JOHN DICKSON CARR I FANTASMI DELLA CASA MALEDETTA (Papa Là-Bas, 1968) Parte prima Il crepuscolo 1 Aveva avvertito una ce...
32 downloads
974 Views
810KB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
JOHN DICKSON CARR I FANTASMI DELLA CASA MALEDETTA (Papa Là-Bas, 1968) Parte prima Il crepuscolo 1 Aveva avvertito una certa inquietudine per parecchi giorni, prima che effettivamente avvenisse qualcosa. E poi, verso il crepuscolo di un pigro mercoledì quattordici aprile, mentre New Orleans sonnecchiava tra le paludi fiancheggianti il Padre delle Acque... Canal Street partiva dall'argine e andava verso nord. Straordinariamente larga, pareva un'edizione più indaffarata degli Champs Elysées e divideva il quartiere creolo della atta, a est, da quello anglosassone o americano a ovest. La casa al numero 33 di Carondelet Street stava dalla parte americana ed era circondata da negozi, banche e uffici di amministrazione (era una zona di affari molto prospera); ma nell'aspetto somigliava a una di quelle case francesi o spagnole che si trovavano nel Vieux Carré a est di Canal Street. Era di mattoni e legno scuro di cipresso, stuccata per combattere l'umidità subtropicale. Attraverso il muro di cinta verso strada, la porte cochère e un passaggio coperto conducevano a un cortile o patio fragrante di piante e fiori, con una fontana circolare nel mezzo. Una terrazza dalla ringhiera di ferro battuto correva su due lati della casa. Al numero 33 di Carondelet Street viveva e lavorava il signor Richard Macrae, console di Sua Maestà Britannica a New Orleans. Quella sera, il signor Macrae sedeva accanto alla fontana nel patio, fumando un sigaro e rimuginando le sue preoccupazioni. La domenica di Pasqua, in quell'anno 1858, era caduta l'undici aprile, tre giorni prima. Il carnevale era passato; il grande caldo non era ancora venuto, col suo solito accompagnamento di febbre gialla o di colera. Anche la stagione delle feste era finita. Le ricche famiglie creole di Esplanade Avenue, come quelle anglosassoni del Garden District, parlavano della prossima partenza per White Sulphur Springs, o perfino Newport o Saratoga. Ma ci sarebbero volute ancora parecchie settimane prima che partissero: ancora non si vedevano neanche le prime zanzare.
La fontana nel patio non era in funzione. Dalla parte di St. Charles Avenue con i suoi teatri, i suoi bar, i suoi ristoranti e i suoi locali notturni, venivano rumori di carrozze e di voci. New Orleans, città di spassi e di fantasmi, non era mai più tranquilla di così, a qualsiasi ora. Dick Macrae scrollò la cenere dal sigaro e si raddrizzò sulla sedia. «Non c'è nulla che non vada!» affermò a voce alta. «Non ci può essere nulla!» Parlare a se stessi viene comunemente ritenuto indizio che uno è un po' picchiato. Sciocchezze: è invece semplicemente indizio che è troppo solo. Se talvolta capitava a Dick Macrae di sentirsi solo, lui continuava a ripetersi che preferiva così. Perché avrebbe potuto avere tutta la compagnia che voleva. Scapolo, trentasettenne, di tendenze erudite, lavoratore coscienzioso ma non pignolo, si era adattato molto bene alla vita della città. Alcuni dei cittadini più in vista, uomini di solida cultura e vasti interessi come il giudice Rutherford, il signor Slidell, Jules de Sancerre e il senatore Benjamin, erano suoi buoni amici. Con Tom Clayton, figlio di un ex ambasciatore americano in Gran Bretagna, era in rapporti d'intimità. E adesso? Benché i suoi doveri d'ufficio fossero tutt'altro che impegnativi o onerosi, il nuovo ministro degli Esteri gli stava mandando un viceconsole. In Inghilterra si era insediato il nuovo governo conservatore di lord Derby. La nomina del giovane Harry Ludlow come viceconsole a New Orleans era stata una mossa politica per ingraziarsi la sua influente famiglia. Harry Ludlow era arrivato in America; Dick Macrae riceveva regolarmente sue lettere ormai da un mese. Dopo essere sbarcato a New York alla metà di marzo, Harry aveva visitato Boston, Filadelfia e Washington, prima di prendere il treno per St. Louis. Un telegramma spedito da Baton Rouge quel pomeriggio aveva informato Macrae che il suo nuovo assistente stava scendendo il fiume a bordo del battello a vapore "Governor Roman". SI PROCEDE LENTAMENTE (concludeva il telegramma), QUESTA CAFFETTIERA COGLIE TUTTE LE OCCASIONI PER FARE FERMATE. IL PILOTA DICE CHE ARRIVEREMO A NEW ORLEANS ALLE NOVE ANTIMERIDIANE CIRCA DI DOMANI GIOVEDÌ. SALUTI.
Dick Macrae cenava a casa molto raramente, ma quella sera lo aveva fatto. Una coppia di mulatti liberi di mezza età, Sam e Tibby Glapion, si prendeva cura di lui; e il loro figlio dodicenne, Rob, faceva servizi e recapitava le lettere da consegnare a mano. Sistemato così comodamente, il console non aveva bisogno d'altro, a eccezione di libri, di uno scrittoio ben fornito, di qualche cavalcata e qualche partita di caccia nel bayou intorno al lago Pontchartrain. Aveva tutto ciò che poteva rendergli la vita piacevole, e allora, cos'era che lo inquietava? Nulla di cui potesse parlare in pubblico; anzi, nulla che potesse analizzare o definire nemmeno con se stesso. Tuttavia, qualcosa c'era. Una maledetta sensazione di venire costantemente seguito e spiato, specialmente di notte, da qualche presenza aliena e maligna: quasi sempre vicina, in agguato, eppure perpetuamente invisibile quando lui si voltava ad affrontarla! Quella consapevolezza di essere seguito non era recente: era cominciata durante la Quaresima, subito dopo che il mercoledì delle Ceneri aveva posto fine ai divertimenti del carnevale. In genere lo assaliva fuori, benché una o due volte l'avesse provata perfino in casa. La presenza estranea sembrava stargli alle calcagna o spiarlo dai portoni, abbastanza vicina da poterla toccare. Talvolta la sensazione svaniva per qualche ora, ma poi tornava, più opprimente che mai. Era pura immaginazione, o la proiezione di qualche sua occulta paura? Era qualcosa di reale come la banquette sulla quale camminava, opera forse di un nemico? Ma accidenti, quale nemico? Lui non aveva nemici o, almeno, non sapeva e non aveva mai saputo di averne Ma l'inquietudine non lo abbandonava quasi mai; un continua irritazione per i nervi, praticamente un'os sessione, che gli cancellava dalla mente perfino il ricordo di quell'unico breve, felice e frustrante incontro di carnevale con una ragazza che probabilmente non avrebbe rivisto mai più. Quella presenza invisibile, che lo spiava di continuo... E adesso, che era quel rumore? Una luce gialla, proveniente da due finestre e da una porta a vetri che dava sulla balconata del primo piano, illuminò il patio. Il rumore non era stato prodótto da qualcosa di estraneo: era soltanto Sam, il suo cameriere, che stava "accendendo i lumi a gas. Allungando il collo, Macrae ne vide la figura profilarsi contro i vetri, mentre l'uomo usciva nel corridoio vicino al pianerottolo della scala esterna. In quel momento si udì un rumore di zoccoli nella quiete di Carondelet
Street. Il cancello di ferro del numero 33 non era mai chiuso. Sotto il passaggio coperto arrivò al trotto una piccola carrozza chiusa, nera con le ruote rosse, tirata da una nervosa puledra nera. A cassetta, in cappello a cilindro e livrea, sedeva zio Cicero, l'imponente cocchiere di Jules de Sancerre. Con grande dignità zio Cicero scese per aprire lo sportello. L'unico passeggero, una donna, scese muovendosi con grazia disinvolta. La luce che veniva da sopra fece scintillare i lucidi capelli neri che le incorniciavano il viso. Portava un abito viola pallido, con maniche a campana, crinolina immensa e lo scialle triangolare alla moda dell'imperatrice Eugenia. Gli uomini si chiedevano, a volte usando un linguaggio piuttosto profano, come diavolo facessero le donne a far passare quelle gonne mostruose in qualunque apertura che non fosse larga come una porta carraia. Dick Macrae era scapolo, ma non era né inesperto né puritano, e non se ne meravigliava affatto. Da molti anni ormai le crinoline non erano più gonfiate da una mezza dozzina di sottovesti imbottite di crine: ora si libravano su un'armatura elastica, e tanto pieghevole da poterla comprimere in spazi molto più ristretti di quella minuscola carrozza. Macrae gettò via il sigaro, lo spense col piede e si alzò. Snello e muscoloso, era una bella figura d'uomo nella sua redingote azzurro cupo e calzoni grigi. Si chinò sulla mano che la visitatrice gli porgeva. «Servo suo, Madame de Sancerre!» disse. Isabelle de Sancerre aveva passato i quarant'anni ed era madre di una bellezza famosa; lei stessa era stata bellissima, lo era ancora. La luce metteva in risalto la sua carnagione perfetta e gli occhi luminosi color ambra, frangiati da lunghe ciglia nere. Al contrario di quello che facevano abitualmente le signore creole, lei non affettava di non sapere l'inglese e non lo parlava , storpiandolo. Le uniche caratteristiche tipicamente creole in lei erano la voce dolce e le maniere contegnose. Ma in quel momento era quasi senza respiro per qualche forte emozione; e gli occhi ambrati erano incupiti dall'angoscia. «Vuole perdonarmi questa intrusione, signor Macrae?» «Lei non potrebbe mai essere un'intrusa, Madame de Sancerre.» «Oh, signore, si crederebbe che lo dica sul serio!» «Ma lo dico sul serio, e credo che lei lo sappia.» Isabelle de Sancerre gli rivolse uno sguardo acuto. «In un certo senso» riprese «non ho esitato affatto a farle una visita improvvisa a quest'ora. Sono un'anziana donna sposata, di ottima reputazione, e non rischio di dare scandalo. Ma in un altro senso, ahimè, temo di
aver esitato anche troppo. Dopo tutto...» «Sì, signora?» «Oh, voi inglesi!» Era molto vicina a fare il broncio. «Così freddi! Così formali! Così riservati!» «Signora, ha mai avuto occasione di giudicarmi troppo formale o riservato?» «Ma... no. E il motivo che mi. ha spinto qui è giusto, immediato e urgente. E lei è tanto amico di Tom Clayton! Però questa non è una visita di cortesia, signor Macrae. Anzi, si potrebbe dire che io sia qui per affari.» «Sarei davvero spiacente, mi creda, di sciupare il tempo che vuole concedermi parlando di affari. Pure, se lo desidera...» Macrae alzò la voce. «Sam!» «Sì, padrone Richard?» «Per il momento lascia stare le stanze al piano di sopra. Accendi invece i lumi nel mio ufficio.» «Sì, signore!» Il suo ufficio era abbastanza grande, benché piuttosto umido, e aveva l'aspetto severo e disadorno di tutti gli uffici consolari. Sul caminetto era appeso un ritratto della regina Vittoria. Due finestre davano sul patio. Il mobilio era costituito da una scrivania con sedia, una poltrona imbottita e (per visitatori di poca importanza) una sedia dallo schienale rigido. Sam aveva acceso un lume schermato di verde che stava sulla scrivania. Macrae fece strada alla sua ospite e le accostò la poltrona. Ma Isabelle de Sancerre non volle sedersi. L'ampia crinolina ondeggiava mentre lei andava su e giù, aprendo e chiudendo nervosamente il fermaglio della borsetta a rete. Anche lui rimase in piedi, ritto dietro la scrivania. «Qualcosa la preoccupa seriamente» osservò. «Posso persuaderla a dirmi di che cosa si tratta? Poi potrò invitarla a sedere più comodamente in salotto e offrirle un bicchiere di vino. Lasci che glielo ripeta, sarei davvero spiacente se si trattasse solo di una questione di affari...» «"Questione di affari" è davvero un modo arido e odioso di chiamarla. Ma su, non siamo ipocriti: non si possono evitare certi aspetti della vita, no?» «Vuole dunque concedermi la sua confidenza, signora?» «In nome del cielo, sono qui per questo! Si tratta di mia figlia, di Margot. Lei la conosce. Anzi no, ora che ci penso, lei non la conosce, vero?» «Temo di no. Sono qui a New Orleans da poco più di un anno. Durante questo tempo ho avuto l'onore di essere invitato a tante cene, balli, concerti
e visite a teatri che pareva inevitabile dovessi incontrare una fanciulla così ben nota per la sua bellezza. Pure, per chissà quale fatalità, non l'ho mai veduta. Talvolta non era presente, o non si sentiva bene, o era in compagnia di quella sua grande amica che si chiama, vediamo... Ursula?» «Ursula Ede, la figlia del generale Ede. Una ragazza così cara, così dolce! Non ha mai visto neanche lei, credo.» «Di sua figlia, signora, si parla continuamente nella società elegante. Sento sempre cantare le sue lodi con acceso fervore. Mi hanno parlato della sua bellezza, del suo fascino, delle sue doti...» Isabelle de Sancerre lo interruppe con una certa asprezza. «Tutto qui, quello che ha sentito, signor Macrae?» «Cosa dovrebbe esserci d'altro?» «Le sue stranezze, i suoi capricci. Non gliene hanno mai parlato?» «Non molto, anche perché ho sentito parlare di lei quasi sempre da uomini.» Qui Macrae stava velando un tantino la verità. Qualcuno si era diffuso sulle qualità meno lusinghiere della ragazza non molto tempo prima. "Margot de Sancerre?" aveva detto qualcuno di cui non ricordava il nome né la faccia. "Una bellezza che ti fa rimanere a bocca aperta; e non è una sciocca. È figlia di sua madre: stessi occhi, stessi capelli, stessa carnagione. Solo che è ancora più bella della madre. Ma lascia che ti metta in guardia, bada a te quando la incontrerai! La ragazza è diabolicamente capricciosa, mentre sua madre non lo è e non lo è mai stata." Quella sembrava essere l'opinione generale. Ora, nel suo ufficio, la madre di Margot chiuse la borsetta, la lasciò cadere sulla scrivania e si sporse a fronteggiarlo. «Non c'è niente di male in un poco di vivacità» gridò quasi. «Io stessa sono stata una ragazza vivace. Ma quando si eccede! Ha detto che sono preoccupata; in verità, sono quasi fuori di me. Ma che ne sa lei dell'inquietudine, lei così flemmatico? Niente potrebbe mai turbarla!» (Niente, eh? Be', meglio non pensarci!) «Posso farle osservare, Madame de Sancerre, che non mi ha ancora detto cosa l'inquieta?» La sua ospite assunse una posa drammatica. «Il matrimonio!» proruppe. «Il matrimonio di Margot! È assolutamente ora che si sposi, e che si sposi con Tom Clayton. Non è d'accordo?» «Tom Clayton è più che d'accordo, lo so.» «Naturale. È innamorato di lei, e lei di lui, solo che la ragazza è troppo
ostinata e capricciosa per ammetterlo. Ora mi stia a sentire! Leonidas Clayton è uno dei più vecchi amici di mio marito. Unire le nostre famiglie è stato il sogno di tutti noi fin da quando Margot aveva sette anni e Tom ne aveva quattordici o quindici. Un matrimonio tra loro è più che conveniente: non ci sono neanche problemi religiosi. I Clayton sono episcopali, come forse saprà.» «Ebbene?» «Siccome noi siamo creoli, molta gente ci crede cattolici. E infatti i de Sancerre sono stati cattolici fino a circa sessant'anni fa. Fu allora che il padre di Jules ebbe una terribile lite con Luis de Penalver y Cardenas, il primo vescovo della Louisiana; lui voleva sposare una protestante, e minacciò di farsi protestante lui stesso. Il vescovo s'infuriò: "Vorrebbe abbandonare la vera Chiesa?". "La sua vera Chiesa" urlò il vecchio Raoul de Sancerre "può andare..." Oh, era un'espressione molto volgare e non voglio ripeterla. Ma fu così che Raoul si convertì, e noi da allora siamo episcopali. Di questi tempi, è vero, non ci facciamo quasi mai vedere in chiesa, ma è per pigrizia e non per irriverenza o incredulità.» «Io ancora non capisco...» cominciò Macrae. Ma Isabelle de Sancerre non era disposta ad ascoltarlo. «Insomma!» riprese. «Su Tom Clayton come futuro marito non si può dir nulla, o almeno nulla di serio. Beve troppo, ma tutti gli uomini lo fanno. È piuttosto sfrenato e ha un temperamento irritabile; somiglia più a quello che la gente crede un tipico creolo attaccabrighe che al discendente di bravi virginiani com'è in effetti. Ma in fondo in fondo è serio e solido come la banca di George Stoneman. E Margot lo ama, anche se quella sciocca non vuole...» A questo punto s'interruppe. «A proposito di matrimonio, caro signore, non si potrebbe trovare un partito conveniente per lei?» «Grazie mille, ma la prego di non farlo. Non vorrei essere oggetto di un complotto, mia cara signora, neppure se i miei amici pensassero di farlo per il mio bene. E poi, un mio eventuale matrimonio c'entra in qualche modo con l'affare di cui voleva parlarmi?» «No, naturalmente no! Eppure... È fra noi da più di un anno; ed è un ottimo partito. Non le piacciono le nostre donne, signor Macrae? Nessuna di loro ha mai colpito la sua fantasia?» Macrae si schiarì la gola. Non avrebbe mai potuto parlare a Isabelle dell'ombra invisibile e onnipresente che lo braccava e gli scuoteva i nervi; e così, per varie ragioni,
non avrebbe potuto neppure menzionare un certo episodio del passato carnevale, una certa ragazza dalla maschera bordata di merletto. Doveva cancellare dalla sua mente perfino il pensiero di quell'incantatrice dai capelli fulvi, che apparteneva al regno dei sogni; doveva... «Stavo cercando di dirle, signora, che non ho ancora capito quale sia il suo problema.» Isabelle de Sancerre si portò una mano alle labbra. «Il problema è Margot! È una ragazza di buon cuore, sa. Ma è viziata, signor Macrae; non mi piace parlare così della mia stessa figlia, ma è viziata a morte! Da quando era in fasce, si può dire, è stata viziata dal padre, dagli zii, da tutti i servitori, a cominciare da Mammy e da Cicero! A questo punto, Margot ormai crede di poter fare tutto quello che vuole, quando vuole. Ecco perché ho un disperato bisogno dei suoi consigli. Se penso all'umore in cui la vedo immersa ormai da giorni e giorni...» «Scusi, un momento!» «Sì, signor Macrae?» «Quando è arrivata, ha detto che il suo problema è immediato e urgente. Ora, mi pare di aver capito che si tratta di persuadere la signorina de Sancerre a sposare Tom Clayton. Non dubito che tale matrimonio sia opportuno e desiderabile. Ma dal momento che io non conosco la signorina, come posso offrirle un consiglio? E perché, poi, la cosa è così immediata e urgente?» «A causa dell'umore di Margot. È urgente sapere da che cosa è causato e come guarirla. Non gliel'ho spiegato?» «No.» «Allora lo farò subito. Se potessimo trovare una qualche ragione del terribile cambiamento di mia figlia, non sarei qui a disturbarla. È sempre trasognata è meditabonda. Mi fa continue domande su... ecco, ora vedrà. Conosce la nostra casa, no?» «Per me è stato sempre un piacere esservi ricevuto.» Nella sua mente si profilò l'immagine della grande casa bianca nel Garden District, circondata da prati ben curati, all'incrocio tra St. Charles Avenue e Holywell Street, tra boschetti di querce e aiuole di fiori variopinti. Isabelle de Sancerre serrò nervosamente le mani. «Vede, la casa... Jules la costruì per me. Ci sposammo nel maggio del 1834, lo ricordi bene. A quell'epoca la casa era finita; alla fine di marzo eravamo andati a ispezionarla con... no, lasciamo andare. Margot è nata lì, nell'aprile del '35. Ha ventitré anni, ora. Se entro due anni non sarà sposata,
sarà una vecchia zitella. «Oh, Margot, la mia Margot!» continuò con voce tremante. «Fino a questa primavera è stata sempre così gaia! Rideva e chiacchierava continuamente. Certo, a volte aveva i suoi momenti di umore capriccioso, e allora era difficile sapere come prenderla; però mai, mai come adesso.» «Perché, adesso cosa fa?» «Non gliel'ho detto? Sempre trasognata e meditabonda, sempre a pensare a qualcosa che non vuol dire. E dorme pochissimo. La mattina ha un aspetto stanco, come avesse ballato tutta la notte. Ma fuori la notte non è mai stata; abbiamo avuto cura di accertarci di questo perché... be', ce ne siamo accertati. «Vede, signor Macrae, anche questo fa parte dell'orribile imbarazzo in cui ci troviamo. Lei prima era assorbita in feste, balli e corteggiatori: continuamente. Ora quasi non vuol più uscire di casa, né di giorno né di notte. Sempre trasognata, sempre a meditare!» Isabelle de Sancerre si piegò in avanti e le sue mani strinsero lo schienale della poltrona. «Non è un affare d'amore; se lo fosse, potrei capirla. Ma non lo è: e allora, in nome di Dio, cos'è? E quando esce dal suo mutismo, mi fa certe domande! È come se mia figlia fosse stata stregata. E non mi dica che si può trattare di una stregoneria Vudu, o mi metterò a urlare!» Macrae cercò di tenersi stretto al buon senso. «Non ho nessuna intenzione di parlare del Vudu» disse. «Ma ha ragione di essere preoccupata: è una situazione imbarazzante. Però le domande che lei fa potrebbero fornirci qualche indizio. Cosa le domanda?» «Particolari su una cosa orrenda che avvenne qui, ammesso che sia avvenuta, ventiquattro anni fa.» «Ebbene?» «Lei è un uomo di mondo. E anche una donna qualunque come me può asserire senza menzogna di essere una femme du monde. Conoscendo com'è il nostro mondo, sappiamo che certe persone, per fortuna non molte, provano un perverso e vizioso piacere nel compiere o veder compiere atti di sadica crudeltà. Queste persone magari noi non riusciamo a capirle, ma sappiamo che esistono, no?» «Certo. In Inghilterra, nel secolo scorso, ci fu il caso della signora Brownrigg... fu impiccata, ricordo. Qui a New Orleans è successo qualcosa di simile?» «Così si dice, e la cosa mi fa paura se penso che può toccare Margot.
Mia figlia, certo, è tutt'altro che perfetta. Può essere civetta e provocante; ha fatto quasi impazzire alcuni dei suoi innamorati. Ma l'autentica crudeltà fisica le ripugna, come ripugna a me. Perché, allora, dimostra un appassionato interesse verso una persona che pare abbia perpetrato le atrocità più bestiali tanti anni fa? E perché, quando non parla di questo, il suo unico altro argomento di conversazione è Marie Laveau, la regina del Vudu?» 2 «Atrocità bestiali... regina del Vudu?» «Le due cose non hanno alcuna connessione tra di loro. E questa faccenda deve finire.» Isabelle de Sancerre si raddrizzò. «Dio Santo, non devo lasciarmi vincere dall'isterismo. Devo essere ragionevole: devo cercar di vedere le cose come realmente sono. Ora mi ascolti.» «Volentieri.» «A New Orleans, signor Macrae, leggende d'ogni sorta nascono e fioriscono come fiori tropicali. Molte sono completamente false, come può dirle Barnaby Jeffers, il nostro migliore esperto di storia locale. A proposito, lo conosce?» «Sì, ma non siamo in rapporti molto stretti. Ero stato da lui la notte che incontrai...» «Chi?» «Oh, non importa. Cosa stava dicendo?» «Già, torniamo a noi. Una di queste leggende, ostinatamente ripetuta e forse con qualche elemento di verità, è abbastanza spaventosa. Ha mai sentito parlare di Delphine Lalaurie, la famigerata Madame Lalaurie, e della cosiddetta casa stregata all'angolo di Royal Street, nel quartiere francese?» Macrae spalancò gli occhi. «Sì; mi sembra di averne sentito parlare. È questa la storia che affascina tanto sua figlia?» «Sì, purtroppo! Se sia vera o no, non si sa; forse non si saprà mai. Madame Lalaurie è morta da sedici anni. Può darsi che fosse del tutto innocente, come sostiene la maggior parte dei creoli; o può darsi che sia stata... quella che dicono i suoi nemici. O forse, come spesso succede, la verità sta nel mezzo. Ricordo abbastanza bene questa storia, con tutte le sue complicazioni. Vede, io la conobbi, prima che lei se ne andasse da New Orleans.» Isabelle de Sancerre tacque per qualche istante.
«Delphine Lalaurie, nata Delphine Macarty, era di buonissima famiglia, nonostante il suo nome poco romantico. Era di nobile ceppo francoirlandese. Ebbe tre mariti. «Nel 1800, a diciotto o diciannove anni, sposò don Ramón de Lopez, un distinto giovane diplomatico spagnolo. Quattro anni dopo, un ordine del re richiamò in Spagna suo marito, "per occupare il suo posto a corte". All'Avana, mentre la giovane coppia era en route per Madrid, don Ramón morì improvvisamente. La vedova diede alla luce una bambina pochi giorni dopo, e tornò con la piccola a New Orleans. «Il secondo marito, che lei sposò nel 1808, era un ricchissimo mercante e banchiere che si chiamava Jean Blanque. Fu allora che lei cominciò a brillare in società; sapeva ricevere come nessun'altra dama. Ebbe da Jean Blanque quattro figli, tre femmine e un maschio; il loro matrimonio durò poco più di otto anni. Nel 1816 lui morì improvvisamente, e...» Cupe forze esplosive sembrava si stessero radunando nella stanza, intorno alla lampada dal paralume verde. Macrae si piegò in avanti. «Scusi se la interrompo» disse «ma sta forse implicando che...?» «La prego! Non faccio pettegolezzi e non sto implicando niente: racconto fatti ben noti. Se tra poco dovrò riferire chiacchiere e ipotesi, sarà perché non è possibile evitarlo... «Bene! Stavolta Delphine restò in vedovanza fino al giugno del 1825; si sposava sempre a giugno. Il suo terzo marito, il dottor Louis Lalaurie, era un ometto scialbo, di scarsa personalità. Ma nessuno si occupava di lui. Era Delphine che teneva i cordoni della borsa, avendo ereditato la ricchezza di Jean Blanque. Gli occhi di tutti non si rivolgevano che a Delphine. Pure, fu un matrimonio fortunato, a parte il disastro che travolse la stessa Delphine. «Si fece costruire una casa stupenda, all'angolo tra Royal Street e Hospital Street, che fu completata e occupata nel 1832. Come splendeva di luci quando lei dava i suoi famosi pranzi! Che gioia, che onore essere ricevuti sotto il suo tetto! I suoi figli erano cresciuti e si erano sposati; lei sola occupava la scena. Ed era la prediletta della società creola. «Io conobbi Delphine Lalaurie proprio in quell'anno, nei '32: avevo diciott'anni. Come seppe essere gentile lei con una ragazzina inesperta e un poco sventata! Allora avrà avuto almeno cinquant'anni; ma neppure i suoi amici sono mai riusciti a rendere giustizia al suo fascino. Era qualcosa di magnetico: avrebbe attirato un orso dalla sua tana. Io ne rimasi completamente conquistata.
«Jules e io ci sposammo due anni dopo, come le ho già detto. Alla fine di marzo del '34 come le ho pure detto, andammo a ispezionare la nostra nuova casa nel Garden District, allora quasi finita. Delphine Lalaurie era con noi. L'accompagnava una persona di cui si raccontava una strana storia; ma ripeterla ora è inutile, perché non ha alcuna attinenza con lo scandalo di Madame Lalaurie. «E che scandalo! «C'erano stati pettegolezzi, per qualche tempo. Nella casa di Royal Street erano in servizio molti schiavi; e lei sembrava così dolce e cortese con loro. Eppure, per quanto a volte, durante la cena, lei porgesse quel che rimaneva di vino nel suo bicchiere allo schiavo che le stava dietro la sedia, dicendogli: "Bevi, amico mio, ti farà bene", alcuni dicevano che i suoi schiavi avevano un'aria malaticcia e infelice, tranne uno che sembrava essere il suo favorito: il cocchiere, Bastien. «Io non avevo mai sentito quelle chiacchiere, e se le avessi sentite non ci avrei creduto. Il giorno che lei ci accompagnò al Garden District, era più incantevole che mai: chi avrebbe mai potuto prevedere ciò che doveva avvenire meno di due settimane dopo? «Il dieci aprile, mentre madame era fuori, una vecchia cuoca appiccò il fuoco alla casa. I vicini accorsero per aiutare a spegnere le fiamme e a portare in salvo mobili e oggetti di valore, ma si trovarono di fronte a una scena infernale. Prima che il fuoco fosse completamente domato, trovarono sei o sette infelici, quasi scheletriti, incatenati nel quartiere degli schiavi. Testimoni oculari (o che si facevano passare per tali), citati dal quotidiano francese "L'Abbeil", raccontarono che, dai segni sui corpi delle vittime, si poteva capire che erano state ripetutamente frustate a sangue con il nerbo di bue. "Et madame s'amuse comme ça?" «Le chiacchiere si scatenarono, infiammando l'immaginazione e la rabbia della gente: si diceva che lei avesse l'abitudine di frustare gli schiavi per eccitarsi, o che li facesse frustare da Bastien mentre lei si godeva lo spettacolo in estasi; che parecchi schiavi fossero rimasti uccisi nel corso di questi sanguinari passatempi, e seppelliti nel cortile. Cinque giorni dopo, il quindici aprile, la furia popolare si scatenò. «"A morte la Gezabele! A morte!" «Aizzata da alcuni giovani di testa calda, la folla che si era andata radunando all'esterno fece irruzione nella casa e cominciò a distruggere tutto. I Lalaurie scapparono. Mentre gl'invasori si scatenavano, fracassando specchi e rompendo tutto ciò che trovavano, madame e suo marito vennero
cacciati in una carrozza da Bastien, che lanciò i cavalli a tutta corsa e li portò via. I rivoltosi furono poi dispersi da una compagnia di soldati regolari, chiamati in aiuto dallo sceriffo. «I Lalaurie riuscirono a fuggire. Si rifugiarono prima in casa di amici a Mandeville, al di là del lago Pontchartrain, poi raggiunsero Mobile in Alabama, da dove s'imbarcarono per la Francia. Lì Delphine morì nel 1842; ma il suo corpo venne riportato segretamente a New Orleans e seppellito qui. «Adesso che è passato tanto tempo, è quasi un'ironia ricordare (e questa è verità, non pettegolezzo) che il capo dei sediziosi, in quel lontano giorno di aprile, era uno studente in legge di ventitré anni, che si chiamava Horace Rutherford; da allora ha raggiunto una posizione eminente, è diventato il giudice Rutherford della Luisiana. Povero giudice Rutherford!» Macrae, che fino a quel punto era rimasto seduto sulla sedia dietro la scrivania, balzò in piedi, camminò fino alla parete opposta e si voltò. «Perché lo chiama "povero" giudice Rutherford?» chiese. «Va bene che è zoppo, lui dice per una caduta da cavallo; ma conduce una vita abbastanza normale. Cammina col bastone, ma è abbastanza agile; fa sempre le scale di corsa e si ferma sulla cima in posa drammatica. Certo però che coglie tutte le occasioni per assumere atteggiamenti drammatici!» «E questo è proprio ciò che non deve fare, vede? Horace ha il cuore in cattive condizioni, me l'ha detto Amelia Rutherford; affaticarsi più di quanto deve può ucciderlo. Ma lui non dà retta a nessuno, dice Amelia. «Anche se le può sembrare incredibile, tra gli scatenati di quell'aprile c'erano anche il giovane George Stoneman, ora presidente della Planters' & Southern Bank e un esperto di studi storici di nome Barnaby Jeffers. «Per tutti, qui a New Orleans, l'avrà sentito, la casa di Delphine Lalaurie è ormai la "casa stregata". Benché diverse famiglie ci abbiano provato, nessuno ci vuole abitare, da quando fu rimessa a nuovo dopo la fuga dei primi proprietari. Si sentono grida, urli, i gemiti d'agonia degli schiavi torturati! La gente di buon senso nega l'esistenza dei fantasmi; ma che esista la superstizione nessuno può negarlo.» Isabelle de Sancerre alzò gli occhi con un'espressione di supplica disperata. «Pensi a questa storia, signor Macrae! Quanto di essa è vero, quanto è falsità? Delphine Lalaurie ha sempre avuto strenui difensori e apologisti. Si ammette che qualche schiavo sia stato incatenato; tutti lo fanno, di tanto in tanto, per tenerli al loro posto. Ma tutto il resto, essi dicono, non è che
montatura giornalistica o malevola invenzione di nemici gelosi. Nessuno è mai stato frustato; né ci sono mai stati cadaveri seppelliti: e questa, tra parentesi, pare sia la pura verità. Quasi certamente falsa è la diceria più crudele: che una piccola schiava si sia suicidata gettandosi dal tetto piuttosto che lasciarsi ancora frustare da Delphine. Eppure... eppure... lei che ne pensa?» «Posso farle una domanda molto importante?» «Ma certo.» «Che ne fu degli schiavi che vennero davvero trovati incatenati?» «Non la seguo. Nessuno degli scalmanati fu sottoposto ad arresto, nonostante l'intervento dello sceriffo e della truppa.» «Prima di tutto, signora, lasciamo da parte i torbidi del quindici aprile. Cominciamo dal principio, cioè, dall'incendio avvenuto cinque giorni prima. I vicini, entrati per dare aiuto, trovarono alcuni schiavi incatenati nei loro quartieri; essi erano anche stati frustati a sangue. Ammettiamo pure tutto questo, ed ecco che sorge la domanda: li sciolsero dalle catene o no?» «Non lo so.» «Ma si può supporre, almeno, che questi buoni samaritani fossero rimasti inorriditi?» «È più che una supposizione. Rimasero inorriditi!» «E quali provvedimenti presero in proposito? Lo sceriffo fu chiamato e intervenne il quindici aprile. Nessuno lo aveva chiamato, cinque giorni prima? Nessuno aveva chiesto che fosse aperta un'inchiesta?» «Non lo so. Non credo. Perché, è importante?» «Ma dannazione...! Le chiedo scusa, signora!» «Signor Macrae, non ha bisogno di scusarsi per un'imprecazione. Impreco spesso anch'io, e dovrebbe sentire mio marito quando si arrabbia. Solo, vorrei che mi spiegasse dove vuole arrivare.» «Con piacere. Il nodo della questione, la causa dello scandalo, fu la voce che alcuni schiavi erano stati frustati e torturati. Ci sono testimonianze degne di fede ad attestare questo? A me pare che proprio queste sicure affermazioni manchino. Quando i Lalaurie fuggirono, così lei ha detto, presero con sé solo Bastien. Dunque gli altri schiavi di casa rimasero tutti qui: torturati e no. Sono stati interrogati? Cosa ne fu di loro? Se dobbiamo stabilire la colpevolezza o l'innocenza dell'affascinante padrona della casa di Royal Street...» «La prego, signor Macrae! In fondo, se devo dire la verità, a me non importa molto accertare se lei era colpevole o innocente. A me importa solo,
come ho cercato di dirle, l'effetto di questa storia su Margot. La mia Margot! Una ragazza ben custodita e protetta; una jeune fille bien élevée, che conosce e rimette in questione cose accadute prima che lei nascesse. Ne sono preoccupata da piangere. Come ho fatto osservare al signor Benjamin proprio questa mattina...» «Il signor Benjamin? Vuole dire il senatore Benjamin?» Isabelle de Sancerre agitò nervosamente una mano. «Judah P. Benjamin!» disse. «È stato eletto al Senato degli Stati Uniti, sì; e davvero c'è bisogno di gente come lui là, con quegli spaventosi abolizionisti e tutte le minacce che ci fanno. Ma per me lui è il migliore avvocato del Sud, e forse dell'intera nazione: un uomo saggio, che può sempre dare buoni consigli. Jules dice che con la sua logica può risolvere ogni tipo di problema. E poi, è un nostro vecchio amico. «Pensi alla sua carriera! Un ragazzo di famiglia povera, nato nelle Indie occidentali britanniche. La sua famiglia si stabilì a Charleston quando lui era ancora un ragazzo, un ragazzo povero. Suo padre, a dispetto di quanto si pensa degli ebrei, non era tagliato per gli affari. Tre anni a Yale, poi piantò gli studi perché il padre non poteva più mantenerlo all'università. «Poi a New Orleans con soli cinque dollari in tasca: si pagò gli studi in legge con un impieguccio presso un notaio e dando lezioni d'inglese ai creoli. Fu proprio dandole lezione che s'innamorò di Natalie St. Martin, la figlia di Auguste St. Martin de la Caze e la sposò un anno prima del mio matrimonio con Jules. La signora Benjamin vive ora con la figlia a Parigi, anche se lui avrebbe preferito che fosse rimasta qui. Ma come è salita la sua stella da quei lontani anni di miseria!» «Madame de Sancerre...» «Di solito sta a Washington, perché gli vengono affidate molte cause da discutere davanti alla Corte Suprema. Ma ha un pied-à-terre qui, e lo studio legale Benjamin, Bradford & Finney in Canal Street è sempre aperto. E inoltre...» «Conosco il senatore.» «Lo so, e lui ha una grande opinione di lei. Un momento fa ha menzionato il Senato; lo ha fatto anche lui, quando è passato a farci visita questa mattina. Ha detto che il Senato è in sessione e che lui avrebbe dovuto esser lì: non si assenta quasi mai dalle sedute. Ma deve occuparsi di. certe faccende concernenti il suo studio legale, perciò resterà qui ancora per qualche giorno. Gli ho detto che pensavo di farle visita stasera, e gli ho spiegato perché. Ero così orribilmente oppressa e preoccupata che gli no raccon-
tato tutta la storia, proprio come ora l'ho raccontata a lei.» «E lui che ha detto?» «Che forse sarebbe venuto qui anche lui. Se non ha obiezioni, naturalmente.» «Obiezioni? Per carità, tutto il contrario!» «Sì, ma non credo che ci convenga aspettarlo. Lui dice che a parte il lavoro non ha un gran che da fare tranne che studiare la storia o tradurre Orazio, e perciò qualche problema da risolvere è il benvenuto. Ma non è vero. È talmente occupato! Penso proprio che non ci sia la minima possibilità...» Fuori dell'ufficio, lungo il muro di cinta, c'era un passaggio che portava a un'entrata secondaria nel patio. In quel passaggio si sentirono i passi pesanti di Sam, il servitore di Macrae. Sam spalancò la porta. Gigantesco, bruno di pelle, quasi calvo, era molto conscio della sua importanza in certe occasioni. Si fece da parte, dritto come un palo, e gonfiò il petto. «Il senatore Judah P. Benjamin!» intonò. «Entro al suono delle fanfare, a quanto sembra» disse una voce ben modulata dalla soglia «anche se non sono davvero un ospite di gran figura.» A dispetto della definizione che aveva dato di se stesso, l'uomo che stava per entrare non sarebbe passato inosservato in nessun ambiente. Aveva un sorriso irresistibile; la gaia naturalezza del suo modo di fare metteva a proprio agio tutti quelli che lo avvicinavano. Basso e tarchiato, aveva spalle straordinariamente robuste; Macrae sapeva che il suo sport favorito era piuttosto rischioso: la pesca della razza. Due allegri occhi scuri scintillavano nella faccia carnosa del senatore Benjamin, completamente incorniciata da favoriti e barba tagliati così corti che parevano una soffice striscia di pelliccia al di sopra delle punte del colletto e della larga cravatta a fiocco azzurro cupo. Era vicino alla cinquantina, ma aveva ancora i capelli quasi completamente neri. Vestiva di grigio, e grigio perla era il cappello a cilindro che porse a Sam. «Madame de Sancerre, servo suo!» continuò. «Caro Macrae, come sta? Sono stato abbondantemente annunziato, pure sembra che io giunga inaspettato. Posso ugualmente aspettarmi un benvenuto?» Macrae restituì l'inchino. «È sempre più che benvenuto, senatore Benjamin. Sam, non avrò più bisogno di te per questa sera; puoi andare a dormire.» Sam si dileguò, lasciando il cappello dell'ospite su un tavolino accanto
alla porta. Macrae fece un gesto d'invito. «Madame de Sancerre e io, signore, eravamo sul punto di trasferirci in salotto a prendere un bicchiere di vino. Vuole farci compagnia?» «Volentieri ma, col suo permesso, non subito. Ho l'impressione di aver interrotto il vostro colloquio, e preferirei che lo continuaste. Posso avanzare l'ipotesi che la signora le ha appena narrato la stessa storia che ho udito da lei questa mattina?» «Non riesco quasi mai a capirti» osservò Isabelle de Sancerre, col viso rivolto verso di lui. «Ti nascondi dietro quel tuo sorriso come dietro una maschera. Ti ho domandato un'opinione, un consiglio, ma non hai voluto darmeli!» «Ti ho chiesto solo il tempo necessario a riflettere, null'altro. Ecco, vedo che c'è una terza sedia; posso occuparla? Grazie.» Sedette e alzò solennemente una mano. «Perché mai nessun cliente si rivolge a me per un caso penale? Non è mai successo; non succederà mai. Tutti i problemi criminali interessanti finiscono da altri avvocati. Da me arrivano sempre lunghi e tediosi casi di eredità contesa, in cui clienti di dubbia onestà cercano di dividersi delle proprietà e finiscono con lo spaccare capelli in quattro. Oh, quanto preferirei invece un bel caso criminale come questo!» «Ma insomma!» scattò Isabelle de Sancerre. «Il problema di mia figlia lo chiami un caso criminale?» «Calmati, amica mia! Calma! Qualunque sia la cosa che affligge la bella Margot, bisogna risalire all'affare di Delphine Lalaurie del '34. E che affare fu quello! Riflettici. Si tratti di vera criminalità o di pura calunnia, contiene tutti quegli artistici elementi che il signor De Quincey ritiene indispensabili nel delitto considerato come opera d'arte: "Disegno, composizione, luce e ombra, poesia, sentimento!". C'è di tutto!» «Bene» s'interpose Macrae «lei vi ha riflettuto? È pronto a darci la sua opinione di legale?» Il senatore Benjamin alzò un dito. «Il problema che si presenta dinanzi a codesta cor... cioè, il problema che abbiamo davanti, amici, è chiaro e inequivocabile. Furono o no gli schiavi di Delphine Lalaurie frustati o altrimenti torturati da una padrona inumana? Se lo furono, allora l'accusa che le fu mossa appare più che fondata. Se non lo furono, l'accusa cade completamente. Che ne fu di quegli schiavi, sia a quel tempo che dopo?» Isabelle de Sancerre sobbalzò come se l'avessero punta. Guardò Macrae,
poi il senatore, poi ancora Macrae. «Buon Dio!» alitò. «Quasi le stesse parole che ha detto lei!» «Ah, ha detto così anche lui? Allora gli faccio le mie congratulazioni» disse Benjamin con aria piuttosto vanitosa. «Io stesso, a quel tempo, vivevo qui. Ma ero solo un avvocato in erba, sposato da poco e con molti problemi da risolvere. Non dedicai al caso Lalaurie quasi nessuna attenzione. Ora però è venuto il momento di dedicargliene, non foss'altro per fare un favore a una vecchia amica. Quindi è necessario esaminare le prove, la documentazione.» «Quale documentazione?» chiese Macrae. «Madame de Sancerre sembra pensare che non esistano rapporti, anzi che non sia stata fatta neppure un'inchiesta.» «Amico mio, ma naturale che esistono rapporti! Devono esistere per forza!» «Perché?» «In Louisiana la legge stabilisce che, ove uno o più schiavi siano maltrattati dal padrone, essi vengano venduti in pubblica asta e il ricavato confiscato dallo stato. Ora, in quel lontano quindici aprile, almeno un'autorità dello stato era presente: lo sceriffo. Era suo obbligo fare un rapporto in ogni caso: figuriamoci poi in una cause célèbre così sensazionale. La faccenda non poteva finir lì. Da noi le autorità possono passar sopra a tante cose, ma quando si tratta di un'eventuale fonte di reddito.»» «Allora c'è qualche possibilità di scoprire qualcosa?» «Credo di sì. Gli archivi pubblici sono alla City Hall, e parecchia gente lì mi deve dei favori. Ci sono stato nel pomeriggio e ho parlato col sindaco Waterman. Mentre uscivo, ho incontrato Tom Clayton, che ha una parte così importante nelle congetture di Madame de Sancerre intorno a Margot.» «Ebbene?» «Il giovane Clayton mi ha detto che l'aveva lasciato da poco qui al consolato, e che certo questa sera non sarebbe uscito. Aspetta un viceconsole, vero?» «Sì, Harry Ludlow, figlio di un vecchio amico. Mi ha scritto da St. Louis, e poi mi ha telegrafato il nome del battello su cui viaggerà. Andrò a prenderlo domani mattina.» «Ah, arriva col "Governor Roman", eh? Ma ora» e qui il senatore Benjamin fece un gesto come per metter da parte qualcosa «questo non c'interessa.»
Si alzò. Affettuoso, paterno, tutto persuasione, si volse a Madame de Sancerre e la fissò negli occhi. «Suvvia, Isabelle, sta' di buon animo! Se esistono documenti sul caso, gl'impiegati della City Hall li troveranno. Avremo notizie in un giorno o due al massimo. Intanto, ti consiglio caldamente di esser cauta e di riflettere!» «Ma Benjie, che bisogno c'è di tanta cautela e riflessione? Horace Rutherford dice sempre...» «Posso citarti un altro Orazio, Quinto Orazio Fiacco, quello della villa in Sabina? Moderazione, il giusto mezzo in ogni cosa, mai lasciare che i sentimenti ci prendano la mano! Se quei documenti esistono, dicevo, se non sono andati perduti o distrutti, dobbiamo sperare con fervore che Delphine Lalaurie fosse innocente come un candido agnellino.» «È proprio tanto importante?» «È della massima importanza, credimi. Supponi che sia stata colpevole di così atroci crudeltà e che tale fatto diventi di pubblico dominio. Benché la cosa sia avvenuta tanto tempo fa, costituirebbe un ritratto della vita del Sud enormemente più grottesco di quelli inventati dalla signora Beecher Stowe in persona. Che uso ne potrebbero fare i nostri nemici, te lo puoi facilmente immaginare.» «Va bene, ma...» «E non è tutto. Due delle figlie di Madame Lalaurie, a quanto ricordo, hanno sposato uomini di famiglie molto importanti. Non dobbiamo esporci a una querela per calunnia; andiamoci cauti con gli scheletri nel cassetto.» «Benjie, ma gli avvocati fanno mai qualche altra cosa oltre a far apparire colpevole la gente? Io non mi sogno neanche di andare a cercare guai, e non voglio diffamare nessuno. Come ho già detto al signor Macrae, mi è perfettamente indifferente ciò che quella disgraziata donna può o non può aver fatto. Anche se scoprissimo qualcosa su di lei, in che modo questo ci aiuterebbe a scoprire cosa affligge Margot?» «Dare consigli in faccende di famiglia, Isabelle, è una cosa che tutti dovremmo evitare. Io ho conosciuto Margot fin da quando era una bambina; eppure non posso dire di conoscerla bene; a volte non la capisco.» «La mia idea» ribatté lei «è che io non capisco te. Ma ti capisce poi qualcuno, o è capace di vedere cosa c'è dietro quella tua maschera d'impassibilità orientale? Ti ho raccontato tutta la storia; ti ho chiesto di essere franco con me. Ecco dunque che ora ho io una domanda da rivolgere a te, che sei tanto abituato a far tutte le domande. Sei stato franco con me, fra-
tello Torquemada? Sei franco con me, in questo momento?» . «Io posso rispondere ritorcendoti le stesse domande» rispose in tono gentile il senatore. «È vero che mi hai raccontato una certa storia. Sei stata franca con me? In poche parole, mi hai detto proprio tutta la verità?» 3 «Ora mi devo sentir chiamare anche bugiarda!» Il senatore Benjamin scosse la testa. «No, Isabelle. Il tuo peggior nemico, se ne avessi uno, non potrebbe accusarti di ciò. Ma le tue emozioni ti fanno spesso confondere; quando ci emozioniamo, succede a noi tutti.» «Ma di grazia, in che cosa mi sto confondendo?» «Hai detto che Margot è sempre assorta; che parla pochissimo, tranne che per rivolgerti domande, per lo più intorno a Delphine Lalaurie. Che domande sono?» «Di ogni genere. Mai però su torture inflitte agli schiavi!» «Allora? Cerca di specificare.» «Se la conoscevo bene. Se Delphine era realmente bella o solo affascinante. Se davvero tutti gli uomini le correvano dietro, anche quando ormai era una donna anziana. Se credo che lei, Margot, avrebbe ugualmente tanti innamorati o sarebbe così ricercata anche se non fosse la figlia di Jules e così disgustosamente ricca.» «Ehm. Le altre sue domande, hai detto, dimostrano un forte interesse per Marie Laveau, la nostra famosa e misteriosa regina del Vudu; il cui regno dura ormai da più di vent'anni. Che rapporto c'è fra tua figlia e Marie Laveau?» «E che rapporto c'è tra mia figlia e Delphine Lalaurie, che lasciò New Orleans prima che Margot nascesse? Santo cielo!» «Margot conosce Marie Laveau?» «Buon Dio, no!» Isabelle de Sancerre prese dalla scrivania la borsetta, l'aprì e ne trasse una boccetta di sali, che stappò e si avvicinò al naso. Il suo sguardo vagò dietro le spalle del senatore. «Lei è qui da poco, signor Macrae» disse. «Che ha sentito dire di Marie Laveau?» «Solo che è una mulatta, una donna libera di colore. Sul culto Vudu non mi sono stati fatti che accenni e allusioni vaghe.»
«Pochi ne sentono dire di più» osservò Benjamin, volgendosi a lui. «Ma io ho qualche particolare fonte d'informazioni. Il Vudu, importato da Haiti ad opera di schiavi nel corso del secolo scorso, è una specie di culto del diavolo. Satana, che nel dialetto locale viene chiamato Papa Là-bas, ha come suo simbolo un gran serpente, che la regina del Vudu porta drappeggiato intorno al corpo. Il culto comprende cerimonie alquanto crude; però Marie Laveau, che si considera una buona cattolica, vi ha aggiunto elementi cristiani, per richiamare un maggior numero di persone. «Di lei si raccontano storie senza fine. Sentirete parlare di orge annuali la notte di S. Giovanni, vicino al lago Pontchartrain, con la partecipazione di donne bianche insieme ai negri. Sentirete di orge più frequenti nel cortile della sua casetta in St. Ann Street. Sempre con Marie come evocatrice di spiriti per ogni occasione. Oh, è una donna molto abile.» «Se mai ha fatto cose del genere» esclamò Isabelle, riponendo i sali nella borsetta «ora certo non vi si dedica più. Diamine, quella donna deve avere più di sessant'anni!» «Infatti.» «Allora, di che mai stiamo parlando?» «È quel che mi chiedo. Ancora qualche domanda, se permetti. Delphine Lalaurie conosceva la nostra regina del Vudu?» «Sono quasi certa di no. Un momento, però! Questa intelligente adoratrice del demonio può aver acconciato qualche volta i capelli di Delphine.» «Acconciato i capelli di Delphine?» ripeté Macrae. «Sì. Prima di dedicarsi al Vudu - quando era ancora giovane - lei frequentava le più ricche case della città. Pare che fosse un'ottima pettinatrice.» Il senatore Benjamin parve impressionato. «E così imparò tutti i segreti che voi donne confidate al vostro parrucchiere, e mise insieme un archivio d'informazioni utili. Ha seguaci tra gli schiavi, fors'anche spie, in quasi tutte le case della città.» «Dice sempre "la nostra bella città". Come mai ora non l'ha detto? Ma tutto ciò non mi pare che ci sia di nessun aiuto. Perché non torniamo a Margot?» «Subito. Dunque Margot è ossessionata dalla defunta Delphine Lalaurie e, anche se un po' meno, dall'ancora vivente Marie Laveau. Da quanto tempo dura questa idea fissa?» «Aspetta... posso dirtelo con la massima esattezza. Cominciò un giorno o due dopo il Mardi Gras, che quest'anno è caduto il ventitré febbraio.
Almeno, è stato allora che me ne sono accorta per la prima volta. Ma la questione è: quando finirà?» Un giorno o due dopo il Mardi Gras... Macrae si drizzò sulla sedia. Per un momento la matura bellezza di Isabelle de Sancerre, gli occhi assorti di Judah Philip Benjamin, il suo stesso ufficio, sembrarono dileguarglisi dalla mente. Proprio un giorno o due dopo il Mardi Gras lui si era reso conto per la prima volta che qualcuno lo spiava, lo seguiva: una maligna presenza che non si lasciava mai vedere. Poteva mai essere che la sua ossessione, la sua allucinazione forse, avesse qualche rapporto coi problemi di Margot de Sancerre? Potevano le due cose avere la medesima origine? Sembrava impossibile, inverosimile! Eppure... Scattò in piedi, passò accanto a Madame de Sancerre e al senatore senza vederli e andò alla finestra. Alla luce delle stelle il cortile era deserto, a parte zio Cicero, seduto con maestosa pazienza a cassetta della carrozza di Isabelle. Non percepiva presenze aliene. Non provava alcun senso di oppressione, nessun nervosismo. Ma non stava tutto in quella sensazione, si trovò a pensare; non era tutto un incubo e basta. C'era qualche altra cosa, qualcosa di molto diverso. Sì, un giorno o due dopo il Mardi Gras si era accorto di esser sorvegliato; ma giusto una settimana prima aveva incontrato la ragazza dai capelli fulvi e dagli occhi così espressivi, il cui volto aveva potuto vedere solo per un istante, prima che lei se lo coprisse con la maschera: la ragazza che aveva spadroneggiato nei suoi sogni fin d'allora, e che lui non sarebbe mai riuscito a dimenticare. "Eppure devo dimenticarla" si disse. "Sono uno sciocco!" Il sogno lo sommerse e svanì; lui tornò alla sua sedia. Il senatore stava parlando. «Quando finirà, mi chiedi? Fare una predizione sarebbe facile, se conoscessimo la causa dell'ossessione. Nel frattempo...» Si vedeva che stava riflettendo con grande concentrazione: una ruga verticale gli si era incisa sulla fronte. Si mise una mano in tasca e tirò fuori un portasigari ma, rendendosi subito conto dell'improprietà del suo gesto, lo ripose. Tornò a rivolgersi a Isabelle. «Un'ultima domanda, mia cara; poi potremo valutare le informazioni di cui siamo già in possesso. Sei certa che non ci sia stato alcun contatto tra tua figlia e Marie Laveau?»
«Contatto?» «Suvvia!» Il senatore era indulgente. «In passato, lo sai benissimo, molte giovani signore hanno fatto visita a quella casetta in St. Ann Street; e lo fanno ancora, potrei giurarlo. Vanno a comprare un gris-gris: un talismano Vudu che possa dar loro ciò che il loro cuore desidera. Ci vanno in segreto e di notte, lasciando la carrozza ad aspettarle. Se il primo gris-gris non ha effetto, ritornano. Sei sicura che Margot...?» «Oh, diamine!» gridò la madre di Margot. «Naturale che sono sicura! Cosa dovrebbe volere la ragazza, che già non abbia? Comunque...» Isabelle de Sancerre si alzò, con gran fruscio della crinolina, e andò alla finestra. Restò a guardar fuori, come poco prima aveva fatto Macrae, il volto nascosto. «Quando sono venuta qui stasera, Benjie, c'erano solo due o tre cose che mi preoccupavano. Da quando mi hai sottoposta a tutte quelle ridicole domande, ce ne sono almeno una mezza dozzina. «Oh, davvero non ho un briciolo di considerazione» continuò. «I servi sono esseri umani, anche se gli abolizionisti dicono che non li trattiamo come tali. Ecco lì il povero zio Cicero, come una statua nera. Margot lo fa aspettare per ore, ma questo non importa, perché lui l'adora. Io però dovrei dare un esempio migliore, no? Forse avrei dovuto rimandarlo a casa. Ma poi non avrei avuto con che tornare. Non so proprio cosa fare.» Il senatore Benjamin fece dondolare la catena d'oro dell'orologio. «Se è tutto qui il tuo problema, Isabelle, te lo risolvo subito. Ho una vettura di piazza che mi aspetta, e la lunga attesa del cocchiere sarà ricompensata da una buona mancia. Sai che abito a poca distanza da casa tua. Sarò onorato di riaccompagnartici, se vorrai accettare la mia ospitalità.» «Oh, grazie! Se volete scusarmi un momento...» «Vuole dire a Cicero che può andare? Posso farlo io.» «Le sembro così inetta da non esser nemmeno capace di dare un ordine al mio servitore? Scusate...» Uscì nervosamente, comprimendo la crinolina per passare dalla porta. Si sentì il ticchettio dei suoi passi leggeri e poi, indistinta, la sua voce. Cicero rispose in tono di basso profondo; poi fece schioccare le redini e girò la carrozza. Il rumore delle ruote e degli zoccoli si allontanò nel passaggio, mentre Isabelle de Sancerre tornava in fretta. Era apparsa nervosa quando era uscita dall'ufficio, ma ora lo pareva ancora di più. «Signor Macrae!» «Sì?»
«L'ha visto?» «Che cosa?» «All'estremità del cortile, dove comincia il giardino. Non c'è nascosto qualcuno, che ci spia attraverso le finestre?» Ancora una volta forze malvage sembrarono radunarsi e assediarli. Pure, Macrae si rifiutò di ammetterlo. «Si sbaglia, Madame de Sancerre. Non c'è nessuno fuori; nessuno.» «Oh, bene, lei lo saprà, suppongo. Ora, Judah Benjamin, che cos'è questa storia di Margot che sguscia fuori di notte per far visita a Marie Laveau?» Il senatore fece un gesto di scusa. «Non ho detto che lo abbia fatto, amica mia. Ne ho solo suggerito la possibilità Quando mi hai descritto la ragazza pallida e stanca, come se non avesse chiuso occhio per tutta la notte...» «Ma ti ho anche detto, credo, che fino a questa mattina la mia povera bimba non si è mossa da casa neanche di giorno, no? E di notte certo non è uscita: questo lo so!» «Come puoi esserne sicura?» «Perché abbiamo fatto sorvegliare la casa dal tramonto all'alba.» «"Avete"? Tu e Jules?» «Oh, suvvia: diciamo che me ne sono occupata io. Pensi che lascerei Jules avere il più lontano sentore di tutto ciò, a meno che non fosse assolutamente inevitabile? Comunque, Margot non si abbasserebbe mai a consultare una sudicia stracciona di vecchia strega che tiene un serpente come animale domestico! È troppo schizzinosa.» «Forse non hai torto; ma non hai neppure considerato tutte le spiegazioni possibili.» «Se stai insinuando che la mia Margot è una ragazza poco seria, e che qualche giovanotto viene a farle visita...» «Per carità! Sono certo, invece, che la risposta all'indovinello sia assolutamente innocente.» «Perché, c'è una risposta?» «Ma certo. Una, per esempio, può essere...» S'interruppe. «Quale? Stai facendo il misterioso di nuovo, Benjie?» «Non sono misterioso, Isabelle: solo cauto. Domani, vedi, penso che consulterò altri documenti più accessibili di quelli che riguardano Delphine Lalaurie.» Il senatore fece un respiro profondo ed esalò l'aria lentamente. «Dobbiamo avere prove, prove chiare e indiscutibili. E ancora, non
voglio certo giocare al Grande Inquisitore, ma poco fa hai detto che Margot non è quasi mai uscita fino a stamattina. Oggi dunque è andata fuori?» «Certo. Ora è a casa sana e salva: ma mi ha fatto prendere un tale spavento! «È scesa verso le otto; sembrava più tranquilla, quasi allegra. Jules è alla piantagione da un paio di giorni e lei ha detto che voleva raggiungerlo, che aveva bisogno di prendere qualcosa che aveva lasciato là. Ha preso la carrozza piccola, la stessa che ho usato io stasera. «Io l'ho lasciata andare, ho pensato che la passeggiata le avrebbe fatto bene. Erano le nove appena. «Sapete, a volte Margot è così simile a com'ero io vent'anni fa che... quasi mi fa paura. Ma la paura vera l'ho avuta quando, all'una passata, Jules è tornato dalla piantagione in groppa a Crusader e ha detto di non averla vista. «Da qui a Bellegarde non ci vuole più di un'ora. Jules non pareva preoccupato, ma io ero quasi fuori di me «Jules ha detto che probabilmente lei aveva cambiato idea ed era andata a trovare la sua amica Ursula Ede, alla piantagione del generale Ede, vicino alla nostra. Così abbiamo dato un cavallo a Hezekiah, gli abbiamo detto di galoppare a rotta di collo e di tornare subito a dirci se Margot era là. «Be', c'era. Ma Hezekiah ci ha riferito che sembrava imbronciata e di pessimo umore. Tuttavia ha promesso che sarebbe tornata prima di notte. «Cicero è andato a prenderla poco dopo le cinque; e davvero era strana, nervosa, quasi non voleva rispondere alle nostre domande. Quando le ho chiesto cosa volesse andare a prendere a Bellegarde, ha risposto che non le serviva niente, perché era pronta. Proprio così ha detto: che era pronta. «E quando sono uscita, stasera, era più imbronciata che mai» gridò Isabelle. «Cosa può mai significare tutto questo? E perché un mese fa Margot ha incassato un assegno di cinquecento dollari alla Planters' & Southern Bank? E là fuori c'è davvero qualcuno» indicò col dito una delle finestre «e si sta anche avvicinando!» «Se c'è qualcuno, signora» disse Macrae «non può essere che Sam.» Ma lei non lo stava ascoltando. «Dio mio, perché non va a vedere?» «Subito.» Macrae si diresse alla porta. Mentre l'apriva, la voce di Madame de Sancerre si levò, stridula. «Se fosse davvero Vudu...!»
