Lyn Stone Mary McBride
Il Gioco Della Verità Harmony Collezione Special Saga - n. 14 del 19/4/2006
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Lyn Stone Mary McBride
Il Gioco Della Verità Harmony Collezione Special Saga - n. 14 del 19/4/2006
Affascinanti sospetti A Royal Murder © 2002
Riassunto degli episodi precedenti Rose Giaberti, cittadina del Principato di Montebello, oltre a essere bellissima possiede il dono di poter conoscere il futuro. Ed è proprio vedendo il futuro che scopre che l'aeroporto del principato sarà oggetto di un attentato. Lord Drew Harrington, cugino dei principi di Montebello, è un uomo molto schivo e solitario perché portatore di un dono che però non riesce a controllare, è un empatico. Quando riceve Rose rimane folgorato dalla sua avvenenza, e dalla forte attrazione che prova per lei. Per questo non vuole credere alle sue parole e decide di tenerla sotto stretta sorveglianza. L'attentato, grazie a Rose realmente sventato, non è l'unica cosa che la Lyn StoneMary – McBride
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donna ha scoperto. Da un anello lasciatole in pegno da una giovane donna in partenza per il Canada, lei vede la sua storia e il suo dolore per aver perso il suo amato, che si scopre essere il principe Lucas, e il loro bambino. Appena il principe viene informato ordina a Drew e a Rose di partire immediatamente alla ricerca della ragazza. Sarà proprio questo viaggio a far cadere tutte le barriere tra i due e a farli avvicinare. Un'altra bellissima donna, questa volta una principessa, arriva a Montebello, Samira Kamal. La scusa ufficiale è per incontrare la principessa Anna da poco sposata; in realtà la giovane è lì per vedere il suo amore segreto, Desmond Caruso, anche lui cugino del principe Lucas, per comunicargli che presto avranno un bambino. L'incontro non avviene perché Samira sorprende l'uomo insieme a un'altra donna. La principessa è sconvolta ed è la guardia del corpo Farid Nasir a consolarla proponendole di sposarlo per dare un padre al bambino. Il matrimonio, che inizialmente sembra solo di convenienza, si trasforma in un'attrazione forte e senza limiti tra i due giovani. Le nozze, però, non sembrano bene accette dal padre della sposa, lo sceicco Ahmed Kamal, che caccia malamente Farid, perché responsabile della compromissione dell'amata figlia. Solo dopo la morte di Desmond, di cui inizialmente è accusata la guardia del corpo, l'intera vicenda viene a galla e Ahmed conosce tutta la verità. Samira e Farid possono ricominciare ad amarsi.
1 Ryan McDonough lanciò un'occhiata alla donna, notando la luce di frustrazione che brillava nei suoi occhi scuri e l'ovvio atteggiamento di difesa che trapelava anche dal più impercettibile dei suoi movimenti. «Sono spiacente per la perdita che ha subito, signorina Caruso» affermò, ripetendo le parole che aveva rivolto ormai innumerevoli volte alle famiglie delle tante vittime. «Capisco il perché della sua offerta di collaborazione, ma quello che lei chiede non è realizzabile.» Era sempre in imbarazzo quando doveva assistere a una manifestazione Lyn StoneMary – McBride
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di dolore. Lui più di tutti conosceva il significato della sofferenza. In quello specifico caso però una nuova emozione doveva aver già soppiantato l'iniziale angoscia, capì. Rabbia, per la precisione. Stringendo i pugni, la donna chinò la testa da un lato. «Grazie per le condoglianze, ma io insisto.» Un'affermazione cortese e decisa, comunque inaccettabile. Ryan si girò verso Vincente Pavelli, il messaggero reale, oppure il fattorino reale, o qualsiasi altro fosse il titolo con il quale si definiva l'uomo. «Riferisca a Sua Maestà che ringrazio, ma che non accetto l'accordo. Assembli la frase come meglio crede, l'importante è che faccia pervenire il messaggio.» «Ma, signor McDonough...» Sul viso emaciato di Pavelli apparve un'espressione contrariata mentre il ritmo del suo respiro accelerava. Piccole gocce di sudore gli imperlarono la fronte, poi lentamente gli scivolarono lungo la nuca. Infilò un dito nel collo della camicia per allentare la cravatta. «Coraggio, lei sarà un semplice latore di notizie, amico. Si rassereni, nessuno la biasimerà.» Ryan si alzò dalla poltrona posta dietro la scrivania e si avvicinò ai suoi ospiti. Batté una mano sulla spalla ossuta del messo reale. «Dica al re che io non permetto mai a dei civili di prendere parte alle mie investigazioni. Niente di più, niente di meno, chiaro?» L'uomo annuì e mosse qualche passo verso la porta, il suo andamento incerto dichiarava che non era né convinto né soddisfatto della piega che avevano preso gli eventi. «Aspetti» lo richiamò Ryan. «Ha dimenticato qualcosa» aggiunse, indicando la donna che sembrava determinata a non muoversi da dov'era. «Vada avanti, signor Pavelli» intervenne quest'ultima. «Mi aspetti in auto. Ho bisogno di parlare con il signor McDonough in privato.» Il messo reale si affrettò a obbedire, avendo cura di richiudere la porta alle sue spalle quando uscì dall'ufficio. Ryan non batté ciglio. Nina Caruso, la sua indesiderata ospite, aveva tra i suoi antenati degli italiani originari del Montebello, dai quali evidentemente aveva ereditato un carattere ostinato e cocciuto che non era stato mitigato dal fatto di essere cresciuta in America. Ma, se c'era qualcosa di cui non aveva per nulla bisogno al momento, era di tentare di modificare il suo temperamento anche se, in tutta onestà, suscitava in lui un certo interesse. «Noi non abbiamo nulla da dirci» tagliò corto. «Il re riceverà il mio Lyn StoneMary – McBride
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rapporto preliminare sulla morte di suo fratello per prima cosa domani mattina, in seguito lo terrò costantemente aggiornato su ogni sviluppo delle indagini. Uno dei segretari di Sua Maestà provvederà a informare lei dei dettagli.» Nina sospirò, camminò intorno alla scrivania e si accomodò sulla sua poltrona, quasi fosse la cosa più naturale del mondo. Appoggiò i gomiti sui braccioli e sollevò una mano per reggersi il mento. Una mano molto bella, dita lunghe, unghie curate e laccate di rosso. Ryan cercò di non guardarle le labbra, ma inevitabilmente i suoi occhi tornavano a cercarle anche quando lei taceva. «Non ho attraversato mezzo mondo per restarmene seduta in un angolo e aspettare» dichiarò lei, la voce totalmente priva di accento. «Mio fratello è stato ucciso e io resterò incollata a lei finché il colpevole sarà arrestato. Dunque, sarà meglio se si abituerà alla mia presenza.» Ryan fece appello a tutta la sua volontà per non perdere la pazienza. La donna era una sfacciata, ma lui non voleva essere scortese, soprattutto perché capiva che probabilmente doveva essere turbata per l'omicidio del suo fratellastro. Ecco, probabilmente, era la parola chiave di tutta quella faccenda, ragionò. Ora che la osservava meglio, la signorina Caruso non sembrava affranta dal dolore e lui era già molto stanco. Per tutto il giorno e la notte precedente, aveva lavorato al caso che gli avevano appena affidato. Poiché il primo fra i sospettati era stato confermato estraneo alla faccenda, Ryan ancora non aveva deciso quale direzione avrebbe dovuto prendere l'investigazione. C'erano i rapporti della polizia da leggere, possibili informatori da interrogare, e il medico legale da contattare. Non era ancora stato sulla scena del crimine, che invece controllava sempre personalmente anche dopo l'intervento della scientifica. Per prima cosa però, doveva liberarsi di quel piccolo inconveniente che aveva fatto irruzione nel suo ufficio senza essere annunciato. Si appoggiò a un angolo della scrivania e assunse un atteggiamento rilassato, per quanto anche il più piccolo dei suoi muscoli fosse teso all'impossibile. «Ascolti, signorina Caruso...» «Nina» lo interruppe lei. «Sarà meglio lasciare subito da parte le formalità e chiamarci per nome, poiché dovremo trascorrere molto tempo insieme. Ora, perché non cominci elencandomi cosa hai scoperto durante i Lyn StoneMary – McBride
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due primi giorni di indagini... Ryan?» Evidentemente erano partiti con il piede sbagliato. Mostrati comunque comprensivo, Ryan consigliò a se stesso. E ricorda le buone maniere. «Capisco che lei... Che tu voglia essere messa al corrente di ogni sviluppo, e sarà così» affermò con tono controllato. «Se il re non avrà nulla da obiettare, potrai leggere i miei rapporti mano a mano che glieli consegnerò. Adesso però devo chiederti di lasciarmi solo, in modo che io possa continuare il mio lavoro.» Ben fatto, decise. Gentile ma incisivo. Amichevole ma inamovibile. Nina non accennò ad alzarsi. «Esattamente qual è il tuo lavoro?» domandò. «Sono un investigatore privato e presto spesso i miei servizi alla Corona. Immaginavo che questo lo sapessi già.» Lei annuì. «Dunque non sei il capo della polizia criminale.» Gli aveva assestato un piccolo colpo basso e ne era contenta, a giudicare dalla luce dei suoi occhi. «Non c'è nessuno che ricopra questa specifica posizione a Montebello» riprese Ryan, un sorriso ben fermo sulle labbra. «Ma io sono perfettamente qualificato per condurre le operazioni. Sono stato detective capo della Omicidi in un'altra vita, a Savannah.» «Ti hanno licenziato?» «No, ho rassegnato le mie dimissioni.» Ryan si guardò intorno come se l'ambiente che lo circondava potesse spiegare quella decisione. La stanza con i preziosi tappeti, i sobri mobili di legno massello, le poltrone di morbida pelle, non era paragonabile al buco che gli era stato assegnato come ufficio durante i dodici anni in polizia. Il lavoro privato poi era letteralmente servito a salvargli la vita e la sanità mentale. Il duca Lorenzo Sebastiani, capo dei Servizi Segreti del Montebello, un suo buon amico, spesso lo convocava in caso di incidenti politici piuttosto gravi, che non mancavano mai in quella parte del mondo. Era stato proprio il duca a raccomandare al re di incaricare lui di quella particolare indagine. Lorenzo aveva un interesse personale nella vicenda. Anche lui era fratellastro della vittima, essendo figlio come Caruso del fratello del re, il duca Antonio Sebastiani, che era morto qualche anno prima. La madre di Desmond aveva lavorato come cameriera al palazzo reale, poi aveva sposato un uomo di affari italiano, Giuseppe Caruso, e si era trasferita negli Stati Uniti. Ryan osservò la giovane donna seduta davanti a lui, risultato di quel matrimonio. Lyn StoneMary – McBride
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«Il re Marcus era certo che tu avresti accettato il mio aiuto» insisté lei. «Mi dispiace dirlo, ma il re si sbagliava.» La porta si aprì. Senza essere annunciato, il duca Lorenzo fece il suo ingresso. «Buongiorno» esordì mentre Nina scattava in piedi. «Nina Caruso, lui è Sua Grazia il duca Lorenzo Sebastiani, in caso voi due non vi siate ancora incontrati» precisò Ryan. Lorenzo le prese una mano fra le sue e chinò lievemente la testa. «Sorellina... È terribile conoscerci in questa dolorosa circostanza» affermò. «Condivido il tuo dolore per la perdita di nostro fratello.» «Grazie, Vostra Grazia» mormorò Nina, ovviamente colta di sorpresa da tanta disponibilità e incerta su come replicare. «Mi dispiace di non essere stato presente al tuo arrivo al palazzo» riprese il duca. «Il re mi ha spiegato il motivo della tua presenza qui» affermò, poi si girò verso Ryan. «E Pavelli mi ha riferito delle tue obiezioni. Devo sottolineare che la partecipazione della nostra Nina alle indagini non è una semplice richiesta. È un suo diritto come sorella, immagino.» «Un suo diritto?» ripeté Ryan con tono seccato. «Cos'è, una nuova regola della quale io non sono al corrente?» «Precisamente» affermò Lorenzo. «Non ci saranno problemi nell'accontentarla, giusto?» Anche se era stato posto in forma di domanda, Ryan sapeva che quello era un ordine. Scrollò le spalle. «Di problemi ce ne saranno, e molti» precisò, «ma immagino che riuscirò a risolverli se vi sarò costretto.» Se così facendo avesse messo al sicuro la sua posizione, ebbene, non avrebbe esitato, decise. Il lavoro era tutto quello che aveva e non poteva permettere che i capricci di una donna interferissero con la sua vita. Gli sarebbe bastato inventare qualcosa per tenerla occupata e fuori dei piedi mentre lui procedeva con l'indagine. «Eccellente.» Lorenzo gli strinse la mano, poi tornò a guardare Nina. «Dirò al re che è tutto risolto» concluse. Risolto un bel niente, pensò Ryan, irritato. Gli piaceva pensare che le investigazioni che gli erano affidate fossero sue. In quel momento invece sospettava che Lorenzo, per quanto avesse proposto al re il suo nome, volesse continuare a prendere tutte le decisioni, pur restando nell'ombra. Meglio mettere le carte in tavola, e farlo subito. «È necessario precisare i ruoli» affermò. Lyn StoneMary – McBride
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Il duca annuì. «Provvederò affinché tu abbia completa libertà di movimento, basterà che io sia informato delle evoluzioni delle indagini.» «Per me va bene. Mi terrò in contatto.» Lorenzo si incamminò verso la porta. A un tratto si fermò e si girò di nuovo. «Appena la situazione sarà più calma, dobbiamo organizzare una partita a carte. È da un po' che non giochiamo.» «Sempre a tua disposizione» replicò Ryan. Sorrise ricordando la sera di non molto tempo prima, quando aveva ripulito le tasche del duca, del suo autista personale e del loro comune amico Pete. Un'esperienza decisamente esaltante, in realtà. «Ora vi lascio» annunciò Lorenzo, poi uscì dall'ufficio. L'espressione di trionfo che era apparsa sul viso di Nina Caruso servì a cancellare immediatamente il sorriso dalle labbra di Ryan. Trascinarsi dietro un familiare di una vittima, una vittima oltretutto appartenente alla stirpe reale, avrebbe rallentato le sue indagini. Era sicuro che Lorenzo non gli avrebbe intralciato il cammino. Per quello che riguardava la donna, era sicuro esattamente del contrario. «Dunque, è necessario che io ti chieda nuovamente il permesso per partecipare alle tue ricerche?» chiese lei. «No, non è necessario. A volte si tratta solo di formulare la domanda in modo giusto. Essere spalleggiati da un duca certamente ha i suoi effetti.» Era il primo caso di omicidio che gli veniva affidato da quasi un anno. Come avrebbe fatto a dedicare la sua completa attenzione all'investigazione, intrattenendo nel contempo la signorina Caruso? Perché il suo istinto gli suggeriva che quella donna significava guai. In primo luogo, era decisamente attraente. E in secondo luogo... Era decisamente attraente. «Non è che per caso tu sei uno di quei tipi condiscendenti?» si informò Nina, dopo essersi alzata dalla poltrona per recuperare la sua borsa. «Meglio che tu lo sappia subito, detesto essere favorita.» «No, credimi, non farei mai una cosa simile» la rassicurò Ryan. «Vuoi scusarmi un attimo?» aggiunse, quando il telefono squillò. Con evidente riluttanza, Nina annuì e uscì dalla stanza. Ryan attese che richiudesse la porta alle sue spalle prima di rispondere. «McDonough» annunciò. «Amico mio, che tono di voce contrariato» esordì Lorenzo. «Solo perché lo sono. Contrariato intendo, Vostra Grazia» replicò lui, Lyn StoneMary – McBride
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con un'enfasi che non lasciava dubbio sulla verità di quanto aveva appena affermato. «Ho cercato di arrivare prima di lei, ma mi è stato impossibile» riprese il duca. «Non ho avuto neanche il tempo per organizzare un'udienza privata fra te e il re, in modo che mio zio avesse l'opportunità di ragguagliarti su cosa sta succedendo. Mi ha chiesto, comunque, di informarti che Nina Caruso deve essere sorvegliata a vista, e che tu sei stato scelto per questo compito. I motivi che l'hanno condotta a Montebello destano più di un sospetto.» «E perché mai? Suo fratello è stata assassinato e lei vuole scoprire il colpevole. Non ti sembra un motivo sufficiente?» «Questo è quello che Nina ha raccontato ai giornalisti che l'aspettavano in aeroporto.» «Giornalisti?» «Sì, di varie emittenti televisive e inviati di quotidiani americani ed europei. Pensiamo che li abbia convocati lei stessa, altrimenti come avrebbero fatto a sapere del suo arrivo?» «Non è detto» insisté Ryan. «Sei un duca, sai che tutte le famiglie reali sono oggetto di costante attenzione da parte della stampa. Ormai la notizia della morte di Desmond è di dominio pubblico, dunque è probabile che i reporter abbiano cercato di contattare i membri della sua famiglia. Potrebbero avere scoperto dove lavora Nina, e indotto uno dei suoi colleghi a parlare. Dovresti sapere meglio di me che molti giornalisti sono degli esperti nell'estorcere informazioni.» «Potresti avere ragione, ma la tua resta sempre una supposizione» ragionò Lorenzo. «Tu credi che lei sia complice dell'assassino di Caruso?» «Anche questa è un'ipotesi, dunque non la perdere mai di vista e tieni gli occhi aperti. Bene aperti, amico mio» sottolineò il duca. «Contaci.» Dunque l'affascinante Nina era una sospettata. Forse aveva deciso di andare a Montebello con l'intenzione di guadagnarsi la simpatia del monarca e insinuarsi al palazzo. Forse era persino arrivata a organizzare l'omicidio del fratello per raggiungere quello scopo e per entrare in possesso della sua eredità che, trattandosi di un nipote del re, sicuramente doveva essere cospicua. Alla luce di quel ragionamento, era ovvio che dovesse essere Lyn StoneMary – McBride
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sorvegliata. Non era altrettanto ovvio che fosse stato lui il prescelto per farlo, decise Ryan. Ma poiché non aveva altra opzione, fornì a Lorenzo ogni rassicurazione, interruppe la comunicazione e andò a raggiungere la signorina Caruso, che lo aspettava nella stanza adiacente. «Dunque, d'ora in poi saremo soci» affermò quando la vide, il tono rassegnato. «Ti sarò di grande aiuto» confermò lei con determinazione. «Lo scoprirai presto.» «Ovviamente» concesse Ryan, una bugia bella e buona. Perché nessun poliziotto sano di mente avrebbe permesso a un civile, inoltre parente della vittima, di partecipare a un'indagine di omicidio. E lui, nel profondo, era e sarebbe rimasto un poliziotto. Scortati da Pavelli, raggiunsero la limousine che aspettava davanti al portone dell'edificio. Ryan prese posto con Nina sul sedile posteriore mentre Pavelli si sistemò accanto all'autista. «Perché sei così intenzionata a fare tutto questo?» chiese alla sua compagna. Nina alzò lo sguardo su di lui. «Perché Desmond era mio fratello.» «Era anche il fratello del duca Lorenzo, il quale si è fidato abbastanza di me per affidarmi il caso.» «Ciò nonostante, io voglio essere coinvolta personalmente nelle indagini» sbuffò Nina. «Capirei se tu fossi qui per presenziare ai funerali, ma nulla di più» insisté Ryan. «Sei per caso un poliziotto, o un investigatore privato?» Lei scosse la testa. «Lavoro nel campo della grafica, dunque ho un occhio eccellente per i dettagli» rispose, poi fece una pausa. «Se vuoi la verità, io devo fare qualcosa» riprese, strofinandosi le braccia con le mani come se avesse freddo. «Devo fare qualcosa per Desmond, è così difficile comprenderlo?» «Immagino che tu e tuo fratello siate stati molto legati.» «Molto» confermò Nina, «ma lui andò via da casa quando aveva solo diciotto anni.» Aveva parlato sotto voce, quasi come se l'ammissione le fosse costata uno sforzo terribile. Ovviamente la signorina Caruso non amava confidarsi, ma carpire i segreti altrui era parte del suo lavoro, rifletté Ryan. Se Nina poi era anche Lyn StoneMary – McBride
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solo un po' simile a Desmond, c'era ben più di una valida ragione per tenerla sotto controllo. Caruso si era fatto conoscere come un avido opportunista, che non avrebbe esitato davanti a nulla pur di raggiungere i suoi scopi. D'altra parte, anche gli avidi egoisti meritavano giustizia. «Come hai saputo dell'omicidio?» chiese, osservandola attentamente. Nina sospirò. «Ho ricevuto una telefonata dal palazzo. Non so chi mi abbia chiamato, ero così sconvolta e ho dimenticato di chiedere il nome.» «È comprensibile» concesse Ryan. «E quando è successo?» «La stessa mattina in cui è stato rinvenuto il corpo di Desmond. La persona che ha telefonato mi ha detto che sarei stata la benvenuta se avessi deciso di venire qui, ma io lo avrei fatto in ogni caso.» «Sapresti riconoscere la voce?» Nina scosse la testa. «Non credo. L'uomo parlava con un tono basso e un po' roco, ma oltre questo...» Non credeva o non voleva, si chiese Ryan. Sul viso di Nina non aveva notato alcuna espressione che lo inducesse a credere che lei stesse mentendo, questo però non significava nulla. Gli assassini erano esperti in fatto di bugie. Nina, al contrario di McDonough, sapeva con precisione perché era così impaziente di partecipare attivamente alle indagini. Era sorprendente, persino incredibile, che il re non solo le avesse dato il suo consenso, ma che in qualche modo l'avesse incoraggiata. Il massimo che lei aveva sperato di ottenere, quando aveva chiesto il permesso, era stata la promessa di essere tenuta al corrente dello svilupparsi della situazione, e si era preparata a fare pressioni nel caso questa promessa le fosse stata negata. Invece il re l'aveva spedita dritto nell'ufficio dell'investigatore privato con il suggerimento di offrire la sua collaborazione. Il che poteva significare che l'investigatore in questione non era degno di fiducia, o che era piuttosto lento nel prendere iniziative. Si voltò verso il finestrino per ammirare la città che stavano attraversando. Era così bella San Sebastian, la capitale del Montebello, con la sua affascinante combinazione di architettura antica e di stile moderno. Desmond aveva amato quel posto? Si era sentito a casa lì? C'era stato un momento nella sua vita durante il quale lei aveva Lyn StoneMary – McBride
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letteralmente idolatrato il fratello maggiore. Ora, ripensandoci, si rendeva conto che Desmond aveva dimostrato un affetto simile per lei e per il cane di famiglia, anche se qualche volta aveva preso le sue difese nelle liti che lei aveva avuto con suo padre. In realtà, con il passare degli anni, per Desmond qualsiasi pretesto era buono pur di opporsi, a volte in modo violento, alla volontà paterna. Loro due erano stati molto vicini? No, fu costretta ad ammettere. Per quanto avesse desiderato il contrario, suo fratello non era mai stato per lei più di un enigmatico estraneo. Se doveva essere completamente onesta con se stessa, la sua frettolosa partenza e il suo desiderio di partecipare alle indagini altro non erano se non un modo per alleviare i sensi di colpa. La sua vita fino ad allora era stato un viaggio fantastico, reso ancora più bello dall'amore costante dei suoi genitori, dai successi scolastici, dal gruppo di amici affezionati. Per Desmond invece il cammino era sempre stato in salita. Aveva trasformato ogni rapporto con gli adulti in uno scontro. Un solitario, che non trovava mai una giusta collocazione. Almeno forse Montebello, il luogo di nascita del padre biologico, gli aveva offerto un po' di stabilità, si augurò Nina. Desmond era figlio di un nobile, avevano appreso la notizia solo dopo la morte del padre di Nina. Una circostanza che per lei era coincisa con la spiegazione dello strano comportamento di suo fratello. Un principe fra i poveri, così aveva imparato a vederlo da ragazzina. Ora quell'infantile conclusione le sembrava solo quello: infantile. Forse la sua famiglia non era proprio ricca, ma sicuramente benestante, con un solido conto in banca. Amore e affetto non erano mai mancati. Sia lei che suo fratello avevano avuto tutto il necessario, e anche di più. Lei avvertiva molto la mancanza dei suoi genitori. Suo padre era stato ucciso dalla polmonite poco dopo la partenza di Desmond. Desmond poi, quando aveva scoperto di essere figlio di un duca e non di chi aveva sempre creduto, aveva definitivamente interrotto ogni rapporto. La perdita del marito e del figlio erano stati colpi troppo duri per la madre di Nina. Pochi mesi prima, il suo cuore malato da tempo non aveva resistito a un attacco particolarmente violento. Desmond non aveva trovato il tempo nemmeno per intervenire ai funerali. Da allora, le poche illusioni che ancora aveva sulla natura di Desmond si Lyn StoneMary – McBride
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erano sgretolate. Ma restava suo fratello, e non avrebbe meritato una fine così tragica. Ora, se solo avesse potuto fare qualcosa per lui, assicurare il suo assassino alla giustizia, forse sarebbe riuscita a sedare tutti i suoi sensi di colpa, scaturiti dalla consapevolezza di aver avuto un'infanzia e un'adolescenza tanto migliori delle sue. «Quando hai parlato l'ultima volta con tuo fratello?» le chiese Ryan, strappandola alle sue riflessioni. Nina si girò verso di lui. «L'ultima volta? Un paio di settimane fa.» Desmond le aveva telefonato per chiederle un prestito, un particolare, a suo parere, irrilevante per le indagini, che dunque avrebbe tenuto per sé. «Però hai affermato di aver avuto con lui un legame molto stretto. È cambiato qualcosa ultimamente?» «Questo per caso è un interrogatorio?» sbottò lei, perché non aveva voglia né intenzione di rispondere. «Sì» ammise semplicemente Ryan. Nina respirò a fondo, nel tentativo di riguadagnare la calma. Solo quando fu certa di avere di nuovo il controllo su se stessa, parlò. «Io e mio fratello eravamo vicini per quanto una differenza di età di otto anni potesse permetterlo, e considerando il fatto che non ci siamo frequentati molto da quando lui andò via di casa» spiegò. «E poi c'era la non trascurabile questione di essere figli di padri diversi. Come ha influito sui vostri rapporti?» Nina si spostò sul sedile, strinse i pugni e gli rivolse un'occhiata fiammeggiante. «Se per caso stai pensando a un tipo di perversa rivalità fra fratelli, ti avverto che ho un alibi di ferro. Ero dall'altra parte del mondo quando Des è stato ucciso.» Un sorriso incurvò le labbra di Ryan. «Il che può essere verificato senza problemi, immagino.» «Assolutamente, dunque puoi eliminarmi subito dalla tua lista dei sospetti, sempre se ne hai una.» «Al momento, ci sono decine di nomi su quella lista» precisò Ryan. «Ma tu, partecipando alle indagini, sicuramente sarai in grado di porre rimedio a questo, giusto? Quando vorresti iniziare?» «Subito.» «Prima vorrei però che tu rispondessi alla mia domanda. Esisteva una rivalità fra te e tuo fratello?» Lyn StoneMary – McBride
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«Sicuramente non da parte mia!» esclamò Nina, sul punto di perdere la pazienza. «Ma ti comporti sempre in modo così sgradevole?» Ryan scrollò le spalle. «No, alle volte riesco a fare di meglio. È necessario nel mio lavoro, credimi. E direi che tu hai l'atteggiamento giusto per questo tipo di cose, se non altro. Ovviamente non ti fidi di me» aggiunse, chinando la testa da un lato, un lampo divertito che gli attraversava gli occhi. «Perché, in caso contrario, ti accontenteresti di poltrire al palazzo, permettendo a me di gestire liberamente il caso.» Nina rifiutò di cadere nella trappola. Con un gesto elegante accavallò le gambe, poi passò una mano sulla gonna grigia del tailleur che indossava. «Il mio posto non è al palazzo. Io non sono imparentata con la famiglia Sebastiani, ma lo era Desmond» precisò. «Hai detto che possiamo cominciare a investigare immediatamente. C'è un compito specifico che vuoi affidarmi?» Con qualche sforzo, Ryan distolse lo sguardo dalle sue gambe. «Prima devi prendere una stanza in albergo, riposarti, abituarti alla differenza di fuso orario» replicò. «La differenza di fuso orario non è un problema» dichiarò Nina. «Il signor Pavelli mi ha già trovato una sistemazione. L'appartamento vuoto accanto al tuo non è più vuoto.» Ryan riuscì a reprimere un gemito di sconforto. Una simile manifestazione sicuramente le avrebbe concesso un momento, seppur breve, di trionfo. «Immagino che per noi sia la cosa più conveniente. Vuoi vedere la casa, o iniziare a lavorare?» «Lavoriamo» ripose lei senza alcuna esitazione. «Per questo sono qui.» Ryan annuì e pigiò il pulsante dell'interfono. «Al palazzo, per favore» ordinò all'autista. «Al palazzo?» ripeté Nina con tono sorpreso. «Hai già dimenticato cosa ha detto il duca Lorenzo? Non devi più cercare di convincere il re a cambiare idea...» «E non ho intenzione di farlo» la interruppe lui. «Stiamo andando sulla scena del crimine» precisò, il tono della voce serio. Nina sgranò gli occhi. «Oh.» «Questa è la realtà, mia cara signorina Caruso. Qualcosa di molto diverso da quello che vedi in televisione.» «Ti prego, non dirmi che mi ritieni così stupida da dovermi dare simili informazioni.» Lyn StoneMary – McBride
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«Io sto solo dicendo che, se vuoi davvero aiutarmi, devi tenere i piedi per terra, perché io non ho né la possibilità né la voglia di farti da bambinaia. Un uomo è stato ucciso, io devo scoprire da chi, e il tempo è un fattore essenziale. Sono già passate più di ventiquattro ore dall'omicidio. La vista del sangue ti fa perdere i sensi?» Nina trattenne il fiato e non replicò. «So che il mio può sembrarti un discorso cinico» continuò Ryan, il viso non più di una maschera di granito, «ma adesso devi fare in modo di separarti dalle tue emozioni. Sono stata abbastanza chiaro?» «Sì.» «Lo spero, perché in caso contrario non sarai in grado di affrontare un omicidio. Incubi terribili ti impediranno di dormire, e il tutto diventa molto più crudele quando si conosce la vittima.» Stava cercando di spaventarla, era ovvio, decise Nina. Poi notò qualcosa nel suo sguardo, una luce che le disse che stava parlando per esperienza. Era stato tormentato anche lui da incubi terribili? Si chiese. «Vuoi dire che dovrò vedere il... corpo» ipotizzò. «Non te lo consiglio» replicò Ryan, questa volta con tono gentile. «Non sarà necessario.» «Io voglio farlo» affermò Nina. Quale aiuto avrebbe potuto offrire all'indagine se permetteva alla sua emotività di influire sulle sue decisioni? «Sì, voglio farlo» ripeté. «Temi forse che a me sfuggiranno indizi fondamentali?» «Ma li hai già cercati?» «Non ho ancora visto la salma, se è questo quello che intendi. Il re mi ha affidato l'incarico solo ieri pomeriggio. Sto cercando di procurarmi tutte le informazioni che la polizia ha reperito.» «Dunque un secondo paio di occhi non guasteranno, giusto?» «Ma tu soffrirai se insisti a voler andare avanti con questa storia» l'ammonì Ryan. «Per te sarà difficile, se non impossibile, dimenticare che la vittima era tuo fratello.» «Posso farcela» ribadì lei con convinzione. «Posso essere obiettiva se sarà indispensabile. Tu non ci riusciresti se la vittima invece fosse tuo fratello?» Lui le rivolse uno sguardo di difficile interpretazione. Nina decise di non preoccuparsene. Il problema non era l'orgoglio di Ryan McDonough. Il problema era trovare l'assassino di Desmond. Lyn StoneMary – McBride
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Non era mai stata una vigliacca, avrebbe avuto la forza necessaria per guardare il corpo senza vita di suo fratello. Perché era solo quello, un corpo senza vita. L'essenza di Desmond, la sua anima, erano altrove. «Ce la farò» dichiarò. «Ho già visto dei cadaveri.» Ryan si limitò ad annuire, e Nina a desiderare di poter convincere se stessa, oltre lui, di quanto aveva appena affermato.
2 Per quanto potesse sembrare strano, il vecchio adagio che voleva che l'assassino tornasse sempre sul luogo del delitto a volte si rivelava esatto, pensò Ryan. Di conseguenza, aveva ordinato a uno dei suoi più fidati collaboratori, Joseph Braca, di montare di guardia a casa di Desmond. La porta sul retro del cottage era stata lasciata intenzionalmente aperta e due microcamere erano state localizzate in posti strategici per filmare la presenza di un eventuale intruso. Oltre che aggiornarlo sui rapporti preliminari della polizia, Ryan doveva comunicare a Joe la nuova difficoltà dell'investigazione, cioè l'arrivo di Nina. Così, mentre lui la teneva impegnata, il suo uomo avrebbe potuto condurre qualche ricerca sul conto della bella signorina Caruso, controllare il suo alibi e ottenere copia dei suoi tabulati telefonici al fine di scoprire se i contatti con il fratello erano stati più frequenti di quanto lei avesse ammesso. Poco più di un quarto d'ora dopo, la limousine varcò il cancelli del parco che circondava la reggia. Ryan osservò attentamente l'imponente struttura, calcolando mentalmente quante centinaia di persone abitavano lì, in via permanente o per brevi periodi di visita. Ognuna di loro avrebbe potuto essere responsabile per la morte di Caruso. Toccava a lui trovare il classico ago nel pagliaio. Abbassò il vetro che li separava dall'autista. «Continui verso il cottage» lo istruì. «Ci lascerà lì, dopo accompagnerà il signor Pavelli al palazzo. Sono certo che qualcuno aspetta il suo rapporto.» «Il cottage dove abitava tuo fratello è abbastanza isolato» spiegò poi a Nina. «È lì, dietro quegli alberi» aggiunse, indicando un punto davanti a Lyn StoneMary – McBride
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loro. «Come puoi vedere, si trova quasi di fronte alla sala del trono, ma la folta vegetazione lo nasconde completamente. Dunque, anche se qualcuno fosse stato nella sala, il che è abbastanza improbabile poiché era notte, non avrebbe potuto vedere niente.» Nina si sporse in avanti, facendo tendere la cintura di sicurezza. «E dal secondo piano?» domandò. «Lì alloggiano le principesse» la informò Ryan, «e le loro finestre offrono una migliore visuale del cottage, sempre se qualcuno si fosse affacciato durante la notte. Ma, al momento, le principesse non sono al palazzo, e io non ho ancora avuto la possibilità di interrogare le loro cameriere personali.» «Lo farò io» si offrì Nina. «Sarebbe inutile. Puoi scommettere lo stick del tuo rossetto preferito che il re ha già scoperto se qualcuno fra il personale di servizio era in possesso di informazioni utili alle indagini. In questo caso, ne sarei stato informato tempestivamente. Ecco, siamo arrivati» aggiunse, quando la limousine si fermò nei pressi del cottage. Si voltò per osservare Nina, e notò che il suo viso era impallidito all'improvviso. Stava guardando la casetta bianca come se ne avesse paura. Aspetta di arrivare all'obitorio, pensò. Avrebbe potuto impedirle di vedere il corpo di suo fratello, ma dopotutto sarebbe stato interessante esaminare la sua reazione, che poteva rivelargli di più sui rapporti fra Desmond e Nina Caruso di estenuanti ore di interrogatorio. In realtà, gli riusciva difficile immaginare la bella donna bruna nelle vesti di un'assassina. Se anche era in qualche modo responsabile della morte del suo fratellastro, doveva aver pagato qualcuno per sbrigare praticamente la faccenda. In quel caso sarebbe stato un delitto premeditato, non il crimine passionale indicato dalle prove. Aiutò Nina a scendere dalla vettura e la sorresse per un braccio mentre camminavano lungo il vialetto che conduceva alla piccola costruzione. All'esterno, nulla violava l'aspetto idilliaco del cottage bianco seminascosto dagli alberi se non un cartello appeso sul muro che intimava di non entrare. «Ci siamo» annunciò Ryan. Ryan pigiò il campanello e la porta d'ingresso si aprì quasi immediatamente. Joe Braca, la stazza di un frigorifero, impeccabile con la sua giacca e la cravatta di seta, apparve e chinò leggermente il capo, come facevano gli italiani quando volevano mostrarsi ossequiosi o cercavano di Lyn StoneMary – McBride
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far colpo su una donna. «Buongiorno» esordì, gli occhi fissi su Nina. «Lei è Nina Caruso, la sorellastra della vittima» spiegò Ryan. «È arrivata questa mattina. Nina, ti presento Joe Braca, il mio braccio destro.» In verità, definiva così anche Franz, ma era sincero in entrambi i casi perché, se privato della collaborazione di uno dei due, in particolari circostanze avrebbe anche potuto sentirsi perso. Joe esibì il suo migliore sorriso di circostanza e strinse la mano che Nina gli stava porgendo. «Le mie condoglianze, signorina Caruso» disse. «Grazie, signor Braca» replicò lei, alzando lo sguardo oltre le sue spalle, verso l'atrio e la parte di salone che si intravedeva. Joe si fece da parte per lasciarla passare poi rivolse al suo capo un'occhiata interrogativa. «Conosci la procedura» affermò Ryan, rispondendo alla muta domanda. «Franz al computer, tu al telefono.» «Certo, signore» replicò prontamente l'uomo, comprendendo subito chi doveva essere il soggetto di quelle ricerche. «La chiamerò appena scoprirò qualcosa.» «Telefonami in qualsiasi caso» precisò Ryan. «Prima delle sei.» Oltrepassò Braca e raggiunse Nina che era ferma sulla soglia della porta del salone. Fissava la macchia scura che violava la perfezione del tappeto orientale. Aveva gli occhi sgranati e il viso molto pallido. «È qui che è successo?» mormorò lei. «Sì. Le analisi di laboratorio hanno confermato che tuo fratello è stato ucciso con una delle statuette trovate su quella mensola» replicò Ryan. «È morto istantaneamente. È stato colpito sulla tempia sinistra. Pochi millimetri più in là e Desmond ora sarebbe ancora vivo.» «Dunque non era premeditato.» «Forse non era premeditato» sottolineò Ryan. Nina mosse un passo ma lui, svelto, la fermò. «Non possiamo ancora entrare in questa stanza» chiarì. «Ho chiesto alla Scientifica di fare ulteriori rilevamenti, e dunque non dobbiamo inquinare la scena del crimine. Facciamo un giro intorno al cottage.» «Cerchiamo segni di infrazione?» «È stato già fatto, ma non hanno trovato nulla. Questo significa che la porta sul retro era aperta, o che tuo fratello conosceva così bene la persona che lo ha ucciso da invitarlo, o invitarla, a entrare in casa.» «Invitarla?» ripeté Nina. «Pensi che possa essere stata una donna?» Lyn StoneMary – McBride
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Ryan scrollò le spalle. «Non è da escludere.» In effetti, la principessa Samira Kamal del Tamir, che era stata amante di Desmond, aveva dichiarato di averlo scoperto un paio di settimane prima fra le braccia di una non meglio identificata signora bionda. Farid Nasir, la guardia del corpo della principessa diventato poi suo marito, aveva minacciato pubblicamente Caruso, intimandogli di stare alla larga da Samira. Fortunatamente per loro, entrambi avevano un alibi di ferro che li scagionava. Ryan aveva già deciso di interrogarli per capire esattamente quali rapporti erano intercorsi fra loro e la vittima. «Andiamo» disse, appoggiando una mano sulla schiena di Nina con l'intenzione di spingerla verso la porta. Ma toccarla era stato un errore, si rese conto immediatamente. Percepì una sorta di corrente elettrica attraversargli il corpo, un pessimo segnale. Ciò nonostante, non interruppe il contatto. Si limitò a non soffermarsi su quanto gli era appena successo. Seguiti da Joe, uscirono dall'ingresso principale. Costeggiarono il laghetto artificiale che era stato costruito al centro del giardino che circondava l'abitazione e raggiunsero il retro del cottage. Le grandi finestre del salone permettevano una visuale completa dell'esterno, di contro chiunque si fosse trovato a passare lungo il marciapiede avrebbe potuto vedere cosa stava succedendo all'interno della casa. «Sembra così... sicura» mormorò Nina. Mosse qualche passo verso le finestre, che ora erano chiuse e sigillate con un nastro adesivo giallo. Cosa stava pensando?, si chiese Ryan, osservandola. Soffriva per la morte di suo fratello, o considerava che il denaro sborsato per assoldare il killer era stato speso bene? Era quello che doveva scoprire dunque! Quando lei si avvicinò alla finestra, Ryan fece cenno al suo uomo di seguirlo nella stanza a fianco. Velocemente e sotto voce, lo ragguagliò su quanto aveva appreso dai rapporti della polizia, notizie in realtà poco significative. «Devo tornare qui questa sera?» chiese Joe. «No, la polizia si occuperà di organizzare regolari turni di guardia. Le telecamere sono state sistemate?» «Sarebbe stato meglio averne un paio in più, ma almeno le porte sono sotto controllo.» «Bene. Ora occupati delle ricerche.» Lyn StoneMary – McBride
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Joe annuì, poi sorrise guardando Nina, che si era chinata, intenta a osservare il suolo. «Cerca tracce» commentò. «Dovrebbe assumerla, capo. Sembra una persona molto determinata.» «Non pensarci nemmeno» replicò Ryan. «Perché non vai a riposare per un paio di ore? Così sarai pronto per svolgere al meglio l'incarico che ti ho affidato.» Aspettò che Joe uscisse dal cottage per tornare da Nina. «Possiamo anche andare, a meno che tu non abbia trovato qualche indizio che a noi è sfuggito» affermò. Lei si voltò per guardarlo, la fronte solcata da una ruga. «Avete esaminato le impronte lasciate qui intorno?» chiese. «Sì, sono del giardiniere, ma ha un alibi. Forse vorresti interrogarlo?» Nina respirò a fondo. «Vorrei vederlo adesso.» «Il giardiniere?» «No, vorrei vedere Desmond. Vorrei vedere il suo corpo.» La limousine era tornata senza Pavelli, che con ogni probabilità in quel momento si stava lamentando con il re per la scarsa disponibilità che aveva ottenuto dall'investigatore privato. Anche se il successivo passo lo avrebbe aiutato a capire qualcosa in più su Nina, Ryan desiderò che lei cambiasse idea e decidesse di non fare una sosta all'obitorio. Persino lui evitava di andarci, a meno che non fosse assolutamente necessario. Bene, concluse scrollando impercettibilmente le spalle, in quel caso era necessario visionare il corpo, in compagnia di Nina o da solo. «Certa che non preferisci andare al tuo appartamento?» domandò. «Certa» confermò lei. «Voglio vederlo, se non altro per dirgli addio.» «Non è come vedere un defunto in una sala di un'agenzia funebre» sottolineò Ryan. «Tuo fratello sarà su un tavolo di marmo, in un obitorio.» «È stata fatta un'autopsia?» sussurrò Nina. «Non ancora.» Ma il medico legale era pronto a intervenire, forse quello stesso pomeriggio, pensò Ryan. «Se sei davvero decisa, sarà meglio andarci subito.» Nina annuì. Serrò convulsamente le dita sul manico della sua borsa. Avrebbe voluto stringere quelle mani fra le sue, si rese conto Ryan, per riscaldarle, per impedir loro di tremare. Scosse la testa, irritato con se stesso. Perché mai desiderava toccarla ogni volta che ne aveva la possibilità, si chiese. Perché quella donna aveva il potere di evocare in lui un profondo istinto protettivo, ragionò, il che era Lyn StoneMary – McBride
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sbagliato, molto sbagliato, visto che quella stessa donna era anche in cima alla lista dei sospettati. Come poteva giudicarla con obiettività quando lo guardava con quei grandi occhi nocciola, un broncio sulle labbra piene e sensuali? Accidenti a Lorenzo e alle sue brillanti idee. La polizia avrebbe potuto investigare sul conto di Nina Caruso, negli Stati Uniti nessuno avrebbe pensato di fare altrimenti. Ma nel Montebello i poliziotti non avevano l'esperienza che invece aveva lui, un fatto di cui il re e il duca erano al corrente. Per la prima volta, avrebbe fatto volentieri a meno di godere di tanta fiducia da parte della famiglia Sebastiani, pensò. «Andiamo, allora» decise. Aprì lo sportello della limousine per farla accomodare, poi prese posto al suo fianco. Mentre precorrevano la strada principale della città diretti al King Augustus Hospital, si sentì in dovere di prepararla in qualche modo. «Quando arriveremo, tu aspetterai in corridoio» spiegò. «C'è una telecamera, dunque non sarai costretta a entrare nella sala mortuaria per...» «No» lo interruppe Nina. «Io voglio vederlo. Da vicino.» Ryan si appoggiò allo schienale del sedile. Non replicò, si limitò a scuotere la testa. Nina gli appoggiò una mano sulla sua. Una mano delicata, fredda. «Per favore.» Si arrese subito, pur sapendo di commettere un errore. «D'accordo» replicò Ryan. Non era da lui cedere così facilmente, eppure lo aveva appena fatto. Biasimando se stesso, prese il cellulare dalla tasca e digitò il numero dell'obitorio. Il meno che potesse fare a quel punto, era avvertire il medico legale dell'arrivo di Nina per dargli il tempo di preparare la scena in modo decente. «Parla McDonough» esordì quando il dottor Angelo rispose. «Mi ascolti bene, sono in compagnia della sorella di Caruso, arriveremo lì fra circa venti minuti. Non useremo la telecamera. Riuscirà a organizzarsi?» Come aveva previsto, Angelo tentò di fargli cambiare idea, usando gli stessi argomenti che lui aveva usato con Nina. «La signorina Caruso insiste» tagliò corto Ryan. «Ci vediamo fra poco.» Nina aveva il viso rivolto verso il finestrino, come se stesse cercando di non ascoltare la conversazione. Non riuscì a evitarlo. Ryan allungò una mano per prendere la sua. Sorprendentemente, Nina non si ritrasse, anzi, la strinse come per stabilire Lyn StoneMary – McBride
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un contatto più solido. Non lo guardò, non fece nulla per fargli capire che quel gesto le stava effettivamente comunicando conforto, ma serrò le dita con tale forza da fargli male. «Andrà tutto bene» la incoraggiò lui, per quanto consapevole della inadeguatezza di quella frase. Nina non rispose e non parlò per il resto del tragitto. Lui sapeva perfettamente che cosa stava provando in quei momenti, pensò Ryan, una sensazione che non avrebbe augurato neanche al suo peggiore nemico. Almeno Nina non era in procinto di vedere il cadavere di suo marito, ragionò, o quello di suo figlio. Un'immagine attraversò repentina la sua mente, una bambina bionda che correva, i lunghi capelli biondi al vento... Sentì persino la sua risata risuonare nell'aria. Strinse i denti e si costrinse a ignorare i ricordi del passato. Sei lunghi anni gli avevano dato la possibilità di fare molta pratica. Ormai avrebbe dovuto essere più bravo nell'evitare i tranelli della memoria. Si costrinse a esibire una calma che non provava affatto, e mantenne lo stesso atteggiamento quando la vettura si fermò davanti all'ingresso dell'ospedale. Focalizzò la sua attenzione sul lago artificiale, sulla precisione del giardino che circondava l'ospedale, una costruzione dalle insolite mura di marmo rosa. Automaticamente aprì lo sportello per far scendere Nina. Le tese la mano, ma la lasciò andare appena lei mise piede per terra. Tuttavia aveva bisogno di mantenere un contatto, dunque le sorresse il braccio. Sì, sapeva essere un gentiluomo al bisogno, una roccia solida e forte sulla quale appoggiarsi. Un esperto bugiardo e un attore... Nonostante tutti i suoi sforzi, non riuscì a tenere sotto controllo il tremito. Aveva paura di entrare in obitorio, quella era la verità, forse più di quanta ne avesse Nina. Ovvio, il suo lavoro lo aveva condotto lì innumerevoli volte, e la reazione era stata sempre la stessa. Aveva affrontato il problema e sapeva che l'avrebbe fatto ancora, però era sempre così, i ricordi tornavano prepotentemente, distruggendo con la loro violenza gli argini mentali che lui aveva faticosamente costruito, e che si ritrovava ogni volta a dover ricostruire. Forse, se si fosse concentrato sulla reazione di Nina, non sarebbe stato costretto a esaminare così attentamente la sua. Sollecitato da quella Lyn StoneMary – McBride
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illusione, percorse forse un po' troppo velocemente il viale di accesso che conduceva alla grande porta a vetri, e l'atrio dal pavimento di marmo fino a giungere all'ascensore che li avrebbe condotti al livello sotterraneo. «Cerca di convincerti che non stai per vedere tuo fratello» le consigliò. «È solo l'involucro senza vita che un tempo lo ha ospitato. Dissociati dalla realtà, se ci riesci.» Nina si voltò verso di lui, negli occhi scuri una luce di curiosità. «Ti senti bene?» Ryan respirò a fondo e tentò di sorridere, ottenendo come unico risultato una sorta di ghigno privo di allegria. «Sì, certo. E tu?» «Io sto bene» rispose lei, per quanto, mentre uscivano dall'ascensore, sul suo viso ci fosse ancora un'espressione poco convinta. Ryan percepì immediatamente il terribile odore, e non erano neanche vicini alla sala mortuaria. «Agenti chimici» spiegò quando lei gli rivolse un'occhiata interrogativa. Un'altra bugia. Era l'odore della morte. «Respira con la bocca» le consigliò. Nina obbedì. Schiuse le labbra, labbra piene che tremavano, quasi stessero invocando un conforto, un bacio per riscaldarsi... Bravo, continua così, Ryan si complimentò con se stesso. Pensa ad altro. Ma non alle sue labbra, lo redarguì la voce della sua coscienza. Meglio concentrarsi su qualcosa di meno pericoloso. Ma cosa? Il tanfo di quel posto sembrava penetrargli nelle narici, arrivare fino al cervello, lasciandogli un sapore amaro in bocca. Il silenzio era assoluto, interrotto solo dal loro respiro e dal risuonare dei loro passi sul pavimento di piastrelle bianche. Qualcuno aveva appeso dei quadri alle pareti del corridoio, forse per distrarre gli sfortunati visitatori. Ryan li osservò, ma non riuscì a distinguere le forme. Percepì solo pennellate di colore. Come se anche lei fosse in cerca di un rifugio, Nina gli strinse la mano. E così, mano nella mano, camminarono fino alla porta del laboratorio. Una finestra si apriva nella parete, costituiva la barriera fra la salma e chi doveva riconoscerla. Poiché Ryan aveva comunicato che non si sarebbero serviti della telecamera, il vetro era oscurato da una veneziana. Ryan lasciò la mano di Nina e bussò alla porta. Quando il medico aprì, si affrettò per entrare per primo, magari per controllare se l'ambiente fosse stato ripulito a sufficienza per offrire uno spettacolo il meno desolante possibile. Ovviamente, non c'era nulla che lui potesse fare a riguardo, ma Lyn StoneMary – McBride
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si sarebbe comportato nello stesso modo entrando in un qualsiasi posto in compagnia di una signora che aveva bisogno della sua protezione. La necessità di vegliare sulle donne era qualcosa che gli era stata inculcata sin dalla più tenera infanzia, un'abitudine della quale poi non era più riuscito a liberarsi. Grazie, mamma. Il medico aveva rimosso il corpo dal cassetto, lo aveva adagiato su un tavolo di marmo e lo aveva coperto con un lenzuolo verde. Brevemente, Ryan fece le presentazioni. «Nina Caruso, il dottor Angelo.» «Le mie condoglianze, signorina Caruso» esordì il medico. «Grazie. Posso vederlo adesso?» Ovviamente, Nina voleva espletare qual compito e uscire di lì subito, ma non più alla svelta di quanto lo desiderasse lui. Ryan combatté inutilmente contro i ricordi e il dolore associato con essi, un altro obitorio, due corpi... Scosse la testa nel tentativo di liberarsi la mente. Doveva concentrarsi su Nina, ricordò a se stesso. Era quello l'unico motivo per cui aveva acconsentito a portarla lì. Lei lo guardò, chiedendogli silenziosamente di accompagnarla accanto al tavolo. Ryan le cinse la vita con un braccio e l'accontentò. Il medico sollevò il lenzuolo, quel tanto che bastava per scoprire il viso e le spalle. Aveva fatto davvero un buon lavoro, notò Ryan. Non c'era sangue. Persino la ferita alla tempia, ora che era stata accuratamente ripulita, sembrava in qualche modo meno letale. Nina mosse un passo in avanti. Allungò una mano e sfiorò la fronte di suo fratello, respingendo una ciocca di capelli neri. «È così... freddo» mormorò. Due lacrime le scivolarono lungo le gote. Per un lungo istante rimase immobile, poi le sue labbra sillabarono qualcosa, forse un addio. Ryan distolse lo sguardo. Dissociazione dai propri sentimenti, e come no... Forse, sei anni prima, avrebbe dovuto fare anche lui la stessa cosa. Avrebbe dovuto piangere, toccare, salutare. Invece, era stato vittima di una collera violenta che non era riuscito a contenere. Non ricordava cosa aveva detto in quei terribili momenti, o cosa aveva fatto, ma sapeva con certezza che il suo atteggiamento non poteva essere stato dignitoso come quello di Nina. Il suo partner, Sam, in qualche modo era riuscito a portarlo via dall'obitorio, e quando la ragione, o almeno una parvenza di ragione, era Lyn StoneMary – McBride
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tornata, era riuscito a espletare le formalità del caso. Poi era sprofondato in un buio emotivo che lo aveva avviluppato per dodici lunghi mesi. Costringendosi a tornare al presente, Ryan esaminò la ferita e controllò il resto del corpo, in cerca di lividi che indicassero una colluttazione prima della morte. Osservò attentamente le mani. Le nocche delle dita non erano escoriate, segno che Caruso non si era difeso. «Ha trovato sostanze illegali nel sangue?» chiese al medico. «No, ma sto ancora aspettando i risultati di altri test di laboratorio» replicò Angelo. «Li inserirò nel rapporto dell'autopsia.» «Immagino che per il momento questo sia tutto» concluse Ryan, allontanandosi dal tavolo. Il medico coprì il corpo. Un lampo di memoria squarciò la sua mente. Un altro medico che copriva altri corpi, un gesto che determinava l'impossibilità di posporre la fine, che faceva scattare in lui un moto quasi selvaggio... «Sono pronta per andare» annunciò Nina. «Grazie, dottore. Le telefonerò più tardi» concluse Ryan. Lui doveva ritornare, una volta che il rapporto dell'autopsia fosse stato completato. Non sarebbe stato più facile. Non era mai più facile. Nina sembrava aver recuperato completamente il controllo. La guardò con attenzione mentre aspettavano l'ascensore, aveva la schiena dritta ed era immersa nei suoi pensieri, quasi assente. Un atteggiamento completamente diverso dalla crisi isterica della quale, con ogni probabilità, avrebbe dovuto essere stata vittima dopo aver visto il cadavere del fratello. Mentalmente, Ryan prese nota di una sua impressione, e cioè che il rapporto affettivo fra Nina e Desmond non doveva essere stato profondo come lei aveva affermato poco prima durante il loro colloquio, se in quel momento lei manifestava il proprio dolore in modo tanto superficiale.
3 Quando uscirono dall'ospedale, Ryan respirò a fondo l'aria frizzante, offrendo, grato, il viso al calore dei raggi del sole. La limousine si fermò davanti a loro e con un gesto automatico, lui aprì Lyn StoneMary – McBride
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lo sportello per fare accomodare Nina, poi prese posto a sua volta. Allora Nina si girò per guardarlo e disse l'ultima cosa che lui si sarebbe aspettato di sentire. «Non è stato colpito alle spalle.» «Infatti» confermò Ryan, intento ad allacciarsi la cintura di sicurezza. «Dunque l'aggressore era davanti a lui, e aveva in mano la statuetta?» «Sì, a giudicare dalla ferita.» «Potrei vedere l'arma del delitto?» Ryan sospirò. «A me sembra che tu stia prendendo il ruolo di piedipiatti un po' troppo seriamente» commentò. «Forse, ma credo che tu dovresti accontentarmi. Il re mi ha dato il permesso di assisterti nelle indagini.» Certo. Perché lo avesse fatto poi era un altro paio di maniche, ragionò Ryan. «Va bene» concesse. «Domani. Per oggi hai già fatto abbastanza, sei d'accordo?» Nina guardò il suo orologio. «E' solo mezzogiorno» ragionò. «Mangeremo qualcosa, poi ti accompagnerò al tuo appartamento, in modo che tu possa riposare» decise Ryan. «Ma...» «Niente ma» la interruppe lui. «Il caso di tuo fratello non è l'unico che mi sia stato assegnato. Ho tante cose da fare che non sono collegate all'omicidio di Desmond, e non posso trascorrere il pomeriggio portandoti in giro per l'isola e trascurare il mio lavoro.» «Ma domani riprenderemo le indagini, giusto?» «Sì, domani mattina.» «E io verrò con te?» Ryan annuì. «Adesso, cosa vorresti mangiare?» Nina incrociò le braccia sul petto. «Porridge» rispose. «Puoi ripetere, per favore?» Lei si voltò e lo inchiodò con lo sguardo. «Ho detto, porridge. Accompagnato da toast imburrati e da una tazza di tè verde.» «Stai scherzando, giusto?» replicò Ryan. «Non credo che a San Sebastian ci siano ristoranti che servano porridge.» Nina inarcò un sopracciglio. «Bene, sei stato tu a chiedere» borbottò. Ryan scosse la testa. La prima sensazione che aveva avuto quando l'aveva incontrata si stava rivelando esatta. Quella donna significava guai. «Ogni tuo desiderio è un ordine» affermò. «Apparentemente, questa è la Lyn StoneMary – McBride
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frase della giornata per me» aggiunse, poi abbassò il vetro di separazione per dire all'autista di fermarsi al più vicino supermercato. «Ma dovrai cucinare tu» precisò, tornando a rivolgersi a Nina. «Io non so come si prepara il porridge.» Circa un'ora e tre soste a diversi supermercati dopo, Nina Caruso, la sua farina d'avena, le bustine di tè verde e qualche pacchetto di biscotti, erano al sicuro nell'appartamento adiacente al suo. Lei era libera di mangiare quella sorta di colla da parati e di riposare. Lui, invece, doveva trovare il modo di risolvere il suo caso nonostante le continue intrusioni della graziosa signorina. E doveva farlo nonostante gli si chiudessero gli occhi per il sonno, perché gli ordini del re erano gli ordini del re. Almeno l'incombenza gli aveva impedito di sprofondare in quella depressione in cui cadeva inevitabilmente dopo ogni visita all'obitorio. Un motivo almeno per essere grato a Nina Caruso, ragionò. Una donna che non aveva mostrato nessuna particolare emozione dopo aver visto il corpo senza vita del fratello. Oh, certo, aveva pianto un po', ma nulla di molto incisivo, possibilmente anche una semplice messa in scena, decise mentre entrava nel suo ufficio. Per le ore seguenti, si dedicò agli altri casi, fece qualche ricerca su Internet e riuscì anche a non pensare a Nina. Poi, alle sei, ricevette la telefonata di Joe. «Guardi il notiziario in televisione, capo» gli consigliò l'investigatore. Stavano trasmettendo un servizio su Nina, scoprì Ryan. Il giornalista affermava che quella era la sua prima visita a Montebello, che era lì per fare in modo che l'indagine sulla morte di suo fratello procedesse in modo spedito e accurato, e per offrire il suo aiuto. Qualche parola spesa per enfatizzare il dolore della donna per la grave perdita subita, e il servizio lasciò il posto a quello successivo. Ryan spense il televisore e si affrettò a richiamare Joe. Le telefonate fra i due fratelli Caruso erano state poche e brevi negli ultimi tempi, gli confermò quest'ultimo. L'ultima risaliva a due settimane prima, effettuata dal cottage di Desmond alla residenza di Nina a La Jolla, California. Per quello che riguardava un possibile movente di Nina, Joe non era riuscito a scoprire nulla. Vendetta o gelosia potevano essere prese in considerazione. Avidità forse, ma Nina era intestataria di un sostanzioso Lyn StoneMary – McBride
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conto in banca e di investimenti economici molto redditizi. Esisteva un'assicurazione sulla vita che era stata accesa dal padre quando Desmond era bambino. Ora, ovviamente, il premio sarebbe stato riscosso da Nina, ma bastava questo per indurre una donna a organizzare l'assassinio del proprio fratello? No, decise Ryan. Glielo suggeriva il suo istinto, e il suo istinto non sbagliava mai. Quando le telefonò verso le sette per proporle di cenare insieme, non ottenne risposta. Bene, pensò, infine Nina doveva essersi arresa alla stanchezza. Meglio così, decise, ignorando volutamente la lieve punta di delusione causata dalla consapevolezza di non poterla rivedere fino alla mattina seguente. Forse però avrebbe fatto meglio a passare da lei per controllare che tutto andasse per il meglio, ipotizzò. Forse Nina era crollata in seguito a una tardiva reazione emotiva agli eventi della giornata. Forse in quel momento era sola e disperata, in preda a un pianto convulso. Si alzò dalla poltrona e, quasi senza rendersene conto, infilò la giacca e uscì dall'ufficio. Appena rimasta sola, Nina si affrettò a pianificare il resto della giornata. Il tempo era prezioso, aveva preso un paio di settimane di ferie, ma il suo lavoro non poteva aspettare per sempre. Pensò a cosa avrebbe fatto mentre preparava il pranzo. Il riposo era necessario, su quello McDonough aveva ragione. Dunque, dopo mangiato, avrebbe dormito un'ora o poco più, poi avrebbe chiamato un taxi per farsi accompagnare al palazzo reale, e lì avrebbe cercato di scoprire come erano trascorsi gli ultimi giorni della vita di Desmond. Per ultimo, avrebbe letteralmente passato a setaccio la scena del crimine. Ormai la polizia scientifica doveva aver terminato i rilevamenti. Dubitava di essere in grado di scoprire qualche indizio che era sfuggito all'occhio attento dei professionisti ma, se non altro, vedere la casa di suo fratello, restare un po' nelle stanze dove lui aveva vissuto, poteva darle un'idea di quello che era diventato da quando loro due avevano smesso di frequentarsi regolarmente. Se Ryan si fosse alterato sapendo della sua escursione, poco male, decise Nina scrollando le spalle. Almeno così avrebbe capito che lei non era per nulla soddisfatta del ruolo minore che le stava assegnando Lyn StoneMary – McBride
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nell'ambito delle indagini. Finito di mangiare, lavò i piatti, entrò in camera da letto, si tolse le scarpe e si distese sul morbido divano blu. Le piaceva l'appartamento che le era stato riservato. L'efficienza vinceva sulla eleganza, la pratica sull'estetica. Le somigliava molto. Si chiese se Ryan McDonough gradisse allo stesso modo la sua abitazione. Prima di addormentarsi, cercò di indovinare che tipo di arredamento sarebbe stato più adatto ai suoi gusti. Si risvegliò alle sette e mezzo, sconcertata nel rendersi conto che aveva dormito per gran parte della giornata. In tutta fretta fece una doccia e indossò una giacca blu e una gonna di seta. Scelse le scarpe dal tacco più basso che possedesse, carine ma comode, adatte per camminare. Vestita così aveva un aspetto del tutto professionale, decise osservando la sua immagine riflessa allo specchio, come ogni investigatore privato di rispetto doveva avere. Non abbastanza elegante per cenare alla reggia insieme alla famiglia reale, ma in ogni caso non aveva alcuna intenzione di imporre la sua presenza al re Marcus e a sua moglie. Anzi, avrebbe fatto del suo meglio per evitarli. Sua intenzione era parlare con i servitori che si erano occupati di Desmond, spiegare loro cosa aveva bisogno di sapere e precisare che stava collaborando con l'investigatore McDonough. Poi, avrebbe perquisito il cottage. Pur conoscendolo da meno di un giorno, aveva già deciso di non fidarsi di Ryan. A suo parere, aveva concluso l'esame della villetta un po' troppo velocemente, segno sicuro che non stava dando al caso la giusta importanza. Le aveva offerto il suo sostegno morale durante la visita all'obitorio, ma non le era sembrato per niente tranquillo. Diavolo, aveva persino omesso di porre domande pertinenti al medico legale. A volte aveva colto in lui un lampo di umorismo, ma per il resto il suo comportamento era, a dir poco, brusco. In conclusione, l'uomo era un groviglio di contraddizioni, un enigma, stabilì, che non era certa di voler risolvere. Telefonò alla compagnia dei taxi per ordinare una vettura, e quando il campanello squillò pochi minuti dopo, lei si avviò immediatamente verso l'ingresso, compiaciuta per la celerità del servizio. Il suo cuore ebbe un tuffo quando aprì la porta. «McDonough!» esclamò. Lui sorrise. «Stai andando da qualche parte?» Lyn StoneMary – McBride
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«Uh... A cena fuori» inventò Nina alla svelta. «Vengo con te» concluse lui. Ryan non riusciva a immaginare quali erano state le intenzioni di Nina. Se avesse usato il cervello a dovere, avrebbe finto di non notare il fatto che era vestita di tutto punto, le avrebbe chiesto se stava bene e augurato subito dopo la buonanotte. Ma poiché era anche possibile che la sua vera meta fosse un ristorante, si era sentito quasi obbligato, in qualità di ospite, ad accompagnarla per offrirle compagnia. Forse si stava fidando troppo di lei, concedendole il beneficio del dubbio. Vero, il suo istinto gli suggeriva che lei non era coinvolta nell'omicidio ma, considerando l'attrazione che quella donna esercitava su di lui, il suo istinto con ogni probabilità stava prendendo un abbaglio. «Sceglieremo un locale vicino» decise, determinato a concederle il tempo necessario per andare ovunque avesse pianificato di andare. Lui l'avrebbe seguita, ovviamente. Era il suo lavoro, dopotutto. «Faresti bene ad andare a dormire presto, così potrai riposare.» «Sì, hai ragione» confermò Nina, evitando di guardarlo negli occhi, la parola colpa scritta a lettere cubitali sul suo viso. «Sto aspettando un taxi» aggiunse. Ryan sorrise cordialmente. «Lo aspetteremo insieme.» In realtà, la sua auto era parcheggiata a pochi metri di distanza, ma Nina non l'aveva mai vista ed era meglio così, almeno per quella sera. «È arrivato» annunciò dopo pochi istanti, quando una berlina bianca imboccò il viale di accesso al condominio. La prese per un braccio e la condusse verso la vettura. Il conducente era già sceso e stava solertemente aprendo lo sportello. «Salve, Luigi. Come sta tua moglie?» lo apostrofò Ryan. «Bene, signore. Abbiamo avuto da poco un altro figlio.» «Congratulazioni, amico!» Ryan batté una mano sulla spalla dell'uomo. «È il quinto, giusto?» L'autista annuì. «Quattro maschi e una femmina» precisò. «A Montebello ci conosciamo tutti» spiegò Ryan a Nina, notando l'espressione interrogativa che era apparsa sul suo viso. «I soli estranei sono i turisti e gli uomini di affari che vengono qui per partecipare a congressi e a incontri professionali.» Nina non replicò, ma lui capì subito di aver commesso un errore fornendole quell'informazione. Ora, con ogni probabilità, avrebbe evitato Lyn StoneMary – McBride
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di chiamare un taxi per timore che lui scoprisse la sua destinazione. Sempre se aveva intenzione di andare dove lui non doveva sapere che andasse, ovviamente. Il pensiero comunque servì a risollevargli il morale. Era tornato in pieno possesso della sua obiettività, si stava comportando come un investigatore privato doveva fare. Un sospettato andava trattato come tale, anche se il sospettato in questione era una donna che momentaneamente gli aveva fatto perdere la capacità di ragionare con lucidità. «Ti piace la cucina cinese?» chiese, speranzoso. «No, niente di orientale» rispose Nina. «Per favore, non dirmi che mangi solo farina d'avena, altrimenti saremo costretti al digiuno.» «Mi piace la cucina italiana.» «Allora siamo fortunati. Luigi, portaci da Pirandello» ordinò all'autista. L'uomo aspettò che si accomodassero sul sedile posteriore, richiuse lo sportello e si sistemò al posto di guida. «Hanno assunto da poco un nuovo cuoco» poi informò Ryan. «Dovete assaggiare i suoi tortellini.» «Sarà fatto. Spero che tu sia di buon appetito» disse Ryan guardando Nina. «Mi annoiano i commensali che si limitano a spizzicare il cibo.» «Bene, di sicuro non ho alcuna intenzione di annoiarti» borbottò lei. Ryan scoppiò a ridere, felice di aver ripreso il pieno controllo della situazione. Nina Caruso era bella, d'accordo, concesse mentre la guardava di soppiatto. Lo attraeva un poco. No, onestamente lo attraeva molto. Ma quella mattina aveva affrontato con più freddezza del solito la visita in obitorio, il che doveva significare che il suo cuore si stava indurendo, al punto che nulla poteva più ferirlo. Se avesse scoperto che Nina era il mandante dell'omicidio del fratello ne sarebbe rimasto deluso, ovvio, ma avrebbe continuato il suo lavoro, facendo in modo di incriminarla come avrebbe fatto con chiunque altro. I sentimenti non erano eterni, ormai lo aveva capito. Bastava respingerli e sostituirli con uno scopo. Arrendersi alle emozioni comportava un rischio enorme, aveva capito anche quello e nel modo più doloroso possibile. «Perché ridi?» volle sapere Nina. «Niente, stavo solo pensando che ho fame. Ho saltato il pranzo, a volte sono così impegnato con il mio lavoro da dimenticare di mangiare.» Lyn StoneMary – McBride
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Non avrebbe dimenticato però come doveva porsi nei confronti di Nina Caruso, promise a se stesso. O come non avrebbe dovuto porsi. Solo facendo appello a tutta la sua volontà, Nina riuscì a fare onore alla cena. L'arrivo improvviso di McDonough aveva fatto saltare tutti i suoi piani. Ormai sarebbe arrivata al palazzo troppo tardi per interrogare i servitori, anche se il sopralluogo al cottage era ancora possibile. Dunque, appena Ryan la salutò sulla soglia della porta, si affrettò ad entrare in casa e a telefonare a una diversa agenzia di taxi. Chiese all'autista di lasciarla nei pressi dei cancelli della reggia, poi si avvicinò a uno dei militari di guardia e gli porse la sua autorizzazione. L'uomo la osservò, controllò il passaporto e le chiese di aprire la borsa. «Vuole che chiami un'automobile per farla condurre al palazzo?» propose poi con gentilezza. «È un po' lontano da qui.» Nina sorrise. «No, grazie, è una serata così bella, preferisco camminare. E' permesso, vero?» «Certo. Posso chiederle il motivo della sua visita, in modo che potrò darle precise indicazioni sulla direzione da seguire?» «Il mio fratellastro era il nipote del re. È stato ucciso, immagino che lei ne sia informato. Una delle sue cameriere mi ha chiesto di incontrarla. Vuole parlarmi di lui.» «Ah, certo, una vera tragedia... Le mie condoglianze, signorina.» «Grazie» replicò Nina, un po' sorpresa di aver avuto così facilmente accesso al parco che circondava la reggia. Si incamminò lungo il viale che costeggiava il cortile, al centro del quale si ergeva un'enorme fontana illuminata. Si girò per guardare il militare al cancello un paio di volte poi, approfittando di un suo attimo di disattenzione, attraversò di corsa una delle aiuole fiorite, in direzione del cottage di Desmond. Adesso che era sola, invece di sentirsi al sicuro come aveva previsto, provò una forte sensazione di vulnerabilità. Sobbalzava a ogni rumore, e impiegò più di mezz'ora per orientarsi e per localizzare infine la villetta bianca di Desmond. Giunta in prossimità della ringhiera che ne delimitava il giardino, si nascose dietro un albero e aspettò. Un paio di militari passarono poco distante da lei. Chiacchieravano fra loro e sembravano non porre nessuna attenzione a ciò che li circondava. Le luci nel cottage erano spente e apparentemente non c'era nessuno di guardia alla porta. Per Lyn StoneMary – McBride
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maggiore cautela, decise di controllare anche quella sul retro prima di entrare ma, a quel punto, non le importava molto se anche fosse stata scoperta, perché grande sarebbe stata la sua soddisfazione nel comunicare a McDonough che il suo servizio di sicurezza non aveva impedito persino a lei di arrivare sulla scena del crimine. A testa china, raggiunse di corsa il balcone del portico e spinse uno degli infissi. Una volta dentro, si tolse le scarpe e le raccolse. I raggi della luna che filtravano dalle finestre erano sufficienti per illuminare l'ambiente. Aveva una torcia elettrica in borsa, ma non voleva usarla a meno che non fosse stato assolutamente necessario. Il posto le apparve disadorno, quasi fosse stato appena costruito e nessuno vi avesse ancora abitato. Il pavimento era freddo sotto i suoi piedi. Nina abbassò lo sguardo e scoprì che qualcuno doveva aver arrotolato e riposto i tappeti persiani che aveva visto quella mattina. Forse McDonough aveva ordinato di sottoporli a ulteriori test, in cerca di qualche traccia. In quel caso, decise, sarebbe salito di un gradino nella scala della sua stima. Si avvicinò lentamente al posto dove era stato rinvenuto il cadavere di Desmond. Il sangue, dopo aver inzuppato il tappeto, aveva lasciato tracce anche sul marmo. Nel tentativo di osservare la macchia da più vicino possibile, Nina si allontanò dalla parete e si diresse verso il centro della stanza. «Ouch!» esclamò. Si chinò per guardare cosa le aveva punto la pianta del piede, un chiodo con ogni probabilità. Cercò la torcia in borsa e illuminò il pavimento. Un orecchino! Aveva trovato un orecchino, un vero indizio! Ovviamente, poteva appartenere a un'amica, o essere lì da anni. Comunque, era sfuggito al Signor Investigatore, e questo era già molto. Ora sarebbe stato costretto ad ammettere che aveva bisogno di lei e della sua collaborazione per il buon fine delle indagini. Infilò l'orecchino nella taschina della borsa, ripose la torcia e riprese la sua ricerca. La casa era più grande di come appariva dall'esterno. La seconda camera da letto in cui entrò era la più ampia, probabilmente quella di Desmond. Nulla di strano lì, almeno per quello che riuscì a vedere. I cassetti e il guardaroba erano stati vuotati. Tutti i ripiani era coperti da una lieve Lyn StoneMary – McBride
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polvere, quella usata per rilevare le impronte digitali, ipotizzò. Era accanto alla porta del bagno quando sentì il rumore. Gli infissi del balcone cigolarono. Doveva trattarsi del militare incaricato della ronda di guardia, suppose. Rimase in ascolto per qualche istante poi, il più silenziosamente possibile, entrò in bagno, richiuse la porta alle sue spalle e si nascose nella cabina doccia. Accidenti? E le scarpe? Dove le aveva lasciate? Accanto al divano? Il cuore le batteva in petto così velocemente da farle temere che chiunque avrebbe potuto sentirlo. Doveva essere un soldato durante il suo giro di controllo, si disse ancora, però le luci non erano state accese. E quale motivo avrebbe avuto un soldato autorizzato per restare al buio? Nina rimase immobile mentre i secondi trascorrevano con penosa lentezza. Gocce di sudore le imperlarono la fronte. Schiuse le labbra nel tentativo di respirare con regolarità. Di ansimare, per la precisione. Non era il momento più adatto per lasciarsi andare a una crisi isterica, redarguì se stessa. Stai calma. Aspetta che lo sconosciuto vada via, torna in salone, recupera le scarpe e scappa veloce come il vento... Rumori soffocati che provenivano dalla stanza da letto la indussero ad appiattirsi ulteriormente contro la parete della cabina doccia. Trattenne il respiro fin quando la testa iniziò a girarle. E quando permise all'aria di raggiungere nuovamente i suoi polmoni, percepì un odore acre e inconfondibile. Fumo! La casa stava andando a fuoco. Preda del panico più totale, Nina balzò fuori della cabina. Raggiunse la porta e toccò la maniglia, solo per ritrarre la mano di scatto. Era bollente, e ormai distingueva forte e chiaro il ruggito delle fiamme. Guardò la finestra. Apparentemente non poteva offrirle una via di scampo. Era troppo piccola perché lei potesse passarci, ma almeno doveva provare. Aprì il vetro, infilò la testa e una spalla, urlò con quanto fiato aveva in gola. Terrorizzata, continuò a gridare anche quando la gola iniziò a bruciarle. Sentì il suono acuto di una sirena. C'erano persone che correvano verso il cottage, due uomini si dirigevano verso di lei. McDonough urlò qualcosa, ma lei non riuscì a distinguere le sue parole. «Sono qui!» gemette. «Aiuto! Sono incastrata!» Lyn StoneMary – McBride
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Ryan e l'altro uomo trascinarono una panchina di ferro sotto la finestra. Vi salirono sopra e tirarono con forza l'infisso fin quando cedette. L'afferrarono per le spalle, poi rotolarono sul prato quando infine i suoi fianchi riuscirono a passare attraverso il varco. Un secondo dopo, Ryan era già in piedi. La prese per mano e letteralmente la trascinò verso il cancello, lontano dalla casa in fiamme. Strano, ma il suo unico pensiero fu per l'orecchino. Nina alzò una mano per sfiorare la tracolla della borsa appoggiata alla spalla. Sospirò di sollievo. La borsa era ancora lì. Non aveva perso il suo indizio. Sempre se di indizio si trattava.
