RAE FOLEY FATAL LADY (Fatal Lady, 1964) 1 Quando Janet diede un leggero colpo di clacson, un uomo uscì dalla guardiola, ...
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RAE FOLEY FATAL LADY (Fatal Lady, 1964) 1 Quando Janet diede un leggero colpo di clacson, un uomo uscì dalla guardiola, le lanciò un'occhiata e corse a spalancare il cancello. Nell'area di parcheggio, lei chiuse a chiave le portiere dell'auto - "Non lasciatele mai aperte", l'avevano avvertita subito, tre anni prima - e trasse un profondo sospiro. Poi, si avviò verso l'edificio principale. Wentworth sembrava un posto incantevole a chi lo vedeva per la prima volta. I padiglioni di pietra grigia avevano una struttura architettonica armoniosa e i muri ricoperti di rampicanti. Le foglie, che l'autunno tingeva di rosso, incorniciavano le finestre, rendendo meno evidenti le grate di ferro che le sbarravano. I giardini, che ottobre aveva colmato di crisantemi e d'astri, erano famosi. Numerose persone passeggiavano nei viali. Persone fortunate, in apparenza, che avevano il privilegio di godere tanta bellezza. Ma nessuno camminava da solo, in quei giardini. Tutti avevano un vigile compagno accanto a sé. Janet Grant si guardò intorno: Cass non c'era. Allora, salì rapidamente la breve scalinata d'ingresso e passò dalla luce del sole a quella chiara e senz'ombre dell'atrio di ricezione. Anche qui, niente rivelava che Wentworth era una clinica per malattie mentali. Il dottor Halstead aveva teorie rigorose sulla funzione terapeutica dell'ambiente, e non gli mancava il denaro per applicarle. C'erano morbidi tappeti sul pavimento, vivaci tende di chinz alle finestre, poltrone e divani ricoperti dallo stesso tessuto. E poi, una profusione di fiori, nei vasi e nelle bocce di cristallo sui tavolini. Cass non c'era. Una ragazza in un abito di lana azzurra - il dottor Halstead aveva ridotto le uniformi al minimo indispensabile - alzò lo sguardo da un registro e la salutò sorridendo. «Splendida giornata, vero? Volete parlare col dottor Halstead, stamattina?» «Perché?» replicò lei con voce atona. «Il dottore mi dice sempre "situazione stazionaria".» Il sorriso della ragazza si accentuò con la tipica vivacità professionale.
«Be', niente nuove, buone nuove. Non è così?» «Perché?» ripeté Janet. Il sorriso si spense. «Credo che troverete vostro fratello nella stanza da gioco» disse la ricezionista. Quella sala ampia e luminosa, alla quale si accedeva da una porta ad arco, era uno dei "capolavori" del dottor Halstead: insieme con l'ottima cucina e coi giardini, giustificava le astronomiche tariffe richieste. C'erano quattro persone che giocavano a bridge, alcune impegnate a ricomporre un puzzle e due giovani al tavolo del ping-pong. Ma Cass non c'era. Janet stava per passare in biblioteca, quando udì un improvviso grido di rabbia. Uno dei giocatori di ping-pong si era scagliato sull'altro. Un sorvegliante in camice bianco, che stava leggendo un giornale, si precipitò a separare i due giovani e ne condusse via uno, parlandogli con voce suadente, ma tenendolo saldamente per un braccio. Nessuno dei presenti aveva prestato attenzione alla scena. Janet rabbrividì ed entrò nella biblioteca. Cass, seduto in poltrona, era così immerso nella lettura che non si accorse nemmeno della sua presenza. Lei si sentì contrarre la gola, mentre lo guardava. Ormai, aveva i capelli quasi bianchi e rughe profonde incise agli angoli della bocca. Il suo viso, un tempo rotondo, era affilato, quasi sparuto, e aveva un'espressione dura. Per la prima volta, Janet notò la sua spiccata somiglianza con Thornton Grant. Nessuno sarebbe riuscito a ritrovare in lui traccia del playboy che Cass era stato. L'uomo alzò lo sguardo, la vide e chiuse il libro, per andarle incontro. «Ciao. Quella che sfoggi è una nuova creazione di Katherine Lord? Sei assolutamente splendida.» L'abbracciò, baciandole una guancia. «Come va, Cass?» gli chiese lei, e subito se ne pentì. Ma che cosa poteva dirgli? Di cosa poteva parlare senza avere il dubbio di turbarlo? Per questo continuavano ad allontanarsi sempre di più, loro due. Non sapeva come parlargli, come raggiungerlo... Cass non faceva niente per aiutarla, per colmare il vuoto che li separava. A poco a poco, inesorabilmente, si ritraeva in un suo mondo segreto, s'immergeva nei ricordi che gli avevano sbiancato i capelli, a trentatré anni, e scavato rughe profonde nel volto. Ricordi e pensieri che non voleva dividere con lei. L'unica volta che Janet aveva fatto uno sforzo per avvicinarsi a Cass, per riuscire a penetrare in quel mondo di solitudine, lui le si era avventato contro, respingendola con la ben nota aggressività dei Grant.
«Lasciami in pace, hai capito?» aveva gridato. «Non ti chiedo altro! Lasciami in pace e non venire più qui. Queste visite sono un vero inferno per tutti e due.» Janet non aveva più tentato di violare la sua intimità, ma era tornata a Wentworth. Col tempo, avevano imparato a fingere che niente li dividesse, che tutto fosse rimasto immutato tra loro. Una finzione così fragile e precaria... Cass abbozzò quel sorriso che lei non sopportava, un sorriso di sarcasmo. «Sei arrivata proprio al momento giusto» le disse. «Se avessi preparato una messinscena per il nostro incontro, non avrei potuto organizzarla meglio. Cass Grant che sta tentando di farsi una cultura!» Le mostrò il libro che stava leggendo, "Le Metamorfosi" di Ovidio. «E se questo non ti colpisce, in un uomo che prima leggeva solamente i titoli, non so che altro ti potrebbe colpire.» «Per carità, dovrò cimentarmi con due cultori di letteratura classica in famiglia?» Janet riuscì a parlare con tono scherzoso, gaio, ma il sorriso le sfiorò solo le labbra, senza illuminarle gli occhi. «Andiamocene di qui» disse lui, bruscamente. Poi, coniò accuratamente la frase con altre parole. «È una giornata troppo bella per stare al chiuso.» "Perché non mi dici che odi questo posto?", gli chiese Janet, in silenzio. "Perché non ti confidi con me?" Passeggiarono lungo i viali. Il sole gli faceva sembrare ancora più bianchi i capelli, che erano stati biondissimi, quattro anni prima. Janet si sforzava di non lasciar mai cadere quella loro conversazione così superficiale, vuota, punteggiata da sporadici tentativi di gaiezza, che subito si spegnevano. Fingevano che quello fosse davvero uno splendido giardino tutto da godere. Fingevano di non notare le persone che incontravano, i loro occhi troppo vacui, i loro gesti tropo febbrili. Uomini e donne chiusi in un'infinita solitudine. E fingevano di non vedere gli infermieri in camice bianco che li seguivano, mai tanto vicini da ascoltare quello che si dicevano, mai tanto lontani da non poterli raggiungere immediatamente, nei momenti di bisogno. Cass accompagnò Janet al parcheggio e rimase a guardarla mentre apriva la portiera della macchina. A un tratto, lei si girò e vide la sua espressione, gli scoprì un'ansia disperata negli occhi. Poi, Cass si chiuse di nuovo in guardia. Quando la ragazza si fu seduta al volante, mise una mano sullo sportello. Subito, l'infermiere si avvicinò, all'erta, pronto a sventare un eventuale tentativo di fuga.
Cass se ne accorse e, per la prima volta, rise. La sua mano si contrasse sullo sportello. «Non tornare più, Jan» disse. «È troppo penoso per te e non puoi far niente per aiutarmi. Perché non dimentichi tutto? Perché non ti sposi?» «Nessuno mi vuole» rispose lei, sorridendo. «Bella come sei? La più bella debuttante di una generazione... così ti avevano definita i giornali.» Lo sguardo cupo e disperato tornò ad apparirgli negli occhi. «È per colpa mia, forse? Perché io sono "qui", voglio dire.» «Non pensarle neanche certe assurdità. Io... ecco, non c'è nessuno...» «E Pete? Non vorrai farmi credere che il tuo fedele cavaliere si è arreso, Jan.» «No, non si è arreso.» «Sempre docile, servizievole e paziente, eh? Avrebbe più successo con te, se ti torcesse un po' il collo, ogni tanto.» Parve non accorgersi che Janet era impallidita fino alle labbra. «Povero Pete! Lo tratti proprio da cani. Ma, se resiste, vuol dire che gli piace. Ho ricevuto la sua solita visita, ieri. Viene una volta il mese, puntuale come un cronometro svizzero.» «Pete è un buon amico» replicò Janet. «Se non fosse per lui, tu non saresti qui, adesso.» «Non credi che avrei preferito la sedia elettrica?» Cass non si sforzava più di fingere, ormai. La sua voce era salita di tono e l'infermiere si fece ancora più vicino. Sorrideva, ma con un cenno sollecitò Janet ad andarsene. Lei accese il motore, ingranò la marcia, uscì dal parcheggio. Poi, mentre il custode le apriva il cancello, si volse. Cass si era avviato verso uno degli edifici laterali. Camminava lentamente e l'infermiere lo teneva per un braccio. Dopo aver portato la macchina in garage, Janet percorse a piedi i quattro isolati fino alla Cinquantaquattresima Strada, diretta verso un piccolo negozio la cui insegna annunziava semplicemente "Katherine Lord". Durante l'ora di viaggio da Wentworth a New York, aveva tentato di vincere l'angoscia che ogni visita a Cass le procurava, distogliendo il pensiero da lui per concentrarlo su altri problemi di minore importanza, sulla nuova vita che si era potuta creare da quando suo fratello era stato internato in quella clinica per malattie mentali. Automaticamente, guardò le vetrine di un negozio di moda, confrontando gli abiti che vi erano esposti con quelli che disegnava lei. Indugiò a e-
saminare un insolito accostamento di colori, incerta se le piacesse o no. Era originale, senza dubbio, ma difficile da portare, addirittura impossibile per una bruna. Fu allora che sentì un rumore di passi diseguali. Si voltò di scatto, osservando le persone dietro lei. Poi, si costrinse a proseguire, ma continuò a concentrare l'attenzione su quel passo, l'inconfondibile andatura di uno zoppo. Tornò a girarsi bruscamente, più volte, quasi sperando di prendere qualcuno alla sprovvista. Capì che il suo contegno doveva dare nell'occhio, perché i passanti la fissavano. Una coppia la riconobbe, e Janet sentì fare il suo nome, con tono di stupore. Si affrettò a inforcare un paio di occhiali scuri, ma troppo tardi, come il solito. Le davano fastidio e, spesso, dimenticava di metterseli, anche se le lenti affumicate e la pesante montatura le offrivano la confortante illusione di essersi completamente trasformata. Infatti, era proprio l'insolita combinazione dei capelli biondissimi e degli occhi neri a renderla così facilmente riconoscibile. Camminò in fretta, tentando di sottrarsi all'attenzione dei curiosi, poi s'impose di rallentare: non poteva fuggire. E allora, tornò a udire quel passo diseguale, dietro di sé. Lo conosceva da parecchio tempo, ormai, da quando si era accorta d'essere pedinata. Ma perché seguirla anche adesso, dopo tanto tempo? Trasse un sospiro di sollievo quando entrò nel suo negozio. Il locale era lungo e stretto, col pavimento ricoperto da una folta moquette grigio-scura e le pareti tappezzate di un grigio più chiaro. All'estremità, una breve scala portava su un soppalco arredato con poltrone ricoperte di shantung color ciliegia e alcuni tavolini forniti di portasigarette e posacenere. Qui, le indossatrici di Katherine Lord mostravano i suoi modelli e, quando le clienti facevano degli acquisti importanti, venivano offerti dei cocktail. Janet si guardò attorno, compiaciuta: decisamente, la boutique aveva uno stile che colpiva. In quel momento, non c'era nessuno. Le sue clienti fisse venivano raramente, il mattino, se non avevano una prova, ma non mancava mai qualche signora che, passando di lì, entrava attratta da un modello e restava sconvolta dal prezzo. Ma come, per quell'abitino così semplice...? Katherine Lord inarcava le sopracciglia sottili e attraversava lentamente il locale. La cliente la guardava, notando il suo portamento elegante, la linea sobria e perfetta dell'abito che indossava, E di salito, se aveva abbastanza denaro con sé, comprava.
In fondo al negozio, una porta nascosta da un drappeggio di broccato dava nell'ufficio. Non si udivano altri rumori che quello di un condizionatore d'aria, installato in una parete del soppalco, là dove nascevano le creazioni di Katherine Lord, il ronzio di una macchina per cucire elettrica, il sibilo acuto di un ferro da stiro a vapore. Poi, sentì la voce della direttrice del negozio che stava parlando con una nuova indossatrice. «Guardatevi bene dal venir qui in pantaloni» diceva. «Katherine Lord lancia una moda per far ritrovare alle donne il senso dell'eleganza e del fascino femminile, mettendo al bando le stravaganze da hippie e la mania d'imitare certi tipi da bassifondi. Era ora che qualcuno ci pensasse. L'occhio maschile ha pur diritto alla sua parte, no? E gli uomini che conosco io preferiscono fare all'amore con una donna-donna, che non consolarsi pensando che, di notte, tutti i gatti sono grigi.» La ragazza rise. «Siete spietata! Comunque, mi sono messa i pantaloni solo perché...» «Che non succeda più, mi raccomando.» «D'accordo» si arrese l'indossatrice. «Sospetto che non sia facile accontentare la signorina Lord.» «Vi sbagliate. Si lavora benissimo con lei. È una donna deliziosa, persino troppo gentile e conciliante, secondo me. Troppo ingenua. Quando qualcuno viene a raccontarle una storia patetica di tribolazioni, ci casca sempre. Ma non azzardatevi a contrariarla, cercando d'imporle le vostre idee, altrimenti salta fuori il temperamento focoso dei Grant.» «Dei Grant?» ripeté la ragazza, senza capire. «Ma come? Non lo sapete? Katherine Lord è solo una specie di marchio di fabbrica, ma lei è Janet Grant. Personalmente, penso che la Pubblica Accusa abbia fatto troppo leva sull'aggressività dei Grant, sui loro impeti di furia, al processo. Ha esagerato, ve l'assicuro. In fondo, tutto si riduce a un'esplosione di collera, a un tuono, a un fulmine, che non lascia tracce.» «Quale processo?» «Ma insomma, in che mondo siete vissuta finora? Il processo contro Cass Grant, il fratello della signorina Janet. Non ricordate l'assassinio di Maitland Frederick?» «Ah, sì, quel delitto!... Cass Grant era il marito di quella splendida ragazza, Eve... mio fratello ha fatto collezione di tutte le sue fotografie pubblicate sui giornali, ne ha tappezzato le pareti della camera da letto. Lui è stato assolto, vero? "Playboy Grant", lo chiamavano. Certo, con tutti i suoi soldi doveva riuscire a cavarsela.»
«L'hanno internato a vita in un manicomio, se è questo che intendete per "cavarsela". E adesso, volete provare Alba Grigia? La signorina Lord ha qualche dubbio sulla linea delle spalle.» Seduta alla scrivania del suo ufficio, Janet si nascose il volto tra le mani. Non sarebbe mai finito quel tormento fatto di curiosità morbosa che la circondava, di pettegolezzi, insinuazioni, occhi fissi su di lei? La porta della boutique si aprì e la direttrice trasse un sospiro. «Lasciate perdere Alba Grigia. Adesso, dovrete mostrare dei modelli a qualche cliente.» L'indossatrice si sporse a sbirciare dalla balaustra del soppalco. «Chi è quella donna? Non è più giovane, ma ancora molto bella, vero?» «Certo. Vent'anni fa, era una bellezza famosa, una delle sorelle Lorton. È la signora Frederick.» «La vedova dell'uomo assassinato da Cass Grant? E viene qui? Be', questa poi...» Janet tremava. Con uno sforzo, si alzò e uscì dall'ufficio, tenendo le spalle ben erette. La donna che le andò incontro era sulla cinquantina, ma il tempo non le aveva ancora rubato la sua bellezza. Automaticamente, Janet notò la linea perfetta dell'abito, la sciarpa bordata di pelliccia, e si chiese chi vestisse la signora Frederick. Senza dubbio, qualcuno che sapeva il fatto suo. Per un momento che parve interminabile, le due donne rimasero a fissarsi. Anne Frederick aveva uno sguardo intenso, scrutatore, Janet un'aria tesa, come se facesse appello alle proprie forze per parare un colpo. «È tanto tempo che non ci vediamo, Janet» disse infine la signora Frederick e le tese la mano. Riluttante, la ragazza gliela strinse, in fretta. «Avete un gioiello di negozio.» Anne Frederick si comportava come una semplice conoscente che voglia mostrarsi gentile e fare quattro chiacchiere. «Me ne hanno detto meraviglie.» Nella boutique, la luce era morbida, soffusa, e donava alle donne. Tuttavia, Janet notò che i contorni del volto di Anne cominciavano a rilassarsi, che aveva alcune rughe agli angoli della bocca e degli occhi, e che i suoi capelli erano diventati completamente bianchi. Non volle fare lo sforzo di sostenere una conversazione con lei, e continuò a guardarla in silenzio. La signora Frederick sedette in una poltrona e prese una sigaretta da una scatola d'ebano, con le iniziali "KL" in argento, posata sul tavolino. «Sono venuta per risolvere un piccolo problema» disse, dopo aver aspi-
rato una boccata di fumo. «Vorrei lasciar libera la casa che ci avevate affittato. Non vi abiterò più, non ho avuto la forza di tornarvi nemmeno una volta. Quando non sono in viaggio, alloggio al Plaza, dove mi faccio riservare per tutto l'anno una stanza con salottino. Potete sciogliere il contratto d'affitto?» «Questo dovrete chiederlo a mio cugino Thornton. È lui l'amministratore del nostro patrimonio» rispose Janet, e la sua voce aveva un tono aspro. «Ho sempre avuto molta simpatia per vostro padre» dichiarò Anne Frederick «ma devo riconoscere che era un uomo implacabile. Comunque, suppongo che abbia preso quella che, allora, gli sembrava la decisione migliore per... per tutti.» S'interruppe, guardando Janet. Pensò che era bellissima, indimenticabile, con quei morbidi capelli dorati e i grandi occhi neri. Adesso, quegli occhi sembravano persino troppo grandi nel viso divenuto così sottile. «Vostro padre è stato una tragica vittima delle circostanze» riprese con dolcezza. «Una vittima come me. Come voi... persino come Cass.» «Persino come Cass» ripeté Janet, sentendosi fremere d'ira. «Quei due non meritavano che tanti soffrissero per causa loro» dichiarò Anne con una veemenza che stupì lei stessa. «No, Maitland ed Eve non lo meritavano! Mia cara, quando vedo come siete ridotta... sempre bella, certo, ma così tormentata, diffidente, chiusa in voi... Dovete dimenticare il passato, Janet. Dovete rifarvi una vita.» «Anche Cass me l'ha detto, stamattina.» «Non avrebbe potuto darvi consiglio migliore.» «E che cosa dovrei fare di lui? Voltargli le spalle, dimenticarlo? Lasciare che resti là per sempre, a consumarsi lentamente?» «Dopotutto, per lui è meglio stare a Wentworth che non... fuori.» «Cass non è malato di mente» protestò Janet. «E io non mi darò pace finché non l'avrò dimostrato, facendolo dimettere da quella clinica.» Bruscamente, la signora Frederick le prese un braccio, glielo strinse con forza. «Lasciate che le cose restino così. Cass è sfuggito alla sedia elettrica per miracolo.» «Un miracolo chiamato Pete Russlin.» «Ah, sì, quel giovane avvocato. Siategli grata per quello che ha fatto, Janet.» «Grata? Mio fratello è stato internato a Wentworth per tutta la vita... Non lo sopporto, non lo sopporto, vi dico! E anche lui non resiste più, ormai. Quanto tempo ci metterà a impazzire veramente, secondo voi?»
«Basta, Janet!» esclamò Anne Frederick con un tono duro, imperioso, ma i suoi occhi erano colmi di pietà. «Io vi comprendo, ve l'assicuro. Non odio Cass, non gli serbo rancore, non chiedo vendetta. Però...» «Però?» La donna finse d'ignorare l'ostilità di Janet. «Lasciate vostro fratello a Wentworth. Forse, Cass è sano di mente, come credete voi, ma questo non toglie che sia un uomo pericoloso.» 2 La disperazione a stento repressa di Cass, il passo claudicante che la seguiva e l'incontro con Anne Frederick infransero la barriera d'apatia che imprigionava Janet, spingendola improvvisamente all'azione. Nel primo pomeriggio, telefonò a Thornton Grant e, vincendo la sua palese riluttanza, prese appuntamento con lui per le cinque e mezzo. Era tipico di Thornton far sì che persino i suoi familiari dovessero fissargli un appuntamento per incontrarlo. Non che fosse assillato da impegni, anzi: passava le giornate leggendo e scrivendo brevi saggi sui poeti greci e latini, soprattutto per diletto, dato che era un cultore della letteratura classica. Ogni tanto, pubblicava a proprie spese qualche traduzione dei lirici meno conosciuti. Thornton aveva il privilegio di coltivare i propri interessi, non era costretto ad affrontare continuamente capricciose donne mature che si ostinavano a credersi giovani, pensò Janet, mentre studiava con la direttrice la tattica per "rifilare" a una cliente un modello di chiffon bianco e nero, che le stava malissimo, ma che lei voleva assolutamente venderle. Thornton Grant aveva dieci anni più di Cass e sedici più di Janet. Figli di due fratelli, Thornton senior e Cassius, che avevano ereditato e potenziato un piccolo "impero" di società ferroviarie, i tre cugini non erano mai stati molto uniti, in parte per la notevole differenza di età, in parte perché troppo diversi di carattere. Thornton era l'unico a non aver ereditato il temperamento focoso dei Grant. Cassius Grant si era sposato molto più tardi del fratello. Sua madre, che lo prediligeva, aveva manovrato in modo da far sfumare per diversi anni tutti i progetti matrimoniali del figlio minore, finché lui non aveva incontrato una ragazza bella e irresistibile. Janet aveva ereditato dalla mamma la figura alta e sottile, i capelli d'oro pallido, i grandi occhi neri. Ma le somigliava solo fisicamente. La sua ga-
iezza, che nemmeno la gelosia della suocera aveva potuto offuscare, si era trasmessa a Cass. Una gaiezza spensierata, effervescente, che si era spenta d'improvviso il giorno in cui Cass aveva portato a casa Eve, presentandola come sua moglie, e lei era caduta di schianto, stroncata da un infarto. L'ombra della tragedia aveva cominciato subito a incombere sul matrimonio di Cass, pensò Janet. Il loro padre non aveva perdonato alla nuora lo shock che era costato la vita di sua moglie, anche se poi si era scoperto che lei soffriva di una disfunzione cardiaca e non l'aveva mai rivelato ai familiari. Dopo l'assassinio di Maitland Frederick, quando Cass, sfuggito alla sedia elettrica, era stato internato in un manicomio statale, Cassius Grant aveva rifatto testamento. Il patrimonio destinato ai figli sarebbe stato amministrato da Thornton junior, al quale venivano conferiti ampi poteri, compreso quello di stabilire la rendita annua di Janet. Quanto a Cass, avrebbe ricevuto solo un irrisorio assegno mensile, finché non si fosse provata la sua innocenza. Dopo aver così messo per iscritto la convinzione che il figlio fosse colpevole, anche Cassius era morto di trombosi coronarica. E Janet non dubitava che avesse invocato la morte. Ben presto, la ragazza aveva scoperto che le era impossibile conciliare la modesta rendita assegnatale da Thornton con le spese esorbitanti imposte dal ricovero del fratello a Wentworth. Il trasferimento dal nosocomio statale in quella lussuosa clinica privata era stato il trionfo di Pete Russlin, il giovane avvocato che, sostenuto da valenti psichiatri, aveva convinto una giuria composta da soli uomini dell'infermità mentale di Cass, salvandogli così la vita. Per qualche tempo, questa sua seconda vittoria gli aveva attirato l'ostilità dell'opinione pubblica. La stampa non si era lasciata sfuggire l'occasione di bersagliarlo con articoli polemici, sottolineando i privilegi che una giustizia uguale per tutti concede ai ricchi. Di fronte alle difficoltà economiche, Janet aveva sfruttato quell'innato buon gusto che faceva di lei una delle ragazze più eleganti di New York, improvvisandosi creatrice di moda. Il successo non le era mancato, ma, con la carriera ancora agli inizi e le spese di avviamento molto alte, le era indispensabile poter disporre di più denaro. Si preparò con cura all'incontro con Thornton, indossando un raffinato completo di maglia e una camicetta a vivaci colori che faceva risaltare la luminosità dei suoi capelli. Non dimenticò di "mimetizzarsi" con gli occhiali scuri e si ripromise di non perdere mai, per nessun motivo, il controllo di sé.
Thornton abitava a Murray Hill, in un appartamento su due piani di una piccola casa. Il cameriere in giacca bianca, che venne ad aprire la porta, sorrise a Janet. «Sono lieto di rivedervi, signorina.» «Vi trovo in gran forma, Jackson.» «Sì, sto bene. Faccio la solita vita tranquilla. Non succede mai niente di nuovo, qui.» Non era cambiato proprio niente, pensò Janet, guardandosi attorno nello spazioso salotto. In fondo, una breve scala portava al primo piano, dove c'erano lo studio e la camera da letto di Thornton. L'arredamento era di ottimo gusto, valorizzato da molti "pezzi" antichi che suo cugino aveva ereditato dai genitori. Una stanza accogliente, raffinata, ma con un'atmosfera "non vissuta". Infatti, la vera vita di Thornton si svolgeva in mezzo ai suoi libri. Tra poco, lui avrebbe sceso le scale, con la solita aria tranquilla, la solita giacca da camera di velluto marrone e la sciarpa di seta annodata al collo, tenendo un indice infilato tra le pagine di un libro, per farle garbatamente capire che lo stava disturbando. Le avrebbe offerto sherry e biscotti, concesso un breve colloquio, e poi si sarebbe affrettato a congedarla. Lo schema dei loro incontri era immutabile. "Ma oggi non lo sarà", si ripromise la ragazza. "Sarà molto diverso, oggi." Udì dei passi sulle scale e poi vide Thornton venirle incontro. Camminava più in fretta del solito. La giacca di velluto, la sciarpa di seta al collo, persino il dito infilato tra le pagine di un libro... tutto come sempre. Ma Thornton non era quello di sempre: sembrava più scattante, più giovane. Era un uomo alto, eretto nella persona asciutta, con un viso dalla struttura delicata, come quello di Janet, la bocca severa, gli occhi dallo sguardo assorto e insieme distaccato dello studioso. Quel giorno, sembrava più giovane di Cass, pensò lei, turbata. E si era fatto persino più attraente. Non bello, ma... interessante, ecco. Thornton si chinò a sfiorarle una guancia con le labbra e sorrise, osservandola. Un sorriso di approvazione. «Un modello di Katherine Lord, mia cara? È molto elegante, ti dona.» Janet inarcò le sopracciglia, stupita. Mai, assolutamente mai, Thornton aveva notato quello che lei indossava. «Scotch? Vodka? Oppure preferisci un cocktail, un Manhattan?» «Un martini, grazie» rispose Janet. «Strano che tu non mi offra il solito
sherry con biscotti, Thornton.» «Una variazione piacevole, no?» Thornton fece qualche osservazione sul tempo, mentre Jackson serviva i cocktail e vuotava un posacenere. Quando rimasero soli, accese la sigaretta di Janet e poi la guardò con aria interrogativa. «Mi occorre del denaro» disse lei, senza preamboli. Il viso dell'uomo restò impassibile. «Perché?» «Non credo che la cosa ti riguardi, Thornton. Il denaro è mio e posso farne quello che voglio.» «Ti sbagli, mia cara. L'amministrazione del patrimonio è affidata a me e tu conosci le clausole del testamento di tuo padre. Purtroppo, ho le mani legate.» «Non è vero. Papà ti ha dato un eccessivo potere discrezionale, almeno per quanto mi riguarda. Devi riconoscere che non è giusto. Ho letteralmente sgobbato per organizzare la mia piccola impresa. Col tempo, renderà bene, ne sono sicura. Ma intanto... credo che papà non avesse previsto le conseguenze della sua decisione.» «Senza dubbio, non aveva previsto che avresti speso tutto il denaro che ti ho dato e anche parte dei tuoi guadagni per mantenere Cass in quella specie di Country Club.» Janet si costrinse a tacere. Si sentiva fremere per l'ira e non voleva perdere il controllo di sé. Inquieto, Thornton fissava il suo volto pallido, rigido. Janet era profondamente mutata, fino a diventare quasi una sconosciuta per lui. Un'incognita, un enigma. Prima che suo fratello venisse arrestato per assassinio, era stata una ragazza dal temperamento solare, felice di vivere, fiduciosa nella bontà del mondo. Adesso, era diffidente come un animale in gabbia. E altrettanto infida, forse? «Tu conosci quanto me le motivazioni di tuo padre» disse. «Non ha voluto concederti la piena disponibilità del patrimonio temendo che l'avresti dilapidato in un'interminabile e inutile battaglia legale per far rimettere Cass in libertà.» Janet trasse un lungo sospiro e poi riuscì a parlare con calma. «Thornton, chiariamo la situazione una volta per tutte. Cass non ha ucciso Frederick. Ne sono assolutamente certa e non mi darò pace finché non lo avrò fatto uscire da Wentworth. Un Country Club... Mio Dio! Non immagini neanche cos'è... Ho bisogno di quel denaro, ti ripeto.» L'uomo schiacciò la sigaretta nel posacenere, bevve un sorso di cocktail
e continuò a fissarla. «Che cosa ti spinge ad agire così, dopo tre anni?» «Per tutto questo tempo, devo aver risentito gli effetti dello shock, che mi hanno confuso le idee. Ma questa mattina sono successe tre cose che mi hanno... riscossa, diciamo. Sono andata a Wentworth, da Cass. L'ho trovato depresso, invecchiato. Ti rendi conto che nessuno va mai a trovarlo, tranne io e Pete? E poi, ho sentito l'uomo dal passo claudicante seguirmi nella Cinquantaquattresima Strada.» Thornton ebbe un sospiro di esasperazione, poi abbozzò un sorriso sarcastico. «Il tuo fantasma, l'uomo che nessuno ha mai visto.» «Infine» continuò Janet, ignorando le sue parole «ho parlato con la vedova di Maitland Frederick.» Lui depose bruscamente il bicchiere. «La signora Frederick! Ma cosa ti è saltato in mente?» «Non l'ho cercata io. È venuta lei al mio negozio.» «Che cosa voleva? Sarebbe dovuta venire da me.» «Infatti, gliel'ho detto. Vuole sciogliere il contratto d'affitto. Non è mai tornata in quella casa, dopo... dopo il processo. Le ho spiegato che sei tu a occuparti dei miei affari.» «Una decisione molto opportuna» dichiarò Thornton. «Così, la proprietà è completamente libera e sarà facile venderla.» «Non ho nessuna intenzione di venderla» ribatté Janet. «Anzi, voglio tornare ad abitarvi.» «Ma che pazzia! È troppo grande per te. E non puoi permetterti di mantenerla. Deciditi a dimenticare il passato, Janet. È assurdo essere così morbosamente romantici.» Lei scosse il capo. «Sono stanca di sfuggire il passato. Voglio tornare nella mia casa, ti ripeto.» «Ascolta, cara, oltretutto sarebbe un'imprudenza. Il tuo custode... Martin, se non sbaglio...» «Marker.» «Ecco, Marker mi ha riferito che una o più persone sconosciute sono riuscite a penetrarvi cinque volte.» Janet si irrigidì. «Hanno rubato qualcosa?» «Pare che non manchi niente. Ma la casa è stata frugata, messa sossopra. E questo mi preoccupa.» Janet si protese verso di lui. Le splendevano gli occhi. «Ma non capisci, Thornton? Questo significa che hanno cercato qualcosa... qualcosa nascosto là. Una cosa importante, che forse potrebbe dimostrare l'innocenza di
Cass. Adesso, sono più che mai decisa a tornare in quella casa.» L'uomo non batté ciglio. Aveva il dono congenito, o la maestria da lungo tempo acquisita, dell'impassibilità. «Non provocare guai, Janet. Lascia le cose come stanno. E lascia tuo fratello a Wentworth. È meglio per lui. Meglio per tutti. Non si è già sofferto abbastanza?» «Si è sofferto troppo. La signora Frederick aveva ragione. Ha detto che quei due non lo meritavano, non ne erano degni.» «Chi non ne era degno?» «Maitland Frederick e mia cognata Eve, con quella loro squallida avventura.» Thornton non aveva mai creduto all'infedeltà di Eve. Mai, nemmeno per un attimo. La sua impassibilità s'incrinò in quel momento, lo sguardo con cui fissava Janet si fece apertamente ostile. «È inutile continuare a discuterne. Smettiamola. Non si può sottovalutare la realtà di un assassinio semplicemente perché si dà il caso che l'abbia commesso il tuo adorato, viziatissimo fratello. E Eve...? Non pensi a quanto male le faresti se tentassi di far riaprire il caso, gettandole addosso tanta pubblicità negativa?» «È una cosa che mi lascia del tutto indifferente. E poi, Eve sa badare benissimo a se stessa.» «Sei un tipo vendicativo, Janet. Sembri così fredda e controllata, ma l'odio ti divora e pare che tu non te renda neanche conto. Sei intossicata dall'odio perché... Perché Eve è tanto bella.» I grandi occhi di Janet si dilatarono, parvero divorarle il viso sottile. «Io sarei gelosa di Eve?» sussurrò, incredula. «Sicuro. Non ho dimenticato come ti sei comportata al processo, come ti sei scagliata contro di lei. Sembravi in preda a un attacco isterico. Quel giorno, si è scatenata anche in te la famosa furia dei Grant.» Thornton stava tentando di provocarla, di farle perdere il suo autocontrollo, pensò Janet, stupita. «Al processo, non ho attaccato Eve perché è bella, ma perché aveva mentito» replicò. «Lei sapeva chi era l'uomo zoppo e l'ha negato sotto giuramento. E quell'uomo aveva assistito all'assassinio. Avrebbe potuto salvare Cass. Ma Eve pensava soltanto a proteggere se stessa.» La mano sottile e ben modellata di Thornton posava sul bracciolo intagliato della poltrona. Quell'atteggiamento rilassato rese Janet consapevole della propria tensione. Si accorse che la sua voce aveva cominciato a salire troppo di tono.
