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Il libro Oscar Finley e Wally Figg sono due avvocati di Chicago soci da vent’anni in un piccolo studio legale sempre sull’orlo del fallimento. Litigiosi come una vecchia coppia, cercano di rimediare clienti come possono, perlopiù offrendo la loro consulenza “su misura” in divorzi lampo o alle vittime dei frequenti incidenti d’auto all’incrocio vicino al loro ufficio. I due tirano avanti più o meno dignitosamente nella speranza di fare prima o poi il colpo grosso e di imbattersi in una causa che li renda finalmente ricchi. Il tran tran viene bruscamente stravolto il giorno in cui da loro irrompe David Zinc, giovane e rampante avvocato che fino a poche ore prima lavorava in uno dei più rinomati studi legali della città. Stanco dei ritmi massacranti e deciso a cambiare vita una volta per tutte, David non si è presentato in ufficio, si è preso una sbronza colossale e, per una serie di circostanze fortuite, è arrivato lì, chiedendo di essere assunto. Sembra decisamente un segno del destino perché proprio in quei giorni ai tre si presenta l’opportunità della vita: un caso scottante che riguarda un’importante industria farmaceutica e che può farli diventare finalmente ricchi. A quanto pare fama e soldi sono dietro l’angolo, ma è tutto troppo bello per essere vero e, quasi senza rendersene conto, Oscar, Wally e David si troveranno alle prese con un processo che rischia di stritolarli, dove sono in gioco miliardi di dollari e in cui i più agguerriti avvocati dei migliori studi legali si sfidano in una guerra all’ultimo sangue.
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Ancora una volta John Grisham conferma le sue straordinarie doti di scrittore nel raccontare da vero maestro una storia di piccoli avvocati alle prese con un grande caso giudiziario, e lo fa aggiungendo ai classici e inconfondibili elementi del legal thriller un pizzico di umorismo. Il divertimento è garantito.
L’autore
John Grisham è autore di ventitré romanzi, un saggio, una raccolta di racconti e due libri per ragazzi. È nel comitato dell’Innocence Project di New York ed è presidente del comitato del Mississippi Innocence Project alla facoltà di legge dell’University of Mississippi. Vive in Virginia e in Mississippi.
John Grisham I CONTENDENTI Traduzione di Nicoletta Lamberti
I CONTENDENTI
1 Finley & Figg si autoproclamava “studio legale boutique”. La poco appropriata definizione veniva inserita con la massima frequenza possibile nelle normali conversazioni e compariva addirittura stampata nelle varie forme di pubblicità studiate dai due soci per attirare clienti. In tal modo si lasciava intendere che Finley & Figg fosse qualcosa di più del tipico studio da due soldi. Boutique, per suggerire uno studio dalle misure ridotte ma pieno di risorse e specializzato in un settore particolare. Boutique, qualcosa di raffinato e chic, come evocato dalla stessa parola francese. Boutique, per indicare uno studio legale felice di essere piccolo, selettivo e prospero. Dimensioni a parte, Finley & Figg non era nessuna di queste cose. La sua attività consisteva nel dare la caccia a casi di lesioni personali, un duro lavoro quotidiano che richiedeva poche capacità professionali e scarsa creatività, e nessuno lo avrebbe mai considerato elegante o ricercato. I profitti erano sfuggenti e vaghi quanto il suo status. Lo studio era piccolo perché non poteva permettersi di crescere. Era selettivo solo perché nessuno voleva lavorarci, compresi i due avvocati titolari. Perfino l’ubicazione suggeriva una monotona sopravvivenza nelle categorie inferiori. Con un centro massaggi vietnamita a sinistra e un riparatore di tosaerba a destra, bastava una semplice occhiata per capire che Finley & Figg non stava prosperando. Sulla stessa strada, esattamente di fronte, c’era un altro studio boutique, odiato rivale, e subito dietro l’angolo c’erano altri avvocati. In effetti il quartiere brulicava di legali; alcuni lavoravano da soli, altri in modesti studi, altri ancora secondo la propria versione personale di boutique.
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Lo studio F&F si trovava in Preston Avenue, una strada trafficata lungo la quale si allineavano vecchi villini ristrutturati e utilizzati per ogni sorta di attività. C’erano esercizi di vario tipo: negozi di liquori, lavanderie, centri massaggi, riparatori di tosaerba; studi professionali: avvocati, dentisti; e venditori di specialità gastronomiche: enchiladas, baklava, pizza da asporto. Oscar Finley aveva vinto l’edificio in una causa vent’anni prima. Tutto sommato, ciò che mancava allo studio sotto l’aspetto del prestigio era in parte compensato dalla posizione. Poco più avanti c’era l’incrocio tra la Preston, la Beech e la Trentottesima, una caotica convergenza di asfalto e traffico che garantiva almeno un bell’incidente stradale alla settimana, e spesso anche di più. Le spese generali di F&F erano coperte dalle collisioni che si verificavano a meno di cento metri di distanza. Avvocati di altri studi, boutique o meno, spesso si aggiravano famelici in zona nella speranza di trovare un villino a buon mercato dal quale poter sentire lo stridio dei pneumatici e il clangore delle lamiere. Poiché gli avvocati/soci erano soltanto due, era stato inevitabile che uno venisse nominato socio anziano e l’altro socio giovane. Il socio anziano, il sessantaduenne Oscar Finley, sopravviveva da trent’anni nella giungla delle dispute legali, frequenti nelle dure strade del Southwest Side di Chicago. Un tempo Oscar era stato un poliziotto, ma si era fatto cacciare perché spaccava troppe teste. Per poco non era finito in galera, ma poi aveva sentito la vocazione, era andato al college e si era laureato in legge. Una volta constatato che nessuno studio era disposto ad assumerlo, aveva appeso la sua piccola insegna personale e aveva cominciato a fare causa a chiunque gli passasse vicino. Trent’anni dopo trovava difficile credere di avere sprecato tutta la sua carriera occupandosi di crediti scaduti, tamponamenti, responsabilità civile verso terzi e divorzi veloci. Era ancora sposato con sua moglie, una donna terrificante che ogni giorno avrebbe voluto trascinare in tribunale per il divorzio. Ma non poteva permetterselo. Dopo trent’anni di professione legale, Oscar Finley non poteva permettersi praticamente niente.
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Il suo socio giovane – Oscar tendeva a usare espressioni del tipo “Dirò al mio socio giovane di occuparsene” quando voleva fare colpo su giudici, altri avvocati e specialmente su potenziali clienti – era Wally Figg, di anni quarantasei. Wally si considerava un duro avvocato da tribunale, ed erano opera sua i roboanti annunci pubblicitari che promettevano la massima aggressività: “Noi lottiamo per i tuoi diritti!”, “Le assicurazioni ci temono!”, “Noi facciamo sul serio!”. Era possibile vedere questi annunci sulle panchine dei parchi, sugli autobus urbani, sui taxi, nei calendari delle partite di football del liceo e perfino sui pali del telefono, nonostante questo fosse proibito da numerose ordinanze municipali. La pubblicità dello studio non compariva in due settori cruciali: televisione e grandi cartelloni stradali. Su questo punto Wally e Oscar continuavano a litigare. Oscar si rifiutava di spendere il denaro necessario – entrambe le soluzioni erano spaventosamente costose – e Wally insisteva. Il suo sogno era vedere in tivù la propria faccia sorridente che diceva cose tremende sulle compagnie di assicurazioni e prometteva enormi risarcimenti a chiunque avesse subito lesioni e fosse abbastanza saggio da chiamare subito il numero verde in sovrimpressione. Ma Oscar sui cartelloni non sentiva ragioni. Wally ne aveva individuato uno in particolare. A sei isolati dall’ufficio, all’angolo tra la Beech e la Trentaduesima, sopra il traffico intenso in cima a un palazzo di appartamenti di quattro piani, c’era lo spazio pubblicitario migliore di tutta Chicago. Al momento il cartellone proponeva biancheria intima a buon mercato (una pubblicità piuttosto attraente, doveva ammettere Wally), ma lui ci vedeva la propria faccia e il proprio nome. Oscar continuava a dire di no. La laurea in giurisprudenza di Wally era stata rilasciata dalla prestigiosa scuola di legge dell’università di Chicago. Oscar aveva ottenuto la sua in un istituto ormai defunto che un tempo aveva offerto corsi serali. Entrambi avevano sostenuto tre volte l’esame di ammissione
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all’ordine. Wally aveva quattro divorzi al proprio attivo; Oscar poteva solo sognarsi il primo. Wally voleva il grande caso, il grande colpo con parcelle da milioni di dollari. Oscar voleva solo due cose: divorzio e pensione. Come quei due si fossero ritrovati titolari di uno studio in un edificio ristrutturato in Preston Avenue era un’altra storia. Come potessero sopravvivere senza strangolarsi a vicenda era un mistero quotidiano. L’arbitro delle loro dispute era Rochelle Gibson, una robusta signora nera con il modo di pensare e il buonsenso che si era guadagnata sulle strade da cui proveniva. Ms Gibson gestiva l’ufficio: telefono, reception, i potenziali clienti che arrivavano speranzosi, i clienti scontenti che se ne andavano arrabbiati, l’occasionale battitura di testi (anche se i suoi capi avevano imparato che, se avevano bisogno di qualcosa di stampato, era più semplice provvedere da soli), il cane dello studio e, soprattutto, i costanti battibecchi tra Oscar e Wally. Anni prima Ms Gibson era rimasta ferita in un incidente stradale nel quale non aveva avuto alcuna responsabilità. Poi aveva peggiorato la situazione affidandosi allo studio legale Finley & Figg, anche se non per sua scelta. Ventiquattr’ore dopo l’incidente, strafatta di Percocet e immobilizzata da stecche e ingessature, Ms Gibson si era svegliata trovandosi la faccia paffuta e sorridente dell’avvocato Wallis Figg china sul suo letto d’ospedale. Wally, in tenuta color acquamarina, con uno stetoscopio intorno al collo e piuttosto bravo nel ruolo di medico, l’aveva convinta a firmare un contratto di rappresentanza legale, le aveva promesso la luna, era sgusciato fuori dalla stanza silenziosamente come ci era entrato e aveva cominciato a occuparsi del caso. Ms Gibson aveva incassato quarantamila dollari, che suo marito si era bevuto e giocato nel giro di qualche settimana, cosa che aveva portato a una richiesta di divorzio redatta da Oscar Finley. Oscar Finley aveva gestito anche la successiva bancarotta della signora. Ms
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Gibson non era rimasta particolarmente colpita da nessuno dei due avvocati e aveva minacciato di fare causa a entrambi per negligenza professionale. Questo aveva richiamato l’attenzione dei soci – già in passato colpiti da azioni legali del genere – che si erano dati parecchio da fare per placarla. A mano a mano che i suoi guai si moltiplicavano, Ms Gibson era diventata un elemento fisso dello studio e, con il passare del tempo, tutti e tre avevano cominciato a sentirsi a proprio agio tra loro. Finley & Figg era un posto duro per le segretarie. Lo stipendio era basso, i clienti in genere erano sgradevoli, al telefono gli altri avvocati erano sgarbati e l’orario era lungo, ma la cosa peggiore era avere a che fare con i due soci. Oscar e Wally in precedenza avevano tentato la strada della segretaria matura, ma le anziane non erano in grado di sopportare la pressione. Avevano provato con le ragazze, ma si erano ritrovati citati in giudizio per molestie sessuali, dato che Wally non era riuscito a tenere le zampe lontano da una giovane con il seno florido. (Avevano poi concordato in via stragiudiziale un risarcimento di cinquantamila dollari e i loro nomi erano finiti sui giornali.) Rochelle Gibson era capitata in studio la mattina in cui la segretaria del momento aveva dato le dimissioni e se n’era andata sbattendo la porta. Mentre i telefoni squillavano e i soci strillavano, si era sistemata alla reception e aveva preso in mano la situazione. Poi aveva preparato il caffè. Era tornata il mattino dopo, e quello dopo ancora. Otto anni più tardi continuava a gestire tutto lo studio. I suoi figli erano in carcere. Li aveva difesi Wally, ma, in tutta franchezza, nessuno avrebbe potuto salvarli. Ancora adolescenti i due ragazzi lo avevano tenuto occupato con tutta una serie di arresti per droga. I loro traffici si erano allargati sempre di più e Wally li aveva ripetutamente avvertiti che stavano puntando dritto alla galera, o alla pena di morte. Aveva detto la stessa cosa a Ms Gibson, la quale aveva scarso controllo sui figli e pregava spesso che finissero in prigione. Poi
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lo spaccio di crack era stato scoperto dalla polizia e i due fratelli erano stati mandati al fresco per dieci anni. Wally aveva ottenuto una riduzione della pena dai venti anni iniziali, ma i ragazzi non avevano mostrato alcun segno di gratitudine. Ms Gibson, invece, l’aveva ringraziato piangendo. Per tutti i guai dei suoi figli, Wally non le aveva mai addebitato alcuna parcella. Nel corso degli anni c’erano state molte lacrime nella vita di Ms Gibson, e non di rado erano state versate nell’ufficio di Wally, con la porta chiusa a chiave. Lui la consigliava e, se possibile, cercava di dare anche una mano, ma il suo ruolo principale era quello di ascoltatore. Considerando la sua vita disordinata, le parti potevano facilmente invertirsi. Quando gli ultimi due matrimoni di Wally erano falliti, era stata Ms Gibson ad ascoltare gli sfoghi e a offrire incoraggiamento. E quando aveva cominciato a bere un po’ troppo, lei se n’era accorta e non aveva avuto paura di affrontarlo. Sebbene si scontrassero quotidianamente, i loro litigi erano sempre e solo episodi, spesso intesi semplicemente come un modo per difendere il proprio territorio. C’erano momenti nello studio legale Finley & Figg in cui tutti e tre ringhiavano o tenevano il broncio, e la causa di solito era il denaro. Il mercato era sovraffollato: semplicemente, c’erano troppi avvocati in giro per le strade. L’ultima cosa di cui lo studio aveva bisogno era un avvocato in più.
2 David Zinc scese dal treno della metropolitana alla Quincy Station, nel centro di Chicago, e riuscì a trascinarsi fino agli scalini che salivano in Wells Street, ma c’era qualcosa che non andava. Si sentiva i piedi sempre più pesanti e i passi diventavano sempre più lenti. Si fermò all’incrocio tra la Wells e la Adams e si guardò le scarpe in cerca di un indizio. Niente, le solite scarpe stringate nere che calzavano tutti gli avvocati maschi dello studio, e anche un paio di avvocati femmine. Il suo respiro era affannoso e, nonostante facesse freddo, si sentiva bagnato sotto le ascelle. Aveva trentun anni, di certo era troppo giovane per un attacco di cuore e, malgrado da cinque anni si sentisse sempre esausto, aveva imparato a convivere con la fatica. O almeno così credeva. Girò l’angolo e guardò la Trust Tower, uno scintillante monumento fallico che si innalzava per trecento metri fra le nuvole e la nebbia. Mentre se ne stava immobile con gli occhi all’insù, il battito cardiaco accelerò e avvertì un senso di nausea. Le gente gli passava accanto urtandolo. David Zinc attraversò la Adams insieme a un gruppo di persone e riprese a camminare faticosamente. L’atrio della Trust Tower era alto e spazioso, pieno di marmo, vetro e strane sculture pensate per ispirare e dare calore. In realtà l’ambiente risultava freddo e ostile, almeno a parere di David. C’erano sei scale mobili che, intersecandosi fra loro, trasportavano orde di stanchi guerrieri fino ai rispettivi cubicoli e uffici. David tentò di muoversi, ma i piedi si rifiutavano di portarlo a una scala mobile. Così andò a sedersi su un sedile di pelle accanto a una pila di grosse rocce dipinte e cercò di capire cosa gli stesse succedendo. La gente gli passava davanti di fretta, con l’espressione cupa e gli occhi vacui, già stressata alle sette e mezzo di quella mattina tetra.
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“Crollo” non è certamente un termine medico. Gli esperti usano un linguaggio più appropriato per descrivere l’istante in cui una persona in difficoltà oltrepassa il limite. In ogni caso il crollo è un momento reale. Può verificarsi in una frazione di secondo, risultato di un evento terribilmente traumatico. O può essere dovuto alla classica goccia che fa traboccare il vaso, il triste culmine di una pressione che continua ad aumentare finché mente e corpo devono per forza trovare uno sfogo. Il crollo di David Zinc fu di questo tipo. Quella mattina, dopo cinque anni di lavoro frenetico con colleghi che detestava, mentre sedeva accanto alle rocce dipinte e guardava quegli zombi agghindati salire verso un’altra giornata di inutile fatica, a David accadde qualcosa. Crollò. «Ehi, Dave, sali?» gli stava chiedendo qualcuno. Era Al, dell’antitrust. David riuscì a sorridere, ad annuire e a borbottare qualcosa, poi si alzò in piedi e, in qualche modo, seguì il collega. Salirono sulla scala mobile e Al, un gradino sopra di lui, cominciò a parlare della partita dei Blackhawks della sera prima. David continuava ad annuire. Sotto e dietro di lui decine di figure solitarie in cappotto scuro, anche loro giovani avvocati, silenziosi e lugubri, molto simili a becchini in un funerale d’inverno. Arrivati al primo livello, David e Al si unirono ad altri davanti a una batteria di ascensori. Mentre aspettavano, David ascoltò altre chiacchiere sull’hockey, ma la testa gli girava e aveva di nuovo la nausea. Entrarono in ascensore e rimasero immobili, spalla a spalla con altre, troppe persone. Silenzio. Al smise di parlare. Nessuno diceva niente, nessuno cercava un contatto visivo. “Ho chiuso” si disse David. “Questo è il mio ultimo viaggio dentro questo ascensore. Lo giuro.” L’ascensore oscillò leggermente, ronzò e si fermò all’ottantesimo piano, territorio dello studio legale Rogan Rothberg. Dalla cabina
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uscirono tre avvocati, tre facce che David aveva già visto, ma alle quali non sapeva dare un nome, cosa non strana dato che dal settantesimo al centesimo piano lo studio contava un totale di seicento legali. All’ottantaquattresimo uscirono altri due abiti scuri. La salita riprese e David cominciò a sudare, poi a iperventilare. Il suo minuscolo ufficio era al novantatreesimo piano, e più si avvicinava più il cuore gli batteva forte. Altre meste uscite al novantesimo e al novantunesimo; a ogni fermata David si sentiva sempre più debole. Al novantatreesimo erano rimasti solo in tre: David, Al e un donnone che tutti a sua insaputa chiamavano Lurch, “rollio”. L’ascensore si fermò, risuonò un gradevole gong, le porte si aprirono e Lurch uscì dalla cabina. Uscì anche Al. David non si mosse. Non ci riusciva. I secondi passavano. Al si voltò e disse: «Ehi, siamo arrivati. Esci». Da David nessuna risposta, solo lo sguardo vuoto e inespressivo di chi è in un altro mondo. Le porte cominciarono a richiudersi, ma Al inserì la sua valigetta tra le ante. «David, stai bene?» «Certo» sussurrò lui, che si impose di muoversi. Le porte si riaprirono, il gong suonò di nuovo. Adesso era fuori dall’ascensore e si guardava intorno nervosamente, come se non avesse mai visto prima quel posto. In realtà se n’era andato da lì solo dieci ore prima. «Sei pallido» disse Al. David sentiva la testa che gli girava. Udiva la voce del collega, ma non capiva cosa stesse dicendo. Lurch, un paio di metri più avanti, osservava la scena perplessa, come davanti a un incidente stradale. L’ascensore scampanellò di nuovo, un suono diverso questa volta, e le porte fecero per richiudersi. Al disse qualcos’altro e tese addirittura una mano, come per aiutare.
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David si girò di colpo e i suoi piedi di piombo ripresero vita. Scattò verso l’ascensore e si tuffò all’interno della cabina un istante prima che le porte si chiudessero. L’ultima cosa che udì dall’esterno fu la voce spaventata di Al. L’ascensore iniziò la discesa e David Zinc cominciò a ridere. I capogiri e la nausea erano scomparsi. La pressione sul petto era svanita. Lo stava facendo davvero! Se ne stava andando dagli sfruttatori dello studio Rogan Rothberg, stava dando l’addio a un incubo. Lui, David Zinc, fra tutte le migliaia di associati e soci giovani nei grattacieli del centro di Chicago, lui e lui soltanto aveva trovato il coraggio di andarsene in quella mattina tetra. Si sedette sul pavimento dell’ascensore vuoto, seguì con un ampio sorriso la rapida discesa scandita dai numeri digitali rosso vivo sull’indicatore dei piani e si sforzò di mettere ordine nei pensieri. Le persone: 1) sua moglie, una donna da lui trascurata che voleva restare incinta, ma che trovava difficile riuscirci perché suo marito era sempre troppo stanco; 2) suo padre, un illustre magistrato che in pratica l’aveva costretto a iscriversi a legge, e non in un’università qualsiasi ma a Harvard, perché era lì che lui si era laureato; 3) suo nonno, il tiranno di famiglia, che aveva creato dal nulla un megastudio a Kansas City al quale continuava a dedicare dieci ore al giorno, all’età di ottantadue anni; e 4) Roy Barton, il suo supervisore, cioè il suo capo, un personaggio acido e irascibile che strillava e imprecava tutto il giorno ed era forse la persona più miserabile che David Zinc avesse mai conosciuto. Quando pensò a Roy Barton, ricominciò a ridere. L’ascensore si fermò all’ottantesimo piano e due segretarie fecero per entrare. Si bloccarono per un attimo quando videro David seduto in un angolo, con la valigetta accanto, ma poi, facendo molta attenzione, scavalcarono le gambe allungate e aspettarono che le porte si chiudessero. «Si sente bene?» domandò una delle due. «Benissimo» rispose David. «E lei?»
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Non ci fu risposta. Le segretarie rimasero rigidamente in silenzio durante la breve discesa e, al settantasettesimo piano, si affrettarono a uscire. Di nuovo solo, David all’improvviso si sentì preoccupato. E se lo avessero inseguito? Al senza dubbio si sarebbe precipitato da Roy Barton per riferirgli che Zinc era crollato. Che cosa avrebbe fatto Barton? Alle dieci ci sarebbe stata una tumultuosa riunione con un cliente arrabbiatissimo, un importante direttore generale. In effetti, per come David in seguito avrebbe analizzato le cose, quella resa dei conti delle dieci era stata probabilmente l’ultima goccia, quella che alla fine aveva determinato il Crollo. Roy Barton non era solo uno stronzo insopportabile, era anche un codardo. David Zinc e gli altri schiavi gli servivano per avere qualcuno dietro cui nascondersi, quando il direttore generale si fosse presentato con la sua lunga lista di motivate lamentele. Roy poteva farlo cercare dal servizio di sicurezza. La security era costituita dal solito contingente di anziani in uniforme a guardia delle porte, ma era anche un’organizzazione spionistica interna che cambiava le serrature, videosorvegliava tutto, si muoveva nell’ombra ed era impegnata in ogni sorta di attività segreta studiata per tenere in riga gli avvocati. David balzò in piedi, afferrò la valigetta e guardò con impazienza i numeri digitali che ammiccavano dal display. L’ascensore oscillava dolcemente mentre scendeva la Trust Tower. Non appena si fermò al primo livello, David uscì e si precipitò verso le scale mobili, ancora affollate di gente che saliva in silenzio. Quelle in discesa erano completamente sgombre e David ne scelse una facendo i gradini di corsa. Qualcuno lo chiamò a voce alta: «Ehi, Dave! Dove stai andando?». Lui sorrise e salutò con una mano, agitandola in direzione della voce, come se tutto fosse sotto controllo. Passò velocemente davanti alle rocce dipinte e alle sculture bizzarre e varcò una delle porte di vetro. Era fuori, e l’aria che gli era sembrata così umida e deprimente solo pochi minuti prima, adesso racchiudeva la promessa di un nuovo inizio. Fece un respiro profondo e si guardò intorno. Doveva muoversi. Si avviò lungo LaSalle Street camminando in fretta, timoroso di
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guardare dietro di sé. “Non devi avere un’aria sospetta” si disse. “Sta’ calmo. Questo è uno dei giorni più importanti della tua vita, perciò non rovinare tutto.” Non poteva andare a casa perché non era pronto al confronto con sua moglie. Non poteva restare in strada perché avrebbe sicuramente incontrato qualcuno che conosceva. Dove poteva andare a nascondersi per un po’, a riflettere, schiarirsi le idee, studiare un piano? Guardò l’orologio: le sette e cinquantuno minuti, un’ora perfetta per fare colazione. In fondo a una stradina laterale notò un neon lampeggiante, rosso e verde: Abner’s. Si avviò in quella direzione, senza sapere se fosse un bar o una caffetteria. Arrivato alla porta si guardò alle spalle, si assicurò che in vista non ci fosse nessuno della security ed entrò nel mondo caldo e buio di Abner’s. Era un pub. I séparé sulla destra erano vuoti. Le sedie capovolte sopra i tavoli, in attesa che qualcuno lavasse il pavimento. Abner era dietro il lungo bancone di legno lucidissimo, con un sorriso sarcastico che sembrava chiedere: “E tu cosa ci fai qui?”. «Siete aperti?» chiese David. «La porta era chiusa?» ribatté Abner. Indossava un grembiule bianco e stava asciugando un boccale da birra. Aveva grossi avambracci pelosi e, malgrado i modi bruschi, la tipica faccia comprensiva del barista di lungo corso che ha già visto e sentito di tutto. «Be’, no.» David si avvicinò lentamente al bancone, lanciò un’occhiata alla sua destra e, in fondo, vide un uomo che sembrava svenuto, anche se una mano stringeva ancora il bicchiere. David si tolse il cappotto grigio antracite e lo appoggiò sullo schienale di uno sgabello. Si mise a sedere, osservò le bottiglie di liquori allineate davanti a lui, studiò gli specchi, le spine per la birra, le decine di
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bicchieri che Abner aveva disposto in perfetto ordine e domandò: «Lei cosa consiglia prima delle otto di mattina?». Abner guardò l’uomo con la testa sul banco. «Cosa ne dice di un caffè?» «L’ho già preso. Servite la colazione?» «Sì. Si chiama Bloody Mary.» «Ne prendo uno.» Rochelle Gibson abitava in una casa sovvenzionata dal comune con la madre, una delle sue figlie, due nipotini – figli di sua figlia – varie combinazioni di nipoti maschi e femmine, e magari l’occasionale cugino bisognoso di un letto. Per sottrarsi a tutta quella confusione, Rochelle spesso scappava a lavorare, anche se a volte lo studio era peggio che casa sua. Ogni mattina arrivava verso le sette e mezzo, apriva l’ufficio, raccoglieva i due quotidiani sulla veranda, accendeva le luci, regolava il termostato, preparava il caffè e si occupava di AC, il cane dello studio. Mentre sbrigava la consueta routine canticchiava a bocca chiusa o sottovoce. Anche se non l’avrebbe mai ammesso con nessuno dei suoi due capi, era molto orgogliosa di essere una segretaria legale, perfino in uno studio come Finley & Figg. Quando qualcuno le chiedeva quale fosse la sua occupazione era sempre pronta a rispondere: “Segretaria legale”. Non una segretaria generica, una segretaria legale. Ciò che le mancava in termini di preparazione formale era compensato dall’esperienza. Otto anni in un indaffarato studio di strada le avevano insegnato parecchio sulla legge, e anche di più sugli avvocati. AC era un cane meticcio che viveva nello studio perché nessuno era disposto a portarselo a casa. Apparteneva a tutti e tre – Rochelle, Oscar e Wally – in parti uguali, anche se l’intera responsabilità delle sue cure ricadeva su Rochelle. AC era un randagio che aveva scelto F&F
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come sua residenza diversi anni prima. Di giorno dormiva sopra un lettino accanto a Rochelle e di notte vagava per lo studio, di vedetta. Era un discreto cane da guardia e i suoi latrati avevano fatto scappare scassinatori, vandali e anche numerosi clienti insoddisfatti. Rochelle gli diede da mangiare e gli riempì la ciotola d’acqua. Dal piccolo frigo nel cucinotto estrasse una confezione di yogurt alla fragola. Appena il caffè fu pronto, se ne versò una tazza e poi sistemò le sue cose sulla scrivania, che teneva in un ordine quasi maniacale. La scrivania, in vetro e metallo cromato, solida e imponente, era la prima cosa che i clienti vedevano quando varcavano la soglia. L’ufficio di Oscar era abbastanza ordinato. Quello di Wally era una discarica. I due avvocati potevano nascondere i loro affari dietro le porte chiuse, ma Rochelle era in piena vista. Prese il “Sun-Times” e cominciò dalla prima pagina. Rochelle leggeva lentamente, sorseggiando il caffè, mangiando il suo yogurt, canticchiando mentre AC russava vicino a lei. Amava quei pochi momenti di pace d’inizio mattina. Tra poco il telefono avrebbe cominciato a squillare, sarebbero arrivati i due avvocati e poi, se era un giorno fortunato, sarebbero arrivati anche i clienti, alcuni su appuntamento, altri no. Per scappare da sua moglie, Oscar Finley usciva di casa ogni mattina alle sette, ma raramente si presentava in studio prima delle nove. Per due ore se ne andava in giro per la città: faceva un salto in una stazione di polizia dove un suo cugino si occupava dei rapporti sui sinistri, passava a salutare gli autisti dei carri attrezzi per le ultime notizie sugli incidenti stradali, beveva un caffè con il proprietario di due imprese di pompe funebri, portava le ciambelle a una caserma dei vigili del fuoco, faceva due chiacchiere con gli autisti delle ambulanze e ogni tanto aggiungeva un giro nei suoi ospedali preferiti, di cui batteva i corridoi cercando con occhio esperto chi era stato colpito dall’altrui negligenza.
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Oscar, dunque, arrivava in studio alle nove. Con Wally, la cui vita era di gran lunga meno organizzata, non si poteva mai sapere. Poteva comparire inaspettato alle sette e mezzo, carico di caffeina e Red Bull, pronto a fare causa a chiunque gli attraversasse la strada, oppure poteva trascinarsi in studio alle undici, con gli occhi gonfi per i postumi di una sbronza, ansioso di nascondersi subito nel suo ufficio. In quel giorno storico, però, Wally entrò in studio pochi minuti prima delle otto, con un grande sorriso e gli occhi limpidi. «Buongiorno, Ms Gibson» disse con convinzione. «Buongiorno, Mr Figg» rispose Rochelle con lo stesso tono. Da Finley & Figg l’atmosfera era sempre tesa, con la lite costantemente in agguato. Le parole erano scelte con cura e recepite con un attento scrutinio. Anche i normali saluti del mattino erano gestiti con cautela perché potevano essere motivo di discussione. Perfino l’uso di “Mr” e “Ms” era ponderato a dovere. All’epoca in cui Rochelle era solo una cliente, Wally aveva commesso l’errore di chiamarla “ragazza”. Era stata una frase del tipo: “Senta, ragazza mia, io qui sto facendo del mio meglio”. Wally non aveva certo avuto l’intenzione di offendere, ma la reazione della donna era stata esagerata, e da quel momento Rochelle aveva preteso che ci si rivolgesse a con “Ms Gibson”. In quel momento era un po’ irritata perché la sua solitudine era stata turbata. Wally disse qualcosa ad AC, gli grattò la testa e mentre andava in cucina per il caffè domandò: «Qualcosa di interessante nel giornale?». «No» rispose Ms Gibson, che non aveva voglia di commentare le notizie.
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«Non mi sorprende» disse Wally, scoccando la prima frecciata del giorno. Rochelle leggeva il “Sun-Times”. Wally il “Tribune”. Entrambi consideravano i gusti dell’altro piuttosto discutibili. La seconda frecciata arrivò qualche istante dopo, quando Wally ricomparve: «Chi ha fatto il caffè?». Rochelle lo ignorò. «È un po’ leggero, non le pare?» Ms Gibson voltò lentamente pagina, poi mangiò un po’ di yogurt. Wally bevve rumorosamente un sorso di caffè, fece schioccare le labbra e aggrottò la fronte come se avesse bevuto dell’aceto, poi afferrò il suo quotidiano e si sedette al tavolo. Prima che Oscar vincesse l’edificio in una causa, qualcuno aveva abbattuto diverse pareti al piano terra, creando un’ampia area ricevimento. Rochelle aveva il suo spazio su un lato, vicino alla porta, mentre a un paio di metri di distanza c’erano le poltroncine per i visitatori e un lungo tavolo che un tempo, da qualche parte, era stato usato come tavolo da pranzo. Nel corso degli anni era diventato il posto dove si leggevano i giornali, si beveva il caffè e a volte si raccoglievano addirittura deposizioni. A Wally piaceva ammazzare il tempo seduto lì, visto che il suo ufficio era un porcile. Aprì il “Tribune” facendo quanto più rumore possibile. Rochelle continuò a ignorarlo e a canticchiare a bocca chiusa. Dopo qualche minuto squillò il telefono. Ms Gibson sembrò non sentirlo. Al terzo squillo Wally abbassò il giornale e disse: «Per favore, vuole rispondere, Ms Gibson?». «No» rispose seccamente Rochelle.
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Quarto squillo. «Perché no?» chiese Wally. Ms Gibson non rispose. Dopo il quinto squillo Wally buttò il giornale sul tavolo, scattò in piedi e puntò verso il telefono a parete vicino alla fotocopiatrice. «Io non risponderei, se fossi in lei» disse Rochelle. Wally si fermò. «Perché?» «È un esattore.» «E lei come fa a saperlo?» Wally fissò il telefono. L’identificatore di chiamata annunciava NOMINATIVO SCONOSCIUTO. «Lo so e basta. Chiama a quest’ora tutte le settimane.» Gli squilli cessarono. Wally tornò al tavolo e al suo giornale, dietro al quale si nascose chiedendosi quale fattura non avessero pagato, quale fornitore fosse arrabbiato al punto da telefonare a uno studio legale per minacciare degli avvocati. Rochelle naturalmente lo sapeva, dato che era lei a tenere la contabilità e sapeva quasi tutto, ma Wally preferì non chiederglielo. Se lo avesse fatto, ben presto avrebbero cominciato a litigare per le fatture, le parcelle non pagate e la scarsità di denaro in generale, cosa che avrebbe potuto facilmente precipitare in una spirale di accese discussioni sulle strategie globali dello studio, il suo futuro e le carenze dei soci. Nessuno dei due lo voleva. Abner andava molto orgoglioso del suo Bloody Mary. Dosava le giuste quantità di succo di pomodoro, vodka, rafano, limone, lime, salsa Worcester, pepe, tabasco e sale. Aggiungeva sempre due olive verdi e poi decorava il tutto con un gambo di sedano.
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Era da molto tempo che David non si godeva una colazione così soddisfacente. Dopo due delle creazioni di Abner, consumate rapidamente, stava sorridendo come uno sciocco e si sentiva molto fiero della sua decisione di mandare al diavolo tutto. L’ubriaco in fondo al banco stava russando. Non c’erano altri clienti. Abner continuava a fare il suo lavoro: lavava e asciugava i bicchieri da cocktail, faceva l’inventario delle bottiglie, armeggiava con le spine della birra e intanto offriva commenti su un’ampia varietà di argomenti. Il cellulare di David suonò. Era la sua segretaria, Lana. «Oh, cavolo.» «Chi è?» chiese Abner. «L’ufficio.» «Un uomo avrà pur diritto a fare colazione, no?» David sorrise di nuovo. «Pronto?» «David, dove sei? Sono le otto e mezzo» disse Lana. «Ce l’ho anch’io l’orologio, mia cara. Sto facendo colazione.» «Stai bene? Gira voce che l’ultima volta che ti hanno visto stavi scappando in ascensore.» «Voci, mia cara, solo voci.» «Bene. A che ora vieni? Roy Barton ti ha già cercato.» «Lasciami finire la colazione, okay?» «Certo. Ma teniamoci in contatto.»
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David posò il cellulare, succhiò con forza dalla cannuccia e poi annunciò: «Ne voglio un altro». Abner aggrottò la fronte. «Sarà meglio che tu ti dia una regolata.» «È quello che sto facendo.» «Okay.» Abner afferrò un bicchiere pulito e cominciò a preparare il cocktail. «Mi sembra di capire che oggi non andrai in ufficio.» «No. Ho chiuso. Me ne vado.» «Che tipo di ufficio?» «Studio legale. Rogan Rothberg. Lo conosci?» «Ne ho sentito parlare. Un grosso studio, giusto?» «Seicento avvocati solo qui a Chicago. Un paio di migliaia sparsi per il mondo. Attualmente al terzo posto in classifica per dimensioni, al quinto per le ore fatturate da ogni avvocato, al quarto se si considerano i profitti netti per socio, al secondo per retribuzioni agli associati e, senza dubbio, al primissimo posto per quanto riguarda la densità di stronzi per metro quadrato.» «Scusa se te l’ho chiesto.» David afferrò il cellulare e disse: «Lo vedi questo?». «Ti sembro cieco?» «Sono cinque anni che questo coso regola la mia vita. Non posso andare da nessuna parte senza di lui. Politica aziendale. Devo averlo sempre con me. Ha disturbato piacevoli cene al ristorante. Mi ha strappato fuori dalla doccia. Mi ha svegliato a tutte le ore della notte.
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In un’occasione mi ha interrotto mentre facevo sesso con la mia povera e trascurata moglie. L’estate scorsa ero a una partita dei Cubs, posti splendidi, insieme a due vecchi amici del college... Insomma, siamo nel bel mezzo del secondo inning e questo maledetto aggeggio comincia a vibrare. Era Roy Barton. Ti ho già parlato di Roy Barton?» «Non ancora.» «È il mio socio supervisore, un bastardo infido. Quarant’anni, un ego smisurato, il dono di Dio alla professione legale. Guadagna milioni di dollari all’anno, ma non gli bastano mai. Lavora quindici ore al giorno, sette giorni alla settimana perché da Rogan Rothberg tutti i Grandi lavorano non stop. E Roy si crede davvero un Grande.» «Un tipo simpatico, eh?» «Lo odio. Spero di non vedere mai più la sua faccia.» Abner fece scivolare sul banco il terzo Bloody Mary e disse: «Mi sembra che tu sia sul binario giusto, amico. Alla salute».
3 Il telefono squillò di nuovo e Ms Gibson decise di rispondere. «Studio legale Finley & Figg» annunciò in tono professionale. Wally non alzò gli occhi dal giornale. Rochelle rimase in ascolto per un momento, poi disse: «Mi dispiace, ma non ci occupiamo di transazioni immobiliari». Quando lei aveva assunto il suo incarico, otto anni prima, lo studio in realtà trattava anche le transazioni immobiliari. Rochelle però si era presto resa conto che quel tipo di attività rendeva poco ed era basato essenzialmente sul lavoro della segretaria, senza richiedere quasi alcun impegno da parte degli avvocati. Dopo una rapida analisi aveva deciso che il settore immobiliare non le piaceva e, dato che era lei ad avere il controllo del telefono, aveva cominciato a selezionare tutte le chiamate. La sezione immobiliare di Finley & Figg si era prosciugata. Oscar si era molto arrabbiato e aveva minacciato di licenziarla, ma aveva rinunciato subito quando Ms Gibson, di nuovo, aveva accennato al fatto che avrebbe potuto fare causa per negligenza professionale. Wally aveva mediato un armistizio, ma per settimane l’atmosfera nello studio era stata più tesa del solito. Altre specializzazioni erano state messe da parte grazie al vaglio scrupoloso di Ms Gibson. Le cause penali ormai erano storia: a Rochelle non piacevano perché non le piacevano i clienti. I casi di guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti andavano bene perché erano numerosi, rendevano il giusto e non richiedevano quasi nessun coinvolgimento da parte sua. I fallimenti erano vicini all’estinzione per le stesse ragioni del settore immobiliare: parcelle irrisorie e un sacco di lavoro per la segretaria. Nel corso degli anni Rochelle aveva dato un indirizzo all’attività professionale dello studio, e questo
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continuava a creare problemi. La teoria di Oscar, quella che lo aveva mantenuto al verde per quasi trent’anni, era che lo studio dovesse accettare tutto ciò che capitava, che occorresse gettare un’ampia rete per poi selezionare il pescato nella speranza di trovare un bel caso di lesioni gravi. Wally non era d’accordo. Lui voleva il colpo grosso. Anche se le spese generali lo costringevano a svilirsi in ogni tipo di quisquilia legale, continuava a sognare modi per arrivare alla miniera d’oro. «Bel lavoro» disse quando Rochelle riattaccò. «Non mi è mai piaciuto l’immobiliare.» Ms Gibson lo ignorò e tornò alla lettura del giornale. AC cominciò a ringhiare piano. Wally e Rochelle si voltarono e lo videro in piedi sul lettino, il naso puntato verso l’alto, la coda orizzontale e diritta, gli occhi socchiusi nella concentrazione. Il ringhio si fece più forte e poi, come a un segnale, il lamento distante di un’ambulanza ruppe il silenzio solenne del mattino. Le sirene non mancavano mai di eccitare Wally Figg, che rimase immobile per un paio di secondi, valutando il suono con orecchio esperto. Polizia, pompieri o ambulanza? Era sempre questa la prima domanda, e Wally era in grado di distinguere fra le tre possibilità in una frazione di secondo. Le sirene dei vigili del fuoco e delle auto della polizia non significavano niente e venivano subito ignorate, ma quella di un’ambulanza gli accelerava sempre il battito cardiaco. «Ambulanza» dichiarò. Posò il giornale sul tavolo, si alzò in piedi e, con fare indifferente, si avvicinò alla porta d’ingresso. Si alzò anche Rochelle, che andò a una finestra di cui aprì le veneziane per una rapida occhiata all’esterno. AC stava ancora ringhiando e, quando Wally aprì la porta e uscì sulla veranda, lo seguì. Sul lato opposto della strada anche Vince Gholston uscì dal suo studio e lanciò un’occhiata speranzosa in direzione dell’incrocio tra la Beech e la Trentottesima. Quando
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vide Wally gli mostrò il dito medio, e lui ricambiò immediatamente il saluto. L’ambulanza scese urlando lungo la Beech, ondeggiando e sbandando nel traffico intenso, con rabbiosi colpi di clacson, provocando più caos e pericolo di qualunque problema andasse a risolvere. Wally la seguì con lo sguardo finché non scomparve, poi rientrò. La lettura dei giornali riprese senza ulteriori interruzioni: niente sirene, niente telefonate di potenziali clienti o di esattori. Alle nove si aprì la porta e il socio anziano fece il suo ingresso. Come sempre Oscar Finley indossava un lungo cappotto scuro e aveva con sé una voluminosa valigetta di pelle nera, quasi a suggerire che avesse lavorato sodo per tutta la notte. Aveva anche l’ombrello, come sempre e indipendentemente dalle condizioni del tempo o dalle previsioni meteo. Oscar sopravviveva a un livello di gran lunga inferiore a quello dei grandi studi, ma poteva almeno tentare di interpretare la parte del distinto avvocato di successo. Cappotti scuri, abiti scuri, camicie bianche e cravatte di seta. Era sua moglie a occuparsi dello shopping e a insistere perché avesse sempre un aspetto consono al ruolo. Wally, per contro, indossava la prima cosa che gli capitava fra le mani. «’Giorno» disse brusco Oscar davanti alla scrivania di Ms Gibson. «Buongiorno» rispose Rochelle. «Novità nel giornale?» Oscar non era interessato a classifiche sportive, inondazioni, indici di mercato o alle ultime notizie dal Medio Oriente. «Il manovratore di un carrello elevatore è rimasto schiacciato in uno stabilimento di Palos Heights» rispose prontamente Ms Gibson. Faceva parte del loro rituale del mattino. Se Rochelle non trovava qualche incidente che gli illuminasse la giornata, il cattivo umore di Oscar sarebbe soltanto peggiorato.
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«Mi piace» disse Oscar. «È morto?» «Non ancora.» «Tanto meglio. Un sacco di dolore e di sofferenza. Prenda un appunto, più tardi darò una controllata.» Ms Gibson annuì, quasi che il poveraccio del carrello fosse già stato praticamente arruolato come nuovo cliente. Naturalmente non lo era. Né lo sarebbe mai stato. Finley & Figg di rado arrivava per primo sulla scena dell’incidente. Era molto probabile che in quel momento la moglie del manovratore fosse già assediata da avvocati più aggressivi, alcuni dei quali noti per offrire contanti e altri doni alle famiglie pur di convincerle a firmare. Rallegrato dalla buona notizia, Oscar si avvicinò al tavolo e salutò. «Buongiorno.» «’Giorno, Oscar» disse Wally. «Qualcuno dei nostri clienti nei necrologi?» «Non sono ancora arrivato alla pagina dei necrologi.» «Dovresti cominciare sempre da lì.» «Grazie, Oscar. Qualche altro consiglio su come si deve leggere un giornale?» Oscar si stava già allontanando. Senza voltarsi domandò a Ms Gibson: «Cos’ho oggi in agenda?». «Il solito. Divorzi e ubriachi.»
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«Divorzi e ubriachi» borbottò Oscar fra sé, mentre entrava nel suo ufficio. «Quello che mi serve è un bell’incidente stradale.» Appese il cappotto dietro la porta, sistemò l’ombrello accanto alla scrivania e cominciò a svuotare la valigetta. Un momento dopo, Wally era davanti a lui, con il quotidiano fra le mani. «Il nome Chester Marino ti dice qualcosa?» domandò. «Necrologio. Cinquantasette anni, moglie, figli, nipoti. Causa del decesso non specificata.» Oscar si grattò la testa dai capelli grigi cortissimi e rispose: «Forse. Potrebbe essere stato un testamento». «È alle pompe funebri Van Easel & Sons. Camera ardente questa sera, funerale domani. Andrò a dare un’occhiata per vedere se salta fuori qualcosa. Se questo Marino è davvero uno dei nostri, vuoi che mandiamo dei fiori?» «Non prima di sapere il valore dell’eredità.» «Giusta osservazione.» Wally aveva ancora il giornale in mano. «Sai, questa cosa del Taser ormai è fuori controllo. A Joliet alcuni poliziotti sono stati accusati di avere utilizzato lo storditore elettrico su un settantenne che era entrato in un Walmart a comprare il Sudafed per il nipotino ammalato. Il farmacista ha pensato che il vecchio volesse adoperare quella roba in un laboratorio di metamfetamine e così, da bravo cittadino, ha chiamato la polizia. I poliziotti avevano appena avuto in dotazione dei Taser nuovi di zecca e cinque di quei pagliacci hanno pensato bene di bloccare il vecchio nel parcheggio e di dargli una bella scossa. Condizioni critiche.» «Di nuovo la storia che dovremmo occuparci di questa roba, giusto, Wally?» «Maledettamente giusto. Sono ottimi casi, Oscar. Dobbiamo trovarne un po’.»
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Oscar si sedette e sospirò. «Oggi sono gli storditori Taser. La settimana scorsa erano le irritazioni cutanee da pannolini: grandi piani per fare causa ai produttori dei Pampers perché poche migliaia di bambini hanno avuto sfoghi sulla pelle. Il mese scorso erano i pannelli di cartongesso cinesi.» «Hanno già pagato quattro miliardi di dollari per la class action del cartongesso cinese.» «Sì, ma noi non abbiamo visto neanche un centesimo.» «È proprio questo il punto, Oscar. Dobbiamo cominciare a darci da fare anche noi con questi casi di risarcimenti di massa. È lì che ci sono i soldi veri. Parcelle di milioni pagate da società che guadagnano miliardi.» La porta era aperta e Rochelle ascoltava ogni parola, anche se quella conversazione stava diventando un po’ trita. Adesso Wally stava parlando a voce più alta. «Ci troviamo qualche caso di questo tipo, poi agganciamo gli specialisti in azioni collettive, gli riconosciamo una fetta della torta, sfruttiamo il loro lavoro finché non si arriva all’accordo con la controparte e alla fine ce ne andiamo con una camionata di grana. Sono soldi facili, Oscar.» «Irritazioni da pannolini?» «Okay, quello non ha funzionato. Ma questa storia del Taser è una miniera d’oro.» «Un’altra, Wally?» «Sì, e te lo dimostrerò.»
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«Datti da fare.» L’ubriaco in fondo al banco si stava svegliando. Aveva alzato la testa e aperto parzialmente gli occhi. Abner gli stava facendo bere caffè e continuava a parlargli, il tutto nel tentativo di convincerlo che era arrivato il momento di sloggiare. Una ragazzina armata di scopa spazzava il pavimento e sistemava tavoli e sedie. Il piccolo pub stava mostrando segni di vita. Con il cervello imbevuto di vodka, David si fissava nello specchio e cercava invano di valutare la situazione nella giusta prospettiva. Per un attimo si sentiva esaltato e orgoglioso della sua audace fuga dalla marcia mortale imposta da Rogan Rothberg. L’attimo dopo si sentiva terrorizzato al pensiero di sua moglie, della sua famiglia e del suo futuro. L’alcol però gli dava coraggio, così decise di continuare a bere. Il telefono vibrò di nuovo. Era Lana. «Pronto?» rispose David con calma. «Ma dove sei?» «Sto finendo di fare colazione.» «David, hai una voce che non mi piace. Stai bene?» «Sto bene. Benissimo.» Una pausa, e poi: «Hai bevuto?». «Certo che no. Sono appena le nove e mezzo.» «Okay. Senti, Roy Barton se n’è appena andato ed è furioso. Non ho mai sentito un linguaggio del genere. Minacce di ogni tipo.»
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«Di’ a Roy di andare affanculo.» «Prego?» «Mi hai sentito. Di’ a Roy di andare affanculo.» «Tu sei fuori di testa, David. È così. Stai crollando. Non mi sorprende: mi ero accorta che stava per succedere. Lo sapevo.» «Io sto bene.» «Non stai bene per niente. Sei ubriaco e stai crollando.» «Okay, forse sono ubriaco, ma...» «Mi sembra di sentire arrivare Roy Barton. Cosa devo dirgli?» «Di andare affanculo.» «Perché non glielo dici tu, David? Hai il cellulare. Dai un colpo di telefono a Mr Barton.» Lana riattaccò. Abner si stava avvicinando, curioso di sapere le novità. Stava di nuovo passando lo straccio sul banco di legno, per la terza o quarta volta da quando David si era piazzato al bar. «Lo studio» lo informò David, e Abner aggrottò la fronte come se quella fosse una brutta notizia per tutti. «Il già citato Roy Barton mi sta cercando e dà fuori di matto. Mi piacerebbe essere una mosca per poterlo vedere. Spero che gli venga un colpo.» Abner si fece più vicino. «Sai, non ho capito come ti chiami.» «David Zinc.»
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«Piacere. Senti, David, il cuoco è appena arrivato. Faresti bene a mangiare qualcosa. Magari qualcosa pieno di grassi? Patatine fritte, anelli di cipolla, un hamburger bello grosso?» «Voglio una doppia porzione di anelli di cipolla, con una grande bottiglia di ketchup.» «Così ti voglio.» Abner sparì. David finì il suo ultimo Bloody Mary e partì alla ricerca del bagno. Tornò, riprese il suo posto, controllò l’ora – le nove e ventotto – e aspettò i suoi anelli di cipolla. Sentiva il profumo arrivare da qualche parte nel retro, dove stavano friggendo nell’olio bollente. L’ubriaco alla sua destra, in fondo al banco, stava tracannando caffè e si sforzava di tenere gli occhi aperti. La ragazzina continuava a spazzare e a sistemare tavoli e sedie. Il cellulare vibrò sul banco. Era sua moglie. David non si mosse. Quando il ronzio cessò attese un momento e poi controllò la casella vocale. Il messaggio di Helen era più o meno quello che si aspettava. “David, lo studio ha telefonato due volte. Dove sei? Cosa stai facendo? Siamo tutti preoccupati per te. Stai bene? Chiamami subito.” Helen studiava alla Northwestern per conseguire il dottorato. Quella mattina, quando David l’aveva salutata con un bacio alle sei e tre quarti, stava ancora dormendo. La sera prima era arrivato a casa alle dieci e cinque, avevano cenato davanti al televisore con lasagne avanzate e poi David si era addormentato sul divano. Helen aveva due anni più di lui e voleva restare incinta, evento che cominciava a sembrare sempre più improbabile dato il perpetuo sfinimento di suo marito. Nel frattempo studiava per ottenere un dottorato in storia dell’arte, e lo faceva prendendosela molto comoda. Un piccolo bip, poi un SMS di Helen: “Dove sei? Stai bene? Per favore chiama”.
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David aveva intenzione di non parlare con lei ancora per diverse ore. Altrimenti sarebbe stato costretto ad ammettere che stava collassando e sua moglie avrebbe insistito perché cercasse un aiuto professionale. Il padre di Helen era uno strizzacervelli, la madre era consulente matrimoniale e l’intera famiglia credeva fermamente che tutti i problemi e i misteri della vita si potessero risolvere con qualche ora di terapia. Al tempo stesso, però, David non sopportava l’idea che sua moglie fosse in ansia per lui. Le rispose con un SMS: “Sto bene. Ho dovuto andarmene dall’ufficio per un po’. Tutto okay. Non preoccuparti”. “Dove sei?” Arrivarono gli anelli di cipolla: un’enorme pila di cerchi dorati, ricoperti da una spessa pastella, ancora sfrigolanti. Abner piazzò il piatto davanti a David e disse: «Questi sono i migliori. Che ne dici di un bicchiere d’acqua?». «Stavo pensando piuttosto a una pinta di birra.» «Arriva.» Abner afferrò un boccale e si avvicinò alle spine. «Mia moglie mi sta cercando» lo informò David. «Tu ce l’hai una moglie?» «Non me lo chiedere.» «Scusa. La mia è una ragazza fantastica, vuole mettere su famiglia e tutto il resto, ma sembra proprio che non ci riusciamo. L’anno scorso ho lavorato per quattromila ore, riesci a crederci? Quattromila ore. Di solito timbro il cartellino alle sette e mezzo di mattina e me ne vado alle dieci di sera. Questa è la giornata tipo, ma non è insolito lavorare fino a mezzanotte passata. Per cui, quando arrivo a casa, crollo. Il
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mese scorso abbiamo fatto sesso una volta, mi pare. Difficile a credersi. Io ho trentun anni, mia moglie trentatré. Tutti e due nel fiore degli anni e desiderosi di restare incinti, ma questo ragazzo non riesce a restare sveglio.» David aprì la bottiglia di ketchup e versò circa un terzo del contenuto. Abner gli piazzò davanti un appannato boccale da una pinta pieno di lager. «Almeno farai un sacco di grana.» David prese un anello di cipolla, lo immerse nel ketchup e se lo cacciò in bocca. «Oh, certo, mi pagano. Ti pare che subirei abusi del genere, se non mi pagassero?» Si guardò intorno per assicurarsi che nessuno stesse ascoltando. Nessuno ascoltava. Abbassò la voce e, continuando a masticare l’anello di cipolla, disse: «Io sono associato senior, lavoro là dentro da cinque anni. L’anno scorso il mio stipendio lordo è stato di trecentomila dollari. Sono parecchi soldi e, dato che non ho il tempo di spenderli, se ne stanno semplicemente ammucchiati in banca. Ma guarda la matematica. Ho lavorato per quattromila ore, ma ne ho fatturate solo tremila. Tremila ore, il migliore dello studio. Il resto del tempo è andato perso in varie attività dello studio e assistenza legale gratuita. Mi segui, Abner? Mi sembri annoiato». «Sto ascoltando. Ho avuto diversi clienti avvocati. So quanto sono noiosi.» David bevve un lungo sorso di birra e fece schioccare le labbra. «Apprezzo la tua franchezza.» «Faccio solo il mio lavoro.» «Lo studio fattura il mio lavoro a cinquecento dollari l’ora. Moltiplica per tremila: fa un milione e cinquecentomila per il caro, vecchio studio Rogan Rothberg, che a me dà solo trecentomila miserabili dollari. Moltiplica per cinquecento associati, che fatturano più o meno lo
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stesso, e capirai come mai le scuole di legge sono gremite di brillanti studenti che pensano di voler entrare in un grande studio legale, diventare soci e arricchirsi. Ti stai annoiando, Abner?» «Affascinante.» «Vuoi un anello di cipolla?» «No, grazie.» David se ne cacciò un altro nella bocca impastata e mandò giù il boccone con mezza pinta. Dal fondo del banco arrivò un rumore sordo. L’ubriaco era crollato di nuovo, la testa sul bancone. «Chi è quel tipo?» chiese David. «Si chiama Eddie. Suo fratello possiede metà di questo posto, per cui ha un conto aperto che non viene mai pagato. Non ne posso più di lui.» Abner andò a parlare con Eddie, che non rispose. Il barista spostò la tazza di caffè e passò lo straccio sul banco intorno all’ubriaco, poi tornò lentamente da David. «E così dai l’addio a trecentomila bigliettoni. Qual è il piano?» David rise, troppo rumorosamente. «Piano? Non ci sono ancora arrivato. Due ore fa mi sono presentato al lavoro come sempre e adesso sto cadendo a pezzi.» Un altro sorso. «Il mio piano, Abner, è di starmene seduto qui per un bel po’ e cercare di analizzare il mio crollo. Tu mi aiuterai?» «È il mio lavoro.» «Pagherò il conto.»
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«Mi sembra un buon affare.» «Un’altra pinta, per favore.»
4 Dopo circa un’ora trascorsa a leggere il giornale, a mangiare yogurt e a gustarsi il suo caffè, Rochelle Gibson si mise riluttante al lavoro. Il primo compito del giorno consisteva nel controllare il registro clienti alla ricerca di un certo Chester Marino, il quale al momento riposava serenamente dentro una bara di bronzo da poco prezzo presso l’impresa di pompe funebri Van Easel & Sons. Oscar aveva ragione: sei anni prima lo studio aveva redatto le ultime volontà e il testamento di Mr Marino. Rochelle trovò il sottile fascicolo nell’archivio-sgabuzzino accanto alla cucina e lo portò a Wally, che stava lavorando sodo nel disordine della sua scrivania. In origine, l’ufficio di Wallis T. Figg, avvocato e consulente legale, era stato una camera da letto, ma nel corso degli anni, a mano a mano che porte e pareti cambiavano disposizione, la superficie del locale si era in qualche modo estesa. Di sicuro la stanza non dava l’impressione di essere stata una camera da letto, ma non sembrava neppure un ufficio. La porta dava in un vano le cui pareti distavano non più di tre metri e mezzo, ma poi il locale piegava bruscamente verso destra, aprendosi in uno spazio più ampio. Ed era lì che Wally lavorava, dietro una scrivania in stile finto moderno degli anni Cinquanta che aveva comprato a una svendita. La scrivania era sommersa da montagne di fascicoli, blocchi legali usati e centinaia di foglietti di messaggi telefonici; chiunque non sapesse come stavano davvero le cose, compresi i potenziali clienti, poteva avere l’impressione che chi sedeva dietro quella scrivania fosse un uomo estremamente occupato, forse addirittura importante.
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Come sempre, Ms Gibson si avvicinò lentamente alla scrivania, attenta a non rovesciare le pile di spessi tomi legali e vecchie pratiche disseminate lungo il percorso. Tese il fascicolo a Wally, dicendogli: «Abbiamo fatto un testamento per Mr Marino». «Grazie. Beni? Proprietà?» «Non ho guardato» rispose Rochelle, che se ne stava già andando. Uscì senza aggiungere altro. Wally aprì la pratica. Sei anni prima Mr Marino lavorava come revisore dei conti per lo Stato dell’Illinois, guadagnava settantamila dollari all’anno, viveva con la seconda moglie e i due figli adolescenti della signora e conduceva una vita tranquilla in periferia. Aveva appena finito di pagare il mutuo della casa, unico bene significativo della famiglia. I due coniugi avevano in comune i conti bancari, i fondi pensione e qualche debito. L’unico elemento interessante era una collezione di trecento figurine del baseball, il cui valore Marino stesso aveva stimato in novantamila dollari. A pagina quattro del fascicolo, c’era la fotocopia di una figurina del 1912 di “Shoeless” Joe Jackson con la casacca dei White Sox; in calce Oscar aveva scritto: “$75.000”. A Oscar lo sport non interessava assolutamente e non aveva mai parlato di quella piccola stranezza con Wally. Mr Marino aveva firmato un semplice testamento che avrebbe potuto redigere da solo senza spendere un centesimo, preferendo invece versare duecentocinquanta dollari allo studio Finley & Figg. Leggendo il documento Wally si rese conto che l’unico vero scopo del testamento, dato che tutti gli altri beni erano in comune, era assicurarsi che i due figliastri non mettessero le mani sulla sua collezione di figurine. Mr Marino le aveva lasciate a suo figlio, Lyle. A pagina cinque Oscar aveva scribacchiato: “La moglie non è al corrente delle figurine”.
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Wally stimò il valore dell’eredità intorno ai cinquecentomila dollari e, in base al vigente tariffario relativo alle omologazioni, il legale che avesse gestito gli ultimi affari di Mr Marino ne avrebbe incassati circa cinquemila. A meno che non si scatenasse una guerra per le figurine del baseball – e Wally sperava tanto che questo accadesse –, l’omologazione del testamento sarebbe stato un noioso lavoro di routine che avrebbe richiesto più o meno diciotto mesi. Ma se gli eredi si fossero dati battaglia, Wally avrebbe potuto tirare per le lunghe per almeno tre anni e triplicare la parcella. Il lavoro dell’omologazione non gli piaceva, ma era sempre meglio di quello per i divorzi o per la custodia dei figli. Le omologazioni pagavano le bollette e, ogni tanto, portavano parcelle extra. Il fatto che Finley & Figg avesse redatto il testamento non aveva alcuna importanza per quanto riguardava l’omologazione. Qualsiasi legale poteva occuparsene, e Wally, grazie alla sua vasta esperienza nel tenebroso mondo dell’adescamento clienti, sapeva che branchi di avvocati famelici studiavano ogni necrologio, calcolando la potenziale parcella. Era quindi il caso di perdere un po’ di tempo per andare a dare una controllata a Chester e proclamare il diritto di svolgere tutto il lavoro legale necessario per sistemare i suoi affari. Per Wally valeva certamente la pena di fare un salto da Van Easel & Sons, una delle molte imprese di pompe funebri appartenenti al suo giro. Mancavano ancora tre mesi al termine della sospensione della patente per guida in stato di ebbrezza, ma Wally Figg guidava lo stesso. Stava comunque attento a non allontanarsi mai dalle strade intorno a casa e all’ufficio, dove conosceva i poliziotti. Quando doveva andare in tribunale in centro, si serviva dell’autobus o della metropolitana. La sede delle pompe funebri Van Easel & Sons sconfinava dalla sua zona di sicurezza per pochi isolati, ma Wally decise di correre il rischio. Se l’avessero beccato, probabilmente sarebbe riuscito a togliersi
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dai guai con le chiacchiere. Se i poliziotti non si fossero lasciati convincere, be’, Wally conosceva i giudici. Guidò quanto più possibile lungo strade secondarie, tenendosi alla larga dal traffico. Mr Van Easel e i suoi tre figli erano morti da molti anni, la loro impresa era passata da un proprietario all’altro e gli affari erano andati progressivamente declinando, così come il “premuroso e attento servizio” che veniva tuttora pubblicizzato. Figg parcheggiò sul retro, ma entrò dall’ingresso principale, come chiunque dovesse rendere omaggio a un defunto. Erano quasi le dieci di un mercoledì mattina e per alcuni secondi non vide nessuno. Si fermò nell’atrio e studiò il programma delle veglie funebri. Chester era due porte più avanti, sulla destra, nella seconda delle tre sale dedicate alle visite. A sinistra c’era una piccola cappella. Un uomo dalla carnagione cerea, i denti marrone e l’abito nero gli si avvicinò e disse: «Buongiorno. Posso esserle utile?». «Buongiorno, Mr Grayber» rispose Figg. «Ah. Ancora lei.» «È sempre un piacere vederla.» Wally una volta aveva stretto la mano a Mr Grayber, ma non fece alcun tentativo per ripetere l’esperienza. Non ne era sicuro, ma sospettava che Grayber fosse uno dei necrofori. Non aveva mai dimenticato il tocco gelido e molle di quel palmo. Comunque anche Mr Grayber si guardò bene dal tendere la mano. A nessuno dei due piaceva il mestiere dell’altro. «Mr Marino era nostro cliente» dichiarò Figg in tono grave. «La veglia è fissata per questa sera» disse Grayber. «Sì, ho visto. Ma io devo partire oggi pomeriggio.»
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«Va bene.» Grayber fece un gesto vago con la mano in direzione delle sale. «Immagino che non siano venuti altri avvocati» azzardò Wally. Grayber sbuffò e roteò gli occhi. «Chi può dirlo? Non riesco a tenere il conto di voialtri. La settimana scorsa abbiamo avuto un immigrato clandestino messicano, era finito sotto un bulldozer. L’abbiamo messo nella cappella.» Indicò la porta con un cenno del capo. «Be’, c’erano più avvocati che parenti. Quel poveraccio non era mai stato tanto amato.» «Divertente» commentò Wally. Era intervenuto anche lui alla funzione della settimana prima. Lo studio Finley & Figg non si era aggiudicato il caso. «Grazie» disse Wally, allontanandosi. Passò davanti alla prima sala: bara chiusa, nessuno presente. Entrò nella seconda, una sala di sei metri per sei scarsamente illuminata; c’era una bara lungo una parete e sedie dozzinali allineate lungo le altre. Chester era ben sigillato dentro la cassa, cosa che Wally apprezzò. Posò una mano sulla bara, quasi stesse tentando di trattenere le lacrime. Solo lui e Chester che condividevano un ultimo momento insieme. La prassi in occasioni del genere consisteva nel ciondolare per un po’ accanto alla bara nella speranza che arrivasse un parente o un amico del defunto. Se non fosse andata così, Wally avrebbe firmato il registro dei visitatori e lasciato il suo biglietto da visita a Grayber, con precise istruzioni di informare la famiglia che l’avvocato di Mr Marino era passato a rendere omaggio alla salma. Lo studio avrebbe mandato dei fiori al funerale e una lettera alla vedova; dopo qualche giorno Wally avrebbe telefonato alla signora, parlandole come se fosse stata in qualche modo obbligata a rivolgersi allo studio Finley & Figg, dato che erano stati loro a redigere il testamento. Il sistema funzionava più o meno metà delle volte.
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Wally stava per andarsene quando nella sala entrò un giovane sui trent’anni, di bell’aspetto e adeguatamente vestito in giacca e cravatta. Il ragazzo osservò Figg con una buona dose di scetticismo, che era poi il modo in cui un sacco di gente lo guardava all’inizio, ma Wally ormai non ci faceva più caso. Quando due perfetti sconosciuti si incontrano davanti a una bara in una camera ardente deserta, le prime parole tradiscono sempre imbarazzo. Figg riuscì comunque a presentarsi e il ragazzo disse: «Sì, be’, uh, lui è mio padre. Io sono Lyle Marino». Ah, il futuro proprietario di una bella collezione di figurine del baseball. Ma Wally non poteva dirglielo. «Suo padre era cliente del mio studio legale. Abbiamo redatto noi le sue ultime volontà. Sono molto dispiaciuto.» «Grazie» disse Lyle, e sembrò sollevato. «Non riesco ancora a crederci. Sabato siamo andati insieme alla partita dei Blackhawks, ci siamo divertiti tanto. E adesso non c’è più.» «Mi dispiace veramente. È stata una cosa improvvisa?» «Infarto.» Lyle fece schioccare le dita. «Così, da un momento all’altro. Lunedì mattina era al lavoro, seduto alla sua scrivania, e tutto a un tratto ha cominciato a sudare, a respirare con difficoltà e poi è crollato a terra. Morto.» «Mi dispiace molto, Lyle, credimi» disse di nuovo Wally, come se conoscesse il ragazzo da sempre. Lyle, che stava dando dei colpetti sul coperchio della bara, ripeté: «Non ci posso credere». Figg aveva bisogno di riempire alcune caselle. «I tuoi genitori hanno divorziato circa dieci anni fa, vero?»
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«Sì, più o meno.» «Tua madre vive ancora qui in città?» «Sì.» Lyle si asciugò gli occhi con il dorso della mano. «E la tua matrigna? Voi due vi frequentate?» «No. Non ci parliamo neppure. Il divorzio dei miei è stato brutto.» Wally soffocò un sorriso. Una famiglia in guerra avrebbe fatto aumentare le parcelle. «Mi dispiace. E la tua matrigna si chiama...» «Millie.» «Giusto. Lyle, purtroppo adesso devo scappare. Questo è il mio biglietto da visita.» Wally ne fece comparire abilmente uno e lo porse al ragazzo. «Chester era una persona splendida. Chiamaci, se dovessi avere bisogno di qualcosa.» Lyle prese il biglietto e lo mise in una tasca dei pantaloni, gli occhi fissi sulla bara. «Mi scusi, come ha detto che si chiama?» «Figg. Wally Figg.» «Ed è avvocato?» «Sì. Finley & Figg, un piccolo studio con un sacco di lavoro in tribunali di ogni grado.» «E conosceva mio padre?»
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«Oh, sì, molto bene. Gli piaceva collezionare le figurine del baseball.» Lyle tolse la mano dalla bara e piantò lo sguardo negli occhi equivoci di Wally Figg. «Lei sa cos’ha ucciso mio padre, Mr Figg?» «Hai detto che è stato un infarto.» «Certo. Ma sa cosa ha provocato l’infarto?» «Be’, no.» Lyle lanciò un’occhiata in direzione della porta per accertarsi che fossero ancora soli. Passò lo sguardo nella sala intorno a sé per essere certo che nessuno ascoltasse. Si avvicinò di un passo e le sue scarpe quasi toccarono quelle di Wally, che a quel punto si aspettava di sentire che il vecchio Chester era stato assassinato in qualche modo ingegnoso. Quasi in un sussurro, Lyle gli domandò: «Ha mai sentito parlare di un medicinale che si chiama Krayoxx?». C’era un McDonald’s nel centro commerciale vicino alle pompe funebri Van Easel. Wally prese due tazze di caffè e andò a sedersi con Lyle in un séparé, quanto più lontano possibile dal banco. Lyle aveva un mucchio di documenti – articoli scaricati da Internet – ed era evidente che aveva bisogno di qualcuno con cui parlare. Dalla morte di suo padre, avvenuta quarantott’ore prima, aveva sviluppato un’ossessione per il Krayoxx. Il farmaco era sul mercato da sei anni e le sue vendite avevano visto una rapida crescita. Nella maggior parte dei casi abbassava il colesterolo nei soggetti obesi. Nel tempo il peso di Chester era andato lentamente aumentando fino a toccare i centotrentacinque chili circa, cosa che aveva provocato altri aumenti: della pressione sanguigna e del
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colesterolo, per citare i più scontati. Lyle lo aveva rimproverato per via del peso, ma Chester non riusciva a privarsi del suo gelato di mezzanotte. Il suo sistema per gestire lo stress del divorzio era sedersi al buio e farsi una confezione da mezzo chilo di Ben & Jerry’s dopo l’altra. Una volta ingrassato, non era più riuscito a dimagrire. L’anno prima il suo medico gli aveva prescritto il Krayoxx e il livello del colesterolo era sceso in modo straordinario. Nel contempo, però, Chester aveva cominciato a lamentare battito cardiaco irregolare e fiato corto. Ne aveva parlato con il suo medico, il quale gli aveva assicurato che andava tutto bene. L’eccezionale diminuzione del tasso di colesterolo era di gran lunga più importante di quei modesti effetti collaterali. Il Krayoxx era prodotto dalla Varrick Labs, una società del New Jersey che al momento occupava la terza posizione nella classifica Big Pharma delle dieci più grandi industrie farmaceutiche del mondo. Vendite annuali per qualcosa come venticinque miliardi di dollari e una lunga, difficile storia di feroci battaglie con i controllori federali e gli avvocati specializzati in azioni collettive. «Con il Krayoxx la Varrick incassa sei miliardi l’anno» stava dicendo Lyle, frugando tra i fogli delle sue ricerche, ancora calde di Internet. «Con un incremento annuo del dieci per cento.» Ignorando il suo caffè, Wally stava studiando un articolo. Ascoltava in silenzio, anche se le rotelle nel suo cervello stavano girando così velocemente che quasi gli faceva male la testa. «E questa è la parte migliore» disse Lyle, tendendo un altro foglio. «Ha mai sentito nominare lo studio Zell & Potter?» Fino a quel momento Wally non aveva mai sentito nominare il Krayoxx, anche se con un peso di quasi centodieci chili e il colesterolo un po’ alto, era leggermente sorpreso che il suo medico non gli avesse mai
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parlato di quel farmaco. E non aveva mai sentito nominare neppure Zell & Potter ma, intuendo che dovevano essere personaggi importanti in qualcosa di importante, decise di non ammettere la propria ignoranza. «Mi sembra di sì» rispose, aggrottando la fronte come per riflettere. «Un grande studio legale di Fort Lauderdale, specializzato in cause civili.» «Sì.» «La settimana scorsa hanno citato in giudizio la Varrick in Florida, un’enorme causa per i decessi provocati dal Krayoxx. Questo è l’articolo comparso sul “Miami Herald”.» Wally lesse l’articolo e il suo ritmo cardiaco raddoppiò. «Ne avrà sicuramente sentito parlare» disse Lyle. Figg restava sempre stupito dall’ingenuità del profano medio. Ogni anno negli Stati Uniti venivano intentate più di due milioni di cause, e il povero Lyle pensava che lui ne avesse notata una intentata nel Sud della Florida. «Certo» rispose. «La stavo tenendo d’occhio.» «Il suo studio si occupa di casi come questo?» chiese Lyle, l’innocente. «È la nostra specialità» rispose Wally. «I casi di morte o lesioni sono il nostro pane quotidiano. Sarei felice di dare addosso alla Varrick Labs.» «Davvero? Avete già fatto causa a quella gente in passato?» «No, ma abbiamo citato in giudizio quasi tutte le società farmaceutiche più importanti.»
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«Grandioso. Allora, sarebbe disposto a prendere in carico il caso di mio padre?» “Ci puoi scommettere che me lo prendo” pensò Wally, ma anni di esperienza gli avevano insegnato a non mostrarsi troppo precipitoso. O almeno, non eccessivamente ottimista. «Per il momento diciamo che il caso ha un fondamento reale. Dovrò consultarmi con il mio socio anziano, effettuare qualche ricerca, scambiare due chiacchierare con i ragazzi di Zell & Potter, insomma fare i compiti a casa. Il lavoro per le azioni collettive è complicato.» E poteva essere anche follemente remunerativo, cosa che al momento era il pensiero dominante di Wally. «Grazie, Mr Figg.» Alle undici meno cinque Abner cominciò ad agitarsi. Prese a tenere d’occhio la porta d’ingresso, pur continuando a lucidare i bicchieri da Martini con il suo tovagliolo bianco. Eddie era di nuovo sveglio e sorseggiava caffè, ma era ancora in un altro mondo. Finalmente Abner disse: «Senti, David, potresti farmi un favore?». «Qualsiasi cosa.» «Potresti spostarti di due sgabelli? Quello su cui sei seduto è prenotato per le undici, tutte le mattine.» David guardò alla sua destra: c’erano otto sgabelli liberi tra lui e Eddie. E a sinistra ce n’erano altri sette fino all’estremità del banco. «Stai scherzando?» domandò. «Forza.» Abner afferrò il boccale semivuoto di David e lo sostituì con uno pieno, che però posò due sgabelli più in là, a sinistra. David si alzò in piedi lentamente e seguì la sua birra. «Ma cosa succede?» chiese.
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«Lo vedrai» rispose Abner indicando la porta. Non c’era nessun altro nel pub, a parte Eddie, naturalmente. Qualche minuto dopo la porta si aprì ed entrò un anziano, asiatico. L’uomo, che indossava un’elegante uniforme con cravatta a farfalla e berretto da autista, accompagnava una signora, molto più vecchia di lui. Pur servendosi di un bastone, la donna camminava senza che nessuno l’aiutasse, anche se l’autista la seguiva da vicino. I due avanzarono lenti verso il bar. David guardava affascinato: stava sognando o era tutto vero? Abner stava già preparando un drink. Eddie borbottava fra sé. «Buongiorno, Miss Spence» accennando quasi a un inchino.
salutò
il
barista
educatamente,
«Buongiorno, Abner» rispose la donna, mentre si sollevava adagio e montava delicatamente sullo sgabello. L’autista accompagnava i suoi movimenti con entrambe le mani, ma senza toccarla. Una volta sistemata, la signora disse: «Il solito, per favore». L’autista rivolse un cenno del capo ad Abner e uscì in silenzio dal pub. Miss Spence esibiva una lunga pelliccia di visone, una pesante collana di perle e spessi strati di fard e mascara che di sicuro non riuscivano a nascondere i suoi novant’anni. David provò un’immediata ammirazione per lei. Sua nonna aveva novantadue anni, era legata a un letto in una casa di riposo ed era completamente fuori dal mondo. Ed ecco invece questa gran dama che si faceva qualche bicchierino prima di pranzo. Miss Spence lo ignorava. Abner finì di preparare il drink che gli era stato ordinato, una sconcertante miscela di strani ingredienti. «Pearl Harbor» annunciò servendo la signora. La donna si portò lentamente il bicchiere alle labbra, bevve un piccolo sorso a occhi chiusi, lo
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assaporò lentamente e poi rivolse ad Abner il più lieve dei sorrisi immerso nelle rughe. Il barista sembrò riprendere a respirare. David, non del tutto sbronzo ma sulla buona strada, si piegò in avanti e chiese: «Lei viene qui spesso?». Abner trattenne il fiato e mostrò a David i palmi delle mani. «Miss Spence è una nostra cliente abituale e preferisce bere in silenzio» disse, in preda al panico. Miss Spence stava mandando giù un altro sorso, di nuovo con gli occhi chiusi. «Vuole bere in silenzio in un bar?» domandò incredulo David. «Sì!» sparò Abner. «Be’, ha scelto il locale giusto» disse David, indicando con il braccio il vuoto intorno a lui. «Questo posto è un deserto. C’è mai gente qui dentro?» «Zitto» intimò Abner. L’espressione del viso suggeriva: “Stai buono per un po’”. Ma David continuò: «Insomma, hai avuto solo due clienti in tutta la mattina, io e il vecchio Eddie laggiù, ed entrambi sappiamo che lui non paga il conto». Eddie stava sollevando la tazza di caffè più o meno in direzione della faccia, ma sembrava avere difficoltà a trovare la bocca. Evidentemente non aveva sentito il commento di David. «Piantala» sibilò Abner. «Altrimenti dovrò chiederti di uscire.» «Scusa.» David rimase in silenzio. Non aveva alcun desiderio di uscire perché non aveva la minima idea di dove andare.
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Il terzo sorso fece effetto e allentò un po’ la tensione. Miss Spence aprì gli occhi e si guardò intorno. Lentamente, e con una voce antica, disse: «Sì, vengo spesso qui. Praticamente tutti i giorni. E lei?». «Questa è la mia prima volta» rispose David «ma dubito che sarà l’ultima. Dopo oggi probabilmente avrò più tempo per bere, e anche più motivi per farlo. Alla salute.» Si sporse con il suo boccale di birra fino a sfiorare delicatamente il bicchiere della signora. «Salute. E come mai è qui, giovanotto?» «È una storia lunga, che sta diventando sempre più lunga. Lei perché è qui?» «Oh, non lo so. Abitudine, immagino. Sei giorni alla settimana... da quanto tempo, Abner?» «Almeno vent’anni.» A quanto pareva Miss Spence non aveva voglia di ascoltare la lunga storia di David. Bevve un altro sorso e sembrò che stesse per addormentarsi. All’improvviso anche David si sentì assonnato.
5 Helen Zinc arrivò alla Trust Tower pochi minuti dopo mezzogiorno. Durante il tragitto in auto aveva cercato per l’ennesima volta di mettersi in contatto con suo marito, senza riuscirci. Alle nove e trentatré David le aveva mandato un SMS in cui la esortava a non stare in pensiero. Alle dieci e quarantadue le aveva inviato il secondo e ultimo messaggio che diceva: “No problema. Io ok. Nn preocupati”. Helen parcheggiò in un garage, percorse rapidamente il tratto di strada ed entrò nell’atrio del palazzo. Pochi minuti dopo usciva dall’ascensore al novantatreesimo piano. Una receptionist la scortò fino a una piccola sala riunioni, dove la lasciò ad aspettare da sola. Era ora di pranzo, ma la filosofia dello studio Rogan Rothberg imponeva di guardare con disapprovazione chiunque uscisse dall’edificio per andare a mangiare. Buon cibo e aria fresca erano quasi tabù. Ogni tanto poteva capitare che uno dei soci più importanti invitasse un cliente al ristorante per una sensazionale maratona gastronomica, un costosissimo pasto che alla fine avrebbe pagato il cliente stesso grazie ai vecchi ma sempre validi trucchi dell’imbottitura-pratica e del pompaggio-parcella. Ma come regola generale, anche se non scritta, gli associati e i soci meno importanti dovevano accontentarsi di un sandwich veloce da un distributore automatico. In una giornata tipo, David consumava alla scrivania sia la colazione sia il pranzo, e non era insolito che accadesse anche con la cena. Una volta si era vantato con Helen di avere fatturato un’ora ciascuno a tre diversi clienti, ora durante la quale aveva buttato giù un sandwich al tonno, patatine e una bibita dietetica. Helen aveva sperato che stesse scherzando.
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Anche se non era sicura del numero esatto di chili, suo marito ne aveva messi su almeno quindici dal giorno del loro matrimonio. A quei tempi David partecipava alle maratone e il sovrappeso non era un problema, non ancora. Ma la costante dieta a base di cibo spazzatura e la quasi totale mancanza di esercizio fisico adesso preoccupavano tutti e due. Al novantottesimo piano lo studio disponeva di una bellissima palestra, che però era sempre deserta. Presso Rogan Rothberg, l’ora tra le dodici e le tredici non era diversa da qualsiasi altra del giorno o della notte. Era la seconda volta in cinque anni che Helen visitava lo studio. I coniugi dei dipendenti non erano esclusi, ma non venivano neppure invitati negli uffici. Helen non aveva motivo di andarci e, considerata la valanga di racconti dell’orrore che suo marito le portava a casa, non aveva alcun desiderio di vedere lo studio, né di passare del tempo in compagnia di quella gente. Due volte all’anno David la trascinava a una terrificante riunione sociale di Rogan Rothberg, una tristissima uscita comune pensata per promuovere il cameratismo fra gli stanchi avvocati e i rispettivi coniugi trascurati. Tali occasioni si trasformavano inevitabilmente in squallide bevute di gruppo, con comportamenti imbarazzanti e impossibili da dimenticare. Prendete un branco di avvocati esausti, riempiteli di alcol e le cose diventeranno sgradevoli. Un anno prima, durante un party a bordo di uno yacht al largo del lago Michigan, Roy Barton aveva tentato di palpeggiare Helen. Se non fosse stato così ubriaco, sarebbe anche potuto riuscirci, e questo avrebbe causato seri problemi. Per una settimana David e sua moglie avevano discusso sul da farsi. David avrebbe voluto affrontare Barton e poi denunciarlo al comitato etico dello studio. Helen aveva detto di no: David sarebbe riuscito soltanto a rovinarsi la carriera. Non c’erano testimoni, e la verità era che Barton probabilmente non si ricordava neppure cosa aveva fatto. Il tempo era passato e avevano smesso di
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parlare dell’incidente. Dopo cinque anni Helen aveva sentito così tante storie su Roy Barton che a casa David si rifiutava anche solo di pronunciarne il nome. E all’improvviso eccolo. Roy Barton entrò nella saletta riunioni con espressione torva. «Helen» ringhiò «cosa sta succedendo?» «Buffo, volevo farti la stessa domanda.» Mr Barton, come preferiva essere chiamato, travolgeva l’interlocutore abbaiando per primo e cercando di metterlo in imbarazzo. Helen non era disposta a stare al suo gioco. «Dov’è?» latrò Barton. «Dimmelo tu, Roy» ribatté Helen. Lana la segretaria, Al e Lurch dell’ascensore si palesarono tutti insieme, come se avessero ricevuto un mandato di comparizione dallo stesso ufficiale giudiziario. Ci furono rapide presentazioni mentre Roy chiudeva la porta. Helen aveva parlato spesso con Lana al telefono, ma non l’aveva mai vista di persona. Roy guardò Al e Lurch e ordinò: «Voi, diteci esattamente cos’è successo». Alternandosi nel racconto, i due diedero la loro versione dell’ultima corsa in ascensore di David Zinc e, senza la minima forzatura, fornirono il quadro abbastanza chiaro di un uomo confuso che a un certo punto era semplicemente scoppiato. Quel mattino David sudava, respirava a fatica, era pallido, era rientrato in ascensore tuffandosi, letteralmente, era atterrato sul pavimento e, mentre le porte si chiudevano, Al e Lurch l’avevano sentito ridere. «Quando è uscito di casa questa mattina stava bene» disse Helen, quasi a sottolineare che il crollo di suo marito era colpa dello studio e non sua.
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«Tu!» abbaiò Roy rivolgendosi a Lana. «Tu gli hai parlato.» Lana aveva portato con sé i suoi appunti. Aveva sentito David per telefono due volte, poi lui non aveva più risposto. «Nella seconda conversazione ho avuto la netta sensazione che stesse bevendo. Aveva la voce un po’ impastata e le sillabe non erano precise come al solito.» Roy Barton fissò Helen come per incolparla. «Dove può essere andato?» domandò. «Oh, nel solito posto, Roy» rispose Helen. «Quello dove va sempre quando crolla a pezzi alle sette e mezzo di mattina e vuole sbronzarsi.» Nella sala scese un silenzio pesante. Evidentemente Helen Zinc si sentiva libera di rispondere per le rime a Mr Barton, ma gli altri no di certo. A voce più bassa, Barton le chiese: «Non è che David sta bevendo troppo?». «Non ha tempo per bere, Roy. Arriva a casa alle dieci o alle undici di sera, beve un bicchiere di vino, forse due, e poi stramazza sul divano.» «Va da uno strizzacervelli?» «Per cosa? Perché lavora cento ore alla settimana? Pensavo che fosse la norma qui dentro. Altrimenti tutti voi dovreste andare dallo strizzacervelli.» Un’altra pausa. Roy aveva trovato qualcuno che lo stava battendo al suo stesso gioco, e il fatto era molto insolito. Al e Lurch fissavano il tavolo, sforzandosi di non ridacchiare. Lana sembrava un cervo abbagliato dai fari di un’auto, sicura di essere licenziata in tronco.
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«Quindi non hai alcuna informazione che possa esserci utile?» chiese Barton. «No. Ed evidentemente neppure tu hai informazioni che possano essere utili a me, giusto?» Roy ne aveva abbastanza. Gli occhi si restrinsero, le mascelle si serrarono, la faccia avvampò. Guardò Helen e disse: «Okay, prima o poi si farà vivo. Prenderà un taxi e si farà portare a casa. Tornerà strisciando da te e tornerà strisciando da noi. Avrà solo un’altra possibilità, intesi? Lo voglio nel mio ufficio domattina alle otto in punto. Sobrio, e pentito». Improvvisamente Helen sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Si asciugò le guance e, con voce rotta, disse: «Io voglio soltanto trovarlo. Voglio sapere che sta bene. Puoi aiutarmi?». «Comincia a cercare» rispose Roy. «Ci sono circa mille bar nel centro di Chicago. Prima o poi lo troverai.» Dopodiché fece un’uscita di scena teatrale, sbattendosi la porta alle spalle. Non appena se ne fu andato, Al si avvicinò a Helen, le mise una mano sulla spalla e le disse gentilmente: «Senti, Roy è uno stronzo, ma su una cosa ha ragione. David è in un bar e si sta ubriacando. Tra un po’ prenderà un taxi e tornerà a casa». Si avvicinò anche Lurch: «Helen, cose del genere sono già successe qui dentro. Non è per niente raro. David domani starà benissimo». «E lo studio ha anche uno psicologo, un vero professionista che si prende cura dei caduti» aggiunse Al. «Caduti?» ripeté Helen. «Mio marito adesso è un caduto?» Lurch si strinse nelle spalle e disse: «Sì, ma si rialzerà».
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Al si strinse nelle spalle e disse: «È in un bar. Vorrei essere con lui». Da Abner’s era finalmente arrivata la folla dell’ora di pranzo. I séparé e i tavoli erano tutti occupati e il pub era gremito di impiegati che annaffiavano i loro hamburger con pinte di birra. David si era spostato di uno sgabello e adesso si trovava di fianco a Miss Spence, al suo terzo e ultimo Pearl Harbor. David era al secondo. Quando la signora gli aveva offerto il primo, all’inizio lui aveva rifiutato, spiegando che non gradiva molto i drink complicati. Miss Spence aveva insistito, Abner ne aveva preparato uno e glielo aveva fatto scivolare davanti. Nonostante sembrasse innocuo come uno sciroppo per la tosse, quel cocktail era una combinazione letale di vodka, liquore al melone e succo d’ananas. Miss Spence e David avevano trovato un punto d’intesa nel Wrigley Field, lo stadio dei Cubs. La signora aveva cominciato ad andare alle partite da bambina, con suo padre, e seguiva i suoi amati Cubs da tutta la vita. Era stata abbonata per sessantadue anni – un record, ne era certa – e aveva visto giocare tutti i grandi: Roger Hornsby, Ernie Banks, Ron Santo, Billy Williams, Fergie Jenkins e Ryne Sandberg. E aveva sofferto moltissimo, insieme a tutti gli altri tifosi dei Cubs. Gli occhi di Miss Spence danzarono quando raccontò la famosa storia della maledizione della Capra di Billy e le si inumidirono quando ricordò, con generosità di dettagli, la Grande Caduta del 1969. La signora bevve un lungo sorso, dopo avere rievocato l’infame Stordimento di Giugno del 1977. E si lasciò anche sfuggire che una volta il suo defunto marito aveva cercato di comprare la squadra, ma era stato battuto da qualcuno più furbo di lui. Dopo due Pearl Harbor, Miss Spence era già piuttosto alticcia. Il terzo la stava mandando al tappeto. Non aveva alcuna curiosità per la situazione di David; preferiva essere lei a parlare, e a David, in
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modalità rallentatore, andava benissimo restarsene seduto ad ascoltare. Ogni tanto Abner veniva ad assicurarsi che la signora fosse felice. A mezzogiorno e un quarto, proprio mentre l’affollamento del pranzo era al culmine, l’autista asiatico si presentò per riprendersi la signora. Miss Spence vuotò il bicchiere, salutò Abner, non accennò nemmeno a pagare il conto, ringraziò David per la compagnia e uscì dal pub, la mano sinistra al braccio dell’autista, la destra che impugnava il bastone. L’andatura era lenta, ma eretta e orgogliosa. Miss Spence sarebbe tornata. «Ma chi è?» domandò David quando Abner gli si avvicinò. «Te lo dico dopo. Vuoi mangiare?» «Certo. Quegli hamburger hanno un bell’aspetto. Doppio formaggio, con patatine.» «Arriva.» Il tassista si chiamava Bowie ed era un chiacchierone. Mentre si allontanavano dalla terza impresa di pompe funebri, non riuscì a trattenere la curiosità. «Senta, amico, glielo devo proprio chiedere» disse con voce stridula, voltando appena la testa. «Cos’è tutta questa storia delle pompe funebri?» Wally Figg aveva coperto il sedile posteriore del taxi con pagine di necrologi, piante della città e blocchi legali. «Ora andiamo da Wood & Ferguson sulla Centotreesima, vicino a Beverly Park» disse, ignorando per il momento la domanda di Bowie. Erano insieme da quasi due ore e il tassametro si stava avvicinando ai centottanta dollari, una somma notevole in termini di servizio taxi, ma spiccioli nel contesto della causa Krayoxx. Secondo alcuni degli articoli che gli erano stati dati da Lyle Marino, gli avvocati ipotizzavano che un decesso colposo in cui
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fosse coinvolto quel farmaco poteva valere dai due ai quattro milioni di dollari. I legali si sarebbero presi il quaranta per cento, e Finley & Figg, naturalmente, avrebbero dovuto dividere la loro parcella con Zell & Potter, o comunque con lo studio specializzato in azioni collettive che avesse preso la guida della causa. In ogni caso, anche dopo tutte le suddivisioni degli onorari, il farmaco restava una miniera d’oro. Adesso il problema più urgente era trovare i casi. Mentre il taxi sfrecciava per tutta Chicago, Wally pensò che, con ogni probabilità, al momento era l’unico tra il milione di legali della città abbastanza svelto e astuto da setacciare le strade in cerca di vittime del Krayoxx. Secondo quanto affermava un altro articolo, i pericoli del farmaco erano stati scoperti solo da pochissimo tempo. E un altro articolo ancora, citando un avvocato, sottolineava che la comunità scientifica e il pubblico in generale non erano ancora consapevoli del “fiasco Krayoxx”. Ma Wally adesso era consapevole, e non gli importava quanto avrebbe speso in taxi. «Le ho chiesto di tutte quelle pompe funebri» insistette Bowie. Non aveva intenzione di lasciar perdere, né di essere ignorato. «È l’una» annunciò Wally. «Ha già pranzato?» «Pranzato? Sono due ore che sto con lei. Mi ha visto pranzare?» «Io ho fame. C’è un Taco Bell più su, sulla destra. Passiamo per il drive-in.» «Paga lei, vero?» «Certo.» «Mi piace il Taco Bell.»
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Bowie ordinò tacos per sé e un burrito supreme per il suo passeggero. Mentre aspettavano in fila, il tassista disse: «Insomma, vede, non posso fare a meno di pensare: “Ma cosa ci fa con tutte queste pompe funebri?”. Non sono affari miei, certo, ma guido taxi da diciotto anni e non mi è mai capitato un giro per tutte le pompe funebri della città. Mai avuto un passeggero con tanti amici morti, capisce cosa intendo?». «Su una cosa ha ragione» disse Wally, alzando gli occhi da altre ricerche di Lyle. «Non sono affari suoi.» «Wow. Mi ha preso in parola, eh? E pensare che mi era sembrato un tipo simpatico.» «Sono un avvocato.» «Di male in peggio» disse il tassista. «Scherzavo, anche mio zio è avvocato. Uno stronzo.» Wally gli passò una banconota da venti dollari. Bowie ritirò il sacchetto con il cibo, che poi divise con il passeggero. Di nuovo in strada, si riempì la bocca con un taco e non parlò più.
6 Rochelle Gibson stava leggendo un romanzo d’amore. Quando sentì i passi sulla veranda nascose rapidamente il tascabile in un cassetto, piazzò le dita sulla tastiera e, nel momento in cui la porta si aprì, sembrò impegnatissima nel lavoro. Un uomo e una donna entrarono e si guardarono intorno timidamente, quasi spaventati. Non era insolito. Rochelle aveva visto migliaia di persone andare e venire, e quasi tutte avevano quell’espressione cupa e sospettosa. E perché no? Non sarebbero stati lì se non si fossero trovati nei guai, e per quasi tutti si trattava della prima visita a uno studio legale. «Buon pomeriggio» salutò Rochelle in tono professionale. «Stiamo cercando un avvocato» disse l’uomo. «Un avvocato divorzista» lo corresse la donna. Per Rochelle fu subito chiaro che era già da parecchio che la signora riprendeva il marito, e lui probabilmente non ne poteva più. Entrambi però avevano superato i sessant’anni, un po’ troppo vecchi per un divorzio. Ms Gibson riuscì a improvvisare un sorriso e disse: «Prego, accomodatevi». Indicò due sedie accanto alla scrivania. «Per cominciare avrei bisogno di alcune informazioni.» «Possiamo parlare con un avvocato anche senza appuntamento?» chiese l’uomo. «Credo di sì» rispose Ms Gibson. I due si sedettero e poi in qualche modo riuscirono a spostare le sedie, allontanandole quanto più possibile l’una dall’altra. “Sarà dura” pensò Rochelle. Prese un
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questionario e trovò una penna. «I vostri nomi, per favore. I nomi completi.» «Calvin A. Flander» disse l’uomo, battendo la moglie sul tempo. «Barbara Marie Scarbro Flander» disse lei. «Scarbro è il mio cognome da nubile e può darsi che lo riprenda, non ho ancora deciso, ma tutto il resto è già stato risolto, abbiamo addirittura firmato un accordo per la divisione dei beni, un modulo che ho scaricato da Internet. È tutto qui dentro.» La signora mostrò una grande busta sigillata. «Ti aveva chiesto solo il nome» disse Mr Flander. «L’avevo capito.» «Può riprendere il suo vecchio cognome?» chiese l’uomo a Rochelle. «Voglio dire, sono quarantadue anni che si fa chiamare con il mio cognome e io continuo a dirle che nessuno saprà più chi è, se adesso comincia a farsi chiamare Scarbro.» «È sempre meglio di Flander» ribatté Barbara. «Flander suona come un posto in Europa, tipo Fiandre. Non pare anche a lei?» Tutti e due fissavano Rochelle, che chiese con calma: «Figli minorenni? Di età inferiore ai diciotto anni?». Entrambi scossero la testa. «Due figli adulti» rispose Mrs Flander. «E sei nipoti.» «Non ti ha chiesto dei nipoti» osservò Mr Flander. «Be’, io gliel’ho detto lo stesso, va bene?»
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Rochelle riuscì a pilotarli attraverso date di nascita, indirizzo, codici della previdenza sociale e precedenti lavorativi senza scatenare ulteriori conflitti. «Avete detto di essere sposati da quarantadue anni, vero?» Entrambi annuirono con aria di sfida. Rochelle era tentata di chiedere perché volevano divorziare, che cosa era andato storto, e se non fosse proprio possibile salvare il matrimonio, ma sapeva per esperienza che era meglio non cominciare quella conversazione. Che se ne occupassero gli avvocati. «Avete accennato a un accordo per i beni, quindi presumo che quello che avete in mente sia un divorzio consensuale, sulla base di divergenze inconciliabili.» «Esatto» confermò Mr Flander. E prima è meglio è. «È tutto qui dentro» ribadì Mrs Flander, agitando la busta. «Casa, automobili, conti bancari, fondi pensione, carte di credito, debiti, anche mobili ed elettrodomestici?» chiese Rochelle. «Ogni cosa» disse l’uomo. «È tutto qui» ripeté Mrs Flander. «E siete entrambi soddisfatti dell’accordo?» «Oh, sì» rispose il marito. «Abbiamo già fatto tutto il lavoro, ora ci serve solo un avvocato che prepari le carte e venga con noi in tribunale. Nessun problema.» «È sempre il modo migliore» disse Rochelle, la voce dell’esperienza. «Uno dei nostri avvocati vi riceverà ed esaminerà la pratica più in dettaglio. Per un divorzio consensuale il nostro studio chiede
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settecentocinquanta dollari, di cui la metà al primo colloquio con l’avvocato. L’altra metà dovrà essere versata il giorno in cui vi presenterete in tribunale.» I coniugi Flander reagirono in modo diverso. La mascella della moglie crollò incredula, quasi che Rochelle avesse chiesto diecimila dollari in contanti. Il marito strinse gli occhi e corrugò la fronte, come se fosse appena successo esattamente quello che si era aspettato: una truffa in piena regola da parte di un branco di viscidi avvocati. Non una parola, finché Rochelle domandò: «Qualcosa non va?». «Che sistema è questo, il solito specchietto per le allodole? Il vostro studio pubblicizza divorzi consensuali a trecentonovantanove dollari, poi noi entriamo da quella porta e il prezzo raddoppia.» La reazione immediata di Rochelle fu quella di chiedersi: “Cos’ha combinato Wally questa volta?”. Figg faceva talmente tanta pubblicità, in così tanti modi e in tanti posti bizzarri che era impossibile stargli dietro. Mr Flander si alzò in piedi di colpo, estrasse qualcosa dalla tasca e la gettò sulla scrivania di Rochelle. «Dia un’occhiata a questo» disse. Era una cartella del bingo della sezione 178 dei Veterani di guerra all’estero, McKinley Park. Sul bordo inferiore c’era un annuncio pubblicitario color giallo vivo: “Studio legale Finley & Figg. Divorzio consensuale? Una passeggiata, solo $399. Chiama subito 773-718-JUSTICE”. Rochelle Gibson era rimasta sorpresa già tante volte in passato che avrebbe dovuto essere ormai abituata. Cartelle del bingo? Aveva visto potenziali clienti frugare in tasche, borse, valigette, ed estrarre bollettini parrocchiali, calendari del football, lotterie del Rotary, buoni sconto e centinaia di altri foglietti pubblicitari che l’avvocato Figg
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sparpagliava in tutta l’area di Chicago nella sua incessante ricerca di affari. E adesso l’aveva fatto di nuovo. Rochelle era stupefatta. Il tariffario dello studio era da sempre una variabile impazzita, con costi di rappresentanza legale soggetti a modifiche estemporanee a seconda del cliente e della situazione. Una coppia elegante alla guida di un’auto ultimo modello poteva vedersi addebitare per un consensuale mille dollari da un socio, un’ora dopo un operaio e la sua dimessa consorte potevano spuntare metà di quella cifra dall’altro socio. Parte del duro lavoro quotidiano di Ms Gibson consisteva nell’appianare e risolvere liti e discrepanze sulle parcelle. Cartelle del bingo? Una passeggiata per trecentonovantanove dollari? Oscar sarebbe diventato una furia. «Okay» disse Rochelle con calma, come se la pubblicità sulle cartelle del bingo fosse un’antica tradizione dello studio. «Vorrei vedere l’accordo relativo ai beni.» Mrs Flander glielo passò. Lei lo scorse rapidamente e glielo restituì. «Vado a vedere se Mr Finley è in ufficio.» Rochelle portò con sé la cartella del bingo. La porta di Oscar era chiusa, come sempre. La rigorosa politica delle porte chiuse serviva a proteggere ognuno dei due avvocati dall’altro, dal rumore del traffico e dalla varia umanità che capitava in studio. Dalla sua postazione vicino all’ingresso Ms Gibson poteva vedere tutte le porte: quella di Oscar, di Wally, della cucina, del bagno al piano di sotto, della stanza delle fotocopie e del ripostiglio. Sapeva anche che i due legali avevano la tendenza ad ascoltarla in silenzio attraverso le porte chiuse mentre lei interrogava un potenziale cliente. Wally aveva una seconda porta della quale si serviva spesso per scappare da un cliente che prometteva guai, ma Oscar no. Rochelle sapeva che lui era
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alla sua scrivania e, dato che Wally stava facendo il giro delle pompe funebri, non aveva scelta. Si chiuse la porta alle spalle, posò la cartella del bingo davanti a Mr Finley e disse: «Non ci crederà mai». «Cos’ha combinato questa volta?» chiese Oscar, esaminando la cartella. «Trecentonovantanove dollari?» «Già.» «Ma non avevamo concordato che il minimo per un consensuale era cinquecento?» «No. Avevamo concordato settecentocinquanta, poi seicento, poi mille, poi cinquecento. Sono sicura che la settimana prossima concorderemo qualcos’altro.» «Non farò mai un divorzio per quattrocento dollari. Faccio l’avvocato da trent’anni e non intendo prostituirmi per una parcella così miserabile. Mi ha capito, Ms Gibson?» «Questa l’ho già sentita.» «Che se la sbrighi Figg. È un suo caso. La cartella del bingo è un’idea sua. Io ho troppo da fare.» «Giusto, ma Figg non c’è e lei non ha poi così tanto da fare.» «Dov’è?» «Sta visitando i defunti, uno dei suoi giri funebri in città.» «Cosa avrà in mente?»