4 Senza tante cerimonie, Ryan la spinse sul sedile posteriore di un'automobile. «Sei ferita?» chiese poi. Le prese le mani e le avvicinò al viso, poi respirò a fondo. Una cosa ben strana da fare, pensò Nina. «No, non credo» replicò ritraendo le mani, la voce resa roca dal fumo e dal tanto urlare. La gola le bruciava, i fianchi erano doloranti. Abbassò la testa e vide un taglio su un polpaccio. Era profondo, ma non importava. Importava solo che fosse sfuggita a quella trappola di fuoco. «Stai sanguinando» affermò Ryan, seguendo con gli occhi la direzione del suo sguardo. Senza esitare, le infilò le mani sotto la gonna e le tirò giù i collant. Nina non pensò nemmeno di obiettare, mentre lui gettava via le calze e rimetteva a posto la gonna. «È un taglio superficiale, ma deve essere medicato» sentenziò. «Ascoltami bene» disse poi, guardandola. «Hai visto qualcuno all'interno del cottage?» «No. Ho sentito dei rumori, ma non ho visto nessuno.» «Non sei stata tu ad appiccare il fuoco.» Non era un'affermazione.. Era una domanda. «Ovviamente, no!» esclamò Nina, sconcertata. Cingendole la vita con un braccio, Ryan l'aiutò a raggiungere Lyn StoneMary – McBride
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un'ambulanza, che era stata parcheggiata a pochi passi di distanza. «Tu aspettami qui, d'accordo?» disse Ryan dopo averla fatta salire nella parte posteriore. «Torno fra un minuto.» Nina annuì e si arrampicò sulla barella. Era esausta, e spaventata. Ma chiunque fosse il piromane, non avrebbe osato uscire allo scoperto con tanta gente intorno, giusto? Nella confusione, però, nessuno lo avrebbe notato. Un paramedico si avvicinò all'ambulanza. Ancora qualche istante, e si sarebbe ritrovata sola con uno sconosciuto. In fin dei conti, chiunque poteva rubare un camice bianco. Smontò in fretta dal veicolo. «McDonough!» urlò. «Ryan!» Ma dove era finito? Dove era andato? Due forti braccia l'afferrarono, e lei reagì immediatamente, pronta a lottare. «Nina, calmati, sono io. È tutto a posto.» Ryan la indusse a girarsi in modo che lei potesse guardarlo in faccia. «Vedi? Ora sei al sicuro.» Nina si aggrappò al suo collo. «Non andartene» gemette. Ryan la sollevò fra le braccia. «Tranquilla, ora torniamo in ambulanza. Prometto che resterò con te, d'accordo?» Lei annuì, il viso premuto contro la sua giacca. «Per fortuna eri qui» sospirò, poi un pensiero improvviso le attraversò la mente. «Ma perché eri qui?» chiese con tono di voce più fermo. «Come hai fatto ad arrivare così velocemente?» «Ti seguivo. Ho solo lasciato il guinzaglio troppo lungo.» «Guinzaglio? Cosa credi che io sia, un cane?» «Ora non ti agitare, per favore. Mi hai preceduto di soli pochi minuti, ma sei riuscita comunque a confondermi» spiegò Ryan. «Da quello che mi ha riferito il militare di guardia al cancello, credevo che ti fossi recata al palazzo per fare qualche domanda in giro. Quando ho scoperto che invece non eri lì, l'allarme antincendio ha iniziato a suonare. Ora stai zitta. Ne parleremo in un altro momento, questo è sicuro.» «Va bene» si arrese lei, poi vide un uomo camminare verso di loro e, allarmata, lo indicò. «Calmati» la esortò Ryan per l'ennesima volta. «È il dottor Chiara, il medico del palazzo.» Di nuovo la fece salire in ambulanza, poi la lasciò per qualche istante per parlare con il dottore. Nina cercò di sentire quello che stavano dicendo, ma il rumore inghiottiva le loro parole. Comunque, pochi istanti dopo, il Lyn StoneMary – McBride
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medico la visitò, le somministrò ossigeno e le praticò un'iniezione. «Sarebbe meglio se trascorresse la notte in ospedale» affermò il dottor Chiara. «No» replicò Nina, «io voglio tornare subito al mio appartamento.» «Non credo che avrà problemi» riprese il medico, rivolgendosi a Ryan, «però sarà meglio se la terrai d'occhio. In caso di difficoltà respiratorie, accompagnala subito al Pronto Soccorso.» Ryan annuì. «Lo farò, Nick. Grazie.» Aspettò che il medico le fasciasse il polpaccio, poi la sollevò di nuovo fra le braccia e la portò in auto. «Certa di non volere andare in ospedale?» chiese, mettendosi alla guida. «Assolutamente.» «Testarda come un mulo.» Era in collera, ovvio, ma almeno stava avendo una reazione moderata, notò Nina. Che avrebbe avuto un seguito, ovviamente, capì quando, invece di avviare il motore, si voltò e la guardò in silenzio per qualche istante. Avrebbe anche voluto dire qualcosa, ma si sentiva stanca, confusa, assonnata. «Che cosa c'era nella fiala che mi ha iniettato il medico?» biascicò. «Antibiotici» ripose Ryan. «Non dovevi essere nel cottage» aggiunse. «Ti rendi conto che sei quasi riuscita a farti ammazzare?» «Volevo stare un po' da sola dove mio fratello ha vissuto» mormorò Nina. «Ma, credimi, non ho acceso alcun fiammifero.» Ryan non replicò, un silenzio che la spinse a insistere. «Giuro di non averlo fatto» riprese Nina. «Volevo capire cosa aveva provato Desmond, cosa aveva pensato... Solo che non c'era niente di lui nel cottage.» Lacrime inaspettate le rigarono le gote. Con un gesto stizzoso, le asciugò con il dorso di una mano. «E poi...» «Hai visto qualcosa?» la esortò a continuare Ryan. «No, niente. Ero nella stanza da letto, ho sentito cigolare gli infissi del balcone. Mi sono nascosta in bagno, esattamente nella doccia. Poi ho sentito l'odore del fumo.» «Chiunque abbia appiccato il fuoco ha usato un accelerante, altrimenti l'incendio non si sarebbe esteso così velocemente.» «Mi hai annusato le mani, dunque mi ritenevi responsabile» osservò Nina con tono amaro. Avrebbe desiderato reagire con maggiore decisione. Era però troppo stanca per farlo. «E ora so che non lo sei» ragionò Ryan. «Devi andare a letto.» Lyn StoneMary – McBride
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«Tu resterai con me?» chiese lei. Il lieve sorriso che incurvò le sue labbra esprimeva più rassegnazione che rassicurazione, notò Nina. «Sì, resterò con te» confermò lui. «Grazie.» Nina appoggiò la testa allo schienale del sedile e chiuse gli occhi. Solo vagamente si rese conto che l'auto si era messa in marcia, per poi fermarsi nuovamente. Sentì Ryan parlare con qualcuno, ma non riuscì a decifrare il senso delle sue parole. Domani gli avrebbe mostrato l'orecchino, decise, così finalmente avrebbe considerato la sua collaborazione con maggiore serietà. L'auto riprese a muoversi, sempre più velocemente, e in breve la confusione svanì in distanza. Sbadigliò, cercò di aprire gli occhi e non ci riuscì. «Non era antibiotico» mormorò. «Infatti.» «È contro la legge.» «Domani mattina potrai denunciarmi.» Era una risata quella che aveva sentito? Ryan si stava divertendo alle sue spalle? «Trovato... Un indizio» balbettò Nina. «Cosa? Cosa hai trovato?» Dunque adesso aveva la sua completa attenzione. Nina girò il viso verso il finestrino e si esibì in un lieve russare. Qualche istante ancora, e la finzione sarebbe diventata realtà. Così, almeno, non avrebbe corso il rischio di sorridere. L'aroma del caffè appena fatto doveva bastare a farla svegliare, pensò Ryan agitando una tazza sotto al naso di Nina. Infatti, un piccolo sospiro sfuggì dalle sue labbra, girò la testa sul guanciale, poi aprì gli occhi lentamente. Un fremito di anticipazione increspò la pelle di Ryan. Nina avrebbe dovuto avere un aspetto dimesso, esausto dopo le disavventure della sera prima. Invece sembrava una donna che aveva appena condiviso con il suo uomo una notte di sesso selvaggio. Una descrizione però che non le si addiceva, ragionò. Lei era troppo semplice, troppo inconsapevole della sua sensualità per vestire i panni di una emme fatale. Respirò a fondo e cancellò quei pensieri dalla sua mente. «Coraggio, Nina, svegliati» la incoraggiò. «Io devo lavorare, ma non posso farlo se tu Lyn StoneMary – McBride
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continuerai a dormire per tutto il giorno.» Pigramente, Nina si appoggiò su un gomito. Con la coda dell'occhio, Ryan colse il movimento, notando che le lenzuola le erano scivolate verso la vita. Era stato lui a spogliarla prima di metterla a letto, lasciandole addosso solo il reggiseno e lo slip. Proprio per quello aveva incontrato non poche difficoltà nell'addormentarsi, e c'era riuscito solo dopo ore trascorse a rigirarsi inquieto sul divano del salotto. La sua immaginazione aveva avuto la meglio sulla volontà, continuando a fornirgli immagini non richieste e non precisamente lecite. Non solo, ma la memoria gli aveva riproposto di continuo il brivido che aveva provato quando aveva sfiorato la sua pelle nuda. Si era trattato di un evento inevitabile, inavvertito e innocente, ovviamente. Riviverlo in un secondo momento e arricchirlo con la fantasia non lo era stato per niente. Come non lo erano i pensieri che gli affollavano la mente in quel momento, mentre guardava i suoi capelli arruffati, il suo viso deliziosamente assonnato. «Che ore sono?» mormorò Nina, allungando una mano per prendere la tazza. «Quasi le sette. Io sono sveglio già da due ore.» Nina sbuffò e ingoiò un sorso di caffè. «Questo è logico. Tu non sei stato drogato» puntualizzò. «Ora esci» aggiunse. Gli restituì la tazza e si mise a sedere, lasciando ciondolare le gambe fuori dal letto. «Devo cambiarmi.» Solo in quel momento sembrò rendersi conto di indossare un reggiseno di pizzo rosa e uno slip dello stesso colore, e null'altro. «Aspetta un attimo!» esclamò. «Chi mi ha tolto i vestiti?» Ryan arretrò fino a raggiungere la porta. «Tu cosa pensi?» «Pervertito» sbuffò lei. Afferrò il lenzuolo e lo tirò verso il mento, esponendo in questo modo un paio di gambe incredibilmente lunghe, affusolate e belle, nonostante la vistosa benda che spiccava su una di loro. «Ti denuncerò alla polizia, ecco cosa farò» aggiunse. «D'accordo, accanisciti pure contro la mia reputazione, se questo è quello che vuoi fare. Intanto io sto per andare a visionare ancora una volta le prove che sono state raccolte sulla scena del crimine. Volevo solo svegliarti prima di uscire di casa. Assicurati che la porta d'ingresso sia chiusa a chiave.» Lyn StoneMary – McBride
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Nina balzò in piedi, lasciando andare il lenzuolo e rinunciando a ogni tentativo di modestia. «Vengo con te» affermò. Il che era stato previsto. Ryan aveva già deciso che avrebbe fatto meglio a non lasciarla sola. Il fuoco era stato appiccato con l'intento di distruggere la scena del crimine, ma Nina aveva corso il rischio di perdere la vita fra le fiamme. Chiunque fosse entrato nel cottage doveva essersi reso conto della sua presenza, però questo non gli aveva impedito di appiccare l'incendio. Era una sua responsabilità fare in modo che non le accadesse nulla di male, e il modo migliore per tenere fede all'impegno era indurla a partire al più presto possibile dal Montebello. Ryan bevve quanto restava del caffè nella tazza e la guardò affrettarsi verso il bagno. «Dieci minuti» l'ammonì. «Non un secondo di più.» Si era preparato ad aspettarne trenta. Nina lo raggiunse in salotto dopo quindici, eppure aveva l'aspetto di una donna che aveva trascorso ore davanti allo specchio. Niente male, pensò, ricordando quanto invece ci impiegava... No, si disse, non lo avrebbe fatto, non sarebbe tornato indietro nel tempo. Eppure, per qualche strano motivo, il lampo di memoria non gli aveva dolorosamente trafitto il cuore come invece accadeva di solito. Anzi, aveva sorriso rammentando il tempo in cui era stato un marito, quando aveva atteso, impaziente, Kath che si sistemava i capelli e si truccava il viso prima di uscire. Scosse la testa, decidendo di rimandare ogni riflessione a riguardo a quando sarebbe stato solo. «Che ne hai fatto della mia borsa?» domandò Nina. Ryan indicò una sedia accanto alla porta. «Lo sai quale è la prima cosa che un buon poliziotto deve tenere d'occhio quando vigila su una donna?» «No, dimmelo tu.» «La sua borsa. Una donna non fuggirebbe mai senza la borsa.» «Che discorso maschilista» protestò lei. «Tu usciresti di casa senza il tuo portafogli?» Ryan annuì. «Hai ragione» concesse. «Pronta per metterti al lavoro?» «E tu sei pronto per esaminare una nuova prova?» replicò lei, tendendo in avanti i pugni chiusi. «Quella di cui mi hai parlato ieri sera» ipotizzò Ryan. «Fammi vedere. Questa notte non sono riuscito a dormire pensandoci.» Un pensiero fra gli altri, ovviamente, che però lo aveva indotto a frugare nella sua borsa e fra i Lyn StoneMary – McBride
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suoi vestiti. «Era quello che volevo. Ma ora devi indovinare, quale mano?» lo provocò lei. Le bastò una sola occhiata, ma molto significativa di Ryan, per tralasciare lo scherzo. Aprì un pugno. «Un orecchino» affermò lui prendendolo. «E non è tuo, suppongo.» Quando lo aveva visto, aveva immaginato il contrario. «No, non è mio. Ci ho messo il piede sopra ieri sera, nel salotto del cottage.» «Dove, con precisione?» «A pochi passi dalla macchia di sangue. Lo so che i poliziotti e i tuoi uomini hanno frugato la stanza da cima a fondo, ma questo è così piccolo... Forse era intrappolato nella trama del tappeto ed è caduto quando il tappeto è stato arrotolato. Pensi che sia importante?» «Potrebbe» concesse Ryan, osservando il monile, composto da una medaglietta sospesa mediante sottili catenelle di oro bianco a una sfera dello stesso materiale. «Ma, se anche sarà possibile rilevare impronte digitali, probabilmente saranno le tue.» «Ho pensato che fosse soltanto un chiodino, altrimenti avrei fatto maggiore attenzione. Scusami.» «Non è colpa tua. Lo controlleremo comunque.» Ryan entrò in cucina, cercò in un cassetto un rotolo di pellicola trasparente e avvolse l'orecchino. «Mi piacerebbe sapere da quanto tempo era nel cottage» mormorò sovrappensiero. «Posso dirti io come fare per scoprirlo» affermò Nina, l'espressione sul viso di chi la sapeva lunga. «Come?» Lei gli prese l'orecchino di mano e lo esaminò. «L'ho riconosciuto appena l'ho visto» spiegò. «Sai a chi appartiene?» domandò Ryan, il tono della voce incredulo. «No, ma so da dove viene, almeno credo di saperlo. In aereo, le hostess distribuivano cataloghi della merce che poteva essere acquistata senza tasse durante il volo. Erano offerti orecchini identici a questi. Li ho notati perché mi sono piaciuti molto e sono stata sul punto di comprarli, ma il prezzo era spropositato rispetto all'effettivo valore.» Ryan sorrise. «Dunque adesso ci tocca scoprire chi stampa il catalogo, chi produce gli orecchini, su quali linee aeree si vendono e esaminare tutte le ricevute delle carte di credito usate per acquistare orecchini negli ultimi Lyn StoneMary – McBride
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tempi» concluse. «Precisamente. Allora?» «Allora cosa?» replicò lui, infilando il gioiello nella tasca della sua giacca. «Non devi dirmi nulla? Come grazie, oppure ben fatto, o qualcosa del genere?» «Qualcosa del genere» optò Ryan. «Del tipo, ti offro la colazione.» «Tutto qui?» replicò Nina, un'espressione delusa sul viso. Ryan la spinse gentilmente verso la porta. «Dopo la colazione, credo che ti mostrerò il laboratorio» concesse. «Adesso mi permetterai di aiutarti?» volle sapere lei. «Voglio dire, di aiutarti davvero. Mi considererai alla stregua di un collaboratore e non di una spina nel fianco?» «Certo» la rassicurò Ryan mentre richiudeva la porta d'ingresso alle loro spalle. Come no, pensò. Se la signorina Caruso credeva davvero che aver inciampato accidentalmente in quello che poteva essere un possibile indizio le concedeva automaticamente la qualifica di investigatore professionista, si sbagliava di grosso. Qualcuno era quasi riuscito a ucciderla solo poche ore prima, e lui non avrebbe più corso alcun rischio. Doveva parlare al re Marcus quella stessa mattina e chiedere di ordinare a Nina di ripartire immediatamente per gli Stati Uniti. Quello di cui aveva bisogno nell'immediato era di un posto sicuro dove lasciarla mentre lui sbrigava la faccenda. «Ti senti in grado di dare uno sguardo ai fascicoli?» le chiese. «Però alcuni sono costituiti principalmente da fotografie» l'avvertì. Uno sguardo dubbioso apparve negli occhi di Nina. «Dal momento che ho visto il corpo di mio fratello, immagino che qualche foto non mi turberà più di tanto. Ma tu cosa farai nel frattempo?» Ryan si incamminò verso il parcheggio, lo sguardo fisso davanti a sé mentre mentiva spudoratamente. «Farò delle ricerche sull'orecchino, cos'altro? Tu ti aggiornerai sul caso, io andrò in aeroporto. È inutile perdere tempo facendo insieme la stessa cosa.» Nina esitò appena un istante prima di annuire. Ryan trattenne a stento un sospiro di sollievo. Certo, quando Nina avrebbe saputo che lui aveva convinto il re a rispedirla a casa, sarebbe andata su tutte le furie e non lo avrebbe mai perdonato. Sì, ma a lui cosa importava? Sicuramente loro due non si sarebbero più incontrati. Lyn StoneMary – McBride
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A quel pensiero, la depressione lo travolse con l'irruenza di un treno. Un fenomeno di cui era spesso vittima e al quale ormai si era abituato, ma in quel momento gli sembrò un po' differente. C'era la consapevolezza di una speranza infranta mista alla tristezza. Forse Nina avrebbe fatto ritorno a Montebello, una volta che l'indagine fosse terminata, magari per sfogare su di lui la sua frustrazione, o per portare dei fiori sulla tomba del fratello, o anche per visitare l'isola. In quel caso, avrebbe avuto la possibilità di spiegarle di aver agito solo nel suo interesse. Un'idea stupida. Nessuno di quei motivi avrebbe riportato Nina a Montebello. La storia con lei era conclusa ancor prima di essere iniziata, quello era un fatto. Meglio così, si disse. Erano passati anni da quando aveva intrattenuto una donna per più tempo di quello che le era necessario per rivestirsi. Così era adesso la sua vita, e così doveva continuare. Assorto in quei pensieri, non parlò fin quando giunsero alla stazione di polizia. Saliti al quarto piano, presentò Nina a Franz Koening, il suo dipendente specializzato in tecniche di laboratorio e genio dell'informatica. Koening era un uomo dal viso lungo e cavallino, completo di brufoli post adolescenziali e della fondamentale penna che faceva capolino dal taschino della giacca. Solo di recente aveva sostituito gli occhiali tondi e tenuti insieme dal nastro adesivo con un paio dalla forma quadrata e più moderna. E lo aveva fatto solo perché Joe lo aveva praticamente trascinato in un negozio di ottica. Franz era uno dei quei tipi in grado di ricostruire perfettamente un evento dalle tracce, e poi di dimenticare in un istante tutte le conclusioni cui era giunto. Ma erano state le sue capacità potenziali a fargli ottenere il lavoro. Quando si trattava di dare un significato anche al più insignificante degli indizi, Franz era imbattibile. Metterli insieme poi era compito di Ryan. «Franz è il nostro esperto in dettagli» spiegò a Nina. «Cataloga e dispone i tasselli del mosaico, tutti i tasselli del mosaico» precisò. «La signorina Caruso ha trovato una possibile prova» disse poi al suo uomo, porgendogli l'involucro trasparente che conteneva l'orecchino. «Fammi sapere al più presto cosa riesci a scoprire.» Franz prese l'orecchino, lo guardò attentamente, poi si mise alla ricerca della sua macchina fotografica. «La signorina Caruso resterà con te mentre io sbrigo qualche faccenda» Lyn StoneMary – McBride
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aggiunse Ryan. «Deve leggere i rapporti preliminari della polizia scientifica. Spiegale tutto quello che deve sapere. Io tornerò a prenderla fra un paio di ore.» «D'accordo» confermò Franz. «Se hai bisogno di me, chiamami sul cellulare.» Ryan prese un foglietto dalla scrivania e scribacchiò un numero, poi lo porse al suo dipendente. «Questo è un recapito alternativo» aggiunse, sapendo che avrebbe dovuto spegnere il telefono durante l'udienza con il re. «D'accordo» disse di nuovo Franz. Prese il foglio e lo appoggiò accanto al microscopio. Ryan aprì lo schedario, cercò le cartelle e le consegnò a Nina. Lei si guardò intorno in cerca di un posto dove sistemarsi e scelse una piccola scrivania accanto alla finestra. Bene, pensò Ryan. Aveva trovato il modo per tenerla occupata mentre lui si recava al palazzo. Aspettò che Franz scattasse qualche foto istantanea all'orecchino, che lui avrebbe mostrato ai responsabili delle varie compagnie aeree, poi gli lanciò un'occhiata carica di significati, alla quale l'uomo replicò annuendo. Nina, gli occhi incollati sulla pagina che stava leggendo, si limitò ad alzare una mano per salutarlo quando lui le passò accanto. Colto da un'inaspettata sensazione di disagio, Ryan si fermò. «Interessante?» si informò. Lei annuì. «Dopotutto, devo ammettere che voi altri vi siete dati da fare» commentò. «Qui ci sono più informazioni di quanto mi aspettassi.» Ryan scrollò le spalle con noncuranza. «Se hai bisogno di qualcosa, chiedi pure a Franz.» Indicò Koening, il quale sembrava così assorto nel suo lavoro da non rendersi nemmeno conto se il soffitto stesse per crollargli in testa. «Interrompilo, non farti scrupoli» aggiunse. «Va bene» confermò Nina, poi tornò a dedicare la sua attenzione al rapporto che stava leggendo.
5 Dopo una attesa che era durata più di quanto lui avesse previsto, Lyn StoneMary – McBride
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finalmente Ryan vide il principe Lucas uscire dall'ufficio del re per andargli incontro. «Salve, McDonough» esordì quest'ultimo. «Sua Altezza» replicò Ryan, stringendo la mano che l'altro uomo gli aveva teso. «Inutile dirlo, è un sollievo rivederla. Siamo stati tutti preoccupati durante la sua assenza e felici quando ha fatto ritorno a casa.» Il viso del principe era triste, lo sguardo assente, anche se l'ombra di un sorriso incurvava le sue labbra. «Sì, è stato un anno lungo e difficile, per fortuna è tutto finito» commentò. Una luce smarrita gli illuminò gli occhi. Scosse la testa e chinò le spalle. «Si sente bene?» chiese Ryan, preoccupato. Immediatamente il principe raddrizzò la schiena, assumendo di nuovo un atteggiamento regale. «Benissimo, e lei?» replicò. «Lorenzo mi ha detto di averle affidato le indagini sulla morte di Desmond. Come procedono? Ho saputo che ieri sera un incendio ha raso al suolo il cottage. Immagino che un incidente simile sia di serio intralcio per la sua investigazione.» «Infatti» confermò Ryan. «Bene, le auguro buona fortuna.» Lucas si fece da parte e gli indicò la porta dalla quale era appena uscito. «Mio padre è pronto per riceverla, dunque non la trattengo oltre.» Detto ciò, si voltò e si allontanò senza aggiungere una sola altra parola. Ryan lo osservò camminare lungo il corridoio, spalle curve, mani infilate nelle tasche dei pantaloni, l'andamento che mancava di una qualsiasi energia. Probabilmente era ancora angustiato dai problema conseguenti la sua brutta avventura, ipotizzò. Ryan scrollò le spalle. Di problemi da risolvere lui ne aveva già troppi per prendere in considerazione anche quelli del principe, decise. Il segretario personale del re apparve sulla soglia della porta e gli fece cenno di accomodarsi. Infine ammesso alla presenza di Marcus, Ryan venne meno alle sue convinzioni e chinò la testa con fare cerimonioso. Diavolo, si sarebbe persino messo in ginocchio se era quello che serviva per convincere il re ad allontanare immediatamente Nina. «Buongiorno, amico mio» esordì il re Marcus, un sovrano saggio ed equilibrato, stimato dai suoi sudditi e dai governanti degli altri Paesi, dopo averlo osservato per qualche istante. «È qui a causa dell'incendio di ieri sera?» Lyn StoneMary – McBride
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«In un certo senso» ammise Ryan, poi decise di andare dritto al punto. «Sire, io ritengo che la vita di Nina Caruso sia in pericolo. La persona che ha appiccato il fuoco sapeva che lei era nascosta nel bagno. Nina sarebbe morta se io non fossi arrivato appena in tempo, e potevo anche non riuscire a salvarla se non fosse stata così magra da passare attraverso la finestra. Credo che lei dovrebbe rimandarla a casa prima che le capiti qualcosa di irreparabile.» Il re si sporse un po' sulla sua scrivania, le mani incrociate, tutta la sua attenzione rivolta a lui. «Forse la signorina Caruso non ha considerato le dimensioni della finestra dalla quale sarebbe stata costretta a scappare. Forse ha appiccato il fuoco per deviare da lei ogni sospetto.» «Vostra Maestà, non crederà davvero che Nina si sia esposta a un simile rischio di sua spontanea volontà!» esclamò. «Sappiamo con certezza che non si trovava a Montebello quando è stato commesso l'omicidio, e non ho trovato nessun motivo valido che sostenga la tesi che sia lei il mandante.» «Non ha preso in considerazione l'ipotesi di un complice? Forse la persona che Nina ha assunto ha deciso in un secondo momento di liberarsi di lei, magari perché la considera una minaccia adesso che è qui.» Marcus fece una pausa e l'osservò per qualche istante. «Io non escluderei nemmeno la pista dei suoi parenti italiani. I legami di sangue sono molto sentiti in alcuni posti. Desmond portava il cognome Caruso ma, dal punto di vista biologico, non faceva parte della famiglia. È possibile che Nina si sia rivolta a loro per sbarazzarsi di un fratellastro scomodo.» «In questo ragionamento c'è qualcosa che non funziona, cioè che Nina non aveva nessuna ragione per desiderare la morte di suo fratello» insisté Ryan. «Cosa ci avrebbe guadagnato, secondo lei?» «Il premio dell'assicurazione sulla vita e il fondo fiduciario che suo padre aveva intestato a Desmond, per dirne una. Non si tratta di somme esagerate, ma potremmo aggiungere la metà delle proprietà che mio nipote aveva ricevuto alla morte del padre di Nina. Lei era la sua unica figlia naturale, è anche possibile che abbia provato risentimento nel vedersi privata di una parte della sua legittima eredità.» Ryan scosse la testa. «A mio parere, nulla di tutto questo potrebbe giustificare un omicidio» ragionò. «Infatti è suo compito scoprire se la mia supposizione sia esatta o meno» precisò il re. «È venuta qui senza essere stata invitata, ha insistito per partecipare attivamente alle indagini. Questo non la rende Lyn StoneMary – McBride
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automaticamente una sospettata?» Sì, in definitiva la metteva al primo posto della lista dei possibili colpevoli. «Sembra che un uomo le abbia telefonato con lo scopo preciso di farla venire a Montebello» provò ancora Ryan. «Il perché non lo so ancora, ma gli eventi di ieri sera provano che qualcuno la vuole morta.» «Forse, o forse no.» «E' venuta qui solo guidata dalla lealtà che provava nei confronti del fratello» spiegò Ryan, chiedendosi perché mai si stesse opponendo alla volontà di un re per difendere una donna che conosceva a malapena. «Se fossi al suo posto, anche io pretenderei giustizia. Non lo farebbero tutti?» «È possibile che lei non si sbagli giudicandola innocente» ribadì il monarca. «Ma è mio compito recitare il ruolo dell'avvocato del diavolo. Tenga gli occhi aperti e segua le mie istruzioni. La arresti immediatamente se trova anche un minimo indizio di colpevolezza. In caso contrario, se la signorina Caruso è innocente, non sarà stato fatto alcun danno.» «Lei mi ha assunto per risolvere l'omicidio di suo nipote, sire. La presenza della signorina Caruso renderà questo molto più difficile. È una presenza in qualche modo fastidiosa» provò ancora Ryan. «Non è il tipo da restarsene in disparte mentre lei porta avanti le indagini, giusto?» Ryan annuì. «Giusto.» «Deve porsi una domanda, signor McDonough. L'istinto di protezione che ovviamente prova nei confronti di questa donna potrebbe oscurare il suo giudizio al punto di renderla cieco alla possibilità della sua colpevolezza?» Una domanda quella a cui aveva una pronta risposta. «Assolutamente no, di questo può esserne certo.» Il re sorrise. «Se non lo fossi, le avrei già tolto l'incarico» commentò. «Signore, io credo in tutta onestà che sarebbe meglio per tutti se lei ordinasse alla signorina Caruso di tornare subito negli Stati Uniti, e di rimanerci fin quando il caso sarà risolto» provò ancora Ryan. Marcus scosse la testa. «No, non ho intenzione di fare nulla di simile prima che lei determini con precisione se Nina è coinvolta o meno nell'omicidio di mio nipote» sentenziò. «L'estradizione diventerebbe difficile, se non impossibile, se fosse giudicata colpevole in un secondo momento. Ripeto, il suo improvviso arrivo mi ha turbato, e sono ancora convinto che sia stata lei ad appiccare il fuoco al cottage.» Lyn StoneMary – McBride
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«No. Non c'era odore di accelerante sulle sue mani. Non avrebbe avuto la possibilità di lavarsi per cancellare i residui, perché il sapone era stato sequestrato dai poliziotti della Scientifica e le condutture dell'acqua chiuse.» «Il rapporto indica che è stato usato petrolio.» «Il che significa che avrebbe dovuto procurarselo nel breve tempo in cui siamo rimasti separati, una probabilità inverosimile» affermò Ryan. «Se ne avesse prelevato un po' da un'auto in un parcheggio?» propose Marcus. «Le sembra una possibilità così remota?» «Non è stato trovato alcun contenitore. Nessun tubo o cose simili.» «Si sbaglia. Contenitori di plastica, sciolti dal fuoco, ovviamente. Una copia del rapporto dei vigili del fuoco è stata recapitata al suo ufficio.» Ryan si passò una mano fra i capelli. «È stata perquisita quando ha varcato i cancelli del palazzo. Braca ha interrogato il militare di guardia.» «Perché esclude l'ipotesi che abbia mentito alla guardia? Se il petrolio le fosse stato fornito da un complice? Purtroppo, ammetto che non è così difficile fingersi un turista e intrufolarsi nel parco. La realtà è un'altra» affermò il re. «Lei subisce il fascino di questa donna, il che è anche comprensibile, ma non deve permettere...» «Non è questo il punto» lo interruppe Ryan. «Vostra Grazia, lei questo lo sa bene!» Il re rimase in silenzio, l'espressione del suo viso illeggibile. Ryan passeggiò nervosamente per un minuto, alla frenetica ricerca di un elemento che potesse dimostrare in modo indiscutibile l'innocenza di Nina. «Ci sono le telecamere di sorveglianza» disse poi. «Appena sarà possibile visionare...» «Sono state recuperate poco fa. Il filmato è distrutto.» «Ascolti, la signorina Caruso ha persino rinvenuto un indizio nel cottage che era sfuggito all'esame della Scientifica» affermò Ryan. Il re annuì, allungò le braccia e appoggiò le mani sul piano dell'enorme scrivania. «Un orecchino, giusto, che poteva anche essere suo. Strano come questo particolare sia sfuggito non solo alla polizia ma anche a lei e ai suoi uomini, non crede anche lei?» Ovviamente Franz doveva aver divulgato la notizia, magari sollecitato da una telefonata del duca Lorenzo. «Ero venuto per comunicarle la cosa personalmente. Evidentemente il mio collaboratore ha agito con più sveltezza» borbottò Ryan. Lyn StoneMary – McBride
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«Non dove risentirsi del fatto che noi vogliamo essere costantemente informati» ragionò il re. «Nina Caruso rimarrà qui finché avremo tutte le risposte che ci servono» decise. «Tocca a lei trovare queste risposte.» A quel punto, Ryan poteva solo congedarsi. Fece un cenno con il capo e si avviò verso la porta. Per quello che riguardava l'inchino che il protocollo esigeva, non se ne parlava nemmeno. «Ancora una cosa, amico mio.» Ryan si fermò e si voltò. «Sì, Vostra Maestà?» «Io e mio nipote Lorenzo abbiamo piena fiducia nella sua competenza e nella sua obiettività. Sorvegli attentamente la signorina Caruso, perché è anche possibile che le sue ipotesi siano corrette e che lei corra dei seri rischi.» Lo sguardo di Ryan non vacillò mentre fissava il viso del re. «Lo farò anche se dovessi capire di aver sbagliato.» Mentre percorreva il corridoio che collegava l'ufficio del re con l'atrio, Ryan rifletté su quanto era stato appena detto. E non detto. Marcus non credeva nella colpevolezza di Nina più di quanto ci credesse lui. Doveva esserci un altro motivo per cui esigeva che la sorella di Desmond restasse a Montebello. Difficile se non impossibile però capire quale fosse questo motivo. Comunque, lui non aveva altra possibilità se non obbedire alla lettera agli ordini del re, e dunque sorvegliare Nina il più strettamente possibile. Non sarebbe stato difficile. La sua sicurezza gli stava a cuore quanto e più della risoluzione del caso. Qualcosa che non deponeva a favore della sua dedizione al lavoro, un lavoro che era stato la sua unica ragione di vita per anni, e che gli aveva impedito di scivolare in un pozzo oscuro e senza fondo. In quel momento erano in gioco la sua professionalità e la sua reputazione. La presenza di Nina al suo fianco richiedeva troppo della sua energia e della sua concentrazione, un altro ottimo argomento per rispedirla a casa di corsa. Ma poiché questo non sarebbe successo, doveva trovare la maniera per adeguarsi. In qualche modo, doveva mettere una distanza emotiva fra lui e Nina pur praticamente vivendo insieme a lei. Come diavolo ci sarebbe riuscito? Nina camminava in fretta verso la grande scalinata, i tacchi delle scarpe Lyn StoneMary – McBride
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che risuonavano sul pavimento di marmo. Era giunta a metà del percorso quando una grande mano si richiuse sul suo braccio. Non fu affatto sorpresa di ritrovarsi a guardare gli occhi verde-blu di Ryan McDonough che praticamente mandavano fiamme. D'altra parte, la possibilità di imbattersi in lui era stata anche la ragione della sua fretta. Se solo non avesse perso tanto tempo interrogando quei due militari, sarebbe riuscita a raggiungere l'ala residenziale del palazzo prima che Ryan concludesse il suo incontro con il re. Perché senza dubbio, lui avrebbe trovato da obiettare su quanto stava facendo. Il calore che emanava dalla mano di Ryan attraversava la stoffa color sabbia della sua giacca, fin quasi a bruciarle la pelle. Ogni volta che lui la toccava, un brivido di anticipazione le correva lungo la schiena, una reazione che la spaventava, e che aumentava di intensità quando il tocco di Ryan diventava gentile come lo era stato la notte precedente. Un rischio che non correva in quel momento, pensò con un sospiro. Perché, in quel momento, Ryan sembrava furibondo. Decidendo che era inutile tentare di divincolarsi, Nina esibì il suo più smagliante sorriso. «Deduco che l'udienza con il re sia finita?» «Che cosa ci fai tu qui?» Per quanto avesse parlato a voce bassa, le parole risuonarono minacciose nell'atrio grande come una caverna. «Faccio domande» spiegò Nina, preferendo la verità a qualche penosa, e incredibile, bugia. «Quello che avresti dovuto fare tu» lo accusò, puntandogli un dito contro al petto. «E tu come fai a sapere cosa ho fatto e cosa non ho fatto?» «Intuizione» spiegò lei. «I due militari con cui ho parlato sembravano molto disponibili a offrire la loro collaborazione. Adesso cercherò di ottenere dei colloqui con le cameriere personali della principessa.» «Tu non farai assolutamente nulla di simile» la contraddisse Ryan. «In casi del genere, è necessario attenersi al protocollo.» Senza mollare la presa sul suo braccio, si avviò a grandi passi verso la porta. Nina non ebbe altra scelta se non seguirlo. «Allora segui il protocollo e organizza i colloqui» borbottò. «Già fatto. Ora stai zitta e seguimi.» «Dove andiamo?» domandò lei, trotterellando alle sue calcagna. «Fuori di qui, prima che qualcuno decida di arrestarti. Come hai fatto a entrare?» Lyn StoneMary – McBride
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Nina detestava l'idea di rispondere, ma sapeva anche che una risposta era inevitabile. «Bene... Ho mostrato la carta d'identità alle guardie, ho detto che sono la sorella di Desmond e che... Uh, avevo il tuo permesso.» Ryan scosse la testa e borbottò qualcosa fra i denti. «Come sei arrivata qui?» chiese ancora. «Con un taxi?» Nina annuì e quasi perse l'equilibrio nel tentativo di stargli al passo mentre Ryan marciava come un treno verso il parcheggio. «Chi ti ha detto che ero nell'ufficio del re?» «Ho visto il numero che hai lasciato a Franz» spiegò lei. «Lo stesso che ho chiamato io appena sono arrivata a Montebello, quello dell'ufficio degli Affari Interni. Hai cercato di convincere il re a rispedirmi a casa, giusto?» «Giusto.» Solo dopo essere saliti in auto, e mentre Ryan era intento alla guida, Nina azzardò la domanda cruciale. «Cosa ha detto il re?» Ryan si voltò l'attimo necessario per scoccarle un'occhiata di disapprovazione, poi riprese a guardare la strada. «Credimi, non ti farebbe piacere saperlo.» «Non cercare di raggirarmi, McDonough» lo ammoni lei. «È evidente che il tuo piano non ha funzionato, e che tu sei piuttosto contrariato per questo.» «Quando incasserai il premio dell'assicurazione sulla vita di Desmond?» «Cosa?» replicò Nina, disorientata dall'improvviso cambio di argomento di conversazione. «Hai già fatto una richiesta ufficiale?» «Stai scherzando, vero? Non esiste alcuna assicurazione.» «Una polizza per mezzo milione di dollari, di cui sono state regolarmente pagate tutte le rate. E non dimentichiamo il fondo fiduciario intestato a tuo fratello» precisò Ryan. «Ma cosa... Non è possibile...» balbettò Nina. «Io non ne sapevo nulla! Chi...» «Non giocare a fare l'ingenua con me» la redarguì lui. «Tuo padre ha intestato un'assicurazione sulla vita a te e al tuo fratellastro.» Nina si massaggiò le tempie nel tentativo di tenere sotto controllo un mal di testa che stava rapidamente assumendo proporzioni gigantesche. «Lo giuro, non ne sapevo niente» mormorò. «Non ho trovato nulla del genere fra i documenti di mio padre dopo la sua morte.» «Suppongo che tu non sapessi nemmeno che Desmond aveva ereditato Lyn StoneMary – McBride
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metà delle proprietà di tuo padre? Coraggio, Nina, non puoi davvero pensare che io ti creda» affermò Ryan, il tono della voce velato di sarcasmo. «Sì, ovviamente questo lo sapevo.» «E la cosa non ti ha fatto precisamente piacere.» «Questo non è vero. Desmond ha venduto quello che ha ricevuto in eredità, ed era un suo diritto farlo. Immagino che abbia speso tutto il denaro che ne ha ricavato.» Il che attirò l'attenzione di Ryan. Fermò l'auto a un semaforo rosso e si voltò verso di lei. «Cosa te lo fa pensare?» chiese. Nina esitò un attimo prima di rispondere. «Mio fratello mi ha telefonato un paio di settimane fa. Aveva bisogno di un prestito.» Il semaforo diventò verde. Ryan inserì la marcia. «Un prestito? Di quanto?» Nina scrollò le spalle. «Ventimila dollari. Disse che me li avrebbe restituiti con gli interessi una volta che avesse ricevuto il suo appannaggio quadrimestrale dalla corona.» «Dunque sei qui per recuperare il tuo denaro. Il re Marcus non autorizzerà nessun pagamento, a meno che tu non sia in possesso di una ricevuta firmata da tuo fratello e anche in questo caso...» «No» lo interruppe Nina. «Non ho dato niente a Desmond. Il mio capitale è quasi completamente investito in fondi azionari, quindi non avevo disponibilità di liquidi in quel momento. E poi, di regola, non presto mai denaro, neanche agli amici o ai familiari. La maggior parte delle volte si creano problemi sgradevoli.» «Hai ragione. Sai perché Desmond aveva bisogno di soldi?» «Non me lo ha spiegato. Ovviamente, io gli ho chiesto se si trovava in qualche pasticcio, ma lui, altrettanto ovviamente, mi ha rassicurata.» «Come ha reagito al tuo rifiuto?» si informò Ryan. «Niente di particolare. Ha detto di non preoccuparmi, ha salutato e ha interrotto la comunicazione.» «Non ricordi altro? Non ha chiesto tu come stavi? Anche un minimo particolare potrebbe essere importante.» Onestamente, Nina provava una certa riluttanza nell'ammettere che suo fratello non si era mai particolarmente interessato a lei o agli eventi della sua vita. «Andava di fretta» affermò. «Immagino che non avesse tempo per chiacchiere di convenienza.» Lyn StoneMary – McBride
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«Interessante. Ne aveva mai di tempo da dedicarti?» «Con questo cosa vorresti insinuare?» replicò Nina sulla difensiva. «Niente. Dimentica quello che ho detto.» Impossibile, naturalmente. Ma se aveva ragione, e Caruso non si era mai interessato a lei, allora perché Nina era lì? Senza distogliere lo sguardo dalla strada, Ryan allungò una mano per stringere la sua. «Scusami, ho esagerato» affermò. «A volte mi lascio un po' trascinare.» «È tutto a posto» sussurrò lei. Ma non era vero. L'aveva ferita ipotizzando il completo disinteresse di Desmond nei suoi riguardi, forse aveva anche colto nel segno. «Non pensarci più» la esortò. «Parliamo di altro.» Almeno quello scambio di battute era servito a fargli dimenticare che gli avevo disobbedito, pensò Nina. Stava iniziando a conoscerlo un po' meglio. Ryan era bravo nello scoprire i suoi punti deboli, ma anche nell'offrirle consigli. Aveva un temperamento focoso, ma i suoi scoppi d'ira erano brevi. Quello che lei doveva fare per distoglierlo da una particolare idea, era offrirgli un'alternativa. «Che ne pensi, posso offrirti il pranzo?» dunque propose. «Tu finirai per farmi impazzire, lo sai, vero?» Poiché ovviamente quella era una domanda retorica, Nina decise di non rispondere. «Dovresti lavorare sulla tua capacità di adattamento, McDonough. Subisci un trauma del genere ogni volta che assumi un nuovo assistente?» «Tu non sei un assistente» precisò lui. «Sei una mia responsabilità, ecco tutto. Tutto quello che voglio è fare bene il mio lavoro, e invece adesso devo dividere il mio tempo fra le indagini e i tentativi di tenerti fuori dei guai.» «Ordini del re, giusto?» «Sì, ordini del re» confermò Ryan. «Vuoi o no che questo omicidio venga risolto?» «È per questo che sono qui.» «Sì, spero che questa sia la verità. In questo caso, mi devi un po' di cooperazione. Fai esattamente quello che ti dico, e smetti di prendere iniziative come hai fatto ieri sera e questa mattina.» «Sono ai tuoi ordini» commentò Nina, incrociando le braccia sul petto. Ryan rise e scosse la testa. Nina non poté fare a meno di notare che due fossette erano apparse ai lati della sua bocca, e i suoi denti erano così Lyn StoneMary – McBride
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bianchi da poter fare pubblicità a un dentifricio. La sua risata era contagiosa, ma riuscì a resistere all'impulso di imitarlo. In fin dei conti, stava ridendo di lei. «Cosa c'è di tanto divertente?» domandò senza ottenere risposta. Ryan tacque, apparentemente assorto nella guida, e continuò a stringerle la mano. Forse provava un certo interesse nei suoi confronti, ragionò Nina, cosa reciproca, ma era anche determinato a ignorare il fatto. Apparentemente, lo infastidiva almeno quanto l'essere costretto a collaborare con lei. Non le importava, decise. Quell'uomo non era il suo tipo. Fra di loro esisteva la tipica tensione sensuale che il più delle volte si manifesta fra le persone sbagliate. Tutta colpa degli ormoni, ovviamente. Un incidente, nulla di più. Quando le due persone coinvolte non hanno nulla in comune, e non potrebbero mai stabilire dei buoni rapporti personali, l'unica cosa da fare è ignorare l'attrazione, o combatterla ferocemente se questa diventa troppo pressante. Ecco cosa stava facendo Ryan, ipotizzò, e cosa stava invitando lei a fare. Doveva ammettere che la strategia funzionava, o almeno funzionava il più delle volte. Comportandosi con lei in modo tanto sgradevole si assicurava di mantenere una decente distanza emotiva fra di loro. Avrebbe dovuto sviluppare un simile tipo di difesa, invece di riflettere di continuo su come subiva il suo fascino, analizzare e razionalizzare la sensazione nel tentativo di trovare un modo per far funzionare le cose fra di loro... Accidenti, ma da dove era venuto quel pensiero, si chiese Nina, sgomenta. Lei non voleva che le cose funzionassero fra di loro. Non voleva condividere nulla con un uomo come McDonough, che aveva ammesso onestamente di avere tempo e interesse esclusivamente per il suo lavoro. Un lavoro che era perfettamente in grado di svolgere. Ora che aveva visto il suo ufficio, letto alcuni dei suoi rapporti, sapeva che aveva fatto molto per le indagini in un periodo di tempo sorprendentemente breve. Ryan avrebbe risolto l'omicidio di suo fratello. Alla luce di questa consapevolezza, allora perché non saliva sul primo aereo in partenza per gli Stati Uniti, lasciando tutto nelle sue mani? Non aveva una risposta per quella domanda. Le piaceva pensare di Lyn StoneMary – McBride
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essere debitrice nei confronti di Desmond, ma la voce della sua coscienza non esitò a suggerirle che il motivo primario del suo viaggio era stato sostituito da un altro di ben più difficile comprensione. Ryan parcheggiò davanti al ristorante del suo amico Pete, dove servivano gli hamburger più succulenti e le patatine fritte più appetitose dell'isola. Si fermava spesso lì, specialmente quando sentiva particolarmente la nostalgia di casa, come in quel momento. Ormai era rassegnato a dover condividere il suo tempo e il suo incarico con la signorina Caruso, e forse volerle propinare il cibo più grasso e meno sano reperibile a Montebello era una sorta di piccola vendetta da parte sua. Certamente Nina si nutriva di yogurt, frutta fresca e verdure bollite. Una snob, una grafica... E che razza di lavoro era? Non le aveva chiesto niente a riguardo perché non gli interessava la risposta. Meno sapeva di lei, meglio sarebbe stato. Ma ancora, era necessario che trovasse il modo per determinare senza ombra di dubbio la sua estraneità all'omicidio del fratello, e per farlo doveva stare con lei. Non poteva sbagliare, il re non gli avrebbe mai più affidato un incarico se falliva in quel caso. Nina era già scesa dall'auto e lo stava aspettando sul marciapiedi. «Dove siamo?» «Seguimi» replicò lui a mo' di risposta, prendendole un braccio. Eppure sapeva che non doveva toccarla... Anche attraverso la stoffa della manica, percepiva la morbidezza della sua pelle. Male, si disse. Un pensiero poco professionale, e dunque sbagliato. Quando lei fece per ritrarsi, non mollò la presa. Non era in grado di interrompere il contatto e doveva trovare al più presto un motivo per giustificarsi. «Non vorrei che inciampassi, le tue scarpe hanno un tacco molto alto» affermò, una scusa banale, ma pur sempre qualcosa. «Oh.» Nina abbassò lo sguardo per un istante, poi sorrise. «Grazie.»
6 L'interno del pub era quasi completamente oscuro, illuminato solo dalla Lyn StoneMary – McBride
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fievole luce delle candele sistemate al centro dei tavoli, e dal marchio fosforescente di una birra. «Wow» commentò Nina, guardandosi intorno. Un posto davvero pittoresco, pensò, con tutte le scritte incise sui muri e le tovaglie spaiate. Da dietro il bancone del bar, Pete alzò la testa e sorrise. «Salve, Mac» esordì. «Come va?» «Tutto a posto, Pete. Per favore, ci porti il solito e due tè freddi?» «Io preferisco una tazza di caffè» precisò Nina. «No, fidati, meglio di no» replicò Ryan. «Tè» confermò poi, rivolgendosi al proprietario del pub. «D'accordo.» Pete si sporse verso la porta della cucina, situata proprio alle spalle del bancone, e passò l'ordine. «Prendi il tavolo nell'angolo» disse poi a Ryan. «È più romantico. Chi è la bambola?» «Nina Caruso, lui è Pete Jones, americano come me» li presentò Ryan. Nina sorrise. «Salve, Pete» replicò. «Il tuo pub è molto grazioso.» Poche parole e aveva conquistato il cuore del suo amico, pensò Ryan, sorpreso, mentre la guidava verso il loro tavolo. Infatti, Pete li raggiunse immediatamente. L'uomo aveva in mano un vassoio che conteneva due bicchieri di tè freddo e un boccale della sua birra alla spina preferita. Si accomodò, prese dalla tasca un pacchetto di fiammiferi e accese la candela al centro del tavolo. La fiamma illuminò il viso di Nina, raddolcendo i suoi lineamenti. Pete la stava fissando come se fosse vittima di un incantesimo, notò Ryan. Dunque si affrettò a schiarirsi la voce per interrompere la magica atmosfera. «Un vero onore, avere il proprietario al nostro tavolo» commentò. Pete si sistemò meglio sulla sua sedia, segno che non aveva nessuna intenzione di tornare al suo posto dietro al bancone, lanciò un'altra occhiata di approvazione a Nina, poi si girò verso Ryan. «La sorella» affermò. Articoli sull'omicidio di Desmond Caruso avevano riempito le pagine dei quotidiani negli ultimi due giorni. Senza dubbio tutti a Montebello sapevano chi era Nina dopo le fotografie che le erano state scattate al suo arrivo in aeroporto. «Sorellastra» precisò Ryan. Prese il bicchiere e bevve un lungo sorso di tè. «È terribile quello che è successo» disse Pete a Nina, la quale, come unica replica, annuì. Ryan appoggiò il bicchiere sul tavolo. «C'è niente che dovrei sapere, Lyn StoneMary – McBride
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Pete?» domandò. L'uomo esitò. «Nina lavora con me al caso. Puoi parlare tranquillamente.» «Jonet è convinta che Desmond corteggiava la principessa Samira Kamal, e che ha avuto anche una relazione con lei. Sai niente in proposito Mac?» «Jonet è la figlioccia di Pete, e lavora al palazzo» spiegò Ryan a beneficio di Nina. «Sì, siamo già informati di questa storia» riprese, guardando Pete. «Altro?» Il proprietario del pub lanciò un'occhiata dubbiosa a Nina, poi vuotò con un sol sorso quasi la metà del contenuto del suo boccale. «Frequentava contemporaneamente un'altra donna» dichiarò infine. «Hai un nome, o sai dove posso trovarla?» «No, ma potrebbe anche essere una semplice prostituta.» «Grazie, Pete. Mi chiamerai nel caso avessi altre informazioni?» «Certo.» Ryan sentiva di avere molto in comune con Pete, anche se erano divisi da parecchi anni e da una diversa estrazione sociale. Pete ormai aveva raggiunto la sessantina, e si era trasferito a Montebello subito dopo aver combattuto in Vietnam. Entrambi erano fuggiti da un passato doloroso e avevano cercato un posto dove vivere il più diverso possibile dal loro paese di origine. Pete era l'unico americano residente sull'isola che lui chiamava amico, un amico che si era dimostrato anche un ottimo informatore. Sophie, la donna che aveva sposato a Montebello, gli aveva dato tredici figli, includendo nella somma anche alcuni che aveva avuto dal suo primo marito. Molti di loro lavoravano al palazzo. Una capillare rete di spionaggio, in realtà. «Il dolce è offerto dalla casa» dichiarò Pete prima di salutare e di allontanarsi verso la sua postazione di lavoro. «Devi aver fatto colpo» commentò Ryan. «E la prima volta in due anni che Pete offre qualcosa.» «Mi è simpatico» affermò Nina sorridendo, un sorriso che però sparì repentino dalle sue labbra. «La donna che frequentava Desmond... Credi che sia stata lei a ucciderlo?» «È possibile. Dobbiamo parlare con Jonet, chiederle se può darci una descrizione o fornirci qualche altro dettaglio.» Lyn StoneMary – McBride
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«Voglio ancora vedere la statuetta.» «Per controllare l'angolazione della ferita, giusto?» Nina appoggiò un gomito sul tavolo e si sorresse il mento con la mano. «Ecco perché sei tu il detective, suppongo.» «È un ragionamento che ho già fatto insieme al medico legale. Dalla posizione e dalla profondità della ferita, abbiamo dedotto che è stata inferta da una persona non molto alta e soprattutto non molto forte.» «Una donna, quindi.» «È possibile. Alla luce di queste considerazioni e della scelta dell'arma, io non penso che l'omicidio fosse premeditato» spiegò Ryan. «Forse no, ma l'incendio di ieri sera lo è stato sicuramente» sbuffò Nina. «Forse il piromane non sapeva che tu eri nel cottage. Forse la sua unica intenzione era distruggere qualsiasi prova» ipotizzò lui. Nina scosse la testa. «Io non credo. Ho avuto la distinta sensazione di essere seguita mentre attraversavo il parco.» Ryan le fece cenno di tacere quando Jack, il figlio di Pete, si avvicinò per servire gli hamburger. «Ottimo» commentò Nina, dopo aver ingoiato il primo boccone. Sul suo labbro inferiore era rimasta una goccia di mostarda, notò Ryan, e la mostarda non gli era mai sembrata così appetitosa. L'atteggiamento gelido che aveva deciso di adottare nei confronti di Nina mutò improvvisamente in un qualcosa al quale lui non voleva nemmeno tentare di dare un nome. Quando tornarono al laboratorio quel pomeriggio, Nina non si preoccupò di scusarsi con Franz per la sua fuga. Dal canto suo, Franz sembrava non essersi nemmeno accorto della sua assenza. Appena ebbe la statuetta fra le mani, Nina la girò e la rigirò, osservando la piccola figura di bronzo attraverso la busta di plastica trasparente. Era la rappresentazione di una donna nuda, un braccio lungo il corpo, l'altro piegato con la mano affondata nei capelli. «Il colpo letale è stato inflitto con il gomito» spiegò Franz. «È stato ripulito, ma noi abbiamo trovato tracce di sangue e frammenti di pelle» continuò con la sua voce atona, che conservava appena l'accento tedesco. «Abbiamo anche isolato una mezza impronta digitale, che non è stata ancora identificata.» Nina si chiese che razza di persona poteva pensare di ripulire Lyn StoneMary – McBride
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l'improvvisata arma del delitto dopo aver guardato la sua vittima morire. Una persona che comunque doveva aver ripreso immediatamente il controllo su se stessa, anche dopo aver commesso il così definito crimine passionale. Si rese conto all'improvviso che Ryan la stava fissando, gli occhi socchiusi, mentre lei maneggiava l'oggetto che aveva ucciso suo fratello. Doveva aver notato, come aveva notato lei, la sua completa mancanza di emozioni a riguardo. «Sto cercando di essere obiettiva, come hai detto tu» si giustificò, prevenendo la sua accusa. Forse la consapevolezza di conoscere così poco Desmond era la causa della sua freddezza, ipotizzò. Suo fratello era diventato poco più di un estraneo per lei da quando aveva lasciato la casa paterna. Forse il distacco fra loro era avvenuto a quell'epoca, e il dolore causato dalla separazione si era ormai stemperato nel tempo. Lo aveva odiato per il suo abbandono, ma infine aveva accettato la sua decisione. Dunque la vittima di quel crimine era un virtuale sconosciuto per lei. Era addolorata per la morte di Desmond, ma come lo sarebbe stata per chiunque altro che avesse perso la vita in modo così violento e ingiusto. Era lì per onorare la memoria di quel fratello che tanti anni prima aveva adorato, del figlio di sua madre, e specialmente di un ragazzino così spaventato e pieno di odio che non aveva mai permesso a nessuno di avvicinarsi a lui da un punto di vista emotivo. Soppesò la statuetta. Era leggera, infatti la ferita di Desmond non era profonda, ma era stata solo assestata nel posto giusto. «Reggila in questo modo» la istruì Ryan, guidandole la mano. «In questo modo, il tuo pollice preme sul posto dove abbiamo rilevato l'impronta parziale. Adesso vieni qui» la invitò, indicandole Franz. «Lui è alto più o meno come Desmond. Alza la statuetta, poi abbassa la mano lentamente.» «Molto lentamente» precisò Franz. Nina obbedì. Quando il gomito della scultura di bronzo sfiorò la tempia del tecnico, capì immediatamente che l'angolazione non corrispondeva alla ferita inferta a Desmond. «Vedi? La persona che ha colpito tuo fratello deve essere più bassa di te» sottolineò Ryan. «È una donna» affermò Nina con decisione mentre restituiva l'arma del Lyn StoneMary – McBride
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delitto a Franz. «Non dimenticare l'orecchino.» Ryan scrollò le spalle. «Esiste il cinquanta per cento delle possibilità che tu abbia ragione.» «Io direi l'ottanta» lo corresse lei. «Tu hai affermato che un uomo avrebbe colpito con maggiore forza, e io sono d'accordo.» «Potrebbe trattarsi di un uomo minuto, quindi basso e debole» ragionò lui. «Speriamo di trovare qualcosa di interessante sull'orecchino. Per oggi, abbiamo concluso» decise. «Torniamo a casa mia. Porterò con me le copie degli interrogatori» comunicò a Franz. «Voglio leggerle con attenzione, determinare se ci sono persone che voglio convocare di nuovo. Tu esamina tutto quello che è stato recuperato dal bagno nel cottage. Voglio i risultati pronti per domani mattina.» Franz, già chino sul suo microscopio, annuì e non parlò. La sua mancanza di buone maniere non infastidì Nina. Nonostante la freddezza che le riservava Franz e i dubbi che Ryan nutriva nei suoi confronti, stava iniziando a sentirsi parte di una squadra. «Grazie per avermi accettata» disse infatti, mentre Ryan riponeva le cartelle nel cofano del suo fuoristrada. «Di niente» replicò lui. Aprì lo sportello del passeggero, aspettò che Nina si accomodasse e allacciasse la cintura prima di richiuderlo. Nessuno dei due parlò mentre attraversavano la città poi, giunti al condominio, Nina seguì Ryan nel suo appartamento, pur non essendo stata invitata a farlo. «Ti aiuterò a rileggere i rapporti» propose mentre lui sistemava la scatola che conteneva i fascicoli sopra il tavolo. «Un paio di occhi in più possono sempre essere di aiuto.» «Giusto.» Non era certo una richiesta di collaborazione, ma era pur sempre qualcosa, pensò Nina. Almeno non era stata messa alla porta senza tanti complimenti. Si guardò intorno. L'appartamento era identico a quello che occupava lei, ma la disposizione delle stanze era speculare. Un'abitazione simile a quelle che si trovavano negli Stati Uniti, solo che gli ambienti erano più spaziosi, le finestre più ampie e la vista sull'oceano mozzafiato. La mobilia era raffinata per quanto, con ogni probabilità, non eccessivamente costosa. I colori prevalenti erano tutte le tonalità del marrone e del beige, e non c'erano oggetti personali sparsi qua e là. Niente foto o piante, niente di artistico, nessuna nota brillante che interrompesse Lyn StoneMary – McBride
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la monotonia del decoro. Probabilmente Ryan aveva arredato il posto con l'intenzione di renderlo essenzialmente riposante. Ce n'era abbastanza per far venire il sonno a chiunque, pensò sbadigliando. «Hai sonno?» si informò lui. «No.» «Hai fame?» chiese ancora Ryan. Si tolse la giacca, l'appoggiò su una sedia e oltrepassò il bancone che divideva il salone dall'angolo cottura. «Non molto. Il nostro pranzo non è stato precisamente leggero.» «Allora per cena ci accontenteremo di panini e di una minestra. Devo ammetterlo, non sono un asso dei fornelli.» «Posso aiutarti?» offrì Nina. «No, grazie.» Ryan aprì lo sportello della credenza e rovistò fra i vari barattoli. «Pomodoro o zuppa di pesce?» «Pomodoro. Odio i frutti di mare.» Ryan raddrizzò la schiena. Nel movimento, la stoffa della camicia si tese sulle spalle, evidenziandone la muscolatura possente. Nina si arrampicò su uno sgabello e appoggiò i gomiti sul bancone. Niente da dire, ammise a se stessa, quell'uomo era un vero spettacolo per gli occhi. Un fondoschiena perfetto, pensò con un sorriso. Ogni sua mossa era uno studio di aggraziata economia. Faceva tutto alla svelta, ma non dava mai l'impressione di andare di fretta. «Immagino che vorrai assistere ai prossimi interrogatori» affermò lui. «Puoi scommetterci.» Nina continuò a guardarlo mentre lui si chinava sul piccolo frigorifero per prendere il pane. «Ti rendi conto che noi due parliamo solo delle indagini?» Ryan si voltò per lanciarle un'occhiata incuriosita. «E allora?» Lei scrollò le spalle. «Allora pensavo che potremmo concederci una pausa» replicò. «Cambiamo argomento di conversazione, solo per far riposare un po' la mente.» «Io non mi riposo mai quando lavoro a un caso» dichiarò Ryan. Aprì un cassetto e prese un coltello. «Questo significa che non mi riposo mai finché il caso è risolto» precisò. Nina alzò le mani in segno di resa. «D'accordo, d'accordo... In genere, quanto tempo impieghi per risolvere un caso?» «Poco, e intendo continuare in questo modo.» «Un fanatico, uh? Tenace come un cane da presa.» «Una cosa del genere» confermò Ryan, intento a tagliare il pane. Lyn StoneMary – McBride
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Nina scese dallo sgabello. «Ci penso io a imburrare le fette» propose. «Tu prepara la minestra.» Tese la mano per prendere il coltello e, nel farlo, le loro dita si sfiorarono per il più breve degli istanti. Entrambi si immobilizzarono. Restarono a guardarsi fin quando Nina interruppe il silenzio con una risatina imbarazzata. Ryan lasciò il manico del coltello e si girò verso i fornelli. «Sai, dapprima ti avevo giudicato in modo sbagliato» disse Nina. Appoggiò su un piatto la prima fetta di pane imburrato. «Il modo in cui ti muovi, in cui parli... Ammetto di aver pensato che eri un po'... lento.» Ryan sbuffò ma non replicò. Versò il contenuto di un barattolo in una pentola, aggiunse la giusta dose d'acqua e mescolò il tutto. Nina riprese a parlare, senza distogliere lo sguardo dai muscoli delle sue spalle. «Ma non è così. Immagino che tu sia la proverbiale acqua cheta. Ferma in superficie, turbinosa in profondità.» Ryan voltò la testa per guardarla. «È così che mi vedi?» chiese. Nina sorrise. Se quel tizio avesse solo immaginato come lo vedeva lei... «E tu come mi vedi?» replicò. Una ruga attraversò la fronte di Ryan. Pensò un istante, poi alzò un dito. «Un gatto» affermò con un sorriso. «Sì, un gatto. Furbo, indipendente. Imprevedibile e indomabile. E anche un po' selvatico, sempre sulla difensiva.» Inoltre faceva le fusa se qualcuno l'accarezzava, ma quello Ryan non lo sapeva e probabilmente non l'avrebbe saputo mai. «Lo vedi? Sono riuscita a farti parlare di altro» affermò Nina, soddisfatta. Ryan appoggiò sul lavello il mestolo di legno che aveva usato per mescolare la minestra, si voltò verso di lei e incrociò le braccia sul petto. «Riesci sempre a ottenere quello che vuoi, giusto? E poi sei soddisfatta come il gatto che ha appena mangiato il canarino.» Lasciò indugiare a lungo lo sguardo sulle sue labbra. «Sì» confermò, «decisamente un gatto.» Incerta su come interpretare quelle parole, se come complimenti o rimproveri, Nina decise di non insistere a riguardo. «Non abbandonare la tua minestra, Acqua Cheta» invece affermò. «Sta per bollire.» Lui annuì e riprese a rimestare la zuppa. «Dimmi, cosa ti ha portato qui a Montebello?» domandò Nina, soddisfatta della piega che aveva preso la conversazione. Improvvisamente Ryan si fermò, poi alzò gli occhi verso di lei. Occhi freddi e tristi come la mezzanotte in un deserto. La familiarità che avevano Lyn StoneMary – McBride
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condiviso fino a un attimo prima era svanita nel tempo di un battito di cuore, capì Nina. La sua domanda aveva provocato quel cambiamento repentino, ma in fin dei conti era felice che fosse successo. Meglio che ci fosse distanza fra di loro, perché aveva la netta sensazione che una breve storia con lui non sarebbe stata un'esperienza facilmente dimenticabile. Ovviamente Ryan aveva un passato difficile alle spalle, un passato sul quale non aveva alcun diritto di interrogarlo. Il risultato però era evidente. Come lui stesso aveva ammesso, viveva solo per il suo lavoro. Non si arrendeva, non si fermava prima di avere ottenuto tutte le risposte. Era sempre stato così, o il suo atteggiamento era una conseguenza di quanto lo aveva indotto a lasciare Savannah per trasferirsi lì? Montebello era un'isola stupenda, ma lei dubitava fortemente che Ryan fosse stato attratto dalle sue bellezze naturali. Doveva essergli accaduto qualcosa che aveva alterato completamente la sua vita, ma lei non gli avrebbe posto domande. La curiosità uccise il gatto, meglio non dimenticare il vecchio adagio, consigliò a se stessa. Dunque, non ci sarebbero più stati momenti di familiarità fra loro, decise. Avrebbero lavorato insieme per smascherare l'assassino di Desmond, tutto lì. Certo, prima o poi qualcuno avrebbe dovuto insegnare a Ryan come godere anche delle piccole gioie che la vita talvolta offre, ma Nina supponeva che non sarebbe stata lei quella persona.