«Janet» disse lui, con quella sua calma esasperante «suppongo che, parlando dello zoppo, tu intenda l'uomo che quel giorno puliva le finestre dello studio. L'uomo che nessuno aveva incaricato di fare quel lavoro, che nessuno ha mai visto.» «Io l'ho visto. E anche Eve. L'ho sentito muoversi nella sua stanza, dopo il delitto. Ed è stato lui a colpirla. Lui, non Cass. Eve può dire quello che vuole, io non lo credo, non lo crederò mai. Cass adorava sua moglie...» «Mi sembra inutile rivangare tutto questo, Janet.» Thornton ebbe un sospiro di stanchezza. «Sforzati di valutare la situazione senza pregiudizi. Cass ha sempre dimostrato di avere il temperamento irascibile e focoso dei Grant. Era pazzo di Eve, geloso di lei, geloso in modo addirittura patologico.» «Ma non era geloso di Maitland Frederick. Non sospettava neanche che Eve potesse avere una relazione con lui. L'ha scoperto solo quando gli ho trasmesso il messaggio della signora Frederick. E anche allora, non ha voluto crederci.» «E perché ha strangolato Frederick, se non ci credeva?» «Non l'ha ucciso lui!» Thornton si mise a camminare lentamente su e giù, pensoso. «Francamente, non ti capisco» disse. «Non c'era nessun altro con un movente. Nessuno che avesse un'occasione. Nessuno, tranne Cass, sarebbe potuto andare in quello studio. E quando ne è uscito, Maitland Frederick era morto.» «L'ha trovato già morto.» «Questo lo dice lui. Ma ci ha messo quindici minuti per trovarlo. Che cos'ha fatto, in quel quarto d'ora?» «Non lo so» rispose Janet, sottovoce. «Lo sai, invece, ma non vuoi ammetterlo. Credimi, saresti molto più serena se affrontassi la realtà. Posso capire Cass, la sua gelosia, l'impulso d'odio omicida che l'ha afferrato...» Thornton arrivò in fondo alla stanza, si volse, tornò indietro. «Quando si è reso conto d'essersi ingannato...» «Ingannato?» «Nel sospettare di Eve.» «Cass non ha mai sospettato di lei, ecco il suo errore. Eve aveva realmente una relazione, Thornton. Io me ne ero accorta già da diverse settimane.» «Eve è sempre stata una moglie fedele.» «Ha mentito, negando di aver visto l'uomo zoppo! Ha mentito, affer-
mando che era stato Cass a colpirla!» «Ma pensa a come ha cercato di difendere tuo fratello, al processo. Ha reso una testimonianza addirittura commovente.» «Era stata pagata perché testimoniasse. Pagata molto bene.» «Janet!» «Non lo sapevi, Thornton? Non sapevi che papà le aveva dato tremila dollari?» Lui scosse il capo. «No.» Per un momento, si fissò la punta delle scarpe, poi alzò lo sguardo, aggrottando la fronte. «Mia cara, tutta questa discussione è senza costrutto, non ti pare?» «Hai dimenticato il vero scopo della mia visita. Voglio del denaro. Il "mio" denaro e lo voglio subito. Riuscirò a far uscire Cass da Wentworth, te lo garantisco.» «Non col denaro di tuo padre. Lui sapeva che Cass era colpevole. Tutti se ne sono resi conto. Tu sei l'unica che abbia creduto nella sua innocenza.» «Anche Pete Russlin la pensa come me.» «Oh, quel giovane avvocato! Ammetto che è stato molto abile. Ma permettimi di ricordarti, Janet, che Cass non ha mai avuto simpatia per lui. Scommetto che ne è sempre geloso perché è stato Russlin a fargli conoscere Eve.» «Non cambiare argomento, Thornton. Allora, mi darai il mio denaro?» Sottolineò leggermente quel "mio". «Sii ragionevole. Tuo padre ha dato disposizioni ben precise.» «Ha lasciato a te l'autorità di decidere» disse lei. «E tu sai come la penso. È meglio lasciare Cass a Wentworth, sano o malato di mente che sia. Ti prego, Janet, cerca di rassegnarti, dimentica. Ricostruisciti una vita e concedi a Eve l'opportunità di fare altrettanto. Lei sta per debuttare sulle scene, a Broadway, le hanno affidato la parte di protagonista nella commedia "La donna fatale", di Graham Collinge.» Thornton s'interruppe, colpito dall'improvvisa risata di Janet. Poi mormorò: «Quanto la odi...» «La signora Frederick aveva ragione» disse lei. «Quei due non lo meritavano. Non erano degni di tutto il dolore, di tutte le amarezze che hanno provocato. Ma Cass ne è degno, lui sì. Dunque, mi darai il mio denaro?» «Spiacente, la risposta è "no".» «Allora, farò pubblicare sui giornali una bella storia, una di quelle storie che la gente divora. Te li immagini, i titoli? "Il caso Frederick viene riaper-
to. La sorella si batte per dimostrare l'innocenza di Cass Grant"... E io farò la vittima, dirò che tu cerchi di impedirmelo, di ostacolare la mia missione. Dirò che papà ti ha affidato l'amministrazione del patrimonio e che adesso non vorresti mollarne neanche un cent.» «Sarebbe la cosa più sporca...» «Davvero, Thornton?» «Perché non vuoi credere che Cass è colpevole? La tua fiducia in lui può essere commovente, Janet, ma quello che conta sono i fatti. I fatti. Hai forse dimenticato che io ero là?» «Sicuro» rispose Janet, pensosa. «Tu eri là, Thornton.» 3 Il telefono stava squillando, quando Janet entrò nell'appartamentino al terzo piano, sopra il negozio. Era Pete Russlin, senza dubbio. Solo pochissime persone sapevano dove abitava. Dopo il processo, lei si era chiusa in sé, isolata, e non aveva incoraggiato nemmeno gli amici che le erano rimasti fedeli. Degli uomini che un tempo facevano a gara per contendersela, restava solo Pete Russlin. Gli altri si era eclissati, appena avevano scoperto che Janet disponeva di una modesta rendita e non di tutto il patrimonio Grant. Come si aspettava, era Pete a chiamarla. «È un'ora che ti cerco inutilmente» le disse. «Sto pensando che dovrei metterti il guinzaglio.» Janet scoppiò a ridere. «Che cosa desideri, Pete?» «Invitarti a cena.» «Grazie, questa sera no. Sono molto stanca.» «Un paio di drink, e ti sentirai di nuovo in gran forma. D'accordo, allora?» «Sì, d'accordo» si arrese lei. «Ti voglio elegantissima. Senza occhiali neri. Non andremo a nasconderci nell'angolo più buio di qualche ristorantino. Ti porto a ballare, questa sera.» «Oh, no!» Pete sentì lo sgomento tremarle nella voce. «Oh, sì!» rispose con fermezza. «Incomincia subito a prepararti. Arrivo alle sette e mezzo.» Riappese, troncando altre obiezioni. No, pensò Janet. Impossibile. Lei non aveva la forza di uscire dal suo i-
solamento, di esporsi agli sguardi incuriositi della gente, ai sussurri. Pete non capiva. Ma subito riconobbe d'essere ingiusta: Pete capiva, e aveva ragione. Era venuto il momento di affrontare il mondo. Dopotutto, aveva già fatto il suo "viaggio all'inferno", e peggio di tanto non sarebbe mai potuto accadere. Fece la doccia, si vestì con cura. Un'ampia gonna nera arricciata in vita, una camicetta vagamente folk, con le maniche plissettate e strette ai polsi, il collo alto, alla russa. Come sempre, spazzolò semplicemente all'indietro i capelli d'oro pallido, si ritoccò solo le labbra. Qualche goccia di profumo alle tempie, sulla gola, ed era pronta. Quando il citofono ronzò, prese la borsetta e la giacca di pelliccia. Sentì Pete salire le scale, facendo i gradini a due a due. Gli aprì la porta e lui trattenne il respiro. «Sei splendida, Janet!» La prese tra le braccia, le baciò una guancia. Poi, d'improvviso, la sua bocca cercò quella di lei, avidamente. Janet si ritrasse, arrossendo, un po' ansante. Tentò di scherzare. «Santo cielo, che entusiasmo!» Lui la fissava. Era un uomo alto, sottile, dai capelli biondissimi e dal profilo aquilino, che si portava dentro una carica elettrizzante di vitalità. «Entusiasmo... Io potrei suggerirti qualche altra definizione, Janet.» Lei tacque, mentre Pete l'aiutava a indossare la giacca di pelliccia. Il giovane avvocato sorrise. «Non sei curiosa di sapere quali?» Le porse una scatola trasparente, un po' ammaccata. «Spero che il mio... "entusiasmo" non le abbia sciupate troppo.» Janet ne tolse due gardenie e se le appuntò alla giacca, assicurando che erano bellissime. Non riusciva ancora ad affrontare gli occhi di Pete. Naturalmente, si sarebbe dovuta aspettare quello che era accaduto. Ma aveva preferito chiudere gli occhi di fronte alla realtà, dare per scontate la platonica amicizia dell'uomo, la sua devozione proiettiva e rassicurante. Non aveva mai pensato che lui potesse amarla veramente. Lo considerava il classico tipo dello scapolo che preferisce i brevi legami non impegnativi al vincolo del matrimonio. Ma, adesso, non ne era più tanto sicura. Quanto a lei, non si sarebbe mai sposata finché Cass fosse rimasto segregato a Wentworth. Non intendeva tornare su quella decisione, però capiva che, se, rifiutando l'amore di Pete, avesse perso anche la sua amicizia, si sarebbe sentita infinitamente sola e sperduta, senza di lui. Russlin la vide turbata e inarcò un sopracciglio, con un'aria di scherzoso pentimento.
«È stato un impulso irresistibile, cara. E adesso, vogliamo andare a pranzo? Oh, per poco non me ne dimenticavo. Ti ho portato un nuovo aggeggio di mia invenzione.» Tolse di tasca un pacchetto. «Serve per tagliare le fette di pane a cassetta nelle forme più diverse. Basta girare una vite, poi...» Janet lo interruppe con una risata e depose il pacchetto sul tavolo. «Tu e i tuoi congegni mirabolanti! Dimmi, queste gardenie sono autentiche e innocue, oppure tra poco cambieranno colore e si metteranno a cantare?» Pete chiuse la porta e la seguì giù per le scale. Nella strada, indugiò a mostrarle come aveva attrezzato la sua vecchia giardinetta: era perfettamente equipaggiata per lunghe battute di caccia e piena dei più strani aggeggi. Mentre guidava, si dilungò a spiegarle la funzione di ciascuno. Era un amico meraviglioso, pensò Janet. La difesa di Cass gli aveva nuociuto professionalmente: ne era uscito con la reputazione di avvocato subdolo, senza scrupoli, e nonostante tutti i suoi sforzi, se la portava ancora addosso. I giornali la ribadivano con frecciate e allusioni, ogni volta che facevano il suo nome. Pur brillante e dotato com'era, Pete stentava a far quadrare il bilancio, da allora. Janet scoprì che era più facile del previsto entrare con disinvoltura in un affollato ristorante alla moda. Ebbe solo un attimo di smarrimento, sulla porta. Poi, la mano rassicurante di Pete le strinse il braccio, e lei avanzò a testa alta, lo sguardo fisso davanti a sé. Russlin era di ottimo umore e, mentre pranzavano, Janet si lasciò contagiare dalla sua gaiezza. Rise, scherzò, riuscì a rilassarsi. Infine, quando trovò il coraggio di guardarsi intorno, si rese conto che, sebbene tutti l'avessero riconosciuta e la osservassero con inevitabile curiosità, la sua presenza non faceva scalpore. Si sentì subito più tranquilla e più sicura di sé. Che cosa aveva mai previsto e temuto? «Dove andiamo a ballare?» le chiese Pete, mentre bevevano il caffè. Janet scosse il capo. «Questa sera, no, ti prego.» «Questa sera, sì. Lo esigo. Sei straordinariamente bella e io muoio dalla voglia di mostrarmi in giro con te.» «Un'altra volta. Adesso... c'è una cosa che vorrei fare, Pete. E ti sarei grata se venissi con me.» «Sono pronto a seguirti dovunque» rispose Russlin, come lei si aspettava. «Desidero tornare nella mia casa, e ho un po' paura di andarci da sola.» «La tua casa? Quella nella Sessantottesima Strada, vuoi dire?» Pete era
stupito. Janet annuì. Poi, inaspettatamente, ebbe un lungo brivido. Lui si affrettò a stringerle una mano. «Okay. Ci andremo.» Tacque finché non furono saliti nella giardinetta. Allora, disse: «È una specie di pellegrinaggio sentimentale?» «Ho deciso di riaprire la casa, Pete. Voglio tornare ad abitarvi.» Pete non fece commenti, ma il suo silenzio fu più eloquente di qualunque parola di disapprovazione. Quando svoltarono nella Quinta Strada, chiese: «Non credi che ti verrà a costare molto?» «Thornton acconsente a concedermi la disponibilità del mio patrimonio.» Lui si lasciò sfuggire un breve fischio. «Che cosa diavolo gli è successo? L'hai sedotto, forse?» «L'ho ricattato.» Ancora una volta, Pete non fece commenti, si limitò a lanciarle una rapida occhiata. Dopo aver svoltato a destra, si fermò davanti al marciapiede. In silenzio, indugiarono a fissare le due palazzine gemelle, di due piani, ciascuna col suo breve viale d'accesso. Le aveva fatte costruire la nonna di Janet quando si era sposato il figlio minore, Cassius: una per sé e per suo marito, l'altra per la giovane coppia. In origine, i due saloni al pianterreno non avevano una parete divisoria e c'era una porta di comunicazione tra le case anche al secondo piano. Dopo la morte dei suoceri, la madre di Janet aveva affittato la loro palazzina. Non voleva costringere suo figlio a coabitare con lei, quando si fosse sposato, aveva dichiarato. Naturalmente, nessuno poteva prevedere che Cass avrebbe passato in casa del padre il breve periodo - sei mesi appena - della sua vita coniugale con Eve. Janet rimase seduta in macchina, rigida e silenziosa, mentre Pete attendeva, fumando. Infine, trasse un sospiro. «Entriamo» disse. Lui non si mosse. «Perché vuoi far questo?» le chiese. «Riuscirai solo a soffrire ancora di più. Non puoi vivere tra le ombre del passato.» «Ma non capisci?» protestò la ragazza. «Io voglio liberarmi di quelle ombre e non so in che altro modo farlo. Voglio esorcizzare i fantasmi che si annidano in questa casa. Tu devi aiutarmi, Pete. Ho deciso di rivolgermi al dottor Beldner, il famoso psichiatra svizzero, la massima autorità riconosciuta in questo campo, e di farlo venire in America, a esaminare Cass. Se lui accertasse che mio fratello è sano di mente, come io credo...» Janet si volse, prese una mano di Russlin tra le sue e la strinse febbril-
mente. Le luci della strada le si riflettevano sul volto e nei grandi occhi neri, facendoli sembrare stranamente spenti. «Avrei voluto ricorrere subito a Beldner, lo sai. Lui avrebbe potuto salvare Cass.» «Ti sbagli, Janet.» Pete parlava con dolcezza. «Il dottor Beldner non avrebbe salvato Cass, dichiarandolo sano di mente. Non sai quanti specialisti ho consultato, prima di trovarne alcuni disposti a fare la diagnosi che volevo io? Cass "doveva" essere riconosciuto incapace d'intendere e di volere.» «Sì. Tu hai fatto l'unica cosa possibile per strapparlo alla sedia elettrica. Senza di te...» La voce di Janet si spezzò. «Gli hai salvato la vita, Pete. Ma adesso...» «Adesso?» «Cass è rimasto internato a Wentworth per tre anni. Rischia d'impazzire, là dentro. Non si può compromettere il suo equilibrio psichico per un delitto che non ha commesso. Voglio che il dottor Beldner venga qui, Pete. Voglio che esamini Cass. Perché mio fratello non è pazzo, Pete. Non ancora...» «Sì, lo so. Immagini quanto ti verrà a costare la perizia psichiatrica di Beldner?» «Il denaro non mi mancherà» rispose Janet, con tranquilla sicurezza. «E adesso, vogliamo entrare in casa?» «Hai la chiave?» «Ho telefonato al custode. Ci aprirà lui.» Suonarono quattro volte il campanello, senza avere risposta. Pete girò intorno alla casa e percosse spazientito la porta di servizio con il battente di ottone. Allora, si sentì lo scatto del chiavistello e l'uscio venne appena socchiuso. «Oh, siete voi, signor Russlin. C'è anche la signorina Grant?» «Sì. Perché non avete risposto subito, Marker? Vi eravate addormentato?» «Volevo assicurarmi che non fosse un estraneo. Preferisco non correre rischi, con quello che è successo in questi ultimi tempi. Un momento, vado ad aprire la porta principale.» Pete tornò da Janet. Rideva. «Che tipo sospettoso, il tuo custode! Si è barricato dentro come in una camera blindata.» La porta si aprì e Marker, un ometto calvo di mezza età, fece un passo indietro per lasciarli entrare. Aveva udito le parole di Pete.
«La prudenza non è mai troppa» disse, punto sul vivo. «Qualcuno è riuscito a introdursi più di una volta in questa casa.» «Come?» Pete lo fissò allibito. «Perché non vi siete rivolto alla polizia, Marker?» «Certo che l'ho fatto. E ne ho parlato anche al signor Thornton Grant. Poi, ho messo catene e chiavistelli alle porte. Le finestre vengono chiuse con uno speciale dispositivo di sicurezza. Ma qualcuno continua a introdursi in casa.» Per quanto ne sapeva lui, aggiunse, non era stato sottratto niente, ma l'intruso - o forse gli intrusi? - aveva perquisito più volte la palazzina da cima a fondo, frugando dovunque e soprattutto nelle stanze del signor Cass e di sua moglie. La cosa era cominciata sei settimane prima. «Mi sembra d'essere alle prese con un fantasma» continuò Marker. «I rumori li sento... scricchiolii, passi... ma non riesco mai a vedere nessuno. Non sono un tipo nervoso, però questa situazione mi sta logorando.» «Naturale.» Pete si rivolse a Janet. «Ascoltami bene: tu non tornerai ad abitare qui. Non te lo permetterò.» Lei non rispose. Sembrava non averlo udito, non accorgersi nemmeno della sua presenza. Immobile al centro dell'atrio circolare, si guardava attorno. Quando Pete le toccò un braccio, ebbe un sussulto. «Oh, scusa. Stavo cercando di ricordare... Qui, non è cambiato niente, vero?» Parlava con voce sommessa, come se non volesse turbare il silenzio della casa. «Proprio niente» confermò Pete. «Lo stesso pavimento di marmo, gli stessi tendaggi di velluto... Persino la crepa nella montatura di smalto dell'orologio. E la solita passatoia rossa sulle scale. Mi sembra di rivederti correre giù per quelle scale. Avevo sempre paura che tu cadessi. Ed Eve...» S'interruppe, mordendosi le labbra. «Non c'è motivo perché non si debba parlare di lei» disse freddamente Janet. «Dopotutto, questa casa è ancora piena della sua presenza.» Rammentò il giorno in cui, scendendo le scale, aveva visto la porta d'ingresso aprirsi e Cass era entrato, con un'aria insieme trionfante e spaventata. Accanto a lui, c'era una ragazza bruna e sottile, vestita di rosso, con dei fiori bianchi appuntati sulla giacca. «Janet, guarda chi ho portato a casa!» aveva esclamato Cass, tentando di mostrarsi disinvolto. «Ti presento Eve, mia moglie.» Era la più splendida ragazza che Janet avesse mai visto: aveva diciotto anni, i capelli e gli occhi di un nero rarissimo, assoluto, il corpo perfetto e
un viso... Ma come si può descrivere la bellezza, il fascino che toglie il respiro? Eve aveva sorriso a Janet e le era andata incontro con le mani tese. «Spero che cercherai di volermi bene, cara. Lo desidero tanto» aveva esclamato. Quel gesto, quelle parole così spontanee erano stati irresistibili. Ma Janet aveva notato l'espressione quasi avida con cui la sua giovanissima cognata si era guardata attorno, nell'atrio elegante. Sin dal primo giorno, si era lealmente sforzata di volerle bene. Aveva protetto Eve contro l'ostilità di Cassius Grant, che l'accusava ingiustamente di aver provocato la morte di sua moglie con lo shock di quell'inattesa comparsa. Le aveva insegnato a vestirsi con eleganza, era stata per lei una guida sicura e discreta, mentre muoveva i primi passi nel nuovo ambiente sociale, una "educatrice" garbata, sempre attenta a non ferirla con qualche critica. Eve aveva imparato in fretta. Le erano bastati pochi mesi per diventare sofisticata e sicura di sé. Ma in fondo, la sicurezza non le era mai mancata. Nessuna donna tanto bella poteva dubitare del proprio successo nella vita. E Cass la adorava. Cass, il playboy viziato e volubile, era il suo schiavo. Quando il padre gli aveva tolto l'assegno mensile dicendo che, se aveva voluto sposarsi, doveva assumersi la responsabilità di mantenere la moglie, si era trovato un impiego come rappresentante di una fabbrica d'automobili. Lui ed Eve, però, avevano continuato ad abitare nella casa della Sessantottesima Strada. Eve non era abituata al lusso. Il tenore di vita dei Grant, l'eleganza preziosa della palazzina, arredata con una perfetta fusione di elementi antichi e moderni, continuavano a colmarla di stupore e d'entusiasmo in un modo quasi infantile. Non parlava mai della sua famiglia, del mondo da cui proveniva. Si sapeva soltanto che aveva una madre e un patrigno, invalido, ma non dove vivevano. Il suo vero nome era Allie Voss. Aveva adottato quello di Eve quando lavorava nei night club. Janet sospettava che stesse tentando di insinuarsi tra le frange mondane dell'alta società, quando aveva incontrato Pete, in uno di quei locali. Dopo un paio di appuntamenti, Pete Russlin, che era sempre circondato da nugoli di ragazze, le aveva presentato Cass. Si erano sposati una settimana più tardi. I Grant conoscevano pochissimo Eve, il suo carattere restava indecifrabile. Di lei, sapevano soltanto che amava i fiori, che le piaceva divertirsi ed essere ammirata, e che era fondamentalmente vile. Sembrava una di quelle
creature prive di volontà, che si lasciano modellare dagli altri, e questo la rendeva quasi patetica. Cass ed Eve erano sposati da poche settimane, quando Maitland Frederick aveva preso in affitto la palazzina gemella. Le due case avevano in comune il giardino sul retro, in fondo al quale c'era una vecchia rimessa per carrozze. Frederick aveva chiesto di poterla trasformare in un atelier da pittore. Il suo studio sulla Cinquantasettesima Strada stava diventando una specie di pubblico ritrovo, con tutti gli amici che vi capitavano a ogni ora del giorno. E lui aveva bisogno di solitudine e quiete per dipingere. Cassius Grant non aveva mosso obiezioni. Frederick era uno dei più noti pittori americani, e lui non vedeva quale uso migliore si potesse fare di quella vecchia rimessa. Inoltre, conosceva da sempre la moglie di Maitland, Anne, che apparteneva a una delle più importanti famiglie della vecchia società newyorchese. Adesso, ripensandoci, Janet si chiese se ci fossero stati degli indizi, che loro non avevano saputo riconoscere, della relazione tra Frederick ed Eve. Lui aveva cinquant'anni era un uomo alto e massiccio, con un viso che portava i segni di una vita sregolata, posseduto da quella che definiva con orgoglio "una carica d'insaziabile sessualità". Ogni tanto, correva voce di certi ricevimenti che organizzava nello studio della Cinquantasettesima Strada, ricevimenti ai quali sua moglie non interveniva mai. Anche se le donne sembravano trovarlo irresistibile, Janet aveva provato un istintivo senso di ripulsa per Frederick. Eve gradiva la sua ammirazione, ma non pareva interessarsi particolarmente a lui. Soltanto un mese prima del delitto, Janet si era accorta che sua cognata tradiva Cass. Da principio, erano state piccole cose a insospettirla. Per esempio, il fatto che Eve si alzava presto, il mattino, per scendere a esaminare la posta che veniva lasciata su un lungo tavolo dell'atrio. E poi, le rapide telefonate a bassa voce, che venivano bruscamente interrotte, quando qualcuno entrava nella stanza, le lunghe assenze che lei giustificava dicendo d'essere andata a fare delle spese, anche se rientrava senza nemmeno un pacchetto, o di aver incontrato un vecchio amico, che però non invitava mai a casa. Eve era apparsa stranamente inquieta e depressa, nei tre giorni precedenti il delitto. Spesso, aveva gli occhi gonfi, come se avesse pianto. Il mattino dell'ultimo giorno, Janet l'aveva sentita parlare istericamente al telefono. «Non riesco a trovarle!» diceva, senza curarsi di abbassare la voce. «Non ci riesco, ti ripeto. Oh Dio, se cadessero nelle mani di qualcu-
no...» Poi, notando la presenza della cognata, aveva sussurrato "Ti telefono", prima di troncare la comunicazione. Janet si coprì gli occhi con le mani, come se avesse voluto respingere le visioni che l'avevano assalita, appena era entrata in casa. Pete, che l'aveva osservata in silenzio, disse semplicemente: «Andiamo.» «No. Voglio fare il giro della casa, e preferirei averti vicino. Credo che sia in ottimo stato, che non occorrano lavori di restauro. Provvederò subito ad assumere del personale domestico. Vieni.» Attraversò in fretta il salone da ricevimento, con i mobili e i quadri ricoperti di fodere. Alla parete divisoria tra le due case era appeso uno splendido arazzo. Poi, Janet passò per la biblioteca, interamente tappezzata di libri fin quasi al soffitto, e per il salottino di sua madre, con le portefinestre che davano sul giardino. Al di là dell'atrio, c'erano la sala di musica, la stanza da pranzo, un piccolo locale riservato alla prima colazione e la cucina. Janet salì le scale, seguita da Pete. L'appartamento dei suoi genitori, con due spogliatoi e due bagni, era al primo piano e dava sulla strada. La camera di Cass, la sua e quella per gli ospiti erano rivolte verso il giardino. Per un attimo, lei indugiò davanti alla porta della propria stanza. Rammentò quando ne aveva fatto cambiare la tappezzeria, scegliendola di un insolito azzurro smalto, e per contrasto aveva messo un "pouf" di velluto color corallo davanti alla specchiera della toilette. Era stato poco prima del delitto, e le sembrava che fosse passata una vita, da allora. Quella stanza era appartenuta a un'altra persona, alla ragazza brillante che, ogni settimana, veniva citata nella cronaca mondana dell'"Herald Tribune", non a Katherine Lord, una giovane stilista che lottava per affermarsi. Dopo un'ultima esitazione, entrò e andò subito alla finestra, per rivedere lo studio dove era stato ucciso Maitland Frederick. Ma il giardino era immerso nell'oscurità. «È successo laggiù...» sussurrò tra sé. Pete fece l'atto di prenderle un braccio per allontanarla dalla finestra, ma lasciò ricadere la mano, notando la sua espressione. Poi, la seguì al secondo piano. Anche l'appartamento che Cass ed Eve avevano abitato dopo il matrimonio si affacciava sul giardino. La camera da letto era situata proprio sopra quella di Janet. Sul lato opposto del corridoio, c'erano le stanze dei
domestici. «Scendiamo» disse infine Pete. «Vorrei che mi raccontassi tutto ciò che ricordi di quel giorno.» «Ne abbiamo già parlato prima del processo. Me l'hai fatto ripetere tante volte.» «Ti prego, Janet. Devi "scaricare" questi ricordi, se non vuoi che diventino un'ossessione.» Lei lasciò che Russlin la conducesse in biblioteca, dove tolse la fodera da un divano e la fece sedere sui cuscini di morbido cuoio. Poi, scese nel seminterrato a cercare il custode e tornò con una bracciata di legna per accendere il fuoco nel caminetto. Marker lo seguiva, reggendo un vassoio sul quale c'erano due bottiglie, dei bicchieri e un portaghiaccio. Pete preparò i martini e le mise in mano un bicchiere. «E adesso, coraggio, parla.» Sedette accanto a lei, le cinse la vita con un gesto semplicemente amichevole, e Janet gli appoggiò la testa sulla spalla. «Sei tanto caro, Pete.» Lui sorrise. «Accetto il "caro", anche se non è molto lusinghiero per un uomo. È come dire "innocuo". Su, tesoro, esorcizza i fantasmi.» Janet bevve un sorso di martini, depose il bicchiere e intrecciò le mani. «Tutto è cominciato con una telefonata di Anne Maitland. Voleva parlare con Cass, ma lui sarebbe rimasto fuori fino a sera con un cliente...» 4 «Non so dove potrei raggiungere mio fratello, signora Frederick» aveva detto Janet, colpita dalla voce affannosa, quasi convulsa, della donna. «È successo qualcosa? Posso rendermi utile?» Una breve pausa all'altro capo della linea. «Sì, è successa una cosa estremamente grave, Janet. Volevo parlarne a Cass, soltanto a lui, ma forse...» Un altro breve silenzio. «Si tratta di Eve. È diventata l'amante di mio marito.» «Signora Frederick! Ne siete... sicura?» «Da qualche settimana, Eve va nello studio quasi ogni giorno e vi resta per ore. Ho interrogato Maitland e lui non ha smentito i loro incontri. Mi ha detto che...» Questa volta, la pausa era parsa interminabile. «Che l'ha pregata di fargli da modella. Sul momento, ho accettato la spiegazione. Vostra cognata è talmente bella, e la cosa mi è sembrata più che naturale. Ma, questa mattina, quando Maitland è andato nel suo atelier della Cin-
quantasettesima Strada, sono entrata nello studio e ho scoperto come Eve posa per lui.» Janet taceva. La sua mano serrava spasmodicamente il ricevitore. «In passato, ho finto d'ignorare i tradimenti di Maitland» aveva ripreso la signora Frederick. «Ma questa volta non posso chiudere gli occhi... qui, in casa mia, non lo sopporto. Dovrete parlarne voi a Cass, appena ritorna. Ditegli di tenere sua moglie lontana da Maitland. Se dovessi scoprirli insieme, chiederei il divorzio, citando anche Eve. Quel quadro mi basterà, come prova.» La comunicazione era stata interrotta. Lentamente, come in trance, Janet aveva riagganciato. Anne Maitland non era il tipo della donna isterica, divorata da una gelosia morbosa, che dava corpo alle ombre. Non aveva fatto una scenata, al telefono. Non aveva pianto e gridato. Era ferita, sconvolta e ben decisa a risolvere una situazione insopportabile. Certo, non avrebbe esitato a chiedere il divorzio, esponendo Eve a uno scandalo. Quel pensiero la sgomentava. Immaginava già la violenta reazione di suo padre. E Cass? Povero Cass... Riluttante, era salita al secondo piano. Come sempre, nell'appartamento della giovane coppia regnava il caos creato da Eve, che spargeva dovunque abiti, biancheria e persino gioielli, lasciandoli esattamente nel punto dove se li toglieva. Le stanze traboccavano dei fiori che lei amava tanto. Rannicchiata sul divano, davanti al televisore acceso, Eve si stava facendo la manicure. Indossava un semplice abito di cotone azzurro, si era legata i capelli a coda di cavallo e non dimostrava neanche sedici anni. Per un attimo, Janet si era sentita pervadere dalla speranza. No, non era vero. Impossibile. Quella deliziosa ragazza dai grandi occhi ingenui non poteva essere l'amante di Maitland Frederick. «Ciao, Janet. Ti piace il colore di questa lacca?» «È troppo scuro» aveva risposto lei, automaticamente. L'unica stonatura, in Eve, erano le mani: corte, tozze, con le unghie quadrate. «Scegli una tonalità più chiara, meno appariscente.» Eve si era osservata lo smalto, pensosa. «Hai ragione. Vorrei avere il tuo buon gusto innato, Janet. Io non so mai capire se una cosa mi sta bene o male. No... non chiuderlo!» aveva protestato, mentre la cognata spegneva il televisore. «Voglio vedere quel programma fino in fondo. Mi interessa.» «Devo parlarti, Eve. Subito.» La giovane donna si era irrigidita, captando la tensione nella voce di lei, e aveva sgranato gli occhi, rannicchiandosi ancora di più sul divano. Ba-
stava un nulla a sgomentarla, sembrava sempre all'erta, sospettosa e vigile. A volte, Janet si chiedeva quali esperienze del passato avessero gettato in lei il seme della paura. «Ho appena ricevuto una telefonata della signora Frederick, Eve. Cercava Cass, ma siccome lui non tornerà prima di sera, ha parlato con me.» Janet aveva visto il volto di Eve contrarsi, e allora non le erano rimasti più dubbi. In piedi di fronte a lei, le aveva ripetuto le accuse e l'ultimatum della donna. Eve si era ribellata con veemenza. «No! Non è vero! Non potrei mai fare una cosa simile. Mait... quel quadro, gli ho chiesto io di dipingerlo, per regalarlo a Cass. Doveva essere una sorpresa, e adesso sua moglie ha rovinato tutto. Non c'è mai stato niente tra me e Frederick, te lo giuro.» «E allora, di che cos'hai paura?» «Forse, ho sbagliato a posare nuda. Cass mi odierà per questo, anche se io l'ho fatto per lui...» «Cass è innamorato pazzo di te, approva tutto quello che fai.» «Lo so. Ma se questa volta non fosse così?... Potrebbe perdere la testa, Janet. Non dirgli niente, ti prego.» «Devo dirglielo. Altrimenti, lo farà la signora Frederick. È decisa ad andare fino in fondo. Naturalmente, se preferisci, puoi parlare tu a Cass.» «Oh, no, questo no...» Eve la guardava supplichevole. «Aiutami, Janet. Convinci Anne Frederick a non chiedere il divorzio, a non trascinarmi in uno scandalo. Tuo padre non me lo perdonerebbe mai. Perderei tutto questo... perderei Cass» si era affrettata ad aggiungere. Janet era uscita dalla stanza senza rispondere, mentre Eve gridava: «Non andartene... ascoltami!» Dopo un attimo di esitazione, si era avviata verso le scale. In quel momento, aveva sentito un rumore inconfondibile: Eve stava componendo un numero al telefono. Cass era tornato una mezz'ora più tardi. C'era Thornton con lui. Il cugino aveva spiegato d'essere venuto per parlare con Cassius Grant, costretto a letto da una leggera influenza. Mentre Thornton aspettava che lo zio lo ricevesse, sorseggiando uno sherry in biblioteca ed esaminando alcuni libri appena acquistati, Janet si era appartata col fratello nella sala di musica e gli aveva riferito il messaggio di Anne Frederick. Mentre parlava, sentiva l'ira addensarsi in lui, vedeva il suo viso alterarsi. Poi, Cass si era precipitato alla porta e lei lo aveva inseguito, afferrandogli un braccio. «Aspetta. Prima di fare qualcosa di cui potresti pentirti, va' da Eve e
chiedile spiegazioni.» «Non voglio coinvolgerla in questa sporca storia.» «Lei sa già tutto. Bada che scoppierebbe uno scandalo, se tu rompessi clamorosamente i rapporti con i Frederick.» Dopo una breve esitazione, Cass era corso su per le scale. Allora, Janet aveva raggiunto Thornton in biblioteca e, d'impulso, 'gli aveva confidato l'accaduto, chiedendogli aiuto. «Cass è salito da Eve, ma temo che sia ancora sconvolto, furibondo. Bisogna che tu vada subito da Frederick, prima che lo faccia lui. Devi trovare un mezzo per risolvere la situazione, scongiurando uno scandalo.» Nel vedere che il cugino la fissava, sbigottito, l'aveva preso per le spalle, spingendolo verso la porta. «Presto! Dobbiamo evitare che scoppi una scenata. Dopotutto, potrebbe anche trattarsi di un equivoco e bisogna mettere le cose in chiaro col massimo riserbo.» «Ma certo, non è altro che un equivoco.» Con esasperante, calcolata lentezza, Thornton aveva indugiato a sistemarsi il nodo della cravatta e a lisciarsi i capelli, prima di uscire. Pochi minuti dopo, Janet aveva sentito Cass scendere le scale, attraversare l'atrio e sbattersi alle spalle la porta d'ingresso. Subito, era salita nella propria stanza e aveva aperto la finestra. Oltre le siepi, in fondo al giardino, si vedeva il retro dello studio. Un uomo, in tuta bianca da lavoro, con un berretto bianco in testa, ovviamente incaricato di pulire i vetri delle finestre, stava fermo in cima a una scala a pioli e guardava dentro attraverso il lucernario. Poi, era sceso, muovendosi goffamente. Mentre attendeva, divorata dall'ansia, Janet aveva visto l'uomo, o meglio aveva visto il suo berretto bianco, passare dietro le alte siepi e si era accorta che zoppicava. Cass non si decideva a uscire dallo studio. Purché la discussione tra lui e Maitland Frederick non fosse degenerata in un violento litigio... A un tratto, Janet aveva chiuso la finestra e si era voltata, udendo un rumore di passi. Ma non c'era nessuno dietro di lei. Quel rumore proveniva dalla stanza sopra la sua ed era... sì, era il passo di uno zoppo. Poi, aveva sentito Eve urlare: un grido stridulo, interrotto bruscamente, come se qualcuno le avesse premuto una mano sulla bocca. Nel caminetto della biblioteca, il fuoco stava per spegnersi. Pete vi gettò della legna per alimentarlo. Prese i due bicchieri e tornò a riempirli. Ora
che il braccio di lui non le circondava più le spalle, Janet sentì improvvisamente freddo. S'infilò la giacca di pelliccia, stringendosela addosso. Pete le porse il bicchiere e rimase in piedi, davanti al caminetto. «Questo è tutto?» chiese. «Non hai visto né sentito altro?» «È tutto» rispose lei. «Te l'ho già detto a suo tempo, non ricordi?» «Non hai visto Cass entrare nello studio o uscirne?» Janet scosse il capo. «Non hai visto nessun altro?» insistette lui. La ragazza si limitò a ripetere il cenno, in silenzio. «Dunque, eccoci di nuovo alle prese con quell'uomo claudicante che, il giorno del delitto, era venuto a pulire le finestre dello studio anche se nessuno l'aveva assunto per farlo. Lo sconosciuto che soltanto tu hai visto.» «Io ed Eve» ribatté Janet. «Quell'uomo è entrato in casa, è salito nella camera di Eve e l'ha aggredita, facendola gridare. È stato lui, e non Cass, a colpirla con violenza. Cass non avrebbe mai avuto il coraggio di ridurle il viso in quello stato. Eppure, la tesi dell'accusa è fondata in gran parte proprio su quei lividi, su quelle tumefazioni, prova evidente che mio fratello credeva Eve colpevole di adulterio, prova della sua natura violenta. Ecco perché non potrò mai perdonare Eve. La sua falsa testimonianza ha fatto condannare Cass, ne sono certa.» «Dio sa se non ho smosso mari e monti per rintracciare quell'uomo...» sospirò Russlin. «Anche la polizia ha svolto accurate indagini. Ma lui si era volatilizzato.» «Tu e la polizia non avete mai creduto alla sua esistenza, Pete. L'ho capito sin dall'inizio. Avete finto di accettare la mia dichiarazione perché eravate convinti che stessi facendo uno sforzo disperato, e patetico, per salvare Cass. Ma pensi proprio che, se avessi mentito, me lo sarei inventato zoppo, quell'uomo? Un operaio addetto al lavaggio delle finestre, che deve salire e scendere lunghe scale a pioli... "zoppo"? Ti assicuro che avrei trovato qualcosa di meglio, un personaggio meno improbabile. Io ho sempre detto la verità, Pete. L'ho visto, ti ripeto, e ti garantisco che lui mi ha seguita spesso, nascosto tra la folla, nelle settimane precedenti il processo. Questo non me lo sono immaginata. E oggi, l'ho sentito ancora... lo riconoscerei dovunque, quel passo.» Pete le lanciò un'occhiata, allarmato dal "crescendo" della sua voce. «Chi credi che fosse?» le chiese. «Il vero assassino, forse?» Lei scrollò il capo. «Questo no, sarebbe assurdo. Ma, certo, quell'uomo
ha visto commettere il delitto.» «E conosceva Eve?» «Quanto bastava per venire qui ad aggredirla.» Inaspettatamente, Pete ruppe in una breve risata sommessa. «Come la detesti, Janet...» «Anche Thornton me l'ha detto, oggi. Ma io non credo di odiarla. L'odio è un sentimento negativo, che corrompe. Eve non mi è mai piaciuta, questo sì. E non perché, a parte la sua bellezza, fosse una nullità. Se avesse reso felice Cass, non avrei badato alla sua mancanza di cultura e di classe. Ma lei l'aveva sposato solo per interesse, lo si capiva da tante cose, quando dimenticava di controllarsi. Non lo amava, capisci? L'ha strumentalizzato, come ha fatto con tutti noi. E dopo il processo, non ha voluto rivederlo neanche una volta. Si è precipitata a chiedere il divorzio.» «Non hai mai conosciuto la sua famiglia?» «Lei si è guardata bene dal presentarci la madre e il patrigno, anche se l'avevamo sollecitata a invitarli. Sarebbero stati nostri ospiti. Ma Eve non ha voluto. Non parlava mai del passato. Il suo vero nome era Allie Voss, l'ho letto sul certificato di matrimonio. È stata lei a cambiarlo in Eve. A quanto mi risulta, sua madre si era trasferita in un piccolo centro del Sud, sperando che il clima giovasse al marito, gravemente malato.» «Ricordo che non hanno assistito al processo.» «Come hai incontrato Eve?» gli domandò Janet. «Per caso, una sera, in non so più quale night. Lei era con un gruppo di persone e io conoscevo uno degli uomini. Quello venuto con Eve si era ubriacato e avevano dovuto portarlo fuori. Così, il mio conoscente mi ha invitato a sostituirlo. Ho ballato con Eve e più tardi l'ho accompagnata a casa. Ci siamo rivisti due o tre volte, e poi, un pomeriggio, abbiamo incontrato Cass in un bar. Lui ha avuto il classico colpo di fulmine, è andato letteralmente al tappeto.» Janet sospirò e spinse indietro le spalle. «È venuto il momento di far uscire mio fratello da Wentworth» disse. Pete non rispose e lei lo guardò, stupita. «Tu non dubiti della sua sanità mentale, vero?» «Certo che no, ma... ma devi riflettere, cara, e capire che...» «Sei tu a non capire cosa significa per Cass restare segregato a Wentworth» lo interruppe Janet. «E tu non immagini nemmeno che cosa vorrebbe dire per lui tornare nel mondo. Per tutta la vita, dovunque andasse, sarebbe considerato l'assassino di Maitland Frederick.»
