppo. Nel sentire la descrizione della sorte che Wencit intendeva riservare ai prigionieri, Kelson sbiancò in volto e serrò con violenza le mani, strappando le redini dalla stretta di Wencit e lanciandogli un'occhiata tale da dare l'impressione che intendesse annientarlo con la sola forza del pensiero, mentre il mago deryni faceva indietreggiare il proprio cavallo di qualche passo. Kelson accennò a seguirlo, ma Morgan protese un braccio per fermarlo e manovrò la propria cavalcatura in modo da bloccare quella del suo giovane sovrano. Kelson fissò Morgan con rabbia, e fu sul punto di ordinargli di ritrarsi, ma poi qualcosa nell'espressione dell'altro lo indusse a esitare. Gli occhi del giovane generale divennero gelidi come la nebbia di mezzanotte nell'incontrare lo sguardo sprezzante di Wencit. — Stai cercando di spingerci ad una decisione affrettata — affermò Morgan, a bassa voce, — ed io voglio sapere il perché. Perché è così importante per te che noi accettiamo la sfida alle tue condizioni? Oppure — aggiunse, dopo una lievissima esitazione, — stai forse tramando qualche tradimento?
Wencit si girò per fissare Morgan, come se il fatto che questi avesse osato interrompere la sua discussione con Kelson lo avesse irritato, e lo squadrò da capo a piedi prima di rispondere in tono volutamente sprezzante. — Hai molto da imparare sul conto dei Deryni, Morgan, per quanto tu stesso sostenga di essere uno di loro. Se sopravviverai, scoprirai che l'uso dei nostri poteri è regolato da antichi codici d'onore che neppure io oserei violare. — Wencit tornò quindi a guardare Kelson. — Quello che ti ho offerto, Kelson, è un duello secondo le regole fissate oltre due secoli fa dal Consiglio Camberiano, e ci sono regole ancora più antiche a cui io sono vincolato ad attenermi. Mi sono rivolto al Consiglio ed ho ottenuto il permesso di impegnare con te questo duello alle condizioni già esposte, e alla presenza di arbitri inviati dal Consiglio stesso. Ti assicuro che non ci possono essere inganni, quando è coinvolto il Consiglio. Kelson aggrottò le sopracciglia, assumendo un'espressione costernata. — Il Consiglio Camber... — cominciò a dire, ma Arilan intervenne per la prima volta nella discussione, troncando a metà la frase del suo giovane sovrano. — Perdona l'intrusione, milord, ma Sua Maestà non può rispondere subito ad una sfida come quella che tu gli hai lanciato oggi. Converrai che deve avere il tempo di consultare i suoi consiglieri, prima di darti una risposta definitiva: se dovesse accettare, la vita e le ricchezze di molte migliaia di persone dipenderanno dall'abilità di quattro uomini, e riconoscerai anche tu che questa non è una decisione da prendere alla leggera. Wencit fissò Arilan come se questi fosse una forma di vita inferiore particolarmente fastidiosa. — Se il Re di Gwynedd ritiene di non poter prendere una decisione senza prima consultare i suoi inferiori, vescovo, questa è una sua debolezza, che non mi riguarda. In ogni caso, il mio avvertimento iniziale rimane valido: se non riceverò la risposta che voglio entro il tramonto, Kelson, duecento dei tuoi uomini saranno sventrati e squartati qui dove ci troviamo ora, e altri duecento saranno impalati vivi al sorgere della luna. Tali misure continueranno finché ci saranno ancora dei prigionieri, poi ne seguiranno altre più drastiche. Bada di non provocarmi eccessivamente. Senza aggiungere altro, Wencit fece indietreggiare abilmente il cavallo di qualche altro passo, quindi lo obbligò a ruotare sulle zampe posteriori e si avviò al trotto verso le proprie linee; i suoi compagni imitarono all'unisono la sua manovra, in formazione perfetta, e lasciarono lo sconcertato Kelson a fissare le loro sagome che si allontanavano
Kelson era furente... contro Arilan per come lo aveva interrotto, contro Morgan per aver provocato Wencit, contro se stesso per la propria indecisione... ma si trattenne dall'aprire bocca finché non fu tornato a sua volta con i compagni fra le proprie linee, smontando davanti al padiglione reale. Impartì l'ordine di sciogliere lo schieramento di battaglia, perché era ovvio che non ci sarebbero stati scontri almeno fino al mattino successivo, poi segnalò ai tre uomini che lo avevano accompagnato di seguirlo nella tenda, con l'intenzione di affrontare innanzitutto il vescovo; entrando nel padiglione, però, vi trovarono una decina di uomini raccolti intorno ad una forma inerte stesa su un pagliericcio, sulla sinistra. La sagoma inerte era quella di Derry, e chino su di lui, sporco di sangue, c'era Warin; Conall, il figlio di Nigel, gli stava accanto, in ginocchio, impegnato a reggere una catinella d'acqua arrossata di sangue mentre fissava con occhi colmi di meraviglia l'ex capo ribelle pulirsi le mani con una pezza di tela. Derry aveva gli occhi chiusi e stava agitando la testa a destra e a sinistra, come in preda a un dolore, ma per terra accanto a lui c'erano i frammenti di una punta di freccia. Quando Kelson e Arilan entrarono, seguiti da Morgan e da Duncan, Warin sollevò lo sguardo e rivolse loro un cenno di saluto: era pallido e chiaramente sfinito, ma nei suoi occhi c'era una luce di trionfo. — Dovrebbe rimettersi, sire. Ho estratto la freccia e risanato la ferita, ma ha ancora la febbre a causa di ciò che ha sofferto. Continua a chiedere di te, Morgan, quindi forse faresti bene a dargli un'occhiata. Morgan si accostò subito e si lasciò cadere su un ginocchio vicino a Derry, posandogli una mano sulla fronte. In risposta a quel contatto, il giovane sollevò le palpebre e fissò il soffitto per un attimo, prima di girare la testa verso Morgan, con una fugace espressione di paura nello sguardo. — È tutto a posto — mormorò Morgan. — Ora sei al sicuro. — Morgan. Stai bene. Allora, non ti ho tr... Derry s'interruppe e s'immobilizzò per un istante, come se stesse ricordando una cosa terrificante, poi ebbe un brivido di repulsione e ritrasse la testa di scatto. Accigliatosi, Morgan spostò la punta delle dita verso le tempie di Derry, con l'intenzione di ricorrere ai propri poteri per calmarlo, ma incontrò una resistenza che non aveva mai riscontrato prima di allora. — Rilassati, Sean. Il peggio è passato. Ora riposa: dopo aver dormito, ti sentirai meglio. — No! Non devo dormire! Quel pensiero parve agitare ulteriormente Derry, che prese a dimenare la testa da un lato all'altro con tale violenza che Morgan riuscì a stento a
mantenere il contatto. Negli occhi del giovane lord ardeva ora un paura animalesca, ogni traccia di ragione era scomparsa, e Morgan si rese conto che avrebbe dovuto fare al più presto qualcosa se non voleva che Derry, nello stato di sfinimento in cui era, finisse per bruciare le poche energie rimastegli. — Rilassati, Derry, non lottare contro di me. È tutto a posto, sei al sicuro. Duncan, aiutami a tenerlo fermo! — No! Non devi obbligarmi a dormire! Non devi! — Derry si aggrappò al bordo del mantello di Morgan e cercò di sollevare la testa, mentre Duncan si affrettava a bloccargli le braccia. — Lasciatemi andare! Non capite! Oh, Dio, che cosa farò? — È tutto a posto, Sean. — No, non capisci. Wencit... Gli occhi di Derry assunsero un'espressione ancora più folle, e lui sollevò il capo per fissare selvaggiamente Morgan, continuando ad aggrapparsi alle pieghe del suo mantello, nonostante tutti gli sforzi compiuti da Duncan per fargli allentare la presa. — Morgan, ascoltami! Dicono che il Diavolo non esiste, ma si sbagliano! Ha i capelli rossi e si fa chiamare Wencit di Torenth, ma mente: è il Diavolo in persona! Mi ha costretto... mi ha costretto...! — Non ora, Derry. — Morgan scosse il capo e obbligò il giovane nobile a riadagiare la schiena sul pagliericcio. — Per adesso non aggiungere altro. Ne parleremo più tardi. Sei ancora troppo debole per la ferita e per la prigionia e devi riposare. Quando ti sveglierai, ti sentirai meglio. Ti prometto che non ti succederà nulla. Fidati di me, Derry. Mentre Morgan parlava, esercitando un controllo sempre maggiore sulla volontà di Derry, che andava via via indebolendosi, il giovane si accasciò all'improvviso sul pagliericcio, chiudendo gli occhi e rilassando i muscoli. Morgan liberò il mantello dalla stretta dell'amico, adagiando al giovane la mano sul petto e sistemandogli la testa piegata da un lato. Conall, che era ancora inginocchiato poco lontano, gli porse una coperta che Morgan distese sulla forma immobile, rimanendo poi a fissare l'addormentato Derry per parecchi secondi, come ad accertarsi che il suo sonno fosse abbastanza profondo, prima di scambiare con Duncan un'occhiata preoccupata e di sollevare infine lo sguardo sul cerchio di facce ansiose che lo attorniava. — Credo che dopo aver riposato starà meglio, sire, ma per adesso preferirei non pensare a quello che deve aver passato. — Gli occhi gli s'incupirono ed assunsero un'espressione remota, mentre lui aggiungeva fra sé e
sé: — Che Dio aiuti Wencit, però, quando l'avrò scoperto. Rabbrividì nel riscuotersi da quei pensieri e si allontanò dagli occhi una ciocca di capelli chiari, alzandosi quindi in piedi con un sospiro, imitato da Duncan, che evitò di guardare ancora in direzione di Derry, dopo avergli lanciato un'ultima occhiata. Kelson, ora molto più calmo, spostò con irrequietezza il peso del corpo da un piede all'altro, fissando a turno i due cugini. — Cosa pensi che gli abbia fatto Wencit? — domandò infine, con voce sommessa. — A questo punto è difficile stabilirlo, mio principe — replicò Morgan, scuotendo il capo. — Se sembrerà consigliabile, più tardi sonderò maggiormente Derry, ma per ora è troppo debole. Mi ha combattuto con una violenza notevole. — Capisco. Kelson si studiò gli stivali per parecchi secondi, prima di sollevare di nuovo lo sguardo: accorgendosi che tutti lo stavano osservando, ricordò di colpo quale doveva essere il prossimo argomento da affrontare. — Molto bene, signori, dal momento che per ora non c'è altro che possiamo fare per Derry, suggerirei di passare a questioni più pressanti. Io... — S'interruppe e scoccò ad Arilan un'occhiata in tralice. — Vescovo Arilan, ci potresti fornire qualche informazione su questo Con... Arilan scosse il capo con aria significativa e si schiarì la gola, guardando verso i compagni di Warin, il giovane Conall e le guardie presenti. Kelson lasciò a metà la frase e annuì, accostandosi quindi a Conall e posandogli una mano sulla spalla, perché si era reso conto che Arilan preferiva non discutere della cosa di fronte a persone che, sia pure relativamente, erano da considerare estranee ad essa. — Grazie per il tuo aiuto, cugino. Vorresti per favore mandare qui da me tuo padre e il Vescovo Cardiel, prima di tornare ai tuoi compiti? — gli chiese, e poi aggiunse, includendo le guardie e gli uomini di Warin nel proprio gesto: — Signori, vi prego di tornare anche voi ai vostri posti. Vi ringrazio per il vostro interessamento. Conall e gli altri s'inchinarono e si avviarono fuori della tenda; Warin li osservò uscire e si raddrizzò, muovendosi come per accennare a seguirli. — Intuisco che si tratta di qualcosa che non è destinato agli orecchi degli estranei, quindi sono pronto ad andarmene, se volete — disse, e subito aggiunse, in tono affrettato: — Non mi sentirò offeso. Kelson lanciò un'occhiata ad Arilan, ma il vescovo scosse il capo.
— No, Warin, tu hai il diritto di essere presente, proprio come ce l'ha Cardiel, che forse è meno Deryni di chiunque altro di noi. Kelson, se non ti dispiace, aspetterò che Thomas e Nigel arrivino, prima di rispondere alle tue domande, perché questo mi risparmierà di dovermi ripetere. — Naturalmente. Il re si accostò alla sua sedia e si sedette, slacciando il mantello e lasciandolo ricadere sullo schienale prima di appoggiarvi contro e di stendere le lunghe gambe sull'elegante tappeto kheldish; Morgan e Duncan occuparono allora un paio di sgabelli pieghevoli alla destra di Kelson, e Morgan si tolse la spada, posandola sul tappeto accanto a sé. Dopo un momento di esitazione, Duncan lo imitò e spostò lo sgabello verso sinistra per far spazio a Warin, che stava intanto sistemando un cuscino in modo da potersi appoggiare con la schiena al palo centrale della tenda. Arilan, invece, rimase in piedi al centro del tappeto, apparentemente intento a contemplare l'intricato disegno che aveva sotto i piedi, e non sollevò lo sguardo neppure quando prima Cardiel e poi Nigel entrarono nella tenda. Fu Kelson a invitare i nuovi venuti a prendere posto alla sua sinistra; quando tutti furono sistemati, Kelson fissò Arilan con ansia, e il vescovo incontrò il suo sguardo con espressione velata. — Desideri che io spieghi quello che è successo, sire? — Per favore. — Molto bene. — Arilan intrecciò le mani e si studiò le unghie dei pollici per parecchi secondi, prima di risollevare lo sguardo. — Signori, Wencit di Torenth ci ha rivolto un ultimatum, e Sua Maestà desidera consultarsi con tutti voi prima di dare una risposta. Se tale risposta non giungerà entro il tramonto, Wencit procederà a massacrare altri ostaggi. — Nel nome di Dio, quell'uomo è un mostro! — esclamò Nigel, irrigidendosi per l'ira. — Sono d'accordo — convenne Arilan, — ma il suo ultimatum è specifico e inalterabile. Ha sfidato Kelson a sostenere un duello arcano, in cui lo stesso Wencit e tre dei suoi uomini, Rhydon, Lionel e Bran Coris, affronteranno Kelson e tre avversari da lui scelti. Penso che sia inutile che vi dica che due di essi saranno Morgan e Duncan, ma ciò che forse sorprenderà alcuni di voi è il fatto che il terzo sarò io. Warin sollevò lo sguardo con un sussulto. — Esatto, Warin. Io sono un Deryni purosangue. Warin deglutì a fatica, ma Nigel si limitò ad annuire lentamente e ad inarcare un sopracciglio.
— Tu parli come se dessi per scontato che Kelson accetti la sfida — osservò. — Se Kelson non avrà accettato entro il tramonto, duecento ostaggi saranno sventrati e squartati sulla pianura, davanti al nostro esercito. E se ci saranno ulteriori ritardi a rispondere, altri duecento saranno impalati e lasciati a morire al sorgere della luna, e cioè circa due ore dopo il tramonto. Tutto questo appare ineluttabile, nel caso che Kelson rifiuti la sfida. Il vescovo osservò con attenzione i presenti, ma nessuno di essi accennò a parlare. — D'altro canto, nel caso che Kelson accetti, si tratterà di un duello fino alla morte, in cui tutte le spoglie andranno al superstite, o ai superstiti. È ovvio che Wencit è convinto di vincere, altrimenti non avrebbe mai proposto un confronto del genere. Nel sentir parlare di uomini sventrati e squartati, Warin era impallidito mentre Nigel, più abituato agli orrori della guerra, aveva soltanto annuito nuovamente; dopo qualche secondo, il principe sollevò una mano per chiedere di poter parlare. — Questo duello arcano... sarebbe simile alla sfida che è stata rivolta a Kelson durante la sua incoronazione? — Sarebbe regolato dalle stesse antiche leggi di sfida — confermò Arilan, — con l'eccezione che si tratterebbe di uno scontro fra quattro uomini per parte, invece del combattimento singolo sostenuto da Kelson contro Charissa. I criteri che regolano l'arbitraggio di un duello arcano sono piuttosto rigidi, e Wencit ha... apparentemente ricevuto l'autorizzazione ufficiale a condurre il duello secondo le antiche leggi. — L'autorizzazione ufficiale da chi? — lo interruppe Kelson, con impazienza. — Questo Consiglio Camberiano a cui ha accennato Wencit? Perché hai evaso l'argomento quando io... Lasciò la frase in sospeso, vedendo che Arilan s'irrigidiva nel sentir menzionare quel nome, e lanciò a Morgan un'occhiata sorpresa: questi stava ascoltando il vescovo con profonda attenzione, in apparenza non più informato di quanto lo fosse Kelson e tuttavia d'un tratto molto interessato a ciò che Arilan avrebbe detto. Anche Duncan aveva sussultato, quando era stato menzionato il Consiglio, ed ora stava osservando Arilan con attenzione pari a quella del cugino. — Arilan — sussurrò Kelson, — che cosa è il Consiglio Camberiano? È... deryni? Il vescovo si osservò i piedi per un momento, poi sollevò il capo e fissò
un punto alle spalle di Kelson, come intontito. — Perdonami, mio principe. È difficile infrangere anni di condizionamento, ma Wencit non mi ha lasciato alternative: è stato lui a menzionare per primo il Consiglio e, dal momento che dovrai affrontarlo in duello, è soltanto giusto che io ti dica tutto ciò che posso al riguardo. — Abbassò lo sguardo sulle mani serrate, e si costrinse a rilassarsi. — Esiste un'organizzazione segreta di Deryni purosangue che è chiamata il Consiglio Camberiano. Le sue origini risalgono ai tempi immediatamente successivi alla Restaurazione, quando coloro che erano Alti Deryni vennero chiamati a governare e a proteggere quanti erano sopravvissuti alle grandi persecuzioni. Soltanto i membri presenti e passati del Consiglio ne conoscono la composizione, e sono vincolati da un giuramento di sangue e di magia a non rivelare mai l'identità dei loro compagni. «Come certo saprai, i Deryni che in epoca recente hanno avuto l'opportunità di sviluppare al massimo i loro talenti sono pochissimi. Molti di questi talenti sono andati perduti nel corso delle persecuzioni... o almeno nessuno di noi sa più come usarli. Il dono della guarigione posseduto da Morgan potrebbe essere la riscoperta di uno di questi poteri perduti. In ogni caso, fra noi ci sono alcuni che sono legati da un'organizzazione piuttosto elastica e che si tengono in contatto fra loro, e il Consiglio funge da organo regolatore per i Deryni conosciuti come tali, mantiene in vigore le antiche leggi e funge da arbitro nelle questioni concernenti la magia che si possono presentare di tanto in tanto. Un duello arcano come quello proposto da Wencit ricade sotto la giurisdizione del Consiglio. — Il Consiglio determina la validità dei duelli? — chiese Morgan, con sospetto. — Sì — confermò Arilan, girandosi a guardarlo in modo piuttosto strano. — Perché me lo chiedi? — E cosa mi dici di quanti, come me e come Duncan, non sono di puro sangue deryni? Ricadono anch'essi sotto la giurisdizione del Consiglio? — insistette Morgan. — Perché me lo chiedi? — ripeté Arilan, con voce alquanto tesa, impallidendo. Morgan lanciò un'occhiata a Duncan, che annuì. — Diglielo, Alaric. — Vescovo Arilan, ritengo che io e Duncan possiamo aver avuto un contatto con uno dei membri del tuo Consiglio Camberiano. Anzi, ritengo che questo possa essere successo parecchie volte, e comunque quanto si è
detto durante il nostro ultimo incontro conteneva sottintesi che coincidono con la situazione che tu stai delineando. — Cosa è successo? — sussurrò Arilan, pallidissimo sullo sfondo del saio color porpora. — Ecco, noi abbiamo avuto un... un'apparizione, credo che questo sia il termine più adatto a descriverla... quando eravamo in viaggio per venire da te, a Dhassa. Ci siamo fermati a San Neot per far riposare i cavalli, e lui ci è apparso. — Lui? — Ancora non sappiamo chi fosse — spiegò Morgan, annuendo. — Ciascuno di noi lo aveva però già visto separatamente in occasioni precedenti, che ora non ho il tempo di elencare. Somiglia... ecco, diciamo che somiglia in maniera incredibile ai ritratti e alle descrizioni scritte di Camber di Culdi. — San Camber? — mormorò Arilan, incapace di credere ai propri orecchi. — Per favore, Eccellenza, non ci fraintendere — intervenne Duncan, agitandosi, a disagio, sullo sgabello. — Non intendiamo sostenere che fosse San Camber. Lui non ha mai affermato di esserlo ed anzi, quest'ultima volta, in cui io e Alaric lo abbiamo visto contemporaneamente, ha dichiarato di non essere San Camber, ma soltanto uno dei suoi fedeli servitori... credo che siano state queste le sue parole. In base a quanto ci hai detto del Consiglio Camberiano, forse era uno dei suoi membri. — È impossibile — mormorò Arilan, scuotendo il capo con incredulità. — Cosa vi ha detto? — Ha accennato al fatto che avevamo nemici deryni di cui ignoravamo l'esistenza — replicò Morgan, inarcando un sopracciglio, — ed ha aggiunto che coloro a cui spettava sapere queste cose erano del parere che io e Duncan avessimo poteri maggiori di quanto ritenevamo e che ci sarebbe stata forse rivolta una sfida a un duello arcano, al fine di appurare il nostro effettivo potenziale. L'apparizione sembrava però intenzionata a evitare che ciò accadesse. Arilan sbiancò ancora di più in volto e dovette sorreggersi con una mano contro il palo centrale della tenda. — È impossibile — sussurrò, senza più ascoltare. — E tuttavia, doveva essere un membro del Consiglio. — Raggiunse a fatica uno sgabello libero e si accasciò su di esso. — Questo getta una luce del tutto diversa sulla situazione. Alaric, tu e Duncan siete stati riconosciuti all'altezza di essere
sfidati da qualsiasi Deryni purosangue, e proprio per le ragioni addotte dallo sconosciuto da voi visto. Io faccio parte del Consiglio ed ero presente quando la decisione è stata presa, anche se non ho potuto impedirla. Ma chi può essersi presentato a voi travestito in quel modo? Chi poteva averne motivo? Non ha senso. Arilan lasciò vagare lo sguardo sui presenti e si accorse che stava divagando. Warin e Cardiel lo stavano scrutando con un'espressione leggermente spaventata negli occhi sgranati, incapaci di capire cosa stesse accadendo, e perfino Nigel appariva stordito e confuso perché non riusciva a comprendere fino in fondo le implicazioni delle parole di Arilan. Morgan e Duncan lo fissavano con cautela, mentre tentavano di riconciliare le sue affermazioni con quanto ricordavano dei loro incontri con lo sconosciuto travestito da Camber. Soltanto Kelson rimaneva in disparte: l'improvvisa incertezza della situazione sembrava isolarlo e conferirgli una fredda sobrietà, un logico distacco che gli permetteva di analizzare la crescente crisi con obiettività. — Molto bene — concluse Arilan, allontanando da sé la sensazione di un male incombente e tornando alla realtà di fatto. — Alaric, Duncan, non posso spiegare le visioni che avete avuto, ma intendo almeno scoprire se Wencit si è davvero messo in contatto con il Consiglio e lo ha in qualche modo costretto ad arbitrare questo duello arcano. Io non so nulla di una decisione del genere mentre, in qualità di membro del Consiglio direttamente coinvolto nella questione, avrei dovuto essere informato. D'altro canto, di recente sono mancato a qualche riunione, a causa della nostra marcia forzata, quindi tutto è possibile. Morgan, hai una Guardia Superiore con te? — Una Guardia Superiore? Io... — Morgan esitò, ed Arilan scosse il capo. — Non tergiversare, perché non c'è tempo. Allora, ce l'hai oppure no? — Ce l'ho. — Va' a prenderla. Duncan, avrò bisogno di otto candele bianche, tutte più o meno delle stesse dimensioni. Vedi cosa riesci a trovare. — Subito. — Bene. Warin, Thomas, aiutate Nigel ad arrotolare il tappeto in modo da mettere a nudo il terreno. Kelson, mi serve qualcosa che risalga ai tempi antichi: posso prendere a prestito il tuo Anello di Fuoco? — Ma certo. Cosa intendi fare? — domandò Kelson, sfilandosi l'anello e guardando con aria perplessa mentre il tappeto veniva rimosso per esporre
l'erba sottostante. Arilan s'infilò l'Anello di Fuoco al mignolo e segnalò a Morgan e a Duncan di andare a prendere quanto aveva loro chiesto. — Con il vostro aiuto, ho intenzione di costruire un Portale di Trasferimento. Per fortuna, è una di quelle antiche doti che non sono andate completamente perdute. Nigel, fra poco voi tre mi dovrete dare un altro genere di aiuto. Siete capaci di obbedirmi tutti senza proteste? I tre si scambiarono alcune occhiate apprensive, ma annuirono, ed Arilan rivolse loro un sorriso rassicurante nel gettarsi in ginocchio sull'erba. Dopo aver passato le dita fra gli steli, rimuovendo parecchi ciottoli, protese una mano verso Nigel, per avere la sua daga, che il principe consegnò senza una parola. Sotto gli occhi attenti degli altri quattro, Arilan procedette quindi a disegnare sull'erba un ottagono di circa due metri di perimetro. — Posso immaginare quanto tutto questo debba apparirvi strano — commentò, mentre finiva di tracciare il secondo lato e passava al terzo. — Un Portale di Trasferimento, Warin, è un congegno mediante il quale i Deryni possono spostarsi da un punto ad un altro senza che trascorra del tempo: si tratta di un trasferimento istantaneo. Sfortunatamente, è impossibile esercitare questo notevole talento senza l'ausilio di un Portale, e per costruirne uno ci vuole una grande quantità di potere. È a questo punto che entrate in gioco voi tre. Quello che vorrei fare è porre tutti e tre in uno stato di profonda trance e attingere da voi la forza necessaria per attivare il Portale. Vi prometto che nessuno riporterà il minimo danno. Il vescovo, che aveva finito di tagliare il sesto lato dell'ottagono, sollevò lo sguardo dal proprio lavoro e vide che Warin si stava agitando, in preda ad un evidente disagio all'idea di essere impiegato per la realizzazione di una magia. — Sei in apprensione, Warin? Non ti biasimo, ma in realtà non c'è nulla per cui tu ti debba allarmare. Sarà come quando Morgan ha letto nella tua mente, con la sola differenza che non ricorderai nulla. — Lo giuri? Arilan annuì, e Warin scrollò le spalle con nervosismo. — Molto bene, allora farò tutto il possibile. Arilan riprese a disegnare l'ottagono, arrivando all'ultimo lato nel momento in cui Morgan rientrava, portando con sé una piccola scatola di cuoio rosso. Morgan si arrestò al limitare del cerchio di spettatori e attese che Arilan praticasse l'ultimo taglio e si rialzasse, pulendosi le mani sulla tonaca per poi restituire la daga a Nigel.