7 Poiché non si fidava abbastanza di se stesso per sedersi accanto a Nina, Ryan aveva messo fra di loro il tavolo del salone. Nonostante la distanza, percepiva il suo profumo. Gli solleticava la narici, quasi a volersi prendere gioco di lui. Era un aroma leggermente esotico, che non riconosceva. Ma, d'altra parte, come avrebbe potuto? Non aveva mai fatto molta attenzione a quel genere di cose, nemmeno quando era sposato. Un altro errore, pensò, mentre apriva una delle cartelle e fingeva di immergersi nella lettura. Quel gioco ormai continuava da qualche tempo. Lui che cercava di Lyn StoneMary – McBride
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lavorare, e Nina che lo distraeva semplicemente respirando. «Quella principessa Samira che ha avuto una relazione con Desmond... Tu sai che tipo è?» chiese lei. Ryan ripensò a quanto gli era stato detto della figlia dello sceicco del Tamir. «Dolce, fiduciosa, molto disponibile» affermò. «Forse un po' ingenua. È cresciuta in un ambiente troppo protettivo.» «Non protettivo abbastanza, evidentemente, altrimenti non avrebbe potuto avere una storia con mio fratello» sottolineò Nina. «Vero» confermò lui. «Non l'ho interrogata personalmente» aggiunse. «Il caso mi è stato affidato in un secondo momento, ma da quello che leggo, la principessa ha dichiarato di essere stata innamorata di Desmond, e di aver creduto che lui corrispondesse il sentimento. Poi una notte è andata a cercarlo nel suo cottage, da una finestra aperta lo ha visto abbracciato con un'altra donna, si è resa conto di aver commesso un errore e ha interrotto la relazione.» «Forse la collera e la delusione l'hanno accecata al punto di commettere un delitto» ipotizzò Nina. «Forse Samira e quel Farid sono in combutta, e si sono forniti reciprocamente un alibi. Voglio dire, una guardia del corpo deve obbedire alla sua principessa.» «In realtà, sono marito e moglie» precisò Ryan. «Non è scritto sul rapporto perché, quando sono stati interrogati, non avevano ancora comunicato la notizia alla famiglia di lei. Si sono sposati in segreto, ora però il fatto è di pubblico dominio.» «Ci sono!» esclamò Nina, schioccando le dita. «La gelosia, quale movente migliore? Farid potrebbe avere ucciso Desmond spinto dalla gelosia.» «In effetti è stato il primo a essere sospettato, inoltre aveva anche minacciato tuo fratello in un ristorante affollato. Ma no, Samira e Farid erano in Tamir quando Caruso è morto, è stato provato senza ombra di dubbio.» Nina sporse le labbra in avanti in uno sbuffo, un'espressione dubbiosa dipinta sul viso. Ryan si costrinse a ignorare quella labbra rosse e sensuali, e focalizzò piuttosto la sua attenzione su un quadro appeso al muro che di interessante non aveva proprio nulla. Inconsapevole delle sue difficoltà, Nina riprese a parlare. «Non avrebbero potuto falsificare il piano di volo, o qualcosa del genere? Lyn StoneMary – McBride
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Sicuramente la famiglia Kamal è abbastanza potente da...» «No» la interruppe lui. «Due funzionari di polizia sono partiti dal Montebello per andare in Tamir appena il corpo di Desmond è stato rinvenuto. Samira e suo marito erano lì. Sono innocenti. Però la principessa potrebbe fornirci qualche dettaglio in più sulla donna che ha visto in compagnia di tuo fratello, ecco perché voglio interrogarla di nuovo» ragionò. «Ricordi? Anche Pete ci ha parlato di una donna. Potrebbe essere una pista valida.» Gli occhi che brillavano, Nina si sporse in avanti. «Dobbiamo trovarla» affermò. «Sono certa che è lei l'assassino.» «Stai saltando di nuovo a conclusioni affrettate» la rimproverò Ryan. «Ecco perché non è mai una buona idea investigare su un crimine commesso ai danni di una persona cara.» «Scusami.» Nina tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia. «Sono disponibile a esaminare ogni altra possibilità. Allora, quando andremo in Tamir?» «Non ci andremo. La principessa Samira mi ha fatto sapere che farà una sosta qui con il marito al ritorno del loro viaggio di nozze.» «D'accordo» confermò Nina, per quanto sul suo volto fosse apparsa un'espressione contrariata. E' stanca, notò Ryan. «Vuoi un bicchiere di vino?» propose. «Stai lavorando da troppo tempo, hai bisogno di un intervallo» Grande errore da parte sua. Nina alzò le braccia al di sopra della testa per allentare la tensione dei muscoli delle spalle. Nel movimento, il seno piccolo ma pieno aderì alla stoffa della camicia. «Sì, un bicchiere di vino sarebbe perfetto» sospirò. Ryan si alzò quasi di scatto, preferendo la fuga al rischio di una perdita di controllo su alcune particolari zone del suo corpo. Accidenti, quella donna lo stava facendo impazzire, pensò mentre impiegava più tempo del dovuto per cercare il cavatappi nel cassetto degli utensili. «Bianco o rosso?» chiese. «Quello che prendi tu per me va bene.» «Devi scegliere, io non ne bevo.» «Perché no? Hai forse intenzione di drogarmi di nuovo questa notte?» scherzò Nina. «No, non questa notte.» «Ho notato che non hai ordinato birra oggi pomeriggio a pranzo.» Lyn StoneMary – McBride
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Impicciona... «Bianco o rosso?» ripeté Ryan. «Bianco.» Non le doveva alcuna spiegazione riguardo le sue abitudini, decise Ryan, ma era ovvio che lei stava solo cercando di conversare, e non di ficcare il naso nei suoi affari privati. «Non bevo alcolici» quindi dichiarò mentre apriva una bottiglia di prosecco. Ne aveva sempre un paio in frigorifero da offrire ai suoi collaboratori quando si fermavano da lui per ragguagliarlo sulle novità e per mangiare qualcosa insieme. Riempì una coppa di vino e la porse a Nina. Lui si accontentò di un'aranciata, poi tornò a prendere posto accanto al tavolo. «Grazie» disse lei, prima di assaggiare un piccolo sorso. «Perché non bevi alcolici?» chiese poi. «Hai avuto problemi?» Ecco, adesso invece stava ficcando il naso in affari che non la riguardavano, decise Ryan. «Una cosa del genere» replicò, evasivo. «Allora ti ammiro per la tua forza di volontà. Una volta ho lavorato alle dipendenze di un ex alcolista, così io so che...» «No, tu non lo sai» la interruppe lui, il tono più acuto di quanto avrebbe voluto. «Ho vissuto in una bottiglia per un intero anno. Quando mi sono reso conto che ero sul punto di distruggermi, ho smesso, ed è stato facile.» «Buon per te» commentò Nina. Non sembrava per nulla turbata da quanto aveva appena saputo, ciò nonostante Ryan notò che aveva appoggiato la sua coppa sul tavolo. «Bevi tranquillamente il tuo vino, Nina» la esortò. «L'alcolismo non è una malattia contagiosa.» «Sai una cosa? Tu mi piaci, Ryan McDonough» affermò lei sorridendo. Qualcosa di reciproco, una sensazione aggravata da parte sua dal desiderio, purtroppo. Nina gli piaceva e la desiderava, un desiderio del tutto diverso, più profondo, più coinvolgente, dalla banale esigenza fisica che talvolta lo aveva spinto a cercare compagnia femminile. Non voleva pensarci, ma doveva fare qualcosa a riguardo. Mentre Ryan era assorto nella lettura degli interrogatori, Nina inserì un altro tassello del puzzle McDonough al suo posto. Ne mancavano ancora troppi per avere un quadro completo, ma gli indizi ormai erano abbastanza chiari. Dovevano essergli accadute cose terribili, decise. Ryan aveva lasciato il suo lavoro, il suo Paese, si era dedicato anima e corpo alla professione. Cosa poteva spingere un uomo ad assumere una posizione Lyn StoneMary – McBride
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così estrema? Uno scandalo? Un divorzio doloroso? Erano possibilità, ma per qualche motivo non riusciva a immaginare una persona come lui fuggire davanti a eventi simili. Non c'erano fotografie in giro per casa. Il televisore era piccolo e abbandonato in un angolo, niente videoregistratore o impianto stereo. Quando si era allontanata un attimo per andare in bagno, aveva fatto capolino nelle due camere. Le uniche tracce che indicavano una presenza umana in quel posto erano un letto disfatto e un telo di spugna umido. «Perché stai scuotendo la testa?» La domanda di Ryan la sottrasse al filo dei suoi pensieri. «Riflettevo» spiegò Nina, poi sollevò il bicchiere e bevve un sorso di vino. Era già al secondo bicchiere, e le parole stampate sui fogli che aveva davanti stavano iniziando ad assumere un aspetto confuso. «Forse dovrei andare nel mio appartamento e riposare un po'» aggiunse. L'espressione di sollievo che si dipinse sul viso di Ryan fu un duro colpo per la sua vanità. Ovvio, non la voleva lì. Ma poi lui disse l'ultima cosa che si sarebbe aspettata di sentire. «Dormi qui.» «Puoi ripetere, per favore?» lo esortò Nina, il tono della voce incredulo. Ryan esitò, poi sembrò prendere una decisione. «Non voglio che tu resti sola, d'accordo?» «D'accordo» confermò Nina, perché non aveva nessun desiderio di restare sola. «Adesso ti aiuto a rigovernare e...» «Lascia stare» la interruppe Ryan. «Ci penseremo domani mattina.» Nina annuì, si alzò e si avviò verso la porta. «Vado a prendere le mie cose» annunciò. Ryan la raggiunse e le mise una mano su una spalla. «Aspetta.» «Perché?» «E' tardi e non posso permetterti di andare da sola. Ma anche se ti accompagnassi, tu dovresti aspettarmi fuori la porta mentre io controllo l'appartamento. Non voglio spaventarti, ma...» Intenzionalmente, lasciò in sospeso la frase. «Capisco. Grazie per avermi chiesto di restare.» «Non era una semplice offerta. Se tu avessi rifiutato, io avrei insistito.» «E perché mai avrei dovuto rifiutare?» domandò Nina, la voce non più di un sussurro. Ryan abbassò lo sguardo, come se all'improvviso si sentisse a disagio. Lyn StoneMary – McBride
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«Perché temevo che pensassi che io sono... interessato. E non solo alla tua sicurezza. Ma non è così» si affrettò a sottolineare, «per cui, puoi stare tranquilla.» Dunque Ryan aveva reputato opportuno rispondere a una domanda che lei non aveva nemmeno considerato di formulare. Nina sorrise, un sorriso gelido. «Lo sono» confermò. «Saperlo è un sollievo.» Ryan ritrasse la mano, un'espressione sul viso che non avrebbe mai potuto essere definita sollevata. «Ti prendo qualcosa da mettere addosso. I teli di spugna puliti sono nel mobiletto sotto il lavandino del bagno» aggiunse, prima di allontanarsi. «Il sapone è nel contenitore, lo shampoo in bottiglie monouso» borbottò lei fra i denti. Il massimo dell'impersonalità. Un evento orribile doveva aver segnato la sua vita, ormai ne era sicura. Non poteva fargli domande a riguardo, ma in qualche modo lo avrebbe scoperto. Ryan tornò dopo pochi istanti, in mano una maglietta di cotone e un paio di pantaloncini di felpa. «Queste sono le cose più piccole che posseggo» spiegò. Sbagliato, pensò Nina guardandolo negli occhi. La cosa più piccola che possedeva era la fiducia in qualsiasi situazione stabile. Si costrinse a sorridere e a ignorare la sua curiosità, perché aveva un mistero ben più importante da risolvere. E allora perché sprecava tempo rimuginando su cosa poteva aver fatto diventare Ryan McDonough l'uomo che era diventato? Ryan era disteso sulla schiena, aspettava che l'allarme della sua sveglia da viaggio suonasse. Aveva le mani incrociate sotto la nuca, gli occhi fissi sulla ventola sospesa al soffitto. Le pale giravano e giravano, esattamente come i pensieri nella sua mente. Per la prima volta da anni, era incapace di respingerli in un cantuccio per lasciare spazio alla concentrazione necessaria alla risoluzione di un caso. Nina Caruso stava confondendo la sua razionalità, oscurando la sua logica, minacciando il suo lavoro. Se non riusciva a osservarla con l'occhio freddo del professionista, ma se ne restava lì, incantato, a guardare le sue labbra piene e rosse mentre formulavano una parola, qualsiasi fosse la parola, allora doveva rinunciare al suo incarico, senza perdere tempo. E poi, cosa avrebbe fatto? Il cameriere in un bar? O avrebbe costruito barche con suo padre... Meglio, si sarebbe rinchiuso da qualche parte per Lyn StoneMary – McBride
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scolare una bottiglia di whisky dopo l'altra, fino a non avere più la forza nemmeno di respirare? Erano tutte esperienze che aveva già al suo attivo, oltre a tante altre di cui non andava fiero e non riusciva nemmeno a ricordare. Nina aveva la potenzialità per distruggerlo totalmente. E la cosa peggiore era che lui sembrava più che disponibile a lasciarglielo fare. Allontanala da te... Sì, certo. Poteva entrare nella stanza adiacente, fare sesso con lei. Sarebbe stato facile, l'attrazione che Nina provava nei suoi confronti era ovvia. E poi, una volta scoperto cosa lo aveva condotto nella sua camera, la bella signorina Caruso non avrebbe più voluto avere nulla a che fare con lui. Il modo più diretto e sicuro per perdere il suo lavoro, ragionò. Il re Marcus non avrebbe certo condiviso i suoi metodi. Però poteva nasconderle le sue motivazioni. Sarebbe stata una breve storia, una di quelle senza futuro. Le persone intrattenevano sempre relazioni del genere. Lui no. A parte qualche insignificante infatuazione ai tempi del liceo, aveva conosciuto il vero amore, una moglie che lo aveva reso felice, un matrimonio appagante in tutti i sensi. Poi, quando era stato costretto a riprendere una vita per così dire sociale, aveva fatto delle avventure di una sola notte una delle regole della sua esistenza. E adesso era lì, in una delle isole più incantevoli del Mediterraneo, dove ogni cosa che lo circondava esaltava la bellezza, e non si sentiva più tranquillo o rilassato del primo giorno che aveva trascorso a Montebello. Nina Caruso aveva violato la sua resistenza, e abbattuto quelle barriere di difesa emotiva che faticosamente aveva eretto intorno a sé. «Ryan?» Era stato un sussurro più che un richiamo, tanto che per un istante lui pensò di averlo immaginato. «Cosa?» replicò. Nina entrò nella camera in punta di piedi. «Ho sentito qualcosa» mormorò. «Deve esserci qualcuno nel mio appartamento... Queste pareti sono così sottili.» Ryan si alzò di scatto, infilò i pantaloni, afferrò la pistola e si avvicinò a Nina, spingendola contro il muro. Con qualche parola bisbigliata, le ordinò di non muoversi, uscì dalla camera e dall'appartamento e richiuse la porta alle sue spalle. La porta dell'abitazione adiacente era socchiusa. Ryan la spalancò, poi si Lyn StoneMary – McBride
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appiattì contro la parete. Nulla. Nessuno uscì correndo, non risuonarono spari, niente trambusto. Con la pistola puntata, entrò nell'appartamento e controllò meticolosamente ogni stanza, ma l'istinto e l'esperienza di tanti anni di pratica nella polizia lo avevano già avvertito che l'intruso, chiunque fosse, era già andato via. Accese le luci. A un primo esame, non vide nulla di insolito. Su una parete della camera dove Nina aveva dormito dopo l'incendio, invece c'era una larga chiazza bagnata. Per terra, schegge di vetro. Un ladro? No, decise. Lanciare un bicchiere contro un muro era un sintomo di furia. La persona che era stata lì si era aspettata di trovare Nina nel suo letto. Alla svelta, tornò da lei. «Chi era?» gli chiese subito Nina sottovoce. «Qualcuno è entrato in casa tua, ma è scappato prima che io arrivassi» spiegò Ryan. «Ha rotto un bicchiere gettandolo contro la parete, probabilmente questo è il rumore che tu hai sentito.» Nina scosse la testa. «I miei soldi, i miei assegni, il passaporto, sono nella mia borsa, e la mia borsa è qui. Non ha trovato nulla da rubare, forse questo ha scatenato la sua ira?» Ryan annuì. «Forse.» «Ma tu non lo credi davvero, giusto?» «Giusto.» Ryan infilò la pistola nella cintura dei pantaloni. Un attimo dopo, Nina si nascose fra le sue braccia. Non parlava, non piangeva, ma tremava. «Coraggio, piccola, va tutto bene» lui si ritrovò a sussurrare. «Si sistemerà tutto.» L'abbracciò, e poi non fu più in grado di parlare, la gola stretta da un nodo di emozioni. Da quanto tempo non era così vicino a un altro essere umano? Da quanto tempo non confortava una donna a cui teneva davvero? Da molto tempo, troppo. Decise di dovere allontanare Nina solo per scoprire di non poterlo fare. Dopo avrebbe trovato il modo per ricostruire le sue difese. Al momento, si sarebbe limitato a stringerla a sé. Ursula Chambers era nascosta nell'ombra, la mano stretta sul manico del pugnale che aveva fatto scivolare nella tasca dell'impermeabile che indossava. Lanciò uno sguardo ansioso alla porta dell'appartamento da cui era appena uscita. Non avrebbe dovuto lanciare il bicchiere contro il muro. Nello stesso Lyn StoneMary – McBride
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istante in cui il vetro si era infranto, aveva capito di aver commesso un terribile errore. Eppure era stata così sicura di trovarla lì... Ma no, la donna con ogni probabilità era nel letto di quel dannato investigatore privato. La sorella di Desmond. Perché Desmond non le aveva mai detto di avere una sorella, alla quale forse aveva confidato tutto del loro piano? Dovevano essere stati molto uniti, a voler considerare la fretta con cui la donna era giunta a Montebello, proclamando a gran voce di volere giustizia per il fratello. Era persino apparsa in televisione, di sicuro un espediente per contattarla, rifletté Ursula, per farle sapere che era lì per esigere la sua fetta di torta. Ma era stata lei a fare tutto il lavoro, e la sorellina di Des non avrebbe messo le mani neanche su un centesimo. Fortunatamente, il fuoco ormai aveva cancellato ogni traccia che lei poteva aver lasciato nel cottage, ragionò, incluso l'orecchino che aveva perso. Non aveva avuto intenzione di uccidere Desmond, l'uomo che era il suo biglietto per la fortuna. Perché lo aveva fatto, si chiese, lacrime di collera e di disperazione le rigavano le gote. Ma ci avrebbe pensato dopo, decise con una nuova determinazione. Al momento, aveva problemi più gravi da risolvere, e domande a cui trovare una risposta. Per esempio, per quanto tempo la sorella di Desmond avrebbe mantenuto il segreto? Doveva fare qualcosa subito, prima che Gretchen arrivasse con il bambino, perché, quando lei avrebbe consegnato il piccolo alla famiglia Sebastiani, nulla più poteva impedire a Nina Caruso di rivelare tutta la verità. Non esisteva alcuna altra soluzione, decise. La sorella di Desmond doveva essere eliminata. Uscì dall'edificio e si incamminò verso l'auto che aveva parcheggiato a qualche isolato di distanza. Durante uno dei sopralluoghi che aveva fatto al palazzo, nascosta fra un gruppo di turisti, aveva sentito dire che Nina era stata salvata dalle fiamme da un investigatore americano, Ryan McDonough. E se la sorella di Desmond aveva assunto un tirapiedi per indagare sulla morte del fratello e per essere protetta, il meno che lei potesse fare era farsi aiutare a sua volta da qualcuno. Aveva già in mente la persona adatta. Un uomo non molto intelligente, ma avido almeno quanto lei. Forse poteva convincerlo a svolgere due lavori al prezzo di uno, Lyn StoneMary – McBride
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ipotizzò. Non le mancavano certo i mezzi per ridurre un uomo alla sua volontà... Anche Desmond lo aveva sostenuto una volta, mentre facevano l'amore. Ursula scosse la testa. Non voleva pensare a Desmond in quel momento, e non aveva modo di cambiare quello che era successo. Ora doveva solo trovare la maniera per uscire da quell'imbroglio completamente indenne. Ryan denunciò l'effrazione alla polizia e al duca Lorenzo, tornò nell'appartamento di Nina per raccogliere i frammenti del bicchiere e telefonò a Joe, chiedendogli di passare a casa sua per prenderli e esaminarli. Immaginando che il re li avrebbe convocati al più presto, non aveva dimenticato di portare a Nina un vestito e il suo beauty-case. Lei lo aveva ringraziato e non aveva fatto domande, un atteggiamento decisamente insolito. Non gli piaceva vederla così arrendevole, decise. L'improvvisa disponibilità alla cooperazione da parte di Nina poteva significare solo una cosa. Era davvero molto spaventata. Stava facendo il nodo alla cravatta quando il cellulare squillò. Era l'assistente del re, che lo chiamava per comunicargli che Marcus aspettava lui e Nina al palazzo alle dieci in punto. «Sono un po' nervosa» ammise lei mentre erano in auto, in perfetto orario per il loro appuntamento. «Ma sai, io resterò qui» aggiunse, tormentando con le dita il bordo della gonna che indossava. Ryan non commentò. Tenne gli occhi fissi sulla strada, consapevole del pericolo che poteva annidarsi dietro ogni angolo. Avrebbe dovuto chiedere al duca di mandare una delle limousine di servizio alla reggia, quelle con i vetri a prova di proiettile. Il che significava solo che lui non era più in grado di ragionare lucidamente. E la colpa di chi era? Si voltò per lanciare un'occhiata fugace a Nina. Suo malgrado, non era più in collera con lei perché la sua presenza gli impediva di concentrarsi, ma lo era perché desiderava averla, anche solo per una volta. Così, forse, sarebbe riuscito a cancellarla dalla sua mente e a pensare solo al suo lavoro. Nina sapeva che doveva riguadagnare il controllo sulle sue emozioni prima dell'incontro con il re. Se il sovrano l'avesse vista in quello stato di Lyn StoneMary – McBride
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agitazione, le avrebbe sicuramente ordinato di tornare negli Stati Uniti. Una cosa che lei non voleva fare, e questo non aveva nulla a che vedere con le indagini. Ormai era sicura che Ryan non si sarebbe arreso prima di scoprire l'assassino di Desmond, ma lei non poteva tornare a casa con la testa piena di tante domande senza risposta. Doveva capire perché un uomo così ovviamente sbagliato per lei fosse riuscito a catturarla totalmente, e in un tempo così breve. Non era amore, questo no, ma era necessario dare un nome a quella emozione, identificarla se non voleva continuare a pensarci per il resto della sua vita. Se un giorno si fosse davvero innamorata, avrebbe scelto un uomo simile a suo padre, che aveva sempre messo la famiglia al primo posto. Voleva un rapporto simile a quello che avevano avuto i suoi genitori, fatto d'amore, di rispetto e di passione. Alla luce di quel ragionamento, anche una storia fugace con Ryan sarebbe stata sbagliata. Aveva avuto una sola relazione seria, e ogni volta che ricordava Terry, lo rivedeva immerso nelle sue carte, il telefono cellulare incollato all'orecchio. Aveva creduto di amarlo. Lui invece l'aveva vista solo come un piacevole diversivo fra un appuntamento di lavoro e l'altro. Con ogni probabilità, Terry era un pivello al confronto di Ryan per quello che riguardava la dedizione alla propria professione. Ryan, cioè un ex alcolista, che non si separava mai dalla sua pistola, uno stile di vita pericoloso... Insomma, l'ultimo uomo dal quale avrebbe dovuto essere attratta. Invece lo era, e molto. Se non avesse scoperto cosa significava quella sensazione non sarebbe stata mai in grado di dimenticarlo, e il suo ricordo le avrebbe impedito di vivere una relazione serena nel futuro. «Io non partirò» ripeté con convinzione, non appena Ryan parcheggiò nel cortile della reggia. Lui scrollò le spalle e sorrise, evitando di guardarla. In silenzio salirono le scale che conducevano all'ingresso, e solo quando una guardia si avvicinò a loro per scortarli fino all'ufficio del re, le cinse la vita con un braccio.
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8 Mentre camminavano lungo quello che sembrava un corridoio senza fine, Nina notò a malapena lo sfarzo dell'interno della reggia. La sua mente era concentrata su altro, esattamente sugli argomenti che avrebbe dovuto usare per convincere il re Marcus a farla restare a Montebello. Giunti davanti all'ufficio, furono accolti dal segretario del re, un uomo sull'ottantina, basso e rotondo. «Sua Maestà vi riceverà immediatamente» disse, aprendo la pesante porta di legno massiccio. Il re era seduto dietro la sua scrivania. Ryan chinò il capo e Nina si profuse in un inchino, come dettava il protocollo. «Grazie per essere venuti» esordì Marcus. «Prego» aggiunse, indicando le poltrone foderate di raso a righe poste davanti alla grande scrivania. Nina si accomodò, le mani intrecciate sul grembo. Anche se era la seconda volta che si trovava al cospetto del re, il suo imbarazzo era grande. D'altra parte, era l'unico monarca che avesse visto di persona in tutta la sua vita, e probabilmente sarebbe stato anche l'unico. Marcus non aveva bisogno di indossare abiti ufficiali per avere un aspetto regale. Una gran massa di capelli bianchi era la sua corona, e la sua altezza e l'imponenza del suo fisico bastavano per indurre soggezione a chiunque. Nina lo osservò attentamente, in cerca di una qualche somiglianza fra lui e Desmond. Individuò solo la fossetta sul mento, che nel re però era appena accennata. «Deve essersi molto spaventata ieri sera, signorina Caruso» affermò il monarca. «Si sente meglio adesso?» Nina annuì. «Sì, sire, sto bene» replicò. Il re spostò il suo sguardo su Ryan. «L'aeroplano che riporterà la signorina in California sarà pronto per partire questo pomeriggio» annunciò. «Fino a quel momento, lei è responsabile della sua sicurezza.» A quelle parole, Nina si alzò. «No, per favore, io devo restare qui» affermò scuotendo la testa. Il re le fece cenno di rimettersi a sedere, poi la guardò per un intero minuto, gli occhi scuri e intelligenti che sembravano volerle leggere l'anima. «Sa per caso se ci sono persone che desiderano distruggere la famiglia Caruso?» domandò infine. Un'ipotesi che le fece accapponare la pelle. In realtà, non aveva mai pensato che l'assassino di suo fratello potesse far parte del cerchio delle Lyn StoneMary – McBride
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loro conoscenze. «No, ovviamente no» ripose Nina. «Desmond è andato via da casa di mio padre quando aveva solo vent'anni, e da allora ha sempre vissuto qui. Non è stato abbastanza in California per procurarsi nemici così spietati» ragionò. «Mio padre era un uomo molto amato» aggiunse. «No, non credo proprio che la famiglia Caruso nel suo insieme sia il bersaglio del killer.» «Dunque dobbiamo dedurre che abbiamo a che fare con un residente del Montebello» ipotizzò Marcus. «No, sire» intervenne Ryan. «È pericoloso dare una qualsiasi assunzione per scontata fin quando non entreremo in possesso delle prove necessarie per sostenerla.» «Condivido l'opinione. Lei ha già qualche idea?» «Sì, ritengo che chi ha colpito Desmond Caruso lo abbia fatto in un accesso di collera» rispose Ryan senza alcuna esitazione, «senza premeditazione. Quando poi l'omicida si è reso conto di averlo ucciso, ha tentato di cancellare ogni prova. La statuetta usata come arma è stata accuratamente ripulita, così come tutto quello che deve aver toccato all'interno del cottage, perché la polizia scientifica non ha rilevato alcuna impronta digitale. Però c'era sempre la possibilità di altri indizi, come capelli, fibre di tessuto, indizi che sono stati opportunamente distrutti dal fuoco.» «Quindi è stato l'assassino a incendiare il cottage, ma io ero chiusa in bagno» gli ricordò Nina. «Questo significa che la sua intenzione era quella di eliminare anche me. Perché?» Ryan sorrise. «Ottima domanda. Tu sei apparsa in televisione, e hai spiegato ai giornalisti i motivi della tua venuta a Montebello. Probabilmente ti sei trovata nel posto giusto al momento giusto, ovviamente dal punto di vista dell'assassino.» «E l'effrazione nel mio appartamento?» insisté Nina. Ryan scrollò le spalle. «Al momento, posso solo fare congetture. Se vogliamo escludere la strada della vendetta personale, allora è possibile che l'assassino tema che tu scoprirai la verità, o che sai già qualcosa che potrebbe incriminarlo, oppure, più semplicemente, ti odia solo perché sei la sorella di Desmond. Non dobbiamo tralasciare l'avidità. Chi trarrebbe beneficio economico dalla tua morte?» Nina appoggiò i gomiti sulla scrivania e si sporse in avanti. «Non saprei» ammise. «1 miei unici parenti in vita sono due cugini che abitano a Lyn StoneMary – McBride
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Milano, ma io non li ho mai incontrati di persona.» «Contatti immediatamente questi cugini» ordinò il re a Ryan. «Intanto» aggiunse guardando Nina, «almeno fin quando le indagini non saranno terminate, lei sarà più al sicuro qui che sola in California. Le concedo di restare.» Detto ciò si alzò, segno che l'udienza era terminata. Ryan lo imitò, poi le tese la mano per aiutarla a fare altrettanto. In effetti, le gambe le tremavano, si rese conto Nina, probabilmente un effetto della nuova possibilità che le era stata offerta. Il re pigiò un pulsante e il suo segretario si affacciò immediatamente nella stanza. «Ovviamente, signorina Caruso, non può tornare all'appartamento» affermò poi. «Albert provvederà a farla accompagnare al Royal Montebello Hotel, dove le sarà garantita protezione. Qualcuno si occuperà di recuperare i suoi bagagli che le verranno consegnati questo pomeriggio.» Il suo sguardo si spostò su Ryan. «Farò sapere al suo assistente di portarle in albergo tutto ciò di cui può aver bisogno» concluse. «Grazie, sire» disse Ryan chinando il capo. Nina si inchinò, poi uscì con Ryan dall'ufficio. «Non hai detto una sola parola per convincere il re a farmi restare» lo accusò, giunti a metà del corridoio. «Perché eri così ansioso di liberarti di me?» chiese. Per qualche istante, Ryan non parlò e continuò a camminare. Poi si fermò e le appoggiò le mani sulle spalle, costringendola a girarsi verso di lui. «Perché io voglio che tu rimanga» sibilò fra i denti. «Lo voglio tantissimo ma, per il tuo bene, sarebbe molto meglio se tu andassi via. Ora sei soddisfatta?» «Non proprio» mormorò lei. «Ma guarda questo posto!» esclamò Nina mentre aspettavano l'ascensore nell'atrio dell'albergo. «Voglio dire... Immaginavo che fosse lussuoso, ma questo è... troppo» aggiunse, indicando l'enorme banco del ricevimento decorato con decine di composizioni di fiori freschi, e le tende di broccato che coprivano le finestre altissime. «A me sembra tutto troppo ostentato» borbottò Ryan. «Spero che non saremo noi a ricevere il conto.» Nina rise. «Non succederà. L'impiegato ci ha registrati come ospiti del re.» «Sì» confermò lui, entrando nell'ascensore. «Io odio gli alberghi» Lyn StoneMary – McBride
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commentò. «Bene, non capisco come si possa odiare questo albergo» insisté Nina, lasciando scorrere un dito su un fregio che decorava una delle pareti della cabina. Intrappolato in una gabbia dorata, pensò Ryan, gli occhi fissi sulla porta dell'ascensore. E con Nina, per giunta. Come avrebbe fatto a concentrarsi sul lavoro mentre la sua mente era invece impegnata a fornirgli un lungo elenco delle possibili e più piacevoli cose che avrebbero potuto fare insieme in altre circostanze in quel posto da favola? «Guarda il lato migliore delle cose» gli consigliò Nina. Le porte della cabina si aprirono. «Almeno qui non sarai costretto a preparare la cena» aggiunse. «Ma tu dovrai rinunciare alla tua farina di avena» sottolineò lui, mentre si avviavano lungo il corridoio per raggiungere la loro suite. «Almeno c'è una scrivania» affermò, dopo essere entrati nel bellissimo salone dai muri rivestiti di parati di seta. Ryan si tolse la giacca e la lasciò cadere su una delle poltrone, poi allentò il nodo della cravatta. «Purtroppo, non possiamo fare nulla fin quando non ci consegneranno le nostre cose.» «Oh, mamma mia...» «Cosa?» Allarmato, Ryan si affrettò a raggiungere Nina, in piedi sulla soglia della porta che dava accesso alla stanza da letto. «Guarda» sussurrò lei. «Sembra il set di un film.» Ryan guardò, e rimase impressionato da quello che vide nonostante tutte le sue opinioni. Damasco, pizzo e seta. Bianco e oro. «Sì, ma il film è girato a Las Vegas, o nel palazzo dei reali britannici? Difficile da definire» commentò. Nina scoppiò a ridere. Il bagno riservò loro una ulteriore sorpresa. Guardando con occhi sgranati i tappeti color avorio e i rivestimenti intarsiati d'oro, Nina si sedette sulla piattaforma di marmo rosa che circondava l'enorme vasca a idromassaggio. «Ryan?» «Dimmi.» «Credo che ci abbiano assegnato per sbaglio la suite nuziale. Hai notato quei ritratti di donne nude appesi alle pareti della camera da letto?» «Sono sicuramente antichi.» «E questi?» Nina indicò un cesto che conteneva una varietà di oli profumati e bagnoschiuma. «Credi che riservino un trattamento simile a tutti gli ospiti dell'albergo?» domandò. «Non è possibile che il re...» «Io credo che il re abbia di meglio da fare del combinare incontri Lyn StoneMary – McBride
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sentimentali» la interruppe lui. «Non saprei. Mai hai visto come ci guardava? Come se avesse in mente qualcosa.» In realtà, non aveva notato niente però, ora che ci pensava... «Ma perché?» chiese Ryan. «Tu lo conosci bene? Voglio dire, a parte le formalità.» Ryan sorrise. «Tesoro, quando hai a che fare con un re, le formalità non sono mai a parte» precisò. «No, non credo che abbia avuto un'idea simile, ma Lorenzo...» «Il duca?» «Proprio lui. È venuto nel mio ufficio poco dopo il tuo arrivo, ricordi? Tu aspetta qui» decise Ryan. «Io vado a chiarire la faccenda. Se si è permesso di interferire fino a questo punto...» «Aspetta! Potremmo sbagliarci» sottolineò Nina. «Che interesse avrebbe il duca se noi due ci mettessimo insieme? E poi, sicuramente avrà notato che non abbiamo niente in comune.» «È possibile che abbia concertato il suo piano prima di vederci insieme» ipotizzò lui. Uscì dal bagno e andò a sedersi sul letto. «Cosa vuoi dire con questo?» «D'accordo, procediamo per gradi.» Ryan le puntò un dito contro. «Per prima cosa, ora che Desmond è morto, tu sei diventata una povera ragazza, sola al mondo, giusto?» «Sbagliato! Io non sono povera e non sono più una ragazza. E non vivo su un'isola deserta. Ho tanti amici, sai?» «Sì, amici ma non parenti. Diciamo che Lorenzo si sente responsabile nei tuoi confronti, poiché tu sei la sorella di suo fratello. Anche se non avete alcun legame di sangue, capisco che lui provi l'esigenza di prendersi cura di te, non credi anche tu?» Nina sbuffò. «È un'idea assurda. E perché poi avrebbe scelto proprio te fra tutti?» «Perché già mi sono opposto ai suoi progetti prima d'ora. Lui si è sposato da pochi mesi, e sai come sono i novelli sposi... Vorrebbero vedere tutti felici come lo sono loro.» spiegò Ryan, optando per una mezza verità. Nina rise, si sedette accanto a lui e gli batté una mano su un ginocchio. «Allora dovresti apprezzare almeno il tentativo» commentò. «È sempre bello avere qualcuno che pensa a noi.» Ryan respinse in fretta la sua mano, poi si alzò. Il profumo della pelle di Lyn StoneMary – McBride
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Nina stava iniziando a oscurare la sua razionalità. Non era difficile fantasticare su quanto loro due avrebbero potuto fare in quella stanza infestata dalla seta. L'immagine di Nina nuda, distesa sul letto, si formò, repentina, nella sua mente. «Pensi che dovrei apprezzarlo?» sbottò. «Il duca farebbe bene a non spingersi troppo oltre. Se c'è lui dietro tutti questi incidenti...» «Sai che questo è impossibile» lo interruppe Nina. «Forse ha cercato di creare una situazione per farci incontrare in modo intimo, ma non avrebbe mai concertato un piano per terrorizzarmi, giusto?» «Hai ragione» sospirò lui. Si passò una mano fra i capelli con un gesto nervoso. «Ma gli telefonerò comunque e preciserò un paio di questioni.» «Perché? Vuoi che si offenda per le tue insinuazioni?» «Ma essere il nipote del re non gli dà il diritto di immischiarsi nella mia vita» ragionò Ryan. «Deve esserci qualcosa di vero nelle nostre supposizioni, altrimenti perché ci hanno assegnato una suite invece di due camere separate, magari comunicanti? Questo posto sembra una casa di appuntamenti.» Per tutta replica, Nina si nascose il viso tra le mani e scoppiò a ridere. «Cosa c'è di così divertente?» «Tu... Tu sei divertente» ripose lei. «Non ti ho mai sentito parlare tanto. Coraggio, Mac, dove è finito il tuo senso dell'umorismo? E qual è il problema, oltretutto? Temi forse che io voglia approfittare di te?» «Ti consiglio di riflettere prima di parlare» l'ammonì Ryan. In realtà, la desiderava di più con il passare dei minuti, ma temeva che Nina non sarebbe stata molto disponibile per un'avventura di una notte. O di una settimana. O per i giorni che sarebbero stati necessari per risolvere il caso. Si sarebbe lasciata coinvolgere, questo sì. Poi lui avrebbe ferito i suoi sentimenti. Non voleva ferire i suoi sentimenti. Anzi, non voleva avere niente a che fare con i sentimenti in generale. Ma voleva fare sesso. Arretrò e prese posto di nuovo sul letto, avendo cura questa volta di lasciare tra di loro una distanza di sicurezza. «D'accordo. Cosa suggerisci?» «Fingiamo di non aver capito.» «Oppure assecondiamo il loro gioco» replicò Ryan, prima ancora di avere il tempo per riflettere sulle sue parole. Attratto da lei come da una calamita, si sporse in avanti, poi, facendo appello a tutta la sua forza di Lyn StoneMary – McBride
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volontà, raddrizzò le spalle. «Dimentica quello che ho detto» borbottò. «No, io credo che sia una buona idea...» mormorò Nina, allungando una mano per appoggiarla sulla sua. Dita delicate sfiorarono le sue, fino a risalire lungo il polso... «Stai attenta a quello che fai» le consigliò Ryan, la voce bassa e roca. Lei sorrise, inarcando un sopracciglio dalla forma perfetta. «Ma ti spavento davvero così tanto, signor Investigatore Privato?» «Sì, mi spaventi molto» sospirò lui. «Questo ti fa sentire bene?» «Potrebbe» confermò Nina. Non avrebbe immaginato di potere arrendersi così facilmente, ma gli sembrò la cosa più naturale del mondo chinarsi su quella donna sensuale e accattivante e rinunciare alla tranquillità della sua mente in cambio di un semplice bacio. Le sue labbra erano morbide, accoglienti, disponibili, dolci come pesche mature, così lui prese quanto gli stavano offrendo. Quasi senza rendersene conto, la strinse fra le braccia, facendo aderire i loro corpi, muovendosi lentamente e senza vergogna in una parodia di quanto lei gli stava chiedendo. Poi Nina gli appoggiò le mani sulle spalle per allontanarlo. Interrompendo il contatto, Ryan si distese sul letto e nascose il viso contro la coperta di raso. «Va bene» borbottò. «Dammi solo un minuto, vuoi?» Tirò un profondo respiro nel tentativo di riportare il battito del cuore a un ritmo normale, maledicendo nel contempo il sapore delle pesche mature che non accennava a svanire dalle sue labbra. Si appoggiò a un gomito e la guardò. «Scusa» disse, «ma te lo sei...» «Voluto?» azzardò Nina. «Lo so. Però io stavo per scivolare giù dal letto, e saremmo finiti lungo distesi sul pavimento. Se dobbiamo farlo, mi sembra un peccato non approfittare di tutte queste comodità.» Ryan sorrise. «Ne sei sicura?» «No, e non le sei nemmeno tu, ma questo non ci fermerà, giusto?» «Purtroppo non sono preparato» affermò lui, sfiorandole una gota con la punta di un dito. «Niente protezione.» Nina chiuse gli occhi e si lasciò cadere sul materasso, in un gesto forzatamente comico destinato a esprimere tutta la sua frustrazione. «Posso telefonare al servizio in camera» propose lui. Nina alzò la testa quel tanto che le bastò per rivolgergli un'occhiata atterrita. Lyn StoneMary – McBride
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«Allora controlliamo se il nostro caro amico Lorenzo ha previsto proprio tutto.» Ryan tese una mano per aprire il cassetto del comodino. «Come pensavo... Di vari tipi, persino colorati.» «Accidenti, il nostro duca deve essere proprio un tipo ottimista» commentò Nina. «E tu, mia cara, sei davvero terribile» replicò lui, togliendosi le scarpe. «Una condizione temporanea, te lo assicuro. So come comportarmi bene.» «Bene, non darmene una dimostrazione proprio adesso, d'accordo?» Ryan la fece distendere sotto di sé e le baciò la gola candida. Nel farlo, percepì la tensione dei suoi muscoli. «Ci hai ripensato?» volle sapere. «No, ma prima ritengo che dovremmo chiarire alcuni dettagli.» «Del tipo?» «Nessun legame?» Ryan provò un immediato sollievo, misto però a una punta di rimpianto. Però le cose fra loro dovevano andare così, e tanto meglio se lo voleva anche lei... Le strinse una mano nella sua. «Hai mai avuto un legame serio?» «Potremmo evitare di scambiarci racconti di guerra?» Lui annuì e la baciò di nuovo, permettendo alla sua mente di sprofondare nel piacere, relegando i ricordi del passato in un recesso della sua memoria. Niente racconti di guerra, nessuna reminiscenza. Solo una dolce obliterazione e una pressante urgenza di averla. Le parole di incitamento mormorate da Nina lo indussero a procedere con più velocità di quanto avrebbe voluto. Le strappò quasi i vestiti di dosso, si spogliò, e in un lampo fu dentro di lei. Per un istante rimase immobile, poi sentì la vita scorrergli nelle vene, così repentinamente da strappargli un gemito. Cercò di mantenere il controllo, un qualcosa che in genere riusciva piuttosto facile a un amante esperto come era lui. Si costrinse a focalizzare la sua attenzione sul viso di Nina, sulle sue labbra rosse e piene, un tentativo destinato a un sicuro fallimento. E poi lei lo colse di sorpresa, ruotando le anche, invitandolo a seguirla e Ryan si arrese a un piacere così intenso da sembrargli sconosciuto. I suoi sensi si tesero al punto da raggiungere una percezione quasi dolorosa. I gemiti di Nina risuonarono nella sua mente, l'ultimo segnale della realtà che colse prima di rinunciare a capire, e di smettere di preoccuparsi per quello che sarebbe accaduto dopo. Lyn StoneMary – McBride
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9 Nina si finse addormentata. Per niente al mondo avrebbe rovinato quei momenti preziosi con Ryan parlando. Almeno non subito, quando fluttuava in uno stato di euforia. Impossibile prevedere cosa avrebbe potuto dire se lui le avesse posto delle domande. Per cui, dopo aver respirato a fondo, permise al suo corpo di rimanere avvolto in quella sensazione di profondo benessere e alla sua mente di scivolare nel confortante rifugio offerto dall'oblio. Il cervello però rifiutò di collaborare. E il fatto che Ryan fosse disteso su di lei era un sicuro ostacolo al raggiungimento dei suoi scopi. L'istintiva e immediata intesa che i loro corpi avevano trovato la spaventava un poco, rifletté, perché la spingeva a credere che non avrebbe mai più incontrato un uomo capace di darle tanta soddisfazione. Ryan si era dato a lei con entusiasmo e senza reticenze, quasi fosse un affamato di fronte a un succulento pranzo. Nessuna donna poteva restare indifferente all'essere amata così. Aveva fatto succedere tutto quello con un preciso scopo in mente, ricordò Nina, cioè verificare che i sentimenti che nutriva nei suoi confronti fossero dettati dalla passione ma erano privi di sostanza. Al momento, i suoi pensieri invece erano decisamente sostanziali. Poteva innamorarsi di quell'uomo. Anzi, si sarebbe sicuramente innamorata di lui se non avesse fatto molta attenzione. Dunque, la cosa più saggia da fare, mentre erano distesi nudi l'uno fra le braccia dell'altro, era sottolineare che una cosa del genere non sarebbe più accaduta. Ryan, per tante ovvie considerazioni, non era il compagno con cui avrebbe voluto condividere la vita, quindi era necessario raffreddare la situazione, considerare il loro appassionato incontro come qualcosa da dimenticare. Ma semplicemente non aveva voglia di dire tutte quelle cose mentre si sentiva così splendidamente bene. Ryan si mosse piano, come nel tentativo di allontanarsi senza svegliarla. Lei decise di facilitargli il compito. Si girò su un fianco e affondò il viso nei guanciali di piume. Lyn StoneMary – McBride
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Meglio così, decise. Se Ryan restava a letto, chissà cosa sarebbe successo. Onestamente, lo sapeva. Quel corpo forte e muscoloso era una minaccia per la tranquillità della sua mente e per la sua determinazione. E soprattutto, una minaccia per i suoi tentativi di considerarsi fisicamente esausta. Pochi secondi dopo, Nina lo sentì uscire dalla stanza. Una lacrima le scivolò lungo la gota. Con un gesto di stizza, la asciugò con il dorso della mano. Se almeno Ryan si fosse dimostrato un amante egoista... Invece era stato dolce, generoso, tenero. E ora, come avrebbe fatto a dimenticarlo? In salone Ryan indossò i pantaloni poi, a piedi scalzi, entrò in bagno. Aprì il rubinetto dell'acqua fredda e si sciacquò il viso. «Bel pasticcio hai combinato» borbottò, guardando la sua immagine riflessa nello specchio che sovrastava il lavabo. Abbassò la testa e si bagnò anche i capelli. Aveva appena finito di asciugarsi quando sentì il campanello della porta d'ingresso squillare. Sì, proprio quello di cui aveva bisogno al momento, pensò, mentre era a torso nudo, senza scarpe e sfinito dopo un incontro di sesso focoso. Compagnia... Uscì dal bagno, attraversò il salone e si avvicinò alla porta. Attraverso lo spioncino vide un facchino e un carrello carico di bagagli. «Lasci tutto qui» ordinò all'uomo dopo averlo fatto entrare. Prese una banconota dalla tasca e gliela porse. Di nuovo solo, si lasciò cadere su uno dei morbidi divani e aspettò che il rimorso cancellasse il ricordo del recente piacere. Aspettò che il dolore lo aggredisse, come sempre succedeva dopo essere stato a letto con una donna. Angoscia, sensi di colpa, sofferenza... Dove erano finite tutte quelle sensazioni? Perché non si manifestò nulla, nonostante lui fosse pronto ad accoglierle e a sopportarle. Incredibile a dirsi, si sentiva bene. Restò immobile per lunghi minuti, continuando a percepire unicamente gratitudine e soddisfazione. Infine gli venne persino voglia di ridere. Anche suo padre aveva avuto un'esperienza simile? si chiese. Un'esperienza che lo aveva indotto a sposarsi di nuovo appena un anno dopo la morte della sua prima moglie? Un pensiero improvviso, che lo colse di sorpresa. Lyn StoneMary – McBride
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Non ci aveva mai riflettuto prima, perché lo faceva adesso? Forse Nina in qualche modo gli rammentava la sua matrigna, aggressiva ma vulnerabile. Raffinata ma seducente. Indipendente, bella. Suo padre si era lasciato trascinare dalla lussuria, oppure si era aggrappato alla donna che non lo aveva fatto sentire in colpa, che non gli aveva dato la sensazione di tradire il vero amore della sua vita? Ryan guardò il telefono, poi scosse la testa. No, non poteva chiamarlo. Negli ultimi sette anni, aveva sentito suo padre solo raramente. Una veloce telefonata a Natale, solo per rispetto delle convenienze. Una nuova e inaspettata domanda gli risuonò in mente. Perché il fatto che suo padre avesse trovato la felicità accanto a un'altra donna e ai figli di lei lo infastidiva? All'improvviso si sentì molto solo. Tutta colpa di Nina, decise. Prima di lei, la sua esistenza era stata facile, organizzata. Lavoro, sonno, e altro lavoro. Una routine necessaria e sufficiente alla sopravvivenza. Sollevò il ricevitore del telefono, compose il numero e trattenne il fiato. «Pronto?» «Papà?» «Ryan? Ryan, sei tu?» La voce di suo padre gli arrivò vibrante di felicità. Forse gli aveva sempre parlato in quel modo, ma lui non lo aveva mai notato. Non durante gli ultimi sette anni. «Sì, papà, sono io. Come stai?» «Che succede? Qualcosa non va, figliolo?» Una domanda ovvia. Non era, in fin dei conti, Natale. «No, è tutto a posto» replicò Ryan. «Volevo solo salutarti.» «Ne sono felice. Che combinazione, io e Trish stavamo proprio parlando di te ieri sera... Ci chiedevamo com'è il tempo in quell'angolo di paradiso dove vivi.» «Il tempo è splendido.» Ryan esitò. «Come stanno Trish e i bambini?» I figli della sua matrigna dovevano avere ormai più di dieci anni. Lui non li conosceva e non aveva mai desiderato conoscerli. «Tutti bene. Ovviamente adesso dormono.» Ryan rise. «Avevo dimenticato la differenza di fuso orario. Scusa se ti ho svegliato.» «No, non scusarti, sono così contento di sentirti, figliolo... Ma sei certo di star bene?» «Puoi parlare, papà? Voglio dire, lei ti ascolta?» Lyn StoneMary – McBride
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«Come ti ho detto, Trish dorme. Io stavo guardando la televisione, sai com'è, un po' di insonnia.» Inutile girare attorno all'argomento, decise Ryan. «Papà, quando tu e Trish vi siete conosciuti... Tu come hai fatto... Cioè, hai dimenticato la mamma?» A quelle domande balbettate seguì un lungo silenzio. Poi la voce di suo padre risuonò nel ricevitore, sottolineata da quella comprensione che lui ricordava così bene. «Io non potrei mai dimenticarla, figliolo, e nessuno si aspetta che io lo faccia, meno che mai Trish. Tua madre è stata una delle donne migliori che abbia vissuto su questa terra, ma anche Trish ha tante qualità. Se solo tu volessi concederle una possibilità...» «Lo farò» replicò Ryan in fretta. «Figliolo, volevi parlarmi del mio matrimonio, oppure c'è altro? Forse finalmente hai incontrato una persona speciale? Sai, ho pregato tanto affinché succedesse, ma...» «Ti richiamo presto» lo interruppe Ryan. «Ascoltami, Kath non vorrebbe che tu continuassi a soffrire tanto per lei. Ti può sembrare cinico, ma...» Di nuovo Ryan non gli concesse la possibilità di terminare la sua frase. «Devo andare, papà» affermò, stringendo con forza le dita sul ricevitore del telefono. «Ora non posso aggiungere altro.» Invece qualcosa doveva aggiungerla. Era necessario. «Ti voglio bene, papà. Mi dispiace tanto per tutto. Riferiscilo a Trish, per favore.» E poi interruppe la comunicazione, prima di scivolare ulteriormente nella malinconia. Il campanello della porta squillò di nuovo. Grato questa volta di una distrazione, Ryan andò ad aprire, certo di chi avrebbe trovato sulla soglia. Lorenzo. «Apparentemente l'aria condizionata funziona bene» commentò il duca, osservando il suo torace nudo con un sorriso malizioso sulle labbra. «Stavo per fare una doccia» inventò alla svelta Ryan. «Cosa vuoi?» Lorenzo sorrise amabilmente. «Niente. Sono venuto qui per incontrare un diplomatico tailandese e ho deciso di farti un saluto. Come procede la tua indagine?» «Sono sicuro che tu ne sai quanto me, se non di più. Allora, ci sono novità?» «Abbiamo scoperto qualcosa sull'orecchino» confermò il duca. «È stato Lyn StoneMary – McBride
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acquistato nelle ultime sei settimane, perché prima di allora non erano disponibili. Joe ti fornirà un rapporto completo, ovviamente. E la nostra graziosa Nina come si trova in questa bella suite?» Ryan incrociò le braccia sul petto. «Sta riposando. Ieri notte non è riuscita a dormire poi molto.» «Immagino che tu stia parlando dell'effrazione nel suo appartamento» commentò con serietà Lorenzo, sul viso l'espressione di chi la sapeva molto lunga. «Avevi organizzato tutto dal principio, giusto?» replicò Ryan, ignorando l'allusione. «Farci incontrare, intendo.» Il duca ebbe almeno la buona grazia di apparire sconcertato. «Io? Il tuo lavoro ti ha portato a essere sospettoso nei riguardi di tutti, amico mio» commentò. «E ora scusami, ma devo andare. Posso darti però un piccolo consiglio?» «No, grazie.» «Lo farò lo stesso.» Un ampio sorriso incurvò le labbra di Lorenzo. «Se io fossi in te, disinfetterei quei graffi che hai sulla schiena.» «Lo terrò a mente» borbottò Ryan. «Ci vediamo» concluse Lorenzo, poi si incamminò lungo il corridoio. Ryan richiuse la porta con un tonfo. Detestava essere manovrato, anche se quelle manovre infine lo avrebbero condotto laddove voleva arrivare. «Oh, bene» esordì Nina, quando infine si avventurò fuori dalla stanza da letto. «Hanno portato i bagagli.» Senza concederle il tempo di aggiungere altro, Ryan sollevò due valigie, la oltrepassò e entrò nella stanza dove avevano appena fatto l'amore. «Tu resti qui» annunciò. «Io prendo l'altra.» Nina annuì, sapendo che la decisione di non condividere la camera era saggia. Dunque Ryan era giunto alle sue stesse conclusioni, pensò, avvertendo poco sollievo e tanto rimpianto. «Allora, ne vogliamo parlare?» propose. Ryan appoggiò le valigie accanto al letto, poi si girò verso di lei. «Dobbiamo proprio?» «Immagino di no.» «Abbiamo commesso un errore?» Lei scosse la testa. «Ancora no, ma potrebbe trasformarsi in un errore, almeno per uno di noi.» Lyn StoneMary – McBride
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Ryan sorrise, un sorriso privo di allegria. «E per chi dei due, esattamente?» «Per me» ammise Nina onestamente. «Io ho bisogno di più di quanto tu possa offrirmi.» «Hai ragione. Io non ho molto da offrire.» «Non mi stavo riferendo al denaro» sottolineò lei, offesa. «Neanche io.» Rimasero a guardarsi in silenzio fin quando lo squillo del telefono risuonò nella stanza. Nina era più vicina all'apparecchio, per cui rispose lei. «Pronto?» «Ryan McDonough è con lei, signorina Caruso?» esordì una voce profonda dal vago accento italiano. «Sì, è qui. Chi parla, per favore?» «Joe Braca. Sta bene?» «Certo che sta bene, signor Braca. Perché?» «Suo padre mi ha appena telefonato per dirmi che temeva per la sua vita. Apparentemente, Ryan lo ha contattato e...» Ryan le strappò praticamente di mano il ricevitore. «Qual è il problema, Joe?» domandò. Nina lo osservò mentre lui ascoltava e scuoteva la testa. «Ha frainteso, ecco tutto» affermò infine. «Non preoccuparti, lo chiamo subito per rassicurarlo» aggiunse, poi interruppe la comunicazione e continuò a scuotere la testa. «Ebbene?» Nina agitò le mani in aria. «Spiegami tutto.» «Si tratta solo di un equivoco, nulla di importante.» «Nulla di importante, tu dici? Se tuo padre si è spaventato tanto da telefonare a un tuo dipendente nel cuore della notte, deve trattarsi di qualcosa di importante!» esclamò lei. «Forse qualcuno è sulle tue tracce? Qualcuno che vuole farti del male?» Ryan sospirò e si accomodò sul divano. «Possiamo lasciar perdere la questione, almeno per ora? Devo fare una telefonata, prima che al mio vecchio venga un attacco di cuore. Potresti lasciarmi solo, per favore?» «Perché? Solo per comunicare a tuo padre che sei ancora vivo? Non ti credo. Voglio sentire tutto» replicò Nina, cocciuta. Ryan socchiuse gli occhi e le lanciò un'occhiata ammonitrice. Lei non si lasciò intimorire. «Se questo è il tuo sguardo più minaccioso, Mac, potresti anche evitare di provarci. Coraggio. Telefona.» Lyn StoneMary – McBride
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Ryan compose il numero sulla tastiera del telefono. «Papà?» disse dopo qualche secondo. «Ascolta, io sto bene, davvero... Sì, lo so che non ti ho mai parlato così, ma volevo semplicemente scusarmi, d'accordo? Ho riflettuto e ho capito che era arrivato il momento per chiarire alcune cose, tutto qui... Sì, papà, potrebbe essere possibile ma non ne sono ancora sicuro.» Accostò il ricevitore all'altro orecchio e sospirò. «Ne riparliamo, d'accordo?... Sì, ti chiamo alla fine della settimana. Ciao, papà... Sì, anche io.» «Che cosa gli hai detto per indurlo a credere che tu fossi a un passo dal suicidio?» volle sapere Nina quando lui interruppe la comunicazione. Ryan scrollò le spalle. «Mi sono scusato per alcuni miei comportamenti, il che deve averlo sorpreso tanto da farlo giungere a conclusioni errate.» «Accidenti... Ma cosa gli hai fatto?» «Questi non sono affari tuoi, dunque smetti di interrogarmi.» Aveva ragione, ammise Nina. I suoi problemi familiari non dovevano interessarle. Forse suo padre era un po' stravagante, o forse c'era dell'altro, ma la cosa non la riguardava. «Credo sia meglio io vada a fare una doccia» affermò, avviandosi verso la camera. «Sì, è decisamente meglio se vai a fare una doccia» confermò lui. «Ci siamo detti tutto quello che c'era da dire, giusto? Stanze separate, niente più...» Intenzionalmente, Nina lasciò in sospeso la frase. Ryan si limitò ad annuire. Dopo cinque giorni di permanenza in albergo, Ryan e Nina avevano letto e riletto tutti i rapporti della polizia, fin quasi a impararli a memoria, e formulato decine di teorie, scartandone poi alcune e approfondendone altre. Erano usciti solo una volta, il terzo giorno. Si erano recati nella cappella privata della reggia per assistere a un breve servizio funebre in ricordo di Desmond. Lorenzo era stato incaricato di pronunciare il discorso. Solo Nina aveva pianto, ma tutti i presenti le avevano offerto parole di comprensione e di conforto. L'essere costretto in quella stanza d'albergo, il non poter svolgere il suo lavoro con la solita efficienza, stava iniziando a rendere Ryan molto nervoso. Non solo, ma la forzata intimità con Nina era più di quanto lui potesse sopportare. Lyn StoneMary – McBride
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Gli bastava guardarla per sentire tutti i muscoli del corpo tendersi. Era costretto a fare appello a tutta la sua forza di volontà per concentrarsi su ciò che si supponeva dovesse fare, e non su quello che invece desiderava fare. Ma Nina aveva preso una decisione, che lui rispettava e condivideva. Ciò nonostante, non si sentiva così bene da anni. Il futuro non gli appariva più come un qualcosa che lui non aveva il diritto di vivere, ma si svegliava ogni mattina chiedendosi cosa sarebbe accaduto durante la giornata, incuriosito sugli eventi che lo attendevano. Sapeva cosa sarebbe accaduto quel particolare giorno. La principessa Samira e suo marito Farid erano attesi a Montebello nel pomeriggio. Lui li avrebbe interrogati proprio lì, nella suite dell'albergo. Nina spinse da parte il suo piatto e si alzò. Facevano colazione e pranzavano sempre nel salone della suite, per cena si recavano nel ristorante dell'albergo. Ryan sorseggiò il suo caffè e la guardò. «Non hai finito di mangiare» commentò. «Ma tu hai mangiato abbastanza per tutti e due» replicò lei. Un'espressione turbata era apparsa sul suo viso, notò Ryan. «Ti senti bene?» le chiese, preoccupato. «Sì, sto bene.» «Forse un po' annoiata?» Nina sospirò. «Ho visto in televisione tutti i film che sono disponibili sul mercato» rispose. «Tutte le puntate delle soap opera, senza perderne nemmeno una. E così tante trasmissioni di cucina che ormai sento di essere diventata una cuoca provetta. Sono stanca di leggere. Se tutto questo non terminerà presto, finirò per annegarmi in quella orrenda vasca da bagno.» Ryan rise. «Sì, capisco quello che vuoi dire.» Si alzò e si avvicinò al divano, poi le fece cenno di raggiungerlo. «Hai voglia di lavorare un poco?» propose. «E cosa potremmo fare? I rapporti della Scientifica per noi non hanno più segreti.» «Ci sono novità sull'orecchino. Joe ha telefonato poco fa per dirmelo, mentre tu ti stavi vestendo.» Un lampo di interesse attraversò gli occhi di Nina. Si affrettò a prendere posto accanto a lui. «Allora, dimmi tutto» lo esortò. Ryan si appoggiò allo schienale e accavallò le gambe. «Crema per le mani» affermò. Lyn StoneMary – McBride
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«Spiegati meglio.» «Franz ha trovato un residuo di crema per le mani sull'orecchino. Chiunque lo abbia indossato, ha impugnato la statuetta, perché anche lì sono state rinvenute tracce della stessa crema.» «Perfetto!» esclamò Nina, eccitata. «Ora dobbiamo solo prenderla.» «Infatti, a questo punto siamo sicuri che l'omicida è una donna. Purtroppo non è stato possibile identificare la marca della crema, sul mercato ne esistono centinaia di tipi» precisò Ryan. «Anche in questo caso, è abbastanza per collegare i due oggetti alla stessa persona, giusto?» «Giusto» confermò lui. «Adesso dobbiamo ottenere dalla principessa Samira una descrizione il più accurata possibile della donna che ha visto insieme a Desmond qualche giorno prima che lui venisse ucciso, poi potremo finalmente avere un vero sospettato.» L'entusiasmo che aveva animato il suo viso scomparve repentinamente. «Immagino che il caso sarà risolto presto» mormorò Nina. «Preferirei procedere per gradi.» «Superstizioso, McDonough?» chiese lei, tornando a sorridere. «Un po', sai, retaggi della mia discendenza celtica» confermò Ryan. «Ma è una superstizione latente. Cammino sotto le scale e accarezzo i gatti neri.» «Giusto per non correre rischi inutili, evitiamo di rompere specchi, d'accordo?» Una immagine si materializzò all'improvviso nella mente di Ryan. Specchi infranti, finestre frantumate, schegge di vetro ovunque... Così tante schegge di vetro. Una devastazione. Un nodo gli strinse la gola impedendogli quasi di respirare. «Ryan, che succede?» Percepì le sue mani su di lui. Una gli sfiorava il viso, l'altra era aggrappata alla sua spalla. «Scusami» mormorò Ryan, cercando di tornare al presente. Nina si inginocchiò. Lo prese per le braccia, lo scosse gentilmente. «Per favore, dimmi cosa c'è che non va» lo invitò. «È tutto a posto» mentì lui. Tirò un profondo respiro. «Ricordi, solo ricordi.» «Di cosa?» insisté Nina. Ryan non era in grado di guardarla, e tanto meno di dirle la verità. «Un Lyn StoneMary – McBride
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brutto caso, diversi anni fa.» La spinse da parte e si alzò. «Scusami.» Attraversò la sua camera per andare in bagno, richiuse la porta alle sue spalle e si appoggiò alla parete. Chiuse gli occhi, cercando di concentrare la sua mente su altro. In genere funzionava, si disse. L'immagine svaniva ma l'orrore restava. Un orrore dal quale, ormai ne era certo, non si sarebbe più liberato.