Janet impallidì fino alle labbra. Pete vide i grandi occhi neri colmarsi di sgomento e si affrettò ad abbracciarla con protettiva tenerezza, appoggiando una guancia ai suoi capelli. «Hai dimenticato come gli si è scagliata contro, la stampa, quando è sfuggito alla sedia elettrica? Non ricordi il putiferio che si è scatenato quando sono riuscito a farlo trasferire dal manicomio di Stato a Wentworth? L'assassinio del più famoso pittore americano aveva sconvolto l'opinione pubblica. La gente non ha mai messo in dubbio la colpevolezza di Cass. Ancora oggi, tutti ne sono convinti. Tuo fratello era andato da Frederick per esigere spiegazioni. È rimasto nel suo studio un quarto d'ora. Quando è uscito, Frederick era morto, strangolato.» «Cass l'ha trovato già morto» disse Janet con voce atona. «E allora, perché si è trattenuto là? Che cos'ha fatto?» «Non lo so, non lo so... Io penso che abbia distrutto il ritratto di Eve. La polizia ha trovato una tela bruciata nel caminetto.» «Ma Cass ha negato l'esistenza del quadro. Perché? E perché l'ha negata anche la signora Frederick quando ha testimoniato al processo?» «Il perché lo ignoro. Ma ti assicuro che lei ha visto quel dipinto. Quanto a Cass, voleva proteggere Eve da uno scandalo. Senti, Pete, supponi che mio fratello non abbia mentito. Supponi che Maitland Frederick fosse già morto, quando lui è entrato nello studio...» «Ma, cara, solo Cass aveva movente e occasione.» «Dunque, tu non hai mai creduto alla sua innocenza» mormorò lei. «Mai.» Pete le stringeva le mani, fissandola intensamente. Il suo viso sottile era contratto dall'emozione. «L'ho sempre creduto colpevole, ma ho fatto tutto quello che potevo per lui. Lo sai, devi rendermene atto. E lo rifarei, te lo giuro. Non fraintendermi. Cass era... è il mio migliore amico. Eve gli ha fatto perdere la testa. È una di quelle donne amorali che possono distruggere un uomo, ridurlo alla follia. Lascia Cass a Wentworth, cara. Lui è al sicuro, là. Non voler rischiare troppo.» Janet ricambiò la stretta di quelle mani che, come sempre, sapevano darle conforto e coraggio. «Me lo dicono tutti... La signora Frederick, Thornton, e adesso anche tu. Ma è inutile, Pete. Noi Grant siamo una razza che non si arrende. Non crederò mai che Cass sia un pazzo pericoloso e non crederò mai che abbia assassinato Maitland Frederick.»
Russlin tentò di allentare la tensione che le leggeva sul volto pallido e stanco. «Secondo voi, signorina Grant, chi l'avrebbe ucciso?» replicò con un sorriso. «Un folletto o un marziano?» «La signora Frederick è entrata nello studio, quel giorno.» «Non avrebbe mai avuto la forza per strangolare un uomo robusto e atletico come suo marito.» «Anche Thornton è andato là. Sostiene che, quando ha bussato alla porta, nessuno gli ha aperto, ma che ha sentito muoversi qualcuno, nello studio. Ha pensato che, per qualche motivo, Frederick non volesse farlo entrare. Ma supponiamo che nello studio ci fosse l'assassino. Oppure che Thornton abbia mentito.» «In nome del cielo, perché Thornton avrebbe dovuto uccidere Frederick?» «Non lo so» ammise lei, scoraggiata. Poi, la sua espressione mutò di colpo. «Che c'è?» chiese Pete, scrutandola. «Non pensi che anche Thornton si fosse innamorato di Eve e avesse una relazione con lei?» Lo sforzo che Russlin fece per trattenere una risata fu così buffo che, suo malgrado, Janet sorrise. «So che la mia ipotesi sembra assurda. Thornton è un tipo così impeccabile... Ma, forse, Eve aveva più di un amante.» «Sembri assolutamente sicura che lei fosse infedele a Cass. Però, non avevi mai sospettato di Eve, prima che la signora Frederick l'accusasse.» «Non è vero. L'avevo intuito già da qualche settimana. Il modo come si comportava era classico.» «E non me l'hai mai detto.» «Non potevo dirtelo, prima del processo. Questo avrebbe fornito un movente a Cass e io avevo paura, tanta paura.» Lui le accarezzò le mani. «Ti sei torturata troppo, vivendo raccolta nel passato. Da' un taglio netto, Janet. Vendi questa casa, esorcizza i fantasmi.» «E che ne pensi del fatto che qualcuno si sia introdotto qui per frugare dovunque? Questo non ti dice niente?» «Cosa avrà cercato, secondo te? Gioielli? Documenti segreti?» tentò di scherzare Pete. «Delle lettere» rispose lei con calma. «Lettere compromettenti, nascoste da Eve.»
Pete ebbe un'esclamazione spazientita. «Ricominci con le ipotesi?» «No, l'ho sentita parlare al telefono. Era disperata.» «E credi che quelle lettere siano ancora qui?» «Potrebbero esserci. Eve era sempre distratta, disordinata. Le ha nascoste da qualche parte e poi non è più riuscita a ricordare dove. Se sono qui, ti giuro che le troverò, Pete.» «Okay.» Russlin annuì e la fece alzare in piedi. «Adesso, però, ti accompagno a casa. Hai una faccia da far paura.» Janet sorrise. «Il solito diplomatico! Comunque, riportami pure a casa. Voglio scrivere subito al dottor Beldner.» 5 Una sera di gennaio, i giornali uscirono in edizione straordinaria, con titoli su quattro colonne. "Cass Grant riconosciuto sano di mente". "L'assassino di Frederick in libertà!". "La sorella fa liberare il playboy assassino". Al ritorno da Wentworth, loro videro subito le edicole "pavesate" di giornali. Pete Russlin, che guidava la macchina, imprecò sottovoce. «Oh, no!» esclamò Janet, che sedeva sul sedile posteriore, accanto al fratello. La sua voce vibrava di sdegno e di pena. Cass non disse niente ma, mentre si protendeva per spegnere la sigaretta nel posacenere, le luci della strada rivelarono la tensione che gli segnava il volto, la strana fissità dei suoi occhi. Janet avrebbe voluto scoprire quali emozioni si annidassero dentro di lui, che cosa si proponesse di fare, in futuro. Ne avevano parlato solo una volta, negli ultimi tre mesi, da quando lei aveva impegnato la sua battaglia, ed era stato appena un vago accenno. «Che progetti hai per... dopo?» gli aveva chiesto, un giorno. «Ho qualche affare in sospeso da sistemare» si era limitato a rispondere Cass, lanciandole un'occhiata strana. Adesso, Janet aveva le mani gelide, anche se portava guanti foderati di montone e se faceva fin troppo caldo, in macchina. Che cosa significava quell'occhiata di Cass? E che intenzioni aveva, ora? Dal giorno dell'assassinio, lui non aveva più fatto il nome di Eve. Mai, nemmeno una volta. Eppure, l'aveva tanto amata. Per un momento, Janet pensò che, senza dubbio, Pete temeva la reazione di Cass nei confronti della moglie, l'odio che doveva essersi accumulato in lui, la vendetta. Ma Pete non aveva mai creduto nell'innocenza di Cass.
Quando imboccarono la Quinta Avenue, Cass inarcò le sopracciglia. «Che diavolo...?» «Ho deciso di riaprire la nostra casa» si affrettò a spiegargli Janet. «Non credi di aver reso la situazione ancora più difficile?» replicò lui. «Gliel'ho detto anch'io» intervenne Pete. «Sono convinta che questa sia la soluzione migliore» dichiarò Janet. «A proposito, la signora Frederick ha sciolto il contratto d'affitto e la casa gemella è libera.» Si girò a cercare gli occhi del fratello. «Ti dispiace tanto, Cass?» «Che differenza vuoi che faccia?» Cass ruppe in una risata aspra. «"Il playboy assassino"...!» L'auto ebbe un brusco sussulto, quando Pete frenò di colpo, appena ebbe svoltato nella trasversale. «Al diavolo! Chi se l'aspettava così presto?» Si volse a guardare Janet. «Non fermiamoci qui, andiamo a casa mia.» Davanti alle due palazzine, era radunata una piccola folla: giornalisti, fotografi e, soprattutto, curiosi. «Circolare, circolare...» ripeteva un poliziotto con tono monotono, senza convinzione. «No» disse Cass. «Prima o poi, dovrei pur affrontare questa situazione. Meglio farlo subito.» Pete esitò, ignorando l'impaziente suono di clacson di un'autopattuglia che si era fermata dietro di loro. Janet trasse un sospiro. Se l'era voluta, pensò. «Cass ha ragione» disse. «Meglio subito.» Uno degli agenti scese dall'autopattuglia per far loro cenno di proseguire. Pete aprì lo sportello, gli disse qualcosa sottovoce, e il poliziotto annuì. Cass, col viso pallido e contratto, scese dall'auto e Janet lo imitò. Vennero riconosciuti subito, e la piccola folla avanzò, compatta, verso di loro. Pete si mise accanto alla ragazza. Insieme, si prepararono a subire l'assalto dei flash e delle domande. Le voci dei giornalisti cercavano di sovrastarsi a vicenda. "Che effetto vi fa essere libero, signor Grant?"... "Che progetti avete?"... "È vero che assisterete alla prima di «La donna fatale»?"... "Avete più rivisto la vostra ex moglie?"... «No comment» rispose bruscamente Pete, e si parò davanti a Janet, aprendole un varco tra la folla. Cass li seguì, in silenzio, guardando impassibile i cronisti, i curiosi, i poliziotti. La porta di casa venne aperta da un domestico che Janet aveva appena assunto, e subito si chiuse dietro di loro, isolandoli nel "rifugio" dell'atrio.
Cass si guardò intorno. Il suo volto non rivelava ombra di emozione. Solo quando porse al cameriere il soprabito e il cappello, Janet vide che gli tremavano le mani. «La tua stanza è quella di un tempo, al primo piano» gli disse. Poi, si rivolse a Russlin: «Ti fermi a cena, vero, Pete? Cass e io abbiamo tanto bisogno di te, in questo momento» aggiunse in fretta, poiché lui esitava. «Rimango volentieri» le assicurò Pete. «Come ai vecchi tempi.» Ma la sua voce troppo enfatica smentiva la spontaneità del consenso. Non riuscivano a comportarsi con naturalezza, a spezzare la tensione che li divideva. Cass fece scorrere lo sguardo da Pete a Janet, e un sorriso sarcastico gli stirò le labbra. Poi, salì in fretta le scale. Più tardi, mentre Pete aumentava il fuoco nel caminetto della biblioteca, Cass preparò i martini. Dopo aver offerto i bicchieri a Russlin e alla sorella, sedette in poltrona, tenendo in mano il suo senza bere, con lo sguardo sperduto sulle fiamme. Janet lo fissava, in attesa, ma lui pareva non accorgersene, smarrito com'era nei propri pensieri. Lei lo sentì lontano da sé. Uno sconosciuto. Irraggiungibile come quando era a Wentworth. Infine, Pete alzò il bicchiere. «A che cosa brindiamo? Al futuro?» «Al fatto che siamo di nuovo insieme» suggerì Janet. «Alle cose da sistemare» disse Cass. Pete depose bruscamente il bicchiere. «Ascolta, Cass, esci dal passato. Scordalo. Non fare lo stupido.» «Calma, Pete. Non gradisco consigli legali, questa sera. Stiamo festeggiando il mio ritornò a casa, sai? L'assassino di Frederick è stato rimesso in libertà.» Si udì uno schianto e un tintinnio di vetri infranti. Poco dopo, Howell, il cameriere, entrò nella stanza. «Qualcuno ha gettato un sasso contro una finestra del salotto» disse. «Ho chiamato la polizia. Non ci saranno altri incidenti, stasera.» Per la prima volta nelle ultime ore, Cass scoppiò a ridere forte. Dopo cena, fu Cass a insistere per prendere il caffè in salotto. Howell aveva riparato provvisoriamente con del cartone il vetro rotto e accostato le tende davanti alla finestra. Fuori, un poliziotto camminava su e giù, con passo lento e cadenzato. Giornalisti e curiosi se n'erano andati. Vento e neve, che cadeva fitta, li avevano dispersi ed evitavano che si formasse un nuovo assembramento.
Howell entrò nella stanza. «Il signor Grant» annunziò. Thornton indugiò per qualche momento sulla porta. «Buona sera, Janet. Immaginavo di trovarvi qui, Russlin.» Una pausa quasi impercettibile. Poi: «Salve, Cass.» Si fece avanti con la mano tesa, un accenno di sorriso sulle labbra. Cass gli strinse la mano. «Sei venuto a festeggiare il ritorno del figliol prodigo?» Thornton non rispose. Accettò un caffè, rifiutò il brandy. Dopo un lungo, imbarazzato silenzio, osservò che faceva molto freddo, quella sera. Tutti annuirono. Lui aggiunse che, in gennaio, bisognava pur aspettarsi qualche nevicata. Nessuno lo contraddisse. Gennaio era un mese da passare in Florida, continuò Thornton. Oppure alle Isole Vergini. O magari in Sud America, dov'era estate. Estate, sicuro. Sembrava incredibile, no? A questo punto, Cass fissò il cugino, aggrottando la fronte. «Non puoi venir subito al dunque, Thornton?» L'uomo si schiarì la voce. «Hai letto i giornali?» «Ho visto i titoli. Mi è bastato.» «Perché non te ne vai, Cass? Non puoi assolutamente restare qui. A parte il fatto che non sarebbe giusto per Janet...» «Ma cosa ti viene in mente?» protestò la ragazza. Thornton alzò una mano per interromperla. «A parte questo, sarebbe un errore, Cass. Non potresti mai rifarti una vita, a New York. Ma sei ancora giovane, hai appena trentatré anni, e altrove le occasioni di ricominciare non ti mancheranno. Parti. Cerca di farti dimenticare. E se decidessi di cambiare nome...» «Non ho nessuna intenzione di cambiare nome» replicò freddamente Cass. «Voglio riabilitare il mio.» Thornton bevve l'ultimo sorso di caffè e depose la tazza. «E pensare che è stato il dottor Beldner a farti uscire da Wentworth...» disse, con un tono studiato di stupore, per sottintendere che la diagnosi del famoso psichiatra lo sbalordiva. Janet temette che Cass avrebbe perso il controllo di sé. Ma, con suo grande sollievo, lo vide sorridere. «Non farti illusioni, Thornton» ribatté Cass, con calma. «Non tornerò più a Wentworth.» «Mio caro...» Thornton aveva preso un tono di benevola superiorità. «Mio caro, tu non sai valutare obiettivamente la situazione. Ormai, le acque si sono calmate. Non tornare ad agitarle.»
«Ma c'è sempre il fango sotto la superficie» disse Cass. «E io voglio eliminarlo.» «Che cosa intendi fare esattamente?» «In questi anni, ho continuato a riflettere su un interrogativo: chi ha ucciso Maitland Frederick? A suo tempo, la polizia ha ritenuto che le prove a mio carico fossero così schiaccianti da rendere superflue altre indagini. Adesso, voglio scoprire chi era l'uomo che tu hai sentito muoversi nello studio di Frederick prima che vi entrassi io.» «Ma dev'essere stato lo stesso Frederick.» Cass si protese verso il cugino. «Come fai a saperlo?» Thornton fece un brusco gesto di esasperazione. Si rivolse a Pete, che aveva ascoltato attentamente, in silenzio, con aria impassibile. «Non potete fargli intendere ragione, Russlin? Fermarlo, prima che si getti allo sbaraglio?» «Sai benissimo che non possono tornare a processarmi per l'assassinio di Frederick» disse Cass. «Anche se non ti curi del male che puoi fare a Janet, complicando ancora di più la sua vita e procurando al nome dei Grant una nuova, sgradevole pubblicità, non hai pensato a Eve?» «Ho sempre cercato di evitarlo.» Cass aveva parlato con voce ferma, ma era impallidito fino alle labbra. «Non metterla nei guai» lo ammonì Thornton. «Lei ha saputo ricostruirsi una vita, è diventata attrice teatrale e debutterà la settimana prossima. Graham Collinge le ha offerto la parte di protagonista nella sua nuova commedia. Sarà un "lancio" prestigioso. E poi, Eve sta per sposarsi.» «Dio protegga quel povero diavolo» commentò Cass. Howell apparve sulla porta. Aveva un'aria sgomenta. Prima che potesse dire qualcosa, una donna lo spinse da parte ed entrò nella stanza. Una donna in pelliccia d'ermellino, bruna e bellissima. Eve. Si avvicinò subito a Cass. La pelliccia aperta rivelava un abito da sera rosa corallo, tempestato di paillettes, con la scollatura profonda. Aveva sempre un pessimo gusto, pensò Janet, ma era diventata ancora più bella. Per un attimo, cadde un profondo silenzio nella stanza. Sembrava che tutti trattenessero il respiro. Poi, i tre uomini si alzarono in piedi. Eve fece scorrere lo sguardo da un viso all'altro. Era spaventata, pensò Janet, stupita. Gli anni non l'avevano liberata dalla paura che si annidava in lei. Ma perché era venuta da loro? La giovane donna tese le mani a Cass con un gesto supplichevole. «Sono
felice che tu sia libero» disse. «Lo sono veramente, credimi. Non dobbiamo serbarci rancore.» Cass rimase impassibile mentre guardava la donna che aveva tanto amato, la moglie che non gli era rimasta accanto nella "cattiva sorte". Nemmeno i suoi occhi tradirono alcuna emozione. Eve lasciò ricadere le braccia, serrò convulsamente le mani. «Un tempo mi amavi, Cass. Ti prego, sii generoso con me. Ho diritto a un po' di felicità. Sono ancora tanto giovane, ho appena cominciato la mia carriera, sto per sposarmi... non rovinare tutto, Cass.» «Thornton ci ha annunziato il tuo nuovo matrimonio» intervenne Pete Russlin. «Che sorpresa, Eve.» Cass non aprì bocca. Eve rimase per un attimo incerta, poi ebbe un sorriso raggiante e insinuò una mano sotto il braccio di Thornton. «Non vuoi essere un po' gentile, Cass? Non ci fai almeno gli auguri?» «Thornton! Che io sia...!» Cass ruppe in un'irrefrenabile risata. Due chiazze di rossore apparvero sulle guance pallide di Thornton Grant. Janet comprese che era turbato, che non avrebbe voluto rivelare così il suo segreto sentimentale. Lui strinse una mano di Eve, la guardò con occhi adoranti. «Non avresti dovuto venire qui, amore.» Janet si morse le labbra per non scoppiare a ridere come Cass. Thornton, così compassato, quasi ascetico, doveva aver letteralmente perso la testa per Eve. «Ho pensato che dovevo rivedere Cass, fargli capire...» mormorò Eve con una vocetta infantile. «Non devono esserci malintesi e rancori tra noi. Tu capisci, vero, Cass?» «Eve!» protestò Thornton. Janet tentò d'incontrare gli occhi di Pete, ma lui si era avvicinato al caminetto e voltava le spalle a tutti. Con la punta di una scarpa spinse un ceppo tra le fiamme. «Certo che capisco» disse Cass, in tono divertito. «Adesso, Thornton è molto ricco. Dispone del mio denaro, oltre che del suo. Su questo non possono esserci malintesi, Eve.» Il rossore di Thornton si accentuò, i suoi occhi avevano uno scintillio febbrile. Stupita, Janet riconobbe per la prima volta in lui il temperamento focoso e irascibile dei Grant. Ma Thornton seppe mantenere il controllo di sé. Strinse la mano di Eve
e le disse: «Andiamo, cara. Non devi restar qui a farti insultare.» Ignorò Cass e si rivolse a Russlin, che gli girava le spalle: «Dovreste dare qualche buon consiglio legale al vostro cliente, pare che ne abbia bisogno. Qualunque decisione prenda per l'avvenire, Eve non dev'essere toccata in alcun modo. Chiaro?» Pete non rispose e non si voltò. Eve fece per dire qualcosa, ma poi si trattenne. Janet notò che una vena le pulsava forte nella gola. La giovane donna appoggiò una guancia alla spalla di Thornton. «Cass non voleva insultarmi, ne sono certa» disse. «E io desidero che non ci siano rancori tra noi, che si possa essere amici... sì, tutti amici.» Guardò supplichevole Janet. «Ti prego, ascoltami. Io vi chiedo solo di dimostrare alla gente che non mi odiate. È forse troppo?» «Di' chiaramente quello che vuoi e vattene» replicò Janet. «Qui non c'è più posto per te.» Eve aveva gli occhi velati di lacrime. Era stata sempre capace di piangere quando le faceva comodo. «Ti chiedo solo d'essere leale, Janet. Non incolpare me di quello che è successo.» «Ma tu stai tremando» disse Thornton, ansioso. «Vieni, ti accompagno a casa.» Lei scosse il capo. «Posso... posso sedermi?» L'uomo le accostò una poltroncina, poi si affrettò a versare del cognac in un bicchiere e glielo porse. Continuò a scrutarla, turbato, mentre lo beveva. Sotto il trucco sapiente, Eve era terrea e aveva gli occhi cerchiati. «Che c'è?» le chiese Janet. «Solo una piccola crisi di nervi» rispose Eve. «Ci sono stati dei contrattempi, a teatro, ho avuto qualche contrarietà.» Poi, quasi per rafforzare il contatto che quelle poche parole sembravano aver stabilito tra lei e Janet, aggiunse: «Come ti dona quel colore. Solo tu puoi permetterti di portare un lilla così strano. Avrei voluto farti disegnare i miei abiti di scena, ma non ho osato rivolgermi a te.» «Sei davvero incredibile» commentò Janet. «No, ti prego, non essermi nemica.» Eve tornò a sfoderare l'arma delle lacrime. «Te lo chiedo per il bene di tutti. Ciascuno di noi, a suo modo, ha sofferto tanto. Cerchiamo... cerchiamo di comprenderci, d'essere amici.» Depose il bicchiere e andò a inginocchiarsi accanto alla poltrona di Janet. «C'è solo un piccolo favore che desidero da te. Devi intervenire, domani sera, alla prova generale della commedia.»