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«Non lo so ancora.» «Questa mattina erano gli storditori Taser.» Oscar posò la cartella del bingo sul ripiano della scrivania e la fissò. Scosse la testa, borbottò qualcosa tra sé e chiese: «Quale mente disturbata può mai concepire l’idea di farsi pubblicità sulle cartelle del bingo dei Veterani di guerra?». «Figg» rispose Rochelle senza esitare. «Dovrei strozzarlo.» «Io lo terrò fermo.» «Scarichi questa spazzatura sulla sua scrivania e prenda un appuntamento. Quei due possono tornare più tardi. È oltraggioso che la gente pensi di poter piombare qui dentro e consultare un avvocato, perfino Figg, senza un appuntamento. Concedetemi un po’ di dignità, okay?» «Okay, concessa. Senta, quei due là fuori hanno qualche bene e quasi nessun debito. Sono oltre la sessantina, con figli già grandi e fuori casa. Li faccia litigare, prenda le parti della moglie e faccia partire il tassametro.» Alle tre del pomeriggio il pub di Abner era di nuovo tranquillo. Eddie era scomparso con la folla del pranzo e David Zinc era l’unico cliente seduto al bar. In un séparé, quattro uomini di mezz’età si stavano ubriacando mentre facevano grandi progetti per una battuta di pesca in Messico. Abner lavava bicchieri nel piccolo lavello vicino alle spine della birra e parlava di Miss Spence. «Il suo ultimo marito è stato Angus Spence. Il nome ti dice qualcosa?»
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David scosse la testa. In quel momento niente gli diceva qualcosa. Le luci erano accese, ma in casa non c’era nessuno. «Angus era il miliardario che nessuno conosceva. Era proprietario di vari depositi di potassa in Canada e in Australia. È morto dieci anni fa e ha lasciato una montagna di soldi alla signora, che dovrebbe essere nella lista di “Forbes”, solo che non riescono a individuare tutto il patrimonio. Il vecchio era troppo furbo. Miss Spence abita in un attico sul lago, viene qui ogni mattina alle undici, pranza con i suoi tre Pearl Harbor e smamma a mezzogiorno e un quarto, quando arriva la ressa. Io credo che vada a casa a dormire per smaltire la sbornia.» «A me sembra simpatica.» «Ha novantaquattro anni.» «Non ha pagato il conto.» «Non glielo faccio. Mi manda mille dollari al mese. Miss Spence vuole quello sgabello, i tre drink e la sua privacy. Non l’ho mai vista parlare con qualcuno prima di oggi. Dovresti considerarti fortunato.» «Vuole solo il mio corpo.» «Be’, ora sai dove trovarla.» David bevve un piccolo sorso di Guinness Stout. Rogan Rothberg era un ricordo lontano. Non avrebbe potuto dire lo stesso per quanto riguardava Helen, ma in realtà non gliene importava. Aveva deciso di ubriacarsi in allegria e di godersi il momento. Il giorno dopo sarebbe stato un terremoto, e avrebbe affrontato la situazione allora. Niente, assolutamente niente doveva interferire con la sua deliziosa caduta nell’oblio.
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Abner gli fece scivolare davanti una tazza di caffè. «Appena fatto.» David ignorò la tazza. «Così lavori dietro compenso fisso, eh?» disse. «Proprio come uno studio legale. Cosa potrei bermi con mille dollari al mese?» «Al ritmo che stai tenendo, mille non basterebbero. Hai telefonato a tua moglie?» «Abner, tu sei un barista, non un consulente matrimoniale. Questo per me è un grande giorno, un giorno che cambierà la mia vita per sempre. Sono nel bel mezzo di un enorme crollo, o collasso, o quello che è. La mia vita non sarà mai più la stessa, perciò lasciami godere questo momento.» «Ti chiamo un taxi quando vuoi.» «Io non vado da nessuna parte.» Per il primo incontro con il cliente, Oscar indossava sempre la giacca e si raddrizzava la cravatta. Era importante stabilire subito il tono, e un avvocato vestito di scuro significava potere, competenza e autorità. Oscar era fermamente convinto di trasmettere attraverso l’immagine il messaggio che lui non era uno che lavorava per due soldi, anche se di solito lo faceva. Stava studiando la bozza di accordo sui beni, aggrottando la fronte come se fosse stato scritto da due idioti. I Flander erano sull’altro lato della scrivania. Ogni tanto si guardavano intorno e osservavano la “parete dell’ego”, una miscellanea di foto incorniciate che mostravano un sorridente Mr Finley che stringeva la mano a celebrità sconosciute, diplomi incorniciati miranti a evidenziare che Mr Finley era estremamente abile e preparato, e qualche targa, chiara testimonianza del fatto che nel corso degli anni l’avvocato aveva ricevuto i giusti
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riconoscimenti. Le altre pareti erano nascoste da scaffali carichi di voluminosi tomi e trattati di legge, ulteriore prova che Mr Finley conosceva il suo mestiere. «Quanto vale la casa?» domandò, senza alzare gli occhi dal documento. «Circa due e cinquanta» rispose Mr Flander. «Io credo di più» disse Mrs Flander. «Non è un buon momento per vendere» sentenziò Oscar saggiamente, anche se ogni proprietario di immobili d’America sapeva che il mercato era fiacco. Ancora silenzio, mentre il saggio studiava l’opera dei Flander. Posò i fogli e, da sopra gli occhiali da lettura comprati al drugstore, fissò Mrs Flander negli occhi ansiosi. «Lei avrà la lavatrice-asciugatrice, il microonde, il tapis roulant e il televisore a schermo piatto?» «Be’, sì.» «In realtà otterrà probabilmente l’ottanta per cento dell’arredamento e degli elettrodomestici, giusto?» «Credo di sì. Cosa c’è di sbagliato?» «Niente, salvo che lui avrà la maggior parte del denaro.» «Io penso che sia equo» osservò Mr Flander. «Ovvio che lo pensi.» «Lei non ritiene che sia giusto?» chiese Mrs Flander.
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Oscar si strinse nelle spalle, come se la cosa non lo riguardasse. «Abbastanza tipico, direi. Ma il denaro è più importante di un mucchio di mobili usati. Lei probabilmente si trasferirà in un appartamento, qualcosa di molto più piccolo del posto in cui vive adesso, e non avrà abbastanza spazio per tutte le cose vecchie. Suo marito, per contro, avrà i soldi in banca.» La signora sparò un’occhiataccia al suo futuro ex coniuge. Oscar riprese a martellare: «E la sua auto ha tre anni in più di quella di suo marito, quindi a lei toccheranno la macchina vecchia e i vecchi mobili». «È stata un’idea sua» disse Mrs Flander. «Non è vero. Eravamo d’accordo.» «Tu hai voluto il conto pensione e la macchina più nuova.» «Solo perché è sempre stata la mia macchina.» «Questo perché tu hai sempre voluto la macchina più bella.» «Non è vero, Barbara. Non cominciare a esagerare come fai sempre, okay?» «E tu non cominciare a mentire davanti all’avvocato, Cal» ribatté Barbara, a voce più alta. «Eravamo d’accordo di venire qui, dire la verità e non litigare davanti all’avvocato. Non è così?» «Oh, certo, ma come puoi startene lì seduta a dire che io ho sempre avuto la macchina più bella? Hai dimenticato la Toyota Camry?» «Buon Dio, Cal! È stato vent’anni fa.»
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«Conta comunque.» «Be’, sì, mi ricordo quell’auto, e ricordo anche il giorno in cui tu l’hai distrutta.» Ms Gibson sentì le voci, sorrise tra sé e voltò una pagina del suo tascabile. AC, che le dormiva di fianco, all’improvviso si alzò in piedi e cominciò a ringhiare sommessamente. Rochelle lo guardò, si alzò e andò alla finestra. Regolò le veneziane per poter vedere fuori e poi lo sentì: il lamento lontano di una sirena. A mano a mano che il suono diventava più forte, anche AC alzava il volume del ringhio. Anche Oscar era alla finestra e guardava con aria indifferente l’incrocio in lontananza, sperando di riuscire a intravedere l’ambulanza. Era troppo difficile perdere quell’abitudine, non che lui volesse farlo. Come Wally, e adesso Rochelle e forse migliaia di altri avvocati in città, non riusciva a evitare una scarica di adrenalina al suono di un’ambulanza in avvicinamento. E un’ambulanza che sfrecciava lungo la strada lo faceva sempre sorridere. I Flander, invece, non stavano sorridendo. Adesso tacevano, lo guardavano e si odiavano. Quando l’urlo della sirena svanì in lontananza, Oscar tornò alla sua poltrona e disse: «Sentite, gente, se avete intenzione di litigare, io non posso rappresentare tutti e due». I Flander ebbero entrambi la tentazione di tagliare la corda. Una volta usciti avrebbero potuto andare ognuno per la propria strada e trovarsi avvocati più rispettabili, ma per un paio di secondi non seppero cosa fare. Poi Mr Flander prese una decisione. Scattò in piedi e andò verso la porta. «Non si preoccupi, Finley. Vado a cercarmi un avvocato vero.» Aprì la porta, la richiuse sbattendola e marciò davanti a Rochelle e al cane, che stavano riprendendo le rispettive posizioni.
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Spalancò la porta d’ingresso, fece sbattere anche quella e se ne andò per sempre dallo studio Finley & Figg.
7 L’happy hour cominciava alle cinque e terminava alle sette, e Abner decise che il suo nuovo migliore amico doveva andarsene prima che iniziasse. Chiamò un taxi, inzuppò un asciugamano pulito nell’acqua fredda, passò sull’altro lato del banco e scosse gentilmente il suo cliente. «Sveglia, David. Sono quasi le cinque.» Zinc dormiva da un’ora. Come tutti i bravi baristi, Abner non voleva che la ressa del dopo ufficio vedesse un ubriaco comatoso che russava con la faccia sul banco. Bagnò il viso di David con l’asciugamano e disse: «Forza, amico. La festa è finita». David si svegliò di colpo. Occhi e bocca gli si spalancarono mentre guardava Abner senza riconoscerlo. «Cosa? Cosa? Come...?» balbettò. «Sono quasi le cinque. È ora di andare a casa, amico. Fuori c’è un taxi che ti aspetta.» «Le cinque!» gridò David, sconvolto dalla notizia. C’erano altri sei o sette clienti nel pub, e tutti lo fissavano con aria comprensiva. Domani sarebbe potuto toccare a loro. David si alzò in piedi e, con l’aiuto di Abner, riuscì a indossare il cappotto e a trovare la sua valigetta. «Da quanto tempo sono qui?» domandò, guardandosi intorno smarrito. «Parecchio» rispose Abner. Gli mise un biglietto da visita in una tasca e disse: «Chiamami domani e sistemeremo il conto». Barcollarono a braccetto fino alla porta e uscirono sul marciapiede, lungo il quale aspettava un taxi. Abner aprì la portiera posteriore, cacciò David all’interno, disse all’autista «È tutto tuo» e richiuse la portiera.
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Zinc lo guardò scomparire nel locale, poi guardò il tassista e gli domandò: «Lei come si chiama?». L’uomo disse qualcosa di incomprensibile e David abbaiò: «Sa parlare inglese?». «Dove andiamo, signore?» chiese il tassista. «Be’, la sua è un’ottima domanda. Conosce qualche buon bar nei dintorni?» L’uomo scosse la testa. «Non voglio andare a casa perché lì c’è mia moglie e... Oh, Gesù.» L’interno del taxi aveva cominciato a ruotare. Qualcuno dietro di loro suonò il clacson. L’autista partì e si inserì nel traffico. «Non così veloce!» protestò David, con gli occhi chiusi. L’auto procedeva a circa quindici chilometri l’ora. «Vada verso nord.» «Signore, ho bisogno di una destinazione» lo pregò il tassista, voltando in South Dearborn. Il traffico dell’ora di punta era già intenso. «Forse sto per vomitare» annunciò David, deglutendo con difficoltà e timoroso di riaprire gli occhi. «Non nella mia macchina, per favore.» Procedettero a singhiozzo per due isolati, poi David riuscì a calmarsi. «La destinazione, signore» ripeté il tassista. David aprì l’occhio sinistro e guardò fuori dal finestrino. Accanto al taxi, fermo nel traffico, un autobus carico di lavoratori stanchi sputava fumo dal tubo di scappamento. Lungo la fiancata c’era un cartellone di
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novanta centimetri per trenta che pubblicizzava i servizi dello studio legale Finley & Figg. “Guida in stato di ebbrezza? Chiamate dei veri esperti. 773-718-JUSTICE.” L’indirizzo era scritto in caratteri più piccoli. David aprì anche l’occhio destro e, per un istante, vide la faccia sorridente di Wally Figg. Si concentrò sulla parola “ebbrezza” e si chiese se quegli avvocati fossero in grado di aiutarlo in qualche modo. Aveva già visto pubblicità del genere in precedenza? Aveva mai sentito parlare di quei due? Non ne era sicuro. Niente era chiaro, niente aveva senso. Il taxi era ripartito e adesso procedeva più velocemente. «418, Preston Avenue» disse David all’autista, e poi perse i sensi. Rochelle non aveva mai fretta di andarsene perché non aveva mai voglia di tornare a casa. Per quanto tesa potesse essere a volte la situazione in ufficio, era comunque molto più tranquilla di quella nel suo caotico e affollato appartamento. Il divorzio Flander era partito male, ma grazie all’abile manipolazione di Oscar adesso era sul binario giusto. Mrs Flander aveva ingaggiato lo studio e versato un anticipo di settecentocinquanta dollari. Alla fine tutto si sarebbe risolto in un divorzio consensuale, ma non prima che Oscar facesse sganciare alla signora altri duemila verdoni. Finley comunque era ancora furioso per la storia delle cartelle del bingo e aspettava al varco il suo socio giovane. Wally arrivò alle diciassette e trenta, dopo una giornata sfiancante passata alla ricerca di vittime del Krayoxx. La caccia aveva prodotto solo Chester Marino, ma Wally non si lasciava scoraggiare. Aveva messo le mani su qualcosa di grosso. I clienti erano là fuori, e lui li avrebbe trovati. «Oscar sta parlando al telefono» lo informò Rochelle. «Ed è arrabbiatissimo.»
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«Perché?» chiese Wally. «È saltata fuori una cartella del bingo. Trecentonovantanove dollari.» «Brillante, vero? Mio zio gioca a bingo alla sede dei Veterani.» «Geniale.» Rochelle gli fornì la versione abbreviata del caso Flander. «Vede? Ha funzionato» disse Wally con orgoglio. «Basta solo riuscire a farli entrare qui dentro, Ms Gibson, è quello che dico sempre. I trecentonovantanove dollari sono l’esca, poi si tira su la lenza. Oscar l’ha fatto alla perfezione.» «Cosa mi dice della pubblicità ingannevole?» «Quasi tutto quello che facciamo è pubblicità ingannevole. Lei ha mai sentito parlare del Krayoxx, un farmaco per ridurre il colesterolo?» «Può darsi. Perché?» «Sta uccidendo la gente e ci renderà ricchi.» «Questa mi pare di averla già sentita. Oscar ha riattaccato.» Wally andò alla porta del collega, bussò mentre la spalancava e disse: «Ho sentito che ti piacciono le mie cartelle del bingo». Oscar era in piedi dietro la scrivania, con la cravatta allentata, stanco e bisognoso di un drink. Due ore prima era stato pronto allo scontro. Adesso voleva soltanto andarsene a casa. «Andiamo, Wally. Cartelle del bingo!» «Sissignore. Siamo il primo studio legale di Chicago a usare le cartelle del bingo.»
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«Siamo stati i primi parecchie volte e siamo ancora al verde.» «Be’, quei giorni sono finiti, amico mio» disse Wally, frugando nella sua valigetta. «Hai mai sentito parlare di un farmaco anticolesterolo che si chiama Krayoxx?» «Sì, lo prende anche mia moglie.» «Be’, Oscar, il Krayoxx uccide.» Finley sorrise, ma si riprese subito. «E tu come fai a saperlo?» Wally lasciò cadere un malloppo di fogli sulla scrivania del collega. «Questo è il tuo compito a casa: tutto sul Krayoxx. Un grosso studio legale di Fort Lauderdale, specializzato in azioni collettive, la settimana scorsa ha fatto causa alla Varrick Labs per il Krayoxx, una class action. Sostengono che il farmaco aumenta a dismisura il rischio di infarto e di ictus, e hanno degli esperti per dimostrarlo. La Varrick ha messo sul mercato più merda di qualsiasi altra società Big Pharma, ed è anche quella che ha pagato di più in risarcimenti danni. Miliardi di dollari. E sembra proprio che il Krayoxx sia il loro ultimo buco nero mangiasoldi. I ragazzi delle azioni collettive sono già sul piede di guerra. Tutto questo sta succedendo adesso, Oscar, e se riusciamo ad accaparrarci una decina di casi Krayoxx, diventiamo ricchi.» «Questa l’ho già sentita, Wally.» Quando il taxi si fermò, David era di nuovo sveglio, anche se solo semicosciente. Con qualche sforzo riuscì a lanciare due banconote da venti sul sedile anteriore e, con sforzi anche maggiori, a scendere dall’auto. Guardò il taxi allontanarsi e poi vomitò sul marciapiede. Dopo si sentì molto meglio.
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Rochelle stava sistemando la scrivania e ascoltava i due soci discutere, quando sentì dei passi pesanti sulla veranda. Qualcosa sbatté contro la porta, che poi si spalancò. Il giovanotto aveva gli occhi folli, la faccia arrossata, l’equilibrio incerto, ma abiti di ottimi taglio. «Posso esserle utile?» domandò Rochelle, sospettosa. David la fissò, ma non la vide. Si guardò intorno nell’ufficio, barcollò e socchiuse gli occhi, cercando di mettere a fuoco le immagini. «Signore?» «Mi piace questo posto» dichiarò David. «Mi piace davvero.» «Molto gentile. Per favore, vuole...» «Sto cercando lavoro, ed è qui che voglio venire.» AC sentì aria di guai e andò dietro la scrivania di Rochelle. «Che bello!» esclamò David, ridacchiando. «Un cane. Come si chiama?» «AC.» «AC. Bene. Mi spieghi: per cosa sta AC?» «Ambulance Chaser.» Cacciatore di ambulanze. «Mi piace. Mi piace davvero tanto. Morde?» «Lei non lo tocchi.» I due soci erano comparsi silenziosamente nel vano della porta di Oscar. Rochelle lanciò un’occhiata nervosa nella loro direzione.
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«È qui che voglio lavorare» ripeté David. «Mi serve un posto.» «Lei è avvocato?» gli domandò Wally. «Lei è Figg o Finley?» «Io sono Figg. Lui è Finley. Lei è avvocato?» «Credo di sì. Fino alle otto di questa mattina lavoravo nello studio legale Rogan Rothberg. Ero uno dei seicento. Ma me ne sono andato, sono crollato, e sono entrato in un bar. È stata una lunga giornata.» Si appoggiò alla parete per mantenere l’equilibrio. «Cosa le fa credere che noi stiamo cercando un associato?» chiese Oscar. «Associato? Io pensavo di entrare direttamente come socio» disse David, che poi si piegò in due dalle risate. Nessun altro rise. Nessuno sapeva bene cosa fare, ma Wally in seguito avrebbe confessato che a quel punto stava per chiamare la polizia. David smise di ridere, si riprese e ribadì: «Mi piace questo posto». «Perché ha lasciato il grande studio?» volle sapere Wally. «Oh, per un mucchio di ragioni. Diciamo soltanto che odio quel lavoro, odio i colleghi e odio anche i clienti.» «Si inserirebbe alla perfezione, qui da noi» osservò Rochelle. «Non abbiamo intenzione di assumere nessuno» disse Oscar.
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«Oh, andiamo! Mi sono laureato a Harvard. Lavorerò part-time: cinquanta ore la settimana, metà di quelle che faccio adesso. Capito? Part-time?» Rise di nuovo, da solo. «Spiacente, amico» lo liquidò Wally sbrigativo. Non molto lontano dallo studio, un automobilista suonò il clacson, un lungo suono frenetico che poteva solo portare guai. Un altro conducente pestò con violenza sul freno. Un altro clacson, altre frenate e, per un lungo secondo, lo studio legale Finley & Figg trattenne collettivamente il fiato. Il rumore dello scontro esplose come un tuono, più impressionante che mai, e fu subito evidente che parecchie auto si erano appena urtate all’incrocio tra la Preston, la Beech e la Trentottesima. Oscar afferrò il cappotto, Rochelle il suo maglione pesante e tutti e due seguirono Wally all’esterno, lasciando l’ubriaco a badare a se stesso. Lungo la Preston, altri studi si svuotarono mentre avvocati e rispettivi impiegati e paralegali si precipitavano a valutare il disastro e a offrire conforto ai feriti. L’incidente aveva coinvolto almeno quattro auto, tutte gravemente danneggiate, ma distanziate tra loro. Una era capovolta e le ruote giravano ancora. C’erano grida, panico e sirene in lontananza. Wally corse verso una Ford accartocciata. La portiera anteriore sul lato del passeggero era stata divelta e un’adolescente cercava di scendere dalla vettura. Era sotto shock e sporca di sangue. Figg la prese per un braccio e l’allontanò dal disastro. Rochelle lo aiutò a far sedere la ragazza sulla panchina di una fermata d’autobus. Wally tornò alla carneficina alla ricerca di altri clienti. Oscar intanto aveva già trovato un testimone oculare, una persona che poteva essere utile per attribuire colpe e di conseguenza richiamare clienti. Lo studio Finley & Figg sapeva come lavorarsi un incidente stradale.
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La madre dell’adolescente era ancora sul sedile posteriore e Wally l’aiutò a uscire. L’accompagnò alla panchina dell’autobus, verso le braccia tese di Rochelle. Vince Gholston, il rivale dello studio di fronte, si materializzò sulla scena. Wally lo vide. «Stai alla larga, Gholston!» latrò. «Questi adesso sono nostri clienti.» «Niente affatto, Figg. Non hanno ancora firmato.» «Non ti avvicinare, stronzo.» La folla di curiosi accorsi per vedere la scena cresceva rapidamente. Il traffico era bloccato e molti automobilisti scendevano dai loro veicoli per dare un’occhiata. Qualcuno gridò: «Sento odore di benzina!», cosa che aumentò istantaneamente il panico. I passeggeri di una Toyota sdraiata su un fianco stavano cercando disperatamente di uscire. Un uomo grande e grosso con gli stivali sferrava calci a un finestrino, ma non riusciva a sfondarlo. La gente urlava. Le sirene si avvicinavano. Wally girava intorno a una Buick il cui conducente sembrava privo di sensi. Oscar distribuiva biglietti da visita a chiunque. Nel bel mezzo del caos generale, nell’aria tuonò una giovane voce maschile: «Stai lontano dai nostri clienti!». Tutti guardarono in direzione della voce. Era un’immagine sorprendente: in piedi accanto alla panchina della fermata d’autobus, David Zinc agitava minaccioso un grande pezzo di metallo davanti alla faccia di uno spaventato Vince Gholston, che si stava facendo indietro. «Questi sono nostri clienti!» gridò David furioso. Sembrava un pazzo, e non c’era il minimo dubbio che, se necessario, avrebbe fatto uso della sua arma impropria. Oscar si avvicinò a Wally. «Forse c’è del potenziale in quel ragazzo, dopotutto.»
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Wally stava guardando con grande ammirazione. «Prendiamolo.»
8 Quando Helen Zinc si immise nel vialetto d’accesso del 418 di Preston Avenue la prima cosa che notò non fu la facciata cadente dello studio legale Finley & Figg, ma l’insegna al neon dell’edificio accanto, con la scritta MASSAGGI che lampeggiava. Helen spense luci e motore e rimase immobile per un momento per organizzare i pensieri. David era vivo e al sicuro; aveva semplicemente “bevuto un po’” secondo un certo Wally Figg, un uomo abbastanza simpatico che le aveva telefonato un’ora prima. Mr Figg stava “badando a suo marito”, qualunque cosa significasse. L’orologio digitale del cruscotto indicava le otto e venti, perciò erano quasi dodici ore che Helen si preoccupava per la sicurezza di suo marito, chiedendosi dove fosse. Adesso che sapeva che era vivo, stava pensando ai modi in cui ucciderlo. Si guardò intorno, esaminò con un certo disgusto tutto quello che vide, poi scese dalla BMW e si avviò lentamente verso la porta. Aveva chiesto a Mr Figg in che modo esattamente suo marito fosse finito dai grattacieli del centro di Chicago al quartiere operaio in cui si trovava Preston Avenue. Mr Figg le aveva risposto di non essere al corrente di tutti i dettagli e che sarebbe stato meglio discuterne in seguito. Helen aprì la porta d’ingresso, facendo tintinnare una campanella dozzinale. Un cane ringhiò nella sua direzione, ma non diede segno di volerla attaccare. Rochelle Gibson e Oscar Finley se n’erano andati. Seduto al tavolo, Wally ritagliava necrologi da vecchi quotidiani e cenava con un sacchetto di patatine e una bibita analcolica. Si alzò subito in piedi, si pulì le mani sui pantaloni e fece un grande sorriso. «Lei deve essere Helen.»
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«Sì.» Helen quasi si ritrasse, quando Wally le tese la mano. «Io sono Wally Figg» si presentò il legale, che stava già esaminandola. Ottima confezione. Capelli neri corti, occhi nocciola dietro gli occhiali firmati, un metro e settanta, slanciata, elegante. Wally approvò. Poi si voltò e agitò un braccio in direzione del tavolo ingombro. Dietro il tavolo, addossato alla parete, c’era un vecchio divano di pelle, e sul divano c’era David Zinc, morto per il mondo, di nuovo comatoso. La gamba destra dei pantaloni era strappata – una piccola ferita riportata sulla scena dell’incidente –, ma per il resto sembrava tutto a posto. Helen si avvicinò di qualche passo al marito e lo guardò. «È sicuro che sia vivo?» «Oh, sì, vivissimo. Si è azzuffato sulla scena dell’incidente e si è strappato i pantaloni.» «Azzuffato?» «Sì. Con un certo Gholston, un individuo viscido che sta dall’altra parte della strada e che voleva rubarci i clienti dopo l’incidente. Ma il nostro David l’ha cacciato via con un pezzo di metallo. E, non so come, si è strappato i pantaloni.» Helen, che aveva già sopportato abbastanza per un giorno solo, scosse la testa. «Posso offrirle qualcosa? Caffè, acqua, scotch?» le chiese Wally. «Io non bevo alcolici.» Figg la guardò, guardò David e poi di nuovo Helen. “Strano matrimonio” pensò.
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«Neppure io» dichiarò con orgoglio. «C’è del caffè appena fatto. Ho preparato una caffettiera per David e lui se n’è bevuto due tazze, prima di farsi un pisolino.» «Sì, grazie.» Sorseggiarono il caffè seduti al tavolo, parlando sottovoce. «Tutto quello che sono in grado di raccontarle» disse Wally «è che questa mattina, per quello che ho capito, David ha avuto una crisi in ascensore mentre stava andando al lavoro. È crollato, è scappato dal palazzo ed è finito in un bar, dove ha passato praticamente tutto il giorno a bere.» «Questo l’avevo capito. Ma come è finito qui?» «Non siamo arrivati fino a quel punto del racconto. Però devo avvertirla di una cosa, Helen: David non ha intenzione di tornare al suo vecchio studio, dice che vuole lavorare qui con noi.» Helen non poté fare a meno di guardarsi intorno nella stanza ingombra e disordinata. Difficile immaginare un posto dall’apparenza meno prospera. «Quello è il suo cane?» domandò. «Lui è AC, il cane dello studio. Abita qui.» «In quanti avvocati siete?» «Soltanto due. Il nostro è uno studio boutique. Io sono il socio giovane. Il socio anziano è Oscar Finley.» «E che tipo di lavoro dovrebbe fare David qui da voi?» «Noi siamo specializzati in cause per decessi e lesioni personali.»
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«Come quegli avvocati che si fanno pubblicità alla tivù?» «Noi non siamo in televisione» rispose Figg con grande dignità. Se solo Helen avesse saputo. Wally non faceva che lavorare sui copioni degli spot. Litigava con Oscar per il denaro necessario. Guardava con invidia gli altri avvocati che riempivano l’etere con pubblicità che, a suo parere, era quasi sempre malfatta. E, cosa più dolorosa, pensava a tutte le parcelle perse perché arraffate da avvocati di minore talento, ma disposti a stanziare un modesto budget televisivo. David emise un suono gorgogliante, cui seguì un rapido sbuffo nasale. Nonostante stesse producendo rumori, non c’erano altre indicazioni del fatto che fosse anche solo remotamente cosciente. «Lei crede che domani mattina ricorderà qualcosa?» domandò Helen, osservando accigliata suo marito. «Difficile a dirsi» rispose Wally. La sua storia d’amore con l’alcol era lunga e tormentata, e lui stesso aveva passato molte mattine nebbiose sforzandosi di ricordare cos’era successo il giorno prima. Bevve un sorso di caffè e disse: «Senta, so che non sono affari miei eccetera, ma David lo fa spesso? Lui dice di voler lavorare qui e... be’, noi abbiamo bisogno di sapere se ha qualche problema con la bottiglia». «Non beve mai. Non lo ha mai fatto. Può farsi qualche drink a una festa, ma lavora troppo per potersi permettere di bere. E dato che io quella roba non la voglio nemmeno vedere, in casa non ne teniamo.» «Semplice curiosità. Io invece ho avuto dei problemi.» «Mi dispiace.» «No, ora è tutto okay. Sono sobrio da sessanta giorni.»
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Più che impressionarla favorevolmente, la notizia preoccupò Helen. Figg stava combattendo con la bottiglia e la vittoria era ancora lontana. Si sentì improvvisamente stanca della conversazione e stanca di quel posto. «Immagino che dovrei riportarlo a casa.» «Sì, penso di sì. Oppure David potrebbe restare qui, con il cane.» «È quello che si meriterebbe. Domani mattina dovrebbe svegliarsi su quel divano con un mal di testa atroce, lo stomaco in disordine, la bocca impastata e nessuna idea del posto in cui si trova. Gli starebbe bene, non crede?» «Sì, certo. Ma preferirei non dover pulire di nuovo.» «Vuole dire che David ha già...» «Due volte. La prima nella veranda, la seconda in bagno.» «Mi dispiace moltissimo.» «Nessun problema. Ma David deve tornare a casa.» «Lo so. Tiriamolo su.» Una volta sveglio, David attaccò a chiacchierare piacevolmente con sua moglie come se non fosse successo niente. Senza che nessuno lo aiutasse, uscì dallo studio, scese gli scalini della veranda e salì in auto. Gridò un lungo arrivederci e un sentito ringraziamento a Wally, e addirittura propose a Helen di mettersi lui alla guida. Lei declinò l’offerta. Lasciarono la Preston, diretti a nord. Per cinque minuti non venne detto nulla. Poi, in tono indifferente, Helen cominciò: «Sai, penso di conoscere tutti gli snodi principali della trama, ma mi manca ancora qualche dettaglio. Dov’era il bar?».
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«Abner’s, a pochi isolati dall’ufficio.» David sedeva basso sul sedile, con il bavero del trench sollevato a coprirgli le orecchie. «C’eri già stato?» «No. Un bel locale, però. Una volta o l’altra ti ci porto.» «Certo. Perché non domani? E a che ora sei entrato da Abner’s questa mattina?» «Tra le sette e mezzo e le otto. Sono scappato dallo studio, ho corso per qualche isolato e ho trovato Abner’s.» «E hai cominciato a bere?» «Oh, sì.» «Ti ricordi cosa hai bevuto?» «Be’, vediamo...» David rimase in silenzio un momento, cercando di ricordare. «Per colazione mi sono fatto quattro dei Bloody Mary speciali di Abner. Sono veramente ottimi. Poi ho mangiato un piatto di anelli di cipolla e bevuto parecchie birre. Poi è arrivata Miss Spence e mi sono scolato due dei suoi Pearl Harbor, ma non lo farò mai più.» «Miss Spence?» «Già. Va da Abner’s tutti i giorni, stesso sgabello, stesso cocktail, stesso tutto.» «È simpatica?» «Adorabile. Molto carina, fortissima.»
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«Capisco. È sposata?» «No, vedova. Ha novantaquattro anni e vale qualche miliardo di dollari.» «Altre donne?» «Oh, no, solo Miss Spence. Se n’è andata verso mezzogiorno e io... mmh, vediamo... ho pranzato con hamburger e patatine, ho ricominciato con la birra e poi, a un certo punto, ho fatto un sonnellino.» «Hai perso i sensi?» «Praticamente.» Una pausa, mentre Helen continuava a guidare e David a guardare la strada attraverso il parabrezza. «E come sei arrivato dal bar a quello studio legale?» «In taxi. Mi è costato quaranta dollari.» «Dove hai preso il taxi?» Pausa. «Non me lo ricordo.» «Stiamo facendo progressi. E adesso la grande domanda: come hai trovato Finley & Figg?» David cominciò a scuotere la testa, riflettendo. Poi ammise: «Non ne ho idea». C’era così tanto di cui parlare, pensò Helen. L’alcol: era possibile che un problema ci fosse, nonostante quello che aveva detto a Wally?
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Rogan Rothberg: David ci sarebbe tornato? E lei doveva parlargli dell’ultimatum di Roy Barton? Finley & Figg... suo marito faceva sul serio? Helen aveva un sacco di domande in testa, un lungo elenco di lamentele, ma al tempo stesso non poteva fare a meno di essere un po’ divertita. Non aveva mai visto David così sbronzo, e il fatto che se ne fosse andato da un grattacielo del centro per finire ai confini del mondo sarebbe presto diventato un succoso aneddoto familiare. David era sano e salvo, ed era questo che importava davvero. E probabilmente non era pazzo. Il crollo nervoso poteva essere risolto. «Ho una domanda» disse David, che sentiva le palpebre sempre più pesanti. «Io ne ho un mucchio» ribatté Helen. «Ne sono sicuro, ma adesso non ho voglia di parlare. Tieni le tue domande per domani, quando sarò sobrio, okay? Non sarebbe giusto farmi il terzo grado mentre sono ubriaco.» «Va bene. Qual è la tua domanda?» «Per caso i tuoi genitori sono a casa nostra in questo momento?» «Sì, già da un po’. Sono molto preoccupati.» «Che gentili. Senti, non ho intenzione di entrare. Non mi va che mi vedano in questo stato. Capito?» «Loro ti vogliono bene. Ci hai fatto prendere una gran paura.» «Perché sono tutti così spaventati? Ti ho mandato due SMS dicendoti che stavo bene. Sapevi che ero vivo. Perché tutto questo panico?» «Non farmi parlare.»
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«E va bene, ho avuto una giornataccia, qual è il problema?» «Giornataccia?» «In effetti, a pensarci meglio, è stata una giornata abbastanza buona.» «Senti, perché non litighiamo domani? Non è quello che hai chiesto?» «Sì. Io però non scendo da questa macchina finché i tuoi non se ne sono andati. Per favore.» Stavano viaggiando lungo la Stevenson Expressway. Nessuno dei due parlò mentre procedevano nel traffico intenso. Poi, finalmente, Helen afferrò il cellulare e chiamò i suoi genitori.
9 Più o meno una volta al mese capitava che Rochelle Gibson arrivasse al lavoro pregustando il suo solito momento di pace e trovasse invece lo studio già aperto, il caffè in preparazione, il cane già nutrito e un eccitato Mr Figg impegnato in un nuovo progetto di stalking nei confronti di gente nei guai. La cosa la irritava immensamente. Non solo le rovinava i pochi momenti tranquilli di una giornata per il resto chiassosa, ma significava anche lavoro in più. Rochelle non aveva quasi varcato la soglia che Wally la salutò con un vivace: «Be’, buongiorno, Ms Gibson!», come se fosse sorpreso di vederla arrivare al lavoro alle sette e mezzo di un giovedì mattina. «Buongiorno, Mr Figg» rispose Rochelle, con molto meno entusiasmo. Fu quasi sul punto di aggiungere: “Come mai è già qui?”, ma si morse la lingua. Sarebbe stata messa al corrente del nuovo piano fin troppo presto. Armata di caffè, yogurt e quotidiano, si sedette alla scrivania e cercò di ignorare il suo capo. «Ieri sera ho conosciuto la moglie di David» le disse Wally dal tavolo sull’altro lato dell’ufficio. «Molto carina e simpatica. Pare che suo marito non beva mai molto, ma io penso che a volte invece possa capitargli. Che ogni tanto David ceda alla pressione. So che per me è così. È sempre colpa della pressione.» Quando Wally beveva, non aveva bisogno di scuse. Beveva dopo una giornata dura e beveva vino a pranzo in una giornata tranquilla. Beveva quando era stressato e beveva sul campo da golf. Rochelle
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aveva già visto e sentito tutto. Teneva anche aggiornato il punteggio: sessantun giorni senza un solo drink. Era la storia della vita di Wally Figg: c’era sempre qualche conteggio in corso. I giorni senza alcol. I giorni che mancavano al termine della sospensione della patente. I giorni che mancavano alla sentenza definitiva dell’ultimo divorzio. E, tristemente, i giorni che mancavano al termine della riabilitazione. «A che ora è venuta a riprenderselo?» domandò Rochelle, senza alzare gli occhi dal giornale. «Dopo le otto. David è uscito sulle sue gambe, ha chiesto addirittura di poter guidare. Lei gli ha detto di no.» «Era arrabbiata?» «No, molto calma. Sollevata, più che altro. La grande domanda è se lui ricorderà qualcosa. E, se sì, allora la domanda seguente è se tornerà da noi. Lascerà davvero il grande studio e la montagna di soldi? Ho i miei dubbi.» Anche Rochelle aveva i suoi dubbi, ma stava cercando di mantenere la conversazione al minimo. Finley & Figg non era posto per un tipo da grande studio legale con una laurea a Harvard e, francamente, lei non desiderava affatto un altro avvocato che le complicasse la vita. Aveva già abbastanza da fare con quei due. «Comunque, David potrebbe essermi utile» continuò Wally, e Rochelle capì che l’ultimo piano geniale era in dirittura d’arrivo. «Ha mai sentito parlare di un farmaco per il colesterolo che si chiama Krayoxx?» «Me lo ha già chiesto.»
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«Provoca infarto e ictus, e la verità sta saltando fuori solo adesso. La prima ondata di cause sta per iniziare, i casi potrebbero essere decine di migliaia prima che la storia si concluda. Gli specialisti in azioni collettive sono già partiti all’attacco. Ieri ho parlato con un grosso studio di Fort Lauderdale: hanno già depositato gli atti per una class action e stanno cercando altri casi.» Rochelle voltò pagina, come se non avesse sentito. «Comunque voglio dedicare i prossimi giorni alla ricerca di casi Krayoxx, e di sicuro un po’ di aiuto mi farebbe comodo. Mi sta ascoltando, Ms Gibson?» «Certo.» «Quanti nominativi abbiamo nel nostro database clienti? Quante pratiche, fra attive e archiviate?» Rochelle mandò giù una cucchiaiata di yogurt. Sembrava esasperata. «Abbiamo circa duecento pratiche attive.» Presso lo studio Finley & Figg, però, una pratica definita attiva non era necessariamente una pratica alla quale venisse dedicata una qualche attenzione. Nella maggior parte dei casi, era semplicemente una pratica dimenticata che nessuno si era preso il disturbo di chiudere. In una settimana, Wally di solito aveva più o meno trenta pratiche su cui lavorare – divorzi, testamenti, immobili, lesioni, guida in stato di ebbrezza, piccole controversie contrattuali –, più un’altra cinquantina che evitava diligentemente. Oscar, che era più disponibile ad accettare un nuovo cliente, e anche un po’ più organizzato del suo socio giovane, aveva circa un centinaio di pratiche aperte. Considerando anche quelle smarrite, nascoste o introvabili, il numero era sempre intorno alle duecento.
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«Quante archiviate?» domandò Wally. Un sorso di caffè, un altro sbuffo. «L’ultima volta che ho controllato, il computer mi ha dato tremila pratiche chiuse dal 1991. Cosa ci sia di sopra, non lo so.» “Di sopra” era il luogo dell’ultimo, definitivo riposo di tutto: vecchi testi legali, computer e programmi obsoleti, materiale d’ufficio scartato e decine di scatole piene di pratiche che Oscar aveva archiviato prima di prendere Wally come socio. «Tremila» ripeté Wally con un sorriso soddisfatto, come se un numero così alto fosse prova evidente di una lunga e proficua carriera. «Le spiego il mio piano, Ms Gibson. Ho scritto la bozza di una lettera e voglio che lei me la stampi sulla nostra carta intestata. La lettera verrà spedita a tutti i nostri clienti, attuali e passati. Ogni nome presente nel nostro database.» Rochelle pensò a tutti i clienti insoddisfatti che avevano scaricato Finley & Figg. Alle parcelle insolute, alle lettere furiose, alle minacce di citazioni per negligenza professionale. Rochelle aveva aperto addirittura un fascicolo MINACCE. Nel corso degli anni, cinque o sei ex clienti rancorosi si erano arrabbiati al punto da mettere per iscritto i loro pensieri. Due o tre avevano promesso agguati e percosse. Uno aveva accennato a un fucile di precisione. Perché non lasciare in pace quella povera gente? Avevano già sofferto abbastanza al loro primo passaggio nello studio. Wally balzò in piedi e tese la lettera a Rochelle, che, non avendo scelta, la lesse. Caro Mr/Ms ________, attenzione al Krayoxx!
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È stato dimostrato che questo farmaco anticolesterolo, prodotto dalla Varrick Labs, provoca infarto e ictus. Nonostante il medicinale in questione sia in commercio già da sei anni, è solo di recente che prove scientifiche ne hanno evidenziato i letali effetti collaterali. Nel caso lei faccia uso di Krayoxx, interrompa immediatamente l’assunzione. Lo studio legale Finley & Figg è in prima linea nella causa Krayoxx. Entro breve ci uniremo a una class action nazionale, in un’azione estremamente complessa volta a portare la Varrick davanti alla giustizia. Abbiamo bisogno della sua collaborazione! Nel caso lei, o una persona di sua conoscenza, abbia assunto il Krayoxx, è possibile che esistano motivi per promuovere una causa. Ancora più importante, se conosce persone che hanno assunto il Krayoxx e hanno lamentato problemi cardiaci o ictus, per favore ci contatti immediatamente. Un legale dello studio Finley & Figg le farà visita presso il suo domicilio nel giro di poche ore. Non esiti. Ci contatti subito. Prevediamo risarcimenti molto vantaggiosi. Cordiali saluti, Wallis T. Figg, Avvocato e Consulente legale «Oscar l’ha vista?» domandò Rochelle. «Non ancora. Forte, eh?» «Fa sul serio?»
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«Oh, assolutamente, Ms Gibson. Questo è il nostro grande momento.» «Un’altra miniera d’oro?» «Più di una miniera d’oro.» «E vuole spedire tremila lettere?» «Sì. Lei le stampa, io le firmo, poi le imbustiamo insieme e le facciamo partire con la posta di oggi.» «Sono più di mille dollari di affrancatura.» «Ms Gibson, un caso Krayoxx medio produrrà qualcosa intorno ai duecentomila dollari di parcella, e mi tengo basso. Potremmo arrivare addirittura a quattrocentomila dollari a caso. Se ne troviamo dieci... i conti sono presto fatti.» Rochelle fece i conti e la sua riluttanza cominciò a sfumare. La mente iniziò a vagare. Con tutte le riviste di settore e le newsletter che le passavano sulla scrivania, aveva letto un migliaio di articoli su verdetti clamorosi corredati da grossi risarcimenti. Su avvocati che incassavano parcelle di milioni. Di certo le avrebbero riconosciuto un bel bonus. «Va bene» disse, e spinse di lato il giornale. Oscar e Wally ebbero il secondo scontro Krayoxx poco più tardi. Oscar arrivò alle nove e non poté fare a meno di notare l’attività frenetica nell’area di ricevimento. Rochelle lavorava al computer. La stampante andava a pieni giri. Wally firmava lettere. Perfino AC era sveglio e all’erta.
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«Cos’è questa roba?» domandò Finley. «È il suono del capitalismo all’opera» rispose Wally allegramente. «Cosa diavolo significa?» «Proteggere i diritti degli offesi. Servire i nostri clienti. Eliminare prodotti pericolosi dal mercato. Portare le aziende colpevoli di misfatti davanti alla giustizia.» «Inseguire le ambulanze» disse Rochelle. Con espressione disgustata, Oscar entrò nel suo ufficio e si sbatté la porta alle spalle. Prima ancora che potesse togliersi il cappotto e posare l’ombrello, Wally era già davanti alla sua scrivania, mangiucchiando un muffin e sventolando una copia della sua lettera. «Devi leggerla, Oscar. È brillante.» Oscar lesse, e a ogni paragrafo le rughe sulla sua fronte si fecero più profonde. Quando terminò, disse: «Andiamo, Wally. Di nuovo! Quante ne stai spedendo?». «Tremila. Tutto il nostro elenco clienti.» «Cosa? Pensa solo all’affrancatura. Pensa al tempo perso. Ci risiamo. Passerai tutto il mese prossimo a correre in tondo blaterando sul Krayoxx qui e il Krayoxx là, e sprecherai centinaia di ore a caccia di casi inesistenti. Ci siamo già passati. Dài, Wally. Prova a fare qualcosa di produttivo.» «Per esempio?»
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«Per esempio startene in agguato in qualche pronto soccorso e aspettare che arrivi un caso vero. Non devo essere io a dirti come si fa a trovare casi buoni.» «Sono stanco di quella merda, Oscar. Voglio fare un po’ di soldi. Facciamo un colpo grosso, una volta tanto.» «Mia moglie prende quella medicina da due anni. L’adora.» «Le hai detto di non prenderla più? Le hai detto che quella roba uccide?» «Naturalmente no.» Le voci si erano alzate e Rochelle andò a chiudere silenziosamente la porta dell’ufficio di Oscar. Stava tornando alla scrivania, quando all’improvviso si spalancò la porta d’ingresso. Era David Zinc, vispo e sobrio, con un grande sorriso, un abito elegante, un cappotto di cachemire e due grosse cartelle stracolme. «Bene, bene. Ecco Mr Harvard» lo salutò Ms Gibson. «Sono tornato.» «Mi sorprende che sia riuscito a ritrovarci.» «Non è stato facile. Dov’è il mio ufficio?» «Be’, vediamo... Non sono sicura che esista. Forse dovremmo chiedere ai due boss.» Indicò con un cenno del capo la porta di Oscar, dietro la quale si sentivano voci. «Ci sono tutti e due?» chiese David.
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«Sì. Di solito cominciano la giornata con un round di litigi.» «Capisco.» «Senta, Harvard, è sicuro di sapere quello che sta facendo? Questo è un altro mondo. È un bel salto nel buio lasciare la vita sontuosa della giurisprudenza societaria per la serie C. Potrebbe farsi male, qui. E di certo non farà soldi.» «Io ho chiuso con i grandi studi, Ms Gibson, e preferirei buttarmi giù da un ponte piuttosto che tornare indietro. Mi dia solo uno stanzino da qualche parte dove possa sistemarmi e mi arrangerò.» La porta si aprì ed emersero Wally e Oscar, che si immobilizzarono di colpo quando videro David davanti alla scrivania di Rochelle. Wally sorrise. «Be’, buongiorno, David. Sembri in ottima forma.» «Grazie. Vorrei scusarmi per come mi sono presentato ieri.» David rivolse un cenno a tutti e tre. «Mi avete visto nella fase finale di una vicenda piuttosto insolita, comunque si è trattato di un giorno molto importante nella mia vita. Ho lasciato il grande studio e adesso sono qui, pronto a mettermi al lavoro.» «Che tipo di lavoro avresti in mente?» gli domandò Oscar. David si strinse appena nelle spalle, come se non ne avesse la minima idea. «Negli ultimi cinque anni ho lavorato come uno schiavo nelle galere della sottoscrizione di bond, con particolare attenzione agli spread di secondo e terzo livello nel dopo mercato, perlopiù a beneficio di multinazionali straniere che preferiscono evitare di pagare le tasse. Se non avete idea di cosa si tratti, non preoccupatevi: nessun altro al mondo ne ha la minima idea. Significa solo che una piccola squadra di idioti, tra i quali io, sfacchinava per quindici ore al giorno in una stanza senza finestre al solo scopo di creare carta, altra carta e
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altra carta ancora. Non ho mai visto un’aula di tribunale, e nemmeno un tribunale se è per questo, non ho mai incontrato un giudice con la toga e non mi sono mai offerto di dare una mano a una persona che avesse bisogno di un vero avvocato. Per rispondere alla sua domanda, Mr Finley, io sono qui per fare qualsiasi cosa. Mi consideri un neolaureato appena uscito dall’università che non sa distinguere il proprio culo da un buco per terra. Però sono uno che impara in fretta.» Il punto seguente avrebbe dovuto essere quello relativo alla retribuzione, ma i due soci erano riluttanti a parlare di denaro davanti a Rochelle, la quale, naturalmente, avrebbe sostenuto che chiunque venisse assunto, avvocato o no, doveva essere pagato meno di lei. «C’è un locale al piano di sopra» disse Wally. «Va bene.» «È un ripostiglio» precisò Oscar. «Va bene» ribadì David, afferrando le sue due cartelle, pronto a installarsi. «Sono anni che non salgo lassù» disse Rochelle, roteando gli occhi. Era chiaramente poco entusiasta dell’improvvisa espansione dello studio. Una piccola porta accanto alla cucina dava sulla scala. David seguì Wally e Oscar chiudeva la fila. Wally era eccitato all’idea di avere qualcuno che lo aiutasse a trovare casi legati al Krayoxx. Oscar stava pensando solo a quanto la novità sarebbe venuta a costare in termini di stipendio, contributi, fondo disoccupazione e, Dio non volesse, assicurazione sanitaria. Lo studio Finley & Figg offriva ben poco quanto a benefit: nessun trattamento di fine rapporto, nessuna assicurazione infortuni, nessun fondo pensione e di certo nessuna copertura
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sanitaria o odontoiatrica. Rochelle si lamentava da anni perché era costretta a pagarsi privatamente una sua polizza, come d’altra parte facevano i due soci. E se il giovane David si fosse aspettato una copertura sanitaria? Mentre saliva la scala, Oscar pensò all’aggravio delle spese generali. Più soldi spesi per lo studio significava meno soldi da portare a casa. La pensione gli sembrò ancora più lontana e sfuggente. Il ripostiglio era esattamente un ripostiglio: un piccolo locale buio e polveroso, pieno di ragnatele, vecchi mobili e scatole di fascicoli. «Mi piace» dichiarò David, quando Wally accese la luce. “È pazzo” pensò Oscar. Però c’era una scrivania e c’erano anche due sedie. David vedeva solo il potenziale. E c’erano due finestre. La luce del sole sarebbe stata una piacevole variazione nella sua vita. E quando fuori fosse stato buio, lui sarebbe stato a casa con Helen, impegnato a procreare. Oscar tolse una grande ragnatela e disse: «Senti, David, noi possiamo offrirti un modesto stipendio, ma tu dovrai generare da solo le tue parcelle. E non sarà facile, almeno all’inizio». All’inizio? Erano più di trent’anni che Oscar lottava per generare le sue magre parcelle. «Quali sono i termini dell’accordo?» chiese David. Oscar guardò Wally e Wally guardò la parete. Non assumevano un associato da quindici anni e da allora non avevano più considerato l’idea. L’arrivo di David li aveva colti di sorpresa.
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Come socio anziano, Oscar si sentì obbligato a prendere l’iniziativa. «Possiamo pagarti mille dollari al mese e ti terrai metà dei profitti che procurerai allo studio. Trascorsi sei mesi, riesamineremo la situazione.» «All’inizio sarà dura» intervenne Wally. «C’è un mucchio di concorrenza là fuori.» «Possiamo passarti qualche pratica» aggiunse Oscar. «E ti faremo partecipare alla causa Krayoxx» disse Wally, come se lo studio stesse già incassando enormi parcelle. «La causa...?» chiese David. «Lascia perdere» rispose Oscar, accigliandosi. «Sentite, amici» disse David con un sorriso. Era molto più a proprio agio dei suoi due nuovi capi. «Negli ultimi cinque anni ho incassato un ottimo stipendio. Ho speso parecchio, ma ho ancora qualcosa in banca. Non preoccupatevi per me. Accetto l’offerta.» Tese la mano e strinse prima quella di Oscar e poi quella di Wally.
10 Nell’ora successiva David si dedicò alle pulizie. Spolverò la scrivania e le sedie. In cucina trovò un vecchio aspirapolvere e lo passò sul pavimento di legno. Riempì tre grandi sacchi di spazzatura e li portò nella veranda sul retro. Ogni tanto si fermava ad ammirare le sue due finestre e il sole, cosa che non aveva mai fatto da Rogan Rothberg. Certo, in una bella giornata la vista sul lago Michigan era incantevole, ma già nel corso del suo primo anno allo studio David aveva imparato che il tempo trascorso lasciando vagare lo sguardo dall’alto della Trust Tower era tempo che non poteva essere fatturato. Gli associati neoassunti venivano rinchiusi in cubicoli tipo bunker nei quali lavoravano ventiquattr’ore al giorno e dove, a poco a poco, dimenticavano la luce del sole e i sogni a occhi aperti. Adesso David non riusciva a stare lontano dalle finestre, anche se lì il panorama, doveva ammetterlo, era molto meno incantevole. Abbassando lo sguardo vedeva il centro massaggi e, poco più avanti, l’incrocio tra la Preston, la Beech e la Trentottesima, il punto esatto dove aveva scacciato il bieco Gholston con un pezzo di metallo. Al di là dell’incrocio c’era un altro isolato di villini riconvertiti. Non era un granché come vista, ma a David piaceva. Rappresentava un eccitante cambiamento nella sua vita, una nuova sfida. Significava libertà. Wally si presentava ogni dieci minuti per vedere come procedevano i lavori e, dopo un po’, fu chiaro che aveva qualcosa in mente. Finalmente, dopo un’ora, annunciò: «David, alle undici devo essere in tribunale, sezione divorzi. Dubito che tu ci sia mai stato, così ho pensato che potresti venire con me. Ti presenterò al giudice».
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Le pulizie erano diventate monotone. «Andiamo» disse David. Mentre uscivano dalla porta sul retro, Wally domandò: «È tuo quel SUV Audi?». «Sì.» «Ti dispiacerebbe guidare? Io intanto parlo.» «Nessun problema.» Mentre si immettevano in Preston Avenue, Wally disse: «Sai, la verità è che un anno fa mi hanno sospeso la patente per guida in stato di ebbrezza. Ecco, ora lo sai. Io credo nella sincerità». «Okay. Di sicuro tu mi hai visto abbastanza ubriaco.» «È vero. Ma la tua bella moglie mi ha detto che tu non bevi molto. Io, invece, ho tutta una storia alle spalle. Comunque adesso sono sobrio da sessantun giorni. Ogni giorno è una sfida. Vado dagli Alcolisti Anonimi e sono stato diverse volte in riabilitazione. Cos’altro vuoi sapere?» «Non ho sollevato io l’argomento.» «Oscar, be’, lui si fa qualche bicchierino robusto tutte le sere. Credimi, con sua moglie ne ha bisogno, comunque riesce a mantenere la situazione sotto controllo. Certe persone sono così: possono fermarsi a due o tre bicchieri. Possono addirittura non bere per diversi giorni, anche settimane, nessun problema. Altri, invece, non riescono a fermarsi finché non perdono i sensi. Come te ieri.» «Grazie, Wally. A proposito, dove stiamo andando?»
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«Al Daley Center, 50 West Washington. Per quanto mi riguarda, io per un po’ me la cavo benissimo senza bere. Ho smesso quattro o cinque volte, sai?» «Come potrei saperlo?» «Comunque adesso ho chiuso con l’alcol.» «Cos’ha che non va la moglie di Oscar?» Wally emise un fischio e per un momento guardò fuori dal finestrino. «Una donna tremenda, amico. Una di quelle persone cresciute in uno dei migliori quartieri della città, con il padre che era un pezzo grosso e l’ha allevata facendole credere di essere migliore degli altri. Una vera snob. Ha commesso l’enorme errore di sposare Oscar. Era un avvocato, giusto? E gli avvocati fanno un mucchio di soldi, giusto? Non è andata così. Oscar non ha mai guadagnato abbastanza da soddisfarla e lei non fa che tormentarlo perché vuole più denaro. Io la detesto, quella donna. Tu non la vedrai mai perché si rifiuta di mettere piede in studio, cosa che a me va benissimo.» «Perché non divorziano?» «È quello che continuo a ripetere da anni. Personalmente io non ho problemi con il divorzio. Ci sono già passato quattro volte.» «Quattro volte?» «Sissignore, e ogni volta ne è valsa la pena. Sai come si dice: il motivo per cui il divorzio costa così tanti soldi è perché li vale tutti.» Wally rise alla vecchia battuta. «Sei sposato, al momento?» domandò David, con una certa cautela.
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«Nossignore, sono di nuovo in cerca di prede» rispose compiaciuto Wally, come se nessuna donna fosse più al sicuro. David non riusciva a immaginare una persona meno attraente di Wally a caccia di donne nei bar e alle feste. In conclusione, in meno di quindici minuti era venuto a sapere che Wally Figg era un alcolista in via di recupero con quattro ex mogli, diverse riabilitazioni alle spalle e almeno una sanzione per guida in stato di ebbrezza. Decise di non fare altre domande. Quella mattina, durante la colazione con Helen, aveva fatto qualche ricerca in rete e aveva scoperto che: 1) dieci anni prima, lo studio Finley & Figg aveva risolto in via stragiudiziale una causa per molestie sessuali intentata da un’ex segretaria; 2) in un’occasione, Oscar era stato censurato dall’ordine degli avvocati dello Stato per sovrafatturazione in una causa di divorzio; 3) in due precedenti occasioni, Wally era stato censurato dall’ordine per “impudente accaparramento di clienti” tra persone rimaste coinvolte in incidenti stradali, compreso un inquietante episodio che lo aveva visto in tenuta da medico fare irruzione nella stanza d’ospedale di un adolescente gravemente ferito che era deceduto un’ora dopo; 4) almeno quattro ex clienti avevano fatto causa allo studio per negligenza professionale, anche se non era chiaro se qualcuno di loro avesse poi ottenuto qualche risarcimento; e 5) lo studio era stato citato in un articolo al vetriolo scritto da un professore di etica legale che non ne poteva più degli avvocati che si facevano pubblicità. E tutto questo solo durante la colazione. Helen si era preoccupata, ma David aveva adottato una linea dura e cinica, sostenendo che quei comportamenti discutibili non erano neppure lontanamente paragonabili alla condotta da tagliagole tenuta dai distinti avvocati di Rogan Rothberg. Gli era bastato citare il caso Strick River per avere la meglio nella discussione. In Wisconsin, il fiume Strick era stato fortemente inquinato da un’infame società chimica difesa dallo studio Rogan Rothberg, e dopo decenni di feroci processi e abili manovre legali l’avvelenamento delle acque continuava ancora.
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Wally stava frugando nella sua valigetta. Comparvero i grattacieli e David guardò gli alti e maestosi edifici che affollavano il centro di Chicago, tra i quali spiccava la Trust Tower. «A quest’ora sarei stato là dentro» disse sottovoce, quasi a se stesso. Wally alzò lo sguardo, vide lo skyline e capì quello che stava pensando David. «Qual è?» domandò. «La Trust Tower.» «Per un’estate ho lavorato nella Sears Tower. Dopo il secondo anno di scuola di legge, come impiegato presso lo studio Martin & Wheeler. E ho pensato fosse quello che volevo.» «Poi cos’è successo?» «Non ho superato l’esame di ammissione all’ordine.» David aggiunse la nuova informazione alla sempre più lunga lista di difetti. «Non ti mancherà, vero?» chiese Wally. «No. In questo momento sto sudando solo perché ho visto il palazzo. Non voglio neppure avvicinarmi.» «Gira a sinistra sulla Washington. Siamo quasi arrivati.» All’interno del Richard J. Daley Center, passarono attraverso i metal detector e poi salirono in ascensore fino al sedicesimo piano. Il posto brulicava di avvocati e clienti, di impiegati del tribunale e di poliziotti, gente che passava di fretta o si riuniva in piccoli gruppi impegnati in
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discussioni serie. La giustizia incombeva su tutti loro, e tutti ne sembravano intimoriti. David, con la sua valigetta che conteneva solo un blocco legale, non aveva idea di dove stesse andando o di cosa stesse facendo, così si limitò a seguire Wally, il quale sembrava perfettamente a proprio agio. Superarono un’aula dopo l’altra. «Davvero non hai mai visto un’aula di tribunale?» chiese Wally, mentre camminavano veloci facendo ticchettare le scarpe sul pavimento di marmo consunto. «Non dopo la scuola di legge.» «Incredibile. E cos’hai fatto negli ultimi cinque anni?» «È meglio che tu non lo sappia.» «Forse hai ragione. Siamo arrivati» disse Wally indicando la pesante porta a due battenti. Una targa diceva TRIBUNALE DELLA COOK COUNTY – SEZIONE DIVORZI, ONOREVOLE CHARLES BRADBURY. «Chi è Bradbury?» chiese David. «Stai per conoscerlo.» Wally aprì la porta ed entrò, seguito da David. Nell’aula c’erano pochi spettatori, sparsi tra i banchi. Gli avvocati sedevano davanti, annoiati e in attesa. La sedia dei testimoni era vuota: non c’era alcun processo in corso. Il giudice Bradbury stava esaminando un documento, prendendosela comoda. Si sedettero in seconda fila. Wally passò lo sguardo sull’aula, vide la sua cliente, le sorrise e la salutò con un cenno del capo.
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A David sussurrò: «Oggi è quella che viene definita giornata pubblica, per differenziarla dalla giornata processuale. In poche parole, in giorni come questo vengono accolte le istanze, approvate le questioni di routine, sciocchezze del genere. La signora laggiù, quella con l’abito giallo molto corto, è la nostra amata cliente, DeeAnna Nuxhall. Pensa di stare per ottenere un altro divorzio». «Un altro?» domandò David, voltandosi a guardare. DeeAnna gli fece l’occhietto. Bionda ossigenata, seno generoso, gambe dappertutto. «Mi sono già occupato di uno. Questo sarebbe il secondo che seguo per lei. Credo che ce ne sia stato un altro in precedenza.» «Sembra una spogliarellista.» «Niente mi sorprenderebbe.» Il giudice Bradbury firmò alcuni documenti. Qualche avvocato si avvicinò al suo banco, gli parlò, ottenne ciò che voleva e se ne andò. Passarono quindici minuti. Wally stava diventando ansioso. «Mr Figg» disse il giudice. Wally e David varcarono il cancelletto divisorio, superarono i tavoli della difesa e dell’accusa e si avvicinarono al banco, così basso che consentiva agli avvocati di conferire quasi faccia a faccia con il giudice. Bradbury scostò il microfono in modo da poter parlare senza che in aula nessuno sentisse. «Allora, cosa c’è di nuovo?» domandò. «Abbiamo un nuovo associato, vostro onore» dichiarò Wally con orgoglio. «Le presento David Zinc.» David tese la mano e il giudice gliela strinse con calore. «Benvenuto nella mia aula.»
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«David lavorava in un grosso studio in centro, ma adesso vuole vedere il vero volto della giustizia» disse Wally. «Da Mr Figg non imparerà molto, Mr Zinc» disse Bradbury ridacchiando. «David si è laureato a Harvard» continuò Wally, con orgoglio anche maggiore. «Allora cosa ci fa qui, Mr Zinc?» domandò il magistrato, improvvisamente serissimo. «Mi ero stancato del grande studio» rispose David. Wally stava porgendo alcuni documenti al giudice. «Vostro onore, abbiamo un piccolo problema. La mia cliente è l’adorabile DeeAnna Nuxhall, quarta fila a sinistra, quella con il vestito giallo.» Bradbury sbirciò da sopra gli occhiali da lettura e disse: «Mi sembra di conoscerla». «Sì, è stata qui circa un anno fa. Per il secondo o terzo divorzio.» «Stesso vestito, mi pare.» «Sì, sembra anche a me. Stesso vestito, ma le tette sono nuove.» «Già testate?» «Non ancora.» David si sentì svenire. Giudice e avvocato stavano parlando di sesso con la cliente presente in aula, anche se nessuno poteva sentirli. «Qual è il problema?» chiese Bradbury.
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«Non sono stato pagato. La signora mi deve trecento verdoni e, a quanto pare, non riesco proprio a spremerglieli.» «Quali parti ha spremuto?» «Ah-ah. Si rifiuta di pagare, vostro onore.» «Dovrò esaminare la cosa più da vicino.» Wally si voltò e fece segno a Ms Nuxhall di raggiungerlo davanti al magistrato. La donna si alzò in piedi, si districò fra le due file di panche e si avviò verso il banco del giudice. Gli avvocati tacquero. Le due guardie giudiziarie si ridestarono. Gli altri spettatori spalancarono gli occhi. Il vestito sembrava addirittura più corto mentre la signora camminava. Ai piedi calzava scarpe con il plateau e tacchi a spillo che avrebbero fatto arrossire una prostituta di strada. Quando la donna arrivò e si unì ai ragazzi, David si allontanò quanto più possibile. Il giudice Bradbury finse di non accorgersi di lei. Era troppo occupato a studiare il contenuto del fascicolo del tribunale. «Un semplice divorzio consensuale, giusto, Mr Figg?» «È così, vostro onore» rispose educatamente Wally. «È tutto in ordine?» «Sì, a parte la piccola questione della mia parcella.» «Ho appena visto» disse Bradbury aggrottando la fronte. «Sembra che ci sia uno scoperto di trecento dollari, esatto?» «Esatto, vostro onore.»
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Il giudice guardò da sopra gli occhiali e fissò prima il seno, poi gli occhi della signora. «È disposta a saldare la parcella, Ms Nuxhall?» «Sì, vostro onore» rispose la donna con una vocetta stridula. «Ma bisognerà aspettare la settimana prossima. Vede, sabato mi sposo e... insomma, in questo momento di soldi non ne ho.» Gli occhi del giudice si spostavano danzando dal seno al viso. «In base alla mia esperienza, Ms Nuxhall, posso dirle che nei casi di divorzio le parcelle non vengono mai saldate dopo il fatto. Io mi aspetto che i miei avvocati vengano pagati, prima di firmare l’ordinanza definitiva. Mr Figg, a quanto ammonta in totale la sua parcella?» «Seicento dollari. La signora ha già versato la metà come anticipo.» «Seicento?» ripeté Bradbury, fingendo incredulità. «È una parcella molto ragionevole, Ms Nuxhall. Perché non ha pagato il suo avvocato?» Gli occhi della donna si riempirono all’improvviso di lacrime. Avvocati e spettatori non potevano ascoltare i dettagli, ma tenevano comunque gli occhi fissi su DeeAnna, specie sulle gambe e sulle scarpe. David si allontanò ancora di più, scioccato da quella richiesta di denaro in aula. Bradbury fece la sua mossa definitiva. Alzò leggermente la voce e disse: «Ms Nuxhall, oggi non le concederò il divorzio. Lei paghi il suo avvocato e io firmerò le carte. Ha capito?». Asciugandosi le guance, DeeAnna implorò: «La prego!». «Mi dispiace, ma io esigo il rispetto delle regole. Insisto sempre che tutti gli obblighi siano soddisfatti: alimenti, mantenimento dei figli,
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parcelle legali. Sono solo trecento dollari. Se li faccia prestare da un amico.» «Ci ho provato, vostro onore, ma...» «Per favore. Sento di continuo scuse di ogni genere. Può andare.» DeeAnna si voltò e si allontanò, seguita a ogni passo dallo sguardo lascivo del giudice. Anche Wally guardò, scuotendo la testa estasiato, quasi fosse stato pronto a balzare sulla preda. Quando la porta si richiuse, l’aula riprese a respirare. Il giudice Bradbury bevve un sorso d’acqua e domandò: «Nient’altro?». «Solo un altro divorzio, giudice. Joannie Brenner. Consensuale, accordo totale sulla divisione dei beni, niente figli e, soprattutto, le mie parcelle sono state completamente saldate.» «La faccia avvicinare.» «Non sono sicuro di essere tagliato per fare il divorzista» ammise David. Erano di nuovo in auto e procedevano a passo di lumaca nel traffico di mezzogiorno, lasciandosi alle spalle il Daley Center. «Fantastico. Sei stato in tribunale una volta sola, per meno di un’ora, e stai già scegliendoti le specializzazioni» ribatté Wally. «I giudici fanno tutti come Bradbury?» «Vuoi dire proteggere i propri avvocati? No, la maggior parte dei giudici ha dimenticato com’è lavorare in trincea. Appena indossano la toga se ne dimenticano. Bradbury è diverso. Lui ricorda che razza di sfigati ci tocca rappresentare.» «Ma ora cosa succede? DeeAnna avrà il suo divorzio?»
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«Passerà in studio oggi pomeriggio con i soldi e venerdì noi le faremo ottenere il divorzio. Sabato si risposerà e tra circa sei mesi si presenterà di nuovo per un altro divorzio.» «Ribadisco la mia tesi. Non sono tagliato per i divorzi.» «Oh, è uno schifo, sono d’accordo. Il novanta per cento di quello che facciamo fa schifo. Ci arrabattiamo con roba infima per pagare le spese e sogniamo il grande caso. Ma ieri sera io non sognavo, David, e ti spiego perché. Hai mai sentito parlare del Krayoxx, un farmaco per abbassare il colesterolo?» «No.» «Be’, ne sentirai parlare. Sta uccidendo gente a destra e a manca, sarà senza dubbio oggetto della prossima grande azione collettiva, e noi non dobbiamo perdere il treno. Dove stai andando?» «Devo fare una commissione veloce e, dato che siamo già in centro, ci vorrà meno di un secondo.» Un minuto dopo David parcheggiava in divieto di sosta davanti ad Abner’s. «Ci sei mai venuto?» domandò a Wally. «Oh, certo. Non sono molti i bar dove non sono entrato. Però è passato un po’ di tempo.» «È qui che ieri ho trascorso tutto il giorno. Devo pagare il conto.» «Perché non l’hai pagato ieri?» «Perché non ero in grado neppure di trovare le tasche, ricordi?»
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«Ti aspetto in macchina» disse Wally, e lanciò una lunga occhiata bramosa all’ingresso del bar. Miss Spence era assisa sul suo trono, gli occhi vitrei, le guance arrossate, persa in un altro mondo. Abner era indaffarato dietro il banco, occupato a versare birre, preparare drink e servire hamburger. David lo bloccò accanto al registratore di cassa. «Ehi, sono tornato.» Abner sorrise. «Allora sei ancora vivo.» «Oh, certo. Sono appena uscito dal tribunale. Hai il mio conto a portata di mano?» Abner pescò in un cassetto ed estrasse uno scontrino. «Facciamo centottanta tondi.» «Soltanto?» David gli passò due banconote da cento. «Tieni il resto.» «C’è la tua ragazza.» Abner indicò con un cenno del capo Miss Spence, che aveva chiuso gli occhi. «Oggi non mi sembra più così carina» disse David. «Ho un amico nella finanza. Ieri era qui e mi ha detto che la signora vale sugli otto miliardi di dollari.» «Pensandoci meglio...» «Credo che tu le piaccia, ma faresti meglio a sbrigarti.» «No, lasciamola in pace. Grazie per esserti preso cura di me.» «Nessun problema. Torna a trovarmi, qualche volta.»
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“Molto improbabile” pensò David mentre si scambiavano una veloce stretta di mano.
11 Anche se gli era stata sospesa la patente, Wally si dimostrò un abile navigatore. Nei dintorni del Midway Airport pilotò David attraverso una serie di scorciatoie, lo fece uscire da due impossibili strade chiuse e lo costrinse a guidare contromano per due isolati, il tutto nel corso di un ininterrotto monologo punteggiato da numerosi “Conosco questo posto come le mie tasche”. Parcheggiarono lungo il marciapiede davanti a una cadente villetta bifamiliare con le finestre protette da fogli di alluminio, una griglia per il barbecue nella veranda e un enorme gatto arancione di guardia alla porta d’ingresso. «Chi ci abita?» chiese David, guardandosi intorno nel quartiere derelitto. Sull’altro lato della strada, due magri adolescenti guardavano affascinati il suo scintillante SUV Audi. «Qui risiede un’adorabile signora di nome Iris Klopeck, vedova di Percy Klopeck, deceduto nel sonno circa diciotto mesi fa all’età di quarantotto anni. Molto triste. Erano venuti da me per divorziare, ma poi hanno cambiato idea. Per quello che ricordo lui era piuttosto obeso, ma molto meno di lei.» I due avvocati chiacchieravano seduti in auto, come se fossero stati restii a scendere. Solo due agenti dell’FBI vestiti di nero a bordo di una berlina nera avrebbero potuto dare più nell’occhio. «E perché siamo qui?» domandò David. «Il Krayoxx, amico mio, il Krayoxx. Voglio parlare con Iris e scoprire se per caso Percy prendeva quella medicina quando è morto. Se sì,
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voilà! Abbiamo un altro caso Krayoxx, che vale tra i due e i quattro milioni. Altre domande?» Oh, decine. La mente di David vacillava al pensiero che stavano per piombare senza preavviso a casa di Mrs Klopeck per interrogarla sul defunto marito. «La signora ci sta aspettando?» «Io non le ho telefonato. E tu?» «In effetti, no.» Wally spalancò la portiera e scese. Riluttante, David lo imitò e riuscì a lanciare un’occhiata torva ai ragazzini in ammirazione della sua auto. Il gatto arancione si rifiutò di spostarsi dallo zerbino. Suonarono il campanello, ma dall’esterno non si sentì alcun suono. Allora Wally cominciò a bussare alla porta, sempre più forte, mentre David continuava a guardare nervosamente la strada. Finalmente si sentì il tintinnio di una catenella e la porta si socchiuse. «Sì?» disse una voce femminile. «Sono l’avvocato Wally Figg. Vorrei parlare con Mrs Iris Klopeck.» La porta si aprì e, attraverso la zanzariera, comparve Iris. Grassa come preannunciato, indossava quello che sembrava essere un lenzuolo con buchi per la testa e le braccia. «Lei chi è?» «Sono Wally Figg, Iris. Ci siamo conosciuti quando lei e Percy volevate divorziare. Tre anni fa, più o meno. Siete venuti nel mio studio in Preston Avenue.» «Percy è morto.»
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«Sì, lo so. Mi dispiace molto. È la ragione per cui sono qui: vorrei parlare della sua morte. Sarei curioso di sapere quali farmaci assumeva prima del decesso.» «Perché le interessa?» «Perché ci sono moltissime cause per richieste di risarcimento che riguardano farmaci anticolesterolo, analgesici e antidepressivi. Alcune di quelle medicine hanno ucciso migliaia di persone. Potrebbero esserci molti, molti soldi in gioco.» Una pausa, mentre Iris studiava i due avvocati. «La casa è in disordine» avvertì. “Sai che sorpresa” pensò David. Seguirono la donna fino alla piccola cucina sporca e si sedettero al tavolo. Iris preparò caffè istantaneo e lo servì in tre tazze spaiate, poi si sedette di fronte ai due legali. La sedia di David, di legno, era instabile e dava la sensazione di poter collassare da un momento all’altro. La sedia di Iris sembrava nelle stesse condizioni. La camminata fino alla porta, il ritorno in cucina e la preparazione del caffè le avevano tolto il fiato. C’era sudore sulla fronte spugnosa. Wally finalmente riuscì a presentare David a Mrs Klopeck. «David si è laureato in legge a Harvard ed è appena entrato a far parte del nostro studio.» Iris non tese la mano, né la tese Mr Harvard. Alla signora non poteva interessare di meno dove David, Wally o chiunque altro si fossero diplomati o laureati. Il respiro della donna era rumoroso come una vecchia fornace. La cucina puzzava di pipì di gatto e di fumo di sigaretta. Wally espresse di nuovo le sue fasulle condoglianze per la dipartita del caro Percy e poi andò rapidamente al punto. «Il farmaco di cui mi sto occupando si chiama Krayoxx, serve ad abbassare il colesterolo. Per caso Percy lo stava prendendo, quando è morto?»
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Senza esitare, Iris rispose: «Sì, lo prendeva da anni. Lo prendevo anch’io, ma poi ho smesso». Wally fu subito eccitato dall’uso del Krayoxx da parte di Percy, ma anche dispiaciuto dal fatto che Iris avesse interrotto l’assunzione. «C’è qualcosa che non va nel Krayoxx?» domandò la donna. «Oh, c’è moltissimo che non va» rispose Wally, fregandosi le mani. Si lanciò in quella che ormai stava diventando una fluente e convincente accusa contro il Krayoxx e la Varrick Labs. Mise in evidenza dati e cifre selezionati dalla ricerca preliminare promossa dagli avvocati specializzati in class action. Attinse abbondantemente dalla causa singola intentata a Fort Lauderdale. Sottolineò in modo convincente che il fattore tempo era essenziale e che Iris doveva firmare subito il mandato allo studio Finley & Figg. «Quanto mi costerà?» chiese Mrs Klopeck. «Nemmeno un centesimo» sparò subito Wally. «Anticiperemo noi le spese della causa e lo studio si prenderà il quaranta per cento del risarcimento.» Il gusto del caffè era quello di acqua salmastra. Dopo il primo sorso David avrebbe voluto sputare. Iris, invece, sembrava gradirlo. Bevve un lungo sorso, lo assaporò nella bocca enorme e poi deglutì. «Il quaranta per cento mi sembra tanto.» «È una causa molto complicata, Iris. Contro una società che ha a disposizione montagne di dollari e migliaia di avvocati. Guardi la cosa in questi termini: ora lei possiede il sessanta per cento di niente. Tra un anno o due, se si fa rappresentare dal nostro studio, potrebbe avere il sessanta per cento di una grossa cifra.»
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«Quanto grossa?» «La sua è una domanda difficile, Iris. Ma ricordo che ogni volta era lei a fare le domande difficili, e questo mi è sempre piaciuto. Insomma, se devo essere sincero in questo momento non le so rispondere perché nessuno può prevedere quello che deciderà una giuria. Magari si rende conto della verità riguardante il Krayoxx, si incazza con la Varrick e le riconosce un milione di dollari di risarcimento. Oppure può credere alle menzogne della Varrick e dei suoi subdoli avvocati, e lei non vedrà un centesimo. Personalmente ritengo che il suo caso potrebbe valere sul milione di dollari, ma deve capire che la mia non è una promessa.» Si voltò verso David e disse: «Giusto, David? Non possiamo fare promesse in un caso come questo, vero? Non c’è nulla di garantito». «Proprio così» confermò sicuro David, il nuovo specialista in azioni collettive. Iris si gustò un altro sorso di acqua salata e poi lanciò un’occhiata a Wally. «Un po’ di soldi mi farebbero comodo. Ci siamo solo io e Clint, e lui in questo periodo lavora solo part-time.» Wally e David prendevano appunti e annuivano, come se sapessero perfettamente chi era Clint. Iris non si preoccupò di spiegarlo. «Vivo con i milleduecento dollari al mese della pensione, per cui qualunque somma possiate procurarmi sarebbe bene accetta.» «Le faremo avere del denaro, Iris. Ne sono sicuro.» «E quando dovrebbe succedere?» «Un’altra domanda difficile. Un’ipotesi è che la Varrick venga colpita così duramente dalle cause Krayoxx da arrendersi subito e negoziare un enorme accordo transattivo. Quasi tutti gli avvocati, me compreso, si aspettano che questo accada entro i prossimi ventiquattro mesi. L’altra ipotesi è che la Varrick decida di andare a processo con due o
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tre casi per saggiare le acque in tutto il paese e vedere cosa pensano le giurie del suo farmaco. Se andrà così, potrà volerci più tempo per costringere la Varrick al risarcimento.» Perfino David, con la sua prestigiosa laurea e cinque anni di esperienza legale, cominciava a credere che Wally sapesse ciò di cui stava parlando. Il socio giovane dello studio continuò: «Se si arriverà all’accordo, e noi siamo certi che questo accadrà, saranno i casi di morte a essere negoziati per primi. Dopodiché la Varrick non vedrà l’ora di risolvere anche tutti i casi di non-morte, come il suo». «Io sono un caso di non-morte?» domandò Iris confusa. «Per il momento. I dati scientifici non sono definitivi, ma sembrano esserci buone probabilità che il Krayoxx abbia provocato danni cardiaci in molte persone altrimenti in buona salute.» Come qualcuno potesse guardare Iris Klopeck e giudicarla in buona salute era qualcosa di sconcertante, almeno a parere di David. «Santo cielo» esclamò Iris, mentre le si inumidivano gli occhi. «Mi manca solo questo, altri problemi di cuore.» «Ora non ci pensi» disse Wally, senza la minima traccia di rassicurazione. «Ci occuperemo di lei in seguito. La cosa importante è inserire Percy nella causa collettiva. Lei è la vedova e la principale erede, e di conseguenza è lei che deve assumermi per agire quale rappresentante di suo marito.» Estrasse un foglio ripiegato dalla tasca della giacca sgualcita e lo aprì davanti alla donna. «Questo è un contratto per servizi legali. Ne ha già firmato uno, quella volta che è venuta nel mio studio con Percy per il divorzio.» «Non ricordo di avere firmato un contratto.»
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«È nella nostra pratica. Ora deve firmarne un altro perché io possa gestire la sua azione nei confronti della Varrick.» «Lei è sicuro che questa cosa sia legale?» chiese Iris, esitante. A David sembrò strano che la potenziale cliente chiedesse al suo avvocato se il documento era “legale”. Era anche vero che Wally non ispirava un senso di rigorosi standard etici. La domanda della donna non lo turbò minimamente. «Tutti i nostri clienti Krayoxx firmano contratti come questo» dichiarò Wally barando un tantino, in quanto Iris sarebbe stata la prima. C’erano altri pesci nello stagno, ma nessuno aveva ancora firmato. Mrs Klopeck lesse e firmò. Mentre si rimetteva il foglio in tasca, Wally disse: «Adesso mi ascolti, Iris. Mi serve il suo aiuto. Voglio che mi trovi altri casi Krayoxx. Amici, parenti, vicini di casa, chiunque possa essere stato danneggiato da quel farmaco. Il nostro studio fornisce una ricompensa di cinquecento dollari per la segnalazione di un caso di morte e di duecento per un caso di non-morte. In contanti». Gli occhi di Iris, improvvisamente asciutti, si strinsero. Gli angoli della bocca si tesero in un minuscolo sorriso. Stava già pensando. David riuscì a mantenere un cipiglio avvocatesco mentre scribacchiava inutili appunti sul suo blocco e cercava di assimilare quello che aveva appena sentito. Era etico? Legale? Ricompense in contanti per la segnalazione di altri casi? «Allora, lei è a conoscenza di altri casi di morte in cui sia coinvolto il Krayoxx?» domandò Wally.
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Iris sembrò sul punto di dire qualcosa, ma si trattenne. Era chiaro che aveva un nome in mente. «Cinquecento dollari, eh?» chiese, mentre gli occhi passavano velocemente da David a Wally. «È l’accordo. Di chi si tratta?» «C’era un tale, a due strade da qui. Giocava sempre a poker con Percy. È schiattato due mesi dopo mio marito mentre faceva la doccia. So per certo che prendeva il Krayoxx.» Wally aveva gli occhi spalancati. «Come si chiamava?» «Ha detto contanti, giusto? Cinquecento pronta cassa. Vorrei vederli, Mr Figg, prima di darle un altro caso. Di sicuro ne ho bisogno.» Ammutolito per un secondo, Wally riuscì a produrre una bugia convincente: «Be’, di solito facciamo un prelievo dal fondo dello studio, così i nostri contabili stanno tranquilli, capisce?». Iris incrociò sul petto le braccia che sembravano tronchi d’albero, raddrizzò la schiena, socchiuse gli occhi e disse: «Benissimo. Vada a fare il prelievo e mi porti i soldi. E io le do il nome». «Ecco, non sono sicuro di avere abbastanza contanti» disse Wally. «David, tu come sei messo?» David estrasse istintivamente il portafoglio. Iris osservò sospettosa i due avvocati che si davano da fare. Wally tirò fuori tre banconote da venti e una da cinque, poi guardò speranzoso David, il quale era riuscito a mettere insieme duecentoventi dollari in biglietti di vario taglio. Se non si fossero fermati da Abner’s a pagare il conto, sarebbero arrivati a soli quindici dollari in meno della ricompensa per la segnalazione di Iris.
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«Pensavo che gli avvocati avessero un mucchio di soldi» osservò la donna. «Li teniamo in banca» ribatté subito Wally, che non voleva cedere di un centimetro. «A quanto pare arriviamo a circa duecentottantacinque dollari. Passerò da lei domani con il resto.» Iris stava già scuotendo la testa. No. «Andiamo, Iris!» la pregò Wally. «Lei adesso è nostra cliente, siamo nella stessa squadra. Stiamo parlando di un enorme risarcimento e lei non si fida di noi per duecento dollari?» «Posso accettare un pagherò» dichiarò la donna. A quel punto David avrebbe preferito mantenere la dignità, dimostrare un certo orgoglio, raccogliere i soldi dal tavolo, salutare e andarsene. Ma David era tutto tranne che sicuro di sé, e sapeva che comunque non stava a lui decidere. Wally, da parte sua, era un cane rabbioso. Scribacchiò velocemente una promessa di pagamento sul suo blocco legale, firmò e fece scivolare il foglio sul tavolo. Iris lesse lentamente, con aria di disapprovazione, e passò il foglio a David. «Firmi anche lei.» Per la prima volta dopo la grande fuga, David Zinc si interrogò sulla saggezza della sua decisione. Nemmeno due giorni prima stava lavorando sul repackaging di obbligazioni di alta qualità emesse dal governo indiano, un affare che si aggirava sui quindici miliardi di dollari. Adesso, nella sua nuova vita di avvocato di strada, stava subendo le prepotenze di una donna che pesava centottanta chili e che esigeva la sua firma su un pezzo di carta privo di qualsiasi valore. Esitò, fece un respiro profondo, sparò a Wally un’occhiata di pura perplessità e poi firmò.
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Il quartiere fatiscente non faceva che peggiorare in modo vistoso a mano a mano che il SUV vi si addentrava. Le “due strade da qui” di cui aveva parlato Iris corrispondevano a circa cinque isolati e, quando trovarono la casa e ci si fermarono davanti, David cominciò a essere preoccupato per la loro sicurezza personale. La minuscola abitazione della vedova Cozart era una fortezza: un casetta di mattoni in uno stretto appezzamento di terreno delimitato da una recinzione di rete metallica alta due metri e mezzo. Secondo le informazioni fornite da Iris, Herb Cozart era stato costantemente in guerra con i delinquenti minorili neri che spadroneggiavano nelle strade. Aveva passato la maggior parte dei suoi giorni seduto nella veranda con un fucile in grembo, tenendo d’occhio i teppisti e imprecando contro di loro se si avvicinavano troppo. Quando era morto, qualcuno aveva legato palloncini da party lungo la recinzione. Qualcun altro aveva fatto esplodere fuochi d’artificio nel cortile davanti a casa nel cuore della notte. Secondo Iris, Mrs Cozart aveva in animo di traslocare. Mentre spegneva il motore, David guardò in strada ed esclamò: «Oh, Gesù». Wally si irrigidì, guardò nella stessa direzione e disse: «Be’, potrebbe essere interessante». Cinque ragazzini neri, tutti in adeguata tenuta da rapper, avevano notato il lucente SUV Audi e lo stavano studiando con attenzione da una distanza di circa cinquanta metri. «Credo che ti aspetterò in macchina» disse David. «Puoi occuparti da solo della signora.»
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«D’accordo. Farò in fretta.» Wally scese dall’auto con la sua valigetta. Iris aveva telefonato all’amica per avvertirla e Mrs Cozart era in attesa nella veranda. La gang stava avanzando verso il SUV. David bloccò le portiere e pensò a come sarebbe stato bello avere una pistola, giusto come deterrente. Qualcosa da mostrare ai ragazzi, in modo che andassero a giocare e a divertirsi da qualche altra parte. Ma David era armato solo di un cellulare, che si portò all’orecchio fingendo di essere immerso in una seria conversazione, mentre la gang si faceva sempre più vicina. I ragazzi circondarono l’auto, chiacchierando ininterrottamente, anche se David non capiva quello che stavano dicendo. Passarono diversi minuti durante i quali David restò in attesa del mattone che gli avrebbe frantumato un finestrino. I ragazzini si raggrupparono davanti al paraurti anteriore e tutti e cinque si appoggiarono con aria indifferente all’auto, come se fossero stati i proprietari e se ne stessero servendo per riposarsi un attimo. La fecero dondolare delicatamente, attenti a non graffiarla o danneggiarla. Poi uno di loro si accese una canna, che venne passata in giro. David pensò di avviare il motore e tentare di allontanarsi, ma questo avrebbe creato diversi problemi, non ultimo il povero Wally che sarebbe rimasto appiedato. Pensò di abbassare il finestrino e di mettersi a chiacchierare amichevolmente con i ragazzi, i quali però non avevano per niente un’aria amichevole. Con la coda dell’occhio vide spalancarsi la porta d’ingresso di Mrs Cozart e Wally precipitarsi fuori. Wally infilò una mano nella valigetta, estrasse una grossa pistola nera e gridò: «FBI! Toglietevi da quella macchina!». I ragazzi rimasero troppo stupefatti per muoversi, o per muoversi abbastanza in fretta, così Wally puntò la pistola in alto ed esplose un colpo che sembrò di cannone. I cinque adolescenti partirono di corsa e si dispersero.
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Wally rimise la pistola nella valigetta e saltò a bordo. «Andiamocene di qui.» David stava già accelerando. «Teppisti» sibilò Wally. «Tu giri sempre con una pistola?» «Ho il porto d’armi. E sì, giro sempre con la pistola. Nel nostro mestiere può capitare di averne bisogno.» «La maggior parte degli avvocati se ne va in giro armata?» «Non mi interessa cosa fa la maggior parte degli avvocati, okay? Non è compito mio proteggere la maggior parte degli avvocati. Mi hanno scippato due volte, in questa città, e non ho intenzione di farmi derubare di nuovo.» David superò una curva slittando e accelerò. «Quella pazza voleva dei soldi» riprese Wally. «Naturalmente Iris le aveva telefonato per avvertirla che stavamo arrivando, e naturalmente le aveva detto della ricompensa per le segnalazioni, ma dato che Mrs Cozart è pazza, aveva capito soltanto la parte relativa ai cinquecento dollari.» «L’hai fatta firmare?» «No. Voleva contanti, e questa era comunque una stupidaggine, dato che Iris sapeva di essersi presa tutti i nostri soldi.» «Adesso dove andiamo?»
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«In studio. Mrs Cozart non mi avrebbe detto neppure il nome del marito, per cui immagino che dovremo fare qualche ricerca su Herb Cozart. Perché non te ne occupi tu, quando arriviamo?» «Ma lui non è nostro cliente.» «No, è morto. Ma dato che sua moglie è pazza, e intendo veramente pazza, potremo chiedere al tribunale di nominare un amministratore che approvi la nostra causa. C’è più di un modo per scuoiare un coniglio, David. Imparerai.» «Oh, sto già imparando. Non è contro la legge sparare colpi d’arma da fuoco all’interno dei confini cittadini?» «Bene, bene, vedo che ti hanno insegnato qualcosa a Harvard. Sì, è vero, ed è contro la legge anche sparare un colpo d’arma da fuoco che finisce nella testa di un’altra persona. Si chiama omicidio, e capita almeno una volta al giorno qui a Chicago. E dato che ci sono così tanti omicidi, la polizia è oberata di lavoro e non ha tempo da perdere con armi da fuoco che sparano innocui colpi in aria. Stai pensando di denunciarmi o qualcosa del genere?» «No. Semplice curiosità. Anche Oscar se ne va in giro armato?» «Non credo, però so che tiene una pistola nel cassetto della scrivania. Una volta è stato aggredito in studio, da un cliente arrabbiato dopo un divorzio. Era un semplice divorzio consensuale, nessuna contestazione, ma in qualche modo Oscar era riuscito a perdere la causa.» «Come si fa a perdere in un divorzio consensuale?» «Non lo so, tu però non andare a chiederglielo, okay? È ancora un argomento delicato. Comunque aveva detto al cliente che dovevano
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ripresentare l’istanza di divorzio e rifare tutta la trafila. Il cliente ha dato fuori di matto e l’ha pestato per bene.» «Oscar dà l’impressione di saper badare a se stesso. Quel tizio doveva essere un energumeno.» «Chi ha detto che era un tizio?» «Una donna?» «Sissignore. Molto grossa e molto arrabbiata, comunque pur sempre una donna. Prima ha stordito Oscar tirandogli addosso la tazza del caffè, di ceramica, non di carta. L’ha centrato in mezzo agli occhi. Poi ha afferrato l’ombrello e ha cominciato a picchiarlo di santa ragione. Quattordici punti. Si chiamava Vallie Pennebaker, non la scorderò mai.» «Chi ha sedato la rissa?» «A un certo punto Rochelle è entrata nell’ufficio, e Oscar giura che se l’è presa parecchio comoda, ha bloccato Vallie e ha cercato di calmarla. Poi ha chiamato i poliziotti, che si sono portati via la signora con l’accusa di aggressione aggravata. Lei ha contrattaccato con una causa per negligenza professionale. Ci sono voluti due anni e circa cinquemila dollari per sistemare tutto. E ora Oscar tiene una pistola nel cassetto.» “Cosa ne penserebbero quelli di Rogan Rothberg?” si chiese David. Avvocati con la pistola. Avvocati che dicevano di essere agenti dell’FBI e sparavano colpi in aria. Avvocati pestati a sangue da clienti insoddisfatti. Fu quasi sul punto di chiedere a Wally se fosse mai stato aggredito da un cliente, ma lasciò perdere. Pensava di conoscere già la risposta.
12 Rientrarono nell’apparente sicurezza dello studio alle quattro e mezzo. La stampante stava sputando fogli su fogli. Rochelle era davanti al tavolo e sistemava pile di lettere. «Che cosa ha fatto a DeeAnna Nuxhall?» ringhiò, rivolta a Wally. «Diciamo che il divorzio è stato posticipato fino a quando troverà un modo per pagare il suo avvocato. Perché?» «Ha già telefonato tre volte, piangendo e lamentandosi. Voleva sapere a che ora sarebbe tornato. Vuole assolutamente parlare con lei.» «Bene. Questo significa che ha trovato i soldi.» Wally stava esaminando una lettera che aveva preso da una pila sul tavolo. Ne passò una anche a David, che cominciò a leggerla. Venne subito colpito dall’incipit: “Attenzione al Krayoxx!”. «Cominciamo a firmare» disse Wally. «Voglio che queste lettere partano oggi pomeriggio, e l’orologio sta ticchettando.» Le lettere erano stampate su carta intestata dello studio Finley & Figg ed erano firmate da “Wallis T. Figg, Avvocato e Consulente legale”. Dopo la chiusura “Cordiali saluti” c’era spazio per una firma soltanto. «Io cosa dovrei fare?» chiese David. «Comincia a firmare» rispose Wally. «Scusa?»
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«Comincia a firmare con il mio nome. Non penserai che le firmi tutte e tremila io, vero?» «Sto per falsificare la tua firma?» «No, poiché ti conferisco formalmente l’autorità di firmare queste lettere con il mio nome» rispose Wally adagio, come stesse parlando a un idiota. Poi si voltò verso Rochelle. «E autorizzo anche lei.» «Sono già a quota cento» disse Ms Gibson, che passò un’altra lettera a David. «Guardi, un bambino di prima elementare saprebbe fare di meglio.» E aveva ragione. La firma era un disinvolto scarabocchio che iniziava con un carattere ondeggiante, probabilmente la “W”, e poi si innalzava spigoloso nella “T”, o forse la “F”. David prese una delle lettere appena firmate da Wally e confrontò la firma con quella falsificata di Rochelle. Vagamente simili, le due firme erano entrambe illeggibili e indecifrabili. «Sì, è molto brutta» concordò David. «Non importa quello che si scribacchia, tanto nessuno riuscirà a leggere comunque» disse Rochelle. «Io invece credo che la mia firma sia molto raffinata» obiettò Wally. «Adesso possiamo metterci al lavoro?» David si sedette e cominciò a sperimentare il suo personale scarabocchio. Rochelle piegava le lettere, le imbustava e attaccava i francobolli. Dopo qualche minuto David domandò: «Chi è tutta questa gente?». «Il nostro database clienti» rispose Wally con tono di orgoglio. «Più di tremila nominativi.» «Che risalgono fino a quando?»
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«Circa vent’anni fa» rispose Rochelle. «Per cui di molte di queste persone non si sa più niente da anni, giusto?» «Esatto» confermò la donna. «Alcuni probabilmente sono morti, altri si sono trasferiti. E parecchi non saranno molto felici di ricevere una lettera da Finley & Figg.» «Se sono morti speriamo che sia stato a causa del Krayoxx» commentò Wally, che poi scoppiò in una risata. Né David né Rochelle colsero l’aspetto umoristico. Passarono alcuni minuti senza che venisse detta una parola. David stava pensando al suo ufficio al piano di sopra e a tutto il lavoro che c’era ancora da fare. Rochelle teneva d’occhio l’orologio, in attesa delle cinque. Wally era felice di gettare in mare un’ampia rete per pescare nuovi clienti. «Quante risposte possiamo aspettarci?» chiese David. Rochelle alzò gli occhi al cielo, come per dire: “Zero”. Wally rimase in silenzio per un secondo, scuotendo la mano destra irrigidita dall’intensa attività. «Ottima domanda.» Poi si sfregò il mento e fissò il soffitto, come se lui soltanto fosse stato in grado di rispondere a un quesito così complesso. «Partiamo dal presupposto che l’uno per cento della popolazione adulta del nostro paese stia assumendo il Krayoxx. Ora...» «Dove hai preso il dato dell’uno per cento?» l’interruppe David. «Ricerche. È nel fascicolo. Questa sera portalo a casa e studiatelo. Dunque, come stavo dicendo, l’uno per cento del nostro bacino-clienti significa circa trenta soggetti. Se il venti per cento del bacino ha avuto problemi di infarto o ictus, allora scendiamo a, diciamo, cinque o sei casi. Forse sette o otto, chi può saperlo. E se crediamo, come io credo,
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che ogni caso, specie se di morte, valga un paio di milioni, allora stiamo parlando di un simpatica sommetta. Ho la sensazione che qui dentro nessuno mi creda, ma non ho intenzione di discutere.» «Io non ho detto una parola» fece notare Rochelle. «Ero solo curioso, ecco tutto» si schermì David. Lasciò passare un paio di minuti e poi chiese: «E quand’è che facciamo la nostra grande causa?». Wally, l’esperto, si schiarì la voce in vista di un miniseminario. «Molto presto. Abbiamo già la firma di Iris Klopeck, per cui potremmo intentare causa anche domani, se volessimo. Ho intenzione di far salire a bordo anche la vedova di Chester Marino, subito dopo il funerale. Queste lettere partono oggi; tra un paio di giorni i telefoni cominceranno a squillare. Con un po’ di fortuna nel giro di una settimana potremmo avere in mano cinque o sei casi, e a quel punto partiremo. Io comincio a preparare la bozza della citazione domani. In queste cause collettive è importante agire rapidamente. Noi sganciamo la bomba qui a Chicago, finiamo sulla prima pagina dei giornali e tutti quelli che prendono il Krayoxx lo buttano subito nell’immondizia e ci telefonano.» «Oh, Dio» disse Rochelle. «Giusto, oh, Dio. Aspetti che arriviamo a negoziare l’accordo e vedrà che “Oh, Dio.”» «Corte statale o federale?» chiese David, ansioso di interrompere il battibecco. «Bella domanda, e vorrei che tu facessi qualche ricerca su questo punto. Se andiamo in corte statale possiamo fare causa anche ai medici che hanno prescritto il Krayoxx ai nostri clienti.
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Significherebbe un numero maggiore di convenuti, ma anche più difensori agguerriti a crearci problemi. Francamente penso che la Varrick Labs abbia abbastanza soldi da renderci tutti felici, quindi sarei incline a tenere i medici fuori da questa storia. Per quanto riguarda la corte federale, dato che la causa Krayoxx si espanderà a livello nazionale, potremo inserirci nel gruppo dei legali specializzati in azioni collettive e farci rimorchiare da loro. Nessuno si aspetta sul serio che questi casi arrivino a processo e, quando cominceranno i negoziati per l’accordo stragiudiziale, ci farà comodo essere agganciati ai ragazzi più grandi.» Di nuovo, Wally sembrava così competente in materia che David era pronto a credergli. Ma era in quello studio già da abbastanza tempo da sapere che Wally non si era mai occupato di class action. E nemmeno Oscar. La porta di Oscar si aprì e il socio anziano emerse dal suo ufficio con l’abituale cipiglio e un’aria affaticata. «Cosa diavolo sta succedendo?» domandò con gentilezza. Nessuno gli rispose. Si avvicinò al tavolo, prese in mano una lettera e poi la lasciò cadere. Stava per dire qualcosa, quando la porta d’ingresso si spalancò e un tipo rozzo, grande, grosso e tatuato fece irruzione nell’ufficio e gridò: «Chi di voi è Figg?». Senza esitare, Oscar, David e perfino Rochelle puntarono il dito verso Wally, il quale sedeva pietrificato con gli occhi sbarrati. Alle spalle dell’intruso c’era una donna vestita di giallo che sembrava una puttana. DeeAnna Nuxhall, direttamente dalla sezione divorzi del tribunale, che strillò: «È lui, Trip! Quello basso e grasso!». Trip puntò dritto su Wally come se volesse ucciderlo. Il resto del personale dello studio si allontanò dal tavolo, lasciando che Wally se la cavasse da solo. Trip strinse le mani a pugno, si chinò sull’avvocato e gli disse: «Ascoltami bene, Figg, brutto stronzo! Sabato noi due
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dobbiamo sposarci, quindi la mia ragazza ha bisogno del divorzio entro domani. Qual è il problema?». Wally, ancora seduto e raggomitolato su se stesso in vista di possibili percosse, rispose: «Be’, gradirei essere pagato». «DeeAnna ha promesso di pagarti più avanti, no?» «Certo che gliel’ho promesso» confermò DeeAnna. «Se lei mi tocca la farò arrestare» lo avvertì Wally. «E non potrà sposarsi, se sarà in prigione.» «Te l’avevo detto che è un furbastro» blaterò DeeAnna. Dato che aveva bisogno di colpire qualcosa, ma non era ancora pronto a pestare Wally, Trip sferrò un manrovescio a una pila di lettere Krayoxx, facendo volare i fogli nell’ufficio. «Falle avere quel divorzio, okay, Figg? Io domani sarò in tribunale, e se la mia ragazza non avrà il divorzio giuro che ti prendo a calci in quel tuo culo flaccido lì dentro l’aula.» «Chiami la polizia!» abbaiò Oscar a Rochelle, che però era troppo spaventata per muoversi. Trip era alla ricerca di un gesto teatrale, così afferrò dal tavolo un grosso tomo legale e lo scagliò contro la finestra che dava sulla strada. Il vetro andò in frantumi e si sparse tintinnando sulla veranda. AC abbaiò, ma poi andò a nascondersi sotto la scrivania di Rochelle. Gli occhi di Trip erano lucenti e vitrei. «Io ti spezzo il collo, Figg. Hai capito?» «Dagli un pugno!» lo incitò DeeAnna.