10 Nina batté sulla porta chiusa con entrambi i pugni. «Ryan, per favore, apri!» quasi urlò. «Ti senti male?» Al diavolo i bei discorsi sulla privacy. Lo aveva visto quasi perdere i sensi, come schiacciato da un peso che non era in grado di sopportare. «Chiamo qualcuno per sfondare la porta se tu non...» L'uscio si schiuse. Nina si precipitò dentro, finendo fra le braccia di Ryan. Recuperò immediatamente l'equilibrio e arretrò. «Ryan...» mormorò, alzando una mano per sfiorargli il viso. Lui le afferrò il polso. La trattenne per un solo istante, poi la lasciò andare. «Sei la donna più dannatamente irritante che abbia conosciuto in tutta la mia vita, lo sai questo, vero?» borbottò. Nina annuì. Gli cinse la vita con le braccia e lo strinse a sé, nascondendo il viso contro la sua camicia. «Mi hai fatto spaventare» mormorò. «Non pensarci più» le ordinò. Le braccia gli ciondolavano lungo i fianchi ed era completamente immobile. Piano, Nina mosse un passo indietro. «Scusami.» «Va bene, ma devi farmi un piacere. Dimentica quello che è successo e non farmi domande.» Nina lo osservò attentamente. Il viso era pallido e la fronte imperlata di sudore, ma sembrava aver riguadagnato il controllo. «Sai, ho pensato a cose terribili, soprattutto considerando la telefonata di tuo padre» ammise. Ryan la oltrepassò, entrò nella stanza e aprì l'anta dell'armadio. «Non ho intenzione di discuterne» ribadì. «Fra meno di trenta minuti arriverà la principessa e io devo prepararmi.» «Cravatta rossa, quella a strisce» suggerì lei, arrendendosi. Lyn StoneMary – McBride
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Ryan prese la cravatta e la gettò sul letto, seguita poco dopo da una giacca grigia. «Posso vestirmi da solo, grazie» affermò, quando lei si portò alle sue spalle, come per supervisionare le sue scelte. Nina scosse la testa. «D'accordo, ma quella camicia non è adatta. Quella celeste andrà meglio.» Ryan strinse i pugni e respirò a fondo, ormai sul punto di perdere la pazienza. «Vuoi, per favore, uscire dalla mia stanza?» sbottò. Almeno non era più pallido. «Vado» replicò Nina. Impiegò più tempo del necessario, ma andò via. Era difficile per lei abbandonarlo in quello stato. E se avesse avuto un'altra crisi? Causata da cosa, comunque? Un attimo prima Ryan era stato tranquillo e sorridente, e un attimo dopo... Cercò di ricordare. Stavano parlando, o meglio, lei stava parlando. Forse involontariamente aveva detto qualcosa che aveva scatenato la sua reazione, ma cosa? Probabilmente non lo avrebbe mai saputo. Presto l'indagine si sarebbe conclusa, lei sarebbe tornata a casa e Ryan alla sua vecchia vita, fatta di lunghe ore di lavoro e di spaventose memorie di un passato. E lei non ne avrebbe mai saputo un bel niente. Chi avrebbe bussato alla sua porta allora, facendolo innervosire così tanto da dimenticare il suo dolore? Chi lo avrebbe stretto fra le braccia quando lui ne avesse avuto tanto bisogno pur senza ammetterlo? Era innamorata di lui. Pazzamente innamorata di lui, ed era anche troppo tardi per porvi rimedio. L'arrivo di Ryan la strappò al filo dei suoi pensieri. Alzò la testa e sorrise, notando che, dopotutto, aveva indossato la camicia che gli aveva consigliato lei. «Il celeste ti dona, mette in risalto i tuoi occhi» commentò, solo perché lo credeva davvero. «Grazie.» Ryan strinse il nodo della cravatta e si schiarì la voce. «So che non ti piacerà, ma devo chiederti di aspettare nella tua stanza mentre io incontro la principessa e suo marito.» «Perché?» «La principessa Samira probabilmente sarà più disponibile a rispondere alle mie domande se non ci sarà la sorella di Desmond pronta ad ascoltare ogni parola che dice sul suo conto, ecco perché.» «Ma...» «Niente ma» la interruppe lui. «Io conduco le indagini e io stabilisco le regole. Tuo fratello e la principessa sono stati amanti e non si sono separati Lyn StoneMary – McBride
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in modo amichevole. Vederti sarebbe imbarazzante per lei, dunque obbedisci e non fiatare.» Aveva ragione, ammise Nina, anche se le avrebbe fatto piacere conoscere una vera principessa e suo marito, solo per avere qualcosa in più da raccontare ai suoi nipoti un giorno. Sempre se ne avesse avuti, il che non le sembrava molto probabile al momento. Rassegnata, si avviò verso la stanza. «Buona fortuna» gli augurò prima di chiudere la porta, pur desiderando che non ne avesse troppa. Il caso non poteva essere risolto così presto. Lei aveva bisogno di restare a Montebello ancora per un po'. Purtroppo, smascherare l'assassino di Desmond non era più in cima alla lista delle sue priorità. Dopotutto, l'uomo che lo aveva ucciso non necessariamente era un serial killer, giusto? Ryan aveva ipotizzato che Desmond era stato vittima di un delitto passionale. Probabilmente una donna lo aveva colpito solo perché lui l'aveva provocata al punto da farle perdere il controllo. Certo, non avrebbe potuto affermare che suo fratello era stato un violento, ma ricordava che litigava con tutti ai tempi della scuola. Povero Des, non era mai andato d'accordo con nessuno, e forse era stato proprio questo suo atteggiamento a condurlo alla morte. Doveva concentrarsi sul motivo che l'aveva portata a Montebello e ignorare il suo dilemma personale, decise. Magari, in un secondo momento, avrebbe trovato una scusa per prolungare la sua permanenza sull'isola e avere così la possibilità di verificare il suo rapporto con Ryan. Forse credeva di essere innamorata di lui, ma non era così. Forse si trattava di una dipendenza psicologica, come quelle che a volte si stabiliscono fra il paziente e il suo medico, l'alunno e il suo insegnante, l'ostaggio e il rapitore. Sentì il campanello squillare. La principessa era arrivata, in anticipo. Se solo avesse potuto socchiudere la porta per dare uno sguardo... Ma poteva origliare, decise Nina. Si tolse le scarpe, prese il bicchiere di vetro dal comodino e si avvicinò alla porta. Appoggiò il bicchiere sul pannello di legno, e l'orecchio sul bicchiere. Un sorriso le incurvò le labbra quando si rese conto che l'espediente funzionava. La principessa stava replicando alle parole di saluto di Ryan. E doveva aver preso posto sul divano, perché la sua voce le arrivava chiara e distinta. Una voce melodiosa, senza dubbio, con un accento accattivante. Lyn StoneMary – McBride
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Durante l'interrogatorio, Ryan capì quanto doveva essere difficile per la principessa raccontare i dettagli della sua relazione con Caruso in presenza del marito. Avrebbe dovuto convocarli separatamente, ma non aveva voluto chiedere troppo alla fortuna. Era già molto che i due avessero acconsentito a parlare con lui. In caso di rifiuto, non ci sarebbe stata alcuna maniera per costringerli. I rapporti fra il Tamir e il Montebello, dopo lunghi anni di guerre, stavano progressivamente migliorando, ma erano ancora troppo instabili per reggere alla minaccia di uno scandalo che avrebbe coinvolto un membro della famiglia Kamal. La principessa era una donna dotata di una bellezza discreta. Portava i lunghi capelli neri raccolti in un semplice chignon, e indossava un vestito bianco senza fronzoli ma di fattura raffinata. Il marito, Farid Nasir, aveva la struttura fisica tipica delle guardie del corpo, alto e imponente, con i muscoli possenti che si tendevano sotto la stoffa della giacca di sartoria. «Proceda con le sue domande, signor McDonough» lo invitò la principessa. «Noi siamo disposti a collaborare in ogni modo possibile.» «Siete stati molto gentili ad accettare il mio invito. A nome della famiglia Sebastiani, vi ringrazio per la cooperazione che state offrendo alle indagini» replicò lui. «Per prima cosa, è necessario stabilire con esattezza la natura della relazione che la legava alla vittima, Vostra Grazia. Conosceva bene Desmond Caruso?» «Abbiamo avuto una relazione» rispose Samira dopo aver lanciato un'occhiata a suo marito. «Per un breve periodo di tempo, ho creduto di essere innamorata di lui.» «Hai creduto anche che lui ti amasse» sottolineò Farid con tono gentile. «Ma ti sbagliavi.» «Lei ha avuto uno scontro con Caruso, giusto?» gli chiese Ryan. Nasir annuì. «Sì, è successo in un ristorante, il Class Swan. Quando ha insultato mia moglie, l'ho minacciato di morte se si fosse permesso di avvicinarsi ancora a lei.» «Capisco. Cosa aveva detto Caruso per suscitare in lei una reazione così violenta?» «Devo ripetere ogni parola?» «Per favore, sarebbe importante per le indagini» confermò Ryan. Lyn StoneMary – McBride
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Farid si girò verso la principessa, in attesa di un suo segno di assenso. Solo quando lei annuì, riprese a parlare. «Quel demonio l'accusò di essere un donna frigida, e disse a me che dovevo essergli grato per avermi spianato la strada, se capisce cosa intendo.» «Lo capisco, e capisco anche perché lei abbia perso il controllo» commentò Ryan. Non capiva però perché Nasir non lo avesse strangolato sul posto, davanti agli occhi di tutti. Meglio che Nina non stesse ascoltando quella conversazione, pensò. «Quindi è successo solo questo? Lei gli ha detto il fatto suo, poi è tornato con la principessa in Tamir e non ha più avuto occasione di vedere Caruso?» «Giusto. Non sono stato io a ucciderlo.» «Sì, questo è già stato provato. Io ho chiesto di incontrarvi soprattutto per avere una descrizione della donna che era con la vittima qualche giorno prima dell'incidente al ristorante. La donna che lei ha visto attraverso la finestra del cottage, Altezza» precisò loro Ryan. Samira allungò una mano per stringere quella del marito, raddrizzò le spalle, puntò il mento in avanti. Sulla sua fronte apparve una piccola ruga, come si stesse concentrando per rammentare ogni singolo dettaglio. «Aveva i capelli biondi» affermò. «Ed era alta, quasi quanto Desmond. Non so però se portasse scarpe con i tacchi. Snella, ma non proprio magra.» «Età approssimativa?» «Non saprei, non sono riuscita a vederla in faccia. Si stavano abbracciando. Si baciavano. Io andai via subito, non volevo disturbarli.» La piccola principessa aveva classe da vendere, ragionò Ryan. Sapeva ammettere i suoi errori e quando fare marcia indietro. «Mi dica, ha mai sentito nominare una donna in relazione a Desmond Caruso?» Samira scosse la testa. «No. Comunque, il pomeriggio dell'incidente al ristorante, al suo tavolo era seduta una donna bionda.» Una novità, finalmente. Non era scritto nulla del genere nel rapporto della polizia che aveva letto fino a impararlo a memoria. «L'ha vista?» si informò Ryan. «Purtroppo solo di schiena. Aveva capelli biondi, lunghi fino alle spalle. Io credo che sia la stessa del cottage. Ha sollevato il bicchiere del vino e io ho visto la sua mano di sfuggita. Aveva unghie lunghe e laccate di rosso. Non era la mano di una donna giovane.» «Cosa indossava la signora?» Lyn StoneMary – McBride
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«Era vestita di scuro, blu o nero. Un abito senza maniche. Portava bracciali e orecchini. Di più non posso aggiungere.» «Una descrizione eccellente, principessa. E lei, signor Nasir, ha visto la donna?» «No» rispose Farid. «Non mi sono reso conto che Caruso era in compagnia. Credo che le abbiamo detto tutto ciò che sappiamo» aggiunse. «Dunque ora andiamo via.» Ryan si alzò. «Vi ringrazio ancora per il tempo che avete voluto dedicarmi. Siete stati molto gentili.» «Se non c'è altro, ripartiremo domani in mattinata» annunciò la principessa. «No, non ho altre domande» affermò Ryan. «Ma, se dovesse venirmi in mente qualcosa, sarò io a raggiungervi in Tamir.» Nina uscì dalla sua stanza nello stesso istante in cui la porta di ingresso si richiuse alle spalle della coppia reale. «Tu credi davvero che Desmond abbia fatto quei commenti sul conto della principessa?» esordì, un po' senza fiato. «Accidenti, Nina» Ryan scosse la testa. «Dovevo immaginarlo che non avresti resistito. Origliare una conversazione privata non ....» «Ci credi o no?» lo interruppe lei. «Tu lo conoscevi, io no. Allora, pensi che sia possibile?» Nina esitò un attimo, sul viso un'espressione desolata. «Onestamente non lo so» ammise. «Ma se lo ha fatto, è stato terribile, giusto?» chiese, lasciandosi andare sul divano. «Proprio terribile.» «Forse Nasir ha esagerato un poco» ipotizzò Ryan, spinto dal desiderio di confortarla. «No, io non credo che abbia inventato una sola parola» replicò lei. «Come ha fatto Desmond a comportarsi in modo così vile?» «Ora non esagerare» Ryan provò di nuovo al fine di calmarla. «Tuo fratello ovviamente era furente, la principessa lo aveva lasciato, anche se per degli ottimi motivi. Probabilmente desiderava solo ferirla, ecco tutto.» «Non sei costretto a inventare fandonie per salvaguardare i miei sentimenti» lo redarguì Nina. «La principessa era convinta che mio fratello l'amasse, poi lo ha scoperto fra le braccia di un'altra donna. E, ciliegina sulla torta, è stata anche insultata pubblicamente. No, peggio. Desmond non si è limitato a insultarla, ha cercato di distruggere la sua reputazione. Mi dispiace tanto per lei» mormorò. «Sembra una persona così dolce.» Lyn StoneMary – McBride
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Ryan non replicò. «Tu lo credi. Credi che abbiano detto la verità.» Ryan sospirò, prese posto accanto a lei e le strinse una mano fra le sue. «Sì, lo credo. Mi dispiace, ma è così. Andrò personalmente a interrogare il proprietario e il personale di servizio del locale, e ho già chiesto a Joe di cercare qualche testimone dell'incidente al ristorante. Ora lo chiamo per sapere se ha scoperto qualcosa.» «Allora?» domandò Nina con tono speranzoso quando lui riagganciò il ricevitore del telefono. «Nulla di nuovo» replicò Ryan. «Sfortunatamente, lo scontro fra Nasir e Desmond ha attirato l'interesse di tutti, per cui nessuno ha dedicato molta attenzione alla donna bionda. Una donna bionda che ormai potrebbe anche aver cambiato colore dei capelli» puntualizzò. «Immagino, e Joe è d'accordo con me, che non sia di queste parti. Potrebbe anche essere una turista che Desmond ha conosciuto per caso e che ormai è ripartita.» «Allora chi ha tentato di uccidermi?» domandò Nina. Ryan non aveva una risposta, ma sapeva di dover escogitare qualcosa per distrarla e farle tenere la mente occupata. «Vuoi accompagnarmi all'ambasciata americana?» propose. «Devo ritirare alcuni documenti.» In realtà, doveva farlo già da tempo. Poche settimane ancora, e avrebbe dovuto presentare domanda per ottenere la cittadinanza. Fino a quel momento, era rimasto in Montebello grazie a un visto per lavoro della durata di due anni. Se voleva trasferirsi definitivamente lì, e lo voleva, doveva regolarizzare la sua posizione. «Qualcosa che ha a che fare con le indagini?» «No, è personale.» «Personale?» ripeté Nina. «Dunque tu hai una vita personale. Questa sì che è una notizia interessante.» «Cosa intendi?» replicò lui sulla difensiva. «Tutti hanno una vita personale.» «Non tu» insisté Nina. «Per te tutto è collegato al lavoro. Da quando ti conosco non hai detto niente, o fatto niente, che non riguardasse la tua professione.» Abbassò la testa per nascondere il rossore che sicuramente le aveva soffuso il viso. «Bene, c'è dunque stata un'eccezione» ammise, «ma potrebbe essersi trattato di un'anomalia.» «Tu la chiami così? Dovrò cercare nel vocabolario, apparentemente ho usato per anni il termine sbagliato» borbottò Ryan. Lyn StoneMary – McBride
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«Hai capito perfettamente cosa volevo dire.» Ryan scrollò le spalle. «Dunque faccio quello per cui sono pagato» precisò. «Qual è il problema? Tu fra tutti dovresti esserne felice. Sei venuta qui esigendo che l'assassino di tuo fratello fosse catturato, giusto? E come si suppone che io ci riesca se non lavoro?» Nina si alzò e passeggiò nella stanza. «Hai ragione» ammise. Si fermò davanti alla finestra e incrociò le braccia sul petto. «Penso di aver commesso un errore precipitandomi a San Sebastian» dichiarò. «Cosa vuoi adesso?» domandò Ryan, il tono della voce più gentile. «Che ti dica quanto è stata preziosa la tua collaborazione alle indagini? Ebbene, lo è stata.» Nina scosse la testa e non si girò per guardarlo. «Ma tu sembri ossessionato da queste indagini più di quanto lo sia io. Il che è strano, non credi? Non pensi mai ad altro.» «Mi dispiace, ma io sono il mio lavoro.» A quelle parole, Nina si voltò. «Vedi? Esattamente quello che ho detto.» «Troppo lavoro e niente svaghi... Ma questo è quello che io sono» insisté Ryan. «Quello che vedi è quello che puoi avere.» «Però mi hai concesso, di tanto in tanto, di dare un'occhiata anche se di sfuggita a un uomo che mi piacerebbe moltissimo conoscere meglio. Tu non permetti a nessuno di avvicinarsi a te. Perché lo fai?» «E tu chi pensi di essere per sottopormi a una seduta di psicoanalisi?» sbottò lui, giunto ormai al limite della pazienza. Nina ritornò a guardare il panorama. «Sono solo preoccupata per te, fine della storia. Se preferisci vivere come un robot, sono essenzialmente affari tuoi.» Ryan la raggiunse con pochi passi, ma si fermò alle sue spalle. «Hai dannatamente ragione, sono affari miei!» esclamò. «Non apprezzo questo tipo di interrogatorio, ricordalo. E vivo come sono costretto a vivere.» «Perché?» «Ma perché ti importa?» «Perché sei molto triste» spiegò Nina. «Perché non hai amici, e tutti abbiamo bisogno di amici.» «Ti sbagli, conosco molte persone.» «Appunto, conoscenti» sottolineò lei, «che sono molto diversi dagli amici. Scambi qualche parola, stringi qualche mano, ma poi c'è sempre il tuo lavoro che ti aspetta. Da quando sono qui, hai parlato esclusivamente Lyn StoneMary – McBride
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con chi poteva fornirti informazioni per le tue indagini!» «Ho telefonato a mio padre.» «Certo, solo perché lui pensava che ti fossi tirato un colpo di pistola in testa.» «Perché insisti tanto, Nina? Perché all'improvviso ritieni che io debba essere salvato?» «Perché è così. Hai bisogno di amici e io voglio essere tua amica, non solo una persona che tolleri perché sei costretto a farlo.» «Io sono costretto» puntualizzò Ryan, «e tu sei solo annoiata. Chissà perché le donne si divertono a sezionare l'anima di un uomo quando non hanno null'altro da fare?» concluse, stizzito, Ryan. «Una donna ha sezionato la tua anima?» «Sì, pur non volendo» ammise lui, lasciando andare il respiro che non si era reso conto di aver trattenuto. «Ebbene qualcuno deve aiutarti a rimettere insieme i pezzi. Ma suppongo che quel qualcuno non sarò io, giusto?» Non ottenne replica, per cui Nina sospirò e decise per un opportuno cambio di argomento di conversazione. «Sai, mi piacerebbe andare sulla spiaggia. È una giornata così bella.» «Dunque la seduta di analisi è terminata?» Un sorriso appena accennato incurvò le labbra di Nina. «Ti manderò il conto.» «Vedrò cosa posso fare, per la spiaggia, intendo.» «Non preoccuparti. Con la fortuna che ho, probabilmente sarei divorata da uno squalo appena messo piede in acqua.» «Hai portato un costume da bagno?» Nina tornò a sedersi sul divano, allungò le gambe davanti a sé e intrecciò le mani dietro la nuca. «Non sono venuta a Montebello per andare al mare» gli ricordò. «Chiamo Lorenzo» decise Ryan. «Dato che un lido pubblico non sarebbe sicuro, forse ci permetterà di andare sulla sua spiaggia privata per qualche ora.» «Pensi che lo farebbe?» domandò lei, una nuova luce di interesse negli occhi. «Penso di sì, altrimenti a cosa servirebbero i conoscenti?» Lasciando a Ryan il compito di organizzare la giornata, Nina telefonò alla esclusiva boutique dell'albergo per farsi mandare un costume. Quando Lyn StoneMary – McBride
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lui la raggiunse in salotto, dopo aver indossato un boxer da mare, un jeans e una polo, era già pronta per andare. Sollevò una borsa di paglia. «Teli di spugna e creme protettive» spiegò. «Ci serve altro?» «No.» Ryan controllò che il calcio della pistola che aveva infilato nella cintura del pantalone fosse coperto dal bordo della maglia, poi guardò il suo orologio. Ormai l'auto blindata che Lorenzo aveva mandato loro doveva essere arrivata. Uscirono dalla suite, e scesero nell'atrio. Mentre aiutava Nina a salire nella limousine, Ryan rifletté sulla possibilità di averla come amica. Come vera amica. D'altra parte, era riuscita ad avvicinarsi di più a lui di chiunque altro ci avesse provato da quando si era rinchiuso nel suo guscio protettivo. Ursula Chambers abbassò la falda del cappello di paglia sulla fronte mentre guardava la limousine svoltare l'angolo. Non le piaceva, non le piaceva affatto. La sorella di Desmond andava in giro in un'auto blindata, scortata da un tizio che poteva permettersi di ospitarla al Royal Montebello Hotel. Era necessario che la sorvegliasse di continuo. Ovviamente, la donna stava aspettando che lei consegnasse il bambino alla famiglia Sebastiani, per poi farsi avanti ed esigere una parte dei proventi derivati dall'operazione. Soldi a cui lei non avrebbe mai rinunciato, decise Ursula. Fortunatamente, Desmond aveva saputo della morte di Jessica troppo tardi per dirlo a qualcuno. Provò un po' di pietà mentre pensava a sua sorella, ma Jessica aveva meritato di finire in quel modo. Aveva ospitato un uomo nel ranch, gli aveva dato un lavoro e il suo amore senza nemmeno immaginare chi mai lui fosse in realtà. Era rimasta incinta, e solo quando il cowboy aveva abbandonato la fattoria per riprendere il suo vagabondare, aveva scoperto che il padre del suo bambino era un principe in preda a un'amnesia post traumatica. Se solo fosse stata disponibile alla cooperazione, sarebbe stata ancora viva. Ora doveva sbarazzarsi dell'ultima complicazione, cioè di Nina Caruso, per poter portare a termine con successo il suo piano. Gretchen sarebbe arrivata presto con il bambino, dunque era troppo rischioso rimandare ulteriormente ciò che doveva essere fatto. Sperava almeno che il denaro ricavato dalla vendita dell'anello di Jessica sarebbe bastato per sostenere le Lyn StoneMary – McBride
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fasi conclusive del progetto. «Andiamo?» chiese il compagno di Ursula, la voce untuosa quanto i suoi capelli. Attraverso il finestrino dell'auto, indicò l'ingresso dell'albergo. «Mi occuperò di tutto» aggiunse. La disperazione forzò un sorriso brillante sulle labbra di lei. Era pur sempre una grande attrice, si disse Ursula, per quanto il suo talento non fosse stato apprezzato da produttori e registi. «So che lo farai, Jean-Paul» replicò. «Tu comincia pure mentre io vado a fare qualche spesa» lo esortò, lasciando scorrere un dito dall'unghia laccata di rosso sul suo braccio. «Comprerò qualcosa di speciale per te, d'accordo? E festeggeremo appena tu avrei portato a termine il compito che ti ho assegnato.» Ursula si fidava difficilmente, ma aveva capito subito che l'uomo aveva un debole per lei e per i suoi soldi. Un uomo che avrebbe provveduto a eliminare, una volta conclusa la sua missione, e del quale nessuno avrebbe mai sentito la mancanza. Ormai, si stava abituando a sbarazzarsi di chi poteva intralciarle il cammino. Una volta entrati nell'atrio, si allontanò verso il centro commerciale per dare l'impressione di non conoscerlo, mentre Jean-Paul si registrava al banco del ricevimento. Si incontrarono di nuovo accanto all'ascensore. «Tornerai giù nell'atrio e li aspetterai» gli ordinò, quando le porte della cabina si richiusero. «Poi sai cosa devi fare.» «Sì» confermò lui con un sorriso cattivo. «Lo so.» Ancora una sola operazione, Ursula continuò a ripetersi. Anzi, due, considerando Jean-Paul. Poi il denaro non sarebbe mai più stato un problema per lei.
11 Nina si tolse il copricostume e si guardò intorno. Non c'erano ombrelloni lungo quella splendida striscia di sabbia, e nemmeno comodi lettini o pratiche sedie a sdraio. Sembrava che nessuno avesse messo piede nella piccola baia prima di loro. Lyn StoneMary – McBride
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Ogni accesso alla spiaggia era reso invisibile dall'alta scogliera che la circondava. Sulla cima di questa era ferma la limousine. Due guardie armate sorvegliavano attentamente i dintorni. «Il rosso è decisamente il tuo colore» affermò Ryan, lanciando un'occhiata di aperta ammirazione al suo corpo coperto solo da un minuscolo bikini rosso. Stese un telo di spugna sulla sabbia. «Vuoi che ti metta la protezione solare sulla schiena?» chiese poi. «Assolutamente no» replicò con decisione lei. Era disposta a correre il rischio di ustioni di qualsiasi grado piuttosto che quello di sentire le mani di Ryan su di sé. Perché, in quel caso, non poteva prevedere quale sarebbe stata la sua reazione. «Il sole, comunque, non è tanto caldo» offrì a mo' di giustificazione. Ryan scrollò le spalle. «Sono quasi le cinque del pomeriggio. Fra un'ora dobbiamo andare via.» Il boxer da bagno nero che indossava era così aderente da lasciare ben poco spazio all'immaginazione, notò lei osservandolo. Lo splendido fisico di Ryan era quasi completamente esposto, e il poco celato dalla stoffa del costume lei lo conosceva già. Un brivido di piacere le increspò la pelle. Il solo rimedio a ciò che le venne in mente fu una bella nuotata. Corse verso la battigia, si tuffò con grazia. Lui la seguì subito e nuotò accanto a lei, avendo cura di lasciare sempre fra loro una distanza adeguata. Infine si immersero, e quando tornarono a galla si ritrovarono pericolosamente l'uno vicino all'altro. Si abbracciarono e rimasero lì, accarezzati dalle onde, guardandosi negli occhi, godendo di un'intimità diversa da quella che avevano condiviso in camera da letto. Infine fu Nina a spezzare l'incantesimo. «Dovremmo tornare a riva» mormorò. «Io invece vorrei portarti su un'isola deserta, e tenerti lì per sempre.» «Oh, ti annoieresti presto» scherzò lei. «Non avresti niente da fare» aggiunse, lasciando scorrere una mano sui muscoli ben delineati della sua schiena. «Qualcosa mi verrebbe in mente» le assicurò Ryan. «Credimi, sto pensando a qualcosa già adesso.» «Lo immagino, ma meglio che i tuoi pensieri cambino immediatamente direzione» gli consigliò Nina, indicando con un cenno del capo le due guardie appostate sulla scogliera. «Abbiamo un pubblico.» Lyn StoneMary – McBride
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«Non ci guardano, perché sono pagati per guardare in altre direzioni. Baciami.» Nina obbedì, concedendogli solo un lieve sfiorarsi di labbra, poi si divincolò e nuotò verso riva. Giunta dove avevano lasciato le loro cose, si lasciò andare con un sospiro soddisfatto sul telo di spugna. Prese un asciugamani più piccolo dalla borsa e si accinse a frizionarsi i capelli. «Lascia. Faccio io.» Nina si immobilizzò mentre Ryan cominciava un lento, sensuale massaggio sul suo corpo, attenuato solo dallo spessore della spugna. Chiuse gli occhi e si arrese all'inevitabile. Dimenticò tutto, persino i militari di guardia, concentrata solo sulle ondate di piacere che le invadevano il corpo e la mente, sulle mani di Ryan che giocavano su di lei, sulle sue labbra, che le insidiavano la pelle morbida della gola... «Basta così» dichiarò Ryan d'un tratto, allontanandosi bruscamente da lei. Scossa da un tremito, Nina si costrinse ad aprire gli occhi. Lui era già in piedi, e stava indossando la maglia. «Vestiti» le disse. «Dobbiamo andare via.» Sì, via da quel paradiso per rinchiudersi di nuovo nella loro prigione dorata. Nina cercò di liberarsi dagli esiti della passione che la paralizzavano, si alzò e impiegò meno di un minuto per prepararsi. «D'accordo» affermò poi. «Andiamo.» Si avviarono lungo il sentiero che conduceva alla strada, e quando giunsero verso la cima della scogliera, Ryan la oltrepassò, come lei sapeva che avrebbe fatto, spinto dal suo bisogno di proteggere e difendere. Perché Ryan era così, ragionò Nina. E non poteva nemmeno accusarlo di aver mentito. Aveva ripetuto decine di volte che il suo lavoro veniva prima di ogni cosa. Prima di un momento di svago sulla spiaggia, prima di ore appassionate fra le lenzuola. Purtroppo, a lei un uomo così non poteva bastare. Ryan tenne le braccia incrociate sul petto e lo sguardo fisso verso il finestrino durante tutto il tragitto per tornare in albergo. Sarebbe stato difficile rientrare in camera e non violare il loro patto, pensò. Nina non avrebbe obiettato, lui non avrebbe esitato. E poi cosa sarebbe successo? Si era già legato troppo a quella donna. Aveva persino preso in considerazione la possibilità di avere con lei un rapporto duraturo. Era Lyn StoneMary – McBride
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stato sul punto di parlare di quel progetto a suo padre. Fortunatamente si era fermato. In fin dei conti, cosa aveva da offrirle? Lavoro, lavoro e ancora lavoro. Un appartamento spoglio che rivelava sul suo conto più di quanto lui stesso volesse ammettere. Eppure, di recente stava iniziando a desiderare di avvicinarsi a un altro essere umano. No, si corresse, non a un altro essere umano. All'unico essere umano che avesse suscitato il suo interesse negli ultimi sei lunghi anni. Strano, ma non si sentiva in colpa. Era incuriosito e non spaventato da quello che poteva accadergli se avesse dato una svolta alla sua esistenza. Significava qualcosa? Forse che era guarito un po' anche senza rendersene conto? Aveva un'unica certezza. Avrebbe riflettuto a fondo prima di agire di nuovo in modo totalmente insano come aveva fatto sulla spiaggia. In silenzio scesero dall'auto, attraversarono l'atrio dell'albergo e salirono con l'ascensore al loro piano. Solo quando entrarono nella suite, Ryan parlò. «Per te va bene se mi allontano per un poco?» «Devi andare da qualche parte?» si informò Nina. «Sì, in ufficio. Tu non muoverti da qui, d'accordo?» «D'accordo. Tornerai per cena?» Lo aveva chiesto pur essendo già rassegnata a mangiare da sola e consapevole del motivo che lo spingeva ad allontanarsi, capì Ryan. «Dirò all'impiegato di mandarti qualcosa in camera» replicò. «Grazie, insalata e acqua minerale.» «Che ne dici di un bel gelato alla frutta? Magari con tanta panna?» propose lui, nel tentativo di strapparle un sorriso. Ma Nina si limitò a scrollare le spalle. «Tornerò per le nove, promesso» concluse Ryan, una vera concessione perché avrebbe desiderato restar fuori tutta la notte, solo per essere certo di non rischiare. Uscì dalla suite, aspettò che lei chiudesse a chiave, e si avviò mestamente verso l'ascensore. Tutto quello che era riuscito a fare era stato rinforzare l'opinione che Nina aveva di lui, rifletté. Usare il lavoro come rifugio stava iniziando a essere un espediente poco salutare, persino per lui.
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Non aveva concluso nulla di utile e non era riuscito a riordinare i suoi pensieri, ma alle nove precise tornò in albergo, come promesso. Aprì la porta della suite e la chiamò. Nina era seduta su una sedia accanto al tavolo, e sorseggiava il vino che lui aveva ordinato e che lei non avrebbe mai chiesto se avessero cenato insieme. «Scoperto qualcosa?» chiese. «Ho parlato con il capo cameriere del ristorante. Mi ha dato il nome di uno dei collaboratori che era in servizio la sera del litigio. Forse potrà fornirci una descrizione più accurata della donna bionda.» «Bene» replicò lei, il tono privo di inflessione. «Vuoi dividere la mia insalata?» propose poi, sollevando il coperchio di argento che copriva il vassoio. «Ce n'è abbastanza per un esercito.» Ryan si avvicinò al tavolo. «Perché non hai ancora cenato? Mi stavi aspettando?» Nina scosse la testa e divise l'insalata in due piatti. Fu allora che Ryan notò qualcosa, una piccola foglia appuntita infilata in una fettina di cetriolo. Alloro? No, era troppo spessa. La sua mano scattò in avanti per afferrare il polso di Nina. «Non mangiare» l'ammonì. «Aspetta un attimo.» Con una forchetta frugò nel piatto e trovò altre strane foglie. «Chi ha servito la cena? Il solito cameriere?» chiese. «Alonzo? No, un altro, uno che non conoscevo. Perché?» Ryan indicò la foglia. «Oleandro» affermò. «Contiene un veleno che simula un attacco di cuore, e ne basta una piccola quantità.» Si avvicinò in fretta al telefono e compose un numero. «Mandate immediatamente il capo della sorveglianza nella suite 612... No, ha capito bene, il capo in persona, e se non è nei paraggi, trovatelo subito e fatelo venire qui!» esclamò, poi sbatté con forza il ricevitore sulla base. Gli tremavano le mani e il cuore gli batteva all'impazzata. Fu sufficiente uno sguardo al viso di Nina per capire che non doveva offrirle nessuna spiegazione. Qualcuno aveva cercato di nuovo di ucciderla, e se lui fosse rientrato solo cinque minuti dopo, sarebbe riuscito nel suo intento. «Ryan?» «Vieni qui» replicò lui, ma non aspettò che si muovesse. Con un lungo passo la raggiunse e la strinse con forza fra le braccia. Mentre Nina rispondeva alle domande del signor Tatro, il responsabile della sorveglianza, e Ryan passeggiava nel salone con l'atteggiamento di Lyn StoneMary – McBride
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un leone in gabbia, uno dei detective dell'albergo fece capolino nella stanza. «Il cameriere che abitualmente serve a questo piano è scomparso» annunciò l'uomo. «Noi ceniamo sempre al ristorante» intervenne Nina. «Non mi sono insospettita quando non ho visto Alonzo. Ho pensato che di sera fosse di turno un altro cameriere.» Ryan interruppe il suo andare e venire. «Sicuramente quest'uomo ci stava seguendo. Mi ha visto scendere nell'atrio e mi sentito quando ho ordinato la cena in camera per la signorina Caruso. E poi è andato in cucina e ha messo in atto il suo piano.» «Un piano che doveva condurre a una morte apparentemente accidentale» mormorò Nina. Il telefono squillò. Il signor Tatro rispose, ascoltò per qualche istante, poi annuì. «Alonzo è stato trovato in stato di incoscienza in uno degli sgabuzzini del sotterraneo» annunciò dopo aver interrotto la comunicazione. «Si riprenderà presto. Andrò a fargli qualche domanda.» «Sì, vada pure, io intanto porterò la signorina Caruso fuori di qui» decise Ryan. «Nina, preparati» ordinò. «Intanto chiamo Lorenzo e faccio mandare una automobile blindata.» «Sono le dieci di sera» ragionò lei. «Non possiamo aspettare fino a domani mattina?» «Sì, signor McDonough, restate qui. Metterò due dei miei uomini a guardia della porta e supervisionerò personalmente alla preparazione dei vostri pasti» affermò Tatro. Nina scosse la testa. «Mi è passato l'appetito, grazie lo stesso. Ma credo che dovremmo aspettare, Ryan.» «D'accordo» concesse lui. «Domani mattina però, per prima cosa, andremo dal re Marcus.» Aspettò che Tatro e il suo uomo si congedassero, chiuse la porta a chiave e prese per mano Nina, invitandola a sedersi sul divano accanto a lui. «Devi partire» esordì. Lei sospirò. «Lo so.» «Il re ti fornirà un'adeguata protezione per il viaggio, dunque non preoccuparti per questo.» «Tornerò a casa.» «No, dovrai nasconderti in un posto insospettabile fin quando scopriremo chi vuole eliminarti e perché.» Lyn StoneMary – McBride
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«Sai che non ho parenti tranne i miei cugini italiani, che sono due estranei per me. Tutti i miei amici vivono a La Jolla. Dove potrei andare?» ragionò Nina. «A Savannah» replicò lui senza esitazioni. «Ho ancora molti contatti lì. Mi basterà fare qualche telefonata, ti troverò una sistemazione e farò in modo che la polizia ti tenga sotto stretta sorveglianza. Sai, anche il re Marcus si reca spesso a Savannah, ha degli affari lì.» «Tu invece non ci vai mai, neanche per far visita a tuo padre?» «È così.» «È stato un padre così terribile quando eri ragazzino? O forse maltrattava tua madre?» «Niente di tutto questo» rispose Ryan dopo un lungo silenzio. «Allora la famiglia non è mai stata importante per te» concluse lei. Questa volta non ottenne replica, ma l'espressione desolata che scorse sul viso di Ryan parlò in sua vece. Dunque voleva una famiglia. Voleva lei, capì. Era stato chiaro nei suoi sguardi, nelle sue carezze, nel modo in cui l'aveva sfiorata anche se casualmente. Un'ipotesi che doveva verificare prima di partire. «Vieni con me a Savannah» mormorò. «Non posso.» «Oh, dimenticavo!» esclamò Nina con tono acuto. «Il tuo prezioso lavoro! A questo punto, immagino che sia vero. Tu sei il tuo lavoro e niente di più.» Ryan la guardò per un lungo istante, poi si alzò. «Vai a dormire, Nina. Domani dovremo svegliarci presto.» Non c'era niente da aggiungere, decise Nina mentre entrava nella sua camera. Era passata sopra l'orgoglio, gli aveva rivelato i suoi sentimenti, gli aveva offerto aiuto ed era stata rifiutata. Ormai era costretta ad accettare la realtà. La storia fra lei e Ryan sarebbe rimasta irrisolta perché sapeva che, una volta partita per gli Stati Uniti, non lo avrebbe più rivisto.
12 Il respiro di Ryan tornò finalmente a un ritmo normale quando il re, ovviamente, decise che Nina doveva partire subito. Lyn StoneMary – McBride
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«È sua opinione che dietro questi attentati ci siano delle persone del posto?» chiese poi Marcus guardandolo. «Credo di sì» confermò lui. «Una cosa è tanto certa quanto strana» riprese. «Il killer avrebbe potuto uccidere Nina quando lei gli ha aperto la porta.» «Come spiega questo dettaglio?» volle sapere il re. «Penso che sia stato assunto per sbarazzarsi di Nina in modo che la sua morte sembrasse accidentale. Questo, oppure progettava di far ricadere la colpa sul vero cameriere» rispose Ryan. «Ritiene che questi incidenti siano collegati alla morte di Desmond?» Ryan annuì. «Il mio istinto mi suggerisce di sì, Vostra Maestà. Nina sarà al sicuro a Savannah. Nessuno la cercherà lì.» «Lorenzo coordinerà le misure di sicurezza» affermò il re. «Ora, signorina Caruso, il signor McDonough la scorterà all'ambasciata americana. Il console è già stato ragguagliato sugli ultimi eventi e ha messo a disposizione due guardie del corpo che l'accompagneranno durante il viaggio.» «Grazie, Vostra Maestà» commentò Nina. «Io sono molto dispiaciuto per tutto quello che le è successo» aggiunse Marcus. «Spero che un giorno, quando tutti i problemi saranno stati risolti e per lei non ci sarà più pericolo, vorrà tornare sulla nostra bella isola.» Il sorriso che incurvò le labbra di Nina era lieve e incerto. «In primo luogo, non sarei dovuta venire» replicò. «Ora capisco come la mia presenza abbia interferito in modo negativo e non necessario con le indagini. Grazie per il suo invito, sire, ma no, io non ritornerò mai più a Montebello.» Marcus si alzò dalla poltrona e si avvicinò a lei. «Dunque addio, piccola Nina» concluse, stringendole una mano nelle sue. «Cerchi di essere felice.» Marcus attese che i due uscissero dall'ufficio prima di richiamare Ryan. «Ancora una parola, signor McDonough.» Ryan lasciò Nina in corridoio e tornò immediatamente sui suoi passi. «Sì, signore?» «Forse dovrebbe accompagnare Nina a Savannah. Lorenzo e i suoi uomini porteranno a termine le indagini con successo anche senza il suo aiuto.» Era tentato, ma non al punto di inserire nel suo curriculum il primo caso Lyn StoneMary – McBride
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non risolto. «Io porto sempre a termine quello che inizio, sire» replicò Ryan. «Non abbandonerò le indagini» aggiunse, poi chinò il capo e uscì di nuovo dallo studio. Ursula era davvero ammirata dalla tenacia di Jean-Paul. Anche se il tentativo della sera precedente era fallito, ora sembrava addirittura ossessionato dall'idea di concludere il lavoro per cui era stato assunto. Una questione di orgoglio, così aveva detto. Per realizzare il suo prossimo progetto, le aveva spiegato, era necessario che Nina fosse circondata da persone. Questa volta, non avrebbe interferito, lei decise, per quanto tutte quelle telefonate ai giornali le sembrassero, a dir poco, strane. E poi la storia che aveva inventato... Aveva raccontato che Nina aveva scoperto un complotto ai danni della corona. I reporter l'avrebbero presa d'assalto non appena avesse messo piede fuori del palazzo. Non capiva a cosa potesse servire quella messa in scena, però forse JeanPaul era più furbo di quanto sembrasse, ammise Ursula. Le aveva chiesto di aspettarlo nella sua camera in albergo, in modo da saldargli il conto appena l'avesse raggiunta a missione conclusa. Come no... Sistemò la parrucca scura, infilò in borsa la sua camicia da notte di velo e si avviò giù per le scale secondarie. Se Jean-Paul falliva di nuovo, se fosse stato arrestato, non aveva nessuna intenzione di attendere che la polizia giungesse anche a lei. D'altra parte, l'uomo non conosceva il suo vero nome, e nemmeno dov'era il piccolo appartamento che aveva preso in affitto fino alla fine del mese, pagando in contanti. Nessuno poteva rintracciarla, meno che mai un perdente del calibro di Jean-Paul. La limousine parcheggiò davanti all'ingresso dell'ambasciata e nello stesso istante fu circondata da un nugolo di fotografi. «Dannazione» borbottò Ryan. «Non posso esporti a un pericolo simile» disse poi a Nina. «Andiamo direttamente all'aeroporto. Telefonerò per chiedere che le guardie del corpo ci raggiungano lì.» «No, entriamo» lo contraddisse Nina, le dita già pronte sulla maniglia dello sportello. «Sei stato tu ad insistere affinché tu e io ci separassimo, e per una volta sono d'accordo. Sono solo giornalisti, in fine dei conti! Forse Lyn StoneMary – McBride
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saranno persino di aiuto se pubblicheranno la notizia della mia partenza.» Ryan le prese un braccio. «No» affermò. «Non essere ridicolo» commentò lei, sottraendosi alla sua presa. «Siamo all'aperto, ci sono dozzine di testimoni, cosa vuoi che possa succedere?» «Non mi piace questa storia, Nina.» «Dichiarerò pubblicamente di essere in procinto di partire. Forse chi sta cercando di uccidermi si tranquillizzerà leggendo la notizia e tornerà da dove è venuto, e le indagini potranno riprendere senza ulteriori interruzioni» ragionò lei. «Ma non siamo ancora sicuri che gli attentati alla tua vita siano collegati all'omicidio di Desmond» le ricordò Ryan. «Tu lo sai, invece, e lo so anche io. Coraggio, andiamo» tagliò corto Nina. Ryan spinse il pulsante dell'interfono per comunicare con l'autista e le due guardie che li avevano scortati. «Paolo, tu resta in auto. Arletti, Sergio, noi la copriremo su ogni lato. Nessuno deve avvicinarsi, intesi?» ordinò. Scesero dalla vettura, Ryan che apriva il piccolo drappello mentre Sergio e Arletti affiancavano Nina. Un'esplosione di flash e di domande in inglese e in italiano li accolse. «Signorina Caruso... Ci parli del complotto contro il re! Si tratta di un'azione terroristica?» «Coordinata dal gruppo che operava in Tamir?» «Il principe Lucas è stato minacciato? Sarà incoronato comunque come stabilito?» Ma a cosa si riferivano?, si chiese Ryan mentre continuava a camminare a testa bassa, la mano di Nina aggrappata al bordo della sua giacca. Poi, giunto in cima alla scalinata di marmo che conduceva alla porta dell'ambasciata, la presa venne meno. Si girò di scatto. Arletti era in ginocchio, Nina rotolava giù per le scale. Veloce come un lampo, ebbe la visione di un uomo sul cui viso era stampata un'espressione cinica e soddisfatta. Ryan si lanciò verso Nina, la sollevò fra le braccia e corse verso la limousine. «Presto!» urlò mentre l'autista spalancava lo sportello posteriore. «All'ospedale! Vai, Paolo, corri!» L'automobile partì con uno stridio di pneumatici. Ryan si voltò. Non riuscì a vedere Arletti, ma soltanto Paolo che stava facendo del suo meglio per trattenere la folla dei giornalisti. Abbassò lo sguardo su Nina. Era Lyn StoneMary – McBride
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distesa sul sedile, la testa appoggiata sulle sue gambe. Aveva aperto gli occhi. «Resta immobile» l'ammonì. «Senti dolore da qualche parte?» Nina rise, una risata acuta, isterica. «Stai scherzando, vero?» «Non parlare. Mi dispiace tanto...» Le scostò i capelli e allora lo vide, il taglio profondo sulla fronte e i lividi che lo circondavano. «Hai battuto la testa su uno scalino.» «Su molti scalini» precisò lei, poi alzò una mano con l'intenzione di toccarsi la ferita. Ryan le tastò il polso per controllare il battito. Era impazzito, esattamente come il suo. «Sei sotto shock, ma starai bene presto, te lo prometto. Ora fammi un piacere. Muovi le dita del piede.» Aveva perso una scarpa nella caduta. Le tolse anche l'altra e aspettò. «Muovi queste dannate dita!» esclamò poi, in preda all'ansia. Ma Nina era svenuta. Ovviamente era svenuta. «Io l'ho visto, tesoro» mormorò Ryan. «Ora non potrà più sfuggirmi.» Il tragitto fino all'ospedale durò pochi minuti che a lui sembrarono lunghi come l'eternità. Il personale del Pronto Soccorso prese Nina in carico, ma lui rifiutò di allontanarsi anche per un solo istante mentre la sottoponevano alle radiografie di controllo e le prestavano le prime cure. «C'è qualcuno della sua famiglia che vive qui?» gli chiese un medico. «Nessuno. Io sono l'unica persona che conosce» replicò Ryan. «È il suo fidanzato?» «Non siamo ancora sposati» spiegò Ryan, evasivo, sperando in quel modo di poter ottenere dal medico informazioni confidenziali. «Ma lei non è...» «Vuol dirmi quali sono le sue condizioni?» sbottò Ryan. «Non ha nessun altro, d'accordo? Ci sono solo io a prendermi cura di lei.» L'uomo sospirò. «La signorina Caruso ha subito un trauma cranico e, per quanto non abbiamo riscontrato fratture, il suo corpo è praticamente coperto da lesioni e abrasioni. Dovremo quindi tenerla sotto stretta osservazione.» «Per quanto tempo?» «Questo non posso ancora dirlo» precisò il sanitario. «Solo quando riprenderà i sensi potremo condurre ulteriori analisi. La signorina Caruso resta qui.» «Oh, ma io voglio che lei resti qui. E resterò anche io.» «Finché rimarrà in Terapia Intensiva, questo è impossibile. Quando sarà Lyn StoneMary – McBride
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trasferita in una stanza privata, vedremo.» «Lei non capisce, dottore» insisté Ryan. «Qualcuno ha tentato di ucciderla, e non è stata la prima volta. Corre dei rischi molto più gravi di quelli che possono causarle le sue ferite. Chieda al re Marcus se non vuole credere a me.» «Al re?» «Sì» confermò Ryan. «La signorina Caruso è la sorellastra del nipote del re, quello che è stato assassinato di recente.» «Allora questo reparto è il migliore per lei» decise il medico, «perché è il più isolato. Che ne pensa di mettere dei militari di guardia alla porta?» «Lo farò, ma devo esserci anche io.» Un'infermiera fece capolino dalla sala. «Dottore? La paziente si è svegliata. Chiede di qualcuno.» «Chiede di me!» esclamò Ryan, precipitandosi dentro. «Nina» mormorò, chinandosi su di lei. «Sono qui.» «Mi hanno spinto» sussurrò lei. «Lo so. Ho visto l'uomo, ho visto la sua faccia.» «Allora vai a prenderlo... Adesso.» «Sì, vada» intervenne il medico. «Della signorina ci occupiamo noi, lei qui è solo d'intralcio.» Mezz'ora più tardi, dopo aver sistemato più uomini fuori la Rianimazione di quelli che facevano la guardia ai gioielli della Corona, Ryan uscì dall'ospedale. I giornalisti erano ancora lì, una folla di circa quindici persone. Il sicario doveva essere fra loro, decise, magari solo per accertarsi dei risultati della sua squallida impresa. Osservò attentamente ogni viso, poi lo vide. Portava cappello e occhiali, ma era lui, non aveva dubbi. L'uomo si stava avviando verso l'interno del Pronto Soccorso, probabilmente con l'intenzione di portare a termine il suo lavoro. Mantenendo una distanza di sicurezza, lo seguì Il killer entrò nell'ascensore e con un balzo lui lo raggiunse. Entrò nella cabina e sorrise. «Preso» affermò. Appena le porte della cabina si chiusero, la mano dell'uomo corse verso la tasca dei suoi pantaloni. Il segnale che Ryan stava aspettando. Si lanciò su di lui, ma la colluttazione fu breve, pochi istanti prima che risuonasse assordante uno sparo. L'uomo scivolò per terra, una piccola pistola stretta in mano. «Aiutami» sussurrò. Lyn StoneMary – McBride
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«Dimmi chi ti ha assunto e forse dopo lo farò» replicò Ryan, chinandosi su di lui. «Parla, se non vuoi che ti uccida con le mie mani!» «U... Una donna. Americana.» «Continua» lo esortò Ryan, ma inutilmente. Gli occhi dell'uomo erano sbarrati. Gli tastò il polso. Era morto. Le porte dell'ascensore si aprirono. Una donna fu sul punto di entrare poi urlò e scappò via. In attesa dell'arrivo della sorveglianza Ryan, con l'aiuto di un fazzoletto, sfilò il portafogli dalla tasca dell'uomo. Controllò velocemente il contenuto, lesse il nome e l'indirizzo sulla patente di guida, poi lo rimise al suo posto. Due uomini in uniforme apparvero, due poliziotti che lui conosceva bene. «Salve, Mylonas, vuole occuparsi lei di questa situazione?» esordì Ryan. «Sono qui per ordine del re, devo proteggere una persona. Questo tizio stava cercando di arrivare a lei.» Il capitano di polizia annuì. «Sì, so della signorina Caruso, per questo siamo qui. Deve seguirci in caserma, signor McDonough. Lei conosce le formalità.» «D'accordo.» Inutile opporsi, pensò Ryan. Al momento Nina era al sicuro. La donna che la minacciava avrebbe impiegato del tempo prima di trovare un altro killer da assumere. Ma lo avrebbe fatto, ne era sicuro, perché ormai era chiaro che motivi molto più seri della passione avevano determinato la morte di Desmond Caruso. Doveva scoprire quei motivi, e avrebbe risolto il caso, decise, almeno da un punto di vista professionale. Perché poi, per quello che riguardava la relazione personale con la donna che aveva appena capito di amare, forse il discorso sarebbe stato più complesso. Senza protestare, si lasciò scortare fino all'auto della polizia e condurre alla stazione, i suoi pensieri tutti per Nina. Le avrebbe proposto di restare a Montebello con lui non appena si fosse ripresa abbastanza per sostenere un discorso così importante. Ma, prima di ogni altra cosa, doveva portare a termine l'indagine. In un modo o nell'altro, Nina avrebbe dovuto comprendere quella sua esigenza.
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13 Ryan detestava sprecare tempo prezioso, ma era seduto in una di quelle stanze adibite agli interrogatori che lui stesso aveva usato in qualità di detective da ormai troppe ore. Gli avevano offerto qualcosa da bere e medicato la ferita sul mento che si era procurato durante la colluttazione. Aveva già scritto la sua deposizione e l'aveva riletta per decine di volte. Il tizio non doveva essere stato un abile sicario, una consapevolezza che lo aveva condotto a due conclusioni. In primo luogo, chiunque lo avesse assunto non doveva avere buoni contatti con la malavita del luogo, oppure aveva poco denaro da investire nell'impresa. E in secondo luogo, Nina doveva andare via al più presto da Montebello. Il detective Andreas entrò nella stanza, strappandolo al filo dei suoi ragionamenti. «Abbiamo identificato l'uomo che lei ha ucciso» annunciò. «Io non lo ho ucciso» precisò Ryan, rivolgendogli un'occhiata seccata. «È solo una questione di termini. Voi due avete lottato. L'uomo è morto.» «Mi sembra di averlo già detto, quell'idiota si è sparato da solo mentre cercava di prendere la sua pistola dalla tasca dei pantaloni» sbuffò Ryan. «Avete intenzione di arrestarmi, o cosa?» «No, no, anzi, dovremmo ringraziarla. Lei ha sparato a un pregiudicato, ricercato per diversi crimini.» «Io non gli ho sparato» ripeté Ryan. «Non ero armato.» «Lo sappiamo.» Andreas gli indicò la porta. «È libero di andare.» «Andare?» «Certo. Devo solo chiederle di non lasciare l'isola. Potremmo aver bisogno di porle altre domande.» «Ho già detto tutto quello che sapevo» ribadì Ryan. «L'uomo ha cercato di uccidere Nina Caruso, almeno due volte. Il mio compito era proteggerla, ed è quello che ho fatto, fine della storia.» Porse il suo rapporto al detective e si avviò verso la porta. «Sto andando in ospedale, se vi interessa saperlo.» «Io e il mio partner verremo con lei.» Infine, Andreas non lo accompagnò personalmente, ma incaricò due colleghi di farlo. Arrivati all'accettazione del Pronto Soccorso, Ryan notò immediatamente che non c'erano poliziotti nei paraggi, ma solo infermieri Lyn StoneMary – McBride
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e medici. «La signorina Caruso non è qui» spiegò l'impiegata dell'accettazione quando lui chiese informazioni. «Potrei sapere il numero della sua stanza?» domandò Ryan, sollevato. Se l'avevano trasferita in una camera privata, significava che ormai era fuori pericolo. «La signorina non è più in ospedale» precisò la donna. «E allora dov'è?» «Non lo so, signore. È stata portata via dagli uomini che la sorvegliavano» rispose l'infermiera. Ryan prese il cellulare dalla tasca e compose in fretta il numero di Lorenzo, certo che ci fosse lui dietro quella storia. La segretaria mise la sua chiamata in attesa. Spazientito, interruppe la comunicazione e corse verso l'uscita del Pronto Soccorso, i due poliziotti alle calcagna. Sapeva esattamente dove era stata portata Nina. «Devo andare all'aeroporto» spiegò ai due uomini. Onestamente, doveva ammettere che era stata una buona mossa affrettare la partenza di Nina, ma semplicemente non poteva sopportare l'idea di separarsi da lei senza neanche l'ultima parola di addio. «È meglio così» borbottò fra sé, nel tentativo di dissipare la sensazione di gelo che si stava impadronendo di lui. Ora capiva perché era stato trattenuto così a lungo alla stazione di polizia. Però, da quando Nina aveva messo piede sull'isola, loro due erano sempre stati insieme. Se qualcuno voleva localizzare lei, avrebbe seguito lui. Sì, ammise, Lorenzo aveva fatto bene a prelevarla in sua assenza, battendo sul tempo chiunque stesse cercando di ucciderla. «Inverta direzione» ordinò al poliziotto alla guida. «Voglio andare a casa.» «Ne è certo, signore?» «Sì.» Comunque non sarebbe arrivato in tempo per salutarla, ragionò Ryan. Sicuramente il detective Andreas aveva aspettato il permesso di Lorenzo prima di lasciarlo andare via dalla stazione di polizia. «Almeno posso fare qualcosa di costruttivo» mormorò. Per prima cosa, avrebbe contattato il duca per rassicurarsi sulla sorte di Nina, e poi raggiunto Franz in laboratorio, per controllare nuovamente tutti gli indizi. Era tornato al punto di partenza. Non aveva null'altro al di fuori del lavoro. Ma Nina ormai era al sicuro, non era questo quello che aveva voluto sin dal principio? Lyn StoneMary – McBride
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E va bene, era innamorato di lei. Ma l'amore non significava necessariamente felicità, lo aveva imparato a sue spese e nel più duro dei modi anni prima. Ora poteva dedicarsi alla sua indagine senza essere costretto a preoccuparsi per lei notte e giorno. Senza essere costretto a pensare a lei. Nina stava osservando meravigliata lo sfarzo che la circondava. Mai aveva immaginato che un aeroplano potesse essere così lussuoso. I mobili erano antichi, i tappeti persiani, i divano morbidi e accoglienti. Il jet di un re, indubbiamente. Ryan probabilmente l'avrebbe definito ostentato, come aveva già fatto con la suite dell'albergo... Il pensiero le fece venire le lacrime agli occhi, ma coraggiosamente le asciugò con il dorso della mano e cercò di pensare a altro. La carlinga era divisa in tre aree. Lei era sola in quella di coda. Era distesa sul divano, grande come un letto a due piazze. Di fronte a lei, su un tavolino, qualcuno aveva lasciato un beauty-case che conteneva più o meno qualsiasi cosa di cui potesse avere bisogno. Aveva fatto una doccia nel grande bagno e aveva indossato i vestiti che le erano stati procurati. I vestiti non erano suoi, ma la taglia era quella giusta. Il tailleur pantalone di seta verde e le scarpe dello stesso colore erano ovviamente nuovi, come nuovi erano gli altri abiti che aveva trovato nella piccola valigia che era stata messa a sua disposizione. Aveva sperato che Ryan arrivasse all'aeroporto in tempo per salutarla, ma non era successo. Non le aveva neanche fatto recapitare un messaggio. Il lavoro doveva averlo assorbito completamente, niente di sorprendente. Era scortata da tre americani, due uomini e una donna. Le guardie del corpo in quel momento erano sedute accanto al tavolo del salottino adiacente. Parlavano a bassa voce fra di loro. Nina aveva rifiutato di mangiare. Il cibo in quel momento era davvero l'ultimo dei suoi pensieri. La testa le doleva, l'apprensione la soffocava e, ora che si era lavata e vestita, e aveva persino riposato un po', sentiva la necessità di riordinare le idee. Non sapeva quale fosse la sua destinazione. Il duca aveva supervisionato personalmente il suo trasporto dall'ospedale all'aeroporto, aveva ignorato ogni sua domanda e si era limitato a dirle di stare tranquilla. Come se fosse facile non preoccuparsi mentre era in una reggia volante Lyn StoneMary – McBride
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in viaggio per chissà dove... Martha, l'agente donna, le aveva fatto compagnia fino a poco prima, ma non le aveva rivelato alcun dettaglio della loro meta. Lei non aveva posto domande, perché quelle che le vorticavano in mente al momento erano già sufficienti per tenerla impegnata. Cosa avrebbe fatto una volta giunta a destinazione? Chi l'avrebbe protetta? Quando avrebbe ripreso la sua vita di sempre? E, soprattutto, come avrebbe fatto per dimenticare Ryan McDonough? Non sarebbe mai successo, ovviamente, ma lei avrebbe dovuto fare del suo meglio per considerare quella breve storia come parte del suo passato. Lacrime le rigarono il viso. Nina prese un fazzolettino di carta dalla scatola che era stata opportunamente lasciata sul tavolino, e permise a se stessa di indugiare in qualche istante di autocommiserazione. Poi si sarebbe lavata il viso, pettinato i capelli, e avrebbe raggiunto gli altri. Il viaggio fu lungo e terminò a Savannah. Si trasferirono in un albergo vicino all'aeroporto e Nina riuscì a ottenere una stanza singola. Martha si accontentò di sistemarsi in quella adiacente. Il re Marcus aveva organizzato una rete di protezione perfetta, servendosi delle persone che lavoravano per lui a Savannah. Quello stesso pomeriggio, i tre agenti che l'avevano scortata dovevano consegnarla ai suoi nuovi angeli custodi, che avrebbero provveduto a trasportarla in un posto sicuro. Rassegnata alla reclusione che l'aspettava, Nina fece una doccia, indossò un jeans e una maglia e accese il televisore. Guardò il notiziario, poi sfogliò distrattamente una rivista messa a disposizione dall'albergo. A un certo punto, un annuncio pubblicitario attirò il suo interesse. "Piccole imbarcazioni realizzate su disegno del cliente. William McDonough. " Seguiva un numero telefonico. Doveva essere il padre di Ryan, ragionò. Martha le aveva ordinato di non contattare nessuno che conoscesse, ma lei non conosceva davvero William McDonough, giusto? E telefonargli per rassicurarlo sulle sorti del figlio sarebbe stato un pensiero gentile. Guardò il telefono, poi optò per quello a pagamento che aveva visto ai piedi delle scale. Mentre componeva il numero, un'altra idea si fece strada nella sua mente. E se si fosse sottratta alla protezione offerta dal re? Se fosse sparita prima di essere condotta nel posto sicuro? In quel caso, Lyn StoneMary – McBride
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nessuno avrebbe saputo lei dov'era, nemmeno gli uomini della scorta, e sarebbe stata al sicuro lo stesso, forse anche di più. La voce di una donna che risuonò nel ricevitore la sottrasse al filo dei suoi pensieri. «Pronto?» «Vorrei sapere, per favore, se William McDonough è il padre di Ryan McDonough» replicò Nina. «Sì, certo, perché? Ryan sta bene, vero?» chiese la donna con tono allarmato. «Sta bene» si affrettò a rassicurarla Nina. «Io sono un'amica di Ryan. Volevo solo dare sue notizie al padre, so che era in ansia per lui.» «Aspetti, lo chiamo subito.» «Parla Bill McDonough» affermò un istante dopo una profonda voce maschile, tanto simile a quella di Ryan. «Lei conosce il mio ragazzo?» Nina sorrise a quella definizione. «Sì, lo conosco» confermò. «Se mi dice dove si trova, la raggiungo immediatamente.» «Sono all'albergo dell'aeroporto. L'aspetto all'uscita.» «Sarò li fra quindici minuti» concluse Bill. «Cerchi un uomo con i capelli grigi e una camicia rossa, alla guida di un pick-up bianco.» Nina riagganciò il ricevitore poi, dopo una breve esitazione, tornò in camera. Doveva prendere il necessario per la sua fuga. Erano trascorsi tre giorni dalla partenza di Nina e, per quanto sapesse di non averne il diritto, Ryan voleva solo fare irruzione nell'ufficio di Lorenzo e costringerlo a parlare. La sua frustrazione stava aumentando con il passare dei secondi. Non sapeva dove era stata mandata Nina, né chi la stesse proteggendo. Il più stretto riserbo, in quei casi, era essenziale. Aveva telefonato ai suoi ex col leghi di Savannah solo per sapere che erano ancora in attesa di istruzioni circa la donna che avrebbero dovuto proteggere. Aveva contattato l'ufficio di La Jolla, ma lì non sapevano assolutamente niente di lei. Dove diavolo era finita? Guardò con fare distratto i rapporti della Scientifica sparsi sulla scrivania davanti a sé, e le foto dei due uomini morti, Desmond Caruso e Ankri Topoli, alias Jean-Paul Trigant. Il telefono squillò, facendolo sobbalzare. «McDonough» rispose. «Mi hai cercato?» Lyn StoneMary – McBride
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Lorenzo. «Almeno ogni ora durante gli ultimi tre giorni» rispose Ryan. «Dov'è?» «È un problema mio, non tuo. Piuttosto, novità sulle indagini?» Lorenzo non gli avrebbe detto nulla, era ovvio. Poteva solo sperare di estorcergli notizie durante una conversazione casuale, decise Ryan. «Ho controllato il conto in banca di Topoli. All'inizio di questa settimana ha versato una cifra non grossa, ma sicuramente superiore ai suoi abituali depositi. Non credo che sia stato lui ad appiccare il fuoco al cottage e a entrare nell'appartamento di Nina, ma che sia stato assunto in un secondo momento. Per quello che riguarda Nina... Le hai parlato?» Il silenzio fu l'unica replica che ottenne. «Accidenti, amico, come fai a sapere che sta bene se non hai contatti con lei?» sbottò Ryan. «Mi faccio sentire presto.» Con quelle parole, il duca interruppe la comunicazione. Nel tentativo di tenere sotto controllo l'ansia, Ryan trascorse il resto della giornata immerso nel lavoro. Quando infine decise di tornare a casa, fece una sosta al ristorante di Pete. «Ho bisogno di informazioni, Pete» esordì quando vide il vecchio amico. «Intanto, vuoi qualcosa da mangiare?» Ryan annuì. «Un hamburger, per favore, e una birra.» «Non saprei... Sei sotto pressione, solo perché lei è andata via, tu non devi...» «Oh, per favore, Pete! Dammi una birra e basta. Ti prometto che non mi ubriacherò e non ti sfascerò il locale» lo interruppe Ryan. L'uomo gli lanciò un'occhiata di disapprovazione, aprì il frigo e gli porse una bottiglia. «Fatti pure del male, a me non importa» borbottò. Ryan strinse la bottiglia fra le mani. Erano anni che non toccava alcolici. E ora voleva bere, forse per colmare il vuoto che la partenza di Nina aveva lasciato nella sua vita? Consapevole dello sguardo di Pete fisso su di lui, scosse la testa. «No, non è per questo» mormorò. «Mi piace il sapore.» Portò la bottiglia alle labbra e bevve un sorso. «Pensi che qualcuno dei tuoi parenti sia in grado di scoprire dove l'hanno portata?» chiese poi. «Tu non lo sai?» «Infatti.» Lyn StoneMary – McBride
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«Ho due cugini che lavorano in aeroporto. Forse possono controllare i piani di volo. Ora mangia qualcosa» aggiunse Pete, mettendogli davanti un piatto. «E poi vai a cercarla, sarà meglio del restare qui a piangerti addosso.» Ryan non aveva fame, ma mangiò. E bevve qualche altro sorso di birra, ma lasciò la bottiglia piena a metà. Bene, questo significava che non era più dipendente dall'alcol, come invece lo era stato un tempo, quando la realtà per lui era troppo dolorosa da affrontare. «Capita a tutti prima o poi di andare a fondo» commentò Pete. «Questo non significa che non possiamo risalire un superficie. So tutto» aggiunse, quando un'espressione interrogativa apparve sul viso di Ryan. «So di tua moglie e della tua bambina. A Montebello le notizie viaggiano veloci.» Non gli importava che Pete fosse a conoscenza della sua tragedia, ragionò Ryan. Gli importava solo non dovere essere costretto a discuterne. Non avrebbe mai potuto dimenticare quello che era successo ma almeno, si rese conto in quel momento, l'accenno non lo aveva fatto sprofondare in quella tremenda depressione che lo aveva accompagnato costantemente negli ultimi sei anni. Prese una banconota dal portafogli e l'appoggiò sul bancone. «Grazie, Pete. Di tutto.» Nuovi dubbi lo assalirono mentre era di nuovo alla guida, diretto verso casa. Istintivamente sapeva che Nina non era in pericolo, dunque la logica gli suggeriva di portare a termine la sua indagine prima di andarla a cercare. D'altra parte, sapeva anche che se non fosse andato subito da lei, non sarebbe più riuscito a convincerla che ormai era diventata la cosa più importante nella sua vita, molto più importante del lavoro. Se solo fosse stato in grado di spiegarle come la perdita di sua moglie e di sua figlia lo avesse reso incapace di percepire sentimenti diversi dal dolore... Un dolore che non era stato nemmeno in grado di condividere con suo padre. Bill aveva compreso, ovviamente ma, al contrario di lui, era riuscito in qualche modo a ricostruire ciò che la morte della sua prima moglie gli aveva portato via. Nina aveva cercato di aiutarlo, pur non sapendo da cosa lui stava fuggendo. L'unica risposta che le aveva dato era stata un rifiuto. Ryan parcheggiò davanti al condominio e spense il motore dell'auto. Ora sapeva cosa doveva fare e da dove doveva partire per sistemare le cose. Un Lyn StoneMary – McBride
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compito difficile, soprattutto ora che aveva ancora il sapore della birra in bocca.