«Figuriamoci se verrà!» proruppe Cass. Eve tese una mano per imporgli di tacere. Continuava a fissare Janet, lasciando che le lacrime le inondassero il volto. «Se tu verrai, cesseranno tutte le voci odiose che stanno circolando, che mettono Thorny e me in una situazione insostenibile. Vieni. Non è un sacrificio troppo grande, per te. In cambio, ti prometto che Thorny e io ci sposeremo in sordina, senza provocare una pubblicità penosa per voi.» I suoi occhi, sempre fissi sul volto di Janet, avevano un'espressione intensa, come se Eve volesse trasmetterle un messaggio. «Non ti pentirai di aver acconsentito, te l'assicuro.» Pete si volse, lentamente. «Penso che Eve abbia ragione. La stampa si getterà su quest'ultimo ghiotto boccone, e poi l'intera faccenda smetterà di fare notizia.» Eve balzò in piedi sorridendo, con la sua sorprendente capacità di ricupero, e cominciò tranquillamente a ritoccarsi il trucco. «Allora, verrai?» disse, e Janet ebbe di nuovo la sensazione che volesse comunicarle qualcosa. Guardò Pete, lo vide annuire e si arrese. «D'accordo. Verrò.» «Ti accompagnerò, Janet» disse Cass, senza esitare. Eve gli lanciò un'occhiata, parve allarmata dalla sua espressione e si aggrappò al braccio di Thornton. Dopo essersi girato intorno uno sguardo carico di ostilità, lui la condusse via. «Bene...» Janet tirò un lungo sospiro. «Eve e Thornton... anzi, "Thorny".» Si rivolse a Pete. «Credi proprio di avermi suggerito la soluzione migliore?» «Non ne vedo altre» rispose lui. «E io mi chiedo a che cosa mira Eve» mormorò Cass. 6 «Vorrei proprio sapere perché mi hai invitato» disse Hiram Potter, pensoso. Graham Collinge si affrettò a sommergerlo con un fiume di lamentose proteste. Disse che, a prezzo di notevoli disagi, si era offerto di alloggiare l'amico - quello che credeva un amico, cioè -mentre questi aveva la sua casa di Gramercy Park invasa da tappezzieri e imbianchini. Aveva dovuto sopportare anche gli strani tipi che venivano spesso a cercare Potter, nonché i giornalisti che gli ronzavano intorno, fiutando qualche nuovo "caso" sensazionale. Probabilmente, aggiunse risentito, la polizia stava svolgendo
indagini su di lui, perché il semplice fatto di ospitare Hiram Potter lo rendeva persona sospetta. E finora, non si era mai lamentato. Ma questi dubbi espressi sulla sua disinteressata amicizia e sui motivi altruistici della sua ospitalità colmavano decisamente la misura. «Credo che la scena sarebbe più efficace se tu scoppiassi in lacrime» osservò Potter. Il commediografo ruppe in una risata. Come Hiram Potter, aveva trentacinque anni, i capelli biondi, la carnagione chiara, la figura sottile. Diversamente da lui, era alto. E brutto, ma di una bruttezza simpatica, attraente. Il successo lo aveva reso rapidamente ricco e famoso senza guastarlo: in complesso, era rimasto un uomo semplice, con la testa sulle spalle, che sapeva tenere bene sotto controllo una certa vanità. Ormai, era arrivato al punto in cui le recensioni negative dei critici stupiscono e deludono un autore teatrale, ma non lo spaventano più perché può permettersi di sopportarle. Quel pomeriggio, Collinge sedeva, in pigiama a strisce e vestaglia di seta nera, sul divano del suo soggiorno, le cui finestre davano sul Central Park. Si alzò, per scostare le tende, stampate a motivi ultramoderni che a Potter sembravano lampi disegnati da un folle, guardò la neve che cadeva fitta, rabbrividì e tornò ad accostarle. «Vuoi venire alla prova generale, stasera?» chiese, mentre si avvicinava al bar. «Per te, il solito Haig & Haig, vero?» Riempì un bicchiere di whisky, soda e ghiaccio, e lo depose su un tavolino davanti all'ospite. Potter ghignò. «Per un momento, ho pensato che volessi sbattermelo in testa.» «Al diavolo...» Il commediografo si interruppe, sconfitto dall'humour dell'amico, e ricambiò il sorriso. Dopo essersi preparato un Bloody Mary, tornò a sedersi di fronte a lui. Hiram Potter alzò il bicchiere. «Al trionfo della commedia. Ma perché ti sei dato al genere melodrammatico, che non è nel tuo stile?» «Per una specie di reazione, credo. I miei lavori stavano acquistando una dimensione così simbolistica che non riuscivo più a capirli neanch'io, e ho voluto fare una scommessa con me stesso, sfidandomi a scrivere una commedia di stile tradizionale, con un intreccio a forti tinte. Probabilmente, "La donna fatale" non gioverà al mio prestigio, però mi sono divertito a scriverla.» «E perché hai affidato la parte della protagonista a Eve Grant?» «Perché è la donna più bella che abbia mai visto» rispose Collinge. «Il
pubblico impazzirà per lei.» «Sa recitare?» Collinge sorrise. «Direi di no» rispose «ma questo non è necessario. La commedia è chiaramente ispirata all'assassinio di Maitland Frederick e non occorre altro per attirare il pubblico. Ho cambiato i particolari della vicenda, s'intende, e ho attribuito il delitto alla moglie della vittima per poter inserire una drammatica scena madre tra le due rivali. L'attrice che interpreta la parte della moglie tradita è una delle nostre migliori caratteriste. Assolutamente eccezionale. Sosterrà lei tutto il peso della scena. Eve può limitarsi a esibire la sua bellezza. E, francamente, non ha altre doti.» «Potrai dirti molto fortunato se la signora Frederick non si precipiterà a querelarti per calunnia» lo ammonì Potter. «Figurati!» replicò Collinge. «Nessuno ha mai messo in dubbio la colpevolezza di Cass Grant.» «Io sì» dichiarò con calma Hiram Potter. «Ho assistito a tutte le udienze del processo. È stata la causa del secolo. Aveva proprio tutti gli ingredienti necessari per far sensazione: due famiglie dell'alta società, un grande pittore, un marito folle di gelosia, belle donne, orge nello sfondo...» «Ma non può essere stato che Grant a uccidere Frederick» protestò Collinge. «A meno che tu non creda alla storia dell'uomo che puliva i vetri... quello che la sorella di Grant sosteneva d'aver visto.» «Janet Grant "deve" aver visto qualcuno. È l'unica che non abbia mentito, al processo.» Potter sorseggiò il suo whisky. «La ricordo perfettamente. Che occhi straordinari... quasi neri. La moglie dell'imputato, Eve, aveva paura. Di che cosa? O di chi?» Depose il bicchiere. «Ascolta, Collinge, stai giocando con del materiale esplosivo. Grant è uscito ieri da Wentworth. Hai letto i giornali? La tua commedia farà tornare a galla quel vecchio scandalo e potrebbe smuovere acque profonde, pericolose.» «Ormai è troppo tardi per rimediare, anche se volessi. La "prima" è fissata per domani sera. E poi, qualunque cosa accada, non mi riguarda.» Collinge si pentì subito di averlo detto e, per nascondere il disagio, si protese ad accendere il televisore. «È l'ora del notiziario.» Potter lo guardò, perplesso, e tacque. Prima che sul video cominciassero ad apparire le immagini, si udì la voce dello speaker: "Cass Grant è stato dimesso ieri da Wentworth, dov'era stato ricoverato per infermità mentale, dopo essere sfuggito alla pena di morte comminatagli per omicidio volontario. Il dottor Franz Beldner, il famoso alienista svizzero, lo ha riconosciuto sano di mente. Il signor
Grant, intervistato nella sua casa sulla Sessantottesima Strada Est, accanto a quella di Maitland Frederick, ci ha rilasciato la seguente dichiarazione". Le telecamere inquadrarono la biblioteca di casa Grant. Cass aveva un'aria distesa e parlava con calma. Accanto a lui, Janet stava troppo eretta, irrigidita da una palese tensione, con gli occhi fissi sul viso del fratello. "Quattro anni fa, Maitland Frederick è stato ucciso nel suo studio, in fondo al giardino, dietro questa casa" disse Cass. "Oggi, io ho un unico scopo nella vita: scoprire l'assassino e dimostrare la mia innocenza. Un'innocenza che ho protestato inutilmente, al processo, e che ora proverò." Lo speaker ricomparve sul video e passò a un altro argomento. "Il problema del traffico di New York ha provocato ancora..." Collinge spense bruscamente il televisore. «Ma che cos'è successo a Grant?» esclamò, allibito. «È così invecchiato, quasi irriconoscibile...» «Che occhi, quella ragazza...» mormorò Hiram Potter. «Stupendi.» Il commediografo gli lanciò uno sguardo perplesso e bevve un lungo sorso del suo cocktail. «Bene, questa dovrebbe essere senz'altro un'ottima pubblicità per "La donna fatale"» disse, in tono di sfida. Potter si protese verso di lui. «Togli la commedia dal cartellone» lo sollecitò. «Oppure, metti sotto chiave la tua Eve. Cass Grant è deciso a tutto pur di riabilitarsi.» Fece una pausa, poi chiese: «Mi hai offerto ospitalità per questo?» Collinge rinunziò alla finzione di nuove proteste. «No, non ho paura che scoppi una tragedia, ma... ecco, sono successe certe strane cose, piccole cose, in apparenza. Sembra che qualcuno voglia far saltare i nervi a Eve.» «Non ti dispiace?» chiese Collinge. «Il fatto è che tu sei un genio nel risolvere queste situazioni.» Il signor Potter gli tese il bicchiere, reclamando un altro whisky. Quando glielo ebbe versato, Collinge indugiò a osservarlo. In realtà, non lo poteva considerare proprio un amico. Il loro era, piuttosto, un rapporto di conoscenza che durava da diversi anni. In passato, Hiram Potter aveva chiesto due volte la sua consulenza mentre si occupava di delitti nei quali erano implicate alcune persone del mondo teatrale. Francamente, lui non era mai riuscito a decifrare quell'uomo senz'altro fuori del comune, troppo ricco per aver bisogno di lavorare, che da una mezza dozzina d'anni veniva coinvolto, o si faceva coinvolgere, in casi di assassinio. Ogni tanto, la stampa lo portava alla ribalta della pubblicità, ma Collinge riteneva che, più spesso, Potter restasse esattamente dove voleva: nell'ombra, dietro le quinte.
Era uno di quegli uomini che forse non si riesce mai a farsi amici, ma ai quali ci si rivolge istintivamente quando si è nei guai. «Tu hai la passione di ficcarti nelle situazioni più strane e ingarbugliate» riprese Collinge, un po' imbarazzato. «Assassini, di solito» precisò Hiram Potter. «Devo presumere che te ne aspetti uno?» «Mio Dio, no.» Collinge era sinceramente turbato. «Te l'ho già detto. Ma perché gli assassini ti attirano tanto, Potter?» «Perché non esiste civiltà dove manca il rispetto della vita umana. Chi non la considera sacra e intangibile si degrada nel modo più abietto.» «Ma la polizia...» «Lascia che ti esponga alcuni fatti» lo interruppe Potter. «In certe parti del nostro paese, gli assassini rappresentano un'alta percentuale delle cause di morte. Se ne registra uno ogni quarantacinque minuti. Circa ogni due ore, viene commesso quello che si può definire un delitto perfetto. Ogni due ore, pensa. Quasi il sessanta per cento degli omicidi se la cavano impuniti, restano liberi di uccidere ancora. «Naturalmente, la situazione non è così grave solo negli Stati Uniti. Alcuni anni fa, un criminologo inglese ha dichiarato che, in Gran Bretagna, l'ottanta per cento degli omicidi non vengono scoperti, oppure sono assolti per insufficienza di prove, e il quindici per cento finisce negli istituti psichiatrici. Le condanne vengono comminate ed eseguite solo nel cinque per cento dei casi. A conti fatti, nella civiltà occidentale, un piccolo delinquente che strappa la borsetta a una donna, per la strada, corre più rischi di un astuto assassino. «E noi dovremmo dirci che, se le cose stanno così, tanto vale accettarle e rassegnarsi, perché in fondo non ci riguardano direttamente? Accidenti, no! In qualche modo, bisogna ristabilire nella società il rispetto della vita umana, altrimenti siamo indegni di sopravvivere. Ecco perché non posso restare indifferente di fronte a questa situazione e dirmi che "non mi riguarda". Ci riguarda tutti, in nome di Dio. Dunque, quando mi si presenta l'occasione di fare qualcosa, di rendermi utile, lo faccio.» Potter interruppe la sua tirata per bere un sorso di whisky. «Il fenomeno della violenza, dell'omicidio facile, ha assunto proporzioni così mostruose che mi sgomentano. Sento il dovere di contribuire alla lotta contro questo cancro della società. Si potrebbe risolvere il problema, o almeno ridurlo notevolmente, se tanti individui si scuotessero dalla loro apatia per passare all'azione. Credimi, Collinge, ogni omicidio colpisce al cuore la civiltà, è
un'aggressione all'umanità intera.» «Non immaginavo che ti sentissi investito di una missione» disse il commediografo. «Mi dispiace di averne parlato come di un tuo hobby.» «Di solito, non faccio conferenze.» Potter sorrise. «Bene, ho parlato anche troppo. Adesso, dimmi tutto.» Collinge gli spiegò che non c'era niente di ben definito, ma che continuavano a succedere tante piccole cose sgradevoli. Per esempio, Eve adorava i fiori e ne veniva letteralmente sommersa dai suoi ammiratori. Un mattino, arrivando a teatro, aveva scoperto che nel suo camerino qualcuno aveva tolto l'acqua da tutti i vasi, facendo appassire i fiori. Un'altra volta, aveva trovato un topo morto in un barattolo di crema da strucco. Pochi giorni dopo, alla sua cipria erano stati mescolati dei minuscoli frammenti di vetro. «Questo non è uno scherzo» osservò Potter, corrugando la fronte. «Eve ha corso il rischio di restare sfregiata. Così, i suoi nervi si stanno logorando a poco a poco. Non è più la stessa, scatta per qualsiasi inezia, in scena dimentica spesso le battute. Dice che non riesce a dormire perché il telefono suona almeno dieci volte ogni notte e, quando stacca il ricevitore, non le risponde nessuno. Ieri, alle prove, continuava a fare smorfie involontarie e il suggeritore ha dovuto soccorrerla per tutto il terzo atto.» «Forse, è allarmata dal fatto che il suo ex marito sia di nuovo in libertà, ha paura di lui» suggerì Potter. «No. Cass Grant è stato dimesso da Wentworth ieri e questa situazione dura già da alcune settimane. Temo di aver sbagliato, decidendo di farla debuttare a New York. Avrei dovuto rodarla con una tournée in provincia. Ma non mi sono nemmeno posto questo problema. Avevo concluso un ottimo contratto con un impresario di Broadway e, anche se prevedevo che i critici non avrebbero osannato a Eve, pensavo che il mio nome e il genere della commedia bastassero per garantire il successo.» «Ormai, è troppo tardi per rimediare, vero?» «Eve mi ha rivelato quello che stava succedendo solo ieri, quando l'ho un po' strapazzata perché continuava a incepparsi. Allora, ha avuto una crisi di lacrime e mi ha detto tutto.» «Perché non te ne ha parlato prima?» «Non lo so. Ritengo che abbia dei forti sospetti sull'identità del suo persecutore e che ne sia terrorizzata. Ecco perché vorrei che tu assistessi alla prova generale, stasera. Hai il dono di ispirare fiducia alla gente. Fa' parlare Eve, scopri perché ha paura. Poi, sistemerò io le cose. Altrimenti, com'è
vero Dio, domani farà un fiasco memorabile.» «Si cena, prima, o dobbiamo andare a teatro deboli e digiuni?» s'informò Potter. 7 La neve continuava a cadere fitta, quando uscirono da "Sardi", le strade erano invase da una fanghiglia che imponeva di camminare con cautela, e una lenta processione di auto sfilava davanti al teatro. Collinge passò da un'entrata laterale. Nel piccolo ingresso, un uomo in maniche di camicia, con un sigaro spento in bocca, sedeva su uno sgabello, leggendo un giornale sportivo. «Buona sera, signor Collinge» disse, alzando appena il capo. Nell'auditorio, era illuminato solo il palcoscenico. Avevano alzato il sipario e si stava sistemando sulla scena un divano di velluto rosso in stile Vittoriano. «A che serve quel sofà? Per sedurre l'amante o per riconciliarsi con la moglie?» chiese Potter. «Oh, smettila di scherzare.» Dalla balconata, il capomacchinista gridò: «Spostate quella quinta più a destra! Quante volte ve lo devo dire?» «Sei tu, Graham?» esclamò il direttore di scena, mentre Collinge precedeva Potter nella platea buia. Aggiunse qualcosa, ma la sua voce fu sopraffatta da un improvviso martellare. «Che cosa c'è?» Collinge si affrettò lungo il corsello. «Siediti da qualche parte» disse a Potter. «Adesso, c'è un po' di confusione, ma tra poco verrò a prenderti e ti presenterò Eve. Puoi fumare, se vuoi.» Si fermò sotto il proscenio. «Che diavolo c'è, adesso?» «La porta al centro del fondale si è inceppata. Eve avrebbe dovuto scivolare in scena da uno spiraglio e l'effetto della sua comparsa sarebbe andato perduto. Ho chiamato il falegname, che sistemerà la porta in pochi minuti.» Hiram Potter si sedette in una delle file centrali. Quando la sua vista si fu adattata all'oscurità, notò che c'erano altre due persone nella sala. Collinge era salito sul palcoscenico. Diede un ordine a un elettricista, facendo convergere sul divano un fascio di luce rosata, e poi disse di spegnerla. Girò la maniglia della porta, che adesso si apriva agevolmente, e conferì con l'esagitato direttore di scena, che sembrava sull'orlo di un collasso nervoso.
Un giovane attore in smoking, col cravattino in mano, attraversò il palcoscenico, intralciando il lavoro di due Uomini che stavano appendendo un quadro sopra la mensola del caminetto. «Ehi, Fisher, sparisci!» gli gridò Collinge. «Sono venuto a controllare l'accendisigari da tavolo. Nel pomeriggio, alle prove, non funzionava, era senza gas. Mi sono sentito un idiota, mentre continuavo a farlo scattare inutilmente. Una cosa da impazzire, se capitasse durante uno spettacolo.» «Graham, tesoro!» chiamò una voce di contralto, e una donna matura, in abito da sera nero, entrò dalla porta sulla sinistra. «Devi assolutamente mettere una battuta per me, dopo che Eve esce di scena, nel secondo atto. Non posso restare lì a bocca chiusa, altrimenti...» «Ne abbiamo già discusso, Millicent, e ti ripeto che non se ne fa niente» la interruppe Collinge, con un sospiro. Millicent Cawling, una caratterista di classe. Potter ricordava certe sue famose interpretazioni e l'aveva sempre ammirata. «Devo insistere, Graham.» «Ma, cara, bisogna accelerare il ritmo, alla fine di quella scena. Aggiungi una battuta, e la tensione si affloscia. Sii buona, angelo mio, e fammi il favore di sparire.» Collinge le diede una piccola spinta, poi guardò l'orologio. «Dov'è Eve?» Millicent si strinse nelle spalle. «Credo che si stia vestendo.» «Va' a dirle di sbrigarsi, per favore.» «Per carità. C'è qualcuno nel suo camerino. Poco fa, quando sono andata a chiederle una sigaretta, non mi ha lasciato entrare. La sua cameriera monta la guardia alla porta come un cerbero.» Adesso che si era perfettamente abituato all'oscurità, Potter riconobbe gli altri due uomini seduti in platea. Un paio di file più avanti, sulla sinistra, c'era Sanders Newton, un famoso impresario di Broadway. E proprio davanti a lui, sedeva Thornton Grant. La sua presenza lo stupì. Grant, che ogni tanto incontrava al club, era l'ultima persona al mondo che si sarebbe aspettato di trovare lì, quella sera. Improvvisamente, percepì un profumo, intenso ma raffinato, che lo indusse a voltarsi. La donna, che aveva preso silenziosamente posto dietro di lui, era Anne Frederick. Indossava una pelliccia di visone selvaggio e aveva i folti capelli bianchi composti in uno chignon ad anello. Dopo aver lasciato passare qualche minuto, Potter si alzò per spostarsi in un punto da dove poter tener d'occhio la donna senza farsi notare. Temeva che Collinge
avrebbe passato un brutto quarto d'ora, quando la signora Frederick avesse scoperto che, nella trasposizione scenica del delitto, l'assassina del marito era lei. Si udì un rumore di passi e tre persone entrarono in platea: una ragazza bionda e due uomini, uno alto e sottile, l'altro più basso, con i capelli quasi grigi. Quando gli passarono a lato, Potter osservò quest'ultimo e il suo viso affilato, dall'espressione tesa, gli parve familiare. Dove l'aveva già incontrato? Anche l'altro uomo non gli era sconosciuto, ma non riusciva a dargli un nome. Poi, la ragazza si volse e lui vide i grandi, meravigliosi occhi neri, un po' allungati verso le tempie, che formavano uno straordinario contrasto con l'oro pallido dei capelli. Janet Grant. Dunque, l'uomo dall'aria tesa era suo fratello Cass, e quello più alto doveva essere Pete Russlin, il penalista. Collinge era sceso dal palcoscenico per sedersi in una poltrona di prima fila. Venne chiuso il sipario. «Benissimo!» gridò lui. «Luci! Sipario!» Si accesero le luci di proscenio, il sipario tornò ad aprirsi. Fisher, il giovane attore in smoking, si stava aggirando nervosamente sulla scena. Si fermò per controllare il proprio orologio da polso con quello esposto sul caminetto. Poi, la porta al centro del fondale si aprì ed Eve Grant vi rimase inquadrata per alcuni istanti. Indossava un abito lungo dalla scollatura profonda e una cappa nera bordata di raso rosso. Era splendida. Un'entrata in scena da togliere il respiro, pensò Hiram Potter, guardandola. "Dove sei stata?" La prima battuta era di Fisher. "Sono uscita per imbucare una lettera." "Non mentire. Sei andata ancora con lui." "Ma tesoro!..." Eve si avvicinò al partner, con le mani tese in gesto supplichevole. Al braccio sinistro, appena sotto il gomito, portava una larga fascia d'oro, troppo vistosa, quasi volgare. Non sarebbe mai diventata una vera attrice, si disse Potter. A dispetto della sua bellezza, era scialba, priva di personalità, le mancava quella carica vitale che colpisce e affascina immediatamente il pubblico. Adesso, invece di guardare il suo partner, al quale si doveva rivolgere, fissava la sala. D'improvviso, Eve smise di recitare e si protese verso la prima fila. «Graham, mandala via» disse, con tono brusco. «Se lei resta qui, me ne vado.»
Collinge si alzò, imitato da Thornton Grant. «Che cosa ti prende, Eve?» protestò. «Manda via Anne Frederick. Non voglio che stia qui a spiarmi.» Collinge si girò di scatto, guardandosi attorno. Quando vide Cass Grant, ebbe un sussulto. Dopo aver osservato la donna dai capelli bianchi, che era rimasta tranquillamente seduta, si avvicinò a Potter. «Ti prego, convincila tu a uscire» gli sussurrò. «Con garbo, mi raccomando. Eve crollerà in pezzi, se lei non se ne va.» Eve attendeva, immobile. Poi, un sorriso le distese il volto contratto. «Janet!» esclamò. «Grazie d'essere venuta, tesoro. E anche tu, Cass... come sei stato gentile. Salve, Pete.» Il sorriso scomparve, mentre osservava Hiram Potter che si stava avvicinando alla signora Frederick. Prima che lui potesse parlare, Anne si alzò. Era arrossita, ma conservava un perfetto autocontrollo. Potter l'accompagnò nell'atrio. «Avete un'auto che vi aspetta?» le chiese. Lei scosse il capo. «Allora, vi chiamo un tassì.» «No, grazie. Preferisco camminare un po'.» Anne Frederick tentò di sorridere. «Siete Hiram Potter, vero? Eve dev'essere molto spaventata, se vi ha chiamato qui.» Sospirò. «Vorrei che Cass e Janet non fossero venuti.» «Avete ragione.» «Questo vale anche per me.» La signora Frederick alzò il collo della pelliccia, stringendoselo intorno alla gola. «Chissà perché sono venuta... Forse, ero curiosa di assistere al trionfo del male.» Fece un breve cenno di congedo e volse le spalle a Potter. Lui attese di vederla uscire, ma sembrava che la donna non avesse fretta di esporsi al vento e alla neve. Faceva freddo, nell'atrio, e dopo una breve esitazione, Potter rientrò in sala. Il primo atto si sviluppava in modo prevedibile. Collinge aveva fatto un'ottima scelta, affidando il personaggio di Maitland Frederick all'attore Howard Mallow, il cui fascino insieme rude e sofisticato aveva presa da anni sul pubblico femminile. Mallow e Millicent Cawling, che interpretava il ruolo della moglie, facevano la parte dei leoni, in scena, ed erano semplicemente formidabili. Eve si limitava a ruotare intorno a loro, interveniva poco nell'azione, aveva soprattutto una funzione di elemento decorativo. Potter rimase stupito scoprendo che, nonostante la sua bellezza, quasi ci si dimenticava di lei, quando recitavano i due famosi professionisti. Il sipario si chiuse sul primo atto e Collinge balzò in piedi.
«Okay, solo un paio di osservazioni e possiamo proseguire. Fisher, quando dici l'ultima battuta devi stare davanti a Eve. Gira intorno al divano, prima di attaccarla. Così, poi, fai più in fretta a uscire di scena. Eve, guarda Fisher quando lui ti parla, e non il pubblico. Non costringerlo a voltare le spalle alla platea per mettersi di fronte a te. Te l'ho già spiegato, durante le prove.» «Be', pensavo che, siccome la gente viene per vedere me...» protestò Eve con la sua vocetta infantile. «Fa' come ti ho detto, cara, altrimenti dopo la "prima" non ci sarà più nessuno disposto a pagare il biglietto per vederti. Questo è tutto. Andate a cambiarvi per il secondo atto, ragazzi.» Collinge spense la sigaretta, se ne accese subito un'altra e raggiunse Potter. «Non dirmi che cosa ne pensi» ghignò. «Mi ricorda tanto il buon Sardou.» Potter finse di ritrarsi per schivare un pugno. Il commediografo sedette accanto a lui. «Hai visto i Grant? Perché diavolo saranno venuti, secondo te? C'era persino Thornton. Strano, maledettamente strano. Spero che non ci sia sotto qualcosa, ma con Eve non si sa mai. È diventata una furia nel vedere Anne Frederick, e ha fatto un sacco di moine ai Grant. Mah!...» «L'ho notato anch'io.» «Com'è andata con la signora Frederick?» «Benissimo. Lei è stata molto comprensiva.» Collinge aveva un'aria inquieta. «Non credi che potrebbe aver sentito delle voci sull'intreccio della commedia? Se dovesse risentirsi...» S'interruppe perché Eve, in una lunga vestaglia di seta verde, si era precipitata sul palcoscenico. «Graham!» gridò con voce stridula. Lui imprecò tra i denti, prevedendo nuove complicazioni. «Sì, cara, che c'è?» «Il mio abito nero del secondo atto... qualcuno ha strappato una manica... è rovinato! Ma perché? Perché?...» S'interruppe, rivolgendosi a Janet, seduta in terza fila. «Sii buona, tesoro, aiutami. Sei un genio in queste cose, e saprai sicuramente trovare un rimedio per il mio povero vestito strappato.» «Neanche se glielo chiedi in ginocchio!» proruppe Cass Grant. «Per carità, non perdere la testa» lo ammonì Pete, allarmato. Janet si alzò, stringendo il braccio del fratello per esortarlo alla calma.
«Ti aiuterò, se possibile» disse a Eve. «Non agitarti per così poco, Cass» aggiunse piano. «Sei un angelo. Mi salvi la vita.» Eve sorrideva, già rasserenata. «E questo è proprio un peccato» disse Cass, senza curarsi di abbassare la voce. Collinge si allontanò per conferire con i fotografi che dovevano riprendere i membri del cast, singolarmente, in gruppo e in particolari momenti dell'azione drammatica. Sul palcoscenico, si stava cambiando il fondale. Thornton Grant era uscito nell'atrio a fumare. Potter cercò con lo sguardo Cass e Russlin, ma non li vide. Sanders Newton si alzò, riconobbe Hiram Potter e gli andò incontro sorridendo. Era un uomo massiccio, dal viso largo e troppo colorito. «Li so scegliere bene gli attori, eh?» disse, fregandosi le mani grassocce. «Mallow non è mai stato così in forma. E avete visto che meraviglia, il suo trucco? Gli facevo torto, sapete? Affascinante com'è, non osavo chiedergli di interpretare la parte di un uomo quasi anziano, con la faccia un po' devastata dagli anni e dai vizi. Ma lui non aspettava altro, ha detto che era stanco di fare sempre "il bello", che sapeva recitare sul serio e voleva dimostrarlo.» «È l'attore americano più somigliante al Jean Gabin di un tempo» dichiarò Potter. «E non saprei fargli complimento migliore.» «E la nostra Eve?» Newton fece un fischio significativo. «Incantevole, vero? Speriamo che i critici restino così abbagliati dal suo fascino da non accorgersi che come attrice è una frana. Bene, signor Potter, ci vediamo. Sarete qui domani sera, eh?» Potter rimase solo. Fumò due sigarette, rifletté, attese. Thornton fu il primo a tornare, venti minuti dopo. Lo vide e si fermò a salutarlo. «Una cosa inqualificabile, la comparsa di Anne Frederick» disse. «La conosco da tanti anni, praticamente da sempre, e la consideravo una donna di classe. Ma questo è stato un "exploit" di pessimo gusto.» Potter tacque. Pensava che, sul piano del cattivo gusto, Thornton aveva addirittura segnato un record, permettendo alla sua futura moglie di recitare in una commedia che rievocava un delitto nel quale era stata coinvolta. «Spero che Anne Frederick non vi abbia messo in imbarazzo» aggiunse Thornton. «Tutt'altro.»
«Vi ha dato qualche spiegazione?» «Per la sua comparsa qui, volete dire? No. È stata la reazione di Eve Grant a farmi capire che teme una vendetta.» «Assurdo!» Thornton fremeva e Hiram Potter osservò il tumulto di emozioni che gli affiorava sul viso. Quell'uomo, pensò, era sempre vissuto così immerso negli studi, distaccato dal mondo, da aver perso anche l'autentico senso della realtà personale. Adesso, improvvisamente, si trovava a interpretare una parte complessa in un'azione drammatica, e si era scatenato in lui un conflitto che non sapeva controllare e nemmeno nascondere. Glielo si leggeva in fondo agli occhi, nelle contrazioni delle labbra sottili. Thornton fece per allontanarsi, ma poi si lasciò vincere da un'irresistibile curiosità. «Perché siete qui, voi?» chiese. «Da qualche giorno, sono ospite di Collinge, e lui mi ha invitato alla prova generale pensando che mi sarei divertito.» Thornton non gli credette nemmeno per un attimo. Adesso, il suo viso rivelava chiaramente il sospetto. "Ma perché lo interessa tanto il motivo della mia presenza?" pensò Potter. "Perché sembra allarmarlo, anzi?" Qualcuno era entrato in platea e si stava avvicinando a loro. Thornton aggrottò la fronte. «Potter, conoscete mio cugino Cass Grant?» disse, facendo le presentazioni con palese riluttanza. Cass non tese la mano a Hiram Potter. Gli lanciò una rapida occhiata ostile e fece un cenno del capo. Si udì un rapido rumore di passi e apparve Janet, che corse accanto al fratello, aggrappandosi a lui. Cass ebbe un brusco sussulto e Potter capì che quell'uomo era tutto un groviglio di nervi. «Che c'è, Jan?» La ragazza tremava. «Lui era qui poco fa» ansimò. «L'uomo zoppo...» Cass la fissò. «Ne sei sicura?» Janet annuì. «Avevo trovato un giacchino di pizzo che Eve avrebbe potuto mettere...» «Al diavolo Eve!» «Faceva caldo, nel camerino, e il profumo dei fiori mi stordiva. Sono uscita, passando davanti alla finestra aperta sulla scala di sicurezza, e... e ho sentito il suo passo nel vicolo. Camminava in fretta, si stava allontanando. Quando l'ho chiamato, si è messo a correre. L'ho inseguito, afferrandolo alle spalle, ma lui è riuscito a divincolarsi con uno strattone. Era buio, nel vicolo, non ho potuto vederlo in faccia.»
Cass si rivolse a Thornton. C'era una strana nota di sfida nella sua voce, quando disse: «Ha incontrato di nuovo quello zoppo. Qui.» «E, come il solito, l'ha visto solo lei» replicò Thornton astiosamente. «Ti presento il signor Potter, Janet. Mia cugina, Janet Grant. Cara, racconta al signor Potter quello che è successo. Lui è specializzato nel risolvere misteri.» Janet, cercando di dominare l'affanno, guardò Hiram Potter. I suoi occhi erano più cupi che mai, dilatati da un'emozione intensa, forse dalla paura. «Ho sentito parlare di voi» disse. D'impulso, gli tese la mano. «Sì, vorrei raccontarvi l'accaduto, se non vi dispiace. Penso che mi crederete.» «Vi crederò, signorina Grant» rispose lui. In quel momento, sopraggiunse Pete Russlin, che portava una bottiglia di Scotch e tre bicchieri di carta. «Guardate che bella sorpresa vi fa papà, ragazzi! C'è un bar appena dietro l'angolo. Se dobbiamo sorbirci fino in fondo questa pizza, cerchiamo almeno un po' di conforto.» S'interruppe, spostando lo sguardo da un viso all'altro. «Che cos'è successo?» Collinge era sceso dal palcoscenico. Il sipario venne chiuso. Subito dopo, si accesero le luci di proscenio. «Sipario!» esclamò lui. E poi, da qualche parte, una donna urlò. Un grido breve, seguito da altri acuti, laceranti. Collinge fu il primo a slanciarsi lungo il corsello laterale e a girare dietro il palcoscenico, correndo nel corridoio che portava ai camerini. Respinse Mallow, che bussava alla porta dello spogliatoio di Eve, gridando: «Aprite! Presto, aprite!» Bruscamente, spalancò l'uscio e poi fece un passo indietro, urtando Thornton Grant, che lo aveva seguito. «Oh, Dio...» ansimò. «Mio Dio...» Hiram Potter lo aveva già raggiunto. Faceva molto caldo, nel camerino, e il profumo intenso dei fiori stordiva. Una donna dai capelli grigi, vestiva di nero, era inginocchiata sul pavimento e continuava a gridare istericamente. Accanto a lei, giaceva Eve, con gli occhi sbarrati nel viso che la morte aveva contratto e irrigidito in una maschera tragica. Eve, con un cappio sottile stretto intorno al collo. Eve, con un foglio bianco appuntato sul petto. E sul foglio, c'era un messaggio composto con parole ritagliate da un giornale: "Ti piace questa collana, mia donna fatale?".