— I Custodi? — chiese il vescovo. Morgan annuì ed aprì la scatola, versandosi sul palmo della mano otto piccoli cubi, quattro bianchi e quattro neri, ciascuno all'incirca delle stesse dimensioni dell'ultima falange del suo mignolo, che emisero una tenue luce quando lui li rigirò nel palmo della mano. Arilan passò le dita sui cubi e piegò la testa, come se stesse ascoltando qualcosa, poi annuì e segnalò a Morgan di procedere; questi uscì dall'ottagono e dispose i cubi sull'erba ed Arilan, dopo averlo osservato per un momento, si schiarì la gola. — Puoi procedere fino all'ultima fase e poi attivare la Guardia dall'interno? Morgan sollevò lo sguardo ed annuì. — Bene. Quando Duncan sarà di ritorno con le candele, digli di sistemarne una su ciascuna punta dell'ottagono. Nigel, ora tu e Warin dovreste venire qui e sistemarvi nel modo più comodo possibile. Kelson, prendi qualcuna di quelle coperte di pelliccia, perché ci si sdraino sopra. Mentre i due umani andavano dove era stato loro indicato, Duncan tornò con le candele e s'inginocchiò all'esterno dell'ottagono, procedendo a tagliarle con la daga per renderle tutte uguali. Morgan l'osservò per un momento, indicandogli dove andavano sistemate le candele quando avesse finito di regolarle, poi lanciò un'ultima occhiata agli altri e cominciò a lavorare con i cubi. I cubi erano definiti Custodi e l'intero gruppo, una volta attivato, era chiamato Guardia Superiore: ogni fase doveva essere eseguita in maniera esatta al fine di dar vita alla Guardia Superiore. Era necessario prendere innanzitutto i cubi bianchi e disporli in un quadrato, in modo che due lati di ciascuno fossero a contatto con i cubi vicini, poi i neri andavano posti agli angoli del quadrato formato dai bianchi, evitando però che bianchi e neri si toccassero. Morgan formò la figura richiesta, poi protese l'indice destro e lo posò con leggerezza sul cubo bianco posto all'angolo superiore sinistro del quadrato, lanciando un'occhiata furtiva ad Arilan nel sussurrare il nomen, «Prime». Nessuno degli altri lo stava osservando e, nel riportare lo sguardo sui Custodi, Morgan fu contento di notare che ora il primo cubo risplendeva di un vago chiarore latteo. Non aveva perso il suo tocco. — Seconde — sussurrò quindi, sfiorando il cubo bianco in alto a destra. — Tierce, Quarte — ripeté in rapida successione, toccando i rimanenti cubi bianchi. I quattro cubi splendevano ora in un unico quadrato, il cui chiarore si ri-
fletteva freddo sui quattro cubi neri. Morgan spostò il dito sul cubo nero posto nell'angolo superiore sinistro e, tratto un profondo respiro, ne mormorò il nomen, «Quinte». Gli ci volle poco tempo per ripetere il procedimento con gli altri tre cubi neri, di cui elencò in fretta i nomi, «Sixte, Septime, Octave». Nei cubi neri ardeva ora una profonda fiamma fra il verde e il nero, e dove quel bagliore incontrava la luce emanata dai cubi bianchi si scorgeva una vaga e tremolante area di oscurità, come se un effetto annullasse l'altro. Nel sollevare lo sguardo, Morgan rimase sorpreso nel notare che gli altri erano impegnati ognuno nel proprio compito. Duncan aveva finito di regolare le candele e le aveva messe ai loro posti senza che Morgan se ne fosse neppure accorto, ed ora se ne stava in ginocchio, calmo, accanto a Warin, che era ormai in trance; la testa del capo ribelle gli poggiava, abbandonata, su un ginocchio, ed entrambi avevano gli occhi chiusi. Arilan e Kelson erano inginocchiati accanto al dormiente Nigel, e sembrava che Arilan stesse aiutando il giovane sovrano ad acquisire il completo controllo necessario per quanto stava per accadere. Cardiel, però, era seduto in disparte, accoccolato sul tappeto ripiegato al limitare dell'ottagono, con un braccio avvolto intorno a un ginocchio sollevato. A quanto pareva, il vescovo stava osservando con interesse Morgan già da qualche tempo, ed abbassò lo sguardo con aria imbarazzata quando esso incontrò quello del generale deryni. La cosa non durò a lungo, perché Cardiel era evidentemente affascinato da quanto aveva appena visto e si stava frenando con grande fatica dall'avvicinarsi per osservare meglio. — Scusami, non intendevo curiosare — disse, a bassa voce. — Ti dispiace se guardo? Morgan esitò per un istante, chiedendosi se fosse consigliabile permettere che il vescovo apprendesse più di quanto già sapeva, poi scrollò le spalle. — Non mi dispiace, ma ti prego di non interrompermi, perché la prossima fase è piuttosto difficile e mi serve la massima concentrazione. — Come vuoi — mormorò Cardiel, accostandosi per avere una visuale migliore. Con un sospiro, Morgan si asciugò le mani sudate sulle cosce, poi raccolse Prime, il primo cubo bianco, e lo accostò con cautela a Quinte, la sua controparte nera, permettendo che si sfiorassero leggermente mentre lui mormorava: — Primus!
Con uno scatto soffocato, i due cubi si fusero in una sagoma oblunga di un grigio argenteo, che Morgan si affrettò a posare di lato per poi raccogliere Seconde. Lanciata un'occhiata a Cardiel, che lo stava osservando immobile, lo accostò a Sixte, sussurrando: — Secundus! Si formò un secondo rettangolo lucente, e Cardiel soffocò un sussulto mentre Morgan accantonava anche quello e raccoglieva Tierce. Cominciando ormai a risentire del consumo di energie, Morgan si passò una mano sugli occhi nel prendere il terzo cubo bianco. La stanchezza svanì in conseguenza dell'applicazione della tecnica deryni per allontanare lo sfinimento fisico, ma Morgan sapeva che più tardi ne avrebbe pagato le conseguenze. Per ora, comunque, era necessario attivare i Custodi, a qualsiasi costo in termini di prosciugamento di poteri. In fretta, chiamò a raccolta le forze per accostare Tierce a Septime. — Tertius! Il terzo rettangolo iniziò a brillare: adesso la Guardia era completa per tre quarti. — Siamo quasi pronti — mormorò Arilan, accostandosi a Cardiel senza far rumore mentre Morgan raccoglieva Quarte. — Thomas, adesso ho bisogno di te. Deglutendo con aria apprensiva, Cardiel si lasciò guidare da Arilan fino al tappeto arrotolato, sdraiandosi su di esso secondo le istruzioni dell'altro e permettendo che il Deryni gli posasse una mano fresca sulla fronte; le palpebre di Cardiel tremolarono per un momento, poi lui sprofondò nella trance indotta da Arilan. Nello stesso tempo, Morgan scosse il capo e trasse un profondo respiro, facendo appello alle ultime energie per fondere la restante coppia di cubi. — Quartus! Ci fu un rapido lampo di luce quando i cubi divennero una cosa sola, poi quattro rettangoli argentei giacquero per terra davanti a lui. Morgan si appoggiò all'indietro sui talloni e si guardò intorno, prima di procedere a disporre i rettangoli ai quattro punti cardinali, intorno all'ottagono. Arilan entrò nella figura, segnalando a Kelson e a Duncan di fare altrettanto, e ciascuno di essi mantenne a distanza il controllo del suo uomo. Accoccolato nel centro dell'ottagono, Morgan si guardò nervosamente intorno quando gli altri gli si strinsero accanto, poi riassestò un Custode, che era stato spostato dal movimento dei tre. — Avanti, aziona la Guardia — mormorò Arilan, — ed includi anche
quei tre, perché siano protetti. Io accenderò le candele non appena avrai finito. Morgan lanciò un'occhiata all'area circoscritta dai Custodi e ai tre uomini che dormivano appena al di fuori dei suoi confini, quindi sollevò la mano destra e indicò in rapida successione i quattro Custodi. — Primus, Secundus, Tertius et Quartus, fiat lux! Non appena pronunciò quelle parole, dai Custodi si levò una ragnatela di luce diffusa che avvolse i sette uomini in un chiarore latteo. Mentre la rete si stabilizzava intorno a loro, Arilan protese un dito esitante per sondarla, poi passò le mani sulle candele poste sulle punte dell'ottagono, ciascuna delle quali si accese non appena lui la sfiorò; infine, Arilan si spostò in modo da avvicinarsi al centro dell'ottagono e posò una mano sulla spalla di Morgan. — Molto bene. Non appena le nostre menti saranno collegate, guiderò tutti e quattro nella procedura per la creazione del Portale. Non sarà una cosa molto piacevole... dovremo consumare una spaventosa quantità di energia... ma possiamo riuscirci. Farò del mio meglio per schermarvi dagli effetti peggiori. Ci sono domande? Non ce n'erano. Con un breve cenno di assenso, Arilan chinò il capo e protese la mano libera per stringere quella di Duncan e quella di Kelson. Un alito di vento attraversò la tenda, agitando la fiamma delle candele, quindi un bagliore candido prese ad espandersi intorno alla testa di Arilan, intensificandosi e striandosi a poco a poco di sfumature carminie e verdi, mentre gli altri tre rabbrividivano per effetto del prosciugamento del potere sottratto alla loro mente e al loro corpo. Veli di nebbia crepitarono e vorticarono intorno ai sette uomini, intrecciandosi in una sempre più ampia corrente di luce arcuata. Ci fu infine un lampo accecante, che pervase l'intera tenda per un istante e subito svanì. Kelson lanciò un grido mentre Morgan barcollava, prossimo a svenire, e Duncan si lasciava sfuggire un gemito. Ma il momento passò subito e la luce bianca si dissolse. Nel riaprire gli occhi, i quattro sfiniti Deryni avvertirono sotto i loro piedi il vago formicolio di un Portale di Trasferimento attivo... una sensazione familiare a tutti loro. Con un sospiro soddisfatto, Arilan si alzò e procedette a trascinare Cardiel lontano dal perimetro dei Custodi, segnalando a Duncan e a Kelson di fare altrettanto con Nigel e Warin; ben presto, l'area fu sgombra, a parte la sagoma curva di Morgan, che era ancora in ginocchio al centro dell'ottagono. Mordendosi un labbro, Arilan si lasciò cadere accanto a lui e gli posò una mano sulla spalla.
— So quanto sei stanco, ma devo chiederti ancora un favore, prima di andare: è necessario estendere la Guardia in modo che protegga l'intera tenda. Siete tutti sfiniti, e quando tornerò a prendere te, Duncan e Kelson, dovremo lasciare una difesa a quelli che rimarranno qui. Dovrebbero dormire fino a mezzanotte circa, e non si potrebbero difendere se qualcuno dovesse assalirli di soppiatto. — Lo capisco. Con un grugnito di stanchezza, Morgan si alzò in piedi barcollando e allargò le mani ai lati del corpo, con il palmo rivolto in basso. Trasse quindi un respiro ed esalò lentamente l'aria, come per attingere nuova forza da chissà dove, prima di pronunciare in tono sommesso le parole dell'incantesimo. Nel parlare, eseguì un lieve gesto verso l'esterno, quasi stesse allontanando qualcosa con le mani e, quando la rete di luce si fu estesa fino alle pareti della tenda, girò di nuovo il palmo verso l'alto e abbassò le mani. — È questo che volevi? — chiese, con voce opaca. Arilan annuì e rivolse un cenno a Duncan e a Kelson, perché aiutassero Morgan a sedersi accanto all'ottagono. — La mia assenza non dovrebbe durare più di una decina di minuti — avvertì, ponendosi nel centro della figura. — Nel frattempo, Duncan, tu e Kelson potrete aiutare Alaric a recuperare le forze, per quanto è possibile in questo momento. Cercate però di essere pronti a muovervi non appena sarò di ritorno, perché questa storia non piacerà per nulla al Consiglio ed io non intendo dare ai suoi membri il tempo di pensarci sopra. — Saremo pronti — promise Kelson. Arilan annuì, poi incrociò le braccia sul petto e chinò il capo. Un istante dopo, era svanito. CAPITOLO VENTITREESIMO Ed io fascerò colui che è ferito, e rinforzerò chi è debole. Ezechiele 34:16 Oscurità. Ancora prima che i suoi occhi si fossero abituati alla penombra circostante, Arilan seppe di trovarsi vicino alle grandi porte della sala del Consiglio Camberiano, nella piccola alcova che circondava il Portale di Trasferimento. Il luogo era deserto, come lui sapeva che sarebbe stato a quell'ora, ma Arilan si guardò lo stesso intorno con cautela per parecchi se-
condi prima di accostarsi ai battenti dorati, perché in quel momento non gli andava l'idea di un'interruzione. I battenti si spalancarono al suo avvicinarsi, ma la stanza posta al di là di essi risultò buia quanto l'anticamera, perché la luce del tardo pomeriggio penetrava a fatica dagli alti lucernai viola. Senza rallentare il passo, Arilan allargò le braccia in un ampio gesto nel superare la porta dorata, e al suo comando le torce e i vetri viola presero a brillare. Sedutosi sulla sua sedia, il vescovo-mago appoggiò stancamente le mani sul tavolo d'avorio ed abbandonò la testa contro l'alto schienale, concedendosi un momento per ricomporsi, prima di fissare intensamente il grande cristallo argenteo che pendeva sul tavolo ottagonale e di lanciare il richiamo di convocazione del Consiglio. Trascorsero minuti interminabili, durante i quali il richiamo si prolungò, incessante. Parecchie volte Arilan si agitò sulla sedia, cercando di risparmiare le energie e tuttavia di mantenere il richiamo alla massima intensità, spazientito per il ritardo. Dopo qualche tempo, smise di chiamare e si appoggiò di nuovo allo schienale, disponendosi ad attendere: non ci volle molto perché i battenti dorati si spalancassero e i membri del Consiglio cominciassero ad arrivare. Per prima giunse Kyri la Fiamma, splendida in una tenuta da caccia verde cupo, poi fu la volta di Laran ap Pardyce, in una fluente toga da studioso. Thorne Hagen si presentò a piedi nudi e avvolto in una vestaglia arancione che sembrava indossata in tutta fretta, seguito da Stefan Coram, che appariva turbato e indossava un abito da equitazione azzurro cupo. Per ultimo arrivò il cieco Barrett de Laney, al braccio di Vivienne e seguito da Tiercel de Claron, che aveva un aspetto stranamente dissoluto in una tunica color borgogna slacciata al collo. Quando ci furono tutti, Arilan sollevò lo sguardo per scrutare in volto i sette colleghi, e i suoi occhi azzurri brillarono d'ira mentre lui osservava le facce perplesse degli altri. Non fu pronunciata una sola parola mentre i sette prendevano posto, anche se tutti guardarono Arilan con aria pensosa... certi che fosse stato lui a inviare la convocazione. Il vescovo deryni, dal canto suo, li fissò con fermezza, congiungendo infine le mani nel prendere la parola. — Chi di voi ha offerto i servigi del Consiglio a Wencit di Torenth, per la mediazione in un duello arcano? La reazione fu uno sconvolto silenzio. Disagio. Stupore. I sette si guardarono a vicenda, sgomenti, quasi si stessero chiedendo se il loro collega
aveva perso il senno. — Ho posto una domanda e mi aspetto una risposta — insistette Arilan, scrutando gli altri con espressione dura. — Chi ha autorizzato la mediazione? Tutti guardarono verso Stefan Coram, che si alzò lentamente in piedi. — Nessuno si è rivolto al Consiglio per una mediazione, Denis. Devi esserti sbagliato. — Sbagliato? Arilan fissò Coram con stupore, poi la sorpresa cedette il posto al sospetto quando l'espressione blanda dell'altro rimase inalterata. — Suvvia, non fingerti innocente. Wencit di Torenth ha molti difetti, ma fra essi non rientra la stupidità, e neppure lui oserebbe affermare una cosa simile se poi non potesse provarla. Hai il coraggio di dirmi che voi non ne sapete nulla? Tiercel si appoggiò allo schienale della sedia e sospirò, mentre un'espressione accigliata gli incupiva i lineamenti. — Coram dice la verità, Denis, e parla per tutti noi. Non ci sono state comunicazioni di sorta da parte di Wencit, e tanto meno in merito ad un duello arcano. Sai che parteggio per te e per il re, e che non ti mentirei mai. Arilan si costrinse a rilassarsi, impose alle proprie mani di non tremare nell'appoggiarle sul bordo del tavolo per poi adagiarsi contro lo schienale della sedia. Se Wencit non si era rivolto al Consiglio, allora...? — Comincio a capire — mormorò, sollevando di nuovo lo sguardo sul Consiglio. — Signori, signore, dovete perdonarmi. A quanto pare noi... il re ed io... siamo stati vittime di un inganno. Wencit ci ha riferito che il Consiglio avrebbe arbitrato ufficialmente il duello, nella speranza di creare così in noi un senso di falsa sicurezza. La sua intenzione era quella di presentarsi poi al duello soltanto con i suoi tre... no. Si sarebbe presentato in compagnia di altri quattro uomini, che avrebbero impersonato una squadra di arbitri inviati dal Consiglio. Lui ignora che io sia un membro del Consiglio, e perfino che io sia un Deryni, e come potrebbe mai Kelson conoscere di vista i componenti il Consiglio? Fino a poche ore fa, non sapeva neppure della nostra esistenza. Tradimento, è un tradimento! Il Consiglio era ancora sconvolto, non essendo abituato a trattare così in fretta questioni di tale gravità. Erano trascorsi molti armi dall'ultima volta che l'autorità del Consiglio era stata sfidata apertamente, ed i membri più anziani stentavano a credere che una cosa simile stesse accadendo davvero, mentre quelli più giovani cominciavano a soppesare le implicazioni della
situazione. Tiercel, che aveva già parlato poco prima, lanciò un'occhiata ai colleghi e si protese in avanti sulla sedia. — Chi è stato nominato nella sfida di Wencit, Denis? — Si tratterà di un duello a quattro: Wencit, suo cognato Lionel, Rhydon e Bran Coris dalla parte di Wencit. Con Kelson ci saranno Morgan e McLain, e probabilmente anch'io. Wencit non ha fatto i nostri nomi, ma non c'è nessun altro. — Arilan tacque per un attimo, poi aggiunse: — Io però non ho intenzione di combattere Wencit quando c'è sotto un tradimento... non alle sue condizioni, almeno! Signori, rivendico la protezione del Consiglio per me e per i miei compagni. La protezione del vero Consiglio. Barrett si schiarì la gola, a disagio. — Temo che questo sia impossibile, Denis, anche se me ne rincresce per te. Non tutti coloro che tu hai nominato sono Deryni. — Non tutti sono Deryni purosangue — concesse Arilan, — ma ora saranno tutti costretti ad agire come Deryni purosangue. Hai ancora delle obiezioni nei confronti di Morgan e di McLain? — Sono dei mezzosangue! — scattò Vivienne. — Come puoi aspettarti che questa realtà cambi? Non possiamo alterare le nostre concezioni per adattarci ai tuoi comodi. — Khadasa! — Arilan picchiò il pugno sul tavolo e si alzò faticosamente in piedi. — Siamo dunque così ciechi, così vincolati dalle regole da essere condannati a perire per causa loro? Lasciò il proprio posto intorno al tavolo e si diresse a grandi passi verso le porte dorate, soffermandosi sulla soglia mentre i battenti si aprivano per lasciarlo passare. — Tornerò fra un momento, signori. Dato che sono uno degli sfidati, pretendo che facciate il vostro dovere per me e per i miei nuovi alleati... i miei alleati deryni. E credo che sia proprio giunto il momento che li conosciate! Con quelle parole, Arilan girò sui tacchi ed abbandonò la sala, lasciandosi alle spalle uno sconvolto Consiglio; pochi secondi più tardi, il vescovo tornò a varcare le porte dorate, seguito dappresso da altre tre persone. Il loro ingresso fu accolto con sussulti e mormorii d'indignazione, e Laran accennò ad alzarsi in piedi per protestare, trattenendosi però quando lo sguardo di Arilan si posò su di lui e sugli altri componenti il Consiglio. Arilan si arrestò dietro la propria sedia ed aspettò che Kelson, Morgan e Duncan si fossero disposti alle sue spalle, rivolgendosi soltanto allora al
Consiglio. — Signori e signore, spero che perdonerete il mio comportamento apparentemente poco ortodosso, ma siete stati voi a forzarmi a condurre qui questi uomini. Se dovrò essere trascinato a partecipare ad un duello, rischiando di perdere per sempre la posizione da me detenuta nell'ambito della comunità umana, devo esigere l'antica protezione, e lo stesso vale per i miei compagni, dal momento che una catena è forte soltanto quanto il suo anello più debole. A tutti noi deve essere garantito in pari misura il beneficio della vostra protezione. «Signori e signore, vi presento Sua Maestà Kelson Cinhil Rhys Anthony Haldane, Re di Gwynedd, Principe di Meara, Signore di Rhemuth e Signore della Landa Purpurea... vostro legittimo sovrano, e inoltre Lord Alaric Anthony Morgan, Duca di Corwyn, Signore di Coroth e Campione del Re. E, per ultimo, Monsignor Duncan Howard McLain, Confessore di Sua Maestà ed ora, a quanto pare, mercé il dubbio intervento di Wencit di Torenth, Duca di Cassan e Conte di Kierney. Suo padre è stato giustiziato oggi da Wencit. «Ciascuno di questi gentiluomini è almeno per metà deryni, secondo i nostri criteri... e deve essere considerato un Deryni purosangue sulla base della deliberazione da voi votata nel corso della nostra ultima riunione. — Arilan si girò per lanciare un'occhiata ai tre alle sue spalle. — Sire, miei signori, ho l'onore alquanto discutibile di presentarvi il Consiglio Camberiano. Rimane ancora da vedere se esso non verrà meno al suo glorioso retaggio. I tre uomini eseguirono un cauto inchino, poi Morgan rivolse al vescovo un deferente cenno del capo. — Eccellenza, ho il permesso di porre qualche domanda? — Certamen... — Saremo noi a porre le domande, milord — intervenne, imperiosa, Vivienne. — Chi ti ha dato il permesso di rivolgerti al Consiglio? — Me lo ha dato Lord Arilan, milady. Devo supporre che questo Consiglio parli in nome di tutti i Deryni? — Esso è il bastione che difende le antiche usanze — replicò Vivienne, fredda. — Vorresti forse tu, un mezzosangue, contestare tali usanze? Morgan inarcò un sopracciglio in un gesto di sorpresa e fissò la dama con occhi pieni di innocenza. — Certamente no, milady. Se non mi sbaglio, le vostre antiche usanze sono state applicate lo scorso autunno, quando il nostro sovrano ha affron-
tato Lady Charissa. Senza la forza moderatrice che, secondo quanto sono indotto a credere, viene esercitata da questo Consiglio, Sua Maestà non avrebbe forse avuto il tempo di scoprire le sue doti. Ci sono validi motivi per essere orgogliosi di lui. — Ce ne sono sicuramente — convenne Vivienne, in tono irritato. — Il giovane Haldane è un degno discendente della nostra razza. Per parte di madre è di pura ascendenza deryni, anche se questo è stato tenuto nascosto per molti anni, e per parte di padre la sua ascendenza risale ai grandi Haldane che il Benedetto Camber volle riportare alla gloria, trasmettendo loro i frutti delle Grandi Scoperte. In virtù della combinazione di questi due fattori, lo consideriamo uno di noi, ed ha sempre goduto del beneficio della nostra protezione in caso di sfida, anche se non lo sapeva. Di tale beneficio godrà anche adesso, come pure Lord Arilan: il Consiglio li sostiene entrambi. — Ed io? E Duncan? — Entrambi siete nati da madri deryni, da sorelle purosangue, e come tali dovreste esserci cari, ma i vostri padri erano umani... e questo vi rende due fuoricasta. — Ma cosa mi dici dei loro poteri? — intervenne con impazienza Tiercel, interrompendo Vivienne senza la minima esitazione. — Morgan, è vero che tu e McLain potete risanare? Morgan fissò a lungo negli occhi Tiercel de Claron, poi lasciò vagare lo sguardo sugli altri membri del Consiglio, scorgendo su tutti i volti una sorta di anticipazione, ora entusiasta ora timorosa, e d'un tratto si chiese fino a che punto gli convenisse in quel momento rivelare la portata del suo nuovo talento. Lanciò un'occhiata ad Arilan, in cerca di un suggerimento, ma il vescovo non reagì in nessun modo, quindi Morgan decise di cambiare leggermente tattica in modo da cercare di mettere il Consiglio sulla difensiva, di far capire ai suoi membri che lui, Alaric Morgan, pur essendo un mezzosangue, era un uomo da non sottovalutare. — Mi chiedi se possiamo risanare? — ripeté in tono sommesso. — Forse più tardi ne parleremo, ma per ora voglio sapere come dobbiamo considerarci io e Duncan. Se, come sono stato indotto a credere, possiamo essere sfidati in virtù della nostra discendenza materna, perché non possiamo anche rivendicare il diritto di essere protetti durante tali sfide? Se io e mio cugino, in conseguenza del nostro sangue deryni, possiamo essere assoggettati al pericolo ma non possiamo godere di protezione, dov'è allora, miei signori, quella giustizia deryni di cui tanto si parla?