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David lanciò un’occhiata in direzione del divano e vide la valigetta di Wally. Si avvicinò lentamente. «Noi domani saremo in tribunale, Figg. Tu ci sarai?» Trip fece un altro passo avanti. Wally si irrigidì in attesa dell’attacco. Rochelle si avvicinò alla sua scrivania e questo irritò Trip: «Tu non ti muovere! La polizia non la chiami!». «Telefoni alla polizia!» abbaiò di nuovo Oscar, senza però fare alcuno sforzo per provvedere personalmente. David si avvicinò di qualche altro centimetro alla valigetta. «Parla con me, Figg» ordinò Trip. «Mi ha messo in imbarazzo in quell’aula» piagnucolò DeeAnna. Era evidente che voleva un bagno di sangue. «Sei un verme, Figg, lo sai?» Wally stava per dire qualcosa di intelligente, quando Trip finalmente prese contatto con il nemico: gli diede una spinta, una piccola spinta piuttosto innocua che sembrò poca cosa considerando le premesse, ma che era comunque un’aggressione. «Ehi, bada a quello che fai!» protestò Wally, dando uno schiaffo alla mano di Trip. David aprì velocemente la valigetta ed estrasse la lunga e nera Colt .44 Magnum. Non era certo di avere mai toccato una pistola in vita sua e non era sicuro di poterlo fare senza spararsi a una mano, comunque sapeva di dover evitare il grilletto. «Tieni, Wally» disse posando l’arma sul tavolo. Wally l’afferrò, balzò in piedi e le regole d’ingaggio subirono un drammatico cambiamento.
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«Merda!» esclamò Trip con voce stridula, e fece un lungo passo indietro. DeeAnna si rannicchiò dietro di lui, piagnucolando. Rochelle e Oscar erano scioccati dalla pistola quanto Trip. Wally non puntava l’arma contro nessuno, non direttamente, ma la maneggiava in un modo tale da suscitare pochi dubbi sul fatto che potesse sparare qualche colpo nel giro di pochi secondi. «Per prima cosa esigo delle scuse» disse avanzando verso Trip, che aveva perso ogni arroganza. «Hai una bella faccia tosta a entrare qui dentro con delle pretese, visto che la tua ragazza non paga i conti.» Trip, che senza dubbio in fatto di armi doveva avere qualche esperienza, guardò la Colt e ammise, con tono mite: «Sì, certo. Hai ragione, amico». «Ms Gibson, telefoni alla polizia» disse Wally, e Rochelle chiamò il 911. AC mise fuori la testa e ringhiò in direzione di Trip. «Voglio i miei trecento dollari del divorzio, più altri duecento per la finestra» dichiarò Wally. Trip continuava ad arretrare, con DeeAnna praticamente invisibile dietro di lui. «Sta’ calmo, amico» disse Trip, mostrando a Wally entrambi i palmi delle mani. «Oh, io sono calmissimo.» «Fai qualcosa, baby!» implorò DeeAnna. «Tipo cosa? Hai visto quanto è grosso quel giocattolo?» «Non possiamo semplicemente andarcene da qui?» chiese DeeAnna.
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«No» rispose Wally. «Non prima che arrivi la polizia.» Alzò la pistola di qualche centimetro, attento a non puntarla direttamente contro Trip. Rochelle arretrò dalla scrivania e andò in cucina. «Calma, amico» ripeté Trip. «Noi adesso ce ne andiamo.» «No, voi non andate da nessuna parte.» La polizia arrivò pochi minuti dopo. Trip venne ammanettato e caricato sul sedile posteriore di un’autopattuglia. DeeAnna pianse, non ottenne alcun risultato e allora provò a flirtare con i poliziotti, cosa che risultò leggermente più utile. Alla fine, però, Trip venne portato via con l’accusa di aggressione e atti di vandalismo. Esaurita l’eccitazione, Rochelle e Oscar andarono a casa, lasciando Wally e David a spazzare, a raccogliere i frammenti di vetro e a finire di firmare le lettere Krayoxx. I due lavorarono per un’ora, scribacchiando il nome di Wally e discutendo su cosa fare per il vetro rotto. Il vetro sarebbe stato sostituito solo la mattina dopo e lo studio non sarebbe sopravvissuto alla notte con una finestra aperta. Preston non era un quartiere pericoloso, ma nessuno lasciava le chiavi dell’auto inserite o la porta di casa aperta. Wally aveva appena preso la decisione di dormire in studio, sul divano accanto al tavolo, con AC di fianco e la Colt a portata di mano, quando la porta d’ingresso si aprì e, per la seconda volta, comparve DeeAnna. «Cosa ci fa qui?» chiese Wally. «Noi due dobbiamo parlare» rispose la donna, con una voce incerta e molto più dolce di prima. Si accomodò su una sedia accanto alla scrivania di Rochelle e accavallò le gambe in modo da esporre quanta
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più carne possibile. Aveva belle gambe e calzava le stesse scarpe volgari che aveva esibito in aula quella mattina. «Ooh-la-là» commentò Wally sottovoce. Poi domandò: «E di cosa vorrebbe parlare?». «Io credo che abbia bevuto» sussurrò David, continuando a firmare. «Non sono più sicura di voler sposare Trip» annunciò la ragazza. «Quell’uomo è un bruto, un vero sfigato, DeeAnna. Lei può trovare di meglio.» «Però voglio comunque il divorzio. Wally, non puoi proprio aiutarmi?» «Pagami.» «Non riesco a trovare i soldi da portare in tribunale domani. Ti giuro che è la verità.» «Peccato.» David si disse che, se quel caso fosse stato suo, avrebbe fatto tutto il possibile per concludere al più presto il divorzio in modo che DeeAnna e Trip diventassero storia. Trecento dollari non valevano tutti quei problemi. La ragazza accavallò di nuovo le gambe e la gonna salì ulteriormente. «Sai, Wally, stavo pensando che forse potremmo arrivare a un altro tipo di accordo. Solo tra noi due.»
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Wally sospirò, guardò le gambe, rifletté per un secondo e rispose: «Non posso. Stanotte devo restare qui perché uno stronzo ci ha distrutto una finestra della facciata». «Allora resto anch’io» cinguettò DeeAnna, passando la lingua sulle labbra rosso vivo. Wally non aveva mai avuto la forza di volontà necessaria per sfuggire a situazioni di quel tipo, non che gliene capitassero spesso. Raramente una sua cliente era stata così chiara ed esplicita. Anzi, in quel terribile ma eccitante momento Wally non ne ricordava nessuna così facile. «Forse possiamo metterci d’accordo» concesse, sorridendo lascivo a DeeAnna. «Io me ne vado» annunciò David, scattando in piedi e afferrando la sua valigetta. «Puoi restare, se vuoi» disse la ragazza. L’immagine gli giunse istantanea e sgradevole: il felicemente coniugato David alle prese con una bella sgualdrina che vantava quasi lo stesso numero di divorzi del suo paffuto e nudo avvocato. Uscì di corsa sbattendosi la porta alle spalle. Il loro bistrot preferito per la tarda serata era raggiungibile a piedi dall’appartamento in Lincoln Park. Si erano incontrati spesso lì per una cena veloce poco prima che la cucina chiudesse alle undici, orario in cui David tornava barcollando dal lavoro dopo l’ennesima giornata massacrante in studio. Quella sera, però, arrivarono prima delle nove e trovarono il locale affollato di gente. Il loro tavolo era in un angolo. A un certo punto, più o meno a metà della sua quinquennale carriera presso lo studio Rogan Rothberg, David aveva adottato la politica di non discutere mai del suo lavoro, di non portarselo mai a casa. Era
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talmente sgradevole, spiacevole e noioso che proprio non se la sentiva di scaricarlo su sua moglie, la quale aveva accettato senza difficoltà quella decisione. Di conseguenza di solito parlavano degli studi di Helen o di quello che stavano combinando i vari amici. Ma adesso, all’improvviso, le cose erano cambiate. Il grande studio non c’era più, così come non c’erano più i clienti senza volto e le loro tediose pratiche. Adesso David lavorava con gente vera, protagonista di cose pazzesche che meritavano di essere raccontate in dettaglio. Per esempio le due quasi sparatorie cui era sopravvissuto insieme al fedele compagno Wally. All’inizio Helen si rifiutò di credere che Wally avesse davvero sparato un colpo in aria per disperdere i teppisti di strada, ma alla fine si lasciò quasi convincere dall’implacabile narrazione di suo marito. E, di primo acchito, non credette neppure alla storia di Trip. Rimase altrettanto scettica nel sentire della richiesta di denaro a DeeAnna Nuxhall da parte di Wally e del giudice Bradbury in un’aula di tribunale. E si mostrò incredula al pensiero di suo marito che consegnava tutti i contanti a Iris Klopeck e poi firmava un pagherò per il debito residuo. Oscar che veniva massacrato da una cliente arrabbiata era leggermente più credibile. David, che aveva lasciato la parte migliore per il finale, concluse il racconto del suo primo, indimenticabile giorno allo studio Finley & Figg con: «E, mia cara, proprio mentre noi stiamo parlando, Wally e DeeAnna si stanno dando da fare sul divano, con la finestra aperta, il cane che guarda e la parcella insoluta che viene saldata in modo assolutamente spettacolare». «È una balla.» «Vorrei che lo fosse. I trecento dollari verranno abbuonati ed entro domani a mezzogiorno DeeAnna sarà una donna divorziata.» «Che personaggio squallido.»
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«Quale dei due?» «Entrambi. Sono molti i vostri clienti che pagano in quel modo?» «Ne dubito. Ti ho parlato di Iris Klopeck. Ho il sospetto che sia lei a corrispondere di più al profilo del nostro cliente tipo. La parcella-divano non reggerebbe i colpi.» «David, tu non puoi lavorare con quella gente. Andiamo! Lascia pure Rogan, se vuoi, ma trovati un altro studio. Quei due sono una coppia di spostati. Cosa mi dici dell’etica?» «Dubito che dedichino molto tempo a discutere di etica.» «Perché non ti cerchi un simpatico studio di medie dimensioni, con gente perbene che non se ne va in giro armata, non insegue le ambulanze e non lavora in cambio di sesso?» «Qual è la mia specializzazione?» «Be’, qualcosa a che vedere con i bond.» «Esatto. Io so tutto di obbligazioni ad alto rendimento a lungo termine emesse da multinazionali e governi stranieri. Ed è tutto ciò che so perché nel corso degli ultimi cinque anni mi sono occupato solo di quello. Se lo scrivo nel mio curriculum, gli unici soggetti che potrebbero chiamarmi sono le teste d’uovo di altri grandi studi legali, esattamente uguali a Rogan.» «Ma puoi imparare altre cose.» «Certo che posso, ma nessuno assume un avvocato con cinque anni di professione alle spalle e gli dà un bello stipendio solo per piazzarlo all’asilo. Vogliono esperienza, e io non ce l’ho.»
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«Perciò Finley & Figg è l’unico posto in cui puoi lavorare?» «O un altro posto del genere. Lo considererò come un seminario per un anno o due e poi magari aprirò una bottega tutta mia.» «Perfetto. Un solo giorno di lavoro e stai già pensando di andartene.» «Non proprio. Quel posto mi piace.» «Hai perso la ragione.» «Sì. Non sai quanto è liberatorio.»
13 Il piano corrispondenza di massa studiato da Wally si dimostrò di scarso successo. Metà delle lettere venne restituita al mittente per tutta una serie di motivi. Il traffico telefonico aumentò un po’ nella settimana seguente la spedizione, anche se la maggior parte delle chiamate fu da parte di ex clienti che chiedevano di togliere il loro nominativo dall’indirizzario dello studio. Per niente scoraggiato, Wally depositò l’atto di citazione in giudizio presso la corte distrettuale degli Stati Uniti del distretto Nord dell’Illinois in rappresentanza di Iris Klopeck e Millie Marino, nonché di “altri soggetti che verranno indicati in seguito”, dichiarando che i loro cari erano stati uccisi dal Krayoxx, un farmaco prodotto dalla Varrick Labs. Sparando alla cieca, Wally chiese cento milioni tondi quale risarcimento danni e un processo con giuria. Il momento di depositare gli atti non si avvicinò neppure lontanamente alla grandiosità che aveva immaginato. Wally aveva cercato in ogni modo di richiamare l’attenzione dei media sulla causa che stava preparando, ma l’interesse era pressoché nullo. Invece di inoltrare i documenti con la posta elettronica, Wally e David, entrambi nei loro migliori abiti scuri, raggiunsero in auto il tribunale Everett M. Dirksen nel centro di Chicago e consegnarono a mano la citazione di venti pagine al cancelliere. Non c’erano giornalisti né fotografi, e questo irritò molto Wally. Convinse un aiuto cancelliere a scattare una foto dei due avvocati che, serissimi, depositavano i loro atti. Tornato in studio, inviò per e-mail documentazione e fotografia al “Tribune”, al “SunTimes”, al “Wall Street Journal”, a “Newsweek” e a una decina di altre testate.
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David pregò affinché la foto passasse inosservata, ma Wally ebbe fortuna. Un giornalista del “Tribune” telefonò in studio e venne messo subito in comunicazione con un estasiato avvocato Figg. La valanga pubblicitaria era iniziata. Nella prima pagina del supplemento “Affari e Finanza” del mattino dopo, sotto il titolo Avvocato di Chicago attacca la Varrick Labs per il Krayoxx, un articolo riassumeva i motivi della causa e descriveva l’avvocato Wally Figg come un legale “che si autodefinisce specialista in azioni collettive”. Finley & Figg era uno “studio boutique” con una lunga storia di battaglie contro grosse società farmaceutiche. Il giornalista, però, aveva annusato un po’ in giro e citava due noti legali che avevano dichiarato di non avere mai sentito nominare quei due. E non esisteva traccia di cause simili intentate dallo studio Finley & Figg nel corso degli ultimi dieci anni. La Varrick reagiva con veemenza difendendo il proprio prodotto, promettendo una vigorosa difesa e affermando di “attendere con ansia un equo processo davanti a una giuria imparziale, in modo da confermare il nostro buon nome”. La foto pubblicata era piuttosto grande. La cosa gratificò Wally e imbarazzò David. Erano una coppia interessante: Wally quasi calvo, rotondo e malvestito, David alto, slanciato e molto più giovane. La notizia esplose in Internet e il telefono cominciò a squillare ininterrottamente. In certi momenti Rochelle era talmente sopraffatta che David le dava una mano. Chiamavano giornalisti, chiamavano avvocati in cerca di informazioni, ma soprattutto chiamavano persone che facevano uso di Krayoxx e che adesso erano terrorizzate e confuse. David non sapeva bene cosa dire. La strategia dello studio, se così la si poteva definire, consisteva nel selezionare il pescato e accettare i casi di morte. In seguito, in un indeterminato futuro, si sarebbero raccolti anche i casi di “non-morte” per poi gestirli tutti insieme in una class action. Tutto ciò era impossibile da spiegare al telefono, perché David stesso non aveva ben capito.
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Con i telefoni che squillavano senza sosta e l’eccitazione ormai costante, perfino Oscar uscì dal suo ufficio e diede segno di qualche interesse. Lo studio non aveva mai visto una tale attività e, be’, forse era davvero arrivato il loro grande momento. Forse Wally aveva ragione, una volta tanto. Forse, ma solo forse, il Krayoxx poteva portare effettivamente soldi veri, e ciò avrebbe significato il divorzio che Oscar desiderava con tanto ardore e al quale avrebbe fatto subito seguito il pensionamento. Nel tardo pomeriggio i tre avvocati si sedettero intorno al tavolo per fare il punto della situazione. Wally era eccitato, stava addirittura sudando. Agitò il suo blocco legale in aria e annunciò: «Abbiamo quattro casi di morte nuovi di zecca e dobbiamo farli firmare immediatamente. Sei dei nostri, Oscar?». «Certo. Ne prendo uno» rispose lui, cercando di sembrare riluttante come al solito. «Grazie. Dunque, Ms Gibson, c’è una signora nera che abita sulla Diciannovesima, non lontano da lei. Bassitt Towers, numero tre. La signora dice che il posto è sicuro.» «Io non vado alle Bassitt Towers» dichiarò Rochelle. «Riesco a sentire gli spari fino da casa mia.» «È proprio quello che intendevo dire: è a due passi dalla sua abitazione. Potrebbe fare un salto quando rientra.» «No.» Wally sbatté il blocco sul tavolo. «Ma non vede quello che sta succedendo, maledizione? Tutte queste persone ci stanno implorando di accettare i loro casi, casi che valgono milioni di dollari. Potremmo arrivare a un accordo stragiudiziale nel giro di un anno. Siamo
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finalmente vicinissimi a qualcosa di grosso e a lei, come sempre, non potrebbe importare di meno.» «Io non rischio il collo per questo studio.» «Perfetto. Allora quando la Varrick firmerà l’accordo e arriveranno i soldi, lei naturalmente rinuncerà alla sua fetta di bonus. È questo che sta dicendo?» «Quale bonus?» Wally cominciò a camminare avanti e indietro, dal tavolo alla porta d’ingresso e ritorno. «Vedo che dimentichiamo in fretta. Ricorda il caso Sherman dell’anno scorso, Ms Gibson? Un simpatico incidente stradale, un bel tamponamento. La State Farm ha sganciato sessantamila dollari. A noi è toccato un terzo, una bella parcella di ventimila verdoni per il vecchio studio legale Finley & Figg. Abbiamo saldato qualche conto, io mi sono preso settemila dollari, Oscar altri settemila e a lei ne abbiamo dati mille sottobanco. Giusto, Oscar?» «Sì. E l’avevamo fatto anche in precedenza» confermò lui. Mentre Wally parlava, Rochelle aveva fatto qualche calcolo. Sarebbe stato un vero peccato perdersi una fetta della lotteria. E se Figg avesse avuto ragione, una volta tanto? Wally tacque e per un momento ci fu un silenzio teso. AC si alzò in piedi e cominciò a ringhiare. Passarono alcuni secondi e poi si sentì il lamento distante di una sirena. Il suono si fece più forte, ma stranamente nessuno andò alla finestra o uscì nella veranda. Avevano già perso interesse in quello che era il loro pane quotidiano? Il piccolo studio all’improvviso non era più attratto dagli incidenti stradali ed era passato a un ramo di gran lunga più remunerativo?
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«Quanto sarebbe il bonus?» domandò Rochelle. «Andiamo, Ms Gibson!» fece Wally, esasperato. «Non ne ho idea.» «Cosa devo dire a quella povera donna?» Wally afferrò il suo blocco legale. «Ho parlato con lei un’ora fa. Si chiama Pauline Sutton, ha sessantadue anni. Suo figlio Jermaine, di quarant’anni, è morto sette mesi fa per un infarto. La signora dice che il figlio tendeva un po’ al sovrappeso e che assumeva il Krayoxx da quattro anni per abbassare il colesterolo. Una signora gentile, ma anche una madre addolorata. Porti con lei uno dei nostri nuovi contratti Krayoxx, le spieghi tutto e la faccia firmare. Una passeggiata.» «E se mi fa domande sulla causa e sul risarcimento?» «Prenda un appuntamento e la faccia venire qui. Risponderò io a tutte le sue domande. L’importante è farla firmare. Abbiamo creato un nido di vespe qui, a Chicago, e adesso ogni cacciatore di ambulanze, ogni mezza calzetta in campo legale è a caccia di vittime del Krayoxx. Il fattore tempo è essenziale. Allora, può occuparsene lei, Ms Gibson?» «Immagino di sì.» «La ringrazio molto. Bene, adesso propongo che tutti quanti cominciamo a battere le strade.» La prima tappa fu una pizzeria non lontana dallo studio. Il locale faceva parte di una catena dalla reputazione piuttosto dubbia che al momento era oggetto di una pessima stampa, soprattutto a causa del suo menu. Un’importante rivista di salute aveva analizzato i piatti serviti ed era arrivata alla conclusione che erano tutti pericolosi e inadatti al consumo umano. Tutto grondava grassi, oli e additivi, nulla di neanche remotamente sano. Il cibo veniva offerto a buffet e a prezzi
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ridicolmente bassi. Il nome della catena evocava orde di persone obese che si abbuffavano orrendamente come maiali al trogolo. I profitti erano altissimi. Il vicedirettore era un giovane grassoccio di nome Adam Grand, che chiese ai due avvocati di aspettare dieci minuti, dopodiché avrebbe potuto prendersi una pausa. David e Wally si sistemarono in un séparé quanto più lontano possibile dal buffet, che comunque non era affatto lontano. Il séparé era ampio e spazioso, e David si accorse che tutto nel locale era sovradimensionato: piatti, bicchieri, tovaglioli, tavoli, sedie, séparé. Mentre Wally parlava al cellulare, concordando ansiosamente un appuntamento con un altro potenziale cliente, non poté fare a meno di osservare gli enormi avventori intenti ad abbattere montagne di spessi tranci di pizza. Provò quasi compassione per loro. Adam Grand scivolò a sedere accanto a David e disse: «Vi posso dare cinque minuti. Il mio capo sta già strillando». Wally non perse tempo. «Al telefono lei mi ha detto che sua madre è morta sei mesi fa per un infarto. Aveva sessantasei anni e assumeva il Krayoxx da un paio. E suo padre?» «È morto tre anni fa.» «Mi dispiace. Krayoxx anche lui?» «No, tumore al colon.» «Fratelli? Sorelle?» «Un fratello che vive in Perù. Non vuole sapere niente di questa storia.»
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I due legali prendevano appunti. David aveva la sensazione di dover dire qualcosa di intelligente, ma non gli veniva in mente niente. Si trovava lì in veste di chauffeur. Wally stava per formulare un’altra domanda, ma Adam lo prese d’anticipo: «Sa, ho appena parlato con un altro avvocato». La spina dorsale di Wally si raddrizzò, gli occhi si spalancarono. «Ah, sì? E come si chiama?» «Ha detto di essere un esperto del Krayoxx e che poteva farmi avere un milione di dollari, nessun problema. È vero?» Wally era pronto alla lotta. «Ha mentito. Se le ha promesso un milione, allora è un idiota. Non possiamo promettere nulla in termini di denaro. Quello che possiamo assicurarle è che le forniremo la miglior rappresentanza legale che lei possa trovare.» «Certo, certo. Ma a me piace l’idea di un avvocato che mi dice quanto potrei incassare. Capisce cosa intendo?» «Noi possiamo farle avere molto più di un milione di dollari» promise Wally. «Questo sì che è parlare. Quanto tempo ci vorrà?» «Un anno, forse due» promise di nuovo Figg. Stava facendo scivolare un foglio sul tavolo. «Dia un’occhiata a questo. È un contratto tra il nostro studio e lei, quale erede e legale rappresentante di sua madre.» Adam scorse rapidamente il contratto e chiese: «Niente anticipi, giusto?». «Oh, no. Anticipiamo noi tutte le spese della causa.» «Il quaranta per cento per voi mi sembra parecchio.»
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Wally stava scuotendo la testa. «È la percentuale standard nel settore. È tutto standard. Qualsiasi legale specializzato in responsabilità civile le chiederà il quaranta per cento. Alcuni arrivano addirittura al cinquanta, ma non noi. Credo che il cinquanta per cento non sia etico.» Guardò il suo collega per chiedergli conferma, David annuì e corrugò la fronte, sdegnato al pensiero di quegli avvocati dai principi così discutibili. «Va bene» cedette Adam, e firmò. Wally gli strappò il contratto di mano. «Perfetto. Grazie e benvenuto a bordo, Adam. Aggiungeremo il suo caso agli altri e metteremo tutto in moto. Domande?» «Sì. Cosa dico all’altro avvocato?» «Gli dica che si è rivolto ai migliori, Finley & Figg.» «Adam, lei è in ottime mani» dichiarò solennemente David, rendendosi subito conto di sembrare una brutta pubblicità. Wally gli sparò un’occhiata che diceva: “Sul serio?”. «Be’, questo è da vedere, giusto?» fece Adam. «Lo sapremo quando arriverà quel grosso assegno. Mr Figg, lei mi ha promesso più di un milione e io la prendo in parola.» «Non se ne pentirà.» «Ci vediamo» disse Adam, e scomparve. «È stato facile» disse Wally, riponendo il suo blocco nella valigetta. «Gli hai appena promesso più di un milione di dollari. È stato saggio?»
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«No. Ma se è quello che serve, allora si fa. Ti spiego come funziona, giovane David: tu li fai firmare, li fai salire a bordo, li coccoli e, quando arriveranno i soldi, loro si dimenticheranno quello che gli hai detto all’inizio. Supponiamo per esempio che tra un anno la Varrick abbia già la nausea di tutto il casino sul Krayoxx e getti la spugna. E supponiamo che al nostro nuovo amico Adam tocchi meno di un milione, diciamo sui settecentocinquantamila dollari. Tu credi sul serio che quello sfigato rinunci a tutti quei soldi?» «Probabilmente no.» «Esatto. Adam sarà un ragazzo molto felice e non ricorderà più niente di quello che gli abbiamo detto oggi. È così che funziona.» Wally lanciò una lunga occhiata famelica ai buffet. «Hai programmi per cena? Io sto morendo di fame.» David non aveva programmi, ma non voleva mangiare lì. «Sì, mia moglie mi aspetta per uno spuntino notturno.» Wally guardò di nuovo i trogoli e le masse di obesi che ne approfittavano. Rimase immobile per un secondo e poi lasciò comparire un lento sorriso. «Che idea meravigliosa» disse, complimentandosi con se stesso. «Come, scusa?» «Guarda quella gente. Qual è il peso medio individuale?» «Non ne ho idea.» «Nemmeno io. Ma se io sono un po’ cicciotto a centodieci chili, quelle persone saranno tutte sopra i centottanta.» «Non ti seguo.»
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«Tu non vedi l’evidenza, David. Questo posto è pieno di persone grasse. Scommetto che se adesso urlassi “Chi di voi prende il Krayoxx?” metà di quei poveracci alzerebbe la mano.» «Non farlo.» «Non lo faccio, ma capisci qual è il punto?» «Vuoi distribuire biglietti da visita?» «No, furbone. Ma dev’esserci un modo per individuare chi prende il Krayoxx tra questa gente.» «Ma non sono ancora morti.» «Non ci vorrà molto. Comunque possiamo inserirli nella nostra seconda causa, quella dei non morti.» «C’è qualcosa che mi sfugge, Wally. Spiegami, per favore. Non siamo tenuti a dimostrare, a un certo punto, che quel farmaco provoca effettivamente dei danni?» «Certo, e in seguito lo proveremo, quando assumeremo i nostri esperti. In questo momento la cosa importante è far firmare tutti. È una corsa di cavalli, David. Dobbiamo trovare il modo per selezionare questa gente e inserirla nella nostra class action.» Erano quasi le diciotto e la pizzeria era gremita. David e Wally occupavano l’unico séparé dove nessuno stava mangiando. Una grassa famiglia di quattro persone, ognuna delle quali armata di due piatti di pizza, si fermò accanto al séparé e fissò i due avvocati con aria minacciosa. Mangiare era una cosa seria.
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La tappa successiva fu una villetta bifamiliare nei pressi del Midway Airport. David si fermò lungo il marciapiede, dietro un vecchio Maggiolino Volkswagen poggiato su blocchi di cemento. Wally stava dicendo: «Frank Schmidt, cinquantadue anni al momento del decesso per infarto avvenuto l’anno scorso. Ho parlato con la vedova, Agnes». Ma David ascoltava solo a metà. Stava cercando di convincersi che era tutto vero: stava vagando dopo il tramonto nei peggiori quartieri del Southwest Side di Chicago con il suo nuovo boss – il quale non poteva guidare a causa di vari problemi –, doveva stare attento a eventuali teppisti di strada, bussare alle porte di case sporche e disordinate senza sapere cosa avrebbero trovato all’interno, e tutto nel tentativo di adescare clienti prima che si presentasse un altro avvocato. Cosa avrebbero pensato i suoi compagni di Harvard? Quanto avrebbero riso? David decise che, dopotutto, non gli importava. Qualunque lavoro nel campo legale era meglio di quello che aveva lasciato, e la maggior parte dei suoi compagni di università faceva una vita tremenda. Lui, invece, si era liberato. O Agnes Schmidt si stava nascondendo, oppure non era in casa. Nessuno venne ad aprire la porta e i due avvocati se ne andarono senza perdere altro tempo. Mentre guidava, David annunciò: «Senti, Wally, adesso vorrei proprio andare da mia moglie. Non l’ho vista molto negli ultimi cinque anni. È il momento di recuperare». «È molto carina. Non posso biasimarti.»
14 Entro una settimana dal deposito degli atti della causa, lo studio vantava già un totale di otto casi di morte, un numero rispettabile e tale da rendere sicuramente tutti ricchi. Dato che Wally lo ripeteva così spesso, era diventata convinzione comune che ogni caso significasse all’incirca mezzo milione netto per Finley & Figg. I calcoli di Wally erano discutibili e poggiavano su presupposti in realtà piuttosto fragili, almeno a uno stadio così iniziale, ma i tre avvocati e Rochelle, a quelle somme, stavano cominciando a farci la bocca. Il Krayoxx ormai faceva notizia in tutto il paese, non positivamente, e il suo futuro si prospettava infausto, almeno per quanto concerneva la Varrick Labs. Lo studio si era dato talmente da fare per assicurarsi clienti che fu uno choc rendersi conto che era possibile perderne uno. Millie Marino si presentò una mattina di pessimo umore e chiese di parlare con Mr Figg. In precedenza si era rivolta a lui perché si occupasse dell’omologazione del testamento di suo marito e poi, sia pure con riluttanza, aveva accettato di intentare una causa Krayoxx per il decesso del coniuge. Nell’ufficio di Wally, a porte chiuse, la signora spiegò di non capire come mai un avvocato dello studio, Oscar Finley, avesse redatto un testamento che le sottraeva un bene di notevole valore – la collezione di figurine del baseball – e l’altro avvocato dello stesso studio, Wally Figg, si occupasse dell’omologazione del medesimo testamento. Tutto questo, a suo parere, era un evidente conflitto di interessi, nonché una porcheria vera e propria. Mrs Marino era sconvolta e cominciò a piangere. Wally tentò di spiegarle che gli avvocati erano tenuti a rispettare obblighi di segretezza. Quando Oscar aveva redatto il testamento, era
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stato costretto a seguire le indicazioni di Chester, e siccome Chester voleva che le sue figurine restassero nascoste fino alla sua morte per essere poi consegnate al figlio Lyle, così era stato. Dal punto di vista etico, Oscar non poteva divulgare alcuna informazione riguardante Chester e il suo testamento. Millie non la vedeva così. Come moglie del defunto aveva il diritto di sapere tutto sui beni del marito, specie riguardo a qualcosa di così prezioso come le sue figurine. Aveva già parlato con un commerciante del settore: quella di “Shoeless” Joe, da sola, valeva almeno centomila dollari. Tutta intera la collezione ne poteva arrivare a centocinquantamila. A Wally in realtà non interessava un accidente delle figurine, o dell’intera eredità, se era per quello. I cinquemila dollari di parcella cui aveva aspirato un tempo adesso erano solo noccioline. Ma aveva un caso Krayoxx in pericolo, e avrebbe detto o fatto qualsiasi cosa pur di tenerselo stretto. «Francamente» disse con aria grave, lanciando un’occhiata alla porta «io avrei gestito la faccenda in modo diverso, ma Mr Finley è della vecchia scuola.» «E questo cosa significa?» chiese Millie. «Che è piuttosto conservatore. Il marito è il capo della famiglia, il custode di tutti i beni, l’unico che può prendere decisioni... Insomma, conosce il tipo. Se un uomo vuole nascondere qualcosa alla moglie, per il mio collega non c’è niente di sbagliato. Per quanto mi riguarda, io sono più moderno.» Wally fece seguire una risatina nervosa, di cui non si capiva bene il significato. «Adesso però è troppo tardi» gli fece osservare la donna. «Il testamento è stato scritto. Deve solo essere omologato.»
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«È vero, Millie, ma andrà tutto per il meglio. Suo marito ha lasciato le figurine del baseball a Lyle, però a lei ha lasciato una splendida causa.» «Una splendida cosa?» «Lo sa: la faccenda del Krayoxx.» «Ah. Be’, non sono molto soddisfatta neppure di quello. Ho parlato con un altro avvocato, il quale mi ha detto che voi non sapete neppure da dove cominciare, che non avete mai trattato casi come questo.» Wally boccheggiò, ma poi riuscì a chiedere, con voce stridula: «Perché parla con altri avvocati?». «Perché mi ha telefonato lui l’altra sera. Ho fatto qualche ricerca in rete: quel tizio lavora in un grande studio che ha filiali in tutto il paese e che si occupa solo di fare causa alle industrie farmaceutiche. Sto pensando di assumere lui.» «Millie, non lo faccia. Quei tipi sono famosi per fare firmare migliaia di persone e poi trascurarle. Lei non riuscirebbe più a parlare con quell’avvocato, le passerebbero sempre qualche giovane paralegale nello sgabuzzino sul retro. È una truffa, glielo giuro. Con me, lei sa di potermi sempre trovare al telefono.» «Io non voglio parlare con lei al telefono, e neppure di persona.» Millie Marino era già in piedi e stava afferrando la borsetta. «Millie, la prego.» «Ci penserò, Figg. Ma non sono per niente soddisfatta.»
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Dieci minuti dopo la partenza di Mrs Marino, si presentò Iris Klopeck per chiedere un prestito di cinquemila dollari come anticipo sulla sua quota dell’accordo Krayoxx. Seduto alla sua scrivania, Wally si prese la testa fra le mani e si chiese cos’altro sarebbe successo. La causa di Wally venne assegnata all’onorevole Harry Seawright, un giudice nominato da Reagan che sedeva sullo scranno federale da quasi trent’anni. Lui ne aveva ottantuno, puntava alla pensione e non era troppo entusiasta di una causa che avrebbe potuto richiedere qualche anno per arrivare alla conclusione e nel frattempo avrebbe occupato gran parte del suo calendario delle udienze. Però era anche curioso. Il suo nipote preferito si curava con il Krayoxx da parecchi anni, con ottimi risultati e nessun effetto collaterale. Fatto non sorprendente, il giudice Seawright non aveva mai sentito nominare lo studio legale Finley & Figg. Chiese al suo assistente di fare qualche ricerca e lui gli rispose con un’e-mail che diceva: “Modestissimo studio di due avvocati in Preston Avenue, nel Southwest Side. Pubblicizza i propri servizi per divorzi veloci, guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Banale attività legale per i soliti casi penali, familiari e di lesioni. Nessuna traccia di attività in corte federale negli ultimi dieci anni, nessuna traccia di processi con giuria in corti statali negli ultimi dieci anni, nessuna attività nell’ordine degli avvocati. Ogni tanto i due finiscono in tribunale. Figg ha due o tre precedenti per guida in stato di ebbrezza negli ultimi dodici anni. Lo studio è stato anche citato in giudizio per molestie sessuali. Accordo stragiudiziale”. Incredulo, Seawright scrisse a sua volta all’assistente: “Questi due non hanno alcuna esperienza processuale e fanno causa per cento milioni di dollari alla terza ditta farmaceutica del mondo?”. L’assistente rispose: “Esatto”. Giudice Seawright: “È una follia! Cosa c’è dietro?”.
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Assistente: “La corsa al Krayoxx. È l’ultimo grido in materia di farmaci dannosi, gli specialisti in azioni collettive sono già in preda alla frenesia. Finley & Figg probabilmente sperano di mettersi al traino e farsi rimorchiare fino all’accordo transattivo”. Giudice Seawright: “Continui a scavare”. Più tardi l’assistente comunicò: “Gli atti sono firmati da Finley e Figg, ma anche da un terzo avvocato, David E. Zinc, ex associato presso Rogan Rothberg. Ho telefonato a un amico che lavora là. Dieci giorni fa Zinc ha sbroccato, ha tagliato la corda e in qualche modo è finito allo studio F&F. Nessuna esperienza in aula, forse ha trovato il posto giusto”. Giudice Seawright: “Seguiamo attentamente questo caso”. Assistente: “Come sempre”. Il quartier generale della Varrick Labs occupava una serie di inquietanti edifici in vetro e acciaio in una foresta vicino a Montville, in New Jersey. Era opera di un architetto un tempo famoso il quale in seguito aveva disconosciuto il suo stesso progetto. A volte il complesso veniva lodato come coraggioso e futurista, ma molto più spesso veniva giudicato tetro, sinistro, simile a un bunker, in stile sovietico, e altre definizioni poco gentili. Sotto molti punti di vista, in effetti, faceva pensare a una fortezza, circondato dagli alberi, lontano dal traffico e dalla folla, ben protetto. Dato che la Varrick veniva chiamata in giudizio con tanta frequenza, il suo quartier generale sembrava più che adatto. La società se ne stava acquattata nei boschi, preparandosi al prossimo attacco. L’amministratore delegato era Reuben Massey. Cresciuto nella società, guidava la Varrick da molti anni, le aveva fatto superare momenti travagliati e sempre con profitti impressionanti. La Varrick era in
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costante stato di guerra con gli avvocati specializzati in richieste di risarcimento danni e, mentre altre industrie farmaceutiche languivano o affondavano sotto ondate di cause, Massey riusciva sempre a fare la felicità dei suoi azionisti. Sapeva quando combattere, quando arrivare a un accordo, come cavarsela a buon mercato e come soddisfare l’avidità dei legali facendo contemporaneamente risparmiare tonnellate di denaro alla sua società. Nel corso del suo mandato Massey era sopravvissuto a 1) un accordo stragiudiziale da quattrocento milioni di dollari per una crema adesiva per dentiere che provocava avvelenamento da zinco; 2) un accordo da quattrocentocinquanta milioni di dollari per un ammorbidente fecale che aveva prodotto l’effetto opposto a quello sperato; 3) un accordo da settecento milioni di dollari per un anticoagulante che aveva rovinato migliaia di fegati; 4) un accordo da un miliardo e duecento milioni per un analgesico specifico per l’emicrania accusato di provocare pressione alta; 5) un accordo da due miliardi e duecento milioni per una pillola per la pressione accusata di provocare emicrania; 6) un accordo da due miliardi e trecento milioni per un analgesico che dava immediatamente dipendenza e, il peggiore di tutti, 7) un accordo da tre miliardi di dollari per una pillola dimagrante che causava cecità. Era un lungo, triste elenco, e la Varrick Labs l’aveva pagata cara davanti al tribunale dell’opinione pubblica. Reuben Massey, però, continuava a rammentare alle sue truppe le centinaia di farmaci innovativi ed efficaci creati dalla società e venduti in tutto il mondo. Ciò di cui non parlava, se non nella sala del consiglio di amministrazione, era il fatto che la Varrick aveva tratto profitti anche da ogni farmaco preso di mira dagli avvocati dei consumatori. Fino a quel momento la società aveva vinto le sue battaglie, anche dopo aver dovuto sborsare enormi somme in accordi stragiudiziali. Quella del Krayoxx, però, poteva essere una storia diversa. Al momento le cause intentate erano quattro: la prima a Fort Lauderdale, la
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seconda a Chicago e adesso altre due in Texas e a Brooklyn. Massey seguiva con grande attenzione i lavori e le attività dell’associazione degli avvocati specializzati in azioni collettive. Tutti i giorni incontrava i legali interni della società per studiare le cause, leggere le riviste, le newsletter e i blog degli avvocati di settore e per parlare con altri suoi consulenti in grandi studi sparsi in tutto il paese. Uno dei segnali più rivelatori del fatto che all’orizzonte si stesse profilando una guerra era la pubblicità televisiva: quando gli avvocati cominciavano a bombardare l’etere con le loro sordide sollecitazioni – “Diventa ricco subito” –, Massey capiva che dietro l’angolo lo aspettava l’ennesimo, costosissimo scontro. Gli annunci Krayoxx stavano spuntando dappertutto. L’offensiva era cominciata. In passato Massey aveva combattuto altre battaglie per la Varrick. La pillola per l’emicrania era stata un enorme fiasco e lui ancora si malediceva per averne accelerato al massimo, di prepotenza, ricerche e approvazioni. L’anticoagulante per poco non l’aveva fatto licenziare. Ma non aveva dubbi sul Krayoxx, e mai ne avrebbe avuti. La Varrick aveva investito quattro miliardi di dollari nello sviluppo del farmaco, che era stato ampiamente sperimentato con test clinici in paesi del Terzo mondo con risultati straordinari. La ricerca era stata lunga e accurata. Il pedigree del Krayoxx era impeccabile. Quel farmaco non provocava più infarti e ictus di una pillola di vitamine, e la Varrick aveva montagne di dati per dimostrarlo. Il briefing legale quotidiano si teneva alle nove e trenta precise nella sala del consiglio d’amministrazione della Varrick, al quinto piano di un edificio che sembrava un silo per il grano del Kansas. Reuben Massey era un fanatico della puntualità e alle nove e quindici i suoi otto avvocati interni erano già ai loro posti. La squadra legale era guidata da Nicholas Walker, ex procuratore, ex avvocato di Wall Street e
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attuale eminenza grigia dietro ogni barricata difensiva eretta dalla Varrick. Quando le class action cominciavano a piovere dal cielo come bombe a grappolo, Walker e Reuben Massey trascorrevano ore e ore insieme, reagendo con freddezza, analizzando, programmando e, se necessario, contrattaccando. Massey entrò nella sala alle nove e venticinque, prese in mano l’agenda e chiese: «Ci sono novità?». «Krayoxx o Faladin?» domandò Walker. «Accidenti, mi ero quasi scordato del Faladin. Restiamo sul Krayoxx, per il momento.» Il Faladin era una crema antirughe accusata di provocare nuove rughe, secondo quanto sostenevano alcuni azzeccagarbugli della costa occidentale. La controversia non era ancora esplosa, soprattutto perché i legali avevano difficoltà a quantificare le rughe, prima e dopo l’uso della crema. «Be’, la diga è crollata» disse Nicholas Walker. «La valanga sta rotolando giù per la montagna... scegli la metafora che preferisci. Si sta scatenando l’inferno. Ieri ho fatto due chiacchiere con Alisandros dello studio Zell & Potter, mi ha confidato che sono sommersi da nuovi casi. Si muoverà perché tutti i procedimenti del paese vengano unificati in un’unica causa multidistrettuale in Florida e per assumere il comando della situazione.» «Alisandros. Come mai a ogni rapina saltano sempre fuori gli stessi ladri?» disse Massey. «Non abbiamo regalato abbastanza soldi a quella gente negli ultimi vent’anni?» «Evidentemente no. Alisandros si è fatto un suo campo da golf, riservato esclusivamente agli avvocati Zell & Potter e a pochi fortunati amici. Mi ha invitato ad andare a giocare da lui. Diciotto buche.»
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«Per favore, Nick, vai. Dobbiamo vedere con quanta saggezza quei delinquenti investono i nostri soldi.» «Va bene. Ieri pomeriggio, sul tardi, ho ricevuto una telefonata da Amanda Petrocelli di Reno. Mi ha detto di essersi procurata qualche caso di morte, di avere messo insieme una class action e che depositerà l’atto di citazione oggi o al massimo domani. Io le ho risposto che a noi non importa molto sapere quando deposita. Possiamo aspettarci altre citazioni in settimana e anche nella prossima.» «Il Krayoxx non provoca infarti o ictus» dichiarò Massey. «Io credo in quel farmaco.» Gli otto avvocati annuirono, tutti d’accordo. Reuben Massey non era tipo da fare dichiarazioni spavalde o false. Sulla crema Faladin aveva dei dubbi, e prima o poi la Varrick avrebbe negoziato un accordo per qualche milione, ben prima di arrivare a un processo. Il numero due della squadra legale era Judy Beck, un’altra veterana delle guerre per i risarcimenti danni. «La pensiamo tutti come te, Reuben» disse la donna. «I nostri dati scientifici sono migliori dei loro, sempre che ne abbiano. I nostri esperti sono migliori. I nostri studi sono migliori. I nostri avvocati saranno migliori. Forse è arrivato il momento di passare al contrattacco e di scaricare sul nemico tutto ciò che abbiamo a disposizione.» «È esattamente il mio pensiero, Judy» disse Massey. «Voi ragazzi avete già una strategia?» «È in via di sviluppo» rispose Nicholas Walker. «Per il momento procediamo come d’abitudine, rilasciamo le solite dichiarazioni e aspettiamo di vedere chi ci fa causa e dove. Esaminiamo tutti gli atti, studiamo giudici e giurisdizioni e poi scegliamo il posto giusto. E quando le stelle saranno tutte allineate come si deve, l’attore giusto, la città
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giusta, il giudice giusto, assumeremo il pistolero più veloce della contea e insisteremo per andare a processo.» «Piani del genere in passato ci sono scoppiati fra le mani» fece notare Massey. «Non dimenticare il Klervex: ci è costato due miliardi.» La pillola miracolosa per la pressione alta era sembrata destinata a gloria eterna, ma poi migliaia di pazienti avevano cominciato a lamentare emicranie tremende. Massey e i suoi avvocati, che credevano nel farmaco, avevano sfidato la sorte con il primo processo con giuria, in cui si aspettavano una vittoria clamorosa che avrebbe smorzato l’entusiasmo dei legali specializzati in richieste di risarcimento danni e fatto risparmiare montagne di denaro alla Varrick. La giuria, però, l’aveva pensata in modo diverso, riconoscendo all’attore un risarcimento di venti milioni di dollari. «Il Krayoxx non è il Klervex» disse Walker. «È un farmaco molto migliore, e le motivazioni delle varie cause sono molto più deboli.» «Sono d’accordo» affermò Massey. «Il tuo piano mi piace.»
15 Almeno due volte l’anno, e anche più spesso se possibile, l’onorevole Anderson Zinc e la sua adorabile moglie Caroline partivano in auto da casa, a St Paul, e andavano a Chicago, in visita al loro unico figlio maschio e alla sua adorabile moglie, Helen. Anderson era capo della corte suprema del Minnesota, carica che aveva l’onore di ricoprire da quattordici anni. Caroline insegnava arte e fotografia in una scuola privata di St Paul. Le loro due figlie minori frequentavano ancora il college. Il padre del giudice Zinc, il nonno di David, era una leggenda: si chiamava Woodrow e, a ottantadue anni, lavorava ancora sodo alla guida dello studio di duecento avvocati che aveva fondato cinquant’anni prima a Kansas City. Gli Zinc avevano radici profonde in quella città, ma non così profonde da impedire ad Anderson e a suo figlio di fuggire per evitare di lavorare per il vecchio Woodrow. Non avevano voluto saperne del suo studio, se n’erano andati da Kansas City e questo aveva provocato uno strappo che solo ora cominciava a ricucirsi. Un altro strappo andava profilandosi all’orizzonte. Il giudice Zinc non capiva l’improvviso cambiamento di carriera di suo figlio e voleva fare luce sulla faccenda. Arrivò con la moglie Caroline di sabato pomeriggio, in tempo per un pranzo un po’ ritardato. Entrambi rimasero piacevolmente sorpresi nel trovare David a casa. Di solito era in ufficio, in un alto grattacielo del centro. In occasione di una visita l’anno prima non erano praticamente riusciti a vederlo: era tornato a casa il sabato dopo mezzanotte e cinque ore dopo se n’era andato per tornare in studio.
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Quel giorno invece David era in cima a una scala, occupato a pulire le grondaie. Scese immediatamente e corse a salutare i genitori. «Mamma, hai un aspetto splendido.» Sollevò sua madre da terra e la fece ruotare in aria. «Mettimi giù!» protestò Caroline. A suo padre David strinse la mano. Non ci furono abbracci: gli uomini di casa Zinc non si abbracciavano mai. Helen comparve dal garage e salutò i suoceri. Sia lei sia David sorridevano con aria un po’ stupida. Poi David finalmente annunciò: «Abbiamo una grande notizia». «Sono incinta!» proruppe Helen. «Voi due vecchietti state per diventare nonni» aggiunse David. Il giudice e sua moglie presero bene la notizia. Dopotutto erano entrambi vicini alla sessantina e molti dei loro amici erano già nonni. Helen aveva trentatré anni, due più di David, e, insomma, era ora, no? I futuri nonni assimilarono la notizia, si rallegrarono, si congratularono e chiesero ulteriori dettagli. Helen cominciò a parlare a valanga, David scaricò i bagagli ed entrarono tutti in casa. Dopo un po’, durante il pranzo, l’argomento bambino si esaurì e il giudice Zinc andò finalmente al punto. «Parlami del tuo nuovo studio, David.» David era perfettamente consapevole che suo padre aveva scavato e scavato, scoprendo tutto quel poco che c’era da sapere su Finley & Figg. «Oh, Andy, adesso non cominciare con questa storia» disse Caroline, come se “questa storia” fosse un tema sgradevole, da evitare. Caroline era d’accordo con il marito sul fatto che il figlio aveva commesso un grave errore, ma la notizia della gravidanza di Helen aveva cambiato tutto, almeno per la futura nonna.
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«Te l’ho già raccontato al telefono» disse David, che in realtà era ansioso di affrontare l’argomento e farla finita il più presto possibile. Era anche pronto a difendersi, a litigare, se necessario. Suo padre aveva scelto una carriera che non era quella che voleva il vecchio Woodrow. David aveva fatto la stessa cosa. «È un piccolo studio, solo due avvocati generici. Cinquanta ore alla settimana, il che mi dà il tempo di folleggiare con mia moglie e tramandare così il nostro cognome. Dovresti essere orgoglioso.» «Io sono felicissimo che Helen sia incinta, ma non sono sicuro di avere capito bene la tua decisione. Lo studio Rogan Rothberg è uno dei più prestigiosi al mondo. Ha formato giudici, accademici, diplomatici, leader di governo e dell’imprenditoria. Come hai potuto andartene?» «Non me ne sono semplicemente andato, papà: sono scappato di corsa. E non ho intenzione di tornare indietro. Detesto anche solo il ricordo di Rogan Rothberg e ho un’opinione ancora peggiore della gente che ci lavora.» Parlavano mentre mangiavano. L’atmosfera era cordiale. Andy aveva promesso a Caroline che non avrebbe provocato una lite. Lo stesso aveva fatto David con Helen. «Quindi questo tuo nuovo studio ha due soli soci?» chiese il giudice. «Due soci e, adesso, tre avvocati. Più Rochelle, segretaria, receptionist e un mucchio di altre cose.» «Personale di supporto? Impiegati, paralegali, interni?» «Si occupa di tutto Rochelle. È un piccolo studio, ognuno di noi provvede da solo a scrivere i propri documenti al computer e a farsi le proprie ricerche.»
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«È sempre a casa per cena» intervenne Helen. «Non l’ho mai visto così felice.» «In effetti vi vedo molto bene. Tutti e due» riconobbe Caroline. Il giudice non era abituato a essere in minoranza, o a subire manovre di accerchiamento. «Quei due soci... sono specializzati in dibattimenti in aula?» «Loro dicono di sì, ma io ho i miei dubbi. Sostanzialmente sono due cacciatori di ambulanze, che fanno parecchia pubblicità e sopravvivono grazie agli incidenti stradali.» «Cosa ti ha spinto a scegliere proprio loro?» David lanciò un’occhiata a Helen, che distolse lo sguardo sorridendo. «Quella, papà, è una lunga storia con la quale non ti voglio annoiare.» «Oh, non è per niente noiosa» disse Helen, trattenendo a stento una risata. «Quanto incassano?» chiese il giudice. «Lavoro con loro da tre settimane. Non mi hanno mostrato i libri contabili, ma di certo non sono ricchi. E sono sicuro che vuoi sapere quanto guadagno io. Stessa risposta: non lo so. Ho diritto a una fetta dei guadagni che procuro allo studio, e non ho idea di quello che potrò trovare domani.» «E stai mettendo su famiglia?» «Sì, e sarò a casa a cena con la mia famiglia, sarò presente alle partite di baseball dei bambini, ai raduni degli scout, alle recite scolastiche e a
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tutte le altre cose meravigliose che si suppone i genitori facciano insieme ai loro figli.» «Io c’ero, David. È pochissimo quello che mi sono perso.» «Sì, c’eri. Ma tu non hai mai lavorato per degli schiavisti come Rogan Rothberg.» Ci fu una pausa, mentre tutti riprendevano fiato. Poi David disse: «Helen e io abbiamo risparmiato molto. Sopravvivremo senza problemi, vedrai». «Ne sono certa» dichiarò sua madre, cambiando completamente bandiera e schierandosi contro il marito. «Non ho ancora cominciato a preparare la stanza per il bambino» disse Helen a Caroline. «Se ti va, potremmo andare in un negozio qui dietro l’angolo e dare un’occhiata insieme alla carta da parati.» «Perfetto.» Il giudice si tamponò gli angoli della bocca con il tovagliolo e disse: «Al giorno d’oggi l’addestramento tipo marine per i giovani associati rientra nella routine, David. Se riesci a sopravvivere e diventi socio, a quel punto la vita è bella». «Io non mi sono arruolato nei marine, papà, e la vita non è mai bella in uno studio enorme come Rogan perché i soci non fanno mai abbastanza soldi. Io li conosco, quelli. Li ho visti. In generale sono grandi avvocati e uomini miserabili. Me ne sono andato e non torno indietro. Lascia perdere, papà.» Era il primo lampo di rabbia nel corso del pranzo, e David se la prese con se stesso. Bevve qualche sorso d’acqua minerale e mangiò un po’ d’insalata di pollo.
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Suo padre sorrise, mangiò un boccone a sua volta e masticò a lungo. Helen chiese notizie delle due sorelle di David, e Caroline colse al volo l’opportunità per cambiare argomento. Al dessert, il giudice chiese gentilmente: «Di che ti stai occupando?». «Un mucchio di cose interessanti. Questa settimana ho redatto il testamento di una signora che nasconde i propri beni ai figli. Loro sospettano che la madre abbia ereditato una certa somma dal suo terzo marito, ed è la verità, ma a quanto pare non riescono a trovare i soldi. La signora vuole lasciare tutto al suo fattorino della FedEx. Poi rappresento una coppia gay che vuole adottare un bambino coreano. Ho due casi di espulsione dagli Stati Uniti che riguardano immigrati clandestini messicani rimasti impigliati in un giro di droga. Rappresento anche la famiglia di una quattordicenne crack-dipendente da due anni per la quale non si riesce a trovare un posto dove possa disintossicarsi. Più un paio di casi di guida in stato di ebbrezza.» «Mi sembra tutta roba di scarto» commentò il giudice. «No, sono persone vere con problemi veri che hanno bisogno di aiuto. È questo il bello del lavoro degli avvocati di strada: parli con i clienti faccia a faccia, arrivi a conoscerli e, se le cose vanno bene, li aiuti concretamente.» «Se non muori di fame.» «Non morirò di fame, papà, te lo prometto. E poi ogni tanto capita che avvocati del genere facciano il colpo grosso.» «Lo so, lo so. Li ho visti quando andavo in aula e adesso vedo le loro cause in appello. La settimana scorsa abbiamo confermato un verdetto emesso dalla giuria per nove milioni di dollari. Un caso terribile che riguardava un bambino con lesioni cerebrali per avvelenamento da
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piombo provocato da certi giocattoli. Il legale che lo rappresentava era un avvocato “solista” che in precedenza aveva difeso la madre per guida in stato di ebbrezza. Ha ottenuto il caso, ha chiamato un collega specialista per dibattere la causa in aula e adesso i due avvocati si dividono a metà il quaranta per cento di nove milioni.» I numeri rimbalzarono sul tavolo per qualche minuto. «Qualcuno vuole il caffè?» chiese Helen. Tutti declinarono l’offerta e si spostarono in soggiorno. Dopo un po’ Helen e Caroline andarono a ispezionare la stanza degli ospiti, che stava per trasformarsi in nursery. Quando le due donne furono fuori portata, il giudice lanciò il suo attacco finale: «Uno dei miei assistenti ha letto per caso un articolo riguardante la controversia Krayoxx. Ha visto la tua foto in rete, quella del “Tribune”, insieme a Mr Figg. È un tipo a posto?». «Non proprio» ammise David. «Infatti non ne ha l’aria.» «Diciamo soltanto che Wally è una persona complicata.» «Non sono sicuro che la tua carriera possa progredire molto, se resti con quella gente.» «Può darsi che tu abbia ragione, papà. Ma per il momento mi sto divertendo. La mattina vado a lavorare con piacere. Mi piacciono i miei clienti, quei pochi che ho, e sono enormemente sollevato dal fatto di essere scappato dai lavori forzati. Rilassati, okay? Se questa cosa non funziona, proverò qualcos’altro.» «Come mai siete coinvolti in questa controversia Krayoxx?»
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«Abbiamo trovato alcuni casi.» David sorrise al pensiero della reazione di suo padre se gli avesse detto la verità sulla ricerca dei clienti. Wally e la sua .44 Magnum. Wally che offriva bustarelle in contanti per la segnalazione di altri potenziali clienti. Wally che si lavorava il giro delle pompe funebri. No, c’erano cose che suo padre non doveva sapere. «Hai fatto ricerche sul Krayoxx?» chiese il giudice. «Le sto facendo. E tu?» «In effetti, sì. Gli avvocati trasmettono i loro spot televisivi anche in Minnesota. Quel farmaco sta richiamando un’enorme attenzione. A me dà l’idea dell’ennesimo imbroglio tramite azione collettiva. Ammucchia una montagna di cause finché il produttore del farmaco comincia a temere la bancarotta e poi negozia un enorme accordo transattivo che renderà gli avvocati ancora più ricchi e consentirà al produttore di restare in affari. E in tutta la confusione si perde di vista il punto della responsabilità civile, per non parlare di ciò che è meglio per i consumatori.» «È un riassunto abbastanza esatto» ammise David. «Quindi non sei del tutto convinto del caso?» «Non ancora. Mi sono studiato un migliaio di pagine e non ho ancora trovato la cosiddetta pistola fumante, la ricerca in grado di dimostrare che quel farmaco fa male alla gente. Non sono sicuro che sia così.» «Allora perché hai messo il tuo nome sull’atto di citazione?» David fece un respiro profondo e rifletté per un momento. «Wally me l’ha chiesto e, dato che sono nuovo nello studio, mi sono sentito in obbligo di unirmi alla festa. Senti, papà, ci sono diversi potentissimi
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avvocati in giro per il paese che hanno intentato la stessa causa, convinti che il Krayoxx sia dannoso. Wally non ispira molta fiducia, ma altri avvocati sì.» «Quindi volete farvi rimorchiare?» «E restare attaccati con tutte le nostre forze.» «Attento a non farti male.» Le donne erano tornate e stavano organizzando una spedizione di shopping. David balzò in piedi e dichiarò di essere un appassionato di carta da parati. Il giudice si unì con riluttanza. David si era quasi addormentato, quando Helen si girò e chiese: «Sei sveglio?». «Adesso sì. Perché?» «I tuoi genitori sono divertenti.» «Sì. Ed è ora che se ne tornino a casa.» «Quel caso di cui ha parlato tuo padre, quello del bambino con l’avvelenamento da piombo...» «Helen, è mezzanotte passata.» «Il piombo era in un giocattolo e ha provocato danni cerebrali, giusto?» «Per quello che ricordo, sì. Dove porta questa conversazione, mia cara?»
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«C’è una signora che frequenta uno dei miei corsi. Si chiama Toni e la settimana scorsa, al sindacato studenti, abbiamo mangiato un panino veloce insieme. È un po’ più vecchia di me, ha figli già al liceo e ha una governante che viene dalla Birmania.» «Affascinante. Ora possiamo dormire?» «Ascoltami, per favore. La governante ha un nipote, che in questo momento è in ospedale perché ha riportato danni cerebrali. È in coma, attaccato a un respiratore, e la situazione è disperata. I medici sospettano che si tratti di avvelenamento da piombo e hanno chiesto alla governante di cercare il piombo dappertutto. È possibile che una fonte sia tra i giocattoli del bambino.» David si mise a sedere e accese la luce.
16 La telefonata arrivò mentre Rochelle, seduta alla sua scrivania, si stava diligentemente documentando in rete sulla svendita di lenzuola in un vicino discount. Un certo Mr Jerry Alisandros di Fort Lauderdale desiderava parlare con Mr Wally Figg. Rochelle passò la comunicazione e riprese la sua ricerca online. Qualche minuto dopo, Wally uscì dal suo ufficio con aria tronfia e la sua nota espressione di autocompiacimento. «Ms Gibson, potrebbe per favore controllare i voli per Las Vegas nel weekend? Partenza venerdì verso mezzogiorno.» «Immagino di sì. Chi è che va a Las Vegas?» «Chi altri le ha chiesto dei voli per Las Vegas? Io, ecco chi ci va. Questo weekend ci sarà una riunione ufficiosa dei legali Krayoxx, all’MGM Grand. Quello al telefono era Jerry Alisandros, forse il più grande operatore del settore azioni collettive in tutto il paese. Ha detto che devo esserci. Oscar è arrivato?» «Sì. Credo che sia sveglio.» Wally bussò e aprì contemporaneamente la porta, che poi richiuse sbattendosela alle spalle. «Prego, entra pure» disse Oscar, alzando lo sguardo dai documenti sparsi sulla scrivania. Wally si lasciò cadere su una grande poltrona di pelle. «Ho appena ricevuto una telefonata da Zell & Potter di Fort Lauderdale. Mi vogliono a Las Vegas nel weekend per una riunione strategica ufficiosa sul Krayoxx. Ci saranno tutti gli avvocati del grosso giro per pianificare
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l’attacco. È cruciale. Discuteranno di processo unificato multidistrettuale, di quale causa far partire per prima e, soprattutto, di accordo stragiudiziale. Jerry pensa che probabilmente la Varrick vorrà chiudere in fretta questa partita.» Wally si stava sfregando le mani. «Jerry?» «Alisandros, il leggendario specialista in azioni collettive. Il suo studio ha incassato un miliardo di dollari solo con il Fen-Phen.» «Quindi tu vorresti andare a Las Vegas?» Wally si strinse nelle spalle, come se la cosa non gli importasse poi molto. «Non mi interessa chi ci va, ma è imperativo che qualcuno del nostro studio si sieda a quel tavolo. Parleranno di soldi, di accordi, di grana seria, Oscar. È possibile che tutto si concluda prima ancora di quanto pensassimo.» «E vuoi che lo studio ti paghi il viaggio a Las Vegas?» «Certo. Sono spese concernenti la causa.» Oscar frugò tra un mucchio di carte e trovò ciò che cercava. Sollevò il foglio e lo agitò in direzione del suo socio giovane. «Hai letto il memo di David? È di ieri sera. Riguarda la previsione dei costi della nostra causa Krayoxx.» «No, non sapevo che David...» «È un ragazzo molto brillante, Wally. Ha fatto i compiti a casa che avresti dovuto fare tu. Devi dargli un’occhiata perché fa paura. Abbiamo bisogno di almeno tre consulenti a bordo con noi. Subito, non la settimana prossima. Anzi, avremmo dovuto averli con noi prima ancora che tu depositassi la citazione. Il primo perito che ci serve è un
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cardiologo che possa spiegare la causa della morte di ognuno dei nostri amati clienti. Costo previsto per assumerne uno: ventimila dollari. E questo solo per la valutazione iniziale e la deposizione. Se poi il cardiologo dovrà testimoniare in aula, aggiungici altri ventimila dollari.» «Non arriveremo in aula.» «Questo è ciò che continui a ripetere. Il perito numero due è un farmacologo che possa spiegare in dettaglio alla giuria in che modo esattamente quel farmaco ha ucciso i nostri clienti. Cos’ha fatto ai loro cuori? Questo tizio costa anche di più: venticinquemila dollari subito, stessa cifra se dovesse deporre in aula.» «Mi sembra molto caro.» «È tutto molto caro. Numero tre, uno scienziato ricercatore che possa illustrare alla giuria i risultati del suo studio, studio che dimostrerà con prove schiaccianti che, in base alle statistiche, hai molte più probabilità di soffrire danni cardiaci se assumi il Krayoxx piuttosto che qualsiasi altro farmaco anticolesterolo.» «Conosco la persona giusta.» «McFadden, per caso?» «Proprio lui.» «Perfetto. McFadden ha redatto il rapporto che ha scatenato tutta questa frenesia, e adesso sembra un po’ riluttante a farsi coinvolgere nella controversia. Tuttavia, se uno studio legale gli riconoscerà un anticipo di cinquantamila dollari, è possibile che gli venga voglia di dare una mano.» «È oltraggioso!»
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«È tutto oltraggioso. Per favore, leggi cosa dice David nel suo memo: riassume le obiezioni contrarie a McFadden e al suo rapporto. Ci sono seri dubbi sul fatto che quel farmaco provochi realmente danni.» «Cosa ne sa David di cause in tribunale?» «E noi cosa ne sappiamo di cause in tribunale, Wally? Guarda che stai parlando con me, il tuo socio da una vita, non con un potenziale cliente. Noi abbaiamo, ringhiamo e minacciamo di trascinare i cattivi in un’aula di tribunale, ma tu sai la verità. Noi concludiamo sempre con un accordo stragiudiziale.» «E arriveremo a un accordo anche questa volta, Oscar. Fidati di me. Ne saprò molto di più quando tornerò da Las Vegas.» «Quanto costerà?» «Spiccioli, nel grande quadro generale.» «Wally, questa storia va oltre le nostre possibilità.» «Non è vero. Ci metteremo al traino dei grandi studi e faremo una fortuna.» Rochelle trovò una stanza molto più a buon mercato presso lo Spirit of Rio Motel, le cui foto nel relativo sito web mostravano viste mozzafiato dello Strip e davano l’impressione che i clienti si sarebbero trovati nel cuore di Las Vegas. Non era così, come Wally Figg si rese conto quando lo shuttle dell’aeroporto finalmente si fermò. Gli alti, slanciati hotel-casinò del centro erano visibili, ma distavano almeno un quarto d’ora. Wally maledisse Rochelle, mentre aspettava di registrarsi nell’atrio caldo come una sauna. All’MGM Grand una camera costava quattrocento dollari a notte. In quella discarica ne costava centoventicinque, un risparmio pari a due notti che copriva quasi per intero il
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costo del biglietto aereo. “Contiamo i centesimi mentre ci aspetta una fortuna” pensò Wally mentre saliva due rampe di scale per raggiungere la sua camera, tra l’altro piuttosto piccola. Non poteva noleggiare un’auto a causa della sospensione della patente. Si informò e venne a sapere che ogni trenta minuti c’era uno shuttle che dallo Spirit of Rio portava allo Strip. Giocò alle slot machine nell’atrio e vinse cento dollari. Forse quello era il suo weekend fortunato. Lo shuttle era stracolmo di pensionati in sovrappeso. Wally non trovò un posto a sedere e così, aggrappato ai sostegni, ondeggiò in piedi a contatto con corpi sudati. Guardandosi intorno si chiese quanti di quei passeggeri fossero vittime del Krayoxx. Il colesterolo alto abbondava sicuramente. Wally aveva i suoi biglietti da visita in tasca, come sempre, ma lasciò perdere. Vagò nel casinò per un po’, osservando con interesse una stupefacente varietà di persone che giocavano a blackjack, alla roulette, ai dadi e ad altri giochi che lui non aveva mai visto e che non aveva alcun desiderio di provare. Ammazzò un po’ di tempo a una slot machine e per due volte rispose di no all’avvenente cameriera che passava tra i giocatori offrendo cocktail. Wally stava cominciando a rendersi conto che un casinò era un posto tremendo per un alcolista in via di recupero. Alle diciannove raggiunse una sala all’ammezzato. La porta era bloccata da due guardie della sicurezza e Wally si sentì sollevato quando i due trovarono il suo nome sulla lista. All’interno della sala una ventina di uomini ben vestiti e tre donne eleganti chiacchieravano piacevolmente sorseggiando drink. Lungo una parete era stata allestita una cena a buffet. Diversi avvocati si conoscevano, ma Wally non era l’unico debuttante nel gruppo. Tutti comunque sembravano ricordare il suo nome, tutti erano al corrente della sua causa e ben presto cominciò a sentirsi a proprio agio. Jerry Alisandros andò a cercarlo e i due si
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strinsero la mano come vecchi amici. Altri avvocati si unirono a loro, poi si dispersero in piccoli gruppi. Si parlava di cause, di politica, delle ultime novità in materia di jet privati, di case nei Caraibi, di chi stava divorziando e di chi si stava risposando. Wally aveva ben poco da dire, ma resistette coraggiosamente e si dimostrò un ottimo ascoltatore. Gli specialisti in dibattimenti in aula preferivano essere loro a parlare e a volte parlavano tutti insieme. Wally era lieto di limitarsi a sorridere, ascoltare e sorseggiare il suo club soda. Dopo una rapida cena, Alisandros si alzò in piedi e prese la parola. Il programma prevedeva di ritrovarsi tutti l’indomani mattina alle nove, stessa sala, e di mettersi subito al lavoro. Riteneva che avrebbero finito entro mezzogiorno. Aveva parlato più volte con Nicholas Walker della Varrick e, ovviamente, la società era sotto shock da bombardamento. Nella sua lunga e pittoresca storia di controversie legali la Varrick non era mai stata colpita così in fretta e con tale forza da così tante cause. Alla Varrick stavano ancora annaspando nel tentativo di farsi un’idea dei danni. A parere degli esperti assunti da Alisandros, il potenziale bacino di morti e/o vittime di fatti lesivi poteva arrivare fino a mezzo milione di individui. Quest’ultima notizia – che implicava tanto dolore e sofferenza – venne accolta con piacere intorno al tavolo. Secondo un altro esperto di Alisandros il costo per la Varrick non sarebbe stato inferiore a cinque miliardi di dollari. Wally Figg era abbastanza sicuro di non essere l’unico tra i presenti impegnato in un veloce calcolo: quaranta per cento di cinque miliardi. Gli altri, però, sembravano ascoltare quasi con indifferenza. Un altro farmaco, un’altra guerra contro Big Pharma, un altro risarcimento di massa che li avrebbe resi ancora più ricchi. Avrebbero potuto comprare altri jet, altre case, altre mogli trofeo, beni che a Wally non interessavano
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affatto. Lui voleva soltanto un bel gruzzolo in banca, abbastanza denaro da rendergli la vita piacevole e libera dal tetro lavoro quotidiano. In una sala stracolma di ego debordanti, era solo questione di tempo prima che qualcun altro esigesse le luci della ribalta. Dudley Brill di Lubbock, in Texas, con tanto di stivali e tutti gli accessori di rito, si lanciò nel resoconto della recente conversazione che aveva avuto con un importantissimo avvocato difensore della Varrick con studio a Houston, il quale aveva lasciato intendere chiaramente che la società non intendeva negoziare un accordo prima di testare la questione della responsabilità civile davanti a qualche giuria. Pertanto, sulla base dell’analisi di una conversazione di cui nessun altro nella sala era al corrente, Brill era fermamente convinto che proprio lui dovesse attaccare con il primo processo e dovesse farlo nella sua città natale, dove i giurati avevano più volte dimostrato di amarlo e avrebbero riconosciuto somme di risarcimento enormi, se solo lui lo avesse chiesto. Era chiaro che Brill aveva bevuto, come tutti gli altri a eccezione di Wally, e la sua analisi interessata scatenò un furioso dibattito intorno al tavolo. Non passò molto tempo prima che iniziassero varie schermaglie, con grandi collere e scambi di insulti. Jerry Alisandros riuscì a riportare l’ordine. «Speravo che potessimo rimandare tutto questo a domani» disse diplomaticamente. «Adesso andiamo a dormire, ritiriamoci nei nostri rispettivi angoli e rivediamoci domani, sobri e riposati.» A giudicare dall’aspetto generale, non tutti gli avvocati erano andati a dormire la sera prima. Occhi gonfi, arrossati, mani che afferravano le caraffe dell’acqua o del caffè... I segnali dei postumi di sbornia non mancavano di certo. Non erano presenti neppure tutti gli avvocati della sera prima e, a mano a mano che la mattinata si consumava, Wally cominciò a rendersi conto che molte trattative erano state discusse davanti a un drink nel corso della notte. Erano stati conclusi
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patti, stipulate alleanze, pugnalate schiene. Si chiese quale fosse esattamente la sua posizione. Due esperti parlarono del Krayoxx e dei più recenti studi sul farmaco. Ogni legale parlò per qualche minuto delle proprie cause: numero di clienti acquisiti, numero di potenziali clienti deceduti o danneggiati, giudici, avvocati della controparte e trend dei verdetti nella rispettiva giurisdizione. Wally se la cavò con eleganza e parlò il meno possibile. Un esperto incredibilmente noioso illustrò in dettaglio la situazione finanziaria della Varrick Labs e dichiarò che la società era sufficientemente sana da poter sostenere le enormi perdite derivanti da un accordo per il Krayoxx. La parola “accordo” venne usata con molta frequenza e risuonava sempre piacevolmente nelle orecchie di Wally. Il medesimo esperto diventò ancora più tedioso quando passò ad analizzare le varie coperture assicurative di cui disponeva la Varrick. Dopo due ore Wally sentì il bisogno di una pausa. Uscì dalla sala e andò in bagno. All’uscita trovò Jerry Alisandros ad aspettarlo davanti alla porta. «Quando torni a Chicago?» «In giornata» rispose Wally. «Volo commerciale?» “Naturalmente” pensò Wally. “Io non ho un jet privato e di conseguenza, come la maggior parte degli americani poveri, sono costretto a pagare un biglietto per volare sul jet di qualcun altro.” «Certo» rispose con un sorriso. «Senti, Wally, oggi pomeriggio vado a New York. Vuoi un passaggio? Il mio studio ha appena comprato un Gulfstream G650 nuovo di zecca. Pranziamo in aereo e ti lascio a Chicago.»
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Ci sarebbe stato un prezzo da pagare, un patto da concludere, ma era quello che Wally comunque stava cercando. Aveva letto di ricchi avvocati e relativi aerei privati, ma non gli era mai passato per la mente che un giorno sarebbe salito su uno di essi come passeggero. «Molto gentile da parte tua. Con piacere.» «Vediamoci nell’atrio all’una, okay?» «Okay.» C’era una decina di jet privati allineata sulla pista del campo d’aviazione McCarran. Mentre seguiva il suo nuovo amico Jerry, Wally si chiese quanti di quegli aerei fossero di proprietà di altri specialisti in azioni collettive. Quando arrivarono al jet di Alisandros salì la scaletta, fece un respiro ed entrò nel sontuoso G650. Una stupenda ragazza asiatica gli prese il cappotto e gli domandò cosa desiderasse da bere. Club soda, grazie. Jerry Alisandros viaggiava accompagnato da un piccolo entourage: un associato, due paralegali e una specie di assistente. Il gruppo si riunì per qualche minuto in fondo alla cabina, mentre Wally si sistemava nella poltrona di pelle e pensava a Iris Klopeck e a Millie Marino, a quelle due meravigliose vedove i cui defunti coniugi lo avevano portato nel mondo dei risarcimenti danni e a bordo di un jet privato. La hostess gli porse un menu. In fondo alla cabina Wally intravide una cucina e uno chef in attesa. Mentre l’aereo rullava sulla pista, Jerry andò a sedersi di fronte a lui. «Allora, cosa te ne pare?» domandò, alzando le mani per indicare il suo ultimo giocattolo. «Di sicuro è meglio degli aerei di linea» rispose Wally. Jerry ululò una risata: era indubbiamente la battuta più divertente che avesse mai sentito.
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Una voce annunciò il decollo e tutti allacciarono le cinture. Mentre il jet si staccava dalla pista e schizzava in cielo, Wally chiuse gli occhi e cercò di assaporare il momento. Forse non si sarebbe ripetuto mai più. Non appena raggiunsero la quota di crociera Jerry prese vita. Fece scattare un interruttore e un tavolino di mogano si staccò dalla parete. «Parliamo di affari.» “È il tuo aereo” pensò Wally. «D’accordo.» «Quanti casi ti aspetti realisticamente di firmare?» «Possiamo arrivare forse a dieci casi di morte; al momento ne abbiamo otto. Di non-morte... non saprei. Abbiamo un bacino di parecchie centinaia di potenziali casi, ma non li abbiamo ancora esaminati e vagliati.» Jerry corrugò la fronte, come se quei numeri non fossero sufficienti, come se non valessero il suo tempo. Wally si chiese se avrebbe ordinato al pilota di tornare indietro, o magari di aprire un portellone da qualche parte. «Il vostro studio ha valutato la possibilità di fare squadra con uno più grosso?» domandò Jerry. «So che voi ragazzi non lavorate molto nel ramo risarcimenti di massa.» «Naturalmente sono pronto a discuterne» rispose Wally cercando di nascondere l’eccitazione. Quello era stato il suo piano fin dall’inizio. «I miei contratti prevedono una parcella forfettaria pari al quaranta per cento. Tu quanto vuoi?» «In un nostro accordo tipo noi anticipiamo tutte le spese, e questi non sono casi che costano poco. Troviamo noi i medici, i consulenti, i ricercatori, insomma, chiunque serva, ed è tutta gente che costa una fortuna. Prendiamo metà della parcella, il venti per cento, ma le spese devono esserci ripagate prima della divisione della parcella stessa.»
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«Mi sembra equo. E quale sarebbe il nostro ruolo in tutto questo?» «Semplice: trovate altri casi, di morte e di non-morte. Lunedì ti manderò una copia del nostro accordo. Sto cercando di mettere insieme il maggior numero possibile di casi. Il grosso passo successivo sarà la creazione di una CMD, una causa multidistrettuale. La corte nominerà un comitato processuale per le parti attrici, di solito cinque o sei avvocati esperti che controlleranno e gestiranno la causa. Questo comitato ha diritto a una parcella aggiuntiva, di solito intorno al sei per cento, che viene detratta dalla parte spettante agli avvocati.» Wally stava annuendo. Aveva fatto qualche ricerca e conosceva quei dettagli tecnici, o almeno la maggior parte. «Tu sarai nel comitato processuale?» domandò. «Probabilmente. Di solito ne faccio parte.» La hostess servì altri drink. Jerry bevve un sorso di vino e continuò: «Quando comincerà la procedura di esibizione del materiale probatorio delle parti manderemo qualcuno a darvi una mano per le deposizioni dei vostri clienti. Nessun problema, lavoro legale di routine. Tieni presente, Wally, che anche gli avvocati difensori vedono questa causa come una miniera d’oro, per cui si daranno parecchio da fare. Troverò un cardiologo del quale possiamo fidarci e sarà lui a esaminare i tuoi clienti per accertare i danni subiti. Lo pagheremo noi, con il nostro fondo cause. Domande?». «Non in questo momento» rispose Wally. Non gli faceva piacere regalare metà delle parcelle, ma era entusiasta di essere in affari con uno studio specializzato, ricco di esperienza e di soldi. Per Finley & Figg sarebbe comunque rimasto un bel po’ di denaro. Pensò a Oscar. Non vedeva l’ora di raccontargli del G650.
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«Qual è la tua ipotesi in merito alla tempistica?» domandò. In altri termini: quando posso aspettarmi un po’ di grana? Un lungo, soddisfatto sorso di vino e poi: «In base alla mia esperienza, che come sai è molto vasta, mi aspetto di arrivare a un accordo stragiudiziale entro dodici mesi e di cominciare a distribuire soldi subito dopo. Chi lo sa, Wally, tra un anno potresti avere anche tu il tuo aereo personale».
17 Nicholas Walker volò a Chicago in compagnia di Judy Beck e di altri due legali della Varrick a bordo di uno degli aerei privati della società, un Gulfstream G650 nuovo quanto quello che aveva tanto impressionato Wally. Scopo del viaggio era dare il benservito allo studio legale a cui si erano rivolti fino a quel momento e trovarne uno nuovo. Walker e il suo capo, Reuben Massey, avevano messo a punto i dettagli di un piano geniale per risolvere la crisi Krayoxx, e la prima grande battaglia si sarebbe svolta a Chicago. Prima, però, dovevano piazzare le persone giuste al posto giusto. Le persone sbagliate erano quelle dello studio che rappresentava la Varrick ormai da un decennio e il cui lavoro era sempre stato considerato di altissimo livello. Il difetto ora imputato non era colpa loro. In base ad approfondite ricerche svolte da Walker e dalla sua squadra, era risultato che a Chicago c’era uno studio che aveva legami più stretti con il giudice Harry Seawright. E si dava il caso che quello studio annoverasse tra i suoi soci il miglior avvocato difensore della città. Si chiamava Nadine Karros, socia quarantaquattrenne specializzata in dibattimenti in aula che non perdeva un processo con giuria da undici anni. Più vinceva, più i suoi casi si facevano difficili e le sue vittorie più spettacolari. Dopo avere parlato con decine di avvocati che l’avevano avuta come avversaria in aula, e avevano perso, Nick Walker e Reuben Massey avevano deciso che Ms Karros sarebbe stata a capo della difesa per il Krayoxx. E non importava quanto sarebbe venuto a costare. Come prima cosa, però, dovevano convincerla. Nel corso di una lunga teleconferenza, Ms Karros era sembrata incerta di fronte alla proposta di farsi carico di un caso che, giorno dopo giorno, stava diventando
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sempre più grosso. Aveva già fin troppo lavoro, la sua agenda processuale era piena eccetera. Non era mai stata coinvolta in un’azione collettiva, anche se come specialista processuale questo non era un grosso ostacolo. Walker e Massey sapevano che la sua recente serie di vittorie in aula comprendeva un’ampia gamma di delicate questioni: contaminazione di falde acquifere, negligenza ospedaliera, collisione in volo di due aerei di pendolari. Come avvocato difensore d’élite, Nadine Karros era in grado di trattare qualsiasi caso davanti a una giuria. Era socia dello studio Rogan Rothberg, sezione contenziosi, e disponeva di un ufficio d’angolo all’ottantacinquesimo piano della Trust Tower; l’ufficio vantava la vista sul lago, di cui però Ms Karros godeva raramente. Ricevette la squadra Varrick in un’ampia sala conferenze all’ottantaseiesimo piano e, dopo una rapida occhiata ammirata al lago Michigan, si prepararono tutti a quello che ritenevano sarebbe stato un meeting di due ore, come minimo. Sul suo lato del tavolo Ms Karros aveva schierato il solito plotone di giovani associati e paralegali, un entourage di schiavi serissimi pronti a chiedere “A che altezza?” non appena lei avesse ordinato “Saltate!”. Alla sua sinistra sedeva un socio di nome Hotchkin, il suo braccio destro. Più tardi, nel corso di una conversazione telefonica con Massey, Nicholas Walker avrebbe riferito: “È molto attraente. Lunghi capelli neri, mento volitivo, bei denti, splendidi occhi nocciola, così espressivi e invitanti da farti pensare: ‘Ecco, questa è la donna che voglio presentare alla mamma’. Una personalità molto piacevole, un bel sorriso. Voce profonda e impostata, quasi da cantante d’opera. È facile capire perché piace tanto ai giurati. Comunque è tosta, Reuben, su questo non ci sono dubbi. Prende il comando e impartisce ordini, e l’impressione è che tutti quelli intorno a lei le siano assolutamente devoti. Non mi piacerebbe per niente trovarmela contro in tribunale”. “Allora è lei la persona giusta?” aveva chiesto Massey.
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“Non c’è il minimo dubbio. Mi sono sorpreso ad attendere con ansia che cominci il processo solo per vederla in azione.” “Gambe?” “Oh, sì. Pacchetto completo. Slanciata, vestita come una modella su una rivista di moda. Devi conoscerla al più presto, Reuben.” Era il suo territorio, e di conseguenza Ms Karros assunse rapidamente il controllo della riunione. Annuì in direzione di Hotchkin e disse: «Mr Hotchkin e io abbiamo sottoposto la vostra proposta al nostro ufficio amministrativo. Il mio compenso sarà di mille dollari l’ora fuori dal tribunale e di duemila in aula, più un pagamento iniziale di cinque milioni di dollari. Non rimborsabile, naturalmente». Nicholas Walker negoziava parcelle con avvocati d’élite da vent’anni ed era a prova di shock. «E gli altri soci?» chiese con calma, come se la sua società potesse pagare qualsiasi cifra Ms Karros avesse sparato. E in effetti era così. «Ottocento dollari l’ora. Cinquecento per gli associati.» «D’accordo» disse Walker. Tutti in quella sala sapevano che il costo della difesa alla fine sarebbe arrivato a diversi milioni. Walker e la sua squadra avevano già elaborato una stima iniziale intorno ai venticinque, trenta milioni. Noccioline, se ti aspetti che ti facciano causa per miliardi. Sgombrato il campo dall’argomento denaro, passarono al punto seguente. Fu Nicholas Walker a prendere la parola: «La nostra strategia è semplice e, al tempo stesso, complicata. Semplice in quanto sceglieremo una causa tra le migliaia intentate contro di noi, un caso individuale, non una class action, e spingeremo con tutte le forze per andare a processo. Noi vogliamo un processo. Non ne abbiamo paura
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perché crediamo nel nostro farmaco. Possiamo dimostrare che le ricerche su cui si basano i ragazzi specializzati in risarcimenti danni sono profondamente errate. Siamo sicuri che il Krayoxx faccia esattamente ciò che deve fare e che non aumenti il rischio di infarto o di ictus. Ne siamo convinti, così convinti da volere che una giuria, proprio qui a Chicago, ascolti i nostri dati e li ascolti presto. Siamo certi che la giuria crederà a noi, e una volta bocciato l’attacco al Krayoxx e ottenuto un pronunciamento a nostro favore il campo di battaglia subirà un cambiamento strutturale. Gli avvocati delle controparti si disperderanno come foglie al vento. Batteranno in ritirata. Forse potrà essere necessario un secondo processo, ma ne dubito, e in ogni caso sarà un’altra vittoria. In breve, Ms Karros, li colpiamo duro e subito con un processo con giuria, vinciamo e loro se ne vanno tutti a casa». Ms Karros ascoltava senza prendere appunti. Quando Walker ebbe concluso, disse: «In effetti è molto semplice, e non proprio originale. Perché Chicago?». «Il giudice. Harry Seawright. Abbiamo svolto ricerche su ogni giudice di ogni causa Krayoxx finora intentata e riteniamo che Seawright sia il nostro uomo. Ha sempre dimostrato scarsa pazienza nei confronti delle azioni collettive. Disprezza le cause inconsistenti e le citazioni spazzatura. Si serve della sua Agenda razzo perché la fase di esibizione del materiale probatorio delle parti venga sbrigata in fretta e si vada subito a processo. Non permette che le sue cause se ne stiano a prendere la polvere. Il suo nipote preferito si cura con il Krayoxx. E, cosa più importante, il suo amico più caro è l’ex senatore Paxson, il quale ha un ufficio all’ottantatreesimo piano, mi pare, proprio qui da Rogan Rothberg.» «Sta dicendo che noi potremmo in qualche modo influenzare un giudice federale?» chiese Ms Karros, inarcando appena le sopracciglia.
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«Naturalmente no» rispose Walker, con un sorriso furbo. «E qual è la parte complicata del suo piano?» «Il depistaggio. Vogliamo dare l’impressione che la Varrick intenda arrivare a un accordo stragiudiziale per tutte le cause Krayoxx. È qualcosa che abbiamo fatto fin troppo spesso, mi creda, per cui sappiamo parecchio di accordi transattivi di massa. Conosciamo l’avidità degli avvocati specialisti, che è enorme, al di là di ogni immaginazione. Una volta convinti che stanno per piovere miliardi di dollari, andranno in estasi. Con un accordo stragiudiziale all’orizzonte, per loro la preparazione di un processo diventerà molto meno importante. Perché prendersi la briga di organizzarsi, visto che le cause stanno per essere risolte amichevolmente? Invece noi, cioè lei, staremo lavorando diligentemente per il processo. Secondo il nostro piano il giudice Seawright farà schioccare la frusta e la causa procederà in fretta. Al momento giusto i negoziati per l’accordo stragiudiziale si interromperanno, gli avvocati della controparte si ritroveranno nel caos e noi aspetteremo con calma un processo di cui Seawright si rifiuterà di spostare la data d’inizio.» Nadine Karros stava annuendo con un sorriso. Lo scenario le piaceva. «Sono sicura che ha già una causa specifica in mente.» «Oh, sì. La prima causa Krayoxx, che è stata intentata proprio qui a Chicago da un divorzista di nome Wally Figg. Non un granché come avvocato, studio legale di tre persone, una stamberga d’ufficio nel Southwest Side. Esperienza processuale quasi nulla e assolutamente nessuna nell’arena delle azioni risarcitorie. Adesso Figg ha fatto squadra con un avvocato di Fort Lauderdale, Jerry Alisandros, un’antica nemesi il cui unico scopo nella vita è fare causa alla Varrick almeno una volta all’anno. Alisandros è una forza.»
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«Sa dibattere in aula?» chiese Nadine, che stava già pensando al processo. «Il suo studio è Zell & Potter, che dispone di alcuni avvocati processuali molto competenti. Ma è raro che arrivino in aula. La loro specialità consiste nel costringere la controparte all’accordo stragiudiziale e nell’incassare parcelle enormi. A questo punto non abbiamo idea chi possa presentarsi qui a Chicago per occuparsi concretamente del processo. Potrebbero anche decidere di appoggiarsi a un avvocato locale.» Alla sinistra di Walker, Judy Beck si schiarì la voce e, un po’ nervosamente, disse: «Alisandros ha già presentato un’istanza per chiedere di unificare tutti i procedimenti Krayoxx in una CMD, una causa multidistrettuale, e...». «Sappiamo cos’è una CMD» intervenne seccamente Hotchkin. «Naturalmente. Alisandros ha un suo giudice preferito nel Sud della Florida e il suo modus operandi è creare la CMD, farsi inserire nel comitato legali attori e assumere il controllo della causa. Ovviamente riceve un compenso extra per la partecipazione al comitato.» Nick Walker riprese la sua esposizione: «All’inizio ci opporremo a ogni tentativo volto a unificare le cause. Il nostro piano è scegliere uno dei clienti di Mr Figg e convincere il giudice Seawright ad assegnare la causa alla sua Agenda razzo». «E se il giudice della Florida ordina che le cause vengano unificate e trasmesse a lui?» domandò Hotchkin. «Seawright è un giudice federale» rispose Walker. «L’atto di citazione in giudizio è stato depositato presso il suo tribunale. Se vuole celebrare il processo qui, nessuno, neppure la corte suprema, può ordinargli di fare diversamente.»
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Nadine Karros stava scorrendo rapidamente un riassunto che era stato distribuito dalla squadra Varrick. «Quindi, se ho ben capito» cominciò «scegliamo uno dei defunti clienti di Mr Figg e convinciamo il giudice Seawright a isolare quel particolare caso dal gruppo. Poi, presumendo che il giudice accetti, reagiamo alla causa in modo piuttosto morbido, non riconosciamo niente, emettiamo blandi comunicati, non creiamo problemi durante l’esibizione del materiale probatorio delle parti perché non vogliamo rallentare il procedimento, prendiamo qualche deposizione, diamo agli avvocati della controparte tutta la documentazione che vogliono e in pratica li portiamo per mano sul sentiero dei sogni finché non si svegliano e si rendono conto di ritrovarsi con un vero processo tra le mani. Nel frattempo lei li cullerà in un falso senso di sicurezza e nell’illusione dell’ennesimo jackpot.» «Proprio così» confermò Nick Walker. «Esattamente.» Discussero per quasi un’ora dei clienti deceduti di Mr Figg: Chester Marino, Percy Klopeck, Wanda Grand, Frank Schmidt e altri quattro. Non appena avessero presentato formalmente la loro denuncia, Ms Karros e la sua squadra avrebbero ascoltato le deposizioni dei legali rappresentanti degli otto defunti e, dopo avere avuto la possibilità di osservare e valutare, avrebbero deciso quale caso scegliere e spingere verso il processo. La questione relativa al giovane David Zinc venne liquidata rapidamente. Anche se aveva lavorato per cinque anni presso Rogan Rothberg, non era più dipendente dello studio. Non esisteva alcun conflitto di interessi perché in quei cinque anni lo studio non aveva mai rappresentato la Varrick, né Zinc aveva rappresentato i clienti defunti. Nadine Karros non l’aveva mai conosciuto; in effetti, solo uno degli associati che le sedevano accanto si ricordava di lui. Zinc aveva lavorato alla finanza internazionale, una distanza stellare dalle cause in tribunale.
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David adesso lavorava nel mondo degli avvocati di strada ed era felice di essere lontanissimo dalla finanza internazionale. In quei giorni gran parte dei suoi pensieri era rivolta alla governante birmana e al suo nipotino, avvelenato dal piombo. David aveva un nome, un numero di telefono e un indirizzo, ma contattare la famiglia era stato piuttosto difficile. Toni, l’amica di Helen, aveva spiegato alla nonna che la famiglia avrebbe fatto bene a consultare un avvocato, ma il suggerimento aveva terrorizzato la povera donna al punto da farla quasi piangere. Era emotivamente svuotata, confusa e, per il momento, inavvicinabile. Il nipotino era sempre in coma. David aveva preso in considerazione l’idea di parlare del caso ai suoi due soci, ma l’aveva scartata in fretta. Wally avrebbe potuto fare irruzione nella stanza d’ospedale e spaventare tutti a morte. Oscar avrebbe potuto insistere per prendersi il caso e poi esigere una percentuale extra in caso di accordo stragiudiziale. Come David stava imparando, i due soci non dividevano le entrate in parti uguali e, a sentire Rochelle, litigavano sempre per via delle parcelle. All’avvocato che aveva preso il contatto iniziale con il cliente veniva riconosciuto un certo numero di punti, altri punti ancora per quello che si lavorava la pratica e così via. Sempre secondo Rochelle, Oscar e Wally litigavano sulla ripartizione praticamente per ogni incidente stradale appena appetibile. David era alla scrivania e stava redigendo un semplice testamento per un nuovo cliente – scrivendoselo da solo al computer perché Rochelle lo aveva informato già settimane prima che tre avvocati erano troppi per una segretaria sola – quando udì l’avviso dell’arrivo di un’e-mail. Era una comunicazione del cancelliere della corte federale. David l’aprì e trovò la comparsa di risposta. Gli occhi corsero subito a cercare il nome dell’avvocato della controparte: Nadine Karros, studio legale Rogan Rothberg. Si sentì svenire.
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David non l’aveva mai vista, ma di sicuro la conosceva di fama. Nell’ambiente legale di Chicago Ms Karros era una celebrità. Andava a processo e vinceva le cause più importanti. Lui, David, non aveva mai pronunciato una sola parola in un’aula di tribunale. E ora ecco i loro nomi sullo stesso documento, elencati insieme come se fossero stati alla pari. Per gli attori: Wallis T. Figg, B. Oscar Finley, David E. Zinc dello studio Finley & Finn, unitamente a S. Jerry Alisandros dello studio Zell & Potter. E per la Varrick Laboratories: Nadine L. Karros e R. Luther Hotchkin dello studio Rogan Rothberg. Almeno sulla carta, David sembrava giocare nella stessa categoria. Lesse lentamente la comparsa. I fatti evidenti venivano ammessi, qualsiasi responsabilità civile veniva negata. In pratica era una risposta scontata, quasi benevola a una causa da cento milioni di dollari, e non era ciò che David e i suoi colleghi si erano aspettati. Secondo Wally la prima reazione della Varrick sarebbe stata un’inferocita richiesta di archiviazione, accompagnata da una poderosa memoria redatta dai brillanti laureati Ivy League che sfacchinavano nella sezione ricerche dello studio. La richiesta di archiviazione avrebbe dato il via a una notevole schermaglia, ma Finley & Figg alla fine avrebbe prevalso perché richieste del genere venivano accolte di rado, sempre secondo Wally. Insieme alla comparsa di risposta, i difensori avevano presentato una serie di richieste standard riguardanti i dati personali di ognuno degli otto clienti defunti e delle rispettive famiglie, nonché i nominativi e le dichiarazioni dei periti di parte. Per quanto ne sapeva David, lo studio doveva ancora assumere tali periti, anche se si riteneva che se ne sarebbe fatto carico Jerry Alisandros. Ms Karros desiderava inoltre ascoltare le otto deposizioni al più presto possibile. Il cancelliere infine informava che una copia cartacea della comparsa e degli altri documenti era già stata spedita per posta.
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David sentì dei passi pesanti salire la scala. Era Wally, che entrò con il fiato corto e domandò: «Hai visto quello che hanno depositato?». «L’ho appena letto. Sembra tutto piuttosto blando, non ti pare?» «Tu cosa ne sai di cause in tribunale?» «Touché.» «Scusa, ma qui c’è sotto qualcosa. Telefono ad Alisandros e vediamo di capire.» «È solo una banale comparsa, più una richiesta di qualche elemento probatorio. Niente per cui farsi prendere dal panico.» «Chi è che si fa prendere dal panico? Tu conosci quella donna? Non è del tuo vecchio studio?» «Non l’ho mai vista, ma pare che in aula sia un carro armato.» «Già, be’, lo stesso vale per Alisandros, ma tanto in aula non ci arriveremo.» Wally lo disse con notevole mancanza di convinzione. Uscì dall’ufficio borbottando e scese rumorosamente la scala. Era passato un mese da quando avevano depositato l’atto di citazione, e i sogni di Wally sulla miniera d’oro pronta da sfruttare stavano sfumando. A quanto pareva avrebbero dovuto lavorare un po’ prima che si cominciasse a parlare di accordi stragiudiziali. Dieci minuti dopo, David ricevette un’e-mail dal socio giovane: “Puoi cominciare tu con quelle richieste? Io devo correre alle pompe funebri”. “Ma certo, Wally. Con piacere.”
18 Le accuse nei confronti di Trip vennero lasciate cadere, soprattutto per disinteresse, anche se il giudice gli impose di firmare una dichiarazione in cui si impegnava a tenersi alla larga dallo studio Finley & Figg e dai suoi avvocati. Trip scomparve, ma la sua ex fidanzata no. DeeAnna arrivò pochi minuti prima delle diciassette, il suo solito orario. Quel giorno era vestita da cowgirl: jeans aderentissimi, stivali a punta, camicetta rossa di cui aveva maliziosamente dimenticato di allacciare i primi tre bottoni. «C’è Wally?» cinguettò rivolgendosi a Rochelle, che non la poteva sopportare. La nuvola di profumo di DeeAnna invase l’ufficio. AC fiutò l’aria, ringhiò e si ritirò ancora più in profondità sotto la scrivania. «Sì» rispose sbrigativa Rochelle. «Grazie, cara» disse DeeAnna, cercando di irritare quanto più possibile la segretaria. Entrò nell’ufficio di Wally senza bussare. Una settimana prima, Rochelle le aveva ordinato di mettersi a sedere e di aspettare come tutti gli altri clienti. Ma stava diventando sempre più evidente che la ragazza aveva molto più ascendente degli altri clienti, almeno per quanto riguardava Wally. Una volta entrata, DeeAnna si gettò tra le braccia del suo avvocato che, dopo un lungo bacio e le obbligatorie coccole, le disse: «Sei bellissima, baby». «Tutta per te, baby.»
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Wally si assicurò che la porta fosse chiusa a chiave, poi tornò a sedersi sulla poltroncina dietro la scrivania. «Tesoro, faccio due telefonate e poi ce ne andiamo» disse, quasi sbavando. «Va bene, baby.» DeeAnna si mise a sedere ed estrasse dalla borsa una rivista di gossip. Non leggeva altro, era stupida come un’oca, ma a Wally non importava. Lei aveva avuto tre mariti, lui quattro mogli. Chi era, lui, per giudicare? Al momento erano nella fase in cui cercavano di sfinirsi a letto, e Wally non era mai stato più felice in vita sua. Rochelle intanto stava sistemando la scrivania, ansiosa di andarsene adesso che “quella puttana” era nell’ufficio di Mr Figg e Dio solo sapeva cosa stavano facendo là dentro. La porta di Oscar si aprì e lui comparve, con dei fogli in mano. «Dov’è Figg?» domandò, guardando la porta chiusa del collega. «In ufficio con una cliente» rispose Ms Gibson. «E la porta è chiusa a chiave.» «Non mi dica.» «Sissignore. Terzo giorno di fila.» «Stanno ancora negoziando la parcella?» «Non lo so. Mr Figg deve averla aumentata.» Per quanto modesta fosse la parcella in questione, dopotutto si trattava di un tipico divorzio consensuale, e Oscar aveva diritto a una quota, ma non sapeva bene come ottenerla visto che metà dell’importo veniva saldata sul divano. Fissò la porta di Wally per un momento, quasi in attesa dei rumori della passione, poi, non sentendone, si rivolse a Rochelle, agitando i fogli. «Ha letto questa roba?»