8 Hiram Potter si drizzò, dopo essere rimasto chino per pochi istanti sul corpo senza vita di Eve. Quando tentò di indurla ad alzarsi, la cameriera lo respinse. «No... non voglio lasciarla sola» singhiozzava. «Ormai, non potete più far nulla per lei» insisté Potter, con dolcezza. «È morta.» Si rivolse a Thornton: «Non toccate niente, Grant. E tu, Collinge, chiama la polizia. Dobbiamo uscire subito di qui. C'è una chiave della porta?» Tutti arretrarono, per raccogliersi appena fuori, nel corridoio. Potter chiuse la porta con la chiave che gli aveva dato la cameriera. Continuava a tenere la donna per un braccio, sorreggendola. Collinge era andato in uno degli uffici, per telefonare. Gli altri, rimasero insieme. «Dove possiamo andare, in attesa che arrivi la polizia?» domandò Potter. Aveva assunto momentaneamente il comando della situazione e tutti lo accettavano senza discutere, pronti a seguire le sue istruzioni. «Sul palcoscenico, direi» rispose Mallow, avviandosi per primo. In pratica, i Grant e Pete Russlin erano ancora seduti ai loro posti. Sanders Newton balzò in piedi, allarmato, nel veder apparire quella piccola, silenziosa processione. «Avremmo bisogno del vostro Scotch!» gridò Potter a Russlin, dopo aver aiutato la cameriera a sdraiarsi sul divano di velluto rosso. «Che cos'è successo?» «Eve Grant è stata assassinata, e questa povera donna sta per svenire.» «Mio Dio!» Pete prese la bottiglia e corse verso il palcoscenico. Potter si rivolse alle tre persone rimaste in platea. «Vi prego di venire qui» disse, con un tono cortese, ma che non ammetteva repliche. «Nessuno deve lasciare il teatro senza l'autorizzazione della polizia.» Pete versò dello Scotch in un bicchiere di carta e lo porse a Potter. Questi si chinò per accostarlo alle labbra della cameriera, osservando preoccupato il suo viso terreo, gli occhi quasi vitrei. «Credo che un po' d'alcool farebbe bene a tutti» disse Sanders Newton. «Eve... assassinata!» «Non ci sono altri bicchieri» rispose Potter. «Ce n'è qualcuno vicino al distributore dell'acqua che sta dietro le quinte» intervenne Howard Mallow. «Vado a prenderli.» Potter si rivolse a uno degli elettricisti. «Vorreste procurarceli voi, per
favore?» Mallow gli lanciò un'occhiata, fece per dire qualcosa, ma poi alzò le spalle e tacque. Aveva un'espressione strana, quasi malvagia, che forse era dovuta al pesante trucco scenico. Lo Scotch venne versato e bevuto in silenzio. Solo Newton continuava a borbottare: «Un assassinio... Dio, che disastro...» «Una jella del diavolo!» proruppe, esasperato, il giovane Fisher. «Non mi era mai capitata una parte così buona.» S'interruppe, colpito da un'occhiata sprezzante di Millicent Cawling, che scalfì la scabra scorza del suo "io" egoistico. «Non... non devi credere che non sia addolorato per Eve» balbettò, mettendosi sulla difensiva. «Soltanto...» L'espressione gelida dell'attrice lo ridusse definitivamente al silenzio. «La polizia sarà qui tra poco» annunziò Graham Collinge, tornando. Accettò con sollievo lo Scotch che Pete Russlin gli porgeva. Dopo averlo bevuto, fece scorrere lo sguardo sui presenti. Ma Hiram Potter notò che i suoi occhi evitavano di fermarsi su Cass Grant. Dunque, sembrava che la storia dovesse ripetersi. Era inevitabile, forse. E almeno una persona, tra loro, lo sapeva. Cass Grant, fermo dietro la poltroncina di bambù che un inserviente aveva portato per Janet, si appoggiava allo schienale come se avesse bisogno di un sostegno. Il suo viso sottile era contratto dall'angoscia. Due uomini entrarono in platea e percorsero in fretta il corsello centrale, avvicinandosi al palcoscenico illuminato. Collinge si lasciò scivolare giù dall'orlo del tavolo sul quale si era seduto. «Polizia?» esclamò. «Sono io quello che vi ha chiamato. Graham Collinge.» I due agenti in uniforme osservarono incuriositi il piccolo gruppo radunato sul palcoscenico. «Dov'è il corpo?» chiese uno di loro. Hiram Potter diede al commediografo la chiave del camerino di Eve. La cameriera ebbe un sussulto, ma non protestò. Nessuno aprì più bocca finché Collinge non fu tornato, seguito da uno degli agenti. «I detective della Omicidi arriveranno tra poco» disse quest'ultimo. «Siete pregati di restare qui finché loro non vi autorizzeranno ad andarvene.» Fermo accanto a una delle quinte laterali, si girò intorno uno sguardo tranquillo, che si accese d'improvviso interesse, quando riconobbe Cass Grant. Millicent spezzò il silenzio. «Graham, com'è stata uccisa Eve?» Fu Thornton a rispondere: «Strangolata. Ha fatto la stessa fine di Mait-
land Frederick.» Si rivolse a Janet, che si aggrappava febbrilmente alla mano del fratello: «Per questo, ci hai raccontato di aver visto il fantomatico zoppo, vero?» La ragazza lo fissò con un'aria di stupore che si trasformò in sgomento. «Thornton!» «Tu odiavi Eve» l'accusò lui. «Ho sempre saputo quanto la odiavi. E saresti pronta a difendere Cass, qualunque cosa facesse. L'hai già dimostrato ampiamente, no? Ma questa volta non ci propinerai la tua favoletta e...» «Basta!» scattò Grant. «Ti proibisco...» «Zitti!» La voce di Hiram Potter suonò sferzante. «Non è questo il momento di sfogare rancori e lanciarsi accuse.» Pete Russlin guardava Janet e riconobbe il terrore su quel volto teso, pallidissimo. Per un attimo, lei incontrò i suoi occhi, poi si rivolse a Hiram Potter. «Poco fa, è stato qui l'uomo zoppo» disse. «Ho sentito il suo passo, l'ho visto nel vicolo dietro il teatro. Dev'essere stato lui a uccidere Eve. Ed è fuggito, anche questa volta.» «Lo troveremo» dichiarò Potter, con calma. «Sentite, non complichiamo le cose» protestò Collinge. Finì di bere il suo Scotch, schiacciò il bicchiere di carta serrandolo nel palmo della mano, e poi lo gettò in mezzo al palcoscenico. «Siamo già nei guai, cerchiamo di non provocarne altri.» «Io devo insistere...» incominciò Thornton. Collinge si affrettò a interromperlo: «Oh, piantatela, Grant! Questa è una faccenda che non vi riguarda.» «Non mi riguarda, dite? Ma se Eve avrebbe dovuto sposarmi fra tre settimane!» La voce di Thornton si spezzò, mentre lui si lasciava cadere su una sedia, coprendosi il viso con le mani. Stavano arrivando alcuni uomini. «Squadra Omicidi» disse l'agente in uniforme. Un medico, due fotografi e alcuni tecnici della Scientifica salirono sul palcoscenico preceduti dal più affascinante membro del corpo di polizia di New York, il tenente O'Toole. Questi si guardò rapidamente intorno, vide Hiram Potter e scambiò con lui una lunga occhiata. «Andiamo» gli disse. Potter li precedette verso il camerino di Eve Grant. L'esame del medico durò solo pochi minuti.
«Qualcuno l'ha assalita alle spalle, facendole scivolare il cappio intorno al collo. Potrebbe essere stata questione di secondi. Forse, lei non ha neanche fatto in tempo a vedere il suo assassino. Non noto niente altro, per ora. Dopo aver eseguito... oh, c'è una piccola contusione sopra il gomito sinistro. L'assassino deve averle stretto il braccio per impedirle di sfuggirgli.» Hiram Potter si chinò, evitando di guardare il viso della vittima, e osservò il livido indicato dal medico. Eve indossava un abito nero, con la manica sinistra strappata. Accanto a lei, sul pavimento, c'era un giacchino di pizzo bianco. «Ecco perché portava quel grosso braccialetto a fascia, durante il primo atto» disse. «Per nascondere il livido. Mi ero stupito che avesse scelto un gioiello tanto vistoso. Ma questo significa che qualcuno l'ha contusa al braccio prima che iniziasse la prova generale. La sua cameriera dovrebbe saperlo. Millicent Cawling sostiene che c'era qualcuno nel camerino di Eve, quando è andata a chiederle una sigaretta. Li ha sentiti parlare ed Eve non le ha nemmeno aperto la porta.» Mentre i tecnici della Scientifica e i fotografi si mettevano all'opera, e un giovane sergente faceva uno schizzo della scena, O'Toole ascoltò in silenzio quello che Potter gli riferiva. «Un gran brutto caso» disse infine, preoccupato. «Pensate alle persone che vi sono coinvolte. Cass Grant, l'ex marito, già condannato per omicidio. Thornton Grant, il fidanzato. La signora Frederick, la vedova dell'uomo che aveva una relazione con Eve Grant e che, per questo, è stato assassinato. Janet Grant, che odiava morbosamente la cognata.» «Potete escludere la signora Frederick. Ha lasciato il teatro circa un'ora prima che venisse scoperto il delitto, e sembra che Eve fosse morta solo da pochi minuti, quando siamo entrati nel suo camerino.» «Voi avete visto Anne Frederick indugiare nell'atrio» gli fece osservare O'Toole. «Poi, siete tornato in platea. Quindi, non sapete se lei se n'è andata o no.» «Non dovrebbe essere difficile trovare qualcuno che ricorda di aver visto una donna dai capelli bianchi, in abito da sera, camminare per la strada in questa bufera di neve.» «Sappiamo per certo che si tratta di assassinio premeditato» disse O'Toole. «Chi ha lasciato questo sul corpo della vittima deve averlo preparato in anticipo.» Raccolse il foglio sul quale erano incollate le parole ritagliate da un giornale e lesse a voce alta: «Ti piace questa collana, mia donna fatale?» Si rivolse agli esperti della scientifica. «Vi avete trovato delle
impronte digitali?» «No, nessuna.» O'Toole diede il foglio a uno degli uomini. «Fatelo esaminare anche al laboratorio. Forse, riusciranno a scoprire qualcosa sulla carta che potrebbe indicarcene la provenienza. Ma posso dirvi subito da dove è stata tratta la citazione. Dalle "Metamorfosi" di Ovidio tradotte da Horace Gregory.» Potter sorrise. O'Toole, un uomo dalla bellezza addirittura cinematografica, consacrava tutto il proprio tempo libero agli studi letterari, cercando di migliorare la sua cultura. Bruscamente, il sorriso si spense. O'Toole lo stava osservando. «Che c'è?» chiese subito. «Mi è venuto in mente che "Le Metamorfosi" non è un'opera di larga diffusione, un bestseller popolare. In realtà, solo pochi la conoscono. E questo restringe il campo.» «Spiegatevi meglio.» «Thornton Grant è un noto studioso di letteratura classica» rispose Potter con riluttanza. «Be', in questo caso sarebbe equivalso a richiamare i sospetti su se stesso. Comunque, la gente fa un sacco di sciocchezze, anche le persone più in gamba commettono degli errori addirittura infantili. Prima che cominci a interrogare i presenti, avete qualcosa da rivelarmi sul loro conto? A proposito, come vi siete trovato coinvolto in questo caso?» Potter gli parlò delle piccole persecuzioni alle quali Eve Grant era stata esposta, Collinge riteneva che qualcuno volesse logorarle i nervi, aggiunse. E proprio quella sera, questo qualcuno si era introdotto nel suo camerino e le aveva strappato una manica dell'abito che doveva indossare nel secondo atto. Su preghiera di Eve, Janet Grant era andata nel suo spogliatoio per cercare un rimedio al danno. «Strano. Non riesco proprio a immaginarmela, una Janet Grant disposta ad aiutare l'ex cognata. Se ricordate il processo...» Hiram Potter se lo ricordava, però aveva sentito Eve pregare Janet di aiutarla. «La signorina Grant si è allontanata in tutta fretta, per poter evitare una scenata» disse Potter. «Una scenata? Perché?» «Cass ha tentato di opporsi, non voleva che la sorella avesse a che fare con la sua ex moglie.» «Continuate» lo sollecitò O'Toole, quando Potter s'interruppe. Lui scrollò le spalle. Tanto, qualcuno avrebbe riferito al tenente quel
breve battibecco. Meglio che lo facesse lui, sdrammatizzando l'accaduto, rendendolo meno compromettente. Non indugiò a chiedersi che cosa lo spingesse a parteggiare per Cass Grant. «Eve ha detto a Janet: "Mi salvi la vita". E Cass ha commentato che sarebbe stato un vero peccato. Un uomo che si prepara a commettere un assassinio non farebbe mai una simile gaffe.» «Non può darsi che Cass Grant sia veramente pazzo?» «Più tardi, quando è tornata in platea, Janet Grant era sconvolta. Ha detto di aver visto l'uomo zoppo nel vicolo.» «Ancora quella specie di fantasma!» esclamò O'Toole, spazientito. «Ma ve l'immaginate uno zoppo che fa il pulitore di finestre? Io non ci ho creduto, quando Janet Grant ne ha parlato, al processo Frederick. E non ci credo neanche adesso. Quella ragazza ha tentato di coprire il fratello prima ancora che venisse scoperto l'assassinio. Più chiaro di così...» «Ehi, non precipitiamo le conclusioni, O'Toole» protestò Potter con un tono insolitamente aspro. «Cass Grant non può essere responsabile delle persecuzioni che la sua ex moglie ha subito nelle ultime settimane, né del livido che aveva sul braccio questa sera. Lui, Janet e Pete Russlin sono arrivati a teatro appena prima che iniziasse la prova, e a quell'ora il braccio di Eve era già contuso. Prima di prendere qualche iniziativa, pensate che c'è qualcun altro coinvolto in questo delitto. Qualcuno che ce l'aveva con Eve e voleva logorarle i nervi. Collinge può confermarvelo.» O'Toole annuì. «C'è qualcun altro, certo. Per questo ho portato con me il detective Haskel. L'ho incontrato subito dopo la vostra telefonata. Haskel era già venuto qui, ieri, per indagare sugli strani scherzi fatti a Eve Grant. Ha ispezionato il teatro. Se il colpevole era un estraneo, e non uno degli attori, aveva un solo modo per introdursi, non visto, nel camerino della signora Grant: passando dalla scala di sicurezza che dà nel vicolo. Accanto alla finestra che si apre su questa scala, c'è un grande ripostiglio dove poteva nascondersi e tener d'occhio la porta del camerino di Eve. Haskel vi ha montato una trappola.» «Che sostanza ha usato? Del Rodomin B?» «No, un preparato al fluoro.» «Chi l'ha chiamato a teatro? Collinge?» «Eve Grant. Haskel ne è rimasto affascinato.» O'Toole s'interruppe per dire: «Sì, portatela via.» Poi, condusse Potter fuori del camerino, per lasciare libertà di movimenti agli uomini che dovevano mettere il corpo di Eve nell'apposita cesta. «Era una bella donna...»
«Bellissima.» «Ma dove sarà Haskel?» «Sono qui, signore.» Il detective evitava di guardare la "cosa" che due uomini stavano portando oltre la soglia. Aveva il viso pallido, contratto. «Se mai riuscirò a mettere le mani su quel bastardo che l'ha uccisa, lo farò a pezzi...» mormorò. Poi, si schiarì la voce e disse: «Ho controllato nel ripostiglio. Qualcuno è stato là, ha spostato certe cose, ma può trattarsi di chiunque, di un elettricista, di un trovarobe. La finestra che dà sulla scala di sicurezza era spalancata, ma può essere stata aperta per far credere che l'assassino è venuto da fuori.» «Avete portato quel vostro apparecchio?» «Sì, signore.» «Aspettate!» gridò O'Toole. Gli uomini con la cesta si fermarono. «Haskel, controllate il corpo, prima che lo portino via.» Haskel si fece terreo. Deglutì. «Va bene, signore.» Quando tornarono sul palcoscenico, Potter e O'Toole furono accolti da un profondo silenzio. Tutti stavano seduti e tacevano, mentre il poliziotto, in piedi, continuava a osservarli con aperta curiosità. La cameriera di Eve Grant aveva il viso ancora impietrito, lo sguardo vacuo e le mani serrate convulsamente. Millicent Cawling si stava struccando con una crema detergente che le aveva portato un trovarobe, perché a nessuno era permesso di lasciare il palcoscenico. Mallow aveva già finito di togliersi il cerone e si stava passando sul viso un asciugamani bagnato. Adesso che le rughe e le ombre create dal truccatore erano scomparse, appariva quello che realmente era: un bell'uomo di quarant'anni, dall'espressione viva e dalle labbra sensuali. Fisher aveva assunto un'aria da cuore infranto, che non convinceva nessuno. Per accentuarla, non si era nemmeno struccato. Pete Russlin stava offrendo dell'altro Scotch a Collinge e a Newton. I due uomini fumavano sigarette a catena. Thornton Grant si teneva sempre il viso nascosto tra le mani. Cass non si era allontanato dal fianco di Janet, e il suo pallore allarmò Hiram Potter. «Prima che il medico se ne vada, chiedetegli di dare un'occhiata a qualcuna di queste persone» disse sottovoce a O'Toole. «Meglio prevenire svenimenti.» O'Toole annuì e diede istruzioni al poliziotto di guardia sul palcoscenico. Era la prima volta che i membri del cast si trovavano davanti al tenente
della Omicidi: all'arrivo, lui si era limitato a passargli davanti. Millicent Cawling si affrettò a togliersi dal viso l'ultimo residuo di crema e a incipriarsi. «Signore e signori, sono il tenente O'Toole, incaricato d'indagare su questo delitto. Devo rivolgervi alcune domande e sono sicuro che avrò la vostra piena collaborazione. C'è qualche posto dove io possa parlarvi in privato?» «Il mio camerino» disse Millicent. «Potete usare quello.» «Vi ringrazio.» «Per favore, vorreste incaricare qualcuno di portarmi i miei abiti?» O'Toole mandò un poliziotto a prenderli e poi si guardò intorno. «Innanzitutto, non c'è niente che qualcuno di voi possa dirmi sull'assassinio di Eve Grant? Nessuno ha visto o sentito qualcosa?» Thornton alzò la testa. «È assurdo star qui a perdere tempo e a farcene perdere, tenente. Cass Grant ha strangolato Maitland Frederick. Adesso, ha strangolato Eve. Non può averlo fatto che lui.» «Chi siete voi?» gli domandò O'Toole. «Thornton Grant. E se vi occorre il movente, sappiate che, ieri sera, ho commesso il fatale errore di annunziare a mio cugino che Eve ed io stavamo per sposarci.» O'Toole osservò il viso sconvolto dell'uomo. «Vi faccio le mie più sincere condoglianze. Questa tragedia colpisce soprattutto voi. Avete delle prove per sostenere la vostra accusa?» «Delle prove! Buon Dio, ma Cass ha già ucciso una volta, no?» «Se questo è tutto, ne riparleremo più tardi» tagliò corto O'Toole. Tornò a guardarsi intorno. «Qualcun altro...?» «Nelle ultime settimane, Eve è stata...» incominciò Collinge. O'Toole lo interruppe con un cenno. «Di questo parleremo tra un minuto, da soli, signor Collinge.» Si rivolse agli altri: «Devo chiedervi di restare qui e di non comunicare tra di voi. Farò in modo di lasciarvi tornare a casa il più presto possibile. Mi sbrigherò in fretta, se voi sarete disposti a collaborare.» Fece un cenno a un poliziotto, che sedette su una sedia, incrociando le braccia. «A proposito, qualcuno sa se la signora Grant aveva dei familiari?» «Era sola al mondo» rispose Thornton. Hiram Potter mise una mano sulla spalla della cameriera. «Credo che questa sia sua madre» disse con dolcezza.
9 «Sì. ormai posso dirlo» mormorò la donna. «Prima, no. L'ho sempre tenuto nascosto per non intralciare Allie... Eve. Quando si è sposata, lei pensava che delle persone importanti come i Grant non mi avrebbero accettata volentieri in famiglia. E anche adesso, col nuovo matrimonio imminente, preferiva non presentarmi a nessuno. Ma voi, come avete fatto a capirlo?» «Ho notato una somiglianza tra voi e vostra figlia. Nella struttura del volto, soprattutto.» La donna seguì O'Toole, Potter e un sergente nel camerino di Millicent Cawling. Diversamente dallo spogliatoio riservato alla prima attrice, questo era piccolo, con gli abiti appesi a un attaccapanni girevole, un tavolino da toilette ingombro di cosmetici, una poltroncina pieghevole e una sedia. Potter si turbò, vedendo la donna raccogliere automaticamente due abiti gettati sulla sedia e appenderli con cura. Poi, lei sedette davanti alla toilette, con le mani abbandonate in grembo. Il viso che girò verso O'Toole era così inespressivo da sembrar quasi ottuso. La madre di Eve Grant pareva ormai svuotata d'ogni emozione. «Il vostro nome?» incominciò il tenente. «Simmons. Ruth Simmons. Il vero nome di Eve era Allie Voss. È nata dal mio primo matrimonio.» D'improvviso, inaspettatamente, il suo volto si rianimò e lei strinse le mani a pugno, battendosele sulle ginocchia. «Non avrei dovuto lasciarla, questa sera. Mai, nemmeno per un attimo. Ma la signorina Grant ha detto che bisognava puntare il giacchino con qualche spillo, perché era troppo largo, e io sono corsa in stireria. Poco prima, ci era andata Millicent Cawling, che aveva fatto un gran disordine. Ci ho messo quasi dieci minuti a trovare gli spilli.» «E quando siete tornata nel camerino, avete trovato vostra figlia...» La donna annuì. Uno spasimo le contrasse la gola, a quel ricordo. Per qualche momento, non fu più capace di parlare. Il detective attese. «Qualcuno stava cercando di spaventarla» riprese lei bruscamente. «Continuavano la succedere degli incidenti. Io...» Le mancò la voce. «Io ho tentato di proteggerla.» «Sapete chi la perseguitava? E perché?» «No.» Una lunga pausa e poi un altro "no", più deciso. «La signorina Cawling sostiene che c'era qualcuno nel camerino di vostra figlia, poco prima che iniziasse la prova generale» disse Potter.
«Non è vero.» «La signorina ha sentito delle voci.» «Penso che Eve stesse parlando con me.» «Come si è fatta quel livido sul braccio?» «L'assassino...» Potter scosse il capo. «Vostra figlia portava quel braccialetto a fascia per nasconderlo. Sono convinto che l'avesse già, quando è uscita in scena.» «Io... non so nulla.» «Signora Simmons» intervenne O'Toole «meno di mezz'ora fa, qualcuno ha strangolato vostra figlia. In nome di Dio, state forse proteggendo l'assassino?» «No» rispose lei con voce rauca. «Ma se non posso più far niente per Allie, devo sempre proteggere me stessa.» «Perché avete detto che non avreste dovuto lasciarla sola? Che cosa temevate?» le domandò O'Toole. La signora Simmons indugiò a riflettere. In silenzio, i due uomini la osservarono, mentre si sforzava di risolvere un inquietante dilemma. «Qualcuno la perseguitava» disse infine. Era chiaro che sceglieva le parole con cura, con cautela. «Qualcuno continuava a introdursi nel suo camerino per distruggere i fiori, mettere un topo morto nel barattolo della crema detergente e della polvere di vetro nella scatola della cipria. Un miracolo, che non sia rimasta sfigurata... sfigurata lei, la mia bellissima Allie...» In quel momento, le apparve certo davanti il viso cianotico della figlia morta, perché si coprì bruscamente gli occhi con le mani e ruppe in lacrime. La porta si aprì e O'Toole si girò, con una smorfia d'impazienza che subito lasciò il posto a un sospiro di sollievo. Era il medico. Dopo aver tastato il polso della signora Simmons, questi le rimboccò una manica fin sopra il gomito e le praticò un'iniezione endovenosa. «Portatela subito a casa, e basta con gli interrogatori, per questa sera» disse con fermezza. «Ma io...» La donna s'interruppe e tacque, di nuovo vinta dall'apatia dello shock. O'Toole incaricò uno dei poliziotti di accompagnarla a casa. Adesso doveva riposare, le disse. Si sarebbero rivisti l'indomani. «Sa molto più di quanto non voglia dire» dichiarò il tenente, quando la Simmons fu uscita. «Scommetto che potrebbe denunziare l'assassino, se
non fosse così terrorizzata. Bisogna che la convinca a parlare, domani. Sarà più calma e forse la convincerò che dire la verità è l'unico modo per salvarsi.» «E questa notte?» disse Potter con tono allusivo. O'Toole chiamò un altro poliziotto, incaricandolo di avvertire il collega che doveva passare la notte in casa Simmons, poi fece introdurre Graham Collinge. Dopo un primo momento di disagio, il commediografo si rilassò. Sedette, allungò le gambe e trasse un sospiro. Poi, cercò lo sguardo di Hiram Potter. «Fino a che punto devo sentirmi responsabile della tragedia?» gli chiese. «Tutto questo sarebbe accaduto, se io non avessi avuto l'idea di scrivere un dramma ispirato all'assassinio di Frederik, facendolo interpretare da Eve?» «Non lo so» ammise Potter. «Ma c'è un nesso?» «Be', dato che i due protagonisti del caso Frederick sono morti allo stesso modo, sarebbe troppo azzardato pensare a una coincidenza. Dev'esserci senz'altro un nesso.» «E pensare che la Simmons è la madre di Eve... "De mortuis" e quel che segue, ma francamente Eve era meschina, spregevole. Questa povera donna faceva una vita da cani, la serviva come una schiava.» Tirò un altro sospiro. «Bene, tenente, che cosa volete sapere da me?» Su richiesta di O'Toole, descrisse la serie di incidenti che avevano portato Eve sull'orlo della crisi isterica. E non aveva pace nemmeno a casa, spiegò. Ormai, non riusciva quasi più a dormire per via delle innumerevoli telefonate mute che riceveva ogni notte. «Che ne pensate, voi, di questa persecuzione?» «Credo che Eve sapesse chi era il suo nemico» rispose Collinge. «E doveva averne una tremenda paura.» «Come sua madre» commentò il detective. «Vi ha detto che, ieri, ha telefonato alla polizia per chiedere il nostro intervento?» Collinge sussultò, sbigottito. «Ha fatto questo? No, non me l'ha detto. Avete scoperto qualcosa?» O'Toole gli riferì della trappola che Haskel aveva montato nel ripostiglio. Chiunque si fosse nascosto lì non avrebbe praticamente potuto evitare di sporcarsi con quella polvere al fluoro. «"Sporcarsi" non è la parola adatta» soggiunse. «Quella sostanza è invisibile a occhio nudo, occorre un apparecchio speciale per rilevarla.»
«Adesso capisco perché quel poliziotto stava esaminando tutti con uno strano aggeggio, in palcoscenico.» Haskel arrivò in quel momento, fece scorrere lo sguardo da O'Toole a Collinge e inarcò le sopracciglia con aria interrogativa. «Parlate pure» gli disse il tenente. «Trovato qualcosa?» «Tutti a posto, tranne la signorina Grant. Lei ha delle tracce di fluoroscina sulla punta delle dita.» «Janet Grant!» esclamò O'Toole, stupito. «Avrei scommesso fino all'ultimo dollaro su suo fratello. A meno che lei non gli abbia fatto da palo per permettergli di entrare e uscire, non visto, dal camerino.» Congedò Haskel con un cenno e si rivolse al commediografo. «Adesso, signor Collinge, parlatemi un po' dei membri del cast, dei loro rapporti con la vittima. Vorrei sapere anche a che ora sono arrivati a teatro, questa sera.» Avrebbero dovuto chiederlo al direttore di scena, rispose Collinge. Lui e Hiram Potter erano arrivati pochi minuti prima che la prova generale avesse inizio, presumibilmente quando gli attori si stavano già preparando nei loro camerini. «Gli altri... trovarobe, elettricisti, macchinisti, possiamo escluderli senz'altro, no?» concluse. O'Toole gli fece osservare che, in un caso di omicidio, non si poteva escludere nessuno. Collinge indugiò a riflettere, corrugando la fronte, mordendosi il labbro inferiore. «Per quanto ne so io» riprese «i rapporti tra Eve Grant e gli attori erano buoni. Millicent Cawling non aveva molta simpatia per lei, perché Eve non sapeva recitare e tentava di rubarle la scena appena possibile. Una cosa, questa, che manda in bestia un professionista. Comunque, Millicent non ha mai fatto scenate e non le dimostrava nessuna ostilità. Semplicemente, cercava di evitarla.» «E gli uomini?» «Be', Fisher non è il tipo di dongiovanni, anzi.» Collinge abbozzò un sorriso significativo. «Mallow... sì, potrebbe aver tentato qualche approccio con Eve. Da quando lo conosco, l'ho sempre visto farlo con le belle donne. Ed Eve era di una bellezza spettacolare, da togliere il fiato, la creatura più stupenda che abbia mai incontrato. Dio, che barbarie distruggere tanta perfezione...» Notò che il tenente lo osservava con aria perplessa, ne fu stupito, poi capì e scoppiò a ridere. «Oh, no! Non ero innamorato di Eve. Per quanto mi riguarda, il movente
"gelosia" è escluso. E poi, ve lo immaginate un commediografo che uccide la sua prima attrice a ventiquattr'ore di distanza da un successo praticamente garantito? Inoltre, Wilson, il direttore di scena, può testimoniare sui miei movimenti. Siamo rimasti sempre insieme da quando sono arrivato qui.» Collinge guardò l'orologio. «Se per il momento non avete più bisogno di me, vorrei andare a lavorarmi un po' Sanders Newton. Dev'essere furibondo. Ha finanziato il mio dramma al cinquanta per cento, e bisogna che cerchi di placarlo.» O'Toole annuì. «Può bastare, per stasera. Ma, naturalmente, domani dovrò interrogarvi ancora.» «Abbiate pietà, tenente. Non prima di mezzogiorno...» «Mandate qui Thornton Grant, per favore.» «Perché non interrogate prima Janet Grant?» si affrettò a intervenire Potter. «Thornton è fermamente deciso a spedire uno dei suoi cugini nella camera a gas. Tutti due, forse.» «In fondo, è comprensibile. D'accordo, mandate qui la signorina Grant, per favore. E non fate parola della fluoroscina, mi raccomando.» Collinge uscì e, poco dopo, un poliziotto si affacciò sulla porta. «L'avvocato Russlin sta facendo un pandemonio. Dice che non permetterà alla signorina Grant di subire un interrogatorio, se non alla presenza del suo legale. Voi volete vederla da sola, vero?» «Esatto. Da sola. Ditele di venire qui.» Un paio di minuti dopo, Janet entrò. Era molto pallida. I suoi occhi sembravano ancora più grandi e avevano una luce febbrile. I due uomini si alzarono in piedi. «Sedetevi, signorina Grant» disse O'Toole. Lei sedette sulla poltroncina, appoggiandosi rigidamente allo schienale, con le due mani contratte sui braccioli, quasi come se stesse preparandosi a una tortura. «Vorrei che ci raccontaste quello che è accaduto stasera» le disse il tenente. «Senza tralasciare il minimo particolare.» Janet aggrottò la fronte, cercando di dominare l'emozione e di riflettere con obiettività. Quando parlò, si rivolse a Hiram Potter. «Tutto è cominciato ieri sera. Mio fratello era stato appena dimesso da Wentworth. Pete Russlin, il suo avvocato, e io lo avevamo accompagnato a casa in macchina.» Riferì che, dopo cena, era arrivato Thornton, il quale aveva cercato di convincere Cass a lasciare il paese, a cambiare nome. «Cass ha replicato che voleva riabilitare il suo nome, non cambiarlo»
aggiunse, con orgoglio. «Poi, è arrivata Eve, che ha annunziato il suo imminente matrimonio con Thornton.» «Qual è stata la reazione di vostro fratello, signorina Grant?» «È scoppiato a ridere. Thornton era furente, soprattutto perché mio fratello ha detto che lui disponeva del suo patrimonio, oltre che del proprio. Niente di strano, dunque, che Eve volesse allungare le mani su tanta ricchezza.» «E la vostra ex cognata?» chiese O'Toole. Janet continuava a guardare Potter, mentre parlava, come se fossero stati soli nel camerino. «Lèi ripeteva che dovevamo essere tutti buoni amici, come se niente fosse accaduto. Nessuno di noi si aspettava di vederla apparire, dopo quello che aveva fatto a Cass. E Thornton è rimasto francamente stupito dal suo arrivo.» «Se stava per sposare vostro cugino, perché ha fatto quella visita all'ex marito?» «Se l'è chiesto anche Cass, dopo che Thornton ed Eve se ne sono andati. Ha detto che doveva esserci sotto qualcosa. A me è sembrato che Eve fosse spaventata, molto spaventata.» «Credete che sperasse veramente in una riconciliazione?» «Questo no. Cass la odiava e lei lo sapeva.» S'interruppe, atterrita dalle proprie parole. «Ma non era geloso di Thornton, non voleva vendicarsi» si affrettò ad aggiungere. «Avrebbe preferito non rivedere mai più Eve, ecco.» «Eppure, questa sera è venuto qui» le fece notare O'Toole. Janet si protese ansiosamente verso di lui. «La cosa più strana è proprio questa: Eve ci ha pregati di venire. Ci ha letteralmente supplicati. Si è persino inginocchiata accanto alla mia poltrona. Potete chiederne conferma a Thornton.» «Perché l'avrà fatto, secondo voi?» «Non lo so. Eve diceva che, se fossimo venuti qui, stasera, avremmo dimostrato ufficialmente che non c'erano rancori tra noi, e così non ci sarebbero stati nuovi pettegolezzi, quando avesse sposato Thornton. Cass ha rifiutato, decisamente. È stato Pete, Pete Russlin, l'avvocato di mio fratello, il suo migliore amico, a convincerlo che dovevamo acconsentire. Ha detto che, in fondo, gli sembrava la soluzione migliore. Ma...» «Che cosa vi lascia perplessa, signorina Grant?» intervenne Potter. «Il particolare più strano di tutta la faccenda è che Eve desiderava soprattutto la mia presenza qui a teatro. Non quella di Cass. Ho avuto l'im-
pressione che, ieri sera, cercasse di comunicarmi qualcosa... un messaggio che non ho captato. Ha detto che non mi sarei pentita d'essere venuta, anzi. C'era qualcosa che...» Janet s'interruppe, abbozzò un gesto d'impotenza e lasciò ricadere le mani sui braccioli dalla poltroncina. «E adesso, parlateci di stasera» la sollecitò O'Toole. «Cass, Pete e io abbiamo cenato insieme, prima di venire a teatro. Siamo arrivati quando la prova generale stava per cominciare. E poi...» Janet descrisse l'attacco che Eve aveva sferrato istericamente contro Anne Frederick. «Dopo che la signora ha acconsentito ad andarsene, il primo atto è proseguito senza intoppi. Poi, mentre eravamo ancora seduti in platea, Eve si è precipitata sul palcoscenico, gridando che le avevano rovinato l'abito del secondo atto. Lo sapevate, questo?» O'Toole annuì. «Non avrebbe potuto strapparla Cass, quella manica. Siamo sempre rimasti insieme, da quando ci siamo messi a tavola per cenare al momento in cui Eve è venuta a denunziare il nuovo incidente. Pete potrà confermarvelo. Eve mi ha pregata di andare nel suo camerino per vedere se si poteva rimediare in qualche modo al danno. Francamente, non avrei voluto accontentarla, ma poi mi sono detta che, se fossimo rimaste sole, forse lei mi avrebbe spiegato perché teneva tanto alla mia presenza. Ho sempre pensato che sapesse chi aveva ucciso Maitland Frederick. E conosceva quel misterioso uomo claudicante, ne sono certa.» «Continuate» disse O'Toole, fingendo di non notare il suo leggero tono di sfida. «Sono andata nel camerino di Eve e ho visto che dall'abito era stata strappata una manica. Anzi, no: tagliata con due o tre colpi di forbici. La sua cameriera... oh, Dio, sua madre, povera donna... era agitatissima, addirittura sconvolta. Io ho tentato d'interrogare Eve, ma lei si è ostinata a parlare solo dell'abito rovinato.» S'interruppe, aggrottando la fronte, poi aggiunse: «Non capisco perché non ci ho pensato prima. Quell'abito nero, con la manica tagliata, non era nuovo.» «E con questo?» replicò O'Toole, un po' spazientito. «Era l'abito che Eve avrebbe dovuto indossare per il suo debutto sulle scene, e non potrebbe mai averne scelto uno già usato.» Alzò lo sguardo sui due uomini che la fissavano. «Credete che... che abbia potuto rovinarlo lei? Tagliar via la manica per avere il pretesto di portarmi nel suo camerino?» «E perché avrebbe dovuto farlo?» disse O'Toole. «Come teoria, è piutto-
sto originale, per non dire assurda.» Janet scosse il capo. «Sembra illogica perché, quando siamo rimaste sole, Eve non mi ha detto niente, non ha parlato che dell'abito.» «Giusto, sembra proprio illogica» confermò O'Toole. «Non ha senso.» Lei si irrigidì di fronte all'ironica diffidenza del tenente. Spinse indietro le spalle. «Comunque, sono sicura che, da qualche parte, c'è un altro abito nero. Nuovo e intatto.» «Perché non cercate un po' qui?» Seguita da O'Toole e da Potter, Janet andò nel camerino di Eve. L'abito e il mantello del primo atto erano spiegati con cura sul divano. Nel piccolo armadio, trovarono una vestaglia di velluto rosso, un semplice abitino di lana blu, con la gonna pieghettata, che sembrava fatto per una sedicenne, e la pelliccia che Eve aveva indossato per venire a teatro. Non c'era altro. «Credo che basti, no?» disse O'Toole. Tornarono nello spogliatoio di Millicent e ognuno si sedette al posto di prima. Janet aveva il viso un po' arrossato e appariva tesa, inquieta. Attese un momento, prima di parlare, per essere sicura che non le tremasse la voce. «Ho trovato un giacchino di pizzo per nascondere la manica tagliata. Eve l'ha provato. Le andava un po' largo, bisognava riprenderlo qua e là con qualche spillo e la signora Simmons è uscita per andare a cercarli. Io non avevo altro da fare. Mi sentivo quasi soffocare, in quel camerino, per via del caldo e del profumo dei fiori. E poi, non avevo nessuna voglia di trattenermi ancora con Eve.» «Un momento» intervenne Potter. «Non avete notato niente mentre stavate aiutando Eve?» I grandi occhi di lei lo guardarono con aria interrogativa. «Non capisco. Che cosa avrei dovuto notare?» «Quando si è tolta, Eve, quel braccialetto d'oro che portava sopra il gomito sinistro?» «Ah, sì, il braccialetto. Quando gliel'ho visto, nel primo atto, l'ho giudicato un'ennesima ostentazione di cattivo gusto. Ma, poi, la signora Simmons gliel'ha slacciato e allora ho visto il brutto livido che serviva a nascondere.» Janet indugiò a riflettere aggrottando la fronte. La signora Simmons aveva detto a Eve che, il mattino dopo, sarebbe andata a comprarle una speciale crema coprente, di quelle che si usano per nascondere "voglie" e cicatrici, così avrebbe potuto evitare di mettersi il bracciale.