— Presumi di mettere in discussione la nostra autorità? — chiese Coram, soppesando le parole. — Discuto la vostra autorità di mettere a repentaglio la nostra vita in circostanze che sfuggono al nostro controllo, signore — ribatté Morgan. Coram si appoggiò allo schienale, annuendo lentamente, mentre Morgan aggiungeva: — Non pretendo di capire tutte le ramificazioni della mia discendenza, ma credo che Sua Maestà possa assicurarvi che ho le idee abbastanza chiare in fatto di giustizia. Se voi ci vietate di godere di quella protezione che ci spetta per nascita e ci costringete a misurarci con Deryni purosangue che sono stati adeguatamente addestrati nell'uso dei loro poteri, può darsi che così facendo firmiate la nostra condanna a morte, e di certo noi non abbiamo commesso nulla che giustifichi un tale atteggiamento da parte vostra. Barrett si girò verso Arilan e gli rivolse un cenno del capo. — Per favore, Denis, chiedi ai tuoi amici di attendere fuori. Questa richiesta rende necessaria una discussione in termini espliciti, e non vorrei esporre ad estranei le nostre controversie interne. Arilan s'inchinò e lanciò un'occhiata ai tre alle sue spalle. — Aspettate accanto al Portale finché vi chiamerò — disse loro, a bassa voce. Non appena le porte si furono richiuse alle spalle dei tre, Thorne Hagen balzò in piedi, picchiando sul tavolo intarsiato la mano grassoccia. — Questo è assurdo! Non possiamo garantire la protezione del Consiglio ad un paio di mezzosangue! Avete sentito il tono bellicoso di Morgan: potete perdonare un simile comportamento? Con calma, Barrett girò la testa verso Coram, ignorando la sfuriata di Thorne. — Tu cosa ne pensi, Stefan? Sai che apprezzo i tuoi consigli. Ritieni che sarebbe utile convocare qui Wencit e Rhydon e chiedere loro conto di ciò che, secondo quanto si asserisce, avrebbero fatto? Gli occhi chiari di Coram si oscurarono leggermente, e la sua faccia assunse un'espressione decisa. — Io sarei contrario a convocare qualsiasi estraneo nella camera del Consiglio, soprattutto i due che tu hai nominato. Tre intrusi sono già fin troppi, in un solo giorno. — Oh, suvvia, Stefan — intervenne la rossa Kyri. — Noi tutti sappiamo quali siano i tuoi sentimenti nei confronti di Rhydon, ma si tratta di qualcosa che risale a parecchi anni fa, e questa è una questione importante. Puoi certo accantonare la tua meschina lite con Rhydon nell'interesse della
sicurezza di tutti noi. — Non si tratta della nostra sicurezza, ma di due mezzosangue deryni. Se il Consiglio desidera convocare Wencit e quell'altro individuo alla sua presenza, ciò rientra naturalmente nei suoi diritti, ma lo farà senza il mio consenso e senza la mia presenza. — Lasceresti la camera del Consiglio? — domandò Vivienne, con lo stupore dipinto sul viso segnato dagli anni. — Sì. — Anch'io preferirei che Rhydon non venisse qui — interloquì Arilan. — Non sa ancora che io sono un Deryni, e vorrei che la sua ignoranza al riguardo si protraesse il più a lungo possibile, in quanto questo potrebbe dare al re un vantaggio di cui ha molto bisogno nel duello arcano, dal momento che appare ormai certo che dovremo sostenerlo. — Questa è una valida obiezione — annui Barrett. — E lo stesso vale per la presenza di Wencit. Il Consiglio è d'accordo? Inoltre, indipendentemente dai vostri sentimenti al riguardo, qual è la vostra decisione in merito a Morgan e a McLain? Hanno o non hanno diritto alla protezione del Consiglio? — Certo che vi hanno diritto! — scattò Tiercel. — Non soltanto Wencit ha leso la dignità del Consiglio, osando offrire un falso arbitrato, ma nel suo gruppo ci sono due individui del tutto umani, i cui poteri sono soltanto supposti e che non hanno una sola goccia di sangue deryni nelle vene. In considerazione di entrambi questi fattori, perché non acconsentiamo ad arbitrare formalmente questo duello arcano? Che una vera squadra di arbitri del Consiglio si presenti domani al duello ed estenda la sua protezione a tutti gli otto duellanti. In ogni caso, si tratta di una semplice formalità, diretta soltanto ad impedire tradimenti dall'esterno: noi tutti sappiamo che il risultato dipenderà dalla forza e dall'abilità degli interessati. Seguì un breve silenzio, poi Vivienne annuì. — Tiercel ha ragione, nonostante la sua giovanile irruenza. Noi abbiamo trascurato di considerare i due non-Deryni presenti nella squadra di Wencit, e Wencit ha offeso il Consiglio osando ricorrere ad arbitri fasulli. Quanto a Morgan e a McLain — aggiunse, scrollando le spalle, — che sia come deve essere. Se la loro squadra vincerà, e se sopravviveranno, questo dovrebbe dimostrare ampiamente che erano meritevoli fin dall'inizio della nostra protezione. La nostra posizione non correrà rischi, quale che sarà il risultato. — Ma... — cominciò Thorne.
— Vuoi tacere? — gli ingiunse l'altro membro femminile del Consiglio. — Signori, sono d'accordo con Lady Vivienne e sono certa che lo stesso si possa dire per Tiercel e per Arilan. Laran, tu cosa ne dici? La tua curiosità e il tuo orgoglio permetteranno che si proceda come proposto? — Sono pronto ad ammettere che si ignori qualsiasi criterio che possa essere violato permettendo questo arbitrato, e spero che vincano. Sarebbe criminoso perdere il potere risanatore, se davvero Morgan lo possiede. — Una razionalizzazione pratica, se mai ne ho sentita una — ridacchiò Vivienne. — Allora, signori? Cinque di noi sono a favore. C'è bisogno di una votazione formale? Nessuno rispose, e Vivienne guardò verso Barrett, con un leggero sorriso. — Molto bene, Lord Barrett. A quanto pare, i nostri augusti colleghi hanno decretato che si debba prendere quei due mezzosangue sotto la nostra protezione e arbitrare il duello arcano che avrà luogo domani. Sei pronto a fare il tuo dovere? — Sì — annuì stancamente Barrett. — Arilan, richiama i tuoi amici. Con un sorriso di trionfo, Arilan si diresse a grandi passi verso le porte dorate, che si spalancarono silenziose al suo approssimarsi. I tre all'esterno della camera si voltarono verso di lui con ansia, ma la sua espressione disse loro tutto ciò che volevano sapere, e quando entrarono nella sala al seguito di Arilan lo fecero con passo deciso ed a testa alta, non più intimiditi dal Consiglio Camberiano. — Rimani con i tuoi compagni, Arilan — avvertì Barrett, quando i quattro si avvicinarono alla sedia del vescovo. Arilan si arrestò e Kelson, Morgan e Duncan si raccolsero intorno a lui, fissando Barrett senza esitazioni. — Kelson Haldane, Alaric Morgan, Duncan McLain, ascoltate il verdetto del Consiglio Camberiano. È stato deciso che in questa circostanza voi tutti potete essere ritenuti degni della protezione del Consiglio, che vi viene quindi concessa. Il duello arcano sarà arbitrato da Laran ap Pardyce, da Lady Vivienne, da Tiercel de Claron e da me stesso. Arilan, tu non dovrai avere ulteriori contatti con il Consiglio fino alla conclusione del duello arcano, e procederai inoltre a istruire questi tre affinché sappiano ciò che dovranno fare allo scopo di soddisfare tutti i requisiti richiesti dal duello. Ogni cosa si svolgerà secondo il previsto rituale, com'era agli inizi, e nessuno di voi dovrà discutere di quanto accadrà domani con qualsiasi persona che si trovi al di fuori dei confini di questa camera. È chiaro? Arilan eseguì un formale, stilizzato inchino di obbedienza.
— Sarà fatto secondo le nostre antiche usanze, milord — replicò, e condusse gli altri tre fuori della camera del Consiglio, nell'oscurità del Portale di Trasferimento posto nell'anticamera. Pur sapendo che i suoi compagni bruciavano dal desiderio di subissarlo di domande, non permise loro di parlare mentre si trovavano ancora in presenza del Consiglio e li condusse invece indietro attraverso il Portale. Durante i primi, confusi istanti che seguirono al loro arrivo, fu come se quanto era accaduto nei minuti precedenti fosse stato un sogno: soltanto le forme addormentate di Nigel, di Cardiel e di Warin, il tappeto arrotolato e l'ottagono intagliato nell'erba ricordarono loro che era stato invece tutto reale. — È... è successo davvero? — fece Kelson, girandosi con lentezza per fissare Arilan. — Certamente — sorrise il vescovo. — A quanto pare, i miracoli si verificano ancora. Kelson, se provvedi a stilare la risposta alla sfida, la manderemo immediatamente a Wencit. — Arilan sospirò nel gettare di lato con un calcio i mozziconi di candela, poi si accasciò su una sedia, accanto al tratto di erba. — Ora possiamo anche coprire il Portale. Se necessario, potremo utilizzarlo ancora, ma non è più essenziale che ci sia un contatto diretto con il terreno. Kelson annuì e si accostò ad un piccolo scrittoio portatile, tirando fuori penna e pergamena. — Che tono devo dare alla lettera? Sicuro? Bellicoso? — No — rispose Arilan, scrollando il capo. — Mostrati un po' apprensivo ma rassegnato, come se fossi stato costretto ad accettare pur pensando che si tratta di un errore. Non vogliamo che Wencit sappia che abbiamo contattato il Consiglio, o che abbiamo scoperto il suo piccolo piano. — Un bagliore diabolico si accese nello sguardo di Arilan. — Anzi, cerca di usare un tono abietto e spaventato. Quando domattina il vero Consiglio si presenterà per arbitrare il duello arcano, si tratterà di uno spettacolo degno di essere visto! CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO Queste cose dice il Signore: Ecco, io farò venire dei mali su questo luogo, e sui suoi abitanti. Re, II 22:16
Più tardi, quella notte, nel cielo brillavano molte stelle quando Arilan si soffermò ad ammirarlo dal riparo della soglia del padiglione reale; intorno a sé, poteva udire i rumori dell'accampamento che si preparava al sonno... ad un sonno che sarebbe potuto anche essere l'ultimo: cavalli che strattonavano le cavezze e sbuffavano, timorosi della notte, sentinelle che si chiamavano a vicenda nel pattugliare le aree loro assegnate, conversazioni sommesse fra uomini che stavano per dormire. Intorno ad Arilan, un cerchio di torce piantate nel terreno rischiarava lo spiazzo antistante la tenda di Kelson e proiettava un tenue alone arancione, ma quella notte il semplice chiarore del fuoco non poteva competere con lo splendore delle stelle, ed Arilan pensò di non averne mai viste di così luminose nel cielo estivo. E che forse non ne avrebbe mai più viste. Alle sue spalle ci fu un rumore di stivali di cuoio, poi Kelson si fermò accanto a lui e sollevò a sua volta lo sguardo verso il cielo stellato. A testa nuda, con un semplice mantello da soldato gettato sulle spalle, il giovane sovrano rimase in silenzio per un lungo momento, preda anche lui dell'incanto della notte estiva. — Alaric e Duncan stanno arrivando? — chiese infine. — Li ho mandati a chiamare. Dovrebbero essere qui fra breve. Kelson sospirò e stiracchiò le braccia davanti a sé, con le dita intrecciate, lasciando vagare pigramente lo sguardo intorno al cerchio di torce e sulle guardie che si trovavano all'interno dell'alone arancione proiettato dal fuoco. — Sarà una notte breve, e penso che faremmo meglio ad essere pronti prima dell'alba, nell'eventualità che Wencit tenti qualche altro tiro mancino. Il messaggero che ha consegnato la nostra risposta ha detto che non sembrava per nulla soddisfatto. — Saremo pronti a riceverlo — replicò Arilan. — E quanto alle sorprese, temo che sarà proprio Wencit ad averne una, non appena sorgerà il sole. S'interruppe, distratto da un movimento al di fuori del cerchio di torce, poi diede di gomito a Kelson quando Morgan e Duncan oltrepassarono le guardie e abbozzarono un inchino. — C'è qualcosa che non va, Kelson? — chiese Morgan. — No, sono soltanto nervoso, suppongo — spiegò il giovane, scuotendo il capo. — Volevo andare sulla cima della collina e dare un'altra occhiata allo schieramento di Wencit. Non mi fido di lui.
— E fai bene — mormorò sottovoce Duncan, mentre Morgan inarcava un sopracciglio e lanciava un'occhiata nella tenda, alle spalle di Kelson. — Come sta Derry? — chiese poi, ignorando il commento del cugino. Kelson notò la direzione dello sguardo di Morgan e si spostò dalla soglia. — L'ultima volta che ho controllato, stava dormendo tranquillo. Vieni, voglio salire sulla collina. A Derry non succederà niente. — Ti raggiungerò fra un momento. Voglio verificare di persona. Gli altri si allontanarono nel buio e Morgan si girò, entrando nella tenda. Una candela riparata da un paralume ardeva in una bugia di ferro battuto vicino al grande letto regale, e grazie al suo chiarore e alla luce del fuoco acceso nella parte posteriore della tenda, Morgan poté attraversare il padiglione fino alla forma che giaceva sotto le coltri dal lato opposto dell'ambiente. Mentre s'inginocchiava accanto a Derry, le coperte si agitarono e il giovane lord si girò supino: i suoi occhi erano chiusi, ma era evidente che era all'inizio o alla fine di un incubo, perché gemette e si gettò per un momento un braccio sugli occhi, prima di rilassarsi e di sprofondare di nuovo in un sonno profondo. Una volta, Morgan ebbe l'impressione di sentir mormorare a Derry il nome di Bran, ma non poté esserne certo; accigliandosi, si protese per sfiorare con leggerezza la fronte di Derry, ma il rapido esame della mente turbata non gli trasmise nessuna impressione: quale che fosse stata la sua natura, l'incubo era finito, e forse ora Derry avrebbe dormito serenamente. Morgan avrebbe gradito poter accantonare ciò che aveva visto e procedere con quello che doveva fare... ma non ci riuscì. Il fatto che Derry continuasse ad essere agitato, mentre avrebbe dovuto essere ormai guarito, che avesse pronunciato il nome di Bran Coris... tutto questo presagiva male, comunque lo si considerasse. Certo Derry aveva subito una prova molto dura... quanto fosse stata dura nessuno lo avrebbe mai saputo finché il giovane non fosse emerso dal suo sonno profondo e avesse deciso di raccontare l'esperienza vissuta. Ma perché non si era ancora ripreso? Possibile che le frasi deliranti da lui pronunciate poco dopo essere giunto al campo avessero avuto un oscuro significato? E se i vincoli imposti da Wencit alla sua mente torturata non fossero stati completamente infranti? Morgan mise una seconda guardia davanti all'ingresso, poi si allontanò nel buio senza avere una meta precisa... si limitò a camminare per consumare l'energia nervosa accumulata, per dissipare il proprio disagio; senza
neppure sapere come... o cosa lo avesse spinto a cercare Richenda... si venne a trovare nelle vicinanze dell'accampamento del Vescovo Cardiel. Si arrestò di colpo, scrutando il chiarore delle torce davanti a sé e riflettendo sulle proprie motivazioni, poi oltrepassò le guardie vescovili e si diresse verso la tenda della contessa. Era consapevole che non si sarebbe dovuto trovare là, dopo quanto era successo fra loro la notte precedente.... ma si disse che forse Richenda avrebbe potuto fornirgli qualche chiarimento in merito al marito, che forse avrebbe intuito perché Derry aveva pronunciato nel delirio il nome del conte. Inoltre, non poteva negare di provare il desiderio di rivederla, pur sapendo di non avere nessun diritto di essere là. Entrò nel cerchio di luce che circondava l'ingresso del padiglione della contessa, ricambiò il saluto delle guardie e si accostò con passo silenzioso alla soglia della tenda. Nella parte anteriore non c'era nessuno, ma oltre il divisorio udì una voce femminile che cantava una ninna nanna. Si fermò accanto al palo centrale e rimase ad ascoltare. Taci, angelo mio, è ora di dormire. Il Santo Iddio il tuo sonno venga a custodire. Contro i terrori della notte infida Egli sarà tua luce e guida. Taci, la mamma qui accanto riposa. Taci, angelo mio, non pianger senza posa. Il Signore ed io ti proteggeremo, E tutte le paure da te allontaneremo. Affascinato dalla canzone, Morgan si accostò maggiormente alla soglia, sbirciando oltre la tenda. Dall'altra parte della camera interna, scorse Richenda che si chinava sul letto di Brendan, rincalzando con tenerezza le coltri intorno al figlio. Il bambino era prossimo ad addormentarsi, ma nel protendere le braccia grassocce per stringere il collo della madre, scorse Morgan fermo vicino al divisorio e subito tornò a svegliarsi del tutto, sollevandosi in ginocchio e sgranando per la meraviglia gli occhi azzurri. — Papà? Sei venuto a raccontarmi una storia? Imbarazzato, Morgan accennò a ritrarsi dalla soglia, ma Richenda ebbe il tempo di girarsi e di scorgerlo. La donna nascose il sussulto che le parole del bambino le avevano strappato non appena si accorse che il visitatore era Morgan, e non il marito, poi prese in braccio Brendan e si avvicinò a
Morgan con un sorriso leggermente nervoso sulle labbra. — No, caro, non è tuo padre, è il Duca Alaric. Buona sera, Vostra Grazia. A quanto pare, nella penombra, Brendan ti ha scambiato per suo padre. Richenda accennò una riverenza e Brendan si strinse ancora di più a lei... adesso poteva vedere che l'uomo sulla soglia non era suo padre... senza sapere però come reagire. Guardò verso la madre, alla ricerca di un suggerimento e, vedendola sorridere, stabili che probabilmente lo sconosciuto non era un nemico. Lanciò quindi a Morgan una timida occhiata, tornando poi a fissare la madre. — Il Duca Alaric? — Quel nome non aveva significato per un bambino così piccolo, e Brendan stava soltanto cercando di chiarirsi le idee; prima però che avesse il tempo di pensarci sopra, Morgan avanzò di qualche passo e s'inchinò. — Salve, Brendan, ho sentito alcune cose molto belle sul tuo conto. Brendan scrutò Morgan con sospetto, poi si girò nuovamente verso sua madre. — Il mio papà è un duca? — chiese. — No, caro, è un conte. — È importante come essere un duca? — Quasi. Non pensi che dovresti salutare Sua Grazia? — No. — Certo che devi. Di' «Buona sera, Vostra Grazia». — Buona cera, Vostra Gracia — farfugliò il bambino. — Buona sera, Brendan. Come stai? Brendan si mise due dita in bocca ed abbassò lo sguardo, tornando ad essere timido. — Sto bene — strascicò. Morgan sorrise e si chinò per portarsi al livello del piccolo. — Quella che tua madre ti ha cantato era una canzone molto bella. Credi che la canterebbe ancora, se tu glielo chiedessi con garbo? Brendan esibì un sorriso da monello, senza togliersi le dita di bocca, e scosse il capo. — Non voglio canzoni. Le canzoni sono per i bambini piccoli. Voglio storie. Conosci una storia? Morgan si raddrizzò, sorpreso. Una storia? Non aveva mai ritenuto di possedere una particolare abilità nel trattare con i bambini, ma Brendan sembrava averlo preso in simpatia. Una storia. Dio sapeva che lui ne aveva sentite di notevoli, ma ben poche erano anche lontanamente adatte ad un
bambino di quattro anni. Cosa nel nome di... Richenda notò la sua indecisione e accennò a riportare a letto il figlio. — Forse un'altra volta, caro. Sua Grazia ha avuto una giornata molto faticosa e temo che stanotte sia troppo stanco per raccontare storie ai bambini. — No, non è detto — replicò Morgan, seguendo Richenda che stava riadagiando il piccolo nel letto. — Perfino i duchi possono trovare un po' di tempo per far divertire un ragazzino. Che genere di storia vorresti sentire, Brendan? Brendan si adagiò sui cuscini con un sorriso soddisfatto e si tirò le coperte fin sotto il mento. — Parlami del mio papà. Lui è l'uomo più intelligente e coraggioso del mondo. Raccontami una storia su di lui. Morgan rimase immobile per un istante, e lanciò un'occhiata a Richenda, che si era irrigidita a sua volta nel sentire la richiesta del figlio. Brendan non sapeva, non poteva sapere del tradimento commesso dal padre, e non ne era certo colpevole. D'altro canto, Morgan non se la sentiva di tessere le lodi di Bran Coris... neppure per compiacere suo figlio. Si costrinse quindi a sfoggiare uno dei suoi disinvolti sorrisi e sedette sul bordo del letto, accarezzando i capelli al bambino. — No, Brendan, non stasera. Che ne diresti, invece, se ti raccontassi di quando il re era un bambino piccolo come te? Ora, pare che il re, che allora era soltanto un principe, avesse uno splendido pony nero chiamato Nightwind. Dunque, un giorno Nightwind è uscito dal suo recinto e... Mentre Morgan intesseva la sua storia, Richenda si trasse leggermente indietro per osservarli entrambi, grata che l'attenzione di Brendan fosse stata dirottata con successo. Il bambino stava accogliendo con versi di gioia la vicenda che Morgan gli narrava, ma lei riusciva a cogliere soltanto qualche parola, qua e là, perché Morgan teneva di proposito la voce bassa, in modo da trasformare quel momento trascorso con il bambino in un evento condiviso da loro due soltanto. Osservando l'alto lord biondo chino sul bambino incantato, Richenda si sentì intrappolare nuovamente nella rete di meraviglia che circondava quell'uomo. Dopo qualche tempo, Morgan si protese per accarezzare la fronte di Brendan, che si era addormentato già da qualche minuto, e rimase a capo chino per un istante. Quando si raddrizzò, fu per alzarsi e per girarsi verso Richenda: intorno a lui c'era adesso una strana aura di serenità, una sensazione di rilassamento che appariva aliena e al tempo stesso naturale. Prote-
se una mano, e Richenda gli si accostò in silenzio; dopo un momento, Morgan abbassò ancora lo sguardo sul bambino addormentato. — È un Deryni, milady, e tu lo sai. — Lo so — annui Richenda. Morgan spostò il peso del corpo da un piede all'altro, in preda ad un improvviso disagio. — È com'ero io alla sua età, innocente, vulnerabile. So che è rischioso, ma bisognerebbe addestrarlo, perché il suo segreto non rimarrà tale in eterno, e lui dovrà avere il modo di proteggersi. Richenda annuì di nuovo e lanciò un'altra occhiata al figlio addormentato. — Ben presto scoprirà da solo di non essere come gli altri bambini. È necessario avvertirlo di ciò che si deve aspettare, e tuttavia tremo all'idea di essere io a distruggere la sua innocenza. E poi, c'è il problema di suo padre. Lui adora Bran, sai, come ogni bambino dovrebbe amare suo padre. Ed ora... La voce le si spense e lei non concluse la frase, ma Morgan comprese cosa stava pensando. Lasciata andare la mano di lei, si portò sulla soglia e guardò nella camera esterna: Sorella Luke era tornata dalla commissione che era andata a svolgere, quale che fosse, e adesso si stava dando da fare con efficienza, preparando alcuni boccali e una bottiglia di vino rosso. Nel vederla, Morgan arrossì e si chiese da quanto tempo la suora si trovasse là, ma Sorella Luke non disse nulla mentre accendeva altre candele e gli rivolgeva un leggero inchino. Morgan passò nella camera esterna e ricambiò l'inchino con un cenno del capo; Sorella Luke scomparve nell'ambiente interno e poco dopo Richenda venne a raggiungere Morgan, che nascose il proprio disagio versando due bicchieri di vino. — Ha sentito? — mormorò, mentre Richenda assaggiava il vino. La donna scosse il capo e sedette al tavolo da campo, di fronte a lui. — No. Ma anche se così non fosse, saprebbe essere discreta. Inoltre, sono certa che le guardie l'hanno avvertita che non ero sola — aggiunse con un sorriso, — e tu non sei stato qui abbastanza a lungo da mettere in discussione il nostro onore. Morgan ricambiò fugacemente il sorriso e abbassò lo sguardo sul boccale che aveva in mano. — Quanto a domani, milady — cominciò, a bassa voce, — se Gwynedd vorrà sopravvivere, Bran dovrà morire. Lo sai. — Era destino — mormorò lei, — ma ho paura lo stesso. Che ne sarà di noi, Alaric? Che ne sarà di tutti noi?