14 «Papà?» «Ryan! Curioso che tu mi abbia telefonato! Stavo pensando proprio a te.» «Scusa se non ti ho chiamato la settimana scorsa, ma sono stato molto impegnato con il caso che sto seguendo.» «Non è un problema» replicò Bill. «Ho avuto anche io molto da fare. Vuoi parlarmi di questa indagine, figliolo?» chiese poi. «Lo facevi sempre quando eri in polizia.» Suo padre stava mentendo, capì Ryan. Non gli aveva mai chiesto nulla del suo lavoro, e lui non era mai stato incline a parlargliene. «D'accordo» comunque disse, e gli raccontò la vicenda di Desmond Caruso, omettendo ovviamente i particolari della sua storia con Nina. «Ecco tutto» concluse. «Ora so che l'assassino è una donna, probabilmente americana, e che è ancora a piede libero. Ma non ti ho telefonato per parlare di lavoro» precisò. «Volevo dirti che dovremmo provare a essere una vera famiglia e a lasciarci il passato alle spalle. Io vorrei che fra di noi tutto fosse come era prima...» «Prima della morte di tua madre?» ipotizzò Bill. «Sì. No. Prima che tu conoscessi Trish e che io ti tagliassi fuori dalla mia vita... Dalla nostra vita. Sai, Kath e Chrissy hanno sentito terribilmente la tua mancanza durante quegli ultimi mesi.» «Va tutto bene, Ryan» si affrettò a rassicurarlo suo padre. «Non avevi ancora avuto il tempo di adattarti alla mia nuova situazione quando successe quello che ti è successo. Io capisco, e Trish capisce. Avrei solo voluto aiutarti di più.» «Allora possiamo provare? Iniziare tutto daccapo?» «Ma certo, figliolo!» esclamò Bill. «Anzi, ti faccio subito una proposta. Sai cosa ti farebbe veramente bene in questo momento?» «Cosa?» si informò Ryan. Lyn StoneMary – McBride
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«Pescare.» «Tu vuoi che io vada a pescare» ripeté Ryan, interdetto. «Sì, una grande idea» insisté Bill. «Posseggo ancora quel capanno a Point Tipsy, io e Trish lo abbiamo ristrutturato un paio di anni fa. C'è tutto, riscaldamento, elettricità... Un ottimo rifugio. E non puoi immaginare che tipo di pesci puoi pescare nel lago!» Perché mai suo padre aveva sottolineato la parola rifugio? Si chiese Ryan, insospettito. «Di quali pesci stai parlando, papà?» «Il meglio che puoi trovare. Sai, ho sentito dire che altrove ormai pullulano solo squali.» Il cuore di Ryan ebbe un tuffo. «Se sai qualcosa che io non so, papà, sputa il rospo» replicò. «Io so tutto. Ricordi, te lo dicevo sempre quando eri un ragazzino, ma tu non mi davi mai ascolto. Ora sei un uomo saggio, faresti bene a considerare le mie parole, perché credo che tu sia in grado di capirle.» Ryan strinse il ricevitore del telefono con tanta forza da farsi male. «È lì, papà? E' al capanno?» «Tutti sanno che nessuno abita nel mio cottage. Certamente, l'isola non è deserta, ci sono un paio di inquilini nuovi nella villetta degli Smith. Dei miei amici, in realtà. Ricordi Jip e Mackeral?» Poi, senza aspettare replica, riprese a parlare. «Trish è fantastica ai fornelli. Se passi da queste parti uno di questi giorni, perché non ti fermi per cena?» «Sì, papà, ti farò sapere.» «Ma quei pesci andranno via molto presto da Point Tipsy. Terrò la barca pronta per te, d'accordo?» «D'accordo, papà. Ti voglio bene.» Ryan riagganciò il ricevitore e scoppiò a ridere. Nina era nel cottage di suo padre, protetta da Jip e Mackeral, due ex poliziotti! Con un codice così trasparente da essere chiaro anche per un bambino, Bill gli aveva comunicato la notizia. Ma perché? Forse Nina gli aveva fatto promettere di mantenere il segreto perché non desiderava vederlo? Ora aveva una montagna di pensieri da riordinare, e la decisione più importante della sua vita da prendere. Mezz'ora dopo, per lui era tutto chiaro. Telefonò a Lorenzo e gli chiese di raggiungerlo nel suo appartamento. «Prima che tu parli, ho qualcosa da dirti» esordì il duca appena varcata lo soglia della porta. Sul suo viso c'era un'espressione imbarazzata, aveva le mani infilate in tasca. «Noi non sappiamo dove sia Lyn StoneMary – McBride
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Nina» ammise, «ecco perché sono stato così evasivo con te negli ultimi giorni. L'abbiamo persa appena arrivati a Savannah. Io non ti ho detto dove avevo deciso di mandarla perché volevo verificare se il tuo interesse per lei fosse così forte da spingerti a cercarla.» «Tu volevi cosa?» «Ero preoccupato per te» sottolineò Lorenzo. «So quello che ti è successo e so che hai bisogno di qualcuno che ti stia accanto. Volevo solo aiutarti.» «Dunque sei stato tu a convocarla a Montebello, giusto? E tu mi hai affidato il caso Caruso. Hai praticamente progettato il nostro incontro» ragionò Ryan. «Desmond mi aveva parlato di sua sorella e, quando è stato, ucciso, io ho pensato che Nina era rimasta sola al mondo, tutto qui» protestò il duca. «Dunque hai deciso di organizzare la sua e la mia vita?» Lorenzo raddrizzò le spalle. «Tu avevi bisogno di qualcuno, e lei aveva bisogno di qualcuno» spiegò sulla difensiva. «Io e Pete abbiamo semplicemente cercato di...» «Pete?» lo interruppe Ryan. Il duca annuì. «E mio zio, anche.» «Il re?» «Proprio lui» confermò Lorenzo. «Nina sembrava perfetta per te, ma no, tu hai dovuto rifiutare quando mio zio ti ha proposto di accompagnarla a Savannah! Cosa ti aspetti da una donna che ti ama se la lasci andare così, senza muovere un dito? Io sono stato sul punto di commettere lo stesso errore con Eliza. Fortunatamente, l'ho capito prima che fosse troppo tardi. E ora Nina è sparita davvero» aggiunse con tono frustrato. «È riuscita a eludere la sorveglianza della scorta, oppure, nel peggiore dei casi, qualcuno l'ha portata via.» «Tu pensi che sia stata rapita?» Lorenzo respirò a fondo e scosse la testa. «No, in effetti è stata vista uscire dall'albergo, ma non c'era nessun taxi ad attenderla. Sappiamo per certo solo che non è tornata a casa sua.» «L'avete persa» mormorò Ryan. La sola idea di immaginarla in pericolo gli fece correre un brivido gelido lungo la schiena. Ma Nina stava bene, ricordò a se stesso. Era a Point Tipsy, al sicuro con gli amici di suo padre. Indicò il tavolo del salone. «Lì troverai tutti i fascicoli dell'omicidio Caruso» affermò. «Joe Braca è al corrente di ogni dettaglio e ha le chiavi Lyn StoneMary – McBride
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del mio ufficio e del laboratorio. Da questo momento, sarà lui a condurre le indagini.» «Joe Braca?» «Sì. Nel caso avessi domande per me, potrai contattarmi a casa di mio padre. Ho lasciato un biglietto con il suo numero di telefono. Io abbandono il caso.» «Credo di non capire, Ryan... Stai dando le dimissioni? Ora? Non riesco a crederci» commentò Lorenzo, per quanto l'espressione del suo viso fosse tutt'altro che sorpresa e per nulla contrariata. «Proprio ora» confermò Ryan. Solo in quel momento, il duca notò due valigie accanto alla porta. «Nina ti ha telefonato per dirti dove si trova» ipotizzò. «Non parlo con Nina da quando l'ho lasciata in Terapia Intensiva» sottolineò Ryan. «Mi terrai informato sul corso delle indagini?» «Lo farò» promise Lorenzo. «Hai tracciato un quadro abbastanza preciso della donna che stiamo cercando e, se è ancora sull'isola, la troveremo presto. Ora, per quello che riguarda Nina...» «Buona fortuna per l'inchiesta» lo interruppe Ryan. «E grazie per tutto. Porta i miei saluti a tuo zio.» Lorenzo strinse la mano che lui gli stava porgendo. «Trovala, amico.» «Questo è sicuro.» «Vuoi che ti mandi il resto delle tue cose a casa di tuo padre?» «Temo che in quelle valigie ci sia già tutto quello che posseggo.» «C'è altro che io possa fare per te?» si informò il duca. «No, grazie. Ho incaricato Joe di vendere l'auto e di rescindere il contratto di affitto dell'appartamento. Mi accompagnerà lui all'aeroporto. Il mio volo parte alle due.» Pochi minuti dopo, Ryan era già in viaggio per l'aeroporto. Per quanto tempo sarebbe rimasto a Montebello?, si chiese, limitandosi a vegetare se Nina non fosse entrata nella sua vita? E Nina gli avrebbe offerto un'altra possibilità? In caso contrario, lui sarebbe ripiombato in quella sorta di baratro dove aveva vissuto per gli ultimi anni? Era quasi certo che non sarebbe accaduto, e comunque la sua partenza aveva anche un altro scopo. Doveva farsi perdonare da suo padre e da Trish. Doveva trovare il coraggio per affrontare il passato una volta per tutte, di accettare la perdita di quella che era stata la sua famiglia. Sua madre, Kathleen e Christina sarebbero rimaste per sempre nel suo cuore, Lyn StoneMary – McBride
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ma nel suo cuore adesso c'era posto anche per i nuovi sentimenti che la vita generosamente gli aveva offerto. E doveva trovare le parole adatte per convincere Nina della profondità del suo amore. «Sta facendo la cosa più giusta, capo» commentò Joe quando parcheggiò l'auto davanti l'ingresso del terminal. «A cosa ti riferisci? Al fatto di aver rinunciato all'incarico?» «Sta facendo la cosa giusta andando a cercare la signorina Caruso» precisò Braca. «Mi telefonerà di tanto in tanto, per tenermi aggiornato sugli sviluppi della situazione? E stia tranquillo, io e il duca Sebastiani riusciremo ad arrestare l'assassino di Caruso.» «Ne sono certo. Ma, anche in caso contrario, partirei lo stesso.» Ursula guardò l'amante di Nina Caruso uscire dal suo appartamento con due valigie in mano immediatamente dopo la visita del duca. Evidentemente la famiglia reale gli aveva dato il benservito. Di Nina poi non se ne avevano più notizie. Si mormorava che fosse morta nella caduta, e forse era la verità, poiché non era più in ospedale, né in albergo, e tantomeno a casa di McDonough. Ormai la sorella di Desmond non costituiva più una minaccia. Anche Jean-Paul era morto, aveva letto la notizia sul giornale. Ora il suo piano poteva procedere senza impedimenti, pensò, soddisfatta. «Non è giusto!» esclamò Nina, battendo una mano sul tavolo. «Hai vinto tutte le mie caramelle. Per caso hai barato, Jip?» Jip sorrise e infilò un confetto in bocca. «Sono un gentiluomo. Non imbroglierei mai una signora» affermò poi. Il suo compagno di gioco aveva un bel viso abbronzato sul quale spiccava un paio di occhi azzurri come il cielo. Da giovane doveva essere stato molto attraente, pensò Nina osservandolo. Anche adesso, a sessantasette anni, conservava il suo fascino. Era gentile, come del resto lo era il suo amico John. Jip e John, che tutti chiamavano Mackeral, erano due poliziotti in pensione, amici di Bill da sempre. Jip era vedovo e John divorziato ormai da anni, ma sicuramente dovevano avere qualcosa di meglio da fare del montare la guardia a lei nel mezzo di un'isola deserta, ragionò, avvertendo qualche lieve senso di colpa. La curiosità, doveva ammetterlo, era stata la ragione principale che Lyn StoneMary – McBride
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l'aveva spinta ad accettare la proposta del padre di Ryan. Bill McDonough era un uomo gradevole, che ispirava alla confidenza, ma molto simile al figlio nella sua cocciutaggine. Appena ascoltata la sua storia, aveva organizzato la sua permanenza a Savannah ignorando le sue proteste. Era riuscita solo a fargli promettere che non avrebbe parlato con nessuno del loro accordo. Quasi prima che potesse rendersene conto, era stata fatta salire su un piccolo battello a motore e portata all'isola dai due ex poliziotti. Ma le era bastata una sola settimana per stancarsi di quella sistemazione. Accompagnò Jip alla porta. «Telefonerò a Ryan questa sera, per sapere se ha arrestato chi ha cercato di uccidermi» gli disse. «Così io potrò tornare a casa mia e tu e John alle vostre vite.» L'uomo scosse la testa. «Io e John non abbiamo fretta di andare proprio da nessuna parte. Adesso rilassati e non pensarci più.» «Però credo che dovrei telefonare in ogni caso» insisté Nina. «Magari solo per fargli sapere che non sono morta. E poi, ormai il mio periodo di ferie sta per terminare. Devo riprendere a lavorare.» «Usa questo» propose, porgendole il cellulare. «Il cellulare funziona su quest'isola? Hai parlato con Bill, dunque?» Jip annuì. «Ha saputo nulla? Qualcuno gli ha chiesto di me?» «No, almeno non ancora» replicò Jip. «Dunque, vuoi telefonare a Ryan, giusto?» «No, forse è meglio di no. Chiamerò il suo assistente. Non riuscirò mai a ringraziare abbastanza te e John, e Bill ovviamente, per quello che avete fatto per me» concluse, poi lo abbracciò e lo guardò andare via. Richiuse la porta del capanno sorridendo. Per quanto sentisse il bisogno di un cambiamento, le era piaciuto trascorrere quelle giornate nel piccolo e confortevole cottage. Bill lo aveva costruito quando Ryan era ancora piccolo, le aveva raccontato Jip. Era stato il loro rifugio, il posto dove avevano trascorso tranquille domeniche in famiglia. Il cottage era piuttosto isolato, da una delle finestre si scorgeva il minuscolo porto con il vecchio molo di legno e il negozio di articoli da pesca ormai abbandonato. C'erano fotografie appese alla pareti del salone, tutte di Ryan da bambino. Nella camera da letto invece era esposto un ritratto che l'aveva particolarmente colpita. Ryan, adulto ormai, sorrideva all'obiettivo della macchina fotografica. Accanto a lui una bella donna dai Lyn StoneMary – McBride
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capelli rossi che stringeva fra le braccia una bambina bionda di circa cinque anni. Nina aveva visto altre foto della donna e della bambina a casa di Bill. Ryan era stato sposato, era ovvio. Aveva una figlia. Lei non lo avrebbe mai interrogato sulle circostanze che lo avevano condotto a vivere di nuovo solo, e nemmeno gli avrebbe chiesto perché non parlava mai della sua bambina, ma ormai era certa che qualsiasi cosa fosse successa lui e alla sua famiglia, aveva provocato la sua diffidenza nei confronti dei legami e degli affetti. Non aveva neanche intenzione di rivelargli quanto suo padre desiderasse averlo di nuovo con sé. Sicuramente Ryan doveva saperlo già, e poi non erano affari che la riguardassero. Gli avrebbe telefonato esclusivamente per sapere se c'era ancora un motivo per lei di restare nascosta. Una volta ottenute le rassicurazioni che le servivano, avrebbe ringraziato Bill McDonough per tornare poi immediatamente a casa sua. Ormai aveva aspettato Ryan anche troppo a lungo. La sua vita era a La Jolla, aveva tante faccende da sbrigare, tanti impegni che l'avrebbero aiutata a dimenticare il breve interludio con Ryan. Avrebbe venduto la casa di famiglia, acquistato un appartamento più piccolo, magari avrebbe preso un gatto in modo da non sentirsi troppo sola... Scrollò le spalle e guardò per l'ennesima volta la foto del bambino che Ryan era stato. Un bambino... Non voleva pensarci troppo, ma esisteva la possibilità che fosse incinta. In ogni caso, era inutile continuare ad arrovellarsi fra speranza e timore, come stava facendo. Avevano usato le giuste precauzioni, e il suo ciclo era in ritardo solo di pochi giorni. Lei non era una brava cuoca, e non lo era nemmeno Jip, questo forse poteva spiegare la sensazione di nausea che ultimamente le dava l'odore di alcuni cibi. No, decise Nina scuotendo la testa. Era troppo presto per preoccuparsi.
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Ryan era in piedi alla guida del BoMarty, la barca che era anche il gioiello della piccola flotta di suo padre. Il sole splendeva alto nel cielo, l'aria era tersa... Tutti buoni auspici, si augurò, il vento che gli spettinava i capelli. Era di nuovo a casa, e si sentiva meglio di come si fosse sentito da anni. L'incontro con Bill si era svolto come previsto, con tanti abbracci, risate e qualche lacrima di commozione. Nessuna spiegazione e tantomeno recriminazione, solo amore, molto amore. Trish si era comportata in modo splendido, gli aveva regalato un paio di jeans e una maglia rossa con su scritto "lo amo Savannah ", e lo aveva accolto a braccia aperte. Quasi giunto al molo, incrociò una barca che andava in senso opposto. I suoi occupanti, Jip e Mackeral, alzarono le mani in segno di saluto. Ryan sorrise. Suo padre doveva averli avvisati del suo arrivo. Pochi istanti dopo, aveva ormeggiato ed era già giunto in prossimità del cottage. E poi la vide. Nina era lì, in piedi sul portico. Indossava un vestito giallo, con una mano si proteggeva gli occhi dal sole. Probabilmente doveva essere uscita, incuriosita dal rumore dei motori. Scrutò il lago in direzione della terra ferma, poi si girò per rientrare in casa. Ryan la raggiunse sulla soglia della porta. «Ryan?» Era così bella, un'espressione sorpresa sul viso, i raggi del sole che le accarezzavano i capelli facendoli risplendere... Ryan la prese fra le braccia e la baciò, e continuò a baciarla, senza lasciarle la possibilità di parlare, perso nella dolcezza delle sue labbra e nell'urgenza del suo desiderio. Infine, facendo appello a tutta la sua forza di volontà, e solo per permetterle di respirare, arretrò di un passo. «Sei venuto» mormorò lei senza fiato. «Dunque lo hai notato.» «Sarebbe stato difficile il contrario. Perché?» Di nuovo, Ryan l'abbracciò. «Io vivrò qui d'ora in poi.» «A Savannah? Tu vivrai a Savannah?» «Proprio qui, fra le tue braccia.» Nina alzò una mano per sfiorargli il viso. «D'accordo» mormorò, poi nascose la faccia contro il suo petto. Solo in quel momento Ryan si rese conto di non avere un lavoro, una casa dove abitare, un'automobile da guidare... Ma sapeva anche di non Lyn StoneMary – McBride
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essere mai stato così felice in tutta la sua vita. Nina si svegliò per prima. Era già pomeriggio, ma Ryan dormiva profondamente al suo fianco. Muovendosi piano per non disturbarlo, scese dal letto, entrò in bagno per fare una doccia e per vestirsi. A piedi scalzi, con i capelli ancora umidi e il viso privo di trucco, camminò silenziosamente fino alla cucina. Preparò il bricco del caffè, poi tornò in camera. Ryan dormiva ancora, disteso a pancia in giù, nudo come un neonato. In quel momento le sembrò più giovane dei suoi trentasette anni, i capelli biondo scuro che gli si arricciavano sulla nuca. Distolse lo sguardo poiché il suo cuore aveva già iniziato a battere un po' più velocemente, rientrò in cucina, si versò una tazza di caffè e si avvicinò alla finestra. Ryan era tornato, ma perché? Forse aveva saputo della sua fuga e, preoccupato, aveva deciso di cercarla. Oppure era stato Bill a chiedergli di venire. In ogni caso, la sua presenza lì sarebbe stata temporanea. «Nina? Vieni qui.» Nina si girò. Ryan aveva indossato un paio di boxer ed era seduto sul divano. «Caffè?» gli propose. «Dobbiamo parlare» aggiunse. «Sì, è arrivato il momento di stabilire delle regole» confermò lui, passandosi una mano fra i capelli arruffati. Accettò la tazza che Nina gli stava porgendo e bevve un sorso. «Regola numero uno, il matrimonio» affermò. Nina non replicò. Incrociò le braccia sul petto e si limitò a guardarlo. «No?» chiese lui. «Mi dispiace, ma è una regola non negoziabile.» Nina si appoggiò al banco di lavoro «Non posso sposarti» affermò. «Certo che puoi» la contraddisse Ryan. «Ma se lo ritieni necessario, possiamo aspettare un po'.» «Vuoi cercare di essere serio, per favore?» Ryan appoggiò la tazza sul tavolino e si alzò. «Sono serio» ribadì, avvicinandosi a lei, «però capisco che la mia non è stata una proposta molto romantica. Cerca di perdonarmi, sono ancora un po' confuso per il fuso orario.» Detto ciò, si inginocchiò e le prese una mano fra le sue. «Vuoi sposarmi, e rendermi così l'uomo più felice del mondo?» Alzò lo sguardo. Nessun sorriso incurvava le labbra piene e sensuali di Nina. «No!» esclamò lei. «E, fammi una cortesia, alzati.» Lyn StoneMary – McBride
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Ryan obbedì. «Non sono molto bravo in queste cose, vero?» «Eppure dovresti esserlo. Non è la prima volta che chiedi a una donna di sposarti.» Ryan si immobilizzò. «Mio padre te lo ha detto.» «No, tuo padre non mi ha detto niente» precisò Nina. «Ho visto le fotografie, ma non è questo quello che conta. Però conta che tu e io non ci conosciamo per niente. Stiamo bene a letto insieme, ma per far funzionare un matrimonio occorre molto più dell'intesa sessuale.» «Hai ragione» ammise lui. «Allora adesso ci metteremo comodi e parleremo. Ti dirò tutto quello che vuoi sapere. Comunicheremo.» «D'accordo.» Nina aspettò che lui prendesse posto sul divano, poi si sedette a sua volta, avendo cura di lasciare una certa distanza fra di loro. «Quando ripartirai?» chiese. «Non ripartirò.» «Le indagini non sono concluse. Ho telefonato a Joe ieri, mi ha detto che...» «Infatti il caso non è ancora risolto» la interruppe lui. «Se ne occuperà Joe con la supervisione di Lorenzo.» Nina scosse la testa. «Tu non hai rinunciato» affermò. «L'ho fatto. Ho dato le dimissioni. Immagino che continuerò a essere un investigatore privato, ma il lavoro non sarà più al primo posto nella mia vita, te lo prometto.» «Vuoi raccontarmi perché è finito il tuo primo matrimonio?» Il sorriso che fino ad allora aveva incurvato le labbra di Ryan svanì, repentino. «Sì, è giusto che tu lo sappia» replicò. «Per me è molto difficile parlarne.» Fece una pausa e respirò a fondo. «Sei anni fa mi fu affidato un caso difficile, un serial killer che aveva preso di mira le prostitute. Io e il mio partner riuscimmo a catturarlo dopo un inseguimento durato quasi una notte intera. Ma durante quella notte successe un'altra cosa, a casa mia...» Di nuovo tacque, e abbassò lo sguardo sulle mani. «Fui avvertito, comunque quando arrivai non riuscivo a credere ai miei occhi. La mia casa era distrutta. A volte, quando lavoravo fino a tardi, Chrissy dormiva con Kath nel nostro letto. Aveva solo cinque anni, il buio la spaventava. Quella notte però Kath andò nella stanza della bambina. Se così non fosse stato, l'esplosione... La bomba... La bomba era stata istallata in precedenza. Nulla di troppo sofisticato, ma efficace, con un timer. La camera da letto padronale, la cucina, il salone, non c'era più nulla. Il tetto era crollato nella Lyn StoneMary – McBride
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stanza di Chrissy. La morte era stata istantanea.» «Oh, Ryan» mormorò Nina. Tese una mano, ma lui si ritrasse. «Aspetta. Ora devi sentire tutto. Il giorno dopo fui costretto ad andare all'obitorio per il riconoscimento. Non ricordo molto di quella giornata. Risposi alle domande dei colleghi, feci del mio meglio per rendermi utile alle indagini, ma il capitano mi obbligò a un periodo di ferie forzate. Troppo tempo per pensare, immagino... Continuavo a chiedermi come erano stati i loro ultimi istanti...» «Basta così, Ryan» lo supplicò Nina. «Era un dolore che non riuscivo a tollerare. Iniziarono gli incubi e, poiché non dormivo, bevevo. Credo di aver vissuto in uno stato continuo di ubriachezza per un anno, poi una mattina mi risvegliai in un cella di una prigione in una cittadina del Mississippi. Allora mi resi conto che mi stavo lentamente uccidendo.» «Cosa facesti?» Ryan raddrizzò le spalle. «Decisi di riprendere a vivere. Tornai a casa, visitai le tombe di mia figlia e di mia moglie, ma poi capii di non poter restare lì. Un amico mi procurò un lavoro ad Amsterdam, rimasi in quella città per tre anni. Conobbi Max Ryker, il fratello di Lorenzo. Lui mi propose di trasferirmi a Montebello, e si offrì di raccomandarmi al duca se avessi deciso di seguire il suo consiglio. Il resto della storia la conosci.» Si girò verso di lei. «Domande?» chiese e poi, senza lasciarle il tempo per replicare, riprese a parlare. «Certo che hai domande da farmi. Per rispondere alla prima, sì, amavo Kathleen, ma lei non c'è più, e nulla può impedirmi di amare te, adesso. Chrissy era il mio cuore. Io non la dimenticherò mai, per questo è giusto che tu lo sappia, Nina. Io non desidero altri figli.» Il gemito di Nina risuonò nel silenzio che seguì l'affermazione. Ryan socchiuse gli occhi, la guardò in viso e poi guardò il suo ventre piatto. Nina non disse nulla, ma forse l'espressione del suo viso parlava già abbastanza. «Non può essere...» mormorò lui. «Non è possibile. Siamo stati attenti. Devi esserti sbagliata.» «Spero che tu abbia ragione» replicò Nina. Era atterrita e sgomenta, però capiva il rifiuto di Ryan all'idea di essere nuovamente padre. «In ogni caso, non sarebbe un problema tuo. Non devi essere necessariamente coinvolto.» «Ma sei impazzita, per caso?» sbottò lui. «Io sono coinvolto! Che tu sia Lyn StoneMary – McBride
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incinta o meno, sono coinvolto. Non potrei vivere senza di te.» «Invece puoi. Non è necessario che tu aspetti una conferma della gravidanza, io andrò via subito da quest'isola, e tu potrai fingere di non avermi mai incontrata.» Ryan scattò in piedi. «Tu aspetta qui» ordinò. Uscì dal cottage e richiuse la porta alle sue spalle con un tonfo. D'altra parte, non aveva molta scelta, ragionò Nina. Aveva visto Jip e Mackeral andare via con la loro barca, Ryan probabilmente stava per ripartire con la sua. Era costretta a restare lì fino a quando qualcuno fosse andato a riprenderla. Si raggomitolò sul divano e pianse per Ryan, per la sua bella moglie e per la dolce bambina con le fossette sulle gote. Pianse per Bill e Trish, per i suoi genitori, e anche per Desmond, visto che ci si trovava. Infine concesse qualche lacrima a se stessa e al bambino che forse portava in grembo, una creatura innocente che già incuteva timore ai suoi genitori. Pianse finché ne ebbe la forza, poi decise di tornare a comportarsi da adulta. Andò in bagno per lavarsi il viso e sistemarsi i capelli, e uscì subito dal cottage per cercare Ryan. Era rimasto solo anche troppo a lungo. Lo trovò sulla spiaggia, intento a costruire un castello di sabbia. «Sei troppo vicino all'acqua» affermò, fermandosi alle sue spalle. «La marea lo porterà via.» «Posso sempre farne un altro» ragionò Ryan. Con la punta di un dito, tracciò una finestra sul muro del castello. «Ma non sarebbe lo stesso.» «Infatti, potrebbe persino essere più bello. E ricorderei di non costruirlo così vicino al pericolo.» «Tu credi che noi due insieme potremmo costruire qualcosa?» Lui sorrise, si sedette sui talloni e si strofinò le mani per ripulirle dalla sabbia. «Sì, sono sicuro di sì» rispose. «Tu hai bisogno di me, e io di te. Ti amo, lo sai.» «Questo lo spero» replicò lui guardandola. «Perché io indubbiamente sono innamorato di te.» «E il bambino? Sempre se c'è un bambino.» Ryan le fece cenno di sedersi accanto a lui. «Sono qui da oltre due ore, e non ho fatto che pensare a Chrissy. Era una bambina felice» affermò. «Io credo di essere stato un buon padre. Non sono riuscito a proteggerla dalla vendetta di quel bastardo che mise una bomba nella mia casa, e proprio per Lyn StoneMary – McBride
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questo ti prometto che tu e il bambino che nascerà non sarete sottoposti a pericoli simili. Lavorerò con mio padre, mi occuperò di qualcosa di assolutamente innocuo.» «No, Ryan» lo contraddisse lei, «tu sei nato per fare l'investigatore. Non riesco a immaginarti in altri panni. Riuscisti poi a catturare l'uomo che ha sterminato la tua famiglia?» Ryan annuì. «Quella notte stessa. Avevo capito chi era e andai a casa sua per arrestarlo. Lui oppose resistenza, io fui costretto a sparare. Non ho rimorsi però, si è trattata di legittima difesa.» «Capisco. Ora rientriamo, tu hai bisogno di riposare, e anche io.» Nina lo guardò. Sembrava sollevato, ora che le aveva raccontato il suo segreto. Lei però non aveva ancora deciso se sposarlo o meno. Avrebbe dovuto aspettare per verificare se l'amore che li legava, apparentemente così profondo, era anche degno di fiducia. Ryan era seduto accanto al tavolo, intento ad affettare le patate. Nina, ai fornelli, stava friggendo gli hamburger. Lavoravano bene insieme, anzi, facevano tutto bene insieme. Avrebbero formato una coppia formidabile. «Sei una donna generosa» affermò. «Lo so, in caso contrario in questo momento starei cucinando la farina d'avena» scherzò lei. «Grazie.» «Di niente.» Con l'aiuto di una paletta, Nina tolse gli hamburger dalla padella e li sistemò nei panini. «Forse dovrei dirti che ho deciso di dormire sul divano questa notte.» Ryan scrollò le spalle. «È un po' stretto per tutti e due ma, se preferisci così, per me non è un problema.» Nina gli appoggiò una mano sul braccio. «Da sola» sottolineò, «dormirò sul divano da sola. Ho bisogno di tempo per riflettere» replicò, il tono della voce serio. «Dormi con me. Io mi limiterò ad abbracciarti mentre tu rifletti. Non faremo l'amore, hai la mia parola.» Dopo una breve esitazione, lei annuì. Probabilmente non avrebbe dovuto insistere, pensò Ryan, ma dopo tutto quello che era successo e quanto si erano detti, non sopportava l'idea di mettere distanze fra di loro. La mattina seguente Ryan fu svegliato dai brillanti raggi del sole di Lyn StoneMary – McBride
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settembre. Nina dormiva ancora, raggomitolata accanto a lui. Le coprì le spalle con il lenzuolo e osservò il suo viso. Poi, una cornice d'argento sul comodino attirò la sua attenzione. «Non l'ho spostata di proposito, volevo vedere la tua reazione» ammise Nina. Aveva alzato la testa, e lo stava guardando con occhi ancora velati dal sonno. «Non crederai di dover competere con dei fantasmi, giusto?» «Forse sì, almeno un poco. Tu non devi dimenticarle mai, comunque. Non sarebbe giusto» replicò lei. «Non potrei farlo anche se lo volessi, però loro erano parte di un'altra vita» ragionò Ryan. «Oggi sono un uomo diverso.» Si alzò, prese la foto e, dopo aver sfiorato con un dito i due volti sorridenti, la ripose in un cassetto. «Pronta per la colazione?» chiese poi. «No, quello che vorrei fare è andare sulla terra ferma per cercare una farmacia.» «E comprare il test di gravidanza?» Nina annuì. «Voglio sapere. Credo che anche tu sia un po' curioso.» «Ma forse è un po' presto» obiettò lui. «Supponiamo che tu non fossi già incinta, e lo sia rimasta ieri?» «Hai ragione! Non abbiamo usato nulla!» esclamò Nina. «Io ero così felice... Non ci ho nemmeno pensato» ammise. «Ma non ci hai pensato nemmeno tu» lo accusò dopo un istante. «Mi piacerebbe un maschio» riprese Ryan, ignorando l'ultimo commento. «Così potrei andare a pescare con mio figlio. Ma se insisti per una femmina... Penso di ricordare quali sono i giocattoli che preferiscono le bambine.» Nina rise. «Sei sincero?» chiese poi. «Lo sono. E adesso alzati. Abbiamo un matrimonio da organizzare.» Un sorriso malizioso incurvò le labbra di Nina. «Non prima che io abbia ricevuto la proposta che merito» affermò, poi gli tese le braccia. «Vieni qui, Mac.» «Hai già avuto la tua proposta, piccola strega. Non mi sono inginocchiato davanti a te? L'ho forse sognato?» «Io invece sognavo qualcosa di diverso, magari di più intimo... Per te va bene?» Ryan non si fece ripetere l'invito una seconda volta. Si distese accanto a lei e la prese fra le braccia. «Allora, Nina Caruso, vuoi sposarmi?» Lyn StoneMary – McBride
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«Sì» rispose lei, poi sospirò, soddisfatta. «Lo vedi? A volte si tratta solo di formulare la domanda in modo giusto.» Ryan lasciò scorrere una mano sul suo seno. «E se ora ti chiedessi...» «Fai pure» lo interruppe Nina, interpretando correttamente le sue intenzioni. «Perché ti risponderei di nuovo di sì.»
Dolcissima terapia Sarah's Knight © 2002
PROLOGO Lo squillo del telefono penetrò nel sonno del dottor Hunter acuto come la punta di uno scalpello. D'accordo, d'accordo, mi sveglio... Che ora era? E chi poteva essere, in ogni modo? Aprì un occhio e vide una lama di luce filtrare tra le persiane, un brillante raggio di sole tipico degli inizi di autunno a San Francisco. Era a casa, per fortuna. I numeri fosforescenti della sveglia appoggiata sul comodino segnalavano l'una e quindici del pomeriggio. Aveva dormito per dieci ore di fila, per quanto gli sembrasse di essersi appena coricato dopo un estenuante volo su uno dei jet della famiglia reale del Montebello, partito dal Cairo e durato sedici ore, che lo aveva lasciato troppo stanco persino per fare l'amore con la sua bella moglie. Allungò una mano ma sfiorò solo un freddo guanciale. Niente Kate. Doveva essere uscita di buon mattino per andare in clinica. Sollevò il ricevitore del telefono e borbottò un Hunter solo per sentire il tono di chiamata e un altro, persistente squillo. Decisamente sveglio adesso, Elliot si rese conto che era il secondo telefono a squillare, la linea riservata esclusivamente alle comunicazioni fra gli Uomini d'Onore. Diavolo, aveva appena trascorso otto giorni nel Medio Oriente nel tentativo di sedare una delle tante rivolte che troppo frequentemente scoppiavano in quell'angolo di mondo... Cos'altro volevano da lui adesso? Lyn StoneMary – McBride
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«Hunter» borbottò di nuovo, dopo aver sollevato il ricevitore giusto. «Come è andata la tua vacanza?» La voce di suo padre era inconfondibile, vibrante come sempre di un velo di umorismo. Il dottor Gordon Hunter, era uno stimato chirurgo e l'uomo migliore che lui conoscesse, pensò Elliot. Per questo gli aveva chiesto di essere il suo testimone quando, un anno prima, si era sposato in seconde nozze con la dottoressa Katherine Remson. «Benissimo» replicò. «Ho fatto delle immersioni fantastiche.» Sapeva che Gordon avrebbe decifrato correttamente la sua risposta, cioè che era riuscito a introdursi segretamente a Cipro dove aveva rappresentato l'organizzazione degli Uomini d'Onore nelle negoziazioni fra la Grecia e il Tamir. «Bene. Volevo solo farti sapere che ho appena messo tua sorella su un aereo. Sta andando a fare visita al nostro vecchio amico.» «Tu cosa?» replicò Elliot. Il nostro vecchio amico era il nome che i membri dell'organizzazione usavano per indicare il re Marcus Sebastiani del Montebello. E perché mai Sarah era stata mandata a Montebello? «Un amico di Marc ha bisogno di lei» spiegò suo padre, abbandonando la comunicazione in codice, una cosa che non faceva mai, neanche quando usava la linea riservata. Ora Elliot era completamente vigile, e anche molto preoccupato. «Ci sono ottimi psicologi infantili a San Sebastian» ragionò. Si mise seduto e lasciò ciondolare le gambe fuori dal letto. «Perché mandare Sarah dall'altra parte del pianeta? Cosa sta succedendo, papà?» Gordon sospirò. «Tua sorella si è fidanzata durante la tua assenza, con quello stupido amministratore che lavora nella clinica di Kate.» «Warren?» Elliot interpretò il borbottio di suo padre come una risposta affermativa. Si massaggiò il mento, un'espressione dubbiosa sul viso. Per quanto ne sapeva lui, sua sorella, pur avendo ormai ventinove anni, non era interessata al matrimonio. Ma anche volendo prendere in considerazione un repentino cambiamento di opinione, perché mai la scelta di una giovane donna bella e vibrante di vita come Sarah Hunter avrebbe dovuto ricadere su Warren Dill? Un tizio assolutamente privo di senso dell'umorismo, un ragioniere dalla testa ai piedi. «Perché?» fu l'unica domanda che gli venne in mente di porre. «Non lo so, ma sembra che sia molto decisa. E' simile a tua madre in questo, testarda come un mulo.» Lyn StoneMary – McBride
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«Dunque l'hai spedita a Montebello, nella speranza che il suo buon senso torni a funzionare» ipotizzò Elliot. «Sarebbe stato più economico mandarla a Londra, o regalarle una bella crociera ai Caraibi, papà. E' sicuramente più sicuro» obiettò. «La situazione non è stabile a San Sebastian. È stato commesso da poco un omicidio al palazzo.» «Sì, Marc me ne ha parlato. La vittima, Desmond Caruso, era suo nipote. Per pura coincidenza, il bambino che ha bisogno di un sostegno psicologico ha smesso di parlare in concomitanza del delitto. Forse tu conosci il padre, sir Dominic Chiara, il medico della famiglia reale.» «Solo di fama» precisò Elliot. Sapeva che la brillante e promettente carriera di chirurgo del dottor Chiara era stata interrotta dalla prematura scomparsa della moglie. In realtà, loro due avevano qualcosa in comune, rifletté. Dominic, Nick come lo chiamavano gli amici, era rimasto solo con un bambino piccolo. Lui, invece, era rimasto completamente solo quando sua moglie e sua figlia erano morte. «Non l'ho incontrato di persona» riprese. «Era in viaggio quando io e Katie siamo stati a Montebello, l'anno scorso.» «Ebbene, adesso è lì, ed è molto afflitto per i problemi di suo figlio. Marc spera che Sarah sia in grado di aiutarlo.» «Conoscendo la mia sorellina, porterà a termine il suo compito in meno di due minuti.» «Invece io mi auguro che ci impiegherà molto di più, almeno il tempo necessario per dimenticare il suo ridicolo fidanzamento» replicò Gordon. Elliot rise. «Fai attenzione, papà. Ti stai immedesimando di nuovo nei panni di Cupido.» «Una cosa che mi riesce piuttosto bene, in realtà. Tu e Kate ne siete l'esempio.» Gordon fece una pausa e, quando riprese a parlare, il tono della sua voce era tornato serio. «Passa da me questa sera, figliolo» ordinò. «Dobbiamo discutere delle tue immersioni.»
1 In un punto al di sopra del Mediterraneo, Sarah Hunter guardò il suo orologio, che era ancora regolato con l'ora del Pacifico, come lo era il suo Lyn StoneMary – McBride
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corpo, d'altra parte. Quindi, poiché a San Francisco erano ormai le undici di sera, non era sorprendente se stentava a tenere gli occhi aperti. Non era sorprendente nemmeno che non riuscisse a immaginare in quale momento del giorno infine avrebbero atterrato a Montebello. Warren invece lo avrebbe saputo. Il suo fidanzato era un vero genio quando si trattava di numeri, qualsiasi tipo di numeri. Povero Warren... Non aveva avuto neanche la possibilità di salutarlo prima di partire. Suo padre l'aveva accompagnata all'aeroporto e fatta salire su uno dei jet privati del re Marcus Sebastiani così di fretta che le girava ancora un po' la testa. Aveva chiesto a suo padre di contattare Warren per spiegargli tutto, e suo padre ovviamente l'aveva rassicurata a riguardo, ma lei aveva notato quello scintillio nei suoi occhi che sempre appariva quando Gordon mentiva. Era un uomo pieno di segreti, suo padre. Il ruolo di importanza primaria che svolgeva all'interno degli Uomini d'Onore lo esigeva. Era sempre stata molto orgogliosa di lui e dei suoi sforzi per mantenere la pace negli angoli più agitati del mondo, questo però non le impediva di essere critica nei suoi confronti. In aeroporto, quando gli aveva dato il biglietto con i vari recapiti telefonici di Warren, Gordon lo aveva accartocciato con noncuranza prima di infilarlo nella tasca dei pantaloni. D'accordo, suo padre non apprezzava il suo mite, noioso fidanzato. A volte, Warren non piaceva tanto nemmeno a lei, ammise Sarah. Ma lo avrebbe sposato, e questo era tutto ciò che contava. E se non brillava un anello di fidanzamento al suo dito in quel preciso momento, la spiegazione era molto semplice. Primo, lei preferiva non portare gioielli perché attraevano l'attenzione dei suoi giovani pazienti distraendoli quindi dalla terapia, e secondo, Warren considerava un terribile spreco investire denaro in un diamante quando, per la stessa cifra, poteva accaparrarsi un buon numero di azioni ben quotate in borsa. Non sarebbe stato un matrimonio d'amore, e allora? Da brava psicoterapeuta, dava molta più importanza alle valutazioni della ragione rispetto a quelle del cuore. Lei aveva scelto Warren deliberatamente. Volevano le stesse cose dalla vita, un perfetto equilibrio fra famiglia e lavoro, e la realizzazione piena di tutti i loro desideri. Ed era quello che avrebbero ottenuto, ne era certa. «Atterreremo fra circa quarantacinque minuti, signorina Hunter.» Giorgio, il bellissimo assistente di volo che durante le ultime quattordici ore si era trasformato nel suo schiavo personale, si materializzò dal nulla. Lyn StoneMary – McBride
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«Posso servirle qualcosa da mangiare?» propose. «Una coppa di fragole con la panna per la bella signorina, forse? Caviale, oppure una omelette, se preferisce uno spuntino più sostanzioso.» Durante il lungo volo, non solo Giorgio l'aveva colmata di ogni attenzione, coppe di champagne, praline di cioccolata finissima, tartine al salmone, ma aveva anche sfacciatamente civettato con lei. Sarah supponeva facesse parte del suo lavoro e, per quello che la riguardava, la tendenza a flirtare faceva parte del suo carattere e non influiva per niente sull'affetto che provava per Warren. Il suo era un atteggiamento del tutto innocuo, un modo come un altro per passare il tempo. I complimenti che le aveva rivolto l'assistente di volo erano serviti anche a farle rispolverare il suo italiano, una lingua che lei conosceva appena. Aveva capito solo quando Giorgio le aveva detto che i suoi occhi verdi erano molto belli, e che gli piaceva la sfumatura mogano dei suoi capelli, ondulati e lunghi fino alle spalle. Sarah continuò a sorridergli, sbattendo le palpebre con fare civettuolo. «D'ora in poi, non so come riuscirò a vivere senza di lei» affermò. «Sono lusingato, signorina» replicò Giorgio. «Questo significa che la bella signorina gradisce le fragole con la panna?» «Mi ha letto nel pensiero» confermò lei. Dopo aver mangiato il delizioso dessert, Sarah si alzò per andare in bagno, un paradiso di marmo nero e di accessori dorati, dove cercò di dare un aspetto decente al suo viso provato dalla mancanza di sonno. Si lavò i denti e spazzolò vigorosamente i capelli, poi tornò al suo posto, cioè si accomodò su un'enorme poltrona di pelle, e allacciò la cintura di sicurezza. «Guardi, signorina.» Giorgio puntò un dito verso il finestrino. «Ecco Montebello. Mi dica, non è splendida?» Un aggettivo che, anche se pronunciato con un accattivante accento italiano, non bastava per descrivere l'isola. Montebello sorgeva dalle acque turchesi del Mediterraneo con il fulgore di un gioiello. Le montagne centrali, coperte di verde, degradavano verso spiagge bianchissime e baie blu. Sovrastante una di quelle baie, San Sebastian, la capitale, riluceva accarezzata dai raggi del sole. Lì, da qualche parte, c'era un bambino che aveva bisogno del suo aiuto, pensò Sarah. All'improvviso non provò più stanchezza. Era pronta per mettersi al lavoro. Lyn StoneMary – McBride
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Mezz'ora dopo, quando la limousine si fermò davanti all'ingresso del palazzo, Sarah respirò a fondo nel tentativo di calmarsi. Continua così, consigliò a se stessa. Respira. Questa non è una reggia, è solo la casa di uno dei più cari amici di tuo padre... Giusto. Il fatto poi che uno dei più cari amici di suo padre fosse il sovrano del Montebello era solo un dettaglio di minore importanza. Come lo era l'aspetto della casa, cioè un palazzo dalle mura di marmo, composto almeno da sessanta stanze, al cui ingresso stazionavano guardie armate. L'autista dal viso completamente inespressivo aprì lo sportello e le porse una mano. «Signorina» disse. A Sarah riusciva proprio impossibile percorrere un tragitto seppur breve in taxi senza apprendere il nome del conducente, di sua moglie e dei suoi figli, i loro sogni, le aspirazioni e a volte anche la tendenza politica. Era naturalmente attratta dalla gente, e la gente era attratta da lei. D'altra parte, era quello il suo lavoro, imparare a conoscere le persone, in particolare i bambini, ascoltare, indurre alla confidenza. Ma nella limousine non aveva avuto la possibilità di chiacchierare perché l'autista era stato separato da lei da tende di velluto e da uno spesso vetro antiproiettile. Era tutto così ufficiale... Così regale. Lei non si intimidiva facilmente, ma effettivamente in quel momento era molto nervosa mentre appoggiava la mano sul guanto grigio dell'uomo. «Grazias» replicò, usando lo spagnolo, una lingua che conosceva molto bene, piuttosto che l'italiano. L'autista le offrì un sorriso comprensivo. «De nada» replicò. «Benvenuta, signorina Hunter.» Le parole erano state pronunciate da una donna che stava scendendo la grande scalinata di marmo. Era alta e snella, molto elegante nel suo severo tailleur blu. I capelli neri erano costretti in uno chignon, e un paio di occhiali di tartaruga le nascondevano parzialmente il viso. Doveva avere la sua stessa età, ragionò Sarah, per quanto desse l'impressione di essere più matura, e sicuramente più sofisticata. «Benvenuta a Montebello» disse la nuova arrivata, il tono della voce più ufficiale che amichevole. «Grazie.» «Sono Sophia Strezzi, segretaria dell'Ufficio delle Relazioni Pubbliche» si presentò la donna. Aveva una voce piacevole, con un accento non ben Lyn StoneMary – McBride
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definito, un misto di inglese, francese e italiano. «L'assistente personale del re, Albert, mi ha chiesto di accoglierla» aggiunse, stringendole la mano con vigore. «Spero che il suo volo sia stato piacevole.» «Sì, molto piacevole.» Sarah era stata sul punto di commentare riguardo alla cortesia di Giorgio e di tutto il resto dell'equipaggio, ma Sophia Strezzi aveva evidentemente esaurito l'argomento viaggio. Le lasciò andare la mano e si rivolse all'autista. Momentaneamente messa da parte, Sarah ne approfittò per guardarsi intorno. Il punto focale dell'enorme cortile era costituito da una grande fontana di marmo. Cascate d'acqua scendevano dall'alto per raccogliersi nella vasca circondata da aiuole lussureggianti. Quella parte del parco era una vera esplosione di fiori dai mille colori. L'aria era mite e profumata. Non c'era da meravigliarsi che i suoi genitori avessero acquistato una casa a Montebello con la prospettiva di trascorrere lì la vecchiaia, pensò Sarah. Non c'era da meravigliarsi nemmeno che suo fratello Elliot si fosse innamorato l'anno precedente della sua migliore amica, Katherine Remson, proprio lì. L'isola era un vero angolo di paradiso. «Il suo bagaglio sarà portato alla residenza di sir Dominic» annunciò Sophia. «E ora, se vuole seguirmi, signorina Hunter...» Poi, senza lasciarle il tempo per replicare, si girò e risalì la scala che conduceva all'ingresso della reggia, gli alti tacchi delle scarpe che risuonavano sui gradini di marmo. Il soldato di guardia fermò Sarah alla porta. Mentre l'uomo la controllava con il metal detector, si rese conto di essere oggetto di un altro controllo. Sophia Strezzi la stava osservando attentamente e, a giudicare dall'espressione che si era dipinta sul suo volto, dedusse di non aver superato l'esame a pieni voti. Bene, se suo padre non l'avesse imbarcata sull'aereo con tanta fretta, certamente avrebbe indossato qualcosa di più elegante del pantalone scuro di taglio maschile e della semplice camicetta bianca, pensò Sarah. Probabilmente ora avrebbe avuto un aspetto più decente, quello che era necessario per essere ricevuta a corte. «Mi chiedevo se fosse possibile rinfrescarmi un po' prima di...» Sophia la interruppe agitando una mano in aria. «No, sono già passate le undici. Il re la sta aspettando.» Lyn StoneMary – McBride
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«Oh.» Soffocando un gemito, e uno sbadiglio, Sarah guardò il suo orologio. A San Francisco era mezzanotte, ma evidentemente la segretaria non riconosceva l'esistenza di altri fusi orari al di fuori del suo. Rassegnata, seguì la donna nell'atrio. «È magnifico» mormorò, osservando il lucido pavimento di marmo, gli enormi candelieri di cristallo e le dozzine di ritratti esposti alle pareti. «Sì» confermò Sophia. «Forse ci sarà un po' di tempo per condurla a visitare la reggia dopo l'appuntamento con il re.» Sempre se avesse avuto ancora la forza per muovere un passo, rifletté Sarah, mentre trotterellava alle calcagna della segretaria lungo un corridoio che apparentemente non aveva fine. Infine Sophia si fermò davanti a una porta. «Questo è il solarium» spiegò. «Si accomodi pure, signorina Hunter, e si metta a suo agio. Io informo Sua Maestà del suo arrivo. La raggiungerà fra un istante.» A suo agio, e come no... Per esserlo davvero, avrebbe dovuto indossare la sua vecchia tuta di felpa grigia e le comode pantofole rosa. Comunque, almeno Sophia non l'aveva accompagnata nella sala del trono, notò Sarah entrando nella stanza, ma in un accogliente salottino dalle pareti di vetro. C'erano divani, e riviste sparse sul tavolino da caffè, persino un grande televisore. Sì, decise, quella sarebbe stata la sua camera preferita se avesse vissuto alla reggia. «La vista è spettacolare, non trova?» Sophia alzò una mano per indicare una delle portefinestre. La superficie del mare che brillava sotto i raggi del sole era uno spettacolo davvero superbo. «Sì, spettacolare» confermò Sarah. Amava San Francisco, ma doveva ammettere che la città impallidiva al confronto con San Sebastian. «Lei ha sempre vissuto qui?» «Sì, sempre.» La fredda e concisa replica della donna indusse Sarah a credere di non piacerle poi tanto. Si chiese cosa aveva potuto fare in meno di cinque minuti per alienarsi le simpatie della donna. In genere lei stabiliva un contatto immediato con le persone, i suoi genitori non l'avevano soprannominata Raggio di Sole per niente. Persino Warren, un uomo piuttosto glaciale, in verità, riconosceva quella sua qualità. «Posso offrirle qualcosa mentre aspetta?» propose la segretaria, già in procinto di uscire dalla stanza. «Un tè, o forse un caffè?» Al momento, un'abbondante dose di whisky le sembrava un'opzione più Lyn StoneMary – McBride
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adeguata. «Niente, grazie» replicò Sarah. «D'accordo. Dopo l'udienza con il re, l'accompagnerò alla residenza di sir Dominic.» Se la donna non avesse avuto tanta fretta di andare via, Sarah l'avrebbe volentieri interrogata su sir Dominic Chiara, soprattutto per avere informazioni sul suo titolo. Era anche lui un nobile? Un duca, un barone, comunque un pezzo grosso? Suo padre non le aveva spiegato molto, solo che sir Dominic era il medico della famiglia reale, e che suo figlio Leo, di cinque anni, aveva smesso di parlare qualche settimana prima. Apparentemente, il re era più preoccupato per le condizioni del ragazzino di quanto lo fosse il suo stesso padre. Il che non era strano, ragionò Sarah, sapeva per esperienza che i medici tendevano a ignorare le malattie dei propri cari, un atteggiamento che, secondo lei, aveva molto a che fare con il loro complesso di onnipotenza. In ogni caso, non dare la giusta considerazione a un improvviso mutismo in un bambino era troppo, persino per un medico che si fregiava del titolo di sir. Probabilmente Dominic Chiara era un uomo anziano, forse dell'età di suo padre, ipotizzò Sarah, e non aveva né le energie sufficienti né la voglia per analizzare i problemi di suo figlio. Forse Sophia poteva illuminarla a riguardo, si disse. «Signorina Strezzi, se potessi solo chiederle...» Troppo tardi. La porta del solarium si era già richiusa alle spalle della segretaria. Sarah sospirò e tornò a rivolgere lo sguardo verso la finestra, ripetendosi per l'ennesima volta che non era la sua ansia, e nemmeno la sua insicurezza, ad avere importanza in quella circostanza. Erano importanti solo le emozioni di un bambino di cinque anni che era diventato improvvisamente, e senza un'apparente spiegazione, silenzioso. Le erano già capitati casi simili lavorando nella clinica di sua cognata. Aveva trattato due bambini affetti da mutismo selettivo, ma i piccoli pazienti in questione avevano una storia clinica fatta di difficoltà di linguaggio e di comportamento in generale. Il figlio del dottor Chiara invece aveva parlato con l'irruenza di un fiume in piena fino a poche settimane prima, il che deponeva a favore di un evento traumatico. Una nave da crociera stava solcando il mare in lontananza. Guardandola, Sarah desiderò essere a Montebello non nelle vesti di psicologa, bensì in Lyn StoneMary – McBride
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quelle di turista, magari in luna di miele. Scosse la testa. Non ci sarebbe stata nessuna luna di miele per lei. Warren aveva già deciso che non avrebbero speso soldi per un frivolo viaggio quando c'era l'anticipo da versare per l'acquisto di una casa. Aveva usato proprio quell'aggettivo, frivolo. Bene, forse aveva anche ragione, però... Lei amava viaggiare, anche se ultimamente non lo aveva fatto molto. Da giovane, con i suoi genitori e l'adorato fratello maggiore Elliot, avevano visitato tanti posti. Poi, ai tempi del liceo, aveva preso l'abitudine di seguire suo padre nelle conferenze che teneva nelle più importanti città americane. L'estate successiva al diploma, si era concessa il lusso di vagabondare in Europa per tre interi mesi. Le sembrava che fosse trascorso ormai un secolo. Dopo la laurea, aveva vissuto per due anni a El Salvador, ma poiché aveva militato con i Corpi della Pace, non era da considerare come una vacanza. Avrebbe desiderato tanto trascorrere un po' di tempo in un luogo incantato come il Montebello, senza incombenze, senza obblighi e impegni da rispettare, limitandosi a giacere pigramente su una di quelle spiagge bianchissime, cullata dal mormorio delle onde... «Ah, Sarah, la figlia del mio caro amico. Benvenuta a Montebello.» Sobbalzando al suono melodioso di quella voce profonda, Sarah si girò di scatto. Non si era aspettata che l'ingresso del sovrano fosse annunciato da una fanfara, ma nemmeno che il re in persona entrasse silenziosamente, e da solo, nella stanza. Sarah si esibì in un inchino. Anzi, in due. Due e mezzo. Davvero una pessima presentazione. Il re le tese la mano. Era un bell'uomo, alto e massiccio, molto elegante nel suo abito scuro. I capelli erano folti e candidi come la neve, gli occhi neri e penetranti, il sorriso caldo come il sole di Montebello che invadeva la veranda. «Le formalità non sono necessarie, mia cara» la rassicurò Marcus. «Piuttosto, dimmi come se la passa tuo padre? E come sta la tua affascinante madre?» «Stanno entrambi bene, sire. Le mandano i loro saluti. Anche Elliot, mio fratello.» «Ah, ho un debito di riconoscenza verso tuo fratello e la dottoressa Remson per aver prestato servizio presso il nostro ospedale l'anno scorso. Lyn StoneMary – McBride
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Il matrimonio procede a gonfie vele, immagino.» Sarah sorrise pensando che sua cognata non arrivava più in clinica all'alba come era stata sua abitudine fare prima di sposare Elliot. Anzi, ogni giorno era un po' più in ritardo del precedente, e il sorriso sulle sue labbra sempre un po' più soddisfatto. «È così» confermò. «Sono terribilmente felici.» «Bene.» Il re indicò una poltrona. «Siediti, mia cara» la invitò. Sarah quasi dimenticò di essere alla presenza di un monarca mentre chiacchierava amabilmente con lui del più e del meno. Marcus aveva una risata pronta e contagiosa, così simile a quella di suo padre. Però, dopo qualche minuto, l'espressione del suo viso divenne repentinamente seria. «Mia moglie e io ti siamo grati per l'aiuto che ci stai offrendo» affermò. «Siamo molto affezionati a sir Dominic e al suo bambino, e anche molto preoccupati.» Sarah annuì. «Non dice nemmeno una parola?» si informò. «Non che io sappia. Un silenzio totale.» «Suo padre immagina cosa possa aver provocato in lui una reazione simile?» «Dominic rifiuta di discutere delle condizioni di Leo» spiegò Marcus, scuotendo la testa. «Soffre anche lui di una sorta di mutismo. È un uomo dannatamente testardo.» Più acquisiva informazioni circa il dottor Chiara, meno simpatia provava nei suoi confronti, decise Sarah. Sua moglie, giovane e bella secondo la descrizione del re, si era ammalata di leucemia durante i primi mesi di gravidanza. Ma poiché desiderava dare un figlio al marito più di ogni altra cosa al mondo, aveva rifiutato ogni terapia salvavita. Dopo il parto, le sue condizioni erano così gravi che nessuna chemioterapia poteva più avere effetto. Era morta quando Leo aveva solo pochi mesi. Il dottor Chiara aveva sofferto terribilmente per la sua scomparsa, e si era dedicato anima e corpo al lavoro nel tentativo di dimenticare, affidando il figlio neonato alle cure di bambinaie e cameriere. «Però il piccolo è sempre stato felice» sottolineò Marcus. «Chiacchierava di continuo e con tutti, ma a un tratto... Non sappiamo cosa pensare, devo ammetterlo.» «Farò del mio meglio per risolvere il caso» promise Sarah. «Vorrei conoscere Leo al più presto, e parlare con il dottor Chiara e con chiunque trascorra del tempo con lui. Pensa che potrò incontrare sir Dominic questo Lyn StoneMary – McBride
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stesso pomeriggio?» Il re si agitò un po' sulla sua poltrona, un'espressione di disagio sul viso. Uh-uh. Era stata troppo aggressiva? Si chiese Sarah. Troppo esplicita? Non abbastanza formale? «Le domando scusa, Sua Maestà» si affrettò a dire, per quanto non sapeva di cosa si stesse scusando. «Forse avrei dovuto leggere un manuale di etichetta reale prima di venire qui, in modo da comportarmi adeguatamente. Sa, a volte mi lascio trascinare, presa dall'ansia di aiutare i miei pazienti.» «Il tuo entusiasmo è molto apprezzabile, mia cara, perché significa che prendi a cuore quello che fai» precisò Marcus. «Mi ricordi tuo padre, ma sfortunatamente, in questo caso, temo che sarai costretta a tenere a freno il tuo trasporto professionale.» «Non capisco.» «Abiterai nella residenza di Dominic in qualità di bambinaia» spiegò il re. «È un espediente poco gratificante, lo so, ma almeno ti garantirà accesso al bambino. In caso contrario...» Ah. Ora capiva. «In caso contrario, quell'arrogante di suo padre mi impedirà di sottoporre Leo a una terapia» terminò Sarah in sua vece. «Bene, sì, è così» ammise Marcus. «Come ho detto, Dominic si comporta come un mulo ostinato in questa situazione.» Sarah sospirò. Era una psicologa, una professionista brava, seria e stimata, ma era abituata ad avere a che fare con i suoi piccoli pazienti nel tradizionale ambiente di un ambulatorio, e per non più di cinquanta minuti alla settimana. Certamente non aveva alcuna esperienza come babysitter. Anzi, no, aveva assistito alla proiezione di Mary Poppins, ma l'unica parte del film che aveva apprezzato era stata il divertente scioglilingua cantato dalla protagonista. «Farò del mio meglio» comunque affermò. «Sia per aiutare il bambino, sia per sopportare la presenza del mulo ostinato.»
2 Sir Dominic Chiara era in piedi accanto alla finestra del suo ufficio Lyn StoneMary – McBride
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situato al sesto piano del King Augustus Hospital. Guardava il lago artificiale che era stato creato al centro del grande parco che circondava l'edificio. Con il camice bianco e lo stetoscopio casualmente appoggiato intorno al collo, all'osservatore disattento il dottor Chiara poteva apparire come un uomo assorto nella calma contemplazione di un problema. Aveva le braccia incrociate sul petto, la testa leggermente china da un lato. Una ruga gli attraversava l'ampia fronte, e gli angoli della bocca erano rivolti verso il basso. In apparenza, era solo un medico che stava riflettendo su qualcosa, magari sulle condizioni di un paziente particolarmente grave che era stato affidato alle sue cure, o forse a un farmaco innovativo della cui scoperta aveva appreso dalle pagine di una rivista scientifica. In realtà, il dottor Chiara si stava nascondendo. Precisamente dal dottor Alex Bettancourt, il nuovo amministratore dell'ospedale, che a quel punto doveva aver letto la sua lettera con la quale esigeva, e non chiedeva, un mese di ferie a partire da quello stesso momento. Era già tutto organizzato. A nessuno sarebbe mancata assistenza medica durante la sua assenza, meno che mai ai componenti della famiglia reale. Si nascondeva anche dalla dottoressa Antonia Solano, la venerabile primaria del reparto di Ostetricia e Ginecologia, che sembrava interpretare la sua vedovanza come una sorta di affronto personale, estendibile a tutte le donne non sposate che lavoravano in ospedale. Antonia era una vera spina nel fianco. Lo aveva martellato senza pietà durante gli ultimi quattro anni. Che spreco era la frase che immancabilmente mormorava ogni volta che gli passava accanto. Ultimamente aveva adottato misure più drastiche, che includevano il mandargli articoli ritagliati da giornali medici nei quali si elencavano i danni fisici provocati da un protratto celibato. E in ultimo, per quanto non in ordine di importanza, si stava nascondendo dall'ultima orda di volontarie adolescenti della Santa Cecilia's Academy, un gruppo di ragazzine con addosso immacolati camici bianchi, i capelli nascosti dalla cuffia dello stesso colore, che continuavano a credere che lui fosse il protagonista di una famosa serie televisiva ambientata in un Pronto Soccorso, George qualcosa... La sua segretaria, Paula, condivideva l'opinione. «Non può negare che gli assomiglia come una goccia d'acqua, dottor Chiara» gli ripeteva di continuo.«Avrà pur visto qualche puntata, è un telefilm molto popolare. Lyn StoneMary – McBride
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Anche se il dottor Ross, cioè lei, non recita più. Si è trasferito in Oregon con la sua donna e le loro neonate gemelle.» Nick sospirò. Non era poi un brutto progetto, pensò. Non avere due gemelle, quello no, ma trasferirsi in un posto lontano, dall'altra parte del mondo, come l'Oregon appunto. Lì avrebbe trovato un clima temperato, non molto diverso da quello del Montebello. La lingua non avrebbe costituito un problema. Lui e suo figlio Leo parlavano l'inglese con la stessa scioltezza dell'italiano. Ovviamente, quando Leo parlava... Nick chiuse gli occhi, quasi a voler respingere l'idea dell'inspiegabile mutismo in cui suo figlio era caduto da qualche settimana. «Non è colpa tua» gli aveva detto sua zia Honoria a colazione quella mattina per la decima, no, per la centesima volta. «Vorrei che smettessi di torturarti.» «Io sono suo padre.» «Sì, sei suo padre, ma non sei Dio. Devo continuare a rammentarti questo piccolo particolare?» Nessuno aveva bisogno di ricordare al dottor Chiara di non avere poteri divini. Il fatto gli si era chiarito senza ombra di dubbio cinque anni prima, quando aveva assistito impotente alla morte della sua giovane e bella moglie. Eppure, era certo che avrebbe potuto salvarla se lei gliene avesse dato la possibilità. Ma Lara, nel timore che le cure potessero nuocere al suo bambino non ancora nato, aveva tenuto segreta la malattia fin quando poi era stato troppo tardi per intervenire. A Montebello si diceva che, dopo il funerale, lui si fosse dedicato anima e corpo al lavoro perché non era in grado di stare con suo figlio, un bambino che gli ricordava costantemente la sua perdita, che forse vedeva anche come il responsabile della morte dell'amata moglie. Fandonie. Amava Leo con tutto il cuore. Amava quello che in lui ritrovava di Lara. Amava i suo atteggiamenti, il colore dei suoi occhi, la sua risata, la morbidezza dei suoi capelli neri, così simili a quelli della madre. Il piccolo Leo era la luce della sua vita. Si era immerso nella sua professione nel tentativo di riguadagnare un minimo di controllo sulla sua esistenza, di mettere a tacere la sensazione di inadeguatezza che lo affliggeva. Se non aveva trascorso abbastanza tempo Lyn StoneMary – McBride
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con il suo bambino, non lo aveva fatto spinto dall'odio o dal rancore, ma solo dal timore di non saper essere un buon genitore. Ora però, alla luce degli ultimi eventi, Nick capiva che i suoi tentativi di guarire erano stati una forma di egoismo. Che fosse pronto o meno, era arrivato il momento di comportarsi da padre, e di affrontare anche la possibilità di un fallimento. «Finalmente, dottor Chiara» esordì Paula entrando nella stanza. «È tutta la mattina che tento di rintracciarla. Non ha risposto al cercapersone.» «Non l'ho sentito» mentì Nick. Infatti lo aveva sentito, e lo aveva ignorato. Nessuna emergenza poteva essere più importante di quella che lo aspettava a casa. Aveva cancellato tutti i suoi appuntamenti e gli interventi chirurgici per i seguenti trenta giorni. Il dottor Max Schiel era perfettamente in grado di prendersi cura della famiglia Sebastiani per poche settimane. Aveva spedito una copia della sua lettera, oltre che al direttore amministrativo dell'ospedale, anche al re. E poiché Marcus era anche un amico, molto affezionato al piccolo Leo, non si aspettava obiezioni da parte sua. «Sono in ferie, Paula. A partire da adesso.» Guardò il suo orologio. Era già rimasto in ospedale più di quanto avesse previsto. «Ho dato istruzioni a tutto lo staff di fare riferimento al dottor Schiel durante la mia assenza.» «Questo lo so» replicò Paula. In fin dei conti, era stata lei a battere a macchina la sua lettera, si era persino congratulata per la sua decisione prima di consegnarla al dottor Bettancourt. «Non si trattava di un problema professionale. Ha telefonato suo zia Honoria, sembra che Leo abbia fatto cadere uno dei suoi pupazzi nello scarico del bagno, che si è intasato. Voleva sapere quale idraulico doveva chiamare.» La risata di Nick sorprese tanto lui quanto la sua segretaria. «Cosa c'è di così divertente in un bagno che non funziona?» volle sapere lei. «Niente, in realtà.» Nick appoggiò lo stetoscopio sulla scrivania e si tolse il camice. «Infatti, è così normale.» «Sì, suppongo di sì, se una normalità del genere la rallegra. Spero che andrà tutto bene per lei e Leo» gli augurò Paula, il tono della voce sincero. «Grazie.» «Andrete a fare un viaggio?» «Forse, non ne sono ancora certo. In ogni caso però, saremo soli, io e Lyn StoneMary – McBride
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mio figlio. Niente governanti, niente babysitter. Offrirò a mia zia la lunga vacanza che si merita. Per le prossime quattro settimane, voglio prendermi cura personalmente di mio figlio.» «Credo che sia una buona idea.» «Sì, lo credo anche io.» Terminata la piacevole udienza con il re, Sophia Strezzi tornò in tutto il suo freddo splendore per accompagnarla alla residenza di sir Chiara. Sembrava impossibile, notò Sarah, ma la freddezza della donna nei suoi confronti era anche aumentata in quel breve periodo di tempo. Mentre attraversavano il parco, Sarah commentò la bellezza dei giardini. Come replica, la segretaria si limitò a borbottare qualcosa di incomprensibile. L'ammirazione di Sarah per le splendide fontane e le tante statue di marmo fu accolta in modo del tutto simile. Quando infine provò con un argomento di solito infallibile, il clima, fu messa a tacere una volta e per tutte da una insofferente scrollata di spalle. Va bene, niente chiacchiere amichevoli, pensò Sarah. D'altra parte, lei non era una turista che aveva bisogno di essere intrattenuta, ma una professionista seria e stimata, che aveva attraversato mezzo mondo su richiesta del re del Montebello. Era in procinto di comunicarlo all'antipatica segretaria quando vide alla sua destra un cottage bianco semidistrutto dal fuoco. Cartelli gialli sistemati dalla polizia lungo il perimetro del giardino vietavano l'accesso a chiunque. «Quando è scoppiato l'incendio?» chiese. Sophia si fermò sul marciapiede e lanciò un'occhiata distratta alla casa. «Tre settimane fa» rispose. Tre settimane? Cioè, da quando il figlio del dottor Chiara aveva smesso di parlare, ragionò Sarah. No, era troppo ovvio, decise. Troppo banale. Chiunque avrebbe potuto riscontrare nel fuoco la causa del trauma. Sicuramente, era una possibilità che era già stata esaminata. «La residenza del dottor Chiara è vicina?» «Esattamente alla fine del sentiero» replicò, secca, Sophia, poi riprese repentinamente il cammino. «Per caso lei sa se il figlio del dottor Chiara ha visto l'incendio?» domandò Sarah seguendola. «Non ne ho idea.» E anche se l'avesse avuta, non ne avrebbe discusso con lei, era ovvio, Lyn StoneMary – McBride
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capì Sarah. Strano che il re non ne avesse fatto cenno, probabilmente aveva già accertato che non esistevano nessi fra il mutismo del bambino e le fiamme che avevano distrutto il cottage. In ogni caso, avrebbe controllato personalmente dove si trovava Leo nel momento dell'incidente, decise mentre Sophia si fermava di nuovo, questa volta davanti a una villetta molto simile a quella che avevano appena oltrepassato, ma in perfette condizioni. «Siamo arrivate» annunciò la segretaria. «Questo è il cottage del dottor Chiara.» Un piccolo palazzo più che un cottage, si rese conto Sarah. La costruzione era abbastanza grande da contenere almeno quattro stanze da letto, ed era circondata da un giardino curato con la stessa meticolosità del parco reale, attraversato da un vialetto che conduceva alla porta d'ingresso. La segretaria era già lì, in procinto di bussare. Poi esitò, alzò una mano per darsi una sistemata ai capelli e aggiustò le pieghe della gonna. Gesti di una donna che voleva apparire al suo meglio, dedusse Sarah, magari per far colpo su una persona speciale. Era quella la spiegazione! La gelida Sophia era infatuata del dottor Chiara. La freddezza con cui l'aveva trattata non era qualcosa di personale, ragionò, ma solo una manifestazione di gelosia. Il tutto aveva senso, ora che ci pensava. Sir Dominic era vedovo, un vedovo indubbiamente maturo e molto benestante, il che lo rendeva automaticamente un ottimo partito. Fu brevemente tentata di rassicurarla, di spiegarle che era fidanzata e che l'unica cosa che le interessava del dottor Chiara era suo figlio. Poi cambiò idea, decidendo che stare un po' sulle spine era il meno che quel ghiacciolo umano in tacchi alti si meritasse. Dunque, in silenzio, aspettò al suo fianco che qualcuno aprisse la porta. Dopo qualche momento apparve una donna anziana, che indossava una tunica di seta viola. Era una donna enorme, della stazza della Statua della Libertà, il cui corpo massiccio oscurava completamente il vano della porta. Il sorriso che le incurvava le labbra scomparve immediatamente quando scoprì chi erano i suoi visitatori. «Oh, speravo proprio che fosse l'idraulico» commentò, squadrando Sarah e Sophia dalla testa ai piedi. «Suppongo che voi non lo siate, giusto? Idraulici? No, sono sicura di no. Che peccato.» L'inamovibile segretaria sembrava abbastanza contrariata. Socchiuse gli occhi color cioccolata. «Buon pomeriggio, lady Satherwaite» esordì. «Mi Lyn StoneMary – McBride
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permetta di presentarmi. Sono Sophia Strezzi, lavoro nell'Ufficio delle Relazioni Pubbliche. Su richiesta del re, ho accompagnato qui...» «Accidenti, avrei preferito un idraulico» la interruppe la donna. «Questa mattina Leo ha fatto cadere Mr. Potato, il suo pupazzo preferito, nel water, di conseguenza il bagno è fuori uso.» Sarah scoppiò a ridere. Non immaginava nemmeno chi fosse quella donna gigantesca avvolta in una specie di tenda, ma le piaceva. La risata della grossa lady Satherwaite si unì a quella di Sarah. «Io non so lei chi sia, signorina» affermò poi guardandola, «ma devo dire che mi è simpatica.» Sophia, invece, non sembrava affatto divertita. «Il dottor Chiara è disponibile?» chiese, spingendo con un dito gli occhiali che le erano scivolati sulla punta del naso. «No, accidenti, non lo è. L'ho cercato in ospedale ma non ho avuto successo» spiegò lady Satherwaite. «Non sa per caso se al palazzo c'è un idraulico, vero, mia cara? Io penserei di sì, poiché immagino che ci saranno così tanti bagni da richiedere la presenza costante di un idraulico.» «Temo di non conoscere il personale addetto alla manutenzione» replicò Sophia. «Pensa che sir Dominic tornerà presto?» «Come ha detto di chiamarsi, signorina?» chiese la donna, un improvviso lampo di sospetto che le luccicava negli occhi. «Sono segretaria nell'Ufficio delle Relazioni Pubbliche e ho accompagnato qui la signorina Hunter, la nuova...» «La nuova babysitter! Perché non lo ha detto subito?» Lady Satherwaite strinse fra le sue le mani di Sarah. «Entra, mia cara, accomodati. Non so spiegarti come sono felice di vederti.» «Signora, un momento, per favore» intervenne Sophia. «Il re mi ha chiesto espressamente di discutere con lei delle incombenze della signorina Hunter, e di conferire anche con Sir Dominic.» «Oh, ma cosa c'è da dire?» La donna scrollò le spalle, un gesto che la fece apparire come un grande orso vestito di viola. «E' solo travestita da bambinaia, lo so, io e Marcus ne abbiamo già parlato, ed è la figlia di un suo caro amico, il che la rende automaticamente una mia cara amica. Cos'altro c'è da aggiungere?» «Bene, Sua Maestà ha detto che...» «Sì, sono sicura che lo ha fatto» la interruppe nuovamente lady Satherwaite. Lyn StoneMary – McBride
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Sophia non era ancora disposta a darsi per vinta. «Forse, se potessi scambiare qualche parola con sir Dominic...» «Può farlo senz'altro, mia cara. Gli telefoni. E se riuscisse a procurami un idraulico, le sarei molto grata» tagliò corto lady Satherwaite, prima di spingere Sarah dentro casa e di richiudere la porta, lasciando Sophia in piedi sul portico, un'espressione sgomenta sul viso. Poi il gigante viola ridacchiò e guardò Sarah. «Tè, mia cara?» propose. «Sono così contenta che sei venuta per aiutare il nostro prezioso Leo.» Il piccolo, prezioso Leo, Sarah scoprì presto, era stato confinato nella sua stanza, una punizione decisa dalla sua enorme prozia come conseguenza dell'episodio del pupazzo. Il bambino si era addormentato, circondato dai suoi animali di peluche, il pollice infilato in bocca. Lady Satherwaite gli rivolse uno sguardo pieno di affetto. «Il mio diavoletto» sussurrò. «Noi siamo così preoccupati per lui, ma questo non significa che può fare tutto quello che vuole. Silenzioso o meno, deve imparare ad affrontare le conseguenze dei suoi gesti. Andiamo, sediamoci in terrazza» propose poi. «Comunque, ordinargli di restare in camera non è una punizione per Leo» precisò, mentre versava il tè nelle tazze. «Quel bambino riesce a divertirsi anche da solo, e sa trasformare in un giocattolo anche un elastico.» «Deduco che abbia una fervida immaginazione, giusto?» «Sì» confermò lady Satherwaite. «L'ha ereditata dalla famiglia di suo padre.» Dopo mezz'ora e diverse tazze di tè, Sarah aveva imparato molto più su Lady Satherwaite che sul piccolo Leo. La sua prima impressione, cioè che la donna le piaceva moltissimo, restava valida. Honoria Satherwaite, una sorta di zingara per sua stessa ammissione, era arrivata a Montebello dall'Inghilterra decadi prima, in compagnia della sorella minore Elspeth. «Eravamo due vere figlie dei fiori» affermò Honoria, «anche se noi preferivamo definirci come delle avventuriere, o magari artiste. Abbiamo persino vissuto sulla spiaggia per qualche tempo. Camminavamo a piedi scalzi, nuotavamo nude di notte... Io ero, ovviamente, molto più magra» precisò. «E molto più giovane. È stato un periodo fantastico.» «Lo credo» replicò Sarah con sincerità. Anche lei avrebbe potuto vivere in quel modo, ma per un paio di settimane al massimo. Privata del suo Lyn StoneMary – McBride
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lavoro, la sua irritabilità sarebbe salita alle stelle. «Sì, proprio fantastico» riprese Honoria. «Il mio povero marito... George Satherwaite, il poeta. Forse hai sentito parlare di lui?» Sarah scosse la testa. «No, mi dispiace.» «Non importa, in effetti non era un poeta molto dotato. Però era il più affettuoso degli uomini. Ci siamo sposati sulla spiaggia, una cerimonia molto commovente anche se io non capivo una sola parola. A volte mi sono chiesta se la nostra unione è stata davvero legale, ormai però ritengo che non abbia più importanza.» Honoria fece una pausa e sospirò. «In ogni modo, ci divertivamo tanto, e riuscimmo a scandalizzare con il nostro comportamento la maggior parte dei parenti che avevamo lasciato in Inghilterra, specialmente quando mia sorella, Elspeth, fu messa incinta dal pirata, Luca Chiara.» «Pirata?» «Pirata, mercenario, comunque... Un nobile che lavorava in incognita al servizio del re.» Honoria agitò le braccia, facendo tintinnare le decine di braccialetti che le cingevano i polsi. «Un vero diavolo, incluso il cerchio d'oro all'orecchio e la bandana in testa. Nicky ha ereditato da lui la bellezza e il titolo nobiliare. Fortunatamente, è un po' più civilizzato di suo padre.» «Nicky sarebbe sir Dominic?» si informò Sarah. «Sì, naturalmente Nicky è sir Dominic. Altro tè, mia cara?» Sarah mise una mano sulla tazza. Ancora un goccio e sarebbe esplosa. «Potrebbe indicarmi il bagno, lady Satherwaite?» chiese. «Alla fine del corridoio sulla destra. Quello dovrebbe essere funzionante, almeno spero. Vuoi che ti accompagni?» «No, grazie, sono certa che riuscirò a trovarlo.» Un momento dopo, appena oltrepassata la cucina, Sarah non riusciva a ricordare se doveva girare a sinistra o a destra. In realtà, ricordava appena perché si trovasse lì, tanto aveva la testa piena delle chiacchiere dell'adorabile Honoria. Decise per la sinistra, o almeno pensò di averlo fatto. La sua stanchezza aveva raggiunto proporzioni smisurate, l'unica meta che desiderava davvero raggiungere era un letto. Percorse un corridoio, arrivò in un salottino, localizzò un altro corridoio e aprì la prima porta che trovò lungo il cammino, sperando che fosse quella giusta. Lo era. Effettivamente si trovava in un bagno, ma le giraffe blu e gli elefanti gialli raffigurati sulla carta da parati che copriva le pareti, le Lyn StoneMary – McBride
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suggerivano che si trovava nel regno del piccolo Leo e non già nella stanza da bagno riservata agli ospiti. Il secondo e più convincente indizio era l'uomo inginocchiato accanto al water. «Lei deve essere l'idraulico.» Un'osservazione del tutto inappropriata, Sarah rimproverò se stessa. Ovviamente era l'idraulico, anche se il tizio era diverso da tutti gli idraulici che lei avesse visto. Il tizio era... un fusto, decise, osservandolo. Sì, era quella l'unica definizione, oltre che perfetto. Aveva gli occhi di un caldo color caramello, la linea della mascella oscurata da un'ombra di barba. Il naso era leggermente aquilino, i capelli scuri e folti, spruzzati appena di argento sulle tempie. Era una divinità greca in jeans consumati e camicia azzurra, le maniche arrotolate per mostrare braccia muscolose e abbronzate. Gli ricordava un attore di un famoso telefilm... Dunque esisteva una forte possibilità che l'uomo fosse solo una fantasia prodotta dalla stanchezza e dalla differenza di fuso orario. «Lei deve essere l'idraulico» ripeté, sentendosi ancora più stupida di prima, perché con ogni probabilità il tizio non parlava inglese. Ma, miracolo dei miracoli, aveva capito le sue parole. «Così sembra» confermò lui, la voce che tradiva un accento italiano. Il che significava che era una divinità romana, e non greca, ovviamente. Poi si alzò. Un qualsiasi osservatore avrebbe visto un idraulico rimettersi in piedi nell'angusto spazio di una stanza da bagno, ma non Sarah. Lei fu certa di vedere Apollo sorgere dal pavimento di piastrelle bianche fino a raggiungere un'altezza decisamente considerevole. Riusciva a malapena a respirare, il che era uno ben strano fenomeno, decise Sarah, perché doveva esserci abbastanza spazio nel suo torace per l'aria, ora che il cuore le era scivolato nello stomaco. Apollo sorrise. Sarah fu certa di essere sul punto di perdere i sensi. «Lei chi è?» volle sapere la visione. Buona domanda. «La bimba» biascicò Sarah. Oh, no... «La bambinaia» si corresse alla svelta. «Sono la nuova bambinaia.» Tese la mano per prendere il pupazzo bagnato dalla sua. «Grazie per aver salvato Mr. Potato.» Detto ciò, si girò e fuggì via, sperando questa volta di andare nella direzione giusta.