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«Che cos’è?» «È il nostro contratto con Jerry Alisandros e lo studio Zell & Potter. Otto pagine, un mucchio di righe stampate in piccolo, già firmato dal mio socio giovane, il quale ovviamente non l’ha letto per intero. Qui sopra c’è scritto che noi dobbiamo contribuire con venticinquemila dollari al fondo spese della causa. Figg non me ne ha mai parlato.» Ms Gibson si strinse nelle spalle. Problemi degli avvocati, non suoi. Ma Oscar era furioso. «Inoltre qui dice che noi avremo una parcella del quaranta per cento su ogni caso e metà andrà a Zell & Potter. Ma in piccolo c’è scritto che un sei per cento dovrà essere pagato al comitato legali attori, un piccolo bonus ai grandi avvocati per il loro duro lavoro, e questo sei per cento verrà detratto dall’accordo stragiudiziale e quindi dalla nostra quota. Quindi, per come la vedo io, noi perdiamo il sei per cento subito, detratto dall’importo dell’accordo, e restiamo con il trentaquattro per cento, da dividere a metà con Alisandros, il quale naturalmente si prenderà anche una fetta di quel sei per cento. Per lei ha senso, Ms Gibson?» «No.» «Allora siamo in due. Ci stanno fregando a destra e a sinistra e adesso dobbiamo anche sganciare venticinquemila dollari per le spese.» Oscar aveva le guance rosse e continuava a lanciare occhiate alla porta del collega, ma Wally era al sicuro nel suo ufficio. David scese la scala e si ritrovò coinvolto nella conversazione. «L’hai letto?» gli chiese arrabbiato Oscar, sventolando i fogli. «Che cos’è?» «Il nostro contratto con Zell & Potter.»
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«Ci ho dato un’occhiata. È abbastanza standard.» «Ah, sì? E hai letto la parte riguardante i venticinquemila dollari di anticipo per le spese?» «Sì, e ne ho parlato con Wally. Mi ha detto che probabilmente non faremo altro che andare in banca, utilizzare il fido concesso allo studio e poi saldare il debito non appena incasseremo.» Oscar guardò Rochelle, Rochelle guardò Oscar. Tutti e due stavano pensando: “Quale fido?”. Oscar fece per parlare, ma poi si voltò di scatto e rientrò nel suo ufficio sbattendo la porta. «Cosa gli succede?» chiese David. «Noi non abbiamo un fido» rispose Ms Gibson. «Mr Finley è preoccupato perché teme che la causa Krayoxx possa rivelarsi una trappola e distruggerci finanziariamente. Non sarebbe certo la prima iniziativa di Figg a esploderci tra le mani, ma di sicuro potrebbe essere la peggiore.» David si guardò intorno, poi si avvicinò di un passo a Rochelle. «Posso chiederle una cosa, in confidenza?» «Non lo so» rispose la donna, facendo un passo indietro. «Quei due lavorano nel ramo da parecchio tempo. Più di trent’anni Oscar, oltre venti Wally. Hanno denaro di riserva? Qui in studio non se ne vede, perciò ho pensato che magari possano averlo nascosto da qualche parte.» Anche Rochelle si guardò intorno, poi disse: «Io non so dove finiscono i soldi una volta usciti da qui. Dubito che Oscar abbia un centesimo perché sua moglie spende tutto. Quella donna pensa di essere
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superiore a chiunque e ci tiene a volare alto. Wally... chi lo sa? Sospetto che sia al verde quanto me. Comunque sono proprietari dello studio, che è libero da ipoteche». David non poté fare a meno di guardare le crepe nel soffitto. “Lasciamo perdere” pensò. «Semplice curiosità» disse a Rochelle. Dalle profondità dell’ufficio di Mr Figg arrivò una stridula risata femminile. «Me ne vado» disse David, afferrando il cappotto. «Anch’io» disse Rochelle. Quando Wally e DeeAnna emersero dall’ufficio, se n’erano già andati tutti. Spensero le luci, chiusero a chiave la porta d’ingresso e salirono sull’auto della ragazza. Wally era contentissimo di avere non solo una nuova fidanzata, ma addirittura una fidanzata disposta a guidare. Mancavano ancora sei settimane al termine della sospensione della patente e, con la pista Krayoxx così calda, aveva bisogno di muoversi con facilità. DeeAnna aveva colto al volo la possibilità di intascare la ricompensa per le segnalazioni – cinquecento dollari per un caso di morte e duecentocinquanta per un non-morte –, ma ciò che la entusiasmava era ascoltare le previsioni di Wally di spolpare la Varrick Labs in un accordo stragiudiziale che avrebbe comportato parcelle enormi per lui (e forse qualcosina anche per lei, sebbene di questo non si fosse mai parlato apertamente). Quasi sempre le chiacchiere a letto finivano col riguardare l’affare Krayoxx e tutto ciò che poteva significare. Una volta il terzo marito aveva portato DeeAnna a Maui, e lei aveva adorato quella spiaggia. Wally le aveva già promesso una vacanza in paradiso. In quella fase della loro storia, le avrebbe promesso qualunque cosa.
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«Dove andiamo, amore?» chiese DeeAnna, allontanandosi velocemente dallo studio. La ragazza era la pericolosa autista di una piccola Mazda decappottabile, e Wally sapeva che, in caso di incidente, le possibilità di cavarsela sarebbero state scarse. «Vai piano» suggerì, allacciandosi la cintura di sicurezza. «Andiamo a nord, verso Evanston.» «La gente telefona?» chiese DeeAnna. «Oh, sì. Un mucchio di telefonate.» Wally non stava mentendo: il suo cellulare ronzava di continuo per le chiamate di persone che avevano trovato e letto la sua piccola brochure “Attenzione al Krayoxx!”. L’aveva fatta stampare in diecimila copie, con le quali stava inondando tutta Chicago. Piazzava i suoi dépliant nelle sale riunioni della Weight Watchers, nelle sedi dei Veterani di guerra, nelle sale bingo, nelle sale d’attesa degli ospedali e nei bagni dei fast food. Ovunque la mente astuta di Wally Figg ritenesse di poter trovare gente in lotta con il colesterolo. «Quanti casi abbiamo?» domandò DeeAnna. A Wally non sfuggì il verbo coniugato al plurale. Decise di lasciare perdere, per il momento. «Otto casi di morte, parecchie centinaia di non morti, che però devono essere ancora verificati. Non sono sicuro che ogni caso di non-morte sia un vero caso. Per accettarlo come tale, prima dobbiamo trovare qualche danno al cuore.» «E come si fa?» Stavano volando lungo la Stevenson zigzagando nel traffico, che DeeAnna sembrava perlopiù ignorare. Wally si rannicchiava sul sedile a ogni quasi-scontro. «Calma, tesoro. Non abbiamo fretta.» «Hai sempre da ridire su come guido» disse la ragazza, lanciandogli una lunga occhiata triste.
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«Guarda la strada. E rallenta.» DeeAnna rallentò e per qualche minuto tenne il broncio. Poi domandò: «Ti stavo chiedendo come si fa a capire se quelle persone hanno subito danni». «Assumeremo un medico per uno screening. Il Krayoxx indebolisce le valvole cardiache, ed esistono degli esami che ci possono dire se un cliente ha subito danni a causa del farmaco.» «Quanto costano questi esami?» domandò la ragazza. Wally stava notando una crescente curiosità per gli aspetti economici della causa Krayoxx, e la cosa lo irritava un po’. «Sui mille verdoni al colpo» rispose, anche se in realtà non ne aveva idea. Jerry Alisandros gli aveva detto che lo studio Zell & Potter si era assicurato la collaborazione di numerosi medici che stavano già vagliando i potenziali clienti. Quei medici sarebbero stati a disposizione di Finley & Figg in un prossimo futuro e, una volta iniziati i test, il loro bacino di clienti non morti si sarebbe ampliato in misura notevole. Alisandros volava tutti i giorni sul suo jet attraverso tutto il paese, incontrando avvocati come Wally, mettendo insieme cause qua e là, assumendo consulenti, elaborando strategie processuali e, cosa più importante, continuando a martellare la Varrick e i suoi legali. Wally si sentiva onorato di avere un ruolo in una partita dalla posta così alta. «È un mucchio di soldi» osservò DeeAnna. «Come mai ti interessa tanto?» scattò Wally, lanciando un’occhiata alla camicetta da cowgirl sbottonata.
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«Scusami, caro. Sono un tipo curioso, lo sai. Questa storia è così eccitante e... Be’, sarà meraviglioso quando la Varrick comincerà a firmare quei grossi assegni.» «Potrebbe volerci ancora molto tempo. Per ora siamo concentrati sulla ricerca dei clienti.» A casa Finley, Oscar e sua moglie Paula stavano guardando una replica di M*A*S*H su una tivù via cavo quando all’improvviso vennero aggrediti dalla voce acuta e dalla faccia ansiosa di un avvocato di nome Bosch, un legale non estraneo agli spot sul mercato di Chicago. Erano anni che Bosch andava a caccia di vittime di incidenti stradali, auto o TIR, di casi riguardanti l’avvelenamento da amianto o altri prodotti, ma adesso, evidentemente, era diventato un esperto del Krayoxx. Tuonò spiegando i pericoli del farmaco e lanciando accuse terribili alla Varrick Labs mentre, per tutta la durata dei suoi trenta secondi, il numero di telefono dello studio lampeggiava in fondo allo schermo. Oscar guardò lo spot con grande interesse, ma non disse nulla. «Hai mai pensato alla pubblicità in televisione?» gli chiese sua moglie. «A me pare che il tuo studio dovrebbe darsi da fare per avere più lavoro.» Non era una conversazione inedita. Da trent’anni Paula dispensava consigli non richiesti su come dirigere lo studio di suo marito, un posto che in termini di profitti non avrebbe mai prodotto abbastanza da soddisfarla. «È molto costosa» rispose Oscar. «Figg vorrebbe farla. Io invece sono scettico.»
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«Be’, di sicuro non si può mandare Figg in televisione. Spaventerebbe qualsiasi potenziale cliente nel raggio di duecento chilometri. Non so, a me questi spot sembrano così poco professionali...» Tipico di sua moglie. La pubblicità televisiva poteva procurare lavoro però, al tempo stesso, era poco professionale. Paula era favorevole o contraria? Nessuna delle due cose? Entrambe? Oscar non lo sapeva, e aveva smesso di preoccuparsene anni prima. «Ma Figg non ha qualche caso Krayoxx?» domandò la donna. «Sì, qualcuno» grugnì Finley. Sua moglie non sapeva che lui, Oscar, aveva firmato gli atti della citazione e ne era responsabile, così come David. Non sapeva che lo studio doveva anticipare le spese della causa. L’unica preoccupazione di Paula era il misero bottino mensile che Oscar portava a casa. «Sai, ne ho discusso con il mio medico e lui dice che il Krayoxx è un ottimo farmaco. Mi mantiene il colesterolo sotto i duecento. Io non smetto di prenderlo.» «Infatti non devi smettere» concordò Oscar. Se davvero il Krayoxx uccideva la gente, voleva che sua moglie continuasse con la sua dose quotidiana. «Però ci sono cause dappertutto, Oscar. Io non sono ancora convinta. E tu?» “Fedele al suo farmaco, ma si preoccupa” pensò Oscar. «Figg ritiene che il Krayoxx provochi danni» rispose. «Molti importanti studi legali la pensano come lui e fanno causa alla Varrick. La sensazione generale è che la Varrick negozierà un accordo stragiudiziale prima di arrivare a un processo. Troppo rischioso per loro.»
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«E se c’è un accordo, cosa succede ai casi di Figg?» «Sono tutti casi di morte, fino a questo momento. Otto in tutto. Se si arriverà all’accordo incasseremo qualche bella parcella.» «Quanto bella?» «Impossibile dirlo.» Oscar stava già facendo i suoi piani. Se e quando l’ipotesi di un accordo stragiudiziale avesse preso corpo, lui se ne sarebbe andato di casa, avrebbe chiesto il divorzio e poi avrebbe fatto del suo meglio per tenere Paula lontana dai suoi soldi Krayoxx. «Ma io dubito che l’accordo ci sarà.» «Perché no? Bosch diceva che potrebbe essere molto grosso.» «Bosch è un idiota e lo dimostra tutti i giorni. Di solito le grandi società farmaceutiche vogliono andare a processo con almeno due o tre casi per saggiare le acque. Se vengono massacrate dalle giurie, allora cominciano a parlare di accordo stragiudiziale. Se vincono, continuano con i processi finché gli avvocati degli attori si stancano e rinunciano. Ci potrebbero volere anni.» “Vedi di non sperarci troppo, mia cara.” David e Helen Zinc erano stati amorosamente attivi quasi quanto Wally e DeeAnna. Con David che lavorava molte ore in meno e la ritrovata energia, c’era voluto meno di una settimana perché Helen restasse incinta. Adesso che David tornava a casa a un’ora decente tutte le sere, si davano da fare per recuperare il tempo perduto. Avevano appena concluso una seduta e stavano guardando la televisione a letto, quando sullo schermo comparve Bosch. Non appena sparì, Helen osservò: «Sembra un delirio».
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«Lo è. Wally in questo momento è là fuori, intento a sporcare le strade con la nostra brochure. Sarebbe più semplice farci pubblicità in tivù, ma non possiamo permettercelo.» «Meno male. Non mi andrebbe proprio di vederti competere con gente come Benny Bosch.» «Io invece credo di avere un talento naturale come avvocato televisivo. “Sei stato ferito? Noi lotteremo per te!” “Le compagnie assicurative tremano davanti a noi!” Cosa ne pensi?» «Penso che i tuoi amici dello studio Rogan Rothberg si rotolerebbero in terra dalle risate.» «Io non ho amici là. Solo brutti ricordi.» «Da quanto te ne sei andato, un mese?» «Sei settimane e due giorni. E non ho mai sentito il desiderio di tornare indietro, nemmeno per un momento.» «E quanto hai guadagnato nel tuo nuovo studio?» «Seicentoventi dollari.» «Be’, adesso abbiamo un’espansione familiare in corso. Hai pensato ai futuri guadagni, cose del genere? Ti sei lasciato alle spalle trecentomila dollari all’anno, benissimo. Ma non possiamo vivere con seicento dollari al mese.» «Dubiti di me?» «No, ma una piccola rassicurazione mi farebbe piacere.»
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«Okay. Ti prometto che farò abbastanza soldi per mantenerci felici e in buona salute. Tutti e tre. O quattro, o cinque o quello che sarà.» «E come pensi di riuscirci?» «Tivù. Andrò in onda per trovare vittime Krayoxx» rispose David, ridendo. «Io e Bosch. Cosa ne pensi?» «Io penso che tu sia pazzo.» Risero entrambi, e poi si diedero di nuovo da fare.
19 La denominazione ufficiale dell’incontro era “colloquio preliminare tra le parti”. Si trattava di una breve riunione degli avvocati alla presenza del giudice per discutere le fasi iniziali della causa. Niente veniva verbalizzato, anche se un impiegato prendeva appunti informali. Spesso, e in particolare nell’aula di Harry Seawright, il giudice si sottraeva all’impegno e mandava un suo coadiutore a sostituirlo. Quel giorno, però, era il giudice Seawright in persona a presiedere la riunione. Quale magistrato anziano del Distretto settentrionale dell’Illinois, disponeva di una grande aula, uno spazio splendido al ventitreesimo piano dell’Everett Dirksen Federal Building in Dearborn Street, nel centro di Chicago. Le pareti erano rivestite da pannelli di quercia e i vari protagonisti avevano a disposizione poltrone di vera pelle. Alla sinistra del giudice c’era la squadra di avvocati degli attori, composta da Wally Figg e David Zinc. Alla sua destra c’era una decina di legali dello studio Rogan Rothberg in rappresentanza della Varrick Laboratories. A guidarli, naturalmente, era Nadine Karros, unico avvocato donna presente. Per l’occasione indossava un classico tailleur blu di Armani, con la gonna appena sopra il ginocchio; le gambe erano nude e le scarpe firmate, con plateau e tacco di dieci centimetri. Wally non riusciva a staccare gli occhi dalle scarpe, dalla gonna, dall’intero pacchetto. «Forse dovremmo venire più spesso qui» aveva sussurrato a David, il quale non era assolutamente nello spirito giusto per le battute. Non lo era neppure Wally, a dire la verità. Per entrambi quella era la prima spedizione in corte federale. Wally sosteneva di trattare continuamente cause in tribunali federali, ma David ne dubitava. Oscar, il socio anziano che avrebbe dovuto essere lì con loro a
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sfidare i gemelli Golia, lo studio Rogan Rothberg e la Varrick, aveva telefonato dandosi malato. Finley non era l’unico assente. Il grande Jerry Alisandros e il suo team legale di classe mondiale erano stati tutti pronti a calare su Chicago per un’impressionante dimostrazione di forza, ma un’udienza d’emergenza dell’ultimo minuto a Boston era risultata essere più importante. Wally era quasi svenuto quando aveva ricevuto la telefonata di uno dei tirapiedi di Alisandros. “È solo un colloquio preliminare” aveva minimizzato il giovanotto. Nel tragitto in auto verso il tribunale, Wally aveva mostrato qualche scetticismo nei confronti di Zell & Potter. Per quanto riguardava David, il momento era di estremo disagio. Se ne stava seduto in un’aula federale per la prima volta in vita sua e sapeva che non avrebbe detto una sola parola, perché non aveva idea di cosa dire. E i suoi avversari erano un gruppo di avvocati eleganti e altamente preparati di uno studio al quale un tempo lui stesso era stato leale, uno studio che l’aveva assunto, addestrato, retribuito con uno stipendio al massimo livello e gli aveva promesso una lunga carriera, uno studio che lui aveva piantato in asso, rifiutato. Preferendogli... Finley & Figg? Gli sembrava quasi di sentire gli ex colleghi ridere dietro i loro blocchi legali. Il posto di David, con il suo pedigree e la sua laurea di Harvard, era con loro, con quelli che fatturavano a ore, non sul lato degli avvocati degli attori, di quelli che battevano le strade alla ricerca di clienti. David non voleva essere dove si trovava. E nemmeno Wally. Il giudice Seawright si sistemò dietro il suo banco e non perse tempo. «Dov’è Mr Alisandros?» ringhiò in direzione di Wally e David. Wally scattò in piedi, si esibì in un sorriso untuoso e rispose: «A Boston, signore».
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«Perciò oggi non sarà qui?» «Esatto, vostro onore. Stava venendo a Chicago, ma è stato dirottato a Boston da un’emergenza.» «Capisco. Mr Alisandros è il legale di riferimento degli attori di questa causa. La prossima volta che ci ritroveremo tutti insieme, gli dica di esserci. Per la sua assenza a questa riunione verrà sanzionato con un’ammenda di mille dollari.» «Sì, signore.» «Lei è Mr Figg?» «Sì, vostro onore. E questo è il mio associato, David Zinc.» David cercò di sorridere. Gli sembrava quasi di vedere tutti gli avvocati di Rogan Rothberg che allungavano il collo per dargli un’occhiata. «Benvenuti in corte federale» disse il giudice, sarcastico. Guardò verso il tavolo della difesa e chiese: «Immagino che lei sia Ms Karros, vero?». Ms Karros si alzò in piedi e tutti gli occhi si fissarono su di lei. «Sì, vostro onore. E questo è il mio collega, Luther Hotchkin.» «Chi sono le altre persone?» «È la nostra squadra, vostro onore.» «Ha davvero bisogno di tutta quella gente per un semplice colloquio preliminare?» “Sì, vai giù duro!” pensò Wally, continuando a guardare la gonna.
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«In effetti, sì, vostro onore. Si tratta di un caso importante e complesso.» «Così ho sentito dire. Potete rimanere seduti per il resto dell’udienza.» Il giudice Seawright prese in mano alcuni fogli e si sistemò gli occhiali da lettura sul naso. «Dunque, ho parlato con due miei colleghi in Florida, e non si sa ancora se tutti i casi del paese confluiranno in un’unica causa multidistrettuale. Sembra che i legali delle parti attrici abbiano qualche difficoltà a organizzarsi. Molti, a quanto pare, vogliono una fetta più grossa della torta, il che non mi sorprende. Comunque sia, per quanto riguarda la nostra causa specifica, non abbiamo scelta se non quella di procedere con l’esibizione del materiale probatorio. Mr Figg, chi sono i suoi periti di parte?» Mr Figg non aveva periti, e non aveva neppure idea di quando avrebbe potuto disporne. Per questo contava sul sempre più inaffidabile Jerry Alisandros, perché era quello che Alisandros aveva promesso. Wally si alzò in piedi lentamente, consapevole che qualsiasi esitazione avrebbe fatto una brutta impressione. «Li avremo la settimana prossima, vostro onore. Come sa, noi collaboriamo con Zell & Potter, noto studio legale specializzato in azioni collettive, e con tutta l’attività frenetica nell’intero paese è stato difficile individuare e assumere i migliori consulenti. Ma stiamo facendo progressi.» «Ne sono lieto. Prego, si sieda. Quindi avete intentato causa prima di consultare qualsiasi esperto?» «Be’, sì, vostro onore. Non è un fatto insolito.» Il giudice Seawright dubitava che Mr Figg sapesse cosa era insolito e cosa no, ma decise di non metterlo in imbarazzo già nei primi minuti della partita. Prese una penna e disse: «Ha dieci giorni di tempo per
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nominare i suoi periti, dopodiché la difesa potrà ascoltare immediatamente le loro deposizioni». «Sì, signore» disse Wally rimettendosi a sedere. «Grazie. Dunque, abbiamo otto casi di morte, di conseguenza abbiamo a che fare con otto famiglie. Tanto per cominciare voglio raccogliere le deposizioni dei rappresentanti di tutti gli otto defunti. Mr Figg, quando saranno disponibili queste persone?» «Domani» rispose Wally. Il giudice si rivolse a Nadine Karros: «È abbastanza presto per lei?». «Noi preferiremmo un preavviso ragionevole, vostro onore» rispose Ms Karros con un sorriso. «Sono sicuro che la sua agenda processuale è molto fitta, Ms Karros.» «Sì, come sempre.» «Ma lei dispone anche di risorse illimitate. Conto undici avvocati che in questo momento stanno prendendo appunti e sono certo che ce ne sono altre centinaia nel suo studio. Stiamo parlando di semplici deposizioni, niente di complicato, per cui mercoledì della settimana prossima procederemo con le deposizioni di quattro attori e giovedì ascolteremo gli altri quattro. Due ore al massimo per ogni attore. Se avrà bisogno di più tempo, provvederemo in seguito. Nel caso lei non possa essere presente, Ms Karros, mandi cinque o sei legali della sua squadra. Sono sicuro che saranno in grado di occuparsi delle deposizioni.» «Ci sarò, vostro onore» disse Ms Karros freddamente.
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«Mr Figg?» «Noi ci saremo.» «Dirò al mio assistente di stabilire orari, programma e dettagli. Entro domani vi informeremo per e-mail. Poi, non appena Mr Figg avrà nominato i suoi periti, programmeremo anche le loro deposizioni. Ms Karros, non appena avrà individuato i suoi consulenti di parte, la prego di comunicare i dati alla corte, poi procederemo da lì. Voglio sbrigare le deposizioni iniziali entro sessanta giorni. Domande?» Non ce n’erano. Il giudice continuò: «Dunque, ho esaminato tre precedenti cause intentate contro questo convenuto e i suoi prodotti, e francamente non sono rimasto molto colpito dall’integrità della Varrick o dalla sua disponibilità ad attenersi alle regole dell’esibizione del materiale probatorio. La società, a quanto pare, ha parecchi problemi a consegnare i documenti richiesti dalla controparte. È stata colta sul fatto nel tentativo di nascondere le carte. È stata sanzionata da giudici dello Stato e da giudici federali. Si è trovata in situazioni imbarazzanti davanti alle giurie e l’ha pagata cara con verdetti pesanti, eppure insiste in questa condotta. E in almeno tre occasioni dirigenti della Varrick sono stati accusati di falsa testimonianza. Ms Karros, in qualche modo può assicurarmi che il suo cliente agirà secondo le regole?». Ms Karros fissò il giudice, rimase immobile per un momento in una gara a chi abbassava per primo lo sguardo e poi rispose: «Vostro onore, non ho rappresentato la Varrick Labs in quelle cause, per cui non ho idea di cosa sia successo. Non voglio che mi si addossino responsabilità che non mi competono. Io conosco perfettamente le regole, e i miei clienti agiscono sempre nel pieno rispetto di tali regole».
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«Vedremo. Avverta il suo cliente che terrò gli occhi aperti. Al primo sospetto di violazione delle procedure trascinerò l’amministratore delegato in quest’aula e gli farò sputare sangue. Mi ha capito bene, Ms Karros?» «Sì, vostro onore.» «Mr Figg, lei non ha ancora presentato alcuna richiesta di documenti. Quando pensa di farlo?» «Ci stiamo lavorando, vostro onore» rispose Wally con la massima sicurezza possibile. «Dovremmo essere pronti in un paio di settimane.» Alisandros aveva promesso un dettagliato elenco di documenti da richiedere alla Varrick, che però non era ancora arrivato. «Resto in attesa» disse Seawright. «Questa è la sua causa. L’ha intentata lei, adesso vediamo di farla procedere.» «Sì, vostro onore» disse Wally ansioso. «C’è altro?» chiese il giudice. Quasi tutti gli avvocati scossero la testa. Il giudice sembrò rilassarsi e mordicchiò il cappuccio della penna. Poi disse: «Stavo pensando che questa causa potrebbe rientrare nella Norma Locale 83.19. Ha preso in considerazione questo aspetto, Mr Figg?». Mr Figg non l’aveva preso in considerazione perché ignorava perfino l’esistenza della Norma Locale 83.19. Aprì la bocca, ma non ne uscì nulla. David raccolse rapidamente il testimone e pronunciò le sue prime parole in un’aula di giustizia: «L’abbiamo preso in considerazione, vostro onore, ma non ne abbiamo ancora discusso con Mr Alisandros. Dovremmo prendere una decisione in merito entro la settimana».
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Seawright si rivolse a Nadine Karros: «Il suo parere?». «Noi siamo la difesa, vostro onore. E non siamo mai molto ansiosi di andare a processo.» La sincerità di Ms Karros divertì il giudice. Wally sussurrò a David: «Cosa diavolo è la Norma 83.19?». «L’Agenda razzo» sussurrò David. «Corsia preferenziale veloce.» «Noi non la vogliamo, giusto?» sibilò Wally. «No. Noi vogliamo arrivare a un accordo e incassare.» «Mr Figg, non occorre che presenti istanza» disse il giudice. «Conferisco alla causa lo status 83.19. Binario rapido, Mr Figg, per cui vediamo di darci una mossa.» «Sì, vostro onore» riuscì a borbottare Wally. Il giudice Seawright batté un colpo con il martelletto e annunciò: «Ci rivediamo tra sessanta giorni. Mi aspetto che Mr Alisandros sia presente. La corte si ritira». Mentre David e Wally cacciavano pratiche e blocchi per appunti nelle valigette, ansiosi di andarsene, Nadine Karros si avvicinò per un saluto. «Sono lieta di fare la vostra conoscenza, Mr Figg, Mr Zinc...» Il sorriso della donna fece perdere un altro colpo al cuore nervoso di Wally. «Piacere mio» disse Figg. David le strinse la mano, ricambiando il sorriso. «Questa causa promette di essere una lotta lunga e aspra. Con un mucchio di denaro in gioco. Io cerco sempre di mantenere i rapporti
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su un livello professionale e l’ostilità al minimo. Sono certa che il vostro studio la pensa allo stesso modo.» «Oh, sì!» esclamò Wally, ormai quasi sul punto di proporle di andare a bere qualcosa insieme. David non si lasciò manipolare altrettanto facilmente. Vedeva il bel viso e la facciata cordiale di Ms Karros, ma sapeva che, appena sotto la superficie, c’era una combattente spietata che si sarebbe divertita da matti a vederli sanguinare in aula. «Bene, immagino che ci rivedremo mercoledì» disse Ms Karros. «Se non prima» ribatté Wally, in un debole tentativo di umorismo. Mentre la donna si allontanava, David afferrò il braccio del collega e gli disse: «Andiamocene da qui».
20 Adesso che era incinta e che il suo futuro sarebbe stato occupato dal bambino, Helen aveva la sensazione che i suoi studi alla Northwestern fossero diventati molto meno importanti. Abbandonò un corso a causa delle nausee del mattino e cominciò ad avere problemi motivazionali per tutti gli altri. David la sollecitava a continuare, con delicatezza, ma Helen voleva prendersi una pausa. Aveva quasi trentaquattro anni, era eccitata all’idea di diventare madre e stava perdendo rapidamente interesse in un dottorato in storia dell’arte. In una fredda giornata di marzo stavano pranzando in un ristorante vicino al campus quando nel locale capitò per caso Toni Vance, la compagna di corso di Helen. David l’aveva incontrata solo una volta. Aveva dieci anni più di lui, due figli adolescenti e un marito che faceva lo spedizioniere navale. Toni era anche quella con la governante birmana il cui nipotino aveva probabilmente subito lesioni cerebrali. David aveva chiesto a sua moglie di sollecitare Toni a organizzare un incontro, ma la governante non si era dimostrata collaborativa. Ficcanasando in giro, ma senza violare la legge o la privacy di chicchessia, David era venuto a sapere che il bambino aveva cinque anni e che da due mesi era ricoverato nel reparto di terapia intensiva del Lakeshore Children’s Hospital, nella zona nord di Chicago. Il bimbo si chiamava Thuya Khaing ed era nato a Sacramento, di conseguenza era cittadino statunitense. David non aveva modo di conoscere la situazione dei suoi genitori. Riteneva che Zaw, la governante, avesse la carta verde. «Credo che ora Zaw sia disposta a incontrarti» disse Toni, sorseggiando un espresso. «Dove e quando?» domandò David.
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Toni diede un’occhiata all’orologio. «La mia prossima lezione finisce alle due, poi vado a casa. Perché non fate un salto da me?» Alle due e mezzo David e Helen parcheggiarono dietro una Jaguar nel vialetto d’accesso di una stupefacente villa moderna. Qualunque cosa facesse Mr Vance con le sue spedizioni navali, doveva farla molto bene. La casa aveva parti sporgenti qua e là, sopra e sotto, con un mucchio di vetro e marmo e nessun progetto architettonico riconoscibile. L’edificio voleva disperatamente essere unico e ci riusciva alla grande. David e Helen trovarono infine la porta d’ingresso e vennero ricevuti da Toni, che aveva trovato il tempo di cambiarsi e non cercava più di sembrare una studentessa ventenne. Guidò i suoi ospiti fino a un solarium, una stanza a vetrate con vista totale di cielo e nuvole e, qualche minuto dopo, Zaw entrò con il vassoio del caffè. Vennero fatte le presentazioni. David non aveva mai conosciuto una donna birmana, ma pensò che Zaw dovesse avere circa sessant’anni. Era minuta nella sua uniforme da cameriera, con corti capelli grigi e un viso che sembrava congelato in un sorriso perpetuo. «Parla un buon inglese» disse Toni. «Zaw, siediti con noi, per favore.» Imbarazzata, lei si accomodò su un piccolo sgabello accanto alla sua signora. «Da quanto tempo si trova negli Stati Uniti?» le chiese David. «Vent’anni.» «La sua famiglia è qui?» «Mio marito, lui lavora in grandi magazzini Sears. Anche mio figlio. Lui lavora per ditta di alberi.»
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«Ed è lui il padre del nipotino in ospedale?» La donna annuì lentamente. Il sorriso svanì al pensiero del bimbo. «Sì.» «Il bambino ha fratelli o sorelle?» Zaw mostrò due dita. «Due sorelle.» «Sono state male anche loro?» «No.» «Okay. Può raccontarmi cos’è successo quando il bambino si è ammalato?» La donna guardò Toni, che la tranquillizzò: «È tutto okay, Zaw. Puoi fidarti di queste persone. Mr Zinc ha bisogno di conoscere tutta la storia». Zaw annuì e cominciò a parlare, lo sguardo fisso al pavimento. «Lui sempre molto stanco, dorme tanto tanto, poi molto male qui.» Si picchiettò lo stomaco. «Piange per male che ha. Poi comincia a vomitare, vomita tutti giorni, e dimagrisce, diventa proprio magro magro. Noi portiamo dal dottore. Lo mandano in ospedale e lui si addormenta.» La donna si toccò la testa. «Loro pensano che ha problema in cervello.» «Il dottore ha detto che si tratta di avvelenamento da piombo?» Zaw annuì. «Sì.» Nessuna esitazione. David annuì, assimilando le informazioni. «Suo nipote abita con lei?»
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«Porta accanto. Appartamento.» David si rivolse a Toni: «Tu sai dove abita?». «A Rogers Park. È un vecchio complesso di palazzi di appartamenti. Credo che ormai ci abitino solo birmani.» «Zaw, pensa che io possa andare a vedere dove abita suo nipote?» La donna annuì. «Perché vuoi vedere l’appartamento?» chiese Toni. «Per scoprire la fonte dell’avvelenamento. Il piombo potrebbe essere nella vernice delle pareti o in qualche giocattolo. Potrebbe essere nell’acqua. Devo dare un’occhiata.» Zaw si alzò in piedi e disse: «Scusate me, per favore». Qualche secondo dopo tornò con un piccolo sacchetto, da cui estrasse una specie di dentiera di plastica rosa, completa di due grossi canini da vampiro. «A lui piace tanto» spiegò la donna. «Spaventa sue sorelle, fa urla buffe.» David prese in mano il giocattolo. La plastica era dura e parte del colore, o vernice, si era staccata. «Lei lo ha visto giocare con questo?» «Sì. Tante volte.» «Quando ha avuto questo regalo?» «Anno scorso, Halloween» rispose Zaw, senza pronunciare la “h”. «Io non so se è questo che ha fatto ammalare, ma lui lo aveva sempre in bocca. Rosa, verde, nero, blu, tanti colori.»
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«Quindi il bambino ne aveva tutta una serie?» «Sì.» «Dove sono gli altri?» «A casa. Appartamento.» Cadeva un po’ di nevischio ed era già buio quando David e Helen trovarono il complesso di appartamenti. Gli edifici erano blocchi in stile anni Sessanta, con molto compensato e carta catramata in vista, qualche mattone sui gradini, qualche cespuglio qua e là. Tutte le costruzioni erano a due piani; alcune avevano le finestre sbarrate da assi ed erano chiaramente abbandonate. C’erano poche auto, tutte vecchie vetture giapponesi. L’impressione era che il comprensorio sarebbe stato condannato e poi raso al suolo dai bulldozer, se non fosse stato per gli sforzi eroici degli immigrati birmani. Zaw li stava aspettando all’appartamento 14B e li scortò per pochi passi fino al 14C. I genitori di Thuya sembravano entrambi sui vent’anni, ma in realtà ne avevano quasi quaranta. Avevano un’aria esausta, gli occhi tristi, ed erano spaventati come lo sarebbe stato qualsiasi genitore nelle stesse condizioni. Apprezzavano molto il fatto che un vero avvocato fosse andato a casa loro, anche se erano terrorizzati dal sistema legale, di cui non capivano niente. La madre, Lwin, si diede subito da fare per preparare e servire il tè. Il padre, il figlio di Zaw, si chiamava Soe e, quale capofamiglia, fu soprattutto lui a parlare. Il suo inglese era buono, molto migliore di quello della moglie. Come aveva detto Zaw, Soe era dipendente di una ditta che faceva ogni tipo di lavoro concernente gli alberi. Sua moglie faceva le pulizie negli uffici del centro. Sia David sia Helen ebbero la netta impressione che ci fossero state molte discussioni prima del loro arrivo.
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L’appartamento aveva pochi mobili, ma era pulito e ordinato. L’unico sforzo decorativo era una grande foto di Aung San Suu Kyi, la più famosa dissidente birmana e premio Nobel per la pace nel 1991. C’era qualcosa che cuoceva in cucina e si sentiva un forte odore di cipolla. Durante il tragitto in auto, gli Zinc si erano ripromessi di non trattenersi a cena nell’improbabile caso che fossero stati invitati. Le due sorelline di Thuya non si vedevano e non si sentivano. Il tè giallastro venne servito in tazzine minuscole. Dopo un paio di sorsi, Soe domandò: «Perché vuole parlare con noi?». David bevve il primo sorso, sperò che fosse l’ultimo e rispose: «Perché se suo figlio è stato effettivamente avvelenato dal piombo, e se il piombo proviene da un giocattolo o da qualcosa qui in casa, è possibile, e sottolineo la parola “possibile”, che ci siano elementi per fare causa al fabbricante del prodotto. Mi piacerebbe fare qualche indagine in merito, ma non le prometto niente». «Intende dire che potremmo avere dei soldi?» «Forse. Lo scopo della causa sarebbe quello, ma prima dobbiamo indagare un po’ più a fondo.» «Quanto denaro?» A quel punto Wally avrebbe promesso qualunque cosa. David l’aveva sentito in pratica garantire un milione di dollari e anche di più a parecchi clienti Krayoxx. «Non posso darle una risposta adesso. È troppo presto. Vorrei indagare, vedere se ci sono gli estremi per intentare una causa e poi procedere un passo alla volta.»
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Helen guardava suo marito con ammirazione. David si stava comportando egregiamente in un campo di cui non sapeva niente e nel quale non aveva alcuna esperienza. Allo studio Rogan Rothberg, David non aveva mai visto una sola causa. «Okay» disse Soe. «Quindi ora cosa facciamo?» «Due cose» rispose David. «Prima di tutto vorrei dare un’occhiata alle cose di Thuya: giocattoli, libri, letto, qualsiasi oggetto possa contenere piombo. Secondo, ho bisogno della vostra firma su alcuni documenti che mi permetteranno di cominciare a raccogliere i dati medici.» Soe rivolse un cenno a Lwin, che da una piccola scatola estrasse un sacchetto di plastica. La donna lo aprì e allineò sul tavolo quattro dentiere giocattolo con i canini da Dracula: blu, nero, verde e rosso. Zaw aggiunse quella rosa del pomeriggio. «Si chiamano “denti del vampiro”» disse Soe. David fissò la serie completa di denti del vampiro e, per la prima volta, avvertì il brivido d’eccitazione della grande causa legale. Prese in mano quelli verdi: plastica dura, ma abbastanza flessibile da aprirsi e chiudersi facilmente. Poteva immaginare benissimo un ragazzino vivace con quei denti in bocca che ululava e inseguiva le sorelline. «Vostro figlio giocava con questa roba?» domandò. Lwin annuì tristemente. Soe disse: «Gli piaceva tantissimo, ce l’aveva sempre in bocca. Una sera ha provato addirittura a cenare con quei denti». «Chi li ha comprati?» «Io» rispose Soe. «Avevo comprato qualche giochino per Halloween. Costavano poco.»
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«Dove li ha acquistati?» chiese David, quasi trattenendo il respiro. Sperava in una risposta tipo Walmart, Kmart, Target, Sears, Macy’s, qualche catena importante con un mucchio di soldi. «In un mercato.» «Quale?» «Un grosso centro. Vicino a Logan Square.» «Probabilmente si tratta del Mighty Mall» disse Helen, e l’eccitazione di David scemò leggermente. Il Mighty Mall era un guazzabuglio di cavernose costruzioni metalliche che ospitavano un labirinto di bancarelle e chioschi stracolmi di merce, un posto dove si poteva trovare quasi qualsiasi cosa legale e molte altre da mercato nero. Abbigliamento dozzinale, articoli casalinghi, vecchi dischi, attrezzature sportive, CD contraffatti, libri usati, bigiotteria, giocattoli, un’enorme quantità di articoli diversi. I prezzi bassissimi attiravano folle enormi. Ogni acquisto avveniva in contanti. Contabilità e scontrini non rientravano tra le priorità del Mighty Mall. «Erano in un’unica confezione?» chiese David. Una confezione avrebbe fornito il nome del fabbricante e forse dell’importatore. «Sì» rispose Soe. «Ma l’abbiamo buttata via, tanto tempo fa.» «Niente confezione» confermò Lwin. L’appartamento aveva due camere da letto: una per i genitori, l’altra per i bambini. David seguì Soe. Le donne rimasero in soggiorno. Il letto di Thuya era un materassino sul pavimento, accanto a quelli delle sorelle. I bambini disponevano di una piccola libreria carica di edizioni tascabili e libri da colorare. Accanto c’era un contenitore di plastica pieno di giocattoli.
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«Quelli sono di Thuya» disse Soe indicando il contenitore. «Posso dare un’occhiata?» chiese David. «Sì, certo.» David si inginocchiò e cominciò a esaminare lentamente il contenuto: pupazzetti, automobiline da corsa, aerei, pistola e manette, il solito assortimento di giocattoli di un bimbo di cinque anni. Si rialzò e disse: «Controllerò meglio più avanti. Per il momento si assicuri che tutto resti qui, così com’è». Tornarono in soggiorno e i denti del vampiro vennero rimessi nel sacchetto. David spiegò che li avrebbe spediti a un esperto per farli analizzare. Se avessero effettivamente presentato livelli di piombo oltre la norma, allora si sarebbero incontrati di nuovo per discutere della causa. Avvertì che individuare il fabbricante del giocattolo poteva risultare difficile e cercò di smorzare eccessivi entusiasmi riguardanti futuri incassi di denaro. Gli Zinc si prepararono ad andarsene. Zaw, Lwin e Soe sembravano perplessi e apprensivi come al momento del loro arrivo. Soe stava per andare in ospedale dove avrebbe passato la notte con Thuya. Il mattino seguente David spedì in un pacchetto la serie completa di denti del vampiro a un laboratorio di Akron, il cui direttore, il dottor Biff Sandroni, era il massimo esperto in materia di avvelenamento da piombo nei bambini. David allegò un assegno di duemilacinquecento dollari, non di Finley & Figg, ma del suo conto personale. Non aveva ancora parlato del caso con i suoi boss e non pensava di farlo prima di saperne di più. Sandroni gli telefonò due giorni dopo per confermargli di aver ricevuto pacchetto e assegno e per informarlo che ci sarebbe voluta una settimana prima di cominciare i test sui denti. Era molto interessato perché
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non aveva mai visto un giocattolo pensato espressamente per essere messo in bocca, anche se in pratica ogni gioco che gli era capitato di esaminare era stato masticato. La provenienza più probabile del giocattolo era Cina, Messico o India, ma senza la confezione sarebbe stato virtualmente impossibile stabilire il nome dell’importatore e del produttore. Sandroni era un gran chiacchierone e continuò a parlare dei suoi casi più significativi. Non faceva altro che andare a deporre in tribunale – “mi piacciono le aule” – e si assumeva piena responsabilità per verdetti di parecchi milioni di dollari. Si rivolgeva a David chiamandolo per nome e insisteva per essere chiamato Biff. Mentre David lo ascoltava, pensò che non ricordava di avere mai parlato con qualcuno di nome Biff. Quel tipo un po’ spaccone lo avrebbe preoccupato, se non fosse stato per le ricerche che aveva svolto in materia di avvelenamento da piombo. Il dottor Sandroni era un guerriero e il suo curriculum professionale era impeccabile. Alle sette di sabato mattina, David e Helen fermarono l’auto nell’affollato parcheggio del Mighty Mall. C’era molta gente e il posto era già gremito. La temperatura esterna era di un grado sottozero e quella all’interno non molto più alta. Gli Zinc aspettarono a lungo in fila per prendere due grandi tazze di cioccolata calda e poi cominciarono a perlustrare il mercato che, per quanto caotico potesse sembrare a prima vista, aveva una parvenza di organizzazione. I venditori di roba da mangiare erano sul davanti, vicino all’entrata, e offrivano cose come hot dog, ciambelle e zucchero filato. Poi c’era tutta una serie di bancarelle di capi d’abbigliamento e di scarpe a poco prezzo. Un’altra lunga corsia era fiancheggiata da bancarelle di libri e di bigiotteria, seguite da altre in cui si vendevano mobili e ricambi per auto. I clienti, così come i venditori, erano di ogni tipo e colore. Oltre all’inglese e allo spagnolo si sentivano molti altri idiomi: lingue
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asiatiche, alcune africane e anche una voce molto alta, che probabilmente parlava in russo. David e Helen si lasciavano trasportare dalla folla, fermandosi ogni tanto per guardare qualcosa di interessante. Dopo un’ora, con la cioccolata ormai fredda, trovarono il settore riservato agli articoli per la casa, poi quello dei giocattoli. C’erano tre bancarelle che esibivano migliaia di gadget e gingilli a buon mercato, nessuno dei quali assomigliava ai denti del vampiro. Gli Zinc sapevano benissimo che mancavano ancora mesi a Halloween ed era poco probabile trovare già in vendita costumi e accessori per quella festa. David prese in mano una confezione che conteneva tre diversi dinosauri, tutti abbastanza piccoli perché un bimbo potesse metterseli in bocca, ma troppo grandi per essere inghiottiti. Tutti e tre erano in varie gradazioni di verde. Solo uno scienziato come Sandroni avrebbe potuto grattare via la vernice ed effettuare test alla ricerca di piombo, ma dopo un mese di ricerche approfondite, David si era convinto che la maggior parte dei giocattoli più dozzinali fosse tossica. I dinosauri erano commercializzati dalla Larkette Industries di Mobile, Alabama, ma prodotti in Cina. David aveva visto il nome Larkette in numerose cause legali. Con i dinosauri in mano, cominciò a pensare all’assurdità della situazione. Un giocattolo viene fabbricato in un posto lontano diecimila chilometri, a un costo di pochi centesimi, viene colorato con vernici contenenti piombo, è importato negli Stati Uniti, viaggia attraverso il sistema distributivo e finisce lì, in un gigantesco mercato delle pulci, dove viene messo in vendita per un dollaro e novantanove, acquistato dai clienti più poveri, portato a casa e regalato a un bambino, che lo mastica e finisce in ospedale, con danni cerebrali e la vita rovinata per sempre. Dove erano tutte le leggi a tutela del consumatore, gli ispettori, i burocrati?
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Per non parlare delle migliaia e migliaia di dollari necessari per curare il piccolo e sostenerlo per tutta la vita. «Vuoi comprare?» abbaiò la minuscola signora ispanica della bancarella. «No, grazie» rispose David, tornando alla realtà. Rimise la confezione dei dinosauri nel mucchio e si voltò. «Nessuna traccia dei denti del vampiro?» domandò, raggiungendo Helen. «No, nessuna.» «Sto gelando. Andiamocene da qui.»
21 Come programmato dall’assistente del giudice Seawright, le deposizioni dei clienti Krayoxx dello studio Finley & Figg iniziarono alle nove in punto in una sala del Downtown Marriott. Dato che, in quanto convenuto, era la Varrick Labs a pagare il conto per le deposizioni, c’era un’ampia disponibilità di panini e pasticcini, unitamente a caffè, tè e succhi di frutta. Era stato predisposto un lungo tavolo, con una videocamera a un’estremità e una sedia per i testi all’altra. Il primo teste era Iris Klopeck. Il giorno prima la signora aveva chiamato il 911 e un’ambulanza l’aveva portata in ospedale, dove era stata curata per alcuni disturbi di cui soffriva: aritmia e ipertensione. Aveva i nervi a pezzi e aveva detto ripetutamente a Wally che non se la sentiva di affrontare la causa. Lui aveva sottolineato, più di una volta, che se avesse tenuto duro fino alla fine avrebbe incassato un poderoso assegno, “probabilmente un milione di dollari”, e questo era stato d’aiuto. Al momento era d’aiuto anche una massiccia dose di Xanax: quando Iris si sedette e guardò la legione di avvocati aveva gli occhi vitrei e stava scivolando nel mondo dei sogni. Comunque all’inizio rimase immobile e guardò impotente il suo legale. “È solo una deposizione” le aveva ripetuto Wally. “Ci saranno parecchi avvocati, ma sono quasi tutti gentili e simpatici.” Non sembravano gentili e simpatici. Alla sinistra di Iris c’era una fila di giovanotti in abito scuro dall’espressione assorta e accigliata. Stavano già scribacchiando sui loro blocchi gialli, anche se lei non aveva ancora pronunciato una sola parola. L’avvocato più vicino a Iris era una donna attraente che le sorrise e l’aiutò a sistemarsi. A destra c’erano Wally e i suoi due compari.
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«Mrs Klopeck, mi chiamo Nadine Karros e sono l’avvocato che guida la difesa della Varrick Labs. Nel corso delle prossime due ore ascolteremo la sua deposizione. Vorrei che lei cercasse di rilassarsi. Le prometto che non cercherò di trarla in inganno e non ricorrerò a trucchetti. Se non comprenderà una domanda, non risponda: io gliela ripeterò. È pronta?» «Sì» rispose Iris, che ci vedeva doppio. Accanto alla donna c’era un cancelliere che la invitò ad alzare la mano destra. Iris ubbidì e giurò di dire la verità. «Mrs Klopeck» cominciò Ms Karros «i suoi legali le avranno sicuramente spiegato che la deposizione verrà filmata e che il video potrà essere utilizzato in tribunale nel caso lei, per qualche ragione, sia impossibilitata a testimoniare personalmente. Ha capito?» «Credo di sì.» «Perciò le chiederei di parlare guardando la videocamera.» «Ci proverò. Sì, posso farlo.» «Benissimo. Mrs Klopeck, lei sta assumendo farmaci, attualmente?» Iris fissò la camera come se si aspettasse un suggerimento su cosa rispondere. Ogni giorno mandava giù undici pillole: per il diabete, la pressione, il colesterolo, l’aritmia, l’artrite, i calcoli renali e qualche altro malanno. Ma quello che la preoccupava era lo Xanax, perché poteva condizionare il suo stato mentale. Wally le aveva consigliato di svicolare sullo Xanax, se gli avessero fatto delle domande sui farmaci, però Ms Karros, fin dal calcio d’inizio, era già all’attacco. Iris ridacchiò. «Oh, sì. Un mucchio.»
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Ci vollero quindici minuti per elencarli tutti, e lo Xanax non fu d’aiuto. Iris era appena arrivata in fondo alla lista, quando si ricordò di un altro medicinale e aggiunse di getto: «Prendevo anche il Krayoxx, ma ora ho smesso. Quella roba ti uccide». Wally scoppiò a ridere. Anche Oscar lo trovò divertente. David soffocò una risata e guardò i ragazzi dal volto di pietra sull’altro lato del tavolo, non uno dei quali si concedesse neppure un’increspatura delle labbra. Nadine invece sorrise e domandò: «È tutto, Mrs Klopeck?». «Credo di sì» rispose Iris, ancora insicura. «Quindi lei al momento non sta assumendo alcun farmaco che possa condizionare le sue capacità di giudizio, la memoria o la capacità di dare risposte veritiere?» Iris lanciò un’occhiata a Wally, che si nascose dietro un blocco legale, e per un secondo fu evidente a tutti che c’era qualcosa che non veniva detto. «Esatto» rispose Mrs Klopeck. «Niente per la depressione, lo stress, gli attacchi di panico, l’ansia?» Era come se Ms Karros stesse leggendo nella mente di Iris e sapesse che stava mentendo. Iris quasi soffocò quando rispose: «Non abitualmente». Dieci minuti dopo le due donne stavano ancora dibattendo sul significato di “non abitualmente”, ma alla fine Iris ammise che “ogni tanto” si faceva uno Xanax. Tuttavia si dimostrò sufficientemente evasiva quando Ms Karros cercò di inchiodarla sulla frequenza. Fece un piccolo passo falso quando si riferì al farmaco come alle sue “pillole della felicità”, ma poi proseguì decisa. Nonostante la lingua impastata e le palpebre cascanti, assicurò alla muraglia di avvocati alla sua sinistra di essere lucidissima e pronta a combattere.
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Indirizzi, date di nascita, componenti della famiglia, occupazioni, titoli di studio... la deposizione sprofondò rapidamente nel tedio a mano a mano che Nadine e Iris analizzavano la famiglia Klopeck, con particolare enfasi sul defunto Percy. Iris, con crescente lucidità, riuscì a singhiozzare un paio di volte mentre parlava del suo amato marito, morto ormai da quasi due anni. Ms Karros scavò nelle abitudini e nello stato di salute di Percy – alcol, fumo, esercizio fisico, dieta – e Iris, per quanto tentasse di raffigurarlo al meglio, lo descrisse purtroppo con precisione. Il ritratto di Percy risultò essere quello di un uomo grasso e malato che mangiava schifezze, beveva troppa birra e si alzava raramente dal divano. «Però aveva smesso di fumare» ripeté Iris almeno un paio di volte. Dopo un’ora ci fu una pausa. Oscar si scusò, dichiarando che doveva andare in tribunale, ma su questo Wally aveva dei sospetti. Aveva praticamente costretto il suo socio anziano ad assistere alle deposizioni, una specie di dimostrazione di forza nei confronti delle truppe mandate da Rogan Rothberg, anche se era dubbio che la presenza di Oscar Finley avrebbe causato qualche turbamento alla difesa. Con la squadra al completo, il lato del tavolo riservato allo studio Finley & Figg contava tre avvocati, adesso uno in meno. A tre metri di distanza, sul lato opposto, Wally ne contava otto. Sette legali per prendere gli stessi appunti mentre uno solo parlava? Ridicolo. Ma poi, mentre Iris rispondeva in tono monocorde, Wally aveva cominciato a pensare che forse quell’esibizione di forza era un buon segno. Magari quelli della Varrick erano così preoccupati che avevano dato istruzioni a Rogan Rothberg di non badare a spese. Forse Finley & Figg li aveva già costretti alle corde senza rendersene conto. Alla ripresa della deposizione, Nadine chiese a Iris di parlare della storia medica di suo marito, e Wally si estraniò. Era irritato dal fatto
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che Jerry Alisandros, ancora una volta, non si era fatto vedere. All’inizio Alisandros aveva programmato di presenziare alle deposizioni con tutto il suo entourage per fare il suo grandioso ingresso in scena, dare battaglia a Rogan Rothberg e cominciare a marcare un po’ di territorio. Ma un’altra emergenza dell’ultimo minuto, questa volta a Seattle, era stata giudicata più importante. “Si tratta solo di deposizioni” aveva detto Alisandros il giorno prima al telefono a un agitato Wally. “Banale routine.” Routine, infatti. Iris stava parlando di una delle vecchie ernie di Percy. Il ruolo di David era molto limitato. Si trovava lì in veste di essere vivente, un vero avvocato che occupava spazio, ma che aveva ben poco da fare a parte scribacchiare e leggere. Al momento stava riguardando uno studio dell’FDA sull’avvelenamento da piombo nei bambini. Ogni tanto Wally diceva educatamente: “Obiezione. La difesa sta chiedendo un’opinione alla teste”. L’adorabile Ms Karros si fermava, aspettava per assicurarsi che Wally avesse finito e poi diceva: “Può rispondere, Mrs Klopeck”. E a quel punto Iris le diceva tutto ciò che voleva sentire. Il rigoroso limite delle due ore fissato dal giudice Seawright venne rispettato. Ms Karros formulò la sua ultima domanda alle dieci e cinquantotto minuti e poi ringraziò gentilmente Iris per essere stata una così valida testimone. Iris intanto stava frugando nella sua borsa alla ricerca dello Xanax. Wally l’accompagnò alla porta e le assicurò che aveva fatto un lavoro superbo. «Quando pensa che pagheranno?» sussurrò la donna. Wally si portò un dito alle labbra e la spinse fuori.
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Fu poi la volta di Millie Marino, vedova di Chester Marino, matrigna di Lyle, l’erede della collezione di figurine del baseball e, per Wally, iniziale fonte di informazioni sul Krayoxx. Milly aveva quarantanove anni, era attraente, in forma, abbastanza ben vestita e in apparenza non sotto l’effetto di farmaci, in pratica l’antitesi della testimone precedente. Si trovava in quella sala per deporre, ma non era ancora tra i credenti nella causa. Stava ancora litigando con Wally per l’eredità del defunto marito. Mrs Marino continuava a minacciare di uscire dalla causa e di trovarsi un altro legale. Wally si era offerto di garantirle, per iscritto, un risarcimento di un milione di dollari. Ms Karros le rivolse le stesse domande della prima deposizione e Wally sollevò le stesse obiezioni. David lesse lo stesso documento e pensò: “Solo altre sei, dopo questa”. Dopo un pranzo veloce gli avvocati tornarono a riunirsi per la deposizione di Adam Grand, il vicedirettore di una pizzeria la cui madre era deceduta sei mesi prima dopo avere assunto il Krayoxx per due anni. (Era la stessa pizzeria che Wally adesso frequentava, ma solo per lasciare segretamente nei bagni copie della sua brochure “Attenzione al Krayoxx!”.) Nadine Karros decise di prendersi una pausa e fu il suo numero due, Luther Hotchkin, a occuparsi della deposizione. A quanto pareva, però, Nadine doveva avergli prestato il suo elenco di domande, perché quelle che Hotchkin rivolse al teste furono le stesse di prima. Durante la sua insopportabile carriera da Rogan Rothberg, David aveva sentito raccontare molte storie sui ragazzi dei dibattimenti in aula: una razza a parte, gente dura che gioca d’azzardo con enormi somme di denaro, che corre rischi incredibili e che vive sempre al limite. In ogni grande studio la sezione contenziosi era la più pittoresca, popolata dai personaggi e dagli ego più smodati. Quella almeno era la
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leggenda urbana. Ma adesso, lanciando ogni tanto un’occhiata alle facce solenni dei suoi avversari sul lato opposto del tavolo, David stava cominciando a nutrire seri dubbi. Niente nella sua esperienza professionale era mai stato così monotono come starsene seduto ad ascoltare deposizioni. E quella in corso era soltanto la sua terza di sempre. Sentiva quasi la mancanza del tedioso arrancare tra i meandri della contabilità di oscure società cinesi. Ms Karros si stava prendendo una pausa, ma non le sfuggiva niente. Quel primo giro di deposizioni era solo una piccola competizione, un teatrino che dava a lei e al suo cliente l’opportunità di conoscere ed esaminare gli otto attori e poi fare la scelta migliore. Iris Klopeck era in grado di sostenere la prova di un combattuto processo di due settimane? Probabilmente no. Durante la deposizione era parsa un po’ frastornata, e Nadine aveva già messo al lavoro due associati per scavare nei suoi trascorsi clinici. D’altra parte era possibile che alcuni giurati avrebbero provato compassione per Iris. Millie Marino sarebbe stata un’ottima testimone, ma suo marito Chester era quello che potenzialmente presentava il collegamento più forte tra l’assunzione del farmaco e la malattia cardiaca, con conseguente morte. Nadine e la sua squadra avrebbero ascoltato tutte le deposizioni, avrebbero guardato i video più volte e proceduto per eliminazione. Con il contributo dei loro esperti avrebbero continuato a studiare a fondo i dati clinici delle otto “vittime”, scegliendo alla fine quella la cui richiesta si fondava su basi più deboli. Una volta individuato il candidato migliore si sarebbero precipitati in tribunale con una voluminosa, fredda e ben motivata richiesta di stralcio. Avrebbero chiesto al giudice Seawright di isolare il caso singolo segnalato, di inserirlo nella sua Agenda razzo e di rimuovere ogni ostacolo fra il caso in questione e un processo con giuria.
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Poco dopo le sei David schizzò fuori dal Marriott e raggiunse la sua auto quasi di corsa. Era stordito e aveva bisogno di aria fresca. Allontanandosi dal centro città si fermò in uno Starbucks e ordinò un doppio espresso. Due porte più avanti c’era un party store che vendeva costumi e accessori. Com’era ormai sua abitudine, David entrò per dare un’occhiata. In quei giorni nessun negozio del genere era al sicuro da lui, o da Helen. Cercavano una serie di denti del vampiro, ancora nella confezione, con i nomi delle aziende coinvolte ben leggibili. Il negozio in cui era entrato offriva il solito assortimento di costumi a buon mercato, regalini, decorazioni, giocattoli, carta da regalo. C’erano diverse serie di denti vampireschi, fabbricati in Messico e distribuiti dalla Mirage Novelties di Tucson. David conosceva la Mirage, aveva addirittura un piccolo dossier su quella azienda. Ditta privata, vendite per diciotto milioni di dollari nell’anno precedente, prodotti perlopiù simili a quelli che David stava esaminando in quel momento. Ormai aveva dossier su decine di aziende specializzate in giochi e gadget da due soldi, e il materiale cresceva di giorno in giorno. Ciò che però non aveva ancora trovato erano i denti del vampiro. Pagò tre dollari per una serie di denti da aggiungere alla sua collezione e poi raggiunse il Brickyard Mall, dove incontrò Helen in un ristorante libanese. Durante la cena si rifiutò di raccontarle la sua giornata – la stessa dura prova era in programma anche per l’indomani – e così parlarono delle lezioni all’università e, ovviamente, dell’imminente crescita della famiglia. Il Lakeshore Children’s Hospital non era molto lontano. Trovarono l’unità di terapia intensiva e poi Soe Khaing, in una saletta riservata ai visitatori. Insieme a lui c’erano alcuni parenti e vennero fatte le presentazioni, anche se David e Helen non capirono un solo nome. I
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birmani erano visibilmente commossi dal fatto che gli Zinc fossero passati a salutare. Le condizioni di Thuya erano cambiate ben poco nel corso dell’ultimo mese. Il giorno dopo la visita a casa della famiglia, David si era messo in contatto con uno dei medici. Dopo che gli ebbe inviato per e-mail i documenti firmati da Soe e da Lwin, il medico aveva accettato di parlargli. Le prospettive del bambino erano pessime. Il livello di piombo presente nel suo corpo aveva seriamente pregiudicato la funzionalità di reni, fegato, sistema nervoso e cervello. Thuya alternava momenti di veglia e assopimento. Se fosse sopravvissuto ci sarebbero voluti mesi o anni per valutare appieno il danno cerebrale. Di solito, però, con un livello così alto di piombo nell’organismo i bambini non sopravvivevano. David e Helen seguirono Soe lungo il corridoio, superarono la postazione degli infermieri e si fermarono davanti a una vetrata dalla quale poterono vedere Thuya, legato a un lettino e collegato a un incredibile assortimento di tubi, cavi e monitor. La respirazione era assistita. «Lo tocco una volta al giorno. Lui mi sente» disse Soe, che poi si asciugò le guance bagnate. David e Helen guardarono attraverso la vetrata, ma non riuscirono a trovare niente da dire.
22 Un altro aspetto tipico di un grande studio che David era arrivato a detestare era quello delle riunioni interminabili. Riunioni per valutare e rivedere, per discutere del futuro dello studio, per programmare tutto, per dare il benvenuto a nuovi avvocati, per dare l’addio a vecchi avvocati, per restare aggiornati sulle leggi, per addestrare i novellini, per farsi addestrare dai soci anziani, per parlare di contributi previdenziali e problematiche legate al lavoro. L’elenco di temi incredibilmente noiosi era infinito. La cultura Rogan Rothberg era lavoro e fatturazione non-stop, ma le riunioni inutili erano così numerose da arrivare a ostacolare la fabbrica dei soldi. Con tutto questo in mente, e quindi con una certa riluttanza, David suggerì una riunione del suo nuovo studio. Lavorava presso Finley & Figg da quattro mesi e si era assestato in una piacevole routine, tuttavia lo preoccupavano la mancanza di complicità e comunicazione tra gli altri membri dello studio. La causa Krayoxx stava andando a rilento. I sogni di Wally di un immediato jackpot stavano sbiadendo e le entrate erano scarse. Oscar era ancora più irritabile, se possibile. Spettegolando con Rochelle, David era venuto a sapere che i due soci non si erano mai seduti a un tavolo per riflettere strategicamente e per esprimere eventuali lamentele. Oscar disse che era troppo occupato. Wally dichiarò che una riunione sarebbe stata una perdita di tempo. Rochelle giudicò l’iniziativa orribile, ma poi si rese conto che sarebbe stata invitata a partecipare e a quel punto si innamorò dell’idea. Quale unica dipendente non-avvocato, la prospettiva di poter esprimere la propria opinione era molto attraente. Con il tempo David riuscì a convincere sia il socio anziano sia
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il socio giovane, e lo studio Finley & Figg programmò la sua prima riunione. Aspettarono le diciassette, chiusero a chiave la porta d’ingresso e staccarono i telefoni. Dopo qualche momento d’imbarazzo, David disse: «Oscar, credo che, quale socio anziano, debba essere tu a dirigere la riunione». «Di cosa vuoi parlare?» ringhiò Finley. «Sono lieto che tu me lo abbia chiesto» rispose David distribuendo l’ordine del giorno. Numero uno: piano parcelle. Numero due: esame pratiche. Numero tre: archivio. Numero quattro: specializzazione. «È solo una proposta» spiegò David. «Francamente non mi importa di cosa parleremo, ma è importante che ognuno di noi possa dire cosa ha in mente.» «Tu hai passato troppo tempo in un grande studio» dichiarò Oscar. «Cos’è che ti dà fastidio?» chiese Wally. «Niente» rispose David. «Penso solo che lavoreremmo meglio uniformando le nostre parcelle e discutendo insieme dei rispettivi casi. Il nostro sistema di archiviazione è superato da vent’anni e, come studio legale, non faremo mai soldi, se non ci specializziamo.» «A proposito di soldi» disse Oscar afferrando il suo blocco per gli appunti. «Da quando abbiamo depositato quelle cause Krayoxx i nostri utili lordi sono diminuiti per tre mesi consecutivi. Stiamo spendendo troppo e la cassa si sta svuotando. Ecco cosa dà fastidio a me.» Stava fissando Wally. «I soldi arriveranno» disse lui.
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«È quello che continui a ripetere.» «Il mese prossimo negozieremo il risarcimento dell’incidente Groomer e porteremo a casa circa ventimila dollari. Non è insolito attraversare un periodo di magra, Oscar. Accidenti, fai questo mestiere da una vita, sai benissimo che ci sono alti e bassi. L’anno scorso abbiamo perso denaro per nove mesi su dodici e alla fine abbiamo comunque avuto un buon profitto.» Qualcuno bussò con forza alla porta. Wally balzò in piedi. «Oh, no. È DeeAnna. Scusate, le avevo detto di prendersi la giornata libera.» Corse alla porta e l’aprì. DeeAnna fece la sua entrata in scena: pantaloni di pelle nera aderentissimi, tacchi iperbolici, maglietta di cotone attillata. «Ciao, tesoro» la salutò Wally. «Stiamo tenendo una piccola riunione. Ti dispiace aspettare nel mio ufficio?» «Quanto ci vorrà?» «Non molto.» Mentre passava ancheggiando, DeeAnna rivolse un sorriso lascivo a Oscar e a David. Wally la guidò verso il suo ufficio e la chiuse dentro. Si rimise a sedere, leggermente imbarazzato. «Volete sapere cosa dà fastidio a me?» disse Rochelle. «Quella là.» Con un cenno del capo indicò l’ufficio di Wally. «Perché deve venire qui tutti i pomeriggi?» «Una volta ricevevi clienti anche dopo le cinque» intervenne Oscar. «Adesso te ne stai là dentro chiuso a chiave con lei.» «DeeAnna non dà fastidio a nessuno» protestò Wally. «E abbassate la voce.»
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«Dà fastidio a me» ribadì Rochelle. Wally mostrò i palmi delle mani e inarcò le sopracciglia, pronto alla lite. «Sentite, tra me e DeeAnna sta diventando una cosa seria, e comunque non sono affari vostri. Capito? Non ho intenzione di continuare questa discussione.» Ci fu una pausa mentre tutti riprendevano fiato, poi Oscar diede inizio al secondo round. «Immagino che tu le abbia parlato del Krayoxx e del grande risarcimento dietro l’angolo, perciò non sorprende che quella donna continui a ciondolare qua in giro, giusto?» «Io non parlo mai delle tue donne, Oscar» ribatté Wally. Donne? Più di una? Rochelle spalancò gli occhi e David ripensò a tutte le ottime ragioni per cui odiava le riunioni. Oscar fissò incredulo il socio per parecchi secondi. Entrambi sembravano stupiti dallo scambio di battute. «Passiamo ad altro» intervenne David. «Chiedo il permesso di studiare la struttura delle nostre parcelle e di tentare l’elaborazione di un modello che punti all’uniformità. Obiezioni?» Non ce ne furono. Sfruttando lo slancio, David distribuì alcuni fogli. «Questo è un caso in cui mi sono imbattuto e che credo abbia un grande potenziale.» «Denti del vampiro?» chiese Oscar guardando una foto a colori della collezione. «Già. Il cliente è un bambino di cinque anni in coma per avvelenamento da piombo. Suo padre aveva comprato questi denti lo scorso Halloween e il piccolo li teneva in bocca per ore. Le varie vernici sono piene di piombo. A pagina tre c’è il rapporto preliminare inviato da un
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laboratorio di Akron dove uno specialista, il dottor Biff Sandroni, ha esaminato i denti. Potete leggere le sue conclusioni in fondo: tutte e cinque le dentiere di plastica sono rivestite di piombo. Il dottor Sandroni è un esperto del ramo e afferma che questo è uno dei prodotti peggiori che gli siano mai capitati negli ultimi venticinque anni. Ritiene che i denti siano stati fabbricati in Cina e importati da una delle molte società che commercializzano giocattoli a basso costo. Le fabbriche cinesi hanno una storia terribile di milioni di prodotti di vario tipo colorati con vernici al piombo. La Food and Drug Administration e l’agenzia di tutela dei consumatori strillano e ordinano il ritiro dal mercato, ma è impossibile monitorare tutto.» Guardando gli stessi fogli passati a Oscar e a Wally, Rochelle disse: «Povero bambino. Ce la farà?». «I medici dicono di no. Ci sono danni importanti al cervello, al sistema nervoso e a molti altri organi. Se quel bambino vivrà, sarà molto triste da vedere.» «Chi è il fabbricante?» chiese Wally. «È proprio questo il problema. Non sono riuscito a trovare un’altra serie di denti del vampiro qui a Chicago. Helen e io li stiamo cercando già da un mese. Niente neppure in Internet. Niente nei cataloghi di giocattoli. Finora nessuna traccia. È possibile che il prodotto venga messo in vendita solo nel periodo di Halloween. La famiglia del bambino non ha conservato la confezione.» «Devono esserci articoli analoghi in giro» osservò Wally. «Se il produttore fabbrica merda come questa, allora sicuramente farà altra merda dello stesso genere, come baffi finti e simili.» «È la mia teoria. Sto mettendo insieme una bella collezione di articoli di questo tipo, e sto catalogando importatori e fabbricanti.»
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«Chi ha pagato questo rapporto?» chiese Oscar, sospettoso. «Io. Duemilacinquecento dollari.» La risposta determinò una pausa nella conversazione e tutti e quattro si misero a esaminare il rapporto. Poi Oscar domandò: «I genitori del bambino hanno firmato un contratto con il nostro studio?». «No. Hanno firmato un contratto con me, in modo che potessi avere la cartella clinica e cominciare le indagini. Ne firmeranno uno anche con lo studio, se glielo chiedo. La domanda è: Finley & Figg vuole questo caso? Se la risposta è sì, allora dovremo spendere un po’ di soldi.» «Quanto?» chiese Oscar. «Il prossimo passo è ingaggiare la squadra di Sandroni perché vada nella casa dove abita il bambino. Il piombo potrebbe essere in altri giocattoli, nella vernice che si stacca dalle pareti, perfino nell’acqua potabile. Io sono stato in quell’appartamento e secondo me avrà almeno cinquant’anni. Sandroni deve individuare l’origine del piombo. Lui è abbastanza sicuro di conoscerla già, ma vuole escludere tutto il resto.» «E questo quanto verrebbe a costare?» insistette Oscar. «Ventimila.» La mascella di Oscar crollò, mentre lui scuoteva la testa. Wally emise un fischio e lasciò cadere i fogli sul tavolo. Solo Rochelle rimase immobile e attenta, ma non aveva diritto di voto in materia di soldi. «Senza controparte, non c’è causa» dichiarò Oscar. «Perché bruciare denaro in indagini, se non sappiamo nemmeno chi vogliamo citare in giudizio?»
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«Troverò il fabbricante» disse David. «Benissimo. E quando ci riuscirai avremo una causa. Forse.» La porta dell’ufficio di Wally vibrò, poi si spalancò. DeeAnna fece un passo avanti e chiese: «Wally, baby, per quanto ne hai ancora?». «Pochi minuti. Abbiamo quasi finito.» «Ma io sono stanca di aspettare.» «Okay, okay. Arrivo tra un momento.» DeeAnna sbatté la porta e le pareti tremarono. «Adesso è lei che dirige le riunioni dello studio» commentò Rochelle. «La pianti» disse Wally. Poi, rivolto a David, continuò: «A me il tuo caso piace, sul serio. Ma con l’affare Krayoxx in corso non possiamo impegnarci in grosse spese per altri obiettivi. Io propongo di tenere la cosa in sospeso, tu magari continua a cercare l’importatore e poi, una volta incamerato l’accordo per il Krayoxx, potremo permetterci di scegliere. La famiglia ha già firmato con te e il bambino non andrà da nessuna parte. Teniamo il caso in standby e programmiamolo eventualmente per l’anno prossimo». David non era in condizione di poter discutere. Entrambi i soci avevano detto no. Rochelle avrebbe detto sì, se avesse avuto diritto di voto, ma stava comunque perdendo interesse. «D’accordo» fece David. «Allora vorrei occuparmene personalmente, nel mio tempo libero, con i miei soldi e sotto la protezione della mia polizza di assicurazione professionale.» «Tu hai una polizza personale?» chiese Oscar.
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«No, ma posso procurarmela facilmente.» «E quei ventimila dollari?» domandò Wally. «Secondo la nostra contabilità, negli ultimi tre mesi tu hai incassato meno di cinquemila dollari lordi.» «È vero, ma ogni mese è andato meglio del precedente. Inoltre ho un po’ di denaro in banca. Sono pronto a tentare la sorte e provare ad aiutare quel ragazzino.» «Qui non si tratta di aiutare un ragazzino» osservò Oscar. «Si tratta di finanziare la causa. Sono d’accordo con Wally: perché non aspettare un anno?» «Perché non voglio» replicò David. «La famiglia ha bisogno di aiuto adesso.» Wally si strinse nelle spalle. «Allora fa’ pure. Io non ho nulla in contrario.» «Per me va bene» disse Oscar. «Ma voglio vedere un aumento nelle tue entrate mensili.» «Lo vedrai.» La porta di Wally si aprì di nuovo e DeeAnna uscì infuriata. Attraversò a passo di marcia l’ufficio, sibilò la parola «Bastardo!», spalancò la porta d’ingresso, ringhiò «Non telefonarmi!» nella direzione generale del tavolo e fece tremare di nuovo le pareti quando si sbatté la porta alle spalle. «Ha temperamento» osservò Wally. «Che classe» commentò sottovoce Rochelle.
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«Non puoi fare davvero sul serio con quella donna» disse Oscar, quasi implorante. «DeeAnna rientra nella categoria affari miei, non tuoi» replicò Wally. «C’è altro in agenda? Sono stanco di questa riunione.» «Niente da parte mia» disse David. «La riunione è aggiornata» dichiarò il socio anziano.
23 Il grande Jerry Alisandros comparve finalmente sulla scena di Chicago nella sua epica guerra contro la Varrick, e il suo fu un arrivo di grande impatto. Prima di tutto atterrò a bordo del Gulfstream G650 che Wally continuava ancora a sognare. Secondo, portò con sé un entourage degno di quello che scortava Nadine Karros in aula. Con Zell & Potter in campo, adesso le due squadre sembravano più equilibrate. Terzo, Alisandros aveva le competenze, l’esperienza e la reputazione nazionale che di certo non si sarebbero mai trovate nello studio Finley & Figg. Oscar saltò l’udienza perché la sua presenza non era necessaria. Wally non vedeva l’ora di arrivare in tribunale per poter marciare impettito in aula in compagnia del suo collega superstar. David si accodò per curiosità. Nadine Karros, la sua squadra e il suo cliente avevano scelto Mrs Klopeck quale loro porcellino d’India. Né gli avvocati di Iris, né Iris stessa avevano il minimo sentore del piano generale della controparte. La Varrick aveva presentato un’istanza chiedendo di separare i casi degli attori, trattare otto cause distinte invece di una sola complessiva e mantenere la controversia a Chicago, invece di scaricarla tra migliaia di altre nel nuovo procedimento multidistrettuale in Florida. Gli avvocati degli attori si erano opposti strenuamente e c’era stato uno scambio di voluminose memorie. L’atmosfera era tesa, quando le due squadre di legali si ritrovarono nell’aula del giudice Seawright. Mentre tutti aspettavano, un cancelliere si presentò per annunciare che il giudice era trattenuto da una questione urgente, ma che sarebbe arrivato entro mezz’ora. David stava chiacchierando con un associato di Zell & Potter, quando uno dei legali della difesa si avvicinò per uno
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studiato saluto. A David parve di ricordare di averlo visto da qualche parte nei corridoi di Rogan Rothberg, ma si era impegnato a fondo per dimenticare quella gente. «Sono Taylor Barkley» disse l’avvocato dopo una rapida stretta di mano. «Harvard, due anni avanti a te.» «Piacere» disse David, che poi presentò Barkley al legale di Zell & Potter con cui lui stesso aveva appena fatto conoscenza. Per qualche minuto chiacchierarono dei Cubs, del tempo e poi finalmente passarono all’argomento del giorno. Barkley dichiarò di lavorare ventiquattr’ore al giorno perché Rogan ormai era sepolto dalle cause Krayoxx. David aveva fatto quella vita, ne era uscito e non aveva voglia di sentirne parlare. «Sarà un accidente di processo» disse per riempire un vuoto nella conversazione. Barkley sbuffò, come se fosse stato in possesso di informazioni riservate. «Quale processo? Questi casi non arriveranno mai davanti a una giuria. Lo sai anche tu, no?» domandò, guardando l’associato di Zell & Potter. Parlando sottovoce perché l’aula brulicava di avvocati con microfoni nascosti, Barkley continuò: «Per un po’ ci difenderemo come matti, ingrosseremo i fascicoli, incasseremo un bel po’ di parcelle scandalose e poi consiglieremo al nostro caro cliente di negoziare un accordo stragiudiziale. Arriverai anche tu a capire come funziona il gioco, Zinc. Se resterai in campo abbastanza a lungo». «Sto imparando» disse David, attento a ogni parola. Sia lui sia l’associato di Zell & Potter ascoltavano con le orecchie dritte, assimilando le informazioni, ma senza darvi credito. «Per quello che può interessarti» riprese Barkley quasi in un sussurro «tu ormai da Rogan sei una leggenda. Un tizio con le palle si licenzia,
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si trova un lavoro più tranquillo e adesso se ne sta seduto sopra una montagna di casi che sono una miniera d’oro. Mentre noi continuiamo a fare gli schiavi a ore.» David si limitò ad annuire, sperando che Barkley se ne andasse. La guardia giudiziaria prese improvvisamente vita e ordinò ai presenti di alzarsi in piedi. Il giudice Seawright si sistemò dietro il suo banco e disse a tutti di sedersi. «Buongiorno» salutò al microfono, sistemando le sue carte. «Abbiamo parecchio da fare nelle prossime due ore e, come sempre, la concisione sarà apprezzata. Sto seguendo con attenzione la fase di esibizione del materiale probatorio e mi sembra che le cose stiano procedendo regolarmente. Mr Alisandros, ha osservazioni in merito?» Jerry si alzò in piedi con atteggiamento studiato perché tutti lo stavano guardando. I lunghi capelli grigi erano pettinati all’indietro sopra le orecchie e si arricciavano appena sul collo. La carnagione era debitamente abbronzata e l’abito su misura cadeva alla perfezione sul corpo snello. «No, vostro onore. Non per il momento. E vorrei aggiungere che sono lieto di trovarmi nella sua aula.» «Benvenuto a Chicago. Ms Karros, lei ha rilievi in merito all’esibizione del materiale probatorio?» Ms Karros si alzò in piedi. Indossava un leggero abito grigio di seta e lino con scollo a V in stile impero, lungo sotto il ginocchio e stretto sulle gambe snelle; ai piedi aveva un paio di décolleté nere. Tutti gli occhi erano puntati su di lei. David non vedeva l’ora che cominciasse il processo solo per assistere alla sfilata di moda. Wally stava sbavando. «Vostro onore, questa mattina tra noi e la controparte c’è stato lo scambio della lista dei consulenti, di conseguenza è tutto in ordine» rispose, con voce profonda e dizione perfetta.
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«Molto bene» disse Seawright. «Questo ci porta al punto più importante di oggi, e cioè dove queste cause andranno a processo. I legali degli attori hanno presentato istanza per il trasferimento di tutte le cause in quella multidistrettuale presso la corte federale di Miami. Il convenuto si oppone, e non solo preferisce che le cause restino qui a Chicago, ma chiede anche di separarle e di celebrare un processo alla volta, cominciando con gli eredi del defunto Percy Klopeck. Entrambe le posizioni sono state esposte e documentate in modo attento ed esaustivo. Io ho letto ogni parola. A questo punto consento a entrambe le parti di esporre le proprie osservazioni, cominciando dai legali degli attori.» Jerry Alisandros andò al piccolo leggio al centro dell’aula, di fronte al giudice Seawright, ma molto più in basso. Sistemò con cura le sue carte, si schiarì la voce e attaccò con il tradizionale «Con il permesso della corte...». Per Wally fu il momento più eccitante di tutta la sua carriera. Pensare che lui, un cacciatore di ambulanze del Southwest Side, in quel momento sedeva in una corte federale e guardava grandi avvocati darsi battaglia su casi che lui aveva scovato e formalizzato, casi dei quali lui era responsabile, casi che lui aveva creato... era quasi troppo. Soffocò un sorriso e si sentì addirittura anche meglio quando si fece scivolare un dito sotto la cintura. Sette chili in meno. Sobrio da centonovantacinque giorni. I chili persi e la mente limpida erano senza dubbio collegati all’indescrivibile divertimento che lui e DeeAnna condividevano a letto. Wally si cibava di Viagra, guidava una nuova Jaguar decappottabile (nuova per lui, ma leggermente usata e rateizzata in oltre sessanta mesi) e si sentiva vent’anni di meno. Mentre se ne andava in giro per Chicago con la capote abbassata, non faceva che sognare i suoi soldi Krayoxx e la splendida vita che lo aspettava. Lui e DeeAnna avrebbero viaggiato, preso il sole in spiaggia, e lui avrebbe lavorato solo quando necessario. Aveva già deciso che si
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sarebbe specializzato in azioni collettive: basta con la banalità del lavoro di strada, i divorzi da due soldi e gli automobilisti ubriachi, e via con la grana vera. Era sicuro che lui e Oscar si sarebbero separati. E francamente, dopo vent’anni, era arrivato il momento. Voleva bene a Oscar come a un fratello, ma il suo socio non aveva ambizione, nessuna visione, nessun desiderio di progredire. Tra loro avevano già discusso di dove nascondere i soldi Krayoxx in modo che la moglie di Oscar ne vedesse ben pochi. Oscar sarebbe sicuramente passato attraverso un divorzio difficile e lui, Wally, gli sarebbe stato vicino per dargli una mano, ma una volta conclusa la faccenda, si sarebbero divisi. Triste, ma inevitabile. Wally avrebbe girato il mondo, Oscar era troppo vecchio per cambiare. Jerry Alisandros soffrì una pessima partenza quando cercò di sostenere che il giudice Seawright non aveva altra scelta se non quella di trasferire le cause a Miami. «Queste cause sono state intentate a Chicago, non a Miami» gli ricordò il giudice. «Nessuno vi ha costretto a depositare gli atti di citazione qui. Immagino che avreste potuto farlo ovunque sia possibile trovare prodotti della Varrick Labs, vale a dire in uno qualsiasi dei cinquanta Stati. Ho qualche difficoltà a capire perché un giudice federale della Florida dovrebbe poter ordinare a un giudice federale di Chicago di trasferire le sue cause laggiù. Lei me lo può spiegare, Mr Alisandros?» Mr Alisandros non poteva. Cercò coraggiosamente di suggerire che in caso di azioni collettive era ormai consuetudine istituire un procedimento multidistrettuale, con un unico giudice a presiedere tutte le cause. Consuetudine, ma non obbligo. Seawright sembrò irritato dal fatto che qualcuno, chiunque fosse, suggerisse che lui era tenuto a cedere ad altri le cause. Quelle cause erano sue!
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David sedeva dietro Wally, in una fila di sedie di fronte al cancelletto. Era affascinato dallo spettacolo dell’aula di giustizia, dalla pressione, dalla posta in gioco, ma era anche preoccupato perché era chiaro che il giudice Seawright era contro di loro per quanto riguardava la sede processuale. Alisandros comunque aveva assicurato tutti che vincere quelle mozioni iniziali non era vitale. Se la Varrick Labs voleva andare a processo con uno specifico caso pilota a Chicago, e voleva farlo in fretta, nessun problema. In tutta la sua carriera lui non si era mai tirato indietro davanti a un processo. Che facessero pure! Il giudice, però, sembrava ostile. David si chiese come mai si sentisse preoccupato. Non ci sarebbe mai stato un processo, giusto? Tutti gli avvocati sul suo lato dell’aula erano segretamente, fermamente convinti che la Varrick Labs avrebbe sistemato il suo pasticcio Krayoxx molto prima che iniziassero i processi. E se si doveva credere a Barkley dello schieramento opposto, anche i legali della difesa stavano pensando a un accordo stragiudiziale. Era un gioco truccato? Era così che funzionava il business delle azioni collettive? Si individua un farmaco dannoso, gli avvocati raccolgono freneticamente i casi, si intentano le cause, i grandi studi specializzati nella difesa reagiscono con un’infinita quanto costosa esibizione di talento legale, entrambe le parti si scambiano colpi al rallentatore finché il produttore del farmaco si stanca di firmare grossi assegni ai suoi avvocati e a quel punto si trova l’accordo; i legali delle parti attrici incassano parcelle enormi e i loro clienti molto meno di quanto si aspettassero. Una volta diradato il polverone, tutti gli avvocati coinvolti si ritrovano più ricchi e la società produttrice ripulisce i suoi bilanci e sviluppa un farmaco sostitutivo. Non si trattava d’altro che di buon teatro? Quando Jerry Alisandros si rese conto che cominciava a ripetersi, tornò a sedersi. Gli avvocati presenti si raddrizzarono tutti di colpo
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non appena Nadine Karros si alzò in piedi e andò al leggio. Aveva qualche appunto, di cui però non si servì. Poiché era evidente che il giudice era d’accordo con lei, l’esposizione delle sue argomentazioni fu breve. Ms Karros parlò con lunghe frasi eloquenti, che diedero l’impressione di essere frutto di attente riflessioni. Le parole erano chiare, la voce risuonava piacevole in tutta l’aula. Nulla era in eccesso: nessuna verbosità, nessun gesto inutile. Quella donna era nata per il palcoscenico. Esaminando la questione da diverse prospettive, Ms Karros stabilì con chiarezza che non esisteva alcuna regola, norma procedurale o precedente che obbligasse un giudice federale a trasferire le proprie cause a un altro giudice federale. Dopo qualche minuto, David si stava già chiedendo se sarebbe mai arrivato a vedere Ms Karros in azione davanti a una giuria. Nadine sapeva, in quel preciso momento, che non ci sarebbe mai stato un processo? Stava semplicemente recitando la sua parte, a duemila dollari l’ora? Un mese prima la Varrick Labs aveva diffuso i dati relativi ai suoi profitti trimestrali, scesi in misura significativa. La società aveva sorpreso gli analisti stornando cinque miliardi di dollari per i costi previsti delle cause in corso, soprattutto quelle riguardanti il Krayoxx. David seguiva attentamente queste notizie sulle pubblicazioni e i blog finanziari. Le opinioni erano divise tra chi riteneva che la Varrick Labs si sarebbe affrettata a risolvere il pasticcio con un’enorme transazione e chi invece pensava che la società avrebbe potuto tentare di resistere alla tempesta affrontando i processi. Il prezzo delle azioni oscillava fra i trentacinque e i quaranta dollari, di conseguenza gli azionisti sembravano ancora ragionevolmente tranquilli. David stava studiando anche la storia delle azioni collettive ed era rimasto sorpreso nel constatare quanto spesso le quotazioni delle azioni di una società citata in giudizio salissero in modo impressionante non
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appena la società stessa arrivava all’accordo stragiudiziale e si sbarazzava di una montagna di cause. Di norma c’era un calo nella quotazione alla prima ondata di brutte notizie e alle dichiarazioni isteriche dei legali degli attori, ma a mano a mano che i termini della battaglia si chiarivano e le cifre in gioco diventavano definitive, Wall Street sembrava preferire un buon accordo transattivo. Ciò che Wall Street detestava era una “responsabilità civile incerta”, quella spesso in gioco quando una grossa causa finiva davanti a una giuria e l’esito del processo era imprevedibile. Nel corso degli ultimi dieci anni tutte le più importanti azioni collettive riguardanti prodotti farmaceutici erano state risolte in via stragiudiziale, e per miliardi di dollari. Da un lato David trovava rassicuranti le sue ricerche. Per contro, le stesse ricerche avevano prodotto ben poco in termini di prove concrete del fatto che il Krayoxx provocasse davvero tutte le cose terribili di cui era accusato. Dopo il leale e approfondito confronto tra le parti, il giudice Seawright ritenne di aver sentito abbastanza. Ringraziò gli avvocati per essersi preparati con tanta cura e promise una decisione entro dieci giorni, un lasso di tempo inutile dato che avrebbe potuto deliberare immediatamente. C’erano ben pochi dubbi sul fatto che si sarebbe tenuto le sue cause a Chicago, e inoltre a Seawright sembrava piacere l’idea di un “processo spettacolo”. I legali degli attori si ritirarono alla Chicago Chop House, dove Mr Alisandros aveva riservato una sala per un pranzo privato. Compresi Wally e David, c’erano sette avvocati e due paralegali (tutti uomini). Presero posto intorno al tavolo ovale e il vino ordinato da Jerry venne subito versato. Wally e David rifiutarono educatamente. «Un brindisi» annunciò Jerry, picchiettando il proprio bicchiere. Silenzio. «Propongo un brindisi al molto onorevole giudice Harry
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Seawright e alla sua famosa Agenda razzo. La trappola è stata predisposta e quegli idioti di Rogan Rothberg pensano che siamo ciechi. Vogliono un processo. Lo vuole anche il nostro vecchio Harry, perciò, per Dio, diamogli un processo!» Tutti bevvero un sorso e poi, nel giro di pochi secondi, la conversazione passò all’analisi delle gambe e del sedere di Nadine Karros. Wally, che sedeva alla destra del trono di Mr Alisandros, contribuì con commenti che vennero giudicati molto spiritosi. All’insalata, le chiacchiere naturalmente si spostarono sul secondo argomento preferito: l’accordo stragiudiziale. David, che parlava il meno possibile, si vide costretto a riferire il suo colloquio con Taylor Barkley subito prima dell’udienza. Il racconto venne accolto con grande interesse. Troppo, a parere di David. Era il palcoscenico di Jerry, e infatti fu quasi sempre lui a parlare. Lo entusiasmava l’idea di un grande processo con un grande verdetto, ma, al tempo stesso, era anche estremamente sicuro che la Varrick avrebbe ceduto prima, scaricando miliardi di dollari sul tavolo. Alcune ore dopo David era ancora confuso, ma anche confortato dalla presenza di Jerry Alisandros. Quell’uomo aveva combattuto le sue guerre, nelle aule di tribunale e fuori, e non aveva quasi mai perso. Secondo “Lawyers Weekly”, la rivista di settore, l’anno prima i trentacinque soci di Zell & Potter si erano spartiti profitti netti per un miliardo e trecento milioni di dollari. Netti, cioè dedotte le spese per i nuovi jet, il campo da golf aziendale e qualsiasi altra sontuosa detrazione concessa dal fisco. Secondo la rivista “Florida Business”, Jerry valeva intorno ai trecentocinquanta milioni di dollari. Non un brutto modo di esercitare la professione di avvocato. David non aveva mostrato quei numeri a Wally.
24 Kirk Maxwell rappresentava l’Idaho al Senato degli Stati Uniti da quasi trent’anni. Generalmente stimato e considerato uomo del fare che evitava ogni forma di pubblicità e preferiva lavorare lontano dalle telecamere, era uno dei membri più popolari del Congresso, riservato e modesto. Ma la sua morte improvvisa fu assolutamente spettacolare. Microfono in pugno, Maxwell stava parlando al Senato, in feroce polemica con un collega sul lato opposto dell’aula, quando all’improvviso si era premuto le mani sul petto, aveva lasciato cadere il microfono, aveva spalancato la bocca terrorizzato ed era crollato in avanti. Era morto all’istante per arresto cardiaco e il tutto era stato ripreso dalle telecamere ufficiali del Senato, diffuso senza regolare autorizzazione e visto dal mondo intero su YouTube prima ancora che la moglie arrivasse in ospedale. Due giorni dopo il funerale, l’irrequieto figlio del senatore confidò a un giornalista che suo padre si curava con il Krayoxx e che la famiglia stava valutando la possibilità di fare causa alla Varrick Labs. Una volta che l’informazione venne macinata nel ciclo continuo dei vari notiziari, rimasero ben pochi dubbi sul fatto che fosse stato il farmaco a uccidere il senatore. Al momento della morte Maxwell aveva solo sessantadue anni ed era in buona salute, anche se con una storia familiare di colesterolo alto. Un infuriato collega del senatore annunciò l’istituzione di una sottocommissione che avrebbe indagato sui pericoli del Krayoxx. La Food and Drug Administration fu assediata da richieste per la messa al bando del farmaco. La Varrick Labs, acquattata fra le colline vicino a
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Montville, non rilasciò commenti. Era un altro giorno nero per la società, ma Reuben Massey aveva visto di peggio. L’eventuale causa legale avrebbe presentato risvolti ironici per due ragioni. Prima di tutto, nei suoi trent’anni a Washington il senatore aveva ricevuto milioni di dollari da Big Pharma e, dal punto di vista dell’industria farmaceutica, aveva sempre votato in modo perfetto. In secondo luogo, Maxwell era stato un fervente sostenitore della necessità di riformare la normativa del risarcimento danni e in ogni occasione aveva votato perché venissero imposte severe restrizioni alla possibilità di intentare causa. Immediatamente dopo una tragedia, però, l’ironia spesso non viene colta da quelli che restano. La vedova del senatore si rivolse a un noto civilista di Boise, ma “solo per consultazioni”. Con il Krayoxx in prima pagina, il giudice Seawright decise che, dopotutto, un processo poteva essere interessante. Deliberò contro gli attori su tutti i punti. La causa che Wally aveva intentato e in seguito modificato sarebbe stata spezzettata in procedimenti separati e quello relativo al defunto Percy Klopeck sarebbe stato il primo calendarizzato nella furia della Norma Locale 83.19, l’Agenda razzo. Non appena seppe della decisione del giudice, Wally fu preso dal panico, ma cominciò a calmarsi nel corso di una lunga e tranquillizzante conversazione con Jerry Alisandros. Jerry gli spiegò che la morte del senatore Maxwell era un dono del cielo – in più di un senso, dato che un accanito riformatore della normativa risarcimento danni era stato ridotto al silenzio – e non avrebbe fatto che aumentare la pressione sulla Varrick per iniziare a trattare un accordo. Inoltre, ebbe modo di ripetere Jerry, personalmente avrebbe gradito moltissimo la possibilità di ritrovarsi al centro della scena a duellare contro la deliziosa Ms Karros in un’affollata aula di Chicago. «L’ultimo posto in cui vogliono vedermi è un’aula di tribunale» disse più volte Alisandros. In quel
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preciso momento, la sua “Squadra processo Klopeck” stava già lavorando sodo. E il suo studio aveva già avuto a che fare con molti egocentrici giudici federali e le loro personali versioni dell’Agenda razzo. «Non è stato Seawright a inventare l’Agenda razzo?» chiese Wally cadendo dalle nuvole. «Santo cielo, no. Ho sentito per la prima volta quell’espressione trent’anni fa, nello Stato di New York.» Jerry sollecitò Wally a insistere nel setacciare le strade alla ricerca di altri casi Krayoxx. «Sto per renderti ricco, Wally» dichiarò, ancora e ancora. Due settimane dopo la morte del senatore Maxwell, l’FDA cedette alle pressioni e ordinò il ritiro del Krayoxx dal mercato. Gli avvocati specializzati in azioni collettive ebbero una reazione orgasmica e legali in decine di città rilasciarono dichiarazioni alla stampa, quasi tutte dello stesso tenore: la Varrick dovrà rispondere della sua grave negligenza. Si imponeva un’indagine federale. L’FDA non avrebbe mai dovuto approvare quel farmaco. Pur sapendo che il Krayoxx presentava dei problemi, la Varrick non aveva esitato a metterlo in commercio, e in sei anni aveva intascato trenta miliardi di dollari. Chissà cosa si nascondeva veramente nei risultati delle sue ricerche. Le notizie suscitavano in Oscar reazioni contrastanti. Da un lato, com’era ovvio, voleva che il Krayoxx avesse quanta più cattiva stampa possibile, in modo da costringere la società a sedersi a un tavolo. Per contro, sperava segretamente e ardentemente che il farmaco si prendesse cura di sua moglie. Il ritiro dal mercato avrebbe aumentato la pressione sulla Varrick, ma avrebbe anche eliminato il Krayoxx dall’armadietto dei medicinali di Paula. Per Oscar la conclusione perfetta sarebbe stata la notizia di un accordo stragiudiziale più o meno nello stesso momento in cui sua moglie tirava le cuoia grazie al Krayoxx. Lui si sarebbe tenuto tutti i soldi, avrebbe evitato un divorzio combattuto e
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poi, per conto della sua cara consorte defunta, avrebbe fatto causa alla Varrick, facendole sganciare altro denaro. Era questo che sognava dietro la porta chiusa a chiave. Le spie delle linee telefoniche lampeggiavano senza sosta, ma Oscar si rifiutava di rispondere. La maggior parte delle chiamate era da parte di “casi nonmorte”, gente che Figg aveva trovato grazie alle sue varie iniziative. Che fossero Rochelle, Wally e il giovane David a occuparsi dei clienti in fermento. Oscar era deciso a restarsene chiuso nel suo ufficio e a evitare tutta la frenesia, se possibile. Ormai pronta a dare le dimissioni, Rochelle aveva richiesto un’altra riunione dello studio. «Hai visto cos’avete scatenato?» sibilò Oscar a David, mentre a fine pomeriggio tutti e quattro si sedevano intorno al tavolo. «Cosa c’è in agenda?» chiese Wally, anche se lo sapevano tutti. Rochelle aveva talmente insistito con David da convincerlo a fare da portavoce. David si schiarì la voce e andò subito al punto: «Dobbiamo organizzare tutti questi casi Krayoxx. Da quando il farmaco è stato ritirato, i telefoni non fanno che squillare come pazzi per chiamate di gente che o ha già firmato con noi, o vuole salire a bordo». «Non è meraviglioso?» osservò Wally con un largo sorriso soddisfatto. «Forse, ma il nostro non è uno studio specializzato in azioni collettive. Non siamo attrezzati per gestire quattrocento casi contemporaneamente. I grandi studi hanno decine di associati e un numero addirittura maggiore di paralegali, un sacco di persone per sbrigare il lavoro.» «Noi abbiamo quattrocento casi?» chiese Oscar. Non era chiaro se fosse compiaciuto oppure sconvolto.
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Wally bevve rumorosamente qualche sorso di una bibita dietetica e poi rispose con orgoglio: «Abbiamo i nostri otto casi di morte, naturalmente, più quattrocentosette casi di non-morte, e il conteggio non è ancora chiuso. Mi dispiace se questi casi minori creano così tanti problemi, ma quando arriverà il momento di negoziare l’accordo, e inseriremo i nostri casi nella griglia risarcitoria elaborata da Jerry Alisandros, probabilmente scopriremo che ogni caso non-morte vale circa centomila miserabili dollari. Per quattrocentosette. Qualcuno qui sa fare i conti?». «Non è questo il punto, Wally» ribatté David. «Sappiamo fare i conti. Quello che ti sfugge è il fatto che molti di quei casi potrebbero non essere affatto dei casi. Non uno di quei clienti non-morte è stato visitato da un medico. Non sappiamo se hanno effettivamente subito dei danni, giusto?» «No, non ancora, ma non abbiamo neppure intentato causa per loro, giusto?» «Sì, ma quelle persone sono convinte di essere già clienti a tutti gli effetti e che tra un po’ incasseranno un risarcimento. Tu hai dipinto un quadro troppo roseo.» «Quando vedranno un medico?» chiese Oscar. «Presto» sparò Wally in direzione del socio. «Jerry sta per ingaggiare un medico esperto, qui a Chicago, che visiterà ogni paziente e redigerà un rapporto.» «E tu presumi che tutti abbiano legittimamente diritto a richiedere un risarcimento?» domandò David. «Io non presumo niente.»
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«Quanto costerà ogni visita?» volle sapere Oscar. «Lo sapremo solo quando troveremo il medico.» «Chi pagherà le visite?» domandò Oscar. «Il gruppo contenzioso Krayoxx. Abbreviato GCK.» «E noi ci siamo dentro?» «No.» «Sei sicuro?» «Ma cos’è questa storia?» scattò arrabbiato Wally. «Perché ce l’avete tutti con me? Nella prima riunione dello studio si è parlato solo della mia ragazza. In questa si parla solo dei miei casi. Queste riunioni cominciano a darmi fastidio. Che cosa avete tutti quanti?» «Io non ne posso più di tutte queste telefonate» disse Rochelle. «È un continuo. Tutti hanno una storia. Alcuni piangono perché lei li ha spaventati a morte, Wally. Altri si presentano addirittura in studio e vogliono che li tenga per mano. A causa sua e dell’FDA pensano tutti di avere il cuore malandato.» «E se avessero davvero il cuore malandato, e se il cuore malandato fosse dovuto al Krayoxx, e se noi riuscissimo a fargli incassare un po’ di soldi? Non è quello che si suppone facciano gli avvocati?» «E se assumessimo un paralegale per qualche mese?» propose di colpo David, che poi si irrigidì in attesa delle reazioni. Gli altri non furono abbastanza pronti a ribattere e così proseguì: «Potremmo sistemarlo nello stanzino al piano di sopra e mandargli tutti i casi Krayoxx. Io lo aiuterò a organizzare il software delle cause e i sistemi di
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archiviazione, in modo che sia sempre aggiornato. Mi occuperò io di sovrintendere al progetto, se volete. Tutte le telefonate riguardanti il Krayoxx saranno passate al nuovo ufficio. Allenteremo la pressione su Rochelle, e Wally potrà continuare a fare quello che sa fare meglio, cioè andare a caccia di clienti». «Non siamo in condizione di assumere nessuno» sentenziò prevedibilmente Oscar. «Il nostro movimento di cassa attuale è molto al di sotto della norma, per via del Krayoxx. E dato che tu non contribuisci ancora a pagare le fatture, e potrei aggiungere che nemmeno ci vai vicino, non credo che tu sia nella posizione di proporre altre spese.» «Capisco» disse David. «Stavo solo suggerendo un modo per organizzare meglio lo studio.» “Anzi, considerati fortunato perché abbiamo deciso di assumere te” pensò Oscar, e fu quasi sul punto di dirlo ad alta voce. A Wally l’idea piaceva, però in quel momento non se la sentiva di scontrarsi con il socio anziano. Rochelle ammirò David per la sua audacia, ma non si sarebbe mai espressa su un argomento che riguardava le spese generali dello studio. «Io ho un’idea migliore» disse Oscar, rivolgendosi a David. «Perché non lo fai tu, il paralegale Krayoxx? Sei già al piano di sopra. Sai qualcosa del software cause legali. Non fai che blaterare a proposito della necessità di organizzarsi meglio. Vuoi un nuovo sistema di archiviazione. A giudicare dai tuoi incassi mensili direi che un po’ di tempo libero ce l’hai. Una soluzione del genere ci farebbe risparmiare soldi. Cosa te ne pare?» Era tutto vero, e David non aveva intenzione di tirarsi indietro. «Okay. Quale sarà la mia fetta dell’accordo stragiudiziale?»