Nella tenda di Kelson, un'altra persona si stava dibattendo, alle prese con la stessa angosciosa domanda. Sotto le coltri, accanto al fuoco morente, Derry si agitò, inquieto, ed infine aprì gli occhi. Non poteva più ignorare il richiamo. Era sveglio, e l'impulso cresceva. Si mise a sedere nella tenda deserta, gettò via le coperte e si alzò in piedi a fatica. All'inizio barcollò come se gli fosse stato inferto un colpo violento, ma poi scosse il capo, come per allontanare un pensiero molesto e chiuse gli occhi per un momento, accarezzando l'anello che portava al dito. Quando riaprì gli occhi, nel suo sguardo si leggeva una determinazione che prima era assente. Senza ulteriori esitazioni, girò sui tacchi e si accostò all'ingresso della tenda. — Guardia? — Sì, milord? L'uomo era premuroso, ansioso di essere d'aiuto, e rivolse a Derry un saluto perfetto nell'entrare nel padiglione. — Puoi darmi una mano? — si trovò a dire Derry. — A quanto pare, ho perso il fermaglio del mantello — Il giovane accennò alle coperte fra cui aveva dormito ed esibì un sorrisetto contrito. — Lo cercherei io stesso, ma la testa mi fa ancora male quando mi chino. — Non importa, signore — sorrise la guardia, posando la lancia per piegarsi sulle coperte. — Sono contento di vedere che sei in piedi e che ti senti meglio. Per un po' ci hai fatto stare in pensiero. Mentre l'uomo parlava, Derry serrò la mano intorno alla lama di una pesante daga da caccia, senza toglierla dal fodero, e si accostò alla guardia, colpendola senza preavviso dietro l'orecchio destro con l'impugnatura dell'arma. L'uomo si accasciò senza emettere un suono. Derry non perse tempo. Dopo aver trascinato la guardia svenuta entro il perimetro del Portale di Trasferimento, si accostò alla soglia della tenda e ne chiuse il telo d'ingresso. Un momento più tardi era di nuovo accanto alla guardia: inginocchiatosi, posò le mani sulle tempie dell'uomo e subito si sentì pervadere da una strana sonnolenza. Le palpebre dell'uomo tremolarono e si sollevarono, ma lo sguardo che incontrò quello di Derry esprimeva un'intelligenza che non poteva appartenere ad una semplice, onesta guardia. L'involontario tremito del giovane lord fu soffocato dal potere che lo stava costringendo a quelle azioni, e lui non poté fare altro che obbedire, impotente, mentre i suoi occhi scrutavano quelli della guardia in trance e stabilivano il contatto con la nuova presenza. — Ben fatto, Derry — mormorò la guardia, con una voce che non era
esattamente la sua. — Che cosa hai appreso? Dove si trovano quel principotto deryni ed i suoi amici? — Sono andati lungo il perimetro dell'accampamento per osservare il tuo schieramento, sire — Derry si sentì rispondere, senza poterlo impedire. — È un bene. — La guardia sbatté le palpebre e annuì. — Nessuno ti ha visto quando hai sopraffatto la sentinella? — Credo di no, sire. — Derry scosse il capo. — Ora cosa vuoi che faccia? Ci fu una leggera pausa, poi la guardia tornò a fissare Derry con una nuova intensità nello sguardo. — Lord Bran desidera la restituzione di suo figlio e di sua moglie. Sai dove si trovino? — Posso scoprirlo — rispose Derry, suo malgrado e disprezzandosi per quelle parole. — Bene. Allora escogita una scusa per attirarli qui al Portale. Di' alla dama che... All'esterno della tenda si udì un suono di voci e Derry s'immobilizzò. Non poteva esserne certo, ma sembrava che una delle guardie stesse parlando con... Warin? Con mosse furtive, si alzò in piedi e sgusciò verso la soglia, rimanendo di lato in modo da essere nascosto dal telo quando esso si fosse aperto. Da fuori della tenda giunse un rumore di passi che si avvicinavano, una mano spinse il telo e Warin infilò la testa nell'apertura, scorgendo la guardia distesa al centro del padiglione. Prima che potesse girarsi per dare l'allarme, Derry lo aggredì e lo trascinò all'interno, soffocando il suo tentativo di gridare premendogli con violenza una mano sulla bocca. Entro pochi secondi, anche Warin giacque privo di sensi nel centro della tenda, legato mani e piedi, imbavagliato e avvolto in un pesante mantello che nascondeva i legami. Dopo aver trascinato Warin dalla parte opposta della tenda, Derry lasciò il padiglione reale. Morgan abbassò lo sguardo, a disagio, e si fissò i piedi, costringendosi a non guardare in direzione di Richenda, ferma a pochi passi di distanza. Avevano ormai bevuto il vino e detto quello che c'era da dire... tutto quello che si poteva dire per ora. Se lui avesse ucciso Bran, l'indomani, questo avrebbe potuto distruggere l'amore che quella donna meravigliosa nutriva per lui e tuttavia, se Bran non fosse morto, non ci sarebbe stato futuro per nessuno di loro. Morgan sollevò lo sguardo, incontrando quello di lei, e si rese conto di
colpo che non l'aveva mai presa fra le braccia, che non l'aveva mai neppure toccata, tranne per quel breve momento, la notte precedente, quando avevano condiviso la loro derynità... e che l'indomani avrebbe potuto essere troppo tardi. L'indomani avrebbe potuto privarlo per sempre di quell'opportunità. La scrutò negli occhi, leggendovi la sua stessa indecisione, poi la strinse fra le braccia e le sue labbra incontrarono quelle di lei in un bacio appassionato, mentre il chiarore delle candele si attenuava intorno a loro. Dopo quello che parve essere un solo istante, si separarono, e Morgan indugiò a lungo a guardarla negli occhi, tenendo fra le proprie le dita di lei. Fin dal momento in cui era arrivato, però, aveva saputo che quella notte non sarebbe potuto rimanere. L'onore non lo permetteva. E così, dopo un lungo momento durante il quale il solo suono nella tenda parve essere la musica precipitosa dei loro cuori, Morgan prese congedo, portandosi alle labbra le dita di lei prima di uscire nella notte. Mentre si allontanava nel buio per raggiungere Kelson e gli altri, Morgan non poteva sapere che c'era qualcuno in agguato poco lontano, non poteva sapere che Derry, in attesa dell'occasione propizia per agire, stava aspettando fuori della tenda di Richenda, in preda agli effetti di un incantesimo del nemico. Richenda indugiò sulla soglia del padiglione, seguendo Morgan con lo sguardo per poi girarsi a osservare la tenda che ora le appariva così vuota. Adesso che lui se n'era andato, le candele avevano ripreso ad ardere con vigore e, nell'accostarsi alle labbra le dita tremanti, Richenda si chiese come le fosse successo d'innamorarsi di quello sconosciuto alto e biondo che non era suo marito. Poi, sempre sorridendo, passò nella camera interna e s'inginocchiò accanto al figlio addormentato; ben presto, il suo sorriso si mutò in un'espressione preoccupata. Cosa avrebbe avuto in serbo per loro il futuro, dopo gli eventi dell'indomani? Indipendentemente dall'esito del duello, lo spettro di Bran si sarebbe sempre librato sulle loro teste, da vivo come da morto, perché lei era vincolata a Bran da quel bambino, da un legame più ferreo di una promessa o della legge stessa. E se Alaric Morgan avesse ucciso Bran Coris, l'indomani... in cosa consisteva la fedeltà? Richenda rifletté su ciò che le era stato insegnato, ma dubitò di potervi trovare la risposta. Si diceva che la fedeltà di una donna dovesse andare al marito, ma che accadeva se il marito era un traditore? Sussisteva lo stesso l'obbligo di odiare l'uomo che avesse fatto giustizia di quel traditore? Chis-
sà come, lei non lo pensava. Con un leggero sospiro, rincalzò meglio le coperte intorno a Brendan, poi s'immobilizzò quando le giunse all'orecchio un suono che proveniva dall'esterno della tenda. Alzatasi in piedi il più silenziosamente possibile, si accostò alla soglia della camera interna e scorse la sagoma di un uomo delineata sullo sfondo dell'ingresso del padiglione. L'uomo non era stato fermato dalle guardie e non accennava a muoversi... in effetti non aveva l'aria minacciosa... ma chi poteva essere? Richenda avanzò di qualche passo nella camera esterna, cercando di distinguere i lineamenti del visitatore nonostante il buio che regnava fuori. — Chi sei? — chiese, a bassa voce perché non voleva svegliare Brendan o Sorella Luke. — Hai un messaggio per me? L'uomo oltrepassò appena la soglia e si lasciò cadere su un ginocchio. — Sono Sean Lord Derry, milady, l'aiutante di campo di Morgan. Io... potresti venire subito con me nella tenda del re? Lord Warin sta molto male e attualmente Morgan è impossibilitato a occuparsi di lui. Il re ha pensato che tu potessi essere d'aiuto. — Ma certo. Voglio dire, ci proverò. — Richenda prese un mantello e cominciò ad allacciarselo. — Hai idea di cosa possa avere Warin? — No, milady, temo di no. — Derry scosse il capo e si alzò in piedi. — Ha la febbre e delira. Richenda finì di allacciarsi il mantello e mosse verso di lui. — Sono pronta. Fammi strada. Derry però abbassò lo sguardo verso il pavimento in un atteggiamento imbarazzato. — Mia signora, prima che andiamo, io... ecco, non so come esprimermi per evitare che tu mi consideri uno sciocco, ma il re è... ecco, il re desidera che tu porti con te il giovane Lord Brendan. — Vuole che porti anche Brendan? Perché mai... — Ti prego, milady, io... il Vescovo Arilan e Padre Duncan temono che Wencit e tuo marito potrebbero cercare di rapire il bambino, se lo si lasciasse solo, e non è male prendere delle precauzioni. Inoltre, Morgan mi ha fornito una certa protezione. — Oh, il mio povero bambino — mormorò Richenda, facendosi il segno della croce e correndo verso la soglia della camera interna, dove rimase ferma per parecchi secondi, con lo sguardo fisso sul figlio che dormiva, prima di tornare a girarsi verso Derry. — Hai ragione, potrebbe essere un complotto. Bran ama molto Brendan,
e potrebbe benissimo costringere Wencit a cercare di rapirlo. Avvolgilo in questo mantello, Derry — proseguì, porgendo al giovane lord un mantello orlato di pelliccia e accostandosi al letto del piccolo, — e bada a non svegliare Sorella Luke. Andrà tutto bene. Derry sorrise fra sé ma Richenda non se ne accorse perché si era già chinata sul figlio. — Certamente, milady — replicò Derry, a bassa voce. — Questi religiosi vanno assecondati, di tanto in tanto. Vieni, Warin ha bisogno del tuo aiuto. Pochi minuti più tardi, Richenda e Derry, che trasportava l'addormentato Brendan, entrarono nel padiglione regale. L'interno era vivamente illuminato, rispetto all'oscurità che regnava all'esterno, e Richenda impiegò qualche istante ad abituare la vista a quel chiarore. Derry attraversò la tenda e depose il bambino su un mucchio di pellicce al centro di essa, indicando poi l'angolo dove giaceva Warin. Mentre Richenda si accostava a Warin, Derry indietreggiò e incrociò le braccia sul petto con un leggero sorriso, ma la donna non se ne accorse. — È spaventosamente immobile — osservò, inginocchiandosi e allungando una mano per sfiorare la fronte di Warin. — Warin? Warin, mi senti? Nel momento in cui toccò l'ex capo ribelle, però, Richenda si ritrasse di scatto e si trovò a fissare una bocca coperta da un vistoso bavaglio applicato in maniera affrettata: soltanto allora comprese il perché della strana angolazione che le spalle di Warin avevano sotto il mantello... era dovuta alle mani legate. Sgomenta, sollevò lo sguardo verso Derry... e vide che questi non sembrava più neppure consapevole della sua presenza e stava indietreggiando per allontanarsi da Brendan. Derry entrò quindi in una zona d'ombra, e Richenda s'irrigidì nello scorgere un alone di luce intorno alla sua testa. — Derry! Di colpo, comprese quali fossero le intenzioni di Derry, percepì il Portale di Trasferimento che stava cominciando a brillare intorno a suo figlio, e balzò in piedi, oltrepassando Derry e raggiungendo il Portale nel momento in cui la scena al suo interno si alterava. Mentre il Portale si stabilizzava, Richenda protese la propria volontà per bloccarlo... ma subito Derry scattò nel cerchio, alle sue spalle, e la trattenne contro di sé, trascinandola via dal Portale.
Richenda cercò di urlare il nome del bambino per svegliarlo, ma una mano le serrò con forza la bocca. Una guardia fece allora capolino sulla soglia, in risposta al suo grido di poco prima, ma ormai una seconda figura si stava concretizzando nel cerchio, seguita da una terza che si diresse verso il bambino addormentato. — No! — urlò Richenda, riuscendo quasi a liberarsi da Derry, mentre l'uomo sollevava suo figlio. — Bran, no! Il potere cominciò a fluirle dalle dita, diretto contro l'uomo, ma lei non riuscì a controllarne la direzione a causa degli strattoni di Derry, e la guardia parve muoversi con una lentezza spaventosa. Impotente, Richenda vide il cerchio emanare un bagliore che subito si spense. — Brendan! — gridò ancora, mentre le guardie allontanavano Derry da lei e cercavano di immobilizzarlo. Ma era troppo tardi per salvare Brendan: il bambino era scomparso. CAPITOLO VENTICINQUESIMO Tu sei sacerdote in eterno... Salmi 110:4 Quando finalmente Kelson poté essere convocato, il padiglione reale sciamava ormai di armigeri. Al sopraggiungere del re, accompagnato da Morgan, da Duncan e da Arilan, sui presenti scese un silenzio infranto soltanto dai sommessi singhiozzi di Richenda, che sedeva desolata nel centro del Portale vuoto, e dai tentativi da parte di Derry di liberarsi dai legami. Parecchi soldati erano fermi accanto alla dama con aria impotente, incapaci di offrirle conforto, ed un altro si stava prendendo cura di Warin, ancora svenuto. Derry, dal canto suo, cercava periodicamente di lasciare il lato del padiglione in cui era relegato, e a volte era necessaria la forza di cinque uomini per trattenerlo. Kelson valutò la situazione con un'occhiata che ingiunse anche agli uomini in eccesso di lasciare il padiglione; ci furono alcuni mormorii costernati, ma le guardie obbedirono. Quando se ne furono andate, Kelson e Morgan accennarono ad accostarsi a Richenda, ma la donna sollevò lo sguardo per un istante e subito distolse il capo. — Non ti avvicinare a me, sire. C'è il male in questo cerchio. Hanno preso mio figlio, ed io non riesco a ritrovarlo. — Hanno preso Brendan? — sussurrò Morgan, ricordando come poco
tempo prima avesse addormentato il bambino con una storia. Senza esitazione, Arilan entrò nel cerchio e s'inginocchiò accanto a Richenda, aiutandola ad alzarsi in piedi e affidandola a Duncan, che la condusse lontano dal Portale mentre lei si torceva le mani, con i capelli rossi che le ricadevano scompigliati sul viso e sulle spalle. Morgan accennò a seguirla, ma Arilan scosse il capo e segnalò a Duncan di allontanarla ancora di più dal cerchio. — Lasciala stare, Alaric — mormorò poi, a bassa voce. — Per ora la compagnia di Duncan è la cura migliore. Adesso, la cosa più importante da fare è chiudere il Portale, prima che Wencit tenti ancora di usarlo. Non avrei mai dovuto lasciarlo aperto. — Possiamo esserti d'aiuto? — domandò Kelson, osservando con occhi sgranati il vescovo, che si era accoccolato sui talloni e si stava sfregando una mano sugli occhi. — No, le vostre forze serviranno per aiutare Derry. State indietro, mentre io faccio ciò che va fatto. Gli altri obbedirono al suo ordine, ed Arilan fissò il soffitto per un lungo momento prima di sospirare, come per ricomporsi, e di chinare nuovamente il capo, appoggiando al suolo le mani ai due lati del corpo. Un bagliore cominciò ad aleggiargli intorno alla testa come un vivido mantello che vibrava all'unisono con il battito costante del suo cuore, poi ci fu un lampo violento e tutto si concluse. Arilan barcollò in avanti, come ubriaco, puntellandosi sulle mani e sulle ginocchia, ma quando Morgan accennò ad accostarglisi lo fermò, scuotendo il capo. — Lasciami stare e pensa invece a Derry — sussurrò, con voce opaca. — È tutto finito, ed io vi raggiungerò fra poco. Morgan sospirò, lanciando un'occhiata prima a Kelson, poi a Richenda e a Duncan, che si trovavano dalla parte opposta della tenda, vicino al letto di Kelson, e si diresse verso le guardie che trattenevano Derry. Il giovane lord lo vide arrivare e subito i suoi arti legati presero a contorcersi sempre più, a mano a mano che il nobile deryni gli si avvicinava; Morgan abbassò lo sguardo su Derry e lo fissò in silenzio per parecchi secondi, prima di inginocchiarsi e di cominciare a sfilarsi i guanti. — Che cos'hai visto, con esattezza? — domandò ad una delle guardie, che appariva più calma delle altre. — Qualcuno ci ha detto che Derry ha portato qui il bambino, addormentato e avvolto in un mantello, e che Lady Richenda lo ha accompagnato di sua spontanea volontà. — Sembrava che fosse proprio così, Vostra Grazia. Sono rimasti dentro
per circa un minuto... io ero di guardia all'interno del perimetro... poi ho sentito la dama gridare. Chiamava Derry per nome. Quando siamo entrati, abbiamo visto che stava lottando con lui laggiù, dove prima c'era il vescovo. Ed è successo anche qualcosa al bambino: era disteso sulle pelli, proprio dove è seduto il vescovo, e c'era una strana luce, e sembrava che là ci fossero due persone, in piedi. Kelson, che si era avvicinato per ascoltare le parole della guardia, s'inginocchiò accanto a Morgan e scrutò con attenzione il volto del soldato. — Una delle sentinelle, quella che è venuta a chiamarci, ha riferito che quegli uomini erano Wencit di Torenth e il Conte di Marley. Questo coincide con quello che hai visto tu? — Ecco, quanto a Wencit non saprei, sire, ma l'altro non poteva essere che il Conte di Marley. L'ho visto soltanto in poche occasioni, ma... — E dopo cosa è successo? — lo incitò Morgan, con impazienza. — Ecco, quando abbiamo potuto raggiungere la dama, Lord Derry l'aveva ormai trascinata fuori del cerchio, e un momento più tardi, il bambino e i due uomini sono improvvisamente scomparsi. Io... non posso spiegarlo, signore. — Non cercare neppure di farlo — borbottò Morgan, poi si infilò i guanti nella cintura e guardò verso Derry, che continuava a dibattersi. — È in questo stato da allora? — Sì, signore. Voleva tornare in quel cerchio e continuava a gridare che non dovevamo chiuderlo, che lui doveva tornare indietro. Abbiamo dovuto imbavagliarlo, perché strillava tanto che non riuscivamo neppure a pensare. — Posso immaginarlo — mormorò Morgan. Osservò Derry da testa a piedi, mentre il suo sguardo si faceva leggermente velato, poi lanciò un'occhiata alle guardie. — D'accordo, liberatelo dal bavaglio e dalle corde e tenetelo fermo. Non sarà una cosa facile. — Ma cos'ha? — chiese Kelson, in tono sommesso, mentre le guardie obbedivano. — Morgan, sei certo che non sia rischioso slegarlo? Si comporta come se fosse posseduto da qualcosa. — E noi dobbiamo scoprire fino a che punto lo sia — replicò Morgan. — A quanto pare, questo è ciò di cui Derry aveva paura, quando ha ripreso i sensi per la prima volta, oggi pomeriggio, ed io avrei dovuto occuparmene allora. Morgan rivolse quindi di nuovo la propria attenzione a Derry, che rab-
brividì e serrò gli occhi, trattenendo con violenza il respiro quando Morgan gli toccò la fronte. Poi i suoi occhi si riaprirono e fissarono il duca deryni: l'espressione folle di poco prima era svanita e nello sguardo del giovane affiorò un certo imbarazzo quando esso si posò sulle guardie che gli bloccavano a terra le braccia e le gambe. Quando infine tornò a guardare Morgan, i suoi occhi azzurri espressero dolore e una certa paura: di tutte le reazioni, questa era l'unica che Morgan non si fosse aspettato. — Che... che cosa ho fatto, Morgan? — chiese Derry, con voce flebile. — Non lo ricordi? Derry sbatté le palpebre e scosse il capo. — Ho commesso... qualcosa di terribile? Ho fatto del male a qualcuno? Pensando alla donna che stava piangendo dalla parte opposta della tenda, Morgan si morse un labbro per frenare una risposta rabbiosa. — Sì, Derry. Hai aiutato Wencit e Bran Coris a rapire un bambino, ed hai anche ferito Warin ed una guardia. Davvero non te ne ricordi? Derry scosse il capo, e sul suo viso si dipinse un'espressione addolorata pari a quella di Morgan, che distolse lo sguardo, incapace di reggere ancora quello di Derry, e accennò a posare una mano sul braccio del giovane lord in un gesto di comprensione. Nel momento stesso in cui le dita di Morgan gli sfioravano la manica, Derry s'inarcò verso l'alto e sfuggì alla stretta delle guardie, serrando le mani intorno alla gola del generale deryni. — Tenetelo! — gridò Kelson, gettandosi a sua volta di traverso sulle gambe di Derry, mentre le guardie entravano in azione. La presa di Derry resistette per circa tre secondi, poi Morgan si liberò, respingendolo contro il terreno, e le guardie gli si sedettero sulle braccia e sulle gambe. Anche allora, Derry continuò ad urlare e a contorcersi. — No! — gridò. — Oh, Dio mi aiuti, no! Morgan, non posso controllarmi! Uccidimi! Oh, ti prego, uccidimi prima che io... Il pugno di Morgan scattò con decisione e colpì la mascella di Derry con un nauseante crocchiare di ossa. Il giovane si accasciò e Morgan si rimise in ginocchio, ansando e segnalando alle guardie di rinforzare la presa sul prigioniero. Kelson intanto si risollevò e scrutò Morgan con espressione preoccupata, allontanando con un cenno i soldati che avevano fatto irruzione nella tenda al suo grido di poco prima. — Dio del cielo, cosa è successo? Stai bene? — sussurrò, assestandosi la tunica e guardando Morgan con rinnovato rispetto. — Stava cercando di ucciderti. Morgan annuì, massaggiandosi con cautela la gola su cui cominciavano
già a spiccare i segni lasciati dalle dita di Derry. — Lo so. L'unica cosa che riesco a immaginare è che Wencit abbia su di lui un controllo molto potente, costituito da molteplici strati. È per questo che non me ne sono accorto oggi pomeriggio: ho neutralizzato l'incantesimo superficiale, ma c'era uno strato sottostante, quello che dovremo infrangere adesso... infrangerlo oppure uccidere Derry tentando. — Trasse un respiro affaticato e si costrinse a rilassarsi. — Quando si riprenderà, mi starai vicino, pronto a intervenire e a lottare contro ciò che lo controlla? Kelson annuì, solenne, e Morgan rivolse la propria attenzione alle guardie. — E voi, uomini, questa volta tenetelo fermo, dannazione. Non posso fare nulla se lui continua a contorcersi come un pesce e cerca di strozzarmi. Le guardie assentirono con aria contrita e si tesero non appena Derry gemette ed accennò a muoversi. Prima però che il giovane potesse riprendere del tutto conoscenza, Morgan accostò lentamente le mani alla sua testa, assumendo un'espressione remota. — Ascoltami, Derry — disse. Le sue dita si posarono con leggerezza sulla testa di Derry, il cui corpo si contrasse in un brivido che era quasi una convulsione e che per poco non fece perdere la presa a Morgan, nonostante le guardie. Scuotendo il capo, il generale deryni rinsaldò la presa ed estese la propria volontà. — Va tutto bene, Derry. Sei al sicuro. Ti libereremo. Ora rilassati e lasciami entrare, com'eri solito fare, così spezzerò il controllo che Wencit esercita su di te. Derry rabbrividì ancora, contorcendosi sotto le mani che lo trattenevano, mentre Morgan si concentrava, poi si accasciò. Morgan rimase a lungo immobile, prima di sollevare leggermente il capo. — D'accordo, Kelson, seguimi e va' dove vado io. E voi, uomini, non allentate la presa neppure per un momento finché non ve lo dirò. Potrebbe ancora diventare violento senza preavviso. — Sì, Vostra Grazia. Morgan chinò la testa, assumendo un'espressione velata, e Kelson gli posò una mano sul braccio, per stabilire il contatto. Dopo un momento, nel padiglione non si udì più nessun suono, tranne il sommesso singhiozzare di Lady Richenda, che stava ancora piangendo fra le braccia di Duncan. Dall'altra parte della tenda, Duncan lasciò vagare lo sguardo oltre la figura della donna in lacrime, osservando la scena formatasi intorno a Derry,