«Dunque, la Simmons ci ha mentito a proposito di quel livido» disse Potter a O'Toole, quando Janet ebbe riferito l'episodio. Il tenente annuì. «Ha mentito su molte cose, ne sono convinto, ma non potevamo certo insistere con l'interrogatorio, date le sue condizioni di shock.» Si rivolse a Janet: «La signora Grant era sola, quando l'avete lasciata?» «Sì. Sua madre era corsa a cercare gli spilli. Eve era viva, quando me ne sono andata, tenente. Ve lo giuro.» «E poi che cos'avete fatto?» «Sono uscita dalla scala di sicurezza per respirare una boccata d'aria.» «Avete fatto fatica ad aprire la finestra?» le chiese O'Toole, con tono casuale. «Oh, no. Era spalancata. E poi, nel vicolo sottostante, è risuonato il passo dell'uomo zoppo. Mi sono precipitata giù per la scala, l'ho chiamato. Sono riuscita persino a raggiungerlo alle spalle, l'ho preso per l'impermeabile, ma lui si è divincolato. Era molto buio, non l'ho visto in faccia. E si scivolava per via della neve. Io avevo questi tacchi alti che mi inceppavano e lui, pur zoppicando, mi è sfuggito. Quando ho svoltato nella strada, c'era tanta gente, tutti con l'ombrello, o che camminavano a testa bassa per difendersi da quella specie di tormenta... Così, non ho più potuto riconoscerlo e seguirlo.» «Vorreste farmi credere che è stato quell'uomo ad assassinare vostra cognata?» Una collera improvvisa contrasse il volto di Janet. «Non voglio farvi credere niente. Mi limito a riferirvi esattamente tutto quello che è accaduto. Comunque, adesso mi rendo conto che non avrebbe potuto ucciderla lui. Quando ha lasciato il teatro, Eve era ancora viva.» «Capisco» disse O'Toole, impassibile. «Ed ora, forse, mi direte perché siete entrata nel ripostiglio. Avete trovato là il giacchino di pizzo?» «No, era nel camerino di Eve.» Gli occhi gelidi di O'Toole la scrutavano. «Allora, come mai avete della fluoroscina sulla punta delle dita?» «La sostanza che ho visto scintillare leggermente quando il vostro collaboratore mi ha esaminato le mani con quella macchinetta? Non lo so.» Janet si guardò le dita, come per cercarvi una soluzione. «La fluoroscina è stata sparsa ieri nel ripostiglio per cercare di prendere in trappola la persona che faceva tanti sgradevoli scherzi alla signora Grant» le disse O'Toole. «Lascia una macchia invisibile alla luce naturale e
non bastano acqua e sapone per toglierla.» «Ma io non sono mai entrata in quel ripostiglio» dichiarò Janet. «Non so nemmeno dov'è.» «Forse, riuscireste a ricordare tutto più facilmente se vi portassimo alla Centrale per continuare l'interrogatorio.» «Per carità, O'Toole, non arrestatela subito» intervenne Potter sottovoce. «Sta succedendo qualcosa di maledettamente strano. Io non ho mai creduto che sia stato suo fratello ad assassinare Frederick. Sono sicuro che qualcuno vuole incastrare i Grant e rovinarli. E non arrestate nemmeno Cass. Potrete pur aspettare ventiquattro ore, no?» «Ve la prendete a cuore come se aveste in gioco qualcosa di personale in questo caso» commentò O'Toole. «Ogni morte di uomo mi diminuisce» si limitò a rispondere Potter, citando John Donne. O'Toole lo guardò, costernato. Accidenti, sembrava proprio che Hiram Potter si stesse innamorando di un'assassina, forse. 10 «Volete entrare?» disse impulsivamente Janet, quando il tassì si fermò davanti alla palazzina della Sessantottesima Strada. Hiram Potter esitò. «Non sarebbe meglio che vi coricaste subito? Avete bisogno di riposare.» Riposare?, pensò lei. Era esausta, stordita dallo sfinimento, dalla tensione accumulata negli ultimi mesi, mentre lottava per riconquistare la libertà a Cass, una tensione acuita dagli incidenti della sera prima, che aveva raggiunto l'acme con l'assassinio di Eve. Ma... riposare? No, impossibile. «Voglio aspettare che Cass torni a casa» disse. «Non ce la farei a coricarmi, prima.» Gli occhi azzurri di Hiram Potter scrutarono i suoi. Poi, lui tese la mano per farsi consegnare la chiave della porta d'ingresso. «Grazie» mormorò Janet. Le tremava la voce. Nella biblioteca, trovarono un vassoio di tartine, una caraffa di martini e il portaghiaccio colmo. Janet si lasciò cadere sul divano, davanti al fuoco acceso nel caminetto, e si strinse addosso la pelliccia, anche se faceva caldo. Hiram Potter le versò un cocktail e le offrì le tartine, ma la ragazza rifiutò con un cenno. Lui mise bicchiere e vassoio su un tavolino accanto a sé e
cominciò a sorseggiare il martini, aspettando che Janet parlasse. «Che cosa succederà, adesso?» chiese infine lei. «Ci saranno molti interrogatori, uno dopo l'altro.» «Per quanto tempo?» «Finché non scopriranno la verità.» «Come l'hanno scoperta la prima volta?» replicò Janet con aspro sarcasmo. Potter non fece commenti e lei riprese, con impeto: «Arresteranno di nuovo Cass. Ricomincerà tutto da capo... Perché l'ho fatto, mio Dio? Perché non l'ho lasciato a Wentworth? Là era al sicuro, almeno, e non gli sarebbe più successo niente di male. Adesso, invece...» «Non vi sembra che cominciate a preoccuparvi troppo presto?» la interruppe Potter, con calma. «E allora, perché non mi hanno permesso di aspettare Cass a teatro?» «Il tenente O'Toole preferisce interrogare un testimone per volta e ha pensato che per voi sarebbe stato meglio tornare a casa.» «Non è vero, e lo sapete. O'Toole avrebbe voluto portarmi senz'altro alla Centrale di polizia. Non ha creduto nemmeno una parola di quanto gli ho detto. Se non fosse stato per voi...» Janet protese le mani, guardandosi la punta delle dita. «Le macchie di fluoroscina... Non capisco. Come avrò fatto a sporcarmi?» «Si tratta di una sostanza chimica che, nel corso di un'indagine, si usa spesso per prendere in trappola il colpevole. Aderisce all'epidermide e ai tessuti. Ha una particolare consistenza che la rende invisibile e impercettibile al tatto. Occorre una lampada a raggi ultravioletti per rivelarne la presenza. Come vi ha già spiegato O'Toole, acqua e sapone non bastano per eliminarla.» A Janet la sua voce parve monotona e pedantesca, come quella di un insegnante che tiene una lezione. «Ieri, Eve Grant ha denunziato alla polizia gli sgradevoli incidenti accaduti a teatro» continuò Potter. «O'Toole ha fatto montare la trappola nel ripostiglio, ossia nell'unico posto dove una persona avrebbe potuto nascondersi e tener d'occhio la porta del camerino di Eve.» «Ma io non sapevo nemmeno che esistesse quel ripostiglio. Ve lo giuro, signor Potter.» «Che cosa avete toccato, precisamente?» Janet fece una pausa, cercando di ricostruire tutti i propri movimenti di quelle ultime ore.
«Dunque, ho toccato l'abito nero di Eve, naturalmente. E il giacchino di pizzo. Nient'altro, perché è stata la signora Simmons ad aprire l'armadio per mostrarmene il contenuto. No, non ho toccato altro. Appena possibile, me ne sono andata. La finestra che dà sulla scala di sicurezza era spalancata. Ho toccato la ringhiera, mentre scendevo, ma solo con la mano sinistra e... L'impermeabile dello zoppo, signor Potter! L'ho toccato con tutt'e due le mani!» «Parlatemi un po' di quell'uomo misterioso» disse Potter. «Ma, prima, mangiate almeno una tartina.» «Non ce la faccio.» «Sì che ce la fate.» Janet scoprì che ci riusciva. Mangiò una tartina e ne prese un'altra. «Adesso, incomincio a sentirmi meglio» disse. Potter sorrise. «Mai affrontare un problema a digiuno. Oggi non avete quasi toccato cibo, vero?» Lei scrollò la spalle. «Ero molto inquieta, sapete, mi sentivo... contratta, ecco. Cass non avrebbe voluto andare a teatro. È venuto solo per starmi vicino.» «E voi, perché ci siete andata, signorina Grant?» «Ve l'ho già detto. Ero convinta che Eve volesse confidarmi qualcosa. Me l'aveva fatto capire lei, dicendo che non mi sarei pentita di averla accontentata. Questa è la verità, anche se il tenente O'Toole non ci crede. Vedete, ieri sera, Eve è venuta qui a cercare me. Non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare Cass, dopo avergli rovinato la vita. Doveva avere un motivo gravissimo per tornare in questa casa. Ho avuto la strana sensazione...» «Quale sensazione?» «Che volesse rivelarmi chi ha ucciso Maitland Frederick.» «Ma, allora, perché non ve l'ha detto mentre era qui?» «Non lo so. O, forse, si trattava di qualcosa che non voleva far sapere a Thornton. Mio cugino è un tipo spaventosamente rigido, con un'insopportabile mentalità puritana. Credo che Eve non si aspettasse di trovarlo qui, ieri sera, perché lui e Cass non sono mai andati d'accordo.» Potter si alzò per gettare un altro ceppo nel fuoco. «Vi sembra verosimile, signorina Grant, che la vostra ex cognata avesse deciso di sposare un uomo del quale aveva paura?» «Ma Eve non aveva paura di Thornton. La spaventava il rischio che lui scoprisse qualcosa.» Janet depose il bicchiere sul tavolino e si tolse la pel-
liccia. Hiram Potter la guardò sorridendo. «Non vorreste fare qualche ipotesi, anche la più azzardata, sul motivo dell'inattesa visita di Eve?» «D'accordo. Suppongo che avesse lasciato qualcosa in questa casa, qualcosa che aveva perso o che non ricordava più dov'era stato messo, e che fosse terrorizzata dall'eventualità che qualcuno lo trovasse. Una persona non identificata si è introdotta qui, frugando dappertutto... Potete chiederne conferma a Marker, il nostro custode. Eve era l'unica, oltre me, ad avere le chiavi di casa. La persona non identificata è lei, ne sono sicura. Lei che veniva di notte a cercare qualcosa. Era convinta che non saremmo mai tornati ad abitare qui, e quando ha scoperto d'essersi ingannata...» «C'era tanta confidenza tra voi due, che Eve vi avrebbe rivelato il suo segreto?» la interruppe Potter. Janet curvò le spalle con aria scoraggiata. «Anche voi non mi credete. No, non c'è mai stata ombra di confidenza tra Eve e me. Io non mi fidavo di lei. Ma penso che, se il suo segreto avesse avuto il potere di scagionare Cass, Eve l'avrebbe rivelato a me. In cambio di qualcosa, s'intende. Qualcosa che aveva un'importanza capitale per lei.» «Ma poi, per un motivo o per l'altro, non ha nemmeno accennato a questo "baratto"» osservò Potter. Janet s'irrigidì. Adesso, il suo viso pallido e teso aveva un'espressione d'orgoglio. «Siete stato gentile a tenermi compagnia. Vi ringrazio» disse, in tono di congedo. Con dolce fermezza, lui la forzò a rilassarsi di nuovo contro lo schienale. «Io devo sapere la verità» dichiarò. «Per potervi aiutare, devo saperla. Cercate di non perdere ogni fiducia in me appena comincio a scavare un po' a fondo.» Le prese una mano. «Ricordate? Poche ore fa, ho detto che vi credevo.» Janet annuì. «Guardatemi.» Si fissarono negli occhi a lungo, scrutandosi. Un improvviso stupore dilatò quelli di lei. Potter ritrasse di scatto la mano, si alzò dal divano e sedette su una sedia di fronte a Janet. La ragazza fu la prima a ritrovare un'aria di naturalezza. Quando parlò, nella sua voce vibrava come una nota di speranza. «Mi sembra che la cosa più importante da fare sia scoprire chi poteva odiare Eve al punto da ucciderla spinto da un impulso irresistibile.» «Ma qui si tratta di un assassinio commesso a sangue freddo e premedi-
tato con cura» obiettò Potter. «Che cosa ve lo fa supporre?» «L'assassino ha lasciato sul corpo di Eve un messaggio composto con lettere e parole ritagliate da un giornale. Questo presuppone tempo e premeditazione. Il messaggio diceva: "Ti piace questa collana, mia donna fatale?"» Janet tacque. Il suo viso esprimeva la più assoluta sorpresa. «O'Toole, che ha l'ambizione di allargare i propri orizzonti culturali e dedica tutto il tempo libero alla lettura dei classici, ha riconosciuto la citazione. È tratta da una versione delle "Metamorfosi" di Ovidio. Quella di Horace Gregory, precisamente.» Janet sussultò con violenza, poi divenne pallidissima. «L'avete letta?» le chiese Potter. Lei mosse le labbra, ma non ne uscì alcun suono. «Chinate la testa sul petto» esclamò Potter. «Subito! Ecco, così.» Tornò accanto alla ragazza, le tastò il polso, che era debole e irregolare, come se il suo cuore fosse impazzito. A poco a poco, il battito si calmò, divenne più forte. Janet alzò il capo. Hiram Potter le mise un braccio intorno alla vita per sorreggerla. Con improvviso abbandono, lei si appoggiò alla sua spalla. Poi, si mosse un poco per guardarlo. I loro visi erano vicini. Molto vicini. Lentamente, in silenzio, lui si chinò a baciarla. Quello che era cominciato come un'offerta di conforto, di amicizia e solidarietà, divenne un'improvvisa fiammata. Le labbra dell'uomo si fecero imperiose, esigenti, e Janet si scoprì a rispondergli con uno slancio inatteso. Si strinse a lui, cingendogli il collo con le braccia. Infine, Potter si ritrasse leggermente, ma anche quando parlò le sue labbra continuarono a sfiorare quelle di Janet. «Non volevo farlo...» sussurrò. «Che cosa ci è successo?» «Non lo so» rispose lei. «Per me va benissimo.» Potter tornò a impadronirsi delle sue labbra, finché Janet non lo respinse, ansando. «Soffoco!» esclamò. Aveva il viso arrossato, gli occhi sfavillanti. Improvvisamente, lui balzò in piedi. «O'Toole si metterà in contatto con voi domani» disse in fretta, evitando di guardare la ragazza. «Se avete bisogno di me, telefonatemi a casa di Graham Collinge» aggiunse, mentre s'infilava il cappotto. Sembrava un uomo in fuga. Senza nemmeno una parola di saluto, uscì dalla biblioteca. Pochi istanti
dopo, Janet lo sentì chiudersi la porta alle spalle. Rimase a lungo seduta davanti al fuoco morente. A poco a poco, la sua espressione mutò, si fece pensosa, vigile, tesa. Poi, cominciò a tremare. «Impossibile...» mormorò. «Non ho detto niente che...» Lo squillo del telefono la fece scattare in piedi. Corse a rispondere. Dopo aver consegnato cappotto e cappello al domestico di Collinge, Hiram Potter entrò nel soggiorno. Vi trovò il commediografo, intento a preparare un cocktail, Pete Russlin, che passeggiava nervosamente su e giù, e Sanders Newton, che stava discutendo vivacemente al telefono con l'agente pubblicitario di "La donna fatale". Collinge accolse Potter con un mal riuscito tentativo di humour. Agitò una mano. «Ecco tre uomini che, per il momento, sono sfuggiti alla sedia elettrica. Ho portato qui Newton e Russlin per rianimarli con un po' d'alcool. Serviti.» Potter si versò un whisky e sedette in poltrona. «Che cos'è successo, dopo che me ne sono andato?» chiese. «Si è scatenato l'inferno» rispose Collinge. «Wilson, il direttore di scena, ha fornito un alibi ai trovarobe e a me. Fisher è stato tolto dalla lista dei sospetti. O'Toole ha messo sotto il torchio Millicent, ma lei non aveva niente da dire, tranne che c'era qualcuno nel camerino di Eve, prima che la prova generale cominciasse, e che la signora Simmons non ha voluto aprirle. «Quanto agli altri, nessuno ha un alibi. Mallow non aveva finito di cambiarsi per il secondo atto, anche se l'intervallo era stato lungo. Sostiene di aver fatto una telefonata, ma l'unico telefono a disposizione lo stava usando Newton. Così dice, almeno.» «Accidenti a te! Se credi...» cominciò a protestare Newton, e poi s'interruppe, ridendo. «La signora Frederick potrebbe non aver lasciato il teatro. O'Toole sta cercando di verificare se qualcuno l'ha vista per la strada, prima d'interrogarla. Russlin afferma di aver fatto una scappata al bar vicino per comprare una bottiglia di Scotch. Thornton e Cass Grant sostengono di essere usciti a fumare nell'atrio. Ma nessuno dei due ha visto l'altro. Thornton ha fatto il pazzo. "Questa volta non te la caverai, Cass!" continuava a gridare. A un certo punto, si è rivolto a Russlin e gli ha chiesto: "Quanto vi hanno pagato i Grant, quattro anni fa, per convincervi ad assumere la difesa di questo assassino?". Un inferno, ti dico. E O'Toole stava lì ad ascoltarli, beato.»
«Com'è andata a finire?» gli domandò Potter. Collinge alzò la spalle. «La polizia mi ha garbatamente informato che ero libero di tornare a casa. Io ho proposto a Newton di accompagnarmi. Poi, Russlin si è messo a strepitare, quando O'Toole ha cominciato a interrogare Cass Grant, il tenente l'ha sbattuto fuori e io ho rimorchiato qui anche lui.» «E Thornton?» «L'hanno mandato a casa, ma non avevo voglia di invitarlo.» Il domestico entrò per svuotare i posacenere e ritirare i bicchieri. Quando il telefono squillò, fu lui a rispondere. «Per voi, signor Potter» disse. Era il tenente O'Toole. «Immaginavo di trovarvi lì, Potter. Sapete dove posso raggiungere Russlin? Non è in casa.» «Infatti, è qui.» «Cass Grant lo prega di raggiungerlo subito.» «A teatro?» «No, alla Centrale. Abbiamo deciso di fermarlo per ulteriori interrogatori.» O'Toole fece una pausa. Poi: «Mi dispiace, Potter.» La sua voce aveva un tono che sembrava di pietà. Hiram Potter non dormì, quella notte. Fino all'alba, continuò ad aggirarsi nella propria stanza. Era profondamente turbato dall'accendersi, improvviso e irresistibile, della sua passione per Janet Grant e si sforzava di respingere il ricordo della ragazza che gli si abbandonava tra le braccia, per esaminare con obiettività gli avvenimenti della serata. Entro un paio di giorni, senza dubbio, il tenente O'Toole sarebbe riuscito a ricostruire i movimenti di almeno alcune delle persone sospette: Cass Grant, Thornton, Janet, Anne Frederick, Pete Russlin, Sanders Newton, Howard Mallow. Sette persone che non erano in grado di fornire un alibi per l'ora del delitto, che non avevano addotto prove per corroborare le proprie asserzioni. Janet Grant aveva la punta delle dita macchiate di fluoroscina. Negava d'essere entrata nel ripostiglio e sosteneva di aver toccato la giacca dell'uomo claudicante. Ovviamente, O'Toole non credeva all'esistenza di quell'uomo, ma Potter aveva notato che la ragazza sembrava realmente sconvolta quando era rientrata in platea, correndo accanto al fratello. A meno che... si affrettò a respingere quel dubbio. A questo punto, non si poteva eliminare nessuno dalla lista dei sospetti,
ma l'ipotesi che Sanders Newton avesse strangolato Eve era per lo meno estremamente inverosimile. Aveva investito un cospicuo capitale nella produzione di "La donna fatale" e contava di ricavarne parecchio. Quanto ai suoi rapporti personali con Eve, le dimostrava solo la normale ammirazione di un uomo per una bella donna. Naturalmente, non si poteva escludere che avesse avuto una relazione con lei in passato. Ma non si poteva escludere nemmeno che Eve avesse fatto addirittura collezione di amanti. Mallow? Secondo Collinge, l'attore non si lasciava mai sfuggire l'occasione di tentare una conquista. Potter scosse il capo, poco convinto. In base alla sua esperienza, gli uomini che passavano da un'avventura all'altra non si lasciavano coinvolgere profondamente sul piano sentimentale e, soprattutto, erano incapaci di vere grandi passioni. Tuttavia, sarebbe stato interessante scoprire perché Mallow non avesse fatto in tempo a vestirsi per il secondo atto, anche se ''intervallo era durato almeno venti minuti. Anne Frederick? Potter smise di passeggiare su e giù. Anne Frederick e la signora Simmons erano le uniche due persone del gruppo alle quali Haskel non aveva fatto il test per reperire eventuali tracce di fluoroscina. Certo, O'Toole avrebbe pensato a questo. Potter fece la doccia, si vestì e uscì silenziosamente di casa, mentre Collinge dormiva ancora. Aveva smesso di nevicare, ma il cielo era sempre di un grigio plumbeo. Durante la notte, gli spazzaneve avevano provveduto a sgomberare le strade e in parte anche i marciapiedi. Soltanto Centra] Park conservava intatta la propria coltre morbida e immacolata. Hiram Potter entrò nel primo bar e si fece servire un caffè. Poi, comprò un giornale, prese un tassì e diede al conducente un indirizzo. L'uomo inarcò un sopracciglio. La fotografia di Eve appariva in prima pagina su tutti i giornali, tranne il "New York Times". Eve in abito da sera, mentre entrava al Club 21. Eve in costume da bagno, sorridente e bellissima. Eve al processo contro Cass, vestita come una ragazzina, con l'aria spaventata. Potter osservò a lungo quest'ultima foto, prima di leggere l'articolo. Il titolo era su tre colonne: EVE GRANT ASSASSINATA! L'EX MARITO FERMATO DALLA POLIZIA. "Eve Grant, famosa bellezza e personaggio chiave nel processo per l'assassinio di Maitland Frederick, celebrato quattro anni fa, è stata strangolata la scorsa notte nel suo camerino al Crescent Theater, durante la prova generale di La donna fatale, il nuovo lavoro di Graham Collinge (a pag. 14,
biografia del commediografo). Risulta che la commedia, d'intonazione drammatica, fosse ispirata appunto all'assassinio di Frederick e, secondo fonti bene informate, Eve avrebbe dovuto interpretarvi la parte che aveva avuto nella realtà. "L'assassinio è stato scoperto dalla sua cameriera, la signora Simmons. Cass Grant, il playboy miliardario, dal quale Eve aveva divorziato subito dopo la sua condanna all'ergastolo, che scontava in un manicomio criminale, era stato dimesso dal nosocomio di Wentworth appena trentasei ore prima del delitto, in seguito a una lunga battaglia legale impegnata da sua sorella, Janet Grant, e alla perizia eseguita dal famoso psichiatra svizzero Franz Beldner (a pag. 28, un servizio speciale dedicato ad alcuni noti psichiatri responsabili di aver fatto rimettere in libertà dei pericolosi criminali). "Il signor Grant assisteva alla prova generale, accompagnato dalla sorella e dal proprio avvocato, Peter Russlin, la cui sensazionale tattica difensiva al processo Frederick gli aveva consentito di sfuggire alla sedia elettrica. Thornton Grant, cugino di Cass, noto studioso di letteratura classica, ha dichiarato a chi scrive che stava per sposare la bellissima attrice. Il matrimonio avrebbe dovuto aver luogo fra tre settimane. Secondo lui, proprio l'annunzio del loro fidanzamento ha indotto l'ex marito di Eve, sua sorella e il suo avvocato ad assistere alla prova generale che si è conclusa così tragicamente. Janet Grant (foto a pag. 3), che cinque anni fa era stata definita la più bella debuttante della sua generazione, risulta essere l'ultima persona che abbia visto l'attrice viva." Potter aprì il giornale in terza pagina e osservò il volto di Janet. La fotografia era stata fatta la sera del suo debutto in società. Lei era giovane, sorridente, spensierata, tanto diversa dalla ragazza inquieta e diffidente che aveva incontrato la sera prima, dalla donna passionale che gli si era abbandonata tra le braccia. Chiuse il giornale. Dunque, Thornton Grant era deciso a mandare suo cugino, o i suoi due cugini, sulla sedia elettrica. Questo era sembrato evidente, la sera prima. Thornton e la sua cultura classica. Thornton e la citazione di Ovidio. Thornton che non aveva un alibi... Ma quell'uomo sembrava davvero prostrato dal dolore. Solo un'emozione profonda poteva spiegare la sua crisi di nervi in pubblico. «Sentite un po', signore!» esclamò il tassista, irritato. «È qui che mi avete detto di portarvi, no? Continuo a chiedervelo e voi non vi degnate neanche di rispondere.»
Potter sussultò. «Oh, scusate.» Guardò il tassametro e aggiunse una generosa mancia al prezzo della corsa. «Mi ero distratto.» Il conducente notò il giornale. «Avete visto la sua fotografia? Fantastica, vero? Spero che questa volta gliela faranno pagare a quel bastardo... Lasciateveli sfuggire, i pazzi assassini, e loro ricominciano subito a uccidere. Se dipendesse da me, li farei linciare certi tipi.» Potter stava per replicare, ma si trattenne. Adesso, quel tassista era il portavoce dell'opinione pubblica. Cass Grant era stato fermato. E solo un miracolo avrebbe potuto salvarlo. Hiram Potter aveva pochissima fiducia nei miracoli. Entrò nell'atrio della Centrale di polizia e chiese all'agente di servizio del tenente O'Toole. Questi era nel suo ufficio, con una tazza di caffè a portata di mano e il posacenere già mezzo pieno di mozziconi. Aveva l'aria di uno che non ha chiuso occhio, ma come sempre era perfettamente sbarbato. Salutò Potter con un cenno e gli indicò una sedia. Bevve un sorso di caffè, fece una smorfia e depose la tazza. «È freddo» disse, disgustato. «Quando siete andato a letto?» gli chiese Potter. «Ho dormito un paio d'ore su questo divano.» «Allora, proporrei di andare a fare una sostanziosa colazione.» O'Toole respinse la sedia e si alzò. «Ottima idea. Stavo pensando di telefonarvi, ma voi mi avete preceduto. Vorrei che mi accompagnaste dalla signora Frederick. Voi ci sapete fare con le donne della sua classe. Inoltre, siccome siete un tipo osservatore, ricorderete certo che cosa indossava ieri sera, a teatro. Porteremo con noi Haskel.» Poco dopo, i due uomini gustavano delle uova al prosciutto, e O'Toole anche mezza dozzina di brioches. Non parlarono del delitto e delle indagini, si concessero il piacere di mangiare tranquillamente, in silenzio. Dopo la terza tazza di caffè, il tenente sospirò soddisfatto. Fuori dello snack-bar, li aspettava un'autopattuglia, con un sergente al volante. Haskel vi salì assieme a loro, armato della sua attrezzatura portatile. O'Toole diede al conducente l'indirizzo di Eve Grant. Mentre la macchina si insinuava nel traffico, dirigendosi verso Central Park West, il tenente incominciò a riferire gli ultimi avvenimenti di quella notte. I membri del cast sembravano al di sopra d'ogni sospetto, disse. Con Mallow, c'era stato qualche problema, da principio. Probabilmente, aveva avuto una breve avventura con Eve, anche se non voleva ammetterlo. Dopo molte esitazioni, si era deciso a spiegare perché non aveva fatto in tem-
po a vestirsi per il secondo atto. Soffriva di artrite deformante e il suo cameriere gli aveva fatto un massaggio. Non voleva che la cosa fosse risaputa. Per lui, il successo dipendeva in larga misura da una forte carica di sex appeal: qualsiasi indiscrezione sul suo decadimento fisico lo avrebbe rovinato. Il cameriere aveva confermato quella versione dei fatti e Mallow aveva dato il nome del proprio medico curante. Qualcuno sarebbe andato a chiedergli informazioni quel mattino stesso. Sanders Newton aveva fornito l'elenco delle persone chiamate al telefono durante l'intervallo: un giornalista di "Variety", uno di "News" e uno di "American". Interrogati, tutti e tre avevano ripetuto la stessa cosa: Newton si era affannato a far pubblicità alla commedia, insistendo per ottenere critiche favorevoli. O'Toole interruppe la sua relazione e imprecò sottovoce. Davanti alla casa di Eve, erano raccolti almeno venti giornalisti, che ignoravano le proteste del portiere in uniforme. «Sciacalli...» borbottò il tenente. Potter lo guardò, divertito. Il poliziotto più affascinante di New York, e anche uno dei più in gamba, non gradiva nessuna forma di pubblicità personale. Quando O'Toole scese dall'auto, lampeggiarono i flashes e si levò un coro di voci. Lui alzò subito una mano. «Non ho dichiarazioni da fare, ragazzi. Appena ci sarà qualcosa da comunicare, organizzeremo una conferenza-stampa.» «Che cosa ci dite di Cass Grant?» «Non è in stato di arresto. Lo tratteniamo per interrogarlo, ecco tutto.» «Come mai sua sorella era nel camerino di Eve? Se le ha fatto la guerra per anni!» «No comment.» I poliziotti si aprirono un varco tra cronisti e fotografi, tenendo in mezzo a loro Hiram Potter. L'atrio era sfarzoso più che non elegante. Tipico del gusto di Eve Grant, pensò Potter. La porta dell'appartamento venne aperta da un poliziotto che stava seduto in anticamera. Il soggiorno era semplicemente enorme, ma le sue dimensioni apparivano ridotte da un assortimento di tavolini, poltrone, lampade, cuscini, stipetti, soprammobili e vasi pieni di fiori sparsi dovunque. Sul pavimento, intorno a uno stereo, erano accatastate pile di dischi: musica jazz, colonne sonore di film, successi sudamericani. I quadri esposti alle pareti erano tutti ritratti di Eve.
Il poliziotto di guardia nell'appartamento disse che il tecnico della Scientifica aveva già rilevato le impronte digitali. Non era venuto nessuno, tranne un reporter che tentava di spacciarsi per un elettricista. La signora Grant aveva una domestica di colore a giornata, che arrivava alle dieci del mattino. Nella camera di Eve, spiccava un letto a baldacchino con la testiera di velluto rosa trapuntato. C'erano vaporose tende rosa alla finestra, un tappeto di ciniglia bianca che ricopriva quasi per intero il pavimento. Sulle sedie e su una poltrona a sdraio, erano gettati alla rinfusa abiti e capi di biancheria. Un armadio a tutta parete, foderato di raso trapuntato e con le antine scorrevoli, conteneva un favoloso guardaroba. Su speciali gruccette imbottite e profumate, erano appesi abiti sportivi e da cocktail da mattino e da gran sera, pellicce di visone, martora e zibellino. «Dove andava a prendere tanto denaro?» esclamò O'Toole, sbigottito. «Gli alimenti che le passava Grant non erano un gran che. Suo padre aveva affidato F amministrazione del patrimonio a Thornton, lasciandogli solo una rendita di trecento dollari il mese.» Si sentì una chiave girare nella serratura e la porta d'ingresso venne aperta da una graziosa mulatta, che non parve né stupita né allarmata dalla presenza dei poliziotti. Fece scorrere lo sguardo dall'uno all'altro e poi lo fermò su Hiram Potter. «Sono Helen Baxter, la domestica della signora Grant» disse. «Questo è il tenente O'Toole, signorina Baxter. Dirige lui le indagini.» «Avete già saputo del delitto?» le chiese O'Toole. «Ne hanno parlato alla Tv, ieri sera, durante il notiziario delle undici. E poi, ho letto i giornali del mattino.» «Vogliamo sederci nel soggiorno?» propose O'Toole. «Bene, signorina Baxter, che cosa potete dirci?» Lei sedette, con le mani intrecciate in grembo. Si comportava con tranquilla disinvoltura. Aveva un bel viso e un'espressione intelligente, pensò Potter. «Non c'è molto che io possa dirvi» rispose. «Niente che riguarda l'assassinio, naturalmente. Non conosco nessuno degli attori con cui la signorina recitava. Quanto a lei stessa...» Helen lavorava per Eve Grant da due anni. Frequentava una scuola serale per prendere un diploma di grado superiore, e anche se era sempre riuscita a farsi rinnovare le borse di studio, doveva provvedere a mantenersi in una camera d'affitto.