«Controllati, Isabelle!» s'interpose il senatore. Macrae fletté le spalle. Ad onta del buon senso, provò un brivido di paura mentre attraversava il corridoio. Stava per incontrare il nemico, alfine? Il corridoio conduceva a una porta a vetri che dava sul cortile ed era aperta. Proprio accanto alla porta un becco a gas ardeva di luce azzurrina. E appena al di là c'era una sagoma che Macrae non poté vedere chiaramente: aveva la luce negli occhi. «Chi è là?» chiamò. «Venga avanti e parli!» La voce che gli rispose aveva l'accento cockney più marcato che avesse mai sentito; e ruppe la tensione così bruscamente che lui quasi scoppiò a ridere per quell'improvvisa caduta nel banale. «Sono io. Chiedo scusa e tutto, signore, ma è lei il console?» «Sì. E lei chi è? Cosa vuole?» La sagoma si fece avanti, si precisò: un giovanotto tarchiato, dalla mascella quadra, in giaccotto e berretto da marinaio. Rispettoso ma insistente, incerto ma deciso, il nuovo venuto si portò la mano al ciuffo. «Mi chiamo di nome Jack Dowser, signore. Marinaio a bordo del brigantino "Bombay Girl", rotta da Liverpool per l'Avana.» «Se è in qualche pasticcio, Dowser...» «Niente pasticci, signore. Non ancora, almeno. Ho solo bisogno di consiglio in un affare piuttosto delicato.» «Stavo dicendo che, se ha dei guai, è mio dovere aiutarla. E il mio consiglio è a sua disposizione, per quel che può valere.» «Grazie, signore. Si vede che è un gentiluomo.» «Però, a meno che non si tratti di una grave emergenza, deve rivolgersi a me in orario d'ufficio. Fuori della porta c'è una placca che indica...» «Ma lì è buio e non si vede niente. E vi ho visti dalla finestra, signore, lei, la signora e l'altro gentiluomo.» «Sono amici miei, e si trovano qui per affari privati di natura strettamente confidenziale. È solo per caso che stavamo parlando in ufficio. Su, da bravo ragazzo, Dowser, torni alla nave. L'aspetto di nuovo qui domattina, e sarò ben lieto di...» «Signore!» Il giovane parlò con una tale agonia nella voce che Macrae esitò. «Ebbene, Dowser?» «Spero di sapere qual è il mio posto, signore. Se dice che devo tornare domani, va bene. Me ne vado e non dico più neanche una parola, perché non sono il tipo che s'impiccia, di solito. Ma...»
«Ma?» «Vudu!» esplose l'altro. «Quando ha aperto la porta, la signora ha gridato quella parola con una voce che mi ha fatto rizzare i capelli. Signore, stia in guardia! Mi creda, so di che parlo!» «Da che cosa dovrei stare in guardia, secondo lei?» «Non solo lei, signore: anche i suoi amici! Se le prometto di comportarmi bene, mi permette di entrare solo per un minuto?» «Suvvia, giovanotto...» «Oh, lo lasci entrare!» Isabelle de Sancerre, l'abito un poco in disordine, era uscita dall'ufficio e stava davanti alla porta aperta. «Lo lasci entrare, signor Macrae!» pregò. «Ho gridato davvero, lo confesso; sembra proprio che non mi sia rimasto un briciolo di orgoglio o di dignità. Ma abbiamo davvero tempo di preoccuparci dell'orgoglio e della dignità? Questo ragazzo mi sembra animato da buone intenzioni, comunque. Forse può aiutarci, forse no; penso però che valga la pena di ascoltarlo. Per favore, lo lasci entrare!» Jack Dowser si era tolto il berretto. Con aria straordinariamente imbarazzata, ma decisa, seguì i due nell'ufficio che sembrava essere diventato molto più buio. «La pressione del gas di solito si abbassa di sera» osservò il senatore Benjamin, indicando la lampada. «Non temete, non si spegnerà: ma spesso trema e oscilla, facendo male agli occhi e anche ai nervi. Questo giovane marinaio...» «È stato la causa innocente di un'infondata preoccupazione» disse Macrae. «Vede, Madame de Sancerre? Si è allarmata per nulla. C'era lui solo là fuori.» «Davvero, signor Macrae? Io non lo credo; credo ancora... Oh, vorrei che qui non fosse così buio!» «Posso parlare, signore?» pregò Dowser, agitando il berretto in direzione di Macrae. «Posso parlare, per amor di Dio?» «Parli! Ebbene?» «Non vi preoccupate per me. Sono un tipo rozzo, sapete, ma posso badare alle faccende mie, l'ho sempre fatto. Voi però siete gente fine, e allora... «Non v'impicciate del Vudu! Alzate le vele e scappate veloci quanto vi porta il vento! Certo, penso che qui sia molto meno pericoloso che a Portau-Prince o a Port Royal. Questa regina del Vudu che avete qui non l'ho mai vista, e nemmeno i miei compagni; ma da quanto si dice, lei più che
altro mette insieme cerimonie, con balli e sbronze, non va in giro facendo il malocchio alla gente o facendogli tagliare la testa con quella specie di sciabola che chiamano machete. Ma è lo stesso, sapete: sempre di Vudu si tratta! Non vi impicciate delle faccende di Papa Là-bas e soprattutto non toccate le sue donne! Vi posso dire perché?» «Naturale.» «Preferirei che non lo dicesse!» gridò Isabelle de Sancerre. «Ha già detto troppo! E poi...» «Sei stata tu, mia cara, a evocare gli spiriti dell'abisso» intervenne Benjamin. «Ora vediamo se obbediscono alla nostra chiamata! Continui, giovanotto.» «Era il mio primo imbarco, per servirvi, e non toccavo i quattordici. Facevo il mozzo di cabina sul "Nabob", una vecchia nave a vele quadre, con un capitano che era proprio un rozzo, se permettete, e un nostromo peggio di lui. Il capitano si chiamava Darcy e il nostromo Sullivan. Me li ricordo ancora, tutti e due. «Buttammo l'ancora a Port Royal in Giamaica. Come battevano i tamburi sulle colline! Be', il nostromo scende a terra per dare un'occhiata e non torna più. Cosa avesse fatto a quelli non lo sapemmo mai, ma pare che non ci fossero donne di mezzo. Forse era stato troppo curioso, e a loro non andava. Si fece pescare, in ogni modo, e quelli lo fecero fuori. Gli tagliarono la testa. «Non sarebbe neanche stato questo il peggio. A ogni viaggio c'è sempre qualche marinaio che si fa ammazzare. Ma il fatto è che ce la restituirono, la testa. E in che modo! «Era notte alta, e io stavo servendo al capitano il suo ultimo bicchiere di grog in cabina, quando sentimmo un rumore di remi e un piccolo battello ci accostò. Non ci si vedeva per niente; non vedemmo niente nemmeno quando se ne andarono. Ma uno di loro dev'essersi alzato in piedi nella barca, tenendo la testa di Sullivan per i capelli. E di colpo, prima che ci potessimo raccapezzare...» «Basta!» gridò Isabelle de Sancerre. «C'è un uomo in cortile! Ci sta tirando qualcosa, e pare...» Emise un urlo altissimo e balzò da parte. Risuonò uno scroscio di vetri rotti. Un oggetto pesante e rotondo, scagliato con forza dal cortile, volò nella stanza buia attraverso la finestra di sinistra. Cadde sul tappeto, rimbalzò e rotolò nell'angolo al di là della porta.
4 «Che indiavolato pasticcio, eh?» osservò Tom Clayton. «Ma neanche per sogno» rispose Macrae. «Come sarebbe a dire?» «Magari un pasticcio sì, ma niente di diabolico. Non si trattava affatto di una testa umana, come abbiamo creduto per qualche secondo. Potenza della suggestione, capisci: abbiamo visto quello che ci aspettavamo di vedere.» «Che roba era allora, Dick?» «Una di quelle giare rotonde di terracotta, dipinte, di marrone o di verde, che qui usano appendere nei cortili per raccogliere l'acqua piovana. Ha la sagoma di una testa umana, già, solo che è più grande. Se guardi dalla finestra del mio ufficio, quella che non è rotta, vedrai lo sciagurato oggetto sulla scrivania. Non si è neanche rotto. Chi l'abbia lanciato e perché, è un mistero.» Quel giovedì mattina il cielo era grigio e uggioso. Nel cortile del consolato c'era un bel carrozzino scoperto, del tipo chiamato localmente calèche découverte, tirato da due splendidi cavalli grigi. A cassetta sedeva Walter, il cocchiere di Leonidas Clayton. Dick Macrae, il bastone da passeggio in una mano e una copia del «Picayune» del giorno precedente nell'altra, camminava avanti e indietro accanto al calesse, e Tom Clayton lo seguiva. Tom era alto, agile, aveva un bel viso dai lineamenti duri e la carnagione olivastra; appariva elegantissimo nella finanziera fulva con cappello in tinta, panciotto ricamato e calzoni verde bottiglia. Era arrivato da quasi un'ora. «Cos'è successo, dopo?» chiese. «Il senatore Benjamin e io siamo corsi fuori. Non abbiamo trovato nessuno. Jack Dowser si è squagliato in tutta fretta, senza aggiungere parola; solo, continuava a ripetere che lui era un uomo forte e taciturno e che conosceva il mondo. Abbiamo bevuto qualcosa, per riprenderci, e il senatore ha scortato Madame de Sancerre a casa. Il senatore...» «Che bravo ragazzo, il vecchio Benjie: un vero uomo d'azione, anche se a vederlo non sembrerebbe. Si è fatto qualche idea sul perché Margot si comporta in questo modo da quasi due mesi?» «Sono certo di sì, ma il guaio è che non la vuol dire.» «Dio, come vorrei essermene fatta una anch'io! Sono innamorato di
quella ragazzaccia insolente, con tutta la sua alterigia. Ma senti, Dick: cos'era quella storia che mi stavi raccontando a colazione, che qualcuno ti segue e ti spia la notte, come se fosse il malocchio in persona, e che la cosa dura da quando son cominciati gli inesplicabili capricci di Margot?» «Lo so che pare altamente improbabile, ma ciò non toglie che sia vero.» «Sei proprio un bravo amico, va'! Perché non me ne hai parlato prima?» «Cosa avremmo fatto, se te ne avessi parlato?» «Quello che faremo adesso, se Dio vuole! Tenderemo una trappola al fantasma e gli torceremo il collo.» «Può darsi che non sia così facile, Tom. C'è un'altra cosa che non ti ho ancora detto, ma può aspettare. Intanto...» Lasciando il suo compagno a borbottare tra sé, Macrae percorse il passaggio coperto che portava alla strada. La scalinata principale della casa partiva da lì, e lui sentì Sam e Tibby darsi da fare nella stanza degli ospiti al piano di sopra. Raggiunse l'uscita e diede un'occhiata su e giù per Carondelet Street. Proprio di fronte a lui, dopo un'insegna su cui era scritto "Sturdevant & Sons, Costruttori di Carrozze", c'era lo stallaggio che gli noleggiava cavalli da sella. Tornò nel cortile. «Oggi, Tom, si può proprio dire che mi stai facilitando la vita» disse. «Arrivi e mi metti a disposizione il calesse. Così andremo tutti e due incontro a Harry Ludlow e gli daremo il benvenuto a New Orleans in grande stile. Come ti è venuta l'idea?» «Oh, è il meno che possa fare, ti sembra?» «Tutt'altro: è molto generoso da parte tua, e te ne sono grato. Però hai sentito Rob quando è corso qui dall'argine: il "Governor Roman" stava attraccando un quarto d'ora fa. Adesso probabilmente avrà già cominciato a sbarcare i passeggeri. Se non ci sbrighiamo...» «Non è colpa mia, sai: il ritardatario sei tu. Avanti, sali. Partenza, Walter! Sai già dove devi andare!» Partirono al trotto, e durante il viaggio non si dissero più nulla. Erano quasi arrivati quando Tom, che sedeva buttato all'indietro col cilindro sugli occhi, si raddrizzò e sistemò il cappello. «A quanto mi hai detto, questo Harry Ludlow pare sia un ragazzo a posto. Il mio vecchio dice che suo padre è un pezzo grosso. Tu lo conosci bene?» «L'ultima volta che l'ho visto, aveva dieci anni. Ma penso che lo riconoscerò, ora non ne ha più di ventiquattro. Pare che sia davvero un buon ra-
gazzone, maniaco dello sport. Era anche un bravo atleta quando stava a Oxford.» «E lui, ti riconoscerà?» «Ci siamo messi d'accordo. Io avrò il bastone nella destra e un giornale nella sinistra.» Mostrò i due oggetti. «Guarda che folla, Tom. Questi battelli...» Gli enormi battelli a vapore che facevano servizio tra St. Louis e New Orleans erano chiamati palazzi galleggianti da alcuni e sentine di nequizia da altri. Ormeggiavano di solito all'argine tra Canal Street e Julia Street. Ce n'erano già alcuni dai nomi famosi: il "Grand Republic", il "Princess"; e ora, ultimo arrivato, il più nuovo e il più lussuoso che avesse mai navigato sul Mississippi. Il "Governor Roman" ergeva i suoi tre ponti a considerevole altezza: il più basso per i poveracci, i facchini e i passeggeri meno privilegiati; il secondo per dame e gentiluomini, il terzo per i quartieri degli ufficiali, sormontato dalla cabina del pilota. Giganteggiava bianco e scintillante sulle acque giallastre del fiume, e la passerella era già stata abbassata. Un'incredibile folla si agitava sull'argine, tra mucchi di balle di cotone. Tom Clayton fece fermare il calesse a una certa distanza. «Io rimango qui» disse. «Tu va' a pescarlo in quella confusione. Speriamo che non lo abbiano pelato completamente a poker o che non l'abbiano perso per strada tra qui e Baton Rouge.» Macrae saltò giù e si fece strada tra la folla. Sembrava che non vi fossero più passeggeri a bordo, perché si stavano preparando a scaricare le merci. Sperava che il giovane idiota avesse avuto il buon senso di star lì ad aspettarlo, secondo le sue istruzioni. Se se ne fosse andato... Ma Harry non se n'era andato. Affacciato, quasi solo, al secondo ponte, un giovanotto biondo e robusto si sporgeva a guardare verso terra. Vestiva all'ultima moda, in un abito da passeggio a giacca corta e bombetta dalla tesa ricurva. Incontrò gli occhi di Macrae, fece un cenno e ricevette un cenno in risposta. Sollevò la valigia che aveva ai piedi e scomparve nel salone, per apparire venti secondi dopo sul ponte inferiore, camminando a grandi passi verso la passerella. «Signore!» chiamò. Visto da vicino, Harry Ludlow aveva una di quelle facce infantili, bianche e rosee, che rimangono di solito estremamente giovanili anche quando il loro proprietario è arrivato a un'età discretamente matura. Dal suo aspetto generale, Macrae dedusse che doveva essere proprio come gli avevano
detto: forse non straordinariamente intelligente ma pieno di buona volontà, espansivo e bonaccione, piuttosto ingenuo senza tuttavia essere uno sciocco credulone Il saluto che rivolse al suo superiore fu uguale a quello che avrebbe potuto indirizzare a un vecchio zio o a un nonno. «È stato molto gentile a venirmi incontro, signore! Che piacere essere qui!» «Anche per me è un piacere vederti, Harry. Come sta tuo padre?» «Sempre il solito brontolone. Ma le manda i suoi saluti.» «Hai fatto buon viaggio?» «Certo, specie sul battello. Come si mangiava bene! Solo che... Steve White, sa... oh, al diavolo!» «Chi è questo Steve White?» «Un tizio che ho conosciuto a St. Louis; da lì a qui abbiamo condiviso la stessa cabina. Lui abita a New Orleans, o almeno pare che sia di queste parti. Si comportava in modo strano, ma io non ci ho mai fatto molto caso fino a stamattina. Poi, tutto d'un colpo, si è dileguato!» «Che ha fatto?» «È scomparso, si è squagliato! Quando mi sono svegliato, non c'era già più. Uno dei camerieri mi ha detto che si è precipitato a terra appena è stata calata la passerella, senza neanche far colazione.» «Be', a meno che non sia sparito col tuo portafogli... no, vero? E allora, lasciamolo ai suoi affari. Questa valigia è tutto il bagaglio che hai?» «I miei bauli arriveranno per ferrovia. Ci vorrà un po' di tempo, mi hanno detto, ma io non volevo impicci durante il viaggio. E non potevo nemmeno dare un indirizzo preciso al quale mandarli! Questo è il punto, signore: dove devo andare? Qui ci sono due alberghi famosi, vero?» «Certo, e andremo a bere qualcosa in tutt'e due, sia al St. Charles che al St. Louis. Ma non ti conviene andare a stabilirti là. Che ne diresti della stanza degli ospiti al consolato, fino a quando non ti sarai trovato un posticino tutto per te?» La faccia di Harry s'illuminò. «Dice davvero, signore? Benissimo! È a Carondelet Street, vero, l'indirizzo dove ho spedito le lettere?» «Sì, ma a questo proposito devo dirti qualcosa. Parli il francese, vero?» «Mi dicono che lo parlo molto bene; è una delle ragioni per cui mi hanno spedito qui. Perché?» «A meno che tu non stia parlando con un creolo, non pronunciare mai i nomi delle strade alla francese. Qui anglicizzano tutto. Per esempio, Bour-
bon Street si pronuncia come il nome del whisky...» «Quale whisky?» «Quello di granturco, Harry: scoperto e distillato per la prima volta, figurati, da un predicatore battista, il reverendo Craig. Parlando di creoli, però...» «Già, chi sono, signore? Prima che partissi, uno dei pezzi grossi del Foreign Office mi chiamò e mi fece una bella conferenza sulla Louisiana e la sua popolazione. Ma io non ne capii quasi niente. Chi sarebbero questi creoli?» «Sono i discendenti, veri p supposti tali, delle famiglie francesi e spagnole che si stabilirono qui prima dell'acquisto della Louisiana nel 1803. Soprattutto francesi, naturalmente.» «Allora i creoli non sono persone di colore?» «Per carità! Non dire mai una cosa del genere, non farci neanche la più lontana allusione, o le sfide a duello ti pioveranno addosso come la grandine. Vieni, adesso voglio presentarti un mio amico.» «Non sono proprio un eroe» confessò Harry. «E non manco completamente di discrezione: può fidarsi di me. Ma al diavolo, è tutta la situazione in America, con questi screzi tra il Nord e il Sud, che mi confonde completamente. Con chiunque mi trovi, non si parla d'altro. Le cose vanno proprio così male come dicono, signore? Si arriverà alla guerra?» «A questa domanda, per ora, nessuno può rispondere. Inoltre, né tu né io possiamo permetterci di esprimere alcuna opinione in materia. Ma basta con la politica, ora! Eccoci qui.» La carrozza aspettava. Walter si precipitò giù per prendere il bagaglio del nuovo arrivato. Tom Clayton scese con maggiore dignità, un sorriso aperto sul bel viso bruno. Quando Macrae ebbe fatto le presentazioni, i due giovani si strinsero la mano con improvvisa, cordiale simpatia. «Salite» fece Tom. «Walter, torniamo indietro dalla parte di Canal Street, è meno affollato. E allora, giovanotto» continuò, mentre la carrozza trotterellava lungo il fiume «a che cosa sta pensando?» «Clayton» borbottò Harry, che sembrava riflettere. «Clayton... Senta, signor Clayton...» «Oh, chiamami Tom. Un amico di Dick Macrae è anche amico mio.» «Grazie, Tom. Tuo padre non è stato ambasciatore in Gran Bretagna qualche anno fa?» «Mio padre? Ah, sì. Il paterfamilias ha provato di tutto, anche la carriera diplomatica. E dimmi, com'è Londra di questi tempi?»
«Piuttosto noiosa, come al solito.» «Noiosa? Tu deliri, ragazzo. Che ne dici, Dick?» «Risponderò con le parole del dottor Johnson: "Chi è stanco di Londra è stanco della vita".» «Parole sante!» urlò quasi Tom. «Oh, il '47 e i miei impressionabili vent'anni là! Sentii cantare Jenny Lind; vidi Macready recitare nel Macbeth. Ma non erano solo gli spassi culturali a essere di prima scelta! Che gloriosa memoria, le case allegre di Haymarket e le donnine che le adornavano con la loro presenza! Figli miei, le ninfe di Haymarket erano qualcosa di straordinario, a quei tempi!» «Oh, lo sono ancora» borbottò Harry arrossendo un poco. «Ma naturalmente non se ne parla per discrezione.» «Naturalmente, già» approvò Tom. «E dimmi, Harry, come ti sei trovato a bordo del nostro più rutilante battello a vapore? Hai ammirato a dovere gli specchi, le dorature, la profusione di velluto rosso? O hai trovato il tutto "volgare e pretenzioso" come dice la mia nobile madre?» «Be', a me veramente piaceva.» «Sembra che sia rimasto molto impressionato da un tizio piuttosto eccentrico e misterioso» intervenne Macrae. «Un certo Steve White, che se l'è squagliata senza una parola di saluto appena hanno attraccato. Comunque, siccome non ha tentato trucchi né si è attaccato al suo portafogli...» «Scusi, signore» protestò Harry «ma Steve non era proprio misterioso. E non ho detto che era eccentrico.» «Hai detto che si comportava in modo strano.» «Oh, sa... è solo che non era aperto e socievole come quasi tutti gli altri che ho incontrato. Pareva che evitasse tutti, a bordo, e ha tenuto in disparte anche me più che ha potuto.» «Ti ha tenuto in disparte, eh?» chiese Tom. «Anche dalla compagnia femminile?» «Già. Pensare che nella cabina accanto alla nostra c'erano due ragazze... e tanto carine, anche! Sono sicurissimo che una di loro mi guardava con simpatia, e non si sarebbe offesa se avessi tentato di attaccare discorso. Ma Steve non ne ha voluto sapere.» «Tu invece lo avresti fatto volentieri, vero?» «Più che volentieri. Era una brunetta vestita di verde...» «Però, però!» commentò Tom, con uno scintillio divertito negli occhi. «In ogni modo, Steve mi ha fatto anche un grosso favore. Mi ha messo in guardia a proposito di un famigerato giocatore, un elegantone di nome
Square Nat Rumbold, che organizzava delle partite nel bar. Del resto, io non vado pazzo per i giochi d'azzardo...» «Lo conosco il tuo Nat Rumbold, Harry: il misterioso Steve ti ha fatto davvero un favore, credimi. Quindi, niente partite a poker o a ventuno? Niente brunetta in verde? Che facevi dunque a bordo?» «Ho mangiato troppo e bevuto troppo. Non c'era altro da fare.» «Se ti tratterrai qui per qualche tempo e verrai ospitato nelle nostre piantagioni, ti faranno prendere l'abitudine di cominciare a bere prima di colazione. Ma non importa, ti divertirai.» «Ecco, siamo quasi arrivati» continuò dopo un poco. «Che divertimenti ti offriremo questa prima sera? Se ti piacesse giocare, avremmo la materia prima a portata di mano: la più elegante casa da gioco della città è proprio al numero quattro della stessa strada del vostro consolato...» «Pare proprio che in questa Carondelet Street ci sia di tutto! Non c'è anche una banca inglese, Hookson's? Mio padre ha aperto là un conto per me.» «Oh, è vicinissima. Vuoi che ti presenti al direttore?» «Grazie, certamente; ma in questo momento non ne ho bisogno. Ho incassato un forte assegno a New York, e sono ancora carico di quattrini.» «Bene! Allora, se il gioco non ti appassiona, penso di sapere cosa ti piacerà. Vedrai! Dick, mi passi quel giornale?» Macrae gli porse il «Picayune» del giorno prima. Tom lo aprì a una pagina interna e lo piegò. «Ecco qui. Ascoltatemi in rispettoso silenzio: "Alla Washington and American Ballroom, già Globe; angolo tra St. Claude e St. Peter Street, adiacente all'Old Bàsin. Giovedì 15 aprile, e tutti i successivi giovedì, fino a ulteriore annunzio, sarà dato un ballo di società...".» «Un ballo di società?» fece Harry sbigottito. «Li annunciano sui giornali?» «Non è affatto un ballo di società, come potrai constatare tra poco; ma è ugualmente un'esperienza da non perdere. Taci mentre leggo il resto: "Le signore non saranno ammesse se prive di maschera... Signori, cinquanta cents... signore gratis... Apertura alle 9.30 precise. Il ballo comincerà alle 10... Per ordine del comitato responsabile,
non è permesso portare armi... Una ottima orchestra è stata ingaggiata per tutta la stagione... Si assicura al pubblico che verrà mantenuto il più rigido ordine; guardie addestrate ed efficienti presteranno servizio in continuità. I nostri servizi comprendono un bar eccellente, fornito dei migliori vini e liquori; inoltre, un ristorante dove si potranno gustare le migliori specialità presenti sul mercato. Si invitano le signore a procurarsi il biglietto gratis insieme alla maschera, perché se sfornite della medesima non saranno ammesse." «Poi c'è la firma del direttore. Tutto qui.» Harry fece un po' fatica a ritrovare la voce. «Mi pare che ce ne sia più del necessario! Non è permesso portare armi? Rigido ordine? Guardie addestrate ed efficienti? Diavolo, ma di che cosa si tratta?» «Si tratta del ballo delle quarterone, delle mulatte.» «E che cos'è un ballo delle mulatte?» «Un'istituzione tipica di questa città» lo informò Tom «che sarebbe bene venisse copiata anche altrove. Dick, vuoi spiegargliela tu?» Macrae, che sedeva di fronte a loro, si agitò sul sedile. «Ti ricordo che non sono affatto un'autorità in materia. Non sono mai andato a quei balli, neppure per curiosità, e non credo di capire proprio bene come funziona la cosa. Perciò se sbaglio correggimi.» «All'istante, vecchio mio, non preoccuparti. Via!» Macrae si rivolse al suo vice, che aspettava impaziente. «A New Orleans, Harry, ci sono molte mulatte o quarterone: bianche per metà o per tre quarti, figlie di bianchi che non possono riconoscerle pubblicamente. Formano una specie di classe a parte, superiore ai negri, ma sempre immensamente inferiore ai bianchi. Molte di loro sono belle, ben fatte, eleganti, davvero chic. Parecchie hanno ricevuto anche una buona educazione, a spese naturalmente dei padri clandestini. Alcune sono delle vere bellezze. Nota che diverse di loro, in apparenza, paiono bianche come me e te: ci sono perfino delle bionde con gli occhi azzurri! «Ora, una ragazza così, cosa può aspettarsi dalla vita? Di diventare una cameriera o una pettinatrice? Alcune prendono questa strada, ma sono poche. Di regola vengono tirate su con ogni cura dalle loro madri per un solo scopo: venire scelte come mantenute, cioè, non proprio amanti ma mogli morganatiche, da un giovanotto ricco e della classe dominante, creolo o
americano.» «Signore, sta dicendo...» «La situazione è quella che è. Non facciamo i moralisti!» «Non ne avevo intenzione. Ma a casa dicono...» «Il giovanotto farà le sue proposte alla madre, donna navigata e accorta per quanto riguarda il lato affaristico. Lei stabilisce le condizioni. La ragazza di solito riceve una bella casetta a Rampart Street o dintorni, e viene mantenuta con tutti i lussi che il suo protettore può permettersi. Se capita che non le vada di star sempre in casa, dove può farsi vedere in compagnia di un uomo? Solo a un ballo di mulatte, in compagnia di altre della sua stessa classe, al quale dovrà per forza partecipare mascherata, oltre tutto.» «Ma c'è dell'altro» intervenne Tom. «Al ballo partecipano anche bellezze non ancora impegnate, per mettersi in mostra. Quindi, se vedi una sirena mascherata in compagnia di un uomo, voltati da un'altra parte: lei è di proprietà di qualcuno, o in procinto di esserlo. Se invece è accompagnata solo da una donna anziana, probabilmente la madre, fatti pure avanti e saluta; fa' i tuoi approcci senza esitazione, lei è lì per quello. Puoi anche non spingerti più in là di qualche ballo e di un tête-à-tête: obblighi non ne hai. Tuttavia, sai, con un'intera sala affollata d'incantatrici... Ce n'è per tutti i gusti. E sono anche tenere e dolci, così mi dicono. Be', che te ne pare, ragazzo? Ti piacerebbe?» «Per Giove, se mi piacerebbe! Altro che! Ma...» «Ma?» «Se c'è da fare a pugni, per me va bene. In qualsiasi momento. Ma trovarsi di fronte a qualcuno con una pistola in mano è un'altra cosa. Se mi sfidassero a duello, penso che mi potrei sforzare di fare almeno una figura decente; ma non apprezzo l'idea, lo dico sinceramente. E se dovesse capitarmi proprio la prima sera che sono qui...» «Ma quali sfide a duello sogni?» scattò Tom. «Scemenze! Sta' lontano dalle donne impegnate e non aver paura di niente. Quei balli sono quanto c'è di più decoroso e dignitoso. Devono esserlo per forza, no? È questa l'unica ragione che ti fa esitare?» «Non proprio l'unica. Che ne direbbe il signor Macrae?» Macrae lo guardò. «Be', purché ti comporti come si deve, che dovrei dire?» «Ma lei, signore, non c'è mai andato! Alla sua età, e con la dignitosa posizione...» «Al diavolo, Harry! Non sono decrepito, sai, e ancora non ho bisogno
della poltrona a rotelle. Se tu e Tom decidete di andare, ho una mezza voglia di venire anch'io a dare un'occhiata.» «Deciso, allora?» chiese Tom. Pure, sembrò che un'ombra gl'incupisse il viso. Restituì il giornale a Macrae senza più nulla dell'allegria che aveva manifestata fino a quel momento. «Andremo al ballo, amici» dichiarò comunque. «Non ci saranno sfide a duello, Harry, o, se ci saranno, mi farò provocare io per evitarti il disturbo. Avrai perfino il tuo principale a guardarti le spalle. Andremo al ballo con l'allegria nel cuore e i sensi all'erta. Eppure... non sono proprio sicuro che facciamo una cosa saggia, andandoci.» «Ma diamine, sei stato tu a insistere!» esclamò Harry. «Che ti succede?» Tom si alzò in piedi. Bilanciandosi come meglio poteva per tenersi in equilibrio nonostante i movimenti della carrozza, infilò i pollici nei taschini del panciotto e parlò in tono di profonda riflessione. «Io sono un tipo piuttosto lùgubre, ragazzo mio, quando non mi eccito per qualche cosa. Il cervello dei Clayton, credimi, è eccellente. Ma i presentimenti dei Clayton sono noti e rispettati fin da quando i miei antenati sbarcarono in Virginia. E ora ne ho uno. «Tu non sai quante stranezze e quanti misteri si sono andati accumulando la scorsa notte; e può essere che se ne stiano accumulando di peggio anche adesso. C'è un burlone che si aggira intorno a noi, facendo scherzi di pessimo gusto. Come quella giara buttata nello studio al posto di una testa umana! «Duelli e risse non mi danno pensiero. È quel maledetto pagliaccio che mi disturba. È ostinato e continuerà a darsi da fare. Ho il presentimento che qualche altra dannata bomba ci esploderà in faccia prima di domani mattina. Sento...» Tom s'interruppe. Ma aveva ragione. 5 Alle dieci meno un quarto di quella sera, la stessa carrozza con gli stessi passeggeri trotterellava lungo Bourbon Street con Walter a cassetta. Andava a est, verso la "Washington and American Ballroom". Le lampade della carrozza illuminavano di passaggio facciate dipinte a colori pastello, con ringhiere di ferro battuto e negozi dalle insegne in francese. Durante il giorno c'erano stati un paio di acquazzoni, ma la notte
era serena, con un cielo limpido e una fettina di luna. I tre ora portavano abiti da sera neri, camicie inamidate con grandi cravatte bianche e cilindri di seta. Harry ne aveva comprato uno per l'occasione. Il giovane trattava come un coetaneo il trentaduenne Tom Clayton, ma continuava a trattare il trentasettenne Macrae come un vecchio zio benevolo ma temibile. Tom gli aveva fatto una diffusa relazione degli avvenimenti della notte prima. Aveva solo sorvolato sulla sensazione che Macrae aveva di essere continuamente sorvegliato; e l'amico gliene era stato molto grato. C'era anche un altro particolare che Tom non aveva menzionato. Lui non sapeva niente di una certa flessuosa giovane donna dai capelli fulvi e dagli occhi glauchi, perciò non poteva parlarne. Ma aveva abbastanza tatto da tacere anche se lo avesse saputo. Harry era stato eccitatissimo per tutto il giorno, e ora cercava di raccapezzarsi tra le strane usanze di quel luogo così nuovo per lui. «Sai, Tom, quél ristorante dove abbiamo cenato stasera, con la bouillabaisse e tutto il resto... Come si chiamava?» «McDonald's.» «Avete diverse abitudini strane qui, se mi permetti di dirlo. Come quello spuntino che abbiamo fatto prima, al bar sotterraneo del St. Charles Hotel. Non me lo sarei mai aspettato!» «Perché, cosa c'era che non andava?» «Be', eravamo lì per bere, no? Io ho detto al barista cosa volevo e lui mi ha steso davanti una tovaglietta, da una parte ha deposto il bicchiere e al centro tanti piattini con le più varie ghiottonerie, dai gamberetti all'insalata russa. E quando gli ho chiesto il conto, mi ha fatto pagare solo il drink.» «Ah, è una novità del St. Charles. Lo chiamano lo spuntino gratis. Ma si diffonderà, vedrai. Altre domande?» «Sì, un sacco. Andiamo lontano?» «No, non tanto. Presto vedrai che destino ti aspetta. Già nervoso?» «Già, dici tu? Sono stato sui carboni ardenti tutta la giornata! Ho una voglia matta di andarci, a quel ballo, però... Senti: se una di quelle ragazze mi piacesse, come devo abbordarla? Che contegno devo tenere?» «Quello che terresti con qualunque giovane signora a un ballo in Inghilterra. Non pensare che le nostre mulatte siano volgari o sguaiate: sono esattamente il contrario. Lei sulle prime potrà mostrarsi timida, rifiuterà di alzare un poco la maschera per farsi guardar bene in viso; allora devi insi-
stere, fermamente ma con la massima cortesia e le tue maniere più insinuanti.» «Sì, ma...» «Ora ti spiego la topografia del luogo» continuò Tom. «La "Washington and American Ballroom", già "Globe", occupa un edificio isolato, con intorno un terreno abbastanza vasto e circondato da un muro. A destra e a sinistra ci sono cortili lastricati, dove parcheggiano le carrozze. Nel retro c'è un giardino. «Si entra, si comprano i biglietti nell'atrio e ci si va a rifornire di maschere nella stanza attigua. Gli uomini non sono obbligati a coprirsi il viso, ma è preferibile. Potresti incontrare qualcuno dei tuoi amici, e se ti aggirassi a viso scoperto questo metterebbe in imbarazzo te e loro. A questo punto non resta che aspettare che l'orchestra attacchi. Confida nella tua naturale disinvoltura, Harry, e non ti preoccupare di niente.» «Tom, ma anche tu...» «E sta' un momento buono, per favore!» Stavano percorrendo St. Peter Street. C'erano pochi veicoli in giro, e ancor meno pedoni. Harry si sporse per guardare avanti. Macrae, che sedeva con le spalle al cocchiere, si girò per guardare anche lui. Poco più in là, all'angolo che la strada formava con St. Claude Street, due torce accese fiancheggiavano un'apertura ad arco in un muro di cinta. Al di là, diverse lampade illuminavano un alto edificio. Ed ecco che avvenne. Walter stava per svoltare verso l'arcata, quando un'altra carrozza scoperta arrivò di corsa dietro di loro. La luce delle due torce illuminò in pieno il viso dell'unica passeggera, una giovane donna in abito da sera blu, dall'ampia scollatura ornata di merletti. I capelli, ardenti di riflessi fulvi, erano pettinati a riccioli attorno alle guance. Le labbra rosse, semiaperte, spiccavano sulla carnagione di un bianco dorato. Gli occhi erano lunghi, con palpebre grevi, di un grigio cangiante nell'azzurro e straordinariamente luminosi. Macrae incontrò in pieno quegli occhi per un istante, ed ebbe l'impressione che il cuore gli si arrestasse. La bella sconosciuta sobbalzò e si voltò, alzando in fretta un ventaglio aperto a coprire completamente il viso. Tom Clayton si girò a dare un'occhiata. «Walter, fermati» ordinò. «Lascia che la signora ci preceda.» Walter obbedì. L'altra carrozza li superò entrando nell'arcata, e svoltò a
sinistra. «Era una di quelle ragazze, Tom?» chiese Harry Ludlow. «Accidenti, Tom, era una di quelle ragazze?» «Come faccio a saperlo? Sì, forse sì. Ma parla a voce più bassa. Walter, loro girano a sinistra, tu va' a destra, meglio non mettere in imbarazzo nessuno.» Nel cortile di destra, due o tre dozzine di veicoli aspettavano la fine del ballo. C'erano carrozze chiuse e calessi; c'era perfino qualche carrozza di piazza. La maggior parte dei cocchieri erano andati a rinfrescarsi da qualche parte. Walter scelse un posto vicino al muro e i passeggeri scesero. «Bene, eccoci qui» fece Harry, che quasi danzava dall'eccitazione. «Vado avanti a prendere i biglietti?» Tom lo acciuffò per un braccio. «Neanche per sogno! Vuoi proprio pagare tutto tu? Hai già pagato da bere al St. Charles, e volevi anche pagare la cena. I biglietti li prendo io. Costano poco: ai tempi in cui queste feste erano davvero in gran voga, si pagavano due dollari a testa. Dick, e ora che ti prende?» «Niente, niente! Voi due andate avanti, vi raggiungerò dopo aver fumato un sigaro. Sta' attento a Harry, Tom: sorveglialo e se necessario ammanettalo.» «Sei sicuro che non ci sia invece bisogno di ammanettare te? Ho il netto presentimento...» Macrae non aveva voglia di discutere. Li piantò lì e si diresse in fretta verso l'altro cortile. Era affollato di veicoli anche quello. Vicino all'arcata che dava su St. Peter Street, il cavallo rivolto verso la strada come pronto per un'improvvisa partenza, c'era un carrozzino che gli sembrò vagamente familiare, così come la figura immobile del cocchiere a cassetta. Ma in quel momento aveva altri pensieri. Cercava una carrozza scoperta dalla tappezzeria color madreperla, contro la quale un abito blu e due belle spalle bianche avevano risaltato così vividamente. La trovò, anch'essa rivolta verso la strada, ma assai indietro, vicino al giardino. La bella sconosciuta c'era ancora. Sedeva immobile dietro il cocchiere, una sciarpa di velo intorno alle spalle, le mani strette sul ventaglio. La vide chiaramente, illuminata com'era dalle lanterne delle carrozze. Ma anche lei lo vide, e non esitò. Con un fluido movimento del corpo flessuoso, per nulla impacciata dall'immensa crinolina, balzò giù dalla carrozza e corse nel giardino, dove si perse tra le ombre.
"Se c'è un'altra uscita, l'ho perduta di nuovo" pensò lui disperato. La notte non era completamente buia. Sentieri ghiaiosi serpeggiavano fra aiuole da cui provenivano fragranze tropicali. Un sentiero centrale molto più largo sembrava condurre verso un'uscita. Lui sentì passi leggeri percorrerlo e camminò più in fretta. Uscite non ce n'erano: il sentiero finiva in un semicerchio chiuso cinto da siepi, al centro del quale una statua di Diana stava ritta su un piedistallo. Ai piedi della statua, la ragazza si fermò e si voltò. Aveva ancora in mano il ventaglio aperto, ma non fece l'atto di alzarlo. Lui sentì il respiro affannoso di lei, percepì la sua agitazione, ma indovinò anche che era motivata da qualche emozione ben diversa dalla confusione o dallo spavento. «Vuole perdonare il mio comportamento indiscreto, signora?» cominciò. «Non avevo scelta. La prima volta che ci siamo incontrati...» La voce di lei, bassa e armoniosa, non aveva traccia di accento francese. «Ha forse l'impressione che ci siamo già incontrati, signore?» «È molto più che un'impressione, mi creda. Al momento del nostro primo e unico incontro, lei portava un vestito del colore delle foglie d'autunno; e in mano aveva, non un ventaglio, ma un domino nero bordato di merletto. Posso cercare di stimolare la sua memoria in proposito?» «Non ho scelta. Se persiste a volermi parlare, devo ascoltarla per forza.» «Permesso accordato, dunque. L'evento si verificò la notte di martedì sedici febbraio, esattamente una settimana prima di Mardi Gras. «Ero stato invitato a casa del signor Barnaby Jeffers, nel Garden District. Ci andai con una carrozza di piazza, e avevo dato una buona mancia al cocchiere perché mi aspettasse. Ma quando uscii, un poco dopo le undici, la strada era vuota. Qualcuno aveva dato una mancia più generosa della mia e si era preso la carrozza. «Dovevo dunque tornare a Carondelet Street a piedi. Mi avviai lungo St. Charles Avenue, e avevo percorso un paio di centinaia di metri quando mi trovai a passare davanti a una grande casa tutta illuminata, probabilmente per un ricevimento. «Fu allora che mi accorsi di un'altra carrozza pubblica dietro a me che andava, nella mia direzione. Procedeva così lentamente che pensai fosse vuota. Alzai la mano e il cocchiere rallentò ancora di più... «Agii forse con eccessiva precipitazione, lo ammetto. Ma fu solo per la soddisfazione di aver trovato una carrozza, non per altro motivo. Spalancai lo sportello, rotolai all'interno e richiusi. Fu allora che mi accorsi della presenza di un altro passeggero: lei, seduta in un angolo, un mantello sull'abi-
to da sera e la maschera in mano. Dubita ancora della mia sincerità?» «Non dubito soltanto della sua sincerità, ma anche della sua sanità mentale, signore!» «Cercai di spiegarle il mio errore; cercai di presentarmi. Lei mi chiese a che serviva dirle il mio nome, e io dovetti confessare che non serviva a niente. Pensava, almeno all'apparenza, che il mio fosse un deliberato tentativo di molestarla. Si coprì il viso con la maschera e mi supplicò di scendere e di lasciarla in pace, se ero davvero un gentiluomo. «Non c'era altro da fare: scesi. Quanto a ciò che feci dopo, chiami il mio comportamento poco dignitoso, indegno di un gentiluomo e anche ridicolo, ma...» «Ebbene?» «Corsi a fianco della carrozza e chiamai il cocchiere. Gli chiesi se la conosceva; mi rispose di no. Avevo nel taschino una moneta d'oro da cinque dollari: gliela offrii perché acconsentisse a dirmi dove la stava portando.» «Cosa mai può averla spinto a far questo... se davvero lo ha fatto?» «Mi chiede perché desiderassi rintracciarla, conoscere il suo nome, rivederla? Le rispondo: si guardi allo specchio, signora. Lei non è soltanto bella, ma belle inconnue. Ha anche la qualità che alcuni chiamano magnetismo e altri definiscono con un nome più grossolano. Ma sia i miei pensieri che le mie intenzioni, lo creda, sono tutt'altro che grossolani. Posso concludere la mia storia?» «Posso forse farla tacere a forza?» «Al cocchiere faceva gola la mia moneta; disse però di non sapere dove la stava portando. Disse che lei lo aveva chiamato in quella stessa strada, e che sembrava sconvolta, tanto che gli aveva ordinato di andare dove voleva. Pochi istanti dopo, mentre correvo ancora a fianco di quell'infernale carrozza, lei si sporse dal finestrino e gli gridò di frustare il cavallo, cosa che lui fece. Ma non prima di avermi fornito un altro particolare che m'induce a chiedermi che commedia sta recitando in questo momento.» «Commedia?» «Ne avrà forse una buona ragione; comunque, mi spiego. Il cocchiere mi disse di aver rallentato, quando io lo chiamai, perché, avrebbe potuto giurarci, lei stessa gli aveva ordinato di rallentare. «E non è tutto. Quando rotolai nella carrozza, atterrando sulla sua crinolina, la luce che proveniva dalla casa illuminava distintamente il suo viso. Un attimo prima di cominciare la sua tirata sulla mia invadenza e scortesia, mi guardò negli occhi: eravamo così vicini, molto più vicini di ora! E il
suo sguardo era tenero e quasi... intimo, come se attraverso gli occhi - che occhi ha, signora! - volesse trasmettermi un messaggio che io avrei dovuto capire.» Lei si era ritratta verso la statua e i begli occhi erano pieni di lacrime. «A quanto pare mi ha dato della bugiarda e dell'ipocrita» mormorò. «E lei, allora?» In quel momento l'orchestra attaccò. Dalle finestre dell'edificio giunse il suono di una quadriglia, che evocava lo spettacolo di ballerini turbinanti nella sala lussuosa. Però Macrae, ormai quasi certo di aver afferrato la soluzione di quel particolare enigma, non pensava che alla bella sconosciuta. Lei era impallidita. Le spalle bianche ebbero un fremito come di pena; sembrò raccogliersi per un ultimo tentativo di resistenza. «Non ha esitato ad avvicinarmi questa sera, mentre ero sola e indifesa. Ma ora non ha un poco paura?» «Paura? Di che?» «Mi ha trovato qui, al ballo delle mulatte; deve sapere chi sono.» «Davvero, signora?» «Una donna come me viene qui solo in compagnia di una donna anziana o per incontrarsi col gentiluomo che la mantiene. Io sono sola, no? Non teme dunque che il mio protettore, al suo arrivo, non apprezzi il suo contegno verso di me e la sfidi a duello?» «Devo correre questo rischio.» «Si crede invulnerabile o immortale? Anche un tiratore abilissimo come lei, signor Macrae...» S'interruppe di colpo. Lui fece atto di applaudire. «Ora cominciamo a capirci. Sa il mio nome; ha la bontà di definirmi un tiratore abilissimo...» «Anche una sgualdrina mulatta può conoscere il nome di un uomo dell'alta società, no?» scattò lei. «Perché il mio protettore non dovrebbe punirla?» «Perché lei non è una sgualdrina mulatta e non ha nessun protettore. Non è venuta ad assistere al ballo: non ha nemmeno intenzione di entrare. Su, smettiamola con questa finzione di essere estranei. Mi faccia l'onore di accettare il mio braccio e torniamo alla carrozza; potrò così esprimere qualche ipotesi su chi è veramente e perché si trova qui.» «Devo... devo farlo per forza, vero?» Lei stava tentando di darsi un'aria di gelida dignità, ma quell'espressione non le si addiceva affatto. Quando gli prese il braccio, quasi con impazien-
za, il suo sollievo apparve evidente; e lui rabbrividì di piacere. «Cerco solo d'indovinare» continuò, guidandola lungo il sentiero. «Posso sbagliarmi su qualche particolare, ma l'idea generale è giusta, ne. sono sicuro. Per tutto ciò che la concerne, mia bellissima, ritengo di avere occhi capaci di vedere al di là di un muro di mattoni. Posso lusingarmi che sia vero?» «Voglio che ne sia più che certo!» «Ecco, adesso siamo fuori dal giardino; stiamo oltrepassando la sua carrozza...» «Dove mi sta conducendo?» «Oh, qualche passo ancora; verso l'arcata... dove, come vede, c'è...» «Oh, cielo! Se davvero ha indovinato tutto, per quanto sull'anima mia non so come abbia fatto, per favore parli! Chi sono io? Perché sono venuta in questo luogo sciagurato?» «Penso che lei si chiami Ursula Ede, e che sia qui per dar prova di amicizia a qualcuno. Ha notato la piccola carrozza chiusa, pronta per una partenza improvvisa, vicino all'entrata?» «Ebbene?» «Poco fa, quando l'ho sorpassata, mi è sembrata familiare. Ora son certo di riconoscerla. Su quella carrozza, nera con le ruote rosse, è venuta ieri a trovarmi al consolato Madame de Sancerre. So però che molto più spesso la usa sua figlia, sua grande amica. Margot è qui stasera, vero? Travestita?» Lei lasciò cadere il suo braccio, e si scostò bruscamente come se lui l'avesse colpita; ma i, suoi òcchi gli avevano già detto che le sue supposizioni erano giuste. «È incredibile, incredibile» sussurrò Ursula Ede senza fiato. «Avevo sentito dire che era un uomo intelligente, signor Macrae, ma non sapevo che fosse uno stregone.» «Non lo sono. Però Margot de Sancerre da quasi due mesi tormenta sua madre con la stessa eterna domanda: avrebbe tanti corteggiatori, sarebbe tanto ammirata anche se non fosse la ricca e prestigiosa figlia di Jules de Sancerre?» «Come sa che Margot le chiede sempre questo?» «Informazioni ricevute, come direbbe un investigatore della polizia londinese. Così Margot ha deciso alla fine di mettere alla prova il proprio fascino. È venuta mascherata al ballo delle mulatte per vedere se, così travestita, riesce ugualmente a far cadere tutti gli uomini ai suoi piedi, no?
«Credo che abbia maturato ieri il suo piano: ha detto alla madre che era pronta. È venuta a trovarla alla piantagione di suo padre, certo per pregarla di andare con lei. Lei ha rifiutato d'interpretare la parte della bella mulatta a questo ballo, cosa che l'ha messa di cattivo umore, come ha riferito un servo. Allora le ha promesso di starle vicina e darle un appoggio morale. Vero?» Ursula Ede fece un piccolo gesto d'impotenza. «Ho detto a Margot che era troppo rischioso, che non ne valeva la pena. Lei mi ha chiamata ipocrita e santarellina; e non lo sono, davvero non lo sono! Con lei sì, lo sono stata, lo so. Ma è stata la mia sciagurata educazione, glielo assicuro, non io! «La verità» disse tutto d'un fiato, evitando gli occhi di lui «la verità è che volevo conoscerla, lo volevo tanto, dall'autunno scorso; dal giorno che ero fuori con mio padre e la vidi a caccia vicino al lago. Ma tutti dicevano che non stava bene, che una ragazza come si deve non può fare il primo passo... «Crede che non ricordi quel martedì notte? Ero stata dagli Henderson, a un ballo in maschera; il mio accompagnatore si era ubriacato a tal punto da cadere per le scale e perdere i sensi. Non chiesi a nessun altro di accompagnarmi; corsi fuori e chiamai una carrozza che passava.» «E disse al cocchiere di portarla dove voleva? Ma alfine, naturalmente, si sarebbe fatta portare a casa?» «Certo.» «Fino alla piantagione?» «Non viviamo sempre alla piantagione, come la famiglia di Margot. Abbiamo una casa in città, vicino alla loro, e ci stiamo spesso. «Quando la vidi, ordinai davvero al cocchiere di rallentare. Naturalmente lei credette che fosse libera e si precipitò. E quando balzò dentro, come speravo che facesse, l'infamissima educazione con la quale mi hanno martellata per anni non mi ha permesso di essere naturale e di comportarmi come avrei voluto. Mi sembrava di avere davanti mio padre e tutte le mie zie. Mi persi d'animo; feci l'offesa, la mandai via. Per piacere, mi dica che mi perdona!» «Non ho nulla da perdonare, mi creda. Il problema reale mi pare riguardi Margot. Come ha fatto a compiere questa bella impresa da sola? In questo mercato glorificato delle schiave, non si suppone che ogni ragazza sia accompagnata?» «Margot ha un'accompagnatrice.»
«Oh?» «I de Sancerre non hanno schiave che possano recitare la parte; noi invece ne abbiamo una, una mulatta di nome Samantha, che va benissimo.» «Così l'ha prestata a Margot?» «Naturalmente. Era una delle ragioni per cui voleva vedermi, per chiedermi il permesso di portarla con sé. Io sono stata d'accordo. «Samantha risiede stabilmente nella casa di città. Margot doveva darle i soldi per la carrozza e i vestiti necessari per la parte da interpretare. Si sarebbero incontrate qui, tra le nove e mezzo e le dieci. Margot avrebbe portato una sua maschera, un domino ricamato, e Samantha si sarebbe fatta dare qui la sua. Ecco la carrozza dei de Sancerre: Margot sta danzando in tutta la sua gloria, come ha indovinato. Mi pare che ora le spiegazioni siano complete, no?» «No, c'è ancora un particolare importante. Margot ha pensato a questa scappata da sé, o gliel'ha suggerita qualcuno? Insomma, chi è che le sta accanto e la sta suggestionando da parecchio tempo?» «Non lo so! Questa è un'altra delle cose che non ha mai voluto dirmi! Si è lasciata sfuggire qualcosa, certo; per cui sono sicura che c'è veramente qualcuno che le suggerisce idee alle quali non potrebbe pensare da sé.» Perplessa, smarrita, Ursula tese una mano verso di lui. Ma la lasciò ricadere. «Margot è molto preoccupata, temo. Un poco a causa del Vudu, si figuri; un poco a causa di una donna morta da tanto tempo, una donna che si chiamava Delphine Lalaurie. Ma quale relazione possa esserci tra il Vudu e Madame Lalaurie e tra queste due cose e la ridicola scappata di stasera, fa tutto parte dello stesso mistero! Crede che ci saranno complicazioni?» «Impossibile dirlo. Molto dipende da quanto lontano lei intende spingersi. Le ha detto che intenzioni ha?» «No.» «Può darsi che se la cavi, naturalmente. Però, siccome qui c'è anche Tom Clayton, ed è di umore tutt'altro che accomodante...» «Tom Clayton è qui?» «È venuto col mio assistente e con me. Non lo ha visto?» «Ho visto che era con due persone, ma non le ho osservate; badavo a nasconderle il mio viso!» «Oh, loro non l'hanno vista; è stata svelta con quel ventaglio. Hanno pensato...» «Lo so cos'hanno pensato. E Margot... Dio mio, che guaio! Mi scusa per
un momento solo?» «Non mi sfuggirà di nuovo, vero?» «Non le sfuggirò, lo prometto. E poi, vado solo fino alla mia carrozza. Se non sarà lei a lasciarmi...» Si aggiustò la sciarpa sulle spalle, gli diede una lunga occhiata da sotto le palpebre abbassate e si dileguò nell'oscurità. La musica, che si era interrotta qualche istante prima, ora riprese con più forza. Macrae si volse verso l'entrata dell'edificio. Tre gradini larghi e bassi conducevano al porticato a colonne. Una grande porta spalancata e illuminata dava nell'atrio, del quale, dalla sua posizione, lui poteva vedere solo una parete, un pezzo di cornice dorata, lo spigolo di un tavolo e un paio di ombre, presumibilmente di camerieri, passare e ripassare in controluce. Dal cortile venne uno scalpitio di zoccoli e un cigolio di ruote. La calèche découverte guidata dal cocchiere di Ursula si fece strada tra gli altri veicoli e si fermò proprio dietro la carrozza chiusa, a cassetta della quale sedeva zio Cicero. Ursula si sporse dalla carrozza. «Signor Macrae» cominciò «è stato così gentile che io... Dica, può concedermi un altro poco del suo tempo, stasera?» «Tutto il tempo che vuole e in qualunque momento. Sono totalmente a sua disposizione.» «Vuole salire nella mia carrozza, allora? Ecco, sieda qui, a destra.» «Dobbiamo andare lontano?» chiese lui. «Per ora non dobbiamo andare da nessuna parte! È che da qui può vedere... Oh, vuole continuare ad aiutarmi in quella che forse le sembrerà una sciocchezza?» «Sa che lo voglio, signorina Ede.» «Mi chiami Ursula. Lo so che è un nome orribile, fa pensare a una vecchia zitella o a qualcosa di peggio. Ma se non le è troppo sgradevole usarlo...» «Col più grande piacere. Che facciamo ora?» «Aspettiamo. Vede, Margot aveva previsto che forse sarebbe dovuta fuggire all'improvviso, saltare in carrozza e precipitarsi via. Ora le dimostrerò che anch'io sono capace di fare ipotesi. La mia ipotesi è che questo sta per avvenire, e avverrà tra non molto. Ma potrebbe anche darsi che dobbiamo aspettare a lungo, e inutilmente.» «Con lei, Ursula, aspetto anche fino a domani.» «Ma la sto separando dai suoi amici.»
«Oh, mi perdoneranno. Che faremo se Margot fuggirà all'improvviso?» «La seguiremo.» Ursula indicò il cocchiere. «Jared ha ricevuto istruzioni. Dovunque lei vada, e anche se corre come il vento, noi dobbiamo tenerle dietro e non perderla mai di vista. «Adesso le spiegherò cosa deve fare. Dal suo posto può vedere lo sportello di destra della carrozza di Margot, mentre io posso vedere quello di sinistra. Per favore, per favore, non distolga gli occhi un momento! Dobbiamo assicurarci di due cose: che Margot non salti giù dalla carrozza spontaneamente e che nessuno vi s'introduca per portarla via.» «Che nessuno vi s'introduca?» «Sì! Io temo la prima possibilità: che lei abbia deciso di lasciare gli amici e la famiglia e voglia nascondersi da qualche parte. Margot invece teme la seconda. Lei teme che qualcuno o qualcosa... qualcosa di non umano... sia sulle sue tracce e voglia farle del male.» «Fantasmi, diavoletti e farfarelli? È questo che si aspetta d'incontrare per le vie di New Orleans?» «Io non mi aspetto niente» gridò quasi Ursula. «Non è possibile prevedere ciò che accadrà. Ma so che è mio dovere tenerla d'occhio come posso. E la mia ipotesi, dopo tutto, era giusta. Eccola che esce!» 6 Una specie di piccola esplosione si stava verificando nella direzione che Ursula aveva indicato, sulla porta che dava nell'atrio della "Washington and American Ballroom". Ne era balzata fuori una ragazza dai capelli neri e dal portamento imperioso; e ora stava ferma sotto il porticato, evidentemente furiosa. Era senza maschera e portava un abito di broccato giallo con mantellina di velluto verde e oro. Chi non avesse saputo che era una famosa e adulata bellezza avrebbe potuto prenderla per un'attrice di professione. Si girò per gettare un'occhiataccia alle ombre che si agitavano nell'interno dell'edificio. Macrae ebbe una fuggevole visione del suo volto di profilo. Margot de Sancerre era molto più alta di Ursula Ede, che del resto era piccola. La sua somiglianza con la madre era inconfondibile; in più, Margot aveva la freschezza e l'arroganza della gioventù e, evidentemente, anche il suo pessimo carattere. Si portò al viso una maschera nera ricamata a lustrini e se la mise. Poi volse le spalle alla porta, corse giù per i tre gradini e si diresse in fretta
verso la carrozza nera che l'attendeva; zio Cicero era già sceso per aprire lo sportello. Passando, lei non degnò neppure di un'occhiata Ursula e Macrae. Proprio allora, sempre sulla porta, si verificò un'altra esplosione di dimensioni maggiori. Tom Clayton, anche lui senza maschera e col cappello gettato all'indietro, uscì impetuosamente nel porticato. Lo seguivano due uomini. Uno di loro, un grassone che pareva il direttore o il proprietario, sembrava raccomandarsi. L'altro, un tipo alto e magro dai baffi lunghissimi e con un abito da sera troppo vistosamente elegante, sembrava invece adirato. Raggiunse Tom e gli batté sulla spalla. «Parlo a lei, signore!» disse. «Davvero?» esplose Tom. «Davvero?» Le loro voci sembravano ancora più alte nella quiete della serata. «Signori, signori!» gemette il grassone. «Non è il caso, suvvia! Non qui!» «Esigo che mi risponda, signore» continuò il tipo adirato. «Esigo anche che mi dia soddisfazione! Mi sente?» Gli esatti movimenti di Tom risultarono un po' difficili da seguire. Parve che girasse il braccio sinistro dietro la schiena dell'uomo; gli attanagliò il mento con la mano destra e pose tutto il suo peso e la sua forza in un possente spintone. L'elegantone volò nell'atrio, attraverso la porta spalancata, come lanciato da una catapulta. Si udì uno schianto quando atterrò da qualche parte. Nello stesso istante Harry Ludlow corse fuori. «Lo sai chi era, Tom? Lo sai chi era, l'uomo al quale hai fatto fare il volo?» «Non me ne importa un accidente di chi fosse. Guarda là, piuttosto!» E Tom indicò con un gesto violento Margot, che era finalmente riuscita a sistemare le voluminose gonne nella piccola carrozza nera dalle ruote rosse. «Eccola che se ne va, maledetta la presunzione di tutte le donne. Serve una lezione a quella ragazza, le serve davvero, e questa volta l'avrà!» «Ma dico! Cosa pensi di poter fare?» «Le farò nero il didietro, ecco cosa farò! Me la metterò sulle ginocchia e... Chiama Walter con la carrozza, fallo venire subito qui! Dovunque lei vada, a casa sua o all'inferno, stasera non mi scapperà!» Lo schiocco della frusta di zio Cicero rimbombò come un colpo di pistola. Tre o quattro secondi dopo, gli fece eco la frusta di Jared.
La carrozza nera volò fuori dell'arcata e non svoltò né a destra né a sinistra. Andò dritta a sud, lungo St. Peter Street, acquistando ancora più velocità, con Ursula e Macrae all'inseguimento. Una o due volte, specie durante la sfuriata di Tom, lui aveva temuto che la sua compagna stesse per svenire: aveva lo sguardo vacuo. La sostenne con una mano sul braccio. «Non mi tocchi!» fece lei. «Voglio dire, non mi tocchi in questo momento! Resti dalla sua parte e osservi quello sportello; si sporga se è necessario, ma non lo perda di vista! Margot...» «Sta per trovarsi in compagnia numerosa, a quanto pare. Tom e Harry ci saranno dietro tra poco. L'intenzione di Tom di farle nero il... insomma, la sua intenzione sarà magari volgare ed espressa in termini poco rispettosi, ma ha del merito. Può darsi che, dopo tutto, sia il modo migliore per risolvere la situazione.» «Ma non deve succedere! Non lo capisce?» «No, veramente.» «Io stessa certe volte ho provato il desiderio di prendere a schiaffi Margot. Molte volte, anzi. Ma lei è più alta e più forte di me, e quindi non avrei potuto farlo anche se questo comportamento non fosse indegno di una vera signora. E non deve farlo neanche Tom! A proposito, Tom e quel ragazzo biondo ci stanno davvero seguendo?» «Vengono sì, signorina Ursie!» disse Jared da cassetta. «Vengono sì!» «Il signor Macrae e io non possiamo voltarci, Jared, dobbiamo guardare avanti. Ma...» «Vengono, signorina Ursie! Non li sente?» Si udiva distintamente il galoppare di un'altra carrozza. «Jared» ordinò Ursula «bada che il signor Clayton non deve assolutamente sorpassarci! Comunque, i nostri cavalli sono migliori: non ci sorpasserà! Quanto a lei, signor Macrae» aggiunse con improvvisa severità «mi auguro che non trovi nulla di comico in tutto questo!» «Be'...» «Mi meraviglio di lei!» «Be', Ursula, deve ammettere che questa corsa non è priva di qualche elemento piccante. Al ballo esplode una lite fra innamorati. Margot fugge via, piena di paura. Noi le corriamo dietro, temendo non si sa cosa. E in coda scàlpita Tom Clayton, con la ferma intenzione di... di fare quello che ha detto.» «Ma non è buffo, è orribile! Pensa che Margot sappia di essere seguita?»