ora immobile. Arilan, sfinito per lo sforzo di chiudere il Portale, aveva ora trovato le forze necessarie per lasciare il circolo e accostarsi a Morgan e a Kelson, per guardare quanto stava accadendo, e le sole guardie rimaste nel padiglione erano adesso quelle impegnate a tenere fermo Derry. Duncan si rese conto che era giunto il momento di scuotere Richenda dalla sua disperazione e di indurla a parlare di quanto era accaduto. — Milady? — chiamò, in tono gentile. La donna deglutì rumorosamente, poi sollevò la testa per asciugarsi gli occhi con un fazzoletto, tornando però subito a riabbassarla senza guardare il sacerdote. — Ho fatto una cosa terribile, padre — sussurrò. — Ho fatto una cosa terribile, e non posso neppure chiedere il tuo perdono, perché se ne avessi l'opportunità la rifarei. Duncan rianalizzò mentalmente gli eventi e cercò di capire a cosa Richenda potesse riferirsi, dimenticando, per un momento, che in teoria era ancora sospeso dall'esercizio del sacerdozio. — Di quale cosa terribile si tratta, milady? — domandò infine. — Non vedo come tu possa biasimarti in alcun modo per quanto è accaduto stanotte. Non è stato forse Derry ad attirarti qui, per cercare di rapire te e tuo figlio? Richenda scosse il capo. — Tu non capisci, padre. Mio... mio marito era uno di quegli uomini nel cerchio, che hanno preso mio figlio. Ed io... io ho cercato di ucciderlo. — Hai cercato di ucciderlo? — ripeté Duncan, chiedendosi come una fragile ragazzina come quella potesse ritenersi capace di un atto del genere. — Sì, e probabilmente ci sarei riuscita, se Wencit non fosse stato presente e se Derry non mi avesse ostacolata. Tu sei un Deryni, padre, e sai di cosa sto parlando. — Io so... — Duncan s'interruppe, comprendendo d'un tratto ciò che Richenda aveva inteso sottintendere. — Mia signora — sussurrò, traendola più vicino alla parete della tenda, lontano dagli altri, — sei una Deryni? Richenda annuì, ma si rifiutò di guardarlo. — Bran lo sa? — Adesso sì — mormorò lei, arrischiandosi a lanciare un'occhiata a Duncan. — Ed io... oh, padre, a che serve? A te non posso mentire. Io credo che sia stato un altro il motivo che mi ha spinta a tentare di uccidere Bran. Lui... oh, Dio mi aiuti, padre, ma mi sono innamorata di un altro
uomo. Amo tuo cugino Alaric, e lui mi ama. Per ora non ho ancora tradito i miei voti matrimoniali... non di fatto, almeno, ma se Alaric ucciderà Bran domani, com'è probabile, la legge... oh, perdonami, padre, non sto neppure pensando a Bran. Ma del resto lui è un traditore. Che cosa devo fare? Richenda riprese a singhiozzare amaramente, e Duncan l'indusse ad appoggiarsi alla propria spalla, accompagnandola a sedere sul bordo del grande letto di Kelson. Dall'altra parte della tenda, Morgan e Kelson erano ancora inginocchiati, immobili, accanto a Derry, mentre Arilan, in piedi, li osservava impassibile. Duncan non poteva aspettarsi aiuto da quella parte: questa era una coppa che non avrebbe potuto passare ad altri se non dopo averla bevuta fino in fondo, quindi appoggiò il capo sui capelli della donna e cercò di riordinare le proprie emozioni confuse. Richenda ed Alaric. Ma certo. Ora tutto collimava, e lui era stato cieco a non accorgersene prima. Conoscendo la coscienza scrupolosa di Alaric, non poteva ancora essere successo nulla, almeno quanto a fatti concreti, e la stessa Richenda giurava di non aver tradito i voti coniugali. Duncan comprese però anche che tanto Richenda quanto Alaric dovevano essere tormentati da un interiore senso di colpa, da dubbi angosciosi in merito alle loro motivazioni e a ciò che il domani avrebbe potuto portare. Si chiese fugacemente perché Alaric non si fosse confidato con lui... e si rese conto che non ce n'era stato il tempo, e che comunque si trattava di qualcosa che Alaric doveva considerare troppo vergognoso e disonorevole per parlarne, anche soltanto con suo cugino. Desiderare la moglie di un altro uomo doveva essere una sensazione inaccettabile per Alaric Morgan. Quella consapevolezza gli fece scivolare nuovamente sulle spalle il mantello del sacerdozio... e gli ricordò che per qualche tempo si era dimenticato di essere stato sospeso. Inoltre, la scoperta che Richenda era una Deryni aveva avuto l'effetto di ridestare anche quell'altro conflitto che da tanto imperversava nel suo intimo: nell'appellarsi a lui in qualità di sacerdote, Richenda aveva anche coinvolto quella parte di lui che era deryni. Poteva finalmente riconciliare quelle due componenti? Chi era lui, in realtà? Innanzitutto, era un Deryni: era nato deryni ed era vissuto con quell'identità per quasi trent'anni. Il fatto che l'avesse tenuta nascosta al mondo esterno fino a poco tempo prima non aveva nulla a che vedere con il suo attuale dilemma. Lui era un Deryni. Ma, cosa dire del suo sacerdozio? Tecnicamente, era in stato di sospensione ormai da parecchi mesi, una sospensione che non aveva mai violato, dalla morte del fratello, a Culdi. Inoltre, era stato liberato dalla scomunica
inflittagli per le azioni commesse a San Torin, ed anzi quella scomunica non era mai stata pronunciata, per quanto concerneva i vescovi. Ma qual era la sua posizione, come prete? Era forse possibile conciliare le due identità ed essere entrambe le cose, nonostante le antiche interdizioni che lo vietavano? Poteva continuare ad agire tanto come prete quanto come Deryni? Lanciò un'occhiata ad Arilan e prese in considerazione quella possibilità. Fin da quando aveva pronunciato i voti, non aveva mai dubitato minimamente che la sua vocazione al sacerdozio non fosse sincera, e riteneva di essere stato un buon prete. E Arilan... Arilan non sembrava nutrire nessuno dei suoi dubbi in merito all'incompatibilità delle due identità... anche se Duncan notò che il vescovo era stato attento a proteggersi per molti anni, onde evitare di mettere inutilmente in pericolo l'unione di quelle identità. Cos'era che Arilan aveva detto? Che lui e Duncan erano gli unici Deryni che fossero stati ordinati sacerdoti dall'epoca dell'Interregno, almeno per quanto ne sapeva lo stesso Arilan. E Duncan era certo che Arilan credesse nella propria vocazione, che si considerasse un servo di Dio: fin dal loro primo incontro, sei anni prima, aveva sempre avvertito intorno al vescovo un'aura di santità, e non dubitava che i voti di Arilan fossero validi, la sua ordinazione legittima. Perché allora quella di Duncan avrebbe dovuto non essere valida, soltanto perché anche lui era un Deryni? Vedendo l'esempio di Arilan, perché Duncan non avrebbe dovuto agire come prete-Deryni? Abbassò nuovamente lo sguardo su Richenda, e vide che si stava asciugando le lacrime, che si era finalmente calmata; prima che potesse parlare, però, la donna lo scrutò in viso con i suoi grandi occhi azzurri. — Ora sto bene, padre. So che non posso aspettarmi il perdono per quello che ho fatto, ma vuoi ascoltare la mia confessione? Questo mi renderà più facile continuare a vivere con la mia coscienza. Duncan distolse lo sguardo, ricordando l'unico, ultimo ostacolo. — Hai dimenticato che sono stato sospeso, milady? — Mio zio Cardiel sostiene che, dopo Dhassa, sei tu che continui a considerarti sospeso, che all'epoca lui ed Arilan non hanno trovato nessun valido motivo che ti impedisse di riprendere a svolgere il servizio sacerdotale. Nel sentire quelle parole, Duncan inarcò un sopracciglio, perché erano vere. Arilan aveva detto qualcosa a proposito dell'annullamento della sospensione, dopo che la scomunica era stata revocata, ma Duncan aveva voluto che quell'annullamento fosse decretato da Corrigan, che aveva in ori-
gine pronunciato la sospensione stessa. Adesso però che Corrigan era stato privato del potere ed era in esilio a Rhemuth, la questione era diventata puramente accademica, e Duncan si rese conto che, per la prima volta nella sua vita, era davvero libero di decidere. — Il fatto che io sia un Deryni non significa niente per te? — domandò, compiendo un ultimo sforzo per rassicurarsi e per fare ciò che desiderava. Richenda lo guardò in modo strano, con impazienza. — Significa molto per me, padre, perché forse ti permetterà di comprendere meglio la mia angoscia. Tu però me lo hai chiesto come se la tua identità dovesse pregiudicare la tua funzione sacerdotale, soltanto perché sei conosciuto per quello che sei. Intendi praticare la tua vocazione sacerdotale come hai fatto in passato? — Certamente. — E ritieni di essere stato un buon prete, negli anni in cui la tua identità era ancora ignota? — Sì — rispose Duncan, dopo una pausa. Richenda gli rivolse un fugace sorriso, e si lasciò cadere lentamente in ginocchio. — E allora confessami, padre. Come anima bisognosa, ti chiedo di svolgere il tuo compito di sacerdote. Sei rimasto in ozio troppo a lungo. — Ma... — La sospensione è stata annullata, per quanto riguarda i tuoi superiori. Perché opponi resistenza? Non vuoi forse più fare ciò per cui sei nato? Mentre Richenda si tracciava il segno della croce e giungeva le mani, Duncan chinò il capo con un sorriso contrito, e di colpo comprese che stava facendo ciò per cui era nato, e che non avrebbe più nutrito dubbi. Sereno e sicuro, cominciò ad ascoltare la confessione di Richenda. Dall'altra parte della tenda, Morgan sollevò la testa e sospirò, segnalando alle guardie di lasciar andare Derry e di uscire dal padiglione; ora Derry giaceva disteso tranquillo davanti a lui, immerso in un sonno naturale, e mentre le guardie se ne andavano, Morgan si sedette all'indietro sui talloni per contemplare un cerchietto di metallo annerito che teneva in mano. Kelson lanciò un'occhiata all'anello, poi sollevò lo sguardo su Arilan. I tre Deryni evitarono con cura di guardare in direzione dell'indice destro di Derry, bianco e gelido, il dito a cui era stato infilato l'anello: ora esso era stato rimosso, insieme all'incantesimo, ma a grave prezzo per tutti gli interessati. Morgan cercò invano di soffocare uno sbadiglio, ci rinunciò e si
concesse di stiracchiarsi e di crogiolarsi in esso. Quando ebbe finito, guardò pigramente verso gli altri, rilassato ora che la prova era giunta al termine. — Adesso sta bene. L'incantesimo è infranto e lui è libero. Kelson guardò la mano in cui Morgan teneva l'anello, e rabbrividì. — Ma cosa deve aver passato! Tu mi hai protetto impedendomi di vedere il peggio, Morgan, ma... aiie, con quali ricordi dovrà vivere! — Non dovrà vivere con quei ricordi — replicò Morgan, scuotendo il capo. — Mi sono preso qualche libertà e gli ho offuscato la memoria, per quanto riguarda ciò che è accaduto ad Esgair Ddu. Parte dell'orrore rimarrà in lui per sempre, ma sono riuscito ad attenuarlo notevolmente, e fra qualche settimana gli rimarranno soltanto vaghi ricordi. Inoltre, sarà furente quando scoprirà di essersi perso gli eccitanti eventi di domani: probabilmente dormirà per parecchi giorni. — Può prendersi la mia parte degli eccitanti eventi di domani — borbottò fra sé Kelson. — Eh? — fece Morgan, che si stava alzando in piedi e non aveva sentito il commento. — Lascia perdere, non era una frase degna di un re — sorrise Kelson. — Adesso faremmo meglio a concederci un po' di riposo. Milady? — Protese una mano verso Richenda, che aveva finito la confessione, e la dama gli si accostò con un umile inchino. — Signora, mi dispiace davvero per quanto è accaduto questa notte, ma ti assicuro che farò tutto ciò che è in mio potere per garantire che tuo figlio ti sia restituito domani. — Grazie, sire. — Ed ora andate a riposare, amici — intervenne Arilan, in tono quieto. — L'alba giungerà presto. CAPITOLO VENTISEIESIMO Egli sta seduto al di sopra della volta della Terra. Isaia 40:22 Al suo sorgere, l'alba si rivelò insolitamente fredda. Durante le primissime ore del mattino era caduto uno spesso strato di rugiada, e l'aria era ancora pesante, soffocante, carica dell'umidità portata dall'imminente maltempo. Il sole era una sfera ardente e il cielo ad est, dietro gli alti picchi di Cardosa, era striato di carminio e oro alternati al grigiore delle nubi basse.
Nel campo di Kelson, gli uomini osservarono il cielo plumbeo e si fecero furtivamente il segno della croce, perché la strana alba sembrava un presagio funesto. La luce del sole avrebbe reso molto più facile sopportare le ansie di quella giornata. Kelson si accigliò nell'affibbiarsi la cintura d'oro sulla tunica carminia decorata dal leone. — Tutto questo è ridicolo, Arilan. Tu affermi che non possiamo presentarci armati, che non dobbiamo avere indosso acciaio o ferro di sorta, ma io non ho dovuto sottostare a regole del genere quando ho combattuto contro Charissa. Arilan scosse il capo e accennò un sorriso, lanciando un'occhiata in direzione di Morgan e di Duncan. I quattro Deryni erano i soli occupanti della tenda, un desiderio da loro espresso in considerazione di ciò che li aspettava. In precedenza, Cardiel aveva celebrato nel padiglione reale una messa a cui avevano assistito anche Nigel, Warin e qualcuno fra i più fidati generali di Kelson, ma ora i quattro erano soli, per loro scelta, consapevoli che quando avessero lasciato la solitudine di quella tenda forse non avrebbero mai più avuto l'occasione di godere di un po' d'isolamento. Con un sospiro, Arilan si annodò sotto il mento i nastri del mantello vescovile e si accostò a Kelson, posandogli una mano sulla spalla in un gesto rassicurante. — So che ti sembra strano, Kelson, ma devi ricordare che allora non hai duellato sotto la formale protezione e supervisione del Consiglio. Le regole sono molto più rigorose per le sfide di gruppo, perché ci sono maggiori occasioni di tradimento. — Di tradimenti ce ne sono già stati abbastanza — borbottò fra sé Morgan, appoggiandosi sulle spalle un mantello nero. — Dopo aver visto quello che ha fatto a Derry, sono pronto a scommettere che Wencit è capace di qualsiasi cosa. — Il male sarà ripagato — replicò Arilan, in tono grave. — Venite, la nostra scorta ci aspetta. Uscendo dalla tenda, i quattro trovarono all'esterno Nigel e i generali, che li attendevano in silenzio con i cavalli. Kelson fu l'ultimo a lasciare il padiglione, e al suo apparire i soldati s'inginocchiarono come un sol uomo, chinando il capo in segno di rispetto; assestandosi un guanto carminio, Kelson indugiò ad osservarli, commosso dalla loro fedeltà, poi segnalò loro di rialzarsi con un breve cenno, che servì a mascherare i suoi veri senti-
menti. — Vi ringrazio, signori — disse, in tono quieto. — Non so se e quando vi rivedrò, perché come ben sapete il duello di questa mattina sarà fino alla morte. Se vinceremo, avremo la certezza che non ci saranno più invasioni da est, in quanto il potere di Wencit di Torenth sarà annientato per sempre. Se perderemo — proseguì, concedendosi una pausa per umettarsi le labbra, — se perderemo il compito di guidarvi dopo il duello ricadrà su altre spalle. Una delle clausole previste dagli accordi relativi a questo confronto è che il vincitore risparmierà l'esercito avversario, dal momento che né Wencit né io desideriamo governare su un regno di morti, privato del fiore della sua cavalleria. A parte questo, non vi posso promettere nulla, tranne che farò del mio meglio, e chiedo in cambio le vostre preghiere. Kelson abbassò lo sguardo, come se avesse finito, ma Morgan si sporse verso di lui e gli mormorò qualcosa all'orecchio; Kelson lo ascoltò, poi annuì. — Mi è stato ricordato che mi rimane un ultimo dovere da assolvere prima di prendere congedo da voi, signori, e cioè quello di nominare il mio successore. Sappiate che è nostro desiderio che nostro zio il Principe Nigel ci succeda sul trono di Gwynedd, qualora oggi noi non dovessimo tornare. Dopo di lui, la successione passerà ai suoi figli, e ai loro figli dopo di loro. Se noi... — Kelson s'interruppe, poi ricominciò la frase. — Se io non dovessi tornare, voi gli accorderete lo stesso rispetto e lo stesso onore che avete graziosamente dimostrato nei miei confronti e che era dovuto a mio padre. Nigel sarà per voi un nobile re. Seguì un pesante silenzio, poi lo stesso Nigel si accostò a Kelson e si lasciò cadere in ginocchio di fronte a lui. — Tu sei il nostro re, Kelson, e tale rimarrai. Dio salvi Re Kelson! — esclamò. — Dio salvi Re Kelson! — giunse, tuonante, la risposta. Kelson guardò suo zio e le facce fiduciose rivolte verso di lui, poi salutò i presenti con un secco cenno del capo e balzò in sella al suo destriero in attesa. Il grande cavallo nero caracollò e sgroppò mentre Kelson ne raccoglieva le redini di cuoio rosso, e sbuffò con sfida quando gli altri montarono in sella, intorno a lui. Nigel precedette quindi lentamente i quattro attraverso il campo e fino al limitare dello schieramento di battaglia, dove attendeva un gruppetto di osservatori a cavallo. C'erano il giovane Principe Conall, che reggeva lo stendardo reale di Gwynedd, e Hamilton, un barone di Morgan, e il Ve-
scovo Wolfram, e il Generale Gloddruth e una decina di altri. Anche Lady Richenda era presente, avvolta in un mantello azzurro, a testa china, seduta all'amazzone accanto a suo zio, Cardiel. La donna non incontrò lo sguardo di Morgan, quando il generale deryni le passò accanto insieme al re, ma lanciò un'occhiata a Duncan. Morgan comprese che era inevitabile che Richenda fosse presente, e allontanò risolutamente il pensiero di lei dalla mente, girandosi per fronteggiare il nemico. Dall'altra parte del campo, a ottocento metri di distanza, un gruppo uguale di cavalieri si stava già staccando dalle linee nemiche, sotto un sole pallido. Morgan scoccò un'occhiata in tralice a Kelson, a Duncan, che nelle ultime ventiquattr'ore sembrava aver raggiunto uno stato di pace interiore, ad Arilan, calmo e sereno nel suo abbigliamento episcopale; fissò poi lo sguardo dinanzi a sé e, cogliendo con la coda dell'occhio il lento movimento in avanti di Kelson, incitò il cavallo per adeguarsi al suo passo. Duncan era alla sua destra, Kelson alla sua sinistra e Arilan alla sinistra del re. Alle loro spalle, a una rispettosa distanza, venivano Nigel e gli altri, con la bandiera reale di Gwynedd che sventolava in mezzo al gruppo. Davanti a loro c'era il nemico, con la sua scorta. Procedettero finché lo spazio che separava i due gruppi si fu ridotto a duecento metri, poi si arrestarono. Kelson rimase immobile in sella come una statua per una decina di secondi, fissando i quattro cavalieri che si erano fermati a loro volta. Poi il giovane sovrano e i suoi tre compagni scesero di sella come un sol uomo, porgendo le redini ad uno scudiero che venne a prelevarle e subito si ritirò. Infine i quattro rimasero soli, un po' infreddoliti, nonostante i mantelli pesanti, per l'umida aria del mattino e per il vento che arruffava i capelli corvini di Kelson, sotto il semplice cerchio d'oro. — Dov'è il Consiglio? — mormorò Morgan, girandosi leggermente verso Arilan, mentre si avviavano verso il nemico. — Sta arrivando — assicurò Arilan, accennando un sorriso. — Gli impostori che ne dovevano impersonare i membri sono stati localizzati e neutralizzati, e il Consiglio si presenterà in orario, soltanto che non si tratterà dei Consiglieri che Wencit sta aspettando. — Spero che serva a qualcosa — commentò Kelson, accigliandosi. — Non mi vergogno a confessare che ho paura. — Ne abbiamo tutti, mio principe — mormorò Arilan, con gentilezza. — Possiamo soltanto fare del nostro meglio e confidare nella Divina Provvidenza. Il Signore non permetterà che moriamo, se la nostra fede sarà for-
te e la nostra causa giusta. — Prega Dio che queste non siano soltanto parole vuote, vescovo — borbottò Kelson. I quattro avversari erano ormai a cinquanta metri da loro, e lui cominciò a distinguerne i lineamenti. Quella mattina, Wencit aveva l'aria acida e quasi preoccupata. Il suo vestiario mancava del consueto splendore, e consisteva di una semplice tunica di velluto viola decorata sul petto dal cuore rampante, e la sua corona era poco più sfarzosa del cerchietto d'oro scelto da Kelson. Lionel, sulla sinistra, vestiva come di consueto in nero e argento, anche se si notava l'assenza dell'inseparabile daga dalla lama serpeggiante; Bran, alla destra di Wencit, appariva pallido e teso sullo sfondo della tunica azzurra. Rhydon, infine, alla destra di Bran, sfoggiava una semplice tunica e un mantello azzurro cupo, e i suoi capelli neri erano trattenuti da un sottile cerchio d'argento che gli cingeva la fronte. Tanto Rhydon quanto Wencit lanciavano continue occhiate in direzione delle colline, a nord, come se stessero aspettando qualcosa, e Kelson, intuendo che stavano attendendo l'arrivo del Consiglio, si chiese se i due cominciassero a nutrire dei sospetti. Non ebbe a disposizione molto tempo per le supposizioni. Prima che la distanza fra gli otto contendenti si fosse ridotta a dieci metri, da nord giunse un vibrante battito di zoccoli, seguito dall'apparizione sull'altura di quattro cavalieri dall'abbigliamento sfarzoso. I cavalli bianchi dei nuovi venuti erano spettrali e lucenti sotto il sole sbiadito, e la livrea bianca e oro degli antichi nobili deryni brillava nella nebbia del mattino. Kelson sentì che Wencit e Rhydon si scambiavano qualche parola in tono sommesso e, lanciando un'occhiata verso di loro, vide che Wencit era grigio in volto per l'ira, mentre Rhydon non mostrava tracce apparenti di emozione. Intanto, i quattro cavalieri stavano già smontando di sella: il cieco Barrett, il medico Laran e il giovane Tiercel de Claron, che aiutò Lady Vivienne a scendere dalla sua cavalcatura. I cavalli bianchi rimasero immobili come statue, mentre i loro cavalieri sostavano per un momento davanti ad essi, assestandosi il mantello sulle spalle. Gli occhi verdi di Barrett si posarono poi con espressione imperiosa sugli otto contendenti in attesa, e il cieco Deryni avanzò di qualche metro insieme ai colleghi. — Chi ha chiamato il Consiglio Camberiano su questo campo dell'onore? Wencit scoccò a Kelson un'occhiata che trasudava odio, poi si fece avanti e si lasciò cadere su un ginocchio, parlando con voce controllata ma velata di sospetto.
— Degno Consigliere, io, Wencit di Torenth, Re di Torenth e Deryni purosangue, richiedo la tua augusta protezione e il tuo arbitrato per un duello arcano da me proposto contro quell'uomo. — Puntò verso Kelson un dito accusatore, simile ad una lancia. — Chiedo la tua protezione contro ogni tradimento per me e per i miei compagni: il Duca Lionel, il Conte di Marley e Lord Rhydon di Eastmarch, che un tempo faceva parte del vostro gruppo. — Quando vennero menzionati i loro nomi, Lionel, Bran e Rhydon s'inginocchiarono, mentre Wencit aggiungeva: — Chiediamo che questo sia uno scontro fino alla morte, fra noi quattro e i quattro che ti stanno dinanzi... e che il duello non abbia fine finché tutti i membri di uno dei due gruppi non siano morti. A questo c'impegnamo con i nostri poteri e la nostra vita. Gli occhi color smeraldo di Barrett si spostarono da Wencit a Kelson. — È questo anche il tuo desiderio? Deglutendo nervosamente, Kelson s'inginocchiò a sua volta davanti ai nobili deryni. — Milord, io, Kelson Haldane, Re di Gwynedd, Principe di Meara, Signore della Landa Purpurea e Deryni purosangue secondo il tuo stesso giudizio, dichiaro di accettare la sfida proposta da Wencit di Torenth, affinché non sia versato fra noi altro sangue in guerra. Richiedo anch'io la tua protezione contro ogni tradimento per me, per il Duca Alaric, per il Vescovo Arilan e per Monsignor McLain. — I tre s'inginocchiarono uno dopo l'altro. — Sia pure con riluttanza, acconsentiamo a che questo sia un confronto fino alla morte, noi quattro contro i quattro inginocchiati dinanzi a te, e che questo duello non abbia termine finché tutti i membri di una delle due parti non siano morti. A questo c'impegnamo con i nostri poteri e con la nostra vita. Barrett annuì, poi picchiò un solo colpo sull'erba con l'estremità del suo bastone d'avorio. — Così sia. Ora, quali frutti sono proposti ai vincitori? I comandanti di entrambi gli eserciti hanno acconsentito ad attenersi al risultato di questo scontro? — Sì, milord — rispose Kelson, prima che Wencit avesse il tempo di farlo. — Ai miei uomini è stato detto che, se noi dovessimo perdere, sarà loro risparmiata la vita, e che i miei eredi giureranno eterna fedeltà al Re di Torenth, affinché possa esserci pace fra le nostre nazioni. Riteniamo che questa sia una conseguenza accettabile. Il Re di Torenth è d'accordo? Wencit lanciò un'occhiata ai compagni, quindi si rivolse a Barrett.