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3 Nick trovò sua zia seduta in terrazza, gli innumerevoli braccialetti che le ornavano i polsi che scintillavano sotto i raggi del sole del primo pomeriggio. Per lui Honoria Satherwaite era molto più di una semplice zia. Era piuttosto una madre, perché gli era stata accanto sin da quando lui aveva compiuto sei anni e i suoi genitori si erano imbarcati per Creta un giorno di aprile e non avevano più fatto ritorno. Solo diversi mesi dopo aveva saputo che Honoria gli aveva salvato la vita, trascinandolo praticamente giù dallo yacht, dichiarando che un bambino non poteva essere portato in giro per il mondo ma doveva frequentare regolarmente la scuola. Nick non rammentava quel particolare evento, e non rammentava di aver mai sentito la mancanza dei suoi genitori. I ricordi della sua infanzia erano tutti focalizzati su quella grande donna che lo aveva messo al centro del suo universo. Per quanto anticonvenzionale, Honoria aveva fatto del suo meglio per farlo crescere bene e, paradosso dei paradossi, nel modo più tradizionale possibile. Aveva sempre amato indossare tuniche colorate e ampie, ma aveva iscritto lui all'accademia, costringendolo all'uniforme blu completa di cravatta rossa. Nonostante il suo bizzarro e personale credo religioso, lo aveva accompagnato personalmente in chiesa ogni domenica. E per quanto non sapesse distinguere una palla da golf da una da tennis, aveva assistito a ogni singola partita o gioco cui lui aveva partecipato. Negli anni dell'adolescenza, ogni volta che lui aveva manifestato una inclinazione verso una particolare professione, dall'autista di automobili da corsa a pianista, Honoria lo aveva sempre incoraggiato, precisando che dopo aver conseguito la laurea in medicina sarebbe stato libero di seguire qualsiasi altra sua attitudine. Non era mai stata avara di lodi, non aveva mai perso la calma, era sempre stata pronta a elargirgli baci e abbracci affettuosi. Per quello che riguardava il nipote, il cuore di Honoria Satherwaite era grande almeno come il resto di lei. Anche se era riuscito a convincerla di smettere di fumare anni prima, Lyn StoneMary – McBride
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Nick ormai aveva rinunciato all'impresa di farle seguire una dieta. Comunque sua zia aveva quasi ottanta anni ed era sana come un pesce. Con ogni probabilità gli sarebbe sopravvissuta. Qualsiasi cosa fosse riuscito a ottenere dalla vita, era solo merito di Honoria, questo era un fatto al di là di ogni ragionevole dubbio. Probabilmente una sola volta non aveva seguito il suo consiglio, esattamente quando le aveva chiesto la sua opinione sulla ragazza che aveva intenzione di sposare, Lara Davis-Finch. «È incantevole» aveva affermato Honoria. «Il tipo di moglie che dirà sempre a suo marito esattamente quanto lui vuole sentirsi dire.» A quel tempo, aveva interpretato le parole più come un complimento che come un monito. Ora, ovviamente, ne conosceva il significato, cioè che Lara gli avrebbe nascosto qualsiasi verità che considerava troppo dura per lui, avrebbe mentito sulla sua salute pur di non dargli problemi, gli avrebbe detto che tutto andava per il meglio quando invece non era così. E dopo la morte di Lara, avvenuta quando Leo aveva solo sei mesi, era stata ancora una volta la zia Honoria ad accorrere in suo soccorso. Spesso Nick si era chiesto se quello non era stato un errore. Avendo la possibilità di affidare tutto nelle mani di sua zia, lui aveva potuto dedicarsi al lavoro completamente, senza doversi preoccupare del benessere di suo figlio. Honoria gli aveva reso tutto troppo semplice. Tuttavia, errore o meno, non era troppo tardi per apportare dei cambiamenti. Determinato ad affrontare proprio quell'argomento, Nick annullò la distanza che lo separava da lei con lunghi passi. Quando lo vide, Honoria agitò una mano in aria. «Finalmente sei tornato, mio caro. Tè?» «No, grazie» replicò lui, chinandosi per baciarle la gota. «Sei sicuro? È tè verde, il tuo preferito.» «Sono sicuro.» Nick prese posto accanto al tavolo di fronte a lei. Socchiuse gli occhi e si preparò per la battaglia. «C'è una nuova babysitter in giro per la casa, zia. Mi sembrava che noi fossimo d'accordo...» «Oh, l'hai conosciuta? La poveretta è fuggita da qui pochi minuti fa, gli occhi sgranati, borbottando qualcosa al riguardo di un idraulico e della differenza di fuso orario. Le ho consigliato di andare a riposarsi per un po'.» Honoria prese un pasticcino e lo portò alla bocca, segno inequivocabile che per lei la discussione era finita lì. Non per Nick. «Niente più babysitter, era questo il patto» le ricordò. Lyn StoneMary – McBride
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«Ne abbiamo parlato a lungo quando abbiamo licenziato l'ultima. Pensavo che anche tu ritenessi che per Leo era meglio così. Dunque, appena la donna si sveglia, le darò il benservito.» «Temo che non sia possibile, mio caro.» Nick inarcò un sopracciglio, certo che era inutile chiederle di spiegarsi meglio. «Io l'ho assunta» infatti precisò Honoria. «La giovane donna lavora per me e io non ho nessuna intenzione di licenziarla.» «Zia...» «L'argomento è chiuso» lo interruppe di nuovo lei. «Ora assaggia uno di questi pasticcini, mio caro. Sono davvero ottimi.» Nick si passò una mano fra i capelli in un gesto di frustrazione. Per quanto l'adorasse, riconosceva che a volte sua zia sapeva essere irritante e testarda, fastidiosa come una zanzara. «Non essere contrariato, Nicky» riprese Honoria. «Il tuo bel viso assume lineamenti demoniaci. Inoltre, se questo può esserti di consolazione, la signorina Hunter non deve restare qui per sempre. Ha firmato solo un contratto per tre settimane di prova.» Sollevò la teiera e riempì di nuovo la sua tazza. «È deliziosa, non trovi?» «Chi?» «La babysitter, ovviamente. Sarah, la signorina Hunter.» Era deliziosa? Sì, Nick supponeva che lo fosse ora che ci ripensava. Da qualche anno ormai non faceva molta attenzione alle donne, almeno non al loro aspetto fisico. L'aveva vista solo per pochi istanti, durante i quali lei era sembrata convinta di parlare con un idraulico. Lui aveva colto la visione di un paio di occhi verdi sgranati, e di una bocca piena e sensuale. «Piace a Leo?» chiese. «Perché, vedi, questa è l'unica cosa che conta.» «Leo non l'ha ancora conosciuta. Sarah è arrivata solo un'ora fa, mentre lui dormiva. Non immagino perché non dovrebbe piacerle, comunque. È una persona assolutamente affascinante.» «Mio figlio non ha bisogno di essere affascinato. Ha bisogno di parlare, questo lo sai» sottolineò Nick. «Speravo che, se fossimo rimasti soli io e lui per qualche settimana, avrebbe ripreso a farlo.» «Parlerà presto, Nicky. Io ne sono sicura.» Honoria tese la mano verso di lui con l'intenzione di accarezzargli un braccio, e nello stesso istante il telefono iniziò a squillare. Guardò con diffidenza il piccolo cellulare nero sistemato sul tavolino, accanto alla Lyn StoneMary – McBride
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teiera e al vassoio dei pasticcini. «E ora chi sarà?» borbottò. «Non so perché mi sono fatta convincere a comprare uno di questi aggeggi infernali... Sono così intrusivi. Vuoi rispondere tu, per favore, mio caro? Riferisci che sono molto occupata al momento.» Nick aveva insistito affinché sua zia avesse sempre con sé un cellulare, nel caso fosse costretta a chiamarlo per un malore o una qualsiasi emergenza. Per quanto Honoria dichiarasse di detestare la cosa, apparentemente aveva dato il suo recapito a un buon numero di amici. In quel caso però non si trattava di un amico, bensì di uno dei segretari del palazzo che intendeva ricordare a Lady Satherwaite di rammentare a suo nipote che era atteso dal re quella sera al palazzo, per intervenire a una festa in onore del comitato olimpico del Montebello. Poiché lui era il solo abitante della piccola isola ad aver vinto una medaglia, di bronzo precisamente, vent'anni prima per il tiro all'arco, Marcus insisteva sempre per averlo al suo fianco in quelle occasioni. «D'accordo, ci sarò» borbottò Nick prima di interrompere la comunicazione. «Brutte notizie, mio caro?» «Pensavo di essermi liberato da tutti i prossimi impegni, ma avevo dimenticato il gala di questa sera» spiegò lui. «Hai bisogno di una dama» sentenziò Honoria. «Marcus preferisce non avere come ospiti troppi scapoli. In caso contrario, il compito della regina Gwendolyn di assegnare i posti a sedere diventa più difficile.» «Bene, inviterò la mia ragazza preferita» affermò Nick. «Te la senti di accompagnarmi?» Prima di rispondere, Honoria lo guardò per un lungo istante. «Sì, me la sentirei sicuramente» affermò infine, «ma preferirei sottopormi a una tortura piuttosto che essere costretta a sedermi allo stesso tavolo di Humberto Franchi. Quel tizio tremendo è il responsabile del comitato olimpico, giusto?» Nick annuì. «Allora no, grazie, ma non verrò. Però ho un'idea migliore. Perché io non resto qui con Leo, e tu vai al gala con la signorina Hunter?» «La signorina Hunter?» «La babysitter» precisò Honoria. «Non penso che sia una buona idea. Sono certo che lei...» In quel momento, il suo cercapersone iniziò a sibilare. Aveva Lyn StoneMary – McBride
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dimenticato di spegnerlo e il numero che era apparso sul display segnalava un'emergenza in ospedale. Anche se era ufficialmente in ferie, la sua coscienza non gli permetteva di ignorare il fatto. «Posso usare il tuo telefono?» chiese Nick alla zia. «Certamente.» Honoria Satherwaite ingoiò un altro pasticcino mentre ascoltava suo nipote parlare al telefono. Povero Nick, era troppo ligio al suo dovere per trascurare l'ospedale. A lei piaceva pensare di essere in qualche modo responsabile della sua dedizione alla professione, e responsabile anche dell'uomo eccellente che era diventato. Non voleva nemmeno immaginare cosa gli sarebbe accaduto se fosse stato cresciuto da quella matta di sua sorella e dal suo pirata. E non voleva nemmeno immaginare come sarebbe stata la sua vita se quella mattina di un aprile di trent'anni prima non avesse costretto Nick a scendere dalla barca. Ancora non sapeva cosa l'aveva spinta a intraprendere un'azione così drastica, ma sapeva che era la cosa più giusta che avesse fatto in tutta la sua esistenza. Si era impegnata al massimo per farlo diventare un uomo forte e responsabile. Aveva cercato di lasciarlo sempre libero di prendere le sue decisioni, offrendogli comunque un discreto sostegno. Tutto sommato, era riuscita nei suoi intenti. Escludendo la faccenda del matrimonio con Lara, ovviamente. Nick stava scuotendo la testa, notò in quel momento, un'espressione cupa sul viso. Non ricordava più da quanto tempo non lo vedeva ridere. «Devo tornare subito in ospedale» annunciò lui dopo aver interrotto la comunicazione. «Uno dei miei pazienti si è aggravato all'improvviso.» Si alzò e la raggiunse per baciarle la fronte. «Porterò i vestiti con me, così potrò cambiarmi in ospedale prima di andare al palazzo. Sei certa di non volere venire alla festa? Manderò un autista a prenderti.» «No, davvero, preferisco di no. Porta i miei saluti al re e alla regina.» Honoria lo guardò allontanarsi con lunghi passi, ansioso di raggiungere l'ospedale e di poter così essere di aiuto al suo paziente. Perché pensava di riuscire a essere felice allontanandosi per un mese intero dal lavoro che amava tanto, per lei era un mistero. Ma desiderava tanto che suo nipote fosse felice. Improvvisamente, così come il suo istinto una volta le aveva detto che Lara era la donna sbagliata per lui, in quel momento lo stesso istinto le Lyn StoneMary – McBride
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comunicò un'altra intuizione. Una percezione ovvia, tanto che avrebbe dovuto pensarci prima. La donna giusta aveva appena fatto il suo ingresso nella vita di Nick.
4 Sarah uscì dalla doccia e tese la mano per prendere il telo di spugna. Non poteva essere vero, giusto? Si chiese. Non poteva essersi lasciata convincere a intervenire a una festa. E non una festa qualsiasi, assolutamente no. Un gala al palazzo reale. Proprio quella sera, quando il suo annebbiato cervello era ancora regolato sull'ora in vigore a San Francisco, e il suo corpo funzionava come quello di uno zombie a Montebello. Poco prima, quando lady Satherwaite le aveva scosso la spalla, con gentilezza dal principio, e con sempre crescente insistenza, lei aveva stentato a ricordare dove fosse. Stava sognando Warren, alle prese con il solito problema di far bilanciare un conto e con uno dei dilemmi che talvolta lo tormentavano, se eliminare o meno la crosta dalle fette di pane prima di imburrarle. Nel sonno, Sarah aveva continuato a ripetergli: «Ma cosa importa, Warren? Si tratta solo di un sogno, a ogni modo. Io non sono qui, non lo sei nemmeno tu». Certo, il suo fidanzato riusciva a comportarsi in modo talmente idiota, persino in sogno. «Ho bisogno che tu mi faccia un enorme favore, Sarah, tesoro» aveva esordito Honoria e poi, mentre Sarah faceva del suo meglio per tornare alla realtà, le aveva raccontato, il tono della voce drammatico, che sir Dominic aveva estremo bisogno, un bisogno disperato, per la precisione, di essere accompagnato al gran gala che si sarebbe tenuto quella sera al palazzo. «Non posso» Sarah aveva risposto automaticamente ma con grande fermezza per essere ancora a metà strada fra il sonno e la veglia. «Certo che puoi.» In seguito, ogni scusa che il suo malridotto cervello era riuscito a elaborare, era stata stroncata senza pietà. Honoria apparentemente non era disposta ad accettare un no come risposta. «Non voglio andarci» infine aveva affermato Sarah. Lyn StoneMary – McBride
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«Invece vuoi.» L'ultimo argomento, il migliore e quello che avrebbe dovuto essere definitivo, Non ho niente da indossare per un'occasione così importante, era stato come gli altri affossato dal brillante sorriso di lady Satherwaite. «Non preoccuparti per questo, mia cara. Ci ho già pensato io.» E lo aveva fatto davvero, Sarah scoprì presto. Si avvolse in un enorme telo di spugna bianca e tornò nella camera che le era stata assegnata. Sul letto, ad aspettarla, c'era il più bell'abito da sera che lei avesse mai visto. Rosso scuro, di seta, con una gonna a campana e un sobrio corpetto sorretto da due spalline quasi invisibili. Straordinariamente semplice. Squisitamente elegante. Il tipo di vestito che Audrey Hepburn avrebbe scelto per andare a cena con Cary Grant. «Penso che queste scarpe andranno benissimo.» Honoria era entrata silenziosamente nella stanza, in mano un paio di sandali d'argento dal tacco altissimo. «Ti piace l'abito?» «È splendido.» «Sono sicura che ti starà a pennello. Direi che tu hai la stessa taglia di Lara, forse il tuo seno è un po' più pieno, ecco tutto.» «Lara?» «La compianta moglie di Nick. Pensavo che lo sapessi.» Sarah sussultò. «Oh, allora non posso indossarlo! Cosa penserebbe sir Dominic? Certamente vederlo risveglierebbe in lui tanti ricordi dolorosi.» «In realtà, Nick non conosce questo vestito. Lara lo acquistò e lo chiuse nell'armadio, pensando di sfoggiarlo una volta che il suo fisico fosse tornato in forma dopo la nascita del bambino.» Honoria fece una pausa e sospirò. «Purtroppo, il destino ha voluto diversamente. Povera ragazza... Ma, per quello che riguarda mio nipote, l'abito non rappresenta proprio nulla per lui. Non lo ha mai visto e, anche in caso contrario, non credo che ci farebbe caso. Nick non fa mai caso a questo tipo di cose.» «Dunque, suppongo che sia tutto a posto.» Con fare quasi reverenziale, Sarah lasciò scorrere la punta delle dita sulle balze della gonna rossa. Probabilmente l'abito era stato creato da un sarto famoso in tutto il mondo. Probabilmente costava di più di quanto lei guadagnasse con sei mesi di duro lavoro in clinica. Sarebbe stato divertente indossarlo per una sera. «E' davvero splendido» ripeté, «ma io...» «Smetti di discutere, Sarah» tagliò corto Honoria. «Non c'è più tempo. Preparati e, quando sarai pronta, chiamami. Ti aiuterò a chiudere la zip.» Lyn StoneMary – McBride
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Solo pochi momenti dopo, quando Sarah aveva a malapena indossato il vestito, Honoria tornò nella stanza, tutta compresa nel suo ruolo di fatina buona. «Ma guardati, mia cara!» esclamò, giungendo le mani. «Sei... Divina.» La trascinò davanti allo specchio e iniziò ad armeggiare con la zip. Male non stava, ammise Sarah, ammirando la sua immagine riflessa. Poche ore di sonno avevano fatto miracoli per il suo aspetto. I suoi occhi non erano iniettati di sangue. L'incarnato del suo viso non era grigiastro. No, non stava male, ripeté a se stessa, anzi, stava benissimo. Sempre per essere uno zombie, in ogni caso. Il vestito poi era addirittura sorprendente. Sembrava essere stato tolto dalle pagine di una rivista di moda. «Spazzolati i capelli, mia cara» ordinò Honoria. «E metti un po' di rossetto. Intanto io faccio venire un'auto.» «Preferirei camminare. Il palazzo non è lontano.» «Niente da fare» replicò Honoria scuotendo la testa. In quel momento, un visetto illuminato da grandi occhi color nocciola fece capolino dalla porta. Grandi e curiosi occhi nocciola seminascosti da un ciuffo di capelli castani. Sarah si innamorò di lui a prima vista. I bambini, quasi tutti, avevano degli occhi incantevoli. La studiosa che c'era in lei sapeva che la spiegazione consisteva nelle proporzioni, perché gli occhi dei bambini erano piuttosto grandi se paragonati al loro visetto esile. Ma, studiosa o meno, lei era convinta che fosse il riflesso della loro anima a renderli così chiari e luminosi. «Ciao, tu devi essere Leo» esordì. Si inginocchiò davanti a lui e gli tese una mano. «Io mi chiamo Sarah. Ero molto ansiosa di fare la tua conoscenza.» Il bambino alzò la testa verso Honoria per lanciarle uno sguardo interrogativo. «Entra pure, tesoro» confermò lady Satherwaite. «È tutto a posto. Comportati da gentiluomo e stringi la mano alla tua nuova babysitter.» Mentre il bambino camminava verso di lei, Sarah lo osservò, pur cercando di non apparire troppo clinica, e nemmeno troppo interessata. Leo non sembrava intimorito, tantomeno intimidito. La guardava dritto negli occhi, quasi fosse lui a studiarla e giudicarla. Mise la manina nella sua. Un lieve sorriso incurvò gli angoli della sua bocca. «Oh, fai attenzione, Leo caro» lo ammonì la sua prozia. «Stai Lyn StoneMary – McBride
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calpestando il vestito.» «Va bene così.» Sarah continuò a stringergli la mano e a sostenere il suo sguardo. «A me non importa. Sono molto felice di conoscerti, Leo.» Il bambino seguitò a sorridere, un segnale di quanto poco fosse turbato. Anzi, non era turbato per niente perché il sorriso divenne persino più ampio. Un segno eccellente, decise Sarah. «Noi ci divertiremo molto insieme, ne sono sicura» riprese. «Ho portato tanti giocattoli, e spero che potremo iniziare domani mattina dopo colazione.» Sarah aveva evitato di porgli domande dirette per non farlo sentire costretto a risponderle. Ma Leo le avrebbe parlato, a tempo debito, con il suo aiuto. Ne era certa. E in quel momento più che mai, desiderò non essere costretta a sorbirsi una noiosa cena di gala solo perché il vecchio sir Dominic non aveva nessuna dama disposta ad accompagnarlo. «Ora vai a letto, giovanotto» intervenne Honoria. «Io ti raggiungo subito, così reciteremo le preghiere.» «Buonanotte, Leo» gli augurò Sarah. Alzò una mano per arruffargli i capelli. «Noi due ci vediamo domani mattina. Ci divertiremo, credimi.» «Mi sembra che sia andato tutto bene» affermò Honoria quando il bambino uscì dalla camera silenziosamente come vi era entrato. Sembrava quasi sollevata, come se avesse temuto risultati catastrofici da quel primo incontro. Sarah si rimise in piedi, facendo attenzione a non pestare le voluminose balze di seta rossa. «Sì, lo penso anche io. È un ragazzino adorabile.» «Lo è» confermò Honoria, la voce vibrante di orgoglio. «Ed è intelligente, anche.» «Lei ha parlato di preghiere, lady Satherwaite. Ma Leo non le recita davvero, giusto?» chiese Sarah, sperando contro ogni logica di ricevere una risposta negativa. Alcuni bambini affetti da mutismo sceglievano comunque di verbalizzare alcune situazioni, e solo con persone selezionate. Se questo fosse stato il caso di Leo, il suo lavoro si sarebbe rivelato molto più facile. Honoria scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. «Il bambino non ha emesso un solo suono durante le ultime tre settimane. Almeno, non alla mia presenza e nemmeno alla presenza del padre. No, non recita le preghiere, lo faccio io per lui.» «Io credo che molto presto parlerà di nuovo» replicò Sarah, il tono della Lyn StoneMary – McBride
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voce fiducioso, anche se in genere preferiva non cedere all'ottimismo prima di aver raggiunto uno stadio avanzato della terapia. «Sono ansiosa di iniziare a lavorare con lui. In genere, Leo a che ora si sveglia?» «Intorno alle sette.» «Bene. Regolerò la mia sveglia alla sei e trenta, così mi troverà pronta per fare colazione con lui.» «Così presto, mia cara? Sei certa che ce la farai?» «Sì, naturalmente. Perché non dovrei?» «Bene, il gala andrà avanti fino a notte inoltrata. L'etichetta richiede che nessun ospite vada via prima del re e della regina. Marcus e Gwendolyn in genere non abbandonano mai una festa prima di mezzanotte. Amano divertirsi, quei due.» «Oh» mormorò Sarah. Non era stata sua intenzione sembrare così contrariata, ma lo era. La prospettiva di ricoprire il ruolo di dama del vecchio sir Dominic così a lungo era quanto meno deprimente. «Ti divertirai, fidati. Nicky sa essere di buona compagnia quando vuole, ed è un ottimo ballerino.» Guardandosi allo specchio, Sarah passò lo stick del rossetto sulle labbra, poi affondò le mani nei capelli per dar loro un aspetto almeno decente. Non voleva apparire al meglio, anzi. Peggiore sarebbe stato il suo aspetto, minore sarebbe stata la voglia di sir Dominic di stare con lei. Il che le ricordò che non immaginava nemmeno l'aspetto dell'uomo che stava per essere il suo cavaliere per la serata. «Come riconoscerò sir Dominic?» «Come? Lasciami pensare... Oltre che a essere l'uomo più distinto fra i presenti in sala...» Sarah attese pazientemente che Honoria continuasse, magari con una sfilza di aggettivi del tipo calvo, miope, tarchiato... Probabilmente il dottor Chiara portava la dentiera, fumava sigari e non si separava mai dal suo bicchiere di brandy. «Lo riconoscerai facilmente» riprese l'enorme signora con convinzione. «Nicky sarà l'unico presente in sala a sfoggiare una medaglia olimpica.» «Questo dovrebbe bastare» confermò Sarah, lanciando un ultimo sguardo allo specchio. «Bene, direi che Cenerentola è pronta per il Gran Ballo.» Lady Satherwaite sorrise. «Non sai quanto mi piacerebbe poter trasformare una zucca in una carrozza, però almeno posso far venire Lyn StoneMary – McBride
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un'auto.» Sarah scosse la testa. «Preferisco camminare» affermò. «Una boccata di aria fresca mi farà bene.» E, con un po' di fortuna, mi aiuterà a restare sveglia. Nick stava scendendo la scalinata centrale della reggia dopo aver fatto visita al suo vecchio amico, il principe Lucas. Il principe si stava riprendendo rapidamente dopo la terribile avventura che gli era capitata l'anno precedente e alla quale era miracolosamente sopravvissuto, quando l'aereo che pilotava si era schiantato sulle Montagne Rocciose. Mentre si avvicinava alla grande sala dove si sarebbe tenuto il gala olimpico, gli venne in mente che aveva trascorso gran parte della sua esistenza in quella reggia. Lui e Lucas erano stati amici sin dai tempi della scuola, e il principe lo aveva invitato a trascorrere al palazzo praticamente ogni fine settimana. Il re e la regina erano gli unici genitori che avesse, oltre la zia Honoria, ovviamente. Era stata la famiglia Sebastiani, infatti, a finanziare i suoi studi di medicina. Dopo la morte di Lara, Marcus aveva insistito per mettergli a disposizione uno dei cottage costruiti nel parco e destinati agli ospiti di riguardo, affermando che in quel modo Leo sarebbe stato meglio controllato. I due regnanti erano preoccupati per suo figlio come lo sarebbero stati dei nonni, rifletté Nick. Gli avevano fatto pressione affinché affidasse Leo alle cure di uno psicologo, ma, da bravo medico, Nick era stato convinto di dover escludere ogni possibile causa fisiologica del disturbo di cui soffriva il bambino prima di fargli iniziare una qualsiasi psicoanalisi. Adesso che tutti i test clinici avevano dato esiti negativi e che aveva consultato i più quotati neurologi e otorini, Nick sperava che, trascorrendo un mese costantemente al fianco di suo figlio, potesse avvenire una miracolosa risoluzione del problema. Intanto, aveva intenzione di leggere ogni trattato pubblicato che riguardasse il mutismo. Era appena entrato nella sala quando una voce di donna lo fermò. «Finalmente, sir Dominic. Credo di averla cercata ovunque.» La donna, ferma accanto alla porta, era di una bellezza severa. Nick era certo di conoscerla, ma non riusciva a dare un nome a quel viso. «Sono Sophia Strezzi, segretaria dell'Ufficio delle Relazioni Pubbliche» spiegò la donna, tendendogli la mano. «Abbiamo parlato spesso, precisamente la settimana scorsa.» Lyn StoneMary – McBride
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Lo avevano fatto? Nick non ricordava nulla del genere. Tuttavia si esibì in un elegante baciamano, come sua zia gli aveva insegnato a fare in casi del genere sin da bambino. Evidentemente lusingata, la segretaria ritrasse la mano, poi la infilò nella sua borsetta per estrarre una medaglia. «L'ho ritirata dalla sala del museo dedicata agli sport, su richiesta del re» affermò. Nick si costrinse a reprimere un sorriso. La sua medaglia di bronzo era stata esposta al museo sin da quando l'aveva vinta. «Il re non si fida abbastanza di me per affidarmela» confidò alla donna, a metà tra il serio e il faceto. «Sua Maestà è molto fiero dei risultati che lei ha conseguito. Ora, se mi permette...» Nick chinò leggermente il capo mentre la donna gli allacciava intorno al collo il nastro. Dimenticava sempre quanto era pesante quella medaglia, pensò abbassando lo sguardo per osservarla. E, nel farlo, si ritrovò anche a guardare le dita della signorina Strezzi che indugiavano sul suo petto. «Mi è stato detto che lei non ha compagnia questa sera, sir Dominic, dunque mi sono presa la libertà di farmi assegnare il posto accanto al suo. Spero non le dispiaccia.» «Niente affatto.» La triste verità era che, non solo non gli dispiaceva, ma che era completamente disinteressato agli approcci della donna. Non gli importava che fosse molto bella, e che la sua pelle profumasse di gardenia. La signorina Strezzi avrebbe potuto essere anche un appendiabiti, per quello che lo riguardava. Si chiese, ancora una volta, se prima o poi avrebbe ripreso a provare interesse per il sesso femminile. Un interesse che era del tutto inesistente ormai da cinque anni, cioè dalla morte di Lara. Aveva già previsto di parlare del problema con un collega di urologia. Il suo desiderio sessuale era scomparso, dissolto, azzerato. E, a peggiorare il tutto, lui era completamente indifferente al fenomeno. «Allora ci vediamo a cena» concluse prima di voltare le spalle alla segretaria per fare il suo ingresso nella sala. Sarah sentiva la musica in distanza. Mozart, per la precisione, uno dei suoi compositori preferiti. Vedeva anche le luci della reggia scintillare fra gli alberi, ma non riusciva a raggiungerla. Due volte aveva imboccato il sentiero sbagliato allo stesso angolo, Lyn StoneMary – McBride
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tornando sempre al medesimo punto di partenza, cioè nei pressi del cottage bruciato. Per un istante, desiderò che Warren fosse con lei, non già perché sentiva la sua mancanza, ma perché lui era una vera bussola vivente. Una delle qualità di Warren consisteva nel fatto che sapeva come raggiungere il punto A partendo dal punto B. Il non dare nessuna importanza a ciò che incontrava lungo il cammino era invece uno dei suoi difetti. Qualsiasi cosa non fosse sulla sua lista di priorità, non gli interessava. Tutto era bianco e nero, mentre per lei esistevano svariate tonalità di grigio. Nei conti di Warren, due più due dava sempre come risultato quattro. Nei suoi conti, due più due poteva dare anche un cinque e persino un sei, dipendeva dal punto di vista. Il che spiegava anche perché in quel momento si era persa e perché aveva deciso di sposare una persona così diversa da lei. Perdersi non era mai un bene. Aveva imparato quella lezione quando la moglie e la figlia di suo fratello erano morte in un incidente d'auto, e lui si era perso in un dolore senza fine. Non aveva potuto far niente per aiutarlo, ma aveva promesso a se stessa che mai si sarebbe sottoposta a un simile strazio. Poi, anche se Elliot si era ripreso e aveva sposato la donna di cui si era innamorato, lei non aveva cambiato idea. Non si sarebbe mai sposata per amore. Non avrebbe mai esposto il suo cuore a un rischio del genere. In famiglia nessuno approvava le sue scelte in fatto di uomini, particolarmente suo padre. Lei non se ne preoccupava, perché sapeva di cosa aveva bisogno, dunque sapeva che Warren Dill sarebbe stato un marito eccellente nonostante la totale assenza di amore. Anzi, proprio per questo era perfetto, perché non era innamorata di lui. Warren non avrebbe mai potuto infrangerle il cuore, non avrebbe mai potuto essere la causa di un dolore paragonabile a quello di cui era stato vittima suo fratello. Se fosse successo qualcosa di terribile a Warren... Sì, lei avrebbe provato tristezza, una profonda tristezza. Ma il suo cuore sarebbe rimasto intatto. Sarebbe sopravvissuta. Sempre se non moriva di stenti proprio lì, in quel magnifico parco, prima di trovare la strada per giungere alla reggia. Sarah sospirò, si concentrò sulle luci in lontananza e riprese il suo cammino. In un angolo dell'affollata sala da ballo, seminascosto da una palma, Lyn StoneMary – McBride
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Nick prese al volo una coppa di champagne dal vassoio di un cameriere che passava lì accanto. Probabilmente doveva smettere di baciare la mano alle donne, rifletté, osservando le bollicine che danzavano nel bicchiere. Era un gesto troppo efficace, con implicazioni sessuali che a lui non interessavano più, e promesse sensuali che non era in grado di mantenere. Non gli era d'aiuto sapere che le donne lo giudicavano affascinante, una cosa che lui non riusciva a spiegarsi. Quando si guardava allo specchio, vedeva un viso dalla carnagione troppo olivastra, occhi troppo scuri, e un'ombra costante di barba che resisteva nonostante si radesse anche due volte al giorno. Era il pirata in lui, gli ripeteva spesso la zia Honoria. Senza dubbio quell'eredità gli era tornata utile durante la gioventù, quando lui e il principe Lucas erano conosciuti in tutta Europa per le loro scorribande e i tanti cuori infranti che si erano lasciati alle spalle. Ora però l'attrazione che esercitava sulle donne serviva solo a ricordargli di aver perso ogni interesse per loro. In realtà, gli interessavano unicamente il suo lavoro e suo figlio. Nick guardò il suo orologio. Ancora un paio di ore, e avrebbe potuto darsi alla fuga. L'indomani, lui e Leo... Poi un lampo rosso attirò la sua attenzione e pochi istanti dopo le voci di due donne si levarono al di sopra del brusio che risuonava nella sala. «Cosa significa, non posso entrare?» domandò Sarah. «Non riesco proprio a capirlo.» «Il suo nome non è sulla lista degli invitati» ripeté Sophia con tono acuto. «Forse no» concesse Sarah. «Sono stata invitata all'ultimo minuto. Ma le assicuro che sir Dominic mi aspetta. Telefoni a sua zia se non vuole credere a me.» «Il gala è già iniziato, non ho tempo di fare telefonate» borbottò la segretaria. «Guardi lei stessa, signorina Hunter» aggiunse, porgendole un foglio. «Non dipende da me. L'accesso alla sala è permesso solo a chi compare nella lista degli invitati. Mi dispiace, ma temo che dovrà andare via.» No, Sarah non condivideva affatto l'opinione. Non dopo che aveva vagabondato nel parco per quarantacinque minuti nel tentativo di Lyn StoneMary – McBride
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raggiungere la sua meta. Non dopo essere stata fermata all'ingresso del palazzo da due militari, che l'avevano praticamente sottoposta a un interrogatorio completo di perquisizione. Non dopo essere entrata per sbaglio in un'area riservata e aver fatto scattare l'allarme. Non era stata lei a chiedere di essere invitata alla festa, ma adesso era lì, e lì sarebbe rimasta. Fine della storia. «Sono ospite di sir Dominic» dichiarò. «Non secondo la lista ufficiale» sottolineò Sophia, alzando la voce. Sarah seguì il suo esempio. «Telefoni a lady Satherwaite, vuole? Lei le spiegherà tutto.» «Le ho già detto che non posso. Vada via, signorina Hunter, non mi costringa a chiamare la sorveglianza.» Sarah rimase ferma dov'era, strinse i pugni e anche i denti. Era ovvio che quella Strezzi voleva il vecchio sir Dominic tutto per sé. «Perché non la facciamo finita, zuccherino» sibilò, ormai non più disposta a stare al suo gioco. «Chiediamolo a sir Dominic, che ne pensa? Che sia lui a decidere se io sono o non sono sua ospite questa sera.» Il più ambiguo dei sorrisi incurvò le labbra della segretaria mentre una luce di trionfo attraversava i suoi occhi. «Può chiederglielo personalmente» mugolò. «È proprio dietro di lei.» «Perfetto» replicò Sarah. Si girò e si ritrovò a guardare una medaglia di bronzo sulla quale erano impressi i cinque cerchi, simbolo delle Olimpiadi. Bene, quello era il suo uomo. Alzò lo sguardo sul suo viso. Oh, cielo... Non stava accadendo davvero, giusto? Era colpa della differenza di fuso orario e della conseguente mancanza di sonno. Era momentaneamente vittima di allucinazioni. E quando quel fusto di idraulico le prese la mano e la portò galantemente alle labbra, Sarah fu certa di essere sul punto di svenire.
5 Nick non aveva mai visto apparire sul viso di un qualsiasi essere umano Lyn StoneMary – McBride
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un tale veloce avvicendarsi di emozioni come quello che vide in quel momento sul viso della donna in rosso, cioè della babysitter che sua zia aveva appena assunto. Prima la sorpresa, che la indusse a sgranare gli occhi. Poi la confusione, che le fece tremare le labbra. Delle labbra molto belle, non poté fare a meno di notare. Morbide e perfettamente disegnate. Subito dopo, l'imbarazzo le fece avvampare il volto e infine il divertimento, che illuminò tutto il suo aspetto come un improvviso raggio di sole. La babysitter scoppiò in un'allegra risata. «Ovviamente lei non è l'idraulico» affermò, quando fu in grado di parlare di nuovo. «Comunque non lo sono questa sera, signorina Hunter» confermò Nick. L'aveva giudicata in qualche modo attraente quando l'aveva incontrata nel bagno di Leo. Si era sbagliato. La babysitter era assolutamente deliziosa, più bella di tutte le altre donne presenti in sala. Più bella sicuramente della gelida segretaria, che in quel momento si frapponeva fra lui e la bambinaia scuotendo la testa. «La signorina Hunter non è sulla lista degli invitati» ripeté Sophia. «Ho controllato e ricontrollato. Ho spiegato con tranquillità la situazione ma la signorina sembra non capire il problema. Sono certa che lei invece si renderà conto che non è possibile deviare dal protocollo, sir Dominic.» Sventolò in aria una mano dalle unghie laccate di rosso. «Non si può fare» ribadì. «Il re sarebbe enormemente contrariato se io adesso...» «Aspetti un attimo» intervenne Sarah. «Non è la fine del mondo, signorina Strezzi. È una festa, ecco tutto. Una stupida festa. Anche se è organizzata dal re.» «Esistono delle regole» sbottò Sophia. «Esiste un protocollo, per non parlare della sicurezza.» Nick resisté alla tentazione di mettere un fine al confronto fra le due donne, spinto dalla curiosità di vedere Sarah in azione. Sino ad allora, la signorina Hunter aveva mantenuto un atteggiamento corretto ed educato, ma le fiamme che le illuminavano gli occhi verdi e il mento risolutamente puntato verso l'alto, erano indizi di un carattere indubbiamente focoso. «Lei non è sulla mia lista» ripeté per l'ennesima volta la segretaria, questa volta puntando un dito con fare accusatorio. Lo spettacolo doveva finire lì, decise Nick. Si preparò ad intromettersi Lyn StoneMary – McBride
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prima che la situazione degenerasse. Sarah, però, lo prevenne. «Tutto questo è ridicolo!» esclamò. «Soprattutto perché io non ho nessuna voglia di intervenire a questa festa!» Detto ciò, si girò e, come un piccolo tornado rosso, si avviò lungo il corridoio. La signorina Strezzi sospirò. «Americani» commento fra i denti, enfatizzando la parola quasi fosse stata un insulto. «Continuo a non capire come sia possibile che mostrino così poco rispetto per le tradizioni e le buone maniere. Non è d'accordo, sir Dominic?» «Sono d'accordo» confermò lui con tono solenne, gli occhi fissi sulla babysitter che continuava a marciare verso l'uscita. «Potrebbe farmi un favore, signorina Strezzi?» «Certo, non c'è nulla che non farei per lei, sir Dominic» replicò la segretaria, negli occhi una distinta luce di desiderio. «Pensavo che lo sapesse già. Tutto quello che deve fare è chiedere.» «Lo apprezzo» disse Nick mentre si sfilava dal capo il nastro cui era sospesa la medaglia. «Fa parte della tradizione che questa medaglia sia presente durante il gala annuale per le Olimpiadi. Poiché non voglio deludere le aspettative del re, mi chiedevo se...» Le porse il nastro. «... Se lei volesse essere così gentile da sfoggiarla al posto mio, signorina Strezzi.» Nick udì distintamente il gemito, vide una vena pulsarle alla base del collo e per un istante si sentì il più vile, il più disgraziato fra tutti gli esseri umani. Nulla di irreparabile. Non era la prima volta e probabilmente non sarebbe stata l'ultima. «Per me sarebbe un piacere, sir Dominic» mormorò Sophia. Nick le sistemò il nastro intorno al collo. «Ecco. Le sta benissimo. In riga con la tradizione» commentò. La donna abbassò lo sguardo. «Sì, grazie.» «Prego. Ricordi di riportarla al museo come prima cosa domani mattina. Per favore, saluti da parte mia il re e la regina.» Nick si girò appena in tempo per vedere l'ultima balza della gonna rossa sparire dietro un angolo, e appena in tempo per sentire il suo indifferente cuore battere un po' più velocemente. La seguì più alla svelta che poté. A ogni gradino dell'imponente scalinata di marmo che scendeva, Sarah Lyn StoneMary – McBride
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inveiva contro una diversa persona. La prima, ovviamente, fu la signorina Strezzi, poi toccò a suo padre, colpevole di averla spedita in quel paradiso medioevale. Decine, probabilmente centinaia, di psicologi infantili, tutti molto competenti, lavoravano in Europa. A cosa aveva pensato suo padre scegliendo proprio lei per la terapia del piccolo Leo? Posto che avesse pensato a qualcosa. Il re Marcus non fu risparmiato, perché probabilmente si era rivolto a Gordon per chiedere consiglio. Lady Satherwaite era ugualmente biasimabile per aver congiurato con il re. Sollevò il bordo della gonna, e continuò con la sua lista. Solo per essere sicura, si scagliò contro il suo fidanzato. Se si fossero sposati subito, ora lei non si sarebbe trovata in quella situazione. Ma no, Warren voleva una cerimonia tradizionale, tanti invitati e il massimo dello sfarzo. Certo, perché non sarebbe stato lui a pagare la festa. Lo avrebbero fatto i suoi genitori. Infine, ciliegina sulla torta, venne il turno di sir Dominic. Come aveva osato rivelarsi l'affascinante idraulico invece del vecchio malandato che lei si era figurato? Come aveva osato avere quegli occhi color cioccolata, ed essere così seducente? E come si era permesso di farle provare una vera scossa elettrica semplicemente baciandole la mano, quando ormai lei aveva raggiunto la certezza di essere immune da quelle particolari sensazioni? L'aveva fulminata con il suo sguardo per ben due volte, la prima nelle vesti di un idraulico, la seconda in quelle di nobile. Un duca, un barone, un conte, qualsiasi cosa il titolo sir volesse significare. Certamente, non si era aspettata che il dottor Chiara avesse l'aspetto tenebroso e irresistibile di un pirata. Forse suo padre le aveva detto qualcosa per confonderla? Oppure era stato il re a darle, con le sue parole, l'impressione che sir Dominic fosse un vecchio vedovo brontolone? O era stata la descrizione di lady Satherwaite a trarla in inganno? Ora capiva l'atteggiamento di Sophia Strezzi. La strega era stata rosa dalla gelosia quando un'altra donna era sbucata dal nulla per minacciare il suo territorio. Con un fidanzato come Warren, lei al contrario era immune dai tormenti della gelosia, rifletté con sollievo, un altro dei motivi per cui lo aveva scelto. Se l'avesse lasciata per un'altra donna, il suo orgoglio ne avrebbe sofferto, ovviamente, ma il suo cuore no. Lyn StoneMary – McBride
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Un uomo come Nick Chiara invece... Non voleva neanche pensare quanti cuori infranti avesse al suo attivo. E neanche al fatto che, essendo vedovo, probabilmente anche il suo cuore era andato a pezzi. Impegnata com'era a cercare di non pensare all'uomo che invece dominava i suoi pensieri, Sarah si rese conto solo troppo tardi di aver sbagliato di nuovo direzione. Alla fine della scalinata avrebbe dovuto girare a sinistra, ma lei era andata a destra. Oppure era esattamente il contrario? A pochi passi da lei vide una panchina di pietra accanto a una bella statua di Cupido, il cui arco era puntato verso la luna. Forse, se si sedeva un po', sarebbe stata in grado di riordinare le idee, sperò, per quanto non avesse cercato di fare altro durante le ultime dodici ore. Dunque, con un sospiro, si accomodò sulla panca e sistemò l'ampia gonna intorno a lei. Nella penombra la seta assumeva una tonalità più calda e profonda. Sollevò un po' il bordo per guardarsi i piedi. I lacci color argento dei sandali luccicavano in un effetto quasi magico. «Non doveva lasciare una scarpetta al palazzo, Cenerentola?» Sarah riconobbe la voce di sir Dominic immediatamente, per quanto lo avesse sentito pronunciare solo poche parole. Era una voce profonda, musicale, con un lieve accento italiano, sottolineata da una nota di divertimento. Solida, sicura, sexy. Brividi di eccitazione le corsero lungo la schiena. «Se le scarpe di Cenerentola fossero state così strette, la sua favola non sarebbe finita a mezzanotte» commentò. Slacciò un sandalo e si massaggiò la caviglia. «Non è stata una mia idea, sir Dominic» si affrettò ad aggiungere. «Sua zia questa sera ha deciso di vestire i panni della fatina buona.» «Il che non mi sorprende. Posso sedermi?» «Non l'aspettano al palazzo?» «Sì, ma non ha importanza.» Sarah si spostò per fargli posto. La spalla di sir Dominic sfiorò la sua. La brezza le portò l'odore del suo dopobarba. Un profumo divino, in verità. Agrumi e sandalo, intensamente virile. All'improvviso le passò la voglia di parlare. Le bastava restare lì e annusarlo. Purtroppo però tacere le risultava proprio impossibile, specialmente quando era nervosa. La sua mente divagava, i pensieri si accavallavano Lyn StoneMary – McBride
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esigendo un'espressione verbale. «Come l'ha vinta?» «Cosa?» «La medaglia di bronzo.» «Oh, quella.» Nick puntò un dito verso Cupido. «Come il nostro amico di marmo.» Sarah guardò la statua. «Ha vinto una medaglia fingendosi Cupido?» «Tiro all'arco, signorina Hunter» spiegò Nick sorridendo. «È uno sport che fa parte dell'educazione a Montebello. Tutti i ragazzi lo praticano sin da quando sono alti abbastanza per reggere un arco.» Sarah si sarebbe presa a schiaffi. Fingersi Cupido, come aveva potuto essere così stupida? Ma sir Dominic aveva un così buon profumo, e il suo braccio caldo e inebriante, e lei era così stanca da non essere più in grado di pensare con lucidità. «Tiro all'arco, ovviamente. Lei deve essere molto bravo.» «Lo ero» precisò Nick «È passato molto tempo.» «Sarà piacevole per lei e Leo.» «Cosa?» «Gli insegnerà a tirare con l'arco, giusto? Ovviamente quando sarà alto abbastanza per reggere un arco.» «Forse.» La nota di tristezza che percepì nella sua voce la riportò di colpo alla realtà. Lei non era Cenerentola, Sarah rammentò a se stessa, e non stava conversando al chiaro di luna con il suo Principe Azzurro. Era una psicologa, la terapeuta del figlio dell'uomo che le sedeva accanto. «Leo parlerà di nuovo» affermò. «Io ne sono certa, e non passerà nemmeno molto tempo. Credo di poter aiutare suo figlio, dottor Chiara.» «Davvero?» Sul viso di Nick apparve un'espressione dubbiosa. «Da quanto tempo lavora come babysitter, signorina Hunter?» Babysitter... Sarah scosse la testa. No, non poteva funzionare, decise. «Veramente io...» Esitò, incerta se rivelare la verità, cioè se fare esattamente quello che il re le aveva detto di non fare. D'altra parte, cosa poteva accaderle? Marcus non l'avrebbe rinchiusa in una prigione, non avrebbe nemmeno ordinato la sua immediata decapitazione. E il suo istinto le suggeriva che, anche se Nick sarebbe stato contrariato nello scoprirsi vittima di un inganno, sarebbe passato sopra la sua ira pur di aiutare il figlio. Lei poi, era una pessima bugiarda. Mentire andava contro la sua logica e Lyn StoneMary – McBride
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la sua morale. E non sapeva nemmeno mantenere i segreti, per questo nessuno dei suoi familiari si confidava mai con lei. «Non sono precisamente una babysitter» riprese. «Dovevo fingere di esserlo altrimenti lei mi avrebbe buttato fuori di casa sua. È stata un'idea del re e di lady Satherwaite.» Nick non replicò. Si limitò a guardarla con i suoi occhi neri come l'ebano. «Il re e sua zia sentivano di dover fare qualcosa prima che la situazione di Leo peggiorasse» aggiunse Sarah, «anche perché lei non prendeva alcuna iniziativa a riguardo. Così il re si è rivolto a mio padre, un suo caro amico, e mio padre si è rivolto a me, che sono una psicologa infantile.» Ora gli occhi di sir Dominic mandavano fiamme. Sarah chiamò a raccolta tutto il suo coraggio e continuò. «In realtà, mio padre ha fatto qualcosa in più del semplice rivolgersi a me. Mi ha praticamente rapita e imbarcata su un jet della famiglia Sebastiani. Forse è successo ieri, sa, la mia mente è un po' confusa a questo punto. Forse si tratta dell'altro ieri... E comunque...» Alzò le mani, poi le abbassò. Non c'era altro da aggiungere. «Eccomi qui» concluse. Era lì, effettivamente. In tutti i suoi trentasei anni di vita, Nick non aveva mai ascoltato un discorso così veloce, intenso e completamente mancante di coerenza. Non avrebbe saputo dire se la donna delirava, se era una demente o la più deliziosa creatura che lui avesse mai incontrato. Non sapeva se essere in collera perché gli aveva mentito, o felice perché gli aveva detto la verità. Ma sapeva di desiderarla, anche se la conosceva appena. Anche se immaginava di non piacerle. Desiderava Sarah Hunter, babysitter o psicologa che fosse. Un sentimento così profondo, così improvviso da sorprenderlo, tanto che il suo sguardo corse alla statua di Cupido, per controllare se la freccia fosse ancora lì, al suo posto nell'arco, e non conficcata nel suo cuore.
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La mattina seguente Nick dormì fino a tardi, qualcosa che non gli succedeva più dai tempi dell'università. Un raggio di sole che filtrava attraverso le persiane lo indusse a svegliarsi verso le nove. Ad aprire gli occhi e a sorridere. Un sorriso che divenne sempre più ampio mentre si faceva la doccia e si vestiva. Doveva avere l'aspetto di un matto, decise. E, con ogni probabilità, matto lo era davvero. Non gli importava. Era bello sentirsi di nuovo vivo, pensò quando, continuando a sorridere, uscì in terrazza. «Ah, eccoti finalmente, mio caro» esordì Honoria. «Ancora un po', e sarei venuta a controllarti. Non è da te, Nicky, alzarti così tardi.» «Sono in vacanza.» Nick si chinò per baciarle i capelli. Capelli che profumavano di lavanda, come sempre. Quella mattina, sua zia era vestita color lavanda. Metri di stoffa color lavanda. Una voluminosa sciarpa intorno al collo, anelli e braccialetti, tutto confermava che lo spirito zingaresco in lei non si era mai completamente sopito. «Tè o caffè?» gli chiese. Nick prese posto sulla sedia di fronte a lei. «Caffè, grazie.» Mentre sua zia riempiva la tazza, lasciò vagare lo sguardo sul giardino, delimitato su un lato da un muro di pietre bianche. Era lì che il parco che circondava la reggia iniziava la sua discesa a precipizio verso il mare. «Dov'è Leo?» chiese. «Mi è sembrato di sentire la risata della babysitter qualche minuto fa.» «Sì, che persona incantevole... Penso che siano andati alla ricerca del triciclo di Leo.» Nick aveva già deciso di non dire a sua zia che Sarah Hunter aveva spiattellato tutta la verità la sera prima. Non c'era nulla di male nel concederle la soddisfazione di pensare di essere riuscita nel suo piano. «Ho cambiato idea, non ti chiederò di licenziarla» annunciò. «Bene, perché apparentemente lei e Leo sembra abbiano trovato una intesa istantanea.» Tale padre, tale figlio, pensò Nick, quello stupido sorriso che tornava ad incurvagli gli angoli della bocca. «Ti senti bene, mio caro?» «Sì, proprio bene» confermò lui. Honoria gli lanciò uno sguardo incuriosito. «Mi sembri un po' strano. Lyn StoneMary – McBride
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Sei tornato tardi ieri sera?» «No, non proprio. In effetti...» Nick non concluse la sua frase, interrotto dall'arrivo di Leo, che sfrecciò nel giardino a bordo del suo triciclo giallo e blu. Sarah Hunter era alle sue spalle. Indossava un pantalone corto e una maglia, ai piedi portava un paio di scarpe da ginnastica ed era ancora più bella di come gli fosse apparsa le sera prima, giovane e vibrante di vita, con il sole che le accarezzava i capelli, evidenziandone i riflessi color mogano, e donando alla sua pelle una sfumatura dorata. «Buongiorno» esordì Sarah, avvicinandosi al tavolo. «Buongiorno» replicò Nick alzandosi. «Prende una tazza di caffè con noi, signorina Hunter?» «No, grazie, ne ho già bevute due tazze.» «Hai superato la differenza di fuso orario, mia cara?» si informò Honoria. «A me sembra di sì, tu che ne pensi, Nicky caro?» Lui annuì. «Sembra anche a me» confermò. «In realtà mi sento molto meglio» precisò Sarah. «Avevo solo bisogno di una buona notte di sonno.» Dunque aveva dormito bene dopo la loro passeggiata al chiaro di luna, pensò Nick. A un certo punto, lui si era tolto la giacca e gliela aveva appoggiata sulle spalle, poi le aveva preso la mano mentre percorrevano un sentiero particolarmente romantico. Giunti davanti al cottage, era stato sul punto di augurarle la buonanotte con un bacio. In realtà, si era immaginato nell'atto di fare con lei molto di più mentre si rigirava nel letto nel tentativo di addormentarsi. Ora scopriva che invece Sarah aveva dormito profondamente. Cosa si era aspettato, d'altra parte? Che si agitasse nel suo letto, pensando a lui come lui aveva pensato a lei? Sì, in realtà sì. Non sarebbe stato nemmeno così strano. Molte donne lo avevano corteggiato assiduamente nel passato. E anche nel presente. Non si era lamentato solo il giorno prima per le costanti e non volute attenzioni che riceveva dall'altro sesso? Per distrarsi da quella riflessione, tese le braccia per afferrare suo figlio, che aveva già girato con il triciclo intorno al tavolo per almeno dieci volte. Lo sollevò e lo fece sedere sulle sue gambe. «Come sta il mio ometto questa mattina?» chiese, appoggiando il mento sui suoi morbidi capelli. «Cosa ti piacerebbe fare oggi?» Lyn StoneMary – McBride
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Ovviamente Leo non rispose, ma lo fece la babysitter al suo posto. «Io e Leo avevamo intenzione di divertirci con alcuni dei giocattoli che ho portato dall'America» spiegò Sarah. «Almeno fino all'ora di pranzo.» Dal tono della sua voce, Nick capì che non era un semplice gioco quello che Sarah aveva in mente. Ovviamente i giocattoli non erano quello che apparivano, ma una varietà di mezzi diagnostici. Certo, perché Sarah non era una babysitter ma una psicologa, ricordò a se stesso. «Penso sia una splendida idea» commentò Honoria, comprendendo anche lei le intenzioni di Sarah. «È una giornata così bella, mi piacerebbe fare una passeggiata. Vuoi accompagnarmi, Nicky?» Una passeggiata? Proposta da una donna la cui idea di esercizio fisico coincideva con il riempire una tazza di tè e allungare la mano verso il vassoio dei pasticcini? Aveva sentito bene? Lady Satherwaite, che si faceva accompagnare da un autista anche per andare al palazzo, il cui motto era Perché camminare quando esistono le automobili? gli proponeva di fare una passeggiata? Evidentemente non voleva che lui intralciasse il compito di Sarah, il che gli andava anche bene. «Ti accompagno con piacere» replicò Nick, chiedendosi se non avrebbe dovuto portare con sé una bomboletta di ossigeno, per ogni evenienza. Sarah tornò nella sua stanza per prendere i giocattoli che aveva in valigia, desiderando che suo padre le avesse concesso almeno il tempo per fermarsi in clinica e recuperare alcuni fondamentali attrezzi del mestiere, in particolare la sua collezione di bambole che partivano da pupazzi con vaghi tratti fisici fino a rappresentazioni precise degli esseri umani. Comunque non sarebbe stato un problema farne a meno. Non era l'equipaggiamento a fare un buon psicologo, era l'abilità di osservare il paziente interagire con quell'equipaggiamento per poi trarne le giuste conclusioni. La pratica della psicoterapia infantile era più simile a un'arte che a una scienza, il che era anche più vero nei casi di mutismo, quando il bambino non offriva alcun indizio verbale. Se avesse potuto portare Leo a San Francisco, in clinica, sarebbe stato tutto più semplice. In realtà, si era abituata a lavorare in un ambiente comodo che offriva tutta la più moderna tecnologia, ammise a se stessa, dalla telecamera con la quale riprendeva ogni seduta per poterla poi studiare con calma e attenzione, al falso specchio dietro al quale a volte si Lyn StoneMary – McBride
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nascondeva per osservare il comportamento dei piccoli pazienti quando erano lasciati soli con i giocattoli. Scelse tre pupazzi di stoffa di diverse grandezze e dai tratti del viso appena accennati, una scatola di mattoncini di plastica colorati, un album da disegno e un astuccio pieno di pennarelli. Decidendo che come primo passo si sarebbe limitata a osservare, tralasciò il suo blocco per gli appunti. Il registratore poi era del tutto inutile, perché l'unica voce che avrebbe potuto riascoltare sarebbe stata la sua. Non solo, ma silenzioso o meno, Leo Chiara era un bambino dalla vivida intelligenza, con il quale aveva stabilito immediatamente un rapporto positivo, che non voleva correre il rischio di incrinare ricorrendo a mezzi troppo tecnici. Per quello che riguardava il rapporto con suo padre... Ebbene, aveva riflettuto a lungo a riguardo la notte precedente, e sicuramente avrebbe continuato a pensarci nell'immediato futuro. Ma in quel preciso momento aveva una terapia da pianificare, dunque respinse l'immagine di sir Dominio nell'angolo più recondito della sua mente. Era solo un bell'uomo, dopotutto. Un elemento che non contava molto nello schema che lei aveva della vita. Il bambino era nella sua stanza. Era seduto per terra a gambe incrociate e guardava un cartone animato trasmesso in televisione. «Mi piace il tuo televisore, Leo» esordì Sarah, inginocchiandosi accanto a lui. «È molto diverso dal mio. Puoi spiegarmi come funziona? Come si spegne, con questo pulsante?» Indicò un tasto sul telecomando, che aveva impresso sopra il simbolo della luminosità. Leo pigiò il tasto giusto e lo schermo del televisore si oscurò. «Guarda cosa ti ho portato» riprese Sarah, sistemando gli oggetti davanti a lui. Leo guardò. «Puoi scegliere quello che preferisci.» Il bambino guardò ancora, poi prese il più grande dei pupazzi. Sarah si sedette accanto a lui, soddisfatta della sua scelta. Il piccolo aveva preferito una forma umana all'album da disegno. Era un buon segno, un indizio che indicava che Leo, per quanto si fosse chiuso in se stesso, non si era completamente sottratto alla interazione con le persone. L'espressione sul viso del bambino, intento a osservare il fantoccio, era del tutto neutrale. Nessuna espressione di paura o di ansia, anzi, un lieve sorriso gli incurvò le labbra mentre tendeva la mano verso la più piccola Lyn StoneMary – McBride
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delle bambole per sistemarla sul tappeto vicino a lui. Priva della sua videocamera, svelta, Sarah annotò mentalmente i vari gesti. Ovviamente le tre figure, secondo la loro grandezza e proprio perché il loro viso non era ben delineato, potevano essere interpretate come un padre, una madre e il loro figlio. Abbastanza ovvio che Leo avesse ignorato quella di dimensioni medie. D'altra parte, non aveva mai conosciuto sua madre. Lo osservò attentamente. Il piccolo Leo, per quanto in silenzio, sembrava divertirsi sufficientemente con il suo nuovo gioco. Fino a quel momento, tutto bene. Se fosse stata a San Francisco, se avesse avuto a che fare con uno dei pazienti che vedeva regolarmente, non sarebbe intervenuta durante quella prima fase di approccio, lasciando che la terapia del gioco seguisse il suo corso. Ma, poiché aveva solo poche settimane da trascorrere con il bambino, era costretta a forzare il processo. «Potremmo fingere» dunque propose con tono entusiasta, «che questi pupazzi siano vere persone. Pensa a quanto sarebbe divertente... Possiamo inventare una storia con loro come protagonisti, oppure farli recitare. Chi è l'uomo, secondo te?» Senza alcuna esitazione, Leo le porse il più grande dei pupazzi. «Sì, credo che tu abbia ragione» riprese Sarah. «È il più alto, e il più forte. C'è anche un bambino? Sarebbe bello avere un bambino nella nostra storia.» Ovviamente, Leo indicò il fantoccio più piccolo. «Sì, certo. Ora abbiamo un uomo e un bambino.» Sarah sollevò il terzo pupazzo, quello che Leo aveva lasciato in disparte. «Chi potrebbe essere questo?» domandò, disponendo le tre bambole sul pavimento. Incrociò le braccia sul petto e finse di guardare le tre figure con aria perplessa, sperando che il piccolo le fornisse un qualche indizio. Cosa che fece prontamente. Leo prese il pupazzo di medie dimensioni e lo scagliò contro la parete. Poi si alzò, lo recuperò e lo rinchiuse nell'armadio. Mentre Sarah assisteva alla scena in silenzio, tornò al suo posto, sistemò i due pupazzi davanti a lui, accese la televisione, il tutto ignorando completamente la sua babysitter. Per essere il primo giorno, poteva bastare, decise lei. Purtroppo, a quel punto, una cosa era chiara. Non sarebbe stato facile venire a capo della situazione come aveva sperato. Chi poteva essere la donna rinchiusa nell'armadio? Lyn StoneMary – McBride
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«Vuoi riposarti un poco?» propose Nick, una volta giunti nei pressi del cottage bruciato dove Desmond Caruso era stato ucciso poche settimane prima. Honoria scosse la testa. «No, mio caro, non sono stanca.» Sua zia continuava a sorprenderlo. Aveva pensato che dopo pochi passi avrebbe dichiarato conclusa la loro passeggiata, ma lei continuava a marciare senza neanche mostrare affanno, nonostante la sua avversione per ogni forma di esercizio fisico e il peso eccessivo, aggravato dalle innumerevoli catene di oro e argento che portava al collo e intorno ai polsi. «Questa mattina a colazione la nostra babysitter mi ha chiesto informazioni circa l'incendio» disse Honoria, lo sguardo rivolto alla villetta. «Credo che non sappia niente dell'omicidio, a meno che non gliene abbia parlato tu ieri sera.» Nick scosse la testa. «Non c'è stata occasione di discuterne. Abbiamo percorso un altro sentiero. Pensavo che la vista di queste macerie potesse deprimerla.» «In effetti, sono deprimenti» confermò Honoria. «Vorrei proprio che l'assassino fosse arrestato. Purtroppo io non ho potuto dare alcun aiuto alle indagini, poiché in quei giorni ero con te a Londra.» Non era stato facile convincerla a seguirlo in Inghilterra, dove lui era stato convocato per una conferenza, ma aveva insistito pensando che quella poteva anche essere l'ultima occasione per sua zia di visitare la sua città natale. Purtroppo era stata una pessima idea. Presto Honoria aveva scoperto che la maggior parte delle sue vecchie amiche e dei suoi parenti erano ormai defunti, e aveva trascorso la breve vacanza sentendosi come una sorta di manufatto umano preistorico. «Ma anche se fossimo stati qui» ragionò Nick, «non avremmo potuto rivelare nulla di interessante alla polizia. Io, dal canto mio, ho raccontato agli investigatori quel poco della storia clinica di Desmond di cui ero a conoscenza.» «Non sapevo che fosse stato tuo paziente» commentò Honoria. «Solo in qualche occasione» spiegò Nick, evitando di precisare che Caruso lo aveva consultato il più delle volte perché affetto da malattie veneree. Era sempre guarito, e ora che era morto, non gli sembrava il caso di violare la sua privacy. «Leo e Estella erano a casa, naturalmente, quando Desmond è stato ucciso» riprese Honoria, riferendosi alla donna che era stata la babysitter Lyn StoneMary – McBride
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del bambino fino a pochi giorni prima, «ma lei ha dichiarato di non aver visto o sentito nulla, e che Leo ha dormito tranquillamente per tutto il pomeriggio e la serata.» «Sapere che l'assassino è ancora a piede libero ti spaventa?» chiese Nick. «Assolutamente no» rispose Honoria agitando una mano in aria. «Credo che ci siano almeno una dozzina di persone che avrebbero voluto vedere Desmond morto. Gli investigatori sostengono che si è trattato di un crimine isolato, e io sono d'accordo con loro. Tu cosa ne pensi, mio caro?» «Condivido l'opinione» commentò Nick. «Pensi che Leo e la sua babysitter abbiano avuto abbastanza tempo per fare conoscenza? Possiamo tornare a casa?» «Sì, caro» confermò Honoria, accarezzandogli una mano. «Penso proprio che possiamo.» Nick annuì e finse di non vedere il sorrisetto malizioso che incurvava le labbra della sua cara, furba zia. Sarah era in cucina e faceva del suo meglio per preparare a Leo un sandwich con il burro di noccioline e la gelatina di frutta, servendosi di un barattolo di marca italiana che era troppo denso e di un vasetto di marmellata inglese all'arancio che era troppo liquida. «Ne vorrei uno anche io» annunciò Dominic Chiara, facendo capolino nella stanza. «Certo.» Sarah tagliò altre due fette di pane, sforzandosi di ignorare che il suo cuore aveva improvvisamente iniziato a fare capriole e che le ginocchia sembravano rifiutarsi di continuare a sorreggerla. Ma cosa le stava succedendo? Mai prima di quel momento la presenza di un uomo l'aveva scombussolata tanto. Nemmeno quella del giovane, biondo, atletico Bill Dean, al quarto anno di elementari. Diavolo, quel comportamento da adolescente mal si accordava con i suoi trent'anni quasi suonati. Era ridicolo. Era pura follia. Qualsiasi cosa sir Dominic le stesse facendo, doveva smetterla subito. Immediatamente. Permanentemente. Cancellando anche quello che le era già accaduto, come l'insonnia della notte precedente. Cosparse una fetta di pane con abbondante burro di noccioline. «Com'è andata questa mattina?» si informò Nick. Lyn StoneMary – McBride
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Ormai era in cucina, si era appoggiato al banco di lavoro e aveva incrociato le braccia sul petto. Sarah gli lanciò un'occhiata di sfuggita, poi cercò di concentrarsi sulla risposta che lui ovviamente aspettava. «Bene, direi. Anzi, molto interessante» affermò. «Perché?» «Vorrei farle qualche domanda sulle donne della vita di Leo» replicò Sarah. «Va bene, chieda pure.» «Oltre lady Satherwaite, ci sono state altre presenze femminili costanti, come per esempio babysitter? Governanti, o anche cuoche. Anche una delle sue amiche, sir Dominic. Donne che hanno trascorso del tempo con Leo, insomma.» «Babysitter, una lunga fila» spiegò Nick. «Infine tutte si licenziavano perché avevano trovato marito.» «Cosa mi dice delle insegnanti? Leo ha frequentato l'asilo?» Nick scosse la testa. «A Montebello non c'è l'abitudine di mandare i bambini all'asilo. No, per quanto ne sappia io, Leo è stato sempre a casa in compagnia delle bambinaie e delle governanti.» «E le altre donne?» Ovviamente lei si stava riferendo a fidanzate, amanti e compagne occasionali, ma non voleva sembrare troppo interessata, tantomeno incuriosita. Perché dovevano esserci state donne al fianco del dottor Chiara, ragionò Sarah. Tante donne, molte donne. La statua di ghiaccio, Sophia Strezzi, probabilmente era solo la punta di un gigantesco iceberg. «Altre donne?» ripeté Nick. «Amiche, sir Dominic» precisò Sarah. «Compagne. Immagino che un uomo nella sua posizione...» Non concluse la frase e scrollò le spalle. «Sono certa che ha capito cosa voglio dire.» «Nessuna.» «Al momento, intende?» «Nessuna e basta. Non ho avuto amiche, o compagne, o amanti da quando mia moglie è morta.» «Oh.» Sarah non era certa di cosa aveva voluto esprimere con quell'Oh. Sorpresa o tristezza, o un improvviso incrementarsi del suo interesse. Forse tutte e tre le emozioni. «A meno che, signorina Hunter, lei non voglia contare il nostro Lyn StoneMary – McBride
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appuntamento di ieri sera» sottolineò Nick, avanzando di un passo. Il suo cuore ebbe un ulteriore tuffo, le saltò in gola per poi ricadere nel profondo del suo stomaco. «No, non considererei ieri sera, sir Dominic» in qualche modo Sarah riuscì a replicare. «Nick» la corresse lui con la sua voce profonda. Era così vicino che riusciva a percepire il suo respiro sul collo. Ammutolita, Sarah lo guardò. «Sono felice che tu sia qui, Sarah.» Nick allungò una mano per sfiorarle i capelli. «E non solo per il bene di mio figlio.» Ecco perché era lì, per prendersi cura di suo figlio. Giusto. Esatto. Sarah aprì la bocca per ricordargli proprio quel dettaglio ma fu interrotta da un urlo acuto di lady Satherwaite.