«Certo che lo sa» rispose Macrae, che aveva visto il finestrino nello sportello di destra della carrozza nera abbassarsi e il viso di Margot de Sancerre affacciarsi brevemente. «Si è sporta a guardare e ha subito richiuso il finestrino. Siamo una bella processione, non c'è che dire! Speriamo di non attirare l'attenzione della polizia. Se almeno sapessi dove stiamo andando!» Ebbe la risposta che voleva poco dopo. Gli zoccoli del cavallo strapparono scintille al selciato, mentre la carrozza che li precedeva svoltava bruscamente in Royal Street e riprendeva la corsa verso ovest. «Andiamo verso Canal Street» spiegò Jared. «La signorina Margot va a casa!» I tre veicoli galoppavano a corsa sfrenata per le strade deserte, dove indugiava solo qualche ubriaco, benché i bar e i saloon fossero vistosamente illuminati. Le fruste schioccavano. Una o due volte Macrae sentì Tom Clayton imprecare. «Nessuno di noi guadagna terreno né lo perde» osservò. «E sembra proprio che Margot stia andando a casa. Quanto è lontana ancora? Un miglio e mezzo circa, mi pare, no?» «Forse un poco meno. La sta tenendo d'occhio?» Lo stava facendo coscienziosamente, ma concentrarsi gli riusciva di momento in momento più difficile. Ursula gli era vicina tanto da poterla toccare, e la sua intensa femminilità lo turbava, affollandogli la mente d'idee che avrebbe dovuto respingere. Forse lei ne era conscia, forse no. Teneva gli occhi fissi allo sportello di sinistra della carrozza di Margot, e si era lasciata cadere dalle spalle la sciarpa di velo. Tentava ancora di mostrarsi severa, ma con scarsissimo successo. E alfine non ce la fece più. «Dovrei sgridarla, signor... Oh, suvvia! Come ti chiami di nome?» «Richard. Se vuoi...» «Un bel nome, proprio bello! Ma io vorrei chiamarti Quentin. Ti dispiace se ti chiamo Quentin?» «Niente affatto, ma perché Quentin? È il nome di qualcuno che conosci?» «Non ho mai conosciuto nessuno che si chiamasse così! È solo uno sciocco capriccio, che una volta o l'altra ti spiegherò. Ma stavo dicendo che dovrei sgridarti. Da buon inglese...» «Io sono scozzese.» «Allora Quentin è un nome che ti si addice. In ogni modo provieni dalla Gran Bretagna, Q-quentin» qui Ursula arrossì «e quindi dovresti avere
modi riservati e dignitosi, e non trattare le mie preoccupazioni con leggerezza o farci sopra dello spirito. Eppure, non so: forse sarebbe meglio considerarle dal lato umoristico: vorrei poterlo fare!» «Ebbene, perché non lo fai?» Ma per chissà quale ragione lei parve così confusa dopo averlo chiamato "Quentin", che passarono diversi minuti prima che parlasse di nuovo. Ora stavano correndo a rotta di collo lungo St. Charles Avenue. Il selciato irregolare faceva sobbalzare la carrozza, tanto che spesso li gettava l'uno contro l'altro; ma subito ritornavano ai rispettivi posti di osservazione. Dopo un poco, grandi ville ombreggiate da alberi cominciarono ad apparire ai due lati della strada. Macrae a un tratto attirò l'attenzione di Ursula su una villa a sinistra. «Ecco il luogo dove ci siamo incontrati per la prima volta. Dinanzi a quella casa...» «È la vecchia casa dei Cavendish. Tu balzasti nella carrozza, e io mi comportai così male!» «Ma no, Ursula, ti comportasti in modo estremamente corretto.» «Già, proprio questo volevo dire. Ecco, siamo quasi arrivati a casa di Margot» aggiunse subito dopo. «Jared, Cicero si sta allargando per svoltare. Fa' una curva larga anche tu, così che possiamo vedere sempre i fianchi della carrozza!» Jared obbedì. La grande villa bianca dalla facciata a colonne era a tre piani e si ergeva in un vasto parco privato. Le finestre del pianterreno splendevano di luci. Ursula indicò la cancellata di ferro battuto. «Guarda, è spalancata» disse. «Di solito è chiusa: i visitatori suonano quella campanella e qualcuno viene ad aprire. Come mai è aperta? Ma... che stai brontolando?» «Poco fa ti ho domandato, Ursula, perché non utilizzi l'umorismo che certamente possiedi.» «Dio mio, trovi davvero che ci sia qualcosa di buffo in questa faccenda?» «Be', ammetto che non è una farsa. Ma non è nemmeno una magia Vudu. Dove sono gl'incantesimi che dovrebbero incatenarci anima e corpo? Dove sono le forze diaboliche che avrebbero dovuto strappare Margot dalla sua carrozza e farla sparire nelle tenebre? La ragazza è sana e salva a casa sua, o lo sarà tra pochi secondi. Cicero sta rallentando, Jared lo imita, e Walter farà bene a fare lo stesso o finiremo per ammucchiarci l'uno sull'al-
tro. Guarda quante luci nella casa, Ursula. Ricevono stasera i de Sancerre?» «Non danno alcun ricevimento formale, a quanto so. Ma la loro casa è sempre aperta ai visitatori, e ne hanno molti.» Il viale d'accesso arrivava fino al portico, dove si divideva in due vialetti che facevano il giro dell'edificio. Jared, eseguendo gli ordini di Ursula, aveva seguito la carrozza nera così da vicino che si trovò immediatamente dietro a zio Cicero, allorché questi voltò e fermò il veicolo davanti alla scalinata. C'era una profonda quiete nell'aria umida e pesante, fragrante di magnolia. Marcus Brutus, maggiordomo dei de Sancerre, apri la porta. In quel momento la terza carrozza, con Tom Clayton penzolante da una parte e Harry Ludlow dall'altra, arrivò al galoppo e si fermò dietro le prime due. Ursula alzò una mano, come per imporre la calma, ma non ce ne fu bisogno. Tom scese lentamente e si raddrizzò nelle spalle con aria maestosa. «Non sono più arrabbiato» annunciò a tutti i presenti. «O per lo meno, non sono più tanto arrabbiato come lo ero mezz'ora fa. Non impartirò punizioni corporali, anche se quella ragazzaccia viziata se le meriterebbe.» «Meglio così, Tom» disse Harry, saltandogli accanto. «Meglio così! Durante la nostra pazza galoppata sei stato così dannatamente esplicito su quello che volevi farle che mi hai messo davvero in imbarazzo. Non dovresti parlare in quel modo, vecchio mio: non sta bene.» Tom sfiorò con due dita l'ala del cappello. «Salve, Ursula!» salutò. «Dove e quando ti sei incontrata col mio amico Dick? Oh, lasciamo andare. Si suppone che tu abbia una influenza positiva su Margot, anche perché sei maggiore di lei di tre o quattro anni. Ma io ne dubito. A giudicare dalla condotta tua e di Dick questa sera...» «La nostra condotta?» gridò Ursula. «Cosa credi che stessimo facendo?» «Secondo ogni apparenza, cosa si dovrebbe credere che steste facendo? Ma non importa: la carne è fragile.» Tom si volse a Harry. «Non intendo avvilire me e Margot applicando la mano destra, con la massima energia, nel luogo dove dovrebbe essere applicata. La mia dignità e il mio autocontrollo non me lo permettono. Questo però non significa che quella sciagurata ragazza se la passerà liscia. Un breve e compendioso discorsetto, come solo Tom Clayton può fare, la indurrà a mettere almeno un po' di giudizio. Fatti da parte!» Con passo felino si diresse verso la carrozza nera e spalancò lo sportello di destra. Guardò nell'interno, si sporse per esaminarlo meglio e alfine si
girò di scatto verso Ursula e Macrae. «Ehi, voi due! Come mai l'avete lasciata fare?» «Tom, che stai dicendo? Cosa le abbiamo lasciato fare?» «Squagliarsela, ecco cosa» esplose Tom «mentre voi due stavate inseguendola. Margot non c'è qui, se n'è andata!» Nelle profondità della mente di Macrae si agitò una visione da incubo. Ma non c'era tempo per analizzarla. Il rossore di Ursula si era trasformato in un pallore mortale. Scese dalla carrozza così in fretta che la crinolina azzurra le si gonfiò attorno. Macrae la seguì, continuando a tenerla per il braccio senza che lei si ritraesse. «Tom, quello che dici è ridicolo» cominciò Ursula. «Assolutamente ridicolo! Abbiamo tenuto d'occhio questi sportelli minuto per minuto, fino a ora, e tutti e due possiamo giurare che Margot non è uscita!» «È uscita, invece, dato che qui non c'è. Vieni a vedere!» Andarono a vedere, e Harry Ludlow li seguì. Entrambi i finestrini della carrozza ora erano abbassati. Sul sedile giaceva la maschera nera di Margot, scintillante di lustrini. Ma di Margot non c'era traccia, tranne una lieve scia del suo profumo. «È impossibile!» gridò Ursula. «Non l'ho mai vista abbassare il finestrino a sinistra...» «E io l'ho vista toccare quello di destra solo una volta» rincarò Macrae. «L'ha abbassato per sporgersi a guardare, durante la corsa, ma lo ha risollevato subito.» «Questo comunque non significa niente» disse Ursula, e Macrae assentì «perché gli sportelli non si sono mossi. Se li avesse aperti anche di pochi centimetri, noi l'avremmo vista. E poi andavamo a velocità tale che Margot non avrebbe potuto saltar fuori senza farsi male seriamente. In ogni modo, non ha aperto gli sportelli e questo è quanto. Non è possibile che ne sia uscita o che sia stata portata via!» «Portata via, eh?» ripeté Tom. «Portata via? Oh, vedo. È la conseguenza logica del preludio di ieri notte, vero? Con la vecchia Marie Laveau e qualche suo gris-gris inteso a far svanire Margot come una bolla di sapone. Anche tu t'interessi di Vudu, dunque?» Il maggiordomo Marcus Brutus, che fino a quel momento era rimasto fermo dinanzi alla porta come una statua d'ebano in abito da sera, di colpo si voltò e corse via, all'interno della casa. «Un momento, Tom!» s'interpose Macrae, piuttosto bruscamente, anche se si sentiva girare la testa. «Non permettiamo alla nostra immaginazione
di trascinarci troppo in là. La cosa è accaduta, riconosciamolo.» «Lo so che è accaduta, figlio mio. Ma vorrei sapere come è accaduta.» «Lo vorremmo tutti. Probabilmente la spiegazione, quando la troveremo, sarà molto più semplice. Ma nel frattempo, cerca di metterti in testa che Ursula e io stiamo dicendo la pura verità. La nostra attenzione non si è distolta dalla carrozza...» «Non vi siete distolti l'uno dall'altra, vorrai dire. Tu e Ursula siete lenti a partire, vecchio mio; ma giurerei che, quando avete accumulato abbastanza vapore, siete tipi da far saltare la caldaia. Perfino in questo momento, intorno a voi due c'è un'aura che colpirebbe anche un cieco.» «A me basta che tu non dica che noi siamo ciechi; tutto qui!» «Ma non sto dicendo che sei cieco, Dick. Io sto solo dicendo che eravate così assorbiti in una vostra personale idea (e chi vi biasima?) che avete lasciato scappar via Margot senza accorgervene. Che te ne pare, Harry?» «Se permetti» cominciò Harry a disagio «mi astengo dall'esprimere qualsiasi opinione in presenza del mio superiore. E poi, bada che c'è di peggio. Che diranno i genitori della signorina de Sancerre quando riferirai loro ciò che devi riferire? E cioè, che l'hai sorpresa travestita da mulatta al ballo delle quarterone?» «No, per favore! Dovete lasciare che questo lo spieghi io!» implorò Ursula. «Bisogna dire la verità, che ci piaccia o no, e io sono da biasimare almeno quanto Margot. Lasciate che sia io a parlare alla zia Isabelle!» «Questa giovane signora... ehm... non credo di...» Macrae presentò Harry a Ursula. Il giovane s'inchinò gravemente, il cappello sul cuore, poi tornò a rivolgersi a Tom. «Per quanto riguarda la signorina de Sancerre» continuò «tu le hai reso le cose più difficili. Quel giocatore, Square Nat Rumbold, l'aveva appena invitata a ballare quando tu l'hai affrontata e le hai strappato la maschera davanti a tutti. Sei stato tu a provocare lo scandalo!» «E lei, allora?» «Be', lei ti ha ricambiato. Ti ha strappato a sua volta la maschera e ti ha schiaffeggiato. Ma a una signora bisogna riconoscere dei privilegi, no? Non avete questa abitudine nel Sud?» «Certo che l'abbiamo, ed è causa di almeno la metà dei nostri guai.» «E poi!» continuò Harry, lirico. «Lei è uscita, maestosa come una regina, tu le sei corso dietro e il giocatore ti ha seguito cercando di attirare la tua attenzione. Ma non mi avevi detto che lo conoscevi?» «Lo conosco, sì, ma solo di vista. Questa sera non l'ho neanche ricono-
sciuto, non ne ho avuto il tempo. Sono stato piuttosto maleducato con lui, vero?» «Maleducato? Gli hai fatto fare un volo di cinque metri almeno! Ma Tom, dicono che è sempre armato. Se si ostina a voler soddisfazione...» «Lascia che tenti il minimo scherzo, e gli farò saltare le orecchie. Ma sentimi, Dick.» Tom si rivolse a Macrae tornando alla sua idea fissa. «Siamo ragionevoli, per piacere. Non vorrai davvero credere che Margot è stata chiusa in quella carrozza fino al nostro arrivo qui, no?» «Preferisco credere alla testimonianza dei miei occhi, piuttosto che ammettere che sono pazzo. Abbi la cortesia di accettare la parola mia e della signorina Ede, perché...» «Così adesso è diventata la "signorina Ede", eh? Bene, bene! Resta pure attaccato alla tua storia, vecchio mio; giura quello che vuoi. Ma se Margot guardasse me, almeno una volta, come ho visto Ursula guardarti...» Ursula si era voltata. Isabelle de Sancerre, soignée come sempre in un abito di seta verde ornato di merletti, era uscita e stava ritta sul portico, illuminata di spalle dalle candele dell'atrio. «Chi parla di Margot?» chiese. «E di che cosa stava vaneggiando Marcus Brutus? È perfino salito di sopra per continuare a vaneggiare all'orecchio di mio marito. Buona sera, Ursula: mi dà consolazione vederti.» «Buona sera, zia Isabelle. Ti presento il signor Macrae, console di Gran Bretagna.» «Conosco bene il signor Macrae, cara. Non sapevo che lo conoscessi anche tu.» «Ci siamo incontrati qualche tempo fa» disse Macrae «in circostanze piuttosto insolite. E questa sera...» «Questa sera» spiegò Tom Clayton, arrampicandosi sugli specchi «Dick stava fumando il sigaro all'aria aperta, e Ursula è passata in carrozza...» «Per piacere!» interruppe Ursula. «Non mettetevi in testa di dover mentire per me. Dobbiamo dire la verità, è necessario, che ci piaccia o no. Zia Isabelle, posso parlarti un momento in privato?» «Ma certo, cara. Tuttavia c'è un contrattempo. Il giudice Rutherford è di sopra con Jules, nello studio. Non vogliono saperne di scendere a sentir cantare la signorina Partridge... terribilmente scortese da parte loro. Oh, che si può fare con certi uomini? «Vedi, Judah Benjamin era venuto a parlarmi, ma non ne ha avuto la possibilità: la signorina Partridge ci è caduta tra capo e collo. E come al solito aveva portato con sé la sua musica, per puro caso. E così abbiamo
dovuto chiederle di cantare, e ora si dispone a favorirci con alcune canzoni irlandesi. Non che canti male: ha una bellissima voce di soprano, solo che ne ha troppa...» «Zia Isabelle...» «Ma di cosa sta vaneggiando Marcus Brutus? Non so dove sia andata stasera Margot e ho quasi paura di chiederlo. Ma se era con te, Ursula, sono certa che non ci sia nulla da eccepire.» «Zia Isabelle, possiamo almeno entrare?» «Certo, cara. Oh, quanto vorrei che Horace Rutherford, zoppo com'è e col suo cuore scombinato, non saltasse da una parte all'altra per mettersi in posa come un monumento. Se cadesse potrebbe anche morire, e che direbbe allora Amelia Rutherford? Sapete che, ora che ci penso, oggi è l'esatto anniversario di quel giorno di vent'anni fa, quando Delphine Lalaurie dovette fuggire da New Orleans lasciando la sua casa in rovina, mentre una turba in rivolta la inseguiva urlando? Ma sono solo le dieci e mezzo di sera, la giornata non è ancora finita, no?» 7 Ursula era salita nel porticato. Isabelle de Sancerre, con l'aria di una che si aspetti cattive notizie ma sia preparata a farvi fronte, la prese per mano e l'accompagnò dentro. Macrae si avvicinò alla breve scalinata e guardò nell'atrio a lui ben noto e dove si era trovato tanto spesso. Molto vasto e col soffitto alto, era illuminato da candele e da lampade a gas; il pavimento scuro era lucidissimo e le pareti ricoperte da pannelli di legno bianco. In fondo, una grande scala bianca e nera portava a un pianerottolo ricoperto da tappeti, da cui si vedeva la porta dello studio di Jules de Sancerre proprio di fronte alla scala. Al pian terreno c'erano, a sinistra, il salotto principale e la sala da pranzo; a destra la biblioteca e un altro salotto. Era verso quest'ultimo che Isabelle de Sancerre stava guidando Ursula. Dall'interno proveniva il suono di un pianoforte che qualcuno stava provando. Le crinoline delle due donne erano appena sparite dietro la soglia, quando la porta dello studio di Jules de Sancerre si aprì. De Sancerre stesso ne balzò fuori, corse giù per le scale e uscì sul porticato a salutare i nuovi venuti. Era un ometto dai movimenti vivaci e dall'aria amabile. Si vedeva che il
suo atteggiamento verso la vita era estremamente positivo. Aveva capelli neri appena toccati di grigio, mentre completamente grigi erano i baffi e la breve barba tagliati nello stile messo di moda dall'imperatore Napoleone III. Lo sparato della camicia era sporco di cenere di sigaro. La sua voce, al pari di quella di sua moglie, non aveva traccia di accento francese. «Ah, Tom!» salutò. «Signor Macrae, servo suo! E questo giovanotto?» Harry Ludlow venne formalmente presentato. Jules de Sancerre parve riflettere. «Se non v'invito a entrare, amici miei, almeno finché quella donna non avrà finito di cantare, lo faccio per risparmiare i vostri sentimenti e non per mancanza di senso dell'ospitalità. Non c'è un buco in questa casa dove sia possibile sfuggire alla voce di Flossie Partridge, quando lei spalanca i polmoni. Quella donna è il terrore di quanti la conoscono. Così, a meno che Isabelle non insista, come talvolta fa, vorrei astenermi dal sottoporre i miei ospiti alla tortura. Bene, cosa succede?» Tom Clayton si fece coraggio. «Signore, questa sera tutti noi, comprese Margot e Ursula, ci siamo recati in... in un certo luogo» cominciò. «Per il momento, col suo permesso, non dirò in quale luogo. «Ursula ora sta raccontando tutto a Madame de Sancerre. Almeno, glielo racconterà se riuscirà a farsi forza. Non è cosa facile a dirsi, signore; siamo tutti molto imbarazzati, più di quanto siamo disposti ad ammettere. «Le dirò dunque semplicemente che Margot e io abbiamo bisticciato. Lei, irritatissima, è andata via da sola; Ursula e Dick l'hanno seguita nella carrozza del generale Ede; io e Harry appresso a loro. Ora le dirò cos'altro è accaduto, compreso ciò che abbiamo scoperto quando siamo arrivati qui. Potrà poi confrontare la mia storia con quella di Dick, e decidere lei stesso quale delle due è la più probabile e ragionevole.» Tom diede una dettagliata descrizione della corsa e di com'era finita, ma senza fare la minima allusione a improprietà di comportamento da parte di Ursula e del suo compagno. Raccontò tutto obiettivamente, senza emettere giudizi e senza fare insinuazioni, mentre Harry si contentava di annuire di tanto in tanto. «Avrebbero dovuto sapere che Margot stava per mettere in opera uno dei suoi trucchi» concluse. «Avrebbero dovuto stare più attenti! Invece si sono distratti, ecco tutto!» «Nego categoricamente che ci siamo distratti anche solo per un istante» intervenne Macrae. «Il fatto è, Tom...»
Le voci dei due uomini erano piuttosto potenti, e stavano cominciando ad alzarsi troppo nel silenzio della notte. Jules de Sancerre alzò una mano a imporre silenzio. Aveva ascoltato tutto con attenzione, ma non sembrava preoccupato. «Vedo» osservò. «Cioè, non vedo proprio chiaramente, ma per ora non importa. Marcus Brutus ha già raccontato praticamente la stessa storia, e il giudice Rutherford lo sta ancora interrogando.» «Però Madame de Sancerre, signore... non credo che abbia realmente capito quello che Marcus Brutus le ha detto!» «Lei no, ma io l'ho capito. Margot, con uno dei suoi trucchi, è riuscita a svanire come una bolla di sapone, no? «Gli scherzi sono una specialità di quella ragazza: ne ha giocati di tutti i colori fin da quando era alta così. Cosa significhi questa sua ultima alzata d'ingegno, e come abbia fatto a metterla in opera, confesso di non capirlo ancora. Ma è inutile dare in escandescenze davanti a un fait accompli. La madre di Margot può fare una scena isterica, e probabilmente la farà; ma suo padre desidera conservare un atteggiamento più ragionevole.» Jules de Sancerre sembrò guardare molto lontano. «Ho sempre pensato, amici miei, che noi tendiamo troppo a tenere nell'ovatta le nostre donne; mentre loro sono molto più abili nel badare a se stesse di quanto ci piaccia immaginare. Lasciamo che Margot manchi da casa per un'ora, due ore, anche tutta la notte! Dovrei forse strapparmi i capelli, battermi il petto e fare scenate? A che servirebbe? «Eppure il problema esiste, ed è abbastanza grave... Cicero!» «Sissignore?» «Non abbiamo più bisogno di te. Rimetti dentro la carrozza e» indicò il cavallo «di' a Zeke che s'incarichi di Bessie. «Vedete, amici» continuò, mentre Cicero svoltava dietro l'edificio e scompariva «neanche in un istante di follia potrei indurmi a credere...» «Che cosa, signore?» chiese Tom. «Che una carrozza che è stata in nostro possesso per tanti anni contenga un pannello segreto, attraverso il quale il passeggero possa lasciarsi scivolar fuori senza che i suoi inseguitori se ne accorgano, come succede ne I misteri di Udolpho. E qui poi abbiamo una passeggera in crinolina, mentre la carrozza andava a tutta velocità, almeno così mi avete detto. «Non posso credere una cosa simile» concluse Jules de Sancerre «e non la crederò. Ma esaminerò la carrozza con la massima cura. Il signor Macrae è così sicuro che le porte siano sempre rimaste chiuse (e immagino lo
sia anche Ursula), che la cosa più misteriosa mi pare...» S'interruppe bruscamente, la sua voce fu soffocata da un rumore non molto dissimile dalle trombe del Giudizio. Macrae aveva sentito parlare della signorina Florence Partridge e della sua possente e instancabile voce da soprano. Ora la stava udendo per la prima volta. Le poche note dell'introduzione erano state suonate con straordinaria sicurezza, ma con una sicurezza ancora maggiore la voce stava adesso attaccando "L'arpa che una volta risuonò nelle sale di Tara". Sempre più alta si levò, in una specie di estatica agonia; il suo volume fece tremare le lampade, e avrebbe fatto sobbalzare i quadri, se nell'atrio ce ne fossero stati. La canzone tuttavia non contava che due versi, così fu presto finita. Dal salotto, dove gli eroici ascoltatori della cantante dovevano essere Isabelle de Sancerre, Ursula e il senatore Benjamin, venne un educato battimani. Il gruppo che era fuori non manifestò alcuna reazione. Ma Jules de Sancerre, evidentemente così corazzato dall'abitudine che non aveva neanche sobbalzato, si rivolse a Tom Clayton che stava brontolando fra sé e sé. «Prima che ricominci, ragazzo mio, hai qualcosa da aggiungere alla storia? Ti stai ricordando di qualche altro particolare?» «Forse sono uno stupido» disse Tom. «Ma non sono uno stupido ostinato, e nemmeno un cretino totale.» «Ebbene?» «Stavo pensando a un'eventualità molto remota. È appena possibile, e non dico probabile, ma possibile, che Margot sia stata rapita e che si trovi forse in grave pericolo. Mi permetta di farle una domanda, signore. Qual è la sua opinione sulle connessioni del Vudu con questa faccenda?» «Quali connessioni? Chi ha parlato del Vudu?» «Marcus Brutus, forse?» «Dio mio, no!» «Avrebbe dovuto, sa: era questo che lo ha spaventato tanto da farlo scappar via. Inoltre pare che per qualche tempo se ne sia parlato parecchio. La signora de Sancerre non gliel'ha accennato?» «Ci sono molte cose che le donne non dicono ai loro mariti» sospirò Jules de Sancerre. «Tu stesso ne farai esperienza una volta o l'altra. Ma intanto, se stai insinuando che la sparizione di mia figlia possa essere stata provocata da un suo coinvolgimento in pratiche Vudu...» «Non stavo esattamente insinuando...»
«... allora, devo francamente confessare che la cosa mi preoccupa parecchio. Il diavolo possiede seguaci molto fedeli. Ma io sono un uomo pratico, e quindi cerchiamo di essere pratici. Se non era questo che stavi insinuando "esattamente", allora cosa volevi dire?» «Vorrei saperlo io stesso!» gridò Tom. «Dapprima ho creduto che Ursula e Dick avessero sognato; ora non ne sono più così sicuro. Dietro tutto ciò che è avvenuto io sento la presenza di un buffone tutt'altro che spiritoso, ma in compenso molto ostinato. Sta tessendo la sua tela, come un ragno; e forse tutto ciò ne fa parte. Mi sembra...» Jules de Sancerre s'irrigidì. «Zitto, Tom, finirai dopo quel che volevi dire. Abbiamo un altro visitatore, credo: sento qualcuno risalire il viale.» L'annuncio avrebbe potuto provocare in loro un brivido di spavento, ma non accadde nulla del genere. La signorina Partridge aveva riattaccato. Rinfrescata dalla breve pausa, si stava lanciando in un'altra canzone con un'energia che nessuna sirena di battello a vapore avrebbe potuto eguagliare. Dubbi e paure sarebbero stati dispersi ai quattro venti da quel baccano incredibile. Inoltre il nuovo venuto era ormai abbastanza vicino perché le lanterne della carrozza di Leonidas Clayton gl'illuminassero il viso. Era lo storico Barnaby Jeffers, che abitava non lontano di lì. Non era in abito da sera. Lungo e magro, un po' curvo, gli occhiali sul naso e il cappello che gli nascondeva la calvizie, aveva un aspetto estremamente ordinario. Eppure... Sembrava malato, o almeno depresso e molto inquieto. Gli occhi di un azzurro slavato erano incavati, e il viso magro era solcato dalle rughe. Si stava avvicinando a passi estremamente lenti. Venne a fermarsi accanto a loro nel momento in cui la signorina Partridge finiva di fare strazio della sua seconda interpretazione. «Rosette Leblanc!» esclamò senza preamboli. «Si chiamava così, naturalmente! Rosette Leblanc!» «Chi si chiamava così?» chiese Jules de Sancerre. «E di che cosa stai parlando?» «Scusami!» implorò lo storico. «Non riuscivo a dormire. Ho pensato che una passeggiata potesse conciliarmi il sonno. Ho visto la casa illuminata, e conoscendo le vostre abitudini da uccelli notturni... Scusami.» «Ma per carità!» fece l'altro, accarezzandosi la breve barbetta imperiale.
«Conosci tutti qui, mi pare, tranne l'ultima aggiunta al personale del consolato britannico. Harry Ludlow, il signor Barnaby Jeffers. Sai che sei sempre il benvenuto, Barnaby! Ma che cosa ti turba?» «Se permetti, Jules, preferirei non parlarne in pubblico. Ho sfogliato certi vecchi diari e mi hanno fatto rammentare un certo anniversario. "Mille fantasmi e sembianze di terrore emergono stanotte dalle tombe per cancellare il sonno dai miei occhi."» «Diamine! Va proprio così male?» «No, naturalmente no! Attribuisci l'iperbole all'età che m'incalza.» Barnaby Jeffers si asciugò le labbra. «Diventiamo vecchi, amico mio: ci cadono i capelli e anche buona parte dei denti. Ma riusciremo mai a imparare davvero qualcosa? Io sono quel soggetto un po' ridicolo che è un vecchio scapolo. Negli ultimi vent'anni la mia vita è stata esemplare. Ma prima...» «Anche la mia vita, lo dico quasi con rammarico, è stata sempre esemplare. Avrei potuto divertirmi di più, dannazione! Non sono mai stato un giocatore sfrenato: i miei peggiori eccessi si sono limitati a qualche partita a poker. Non sono mai corso dietro ad altre donne che alla signora diventata poi mia moglie. Non ho nemmeno mai messo piede a un ballo delle mulatte: eppure ai miei tempi questa usanza non era ancora diventata piatta e abitudinaria com'è adesso. Anzi, a proposito di ballo delle mulatte, adesso che mi viene in mente...» Era passato un lampo negli occhi di Jules de Sancerre. «Ebbene, signore?» lo riscosse Tom Clayton, fissandolo attentamente. «Parlava di un ballo delle mulatte?» «Ricordo un tremendo scandalo a uno di quei balli. Avvenne quando ero molto giovane, qualche anno prima che Isabelle e io ci sposassimo.» «Che scandalo?» «La più celebrata bellezza creola di quei tempi era Cécile de la Plage, la figlia di Henri de la Plage. Certe sue amiche la sfidarono ad andare al ballo delle mulatte, per vedere quante conquiste sarebbe riuscita a fare in veste di quarterona. Lei ci andò e si trovò faccia a faccia con un giovanotto del cui fidanzamento con lei si parlava da mesi. Se non esplose la sala fu un miracolo. Il padre della ragazza non la rinnegò né la cacciò da casa; da noi certe cose non si fanno. Però gli venne un colpo apoplettico. Ma au fond, tutto quello sconquasso si rivelò inutile. Lei sposò un distintissimo avvocato dell'Alabama e adesso è nonna.» «Posso fare un'osservazione del tutto trita?» chiese Barnaby Jeffers. «Ci sono scandali e scandali. Ci sono avvocati e avvocati. Hai visto Horace
Rutherford in questi ultimi tempi?» «È di sopra, nel mio studio, in questo momento.» Barnaby Jeffers tacque per qualche istante, e quando ricominciò a parlare la sua voce tremava. «Jules!» scattò quasi. «Devi perdonare il mio comportamento di stanotte. Non sono me stesso; ho perso la calma e mi pare di esser sul punto di perdere anche la testa. Ma questo incubo che mi perseguita può essere più terribile di quanto ognuno di voi possa immaginare. Pensi che io possa parlare da solo con Horace Rutherford per qualche minuto?» «Certo, prestissimo. Nel frattempo, amici, stringete i denti. Eccola che ricomincia nuovamente!» La terza canzone scelta dalla signorina Partridge, la più appassionata delle tre, era "Vieni, riposa sul mio petto, mia povera cerbiatta ferita". Lei non era del sesso giusto per esprimere un così devastante amore per una bella infedele, ma nella sua interpretazione non risparmiò né cuore né polmoni. Marcus Brutus, che stava scendendo la scala interna, si fermò e rimase immobile finché la voce non tacque. Mentre l'ultima nota moriva lentamente, si udì un altro applauso educato. Jules de Sancerre entrò nell'atrio, accennando agli altri di seguirlo. «Con un po' di fortuna, dovremmo essere alla fine. Venite, su! Venite, accomodatevi e vediamo di bere qualcosa.» Macrae seguì Tom Clayton e Jeffers, sbattendo le palpebre per difendersi dall'illuminazione eccessiva. Il loro ospite parve rammentarsi di qualcosa all'improvviso. «Marcus Brutus, mi senti? Sali, e chiedi al giudice Rutherford...» Ma era inutile chiamare il giudice Rutherford. La porta dello studio, che già si vedeva socchiusa, venne spalancata di colpo. Ne zoppicò fuori il giudice in persona, e avanzò senza richiuderla, con quel suo passo strascicato che gli faceva contorcere le spalle. Era un uomo gigantesco, dai capelli d'argento e dalla faccia colorita, benché le labbra avessero una sfumatura bluastra. Arrivato all'inizio della scala si fermò, si erse nella persona e parlò con voce risonante. «Non ho tirato fuori una sola parola ragionevole da quello là» intonò, indicando con aria disgustata Marcus Brutus. «E non credo che ci sia niente da fare! Non domandategli più nulla; le domande rivolgetele a quelli che hanno assistito a tutta la storia e la conoscono. Rimanete dove siete; ora scendo.» Barnaby Jeffers parve ritrovare la voce.
«No, rimani tu dove sei» gridò di rimando. «Salgo io. Lo studio di Jules andrà senz'altro bene.» «Andrà bene per che cosa? Quel maledetto fracasso in salotto ha una causa che conosco bene. Ma il baccano che andavate facendo a turno là fuori, strillando come pescivendoli, non l'ho capito. Se qualcuno volesse spiegarmi...» «Horace» urlò Jeffers «ti capita mai di aver paura del castigo?» «In senso religioso, vuoi dire? Be'...» «No, in senso pratico e mondano!» «Barnaby, sei pazzo? Castigo per cosa?» «Per lei» rispose l'altro. «Il figlio è nato nel '19 o nel '20. Se è ancora vivo, non ha ancora quarant'anni. E è vivo! La nota che ho ricevuto... Lui non ha mai conosciuto sua madre; non ha mai visto Rosette Leblanc. Non era sua madre che adorava fino all'idolatria: era Delphine! Sei tanto insensibile che ancora non lo capisci?» «Barnaby, per amor di Dio!» «Noi pensavamo di aver ragione. Credevamo di essere giustificati ad agire così. Ma non importa. Che giudizio dovremo affrontare nell'aldilà non importa. È un nemico vivente quello che dobbiamo temere! Resta lì, salgo subito!» Barnaby Jeffers fece per attraversare l'atrio, ma si arrestò subito. Jules de Sancerre fece una smorfia di disperazione. Dal salotto erano venute le note di una quarta introduzione, e subito la voce travolgente dell'instancabile soprano aveva ripreso a imperversare. Ma l'ultima esibizione della signorina Partridge era destinata a venire interrotta. Il giudice Rutherford, ritto con aria imponente sull'ultimo gradino della scala, aveva appena ruggito uno sprezzante "Nemici, santo cielo!" quando avvenne l'incidente. Le spalle massicce ebbero un violento e improvviso sussulto in avanti. Il bastone gli scivolò di mano e rimbalzò rumorosamente per le scale. Le mani del giudice artigliarono il vuoto, gli occhi rotearono, la bocca si spalancò in una smorfia grottesca. Si abbatté di peso a faccia in giù, e il corpo gigantesco crollò sui gradini facendo tremare tutta la casa. Rotolò e rotolò, finché non andò a fermarsi ai piedi della scala, supino: una massa inerte in abito da sera e camicia inamidata. Gli occhi erano aperti ma vitrei. Dal salotto venne qualche nota stonata e poi subito silenzio. Macrae diede una fulminea occhiata a quelli che gli stavano intorno: a
Barnaby Jeffers, che sembrava paralizzato; a Jules de Sancerre, scosso ma vigile; a Tom Clayton, sbigottito ma con l'aria di chi si aspettasse qualcosa del genere. Per qualche secondo nessuno si mosse; poi Jules de Sancerre si avvicinò alla figura inerte e s'inginocchiò. Cercò dapprima il polso, poi fece scivolare la mano sotto la camicia per sentire se il cuore batteva. Alfine prese il suo orologio d'oro e lo aprì, accostandone il vetro alle labbra ancora bluastre nel viso ora non più colorito. «Se n'è andato, povero diavolo» disse dopo un poco. Ripose l'orologio e si alzò. «Chiameremo il dottor Andrews, ma è proprio morto, non c'è dubbio. Il dottore l'aveva avvertito che questo poteva accadere ed ecco che è accaduto. Si è messo in posa una volta di troppo ed è scivolato. L'abbiamo visto tutti: è scivolato!» «Be', signore» fece Tom, come riscuotendosi «dipende da quel che intende quando dice che è scivolato.» «Intendo esattamente quello che ho detto. Abbiamo visto tutti come è successo, no?» «Sì, signore. Abbiamo anche visto quella strana mossa che ha fatto con le spalle prima di cadere. Questa faccenda a me sembra più che slspetta. Per me, quanto abbiamo visto, assomiglia alla perfida esecuzione di un piano prestabilito. Cioè, assomiglia molto a un assassinio. Il giudice sarà anche morto di collasso cardiaco, ma è morto soprattutto perché qualcuno gli ha dato una spinta per farlo cadere.» «Assassinio? Una spinta per farlo cadere?» «Certo che sembrava...» cominciò Barnaby Jeffers. «Ma là sopra, con lui, non c'era assolutamente nessuno, non è vero? Gli hai visto qualcuno vicino, Tom?» «Nessuno, devo ammetterlo!» «E allora? Se la tua supposizione dovesse essere esatta» dichiarò Jules de Sancerre «allora io potrei credere nei fantasmi, nei lupi mannari e anche nella magia Vudu. Non c'è altra spiegazione, per quanto è avvenuto, all'infuori dell'incidente... a meno che un assassino invisibile non sia sbucato dal nulla per scaraventare Horace quaggiù!» Parte seconda Le tenebre 8
«È mezzanotte passata» disse il senatore Benjamin «e siamo immersi nella pazzia allo stato puro. Abbiamo rimuginato troppo sui fatti. Adesso vediamo a che punto ci troviamo.» Dava le spalle al caminetto spento, il volto contratto dalla concentrazione. Come a sottolineare le sue parole, una piccola pendola che stava sulla mensola suonò un quarto dopo mezzanotte. La grande biblioteca dei de Sancerre, con gl'immensi scaffali di quercia sormontati da busti di marmo, aveva gli angoli immersi nella penombra. In quel momento, la compagnia lì radunata era composta solo da uomini. A destra del caminetto Jules de Sancerre stava sprofondato in una poltrona col coprischienale di merletto, un sigaro spento fra le dita. A sinistra sedeva Barnaby Jeffers che tormentava un carillon dipinto a colori vivaci trovato su uno scaffale e che non riusciva a far funzionare. Sull'enorme tavolo di mogano al centro della stanza, una lampada a pagoda diffondeva la sua luce su mucchi di carta da lettere e buste, su un vassoio di penne, su un calamaio d'argento e su un vasetto di sabbia per asciugare l'inchiostro. Harry Ludlow sedeva con aria avvilita accanto al tavolo, mentre Macrae passeggiava nervosamente dietro di lui. Tom Clayton stava davanti a uno degli scaffali, dando le spalle a tutti gli altri. Il senatore Benjamin fece scorrere lo sguardo su tutti i presenti e alzò un indice ammonitore. «Mi avete chiesto di occuparmi di questa faccenda, e credetemi, il compito che mi avete affidato non è facile» continuò. «Margot de Sancerre è sparita misteriosamente. Un nostro vecchio e caro amico è morto in circostanze oscure e tragiche. Il suo corpo ora giace in questa casa, e la signora Rutherford verrà informata della sua perdita domani mattina, quando sarà in condizione di sopportare meglio la triste notizia. «Avete sentito tutti il giudizio espresso dal dottor Andrews: il giudice è morto per collasso cardiaco. Il dottore suppone che il trauma provato nell'accorgersi che stava cadendo - voi avete descritto la sua aria terrorizzata può aver causato da solo l'arresto del cuore. Così, può darsi che il giudice fosse già morto prima di cadere. E il livido che ha sulla schiena forse è stato provocato dalla caduta; ma si tratta solo di supposizioni; fatti positivi non ne abbiamo. «Non è impossibile che la morte del giudice Rutherford sia stata accidentale, come pensano alcuni di voi. Però, se la mettiamo in relazione ad altre circostanze, vediamo che merita per lo meno una seria indagine.
«Mi avete permesso d'interrogare separatamente tutte le persone presenti qui stanotte, tutte tranne una. Possiedo ora le informazioni che siete stati in grado di darmi, oltre ad alcune altre che mi son procurato da solo. Ma non siamo che all'inizio.» «L'inizio di che?» domandò Tom Clayton, voltandosi di scatto. «Cosa verrà in seguito?» «Calma, giovanotto! Suaviter in modo, per favore. Ci sono due cose che dobbiamo fare, e subito: ambedue si sarebbero dovute fare già prima. Dobbiamo... ma dove sono le signore? Sì, lo so che la signorina Partridge è stata accompagnata a casa, in lacrime e in preda a una crisi isterica, più di un'ora fa. Ma dove sono Madame de Sancerre e la signorina Ede?» «Nel salotto di fronte» rispose Macrae, che aveva interrotto la sua nervosa passeggiata. «Io ero un po' preoccupato quando Ursula è sparita...» Il senatore Benjamin spalancò gli occhi. «È sparita anche la signorina Ede?» «No, è tornata; ma non so dove sia stata. Non credo che questo fatto sia in relazione con quanto è accaduto stanotte.» «La cosa mi stupirebbe. Dice che sono in salotto? Mi faccia allora il favore di affacciarsi e di chiedere alle signore di raggiungerci.» I lumi dell'atrio ardevano appena, e l'ambiente era immerso nell'ombra. La sua semplice decorazione in bianco e nero contrastava in modo stridente con la confusione di forme e di colori che accolse Macrae quando entrò nel salotto. Mobili in legno rosa sovraccarichi d'intagli complicati affollavano l'ambiente; contro le pareti rosa spiccavano tappezzerie di broccato di tutti i colori immaginabili. Le pareti stesse esibivano un'incredibile quantità di quadri in cornici d'avorio o d'ebano. In quella stanza così vistosa e ingombra, brillantemente illuminata, Ursula Ede sedeva sola su un sofà, le mani incrociate in grembo. Ma non era rilassata: sembrava tremasse un poco. Lui si rese conto, di colpo, di com'era stata grande la sua preoccupazione per lei quando incontrò i suoi occhi, quei lunghi occhi glauchi dalle palpebre pesanti. «Salve, Ursula.» «Salve, Qu... signor Macrae! Mi cercano?» «Sì. Anche Madame de Sancerre.» «Zia Isabelle è andata a letto. Ha detto che avrebbe preso qualche goccia di laudano perché l'aiutasse a dormire. In tutto questo pasticcio si è comportata molto meglio di quanto ci si potesse aspettare, vero? Pensava che
nessuno l'avrebbe più cercata, perciò si è ritirata.» «A proposito di persone assenti, dove sei stata da un'ora e mezzo fa fino a questo momento?» «Ti sei accorto che non c'ero?» «Se me ne sono accorto? Il giudice è caduto dalle scale alle undici meno un quarto circa...» «Che cosa orribile... povero giudice Rutherford! Mi era simpatico, con quelle sue arie piratesche. Era simpatico a tutti!» «D'accordo. Appena ci siamo accorti che era morto, è parso che tutti si mettessero a gridare e a correre in giro contemporaneamente: una confusione mai vista. Alfine, dietro consiglio di papà de Sancerre, Tom e io abbiamo sollevato il corpo e lo abbiamo portato nell'altro salotto, quello sul retro, dove lo abbiamo disteso su un divano. Tu non c'eri e sembrava che nessuno sapesse dov'eri andata. Ti ho cercata dappertutto. Quando ho guardato fuori mi sono accorto che la tua carrozza era sparita. «A quanto pare, hai approfittato della confusione per scivolar via. Dapprima ho supposto che fossi andata a casa; ma poi mi sono venuti mille pensieri. Anche adesso... perdonami, ma è mai possibile che tu sappia, sulla sparizione di Margot, qualcosa di più di quanto hai rivelato finora?» «Non so proprio niente circa la sparizione di Margot, lo giuro!» La sincerità di Ursula era più che evidente. Si alzò e gli si avvicinò, senza staccare i suoi occhi da quelli di lui. «Non c'è nessun mistero dietro la mia sparizione. Posso dirti... ma davvero t'interessa sapere cosa ho fatto?» «Certo che m'interessa.» «Vedi, quando zia Isabelle mi ha accompagnato in salotto, c'erano il signor Benjamin e la signorina Partridge pronta a cominciare il suo concerto. Ma io non potevo aspettare. Dovevo raccontare tutto subito, prima che mi venisse a mancare il coraggio. Così mi sono scusata, ho trascinato zia Isabelle dietro un paravento nell'angolo e le ho detto quanto avevo da dirle. Temevo che lei desse in escandescenze, specialmente quando ho dovuto confessare che io e Margot eravamo state al ballo delle mulatte; e invece niente. Ha avuto uno scatto ma si è calmata subito, mormorando qualcosa a proposito di una ragazza di nome Cécile de la Plage, che io però non conosco. Alla fine mi ha detto che quanto avevamo fatto era spaventoso, ma che in qualsiasi evenienza una signora educata non può permettersi di trascurare i suoi ospiti ed eravamo state già abbastanza scortesi con la povera signorina Partridge che era impaziente di cantare. Così siamo uscite da die-
tro il paravento e...» «E allora è cominciato il finimondo, è così?» «Già. Ma forse è stato quel baccano a farmi ricordare di qualcuno che tutti avevamo completamente dimenticato.» «Chi?» «Samantha! La nostra Samantha. La mulatta che ha fatto la parte di accompagnatrice di Margot al ballo. Non ti ho già parlato di lei?» «Sì.» «Margot e io eravamo scappate via lasciandola lì. Certo, eravamo d'accordo che Margot le avrebbe dato il denaro per l'andata e ritorno in carrozza; ma se lei se ne fosse dimenticata? E poi, Samantha poteva non trovare un cocchiere disposto ad accettare come cliente una donna di colore. Così, la cosa migliore era che andassi a riprenderla io, non ti pare?» «Sei tornata in quel locale?» Ursula assunse un'espressione Un tantino mortificata ma decisa. «Davvero, che altro avrei potuto fare? Sono scivolata via e nessuno mi ha notata: nemmeno tu. «Ma dovevo procurarmi una maschera; non avrei sopportato di mettermi una di quelle che danno sul posto. Così sono andata prima nelle scuderie, dove Cicero aveva riportato la carrozza di Margot. La sua maschera a lustrini era ancora sul sedile: l'ho presa e me ne sono andata con Jared. «Il ballo era in pieno svolgimento: continuerà per tutta la notte. Samantha era lì, in maschera, seduta tra le altre accompagnatrici e con un'aria dignitosa che non ti dico. E c'era anche quel giocatore, quello che voleva litigare con Tom Clayton e al quale Tom ha fatto fare...» «Square Nat Rumbold? Dio santo, speriamo che ora non si metta a perseguitarci anche lui.» «Non aveva la maschera e mi ha avvicinata: con la massima cortesia, devo riconoscerlo. Ma io avevo fretta, e temo di essere stata molto scortese con lui. Ecco, la mia storia è tutta qui. Ho riaccompagnato Samantha a casa. Fine dell'avventura. Credi che abbia fatto qualcosa di sbagliato?» «Sbagliato?» Lui ebbe la tentazione quasi irresistibile di stringerla tra le braccia. «Tu sei un tesoro, Ursula! Sei più che un tesoro: sei un sogno che qualunque uomo... ma non vorrei essere troppo ardito.» «Oh, non aver mai paura di essere troppo ardito con me! Ma se davvero non hai intenzione di fare il broncio o di rimproverarmi...» «Quello che avrei intenzione di fare è completamente diverso. Ma come mai sei tornata qui?»
«Cosa vuoi dire?» «Durante la serata mi hai menzionato parecchie volte tuo padre. E diverse zie.» «Sì. Zia Susan, zia Becky, zia Emmeline e zia Kate.» «E quando sei stata a casa non è successo niente? Non ti hanno fatto domande, che so, rimproveri...» «Erano tutti a letto. Nessuno mi ha sentito. Ho nascosto la maschera in un cassetto e siccome faceva piuttosto freddo ho preso questa mantellina.» Indicò la corta mantellina di tessuto argentato che portava. «Poi...» «Già, sei venuta di nuovo qui. Scusa se sono insistente e indiscreto, ma perché?» «Hai il diritto di essere indiscreto quanto vuoi! Ma io... diciamo che avevo le mie ragioni.» L'ampia gonna ondeggiò mentre lei si allontanava quasi di scatto da lui; ma subito gli tornò accanto. I grandi occhi glauchi lo fissarono. «Sai, Quentin, sono proprio stufa di dover sembrare sempre tutta pudica e contegnosa. Per quanto, dopo stanotte, faccio davvero una bella figura a parlare di contegno! Ma se ci saranno rimproveri, li affronterò più tardi. Del resto, a meno che mio padre o le mie zie non mi colgano proprio quando tornerò a casa per la seconda volta, posso sempre ricorrere a Mammy. Lei giurerà che non sono mai uscita. «Ma sto parlando solo io: tu non dici niente. Zia Isabelle, prima di andare a letto, mi ha accennato che ancora non avete scoperto un gran che sulla sparizione di Margot e su quanto è accaduto al povero giudice Rutherford. È vero?» «Verissimo, a meno che al senatore Benjamin sia venuta qualche idea. Si sta incaricando lui della faccenda. All'inizio abbiamo cominciato a sostenere ognuno la propria opinione e ci stavamo anche riscaldando; allora è intervenuto lui e ci ha interrogati separatamente, uno per uno. Da queste interviste dovrebbe aver ricavato diversi elementi. Io per esempio gli ho detto qualcosa che non intendevo rivelare a nessuno, oltre che a Tom Clayton.» «E a me, potresti rivelarla?» «Ma certo. Sai, è una sensazione che ho di essere seguito e spiato, perfino a casa mia e specialmente di notte, da qualcuno che non riesco a vedere. Forse non è che un'idea senza fondamento; però mi ossessiona da quando sono cominciate anche le stranezze di Margot. «Per intervistarci tutti c'è voluto del tempo, e alla fine il senatore Ben-
jamin ha suggerito che saremmo stati più comodi se ci fossimo riuniti nella biblioteca. Così ci siamo andati, tranne Madame de Sancerre che è uscita nel portico.» «Sì, l'ho vista: è stato allora che sono tornata.» «Io sono stato l'ultimo a entrare in biblioteca, e stavo per chiudere la porta quando ti ho sentito parlare con lei. Che sollievo udire la tua voce! Vi ho viste entrare qui, e ora il senatore mi ha mandato a chiedervi di raggiungerci.» «Giusto cielo, cosa crede che io possa dirgli?» «Non ha detto che potevi avere qualcosa da dirgli, ma forse vorrà farti delle domande. Voleva vedere anche Madame de Sancerre, ma se è andata a letto ne farà a meno. Ha detto che ci sono due cose che dobbiamo far subito. Ti dispiace venire, Ursula?» «No, non mi dispiace. Pure, è deprimente non sapere a che punto siamo e nemmeno che cosa è veramente successo. Ma pazienza, dal momento che tu sei qui! E poi, il senatore mi è simpatico. «C'è una domanda che potrei farti» continuò la ragazza mentre si dirigevano verso la porta. «E cioè, perché hai provato tanto sollievo quando hai udito la mia voce. Ma non voglio fare la civetta, lo sono stata già abbastanza. Dammi solo il braccio e lascia che ti senta vicino.» Nella biblioteca c'era un'atmosfera di nervosismo e una spessa nuvola di fumo. Il senatore Benjamin, abbastanza imponente in abito da sera, stava ancora ritto davanti al caminetto. Aveva un'espressione circospetta e teneva in mano un sigaro acceso. Gli altri occupavano le stesse posizioni di prima. Jules de Sancerre, Barnaby Jeffers e Harry Ludlow, che erano seduti, si alzarono all'entrata di Ursula e non ripresero posto se non quando lei si fu accomodata su una poltrona. «Signorina Ede!» la salutò il senatore. «La nostra ospite ci permette di fumare qui e nello studio di suo marito. Lei che ne dice? La disturba?» «No, affatto; mi piace, anzi. Ma zia Isabelle non c'è, è andata a letto. Voleva farmi qualche domanda?» «No, nessuna, per il momento.» Jules de Sancerre, che stava fumando anche lui, alzò la faccia con espressione un po' seccata. «Allora, che stiamo facendo qui?» chiese. «Enfin, smettila di fare il misterioso, uomo, e vieni al punto!»
«Perché, sto facendo il misterioso?» «Diciamo allora che non stai facendo molti progressi. Quali erano le due cose che dovevamo fare?» «La prima e la più ovvia avremmo dovuto farla già da tempo» disse con decisione il senatore. «Dobbiamo chiamare la polizia.» «Sogni?» scattò Jules de Sancerre. «T'immagini che io voglia sbandierare le circostanze della sparizione di mia figlia davanti a tutti gli zoticoni analfabeti che affollano le stazioni di polizia?» «Per quanto riguarda la sparizione della signorina, usa la tua discrezione. Ma la morte del giudice Rutherford è tutta un'altra faccenda. Dobbiamo denunciarla, non abbiamo scelta.» «Ma...!» «Cosa temi, l'assalto dei lanzichenecchi? Non ne hai motivo. La morte di una persona importante come il giudice è cosa delicata. Le indagini verranno certamente affidate a qualcuno degl'investigatori in borghese che fanno capo alla Procura Distrettuale. Anzi, se posso dare un suggerimento...» «Certo, certo!» «L'uomo che fa per noi è un certo sergente O'Shea, che questa settimana ha il turno di notte. Non è un damerino, ma certo è tutt'altro che uno zoticone analfabeta. Non so se vorrà rispondere a una mia chiamata. Ma una parola da parte di una certa persona qui presente lo farà arrivare di volata.» «Sì? E chi sarebbe questa persona?» «Il nostro amico Macrae» disse il senatore, accennando al gentiluomo in questione. «Il sergente O'Shea non odia affatto gli inglesi, al contrario. Prima di venire a New Orleans era investigatore presso la polizia metropolitana di Londra; ha servito sotto il commissario Mayne, un irlandese anche lui. Conosce Macrae e gli è molto affezionato. Ebbene, caro amico, vuole darci una mano con lui?» «È una buona idea» dichiarò Barnaby Jeffers, che stava ancora manipolando il carillon. «Avere la protezione della polizia, dopo tutto...» Macrae si volse al suo assistente. «Harry!» «Signore?» «Davanti hai tutto l'occorrente per scrivere. Poche parole indirizzate al sergente Timothy O'Shea, stanza 46, City Hall, Lafayette Square. Gli mando i miei complimenti e lo prego di prestarci la sua cortese assistenza in una faccenda urgente e di grave importanza. La firma la metterò io. Scrivi, per favore.»
Harry, che fino allora aveva cercato di mantenersi il più inosservato possibile, fece un gesto imbarazzato. «Scrivo subito, se vuole, signore. Ma se posso dire qualcosa...» «Cosa vuoi dire?» «Dannazione, signore, si supponeva che io prendessi servizio fin dal momento del mio arrivo. Invece non mi ha dato finora nulla da fare. Finora ho solo mangiato due ottimi pasti, bevuto parecchio e partecipato a...» S'interruppe di colpo. «A un ballo delle mulatte» finì Jules de Sancerre per lui. «Dillo, giovanotto, non c'è da vergognarsene! Dopo tutto quello che è successo stanotte, gli andirivieni di mia figlia prima della sua sparizione non sono più un segreto per nessuno. Lei è andata a quel ballo. E la nostra Ursula, così ben educata...» «Certo, c'ero anch'io» confessò Ursula. «Ci sono stata due volte, anzi. Avevo qualcosa di urgente da fare. Ma perché non torniamo al povero signor Ludlow?» Harry tornò a rivolgersi a Macrae. «Signore, è meglio che scriva lei il biglietto a questo sergente, così lui riconoscerà la sua calligrafia. Io glielo porterò di persona e lo accompagnerò qui.» «Andare a prendere un poliziotto?» si stupì Jules de Sancerre. «Ma se abbiamo almeno una dozzina di servi che possono incaricarsene!» «Prima che partissi dall'Inghilterra, signor de Sancerre» spiegò Harry «quelli del F.O. mi fecero prediche a non finire. Che dovevo prendere sul serio i miei doveri. Che dovevo insistere sul contatto personale, e fare da me tutto quel che potevo. So che parecchi hanno pensato che questo incarico mi è stato dato per far piacere a mio padre; ma io vorrei ugualmente fare bella figura, se mi riesce. Posso cominciare da questo piccolo servigio, no? Se il signor Macrae lo permette e Tom mi presta la sua carrozza...» «Ci puoi scommettere che te la presto!» fece Tom calorosamente. «Hai solo da dire a Walter di andare alla City Hall e di aiutarti a trovare la stanza 46. In questa nazione il nostro credo universale è proprio di basarsi sul contatto personale e di fare il più possibile da noi. Ma che diavolo è il F.O.?» «È il Foreign Office. Fa parte dell'Ufficio delle Circonlocuzioni, come lo chiama il nostro Dickens. Bene, posso andare, signor Macrae?» Così fu deciso. Harry partì per la sua missione, munito di un biglietto scritto da Macrae.
«Adesso procediamo» riprese Jules de Sancerre. «Veniamo alla seconda cosa che il nostro maestro di garbugli legali ritiene così importante. Ebbene, Benjie? Che cosa possiamo fare adesso?» «Raduniamo le nostre informazioni; esaminiamo il nostro problema; soprattutto, cerchiamo di determinare con esattezza in che cosa consiste.» Per qualche momento il senatore sembrò sprofondare in un sogno. La mano che reggeva il sigaro era immobile; con l'altra mano si accarezzava i favoriti. Ma lo scintillio che aveva negli occhi faceva capire che era immerso in una seria riflessione. Quindi spense il sigaro in un portacenere che aveva accanto e tornò a rivolgersi agli astanti. «Se considero quel che sono venuto a sapere finora» disse, scandendo le sillabe con la sua bella voce da oratore «provo la stessa sensazione che talvolta avverto quando vado alla caccia della razza a Port Royal Sound nella Carolina del Sud. «Qualcuno di voi si è mai dedicato a cacciare la razza? Dovreste fare la prova. Io ho cominciato tanti anni fa, in compagnia di un giovane negro di nome Hannibal, che ora è vecchio e nonno di molti nipotini ma ancora sano e forte. Si va a caccia della razza su un battello non molto grande, con dei robusti paranchi attaccati a una coppia di arpioni. E la preda, credetemi, è degna dei cacciatori. La razza è astuta, malvagia e sa battersi; e si muove nell'acqua come un fulmine.» «Davvero?» gridò incredula Ursula. «Non avrei mai pensato che quei cosi viscidi con tutti quei tentacoli potessero muoversi tanto velocemente.» «Ma voi state parlando degli octopus, vero?» «Sì! Pensavo...» «Lo pensa anche altra gente. Ma la razza è una bestia di tutt'altra specie. «È lunga da quattro a sei metri, e ha la bocca circondata da lunghi tentacoli: si potrebbe quasi dire che è un mostro. A Port Royal Sound è molto comune, perché si nutre di gamberi e di altri crostacei che sono assai abbondanti sulle coste della Carolina del Sud. «Bisogna avvicinarsi a lei quanto lo permette la prudenza, e lanciare il primo arpione. Lei fugge a una velocità incredibile, trascinandosi dietro quaranta braccia di paranco in pochi secondi e rimorchiando il battello. Bisogna tenerle dietro finché non si stanca, per quanto brutta ve la faccia passare; poi si lancia il secondo arpione per ucciderla. E anche allora non è detto che sia finita. La razza combatte secondo per secondo, finché non è morta. Ce ne sono state alcune che hanno caricato i battelli.»