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Oscar e Wally si scambiarono un’occhiata e i quattro occhi si strinsero mentre la domanda rimbalzava nei due cervelli. Non avevano ancora deciso come loro stessi si sarebbero divisi il denaro. C’erano state delle chiacchiere informali su un bonus per Rochelle e uno per David, ma sull’effettiva divisione del bottino, non una parola. «Dovremo discuterne» disse Wally. «Sì, è una questione di competenza dei soci» aggiunse Oscar, come se essere socio dello studio Finley & Figg significasse fare parte di un club potente ed esclusivo. «Be’, sbrigatevi a decidere qualcosa» intervenne Rochelle. «Io non posso rispondere a tutte le telefonate e occuparmi di tutta l’archiviazione.» Qualcuno bussò alla porta. DeeAnna era tornata.
25 Il piano elaborato da Reuben Massey per gestire l’ultimo pasticcio farmaceutico della sua società era stato mandato a gambe all’aria dalla morte del senatore Kirk Maxwell, ora noto nei corridoi della Varrick con il derisorio soprannome di Jerk – l’inutile idiota – Maxwell. La vedova del senatore non aveva intentato alcuna azione giudiziaria, ma quel pallone gonfiato del suo legale si stava godendo alla grande il suo momento di celebrità. Era sempre disponibile alle interviste ed era addirittura riuscito a farsi invitare a qualche talk show. Si era tinto i capelli, si era comprato diversi abiti nuovi e stava vivendo il sogno di tanti avvocati. Le azioni ordinarie della Varrick erano crollate a 29,50 dollari, la quotazione più bassa da sei anni. Due analisti di Wall Street, individui che Massey detestava, raccomandavano di vendere. Uno di loro aveva scritto: “Dopo soli sei anni sul mercato, il Krayoxx incide per un quarto delle entrate Varrick. Con il ritiro del prodotto le previsioni a breve termine della società sono molto incerte”. L’altro aveva infierito: “I numeri sono terrificanti. Con un milione di potenziali cause per il Krayoxx, la Varrick si dibatterà nel pozzo nero delle azioni collettive per i prossimi dieci anni”. “Se non altro la metafora del pozzo nero è azzeccata” borbottò Massey tra sé, sfogliando i giornali finanziari del mattino. Non erano ancora le otto, il cielo sopra Montville era nuvoloso, lo stato d’animo generale all’interno del bunker era cupo, ma, stranamente, l’amministratore delegato era di buon umore. Almeno una volta alla settimana, e anche più spesso se possibile, Mr Massey si concedeva il piacere di sbranare
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qualcuno a colazione. Il pasto di quel giorno sarebbe stato particolarmente delizioso. Da giovane Layton Koane aveva servito per quattro mandati alla Camera degli Stati Uniti, poi però gli elettori lo avevano rispedito a casa a seguito di una chiacchierata relazione con una stagista. Caduto in disgrazia, una volta rientrato in Tennessee non era riuscito a trovare un lavoro decente, anche perché, non avendo mai terminato gli studi al college, non era in possesso di particolari qualifiche, talenti o capacità. Il suo curriculum era così scarno da risultare imbarazzante. Appena quarantenne, divorziato, disoccupato e in bancarotta, era tornato al Campidoglio e aveva deciso di avventurarsi lungo la magica strada di mattoni gialli già percorsa da tanti ex politici caduti in disgrazia, aveva scelto una delle più venerande tradizioni di Washington. Era diventato un lobbista. Privo di qualsiasi scrupolo etico, Koane era rapidamente diventato l’astro nascente nel gioco degli scambi di favori con i politici. Riusciva a trovare l’occasione, a fiutarla, a dissotterrarla e a consegnarla ai clienti disposti a pagare le sue parcelle sempre più alte. Era stato uno dei primi lobbisti a capire le complessità degli emendamenti al bilancio, quei piattini succulenti che i membri del Congresso bramavano tanto da diventarne dipendenti e che venivano pagati da inconsapevoli operai dei loro Stati. Koane si era fatto notare nel suo nuovo mestiere quando aveva incassato un onorario di centomila dollari da una nota università pubblica che aveva bisogno di un nuovo palazzo dello sport per le partite di basket. Lo Zio Sam aveva sganciato dieci milioni di dollari per la realizzazione del progetto, uno stanziamento inserito negli eleganti caratteri a stampa di un disegno di legge di tremila pagine approvato a mezzanotte. Quando un’università rivale era venuta a saperlo, era scoppiato un pandemonio. Ma ormai era troppo tardi.
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La controversia aveva fatto conoscere Koane nell’ambiente ed erano arrivati subito altri clienti, tra i quali un investitore immobiliare della Virginia che sognava di sbarrare un fiume con una diga, creare un lago e poi vendere a prezzi altissimi i lotti fronte lago. Koane aveva addebitato cinquecentomila dollari all’immobiliarista e gli aveva dato istruzioni di sganciarne altri centomila al comitato d’azione politica del deputato che rappresentava il distretto dove non c’era alcuna necessità della diga. Una volta che tutti erano stati pagati e arruolati, Koane si era messo al lavoro, aveva studiato il budget federale e aveva trovato qualche spicciolo residuo – otto milioni di dollari – in uno stanziamento della Difesa destinato al Genio militare. La diga era stata costruita. L’investitore aveva guadagnato una montagna di soldi. Tutti erano stati felici e contenti, a parte gli ambientalisti, i conservazionisti e le comunità a valle. Per Washington quello era solo un affare come tanti, e sarebbe passato inosservato, non fosse stato per un ostinato giornalista di Roanoke. Risultato: imbarazzo generale e reprimende serie per tutti, membro del Congresso, investitore, Koane. Ma nel lobbismo non esiste vergogna, e qualsiasi pubblicità è una buona pubblicità. L’attività di Koane aveva spiccato il volo. Dopo cinque anni aveva aperto la sua bottega: il Koane Group, specialisti in relazioni governative. Dopo dieci era diventato multimilionario. Dopo venti veniva sempre classificato fra i tre più potenti lobbisti di Washington. (Quale altra democrazia al mondo stila una classifica annuale dei suoi lobbisti?) La Varrick versava al Koane Group un compenso forfettario di un milione di dollari all’anno, e molto di più quando il gruppo svolgeva del lavoro vero per la società. Per somme del genere, Mr Layton Koane si precipitava di corsa, quando il suo cliente lo chiamava. Come testimoni del bagno di sangue, Reuben Massey aveva deciso di convocare i suoi più fidati legali: Nicholas Walker e Judy Beck. I tre
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erano già in posizione, quando Koane arrivò, da solo, come da istruzioni di Massey. Ora Koane possedeva un jet, aveva un autista e gli piaceva viaggiare scortato dal suo entourage, ma non quel giorno. L’incontro ebbe un inizio cordiale con croissant e scambi di convenevoli. Koane era diventato ancora più grasso e le cuciture del suo completo su misura erano tese al massimo. Era di un grigio riflettente, con quella lucentezza che di solito si vede negli abiti dei predicatori evangelisti in tivù. La camicia bianca ben inamidata era gonfia intorno alla vita. Il carnoso triplo mento soffriva sotto il colletto. Come sempre, Koane sfoggiava una cravatta arancione e, nel taschino, un fazzoletto dello stesso colore. Nonostante la ricchezza, non aveva mai imparato a vestirsi. Massey detestava Layton Koane e lo considerava uno zoticone, uno stupido, un imbonitore che aveva avuto la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Ma era anche vero che Massey odiava quasi tutto di Washington: il governo federale e le sue leggi soffocanti, l’orda di tecnici che le scrivevano, i politici che le approvavano, i burocrati che le facevano applicare. Per sopravvivere in un posto talmente disfunzionale, riteneva l’amministratore delegato, bisognava essere viscidi come Layton Koane. «A Washington ci stanno massacrando» iniziò Massey, annunciando l’ovvio. «Non solo a Washington» osservò Koane con la sua voce nasale. «Ti ricordo che io possiedo quarantamila azioni Varrick.» Vero. La Varrick Labs una volta aveva pagato il Koane Group con stock option.
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Massey diede un’occhiata ad alcuni appunti e poi alzò lo sguardo sopra gli occhiali da lettura. «L’anno scorso abbiamo versato al tuo gruppo più di tre milioni di dollari.» «Tre milioni e due» precisò Koane. «E abbiamo contribuito con l’importo massimo consentito alla campagna per la rielezione o al comitato d’azione politica di ottantotto dei cento senatori degli Stati Uniti, compreso, naturalmente, il defunto, grande Maxwell, che riposi in pace. Abbiamo finanziato oltre trecento membri della Camera. Per entrambi i rami del Congresso abbiamo alimentato i fondi segreti, quale che sia la denominazione ufficiale, di tutti e due i partiti, e sovvenzionato non meno di quaranta comitati d’azione politica. Inoltre, almeno una ventina di nostri alti dirigenti ha partecipato individualmente secondo le proprie possibilità, il tutto sotto la tua guida. E adesso, grazie alla saggezza della corte suprema, siamo in grado di iniettare nel sistema elettorale grosse somme in contanti che non possono essere rintracciate. Più di cinque milioni di dollari solo l’anno scorso. Se sommi queste cifre, e ci aggiungi tutti i pagamenti di qualsiasi tipo, contabilizzati o no, ti accorgerai che la Varrick Laboratories e i suoi manager l’anno scorso hanno sganciato quasi quaranta milioni di dollari per mantenere la nostra grande democrazia sul binario giusto.» Massey lasciò cadere sul tavolo i suoi appunti e fissò Koane. «Quaranta milioni per comprare una cosa soltanto, Layton, il solo e unico prodotto che hai da vendere. Influenza.» Koane stava annuendo lentamente. «Perciò ti prego di spiegarci, Layton, con tutta quest’influenza che ci siamo comprati nel corso degli anni, come diavolo può l’FDA togliere il Krayoxx dal mercato?»
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«L’FDA è l’FDA» ribatté Koane. «È un mondo a parte, immune alle pressioni politiche, o così ci fanno credere.» «Pressioni politiche? Tutto è andato bene finché non è morto un certo uomo politico. A me sembra che i suoi amici al Senato abbiano fatto un bel po’ di pressione sull’FDA.» «Certo che l’hanno fatta.» «E allora tu dov’eri? Non hai un ex commissario dell’FDA a libro paga?» «Sì, ne abbiamo uno, ma la parola chiave è “ex”. Non ha più diritto di voto.» «Be’, a me pare che tu sia stato battuto politicamente.» «Forse per il momento, Reuben. Abbiamo perso la prima battaglia, ma possiamo ancora vincere la guerra. Maxwell se n’è andato e tutti si stanno già dimenticando di lui. È così che succede a Washington: ti scordano in fretta. In Idaho stanno già facendo campagna elettorale per sostituirlo. Lascia passare un po’ di tempo e nessuno si ricorderà più della morte di Maxwell.» «Tempo? Noi perdiamo diciotto milioni al giorno in mancate vendite a causa dell’FDA. Da quando sei arrivato qui questa mattina e hai parcheggiato la macchina, abbiamo perso quattrocentomila dollari. Non venire a parlarmi di tempo, Layton.» Nicholas Walker e Judy Beck stavano prendendo appunti, naturalmente. O almeno scribacchiavano sui rispettivi blocchi legali gialli. Nessuno dei due alzava lo sguardo, ma entrambi si stavano godendo il piccolo scontro.
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«Stai dando la colpa a me, Reuben?» chiese Koane, in tono quasi disperato. «Sì. Assolutamente. Dato che io non so come funzionano le cose in quel maledetto marciume di Washington, assumo te e ti pago una fortuna perché guidi la mia società attraverso il campo minato. Perciò, sì, Layton: quando qualcosa va male do la colpa a te. Un farmaco perfettamente sicuro è stato ritirato dal mercato senza alcun motivo valido. Tu sai darmi una spiegazione?» «Non sono in grado di dartela, ma non è giusto incolpare me. Abbiamo seguito con attenzione questa faccenda fin dal momento in cui sono state intentate le prime cause. Avevamo solidi contatti lungo tutta la linea e l’FDA non sembrava molto convinta a ritirare il farmaco, per quanto chiasso facessero gli avvocati dei risarcimenti danni. Eravamo al sicuro. Poi Maxwell ha tirato elegantemente le cuoia, in diretta, e questo ha cambiato lo scenario.» Ci fu una pausa, mentre tutti e quattro afferravano le tazze del caffè. Koane non mancava mai di portare con sé un po’ di gossip, qualche informazione riservatissima che comunicava sussurrando. Non vedeva l’ora di condividere l’ultima novità. «Una fonte mi ha riferito che la famiglia Maxwell non intende fare causa. Una fonte molto attendibile.» «Chi?» domandò Massey. «Un altro membro del club, un senatore molto vicino a Maxwell e alla sua famiglia. Mi ha telefonato ieri. Abbiamo bevuto qualcosa insieme. Sherry Maxwell non vuole un’azione legale, ma il suo avvocato sì. È un tipo furbo, si rende conto di avere la Varrick sotto tiro. Se la causa verrà intentata ci sarà un altro round di pessima stampa per la società, altre pressioni sull’FDA per mantenere il bando sul farmaco. Ma se la
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causa non ci sarà, tra un po’ Maxwell sarà dimenticato da tutti. Un mal di testa in meno, altri a venire.» Massey tracciò dei cerchi in aria con la mano destra. «Continua. Vuota il sacco.» «Con cinque milioni di dollari la causa sparirà. Me ne occuperò io tramite il mio gruppo. Sarà un accordo confidenziale, nessun dettaglio di qualsiasi tipo.» «Cinque milioni? E per cosa, per un farmaco che non fa alcun male?» «No. Cinque milioni di dollari per sbarazzarci di un grande mal di testa» ribatté Koane. «Maxwell ha fatto il senatore per quasi trent’anni, ed è stato un senatore onesto, per cui la sua eredità non è un granché. La famiglia ha bisogno di un po’ di contanti.» «Qualsiasi notizia di un accordo innescherebbe un’azione a valanga da parte dei ragazzi delle azioni collettive» fece presente Nicholas Walker. «Non è possibile tenere sotto silenzio una cosa simile. Ci sono troppi giornalisti all’erta.» «Nick, io so come manipolare la stampa. Noi adesso concludiamo un accordo, firmiamo tutti i documenti in segreto e poi stiamo ad aspettare. La famiglia Maxwell e il suo avvocato non rilasceranno dichiarazioni, ma io mi muoverò perché ci sia una simpatica fuga di notizie e si venga a sapere che i Maxwell hanno deciso di non citare la Varrick in giudizio. Non c’è nessuna legge, neppure in questo paese, che obblighi a fare causa. La gente rinuncia continuamente a promuovere azioni legali, e per ogni tipo di ragione possibile. Facciamo l’accordo, firmiamo i documenti e promettiamo ai Maxwell i soldi nel giro di due anni, più gli interessi. Posso organizzare questa cosa.»
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Massey si alzò in piedi e si stirò. Si avvicinò a un’alta finestra e guardò la nebbia e la foschia che filtravano attraverso i boschi. Senza voltarsi, chiese: «Tu cosa ne pensi, Nick?». Riflettendo ad alta voce, Walker rispose: «Be’, di certo non sarebbe male toglierci dai piedi la faccenda Maxwell. Layton ha ragione, i colleghi di Maxwell al Senato si scorderanno in fretta di lui, specie se non ci sarà un’azione legale. Cinque milioni di dollari sembrano un buon affare, nello schema generale delle cose». «Judy?» «Sono d’accordo» rispose Beck senza esitare. «La nostra priorità è rimettere in vendita il farmaco. E se rendere felice la famiglia Maxwell può accelerare l’operazione, io dico di farlo.» Massey tornò lentamente a sedersi, fece scrocchiare le nocche, si passò le mani sul viso e sorseggiò il caffè, chiaramente un uomo in profonda riflessione. Ma tutto era tranne che un tipo indeciso. «Okay, Layton, concludi l’affare. Sbarazziamoci del problema Maxwell. Ma se questo accordo ci scoppia in faccia, io chiudo immediatamente i nostri rapporti. Già adesso non sono per niente soddisfatto di te e della tua società e sto cercando un motivo per cominciare a guardarmi intorno.» «Non ce ne sarà bisogno, Reuben. Considera risolta la faccenda Maxwell.» «Magnifico. Ora, quanto tempo ci vorrà prima che il Krayoxx torni sul mercato? Quanto tempo e quanti soldi?» Koane si passò delicatamente una mano sulla fronte, eliminando qualche minuscola goccia di sudore. «A questo non so rispondere, Reuben. Dobbiamo procedere un passo alla volta e far passare un po’ di tempo.
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Lascia che nasconda Maxwell sotto il tappeto e poi incontriamoci di nuovo.» «Quando?» «Trenta giorni?» «Stupendo. Trenta giorni significano cinquecentoquaranta milioni di dollari in mancate vendite.» «So fare i conti anch’io.» «Ne sono certo.» «Ho capito, Reuben, okay?» Gli occhi di Massey lampeggiarono e l’indice della mano destra fendette l’aria in direzione del lobbista. «Stammi bene a sentire, Layton. Se il mio farmaco non torna sul mercato in un futuro molto prossimo, io vengo a Washington, chiudo con te e ingaggio un nuovo branco di “specialisti in relazioni governative” per proteggere la mia società. Io posso ottenere un colloquio con il vicepresidente e con lo speaker della Camera. Posso fare due chiacchiere amichevoli con una quindicina di senatori. Porterò con me il libretto degli assegni e una vagonata di contanti, e se sarà necessario andrò all’FDA con un camion carico di puttane e le metterò al lavoro.» Koane reagì con un sorriso fasullo, come se avesse appena sentito qualcosa di divertente. «Non ce ne sarà bisogno, Reuben. Dammi solo un po’ di tempo.» «Non abbiamo un po’ di tempo.»
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«Il modo più veloce per rimettere in vendita il Krayoxx è dimostrare che non è dannoso» disse Koane, ansioso di spostare la conversazione dal tema del suo licenziamento. «Qualche idea?» «Ci stiamo lavorando» rispose Nicholas Walker. Massey si alzò di nuovo in piedi e tornò davanti alla sua finestra preferita. «La riunione è finita, Layton» ringhiò, e non si voltò per salutare. Non appena Koane se ne fu andato, Reuben si rilassò e la mattinata gli sembrò molto migliore. Non esiste niente come un sacrificio umano per risollevare il morale di un duro amministratore delegato. Aspettò che Nick Walker e Judy Beck finissero di controllare la loro posta elettronica sugli smartphone e, quando ebbe la loro attenzione, disse: «Penso che dovremmo discutere della nostra strategia riguardante i risarcimenti. Qual è al momento la tabella di marcia?». «Il processo di Chicago procede come previsto» rispose Walker. «Non è stata ancora fissata la data d’inizio, ma dovremmo avere notizie fra non molto. Nadine Karros tiene d’occhio l’agenda del giudice Seawright e ha notato una bella finestra a fine ottobre. Con un po’ di fortuna potrebbe succedere allora.» «È meno di un anno da quando sono stati depositati gli atti della citazione.» «Sì, ma noi non abbiamo fatto niente per rallentare la procedura. Nadine sta portando avanti una difesa dura, fa tutto quello che deve fare, ma non pone veri ostacoli. Nessuna istanza di archiviazione. Nessuna richiesta di giudizio sommario. L’esibizione del materiale probatorio procede regolarmente. Inoltre Seawright sembra essere curioso riguardo al caso e vuole un processo.»
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«Oggi è il 3 giugno, e le citazioni continuano ad arrivare. Se cominciamo adesso a parlare di accordi stragiudiziali riusciamo a tirare le cose per le lunghe fino a ottobre?» Fu Judy Beck a rispondere: «Nessun problema. Con il Fetazine ci sono voluti tre anni per arrivare all’accordo transattivo, e c’erano cinquecentomila richieste di risarcimento. Per lo Zoltaven ci è voluto anche più tempo. Gli avvocati delle azioni collettive in questo momento hanno in mente una cosa sola: i cinque miliardi di dollari che abbiamo accantonato il trimestre scorso. Sognano tutti quei soldi che piovono sul loro tavolo». «Sarà un altro delirio» osservò Nick. «Lasciamolo cominciare» disse Massey.
26 Wally sedeva nella sezione divorzi del tribunale al sedicesimo piano del Richard J. Daley Center. Quella mattina doveva occuparsi di “Strate contro Strate”, uno tra la decina di piccoli, miserabili procedimenti che avrebbero separato per sempre – si sperava – due persone che, tanto per cominciare, non avrebbero mai dovuto sposarsi. Per risolvere la questione, gli Strate avevano assunto Wally Figg, gli avevano pagato un totale di settecentocinquanta dollari per un divorzio consensuale e adesso, dopo sei mesi, erano entrambi in aula, sui due lati opposti della corsia centrale, ansiosi che venisse chiamato il loro caso. Anche Wally aspettava. Aspettava e assisteva alla processione di coniugi ostili e feriti che avanzavano timidi fino allo scranno del giudice, chinavano la testa davanti al magistrato, parlavano quando i loro avvocati gli dicevano di farlo, evitavano il contatto visivo con l’altro e, dopo qualche triste minuto, se ne andavano, di nuovo liberi. Wally sedeva con un gruppo di altri legali, tutti in impaziente attesa. Conosceva circa metà dei colleghi presenti. L’altra metà non l’aveva mai vista prima. In una città con ventimila avvocati, le facce cambiavano in continuazione. Che corsa di topi. Che routine squallida e opprimente. Davanti al giudice c’era una moglie in lacrime. Non voleva il divorzio. Suo marito sì. Wally non vedeva l’ora che scene del genere diventassero storia. Un giorno, tra non molto, avrebbe lavorato in un elegante studio più vicino al centro città, lontano dal sudore e dallo stress della legge di strada, dietro una grande scrivania di marmo, con due belle segretarie che avrebbero risposto al telefono e sarebbero andate a prendergli le
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pratiche, più un paio di paralegali per il lavoro di trincea. Basta divorzi, guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, testamenti e immobili da due soldi, basta clienti che non erano in grado di pagare. Avrebbe selezionato e accettato solo i casi di lesioni e avrebbe fatto un mucchio di soldi. Gli altri avvocati lo stavano guardando con sospetto. Wally lo sapeva. Ogni tanto accennavano al Krayoxx. Curiosi, invidiosi, alcuni desiderosi che lui arrivasse alla miniera d’oro perché questo avrebbe dato qualche speranza a tutti. Altri, invece, si auguravano di vederlo fallire clamorosamente, perché questo avrebbe dimostrato che il loro squallido lavoro era ciò cui erano destinati. Niente di più. Wally sentì vibrare il cellulare nella tasca della giacca. Lo afferrò, lesse il nome e il numero di chi lo stava chiamando, balzò in piedi e si precipitò fuori dall’aula. Appena varcata la soglia disse: «Jerry, sono in tribunale. Cosa succede?». «Grandi notizie, fratello Wally» cinguettò Alisandros. «Ieri ho fatto diciotto buche con Nicholas Walker. Il nome ti dice qualcosa?» «No, sì, non sono sicuro. Chi è?» «Abbiamo giocato sul mio campo. Ho fatto un settantotto. Il povero Nick è rimasto indietro di venti colpi. Non è un granché come golfista, temo. È il capo dell’ufficio legale interno della Varrick Labs, lo conosco da anni. È il principe degli stronzi, ma è una persona degna d’onore.» Qui c’era un buco che Wally doveva riempire, ma non riuscì a pensare a niente di utile. «Allora, Jerry, non mi avrai chiamato per vantarti delle tue doti di golfista, vero?» «No, Wally. Ti ho chiamato per informarti che la Varrick ha intenzione di aprire un dialogo sul tema transazione. Non veri e propri negoziati,
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bada bene, comunque vogliono cominciare a discutere. È così che succede di solito. Loro socchiudono la porta. Noi infiliamo un piede dentro. Loro cominciano a ballare il tip tap. Noi anche. E, prima ancora che tu te ne accorga, stiamo parlando di soldi. Tanti soldi. Mi segui, Wally?» «Oh, sì.» «Lo immaginavo. Senti, abbiamo parecchia strada da fare prima che i tuoi casi siano pronti per essere discussi e liquidati. Mettiamoci al lavoro. Io mi occuperò dei medici che devono effettuare gli esami: è questo il punto cruciale. Tu devi darti da fare ancora di più per trovare altri casi. Probabilmente sistemeremo per primi quelli di morte. Quanti ne hai al momento?» «Otto.» «Solo? Pensavo che fossero di più.» «Sono otto, Jerry, e uno è sul binario veloce, ricordi? Klopeck.» «Giusto, giusto. Con quella pollastrella sexy come avversaria. Francamente mi piacerebbe andare a processo con quel caso solo per poterle guardare le gambe tutto il giorno.» «Comunque?» «Comunque adesso è il momento di cambiare marcia. Ti richiamerò nel pomeriggio con un piano tattico. C’è un sacco di lavoro da fare, Wally, ma la partita è già vinta.» Wally rientrò in aula e ricominciò ad aspettare. Continuava a ripetersi: “La partita è già vinta. La partita è già vinta”. Game over. Tutti a casa. Espressioni che aveva sentito durante tutta la vita, ma cosa
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significavano nel contesto di una controversia di così alto livello? La Varrick stava già gettando la spugna, stava arrendendosi così in fretta per limitare le perdite? Forse era così. Guardò gli avvocati intorno a lui, dimessi e depressi. Mezze calzette, esattamente come lui, che passavano le giornate cercando di spremere i soldi delle parcelle da operai o impiegati quasi al verde. “Poveri disgraziati” pensò, riferendosi ai colleghi. Non vedeva l’ora di raccontare tutto a DeeAnna, ma prima doveva parlare con Oscar. E non da Finley & Figg, dove nessuna conversazione era mai privata. Si incontrarono a pranzo due ore più tardi, in una spaghetteria non lontana dallo studio. Oscar aveva passato una brutta mattinata cercando di fare da arbitro tra sei fratelli in lotta fra loro per l’eredità della madre defunta, eredità virtualmente priva di qualsiasi valore. Aveva bisogno di un drink e ordinò una bottiglia di vino da poco prezzo. Wally, al duecentoquarantunesimo giorno di sobrietà, non ebbe problemi a pasteggiare ad acqua. Mentre entrambi mangiavano una caprese, lui fece un rapido riassunto della conversazione con Jerry Alisandros e concluse drammaticamente con: «Oscar, è arrivato il nostro momento. Finalmente sta per accadere». Mentre ascoltava e beveva il primo bicchiere di vino, Oscar cambiò umore. Si concesse un sorriso e a Wally sembrò quasi di veder evaporare lo scetticismo dal viso del socio. Oscar estrasse una penna, spostò di lato il piatto e cominciò a scrivere. «Facciamo di nuovo i conti. Un caso di morte vale davvero due milioni di dollari?» Wally si guardò intorno per assicurarsi che nessuno stesse ascoltando. Nessuna nave in vista. «Ho fatto una montagna di ricerche, okay? Ho esaminato decine di accordi stragiudiziali in azioni collettive
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riguardanti farmaci. In questo momento ci sono ancora troppe incognite per prevedere quanto possano valere questi casi. Per ognuno bisogna determinare la responsabilità civile, la causa di morte, la storia medica, l’età del defunto, il reddito potenziale e altre cose del genere. Poi dobbiamo scoprire quanto è disposta a sganciare la Varrick. Ma io credo che un milione di dollari sia il minimo. Noi abbiamo otto casi di morte. Il nostro onorario è il quaranta per cento. Detratta la metà che va a Jerry, più un extra per la sua expertise, stiamo parlando di un incasso netto per il nostro studio intorno al milione e mezzo.» Oscar stava scribacchiando furiosamente, anche se aveva già sentito quei numeri almeno un centinaio di volte. «Sono casi di morte, devono valere più di un milione l’uno» dichiarò, come se in vita sua si fosse occupato di decine di casi del genere. «Forse due» concesse Wally. «Poi abbiamo i non-morte, a oggi quattrocentosette. Facciamo conto che solo la metà passi il vaglio della visita medica. In base a precedenti analoghi, categoria farmaci di massa, io credo che centomila dollari sia una cifra ragionevole per un cliente la cui valvola cardiaca è stata leggermente danneggiata. Fanno venti milioni di dollari, Oscar. E la nostra fetta è intorno ai tre milioni e mezzo.» Oscar scrisse qualcosa, poi si interruppe, bevve un lungo sorso di vino e disse: «Adesso parliamo della divisione tra noi? È lì che punta questa conversazione, giusto?». «La divisione è solo uno dei tanti temi in questione.» «Okay. Cosa c’è che non va nel cinquanta per cento ciascuno?» Tutte le battaglie sugli incassi cominciavano da una divisione in parti uguali.
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Wally si cacciò in bocca una fettina di pomodoro e masticò ferocemente. «Quello che non va nel cinquanta per cento ciascuno è che il Krayoxx l’ho scoperto io, io ho messo insieme i casi e finora ho svolto circa il novanta per cento del lavoro. Gli otto casi di morte sono nel mio ufficio. David ha gli altri quattrocento al piano di sopra. Tu, se non sbaglio, non hai un solo caso Krayoxx.» «Non pretenderai il novanta per cento per te, vero?» «Naturalmente no. Ecco la mia proposta. Abbiamo tonnellate di lavoro da fare. Tutti quei casi devono essere vagliati da un medico, valutati eccetera. Mettiamo da parte tutto il resto, io, tu, David, e diamoci dentro. Prepariamo i casi e contemporaneamente ne cerchiamo di nuovi. Una volta che si verrà a sapere la notizia dell’accordo stragiudiziale, ogni avvocato del paese impazzirà per il Krayoxx, perciò bisogna che ci impegniamo ancora di più. E quando arriveranno gli assegni, io credo che una ripartizione sessanta, trenta, dieci sia equa.» Oscar aveva ordinato le lasagne e Wally i ravioli. Non appena il cameriere si allontanò, Oscar disse: «Il tuo onorario sarebbe il doppio del mio? Non è mai successo, finora. Questa cosa non mi piace». «Cosa ti piacerebbe?» «Cinquanta e cinquanta.» «E David? Gli abbiamo promesso una fetta, quando ha accettato di prendersi i casi di non-morte.» «Okay, cinquanta per te, quaranta per me e dieci per David. Rochelle avrà un bel bonus, ma non una percentuale.» Con tanti soldi in arrivo era facile giocare con i numeri, e ancora più facile trovare un accordo. In passato c’erano state dure battaglie per
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parcelle di cinquemila dollari, ma non quel giorno. Il pensiero del denaro era rasserenante ed eliminava ogni desiderio di lite. Wally tese lentamente la mano attraverso il tavolo e Oscar fece lo stesso. Dopo una rapida stretta, attaccarono entrambi i primi. Wally mangiò qualche boccone e poi chiese: «Tua moglie come sta?». Oscar aggrottò la fronte, fece una smorfia e distolse lo sguardo. Paula Finley era un argomento assolutamente off-limits perché nessuno allo studio la sopportava, Oscar compreso. «È questo il momento giusto» insistette Wally. «Se hai intenzione di scaricarla, fallo adesso.» «Una consulenza matrimoniale da te?» «Sì, perché so di avere ragione.» «Devo presumere che tu abbia riflettuto su questa cosa.» «Sì, perché tu non l’hai fatto. E non l’hai fatto perché non hai mai creduto nella faccenda Krayoxx. Almeno fino a questo momento.» Oscar si versò dell’altro vino. «Ti ascolto.» Wally si avvicinò al socio piegandosi in avanti, come se stessero scambiandosi segreti militari. «Chiedi subito il divorzio, immediatamente. Non è un problema, io l’ho fatto quattro volte. Vai via di casa, trovati un appartamento, tronca ogni legame. Ti rappresenterò io e tua moglie potrà ingaggiare chi le pare. Tu e io redigeremo un contratto, datato sei mesi fa, dove si dice che io mi prendo l’ottanta per cento delle transazioni Krayoxx, se mai ci saranno, e tu e David vi dividete il venti per cento. Dovrai far vedere qualche profitto dal Krayoxx, altrimenti l’avvocato di Paula darà i numeri. Ma la maggior parte dei soldi può
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restarsene nascosta in un fondo nero per... diciamo un anno, più o meno, finché il divorzio non diventerà definitivo. Poi, a un certo punto in futuro, tu e io sistemeremo i nostri conti.» «Si chiama trasferimento illegale di beni.» «Lo so. A me piace moltissimo. L’ho fatto migliaia di volte, anche se su scala molto più ridotta. Immagino che l’abbia fatto anche tu con i tuoi clienti. Piuttosto ingegnoso, non trovi?» «Se ci beccano possono sbatterci in galera tutti e due per oltraggio alla corte, senza udienza.» «Non ci beccheranno. Tua moglie crede che il Krayoxx sia tutta roba mia, giusto?» «Giusto.» «Per cui funzionerà. È il nostro studio legale, e le regole su come dividere i profitti le facciamo noi. Completamente a nostra discrezione.» «Gli avvocati di Paula non saranno degli stupidi. Quando verrà il momento sapranno tutto della grande transazione Krayoxx.» «Andiamo, Oscar! Non è che noi mettiamo a segno colpi come questo tutti i giorni. Negli ultimi dieci anni il tuo guadagno lordo deve essere stato mediamente intorno ai settantacinquemila dollari, vero?» Oscar si strinse nelle spalle. «Più o meno come il tuo. Patetico, non credi? Dopo trent’anni in trincea.» «Non è questo il punto, Oscar. In un divorzio controllano quello che hai guadagnato in passato.»
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«Lo so.» «E se i soldi Krayoxx sono miei, allora noi possiamo sostenere, prove alla mano, che il tuo reddito non è cambiato.» «Cosa farai con quel denaro?» «Lo seppellirò in qualche paradiso fiscale finché il divorzio non sarà definitivo. Accidenti, Oscar, potremmo addirittura lasciarlo in una banca e una volta all’anno fare un salto a Grand Cayman per dare un’occhiata. Fidati di me, non c’è modo che si venga a sapere. Però devi chiedere il divorzio subito e tirartene fuori.» «Come mai ci tieni tanto che io divorzi?» «Perché detesto quella donna. Perché tu sogni il divorzio fin dai tempi della luna di miele. Perché meriti di essere felice e, se scarichi quella stronza e nascondi i soldi, la tua vita avrà un’incredibile svolta. Pensaci, Oscar: single a sessantadue anni e con un bel po’ di grana in banca.» Oscar non riuscì a nascondere un sorriso. Poi vuotò il terzo bicchiere. Mangiò qualche boccone. Era chiaro che qualcosa lo preoccupava e finalmente chiese: «Come glielo dico?». Wally si tamponò gli angoli della bocca con il tovagliolo, si raddrizzò e assunse un tono autorevole. «Be’, ci sono molti modi per farlo, e io li ho provati tutti. Voi due avete mai parlato di separazione?» «Non che io ricordi.» «Immagino che sia facile scatenare una grossa lite.»
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«Oh, facilissimo. Paula ha sempre da ridire su qualcosa, di solito sono i soldi, e quindi litighiamo quasi tutti i giorni.» «È quello che pensavo. Fai così, Oscar: questa sera entri in casa e sganci la bomba. Le dici che non sei felice e che vuoi farla finita. Chiaro e tondo. Niente liti, niente battibecchi, niente trattative. Dille che può tenersi la casa, la macchina, i mobili... dille che può tenersi tutto, se accetta un consensuale.» «E se non accetta?» «Te ne vai comunque. Vieni a stare da me finché non ti trovi un appartamento. Una volta che ti vedrà uscire da quella porta si arrabbierà e comincerà a tramare piani di vendetta, trattandosi di Paula. Non le ci vorrà molto per esplodere. Dalle quarantott’ore e diventerà un cobra.» «È già un cobra.» «E lo è da decenni. Noi depositiamo l’istanza di divorzio, gliela facciamo notificare e questo la scatenerà definitivamente. Si troverà un avvocato entro la fine della settimana.» «Credo di avere dato spesso questo consiglio, ma non avrei mai immaginato di doverlo seguire io.» «Oscar, a volte servono le palle per farla finita. Deciditi adesso, quando puoi ancora goderti la vita.» Oscar si versò nel bicchiere ciò che restava del vino e sorrise di nuovo. Wally non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva visto il suo socio anziano così contento. «Credi di potercela fare, Oscar?»
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«Sì. Anzi, credo che andrò a casa presto, preparerò i bagagli e la farò finita una volta per tutte.» «Meraviglioso. Festeggiamo con una cena insieme stasera. A carico dello studio.» «Affare fatto. Ma la tua amichetta non ci sarà, vero?» «Le darò la serata libera.» Oscar finì il vino in un sorso come se fosse stato un bicchierino di tequila e poi disse: «Accidenti, Wally, erano anni che non mi sentivo così euforico».
27 Era stato difficile convincere i Khaing che volevano sinceramente essere loro di aiuto, ma dopo alcune cene settimanali a base di Big Mac si era creato un clima di notevole fiducia. Tutti i mercoledì, dopo avere cenato molto presto con qualcosa di più sano, David e Helen passavano al solito McDonald’s, ordinavano i soliti hamburger con patatine, raggiungevano il complesso di appartamenti vicino a Rogers Park e andavano a trovare la famiglia, cui si aggregavano nonna Zaw e nonno Lu in quanto anche loro amanti del fast food. Negli altri giorni della settimana i Khaing seguivano una dieta sostanzialmente a base di riso e pollo, ma il mercoledì mangiavano come veri americani. Helen, incinta di sette mesi e tutti ben visibili, all’inizio aveva avuto qualche esitazione in merito alle visite settimanali. Se nell’aria c’era effettivamente del piombo, lei aveva un bambino non ancora nato da proteggere. Di conseguenza David aveva controllato tutto. Aveva tormentato il dottor Biff Sandroni fino a convincerlo a ridurre l’onorario da venticinquemila a cinquemila dollari e aveva sbrigato personalmente quasi tutto il lavoro di gambe. Aveva setacciato lui stesso l’appartamento, prelevando campioni di vernici, acqua, rivestimenti di ceramica, tazze e piattini, piatti, ciotole, album di foto di famiglia, giocattoli, scarpe, indumenti, in pratica qualsiasi cosa con cui la famiglia fosse in contatto. Era andato in auto fino ad Akron, aveva scaricato l’intero assortimento nel laboratorio di Sandroni, era tornato a riprenderselo due settimane dopo e aveva restituito il tutto alla famiglia. Secondo il rapporto di Sandroni erano state rilevate solo tracce minime di piombo, livelli accettabili, niente di cui i Khaing dovessero preoccuparsi. Helen e il nascituro erano al sicuro in quella casa.
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Thuya era stato avvelenato dai denti del vampiro e il dottor Sandroni era pronto a dichiararlo sotto giuramento in qualsiasi tribunale del paese. David aveva tra le mani una causa promettente, ma non aveva ancora trovato la controparte. Lui e Sandroni conoscevano quattro società cinesi note per produrre giocattoli del genere e venderli a importatori americani, ma non erano riusciti a individuare il fabbricante dei denti. E, a parere di Sandroni, era molto probabile che non ci sarebbero mai riusciti. Era possibile che il set fosse stato prodotto vent’anni prima e poi tenuto in magazzino per una decina d’anni prima di essere esportato negli Stati Uniti, dove poteva benissimo averne passati altri cinque a languire lungo la catena distributiva. Produttore e importatore potevano essere ancora in attività, oppure essere falliti da anni. I cinesi erano costantemente sotto pressione da parte degli organi di sorveglianza americani che monitoravano la quantità di piombo utilizzata in migliaia di prodotti, ed era spesso impossibile determinare chi produceva cosa nel labirinto di fabbriche da due soldi sparse in tutto il paese. Il dottor Sandroni aveva un elenco interminabile di fonti, era stato coinvolto in centinaia di cause, ma dopo quattro mesi di ricerche era ancora a mani vuote. David e Helen erano stati in tutti i mercati delle pulci e negozi di giocattoli dell’area metropolitana di Chicago e avevano messo insieme un’incredibile collezione di denti finti e canini da vampiro, ma niente che fosse esattamente identico all’oggetto incriminato. Non avevano smesso di cercare, ma erano scoraggiati. Thuya adesso era a casa, vivo ma seriamente menomato. Il danno cerebrale era grave. Il bambino non poteva camminare senza che qualcuno lo aiutasse, non era in grado di parlare in modo chiaro, di nutrirsi e neppure di controllare le proprie funzioni corporali. Aveva una visione limitata e reagiva a malapena a semplici comandi. Se gli si chiedeva come si chiamava, apriva la bocca ed emetteva un suono simile a “Tay”. Passava la maggior parte del tempo in un letto speciale dotato di sponde, difficile da mantenere pulito. Prendersi cura di
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Thuya era un’impresa quotidiana che coinvolgeva l’intera famiglia e molti dei vicini di casa. Il futuro era al di là di ogni previsione. Era improbabile che le condizioni del bambino migliorassero, per usare l’espressione piena di tatto usata dai medici che, ufficiosamente e lontano dalla famiglia, avevano confidato a David che il corpo e la mente di Thuya non si sarebbero mai sviluppati normalmente e che non c’era nient’altro che loro potessero fare. E non c’era un posto dove ricoverarlo, non esistevano strutture per bambini cerebrolesi. Thuya doveva essere imboccato, e il suo cibo consisteva in un preparato speciale, un misto di frutta e verdure finemente tritate, arricchito da integratori. Portava pannolini speciali per bambini nelle sue condizioni. Il preparato, i pannolini e i farmaci richiedevano una spesa di seicento dollari al mese, cui David e Helen contribuivano per la metà. I Khaing non avevano assicurazione sanitaria e, se non fosse stato per la generosità del Lakeshore Children’s Hospital, Thuya non avrebbe mai ricevuto cure di livello così elevato. Probabilmente sarebbe morto. In breve, era diventato un impegno molto gravoso. Soe e Lwin volevano che a cena sedesse a tavola. Il bambino aveva un suo seggiolone speciale, anche quello dono dell’ospedale, e una volta opportunamente legato e fissato se ne stava seduto in posizione eretta e aspettava che gli dessero da mangiare. Mentre i suoi familiari divoravano gli hamburger e le patatine fritte, Helen lo imboccava con un cucchiaino, dicendo che aveva bisogno di fare pratica. David sedeva dall’altro lato del bambino con un tovagliolo di carta in mano e chiacchierava con Soe del lavoro e della vita in America. Le sorelle di Thuya, che avevano deciso di usare i nomi americani Lynn ed Erin, avevano rispettivamente otto e sei anni. Erano di poche parole durante la cena, ma evidentemente felici di mangiare autentico fast food. E quando parlavano lo facevano in un inglese perfetto e privo di accento. Secondo quanto diceva Lwin, a scuola avevano sempre il massimo dei voti.
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Forse era per la prospettiva cupa di un futuro incerto, o forse era solo a causa della difficile esistenza di immigrati disperati, ma le cene erano sempre solenni e sottotono. Ogni tanto, in momenti diversi, i genitori, i nonni o le sorelle guardavano Thuya e avevano l’aria di volere piangere. Ricordavano il bambino chiassoso e iperattivo dal sorriso sempre pronto e la risata facile, e lottavano per accettare la verità: quel bambino non sarebbe tornato mai più. Soe dava la colpa a se stesso perché era stato lui a comprare i denti finti. Lwin dava la colpa a se stessa per non essere stata più attenta. Lynn ed Erin si davano la colpa perché avevano incoraggiato Thuya a giocare con quei denti per spaventarle. Perfino Zaw e Lu si incolpavano: avrebbero dovuto fare qualcosa, anche se non avevano idea di cosa. Dopo cena David e Helen accompagnarono Thuya fuori dall’appartamento, l’aiutarono a percorrere il breve tratto di marciapiede e, con tutta la famiglia che guardava, lo assicurarono con le cinghie al sedile posteriore della loro auto, dopodiché partirono. Per le emergenze avevano con loro una sportina con pannolini di scorta e articoli per l’igiene personale. Viaggiarono per venti minuti, raggiunsero il lungolago e parcheggiarono vicino al Navy Pier. David prese Thuya per mano, la sinistra, Helen gli prese la destra e tutti e tre iniziarono una lenta, faticosa passeggiata che era quasi dolorosa da vedere. Il bambino si muoveva come un piccolo di dieci mesi ai primi passi, ma non c’era alcuna fretta e il bimbo non sarebbe caduto. Percorsero adagio il lungolago, passando accanto a ogni tipo di imbarcazione. Se Thuya voleva fermarsi e ispezionare una tartana di dodici metri, veniva accontentato. Se voleva osservare un grosso peschereccio, si fermavano tutti e tre e ne parlavano. David e Helen chiacchieravano continuamente, come due genitori orgogliosi in compagnia del loro piccolo. Thuya rispondeva farfugliando, un incomprensibile flusso di suoni e borbottii che gli Zinc fingevano di capire. Quando il bambino cominciò a dare segni di
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stanchezza, David e Helen lo incitarono perché continuasse a camminare. Era importante, secondo lo specialista in riabilitazione dell’ospedale: i muscoli non dovevano atrofizzarsi. Lo avevano portato nei parchi, alle sagre popolari, nei centri commerciali, alle partite di baseball e alle feste di strada. Le uscite del mercoledì sera per lui erano importanti e per la sua famiglia costituivano l’unico momento di respiro della settimana. Dopo due ore fecero ritorno all’appartamento. C’erano tre nuove facce in attesa. Negli ultimi mesi David aveva trattato diverse piccole questioni legali per i birmani che abitavano nel complesso. C’erano stati i soliti problemi relativi all’immigrazione, e lui stava diventando piuttosto abile in quel sempre più importante ramo della giurisprudenza. C’era stato un quasi divorzio, ma poi i coniugi si erano riconciliati. In corso c’era una causa riguardante l’acquisto di un’auto usata. La reputazione di David stava crescendo tra gli immigrati birmani, ma lui non era del tutto convinto che fosse un bene. Aveva bisogno di clienti in grado di pagare. I nuovi arrivati uscirono e si appoggiarono alle auto. Soe spiegò che i tre uomini lavoravano per una ditta di spurghi. Dato che erano clandestini, e il titolare lo sapeva, il loro salario era di duecento dollari alla settimana, in contanti. Per ottanta ore complessive. A peggiorare la situazione, il loro boss non li pagava da tre settimane. I tre quasi non parlavano inglese e, dato che non riusciva a credere a quello che sentiva, David chiese a Soe di farsi ripetere tutto un’altra volta. La seconda versione fu uguale alla prima. Duecento dollari la settimana, straordinari compresi, nemmeno un centesimo da tre settimane. E quegli uomini non erano i soli. Ce n’erano altri provenienti dalla Birmania e un nutrito gruppo di messicani. Tutti clandestini, tutti che lavoravano come cani, tutti che venivano fregati.
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David prese appunti e promise di studiare la questione. Guidando verso casa, descrisse il caso a Helen, che domandò: «Ma un immigrato clandestino ha diritto di fare causa al datore di lavoro disonesto?». «È proprio questo il punto. Domani controllerò.» Oscar non tornò in ufficio dopo pranzo. Sarebbe stato inutile. Aveva troppe cose in testa per sprecare tempo alla scrivania. Era semiubriaco e aveva bisogno di essere lucido. Fece il pieno a una stazione di servizio, si comprò un bicchierone di caffè nero, poi prese la I-57 in direzione sud e poco dopo si ritrovò fuori Chicago, in campagna. Quante volte aveva invitato i suoi clienti a presentare istanza di divorzio? Migliaia. Era un consiglio così facile da dare, in quelle circostanze. “Senta, in certi matrimoni arriva il momento in cui uno dei due ha la necessità di farla finita. Per lei quel momento è adesso.” Si era sempre sentito così saggio, addirittura soddisfatto di sé quando dispensava quelle parole. Ora si sentiva un imbroglione. Come si poteva dare un consiglio del genere senza esserci passato personalmente? Lui e Paula stavano insieme da trenta infelici anni. L’unica figlia era una ventiseienne divorziata che si chiamava Keely e che stava diventando sempre più simile a sua madre. Il divorzio di Keely era ancora una ferita aperta, soprattutto perché a lei piaceva crogiolarsi nella sua infelicità. Aveva un impiego malpagato, un mucchio di paturnie emotive che richiedevano l’uso di pillole e la cui terapia principale consisteva nello shopping continuo in compagnia di sua madre, a spese di Oscar. «Non ne posso più di tutte e due» disse Oscar a voce alta e in tono perentorio mentre superava l’indicazione dell’uscita per Kankakee. «Ho
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sessantadue anni, sono in buona salute, ho un’aspettativa di vita di altri ventitré anni e ho ogni diritto di cercare la felicità. Ho ragione?» Certo che aveva ragione. Ma come dare la notizia? Era quello il problema. Cosa doveva dire per sganciare la bomba? Pensò a vecchi clienti, a vecchi divorzi di cui si era occupato nel corso degli anni. A un’estremità della casistica la bomba veniva sganciata quando la moglie sorprendeva il marito a letto con un’altra. Oscar ricordava tre, forse quattro casi in cui era andata così. Quella era di sicuro una vera e propria bomba, non c’erano dubbi. Il nostro matrimonio è finito, tesoro, mi sono trovato un’altra. All’estremità opposta c’era un divorzio di cui si era occupato anni prima, una coppia che non aveva mai litigato, che non aveva mai parlato di separazione o di divorzio, che aveva appena festeggiato il trentesimo anniversario di matrimonio e acquistato una casa per la pensione in riva a un lago. Poi il marito era rientrato da un viaggio di lavoro e aveva trovato la casa deserta. Tutti gli abiti della moglie e metà dei mobili erano spariti. La signora se n’era andata, aveva detto che non lo aveva mai amato. Poco dopo lei si era risposata e lui si era suicidato. Non era difficile innescare una lite con Paula: a lei piaceva alzare la voce. Forse, pensò Oscar, avrebbe fatto bene a bere un altro po’, tornare a casa semisbronzo, fare in modo che Paula cominciasse a sbraitare perché aveva bevuto, reagire arrabbiato tirando in ballo le sue spese costanti e continuare a gettare benzina sul fuoco finché tutti e due si sarebbero messi a strillare. A quel punto, infuriato, avrebbe cacciato qualcosa in valigia e se ne sarebbe andato di casa sbattendo la porta. Oscar non aveva mai trovato il coraggio di andarsene. Avrebbe dovuto farlo decine di volte, ma scivolava sempre in silenzio lungo il corridoio,
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entrava nella camera degli ospiti, chiudeva la porta a chiave e dormiva da solo. Avvicinandosi a Champaign, stabilì il piano definitivo. Perché abbassarsi al livello di innescare una lite per poter poi incolpare lei? Vuoi farla finita? Allora sii uomo e ammettilo. “Io sono infelice, Paula, e lo sono da anni. E senza dubbio sei infelice anche tu, altrimenti non ti lamenteresti e non ti arrabbieresti di continuo. Io me ne vado. Puoi tenerti la casa e tutto quello che c’è dentro. Io prendo solo i miei vestiti. Addio.” Girò e puntò verso nord. In definitiva fu tutto molto semplice e Paula la prese abbastanza bene. Pianse un po’, lo insultò, ma quando capì che suo marito non avrebbe abboccato all’amo scese nel seminterrato, si chiuse dentro a chiave e si rifiutò di uscire. Oscar caricò in auto i suoi vestiti e qualche oggetto personale e poi se ne andò, sorridente, sollevato e sempre più felice a ogni incrocio che superava. Sessantadue anni, sul punto di essere single per la prima volta da una vita e anche sul punto di diventare ricco, se doveva fidarsi di Wally, cosa che al momento faceva. Anzi, al momento riponeva una quantità enorme di fiducia nel suo socio giovane. Non sapeva bene dove andare, ma di sicuro non avrebbe passato la notte da Wally. Lo vedeva già abbastanza in ufficio. Inoltre era probabile che la sua amichetta gli piombasse in casa, e lui non la poteva sopportare. Guidò per un’altra ora, poi scese in un motel vicino all’aeroporto O’Hare. Avvicinò una sedia alla finestra e si mise a guardare decolli e atterraggi in lontananza. Un giorno anche lui avrebbe volato in jet qua e là – i Caraibi, Parigi, la Nuova Zelanda – con una simpatica signora al suo fianco. Si sentiva già vent’anni di meno. Stava per cominciare la bella vita.
28 Alle sette e mezzo del mattino seguente Rochelle arrivò in studio di buon umore, convinta di godersi il suo yogurt e il giornale senza nessuno tra i piedi a parte AC. Ma AC stava già giocando con qualcuno. Mr Finley era lì ed era anche piuttosto allegro. Rochelle non ricordava l’ultima volta in cui era arrivato prima di lei. «Buongiorno, Ms Gibson» la salutò Oscar. Il tono era vispo e cordiale. Il viso segnato e spigoloso era pieno di gioia. «Cosa ci fa qui?» gli chiese Rochelle sospettosa. «Si dà il caso che io sia il proprietario di questo studio.» «Come mai è così felice?» Rochelle posò la borsa sulla scrivania. «Perché la notte scorsa ho dormito in un motel, da solo.» «Forse dovrebbe farlo più spesso.» «Non vuole sapere perché?» «Certo. Perché?» «Perché, Ms Gibson, ieri sera ho lasciato Paula. Ho fatto la valigia, le ho detto addio, me ne sono andato e non tornerò mai più.» «Rendiamo grazie al Signore!» esclamò Rochelle, gli occhi spalancati per lo stupore. «L’ha fatto sul serio?»
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«Sì, sul serio. Dopo trenta miserabili anni sono un uomo libero. Ecco perché sono così felice, Ms Gibson.» «Be’, sono felice anch’io. Congratulazioni.» Nei suoi otto anni e mezzo allo studio Finley & Figg, Rochelle non aveva mai visto Paula di persona, e di questo era ben contenta. Secondo quanto sosteneva Wally quella donna si rifiutava di mettere piede nello studio perché lo riteneva al di sotto della sua dignità. Non mancava mai di dire in giro che suo marito era avvocato, con le sottintese implicazioni riguardanti denaro e potere, ma dentro di sé si sentiva umiliata dal basso status dello studio. Spendeva ogni centesimo che Oscar guadagnava e, se non fosse stato per certo misterioso denaro di famiglia, la sua, i Finley avrebbero dichiarato bancarotta già da anni. In almeno tre occasioni Paula aveva preteso che il marito licenziasse Rochelle e per due volte lui ci aveva provato. Per due volte era rientrato malconcio nel suo ufficio, aveva chiuso la porta a chiave e si era leccato le ferite. In un’altra famosa occasione, Mrs Finley aveva telefonato chiedendo di parlare con suo marito. Rochelle l’aveva educatamente informata che l’avvocato era con un cliente. “Non mi interessa” aveva detto Paula. “Me lo passi.” Ms Gibson si era rifiutata di nuovo e aveva messo la signora in attesa. Quando aveva ripreso in mano il ricevitore aveva sentito Paula, ormai prossima all’arresto cardiaco, imprecare e minacciare di piombare in studio per sistemare le cose. Al che Rochelle aveva risposto: “Faccia pure, ma a suo rischio e pericolo. Io vivo nelle case popolari e non mi lascio spaventare tanto facilmente”. Paula Finley non si era fatta vedere, ma aveva massacrato suo marito. Rochelle si avvicinò a Oscar e lo abbracciò con decisione. Nessuno dei due ricordava l’ultima volta in cui si erano toccati per qualche ragione. «Lei sarà presto un uomo nuovo. Congratulazioni.» «Dovrebbe essere un divorzio semplice» disse Oscar.
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«Non avrà intenzione di servirsi di Figg, vero?» «Be’, sì. Costa poco. Ho visto la sua pubblicità su una cartella del bingo.» Risero tutti e due e poi, seduti al tavolo, cominciarono a scambiarsi pettegolezzi. Un’ora più tardi, durante la terza riunione dello studio, Oscar ripeté la notizia a beneficio di David, che sembrò un po’ confuso dall’entusiasmo suscitato dalla novità. Nessuna traccia di tristezza, da nessuna parte. Era evidente che Paula Finley si era fatta un sacco di nemici. Oscar era quasi stordito al pensiero di sbarazzarsi di lei. Wally riassunse le sue conversazioni con Jerry Alisandros e riferì le notizie in modo da dare l’impressione che assegni di grosso importo si trovassero praticamente già nella cassetta della posta. Mentre continuava a blaterare, David all’improvviso capì la tempistica del divorzio. Scarica la moglie adesso, e in fretta, prima che comincino a piovere soldi veri. Quale che fosse il piano, David sentiva puzza di guai. Nascondere beni, dirottare fondi, aprire conti bancari fittizi: gli sembrava quasi di sentire le conversazioni tra i due soci. Scattarono le sirene d’allarme: avrebbe dovuto stare attento e vigile. Wally esortò lo studio a cambiare marcia, a ordinare le pratiche, a trovare nuovi casi, a mettere da parte tutto il resto e così via. Alisandros aveva promesso di fornire medici, cardiologi e ogni tipo di supporto logistico per selezionare e preparare i clienti all’accordo. Ogni caso già acquisito valeva un bel po’ di soldi, ogni caso futuro poteva fruttarne anche di più. Oscar si limitava a restarsene seduto e a sorridere. Rochelle ascoltava attenta. David era eccitato dalle notizie, ma anche diffidente. Molto di quello che Wally diceva era sempre un’esagerazione e David aveva
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imparato a ridurre tutto della metà. Comunque, anche solo metà sarebbe stato un profitto meraviglioso. I risparmi degli Zinc erano crollati sotto i centomila dollari e David, pur rifiutandosi di preoccuparsi, si sorprendeva a pensarci sempre più spesso. Aveva pagato settemilacinquecento dollari a Sandroni per un caso probabilmente privo di valore. Insieme a Helen si era impegnato a contribuire con trecento dollari al mese alle necessità di Thuya, cosa che – speravano tutti e due – poteva andare avanti per anni. Non avevano esitato ad assumersi quell’onere, ma il peso della realtà cominciava a farsi sentire. Le entrate di David continuavano ad aumentare con regolarità, anche se era improbabile che avrebbero mai eguagliato lo stipendio dello studio Rogan. Ma non era quello il suo parametro di riferimento. Con un figlio in arrivo, riteneva di avere bisogno di centoventicinquemila dollari all’anno per vivere tranquillamente. Forse il Krayoxx gli avrebbe risollevato il bilancio, anche se non aveva ancora discusso della sua fetta di torta con i due soci. La terza riunione dello studio si concluse bruscamente quando una donna delle dimensioni di un linebacker, in tuta da ginnastica e infradito, fece irruzione spalancando la porta d’ingresso e pretese di parlare con un avvocato a proposito del Krayoxx. Lo prendeva da due anni, sentiva che il cuore era effettivamente sempre più debole e voleva fare causa al produttore quel giorno stesso. Oscar e David si dileguarono. Wally le diede il benvenuto con un sorriso e le disse: «Be’, di sicuro è venuta nel posto giusto». La famiglia del senatore Maxwell aveva assunto un avvocato di Boise che si chiamava Frazier Gant, numero uno di uno studio di moderato successo che si occupava soprattutto di incidenti stradali e di negligenza professionale da parte di medici. Boise non rientrava nel circuito dei grandi verdetti ed era raro vedere riconosciuti i generosissimi risarcimenti comuni in Florida, Texas, New York e California. L’Idaho
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guardava con disapprovazione le cause intentate per chiedere risarcimenti danni e le sue giurie erano generalmente conservatrici. Gant però era in grado di mettere insieme una causa solida e ottenere un verdetto favorevole. Era un personaggio da non sottovalutare, e si dava il caso che al momento si ritrovasse fra le mani il più importate caso di risarcimento danni di tutto il paese. Un senatore deceduto, stramazzato nell’aula del Senato, e la causa della morte affibbiata a un’importante casa farmaceutica. Era il sogno di ogni avvocato. Gant aveva insistito per un colloquio a Washington, e non a Boise, anche se Layton Koane si era dichiarato disposto a incontrarlo ovunque. Anzi, Koane avrebbe preferito qualsiasi posto che non fosse Washington per evitare che Gant entrasse nei suoi uffici. Il Koane Group occupava l’ultimo dei dieci piani di un nuovissimo, elegante e luccicante palazzo in K Street, quel tratto di asfalto che ospita i veri broker del potere nella capitale. Koane aveva pagato una fortuna un designer di New York perché la sede del suo gruppo proiettasse un’immagine di assoluta ricchezza e prestigio. Funzionava. I clienti, già acquisiti o potenziali, si sentivano intimiditi dal marmo e dal vetro nel momento stesso in cui uscivano dall’ascensore privato: erano nel centro del potere, e per questo stavano sicuramente già pagando. Con Gant, però, i ruoli erano invertiti. Sarebbe stato il lobbista a consegnare soldi, operazione per la quale avrebbe preferito un luogo più appartato. Ma Gant non aveva ceduto e così, circa nove settimane dopo la morte del senatore e, cosa ancora più importante – almeno per Koane e la Varrick – quasi sette settimane dopo che l’FDA aveva ritirato il Krayoxx, i due si sedettero a un piccolo tavolo per le riunioni in un angolo dell’ufficio personale di Koane. Dato che non doveva fare colpo su un cliente e trovava quel particolare compito molto sgradevole, Koane non perse tempo.
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«Una fonte mi informa che la famiglia è disposta ad accettare cinque milioni e a rinunciare alla causa.» Gant si accigliò subito facendo una smorfia, come se avesse appena sentito prudere un’emorroide. «Possiamo trattare» replicò, una battuta d’apertura che non significava nulla. Era arrivato in volo da Boise per negoziare, niente di più. «Ma credo che cinque milioni significhi stare sul basso.» «E quanto sarebbe l’alto?» chiese Koane. «Il mio cliente non ha molto denaro» disse Gant con voce mesta. «Come lei sa, il senatore ha dedicato tutta la vita al servizio della comunità e ha sacrificato molto. La sua eredità ammonta solo a mezzo milione di dollari, ma la famiglia ha delle necessità. Maxwell è un nome importante in Idaho, e i familiari vorrebbero mantenere un certo stile di vita.» Una delle specialità di Koane era estorcere denaro all’interlocutore e gli sembrò divertente trovarsi per una volta nel ruolo opposto. La famiglia del senatore era composta dalla vedova, una sessantenne molto simpatica dai gusti poco costosi, da una figlia quarantenne sposata con un pediatra di Boise che sforava con le carte di credito su tutti i fronti, da un’altra figlia di trentacinque anni che faceva l’insegnante e guadagnava quarantunmila dollari l’anno e da un figlio di trentuno, che rappresentava il vero problema. Kirk Maxwell Jr combatteva con l’alcol e la droga dall’età di quindici anni, e non stava vincendo. Koane aveva fatto le sue ricerche, e della famiglia Maxwell ne sapeva più di Gant. «Perché non suggerisce lei una cifra? Io ho proposto cinque, adesso tocca a lei.»
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«Il suo cliente perde circa venti milioni di dollari al giorno perché il Krayoxx non è più sul mercato» disse Gant con aria saputa, quasi stesse enunciando informazioni riservate che era riuscito abilmente a raccogliere. «Siamo più intorno ai diciotto, ma non stiamo a sottilizzare.» «Venti suona meglio.» Koane guardò il suo ospite da sopra gli occhiali e lasciò cadere appena la mascella. Nel suo business niente lo sorprendeva e adesso stava fingendo. «Venti milioni di dollari?» ripeté, come stupefatto. Gant strinse le labbra e annuì. Koane si riprese in fretta e disse: «Lasci che le spieghi la situazione. Il senatore Maxwell è stato a Washington per trent’anni e in tutto quel tempo ha ricevuto almeno tre milioni di dollari da Big Pharma e relativo comitato d’azione politica, gran parte dei quali provenienti dalle tasche della Varrick e dei suoi dirigenti. Inoltre ha percepito circa un milione di dollari da gruppi come il National Tort Reform Initiative e altre associazioni che vogliono limitare severamente le cause per risarcimento danni, fasulle o meno. Il senatore ha avuto altri quattro milioni di dollari da medici, ospedali, banche, fabbricanti, dettaglianti... un lunghissimo elenco di gruppi favorevoli al buon governo e decisi a porre un limite massimo ai risarcimenti, contenere il numero delle cause e sostanzialmente sbattere la porta del tribunale in faccia a chiunque chieda un risarcimento per morte o lesioni. In materia di riforma normativa e Big Pharma, il nostro caro senatore vantava una storia di voto perfetta. Dubito che lei l’abbia mai appoggiato». «Occasionalmente» ribatté Gant senza convinzione.
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«Noi non siamo riusciti a trovare traccia di alcun contributo da parte sua o del suo studio a favore di nessuna delle campagne di Maxwell. Lo ammetta, voi ragazzi eravate sull’altro lato della barricata.» «Okay. Ma questo che rilevanza avrebbe adesso?» «Non ne ha.» «Allora perché ne stiamo parlando? Maxwell, come ogni altro membro del Senato, raccoglieva un mucchio di fondi. Era tutto legale e il denaro è sempre stato speso per farlo rieleggere. Lei sicuramente conosce questo gioco, Mr Koane.» «Certo che lo conosco. Insomma, lui schiatta di colpo e si dà la colpa al Krayoxx. Lei sa che aveva smesso di prenderlo? L’ultima ricetta risale a ottobre dell’anno scorso, sette mesi prima del decesso. L’autopsia ha evidenziato importanti problemi al cuore, scompenso cardiaco, ostruzione delle arterie, e niente di tutto questo è stato provocato dal Krayoxx. Porti questo caso in tribunale e la faranno nero.» «Ne dubito, Mr Koane. Lei non mi ha mai visto in aula.» «No.» Ma Koane aveva fatto le sue ricerche. Il più grosso verdetto mai ottenuto da Gant era di due milioni, poi dimezzato in appello. Nella sua ultima dichiarazione al fisco l’avvocato aveva indicato un reddito lordo di poco inferiore ai quattrocentomila dollari. Spiccioli, a paragone dei milioni che incassava Koane. Gant ogni mese versava cinquemila dollari di alimenti e undicimila per il mutuo di una molto ipotecata casa in un campo da golf, casa il cui valore era ormai inferiore al debito contratto. Il caso Maxwell rappresentava, senza il minimo dubbio, la sua scialuppa di salvataggio. Koane non era a conoscenza dei termini specifici della parcella, ma, secondo una sua fonte a Boise, Gant avrebbe incassato il venticinque per cento di un accordo stragiudiziale o il quaranta per cento del verdetto della giuria.
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L’avvocato si piegò in avanti sui gomiti e disse: «Sappiamo entrambi che questo caso non ha niente a che fare con la responsabilità civile, e nemmeno con i danni. L’unico vero punto in discussione è quanto è disposta a pagare la Varrick perché io non intenti una grossa causa che faccia scalpore. Perché, se lo facessi, continuerebbero le pressioni sull’FDA, non crede, Mr Koane?». Koane si scusò e andò in un’altra stanza. Reuben Massey stava aspettando nel suo ufficio alla Varrick Labs. C’era anche Nicholas Walker seduto al tavolo. Stavano usando il vivavoce. «Vogliono venti milioni» disse Koane, e si preparò all’attacco. Massey, però, assorbì il colpo senza segni di emozione. Credeva nei suoi prodotti e aveva appena mandato giù un Plazid, la versione Varrick della pillola della felicità. «Cavolo, Koane» disse calmo. «Stai facendo davvero un lavoro con i fiocchi al tavolo dei negoziati, vecchio mio. Hai cominciato con cinque e sei già arrivato a venti. Sarà meglio che accettiamo i venti al volo, prima che tu salga a quaranta. Cosa diavolo sta succedendo, laggiù?» «È solo avidità, Reuben. Sanno che siamo con le spalle al muro. Questo avvocato ammette tranquillamente che la causa non ha niente a che vedere né con la responsabilità né con i danni. Noi non possiamo permetterci altra cattiva stampa, perciò quanto siamo disposti a pagare per far scomparire il caso Maxwell? Il punto è questo.» «Mi era parso di capire che una tua meravigliosa fonte ti avesse sussurrato all’orecchio la canzone dei cinque milioni.» «Era parso anche a me.» «Questa non è una controversia legale. È rapina a mano armata.» «Sì, Reuben. Temo che sia proprio così.»
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«Layton, sono Nick. Hai fatto una controproposta?» «No. Io ero autorizzato ad arrivare a cinque. Finché non me lo dite voi, non posso salire.» Walker parlò sorridendo. «Questo è il momento perfetto per interrompere la trattativa. Quel Gant sta già contando i soldi, parecchi milioni, crede lui. Conosco il tipo: sono tutti molto prevedibili. Lasciamolo tornare in Idaho con le tasche vuote. Non capirà neppure cosa gli è successo, e non lo capiranno nemmeno i Maxwell. Koane, digli che il tuo limite è cinque milioni e che il nostro amministratore delegato è all’estero. Che dovremo incontrarci e discutere la questione, cosa che richiederà qualche giorno. Avvertilo però che se lui dà il via a una causa, qualsiasi ipotesi di accordo svanisce.» «Non farà causa» disse Koane. «Credo che tu abbia ragione. Probabilmente sta già contando i soldi.» «Va bene» approvò Massey. «Però mi piacerebbe chiudere questa storia. Arriva fino a sette, Layton, ma non un dollaro di più.» Rientrato in ufficio Koane si sistemò sulla sua poltrona e disse: «Sono autorizzato ad arrivare a sette milioni. Oggi non posso andare oltre e non posso contattare il capo, che credo sia in viaggio in Asia, probabilmente in aereo». «Sette è molto distante da venti» osservò Gant, aggrottando la fronte. «Non otterrà mai venti milioni. Ho parlato con un legale interno della Varrick, che è anche membro del consiglio di amministrazione.» «Allora ci vediamo in tribunale» dichiarò l’avvocato, chiudendo la valigetta di cui non si era servito.
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«È una minaccia molto debole, Mr Gant. Nessuna giuria di questo paese le riconoscerà mai sette milioni di dollari per un decesso causato da una patologia cardiaca assolutamente non collegata al nostro farmaco. E, per come vanno le cose in tribunale, ci vorranno tre anni per arrivare a un processo. È parecchio tempo per restarsene seduti a pensare a sette milioni.» Gant si alzò di colpo in piedi. «Grazie per il suo tempo, Mr Koane. Troverò da solo l’uscita.» «Se va via, Mr Gant, la nostra offerta di sette milioni sparisce dal tavolo. E lei se ne torna a casa con niente in mano.» Gant esitò per un attimo, poi si ricompose. «Ci vediamo in tribunale» disse a labbra strette, e uscì. Due ore più tardi, Gant chiamò dal cellulare. A quanto pareva la famiglia Maxwell ci aveva ripensato, aveva ritrovato la ragione – dietro consiglio del suo fidato legale, naturalmente – e, insomma, dopotutto sette milioni di dollari non erano poi male. Layton Koane illustrò con cura a Gant i vari punti in gioco e l’avvocato fu lieto di accettare tutto. Subito dopo la telefonata, Koane riferì la notizia a Reuben Massey. «Dubito che ne abbia discusso con la famiglia» disse Koane. «Io credo che avesse promesso i cinque milioni come sicuri, che poi abbia tentato la sorte con i venti e che adesso sia molto felice di tornarsene a casa con un accordo da sette. Sarà un eroe.» «E noi siamo riusciti a scansare una pallottola, la prima da molto tempo» disse Massey.
29 David depositò in corte federale un atto di citazione in cui evidenziava ogni sorta di violazione alla normativa del lavoro da parte di una losca impresa di spurghi, la Cicero Pipe, che operava nel South Side, in un grande impianto per la depurazione delle acque di cui deteneva una quota pari a sessanta milioni di dollari. Gli attori erano cinque immigrati clandestini, tre provenienti dalla Birmania e due dal Messico. Le violazioni interessavano numerosi altri operai, che però si erano rifiutati di unirsi alla causa. Avevano troppa paura per uscire allo scoperto. Secondo le ricerche svolte da David, il Department of Labor (DOL) e la US Immigration and Customs Enforcement (ICE) avevano raggiunto una difficile tregua a proposito degli abusi commessi ai danni degli immigrati clandestini. L’incrollabile principio del libero e universale accesso alla giustizia prevaleva (di poco) sulla necessità del paese di regolamentare l’immigrazione. Di conseguenza un operaio clandestino abbastanza coraggioso da opporsi a un principale disonesto non era soggetto a verifiche da parte dell’ufficio immigrazione, almeno non durante la controversia legale presso il tribunale del lavoro. David l’aveva spiegato più volte agli operai interessati e i birmani, grazie anche all’incitamento di Soe Khaing, alla fine avevano trovato il coraggio di intentare causa. Altri, messicani e guatemaltechi, erano spaventati all’idea di rischiare quei pochi soldi che guadagnavano. Uno degli operai birmani riteneva che ci fossero almeno trenta uomini, tutti presumibilmente clandestini, che venivano pagati duecento dollari in contanti alla settimana per ottanta o più ore di duro lavoro.
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I potenziali risarcimenti erano importanti. Per legge il salario minimo era di 8,25 dollari l’ora e la norma federale imponeva che ogni ora lavorativa oltre le quaranta settimanali venisse pagata 12,38 dollari. Per ottanta ore, a ogni operaio spettavano quindi 825,20 dollari la settimana, ovvero 625,20 dollari in più di quello che veniva pagato. Sebbene fosse difficile stabilire date precise, David riteneva che la truffa della Cicero Pipe andasse avanti da almeno trenta settimane. La legge ammetteva un risarcimento danni pari al doppio del salario non pagato, per cui ognuno dei suoi cinque clienti aveva diritto a circa trentasettemilacinquecento dollari. La legge inoltre consentiva al giudice di imporre al convenuto che avesse perso la causa il pagamento delle spese processuali e delle parcelle degli avvocati. Con qualche riluttanza, Oscar aveva dato a David il permesso di procedere. Non era stato possibile rintracciare Wally, il quale stava battendo le strade a caccia di persone grasse. Tre giorni dopo il deposito degli atti arrivò una telefonata anonima in cui qualcuno minacciò di tagliare la gola a Zinc nel caso la citazione non fosse stata immediatamente ritirata. David riferì la telefonata alla polizia. Oscar gli consigliò di comprare una pistola e di tenersela sempre nella valigetta. David rifiutò. Il giorno seguente gli arrivò una lettera anonima con minacce di morte, estese anche ai suoi amici Oscar Finley, Wally Figg e perfino Rochelle Gibson. Il delinquente camminava di buon passo lungo Preston Avenue, come qualcuno che, a un’ora così tarda della notte, avesse fretta di tornare a casa. Erano passate da poco le due e l’aria di fine luglio era ancora calda e pesante. L’uomo era bianco, sui trent’anni, con un’impressionante fedina penale e non molta materia grigia tra le due orecchie. All’interno della borsa da ginnastica che portava a tracolla c’era una bottiglia di plastica da due litri, piena di benzina e chiusa ermeticamente. L’uomo voltò a destra e, stando abbassato, corse fino alla
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stretta veranda dello studio legale. Tutte le luci erano spente, dentro e fuori. Preston Avenue stava dormendo; perfino il salone di massaggi aveva abbassato la saracinesca. Se AC fosse stato sveglio, forse avrebbe sentito il lieve rumore prodotto dal malvivente mentre provava con delicatezza il pomolo della porta, nel caso qualcuno avesse dimenticato di chiudere a chiave. AC stava dormendo in cucina. Oscar, però, era sveglio; in pigiama, disteso sul divano sotto una trapunta, pensava a come si sentiva felice dal giorno in cui se n’era andato di casa. Il delinquente scese dalla veranda anteriore, si abbassò e si spostò rapidamente sul retro dell’edificio. La strategia consisteva nel penetrare dall’ingresso posteriore e innescare il suo piccolo e rudimentale ordigno. Due litri di benzina versati su un pavimento di legno, in un ambiente con tende e libri, avrebbero distrutto la vecchia struttura molto prima che una squadra di vigili del fuoco riuscisse ad arrivare. L’uomo scosse piano la porta – anche quella era chiusa a chiave – e la forzò velocemente con un cacciavite. L’aprì e fece un passo all’interno. Era buio. Un cane ringhiò, poi ci furono due rumorosissimi spari. Il delinquente gridò, barcollò all’indietro sugli scalini e crollò a terra in una piccola aiuola trascurata. Oscar lo guardò dall’alto. Una rapida occhiata rivelò una ferita poco al di sopra del ginocchio destro. «No! Per favore!» implorò il malvivente. Con attenzione, con freddezza, Oscar gli sparò all’altra gamba. Due ore dopo, parzialmente vestito, Oscar sedeva al tavolo e chiacchierava con due poliziotti. Tutti e tre sorseggiavano caffè. Il delinquente era all’ospedale, in chirurgia: ferite a entrambe le gambe, ma nessun pericolo di vita. L’uomo si chiamava Justin Bardall e, quando non
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giocava con il fuoco o a farsi sparare, manovrava un bulldozer per la Cicero Pipe. «Idioti, idioti, idioti» continuava a ripetere Oscar. «Non prevedeva che sarebbe stato beccato» osservò ridendo uno dei poliziotti. In quello stesso momento, a Evanston, due detective bussavano alla porta del proprietario della Cicero Pipe. Per lui era l’inizio di una lunga giornata. Oscar spiegò che stava divorziando e che era alla ricerca di un appartamento. Quando non dormiva in albergo, approfittava del divano dello studio. «Possiedo questo posto da ventun anni» disse. Conosceva bene uno dei poliziotti e l’altro l’aveva visto in giro. Nessuno era minimamente preoccupato dalla sparatoria. Era un caso chiarissimo di difesa della proprietà privata, anche se nel suo racconto Oscar aveva omesso il dettaglio del colpo di pistola all’altra gamba. Oltre alla bottiglia di benzina, nella borsa da ginnastica erano stati trovati uno straccio di cotone imbevuto di quello che sembrava essere kerosene e diverse strisce di cartone. Era una molotov modificata, non studiata per essere lanciata. La polizia supponeva che il cartone dovesse servire come materiale per propagare il fuoco. Si trattava di un tentativo di incendio doloso abbastanza maldestro, ma era anche vero che non c’è bisogno di un genio per accendere un fuoco. Mentre i tre continuavano a chiacchierare, il furgone di un notiziario televisivo si fermò in strada, di fronte allo studio. Oscar si mise la cravatta e si lasciò intervistare. Poche ore dopo, durante la quarta riunione, David prese male la notizia, ma insistette nel dichiarare di non volere una pistola. Rochelle ne teneva in borsetta una a buon mercato, perciò tre su quattro erano
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armati. Arrivavano telefonate di giornalisti. La storia si stava gonfiando di minuto in minuto. «Ricordate» ripeté Wally «noi siamo uno studio boutique, in questo momento specializzato in casi Krayoxx. È chiaro a tutti?» «Sì, sì» sbuffò Oscar. «E le cause di lavoro dei birmani?» «Anche in quelle.» La riunione si interruppe quando un giornalista cominciò a bussare con forza alla porta. Fu presto evidente che quel giorno nessuno si sarebbe occupato di legge nello studio Finley & Figg. David e Oscar parlarono con giornalisti del “Tribune” e del “Sun-Times” i quali comunicarono a loro volta alcune informazioni. Mr Bardall era uscito dalla sala operatoria, era chiuso a chiave nella sua stanza e non intendeva parlare con nessuno che non fosse il suo avvocato. Il proprietario della Cicero Pipe e due suoi capisquadra erano stati arrestati e rilasciati su cauzione. Il contraente generale dell’impianto per la depurazione delle acque era un’importante società di Milwaukee, che prometteva di indagare a fondo e in tempi rapidi sulla faccenda. Il sito era stato chiuso. Nessun lavoratore immigrato clandestino poteva neppure avvicinarsi. David se ne andò poco prima di mezzogiorno, dicendo a Rochelle che doveva presentarsi in aula da qualche parte. Andò a casa, caricò in auto Helen, ogni giorno sempre più incinta, la portò a pranzo e le raccontò ciò che era accaduto di recente: le minacce di morte, il delinquente e le sue intenzioni, Oscar e la sua difesa dello studio, il crescente interesse della stampa. Minimizzò qualsiasi pericolo e le assicurò che l’FBI si stava occupando della cosa. «Sei preoccupato?» gli chiese Helen.
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«Per niente» rispose David. Il tono non era molto convinto. «Ma domani potrebbe esserci qualcosa sui giornali.» Ci fu più di qualcosa. Grandi foto di Oscar nella cronaca cittadina sia del “Tribune” sia del “Sun-Times.” Per onestà nei confronti della stampa, quante storie capitano con un anziano avvocato che dorme nel suo studio e spara a un intruso intenzionato a incendiare l’edificio con una molotov come rappresaglia per una citazione riguardante immigrati clandestini sfruttati da una ditta che, anni prima, ha avuto collegamenti con la criminalità organizzata? Oscar veniva dipinto come un impavido pistolero del Southwest Side e, per inciso, uno dei più importanti specialisti in class action del paese, al momento impegnato nell’attacco alla Varrick Labs e al suo spaventoso farmaco, il Krayoxx. Il “Tribune” pubblicò una foto più piccola di David, nonché foto del proprietario della Cicero Pipe e dei suoi luogotenenti mentre venivano scortati in carcere. Entrò in azione l’intero alfabeto statale – FBI, DOL, ICE, INS (Immigration & Naturalization Service), OSHA (Occupational Safety & Health Administration), DHS (Department of Homeland Security), OFCCP (Office of Federal Contract Compliance Programs) – e quasi tutti ebbero qualcosa da dichiarare alla stampa. Il sito rimase chiuso per il secondo giorno consecutivo e il contraente generale si infuriò. Lo studio Finley & Figg fu di nuovo assediato da giornalisti, investigatori, aspiranti clienti Krayoxx e da una plebaglia di strada più numerosa del solito. Oscar, Wally e Rochelle tenevano le rispettive armi a portata di mano. Il giovane David restava beatamente naïf. Due settimane più tardi, Justin Bardall uscì dall’ospedale su una sedia a rotelle. Lui e il suo capo, più un altro individuo, erano stati incriminati per numerosi reati da un gran giurì federale e i loro avvocati stavano già discutendo la possibilità di un’ammissione di colpevolezza con richiesta di patteggiamento. Il perone sinistro di Bardall era in
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pezzi e sarebbero stati necessari altri interventi, ma i medici prevedevano un completo recupero. Bardall aveva riferito ai suoi avvocati, al suo capo e alla polizia che la frantumazione del suo perone non era stata per niente necessaria, dato che il colpo era stato esploso quando lui era ferito e non rappresentava più una minaccia. Ma non aveva trovato molta comprensione. La reazione generale poteva essere riassunta dal commento di un detective che aveva detto: “Sei fortunato che non ti abbia fatto saltare la testa”.
30 Jerry Alisandros mantenne finalmente una delle sue promesse. Era impegnatissimo nell’organizzazione delle trattative per gli accordi stragiudiziali e, secondo l’associato con cui parlò Wally, proprio non aveva tempo per parlare al telefono con le decine di avvocati che doveva gestire come un giocoliere. Ma nella terza settimana di luglio, finalmente, Alisandros mandò gli esperti. Il nome della società era insensato: Allied Diagnostic Group, o ADG, come preferiva essere chiamata. Per quello che Wally era riuscito a sapere, l’ADG era una squadra di tecnici medici con base ad Atlanta impegnata a viaggiare attraverso tutto il paese per effettuare esami su persone che volevano trarre profitto dall’ultimo attacco risarcitorio di Jerry. Come da istruzioni ricevute, Wally affittò uno spazio di centottanta metri quadri in un piccolo centro commerciale lungo la strada, un locale che un tempo aveva ospitato un magazzino di articoli a buon mercato per animali domestici. Incaricò un’impresa edile di provvedere a porte e pareti divisorie e poi un’impresa di pulizie perché tutto fosse lindo. Le vetrine vennero oscurate con carta marrone, non era prevista alcuna insegna. Wally predispose qualche sedia, alcuni tavoli e una scrivania, e fece installare una linea telefonica e una fotocopiatrice. Inviò tutte le fatture a un assistente dello studio di Jerry, il cui lavoro consisteva unicamente nel tenere la contabilità del contenzioso Krayoxx. Non appena il locale fu pronto, l’ADG lo occupò e si mise al lavoro. La squadra consisteva in tre tecnici, tutti in adeguata tenuta da chirurgo color acquamarina e tutti provvisti di stetoscopio. Avevano un’aria così ufficiale che all’inizio perfino Wally credette che fossero professionisti
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altamente specializzati e carichi di titoli. Non lo erano, ma avevano esaminato migliaia di potenziali attori. Il loro capo era il dottor Borzov, un cardiologo proveniente dalla Russia che aveva fatto un sacco di soldi stilando diagnosi di pazienti/clienti per conto di Jerry Alisandros e di una decina di altri avvocati sparsi nel paese. Capitava raramente che il dottor Borzov visitasse una persona obesa e non la trovasse afflitta da un grave problema medico imputabile al farmaco dell’azione collettiva del momento. Non testimoniava mai in tribunale – il suo accento era troppo pesante e il suo curriculum troppo leggero – ma negli ambulatori degli screening valeva il suo peso in oro. David, essendo de facto il paralegale per tutti i quattrocentotrenta (al momento) casi di non-morte Krayoxx, e Wally, essendo quello che aveva trovato i suddetti casi, erano entrambi presenti quando l’ADG fece partire la sua catena di montaggio. Come da programma, alle otto in punto si presentarono tre clienti, che vennero accolti dall’offerta di caffè da parte di Wally e di un’attraente tecnica ADG in tenuta ospedaliera, completa di zoccoli di gomma bianchi. La modulistica, la cui compilazione richiese dieci minuti, mirava soprattutto ad accertare che il cliente avesse effettivamente assunto il Krayoxx per almeno sei mesi. Il primo paziente fu quindi accompagnato in un’altra stanza, dove l’ADG aveva installato il suo ecocardiografo e altri due tecnici erano in attesa. Uno dei due spiegò la procedura – «Facciamo una ripresa digitale del suo cuore» – mentre l’altro aiutava il cliente a salire sul massiccio letto ospedaliero che l’ADG si portava in giro per tutto il paese insieme all’ecocardiografo. Mentre i due percorrevano il torace con la sonda, il dottor Borzov entrò nella stanza e salutò il cliente con un lieve cenno del capo. Borzov non aveva modi professionali molto rassicuranti, ma era anche vero che non aveva autentici pazienti. Indossava un lungo camice bianco con il nome stampigliato a sinistra sul taschino e, per buona misura e per fare scena, esibiva il suo personale stetoscopio. Quando parlava, l’accento straniero dava una sensazione
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di competenza. Studiò lo schermo, aggrottò la fronte, come d’abitudine, e poi se ne andò. L’assalto al Krayoxx si alimentava di ricerche miranti a dimostrare come il farmaco indebolisse i lembi della valvola aortica, causando così una diminuzione del rigurgito nella valvola mitrale. L’ecocardiogramma misurava la funzionalità di quella aortica, e una riduzione del trenta per cento costituiva un’eccellente notizia per gli avvocati. Il dottor Borzov esaminava immediatamente i tracciati, sempre ansioso di trovare un’altra valvola aortica indebolita. Ogni esame richiedeva venti minuti, per cui se ne effettuavano tre all’ora, circa venticinque al giorno, sei giorni alla settimana. Wally aveva affittato il locale per un mese. L’ADG addebitava al fondo contenzioso Zell & Potter e Finley & Figg mille dollari per ogni esame, e le fatture venivano spedite direttamente a Jerry in Florida. Prima di Chicago, l’ADG e il dottor Borzov erano passati da Charleston e Buffalo. Dopo Chicago sarebbero andati a Memphis e poi a Little Rock. Un’altra squadra ADG, con un medico serbo addetto alla lettura dei tracciati, stava coprendo la costa occidentale. Una terza équipe stava raccogliendo oro in Texas. La ragnatela Krayoxx di Zell & Potter si estendeva su quaranta Stati, settantacinque avvocati e quasi ottantamila clienti. Per evitare il caos dello studio, David ciondolava al centro commerciale e chiacchierava con i suoi clienti, nessuno dei quali aveva mai conosciuto di persona. In generale erano contenti di essere lì, preoccupati per eventuali danni al cuore provocati dal farmaco, speranzosi di potersi in qualche modo riprendere, sovrappeso, terribilmente fuori forma, ma abbastanza simpatici. Neri, bianchi, vecchi, giovani, maschi, femmine: l’obesità e il colesterolo alto coprivano l’intera gamma umana. Ogni cliente con cui David parlò era stato entusiasta del
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Krayoxx e dei risultati ottenuti, e adesso era ansioso di trovare un sostituto. A poco a poco David fece amicizia con i tecnici ADG e venne a sapere qualcosa del loro lavoro, anche se tenevano la bocca piuttosto cucita. Il dottor Borzov non gli rivolgeva quasi la parola. Dopo tre giorni, David capì che la squadra ADG non era soddisfatta dei test che stava effettuando. Gli esami da mille dollari l’uno stavano producendo scarse prove di insufficienza aortica, tuttavia qualche caso potenziale c’era. Il quarto giorno l’impianto dell’aria condizionata collassò e il locale affittato da Wally diventò una sauna. Era agosto, la temperatura superava i trentadue gradi e, quando si constatò che il proprietario dell’immobile non rispondeva alle telefonate, la squadra ADG minacciò di andarsene. Wally fece arrivare ventilatori e gelati e supplicò i tecnici di restare e portare a termine lo screening. I venti minuti dell’esame si ridussero a quindici, poi a dieci, con Borzov che a malapena dava un’occhiata ai tracciati mentre fumava una sigaretta sul marciapiede. Il giudice Seawright aveva fissato l’udienza per il 10 agosto, ultima data possibile nell’agenda di qualsiasi giudice prima che il sistema si fermasse per le vacanze estive. Non c’erano istanze in sospeso né battaglie in preparazione, e tutta la fase preprocessuale relativa all’esibizione del materiale probatorio si era svolta in un clima di notevole collaborazione tra le parti. La Varrick Labs, fino a quel momento, si era dimostrata fin troppo disponibile a fornire documenti ed elenchi di testimoni e periti. Nadine Karros aveva presentato solo una manciata di blande istanze, sulle quali il giudice si era già pronunciato in tempi rapidi. Per quanto riguardava la parte attrice, i legali dello studio Zell & Potter erano stati straordinariamente efficienti con documenti e richieste.
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Seawright stava seguendo con attenzione le voci riguardanti l’accordo stragiudiziale. I suoi impiegati controllavano le pubblicazioni finanziarie e tenevano d’occhio i blog più accreditati. La Varrick Labs non aveva rilasciato dichiarazioni formali, ma era evidente che sapeva come fare filtrare le notizie. La quotazione delle sue azioni era scesa fino a 24,50 dollari, ma le voci su un importante accordo transattivo l’avevano fatta risalire a trenta. Quando le due squadre di avvocati furono al loro posto, il giudice Seawright si sistemò sullo scranno e diede il benvenuto a tutti. Si scusò per avere fissato l’udienza in agosto – «Il mese più difficile dell’anno per persone molto occupate» – ma era convinto della necessità di un incontro tra le parti prima che tutti cominciassero a sparpagliarsi in giro per il mondo. Spuntò velocemente le voci della sua lista di controllo relativa all’esibizione del materiale probatorio per accertarsi che entrambe le parti si fossero comportate bene. Non ci furono lamentele. Jerry Alisandros e Nadine Karros furono così gentili e educati l’uno con l’altra da risultare quasi stucchevoli. Wally sedeva alla destra di Jerry, quasi fosse stato il legale superesperto da usare in caso di necessità. Dietro di lui, incuneati in mezzo a un gruppo di avvocati Zell & Potter, c’erano David e Oscar. Dopo la sparatoria e la conseguente pubblicità, Oscar si faceva vedere più spesso, godendosi l’attenzione. Sorrideva anche di più e si considerava già scapolo. Il giudice Seawright cambiò argomento e disse: «Sento molte chiacchiere a proposito di un accordo, un enorme accordo globale, come si usa dire oggi nel settore. Voglio sapere cosa sta succedendo. Considerata la rapidità con cui questo particolare caso è stato istruito, siamo ora nella condizione di inserire il procedimento nel mio calendario processuale. Tuttavia, se è probabile un accordo transattivo, perché dovremmo
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prenderci il disturbo? Ms Karros, lei può illuminarci su questo punto?». Nadine si alzò in piedi, tutti gli occhi fissi su di lei, e con pochi passi eleganti raggiunse il leggio. «Vostro onore, come probabilmente sa, la Varrick Labs è stata coinvolta in numerosissime cause complicate e decide sempre autonomamente come affrontare un accordo che coinvolge molti attori. Io non sono stata autorizzata a iniziare negoziati per il caso Klopeck, né sono stata autorizzata dal mio cliente a rilasciare dichiarazioni pubbliche sul tema transazione. Per quanto mi riguarda, noi ci stiamo preparando al processo.» «Va bene. Mr Alisandros?» Gli avvocati si scambiarono il posto dietro il leggio, poi Jerry rivolse al giudice un sorriso melenso. «Lo stesso vale per noi, vostro onore: ci stiamo preparando al processo. Tuttavia devo informarla che io, quale membro del comitato legali attori, ho avuto con la Varrick numerosi colloqui informali, e molto preliminari, in relazione a un accordo globale. Io credo che Ms Karros sia al corrente di queste conversazioni in corso, ma, come lei stessa ha detto, non è stata autorizzata a discuterne. Io non rappresento la Varrick e quindi non sono soggetto a tali vincoli. In ogni caso la società non mi ha chiesto di tacere a proposito dei nostri incontri. Inoltre, vostro onore, se mai arriveremo a trattative formali, dubito che Ms Karros sarà coinvolta. In base a precedenti esperienze, so che la Varrick gestisce operazioni del genere con proprio personale interno.» «Lei prevede negoziati formali?» chiese Seawright. Ci fu una lunga pausa e molti trattennero il fiato. Nadine Karros riuscì a sembrare incuriosita, nonostante avesse una visione molto chiara del
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quadro generale. Nessun altro in aula l’aveva. Wally assaporò le parole “negoziati formali” e sentì accelerare il battito. Jerry spostò il proprio peso da un piede all’altro e poi finalmente disse: «Vostro onore, non voglio che le mie parole vengano riportate, perciò sto sul sicuro e le rispondo che non ne sono certo». «Quindi né lei né Ms Karros siete in grado di darmi un’indicazione sul tema accordo stragiudiziale?» chiese Seawright con una punta di frustrazione. Entrambi gli avvocati scossero la testa. Nadine sapeva fin troppo bene che non ci sarebbe mai stato alcun accordo. Jerry era quasi sicuro del contrario. Nessuno dei due, tuttavia, poteva mostrare le proprie carte. E, da un punto di vista etico e procedurale, il giudice non aveva il diritto di conoscere la strategia delle parti al di fuori dell’aula. Il suo compito era arbitrare un processo equo, non monitorare eventuali accordi. Alisandros tornò a sedersi e Seawright cambiò di nuovo argomento. «Sto pensando a lunedì 17 ottobre, come data d’inizio. Prevedo che il processo non richiederà più di due settimane.» Circa dieci avvocati controllarono immediatamente le rispettive agende e tutti aggrottarono la fronte. «Se avete un problema di date, sarà meglio che sia convincente» aggiunse il giudice. «Mr Alisandros?» Jerry si alzò in piedi lentamente, con una piccola agenda di pelle in mano. «Be’, giudice, questo significherebbe che andremmo a processo dieci mesi dopo avere intentato la causa. Piuttosto veloce, non crede?» «In effetti sì, Mr Alisandros. La mia media è di circa undici mesi. Non lascio ammuffire i miei casi. Qual è il suo problema?»
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«Nessun problema, vostro onore, mi preoccupa solo avere tempo sufficiente per preparare il processo. Nient’altro.» «Sciocchezze. L’esibizione del materiale probatorio è quasi completata. Lei ha i suoi esperti e il convenuto ha i suoi. Dio sa che entrambe le parti hanno abbastanza talento legale. Al 17 ottobre mancano sessantotto giorni. Dovrebbe essere una passeggiata per un avvocato della sua reputazione, Mr Alisandros.» “Che teatrino” pensò Wally. Quel caso, come tutti gli altri, sarebbe stato risolto in via stragiudiziale nel giro di un mese. «Cosa dice la difesa, Ms Karros?» chiese Seawright. «Abbiamo qualche problema di date, vostro onore» rispose Nadine. «Ma niente che non si possa risolvere.» «Molto bene. La prima udienza del processo con giuria per la causa Klopeck contro Varrick Labs viene quindi fissata al 17 ottobre. A meno di catastrofi, non ci saranno ritardi o rinvii, perciò non prendetevi neppure il disturbo di chiederli.» Seawright diede un colpo di martelletto e annunciò: «L’udienza è tolta. Grazie a tutti».
31 La notizia della data d’inizio del processo finì su tutta la stampa finanziaria e ovunque in Internet. La storia veniva presentata in vari modi, ma in generale sembrava che la Varrick venisse spinta a forza in un’aula federale per rispondere della moltitudine dei suoi peccati. A Reuben Massey non importava come la vicenda venisse raccontata, né cosa pensasse l’opinione pubblica in quel momento. Nei confronti degli avvocati dei risarcimenti era importante reagire come se la società fosse stata scossa e spaventata. Massey conosceva quella gente. Tre giorni dopo l’udienza di Chicago, Nicholas Walker telefonò a Jerry Alisandros proponendogli di organizzare un incontro segreto fra i rappresentanti della Varrick e i più importanti studi legali impegnati nel contenzioso Krayoxx. Scopo della riunione sarebbe stato dare concretamente inizio a negoziati veri e propri. Alisandros accettò senza esitare e promise assoluto silenzio da parte sua. In base ai circa vent’anni passati a trattare con avvocati specializzati in azioni collettive, Nicholas sapeva che la riunione non sarebbe mai stata un segreto perché uno (o più) tra i legali della controparte avrebbe spifferato l’informazione alla stampa. Il giorno dopo un trafiletto sul “Wall Street Journal” riferiva che la Cymbol, la principale compagnia di assicurazioni della Varrick, era stata avvertita dal cliente che il suo fondo di riserva stava per essere attivato. Citando una fonte anonima, l’articolo proseguiva ipotizzando che l’unica ragione per un’azione del genere era un accordo per risolvere il “pasticcio Krayoxx”. Seguirono altre fughe di notizie e i blogger non persero tempo ad annunciare un’altra vittoria dei consumatori.
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Dato che ogni specialista in risarcimenti danni degno di questo nome possedeva un jet personale, la destinazione non era un problema. Con New York deserta in agosto, Nicholas Walker si assicurò una grande sala riunioni al quarantesimo piano di un hotel semivuoto in centro. Molti avvocati avevano chiuso lo studio ed erano già in vacanza da qualche parte per sottrarsi all’afa, ma non un solo invito venne declinato. Un grosso accordo stragiudiziale era di gran lunga più importante di qualche giorno di riposo. Quando si riunirono, otto giorni dopo che il giudice Seawright aveva fissato la data del primo processo, erano presenti i sei membri del comitato legali attori (CLA) più un’altra trentina di avvocati, ognuno dei quali con migliaia di casi Krayoxx. Quelli insignificanti come Wally Figg non erano stati neppure informati dell’incontro. Massicci giovanotti in abito scuro stavano di guardia alla porta della sala e controllavano i documenti. La prima mattina, dopo una veloce colazione, Nicholas Walker diede un cordiale benvenuto ai presenti, quasi fossero stati tutti quanti commessi viaggiatori della stessa società. Raccontò addirittura una barzelletta, suscitando una risata, ma la tensione era palpabile appena sotto la superficie. Una valanga di denaro stava per rovesciarsi sul tavolo, e tutti gli avvocati presenti in quella sala erano veterani, pronti al combattimento corpo a corpo. Al momento si contavano millecento casi di morte. O, in altre parole, millecento casi in cui gli eredi del defunto sostenevano che la causa della morte del congiunto fosse il Krayoxx. Le prove mediche a sostegno non erano proprio inoppugnabili, ma probabilmente erano sufficienti per suscitare qualche dubbio nella giuria. Seguendo il piano concordato, Nicholas Walker e Judy Beck non persero tempo a discutere del punto fondamentale della responsabilità civile, dando per scontato, esattamente come l’orda sull’altro lato del tavolo, che il farmaco fosse responsabile di millecento decessi e di migliaia di altri casi di minore gravità.
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Espletate le formalità, Walker cominciò dichiarando che la Varrick avrebbe gradito definire il valore di ogni caso di morte. Presumendo che fossero arrivati a concordare questo punto, sarebbero poi passati ai casi di non-morte. Wally era in vacanza sul lago Michigan, in un piccolo appartamento non lontano dalla riva, in compagnia della sua cara DeeAnna, una visione in bikini. Aveva appena finito di mangiare un’insalata di pasta, quando sentì cinguettare il telefonino. Lesse il numero, afferrò il cellulare e disse: «Jerry, amico mio, come va?». DeeAnna, in topless sulla vicina sedia a sdraio, si raddrizzò a sedere. Sapeva che qualsiasi telefonata del caro Jerry poteva portare notizie eccitanti. Alisandros spiegò di essere rientrato in Florida dopo due giorni a New York: una riunione segreta, capisci, duri colloqui con la Varrick, gente tosta quella, solo i casi di morte, bada bene, comunque parecchi progressi, nessun accordo ancora, nessuna stretta di mano, ovviamente niente di scritto, ma sembra proprio che ogni caso di morte varrà intorno ai due milioni di dollari. Wally commentava con qualche “uhm-uhm” e ogni tanto rivolgeva un sorriso a DeeAnna, che gli si era avvicinata. «Ottime notizie, Jerry, bel lavoro. Sentiamoci la settimana prossima.» «Novità?» tubò la ragazza quando la conversazione terminò. «No, nessuna. Solo un aggiornamento da parte di Jerry. La Varrick ha presentato un mucchio di mozioni e lui vuole che ci dia un’occhiata.» «Niente accordo?» «No.»