— Accettiamo le condizioni, milord. Se dovessimo essere sconfitti, prometto solennemente che i miei eredi giureranno eterna fedeltà al Sovrano di Gwynedd, riconoscendolo come loro signore. — Chi è il tuo erede, Wencit di Torenth? — chiese Barrett, annuendo. — Il Principe Alroy di Torenth — rispose Wencit, guardando verso Lionel, — figlio maggiore di mia sorella Morag e di mio cognato Lionel. Dopo Alroy, i suoi fratelli Liam e Ronal. — E il Principe Alroy è pronto a giurare fedeltà a Kelson di Gwynedd, se tu e suo padre doveste essere uccisi oggi? — Lo è — annuì Wencit, con le labbra serrate. — E tu, Kelson di Gwynedd — proseguì Barrett, girandosi verso Kelson, — il tuo successore è pronto a giurare fedeltà a Wencit di Torenth, se tu dovessi essere ucciso oggi? — Il mio erede è il fratello di mio padre, il Principe Nigel, e dopo di lui i suoi figli, Conall, Rory e Payne. Il Principe Nigel sa quale sia il suo dovere, nel caso io dovessi essere ucciso. — Molto bene — concluse Barrett. — Queste condizioni soddisfano pienamente entrambe le parti? — Non del tutto — si trovò a dire Kelson. — C'è ancora una questione, milord. Wencit sgranò gli occhi, ma si frenò dal muoversi in avanti quando il bastone di Barrett si spostò nella sua direzione. — Esponi la tua ulteriore condizione, Kelson di Gwynedd — disse il cieco. — La scorsa notte, Wencit di Torenth e Bran Coris sono penetrati nel mio campo ed hanno rapito il figlio di una dama. In caso di vittoria, vorrei che il bambino mi fosse consegnato, in modo che possa restituirlo a sua madre. — No! — esclamò Bran, accennando ad alzarsi in piedi. — Brendan è mio figlio! Appartiene a me! Lei non lo avrà! — Calmati, Bran Coris — scattò Vivienne, parlando per la prima volta. — Se Kelson vincerà, che t'importerà di chi avrà il bambino? Tu sarai morto. — Dice la verità, Bran — intervenne Wencit, prima che Bran potesse obiettare. — D'altro canto, nel caso che sia io a vincere, potrei richiedere che la madre del bambino venga restituita al marito, che si trova qui. — Wencit accennò a Bran, che annuì. — Se Kelson acconsentirà a questo, io acconsentirò a mia volta a rendere il bambino ed anche alla restituzione di
tutti i prigionieri vivi che ho ancora in mia mano, se questo può servire ad addolcire le condizioni. — Kelson? — domandò Barrett. — È accettabile — convenne Kelson, dopo un'esitazione minima. — Non ho altre condizioni. — E tu, Wencit? — Nessuna condizione ulteriore. — Allora potete alzarvi. Con un fruscio di sete e di velluti, gli otto uomini si rimisero in piedi. — E potete formare il cerchio di combattimento — aggiunse Barrett, passando fra i due gruppi accompagnato da Laran. — Percepiamo che vi siete attenuti alle nostre ammonizioni che vietavano l'uso di armi, quindi non saranno necessarie ulteriori ispezioni relative a questo particolare. Se però uno qualsiasi di voi ha delle domande in merito a come debba essere condotto questo duello, che le pronunci adesso, prima che il Consiglio chiuda il primo cerchio. Laran e Barrett si erano portati a circa una dozzina di metri dai loro compagni, ed ora i quattro arbitri si stavano separando per posizionarsi ai quattro punti cardinali di un quadrato immaginario il cui lato misurava appunto una dozzina di metri. I due sovrani fissarono Barrett con aspettativa, ma fu invece Tiercel a lasciare il suo posto per portarsi al centro della figura. — Così disse il nobile Camber dalla benedetta memoria, così disse il Santo, che c'insegnò la Via. Così è stato scritto, così sarà fatto. Benedetto sia il Nome dell'Altissimo — recitò, poi s'inginocchiò e protese l'indice destro, cominciando a tracciare un segno sul terreno: dove passava il suo dito, l'erba diventava dorata. — Benedetto sia il Creatore, ieri e oggi, Principio e Fine, Alfa e Omega. — Il dito di Tiercel disegnò una croce, con le lettere greche incise in cima e in fondo alla figura. — Sue sono le stagioni e le ere, a Lui la gloria e il dominio per tutti i secoli dell'eternità. Benedetto sia il Signore, benedetto sia San Camber. Quando Tiercel si alzò, fu possibile vedere strani segni ai quattro angoli della croce; i sigilli dei quattro consiglieri, che indicavano la loro protezione su quel cerchio. Non appena Tiercel fu tornato al suo posto, Barrett portò avanti la preghiera, levando le mani al di sopra del capo. — Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine, dice il Signore — recitò. — Colui che è vittorioso sarà ammantato di bianche vesti, ed io non
cancellerò il suo nome dal Libro della Vita, ma confesserò quel nome dinanzi al Padre mio e dinanzi ai suoi angeli. — Benedizione, e onore, e gloria e potere siano a Colui che siede sul trono e all'Agnello, per tutti i secoli dei secoli — proseguì Vivienne, levando a sua volta le braccia al cielo. — Che il Signore mostri il Suo viso al virtuoso e difenda la causa del giusto. Volgi la luce del Tuo favore su questo cerchio, o Signore, affinché coloro che si trovano al suo interno conoscano la Tua maestà e non si ritraggano dinanzi al Tuo giudizio. Laran formò l'ultimo anello del cerchio, alzando le braccia come i compagni. Con il suo gesto, una luce prese a brillare intorno ai quattro nobili deryni, ambra, argentea, carminia e azzurra, e quando Laran parlò la luce dilagò fino a completare il cerchio: i colori si fusero e si condensarono all'unisono con le sue parole. — Proteggi i Tuoi servi, o Signore. Rinforza questo cerchio, affinché nulla possa entrare dall'esterno, affinché nessuno possa aiutare gli otto che sono qui per combattere. Proteggi coloro che si trovano fuori del cerchio dai meravigliosi poteri che presto si scateneranno, e difendici dalla Tua ira. — Com'era ai primordi della nostra esistenza — intonarono infine tutti e quattro, — e come sarà per tutto il tempo a venire, o Signore, così concedi che sia oggi. Così sia. Quando tacquero, echeggiò un rombo sommesso, simile ad un tuono, e le luci si fusero in modo da creare un unico emisfero di un pallido azzurroviola che circondò i dodici uomini, i Consiglieri e i combattenti. La parete dell'emisfero era trasparente, ma velata, e nascondeva leggermente ciò che si trovava all'interno. Il cerchio successivo sarebbe stato creato dagli otto, e li avrebbe isolati non soltanto dal mondo esterno ma anche dai quattro che costituivano la prima barriera: neppure il Consiglio Camberiano avrebbe potuto perforare il cerchio interno. — L'esterno è sigillato — annunciò il cieco Barrett, e la sua voce echeggiò un poco nel cerchio lucente. — Ora deve seguire l'Interno. Badate bene: l'Interno perdurerà finché tutti gli uomini di una fazione periranno. Soltanto i vincitori lasceranno questo cerchio. — Barrett indugiò un momento, perché le sue parole venissero assimilate, poi aggiunse: — Vi incarico quindi di forgiare la vostra pace. Create dunque il cerchio e fate ciò che volete. Sul vostro onore e nel Nome dell'Altissimo, procedete. Gli otto si fissarono a vicenda, come per valutarsi, poi Wencit avanzò di un passo ed eseguì un inchino formale. — Vuoi cominciare tu, oppure devo provvedere io?
— Alla fine, fa poca differenza — replicò Kelson, scrollando le spalle. — Comincia pure, se vuoi. — Molto bene. Con un altro leggero inchino, Wencit tornò al suo posto e allargò le braccia di lato. L'erezione del cerchio interno doveva essere effettuata individualmente dai capi dei due gruppi, e così fu soltanto Wencit a parlare, e la sua voce echeggiò cupa nel cerchio violetto. Io sono Wencit, di Torenth il Signore. Di Gwynedd sfido il leale sovrano Perché risponda alla mia sfida mortale Con gli aiuti che ha a portata di mano. Una volta che del cerchio l'occhio è tracciato, O i tuoi o i miei dovran tutti abbracciare La fredda morte, prima che vivi i vincitori Questo luogo incantato possan lasciare. Un fuoco gli scaturì dalle dita e descrisse un semicerchio alle sue spalle e a quelle dei suoi alleati... un lucente arco violetto distante circa un metro e mezzo dal cerchio esterno. Kelson serrò le labbra, evitando di guardare verso i compagni, e allargò a sua volta le braccia. Kelson, Sovrano della Reale Gwynedd, Raccoglie il guanto che Wencit ha scagliato. Accetta la sfida mortale Che il Re di Torenth ha lanciato. Nessuno varcherà questo sacro cerchio Finché quattro vite non sian spente. Finché i quattro di una fazione non periscano, Che nessuno possa uscire sotto il sole ardente. Un fuoco carminio si accese alle spalle di Kelson e si unì a quello di Wencit, poi gli otto furono tutti circondati da un cupo emisfero porpora. Kelson abbassò le braccia e lanciò un'occhiata ai compagni, che gli si erano accostati ora che la scena era pronta; tutti e quattro guardarono verso Wencit che, dall'altra parte del cerchio, chiamava intorno a sé i suoi uomi-
ni. Era possibile distinguere vagamente i Consiglieri attraverso la cortina del cerchio interno, intenti ad osservare ciò che stava per accadere, ma Kelson sapeva che adesso i quattro Deryni non potevano più intervenire, qualsiasi cosa fosse accaduta. D'ora in poi, lui e i suoi avrebbero dovuto fare affidamento soltanto su loro stessi. — Vuoi il primo colpo, mio condannato principotto? — chiese Wencit, muovendo già la mano per intessere un incantesimo preliminare. — No, aspetta! — intervenne Rhydon. — Stiamo dimenticando le buone maniere, miei signori. Perfino in guerra, le convenienze vanno osservate. Tutti gli sguardi si rivolsero verso Rhydon, che si sfilò dalla cintura un bicchierino d'argento ed esibì una fiasca di cuoio. I suoi compagni sorrisero quando Rhydon sfilò il tappo dal collo della borraccia, e perfino Wencit incrociò le braccia con aria indulgente. — Nel nostro paese — spiegò Rhydon, riempiendo il bicchierino con il contenuto della fiasca, — si usa brindare agli avversari prima di qualsiasi confronto cavalleresco. — Sollevò il bicchiere in un gesto di omaggio e ne vuotò a metà il contenuto. — Naturalmente — proseguì, porgendo il bicchiere a Bran, — ci rendiamo conto che penserete che questa sia una forma di tradimento. — Rimase a guardare mentre Bran beveva un sorso abbondante, poi tornò a riempire il bicchiere e si accostò a Lionel. — Confidiamo però di poter placare i vostri timori bevendo noi per primi. — Lionel alzò il bicchierino, bevve un lungo sorso e lo porse a Wencit, che lo resse con pazienza mentre Rhydon lo colmava per la terza volta. — Rhydon dice la verità — affermò Wencit, protendendo dinanzi a sé il bicchiere, con entrambe le mani. — Nemici, noi brindiamo a voi. Con un astuto sorriso si portò il bicchiere alle labbra, inghiottì un sorso e cominciò ad avanzare verso Kelson. — Vuoi bere, mio condannato principotto? — No, lui non berrà — intervenne Rhydon, con un'improvvisa nota tagliente nella voce pacata. Wencit s'immobilizzò, assumendo un'espressione stupita, poi si girò con lentezza verso Rhydon. Tutti gli sguardi erano fissi sullo sfregiato Deryni, e Lionel e Bran si accostarono uno all'altro, a disagio, spostandosi verso Wencit per allontanarsi da quell'uomo che era diventato improvvisamente uno sconosciuto. — Cosa significa tutto questo? — domandò Wencit, gelido. Rhydon incontrò il suo sguardo senza fare una piega, e un sorriso sardonico gli incurvò gli angoli della bocca.
— Il significato che chiedi ti sarà chiaro fra poco, Wencit — replicò con disinvoltura. — Per sei anni ho recitato questa commedia, ho indossato l'identità di un altro uomo per quasi ogni ora della mia esistenza, e mi rincresce soltanto che questo giorno non sia potuto arrivare prima. Una tremenda espressione di sospetto si dipinse sul volto di Wencit, che abbassò lo sguardo sulla coppa che aveva in mano e la scagliò poi al suolo con un soffocato grido di rabbia. — Che cosa hai fatto? — I suoi occhi fissarono Rhydon, fiammeggianti. — Chi sei tu? Rhydon sorrise, e la sua voce divenne sommessa, letale. — Io non sono Rhydon. CAPITOLO VENTISETTESIMO Sovente, essere un uomo è un'amara lezione. San Camber di Culdi — Tu non sei Rhydon? Cosa significa che non sei Rhydon? — esplose Wencit. — Sei impazzito? Ti rendi conto di cosa hai fatto? — So con esattezza che cosa ho fatto — sorrise l'uomo che non era Rhydon. — Il vero Rhydon di Eastmarch è morto quasi sei anni fa per un attacco cardiaco, e per fortuna io ne ho potuto prendere il posto. Tu però non lo hai mai sospettato, vero, Wencit? Nessuno ha avuto sospetti. — Tu sei pazzo! — dichiarò Wencit, guardandosi intorno con espressione selvaggia. — È un trucco, un mostruoso complotto. Sono stati loro a spingerti a questo — proseguì, indicando Kelson e i suoi sconcertati compagni. — E probabilmente sei stato ancora tu a far sì che il vero Consiglio fosse presente. Non hai mai avuto intenzione di permettere che questo fosse uno scontro leale! Perfino il Consiglio è corrotto! Si girò per lanciare un'occhiata rovente ai Consiglieri che stavano sbirciando nel cerchio, e vide il movimento delle loro labbra, mentre i quattro parlavano fra loro con fare agitato. Di colpo, si rese conto che i Consiglieri erano sconvolti quanto lui per ciò che stava succedendo... e in tutta onestà dovette ammettere che Kelson appariva non meno stupefatto. Voltandosi, si accorse che Lionel e Bran erano molto pallidi, e in preda al terrore ruotò su se stesso per affrontare l'uomo che non era Rhydon. — Parte di ciò che hai detto è vero — dichiarò questi. — Non ho mai inteso permettere che questo fosse uno scontro leale... almeno per te. Ma la
mia azione ha un suo prezzo, e anche se la mia morte sarà leggermente diversa, la nostra fine sarà uguale per tutti. Guarda alle tue spalle. Wencit si girò ancora, e in quel momento Bran Coris ondeggiò e barcollò, allungando una mano per aggrapparsi alla spalla di Lionel; sotto gli occhi di Wencit, Bran si accasciò sul terreno, con un'espressione stordita e confusa sui lineamenti avvenenti. Lionel si inginocchiò per aiutarlo e poco dopo anche lui barcollò e si trovò di colpo seduto per terra, incapace di reggersi ancora in piedi. Wencit si portò con nervosismo una mano al colletto della tunica, fissando lo sconosciuto con occhi sgranati. — Che cos'hai fatto loro? — sussurrò. — Li hai avvelenati, vero? — Deglutì con difficoltà. — Ed io... perché non ne risento anch'io? E perché tutto questo? — Si tratta di una specie di veleno — spiegò Rhydon, — e non illuderti di poterla scampare: i Deryni purosangue ci mettono un po' di più a risentirne gli effetti. Quanto a me, il mio tempo è ancora più breve del tuo, perché l'antidoto che ho preso ritarda il manifestarsi dei primi sintomi ma accelera la fine. Mi darà comunque il tempo di rivelarmi a te, e tu potrai conoscere la paura per la prima volta nella tua vita. Guardati le mani, Wencit, stanno tremando: è uno dei primi sintomi dell'effetto della droga. — No! — esclamò Wencit, serrando le mani per fermarne il tremito e voltando di scatto le spalle. L'uomo che non era Rhydon lo fissò per parecchi secondi, poi si girò verso Kelson per la prima volta da quando la scena aveva avuto inizio, e s'inchinò leggermente. — Mi dispiace defraudarti della legittima vittoria che avresti potuto conseguire, Kelson, ma non potevo permettermi di correre il rischio che tu perdessi. Sei anni nei panni di un accolito di Wencit sono stati un alto prezzo da pagare, e non potevo perdere tutto proprio adesso. Mentre lui parlava, Wencit barcollò e, contro la propria volontà si trovò a cadere in ginocchio, a stento in grado di tenere sollevata la testa, e tanto meno di parlare. Kelson guardò con espressione allarmata i suoi tentativi di puntellarsi sulle mani e sulle ginocchia per risollevarsi, poi fissò l'uomo che non era Rhydon con i suoi grandi occhi grigi. — Cosa... cosa hai somministrato loro? E che ne sarà di te? — Si tratta di una droga che, sotto molti aspetti, è simile al merasha, perché anch'essa rende la vittima incapace di usare gli eventuali poteri occulti che può possedere. Al contrario del merasha, però, la sua presenza
non è individuabile ed è un veleno ad effetto lento. Lo sapevo, quando ho bevuto, ma sapevo anche che era il prezzo che dovevo pagare per eliminare quell'uomo. Indicò Wencit, che ora giaceva ansante sul terreno e stava fissando tutti loro con occhi colmi di odio. Lionel e Bran erano già paralizzati, e soltanto il loro sguardo spaventato poteva ancora seguire quanto stava accadendo. — La mia morte sarà però rapida e relativamente indolore, anche se inevitabile — continuò l'uomo che non era Rhydon. — Siccome non hanno bevuto l'antidoto, la loro sarà invece lenta e dolorosa, a meno che tu non intervenga... ci vorrà almeno un giorno. Non li puoi guarire, Kelson, ma puoi accelerare la loro agonia. Soltanto quattro uomini lasceranno vivi questo cerchio, ed io mi sono limitato a garantire che tu e i tuoi compagni foste quei quattro. — Ma questo è un tradimento — mormorò Kelson, incredulo. — Non avevo pensato di vincere per un tradimento. — I loro peccati compensano ampiamente il modo in cui stanno per morire, credimi. Sebbene non siano stati processati, non ci sono dubbi sulla loro colpevolezza, ed io so che... — L'uomo esitò per un attimo, come se stesse soffrendo, poi aggiunse: — Chiedo scusa, ma gli effetti cominciano a farsi sentire. Vuoi accettare la vittoria che ti offro, Kelson? Vuoi prendere il tuo posto come legittimo Re dei Deryni e restituirci il posto d'onore e la partecipazione nel governo degli Undici Regni che ci spettano di diritto? Per la prima volta, Kelson si girò per guardare verso i compagni. Duncan era pallido e silenzioso, e così anche Morgan, ma Arilan stava fissando Rhydon come se avesse visto un fantasma. Sentendosi osservato da Kelson, il prelato sussultò e si affiancò al giovane sovrano, scrutando attentamente l'uomo che non era Rhydon. — Credo di conoscerti — affermò, in tono incerto. — Oh, non a causa dell'aspetto o di qualche sfumatura nella voce: il tuo travestimento è perfetto. Ma quello che hai detto... non potresti ora rivelarti? Che differenza fa, ormai? L'uomo che non era Rhydon sorrise, barcollando leggermente, poi allargò le braccia: i suoi lineamenti divennero confusi, una luce tenue parve brillargli intorno, e un momento dopo davanti a loro ci fu Stefan Coram, il cui volto aveva un'espressione tesa. — Salve, Denis — sussurrò, incontrando lo sguardo sconvolto del vescovo. — Per favore, non tenermi una predica sulla stupidità del mio ope-
rato. Adesso è troppo tardi, e poi si dà il caso che io non lo ritenga per nulla stupido. Mi dispiace soltanto che non vedrò più nessuno dei voi. Credimi, questa era l'unica soluzione. — Stefan! — sussultò Arilan, riuscendo soltanto a scuotere la testa con incredulità. Coram sorrise e si trattenne dal barcollare ancora. — Sì. E mi sono presentato anche sotto un altro aspetto, più familiare ai tuoi amici, Morgan e Duncan. — La sua sagoma ondeggiò ancora e, per un istante, tutti poterono scorgere il volto di un uomo dal capelli argentei e dal cappuccio grigio sovrapposto ai lineamenti regolari di Coram. — Tu eri San Camber? — sussurrò Morgan. — No, vi ho detto che non lo ero. — Coram scosse leggermente il capo e riacquistò la sua forma naturale. — Vi sono apparso soltanto in poche occasioni: all'incoronazione di Kelson, come rappresentante del Consiglio; a te, Duncan, sulla strada di Coroth; a San Neot... — Coram sussultò ancora, chiudendo gli occhi per un momento, e Arilan si affrettò a sorreggerlo. — Stefan? Coram scosse il capo con rincrescimento. — Non mi puoi aiutare a vivere, amico mio... soltanto a morire. — Deglutì a fatica e si appoggiò maggiormente al braccio di Arilan, mentre un'espressione di paura gli solcava il viso. — Dio mi aiuti, Denis! Sta arrivando più presto di quanto pensassi. Coram si accasciò contro il braccio di Arilan, che lo adagiò al suolo; Morgan e Duncan si accostarono a loro volta, dal lato opposto, mentre Kelson rimaneva in piedi alle spalle di Arilan, osservando la scena con perplessità senza però prendervi parte. Questo era infatti un momento che non poteva condividere con i compagni, perché Stefan Coram era per lui un estraneo, mentre i tre che ora gli stavano inginocchiati intorno lo avevano conosciuto piuttosto bene, Morgan e Duncan in un modo che Kelson non riusciva ancora a comprendere. Rimase quindi a guardare mentre Morgan si sfilava il mantello e lo piegava, infilandolo come un cuscino sotto la testa di Coram; il morente aveva gli occhi chiusi, ma quando Morgan lo sfiorò li riaprì e rivolse nuovamente la sua attenzione ad Arilan. — In un certo senso, suppongo che si possa dire che mi sono tolto la vita — mormorò, fissando il vescovo, — ma non avevo altra scelta, Denis. Credi che Lui capirà? Il suo sguardo si spostò sulla croce pettorale di Arilan, e il vescovo chinò il capo, annuendo lentamente.
— Penso che Lui debba capire, amico mio. Tu sei sempre stato così... cosi... — La voce gli s'incrinò e dovette deglutire prima di poter proseguire. — Il... il dolore è molto intenso, Stefan? — Non molto — rispose Coram, scuotendo il capo. — Soltanto a intervalli. Presto sarà finita. Gli... gli altri possono vedere?... Intendo i membri del Consiglio. Arilan lanciò un'occhiata al cerchio luminoso ed annuì. — Sì, ma il cerchio disturba la loro visuale. Volevi dire loro qualcosa? — No. Ma voglio che tu abbia voce in capitolo quando si tratterà di scegliere il mio successore presso il Consiglio, Denis. Nonostante l'opposizione che posso aver dato l'impressione di esercitare in passato nei tuoi confronti, ho apprezzato molto la tua amicizia e il coraggio che hai dimostrato nel Circolo Interno. Prometti che riferirai loro il mio desiderio... quando spiegherai come sono morto. Coram chiuse gli occhi e parve lottare per respirare. Morgan rivolse ad Arilan un'occhiata allarmata. — Non c'è nulla che possiamo fare? Duncan ed io non potremmo tentare di risanarlo? Arilan scosse stancamente il capo. — Credo di sapere di quale antidoto si sia servito, e neppure un Deryni può curarne gli effetti. Il veleno deve aver già prodotto danni spaventosi, a giudicare dal dolore che sta provando. Lui cerca di nasconderlo, ma la fine è molto vicina. Morgan abbassò di nuovo lo sguardo su Coram e scosse il capo, accostandosi maggiormente a Duncan con un gesto inconscio nel sedersi all'indietro sui talloni. Coram riaprì gli occhi, ma questa volta fu evidente che vedeva soltanto Arilan. — Denis — sussurrò, — ho visto una cosa stranissima. Il volto di un uomo, un uomo biondo con un cappuccio... io credo che fosse Ca... Cam... oh, Dio, aiutami, Denis! Un altro brivido gli devastò il corpo, e Coram protese le mani, aggrappandosi con forza a quella di Arilan; il vescovo appoggiò la mano libera sulla fronte di Coram, nel tentativo di lenirne in parte il dolore, e l'altro si calmò. Il suo sguardo si fece più limpido, libero dalla sofferenza, ed Arilan comprese che la fine era prossima. — La tua croce, Denis... posso averla? — mormorò l'Alto Deryni. Arilan si sfilò la catena dal collo e mise la croce fra le dita dell'amico; Coram la fissò per parecchi secondi, senza quasi respirare, poi se la portò
alle labbra. — In manus tuas, Domine... — sussurrò. Poi le palpebre gli si chiusero e le mani si rilassarono. Con un sospiro, Arilan chinò il capo sul petto e mosse le labbra in una silenziosa preghiera per l'anima appena trapassata, mentre Morgan e Duncan si scambiavano un'occhiata sgomenta e si alzavano lentamente in piedi, indietreggiando fino a raggiungere Kelson. — È morto? — sussurrò Kelson, osando a stento infrangere lo spaventoso silenzio. Duncan annuì, e Kelson chinò il capo. — Non c'era nulla che poteste fare? — Abbiamo chiesto se potevamo tentare di risanarlo — spiegò Morgan, con un gesto di diniego, — ma Arilan ha detto che era troppo tardi. È logico supporre che lo stesso valga anche per gli altri. Come intendi regolarti, Kelson? Il giovane sovrano lanciò un'occhiata in direzione dei tre avversari, ancora distesi a terra a qualche metro di distanza, e scosse il capo. — Non lo so. Non voglio ucciderli a sangue freddo, impotenti come sono a difendersi, e tuttavia Rhydon... Coram... ha affermato che senza un mio intervento la loro fine sarà lenta e dolorosa. — Ha detto che ci sarebbe voluto almeno un giorno — mormorò Duncan. — E se la morte di Coram è stata relativamente rapida e indolore, mi sgomenta pensare a ciò a cui Wencit e gli altri stanno andando incontro. Arilan si rialzò di scatto e si girò verso di loro, con gli occhi lucidi e umidi. — Li dovremo uccidere, Kelson, non c'è altra soluzione. Coram aveva ragione... sono condannati, ed io so cosa Coram abbia sofferto prima di morire. Non è logico infliggere una sorte del genere neppure a un individuo come Wencit, perché si tratterebbe di una crudeltà inutile. — Ma non abbiamo armi — sussurrò Kelson. — Non possiamo semplicemente... strozzarli, o soffocarli, o... fracassare loro la testa con un sasso. E poi — concluse in tono avvilito, — in questo cerchio non ci sono sassi. Arilan si eresse sulla persona, e fissò prima i tre stesi al suolo, poi il cerchio. — No, è necessario usare la magia, e non un mezzo fisico. Questo doveva essere un duello arcano... e l'occulto dovrà fornire lo strumento della loro distruzione. — Ma come? — chiese Kelson, con un filo di voce. — Arilan, non ho
mai ucciso un uomo prima d'ora, neppure con una spada. Con quella, però, so almeno come si debba fare. Seguì una lunga pausa di silenzio, durante la quale Kelson tenne lo sguardo fisso al suolo, Arilan parve perdersi nel proprio mondo e gli altri due Deryni rimasero immobili e silenziosi. Poi Morgan si accostò a Kelson e gli posò una mano sul braccio, chinando il capo ed evitando di guardare in direzione delle figure di Wencit, di Lionel e di Bran... soprattutto di Bran. — Allora mi addosserò io questo compito, mio principe. Contrariamente a te, io ho ucciso, e non è più difficile di quanto possa esserlo allungare una mano. Charissa ha usato alla perfezione questo metodo con tuo padre. — No, Alaric — intervenne Duncan, sgomento. — Non in quel modo. Morgan scosse il capo e rifiutò di guardare verso il cugino. — Qui, in questo posto, per noi non c'è un altro modo. Ora Wencit e i suoi compagni sono impotenti, come semplici umani, e devono morire come tali. Wencit, in particolare, deve morire com'è morto Brion, perché è stato lui il vero responsabile della sua fine ed è giusto che la vendetta lo colpisca. — In questo caso, dovrei essere io ad agire — sussurrò Kelson. — Brion era mio padre, e dovrei essere io, suo figlio, a vendicarne la morte. — Mio principe, avevo pensato di risparmiarti questo... — No! La vendetta è mia! Sarò io a compierla. Ora spiegami come devo procedere, e non obbligarmi a ordinartelo. — Io... — Morgan lanciò un'occhiata a Kelson, con l'intenzione di tentare di dissuaderlo, ma il viso del giovane re aveva un'espressione decisa. La volontà di Kelson si scontrò con quella di Morgan in un confronto che durò parecchi secondi, ma alla fine Morgan distolse lo sguardo, consapevole di aver perso, e chinò il capo con uno stanco sospiro. — Molto bene, mio principe. Apri la tua mente, ed io ti mostrerò ciò che desideri. Segui una pausa di profondo silenzio, durante la quale lo sguardo di Kelson si fece remoto; un momento più tardi, il giovane tornò a mettere a fuoco ciò che lo circondava, con aria grave, incredula e piuttosto meravigliata. — Tutto qui? — sussurrò, leggermente spaventato dal potere che ora possedeva. — Tutto qui — confermò Morgan, con voce altrettanto sommessa. Come se non lo avesse sentito, Kelson gli volse le spalle e scrutò il cer-
chio; vide i quattro membri del Consiglio che stavano ancora osservando quanto accadeva all'interno, poi il suo sguardo scivolò sulla forma inerte di colui che era stato Rhydon/Camber/Coram e si posò sui tre che giacevano al suolo, poco distante. Lentamente, come in trance, si diresse verso di loro, aprendo e chiudendo i pugni, e si arrestò dinanzi a Wencit di Torenth. Il mago era immobilizzato, ma i suoi occhi ardenti fissarono Kelson. — Stai soffrendo? — chiese questi, in tono sommesso, impassibile in volto. Wencit cercò invano di muoversi, poi si sforzò di parlare e, per quanto la cosa gli costasse un'enorme fatica, riuscì a rispondere con voce bassa e rauca. — Hai bisogno di domandarlo, sapendo com'è morto Rhydon? — Non è stata opera mia — replicò Kelson, distogliendo lo sguardo, a disagio. — Non desideravo vincere con il tradimento: la morte pulita che viene da un'onesta sconfitta è migliore di una vittoria macchiata dall'inganno. — Se pensi che io ci creda, allora devi considerarmi uno stupido più grande di quanto non sia stato — lo schernì Wencit. — In ogni caso, non volgerai le spalle a questa vittoria, ignorandola, per quanto il tuo prezioso orgoglio detesti ciò che devi fare. — Cosa vorrebbe dire... 'ciò che devo fare'? — scattò Kelson, riportando bruscamente lo sguardo su Wencit. — Non avrai certo intenzione di lasciarci qui finché non moriremo, vero, Kelson? — Wencit tentò debolmente di ridere. — Tuo padre non avrebbe permesso che neppure un cervo o un falco ferito soffrissero inutilmente. Useresti tu minore misericordia ad un uomo? — Stai affermando che vuoi morire, che non t'importa che io debba ucciderti? Wencit tossì debolmente e s'irrigidì, come se quel movimento gli avesse causato un dolore maggiore. Quando tornò a guardare Kelson, nei suoi occhi si leggeva una supplica, anche se la risposta parve essergli strappata suo malgrado. — Certo che m'importa, piccolo stolto — sussurrò. — Ma non posso vivere, lo so. Rhydon, o meglio Coram, ha progettato bene la sua mossa, e sono consapevole di ciò a cui andrò incontro, prima della fine, se non riceverò il colpo di grazia. Coram mi ha già ucciso, Kelson: il mio corpo è morto, anche se la mia mente ancora non se ne rende conto. Risparmiami la spaventosa agonia di acquisire questa certezza.