7 Quando Sarah entrò di corsa in salone, Nick era già in ginocchio accanto a sua zia, che era distesa per terra, una piccola montagna color lavanda che si ergeva al centro del tappeto. «Che stupida sono stata» brontolò Honoria, respingendo la mano che suo nipote le stava tendendo con l'intenzione di aiutarla a rialzarsi. «Non muoverti, zia» la redarguì Nick, poi alzò lo sguardo verso Sarah. «Vuoi portarmi il telefono? Presto, per favore.» Sarah obbedì alla svelta. Rientrò in salone con il telefono portatile mentre Nick stava tastando il polso della zia, e la zia continuava a protestare. «Nicky, tesoro, adesso vorrei alzarmi se a te non dispiace troppo. Non solo è un po' scomodo stare distesa per terra, ma è decisamente imbarazzante.» «Zitta» la esortò lui, gli occhi fissi sul suo orologio mentre contava i battiti del cuore. Sarah attese che lui lasciasse andare il polso prima di parlare. «Vuoi che chiami il Pronto Intervento?» chiese. «Avete una cosa del genere a Montebello?» «Telefonerò direttamente all'ospedale» replicò lui, prendendo il telefono. Lyn StoneMary – McBride
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«Sarà più veloce.» «Sono sicura che non vuoi far venire un'ambulanza, non è così, Nicky caro?» sbottò Honoria. «Non ce n'è alcun bisogno. Io sto bene.» «A me non interessa quello che pensi tu, tesoro» spiegò Nick, permettendosi un piccolo sorriso mentre componeva il numero sulla tastiera. «Tu andrai in ospedale perché l'ho deciso io.» Sarah si inginocchiò accanto alla donna. «Ha bisogno di qualcosa? Posso portarle un bicchier d'acqua, lady Satherwaite?» offrì. «No, ma promettimi che baderai ai miei ragazzi durante la mia assenza, per favore. A tutti e due, Leo e Nicky.» «Sì, certo, lo farò» la rassicurò Sarah. «Non era neanche necessario che me lo chiedesse.» Honoria alzò una mano senza alcuno sforzo apparente e le accarezzò una guancia. «Brava ragazza» disse. «Sapevo che potevo fare affidamento su di te. L'ho capito sin dal primo istante in cui ti ho vista.» Dopo di ciò, Sarah si scusò e andò a raggiungere Leo nella sua camera, sperando di tenerlo occupato mentre Nick si prendeva cura di Honoria in salone. Il bambino era ancora assorto nella visione dei cartoni animati, apparentemente inconsapevole del trambusto di pochi istanti prima. Sarah si sedette sul tappeto accanto a lui e alzò un po' il volume del televisore. Dando per scontato che il suo silenzio fosse la conseguenza di un trauma subito, preferiva che Leo non sentisse la sirena dell'ambulanza. Era preferibile che fosse protetto da qualsiasi evento potesse innervosirlo, soprattutto perché non c'era modo di prevedere la sua reazione. «Vorrei andare a fare una passeggiata» dichiarò Sarah infine, quando l'ambulanza ormai si era allontanata e Leo iniziava a dar segni di noia. «È una giornata così bella... Sai, mi farebbe piacere se tu venissi con me, così eviterai che io mi perda di nuovo. Questo parco è molto grande e io non lo conosco bene.» Il bambino annuì, poi scattò in piedi. «Perfetto» commentò Sarah. «Però devi mettere le scarpe. Scommetto che sono nell'armadio.» Però nell'armadio c'era anche il pupazzo che Leo aveva scagliato contro la parete, e che sembrava deciso a non voler vedere più. «Le prendo io» dunque propose. Svelta raggiunse l'armadio, aprì lo sportello e alla cieca cercò le scarpe. Sfiorò con le dita il pupazzo e lo spinse in un angolo, riproponendosi di recuperarlo in un secondo Lyn StoneMary – McBride
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momento. Trovò un paio di scarpe da ginnastica e le porse al bambino. Lui le indossò poi, mano nella mano, uscirono dal cottage. Una volta fuori, Sarah imboccò il sentiero di destra, quello che conduceva al palazzo. Ricordava di aver visto tante fontane lungo il percorso, sperava quindi di convincere Leo a giocare un po' con l'acqua, anche quello un mezzo diagnostico. Aveva mosso solo pochi passi quando Leo le tirò la mano, manifestando la sua intenzione di dirigersi dal lato opposto. «No, andiamo da questa parte» lo incoraggiò lei. «Possiamo giocare vicino alle fontane.» Il bambino scosse la testa. «Per favore» provò ancora Sarah. Leo scosse la testa di nuovo, questa volta con maggiore decisione. Piantò i piedi per terra, un'espressione caparbia dipinta sul viso. «D'accordo, hai vinto tu» si arrese lei. Sospirò e guardò il sentiero a sinistra. Verso ovest, giusto? Sud? Ma che differenza faceva? Si sarebbe persa comunque, al di là del punto cardinale. «Faremo come dici tu, Leo» concesse. «Spero solo che troveremo qualche fontana anche da questa parte.» In realtà, ce n'erano di più da quel lato del parco di quante ce ne fossero alle loro spalle. Oltrepassarono un paio di enormi cavalli di bronzo che sprizzavano acqua dalle narici, poi fu la volta di delicati angeli di marmo bianco, e di un satiro che suonava il flauto sotto una cascata spumeggiante. Infine, si fermarono davanti a una fontana molto bella, sovrastata dalla statua di San Francesco di Assisi, rappresentato nell'atto di parlare a un uccellino appollaiato sulla sua mano. Gli spruzzi dell'acqua alle sue spalle riflettevano i raggi del sole, creando giochi di mille colori. Era un bel posto, l'atmosfera tranquilla e rilassante, ideale per lo svago di un bambino. Leo doveva condividere l'opinione perché, quando lei lo suggerì, si tolse le scarpe e i calzettoni ed entrò nella vasca. Sarah prese posto su una panca a pochi passi di distanza e lo guardò, pensando che l'indomani potevano tornare nello stesso luogo, magari con un cesto da pic-nic. Avrebbe proposto a Nick di accompagnarli... O forse quella non era una buona idea, ragionò, considerando l'alta potenzialità che l'uomo aveva di distrarla. Erano lì da pochi minuti quando una donna si avvicinò alla fontana. Una Lyn StoneMary – McBride
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donna piuttosto strana, decise Sarah, sui sessant'anni, i capelli grigi raccolti in una treccia che poi era stata fissata con delle forcine per incorniciarle il viso lungo e sottile. Più si avvicinava, più le ricordava un topolino, con i suoi movimenti a scatti e lo sguardo che saettava in tutte le direzioni. Leo si immobilizzò e la fissò. Non doveva averla riconosciuta però, perché subito riprese a giocare con l'acqua sotto le braccia tese di san Francesco. «Salute, brava donna» esordì la nuova arrivata, la voce dal vago accento inglese. «Salve» replicò Sarah. La donna si guardò alle spalle, poi tornò a rivolgersi a Sarah. «Non ha paura, giovane signora? Nemmeno un po'?» si informò. Proprio quello che ci voleva, una paranoica, pensò Sarah, irritata. «Paura di cosa?» chiese. La piccola donna prese posto al suo fianco e scivolò verso di lei. «Non di cosa, ma di chi» sottolineò. «Dell'assassino, o forse dell'assassina. È la prima volta che esco da quando è successo.» «Da quando è successo cosa?» La donna tornò a guardarsi intorno. «L'omicidio» rispose, con voce talmente bassa da risultare appena come un roco sussurro. Poi il suo sguardo incrociò Leo. «Ma non è il piccolo Chiara? Il figlio di sir Dominic?» «Sì.» «Lei deve essere la sua babysitter, allora.» Sarah annuì. «Quindi saprà del crimine che è stato commesso il mese scorso. È successo proprio accanto al cottage di sir Dominic.» «Oh, sta parlando dell'incendio» ragionò Sarah. «Anche di quello, sì certo. Gli investigatori ritengono che il fuoco sia stato appiccato per cancellare ogni indizio che potesse smascherare l'omicida.» C'era stato un omicidio? Qualcuno era stato ucciso nel cottage poi distrutto dalle fiamme? Sophia Strezzi non aveva detto nulla del genere il giorno prima, quando insieme avevano oltrepassato la villetta. Perché in caso contrario, rifletté Sarah, lei avrebbe ricordato ogni singola parola. «Chi è stato ucciso?» chiese sottovoce, in modo che Leo non potesse sentirla. Lyn StoneMary – McBride
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«La vittima è Desmond Caruso» rispose la donna, chinandosi verso di lei con l'aria di una cospiratrice. «Il nipote bastardo del re. È stato colpito alla testa, così mi hanno raccontato. Una cosa terribile.» «L'assassino è ancora a piede libero? Non hanno scoperto chi è?» «No, almeno non credo. In questo preciso momento, il killer potrebbe essere nascosto fra questi alberi. Potrebbe guardarci. Io vivo sola, e non sono più riuscita a dormire da quell'orrenda notte. È la prima volta che esco di casa, e l'ho fatto solo perché ho visto lei e il bambino. Sa, lei sembra tranquilla, e molto coraggiosa.» In quel preciso istante, Sarah non si sentiva tranquilla e tantomeno coraggiosa. Perché nessuno le aveva parlato dell'omicidio? Perché tutti pensavano che Leo non poteva aver subito profonde conseguenze psicologiche in seguito a quell'evento? Ora che sapeva che l'incendio era stato collegato a un assassinio, lei era sempre più convinta di sapere dove cercare le cause del mutismo che affliggeva il bambino. Avrebbe chiesto spiegazioni a riguardo appena Nick fosse tornato dall'ospedale, decise. Non solo perché queste spiegazioni potevano illuminarla sulla terapia cui sottoporre Leo, ma perché non era per niente felice che nessuno avesse pensato di dirle che nello splendido parco vagava un assassino a piede libero. La strana donna adesso stava addirittura tremando. «Ma mi sono spinta troppo oltre» gemette, «e ho paura di tornare a casa da sola. Mi chiedevo, signorina, potrebbe accompagnarmi?» «Sì, certamente.» D'altra parte, non era così folle da restarsene lì con il pericolo di essere aggredita da uno spietato assassino. Chiamò Leo e gli disse di rimettersi subito le scarpe. Era ormai pomeriggio inoltrato quando Sarah e Leo tornarono al cottage dopo aver riaccompagnato la signora Ratigan, così si era presentata la strana donna, a casa sua. Sarah aveva fame e con ogni probabilità, Leo ne aveva ancor più di lei. Come babysitter era una vera frana, decise mentre, approfittando del fatto che Leo si era chiuso in bagno, recuperava il pupazzo dall'armadio. Lo ripose insieme agli altri nella sua camera e andò in cucina. E nemmeno come psicologa era un granché, pensò mentre si lavava le mani nel lavello. Oltre che scoprire l'avversione di Leo verso il pupazzo di Lyn StoneMary – McBride
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medie dimensioni, non aveva determinato nulla che potesse spiegare il silenzio del bambino, e come unico nuovo indizio aveva il racconto della signora Ratigan. Che poteva anche non corrispondere a verità, ovviamente. Forse la donna aveva l'abitudine di avvicinare gli sconosciuti per spaventarli con le sue oscure storie, forse quello era il suo modo di divertirsi. Però Leo l'aveva osservata attentamente, e questo aveva una qualche importanza perché invece non aveva degnato di nessuna attenzione i tanti militari che avevano incontrato durante la loro passeggiata. Il che confermava l'ipotesi che una donna doveva averlo in qualche modo turbato. Gettò via i sandwich che aveva abbandonato sul tavolo quando lady Satherwaite era stata colta dal malessere, ed era intenta a passare uno strofinaccio sul tavolo quando sentì qualcosa, precisamente una mano molto grande, appoggiarsi sulla sua spalla. Sobbalzò, poi si girò di scatto per affrontare il suo aggressore. «Mi scusi, signorina. Mi scusi.» L'uomo sembrava ancora più spaventato di lei. Era giovane, doveva avere circa vent'anni. I capelli scuri gli sfioravano le spalle, indossava un jeans consumato tagliato alle ginocchia e una maglia con lo stemma di un famoso bar. No, ragionò Sarah con immenso sollievo, non aveva proprio l'aspetto di un assassino. Più che altro, doveva essere un amante del surf. «Chi è lei? Come ha fatto a entrare?» domandò. «Dalla porta» spiegò il tizio. «Mi chiamo Bruno. Sono venuto per vedere Estella.» «Estella? Non c'è nessuna Estella qui.» «È la babysitter. Estella è la babysitter del bambino che abita qui» precisò Bruno. «Forse lo era, ma adesso ci sono io. Io sono la babysitter di Leo.» Un'espressione costernata si dipinse sul viso dell'uomo. Per un attimo, Sarah pensò che stesse per scoppiare in lacrime. «Davvero?» «Sì, temo proprio di sì» confermò lei, conscia del suo turbamento. «Non c'è più nessuna Estella in questa casa.» Bruno allontanò una sedia dal tavolo e prese posto, come se si sentisse del tutto a suo agio nella cucina dei Chiara. Dunque doveva esser stato lì molte volte, immaginò Sarah, per far visita alla sua Estella. Lyn StoneMary – McBride
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«Sono stato via per qualche tempo, ma credevo di trovarla qui al mio ritorno. Lei sa dove è andata?» Sarah scosse la testa. «No, mi dispiace, non ne ho idea.» Bruno infilò la mano nella tasca dei jeans. «Capisce, io le ho portato questo» affermò, mostrandole un astuccio di velluto. Sarah guardò l'anello di oro bianco sul quale era montato un diamante più piccolo di una lenticchia. Poverino, pensò. Nonostante l'avesse spaventata a morte, provava un po' di compassione per quel ragazzo. «Mi dispiace» ripeté. «Non so niente di Estella.» «Forse il bambino sa dove è andata» ipotizzò Bruno, passandosi una mano fra i capelli in un gesto nervoso. «Sono certa del contrario» replicò lei. «Ma posso chiedere informazioni al dottor Chiara o a sua zia. Forse loro conoscono il suo nuovo indirizzo.» Il viso di Bruno si illuminò un po'. «Sì, forse ha ragione. Potrebbe farmi il favore di informarsi?» «Tranquillo, lo farò questa sera stessa.» «Grazie. Io tornerò domani.» Bruno si alzò e le tese una mano. «Grazie» ripeté. «Ci vediamo.» Appena l'uomo uscì dal cottage, Sarah chiuse la porta a chiave. Per quel pomeriggio, poteva fare a meno di altre sorprese. Sarah e Leo trascorsero il resto della giornata giocando. Almeno il bambino pensava di giocare quando lei gli porse album e matite. Non c'era nulla di particolarmente interessante nelle sue creazioni. Le figure umane erano quelle che generalmente disegnano i bambini, con un corpo sottile e lungo, e il viso appena tratteggiato. Su richiesta di Sarah, Leo ritrasse suo padre nell'atto di sorridere, il che era un buon segno. E quando toccò alla prozia, Leo incluse un gran sorriso anche sulla sua faccia. Sempre invitato da Sarah, aggiunse anche se stesso al quadro, ma la sua bocca risultò una linea dritta, priva di ogni allegria. A quel punto, oltre la reazione al pupazzo, non riuscì a verificare nel bambino alcun sintomo di patologie o di alterazioni emotive. Leo Chiara era perfettamente normale per la sua età, a dispetto del suo mutismo. Nick telefonò per dare notizie confortanti sulla salute della zia, e Sarah colse l'occasione per comunicargli di aver bisogno di ulteriori informazioni circa il figlio. Lyn StoneMary – McBride
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«Vorrei farti anche qualche domanda sull'omicidio» aggiunse, quando Nick le assicurò ogni disponibilità per quella sera. «Non ti ho parlato di questo terribile incidente perché pensavo che non avesse a che fare con Leo» spiegò Nick. «Gli inquirenti ritengono che non si tratti di un omicida seriale, di conseguenza nessuno dei residenti al palazzo è in pericolo. Ma scusami, avrei dovuto dirtelo.» «Scuse accettate» replicò lei. «Ti racconterò tutto quello che so. E avverti mio figlio che porterò hamburger e patatine fritte quando tornerò. Dovrebbe bastare per renderlo felice.» «Rende felice anche me» concluse Sarah, prima di riagganciare il ricevitore del telefono. Si avviò verso il salone per raggiungere Leo, ma fu fermata dallo squillo del campanello d'ingresso. Dopo l'inaspettata intrusione di Bruno, e con il pericolo costituito da un assassino che forse vagava ancora nel parco, non era ben certa di dover aprire la porta. Con fare sospettoso, Sarah si avvicinò all'uscio. «Chi è?» chiese. «Siamo i signori Davis-Finch, i nonni di Leo» fu la pronta replica. «Siamo venuti a prenderlo per portarlo in vacanza con noi.» Ah, un altro piccolo dettaglio del quale lei era stata tenuta all'oscuro. Sarah aprì la porta. «Oh, ma lei non è Estella!» esclamò la donna che ovviamente doveva essere la signora Davis-Finch. «No, sono Sarah.» «Dov'è Estella?» Sarah sospirò. «Sembra che oggi tutti chiedano di lei... Prego, accomodatevi.»
8 Alle sette di quella sera, Nick stava camminando lungo il corridoio del sesto piano dell'ospedale per raggiungere una delle camere riservate alla famiglia Sebastiani. Entrando nella stanza, vide sua zia seduta al centro del letto, perfettamente vigile e vitale, proprio come i test di laboratorio cui Lyn StoneMary – McBride
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l'aveva sottoposta indicavano. Elettrocardiogramma, analisi del sangue, radiografie... Tutto aveva dato esito negativo, non solo, ma i risultati affermavano che lady Satherwaite godeva di un'ottima salute, nonostante l'età e il peso in eccesso. «Come ti senti, zia?» esordì lui mentre prendeva la cartella clinica dal comodino. «Sei a tuo agio?» «Quasi» replicò Honoria, gli occhi fissi sullo schermo del televisore. «Questo apparecchio è sintonizzato su pochi canali, mancano proprio i miei preferiti.» «Un po' di pazienza, non dovrai restare qui a lungo. Con ogni probabilità, sarai dimessa domani.» «Tu pensi, mio caro?» domandò lei senza distogliere lo sguardo. «I risultati delle analisi sono tutti buoni, zia. Ti terremo in osservazione per una notte, ma solo per non correre rischi inutili. Onestamente non vedo alcun motivo per trattenerti qui più di ventiquattro ore» spiegò Nick. «Se lo dici tu, Nicky.» Nick osservò attentamente il suo viso, non con gli occhi del medico ma con quelli del nipote. Honoria sembrava troppo tranquilla e serena per essere stata appena ricoverata d'urgenza in Pronto Soccorso, il che confermò il suo sospetto. Sua zia aveva solo finto un malessere, per motivi che lui non riusciva nemmeno a immaginare. Già dal principio aveva notato qualcosa di strano in tutta la faccenda. Quando era accorso in salone, allarmato dalle urla, l'aveva trovata comodamente distesa per terra, le braccia incrociate sul petto, le innumerevoli collane bene ordinate, l'enorme gonna color lavanda accuratamente sistemata per coprirle le gambe. Una donna della stazza di sua zia avrebbe dovuto procurare qualche danno cadendo, magari rompere una lampada, o anche qualcosa di più grande. Honoria gli aveva spiegato di aver perso l'equilibrio in seguito a un capogiro ma, quando l'aveva sottoposta ai primi, veloci controlli, non aveva riscontrato nulla di anormale. In conclusione, l'aveva ricoverata in ospedale solo per eccesso di zelo. «Fra poco ti porteranno la cena» le disse. «Finalmente. Sto morendo di fame.» «I pazienti dicono che in quest'ospedale si mangia piuttosto bene.» «Ti farò sapere la mia opinione a riguardo. Ora perché non torni a casa, mio caro? Sono sicura che mi stai lasciando in ottime mani.» Lyn StoneMary – McBride
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Nick si chinò per baciarle la guancia. «Prometti che mi telefonerai subito se avessi bisogno di qualcosa.» «Lo prometto.» «E non dare il tormento alle infermiere.» «No, tesoro, sai che non lo farei mai!» esclamò Honoria, fingendosi offesa. «Vai, adesso. Abbraccia il piccolo Leo per me, e porta i miei saluti alla deliziosa Sarah.» Mezz'ora dopo, un sacchetto contenente hamburger e patatine in una mano, una bottiglia di vino rosso nell'altra, Nick scoprì che la deliziosa Sarah aveva chiuso a chiave la porta sul retro del cottage. Per paura dell'assassino, ragionò. Bussò sul vetro, e fu costretto a farlo una seconda volta prima di vederla attraversare di corsa la cucina. «Sono davvero contenta di vederti» affermò Sarah dopo aver aperto la porta. «Come sta lady Satherwaite?» «Meglio. Anzi, sta proprio bene, in realtà» rispose Nick, muovendo qualche passo in cucina. «In genere, noi non chiudiamo mai a chiave questa porta» aggiunse. «Non è necessario. Non devi temere che qualche malintenzionato si intrufoli in casa.» «Davvero? Allora probabilmente non conosci Bruno.» «Chi?» «Bruno, il fidanzato di Estella. E' stato il primo dei visitatori inaspettati questo pomeriggio.» Sarah alzò una mano per indicare il salone. «I secondi sono ancora qui.» Nick appoggiò hamburger e vino sul tavolo. «Quali visitatori?» «I tuoi suoceri, Nick. Il signore e la signora Davis-Finch» spiegò Sarah. «Sono venuti a prendere Leo. Vogliono portarlo in vacanza con loro.» «Sono venuti per far cosa?» ripeté Nick. Si avvicinò al corridoio. Da lì, riusciva a distinguere distintamente la voce di sua suocera. «Una vacanza? Io non ne sapevo nulla» concluse. Sarah scrollò le spalle. «Sembra che abbiano discusso dei dettagli con Estella. Hanno organizzato questo viaggio già diversi mesi fa.» «Questo lo vedremo.» I genitori di Lara erano molto affezionati al loro nipotino, tanto che almeno tre o quattro volte all'anno partivano dall'Inghilterra per andare a vederlo. Durante quelle visite, Nick appariva il meno possibile perché, agli occhi dei suoceri, lui restava il mostro incompetente che aveva lasciato morire la loro adorata figliola. Per loro, sir Dominic Chiara non era mai stato all'altezza di Lara Lyn StoneMary – McBride
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Elizabeth Wellington Davis-Finch. Edith, sua suocera, si era comportata in modo ragionevolmente civile con lui durante gli anni. Roger, d'altro canto, non era mai riuscito a rivolgergli più di un semplice, e stentato, saluto. Dopo la morte di Lara, i due avevano tenuto con lui solo i contatti strettamente necessari, e sempre usando Honoria come intermediaria. Tuttavia, Edith e Roger erano dei bravi nonni per Leo, e alla fine per Nick contava solo questo, anche se non avrebbe mai permesso loro di portarlo via così, senza nemmeno aver consultato prima lui. «Mio figlio non va da nessuna parte» ringhiò, avviandosi verso il salone. Sarah lo raggiunse e gli appoggiò una mano sul braccio. «Aspetta un attimo, Nick» lo esortò. «Ho riflettuto su questo viaggio, potrebbe anche essere una buona idea.» Nick si girò per guardarla. Era sparito il sorriso che ormai si stava abituando a vedere sulle belle labbra di Sarah Hunter. E sparito era anche il luccichio divertito che in genere animava i suoi grandi occhi verdi. In quel momento, aveva un aspetto molto serio e decisamente professionale. «Spiegati meglio» la invitò. «Leo è stato felicissimo di vedere i suoi nonni» affermò Sarah. «Ed è eccitato al pensiero di andare a Parigi, a Disneyland per la precisione. Davvero eccitato, dovresti vederlo... Corre avanti e indietro per la casa come una pallina da biliardo impazzita. Potrei giurare persino di averlo sentito ridere.» «Davvero?» Lei annuì. «Davvero.» Nick si lasciò cadere su una delle sedie sistemate intorno al tavolo della cucina. «In pratica, mi stai consigliando di lasciarlo andare» mormorò. «Questa è la mia opinione professionale.» «E che fine farà la terapia a cui lo stai sottoponendo?» «Leo tornerà fra tre o quattro giorni al massimo, non sarà un grande problema. E credo sinceramente che allontanarsi per un poco gli farà molto bene.» «Perché?» «Perché io sono convinta che gli è successo qualcosa proprio qui, nel parco della reggia, qualcosa che lo ha traumatizzato, provocando il suo improvviso silenzio, qualcosa che oltretutto continua a impedirgli di parlare.» Una settimana fa, prima che tutte le analisi cliniche e i consulti con gli Lyn StoneMary – McBride
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specialisti fossero terminati, Nick avrebbe dissentito con fermezza da quel parere. Ma poiché non aveva riscontrato nessun problema fisico in suo figlio, non aveva argomenti per controbattere alle conclusioni cui era giunta Sarah. Come scienziato, odiava non avere risposte. Come padre, si sentiva impotente e completamente allo sbaraglio. La sua incertezza doveva essersi riflessa sul viso, perché Sarah gli prese una mano fra le sue e la strinse gentilmente. «Io lo aiuterò, te lo prometto. Ma tu devi fidarti di me.» Al momento apparentemente non aveva altra scelta, pensò Nick. Sarah raggiunse Leo e sua nonna per aiutarli a preparare i bagagli. Quando lo aveva visto poco prima, il ragazzino aveva infilato così tanti giocattoli in valigia da non lasciare più spazio per i vestiti. «Penso che abbiamo finito» annunciò Edith Davis-Finch quando lei entrò nella camera. «Bene.» «Vorrei parlarle in privato per un attimo, se non le dispiace.» Sarah era stata sul punto di fare alla donna la stessa richiesta, dunque annuì prontamente. Perché i nonni le erano sembrati molto preoccupati per le condizioni del nipotino, senza svelare la sua qualifica professionale, aveva cercato di rassicurarli, dicendo loro che Leo non soffriva di alcuna patologia, che stava ricevendo tutto l'aiuto possibile e che presto avrebbe ripreso a parlare. Ora avrebbe aggiunto qualche consiglio su come comportarsi con lui durante il viaggio. «Il tuo papà ti aspetta in cucina» disse al bambino. «Vuole salutarti prima che tu parta.» Leo corse fuori. Edith si accomodò sul letto. «Questo è per lei, Sarah» disse, porgendole qualcosa. Un biglietto da cento dollari. Sarah fissò, incredula, il viso tondo di Benjamin Franklin impresso sulla banconota. «Non so se Estella, la babysitter che lavorava qui prima di lei, le ha parlato del nostro accordo» riprese la signora Davis-Finch, «ma mio marito desidera che si continui nello stesso modo anche adesso che è lei ad occuparsi di Leo.» «Accordo?» «Sì. In cambio di un compenso mensile...» La donna indicò la banconota che Sarah stringeva in mano. «... Estella ci teneva informati su tutto quello Lyn StoneMary – McBride
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che riguardava nostro nipote. Noi viviamo lontano, capisce, non abbiamo occasione di vederlo tutte le volte che vorremmo. Ricevere notizie regolari ci aiuta a stare più tranquilli.» «Lo farò volentieri, signora» replicò Sarah, restituendole i soldi. «Ma questi non sono necessari. Sono sicura che sir Dominic e lady Honoria saranno più che felici di...» «Temo che lei non abbia capito» la interruppe Edith. «Io e mio marito ci aspettiamo di essere informati su tutto ciò che avviene in questa casa» precisò. «Su tutto e tutti quelli che ci abitano.» Ah. Ora era tutto chiaro. Estella aveva spiato Nick e sua zia in cambio di cento dollari al mese. O forse di una cifra maggiore. Forse quella banconota era solo l'invito per aprire le trattative.«Spiacente, io non ho tempo per meschinità del genere» affermò Sarah. «Ma sarò comunque lieta di darvi notizie di Leo, e anche di mandarvi le sue fotografie.» «Potremmo offrirle di più» insisté la signora Davis-Finch. «No, mi creda, proprio non potreste. E ora, se vuole scusarmi, vado da Leo.» Trovò il bambino in cucina, seduto sulle gambe del padre, intento a divorare la sua porzione di patatine. «Penso che sono pronti per andare» annunciò Sarah. Il sorriso che fino ad allora aveva incurvato le labbra di Nick svanì repentino. «Ti divertirai tanto, piccolo» mormorò, stringendo il figlio al petto. «Mi piacerebbe molto venire con te, ma purtroppo non posso» aggiunse. «Devo lavorare, ma la prossima estate torneremo a Disneyland, tu e io soli, te lo prometto.» Mentre Leo annuiva con entusiasmo, sua nonna apparve in cucina. «Noi andiamo» annunciò Edith con tono gelido. «Salve, Edith» replicò Nick, continuando ad abbracciare Leo. «Come stai? E Roger?» «Bene. Se non ci avviamo immediatamente, temo che perderemo il volo.» «Ti voglio bene» Nick sussurrò all'orecchio del figlio prima di rimetterlo per terra. Seduto sul dondolo della terrazza adiacente alla cucina, Nick fece del suo meglio per ignorare il rumore dell'auto che si allontanava. Sarah aveva ragione, ripeté a se stesso per la terza o quarta volta. A suo figlio poteva Lyn StoneMary – McBride
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fare solo bene allontanarsi per qualche giorno. Leo aveva sempre desiderato andare a Disneyland, e lui aveva sempre promesso di portarlo, ma poi... «Sono andati, deduco» disse quando Sarah lo raggiunse. «Sì» confermò lei. «Starà bene, non preoccuparti» lo rassicurò. «Era davvero felice» precisò, prendendo posto accanto a lui. Nick si sporse verso il tavolino per riempire un bicchiere di vino. Lo porse a Sarah, prese il suo e tornò ad appoggiarsi allo schienale del dondolo. «Grazie.» «A Leo» propose Nick, alzando il bicchiere. «E a Topolino» aggiunse lei sorridendo. «Ma lo sai che sono cresciuta in California e non sono mai stata a Disneyland? Non è una cosa molto triste?» «Tristissima. Persino io ci sono andato.» «Davvero? E quando?» «Ho frequentato l'università negli Stati Uniti, e trascorsi qualche giorno di vacanza a Orlando.» «Ecco perché parli così bene inglese» commentò Sarah. «Devo ringraziare mia zia per questo.» «A proposito, come sta?» «Bene.» Nick bevve un sorso di vino. «Sono quasi convinto che la mia vecchia ragazza stia fingendo.» «Fingendo?» Sarah sgranò gli occhi. «E perché mai dovrebbe fingere?» Nick prese la bottiglia per riempirsi ancora una volta il bicchiere. «Io ho una mia teoria.» «Cioè?» «Credo che mia zia volesse lasciarci soli. Anzi, credo anche che sapesse del viaggio di Leo, ma che in qualche modo abbia dimenticato di dirmelo.» «Perché?» Gli occhi di Sarah erano verdi come il mare più profondo. I raggi del sole al tramonto giocavano con i suoi capelli, facendoli risplendere. Era bellissima. A meno che il vino non stesse avendo su di lui un impatto maggiore dell'abituale, Nick era certo di non aver mai visto una donna più bella di lei. Scosse la testa. Perché mai Honoria, dopo aver giudicato inadatta qualsiasi donna disponibile a Montebello per il suo prezioso nipote, all'improvviso Lyn StoneMary – McBride
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decideva che l'americana Sarah Hunter era invece un partito appropriato? «Non ne ho idea» ammise onestamente. All'improvviso, si sentì un po' intimorito alla prospettiva di corteggiare una donna. Era stato sposato per due anni, e vedovo per i seguenti cinque. Non aveva avuto relazioni in quel periodo, nemmeno fugaci. A dire la verità, si sentiva un po' fuori esercizio. Per dirla tutta, aveva paura. Una paura terribile. Portò il bicchiere alle labbra e bevve un lungo sorso di vino. «Che ne pensi se torno in cucina per riscaldare gli hamburger?» propose Sarah. «Penso che sia un'ottima idea» replicò lui. In cucina, mentre aspettava che gli hamburger si riscaldassero nel forno a microonde, Sarah si voltò verso la porta a vetri che dava accesso alla terrazza. Se solo due giorni prima qualcuno le avesse detto che presto avrebbe assistito all'indimenticabile spettacolo del sole al tramonto che si tuffava nell'acqua ormai scura del Mediterraneo, la sua unica replica sarebbe stata una risata. E se la stessa persona avesse precisato che i raggi obliqui del sole avrebbero incorniciato l'uomo più bello del mondo, un uomo chiamato sir Dominic Chiara, la sua risata si sarebbe alzata di diverse tonalità. Ma invece lui era lì, la sua figura che stagliava contro il cielo tinto di colori pastello, seduto con una gamba accavallata sull'altra, un bicchiere di vino rosso in mano. Che quadro... Il timer del forno richiamò la sua attenzione sugli hamburger, riportandola di colpo al mondo reale, dove al momento lei era solo una psicologa senza paziente. Il che significava che poteva sfruttare il tempo libero conducendo qualche ricerca sul problema che affliggeva Leo, o che poteva restarsene tranquillamente seduta in giardino, assorta nella lettura di un bel libro per ventiquattro ore al giorno. No, decise mentre toglieva e sistemava le polpette fumanti nei panini, poiché si trovava in un'isola da sogno, ne avrebbe approfittato per visitarla. Poteva noleggiare un'auto e andare alla scoperta delle cittadine più caratteristiche, o delle baie più belle. Se solo Warren fosse stato lì con lei... Warren! Accidenti. Aveva pensato di telefonargli quella mattina ma poi, con tutti gli eventi della giornata, lo aveva completamente dimenticato. Sarah guardò l'orologio del forno. Erano quasi le sette della sera, dunque Lyn StoneMary – McBride
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a San Francisco... Che ore erano a San Francisco? Le tre o le quattro del mattino, quella era la sua ipotesi. Non poteva chiamare Warren alle tre o alle quattro del mattino, una volta lo aveva fatto poco dopo la mezzanotte, e lui si era talmente spaventato da ansimare nel microfono almeno per quindici minuti. O forse erano le tre o le quattro del pomeriggio? Come poteva essere la donna intelligente che era, e non riuscire a determinare se dall'altra parte del mondo fosse giorno o notte? Sarah decise di non telefonare, e poi lei era nell'isola fatata in quel momento e voleva godersela senza porsi inutili preoccupazioni, rammentò a se stessa quando, piatti in mano, uscì in terrazza. Ormai era buio, dunque accese le luci. Le palme che circondavano il cottage si illuminarono come per magia. «Che notte splendida» commentò, appoggiando i piatti sul tavolo. «Domani sarà una giornata altrettanto bella. Cosa ti piacerebbe fare?» chiese Nick. «Fare?» Poiché Sarah aveva appena addentato il suo panino, più che pronunciare la parola la biascicò. «Bene, me ne stavo seduto qui mentre tu eri in cucina e a un certo punto ho pensato che siamo entrambi senza lavoro per qualche giorno. Potremmo anche sfruttare al meglio queste ferie non previste.» «Non sei costretto a intrattenermi, davvero» obiettò lei. «Ho portato con me tante riviste di psicologia da leggere, e domani avevo intenzione di noleggiare un'auto e di visitare l'isola, magari di fermarmi su una spiaggia per un po'.» «Conosco il posto giusto.» «Oh, bene... Dov'è?» «È una baia nascosta» spiegò Nick. «Sarà meglio se ti accompagnerò.» Sul punto di protestare, Sarah cambiò idea. E lo fece perché un pensiero improvviso le aveva attraversato la mente. Stava infatti cercando di immaginare che aspetto avrebbe avuto sir Dominic Chiara, il pirata, con addosso un paio di boxer da mare e null'altro. Dopotutto, lei era una scienziata, giusto? E un qualsiasi scienziato doveva perseguire la propria curiosità fino a ottenere una risposta soddisfacente. Però, essendo convinta di conoscere già la risposta, forse avrebbe dovuto rifiutare l'invito. Decisamente avrebbe dovuto, ma non lo avrebbe fatto. Lyn StoneMary – McBride
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«Sì, sarebbe gentile da parte tua» Sarah replicò ancor prima di rendersi conto di aver parlato.
9 La mattina seguente, mentre erano diretti al Lido, così si chiamava la spiaggia di sabbia bianca più rinomata del Montebello, Sarah e Nick fecero una sosta in ospedale per salutare lady Satherwaite. Nick fu circondato da una piccola folla non appena messo piede nell'atrio. Il marito di una paziente voleva sapere quando sarebbe stata dimessa la moglie. Un uomo giovane in camice bianco aveva bisogno di un consiglio urgente. Una donna anziana che indossava una vestaglia di flanella azzurra gli offrì una rosa. Dopo aver pazientemente assistito alla scena per qualche minuto, Sarah si scusò e si allontanò. Entrò nell'ascensore per raggiungere il sesto piano, si sottopose ai controlli per accedere alla zona riservata alla famiglia reale, ed entrò nella camera di Honoria con l'intenzione di porle qualche domanda circa Estella. La stanza era ampia e lussuosa come quella di un grande albergo, e la zia di Nick era seduta al centro del letto, la schiena appoggiata ai guanciali, intenta a consumare la sua colazione. «Entra, Sarah, mia cara» la invitò lady Satherwaite. «Sono contenta di vederti. Vuoi una tazza di tè? Una brioche?» «No, grazie. Devo dire che ha un aspetto molto riposato questa mattina» commentò Sarah. «Di sicuro non è merito delle infermiere» borbottò Honoria. «Non capisco come ci si aspetti che qualcuno riesca a chiudere occhio in questo posto. Sembrava la stazione ferroviaria, un via vai continuo di persone.» Sarah rise, poi si accomodò su un angolo del letto. «I maligni dicono, lady Satherwaite, che lei ha solo finto di stare male» le confidò. «Io?» Honoria alzò il braccio grassoccio e appoggiò la mano sul cuore. «Ho finto? Ma quale ignobile individuo mi sta accusando di una tale bassezza?» «Suo nipote» replicò Sarah. Lyn StoneMary – McBride
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«Davvero?» «Davvero.» Un sorriso malizioso incurvò le labbra di Honoria. «E quell'ignobile individuo di mio nipote come spiega questa sua teoria?» «Nick sostiene che il fine della sua messa in scena era farci ritrovare da soli. Immagino che pensi che lei gli stia cercando una compagna.» «Ma che idea assurda!» esclamò Honoria. «Infatti, ho detto a Nick che si sbagliava. Gli ho detto che lei non avrebbe mai fatto una cosa simile.» «Hai proprio ragione, mia cara» commentò lady Satherwaite, ma un luccichio divertito animava i suoi occhi. «E dimmi, il mio piccolo piano ha funzionato?» Sarah rise. «No. E non funzionerà in futuro.» Le labbra di Honoria si atteggiarono in un broncio. «Oh, mia cara, c'è un altro uomo nella tua vita? A San Francisco? Devo ammettere di non aver preso in considerazione questa possibilità. Anche se non so perché, dal momento che tu sei una giovane donna molto attraente. Sei fidanzata? Sei follemente innamorata?» Sarah esitò, incerta su cosa dire. Era fidanzata, vero, ma per quello che riguardava l'amore folle... No, non era il suo caso. Tuttavia, era promessa all'uomo che presto avrebbe sposato. Dubitava però che Honoria, il romanticismo fatto persona, avrebbe potuto capire la situazione. In tutta onestà, doveva ammettere che non la capiva nessuno. «No, non sono follemente innamorata» replicò, evitando di aggiungere spiegazioni e preferendo per un tattico cambio di argomento di conversazione. «Si sente abbastanza bene per rispondere a qualche domanda, lady Satherwaite? Vorrei qualche informazione su Estella, la babysitter di Leo.» «Mi sento abbastanza bene per capire quando una persona cerca di evadere una mia domanda, ma comunque, cosa vuoi sapere esattamente su Estella? Non era una donna particolarmente interessante, per quanto mi sembrasse competente nel suo lavoro. Nicky l'ha licenziata perché voleva trascorrere più tempo solo con suo figlio.» «In realtà, volevo chiederle il suo indirizzo, in modo da poterle parlare personalmente. Spero di scoprire qualche dettaglio sulla notte dell'incendio. E sul giorno dell'omicidio» Sarah aggiunse socchiudendo gli occhi, «un trascurabile dettaglio del quale nessuno ha pensato di Lyn StoneMary – McBride
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informarmi.» «Perché non volevamo che tu ti preoccupassi senza motivo» precisò Honoria. «È una storia che non riguarda il piccolo Leo.» «In ogni caso io vorrei parlare con Estella. Può darmi il suo indirizzo?» «Prendimi la borsa, per favore. Un'infermiera l'ha infilata nell'armadio, da qualche parte» replicò Honoria. Sarah era intenta nella sua ricerca quando la porta della stanza si aprì. «Eccoti finalmente, mio caro!» esclamò lady Satherwaite. «Scusami per il ritardo» esordì lui. «Come stai questa mattina, zia?» «Quando mi alzo mi gira ancora un po' la testa, ma non mi aspetto che tu mi creda, mio caro. Comunque, ho detto alle infermiere che resterò qui almeno per un altro paio di giorni.» «Sì, sono stato informato» confermò Nick. «Spero che non ti dispiaccia se io e Sarah abbiamo fatto dei progetti in tua assenza.» «Dispiacermi?» Honoria batté le mani. «E perché mai dovrebbe dispiacermi? Raccontami tutto. Cosa avete intenzione di fare?» «Per prima cosa, andremo da Estella» intervenne Sarah, tornando accanto al letto con la borsa in mano. «Sempre se lei ci darà il suo indirizzo, lady Satherwaite.» La zia di Nick aprì la borsa e prese un piccolo taccuino nero. «Devo averlo annotato qui... Il cognome è Verdi, dunque devo cercare nella V. O forse ho scritto il suo recapito sotto la B, come babysitter? Facciamo così, mia cara» decise, porgendo l'agendina a Sarah. «Questa prendila tu. Tanto, al momento, non ne ho bisogno.» «Grazie.» Sarah infilò il libretto nella tasca della giacca. «Gliela restituirò al più presto.» Honoria scrollò le spalle. «Chiunque mi voglia, sa dove trovarmi» commentò. «Ora vorrei risposare un po'. Nicky caro, mi faresti la cortesia di dire alle infermiere che non voglio essere disturbata?» «Non ho tutto questo potere, tesoro mio, ma farò del mio meglio.» Nick si chinò per baciare la fronte della zia. «Ci vediamo questa sera. Comportati bene.» «Voi due divertitevi» replicò Honoria, chiudendo gli occhi. «E non affrettatevi solo per venirmi a fare visita.» Quindici minuti dopo, Nick era alla guida della sua auto e Sarah, seduta accanto a lui, sembrava assorta nella lettura dell'agendina. Non era sicuro Lyn StoneMary – McBride
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su come procedere. Divertirsi... Non era nemmeno sicuro di volerlo fare, ragionò, e tantomeno di dare inizio a qualcosa che non avrebbe mai portato a termine. In realtà, al momento non era sicuro proprio di nulla, decise, lanciando un'occhiata di soppiatto alla sua passeggera, se non che i capelli di Sarah risplendevano come fili di rame al sole, e che dalla sua pelle emanava una fragranza semplice ma seducente, forse gardenia, e che la temperatura dell'aria sembrava alzarsi ogni volta che le era vicino. «Ah, l'ho trovato!» esclamò Sarah. «Estella Verdi. E sotto la C, chissà poi perché.» «Mia zia deve aver seguito uno dei suoi imperscrutabili ragionamenti» ipotizzò Nick. «Abita al 5143 dell'Avenue Royale. Sai dov'è?» «Posso trovarla tranquillamente.» Nick imboccò la prima traversa a destra, quella che conduceva verso la parte più antica della città. «Dimmi ancora una volta cosa speri di sapere da lei» la esortò poi. «Qualcosa sull'incendio e sull'omicidio, magari che possa farci capire come possono essere collegati al silenzio di Leo.» «Leo non si è reso conto assolutamente di nulla. L'ho chiesto a Estella più di una volta, e lei mi ha assicurato che mio figlio ha trascorso un pomeriggio sereno il giorno della morte di Caruso, e ha dormito tranquillamente la notte dell'incendio.» «Se lo dici tu... Immagino che Estella non ti abbia parlato di Bruno, giusto?» «Chi è Bruno?» «Il suo fidanzato. O almeno, sarebbe il suo fidanzato se sapesse dove rintracciarla. Io non sono un investigatore privato, ma questo mi porta a credere che quei due abbiano passato del tempo insieme a casa tua, e non a casa sua.» «Tu come fai a sapere tutte queste cose? In fin dei conti, sei qui solo da pochi giorni» ragionò Nick. «Io so ascoltare, fa parte del mio lavoro» precisò Sarah. «E poiché in questo caso non posso ascoltare il mio paziente, devo fare molta attenzione a tutto ciò che dicono le persone che gli stanno accanto.» Continuava a dimenticare che non era la nuova, deliziosa babysitter di Leo, ma una psicologa, presumibilmente molto brava se il re Marcus aveva scelto proprio lei. C'erano tante cose che non sapeva di Sarah, pensò Nick. Per esempio, Lyn StoneMary – McBride
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quanti anni aveva? Perché non era sposata? Perché sua zia sembrava convinta che fosse la donna giusta per lui? Era la donna giusta? Lo avrebbe mai scoperto? «Da quanto tempo eserciti la professione?» chiese, mentre guardava i numeri civici delle case sull'Avenue Royale. Sarah incrociò le braccia sul petto e tacque per un lungo istante poi, quando parlò, nella sua voce c'era un tono divertito. «Cosa? Così all'improvviso ti interessano le mie credenziali, dottor Chiara?» Nick accostò l'auto al marciapiede e spense il motore. «No, signorina Hunter, all'improvviso mi interessi tu» specificò. «Oh» fu l'unico commento di Sarah. «Perché ci siamo fermati?» «Siamo arrivati.» Nick indicò un piccolo edificio bianco. «Casa Estella.» L'interno della vecchia costruzione a quattro piani era buio, l'aria ristagnava di tanfo di pesce e di aglio. Nick si fece da parte mentre Sarah bussava alla porta dell'ultimo piano. La babysitter non sembrò per nulla entusiasta di vederli, Sarah lo capì immediatamente, notando il colore defluire dal viso della giovane donna. Estella abbassò gli occhi, non li invitò a entrare e rispose alle loro domande con esitazione, quasi non ricordasse più una sola parola d'inglese. Alla fine dello stentato racconto durante il quale aveva ripetuto la stessa storia, cioè che Leo non si era nemmeno accorto che erano stati commessi dei crimini a pochi passi dalla sua casa, Sarah era sempre più convinta che stesse mentendo. «È molto importante che io sappia la verità» insisté. «Perché non prova ad aiutarmi?» «Ma io ho detto la verità» protestò la donna. «Ho fatto un buon lavoro, sir Dominic. Non ho sbagliato niente. Io voglio bene a Leo. Mi creda.» Stava ancora protestando quando una voce roca la chiamò dal retro dell'appartamento. Un'espressione ancora più spaventata si dipinse sul viso di Estella. «Vengo, papà» replicò. «Questo è tutto quello che so» aggiunse, guardando Sarah. «Adesso devo chiedervi di andare via, mi dispiace.» Sarah non aveva alcuna intenzione di rinunciare. «Parlaci di Bruno, Estella» la incitò. La babysitter sgranò gli occhi. «Non so niente» ripeté. «Devo andare. Addio.» E con quelle parole, richiuse la porta con un tonfo. Lyn StoneMary – McBride
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Sarah alzò la mano, intenzionata a bussare di nuovo, ma Nick le prese il polso e la trascinò verso le scale. «Sta mentendo» borbottò lei. «Ma non lo capisci?» «Sì, lo capisco, ma capisco anche che la giovane Estella abita con un padre iperprotettivo e burbero, che probabilmente ti punterebbe contro una pistola se entrassi in casa sua senza essere stata invitata a farlo.» «Tu dici?» «Non siamo in America, nel caso tu lo abbia dimenticato.» «No, immagino di no. E ora cosa facciamo? Estella sa qualcosa, qualcosa che dovrei sapere anche io se voglio essere in grado di aiutare tuo figlio.» «Abbiamo bisogno dell'idea giusta, forse potrei chiederle di venire al cottage per ritirare degli effetti personali che ha dimenticato, in modo che lei possa parlare senza aver paura che il padre la senta. Lo decideremo mentre saremo distesi sulla spiaggia a goderci questo magnifico sole» affermò Nick. «Non ho più voglia di andare al mare.» Sarah si rendeva conto di essere insistente, ma non poteva evitarlo. Non le piaceva quando qualcuno o qualcosa le intralciava il cammino, frapponendo degli ostacoli fra lei e i suoi pazienti. E non le piaceva sprecare tempo prezioso, soprattutto nel caso di Leo, quando aveva così pochi elementi a disposizione su cui lavorare. Non solo. Stava iniziando a dubitare della volontà che Nick aveva di aiutarla. Essendo il padre di Leo, avrebbe dovuto comportarsi in modo del tutto diverso, avere come unico scopo scoprire le cause del silenzio di suo figlio. Forse non gli interessava, dopotutto. Forse, perché lui era un medico e il problema di Leo non era clinico, riteneva che non c'era nulla da fare a riguardo. Forse... Erano giunti al piano terra, ma invece di continuare verso l'uscita, Nick si fermò. Le appoggiò una mano su una spalla, inducendola a girarsi verso di lui. «Mio figlio significa tutto per me» affermò, dopo averle messo un dito sotto il meno per costringerla a guardarlo negli occhi. «Non dimenticarlo mai, Sarah, d'accordo? Nemmeno per un secondo. Leo è la mia vita.» «Ne sono felice» sussurrò lei. «Ma questo non significa che non posso portarti al mare» ragionò Nick, Lyn StoneMary – McBride
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un lieve sorriso che gli incurvava le labbra. «Questo è vero, ma...» «E, quando saremo comodamente distesi sulla spiaggia» la interruppe lui, «voglio che tu mi dica tutto quello che sai sul mutismo, e anche quello che non sai. Voglio che tu mi istruisca, in modo che io possa capire come aiutare mio figlio. Lo farai, per favore?» Per un attimo, a giudicare dal suo sguardo intenso, Sarah pensò che Nick fosse sul punto di baciarla. Sarebbe stato bellissimo. Fantastico. Mozzafiato. Assolutamente poco professionale, ricordò a se stessa. Arretrò di un passo. «Sì, farò del mio meglio» confermò. «E sarò felice di provarci.» Il Lido, la spiaggia di sabbia bianchissima che si estendeva al di sotto delle alte scogliere di San Sebastian, forniva alla lezione più di una distrazione. Tanto lunga da sembrare infinita, rivaleggiava per bellezza con le spiagge californiane ed era senza dubbio più affascinante di quelle di El Salvador. I gabbiani volavano in circolo, per poi abbassarsi all'improvviso fino a sfiorare la superficie del mare. Il sole di settembre era caldo come burro fuso. E Nick Chiara in costume da bagno era più bello di come qualsiasi uomo avesse il diritto di essere. Sarah si girò su un fianco per dare un'altra sbirciatina mentre lui aveva gli occhi chiusi. Guardò, ma solo un poco. Non fu facile per lei impedirsi di allungare una mano e sfiorargli il braccio per verificare la solidità di quei muscoli ben definiti, o per affondare le dita nei folti capelli neri, un modo come un altro per accertarsi che erano morbidi al tatto come sembravano alla vista. Gli accarezzò lentamente il corpo con gli occhi, a partire dalle spalle, e poi verso il ventre, seguendo la linea tracciata dalla sottile striscia di peluria scura che spariva infine, inghiottita dal costume da bagno... No, decise scuotendo la testa, dopotutto quella non era stata una buona idea. Il suo progetto era stato diverso, occupare il tempo durante l'assenza di Leo leggendo articoli utili per la sua professione, imparare di più sulle condizioni del ragazzino, e non restare mollemente distesa al sole, spiattellando tutto quello che sapeva sul mutismo, e arrivando troppo velocemente a dar fondo agli elementi di sua conoscenza. Nick Chiara era intelligente quanto bello. Uno studente modello, in Lyn StoneMary – McBride
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verità, che poneva domande precise e mirate, le quali imponevano a Sarah di frugare fin nei recessi nella sua memoria al fine di fornire risposte adeguate. E, un vero miracolo, sembrava molto interessato a tutto quello che lei diceva. In genere le persone, incluso Warren, tendevano ad addormentarsi quando lei iniziava a discutere di una caso. Nick invece soppesava con attenzione ogni sua parola. Tutto questo, ovviamente, era successo prima che si arrendessero al caldo sole del Mediterraneo, scivolando in una sorta di dormiveglia, cullati dal mormorio delle onde e dai richiami dei gabbiani. Sarah sospirò, convinta che avrebbe potuto restare lì per sempre, ascoltando il mare, guardando di soppiatto il corpo meravigliosamente scolpito dell'uomo che... ... che in quel preciso momento aprì gli occhi e le sorrise. «Credevo che ti fossi addormentata» disse Nick. Sarah scosse la testa. «Stanca?» Di nuovo lei scosse la testa. «Continua, allora. Insegnami.» «Va bene. C'è ancora un teoria sul mutismo della quale non ti ho parlato. È stata elaborata da una team di psicologi dell'Alabama, che sostenevano che il silenzio autoimposto è solo una tattica per attirare interesse. Secondo loro, un bambino che non parla desidera portarsi al centro dell'attenzione della sua famiglia, e quindi del suo universo, più di quanto faccia un ragazzino che urla e strepita.» «Ha senso» mormorò Nick. «Suppongo di sì, ma non vedo come questo possa essere applicato al caso di Leo. Prima di tutto, perché è figlio unico. Gli studiosi dell'Alabama avevano preso in esame bambini con uno o più fratelli. Secondo, perché è ovvio che tu e tua zia lo adorate. Leo non potrebbe essere più amato e più al centro dell'interesse dei suoi cari di come già lo è adesso.» Nick si girò verso di lei e appoggiò il peso del corpo sul gomito. «Il che ci riporta alla tua originale deduzione, un trauma» ragionò. «Giusto.» In qualche modo, Sarah ricordò a se stessa che doveva continuare a guardarlo negli occhi. Per qualche strano motivo però, sembrava che il suo sguardo fosse inspiegabilmente attratto dalle spalle di Nick, e dal suo torace. Un atteggiamento assolutamente inaccettabile. «Dunque non sarà possibile risolvere il problema di Leo se non Lyn StoneMary – McBride
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identificheremo cosa lo ha traumatizzato» affermò Nick. «No, io non sarei così drastica» obiettò lei. «Piuttosto sarebbe più facile aiutarlo se sapessimo cosa lo ha indotto a smettere di parlare. La certezza è sempre migliore di una supposizione, anche se noi psicologi siamo costretti molto spesso a procedere proprio basandoci su ipotesi.» Nick si distese a pancia in giù, il che era un bene perché adesso Sarah non doveva più preoccuparsi del suo torace. La schiena, e il fondoschiena, però offrivano uno spettacolo non meno affascinante. «A volte, purtroppo lo facciamo anche noi medici.» Sarah rise. «Anche se tanti non lo ammetterebbero mai» precisò. Un medico che non credeva di essere Dio, o il suo parente più prossimo... Le sorprese sarebbero mai finite? «Sono certa che mio padre preferirebbe affrontare un plotone di esecuzione piuttosto che confessare che la medicina è un'arte oltre che una scienza.» «Ho assistito a una conferenza di tuo padre qualche anno fa. È molto competente.» «Lo è» confermò Sarah. «Tuo fratello ha seguito i suoi passi, giusto?» «Sì.» «E tu perché non lo hai fatto, piccola Sarah?» domandò Nick, alzando la testa il tanto che gli bastò per guardarla in viso. Sarah era sul punto di offrirgli la sua replica standard, Oh, sai, ero una frana in chimica, accompagnata come al solito da una breve risata e da un gesto della mano, quando all'improvviso provò l'esigenza di dirgli la verità, di rivelarsi. Il che non doveva accadere. Era solo normale che Sarah Hunter, una valente psicologa, capace di leggere nel cuore e nell'anima delle persone, mantenesse un atteggiamento distaccato, dai suoi pazienti come da se stessa. Cercò di dare un nome a tutte le emozioni che in quel momento si affollavano in lei, e non solo non ci riuscì, ma non fu neanche capace di determinare se fossero positive o negative. Una confusione terribile. «Allora, perché?» la esortò Nick. Sul suo viso era dipinta un'espressione di paziente attesa. Cosa le aveva chiesto?, si domandò Sarah. Perché in quel momento riusciva solo a pensare di non aver mai desiderato tanto di essere baciata in tutta la sua vita. Lyn StoneMary – McBride
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Quando infine aprì la bocca per parlare, non sapeva con certezza ciò che stava per dire. «Forse dovremmo andare» mormorò. «Il sole sta diventando davvero troppo caldo.»