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DeeAnna ormai parlava solo di quello. Certo, Wally ammetteva che era tutta colpa sua e della sua boccaccia, ma quella donna era ossessionata dalla feccenda. Non aveva abbastanza buon senso da comportarsi come se non gliene importasse. No, lei voleva i dettagli. Voleva i soldi, e questo lo preoccupava. Stava già pensando a un’exit strategy, proprio come Oscar, il suo nuovo eroe. Scaricare le donne prima che arrivi la grana. Sedici milioni di dollari. Il diciassette per cento dei quali sarebbe finito nelle casse di Finley & Figg: un totale di oltre 2,7 milioni di dollari, di cui lui, Wally, avrebbe intascato il cinquanta per cento. Era milionario. Si arrampicò sopra un materassino gonfiabile e si lasciò galleggiare nella piscina. Chiuse gli occhi e cercò di non sorridere. Pochi istanti dopo DeeAnna, sempre in topless, era in acqua accanto a lui e ogni tanto lo toccava per assicurarsi di interessargli ancora. Erano insieme già da parecchi mesi e Wally stava cominciando a stancarsi. Trovava sempre più difficile restare al passo con le continue richieste di sesso della ragazza. Dopotutto lui aveva quarantasei anni, dieci più di DeeAnna, la cui data di nascita rimaneva comunque un mistero. Mese e giorno erano stati accertati, ma l’anno continuava gradualmente a spostarsi in avanti. Wally era stufo, aveva bisogno di una pausa ed era anche preoccupato dalla fascinazione della ragazza per il denaro Krayoxx. Sarebbe stato nel suo interesse scaricarla al più presto, fare la solita sceneggiata della rottura, numero che Wally conosceva benissimo, e mandare la ragazza fuori dalla sua vita e lontano dai suoi soldi. Non sarebbe stato facile e ci sarebbe voluto un po’ di tempo. Una strategia analoga avrebbe funzionato anche per Oscar. Paula Finley aveva assunto un odioso divorzista di nome Stamm, il quale stava già pestando sui tamburi di guerra. Durante la prima conversazione telefonica
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Stamm aveva espresso la propria sorpresa per gli scarsi incassi di Oscar e aveva insinuato che ci fossero dei fondi nascosti. Aveva cercato di sondare nel torbido mondo degli onorari pagati in contanti, ma non aveva ottenuto niente da Wally, che conosceva bene quel territorio. Stamm aveva anche accennato al contenzioso Krayoxx, ma era stato subito bloccato dai ben recitati dinieghi di Wally in relazione a un coinvolgimento di Oscar. “Be’, mi sembra sospetto” aveva commentato Stamm. “Dopo trent’anni di matrimonio, Mr Finley è disposto ad andarsene portandosi via solo la propria auto e i vestiti.” “Oh, no” aveva ribattuto Wally. “Ha perfettamente senso, per chi conosce davvero la sua cliente, Paula Finley.” Avevano battibeccato per un po’, come fanno sempre gli avvocati divorzisti, e poi avevano concordato di risentirsi più avanti. Per quanto disperatamente Wally volesse il denaro, decise di posticipare di parecchi mesi l’effettiva riscossione. Prepara tutti i documenti adesso, o nelle prossime settimane, tieni tutto segretissimo in tribunale e poi sbarazzati delle donne. Per quello che si supponeva fosse il mese più fiacco dell’anno, agosto si rivelò estremamente produttivo. Il 22, Helen Zinc diede alla luce una bambina di tre chili e mezzo, Emma, e per un paio di giorni i suoi genitori si comportarono come se avessero dato alla luce il primo neonato della storia. Madre e figlia erano in ottima salute e, quando arrivarono a casa, trovarono ad aspettarle tutti e quattro i nonni, più una ventina di amici. David si prese una settimana di vacanza e scoprì che gli era impossibile restare fuori dalla piccola nursery rosa. Venne richiamato in azione da un irritato giudice federale, una signora che evidentemente non credeva nelle vacanze e della quale si diceva
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che lavorasse novanta ore alla settimana. Si chiamava Sally Archer, opportunamente soprannominata Sally la Furia. Era giovane, esuberante, estremamente brillante e stava praticamente ammazzando di lavoro il proprio staff. Sally la Furia deliberava rapidamente e voleva chiudere ogni causa il giorno dopo il deposito dei relativi atti. La controversia di lavoro di David era stata assegnata a lei, e Archer non aveva avuto peli sulla lingua nell’esprimere la propria opinione sulla Cicero Pipe e le sue abominevoli pratiche. Sotto la pressione di molteplici enti del governo federale, nonché di Sally la Furia, il contraente generale aveva convinto il suo subappaltatore, la Cicero Pipe, a sistemare in fretta pasticci sindacali e problemi legali e a riprendere il lavoro nella sua parte dell’impianto per il trattamento delle acque. Le accuse penali contro l’aspirante piromane, Justin Bardall, e altri della Cicero avrebbero richiesto mesi per arrivare a una decisione, ma la causa di lavoro poteva, e doveva, chiudersi in tempi brevi. Sei settimane dopo il deposito dell’atto di citazione, David era riuscito a strappare un accordo stragiudiziale che gli sembrava quasi incredibile. La Cicero Pipe accettava di pagare a ognuno dei suoi cinque clienti la somma forfettaria di quarantamila dollari. Avrebbe inoltre versato trentamila dollari a un’altra trentina di operai immigrati clandestini, perlopiù messicani e guatemaltechi, che erano stati pagati duecento dollari la settimana per almeno ottanta ore di lavoro. A causa della notorietà del caso, notevolmente accresciuta dalla vigorosa difesa di Oscar della sua proprietà immobiliare e dal conseguente arresto del ricco proprietario della Cicero Pipe, l’udienza presieduta da Sally la Furia richiamò diversi giornalisti. Il giudice Archer iniziò ricapitolando i termini della causa e lo fece in modo tale da assicurarsi che la sua definizione di “schiavismo” applicata agli abusi della Cicero Pipe venisse debitamente riportata. Massacrò
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l’azienda, rimproverò i suoi avvocati, che tutto sommato, a parere di David, erano brave persone, e in generale si esibì da protagonista per trenta minuti, mentre i giornalisti scrivevano come forsennati. «Mr Zinc, è soddisfatto di questo accordo?» si informò poi il giudice. L’accordo stragiudiziale era stato messo per iscritto. La trattativa si era conclusa una settimana prima. L’unico punto ancora in sospeso era quello riguardante la parcella degli avvocati. «Sì, vostro onore» rispose calmo David. I tre legali della Cicero Pipe se ne stavano come rannicchiati, quasi timorosi di alzare lo sguardo. «Vedo che ha presentato la richiesta relativa al suo onorario» osservò Sally la Furia, esaminando alcune carte. «Cinquantotto ore. Alla luce di quanto ha ottenuto e del denaro che ha garantito a tutti questi lavoratori, mi permetto di dire che il suo tempo è stato davvero ben speso.» «Grazie, vostro onore» disse David, in piedi al suo tavolo. «Qual è la sua tariffa oraria, Mr Zinc?» «Ecco, vostro onore, avevo previsto questa domanda, ma la verità è che io non ho una tariffa oraria. I miei clienti non possono permettersi di pagare a ore.» Il giudice Archer annuì. «L’anno scorso ha mai fatturato a ore?» «Oh, certo. Fino al dicembre scorso. Ero associato anziano presso lo studio Rogan Rothberg.» Il giudice rise nel suo microfono e disse: «Oh, ragazzi! A proposito di esperti in tariffe orarie. Quanto fatturava a quell’epoca, Mr Zinc?».
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David si agitò, a disagio, e si strinse nelle spalle. «Giudice, l’ultima volta che ho lavorato in base all’orologio, al cliente venivano fatturati cinquecento dollari l’ora.» «Allora lei vale cinquecento dollari l’ora.» Sally la Furia scribacchiò per qualche secondo e poi annunciò: «Arrotondiamo a trentamila. Obiezioni, Mr Lattimore?». L’avvocato della Cicero si alzò in piedi, fece una pausa e rifletté su cosa dire. Sollevare obiezioni non sarebbe servito a niente perché era chiaro che il giudice era schierato con la controparte. E dato che il suo cliente veniva comunque sbranato, cos’erano trentamila dollari in più? Inoltre sapeva che, se avesse espresso dubbi sulla parcella, Sally la Furia avrebbe contrattaccato con un immediato: “Bene, Mr Lattimore, e qual è la sua tariffa oraria?”. «Mi sembra ragionevole» disse Lattimore. «Bene, voglio che tutti gli importi siano versati entro trenta giorni. La corte si ritira.» Fuori dall’aula, David dedicò un po’ di tempo a tre giornalisti rispondendo pazientemente alle loro domande. Quando ebbe finito andò a casa di Soe e Lwin, dove incontrò i suoi tre clienti birmani ai quali comunicò la notizia che presto avrebbero ricevuto quarantamila dollari ciascuno. Il messaggio non risultò chiaro nella traduzione e Soe dovette ripetere diverse volte per convincerli. I tre scoppiarono a ridere, pensando che fosse uno scherzo, ma David non si unì alla risata. Quando la realtà fu chiara, due cominciarono a piangere. Il terzo era troppo scioccato. David cercò di spiegare che si erano guadagnati quel denaro con il loro lavoro e il loro sudore, ma anche questo non venne recepito molto bene nella traduzione.
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David non aveva fretta. Era lontano da sua figlia da ben sei ore, un record, ma Emma non sarebbe andata da nessuna parte. Sorseggiò tè da una tazzina minuscola e chiacchierò con i suoi clienti, godendosi la sua prima, importante vittoria. Aveva accettato un caso che la maggior parte degli avvocati avrebbe rifiutato. I suoi clienti erano usciti coraggiosamente dalle tenebre dell’immigrazione clandestina per opporsi a un’ingiustizia, ed era stato lui a convincerli a farlo. Tre piccoli uomini lontani un milione di chilometri da casa, sfruttati da una grande società con una quantità di agganci importanti, e niente a separarli da ulteriori abusi tranne un giovane avvocato e un’aula di tribunale. La giustizia, con tutti i suoi difetti e le sue ambiguità, aveva prevalso in modo magnifico. Da solo in auto mentre tornava in studio, David provò un immenso orgoglio e un senso di realizzazione. Sperava in molte altre importanti vittorie in futuro, ma questa sarebbe rimasta speciale per sempre. Mai, nei suoi cinque anni trascorsi da Rogan Rothberg, si era sentito così orgoglioso di essere un avvocato. Era tardi e lo studio era deserto. Wally era in vacanza e si faceva sentire ogni tanto con le ultime novità sul Krayoxx. Oscar era assente ingiustificato da alcuni giorni, e neppure Rochelle sapeva dove fosse finito. David controllò i messaggi telefonici e la posta elettronica, perse un po’ di tempo alla scrivania, ma poi si stufò. Mentre chiudeva a chiave la porta d’ingresso, un’auto della polizia si fermò davanti allo studio. Amici di Oscar, che tenevano d’occhio l’edificio. David salutò i due agenti con un cenno della mano e salì in auto per andarsene a casa.
32 Appena rientrato dal lungo weekend del Labor Day, Wally scrisse alla sua cliente Iris Klopeck. Cara Iris, come sa, il nostro processo è stato fissato il mese prossimo, per l’esattezza il 17 ottobre, ma non abbiamo motivo di preoccuparcene. Ho impiegato buona parte del mese scorso a trattare con gli avvocati della Varrick e sono lieto di comunicarle che è stato raggiunto un accordo molto favorevole. La società infatti è in procinto di offrire una somma intorno ai due milioni di dollari per il decesso ingiustificato di suo marito Percy. La proposta non è ancora ufficiale, ma prevediamo di riceverla per iscritto entro i prossimi quindici giorni. Mi rendo conto che l’importo è notevolmente superiore al milione di dollari che le avevo promesso ma, ciononostante, avrò bisogno della sua approvazione per accettare l’offerta non appena ci verrà presentata formalmente. Sono molto orgoglioso del nostro piccolo studio boutique. Siamo come Davide contro Golia, ma al momento stiamo vincendo noi. La prego di firmare l’allegato modulo di autorizzazione all’accordo e di rispedirmelo per posta. Cordiali saluti, Wallis T. Figg, Avvocato e Consulente legale
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Wally inviò lettere simili agli altri sette clienti del suo meraviglioso gruppetto di casi di morte e, quando terminò, scostò la poltroncina a rotelle dalla scrivania, mise i piedi scalzi sul ripiano e, ancora una volta, cominciò a pensare ai suoi soldi. I sogni vennero interrotti quando Rochelle citofonò con un brusco: «C’è quella donna al telefono. Le parli, per favore. Mi sta facendo diventare matta». «Okay.» Wally si raddrizzò e fissò il telefono. DeeAnna non stava affatto scomparendo in silenzio. Durante il viaggio di ritorno dal lago Michigan lui aveva cercato e trovato la lite, che era riuscito a far degenerare fino al livello di insulti seri. Nel calore della battaglia aveva annunciato che tra loro era finita e per due giorni non si erano più parlati. Poi DeeAnna si era presentata alla sua porta, ubriaca, lui si era impietosito e le aveva permesso di dormire sul divano. La ragazza sembrava pentita, addirittura implorante, e capace di proporre nuove avventure sessuali ogni cinque minuti. Wally aveva declinato, fino a quel momento. Adesso DeeAnna telefonava a tutte le ore e si era perfino presentata in studio diverse volte. Ma Wally era deciso. Ormai gli era chiaro che i suoi soldi Krayoxx non sarebbero durati tre mesi con DeeAnna vicino. Alzò il ricevitore con un brusco: «Pronto». DeeAnna stava già piangendo. Quel cupo e ventoso lunedì sarebbe stato a lungo ricordato come il Massacro del Labor Day allo studio Zell & Potter, dove la ricorrenza non era stata rispettata: loro erano professionisti, non lavoratori manuali. Non che questo avesse molta importanza, dato che le festività venivano spesso ignorate, così come i weekend. Lo studio apriva la mattina presto e per le otto i corridoi brulicavano già di avvocati ansiosi di braccare tutta una serie di farmaci dannosi e le società che li producevano.
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A volte, però, una caccia non dava risultati. Un inseguimento non portava da nessuna parte. Un pozzo risultava asciutto. Il primo colpo arrivò alle nove in punto, quando il dottor Julian Smitzer, direttore delle ricerche mediche dello studio, insistette per parlare con Alisandros. Jerry in realtà non aveva tempo di riceverlo, ma non poté rifiutarsi, specie dopo che la sua segretaria aveva definito la questione “urgente”. Al termine di una prestigiosa carriera come cardiologo e ricercatore presso la Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota, il dottor Smitzer si era trasferito con la sua cagionevole moglie sotto il sole della Florida meridionale. Dopo qualche mese si stava già annoiando. Per caso aveva conosciuto Jerry Alisandros, un incontro a cui ne erano seguiti molti altri, ed erano ormai cinque anni che Smitzer era a capo delle ricerche mediche dello studio legale, con uno stipendio di un milione di dollari l’anno. Era un incarico perfetto, perché il dottore aveva dedicato la maggior parte della sua carriera a scrivere sulle malvagità di Big Pharma. In uno studio pieno di avvocati iperaggressivi, il dottor Smitzer era una figura riverita. Nessuno metteva in dubbio le sue ricerche o le sue opinioni, e il suo lavoro valeva molto più di quanto fosse pagato. «Abbiamo un problema con il Krayoxx» annunciò, subito dopo essersi seduto nel grandioso ufficio di Jerry. Alisandros fece un profondo, addolorato respiro. «Ti ascolto.» «Abbiamo passato gli ultimi sei mesi ad analizzare la ricerca McFadden e oggi sono dell’opinione che sia inattendibile. Non ci sono dati statistici credibili in grado di dimostrare che i consumatori del farmaco corrono rischi maggiori di infarto o ictus. Detto francamente, McFadden ha manipolato i risultati. È un eccellente medico e
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ricercatore, ma evidentemente si era convinto che il farmaco fosse pericoloso e ha alterato i dati perché si adattassero alle sue conclusioni. I soggetti che assumono il Krayoxx hanno molti altri problemi: obesità, diabete, ipertensione, aterosclerosi, solo per citarne alcuni. Molti sono in pessima salute e ci si può aspettare un alto livello di colesterolo. Pazienti del genere mandano giù manciate di pillole parecchie volte al giorno. Il Krayoxx è solo uno dei farmaci che assumono, e finora è stato impossibile determinare gli effetti delle diverse combinazioni. Statisticamente, forse, e sottolineo forse, può darsi che esista una probabilità lievemente maggiore di infarto o ictus per i consumatori Krayoxx, ma non è detto. McFadden ha seguito tremila soggetti per un periodo di due anni – un pool troppo limitato, a mio parere – e ha riscontrato solo un nove per cento di maggiori possibilità di infarto o di ictus.» «Ho letto quel rapporto, Julian, molte volte» lo interruppe Alisandros. «L’ho praticamente imparato a memoria, prima che ci lanciassimo in queste cause.» «Vi siete lanciati troppo in fretta, Jerry. Non c’è niente di sbagliato in quel farmaco. Ho parlato a lungo con McFadden. Tu sai come e quanto è stato criticato quando ha pubblicato il suo studio. Si è beccato le critiche e ora si sta tirando indietro.» «Cosa?» «Sì. La settimana scorsa McFadden ha ammesso con me che avrebbe dovuto includere un numero maggiore di soggetti nella sua ricerca. È anche preoccupato dal fatto di non essersi preso il tempo di studiare gli effetti delle combinazioni di vari farmaci. Ha intenzione di smentire il suo precedente lavoro per cercare di salvarsi la reputazione.»
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Jerry si stava stringendo con le dita il dorso del naso, quasi volesse spezzarselo. «No, no, no» continuava a mormorare. «Sì, sì, sì» insistette Smitzer. «La rettifica verrà pubblicata tra non molto.» «Quando?» «Più o meno tra novanta giorni. E c’è di peggio. Noi abbiamo studiato in modo approfondito gli effetti del farmaco sulla valvola aortica. Come sai, lo studio di Palo Alto sembrava collegare il malfunzionamento della valvola a un deterioramento causato dal farmaco. Questo adesso sembra dubbio, molto dubbio.» «Perché me lo dici adesso, Julian?» «Perché la ricerca richiede tempo e alcune cose le stiamo scoprendo soltanto ora.» «Cosa dice il dottor Bannister?» «Be’, tanto per cominciare, dice che non vuole testimoniare.» Jerry si massaggiò le tempie e si alzò in piedi, fissando l’amico. Si avvicinò a una finestra e guardò fuori, nel nulla. Dato che il dottor Smitzer era sul libro paga dello studio, gli era precluso testimoniare in qualsiasi causa intentata da Zell & Potter, sia nella fase di esibizione del materiale probatorio sia nel corso del processo. Una parte importante del suo lavoro consisteva nel mantenere una rete di testi-periti: pistole pronte a sparare in aula in cambio di onorari enormi. Il dottor Bannister era un professionista della testimonianza, con uno spesso curriculum e il debole di schierarsi con i grandi avvocati in importanti processi. Il fatto che adesso si stesse tirando indietro sembrava fatale.
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Il secondo colpo arrivò un’ora più tardi, con Alisandros già sanguinante alle corde. Un giovane socio di nome Carlton si presentò da lui con un grosso fascicolo e qualche notizia scoraggiante. «Le cose non vanno troppo bene, Jerry.» «Lo so.» Carlton stava seguendo lo screening di migliaia di potenziali clienti e il grosso rapporto che aveva con sé era pieno di numeri terribili. «Il danno non si vede, Jerry. Diecimila esami, finora, e i risultati non sono certo incoraggianti. Forse il dieci per cento dei soggetti presenta qualche riduzione della pressione aortica, ma niente per cui entusiasmarsi. Stiamo riscontrando ogni tipo di cardiopatia, ipertensione, arterie ostruite e roba del genere, ma niente che si possa collegare al Krayoxx.» «Dieci milioni di dollari in esami e non abbiamo niente in mano?» chiese Jerry, i pollici premuti sulle tempie, gli occhi chiusi. «Come minimo dieci milioni, e sì: non abbiamo niente. Detesto doverlo ammettere, Jerry, ma questo farmaco sembra innocuo. Ho l’impressione che stiamo facendo un buco nell’acqua. Io dico di smettere e mollare tutto.» «Non ti ho chiesto un consiglio.» «No, non l’hai chiesto.» Carlton uscì dall’ufficio. Alisandros chiuse la porta a chiave, andò a distendersi sul divano e fissò il soffitto. Gli era già capitato in passato: ritrovarsi con un farmaco che non era affatto così dannoso come lui aveva dichiarato che fosse. Ma c’era ancora una possibilità che la Varrick fosse un passo indietro. Forse non sapeva quello che adesso sapeva lui. Con tutte le voci sull’accordo transattivo, le azioni avevano continuato a salire e il venerdì precedente avevano chiuso a 34,50 dollari. Forse, solo forse, era possibile bluffare e spingere la Varrick a un accordo addirittura più veloce. Jerry lo aveva
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già visto succedere: una società con montagne di soldi e tonnellate di cattiva stampa vuole semplicemente che cause e avvocati spariscano. Con il passare dei minuti, Alisandros riuscì a rilassarsi. Non poteva certo preoccuparsi di tutti i Wally Figg là fuori: erano ragazzi grandi che avevano deciso autonomamente di intentare causa. E non poteva preoccuparsi nemmeno di tutti quei clienti che si aspettavano un consistente assegno, e presto. Né si preoccupava troppo di salvare la faccia: era ricco in modo osceno, e già da molto tempo il denaro gli aveva indurito la pelle. Jerry Alisandros, in realtà, stava già pensando al prossimo farmaco, quello dopo il Krayoxx. Il terzo colpo, quello del KO, arrivò durante il previsto colloquio telefonico delle quindici con un altro membro del CLA. Rodney Berman era un esuberante legale di New Orleans che aveva costruito e distrutto parecchie fortune giocando d’azzardo con le giurie. Grazie a una marea nera di petrolio nel Golfo, al momento era ricco ed era riuscito a mettere insieme più clienti Krayoxx perfino di Zell & Potter. «Siamo nella merda» cominciò allegramente. «È stata una brutta giornata, Rodney, perciò vai pure avanti e rendila anche peggiore.» «Una notizia riservatissima da una fonte molto confidenziale e, dovrei aggiungere, molto ben retribuita, la quale ha messo gli occhi su uno studio preliminare che il mese prossimo verrà inviato al “New England Journal of Medicine”. Ricercatori di Harvard e della Cleveland Clinic dichiareranno che il nostro beneamato Krayoxx è sano come i germi di grano e non causa assolutamente problemi. Nessun maggior rischio di infarto o di ictus. Nessun danno alla valvola aortica. Niente. E i curricula di questa gente fanno sembrare i nostri esperti degli stregoni. I
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miei periti stanno scappando. I miei avvocati si nascondono sotto la scrivania. Secondo uno dei nostri lobbisti l’FDA sta valutando l’ipotesi di rimettere il farmaco sul mercato. La Varrick sta distribuendo soldi per tutta Washington. Cos’altro vuoi sentire, Jerry?» «Credo di avere sentito abbastanza. Vado a cercarmi un ponte.» «Ne vedo uno dal mio ufficio» disse Rodney, riuscendo in qualche modo a ridere. «È bello, attraversa il Mississippi e mi sta aspettando. Il Rodney Berman Memorial Bridge. Un giorno mi troveranno nel Golfo, tutto ricoperto di petrolio greggio.» Quattro ore dopo, tutti i sei componenti del CLA erano in collegamento tra loro grazie alla teleconferenza che Jerry aveva organizzato dal suo ufficio. Dopo che Alisandros ebbe riassunto le brutte notizie della giornata, Berman comunicò la sua novità. Poi, a turno, parlarono gli altri quattro e non ci fu una sola buona notizia. La causa si stava sbriciolando su tutti i fronti, ogni teoria crollava, da costa a costa. Ci fu un lungo dibattito su quanto la Varrick sapesse in quel momento, e la sensazione generale fu che loro, gli avvocati, fossero in netto vantaggio sulla società. Ma la situazione sarebbe cambiata in fretta. Furono tutti d’accordo sull’immediata interruzione degli screening. Jerry si offrì di contattare Nicholas Walker della Varrick nel tentativo di accelerare le trattative. Tutti e sei promisero di cominciare ad acquistare enormi quantità di azioni ordinarie Varrick per far salire il valore. Si trattava di una società quotata in Borsa, in fin dei conti, e il prezzo delle azioni significava tutto. Se la Varrick si fosse convinta che un accordo stragiudiziale avrebbe calmato Wall Street, forse avrebbe deciso comunque di sbarazzarsi del pasticcio Krayoxx, per quanto innocuo potesse essere il farmaco.
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La teleconferenza durò due ore e si concluse in un tono leggermente più ottimista di quando era cominciata. Avrebbero continuato a spingere con forza ancora per qualche giorno, avrebbero mantenuto il loro atteggiamento, si sarebbero giocati la partita e avrebbero sperato in un miracolo, ma in nessun caso avrebbero continuato a spendere denaro per la loro versione personale del pasticcio Krayoxx. Era finita, avrebbero limitato le perdite e sarebbero passati alla prossima battaglia. Non venne detto quasi niente a proposito del processo Klopeck che sarebbe iniziato sei settimane dopo.
33 Due giorni dopo, Jerry Alisandros fece una telefonata, apparentemente di routine, a Nicholas Walker della Varrick Labs. Dopo qualche chiacchiera sul tempo e sul football, Jerry passò agli affari. «Nick, la settimana prossima sarò dalle tue parti e mi piacerebbe passare a trovarti, se ci sei e se hai tempo.» «Forse» disse Walker, cauto. «Stiamo raccogliendo tutti i nostri dati e abbiamo fatto progressi, almeno per quanto riguarda i casi di morte. Ho passato ore con il comitato legali attori e siamo pronti a dare inizio a un accordo formale. Primo round, naturalmente. Togliamo di mezzo i casi grossi e poi occupiamoci con calma dei piccoli.» «È il nostro piano, Jerry» disse Walker in totale accordo, e finalmente Alisandros riuscì a respirare. «Reuben Massey mi sta addosso perché gli tolga di mezzo questa storia» continuò Walker. «Questa mattina mi ha massacrato e stavo per telefonarti io. Mi ha dato istruzioni di venire da voi con la nostra squadra legale interna e i nostri avvocati della Florida per negoziare un accordo nei termini che abbiamo già discusso. Suggerirei di incontrarci a Fort Lauderdale tra una settimana da oggi, firmare l’accordo, presentarlo al giudice e chiudere la faccenda. I casi di non-morte richiederanno più tempo, ma intanto sistemiamo quelli più importanti. D’accordo?» D’accordo? “Non immagini neppure quanto” pensò Jerry. «Ottima idea, Nick. Organizzerò tutto a Fort Lauderdale.» «Però insisto che siano presenti tutti e sei i componenti del comitato.»
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«Posso organizzare la cosa, nessun problema.» «E possiamo fare in modo che sia presente un coadiutore del giudice o qualcuno del suo ufficio? Io non me ne andrò da lì finché non avremo un accordo, scritto e approvato dalla corte.» «Un’idea eccellente, Nick.» Jerry stava sorridendo come un idiota. «Allora facciamolo.» Conclusa la telefonata, Alisandros controllò le quotazioni di Borsa. Le Varrick venivano scambiate a trentasei dollari e l’unica ragione plausibile del rialzo era la buona notizia dell’accordo transattivo. La conversazione telefonica era stata registrata da una società specializzata in “verità e inganno”. Era una ditta di cui Zell & Potter si serviva di frequente per registrare segretamente le conversazioni e tentare poi di determinare il livello di sincerità dell’interlocutore. Mezz’ora dopo che Jerry aveva riattaccato, due esperti entrarono nel suo ufficio con grafici e diagrammi. Accampati in una saletta riunioni in fondo al corridoio con tutte le loro macchine, avevano misurato lo stress delle due voci e avevano stabilito senza difficoltà che entrambi gli uomini mentivano. Le menzogne di Alisandros, naturalmente, erano state pianificate al fine di suscitare le reazioni di Walker. L’analisi dello stress vocale di Walker indicava un alto livello di inganno. Quando aveva accennato a Reuben Massey e al desiderio della Varrick di liberarsi delle cause, aveva detto la verità. Ma quando aveva parlato dei grandiosi piani per un summit la settimana seguente a Fort Lauderdale, era stato chiaramente in malafede. Jerry diede l’impressione di prendere la notizia con relativa indifferenza. Prove del genere non erano ammesse in tribunale perché estremamente inaffidabili. Si era spesso chiesto perché mai si prendesse
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la briga di commissionare l’analisi dello stress vocale, ma dopo essersene servito per anni, ormai quasi ci credeva. Qualsiasi cosa, pur di avere anche un minimo vantaggio. Registrazioni del genere erano comunque contrarie all’etica, addirittura illegali in alcuni Stati, per cui era facile seppellire le informazioni. Per la maggior parte degli ultimi quindici anni, Jerry Alisandros aveva perseguitato la Varrick con una causa dopo l’altra. E aveva imparato molto su quella società. Le ricerche della Varrick erano sempre migliori di quelle degli attori. La società pagava confidenti e investiva massicciamente nello spionaggio industriale. Reuben Massey amava il gioco duro e di solito trovava un modo per vincere la guerra, perfino dopo avere perso la maggior parte delle battaglie. Solo nel suo ufficio, Jerry batté sulla tastiera un aggiornamento al suo diario professionale riservato: “Il Krayoxx sta evaporando davanti ai miei occhi. Appena parlato con N. Walker. Dice che sarà qui settimana la settimana prossima per firmare un accordo. Scommetto che non si farà vedere”. Iris Klopeck aveva mostrato la lettera di Wally a numerosi amici e parenti, e l’imminente arrivo di due milioni di dollari stava già creando problemi. Clint, il figlio buono a nulla che di norma lasciava passare giorni senza rivolgerle neppure un cenno, all’improvviso le dimostrava tutto il suo affetto in ogni modo possibile. Riordinava la sua stanza, lavava i piatti, faceva commissioni per la sua cara mamma e chiacchierava continuamente con lei del suo argomento preferito, il desiderio di un’auto nuova. Il fratello di Iris, fresco dal suo secondo soggiorno in galera per furto di motociclette, le stava imbiancando casa (gratuitamente) e lasciava cadere accenni al suo sogno di sempre di un negozio di moto usate. Sapeva che ce n’era uno in vendita per soli centomila dollari. “Praticamente un furto” diceva, al che il figlio di Iris sussurrava alle sue spalle: “Lo zio di sicuro sa riconoscere un furto, quando
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ne vede uno”. Bertha, la spregevole sorella di Percy, andava dicendo in giro di avere diritto a una fetta della torta in quanto “consanguinea”. Iris la odiava, come l’aveva odiata Percy, e le aveva già ricordato che non si era nemmeno fatta vedere al funerale del fratello. Bertha adesso sosteneva che quel giorno era ricoverata in ospedale. “Dimostralo” ribatteva Iris, e la schermaglia continuava. Il giorno in cui Adam Grand ricevette la lettera di Wally si stava dando da fare nella pizzeria quando il suo capo cominciò a inveire contro di lui senza alcun motivo evidente. Adam, che era vicedirettore, rispose per le rime e ne nacque una brutta lite. Terminate urla e imprecazioni, Adam o aveva dato le dimissioni oppure era stato licenziato, e per parecchi minuti i due discussero sull’esatta natura della cessazione del rapporto di lavoro. Non che la cosa avesse importanza, Adam comunque se ne andava. E non aveva importanza neppure per Adam, visto che stava per diventare ricco. Millie Marino ebbe il buonsenso di non mostrare a nessuno la lettera. La lesse diverse volte prima che le parole cominciassero ad avere un senso e a quel punto avvertì una fitta di rimorso per avere dubitato dell’abilità di Figg. L’avvocato continuava a non ispirarle fiducia, ed era ancora arrabbiata con lui per via del testamento e dell’eredità di Chester, il defunto marito, ma entrambi quegli aspetti sembravano avere un’importanza sempre minore. Lyle, il figlio di Chester, avrebbe avuto diritto a una quota del risarcimento e quindi seguiva la causa con grande attenzione. Se fosse venuto a sapere quanto era vicino l’incasso, avrebbe potuto diventare una seccatura. Così Millie mise la lettera sottochiave e non ne parlò con nessuno. Il 9 settembre, cinque settimane dopo essere stato ferito a entrambe le gambe da colpi di arma da fuoco, Justin Bardall intentò causa contro Oscar individualmente e contro lo studio Finley & Figg come società. Secondo Bardall, Oscar si era reso colpevole di “eccesso di difesa” e, in
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particolare, aveva esploso il terzo colpo mirando alla gamba sinistra dopo che lui, Bardall, era già stato ferito e non rappresentava più alcuna minaccia. Nella citazione si chiedevano cinque milioni di dollari quale risarcimento per i danni effettivamente subiti e altri dieci milioni quale risarcimento punitivo per l’azione dolosa di Oscar. L’avvocato che intentò la causa, Goodloe Stamm, era lo stesso assunto da Paula Finley per occuparsi del suo divorzio. Evidentemente, a un certo punto Stamm aveva rintracciato Bardall e lo aveva convinto a cercare giustizia, a dispetto delle sue attività criminali e del fatto che stava per finire in prigione per tentato incendio. Il divorzio si stava dimostrando un po’ più combattuto di quanto Wally e Oscar si fossero aspettati, specie alla luce del fatto che Oscar in pratica se ne andava di casa senza niente, a parte la propria auto e i vestiti. Stamm continuava a blaterare a proposito del denaro Krayoxx: a suo avviso, c’era puzza di complotto per nasconderlo. Oscar si infuriò per la richiesta di quindici milioni di dollari e diede la colpa di tutto a David. Se non fosse stato per la causa intentata contro la Cicero Pipe, lui e Bardall non si sarebbero mai incontrati. Wally riuscì a negoziare una tregua e gli strilli cessarono. Inoltre contattò la compagnia di assicurazioni dello studio e insistette perché fornisse difesa e copertura. Con il grande accordo transattivo così vicino era molto più facile imporre la pace, sorridere e addirittura scherzare, pensando a quel delinquente di Bardall che entrava in aula zoppicando e cercava di convincere una giuria che lui, piromane incompetente, doveva essere reso ricco perché non era stato capace di ridurre in cenere uno studio legale.
34 L’e-mail era preceduta dai soliti avvisi standard di riservatezza e protetta da codici criptati. Firmata da Jerry Alisandros, venne inviata a circa ottanta avvocati, uno dei quali era Wally Figg. Il testo diceva: Sono spiacente di dovervi informare che la prevista riunione di domani è stata annullata dalla Varrick Labs. Questa mattina ho avuto una lunga conversazione telefonica con Nicholas Walker, capo dell’ufficio legale interno della Varrick, il quale mi ha comunicato che per il momento la società ha deciso di sospendere i negoziati. La strategia della controparte è notevolmente cambiata, specie alla luce del fatto che il processo Klopeck a Chicago inizierà tra quattro settimane. La Varrick ora ritiene opportuno saggiare le acque con un primo processo, vedere come verranno recepiti i dati fattuali e determinata la responsabilità civile, per tentare la sorte con una vera giuria. Pur non essendo tale scelta insolita, ho comunque avuto parole molto dure per il brusco cambiamento di programma di Mr Walker e della sua società. Ho praticamente parlato di negoziati in malafede eccetera, ma ormai discutere serve a poco. Poiché non eravamo arrivati al punto di concordare i dettagli specifici di un accordo, non possiamo fare leva su nulla da un punto di vista legale. Sembra proprio che tutti gli occhi saranno puntati sull’aula di Chicago. Vi terrò informati.
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J.A. Wally stampò l’e-mail – pesava una tonnellata –, entrò nell’ufficio di Oscar e posò il foglio sulla scrivania. Poi si lasciò cadere su una poltrona di pelle e sembrò sul punto di scoppiare a piangere. Oscar lesse lentamente e a ogni frase le rughe sulla sua fronte diventarono più profonde. Respirava con la bocca, a fatica. Rochelle provò a passargli una telefonata, ma lui non rispose. I due avvocati sentirono la segretaria avvicinarsi a passi pesanti alla porta e poi bussare. Visto che nessuno dei due la invitava a entrare, Rochelle fece capolino nell’ufficio e disse: «Mr Finley, è il giudice Wilson». Oscar scosse la testa. «Adesso non posso parlare. Gli dica che lo richiamo.» Rochelle richiuse la porta. Passò qualche minuto, poi David bussò, entrò, guardò i due soci e capì che il mondo stava per crollare. Oscar gli tese l’e-mail, che David lesse camminando avanti e indietro davanti alla libreria. «C’è dell’altro» disse non appena finì di leggere. «Cosa intendi con “c’è dell’altro”?» chiese Wally. La voce era debole e stridula. «Ero in rete per controllare una cosa quando ho visto l’avviso del deposito di un documento. Meno di venti minuti fa Jerry Alisandros, per conto dello studio Zell & Potter, ha chiesto formalmente l’autorizzazione di rinunciare al mandato nella causa Klopeck.» Il corpo di Wally scivolò sulla poltrona di quindici centimetri buoni. Oscar emise una specie di grugnito, nel misero tentativo di dire qualcosa.
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David, lui stesso pallido e scosso, continuò: «Ho telefonato a un mio contatto da Zell & Potter, un tizio di nome Worley. Mi ha detto ufficiosamente che si tratta di una completa ritirata. Gli esperti, i nostri esperti, si sono tutti sbagliati e nessuno di loro è disposto a testimoniare. Il rapporto McFadden non reggerà in tribunale. La Varrick questo lo sapeva già da qualche tempo e ha avviato i colloqui sull’accordo stragiudiziale solo per strapparci via il tappeto da sotto i piedi subito prima del processo Klopeck. Worley dice che i soci Zell & Potter stanno litigando, ma che Alisandros avrà l’ultima parola. Non ha intenzione di venire a Chicago perché non vuole una sconfitta così clamorosa nel suo meraviglioso curriculum. Senza periti, la causa è persa. Secondo Worley è molto probabile che non ci sia mai stato niente di sbagliato nel Krayoxx». «Io lo sapevo che era una pessima idea» disse Oscar. «Oh, piantala» sibilò Wally. David si sedette su una sedia di legno, il più lontano possibile dai due soci. Con entrambi i gomiti piantati sulla scrivania, Oscar si teneva la testa fra le mani, come in una morsa, quasi gli stesse arrivando un’emicrania letale. Wally aveva gli occhi chiusi, ma la testa era scossa da tic. Dato che entrambi sembravano incapaci di parlare, David si sentì in obbligo di dire qualcosa. «Davvero Alisandros può ritirarsi quando manca così poco al processo?» domandò, consapevole che i due soci non sapevano virtualmente nulla della procedura in corte federale. «Sta al giudice decidere» rispose Wally. «Cosa ne faranno di tutti quei casi?» domandò a David. «Ne hanno migliaia, decine di migliaia.» «Worley ritiene che tutti si limiteranno a starsene seduti in silenzio, aspettando di vedere cosa succederà qui con la causa Klopeck. Se
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vinciamo, allora penso che la Varrick riaprirà le trattative per un accordo. Se perdiamo, be’, suppongo che tutti i casi Krayoxx non varranno più niente.» L’idea di una vittoria sembrava del tutto remota. Passarono diversi minuti senza che venisse pronunciata una sola parola. L’unico rumore era il respiro faticoso di tre uomini stupefatti. Il suono distante di una sirena si avvicinò lungo Beech Street, ma nessuno dei tre reagì. Finalmente Wally si raddrizzò, o almeno ci provò, e disse: «Dobbiamo chiedere un rinvio del processo, una proroga, e forse dovremmo opporci alla richiesta di rinuncia di Alisandros». Oscar riuscì a muovere la testa. Fissò Wally come sul punto di sparare anche a lui. «Quello che devi fare è telefonare al tuo amico Jerry e capire cosa accidenti sta succedendo. Non può tagliare la corda con il processo così vicino. Digli che lo denunceremo all’ordine per comportamento contrario alla deontologia forense. Digli che faremo arrivare la notizia alla stampa: il grande Jerry Alisandros ha paura di venire a Chicago. Digli qualsiasi cosa, Wally, ma lui deve venire a dibattere questa causa. Dio sa che noi non siamo in grado di farlo.» «Se non c’è niente di sbagliato nel farmaco, perché prendersi la briga di andare a processo?» chiese David. «È un farmaco dannoso» disse Wally. «E possiamo trovare un perito che lo dichiari.» «Chissà perché, ho qualche problema a crederti» commentò Oscar. David si alzò in piedi e si diresse verso la porta. «Propongo di ritirarci nei nostri uffici, riflettere sulla situazione e ritrovarci qui tra un’ora.»
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«Buona idea» approvò Wally, che si alzò in piedi barcollando. Andò nel suo ufficio e cominciò a chiamare Alisandros. Non lo sorprese scoprire che il grand’uomo non era raggiungibile. Iniziò a mandargli email: lunghi, inviperiti messaggi pieni di minacce e invettive. David controllò i vari blog – finanza, osservatori legali, azioni collettive – e trovò conferma del fatto che la Varrick aveva interrotto ogni trattativa. La quotazione delle azioni era scesa per il terzo giorno consecutivo. Nel tardo pomeriggio lo studio aveva già presentato istanza per il rinvio del processo e un’opposizione alla richiesta di rinuncia di Alisandros. Il lavoro era stato fatto tutto da David perché Wally era scappato dall’ufficio e Oscar era praticamente andato in blocco. David aveva informato Rochelle del disastro, e la prima preoccupazione della donna era stata per Wally. Era sobrio da quasi un anno, ma Rochelle era stata testimone delle sue precedenti ricadute. Il giorno dopo, con una mossa insolitamente veloce, Nadine Karros depositò un atto di opposizione all’istanza di rinvio. Com’era facilmente prevedibile, non aveva alcun problema per l’uscita di scena di Zell & Potter. Un lungo processo contro un professionista come Jerry Alisandros sarebbe stato una sfida tremenda, ma Nadine era sicura di potersi liberare facilmente di Finley o di Figg, o di entrambi. Il giorno dopo ancora, con una decisione quasi vertiginosa nella sua velocità, il giudice Seawright respinse l’istanza di rinvio. L’inizio del processo era fissato per il 17 ottobre, e così sarebbe stato. Il giudice aveva tenuto libere due settimane nella sua agenda e modificare il programma sarebbe stato scorretto nei confronti delle parti di altri processi. Era stato Mr Figg a intentare la causa (“con il massimo clamore possibile”) e Mr Figg aveva avuto tempo in abbondanza per prepararsi al processo. Benvenuti all’Agenda razzo.
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Il giudice Seawright ebbe parole molto dure nei confronti di Jerry Alisandros, ma alla fine autorizzò la rinuncia al mandato. Proceduralmente, richieste del genere venivano quasi sempre accolte. Il giudice sottolineò che la cliente, Iris Klopeck, avrebbe comunque goduto di un’adeguata assistenza legale anche dopo il ritiro di Mr Alisandros. Sull’aggettivo “adeguata” si sarebbe potuto aprire un dibattito, ma non era possibile contraddire il giudice, il quale peraltro non fece alcun commento sulla totale inesperienza in corte federale di Mr Figg, di Mr Finley e di Mr Zinc. L’unica opzione disponibile era che Wally presentasse un atto di rinuncia all’azione per il caso Klopeck, così come per gli altri sette. La fortuna gli stava voltando le spalle ed era prossimo a un collasso nervoso, ma, per quanto dolorosa potesse essere una rinuncia, non riusciva nemmeno a pensare all’orrore di entrare nell’aula di Seawright, praticamente da solo e con il peso insostenibile di migliaia di vittime Krayoxx sulle spalle, per dibattere una causa che adesso perfino i più grandi avvocati del paese evitavano come la peste. Nossignore. Lui, come a quanto pareva tutti coloro che erano scesi in quel pozzo, avrebbe fatto del suo meglio per uscirne. Oscar asseriva con fermezza che prima di tutto bisognava informare i clienti. David era dell’opinione che fosse necessario ottenere il loro consenso, prima di presentare l’atto di rinuncia. A malincuore Wally si era dichiarato d’accordo con tutti e due, ma non riusciva a trovare il coraggio di informare i suoi clienti che, solo pochi giorni dopo l’invio della gioiosa lettera in cui prometteva virtualmente due milioni di dollari a testa, stava per abbandonare le loro cause. Stava già lavorando sulle bugie. Pensò di dire a Iris, e poi agli altri, che la Varrick era riuscita a far sì che le cause venissero buttate fuori a calci dalla corte federale e che lui e gli altri avvocati stavano valutando la possibilità di rivolgersi a un tribunale statale, questo però avrebbe richiesto tempo, eccetera eccetera. Wally aveva bisogno di far scivolare
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via qualche mese, di inventare scuse, procrastinare, mentire, imputare i ritardi alla potente, perfida Varrick Labs. Bisognava lasciar posare la polvere. Far evaporare i sogni di soldi facili. Dopo un anno si sarebbe inventato qualche altra bugia e, con il passare del tempo, tutto sarebbe stato dimenticato. Batté lui stesso al computer l’atto di rinuncia all’azione e, quando finì, fissò a lungo lo schermo. Poi, con la porta chiusa a chiave e scalzo, premette il tasto “invio” e disse addio alla sua fortuna. Aveva bisogno di un drink. Aveva bisogno di oblio. Solo, più al verde che mai, i sogni ormai infranti, la montagna di debiti sempre più alta, Wally finalmente crollò e cominciò a piangere.
35 Fermi tutti, disse Ms Karros. La sua immediata, dura e ben articolata opposizione a quello che Wally riteneva essere un normale atto di rinuncia all’azione fu sorprendente. Ms Karros cominciava dichiarando che il suo cliente insisteva per avere un processo. Descriveva in dettaglio l’ondata di pessima stampa che la Varrick Labs aveva dovuto subire per più di un anno – gran parte della quale generata e fomentata dagli avvocati delle parti attrici – e allegava alla memoria un raccoglitore spesso otto centimetri pieno di articoli di giornali provenienti da tutto il paese. Ogni servizio era stato sollecitato da qualche azzeccagarbugli sbruffone (Wally compreso) che flagellava la Varrick per il Krayoxx e strillava esigendo milioni di dollari. A questo punto sarebbe stato palesemente ingiusto permettere a quegli stessi avvocati di chiudere la questione e scomparire senza una parola di scuse alla società. In realtà il cliente di Ms Karros non voleva scuse: voleva giustizia. Chiedeva pertanto un processo equo davanti a una giuria. Non era stata la Varrick Labs a cominciare la battaglia, ma di sicuro adesso voleva portarla a termine. Unitamente all’atto di opposizione, Ms Karros presentava una propria istanza, di un tipo mai visto prima negli uffici di Finley & Figg. Già il titolo – Richiesta di sanzioni ai sensi della Norma 11 – faceva paura, e il linguaggio era tale da spedire di nuovo Wally in riabilitazione, David da Rogan Rothberg e Oscar verso un pensionamento anticipato e privo di fondi. Ms Karros sosteneva, in modo molto convincente, che se la corte avesse accolto l’atto di rinuncia presentato dalla parte attrice, questo avrebbe significato che la citazione in giudizio era stata fin
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dall’inizio del tutto infondata. Il solo atto di rinuncia all’azione dimostrava chiaramente che la causa era stata immotivata e non avrebbe mai dovuto essere intentata. Tuttavia ciò era accaduto, circa nove mesi prima, e il convenuto, Varrick Labs, non aveva avuto alternativa se non quella di combattere con tutte le sue forze. Di conseguenza, ai sensi della Norma 11 del Codice di procedura civile, il convenuto aveva diritto al rimborso dei costi sostenuti per la propria difesa. Fino a quel momento, e Ms Karros affermava esplicitamente che il tassametro continuava a ticchettare a pieno regime, la Varrick aveva speso circa diciotto milioni di dollari per la propria difesa e almeno metà di tale importo era attribuibile alla causa Klopeck. Una somma enorme, indubbiamente, ma Ms Karros faceva notare che la parte attrice aveva richiesto nel suo atto di citazione un risarcimento complessivo di cento milioni. E considerata la natura delle azioni collettive, con tutti gli elementi di una vera e propria campagna denigratoria, per la Varrick Labs era stato ed era tuttora imperativo difendersi con successo nel primo processo, a ogni costo. La legge non imponeva a nessuna delle parti di scegliere lo studio legale più a buon mercato o di cercare l’affare scontato. Con una posta in gioco così alta, la Varrick Labs aveva saggiamente scelto uno studio che poteva vantare una lunga storia di successi nelle aule di giustizia. Ms Karros continuava per pagine e pagine, illustrando in dettaglio precedenti cause infondate e immotivate per le quali i giudici federali avevano sbattuto il codice in faccia ai poco professionali avvocati responsabili di simili citazioni spazzatura, compresi due nella sacra aula dell’onorevole Harry L. Seawright. La Norma 11 prevede che le sanzioni, se confermate e comminate dalla corte, siano addebitate in parti uguali agli avvocati e ai loro clienti.
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«Ehi, Iris, indovina un po’? Sei indebitata per metà di nove milioni di dollari» borbottò David tra sé, sperando di trovare un lato leggero in un’altra giornata deprimente. Lesse tutta la documentazione e, quando terminò, si accorse di sudare. Nadine Karros e il suo piccolo esercito allo studio Rogan Rothberg avevano redatto il tutto in meno di quarantott’ore, e David poteva immaginare benissimo i giovani schiavi che avevano lavorato per tutta la notte, dormicchiando alla scrivania. Wally lesse il documento, uscì in silenzio dallo studio e nessuno lo vide più per il resto della giornata. Chiuso a chiave nel suo ufficio, Oscar lesse, si avvicinò al piccolo divano, si tolse le scarpe, si distese e si coprì gli occhi con un braccio. Dopo pochi minuti, non solo sembrava morto: stava effettivamente pregando perché la fine arrivasse in fretta. Bart Shaw era un avvocato specializzato in cause per negligenza professionale contro altri avvocati. Questa piccola nicchia nell’affollato mercato legale gli aveva procurato tra i colleghi la reputazione di paria. Aveva pochi amici nella professione, cosa che lui però aveva sempre considerato sotto una luce positiva. Era in gamba, talentuoso e aggressivo, proprio l’uomo di cui la Varrick aveva bisogno per un lavoro che sembrava un tantino equivoco, ma che in realtà rientrava perfettamente entro le linee guida dell’etica professionale. Dopo una serie di conversazioni telefoniche con Judy Beck, la collaboratrice di Nick Walker all’ufficio legale della Varrick, Shaw accettò i termini di una rappresentanza legale confidenziale. L’importo dell’ingaggio fu di venticinquemila dollari e la tariffa oraria venne fissata a seicento. Qualsiasi onorario derivante da potenziali cause per negligenza professionale sarebbe stato trattenuto da Shaw stesso. La sua prima telefonata fu a Iris Klopeck, la quale, a un mese dall’inizio del processo, entrava e usciva da uno stato che somigliava solo
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vagamente alla stabilità emotiva. Non voleva saperne di parlare con un altro avvocato, uno sconosciuto, però ammise di desiderare di non aver mai incontrato quell’altro, Figg. Iris riattaccò bruscamente, Shaw aspettò un’ora e poi fece un altro tentativo. Dopo un cauto «Pronto?» ripartì all’attacco. «Lei è al corrente del fatto che il suo avvocato sta cercando di far archiviare la sua causa?» Iris non fu in grado di reagire immediatamente e Shaw continuò: «Mrs Klopeck, mi chiamo Bart Shaw, sono avvocato e difendo persone che sono state ingannate dai propri legali. Negligenza professionale, mi occupo solo di questo. E il suo avvocato, Wally Figg, sta cercando subdolamente di sbarazzarsi della sua causa. Io credo che ci siano gli elementi per citarlo in giudizio. Mr Figg ha una polizza assicurativa professionale, e lei potrebbe avere diritto di recuperare un po’ di denaro». «Questa l’ho già sentita» disse Iris sottovoce. Era il terreno di Shaw, che continuò a parlare ininterrottamente per dieci minuti. Descrisse l’atto di rinuncia all’azione e i tentativi di Wally di scaricare non solo il caso Klopeck, ma anche gli altri sette. Quando finalmente parlò, Iris disse: «Ma lui mi aveva promesso un milione di dollari». «Glielo aveva promesso?» «Oh, sì.» «È estremamente scorretto, ma dubito che Mr Figg si preoccupi molto di etica.» «È un tipo piuttosto ambiguo» concordò Iris. «E come, esattamente, le ha promesso un milione di dollari?»
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«Proprio qui, al tavolo della cucina, la prima volta che l’ho visto. E poi me l’ha messo per iscritto.» «Che cosa? Lei ha qualcosa di scritto?» «Una settimana fa ho ricevuto una lettera di Figg. Diceva che stavano per concordare un risarcimento di due milioni, cioè molto più del milione che mi aveva promesso. Ce l’ho qui davanti. Cos’è successo a quell’accordo? E lei, come ha detto che si chiama?» Shaw tenne Iris al telefono per un’ora, e quando la conversazione terminò erano entrambi esausti. Fu poi la volta di Millie Marino, che non essendo sotto l’effetto di farmaci afferrò i punti in discussione molto più rapidamente della povera Iris. Non sapeva niente del tracollo dell’accordo transattivo né dell’atto di rinuncia, e non parlava con Wally da diverse settimane. Così come aveva fatto con Iris, Shaw la convinse a non contattare subito Figg. Era importante che fosse lui stesso a farlo, al momento opportuno. Molto turbata dalla telefonata e dalle novità, Millie disse di avere bisogno di un po’ di tempo per riflettere. Adam Grand non ebbe bisogno di tempo. Cominciò immediatamente a maledire Wally. Come poteva quel piccolo verme rinunciare alla causa senza dirglielo? Le ultime notizie che aveva avuto riguardavano un imminente risarcimento di due milioni di dollari. Accidenti, sì: Grand era prontissimo a dare addosso a Figg. «Che copertura assicurativa ha per la negligenza professionale?» domandò. «La polizza standard è di cinque milioni, ma esistono molte varianti» spiegò Shaw. «Lo scopriremo presto.» La quinta riunione dello studio si tenne un giovedì sera. Rochelle non partecipò. Non era in grado di sopportare altre brutte notizie e non c’era niente che potesse fare per migliorare la terribile situazione.
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La lettera di Bart Shaw era arrivata nel pomeriggio e adesso era al centro del tavolo. Dopo avere spiegato di essere “in contatto con sei clienti coinvolti nel contenzioso Krayoxx, compresa Mrs Iris Klopeck”, Shaw proseguiva ammettendo chiaramente di non essere stato assunto da nessuno dei sei. Non ancora. I clienti in questione stavano aspettando di vedere cosa sarebbe successo alle loro cause. Tuttavia lui, Shaw, era seriamente preoccupato dai tentativi dello studio Finley & Figg di scaricare le cause, e senza avvertire i clienti. Un comportamento simile infrangeva ogni tipo di norma deontologica. In un linguaggio pomposo ma lucido Shaw pontificava su tutta una serie di temi: 1) il dovere etico di proteggere gli interessi dei clienti; 2) il dovere di tenere aggiornati i clienti su ogni sviluppo; 3) le immorali ricompense in denaro per le segnalazioni di casi; 4) la vera e propria garanzia di un esito favorevole del procedimento al fine di indurre il cliente a firmare il contratto, eccetera eccetera. Shaw ammoniva severamente che ulteriori mancanze di carattere etico avrebbero determinato sgradevoli controversie legali. Oscar e Wally, che erano sopravvissuti a numerose denunce per comportamento scorretto, non erano tanto turbati dalle possibili accuse quanto terrorizzati dal messaggio di fondo della lettera, e cioè che lo studio sarebbe stato immediatamente citato in giudizio per negligenza professionale nel caso in cui le cause fossero state archiviate. David era sconvolto da ogni singola parola della lettera di Shaw. I tre sedevano intorno al tavolo, depressi e sconfitti. Non c’erano imprecazioni e neppure urla. David sapeva che la lite fra i due soci aveva già avuto luogo mentre lui non era in studio. Non esisteva via d’uscita. Se la causa Klopeck fosse stata annullata, Ms Karros li avrebbe castrati con la sua richiesta di sanzioni, istanza che il vecchio Seawright avrebbe subito accolto. Lo studio poteva ritrovarsi a dover sborsare milioni di dollari. Come ciliegina sulla torta, lo squalo
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Shaw avrebbe aggiunto la sua citazione per negligenza professionale, trascinandoli nel fango per i successivi due anni. Se avessero ritirato l’atto di rinuncia all’azione, avrebbero dovuto affrontare un processo distante solo ventuno giorni. Mentre Wally faceva scarabocchi sul suo blocco come se fosse stato sotto l’effetto di sedativi, fu soprattutto Oscar a parlare: «E così, o ci sbarazziamo di queste cause e affrontiamo la rovina finanziaria, oppure fra tre settimane marciamo in un’aula federale con una causa che nessun avvocato sano di mente dibatterebbe mai davanti a una giuria, una causa senza responsabilità civile, senza periti e senza dati fattuali, però con una cliente che per metà del tempo è fuori di testa e per l’altra metà è strafatta, un’altra il cui defunto marito pesava sui centocinquanta chili e praticamente ha mangiato fino a uccidersi, contro un plotone di avvocati strapagati e abilissimi dall’altra parte, forti di un budget illimitato e di periti provenienti dai più prestigiosi istituti del paese, e con un giudice fortemente a favore della controparte, un giudice al quale noi non stiamo per niente simpatici perché pensa che siamo incompetenti, privi di esperienza e... be’, cos’altro? Ho dimenticato qualcosa, David?». «Non abbiamo i soldi per le spese della causa» rispose lui, ma solo per completare l’elenco. «Giusto. Ottimo lavoro, Wally. Come dicevi sempre, queste azioni collettive sono una miniera d’oro.» «Per favore, Oscar» implorò Wally a bassa voce. «Lasciami respirare. Mi assumo la totale responsabilità. È tutta colpa mia. Frustami con un gatto a nove code, se vuoi. Però cerchiamo di limitare la nostra discussione a qualcosa di produttivo. Okay?» «Ma certo. Qual è il tuo piano? Stupiscici ancora, Wally.»
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«Non abbiamo scelta se non quella di combattere» disse Wally, la voce ancora roca, l’eloquio lento. «Cerchiamo di mettere insieme qualche prova. Andiamo in aula, ci battiamo alla morte e, quando perderemo, potremo dire ai nostri clienti e a quello stronzo di Shaw che abbiamo lottato al nostro meglio. In ogni processo c’è qualcuno che vince e qualcuno che perde. Certo, ci faremo prendere a calci nel sedere, ma a questo punto preferisco uscire da quell’aula a testa alta, piuttosto che dovermela vedere con sanzioni e denunce per negligenza professionale.» «Ti sei mai trovato davanti a una giuria in una corte federale, Wally?» chiese Oscar. «No. E tu?» «No» rispose Oscar, che guardò David. «E tu?» «No.» «È quello che pensavo. Tre idioti che entrano in aula in compagnia dell’adorabile Iris Klopeck e non hanno la minima idea di cosa fare. Hai detto di mettere insieme qualche prova. Ti dispiace illuminarci, Wally?» Wally fissò il socio per un momento e poi rispose: «Proviamo a cercare un paio di periti, un cardiologo e magari un farmacologo. Là fuori c’è un mucchio di esperti disposti a dichiarare qualunque cosa per denaro. Noi li paghiamo, li mettiamo sul banco dei testimoni e preghiamo che sopravvivano». «Non c’è modo che possano sopravvivere perché, tanto per cominciare, dovrebbero essere dei periti fasulli.»
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«Giusto, ma almeno combatteremmo.»
ci
proveremmo,
Oscar.
Almeno
«E quanto costerebbero questi ciarlatani?» Wally guardò David, che disse: «Oggi pomeriggio ho contattato il dottor Borzov, il medico che ha fatto lo screening dei nostri clienti qui a Chicago. Ora che i test sono stati interrotti è tornato a casa sua, ad Atlanta. Mi ha detto che potrebbe prendere in considerazione l’idea di testimoniare nella causa Klopeck per una parcella di... Credo che abbia detto settantacinquemila dollari. Ha un accento molto marcato». «Settantacinquemila?» ripeté Oscar. «E non riesci neppure a capirlo quando parla?» «È russo, e il suo inglese non è perfetto, il che potrebbe giocare a nostro favore nel processo. Una giuria completamente confusa forse ci farebbe comodo.» «Scusami, ma non ti seguo.» «Be’, devi pensare che nel suo controinterrogatorio Nadine Karros picchierà duro sul nostro teste. Se la giuria si rende conto di quanto è debole il testimone, allora anche le nostre tesi risulteranno deboli. Ma se la giuria non ne è sicura perché non riesce a capire bene quello che dice, allora forse, e dico forse, il danno sarà più contenuto.» «È questo che ti hanno insegnato a Harvard?» «Non ricordo più cosa mi hanno insegnato a Harvard.» «E da quanto sei un esperto di dibattimenti in aula?»
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«Non sono un esperto, ma leggo molto e mi guardo tutte le repliche di “Perry Mason”. La mia dolce, piccola Emma non dorme molto e io di notte vago per casa.» «Ora mi sento molto meglio.» «Con un po’ di fortuna possiamo trovarci un farmacologo che faccia al caso nostro per una cifra intorno ai venticinquemila dollari» intervenne Wally. «Ci sarà qualche altra spesa, ma Rogan tutto sommato non ha messo su un gran baraccone.» «E adesso sappiamo perché» osservò Oscar. «Vogliono un processo, e lo vogliono subito. Vogliono giustizia. Un verdetto chiaro e veloce che possano far conoscere a tutto il mondo. Voi ragazzi siete caduti nella trappola, Wally. La Varrick ha cominciato a parlare di accordo stragiudiziale e gli avvocati delle azioni collettive hanno cominciato a comprarsi i jet nuovi. Quelli della Varrick vi hanno preso in giro tenendovi sulla corda fino ad arrivare a un mese dal primo processo, e a quel punto vi hanno tirato via il tappeto da sotto i piedi. I tuoi cari amici di Zell & Potter se la sono elegantemente svignata ed eccoci qui, con niente in mano a parte la rovina finanziaria.» «Ne abbiamo già parlato» disse Wally con fermezza. Venne osservato un time-out di trenta secondi perché la tensione si allentasse. Poi Wally riprese, con calma: «Questo edificio vale trecentomila dollari e non ha ipoteche. Andiamo in banca, ci facciamo concedere un fido, diciamo duecentomila, e andiamo a cercare i nostri esperti». «Me l’aspettavo» disse Oscar. «Perché dovremmo buttare via soldi buoni per niente?»
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«Andiamo, Oscar. Tu di dibattimenti in aula ne sai più di me, che non ne so molto, ma...» «Su questo hai ragione.» «Non possiamo semplicemente entrare in aula, cominciare il processo, scegliere i giurati e poi correre a nasconderci non appena Nadine comincia a sparare cannonate contro di noi. Se non troviamo un paio di periti non ci arriviamo neppure al processo. Solo questo sarebbe già di per sé negligenza professionale.» David cercò di contribuire alla discussione. «Potete scommettere che quel tizio, Shaw, sarà in aula a guardare tutto quello che facciamo.» «È così» concordò Wally. «E se non cerchiamo almeno di mettere insieme una causa, Seawright potrebbe giudicare il tutto immotivato e infondato e affondarci con le sanzioni. Per quanto possa sembrare pazzesco, spendere un po’ di soldi adesso potrebbe farcene risparmiare moltissimi più avanti.» Oscar sospirò e intrecciò le mani dietro la testa. «Questa è follia. Una totale follia.» Wally e David si dichiararono d’accordo. Wally ritirò il suo atto di rinuncia all’azione e, tanto per stare sul sicuro, inviò copia della documentazione a Bart Shaw. Nadine Karros ritirò la sua opposizione e la richiesta di sanzioni ai sensi della Norma 11. Quando il giudice Seawright firmò le due ordinanze, lo studio boutique Finley & Figg cominciò a respirare un po’ meglio. Per il momento i tre avvocati non erano più nel mirino di Ms Karros. Dopo aver valutato le finanze dello studio, la banca si mostrò riluttante a concedere il prestito, nonostante l’edificio dato in garanzia.
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Senza dirlo a Helen, David firmò una garanzia personale a fronte del fido, e lo stesso fecero i due soci. Con duecentomila dollari disponibili, lo studio entrò in azione, operazione complicata dal fatto che nessuno dei tre sapeva bene cosa occorresse fare. Il giudice Seawright e i suoi assistenti controllavano il fascicolo quotidianamente, e con crescente preoccupazione. Lunedì 3 ottobre, tutti gli avvocati vennero convocati nello studio del giudice per un aggiornamento informale. Seawright aprì la riunione dichiarando, senza possibilità di equivoco, che il processo sarebbe iniziato due settimane dopo e che nulla avrebbe potuto cambiare questo fatto. Entrambe le parti affermarono di essere pronte. «Avete acquisito i vostri periti?» chiese Seawright a Wally. «Sì, signore.» «E quando pensa di poter condividere questa informazione con la corte e con la controparte? In questo lei è in ritardo di mesi, lo sa?» «Sì, vostro onore, ma si sono verificati alcuni imprevisti che hanno rallentato la nostra tabella di marcia» rispose Wally con disinvoltura. «Chi è il vostro cardiologo?» sparò Nadine Karros dall’altro lato del tavolo. «Il dottor Igor Borzov» sparò a sua volta Wally con sicurezza, come se il russo fosse stato il cardiologo più illustre e famoso del mondo. Nadine non batté ciglio, e neppure sorrise. «Quando potrà essere qui per la deposizione?» chiese il giudice. «In qualsiasi momento» rispose Wally. Nessun problema. La verità era che Borzov aveva qualche difficoltà a decidere di entrare
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spontaneamente in un tritacarne, anche per settantacinquemila dollari. «Noi non siamo interessati alla deposizione del dottor Borzov» dichiarò Ms Karros in tono molto sbrigativo. In altre parole, sappiamo che è un ciarlatano e non ci interessa cosa dirà nella sua deposizione preliminare perché tanto lo annienterò davanti alla giuria. Ms Karros aveva preso la decisione su due piedi, non aveva avuto bisogno di consultare i suoi collaboratori o di riflettere per ventiquattr’ore. La sua freddezza era agghiacciante. «Avete un farmacologo?» proseguì. «Certo» mentì Wally. «Il dottor Herbert Threadgill.» Wally in effetti aveva parlato con lui, ma nessun accordo era stato ancora concluso. David aveva avuto il nome dal suo amico di Zell & Potter che gli aveva descritto Threadgill come “un matto che dirà qualsiasi cosa per un dollaro”. Ma la cosa si stava dimostrando più difficile del previsto. Threadgill voleva cinquantamila dollari per compensare almeno in parte l’umiliazione che senza dubbio avrebbe dovuto subire in aula, davanti al pubblico. «Non ci serve neppure la sua di deposizione» disse Ms Karros, con un leggero gesto della mano più esplicito di mille parole. Anche Threadgill sarebbe stato carne da macello. Al termine della riunione David insistette perché Oscar e Wally lo seguissero al quattordicesimo piano del Dirksen. Secondo il sito web del tribunale, stava per cominciare un importante processo. Era un caso civile che riguardava la morte di uno studente diciassettenne investito e ucciso all’istante da un autotreno che non aveva rispettato il semaforo rosso e l’aveva centrato in pieno. L’autotreno apparteneva a una società di un altro Stato, da cui la giurisdizione federale.
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Dato che nessuno dello studio Finley & Figg aveva mai dibattuto una causa in corte federale, David era convinto che dovessero almeno andare a vederne una.
36 Cinque giorni prima del processo, il giudice Seawright convocò di nuovo gli avvocati nella sua aula per l’ultima riunione. I tre “idioti” avevano un aspetto notevolmente composto e professionale grazie agli sforzi di David, che aveva insistito perché tutti e tre indossassero abiti scuri, camicie bianche, cravatte non vistose e scarpe nere. Per Oscar questo non era stato un grosso problema perché si era sempre vestito per la parte di avvocato, sia pure di strada. Per David si trattava di un revival: aveva un armadio pieno di abiti costosi, risalenti ai suoi giorni da Rogan Rothberg. Per Wally, però, la cosa era stata più problematica. David aveva trovato un negozio di abbigliamento maschile a prezzi moderati e lo aveva accompagnato per aiutarlo nella scelta e poi per controllare le prove. Wally aveva litigato e protestato durante l’intera operazione e per poco non era scappato via di corsa quando aveva visto il conto totale di millequattrocento dollari. Comunque aveva consegnato una carta di credito e sia lui sia David avevano trattenuto il fiato mentre il commesso la passava nel lettore. Accettati gli addebiti, se ne erano andati carichi di camicie, cravatte e un paio di scarpe nere con le stringhe. Sull’altro lato dell’aula, Nadine Karros, vestita Prada, era circondata da cinque o sei dei suoi cani da combattimento, tutti così agghindati in Zegna o Armani da sembrare usciti dalle pagine di una rivista di moda. Com’era sua abitudine il giudice Seawright non aveva ancora comunicato l’elenco dei potenziali giurati. Altri giudici trasmettevano l’elenco due settimane prima del processo, e questo invariabilmente dava l’avvio a frenetiche indagini di pagatissimi consulenti specializzati in giurie, ingaggiati da entrambe le parti. Più importante era la causa, più
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denaro veniva speso per indagare nelle storie personali dei possibili giurati. Seawright detestava quelle manovre losche. Anni prima, in un suo processo, c’erano state voci di contatti illegali da parte degli investigatori. Potenziali giurati avevano dichiarato di essere stati osservati, seguiti, fotografati e addirittura avvicinati da sconosciuti dalla parlantina sciolta che sapevano fin troppo di loro. Il giudice Seawright dichiarò aperta l’udienza e il cancelliere consegnò una copia dell’elenco a Oscar e un’altra a Nadine Karros. La lista comprendeva sessanta nominativi, tutti preselezionati dallo staff del giudice al fine di eliminare chiunque 1) stesse assumendo o avesse assunto il Krayoxx o qualsiasi altro farmaco anticolesterolo; 2) avesse familiari, parenti o amici che stessero assumendo o avessero assunto il Krayoxx; 3) fosse mai stato rappresentato da un avvocato anche solo remotamente collegato al processo; 4) fosse mai stato coinvolto in una causa relativa a un farmaco o a un prodotto ritenuto dannoso; 5) avesse letto articoli di quotidiani o riviste concernenti il Krayoxx e relativa controversia legale. Il questionario di quattro pagine proseguiva con altre domande al fine di chiarire ulteriori punti che potevano rendere non idoneo il potenziale giurato. Nei cinque giorni successivi Rogan Rothberg avrebbe speso cinquecentomila dollari per scavare nelle vite dei potenziali giurati. Una volta iniziato il processo, sparsi nell’aula ci sarebbero stati tre consulenti molto ben retribuiti con il compito di osservare le reazioni della giuria alle varie testimonianze. La consulente di Finley & Figg costava venticinquemila dollari ed era stata fatta salire a bordo solo dopo l’ennesima lite. Insieme ai suoi collaboratori avrebbe fatto del suo meglio per controllare i background ed elaborare il profilo del giurato modello, inoltre avrebbe seguito il processo della selezione. La consulente, che si chiamava Consuelo, si era resa conto in fretta di non avere mai lavorato con avvocati così privi di esperienza.
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Nel corso di trattative sgradevoli e spesso stizzose era stato deciso che Oscar avrebbe assunto il ruolo di avvocato capo, facendosi carico della maggior parte del lavoro in aula. Wally avrebbe osservato, offerto consiglio, preso appunti e fatto qualsiasi cosa si supponeva dovesse fare il secondo in comando, anche se nessuno sapeva bene cosa questo avrebbe comportato. David era l’addetto alle ricerche, un compito mostruoso dato che quello era il primo processo federale per tutti e tre ed era necessario documentarsi su tutto. Attraverso numerose e difficili sedute strategiche intorno al tavolo, David era venuto a sapere che l’ultimo processo con giuria di Oscar si era svolto otto anni prima in un tribunale di Stato, una causa relativamente semplice della serie “chi è stato a passare con il rosso provocando l’incidente”, che Oscar aveva perso. I precedenti di Wally erano addirittura più modesti: un caso di scivolata con caduta in un magazzino Walmart, nel quale la giuria aveva discusso per quindici minuti prima di deliberare a favore del convenuto, e un quasi dimenticato incidente stradale a Wilmette, anch’esso finito male per Wally. Ogni volta che Oscar e Wally si erano scornati su un punto strategico, si erano sempre rivolti a David, anche perché era l’unico a disposizione. I suoi pareri erano stati determinanti, cosa che lo aveva turbato parecchio. Consegnati gli elenchi, il giudice Seawright tenne una severa arringa sul tema dei contatti con i potenziali giurati. Spiegò che quando questi si fossero presentati lunedì mattina, lui li avrebbe interrogati a fondo: avevano la sensazione che qualcuno stesse scavando nelle loro vite, nelle loro storie personali? Erano stati seguiti, fotografati? Una sola violazione e Seawright sarebbe stato un giudice molto contrariato. Passando a un altro argomento, Seawright disse: «Non è stata presentata alcuna istanza Daubert, per cui presumo che nessuno desideri contestare i periti della controparte, è così?».
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Né Oscar né Wally sapevano dell’esistenza della norma Daubert che, in vigore da anni, consentiva a entrambi gli schieramenti di opporsi all’ammissibilità del perito della controparte. Era una procedura standard nei casi federali ed era applicata in circa metà degli Stati. David ne era venuto a conoscenza per caso una decina di giorni prima, mentre assisteva a un processo in fondo all’aula. Dopo qualche veloce ricerca si era reso conto che probabilmente Nadine Karros avrebbe potuto far escludere i periti di Finley & Figg ancora prima dell’inizio del processo. Il fatto che Ms Karros non avesse richiesto un’udienza Daubert significava una cosa soltanto: voleva gli esperti della sua controparte sul banco dei testimoni in modo da poterli fare a pezzi davanti alla giuria. Dopo che David aveva spiegato la norma ai due soci, tutti e tre avevano deciso di non opporsi alle deposizioni dei periti della Varrick. La ragione era semplice quanto quella di Nadine, ma al contrario: gli esperti di Ms Karros erano così qualificati, così ricchi di esperienza e di fama che un Daubert sarebbe stato assolutamente inutile. «È così» rispose Ms Karros. «Sì, vostro onore» confermò Wally. «Un fatto insolito, ma non vado certo a caccia di lavoro extra.» Il giudice controllò alcuni fogli, disse qualcosa sottovoce a un cancelliere e poi riprese: «Non vedo istanze o memorie in sospeso, quindi non ci resta che cominciare il processo. I giurati saranno qui lunedì mattina alle otto e mezzo e noi cominceremo alle nove in punto. C’è altro?». Niente da parte degli avvocati. «Molto bene. Mi complimento con entrambe le parti per l’efficiente svolgimento dell’esibizione del materiale probatorio e per l’insolita
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collaborazione. È mia intenzione presiedere un processo equo e rapido. La corte si ritira.» La squadra Finley & Figg raccolse velocemente le carte e uscì dall’aula. Mentre se ne andava David cercò di immaginare come sarebbe stato quel posto dopo cinque giorni, con sessanta nervosi potenziali giurati, talpe di altri studi legali ad assistere al bagno di sangue, giornalisti, analisti di Borsa, consulenti per le giurie che cercavano di mimetizzarsi, arroganti dirigenti della Varrick e i soliti appassionati di dibattimenti. Il nodo allo stomaco gli rendeva difficile respirare. “Devi solo sopravvivere al processo” continuava a ripetersi. “Hai soltanto trentadue anni. Questa non è la fine della tua carriera.” Nel corridoio suggerì ai suoi due colleghi di separarsi e di passare qualche ora assistendo ad altri processi, ma sia Oscar sia Wally volevano solo andarsene. Così David fece quello che faceva ormai da due settimane: entrò in un’aula dall’atmosfera tesa e si sedette tre file dietro gli avvocati. Più vedeva, più si sentiva affascinato dall’arte del processo.
37 Nel procedimento Klopeck contro Varrick Labs la prima crisi si verificò con la mancata comparizione in aula della parte attrice. Informato del fatto mentre era ancora nel suo studio, il giudice Seawright non ne fu per niente contento. Wally cercò di spiegargli che Iris era stata ricoverata d’urgenza in ospedale nel cuore della notte perché lamentava difficoltà di respirazione, iperventilazione, orticaria e altri due o tre malanni. Tre ore prima, mentre gli avvocati di Finley & Figg lavoravano freneticamente intorno al tavolo in seduta antelucana, era arrivata una chiamata al cellulare di Wally. Era Bart Shaw, il legale che minacciava di citarli in giudizio qualora le cause Krayoxx fossero state gestite in modo inadeguato. A quanto pareva, Clint, il figlio di Iris, aveva trovato il numero di un avvocato e lo aveva chiamato per avvertire che in quel momento sua madre era in ambulanza, diretta in ospedale. La signora non sarebbe quindi stata in grado di presentarsi in tribunale. Clint aveva telefonato all’avvocato sbagliato e Shaw si limitava a trasmettere l’informazione. “Grazie tante, comunicazione.
stronzo”
aveva
detto
Wally,
chiudendo
la
«Lei quando ha saputo che la signora veniva portata in ospedale?» chiese il giudice Seawright. «Qualche ora fa, vostro onore. Eravamo in studio per prepararci all’udienza, quando abbiamo ricevuto la telefonata del suo avvocato.» «Il suo avvocato? Pensavo che il suo avvocato fosse lei.»
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David e Oscar avrebbero voluto nascondersi sotto il tavolo. Wally si sentiva il cervello bollito nonostante due sedativi. Alzò gli occhi al soffitto e cercò di trovare una scappatoia. «Be’, ecco, vostro onore, è una faccenda complicata. Comunque, Mrs Klopeck è in ospedale. Andrò a trovarla durante la pausa pranzo.» Sull’altro lato del tavolo Nadine Karros manteneva un’espressione di blando interesse. Sapeva tutto delle mosse di Bart Shaw nei confronti di Finley & Figg. Anzi, era stata proprio lei, insieme ai suoi collaboratori, a individuare Shaw e a raccomandarlo a Nicholas Walker e Judy Beck. «Lo faccia, Mr Figg» disse severo il giudice. «E voglio vedere un certificato medico. Immagino che, se la signora non sarà in grado di testimoniare, saremo costretti a utilizzare la sua deposizione preprocessuale.» «Sì, signore.» «La selezione della giuria inizierà al più presto. Voglio i giurati al loro posto entro il tardo pomeriggio, perciò domani mattina toccherà subito a lei, Mr Figg. Idealmente, il legale della parte attrice comincia con la sua dichiarazione d’apertura, parlando del caro defunto.» Era certo premuroso da parte del giudice Seawright istruirlo su come gestire la causa, pensò Wally, ma il tono era di condiscendenza. «Parlerò con i medici di Mrs Klopeck» assicurò. «È il meglio che posso fare.» «Nient’altro?» Tutti gli avvocati scossero la testa e poi uscirono dallo studio del giudice. Entrarono in fila in aula, che nel corso degli ultimi quindici
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minuti si era parecchio riempita. A sinistra, dietro il tavolo della parte attrice, una guardia giudiziaria stava facendo accomodare i sessanta potenziali giurati sulle lunghe panche imbottite. Sulla destra, numerosi gruppetti di spettatori aspettavano, parlando sottovoce. Seduti tutti insieme quasi in fondo all’aula c’erano Millie Marino, Adam Grand e Agnes Schmidt, tre delle altre vittime di Finley & Figg, presenti per curiosità e forse anche per avere qualche risposta dopo che il loro jackpot garantito di un milione di dollari era improvvisamente svanito. Erano in compagnia di Bart Shaw, l’avvoltoio, il paria, il verme più schifoso che si potesse trovare nella professione legale. Due file più avanti sedeva Goodloe Stamm, il divorzista assunto da Paula Finley. Stamm aveva sentito le voci che giravano e sapeva che i veri avvocati, gli specialisti seri, avevano già abbandonato la nave. Tuttavia la causa lo incuriosiva, e nutriva addirittura qualche speranza che lo studio Finley & Figg potesse fare il miracolo e generare denaro per la sua cliente. Il giudice Seawright aprì l’udienza e ringraziò i giurati per il loro senso del dovere. Fece un brevissimo riassunto del caso e poi presentò gli avvocati e il personale della corte che avrebbe avuto un ruolo nel processo: la stenotipista, le guardie giudiziarie, i cancellieri. Spiegò il motivo dell’assenza di Iris Klopeck e presentò Nicholas Walker, il rappresentante della Varrick Laboratories. Dopo trent’anni sullo scranno, Harry Seawright aveva imparato due o tre cose sulla selezione dei giurati. L’aspetto più importante, almeno a suo parere, era far tacere il più possibile gli avvocati. Aveva un suo personale elenco di domande, messo a punto nel corso degli anni, e consentiva ai legali di sottoporgli le loro richieste. Ma era soprattutto lui a parlare. Il dettagliato questionario del giudice snelliva l’intera procedura. Aveva già eliminato i candidati ultrasessantacinquenni, ciechi o con
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una disabilità tale da condizionare il loro operato, nonché quelli che avevano già fatto parte di una giuria negli ultimi dodici mesi. Era inoltre servito a individuare i soggetti che dichiaravano di sapere qualcosa del farmaco, o degli avvocati, o della causa stessa. Mentre il giudice continuava con le sue domande, un pilota di linea si alzò in piedi e chiese di essere esonerato a causa dei suoi impegni, cosa che determinò una requisitoria di Seawright dai toni sorprendentemente duri sul tema del dovere civico. Debitamente castigato, il pilota si rimise a sedere e nessun altro osò affermare di avere troppi impegni per poter fare il giurato. Venne però esonerata una giovane madre con un figlio affetto dalla sindrome di Down. Nelle due settimane precedenti David aveva parlato con almeno una decina di colleghi che avevano avuto Seawright come giudice. Ogni magistrato ha le sue fissazioni, e questo vale in particolare per i giudici federali, dato che sono nominati a vita e le loro azioni vengono raramente messe in discussione. Tutti i colleghi avevano raccomandato a David di limitarsi a starsene tranquillo durante la selezione dei giurati. “Il vecchio farà un ottimo lavoro per conto tuo” gli era stato assicurato più volte. Quando il gruppo dei potenziali giurati scese a cinquanta, il giudice Seawright scelse dodici nomi a caso. La guardia giudiziaria accompagnò i prescelti al box della giuria e tutti si sistemarono sulle comode poltroncine. Gli avvocati prendevano nota. I consulenti sedevano sull’orlo delle sedie, lo sguardo fisso sui primi dodici candidati. Il grande dibattito era stato: qual è il giurato modello per questa causa? Per quanto riguardava la parte attrice, gli avvocati preferivano individui bene in carne, con abitudini poco salutari come quelle dei Klopeck, preferibilmente persone in lotta con il colesterolo e con altri problemi di salute dovuti allo stile di vita. Per contro, i legali della difesa preferivano soggetti giovani, snelli e tosti, con scarsa pazienza
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ed empatia nei confronti degli obesi e dei malati. La prima infornata di candidati presentava il solito inevitabile mix, anche se solo due di loro davano l’impressione di passare molto tempo in palestra. Il giudice Seawright prese di mira il numero 35 perché la signora aveva ammesso di avere letto molti articoli sul Krayoxx. Tuttavia risultò subito evidente che era una persona dalla mente aperta e che poteva essere un giurato imparziale. La numero 29 aveva il padre medico ed era cresciuta in una famiglia dove il termine “causa” era considerato una parolaccia. Il numero 16 una volta aveva fatto causa per via di un lavoro malfatto al tetto della sua abitazione, e l’argomento venne discusso al punto da suscitare sbadigli generali. Ma il giudice proseguì implacabile con le sue domande. Quando ebbe terminato invitò i legali della parte attrice a interrogare i candidati, ma solo su punti che non fossero già stati trattati. Oscar andò al leggio, che era stato voltato in modo da essere di fronte al box della giuria. Sorrise cordiale e salutò i candidati. «Solo un paio di domande» disse pacato, come se avesse interrogato giurati già moltissime volte in passato. Fino dal giorno fatale in cui era piombato, letteralmente, nello studio Finley & Figg, David si era sentito ripetere da Wally che Oscar non era tipo da lasciarsi intimidire facilmente. Forse era per via della sua infanzia difficile, dei suoi giorni da duro poliziotto di strada, della sua lunga carriera quale legale di coniugi fuori di testa o di lavoratori feriti, o forse era solo in virtù delle sue battagliere origini irlandesi, ma, quale che fosse il mix, Oscar Finley aveva una scorza molto dura. E forse fu anche grazie al Valium, ma quando parlò con i dodici potenziali giurati Oscar riuscì effettivamente a nascondere tremito, nervi e paura vera e propria, e a trasmettere un senso di calma e sicurezza. Rivolse qualche benevola domanda, ottenne qualche irrilevante risposta e tornò a sedersi.
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Lo studio Finley & Figg aveva fatto il suo primo, cauto passo in aula senza provocare disastri, e David si rilassò un po’. Gli dava conforto l’idea di essere il terzo nella linea di comando. Non che avesse molta fiducia nei due davanti, ma almeno c’erano loro sulla linea del fuoco e lui era parzialmente al riparo, nelle trincee delle retrovie. Si rifiutava di guardare in direzione della banda di Rogan Rothberg, i cui componenti comunque sembravano disinteressarsi a lui. Era il giorno della partita, e i giocatori veri erano loro. Sapevano che avrebbero vinto. David e i suoi colleghi avrebbero semplicemente seguito il copione, incastrati in una causa che nessuno voleva e della quale sognavano solo la fine. Nadine Karros si rivolse ai potenziali giurati e si presentò. Nel box della giuria sedevano cinque uomini e sette donne. Gli uomini, la cui età andava dai ventitré ai sessantatré anni, la studiarono da capo a piedi e approvarono. David si concentrò sui visi delle donne. La teoria di Helen era che le donne avrebbero avuto sentimenti complessi e contrastanti nei confronti di Ms Karros. Innanzi tutto, cosa più importante, sarebbero state orgogliose del fatto che una donna non solo fosse al comando ma, come si sarebbero presto rese conto, fosse anche il miglior avvocato presente in aula. Per alcune, tuttavia, l’orgoglio si sarebbe presto trasformato in invidia. Come poteva una donna essere così bella, elegante, magra e allo stesso tempo così intelligente e di successo in un mondo di uomini? A giudicare dalle facce la prima impressione delle donne fu generalmente buona. Gli uomini erano tutti affascinati. Le domande di Nadine furono più articolate di quelle di Oscar. Parlò di cause legali, della cultura del contenzioso nella società odierna e delle notizie ormai di routine di verdetti oltraggiosi. Tutto questo aveva mai turbato qualcuno tra i candidati? Alcuni sì, e Ms Karros scavò più in profondità. Il marito della numero 8 era un elettricista
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iscritto al sindacato, in genere un voto sicuro per qualsiasi attore che intentasse causa contro una grossa società, e Nadine sembrò interessarsi a lei in modo particolare. Gli avvocati di Finley & Figg osservavano con attenzione Ms Karros, il cui aspetto mozzafiato probabilmente sarebbe stata per loro l’unica luce nel processo. E anche quello con il tempo sarebbe diventato storia vecchia. Dopo due ore il giudice Seawright concesse una pausa di trenta minuti, in modo che gli avvocati potessero discutere tra loro, parlare con i rispettivi consulenti e cominciare la selezione. Ognuna delle parti poteva richiedere l’esclusione di un qualsiasi giurato per giusta causa. Per esempio, se un candidato affermava di avere un’opinione precostituita, o se in passato era stato rappresentato da uno dei due studi legali, oppure se dichiarava di odiare la Varrick, allora il giurato in questione sarebbe stato escluso per giusta causa. Oltre a questo, ognuna delle parti disponeva di tre possibilità di esclusione che potevano essere utilizzate per ricusare un candidato per qualsiasi ragione, o anche per nessuna ragione. Dopo trenta minuti entrambe le parti richiesero più tempo, e il giudice aggiornò l’udienza alle quattordici. «Do per scontato che andrà a controllare la sua cliente, Mr Figg.» Wally gli assicurò che l’avrebbe fatto. Fuori dall’aula Oscar e Wally decisero rapidamente di mandare David a cercare Iris per determinare se poteva, e voleva, testimoniare il martedì mattina. Secondo Rochelle, che aveva passato la mattina combattendo al telefono con centralinisti di vari ospedali, Iris era stata portata al pronto soccorso del Christ Medical Center. David ci arrivò a mezzogiorno e venne informato che la paziente era stata dimessa un’ora prima. Sfrecciò subito via in direzione di casa Klopeck, nei
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pressi del Midway Airport e, insieme a Rochelle, chiamò l’abitazione ogni dieci minuti. Non ci fu risposta. Il solito mostruoso gatto arancione che se ne stava raggomitolato davanti alla porta d’ingresso seguì con un occhio assonnato David che si avvicinava cauto lungo il marciapiede. David ricordava la griglia del barbecue nella veranda. Ricordava il foglio d’alluminio alle finestre. Aveva percorso quello stesso tratto di strada dieci mesi prima, il giorno dopo la sua fuga da Rogan Rothberg, seguendo Wally e chiedendosi se per caso non avesse perso la ragione. Se lo chiese di nuovo, ma non c’era tempo da perdere. Bussò con forza alla porta e aspettò che il gatto si spostasse, o che lo attaccasse. «Chi è?» chiese una voce maschile. «David Zinc, il vostro avvocato. Sei tu, Clint?» Era lui. L’uomo aprì la porta e domandò: «Cosa ci fai qui?». «Sono qui perché tua madre non è in tribunale. Stiamo scegliendo i giurati, e c’è un giudice federale che è parecchio arrabbiato perché questa mattina Iris non si è fatta vedere in aula.» Clint gli fece segno di entrare. Iris giaceva distesa su un divano, sotto una trapunta sbrindellata e macchiata, con gli occhi chiusi. Una balena spiaggiata. Il tavolino accanto a lei era nascosto sotto riviste di gossip, una scatola vuota di pizza, lattine vuote e tre flaconi di farmaci su ricetta. «Come sta?» sussurrò David, anche se un’idea generale l’aveva già. Clint scosse gravemente la testa. «Non bene» rispose, come se sua madre potesse morire da un momento all’altro.
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David si sedette su una poltrona sporca, piena di peli di gatto arancione. Non aveva tempo da perdere, e comunque detestava trovarsi lì. «Iris, mi sente?» chiese a voce altissima. «Sì» rispose la donna, senza aprire gli occhi. «Ascolti, il processo è partito e il giudice vuole sapere se domani pensa di venire. Abbiamo bisogno che lei deponga e parli di Percy alla giuria. È praticamente suo dovere quale rappresentante di suo marito e portavoce della famiglia, capisce?» Iris grugnì e lasciò uscire il fiato, un sospiro doloroso che saliva dalle profondità dei polmoni. «Io non la volevo questa causa» disse, biascicando le parole. «Quell’imbroglione di Figg è venuto qui e mi ha convinta con tutte le sue chiacchiere. Mi aveva promesso un milione di dollari.» Aprì l’occhio destro e tentò di mettere a fuoco David. «C’era anche lei con Figg, adesso mi ricordo. Io me ne stavo tranquilla in casa mia a badare agli affari miei e Figg è venuto a promettermi tutti quei soldi.» L’occhio destro si richiuse. David insistette: «Questa mattina è stata visitata da un medico in ospedale. Cosa le ha detto? Quali sono le sue condizioni?». «Scelga lei. Nervi, soprattutto. Non posso andare in tribunale. Potrei morirne.» E finalmente David si rese conto dell’evidenza. La loro causa, se così la si poteva ancora definire, sarebbe solo peggiorata se Iris fosse comparsa davanti alla giuria. Nel caso di impossibilità di un testimone a presentarsi in aula – per morte, malattia, detenzione – la procedura consentiva di formalizzare la sua deposizione preprocessuale e sottoporla alla giuria. Per quanto debole potesse risultare la deposizione di Iris, niente poteva essere peggio di Iris in carne e ossa.
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«Come si chiama il suo medico?» domandò David. «Quale?» «Non lo so, me ne dica uno. Quello che l’ha visitata questa mattina in ospedale.» «Non mi ha visitata nessun medico questa mattina. Mi sono stancata di aspettare al pronto soccorso e mi sono fatta riportare a casa da Clint.» «È più o meno la quinta volta in un mese» precisò il figlio, con una punta di esasperazione. «Non è vero» ribatté subito Iris. «Lo fa di continuo» spiegò Clint a David. «Va in cucina, dice che si sente stanca, che non riesce a respirare, e prima che tu te ne accorga sta già telefonando al 911. Comincio a non poterne più. Poi tocca sempre a me andare al maledetto ospedale per riportarla a casa.» «Bene, bene» disse Iris. Gli occhi erano aperti, vitrei ma arrabbiati. «Era molto più gentile quando dovevano arrivare tutti quei soldi. Non avrebbe potuto essere più dolce. Guardatelo adesso: se la prende con la sua povera mamma ammalata.» «Basta che la pianti di chiamare il 911» disse Clint. «Ha intenzione di venire a testimoniare, domani?» domandò David deciso. «No. Non posso uscire di casa, altrimenti mi si sciolgono i nervi.»
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«Tanto non servirebbe a niente, no?» intervenne Clint. «La causa è persa. Quell’altro avvocato, Shaw, dice che voialtri avete talmente incasinato tutto che nessuno potrebbe vincerla.» David stava per rispondere al fuoco quando si rese conto che Clint aveva ragione. La causa era persa. Grazie a Finley & Figg, i Klopeck adesso erano in corte federale con una causa senza speranza. E lui, insieme ai suoi due colleghi, non faceva che seguire semplicemente il copione aspettando con ansia la fine di tutto. Salutò e uscì con la massima velocità possibile. Clint lo seguì all’esterno e, mentre camminavano verso la strada, disse: «Senti, se può servire, posso venire io in tribunale a parlare per la famiglia». Se l’apparizione di Iris era l’ultima cosa di cui la causa poteva avere bisogno, un cameo di Clint era di sicuro la penultima. «Fammici pensare» rispose David, ma solo per essere gentile. La giuria avrebbe avuto abbastanza Klopeck grazie alla deposizione in video di Iris. «Possibilità di intascare un po’ di grana?» chiese Clint. «Stiamo combattendo, amico. Una possibilità c’è sempre, ma nessuna garanzia.» «Certo sarebbe bello.» Alle quattro e mezzo la giuria era stata selezionata, aveva prestato giuramento ed era stata rimandata a casa, con istruzioni di ripresentarsi alle otto e quarantacinque della mattina seguente. Dei dodici, sette erano donne e cinque uomini, otto erano bianchi, tre neri e uno ispanico, anche se i consulenti ritenevano che la razza non sarebbe stata un fattore determinante. Una delle donne era moderatamente obesa. Tutti gli altri erano ragionevolmente in buona forma. Le età andavano
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dai venticinque ai sessantuno anni, tutti avevano un diploma di scuola media superiore e tre erano laureati. Il gruppo Finley & Figg salì a bordo del SUV di David e puntò verso lo studio. Erano tutti e tre esausti, ma stranamente soddisfatti. Avevano affrontato faccia a faccia il potere dell’America societaria e, fino a quel momento, non erano crollati sotto la pressione. Naturalmente il vero processo doveva ancora cominciare. Nessun testimone aveva giurato. Nessuna prova era stata presentata. Il peggio doveva ancora venire, ma per il momento erano in partita. David fornì un resoconto dettagliato della sua visita a Iris e tutti e tre furono d’accordo sulla necessità di tenere la cliente lontana dall’aula. Il primo compito della serata consisteva nell’ottenere in qualche modo un certificato medico che potesse soddisfare Seawright. C’era tantissimo da fare quella sera. Comprarono una pizza e se la portarono in studio.
38 Per martedì mattina la breve pausa dal terrore dell’annientamento vissuta il lunedì era già stata dimenticata. Quando la squadra dello studio boutique entrò in aula la pressione era tornata, più forte che mai. Era quello il vero inizio del processo e l’aria era carica di tensione. “Devi solo arrivare alla fine” si ripeteva David ogni volta che sentiva lo stomaco fare le capriole. Il giudice Seawright salutò con un brusco “buongiorno” e diede il benvenuto alla giuria, alla quale poi spiegò, o cercò di spiegare, il motivo dell’assenza di Mrs Iris Klopeck, vedova e legale rappresentante di Percy Klopeck. Concluse dicendo: «A questo punto ognuna delle parti farà la propria dichiarazione di apertura. Niente di quello che state per ascoltare è una prova, si tratta piuttosto di ciò che gli avvocati pensano di riuscire a dimostrare nel corso di questo processo. Vi esorto quindi a prendere il tutto con cautela. Mr Finley, può procedere per la parte attrice». Oscar si alzò in piedi e andò al leggio con il suo blocco giallo. Lo posò sul ripiano, sorrise alla giuria, guardò i suoi appunti, sorrise di nuovo ai giurati e poi, stranamente, smise di colpo di sorridere. Passarono diversi secondi imbarazzati, durante i quali sembrò che Oscar avesse perso il filo dei pensieri e non riuscisse a trovare niente da dire. Si passò il palmo della mano sulla fronte e crollò in avanti. Rimbalzò sul leggio e collassò sulla moquette del pavimento, gemendo e facendo smorfie come in preda a un dolore tremendo. Ci fu un immediato tramestio, mentre Wally e David si lanciavano verso il collega e lo stesso facevano due guardie giudiziarie in uniforme e anche un paio di avvocati di Rogan Rothberg. Molti giurati si alzarono in piedi, quasi
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volessero rendersi utili in qualche modo. Il giudice Seawright stava strillando: «Chiamate il 911! Chiamate il 911!». E poi: «C’è un medico in aula?». Nessuno dichiarò di essere un medico. Una delle guardie giudiziarie assunse il comando e ben presto fu chiaro che quello di Oscar non era un semplice svenimento. Nel caos, qualcuno nella ressa chino su di lui disse: «Non respira quasi più». Ci fu altro movimento, altre telefonate per chiedere aiuto. L’infermiere del tribunale arrivò dopo pochi minuti e si chinò accanto a Oscar. Wally si allontanò di qualche passo e si ritrovò accanto al box della giuria. Senza riflettere, e in un tentativo di umorismo incredibilmente stupido, guardò i giurati, indicò il collega a terra e, con una voce che venne sentita da molti, pronunciò parole che sarebbero state ripetute da altri avvocati per anni a venire: «Oh, le meraviglie del Krayoxx!». «Vostro onore, per favore!» strillò Nadine Karros. Molti giurati trovarono la battuta divertente. Altri no. «Mr Figg, si allontani dalla giuria!» ordinò Seawright. Wally si ritrasse immediatamente e andò ad aspettare con David sul lato opposto dell’aula. I giurati vennero rimandati nella loro saletta. «L’udienza è sospesa per un’ora» annunciò il giudice. Scese dal suo banco e si avvicinò al leggio. Wally lo raggiunse e gli disse: «Chiedo scusa per poco fa, vostro onore». «Silenzio.» Arrivò una squadra di paramedici con la barella. Oscar venne caricato, legato e trasportato fuori dall’aula. Sembrava privo di conoscenza. Il
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polso c’era, ma pericolosamente debole. Mentre avvocati e spettatori si muovevano nell’aula, incerti su cosa fare, David sussurrò a Wally: «Qualche precedente di problemi di cuore?». Wally scosse la testa. «Niente. Oscar è sempre stato snello e in buona salute. Mi sembra che suo padre sia morto giovane, ma non so per cosa. Non mi ha mai parlato della sua famiglia.» Una guardia giudiziaria si avvicinò e disse: «Il giudice vuole vedere gli avvocati nel suo studio». Temendo di essere quello destinato alla graticola, Wally pensò che non aveva niente da perdere ed entrò nello studio di Seawright con aria decisa. «Giudice, io devo correre in ospedale.» «Solo un momento, Mr Figg.» Nadine era in piedi e non sembrava per niente contenta. Nella sua migliore voce da aula di tribunale disse: «Vostro onore, sulla sola base dell’inopportuno commento che Mr Figg ha rivolto ai giurati, non abbiamo scelta se non quella di chiedere che il processo sia dichiarato nullo». «Mr Figg?» disse Seawright. Il tono trasmetteva il messaggio che la dichiarazione di nullità era distante solo pochi minuti, forse secondi. Anche Wally era in piedi, e non aveva idea di cosa rispondere. Istintivamente, David disse: «In che modo la giuria sarebbe stata condizionata? Mr Finley non ha mai assunto il farmaco in questione. Certo, il commento di Mr Figg è stato stupido, fatto nel caos del momento, ma non ha prodotto alcun danno». «Non sono d’accordo, vostro onore» protestò subito Nadine. «Molti giurati hanno trovato il commento divertente e sono stati sul punto di
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scoppiare a ridere. L’aggettivo “stupido” è un eufemismo. Si è trattato di un’osservazione impropria e molto pregiudizievole.» Una dichiarazione di nullità avrebbe significato una dilazione, qualcosa di cui la squadra della parte attrice aveva estremamente bisogno. Diavolo, se fosse stato per loro, avrebbero rimandato il tutto di un decennio. «L’istanza della difesa è accolta» sentenziò Seawright. «Dichiaro nullo il processo. E ora?» Wally, che era crollato a sedere in poltrona, sembrava molto pallido. Disse la prima cosa che gli venne in mente: «Be’, giudice, è evidente che noi abbiamo bisogno di tempo. Cosa ne pensa di un rinvio o qualcosa del genere?». «Ms Karros?» «Vostro onore, questa è sicuramente una situazione unica. Suggerirei di attendere ventiquattr’ore e monitorare le condizioni di Mr Finley. Credo sia giusto sottolineare che è stato Mr Figg a intentare la causa, e Mr Figg è stato avvocato capo fino a qualche giorno fa. Sono sicura che possa gestire il processo bene quanto il suo socio anziano.» «Giusta osservazione» concordò il giudice Seawright. «Mr Zinc, penso sia il caso che lei e Mr Figg andiate subito in ospedale per controllare le condizioni di Mr Finley. Tenetemi aggiornato via e-mail, e mettete in copia Ms Karros.» «Certo, vostro onore.» Oscar aveva avuto un infarto miocardico acuto. Era in condizioni stabili e sarebbe sopravvissuto, ma i primi esami avevano evidenziato notevoli ostruzioni in tre arterie coronariche. David e Wally
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trascorsero una giornata penosa nella sala d’attesa del reparto di terapia intensiva, cercando di ammazzare il tempo, parlando di strategie processuali, inviando e-mail al giudice Seawright, mangiando cibo dei distributori automatici e camminando su e giù per i corridoi in preda alla noia. Wally era sicuro che né Paula Finley né Keely, la figlia, si sarebbero fatte vedere in ospedale. Oscar se n’era andato di casa tre mesi prima e frequentava già un’altra persona, di nascosto naturalmente. Correva voce che anche Paula si fosse trovata qualcuno. In ogni caso il matrimonio era felicemente finito, anche se il divorzio era ancora lontano. Alle quattro e mezzo un’infermiera li guidò fino al letto di Oscar per un saluto veloce. Era sveglio, anche se pieno di tubi e monitor, e respirava autonomamente. «Splendida dichiarazione d’apertura» gli disse Wally, che in cambio ricevette un debole sorriso. Lui e David non avrebbero parlato della dichiarazione di nullità del processo. Dopo qualche tentativo imbarazzato di fare conversazione, si resero conto che Oscar era troppo affaticato per parlare, così lo salutarono e uscirono dalla stanza. Mentre se ne stavano andando, un’infermiera li informò che l’operazione era stata programmata per le sette del mattino seguente. Alle sei del giorno dopo, David, Wally e Rochelle circondavano il letto di Oscar per un ultimo giro di auguri prima che lo portassero in sala operatoria. Quando un’infermiera ordinò a tutti di uscire, si trasferirono nella caffetteria dell’ospedale per una sana colazione a base di uova acquose e bacon freddo. «Adesso cosa succede al processo?» domandò Rochelle. David masticò un pezzo di bacon e poi disse: «Non ne sono sicuro, ma ho la sensazione che non otterremo una lunga dilazione».