«Devo confessare che mi piacerebbe provare quest'avventura» osservò Jules de Sancerre. «Io no, grazie» fece Barnaby Jeffers. «Le gioie della vita contemplativa...» «Nemmeno io!» gridò Ursula. «Trovo che sia una cosa orribile!» Uno strano lampo guizzò negli occhi del senatore Benjamin. «Ma avete afferrato l'analogia, signora e signori? Noi stiamo dando la caccia a una razza incarnata: un essere astuto e malvagio, che forse ci si scaglierà addosso prima ancora che riusciamo a lanciare il primo arpione. Capite?» «Io ho capito certamente» disse Tom Clayton con voce tonante. «E aggiungo all'analogia la mia intuizione. C'è, dietro tutto questo, sempre lo stesso sinistro burlone che complotta nell'ombra. Non lo sentite anche voi?» «Bene, vediamo. Il nostro problema, almeno come noi lo vediamo, si divide in due punti: primo, la sparizione di Margot de Sancerre; e secondo, la morte del giudice Rutherford. I due eventi possono non essere affatto connessi tra di loro. Il primo può darsi non sia che uno scherzo, sconcertante, certo, ma innocuo, come l'apparizione della signorina al ballo delle mulatte. Quanto alla morte del giudice, può essere uno di quei disgraziati incidenti così frequenti purtroppo nella vita umana. Ma, anche se il mio parere non può valere nulla, vi dirò ciò che credo personalmente.» Indugiò ad accendere un altro sigaro. «Io credo che i due eventi siano connessi; che dipendano l'uno dall'altro e siano per così dire intrecciati l'uno all'altro. E possono anche avere ambedue origine alla medesima sorgente.» «Bravo senatore!» scattò Tom Clayton. «Il nostro burlone li ha provocati entrambi.» «Non ho detto che ci sia la stessa mano dietro i due avvenimenti: ho detto solo che possono avere origine alla medesima sorgente.» «La distinzione non è troppo sottile?» «Affatto. La fatale caduta del nostro vecchio amico è l'evento di cui dobbiamo più immediatamente occuparci.» Il senatore si rivolse al loro ospite. «Mi hai chiesto come definisco la sua morte, Jules, e ti risponderò ora. La definisco, temo, con una sola parola: assassinio.» 9
Jules de Sancerre buttò il sigaro nel caminetto e si alzò. «Finora hai continuato a insistere che abbiamo rimuginato troppo sui fatti. Bene! Ricorderò alcuni dettagli un'altra volta soltanto e poi considererò chiuso l'argomento. Vieni con me.» «Dove?» «Nell'atrio. Anche lei, signor Macrae, per favore.» Ursula, Tom e Barnaby Jeffers non si mossero mentre i tre uscivano. Jules de Sancerre lasciò aperta la porta della biblioteca. «Abbiamo abbassato il gas e spento le candele» commentò «ma ancora ci si vede abbastanza bene. Signor Macrae, si metta dove era quando Horace è caduto. Io farò altrettanto. «Da questa posizione (osserva, Benjie!) noi abbiamo una veduta eccellente del pianerottolo e dei corridoi del primo piano. Ecco la porta dello studio, proprio di fronte alla scala; ne dista circa tre metri. A destra c'è una porta che dà in una camera per gli ospiti, ora non occupata. La porta che vedete a sinistra è quella di un'altra camera per gli ospiti, pure sgombra. «Consideriamo il resto del corridoio, la parte che non possiamo vedere. All'estrema destra c'è una stanza che teniamo a disposizione della sarta di mia moglie per lavorarci e tenerci le sue cose. All'estrema sinistra c'è la camera di mia figlia, in questo momento sgombra quanto le camere per gli ospiti. Preso nota, Benjie?» «Ne ho preso debitamente nota.» «Devo continuare a ripetere ciò che è evidente, a martellare sempre sullo stesso punto? È vero che la scala ha una balaustra» la indicò «ma è aperta e non impedisce la vista in alcun modo. In piena luce e dinanzi a cinque testimoni, il signor Macrae, Barnaby, Tom Clayton, il giovane Ludlow e io stesso, Horace è caduto ed è morto. In tutto il primo piano non c'era anima viva; e non parliamo poi della possibilità che qualcuno gli stesse vicino! Prima di usare con tanta disinvoltura parole come "assassinio" o "è stato spinto", non sarebbe meglio stabilire come diavolo hanno fatto?» «Tu mi stai ripetendo solo che io non sono ancora in grado di capire cosa è veramente successo» brontolò il senatore Benjamin. «L'atrio è molto alto; il pianerottolo e il corridoio hanno tappeti folti; e da questa posizione non possiamo... oh, lascia stare! Torniamo in biblioteca!» Il suo sigaro si era spento. Si guardò intorno in cerca di un portacenere, vide che non ce n'erano e «i cacciò il mozzicone in tasca. Rientrò rapidamente in biblioteca, seguito dagli altri, e riassunse davanti al caminetto la sua posizione da maestro delle cerimonie. Ma si vedeva che era piuttosto
sconvolto. «Se si potesse stabilire quando il giudice Rutherford è morto, allora si potrebbe capir meglio anche come. Quel livido in mezzo alla schiena, per esempio...» Barnaby Jeffers, che la preoccupazione aveva reso così livido da farlo sembrare un cadavere, si alzò di scatto col carillon stretto in mano. «Signor Benjamin» disse «io non pretendo di essere un uomo esperto di cose pratiche come Jules. Ma non vedo in che modo la sua osservazione possa avere qualche rilevanza. Per conto mio, direi che c'è solo da meravigliarsi che il corpo di Horace non avesse più lividi di quanti ne presenta. E allora? Perché un livido in più o in meno dovrebbe avere tanta importanza?» «Perché se un cadavere urta da qualche parte, il livido non si forma. Se lo shock lo ha ucciso prima che il suo corpo toccasse i gradini è una cosa; se invece è morto durante la caduta o alla fine di essa, è una cosa completamente diversa. Ma non abbiamo elementi per decidere. E allora...» «Per me soltanto un elemento disperatamente urgente è venuto alla luce stanotte» gridò Jeffers. «E non ne abbiamo parlato affatto. Non è stata fatta la minima allusione. Se non capite a che cosa mi riferisco...» «Lo capisco benissimo e ci stavo arrivando. Quell'elemento ci riporta indietro, dopo un ampio giro, a Margot de Sancerre.» Il padre di Margot lo guardò fisso, ma tacque. «Per qualche tempo, dunque, la signorina è apparsa quasi ossessionata da due persone che sono, di per sé, quasi leggendarie: la defunta Delphine Lalaurie e la vivente Marie Laveau. A quanto pare, questa sua ossessione è nota a tutti. Perfino suo padre deve essersene accorto.» «Quanto mi conforta sentirti dire "perfino suo padre"!» mormorò Jules de Sancerre. «Ma a dire la verità, e sappiatelo tutti, io vedo molto di più di quanto sospettino le signore che fanno parte della mia famiglia. Tuttavia, se mi accorgo o vengo a sapere di qualcosa, di solito la tengo per me: ho scoperto che ciò contribuisce grandemente a mantenere la pace familiare. Dove vogliamo arrivare adesso?» «Ci stiamo chiedendo, tanto per cominciare, in che modo queste donne leggendarie possano aver avuto influenza sulla vita di Margot. La sua più intima amica non può suggerirci niente? Può aiutarci, signorina Ede?» Ursula si era sporta in avanti, attenta. «Mi dispiace» sussurrò avvilita. «È vero che Margot era ossessionata da quelle due. E vedeva qualcuno in segreto e se ne lasciava influenzare. È
ciò che ho detto anche al signor Macrae, quando mi ha rivolto la medesima domanda. Ma non posso dirvi niente di più perché Margot non ha mai voluto confidarsi. Quanto vorrei potervi aiutare!» «Vediamo allora se possiamo aiutarci da soli.» Il tono del senatore Benjamin si fece confidenziale. «Ieri sera, Jules, ha detto a Isabelle che bisognava consultare i documenti ufficiali per stabilire se le infamie attribuite a Delphine Lalaurie avessero un fondamento di verità o no. Le ho promesso anche di consultare altri documenti ufficiali, di accesso molto più facile, riguardo a un'altra persona, mi riferivo a Marie Laveau, la regina del Vudu. Ecco quanto ho saputo di lei: notizie abbastanza suggestive.» Dalla tasca interna della giacca tirò fuori alcuni fogli coperti da una scrittura molto fitta. Sedette alla scrivania, si chinò sulle note e poi si raddrizzò. «Marie Laveau, libera mulatta, è nata qui a New Orleans nel 1794. Non sembrano esserci dubbi sul fatto che da giovane fosse straordinariamente bella; non so quanto sia rimasto della sua bellezza ora che ha sessantatré o sessantaquattro anni. «Ha sempre sostenuto di essere la figlia illegittima di un uomo importante e di grande famiglia, ma può trattarsi di una favola inventata da lei per darsi più lustro. In realtà non si sa chi fosse suo padre. Nell'agosto del 1819 sposò Jacques Paris, anche lui libero mulatto. Quest'uomo morì nel maggio del 1822, tre anni dopo. Da tale matrimonio non sono nati figli. «Nel 1826 circa (la data esatta è incerta, perché non ci fu una cerimonia nuziale) Marie Laveau si unì derrière l'église con un certo Christophe Glapion, altro libero uomo di colore, che pare fosse negro solo per un quarto. Da questa unione irregolare nacquero non meno di quindici figli, di cui la prima fu una bambina venuta alla luce nel 1827. Il marito non ufficiale di Marie è vissuto fino a tre anni fa. «Questo è tutto ciò che sappiamo con certezza a proposito della regina del Vudu. Quanto alle pubbliche orge, eccetera, che le vengono attribuite, secondo me si tratta di fantasie. Non vedo a quale comportamento orgiastico avrebbe potuto abbandonarsi una donna negli anni in cui dava alla luce almeno quindici figli. I miei informatori mi dicono che oggi non esce quasi più dalla casetta di St. Ann Street, che le fu regalata anni fa da un uomo convinto che la magia Vudu avesse salvato suo figlio dalla forca. Pure, questi pochi fatti fanno parecchia luce sul nostro presente problema, no?» «Se ti stai rivolgendo a me» disse Jules de Sancerre «neanche per sogno! Diavolo, io non ci capisco niente.»
«Non capisco niente neanch'io» proclamò Tom Clayton. «Ma la mia intuizione è al lavoro, e sto cominciando a credere che stasera potrei vedere attraverso una macina da mulino. Senta, senatore...!» «Se vi foste rivolti a me» interloquì Barnaby Jeffers, stringendo il carillon in una mano e riaggiustandosi gli occhiali con l'altra «avrei potuto dirvi tutte queste cose senza bisogno di consultare atti di nascita e registri di parrocchie. E ci stiamo nuovamente allontanando dal punto principale. Avete menzionato Delphine Lalaurie...» La porta della biblioteca si spalancò. «Già» disse la voce di Isabelle de Sancerre «avete menzionato Delphine Lalaurie. Ecco perché mi permetto di fare intrusione.» Sempre bella, ma pallida e con le palpebre rosse e gonfie, chiuse la porta e vi rimase appoggiata con la schiena. L'immensa crinolina verde le si gonfiò intorno. «Signor Macrae» aggiunse «deve perdonarmi. Quando l'ho accolta qui stasera ero sconvolta e ho parlato a ruota libera. Non sono la sciocca creatura dalla lingua troppo sciolta che devo esserle sembrata, anche se ora sono più sconvolta di prima. Col giudice Rutherford morto in casa nostra e Margot sparita! «Non era proprio il caso che andassi a letto. Sapevo che non avrei potuto dormire, neppure con l'aiuto del laudano. Così sono tornata giù, e fino a questo momento sono stata vergognosamente ad ascoltare dietro la porta.» «Mia cara Isabelle...» cominciò il marito. «Ieri sera, Jules, il nostro più eminente uomo di legge mi ha assicurato che gli uomini del sindaco Waterman avrebbero potuto stabilire con prove reali l'innocenza o la colpevolezza di Delphine Lalaurie rispetto all'accusa di aver torturato i propri schiavi. Ebbene, Benjie? Hai detto anche che presto avresti avuto notizie per me. Cos'hanno trovato?» «Non hanno trovato niente» rispose il senatore Benjamin, quasi sulla difensiva. «Vuoi dire che non hanno fatto ricerche?» «Oh, no, le hanno fatte; le stanno ancora facendo. Quello che voglio dire è che non c'era niente da trovare. Dopo la fuga di Madame Lalaurie e di suo marito nell'aprile 1834, non ci fu alcuna vendita di schiavi in pubblica asta. E se si fossero trovati schiavi assoggettati a maltrattamenti, l'asta avrebbe dovuto esserci a termini di legge. Quindi o la signora era innocente ed è stata crudelmente calunniata, o...» «Ebbene?» «O la documentazione è stata distrutta. Alludo al fatto come possibilità,
ma lo credo altamente improbabile. Del resto, lo studio delle carte relative alla signora non ha mancato di portare qualche frutto.» «Quale, Benjie?» Il senatore, che ora si era alzato in piedi, tornò a sfogliare i suoi appunti. «Prima di lasciare l'America per sempre» riprese «Madame Lalaurie firmò una procura, lasciando la cura dei suoi interessi qui, nelle mani del più anziano dei suoi generi; suo marito, il dottor Lalaurie, lasciò a sua volta una procura a favore del più giovane. I due avevano anche immense proprietà all'estero, specialmente lei. Infine, venne intestata una rendita a favore di un ragazzo di quattordici anni, che Delphine aveva praticamente adottato come pupillo. Questo ragazzo, che si chiamava Stéphan Leblanc, era figlio illegittimo di una francese di nome...» «Rosette Leblanc!» gridò Barnaby Jeffers. «Finalmente è arrivato al punto, signore! Rosette Leblanc!» «Posso spiegare io, Benjie?» chiese Isabelle de Sancerre. «Certo, mia cara.» «Io ho cercato di parlargliene quando eravamo in privato, signore» insisté Barnaby Jeffers. «Ma non ero in me; non sapevo come introdurre il discorso. Adesso si può dire tutto; anzi, si deve dire tutto, altrimenti come potranno salvarsi i due principali responsabili?» Madame de Sancerre camminava avanti e indietro nervosamente. «No, grazie, non voglio mettermi a sedere» disse. «Per favore, smettete di offrirmi sedie! Dirò tutto quello che so di questa faccenda, anche se mi sembra di saperne troppo o troppo poco. «Quel ragazzo, dunque, il figlio di Rosette Leblanc. Ieri sera, quando parlai al signor Macrae di Delphine Lalaurie, accennai a lui senza fare il suo nome, perché ero convinta che entrasse solo marginalmente nella storia di Delphine. Ora, se considero certe allusioni che il signor Jeffers ha lardato cadere di tanto in tanto stasera, credo invece che il ragazzo, diventato uomo, abbia una parte terribilmente importante nell'intera faccenda. «Vediamo cosa ricordo di lui. «Noi donne dell'alta società siamo tanto abituate ad avere cameriere di colore che non ci viene mai in mente che qualcuna di noi possa avere, o avere avuto, una cameriera bianca. Delphine l'aveva. Quando rimase vedova per la seconda volta, dopo la morte del marito banchiere, assunse Rosette Leblanc durante un viaggio a Parigi che fece nel 1818. Rosette proveniva da cattivo ceppo; i suoi genitori erano noti criminali. Ma lei era molto graziosa e di modi accattivanti, benché andasse soggetta a scatti di
collera selvaggia. Delphine ne ebbe compassione, la portò con sé a New Orleans, e fu sempre più che gentile con lei. «Dimostrò la sua gentilezza anche in un'occasione particolarmente sciagurata. Una signora non parla pubblicamente di certi argomenti... scusami, Ursula...» «Ma di niente, zia Isabelle.» «Pure, la sordida verità è che un uomo della nostra cerchia, e non si è mai saputo con certezza chi fosse, approfittò di Rosette e la sedusse. Rosette ebbe un figlio nei primi mesi del 1820. Io ero allora soltanto una bambina, e non avevo ancora fatto la conoscenza di Delphine Lalaurie. Nell'estate del medesimo anno, la povera ragazza morì di febbre gialla. «Una qualunque di noi, probabilmente, avrebbe spedito il bambino in un orfanotrofio o se ne sarebbe sbarazzata in altro modo. Delphine non fece niente del genere. Il bambino venne tirato su come un membro della famiglia. Lei lo coccolava, lo viziava come non aveva fatto neppure con i suoi stessi figli. «"Non so perché, ma mi sento colpevole verso di lui" mi disse una volta. "Farò in modo che abbia la possibilità di farsi strada!" «Se l'avesse fatto un'altra donna, il prendersi tanta cura di un bambino di così dubbie origini avrebbe suscitato dei commenti, magari scandalosi. Con Delphine non successe. Più tardi l'accusarono di compiacersi delle più bestiali crudeltà; ma non fu mai accusata di essere una donna immorale. «Poi venne l'esplosione; venne il giorno del disastro. In quella bella primavera del 1834... Te ne ricordi, Jules?» «Che cosa?» Il tono di Isabelle si fece quasi sognante. «Io e te dovevamo sposarci a maggio» disse. «Verso la fine di marzo venimmo qui per dare un'occhiata alla nostra futura casa, allora non del tutto finita. Ci accompagnava Delphine Lalaurie; e con lei c'era il ragazzo, allora quattordicenne, che le stava intorno con aria adorante. Non ricordi proprio, Jules?» «No, solo vagamente.» «Anch'io ricordo poco, a parte il viso di Delphine. E la devozione del ragazzo per lei. Un ragazzo straordinariamente disinvolto per i suoi quattordici anni. Correva su e giù per le scale, dentro e fuori, ciondolava intorno a Delphine come un cavalier servente, bevendo ogni sua parola. «Bene, lo sai cosa avvenne poco dopo. Il quindici aprile Delphine fuggì; ma aveva provveduto al ragazzo. Si disse allora che aveva provveduto a
lui, in segreto, anche il suo sconosciuto padre. Verso la fine di quell'anno, però, Delphine se lo fece chiamare a Parigi; lo accompagnava uno di quegli schiavi che non furono venduti. Il ragazzo fu mandato a studiare in Inghilterra, e poi fu fatto tornare a Parigi a lavorare in una banca dove Delphine aveva dei forti interessi. «Che ne è stato di lui in seguito? Dopo la morte di Delphine nel '42, Harriet Cavendish, morta anche lei da otto anni, poveretta!, lo incontrò in quella banca di Parigi. Lui aveva affermato, così mi disse Harriet, che un giorno sarebbe tornato a New Orleans a vendicare il torto che era stato fatto a Mamma Delphine. Harriet giurava che lui aveva parlato con un'intensità terribile, come se intendesse pienamente ogni parola che aveva detto. «E forse era davvero così. Aveva visto da ragazzo la sua adorata Delphine scacciata dalla città in quel modo. Aveva visto la sua bella casa distrutta da una folla scatenata, aizzata da uno studente in legge di nome Horace Rutherford...» «Con la collaborazione di altri due giovani scalmanati» gridò Barnaby Jeffers. «Uno di loro oggi è a sua volta presidente di una banca. L'altro...» «Un momento, su!» intervenne Jules de Sancerre. «Isabelle, siediti in questa poltrona e calmati. State seriamente pensando che il figlio di Rosette Leblanc sia ritornato?» «Perché no?» chiese Barnaby Jeffers. «Proprio io ho ricevuto un messaggio in francese, un messaggio di chiara minaccia, firmato Papa Là-bas. Pensate alle origini del ragazzo. I suoi nonni materni erano criminali, per quanto graziosa sua madre possa essere stata quando... quando...» Un brivido convulso lo scosse tutto. Il carillon variopinto gli scivolò dalle dita e cadde sul pavimento. L'urto produsse l'effetto che tutte le sue manipolazioni non erano riuscite a produrre. Si udì il meccanismo mettersi in moto con un ticchettio metallico; e nella stanza si levarono le note fragili e saltellanti di una romanza sentimentale, orribilmente incongrua in quel luogo e in quell'atmosfera. Jeffers si precipitò a raccogliere il carillon e a farlo tacere. Lo depose poi sulla mensola del caminetto, con mani scosse da un tremito incontrollabile. «Il figlio di quella ragazza, lo ripeto, proviene da cattivo ceppo. É partito da qui che era un ragazzo di quattordici anni; se ora è tornato, è vicino alla quarantina. Dopo quasi un quarto di secolo, chi potrebbe riconoscerlo? Se si è procurato un falso nome...» «Per tutti i fulmini di Giove» urlò Tom Clayton «non ha neppure cercato di cambiare nome!»
«Tom, in nome del cielo, che stai dicendo?» chiese Ursula volgendosi a guardarlo. «É la mia intuizione, faccia d'angelo. Scommetto qualunque cosa che ho ragione. Il tizio non si è dato la pena di scegliere un nome falso; ha solo tradotto il proprio in inglese. Stéphan Leblanc. Steve White!» «Sento che c'è qualche altra cosa di lui che dovrei dirvi» gridò Isabelle de Sancerre. «Ma non riesco a ricordare cosa sia!» Il senatore Benjamin fece una smorfia di disperazione. «Qualcuno di voi vuole avere la cortesia di dirmi cosa significa tutto ciò?» supplicò, rivolgendosi a Tom e allargando le braccia. «Perché Stéphan Leblanc dovrebbe trasformarsi in Steve White? E chi è poi Steve White?» «Ne sentirete parlare presto, senatore. L'unico tra noi che l'ha visto e gli ha parlato non credeva la cosa importante e non ve ne ha accennato. Si tratta di un uomo che è sceso a terra appena il "Governor Roman" ha attraccato questa mattina, e sarebbe meglio che la polizia lo trovasse, prima che... «Ma no, non va» ragionò Tom dopo una pausa. «Gli scherzi del nostro sinistro burlone sono cominciati molto prima che "Steve White" potesse ragionevolmente esser qui. Ho sbagliato; chiedo scusa. Non può essere lui, ma allora chi è? Ha qualche idea, senatore?» «Prima che ognuno di voi cominciasse a darmi spiegazioni, mi pareva di poter vedere almeno un barlume di luce» affermò l'interpellato, seccatissimo. «Se si spegnerà o no...» «Bene, non si rivolga a me» protesto Isabelle de Sancerre. «Io sono nelle tenebre più fitte!» «Lo siamo tutti, Isabelle» commentò suo marito in tono quasi allegro «tranne il nostro caro leguleio. Mio carissimo Solone, una domanda. Chiunque ci sia dietro questa oscura faccenda, cos'ha a che fare con il Vudu?» «Parecchio, credo, anche se in un modo molto obliquo. Ma abbiamo bisogno dell'aiuto della polizia, credimi. Quanto vorrei che arrivasse il sergente O'Shea!» La stanza aveva quattro finestre che davano sulla facciata della casa, verso strada. Macrae, che era stato in ascolto, le indicò con un cenno. «Una carrozza sta venendo su per il viale d'ingresso» suggerì. «Se è il sergente O'Shea...» «Impossibile» negò Jules de Sancerre. «Il suo vice è partito da non più
di venti o trenta minuti. Non è possibile che sia arrivato alla City Hall e tornato indietro!» «Però sta davvero arrivando una carrozza, o forse due. Non è meglio andare a vedere?» «Vada, sì. Speriamo di poter concludere qualcosa!» Macrae usci nell'atrio e si avviò alla porta. La carrozza di Ursula aspettava fuori, con Jared a cassetta. Su per il viale veniva al trotto un calessino all'inglese, a due ruote e con un solo cavallo. La luce proveniente dalla casa mostrava chiaramente la faccia lentigginosa e le spalle massicce del sergente Timothy O'Shea, coi suoi capelli rossi e i favoriti arruffati, che maneggiava con perizia le redini. Dietro di lui c'era Walter alla guida della calèche, con Harry come passeggero. Il sergente fermò il calessino con eleganza. Scese, salì i gradini del portico e si tolse il cappello davanti a Macrae. «È lei, signore?» scandì la sua voce rauca. «Le auguro la buona sera, benché tutti i segni e prodigi indichino che non è buona per niente, nossignore!» «Buona sera a lei, sergente. Come ha fatto il signor Ludlow a farla venire così presto?» «Perché non ha dovuto arrivare alla City Hall per trovarmi» fece l'altro, col tono di chi confidi un segreto. «Mi ha incontrato più vicino, molto più vicino. Più che incontrati, anzi, ci siamo scontrati... Che gran città, New Orleans! «Stavo da Brannigan in St. Charles Avenue, a rinfrescarmi con uno o due bicchierini; per darmi forza, capisce, nel caso che la faccenda si risolvesse ih uno scherzo o in un viaggio inutile, e allora sì che domani mattina il procuratore me ne avrebbe dette quattro! Visto che tanto ero già quasi arrivato qui...» «Perché, stava già venendo qui?» «Parola mia, non le dico bugie. Avevo fuori il mio calessino che vede; lo affitto sempre quando ho abbastanza soldi, perché mi piace girare come un gentiluomo. «Bene! Ammetto che uscendo da Brannigan non stavo dal lato giusto della strada. Ma avrei attraversato senza guai, se l'altra carrozza non fosse arrivata a tutta velocità! Non so se sono andato io addosso a lei, o se lei è venuta addosso a me, ma ora non importa. Non ci sono stati neanche gran danni, tranne qualche scorticatura alla vernice da ambo le parti e tranne il cappello di seta di questo giovane gentiluomo, che tra l'altro mi ha detto di
averlo comprato solo stamattina; siccome lui è partito in avanti e ha battuto la testa contro il sedile del cocchiere, il povero cappello è diventato una focaccia. E poi esce fuori che lui stava correndo a trovare me! Oh, la nostra è proprio una gran città.» Harry si stava avvicinando, con in mano il cappello rovinato e con un'espressione sulla faccia che diceva come si trovasse pienamente d'accordo con l'ultima osservazione del sergente il quale stava continuando con slancio. «Signore, ha cominciato a raccontarmi una storia come non ne ho mai sentito una simile neppure quando facevo il poliziotto a Londra. Pare che la signorina sia sparita davvero, eh? E il vecchio giudice Rutherford: ha fatto un volo come questo giovane gentiluomo, ma con risultati peggiori, e cinque testimoni hanno assistito alla scena, ma vicino a lui non c'era nessuno. Così ho detto che sarebbe stato meglio se avessi parlato io stesso ai testimoni, e eccoci qui.» «Sergente, ma come può essere che...» «Mica sono un genio dell'investigazione io, signor Macrae; mica sono Jonathan Whicker o Charley Field. Ma sono nato a Limerick e non sono uno scemo, e potrebbe trovare di peggio che Tim O'Shea per maneggiare una faccenda come pare che sia questa. Siccome ero già stato informato che qui c'era qualcosa che non andava...» «Sì» urlò quasi Macrae. «È proprio questo che stavo cercando di chiederle. Com'è possibile che lei stesse venendo proprio qui?» Il sergente O'Shea si mise una mano in tasca. «Meglio che dia un'occhiata a questo, signore. Era infilato nella cassetta col mio nome, nel corridoio fuori dell'ufficio che uso con altri cinque colleghi. Non posso dirle chi ce l'ha messo; la City Hall è sempre piena di gente in circolazione, anche di notte. Saranno state le dieci quando l'ho trovato, e giuro che non sapevo se considerarlo una cosa seria o uno scherzo. «Di solito io non tergiverso, ma stasera l'ho fatto. Vado o non vado? Erano le undici passate quando mi son mosso; e forse mi sono fermato in altri due o tre posticini, prima della tappa da Brannigan. Comunque, ecco qua.» Trasse di tasca un foglio bianco, delle dimensioni di un biglietto da visita, e lo porse a Macrae, che lo sollevò verso la luce. Da una parte era scritto in inchiostro il nome del sergente, a caratteri chiari e tracciati con un pennino molto sottile. Dall'altra era scritto:
Voulez-vous faire votre devoir? Allez tout de suite à la maison seigneuriale de Jules de Sancerre, Avenue St. Charles. Mademoiselle de Sancerre a disparu, ou peut-être la disparition n'est pas encore arrivée. Et alors? Toujours à vous Papa Là-bas «Sapesse quante volte mi è capitato di ricevere informazioni sui miei casi, da una fonte o dall'altra» osservò il sergente O'Shea. «Ma è la prima volta che ne ricevo una dal diavolo in persona.» 10 Quindici minuti dopo, Macrae era solo col senatore Benjamin nell'atrio. Il sergente O'Shea, con molte scuse e grande sfoggio delle sue maniere più accattivanti, si era assunto la direzione delle indagini. Dietro le porte chiuse della biblioteca si sentiva la sua voce alternarsi con quelle di Jules de Sancerre, Barnaby Jeffers, Harry Ludlow e Tom Clayton. Isabelle de Sancerre si era fatta accompagnare da Ursula al piano di sopra, forse per parlarle in confidenza. Il sergente le aveva congedate con la sua benedizione. «Non vogliamo disturbare le signore, per carità» aveva detto scherzosamente. «Mica possiamo costringerle a spremersi il cervello a quest'ora di notte! Nossignore» aveva aggiunto rivolto a Jules de Sancerre «e non vi farò neanche l'offesa di rifiutare un goccio di bourbon, grazie mille!» Judah P. Benjamin, le mani sprofondate nelle tasche, era immerso nelle sue riflessioni. La mente di Macrae stava setacciando diverse possibilità; alla fine decise di affrontarne una. «Quei due biglietti che abbiamo visto» disse. «Tutti e due scritti in francese, tutti e due firmati Papa Là-bas e portati a destinazione da qualcuno che ha evitato con la massima cura di farsi vedere. Il messaggio consegnato al signor Jeffers diceva semplicemente: "Stia in guardia. Verrà il suo turno". Ma l'altro... che ne pensa dell'altro?» «Il messaggio destinato al sergente O'Shea?» Benjamin si scosse e alzò la testa. «Se ben ricordo, diceva testualmente: "Vuole fare il suo dovere? Vada subito alla villa di Jules de Sancerre, in St. Charles Avenue. La signorina de Sancerre è scomparsa, o forse la sparizione non è ancora avvenuta". Poi quell'ironico: "Ebbene, e allora?", seguito da "Sempre suo" e la
firma.» «Ebbene, senatore?» L'altro si voltò di scatto verso la scala, poi subito tornò a fronteggiare il suo interlocutore. «Ecco il mio postulato: la morte del giudice Rutherford è stata un assassinio astutamente compiuto, tanto che ora come ora non sembra esserci modo di provarlo. Bene. Chi ha scritto quei messaggi è quindi o l'assassino stesso o qualcuno che conosce i suoi piani e li favorisce. È d'accordo?» «Mi pare più che logico.» «Cosa ne possiamo dedurre? Io propenderei a credere che colui che si cela sotto il nome di Papa Là-bas sia un complice e non il vero assassino. Sapeva che Margot de Sancerre sarebbe scomparsa o sarebbe stata fatta scomparire; ma ignorava a quale ora sarebbe successo il fatto. Sapeva anche, è evidente, che nessuno avrebbe potuto impedire questa sparizione.» «Nessuno avrebbe potuto impedirla? Che cosa vuole dire?» «Ci pensi bene. Quando il biglietto destinato al sergente O'Shea sia stato infilato nella sua cassetta non si sa; lui però l'ha trovato alle dieci. Se fosse venuto qui subito, o ragionevolmente presto, sarebbe arrivato prima di Margot. Ora, se l'autore del messaggio non fosse stato più che sicuro della validità del trucco usato per effettuare la sparizione, avrebbe forse rischiato di avere qui, come potenziale testimone, un poliziotto tutt'altro che stupido?» «Se la mette così, l'ipotesi appare ragionevole» fece Macrae ostinato. «Però... non ci porterebbe anche a supporre che Margot faccia parte della congiura, che sia addirittura complice nell'assassinio?» «Non necessariamente, amico mio, tutt'altro! Non credo affatto che la signorina sia consapevole delle più sinistre implicazioni del caso. E non credo nemmeno che lei sia in pericolo.» «Ma allora, come ci faceva osservare Barnaby Jeffers, non ci stiamo allontanando ancora di più dal vero problema? Se abbiamo a che fare con un assassino, chi è e come possiamo scoprirlo? Lei non era ancora arrivato da me ieri sera, quando Madame de Sancerre mi disse che la folla di scalmanati che aveva devastato casa Lalaurie era stata aizzata dal giovane Horace Rutherford, allora studente, e dai suoi compagni Barnaby Jeffers e George Stoneman della Planters' & Southern Bank. Ma penso che lo sappia, no?» «Sì, l'ho sentito dire.» «Il signor Jeffers è sicuro che il figlio di Rosette Leblanc sia tornato in veste di cupo vendicatore, per far giustizia dei tre persecutori della madre
adottiva. Può darsi che sìa lo sfuggente "Steve White", benché Tom Clayton abbia addotto valide ragioni per dimostrare che non può essere lui. Lei che ne pensa?» Il senatore Benjamin si carezzò la fronte come se volesse spianarne le rughe. «Rispondere a questa domanda è molto difficile» osservò. «Rischierei di essere troppo oscuro o di portarvi su una falsa strada. Posso dare un suggerimento? È tardi, davvero tardi, ma io non ho sonno. Ho invece voglia di fare quattro passi e prendere un po' d'aria. Vuole accompagnarmi? Così potremo continuare a cercare una spiegazione ai nostri dubbi.» «Con piacere.» Dopo aver preso i loro cappelli da un tavolino, uscirono nella notte fresca e profumata. Il senatore Benjamin si diresse a sinistra, lungo il vialetto che girava dietro la casa. «Ha parlato di congiura» continuò «e non è la prima volta che questa parola è stata menzionata. Da più di un mese qualcosa o qualcuno influenza e ossessiona Margot de Sancerre. Durante lo stesso periodo lei è stato, a sua volta, ossessionato da una misteriosa persecuzione. Quella sua sensazione di essere seguito e spiato...» «Non mi chieda di descrivergliela con precisione; non si può esprimere a parole.» «Penso tuttavia di capirla. Ieri sera certo la sentì più forte che mai, quando qualcuno lanciò nel suo studio quell'oggetto che prendemmo per una testa umana.» «Sì!» «Oggi l'ha sentita? E stasera?» «No. Neppure una volta.» «È proprio certo che si tratti di una presenza ostile?» «Bene, si metta al mio posto. Supponga di sentire uno sguardo vigile pesarle sulle spalle, di udire passi che non si materializzano mai in una reale presenza, di essere in continua attesa di qualcosa che non avviene... come si sentirebbe?» «Esattamente come lei. Sì, naturalmente. Ehm!» Avevano svoltato l'angolo della villa, camminando a passo molto lento. Il vialetto era spazioso e si stendeva chiaro davanti a loro, bordato di pietre biancastre. Il senatore Benjamin aveva tirato fuori l'astuccio dei sigari, ma non lo aprì. «E ora, per quanto riguarda il modo di attuazione di quello che riteniamo
sia stato un delitto» riprese «vorrei che si abbandonasse per un poco ai più folli voli della fantasia. È disposto a farlo?» «A cose di questo genere sono sempre disposto!» «Rifletta, allora. Ecco il giudice Rutherford, ritto in cima alla scala. Tom Clayton ha detto che qualcuno potrebbe averlo spinto. Ma immaginiamo che nessuno la abbia spinto. Allora, cosa può essere avvenuto? Specialmente se supponiamo che uno dei presunti testimoni al fatto possa essere stato in realtà l'assassino?» A quel punto, la fantasia di Macrae mise le ali e spiccò un volo tanto folle da sfuggire a qualsiasi controllo. «Credo di capire cosa vuole dire. Il giudice non venne spinto: venne tirato!» «Tirato?» «E l'assassino poteva essere anche al di fuori del nostro gruppo di cinque persone. Poteva essere qualcuno che si fosse infiltrato dietro di noi, qualcuno che non abbiamo visto.» «Si spieghi.» Macrae annaspò. «Senatore» disse «stasera ci ha raccontato una storia di pesca. Io penso di poterne abbozzare un'altra. «Qui siamo noi nell'atrio, noi cinque; dietro di noi c'è l'assassino. Con una canna da pesca e una lenza così sottile da essere invisibile anche alla luce. L'atrio è altissimo: lui lancia l'amo al di sopra delle nostre teste e nessuno se ne accorge. Il giudice Rutherford, che già è in equilibrio precario, cade in avanti appena l'amo gli si affonda nella giacca. L'assassino con uno strattone lo libera e... e...» Improvvisamente sbalordito dalla scena grottesca che aveva descritto e accorgendosi di colpo quanto fosse ridicola, Macrae s'interruppe. «Non è possibile, vero?» chiese. «Temo proprio di no» rispose il suo compagno. «L'idea dell'assassino che si esibisce in una così eccentrica serie di azioni... tira fuori una canna da pesca, esegue il lancio e tira a sé la lenza, senza che nessuno di noi se ne accorga e senza lasciar tracce sulla giacca della vittima... è una scena assolutamente inverosimile. Ma non si scusi, la prego! Non si scusi mai per l'arditezza della sua immaginazione: ce n'è così poca in questo mondo!» «Ho concepito una colossale idiozia!» «E ha fatto bene a concepirla. La gente che non parla per paura di dire
sciocchezze mi fa pena: possono essere modelli di ragionevolezza, ma averli intorno è una noia insopportabile.» «Eppure...» «Io ho cercato di spingerla in una direzione e lei è andato in un'altra, tutto qui. C'è un modo in cui il delitto può essere stato effettuato: un modo semplice e a mio parere fattibilissimo. Tuttavia non ho uno straccio di prova per sostenerlo, e contro di esso vi è almeno una forte obiezione; quindi, per il momento, lo tengo per me.» Si rimise in tasca l'astuccio dei sigari. «Andiamo un poco più avanti. Vorrei dare un'occhiata alla stanza di Margot de Sancerre mentre lei non c'è.» «Ma se voleva andare nella stanza della signorina» disse Macrae, felice di trovarsi di nuovo coi piedi per terra «perché non è salito mentre eravamo in casa?» «Per essere sorpreso da Isabelle e forzato a dare spiegazioni? No, grazie. La stanza di Margot è da questa parte, credo; e c'è una veranda che gira intorno alla casa, con una scala esterna.» Avevano girato dietro all'edificio e si fermarono un momento. Macrae si diede un'occhiata alle spalle. «Qualcuno ci segue sul vialetto.» Ma era solo Jules de Sancerre. Quando li raggiunse, videro che era senza cappello e che aveva un'espressione sardonica. «Mi hanno cacciato via, amici» annunciò. «Dalla mia propria casa! Con la massima deferenza, lo ammetto: quel diavolo d'irlandese, che è proprio tutt'altro che sciocco, non è tipo da dimenticare le buone maniere. Pure mi ha cacciato via ugualmente, appena ho finito di dire quel che sapevo. Ora è a colloquio col povero Barnaby, che insiste nel chiedere la protezione della polizia. Il sergente gli ha assicurato che l'avrà. A voi non ha niente da chiedere, a quanto pare. State solo passeggiando o cercate qualcosa?» Fece un ampio gesto col braccio, come se volesse attirare la loro attenzione su quanto avevano intorno. Lungo il retro della casa, a livello del primo piano, correva una veranda dalla ringhiera in ferro battuto sormontata da una tettoia. I due vialetti che giravano intorno alla facciata si riunivano in un solo largo sentiero che continuava dritto, fiancheggiato da alti cespugli, verso le rimesse e le scuderie. A destra c'era la cucina, una costruzione di mattoni separata dalla casa ma collegata alla sala da pranzo da un passaggio coperto. A sinistra, dalla loro parte, c'era un'altra costruzione indipendente, in legno dipinto di bianco. Più piccola della cucina, aveva una finestra e una robusta porta
chiusa da un lucchetto. Il senatore Benjamin esaminò il tutto. «No, non cerchiamo niente di preciso» fece con aria indifferente. «E tu?» «Io vado a dare un'occhiata alla rimessa» rispose Jules de Sancerre. «Se v'interessa...» «Non particolarmente. Ma dimmi, a che serve quella piccola costruzione con la finestra verso nord? Sembra quasi lo studio di un artista.» «In un certo senso lo è. È il laboratorio di Cicero.» «Il laboratorio di Cicero?» «Zio Cicero è assai più che un semplice cocchiere» spiegò Jules «per quanto grande sia la sua conoscenza dei cavalli. È un carpentiere abilissimo: lavorava per il signor Sturdevant, prima che lo vincessi al poker tanti anni fa. Sa lavorare anche il ferro, la pelle; sa fare di tutto. Fa per noi tutto quello che ci serve. «Sua moglie è Thisbe, la balia di Margot. Quando mia figlia aveva sette o otto anni, lui costruì per lei una casa in miniatura per giocarci, completa in ogni dettaglio. Io non dovetti far altro che pagare il materiale; e quella casetta era l'invidia di tutti i bambini del vicinato. Margot la usò finché non diventò troppo alta per starci dentro. Bene, se non vi interessa vedere la rimessa, devo lasciarvi.» «Pensi che il sergente ne avrà per molto?» «Non credo, dice che se la sbrigherà alla svelta. Perciò, quando ne avrete voglia, andatevene pure senza cerimonie. Addio, amici.» Si allontanò con passo svelto giù per il vialetto, verso le scuderie. Con aria di esagerata segretezza e muovendosi in punta di piedi, il senatore Benjamin guidò Macrae verso la scala esterna che saliva alla veranda. Macrae lo seguì, sentendosi furtivo come un ladro e chiedendosi perché. Delle cinque stanze che avevano le finestre una in fila all'altra sul retro, solo quella di centro appariva illuminata. Era lo studio di Jules de Sancerre. Dalle sue due finestre la luce cadeva sulla veranda, trapelando dall'apertura fra le tende non completamente chiuse. Cautamente i due guardarono all'interno della prima stanza che dava sulla veranda. C'era giusto abbastanza luce perché potessero vedere le sagome di un manichino, di una massiccia macchina da cucire e di diverse sedie e poltrone. Nella stanza successiva, una delle camere per gli ospiti, non si distingueva nulla, tranne la grande testata del letto. Ora erano arrivati allo studio.
Con maggiore sicurezza e quasi con l'aria di divertirsi, il senatore Benjamin alzò completamente la parte inferiore della prima finestra e scavalcò il davanzale. Tenne aperte le tende e fece un cenno al suo compagno di seguirlo. La stanza era grande, quadrata, tappezzata in marrone e illuminata da numerosi becchi a gas. C'erano vari scaffali, sormontati da incisioni rappresentanti per lo più statisti da tempo defunti, e molte poltrone disposte a caso. Sulla scrivania un pacco aperto mostrava di contenere libri. Nell'aria si sentiva ancora, pesante, l'odore di fumo. E la porta era rimasta spalancata. Tirandosi i favoriti con aria pensosa, il senatore uscì sul pianerottolo, andò fino all'inizio delle scale e guardò giù; quindi si voltò e si chinò a esaminare il tappeto. Alla fine tornò nello studio, piuttosto sconfortato, accostando appena la porta; e si chinò a esaminare il pacco di libri. «Jules e il giudice Rutherford li stavano cfogliando poco prima della tragedia» disse. Sollevò due volumi in quarto. «Qui abbiamo un'edizione americana, uscita di contrabbando, dell'ultimo romanzo di Dickens, La piccola Dorrit. In Inghilterra non è stato ancora pubblicato in volume, sta uscendo a puntate mensili. I contrabbandieri sono arrivati prima, come sempre.» Si scostò un poco dalla scrivania, soppesando con le mani i due volumi, e gli occhi gli scintillarono. «In Casa desolata, circa cinque anni fa, questo stesso autore ha intrecciato nella trama del romanzo, di cui costituisce parte essenziale, il racconto di un misterioso assassinio. I capitoli che narrano della morte del vecchio Tulkinghorn e della sorprendente identità del suo assassino formano quasi parte a sé, tanto da poter essere letti indipendentemente dal resto. La presentazione ai lettori di un complicato mistero e la sua spiegazione costituiscono un espediente letterario inventato dal defunto Edgar Poe, uno scrittore della Virginia. Ma lui lo usò solo per alcune novelle, e lo abbandonò ben presto. Speriamo che non vada perduto! Speriamo che il signor Dickens, o forse qualche altro scrittore più giovane di lui, ci diano un romanzo in cui la soluzione di un mistero, che si snoda attraverso appropriati e sensazionali colpi di scena e con tutti gl'indizi messi in mostra davanti al lettore, costituisca l'unico tema del libro. Un'opera del genere si potrebbe chiamare "romanzo a sensazione" o, meglio ancora, "romanzo poliziesco". Che prospettiva!» La faccia del senatore si era tutta illuminata. Macrae lo fissava incuriosi-
to. «Ho proprio l'impressione che si stia divertendo!» esclamò. «Temo di sì, in un modo un po' vampiresco» confessò l'altro. «Non sottovaluti il famelico interesse che l'uomo ha per tutto ciò che è sorprendente. Pochi anni fa, credo, un suo conterraneo, il romanziere G.P.R. James, fu console britannico a Norfolk e sposò un'americana prima di tornare in patria. Presta ancora servizio nel corpo diplomatico?» «Sì. In questo momento è console generale a Venezia.» «Le sue opere mi hanno deliziato. Di mistero ce n'era poco, ahimè, ma in compenso... sensazionalismo a palate! Più di dieci anni fa, quando mia madre era ancora viva, avevo l'abitudine di leggerle quei libri ad alta voce, a lei e alle mie sorelle. «Ma facevo anche di peggio» dichiarò con aria colpevole il senatore. «A edificazione di mia madre e delle mie sorelle, solevo infilare una sull'altra una serie delle più paurose storie di fantasmi che mi riuscisse di ricordare o d'inventare. Le raccontavo quasi al buio, accumulando orrori su orrori e preparando piano piano l'effetto finale, finché urlavo "Buuh!" al dénouement. Se i miei clienti sapessero questo, se lo immagina l'effetto? Un uomo reputato serio che si diverte in modo tanto puerile?» Macrae si volse di scatto a guardare la finestra aperta che aveva dietro. «Per un istante» rispose, mentre un brivido gelido gli percorreva la schiena «ho immaginato che il mio fantomatico persecutore fosse tornato e stesse lì fuori a guardarmi. Scusi un momento.» Andò alla finestra e mise la testa fuori. Poi si ritirò e la chiuse, abbassando il vetro inferiore. «Fuori non c'è nessuno» disse «o almeno non si vede nessuno. Ma senatore, se vuole vedere la camera di Margot, non è meglio che ci andiamo subito, prima che magari qualcuno c'interrompa?» «In realtà, ho espresso quel desiderio solo come ruse de guerre in caso qualcuno ci stesse ascoltando. Era questo studio e il pianerottolo antistante che volevo vedere. La camera di Margot non m'interessa.» La porta si aprì d'improvviso, senza che si fosse udito alcun rumore di passi sul tappeto soffice. Ursula Ede apparve sulla soglia, una mano premuta sul cuore e un'espressione costernata sul viso. «Scusatemi!» gridò. «Ma se non volete esaminare la stanza di Margot... bene, è una fortuna. Perché ora li c'è lei, e non credo che vi farebbe entrare. È tornata, capite? È tornata!» Il viso del senatore si accese d'interesse. «Quando è accaduto?»
«Poco fa.» Ursula si volse a Macrae. «Zia Isabelle e io siamo salite. Ci hai viste, no?» «Vi ho viste.» «Zia Isabelle era molto agitata. Dopo un poco mi ha detto: "Pensi che forse Margot, prima di uscire, possa aver lasciato un messaggio per me? Magari una parola su un pezzo di carta, tanto per non farmi ammalare di pena? Andiamo a vedere". «Così siamo andate nella stanza di Margot, e abbiamo aperto la porta senza neanche bussare. Le lampade erano tutte accese. E Margot stava seduta davanti allo specchio e si stava riassettando il vestito, che non era poi neanche tanto sgualcito, in realtà.» «Ma dov'è stata?» «È quello che zia Isabelle le ha chiesto subito. Le ha detto anche: "Come ti è saltato in testa di terrorizzarci a morte?" e cose del genere. Ma Margot era di pessimo umore, e ha detto solo: "Uscite e lasciatemi sola! Per piacere, uscite e lasciatemi sola! Andatevene!". Ci ha prese per le spalle, una da una parte e una dall'altra, e ci ha praticamente estromesse dalla stanza a viva forza. «Zia Isabelle è corsa giù a chiamare lo zio Jules, suppongo. È andata in biblioteca e non è più risalita. Margot è in camera sua, con la porta chiusa a chiave, e non vuol nemmeno rispondere.» «È rimasta là al buio?» chiese Macrae. «Non trapelava luce dalle sue finestre quando eravamo sulla veranda.» «No, ha tirato le tende, e sapete quanto siano pesanti.» Ursula sì era fatta avanti nella stanza. Guardò Macrae con aria supplichevole. «Comunque ora siamo certi che Margot è sana e salva. Era questo che importava, no? E io devo andare a casa, devo proprio; non posso restare un minuto di più. Posso accompagnarti a casa, per piacere, visto che sono stata io a portarti qui? E possiamo andare subito?» «Ma...» «Sono stata qui a passeggiare avanti e indietro, in camera di zia Isabelle. Poi sono uscita sul pianerottolo e vi ho sentiti parlare. Ma devo tornare a casa. La coscienza mi rimorde. Proprio non posso persuaderti a venire con me? Se ti preoccupi per Harry, Tom Clayton sarà lieto di dargli un passaggio. Oh, ti prego!» «Amico mio» intervenne serio il senatore «accetti un mio consiglio e faccia ciò che le chiede la signorina. Non si disturbi a prender congedo, la
scuserò io. Del resto ha sentito Jules de Sancerre: ha detto che non dovevamo far cerimonie. Pure, ora comincio a vedere un po' di luce in quest'arruffata matassa. Se voi due volete farmi l'onore d'incontrarvi con me qui, domani, diciamo alle quattro del pomeriggio, cercherò di sbrogliarla almeno in parte. D'accordo? Bene! Andate ora, su.» Pochi istanti dopo (Ursula era corsa nella stanza di Isabelle de Sancerre a riprendere la sua mantellina argentata), tutti e tre scendevano le scale cercando, istintivamente, di non far rumore. Dietro le porte chiuse della biblioteca si sentiva un po' di tafferuglio. Ursula, che aveva preso il braccio di Macrae, gli fece sorpassare in fretta quel punto pericoloso. Il senatore fece loro un cenno di saluto e Marcus Brutus si materializzò dal nulla ad aprir loro la porta. «L'indirizzo è Carondelet Street 33, vero?» chiese Ursula, mentre salivano in carrozza. «Hai sentito, Jared?» Abbassò la voce. «Che ti succede, Quentin?» Lui non ebbe la possibilità di rispondere. Jules de Sancerre sbucò correndo dal retro della casa, si precipitò su per gli scalini del portico e spalancò la porta. Durante quel breve intervallo, il tafferuglio nella biblioteca aveva raggiunto il punto di ebollizione. Qualcuno stava salendo a rotta di collo dall'atrio al primo piano. Siccome proprio in quel momento la carrozza si era messa in moto, Ursula e Macrae non riuscirono a vedere chi fosse; ma sentirono il trapestio affrettato dei passi che salivano, finché non vennero soffocati dal tappeto del pianerottolo. Dalla biblioteca uscì, pure di corsa, il sergente O'Shea, seguito da Barnaby Jeffers. La sua voce rauca li raggiunse. «Ehi, suvvia» urlava «cosa pensa di fare? Torni qui, signor Clayton! Torni qui!» Jules de Sancerre chiuse la porta. La carrozza acquistò velocità. «Oh, no!» sospirò desolata Ursula. «Ancora altre complicazioni, santo cielo! E Tom di nuovo sul sentiero di guerra! Ma tanto noi non possiamo farci niente. E così dimmi, Quentin, che ti succede?» «In che senso?» «Mi trovi troppo sfacciata? Non ti piaccio più?» «Anche solo starti vicino così, Ursula, è il paradiso per me. Ma non capisco perché mi porti a Carondelet Street prima di andare a casa tua. È qui vicino, no?» «Sì, a pochissima distanza.» «Allora perché non ci andiamo subito? Io posso tornare a piedi al conso-
lato. E se tuo padre stavolta si svegliasse, potrei spiegargli...» «Tu non conosci mio padre. In questo momento è ben disposto verso di te; lo è stato dal giorno che ti vide sparare vicino al lago. Dice che sei un gran tiratore e che hai un portamento da gentiluomo. Ma se ti presentassi a lui alle due di notte, assieme a sua figlia, e se cercassi poi di spiegargli dove l'hai trovata...» «Come puoi pensare che andrei a dirgli una cosa del genere?» «Cosa gli diresti, allora? No, lascia stare, me la caverò meglio da sola. Magari sarà necessario alterare un poco la verità, anche se sono stata sincera con zia Isabelle. Ma ogni ragazza una volta o l'altra è costretta a dire qualche bugia; specialmente alla propria famiglia.» Lei gli lanciò un'occhiata in tralice. «Ma c'è qualche altra cosa che ti turba, vero?» Era verissimo. Ciò che lo turbava era Ursula stessa: i suoi occhi, la sua bocca, le braccia e le spalle nude e così vicine da annebbiargli il cervello. Lui non era certo un libertino, ma non poteva non essersi accorto che lei accoglieva molto favorevolmente le sue attenzioni. Eppure... Rimasero in silenzio per tutto il percorso; ogni tanto qualcuno di loro tentava di cominciare a parlare, ma s'interrompeva subito, specialmente dopo che un sobbalzo della carrozza li buttò quasi l'una nelle braccia dell'altro. Le campane della chiesa avevano già suonato le due quando la calèche andò a fermarsi nel cortile del consolato. Macrae scese! Ursula gli tese la mano e lui la prese fra le sue. «Grazie!» sussurrò lei. «Grazie di tutto!» «Sono io che ti ringrazio. Ci vedremo domani?» «Sì, a casa di Margot, alle quattro. Non vedo l'ora.» La luce della lanterna da viaggio splendette negli occhi glauchi. «Non è necessario, sai, che tu sia così riservato se non ne hai voglia. Buonanotte, Quentin.» «Buonanotte, Ursula.» Le strinse la mano e la lasciò. Aspettò finché la carrozza non si fu allontanata; poi corse su per le scale e aprì la porta del suo appartamento. Un becco a gas ardeva fievolmente nell'atrio. La grassa Tibby, la moglie di Sam, lo aspettava seduta su una sedia e sobbalzò terrorizzata quando la porta si aprì. Parve rassicurarsi quando lo riconobbe, ma lui si accorse che continuava a essere spaventata. «Tibby! Come mai ancora alzata a quest'ora?» Intorno alla testa Tibby portava la bandanna rossa che la legge imponeva a tutte le libere donne di colore, benché non tutte l'accettassero. A diffe-
renza di Sam, la donna aveva ricevuto una discreta educazione in una scuola tenuta da religiose. «Ecco, signor Richard!» cominciò affannata, tirando fuori qualcosa dalla tasca del grembiule. «Guardi! Qualcuno lo ha lasciato di nascosto sulla sua scrivania in ufficio, poco dopo che era uscito! E sulla scrivania hanno lasciato anche un'altra cosa. Ma crede che io l'abbia toccata? Mai e poi mai!» Quello che gli tendeva era un biglietto, del formato che gli era ormai divenuto familiare. Macrae alzò il gas e lo esaminò alla luce. Da una parte c'era scritto il suo nome, con la nota grafia precisa e la nota penna sottile. Dall'altra parte si leggeva: A la maison hantée, rue Royale. Cherchez-moi là vendredi à minuit ou un peu plus tard. Je jette ce défi, cher monsieur, et j'ai l'honneur d'ètre. Toujours à vous. Papa Là-bas «Tibby, sai leggere il francese?» «Sì, signore.» «Leggi.» La donna lesse. «"Alla casa infestata dagli spettri, in Royal Street. Mi cerchi là venerdì a mezzanotte o poco dopo. Le invio questa sfida, caro signore, e ho l'onore di essere sempre il suo Papa Là-bas."» «Che altro hanno messo sulla scrivania, Tibby?» «Signore?» «Hai detto che avevano lasciato anche un'altra cosa, qualcosa che ti ha fatto quasi morire di paura. Cos'era?» Tibby tremò tutta. «Era un serpente, signor Richard! Un serpente morto!» 11 Il giorno seguente, venerdì, Macrae stava facendo colazione alle otto e mezzo come al solito. Ancora gli si accavallavano nella mente i ricordi della notte prima. Dopo aver chiuso in un cassetto della scrivania il messaggio di Papa Là-bas e dopo essersi sbarazzato dell'altra cosa che aveva fatto tanta paura a Tibby, era andato subito a letto. Stava sonnecchiando quando aveva sentito arriva-
re una carrozza. Era Harry Ludlow al quale, per fortuna, aveva dato una chiave di scorta. Non si era aspettato un sonno facile; invece aveva dormito benissimo, aveva sognato di Ursula e si era svegliato di ottimo umore. Una buona rasatura e un bagno freddo lo avevano fatto sentire ancora meglio. Il cielo era coperto. Nella sala da pranzo alquanto buia Macrae aveva appena cominciato il suo piatto di uova e pancetta quando entrò Harry, con la faccia tutta rosea e l'aria di uno che è passato attraverso una grande esperienza spirituale. «Ebbene, Harry?» «Ebbene, signore, certo non posso lamentarmi che qui la vita manchi di colore. Quel sergente O'Shea, per esempio, non è proprio una macchietta?» «Mi dispiace che il tuo cappello si sia rovinato.» «Non c'è da preoccuparsi, posso sempre comprarne un altro. E i cappelli, e quanto a questo anche il sergente O'Shea, sono proprio il mio ultimo pensiero. Che notte!» «Ti ha accompagnato Tom Clayton, suppongo?» «No, signore, non ha potuto. Era ancora impegnato nella baruffa. Il vecchio gentiluomo dalla barba alla Luigi Napoleone ha avuto la cortesia di farmi riportare qui da una delle sue carrozze.» «Così dunque c'è stata una baruffa?» Harry, nel suo elegante abito da mattina, eseguì una specie di danza intorno al tavolo. «Se c'è stata una baruffa? Oh, Dio mi benedica, se c'è stata una baruffa!» «Buono! Controllati! Che è successo?» «Non so quanto lei stesso abbia visto o udito prima di andar via, signore.» «Margot era stata trovata nella sua camera. Madame de Sancerre era corsa in biblioteca...» «Cercava il vecchio gentiluomo, signore. Ma lui era andato da qualche parte...» «So anche questo. Continua da qui.» «Madame de Sancerre ci disse che Margot era tornata, ma che si rifiutava di dire dov'era stata. E fin qui tutto bene. O almeno le cose non si guastarono finché lei non cominciò a dire che proprio non sapeva dove sarebbero andate a finire le giovani generazioni, visto che la sua stessa figlia l'aveva presa per le spalle e cacciata fuori della sua stanza. Tom Clayton rimase a fissarla per qualche secondo e poi diede fuori di matto.
«Corse via, con noi tutti dietro, e salì le scale a tre a tre. Quando lo raggiungemmo, lui stava scuotendo la maniglia della porta della ragazza, e poi prese a martellarla di pugni. Ma lei non rispondeva. Allora lui disse: "Avanti, ragazzaccia viziata, vuoi aprire questa porta tout de suite o devo buttarla giù?".» Era straordinario come Harry riproducesse esattamente l'inflessione della voce di Tom Clayton e il suo accento. «E l'avrebbe fatto, sa. Stava indietreggiando per prendere lo slancio, quando la porta si spalancò di colpo. Lei apparve sulla soglia, esattamente come l'abbiamo vista quando è scappata via dal ballo delle mulatte; però aveva in mano un pesante specchio da tavolo. «Gli rispose per le rime e lo chiamò prepotente figlio di questo e quello. Ragazze perbene non dovrebbero nemmeno conoscerle, certe parole, così almeno si suppone, benché io stesso le abbia sentite usare. Insomma, lei gli rivolse qualche altro termine altrettanto scelto e poi gli tirò in testa lo specchio. «Lo mancò e lo specchio andò a fracassarsi contro il muro, ma questo fece arrabbiare Tom ancora di più. Prima che lei potesse richiudere la porta, lui l'aveva già acciuffata. E allora» strillò Harry, chiaramente diviso tra l'imbarazzo e un'irresistibile voglia di ridere «fece proprio quello che aveva detto di voler fare qualche ora prima. Sedette su una sedia, se la tenne a faccia in giù sulle ginocchia e... e...» «Calma, su! Posso immaginare la scena.» «Non è stata tanto indecente quanto poteva essere, anche se lui le ha tirato su le gonne. Sotto lei portava degli affari, sa, come dei calzoncini bianchi con un mucchio di merletti e di arricciature. Lui la teneva col braccio sinistro; ma nel mezzo della sculacciata, lei girò la testa e gli morse la mano fino all'osso. «Allora Tom non ci vide più. «Si alzò, la sollevò di peso e la scagliò lontano da sé. Voleva buttarla sul letto, penso, ma ci mise troppa forza. Lei volò dall'altra parte e cadde bocconi sul pavimento. Non si fece male, però; in un momento si era già rialzata e gridava: "Non c'è nessuno che vendichi il mio onore? Non c'è nessuno che vendichi il mio onore?". Tom rispose: "Perché? Hai perso anche quello?". E uscì dalla stanza mentre lei si stava ancora guardando attorno alla ricerca di qualche altra cosa da tirargli dietro. «Dopo di ciò, successe piuttosto un tafferuglio. Non credo ci sia bisogno che glielo racconti per filo e per segno...» «No, i punti più importanti li hai già descritti benissimo.»
«Benché, sa, io credo che Madame de Sancerre fosse più preoccupata della morsicatura alla mano di Tom, che provvide a lasciare, che dell'insulto fatto alla dignità della figlia. E il vecchio gentiluomo sembrava piuttosto divertito.» «E che disse il sergente O'Shea?» «Annunciò che non spettava alla polizia impicciarsi di liti fra innamorati. Ma mi dica, signore, che diamine faranno quei due quando saranno sposati? Si comporta così in genere la gente a New Orleans?» «No, naturalmente no! Non essere così affrettato nel giudicare. Qualunque persona, in qualunque parte del mondo, se perde la testa si comporta puerilmente, proprio come hanno fatto Tom e Margot. La natura umana è fatta così; e non c'è nemmeno da riderci sopra. Un'ultima domanda e poi chiudiamo l'argomento. Durante la baruffa, che cosa faceva il senatore Benjamin?» «Il signore anziano dagli occhi scintillanti? Nei momenti più caldi non ho quasi fatto caso a lui. Poi, quando le cose si sono calmate, ha chiesto qualcosa a Madame de Sancerre: se Margot avesse l'abitudine di usare molto profumo, o poco, o affatto. Lei ha risposto che in genere ne usava pochissimo. Poi il signore è uscito, e prima che venissi via ho sentito dire che era tornato a casa a piedi.» Tibby portò in tavola altro cibo. Harry si sedette e demolì così rapidamente pancetta, uova, crostini e caffè che si trovò ad aver finito prima del suo ospite. «Grazie, signore, non fumo» disse quando Macrae gli offrì un sigaro. «Non ho mai preso l'abitudine per via del fiato, sa. Cosa devo fare stamattina? Ha istruzioni per me?» «Sì. Ognuno che faccia parte del corpo diplomatico, quando viene mandato in un nuovo posto, deve spedire entro ventiquattr'ore un breve rapporto sulla situazione locale.» «Oh, si divertiranno! Se pensa alle situazioni...» «Non parlo di quelle! E poi non si divertirebbero affatto: si scandalizzerebbero e basta. Quello che loro vogliono è qualche dettaglio sul commercio, gli affari locali e così via.» «Ma signore, di queste cose io non ne so niente.» «Lo credo, ma puoi imparare. L'anno scorso, per esempio, nel porto di New Orleans è passata merce per un valore di trecentocinquanta milioni di dollari. Se vuoi impressionare il Foreign Office...» «È mio dovere impressionarli, signore!»
«Nel mio ufficio al pianterreno, sullo scaffale vicino al caminetto, troverai diversi rapporti e documenti che ti saranno di aiuto. C'è anche una guida della città, ti servirà per orientarti. Va' giù e comincia a lavorare. Il consolato apre alle nove; ora sono le nove meno un quarto. Io fumo un sigaro e bevo un'altra tazza di caffè, poi ti raggiungo e ti mando via. Potrai lavorare qui nel salotto. La valigia diplomatica parte domani; e se farai il tuo compitino con coscienza, può darsi perfino che qualcuno a casa si scomodi a leggerlo. Corri via.» Harry si alzò e con un inchino uscì. Macrae lo sentì scendere le scale con passo deciso, mentre portava in salotto la tazza di caffè e il sigaro. Sedette a un tavolino vicino alla finestra. Stava riflettendo su certi problemi e dicendosi che forse era un poco più vicino alla loro soluzione, quando Tom Clayton entrò nel cortile su un bellissimo cavallo, smontò e porse le redini a Sam. Quella mattina portava una giacca verde bottiglia e aveva la mano sinistra bendata. Macrae gli fece cenno di salire. L'altro venne su in fretta, entrò togliendosi il cappello e rimase davanti all'amico con aria cupa. «Tom, Harry mi ha raccontato del tuo emotivo comportamento di stanotte. Ti sei riavuto ora?» Il pesante, bastone da passeggio di Macrae era appoggiato al muro lì vicino. Tom lo prese, lo agitò un poco nell'aria e poi lo ripose. «Mi stai chiedendo per caso se mi vergogno di me stesso?» «Non ho detto niente del genere. Ho chiesto soltanto...» «Ebbene, sì!» tuonò Tom. Ma si controllò e continuò con voce più calma: «Sculacciare una donna, quando se lo merita, è cosa degna e giusta, e lei dovrebbe aspettarselo. Ma picchiarla o maltrattarla, come ho fatto io, è cosa che un gentiluomo non dovrebbe mai permettersi, in nessuna circostanza. Perché quella dannata ragazza mi fa sempre arrabbiare così?». «Probabilmente perché sei innamorato di lei.» «Se dovessi giudicare la condotta di Margot con lo stesso criterio» rifletté Tom «arriverei alla conclusione che lei nutre per me una passione sfrenata. Ma non ci credo, non posso crederci: è troppo facile.» «Si è degnata almeno di spiegare cosa ha fatto dai momento che è svanita dalla carrozza al momento in cui si è materializzata di nuovo nella sua camera?» «No, non ha voluto dire niente. E tu hai qualcosa da raccontare?» «Qualcosa sì; e forse anche molto di più. Ma prima senti cosa ho trovato quando sono tornato a casa.»