10 Non era da lei evitare di affrontare un problema o posporre un confronto, ma fu esattamente quello che fece durante le seguenti sei ore. Rimandare era diventata la sua parola d'ordine. Fino all'indomani era già meglio. Di due giorni poi era perfetto. Il suo problema consisteva nell'istintiva, incontrollabile reazione del suo corpo e della sua mente alla presenza di Dominic Chiara. Lo guardava, e annegava nella profondità dei suoi occhi scuri. Lo sentiva parlare, e immediati brividi le increspavano la pelle. Lo conosceva appena, ma sapeva con incrollabile certezza che la temperatura interna del suo corpo era regolata a seconda della distanza che la separava da lui. Cioè, provava quello che aveva provato per Billy Dean, ai tempi delle scuole elementari. Ridicolo. Nick l'aveva accompagnata a casa per poi uscire di nuovo per andare a far visita alla zia. Appena rimasta sola, Sarah sollevò il ricevitore del telefono, nella speranza che la voce del suo fidanzato potesse riportarla alla realtà. A Montebello era pomeriggio, non aveva idea di che ora fosse a San Francisco, ma non le importava nemmeno saperlo. Aveva bisogno di una forte e salutare dose di Warren Dill, e ne aveva bisogno subito. Compose il numero e aspettò che il telefono squillasse sedici volte prima di ottenere una risposta. Il tono assonnato del suo fidanzato le strappò un piccolo sorriso. «Ciao, Bella Addormentata, sono io» esordì Sarah, immaginando i suoi capelli arruffati, il pigiama blu chiaro che Warren indossava sempre e che si accordava perfettamente al colore dei suoi occhi, e il modo in cui in quel momento stava tendendo la mano verso il comodino, alla ricerca dei suoi occhiali da vista per poi distinguere meglio i numeri fosforescenti della sveglia. «Accidenti, Sarah, ma sono le sei e nove minuti del mattino» sbuffò Lyn StoneMary – McBride
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Warren. Che conforto scoprire che lui era al corrente dell'ora esatta. Il suo fidanzato era così affidabile... «Bene, anche io sono contenta di sentirti, tesoro» replicò Sarah con forzata allegria. Warren era praticamente fuori uso a meno che non dormisse esattamente per otto ore. Sette erano poche, nove troppe. Dovevano essere otto, minuto più, minuto meno. «Dove sei?» domandò lui senza alcuna particolare inflessione, come se non gli importasse poi tanto ottenere l'informazione. «Ti ho cercato negli ultimi tre giorni, ma nessuno in clinica o a casa tua sembrava sapere dove fossi finita.» Quindi suo padre non gli aveva portato il messaggio, come lei gli aveva chiesto di fare prima di partire, e i suoi colleghi non avevano parlato. La qual cosa non la sorprendeva più di tanto, ragionò Sarah. Warren aveva un modo arrogante e fastidioso di porre domande. Era sorpresa però di non avvertire una nota di sollievo nella sua voce, ora che erano trascorsi tre giorni durante i quali lui non aveva avuto sue notizie. «Non dovevi preoccuparti per me» affermò. «Non ero preoccupato, Sarah» precisò Warren. «Non essere drammatica. Semplicemente, non sono riuscito a localizzarti.» Parlava in modo pacato e tranquillo. Insomma, parlava come Warren Dill. «E questo non ti ha fatto andare in ansia?» si informò Sarah. «No, ovviamente no. Perché avrei dovuto andare in ansia?» Una domanda perfettamente logica, però ora Sarah non si sentiva portata alla logica. In genere apprezzava l'atteggiamento calmo di Warren, il suo freddo raziocinio e la sua totale mancanza di passione. Per tutte quelle sue qualità aveva deciso di sposarlo, in fin dei conti. Erano le qualità che un uomo doveva avere per starle accanto. In genere, ma non in quel momento. In quel momento aveva bisogno di parlare con qualcuno che tenesse davvero a lei. Qualcuno anche in grado di fare follie per lei. «E perché non ti sei preoccupato, Warren?» sibilò Sarah. «E se fossi morta cadendo in un fossato? Se fossi stata rapita? Se stessi vagabondando per Chinatown in preda a un'amnesia?» «Non esagerare, Sarah» sbuffò il suo fidanzato. Non stava esagerando. Era terribilmente seria e un po' tesa verso il melodramma. Come osava quell'individuo non preoccuparsi per lei? Come aveva osato non rintracciare suo padre, magari anche puntargli una pistola alla tempia pur di sapere che fine avesse fatto la sua fidanzata? Lyn StoneMary – McBride
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«Per caso hai bevuto, Sarah? Perché lo sai che effetto ti fanno gli alcolici.» Sì, lo sapeva. Le bastava un bicchiere di vino, al massimo due, per sentirsi calda e confusa. Un sorso di champagne poi la trasformava in una donna seducente. Un cocktail aveva il potere di renderla affamata di sesso. «Sarah?» «Non posso parlare con te adesso. Sono troppo furiosa.» «Va bene.» Indulgente come sempre. Paziente come Giobbe. «Telefonami quando sarai più calma. Ma, per favore, non prima delle sette del mattino. A presto, tesoro.» Warren riagganciò il ricevitore. Così, senza aggiungere altro. Sarah rimase in ascolto del tono telefonico per almeno mezz'ora, o forse pochi istanti, era lo stesso. Era inutile però sentirsi così persa quando sapeva esattamente dove si trovava, ragionò. Non aveva senso essere in collera con Warren perché possedeva le qualità che dal principio lei aveva apprezzato, ed essere attratta da Nick, perché possedeva le qualità che lei aveva sempre disprezzato. «Sarah?» Nick bussò con gentilezza alla porta della sua camera. «Sarah?» ripeté, con tono un po' più alto. «Sì?» «Volevo solo dirti che sono tornato.» «Grazie.» «Vogliamo cenare fuori?» Nick propose, dopo aver aspettato inutilmente che lei aggiungesse altro. «C'è un ristorante molto carino non lontano da qui, e noi potremmo...» «No, grazie» lo interruppe lei. «Leggerò qualche articolo e poi andrò a dormire.» Nick guardò il suo orologio. Non erano ancora le sei del pomeriggio. «Ti senti bene?» chiese. «Bene, sì. Sono un po' stanca, troppo sole forse.» «Posso fare qualcosa per te? Vuoi che...?» «No, grazie.» Di nuovo Sarah non gli concesse la possibilità di finire la frase. «Non mi serve niente. Ci vediamo domani mattina.» «D'accordo. Buonanotte.» Nick si allontanò dalla porta solo per tornare immediatamente sui suoi passi. «Se mi vuoi, chiamami» si raccomandò. Lyn StoneMary – McBride
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«Buonanotte, Nick. Dormi bene.» Sì, lo avrebbe fatto, pensò lui. Dopo una doccia fredda e una mezza bottiglia di cognac. Per un istante, fu tentato di compiere un gesto molto barbaro, abbattere la porta a spallate, per esempio, come suo padre il pirata avrebbe fatto. E poi prendere la signorina Hunter fra le braccia, per spiegarle i suoi sentimenti, per dirle che non si era sentito così vivo per anni, per dirle che... Cosa? Che nonostante tutta la sua preoccupazione per Leo, nella sua mente c'era anche spazio per pensieri indubbiamente lussuriosi? Per confidarle di avere la schiena ustionata, perché sulla spiaggia era stato costretto a restare disteso a pancia in giù, nel tentativo di nascondere la manifestazione fisica del suo desiderio? O per confessarle che un adolescente sbarbato era in grado di controllare il suo ardore più di quanto lo fosse lui? Il problema era, decise Nick, che aveva permesso alle nozioni romantiche della zia Honoria di contaminargli il cervello. Era andato avanti cinque anni senza una donna, e aveva ogni intenzione di continuare per i prossimi quaranta o cinquanta esattamente nello stesso modo. Aveva il suo lavoro. Sua zia era l'unica donna che desiderasse davvero avere al fianco. E, più di tutto, aveva Leo. Provando un'improvvisa nostalgia per suo figlio, Nick cercò nel portafogli il numero di telefono che i Davis-Finch gli aveva lasciato per casi di emergenza. Per quello che riguardava lui, quella era un'emergenza primaria. Portò il telefono in terrazza e digitò sulla tastiera una infinita serie di numeri, cominciando con il prefisso della Francia, e sperando che l'operatore dell'albergo parlasse inglese, perché lui non era dell'umore adatto per fare ricorso a quel poco di francese che conosceva. Infine, l'impiegato lo mise in contatto con la suite dei suoi suoceri e fu solo quando Edith rispose che Nick si rese conto della futilità del suo gesto. Suo figlio non poteva parlare. «Edith, sono Nick. Volevo solo sapere come sta Leo.» «Sta benissimo» replicò la donna con il solito tono gelido. «Ci stiamo divertendo molto insieme.» Nick esitò un istante, nella speranza che sua suocera volesse aggiungere qualche dettaglio, magari raccontargli della giornata trascorsa a Disneyland. «Bene, mi fa piacere saperlo» affermò, capendo che Edith non Lyn StoneMary – McBride
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aveva intenzione di dilungarsi in chiacchiere. «Vorrei salutarlo, per favore.» «Leo sta dormendo, Nick. È stanco, è stata una giornata lunga. Perché non chiami domani?» E' mio figlio, Nick avrebbe voluto urlare. E sua madre sarebbe ancora viva se avesse avuto la decenza di parlami delle sue condizioni a tempo debito... Avrebbe potuto salvarla in quel caso. Ne era sicuro. «D'accordo, telefonerò domani» si arrese. «Leo ha per caso provato a parlare?» «No.» La secca negazione implicava ovviamente che Edith incolpava lui del silenzio di Leo come lo incolpava della morte di Lara. «Digli che gli voglio bene, per favore» concluse Nick. «Ovviamente. A presto, Nick, sei stato gentile a chiamare.» Nick appoggiò il telefono sul tavolino di ferro battuto e lasciò vagare lo sguardo per il giardino. Leo gli sembrava così lontano. Non era la prima volta che si separava da suo figlio. Si era allontanato spesso da casa, per intervenire a conferenze o frequentare seminari. Perché adesso era diverso? Perché avvertiva così acutamente la sua mancanza? Nick sospirò. Poteva restarsene lì, guardare il tramonto e commiserarsi, oppure andare dentro, versarsi una buona dose di cognac, guardare i mobili e commiserarsi. Ma piangersi addosso riusciva meglio in compagnia di una bottiglia, decise, tornando in casa. Ignorare i problemi era una cosa ma, arrivata alle nove di quella sera, Sarah scoprì che ignorare le proteste del suo stomaco vuoto era tutt'altra. Mise da parte la rivista di psicologia che stava leggendo, scese dal letto, infilò la vestaglia e si avvicinò alla porta, dove restò in ascolto. Di cosa, non ne era certa. Passi, segnali di vita. Segnali della presenza di Nick. Non sentì niente, dunque uscì dalla camera e in punta dei piedi raggiunse la cucina. Accese le luci, illuminando Nick Chiara. Aveva un bicchiere da cognac in una mano e un uovo nell'altra. Doveva essere stato in procinto di rompere l'uovo sul bordo di una ciotola, ma quando le luci lo sorpresero, lasciò andare l'uovo il cui guscio si frantumò sul tavolo, mentre un'espressione costernata si dipingeva sul suo volto. Per un istante, l'elegante sir Dominic le sembrò così imbarazzato e così Lyn StoneMary – McBride
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adorabile che Sarah non poté fare a meno di scoppiare a ridere. «Scusa se ti ho spaventato» disse infine. «Non sapevo che tu fossi qui. Scostati, pulisco io.» Strappò un foglio di carta da cucina dal rotolo e si accinse a rimuovere il tuorlo e l'albume sparsi sul tavolo. «Comunque, non avevo davvero bisogno di un terzo uovo» dichiarò Nick. «Troppo colesterolo.» Troppo di qualcos'altro, ipotizzò Sarah, guardando il bicchiere pieno a metà e chiedendosi quanto cognac Nick avesse già ingoiato. Ovviamente abbastanza. Se lei avesse avuto anche un minimo di sale in zucca, si sarebbe girata per tornare silenziosamente nella sua stanza, affamata o meno che fosse. L'esperienza le suggeriva che anche un uomo stupendo si trasformava , in un cavernicolo dopo aver scolato una mezza bottiglia di liquore. Ma, invece di battere in ritirata come avrebbe dovuto, Sarah restò ferma dov'era. «Preparo delle ottime omelette. Perché non mi cedi i fornelli?» «Così parla una vera eroina» affermò Nick. Alzò il bicchiere in sua direzione, ondeggiando lievemente prima a destra, poi a sinistra. «Cosa posso fare per aiutare?» «Siediti» ordinò Sarah, sperando che lui le obbedisse prima di finire lungo disteso per terra. «Raccontami qualcosa mentre cucino. Cosa preferisci nella frittata? Cipolle? Funghi? Formaggio?» «Quello che vuoi» replicò lui, prendendo posto su una delle sedie. Fissò, pensoso, il suo bicchiere. «Il cognac ha un suo modo per mettere fuori gioco le persone» commentò. «Lo vedo» confermò Sarah. Aprì lo sportello del frigorifero e si chinò per cercare gli ingredienti che le servivano. «Sono contento che tu sia qui, Sarah.» «Sì» replicò lei, prendendo un peperone verde e una cipolla dal cassetto delle verdure. «Anche io sono contenta di essere qui.» «No, volevo dire che sono davvero contento che tu sia qui» insisté Nick. «Sai cosa intendo, non qui in cucina, anche se devo ammettere che questo già mi rende abbastanza felice. Ma qui a Montebello. Il che significa che sono contento di averti incontrato, anche se per una circostanza così spiacevole.» Una risatina gli gorgogliò in gola. «Sono contento che tu sia bella, formosa e intelligente, e non una di quei tizi dalla faccia lunga che blaterano di psicologia...» Lyn StoneMary – McBride
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Sarah si girò. Nick doveva aver bevuto più di quanto lei aveva immaginato. «Non sei reperibile in ospedale questa notte, giusto?» sperando di ricevere una risposta negativa, ma cercando comunque con gli occhi il bricco elettrico, in caso fosse stato necessario un pronto intervento a base di caffeina. Lui scosse la testa, deciso. «No, niente reperibilità questa notte. In realtà, sono in ferie. In vacanza.» «Bene» commentò Sarah, permettendosi un piccolo sospiro di sollievo. Chiuse lo sportello, appoggiò peperone e cipolla sul tavolo e rimboccò le maniche della vestaglia. «L'omelette speciale sarà servita fra pochi minuti» annunciò. Intenta ad affettare il peperone, Sarah era consapevole dello sguardo di Nick fisso sulla sua schiena, o magari più giù, poiché era seduto alle sue spalle. «Allora dimmi, qual è l'ultimo psicologo blaterante dalla faccia lunga che hai conosciuto?» domandò. «Non volevo criticare la categoria. Volevo farti un complimento.» «Un complimento. Ah, sì, capisco. Lo stesso complimento che ti farei se ti dicessi che tu non sei un arrogante, pretenzioso guaritore.» Quando non ottenne risposta, Sarah si girò, temendo forse di averlo offeso con quelle parole. I medici, lei lo sapeva bene, consideravano l'arroganza come una delle loro migliori qualità, e non ne conosceva nessuno che avrebbe gradito sentirsi dare del guaritore. Ma se Nick Chiara era in collera, il sorriso sensuale che aleggiava sulle sue labbra nascondeva egregiamente quello stato d'animo. «Sì» confermò lui, «è proprio quello che intendevo.» Una ruga gli solcò la fronte. «Bene, più o meno» precisò. «Allora forse dovresti evitare di farmi altri complimenti.» «Sì, almeno fin quando tu impugnerai un coltello.» «Buona idea. Sei più furbo di quanto avessi immaginato, dottor Chiara.» «Anche tu, signorina Hunter. Anche tu.» Nick spinse indietro la sedia, appoggiò le mani sul tavolo come in cerca di sostegno, e si alzò. «Per rendere omaggio alla tua intelligenza, ora andrò a fare una lunga, gelida doccia. Meriti di meglio del trascorrere la serata in compagnia di un tizio che non riesce nemmeno a metterti a fuoco.» Rise di nuovo. «Che non riesce a mettervi a fuoco» sottolineò. Le strizzò l'occhio. In realtà, si trattò di un lento e impacciato abbassarsi della palpebra destra, ma sufficiente per far fare al cuore di Sarah una Lyn StoneMary – McBride
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capriola o due. «Torno subito.» «Fai con comodo.» Sarah riprese a rivolgere la sua attenzione al peperone che stava affettando. Torna pure fra un paio di ore. Anzi, non tornare affatto. Con un po' di fortuna, Nick avrebbe perso i sensi durante il tragitto fra la cucina e il bagno, si augurò. E con una dose di fortuna leggermente superiore, lei sarebbe riuscita a non amputarsi l'ultima falange di un dito mentre lo aspettava. Era un'esperienza del tutto nuova per lei, doveva ammetterlo. Un uomo ubriaco che cercava di riguadagnare la sobrietà solo per poterla intrattenere meglio. Gli uomini in quello stato, una cosa che invece lei sapeva per esperienza, erano di solito più inclini a far sbronzare anche la loro compagna, e, come fine ultimo portarla a letto. Letto... Chissà come...? E ora, quel pensiero da dove sbucava? Avrebbe perso molto più di un pezzetto di dito se non stava attenta. Nick era in piedi davanti al lavabo, intento a osservare la sua immagine riflessa allo specchio, il corpo ancora scosso da brividi come effetto della doccia effettivamente gelida cui si era sottoposto. Era un'esperienza del tutto nuova per lui, doveva ammetterlo. Ovvio, nel passato a volte era stato costretto a tornare sobrio in fretta per affrontare delle emergenze mediche, ma quando si era liberato volontariamente dalle languide, dolci nebbie causate da una bottiglia di ottimo cognac solo per focalizzare meglio il suo sguardo su una donna? Cosa c'era in Sarah Hunter che lo spingeva a fare docce fredde e gli inculcava in mente pensieri bollenti, che lo induceva a non volersi fare giudicare da lei come un ubriacone oltre che un padre inetto? In cerca di una risposta a quelle domande, entrò nella sua camera. Si vestì e provò di nuovo a telefonare a Parigi, nella speranza che Leo fosse ormai sveglio. Questa volta non ottenne risposta. Probabilmente i DavisFinch erano usciti per cena, una cena sicuramente seguita da un ricco gelato e forse da una spettacolo di fuochi d'artificio, trucchi sicuri per portare il sorriso sulle labbra di un bambino e per dipingere un'espressione meravigliata sul suo viso. L'estate seguente, promise a se stesso, sarebbe andato con Leo a Lyn StoneMary – McBride
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Disneyland. O forse... No, lei non avrebbe mai... Anche se poteva sempre provare a chiederglielo. Si abbottonò la camicia, poi, senza preoccuparsi di infilarla nei pantaloni, e nemmeno di cercare un paio di scarpe, tornò in cucina. «C'è un volo che parte a tarda notte per Parigi» esordì. «Perché non andiamo a Disneyland? Noi. Tu e io.» Invece di rispondere, Sarah tolse due fette di pane dal tostapane poi, con tutta calma, iniziò a imburrarle. «Sarah? Hai sentito quello che ti ho detto?» «Sì, ho sentito» confermò lei. Teneva lo sguardo fisso sul toast, però un sorriso le incurvava gli angoli della bocca. Un buon segno, decise Nick. «Allora?» riprese. «Che ne pensi? Partiamo?» «Concedimi solo un istante, per favore. Sto cercando di congegnare una risposta che possa assecondarti.» «Assecondarmi? Perché?» «Perché» replicò lei, puntandogli contro il coltello del burro, «per dirla in parole semplici, se non sei più ubriaco, Nick, allora sei pazzo. Pazzo, capisci?» ripeté. «Fuori di testa. Hai perso qualche rotella. Questa non è una diagnosi professionale, bada bene. E' semplicemente un'opinione personale, però offerta dopo un'attenta e accurata osservazione.» Detto ciò, Sarah tornò a occuparsi del suo toast, cospargendolo con una quantità di burro decisamente esagerata. Scuoteva la testa. Perché? Si chiese Nick. Era divertita? Strabiliata? Incredula? «Dunque questo è un no» ipotizzò, deluso ma onestamente per nulla sorpreso. L'idea di partire su due piedi per Parigi era quanto meno folle. «Sì» disse Sarah. Nick socchiuse gli occhi. «E' un sì?» «No!» Di nuovo Sarah alzò lo sguardo verso di lui, e di nuovo agitò il coltello in aria. «Tu non capisci. Sono una psicologa, una psicologa molto brava. Non sono qui per una vacanza. Ho attraversato mezzo mondo per curare Leo, non per... Per...» «Per cosa?» lui la esortò a continuare, per quanto immaginava di conoscere già la risposta. Almeno, sperava di conoscerla. Sarah provava una profonda attrazione nei suoi confronti, e questo la turbava. Un Lyn StoneMary – McBride
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pensiero che gli portò il sorriso sulle labbra. «Non voglio parlarne» tagliò corto lei, ma pronunciò quelle parole solo per contraddirle con le successive. «Abbiamo davvero bisogno di parlarne» affermò. «D'accordo.» «Siediti» gli ordinò. Aspettò che lui le obbedisse, poi prese posto a sua volta, respirò a fondo, raddrizzò le spalle e puntò il mento in avanti. «D'accordo» cominciò, «è insensato non parlarne e non risolvere subito la cosa» sentenziò. «Io mi sono sempre reputata una persona straordinariamente razionale, una persona che non è mai fuggita davanti alla verità, ma che la affronta a testa alta, anche se si tratta di una verità spiacevole. Scoprire verità spiacevoli fa parte del mio lavoro, in fin dei conti. Bene, non è che sia questo il caso, ma certamente complica la situazione attuale.» Nick incrociò le braccia sul petto e si appoggiò allo schienale della sedia, sperando di aver assunto un atteggiamento sufficientemente interessato, mentre tutto quello che desiderava era metterla a tacere con un bacio. «Capisci» riprese Sarah, «sono davvero una persona razionale. Per me è motivo di orgoglio essere in grado di considerare i fatti senza permettere alle emozioni di oscurare il mio giudizio. Sono una studiosa, Nick, certamente tu questo lo sai.» Lui annuì con vigore. «È così. Lo so benissimo.» «Dunque tu comprenderai perché ultimamente mi sono sentita un po'... disorientata a causa di alcuni sentimenti che ho iniziato a provare.» «Sentimenti?» ripeté Nick, l'immagine stessa dell'innocenza. «Nei tuoi confronti» precisò lei. «Oh, ma è davvero bello poter parlare, lo sai? È come se qualcuno avesse finalmente sollevato dalle mie spalle un fardello troppo pesante. Si tratta di una sensazione bizzarra, potrei definirla un'infatuazione. Non mi capitava più da quando frequentavo le scuole elementari e pensavo di essere follemente innamorata di Billy Dean. Non riesco quasi a respirare quando tu e io siamo nella stessa stanza. Il mio cuore si trasforma in un vagone delle montagne russe. Non è ridicolo?» «Bene...» Nick si massaggiò il mento, esibendo un'aria assolutamente professionale. «Questi sono sintomi tipicamente fisici» affermò. «Non per me!» «Ho un suggerimento che potrebbe essere di aiuto» aggiunse lui, Lyn StoneMary – McBride
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decidendo che era giunto il momento di far scendere il povero cuore di Sarah dalle montagne russe. «Alzati.» «Cosa?» Sarah lo guardò e non si mosse. «Alzati» ripeté lui, porgendole una mano. Infine Sarah obbedì, molto lentamente. «Io non capisco, Nick. Cosa vuoi fare?» «Quello che ho desiderato fare sin dal primo momento in cui ti ho vista. Voglio baciarti.»
11 Pensa! Sarah ammonì se stessa. Usa la testa! E quelli furono gli ultimi pensieri coerenti che la sua mente riuscì a elaborare prima di abbandonarsi completamente al bacio di Nick. Ovviamente, era stata baciata prima, ma ogni ricordo impallidiva se confrontato all'attuale esperienza. Le braccia di Nick la stringevano con forza, facendola aderire a sé come se all'improvviso fossero diventati una sola persona. La sua pelle profumava di sapone, il suo alito di menta con un lieve tocco di cognac. La sua bocca era fresca ma allo stesso tempo incredibilmente calda. La barba le sfiorava il viso, dandole i brividi. Tutti i sensi erano tesi all'impossibile. E come era finito un gatto in cucina?, si chiese Sarah. Poi capì che quei suoni che sentiva si originavano dalla sua stessa gola. Stava miagolando? Che cosa imbarazzante. Sarah si ritrasse nello stesso momento in cui Nick interruppe il bacio. Non la lasciò andare però, il che era una cosa buona perché, in caso contrario, sarebbe scivolata sul pavimento per giacere ai suoi piedi come un inanimato pupazzo di stoffa. «Bene» disse lei, un po' sorpresa dal tono roco della sua voce, «non so tu, ma io certamente mi sento meglio adesso che abbiamo chiarito le cose.» «Sì» confermò Nick sorridendole, le mani che si muovevano sulla sua schiena in un languido massaggio. «Sono contento che tu ti senta meglio.» Lyn StoneMary – McBride
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«E tu?» «Io... Meglio? Forse. Ma è certo che sento.» Sarah si divincolò dal suo abbraccio e arretrò di un passo. «Ora che questi sentimenti sono stati portati alla luce, noi abbiamo la possibilità di discuterne come farebbero due persone intelligenti e ragionevoli» affermò. Nick rise. «Cioè, persone opposte a quelle due che ora preferirebbero fare l'amore piuttosto che parlare» sottolineò. «Noi non faremo l'amore» lo avvertì lei, tornando a prendere possesso del coltello e del peperone. «No?» Dal tono della sua voce, Sarah non riuscì a capire se la stava sfidando o se si stava prendendo gioco di lei. «No» ripeté con fermezza. «Dopotutto, Nick, a cosa servirebbe?» «A darci piacere?» «Un piacere passeggero» evidenziò Sarah, intenta a tagliuzzare il peperone. «Io pensavo invece a un piacere lento. Ore, giorni di piacere.» Sarah alzò gli occhi al cielo e schioccò la lingua. «Hai capito benissimo a cosa mi riferivo» lo redarguì. «Si tratterebbe solo di una fugace avventura. Una notte, o poco più.» «Indimenticabile, però.» Dunque Nick rifiutava di comprendere il suo punto di vista, pensò Sarah, irritata. Sembrava divertirsi mentre lei era terribilmente seria. E infastidita. E imbarazzata. «Sono venuta qui per lavorare. Fine della storia. Sì, sono attratta da te.» Prese un uovo e colpì con forza il bordo della ciotola. «Sì, mi risulta difficile respirare quando sono vicino a te.» Il guscio si infranse e il tuorlo e l'albume scivolarono nel recipiente. «E sì, è stato il bacio più bello di tutta la mia vita.» Un secondo uovo seguì la sorte del primo. «E allora? Non succederà più.» Aggiunse l'ultimo uovo. «Mai più.» Sarah prese una forchetta e iniziò a sbattere il contenuto della ciotola con furia quasi vendicativa, consapevole degli occhi di Nick fissi su di lei, sapendo che lui stava sorridendo anche se non lo guardava, probabilmente ignorando ogni singola parola che lei aveva detto. «Non succederà più» ripeté, per chiarire senza ombra di dubbio la faccenda a Nick, e soprattutto a se stessa. Non sarebbe successo nulla, se fosse toccato a lei evitarlo. Nulla. Lyn StoneMary – McBride
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Per i giorni seguenti, nel tentativo di sottrarsi a Nick, Sarah praticamente si seppellì nelle sue riviste di psicologia, e dopo aver esaurito tutte le scorte che aveva portato con sé dagli Stati Uniti, chiese ed ottenne il permesso di usare il computer dell'ospedale per condurre ulteriori ricerche sul mutismo in generale, e su quello traumatico in particolare. In tutta la sua carriera non era mai stata tanto motivata nel voler risolvere il problema di un paziente. Onestamente, sapeva che la fonte di questa ansia non era semplicemente la sua preoccupazione per Leo, ma anche il desiderio di portare a termine il compito per cui era stata convocata, e ripartire alla volta di casa al più presto possibile. «Mi sembri un po' stanca, bambina» commento Honoria quando, un pomeriggio, Sarah interruppe i suoi studi per andare a farle visita. La zia di Nick non si prendeva più il disturbo di fingersi ammalata, e aveva apertamente dichiarato di considerare quel periodo di permanenza in ospedale alla stregua di una piccola vacanza. La stanza ormai era talmente piena di fiori e di palloncini da lasciare a malapena spazio ai visitatori. In effetti, Sarah fu costretta a farsi strada fra un gigantesco e fluttuante cuore rosso e una nuvola di piccole sfere colorate per arrivare fino al letto. «Sono stanca perché ho lavorato molto» replicò. «Ora penso di aver una buona base di partenza per aiutare Leo a parlare di nuovo. Sono ansiosa di rivederlo per continuare la terapia.» «Quando tornerà da Parigi?» si informò Honoria. «Domani?» «Credo di sì. Nick ha telefonato ai Davis-Finch ogni giorno, nella speranza che lo lasciassero parlare con Leo.» Sarah sospirò. «Non è mai successo. Hanno inventato ogni sorta di scuse, il bambino sta dormendo o sta per andare a letto, è in bagno, e cose del genere.» «Idioti» borbottò lady Satherwaite, agitando una mano in aria. Sarah non poté evitare di notare che l'ennesimo anello era comparso sulle dita della donna. Doveva averlo portato Nick. Un pensiero molto gentile. «Nick è stato qui circa un'ora fa» affermò Honoria, quasi le avesse letto la mente. «Non sembrava più felice di te, mia cara. Anzi, aveva un aspetto decisamente depresso, se posso dirlo. È successo qualcosa fra voi due di cui io dovrei essere informata?» «Assolutamente nulla.» Non era proprio una bugia, pensò Sarah. Anzi, Lyn StoneMary – McBride
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era la pura verità, se si voleva escludere la tensione sensuale che si creava inevitabilmente quando loro due erano nella stessa stanza, un solo, innocuo bacio, e il fatto che lei non riuscisse più a chiudere occhio sapendo che Nick dormiva nella stanza attigua. «Questo spiega tutto, allora.» Honoria incrociò le mani sullo stomaco e scosse la testa. «Anche se io non riesco a capire perché voi due vi intestardiate a posporre l'inevitabile. Speravo che, approfittando della mia assenza e di quella di Leo...» «Basta così» la interruppe Sarah. «Lei è una vera ficcanaso, lady Satherwaite» aggiunse, senza preoccuparsi di nascondere la sua irritazione. Dopotutto, la donna non era malata, anzi, era chiaro che si divertiva un mondo nel perseguire il suo piccolo progetto. «Non voglio sembrarle irrispettosa, ma vorrei davvero che lei giocasse a fare Cupido con qualcun altro. Io non sono interessata.» Honoria esitò per un istante, ma ovviamente non aveva alcuna intenzione di arrendersi. «Ma, mia cara, sei stata tu a dirmi di non essere follemente innamorata di un altro uomo. Lo hai fatto qui, proprio in questa stanza. Non puoi negarlo.» «Infatti, non lo nego.» Sarah alzò le mani in un gesto di resa. «E non solo non sono follemente innamorata al momento, ma non ho intenzione di esserlo in un futuro. Mai. Niente amori folli, la mia vita mi piace così com'è. Senza colpi di testa improvvisi.» «Stupidaggini. Tutti vogliono innamorarsi.» «Non io.» «Non ti credo, mia cara.» «Mi dispiace, lady Satherwaite, ma è vero. E tutti i piani che lei ordirà serviranno solo a contrariare me e Nick, e infine lei stessa ne rimarrà delusa. Farebbe meglio a tornare a casa oggi stesso perché fra me e suo nipote non succederà proprio nulla.» «Ritieni che il mio Nicky non sia attraente?» «No, ritengo che sia terribilmente attraente. È anche simpatico e intelligente, e bacia come nessun altro sa fare. Ma non si faccia un'idea sbagliata adesso» Sarah si affrettò a precisare quando vide una luce di trionfo illuminare gli occhi dell'anziana signora. «E' stato solo un bacio, una sorta di esperimento, e non ce ne saranno altri.» «Allora sei un po' idiota anche tu» borbottò Honoria. Sarah scoppiò a ridere. «Probabilmente ha ragione, lady Satherwaite, ma Lyn StoneMary – McBride
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almeno sono un'idiota con uno scopo. E ora farò meglio a tornare alle mie ricerche» concluse, accarezzandole il braccio. «Ci vediamo dopo.» Honoria Satherwaite rifiutò di salutarla mentre Sarah attraversava la foresta di palloncini per raggiungere la porta. Per diversi giorni, Nick era riuscito a comportarsi nel più rispettoso dei modi con Sarah, e questo solo grazie a un duro esercizio fisico, correva per un'ora ogni mattino e per un'ora ogni pomeriggio, e ripetute docce fredde nell'arco della giornata. Era innamorato? Una domanda che si era posto centinaia di volte e alla quale non aveva ancora trovato risposta. Aveva appena conosciuto Sarah Hunter, e lui non aveva mai creduto nell'amore a prima vista. Era stato necessario frequentare Lara per tre anni prima di riconoscere di provare un qualche sentimento nei suoi confronti. Ovviamente era successo molto tempo prima, quando non conduceva una vita di privazioni dal punto di vista sessuale. La povera Lara aveva avuto molte antagoniste. Sarah non ne aveva nessuna. Ma se non era innamorato di lei, qualcosa doveva pur essergli successo se il suo cuore iniziava a battere all'impazzata ogni volta che il suo sguardo si posava su di lei. Sua zia, d'altra parte, era convinta che si trattasse di amore, di amore vero e profondo. «Hai un aspetto tremendo» gli disse quando lui si fermò in ospedale dopo la solita corsa pomeridiana. «Grazie, zia.» Nick dette un calcio a un mucchio di palloncini per poter arrivare fino al letto. «Tu invece hai un aspetto meraviglioso» commentò, dopo averle baciato la fronte. «Ti ho portato quell'anello con lo smeraldo di cui non puoi proprio fare a meno.» «Grazie, mio caro» replicò Honoria, infilandosi l'anello al dito grassoccio. Osservò la splendida pietra per qualche istante prima di riprendere a guardare lui. «Sarah è stata qui solo poco fa» annunciò. «Gentile da parte sua venire a farti visita» replicò Nick, rassegnandosi a qualsiasi cosa sarebbe seguita. Sua zia aveva l'abilità di cambiare argomento di conversazione nel tempo di un battito di ciglia, e senza alcun filo logico. La sua mente funzionava in uno strano modo, lui aveva provato a capire come per circa trent'anni e non c'era ancora riuscito. «Abbiamo scambiato quattro chiacchiere, Sarah e io. Lei ti trova attraente, Nicky, molto attraente. E ha detto che baci meglio di qualsiasi Lyn StoneMary – McBride
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altro uomo.» «Mi fa piacere saperlo.» Nick scosse la testa. «Per quello che vale» aggiunse. Honoria si tirò su, e appoggiò la schiena ai guanciali. «Io penso che dovrebbe valere molto per un uomo, specialmente per uno che guarda Sarah Hunter come la guardi tu» sentenziò. «Questa storia sta diventando un'ossessione per te, zia. Non pensi che dovresti smetterla?» Proprio pronunciando quella frase, Nick si rese conto che effettivamente il comportamento della zia stava diventando un po' ossessivo. Fino a quel momento aveva interpretato i suoi tentativi di fargli incontrare la donna giusta solo come una delle sue tante eccentricità. Ora non ne era più sicuro. La geriatria non era la sua specializzazione, ma ne sapeva abbastanza per ipotizzare che un comportamento maniacale poteva essere un sintomo di demenza senile. Forse avrebbe dovuto convocare la dottoressa Helena Mancuso per un consulto... «E non guardami come se fossi impazzita!» esclamò Honoria, ovviamente interpretando correttamente l'espressione del suo viso. «Non sono senile e non sono demente. So quello che vedo e inoltre... so quello che so.» «Va bene, zia Honoria» replicò Nick con tono rassicurante, cercando di prenderle una mano. Lei lo respinse. «Vai ora, vai a correre o fare quello che devi fare, vestito così. Non voglio parlarne più, Nicky. Io ho fatto del mio meglio, ma ora non voglio sapere più nulla.» Detto ciò tacque, anche se Nick avrebbe potuto giurare di averla sentita mormorare idiota. «Come sta la nostra paziente?» chiese Sarah quando Nick la raggiunse in terrazza, dove lei stava leggendo un articolo pubblicato su una rivista inglese. «Testarda come sempre» rispose Nick, prendendo posto su una sedia. «Irascibile, ostinata. In pratica, impossibile.» Sarah scoppiò a ridere. «Cioè, lady Satherwaite sta benissimo» ipotizzò. «Sì. Mi ha dato dell'idiota.» «Anche a te?» Sarah continuò a ridere. «A questo punto, penso che noi due abbiamo più in comune di quanto credessimo.» «Cosa stai leggendo?» Indossava ancora la tuta e un paio di scarpe da ginnastica. Era bello ed Lyn StoneMary – McBride
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elegante esattamente come lo era in smoking. Forse anche di più. «Un articolo di uno psicologo inglese che afferma che il mutismo traumatico non può essere curato se non si fa riferimento al trauma iniziale» spiegò Sarah. «Riflettevo se è possibile applicare la teoria al caso di Leo.» «Quindi torniamo all'omicidio di Caruso e all'incendio, giusto?» «Sì. Io non ho mai creduto nelle coincidenza. Leo ha smesso di parlare subito dopo i due eventi. Deve esistere una connessione» ribadì lei con tono convinto. «Se volessimo dare credito alle parole di Estella, no, non esiste nessuna connessione» ragionò Nick. «Non riesco a immaginare un motivo che dovrebbe spingerla a mentire, specialmente perché non è più alle mie dipendenze. Ormai non teme di essere licenziata nel caso ammettesse tutta la verità.» «Comunque io vorrei parlarle di nuovo, e penso che domani andrò a fare un sopralluogo nel cottage di Desmond, se questo non è un problema.» «Per quello che so io, gli investigatori hanno finito i loro rilevamenti.» «Perfetto.» Sarah si alzò e recuperò i suoi giornali. «Vado in camera, leggerò ancora un poco prima di addormentarmi» disse. Nick si girò verso la linea dell'orizzonte. Il sole era ancora ben alto nel cielo. «Immagino che tu non voglia cenare con me. Potremmo...» «No, grazie» tagliò corto Sarah, muovendo il primo passo. Nick le afferrò il polso. «Di cosa hai paura?» «Di niente.» Sarah abbassò lo sguardo, nel timore che i suoi occhi potessero contraddire le sue parole. «Io non ho paura di niente» ripeté. «E di nessuno?» «No. Di niente e di nessuno.» Allora Nick la lasciò andare e lei fece appello a tutto il suo autocontrollo per camminare dignitosamente, e lentamente, verso casa.
12 La mattina seguente, dopo aver fatto la doccia e essersi vestita, Sarah notò che la sua adorata, vecchia gonna di jeans le andava molto più larga dell'ultima volta che l'aveva indossata, il che significava che doveva aver Lyn StoneMary – McBride
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perso parecchio peso. Guardò attentamente la sua immagine riflessa allo specchio. La pelle del viso aveva assunto un bel colore dorato dopo il pomeriggio trascorso al Lido, ma era un po' tirata sugli zigomi. Si passò un dito sotto un occhio, con l'intenzione di rimuovere i residui del mascara. Ma l'ambra scura non accennò a svanire. Niente di buono, pensò. Non era stata così magra, né aveva avuto un aspetto così emaciato, da quando era stata colpita da un'infezione intestinale durante il primo anno di università. «Sei diventata così perché non hai mangiato quasi niente e non hai praticamente chiuso occhio durante l'ultima settimana?» chiese a se stessa. Montebello, l'isola di sogno, per tutti ma non per lei evidentemente, se dopo solo una settimana, trascorsa per di più in compagnia di un cavaliere dall'armatura scintillante, era ridotta pelle e ossa. Guardò la sveglia sul comodino. A proposito del cavaliere, se Nick teneva fede al suo programma come faceva ogni mattina, ancora pochi minuti e lo avrebbe sentito rientrare in casa dopo la sua corsa. In effetti dopo un istante udì distintamente il cigolio dei cardini della porta di ingresso. Alla svelta, Sarah si guardò ancora una volta allo specchio, poi corse in cucina per bere una tazza di caffè e afferrare al volo un paio di biscotti di Leo prima di affrettarsi verso la porta sul retro. Durante la notte che aveva trascorso girandosi e rigirandosi nel letto, nell'infruttuoso tentativo di riposare almeno un po', era giunta alla conclusione che solo scoprendo cosa aveva traumatizzato Leo al punto tale da indurlo a richiudersi in un ostinato silenzio, avrebbe potuto fare qualcosa di davvero costruttivo per aiutarlo. Di recente, nel parco che circondava il palazzo reale erano avvenuti ben due incidenti, l'omicidio di Caruso e l'incendio del suo cottage. Il bambino doveva aver visto o sentito qualcosa, ecco perché rifiutava persino di incamminarsi in direzione dell'abitazione di Desmond. Giunta alla fine del vialetto di accesso a casa Chiara, Sarah imboccò il sentiero sulla destra, quello che conduceva alla reggia. Era una mattinata splendida, con un cielo azzurro completamente sgombro da nubi e una piacevole brezza che soffiava dal mare. Le fronde delle palme si agitavano lievemente, sospinte dal vento, e i raggi del sole giocavano con gli spruzzi d'acqua delle fontane, creando effetti di mille colori. In quell'istante a San Francisco, probabilmente il cielo era grigio e una Lyn StoneMary – McBride
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fastidiosa gelida pioggia cadeva incessante, ipotizzò. Per quanto amasse la sua città, doveva ammettere che Montebello era un vero angolo di paradiso. Forse, se i suoi genitori si fossero davvero trasferiti lì in un futuro, lei di tanto in tanto avrebbe trascorso con loro dei giorni di vacanza, pensò Sarah. Una buona idea, indubbiamente. Avrebbe potuto rivedere Leo adolescente, magari bello come suo padre, che imperversava sull'isola facendo strage di cuori. E sarebbe stato anche interessante verificare se il suo cuore di quarantenne avrebbe ancora fatto capriole per sir Dominic Chiara. Probabilmente sì, decise, mentre un sorriso le incurvava le labbra e il suo cuore di quasi trentenne aveva un piccolo tuffo. Il sorriso svanì dalle sue labbra nello stesso istante in cui la realtà si ripresentò nella sua mente. In un futuro, se tutto andava come aveva pianificato, lei sarebbe stata la moglie di Warren Dill, e il suo cuore si sarebbe comportato esattamente come era stato programmato per fare, cioè battere giorno dopo giorno con un ritmo normale e deciso, completamente immune da pene d'amore. Perché era quello che lei voleva, giusto? Fortunatamente, svoltando un angolo i resti del cottage bruciati entrarono nella sua visuale, distraendo la sua attenzione e impedendole di dover trovare una risposta alla sua stessa domanda. Sarah puntò direttamente verso il cottage, scavalcò con un balzo atletico i cespugli che ne delimitavano il giardino e si avvicinò a una delle finestre. Ovviamente, i lavori di ristrutturazione dovevano essere iniziati, perché vide due uomini all'interno. Erano vestiti di bianco e uno di loro notò la sua presenza e le urlò qualcosa che lei non capì. Sarah scrollò le spalle e allargò le braccia, in un gesto internazionale che esprimeva incomprensione. Uno degli imbianchini si affacciò alla porta di ingresso e le rivolse uno sguardo interrogativo. «Stavo solo guardando» spiegò Sarah. «Potrei entrare per un momento, per favore?» «Entrare?» «Sì, sì, solo per pochi minuti.» L'uomo scosse la testa. Alzò una mano per indicare un cartello giallo. «No, signorina, non è possibile. Disposizioni della polizia.» Lyn StoneMary – McBride
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«Ma...» L'imbianchino arretrò di un passo e richiuse la porta, mettendo fine a ogni discussione. Rifiutando di arrendersi, Sarah tornò a guardare attraverso la finestra. In ogni caso, dubitava di poter trovare qualche indizio nel cottage. Lei aveva bisogno di testimoni oculari e non di una casa vuota. E di testimoni disposti a parlare, al contrario di Estella. Incerta sul prossimo passo da compiere, camminò verso una panca sistemata sotto un albero non lontano dal cottage. Prese posto e sollevò un po' il bordo della gonna per esporre le gambe ai caldi raggi del sole. Di tanto in tanto, si girava per lanciare un'occhiata al cottage. Si diceva che l'assassino tornava sempre sulla scena del crimine, rifletté, e per quanto ormai fosse trascorso più di un mese dalla morte di Caruso... Due grosse mani le coprirono gli occhi, terrorizzandola e cancellando di colpo ogni pensiero razionale dalla sua mente. «Tesoro mio!» esclamò una voce maschile vagamente familiare. Sarah respinse con forza quelle mani e si girò per affrontare l'ardente corteggiatore di Estella. «Deve perdonarmi» mormorò Bruno, battendosi una mano sulla fronte. «Pensavo che lei fosse Estella. Questo è il nostro posto, ci incontravamo sempre qui, vicino a questa panca.» Sarah socchiuse gli occhi. «Tu e Estella vi davate appuntamento qui?» Bruno annuì. «Sì, sempre.» «Mentre lei lavorava dal dottor Chiara?» «Sì. Non avevamo altro modo per vederci, suo padre...» «Disapprovava» Sarah concluse in sua vece. «Infatti» confermò Bruno. «Estella dove lasciava Leo prima di venire da te? Magari usciva di casa mentre il piccolo dormiva?» «Il bambino? Lo portava con sé. Estella si è sempre presa buona cura di lui, non lo avrebbe mai lasciato da solo. Gli portava il suo triciclo o il pallone, a volte Leo andava a far visita...» Bruno non concluse la frase, un'espressione colpevole sul viso, come se fosse stato in procinto di rivelare un segreto. «E' tutto a posto» Sarah si affrettò a rassicurarlo, «Estella non avrà alcun problema. È stata brava con Leo, hai ragione, ma adesso dimmi da chi andava il bambino. Forse dall'uomo che abitava lì?» chiese, indicando il Lyn StoneMary – McBride
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cottage. Bruno annuì. «Sì, il bambino e il signor Caruso giocavano a dama, si divertivano molto insieme. Ridevano sempre.» Cielo... Leo e Caruso erano stati amici, pensò Sarah. Compagni di gioco. Nick e lady Satherwaite ovviamente non avevano mai saputo che Estella lasciava il bambino libero di vagabondare nel parco per avere qualche ora libera da trascorrere con il suo fidanzato. Quella poteva essere la spiegazione che aveva tanto cercato, il trauma. Leo era entrato nel cottage, aveva scoperto il cadavere del suo amico e in conseguenza aveva smesso di parlare. Scattò in piedi così improvvisamente che Bruno, spaventato, arretrò di un passo. «Tu sai che l'uomo che abitava in quel cottage è stato ucciso, vero?» gli chiese. «Lo so» confermò lui. «Una cosa triste.» «Allora credo che Estella abbia dovuto dire a Leo che il suo amico era morto. Lo ha fatto?» «No.» Bruno aveva risposto senza alcuna esitazione, tuttavia Sarah notò che evitava di guardarla negli occhi, un atteggiamento che chiaramente indicava mancanza di sincerità. «Estella ha detto a Leo che Caruso era morto?» dunque ripeté Sarah, questa volta con maggiore urgenza. «Ho bisogno di saperlo» aggiunse. «Devi dirmi la verità, per favore. È molto importante.» «Oh, signorina...» «Non avrai nessun tipo di problemi, fidati di me» lo esortò Sarah. «Te lo prometto, ma devi dirmi esattamente cosa è successo.» Poiché Bruno non si decideva a parlare, gli appoggiò una mano sul braccio. «Lo sai che Leo non ha più pronunciato una sola parola da quando Desmond Caruso è morto? Silenzio totale. Io sono venuta dagli Stati Uniti per aiutarlo a guarire, ma non riuscirò a farlo se tu ora non mi racconti la verità» affermò. «Non lo sapevo. Il bambino davvero non parla più? È terribile.» «Infatti.» Sarah strinse la sua presa e mosse un passo verso di lui. «Ma con il tuo aiuto, sono sicura che posso convincere Leo a parlare di nuovo, così sarà di nuovo un ragazzino felice. Estella ha detto a Leo che il suo amico era morto?» chiese per l'ennesima volta. Lyn StoneMary – McBride
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«No, no, non lo ha fatto. Non è stato necessario.» «Credo di non aver capito.» «Il bambino... Lui...» Bruno si interruppe per tirare un profondo respiro. «Lui ha visto il suo amico morto» disse infine. «Lui ha visto...» Sarah lasciò il braccio dell'uomo per coprirsi la bocca con la mano. Si lasciò cadere sulla panca. «Leo ha visto il corpo» mormorò. «Oh, povero bambino... Adesso è tutto chiaro.» «Ha visto anche di più» dichiarò Bruno con tono solenne, poi si chinò verso Sarah, come per accertarsi che nessun altro potesse sentire le sue parole. «Io credo che abbia visto l'assassino.» L'unica replica che lei fu in grado di offrirgli fu uno sguardo attonito. «Il bambino corse verso di noi, stava piangendo. Così io e Estella entrammo con lui nel cottage. Uno spettacolo terribile.» «E non lo avete raccontato a nessuno?» «Io volevo andare subito dalla polizia. Ma Estella... Aveva troppa paura di perdere il suo lavoro, capisce? Aveva paura di sir Dominic e della grossa signora. E soprattutto, aveva paura di suo padre. Io le promisi di non parlare, e lo fece anche Leo.» «Che significa, lo fece anche Leo? Cosa ha promesso Leo?» «Di non parlare» rispose Bruno dopo una lunga esitazione. «Estella gli disse che, in caso contrario, l'assassino lo avrebbe trovato e gli avrebbe fatto del male. Se solo avesse detto una sola parola, la persona che aveva ucciso Caruso avrebbe ucciso anche lui.» «Ma non è possibile!» gemette Sarah. Fra tutte le ipotesi che aveva congetturato, mai avrebbe pensato a una eventualità simile. «Estella gli ha detto di non parlare con nessuno dell'omicidio, e il povero bambino deve aver creduto che gli stava ordinando di non parlare più e basta» rifletté ad alta voce. Ora tutto aveva senso, un senso orribile. Leo era certo che qualcuno lo avrebbe ucciso, come già aveva ucciso il suo amico, se solo avesse emesso un suono. E non si trattava nemmeno di un trauma subito in un lontano passato. Il povero piccolo doveva vivere in un costante stato di terrore. Sarah si rialzò. «Grazie, Bruno. Mi hai aiutato, molto più di quanto tu possa immaginare. Grazie.» Si accinse a incamminarsi, ma Bruno la fermò prendendole una mano. «Signorina, lei mi aveva promesso di rintracciare la mia Estella. Sa dirmi dove posso trovarla?» Lyn StoneMary – McBride
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Anche se gli era riconoscente per la fondamentale informazione che le aveva dato, Sarah non aveva nessuna intenzione di ricompensare l'uomo che era in parte responsabile del problema di Leo. «No» mentì, sottraendo la mano. «Mi dispiace. Grazie ancora, ma adesso devo proprio andare.» «Ma, signorina...» «Scusa» tagliò corto Sarah, poi si avviò correndo verso casa di Nick. Quando correva la mattina, Nick aveva l'abitudine di fare un giro nella parte più antica della città prima di tornare al palazzo. In genere, giunto alla King Augustus Avenue, faceva una sosta di qualche minuto per riprendere fiato davanti al palazzo dove aveva vissuto con sua zia da ragazzo. Almeno, la sua scusa era quella di riprendere fiato, ma in realtà era spinto più che altro dalla nostalgia. Il piccolo bar accanto all'ingresso dell'edificio dalle mura bianche e dai balconi di ferro battuto, era ancora gestito dalla famiglia Rendazzi. I loro gatti si crogiolavano ancora al sole distesi sulla soglia della porta, e l'aroma del caffè espresso aleggiava ancora nell'aria. E quando alzava lo sguardo, vedeva ancora sui balconi dell'appartamento al secondo piano gli stessi gerani rosa che sua zia aveva piantato tanto tempo prima. A volte, sembrava che a Montebello non cambiasse mai nulla. A volte invece, i cambiamenti avvenivano nel tempo di un battito di ciglia. Era passato dall'essere un marito a un vedovo in meno di un istante. Leo aveva smesso di parlare da un giorno all'altro. Poi Sarah aveva fatto ingresso nella sua vita e Nick, anche senza sapere cosa riservava loro il futuro, era certo che nulla per lui sarebbe stato come era prima. Biasimò se stesso per aver permesso a quel pensiero di insinuarsi nella sua mente, proprio perché correva per non pensare a lei. Avrebbe ottenuto sicuramente un miglior risultato se fosse tornato a concentrarsi sul lavoro, ipotizzò, esaminando i risultati di qualche nuovo protocollo sperimentale, gestendo il progetto per la costruzione della nuova ala dell'ospedale, e decidendo se voleva davvero continuare a essere il medico della famiglia reale, atrofizzandosi in quel compito mentre curava l'emicrania della regina Gwendolyn o l'ulcera del re Marcus, e assisteva il principe Lucas nella sua riabilitazione. Riprese a correre, facendo del suo meglio per concentrarsi solo sui caldi raggi del sole che gli accarezzavano il viso e sui rumori della strada. Fece Lyn StoneMary – McBride
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un cenno di saluto al militare di guardia quando oltrepassò i cancelli del palazzo e rallentò il passo solo giunto in prossimità del cottage. Allora, svoltato un angolo, vide Sarah che camminava a passo svelto, inseguita da un tizio grande e grosso dai capelli neri. Ogni fibra del suo corpo si tese all'impossibile mentre si precipitava in suo soccorso.
13 Sarah si considerava un'ottima velocista nonostante i suoi ventinove anni. Conservava ancora, e con grande orgoglio, la medaglia che aveva vinto per i quattrocento metri all'ultimo anno di liceo. Si esercitava ancora spesso, su e giù per le ripide strade di san Francisco. Considerato tutto ciò, era stata più che sicura di distanziare senza alcuno sforzo quell'impacciata massa di muscoli di nome Bruno. Si era sbagliata. Il tizio non si arrendeva. Apparentemente il desiderio di rivedere la sua Estella gli aveva messo le ali ai piedi. Infine Sarah decise che tutta quella fatica da parte sua non era assolutamente giustificata. Gli avrebbe dato il sospirato indirizzo, tanto a lei non poteva interessare meno. Ma, nello stesso istante in cui lei rallentò il passo, Bruno accelerò. Si abbatté su di lei con tutto il suo peso e a una velocità per niente trascurabile. Sarah vacillò solo un secondo prima di finire lungo distesa sul prato perfettamente curato dei giardini del palazzo reale del Montebello. Non riuscì a distinguere con molta chiarezza gli eventi che si susseguirono nei successivi secondi. Sentì molte grida al di sopra di lei, ma poiché erano in italiano non ne capì il significato, e un gran trambusto di piedi e borbottii, conclusi da un'imprecazione che questa volta capì alla perfezione. Poi, mentre cercava di rimettersi in piedi, riconobbe il tipico calpestio di chi si allontana in tutta fretta e si ritrovò sospesa in aria, al sicuro fra le braccia di Nick Chiara. Non le piaceva essere protetta né trattata con accondiscendenza, semplicemente tutto quello non era accettabile nella sua famiglia dove, se Lyn StoneMary – McBride
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cadevi, dovevi fare in modo di rialzarti al più presto e riprendere il cammino. Quindi, come risultato della sua educazione, il suo primo istinto fu quello di respingere quel torace solido come la pietra contro il quale era premuta. Però, pensandoci bene... C'era qualcosa di davvero inebriante nell'odore della sua pelle, e di elettrizzante nel suo respiro caldo che le sfiorava il viso. Per non parlare poi dell'unica, eccitante sensazione che si provava a essere fra le braccia di un uomo così bello. Per un solo, meraviglioso secondo, Sarah permise a se stessa di perdersi in tutto quello, non solo, ma di desiderare di più, molto di più. «Tesoro» sussurrò Nick, le labbra che le sfioravano la fronte. «Stai bene?» «Mmh.» «Stai bene?» chiese lui per la seconda volta. «Mmh.» Mugolava, dunque stava per fare di nuovo la figura dell'idiota, si rese conto Sarah, come le era già successo in occasione dell'unico bacio che si erano scambiati. «Probabilmente dovresti mettermi giù, Nick.» Lui la guardò, un'espressione sul viso triste e adorabile, come quella che avrebbe avuto un bambino venendo a sapere che il Natale era stato cancellato dal calendario. Come quella di un cavaliere in una scintillante armatura che avesse appena scoperto di aver salvato dal pericolo la dama sbagliata. E, sul filo di quel ragionamento, a Sarah venne in mente che sir Dominic Chiara era davvero un cavaliere, tutto d'oro ventiquattro carati. Un pensiero che le strappò un sorriso. «Coraggio, mettimi giù» lo esortò. «Sei certa di star bene?» «Certa.» Nick non la lasciò andare. «Cosa c'è di così divertente?» domandò scuotendo la testa. «E chi era quel maniaco che ti inseguiva?» «Lui è Bruno e...» Sarah non concluse la frase. Il sorriso le sparì repentinamente dalle labbra quando ricordò perché stava cercando di raggiungere il cottage così di fretta. «Mettimi giù» disse ancora una volta ma con maggiore decisione. «Ho qualcosa di molto importante da dirti.» «Tu credi a quello che ha raccontato quel tizio? Bruno?» chiese Nick, intento a versare un dito di cognac in un bicchiere. Forse non era un bene Lyn StoneMary – McBride
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bere alcolici di mattina, ma lui non era di turno in ospedale e non capitava tutti i giorni di scoprire che il proprio figlio era stato testimone di un omicidio. «Sì, gli credo» confermò Sarah. Era raggomitolata sul divano del salotto, le gambe ripiegate sotto di sé. «Non aveva alcun motivo per mentire, anzi, confidarmi la verità poteva solo causargli un mucchio di guai. Non solo con Estella e con suo padre, ma con la polizia. Nel suo stesso interesse, avrebbe dovuto tacere.» Sorseggiando il liquore, Nick prese posto accanto a lei. Annuì, ma l'espressione del suo viso lasciava intendere che non fosse ancora completamente convinto dalla storia riportata da Bruno. «Perché sei così scettico?» volle sapere lei, interpretando correttamente il suo silenzio. «In primo luogo, ho qualche difficoltà nell'immaginare Desmond Caruso che dedica parte del suo tempo a un bambino» spiegò Nick, «cioè a chi non avrebbe potuto offrirgli benefici sociali ed economici. Quell'uomo era un vero sfruttatore, un arrivista avido e senza scrupoli.» «Leo però è un ragazzino adorabile» gli ricordò Sarah. «E forse anche Desmond aveva un briciolo di umanità nascosta in un recesso del suo cuore.» Nick scrollò le spalle. «Ma se è tutto vero, cosa faremo?» chiese. «Intendo, come faremo a convincere Leo a parlare di nuovo.» «Non ne sono ancora certa. Tutto è iniziato quando Estella ha ordinato a Leo di non parlare dunque, se ora lei gli dicesse che può farlo, tutto si risolverebbe come per magia» affermò Sarah. Nick sospirò. «Vorrei davvero che fosse così facile.» «Quando torna da Parigi? Domani?» «Nel pomeriggio» precisò Nick. «In effetti, devo telefonare ai DavisFinch per sapere a che ora arriveranno.» «Quindi abbiamo ancora a disposizione ventiquattro ore per elaborare un piano. Che avrà successo, Nick, devi aver fiducia. I motivi del silenzio di tuo figlio non sono più un mistero, sono sicura che la situazione si risolverà immediatamente. Il che mi fa pensare che dovrei contattare la cara signorina Strezzi per chiederle di organizzare il mio ritorno a casa.» Mentre Nick era in cucina per telefonare ai suoceri, Sarah rimase sul divano, mordicchiandosi l'unghia di un dito con fare assente. La sola idea Lyn StoneMary – McBride
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di tornare a San Francisco la deprimeva, il che era strano considerando che lei non sarebbe mai andata a Montebello se suo padre non l'avesse costretta. Non era un bene, non lo era affatto. Lei non cambiava mai idea così all'improvviso. Era una persona affidabile e stabile, almeno lo era sempre stata. Ora, all'improvviso, le sembrava di avere una tempesta che vorticava nella testa. Tornare a San Francisco significava rivedere la sua famiglia e i pazienti che l'aspettavano in clinica, la qual cosa le faceva piacere, ma anche rivedere Warren Dill. Significava iniziare a organizzare il matrimonio. Peggio, significava sposarlo, prima o poi. Tornare a San Francisco significava che lei non sarebbe stata più a Montebello per seguire Leo nella terapia a cui il bambino sicuramente doveva essere sottoposto. Non ne aveva ancora parlato con Nick, ma identificare le cause del suo silenzio era solo l'inizio. Sarebbe stato necessario un lavoro attento e accurato per verificare se e in che modo il trauma avesse alterato il suo equilibrio psicologico. E poi c'era Nick. Sentiva la sua voce provenire dalla cucina, una voce che le era diventata straordinariamente familiare e molto cara. Il suo inglese era privo di accento, ma conservava una inflessione italiana sensuale e affascinante. Adorava ascoltarlo. Strano, ma in quel momento non le riuscì possibile ricordare la voce di Warren. Ovviamente, non avrebbe sposato Warren a causa della sua voce e nemmeno perché era follemente innamorata di lui. Lo avrebbe sposato proprio perché non era follemente innamorata di lui. Era quello il progetto che aveva deciso di perseguire, e onestamente era piuttosto fiera di se stessa per aver scelto il suo compagno di vita con la testa, e non con il cuore. Lo stesso cuore che iniziò a battere all'impazzata quando Nick fece ritorno in salone, muovendosi con quella grazia felina che le rendeva impossibile staccargli gli occhi di dosso. Aveva in mano il telefono senza fili. «È il re» affermò. «Vuole parlare con te.» «Con me?» ripeté Sarah. Una parte di lei fu tentata di inchinarsi davanti al telefono, l'altra di liquidare Sua Grazia senza tanti preamboli, dopo avergli spiegato che al momento era occupata in altro. Lyn StoneMary – McBride
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Fortunatamente, le buone maniere ebbero la meglio sull'istinto, e altrettanto fortunatamente la comunicazione del re fu breve e succinta. «Ho parlato con tuo padre, gli ho detto che stai bene» esordì Marcus. «Ora non voglio trattenerti, Sarah. Se hai bisogno di qualcosa, contatta Albert, il mio segretario personale. La signorina Strezzi non lavora più per noi. Pare che abbia perso la medaglia di Nick, ma non sono al corrente dei dettagli.» Bene, pensò Sarah sorridendo. La cara Sophia era stata liquidata. Dopo aver interrotto la comunicazione, guardò Nick. Se non fosse stato così bello, e se i suoi occhi neri non avessero luccicato tanto quando si posavano su di lei... E se la sua bocca non fosse stata così sensuale... Se fosse stato stupido e insensibile, e se non l'avesse presa fra le braccia, facendola sentire veramente al sicuro per la prima volta nella sua vita... Perché lei sapeva che quella sensazione era una mera illusione. Aveva visto suo fratello distrutto dal dolore quando un destino crudele gli aveva sottratto tutto, amore, famiglia, sicurezza. La stessa cosa era successa a Nick quando sua moglie era morta. Sarah aveva giurato a se stessa che invece lei non avrebbe mai vissuto un'esperienza simile. Mai. Semplicemente non ne valeva la pena. Solo che adesso... «Leo partirà senza i nonni» annunciò Nick, prendendo posto accanto a lei. «Roger è stato convocato d'urgenza a Londra per una conferenza.» «Leo viaggerà da solo? Ti sembra opportuno?» replicò Sarah. «Ovviamente mi sono offerto di andare a prenderlo, ma Edith mi ha spiegato che hanno assunto una delle cameriere dell'albergo per accompagnarlo. Sembra che lei e Leo abbiano fatto amicizia, e poi si tratta di un volo breve. Sarà qui domani pomeriggio, alle due.» «Vorrei venire con te in aeroporto, non solo per salutare Leo, ma anche per comprare il mio biglietto di ritorno» disse Sarah. «È inutile incaricare il segretario del re di questo quando posso farlo io.» Era certa di aver parlato con tono noncurante, ma il pensiero di lasciare Montebello le dava una sensazione di malessere. No, era il pensiero di lasciare Nick che la faceva star male. Nick tese una mano per sfiorarle una gota. «Tesoro, che succede? Sembri così triste.» «È tutto a posto, davvero.» Sarah si alzò, ansiosa di mettere distanza fra lei e la tentazione, e allo stesso tempo non desiderando altro se non Lyn StoneMary – McBride
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raggomitolarsi sulle ginocchia di Nick, e fare le fusa come un gattino, e pregarlo di non lasciarla andare via. Ma prima che riuscisse a muovere anche un solo passo, anche Nick si alzò e mosse un passo verso di lei. «Non farlo» mormorò lei. «Cosa non devo fare? Questo?» Lentamente Nick lasciò scorrere una mano lungo il suo braccio, fino ad accarezzarle la gola. «O questo?» Alzò l'altro braccio per cingerle la vita e attirarla a sé. Sarah era certa che la temperatura nella stanza, e quella del suo corpo, si fosse alzata all'improvviso di qualche grado. La testa le girava, la vicinanza fra di loro la inebriava. «O questo?» Nick le sfiorò l'angolo della bocca con le labbra. «O questo?» chiese ancora, prima di baciarla con passione. Ogni difesa di Sarah venne meno. E poiché la sua mente sembrava non avere più alcun controllo, il cuore prese il sopravvento. Schiuse le labbra per accettare il bacio di Nick, mentre tutto il resto di lei si arrendeva. All'improvviso, si sentiva pronta a correre ogni rischio. Pronta ad affidarsi a Nick, e a credere che lui sarebbe sempre stato al suo fianco. Senza interrompere il bacio, Nick l'abbracciò e la strinse con la forza di chi si aggrappava a ciò che avesse più caro nella vita.
14 «Sarah... Mia dolcissima Sarah.» Con un gesto languido, Nick le accarezzò il fianco nudo. Avevano fatto l'amore poi, con un sospiro soddisfatto, lei si era rannicchiata fra le sua braccia. «La prossima volta, tesoro mio, penseremo alla durata piuttosto che all'intensità.» Sarah sospirò di nuovo. «L'intensità non è da scartare» mormorò. Nick non sapeva se doveva incolpare Sarah, oppure i cinque anni di celibato, o una combinazione di entrambi i fattori, ma era certo di non aver mai provato un piacere così intenso in tutta la sua vita, che si era diffuso in ogni cellula del suo corpo, lasciandolo temporaneamente cieco e sordo e Lyn StoneMary – McBride
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assolutamente esausto. «Hai detto qualcosa in italiano, Nick. Cosa significava?» Lo aveva fatto? Non lo ricordava. «Forse imploravo pietà» scherzò lui. Era un uomo di esperienza, ma non aveva mai incontrato una donna capace di tenergli testa come aveva appena fatto Sarah. Nessuna donna si era adattata così perfettamente a lui, e nessuna era riuscita a spingerlo verso la follia come lei. Sarah gli prese la mano. «Speravo che fra noi due fosse bello, e ammetto che speravo anche di sbagliarmi» disse, poi rise piano. «Speravo che tu avessi cicatrici orribili sparse sul corpo, e brutti peli neri sulla schiena, e un piccolo, insignificante...» «Mi dispiace di averti delusa» la interruppe lui sorridendo. Sarah alzò la testa per guardarlo. Aveva le gote arrossate e gli occhi che risplendevano, e un sorriso gioioso le incurvava le labbra mentre tendeva una mano verso di lui. «Deludimi di nuovo, Nick» mormorò. «Adesso.» Saltarono pranzo e cena e infine, verso le otto di quella sera, con riluttanza si alzarono dal letto per fare una doccia, insieme, ovviamente. Uscirono dal bagno solo un'ora dopo e, avvolti negli accappatoi, andarono in cucina in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti. «Stai per scoprire, sir Dominic, che non solo sono fantastica a letto, ma che preparo i migliori sandwich al formaggio sulla piazza» affermò Sarah, intenta a cercare nel frigo quanto le serviva. Era sorprendente, ma anche dopo la lunga maratona di sesso, si sentiva viva e vibrante di energia. E il merito non era solo del rapporto fisico. Lei e Nick avevano fatto l'amore, ma avevano dedicato altrettanto tempo alla discussione. Avevano parlato di tutto e di tutti, come due bambini che condividevano i loro segreti. Come due naufraghi su una scialuppa di salvataggio avrebbero condiviso sogni e speranze. Leo era stato uno degli argomenti principali, e poi lady Satherwaite, e i genitori di Sarah, i loro piatti preferiti, le peggiori paure, gli incubi ricorrenti, il tutto condito da risate e abbracci. Ora, mentre imburrava le fette di pane e Nick riempiva due bicchieri di succo d'arancia, Sarah si sentiva così felice da aver voglia di ballare. «È una follia» rifletté ad alta voce. «Le persone non si innamorano e non prendono decisioni fondamentali per la loro vita nel giro di qualche ora, giusto?» Lyn StoneMary – McBride
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«Evidentemente è così, tesoro» sottolineò lui. Le porse un bicchiere e alzò il suo per invitarla a un brindisi. «Se questo non è amore, allora non so cos'altro potrebbe essere.» «Io invece credo che dovremmo rallentare» obiettò Sarah. «E tu?» Bevve un sorso di aranciata, consapevole che la risposta che avrebbe voluto ascoltare era un no. Ma poiché Nick si limitò a tacere, provò di nuovo. «Che ne pensi, Nick? Forse stiamo correndo un po' troppo. Forse... Oh, non so che dire! Dovremmo far funzionare la testa in questa situazione. Forse io dovrei tornare a casa per qualche settimana in modo da verificare se con la lontananza i nostri sentimenti cambieranno. Sì, questa sarebbe la cosa più ragionevole da fare, non sei d'accordo?» «I miei sentimenti non cambieranno mai» replicò infine lui. Prese posto su una sedia accanto al tavolo e la guardò. «Non domani, non fra un anno, mai» ribadì. «Sì, ma...» «Io ti voglio, Sarah» la interruppe Nick. «Nel mio letto, nella mia vita e nel mio cuore.» «Sì, ma...» «Perché hai tanta paura di amarmi?» «Non ho paura» borbottò lei. Una bugia, e anche grossa. E ormai conosceva sir Dominic abbastanza per sapere che considerava la mancanza di sincerità come il peggiore dei tradimenti. Stava cercando di essere paziente con lei, di comprendere i suoi sentimenti, eppure anche Nick aveva paura, paura di perderla per sempre, lo leggeva nei suoi occhi. Solo in quel momento Sarah capì di avere il potere di ferirlo. Lo sapeva anche Nick, ciò nonostante era disposto a correre il rischio, ad affidarle il suo cuore e ad avere fiducia. Sentì distintamente risuonarle nella testa il rumore prodotto dal crollo delle sue ultime difese emotive. Ma, invece di provare sgomento e un senso di impotenza, provò amore e una incontrollabile gioia. Nonostante il nodo di commozione che le stringeva la gola, cercò di parlare con chiarezza e senza esitazioni. «Avevo paura di mettere a rischio il mio cuore» spiegò. «Avevo paura di condannarmi a una inevitabile sofferenza. Ma non più, no, adesso non più.» Detto ciò si gettò fra le sue braccia. «Ti amo, Dominic Chiara» mormorò. «Ti amo, ti amo, ti amo...»
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Ovviamente non chiusero occhio quella notte, infatti a lady Satherwaite bastò dar loro un'occhiata, quando si fermarono in ospedale prima di andare a prendere Leo in aeroporto, per farle borbottare qualcosa a proposito della saggezza della moderazione. «Lo sai che è tutta colpa tua» scherzò Nick. «Sciocchezze» lo redarguì Honoria. «Posso suggerire una discreta cerimonia nuziale in terrazza? Sarah, tesoro, devi avvertire subito i tuoi genitori. Mi piacerebbe organizzare tutto prima di novembre, in modo che il tempo sia ancora bello.» «Prima di fare progetti, dobbiamo risolvere il problema di Leo. Abbiamo notizie a riguardo» annunciò Sarah. «Delle notizie splendide, lady Satherwaite.» Honoria raddrizzò la schiena, l'espressione del viso repentinamente seria. «Ha ripreso a parlare» mormorò. «Oh, per favore, ditemi che ha ripreso a parlare!» «Non ancora.» Sarah si accomodò su un angolo del letto. «Ma lo farà presto. Ieri abbiamo scoperto che Estella si assentava dal cottage per incontrare il suo fidanzato.» Mentre Sarah continuava con il suo racconto, Nick prese posto sulla poltrona accanto alla finestra, limitandosi ad ascoltare la voce delle due donne che amava tanto. E a riflettere. Non aveva mai conosciuto una persona onesta come Sarah, e di quella onestà lei gliene stava dando prove continue. Prima di fare l'amore, era quasi saltata giù dal letto. «C'è qualcosa che devi sapere Nick» aveva proclamato. «Io dovevo sposare un tizio che si chiama Warren Dill. Ho rotto il nostro fidanzamento, però lui ancora non lo sa.» La prima cosa che aveva fatto quella mattina, in verità, la seconda, era stato telefonare a Warren per dargli la brutta notizia. Poi, dopo una conversazione troppo breve, era scoppiata a ridere. «Cosa c'è di così divertente?» le aveva chiesto. «Warren, Warren è divertente. Non saprei dire se è rimasto sconvolto o meno, l'unica cosa che ha ripetuto è di riflettere bene sulla mia decisione, soprattutto considerando le tasse esorbitanti che devono pagare i residenti di Montebello.» «Noi abiteremo ovunque tu vorrai, Sarah» aveva replicato lui. «Qui o a San Francisco. Ovunque.» «A me non importa dove, basta che io sia con te. Con te e con Leo» Lyn StoneMary – McBride
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aveva precisato Sarah, poi il suo viso si era illuminato. «Oh, pensa, Nick! Sarò madre!» Abbandonato il filo dei ricordi, Nick guardò l'orologio. Era quasi ora di andare all'aeroporto per dare la buona notizia a Leo. Uno dei vantaggi che avrebbe avuto vivendo a Montebello, pensò Sarah mentre seguiva Nick attraverso il varco riservato ai reali, era che non avrebbe mai più dovuto fare la fila ai banchi dell'aeroporto. Non era male essere vicini alla famiglia regnante, ma essere vicina al suo splendido cavaliere era la cosa più bella del mondo, decise. «È in orario» disse Nick, dopo aver dato uno sguardo al cartellone degli arrivi. Sarah gli appoggiò una mano sul braccio e non replicò. Questa volta, quando si sarebbe trovata di fronte a Leo, non avrebbe visto un suo piccolo paziente, ma il ragazzino che presto sarebbe diventato suo figlio. Però, anche se Nick era ansioso di dirgli tutto, lei riteneva che fosse necessario procedere con la dovuta cautela. «Nick, aspettiamo prima di parlargli del nostro matrimonio» affermò. «Rimandiamo fin quando Leo avrà ripreso a parlare. Credo sia la decisione più giusta, e ti prego di fidarti della mia opinione.» «Se lo dici tu» confermò lui, per quanto il tono della sua voce non fosse affatto convinto. «Eccolo» aggiunse dopo qualche minuto, quando il bambino apparve in fondo al corridoio. Leo si avviò di corsa verso di loro ma, fatti pochi passi, si fermò, gli occhi sgranati per la paura. «Oh, Nick... Sta succedendo qualcosa!» esclamò Sarah. «È lei!» urlò Leo puntando un dito. «È lei, io l'ho vista! È lei la signora cattiva che ha fatto del male al mio amico!»
15 Nick si voltò nella direzione che suo figlio stava indicando appena in tempo per vedere una donna sparire nella folla dei passeggeri. Riuscì a cogliere pochi particolari di lei, capelli biondi e ondulati, un Lyn StoneMary – McBride
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fisico alto e snello, e un viso che dimostrava più di trent'anni. Per quanto fosse ansioso di abbracciare Leo, il suo senso del dovere gli imponeva di fermare la sospetta, e poiché suo figlio era al sicuro con Sarah, senza indugiare oltre, Nick si lanciò all'inseguimento della donna. La testa bionda appariva e spariva nella marea di passeggeri. Temendo di non riuscire a raggiungerla, Nick avvicinò uno degli addetti alla sorveglianza e con poche, affrettate parole, gli spiegò la situazione. Pochi istanti dopo, dall'altoparlante fu diffusa una descrizione della donna. Come per magia, decine di uomini in uniforme apparvero nel terminal. Convinto di aver fatto tutto il possibile, Nick tornò sui suoi passi. Sarah era inginocchiata accanto a Leo, e gli accarezzava dolcemente i capelli. «Stai tranquillo, tesoro, sei al sicuro» lo rassicurò. «Adesso quella donna non potrà più farti del male.» Leo alzò lo sguardo. «Papà!» Nick lo sollevò fra le braccia, e gli sembrava di non poterlo stringere abbastanza, o baciarlo abbastanza, o dirgli con abbastanza determinazione che era amato e protetto da ogni pericolo. «Ti voglio bene, tesoro, ti voglio tanto bene» mormorò. «Papà non permetterà che ti accada qualcosa.» «La donna che lo ha accompagnato qui ripartirà subito» gli comunicò Sarah. «Portiamo Leo a casa, adesso. È inutile restare qui.» In auto, seduto sulle gambe di Sarah, Leo pianse ancora un poco, ma non fu difficile distrarlo. «Raccontami di Disneyland» lo esortò lei, e il piccolo non esitò a lanciarsi in un lungo monologo su Topolino e Pippo e su tutte le altre meraviglie che aveva incontrato nel suo viaggio. «Avevo quasi dimenticato il suono della sua voce» commentò Nick, «o la ricchezza del suo vocabolario.» «Veramente Minnie mi è piaciuta più di tutto. E anche tu, Sarah, mi piaci tanto» affermò Leo. «Anche tu piaci molto a me» replicò lei. «Sarai sempre la mia babysitter?» «Sì, tesoro» lo rassicurò lei. Quando giunsero al cottage, ormai Leo era piombato in un sonno profondo. Lo portarono nella sua camera e lo misero a letto. Per prima cosa, tornati in salotto, Nick telefonò alla polizia per avere Lyn StoneMary – McBride
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degli aggiornamenti. L'ufficiale che gli rispose lo convocò immediatamente alla stazione al fine di rilasciare una descrizione abbastanza dettagliata della donna bionda. Approfittando della sua assenza, Sarah chiamò lady Satherwaite per spiegarle l'accaduto. «È la migliore notizia che potevi darmi» replicò Honoria. «Non vedo l'ora di riabbracciare il mio bambino. Per favore, Sarah, quando Nick avrà finito con la polizia, vuoi dirgli di passare in ospedale per firmare la mia dimissione?» «Lo farò senz'altro. Sarà bello essere di nuovo tutti insieme a casa.» «Infatti, stavo pensando proprio a questo. Non mi hai detto che tuo padre possiede una casa a nord di San Sebastian?» «Sì, una villa circondata da un giardino enorme» confermò Sarah. «Ma non è fantastico? Devi telefonare subito ai tuoi genitori e dir loro che sarebbe davvero il regalo perfetto per te e per Nicky» affermò Honoria. «Poi, ovviamente, dobbiamo prendere appuntamento con Emilio Mira, l'architetto che ha ristrutturato parte della reggia. È bravissimo anche se è un po' sordo. Vedrai, mia cara, ci divertiremo un mondo!» Sarah, per nulla entusiasta alla prospettiva di avere a che fare con architetti e squadre di muratori, si limitò a sospirare e ad ascoltare lady Satherwaite. Era ancora al telefono quando Nick rincasò. «Con chi parli?» le chiese. Sarah non rispose. Allontanò il ricevitore dall'orecchio in modo che la voce eccitata di Honoria risuonò nella stanza. «Adesso so da chi ha preso Leo» commentò. Nick si impadronì del telefono. «Ciao, tesoro mio... No, non manderò un'auto a prenderti, verrò io stesso domani... Perché domani? Perché ora Leo sta dormendo e io sto per portare Sarah a letto, ecco perché.» Un sorriso malizioso gli incurvò le labbra. «Sì, sapevo che avresti capito. A domani, mia cara.» Interruppe la comunicazione e appoggiò il telefono sul tavolo. «Leo dorme?» si informò. «Come un ghiro» confermò Sarah. «È stata una lunga giornata» sospirò Nick, prendendola fra le braccia. «Cosa è successo alla stazione di polizia?» si informò lei. «Abbiamo fatto l'identikit della donna che Leo ci ha indicato in Lyn StoneMary – McBride
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aeroporto. Un investigatore l'ha mostrato immediatamente al re e il principe Lucas crede di aver riconosciuto qualcuno di familiare. Vogliono che Leo veda il disegno, ma dovranno aspettare domani.» «Io sarò presente, ovviamente. Farò in modo che nessuno gli dica cose che potrebbero intimorirlo» affermò Sarah. «Ma tu devi stare tranquillo» aggiunse, interpretando correttamente l'espressione turbata che era apparsa sul viso di Nick. «Tuo figlio è così giovane, probabilmente fra pochi anni non ricorderà più nulla di questa brutta avventura. E anche in caso contrario, io gli starò sempre accanto, pronta per aiutarlo a gestire le sue emozioni. A proposito, tua zia ha già deciso che noi tre andremo a vivere nella villa che mio padre ha acquistato a nord della città, in previsione di trasferirsi lì dopo il pensionamento.» «Ti dispiacerà vivere sotto lo stesso tetto di una zingara fin quando la casa sarà pronta?» Sarah sorrise e scosse la testa. «Non più di quanto mi dispiacerà vivere sotto lo stesso tetto del figlio di un pirata.» «Hai detto che Leo sta dormendo?» «Sì» confermò lei. «E tu hai detto qualcosa a proposito di portarmi a letto?» «È quello che sto per fare, amore mio.» FINE
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