«Il lavoro che facevo qui non era male. In complesso, almeno» disse. Mantenere l'ordine in quell'appartamento era un'impresa quasi impossibile, ma Eve Grant non ci badava. Helen aveva soprattutto il compito di curare il suo ricco guardaroba, facendole trovare gli abiti sempre puliti e stirati, pronti da indossare. «Avete conosciuto qualcuno dei suoi amici?» le chiese O'Toole. «Non ero mai qui, la sera, perché il mio orario di lavoro termina alle sette. Naturalmente, quando la signora dava un party, lo capivo il mattino dopo.» Esitò. «A ogni modo, ve lo direbbe anche il portiere, quindi tanto vale che ne parli io. C'era qualcuno degli ospiti che si fermava più degli altri.» «Questo qualcuno variava, o era sempre lo stesso uomo?» Lei scrollò le spalle. «Non lo so. Vedete, l'unico punto di riferimento che ho sono le telefonate.» «Potete farmi qualche nome?» «Certo non quelli degli... degli ospiti speciali, diciamo. Negli ultimi tempi, s'intende, telefonava spesso il signor Thornton Grant. La signora Eve mi aveva detto che stavano per sposarsi. Lui veniva di frequente qui, nel tardo pomeriggio. Erano visite...» Un sorriso divertito sfiorò le labbra della ragazza. «Visite molto "compite".» «Signorina Baxter, che cosa intendete dicendo che "in complesso il lavoro non era male"?» Helen rispose senza esitare. «Che mi trovavo bene, qui. Per un motivo, soprattutto. La signora Grant sarà stata la donna che era, però mi trattava con la stessa gentilezza che avrebbe dimostrato a una bianca. E questa è una cosa più rara di quanto non crediate. Mi ha fatto solo due tremende scenate. La prima, perché ho risposto al telefono mentre lei era in bagno, e la signora voleva sempre prendere personalmente le telefonate. L'altra, perché la porta della camera da letto era rimasta aperta, lei non se n'era accorta e io avevo sentito qualche parola, mentre facevo le pulizie. Quel giorno, mi ha ricoperto d'insulti. Sembrava impazzita.» «Di rabbia, volete dire?» le domandò O'Toole. «No, di paura. Era spaventatissima, ecco perché ha avuto quella crisi isterica. Al telefono, aveva continuato a ripetere: "Devi ritentare. Assolutamente. Devi trovarlo". E poi: "Lo so, lo so, ma io non penso solo a me. Ci sei dentro anche tu in questa faccenda".» «Quando è accaduto?» «Tre o quattro settimane fa, mi sembra. Senz'altro un paio di settimane dopo che mi aveva annunziato il suo prossimo matrimonio col signor
Thornton Grant.» In camera da letto, il telefono squillò. Sentirono un poliziotto rispondere: «Sì, sì.» Una pausa. «Okay, glielo dirò.» Si fece sulla porta. «Le impronte digitali che hanno rilevato qui appartengono a Eve Grant, alla sua domestica... abbiamo preso quelle della ragazza dopo un furto commesso poche settimane fa. Poi, ci sono delle impronte che sembrano di guanti, e quelle di Mallow.» «Quel maledetto bugiardo!» proruppe O'Toole. «Credo...» incominciò Helen Baxter. «Sì?» «Credo che il signor Mallow sia venuto qui una volta sola. Circa dieci giorni fa. Ma non...» «Continuate» la sollecitò Potter. «Ci state aiutando molto, mia cara.» «Bene, credo che sia stato solo un capriccio, una cosa senza importanza per tutti e due.» «E che mi dite del furto?» intervenne O'Toole. Per la prima volta, Helen parve incerta. «Mi sbaglierò, ma penso che l'abbia messo in scena la signora Grant. Un mattino, quando sono arrivata, mi ha detto che erano scomparsi dei gioielli, un braccialetto di brillanti e una collana di zaffiri. La signora non li teneva in banca, voleva averli sempre a portata di mano. Il cassetto della toilette era sul pavimento, il cofanetto portagioielli forzato. Quelli della compagnia d'assicurazione non sono rimasti molto convinti, però hanno pagato. Li sconcertava il fatto che non ci fosse stata la solita pubblicità che c'è quando viene derubata un'attrice. Tanto più se l'attrice in questione sta per debuttare a Broadway. Naturalmente, hanno fatto delle indagini su di me» aggiunse, ma senza asprezza. «Credete che Eve Grant abbia venduto quei gioielli?» «Penso che li abbia dati a qualcuno» rispose Helen. «Era furente, ma anche spaventata, molto spaventata. Da quando sono venuta a lavorare qui, ho capito che aveva paura di qualcosa o di qualcuno.» Fu Hiram Potter a parlarle dell'abito nero. Lei aprì subito il guardaroba, ne esaminò il contenuto e infine tolse una tunichetta molto semplice, di cady nero, appesa in fondo all'armadio. «Non l'ho mai visto» disse. «È nuovo. La signora aveva un altro abito nero, ma adesso non c'è più. Vestiva raramente di nero.» «L'altro, potrebbe averlo regalato?» suggerì O'Toole. «No. La signora Grant non regalava mai niente. Proprio niente, alla let-
tera. Se quell'abito non le fosse piaciuto più, l'avrebbe venduto.» «Da quanto tempo manca?» «Me l'ha fatto stirare ieri.» «Sembra che Janet Grant abbia colpito nel segno» disse Potter. «La manica tagliata era un trucco per attirarla nel camerino di Eve.» «Non è detto» replicò O'Toole. «Quale spiegazione proponete, allora?» «Se Eve ha rovinato l'abito di proposito, che cos'era venuto a fare lì il misterioso uomo zoppo? Pensavo che Janet Grant, e anche voi, Potter, lo aveste scelto come responsabile di tutti i guai.» Hiram Potter non rispose, e il tenente si girò verso la giovane mulatta. «Sapete qualcosa della famiglia di Eve Grant?» «So che la signora Simmons era sua madre. La signora Eve l'ha chiamata subito dopo aver cominciato le prove al Crescent Theater. Credo che volesse avere una guardia del corpo... molto a buon mercato, però.» Fece una smorfia sprezzante. «Lei viveva in questo lusso e lasciava che sua madre si arrabattasse per non morir di fame. Io abito in una modesta camera ammobiliata e devo badare al centesimo anche per il cibo, però mia madre la tengo con me e dividiamo il poco che abbiamo.» «Più cose scopro sul conto di Eve Grant e meno quella poveretta mi piace» disse il tenente O'Toole, quando scesero dall'autopattuglia davanti alla casa della signora Simmons, nella West End Avenue. Era un vecchio edificio decadente, uno di quelli destinati a essere demoliti entro pochi anni dal piano regolatore. Un giovane poliziotto gli si fece incontro e scosse il capo. «Nessuna novità.» «Gorner verrà a darti il cambio» gli disse O'Toole. «Non voglio che quella donna circoli liberamente almeno finché non avrà parlato.» L'appartamento monolocale era all'ultimo piano, sul retro dell'edificio. La poca luce che filtrava dallo stretto vicolo che lo separava da un caseggiato più alto, veniva in parte bloccata da una scala antincendio di ferro. «Chi è?» chiese una voce incerta, quando O'Toole ebbe bussato alla porta. «Polizia.» Al di là del pianerottolo, un uscio venne cautamente socchiuso e una vicina incuriosita si mise in ascolto. La signora Simmons aprì. Indossava un vecchio abito nero e un grem-
biule. Aveva i capelli pettinati con cura e gli occhi ancora gonfi, cerchiati da aloni quasi lividi. Senza una parola, si ritrasse per lasciar entrare O'Toole e Potter. «Non capisco perché siate venuti da me» disse, poi. «Io non so niente, ve lo ripeto.» La stanza era arredata alla meglio, con un divano-letto, una poltrona a dondolo e un'altra imbottita, dalla fodera consunta, un tavolo e due sedie. Un paravento non riusciva a nascondere la zona-cucina: un fornello a gas e un acquaio sistemati in un angolo. Le tendine di cotone erano scostate per lasciar entrare la scarsa luce invernale. «Perché avete accettato di fare da cameriera a vostra figlia?» incominciò O'Toole. La signora Simmons non si aspettava quella domanda. «Avevo bisogno di guadagnare» rispose. «Allie... Eve... non so più come chiamarla, mi dava duecento dollari il mese.» «Vostro marito è disoccupato?» «Adesso che sono rimasta io senza lavoro, se ne cercherà uno lui. Ma non dovete pensare che mi sfruttasse. Verne è tubercolotico, per questo ci eravamo trasferiti in Arizona. Poi, quando mia figlia ha avuto bisogno di me, siamo tornati a New York.» «Di chi aveva paura Eve?» le chiese bruscamente O'Toole. La donna si irrigidì e scosse il capo, in silenzio. «C'era qualcuno che la spaventava» insisté O'Toole. «L'ha detto lei stessa.» «Non è vero, non l'ha mai detto.» «Ha parlato al signor Collinge delle telefonate notturne e degli incidenti accaduti nel suo camerino.» «Io non potevo starle accanto ogni minuto» proruppe a questo punto la signora Simmons. «Mi capitava di dover andare alla toilette o nella stireria, per esempio.» «Chi la perseguitava?» «Non lo so.» La donna guardò il tenente. La sua espressione mutò, si fece dura. «Ho sentito il notiziario radio. Avete già arrestato Cass Grant. Non vi basta?» «Grant era internato a Wentworth mentre qualcuno si divertiva a logorare i nervi della sua ex moglie» ribatté O'Toole. «L'altro ieri, vostra figlia ci ha denunziato quello che stava succedendo.» «Non è vero!» Adesso, la signora Simmons appariva sconvolta.
«Quando è stata tagliata la manica di quell'abito nero?» «Durante il primo atto, credo. Nel pomeriggio, l'abito era in perfetto stato. La sera, sono rimasta un po' dietro le quinte per vedere mia figlia che recitava. Era bellissima, con quella cappa bordata di raso, una vera diva.» Deglutì, fece una pausa. «Più tardi, quando è tornata nel camerino per cambiarsi, l'abito era rovinato.» Hiram Potter scrollò il capo. «Questa storia non ci convince affatto, sapete? Abbiamo trovato l'abito per il secondo atto a casa di Eve. Quello che aveva portato a teatro era vecchio, vero?» La donna strinse le labbra e non rispose. «Credo che sia stata vostra figlia a tagliare la manica. In nome del cielo, diteci la verità! Non capite che vi state mettendo in una situazione molto difficile?» Fu il tono pressante e ansioso di Potter a farle cambiar tattica. La signora Simmons si arrese. «E va bene. Tanto, la verità non può nuocerle, ormai. Eva voleva assolutamente che la signorina Grant andasse nel suo camerino e non ha trovato altro sistema per convincerla che rovinare quell'abito.» «Che cosa voleva da Janet Grant?» «Questo non lo so. Chissà cosa aveva in mente... Con tutti gli incidenti che continuavano a capitare, era sull'orlo della disperazione. Ma la signorina Grant non si è voluta trattenere con lei. Dev'essersene andata appena io sono uscita per cercare gli spilli. Questo non l'avevamo previsto. Credo che, arrivata al dunque, Eve non abbia più saputo cavarsela.» «Come si è fatta quella contusione al braccio sinistro?» le chiese Potter. «Non lo so.» «Signora Simmons, vostra figlia aveva paura di qualcuno e non ha voluto dirci di chi. È stata uccisa per questo, lo capite? Dunque, vi prego di rivelarci tutto quello che sapete. La polizia vi proteggerà con ogni mezzo possibile. Ma, finché continuerete a nasconderci delle informazioni essenziali, sarete in pericolo. Ve ne rendete conto?» «Io non so niente» ripeté lei, ostinata. «Ieri sera, avete detto che eravate in grido di proteggervi da sola» le rammentò O'Toole. «Ed è appunto quello che sto facendo. Non ho ucciso io mia figlia, e di guai ne ho già avuti abbastanza. Adesso, andatevene.» Quando furono di nuovo nell'autopattuglia, O'Toole disse al sergente di portarli al Plaza. Mentre ingranava la marcia, questi parlò senza voltarsi.
«Hanno comunicato un paio di notizie. Il medico curante di Mallow conferma la sua versione dei fatti. Gli capita spesso di doversi sottoporre a un massaggio, durante uno spettacolo. Potrà recitare ancora per pochi anni, povero diavolo.» «E poi?» «Dati biografici di Eve Grant. Vero nome, Allie Voss, figlia di Alfred e Ruth Voss. Nata nel 1951, nell'East Side. A quattro anni, ha perso il padre. La madre si è risposata poco dopo con Verne Simmons. Simmons non ha fatto la guerra, l'hanno riformato per tubercolosi. In seguito, la famiglia si è trasferita nel Bronx. Eve ha lasciato la scuola a quindici anni. Per qualche mese, ha lavorato come modella in un negozio di biancheria intima, sull'Avenue of the Americas. Poi, è passata in un night-club, dove faceva la venditrice di sigarette. E da allora, ha cominciato a... a farsi strada, diciamo. La si vedeva già in giro con Maitland Frederick.» «Dovremo scavare parecchio per scoprire tutti gli uomini che sono passati nella sua vita» borbottò O'Toole. «Ha sposato Cass Grant nel 1968 e ha divorziato l'anno dopo, quando lui è stato condannato per l'assassinio di Frederick. In seguito al loro matrimonio, il vecchio Grant si era riservato l'amministrazione del patrimonio di Cass, e così lei ha ottenuto solo duecento dollari il mese a titolo di alimenti. Da allora, nessuno ha mai saputo quale fosse la sua fonte di reddito. Non risulta che abbia lavorato. Ogni tanto, faceva qualche particina di comparsa nei teatri fuori Broadway.» «Dovremo indagare anche su questo» disse O'Toole. «Sarà un caso maledettamente duro, temo. Tutti terranno la bocca chiusa. Ma Eve aveva molto denaro e in qualche modo se lo procurava, questo è un fatto. Per l'appartamento, pagava settecento dollari d'affitto il mese. Le sue pellicce ne valgono almeno quindicimila. Quanto ai gioielli... Mah, forse ricattava qualcuno.» «Può essere successo anche il contrario, ossia che la ricattata fosse lei» gli fece osservare Potter. «Pensate a quel furto simulato di gioielli. Non me la immagino offrire diamanti a qualcuno per la pura gioia di donare.» O'Toole annuì. «Questo è certo. Nuotava nell'oro e a sua madre dava solo duecento dollari il mese.» Potter aggrottò la fronte. La signora Simmons non avrebbe mai fatto niente che potesse compromettere il brillante avvenire della figlia. Non aveva certo tratto vantaggio dal primo matrimonio di Eve, e ovviamente non voleva far sapere a Thornton Grant che lei era la sua futura suocera.
«Scommetto» proruppe «che Eve non ha mai dato neanche un dollaro a sua madre, finché la signora Simmons non ha cominciato a lavorare per lei. Hai visto le sue mani? Sono pronto a giurare che, prima, faceva la donna di fatiche.» Il portiere del Plaza guardò accigliato l'autopattuglia. Mentre O'Toole, Potter e Haskel scendevano, osservò il conducente, che era in uniforme. «Sentite» incominciò subito a protestare, allarmato «non potete...» «Tenente O'Toole, Squadra Omicidi. Vogliamo parlare con una delle vostre clienti. Daremo nell'occhio il meno possibile.» «Squadra Omicidi!» Il portiere chiamò con un cenno un fattorino. «Avverti subito il direttore. Abbiamo qui la polizia!» 11 La signora Frederick venne personalmente ad aprire. Quando vide i quattro uomini, i suoi occhi si dilatarono. Poi, riconobbe Potter e, nonostante lo shock, riuscì a sorridere. «Chissà perché, non avevo pensato che una visita della polizia sarebbe stata inevitabile» disse. «Prego, entrate.» Il salotto, che dava sul Central Park, era arredato con eleganza impersonale. Alle pareti, Potter vide tre dipinti a olio, che riconobbe subito come opere di Maitland Frederick. Quando le ebbe presentato O'Toole, Haskel e il sergente, Anne Frederick li invitò a sedersi. Aveva i capelli bianchi acconciati con raffinata semplicità, il trucco appena accennato, e indossava un abito di lana dalla linea perfetta. I suoi occhi seguirono Hiram Potter, che si spostava da un quadro all'altro, indugiando ad ammirarli. «Che magnifico pittore...» esclamò lui. «Non avevo mai visto questi quadri, nemmeno riprodotti su qualche rivista d'arte. Devono essere opere giovanili. La pennellata è molto diversa da quella degli altri dipinti.» «Maitland li ha creati durante la nostra luna di miele. Io ho tenuto solo questi. Gli altri, quelli ancora invenduti al momento del... della morte di mio marito, li ho ceduti al suo mercante d'arte. Mi è sembrato meglio liberarmi di tutto: mobili, oggetti personali, dipinti eseguiti negli ultimi anni.» O'Toole lasciò che fosse Potter a parlare per primo. Lui avrebbe certo saputo trovare il tono più adatto per una donna di quella classe. «Suppongo che non ci sia bisogno di dirvi perché siamo qui, signora Frederick» esordì Potter.
«Per l'assassinio di Eve Grant» rispose lei. «Ho letto i giornali del mattino. Una cosa atroce, che mi ha sconvolto.» Tacque. Non aveva altro da aggiungere. Dopo un breve silenzio, il tenente O'Toole le chiese: «Quando avete lasciato il teatro, ieri sera?» «All'inizio del primo atto. Poiché la mia presenza turbava tanto Eve, sono tornata a casa. Non ho preso un tassì. Avevo bisogno di camminare, come faccio sempre quando devo riflettere.» «Anche se nevicava forte?» La donna annuì. «Mi sono cambiata le scarpe, appena arrivata qui.» «E quanto tempo ci avete messo?» «Francamente, non lo so» rispose lei, stupita. «Venti minuti, mezz'ora al massimo.» «Avete una cameriera?» «Solo il mattino, per qualche ora. Il personale del Plaza provvede al resto. Ma perché...? Ah, capisco.» Anne Frederick aggrottò la fronte, come se si sforzasse di ricordare qualcosa. A Hiram Potter non sembrò che fosse allarmata. «Nell'atrio, c'era il portiere, naturalmente. Però, alcune persone stavano lasciando l'albergo, mentre io entravo, e lui era andato ad aprire loro lo sportello del tassì. Può darsi che mi abbia visto il fattorino dell'ascensore, ma c'era molta gente nella cabina, e così...» «Dunque, non siete sicura che qualcuno possa confermare l'ora del vostro ritorno?» «Ma...» la signora si interruppe, rivolgendosi a Potter. «La polizia non può certo sospettare che abbia ucciso io Eve Grant. Sarebbe pazzesco. Che movente avrei potuto avere?» «Eve ha avuto una relazione con vostro marito» le ricordò brutalmente O'Toole. «Ma questa è storia vecchia. Maitland è morto.» La voce di lei era sfumata d'ironia. «Eve non era più una rivale contro cui combattere, per me. In ogni caso, è notorio che mio marito mi ha abbondantemente tradita per molti anni. Avevamo finito per stabilire un tipo di rapporto impersonale. Lui era un compagno brillante, piacevole, e fin tanto che mi lasciava una parvenza di dignità, valeva la pena di salvare il nostro matrimonio.» Arrossì, notando che il sergente trascriveva le sue parole. «Maitland non voleva il divorzio» riprese, sempre con quella punta d'ironia. «Per lui, la nostra unione era una salvaguardia contro il pericolo di un altro legame duraturo. Nessuna donna lo interessava a lungo. Era stato
sempre ragionevolmente cauto e discreto, quando aveva un'avventura. Ma Eve era tanto bella da affascinare il pittore oltre che l'uomo. Credo che gli fosse entrata nel sangue. Sì, aveva perso la testa per lei. Ecco perché ha voluto prendere in affitto la palazzina gemella dei Grant. Ma non aveva nessuna intenzione di sposare Eve. Era sconvolto, quando, dopo aver visto quel ritratto, gli ho detto che avrei chiesto il divorzio se non avesse troncato una relazione che, praticamente, avevano intrecciato in casa mia. Quello era un affronto troppo grave, non l'avrei mai sopportato. Lui mi ha giurato di lasciare Eve.» «E voi gli avete creduto?» «Maitland non mancava mai alla parola data.» Potter si protese verso di lei. «Quando avete avuto questo colloquio con vostro marito?» «Poco prima della sua morte. Mezz'ora, forse anche meno.» Anne si torse le mani. Aveva il volto contratto dall'angoscia. «Se non avessi telefonato ai Grant, prima di parlare con lui... Oh Dio, se avessi aspettato! La colpa della tragedia è mia, lo so, e da allora ne soffro il rimorso. Ma ero entrata nello studio, avevo visto il "nudo" di Eve e non ho resistito. Avevo appena finito di parlare con Janet quando Maitland è tornato a casa. L'ho messo di fronte all'alternativa del divorzio, e lui mi ha giurato di rompere con Eve. Poi, è andato nel suo studio. Prima che potessi richiamare Janet, sono arrivati Thornton e Cass. Per questo, Maitland è stato ucciso. Cass dev'essersi augurato tante volte di morire, negli ultimi anni, e Janet è così cambiata, così irrimediabilmente diversa dalla ragazza di un tempo. Soltanto Eve ha trionfato ed è fiorita, come una di quelle piante velenose che distruggono la vita intorno a sé.» Guardò i due uomini che la fissavano, in silenzio. «Non vi dirò che sono addolorata per la morte di Eve. Era una donna malvagia. L'unica persona che mi fa pietà è l'uomo, o la donna, che non ha resistito all'impulso di ucciderla. Un'altra sua vittima, certo.» «Perché avete reso una falsa testimonianza al processo, signora Frederick?» le chiese O'Toole. «Avete dichiarato sotto giuramento che non esisteva un ritratto di Eve Grant.» «Perché sapevo che quel "nudo" avrebbe attribuito a Cass un movente molto forte e volevo proteggerlo. Ero così in pena, per lui.» «Credete che abbia ucciso vostro marito?» Negli occhi della donna apparve un'espressione di sincero stupore. «Questo è certo, s'intende. Mi sorprende che possiate dubitarne. Avevo
ammonito Janet che commetteva un errore, tentando di farlo dimettere da Wentworth, perché Cass poteva essere ancora pericoloso.» «Ora che avete messo tutte le carte in tavola» intervenne Potter, mentre O'Toole gli lanciava una rapida occhiata «vorreste raccontarci quello che è accaduto esattamente il giorno dell'assassinio di vostro marito?» Anne Frederick spiegò che era entrata nello studio, durante un'assenza di Maitland, per vedere il ritratto di Eve. Poi, aveva tentato di mettersi in contatto con Cass Grant, ma lui non era in casa. Aveva parlato con Janet, mettendola in guardia. Quando Maitland era ritornato, gli aveva posto il suo ultimatum: se non avesse troncato quella relazione, avrebbe chiesto il divorzio, citando Eve. Lui si era impegnato a rompere subito ogni rapporto con la sua giovane amante. «Quando è uscito, era sconvolto» aggiunse con voce fredda, quasi atona. «Poi, è arrivato Thornton Grant, che ha insistito per vedere Maitland e l'ha raggiunto nello studio. È tornato dopo pochi minuti. Aveva bussato ripetutamente, ha detto, ma mio marito non aveva voluto aprirgli. Anzi, non si era nemmeno degnato di rispondergli. Thornton l'aveva sentito muoversi nello studio.» Anne Frederick s'interruppe e Potter la vide impallidire. «Infine, è arrivato Cass» riprese lei, stancamente. «Ha fatto irruzione in casa con un impeto violento. Thornton, che stava parlando con me, ha tentato di fermarlo, ma Cass l'ha respinto e, passando dalla porta sul retro, si è precipitato verso lo studio. Quando è tornato, un quarto d'ora dopo, sembrava... sembrava l'ombra di se stesso, uno spettro, ecco. Ci ha detto di aver trovato Maitland morto. Era stato ucciso, strangolato.» «E poi?» la sollecitò Potter, quando Anne tacque, prostrata dall'emozione. Lei alzò una mano, la lasciò ricadere. «Poi, è incominciato tutto... gli interrogatori della polizia, la folla davanti a casa, i titoli in prima pagina... L'incubo.» «Chi ha chiamato la polizia?» «Thornton, dopo essere corso nello studio. Quando è tornato, non ha detto niente. Si è limitato a guardare Cass che era rimasto lì, immobile, in silenzio. Sembrava che fosse caduto in trance. Poi, Thornton gli ha gridato: "Criminale! Pazzo assassino!". E si è precipitato al telefono. Anche allora, Cass è rimasto fermo, senza aprir bocca. Dopo aver chiamato la polizia, suo cugino l'ha preso per un braccio e gli ha detto: "Devi aspettare qui, capisci?". E infine, Cass ha parlato, con una voce stranissima, assolutamente
spenta: "Perché? Non c'è più niente da aspettare. Proprio niente. Mai più".» Quando O'Toole le chiese di vedere l'abito e la pelliccia che indossava la sera prima, Anne Frederick ebbe un sussulto, come se tornasse al presente dopo un lungo cammino fatto a ritroso nel tempo. Certo, glieli avrebbe mostrati subito, rispose. Chiamò la cameriera, incaricandola di andarli a prendere: abito, pelliccia, guanti, scarpe, biancheria. Aveva lavato le calze, spiegò la signora. Haskel le disse che questo non aveva importanza. Si mise subito all'opera, ma non trovò traccia di fluoroscina. Poi, Anne gli tese le mani, con un gesto indifferente. Anche questa volta, il test ebbe esito negativo. O'Toole prese il cappello e lanciò un'occhiata significativa a Potter. «Ancora un paio di domande» disse questi. «Quell'uomo zoppo che Janet Grant ha visto...» «Noi non avevamo fatto venire nessuno a pulire le finestre» lo interruppe la signora Frederick. «Janet tentava di proteggere Cass, povera cara.» «Ma non ha mai affermato che sia stato lui a uccidere vostro marito» le fece notare Potter. «Sostiene soltanto che quell'uomo ha visto l'assassino e che, poco dopo, è entrato in casa sua. Ha sentito il suo passo claudicante nella camera da letto della cognata ed è convinta che sia stato lui ad aggredirla. Ricorderete che Eve aveva il viso contuso, quando la polizia l'ha interrogata, dopo l'assassinio di vostro marito. Lei ha detto che era stato Cass a colpirla, prima di precipitarsi fuori per affrontare Maitland Frederick. In seguito, al processo, ha ritrattato questa dichiarazione, ma nessuno le ha creduto, ovviamente. Infatti, era logico supporre che stesse tentando di scagionare il marito.» «Anche se quell'uomo c'era, io non l'ho visto» disse la signora Frederick. «Naturalmente, se stava pulendo il lucernario, non avrei potuto vederlo dalla casa perché quella vetrata si apre sull'altro spiovente del tetto.» «Sarebbe stato possibile raggiungere lo studio senza passare attraverso nessuna delle due case?» «Come forse sapete, le palazzine hanno in comune un muro divisorio. La facciata dà direttamente sulla strada e lo studio si trova in fondo al giardino, sul retro, a uguale distanza dalle due case. Dietro, ci sono, e c'erano anche allora, alcuni edifici della Sessantasettesima Strada. Non credo proprio che si sarebbe potuto raggiungere lo studio senza passare attraverso l'atrio, o il seminterrato, di una delle palazzine.» O'Toole fece un cenno ad Haskel, che ripose la sua attrezzatura. Il ser-
gente si mise in tasca il taccuino e si alzò. Ma Hiram Potter non era ancora pronto ad andarsene. «Perché siete tutti sicuri che Thornton Grant non sia riuscito a entrare nello studio, quel giorno?» chiese. «Ma... l'ha detto lui» rispose Anne Frederick, stupita. «Ha detto anche di aver sentito Maitland muoversi, dentro.» «Come fate a sapere che è la verità?» Per la prima volta, la signora Frederick sorrise senza sforzo. «Thornton!» esclamò. «È inconcepibile. Non avrebbe avuto un motivo al mondo per farlo. Conosceva appena Maitland e non poteva certo avere una relazione con Eve. No, lui no.» «Thornton avrebbe dovuto sposare Eve fra tre settimane» disse Potter. «Sarebbe interessante sapere "quando" si è innamorato di lei.» «Eve e Thornton!» La donna rise. «Un miracolo simile non me lo sarei aspettato nemmeno da Eve.» «Per caso, avete ancora le chiavi della palazzina?» «No, quando ho disdetto il contratto di affitto, le ho subito consegnate a Thornton Grant.» «E adesso, andiamo da Thornton» disse O'Toole, dopo aver rimandato Haskel alla Centrale. «Fino a che punto lo conoscete, voi?» «Ogni tanto, ci incontriamo al club. Abbiamo giocato insieme a bridge tre o quattro volte. Una conoscenza estremamente superficiale.» «E fino a che punto parlavate sul serio, quando avete fatto quell'insinuazione su di lui, poco fa?» «Francamente, non lo so» ammise Potter. «Tuttavia, qualche elemento per sospettare anche di Thornton non manca. Sappiamo che voleva sposare Eve, ma non quando ha cominciato ad amarla. Sappiamo che il padre di Cass gli aveva affidato l'amministrazione del patrimonio dei figli. Probabilmente, lo zio gli aveva detto che metà di quel patrimonio sarebbe andato a lui, se Cass non avesse combinato niente di buono. A quanto pare, Thornton non ha un alibi per l'assassinio di Frederick. Ma tutti hanno creduto ciecamente alla sua versione dei fatti.» «Sì, non è mai stato preso in considerazione nemmeno come potenziale sospetto» ammise O'Toole, pensoso. «Quell'uomo irradia una specie d'insopportabile probità. E poi, gli indizi erano tutti contro Cass.» «Già, c'era Cass. Un capro espiatorio ideale. A proposito, potrei vederlo?»
«Perché non chiedete a Russlin di combinarvi un incontro con lui?» «Preferisco prendere la via diretta, quando posso.» «E quando non potete?» «Allora, prendo quelle traverse» ghignò Potter. Il domestico che li fece entrare in casa di Thornton Grant aveva l'aspetto distinto e tetro di un impresario di pompe funebri. Dovettero aspettare un po', prima che Thornton scendesse. Potter rimase turbato nel vederlo: aveva le guance incavate, gli occhi pesti e un tic nervoso che gli contraeva l'angolo destro della bocca. Tuttavia, si teneva eretto e parlava con calma. «Buon giorno, signori. Volete accomodarvi? Mi dispiace di avervi fatto aspettare. Stavo telefonando per...» Gli tremò la voce e lui riuscì a controllarla con uno sforzo. «Stavo cercando di sapere quando potrà aver luogo il funerale di Eve.» «L'autopsia verrà completata entro oggi» gli disse O'Toole. «Probabilmente, potrete decidere in merito domani mattina.» «Grazie. E adesso, che cosa posso fare per voi?» Con un certo stupore, O'Toole scoprì che non voleva parlargli dell'assassinio di Eve, ma interrogarlo su quello che era accaduto un giorno di quattro anni prima, il giorno della morte di Frederick. Thornton rispose con sicurezza alle sue domande, ripetendo la versione dei fatti che aveva dato in tribunale. Mentre lui parlava, Potter prese ad aggirarsi per la stanza e, poi, passò in cucina. Il domestico era nella dispensa e stava telefonando al droghiere. Potter si guardò rapidamente attorno. In un armadietto sotto l'acquaio, trovò quello che stava cercando: dei recipienti portarifiuti chiusi con un coperchio. Ne aprì uno ed esaminò in fretta il contenuto, con una smorfia di disgusto. Poi, ne aprì un altro, che era pieno di carta stracciata. Vi frugò dentro e ne estrasse un libro in brossura: "Le Metamorfosi" di Ovidio, tradotte da Horace Gregory. Quando il domestico comparve, aveva già richiuso l'armadietto. «Per favore, vorrei un bicchier d'acqua» gli disse. Si fece scivolare il libro in tasca, notando che l'uomo lo scrutava insospettito. Sorseggiò l'acqua, depose il bicchiere e tornò nel soggiorno. Thornton stava ancora parlando. «... e dopo aver dato un'occhiata nello studio, per sincerarmi che fosse vero, sono tornato in casa per telefonare alla polizia. E non ho permesso a Cass di tentare la fuga.» «Lui l'aveva tentata?» intervenne Potter.