Descrisse il messaggio di Papa Là-bas e il serpente morto, mentre Tom passeggiava avanti e indietro per la stanza. «Dick, figlio mio» annunciò alla fine «la persecuzione continua, lo vedi. Che serpente era quello che ti hanno lasciato sulla scrivania? Era velenoso?» «No. A quel che posso giudicare, era un affare innocuo e neanche molto grande. Non l'ho esaminato con tanta cura da fargli l'autopsia, ma pareva perfino morto di morte naturale. Tibby non ha voluto saperne di toccarlo, così l'ho buttato via io.» Macrae depositò il sigaro su un portacenere e si alzò. «Molto più importante, per ciò che ho in mente, è il messaggio di Papa Là-bas. Mi ha sfidato ad andare nella casa di Delphine Lalaurie, la famosa casa stregata. Ebbene, ti sembrerà sciocco o temerario, ma io sono deciso ad accettare la sfida. Ci andrò.» «E io verrò con te!» Tom alzò il pugno. «Ci andremo insieme, vuoi?» «Certo, speravo che ti offrissi di accompagnarmi. Ma non dobbiamo far sapere a Harry niente di tutto questo, o vorrà venire anche lui. Io mi sento responsabile di quel ragazzo; non voglio vederlo impegolato in questa faccenda più di quanto non lo sia già. Ho ordinato a Tibby e a Sam di non menzionare davanti a lui messaggi o serpenti.» «Sai, Dick» fece Tom tutto felice «la prospettiva di questa visita mi eccita piacevolmente. Incontrare Papa Là-bas, se si farà trovare! Prenderlo a pugni o dargli un calcio sotto la coda! Questa è proprio l'avventura che fa per me!» «No, Tom.» «Come sarebbe, no?» «Voglio dire che non andiamo per amore dell'avventura, come due scolaretti. Andiamo per una ragione giusta e importante.» «Quale?» «Ieri sera, a casa de Sancerre, il mio cervello era fuori giri. Ero preoccupato; non riuscivo a pensare a nient'altro che...» «Non c'è bisogno che tu me lo dica, fratello. Non pensavi a nient'altro che a Ursula. Vero?» «Verissimo.» «E chi ti dà torto? Ursula è straordinariamente attraente. Tutti i proci locali le sono stati attorno da quando aveva quattordici anni.» «Perché sei così crudo, Tom?» «Ho detto proci, non porci! Ma insomma: lei non ne ha mai degnato uno
di un'occhiata, fino al momento che... tu mi capisci. Diamine, se ieri sera non ti si è gettata tra le braccia si può dire che ci è andata vicino. Ora manca solo che tu e lei vi mettiate in qualche posizione compromettente, così da far venire un accidente al generale Ede, e poi l'imbroglio sarà completo.» «Non faremo niente del genere, Tom.» «Oh, lascia che la natura segua il suo corso. Ma torniamo a noi: qual è quest'ottima ragione per cui io e tu dobbiamo andare all'appuntamento con Papa Là-bas?» «Ieri notte il senatore Benjamin ha detto che poteva vedere almeno parte della verità. Questa mattina, a mente più fresca, ho passato in rivista tutto quello che sappiamo e credo anch'io, ora, di vedere una parte di verità. Se sia quella stessa che il senatore ha indovinato, o se si tratti di tutt'altra cosa, non lo so. Tuttavia dobbiamo avere un altro colloquio con lui oggi pomeriggio alle quattro. Lo sapevi?» «Sì, siamo tutti invitati. Saremo in fitta schiera, se conosco il vecchio Benjie. Ma ciò non impedirà la nostra piccola spedizione, no? Pensi davvero che potremo saperne qualcosa di più, se andiamo alla casa stregata?» «Ne sono certo. Se noi...» Macrae s'interruppe bruscamente. «Ma santo cielo, sto diventando un maleducato di prim'ordine. Arrivi a quest'ora e non ti ho invitato nemmeno a far colazione! O a prendere almeno un caffè!» «Ho già fatto colazione, grazie, ma un poco di caffè lo gradirei.» «Quello che c'è in sala da pranzo è freddo, ma Tibby è ancora in cucina. Scendo subito a dirle...» «No, vado io!» gridò Tom. «Tu sta' qui e pensa a quello che mi devi dire. A Tibby piaccio: dev'essere l'unica donna di New Orleans che mi ha in simpatia. Ma tu farai meglio ad avere qualche notizia per me, quando ritornerò. Tutti i miei presentimenti non hanno forse colpito questa "parte di verità", e cioè che tu stai per rivelarmi la tua grande scoperta? Non è così?» «Oh, quando ti avrò fatto notare due o tre cose, il resto lo scoprirai da te, vedrai.» Tom scese. Mentre una folla d'idee gl'infiammava il cervello, troppo inquieto per star fermo, Macrae si mise a passeggiare avanti e indietro per la stanza, resistendo a stento all'impulso di parlare a se stesso a voce alta. La sera prima, al ballo delle mulatte, aveva indovinato la verità su Ursula Ede e su
quello che stava facendo là. A ragione o a torto, sentiva ora di essere sulla pista giusta. Gl'indizi cadevano al loro posto uno per uno... oh, se fosse riuscito a giungere a una piena soluzione del problema prima di Judah P. Benjamin! La finestra era semiaperta. Sentiva Sam, che probabilmente aveva condotto nella stalla il cavallo di Tom, darsi da fare in cortile. Qualcuno entrò dalla strada, camminando con passo deciso, e rivolse qualche parola a Sam che rispose con un mormorio indistinto. Allora il nuovo venuto alzò la voce. «Annunciami al tuo padrone, uomo. Io sono il signor Nathaniel Rumbold.» Macrae si avvicinò alla finestra e guardò fuori. La sera prima aveva visto il giocatore solo da lontano e in una situazione grottesca, così aveva avuto l'impressione che fosse quasi una figura da commedia. Ma Square Nat Rumbold non aveva nulla della figura da commedia. Dall'aspetto, pareva avvicinarsi alla quarantina. Era alto come Tom Clayton, e aveva un portamento insolente. Vestiva sobriamente di nero, ma il vistoso panciotto era ricamato a papaveri rossi e neri e aveva bottoni d'oro. Una grossa spilla di diamanti scintillava sui pizzi della camicia; alle dita della mano sinistra risplendevano altri diamanti. Gli occhi vigili e duri sapeva mascherarli con la superficiale affabilità di modi necessaria alla sua professione. In quel momento però, con Sam, non se ne stava dando la pena. «Hai capito che cosa ti ho detto? Annunciami al tuo padrone.» Sam, senza muoversi dalla sua posizione davanti alla scala, mormorò che il signor Richard non era ancora sceso e che non si poteva disturbarlo. La voce del giocatore si levò come un ringhio iroso e sprezzante. «Togliti di torno, negro!» Sam si fece da parte. Square Nat Rumbold si precipitò su per le scale, ma giunto alla galleria si fermò, picchiò due leggeri colpi alla porta e l'aprì. Ora si era appiccicato un sorriso alle labbra, e aveva nella voce tutta la cortesia del mondo. «È lei il console, signore?» cominciò. «Scusi se la disturbo a un'ora così mattiniera. Avevo sperato di poterle essere utile nella sfortunata circostanza in cui si trova, e davvero, in qualunque cosa possa servirle...» Macrae lo fissò, tenendo a freno la sua collera. «Potrebbe cominciare col trattare i miei servitori in modo più educato.»
«Educato?» esclamò il giocatore. Il suo sorriso si appannò alquanto, ma la voce rimase cortese. «Signore, mi sono permesso di farle visita per una questione d'onore. In casa del signor Leonidas Clayton mi hanno informato che il figlio del padrone è qui da lei. Io mi chiamo...» «Conosco il suo nome, signor Rumbold. E non l'ho invitata a entrare.» «Tra il giovane signor Clayton e me c'è da risolvere una questione che non è possibile rimandare oltre. Forse si è trattato solo di un malinteso. In tal caso sono pronto ad agire con la massima generosità. Dov'è il signor Clayton?» Non ci fu bisogno di risposta. Tom entrò in quel momento grattandosi un orecchio. «Il caffè sarà pronto quanto prima» annunciò. Vedendo chi gli stava davanti, si fermò di colpo. «Ancora lei?» «Non mi aspettava, signor Clayton? L'avevo preavvisata, no?» «Be', che vuole?» «Mi troverà più che generoso, signore. Perfino dopo quanto è successo, sono pronto ad accettare le sue scuse.» «Scuse? In nome del cielo, e per che cosa?» «Per ciò che ha fatto forse senza volerlo, scosso com'era dall'umiliazione quando la bella mulatta che stava importunando ha respinto le sue attenzioni. Se non avrò le sue scuse, dovrò insistere affinché mi dia quella soddisfazione che ogni gentiluomo deve a un altro gentiluomo. Mi dia il nome di un suo amico al quale io possa mandare i miei amici.» «Senta, pagliaccio imbrillantato! Se sta proponendo quello che io penso...» «Mi ha capito perfettamente, signor Clayton. Vuole incontrarsi con me o no?» «Voglio incontrarmi con lei» tuonò Tom «in qualsiasi posto, in qualsiasi momento e con qualsiasi dannata arma vorrà scegliere. Ma teniamolo segreto! Perché disturbare i nostri amici? Non ci tengo a esser visto con lei in pubblico, neanche per una causa come questa.» La voce di Tom assunse un tono querulo. «Chi è lei comunque? Da dove viene? Va in continuazione su e giù per il fiume come una balla di cotone ammuffito che nessuno vuole prendersi. Chi diavolo è?» «Permetta che mi presenti» disse gelido Square Nat Rumbold. Si tolse di tasca un paio di guanti di capretto. Aveva già alzato il braccio per sbatterli sulla faccia dell'avversario nel modo tradizionale, quando
venne prevenuto. Tom si era lanciato con tutto il suo peso. La mano bendata affondò nello stomaco del giocatore, mentre la destra gli si abbatteva sulla mascella in un pugno omicida. I guanti schizzarono via. Ancora una volta Rumbold volò all'indietro, atterrando questa volta su una poltrona che andò a sbattere contro il tavolo. Senza fiato ma ringhiante, rimbalzò in piedi come un gatto. Fu allora che Macrae intervenne. Aveva già teso la mano verso l'impugnatura del bastone da passeggio appoggiato alla parete. La mano del giocatore era sparita sotto la giacca. Macrae vide la piccola pistola Derringer a doppia canna, che quasi spariva nel palmo dell'uomo. Vide le canne alzarsi in direzione di Tom. Con tutta la forza del suo braccio calò col bastone un fendente sul polso di Square Nat Rumbold. Il colpo finì il giocatore, che non poté reprimere un grido. Restò lì fermo, ridotto all'impotenza, le spalle curve e le braccia penzoloni. La pistola era scivolata ai piedi di Tom Clayton, che la raccolse insieme ai guanti. Poi si rivolse allo sfortunato visitatore. «Meglio che l'accompagnamo fuori» disse, non senza simpatia. «Ne ha avuto abbastanza, amico elegantone; anche più che abbastanza. Ecco i suoi guanti, glieli metto in tasca; quest'altro giocattolino ve lo restituirò quando sarò certo che non le servirà per fare altre pazzie. Ieri sera non avrei dovuto maltrattarla; me ne dispiace. Ecco le scuse che voleva. Dick, grazie per avermi salvato la vita! Ora dammi una mano con costui, vuoi?» Insieme scortarono alla porta della veranda il giocatore, che aveva già riacquistato molta della sua compostezza e dignità. Lo accompagnarono giù per le scale. A Macrae sembrò che il piccolo cortile fosse ingombro di gente, benché in realtà ci fossero solo due persone oltre a Sam; e una era una donna. Square Nat Rumbold aveva ancora una freccia al suo arco. «Avrei potuto aiutarvi» disse con voce sonora. «Lo dicevo sul serio: sono in grado di esservi utile! Ma ora che avete fatto lega contro di me e mi avete rotto il polso, ve la dovrete sbrigare da soli.» Si avviò per il passaggio coperto verso la strada e una voce dal forte accento cockney risuonò all'orecchio di Macrae. «Jack Dowser, il marinaio che era venuto a trovarla mercoledì sera! Posso presentarle la mia fidanzata?» 12
Tarchiato e massiccio nella sua divisa da marinaio, Jack Dowser faceva quasi la ruota, gonfio d'orgoglio, mentre presentava la ragazza: «La signorina Nadine Belly, di questa città». La signorina, che si chiamava in realtà Nadine Belet, era una vivace brunetta di diciannove o vent'anni. Appariva evidente che non era una fanciulla di dubbia reputazione, e neppure aveva l'aria di una locandiera. Portava un cappellino rosa e un abito a crinolina, piuttosto elegante, dello stesso colore. Sembrava, e probabilmente lo era, la commessa di qualche negozio alla moda dell'Old Square. «Questo Jack!» disse scherzosamente, battendo sulla spalla del suo compagno. «Mi ha parlato tanto del grande ambassadeur che ha incontrato!» «Sono un console, signorina Belet, non un ambasciatore.» «Ma rappresenta l'empire de la Grande Bretagne en Amérique, no? È la stessa cosa, vraiment! Bene, Jack qui presente dice che mi vuole sposare. Io dico: "No, no! Tu hai una moglie in ogni porto, n'est-ce-pas?". Proprio così gli dico. Lui giura che non ha moglie affatto, da nessuna parte. Ed è gentil per essere uno stupido anglais, così magari lo sposo dopo tutto.» Jack Dowser fronteggiò Macrae con una dignitosa aria di accusa e di rimprovero. «Ora, signore, dico! Mercoledì mi ha detto: "Torni domani!". Precise parole! E io son tornato domani, che sarebbe ieri. Ma non ho potuto vederla perché lei non c'era!» «Accetti le mie più profonde scuse. Avevo molti pensieri, ma questo non mi assolve: avrei dovuto essere in ufficio.» «Bene, signore, quel ch'è fatto è fatto. Ora le posso parlare in privato? È importante!» «Sì, certamente.» Harry Ludlow, le mani piene di carte, emerse dal corridoio che portava all'ufficio e si rivolse stupefatto a Tom. «Ho visto salire Square Nat Rumbold» esclamò «e ho sentito pestare sul soffitto. Diamine, Tom, cosa gli hai fatto questa volta?» «Gli abbiamo dato una lezione» rispose Tom. «Ma...» «Tom» intervenne Macrae «a quest'ora il caffè dovrebbe esser pronto. Torna di sopra e serviti. Anche tu, Harry. Io devo badare al nostro amico marinaio, non posso trascurare oltre i miei doveri consolari.» «Ma non mi dovevi una certa spiegazione, Dick?» chiese Tom.
«Sì, ma i suo tempo. Andate su, adesso! Da questa parte, Dowser. Signorina Belet...» «Nadine, ragazza mia, rimani qui e aspetta.» Il robusto marinaio parlava ora con tono da padrone. «Quello che devo dire al signore, per avere consiglio, è roba da uomini e non adatta a una testolina graziosa come la tua.» «Non mi va! Non mi va per niente! Hai lasciato che ti accompagnassi e ora mi vuoi tener fuori, mi vuoi nascondere qualcosa. Non sei gentil, no, affatto!» «Per amor del cielo, chérie» giurò affannato Dowser «lo sai che non ti nascondo nulla, non l'ho mai fatto! Conosci già quello che devo dire a questo gentiluomo, come sai tutto di me e delle mie buone intenzioni. Per piacere, non vuoi fare la brava ragazza e darmi retta?» Pacificata, Nadine si lasciò convincere e immediatamente iniziò un'allegra conversazione con Sam, mentre Macrae guidava Dowser nel suo ufficio. La finestra rotta era stata riparata, ma la giornata si stava facendo così scura con quel cielo gonfio di pioggia che Macrae accese la lampada sulla scrivania. Vi si sedette e indicò al visitatore la poltrona. Ma Jack Dowser non volle sedersi. «Ho molti pensieri per la testa, signore» annunciò. «Gravi pensieri! Ricorda quello che le dissi mercoledì sera? O forse non lo dissi, ma credo che almeno accennai al fatto che sono preoccupato a causa di una ragazza che mi sta molto a cuore. L'ha vista ora, signore, ha visto Nadine! Non è un amore?» «È deliziosa davvero. Mi congratulo con lei.» «Grazie mille, signore. Educata come si deve, anche, da un vecchio zio fabbricante di bambole che ha un negozio in Royal Street. Tra poco le spiegherò tutta la storia. Però l'altra sera io le parlai di un'altra cosa, e scusi se mi permetto di ricordargliela ora.» «Di cosa ha parlato?» «Del Vudu!» ribatté Jack drammaticamente. «Erano preoccupati per qualcosa che aveva a che fare col Vudu, lei e la bella signora e anche il gentiluomo anziano. Io dissi che i miei guai potevano essere più simili ai loro di quanto non potessimo immaginare. Ed è vero, signore, quanto è vero che il nostromo si attacca al rum appena il capitano volta gli occhi da un'altra parte!» «Ricordo, sì. Ricordo anche che ci diede un serio avvertimento circa i pericoli del lasciarsene coinvolgere. Ma che ha a che fare il Vudu con lei e
con la sua fidanzata?» «Con Nadine niente! Perché io non le permetterei mai d'impicciarsene, anche se lei lo volesse! Quanto a me... io non ci ho avuto a che fare, non esattamente. Ma lei mi ha chiesto di fare una cosa, e io l'ho fatta, e adesso non so come regolarmi. Prima di salpare, voglio essere sicuro che tutto sia a posto. Posso raccontare l'intera storia?» «È per questo che è qui, mi pare. Dica pure.» «Dunque: vi sono Nadine e suo zio, il fabbricante di bambole che l'ha cresciuta. Come si dice "bambola" in francese, signore?» «Poupée, con l'accento sulla prima "e".» «Ecco, proprio così. Sta scritto sulla vetrina, bello grande, col nome del vecchio. E la prima volta che ho visto Nadine è stato attraverso quella vetrina, e lei pareva davvero una bambola. «Lo zio non è cattivo: l'ha cresciuta bene, come una signora. E ha un bel gruzzoletto da parte, dice Nadine, e un giorno dovrebbe passare a lei. Non che a me importi niente di questo, signore! È il mio ultimo pensiero! Sono sano e forte; posso dare a mia moglie quello che vuole. Tra poco avrò anche il brevetto di nostromo! «Ma sa come sono questi forestieri, signore, specie le ragazze. Hanno fitto in testa di non volersi maritare senza un po' di soldi: loro la chiamano "dote". E come v'insistono! "Jack" mi dice sempre Nadine "sei tanto carino, ma non sei pratique." Vuol dire che ho il cervello tra le nuvole, pare. E così, tutto il guaio è venuto fuori a causa di quella Louise di Algiers.» «Chi?» «Una cugina che si chiama Louise; vive ad Algiers, dall'altra parte del fiume. Lo zio Pierre non è cattivo, gliel'ho detto. Ma è vecchio, è bisbetico, ogni tanto se la prende e fa a Nadine certe scenate! Specie quando crede che lei sia troppo insolente o che lo rimbecchi, come certe volte fa anche con me; e allora la minaccia di cacciarla via e di far venire Louise. "Sta' in guardia, ingrata e sciagurata ragazza" le dice; e giù un fiume di strilli in quella parlata forestiera! «Nadine dice che è un'ingiustizia, me l'ha ripetuto tante volte. "Dopo tutto quello che ho fatto per lui" dice "a cucinare e lavare e servire in negozio, non è giusto che questa orribile Louise mi speroni e mi mandi a picco." Questo sarebbe il concetto, signore, e in breve, perché lei ha la lingua sciolta peggio dello zio. Ora, mercoledì pomeriggio lei mi dice qualcosa d'altro. Eravamo seduti a Jackson Square, lei mi mormora che forse c'è un modo per mandare a picco Louise prima. E mi domanda se ho sentito par-
lare di Marie Laveau.» Macrae, sbirciando dalla finestra, poteva vedere Nadine Belet parlare animatamente con Sam. «Penso di sapere come va a finire» osservò. «Ma continui, non l'interromperò.» Jack si decise alfine a sedersi. Ma scelse la sedia, non la poltrona, e stette lì tutto rigido. «Certo che avevo sentito di Marie Laveau e di quello che dicono possa fare con la sua magia. E sono sicuro che lo può fare sul serio! Noi che giriamo il mondo, signore, vediamo succedere cose che la gente che non si muove mai da casa non si sogna nemmeno. Ma questo è appunto il guaio. «Ho cercato di far ragionare Nadine, sa! "Sta' alla larga da quelli del Vudu" le ho detto. "Sono tipi pericolosi. E poi" ho detto "questa tua cugina sarà magari una strega, ma dopo tutto è carne tua e sangue tuo. Non vorrai mica farla ammazzare, no?" «"Farla ammazzare?" ha strillato Nadine. "Diamine, io non voglio far niente a quella sgualdrina! Voglio solo che cada dalle scale e si rompa una caviglia, o la testa, tanto perché stia lontana dallo zio per quel tanto che mi basta a far pace con lui e a farmi promettere che mi darà la dote. Marie Laveau può farmi questo piacere con la massima facilità." «"Non starai pensando" faccio io "non starai pensando davvero di andare da Marie Laveau, eh? Non lo farai" dico in tono davvero imperioso "perché io non te lo permetterò." "Quand'è così" fa Nadine tutta docile "non ci andrò certamente. Ci andrai tu. Diamine! Se la miglior gente di New Orleans può andare a comprare i gris-gris della nostra regina del Vudu, il mio Jack non sarà mica troppo orgoglioso o troppo spaventato per andarci anche lui?" «Signore, lei è un gentiluomo, ma forse le è capitato. Vede, sta lì, seduto su una panchina, con una bella ragazza tra le braccia che le sussurra all'orecchio tante paroline... Dòpo un poco, se non sta attento, si trova ad averle promesso la sua testa su un piatto. «Io veramente la testa l'ho conservata... almeno fino a un certo punto. Le ho promesso solo di chiedere consiglio a qualcuno. Dopo tutto si trattava del nostro amore, come dice Nadine, e della nostra futura felicità. Così ho pensato di venire da lei: dal nostro console cioè, chiunque fosse. «Bene, signore, lei sa come sono andate le cose. Tra lei, la signora e l'altro gentiluomo che parlava come un avvocato non mi avete lasciato dire una parola! Non dei fatti miei, almeno. Ma mi è sembrato di capire, a torto
o a ragione, che quelli del Vudu ce l'avevano con lei. Quando quella giara ha rotto il vetro della finestra, proprio nel momento in cui le stavo raccontando di come i selvaggi ci hanno restituito la testa tagliata di Sullivan, io... mi si è gelato il sangue, non lo nego. Ma il giorno dopo, ieri... «Sì, sono tornato da lei, signore. Ma prima Nadine era stata di nuovo a insistere con me, con quei suoi modi vezzosi... E questa volta mi sono lasciato convincere, Dio mi aiuti. "Va bene" faccio. "Va bene! Ci andrò in quella casa, e affronterò gli spiriti. Ma di notte no! Ci andrò di giorno, alla luce del sole, e vedremo come andrà." «Di luce del sole non ce n'era affatto, veramente. Era una giornata buia, quasi come oggi, e ogni tanto veniva giù un acquazzone. E più mi avvicinavo a quella casetta in St. Ann Street, più faticavo a strascicare i piedi; e mi sarei voluto sputare sulle mani e non ci riuscivo. Con i cavi e le vele sono bravo, signore; e a fare a pugni mica ho paura. Ma l'idea di quello che mi aspettava lì... «È una casetta da poco, e buia, ma dentro è ammobiliata bene. «Mi ha aperto la porta una ragazza di colore, sui sedici anni, che mi ha chiesto qualcosa in francese. Io le ho chiesto se parlava inglese, e ho detto che avrei voluto vedere Madame Marie Laveau. Le ho anche detto "per piacere", tutto educato come ci hanno insegnato alla scuola domenicale. «Lei ha risposto che parlava inglese e mi ha fatto entrare in un salottino con un caminetto e una porta in fondo chiusa da una tenda. Ha detto che sa majesté (precise parole) non mi avrebbe fatto aspettare a lungo. E fu proprio così. Quasi subito la tenda si è aperta e...» «Ha visto Marie Laveau?» «Sì, signore, sì! Ma vede...» «Avanti, coraggio!» «Le avevo fatto un'ingiustizia, signore» disse Jack tirando un respiro profondo. «Io la credevo una negra ignorante. E lei non è proprio scura; a Cadice ho visto tante belle signore spagnole più scure di lei. Dignitosa era, piena di grazia, come una regina! Il resto era come me l'aspettavo: capelli e occhi neri; e bella, bella come un quadro e così giovane...» Macrae si raddrizzò con un sobbalzo. «Giovane?» ripeté. «Ho pensato di non interromperla, ma questo è troppo. Signor Dowser, ha bevuto?» Jack si sporse dalla sedia con aria bellicosa. «Mi ha preso per il nostromo, signore? Sono sobrio come un predicatore metodista. Non ho bevuto una goccia da stamattina, che possa morire se
non è vero!» «Ma Marie Laveau ha almeno sessantatré anni.» «E all'aspetto era giovane, e me l'avevano detto!» «E chi?» «Nadine; mi aveva avvertito. Da trent'anni e più, Marie Laveau rimane sempre giovane e sempre bella. Nadine ha parlato con gente che la ricorda. Ci sono persone che hanno il segreto dell'eterna gioventù, e lei è una di quelle!» «O forse la spiegazione è che...» Macrae esitò, s'interruppe, ma il suo compagno non lo aveva neanche sentito. «Stava lì e mi guardava, signore: e in quel momento, se me l'avessero chiesto, non avrei saputo nemmeno dire se pioveva o c'era il sole. Poi ha cominciato a parlare. Sapeva che ero inglese, che ero un marinaio e che ero andato a trovarla per un affare d'amore.» «Queste sono cose che potrebbe indovinare chiunque.» «No, lei sapeva proprio tutto. Di Nadine, di zio Pierre, perfino della cugina Louise di Algiers! "L'aspettavo" mi ha detto. «E poi ha tirato fuori un sacchetto di stoffa, tutto cucito.» La mano di Jack Dowser corse alla tasca, ma si fermò a mezz'aria. «Ha detto che Nadine doveva portarlo appeso al collo con un nastro, sotto i vestiti. Per fare effetto magari ci avrebbe messo un giorno o due, magari una settimana: ma avrebbe fatto effetto di sicuro. «Io cominciavo a chiedermi quanto mi avrebbe fatto pagare per il suo gris-gris. Ma più che altro mi spaventava l'idea di doverglielo chiedere, e non sapevo come fare. "Circa il prezzo..." ho borbottato. «Che mi venga un accidente, è stato come se avessi offerto l'elemosina al duca di Westminster! «"Prezzo?" fa lei. "Non parliamo di prezzo per ora. Torni da me, se vuole, quando la sua innamorata avrà avuto ciò che il suo cuore desidera. Allora potrà dare un contributo all'altare di Zombi." Penso che abbia proprio detto "altare di Zombi". Era qualcosa che suonava così... «Ho risposto che non avevo tempo, che sarei salpato da un momento all'altro; che ci sarebbero voluti sei mesi o forse un anno prima che io sapessi se Louise era andata a picco o no. "Anche se non tornerà" risponde lei "o tornerà e non vorrà fare alcuna offerta, per Zombi e per me sarà la stessa cosa. Questa è la mia ultima parola. Ora vada." «E uno scroscio di pioggia rimbalza sulle finestre, e lei mi guarda con quegli occhi neri, e io esco barcollando dalla casa come se fossi ubriaco,
verità di Dio! «Ma poi ho cominciato a pensare. Questa è magia e va bene; ma è magia nera, e la Bibbia non l'approva, e può essere pericolosa. In che guaio mi sono messo? In che guaio ho messo Nadine? E se quella roba lavora alla rovescia e fa del male alla mia povera ragazza, invece di aiutarla? «Ecco il gris-gris, signore» gridò Jack Dowser, tirando fuori dalla tasca un sacchettino di stoffa. «Pare che dentro ci siano delle erbe, ma non si sente nessun odore. Che ne faccio? «Ero venuto da lei, per chiederglielo. A chi avrei potuto chiedere consiglio se no? Ai miei compagni, che sono più ignoranti di me? Sono venuto qui, dritto come un fuso, ma lei non c'era. Era uscito, mi hanno detto, e non sapevano quando sarebbe tornato. «Allora son tornato da Nadine a Royal Street. Lei non ha fatto che chiedermi il gris-gris, per metterselo subito, così i nostri guai sarebbero finiti. Ma questa volta ho resistito. "No, ragazza mia" le ho detto "questa roba la tengo io. Se succede qualche diavoleria, cada sulla mia testa e non sulla tua. Me lo metto in tasca e ci rimarrà fino a domani mattina, quando avrò sentito il gentiluomo che deve darmi il suo consiglio."» «Bene, se vuole la mia opinione...» «È quel che son venuto a chiederle, no?» Macrae lo guardò negli occhi. «La magia, bianca o nera che sia, non esiste. È stato vittima di un'impostura o di un trucco. Getti quel gris-gris nel fuoco e se ne dimentichi.» «Ma se pensa che non le faccia del male, signore...» «È questo il punto. Male non gliene farà, ma certo non è assolutamente possibile che possa aiutarla. Se la sua unica paura è che succeda qualche diavoleria in conseguenza del portare quel sacchetto, la sua ragazza potrà portarlo fino al giorno del Giudizio senza che le accada niente. Ma d'altra parte...» «Le chiedo scusa, signore, ma non la capisco.» Jack Dowser si era alzato in piedi, si era rimesso in tasca il gris-gris e stringeva il berretto. «Non me la racconta giusta. Ha quasi l'aria» disse con improvviso calore «come se pensasse che le ho raccontato frottole, o che non ho visto e sentito quello che ho visto e sentito. Parli chiaro, signore: è vero?» «Non credo che mi abbia raccontato frottole, Dowser, ma sono convinto che sia stato ingannato. La donna che ha visto in St. Ann Street, la donna che sembra averle fatto tanta impressione...»
«Be', signore, se l'avesse vista...» Il marinaio guardò fuori della finestra e la sua voce si levò quasi in un grido: «Eccola! Mi venga un accidente, eccola là!». Tutto quel che seguì accadde con la rapidità di un fulmine. Macrae guardò nella direzione indicata dal dito del marinaio, e vide che Nadine Belet si era ritirata in un angolo del cortile. Sam, il suo servitore, era rimasto dov'era prima. Di fronte a lui, in atto di rivolgergli una domanda, c'era una donna piuttosto alta, snella ma dalle forme morbide, vestita con discreta eleganza di scuro. Portava un cappellino nero ornato da una piuma di struzzo in tinta, che si arricciava intorno alla testa; il cappello aveva anche una veletta, che lei aveva alzato per parlare. Macrae le vide il viso di profilo: era il viso di una donna giovane, di straordinaria bellezza come lo aveva descritto l'impressionabile Jack, e dal quale emanava un'aria di comando indescrivibile. La donna guardò nella sua direzione, e Macrae la vide in pieno viso. Anche lei lo vide. Lasciò ricadere la veletta, si girò e si diresse in fretta verso la strada, lungo il passaggio coperto. Lui non perse un istante. In un lampo era balzato dalla poltrona, aveva attraversato l'ufficio e il corridoio e si era trovato in cortile, dove pareva che tutti si stessero agitando. «Signor Richard» gli gridò Sam «si era sbagliata. Cercava la banca. Le ho detto che questo era il consolato britannico, che la banca era più su. Lei voleva...» Nadine Belet, eccitatissima, gli gridò pure qualcosa. Tom Clayton e Harry Ludlow erano emersi dalla veranda. Ma Macrae non poteva aspettare. Sotto il cielo nero e gonfio, col rumore del tuono che si avvicinava da ovest, si lanciò verso la strada. Carondelet Street era affollata come al solito, sia di pedoni che di veicoli. La donna velata poteva avere avuto il tempo di arrivare alla banca, se davvero era quella la sua destinazione. Ma, pur nella confusione dei passanti, non c'era traccia di lei: era come se la strada l'avesse inghiottita. Macrae, esitante, vide per un momento diradarsi i veicoli dinanzi a sé e guardò dalla parte opposta della strada. Non poté vedere il lampo dello sparo sul marciapiede opposto. Tra il rumore degli zoccoli e delle ruote sul selciato, udì appena l'esplosione di un colpo di pistola. Ma sentì l'aria spostata dal proiettile che gli passava accanto, e l'urto della pallottola che affondava nel muro a poca distanza dalla sua testa. Poi i cieli si aprirono e cadde una pioggia torrenziale.
13 Alle tre e mezzo del pomeriggio Macrae cavalcava lungo St. Charles Avenue, su un cavallo preso in affitto alle stalle di Likins. Dopo il primo scroscio di pioggia di quella mattina ce n'erano stati diversi altri. Nuvole nere coprivano ancora il cielo, ma non completamente, e ogni tanto qualche raggio di sole riusciva a farsi strada. Macrae aveva quasi raggiunto l'incrocio con Jackson Avenue, quando Tom Clayton, che era rimasto un po' indietro, caracollò al suo fianco e ricominciò a parlare dell'argomento che li aveva tenuti già tanto occupati. «Quel colpo di pistola, se posso ricordarlo ancora una volta...» Macrae rifletté. «L'edificio proprio davanti al consolato è costruito nello stile delle case del Vieux Carré. A fianco c'è la banca di Hookson e poi un negozio di vini... ma non conta. «Quello che conta è che quella casa ha un giardino, un passaggio coperto, un cortile; contiene una mezza dozzina di uffici e si può entrare e uscire per almeno altre due o tre strade, oltre alla porta principale. «L'hai visto tu stesso, Tom, no? Subito dopo che il colpo è stato sparato, tu sei arrivato di corsa. A dispetto della pioggia, abbiamo attraversato la strada e abbiamo passato l'edificio al setaccio. Non abbiamo trovato un'anima che si potesse ragionevolmente ritenere responsabile della sparatoria; ma non ci aspettavamo di trovarla, non è vero?» Tom sembrava afflitto da qualche sua mancanza personale. «Ti avevo detto che sarei rimasto con te fino al momento di andare nel posto che sai, ma avevo promesso al mio vecchio di passare al suo ufficio a firmare un po' di carte. Perché poi tenga ancora quell'ufficio in Canal Street nessuno riesce a indovinarlo... E poi mi ha quasi costretto a pranzare con lui al suo club. E il risultato è che non mi è riuscito di tornare da te fino a mezz'ora fa. «Ma via, tutte quelle frottole che ti ha raccontato il marinaio su Marie Laveau, una donna di più di sessant'anni che ha scoperto la Fontana della Gioventù e se ne va in giro con l'aspetto di una splendida donna non più che trentenne anche se...» «Ebbene, Tom?» «Non sono riuscito a vederla; lei aveva abbassato la veletta quando sono uscito. Ma che faceva al consolato? Possibile che davvero avesse sbagliato
indirizzo? Quello che ti ha sparato dall'altra parte della strada aveva una pessima mira, se davvero voleva colpirti; una mira da donna. Può essere stata lei stessa a...» «No, Tom.» «Come sarebbe, no?» «Sarebbe che il modus operandi non concorda. Qualunque sia la cricca del Vudu e in qualunque modo si trovi immischiata in questo affare, non è certo così che agisce. I suoi metodi possono anche essere poco raffinati come quel colpo di pistola, ma certo sono più obliqui e molto, molto meno vistosi. Il punto è..:» «Il punto è che tu mi avevi promesso almeno una parziale spiegazione di questo pasticcio che mi sta abbreviando la vita» ribatté Tom «e poi non hai aperto più bocca. Sei o non sei un imbroglione?» «Neanche per sogno. La spiegazione è soltanto rimandata. Prima sentiamo cos'ha da dire il senatore Benjamin, vuoP Gli dovremo riferire cos'abbiamo saputo oggi, sia di Square Nat Rumbold che di Jack Dowser e della sua visita a St. Ann Street. Se lui è sulla giusta traccia, queste cose le deve sapere. Ma ricorda: non una parola su serpenti morti e messaggi di Papa Là-bas; e soprattutto non una parola sul nostro progetto di visitare la casa stregata stanotte! Hai capito?» «Ci puoi scommettere! In ogni modo» Tom si agitò sulla sella, a disagio «speriamo di uscire dalla casa stregata più illuminati sulla faccenda di quanto non lo siamo ora. Ma per la riunione a casa de Sancerre, non siamo un po' in anticipo? E Harry dov'è?» «Meglio in anticipo che in ritardo. E Will Likins manderà un cavallo per Harry, che ci raggiungerà appena avrà finito una cosetta che gli ho dato da fare. Certo che è stata una mattinata di quelle!» Macrae sembrò meditare malinconicamente. «Stamattina, Tom, c'è stato un momento in cui mi è sembrato che mezza New Orleans si fosse data appuntamento al numero 33 di Carondelet Street. Spero proprio che a questo punto li abbiamo incontrati tutti quelli che sono in connessione con questo maledetto pasticcio! Se continua a sbucare fuori gente con storie stravaganti, tanto che non riusciamo più a raccapezzarci...» «Tutti quelli che sono connessi col nostro problema, dici?» chiese Tom, che si era dato un'occhiata alle spalle. «Eccone un altro.» Il Garden District a quell'ora era quasi vuoto. Dietro di loro, pure proveniente dal centro, veniva una carrozza molto lussuosa, di un lusso severo e
tradizionale, tirata da due bai. La livrea del cocchiere era tanto discreta da non sembrare neppure una livrea. Nella carrozza scoperta, sedeva una figura assolutamente imponente; anche se la sua imponenza era un tantino sciupata dall'eccesso di adipe. Pareva sonnecchiare. Cilindro lucido, abito nero, cravatta Ascot e calzoni a righine s'intonavano con l'elegante bastone da passeggio dal pomo d'argento che l'uomo stringeva in mano. E non dormiva affatto. Gli occhi circondati da borse pesanti si aprirono, il gentiluomo mormorò qualcosa quasi senza muovere le labbra, e la carrozza si fermò. Tom fece voltare il suo magnifico stallone e si accostò alla carrozza da un lato, mentre Macrae si avvicinava dall'altro. «Buon pomeriggio, signore» salutò Tom. «Non le chiederò come vanno gli affari della banca, e neppure quante vedove e quanti orfani ha imbrogliato oggi. Nonostante la purezza delle mie intenzioni, forse troverebbe indiscrete queste domande. Dick, conosci il signor Stoneman, della Planters' & Southern?» «Conosco il signor Macrae» disse George Stoneman, con le mani sovrapposte al pomo del bastone. «È te che non vorrei conoscere, cucciolo insolente! Ma ti conosco purtroppo!» «Non ha lasciato la sua tana di nequizie un po' troppo presto, signore? O viene torse anche lei a casa de Sancerre?» «Sto andando a casa mia» fece il banchiere con dignità «perché, come al solito, ho qualche lavoretto da fare. Se si vuole una cosa fatta bene, non ci si deve mai fidare degli schiavi: bisogna farsela da soli! La mia mole è forse un po' ampia, come potete vedere; ma non sono né troppo grasso né troppo orgoglioso per lavorare con le mie mani, come mi ha insegnato mio padre. «Sì, sì» aggiunse rapidamente «ho sentito parlare della morte di Horace Rutherford! Non aspettatevi che mi ci metta a piangere sopra: se lui non fosse riuscito a farsi ammazzare in quel modo, si sarebbe fatto ammazzare in un altro. E non ho nessuna intenzione di andare da Jules de Sancerre! Tutti quanti voialtri ci andrete, penso, con un'unica eccezione. Non aspettate Barnaby Jeffers, non ci sarà.» Tom alzò un sopracciglio. «Spero che non gli sia capitato nulla di male.» «Per ora no, e lui si sta dando molto da fare perché non debba capitargli neanche in futuro. Che razza di donnetta isterica! Oggi mi spunta in ufficio, con un poliziotto a rimorchio...»
«Era il sergente O'Shea?» «No, benché questo sergente sia stato menzionato. Nella sua disperazione, Barnaby ha insistito perché gli assegnassero una guardia del corpo e gliel'hanno data. Il sergente O'Shea, a quanto pare, è in giro a cercare un certo Steve White: un'impresa disperata, dico io, tanto più che di lui hanno solo una vaga descrizione.» «Ma il sergente fa il turno di notte!» «Oh, il procuratore distrettuale Tappan gli ha assegnato un turno di ventiquattr'ore. Quella sua ricerca di Steve White...» «Lei non la prende sul serio, vero?» Le mascelle pendule di George Stoneman si gonfiarono. «No, affatto. Sa che storia mi ha raccontato quel poveraccio di Barnaby? Che il figlio di Rosette Leblanc, stanco di sparger lacrime sulla tomba di Delphine Lalaurie, ha deciso di far vendetta dei suoi nemici dopo ventiquattro anni. Che, munito di qualche arma misteriosa, ha ucciso davanti a tutti Horace Rutherford, e adesso si accinge a dirigere i suoi colpi contro Barnaby e contro di me. Dopo ventiquattro anni, figuratevi! Avete idea di cosa direi se qualche cliente della banca venisse da me e mi chiedesse denaro in prestito raccontandomi una storia come questa? «Noi tre da giovani eravamo degli stupidi, lo ammetto. Più vecchio divento, tuttavia, e più mi convinco che tutti siamo degli stupidi, e che l'unico rimedio è rifuggire dall'essere dei dannati stupidi. Io non sono più un dannato stupido; sono in grado di badare a me stesso. Buona giornata, amici. Jean-Baptiste, en avant!» Alzò il cappello, s'inchinò lievemente e poi si lasciò andare di nuovo sul sedile con aria sonnolenta, mentre la carrozza ripartiva. «Come potremmo cavarcela contro i mercanti del Tempio» osservò Tom «se decidessero di restituire colpo per colpo? Andiamo, Dick!» Spronarono i cavalli e dopo qualche minuto entravano nel vialetto alla fine del quale la casa di Jules de Sancerre ergeva i suoi tre piani tra querce, magnolie e noci. Davanti al porticato c'era la carrozza del generale Ede, riconoscibile dalla tappezzeria color madreperla, con Jared a cassetta. Un mozzo di stalla aspettava di prendere i cavalli di Tom e di Macrae. Smontarono, e Marcus Brutus li fece entrare nell'atrio, ora largamente illuminato dalla luce del giorno. Isabelle de Sancerre emerse dal salotto che dava sulla facciata e si fece loro incontro. «Quanto siete stati cari a venire. Benjie è là» indicò il salotto sul retro.
«No, ora è tutto a posto. Horace Rutherford è stato portato via da quelli delle pompe funebri. Benjie è venuto da poco: ha avuto dei momenti difficili con Amelia Rutherford. Tom, come va la tua povera mano?» «La mia povera mano va benissimo, grazie» la rassicurò Tom, flettendo le dita a mo' di dimostrazione. «Se una certa signorina farà ancora i capricci, è di nuovo pronta a trattenerla mentre l'altra mano entra in azione come ha già fatto. E sostengo ancora che ho avuto ragione a sculacciarla, mamma de Sancerre, anche se a lei personalmente chiedo scusa. A proposito, dov'è questa sua figlia dai denti aguzzi?» «Ancora nella sua stanza, e non vuole uscirne. Ursula è con lei: è l'unica che ha accettato di vedere. Tom, va' a parlare col senatore Benjamin, per favore! Signor Macrae, una parola in confidenza se permette.» Tom partì, obbediente. Madame de Sancerre assunse un tono confidenziale. «Povera Ursula!» mormorò. «Non ha una madre che la consigli; solo quelle sue zie. Una così cara ragazza! Ma legge troppo, sogna troppo; sarebbe un tale sollievo se avesse trovato... be', non importa. Ma stia attento, signor Macrae! Ursula non mi ha detto molto, naturalmente, ma mi pare di aver capito che quando l'ha accompagnata a casa stanotte voleva prima accompagnare lei, e poi tornare a piedi al consolato.» «Sì, e così avrei dovuto fare.» «Poveri noi, è esattamente quello che non doveva fare, e può ringraziare la sua buona stella per non averlo fatto! Ursula è tornata a casa alle due passate. Nel buio ha inciampato in qualcosa, ha rovesciato una lampada e ha svegliato tutti. Le quattro zie sono scese in camicia da notte e diavolini; il generale Ede è sceso con una sciabola in mano. Mi vengono i brividi se penso a cosa sarebbe successo se l'avesse trovata con sua figlia.» «Non sono un rovinafamiglie, Madame de Sancerre!» «No, ma eccetto noi, non tutti lo sanno. Ora mi ascolti: abbiamo messo insieme una storia a beneficio dei nostri amici e del generale Ede. Se ci crederanno gli altri non lo so; spero che almeno il generale ci creda. «Ieri sera si dava un'opera al Théâtre d'Orléans: l'Ernani. La nostra versione è che Margot e Ursula ci sono andate. Da sole, senza accompagnatori. Non è una cosa comme il faut, ma nulla di veramente biasimevole. Però, glielo dico ancora, stia attento. E soprattutto non faccia mai più far tardi a Ursula come ha fatto stanotte!» «Se ne parliamo un altro poco, non dubito che l'avventura delle due ragazze finirà con l'apparire colpa mia. Ma non importa. Basta che io riveda
Ursula...» «Oh, la rivedrà di certo!» «Accetto volentieri la responsabilità di tutto.» «Non direbbe una cosa del genere se conoscesse il generale Ede. Ora devo cercar di trovare Jules, non riesco a capire dove si sia cacciato. Vada anche lei dal senatore Benjamin.» Macrae si diresse lentamente verso il salotto sul retro. Esitò un poco, pensieroso, prima di aprire la porta. La stanza era spaziosa e alta di soffitto, ma ingombra di mobili e di quadri come l'altro salotto. I quattro angoli erano occupati rispettivamente da un pianoforte, da un'arpa, da un enorme paravento decorato con figure di danzatrici e da un gigantesco orologio a pendolo. In quel momento era vuota. Ma le quattro finestre davano su un terrazzino arredato con un tavolo e delle poltroncine di ferro battuto; e lì sedeva il senatore Benjamin, fumando un sigaro e ascoltando Tom Clayton che gli raccontava gli eventi di quella mattina. Il terrazzino era esposto al sole in quel momento, ma la veranda sovrastante faceva da tetto. Il senatore si alzò a salutare Macrae. «Sembra che voi due abbiate avuto una mattinata piena di emozioni» disse «a cominciare dalla visita di Square Nat Rumbold e poi tutto il resto. Rumbold era piuttosto depresso quando se n'è andato, no?» Tom si sprofondò in una poltroncina. «Povero diavolo, mi ha quasi fatto compassione» rispose. «Non maneggerà carte e non tirerà grilletti per qualche tempo, direi.» «Eppure di lui si dice che è ambidestro, che è un magnifico tiratore e che porta sempre due pistole. Temo che se le sue intenzioni fossero state davvero sanguinarie, avrebbe potuto far fuoco anche con la sinistra. L'uomo è per caso il tipo di bullo che batte in ritirata quando incontra una seria resistenza? Oppure... Resta il fatto, vedete, che nessuno sa niente di lui. Voi avete dato una vostra interpretazione del personaggio. Non sarebbe curioso se poi si scoprisse che è completamente sbagliata?» «Sbagliata in che senso?» Parve che il senatore non sentisse. «E poi» rifletté, tirandosi le fedine al colmo della concentrazione «c'è l'introduzione di una Marie Laveau giovane, o piuttosto ringiovanita, e bellissima! Una bella seccatura, naturalmente; eppure questo particolare combacia benissimo col resto. Sì che combacia, per Giove!» «Qualcuno vorrebbe avere la cortesia di spiegarmi con che cosa comba-
cia?» gridò Tom. «Dick prima mi promette di spiegarmi almeno una parte della verità, poi si chiude come una maledetta ostrica. Lei, senatore, ha promesso la medesima cosa. È pronto a mantenere?» «Certo.» «E allora?» «Avrei preferito chiarire un punto della questione, prima di passare al resto. E per il chiarimento, sarebbe bastato un colloquio di cinque minuti con Barnaby Jeffers. Il guaio è che non sono riuscito a trovarlo.» «Barnaby Jeffers si aggira per la città con un poliziotto a rimorchio» lo informò Tom. «Venendo qui, Dick e io abbiamo incontrato George Stoneman che usciva dalla banca. Il nostro celebre storico si è fatto vivo con George, piagnucoloso come una prefica e pronto a prendere la minaccia di Steve White tanto sul serio quanto George la disprezza. Secondo il nostro nababbo, Barnaby non verrà affatto qui.» «Ah, ma questo lo sapevo.» «E come?» «Mentre tornavo da casa Rutherford» un'ombra oscurò la faccia del senatore «sono passato da Barnaby e ho parlato col suo cameriere personale. Pare che lui ritenga pericolosa la nostra compagnia, e abbia deciso di farsi vedere solo in luoghi molto frequentati, con la sua guardia del corpo che gli fa da ombra. Per quanto, come faccia a sentirsi tanto al sicuro al ristorante Arnaud o al bar del St. Louis Hotel non lo capisco.» «E la spiegazione, allora?» «Sono pronto a rinunciare a quel chiarimento e a offrire subito le poche risposte che sono in mio possesso. La difficoltà, però...» S'interruppe. L'orologio a pendolo suonò le quattro con uno scampanìo argentino, e proprio in quel momento Isabelle de Sancerre e suo marito emersero da una delle porte e si unirono al gruppo. Jules de Sancerre, che portava una giacca da smoking rossa del tipo chiamato "alla turca", si pettinava con le dita il pizzetto napoleonico. «Bene! Qual è la difficoltà?» E aggiunse, piuttosto oscuramente: «Dannazione, amico, ti ho dato la chiave di quel lucchetto come mi avevi chiesto. Vuoi nient'altro? Di che difficoltà parli?». Tom Clayton balzò in piedi e spinse due sedie verso i nuovi venuti, che sedettero un po' rigidamente. Il senatore Benjamin pareva alquanto imbarazzato. «Qui siamo tra amici; ci conosciamo bene» disse. «Pure, molto di quel che ho da dire riguarda sua figlia; cose sue, piuttosto intime. Abbiamo il
diritto di discuterne in pubblico? Non è come mettersi a gridare un segreto? Forse, se prendessi da parte la signorina e le facessi qualche domanda in privato...» «Non ti risponderebbe» gridò Isabelle de Sancerre. «Non vorrebbe nemmeno vederti! Quando Madamigella Insolenza si mette a fare l'arrogante, non c'è modo di tenerla a freno se non col metodo di Tom, e anche quello alla lunga non funzionerebbe più. Io certo non riesco a tenere a freno quella ragazza; quanto a Jules, non ci prova neppure. Stando le cose a questo punto, che può fare una povera madre? Se ha fatto qualcosa di disonorevole...» «Rassicurati, Isabelle, non ha fatto nulla di disonorevole.» «Bene, ma l'intera città crede che lo abbia fatto. Se stai cercando di risparmiare i sentimenti di Margot, o i miei, o quelli di Jules, per amor del cielo, scordatene. Oggi, del resto, i giovani sono troppo coccolati. Se io mi fossi mai permessa un decimo di quel che si permette Margot, so bene cos'avrebbe fatto mia madre; ma io non posso. Confesso il mio fallimento. Comunque sentiamo quel che c'è da sentire!» «Senatore» s'interpose Tom Clayton all'improvviso «sa come ha fatto Margot a sparire da quella carrozza?» «Penso proprio di sì.» «Questo risolve metà del problema, no? Mamma de Sancerre ha ragione: sentiamo quel che c'è da sentire! Però non vedo nessun indizio che possa spiegare la scomparsa di Margot!» «Ce ne sono molti, invece» ribatté il senatore. «Per esempio: mercoledì sera, Isabelle, ricordi di avermi detto che Margot circa un mese fa aveva ritirato dal suo conto in banca cinquecento dollari?» «Sì, ma...» «La cosa era apparentemente inspiegabile, no? Una signorina di buona famiglia non ha bisogno di portarsi attorno tanto denaro. È conosciuta, i suoi genitori sono conosciuti: qualunque spesa voglia fare, le faranno credito dappertutto. Se ha ritirato quindi una somma così forte, vuol dire che aveva in mente uno scopo per il quale il credito non le poteva servire. Le ha detto a cosa le serviva il denaro?» Galvanizzata, Isabelle insorse. «Benjie, stai per caso dicendo che la povera ragazza ha dovuto pagare un ricatto?» «No, Isabelle, tu leggi troppi romanzi. Come facciamo tutti, temo. Certo, il ricatto come soluzione sarebbe tanto sensazionale e romantico da soddi-
sfare perfino i miei gusti. Ma non possiamo abbandonarci ai nostri gusti, quando a portata di mano c'è una spiegazione più plausibile e molto più probabile.» «Doveva corrompere qualcuno?» chiese Tom. «No, nemmeno questo. Insistete dunque tutti perché io proceda con la mia spiegazione?» «Non posso parlare per mio marito, perché Jules non insiste mai su niente» disse Isabelle de Sancerre, sistemandosi la crinolina e guardandosi intorno con aria di sfida. «Ma facciamola finita: insisto!» Il senatore Benjamin buttò il mozzicone di sigaro nel vialetto e si voltò a fronteggiare il gruppo. Appariva calmo, persuasivo, a suo agio; come se si rivolgesse a una giuria in tribunale. «La soluzione che vi esporrò è naturalmente solo parziale. Per essere completa dovrebbe fare luce su troppi altri fattori, dalla strana morte del giudice Rutherford alla strana condotta di un giocatore chiamato Rumbold. Ma almeno una parte della verità ci appare chiara. Possiamo cominciare col dire...» Fu interrotto nuovamente. Harry Ludlow, esuberante come al solito, aveva attraversato il salotto e ora era fra loro. «Chiedo scusa a tutti» cominciò. «Il maggiordomo mi ha detto che eravate qui. Ho sentito quello che stava dicendo, senatore, e a questo proposito ho delle novità da riferire al mio superiore.» Si volse a Macrae. «È tornato, signore! Il giocatore è tornato al consolato!» 14 «Siamo felici di vedervi, signor Ludlow» disse Isabelle de Sancerre. Quindi, perdendo di colpo il dominio di sé: «Ma che c'entra adesso quel giocatore? Cosa può avere a che fare Margot con dei giocatori?». «A quanto ne sappiamo, proprio nulla» la rassicurò il senatore Benjamin. «Ci riferiamo a uno spiacevole incidente avvenuto al consolato britannico stamattina. Square Nat Rumbold è andato a cercar grane e le ha trovate. Tom lo ha brutalizzato e il signor Macrae gli ha rotto il polso con un colpo di bastone. Dice che è tornato, ragazzo mio?» Harry assentì calorosamente. «Ero in ufficio, e stavo dando gli ultimi tocchi al mio primo rapporto alle Loro Maestà del ministero degli Esteri, quando l'ho visto arrivare in cortile. Doveva essere andato da un dottore, perché aveva il braccio al collo.
Tibby gli è andata incontro. Lui voleva vedere il signor Macrae, e insisteva. Quando Tibby l'ha informato che era fuori, ha detto che lo avrebbe aspettato e l'ha seguita di sopra senza neanche chiedere permesso. «Io non ho cercato di fermarlo; ma non avevo l'autorità di buttarlo fuori. E comunque non porto con me armi da fuoco, cerco di evitare liti con gente armata e Square Nat aveva un aspetto poco rassicurante anche se parlava tutto cortese. Me ne sono andato; ho preso il cavallo che avevano portato per me ed eccomi qui. Spero di essermi comportato bene!» «Il suo superiore, come lei lo chiama» disse il senatore, vedendo che Macrae annuiva «evidentemente approva il suo comportamento. Ieri sera mi ha parlato un poco di lei. Si sta ambientando in modo soddisfacente?» Harry fece un largo sorriso. «Molto soddisfacente, signore. Tuttavia...» «Qualcosa l'angustia?» Harry diede a Macrae un'occhiata che implorava così chiaramente il permesso di parlare che l'altro annuì di nuovo. «La situazione politica in America, questa faccenda del Nord contro il Sud! Non si parla d'altro in giro. Tutti dicono che i sudisti sono i peggiori guerrafondai, ma a me non è parso affatto. A Washington, per esempio, ho incontrato un tizio di Charleston nel Nord Carolina...» «Charleston è nel Sud Carolina» corresse Macrae. «Scusi, sì; lo sapevo che ce n'erano due. "Il vecchio Buck" mi fa "non è niente male."» Qui Harry si volse al senatore. «Voleva dire il presidente Buchanan, no?» «Certamente. Il signor Buchanan, benché sia della Pennsylvania, ha molta simpatia per il Sud. Ebbene?» «"Il vecchio Buck non è niente male" dice dunque "ma ci puoi scommettere la camicia, giovanotto, che ci saranno guai se i dannati repubblicani andranno su alle prossime elezioni."» Harry s'interruppe, mortificato. «Oh, mi scusi, Madame de Sancerre!» «Grazie a Dio per una volta in vita mia sento un uomo scusarsi per aver imprecato in questa casa!» disse lei alzando gli occhi. «Ma non vi faccia caso, signor Ludlow, continui pure.» «Questa è la cosa peggiore che abbia sentito da parte di un sudista» riprese Harry. «Ma dall'altra parte... Boston, Cambridge, tutto il New England... altro che guerrafondai! Quelli masticano carboni ardenti e ve li sputano in faccia... Non vogliono soltanto liberare gli schiavi, vogliono il sangue! Ma il mio superiore dice, giustamente, che non tocca a noi emette-
re giudizi. Pure, per quanto riguarda l'ambientarmi qui a New Orleans...» Macrae intervenne: «Hai delle riserve?». «Oh, le mie prime impressioni probabilmente non rendono giustizia a questa città. Ma diamine! Se penso a Tom, che acciuffa quel giocatore e gli fa fare un volo di tre metri... E il vecchio giudice Comesichiama che stava lì, sulle scale, guardando in giù prima che qualcosa d'invisibile lo afferrasse! Non ho neanche potuto andare alla polizia senza che il calesse del sergente O'Shea venisse a sbattere contro la mia carrozza, facendomi un bozzo grosso così. E poi... ma no, basta. Le cose qui non possono andare sempre in questo modo, di solito come vanno?» Tom Clayton si eresse con aria severa. «Se smettessi un solo minuto di chiacchierare a ruota libera, ragazzo, forse avremmo la possibilità di saperlo. Quando ti sei precipitato qui con la tua storia non richiesta, hai interrotto il nostro maestro di cerimonie mentre ci stava spiegando come Margot abbia potuto usare cinquecento dollari per svanire come una bolla di sapone!» «Già» assentì il senatore «insieme ad altre cose che possono dare al signor Ludlow un'impressione ancora più stravagante e fantastica della nostra città. Dobbiamo parlare di cose più segrete dell'avventura di una ragazza a un ballo mascherato; dobbiamo sfiorare le frontiere dello stesso Vudu.» Dal terrazzino, il senatore Benjamin volse gli occhi alla scala di ferro battuto che portava alla veranda del primo piano. Si carezzò il mento. «Ho già detto che intraprendo la spiegazione con una certa riluttanza. La madre di Margot, come avete sentito, pensa che io dimostri troppo riguardo alla signorina se procuro di non metterla in imbarazzo neppure in sua assenza. Eppure, più siamo vicini a una persona, più dovremmo evitare di urtare i suoi sentimenti, non vi pare? «Ho anch'io una figlia, sapete. La vedo solo una volta all'anno, quando vado a Parigi dove Ninette vive con la madre. Ma nel poco tempo che passo con lei cerco di trattarla con delicatezza e discrezione. Non mi curo di offendere gli estranei, cosa m'importa di loro? Ma urtare i propri cari è cosa che non si dovrebbe fare mai. Noi insistiamo tanto perché i nostri figli ci rispettino e non feriscano le nostre piccole vanità; non dovremmo, a nostra volta, rispettarli ed evitare di ferire le loro? Io la penso così; forse da parte mia è una forma di difesa. Con Ninette, infatti, se mi capita di essere indiscreto o troppo indagatore, sono io a sentirmi imbarazzato e a disagio. Quanto a Margot...»
Una nuova voce lo interruppe. «Se i miei genitori fossero così ragionevoli» disse, con una serietà che sembrava celare un risolino «non avrei bisogno di mettere in mostra i miei lati peggiori, almeno nove volte su dieci.» A testa alta, con un portamento regale che questa volta però non voleva essere di sfida ma di apparente condiscendenza, lei scese con passo leggero le scale della veranda. Non era la prima volta che Macrae vedeva Margot de Sancerre; era la prima volta però che la vedeva da vicino. L'impressione che aveva avuta di lei la sera prima era stata di una ragazza capricciosa e piuttosto posatrice. Ma ora era come se la creatura della sera prima non fosse mai esistita. Margot aveva fascino da vendere, e ora aveva deciso di esercitarlo. I raggi del sole accendevano di riflessi caldi i capelli neri e gli occhi color ambra. Con l'elegante abito da pomeriggio dalla crinolina di un candore verginale, a piccoli disegni d'argento, lei sembrava tutta amabilità e dolcezza. Gli occhi d'ambra rivolsero a tutti i presenti, compreso Tom, il più civettuolo degli sguardi, mentre le labbra si piegavano appena in un sorriso ammaliatore. Calamitò l'attenzione di tutti i presenti, con un'unica eccezione. Dietro di lei veniva Ursula Ede, con un abito color oro fulvo. Richard Macrae la guardò e, benché non riuscisse a incontrare gli occhi di lei, seppe con certezza che non desiderava guardare nessun'altra donna. Pure dovette farlo, quando venne formalmente presentato a Margot insieme a Harry Ludlow. Forse la sera prima Margot non aveva neppure notato quest'ultimo, ma ora lo fece oggetto della più lusinghiera attenzione. Quindi sedette di fronte al senatore Benjamin e assunse un'aria di tenera docilità. «Non mi piace tutto ciò» disse «e non posso pretendere che mi piaccia. Pure dobbiamo cercare di essere ragionevoli, no? Se hai qualcosa da dirmi, zio Benjie, per favore dilla. Ma hai davvero qualcosa da dirmi?» «Ho forse bisogno di ricordarti» rispose lui fissandola con sguardo indagatore «che hai fatto preoccupare a morte tua madre?» «No che non me lo devi ricordare. Mamma non fa altro che ricordarmelo, tutti i giorni per ventiquattr'ore al giorno, senza mai cambiare argomento. Suppongo che continuerà a ricordarmi le mie marachelle senza posa, finché avrà fiato in corpo. Te l'ho detto: se i miei familiari fossero ragionevoli come te, non sarei costretta a mettere sempre in mostra i miei lati peggiori.»