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Wally mescolava il suo caffè, osservando due giovani infermiere. «E sembra che entrambi avremo una promozione. Io divento avvocato capo e tu, David, passi al secondo posto.» «Perciò lo spettacolo continua?» chiese Rochelle. «Oh, sì» rispose David. «Abbiamo pochissimo controllo su quello che succederà adesso. È la Varrick che comanda il gioco. La società vuole un processo perché brama vendetta. Una vittoria clamorosa. Titoli sui giornali. La prova che il suo meraviglioso farmaco non è poi così male. E, cosa più importante, il giudice è dalla sua parte.» Un altro boccone di bacon. «Insomma, loro hanno i fatti, i soldi, i periti, il talento legale e il giudice.» «E noi cosa abbiamo?» domandò Rochelle. Entrambi gli avvocati rifletterono per qualche istante, poi cominciarono a scuotere la testa. Niente. Non abbiamo niente. «Be’, abbiamo Iris» disse finalmente Wally, suscitando una risata. «L’adorabile Iris.» «E testimonierà davanti alla giuria?» «No. Uno dei suoi medici ha inviato un’e-mail dichiarando che la signora è fisicamente impossibilitata a deporre in aula» rispose David. «E di questo ringraziamo Dio» disse Wally. Dopo un’ora i tre votarono all’unanimità il ritorno in studio per cercare di combinare qualcosa di produttivo. David e Wally avevano decine di cose da sbrigare per il processo. Alle undici e mezzo telefonò un’infermiera con la buona notizia che Oscar era uscito dalla sala operatoria e che tutto era andato bene. Non avrebbe potuto ricevere
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visite per ventiquattr’ore, e anche questa notizia venne ben accolta. David inviò un’e-mail di aggiornamento all’assistente del giudice Seawright e, un quarto d’ora dopo, ricevette un messaggio in cui si richiedeva a tutti gli avvocati di presentarsi nello studio del giudice alle quattordici. «Vi prego di portare i miei saluti a Mr Finley» disse con indifferenza Seawright non appena gli avvocati si furono seduti, David e Wally a un lato del tavolo e Nadine con quattro dei suoi schiavi all’altro. «Grazie, giudice» disse Wally, ma solo perché una risposta era d’obbligo. «Il nostro nuovo programma è il seguente» riprese Seawright senza perdere un colpo. «Ci restano trentaquattro potenziali giurati, che riconvocherò venerdì mattina, 21 ottobre, vale a dire fra tre giorni da oggi. Sceglieremo la nuova giuria e lunedì prossimo, 24 ottobre, cominceremo il nuovo processo. Commenti o osservazioni?» “Un mucchio” avrebbe voluto rispondere Wally. Ma da dove cominciare? Niente da parte degli avvocati. Il giudice continuò: «Mi rendo conto che i legali della parte attrice non avranno molto tempo per riorganizzarsi, ma sono convinto che Mr Figg sarà all’altezza di Mr Finley. Detto con franchezza, nessuno dei due ha la minima esperienza in corte federale. Che l’uno prenda il posto dell’altro non danneggerà in alcun modo la causa della parte attrice». «Siamo pronti per il processo» dichiarò Wally a voce alta, ma solo per contrattaccare e difendere se stesso.
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«Molto bene. Dunque, Mr Figg, non tollererò altri suoi commenti ridicoli in aula, che la giuria sia presente oppure no.» «Chiedo di nuovo scusa, vostro onore» disse Wally con evidente falsità. «Le sue scuse sono accettate. Tuttavia un comportamento così sventato e poco professionale nella mia aula mi obbliga a infliggere, a lei e al suo studio, una multa di cinquemila dollari. E lo rifarò, se oltrepasserà di nuovo il limite.» «È un po’ tanto» si lasciò sfuggire Wally. “L’emorragia continua” pensò David. Settantacinquemila dollari al dottor Borzov; cinquantamila al dottor Herbert Threadgill, il farmacologo; quindicimila alla dottoressa Kanya Meade, l’economista; venticinquemila a Consuelo, la consulente per la giuria. Altri quindicimila per far arrivare tutti i periti a Chicago, nutrirli e sistemarli in alberghi decenti; oltre a Iris Klopeck e il suo defunto marito, che stavano costando a Finley & Figg almeno ottantamila dollari. E adesso, grazie alla boccaccia di Wally, ne avevano appena persi altri cinquemila. “Non dimenticare” continuava a ripetersi David “che questi sono pochi soldi ben spesi per autodifesa.” In caso contrario tutti e tre sarebbero stati citati in giudizio per negligenza professionale, con la prospettiva di sanzioni spaventose per avere intentato una causa così infondata. In pratica lo studio Finley & Figg stava bruciando un bel po’ di denaro per fare sì che la sua causa infondata sembrasse un po’ meno infondata. Alla facoltà di legge di Harvard non si era mai neppure accennato a manovre del genere, né David aveva mai sentito parlare di follie simili durante i suoi cinque anni presso Rogan Rothberg.
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Fu Ms Karros a prendere la parola sul tema sanzioni: «Vostro onore, la informo che in questo momento stiamo depositando in cancelleria un’istanza ai sensi della Norma 11». Copie del documento vennero fatte scivolare sul tavolo mentre Nadine continuava: «Chiediamo che vengano inflitte sanzioni alla controparte in considerazione del fatto che le azioni sconsiderate di Mr Figg ieri in aula hanno determinato la nullità del processo, il che comporta ulteriori, impreviste spese per il mio cliente. Perché mai la Varrick Labs dovrebbe pagare per un comportamento professionalmente scorretto di cui non è in alcun modo responsabile?». «Perché la Varrick vale quarantotto miliardi di dollari» rispose subito Wally. «I miei profitti netti sono notevolmente inferiori.» Divertente, ma nessuno rise. Il giudice Seawright stava leggendo attentamente l’istanza e, quando David e Wally se ne accorsero, cominciarono a leggerla anche loro. Dopo dieci minuti di silenzio il giudice chiese: «La sua replica, Mr Figg?». Wally gettò la sua copia sul tavolo come se fosse stata qualcosa di sporco. «Vostro onore, non è colpa mia se Rogan Rothberg addebita un fantastiliardo di dollari all’ora. Sono cari in modo osceno, ma questo non dovrebbe essere un mio problema. Se la Varrick vuole buttare soldi al vento, be’, di sicuro ne ha in abbondanza. Ma non tirate in ballo me.» «Mr Figg, le sfugge il nocciolo della questione» disse Nadine. «Noi non staremmo facendo lavoro extra, se non fosse per lei e per la dichiarazione di nullità del processo che lei ha determinato.» «Ma trentacinquemila dollari? Andiamo! Pensate davvero di valere tanto?»
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«Dipenderà dall’esito del processo, Mr Figg. Quando lei ha intentato causa ha chiesto... quanto, cento milioni? Adesso non critichi il mio cliente per essersi garantito una difesa vigorosa con ottimi avvocati.» «Vediamo se ho capito bene. Se durante questo processo lei e il suo cliente combinate qualcosa che rallenta o ritarda il procedimento, oppure se, Dio non voglia, commettete un errore o qualcosa del genere, io potrò richiedere sanzioni nei vostri confronti e incassare un po’ di soldi? È così, vostro onore?» «No. Sarebbe un’istanza infondata, soggetta alla Norma 11.» «Ma naturalmente!» esclamò Wally con una risata di pancia. «Voialtri siete una fantastica squadra di wrestling.» «Attento a come parla, Mr Figg» ringhiò il giudice Seawright. «Piantala!» sibilò David. Seguì qualche secondo di silenzio, durante i quali Wally si calmò. Poi finalmente il giudice disse: «Concordo sul fatto che si sarebbe potuto evitare la dichiarazione di nullità del processo, cosa che ha comportato ulteriori spese. Tuttavia ritengo che la somma di trentacinquemila dollari sia eccessiva. Una sanzione è d’obbligo, ma non in tale misura. Diecimila dollari è un importo più che ragionevole. Così ho deciso». Wally lasciò uscire il fiato: un altro colpo nella pancia. Il primo pensiero di David fu di cercare di accelerare le cose in modo che la riunione arrivasse a una fine misericordiosa. Finley & Figg non poteva permettersi altri esborsi. Se ne uscì con un debole: «Vostro onore, noi dobbiamo tornare in ospedale». «La seduta è aggiornata a venerdì mattina.»
39 La seconda giuria era composta da sette uomini e cinque donne. Dei dodici, sei erano bianchi, tre neri, due asiatici e uno ispanico. Nel complesso era un gruppo un po’ più proletario e un po’ più in carne del precedente. Due degli uomini erano decisamente obesi. Nadine Karros aveva deciso di servirsi delle sue possibilità di esclusione per ricusare i candidati grassi, invece di altri appartenenti a minoranze, ma era stata sconfitta dal generale sovrappeso dei potenziali giurati. Consuelo era convinta che per Finley & Figg questa giuria fosse molto meglio della precedente. Il lunedì mattina, quando Wally si avviò verso il leggio, David trattenne il fiato. Adesso c’era anche lui sul ponte di comando, e un secondo caso di infarto lo avrebbe costretto ad affrontare un avversario di gran lunga superiore. Faceva un tifo sfrenato per il socio giovane, il quale, anche se aveva perso qualche chilo divertendosi con DeeAnna, era ancora paffuto e inoltre esibiva un aspetto disordinato. Riguardo agli infarti, Wally sembrava un candidato molto più probabile di Oscar. “Forza, Wally, puoi farcela. Dacci dentro e, per favore, non mi stramazzare a terra.” Figg non stramazzò. Anzi, se la cavò abbastanza bene nel delineare la loro tesi contro la Varrick Labs, il terzo produttore di farmaci al mondo, una “società mammuth” con sede in New Jersey e una lunga, deplorevole storia di inquinamento del mercato con i suoi pessimi prodotti. Obiezione di Ms Karros. Accolta dal giudice Seawright.
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Wally però procedeva con grande attenzione, e per ottime ragioni. Quando una parola di troppo può costarti fino a diecimila dollari, ti muovi in punta di piedi intorno a qualsiasi cosa di cui non sei assolutamente sicuro. Si riferì più volte al medicinale in questione non come al Krayoxx, ma come a “quel cattivo farmaco”. Ogni tanto si concesse qualche divagazione, ma perlopiù si attenne al copione. Quando terminò, mezz’ora dopo avere iniziato, David stava respirando di nuovo e sussurrò: «Bel lavoro». Nadine Karros non perse tempo a difendere il proprio cliente e il Krayoxx. Cominciò con un elenco lungo e dettagliato, ma comunque interessante, di tutti i favolosi farmaci che la Varrick Labs aveva immesso sul mercato nel corso degli ultimi cinquant’anni, farmaci che ogni americano conosceva e di cui si fidava e altri di cui quasi nessuno aveva mai sentito parlare. Medicine che diamo ai nostri figli. Medicine che assumiamo con fiducia ogni giorno. Medicine che sono sinonimo di buona salute. Medicine che prolungano la vita, eliminano le infezioni, prevengono le malattie, eccetera eccetera. Dal mal di gola all’emicrania, dalle epidemie di colera all’AIDS, la Varrick Labs era da decenni in prima linea e, grazie a lei, il mondo era un posto migliore, più sicuro e più sano. Quando Ms Karros arrivò alla conclusione del suo “atto primo”, molti dei presenti in aula sarebbero stati pronti a morire per la Varrick. Cambiando marcia, Nadine passò all’oggetto della discussione, il Krayoxx, un medicinale così efficace che veniva prescritto dai medici – “dal vostro dottore” – più di qualsiasi altro prodotto anticolesterolo al mondo. Illustrò in dettaglio le approfondite ricerche effettuate nel corso del suo sviluppo e, in qualche modo, riuscì a rendere interessanti perfino gli studi clinici che, uno dopo l’altro, avevano dimostrato come il farmaco non solo fosse efficace, ma anche privo di effetti collaterali. Il suo cliente aveva investito quattro miliardi e otto anni nella ricerca e
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nello sviluppo del Krayoxx, ed era orgoglioso del suo meraviglioso prodotto. David osservava, senza fissarli troppo, i visi dei giurati. Tutti e dodici seguivano ogni parola di Ms Karros. Tutti e dodici stavano diventando credenti. David stesso cominciava quasi a convertirsi. Ms Karros parlò dei periti che avrebbe chiamato a deporre. Eminenti studiosi e ricercatori, provenienti da istituzioni come la Mayo Clinic, la Cleveland Clinic e la Harvard Medical School. Uomini e donne che avevano dedicato anni allo studio del Krayoxx e che lo conoscevano molto, molto meglio degli esperti “pesi piuma” che avrebbe presentato la parte attrice. In conclusione, Ms Karros era certa che, una volta esposte tutte le prove, loro, i giurati, non avrebbero avuto alcuna difficoltà a concludere che nel Krayoxx non c’era assolutamente niente di sbagliato. E di conseguenza sarebbero arrivati a un veloce verdetto a favore del suo cliente, la Varrick Laboratories. David osservò i sette uomini della giuria mentre Nadine tornava al suo posto. Quattordici occhi la seguivano con grande attenzione. Guardò l’orologio: cinquantotto minuti, e il tempo era volato. Mentre i tecnici cominciavano a installare due grandi schermi, il giudice Seawright spiegò ai giurati che stavano per vedere e ascoltare la deposizione della parte attrice, Mrs Iris Klopeck, la quale non poteva essere presente in aula per motivi di salute. La deposizione era stata videoregistrata il 30 marzo in un hotel del centro di Chicago. Il giudice assicurò i giurati che la procedura non era per niente insolita e non doveva influenzare in alcun modo la loro opinione. Le luci vennero abbassate e all’improvviso ecco Iris che, molto più grande del vero, fissava la videocamera accigliata, pietrificata,
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smarrita e strafatta. La deposizione era stata pesantemente editata per eliminare i battibecchi tra gli avvocati e i passaggi che avrebbero potuto provocare obiezioni. Dopo le prime informazioni di fondo, Iris arrivò all’argomento Percy. Il suo ruolo di padre, il suo curriculum lavorativo, le sue abitudini, la sua morte. Vennero presentati documenti che passarono veloci sullo schermo: una foto di Iris e Percy, entrambi già obesi, che sguazzavano in acqua con il piccolo Clint; una foto di Percy circondato da amici davanti al barbecue, tutti pronti a divorare bratwurst e hamburger per la festa del 4 Luglio; un’altra foto di Percy sulla sedia a dondolo con il gatto arancione in grembo, e l’impressione fu che dondolarsi fosse stato il solo esercizio fisico che avesse svolto nella vita. Ben presto le immagini si fusero insieme, formando un ritratto di Percy che era preciso, ma di certo non lusinghiero. Era un uomo molto grasso che mangiava troppo e non si muoveva mai, una persona pigra e sciatta che se n’era andata troppo presto, e la causa della morte era abbastanza evidente. A volte Iris si lasciava prendere dall’emozione. A volte era incoerente. Il video fece ben poco per suscitare empatia e comprensione. Ma, come gli avvocati della signora sapevano bene, quella era comunque una presentazione molto migliore della cliente in persona. Editato, il video durava ottantasette minuti, e tutti in aula si sentirono sollevati quando finì. Riaccese le luci, il giudice Seawright annunciò che era ora di pranzo e che l’udienza sarebbe ripresa alle quattordici. Senza una parola, Wally svanì insieme alla folla. Lui e David avevano programmato di mangiare velocemente un panino in tribunale discutendo di strategia. Dopo un quarto d’ora David si stancò di aspettare e uscì dall’aula per andare a pranzo da solo nel bar al primo piano. Dimesso dall’ospedale, Oscar stava trascorrendo la convalescenza a casa di Wally. Rochelle andava a trovarlo due volte al giorno. Ancora nessun segno della moglie e della figlia. David gli telefonò per un breve aggiornamento sull’inizio del processo e cercò di presentare il tutto in
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una luce positiva. Oscar finse interesse, ma era evidente che preferiva essere lì dove si trovava. Alle quattordici la corte rientrò. Il bagno di sangue stava per cominciare, ma Wally sembrava notevolmente a proprio agio. «Chiami il suo primo teste» gli disse il giudice. Wally afferrò il suo blocco per gli appunti. «Sarà dura» sussurrò a David, che sentì l’odore inequivocabile di birra appena bevuta. Il dottor Igor Borzov salì sul banco dei testimoni e la guardia giudiziaria gli tese una Bibbia per il giuramento. Borzov la guardò e cominciò a scuotere la testa. Si rifiutava anche solo di toccarla. Il giudice gli chiese quale fosse il problema e Borzov borbottò qualcosa a proposito del suo ateismo. «Niente Bibbia» dichiarò. «Non sono credente.» David guardava la scena inorridito. “Dài, buffone, per settantacinquemila dollari il minimo che puoi fare è stare al gioco!” Dopo una pausa imbarazzante, il giudice Seawright ordinò alla guardia di lasciar perdere la Bibbia. Borzov alzò la mano destra e giurò di dire la verità, ma a quel punto la giuria era già persa. Seguendo un copione accuratamente studiato, Wally accompagnò il medico lungo il rituale volto a stabilire la sua qualifica di esperto. Studi: università e specializzazione a Mosca. Addestramento professionale: cardiologo a Kiev, un paio di ospedali a Mosca. Esperienza: un breve periodo in un ospedale pubblico a Fargo, North Dakota, e ambulatorio privato a Toronto e Nashville. La sera prima, Wally e David avevano provato la deposizione con Borzov per ore e lo avevano implorato di parlare lentamente e con la massima chiarezza possibile. Nella quiete dello studio il medico russo era risultato abbastanza comprensibile. Ma al centro della scena, nell’atmosfera tesa dell’aula, Borzov dimenticò le suppliche degli avvocati e mitragliò le sue risposte con un accento così marcato che le parole avevano solo una vaga
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somiglianza con l’inglese. Per due volte la stenotipista chiese un’interruzione per avere chiarimenti. Gli stenotipisti dei tribunali sono famosi per la loro capacità di comprendere ed elaborare borbottii, difetti di pronuncia, accenti strani, slang e termini tecnici. Il fatto che ora una di loro non riuscisse a seguire Borzov era devastante. La terza volta che la donna interruppe la deposizione, il giudice Seawright disse: «Non lo capisco neppure io. Per caso ha un interprete, Mr Figg?». Molti giurati sembrarono divertiti dalla domanda. In effetti Wally e David avevano parlato della possibilità di assumere un interprete di russo, ma quella discussione era rientrata in un piano più ampio volto a dimenticare Borzov, dimenticare qualsiasi perito, dimenticare tutti i testimoni complessivamente e non farsi vedere al processo. Dopo qualche altra domanda, Wally disse: «Chiediamo che il dottor Igor Borzov venga ammesso quale esperto in materia di cardiologia». Seawright guardò in direzione del tavolo della difesa e chiese: «Ms Karros?». Nadine si alzò in piedi e, con un sorriso perfido, rispose: «Nessuna obiezione». In altre parole: “Gli daremo tutta la corda che gli serve per impiccarsi da solo”. Wally domandò al dottor Borzov se avesse esaminato la documentazione clinica di Percy Klopeck. Il medico rispose con un chiaro sì. Per mezz’ora i due discussero della deprimente anamnesi di Percy, poi iniziarono il tedioso processo di chiedere l’ammissione come prove
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dei vari documenti. Si sarebbero impiegate ore, non fosse stato per la notevole collaborazione della difesa. Ms Karros avrebbe avuto di che obiettare a molto del materiale, ma voleva che tutto fosse sotto gli occhi dei giurati, molti dei quali, una volta ammesso l’intero fascicolo spesso dieci centimetri, stavano lottando per restare svegli. La testimonianza si fece più interessante grazie a un enorme diagramma del cuore umano, proiettato su un grande schermo. Al dottor Borzov venne lasciato ampio spazio per la sua spiegazione alla giuria. Camminando avanti e indietro davanti allo schermo, e con l’aiuto di una bacchetta, se la cavò abbastanza bene nel descrivere valvole, cavità e arterie. Quando diceva qualcosa di incomprensibile, Wally ripeteva e chiariva a beneficio dei presenti. Figg sapeva che quella sarebbe stata la parte migliore della deposizione e se la prese comoda. Il dottore sembrava conoscere bene la materia, ma era anche vero che qualsiasi studente di medicina al secondo anno avrebbe saputo dire le stesse cose. Quando finalmente la lezione terminò, Borzov riprese il suo posto sul banco dei testimoni. Due mesi prima di morire nel sonno, Percy aveva fatto il suo check-up annuale, completo di elettrocardiogramma ed ecocardiogramma, fornendo così al dottor Borzov qualcosa di cui parlare. Wally passò al suo teste il tracciato dell’ecocardiogramma e per quindici minuti i due discussero i fondamentali di quel particolare esame. L’ecocardiogramma di Percy evidenziava una notevole diminuzione del rigurgito di sangue dalla cavità del ventricolo sinistro. David fece un respiro profondo mentre avvocato e testimone si inoltravano nel campo minato del gergo medico. Fu un disastro fin dall’inizio. La tesi era che il Krayoxx danneggiasse la valvola mitrale in modo tale da ostacolare il flusso di sangue che veniva pompato fuori dal cuore.
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Nel tentativo di spiegare questo punto, Borzov usò l’espressione “frazione di eiezione del ventricolo sinistro”. Wally gli chiese di chiarire per la giuria e il medico disse: «La frazione di eiezione è in pratica il volume di sangue ventricolare al termine della diastole meno quello al termine della sistole, cioè il volume telediastolico, e questo diviso il volume totale moltiplicato per cento è la frazione di eiezione». Un linguaggio del genere sarebbe stato incomprensibile ai profani anche in un inglese lento e ben scandito. Uscito dalla bocca del dottor Borzov suonava come uno sproloquio, tra l’altro anche tristemente comico. Nadine Karros si alzò in piedi ed esclamò: «Per favore, vostro onore!». Il giudice Seawright scosse la testa come se qualcuno l’avesse svegliato con uno schiaffo e disse: «La prego, Mr Figg». Tre giurati stavano fissando David come se li avesse insultati. Due stavano sforzandosi di non ridacchiare. Cercando di restare a galla, Wally chiese al suo teste di parlare più adagio, con maggiore chiarezza e, se possibile, usando un linguaggio più semplice. I due proseguirono arrancando faticosamente, con Borzov che cercava di fare del suo meglio e Wally che ripeteva virtualmente ogni concetto fino ad arrivare a una certa chiarezza, che però non era mai molta e comunque non abbastanza. Borzov parlò dei gradi di insufficienza mitralica, dell’area di rigurgito nell’atrio sinistro e del livello di gravità del rigurgito mitralico. La giuria aveva rinunciato a seguire già da molto tempo, quando Wally pose una serie di domande sull’interpretazione dell’ecocardiogramma, il che provocò la seguente risposta: «Se il ventricolo fosse totalmente simmetrico e non avesse alterazioni di contrattilità o di geometria sarebbe semplicemente un ellissoide allungato. Si definisce punta appiattita, appuntita e lievemente ricurva una parte dell’ellissoide. In
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questo caso il ventricolo si contrarrebbe verso il basso, e sarebbe comunque un ellissoide allungato, e tutte le pareti si muoverebbero tranne il piano della valvola mitralica». La stenotipista alzò la mano e sbottò: «Chiedo scusa, vostro onore, ma non riesco a seguire». Il giudice Seawright aveva gli occhi chiusi e la testa china, come se anche lui avesse ormai rinunciato ad ascoltare e desiderasse soltanto che Borzov la facesse finita e se ne andasse dalla sua aula. «Pausa di quindici minuti» borbottò. Wally e David sedevano silenziosi davanti a due tazze di caffè intatte nel piccolo bar del tribunale. Erano le sedici e trenta di lunedì ed entrambi avevano la sensazione di avere passato almeno un mese nell’aula di Seawright. Nessuno dei due aveva voglia di ritornarci. David era ancora stordito dalla prestazione assolutamente indegna di Borzov, ma era anche preoccupato per Wally. Non era ubriaco e non sembrava neppure sotto l’effetto dell’alcol, ma per un alcolista un qualsiasi ritorno alla bottiglia era un problema. David avrebbe voluto fargli qualche domanda, capire se stava bene, ma luogo e momento gli sembravano inopportuni. Perché sollevare un argomento così delicato in circostanze così miserabili? Immobile, perso in un altro mondo, Wally fissava un punto del pavimento. «Non credo che la giuria sia con noi» osservò David in tono colloquiale e senza alcuna intenzione di fare dell’umorismo. Ma Wally sorrise e disse: «La giuria ci odia e non posso fargliene una colpa. Non riusciremo ad andare oltre un giudizio sommario. Non appena finiremo di esporre il nostro caso, Seawright ci sbatterà fuori».
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«Perciò sarà una fine rapida? Be’, non mi sento di biasimare il giudice.» «Una fine rapida e misericordiosa» precisò Wally, continuando a fissare il pavimento. «E questo come si rifletterà sulle altre questioni, tipo sanzioni e negligenza professionale?» «Chi può dirlo? Io credo che il problema della negligenza professionale scomparirà: non ti possono fare causa solo perché hai perso un processo. Le sanzioni, però, potrebbero essere tutta un’altra storia. Vedo già la Varrick che punta alla nostra giugulare, sostenendo che la causa era infondata.» David bevve un sorso di caffè. Wally continuò: «Continuo a pensare a Jerry Alisandros. Mi piacerebbe beccarlo in un vicolo buio e pestarlo a sangue con una mazza da baseball». «È un pensiero piacevole.» «Dobbiamo andare. Finiamo con Borzov e liberiamoci di lui.» Per tutta l’ora successiva l’aula subì il tortuoso processo di osservazione del video dell’ecocardiogramma di Percy, mentre il dottor Borzov tentava di spiegare quello che stavano vedendo. Con le luci abbassate, parecchi giurati cominciarono ad appisolarsi. Quando il video terminò, Borzov tornò a sedersi sul banco dei testimoni. «Mr Figg, per quanto ne ha ancora?» chiese il giudice. «Cinque minuti.» «Proceda.»
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Perfino il più inconsistente dei casi richiede un certo linguaggio tecnico-magico, e Wally voleva farlo passare rapidamente mentre la giuria era ancora comatosa e forse, solo forse, la difesa non vedeva l’ora di andarsene a casa. «Dunque, dottor Borzov, in base a un ragionevole grado di certezza medica, lei si è formato un’opinione sulla causa della morte di Mr Percy Klopeck?» «Sì.» David stava osservando Nadine Karros, la quale avrebbe potuto far escludere con facilità e con varie motivazioni qualsiasi opinione espressa da Borzov. Ma non sembrava interessata a farlo. «E qual è il suo parere?» domandò Wally. «In base a un ragionevole grado di certezza medica, il mio parere è che Mr Klopeck sia deceduto a causa di un infarto miocardico acuto. Un attacco di cuore.» Borzov aveva parlato lentamente, in un inglese molto più chiaro. «E si è formato un’opinione sulla causa di tale infarto?» «In base a un ragionevole grado di certezza medica, la mia opinione è che l’infarto sia stato determinato dalla marcata dilatazione del ventricolo sinistro.» «E qual è la sua opinione sulle cause della dilatazione del ventricolo sinistro?» «In base a un ragionevole grado di certezza medica, è mia opinione che la dilatazione sia stata provocata dall’assunzione del farmaco anticolesterolo denominato Krayoxx.»
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Almeno quattro giurati stavano scuotendo la testa. Altri due avevano l’aria di volersi alzare in piedi e coprire Borzov d’improperi. Alle diciotto il teste venne finalmente congedato e la giuria mandata a casa. «L’udienza riprenderà alle nove di domani mattina» annunciò il giudice Seawright. Mentre tornavano in ufficio, Wally si addormentò sul sedile del passeggero. Bloccato nel traffico, David controllò il cellulare e poi passò in rete per dare un’occhiata alle quotazioni di Borsa. Il titolo Varrick era balzato da trentun dollari e cinquanta a trentacinque. La notizia dell’imminente vittoria si stava diffondendo con rapidità.
40 Durante i suoi primi due mesi sulla terra la piccola Emma non aveva ancora mai dormito per una notte intera. A letto alle otto, di solito si svegliava verso le undici per uno spuntino veloce e un cambio di pannolino. Una lunga sessione di sedia a dondolo e di passeggiate per casa la faceva riaddormentare intorno a mezzanotte, ma alle tre la bimba aveva di nuovo fame. All’inizio Helen si era coraggiosamente attenuta al programma di allattamento al seno, ma dopo sei settimane era esausta e aveva cominciato a usare il biberon. Neppure il padre di Emma dormiva molto, e di solito chiacchierava sottovoce con lei durante i pasti prima dell’alba, mentre la mamma se ne stava sotto le coperte. Intorno alle quattro e mezzo di martedì mattina, David riadagiò delicatamente la figlia nella culla, spense la luce e uscì dalla nursery. Entrò in cucina, preparò il caffè e, mentre aspettava che fosse pronto, andò in rete per dare un’occhiata alle notizie, alle previsioni del tempo e ai blog che si occupavano di temi legali. Uno in particolare aveva seguito il contenzioso Krayoxx e il processo Klopeck. David tentò disperatamente di ignorarlo. Ma non ci riuscì. Il titolo diceva: “Massacro nell’aula 2314”. Il blogger, che si firmava Giurato Indeciso, o era un tipo che aveva fin troppo tempo libero, oppure era uno degli schiavi di Rogan Rothberg. Scriveva: “Per coloro affetti da curiosità morbosa, oggi accorrete all’aula 2314 del Dirksen Federal Building per il secondo round del primo, e probabilmente unico, processo Krayoxx. Per chi non potrà essere presente, è come assistere a un disastro ferroviario al rallentatore, però molto più divertente. Ieri, giornata d’apertura, giurati e spettatori sono stati
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intrattenuti con la sinistra videodeposizione di Iris Klopeck. Teoricamente la signora non può essere in aula per motivi di salute, ma uno dei miei informatori l’ha vista ieri mentre faceva la spesa da Dominick’s in Pulaski Road (cliccare qui per le foto). Iris è una donna molto massiccia e ieri, quando la sua faccia ha riempito lo schermo, per il pubblico è stato uno shock. All’inizio la signora sembrava, come dire, piuttosto fatta, ma a mano a mano che la deposizione procedeva, l’effetto dei farmaci è sembrato progressivamente svanire. Iris è riuscita addirittura a spremere qualche lacrima quando ha parlato del suo amato Percy, il quale è morto a quarantotto anni pesando centoquarantacinque chili. Mrs Klopeck vuole che la giuria le procuri una vagonata di soldi e ha fatto del suo meglio per suscitare simpatia. Non ci è riuscita. La maggior parte dei giurati ha pensato quello che stavo pensando io: se voialtri non foste così ciccioni, non avreste così tanti problemi di salute. “Il dream team legale di Iris – ora privo del suo leader, vittima per parte sua di un infarto la settimana scorsa, quando si è trovato faccia a faccia con una vera giuria – finora può vantare un’unica mossa azzeccata, cioè tenere la signora fuori dall’aula e lontana dai giurati. Difficile aspettarsi altre idee brillanti da parte di quei due pesi piuma. “Il secondo testimone è stato il loro perito superstar, un autentico ciarlatano proveniente dalla Russia il quale, dopo quindici anni in questo paese, ancora non padroneggia i più rudimentali elementi della lingua inglese. Si chiama Igor, e quando Igor parla nessuno ascolta. La difesa avrebbe potuto facilmente farlo sbattere fuori a calci sostenendo che non è qualificato – le sue lacune e insufficienze sono troppo numerose per essere elencate – ma a quanto pare ha adottato la strategia di lasciare ai legali della controparte tutto lo spazio che vogliono in modo da poter poi dimostrare che non hanno niente in mano. Gli avvocati della difesa vogliono Igor sul banco dei testimoni, è di grande aiuto per loro!”.
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Basta! David chiuse il laptop e si versò il caffè. Fece la doccia e si vestì in silenzio, diede un bacio a Helen, passò a controllare Emma e poi uscì. Quando si immise in Preston Avenue, notò che le luci dello studio Finley & Figg erano accese. Erano solo le cinque e quarantacinque e Wally era già al lavoro. Bene, pensò David, forse il socio giovane aveva elaborato una qualche nuova teoria da sbattere in faccia a Nadine Karros e a Harry Seawright per mitigare almeno in parte l’umiliazione. Ma l’auto di Wally non era parcheggiata dietro l’edificio. La porta sul retro non era chiusa a chiave e neppure quella davanti. AC si aggirava inquieto al piano terra. Wally non era nel suo ufficio, né da nessun’altra parte. David chiuse a chiave le porte e, seguito da AC, salì di sopra. Sulla scrivania non c’erano messaggi, nessuna e-mail. Chiamò Wally al cellulare e si sentì rispondere dalla casella vocale. Strano, ma era anche vero che la sua routine variava spesso. Tuttavia né lui né Oscar avevano mai lasciato lo studio con le porte aperte e le luci accese. David tentò di rivedere un po’ di materiale, ma non riuscì a concentrarsi. Aveva già i nervi tesi a causa del processo e adesso c’era anche la sensazione inquietante che qualcos’altro non stesse andando per il verso giusto. Scese al piano terra per una rapida occhiata nell’ufficio di Wally. Il cestino della carta era vuoto. Nonostante detestasse farlo, aprì qualche cassetto. Non trovò niente di interessante. In cucina, accanto al piccolo frigo, c’era un alto bidone rotondo dove venivano buttati i fondi di caffè, i contenitori di cibo, le bottiglie e le lattine vuote. David estrasse il contenitore interno di plastica bianca, lo aprì e trovò ciò che aveva avuto paura di trovare. Di lato, sopra un barattolo di yogurt, c’era una bottiglietta vuota da mezzo litro di vodka Smirnoff. David l’afferrò, la sciacquò nel lavandino, si lavò le mani e la portò di sopra. La piazzò sulla scrivania e la fissò a lungo. Wally si era fatto qualche birra a pranzo, poi aveva passato parte della serata in studio a bere vodka e a un certo punto aveva deciso di
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andarsene. Ubriaco, evidentemente, dato che aveva lasciato le luci accese e la porta aperta. Lui e David si erano dati appuntamento in studio alle sette per una seduta di lavoro con caffè. Alle sette e un quarto David era già preoccupato. Telefonò a Rochelle e le chiese se avesse notizie di Wally. «No. Qualcosa non va?» domandò la donna, come se una brutta telefonata riguardante Figg non fosse mai qualcosa di imprevisto. «No, lo sto solo cercando, ecco tutto. Lei arriverà alle otto, giusto?» «Sto uscendo di casa adesso, faccio un salto a vedere Oscar e poi vengo in ufficio.» David avrebbe voluto telefonare a Oscar, ma non se la sentì. L’intervento di triplo bypass risaliva a soli sei giorni prima e non voleva turbare il socio anziano. Camminò avanti e indietro, diede da mangiare ad AC e provò di nuovo a chiamare Wally al cellulare. Niente. Rochelle arrivò puntuale alle otto, con la notizia che Oscar stava bene e che non aveva visto Wally. «Questa notte non è rientrato a casa» disse. David estrasse la bottiglia vuota dalla tasca posteriore dei pantaloni. «Questa l’ho trovata nel bidone dei rifiuti in cucina. Ieri sera Wally si è ubriacato, qui in studio, e poi se n’è andato lasciando le porte aperte e le luci accese.» Rochelle fissò la bottiglia e le venne da piangere. Aveva sostenuto Wally nelle precedenti battaglie e l’aveva incoraggiato durante le riabilitazioni. L’aveva tenuto per mano, aveva pregato per lui, pianto per lui e festeggiato con lui contando i giorni di sobrietà. Un anno, due settimane e due giorni. E adesso una bottiglia vuota.
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«Immagino che la pressione abbia avuto la meglio su di lui» disse David. «Quando Wally cade, cade sul serio. E ogni volta è peggio della precedente.» David poggiò la bottiglia sul tavolo. «Era così orgoglioso di essere sobrio. Non ci posso credere.» Ma ciò che davvero non riusciva a credere era che del dream team (o dei tre idioti) fosse rimasto un solo uomo, l’ultimo. E anche se i suoi due colleghi erano tristemente privi di esperienza processuale, erano comunque due temprati veterani se paragonati a lui. «Lei pensa che Wally si farà vedere in tribunale?» chiese a Rochelle. Rochelle non lo pensava, ma non se la sentì di dirlo. «Probabilmente sì. Adesso sarà meglio che lei vada.» Fu un lungo viaggio quello verso il centro della città. David telefonò a Helen per darle la notizia. Sua moglie rimase scossa quanto lui ed espresse l’opinione che il giudice non avrebbe potuto fare altro che rinviare il processo. A David l’idea piacque e, quando parcheggiò, si era ormai convinto che, nel caso Wally non si fosse fatto vedere, sarebbe stato chiaro anche per il giudice Seawright che così non si poteva continuare. In tutta onestà, perdere due avvocati era sicuramente un buon motivo per rendere nullo il processo o rinviarlo. Wally non era in aula. David si sedette da solo al suo tavolo, mentre la squadra di Rogan Rothberg entrava in fila indiana e gli spettatori prendevano posto. Alle otto e cinquanta minuti si avvicinò a una guardia giudiziaria e gli comunicò che aveva bisogno di conferire urgentemente con il giudice. «Mi segua» disse la guardia.
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Seawright aveva appena indossato la toga nera, quando David entrò nel suo studio. Saltando i convenevoli, David gli disse: «Giudice, abbiamo un problema. Mr Figg è assente ingiustificato. Non è qui e non credo che arriverà». Il giudice sospirò irritato e continuò a chiudere lentamente la lampo della toga. «Lei non sa dov’è?» «No, signore.» Seawright si rivolse alla guardia e disse: «Vada a chiamarmi Ms Karros». Nadine si presentò da sola e, insieme a David e al giudice, si sedette in fondo al lungo tavolo delle riunioni. David riferì tutto quello che sapeva e non minimizzò la storia di Wally con l’alcol. Seawright e Ms Karros si dimostrarono comprensivi, ma incerti su cosa la novità significasse per il processo. David confessò di sentirsi totalmente inadeguato e impreparato a gestire qualunque cosa fosse rimasta da fare, ma allo stesso tempo non riusciva a immaginare il suo studio che tentava di andare a un nuovo processo. «Guardiamo le cose come stanno» disse, parlando con assoluta franchezza. «Noi non abbiamo un caso e lo sapevamo fin dall’inizio. L’abbiamo tirata per le lunghe il più possibile e l’abbiamo fatto unicamente per evitare sanzioni e denunce dovute a negligenza professionale.» «Vuole un rinvio?» chiese il giudice. «Sì. E credo che sia giusto concederlo, date le circostanze.» «Il mio cliente si opporrà a qualsiasi tentativo di ritardare il procedimento» disse Nadine. «Sono sicura che insisterà per portare a termine questo processo.»
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«Non sono certo che un rinvio servirebbe a molto» osservò il giudice. «Se Mr Figg ha ripreso a bere, e in misura tale da non presentarsi neppure in tribunale, penso che potrebbe volerci parecchio tempo per disintossicarlo di nuovo e riaverlo pronto all’azione. Non sono incline a prendere in considerazione l’idea di un rinvio.» David non aveva nulla da opporre a quella logica. «Giudice, io non ho idea di cosa fare là fuori. Non ho mai dibattuto un caso in aula in vita mia.» «Non ho notato una grande esperienza nemmeno in Mr Figg. Lei è sicuramente in grado di operare allo stesso livello.» Ci fu una lunga pausa mentre i tre riflettevano su quel dilemma piuttosto insolito. Poi Nadine disse: «Avrei una proposta, Mr Zinc. Se lei porta a termine il processo convincerò il mio cliente a non procedere con le sanzioni della Norma 11». Il giudice Seawright intervenne immediatamente: «Mr Zinc, se conclude il processo le garantisco che non ci saranno sanzioni né per lei né per la sua cliente». «Grandioso. Ma cosa mi dite delle denunce per negligenza professionale?» Nadine restò in silenzio. Fu il giudice a rispondere: «Dubito che avrete problemi da quel punto di vista. Non sono a conoscenza di cause vinte contro un avvocato che ha semplicemente perso un processo». «Neppure io» aggiunse Ms Karros. «In ogni processo c’è sempre un vincitore e uno sconfitto.» “Naturalmente” pensò David. “E deve essere simpatico vincere sempre.”
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«Facciamo così» disse il giudice. «Oggi ci sarà una sospensione: io manderò a casa la giuria e lei farà del suo meglio per rintracciare Mr Figg. Se per caso domattina il suo collega dovesse presentarsi, continueremo come se non fosse successo niente e io non lo punirò per l’assenza di oggi. Se invece non lo trova, o se Mr Figg non sarà in grado di continuare, riprenderemo alle nove. Lei farà del suo meglio e io farò il possibile per aiutarla. Porteremo a termine questo processo e la faremo finita.» «E cosa mi dite dell’appello?» domandò Nadine. «Perdere i due avvocati principali potrebbe essere un argomento convincente per un nuovo processo.» David riuscì a sorridere. «Le prometto che non ci sarà alcun appello, almeno nessun appello che mi veda coinvolto. È molto probabile che questo processo determini la bancarotta del nostro piccolo studio. Abbiamo chiesto un prestito per poter arrivare fino a questo punto. Non riesco a immaginare i miei colleghi che perdono anche solo un altro minuto a considerare l’idea di un appello. Nel caso riuscissero in qualche modo a ottenerlo, sarebbero costretti a tornare qui e a dibattere di nuovo la causa. È l’ultima cosa che vogliono.» «Bene, allora siamo tutti d’accordo?» chiese il giudice. «Per quanto mi riguarda, sì» rispose Nadine. «Mr Zinc?» David non aveva scelta. Se fosse andato avanti, da solo, avrebbe salvato lo studio dalla minaccia delle sanzioni e, probabilmente, anche dalle denunce per negligenza professionale. L’unica altra opzione sarebbe stata chiedere un rinvio e, una volta che gli fosse stato negato, rifiutarsi di partecipare al processo.
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«Certo, d’accordo.» Se la prese comoda nel viaggio di ritorno verso lo studio. Continuava a ripetersi che aveva solo trentadue anni e che quella vicenda non gli avrebbe rovinato la carriera. In qualche modo sarebbe riuscito a superare i tre giorni successivi. Tra un anno tutto sarebbe stato praticamente dimenticato. Ancora nessun segno di Wally. David si chiuse a chiave nel suo ufficio e passò il resto della giornata leggendo verbali di altri processi, riflettendo su deposizioni di altri casi, studiando le regole procedurali e lottando contro l’impulso di vomitare. A cena giocherellò con il cibo mentre riferiva tutto a Helen. «Quanti sono gli avvocati della controparte?» «Non lo so. Troppi per poterli contare. Almeno sei, con una fila di paralegali dietro di loro.» «E tu sarai tutto solo al tuo tavolo?» «Lo scenario è quello.» Helen masticò un boccone di pasta e poi disse: «Qualcuno controlla i documenti dei paralegali?». «Non credo. Perché?» «Stavo pensando che magari potrei farti da paralegale per qualche giorno. Ho sempre desiderato assistere a un processo.»
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David rise per la prima volta da ore. «Per favore, Helen! Non sono sicuro di volere che tu, o chiunque altro, venga ad assistere al massacro.» «Cosa direbbe il giudice se mi presentassi con una valigetta e un blocco e cominciassi a prendere appunti?» «Credo che a questo punto il giudice Seawright sia disposto a concedermi parecchia libertà di movimento.» «Posso chiedere a mia sorella di badare a Emma.» David rise di nuovo, ma l’idea stava prendendo consistenza. Cosa aveva da perdere? Quello poteva essere la prima e anche l’ultima occasione di dibattere un procedimento in aula. Perché non divertirsi un po’? «Mi piace» dichiarò. «Hai detto che nella giuria ci sono sette uomini?» «Sì.» «Gonna corta o lunga?» «Non troppo corta.»
41 Il Giurato Indeciso scriveva: “Giornata breve ieri al processo KlopeckVarrick, dato che il dream team ha avuto qualche difficoltà a radunarsi. Corre voce che l’avvocato capo, l’onorevole Wallis T. Figg, non si sia presentato all’appello e che il suo fedele assistente sia stato mandato a cercarlo. Fino a poco prima delle nove Figg non si era ancora visto in aula. Il giudice Seawright ha rimandato a casa la giuria con istruzioni di ripresentarsi questa mattina. Numerose telefonate allo studio Finley & Figg sono finite direttamente nella segreteria telefonica e a nessuna è stata data risposta dallo staff, sempre che lo studio disponga di uno staff. Che Figg sia sbronzo? Una domanda lecita, alla luce del fatto che negli ultimi dodici anni ha avuto almeno due sospensioni della patente per guida in stato di ebbrezza, l’ultima delle quali risale allo scorso anno. Dai dati in mio possesso, risulta che Figg si è sposato e ha divorziato quattro volte. Ho rintracciato la moglie numero 2, la quale ricorda che Wally ha sempre avuto problemi con la bottiglia. Contattata ieri nella sua abitazione, la parte attrice Iris Klopeck ha dichiarato di essere tuttora troppo malata per presentarsi in tribunale e, alla notizia che il suo legale non si era fatto vedere al processo, ha commentato: ‘La cosa non mi sorprende’. Dopodiché ha riattaccato. “Bart Shaw, noto avvocato specializzato in cause per negligenza professionale, è stato visto aggirarsi in aula. Si mormora che abbia intenzione di raccogliere i cocci del disastro Krayoxx e citare in giudizio Finley & Figg per avere mandato in malora le cause. Finora questo non è accaduto alla causa Klopeck, in teoria. La giuria non ha ancora deciso. Continuate a seguirci”.
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Seduto alla scrivania, David diede un’occhiata veloce ad altri blog mentre mangiava una barretta ai cereali e attendeva Wally, anche se in realtà non si aspettava di vederlo comparire. Nessuno ne sapeva niente: non Oscar, non Rochelle e nemmeno un paio di colleghi del suo ex club del poker. Oscar aveva telefonato a un suo amico nella polizia chiedendogli un’indagine informale, anche se né lui né David sospettavano qualche reato. Secondo quanto raccontava Rochelle, Wally una volta era scomparso per un’intera settimana senza una sola parola e poi aveva telefonato a Oscar da un motel di Green Bay, completamente sbronzo. David stava sentendo un sacco di racconti su Wally l’Ubriacone e tutti gli sembravano strani perché lui aveva conosciuto solo il Wally sobrio. Rochelle arrivò presto in studio e salì al piano di sopra, cosa che faceva raramente. Era preoccupata per David e si offrì di aiutarlo in qualsiasi modo le fosse possibile. David la ringraziò e cominciò a sistemare fascicoli nella valigetta. Ms Gibson diede da mangiare ad AC, andò a prendere il suo yogurt e, mentre sistemava la scrivania, controllò la posta elettronica. «David!» gridò. Era un’e-mail di Wally datata 26 ottobre, inviata alle cinque e dieci di mattina dal suo iPhone. “Ehi, sono vivo. Non chiamate la polizia e non pagate il riscatto. WF.” «Grazie al cielo sta bene» sospirò Rochelle. «Non dice che sta bene» puntualizzò David. «Dice solo che è vivo. Immagino che sia una buona cosa.» «Cosa intenderà con “riscatto”?» «Probabilmente voleva essere una battuta. Ah-ah.»
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Mentre guidava verso il centro, David chiamò tre volte Wally al cellulare. La casella vocale era piena. In una sala gremita di uomini seri in abito scuro, una bella donna attira molta più attenzione di quanta ne richiamerebbe camminando lungo una strada affollata. Nadine Karros si era servita del suo aspetto come di un’arma nella sua scalata al vertice dell’élite legale di Chicago. Mercoledì trovò una certa concorrenza. La nuova paralegale arrivò alle otto e quarantacinque e, come programmato, puntò diritta su Ms Karros e si presentò come Helen Hancock (cognome da nubile), uno dei paralegali part-time dello studio Finley & Figg. Poi si presentò a numerosi altri avvocati della difesa, costringendoli a interrompere qualsiasi cosa stessero facendo, alzarsi goffamente in piedi, stringerle la mano, sorriderle e mostrarsi gentili e simpatici. Con il suo metro e settanta abbondante, e scarpe con dieci centimetri di tacco, Helen era di poco più alta di Nadine e poteva guardare dall’alto anche qualche altro avvocato. Grazie agli occhi nocciola dietro gli eleganti occhiali griffati, per non parlare della figura slanciata e della gonna quindici centimetri sopra il ginocchio, Helen riuscì a turbare i rituali prepartita, anche se solo per un momento. Gli spettatori, quasi tutti uomini, la studiavano interessati. Suo marito, che fingeva di ignorare la scena, le indicò una sedia dietro di sé e in tono avvocatesco ordinò: «Mi passi quei fascicoli». E poi, a voce più bassa, aggiunse: «Sei stupenda, ma non sorridermi mai». «Sì, capo.» Helen aprì una valigetta, una delle tante della collezione di David. «Grazie per essere venuta.» Un’ora prima, dalla sua scrivania, David aveva inviato un’e-mail al giudice Seawright e a Nadine Karros per comunicare che Mr Figg aveva
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dato sue notizie, ma che non si sarebbe comunque presentato in tribunale. Nessuno aveva idea di dove fosse, né di quando si sarebbe fatto rivedere. Per quello che ne sapeva David, Wally poteva essere di nuovo in un motel di Green Bay, in stato comatoso, ma non lo disse. Richiamato sul banco dei testimoni, il dottor Igor Borzov si sedette con l’aria di un lebbroso che sta per essere lapidato. «Ms Karros, può cominciare il suo controinterrogatorio» disse il giudice Seawright. Nadine andò dietro il leggio. Indossava un’altra delle sue tenute killer: un aderente vestito di maglia color lavanda che metteva in splendido risalto il suo sodo fondoschiena, con un’alta cintura di pelle marrone ben stretta in vita a ribadire: “Ebbene sì, sono una taglia quaranta”. Ms Karros cominciò rivolgendo un amabile sorriso al teste, al quale chiese di parlare lentamente perché lunedì aveva avuto qualche problema a capirlo. Borzov rispose biascicando qualcosa di incoerente. Con così tanti bersagli a disposizione, era impossibile prevedere dove Ms Karros avrebbe cominciato ad attaccare. David non aveva potuto preparare Borzov, non che volesse passare anche solo un minuto in più in compagnia di quell’uomo. «Dottor Borzov, quando è stata l’ultima volta che ha avuto in cura un paziente?» Il testimone dovette riflettere per un momento, poi disse: «Circa dieci anni fa». La risposta diede l’avvio a una serie di domande su cosa esattamente avesse fatto nel corso degli ultimi dieci anni. Il dottor Borzov non aveva seguito pazienti, non aveva insegnato, non aveva fatto ricerca, non aveva fatto nessuna delle cose che ci si aspetta faccia un medico. Alla fine, dopo avere escluso virtualmente tutto, Ms Karros domandò: «Dottor Borzov, non è forse vero che negli ultimi dieci anni lei ha lavorato esclusivamente per vari avvocati specializzati in cause
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per risarcimento danni?». Il russo sembrò in imbarazzo. Non ne era sicuro. Ma Ms Karros sì. Disponeva di dati precisi, tutti desunti da una deposizione rilasciata l’anno prima dallo stesso Borzov in un altro processo. Armata di tutti i dettagli, Nadine prese il teste per mano e lo guidò lungo la strada che portava alla distruzione. Anno dopo anno, elencò tutte le cause, gli screening, i farmaci e gli avvocati. Quando terminò, un’ora più tardi, era chiaro a tutti i presenti che Igor Borzov altro non era che colui che metteva il timbro sui certificati degli specialisti in azioni collettive. Helen fece scivolare davanti a David un appunto scritto sul suo blocco: “Dove avete trovato questo tizio?”. “Impressionante, vero?” fu la risposta. “E costa solo settantacinquemila dollari.” “Pagati da chi?” “Meglio che tu non lo sappia.” Evidentemente la sedia bollente condizionava la sua dizione, oppure Borzov preferiva non farsi capire. Comunque fosse, diventò sempre più difficile comprendere quello che diceva. Nadine mantenne sempre la calma, tanto che David si chiese se le capitasse mai di perderla. Stava guardando un vero maestro all’opera e continuava a prendere appunti, non per cercare di resuscitare il suo teste, ma per annotarsi le tecniche di controinterrogatorio più efficaci. Ai giurati non poteva importare di meno. Erano assenti, già in attesa del testimone successivo. Nadine lo percepì e cominciò a eliminare domande dal suo elenco. Alle undici il giudice Seawright sentì la necessità di una pausa e concesse una sospensione di venti minuti.
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Quando la giuria lasciò l’aula, Borzov si avvicinò a David. «Per quanto ne avrò ancora?» domandò. «Non ne ho idea.» Il medico russo aveva il fiato corto e stava sudando. “Mi dispiace per te” avrebbe voluto dirgli David. “Ma se non altro sei pagato.” Durante la pausa Nadine e la sua squadra presero la decisione tattica di evitare un replay dell’ecocardiogramma di Percy. Borzov al momento era alle corde, ma riproporre l’esame gli avrebbe forse permesso di riguadagnare un po’ di terreno, visto che avrebbe potuto confondere di nuovo la giuria con il gergo medico. Dopo la pausa, Borzov tornò lentamente sul banco dei testimoni e Ms Karros cominciò a martellarlo sul tema dei suoi studi, sottolineando con particolare enfasi le differenze tra una facoltà di medicina negli Stati Uniti e una facoltà di medicina “laggiù”. Nadine conosceva la risposta di ogni sua domanda, e a quel punto Borzov se n’era reso conto. Diventò sempre più restio a rispondere direttamente, sapendo che qualsiasi discrepanza, per quanto lieve, sarebbe stata colta al volo, sezionata e infine utilizzata per prenderlo a schiaffi. Ms Karros continuò a insistere sull’aspetto della formazione professionale e riuscì a far inciampare il teste un paio di volte. Per mezzogiorno i giurati, quelli che ancora stavano seguendo il massacro, avevano ormai la netta impressione di un medico dal quale non si sarebbero fatti prescrivere neppure un balsamo per le labbra. Come mai il dottor Borzov non aveva mai pubblicato niente? Il teste sostenne che c’erano state delle pubblicazioni in Russia, ma dovette ammettere che non erano mai state tradotte. Perché non aveva mai insegnato? Le lezioni lo annoiavano, cercò di spiegare Borzov, anche se era difficile immaginarlo mentre tentava di comunicare con un gruppo di studenti.
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Per la pausa pranzo, David e la sua paralegale uscirono dal tribunale e andarono in una tavola calda dietro l’angolo. Helen era affascinata dal processo, ma ancora sbalordita dalla patetica prestazione del dottor Borzov. «Per tua informazione» disse davanti a un’insalata primavera «se mai dovessimo arrivare al divorzio, io mi prenderò Nadine.» «Oh, sul serio? Be’, allora io sarò costretto ad assumere Wally Figg. Sempre che riesca a tenerlo sobrio.» «Saranno guai, per te.» «Scordati il divorzio, baby, sei troppo carina e come paralegale hai un grande potenziale.» Helen si fece seria. «Senti, so che hai un mucchio di rogne in questo momento, però devi cominciare a pensare al futuro. Non puoi restare da Finley & Figg. Se Oscar non dovesse tornare al lavoro? Se Wally non smette di bere? E anche presumendo che tutti e due ce la facciano, perché dovresti restare lì?» «Non lo so. Non ho avuto molto tempo per rifletterci.» David aveva risparmiato a sua moglie i due incubi gemelli – le sanzioni della Norma 11 e le possibili cause per negligenza professionale – e aveva deciso di non parlarle neppure del fido di duecentomila dollari che aveva garantito personalmente, insieme ai due soci. Le sue dimissioni dallo studio in un futuro prossimo non erano contemplate. «Parliamone più avanti» aggiunse. «Scusami. È solo che credo che tu possa fare molto meglio, ecco tutto.» «Grazie, cara. Ma questo significa che non sei colpita dalla mia abilità in aula?»
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«Sei brillante, ma ho il sospetto che un solo grosso processo possa essere più che abbastanza per te.» «Per inciso, Nadine Karros non si occupa di divorzi.» «Questo taglia la testa al toro. Dovrò cercare di resistere.» All’una e mezzo Borzov salì per l’ultima volta sul banco dei testimoni e Nadine diede inizio all’attacco finale. Dato che il teste era un cardiologo che non aveva mai curato pazienti, si poteva affermare con sicurezza che non aveva mai seguito personalmente Percy Klopeck, vero? Vero. Inoltre Mr Klopeck era deceduto molto tempo prima che Borzov venisse assunto quale esperto. Però di sicuro il teste aveva consultato i medici che lo avevano avuto in cura, giusto? No, ammise Borzov, non lo aveva fatto. Fingendo incredulità, Ms Karros insistette con altre domande su quell’inconcepibile mancanza. Le risposte di Borzov si fecero più lente, la voce più debole, l’accento russo più marcato e finalmente, alle due e tre quarti, il testimone estrasse un fazzoletto bianco dalla tasca della giacca e cominciò a sventolarlo. Un dramma del genere non era stato previsto dai saggi che avevano redatto le norme procedurali dei processi federali, e David non sapeva bene cosa fare. Si alzò in piedi e disse: «Vostro onore, credo che il teste non sia in grado di continuare». «Dottor Borzov, si sente bene?» chiese il giudice Seawright. La risposta era evidente. Il testimone scosse la testa: no. «Non ho altre domande, vostro onore» annunciò Ms Karros, allontanandosi dal leggio. Un altro scalpo appeso alla cintura, un altro impressionante annientamento del nemico.
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«Mr Zinc, desidera reinterrogare il suo teste?» domandò il giudice. L’ultima cosa che David voleva era cercare di resuscitare un testimone morto. «No, signore» rispose immediatamente. «Dottor Borzov, può andare.» Aiutato da una guardia, Borzov uscì barcollando dall’aula, più ricco di settantacinquemila dollari ma con un’altra macchia nera sul suo curriculum. Il giudice Seawright aggiornò l’udienza alle tre e mezzo. Il dottor Herbert Threadgill era un farmacologo di dubbia reputazione. Come Borzov, per la fase finale della sua carriera aveva scelto la vita facile, lontano dalle rigide regole della medicina vera, senza fare niente a parte testimoniare come perito per avvocati che avevano bisogno delle sue opinioni, notoriamente flessibili, per puntellare la loro versione dei fatti. Le strade dei due testimoni di professione ogni tanto si incrociavano e loro si conoscevano bene. Threadgill era stato riluttante ad arruolarsi nella causa Klopeck per due ragioni: i dati fattuali erano pessimi e quindi il caso era debole, inoltre lui non aveva alcun desiderio di affrontare Nadine Karros in un’aula di tribunale. Alla fine aveva accettato per un unico motivo: cinquantamila dollari più le spese, per qualche ora di lavoro. Durante la pausa, vide Borzov fuori dall’aula e rimase sconvolto dal suo aspetto. «Non farlo» lo ammonì il russo, trascinandosi verso l’ascensore. Threadgill andò in bagno, si spruzzò un po’ d’acqua in faccia e decise di tagliare la corda. Vaffanculo la causa. Vaffanculo gli avvocati, tanto non erano neppure di quelli importanti. Era già stato pagato per intero, e se Finley & Figg avessero minacciato di denunciarlo avrebbe anche potuto decidere di restituire parte del compenso. O forse no. Entro un’ora sarebbe stato a bordo di un aereo. Fra tre ore avrebbe sorseggiato un drink con sua moglie nella veranda di casa. Non stava
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commettendo un reato. Non gli era stato notificato un ordine di comparizione in tribunale. Se necessario non avrebbe messo mai più piede a Chicago. Alle sedici David si ripresentò nello studio del giudice e annunciò: «Be’, vostro onore, a quanto pare ne abbiamo perso un altro. Non riesco a trovare il dottor Threadgill, che non risponde neppure al telefono». «Quando gli ha parlato per l’ultima volta?» «Durante la pausa pranzo. Era pronto a deporre, o almeno così mi aveva detto.» «Ha un altro testimone? Uno che sia qui e che non si sia volatilizzato?» «Sì, signore: la mia esperta di economia, la dottoressa Kanya Meade.» «Allora faccia deporre lei e vediamo se in qualche modo le anime perse ritroveranno la strada di casa.» Percy Klopeck aveva lavorato per ventidue anni come addetto allo smistamento della merce in una società di trasporti. Era un lavoro sedentario e Percy non aveva mai fatto niente per rompere la monotonia di otto ore di immobilità su una sedia. Non iscritto al sindacato, al momento del decesso percepiva uno stipendio di quarantaquattromila dollari all’anno e sarebbe stato ragionevole presumere altri diciassette anni di lavoro. La dottoressa Kanya Meade era una giovane economista dell’università di Chicago che ogni tanto faceva un secondo lavoro come perito di parte per guadagnare qualche dollaro extra, quindicimila, nel caso Klopeck. Il calcolo era semplice: quarantaquattromila dollari per
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diciassette anni, più i previsti aumenti annuali valutati in base al trend storico, più la pensione – calcolata ipotizzando un’aspettativa di vita di quindici anni una volta superati i sessantacinque –, pari al settanta per cento dello stipendio più alto. Riassumendo, la dottoressa Meade dichiarò che la morte di Percy era costata alla sua famiglia la somma di un milione e cinquecentodiecimila dollari. Dato che Mr Klopeck era spirato serenamente nel sonno, non ci sarebbero state richieste di risarcimento per danni biologici derivanti da dolore e sofferenze fisiche. Nel corso del controinterrogatorio, Ms Karros mise in discussione il dato relativo all’aspettativa di vita di Percy. Poiché Mr Klopeck era morto a quarantotto anni, e i decessi prematuri erano frequenti tra i suoi consanguinei maschi, non era realistico sostenere che sarebbe vissuto fino all’età di ottant’anni. Nadine però fu attenta a non soffermarsi troppo sul punto relativo al risarcimento. Farlo sarebbe servito soltanto a dare credibilità ai numeri. I Klopeck non avevano diritto neppure a un centesimo, e lei non voleva certo dare l’impressione di preoccuparsi di presunti danni. La dottoressa Meade concluse la sua deposizione alle cinque e venti. Il giudice Seawright aggiornò l’udienza alle nove del mattino seguente.
42 Dopo una dura giornata in tribunale, Helen non aveva voglia di cucinare. Passò a prendere Emma a Evanston, ringraziò calorosamente sua sorella, promise di raccontarle tutto in seguito e si precipitò al più vicino fast food. Emma, che dormiva molto meglio a bordo di veicoli in movimento che nella sua culla, sonnecchiò tranquilla mentre sua madre avanzava lentamente nella fila del drive-in. Helen ordinò una razione più abbondante del solito di hamburger e patatine perché sia lei sia David erano affamati. Stava piovendo e le giornate di fine ottobre si erano accorciate. Quando arrivò a casa dei Khaing vicino a Rogers Park, David era già lì. Il programma degli Zinc per la serata consisteva nel consumare una cena veloce, rientrare subito a casa e andare a letto presto, ma naturalmente la chiave di tutto era Emma. David non aveva altri testimoni per la parte attrice e non sapeva cosa aspettarsi da Nadine Karros. Nella documentazione preprocessuale la difesa aveva elencato ventisette periti e David aveva letto tutte le loro relazioni. Solo Ms Karros sapeva quanti ne avrebbe chiamati a deporre e in quale ordine. C’era poco che David potesse fare, a parte starsene seduto, ascoltare, sollevare ogni tanto un’obiezione, passare bigliettini alla sua avvenente paralegale e cercare di dare l’impressione di capire quello che stava succedendo. Secondo un suo vecchio compagno di università, che adesso lavorava in uno studio legale di Washington, era estremamente probabile che la difesa chiedesse un giudizio sommario, convincesse Seawright che la parte attrice non era riuscita a produrre neppure uno straccio di prova e vincesse la causa senza dover presentare nemmeno un testimone. “Potrebbe concludersi tutto entro domani” aveva detto
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l’amico dalla sua auto bloccata nel traffico di Washington, mentre David era nella stessa situazione a Chicago. Da quando, cinque mesi prima, Thuya era stato dimesso dall’ospedale, erano state pochissime le cene fast food del mercoledì sera che gli Zinc avevano saltato. L’arrivo di Emma aveva determinato una breve interruzione, ma non era passato molto tempo prima che i genitori cominciassero a portare in visita anche lei. Si era creato un rituale. Non appena Helen si avviava verso il palazzo con la bambina, Lwin e Zaw, la madre e la nonna, scattavano dal portone e correvano a vedere la piccola. In casa, Lynn ed Erin, le due sorelline di Thuya, sedevano fianco a fianco sul divano, ansiose di mettere le mani su Emma. Helen metteva la bimba in grembo a una delle due e le ragazzine, la loro madre e la nonna cominciavano a chiacchierare e a fare gridolini come se non avessero mai visto prima una neonata. Si passavano la piccola tra loro, avanti e indietro, e sempre con la massima attenzione. La scena si protraeva a lungo, mentre gli uomini morivano di fame. Thuya osservava tutto dal suo seggiolone e sembrava divertirsi. Ogni settimana David e Helen speravano di notare un minuscolo segno di miglioramento e ogni volta restavano delusi. Come avevano previsto i medici, un miglioramento era estremamente improbabile. Dopotutto il danno era permanente. David si sedette accanto al bambino, gli scompigliò i capelli come faceva sempre e gli porse una patatina. Chiacchierò con Soe e Lu, mentre le donne formavano un gruppo intorno a Emma. Dopo un po’ si accomodarono a tavola e tutti furono felici di sentire che David e Helen avrebbero cenato con loro. Di solito gli Zinc mangiavano qualcosa di più sano ed evitavano hamburger e patatine. Ma non quella sera. David spiegò che purtroppo avevano poco tempo e quindi non avrebbero potuto portare fuori Thuya.
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A metà del suo cheeseburger, David sentì il cellulare vibrare nella tasca della giacca. Diede un’occhiata, scattò in piedi, sussurrò a Helen: «È Wally» e uscì nel corridoio. «Dove sei?» Rispose una voce debole, quasi esanime. «Sono ubriaco, David. Molto ubriaco.» «Questo l’avevamo immaginato. Dove sei?» «Mi devi aiutare, David. Non c’è nessun altro. Oscar non vuole neppure parlarmi.» «Certo, Wally. Lo sai che ti aiuterò, ma dove sei?» «In studio.» «Sarò lì fra tre quarti d’ora.» Russava disteso sul divano accanto al tavolo, mentre AC lo guardava sospettoso. Era mercoledì sera e David ipotizzò, correttamente, che l’ultima doccia di Wally dovesse risalire al lunedì mattina, giornata iniziale del nuovo processo, sei giorni dopo il drammatico crollo di Oscar e la leggendaria battuta dello stesso Wally. Nessuna doccia, nessuna rasatura, nessun cambio di vestiti, visto che Wally indossava ancora lo stesso abito blu con camicia bianca dell’ultima volta. Mancava la cravatta. La camicia era sporca e macchiata. C’era un piccolo strappo nella gamba destra dei pantaloni e fango incrostato sulle suole delle scarpe nere nuove. David gli diede qualche colpetto sulla spalla e lo chiamò per nome. Niente. La faccia era gonfia e arrossata, ma non si vedevano lividi, tagli o graffi. Forse non si era azzuffato nei bar. David avrebbe voluto sapere dove era stato, ma allo stesso tempo preferiva non saperlo. Wally era sano e salvo. Ci sarebbe stato tempo in seguito
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per le domande, una delle quali sarebbe stata: “Come sei arrivato qui?”. La macchina di Wally non si vedeva in giro, il che in un certo senso era un sollievo. Forse, per quanto ubriaco, Wally aveva avuto la presenza di spirito di non mettersi al volante. Per contro, l’auto poteva essere incidentata, oppure era stata rubata o sequestrata. David sferrò un pugno sul bicipite del collega e strillò da una distanza di quindici centimetri. Il respiro rumoroso si interruppe per un secondo e poi riprese come prima. AC guaiva piano, così David lo lasciò uscire a fare la pipì e poi andò a preparare il caffè. Inviò un SMS a Helen: “Sbronzo forte ma vivo. Non so che fare”. Telefonò a Rochelle per aggiornarla. La chiamata a Oscar finì direttamente alla casella vocale. Wally si svegliò un’ora dopo e accettò una tazza di caffè. «Grazie, David» ripeté più volte. E poi: «Hai avvertito Lisa?». «Chi è Lisa?» «Mia moglie. Devi chiamarla. Quel figlio di puttana di Oscar si rifiuta di parlarmi.» David decise di stare al gioco per vedere dove quelle chiacchiere avrebbero portato. «Sì, ho chiamato Lisa.» «Davvero? E cosa ti ha detto?» «Che voi due avete divorziato parecchi anni fa.» «Tipico di Lisa.» Wally si fissava i piedi con gli occhi vitrei, non potendo o non volendo incontrare lo sguardo dell’amico. «Però ha detto che ti ama ancora» aggiunse David, tanto per scherzare.
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Wally cominciò a piangere, come fanno gli ubriachi quando piangono per tutto o niente. David si sentì un po’ stronzo, ma molto divertito. «Scusami» disse Wally, passandosi l’avambraccio sul viso. «Scusami tanto, David, grazie. Sai, Oscar non vuole parlare con me. Se ne sta a casa mia per nascondersi da sua moglie, mi ripulisce il frigo e quando io torno trovo la porta chiusa a chiave. Abbiamo litigato di brutto e i vicini hanno chiamato la polizia. Sono riuscito a scappare appena in tempo. A scappare da casa mia, ti rendi conto?» «Questo quando è successo?» «Non lo so. Un’ora fa, forse. In questo momento non ho le idee molto chiare sugli orari e sui giorni. Grazie, David.» «Prego. Senti, Wally, dobbiamo elaborare un piano. A quanto pare casa tua è off-limits. Se questa notte vuoi dormire qui e smaltire la sbronza ti tengo compagnia. AC e io ti faremo superare questo momento.» «Ho bisogno di aiuto, David. Non si tratta semplicemente di smaltire la sbornia.» «Okay, ma tornare sobrio sarà un importante primo passo.» All’improvviso Wally scoppiò a ridere. Gettò indietro la testa e rise forte, forte quanto umanamente possibile. Scosso dai conati si girò, tossì, rimase senza fiato, si asciugò le guance e, dopo essersi calmato un po’, continuò a ridacchiare piano per diversi minuti. Poi guardò David e scoppiò a ridere di nuovo. «Ti va di condividere il divertimento, Wally?»
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Sforzandosi di controllarsi, Wally rispose: «Stavo pensando alla prima volta che sei entrato qui dentro, ricordi?». «In parte sì.» «Non avevo mai visto nessuno più brillo di te. Tutto il giorno in un bar, giusto?» «Già.» «Completamente sbronzo, e poi sei saltato addosso a quella testa di cazzo di Gholston, quello dall’altra parte della strada. L’hai quasi colpito.» «Così mi è stato riferito.» «Io ho guardato Oscar, lui ha guardato me e tutti e due abbiamo detto: “Quel ragazzo ha del potenziale”.» Una pausa, mentre Wally si smarriva per un momento. «Hai vomitato due volte. E adesso chi è ubriaco e chi sobrio?» «Ti faremo tornare sobrio, Wally.» Wally non tremava più. Rimase a lungo in silenzio, poi disse: «Non ti chiedi mai in cosa ti sei cacciato, venendo qui? Avevi tutto: grande studio, grande stipendio, una carriera nella corsia veloce degli avvocati». «Non ho rimpianti, Wally» disse David. E in gran parte era vero. Un’altra lunga pausa. Wally fissava l’interno della tazza di caffè che stringeva con entrambe le mani. «Cosa ne sarà di me, David? Ho quarantasei anni, sono più al verde che mai, umiliato, un ubriacone che non riesce a restare lontano dalla bottiglia, un avvocato di mezza tacca che pensava di poter giocare in serie A.»
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«Questo non è il momento per riflettere sul futuro. Ciò di cui hai bisogno adesso è una bella disintossicazione. Devi eliminare l’alcol dall’organismo. E poi potrai prendere delle decisioni.» «Non voglio diventare come Oscar. Lui ha diciassette anni più di me e io tra diciassette anni non voglio essere ancora qui, a fare le stesse cazzate che facciamo ogni giorno. Grazie, David.» «Prego.» «Tu vuoi essere qui tra diciassette anni?» «Non ci ho ancora pensato. Per il momento mi basta arrivare alla fine di questo processo.» «Quale processo?» Non sembrava che Wally stesse scherzando o fingendo, così David lasciò perdere. «L’anno scorso sei stato in riabilitazione, vero?» Wally aggrottò la fronte, sforzandosi di ricordare. «Che giorno è oggi?» «Oggi è mercoledì, 26 ottobre.» Wally cominciò ad annuire. «Sì, ottobre dell’anno scorso. Sono stato dentro per trenta giorni, un bel periodo.» «Dov’è quel centro di riabilitazione?» «Oh, si chiama Harbor House, poco più a nord di Waukegan. Il mio preferito. È proprio sul lago, molto bello. Credo che dovremmo telefonare a Patrick.» Estrasse il portafoglio.
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«Chi è Patrick?» «Il mio counselor» rispose Wally, porgendo a David un biglietto da visita: “Harbor House. Dove inizia una nuova vita. Patrick Hale, team leader”. «Si può telefonare a Patrick a qualsiasi ora, fa parte del suo lavoro.» David lasciò un messaggio sulla segreteria di Patrick, dicendo di essere un amico di Wally Figg e che doveva parlargli al più presto per una questione importante. Qualche minuto dopo sentì vibrare il cellulare. Era Patrick, che sembrò sinceramente dispiaciuto nel sentire le cattive notizie riguardanti Wally, ma pronto ad aiutare immediatamente. «Non lo perda di vista» raccomandò. «E lo porti subito qui, per favore. Vi aspetto fra un’ora.» «Andiamo, amico» disse David, afferrando Wally per un braccio. Lui si alzò in piedi, riuscì a trovare l’equilibrio e, sottobraccio a David, uscì dallo studio e salì a bordo del SUV. Quando accelerarono sulla I-94 North, stava già russando di nuovo. Grazie al navigatore satellitare, David trovò Harbor House un’ora dopo avere lasciato lo studio. Era una piccola struttura privata annidata tra i boschi poco più a nord di Waukegan, in Illinois. David non riuscì a svegliare Wally, così lo lasciò in auto e andò a cercare Patrick Hale, che li aspettava nell’area ricevimento. Patrick mandò due inservienti in tenuta bianca a prelevare Wally con una lettiga e, cinque minuti dopo, i due lo portarono dentro, ancora privo di sensi. David seguì Patrick in un piccolo ufficio, dove li aspettavano moduli e documenti da compilare. «Quante volte è stato qui Wally?» domandò David nel tentativo di fare conversazione. «Sembra che conosca bene questo posto.»
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«Temo che si tratti di un’informazione riservata, almeno per quanto ci riguarda.» Il sorriso cordiale di Hale era scomparso non appena ebbe richiuso la porta dell’ufficio. «Mi scusi.» Patrick stava esaminando alcuni fogli fissati a un portablocco. «Mr Zinc, abbiamo un piccolo problema con il conto di Wally e io non so bene cosa fare. Vede, quando l’anno scorso è stato dimesso, la sua assicurazione ha pagato solo mille dollari al giorno per le cure di cui aveva usufruito qui da noi. In considerazione del trattamento eccezionale che offriamo, e dei risultati, della struttura e dello staff, noi addebitiamo millecinquecento dollari al giorno. Wally se n’è andato lasciando un debito di poco inferiore ai quattordicimila dollari. Poi ha fatto qualche pagamento, ma al momento ci deve ancora undicimila dollari.» «Io non sono responsabile delle sue fatture mediche o delle sue cure per l’alcolismo. E non ho niente a che fare con la sua assicurazione.» «Be’, allora non possiamo ricoverarlo.» «Non riuscite a guadagnare addebitando mille dollari al giorno?» «Preferirei non parlare di questo, Mr Zinc. Noi addebitiamo quello che addebitiamo. Abbiamo sessanta letti, nessuno dei quali è libero.» «Wally ha quarantasei anni. Perché dovrebbe avere bisogno di qualcuno che garantisca per lui?» «Infatti di solito non è così, ma Wally non è un buon pagatore.» “E questo prima del Krayoxx” pensò David. “Dovresti vedere adesso il saldo del suo conto corrente.”
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«Per quanto tempo prevede di trattenerlo questa volta?» domandò. «L’assicurazione copre trenta giorni.» «Perciò saranno trenta giorni, quali che siano i progressi fatti dal paziente. Dipende tutto dall’assicurazione, giusto?» «La realtà è questa.» «È una pagliacciata. Cosa succede se al paziente serve più tempo? Un mio amico, un ex compagno di liceo, era diventato cocainomane. Anche lui ha fatto per due o tre volte la routine dei trenta giorni e non ha mai funzionato. Ci è voluto un anno sottochiave in una struttura di massima sicurezza per ripulirlo e rimetterlo in carreggiata.» «Tutti noi abbiamo qualche storia da raccontare.» «Ci scommetto che lei ne ha.» David alzò le mani. «Okay, Mr Hale, cosa facciamo? Sappiamo entrambi che Wally questa notte non può andarsene da qui perché altrimenti si farebbe del male.» «Possiamo anche tralasciare il debito scaduto, ma abbiamo bisogno che qualcuno garantisca per la quota non coperta dall’assicurazione da adesso in poi.» «Cinquecento dollari al giorno? Non un centesimo di più.» «Esatto.» David estrasse il portafoglio, sfilò una carta di credito e la gettò sulla scrivania. «Questa è la mia American Express. Ci sto per un massimo di dieci giorni. Tra dieci giorni verrò a riprendermi Wally e penserò a qualcos’altro.»
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Patrick scribacchiò velocemente i dati della carta di credito, che poi restituì. «Wally ha bisogno di più di dieci giorni.» «È evidente. Ha già dimostrato che non gliene bastano neppure trenta.» «Quasi tutti gli alcolisti richiedono almeno tre o quattro tentativi, sempre che poi riescano a farcela.» «Dieci giorni, Mr Hale. Non ho molti soldi, ed esercitare la professione con Wally si sta dimostrando un’attività non proprio remunerativa. Non so cosa facciate qui dentro, ma la prego di farlo in fretta. Tornerò tra dieci giorni.» Mentre si avvicinava all’incrocio della Tri-State Tollway, sul cruscotto cominciò a lampeggiare una spia rossa. Era quasi senza benzina. Negli ultimi tre giorni non aveva dato neppure un’occhiata all’indicatore. L’area di servizio era affollata, sporca, squallida e bisognosa di ristrutturazione. Su un lato c’era una tavola calda e sull’altro un piccolo supermarket. David fece il pieno, pagò con la carta di credito ed entrò nel negozio per comprarsi una bibita. C’era un’unica cassa e una fila di clienti in attesa, così andò a cercarsi senza fretta una Diet Coke e un sacchetto di noccioline. Stava tornando verso la cassa quando si immobilizzò di colpo. L’espositore era stracarico di giocattoli, gadget e cianfrusaglie di Halloween. A metà altezza c’era una confezione di plastica trasparente con... denti del vampiro coloratissimi. David afferrò la confezione e guardò subito l’etichetta. Made in China. Importato dalla Gunderson Toys di Louisville, Kentucky. Afferrò tutte e quattro le confezioni, come prova, naturalmente, ma anche per togliere di torno quella merda prima che si ammalasse qualche altro bambino. La cassiera gli lanciò una strana occhiata, mentre passava i suoi acquisti sul lettore.
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David pagò in contanti e risalì a bordo del SUV. Si allontanò dalle pompe di benzina e si fermò sotto un lampione dalla luce brillante, accanto a un autotreno. Usando l’iPhone cercò la Gunderson Toys su Google. L’azienda aveva quarant’anni e un tempo era stata una ditta individuale. Quattro anni prima era stata acquistata dalla Sonesta Games Inc., la terza società di giocattoli d’America. David aveva un intero dossier sulla Sonesta.
43 Era già buio, quando Reuben Massey atterrò al Midway Airport a bordo di uno dei Gulfstream G650 della Varrick. Venne accolto da un entourage con il quale si allontanò immediatamente in un corteo di Cadillac Escalade nere. Trenta minuti dopo entrò nella Trust Tower e venne fatto salire in cielo, al centounesimo piano, dove Rogan Rothberg disponeva di una raffinata sala da pranzo che veniva utilizzata solo dai soci anziani più autorevoli e dai loro clienti più importanti. Nicholas Walker e Judy Beck lo stavano aspettando in compagnia di Nadine Karros e Marvin Macklow, socio dirigente dello studio. Un cameriere in smoking bianco servì i cocktail mentre venivano fatte le presentazioni e tutti si mettevano a proprio agio. Era da mesi che Reuben voleva conoscere, ed esaminare, Nadine Karros. Non rimase deluso. La signora attivò il suo fascino e dopo il primo cocktail Massey era già cotto. Si dava parecchio da fare con le donne, era costantemente a caccia e, be’, non si può mai sapere cosa succederà con una nuova conoscenza. Tuttavia, in base al rapporto informativo, Nadine era felicemente sposata e il suo unico diversivo era il lavoro. Nick Walker la conosceva da dieci mesi e non aveva mai notato in lei niente di meno di una totale devozione alla professione. “Non ce la farai” aveva detto al suo boss nella sede della Varrick. Come da preferenze di Reuben, la cena fu a base di insalata d’aragosta con conchiglie di pasta. Massey sedeva di fianco a Nadine, di cui ascoltava con la massima attenzione ogni parola. Non le lesinò lodi per il modo in cui stava gestendo la causa e il processo. Lui, come tutti intorno a quel tavolo, aspettava con ansia un verdetto memorabile.
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«Siamo qui per fare conversazione» disse Nick, dopo che furono portati via i piatti del dessert. «Prima, però, vorrei che Nadine ci spiegasse cosa succederà ora in tribunale.» Senza esitare, Ms Karros cominciò il suo riassunto. «Presumiamo che la controparte non abbia altri testimoni. Se domani mattina dovesse presentarsi il farmacologo, gli verrà consentito di deporre, ma le nostre fonti ci dicono che il dottor Threadgill è tuttora nascosto a casa sua, a Cincinnati. Per cui la parte attrice dovrebbe concludere la sua produzione di prove alle nove. A quel punto abbiamo una scelta. La prima, e la più ovvia, è chiedere un giudizio sommario. Il giudice Seawright permette che la richiesta venga presentata sia oralmente sia per iscritto. Noi lo faremo in entrambi i modi e contemporaneamente, se sceglieremo questa opzione. Sono convinta, ed è un parere condiviso anche dalla mia squadra, che ci siano ottime possibilità che il giudice accolga immediatamente un’istanza in questo senso. La controparte non è riuscita a produrre nemmeno gli elementi più basilari di una causa vera, e questo lo sanno tutti, compreso l’avvocato della parte attrice. Al giudice Seawright questo caso non è mai piaciuto, e francamente ho l’impressione che non veda l’ora di liberarsene.» «Quali sono i precedenti del giudice in materia di istanze di giudizio sommario presentate dopo le conclusioni dell’attore?» chiese Reuben. «Negli ultimi vent’anni Seawright ha accolto istanze del genere più di qualsiasi altro giudice federale di Chicago e dello Stato dell’Illinois. La sua pazienza è pari a zero quando si tratta di casi che non riescono a produrre uno straccio di prova.» «Io però voglio un verdetto» disse Reuben. «Allora lasceremo perdere il giudizio sommario e cominceremo a chiamare i nostri testimoni. Ne abbiamo molti, li avete pagati voi, e
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saranno tutti impeccabili. Ma ho la netta sensazione che la giuria non ne possa già più.» «Assolutamente» intervenne Nick Walker, che era stato in aula tutti i giorni e aveva ascoltato ogni parola. «Ho il sospetto che i giurati abbiano già cominciato a discutere tra loro, nonostante le ammonizioni del giudice Seawright.» «I nostri consulenti si raccomandano di chiudere al più presto, di certo prima del weekend. Il verdetto è praticamente sicuro.» Reuben sorrise a Nadine e le chiese: «Allora, avvocato, qual è il suo consiglio?». «Per me una vittoria è una vittoria. Un giudizio sommario è come una schiacciata a canestro. Se optiamo per la giuria c’è sempre il rischio di un incidente imprevisto. Io sceglierei la soluzione più semplice, ma mi rendo conto che qui c’è in gioco molto più della decisione di un giudice.» «Quanti casi dibatte in aula all’anno?» «In media sei. Non posso prepararne di più, quale che sia lo staff a disposizione.» «E da quanti anni non perde?» «Undici. Sessantaquattro vittorie di fila, ma chi tiene il conto?» La vecchia battuta suscitò risate molto più fragorose di quanto meritasse, ma tutti avevano bisogno di sdrammatizzare un po’. «Si è mai sentita così sicura in un processo con giuria?» domandò Reuben.
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Nadine bevve un sorso di vino, rifletté per un momento e poi scosse la testa. «Non che io ricordi.» «Se optiamo per il verdetto della giuria, quali sono le nostre possibilità di vittoria?» Tutti guardarono Ms Karros, che bevve un altro minuscolo sorso. «Un avvocato non dovrebbe mai fare previsioni del genere, Mr Massey.» «Ma lei non è un avvocato qualunque, Ms Karros.» «Novantacinque per cento.» «Novantanove» la corresse Nick Walker con una risata. Reuben bevve un sorso del suo terzo scotch, fece schioccare le labbra e disse: «Allora voglio un verdetto. Voglio che la giuria discuta per pochi minuti e poi rientri in quell’aula con un verdetto a favore della Varrick Laboratories. Per me un verdetto è smentita, vendetta, rappresaglia: è molto più di una vittoria. Me lo prenderò e lo sbatterò in giro per il mondo. Il nostro ufficio di pubbliche relazioni e le agenzie pubblicitarie sono già pronti e non vedono l’ora di entrare in azione. Koane, il nostro uomo a Washington, mi assicura che un verdetto favorevole sbloccherà l’impasse all’FDA e determinerà una revoca del ritiro. I nostri avvocati, da costa a costa, sono convinti che un esito del genere spaventerà ulteriormente i ragazzi delle azioni collettive e li farà correre a nascondersi. Voglio un verdetto, Nadine. Tu me lo puoi dare?». «Come ti dicevo, Reuben, sono sicura al novantacinque per cento.» «Allora è deciso. Niente giudizio sommario. Seppelliamo quei bastardi.»
44 Alle nove in punto di giovedì mattina, la guardia giudiziaria chiese silenzio in aula e tutti si alzarono in piedi per l’ingresso del giudice Seawright. Dopo che la giuria ebbe preso posto, il giudice disse brusco: «Proceda, Mr Zinc». David si alzò in piedi. «Vostro onore, la parte attrice ha concluso.» Il giudice Seawright non rimase sorpreso. «Ha perso qualche altro testimone, Mr Zinc?» «No, signore. Li ho solo finiti.» «Molto bene. Nessuna istanza, Ms Karros?» «No, vostro onore. Siamo pronti a procedere.» «Lo immaginavo. Chiami il suo primo testimone.» Lo aveva immaginato anche David. Si era permesso di sperare che quella mattina il processo si sarebbe concluso rapidamente, ma era evidente che Nadine e il suo cliente sentivano l’odore del sangue. Da quel momento in poi lui avrebbe avuto ben poco da fare, a parte ascoltare e osservare un vero avvocato processuale. «La difesa chiama a deporre il dottor Jesse Kindorf.» David lanciò un’occhiata ai giurati e notò parecchi sorrisi. Stavano per incontrare un’autentica celebrità.
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Jesse Kindorf era un ex direttore dell’Istituto superiore di sanità degli Stati Uniti, carica che aveva ricoperto per sei anni, un personaggio brillante e controverso. Aveva attaccato le società del tabacco quasi quotidianamente. Aveva tenuto affollate conferenze stampa nelle quali aveva denunciato gli eccessi lipidici e calorici di popolari fast food. Aveva rilasciato durissime dichiarazioni contro alcuni dei più noti marchi societari americani, grandi aziende colpevoli di produrre e commercializzare enormi quantitativi di cibi fortemente manipolati. In momenti diversi nel corso del suo mandato era sceso sul sentiero di guerra per combattere il burro, il formaggio, le uova, la carne rossa, lo zucchero, le bevande analcoliche e quelle alcoliche, ma la sua provocazione più clamorosa era stata la proposta di mettere al bando il caffè. Adorava le luci della ribalta e grazie al bel viso, al fisico atletico e alla mente brillante era diventato il più famoso titolare della carica nella storia degli Stati Uniti. Che ora fosse passato sull’altro lato della barricata e testimoniasse a favore di una grande società, era un chiaro segnale ai giurati del fatto che lui credeva nel farmaco in discussione. Ed era un cardiologo, di Chicago. Salì sul banco dei testimoni e lanciò un sorriso alla giuria, la sua giuria. Nadine cominciò il tedioso rituale dell’esposizione dei titoli professionali al fine di fare ammettere il teste come perito qualificato. David scattò quasi subito in piedi e disse: «Vostro onore, siamo lieti di riconoscere il dottor Kindorf quale esperto in materia di cardiologia». Nadine si voltò, sorrise e disse: «Grazie». «Grazie, Mr Zinc» grugnì il giudice Seawright. Il succo della deposizione fu che il dottor Kindorf aveva prescritto il Krayoxx a migliaia di suoi pazienti durante gli ultimi anni, senza mai riscontrare alcun effetto collaterale. Il farmaco funzionava meravigliosamente per circa il novanta per cento dei suoi pazienti,
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abbassando in modo sostanziale il livello di colesterolo. Sua madre stessa, novantunenne, assumeva il Krayoxx, o almeno lo aveva fatto fino a quando il farmaco era stato ritirato dall’FDA. La paralegale scribacchiò un appunto sul blocco e lo passò al suo capo: “Quanto pensi che lo paghino?”. David scrisse velocemente la risposta, come se stessero discutendo di una grossa falla nella deposizione. “Moltissimo.” Nadine Karros e il dottor Kindorf procedettero in quella che sembrò un’impeccabile seduta di allenamento di baseball. Nadine lanciava splendide palle e Kindorf le colpiva con la mazza mandandole fuori campo. La giuria avrebbe voluto applaudirli. Quando il giudice Seawright domandò: «Controinterrogatorio, Mr Zinc?», David si alzò in piedi e rispose educatamente: «No, vostro onore». Per accattivarsi i giurati neri, Nadine chiamò a deporre un certo dottor Thurston, un distinto gentiluomo di colore con la barba grigia e un elegante abito su misura. Il dottor Thurston, anche lui di Chicago, era a capo di un gruppo di trentacinque cardiologi e chirurghi cardiovascolari. Nel tempo libero insegnava alla facoltà di medicina dell’università di Chicago. Per accelerare le cose, David non mise in discussione la sua attendibilità professionale. Nel corso degli ultimi sei anni il dottor Thurston e il suo gruppo avevano prescritto il Krayoxx a decine di migliaia di pazienti, con risultati straordinari e nessun effetto collaterale. Il farmaco, a suo parere, era assolutamente sicuro; anzi, lui e i suoi colleghi lo consideravano un prodotto miracoloso. Lamentava con forza la sua assenza dal mercato e, sì, avrebbe subito ripreso a prescriverlo non appena fosse ricomparso. Con un effetto molto teatrale il
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dottor Thurston rivelò ai giurati di avere assunto personalmente il Krayoxx per ben quattro anni. Per risvegliare l’attenzione della signora ispanica nella giuria, la difesa chiamò a deporre la dottoressa Roberta Seccero, cardiologa e ricercatrice presso la Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota. David diede semaforo verde anche a lei e la dottoressa, senza la minima sorpresa, cominciò a cinguettare come un uccellino in un mattino di primavera. I suoi pazienti erano perlopiù donne, e il Krayoxx in pratica serviva a tutto, a parte farle dimagrire. Non c’erano dati statistici tali da dimostrare che chi faceva uso di Krayoxx fosse più soggetto a infarto o ictus di chi non lo assumeva. La dottoressa e i suoi colleghi avevano svolto accurate ricerche in merito e non avevano dubbi. Nei suoi venticinque anni come cardiologa, non aveva mai visto un farmaco più sicuro e più efficace del Krayoxx. Il quadro etnico venne completato quando Ms Karros chiamò sul banco dei testimoni un giovane medico coreano di San Francisco, il quale, stranamente, somigliava molto al giurato numero 19. Il dottor Pang si schierò con entusiasmo a favore del farmaco ed espresse sconcerto per il suo ritiro dal mercato. Lui lo aveva prescritto a centinaia di pazienti e sempre con risultati ottimi. David non aveva domande neppure per il dottor Pang. Non aveva alcuna intenzione di duellare con nessuno di quei medici eminenti. Cosa avrebbe dovuto fare, mettersi a discutere di medicina con alcuni degli specialisti più qualificati del paese? Nossignore. Rimase seduto con un occhio all’orologio, le cui lancette si muovevano molto lentamente. Non c’era il minimo dubbio che, se ci fosse stato un giurato di origine lituana, Nadine avrebbe estratto dal cappello a cilindro un perito con un cognome lituano e un curriculum professionale inattaccabile.
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Il quinto testimone era direttore del dipartimento di cardiologia alla Feinberg School of Medicine, Northwestern University, la dottoressa Parkin. La sua deposizione fu un po’ diversa. La donna era stata assunta dalla difesa per effettuare un’analisi dettagliata e approfondita della storia sanitaria di Percy Klopeck. La dottoressa aveva esaminato la documentazione medica di Percy a partire dall’età di dodici anni e, per quanto le era stato possibile, anche quelle dei genitori e dei familiari più stretti. Aveva inoltre registrato dichiarazioni di amici e colleghi di lavoro, almeno di quelli disposti a collaborare. Al momento del decesso Percy assumeva Prinzide e Levatol per l’ipertensione, insulina per il diabete di tipo 2, Bexnin per l’artrite, Plavix come anticoagulante, Colestid per l’aterosclerosi e Krayoxx per il colesterolo. Come pillola della felicità Percy preferiva lo Xanax, che scroccava agli amici, rubava a Iris o acquistava in rete, e di cui faceva uso quotidiano per mitigare lo stress della vita con “quella donna”, secondo quanto dichiarava un collega. Ogni tanto buttava giù anche qualche Fedamin, un anoressizzante da banco che si supponeva dovesse farlo mangiare meno e che invece sembrava avere avuto l’effetto opposto. Percy aveva fumato per vent’anni, ma all’età di quarantuno era riuscito a smettere con l’aiuto del Nicotrex, un chewing gum alla nicotina noto per dare dipendenza. Percy lo masticava di continuo e ne consumava almeno tre confezioni al giorno. Le analisi del sangue effettuate un anno prima della morte avevano evidenziato una riduzione della funzionalità epatica. A Mr Klopeck piaceva il gin e, come dimostravano i rendiconti della sua carta di credito ottenuti da Ms Karros, ne acquistava almeno tre bottiglie alla settimana nel negozio di liquori Bilbo’s Spirits in Stanton Avenue, a cinque isolati da casa sua. Al mattino si sentiva spesso male, lamentava emicranie, e al lavoro teneva almeno due grossi flaconi di analgesico a portata di mano, vicino alla sua scrivania disordinata. Quando la dottoressa Parkin terminò la sua lunga esposizione delle abitudini e delle condizioni di salute di Percy, a tutti sembrò
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palesemente ingiusto imputare la sua morte a un unico farmaco. Dato che non era stata effettuata l’autopsia – Iris era troppo sconvolta anche solo per prendere in considerazione l’idea – non esistevano prove certe che il decesso fosse stato provocato da un infarto. La morte poteva essere stata provocata da un’“insufficienza respiratoria” dalle molte origini. Wally e Oscar avevano discusso se far esumare la salma per avere un quadro più chiaro della causa della morte, ma Iris si era infuriata. Inoltre l’esumazione, l’autopsia e la nuova sepoltura sarebbero costate quasi diecimila dollari, e Oscar si era rifiutato recisamente di spendere quella somma. Era opinione della dottoressa Parkin che Percy Klopeck fosse morto giovane perché geneticamente predisposto a un decesso prematuro, reso ancora più probabile dal suo stile di vita. La dottoressa dichiarò inoltre che era impossibile prevedere l’effetto cumulativo dello stupefacente fuoco di sbarramento costituito da tutti quei farmaci. “Povero Percy” pensò David. Aveva vissuto una breve vita anonima ed era morto serenamente nel sonno, senza il minimo sospetto che un giorno le sue abitudini e i suoi problemi di salute sarebbero stati discussi in ogni dettaglio da estranei in un’aula di tribunale aperta al pubblico. La deposizione della dottoressa Parkin fu devastante e non presentava un solo particolare che David desiderasse riprendere nel controinterrogatorio. Alle dodici e trenta il giudice Seawright aggiornò l’udienza alle quattordici. Gli Zinc uscirono dal tribunale e si regalarono un lungo, piacevole pranzo. David ordinò una bottiglia di vino bianco e sua moglie, che beveva raramente, se ne concesse un bicchiere. Brindarono a Percy, che riposasse in pace.
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A parere di David il novellino, Nadine e la difesa commisero un piccolo errore con il loro primo teste del pomeriggio. Era il dottor Litchfield, cardiologo e chirurgo cardiovascolare alla Cleveland Clinic, istituzione famosa in tutto il mondo in cui visitava pazienti, insegnava e svolgeva l’attività di ricercatore. A Litchfield spettava il noioso compito di illustrare ai giurati l’ultimo ecocardiogramma di Percy, lo stesso video che, nelle mani di Igor Borzov, aveva messo tutti KO. Intuendo che una seconda visione non sarebbe stata bene accolta, Nadine premette l’acceleratore e optò per una versione ridotta della deposizione, il cui succo risultò essere che non c’era stata alcuna riduzione del rigurgito nella valvola mitrale. Il ventricolo sinistro non era dilatato. Se il paziente era effettivamente morto per un infarto, risultava comunque impossibile determinarne la causa. Conclusione: Borzov era un idiota. David ebbe una rapida visione di Wally, disteso tranquillo su un comodo letto in camicia da notte, o pigiama o qualsiasi cosa venisse fornita dalla Harbor House, adesso sobrio, calmo grazie a un sedativo, magari intento a leggere o semplicemente a guardare il lago Michigan, i pensieri lontani un milione di chilometri dal massacro nell’aula 2314. Eppure era tutta colpa sua. Durante i mesi che aveva passato sfrecciando da un punto all’altro di Chicago, visitando pompe funebri, distribuendo dépliant in palestre e fast food, nemmeno una volta si era fermato a studiare la fisiologia e la farmacologia del Krayoxx, e i suoi presunti danni alle valvole cardiache. Wally era semplicemente e ansiosamente partito dal presupposto che il farmaco fosse dannoso e, istigato da furbastri come Jerry Alisandros e altre star dei risarcimenti collettivi, si era unito alla parata e aveva cominciato a contare i soldi. Nella quiete della riabilitazione gli capitava mai di pensare al processo, alla causa scaricata sulle spalle di David mentre lui e Oscar se ne stavano nascosti a leccarsi le ferite? No, decise David, Wally non si
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preoccupava affatto del processo. Wally aveva problemi più grossi: la sobrietà, la bancarotta, il lavoro, il suo studio. Il teste successivo era un professore e ricercatore di Harvard che aveva studiato il Krayoxx e pubblicato un articolo illustrativo sul “New England Journal of Medicine”. David riuscì a ottenere qualche risatina quando, senza mettere in discussione il curriculum del testimone, disse: «Vostro onore, se il professore è stato a Harvard sono certo che la sua credibilità è assoluta. Deve essere sicuramente molto brillante». Per fortuna i giurati non erano stati informati della laurea a Harvard di David, altrimenti la battuta avrebbe potuto avere l’effetto contrario. I laureati di Harvard che amavano parlare della loro laurea a Harvard in genere non erano molto ben visti a Chicago. “Battuta stupida” scrisse la paralegale. David non rispose. Erano quasi le quattro del pomeriggio e voleva soltanto andarsene. Il professore continuava monotono a parlare dei suoi metodi di ricerca. Non un solo giurato gli prestava attenzione. Quasi tutti sembravano avere l’elettroencefalogramma piatto, totalmente storditi da quell’inutile esercizio di responsabilità civica. Se è questo a rendere forte una democrazia, che Dio ci aiuti. David si chiese se non stessero già discutendo la causa tra loro. Ogni mattina e ogni pomeriggio il giudice Seawright rivolgeva ai giurati lo stesso ammonimento a proposito di contatti impropri, la proibizione di leggere articoli riguardanti il processo sui giornali o in rete e la necessità di astenersi dal parlare del caso fino a quando non fossero state presentate tutte le prove. Erano stati fatti molti studi sul comportamento delle giurie, sulle dinamiche decisionali di gruppo e così via, e quasi tutti concordavano sul fatto che i giurati non vedevano l’ora di cominciare a spettegolare sugli avvocati, sui testimoni e perfino sul
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giudice. Inoltre tendevano a formare coppie, a fraternizzare, o a dividersi in conventicole e schieramenti e a esprimere prematuramente le loro considerazioni. Era raro però che discutessero come un insieme unico. Più spesso, le piccole, ristrette sedute private venivano tenute nascoste a tutti gli altri. David distolse l’attenzione dall’ex collega di Harvard, sfogliò qualche pagina del suo blocco per gli appunti e riprese a lavorare sulla bozza di una lettera. Egregio Mr..., rappresento la famiglia di Thuya Khaing, un bambino di cinque anni figlio di immigrati birmani che vivono e lavorano regolarmente nel nostro paese. Dal 20 novembre al 19 maggio dell’anno in corso, Thuya è stato ricoverato presso il Lakeshore Children’s Hospital di Chicago. Il bambino aveva ingerito una quantità di piombo quasi letale, e in numerose occasioni è stato tenuto in vita grazie a un respiratore. È opinione dei medici curanti (troverà allegato un riassunto delle loro dichiarazioni) che Thuya abbia riportato danni cerebrali gravi e permanenti. La sua aspettativa di vita è solo di qualche anno, tuttavia non è escluso che possa sopravvivere fino a vent’anni. L’origine del piombo ingerito da Thuya è un giocattolo fabbricato in Cina e importato dalla vostra consociata Gunderson Toys. Si tratta di un gadget di Halloween denominato “denti del vampiro”. Secondo il dottor Biff Sandroni, tossicologo di cui avete probabilmente sentito parlare, i denti giocattolo dai colori vivaci sono rivestiti da
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vernici sature di piombo. Allego copia della relazione del dottor Sandroni per una vostra cortese lettura. Allego inoltre copia dell’atto di citazione nei confronti di Sonesta Games che depositerò presso la corte federale di Chicago in un futuro molto prossimo. Nel caso desideriate discutere di... «Controinterrogatorio, Mr Zinc?» lo interruppe il giudice Seawright. «No, vostro onore.» «Bene. Sono le cinque e un quarto. L’udienza è aggiornata alle nove di domani mattina, con le stesse istruzioni di sempre alla giuria.» Wally era su una sedia a rotelle, indossava un accappatoio bianco di cotone e calzava un paio di ciabatte di tela che contenevano a malapena i piedi carnosi. Un inserviente lo spinse fino alla sala visite, dove David aspettava davanti a una grande finestra, guardando il buio del lago Michigan. L’inserviente se ne andò e i due avvocati rimasero soli. «Perché sei su una sedia a rotelle?» chiese David, lasciandosi cadere sopra un divano di pelle. «Sono sotto sedativi» rispose Wally, lentamente e a bassa voce. «Per un paio di giorni mi daranno qualche pillola per... insomma, per calmare le cose. Se provo a camminare magari cado e mi rompo la testa, o roba del genere.» Ventiquattr’ore dopo una sbronza di tre giorni aveva ancora un aspetto terribile. Gli occhi erano arrossati e gonfi, il viso triste e sconfitto. Aveva bisogno di tagliarsi i capelli.