Kelson deglutì a fatica, poi s'inginocchiò accanto a Wencit, non sapendo ancora cosa avrebbe fatto. Una parte del suo animo provava pietà alla vista di un essere umano che soffriva, ma un'altra parte gioiva nel vedere che la vendetta aveva raggiunto l'assassino di suo padre. Accennò a protendere la mano, ma subito si arrestò e serrò il pugno contro il petto, chinando il capo. Gli giunse all'orecchio il sussurro di Wencit. — Per favore, Kelson. Liberami. Kelson udì alle proprie spalle un rumore di piedi, e comprese che gli altri gli si erano raccolti intorno, pronti a sostenerlo, gli parve quasi di avvertire i loro pensieri che gli echeggiavano in un angolo della mente. Con risolutezza, li escluse e i suoi occhi s'incupirono, assumendo un'espressione velata, mentre lui protendeva la destra sul petto di Wencit. Accennò quindi a muovere le dita, ma si trattenne quando un altro, ultimo pensiero lo assalì. — Wencit di Torenth, chiedi la consolazione della Santa Chiesa? Wencit sbatté le palpebre, ed avrebbe addirittura sorriso, se il gesto non gli avesse causato troppa sofferenza. — Chiedo soltanto la morte, Kelson, e l'accolgo con piacere. Risparmiami ulteriori tormenti, e fa' ciò che devi. Kelson si accorse che Lionel e Bran lo stavano fissando in silenzio, con occhi devastati dal dolore in cui si leggeva una chiara supplica. Con una mossa lenta, decisa, riportò lo sguardo su Wencit, e contrasse a poco a poco la mano destra sul cuore del mago deryni, sussurrando: — Allora muori, Wencit, ottieni la liberazione che cerchi. Senti la fredda mano della morte sul tuo cuore, e il fruscio delle ali dell'angelo della morte. Condividi così la morte di mio padre Brion. Così il cuore di Wencit si fermi! Nel pronunciare l'ultima parola, Kelson serrò la mano in un gesto convulso, e Wencit s'immobilizzò; poi il corpo orgoglioso del Re di Torenth divenne un guscio vuoto da cui vita, intelligenza... e sofferenza... erano svanite. Prima che gli altri potessero reagire, Kelson si portò fra Lionel e Bran, e questa volta protese entrambe le mani, posandone una sul cuore di ciascun uomo. — Andate con il vostro padrone e con l'angelo della morte, Lionel di Arjenol e Bran Coris, Conte di Marley. E possa Dio, nella Sua infinita saggezza, mostrarvi maggiore pietà di quanta abbia potuto usarvene io. Il vostro cuore si fermi! Di nuovo, le dita di Kelson si contrassero, i corpi tormentati sussultaro-
no, poi giacquero immobili. Lentamente, Kelson lasciò ricadere le mani lungo i fianchi e le puntellò pesantemente contro l'erba, fra le proprie ginocchia. Nel risollevare lo sguardo, scrutò i tre volti gravi che lo sovrastavano e quando si risollevò in piedi si ritrasse dalla mano che Arilan aveva proteso per aiutarlo. — No, Eccellenza, non è conveniente che un uomo di chiesa mi tocchi. Ho appena ucciso, e le mie mani sono sporche di sangue. — Non avevi scelta, Kelson — replicò Arilan, in tono quieto e comprensivo, ma abbassò la mano. — Quegli uomini erano tuoi nemici, e meritavano di morire. — Può darsi, ma non così. Non avrei voluto che finisse in questo modo. — Non sempre siamo padroni del nostro destino, Kelson — osservò Morgan, studiandosi la punta di uno stivale, — e tu lo sai. A volte, quello di uccidere è un terribile dovere che un re deve affrontare. — Ma che non è obbligato a trovare di suo gradimento — mormorò Kelson. — Non è una cosa di cui un sovrano dovrebbe essere orgoglioso. — E tu ne sei orgoglioso? — domandò Duncan. — Io credo di no. Ti conosco troppo bene e da troppo tempo per credere una cosa simile. — Ma sono contento che siano morti — ribatté Kelson. — Come posso accettare questo sentimento? In quel momento, volevo che morissero. L'ho voluto, e sono morti. Nessun uomo dovrebbe detenere un simile potere, padre. — Ma alcuni uomini ce l'hanno — obiettò Morgan. — Wencit lo possedeva... e lo ha usato. — È forse una giustificazione? — No. Seguì un lungo silenzio, che nessuno osò infrangere, poi Kelson tornò ad accostarsi a Wencit e ne fissò il corpo per parecchio tempo, senza quasi respirare, prima di chinarsi lentamente per sfilare la corona dalla testa del morto. — Questo è il nostro premio per gli eventi di oggi, amici miei — disse, in tono amaro. — La corona di un regno su cui non ho mai desiderato di governare, la morte di un amico che non ho quasi fatto in tempo a conoscere... — accennò in direzione del corpo di Coram... — e una perdurante delusione per me che non possa esserci stato un altro modo. Arilan accennò a parlare, ma Kelson lo bloccò con un gesto imperioso. — No, per ora non voglio sentire parole di conforto, vescovo. Concedimi il lusso di sentirmi colpevole per quello che ho dovuto fare: conoscendo
le leggi del gioco, so che tutto questo comincerà fin troppo presto ad apparirmi come una soluzione comoda. Ma non oggi. «No, oggi dovrò lasciare questo cerchio insieme a voi, miei fedeli amici, e affrontare i plausi del mio popolo, gioioso per la "vittoria" da me conseguita. Dovrò quindi ricevere il falso omaggio di un principe bambino a cui ho ucciso il padre e restituire un altro bambino ora privo di padre ad una donna a cui ho ucciso il marito... anche se meritava di morire... e ci si aspetterà che io appaia compiaciuto di tutto questo. Spero che mi scuserete, signori, se la prospettiva non mi rallegra. Soppesò fra le mani la corona di Wencit, guardandola con aria avvilita, poi tornò a fissare i compagni. — Venite, signori, il re deve recitare la sua parte fino in fondo. Il popolo sta aspettando. Se il mio sorriso vittorioso mostrerà ogni tanto qualche incrinatura, voi ne capirete il perché. Il cerchio emanò una luce più intensa e svanì con il dissolversi della magia, e quando il re uscì dal suo perimetro, tenendo in mano la corona di Torenth, un grido possente si levò dalle file dell'esercito di Gwynedd e i soldati presero a picchiare con le spade e le lance sugli scudi, per esprimere la loro approvazione, mentre un rombo di zoccoli annunciava che gli uomini del re stavano venendo incontro al loro sovrano. E i quattro Deryni che avevano assistito al duello avvolsero i loro manti bianchi decorati in oro intorno alle spalle dei vincitori, affinché si adempissero le parole delle scritture. E gli amici del re lo posero in sella ad un cavallo bianco, affinché potesse essere visto con maggiore chiarezza quando si fosse diretto verso lo schieramento torenthiano per reclamare il frutto della sua vittoria. Ma quel giorno la corona costituì un peso gravoso per l'Erede degli Haldane. APPENDICI Nelle seguenti appendici, i numeri romani all'interno delle parentesi quadre indicano il volume in cui è comparso il personaggio in questione; i numeri romani fra parentesi tonde indicano che il personaggio è stato soltanto menzionato ma non è mai apparso fisicamente nell'ambito della narrazione. I riferimenti ai volumi sono i seguenti: Libro I L'Ascesa dei Deryni
Libro II La Sfida dei Deryni Libro III Il Signore dei Deryni APPENDICE PRIMA CRONACHE DEI DERYNI INDICE DEI PERSONAGGI AGNES, Lady... dama di compagnia della Regina Jehana [I] ALAIN... pseudonimo usato da Morgan a San Torin [II, (III)] ALARIC... vedi MORGAN ALROY, Principe... figlio maggiore del Duca Lionel, dodici anni, erede di Torenth [III] ALYCE de Corwyn de Morgan, Lady... madre di Morgan e di Bronwyn, Deryni purosangue [(II)] ANDREW... timoniere a bordo della nave di Morgan, la Rhafallia; ingerì un veleno ad azione lenta prima di tentare di assassinare Morgan [II] ANSELM, Padre... in passato cappellano della madre di Morgan, Lady Alyce; ora membro della parrocchia di San Telio, a Culdi [II] ARILAN, Vescovo Denis... Vescovo Ausiliario di Rhemuth; Deryni purosangue [I, II, III] BANNER, John... pseudonimo usato da Derry alla Taverna Jack Dog, a Fathane [II] BARRETT de Laney... Coadiutore del Consiglio Camberiano, Deryni purosangue [III] BENNETT... uno dei sergenti delle truppe di Bran Coris [III] BETHANE... strega che vive sulle colline di Culdi [II] BRADENE, Vescovo... Vescovo di Grecotha e famoso studioso, rimasto neutrale al verificarsi dello scisma di Dhassa determinato dall'Interdetto [II, III] BRAN Coris, Lord... Conte di Marley [I, II, III] BRENDAN, Lord... figlio di Bran Coris, età quattro anni [III] BRION, Donai Cinhil Urien Haldane... defunto Re di Gwynedd e padre di Kelson; ucciso con la magia da Charissa a Candor Rhea [I, (II), (III)] BRONWYN de Morgan, Lady... sorella di Morgan, fidanzata a Lord Kevin McLain; uccisa mediante magia a Culdi, insieme a Kevin [(I), II] BURCHARD, Lord... uno dei generali di Jared; sfuggito alla strage di Rengarth insieme al Generale Gloddruth [III]
CAMBER di Culdi, San... Deryni purosangue patrono della magia; responsabile della Restaurazione del 904 [(I), (II), (III)] CAMPBELL, Barone... Barone di Eastmarch e aiutante di campo di Bran Coris [III] CANLAVAY, Signore di... uno dei nobili catturati insieme al Duca Jared a Rengarth [(III)] CARA... figlia defunta di Thorne Hagen, morta in giovane età [(III)] CARDIEL, Vescovo Thomas... Vescovo di Dhassa, età 41 anni; capo insieme ad Arilan dello scisma per l'Interdetto [II, III] CARSTEN, Vescovo... Vescovo di Meara; inizialmente schieratosi con Loris nello scisma per l'Interdetto, ha assunto in seguito una posizione neutrale [II, III] CHARISSA, Contessa... Contessa di Tolan, responsabile della morte di Re Brion; uccisa da Kelson nel giorno della sua incoronazione [I, (II), (III)] CIRALA, Duca... anagramma del nome Alaric, usato nelle ballate avverse a Morgan cantate dal menestrello Gwydion [II] COLIN di Fianna... figlio del Conte di Fianna, procacciatore reale di vini, età 18 anni; ucciso in un'imboscata insieme a Lord Ralson vicino a Valoret [I] COLLIER, Lord... uno dei nobili catturati insieme al Duca Jared a Rengarth [(III)] CONALL, Principe... figlio maggiore di Nigel, età 14 anni [III] CONLAN, Vescovo... uno dei dodici vescovi itineranti di Gwynedd privi di sede fissa; inizialmente schieratosi con Loris nello scisma per l'Interdetto, in seguito è passato dalla parte di Cardiel e di Arilan [III] CORAM, Stefan... Coadiutore del Consiglio Camberiano; Deryni purosangue [III] CORDAN... chirurgo militare agli ordini di Bran Coris [III] CORRIGAN, Arcivescovo Patrick... Arcivescovo di Rhemuth e capo, insieme a Loris, della fazione del clero di Gwynedd avversa a Morgan [I, II, III] CREODA, Vescovo... Vescovo di Carbury; inizialmente schieratosi con Loris nello scisma per l'Interdetto, ha assunto in seguito una posizione neutrale [II, III] DANOC, Conte di... uno dei nobili di Kelson presenti al consiglio di guerra tenuto a Dhassa [III] DARRELL... marito defunto della strega Bethane [(II)]
DAVENCY, Peter... soldato di Bran Coris ucciso da Derry nel tentativo di evitare la cattura [III] DAVIS... uno degli armigeri di Cardiel; ha contribuito alla cattura di Morgan e di Duncan, a Dhassa [III] DAWKIN... mastro ciabattino interrogato da Morgan e da Duncan sulla strada di Dhassa [III] DEEGAN... uno dei servitori di Wencit ad Esgair Ddu [III] DeFOREST, Michael... guardia usata come medium da Lord Ian e poi uccisa per far ricadere i sospetti su Morgan [I] DeLACEY, Vescovo... uno dei vescovi schieratisi inizialmente con Loris nello scisma per l'Interdetto; in seguito è passato dalla parte di Cardiel e di Arilan [II, III] DERRY, Sean Lord... aiutante di campo di Morgan e membro del Consiglio di Gwynedd dopo la morte di Lord Ralson [I, H, III] DERVERGUILLE, Lady... donna leggendaria di cui si parla nella ballata intitolata con il suo nome e composta da Lord Llewelyn; uccisa dal crudele Lord Gerent nel 9° Secolo [(II)] DeVALI, Sieur di... vassallo di Morgan le cui proprietà sono state bruciate dai razziatori di Warin [(II)] DEVERIL, Lord... siniscalco del Duca Jared [III] DICKON, Kirby... figlio di Henry Kirby, capitano della Rhafallia, età 8 anni [II] DOBBS... esploratore dell'esercito di Kelson [III] DOMINIC, Duca... primo Duca di Corwyn e antenato di Morgan [(II)] DONAL, Re... padre di Brion, morto nel 1095, quando Brion aveva 14 anni[(I)] DUNCAN Howard McLain, Monsignor... prete, Deryni e cugino di Morgan [I, II, III] EDGAR, Lord... Barone di Mathelwaite ed uno dei tre vassalli di Morgan che erano stati convinti da Ian della necessità di uccidere Morgan; si è ucciso piuttosto che rivelare la parte avuta da Ian nel complotto contro Kelson [I] ELAINE, Duchessa... prima moglie del Duca Jared e madre di Kevin [(II)] ELAS... uno dei generali di Kelson presenti al consiglio di guerra di Dhassa [III] ELSWORTH, John di... seconda guardia usata da Ian come medium [I] ELVIRA, Lady... dama di compagnia della Regina Jehana che inter-
rompe Morgan e Kelson dopo l'incidente dello stenrect [I] ERIC... paggio di Bran Coris ESTHER, Lady... dama di compagnia della Regina Jehana; inviata a convocare Kelson alla riunione del Consiglio [I] ETHELBURGA, Santa... patrona di Dhassa [(II)] EVANS, Padre... segretario del Vescovo Cardiel [(II)] EWAN, Duca... Duca di Claibourne e detentore del titolo ereditario di Lord Maresciallo del Consiglio Reale di Gwynedd; al comando del più settentrionale dei tre eserciti di frontiera di Kelson [I, II, (III)] FERGUS, Lord... vassallo del Duca Jared che giustizia Rimmell per ordine di Jared [II] FITZWILLIAM, Barone Fulk... signore del Kheldish Riding; padre di Richard [(II)] FITZWILLIAM, Richard... scudiero di Kelson, età 17 armi; morto per sventare un attentato alla vita di Morgan a bordo della Rhafallia [I, II] GARISH de Brey... agente torenthiano ucciso da Derry a Fathane [II] GARON... servitore personale di Wencit di Torenth [III] GERENT, Lord... crudele barone dell'epoca dell'Interregno; responsabile della morte di Mathurin e di Derverguille [(II)] GILBERT, Vescovo... uno dei dodici vescovi itineranti di Gwynedd privi di sede fissa; schieratosi con Cardiel e con Arilan nello scisma per l'Interdetto [II, III] GILES... capo dei servitori personali di Kelson e individuo piuttosto noioso [I] GLODDRUTH, Generale... uno dei generali del Duca Jared sfuggiti al massacro di Rengarth; in seguito aiutante di campo di Kelson [III] GODWIN... uno dei generali di Kelson presenti al consiglio di guerra di Dhassa [III] GORONY, Monsignor Lawrence... aiutante dell'Arcivescovo Loris e dell'Arcivescovo Corrigan; contribuisce con Warin alla cattura di Morgan a San Torin [II, (III)] GRAHAM... uno dei sergenti delle truppe di Bran Coris [III] GWYDION ap Plennydd... grande menestrello facente parte della corte di Morgan [II] GWYLLIM... capitano dell'esercito di Bran Coris e amico personale di Bran [III] HAMILTON, Lord... siniscalco del castello di Morgan a Coroth [II, III] HARKNESS, Lord... uno dei nobili catturati con il Duca Jared a Ren-
garth [III] HAROLD Fitzmartin, Lord... uno dei tre vassalli di Morgan persuasi da Ian che Morgan dovesse essere assassinato; ucciso da Duncan nello scontro seguito all'attentato [I] HILLARY, Lord... comandante della guarnigione del castello di Morgan, a Coroth [II, (III)] HORT di Orsal... sovrano assoluto dell'Hort di Orsal, nell'est, e alleato di Morgan [(I), (II)] HUGH de Berry, Padre... prete ed ex segretario dell'Arcivescovo Corrigan; amico di vecchia data di Duncan McLain [II, III] HURD de Blake... vassallo di Morgan, le cui terre sono state bruciate dagli uomini di Warin [II] IAN Howell, Lord... Conte di Eastmarch alleatosi con la maga Charissa; finito dalla stessa Charissa dopo essere stato gravemente ferito da Morgan nel duello avvenuto durante l'incoronazione [I] IFOK, Vescovo... uno dei vescovi inizialmente schieratisi con Loris e Corrigan nello scisma per l'Interdetto; in seguito divenuto neutrale [II, III] ISTELYN, Vescovo... uno dei dodici vescovi itineranti di Gwynedd privi di sede fissa; assente al verificarsi dello scisma per l'Interdetto ma aggregatosi in seguito alle truppe di Kelson per assistere spiritualmente i soldati [III] JAMES il Fabbro... fabbro del Castello di Coroth [II] JAMES, Fratello... impiegato della cancelleria dell'Arcivescovo Corrigan JARED McLain, Duca... Duca di Cassan e padre di Duncan e di Kevin; catturato a Rengarth e giustiziato da Wencit a Llyndreth Meadows [I, II, III] JATHAM... uno dei paggi reali posti sotto la tutela del Principe Nigel [I] JEHANA, Regina... Deryni purosangue, madre di Kelson e moglie di Re Brion [I, II, (III)] JENAS, Conte di... uno dei nobili catturati con il Duca Jared a Rengarth [(III)] JEROME, Fratello... anziano sagrestano della Cattedrale di Saint George di Rhemuth [I] JOSEPH... scrivano di Bran Coris [III] KELSON Cinhil Rhys Anthony Haldane, Re... figlio di Brion e di Jehana, ora Re di Gwynedd, età 14 anni; considerato come un Deryni purosan-
gue [I, II, III] KEVIN McLain, Lord... Conte di Kierney e fratellastro di Duncan; ucciso a Culdi insieme a Bronwyn [I, II, (III)] KIRBY Henry, Capitano... capitano della nave di Morgan, la Rhafallia [II] KYRI, Lady... nota come Kyri la Fiamma, membro del Consiglio Camberiano e Deryni purosangue; età 30 anni circa [III] LARAN ap Pardyce... medico e membro del Consiglio Camberiano; Deryni purosangue; età 55 anni circa [III] LAWRENCE, Lord... uno del tre vassalli di Morgan persuasi da Ian a tentare di assassinare Morgan; preso prigioniero [I] LESTER, Lord... uno dei nobili catturati insieme al Duca Jared a Rengarth [III] LEWYS ap Norfal... un infame Deryni che rifiutò l'autorità del Consiglio Camberiano [(III)] LIAM, Principe... figlio secondogenito del Duca Lionel, età 7 anni [(III)] LICKEN, Generale... uno dei generali di Wencit [(III)] LIONEL, Duca... Duca di Arjenol e cognato di Wencit di Torenth; i suoi tre figli sono eredi diretti al trono di Torenth [III] LLEWELYN, Lord... famoso menestrello del 9° Secolo che ha composto la «Ballata di Mathurin e di Derverguille» [(II)] LORIS, Arcivescovo Edmund... Arcivescovo di Valoret e Primate di Gwynedd; capo, insieme a Corrigan, della fazione del clero di Gwynedd avversa a Morgan [I, II, III] LUKE, Sorella... suora del seguito del Vescovo Cardiel incaricata di accompagnare la Contessa Richenda [III] LYLE, Edmund... agente torenthiano ucciso da Derry a Fathane [II] MALCOM, Re... nonno di Brion [(I)] MAXCOM Donaldson... contadino risanato da Morgan e da Duncan nella Valle di Jennan [III] MARCUS... uno dei luogotenenti di Warin [III] MARGARET, Duchessa... terza moglie del Duca Jared McLain [II] MARLUK, il... padre deryni di Charissa; ucciso da Brion con l'aiuto di Morgan [(I)] MARTHA, Lady... dama di compagnia di Bronwyn [II] MARTHAM, Harold... vassallo di Morgan tassato per aver permesso alle proprie bestie di pascolare sulla terra di un vicino [(II)]
MARTIN... seguace di Warin guarito dallo stesso Warin nella Locanda della Cotta d'Arme Regia a Kingslake [II] MARTIN di Greystoke... padrone per cui lavora il funzionario Thierry [(III)] MARY ELIZABETH, Lady... dama da compagnia di Bronwyn [II] MATHURIN, Lord... leggendario nobile citato nella «Ballata di Mathurin e di Derverguille» composta dal menestrello Llewelyn; ucciso dal crudele Lord Gerent nel 9° Secolo [(II)] MERRITT di Reider... uno dei baroni di Wencit [III] MICHAEL... uno dei luogotenenti di Warin [I, III] MICHAEL... uno dei bambini sorpresi e catturati mentre cercavano di rubare il cavallo di Morgan [III] MILES il falconiere... falconiere muto al servizio di Morgan al Castello di Coroth [II] MOIRA... amante di Thorne Hagen [III] MORAG... sorella di Wencit e moglie di Lionel [III] MORGAN, Duca Alaric Anthony... Duca deryni di Corwyn e Campione del Re; cugino di Duncan McLain e fratello di Bronwyn. [I, II, III] MORGAN, Lord Kenneth... padre di Alaric e di Bronwyn [I] MORRIS, Vescovo... uno dei dodici vescovi itineranti di Gwynedd privi di sede fissa; schieratosi inizialmente con Loris e Corrigan nello scisma per l'Interdetto [III] MORTIMER, Lord... uno dei generali di Kelson presenti al consiglio di guerra di Dhassa [III] MUSTAFA... emiro moro ed uno dei luogotenenti di Charissa [I] NIGEL Cluim Gwydion Rhys Haldane, Principe... Duca di Carthmoor e fratello minore di Brion, età 34 anni; zio di Kelson e suo erede presunto [I, II, III] OWEN Mathisson... uomo di Warin le cui gambe spezzate vengono risanate da Warin a Coroth [III] PAUL de Gendas... luogotenente di Warin [II, III] PAYNE, Principe... figlio minore di Nigel, età 6 anni; paggio reale [II, (III)] PERRIS, Lord... uno dei generali di Kelson [(III)] RALSON, Lord... Barone di Evering e membro del Consiglio Reale di Gwynedd; ucciso in un'imboscata, vicino a Valoret, insieme a Colin di Fianna [(I)] RATHER de Corbie, Lord... emissario dell'Hort di Orsal e amico di