Isabelle de Sancerre balzò su incollerita, e la crinolina le si gonfiò intorno. «Se noi fossimo ragionevoli? Noi! Oh, questo è troppo. Ma in nome di Dio, Margot, si può sapere cosa vuoi?» «Un poco di dignità, mamma. Un poco di riserbo, mamma. E un poco di libertà, diciamo, dall'essere continuamente interrogata di giorno e spiata di notte.» «Chiami tua madre una spia?» «Perché, quale altro nome dovrei usare?» «Mettiamo le cose in chiaro, Margot» intervenne Jules de Sancerre. «Non pretenderai sul serio di essere maltrattata, no?» «Non da te, babbo, mai da te! Tu ti lasci dominare da lei, ti lasci sempre convincere, tutto qui. Ma non è colpa tua, non puoi farne a meno. Non ti biasimo!» «Lei non biasima suo padre, non ha nulla contro di lui. Davvero generoso e magnanimo da parte sua!» esclamò Isabelle de Sancerre. «Benjie, l'approvi ancora questa sciagurata ragazza?» «Invoco comprensione per lei» rispose il senatore. «Io e voi, come genitori, chiediamo indulgenza per le nostre vanità. Non dimentichiamo che anche i giovani hanno le loro vanità.» «Vanità, zio Benjie? Stai cercando di dire che io sono vanitosa?» strillò incredula Margot. Lui la guardò ancora con occhi indagatori. «Se dovessi accusarti di qualcosa, mia cara, dovrei imputarti due colpe: una più grave, una più leggera. Cominciamo dalla più lieve, che non ha molta importanza e può esser chiarita da una piccola dimostrazione che ho già organizzata.» Si voltò a guardare verso il retro della casa. Lì si congiungevano i due rami del viale d'ingresso, continuando poi verso sud in un ampio sentiero fiancheggiato da cespugli fioriti, verso la rimessa e le stalle. Dietro la siepe pareva si nascondesse qualcuno. Il senatore alzò il braccio come in un segnale. Da dietro un cespuglio apparvero la sagoma massiccia e l'alto cilindro di zìo Cicero. «Cicero, fa' quel che ti ho detto» ordinò il senatore. «Va', alla rimessa e porta qui il carrozzino. Trascinalo tu stesso, è leggero e tu sei abbastanza robusto. Portalo fin dove tutti da qui possiamo vederlo, capito?» Cicero s'inchinò e andò via.
«Ora perfino io ho qualcosa da dire» esclamò Jules de Sancerre, balzando vicino al senatore Benjamin. «In quella carrozza non c'è niente che non vada, niente! Ieri sera ho detto che volevo esaminarla e l'ho fatto: tu e Macrae mi avete visto andare alla rimessa. Avevo pensato...» «Babbo!» cominciò Margot, stringendo nervosamente i braccioli della poltroncina. «Avevo pensato che qualcuno poteva avervi aggiunto uno sportello segreto per permettere alla ragazza di scivolar fuori e farci uno di quegli scherzi che le sono abituali. Cicero è un carpentiere espertissimo e adora Margot. Ma non c'è niente, niente, è un carrozzino normalissimo; lei non può esserne uscita senza farsi vedere.» «Giusto» approvò il senatore. «E allora, che altro può essere successo?» Anche Tom Clayton era balzato in piedi. «Ne ho fin sopra i capelli di questa storia» imprecò. «Perché non risponde lei stesso alla sua domanda? Che diavolo può essere successo? È questa sparizione che mi rode più di qualsiasi altra cosa...» «Naturale, Tom» intervenne Margot con voce mielata. «Tutti se ne sono accorti. È per questo che hai perso la testa e mi hai trattata come non tratteresti certo nessuna delle amanti negre che, sono sicura, mantieni in segreto. E magari nemmeno ti bastano e vuoi procurartene delle altre: se no, cosa ci saresti andato a fare al ballo delle mulatte?» «Ne vuoi ancora?» urlò Tom. «E non mi chiedere di cosa, lo sai. Mi prudono già le mani...» La figura del senatore parve torreggiare. «Smettiamola con questi bisticci» disse. «Non ne abbiamo il tempo, e neanche la pazienza: capito?» «Oh, va bene» sbuffò Tom «se non altro perché non voglio far inquietare ancora sua madre. Ma mi dica almeno questo: Ursula e Dick hanno detto la verità?» «Certo.» «E allora quella dannata sparizione è proprio la parte più oscura del problema.» «Al contrario» fu la risposta. «È l'unica parte chiara.» «Come può sostenere una cosa simile?» Tom si volse agli altri facendo loro appello. «Non sappiamo quando è uscita da quel maledetto carrozzmo; non sappiamo come ne è uscita...» «No» interruppe il senatore «ma sappiamo qualcosa di più importante. Michael!»
Cicero era apparso nel vialetto, tra le stanghe del carrozzino nero, e a un cenno del senatore si era fermato. Dal retro della casa uscì un altro negro vestito di nero. Era un colosso quasi come Cicero e portava guanti da giardino, ma dall'aspetto si capiva chiaramente che era un servo di casa. Macrae suppose, con ragione, che dovesse essere il cameriere personale di Benjamin. «Michael, hai la chiave che ti ho dato? Quello è il fabbricato: va' e apri il lucchetto. Quando ti faccio un cenno, segui il resto delle mie istruzioni. Sbrigati!» A poca distanza da loro si ergeva la piccola costruzione dipinta di bianco con la doppia porta e la finestra rivolta a nord che sembrava uno studio da artista. La finestra era così polverosa da apparire opaca; i vetri non riflettevano nemmeno il sole. Michael tirò di tasca una chiave e si avvicinò al lucchetto che chiudeva i battenti della porta. Il senatore Benjamin alzò un indice ammonitore. «Cicero, come ci hanno rammentato, è un carpentiere famoso: quello è il suo laboratorio. Ma che altro sappiamo di lui? Prima che il nostro amico de Sancerre lo vincesse a poker anni fa, lavorava per il signor Sturdevant. E cosa faceva?» Qui il senatore fissò su Macrae uno sguardo scintillante. «Lei deve averla vista spesso, quasi davanti al suo consolato, l'insegna che dice "Sturdevant & Sons, Costruttori di Carrozze": diamine, è lunga quasi quanto tutto l'edificio! Ma Cicero è molto di più di un perfetto carpentiere. Sa fare di tutto. Lavora la pelle, il ferro. Può costruire qualsiasi cosa.» Si volse a Margot, la cui faccia aveva perso ogni espressione. «Ieri sera, cara, tuo padre ci ha spiegato che Cicero quand'eri piccola ti ha costruito una casetta per giocarci, completa in ogni dettaglio, che è stata la gioia della tua fanciullezza. Tuo padre non ha dovuto far altro che fornirgli il denaro per comprare il materiale. «Io ritengo che devi esserti ricordata di questo, ultimamente. Per effettuare il trucco della sparizione miracolosa non potevi usare il vero carrozzino che vediamo lì nel vialetto. Sarebbe stato esaminato troppo accuratamente, come infatti è stato. Allora cosa hai fatto?» Qualcuno chiese: «Ebbene?» ma Macrae non capì chi avesse parlato. «Data l'abilità di Cicero, e il suo affetto per te, potevi fargli costruire un duplicato del carrozzino, tanto somigliante al modello da non potersene distinguere. Avanti, Michael! Guardate tutti!»
Michael spalancò i due battenti della porta e si fece da parte. Apparve l'interno del laboratorio, con banchi da lavoro disposti contro le pareti e un'altra finestra che dava a ovest. Nel mezzo, con le stanghe che toccavano terra, c'era un carrozzino nero dalle ruote rosse. Fu allora che Cicero, la cui espressione non si poteva distinguere a quella distanza, fece dietro front e sparì, trascinandosi dietro il carrozzino originale. Il senatore Benjamin si guardò intorno con aria soddisfatta. «Vediamo ora che il laboratorio serviva a un duplice scopo. Cicero ha comprato il materiale col denaro datogli sappiamo da chi. Lui ha l'abitudine di lavorare là, quindi non rischiava di suscitare la curiosità degli altri servi; e in ogni modo non avrebbero potuto spiarlo da quelle finestre dai vetri così opachi. Quindi il laboratorio è servito a nascondere sia la costruzione del nuovo carrozzino sia il carrozzino stesso quando non serviva più. «Tra le due vetture c'è una sola e unica differenza. Io l'ho scoperta stanotte, molto tardi, con l'aiuto di una lanterna, quando le ho esaminate entrambe prima di andare a casa. Il lucchetto, sapete, ha due chiavi: una la tiene Cicero e l'altra il nostro amico de Sancerre. Per fare le mie indagini ho preso in prestito la seconda, come avete sentito dire dal nostro ospite poco fa.» «Un momento, un momento!» sbottò Tom Clayton. «Qual è la differenza tra le due vetture?» «Quella che necessariamente doveva esserci. Il sedile del vero carrozzino è tutto d'un pezzo, imbottito e foderato di tappezzeria rossa. Quello del duplicato sembra uguale a un'occhiata superficiale, ma...» Tom balzò. Scuotendo i pugni, corse giù dal terrazzino e si lanciò nel laboratorio. Lo videro aprire lo sportello della carrozza e arrampicarsi dentro. Harry Ludlow stava per seguirlo, ma un'occhiata ammaliante di Margot lo tenne immobilizzato al suo posto. Dopo pochi secondi, Tom riapparve. Tornò verso di loro lentamente, allargando le braccia. «Bene, bene!» disse. «Non l'abbiamo vista uscire perché non è affatto uscita finché la carrozza non è stata riportata nel laboratorio. Il ripiano del sedile si alza come un coperchio, e l'interno è simile a un baule, imbottito per maggiore comodità e con qualche ben dissimulato buco per l'aria. «Le crinoline femminili sembrano immense; ma si possono comprimere in spazi anche più piccoli di quello scatolone in cui lei si è nascosta. Vi si è infilata dentro quando stavamo per arrivare a casa. Poi Cicero ha guidato il carrozzino verso il retro, ha staccato il cavallo e ha spinto il veicolo nel suo
laboratorio. Il cavallo, naturalmente, è stato riportato nelle stalle vicino alla rimessa dove si trovava la vera voiture. Lei è uscita e si è nascosta da qualche parte in giardino, finché non ha avuto via libera, e poi è salita in camera sua dalla veranda, fresca come una rosa!» Tom si batté una mano sulla fronte. «Ecco qui l'intera storia, accidenti a me! Ecco che idea ha lei di un bello scherzo da giocare a noi tutti!» «No, questo no» disse il senatore Benjamin. Si rivolse di nuovo a Margot. «Lascia che spieghi io come sono andate veramente le cose, chère nièce, per quanto ho potuto dedurre dalle prove che abbiamo e dalla mia conoscenza del tuo carattere. «Il trucco della tua scomparsa, credo di poterlo assicurare ai tuoi genitori, non è stato un semplice scherzo per scuotere le loro anime ottuse. Aveva uno scopo preciso. Tu non eri irrevocabilmente decisa a sparire: affatto. Ti saresti servita del trucco come di una difesa che ti eri preparata in caso ci fossero stati guai al ballo delle mulatte. «In verità, come abbiamo visto, guai prevedevi di averne. Ma se non ci fosse stato alcun contretemps, saresti tornata pacificamente a casa dopo aver visto ampiamente trionfare la tua bellezza e il tuo fascino. Ma d'altra parte, se qualcosa fosse andata male, il "miracolo" era pronto a esplodere come una mina. «Ed è accaduto proprio, questo. Eri sicura che la signorina Ede ti avrebbe seguita, e che ci sarebbero stati anche altri testimoni. Avevi ordinato che il cancello venisse lasciato aperto, così da poter arrivare direttamente a casa. «Ora, era certo che tua madre sarebbe venuta a sapere dov'eri stata, e che ne sarebbe stata scandalizzata come la vediamo in questo momento. Per un poco di tempo, un'ora o due, l'avresti lasciata in ansia su quel che poteva esserti accaduto. Poi, fidando sul sollievo che lei avrebbe provato nel vederti ricomparire sana e salva, hai pensato che oggi, quando fossi stata costretta a raccontare la tua storia, avresti subito meno rimproveri. Ma...» «Se solo potessi convincere mia madre che non avevo cattive intenzioni!» scattò Margot. «Anni fa, una ragazza di nome Cécile de la Plage andò a quel ballo e non successe niente di terribile: perché dunque prendersela tanto con me? E... sai, zio Benjie, ho fatto anche un'altra cosa che tu non sai o forse non hai indovinato. Quando strisciai fuori da quello sciagurato buco, coperta di lividi e semisoffocata, pensai che non potevo lasciare che qualcuno sospettasse che io non avevo viaggiato nella vera carrozza.»
«Un'altra cosa, già, avrebbe dovuto farci capire la verità se l'avessimo notata. Quando abbiamo esaminato il duplicato del carrozzino al suo arrivo, tutti abbiamo sentito il profumo che ne pervadeva l'interno. Ma i finestrini erano spalancati, e sappiamo che Margot si profuma poco. Com'era possibile dunque che nel carrozzino si sentisse un odore così acuto? Perché lei c'era ancora, naturalmente. Ma dicevi, Margot?» Margot scosse la testa come per chiarirsi le idee. «Dicevo che dovevo convincere tutti che avevo viaggiato nella vera carrozza. Quando mi ero infilata nel nascondiglio, avevo lasciato la mia maschera sul sedile. Non doveva rimanerci. Così sono andata nella rimessa e ho messo la maschera sul sedile del carrozzino vero, che era sempre rimasto lì...» «E poco dopo» s'interpose Ursula Ede «sono andata io e l'ho presa. Per favore, non chiedetemi a che cosa mi serviva. Su questa parte della faccenda è meglio non ritornare.» Esitò, pensosa. «Margot...» «Tra un momento magari mi chiederai perché ero così agitata e nervosa!» esplose l'altra. «Per colmare la misura, potevo mai prevedere che il giudice Rutherford scegliesse proprio ieri notte per cadere dalle scale e ammazzarsi? «Non m'importa di dirvi come l'ho saputo. Ho deciso di aspettare, come ha detto zio Benjie, e sono andata a sedermi sotto la pergola, vicino al campo di croquet laggiù» accennò con la mano. «Non avevo orologio, ma sentivo quello della chiesa. Il tempo non passava mai. A mezzanotte e mezzo o giù di lì sono tornata verso casa e sono salita sulla veranda, per andare nella mia camera. «La porta era semiaperta e ho sentito delle voci maschili gridare giù nell'atrio. Ho fatto capolino e vi ho visti, anche se voi non potevate vedermi. «C'eri tu, zio Benjie, e tu, babbo, e quest'altro gentiluomo: il signor Macrae, vero? Gridavate che il giudice Rutherford era caduto ed era morto; e che era stata una disgrazia oppure qualcuno lo aveva spinto. «Che bella accoglienza trovavo a casa! Un omicidio! Se qualcuno lo aveva spinto, bisognava chiamare la polizia. E magari io avevo fatto qualcosa per cui potevano arrestarmi, come facevo a saperlo? «E la polizia fu chiamata. Siete andati in biblioteca, la mamma vi ha seguiti, e la confusione è ricominciata, e dopo un poco il signor Macrae è uscito a ricevere quel sergente irlandese che beve tanto. E allora è cominciato il divertimento vero e proprio. «Di solito sono una persona calma, mi so controllare. Ma vi pare strano
se in quel momento volevo star sola e non esser seccata da nessuno? Quando la mamma e Ursula si precipitarono dentro, e mamma subito cominciò con la solita musica, vi pare strano che io le abbia spinte fuori e abbia chiuso a chiave la porta? E infine quando quel maniaco irresponsabile» indicò col dito Tom Clayton «ha cominciato a martellare sulla porta e a giurare che l'avrebbe sfondata se non gli avessi aperto... Dio, le mie reazioni vi sembrano proprio tanto strane?» «Ammettiamo pure che avessi le tue preoccupazioni» concesse il senatore Benjamin. Poi si volse ai genitori di Margot. «A proposito, ho promesso a Cicero che non lo avreste punito per quanto ha fatto. Onorerete la mia parola, non è vero?» «Certo, certo» gridò Isabelle de Sancerre. «Chi biasima Cicero? Chi si sognerebbe mai di biasimare Cicero?» «Mi fa piacere sentirvelo dire.» «Però Madamigella Insolenza è tutt'altra cosa, no? È facile per te essere indulgente, Benjie. Non è di tua figlia che si tratta; non è tua figlia a essere sulla bocca di tutti, e Dio sa cosa se ne dice! Siccome pare tu creda che non abbia fatto niente di male...» «Non ho mai detto questo.» «E allora?» Il senatore Benjamin si chinò su Margot e la guardò negli occhi. «Scusami se ora devo parlarti in tono un poco più severo» continuò. «Delle due possibili colpe che ti ho imputate abbiamo liquidato la minore, e adesso dobbiamo considerare la più grave. Io spero, potrei dire prego, che la tua avventura non abbia nulla a che fare col nostro vero problema: un sudicio e brutto affare che include assassinio e cospirazione e attraverso il quale stiamo cercando di orientarci a tastoni, come i ciechi. Se tu abbia o no avuto parte in tutto questo, potremo stabilirlo se risponderai francamente a qualche domanda di natura molto personale.» Margot non abbassò gli occhi. «Risponderò francamente, te l'ho promesso. Cosa vuoi sapere?» «Se sei coinvolta o no nel Vudu» rispose il senatore Benjamin. «E tanto per cominciare: dove e quando hai fatto la conoscenza della figlia di Marie Laveau?» Parte terza L'alba
15 Margot sembrò un poco turbata. «Io... io non capisco cosa vuoi dire!» «Ma hai capito la mia domanda?» «Non molto bene. Marie Laveau... il Vudu...» «Cercherò di assistere la tua memoria. Da circa sette settimane, Margot, tu sei quasi ossessionata da Delphine Lalaurie e da Marie Laveau.» «Te lo ha detto la mamma, vero?» «Chi altri si preoccuperebbe tanto per te? Son queste le risposte sincere che mi hai promesso?» «Ma se tu volessi spiegarmi di cosa stai parlando...» «Certo. C'è una sola Delphine Lalaurie, da molti anni defunta. E Marie Laveau? Quando discussi la questione con tua madre, mercoledì sera, le chiesi se c'erano stati contatti fra te e Marie Laveau. Lei mi assicurò di no; anzi, disse che era del tutto impensabile che tu volessi aver qualcosa a che fare "con una sudicia stracciona di vecchia strega che si tiene un serpente come animale domestico". «Noi due ci riferivamo alla celebre regina del Vudu, ora più che sessantenne, che ha dominato la vita segreta della nostra città per trent'anni. E anch'io pensai inverosimile che tu la prendessi per confidente. «Non sapevo allora quello che mi fu detto giovedì e che riferii a quanti si trovavano in biblioteca ieri notte e cioè che Marie Laveau ha una figlia nata nel 1827. Questa figlia, che oggi ha solo trentun anni, deve essere ora all'apice della bellezza ereditata da una splendida madre e da un bellissimo padre quasi bianco. «Ecco dunque: Marie Laveau junior... regale, di magnifico portamento e probabilmente anche istruita e ben educata... esiste e si aggira tra noi come la sola e unica regina del Vudu. «Capisci come agiscono queste due donne? «Marie senior, come dissi anche a tua madre mercoledì, ha controllato a lungo una sua organizzazione segreta. In più di metà delle case di New Orleans, si tratti di palazzi o di tuguri, lei ha spie e fedeli che la tengono informata di tutto e son pronti a eseguire i suoi ordini. Ma ora, per meglio impressionare i loro seguaci, le due si sono spinte ancora più in là. La figlia si sostituisce alla madre quando deve apparire in pubblico: ed ecco creata la leggenda della regina del Vudu che sfida il tempo, che è eterna, immortale.
«Bene, la possibilità che una simile persona esistesse mi era balenata anche prima che sapessi con certezza di Marie Laveau junior..» «Oh, davvero?» chiese Margot, fissandolo come da dietro una barriera. «E perché mai?» «Perché qualcuno è venuto a farti visita in segreto, di notte, qualcuno che esercita una notevole influenza su di te. Questa persona saliva nella tua stanza dalla scala della veranda. Mi hanno detto che per parecchio tempo uno schiavo fidato ha fatto la guardia sotto le tue finestre dal tramonto all'alba.» Margot si voltò come una vipera. «E dici anche, mamma, che non mi stavi spiando?» «Davvero» esclamò Isabelle de Sancerre, guardando un punto al di sopra della testa della figlia «davvero si direbbe che sono io a dover giustificare il mio comportamento, e non tu il tuo! Se una madre non può esercitare un po' di sorveglianza su una figlia senza cervello, dove siamo arrivati? Lo schiavo che ti sorvegliava era Willie, il figlio di Marcus Brutus, il ragazzo più fidato che abbiamo. Lui dice che di notte non sei mai uscita di casa: tutto qui.» «Ti scandalizzerebbe, mamma, se ti chiedessi cosa pensavi di me? Che avessi un amante? Qualche bel ragazzo come... no, non come quello sgorbio di Tom... ma qualcuno» gli occhi di lei si volsero lievemente a Harry «che mi piacesse e che trovassi attraente?» «L'ho pensato, sì, se vuoi saperlo! Ma Willie giura di no, e tuo zio Benjie dice...» «Per favore» interruppe il senatore Benjamin «posso ricordarvi quale sia la mentalità dei nostri servi? Nessuno schiavo, e meno che mai uno schiavo di casa addetto a lavori leggeri come Willie, oserebbe mentire a proposito di un intrigo amoroso clandestino da parte della figlia del suo padrone. Secondo la mentalità di oggi, questa sarebbe la più grave colpa che Margot potesse commettere. E altrettanto colpevole sarebbe il servo che si facesse suo complice! «Perciò qui non si tratta di un amoretto clandestino. Qui si tratta di una confidente, di un'altra donna. E non una vecchia sudicia stracciona, ma una donna giovane e bella, di modi eleganti e di parola suadente: tutte qualità che possono impressionare l'immaginazione di una ragazza.» «Vuoi dire Marie Laveau junior?» chiese Isabelle de Sancerre. «Già. Ricorda la ragnatela dei cultori del Vudu, che stende i suoi fili invisibili in tante case! Se uno schiavo messo a fare la guardia avesse visto
salire un uomo, lo avrebbe riferito ai suoi padroni. Ma se avesse visto la grande regina del Vudu, con gli spaventosi poteri che ha per maledire e annientare, si sarebbe lasciato strappare la lingua piuttosto che tradirla.» Jules de Sancerre si drizzò. «Influssi del Vudu qui? Nella mia casa? Impossibile, amico! Impensabile!» «Neanche per sogno, credimi. E poi l'influsso del Vudu non è sempre malefico: può essere usato per benedire e difendere, oltre che per distruggere, se credi nei buoni effetti di una benedizione data con la mano sinistra. Ciò spiegherebbe tante cose che ci sono ancora oscure. Suvvia, Margot, hai nulla da dire? Cosa ti diceva quella donna?» «Io...» «Se ti ha suggerito soltanto di andare al ballo delle mulatte a raccogliervi un trionfo, non importa. Ma avete parlato anche di cose più tenebrose, più sinistre? Te lo chiedo con la massima serietà, anche se credo di no. Pur se volessi giudicare il tuo carattere con la più estrema severità, sarei incline ad assolverti.» «E giudicando il mio carattere con la più estrema severità, quali miei difetti mi faresti notare, zio Benjie? Dimmelo!» «Non siamo qui per discutere dei tuoi difetti...» «Ma è proprio quel che stiamo facendo, no? Su, ti sfido! Se ho davvero difetti così gravi, come può essere benissimo, sono ansiosa di correggermi. Parla, dunque!» «Noi ti vogliamo tutti bene, mia cara, e in generale tutto quello che fai è giusto. Benché in verità tu sia talvolta vanitosa, incurante della sensibilità altrui e suscettibile riguardo alla tua, e tendente a far misteri quando non ce n'è bisogno, tuttavia...» Margot era schizzata in piedi. «Posso sopportare parecchio, come ben sapete. Ma l'accusa di essere vanitosa... vanitosa io?... non l'accetterò mai da nessuno. Vanitosa, davvero! Tu non sei la polizia, signor Benjamin: qui non hai nessuna autorità. Non puoi forzarmi a rispondere alle tue domande, per quanto tu possa tormentare e insultare!» «Nessuno sta cercando di forzarti, Margot.» «Allora facciamola finita.» Tirò un lungo sospiro fremente. «Soffoco, ho bisogno d'aria fresca. Vado a fare una passeggiata in giardino. Vuole accompagnarmi, signor Ludlow?» Harry arrossì e si schermì con un gesto.
«Non sarebbe meglio» suggerì «se ci mettessimo a sedere e...» «Ho detto che vado a fare una passeggiata in giardino. Se le fa piacere accompagnarmi» qui Margot gli lanciò un'occhiata assassina «è il benvenuto. Ma se non le va...» «L'accompagno col massimo piacere, naturalmente!» Margot prese il braccio di Harry. Si diressero verso sinistra e presto vennero nascosti alla vista degli altri dagli alberi e dalle siepi. «Ecco!» alitò Isabelle de Sancerre. Il senatore Benjamin strinse una mano a pugno e colpì forte il palmo dell'altra. «Mi son comportato come uno sciocco» disse. «Non è consigliabile dire a una donna la verità su se stessa. Se poi si vuol sapere qualcosa da lei, fare una cosa simile è addirittura idiota. Sì, sono stato sciocco; se fossi in tribunale, che figura avrei fatto!» Durante tutta la scena, lo sguardo di Macrae non si era quasi mai staccato da Ursula; Ursula, ardente ma dolce, in contrasto con Margot, ardente e pronta a prender fuoco. Quanto gli piaceva! In quel momento lei lo guardò. «Anche a me non dispiacerebbe una passeggiatina» disse «anche se non per la stessa ragione. Vuoi accompagnarmi?» «Stavo per suggerirtelo.» «Sì, andate» approvò il senatore. «Forse sarebbe meglio che andassimo tutti. Abbiamo avuto una dose eccessiva di verità e ne siamo sazi. Cercate di tornare con la mente serena: abbiamo ancora tanta strada da fare!» «Io penso...» cominciò Isabelle de Sancerre. Ursula e Macrae non sentirono cosa pensava. Lei fece una lunga pausa, come se stesse per fare qualche rivelazione impressionante, così che i due ebbero il tempo di scendere e di avviarsi nella stessa direzione presa da Margot e Harry, prima che Isabelle ricominciasse a parlare. Ogni minaccia di pioggia sembrava essersi dileguata, e il sole brillava sull'erba verde. Camminavano lungo un sentiero serpeggiante tra grandi querce. Ursula, straordinariamente seducente nel suo abito d'oro fulvo, teneva la testa eretta, ma gli occhi avevano uno sguardo lontano. Pareva preoccupata. «Hai indovinato cos'è che davvero tormenta Margot?» chiese. «Sai, giacché ha perso le staffe almeno una mezza dozzina di volte...» «È Tom Clayton che la tormenta. Non lo sentivi, dietro ogni parola che ha detto? Ma naturalmente non per le ragioni che dice lei. Dimmi, è vero
che Tom ha tutte quelle amanti negre che lei lo accusa di mantenere?» «Ma neanche per sogno!» «Suppongo che non lo creda veramente nemmeno Margot. Ma lui è andato al ballo delle mulatte e lei pensa che lo abbia fatto per cercarsi una mantenuta!» «A quel ballo c'ero anch'io.» «Oh, non mi permetterei di chiederti perché ci sei andato.» «In verità ci sono andato per accompagnare Tom e Harry. D'altra parte però, se tu fossi stata davvero la bella mulatta che pretendevi di essere...» «Che avresti fatto?» «Qualcosa che sai benissimo. Ursula, non hai idea di quanto tu sia dannatamente attraente? E senza nessuno degli stupidi capricci di Margot: sei una vera donna.» «Oh, donna mi sento moltissimo; è questo il guaio. Forse lo sono troppo!» «Per me va più che bene.» «Sì, ma in questo momento! Ci troviamo nel bel mezzo del più spaventoso dei pasticci: sapere come ha fatto Margot a sparire dalla carrozza non ci ha fatto fare un solo passo avanti! Com'è morto il giudice Rutherford? Che cosa continua a essere tramato nell'ombra? E io, con tutto questo, riesco a pensare solo ai miei ridicoli problemi!» «Ma perché li definisci ridicoli?» «Perché lo sono. Zia Isabelle non ti ha detto del terremoto avvenuto quando sono tornata a casa stanotte?» «Sì, mi ha detto che hai fatto cadere una lampada e che tutti si sono svegliati. Oggi, a quanto pare, tu e Madame de Sancerre avete inventato una storia, secondo la quale tu e Margot sareste andate all'opera, al Théàtre d'Orléans.» Ursula si portò una mano alla gola. «No, quella storia l'ho inventata io! Tutta da sola, alle due di mattina, per calmare mio padre e le mie zie! Era l'alba quando hanno smesso di darmi della bugiarda e mi hanno creduta. Ho detto perfino che lì avevo incontrato te.» «Dove mi avresti incontrato?» «All'opera. E ho fatto bene a dirlo, perché mio padre non è sembrato affatto dispiaciuto. Voglio che vi conosciate, vedi; sono impaziente di farvi incontrare, benché non nel momento in cui lui sta agitando una sciabola e rivivendo le memorie della guerra col Messico. Così, appena la pace si è
ristabilita, gli ho chiesto d'invitarti a cena stasera.» Ursula allargò sconsolata le braccia. «Ahimè, purtroppo aveva già accettato un invito per noi, tutti e sei, lui, io e le quattro zie, alla piantagione dell'ex governatore Corliss. Non lo conosciamo intimamente, così non era il caso che chiedessi di lasciarti unire al nostro gruppo. Mi trovi ancora più sfacciata?» «Al contrario, apprezzo il tuo pensiero gentile. Ma temo, Ursula, che non avrei potuto mai accettare.» «Hai un altro impegno?» «Non di natura cortese. Diamine, impegni di quel genere li manderei al diavolo subito per avere la gioia di stare con te. Ma stanotte io e Tom abbiamo qualcosa da fare; qualcosa che può essere d'importanza vitale per la soluzione del problema che ci assilla. Sarà per mezzanotte, ma dobbiamo prepararci prima. E la cosa deve restare segreta.» «Non posso neppure chiederti di che si tratta?» «Preferirei che non lo facessi. In ogni modo, penso che dopo potrò dirti tutto.» «È per caso tua abitudine» disse Tom Clayton, apparendo all'improvviso accanto a loro tra gli alberi «promettere che spiegherai tutto dopo e non mantenere poi la promessa? «Hai detto che avevi una parte della soluzione, ricordi?» continuò Tom. «Fosse o non fosse la stessa del vecchio Benjie, dovevi riferirmela appena lui avesse detto quello che sapeva. E non l'hai fatto.» «La mia promessa è ancora valida. Stavo aspettando l'opportunità di cogliere il nostro oracolo da solo.» «Bene, ora solo non è; è ancora in concilio con papà e mamma de Sancerre. La tua parte di soluzione coincideva con la sua?» «No, benché lui abbia sfiorato un punto che io vorrei approfondire. Mi meraviglio, anzi, che lui stesso non ci si sia soffermato. Non può essergli sfuggito, no?» «Al vecchio Benjie non sfugge niente» asserì Tom mettendosi una mano in tasca. Restò in silenzio per un po', e parve che i suoi pensieri avessero preso un'altra piega. Tolse la mano dalla tasca e nel palmo apparve la piccola malvagia Derringer a due canne. «Ecco quel dannato aggeggio, ancora carico, come l'ho preso a Square Nat» disse. «Ma stanotte non la porterò con me, sarei troppo tentato di usarla. Mi porterò un bastone da passeggio, pesante, come quello che tu maneggi così bene, Dick. Ursula, dovresti vedere questo signore in azione:
è un fulmine. Sì, un bastone per me andrà benissimo. Così, se un certo tizio mostrerà la sua brutta faccia in quel nido di nequizie, lo schiaccerò, brutto bastardo, come una mosca.» «Santo cielo!» gridò Ursula. «Ma che intenzioni avete, voi due? Pistole! Bastoni! Nidi di nequizie! E schiacciare quel brutto... Be', non importa. Se non devo fare domande, non ne farò. Ma dimmi, Tom, questa vostra spedizione di stanotte... sarà pericolosa?» «Forse; probabilmente sì. Chi se ne...» «Ma...!» Tom si fece ricadere in tasca la pistola. «Ursula, tesoro» disse con tono indulgente «non fare domande e nessuno ti dirà bugie. Abbi fiducia in noi e non turbare quella bella testolina. «State andando da quella parte, vero?» aggiunse, accennando verso sud. «Lì c'è il Campetto da croquet. Io torno indietro. Arnvederci, ragazzi!» Ursula e Macrae continuarono a camminare l'uno a fianco dell'altra, ma senza parlare. I loro passi erano silenziosi sul sentiero erboso. Si fermarono sentendo delle voci. Avevano davanti un campo da croquet regolamentare, e il sole brillava sull'erba rasata. Le voci appartenevano a Margot de Sancerre e a Harry Ludlow, che però non stavano giocando. Ritti davanti a una pergola rustica, Harry volgeva loro le spalle, mentre Margot si vedeva di profilo. Era evidente che lei si stava di nuovo irritando e lui era sulla difensiva. «Le ho fatto una domanda, signor Ludlow. A proposito, posso chiamarla Harry?» «Vorrei che lo facesse: lo fanno tutti. Posso chiamarla Margot?» «Ma certo.» Margot si drizzò nelle spalle. «Harry, mia madre mi ha parlato dell'uomo che si fa chiamare Steve White, quello che ha spaventato a morte il povero Barnaby Jeffers. Tu sei l'unico che lo abbia visto o che ammetta di averlo visto. E io ti ho rivolto una domanda, lo ripeto!» «Con la migliore buona volontà del mondo, Margot, cosa posso dirti di più di quel che ho già detto al sergente O'Shea? Era di altezza media, sbarbato, bruno di capelli: un tipo qualunque.» «Età?» «Maggiore di me, ma non so di quanto. Diamine, mica gli ho chiesto l'atto di nascita!» «Ha detto di aver vissuto a New Orleans?» «Ci vive o ci è vissuto. Ieri notte in biblioteca, quando stavano tanto par-
lando di questo Steve White come del figlio di Rosette Leblanc, io non potevo supporre che fosse proprio costui la persona che avevo appena incontrato sul battello. Comunque, Margot, perché t'interessi tanto a lui? E se mi vuoi parlare del Vudu, come diceva il signor Benjamin...» «Non ti voglio parlare del Vudu. Ti ho confessato che è vero che conosco la figlia di Marie Laveau. Nessuno capisce quella donna, Harry; né, tantomeno, loro. Non si rendono conto dei paurosi ostacoli che ha incontrato e superato a suo massimo onore. Ma loro la guardano dall'alto in basso. Che filistei!» «Se lo dici tu, Margot, per me va bene. Però...» «Lei non mi ha mai detto una parola» continuò Margot con voce alta e chiara «sul Vudu o sulla magia. Mi ha parlato però di Delphine Lalaurie: la famosa, alcuni dicono l'infame, Madame Lalaurie. Che non ha mai torturato schiavi, però, né ha mai commesso alcun delitto: è stata solo una donna calunniata. La madre di Marie, la nostra regina del Vudu, le si era straordinariamente affezionata, ai tempi in cui la serviva come pettinatrice. Marie senior avrebbe fatto qualunque cosa, e la farebbe ancora, per riabilitare il nome di quella donna che ancora ama e di cui rispetta la memoria. E se il figlio di Rosette Leblanc è davvero tornato per vendicare la benefattrice sua e di sua madre, dopo tutti questi anni, allora io gli auguro buona fortuna!» Macrae stava per farsi avanti, quando sentì Ursula tirarlo per la giacca. Si voltò e vide, un poco più indietro, Tom Clayton che gli faceva cenno di raggiungerlo. Tornarono indietro. Tom era ora tutto serio. «Se vuoi scambiare qualche parola con l'Oracolo» disse «meglio che ti affretti. I de Sancerre se ne sono andati e lui e solo sul terrazzino.» «Bene! Andiamo, allora.» «Posso venire con te?» chiese Ursula, attaccandosi al braccio di Macrae. «Per favore, posso?» «Ma certo, vieni.» Il senatore Benjamin, seduto su una poltroncina davanti al tavolino di ferro, stava prendendo degli appunti a matita sul rovescio di una busta. Aveva in mano un sigaro spento. «Caro Macrae, Tom mi ha fatto capire che ha qualche rivelazione da fare. Avanti, aggiunga il suo contributo alle teorie che abbiamo accumulato finora!» «Quello che so non è molto, signore, ma mi pare degno di considerazio-
ne.» «Ebbene?» «Proprio lei ci ha fatto notare, iersera, che in questa faccenda si vedono all'opera due forze. Una è l'assassino, chiunque egli sia. L'altra consiste in una specie di cospirazione che, forse senza aiutare materialmente l'assassino, segue però ogni sua mossa e gli è favorevole.» «In verità è questo che credo.» «Barnaby Jeffers ha ricevuto un messaggio che gli suggerisce di stare in guardia. Il sergente O'Shea ne ha ricevuto un altro che gli consiglia di venir qui a indagare sulla sparizione di Margot. Ambedue firmati Papa Làbas; ambedue in francese; ambedue, ovviamente, parti della medesima congiura. Che proviene dagli ambienti del Vudu, no?» «Sì, penso di sì. Ma...» Macrae diede un'occhiata a Ursula e Tom, poi tornò a volgersi a Benjamin. «Questo "ma" è il nodo della questione» assentì «e per ora non fa che rendere più oscuro il problema. Che c'entro io come ulteriore e secondaria vittima di questa congiura? Voi tre sapete che per qualche tempo sono stato seguito e spiato e fatto oggetto di piccole seccature. Sapete della giara scagliata attraverso la finestra del mio ufficio; e potrei citare altri dettagli, che però non sono necessari, per ora. Del Vudu io non ne so niente; non ho mai avuto alcun contatto né con Marie Laveau senior né con Marie Laveau junior. Allora, cosa vogliono da me?» Il senatore Benjamin mise giù la matita e studiò a lungo il sigaro. «Ha proprio ragione» disse «ma forse ha omesso di portare il suo ragionamento alle estreme conseguenze. L'apparente contraddizione che mi cita può essere il particolare in cui si cela la risposta. Se solo avessi potuto parlare con Barnaby Jeffers oggi, come spero di parlargli stasera...» «E poi, per quanto riguarda Steve White...» «Già, quel personaggio così esclusivo. Cosa suggerisce in proposito?» Macrae aveva avuto la vaga idea di parlargli del recente sfogo di Margot, ma la respinse. Era un'informazione appresa origliando, e usarla così non sarebbe stato onesto. E poi, una volta che Margot avesse digerito l'offesa fatta alla sua vanità, avrebbe senz'altro proclamato in pubblico quello che non aveva temuto di dire in privato. «Steve White» riprese dunque «dovrebbe trovarsi a New Orleans, magari sotto falso nome. Può essere un vendicatore o semplicemente un'innocua diversione. Il sergente O'Shea deve trovarlo e interrogarlo; e deve fare
qualche domanda anche a Marie Laveau. Allora forse avremmo a nostra disposizione qualcuno dei fatti di cui manchiamo.» «Posso dirvi io qualcosa di più» s'interpose Isabelle de Sancerre apparendo a una finestra e avanzandosi verso di loro con portamento maestoso. «Vi ho detto ieri notte che c'era qualcosa del figlio di Rosette Leblanc che non riuscivo a ricordare, ma ora l'ho ricordato. In realtà sono due le cose. «Sai, Benjie, posso ancora quasi vederlo quel ragazzino quattordicenne, bruno e sottile, in adorazione davanti a Delphine Lalaurie come se fosse stata una divinità. Era un mimo straordinario. Poteva imitare chiunque, nella voce e negli atteggiamenti. Avreste dovuto sentirlo quando rifaceva Jean de Courcelles o Raoul Longueval: una cosa fantastica! «Ricordo anche che si portava sempre dietro una fionda," e la usava con una tale abilità! Delphine aveva spesso tentato di farlo smettere, ma non c'era mai riuscita. Certe volte si esibiva per noi, e colpiva qualunque cosa gl'indicassimo. Una volta...» Isabelle de Sancerre s'interruppe. «Benjie, che ti succede?» Un'espressione che faceva quasi paura si era dipinta in viso al senatore Benjamin. Gli occhi gli si erano spalancati, poi si erano ristretti come fessure. Tra le dita il sigaro si spezzò e cadde sul pavimento. Si alzò e si diresse all'estremità del terrazzino, dove partivano le scale della veranda, e rimase lì, volgendo loro le spalle. «A quanto pare abbiamo udito qualcosa d'importante» intonò Tom Clayton. «Ma che cosa, carissimo Oracolo? Cosa sta per fare, ora?» Il senatore si voltò, e il suo viso era tornato imperscrutabile. «In un certo senso» rispose «potrei dire che sto per dedicarmi ancora al mio sport preferito: la pesca della razza.» 16 Per la loro spedizione avevano deciso che non ci sarebbe stato bisogno di carrozza; sarebbero andati a piedi. «Se ceniamo da Arnaud» aveva detto Tom «saremo a soli tre isolati da Bienville Street a dove dobbiamo andare. Camminare ci farà bene.» Macrae aveva avuto un dubbio. «Ci vorrà un permesso per entrare nella casa di Delphine Lalaurie?» «No; il problema non è tenerne fuori la gente, ma, se mai, farcela entrare. La casa, come probabilmente saprai, ha una reputazione così terribile che nessuno vuole viverci.»
«È in rovina?» «Questo no. È stata restaurata diverse volte, perché ci sono stati affittuari che dicevano di non temere i fantasmi; ma la casa odorava ancora di vernice quando sono scappati di corsa. Chissà che diavolo li avrà spaventati così?» «Probabilmente solo la reputazione della casa. Comunque, vedremo stasera.» Era parecchio tardi, quasi le nove, quando s'incontrarono davanti al ristorante Arnaud in Bienville Street. Tom portava un pesante bastone da passeggio che lasciò al vestiaire. Macrae, che non aveva armi di nessun genere, depositò un pacchetto incartato. Non erano in abito da sera; si erano messi vestiti confortevoli e piuttosto vecchi. Entrambi erano piuttosto nervosi, anche se nessuno di loro l'avrebbe ammesso o dimostrato. Da Arnaud non c'erano lumi a gas, solo candele. Indugiarono sulla cena e la prolungarono ancora prendendo caffè e brandy e fumando sigari. Fu solo allora che Tom tornò a sfiorare l'argomento che avevano in mente. «Sai, Dick» fece «ero convinto che stasera avresti visto Ursula.» «Mi sarebbe piaciuto, ma non è stato possibile. Tutta la famiglia è invitata a cena a una piantagione piuttosto lontana; non torneranno prima di mezzanotte.» «Allora stavolta non avrai la possibilità di trattenere la ragazza fuori di casa fino alle ore piccole e comprometterla un'altra volta.» «Bella consolazione mi stai offrendo!» «A dirti la verità, Dick» continuò l'altro «anche a me sarebbe piaciuto incontrare Margot. Pazienza; abbiamo da fare! Ma quanto a Margot... non è che io creda davvero che Harry stia cercando di farmi la forca, ma in ogni modo... Dov'è Harry, a proposito?» «Al lavoro. Sta macinando ancora il suo rapporto per il Foreign Office. Tibby gli ha servito la cena, e lui subito dopo si è chiuso in camera. Strano, dalle sue lettere avrei detto che fosse più che fluente nello scrivere; ma pare che si blocchi quando si trova davanti a materiale burocratico. Però dovrà finire il rapporto stanotte e farmelo trovare, pronto da spedire, domani mattina.» Macrae si stirò. «Ti preoccupi ancora per Margot?» «Non avresti dovuto andartene così presto da casa de Sancerre, questo pomeriggio. Ti sei perso il resto dei fuochi d'artificio.» «Ce ne sono stati ancora?» «Non del tipo che abbiamo visto prima, grazie a Dio. Margot è tornata tutta dolce e angelica. Ha chiesto scusa al vecchio Benjie per il suo scatto e
gli ha detto tutto quello che voleva sapere. Conosce la figlia di Marie Laveau; l'ha incontrata in casa Holmes. Questa Marie junior sembra una donna davvero interessante. Per non mettere in imbarazzo Margot incontrandola in pubblico, andava a farle visita di notte; proprio come pensava il senatore. Ma non per sussurrarle i segreti del Vudu; solo per spiegarle la condizione svantaggiosa in cui si trova, i problemi che ha dovuto affrontare per difendere la reputazione di Madame Lalaurie, che ritiene innocente.» Tutto questo, Macrae lo sapeva già. «Queste cose le ho sentite dire da lei stessa, Tom, mentre eravamo in giardino. Non sarebbe meglio che ci avviassimo?» «Ma l'appuntamento alla casa stregata è per mezzanotte. E ora non sono neanche le dieci e mezzo!» «Mi pare che faremmo bene ad arrivare in anticipo e a dare un'occhiata, no?» «Va bene, se lo dici tu. Vedi, Dick» continuò Tom mentre Macrae pagava il conto e si avviavano al vestiaire «il fatto è che Margot è un'idealista. Tu magari non ci crederai, ma quella stupida ragazza è davvero un'idealista. Le sue "preoccupazioni", che hanno tenuto tanto in pena mamma de Sancerre, erano solo ansia di farsi paladina di Marie per gli ostacoli che ha dovuto affrontare, e di Delphine Lalaurie perché le è stato fatto torto. Molto nobile da parte di Margot, ma così noi avremo una delusione.» «E perché?» «Dalla nostra spedizione di stanotte io mi sarei aspettato qualcosa d'interessante.» Tom parlò quasi con compiaciuta ferocia. «E invece temo che non se ne farà niente. Dick, uno può credere o non credere ai fantasmi, ma certo non possono aggirarsi fantasmi di schiavi torturati in una casa dove non è stato torturato nessuno. Persuadiamocene: Delphine Lalaurie era innocente.» «Un momento, Tom. Può darsi benissimo che Delphine Lalaurie fosse innocente. Però Marie Laveau senior e Marie Laveau junior, o chiunque sia che si firma Papa Là-bas e tira le fila del complotto Vudu, non possono essere tanto innocenti quanto crede Margot. Hanno fatto del loro meglio per spezzarmi i nervi con passi che mi seguivano, occhi che mi spiavano, la giara dalla finestra, il serpente morto sulla mia scrivania. E collegato a loro in qualche modo c'è il burlone assassino che ha ucciso il giudice Rutherford e che magari ucciderà qualcun altro, prima che la faccenda sia finita. Adesso mi hanno sfidato a incontrarmi sul loro stesso terreno. Bene, i
risultati potrebbero essere più interessanti di quanto avevi previsto tu.» «Sono pronto» fece Tom, impugnando il bastone. «Lascia che Papa Làbas mostri la sua brutta faccia, e io...» «Tom, per amor di Dio, prudenza! Non prendere esempio dai colpi di testa di Margot. Non è il caso che tu perda le staffe e faccia qualcosa prima di capire cosa stai facendo. Cerca di controllarti, capito?» «Sarò un modello di compostezza, a meno che qualcuno non si metta a fare scherzi. Che c'è in quel tuo pacchetto?» «Una lanterna cieca. Vuoi vederla?» «Il nome suona attraente e misterioso. Ma a vederla, non è proprio gran che» commentò Tom, quando Macrae gli ebbe mostrato una piccola lampada di metallo nero con un mozzicone di candela, un riflettore e uno sportellino per chiuderla quando non si voleva che si vedesse la luce. «L'accendi ora?» «No, ancora no. Il manico è di legno, ma se la tieni accesa per molto tempo diventa lo stesso troppo caldo.» Macrae si fece scivolare in tasca la lanterna. «Andiamo, su.» La notte era umida e calda, l'aria pesante. Il portiere che li accompagnò fuori disse che si preparava un uragano. Pochi secondi dopo camminavano a passo svelto lungo Royal Street. Qualche finestra era illuminata, ma la via era quasi deserta. Tom riprese a parlare. «Ho dimenticato di dirti cos'è successo prima che c'incontrassimo da Arnaud. Mentre arrivavo calmo calmo, mi son trovato di colpo davanti il sergente O'Shea, tutto eccitato. Delle nostre faccende non gli ho detto nulla, ma neppure lui si è sbottonato. Ha detto solo che era sulle tracce di Steve White, e nient'altro. «Allora ho cominciato a fantasticare. Sai, col ragionamento vero e proprio non me la faccio molto; ma ho lasciato briglia sciolta alla fantasia. Come verrebbe risolto questo mistero in un romanzo a sensazione? Capisci cosa voglio dire?» «Ti capisco benissimo; anch'io mi ci sono provato. Che risultati hai ottenuto?» «Ci siamo tanto fissati su Steve White da non vedere più nessun altro. Ti sembra ragionevole, oltretutto? L'affare potrebbe avere sviluppi tali da presentarsi in modo completamente diverso. Abbiamo tre potenziali vittime: il giudice Rutherford, Barnaby Jeffers e George Stoneman. Il giudice è veramente una vittima, infatti è morto. Ma gli altri due? Che ne diresti se...»
«Se uno di loro, in apparenza un innocente minacciato, dovesse essere invece l'assassino? Ieri notte il senatore Benjamin ha fatto qualche allusione a tale possibilità, mi è sembrato. Tu vorresti che seguissimo questa linea d'indagine?» «Oh, non solo questa» dichiarò Tom, focosamente. «Esaminiamo tutti quelli che erano giovani quando esplose il caso di Delphine Lalaurie. C'è Jules de Sancerre, un uomo la cui vita è in apparenza così irreprensibile che viene quasi naturale di pensare che debba celare qualche oscuro segreto. Sai che sorpresa se venisse fuori che è lui Papa Là-bas?» «Non crederai davvero una cosa del genere?» «Ti ho detto che stavo semplicemente costruendo un romanzo sul nostro problema, no? E poi c'è un'ipotesi ancora più romanzesca, che dà il tocco finale alla faccenda e alla quale finora nessuno ha pensato.» «Quale?» «Supponiamo che Steve White sia veramente l'assassino. Ma l'amante di Rosette Leblanc, ricorda, è rimasto sconosciuto. Poteva essere Horace Rutherford. O Barnaby Jeffers. O perfino Jules de Sancerre. Il figlio di Rosette torna come un angelo vendicatore, assetato di sangue. E se uno degli uomini che vuole uccidere fosse il suo stesso padre? Ma mi sono spinto anche troppo in là con la fantasia. È il momento di smetterla.» Avevano rallentato il passo. La via era ora completamente deserta. Arrivati all'intersezione con Hospital Street, attraversarono. La casa di Delphine Lalaurie, nera contro il cielo scuro, si ergeva a pochi metri da loro. Macrae non se lo sarebbe mai confessato, ma un brivido di paura gli sfiorò il cuore come un dito gelido. Si riscosse rammentandosi che era tempo di accendere la lanterna. Accostò un fiammifero acceso allo stoppino della candela. La luce che se ne sprigionò illuminò la vetrina di un negozio. A lettere bianche, era scritto sul vetro un nome: P. Belet, e sotto, in francese: Bambole e Balocchi. File e file di facce guardarono i due uomini con occhi dipinti, dallo sguardo inespressivo. La luce della lanterna si spostò, e stavolta illuminò due figure umane. Davanti a una porta incassata tra la vetrina e una finestra, una ragazza vestita di rosa stava tra le braccia di un giovanotto la cui divisa da marinaio appariva anche troppo familiare. Lui volgeva loro le spalle, lei teneva gli occhi chiusi. Quando si sentì sfiorare dalla luce, la ragazza senza aprire gli occhi allungò una mano di lato, cercando a tastoni la catena del campanello che pendeva a destra della porta.
Macrae chiuse lo sportello della lanterna e affrettò il passo, seguito dal suo compagno. L'imboccatura del passaggio coperto che conduceva alla casa si aprì davanti a loro come una caverna. «Hai riconosciuto quei due, vero?» sussurrò a Tom. «Già, il marinaio e la ragazza che sono venuti da te stamattina. Che mi dici di loro?» «Potrei essere fantasioso come te, no? Il marinaio potrebbe essere il nostro "cattivo": una parlata gergale e l'accento di Londra si fa presto a contraffarli. Come mai gli permettono di passare tanto tempo a terra, se è quello che dice di essere? Confesso però di non sapere come si regolano sulle navi alla fonda.» «E io sono stanco di teorie. Siamo arrivati.» «Già. Attenzione!» La lanterna si stava già riscaldando. Macrae ne aprì lo sportellino, appena uno spiraglio. Il passaggio coperto, che puzzava di umidità e di vegetazione in disfacimento, dava su un cortile circondato da un giardino ridotto a una giungla. Da lì un'ampia scalinata dalla balaustra arrugginita saliva a una veranda che circondava tre lati della casa e su cui davano le stanze principali. Il tuono rombava sempre più vicino. Macrae diresse il fascio di luce verso le scale. Lui e il suo compagno parlarono con voce bassa ma carica di emozione. «Se la casa è chiusa...» cominciò Macrae. «Se la casa è chiusa, romperemo una finestra» fece Tom. «Non è la prima volta che succede qui. E se qualcuno tenta di fare scherzi...» Alzò il pesante bastone, mentre cominciava a salire le scale. «Prudenza!» «Sono prudentissimo. Se qualcuno ci avesse seguiti, starà attento... Sarà facile entrare» aggiunse subito. «Ecco, qui c'è una porta-finestra ed è aperta. Guarda, non scricchiola nemmeno. Però c'è un mucchio di polvere. Vieni, su!» La porta-finestra dava su un atrio molto spazioso, in fondo al quale una scala saliva con una graziosa curva al piano superiore. Vi si aprivano le porte di parecchie stanze. Macrae fece strada con la sua lanterna, e i due cominciarono la loro esplorazione. Nessuna delle finestre era chiusa, ma molte avevano vetri rotti. Le stanze, vaste, dal pavimento di legno e le tappezzerie satinate, non mostravano
segni di danneggiamento se non quelli provocati dalla negligenza e dall'abbandono. Le pareti erano macchiate dall'umidità, le dorature annerite; i pendenti di cristallo dei lampadari erano appannati dalla polvere e fitte ragnatele pendevano dappertutto. Mobili non ce n'erano, a parte un tavolino dal ripiano di marmo incrinato, sperduto in quello che doveva essere stato il salone. Durante il loro giro non trovarono segni di vita; solo, due o tre volte, un topo impaurito corse a nascondersi al loro apparire. Eppure, tornando nell'atrio, i due intrusi sentivano pesare su di loro una cupa oppressione. «Dimmi pure che sono matto o superstizioso, ma non mi piace l'atmosfera di questa dannata casa» brontolò Tom. «Eppure non dovrebbe essere così opprimente, no? Visto che non vi sono stati commessi atti di violenza...» «Almeno in un'occasione, quando la folla la saccheggiò nel '34, atti di violenza ce ne furono fin troppi, e possono aver lasciato la loro traccia. Ma mi chiedevo...» «Cosa?» «Se qualcuno l'ha usata come rifugio. Ma non può essere. Guarda, ecco le nostre tracce nella polvere, e non ce ne sono altre, a parte quelle dei topi.» «Aspetta!» Tom si era allontanato un poco. «Qui ci sono parecchie orme confuse, e non sono le nostre! Vanno... ecco, fammi luce... vanno verso le scale. Vieni, saliamo!» Salendo la scalinata, osservarono che qualcuno aveva lasciato una doppia fila di orme, andando e venendo; ma erano così confuse che non sarebbe stato possibile studiarle o misurarle. La scala, ancora straordinariamente solida, sboccava in un corridoio sul quale davano le camere da letto. Lì, al secondo piano della casa, l'oppressione che pesava nell'atmosfera si era fatta così densa da parere quasi tangibile. Macrae si sentiva la testa leggera e le gambe tremanti. Dinanzi al pianerottolo c'era una porta spalancata; dava in quella che doveva essere la stanza da letto padronale. Lui non ebbe bisogno della sua lanterna per vederne le finestre rotte e la tappezzeria bianca e argento rigonfia e lacerata dall'umidità. Un lampo sbiancò il cielo al di là delle finestre, e il rombo del tuono rotolò sui tetti. Con Tom alle calcagna, Macrae entrò nella stanza e fece scorrere il raggio della lanterna all'intorno. «L'abbiamo trovato, eh?» sussurrò Tom.
Su una parete bianca e argento, quella dove si apriva la porta, erano stati tracciati dei goffi disegni con un pezzo di carbone. Nel primo, sotto le iniziali H.R., si vedeva abbozzato un seggio da giudice e, dietro, il giudice stesso, con la sua toga nera, pendeva impiccato da una forca. A destra, sotto le iniziali G.S., c'era una specie di banco con pile di monete ammucchiate sopra e una figura enormemente grassa pendeva pure da una forca, appesa per il collo. I disegni erano così elementari che parevano fatti da un bambino; ma i due che li guardavano sapevano che non era stata la mano di un bambino a tracciarli. La voce di Tom si udì appena. «Non è difficile raffigurare un giudice e un banchiere. Ma se H.R. significa Horace Rutherford e G.S. George Stoneman, che avvertimento ci vogliono dare questi due schizzi? G.S. è già morto o solo minacciato?» «Come facciamo a saperlo?» «Dick, che ora è?» Macrae tirò fuori l'orologio e lo aprì. «Le undici e dieci. Ma non importa più.» «Non importa più?» «Non verrà nessuno stanotte, Tom. Volevano solo che noi trovassimo i disegni. Chiunque li abbia fatti dev'essere venuto presto, per evitare il rischio di farsi sorprendere, li ha tracciati, ha lasciato delle orme che non possiamo seguire e se n'è andato.» Ci fu una pausa. Poi Tom parlò con le labbra a contatto dell'orecchio del compagno. «Dick, spegni la lanterna e non muoverti!» La stanza sprofondò nell'oscurità. Macrae mormorò: «Che c'è?». «Ti sbagliavi, Dick. Qualcuno è qui, o ci ha seguiti. L'ho sentito per le scale e credo che sia arrivato alla porta.» «Un uomo, dici? Potrebbe essere una donna.» «No, non con quel passo. E il dannato burlone che viene a farsi una risata, ma gliela farò vedere io. Sta' qui fermo, io mi avvicino alla porta. Conto fino a venti e poi carico.» «Tom, non fare sciocchezze...» «Come sciocchezze? È l'unica cosa da fare. Fermo!» «Tom...» Nessuna risposta. L'oscurità premeva su di lui come una cappa. Macrae passò la lanterna che scottava da una mano all'altra e cominciò a contare anche lui: uno, due, tre, quattro, cinque, sei...
Non era arrivato a sette quando la situazione precipitò. Un breve lampo accecante illuminò di nuovo le finestre. In quel breve bagliore Macrae riconobbe, o credette di riconoscere, l'uomo ritto sulla soglia; ma Tom, che dava le spalle alla scala, ne fu abbacinato. Non c'era tempo di prevenirlo, e del resto era già in movimento. Al di sopra del rombo del tuono e dello scroscio improvviso della pioggia, Macrae sentì il rumore del bastone che si abbatteva a tutta forza su un cappello e un cranio. Un corpo pesante cadde all'indietro e rotolò giù per la scala, destando echi in ogni angolo della casa. Macrae uscì in fretta nel corridoio, aprendo la lanterna; ma ne diresse il raggio in su invece che in giù. «Preso!» gridò Tom giubilante. «Abbiamo preso quel demonio assassino! Dirigi la luce su di lui, Dick, vediamo chi è. Adesso che facciamo?» Ma Macrae non aveva bisogno di luce per riconoscere l'uomo che giaceva supino ai piedi della scala respirando rumorosamente, gli avanzi di un cappello schiacciato sui capelli rossi. Si volse a Tom con aria per metà indulgente e per metà sardonica. «Già» disse. «Ora che hai così valorosamente messo fuori combattimento il poliziotto che ci seguiva per proteggerci, che facciamo?» 17 Il sergente Timothy O'Shea, seduto con la schiena contro la parete dell'atrio, alzò gli occhi arrossati, sollevò un pugno e parlò all'invisibile soffitto. «Su, signori, su, non c'è bisogno di farla tanto lunga! Non sono arrabbiato, non sono arrabbiato, quante volte ve lo devo ripetere? È stato un errore, signor Clayton. Ne ho fatti tanti io in vita mia! E poi questo biglietto da venti dollari che mi trovo misteriosamente nel taschino del panciotto...» «Non è un tentativo di corruzione» fece Tom. «Lo so, lo so. E non sono tanto superbo da rifiutarlo. È più che abbastanza per comprare un cappello nuovo, visto che in questa faccenda i cappelli rovinati abbondano. Signor Macrae, se mi vuole togliere questa luce dagli occhi...» Macrae spostò il raggio della lanterna. «È stato il cappello che l'ha salvata da una brutta frattura» disse. «Ha assorbito la forza del colpo. Ma c'è voluta mezz'ora e più per farla rinvenire, e ora è quasi mezzanotte. Il signor Clayton è uscito a comprare la bottiglia di brandy che troverà nella giacca...»
«Grazie anche di questo, signori!» «Ma dica, stava proprio facendo quello che ha detto? Ci ha seguiti per proteggerci?» «I santi ci aiutino! Di che protezione credete di aver bisogno, voi due? No, il fatto è che stasera ho incontrato il signor Clayton, come sa. Un perfetto gentiluomo, il signor Clayton, ma fra tutte le creature di Dio non è certo la più astuta né la più capace di mantenere un segreto. Così mi dico: "Tim, qui c'è sotto qualcosa". Mi sono consigliato con il signor Benjamin e sono stato di guardia davanti ad Arnaud finché non siete usciti.» «Si è consigliato con Benjamin?» ripeté Tom. «Dunque Benjie è invischiato anche in questo?» «Fino al collo, signore. È qui vicino, e gradirà scambiare una parola con voi prima che faccia giorno.» «Avremmo dovuto dirglielo!» brontolò Tom. «Avremmo dovuto dirgli tutto oggi pomeriggio!» Fece quindi al sergente un'esatta narrazione della loro avventura, cominciando da ciò che l'aveva causata la notte precedente e concludendo con la scoperta dei disegni sul muro. La pioggia picchiettava ancora sul tetto e sulle finestre, ma con meno furia: il temporale si stava allontanando. Il sergente O'Shea si alzò in piedi, sostenendosi alla parete. «Ora, signore, il signor Macrae ha ragione» osservò. «Nessuno verrà qui stanotte; erano i disegni che volevano farvi vedere. E per il resto, rassicuratevi! Il presidente della Planters' & Southern Bank è una testa dura e ha i calli sulla coscienza, ma sta bene, e continuerà a star bene, grazie a Dio, a dispetto del fatto che ha voluto per forza riparare il tetto di casa con le sue mani, grasso com'è, perché dice che i negri non sono buoni a niente. E così...» «Sergente» disse Tom, vedendolo barcollare «ha preso un brutto colpo, e le chiedo ancora scusa. Se la prenda calma.» «Oh, mi serve solo un sorsetto di brandy per riprendere forza... ecco, così va meglio. Adesso vado su a vedere il capolavoro, e poi...» «L'accompagnamo da un medico?» «Medico? Che ci fa con un medico Tim O'Shea, che una volta si è battuto per venti rounds con lo Scotennatore di Bristol? No, signor Macrae, la lanterna non mi serve, ho i miei fiammiferi. Torno fra un minuto.» Ondeggiante sulle gambe ma indomito, il poliziotto salì le scale. Tornò dopo qualche istante, con la bottiglia ancora in mano e la faccia raggiante di benevolenza.