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«Non sei curioso di sapere del processo, Wally?» Un’esitazione mentre Wally elaborava la domanda, poi: «Ci ho pensato, sì». «Ci hai pensato? Molto gentile da parte tua. Noi dovremmo finire domani, e con “noi” intendo io sul nostro lato dell’aula, da solo se escludiamo la mia adorabile moglie che fa finta di essere una paralegale ed è già stanca di vedere prendere a calci nel sedere suo marito, e sul lato opposto quello che sembra un esercito sempre più numeroso, con tutti che si affannano intorno alla splendida Nadine Karros, la quale, credimi, è addirittura superiore alla sua fama.» «Il giudice non ha concesso un rinvio?» «Perché avrebbe dovuto? Rinviare a quando, e perché? Esattamente, cosa avremmo fatto con altri trenta o sessanta giorni? Saremmo andati a cercarci un vero avvocato processuale? Immagino la conversazione: “Proprio così, signore, le promettiamo centomila dollari e metà della nostra parte per entrare in quell’aula con dei dati inconsistenti, una cliente ostile, un giudice addirittura più ostile e vedersela con una squadra della difesa che dispone di talento e fondi in misura illimitata, oltre a rappresentare una grande e potente società”. A chi riusciresti a vendere una cosa del genere, Wally?» «Sembri arrabbiato.» «No, Wally, non è rabbia. È solo il bisogno di sfogarmi un po’, di brontolare, di liberarmi.» «Allora fa’ pure.» «Avrei potuto insistere per un rinvio, e credo che Seawright avrebbe anche potuto prendere in considerazione l’idea, ma con quali ragioni?
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Nessuno può dire quando sarai in grado di tornare. Per quanto riguarda Oscar, probabilmente non tornerà più. Abbiamo deciso di andare avanti e farla finita.» «Mi dispiace, David.» «Dispiace anche a me. Mi sento un idiota a starmene seduto là dentro senza fatti concreti, senza idee, senza armi, senza niente con cui combattere. È frustrante.» Wally abbassò la testa come sul punto di mettersi a piangere. Invece cominciò a farfugliare: «Scusami, scusami tanto». «Okay, senti, scusami anche tu. Non sono venuto qui per prendermela con te, va bene? Sono venuto per vedere come stai. Sono preoccupato, come lo sono anche Rochelle e Oscar. Tu sei malato e noi vogliamo aiutarti.» Wally rialzò la testa. Gli occhi erano umidi, e quando parlò gli tremavano le labbra. «Non posso continuare così, David. Pensavo di avercela fatta, te lo giuro. Un anno, due settimane e due giorni, e poi, di colpo, è successo qualcosa. Lunedì mattina eravamo in aula, io ero nervoso da morire, anzi ero terrorizzato, e mi è presa una voglia feroce di bere. Ricordo di avere pensato che un paio di bicchieri avrebbero risolto il problema. Due birrette e sarei stato a posto. L’alcol è un bugiardo, un mostro. Alla pausa pranzo sono uscito dal tribunale e ho trovato un piccolo bar con l’insegna di una birra in vetrina. Mi sono seduto a un tavolo, ho ordinato un sandwich, mi sono bevuto tre birre e, wow, avevano un sapore meraviglioso. E mi sono sentito meglio. Una volta tornato in aula mi sono detto: ce la posso fare, posso bere e non è un problema. Mi ero ripulito, capisci? Non avevo più problemi. Adesso guardami: di nuovo in riabilitazione e spaventato a morte.» «Dov’è la tua macchina?»
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Wally rifletté a lungo, poi rinunciò. «Non ne ho idea. Ho perso i sensi così tante volte.» «Non preoccuparti. Te la ritrovo io.» Wally si asciugò le guance con il dorso della mano, poi si passò la manica sul naso. «Mi dispiace tantissimo, David. Pensavo davvero che avessimo una chance.» «Non abbiamo mai avuto una chance, Wally. Non c’è niente che non va in quel farmaco. Ci siamo uniti a una campagna che non stava andando da nessuna parte e ce ne siamo resi conto solo quando ormai era troppo tardi.» «Però il processo non è ancora concluso, no?» «Invece sì, anche se gli avvocati sono ancora al lavoro. La giuria domani metterà la parola fine.» Per parecchi minuti restarono in silenzio. Wally ora aveva gli occhi asciutti, ma non ce la faceva a guardare David. Finalmente disse sottovoce: «Grazie per essere venuto. Grazie per esserti preso cura di me, e di Oscar e di Rochelle. Spero che non ci lascerai». «Non parliamo di questo adesso. Pensa a rimetterti in sesto e a disintossicarti. Verrò a trovarti la settimana prossima, poi faremo un’altra riunione dello studio e prenderemo delle decisioni.» «L’idea mi piace. Un’altra riunione dello studio.»
45 Emma stava passando una brutta nottata e i genitori la portarono a spasso per casa, alternandosi in turni di un’ora ciascuno. Alle cinque e mezzo Helen passò la piccola a David, si diresse verso la camera da letto e annunciò ufficialmente che la sua carriera di paralegale era terminata. Le erano piaciuti i pranzi con suo marito, ma ben poco altro, e poi adesso aveva una bambina che non stava bene di cui occuparsi. David riuscì a calmare Emma con un biberon e, mentre le dava da mangiare, andò in rete. I titoli Varrick avevano chiuso a quaranta dollari giovedì pomeriggio, e il costante rialzo nel corso della settimana era un’ulteriore conferma del fatto che il processo Klopeck stava andando malissimo per la parte attrice, anche se in realtà non c’era alcun bisogno di prove aggiuntive. Spinto dalla sua solita curiosità morbosa, David andò a dare un’occhiata anche al blog del Giurato Indeciso. In quello che probabilmente è il processo più sbilanciato nella storia della giurisprudenza americana, le cose continuano ad andare di male in peggio per gli eredi del defunto, e ora molto chiacchierato, Percy Klopeck. La squadra difensiva della Varrick Labs continua ad asfaltare come un rullo compressore lo stordito e palesemente incapace avvocato dei Klopeck, e uno quasi si dispiace per quello sfigato. Quasi, ma non del tutto. La domanda che grida per avere risposta è: come ha fatto questa schifezza di causa ad arrivare in tribunale, a restarci e ad arrancare fino a trovarsi davanti a una giuria? Pensate solo all’osceno spreco di tempo, di denaro e di talento! Talento della difesa, ovviamente. Perché il talento è dolorosamente assente dall’altro lato dell’aula, dove lo
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sprovveduto David Zinc ha adottato la singolare strategia di cercare semplicemente di rendersi invisibile. Non ha controinterrogato un solo testimone. Non ha sollevato un’obiezione. Non ha fatto una sola mossa per cercare di promuovere il suo caso. Se ne sta seduto là dentro per ore, fingendo di prendere appunti e scambiando bigliettini con la sua nuova paralegale, una pupa sexy in gonna corta arruolata per mostrare un po’ di gambe e cercare di distogliere l’attenzione dal fatto che la parte attrice non ha alcun elemento in mano e che il suo avvocato non è all’altezza. La giuria non lo sa, ma la nuova paralegale in realtà è Helen Zinc, moglie dell’idiota che le siede davanti. La pupa non è affatto una paralegale e non ha alcuna preparazione o esperienza di tribunale, per cui si inserisce alla perfezione tra i clown di Finley & Figg. La sua presenza è chiaramente un astuto stratagemma per catturare gli sguardi dei giurati maschi e controbilanciare la presenza dominante di Nadine Karros, forse il più efficace avvocato processuale che il vostro Giurato Indeciso abbia mai visto in azione. Speriamo che oggi questo povero ronzino di processo venga finalmente abbattuto. E magari il giudice Seawright
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troverà il coraggio di infliggere qualche sanzione a chi ha intentato una causa così infondata. David sobbalzò tanto da stringere troppo Emma, che per un momento smise di lavorarsi il suo biberon. Chiuse il laptop e si maledisse per avere guardato il blog. Mai più, giurò a se stesso, e non per la prima volta. Con il verdetto già saldamente in pugno, Nadine Karros decise di spingere con un po’ più di forza. Il suo primo teste del venerdì mattina fu il dottor Mark Ulander, vicepresidente anziano della Varrick e direttore del settore ricerca. Seguendo un copione prestabilito, Ms Karros e il testimone esposero rapidamente gli elementi di base. Ulander, che vantava tre lauree, aveva passato gli ultimi ventidue anni supervisionando lo sviluppo di una miriade di farmaci della Varrick. Il Krayoxx era il prodotto di cui andava più orgoglioso. La società aveva speso oltre quattro miliardi di dollari per portarlo sul mercato. La squadra di trenta scienziati del dottor Ulander aveva lavorato duramente per otto anni per perfezionare il farmaco, per assicurarsi che fosse efficace e riducesse realmente il livello di colesterolo, per non correre alcun rischio e per ottenere l’approvazione dell’FDA. Ulander illustrò in dettaglio le rigide procedure adottate, non solo per il Krayoxx, ma per tutti gli ottimi prodotti della Varrick. Ogni nuovo farmaco metteva in gioco la reputazione della società, e la reputazione di eccellenza della Varrick permeava ogni aspetto della sua ricerca. Sotto l’abile direzione di Nadine, il dottor Ulander tracciò l’impressionante quadro di uno sforzo comune finalizzato alla produzione del farmaco perfetto: il Krayoxx. Non avendo nulla da perdere, David decise di buttarsi e di prendere parte all’azione. Cominciò il suo controinterrogatorio con: «Dottor Ulander, parliamo di tutti quegli studi clinici che ci ha appena illustrato». Il fatto che dietro il leggio adesso ci fosse Mr Zinc sembrò
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cogliere di sorpresa i giurati. Anche se erano solo le dieci e un quarto, erano già tutti pronti a deliberare e ad andarsene a casa. «Dove sono stati effettuati gli studi clinici?» domandò David. «Del Krayoxx?» «No, dell’aspirina. Del Krayoxx, naturalmente.» «Certo, mi scusi. Be’, vediamo. Come dicevo, gli studi clinici sono stati molto estesi.» «Questo l’avevamo capito, dottor Ulander. Ma la mia domanda è piuttosto semplice: dove sono stati effettuati gli studi clinici?» «Sì, ecco, gli studi iniziali sono stati condotti su gruppi di soggetti con colesterolo alto in Nicaragua e in Mongolia.» «Continui, prego. In quali altri luoghi?» «Kenya e Cambogia.» «La Varrick ha investito quattro miliardi nello sviluppo del Krayoxx per poi trarne profitto in Mongolia e in Kenya?» «A questo non so rispondere, Mr Zinc. Io non opero nel marketing.» «Ha ragione. Quanti studi clinici sono stati condotti qui, negli Stati Uniti?» «Nessuno.» «Alla data di oggi, quanti farmaci Varrick sono sottoposti a studi clinici?»
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«Obiezione, vostro onore» disse Nadine Karros, alzandosi in piedi. «La questione è irrilevante. Qui non sono in discussione altri farmaci.» Il giudice Seawright tacque un istante e si grattò il mento. «Obiezione respinta. Vediamo dove puntano queste domande.» David non sapeva bene dove stessero puntando, ma aveva appena riportato una minuscola vittoria su Ms Karros. Incoraggiato, insistette: «Può rispondere alla domanda, dottor Ulander. Quanti farmaci Varrick sono sottoposti a studi clinici in questo momento?». «Circa venti. Potrei elencarglieli tutti, se avessi un momento.» «Diciamo pure venti, vediamo di risparmiare un po’ di tempo. Quanto spenderà quest’anno la Varrick in studi clinici per tutti i farmaci attualmente in fase di sviluppo?» «Grosso modo, sui due miliardi di dollari.» «L’anno scorso, 2010, qual è stata la percentuale dei ricavi lordi dalle vendite sui mercati esteri?» Il dottor Ulander si strinse nelle spalle, perplesso. «Be’, dovrei controllare il bilancio.» «Lei è il vicepresidente della società. E lo è da sedici anni, esatto?» «È così.» David afferrò un grosso raccoglitore, ne sfogliò le pagine e disse: «Questo è il bilancio dello scorso anno, dove viene indicato chiaramente che l’ottantadue per cento delle vendite della Varrick è avvenuto sul mercato statunitense. Lei ha visto questi dati?».
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«Naturalmente.» Ms Karros si alzò in piedi. «Obiezione, vostro onore. I bilanci del mio cliente non sono in discussione.» «Respinta. I bilanci del suo cliente sono documenti pubblici.» Un’altra minuscola vittoria e, per la seconda volta, David ebbe un assaggio dell’eccitazione dell’aula di tribunale. «L’ottantadue per cento le sembra corretto, dottor Ulander?» «Se lo dice lei.» «Non sono io che lo dico, signore. È scritto qui, nel bilancio pubblicato.» «Okay, allora è l’ottantadue per cento.» «La ringrazio. Dei venti farmaci che state testando al momento, quanti vengono sottoposti a studi clinici negli Stati Uniti?» Il teste strinse i denti, serrò le mascelle e rispose: «Nessuno». «Nessuno» ripeté in tono enfatico David, e guardò la giuria. Molti visi erano interessati. David tacque per qualche secondo, poi riprese: «Quindi la Varrick ricava l’ottantadue per cento dei suoi profitti in questo paese, ma testa i suoi farmaci in posti come il Nicaragua, la Cambogia e la Mongolia. Come mai, dottor Ulander?». «È molto semplice, Mr Zinc. In questo paese l’ambiente normativo soffoca la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci, dispositivi e procedure.»
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«Interessante. Quindi, secondo lei, è colpa del governo se è vostra pratica abituale sperimentare nuovi farmaci su persone di paesi lontani?» Ms Karros era di nuovo in piedi. «Obiezione, vostro onore. La controparte manipola ciò che ha dichiarato il teste.» «Respinta. La giuria ha sentito cosa ha detto il testimone. Continui, Mr Zinc.» «Grazie, vostro onore. Può rispondere alla domanda, dottor Ulander.» «Mi scusi, qual era la domanda?» «Lei afferma che il motivo per cui la sua società conduce le sue sperimentazioni cliniche in altri paesi è l’eccesso di regolamentazioni negli Stati Uniti?» «Sì, il motivo è quello.» «Non è forse vero che la Varrick sperimenta i suoi farmaci in paesi in via di sviluppo perché così evita possibili cause legali qualora le cose vadano male?» «Niente affatto.» «Non è forse vero che la Varrick sperimenta i suoi farmaci in paesi in via di sviluppo perché in tali paesi non esiste virtualmente alcuna regolamentazione?» «No, non è vero.»
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«Non è forse vero che la Varrick sperimenta i suoi farmaci in paesi in via di sviluppo perché è molto più facile trovare cavie umane che hanno bisogno di qualche dollaro?» Ci fu movimento dietro la spalla sinistra di David mentre l’esercito della difesa reagiva istintivamente. Ms Karros scattò in piedi e proruppe con decisione: «Obiezione, vostro onore». Il giudice Seawright, chino in avanti sui gomiti, disse calmo: «Motivi la sua obiezione». Per la prima volta in tutta la settimana, Nadine sembrò a corto di parole. «Be’, prima di tutto ritengo irrilevante questa serie di domande. Ciò che il mio cliente fa con altri farmaci non attiene a questo processo.» «Ho già respinto questa obiezione, Ms Karros.» «E mi oppongo anche all’uso della definizione “cavie umane” usata dalla controparte.» L’espressione era chiaramente passibile di obiezione, ma era anche di uso comune e sembrava adeguata al contesto. Il giudice Seawright rifletté per un momento, mentre tutti lo fissavano. David lanciò un’occhiata alla giuria e vide qualche faccia divertita. «Obiezione respinta. Continui, Mr Zinc.» «Nel 1998 lei era a capo di tutte le ricerche della Varrick?» «Sì» rispose il dottor Ulander. «Come ho detto, è un ruolo che ricopro da ventidue anni.»
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«Grazie. Dunque, nel 1998 la Varrick ha condotto studi clinici per un farmaco denominato Amoxitrol?» Ulander lanciò un’occhiata di panico al tavolo della difesa, dove molti degli avvocati esibivano la loro personale espressione di panico. Ms Karros balzò in piedi e dichiarò con forza: «Obiezione, vostro onore! Quel prodotto non è in discussione in questo processo e la sua storia è totalmente irrilevante». «Mr Zinc?» «Vostro onore, quel farmaco ha una bruttissima storia e non mi stupisce che la Varrick cerchi di non parlarne.» «Perché dovremmo parlare di altri farmaci, Mr Zinc?» domandò il giudice. «Be’, vostro onore, a me pare che il teste abbia chiamato in causa la reputazione della società. La sua deposizione è durata sessantaquattro minuti e la maggior parte del tempo è stata dedicata al tentativo di convincere la giuria che la Varrick dà grande importanza alla sicurezza delle sue procedure di sperimentazione. Perché non posso approfondire l’argomento? A me sembra del tutto rilevante e penso che possa interessare molto la giuria.» Nadine reagì all’istante: «Vostro onore, questo processo riguarda un farmaco che si chiama Krayoxx, e nient’altro. Tirare in ballo altre cose significa solo sparare alla cieca». «Ma, come ha correttamente sottolineato Mr Zinc, è stata lei a introdurre il tema della reputazione della società, Ms Karros. Non ne aveva alcun obbligo, ma adesso quella porta è aperta. Obiezione respinta. Prosegua, Mr Zinc.»
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La porta era aperta e la storia della Varrick era un bersaglio facile. David non sapeva bene come fosse successo, ma era comunque su di giri. I dubbi su se stesso erano svaniti. La paura che l’aveva rosicchiato dentro era scomparsa. Era ancora in piedi, tutto solo contro i ragazzi più grandi, e stava segnando punti. Era il suo momento di gloria. «Le ho chiesto dell’Amoxitrol, dottor Ulander. Sicuramente se ne ricorda.» «Sì.» Facendo un po’ di teatro, David agitò il braccio in direzione dei giurati e disse: «Bene, ne parli alla giuria. Cosa si supponeva dovesse fare quel farmaco?». Ulander scivolò di qualche centimetro sulla sedia dei testimoni e guardò di nuovo il tavolo della difesa in cerca di aiuto. Di malavoglia, cominciò a parlare, ma con frasi molto brevi. «L’Amoxitrol era stato sviluppato come pillola abortiva.» Per aiutare il teste, David chiese: «Una pillola abortiva che poteva essere assunta fino a un mese dopo il concepimento, una specie di versione potenziata della pillola del giorno dopo, è esatto, dottore?». «Qualcosa del genere.» «È un sì o un no?» «Sì.» «In sostanza quella pillola doveva dissolvere il feto, i cui resti in seguito sarebbero stati espulsi insieme agli altri escrementi. È esatto, dottore?»
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«Semplificando molto, sì, è questo che doveva fare il farmaco.» Con almeno sette cattolici nella giuria, David non aveva bisogno di dare un’occhiata per sapere com’era stata recepita l’informazione. «Avete condotto studi clinici per l’Amoxitrol?» «Sì.» «E dove sono stati condotti quegli studi?» «In Africa.» «Dove, in Africa?» Ulander roteò gli occhi e fece una smorfia. «Non saprei... ecco, vede, dovrei controllare.» David si avvicinò lentamente al proprio tavolo, cercò tra vari documenti e afferrò un raccoglitore. Lo aprì, ne sfogliò le pagine mentre tornava al leggio e chiese, come leggendo da un rapporto: «In quali tre paesi africani la Varrick ha condotto studi clinici per la sua pillola abortiva Amoxitrol?». «Uganda di sicuro. Non ricor...» «Uganda, Botswana e Somalia?» chiese David. «Sì.» «Quante donne africane sono state usate nel corso dello studio?» «Lei sa già la risposta, Mr Zinc?»
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«Il numero quattrocento le sembra corretto, dottore?» «Sì.» «E la Varrick quanto pagava ogni donna africana incinta perché abortisse con la vostra pillola?» «Ha già la risposta, Mr Zinc?» «Cinquanta dollari a feto le sembra la cifra esatta, dottor Ulander?» «Immagino di sì.» «Non immagini, dottore. Ho il rapporto qui davanti a me.» David voltò pagina e rimase in silenzio per qualche istante, lasciando che il patetico ammontare della ricompensa echeggiasse nell’aula. Nadine Karros si alzò di nuovo in piedi. «Obiezione, vostro onore. Il rapporto cui fa riferimento Mr Zinc non è mai stato prodotto come prova. Io non l’ho mai visto.» «Oh, io invece sono sicuro che Ms Karros l’ha visto, vostro onore» scattò David. «Sono sicuro che tutti i pezzi grossi della Varrick l’hanno visto.» «Che rapporto è quello che sta usando, Mr Zinc?» chiese il giudice. «È un’indagine svolta dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 2002. Gli scienziati hanno indagato sulle maggiori case farmaceutiche del mondo e sul modo in cui utilizzano cavie umane in paesi poveri per testare farmaci che sperano di commercializzare in paesi ricchi.» Il giudice alzò le mani e disse: «Basta così. Lei non può servirsi di quel rapporto se non è stato ammesso come prova».
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«Vostro onore, io non lo sto presentando come prova. Lo sto usando per mettere in discussione questo teste e la solida reputazione della meravigliosa Varrick.» Ormai David non si sentiva più limitato nella scelta delle parole. Cosa aveva da perdere? Il giudice Seawright corrugò la fronte e si grattò di nuovo il mento, chiaramente indeciso. «Ms Karros?» «Mr Zinc sta selezionando dati da un rapporto che non compare tra le prove, un rapporto che la giuria non vedrà mai, a meno che Mr Zinc non riesca in qualche modo a farlo ammettere» disse Ms Karros, ancora composta, ma palesemente agitata. «Facciamo così, Mr Zinc: lei può servirsi del rapporto al solo fine di censurare alcuni comportamenti, ma le informazioni dovranno essere esposte in modo esatto, preciso e mai, nemmeno minimamente, piegate ai suoi fini processuali. Capito?» «Certo, giudice. Desidera una copia del rapporto?» «Mi sarebbe utile.» David andò al suo tavolo, afferrò altri due raccoglitori e, mentre riattraversava l’aula con passo sicuro, disse: «Ne ho una copia anche per la Varrick, anche se sono certo che conoscono questo rapporto. Probabilmente l’hanno sepolto in qualche camera blindata». «Non ecceda in commenti impropri, Mr Zinc» lo ammonì il giudice. «Chiedo scusa.» David gli passò una copia del rapporto e lasciò cadere l’altra sul tavolo della difesa, davanti a Nadine Karros. Di nuovo dietro il leggio, guardò i suoi appunti e poi alzò lo sguardo su Ulander. «Bene, torniamo all’Amoxitrol, dottore. Durante la sperimentazione di
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questo farmaco, la sua società si è preoccupata dell’età di quelle giovani africane incinte?» Per qualche secondo Ulander non riuscì a parlare. Poi mormorò: «Sono sicuro di sì». «Perfetto. E a che età una giovane donna era troppo giovane? Quali erano le linee guida della Varrick in relazione all’età?» «I soggetti dovevano avere almeno diciotto anni.» «Lei ha mai visto questo rapporto, dottore?» Ulander lanciò un altro sguardo disperato a Nadine Karros che, con il resto della sua squadra, cercava di mimetizzarsi e di evitare qualsiasi contatto visivo. Dopo qualche istante Ulander borbottò un poco convincente: «No». Il giurato numero 37, un nero cinquantunenne, emise un borbottio che suonò vagamente come “merda”. «Dottore, non è forse vero che l’Amoxitrol veniva somministrato anche a ragazze appena quattordicenni per farle abortire? Pagina 22, giudice. Ultimo paragrafo, seconda colonna.» Ulander non rispose. Reuben Massey sedeva di fianco a Judy Beck in prima fila, dietro il tavolo della difesa. Da temprato veterano delle guerre dei risarcimenti danni, sapeva che era vitale mantenere un’immagine di completa calma e totale sicurezza. Ma il cuore gli martellava rabbioso, avrebbe voluto lanciarsi in avanti e afferrare Nadine Karros per il collo. Cosa stava succedendo? Come mai quella porta era stata non solo socchiusa, ma sfondata a calci e spalancata?
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La Varrick avrebbe potuto ottenere facilmente un giudizio sommario e in quel momento lui sarebbe stato dietro la sua scrivania, al sicuro nella sede della società a godersi la vittoria e a darsi da fare per reintrodurre il Krayoxx sul mercato. E invece doveva stare a guardare la sua amata società che veniva massacrata da un assoluto principiante. Il novellino insisteva. «Dunque, dottor Ulander, l’Amoxitrol è mai arrivato sul mercato?» «No.» «Il farmaco aveva dei problemi, vero?» «Sì.» «Può chiarirci quali erano gli effetti collaterali?» «Nausea, vertigini, emicrania, svenimenti. Ma sono effetti comuni alla maggior parte dei contraccettivi d’emergenza.» «Non ha menzionato l’emorragia addominale, dottor Ulander. Una semplice dimenticanza, ne sono certo.» «Ci sono state emorragie addominali. È per quello che abbiamo interrotto la sperimentazione.» «L’avete interrotta piuttosto in fretta, non le pare, dottore? I test si sono fermati circa novanta giorni dopo l’inizio dello studio, giusto?» «Sì.» David fece una pausa a effetto. La domanda successiva era la più brutale. Nell’aula c’era silenzio. «Dottor Ulander, vuole dirci quante delle
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quattrocento donne incinte del gruppo campione sono morte per emorragia addominale?» Il testimone si tolse lentamente gli occhiali e se li mise in grembo. Si fregò gli occhi, lanciò un’occhiata a Reuben Massey, strinse i denti, guardò i giurati e rispose: «Siamo a conoscenza di undici decessi». David rimase a capo chino per un momento, poi andò a posare un fascio di carte sul suo tavolo e ne afferrò un altro. A quel punto non aveva idea di quanto ancora avrebbe potuto spingersi oltre, ma non si sarebbe fermato finché non glielo avessero ordinato. Tornò al leggio, sistemò le sue cose e disse: «Bene, dottore, parliamo di qualche altro farmaco Varrick che invece sul mercato ci è arrivato». Nadine si alzò in piedi. «Stessa obiezione, vostro onore.» «Stessa risposta, Ms Karros.» «In questo caso possiamo chiedere una breve pausa, vostro onore?» Erano quasi le undici, mezz’ora dopo l’abituale break delle dieci e mezzo concesso da Seawright. Il giudice guardò David: «Per quanto ne avrà ancora, Mr Zinc?». David sollevò il suo blocco e rispose: «Non saprei, giudice. Ho un lungo elenco di farmaci dannosi». «Vediamoci nel mio studio e parliamone. Pausa di quindici minuti.»
46 Con tre neri nella giuria, David prese la decisione tattica di passare un altro po’ di tempo in Africa in compagnia del dottor Ulander. Durante la pausa il giudice Seawright aveva deciso di permettergli di trattare solo altri tre farmaci. “Voglio che la giuria si metta al lavoro questo pomeriggio” aveva detto. Ms Karros continuava a sollevare obiezioni e il giudice continuava a respingerle. I giurati vennero fatti entrare in aula e si misero a sedere. Il dottor Ulander riprese posto sul banco dei testimoni. «Dunque, dottore» ricominciò David. «Ricorda un farmaco denominato Klervex?» «Sì.» «Veniva prodotto e commercializzato dalla sua società?» «Sì.» «Quando era stato approvato dall’FDA?» «Vediamo... all’inizio del 2005, mi pare.» «Il Klervex è attualmente in vendita?» «No.» «Quando è stato ritirato dal mercato?» «Nel giugno del 2007, credo.»
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«La sua società ha ritirato volontariamente il farmaco, oppure il ritiro è stato imposto dall’FDA?» «FDA.» «All’epoca del ritiro dal mercato, la sua società stava affrontando parecchie migliaia di cause riguardanti il Klervex, esatto?» «Esatto.» «In termini semplici, di che tipo di medicinale si trattava?» «Era un farmaco per l’ipertensione, destinato a pazienti che soffrivano di pressione alta.» «Il Klervex provocava spiacevoli effetti collaterali?» «Secondo gli avvocati delle azioni collettive, sì.» «Be’, ma cosa ci dice dell’FDA? L’FDA non avrà ritirato il farmaco solo perché gli avvocati erano arrabbiati, no?» David aveva parlato agitando il rapporto che aveva in mano. «Immagino di no.» «Non le ho chiesto di immaginare, dottore. Lei ha letto questo rapporto dell’FDA. Il Klervex aveva provocato emicranie fortissime, addirittura invalidanti, in migliaia di pazienti, non è così?» «Secondo l’FDA, sì.» «Lei contesta le conclusioni dell’FDA?» «Sì.»
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«Lei aveva supervisionato gli studi clinici del Klervex?» «Il mio staff e io supervisioniamo la sperimentazione di tutti i prodotti farmaceutici della nostra società. Credevo che avessimo già chiarito questo punto.» «La prego di scusarmi. Quanti studi clinici erano stati condotti durante la sperimentazione del Klervex?» «Almeno sei.» «E dove erano stati effettuati?» Il fuoco di fila non sarebbe finito finché non si fosse concluso il controinterrogatorio, per cui Ulander rispose senza perdere tempo: «Quattro in Africa, uno in Romania, uno in Paraguay». «In Africa quanti soggetti erano stati trattati con il Klervex?» «Ogni studio clinico veniva condotto su circa mille pazienti.» «Ricorda i paesi africani in questione?» «Non con precisione. Camerun, Kenya, forse Nigeria. Non ricordo il quarto.» «Quei quattro studi contemporaneamente?»
clinici
erano
stati
condotti
«In termini generali, sì. In un periodo di dodici mesi tra il 2002 e il 2003.»
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«Dottore, corrisponde al vero che lei, e intendo lei personalmente, era venuto a sapere quasi subito che c’erano notevoli problemi con quel farmaco?» «Cosa intende con “quasi subito”?» David si avvicinò al suo mucchio di carte, prese un documento e si rivolse al giudice: «Vostro onore, chiedo l’ammissione come prova di questa comunicazione interna datata 4 maggio 2002, scritta da un tecnico della Varrick di nome Darlene Ainsworth e indirizzata al dottor Mark Ulander». «Mi faccia vedere» ordinò il giudice. «Obiezione, vostro onore» disse Nadine, alzandosi in piedi. «Il documento è irrilevante e non ne è stata accertata l’autenticità.» Seawright scorse rapidamente le due pagine del memorandum, poi guardò il dottor Ulander e gli chiese: «Lei ha ricevuto questo documento, dottore?». «Sì.» David si inserì con tempismo: «Vostro onore, questo memorandum è stato passato da un dipendente insoddisfatto della Varrick agli avvocati degli attori nel contenzioso Klervex due anni fa. La sua autenticità è stata stabilita all’epoca. Il dottor Ulander lo sa bene». «È sufficiente, Mr Zinc. La prova è ammessa.» David continuò a martellare. «Il memo è datato 4 maggio 2002, esatto, dottore?» «Esatto.»
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«Perciò, più o meno due mesi dopo l’inizio degli studi clinici in Africa questo memo arriva sulla sua scrivania. Vada a pagina due, ultimo paragrafo. Vuole per favore leggere a voce alta a beneficio della giuria, dottor Ulander?» Era evidente che il testimone non voleva leggere niente a nessuno, ma si sistemò gli occhiali e cominciò: «“I pazienti assumono il Klervex da sei settimane, quaranta milligrammi due volte al giorno. Il settantadue per cento evidenzia una diminuzione della pressione sanguigna, sistolica e diastolica. Gli effetti collaterali sono preoccupanti. I soggetti lamentano vertigini, nausea e vomito; molti di loro, circa il venti per cento, soffrono di gravi mal di testa, così debilitanti da imporre la cessazione del trattamento. Dopo avere confrontato i dati con quelli di altri tecnici qui a Nairobi, suggerisco caldamente di sospendere tutti gli studi clinici relativi al Klervex”». «Gli studi clinici vennero sospesi, dottor Ulander?» «No.» «Ci furono altri rapporti simili a questo?» Ulander sospirò e guardò il tavolo della difesa, impotente. «Ho copie degli altri rapporti, dottore, nel caso possano servire a rinfrescarle la memoria» si offrì premurosamente David. «Sì, ci furono altri rapporti» ammise Ulander. «E questo tecnico, Ms Darlene Ainsworth, è ancora dipendente della Varrick?» «Non credo.»
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«È un sì o un no, dottore?» «No, non è più nostra dipendente.» «Corrisponde al vero che venne licenziata un mese dopo l’invio di quel memorandum sugli orrori del Klervex?» «Non è stata licenziata da me.» «Però è stata licenziata dalla Varrick, no?» «Be’, io non so in che modo abbia lasciato la società. È possibile che abbia rassegnato le dimissioni.» David andò di nuovo al suo tavolo e afferrò un grosso fascicolo. Rivolgendosi a Seawright, disse: «Giudice, questa è una deposizione resa due anni fa dal dottor Ulander nell’ambito del contenzioso Klervex. Posso usarla per rinfrescare la memoria al teste?». «Risponda alla domanda» ordinò cupo Seawright a Ulander. «La dipendente è stata licenziata dalla Varrick un mese dopo che le aveva inviato quel memorandum?» Stimolata dal rimprovero del giudice, la memoria del dottor Ulander si rinfrescò di colpo. «Sì, è così.» «Grazie» disse il giudice. David parlò rivolgendosi alla giuria. «Quindi, nonostante le risultanze degli studi sul campo, la Varrick andò avanti lo stesso e nel 2005 ottenne l’approvazione dell’FDA, è così, dottore?» «Il farmaco venne approvato nel 2005.»
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«E, una volta ottenuta l’approvazione, la Varrick iniziò a commercializzarlo aggressivamente in questo paese, esatto, dottor Ulander?» «Io non ho niente a che fare con il marketing.» «Però lei siede nel consiglio di amministrazione, giusto?» «Giusto.» «E poi si è scatenato l’inferno. Lamentando terribili emicranie e altri effetti collaterali, nel 2005 almeno ottomila consumatori hanno citato in giudizio la Varrick, è così, dottore?» «Io non ho accesso a quei dati.» «Be’, non stiamo a cavillare. Cercherò di procedere un po’ più rapidamente. La sua società è mai andata a processo in questo paese per difendere il suo prodotto denominato Klervex?» «Una volta.» «E la settimana scorsa la Varrick non ha concluso più di venticinquemila accordi stragiudiziali a fronte di altrettante cause intentate per il Klervex?» «Obiezione, vostro onore» disse Nadine. «Accordi stragiudiziali riguardanti altre cause non hanno alcuna rilevanza in questo processo. Credo che Mr Zinc abbia superato il limite.» «Questo sta a me deciderlo, Ms Karros. Comunque la sua obiezione è accolta. Mr Zinc, non una sola parola su altri accordi stragiudiziali.» «Grazie, vostro onore. Bene, dottor Ulander, lei rammenta un farmaco della Varrick denominato Ruval?»
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Ulander sospirò di nuovo e cominciò a studiarsi i piedi. David si avvicinò al tavolo per risistemare le sue carte e prelevare un altro fascio di documenti, altra biancheria sporca della Varrick. In breve riuscì a stabilire nel seguente ordine che 1) il Ruval alleviava l’emicrania, però aumentava in misura significativa la pressione; 2) il farmaco era stato testato su soggetti sofferenti di emicrania in Africa e in India; 3) la Varrick era venuta a conoscenza degli effetti collaterali del farmaco e aveva cercato di seppellire l’informazione; 4) durante il conseguente contenzioso, gli avvocati degli attori avevano scoperto compromettenti memorandum interni della società; 5) l’FDA aveva ritirato il farmaco dal mercato; 6) la Varrick stava tuttora difendendosi in diverse class action e non un solo caso era ancora arrivato a processo. Alle tredici David decise di concludere. Aveva torchiato implacabilmente il dottor Ulander per quasi tre ore, senza nessun contraccolpo da parte di Ms Karros, e aveva segnato abbastanza punti a suo favore. La giuria, inizialmente divertita dal fango gettato sulla Varrick, adesso sembrava pronta ad andare a mangiare, deliberare e tornarsene a casa. «Una breve pausa per pranzo» disse il giudice. «L’udienza riprenderà alle quattordici.» David si era trovato un angolino nel bar al primo piano del tribunale. Stava mangiando un sandwich e rivedendo i suoi appunti, quando sentì qualcuno avvicinarsi da dietro. Era Taylor Barkley, l’associato di Rogan, uno dei pochi che David aveva conosciuto e che adesso ogni tanto salutava con un cenno del capo dall’altra parte dell’aula. «Hai un secondo?» gli chiese Barkley, scivolando a sedere. «Certo.» «Ottimo controinterrogatorio. Nadine commette pochi errori, ma quello di oggi è stato grosso.»
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«Grazie» disse David masticando. Barkley si guardò rapidamente intorno, quasi stesse scambiando segreti cruciali con il nemico. «Ti è mai capitato di leggere un blogger che si fa chiamare il Giurato Indeciso?» David annuì e Barkley continuò: «I nostri tecnici informatici sono parecchio in gamba e sono riusciti a scoprire chi è. Oggi è in aula: tre file dietro di te, felpa blu, camicia bianca, sulla trentina, pochi capelli, occhiali, aspetto da sfigato. Si chiama Aaron Deentz, lavorava in uno studio legale di medio livello in centro, ma è stato fatto fuori a causa della recessione. Adesso tiene quel suo blog e cerca di sembrare importante, a quanto pare non riesce a trovare un lavoro». «Perché mi dici queste cose?» «Deentz ha ogni diritto di tenere il suo blog, l’aula è aperta al pubblico. La maggior parte di quello che scrive è innocuo, però l’altro giorno se l’è presa con tua moglie. Se si trattasse di me, lo stenderei. Ho pensato che l’informazione poteva interessarti. Ci vediamo.» Detto questo, Barkley si alzò in piedi e scomparve. Alle due Nadine Karros si alzò in piedi e annunciò: «Vostro onore, la difesa ha concluso». Se ne era già discusso nello studio del giudice e quindi non fu una sorpresa. Seawright non perse tempo: «Mr Zinc, può esporre alla giuria la sua arringa finale». David non aveva alcun desiderio di rivolgersi alla giuria per chiedere compassione e solidarietà nei confronti della sua assistita, Iris Klopeck, ma sarebbe stato estremamente imbarazzante per l’avvocato che aveva intentato e dibattuto la causa rinunciare all’arringa finale, così andò al leggio e cominciò ringraziando i giurati per la loro disponibilità. Poi confessò che quello era il suo primo processo e, in tutta franchezza, il suo programma iniziale era stato quello di occuparsi
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esclusivamente delle ricerche. Tuttavia gli eventi avevano cospirato contro di lui, l’avevano scaraventato al centro dell’arena e ora si sentiva molto a disagio per non essere riuscito a fare un lavoro migliore. Sollevò un documento e spiegò che si trattava del cosiddetto ordine preprocessuale, una specie di programma di massima del processo che entrambe le parti avevano concordato molto tempo prima che venissero selezionati i giurati. Di particolare interesse, a pagina trentacinque, era l’elenco dei periti della difesa. Ventisette! E tutti con la parola “dottore” prima del nome. Per fortuna la difesa non li aveva chiamati tutti a deporre, ma di certo tutti e ventisette erano stati assunti e pagati. Perché mai il convenuto aveva bisogno di così tanti esperti ben retribuiti? Forse il convenuto aveva qualcosa da nascondere. E perché mai il convenuto aveva bisogno di così tanti avvocati?, domandò David, agitando un braccio in direzione della squadra Rogan Rothberg. La sua cliente, Iris Klopeck, non poteva permettersi un simile dispiegamento di talento legale. Le squadre in campo non erano bilanciate. La partita era truccata. Solo la giuria poteva riequilibrare la situazione. Parlò per meno di dieci minuti e quando lasciò il leggio si sentì sollevato. Mentre tornava al suo tavolo lanciò un’occhiata agli spettatori e incontrò gli occhi di Aaron Deentz, il Giurato Indeciso. Si fissarono per qualche secondo, poi Deentz distolse lo sguardo. Nadine Karros parlò per mezz’ora e riuscì a riportare l’attenzione sul Krayoxx, lontano da tutti quegli sgradevoli studi clinici di cui aveva parlato Mr Zinc. Difese con forza la Varrick e rammentò ai giurati i molti, noti e affidabili farmaci che il suo cliente aveva dato al mondo. Compreso il Krayoxx, il quale aveva superato brillantemente la prova dato che la controparte aveva fallito in modo misero nel tentativo di dimostrare che qualcosa non andava nel farmaco. Sì, la difesa e la Varrick potevano anche avere ventisette eminenti esperti a disposizione, ma questo era irrilevante. Molto più importanti erano le prove e le
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deposizioni peritali prodotte dalla controparte, controparte che aveva intentato la causa e aveva quindi l’onere di dimostrare la propria tesi, obiettivo che aveva totalmente mancato. David seguì la prestazione di Ms Karros con grande ammirazione. Nadine era disinvolta e preparatissima, e la sua esperienza in aula risultava evidente nel modo in cui si muoveva, parlava, trovava le parole senza alcuno sforzo, guardava i giurati, sorrideva e faceva affidamento su di loro. E, a giudicare dai visi, non c’erano dubbi sul fatto che i giurati si fidavano di lei. David rinunciò alla replica e il giudice Seawright passò direttamente alla lettura delle istruzioni alla giuria, la fase più tediosa di qualsiasi processo. Alle tre e mezzo i giurati vennero scortati fuori dall’aula perché iniziassero la discussione. David voleva allontanarsi, così trasportò uno scatolone pieno di documenti in garage e lo caricò nel SUV. Mentre risaliva in ascensore al ventitreesimo piano sentì vibrare il cellulare. L’SMS diceva: “Giuria pronta”. David sorrise e mormorò: «Non ci hanno messo molto». Non appena in aula ci fu silenzio, una guardia giudiziaria fece rientrare la giuria. Il portavoce passò il foglio del verdetto al cancelliere, che a sua volta lo passò al giudice. «Il verdetto sembra essere regolare» dichiarò Seawright. Il foglio venne riconsegnato al portavoce, il quale si alzò in piedi e lesse: «La giuria si pronuncia a favore del convenuto, Varrick Laboratories». Non ci fu alcuna reazione in aula. Seawright espletò i rituali post-verdetto e congedò i giurati. David non aveva assolutamente voglia di rimanere e sorbirsi gentili stronzate del tipo: “Hai fatto un buon lavoro”, “I fatti erano contro di te”, “Andrà meglio la prossima volta”. Non appena il giudice diede un colpo di martelletto e dichiarò chiusa l’udienza, lui afferrò la sua pesante valigetta e schizzò fuori dall’aula,
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battendo sul tempo la ressa in uscita. Stava affrettandosi lungo il corridoio quando scorse una familiare felpa blu entrare in bagno. David la seguì e, una volta all’interno, si guardò intorno. Vide soltanto Aaron Deentz. Si lavò le mani e aspettò. Deentz finì l’operazione all’orinatoio, si voltò e si accorse di lui. «Tu sei il Giurato Indeciso, vero?» gli chiese David. Smascherato, Deentz si immobilizzò di colpo. «E allora?» domandò con un sorriso sarcastico. David sferrò un destro che centrò perfettamente la carnosa mascella del Giurato Indeciso, troppo stupefatto per reagire. L’uomo emise un grugnito. David continuò con un veloce gancio sinistro sul naso. «E questo è per la pupa sexy, stronzo!» Deentz si accasciò sul pavimento. David uscì dal bagno e vide una folla in fondo al corridoio. Optò per le scale e scese di corsa nell’atrio principale. Attraversò in fretta la strada, entrò nel garage ed era già al sicuro a bordo del SUV quando fece un respiro profondo e si disse: «Idiota». Per tornare in studio seguì un percorso tortuoso, e quando arrivò, nel tardo pomeriggio di venerdì, rimase sorpreso nel vedere Oscar che sorseggiava una bibita, seduto al tavolo in compagnia di Rochelle. Era pallido e magro, ma sorrise e assicurò di sentirsi bene. Disse che il suo medico gli aveva dato il permesso di tornare in studio, ma per non più di due ore al giorno, e dichiarò di essere ansioso di rimettersi al lavoro. David fornì una versione molto condensata del processo. Imitò l’accento russo del dottor Borzov e la cosa scatenò risate. Tutti ridevano di Finley & Figg, dopotutto, quindi perché non ridere di se stessi? Quando David raccontò i suoi sforzi frenetici per trovare il dottor Threadgill, Oscar e Rochelle risero di nuovo. Non riuscirono a credere che Helen fosse stata arruolata in servizio. E quando David descrisse le
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facce dei giurati durante la videodeposizione di Iris, Rochelle dovette tamponarsi gli occhi con un fazzoletto di carta. «E nonostante la mia brillante prestazione, la giuria ha raggiunto il verdetto in soli diciassette minuti.» Quando l’ilarità sfumò passarono a parlare di Wally, il loro compagno caduto. Parlarono dei conti, del fido, delle prospettive cupe. Oscar propose di non pensarci fino al lunedì mattina. «Qualcosa ci verrà in mente» disse. David e Rochelle erano stupiti nel constatare quanto fosse diventato gentile e accomodante. Forse l’infarto e l’operazione lo avevano ammorbidito, facendogli balenare la sua mortalità. Il vecchio Oscar avrebbe maledetto Wally e pianto sull’imminente rovina finanziaria dello studio, ma quello nuovo sembrava stranamente ottimista. Dopo un’ora della conversazione più piacevole che avesse mai avuto in quello studio, David annunciò che doveva andare. La sua paralegale lo stava aspettando a cena e voleva sapere tutto del processo.
47 Durante il weekend David ciondolò per casa, sbrigò qualche commissione per Helen, spinse il passeggino di Emma in giro per il quartiere, lavò e lucidò entrambe le auto di famiglia e diede un’occhiata ai commenti in rete sul processo e sulla grande vittoria della Varrick. Sul “Sun-Times” di sabato era comparso un breve articolo, ma nemmeno una parola sul “Tribune”. Le pubblicazioni online, però, davano ampio spazio alle scosse d’assestamento successive al processo. La macchina delle pubbliche relazioni della Varrick funzionava a pieno regime e il verdetto veniva descritto come un’importantissima rivalsa del Krayoxx. Ovunque venivano riportate le dichiarazioni dell’amministratore delegato, Reuben Massey, il quale promuoveva il suo farmaco, condannava gli avvocati specializzati in azioni collettive, prometteva di schiacciare “quei cacciatori di ambulanze” in qualsiasi tribunale avessero mai osato entrare, lodava la saggezza dei giurati di Chicago e chiedeva a gran voce leggi volte a proteggere innocenti società da cause così palesemente infondate. Jerry Alisandros non era raggiungibile e non rilasciava dichiarazioni. In effetti non c’erano commenti da parte di nessuno dei legali che avevano intentato causa contro la Varrick Labs. “Per la prima volta nella storia recente, l’intera associazione degli avvocati processuali tace” osservava un giornalista. La telefonata arrivò alle due di domenica pomeriggio. Il dottor Biff Sandroni aveva ricevuto i campioni dei denti del vampiro spediti per FedEx il venerdì mattina, più o meno all’ora in cui David stava torchiando il dottor Ulander sul banco dei testimoni. Sandroni aveva promesso di effettuare subito i test. «Sono tutti uguali, David, tutti colorati con la stessa vernice a base di piombo. Altamente tossici. La tua
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causa è una passeggiata: aperta e chiusa, la migliore che io abbia mai visto.» «Quando puoi finire il tuo rapporto?» «Te lo mando domani per e-mail.» «Grazie, Biff.» «Buona fortuna.» Un’ora dopo, David e Helen caricarono Emma sul suo seggiolino e partirono alla volta di Waukegan. Scopo della gita era andare a trovare Wally, ma c’era anche il vantaggio della bambina che finalmente avrebbe dormito. Dopo quattro giorni senza bere Wally aveva un aspetto riposato e dichiarava di non vedere l’ora di andarsene da Harbor House. David gli fece un riassunto del processo e, non volendo ripetersi e non essendo nello spirito giusto per fare dell’umorismo, omise le parti che venerdì pomeriggio Oscar e Rochelle avevano trovato così divertenti. Wally ricominciò a scusarsi e David gli disse di smetterla. «È finita, Wally. Ora dobbiamo guardare avanti.» Discussero di come scaricare tutti i clienti Krayoxx e dei problemi che questo avrebbe potuto provocare. In realtà non importava quanto la situazione potesse farsi complicata: la decisione era irrevocabile. Avevano chiuso con il Krayoxx e la Varrick. «Non c’è bisogno che io mi trattenga qui» disse Wally. Erano soli in fondo al corridoio. Helen era rimasta in auto con la bimba addormentata. «Cosa dice il tuo counselor?»
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«Non ne posso più di quel tizio. Senti, David, ci sono ricascato a causa della pressione, ecco tutto. Al momento mi considero sobrio. Sto già contando i giorni. Tornerò dagli Alcolisti Anonimi, e spero e prego di non ricascarci mai più. Credimi, non mi piace essere un ubriacone. Abbiamo del lavoro da fare e io devo restare sobrio.» Con la sua parte di tassametro che ticchettava a cinquecento dollari al giorno, David desiderava che Wally se ne andasse da lì al più presto possibile, ma non era convinto che una disintossicazione di dieci giorni avrebbe funzionato. «Parlerò con il tuo counselor.» «Questa volta mi sta veramente massacrando.» «Forse è quello di cui hai bisogno.» «Per favore, David. Tirami fuori da qui. Ci siamo scavati la fossa, e questa volta dovremo cavarcela io e te da soli. Non credo che Oscar sarà di grande aiuto.» Il fatto che Oscar fosse stato il grande scettico riguardo al Krayoxx e alle azioni collettive risarcitorie venne taciuto. La profonda fossa in cui ora si ritrovava lo studio era stata scavata da Wallis T. Figg. Per un po’ parlarono di Oscar, del suo divorzio, della sua salute e della sua nuova fidanzata, che non era poi così nuova, a sentire Wally. David non chiese dettagli. Prima che se ne andasse, Wally lo supplicò di nuovo: «Fammi uscire da qui, per favore. Abbiamo un mucchio di lavoro da fare». David lo salutò con un abbraccio e uscì dalla sala visite. Il “lavoro” al quale continuava a riferirsi Wally era in pratica l’immane compito di sbarazzarsi di circa quattrocento clienti scontenti, sistemare e ripulire i resti del processo Klopeck, fare fronte a una montagna di conti in sospeso e avere un ufficio gravato da un’ipoteca di duecentomila
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dollari. Negli ultimi mesi gli altri clienti dello studio erano stati trascurati, molti al punto da spingerli a rivolgersi ad altri legali. Le quotidiane richieste di informazioni da parte di potenziali nuovi clienti erano diminuite in misura impressionante. David aveva pensato di andarsene, di aprire una sua bottega, o magari di cercare un altro piccolo studio. Se se ne fosse andato, naturalmente avrebbe portato con sé il caso Thuya Khaing. Oscar e Wally non ne avrebbero mai saputo niente. Se alla fine fossero arrivati dei soldi, avrebbe potuto inviare un assegno a Finley & Figg per la sua quota di ipoteca. Ma erano pensieri inquietanti. Era già scappato da uno studio una volta e non lo aveva mai rimpianto. Ma se se ne fosse andato anche dal secondo avrebbe avuto rimorsi per sempre. David sapeva benissimo di non poter abbandonare lo studio Finley & Figg con i due soci in cattiva salute, con uno sciame di clienti insoddisfatti e creditori furiosi che bussavano alla porta. Lunedì mattina i telefoni non facevano che squillare. Dopo avere risposto a qualche chiamata, Rochelle annunciò: «Sono tutti clienti Krayoxx che vogliono sapere delle loro cause». «Stacchi i telefoni» disse David, e gli squilli cessarono. Il vecchio Oscar stava tornando. Era nel suo ufficio, con la porta chiusa a chiave, intento a sistemare carte sulla scrivania. Per le nove David aveva già stilato una lettera da inviare ai circa quattrocento clienti che avevano creduto a buon diritto di avere una causa. Egregio Mr/Ms ________, la settimana scorsa il nostro studio ha dibattuto in aula la prima causa contro la Varrick Labs in relazione al farmaco Krayoxx. Il processo non è andato come si sperava e purtroppo non abbiamo avuto successo.
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La giuria si è pronunciata a favore della Varrick. Con tutte le prove prodotte dalla controparte, è ormai chiaro che ulteriori iniziative contro la Varrick sarebbero del tutto inopportune. È per questa ragione che con la presente rinunciamo al mandato professionale che ci aveva conferito. Se lo riterrà opportuno, non esiti a consultare altri legali. Per ciò che può valere, la Varrick ha prodotto prove convincenti del fatto che il Krayoxx non danneggia le valvole cardiache, né altre parti dell’organismo. Cordiali saluti, David Zinc, Avvocato e Consulente legale Quando la stampante di Rochelle cominciò a sputare le copie, David salì nel suo ufficio al primo piano per preparare un’altra battaglia in corte federale, l’ultimo posto in cui sarebbe voluto andare quella mattina. Aveva già redatto una bozza dell’atto di citazione contro la Sonesta Games e una bozza della lettera che aveva in programma di inviare al capo dell’ufficio legale della società. Limò e perfezionò entrambe mentre aspettava il rapporto di Sandroni. Quel lunedì mattina le Varrick aprirono a quarantadue dollari e cinquanta, la quotazione più alta mai raggiunta in oltre due anni. David diede un’occhiata veloce ai siti e ai blog finanziari, tutti ancora impegnati a formulare ipotesi sul futuro del contenzioso Krayoxx. Dato che in quel futuro non avrebbe avuto alcun ruolo, David stava perdendo rapidamente interesse nell’argomento. Cercò nel quasi impenetrabile sito web della Cook County, ma non trovò traccia di una denuncia per aggressione sporta da Aaron Deentz. Sabato il Giurato Indeciso aveva aggiornato il suo blog con le notizie
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sulla fine del processo Klopeck, ma non aveva accennato al fatto di essere stato malmenato nel bagno al ventitreesimo piano del Dirksen Federal Building. Oscar aveva un amico che aveva un amico che lavorava nella sezione mandati e dichiarazioni giurate, e questo amico era teoricamente all’erta riguardo a una possibile denuncia da parte di Deentz. “L’hai davvero messo al tappeto?” aveva chiesto Oscar con sincera ammirazione. “Sì. Ho fatto una stupidaggine.” “Non preoccuparti. È aggressione semplice. Io ho degli amici.” Il rapporto di Sandroni arrivò e David lo lesse attentamente. La conclusione della perizia lo fece quasi sbavare: “I livelli di piombo nella vernice utilizzata per la colorazione dei denti del vampiro sono tossici. Qualsiasi bambino, o adulto, che usi questo prodotto nel modo previsto dal fabbricante, vale a dire inserendolo nel cavo orale e sovrapponendolo ai denti veri, corre gravi rischi di ingerire notevoli quantità di vernice a base di piombo”. Per buona misura, il dottor Sandroni precisava: “In trent’anni di analisi finalizzate all’individuazione di sostanze tossiche, principalmente piombo, non ho mai visto un prodotto ideato e realizzato in modo così rozzo e negligente”. David fotocopiò le sei pagine del rapporto e le inserì in un raccoglitore, insieme a foto a colori dei denti del vampiro usati da Thuya e foto dei campioni che David stesso aveva acquistato la settimana precedente. Aggiunse una copia dell’atto di citazione e una sintesi della cartella clinica di Thuya redatta dai medici curanti del bambino. In una lettera cortese ma dai toni decisi indirizzata a un certo Mr Dylan Kott, capo dell’ufficio legale della Sonesta Games, propose di discutere la
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questione prima del deposito dell’atto di citazione. L’offerta tuttavia aveva una validità di soli quattordici giorni. La famiglia di Thuya aveva sofferto moltissimo, continuava a soffrire e aveva diritto a un aiuto immediato. Prima di andare a pranzo passò alla FedEx per spedire il plico alla Sonesta Games, consegna prioritaria entro le ventiquattr’ore. Nessuno in studio era al corrente di quello che stava facendo. Nella lettera aveva indicato come recapiti l’indirizzo di casa e il numero del suo cellulare. Quando tornò allo studio, Oscar se ne stava già andando e il suo chauffeur era una minuscola signora dalla dubbia etnia. Inizialmente David pensò che fosse thailandese, poi gli sembrò più ispanica. In ogni caso, nelle due chiacchiere scambiate sul marciapiede, la donna gli sembrò piuttosto simpatica. Aveva almeno vent’anni meno di Oscar e, durante la breve conversazione, David ebbe la netta impressione che i due si conoscessero da diverso tempo. Oscar, che sembrava molto stanco dopo una mattinata tranquilla in ufficio, si sistemò lentamente sul sedile del passeggero della piccola Honda e l’auto partì. «Chi è la signora?» domandò David a Rochelle, che stava chiudendo la porta d’ingresso. «È la prima volta che la vedo. Ha uno strano nome che non ho capito. Mi ha detto che conosce Oscar da tre anni.» «La caccia alle sottane di Wally è cosa nota. Sono sorpreso da Oscar. Lei no?» Rochelle sorrise. «David, quando si tratta di amore e sesso niente mi sorprende.» Tese il foglietto rosa di un messaggio telefonico. «Già che siamo in argomento, sarà meglio che telefoni a questo signore.»
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«Chi è?» «Goodloe Stamm. L’avvocato divorzista di Paula Finley.» «Rochelle, io non so niente di normativa sui divorzi.» Rochelle si guardò platealmente intorno e disse: «Sono andati via tutti. Sarà meglio che impari in fretta». Stamm attaccò con un vivace: «Peccato per il verdetto, comunque non sono rimasto sorpreso». «Nemmeno io» ribatté David seccamente. «Cosa posso fare per lei?» «Be’, prima di tutto: come sta Mr Finley?» «Oscar sta bene. L’infarto risale a due settimane fa esatte. Questa mattina è venuto in studio per qualche ora e sta facendo progressi. Immagino che lei abbia chiamato per avere informazioni sul contenzioso Krayoxx, nella speranza che ci sia ancora una possibilità di qualche onorario. La risposta, purtroppo per noi, per i nostri clienti e anche per Mrs Finley, è che non esiste alcuna possibilità di ricavare un solo centesimo da quei casi. Non ci appelleremo contro il verdetto Klopeck. Stiamo informando tutti i nostri clienti Krayoxx che rinunciamo a rappresentarli. Abbiamo ipotecato la sede dello studio per finanziare la causa, operazione che ci è costata circa centottantamila dollari in contanti. Il socio anziano si sta riprendendo da un infarto e da un intervento di bypass. Il socio giovane si è preso un periodo di aspettativa. Lo studio al momento è gestito da me e da una segretaria, la quale, per inciso, conosce la legge molto meglio di me. Nel caso lei abbia qualche curiosità sui beni di Mr Finley, le assicuro che non è mai stato più al verde di adesso. Per quello che so della proposta di Oscar alla sua cliente, lui è disposto a lasciarle la casa, l’arredamento, l’auto e metà del denaro in banca, cioè meno di cinquemila dollari, in cambio di un
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semplice divorzio consensuale. Oscar vuole soltanto farla finita, Mr Stamm. Mi permetto di suggerire a lei e alla sua cliente di accettare l’offerta prima che cambi idea.» Stamm assimilò tutti i dati e poi disse: «Be’, apprezzo la sua franchezza». «Bene. C’è dell’altro. Per conto del suo cliente delinquente, Justin Bardall, lei ha sporto denuncia contro Oscar Finley per quel disgraziato incidente con arma da fuoco. Da quanto ho capito leggendo le carte, il suo cliente se ne torna dritto in galera per tentato incendio doloso. Come le dicevo, Mr Finley è completamente al verde. La sua assicurazione si rifiuta di pagare perché ritiene le sue azioni intenzionali, non negligenti. Per cui, senza copertura assicurativa e senza alcun bene personale, Mr Finley è a prova di qualsiasi processo. Non è possibile spremergli neppure un centesimo. La denuncia che lei ha sporto è assolutamente inutile.» «E l’edificio che ospita lo studio?» «Pesantemente ipotecato. Senta, Mr Stamm, non potrà mai ottenere un verdetto favorevole perché il suo cliente è un delinquente recidivo con due precedenti, colto in flagrante mentre cercava di commettere un altro reato. Scarsissimo appeal sulla giuria. Ma se anche lei dovesse avere un colpo di fortuna e ottenere un verdetto favorevole, Mr Finley il giorno dopo presenterebbe istanza di fallimento. Lei non può toccarlo, capisce?» «Ho afferrato il quadro.» «Noi non abbiamo niente e non nascondiamo niente. Per favore, parli con Mrs Finley e con Mr Bardall e spieghi la situazione a entrambi. Mi piacerebbe chiudere queste pratiche al più presto possibile.»
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«Okay, okay. Vedrò cosa posso fare.»
48 Era passata una settimana e dalla Sonesta Games nemmeno un cenno di risposta. Con un occhio al calendario e l’altro all’orologio, David lottava contro l’impulso di lasciarsi andare a sogni su un veloce accordo stragiudiziale e tremava all’idea di una causa in corte federale contro una grossa società. Quella era una strada insidiosa che aveva appena percorso. A volte gli sembrava quasi di essere il vecchio Wally, perso in sogni di soldi facili. Lo studio tornò lentamente a una routine simile a quella dei vecchi tempi. Rochelle arrivava tutte le mattine alle sette e mezzo e si godeva i suoi momenti di tranquillità in compagnia di AC. Poi arrivava David, e poi Wally, la cui auto durante la grande sbornia era stata rimossa dal carro attrezzi e non aveva subito danni. Oscar faceva la sua comparsa verso le dieci, consegnato davanti alla porta d’ingresso dalla sua fidanzata, una persona così gradevole da riuscire simpatica perfino a Rochelle. La mattina, a un certo punto Wally si presentava davanti a ognuno dei suoi colleghi e annunciava: «Dodicesimo giorno di sobrietà». Poi tredicesimo, e così via. Wally riceveva congratulazioni e incoraggiamenti, ed era di nuovo orgoglioso di se stesso. Quasi tutte le sere si trovava una riunione degli Alcolisti Anonimi da qualche parte in città. I telefoni continuavano a squillare per le chiamate di clienti Krayoxx, che Rochelle passava a Wally e a David. In genere gli ex clienti erano sottotono, addirittura depressi, per niente bellicosi. Si erano aspettati di incassare denaro: cos’era successo? Gli avvocati si scusavano e tendevano a scaricare ogni responsabilità su una misteriosa “giuria federale” che si era pronunciata a favore della Varrick. I due legali si
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affrettavano anche a sottolineare che “era stato dimostrato in tribunale” che il Krayoxx era un farmaco sicuro. In altre parole, la tua causa non c’è più, però il tuo cuore sta molto meglio di quanto temessi. Conversazioni analoghe venivano ripetute in tutto il paese da decine di grandi avvocati che adesso battevano in ritirata. Un legale di Phoenix presentò un atto di rinuncia all’azione per quattro cause relative a clienti teoricamente uccisi dal Krayoxx. L’istanza determinò un’immediata reazione da Norma 11, come da copione di Nadine Karros: la Varrick Labs chiese che alla controparte venissero inflitte sanzioni per avere intentato cause palesemente infondate e immotivate, allegando una dettagliata documentazione contabile per dimostrare che aveva speso oltre otto milioni di dollari per la propria difesa in tali cause. Con gli avvocati dei risarcimenti danni in ritirata, fu presto evidente che la Varrick era passata decisamente all’attacco. Le guerre per le sanzioni ai sensi della Norma 11 avrebbero infuriato per mesi. Dieci giorni dopo il verdetto, l’FDA ritirò il bando sul Krayoxx e la Varrick inondò il mercato con il suo farmaco. Reuben Massey avrebbe rapidamente reintegrato le sue riserve di cassa. La sua prima priorità era massacrare gli avvocati delle azioni collettive per i maltrattamenti subiti dal suo amato medicinale. Undici giorni dopo il verdetto, e ancora niente da parte di Aaron Deentz. Il Giurato Indeciso si era preso una vacanza dal suo blog, senza dare alcuna spiegazione. Erano due le riflessioni di David a proposito di un’eventuale incriminazione per aggressione semplice. Prima di tutto Deentz denunciandolo avrebbe corso il rischio di far saltare la sua copertura. Come tanti altri blogger, teneva moltissimo al proprio anonimato e alla conseguente libertà di poter dire virtualmente qualsiasi cosa. Il fatto che David sapesse chi era, e che l’avesse chiamato per nome prima di colpirlo, doveva preoccuparlo parecchio. Se Deentz avesse sporto denuncia sarebbe stato costretto a comparire in
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tribunale e ad ammettere di essere il Giurato Indeciso. E se era effettivamente disoccupato e stava cercando un nuovo impiego il suo blog avrebbe potuto giocargli contro. Negli ultimi due anni aveva scritto cose terribili su giudici, avvocati e studi legali. D’altro canto Deentz era quello che si era preso due pugni in faccia. David non aveva avuto la sensazione di ossa rotte, ma dei danni c’erano sicuramente stati, anche se solo momentanei. Dato che Deentz era avvocato, probabilmente avrebbe insistito per avere la sua giornata in tribunale, e la sua vittoria. David non aveva ancora informato Helen dell’aggressione. Sapeva che sua moglie avrebbe reagito negativamente e che si sarebbe preoccupata di arresti e denunce. Decise che gliene avrebbe parlato solo nel caso in cui Deentz avesse sporto denuncia. In altre parole, glielo avrebbe detto in futuro, forse. Poi gli venne un’altra idea. C’era un solo Aaron Deentz sull’elenco telefonico e un pomeriggio, sul tardi, fece il suo numero. «Aaron Deentz, per favore.» «Sono io. Chi parla?» «David Zinc. Mr Deentz, la chiamo per scusarmi di ciò che ho fatto dopo il verdetto della giuria. Ero turbato, arrabbiato e mi sono comportato in modo sconsiderato.» Una pausa, e poi: «Mi ha rotto la mascella». All’inizio David avvertì una punta di orgoglio per il fatto di essere riuscito a sferrare un pugno di tale vigoria, ma tutta la baldanza svanì subito al pensiero di una causa civile per lesioni. «Le chiedo di nuovo scusa. Le assicuro che non avevo intenzione di rompere niente o di provocare danni.» La frase successiva di Deentz fu estremamente rivelatrice. «Come ha scoperto la mia identità?»
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Quindi aveva paura di essere smascherato. David barò un po’ rispondendo: «Ho un cugino che è un mago del computer. Ci è arrivato in ventiquattr’ore. Lei non dovrebbe aggiornare il suo blog tutti i giorni alla stessa ora. Mi dispiace per la mascella. Sono pronto a rimborsarle le spese mediche». Faceva quell’offerta perché era costretto, ma il pensiero di un altro esborso di cassa lo faceva stare male. «Mi sta proponendo un accordo, Zinc?» «Certo. Mi farò carico delle sue spese mediche, se lei promette di non sporgere denuncia e di non chiedere i danni.» «La preoccupa un’accusa di aggressione?» «Non proprio. Se dovrò difendermi in tribunale mi assicurerò che il giudice legga alcuni dei suoi commenti. Dubito che rimarrà favorevolmente impressionato. I giudici disprezzano i blog come il suo. Seawright lo seguiva tutti i giorni ed era furioso perché pensava che potesse condizionare il processo, nel caso qualcuno tra i giurati ci fosse capitato per caso. So che gli impiegati del giudice stavano cercando di scoprire l’identità del Giurato Indeciso.» David stava improvvisando, ma era tutto piuttosto credibile. «Ne ha parlato con qualcuno?» domandò Deentz. David non capì se il tono di voce era intimidito, spaventato o semplicemente dovuto alla mascella rotta. «Non l’ho detto ad anima viva.» «Da quando ho perso il lavoro non ho più l’assicurazione sanitaria. A oggi le spese mediche ammontano a quattromilaseicento dollari. Devo tenere i ferri di bloccaggio per un mese, dopodiché non so.» «Le ho fatto la mia offerta. Affare fatto?»
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Una lunga pausa, poi: «Sì, d’accordo». «Un’altra cosa, Mr Deentz.» «Che cosa?» «Lei ha definito mia moglie una pupa sexy.» «Sì, be’... non avrei dovuto farlo. Sua moglie è molto attraente.» «È vero, ed è anche una donna molto intelligente.» «Le mie scuse.» «E le mie a lei.» La prima vittoria post-processo di Wally fu la positiva conclusione del divorzio di Oscar. Dato che in termini di beni c’era ben poco in gioco e che entrambe le parti volevano disperatamente farla finita, l’accordo risultò essere molto semplice, sempre che si potesse considerare semplice un documento legale. Oscar Finley e Wally Figg apposero le loro firme sotto quelle di Paula Finley e Goodloe Stamm, poi Oscar fissò a lungo la carta, senza tentare neppure di reprimere un sorriso. Wally depositò l’accordo presso il tribunale di contea, che fissò la data di comparizione delle parti a metà gennaio. Oscar insistette per festeggiare con una bottiglia di champagne, analcolico naturalmente, e nel tardo pomeriggio il personale dello studio si radunò intorno al tavolo per una riunione ufficiosa. Poiché tutti e quattro erano al corrente del risultato – quindicesimo giorno di sobrietà – si brindò anche a Wally, oltre che al più recente scapolo del quartiere, Oscar Finley. Era giovedì, 10 novembre, e nonostante il piccolo studio boutique dovesse vedersela con una montagna di debiti e
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avesse pochi clienti erano decisi a godersi il momento. Feriti e umiliati, erano comunque ancora in piedi e davano segni di vita. David stava finendo il suo bicchiere di champagne quando sentì vibrare il cellulare. Si scusò e salì nel suo ufficio. Dylan Kott si presentò come vicepresidente e capo dell’ufficio legale della Sonesta Games, carica che ricopriva da molti anni. Chiamava dalla sede centrale della società a San Jacinto, California. Ringraziò David per il tono e la ragionevolezza della sua lettera e gli assicurò che tutta la documentazione era stata studiata dai pezzi grossi della società. In tutta franchezza, c’era “profonda preoccupazione” nelle alte sfere. Anche lui era preoccupato e concluse dicendo: «Ci farebbe piacere parlare con lei, Mr Zinc, faccia a faccia». «E lo scopo dell’incontro sarebbe...?» «Discutere come evitare un contenzioso.» «Ed evitare pubblicità negativa?» «Certamente. Noi vendiamo giocattoli, Mr Zinc. La nostra immagine è molto importante.» «Dove e quando?» «Abbiamo uffici e un centro di distribuzione a Des Plaines, dalle sue parti. Potremmo vederci lunedì mattina?» «Sì, ma solo se siete disposti a discutere seriamente di un accordo. Se pensate di presentarvi con qualche piano da furbastri lasciate perdere. Tenterò la sorte con una giuria.»
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«La prego, Mr Zinc, è troppo presto per cominciare con le minacce. Le assicuro che siamo consapevoli della gravità della situazione. Purtroppo ci siamo già passati. Le spiegherò tutto lunedì.» «D’accordo.» «Il tribunale ha nominato un rappresentante legale di quel bambino?» «Sì, suo padre.» «Sarebbe possibile avere entrambi i genitori lunedì mattina?» «Sono sicuro di sì. Perché?» «Carl LaPorte, il nostro amministratore delegato, vorrebbe incontrarli e, a nome della società, porgere le nostre scuse.»
49 La struttura faceva parte di una teoria di moderni capannoni che occupava svariati ettari e sembrava allungarsi all’infinito a ovest di Des Plaines e dei sobborghi di Chicago. Grazie al navigatore satellitare, David trovò il posto senza problemi e alle dieci di lunedì mattina guidò Soe e Lwin Khaing all’interno di una palazzina d’uffici in mattoni rossi, addossata a un imponente magazzino. Furono subito scortati per un lungo corridoio fino a una sala riunioni, dove vennero offerti caffè, dolci e succhi di frutta. Tutti e tre rifiutarono. David sentiva lo stomaco contratto e i nervi tesi. I Khaing erano completamente intimiditi. Tre uomini eleganti e dall’aspetto manageriale entrarono nella sala: Dylan Kott, capo dell’ufficio legale, Carl LaPorte, amministratore delegato, e Wyatt Vitelli, direttore finanziario. Ci furono rapide presentazioni e poi Carl LaPorte invitò i presenti ad accomodarsi e fece del suo meglio per allentare la tensione. Nuova offerta di caffè, succhi di frutta e dolci. No, grazie. Quando fu chiaro che i Khaing erano troppo intimiditi per fare conversazione, LaPorte si fece serio e, rivolgendosi a loro, disse: «Prima di tutto le cose più importanti. So che il vostro bambino è molto malato e che ci sono scarse possibilità di miglioramento. Io ho un nipotino di quattro anni, il mio unico nipote, e non riesco neppure a immaginare quello che state passando. A nome della mia società, Sonesta Games, mi assumo la completa responsabilità di quello che è successo a vostro figlio. Non abbiamo fabbricato noi quel giocattolo, i denti del vampiro, ma siamo proprietari della società che l’ha importato dalla Cina. E, dato che è una nostra società, la responsabilità è nostra. Domande?».
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Lwin e Soe scossero lentamente la testa. David assisteva stupito. In un processo le frasi pronunciate da Carl LaPorte sarebbero state un’arma vincente. Le scuse della società sarebbero state ammissibili come prova e per la giuria avrebbero avuto un peso determinante. Il fatto che LaPorte si assumesse ogni responsabilità, in modo esplicito e senza esitare, era importante per due motivi: primo, testimoniava che la società era in buona fede e, secondo, il caso non sarebbe arrivato in tribunale. La presenza dell’amministratore delegato, del direttore finanziario e del capo dell’ufficio legale indicava chiaramente che i tre avevano portato con sé il libretto degli assegni. «Niente di quello che posso dire riuscirà a far tornare il vostro bambino quello di prima» stava dicendo LaPorte. «Tengo però ad assicurarvi che mi dispiace moltissimo e che la nostra società farà tutto il possibile per aiutarvi.» «Grazie» sussurrò Soe, mentre Lwin si asciugava gli occhi. Dopo una lunga pausa, durante la quale guardò i Khaing con grande empatia, LaPorte disse: «Mr Zinc, proporrei di far accomodare i signori in una stanza in fondo al corridoio, mentre noi discutiamo la questione». «D’accordo» disse David. All’improvviso si materializzò un’assistente, che accompagnò i Khaing fuori dalla sala. Quando la porta si richiuse, LaPorte riprese: «Un paio di suggerimenti. Togliamoci tutti la giacca e cerchiamo di rilassarci, potremmo dover restare qui dentro per un po’. Avrebbe obiezioni, se ci dessimo del tu, Mr Zinc?». «Per niente.» «Bene. Noi siamo della California e la nostra cultura tende all’informale.» Le giacche vennero tolte e le cravatte allentate. «Allora, David, come proponi di procedere?» chiese Carl.
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«Siete stati voi a chiedere questo incontro.» «Giusto. Allora forse qualche informazione di fondo potrà essere utile. Prima di tutto, come sono certo che saprai, noi siamo la terza più importante società di giocattoli d’America. L’anno scorso le nostre vendite hanno superato di poco i tre miliardi di dollari.» «Dietro a Mattel e Hasbro» precisò educatamente David. «Ho letto tutti i vostri bilanci annuali e una tonnellata di altro materiale. Conosco i vostri prodotti, la vostra storia, le finanze, i personaggi chiave, le divisioni e la strategia societaria a lungo termine. So chi assicura la vostra ditta, anche se naturalmente i limiti della responsabilità civile non vengono divulgati. Sarò lieto di starmene qui seduto a chiacchierare finché vorrete. Non ho nient’altro in programma per oggi e i miei clienti si sono presi un giorno libero dal lavoro. Ma per accelerare un po’ le cose suggerirei di andare al punto.» Carl sorrise e lanciò un’occhiata a Dylan Kott e Wyatt Vitelli. «Certo, siamo tutti molto occupati. Vedo che hai fatto i compiti, David, perciò spiegaci cos’hai in mente.» David fece scivolare sul tavolo il documento 1 e cominciò: «Questo è un riepilogo di verdetti per danni cerebrali emessi negli ultimi dieci anni; si riferiscono solo a bambini. Il numero 1 è un verdetto per dodici milioni emesso l’anno scorso in New Jersey per un bambino di sei anni che aveva ingerito piombo masticando un pupazzo di plastica. Il caso è in appello. Guardate il numero 4, un verdetto per diciannove milioni di dollari emesso in Minnesota e confermato in appello lo scorso anno. Mio padre è giudice e membro della corte suprema del Minnesota ed è molto prudente quando si tratta di confermare verdetti di questa portata. Però ha votato per la conferma, così come hanno fatto gli altri componenti della corte. Voto unanime. Era un altro caso
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di avvelenamento da piombo. Un bambino e il suo giocattolo. Il numero 7 riguarda una ragazzina di nove anni che era quasi affogata perché il piede le era rimasto incastrato nello scarico di una piscina nuova di zecca in un country club di Springfield, in Illinois. La giuria ha deciso in meno di un’ora e ha riconosciuto alla famiglia un risarcimento di nove milioni di dollari. Guardate il numero 13, a pagina due. Un bambino di dieci anni colpito da un pezzo di metallo volato via da una falciatrice Bush Hog con la catena priva di protezioni. Gravi danni cerebrali. Il caso è stato giudicato in corte federale di Chicago e la giuria ha riconosciuto cinque milioni di dollari per danni materiali e venti milioni per danni punitivi. In appello il risarcimento per danni punitivi è stato ridotto a cinque milioni. Non ho bisogno di illustrarvi ogni singolo caso, sono sicuro che conoscete bene la materia». «David, credo che sia evidente il nostro desiderio di evitare un processo e una giuria.» «Me ne rendo conto, ma quello che voglio dire è che il caso di cui stiamo parlando avrebbe una presa enorme sui giurati. Dopo che avranno passato tre giorni a guardare Thuya Khaing legato con le cinghie sul suo seggiolone, potrebbero rientrare in aula con un verdetto anche più pesante di quelli di cui vi ho parlato. Questa evenienza dovrebbe essere tenuta presente nei nostri negoziati.» «Capito. Quali sono le tue richieste?» chiese Carl. «Be’, un accordo stragiudiziale deve comprendere numerose aree di risarcimento danni, alcune relativamente semplici da quantificare, altre più difficili. Cominciamo con l’onere finanziario che grava sulla famiglia per l’accudimento del bambino. Al momento i Khaing spendono circa seicento dollari al mese per l’alimentazione, i farmaci e i pannolini. Non è una grossa somma, ma è molto di più di quanto possano permettersi. Il bambino ha bisogno di un’infermiera part-
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time e di uno specialista in riabilitazione a tempo pieno per tentare almeno di riaddestrare i muscoli e riprogrammare il cervello.» «Qual è l’aspettativa di vita?» domandò Wyatt Vitelli. «È difficile da stabilire. Non ho indicato il dato nel mio rapporto perché un medico parla ufficiosamente di un anno o due, mentre un altro dice che il bambino potrebbe anche arrivare all’età adulta. Ho parlato con tutti i dottori e nessuno ritiene saggio fare previsioni su quanto potrà vivere. Io ho passato diverso tempo con Thuya negli ultimi sei mesi e ho notato un lievissimo miglioramento in alcune funzioni. Penso che dovremmo negoziare come se gli restassero ancora vent’anni di vita.» I tre uomini annuirono, subito d’accordo. «È evidente che i genitori non guadagnano molto. Abitano in un modesto appartamento con le due figlie più grandi. La famiglia ha bisogno di una casa con molto spazio e una stanza attrezzata per le necessità di Thuya. Niente di esagerato: sono persone semplici, ma hanno delle ambizioni.» A quel punto David fece scivolare sul tavolo tre copie del documento 2, copie che vennero subito afferrate. Fece un respiro profondo e continuò: «Questa è la nostra proposta di accordo. Innanzi tutto potete vedere i danni specifici. Il numero 1 riguarda le spese di cui ho appena parlato, più un’infermiera part-time a trentamila dollari l’anno, più il salario perso dalla madre, venticinquemila dollari l’anno, perché la signora vorrebbe lasciare il lavoro per restare a casa con suo figlio. Ho aggiunto anche il costo di un’auto nuova, in modo che i Khaing possano accompagnare il bambino alla riabilitazione tutti i giorni. Ho arrotondato la cifra a centomila dollari l’anno per vent’anni, per un totale di due milioni. Ai tassi attuali potete sottoscrivere una polizza di rendita annuale con un milione e
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quattrocentomila dollari. La riabilitazione è una zona grigia perché non so per quanto tempo potrà continuare. A oggi, costa circa cinquantamila dollari l’anno. Presumendo vent’anni, la rendita annuale vi costerà settecentomila dollari. Poi c’è la questione della nuova casa, in un bel quartiere con buone scuole, cinquecentomila dollari. La voce successiva riguarda il Lakeshore Children’s Hospital. Le cure dell’ospedale hanno salvato la vita di Thuya e sono state gratuite, almeno per la famiglia, ma io credo che le spese dovrebbero essere rimborsate. L’ospedale è stato riluttante nel fornirmi una stima, comunque eccola, seicentomila dollari». David era arrivato a tre milioni e duecentomila e nessuno dei tre manager aveva estratto una penna dalla tasca. Non c’erano espressioni accigliate, nessuno scuotimento di testa, niente che indicasse la loro impressione di trovarsi davanti a qualcuno che aveva perso la ragione. «Passando ai danni morali, ho indicato la perdita del godimento della vita da parte del bambino e il dolore della famiglia. So che sono argomenti di difficile trattazione, ma per la legge dell’Illinois sono danni risarcibili. Suggerisco la somma di un milione e ottocentomila dollari.» David intrecciò le dita delle mani e aspettò una risposta. Nessuno sembrava sorpreso. «Cinque milioni tondi» riassunse Carl LaPorte. «E cosa ci dici della parcella degli avvocati?» chiese Dylan Kott. «Accidenti, quasi me ne dimenticavo» rispose David, e tutti sorrisero. «La mia parcella non verrà detratta da ciò che riceverà la famiglia. È extra. Trenta per cento del totale, vale a dire un milione e mezzo.» «Una bella sommetta» commentò Dylan.
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David fu quasi sul punto di parlare dei milioni di dollari che ognuno dei tre aveva guadagnato l’anno prima tra stipendio e stock option, ma lasciò perdere. «Mi piacerebbe pensare di poterla tenere tutta per me, ma non è così.» «Sei milioni e mezzo» concluse Carl. Posò sul tavolo la sua copia e stirò le braccia. «Mi siete sembrati decisi a fare ciò che è giusto» disse David. «Inoltre non volete una brutta pubblicità, così come non vi va di tentare la sorte con una giuria poco comprensiva.» «La nostra immagine è importantissima» ribadì Carl. «Noi non inquiniamo i fiumi, non fabbrichiamo armi a buon mercato, non respingiamo le richieste delle assicurazioni e neppure truffiamo il governo con contratti fregatura. Noi fabbrichiamo giocattoli per bambini. Nient’altro. Se ci facciamo la reputazione di nuocere ai bambini, siamo morti.» «Posso chiederti dove hai trovato quei prodotti?» domandò Dylan. David raccontò la storia di Soe Khaing che aveva acquistato la prima serie di denti del vampiro l’anno prima e della sua successiva, personale ricerca in tutta l’area di Chicago a caccia di confezioni simili. Carl, a sua volta, descrisse gli sforzi compiuti anche dalla sua società per rintracciare tutti i denti del vampiro sul mercato e ammise che negli ultimi diciotto mesi la Sonesta Games aveva già risolto in via transattiva altri due casi analoghi. Erano cautamente ottimisti e speravano di avere eliminato dal mercato tutti i prodotti con vernice al piombo, ma non ne erano sicuri. Erano in guerra con numerose fabbriche cinesi e avevano trasferito la maggior parte della produzione in altri paesi. L’acquisto della Gunderson Toys era stato un costosissimo errore. Vennero raccontate altre storie, quasi che entrambe le parti
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avessero bisogno di una pausa per riflettere sulla proposta di accordo sul tavolo. Dopo un’ora i tre della Sonesta chiesero a David di uscire in modo da poter discutere in privato. David bevve una tazza di caffè con i suoi clienti e, un quarto d’ora più tardi, l’assistente di prima gli chiese di rientrare nella sala riunioni. Quando la ragazza gli chiuse la porta alle spalle, David era pronto a concludere l’accordo o ad andarsene. Una volta che tutti ebbero preso posto e si furono sistemati, Carl LaPorte cominciò: «David, eravamo pronti a firmare un assegno di cinque milioni e a chiudere la faccenda, ma tu chiedi molto di più». «Noi non accetteremo cinque milioni perché il caso vale almeno il doppio. La nostra richiesta è sei milioni e mezzo, prendere o lasciare. Depositerò l’atto di citazione domani mattina.» «Una causa dura anni. I tuoi clienti possono permettersi di aspettare?» domandò Kott. «Alcuni nostri giudici federali applicano una certa Norma Locale 83.19, detta anche Agenda razzo. Credetemi: funziona. Posso avere questa causa davanti a una giuria entro un anno. Il mio ultimo caso era molto più complesso ed è andato a processo dieci mesi dopo il deposito degli atti. Sì, i miei clienti possono sopravvivere fino a quando la giuria emetterà il verdetto.» «Quella causa non l’hai vinta, vero?» domandò Carl, inarcando le sopracciglia come se avesse saputo tutto del processo Klopeck.
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«No, non l’ho vinta, ma ho imparato parecchio. Non avevo niente in mano. Questa volta ho dei fatti concreti. Dopo che la giuria avrà ascoltato tutto, sei milioni e mezzo vi sembreranno un ottimo affare.» «Offriamo cinque milioni.» David deglutì, fissò LaPorte e disse: «Carl, tu non mi stai ascoltando. Sono sei milioni e mezzo adesso oppure molto, molto di più tra un anno da oggi». «Stai rifiutando cinque milioni di dollari per quei poveri immigrati birmani?» «Li ho appena rifiutati e non intendo negoziare. La tua società ha un’ottima assicurazione. I sei milioni e mezzo non incideranno sui tuoi utili netti.» «Forse, ma i premi dell’assicurazione non sono a buon mercato.» «Non intendo mercanteggiare. Affare fatto o no?» Carl fece un respiro profondo e scambiò un’occhiata con Dylan Kott e Wyatt Vitelli. Poi si strinse nelle spalle, sorrise, si arrese e tese la mano. «Affare fatto.» David gliela afferrò e la strinse con forza. «A condizione che resti tutto estremamente confidenziale» aggiunse Carl. «Naturalmente.» «Dirò ai nostri ragazzi dell’ufficio legale di preparare l’accordo» disse Dylan.
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«Non è necessario.» David aprì la valigetta, estrasse una cartellina, l’aprì e distribuì quattro copie di un documento. «Questo accordo copre tutti gli argomenti trattati. È molto chiaro e il punto relativo alla riservatezza è espresso in ogni formulazione possibile. Io lavoro in un minuscolo studio legale che al momento ha qualche problema. È nel mio stesso interesse tenere tutto sotto silenzio.» «Avevi già preparato un accordo per sei milioni e mezzo?» chiese Carl. «Proprio così. Non un centesimo di meno. È quello che vale questo caso.» «L’accordo dovrà essere approvato dal tribunale, giusto?» osservò Dylan. «Sì. Ho già provveduto alla tutela del minore: il suo legale rappresentante è il padre. Il tribunale dovrà approvare l’accordo e nel corso degli anni controllerà la regolarità dei movimenti contabili. Io avrò l’obbligo di redigere un rendiconto annuale e di relazionare il giudice una volta all’anno, comunque l’intera pratica può essere sigillata per garantirne la segretezza.» L’accordo venne studiato con attenzione e poi Carl LaPorte lo firmò per conto della società. Lo firmò anche David. Soe e Lwin vennero riaccompagnati nella sala, David spiegò i termini dell’accordo e i due apposero la loro firma sotto la sua. Carl si scusò di nuovo e augurò ai Khaing ogni bene. Soe e Lwin erano sotto shock, sopraffatti dall’emozione e incapaci di parlare. Mentre stavano uscendo dall’edificio, Dylan Kott chiese a David se poteva concedergli un momento. I Khaing andarono ad aspettare accanto al SUV del loro avvocato. Kott fece scivolare abilmente una busta bianca in mano a David: «Questa non l’hai avuta da me, okay?».
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David si mise la busta in tasca. «Che cos’è?» «Un elenco di altri prodotti, perlopiù giocattoli, con storie di avvelenamento da piombo. Quasi tutti fabbricati in Cina, ma ce ne sono anche di provenienti dal Messico, dal Vietnam e dal Pakistan. Fabbricati in altri paesi, ma importati da società statunitensi.» «Capisco. Per caso queste società sono vostre concorrenti?» «Centro.» «Grazie.» «Buona fortuna.»
50 L’ultima riunione dello studio Finley & Figg si tenne nel tardo pomeriggio di quello stesso giorno. Dietro insistenza di David, aspettarono finché Rochelle non se ne fu andata. Oscar era stanco e irritabile, un ottimo segno. La sua fidanzata e autista era stata mandata via alle tre e David le aveva promesso di accompagnare a casa il socio anziano dopo la riunione. «Deve essere qualcosa di importante» disse Wally, mentre David chiudeva a chiave la porta d’ingresso e tirava le tende. «Molto importante» confermò David, sedendosi al tavolo. «Ricordate quel caso di avvelenamento da piombo di cui vi ho parlato qualche mese fa?» C’erano vaghi ricordi, ma erano successe troppe cose nel frattempo. «Bene» riprese David compiaciuto. «Ci sono stati degli sviluppi interessanti.» «Raccontaci» disse Wally, pregustando già qualcosa di piacevole. David si lanciò in una lunga esposizione dell’attività che aveva svolto per conto dei Khaing. Posò una serie di denti del vampiro sul tavolo mentre dipanava lentamente il suo racconto verso la meravigliosa conclusione. «Questa mattina ho avuto un incontro con l’amministratore delegato e altri top manager della società e siamo arrivati a un accordo.» A quel punto sia Wally sia Oscar pendevano dalle sue labbra e si scambiavano occhiate nervose. Quando David disse: «L’onorario degli avvocati ammonta a un milione e mezzo di dollari» entrambi chiusero
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gli occhi e chinarono la testa, come in preghiera. David tacque per un istante, mentre distribuiva copie di un documento. «Questa è la bozza di contratto societario del nuovo studio legale Finley, Figg & Zinc.» Oscar e Wally presero in mano il documento, ma nessuno dei due lo lesse. Continuavano a fissare David a bocca aperta, entrambi troppo storditi per riuscire a parlare. «Una società alla pari» continuò David. «Divisione degli utili in tre parti uguali, con prelievi mensili individuali in base alle entrate nette di ogni mese. L’edificio resta a vostro nome. Vorrei che deste un’occhiata al terzo paragrafo a pagina due.» Né Wally né Oscar voltarono pagina. «Spiegacelo a voce» disse Oscar. «Okay. Vengono indicate chiaramente le attività nelle quali il nuovo studio non dovrà più impegnarsi. Lo studio non pagherà mazzette o ricompense a poliziotti, autisti di carri attrezzi, personale sanitario o chiunque altro per la segnalazione di casi. Lo studio non si farà pubblicità alle fermate d’autobus, sulle cartelle del bingo o su pubblicazioni da due soldi. In effetti ogni forma di pubblicità dovrà essere approvata dal comitato marketing, il quale, almeno per il primo anno, sarà composto unicamente da me. In altre parole, amici, lo studio non darà più la caccia alle ambulanze.» «E dove finisce tutto il divertimento?» domandò Wally. David sorrise educatamente, ma proseguì: «Ho sentito parlare di pubblicità su cartelloni stradali e in televisione, anche questo è proibito. Prima che lo studio accetti un nuovo cliente, dovremo discuterne tutti e tre e trovare un accordo. In sostanza, lo studio si atterrà ai più alti standard professionali. Ogni parcella saldata in contanti dovrà essere immediatamente contabilizzata e la contabilità verrà seguita da un
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commercialista competente iscritto all’albo. In pratica, signori, il nuovo studio opererà come un vero studio legale. Questo contratto ha la validità di un anno e, nel caso in cui uno di voi non vi si attenga, la società verrà sciolta e io mi troverò un lavoro da qualche altra parte». «Per tornare all’argomento parcelle» disse Wally «non mi pare che tu abbia concluso quel discorso.» «Se siamo d’accordo sulle regole della nuova società, allora propongo di usare la parcella del caso Khaing per pagare la banca e sistemare il disastro Krayoxx, compresi i quindicimila dollari di sanzioni che ci siamo beccati nel corso del processo. Si tratta di circa duecentomila dollari. Rochelle avrà un bonus di centomila. Resta un milione e due per gli avvocati, importo che ritengo debba essere diviso in tre parti uguali.» Wally chiuse gli occhi. Oscar emise un grugnito, poi si alzò lentamente in piedi e andò verso la porta, fermandosi a guardare fuori dalla finestra. «Non sei tenuto a farlo, David.» «Concordo» disse Wally, ma senza molta convinzione. «Il caso Khaing è tuo. Noi non abbiamo fatto niente.» «È vero. Ma io vedo la cosa in questi termini: non mi sarei mai imbattuto nel caso Khaing, se non fossi venuto qui. È semplice. Un anno fa facevo un lavoro che detestavo. Poi sono capitato in questo posto, ho conosciuto voi due e in seguito ho avuto un colpo di fortuna.» «Argomento eccellente» convenne Wally, e Oscar fu subito d’accordo. Oscar tornò al tavolo e si rimise lentamente a sedere. Guardò Wally e gli chiese: «Cosa mi dici del mio divorzio?».
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«Nessun problema. Abbiamo un accordo firmato. Tua moglie non ha alcun diritto sugli onorari incassati dopo la firma. Il divorzio diventerà definitivo in gennaio.» «La vedo così anch’io» disse Oscar. «E io anche» concordò David. Rimasero a lungo in silenzio, poi AC si alzò in piedi dal suo cuscino e cominciò a ringhiare piano. Il lamento distante di un’ambulanza arrivò a portata d’orecchio e si fece sempre più forte. Wally guardò con desiderio la finestra di fianco alla scrivania di Rochelle. «Non pensarci neppure» gli disse David. «Scusa. La forza dell’abitudine» rispose Wally. Oscar cominciò a ridacchiare e, dopo un attimo, stavano ridendo tutti e tre.
EPILOGO Bart Shaw archiviò la pratica e lasciò perdere qualsiasi minaccia di denuncia per negligenza professionale nei confronti di Finley & Figg. Incassò comunque quasi ottantamila dollari dalla Varrick per i suoi sforzi, riusciti, di tormentare lo studio e costringerlo ad affrontare il processo Klopeck. Adam Grand presentò all’ordine forense dello Stato un esposto per violazioni al codice deontologico da parte di Finley & Figg, esposto che però finì nel nulla. Altri cinque clienti, categoria “non-morte”, fecero lo stesso e con lo stesso risultato. Nadine Karros mantenne la promessa di non richiedere sanzioni per avere intentato una causa infondata, ma in altri tribunali la Varrick montò un’aggressiva campagna, spesso di successo, volta a rastrellare denaro dai legali degli attori. Nel Sud della Florida, Jerry Alisandros fu travolto da una multa enorme non appena diventò evidente che non aveva alcuna intenzione di insistere con il contenzioso Krayoxx. Thuya Khaing ebbe una serie di violente crisi convulsive e morì tre giorni dopo Natale al Lakeshore Children’s Hospital. David e Helen, insieme a Wally, Oscar e Rochelle, assistettero al modesto servizio funebre. Erano presenti anche Carl LaPorte e Dylan Kott i quali, con l’aiuto di David, riuscirono a scambiare qualche parola con Soe e Lwin. Carl espresse le sue sentite condoglianze e, di nuovo, si assunse la piena responsabilità dell’accaduto a nome della sua società. In base ai termini dell’accordo concluso da David, tutte le somme concordate erano legalmente assegnate e sarebbero state versate come stabilito. Il divorzio di Oscar diventò definitivo alla fine di gennaio. Per allora lui viveva già con la sua fidanzata in un nuovo appartamento e non era mai stato più felice in vita sua. Wally era ancora sobrio e faceva
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addirittura volontariato per aiutare altri avvocati in lotta contro qualsiasi tipo di dipendenza. Justin Bardall venne condannato a un anno di detenzione per avere tentato di incendiare lo studio. Si presentò in tribunale sulla sedia a rotelle e il giudice gli ordinò di guardare in faccia Oscar, Wally e David. Bardall aveva collaborato con l’accusa per ottenere una sentenza più mite. Il giudice, che aveva passato i suoi primi vent’anni lavorativi praticando la legge nelle strade del Southwest Side di Chicago e aveva una bassissima opinione dei delinquenti che complottavano per incendiare studi legali, non ebbe alcuna compassione per i boss di Justin. Il proprietario della Cicero Pipe venne condannato a cinque anni di detenzione e il suo supervisore a quattro. David ottenne l’archiviazione della causa intentata da Bardall contro Oscar e lo studio. Com’era prevedibile, la nuova società non sopravvisse. Dopo l’operazione al cuore e il divorzio, Oscar aveva perso spinta e trascorreva sempre meno ore in studio. Aveva un po’ di soldi in banca, aveva la pensione della previdenza sociale e la sua fidanzata guadagnava bene con il suo lavoro di massaggiatrice. (Oscar, in effetti, l’aveva incontrata alla porta accanto.) Dopo sei mesi dall’entrata in vigore del nuovo contratto, Oscar cominciò ad accennare all’idea di ritirarsi. Wally stava ancora soffrendo per i postumi dell’avventura Krayoxx e non dimostrava più l’antico zelo nella caccia a nuovi clienti. Anche Figg aveva una nuova fidanzata, una donna un po’ più anziana di lui con un “bel conto in banca”, per usare le sue parole. Era inoltre dolorosamente evidente, almeno per David, che nessuno degli altri due soci aveva il desiderio o il talento indispensabili per mettere insieme casi importanti e, se necessario, portarli in tribunale. In tutta sincerità, lui non riusciva a vedersi entrare in un’altra aula in compagnia di quei due.
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Con il radar puntato notò immediatamente i segni premonitori. E cominciò a programmare la sua uscita di scena. Undici mesi dopo l’arrivo di Emma, Helen diede alla luce due gemelli, e questo evento spinse David a pianificare un nuovo futuro. Affittò un ufficio non lontano da casa a Lincoln Park, scegliendo con cura una suite al quarto piano con vista a sud. Da lì poteva vedere il magnifico skyline del centro città, con la Trust Tower esattamente nel bel mezzo. Quel panorama non mancava mai di stimolarlo. Quando tutto fu in ordine, informò Oscar e Wally che se ne sarebbe andato alla scadenza del contratto e cioè al termine dei dodici mesi. La separazione fu difficile e triste, ma non inaspettata. L’occasione diede la spinta finale a Oscar per annunciare il suo ritiro. Anche Wally sembrò sollevato. Di comune accordo decisero immediatamente di vendere l’edificio e chiudere bottega. Quando i tre ex soci si strinsero la mano e si augurarono a vicenda buona fortuna, Wally stava già programmando una fuga in Alaska. David ereditò il cane e anche Rochelle, con la quale comunque era in trattativa segreta da un mese. Non avrebbe mai preso in considerazione l’idea di portarla via a Finley & Figg, ma all’improvviso Ms Gibson era una libera professionista. Con uno stipendio un po’ più alto e maggiori benefit, Rochelle ebbe il titolo di capufficio e si trasferì con gioia nella sede dello studio legale David E. Zinc, Avvocato. Il nuovo studio si specializzò in responsabilità civile per danni da prodotti. Quando David negoziò con successo altri due casi di avvelenamento da piombo, diventò chiaro – a lui stesso, a Rochelle e allo staff sempre più numeroso – che lo studio si sarebbe dimostrato molto redditizio.
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David svolgeva la maggior parte del suo lavoro in corte federale e, con gli affari che prosperavano, si ritrovava sempre più spesso in centro città. Quando gli era possibile, faceva un salto da Abner’s per una risata e un pranzo veloce con un sandwich e una bibita analcolica. In due occasioni si fece un Pearl Harbor in compagnia di Miss Spence la quale, anche se aveva ormai novantasette anni, continuava a scolarsi tutti i giorni tre delle sue pozioni sciroppose. Entrambe le volte David riuscì a mandarne giù una soltanto, dopodiché tornò in studio in metropolitana e si concesse un sonnellino sul suo divano nuovo.
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Ebook ISBN 9788852021787 COPERTINA || ART DIRECTOR: GIACOMO CALLO | GRAPHIC DESIGNER: ANDREA FALSETTI | ELABORAZIONE DI DEBRA LILL DA FOTO © DEBRA LILL E CGIBACKGROUNDS/GETTY IMAGES «L’AUTORE» || FOTO © BOB KRASNER