vecchia data di Morgan [II] RATHOLD, Lord... capo guardarobiere di Morgan [(II)] REMIE, Generale... uno dei generali di Kelson presenti al consiglio di guerra di Dhassa [III] RHODRI, Lord... ciambellano reale di Kelson e amico di Morgan [I] RHYDON di Eastmarch, Lord... Derym purosangue alleato di Wencit; ex membro del Consiglio Camberiano [III] RHYS Thuryn... antico medico deryni collaboratore di San Camber di Culdi: scopritore della tecnica di Thuryn [(I). (II), (III)] RICHARD di Nyford, Vescovo... uno dei dodici vescovi itineranti di Gwynedd privi di sede fissa; catturato con il Duca Jared a Rengarth [(III)] RICHENDA, Lady... Contessa di Marley e moglie di Bran Coris [II, III] RIMMELL... architetto di corte del Duca Jared; giustiziato a Culdi per aver contribuito alla morte di Kevin e di Bronwyn [II] ROBERT di Tendal, Lord... cancelliere di Morgan, età 50 anni [II] ROGAN... secondo figlio maschio dell'Hort di Orsal (e terzo in ordine di nascita), età 11 anni; inviato come scudiero alla corte di Morgan [(II)] ROGIER, Lord... Conte di Fallon; ucciso da Ian nella cripta reale sotto la Cattedrale di Saint George [I] ROLF MacPherson... nobile deryni del 10° Secolo che si ribellò contro l'autorità del Consiglio Camberiano [(III)] RONAL, Principe... figlio terzogenito del Duca Lionel, età 3 anni [(III)] RORY, Principe... figlio secondogenito del Principe Nigel, età 11 anni [(III)] ROS... uomo di Warin; capo della banda inviata a bruciare la casa del Sieur di Vali [II] ROYSTON Richardson... giovane contadino, età 10 anni; contribuisce a soccorrere Malcom Donaldson [III] SELDEN... uno dei soldati di Cardiel che partecipano alla cattura di Morgan e di Duncan, a Dhassa [III] SIWARD, Vescovo... uno dei dodici vescovi itineranti di Gwynedd privi di sede fissa; schieratosi con Cardiel e con Arilan nello scisma per l'Interdetto [II, III] STEPHEN de Longueville... soldato di Bran Coris scelto per assaggiare la pozione di Cordan [III] SUPREMO di Howicce, II... rappresentante dei Regni Uniti di Howicce e di Llannedd all'incoronazione di Kelson, scortato da mercenari Connaiti [I]
THIERRY Mastro... impiegato di Lord Martin di Greystoke; fermato e interrogato da Morgan e da Duncan sulla strada di Dhassa [III] THORNE Hagen... membro del Consiglio Camberiano; Deryni purosangue [III] TIERCEL de Claron... membro più giovane del Consiglio Camberiano; Deryni purosangue [III] TOLLIVER, Vescovo Ralf... Vescovo di Coroth e prelato di Morgan, età 50 anni [II, III] TORIN, San... santo della foresta patrono di Dhassa [(II), (III)] TORVÀL di Netterhaven, Barone... messaggero inviato in ostaggio da Wencit nel campo di Kelson; ucciso da Warin e da Duncan [III] VERA, Duchessa... seconda moglie del Duca Jared McLain e madre di Duncan; Derym purosangue, cosa però tenuta segreta; sorella di Lady Alyce de Corwyn de Morgan [(II)] VIVIENNE, Lady... membro del Consiglio Camberiano; Derym purosangue [III] WARIN de Grey... individuo autonominatosi messia che si crede designato a distruggere tutti i Deryni [II, III] WENCIT di Torenth, Re... re mago di Torenth, in guerra con Gwynedd [(I), (II), III] WILLIAM... magistrato delle tenute ducali di Donneral, che fanno parte della dote di Bronwyn [(II)] WOLFRAM de Blanet, Vescovo... capo dei dodici vescovi itineranti di Gwynedd; schieratosi con Cardiel e con Arilan nello scisma per l'Interdetto [II, III] YOUSEF... emiro moro e guardia del corpo di Charissa [I] APPENDICE SECONDA CRONACHE DEI DERYNI INDICE DEI NOMI GEOGRAFICI Nota: i numeri romani che seguono ciascuna voce indicano il volume in cui quel luogo è citato. ABBAZIA DI SAINT MARK... abbazia vicino a Valoret dove sono stati lasciati i corpi di Lord Ralson e di Colin di Fianna, dopo la morte (I) ARJENOL... ducato del Duca Lionel, cognato di Wencit; posto nella parte orientale di Torenth (III)
BASILICA DI SAINT HILARY... basilica reale di Rhemuth, adiacente al palazzo reale; chiesa di Duncan (I) BELDOUR... capitale di Wencit, a Torenth (II, III) BETHENAR... ducato di una delle antiche famiglie degli Undici Regni (III) CANDOR RHEA... campo nelle vicinanze di Rhemuth dov'è stato ucciso Re Brion (I, II) CARBURY... sede del Vescovo di Carbury, Creoda (II, III) CARDOSA... contesa città di confine posta sulle montagne, fra Torenth ed Eastmarch (I, II, III) CARTHMOOR... ducato del Principe Nigel, confinante con Corwyn e con il Ducato Reale di Haldane (I, II, III) CASSAN... ducato del Duca Jared McLain, confinante con la Contea di Kierney e con il Protettorato di Meara (I, II, III) CATENA DI COAMER... montagne che sorgono lungo il confine meridionale di Llyndreth Meadows e che separano il Passo di Cardosa dall'area di Dhassa (III) CATTEDRALE DI SAINT GEORGE... sede dell'Arcivescovo di Rhemuth, Patrick Corrigan (I) CATTEDRALE DI SAINT SENAN... sede del Vescovo di Dhassa, Thomas Cardiel (III) CHIESA DI SAN TEILO... chiesa parrocchiale di Culdi dove sono sepolti Bronwyn, Kevin e Lady Alyce de Corwyn de Morgan (II) CONCARADINE, Libero Porto di... città portuale sul delta del fiume, famosa per i suoi artigiani orafi; punto di svolta per le grandi flotte meridionali, come la Flotta Caraligher di Morgan (I, II) CONNAIT, Il... regno barbaro occidentale, famoso per i suoi mercenari (I, II) COROTH... capitale del ducato di Morgan, Corwyn (II, III) COR RAMETH... campo dove Kelson e i vescovi ribelli avevano convenuto d'incontrarsi (III) CORWODE... maniero delle tenute di Corwyn che sarebbe dovuto rientrare nelle terre date in dote a Bronwyn (II) CORWYN... ducato di Alaric Morgan, ereditato dalla madre deryni, Lady Alyce de Morgan (I, II, III) CULDI... città natale di San Camber; luogo di sepoltura di Lady Alyce de Corwyn de Morgan, ed anche di Bronwyn e di Kevin (I, II, III) DHASSA... libera città santa, sede della Curia di Gwynedd e del Vesco-
vo di Dhassa; nota per i suoi abili intagliatori di legno e per i santuari dei suoi santi patroni, Torin ed Ethelburga, che la proteggono a nord e a sud (II, III) DOL SHAIA... luogo dove Kelson si accampa, appena fuori dei confini di Corwyn (III) DONNERAL... ubicazione di tenute ducali che sarebbero dovute andare in dote a Bronwyn (II) DRELLINGHAM... città dove il Generale Gloddruth viene ad unirsi all'esercito di Kelson in marcia verso Cardosa (III). EASTMARCH... contea di Lord Ian Howell; passata alla Corona dopo la morte di Ian (I) ESGAIR DDU... l'Altura Nera, prigione-fortezza del Castello di Cardosa (III) FALLON... contea di Lord Rogier (I) FATHANE... città portuale torenthiana dove Derry trascorre una notte alla Locanda del Drago Storto (II) FIANNA... paese ricco di vigneti posto oltre il Mare Meridionale e governato dal Conte di Fianna, padre di Colin di Fianna (I, II) FORESTE DI VELDUR... poste a monte del fiume, rispetto a Fathane (II) GARWODE... villaggio vicino a San Torin (III) GOLA DI ARRANAL... passaggio settentrionale attraverso le montagne che separano Torenth da Marley, che il Duca Ewan era incaricato di difendere (III) GRECOTHA... città universitaria, sede della Scuola Varnarita e sede del Vescovo di Grecotha, Bradene (II, III) GWYNEDD... regno centrale degli Undici Regni, governato dalla dinastia degli Haldane di Gwynedd (I, II, III) HALDANE... ducato reale comprendente la parte centrale di Gwynedd, per tradizione possedimento degli Haldane di Gwynedd (I, II, III) HORTNESS... ducato di una delle antiche famiglie degli Undici Regni (III) HOWICCE... regno unito a Llannedd, nel sudovest (I) JASHAN, lago di... lago che protegge Dhassa a sud, verso Saint Torin, attraversabile con un traghetto (II, III) KHELDISH RIDING... area settentrionale sotto il diretto controllo della Corona; famosa per i suoi tessitori di tappeti (I, II, III) KIERNEY... contea di Lord Kevin McLain; confina con Cassan, con il
Protettorato di Meara e con le terre della Corona di Gwynedd (I, II, III) KINGSLAKE... villaggio nell'area nordorientale di Corwyn visitato da Warin; vi si trova la Locanda della Cotta d'Armi Regia (II) LANDA PURPUREA, La... pianure erbose a nord di Rhemuth soggette alla Corona; uno dei titoli del Re di Gwynedd è quello di Signore della Landa Purpurea (I, II, III) LINDESTARK... ducato di una delle antiche famiglie degli Undici Regni LLANNEDD... regno unito a Howicce, nel sudovest (I) LLYNDRETH MEADOWS... piana erbosa ai piedi del Passo di Cardosa; luogo del confronto finale fra Kelson e Wencit (II, III) LOCANDA DEL DRAGO STORTO... locanda nella città portuale torenthiana di Fathane dove Derry si ferma per una notte (II) LOCANDA DELLA COTTA D'ARME REGIA... locanda di Kingslake dove Derry assiste alla guarigione di Martin da parte di Warin (II) MARBURY... sede del Vescovo di Marbury, Ifor (II, HI) MARLEY... contea di Bran Coris (I, II, III) MEARA... protettorato della Corona, ad ovest; i Re di Gwynedd sono anche Principi di Meara (I, II, III) MEDRAS... città torenthiana a nord di Fathane dove sono raccolte in parte le truppe di Wencit (II) MERCATO DI KHARTHAT... luogo dove Thorne Hagen ha incontrato Moira (III) MONTI LENDOUR... catena montuosa che separa Corwyn da Haldane; entro questa catena si trovano Dhassa, San Torin, San Neot e il Passo di Gunury (II) MONTI RHELJAN... montagne che separano Torenth da Eastmarch e fra le quali sorge la città fortificata di Cardosa (III) NYFORD... città natale del vescovo itinerante Richard di Nyford (III) PASSO DI GUNURY... accesso meridionale a San Torin e a Dhassa, nei Monti Lendour (II) PELAGOG... ducato di una delle antiche famiglie degli Undici Regni (III) PICCO TOPHEL... montagna visibile dal castello di Thorne Hagen (III) PORTA DI SAINT MATTHEWS... porta delle mura cittadine di Coroth, nelle vicinanze della quale Gwydion ha imparato una delle canzoni che ha poi cantato per Morgan (II)
RAMOS... luogo dove si terme il famoso Concilio del 917, che decise l'adozione di rigorose misure contro i Deryni, dirette a proibire ai Deryni di detenere cariche, di avere proprietà, di prendere gli ordini sacerdotali, e via dicendo... (II, III) RENGARTH... luogo dove l'esercito del Duca Jared viene tradito dal Conte Bran Coris (III) RHELLEDD... città di Corwyn vicina a Kingslake dove il Sieur di Vali si era recato a chiedere aiuto contro i razziatori di Warin (II) RHEMUTH... capitale di Gwynedd (I, II, III) RHENNDALL... luogo famoso per i suoi laghi azzurri; rif: paragone fatto da Morgan fra quei laghi e gli occhi di Richenda (III) RHORAU... ducato di una delle antiche famiglie degli Undici Regni (III) R'KASSI... regno desertico a sud e a est dell'Hort di Orsal; famoso per i suoi cavalli di razza (I, II, III) SAINT GILES, Abbazia di... abbazia situata a Shannis Meer, vicino al confine con l'Eastmarch, dove Jehana è andata in ritiro dopo la nascita di Kelson e dopo la sua incoronazione (II) SAN NEOT... antico monastero, ora in rovina, un tempo sede di una famosa scuola deryni; sorge sui Monti Lendour, fra Corwyn e Dhassa (II, III) SAN TORIN... santuario del santo patrono di Dhassa, posto a sud della città e del lago Jashan (II, III) SANTUARIO DI SANTA ETHELBURGA... santuario della patrona di Dhassa; protegge l'accesso a Dhassa da nord (II, III) SHANNIS MEER... luogo in cui sorge l'Abbazia di Saint Giles, dove Jehana s'è ritirata dopo la nascita di Kelson e dopo la sua incoronazione (II) STATI CUSCINETTO FORCINN... gruppo di minuscoli principati a sud dell'Hort di Orsal e soggetti nominalmente al suo governo; famosi per la lavorazione del cuoio (I, II) STAVENHAM... sede del Vescovo di Stavenham, de Lacey (II, III) TAVERNA JACK DOG... luogo in cui Derry si ferma a bere nella città portuale torenthiana di Fathane (II) TOLAN... ducato di Charissa, ad est di Marley e a nord di Torenth (I) TORENTH... regno di Wencit, ad est di Gwynedd; luogo d'origine del leggendario «uomo selvaggio di Torenth» (I, II, III) VALLE DI JENNAN... zona in cui sorge un villaggio di Corwyn vicino
al confine settentrionale; teatro di uno scontro fra le truppe del Principe Nigel e alcuni contadini ribelli (III) VALORET... sede dell'Arcivescovo di Valoret, Edmund Loris e dell'Abbazia di Saint Mark; si trova fra Eastmarch e il Ducato di Haldane (I, II, III) VARIAN... ducato di una delle antiche famiglie degli Undici Regni (III) UNDICI REGNI... antico nome con cui s'indicava tutto Gwynedd e i territori circostanti; non è più possibile rintracciare sulla carta gli undici regni (I, II, III) APPENDICE TERZA UNA CRONOLOGIA PARZIALE DELLA STORIA DEGLI UNDICI REGNI 822 — Colpo di Stato Festillico; inizio dell'Interregno, che dura 82 anni. Ifor Haldane viene deposto e giustiziato e Festil I viene incoronato a Valoret, che diviene la nuova capitale. I RE FESTILLICI DI GWYNEDD Festil I 822-839 [17 anni] Festil II 839-851 [12 anni] Festil III 851-885 [34 anni] Blaine 885-900 [15 anni] Imre 900-904 [4 anni] 846 — Camber di Guidi nasce a Cor Culdi. 900 — Re Blaine muore; il Principe Imre gli succede al trono. 904 — La Restaurazione. Imre viene deposto e giustiziato; Cinhil Haldane, pronipote di Ifor Haldane, viene incoronato a Rhemuth. 905 — Tentativo privo di successo da parte dei sostenitori di Imre di porre fine alla Restaurazione; Camber muore. 906 — Camber di Culdi è canonizzato dal Concilio dei Vescovi. 917 — Prima grande persecuzione contro i Deryni; il Concilio di Ramos ripudia la santità di Camber, vieta ogni uso della magia, pena l'anatema, vieta ai Deryni di accedere alle cariche pubbliche, di ereditare terre senza la diretta approvazione della Corona, di conseguire il sacerdozio.
I RE DI GWYNEDD NEL DOPO INTERREGNO Cinhil 904-917 [13 anni] Alroy 917-921 [4 anni] Javan 921-922 [1 anno] Rhys 922-928 [6 anni] Owain 928-948 [20 anni] Uthyr 948-980 [32 anni] Nygel 980-983 [3 anni] Jasher 983-985 [2 anni] Cluim 985-994 [9 anni] Urien 994-1025 [31 anni] Malcom 1025-1074 [49 anni] Donai 1074-1095 [21 anni] Brion 1095-1120 [25 anni] Kelson 11201081 — Nasce Brion. 1087 — Nasce Nigel. 1091 — Nasce Alaric Morgan. 1092 — Nasce Duncan McLain. 1095 — Muore Re Donai, Brion gli succede al trono; Lady Alyce de Corwyn de Morgan muore dopo la nascita della figlia Bronwyn. 1100 — Muore Lord Kenneth Morgan; Alaric Morgan va a corte, come paggio reale. 1104 — Brion sposa Jehana. 1105 — Brion e Morgan uccidono il Marluk. 1106 — Nasce Kelson. 1120 — Brion viene assassinato; Kelson gli succede al trono e durante la propria incoronazione uccide Charissa, figlia del Marluk. 1121 — La Campagna di Cardosa; Wencit di Torenth viene sconfitto a Llyndreth Meadows. APPENDICE QUARTA IL FONDAMENTO GENETICO DELL'EREDITARIETÀ DERYNI Il fattore genetico primario che governa i parametri di ereditarietà deryni
è un semplice carattere dominante collegato al sesso di appartenenza e portato dal cromosoma X (indicato come X'). Di conseguenza, la derynità è determinata di per sé dalla discendenza materna... non da quella paterna... e un bambino maschio che mostri di possedere doti deryni deve quanto meno avere una madre deryni eterozigota (X'X). X'X — XY X'Y È necessario soltanto un fattore X' perché l'individuo manifesti l'intero arco delle capacità deryni, e non esiste neppure un'apprezzabile differenza di potere potenziale fra maschio e femmina, fra X'Y e X'X. Com'è possibile notare subito, tuttavia, a causa della configurazione con la doppia X presente nelle femmine, esiste la possibilità di una combinazione X'X': questa cosiddetta «doppia Deryni» è una femmina deryni omozigota che non possiede però un potere maggiore di quello detenuto dalle sorelle eterozigote, perché il fattore X' non è cumulativo. L'unico vantaggio che una femmina deryni omozigota ha nei confronti di una eterozigota è che tutti i suoi figli saranno Deryni... e anche questo non è un vantaggio significativo perché il fattore primo pare rinforzare il cromosoma X che lo contiene, per cui una femmina deryni eterozigota ha maggiori probabilità di trasmettere ai figli il cromosoma X' piuttosto che quello X (le uova X' sono più resistenti e hanno maggiori probabilità di essere fertili di quelle X). Questa tendenza a trasmettere il cromosoma X' piuttosto che quello X spiega in parte come i Deryni siano potuti sopravvivere alla grande persecuzione. I seguenti sono i probabili risultati di qualsiasi accoppiamento deryni: YX-X'X X'X-X'Y XX-X'Y X'X'-X'Y X'X'-XY X'Y X'Y XX' X'X' X'Y X'X X'X XX' X'X' X'Y [XX] XX' [XY] X'Y X'X [XY] [XY] [XY] X'Y X'X Esiste poi un secondo fattore deryni, portato soltanto dal cromosoma Y, che è alla base dell'assunzione di poteri deryni da parte degli umani (il potenziale, ma non il fondamento genetico, di questo fenomeno è stato scoperto da Camber di Culdi e da Rhys Thuryn fra l'890 e il 900). Quando attivato, questo fattore equivale in pieno al fattore X' in quanto al potere che conferisce, ma viene ovviamente trasmesso soltanto attraverso la linea di discendenza maschile. Di conseguenza, un maschio che dimostri il poten-
ziale per assumere poteri deryni ha di certo avuto un padre che possedeva la stessa capacità... anche se questo fattore può essere posseduto e trasmesso inconsapevolmente per generazioni, come anche il fattore X'. Di per sé, il fattore Y' non conferisce automaticamente i poteri deryni a un bambino maschio, perché l'assunzione di quei poteri richiede un procedimento difficile e complesso, e può essere ostacolata oppure favorita da numerosi fattori psicologici e fisiologici. Quanto a quei rari individui che sembrano dotati del potenziale per l'assunzione dei poteri, senza avere però la richiesta ascendenza deryni che giustifichi la cosa (Sean Lord Derry, per esempio), questo fenomeno può essere dovuto alla presenza di un fattore Y', da lungo sopito e trasmesso inconsapevolmente per generazioni. A meno che non sia scoperto da un vero Deryni, informato e guidato alla realizzazione del suo potenziale, il portatore di un fattore Y' (o X') non acquisterà mai consapevolezza delle proprie capacità. Inoltre, il potenziale per l'assunzione dei poteri deryni non è limitato a un solo portatore per volta in ogni singola famiglia, anche se questa è la convinzione comune che domina nelle case reali degli Undici Regni. È possibile che Nigel Haldane sia in qualche misura consapevole di questo, dal momento che tanto lui quanto i suoi tre figli sono portatori del cromosoma Y'. Nel corso degli anni, tuttavia, si è venuta instaurando la convinzione che un solo membro per volta, in ciascuna casata, possa usare l'assunzione dei poteri... una credenza nata probabilmente dall'intenzione di ridurre il rischio di duelli arcani fra potenziali eredi in caso di dubbi in merito alla successione. È facile vedere come in un ramo collaterale della famiglia, quale è destinato a diventare quello di Nigel, la consapevolezza stessa del potenziale per l'assunzione dei poteri possa andare perduta. Derry, discendente da una lunga e nobile stirpe, deve aver ottenuto in questo modo il suo potenziale... che risale magari a sei o sette generazioni prima. E quanto a un individuo di origini popolane, come Warin de Grey, chi può dire quanti re abbiano diffuso il loro seme e generato una discendenza di potenziali Deryni? Il droit de signeur spiega infatti molte anomalie di nascita. I due fattori Deryni, X' e Y', sono però indipendenti... il che significa che entrambi possono essere presenti contemporaneamente in uno stesso individuo... sempre e comunque un maschio in virtù del fattore Y'. Anche in questo caso, comunque, non si ha un effetto cumulativo, per cui un maschio X'Y' non si trova avvantaggiato rispetto a un maschio X'Y oppure XY'; esiste però la possibilità che un Deryni X'Y' sia capace di usare i pro-
pri poteri con un'efficienza molto maggiore, dal momento che quelli assunti mediante il fattore Y' gli giungono già del tutto attivi, senza necessità di esercitazioni (mentre un Deryni X'Y deve imparare ad usare i suoi poteri e può quindi trovarsi in svantaggio se non ha goduto di un addestramento formale). Questo spiega come mai Kelson, che possiede la doppia configurazione X'Y', abbia potuto agire come un Deryni perfettamente addestrato fin dal primo momento, non appena assunti i poteri paterni... anche se non era stato istruito nell'uso di quei poteri ed era ignaro della sua eredità X'. Nello stesso modo, anche suo padre Brion aveva acquisito subito il massimo potenziale dei suoi poteri, senza addestramento, in virtù del rituale di assunzione effettuato da suo padre. Jehana, d'altro canto, probabilmente una Deryni X'X, non si era mai permessa l'uso dei propri poteri ereditari, e questo spiega la facilità con cui è stata sconfitta dalla potente ed esperta Charissa, discendente di una lunga dinastia di abili maghi deryni. L'esame della natura genetica della derynità porta alla luce un altro fatto importante: che il mito di essere «per metà Deryni» (avendo soltanto un genitore deryni) è esattamente questo... un mito. Essendo il cromosoma X' l'unico fattore che determina la completa ereditarietà deryni, i Deryni come Morgan e Duncan, tali solo per parte di madre, sono Deryni nella stessa misura di Kelson, di Charissa e di qualsiasi altro Deryni «purosangue». Dal momento che la derynità è ereditata nella sua interezza da uno o dall'altro genitore, non esiste una via di mezzo: un individuo è Deryni oppure non lo è. Quelli che contano sono i fattori primi. FINE