«La pioggia è cessata e fuori ho il calessino. Col vostro permesso, e per essere in regola, aspettiamo finché suona mezzanotte. Così Papa Là-bas avrà la possibilità di mostrare il suo grugno, ma non lo farà. Poi partiamo trionfanti e andiamo dal senatore.» «Dov'è, a proposito?» «In una delle stanze superiori del Gem Saloon, in fondo a Royal Street.» «Judah P. Benjamin in un saloon?» «Mica è un comune saloon, è un luogo d'interesse storico. Fu lì che nel '57 fu organizzata la prima fiaccolata per il carnevale, sapete? Non vedo che male ci sia se il senatore lo frequenta. Ah, ricordate che per tutta la giornata ha insistito su una certa domanda che doveva fare al signor Barnaby Jeffers?» «Ebbene?» «L'ha visto e gliel'ha fatta; e ha ricevuto una risposta che forse vi sorprenderà. Vedrete!» Pochi minuti dopo, mentre nell'aria svanivano gli ultimi rintocchi della mezzanotte, uscirono dalla casa. Il calessino del sergente aspettava nel passaggio coperto, dove il cavallo era stato al riparo dalla pioggia. Vi si accalcarono. Royal Street era mezzo allagata, e davanti al Gem Saloon c'erano grosse pozzanghere. I tre scesero, e stavano per entrare, col sergente in testa, quando dinanzi a loro si parò Barnaby Jeffers seguito da un tizio alto e magro, dalla faccia triste. «Signore!» lo salutò il sergente O'Shea. «L'ho già visto prima qui. Non sapevo che fosse rimasto.» «In verità, sergente» rispose Jeffers, che era sbronzo ma ancora lucido «non sono rimasto. Ho visitato diversi altri luoghi di ristoro e sono rientrato qui un momento trovandomici a passare.» Si aggiustò gli occhiali sul naso e indicò il suo compagno. «L'agente Fiala e io ce la siamo spassata per tutto il giorno, e faremo lo stesso per tutta la notte. Io gli ho insegnato a giocare a cribbage, e lui mi ha insegnato a giocare a ramino. Al primo gli ho vinto una certa somma che lui poi mi ha più che rivinta al secondo. L'agente Fiala rimarrà con me finché la polizia non avrà snidato la sua preda. Adesso andiamo a rinfrescarci un poco al St. Charles Hotel. Poi via a casa a giocare qualche altra partita.» «Il senatore Benjamin è ancora qui, signore?» Il sergente indicò col dito il piano superiore. «Certo che c'è; pare che vi abbia messo le radici. Buona notte, allora,
sergente; buona notte, Tom. E buona notte a lei, signor Macrae; le carte le aveva, ma non ha saputo leggerle!» Lo storico si avviò verso Canal Street, con l'agente Fiala che gli trottava accanto. «Cosa voleva dire?» chiese Macrae, mentre attraversavano il bar. «Che carte avevo?» «Oh, non lo domandi a me; glielo dirà il senatore Benjamin!» Macrae tacque. Nel retro del bar c'era una scala che portava al piano di sopra. La salirono e si trovarono in un corridoio sul quale si aprivano diverse porte. La prima a destra era aperta e sulla soglia, leggermente inclinato in avanti come se si rivolgesse a qualcuno che era dentro, c'era un omone in abito da sera, ma con un ricciolo da barista sulla fronte. Si rizzò e fece un passo indietro sentendo avvicinarsi i tre. I becchi a gas emettevano un sibilo sommesso. Nella stanza imbiancata a calce, dal soffitto basso, contenente una lunga tavola e parecchie poltroncine, sedeva il senatore Benjamin. Davanti a lui, sul tavolo, c'era una complicata casa di carte. I resti di due mazzi stavano sparpagliati attorno, e vicino alla mano del senatore c'era un bicchiere con un avanzo di liquido scuro. Il senatore si alzò e s'inchinò quando li vide entrare. «Questo cocktail si chiama Sazerac» annunciò, rivolto a Macrae, e indicando il bicchiere. «È anzi l'antenato di tutti i cocktails: brandy, zucchero e un poco di amaro, il tutto ben ghiacciato. Signor Daniels!» L'omone entrò e venne presentato come il signor John Daniels, uno dei due proprietari del Gem. Il senatore tornò a indicare il bicchiere e chiese: «Possiamo averne altri tre? No, facciamo quattro: questo è quasi finito. Quattro, allora?» «Con piacere, senatore. Glieli manderò subito.» «E, signor Daniels, quel giocatore di cui mi parlava...» «Nat Rumbold? Deve aver avuto dei guai: qualcuno gli ha rotto un polso. E senz'altro qualcosa gli pesa, ma non si tratta certamente di perdite al gioco.» «Pensa di no?» «Ne sono sicuro. È ubriaco fradicio e sta smaltendo la sbronza in uno degli stanzini qui sopra; da mezzogiorno in poi non ha mai smesso di bere. Di solito non incoraggiamo certe abitudini dei clienti, ma lui spende liberamente e non ha mai dato fastidi, così lo lasciamo dormire qui.»
«Pensa che potrei parlargli?» «Non le direbbe nulla di sensato. Del resto, anche prima che si ubriacasse completamente, diceva solo che doveva ripartire domani mattina col "Governor Roman". E blaterava qualcosa circa certa tintura per capelli. A parer mio...» «Bene, bene; lasciamolo dormire.» «Le mando subito i cocktails, senatore!» Mentre Jack Daniels si ritirava, il senatore si rivolse ai tre compagni. «Accomodatevi e mettetevi a vostro agio. Siamo quasi pronti a piombare sulla nostra preda, come direbbe Barnaby Jeffers, ma ancora c'è molto da chiarire. E mi pare di vedere intorno alle vostre teste l'alone dell'avventura.» «Possiamo anche chiamarla avventura, ma forse sarebbe meglio qualche termine meno educato» rispose Macrae. «Tom pensa che avremmo dovuto dirle tutto questo pomeriggio, e ha ragione. Ora le raccontiamo.» E fece a sua volta la stessa narrazione che Tom aveva fatta al sergente O'Shea, non dimenticando la sfida di Papa Là-bas e il serpente morto, chiare evidenze del Vudu all'opera. Il senatore lo ascoltava attento, lisciandosi i favoriti. «Ogni passo di questa sciagurata faccenda» commentò «manca completamente di quella dignità che non dovrebbe mai dissociarsi dai grandi delitti.» Guardò preoccupato il sergente. «Ma non è successo niente di grave, almeno? Sta bene, sergente?» «Come un papa» rispose l'altro, appollaiato su un angolo del tavolo. «Lo rifarei anche, signore, a venti dollari a botta più una bottiglia di brandy che mi permetterò di assaggiare prima che arrivino i cocktails. Alla sua salute, signore!» «Anch'io ho avuto una piccola avventura.» «Lei, senatore?» chiese Macrae. «Ma il signor Jeffers ci ha detto che non si è mosso di qui!» «Lui non lo sapeva. Quando mi ha lasciato, per andare a bere altrove, sono rimasto per un po' a riflettere e poi ho fatto quel che mi sembrava di dover fare. Ho chiamato una carrozza e mi son fatto portare a casa di Marie Laveau, in St. Ann Street.» Tom intervenne. «Bene, signore! Bene! Le ha messo in corpo un poco di timor di Dio?» «No, Tom, per il momento non ho intenzione d'intimorire nessuno. Ho visitato quella casa, molto di malavoglia (che direbbero i miei clienti?), so-
lo per domandare, ascoltare e osservare.» «Ebbene, signore?» «Non ho visto Marie junior. Dopo qualche difficoltà con la ragazza mulatta che mi ha aperto, sono riuscito a farmi ricevere dalla celebre madre, a parer mio di gran lunga più scaltra della figlia. Mentre entravo, ho visto che nascondeva certi documenti tra i cuscini della poltrona sulla quale sedeva. Non è più tanto bella come da giovane, ma appare piena di salute; e non ha perso nulla della sua agilità di mente. «Veramente non mi aspettavo di vedere la figlia. Mentre andavo in quella casa, giurerei di aver visto... ma non importa. Non mi sono trattenuto nemmeno un'ora. L'importante è questo: non sapremo nulla di utile da Marie senior, la cui personalità è ancora fortissima nonostante la vecchiaia. Anche quando la trappola sarà scattata e la preda catturata, lei dirà alla polizia ciò che le sembrerà opportuno e niente di più. Lei...» Lo interruppe un cameriere che entrava con i quattro Sazerac. Stavano giusto alzando i bicchieri per brindare, quando si precipitò dentro Jules de Sancerre in abito da sera. Aveva l'aria eccitata. «Allora, hai ricevuto il messaggio che ti ho mandato per mezzo di Michael?» chiese il senatore Benjamin. «Pensavo che anche tu dovessi ascoltare quanto ho da dire.» Jules de Sancerre depose il cappello a un'estremità del tavolo, dove anche gli altri avevano deposto i loro, tranne il sergente che non l'aveva. «L'ho ricevuto, sì, ma non è questa la ragione per cui mi trovo qui» rispose il piccolo creolo. La sua voce si alzò. «Tom, sai dove sia andata Margot?» «Margot?» sobbalzò Tom, sorbendo qualche goccia del cocktail. «Per amor del cielo, signore, non sarà per caso scomparsa un'altra volta?» «No, non è scomparsa. Ma è uscita senza dirci niente, e non sappiamo dove sia andata e perché.» «Ma se ha detto che sarebbe rimasta in casa! Dopo tutti i guai di giovedì notte, ha detto che non voleva più uscire. Con Ursula ha fatto una tiritera che non finiva mai, a questo proposito, non ricordate? Dopo essersi lasciata andare ad ammettere col senatore che conosceva davvero la figlia di Marie Laveau...» «Si è lasciata andare? L'ha ammesso?» smaniò il padre di Margot. «Ha ammesso di conoscere quella maledetta donna? Maledizione, Tom! Se ne è vantata! Ce l'ha buttato in faccia! Ecco il guaio! «Io sono un uomo paziente. Non disapprovo i giovani, purché si limitino
a comportarsi male e a fare quello che non dovrebbero fare, il che è perfettamente naturale e ragionevole. Ma mi fanno paura, e mi fanno infuriare, quando pensano di avere un principio da difendere o una causa persa da patrocinare. Perché allora non ascoltano ragione. La prendono per una sacra crociata da combattere finché il mondo intero non affoga nel sangue, per quello che gliene importa. Sono come gli abolizionisti; anzi sono peggio, ammesso che possa esserci qualcosa di peggio di un abolizionista. Che ne dici, Benjie?» «Gli abolizionisti non sono certo le mie anime gemelle, Jules. Eppure, anche se non agiranno attivamente per risolvere la questione, verrà il momento in cui concorderemo con loro di nostra spontanea volontà.» «Che dici, Benjie? Sei pazzo?» «Vecchio amico» disse il senatore con accento disarmante «già ho tante seccature con la politica in Senato che ho giurato di non volerne mai sentir parlare al di fuori. E poi, non stavamo parlando di politica, se te ne ricordi, ma di tua figlia e di come ha idealizzato Marie Laveau junior, la qual cosa...» «La qual cosa» interruppe Jules de Sancerre «mi preoccupa moltissimo, e ha fatto quasi venire un altro attacco isterico a sua madre. È per questo che è uscita stasera? Odio doverlo pensare, ma non so che altro pensare. Lei aveva detto che sarebbe rimasta a casa, e noi avevamo proibito a Cicero di accompagnarla. Ma e riuscita a persuadere Hezekiah, che è il secondo cocchiere, e se n'è andata nel solito maledetto carrozzino, quello vero stavolta, che le piace tanto.» «Quando è uscita, signore?» chiese Tom. «Circa un'ora dopo cena, a quanto abbiamo potuto stabilire. Gli Ede sono in città e la mia prima idea è stata di mandare qualcuno a Louisiana Avenue a vedere se Margot era lì, ma mia moglie sembrava pensare...» «Gli Ede non sono in città stasera, signore. Sono invitati a cena fuori, parecchio lontano, come può dirle Dick. Comunque, cosa possiamo fare?» Il senatore Benjamin aveva assunto un'aria grave. «Questa nuova scomparsa di Margot può essere preoccupante» disse «specie perché... ma lasciamo andare! Tom, non mi pare che ci sia molto che possiamo fare al momento. Jules, prima che tu arrivassi stavo per spiegare qualcosa ai nostri amici. La fine del caso è in vista, e volevo chiarire un malinteso che può avere grande importanza nel favorire la soluzione del mistero centrale. Puoi sederti e ascoltare con loro?» «Francamente no. Non riesco a star fermo.»
Jules de Sancerre acciuffò il cappello e se lo calcò in testa. Quindi si precipitò alla porta, dove rimase per un momento a tormentarsi la barbetta imperiale. «Devo andare da qualche parte» annunciò «anche se non so dove. Che bella confessione, da parte di uno della mia età e dignità, eh? Ma quando s'insinua che proprio Margot, con la sua alleata sacerdotessa del Vudu, può avere a che fare con questa diavoleria...» «Chi ha fatto una simile insinuazione?» «Mi limiterò a dire che la cosa è venuta fuori in una di quelle riunioni di famiglia in cui tutti strillano e nessuno ragiona» ribatté l'altro. «Ne sono più che preoccupato; ne sono atterrito! Ma come posso tenere a bada i miei pensieri? E come posso lagnarmi dei nervi di mia moglie, quando i miei non sono in uno stato migliore? Perciò me ne vado: a casa a sbronzarmi o al diavolo, non importa. Buona notte.» La porta si chiuse dietro di lui. Tom Clayton bevve tutto d'un fiato ciò che rimaneva del suo Sazerac e puntò il bicchiere vuoto verso ognuno dei suoi compagni uno dopo l'altro. «Alcuni di noi, stasera, hanno provato a immaginare le più grottesche soluzioni per il nostro problema. Ci ho provato io, ci ha provato Dick; ora è il turno di papà de Sancerre. Margot che si lascia invischiare in un complotto Vudu e in un delitto? Dimmi, Dick: puoi immaginare nulla di più pazzesco?» «Io preferirei immaginare qualcosa di ragionevole, tanto per cambiare» rispose Macrae. «Senatore, ha detto che voleva chiarire un malinteso che pare abbia finora impedito i nostri progressi. Chi è l'autore di questo malinteso?» «Lei» disse Judah P. Benjamin. «Io?» «Era naturale che lei s'ingannasse, ma non si può negare che lo abbia fatto. Delle pratiche Vudu io ho una conoscenza scarsa e incompleta; avevo bisogno di rifarmi alla mente enciclopedica di Barnaby Jeffers. Lui mi ha fatto capire come sta veramente la faccenda. Si concentri. Questa persecuzione, o presunta tale, alla quale è stato assoggettato per qualche tempo da parte di quelli del Vudu...» «Presunta tale?» «Già. Ha pensato che una delle due Marie avesse inviato uno o più agenti a spiarla e a tormentarla con le azioni che sappiamo. Ma è più che probabile che tali agenti vadano cercati nella sua stessa casa. Lei ha come ser-
vitori due mulatti che si chiamano Sam e Tibby. Ma il loro cognome non è Glapion?» «Sì.» «Non è un cognome molto comune. Ho riletto sulle note prese ieri il nome dell'uomo che per quasi trent'anni è stato il marito derrière l'église di Marie Laveau senior.» L'indice del senatore si alzò. «Quell'uomo morì in odore di santità il 26 giugno 1855. E si chiamava Christophe Glapion.» Macrae spalancò gli occhi. «Sta forse insinuando che Sam e Tibby...» balbettò. «Sam, probabilmente. E credo che Tibby lo sappia, ma non sia attivamente complice. Sam è analfabeta e sembra un allegrone spensierato, ma non deve sottovalutarlo. Mi sembra incredulo e scandalizzato come il nostro amico de Sancerre quando gli ho suggerito di cercare influenze Vudu nella sua casa. Ora ha capito?» «Ma cosa dovrei capire?» «Non ha approfondito i motivi della persecuzione. Io stesso le accennai qualcosa del genere. Posso fare un caso ipotetico?» «Ma certo.» Gli occhi del senatore erano perduti lontano. «Supponiamo che io abbia un cliente che temo possa essere in pericolo. Per proteggerlo, senza che lui lo sappia, ingaggio una guardia del corpo. Questa persona deve stargli vicino, quindi è ragionevole che io scelga un membro della sua stessa servitù. La guardia del corpo deve tener d'occhio il mio cliente, seguirlo, accertarsi che non gli succeda niente e, a casa, comportarsi da servitore innocente e ignaro. «Ma il mio cliente, con tutta probabilità, cosa crederà? Lui non conosce le mie motivazioni e quelle della sua guardia. Lui è consapevole solo dell'occhio che lo spia, del passo che lo segue, della presenza elusiva che lo assilla. Cosa può pensare, se non che è vittima di una maligna persecuzione? La sensazione che lei ha avuto, che mi ha descritta, ricorda? Ma si sbagliava. «Ieri sera avevo già pensato a questo, ma non potevo asserire nulla di preciso: mi mancavano le informazioni necessarie. Barnaby Jeffers me le ha fornite.» Il senatore posò il bicchiere sul tavolo e si alzò in piedi. «Ricordi anche questo, che ho già detto. Il potere del Vudu non viene sempre usato per maledire oppure per distruggere. Può venire usato per difendere e per benedire, anche se si tratta di benedizioni impartite con la
mano sinistra, e con mezzi che sembrano l'esatto contrario di ciò che sono. Così si comportano gli adoratori del dio-serpente, e così si sono comportati nel caso suo. «Può star tranquillo, signore. Il suo servo Sam è realmente un servo fedele e devoto. Ma riceveva le istruzioni da quella casa in St. Ann Street, e ha agito come si conveniva a un adepto del Vudu. Pure, quella gente non si sognava nemmeno di mostrarlesi nemica: al contrario, stava segnalando, più chiaramente che poteva, e di fronte a tutti, che lei era sotto la loro protezione e che le auguravano ogni bene. Le azioni di Sam non avevano nulla di minaccioso, e non tendevano a farle paura. Insomma, quelli del Vudu stavano dicendo, nell'unico modo che sanno: "Che quest'uomo cammini nella pace di Papa Là-bas, e che la sua casa sia benedetta".» 18 «Dunque, si davano tanto da fare nel mio interesse, lei dice?» «Penso di poterlo dimostrare. Non dimentichi la benedizione a rovescio.» «Non è solo la benedizione che sembra a rovescio» osservò Macrae «ma anche tutto il resto. Era forse un simbolo di protezione il gettare una dannata giara da acqua attraverso la finestra del mio ufficio?» Il senatore Benjamin tirò fuori l'astuccio dei sigari. «Una giara di quel tipo di solito si usa per raccogliere acqua piovana, già. Ma, secondo Barnaby Jeffers, funge anche da calice sacro nei riti Vudu. Certo, gliel'hanno fatta pervenire in modo alquanto brutale, ma ricordi che nel Vudu c'è molto di selvaggio. E non sarebbe stato il caso che Sam entrasse da lei e gliela consegnasse solennemente. Ma mi pare che lei sia ancora perplesso a tale proposito...» «Certo che sono perplesso!» Il senatore diede un morso a un'estremità del sigaro, lo accese a uno dei becchi a gas, tornò a sedere e guardò la casa di carte sul tavolo, prima di rivolgersi di nuovo a Macrae. «Io ero presente mercoledì notte» riprese «quindi posso spiegarle. In realtà, perché c'impressionammo tanto quando il sacro vaso entrò dalla finestra? A causa del fatto che quel giovane marinaio, per una strana coincidenza, ci stava facendo il suo racconto della testa recisa. Le finestre erano chiuse, perciò era impossibile che qualcuno, stando nel mezzo del cortile per prepararsi al lancio, sentisse il nostro discorso. E se ancora pensa che
si trattasse di un gesto maligno anziché benevolo, pensi alle finestre.» «Le finestre?» «Già. Se la giara fosse stata lanciata attraverso quella di destra, avrebbe rovesciato la lampada e forse appiccato il fuoco alla casa. Ma Sam scelse quella di sinistra, dietro la quale non c'è niente, e così non fece altro danno che quello, trascurabile, di un vetro rotto.» Macrae rifletté. «Senza dubbio l'argomento non manca di consistenza, in un certo suo strano modo. Ma la cosa culminò nel serpente morto che fu lasciato sulla mia scrivania, e in questo io certamente vedo malizia e tentativo d'intimidazione, no?» «Al contrario. Per quella gente il serpente è un simbolo religioso; il simbolo religioso per eccellenza, anzi. Ai loro occhi il Vudu è un'autentica religione, quindi non avrebbero mai usato un serpente a fini di minaccia; non più di quanto un cristiano userebbe la croce. La stavano ancora benedicendo.» «Spero che mi scuserà se aggiungo qualcosa anch'io» s'interpose Tom Clayton. «Stavano benedicendolo anche quando gli lasciarono quel biglietto, scritto in francese e firmato Papa Là-bas, sfidandolo ad andare in quella casa? Sam parla francese, ma è analfabeta. Non è stato lui a scrivere quel messaggio, no?» Il senatore Benjamin contemplò ancora la casa di carte. «Naturalmente no, Tom. Sam non ha scritto né quel messaggio, né gli altri: l'ha semplicemente portato al consolato. I messaggi partivano dalla mente direttiva in St. Ann Street, che ha abbastanza adepti da inviare messaggi a mezza New Orleans. «Ma quello di Macrae conteneva proprio una sfida? Chiedetevi cos'è veramente accaduto. In quella casa non avete incontrato Papa Là-bas, non avete incontrato nessuno. Avete solo trovato un paio di disegni a carbone: uno del giudice Rutherford, che è morto; l'altro del signor George Stoneman, che per quanto ne sappiamo è vivissimo. Sergente O'Shea! Ha detto, credo, che al signor Stoneman non è successo nulla, vero?» Con un grugnito, il sergente scivolò giù dal tavolo e si lasciò cadere in una poltroncina dove, avendo già da parecchio finito il cocktail, procedette a rinfrescarsi la gola con un'altra sorsata dalla bottiglia. «L'ho detto, signore, e così è! L'ultima volta che l'ho visto almeno, prima che facesse buio, crepava di salute e anche di petulanza, perché aveva dovuto smettere di fare un certo suo lavoro di riparazione dove avrebbe potu-
to facilmente rimetterci la pelle anche senza l'intervento di terzi. Ci crederebbe, dica, che un bisbetico come il signor Stoneman abbia quattro figli, tutti sposati, che vivono con lui e se lo coccolano e gli stanno intorno come se fosse la statua della Vergine? Nessun nemico lo potrebbe raggiungere, per la semplice ragione che nessun nemico gli si potrebbe avvicinare! «Ai due signori qui non ho detto quasi niente di quello che ha in mente. Ho detto solo al signor Macrae che ciò che aveva saputo dal signor Jeffers lo avrebbe meravigliato: cioè che la gente del Vudu stava dalla sua parte.» Guardò Macrae. «E l'ha meravigliata davvero, no, signore?» Macrae si sentiva piuttosto scosso. «Sì, mi ha sorpreso molto. Ma, anche accettando la contorta logica di costoro, che diavolo stanno facendo e perché lo stanno facendo? «Ascolti, senatore, lei ha parlato di "protezione" come se per qualche motivo ne avessi bisogno. Prima le avevo chiesto perché mai qualcuno avrebbe dovuto perseguitarmi. Ora le chiedo: perché è stato messo in atto questo complotto Vudu per proteggermi? E per proteggermi da che?» «Ricordi il messaggio sottinteso che le ho suggerito» disse il senatore, fumando con aria assorta. «"Che quest'uomo cammini nella pace di Papa Là-bas, e che la sua casa sia benedetta."» «E questo dovrebbe significare qualcosa? E può condurci finalmente alla soluzione del mistero?» «È di grande aiuto, mi creda. Proprio non vede la risposta alla domanda del perché la stiano proteggendo?» «Assolutamente no.» «Eppure la risposta l'abbiamo davanti agli occhi. Quando saremo arrivati alla completa soluzione, capirà subito.» Ancora una volta Tom s'introdusse nella conversazione. «Quando saremo arrivati alla completa soluzione» intonò «io sarò caduto in uno stato morboso dal quale vedrò simbolismi da ogni parte. Sire Oracolo, non fa che guardare quella casa di carte come se l'interessasse moltissimo. Ora tra noi c'è un assassino...» L'oracolo non fece commenti. «E lei, assistito dal sergente, sta cercando di metterlo in trappola. Ma sembra scontento. Forse la casa di carte rappresenta il piano di cattura che ha elaborato, un piano che il più lieve soffio può far crollare?» Il senatore studiò la casa di carte. «Non è il mio piano che rappresenta» rispose. «Rappresenta piuttosto quello del mio avversario.»
«Del suo avversario?» «C'è davvero un assassino tra noi, l'hai detto. Con grande astuzia e infinita pazienza ha costruito un edificio elaborato e complicato come questa casa di carte, ma altrettanto fragile. È questo il guaio con schemi di simile tipo. Non sono abbastanza consistenti per ripagare della fatica che esigono; la fragilità resta, anche se non viene notata e il colpevole si salva. «Su un edificio di tal genere l'assassino ha giocato tutto, compresa la sua stessa vita. Un complotto Vudu cerca di favorire la sua vittoria. No, Tom, non sono contento di quello che devo fare. L'assassino è un malvagio, non merita misericordia né pietà. Eppure non sono contento. Come uomo di princìpi umanitari, o forse solamente debole di nervi...» «Debole di nervi?» esplose Tom. «Debole di nervi, santo cielo?» «Temo di sì. Non puoi capirmi?» «Se la capisco? Diamine, Maestro, è l'unica cosa che posso capire! I miei nervi sono in uno stato di cui è meglio non parlare. Stanotte Margot è uscita un'altra volta, e qualcosa mi dice che è con Marie Laveau junior. E io ho una visione che mi perseguita come un incubo: Marie Laveau e Margot, nella casa di Delphine Lalaurie, intente a tracciare due disegni a carbone su una parete. Oh, Dick, se Margot...» Non poté finire. Il grosso Jack Daniels entrò, dopo aver discretamente bussato alla porta, e andò dritto verso il console di Sua Maestà Britannica. «Mi scusi» disse «ma potrebbe scendere un momento? Una signora la cerca; una signora giovane e molto bella, in una piccola carrozza nera. Non può entrare, naturalmente, ma è ansiosa di vederla.» Macrae si sentiva la testa confusa. Una signora giovane e molto bella? In una piccola carrozza nera? «Vuole vedere me?» chiese. «È certo di non sbagliarsi? Ha inteso bene il nome?» «Si chiama Macrae, no? Siamo stati presentati.» «Certo, ma...» «Mia madre era scozzese, e i nomi scozzesi non li dimentico. Allora?» «Va', Dick» consigliò Tom. «Credo proprio che sia Margot. Non capisco cosa voglia da te, ma sii prudente. La faccenda si fa sempre più oscura, e con un assassinio già avvenuto...» «Quanto a me» interloquì il senatore Benjamin «mi preoccupo assai più dell'assassinio di cui ancora non sappiamo nulla.» «Vuole dire quello del signor Stoneman, signore?» gridò il sergente O'Shea. «Pensa che sia stato ucciso anche lui?»
«Oh, no. L'assassinio di cui parlo dovrebbe essere evidente. Ho già dato certe istruzioni.» Si volse a Macrae. «Ma Tom ha ragione, deve andare.» Macrae acciuffò il suo cappello e uscì quasi di corsa. Il bar di sotto era parecchio affollato. La strada era avvolta da una nebbia leggera che rendeva sfumati, senza velarli, i contorni di molti veicoli, compreso il calessino del sergente O'Shea. La carrozza che cercava era l'ultima della fila, e aveva a cassetta un giovane cocchiere. L'aveva quasi raggiunta, quando si arrestò. Le ruote non erano rosse: erano dipinte di marrone e giallo. Allora capì, e si sentì invadere da un'esultanza indicibile. Dal saloon veniva abbastanza luce. Vide la chioma fulva, il viso dalla preziosa carnagione biancodorata, gli occhi glauchi che si alzavano verso i suoi quando aprì lo sportello... «Sì, sono io» disse Ursula. «Ma non sei contento di vedermi? Sembri così attonito che...» «Sono contentissimo di vederti. Ma sono anche attonito. Vedi, quando mi hanno parlato di una carrozza nera, ho pensato... tutti abbiamo pensato...» «Che dovesse essere Margot? Ma sai, quasi tutti qui hanno carrozze come questa; anche noi ne abbiamo una. Margot è a casa, sana e salva. Stavolta la svergognata sono io.» «Perché dici così?» «Perché è vero. Ti ho seguito per tutta la serata. Tu e Tom eravate così misteriosi riguardo a quella vostra missione che... E c'era anche un'altra ragione.» «Ursula, ma tu dovevi essere lontana parecchie miglia, a casa dell'ex governatore Comesichiama. E invece sei qua. Che ne hai fatto della tua famiglia?» «Mi sono messa d'accordo con Margot prima di lasciare casa sua oggi pomeriggio. Poco prima che si partisse, lei mi ha mandato un biglietto in cui diceva che doveva vedermi subito, che non mancassi se mi stava a cuore la sua futura felicità. Mio padre si è seccato, ma ha detto che abbiamo dei doveri verso gli amici. «Così gli altri sono partiti nella calèche découverte, io ho preso questa carrozza e Eustace come cocchiere. Vedi, tu avevi detto che ti sarebbe piaciuto stare con me. E io, anche se non dovrei dirlo, desideravo altrettanto stare con te. Invece non mi è riuscito. E ho detto tutte quelle spaventose bugie ai miei... Sei arrabbiato con me?»
«Esattamente il contrario; ma...» «Ho aspettato a Carondelet Street e ti ho visto andare da Arnaud, dove Tom ti ha raggiunto; dopo un po' è arrivato quel poliziotto irlandese in calessino. Ha aspettato anche lui, ma io sono stata attenta a non farmi vedere. Quando tu e Tom siete usciti, l'irlandese vi seguiva e io seguivo lui. «Poi ho aspettato davanti a quella spaventosa casa. Si è messo a piovere, a un certo punto, ma la carrozza mi riparava. Ho supplicato Eustace di rifugiarsi sotto il passaggio coperto, dove il poliziotto aveva parcheggiato il calessino, ma lui aveva paura ad avvicinarsi alla casa. Ha detto che portava un'incerata e che non gl'importava della pioggia. «Si sono sentiti dei rumori all'interno, poi Tom è uscito ed è tornato indietro con una bottiglia. Avevo paura, non sapendo cosa fosse capitato. Ma non avevo il coraggio di entrare...» «Paura dei fantasmi?» «No, di te e di Tom. Ma poco dopo mezzanotte siete usciti tutti e tre e siete venuti qui. Così ho aspettato ancora... oh, non ho fatto che aspettare... finché mi sono proprio stancata e ho mandato Eustace a dire che ti chiamassero. Non ho fatto proprio che aspettare, davvero!» In presenza di Ursula, Macrae si sentiva esuberante come un ragazzo; ma non si potevano evitare le proprie responsabilità. «Ora non devi più aspettare» le disse. «Ursula, Margot non è a casa stanotte e forse ci saranno dei pasticci. È uscita dopo cena, e tutti pensano che si trovi con Marie Laveau.» Le riferì quello che sapevano della seconda sparizione di Margot, ma Ursula non sembrò sconcertata né allarmata. «Ancora Marie Laveau? Ma Margot aveva detto che sarebbe rimasta a casa; per quanto lei non faccia che cambiare idea... È tanto presa da Marie Laveau che avrei dovuto aspettarmelo. E noi che facciamo?» Macrae consultò l'orologio. «Cerchiamo di rimettere insieme i cocci» disse. «Certo, il danno è fatto: è quasi l'una. Lascerò un messaggio per Tom, per dirgli che devo andare. Dopo di che, a dispetto di tutto, compreso il tuo militaresco genitore sul sentiero di guerra, ti accompagno a casa. È la seconda notte di seguito che fai tardi, ti staranno aspettando.» «Ma no che non mi stanno aspettando.» «Come fai a esserne così sicura?» «Pensi che sarebbero tornati in carrozza scoperta con quella pioggia? Non saranno partiti che dopo mezzanotte e ci vorrà ancora un'ora almeno
prima che siano qui. Io scivolerò dentro senza farmi notare e ti farò riaccompagnare a casa. Sì, lascia il tuo messaggio a Tom, io devo dire qualcosa a Eustace.» Macrae tornò al Gem e chiese al signor Daniels di fare le sue scuse a Tom Clayton, aggiungendo solo che la signora che lo aveva fatto chiamare non era quella che lui pensava. Si sbrigò a tornare da Ursula, e vide ancora una volta una cosa che lo stupì: la carrozza era stata voltata in senso contrario alla direzione che dovevano prendere. Aprì lo sportello e salì. Ursula, che portava uno scintillante abito di laminato d'argento, compresse la crinolina per fargli spazio. La carrozza era tanto piccola che c'era posto appena per loro due. La frusta schioccò e si avviarono, mentre lui cominciava a protestare. «Ursula, che succede? Da qui non si va al Garden District, ma nella direzione esattamente opposta! Che hai in mente?» «Ma va tutto bene! Abbiamo tempo!» «Se insisti. Ma si può sapere dove stiamo andando?» «Ho detto a Eustace di passare per St. Ann Street, davanti alla casa di Marie Laveau. Tutti conoscono quella casa, e che cosa vi succede quando tengono le loro cerimonie nel cortile sul retro. Se Margot è lì stanotte...» «Nessuno ha mai insinuato che fosse lì, ma solo che se ne sia andata da qualche parte con Marie junior.» «Già, la figlia! Margot la crede del tutto degna di ammirazione, ma com'è possibile? Se ha ereditato il rango di sua madre come sacerdotessa, quella bella e regale creatura deve partecipare a quelle loro danze... e bere sangue. Comunque, se Margot è lì ce ne accorgeremo: ci sarà la carrozza.» «Vuoi visitare quella casa?» «Santo cielo, no! Non voglio neanche fermarmi, lo sai che codarda sono! Mi puoi dire adesso cos'è successo a te e a Tom nella casa stregata, o è ancora un segreto?» «No, non è più un segreto.» Le raccontò tutto. Gli occhi di Ursula si velarono misteriosamente. «Tom è spaventosamente impetuoso, vero? Talvolta vorrei...» «Cosa?» «Oh, non importa. E poi, quando avete raggiunto il senatore Benjamin...?» Macrae le fece un fedele resoconto di quanto era stato detto nella stanza del saloon. La carrozza intanto era svoltata in St. Ann Street. «La trappola si sta chiudendo, Ursula, la trappola preparata dal senatore
e dal sergente. Ma chi è la loro preda? Se anche ci hanno fornito qualche indizio sulla personalità dell'assassino, sono evidentemente troppo stupido per decifrarlo.» «Stupido? Tu?» s'indignò Ursula. «Oh, Quentin, tu sei il più intelligente di tutti! Pensa a quando m'incontrasti al ballo e capisti subito chi ero e cosa ci stavo facendo!» «Ma allora si trattava di te. Le altre cose...» S'interruppe. Ursula gli aveva afferrato il braccio con una mano, e con l'altra indicava fuori del finestrino. «Eccola! Dall'altra parte della strada, a sinistra. Ecco la casa di Marie Laveau!» Eustace aveva rallentato molto, anche perché la strada era piena di fango. Macrae guardò. Si trattava di una sciatta costruzione di legno imbiancato ma sudicio, a un solo piano ma con un tetto abbastanza alto e appuntito da far pensare che sopra avesse qualche altra stanza. Era completamente al buio, tranne che in un solo punto. A destra e verso il retro, una luce gialla filtrava da una finestra dalle tende socchiuse. «Nel retro c'è un cortile molto ampio» sussurrò Ursula. «Ma non ci sono carrozze in strada. E nel cortile non si può entrare in carrozza: vedi, c'è solo quella porticina... Margot non è qui. Andiamo.» Macrae aveva abbassato il finestrino dalla sua parte e messo la testa fuori per parlare al cocchiere. «Ferma!» gridò. «Spostati e fermati!» Eustace fermò, obbediente. Ursula guardò il suo compagno con aria interrogativa. «Perché hai voluto fermarti?» «Un momento solo. C'è una cosa che vorrei vedere.» «Cosa?» «Il senatore Benjamin ha visto Marie senior in una stanzetta sul retro. E quando un marinaio di nome Jack Dowser ha incontrato Marie junior, lei veniva proprio da lì, emergendo da un'apertura chiusa da una tenda. Vedi quella finestra illuminata?» «Sì, vedo la luce, ma non ti seguo.» «Vedi, io penso che le due Marie abbiano parecchie cose sulla coscienza. Forse sono estranee ai delitti veri e propri, ma certo stanno aiutando l'assassino. Se tuttavia negassero tutto, e lo faranno, contro di loro sarà impossibile addurre delle prove. Eppure da qualche parte dovrebbe esistere
qualche prova della loro complicità! «Così voglio dare un'occhiata attraverso quella finestra, tesoro mio. Sta' qui e non muoverti. Non aver paura. Starò via non più di un minuto o due.» «Starai attento, vero?» supplicò Ursula. «Se la regina del Vudu ha tanti seguaci come asserisce il senatore Benjamin...» «Sì, starò attento.» Scese e attraversò la strada. Nello stecconato dipinto di bianco si apriva una porticina sgangherata, dalla quale partiva un sentierino lastricato che conduceva alla porta della casa e poi ne faceva il giro. Era bagnato e sdrucciolevole, ma meglio del mare di fango che c'era tutt'intorno. Macrae non scorse segno di vita, mentre seguiva il sentierino. Pure, forse per l'ammonimento di Ursula o forse per qualche suo istinto atavico, camminava piano, guardingo, flettendo i muscoli delle spalle come se si preparasse a fronteggiare un attacco. Oppure, pensò, potevano essere le cerimonie magiche del Vudu che vi si praticavano, quelle cerimonie così cariche di barbarica violenza, a lasciare un deposito emozionale che esalava dalla terra stessa, anche senza torce accese, senza rullìo di tamburi, senza il selvaggio ritmo della bamboula a infiammare la notte? Ma dove li celebravano quei riti? Nel grande cortile del retro, gli avevano detto. La nebbia variava di densità da un punto all'altro. Nel retro della casa, dove ora si trovava, dalla parte del cortile era opaca e densa come fumo, così che si vedeva solo un semicerchio di alberi stenti che protendevano i rami scuri come a proteggere lo spazio che circondavano. Verso la casa, invece, la nebbia era leggerissima. Macrae era ormai quasi arrivato alla finestra, il cui davanzale era all'altezza del suo petto. Piuttosto sgangherata anche quella, quasi troppo grande per una casa così piccola, aveva vetri a pannelli oblunghi ed era chiusa parzialmente da una tenda di cotone rozzo. Dimenticando ogni cautela, Macrae si avvicinò al davanzale e guardò all'interno. 19 «Qualcuno è stato sbadato» disse Macrae a voce alta. La stanzetta era vuota. Aveva l'aria di un salottino, affollato di mobili vistosi ma da poco prez-
zo, e non troppo pulito. Una lampada a olio col paralume giallo ardeva su un tavolino rotondo proprio in mezzo alla stanza; vicino c'era una vecchia poltrona le cui molle rotte erano mascherate da un cuscino. Da sotto il cuscino spuntavano i bordi di alcuni fogli, come se dei documenti fossero stati frettolosamente nascosti da qualcuno che non era più lì. Dal poco che si vedeva, Macrae ebbe l'impressione che i fogli fossero di carta da lettere, ma in mezzo c'era qualcosa di più ruvido e più scuro, che somigliava alla carta usata per i telegrammi. Sulla parete di fronte alla finestra si apriva una porta. Macrae allungò il collo e poté vedere anche la parete di sinistra: c'era un caminetto con accanto un'apertura chiusa da una tenda marrone. Come per un tentativo di rispettabilità, sul muro di fronte era appeso un quadro di soggetto religioso, dai colori stridenti; ma sul tavolino centrale, sotto la lampada, c'era la statuetta di un serpente. L'occhio di Macrae però fu catturato di colpo da un tavolo posto propria sotto la finestra, e dagli oggetti che c'erano sopra. Una pila di cartoncini bianchi, del formato di biglietti da visita; un calamaio pieno d'inchiostro; una penna dal pennino sottile. Sì, qualcuno era stato sbadato. Ma... Macrae s'irrigidì e si tirò indietro. La maniglia di ferro della porta di fronte a lui si era sollevata e la porta si stava muovendo. Qualcuno stava per entrare. Chi avrebbe visto? L'anziana ma ancora energica e temibile Marie senior? O Marie junior, così imperiosamente bella come l'aveva vista quella mattina nel cortile del consolato? Non lo seppe mai. "Se la regina del Vudu ha tanti seguaci come asserisce il senatore Benjamin..." Forse fu l'eco di quelle parole a metterlo in guardia, o forse un rumore nella nebbia dalla parte del cortile. Si girò di colpo, facendosi indietro di qualche passo, e un'ondata di collera e di odio lo colpì come una frecciata. Un giovane mulatto di diciannove o vent'anni, snello e muscoloso, balzò dalla nebbia sul sentiero lastricato. Aveva la bocca contratta in una smorfia furiosa. Macrae percepì il lampo di una lama, e la collera si accese anche in lui. Gli folgorò la mente il consiglio che sempre si dà a chi usa il coltello: "Pollice sulla lama, colpire da sotto in su!". Se il ragazzo lo avesse seguito, lui con tutta probabilità sarebbe stato un uomo morto.
Ma il ragazzo era ciecamente intento a mirare alla gola. Il suo braccio si alzò, rovesciandosi all'indietro. Macrae afferrò il polso della mano armata e lo torse, mentre col piede agganciava una caviglia dell'avversario e la spostava con uno strattone. Si udì il tintinnio del coltello che cadeva sul lastricato. Il ragazzo, sbilanciato, stava perdendo l'equilibrio quando Macrae lo immobilizzò con una presa di lotta che non aveva più usato dai giorni di Oxford. Con voce quasi singhiozzante dalla rabbia, il giovane disse qualche parola in francese: «Chi è? Cosa vuole?». Ondeggiarono avvinghiati per qualche istante finché Macrae, ora anche lui accecato dal furore, sollevò in aria con uno strappo possente l'avversario, che s'irrigidì terrorizzato. La voce di Macrae si levò irosa. «Ecco il regalo che le restituisco» urlò in francese «per la sacra giara che mi ha gettato!» E lanciò il mulatto nella stanza attraverso la finestra. Lo scroscio dei vetri infranti esplose nella quiete della notte. Il ragazzo cadde a capofitto quasi al centro della stanza, ma un piede gli s'impigliò nella gamba del tavolo che stava sotto la finestra. Il tavolo si rovesciò, insieme ai cartoncini, alla penna e al calamaio il cui contenuto si sparse sul pavimento. Il salottino era ancora deserto, a parte il giovane caduto. Scosso e barcollante, ma apparentemente incolume, questi si rialzò. Pareva che non si fosse neanche tagliato coi vetri rotti. Si riscosse e corse verso la porta. Ma il suo avversario non aspettò che l'aprisse. Per qualche istante Macrae, che si era ritratto nella zona buia, sorvegliò il cortile immerso nella nebbia, per vedere se ne sbucasse qualche altro nemico. Non apparve nessuno: pareva che nessuno avesse avvertito il rumore della lotta, tranne un cane che si era messo a latrare nelle vicinanze. Macrae si diede ancora un'occhiata intorno; quindi, un po' più calmo ma con il cuore che ancora gli batteva molto forte, ritornò da Ursula in carrozza. Si era appena seduto che la frusta del cocchiere schioccò e la carrozza partì veloce verso Rampart Street. «Ho detto a Eustace di andare dritto a casa» disse Ursula; poi, con voce esitante: «ma tutto quel rumore laggiù...». Aveva abbassato il finestrino dalla sua parte; ora lo chiuse. Ma sembrava inquieta o spaurita. Alla luce della lanterna, il suo viso appariva colorito da
un lieve rossore, come se anche lei avesse avuto un'esperienza eccitante. «Ti ha assalito con un coltello, vero?» chiese. «Non potevo vedervi, ma ho sentito tutto. Ho sentito la lama risuonare quando è caduta. E ho sentito quello che hai fatto dopo, e quello che hai gridato!» «Ti ho già raccontato cosa mi ha spiegato il senatore» rispose lui. «Quindi sai che queste due regine del Vudu pare mi stiano proteggendo, per qualche ragione nota solo a loro. Posso perciò asserire che ho restituito loro il medesimo tipo di protezione, gettando uno della loro cricca attraverso la finestra della casa di Marie Laveau. Ma la verità vera, Ursula, è che ho perso completamente il sangue freddo e la testa.» «Ma io sono così contenta che tu l'abbia fatto! Proprio contenta! Tu sembri così calmo, ma non lo sei affatto. Dovresti perdere la testa più spesso! E non ti dispiace di aver fatto quello che hai fatto, no?» Il polso di Macrae era ancora molto affrettato. «No che non lo sono. Forse dovrei esserlo, ma non lo sono.» «Hai visto qualcosa d'interessante?» «Quella stanza è il laboratorio di Papa Là-bas. C'erano i cartoncini per i messaggi, l'inchiostro e la penna col tipo di pennino che è stato usato per scriverli. Certo queste cose non c'erano quando il senatore Benjamin è stato lì, altrimenti lui ne avrebbe parlato. Ma presto verranno di nuovo nascoste, se non altro perché dovranno pulire il pavimento. Non so se servirà a qualcosa la mia testimonianza di averle viste.» «Hai visto Marie Laveau, la madre o la figlia?» «Non ho visto anima viva, tranne il ragazzo con il coltello. Qualcuno stava per entrare, ma ci ha ripensato. Ah, e ho visto delle carte nascoste sotto il cuscino di una poltrona; credo che a quelle si riferisse il senatore quando ha parlato di documenti nascosti da Marie Laveau. Lui ha detto che erano "prove"; e certo devono avere un significato, che però mi è oscuro come tutto il resto.» «Ma comunque sei sano e salvo: questo è l'importante!» «No, Ursula: il guaio è...» S'interruppe e rimase a lungo in silenzio; mentre la carrozza correva per le strade buie e deserte. Dopo un poco si accorse che si trovavano a ripercorrere la stessa strada che avevano percorsa la sera prima al seguito di Margot. Guardando l'orologio, scoprì che era l'una passata. «E pensare che stamattina credevo di poter battere Judah Benjamin arrivando alla soluzione prima di lui!» esclamò amaramente.
«Può darsi che tu ci riesca ancora, sai.» «No, è impossibile. Per avere una soluzione completa, bisogna che tutti gli aspetti irrazionali del problema rientrino in un disegno coerente, e non sono proprio capace di vedere quale potrebbe essere. «Certo, la teoria più plausibile è che l'assassino sia davvero Steve White, il figlio di Rosette Leblanc. La maggior parte degli elementi che abbiamo puntano verso di lui. Eppure... oh, lasciamo andare! Ci sono cose più piacevoli a cui pensare!» «Quali?» Lui non rispose: aveva la mente troppo piena di ricordi. Era davvero la stessa strada che avevano percorso giovedì notte, e lei ora gli era ancora più vicina. «Ursula, ricordi la prima volta che c'incontrammo? In febbraio, quando scappasti da un ballo in maschera.» «Certo che me ne ricordo! Perché me lo domandi?» «Casa tua dov'è, precisamente?» «Al di là di quella dei de Sancerre: non molto lontana, ma alla fine del quartiere, verso la campagna.» «Allora quella sera, quando dicesti al cocchiere di portarti dove voleva, lui in realtà ti stava portando in direzione opposta a quella dove dovevi andare?» «Ero sconvolta; non ero in me, te l'ho detto. Ma dove vuoi arrivare?» «Lo vedrai subito... Ursula, tra poco passeremo di nuovo nel punto dove ci siamo incontrati la prima volta. Non possiamo erigervi un monumento; pure direi che dovremmo commemorare l'evento in qualche modo. Ecco! Guarda dal finestrino, dall'altro lato della strada. Ecco la casa, hai detto che è la vecchia casa dei Cavendish. Quella notte era illuminata, e vedi, è illuminata anche adesso! Forse quelli che ora ci vivono sanno di trovarsi ormai in un luogo storico e stanno festeggiando.» «Ma cosa dici mai?» «Lo sai, no? La notte del sedici febbraio, davanti a quella casa, saltai in una carrozza che andava verso il centro. E tu mi cacciasti via.» «Ti ho già spiegato...» «Quella notte eri sconvolta, non eri in te. Ora lo sei?» «Oh, se lo sono!» «Hai detto che sembro calmo, ma non lo sono. Spesso ho sentito descrivere anche te, Ursula, col medesimo aggettivo. A tua volta dimmi: ti si adatta veramente? O bisognerebbe sceglierne un altro?»
La luce dei lampioni si rifletteva nell'interno della carrozza. Lui non era mai stato così conscio della vicinanza di Ursula, del corpo flessuoso nell'abito scintillante, degli occhi glauchi che cercavano il suo viso. «Non ti pare di averla già, la risposta alla tua domanda?» sussurrò lei. E di colpo lui la ebbe tra le braccia, tutta stretta contro di lui, e trovò due labbra aperte che risposero al bacio totalmente, ardentemente. Dopo un tempo che nessuno dei due avrebbe potuto calcolare, si sciolsero un poco ma sempre rimanendo stretti. «Se davvero ce l'ho, quella risposta, sono il padrone del mondo, Ursula! Ti amo, piccolo demonietto candido, strega di zucchero! Ti amo perdutamente, ciecamente, da perdere il cervello!» «Spero davvero che tu parli sul serio» mormorò Ursula, e gli circondò il collo con le braccia. «Anch'io provo la stessa cosa, e forse anche più di te, come appare penosamente chiaro ogni volta che ti sono vicina. Sì, penso davvero che tu mi ami come dici. Poco fa mi hai chiamata "tesoro" e non te ne sei neppure accorto.» «Allora devo continuare a chiamarti così. Dimmi, tesoro, ci credi nei lunghi fidanzamenti? Ma a cosa stai pensando?» «Se dicessi in pubblico a cosa sto pensando ora» fece Ursula, gettandosi appena indietro «tutti direbbero che sono una sfacciata sgualdrinella, e con ragione. Ma vieni, baciami ancora, non ti fermare! Te l'ho già detto, non temere di essere troppo ardito con me! Oh, Quentin...» Continuando a mormorarsi tenere e sconnesse dichiarazioni d'amore, e con la convinzione (forse non del tutto infondata) di aver trovato il segreto dell'immortalità, i due si persero completamente al mondo per una diecina di minuti, finché il cocchiere non li riscosse picchiando con la frusta sul tetto della carrozza. «Il pensiero di tornare a casa mi è odioso» alitò Ursula «ma temo che siamo arrivati. Ecco il cancello, caro.» Ancora stretta a lui, abbassò il finestrino. Sporsero le teste a guardare. Il cielo si era rasserenato, la nebbia si era dissipata e la luna spandeva intorno un lucore argenteo. Alla loro destra un viale di ghiaia partiva da un cancello di ferro battuto e saliva, per un pendio abbastanza ripido, fino alla casa di mattoni rossi posta in cima a una collinetta. La carrozza cominciò ad arrampicarsi. «Spero di non averti gualcita troppo, Ursula. Pare che questi vestiti si stazzonino molto facilmente.» «Oh, che m'importa quanto mi gualcisci? Sì, gli abiti da sera di solito
sono molto delicati, ma questo è di stoffa piuttosto robusta; non gli è successo niente.» «Ursula, guarda, c'è una carrozza vicino al porticato! Se i tuoi sono già arrivati...» «Ma è impossibile! Caro, guarda la carrozza! È uguale a questa; e credo proprio che abbia le ruote rosse.» «Margot?» «Probabilmente.» «In cerca di rifugio?» «Forse, ma non sarebbe da lei.» Ursula si sporse verso il cocchiere. «Eustace, quando saremo arrivati, gira la carrozza. Dovrai riportare il signor Macrae a Carondelet Street.» Tornò a rivolgersi al suo compagno. «Ecco, sta scendendo qualcuno. Una donna, ma non è abbastanza alta per essere Margot. Zia Isabelle!» «Già, e a cassetta c'è zio Cicero. Quanto siamo stati sciocchi! Ora di quelle carrozze ce ne sono due, quella vera e il duplicato col sedile a trucco. Margot ha preso la vera e sua madre l'altra. Ma cosa stia facendo qui a quest'ora proprio non capisco.» Isabelle de Sancerre, uno scialletto sulle spalle, li stava aspettando nel riverbero di una lanterna appesa alla carrozza. Eustace fermò. Raccolto il cappello, Macrae smontò e aiutò Ursula a scendere. Lui stesso appariva alquanto gualcito dagli abbracci di lei; mentre Ursula, benché avesse i riccioli fulvi tutti scompigliati, per il resto era immacolata e inappuntabile come se si fosse appena preparata per la sera. Isabelle attaccò in tono lamentoso: «Glielo avevo detto a Jules che sarebbe stato inutile venire a cercare qui Margot. Glielo avevo detto prima ancora che si precipitasse fuori a raggiungere Judah Benjamin. Ma quando Vivienne Stoneman, la moglie di George Stoneman junior, è passata da casa mentre andava a chiamare il dottor Andrews, e ci ha raccontato cos'era successo al povero George senior...» L'incubo ridiscendeva su di loro come un avvoltoio. «Il signor Stoneman, il banchiere?» esplose Macrae. «È morto?» «Morto? Per amor del cielo, certo che no! Anzi, non si è fatto nemmeno un graffio! È una storia incredibile, sapete, proprio incredibile. Vivienne ha detto che sarebbe stata ridicola, se non fosse stata così orribilmente seria. E lui avrebbe potuto, anzi dovuto, ammazzarsi! Solo la scossa al sistema nervoso di quel poveretto...»
«Per favore, Madame de Sancerre! Cos'è successo, e quando è successo? Quando il sergente O'Shea si è congedato da lui, prima di sera, il signor Stoneman stava bene.» «E starebbe ancora benissimo, signor Macrae, se non si fosse messo in testa quel chiodo fisso del tetto, da quel mulo cocciuto che è. George pesa quasi centotrenta chili: chi avrebbe mai detto che avesse tanta forza nelle braccia!» «Zia Isabelle» intervenne Ursula «scusa, ma vuoi dirmi semplicemente com'è andata?» «Sto cercando di farlo, ma voi m'interrompete. È stato a causa del tetto, vi ripeto.» «Ebbene, e questo tetto?» «George ha insistito che doveva fissare le tegole lui stesso. È uscito da un abbaino, e come abbia fatto a tenersi in equilibrio non si sa, ma lo ha fatto. E i suoi quattro figli, con le rispettive mogli, assistevano allo spettacolo da vari punti di osservazione, gridando continuamente: "Attenzione, babbo!", finché George ha perso la pazienza e ha giurato di diseredare il primo che avesse detto ancora una parola.» Isabelle de Sancerre fece un gesto drammatico. «Si è dato da fare da quando è uscito dalla banca fino a sera; allora ha smesso. Ma mentre cenavano ha detto: "Non voglio lasciarlo incompleto, lo finirò più tardi". Tutti a protestare naturalmente: che non poteva lavorare di notte, che aspettasse fino al giorno dopo che è sabato e la banca chiude a mezzogiorno. «George si è messo a ringhiare. "Come non posso lavorare di notte? Si accendono una dozzina di lampade a kerosene e si appendono intorno alla parte dove c'è ancora da fare. Ho detto che avrei finito il tetto oggi, e perdio lo finirò." «Lo hanno avvertito che stava per piovere, ma lui non ha dato retta. È tornato ad arrampicarsi che erano quasi le undici, dopo aver fatto disporre le lampade. Tre dei figli e le rispettive mogli lo stavano a guardare dal cortile, mentre George junior e Vivienne si sporgevano da un abbaino. E nessuno aveva il coraggio di parlare.» «Allora non ha finito il lavoro, dopo tutto?» chiese Macrae. «Certo che lo ha finito, mancava solo una tegola! Stava lavorando vicino al bordo del tetto, e aveva appoggiato la cassetta sulla grondaia. George junior e Vivienne lo vedevano, dalla loro finestra, ma gli altri non lo vedevano più. Da quella parte della casa c'è un acero altissimo, e uno dei mozzi
di stalla ci si voleva arrampicare per vedere, ma Arthur Stoneman gliel'ha impedito. «Vivienne e George erano intenti a guardarlo, anche se la luce era piuttosto cattiva. Di colpo lui ha inciampato o è scivolato. Era solo, non aveva nessuno vicino! È caduto sulle tegole, e stava scivolando rapidamente di sotto quando è riuscito ad afferrarsi alla grondaia con tutte e due le mani. E in quel momento esatto si è scatenato il temporale.» «Dio!» «Di sotto tutti correvano qua e là cercando una scala.» Isabelle de Sancerre era tutta animata. «I servi facevano un sacco di confusione, sapete come sono. Per trovarla ci hanno impiegato almeno un quarto d'ora, dice Vivienne. «La pioggia cadeva a torrenti. Ha spento le lampade e infradiciato il povero George. Pensate, poteva anche essere colpito dal fulmine! Ma lui rimaneva appeso alla grondaia, a una quindicina di metri da terra, anziano e così grasso, ma deciso a non lasciarsi andare.» «E alla fine cos'è accaduto, Madame de Sancerre?» «Hanno appoggiato al muro la scala, finalmente. George è sceso da solo, dicendo che stava benissimo, solo che gli doleva un fianco. Altro che dolore al fianco! Era la scossa nervosa provata al pensiero di cosa poteva succedere! Difatti ha avuto un collasso mentre si cambiava, prima che potessero chiedergli come avesse fatto a scivolare. Lo hanno messo a letto e Vivienne è andata a chiamare il dottor Andrews. Era circa mezzanotte. Passando da casa nostra, si è fermata un attimo a raccontarci l'accaduto, prima che i pettegolezzi ci facessero temere chissà cosa. Da casa poi mi ha scritto un biglietto: "George sta benissimo". Ma lei, signor Macrae, sa quanto siamo in pena per Margot?» «Sì. Ce l'ha detto suo marito quando è venutp al Gem.» «Uscito di lì, Jules è tornato dritto a casa. Io non avevo fatto altro che camminare avanti e indietro, avanti e indietro. Ci siamo messi a rimuginare sugli stessi argomenti ancora e ancora finché non ci si è messa a girare la testa.» «E siete arrivati a qualche conclusione?» «Le pare probabile? Avevo già detto a Jules che sarebbe stato inutile cercare Margot da Ursula, ma il tempo passava e ho cominciato a dubitare. Alla fine ho pensato che tanto valeva provare. Voleva venire Jules, ma io gli ho fatto un ponce e l'ho mandato a letto. E son venuta qui con Cicero. «E cosa ho trovato arrivando qui? Una casa buia e deserta! E tu, Ursula
cara, e la tua scorta, arrivate ancora più tardi di me, e con un'aria che la dice lunga all'occhio dell'esperienza. «Non voglio chiederti dove sei stata stanotte. Non ne ho il diritto, e a questo punto ho quasi paura di rivolgere a chiunque questa domanda. Correggendo l'opinione che avevo di te, sono incline a sospettare che tu sia capace di colpi di testa quanto e più di Margot. Ma in una cosa almeno sei più saggia di lei. Quando calpesti le convenienze e rinneghi i consigli dei tuoi cari, almeno lo fai in compagnia di un uomo a posto e degno di fiducia come il signor Macrae.» Si volse a guardarlo. «Ha commenti da fare, signore?» «Non so proprio se sono così a posto e degno di fiducia, Madame de Sancerre. So però che sono un uomo felice.» «Felice?» «È stata una notte agitata e piena di allarmi. Ma ora tutto è finito, o si spera che sia finito. Le nubi sono scomparse, il sole splende e, in breve, tutto è dolcezza e luce da quando io e Ursula ci siamo veramente trovati. Le ho chiesto di sposarmi...» Ursula si erse di scatto. «Non me l'hai chiesto!» «Ebbene, vuoi?» «Sì!» «Dunque la cosa è sistemata. Quello che più mi piace, della presente generazione» commentò Isabelle de Sancerre con un tono carico di benevolo cinismo «è l'abitudine dei giovani di urlarsi tenere parole come se stessero scagliando insulti oltre uno steccato. Nonostante quello che dice mio marito, mi resta ancora un poco di senso dell'umorismo.» Fece una pausa e riprese in tono diverso: «Sei felice, Ursula?». «Scusa, zia Isabelle, ma non posso farne a meno: sono meravigliosamente felice!» «Non chiedere scusa di questo, piccola: credimi, non chiedere mai scusa di questo! Tienila cara la tua felicità, e ringrazia il destino per avertela data. Spero che presto anche Margot sia felice come te.» Isabelle de Sancerre scrutò i due giovani. «Abbia cura di Ursula, signor Macrae. È tanto dolce, ma ha qualche debolezza alla quale dovrà indulgere. Le ho già detto, credo, che legge troppo e sogna troppo...» «Sogno cose sbagliate, zia Isabelle?» «Non necessariamente sbagliate» asserì l'altra, rispondendo a lei ma rivolta a Macrae. «Già, ora che ricordo. Mio marito, come forse sa, suole en-
trare in confidenza con i tipi più stravaganti, e spesso li porta a casa per mio divertimento o disperazione. L'ultima sua conquista, che risale a qualche giorno fa, è stata quella di un giovane pilota del Mississippi, di nome Clemens o Clements: Sam Clements. Il giovane Clements mi è parso piuttosto sfrontato, ma assai divertente. Ha passato tutta la sera a dimostrarci che i romanzi di sir Walter Scott sono stati la maledizione del Sud, perché ci hanno infettati con le loro grandiose idee di un codice cavalleresco quale nessuna società può veramente applicare in pratica. «Ursula è appassionatamente dedita ai romanzi di Scott, specialmente a quelli di più esagerato romanticismo: Ivanhoe, Il talismano, Quentin Durward... Signor Macrae, perché fa quella faccia così strana?» «Non è una faccia strana, Madame de Sancerre. È solo...» «E tu, Ursula, cosa stai guardando laggiù?» In quel momento Ursula sembrava non guardare nulla. Stava in punta di piedi accanto alla carrozza e mormorava qualcosa a Eustace, che aveva voltato il cavallo e si teneva pronto a partire. La ragazza si accostò poi a Macrae e lo trasse un poco in disparte. «Senti, vuoi farmi un grande favore?» sussurrò con disperata urgenza. «Ursula, dolcezza mia, fa' tu a me un gran favore. Non menzionare mai questo affare di "Quentin" a Tom Clayton. Lui lo crederebbe lo scherzo più buffo del mondo e non mi lascerebbe più in pace. Mi pare di sentirlo: "Buon giorno, Rob Roy, come va oggi il clan MacGregor?".» «Per piacere, per piacere, questa è una cosa seria. Tra poco dovrò augurarti la buona notte, ma intanto c'è qualcosa di molto confidenziale che devo dire a zia Isabelle. Vuoi entrare in carrozza e aspettare finché ti farò cenno?» «Per te, posso aspettare anche all'inferno, tesoro. Adesso vado.» Tutto accadde di colpo. Era appena entrato, ma non aveva ancora avuto il tempo di chiudere lo sportello o di sedersi, che subito si accorse che Ursula, magari con tutte le buone intenzioni del mondo, lo aveva ingannato. Eustace fece schioccare la frusta e il cavallo balzò, gettando Macrae in avanti e facendogli schiacciare il cappello contro il pannello della carrozza che partì a precipizio lungo il pendio della collinetta, così che lo sportello sbatté e si chiuse e il passeggero venne proiettato con violenza sul sedile. Macrae riuscì ad abbassare il finestrino e a sporgere il capo. «Che diavolo sta facendo?» cominciò a gridare. «Ferma!» «Ho l'ordine di portarla a casa e la porto a casa. Non cerchi di scendere o
si romperà la testa!» Fu allora che Macrae vide ciò che Ursula doveva aver già visto. Su per la strada, non alla stessa velocità della carrozza ma di buon passo, veniva una calèche découverte tirata da due cavalli infangatissimi e contenente cinque passeggeri. Erano quattro donne e un uomo, bagnati e con l'aspetto di gente che è passata attraverso un temporale con scarso riparo. Due delle dame sedevano con la schiena al cocchiere, e le altre due di fronte a loro. Fra queste ultime, ritto in piedi come per incoraggiare Walter a cassetta, torreggiava un gentiluomo di proporzioni omeriche, col pugno alzato. Neppure il temporale era riuscito a piegare le punte formidabili dei suoi baffoni grigi. Se era questo che Ursula voleva, meglio lasciarla fare. Macrae si mise quieto a sedere, togliendosi il cappello rovinato. Prima che la carrozza sboccasse in St. Charles Avenue, la calèche découverte si era fermata sotto il porticato. Lui ormai era troppo lontano per essere in grado di vedere. Ma nel silenzio della notte non poté evitare di udire e di ricordare una voce possente. «Ursula» tuonò la voce «chi era quell'uomo?» 20 Aveva sognato a lungo, ma del sogno ricordava solo la fine. Gli sembrava che Ursula gli tendesse le braccia, e che lui stesse cercando di raggiungerla attraverso un indefinito spazio scuro e nebbioso, ma creature senza volto, che sapeva malvage, cercavano d'impedirglielo. Una di loro reggeva un coltello, un'altra una pistola, un'altra portava un abito piratesco col teschio e le ossa incrociate sul cappello. Mentre lottava per tenerle lontane, si trasformarono jn ombre d'incubo che si agitavano in una oscena danza Vudu e bevevano sangue da una giara. Macrae riuscì a raggiungere Ursula alla fine, le prese le mani fra le sue e si svegliò. Era a letto nella sua stanza al consolato; dalle finestre entrava il sole mattutino. Era sabato diciassette aprile. La rotonda Tibby, i capelli trattenuti dalla bandanna rossa, aveva tirato le tende e deposto sul comodino un vassoio con la teiera e tutti gli accessori. «Buongiorno, signor Richard. Sono le otto.» «Tibby!» «Signore?» Si schiarì la gola. Alzandosi su un gomito, si versò la prima tazza di tè e
aggiunse crema; non prendeva zucchero. «Forse non è questo il momento più adatto per dirti ciò che ti devo dire, ma è meglio che te ne parli ora che un sogno mi ha rinfrescato la memoria. Sono venuto a sapere che tu e Sam - o piuttosto Sam con la tua complicità - mi avete favorito con quelle reliquie Vudu: calici sacri, serpenti morti e così via. Mi capisci?» «O signore!» alitò Tibby. Si ritrasse agitando le braccia e non tentò neppure di negare. «Giuro su tutto quello che vuole, signor Richard, non era per farle del male! L'avevo detto a Sam che era una brutta cosa, gliel'avevo detto! Lui non aveva cattive intenzioni; ha fatto solo quello che gli hanno comandato di fare. È ignorante, signor Richard, non è mai andato a scuola, ma non è cattivo. Lei è stato troppo buono con noi due perché le augurassimo del male. Adesso ci licenzierà, vero?» «Quando mai, Tibby! Avete servito troppo bene uno straniero perché io mi metta a fare il padrone oltraggiato o sprechi tempo a farvi delle prediche. Quello che avete fatto, non fatelo più; quanto a me, non ne parlerò. Va bene?» «Dio la benedica, signore, non se ne pentirà! Il signor Clayton è già qui e la vuol vedere. Cosa gli dico?» «Digli di entrare subito!» Tibby corse via e dopo poco Tom Clayton, con un'elegante finanziera e calzoni fantasia, apparve sulla soglia. «Salve, fratello» disse. «Ho sentito il tuo colloquio: sai che ci sai fare con la servitù? Adesso senti me, che reco la voce del fato incombente.» «Ebbene?» «Tutti i diavoli dell'inferno sono in libera uscita stamattina. Nelle prossime ore, e finché l'affare non sarà concluso, non ci sarà pace né per me né per te. Da' un'occhiata dalla finestra!» Macrae scese dal letto gettandosi addosso la vestaglia e andò alla finestra che dava sul cortile. Vide in attesa un'altra calèche découverte con a cassetta un negro che gli parve di riconoscere. Non portava livrea. Seduti all'interno c'erano il senatore Benjamin e il sergente O'Shea, che sembravano sprofondati in un discorso serio. «Il vecchio Benjie ha affittato quel biroccio questa mattina, e vedi infatti Michael alla guida. L'Oracolo vuole che assistiamo anche noi alla fine della caccia, e che fine sarà! Ma per adesso lasciamo da parte l'argomento. Prima le notizie personali: scoppio di novità.»
«Accomodati dunque, mentre mi rado e faccio il bagno.» «Dick, per amore del cielo! Farti la barba, va bene, ma per il bagno non c'è tempo, e nemmeno per la colazione. Mi stai a sentire?» «Certo; vienimi pure dietro.» Macrae buttò giù una tazza di tè e andò nell'adiacente bagno, dove Tibby aveva lasciato una brocca d'acqua calda per la barba. Mentre si lavava e si radeva, Tom stava con la schiena appoggiata al muro e parlava. «Stamattina mi sono alzato presto, Dick. Ho visitato i de Sancerre e ho avuto un lungo colloquio con loro.» «Erano già alzati? Di te non mi meraviglio, ma loro, uccelli notturni come sono...» «Erano già alzati, vecchio mio, per la buona ragione che nessuno era andato a letto. Papà de Sancerre vi era stato mandato, ma non aveva obbedito. Quando mamma de Sancerre è tornata da casa Ede, ed è tornata anche Margot...» «Margot è a casa, dunque?» «Margot è a casa, ma aspetta. Il suo turno verrà poi. Prima che io venga ai miei umili affari, sbrighiamo i tuoi. È pervenuto alle mie orecchie che tu avevi scortato Ursula a casa a un'ora poco virtuosa, e che sei stato mandato di volata fuori scena quando la tua bella ha scorto da lontano il suo vecchio che tornava ululante e assetato di sangue. Quindi...» «C'è stata una brutta scena?» «Oh, non tanto brutta come poteva essere. Dick, tu non hai un'amica migliore della buona vecchia mamma de Sancerre! Ha calmato il generale narrandogli bugie a palate; d'altra parte, quale donna conosci che non sia capace di dir bugie a palate? Ha detto che tu e Ursula (e Margot, anche) eravate stati con lei tutta la sera. Poi ha aggiunto che tu e Ursula vi eravate fidanzati; in attesa dell'approvazione paterna, naturalmente...» «La situazione si è calmata, allora?» Tom fece con la mano un gran gesto. «Senti, Dick. Il generale Henry Clay Ede, quando non va rimuginando l'impressione di aver vinto la guerra col Messico da solo, è un bravo ragazzo. E non è privo di senso pratico. Sa bene che hai denaro di tuo e che, se Ursula è abbastanza matta da sposarti, almeno non morrà di fame. È ancora persuaso che tu sia pronto a darti da fare con sua figlia, certo, se appena ne avrai la possibilità. Ma, purché tu ti astenga dal compromettere la povera ragazza peggio di quanto hai già fatto finora, lui è almeno disposto a concedere, sia pure in via provvisoria, che sia un bravo ragazzo anche tu.»
Macrae asciugò il rasoio e lo ripose. Si sciacquò la faccia, tornò in camera da letto e cominciò a vestirsi. «A parte questo, Tom, ci sono stati altri guai stanotte?» «Altri guai? Che vuoi dire?» «Mi riferisco all'attacco a George Stoneman, se tale è stato e non un incidente. Ne hai sentito parlare, no?» «Ci puoi scommettere!» «Poteva ammazzarsi, ma per fortuna non si è neanche fatto male. Si è infradiciato, come del resto è successo anche al generale Ede, e quindi l'unico danno è stato inferto solo alla dignità di ambedue. Siccome in questa sciagurata faccenda ognuno di noi ha fatto almeno una figura barbina, niente male. Purché non ci sia stata nessun'altra tragedia, nessun altro delitto...» «Nessun'altra tragedia?» Tom lo guardò fisso. «Dick, per amor del cielo! Ora che siamo fuori delle questioni personali, ecco che viene la parte peggiore di quello che son venuto a dirti. C'è stato un secondo delitto. Stanotte sul tardi un cadavere è stato ripescato dal fiume, da due uomini che erano a caccia di alligatori poco fuori città.» «Di chi è il cadavere? Chi è stato ucciso?» «Sire Oracolo e il sergente O'Shea non hanno voluto dirmelo, benché gliel'abbia chiesto fino a perdere il fiato. L'omicidio è stato commesso a coltellate: un lavoro da beccaio, una cosa spaventosa, hanno detto. «Guardali laggiù» gridò Tom di colpo, balzando alla finestra e indicando il cortile. «Erano già di guardia qui, quando sono arrivato. Hanno detto solo che dobbiamo andare tutti e quattro da qualche parte, non lontano. Per il resto, non ho ricevuto neppure una risposta chiara, solo accenni e allusioni. Ha ragione mamma de Sancerre: quando il vecchio Benjie si mette a fare il misterioso e a sorridere sotto i baffi che non ha, vien voglia di sbattergli in testa un corpo contundente di buone proporzioni. Hai finito di vestirti?» «Devo solo farmi il nodo alla cravatta e son pronto.» Poco prima Macrae aveva suonato il campanello, e ora vide nello specchio Tibby affacciarsi sulla soglia. «Devo uscire per un poco» le disse. «Prepara la colazione per le nove, e avverti il signor Ludlow, per favore.» «Glielo dirò, signore. Sicuro che tornerà per le nove?» «Facciamo le nove e mezzo, allora. Forse anche le dieci. È sabato, c'è poco da fare al consolato. Vieni, Tom; scendiamo.» Appena furono fuori portata dalle orecchie di Tibby, riprese: «Dei miei
affari personali hai parlato in modo lucido e compendioso. E i tuoi? Margot è tornata, hai detto. Dov'era stata?». «Con Marie Laveau junior, come tutti pensavano. Era andata a prenderla in carrozza a casa sua, in St. Ann Street. E dove si sono recate, vecchio mio, non io indovineresti in un milione di anni: a visitare una scuola.» «Cosa?» «Una scuola! La "Scuola per bambini poveri e orfani", altrimenti detta L'École des Pauvres Enfants et des Orphelins, che sta in una stradetta nei pressi di Esplanade Avenue. Marie Laveau è una delle fondatrici e rimane la principale patronessa. Mi segui?» «Diamine!» «Non c'è dubbio che Margot sia stata lì; ha portato stampati e fotografie e un sacco di notizie. La scuola è destinata ai bambini poveri ed è completamente gratuita, ma i suoi standard sono molto elevati. Ha un corpo insegnante di prim'ordine, altamente qualificato dal punto di vista intellettuale e morale. Inoltre, ai bambini vengono forniti due pasti caldi al giorno. Ma ecco che a questo punto c'imbattiamo nell'inaspettato.» «Ancora misteri?» «Oh, un mistero tutto particolare, stavolta» spiegò Tom. «Fino al momento della sua visita alla casa di Marie Laveau e alla scuola, Margot era abbagliata dalla sua eroina. La vedeva circondata da un alone di regalità e di magia...» «E ora è rimasta delusa?» «In parte sì. Non c'è molto di magico in una dama patronessa di scuola, intenta a controllare che i bambini si puliscano il naso e conoscano le tabelline. E quanto alla regalità, penso che la delusione di Margot sia stata prodotta principalmente dalla visita alla casa di St. Ann Street. Mi ha detto che non avrebbe mai pensato di veder quella donna vivere in un così incredibile squallore. "Lei è scrupolosamente pulita, e dignitosamente elegante" ripeteva Margot. "Come può sopportare di vivere nella sporcizia e nel disordine?"» «Oh, è una casetta davvero squallida, lo posso attestare» assentì Macrae. «Però Margot ne sarebbe stata anche più scandalizzata se l'avesse vista come l'ho lasciata io, dopo la lotta fuori della finestra del salotto. Dunque Margot è tornata in sé, ora; e anche per te tutto è dolcezza e luce?» «Be', va certo molto meglio di prima. "Ho promesso di visitare ancora quella loro scuola" mi ha detto lei "ma non credo che mi disturberò a farlo. Tu conduci una vita sterile e inutile, Tom, ma io ho un certo affetto per te."
Finalmente si è accorta dei miei pregi, pare. D'altra parte, vecchio mio, nell'affare che abbiamo da sbrigare stamattina c'è ben poca dolcezza e ancor meno luce. Guarda!» Erano emersi in cortile. Il senatore Benjamin e il sergente O'Shea sedevano ora l'uno di fronte all'altro. Prima di salutarli, Macrae si affacciò a dare un'occhiata all'ufficio. Era tutto in ordine, il ripiano della scrivania lucidato e ogni cosa al suo posto. Quindi si avvicinò con Tom alla carrozza scoperta in tempo per sentire quella che pareva la conclusione di una controversia. «Signore» pontificava il sergente «il merito di tutto va certamente a lei! Ha spiegato la faccenda dalla A alla Z: ha messo in trappola quel ratto! Ma...» «Ebbene?» chiese l'altro. «Quello è un assassino degenerato, signore. Pensi solo all'arma che ha usato col giudice Rutherford e col signor Stoneman. Ha un coltello, e l'ha usato! Giurerei che ha anche una pistola. Ne ho una anch'io» qui il sergente si batté sulla tasca «e comunque questo è il mio mestiere. Ma lei! Un senatore degli Stati Uniti, un uomo di elevata posizione e neanche più giovane! Mi dia ascolto, il gioco può farsi duro...» «Stia a sentire, sergente» rispose il senatore Benjamin «neppure tutte le schiere del procuratore distrettuale riuscirebbero a tenermi lontano in questo momento. Ed è forse la prima volta che vado a pesca della razza?» Tom Clayton alzò la voce. «Senatore, siamo qui! Io e Dick, al suo servizio. Sergente, niente in contrario a che veniamo anche noi?» «No, signore, voi no. Qualunque arma abbia quel porco assassino, coltello o pistola o forcone, io scommetterei su di lei e sul signor Macrae! Salite, signori, e andiamo.» Tom sedette accanto al sergente e Macrae accanto a Benjamin. Michael scosse le redini e la carrozza partì. Raggiunsero Canal Street e si avviarono verso sud. «Se avessimo almeno un'idea di dove stiamo andando» osservò Tom «mi sentirei molto meglio.» «Pazienza, signor Clayton, un po' di pazienza! Tra un momento capirà tutto!» «Sì, ma quanto sarà lungo questo momento?» «Pazienza, le ripeto, e vedrà che tutto andrà a gonfie vele!» Tom si drizzò.
«La mia intuizione più quest'allusione alle vele mi dice che stiamo andando all'argine, dove attraccano i battelli a vapore. Ho indovinato?» «Giustissimo, signore! Diamine, se avesse veduto anche gli altri indizi, avrebbe indovinato tutto!» «Veduto gli altri indizi?» «Ce n'erano da tutte le parti, signor Clayton, abbondanti come la pioggia in Irlanda. Ma li vedeva solo il senatore Benjamin...» Il senatore stava parlando con Macrae. «Sembra che il sergente pensi che io non dovrei essere qui. In un certo senso ha ragione: dovrei essere a Washington. Spero di tornarci tra un giorno o due. Non è una bella città. Ma la Corte Suprema è a poca distanza dal Senato, cosa che facilita i miei doveri di legislatore e di avvocato. E poi, ci sono dei compensi. La Libreria del Congresso, le partite a scacchi con gli amici, gli spuntini al Willard Hotel... «Ma lasciamo stare, non siamo qui a parlare della mia vita a Washington. La maggior parte dei battelli a vapore, come certo sa, parte da qui alle cinque del pomeriggio, ma quelli della Grand Bayou Line, e in particolare il "Governor Roman", partono alle otto e mezzo di mattina. «Ora sono le otto e mezzo passate, ma noi ci siamo assicurati - o almeno se ne è assicurato il sergente O'Shea - che il battello non parta prima del nostro arrivo.» «Ha parlato al capitano?» chiese Macrae. «Ha parlato al capitano, sì, benché non sia lui la principale autorità sui battelli fluviali. Lì, l'uomo più importante è il pilota. Ogni imbarcazione ne ha due e, quando è in navigazione, essi si alternano in turni di guardia di quattro ore. Il sergente ha parlato col capitano e con i piloti e si è messo d'accordo con loro. E adesso smettiamo di parlare: siamo quasi arrivati.» Dopo pochi minuti la carrozza svoltò con un'ampia curva da Canal Street alla strada che costeggiava l'argine. C'erano pochi spettatori a contemplare lo spettacolo delle partenze mattutine. I grandi vascelli dagli alti camini, i ponti bianchi e i nomi dipinti in rosso e oro torreggiavano su di loro, mentre li sorpassavano l'uno dopo l'altro. Il senatore Benjamin sembrava nervoso. «Questa faccenda non mi piace» dichiarò. «Neanche a me» disse il sergente. «Ma va tutto bene!» intervenne Macrae. «Ecco lì il "Governor Roman", e dalle sue ciminiere esce ben poco fumo. Se stesse per partire ne uscirebbe un sacco, no?»
«Proprio no» spiegò il senatore Benjamin. «I battelli arrivano con grande effusione di fumo nero e squilli di sirene: fa parte dello spettacolo. Ma la partenza si svolge con discrezione. Eccoci arrivati. Guardate, il capitano è sul ponte con la mano alzata e due marinai stanno per sollevare la passerella. Qualcuno è stato corrotto. Michael, ferma! Signori, affrettiamoci!» La carrozza si arrestò e i quattro ne balzarono fuori. «Fermi lì, voi!» gridò il sergente verso il battello. «In nome della legge!» aggiunse. Dai passeggeri che affollavano i ponti al di sopra di loro vennero risposte umoristiche o sboccate. Al di sopra del baccano si udì il rintocco di una campana. Macrae sentì il tonfo dei pistoni e vide la fornace fiammeggiare nella caverna del ponte più basso. La larga passerella stava per venire ritirata, quando il sergente O'Shea vi si precipitò, proiettando la sua mole sul ponte. Il tarchiato piccolo avvocato lo seguì con agilità sorprendente. Le lunghe gambe di Tom Clayton gli permisero di fare lo stesso, una frazione di secondo prima che la passerella risuonasse sul ponte. Macrae era rimasto indietro. Le grandi ruote si mossero, facendo spumeggiare l'acqua. La distanza tra il ponte e l'argine aumentò, mentre il battello indietreggiava per portarsi in mezzo al canale. «Salta, bello, su!» qualcuno incoraggiò Macrae. «Non farti lasciare indietro!» Il consiglio era buono, pensò. Si fece un po' indietro, per darsi lo slancio, e spiccò la corsa. Il balzo lo portò dal bordo del molo al ponte più basso del battello. Barcollò, ma Tom lo sostenne per un braccio e si riprese subito. Intorno ai quattro ribollivano facchini, marinai e passeggeri di terza classe. «Dov'è il porco, dov'è?» muggiva il sergente O'Shea. «Non si è fatto vedere sui ponti, vero?» «La persona che vogliamo cercherà di farsi notare il meno possibile, per qualche tempo» disse il senatore Benjamin. «Dovremo cercarlo nella sua cabina, penso. Ecco, lì c'è la scaletta che conduce ai ponti superiori...» Salita la scaletta, parve che entrassero in un altro mondo. C'erano cabine di lusso che comprendevano perfino un appartamento nuziale arredato con sfarzo. Ma dinanzi a loro ora si stendeva il tunnel bianco e oro del salone del "Governor Roman", lungo sessanta metri e largo sei. Lussuose poltroncine erano accostate a tavolini rotondi dove veniva servito il cibo; grandi
specchi ornavano le pareti e da una parte luccicava un piano a coda. Pilastri ornati di stucchi e dorature e un foltissimo tappeto, infine, la piattaforma dove la sera si esibiva un'orchestra molto reclamizzata completavano il quadro. «Cerchiamo una cabina, va bene» ansimò Tom Clayton. «Ma sapete il numero?» «Le cabine qui portano nomi» rispose il senatore. «Quella che cerchiamo si chiama "Kentucky". Questo battello, tuttavia, non mi è familiare...» «Lo conosco io, però!» tuonò il sergente. «A diritta! Seguitemi!» Si lasciarono alle spalle il salone, che non avrebbe preso vita finché a sera non fossero stati accesi i grappoli di lumi a olio destinati a farlo risplendere, e attraverso un'arcata passarono in un corridoio dove si aprivano le porte delle cabine che davano sul ponte. Nel corridoio, illuminato da due oblò, c'era abbastanza luce per vedere il nome e l'emblema di uno stato dipinti su ciascuna porta. "Kentucky" si leggeva su una porta chiusa, in fondo, verso tribordo. Il sergente O'Shea scosse con forza la maniglia, che gli resistette. Allora, martellando con la sinistra sul battente, con la destra trasse di tasca una pesante pistola a tamburo Smith & Wesson ultimo modello. «Apra!» urlò. «Vuole aprire, perdio, in nome della legge?» Non ci fu risposta. Il sergente lanciò la spalla massiccia contro la porta, che sembrava poco robusta. Al primo colpo, tremò. Al secondo, il chiavistello saltò via e la porta si spalancò. Macrae e Tom Clayton rimasero come paralizzati a guardare l'uomo che li fronteggiava, ritto accanto alla cuccetta sotto l'oblò, anche lui con una pistola in mano. La bocca contorta in un ghigno silenzioso, la loro preda alzò la sua Colt "Navy" e fece fuoco quasi a bruciapelo. La pallottola andò a vuoto e ruppe una lampada nel corridoio prima di penetrare nella paratia. Il sergente O'Shea fece fuoco a sua volta, e non a vuoto. Gettato all'indietro dall'impatto di una palla nel petto, l'uomo che avevano braccato cadde supino sulla cuccetta, a braccia spalancate, mentre l'arma con un tonfo gli cadeva di mano. A Macrae tintinnavano le orecchie per il rimbombo degli spari. Tom, mezzo inebetito, entrò in punta di piedi nella cabina e indicò la figura abbattuta prima di volgersi al senatore Benjamin, che era rimasto fermo sulla soglia. «Dunque era lui... lui...?» mormorò incredulo.
«Già» rispose il senatore. «Ecco il nostro assassino. Ecco il vero Steve White. Ma non rimanerci male, non essere mortificato se non sei riuscito a vedere al di là del suo travestimento, che era eccellente. Da giovedì mattina in poi, si è fatto chiamare Harry Ludlow.» 21 La sera di domenica diciotto aprile, quattro ospiti, Ursula Ede, Tom Clayton, Richard Macrae e Judah P. Benjamin, cenarono con Jules de Sancerre, Isabelle de Sancerre e la loro figlia. Era già buio fondo prima che venissero serviti il caffè e i liquori. Margot e Tom, una Margot piuttosto avvilita e un Tom molto più serio del solito, si scusarono e andarono a fare una passeggiata nel parco. Gli altri andarono in biblioteca, dove Marcus Brutus aveva acceso le lampade. I de Sancerre, Ursula e Macrae sedettero intorno al senatore Benjamin, che aveva preso posto dietro il grande tavolo centrale e acceso un sigaro. «Questi assassinii...» cominciò Jules de Sancerre. Il senatore Benjamin si rilassò sullo schienale. «Alcune parti del piano di quell'uomo rimarranno per noi allo stadio di congetture» osservò «ma i fili principali sono nelle nostre mani. E il disegno generale è chiarissimo. Steve White, il figlio di Rosette Leblanc, ritorna da Parigi per uccidere tre uomini contro i quali ha giurato vendetta. In un primo tempo abbozza il suo piano solo vagamente; farà la parte di un turista inglese in giro per l'America. E sembra che si sia trattenuto a St. Louis per qualche tempo. Poi la fortuna gli fa un dono inaspettato. A St. Louis incontra il vero Harry Ludlow e stringe amicizia con lui. Vede che è un chiacchierone col cuore in mano, e inoltre viene a sapere che tiene un diario. Subito Steve White pensa che i suoi disegni sarebbero grandemente favoriti se uccidesse Ludlow e prendesse il suo posto: un'impostura per cui si sente ottimamente equipaggiato. È chiaro?» Ursula, quella sera in crinolina arricciata e plissettata di tulle blu lavanda, appoggiò un gomito sul bracciolo della poltrona e reclinò la guancia sulla mano. «Scusatemi» disse «ma c'è una cosa di cui non riesco a persuadermi neppure adesso. Quel ragazzo biondo e ingenuo era in realtà un uomo quasi quarantenne?» «Già» rispose Macrae. «Ricordo, quando incontrai per la prima volta "Harry Ludlow" adulto al battello giovedì mattina, che lo giudicai uno di
quei tipi che sembrano sempre giovanissimi anche in avanzata maturità. Sapete, quelle facce piuttosto infantili che rimangono a lungo tali. Tutti ne abbiamo viste di simili, perciò non stetti a pensarci sopra.» «Ma non hai mai sospettato di lui? L'hai accettato per inglese senza alcun dubbio?» «Non ho mai sospettato di lui e l'ho accettato per quel che sembrava. Il suo modo di parlare, il suo accento, perfino il gergo universitario... tutto era autentico. Non ha fatto nessun errore...» «Non bisogna dimenticare che durante gli anni formativi della sua vita, lui è stato davvero a scuola in Inghilterra» intervenne il senatore Benjamin. «Queste cose le conosciamo nei minimi particolari, perché ce le ha confessate prima di morire sabato sera. Tra i quattordici e i diciotto anni ha studiato a Rugby con il grande professor Arnold. Pensate al suo talento per la mimica, pensate che è vissuto a Parigi e ha avuto tutto il denaro che voleva: la defunta Delphine Lalaurie l'ha lasciato ben provvisto. Poteva tornare in Inghilterra quando gli piaceva, sia per mantenere il proprio accento, sia per tenersi al corrente delle mode. «In realtà non era né biondo né ingenuo, come vedremo. E di errori ne ha commessi molti, ma raramente il tipo di errori che ci si aspetterebbe da un impostore. Vedremo anche questo, proseguendo nel racconto...» «Come proseguendo nel racconto?» interruppe Isabelle de Sancerre. «Non è meglio che cominci dal principio e ci racconti la storia per intero? Anzi, non proprio dal principio: comincia da quando hai avuto i primi sospetti su di lui. Come ti è capitato di pensare a qualcuno che pareva così innocente?» Il senatore Benjamin fumava con aria riflessiva, arricciandosi le fedine. «Tutto è cominciato con quel primo senso di stupore che precede il sospetto» rispose. «Tornate indietro con la mente a giovedì sera, dopo che Horace Rutherford morì cadendo dalla scala. Io ebbi colloqui separati con ciascun testimone, a eccezione della signorina Ede.» Si volse a Macrae. «La sua testimonianza, amico mio, fu estremamente suggestiva. Aveva visto il giudice cadere e morire; e subito si volse a guardare quelli che erano con lei nell'atrio. Descrisse Jules de Sancerre; descrisse Tom Clayton; descrisse Barnaby Jeffers. Aveva osservato perfino le loro diverse espressioni. Ma non descrisse Harry Ludlow, anzi non lo nominò neppure.» «Non lo avevo visto; ma ero convinto che fosse lì, come ne erano convinti gli altri. Dopo, lui disse che c'era e tutti furono d'accordo.»
«Certo.» Il senatore si strofinò la fronte. «Ma io mi chiesi: non era forse possibile che lei non avesse parlato di lui perché in realtà non c'era? E se non c'era, dove poteva trovarsi? «Fino a questo punto, mi creda, il mio non era neanche un sospetto. Era solo... diciamo, una sensazione. Ma lei, signor Macrae, aveva fatto di più che darmi la sua versione della morte del giudice Rutherford. Mi aveva anche detto tante cose di Harry Ludlow: i suoi trascorsi, il suo viaggio, le lettere che le aveva scritto, il suo arrivo quella stessa mattina, diverse cose che aveva fatto e detto. Piuttosto incautamente, io ne feci menzione a lui più tardi. Infatti il suo resoconto produsse in me uno stupore ancor maggiore.» «E come?» «Riconobbe con mei come aveva anche ammesso con Tom, che non aveva più visto Harry da quando era un ragazzo di dieci anni. Ma pensava di poterlo ancora riconoscere. Sul battello vide un giovanotto robusto, di aspetto estremamente giovanile, con capelli biondi e un'espressione bonacciona ma non eccessivamente intelligente. Non ebbe il minimo dubbio che fosse il figlio del suo amico, perché non le passò neanche per la testa che potesse essere qualcun altro. Eppure, dopo due minuti circa che l'aveva incontrato, lui attestò di non aver mai sentito nominare il whisky bourbon.» «Ma non vedo...» «Oh, è una piccolezza, lo riconosco: ma desta meraviglia. Aveva già visitato diverse città americane, comprese Washington e St. Louis, da dove le aveva scritto. Può concepire forse che sia possibile che un giovane inglese, e specialmente un tipo socievole come lui, possa aver passato diverso tempo a Boston, Filadelfia e New York senza che gli offrissero del bourbon, senza che glielo nominassero neanche. Ma che fosse rimasto nel medesimo stato d'ignoranza dopo aver visitato sia St. Louis che Washington, per non parlare del suo viaggio in battello sul Mississippi, è assolutamente inverosimile a dir poco. «Fu questa la ragione per la quale esaminai più attentamente quanto sapevamo di Harry Ludlow. Qui in biblioteca, giovedì notte, sentii parlare per la prima volta di Steve White e de! cieco odio che nutriva per tre uomini. Qualcuno che portava quel nome aveva condiviso con Harry Ludlow una cabina durante il viaggio da St. Louis, a quanto pareva; dopo di che, si supponeva, era sceso a terra alla chetichella e si era dileguato. «Siatemi testimoni che Harry Ludlow non era con noi quando sorse l'argomento di Steve White: era stato mandato a chiamare la polizia. Ma pri-
ma, era stato con noi per diverso tempo. E allora, tenendo in mente che avevo una certa ragione di sospettare di questo giovanotto così franco, che diceva di aver paura del sangue e della violenza, che altro sapevamo di lui? «Agiva e osava molto più di quanto non si potesse supporre dalle sue dichiarazioni. I guai di cui si lamentava, di non avere un vero incarico, di incontrare inesplicabili atti di violenza dovunque si volgesse, li sopportava con sorridente disinvoltura. Si comportava da ragazzone non molto intelligente, amante dello sport ma poco affezionato ai libri; eppure le sue osservazioni erano acute e piene di buon senso; ha fatto perfino un'allusione alla satira sull'Ufficio delle Circonlocuzioni che il signor Dickens fa nel suo ultimo libro, La piccola Dorrit, ancora in corso di pubblicazione. Dimostrava il massimo rispetto per il suo superiore, il console; si dichiarava pronto a fare tutto ciò che questi gli avesse ordinato. Ma non si è mai lasciato persuadere a "scrivere" nulla.» Jules de Sancerre si chinò in avanti. «Ricordo, sì» disse. «Macrae gli aveva chiesto di scrivere un messaggio al sergente O'Shea. Una cosa da niente. Ma lui non ha voluto farlo, addusse delle scuse e alfine si fece come diceva lui. Ma già! Siccome il vero Harry aveva scritto diverse lettere, che forse Macrae aveva conservate...» «Le aveva conservate, Jules.» «Ecco che il falso Harry non poteva rischiare che si paragonassero le due calligrafie! No?» «Certo; e di questo ci sono anche altre prove. Quello stesso giorno, Tom Clayton gli aveva offerto di presentarlo al direttore della Hookson's. Lui rifiutò, adducendo come scusa che di denaro ne aveva abbastanza; il che, del resto, era vero. Ma la ragione autentica era, naturalmente, che dando la prova della sua identità alla banca, anche con un garante così rispettabile come il figlio di Leonidas Clayton, avrebbe dovuto depositare la sua firma. «Ma fin qui non abbiamo che piccoli particolari, che avrebbero anche potuto essere insignificanti. La conferma vera, la più importante, viene dopo. Saltiamo al venerdì.» Di nuovo il senatore si rivolse a Macrae. «Lei aveva incaricato il suo assistente di preparare un breve rapporto per il Foreign Office, no? Dica, l'ha fatto?» «No.» Macrae ripercorse ciò che era avvenuto. «Ci ha lavorato, o ha detto che ci stava lavorando, tutta la giornata. Ma non ha voluto lasciarmi controllare i suoi appunti. Gli ho detto che per sabato mattina volevo il rapporto completo sulla mia scrivania. Quando ho guardato nel mio ufficio
prima di venire da lei, ieri mattina, sulla scrivania non c'era niente.» «Ecco. Ma purtroppo abbiamo anticipato alquanto il corso degli eventi.» Il senatore scosse la cenere dal sigaro. «Torniamo a giovedì notte, quando ancora mi trovavo nell'oscurità. «Harry Ludlow aveva anche professato d'ignorare quell'amenità che chiamiamo lo spuntino gratis, e se l'era fatta spiegare. Ma lo spuntino gratis, benché sia stato inventato qui, è stato presto introdotto in altre città. Io stesso me ne sono spesso deliziato al bar del Willard Hotel a Washington, dove lui stesso aveva detto di aver alloggiato. I piccoli particolari continuavano ad accumularsi, vedete. "Harry Ludlow" poteva non essere affatto Harry Ludlow; poteva quindi essere l'elusivo Steve White. E forse aveva ucciso il giudice Rutherford, se...» «Questo posso indovinarlo anch'io» gridò Isabelle de Sancerre. «Ti avevo detto che Steve White visitò questa casa da ragazzo, prima che fosse finita. Correva su e giù per le scale, s'infilava dappertutto. La scala esterna è nel retro, e conduce alla veranda sulla quale danno cinque stanze, con nel centro lo studio di Jules. «Ammettendo che Harry Ludlow fosse Steve White, dobbiamo pensare che uno con la sua ossessione non avrebbe mai dimenticato un così vivido ricordo della sua fanciullezza, la visita in questa casa con la sua dea. Quando il povero Horace è apparso in cima alla scala, lui deve aver pensato che gli altri testimoni sarebbero stati così assorti a guardarlo da non fare nessun caso a lui, né allora né dopo. «Così può aver fatto il giro della casa e esser corso su per le scale. Stando nello studio con la porta spalancata, si trovava proprio dietro Horace e a poca distanza da lui. E nessuno dell'atrio poteva vederlo. Ma come poteva sapere che Horace soffriva di cuore e che aveva l'abitudine di mettersi in posa in equilibrio precario?» Il senatore Benjamin schiacciò il mozzicone in un portacenere. «Col tuo permesso, Isabelle, procediamo con ordine. Giovedì notte il "come" del delitto sembrava l'enigma più insolubile. Durante i quattro passi che ho fatto con Macrae, ho notato ai bordi del sentiero una fila di sassi rotondi, non troppo grandi. Ho ricordato il livido sulla schiena del giudice Rutherford. Ma era ridicolo che un assassino si fosse arrischiato a gettare un sasso; e comunque, il sasso dov'era? «Venerdì mi si sono rivelate le risposte a diverse domande. Le più importanti, Isabelle, me le hai fornite tu: uno, la genialità di Steve White come mimo; due, la sua inaudita abilità con la fionda.»
«Eureka!» «Prima che tu ci dicessi queste cose, nel pomeriggio, "Harry Ludlow" davanti a noi tutti, sul terrazzino, aveva dato prova delle sue attitudini mimiche. Ha imitato un gentiluomo del Sud Carolina con tale accuratezza che mi è sembrato di sentir davvero parlare uno di Port Royal. «Il suo deliberato errore nell'assegnare Charleston al Nord Carolina, come l'errore sul bourbon, faceva parte delle gaffes che ci si aspettano da un forestiero. Erano ulteriori, abili tocchi, o così lui pensava, alla parte che stava recitando. Perché quell'uomo era più che un mimo: era uno splendido attore, che poteva ingannare tutti, quando voleva.» «Non ha ingannato lei, senatore» commentò Macrae. «Tanto meglio! E a proposito della sua mimica, avreste dovuto sentirlo a colazione venerdì mattina. Ha imitato Tom Clayton che urlava davanti alla porta di Margot, e ha fatto tutta la scena della sculacciata in un modo che mi pareva di assistervi. «E per quanto riguarda la sua abilità con la fionda, va bene che era ormai un uomo; ma nessuno di noi dimentica mai le cose che amava di più e in cui eccelleva maggiormente da ragazzo. Non vi pare?» «Quanto è vero!» esclamò il senatore Benjamin. «Ho forse mai dimenticato, io, come si pesca la razza? E così Steve White non ha mai dimenticato la sua destrezza con quella che può essere un'arma formidabile. «Signore e signori, avevo sperato di mostrarvela, la pesante fionda fatta a Y con una robusta fascia di gomma, che gli infermieri all'ospedale hanno tolto dalla tasca di quell'uomo. Il legno è noce americano, mi dicono: se l'era fatta qui, evidentemente. E oltre alla fionda, aveva un coltello e una pistola. Ma il procuratore distrettuale Tappan ha sequestrato tutto come prove contro un assassino che non può più essere perseguito in questo mondo.» Ursula Ede alzò la mano. «Scusi se sono poco interessata alla fionda e molto al carattere del falso Harry Ludlow. Era piuttosto complicato, no? Ma si è tradito in altri modi oltre a quelli che ci ha menzionati?» «Oh, sì. A Jules e a Macrae disse che il giudice Rutherford stava guardando loro; non disse noi. E si tradì ancora in una conversazione che ebbe con Margot nel parco quello stesso venerdì pomeriggio.» «Io e il signor Macrae abbiamo udito quella conversazione» disse Ursula in tono di scusa. «È stata Margot a riferirgliela, lo so. Ma che c'era, in essa, di rivelatore?»
«Margot gli aveva fatto delle domande su Steve White; il colmo dell'ironia, chiedergli di parlarle di se stesso! E lui disse... vediamo se ricordo le parole esatte... "Ieri notte in biblioteca, quando stavano tanto parlando di questo Steve White come del figlio di Rosette Leblanc, come facevo io a sapere se lo era o no, avendolo appena incontrato su un battello?" «Una domanda ragionevolissima, in apparenza, ma che lo tradiva. Quando in biblioteca la discussione s'incentrò su Steve White, "Harry Ludlow" non c'era. Non poteva aver sentito quello che diceva di aver sentito. Ma gli era venuta all'orecchio l'eco di ciò che avevamo detto, e cercava disperatamente di scoprire quanto potessimo aver saputo o indovinato di lui. E Margot, altra ironia, lo lodò e gli augurò buona fortuna! «Ma è ora di tirare i fili dell'intera triste faccenda. «Giovedì notte io avevo già la sicurezza che il preteso Harry fosse un impostore e che Steve White fosse lui; quindi venerdì fui in grado di suggerire al sergente O'Shea in quale modo dovesse "cercare" White. «"Harry Ludlow", parlando con me, ripeté quanto aveva già detto a Macrae e a Tom, cioè che aveva viaggiato sul "Governor Roman" con Steve White, un tizio un po' stravagante che gli aveva impedito di far comunella con gli altri passeggeri, e che si era affrettato a scendere appena il battello era attraccato. Lo descrisse, anche, con le stesse parole che usò con Margot: bruno, senza barba, in apparenza più che ventiquattrenne. Era una veritiera descrizione di se stesso, anche se mirava a metterci fuori strada: perché lui non dimostrava più di ventiquattro anni, e i capelli se li era tinti di biondo prima che il battello toccasse New Orleans. «Un giorno, e sarà presto, non ne dubito, si riuscirà a deporre il cavo transatlantico che per ora manca. Se ne fossimo stati già provvisti, avremmo potuto chiedere immediatamente a Parigi notizie su Stéphan Leblanc, divenuto Steve White su queste sponde. In mancanza di tale opportunità, il sergente O'Shea ha dovuto procedere con le informazioni che potevamo procurarci qui. «Il "Governor Roman" sarebbe rimasto al molo quarantott'ore, prima di tornare a St. Louis. Ciurma, camerieri e altro personale si potevano interrogare sui due passeggeri che avevano diviso la stessa cabina durante il viaggio fin qui. «Secondo i registri della Grand Bayou Line, Stephen White e Harry Ludlow avevano comprato due biglietti da St. Louis a New Orleans, e si erano spartiti una cabina di lusso. Il personale di bordo ha dichiarato che si trattava, almeno in apparenza, di due giovanotti della stessa età, ambedue
inglesi. Non si mescolavano con gli altri passeggeri, ma ad opera di quale dei due? «Il "nostro" Harry aveva dichiarato che l'altro era sgattaiolato a terra la mattina presto, gliel'aveva detto un cameriere. Ma non si trovò a bordo nessun cameriere che gli avesse mai detto niente del genere. Uno dei due giovanotti sparì nel corso dell'ultima notte a bordo e non fu più visto. Questa sparizione poteva significare una sola cosa: che il compagno si era sbarazzato di lui. "Quod est demonstrandum", non è vero? «Il corso degli eventi, vedete, era inevitabile. Avendo deciso di sostituirsi al vero Harry, il falso Harry aspetta fino all'ultimo momento e gli lascia mandare un telegramma perfettamente autentico da Baton Rouge. Il giovane inglese ha la lingua sciolta e tiene un diario, quindi fornisce a Steve White un sacco di particolari sulla propria vita e sul Foreign Office; particolari che saranno utilissimi all'assassino per la sua audace impostura. Sul fiume, la notte prima dell'arrivo, uccide la sua vittima a coltellate e getta fuori bordo il cadavere. Si tinge poi i capelli di biondo: chi farà caso a lui, nella confusione dell'arrivo?» Macrae intervenne. «Allora, senatore, quella notte al Gem, quando lei disse che la preoccupava il delitto di cui non avevamo ancora sentito parlare, e tutti noi pensammo a un "secondo" delitto, si trattava in realtà del "primo"? L'assassinio del vero Harry Ludlow?» «Certo. Il corpo, trascinato dal fiume, è stato ripescato sabato mattina. È stata una fortuna, anzi, che venisse ritrovato; è raro che il Mississippi restituisca le sue vittime. E ora concludiamo.» Il senatore s'interruppe per qualche istante. «La signorina Ede ha espresso la sua curiosità sul vero carattere dell'assassino. Chi c'era veramente, dietro la facciata che lo celava? Possiamo ricostruire il suo vero volto in parte rifacendoci alle sue azioni, in parte richiamando la confessione che lui ha fatto in punto di morte. «Si presentò al vero Harry Ludlow a St. Louis come Stephen White, un inglese che da giovane era vissuto a New Orleans. All'inizio non aveva intenzione di uccidere il giovane viceconsole e di sostituirsi a lui; almeno così ha dichiarato prima di morire, e io sono incline a prestargli fede. «Era già da qualche tempo che si trovava a St. Louis, come credo di avervi già detto. In base al suo schema originale, si era tenuto in comunicazione per lettera con Marie Laveau senior, che sapeva tutto di lui. Ecco come le due Marie Laveau entrano nella storia.»
«Ecco, già» intervenne Jules de Sancerre. «Come diavolo c'entrano, Benjie?» «Chiediti perché doveva tenersi in corrispondenza con Marie Laveau. Per eseguire alla perfezione il suo piano originale e allontanare da sé i sospetti, posando a giovane turista inglese mentre perseguiva i tre uomini che aveva deciso di uccidere, c'erano delle precauzioni che doveva prendere. «Era naturale che dovesse presentarsi al console di Gran Bretagna. Ma avrebbe fatto di più. Quale modo migliore, per evitare anche l'ombra del dubbio su di sé, che stringere amicizia col console? Aveva il dono della simpatia, poteva farsi amico di chiunque. Avrebbe frequentato il consolato, quindi; ne sarebbe diventato un ospite fisso. Il consolato sarebbe stato la sua seconda casa. «Ecco perché comincia a scrivere a Marie senior sette o otto settimane fa, prima di sapere che un giovane viceconsole sarebbe piovuto dalle nuvole. "Suvvia, chère Marie! Sfrutta le risorse del tuo Vudu. Sfoggia qualche delicata attenzione per mostrare che il tuo occhio è sul console, sul consolato e su tutti quelli che vi entrano. Invoca le tue benedizioni capovolte: presto sarà me che benedirai!" «Ecco perché Macrae venne tenuto sotto osservazione e spiato, per quanto non con cattive intenzioni, prima che l'aspirante assassino di St. Louis avesse dato gli ultimi tocchi al suo piano. «Infatti che avvenne? Quando apparve il vero Harry Ludlow, un ragazzone fiducioso che parlava troppo, lo schema originale di Steve White sembrò trovare proprio quell'ultima pennellata che gli mancava. Quale miglior biglietto d'ingresso per il consolato a New Orleans che l'amicizia del nuovo viceconsole? «Ma poi, un poco più tardi, ecco l'ispirazione luminosa: uccidere Harry Ludlow e prendere il suo posto. Divenne d'importanza ancora più vitale che le attenzioni del Vudu si concentrassero su Richard Macrae e che fosse benedetta la sua casa e tutti quelli che vi entravano. Il piano finale, vi assicuro, la dice lunga sul vero carattere di Steve White. «Se fosse stata sua intenzione solo di vendicare il torto fatto a Delphine Lalaurie tanto tempo fa, noi potremmo almeno comprenderlo. Non potremmo simpatizzare con la sua folle idolatria, ma potremmo capire. Ma era solo questo? E allora, perché uccidere a sangue freddo quel povero giovanotto, senz'altro scopo che di accarezzare la vanità dell'assassino, mettendolo in grado di recitare una parte che allontanasse ancor più i sospetti da lui? E ucciderlo con sei coltellate, come si può vedere dal corpo
straziato che il fiume ha rigettato a riva: un'azione simile come dovremmo chiamarla? Steve White godeva a uccidere: era un piacere per la sua anima contorta. Sotto diversi aspetti, temo che fosse il malvagio degenerato che ha descritto il sergente O'Shea. «Da St. Louis spedì a Marie Laveau un'ultima lettera, rivelandole quale sarebbe stata entro pochi giorni la sua nuova identità. L'ammonì che non avrebbe mai dovuto tentare di mettersi personalmente in contatto con lui, che avrebbe fatto lo stesso nei riguardi di lei. Quindi lui e la sua vittima s'imbarcarono. «Penso, anche se non posso provarlo, che en route abbia spedito a Marie senior un telegramma, così come il vero Harry telegrafò a Macrae da Baton Rouge. Compì il suo lavoro da beccaio mercoledì notte; si appropriò del diario, delle carte e del denaro della vittima, ne gettò fuori bordo i bagagli e si tenne pronto ad affrontare gli eventi la mattina dopo. «Bisognava, naturalmente, raccontare una storia per spiegare la sparizione di Steve White. Lui aveva tenuto la sua vittima in disparte dagli altri passeggeri, e due giovanotti che viaggiavano insieme non dovevano aver suscitato grande curiosità nel grande traffico che si svolge sul Mississippi. Pure, senza almeno un abbozzo di spiegazione, qualcuno avrebbe potuto notare e ricordare qualcosa. «Improvvisò bene, come faceva sempre, del resto. Steve White, avendo recitato la sua parte come turista inglese, divenne un misterioso americano che si era dileguato dalla scena. L'assassino era pronto adesso a dare la caccia alla sua principale preda, il giudice Horace Rutherford. «Era come se il caso e la fortuna lo stessero ricolmando di tutti i loro favori. L'opportunità d'oro gli fu offerta quella stessa notte. «Poco fa, Isabelle mi ha chiesto come poteva sapere "Harry Ludlow" dell'infermità del giudice e della sua mania di mettersi in posa. Non dimenticate la corrispondenza con Marie Laveau! «Lei non lo avrebbe mai aiutato attivamente a uccidere. Per tutti questi anni, ha sempre badato a non offendere la legge. Ma custodiva la memoria di Delphine Lalaurie quanto lui. Passivamente, l'avrebbe aiutato e favorito come poteva. Così lo tenne informato sui tre che lui cercava. «Pochi minuti prima dell'omicidio, come per incoraggiare ulteriormente l'assassino, Isabelle de Sancerre fece dei commenti sulle peculiarità che facevano del giudice una vittima ideale.» «Io?» gridò Isabelle de Sancerre. «Tu, sì. Mi hanno ripetuto le tue parole, quando sei uscita sul porticato a
vedere chi era arrivato nelle tre carrozze. Hai detto che il giudice Rutherford era di sopra nello studio. E hai aggiunto che, zoppo com'era e col cuore in quello stato, non avrebbe dovuto saltellare qua e là e mettersi in posa dappertutto. Una caduta avrebbe potuto ucciderlo, hai spiegato. Non è vero che hai detto tutto ciò, Isabelle?» «Forse. Forse. Non ricordo!» «Poi arrivò Barnaby Jeffers. Tutti i condannati venivano dunque serviti all'assassino su un piatto? Mentre la signorina Partridge gonfiava i polmoni, il giudice Rutherford apparve in cima alle scale. «E l'uomo pronto ad acciuffare tutte le opportunità fu svelto ad approfittarne. Nessuno osservava in quel momento il presunto Harry Ludlow. Girò intorno alla casa; non aveva dimenticato com'era fatta, come tu ci hai fatto notare, Isabelle. Aveva tre armi a sua disposizione, ma solo una gli serviva ora. «Scelse una pietra fra quelle che bordavano il vialetto. Dallo studio, immediatamente dietro la sua vittima, lanciò il proiettile mentre la nostra soprano ululava la sua canzone. Pochi secondi dopo tornava nell'atrio, innocente e insospettabile. «Se almeno il sasso fosse caduto per le scale! Ma rimbalzò invece sul folto tappeto del pianerottolo. Nessuno lo vide, nessuno sentì alcun rumore.» «Ma proprio tu a un certo punto chiedesti cosa poteva esserne stato del sasso» intervenne Jules de Sancerre. «L'ha trovato il tuo maggiordomo, Marcus Brutus, che dice di non aver fatto attenzione alla cosa. Suppose che qualcuno lo avesse lasciato cadere "per distrazione" e lo gettò via senza far menzione di un così trascurabile particolare. Ora senti, Marcus Brutus può non essere un genio, ma non è nemmeno possibile che sia così stupido. «Perciò dobbiamo tornare a Marie Laveau e alla sua cerchia di devoti. Tu, Jules, hai negato che potessero essercene nella tua casa. Ma io sospetto che lo stesso Marcus Brutus sia uno di loro. Ricorda che è scappato in fretta dal portico appena ha udito menzionare la magia Vudu, ma non ti ha riferito questo particolare quando ti ha informato della scomparsa di Margot. E suo figlio Willie aveva fatto la guardia alla stanza di tua figlia senza dirti nulla delle visite di Marie junior. «Ora non prendertela con Marcus Brutus o con Willie; non punirli e non rimproverarli troppo. Ti assicuro sulla mia parola che sono sinceramente devoti a te e alla tua famiglia. Segui l'esempio di Macrae: fa' loro un predi-
cozzo e poi dimentica tutto. E ora torniamo all'assassino. «Si era sbarazzato del giudice Rutherford; ora poteva concentrarsi sugli altri due. Ma Barnaby Jeffers era fuori della sua portata, con un poliziotto alle costole ogni momento del giorno e della notte. Quindi il suo prossimo tentativo doveva esser rivolto contro George Stoneman.» Isabelle de Sancerre fece un gesto con la mano come per togliersi una rete di ragnatele dagli occhi. «Va bene» disse «seguiremo i tuoi consigli per quanto riguarda Marcus Brutus e Willie. Ma lo pseudo Harry Ludlow, anche se conosceva questa casa per averla vista in compagnia del suo idolo, era stato troppo tempo lontano da New Orleans per sapere dove trovare George Stoneman!» «Forse Marie Laveau gli ha detto anche questo?» s'interpose Macrae. Il senatore Benjamin lo guardò con bonario sarcasmo. «Lui dice di no. In realtà, è stato lei a dirglielo. O almeno, gli ha fornito i mezzi per trovare facilmente la casa di George. Ah! Ricorda ora, eh?» «Già» fece mortificato Macrae. «Gli ho detto dove trovare la guida della città, "per orientarsi meglio"!» «E ora torniamo per l'ultima volta a Marie Laveau e a quelli che segretamente la servono» continuò il senatore. «Il telegrafo senza fili del Vudu, che trasmette alla sua regina notizie su tutto ciò che accade in città, ha davvero qualcosa di soprannaturale. Ricordate che lei sapeva perfino quanto accadeva nella casa di un fabbricante di bambole, così che sua figlia potesse sbalordire un marinaio di nome Jack Dowser con la sua magica chiaroveggenza! «Venne dunque immediatamente informata della morte del giudice Rutherford. La prossima vittima sarebbe stata Barnaby Jeffers o George Stoneman. «Ma non sapeva quale dei due, perché l'assassino le aveva proibito di comunicare con lui. Pure, non importava. Dopo aver mandato i due messaggi a Barnaby e al sergente O'Shea, lei ne mandò uno al console di Gran Bretagna invitandolo a incontrarsi con Papa Là-bas nella casa stregata venerdì a mezzanotte. «Naturalmente, lui non avrebbe trovato né Papa Là-bas né anima viva. Durante il giorno lei probabilmente aveva mandato uno dei suoi devoti a schizzare sulla parete i disegni concernenti il giudice morto e il minacciato signor Stoneman. Forse il tizio avrebbe dovuto disegnare anche Barnaby Jeffers, e s'interruppe o si allarmò e scappò. Questo però non lo sapremo mai. La donna non parlerà spontaneamente, e prove contro di lei non ce ne
sono. Scripta manent, e con questo alludo alle lettere di Steve White; ma a quest'ora le avrà indubbiamente distrutte. «E l'ultimo colpo dell'assassino? «Qui gli era stata offerta l'opportunità migliore di tutte. Mentre perlustrava il terreno intorno alla casa del banchiere, mentre tutti lo credevano al consolato intento a lavorare, vide che la vittima si era disposta come perfetto bersaglio alla sua fionda. «Il presidente della Planters' & Southern, con un temporale che si avvicinava, stava lavorando sull'orlo di un tetto a quindici metri da terra. Nel retro della casa e vicino a essa c'era un albero i cui rami lo avrebbero portato a distanza di tiro dalla sua preda. Se un certo mozzo di stalla ci si fosse arrampicato anche lui, l'incontro sarebbe stato interessante. «L'assassino lanciò una pietra che colpì la vittima al fianco. Avrebbe dovuto farlo cadere dal tetto, e quasi ci riuscì. Il temporale scoppiò in un rombo di tuoni che soffocarono il rumore del sasso che cadeva. La pioggia cadde a diluvio. Ma la vittima si aggrappò a una grondaia mentre scivolava, e vi rimase attaccato. «So che certi colleghi di George Stoneman hanno riso a crepapelle della figura buffa di questo grasso banchiere appeso a una grondaia durante un uragano. Ma c'è poco da ridere. Se la guerra dovesse scoppiare, è di uomini come questi che avremo bisogno. «George scese alfine e si mise a letto, lamentandosi solo di un dolore al fianco sinistro, dove era stato colpito. L'assassino ormai non poteva più raggiungerlo, con nessun'arma, circondato com'era da un esercito adorante di figli e nuore. In quell'istante le prospettive dell'assassino, così brillanti solo ventiquattr'ore prima, si erano offuscate. Aveva mirato a una preda completamente indifesa e aveva fallito. La fortuna pareva averlo abbandonato. Siccome fin dalla mattinata era venuto a sapere che il suo piano era minacciato, ciò poteva presagire l'inizio della fine.» «Cosa vuol dire, che il suo piano era minacciato?» chiese Macrae. «Non poteva aver già sospettato che lei era sulle sue tracce. E nessun altro gli stava dietro.» «Qualcuno c'era» rispose il senatore Benjamin. «Ha dimenticato il signor Nathaniel Rumbold?» «Square Nat il giocatore? Ma senatore, lui come c'entra? Quando ci avete portati al battello ieri mattina, ero quasi certo che avesse scoperto l'assassino. La sera prima, quando si era ubriacato al Gem Saloon, continuava a ripetere che doveva imbarcarsi sul "Governor Roman" il giorno dopo.»
«Sì, e borbottava qualcosa su una certa tintura per capelli, ricorda?» «Ebbene?» «Non potei interrogarlo quella sera: era ubriaco. Ma di prove ormai ne avevamo abbastanza, e non volevo coinvolgere altre persone nel caso. Pure, una volta le feci osservare che una persona alla quale ha assegnato un certo ruolo può invece rivestirne un altro, completamente diverso...» «Non quello dell'assassino, dunque?» «No, quello del testimone.» Il senatore tirò un respiro profondo. «Anche dopo che lei lo maltrattò così gravemente venerdì mattina, lui gridò in cortile che avrebbe potuto aiutarla, come le aveva già detto in salotto. «Quanto avesse indovinato o sospettato fino a quel momento non è facile da stabilire. Ma un giocatore di professione deve tener gli occhi aperti. Durante il viaggio aveva avuto scarsa ragione di occuparsi di due giovanotti che non giocavano mai con lui. Ma giovedì notte, alla "Washington and American Ballroom", il falso Harry Ludlow si era messo parecchio in evidenza. E Square Nat può aver notato che uno dei passeggeri del "Governor Roman" era andato a letto bruno e si era svegliato biondo. «Sono incline a credere che sia stato lui a far fuoco contro di lei quella stessa mattina. Non cercava di colpirla, è ambidestro, porta sempre due pistole ed è un tiratore eccezionale. Avrebbe potuto metterla in guardia contro "Harry Ludlow", e aveva intenzione di farlo; ma lo aveva offeso nella sua dignità, lo aveva brutalizzato, perciò non avrebbe parlato. Così le tirò un colpo a vuoto. Era il suo modo per avvertirla che qualcuno vicino a lei era infido e pericoloso; mi dicono che un tal genere di avvertimenti è comune tra i gentiluomini del gioco d'azzardo quando non vogliono compromettersi parlando. «Il suo viceconsole, dopo l'incontro casuale con Square Nat al ballo, ebbe cura di evitarlo. Ma certo lo udì mentre le parlava in cortile, e venne quindi a sapere che qualcuno sospettava di lui. «Dopo il fiasco con George Stoneman, per lui non c'era più nulla da fare. Steve White, il superuomo dal sangue gelido e il cuore bruciante di pazza idolatria, aveva i nervi spezzati. Non poteva sopportare ulteriori pressioni: cedette. Il sergente O'Shea passò negli uffici della Grand Bayou Line sabato sera e scoprì che era stato riservato un posto sul "Governor Roman", in partenza per St. Louis, a nome di Steve White. L'assassino stava scappando: era venuto il momento di far scattare la trappola. «Sapete tutti com'è finita. Messo con le spalle al muro in quella cabina, ha sentito che la propria forza lo abbandonava e perfino il suo ultimo sparo
è andato a vuoto. «Sul letto di morte, davanti al sergente O'Shea, si è mostrato quale veramente era: un immaturo, urlante e ringhiante, che si lamentava di essere stato maltrattato dal mondo come ne era stata maltrattata la sua diletta Delphine. Ha rivelato in ogni particolare tutto ciò che Marie Laveau aveva fatto per dargli aiuto. Ma non ha firmato una confessione, e le sue parole le ha sentite solo il sergente; quindi non avrebbero alcun peso dinanzi a un tribunale. No, la regina del Vudu non corre alcun pericolo di essere perseguita per complicità, anche se passiva. «In conclusione, ecco qui: un astuto duplice assassino ha fatto la fine che meritava. Dopo aver maledetto la sua cattiva sorte, ha maledetto ciascuno di noi. Ha maledetto anche Dio. Ha benedetto solo Delphine Lalaurie, e così è morto. Questo è tutto.» «Tutto?» osservò Ursula, raddrizzandosi nella poltrona. «Sembra proprio che tutto sia finito felicemente, e anche nella miglior vena romantica. Margot, completamente disillusa con Marie junior perché l'ha trovata troppo intenta alle opere buone, ha scoperto quanto ha sempre amato Tom.» Tese la mano a Macrae, che la strinse tra le sue. «Per quanto riguarda Qu... Richard e me, noi siamo felici, non è vero?» «Felicissimi.» «Ma gli altri? Cosa ci riserba il futuro?» Con aria meditabonda il senatore Benjamin tirò fuori il portasigari. «Una domanda troppo difficile perché la mia modesta persona possa risponderle, signorina Ede. Vedo tuttavia conflitti nell'avvenire: cambiamenti forse violenti, giorni neri e la fine del nostro mondo così bene ordinato. Pure avremo il beneficio di guardarli in faccia, i pericoli che ci minacciano; non saranno del tipo procuratoci da Steve White e da gente come lui. Tipi del genere, spero e prego di non incontrarli mai più.» FINE