Thornton esitò. «Abbiamo appena parlato con la signora Frederick» lo informò Potter. «Ah. Bene, non sapevo che cosa avrebbe potuto fare Cass. Io non gli ho lasciato l'occasione di fuggire.» «Sono rimasto alquanto sorpreso dal messaggio trovato sul corpo di Eve Grant» disse Potter. «Chissà perché, non credo che vostro cugino si dedichi alla lettura dei classici.» Thornton prese tempo, accendendosi una sigaretta. «Era una citazione da un classico?» «Dalle "Metamorfosi"» rispose O'Toole. «Il signor Potter mi ha detto che siete un esperto di letteratura latina e greca.» «Sì, ma nessuno potrebbe conoscere parola per parola tutte le opere dei classici. Negli ultimi due anni, poi, ho alquanto trascurato il latino. Mi sto dedicando allo studio del motivo della vendetta ricorrente nelle tragedie greche.» «Avete una copia delle "Metamorfosi" tradotte da Gregory?» gli chiese O'Toole. «Siete libero di esaminare la mia biblioteca, tenente. È al primo piano. Ma, vi prego, maneggiate con cura i libri e i manoscritti che tengo nella parte a vetrina. Molte di quelle opere sono esemplari unici, insostituibili.» Quando O'Toole si alzò, Potter mise la mano in tasca e ne trasse il libro, che depose sul tavolo. «Non è necessario esaminare la biblioteca» disse. «Questo l'ho trovato in un portarifiuti sotto l'acquaio, in cucina.» Guardò Thornton negli occhi. «Mi dispiace d'essermi comportato così, ma ero praticamente certo che ve ne sareste sbarazzato il più in fretta possibile.» Delle chiazze di rossore spiccavano sul viso pallido di Thornton. I suoi occhi avevano una luce febbrile. Sembrava che una vampata di rabbia gli fosse esplosa dentro. Passò quasi un minuto prima che riuscisse a parlare e lo fece con voce tremante. «Non vi sembra di aver fatto una cosa molto sporca, Potter?» «Molto sporca, sì. Non quanto un assassinio, però. E anche meno sporca di una vendetta.» Adesso, Thornton riusciva di nuovo a dominarsi. «Naturalmente, avevo riconosciuto subito la citazione. Date le circostanze, sarebbe stata una pazzia conservare questo libro.» «Vogliamo riesaminare i vostri movimenti di ieri sera, signor Grant?» propose O'Toole. «Voi affermate d'essere rimasto a fumare nell'atrio du-
rante tutto l'intervallo. Vostro cugino sostiene di aver fatto altrettanto. Sanders Newton stava telefonando nell'atrio... lo abbiamo verificato. Ma nessuno di voi tre ha visto l'altro.» Il tic che contraeva la bocca di Thornton si accentuò. «Mi sono avvicinato a Cass per parlargli, ma lui mi ha voltato le spalle ed è uscito. Sapete quanto me che cos'ha fatto, tenente. È rientrato, salendo la scala di sicurezza che dà nel vicolo, e ha ucciso Eve, con o senza la complicità di Janet. Voi l'avete arrestato. Che cosa volete di più, in nome del cielo?» «L'abbiamo "fermato" per interrogarlo» lo corresse O'Toole. «A proposito» intervenne Potter «ho saputo che avete tentato di convincere vostro cugino a trasferirsi all'estero. Perché?» «Per prevenire un'altra tragedia» rispose Thornton senza esitare. «L'avevo detto a Janet, che sarebbe stato molto rischioso far rimettere in libertà Cass.» «Non volevate forse allontanarlo prima del vostro matrimonio con Eve?» Thornton non rispose e, poiché Hiram Potter non insisteva, O'Toole riprese a interrogarlo. «Volete riferirci tutto quello che avete fatto ieri sera, signor Grant?» «No. E penso che a questo punto dovrei chiamare il mio avvocato.» Potter tornò a intervenire. «Se vostro cugino fosse incriminato per l'assassinio di Eve Grant, gli dareste la disponibilità del suo patrimonio perché possa assumere un valido difensore?» «Dovrei aiutarlo a evitare un'altra volta la sedia elettrica? No, in coscienza non potrei farlo. Sarebbe come lasciare una belva libera di scatenarsi per le strade di una città. Avevo raccomandato a Janet di non toglierlo da Wentworth, dove non avrebbe più potuto nuocere, ma lei non mi ha dato ascolto. Se vuole offrire al fratello un grande penalista, il denaro non le manca. Ormai, le ho dato la piena disponibilità della sua quota ereditaria.» «Perché?» chiese Potter. «Janet mi ha convinto. Domandatele come ha fatto.» Thornton si alzò. L'aria decisa, autoritaria, che cercava d'imporsi, era irrimediabilmente smentita dal tic che continuava a contrargli le labbra. «Potete arrestarmi o andarvene. Ma io non dirò nemmeno una parola di più, se non in presenza del mio avvocato.» Anche i due uomini si alzarono. Potter porse a O'Toole il libro. «Avreste dovuto gettarlo nel fuoco del caminetto» disse a Thornton,
senza ironia. «La carta brucia molto più facilmente della tela dei quadri.» Nella strada, prima che O'Toole salisse sull'autopattuglia, Potter gli raccomandò: «Non dimenticatevi di procurarmi l'autorizzazione per un colloquio con Cass Grant.» Poi, prese un tassì e si fece portare a casa di Collinge. Il commediografo dormiva ancora, gli disse il domestico, e stava arrivando una telefonata dopo l'altra. Anche in quel momento, il telefono si mise a squillare. «Per voi, signore.» Da principio, Potter non riuscì a capire nemmeno una parola di quanto stava dicendo una voce affannosa e concitata. «Parlate più piano, per favore.» «Sono Janet Grant, signor Potter. Venite, per carità!» «Dove? A casa vostra?» «No. Sono in una tavola-calda della Quarta Strada. Venite subito, vi supplico! Lui è stato strangolato...» «Chi?» Ma la comunicazione era già stata interrotta. 12 Quel mattino, alle dieci, Janet si era svegliata e aveva automaticamente guardato l'orologio sul tavolino da notte. Dopo che Pete le aveva telefonato per avvertirla che Cass era stato trattenuto dalla polizia, aveva passato alcune ore d'incubo. Questa volta, nemmeno Pete sarebbe riuscito a salvare suo fratello, continuava a ripetersi. Sarebbe ricominciato tutto da capo... gli interrogatori, l'insopportabile pubblicità fatta dalla stampa, il processo. Cass in carcere. Cass sul banco degli imputati. Cass nella cella della morte. Perché non l'aveva lasciato a Wentworth? Tutti le avevano sconsigliato di battersi per farlo rimettere in libertà: Thornton, Anne Frederick, Pete. A poco a poco, era riuscita a dominare il panico e a riflettere in modo coerente, costruttivo. I Grant non erano tipi da arrendersi facilmente. Cass era innocente. Non aveva ucciso né Maitland Frederick, né Eve. Era uscito da Wentworth con un unico scopo: scagionarsi definitivamente, scoprire l'assassino di Frederick. Ecco a che cosa doveva aggrapparsi: alla certezza che l'assassino doveva essere smascherato. Ma come poteva riuscirci, lei? Nella biblioteca, aveva preso l'elenco telefonico di Manhattan, cercan-
dovi il numero di Graham Collinge. Il signor Potter avrebbe saputo consigliarla sul da farsi. Hiram Potter... Di scatto, aveva chiuso l'elenco. Hiram Potter le credeva. Diceva di crederle, almeno. C'era stata come una fiammata tra loro. Ma, poi, lui se n'era andato, senza nemmeno una parola. Non aveva previsto quella fiammata, non avrebbe voluto che divampasse. Ma Janet non si era mai sentita così viva come quando quell'uomo dall'aria tranquilla e riservata l'aveva stretta a sé. Per lei, Potter era un'ancora nella tempesta, uno scudo di fronte a tutto ciò che l'attendeva, ma era anche un potentissimo agente catalizzatore. In un attimo, le aveva fatto completamente dimenticare Pete Russlin e il suo affetto così tenace, così confortante. Pete, che aveva sacrificato la propria carriera per lei e per Cass. "Non importa", si disse. "Nemmeno per gratitudine, nemmeno per il bene di Cass, posso legarmi a Pete. Quando si scopre l'amore, l'affetto non basta più." Era tardi, quando salì nella sua stanza, fisicamente esausta, ma eccitata dalla tensione. Prese un sedativo che, infine, la fece cadere nel sonno. Quel mattino, si sentiva ancora stanca, intorpidita. Per alcuni istanti, fissò la sveglia senza vederla. Poi, sussultò, scoprendo che erano già le dieci. La domestica avrebbe dovuto portarle il caffè alle otto. Probabilmente, lei non l'aveva sentita bussare. Suonò il campanello accanto al letto e si alzò a sedere. Poco dopo, la cameriera comparve con il vassoio. Era vestita per uscire. Quando si avvicinò a Janet, evitò di incontrare i suoi occhi. Poi, andò ad aprire la finestra e parlò senza guardarla. «Mi dispiace, signorina, ma abbiamo letto i giornali e... e ci licenziamo tutti, ecco. Gli altri se ne sono andati mezz'ora fa, ma io ho pensato che almeno uno doveva restare per avvertirvi. Voi capite, vero? Ci sarebbe molto difficile trovare un altro buon posto, se fossimo coinvolti in... in questa faccenda. Capite, vero?» ripeté, imbarazzata. «Sì, capisco.» La donna uscì, chiudendosi la porta alle spalle, senza far rumore. Janet bevve il caffè, fece la doccia, si vestì. Mentre si spazzolava i capelli, raccogliendoli sulla nuca, notò che i suoi occhi cerchiati apparivano ancora più grandi e cupi del solito, dandole un'aria drammatica quasi teatrale. Quando scese le scale, i suoi passi riecheggiarono nella casa deserta. Decise che avrebbe fatto colazione mentre andava alla boutique. Nell'atrio, udì un suono confuso di voci provenire dalla strada. Spiò cautamente da
una finestra e vide una piccola folla radunata davanti all'ingresso. Tra i curiosi, si riconoscevano diversi fotografi e giornalisti. Janet si ritrasse. Non aveva la forza di affrontarli, non ancora. Telefonò alla boutique, per avvertire che sarebbe rimasta assente qualche giorno, e diede delle rapide istruzioni. «Ce la caveremo benissimo» le assicurò la direttrice. «Cercate di non angustiarvi troppo, signorina Grant. Per lo meno, la pubblicità ci ha procurato molte nuove clienti» concluse cinicamente. In cucina, Janet si preparò un toast e un altro caffè. Poi, decise di chiamare Pete per chiedergli quando avrebbe potuto vedere Cass. Prima che potesse comporre il suo numero d'ufficio; il telefono squillò. Lei corse a rispondere e udì una voce sconosciuta: una voce d'uomo, bassa e rauca. «La signorina Grant?» «Sono io.» «È ora che ci facciamo quattro chiacchiere, noi due.» «Chi siete?» chiese lei bruscamente. L'uomo sogghignò. «Non lo indovinate? Per quattro anni, avete parlato di me fin quasi a perdere la voce. E ieri sera, vi ho visto nel vicolo dietro il teatro.» «Chi siete?» ripeté Janet in un sussurro. «Mi avete inseguito e, per poco, non siete riuscita a fermarmi.» «L'uomo zoppo...» «Sentite, non c'è tempo da perdere» disse lui. «Dal modo come si sono messe le cose, vostro fratello non se la caverà, questa volta. A meno che noi due non si concluda un piccolo affare.» «Che genere di affare?» «Be', sapete, io ho visto l'assassino di Frederick.» «E quello di Eve?» L'uomo tornò a ghignare. «Pretendete troppo. No, quello non l'ho visto, ma la cosa non ha importanza. So chi l'ha uccisa. Non c'eravate solo voi dietro le quinte, ieri sera.» Imprecò, con rabbia. «Ha imitato il mio passo, ha cercato d'incastrarmi... avrei dovuto prevederlo. Dunque, signorina Grant, io posso scagionare vostro fratello, ma voglio ricavarne qualcosa, dato che corro un grosso rischio. Molto grosso, credetemi. Capite quale?» «Sì, certo. Farò tutto quello che volete.» «Voglio centomila dollari, in contanti. E li voglio oggi stesso. Poi, dirò come è stato ucciso Frederick e perché ci ha rimesso la pelle Eve. Ma badate bene... lasciatevi sfuggire una sola parola con qualcuno, prima di a-
vermi dato il denaro, e l'affare va a monte. Devo prendere le mie precauzioni, capite? E questo è un affare che si conclude oggi o mai più.» «Centomila dollari...» mormorò Janet. «Non ditemi che non li avete.» La voce dell'uomo si fece brusca. «So che Thornton Grant vi ha dato l'amministrazione del vostro patrimonio.» «Ma non ho centomila dollari in contanti. Dovrò vendere delle azioni, e questa non è una cosa che si possa fare in un giorno.» «Sbrigatevela voi. Fatevi prestare il denaro, se necessario, non vi sarà difficile, con le garanzie che offrite. Altrimenti, Cass è spacciato. Non vedo perché dovrebbero esserci delle complicazioni. Dite che il denaro vi serve per assumere l'avvocato difensore di vostro fratello.» «Ho sessantamila dollari in Buoni del Tesoro» rifletté lei ad alta voce. «E poi, ci sono i fondi della boutique... Va bene, in qualche modo ce la farò.» Lui le diede delle istruzioni. C era un vecchio magazzino di deposito, chiuso da tempo, nella Settima Strada, al Greenwich Village. L'avrebbe aspettata là. Doveva portare il denaro in banconote di piccolo taglio, non segnate. E doveva andare sola all'appuntamento. «Non aprite bocca con nessuno, chiaro?» «Sì. ma...» La comunicazione venne interrotta e Janet rimase a fissare il telefono. L'uomo zoppo... Si sentì pervadere da una nuova speranza. Finalmente, avrebbe saputo la verità. Un vecchio magazzino abbandonato... Chiunque avrebbe potuto farle quella telefonata, spacciandosi per lo zoppo. Sì, chiunque. Sarebbe stato pazzesco andare a quell'appuntamento, portando centomila dollari in contanti, senza che ci fosse qualcuno a proteggerla. Ma se l'uomo dalla voce rauca avesse detto la verità? Prese ad aggirarsi nell'atrio, premendosi le mani sulla bocca, tormentata dall'incertezza. Poi, chiamò l'ufficio di Pete. La voce della centralinista tradì una viva curiosità, quando lei le ebbe detto il proprio nome. La fece parlare con la segretaria di Pete. L'avvocato era in tribunale. Sarebbe tornato prima di pranzo, perché aveva un appuntamento con un cliente. Sì, gli avrebbe detto di telefonarle subito. Certo, aveva capito che si trattava di cosa urgente. Janet prese l'elenco telefonico di Manhattan e cercò il numero di Graham Collinge. Il domestico che le rispose si dichiarò molto spiacente. Il signor Potter era uscito presto, prima di colazione. Non aveva lasciato detto
dove andava. Che cosa doveva riferirgli? Di chiamare subito la signorina Grant? Era urgente? Sì, l'avrebbe avvertito. Janet depose il ricevitore, sentendosi sola, abbandonata, assurdamente delusa perché Hiram Potter non c'era proprio quando aveva tanto bisogno di lui. Andò nel salottino di sua madre, sedette alla scrivania e prese un libretto di assegni. Avrebbe potuto prelevare ventiduemila dollari dal fondo della boutique e diecimila dal suo conto corrente. Ma non bastava. Tracciò dei ghirigori su un foglio, poi si mise a mordicchiare la punta della penna. Non poteva chiedere un prestito a Pete, che era sempre a corto di denaro. Aveva la collana di perle della mamma, nella cassetta di sicurezza alla banca. No, le perle no... ma perché no, se sarebbero servite a salvare Cass? Salì nella sua stanza, prese un cappotto e, mentre se lo infilava davanti allo specchio, rammentò la folla radunata nella strada. Come avrebbe fatto a sfuggirle? Corse al secondo piano e, in un ripostiglio, trovò una valigia di tela, dimenticata anni prima da una domestica. Da un baule, tolse una vecchia cappa che sapeva di naftalina, una cappa di lana scozzese che la sua nonna paterna aveva comprato durante un viaggio in Inghilterra e si era ostinata a sfoggiare nonostante le ironiche proteste dell'intera famiglia. Lei sosteneva che era comoda e calda. Janet la indossò, si nascose i capelli con una sciarpa e inforcò gli occhiali neri. Poi, reggendo la valigia di tela, scese nell'atrio. Prima di aprire la porta, tirò un profondo respiro. Uscì, affrontando la folla con aria spavalda, e si aprì rapidamente un varco, avviandosi verso la Madison Avenue. Dopo una rapida occhiata, tutti si disinteressarono di lei, scambiandola per un'altra cameriera che si era affrettata a licenziarsi. L'agente Milstein, che si trovava tra la folla, la seguì con lo sguardo, pensando che era raro vedere una domestica vestita così male in un ambiente di classe come quello dei Grant. Poi, ebbe un sussulto. Le scarpe di vernice della donna gli rammentavano quelle che sua moglie aveva ammirato in una vetrina della Quinta Strada. Scarpe italiane, da novanta dollari. La cappa scozzese sapeva di naftalina. E quegli occhiali neri... L'agente Milstein si affrettò verso Madison Avenue, vide un tassì fermarsi e si mise a correre. Nella toilette per signore della Grand Central Station, Janet si tolse la cappa e la sciarpa, aprì la valigia e prese la giacca di pelliccia che vi aveva
messo. Calzò un berretto assortito e depose la valigia accanto alla parete. In banca, il cassiere le rivolse una rapida occhiata inquisitiva e poi cominciò a contare le banconote. «Non mi sembra prudente andare in giro da sola con questa somma, signorina Grant» le disse. «C'è qualcuno che mi aspetta, fuori» rispose lei. «E non vado lontano.» Il rotolo di banconote era più voluminoso di quanto prevedesse e quasi non riuscì a ficcarlo nella borsetta. Gli occhi del cassiere la seguirono, mentre si dirigeva verso la camera blindata. Quando aprì la cassetta di sicurezza, Janet scoprì che le tremavano le mani. Tolse dall'astuccio la collana di perle, toccandola con delicatezza, e poi la lasciò cadere accanto al denaro. Prese anche i Buoni del Tesoro e si presentò a un altro sportello. «Voglio venderli» disse. Anche quell'impiegato aveva letto i giornali. Le rivolse l'occhiata incuriosita cui lei non s'era mai abituata, che ogni volta le provocava una reazione di risentimento. «Un caso di emergenza» aggiunse in fretta, sapendo che non era tenuta a dare spiegazioni, ma incapace di frenarsi. L'uomo tornò a guardarla, senza la solita ammirazione che gli occhi maschili le tributavano. Anzi, quasi con ostilità. "Oh, Dio, pensa che abbia ucciso io Eve", pensò Janet. "Crede che stia facendo i preparativi per fuggire." Le venne da ridere e, subito dopo, provò un senso di malessere. Dietro sua richiesta, il denaro fu messo in una busta chiusa con un grosso elastico. Mentre attraversava in fretta il salone della banca, Janet notò che il primo cassiere al quale si era rivolta stava parlando con un uomo che le dava le spalle. L'impiegato la vide, disse qualcosa e l'uomo si girò di scatto. Janet si sentì avvampare. La sorella dell'assassino. Anzi, forse l'assassina stessa... Uscì dalla porta girevole, fece cenno a un tassì che si era appena fermato per scaricare un passeggero e diede al conducente l'indirizzo. Rimase seduta eretta, senza appoggiarsi allo schienale, stringendo a sé la borsa. Dietro di lei, l'agente Milstein stava dicendo al conducente del suo tassì: «Non perdetela mai di vista, mi raccomando.» «Non ci sarà una sparatoria, eh?» chiese il tassista, allarmato. «Niente sparatorie» lo rassicurò Milstein. «Vi è sfuggita mentre stavate per arrestarla?»
«No, ma è una persona sospetta» rispose l'agente. Poi, sentì il dovere di aggiungere: «Così pare almeno.» Vicino al magazzino abbandonato, un edificio cadente, coi vetri delle finestre rotti, c'era una casa d'affitto. Janet la indicò al conducente. «Fermatevi lì.» «Ma questo non è il numero che mi avete dato.» «Mi sono confusa.» Janet guardò il tassametro, pagò, scese ed entrò nello squallido ingresso della casa. Vi stagnava un odore di cavoli, d'aglio e di immondizia. Una carrozzina per neonato occupava quasi tutto il poco spazio. Appena il tassì si fu allontanato, Janet si affrettò a uscire, guardandosi attorno. Dietro una finestra al pian terreno della casa dirimpetto, c'era una donna anziana, seduta in poltrona, che aveva l'aria di godersi lo spettacolo della strada. All'angolo, un uomo era sceso da un tassì e sembrava stesse protestando per il prezzo segnato dal tassametro. Janet si avviò verso il magazzino. Tentò la maniglia della porta e scoprì che era già aperta. Senza esitare, entrò, chiudendosela alle spalle. Il magazzino era in uno stato di assoluto abbandono. La poca luce che filtrava dai vetri delle finestre non bastava a rischiararlo. C'era un odore di polvere, di umidità e di gatto. Lei rimase ferma, tendendo l'orecchio. Forse, l'uomo non era ancora arrivato. Le assi del pavimento erano rotte, qua e là. Si udiva uno scricchiolio, una specie d'eco, che veniva da chissà dove. Dal primo piano, forse? Le scale erano sulla destra. Mancava la ringhiera. Immobile, con gli occhi dilatati, Janet sentiva il proprio cuore battere come impazzito. Dal piano di sopra, le giunse un rumore di passi. D'impulso, si mosse, dirigendosi verso la scala. Poi, si fermò. Forse, lassù c'era un vagabondo che aveva trovato rifugio nel magazzino deserto. Un alcolista, un drogato, un maniaco sessuale... I passi tornarono a farsi sentire. Passi irregolari, ben noti. C'era lo zoppo, di sopra. «Ehi!» gridò Janet. «Sono qui!» Ci fu un'esclamazione, seguita da rumori strani, che non riuscì a distinguere. Le parve che qualcuno martellasse il pavimento con i tacchi. Di nuovo dei passi. Passi in corsa. Rapidi, sicuri. I passi di qualcuno che "non" zoppicava. Si udì aprirsi una finestra. E poi, silenzio. «Ehi, lassù!» chiamò di nuovo Janet.
Cautamente, tenendosi vicino al muro, salì le scale. Era quasi buio, al primo piano. «Dove siete?» gridò lei con voce acuta. In fondo al locale, c'era una finestra spalancata su una scala di sicurezza, dalla quale entravano folate di vento. Era la finestra che aveva sentito aprire da qualcuno. Qualcuno che "non" era l'uomo zoppo. Ma lui era venuto lì. Aveva riconosciuto il suo passo. Adesso era sola, nel silenzio che la faceva tremare. Sola, senza più l'unica speranza di poter salvare Cass. «Me ne vado» disse, con voce alta e decisa. «Ho il denaro con me, ma se non venite subito, non lo avrete mai più.» Silenzio. Janet si avviò verso le scale, poi tornò indietro per guardare dietro una pila di vecchie casse. Non svenne. Quando la nebbia che le era calata davanti agli occhi si dissolse, era ancora in piedi, appoggiata alle casse e fissava l'uomo riverso sul pavimento. Un uomo dal lungo naso a becco. Con un sopracciglio più alto dell'altro. E con una corda sottile stretta intorno al collo. 13 Nella tavola calda, Janet sedeva su uno sgabello davanti al banco e fissava la sua tazza di caffè ancora intatta. Era pallidissima e scossa da un tremito che non riusciva a dominare. Hiram Potter sedette su uno sgabello accanto a lei. Gli unici altri clienti erano quattro uomini riuniti in fondo al locale, che chiacchieravano a ridevano col proprietario. Nessuno di loro badava alla ragazza dall'aria stravolta. «Che cos'è successo?» le chiese Potter. Passò qualche istante prima che gli occhi di lei lo mettessero a fuoco. Allora, il suo tremito si accentuò. «Vi sentite svenire, Janet?» La ragazza scosse il capo. Poi, tese una mano a stringergli forte un braccio. «È stato ucciso, strangolato...» sussurrò. «Quasi sotto i miei occhi. L'ho sentito difendersi, scalciare sul pavimento. Deve aver lottato, prima di morire. Potter toccò la tazza del caffè. Era quasi fredda. Stava per chiamare il proprietario, ma poi decise che era meglio non farlo. L'uomo avrebbe certamente notato l'aria sconvolta di Janet, si sarebbe insospettito, l'avreb-
be ricordata.» «Ditemi tutto subito, in fretta.» Lei fece uno sforzo per riacquistare il controllo di sé e gli raccontò l'accaduto: la telefonata dell'uomo zoppo, i suoi inutili tentativi per mettersi in contatto con Pete e con lui, il trucco che aveva escogitato per uscire di casa inosservata, le operazioni compiute in banca, l'arrivo al magazzino abbandonato. Chissà quante tracce aveva lasciato dietro di sé, pensò Potter, scoraggiato. «L'assassino mi ha sentita chiamare» continuò Janet. «Ha aperto la finestra ed è fuggito dalla scala di sicurezza. E adesso, non c'è più nessuno che possa scagionare Cass.» Trattenne il respiro e strinse più forte il braccio di Potter. «Finora, non me n'ero resa conto, ma questo delitto gioca a favore di Cass, vero? Perché non l'ha commesso lui, voglio dire.» Notò l'espressione di Porter, s'interruppe di colpo e ritrasse la mano dal braccio di lui, portandosela alla gola. «Oh, certo, tutti penseranno che abbia ucciso io quell'uomo per aiutare mio fratello, mentre aveva un alibi, oppure perché ero ricattata. Dio mio...» «Calmatevi. Non potete permettervi di crollare, adesso. Ho bisogno della vostra collaborazione, Janet. Ci conto.» Quelle parole e il tono di Potter ottennero l'effetto voluto. Gli occhi di Janet persero quell'espressione quasi allucinata. «Continuerete ad aiutare Cass, vero?» «Lo aiuteremo insieme» rispose lui. «Ma, prima, dovete ritrovare il vostro autocontrollo. Adesso, voglio che torniate a casa. Più tardi, non appena possibile, mi metterò in contatto con voi. Aspettatemi e abbiate fiducia in me.» «Ho tanta fiducia, tanta.» Janet si lasciò scivolare giù dallo sgabello del bar e fece uno sforzo visibile per tenersi eretta. «Che cosa farete, adesso?» «Devo avvertire la polizia» rispose Potter. «Non vi è venuto in mente di farlo?» «Non ho buoni rapporti con la polizia» replicò lei, aspra. Potter le chiamò un tassì, le fece qualche raccomandazione, poi rientrò nella tavola calda per telefonare a O'Toole. «Stavo per uscire» gli disse questi. «Il mio agente che pedinava Janet Grant mi ha appena chiamato. Ha trovato il cadavere di un uomo in un magazzino. Aspettatemi, passo a prendervi.» Potter attese nella strada. Mentre si dirigevano verso il luogo del delitto,
riferì a O'Toole il racconto di Janet. «Avete già visto il cadavere?» gli chiese O'Toole. «No, non sono andato al magazzino. Ho raggiunto Janet nella tavola calda dalla quale vi ho telefonato.» «Milstein l'ha visto. Appena si è reso conto che la ragazza era uscita di casa camuffata da domestica, l'ha seguita alla Grand Central Station, dove lei si è cambiata d'abito. Poi, l'ha pedinata fino alla banca. Janet Grant ha fatto due prelievi ed è scesa nella camera blindata. Infine, l'ha vista entrare nel magazzino. Vi è rimasta una decina di minuti e, quando si è precipitata fuori, sembrava che fosse fuggita dall'inferno. Milstein l'ha seguita di nuovo, l'ha vista entrare nella tavola calda, fare una telefonata e poi sedersi davanti al banco del bar. Allora, è andato al magazzino. Sapete che quell'uomo è stato strangolato?» Potter annuì. Alcune autopattuglie erano già ferme davanti al magazzino, quando vi arrivarono. Potter si tenne in disparte, mentre i poliziotti e i tecnici della Scientifica si mettevano all'opera. Fece scorrere lo sguardo lungo la strada. Il magazzino occupava la maggior parte dell'isolato. A destra, c'era un'area fabbricabile, a sinistra un vecchio edificio a tre piani. Sull'altro lato della via, c'erano alcuni caseggiati, con qualche negozio. Al piano terreno di uno stabile quasi dirimpetto al magazzino, vide una donna seduta alla finestra. Si augurò che fosse lì da almeno un'ora e che non l'avesse attratta l'arrivo delle autopattuglie con le sirene spiegate. Forse, aveva visto qualcosa d'importante. Mentre i fotografi e i tecnici erano al lavoro, Potter passeggiava su e giù, riflettendo. Se la storia dell'uomo zoppo era vera, se lui aveva assistito all'assassinio di Maitland Frederick, probabilmente aveva ricattato il colpevole sin da allora. Perché aveva improvvisamente cambiato tattica? E come sapeva che, adesso, Janet aveva la disponibilità del proprio patrimonio? Di questo, i giornali non avevano parlato. Dunque, poteva averlo appreso in un unico modo. Lui non ne vedeva altri, almeno. O'Toole lo chiamò e Potter salì al primo piano del magazzino, unendosi al gruppo di uomini che stavano osservando il corpo inerte. Il medico si alzò, spolverandosi con le mani i pantaloni impolverati. «Uno zoppo, senza dubbio» dichiarò. «Probabilmente, soffriva di tubercolosi ossea. È morto da mezz'ora al massimo.» O'Toole guardò Potter. «L'avete mai visto?» «Mai.»
«Non ha documenti d'identità. Dovremo controllare le impronte digitali.» «Perché non lo fate esaminare da Haskel?» suggerì Potter. «Il test della fluoroscina? Dunque, credete alla storia di Janet Grant?» «Sì, ci credo. E perché non fate venire qui la signora Simmons? Forse, lei può identificarlo.» O'Toole socchiuse gli occhi. «Credete che fosse il patrigno di Eve Grant?» «Quest'uomo sapeva che Janet aveva la disponibilità del suo patrimonio. Secondo me, può averlo appreso solo da Eve, alla quale l'ha detto Thornton Grant.» «Perché?» «Perché Eve gliene ha parlato? Non lo so. Comunque, mi sembra una possibilità.» Tre quarti d'ora dopo, Haskel telefonò a O'Toole. Il tenente scambiò con lui poche parole e si rivolse a Potter. «Okay, l'avete azzeccata. Aveva della fluoroscina sulla giacca e sulle mani.» «Fino a questo punto, dunque, le dichiarazioni di Janet Grant sono confermate. L'ha inseguito nel vicolo, l'ha toccato... Si può quindi presumere che abbia detto la verità anche a proposito dell'assassinio di Frederick.» Un poliziotto si fece sulla porta e introdusse la signora Simmons. O'Toole si mostrò pieno di tatto con lei. Avevano bisogno del suo aiuto, le disse. Dovevano procedere a una identificazione. Se voleva seguirli... La donna obbedì passivamente. Quando fu davanti al corpo dell'ucciso, indugiò a fissarlo per alcuni istanti. O'Toole le teneva un braccio, pronto a sorreggerla se fosse svenuta. «Sì, è Verne» disse la signora Simmons. «Mio marito.» E scoppiò in una risata irrefrenabile, isterica. O'Toole la sospinse verso una sedia. Lei continuò a ridere forte, poi s'interruppe di colpo. «È morto» mormorò. «Morto...» «Mi dispiace di avervi procurato questo shock. Avrei dovuto prepararvi.» «Non preoccupatevi. Io non sono addolorata, neanche un po'. Anzi, sono felice. Sì, felice! D'ora in poi, lui non potrà più farmi paura. Sono libera, capite? Non mi sembra vero...» Potter suggerì a O'Toole di portare la signora Simmons a pranzo in un
ristorante. Mentre mangiava con ingordigia, come se avesse sofferto la fame per chissà quanto tempo, lei continuò a parlare. Sembrava incapace di fermarsi. «Abbiamo sempre avuto paura di Verne, Eve ed io. Aveva un temperamento collerico, violento, e spesso ci picchiava. Ha venduto mia figlia a Frederick quando Eve aveva appena diciassette anni. Be', non credo che lei ne abbia sofferto. Era già molto sensuale e Frederick ci sapeva fare. Sembrava pazzo di lei, e spesso dava del denaro a Verne. Ma poi, naturalmente, Eve ha voluto sposarsi. Doveva pensare all'avvenire. A suo modo, era furba. Frederick era dispostissimo a lasciare che si trovasse un marito, tanto le cose non sarebbero cambiate tra loro.» Sul suo viso apparve un'espressione divertita che aveva qualcosa di osceno e che fece trasalire i due uomini. «Dopo essersi sposata, Eve mi ha dato del denaro perché me ne andassi da New York con Verne. Non poteva presentarci ai Grant, è chiaro. Mi sono trasferita in Arizona, dove ho trovato un lavoro. Facevo le pulizie in un caseggiato. Eve sperava che Verne mi avrebbe seguito.» «E invece, lui non è venuto in Arizona?» «Non ne ha voluto sapere. Preferiva restare qui, dove c'era il denaro a portata di mano.» «Chi glielo dava, signora Simmons?» Lei scrollò le spalle. «A volte, Frederick, a volte Eve. Ma lei non aveva molti soldi a disposizione, quando era sposata con Cass Grant. Il vecchio Grant disapprovava il matrimonio del figlio e lo ha costretto a lavorare per guadagnarsi da vivere. In seguito, naturalmente, ha dato a Eve una bella somma per farla testimoniare a favore di Cass. Tremila dollari, le ha dato.» «Voi avete mai visto il "nudo" dipinto da Frederick?» le chiese O'Toole. La donna tornò a scrollare le spalle gracili. «Credo che si possa parlarne, ormai. Tanto, tutto il male è già stato fatto. Sì, Verne era rimasto sempre in contatto con Allie... con Eve. Sapeva che lei e Frederick continuavano a incontrarsi e teneva d'occhio lo studio. Una volta, è riuscito a entrarvi e a fotografare il quadro che Frederick stava dipingendo.» L'avidità con cui la donna si era gettata sul cibo sembrava placata, per ora. Due chiazze rosse le erano apparse sugli zigomi. «Non capisco come Eve abbia potuto fare una cosa simile» disse. «L'avevo educata bene, io. Naturalmente, Verne non si è lasciato sfuggire l'occasione. Frederick ha pagato senza batter ciglio per avere quella foto e il negativo. Ma Verne ne aveva fatto delle copie.»
«Quante?» chiese Potter. «Quattro. Una per sé, una per Frederick, una per Eve e una non so per chi, ve l'assicuro. Verne non me l'ha mai detto. Diceva che quel "nudo" l'aveva sistemato per tutta la vita.» Prese in mano la forchetta, tornò a deporla. «Appena Eve si è fidanzata con Thornton Grant, ha cominciato a ricattarla con quella foto. Lei gli ha dato dei gioielli che le aveva regalato Frederick. Aveva tanta paura che Verne la mostrasse a Thornton. E poi, mio marito sapeva dei tremila dollari che il vecchio Grant le aveva dato per farla testimoniare in favore di Cass, e gliene ha spillato una buona parte. Quel denaro l'avrà speso con delle ragazze, immagino, e per comperarsi degli abiti eleganti, una macchina. Aveva un appartamento, non so dove. Con me, si faceva vivo solo ogni tanto, quando aveva bisogno di qualcosa.» La signora Simmons rifiutò il dessert. «Eve era quasi impazzita per la paura. Non sapeva mai quando Verne sarebbe andato a chiederle dell'altro denaro. Subito dopo il suo fidanzamento con Thornton Grant, lui è tornato alla carica, ma Eve gli ha detto che Thornton l'avrebbe piantata, se avesse saputo della sua relazione con Frederick e del "nudo" per cui aveva posato, così non avrebbe più potuto dargli neanche un soldo. «Mia figlia sapeva che la signorina Grant era entrata in possesso della sua parte di eredità. Gliene aveva parlato Thornton Grant. E lei lo ha detto a Verne, per liberarsene, per fornirgli un'altra preda. Ma perché si aspettasse che la signorina Janet desse del denaro a Verne, questo non lo capisco proprio. Così, lui ha cominciato a tener d'occhio Janet Grant. Ma, intanto, non mollava Eve. Era Verne a provocare tutti quegli incidenti nel suo camerino e a telefonarle di notte, per non lasciarla dormire.» «Dunque, vostra figlia conosceva il suo persecutore» la interruppe O'Toole, allibito. «E voi pure.» «Ma certo. Ecco perché Eve voleva che la signorina Janet andasse a teatro: per farle sentire il passo di Verne, sperando che lei non se lo lasciasse sfuggire. Una trappola, sì. Ve l'ho detto che Eve era furba, a suo modo. Ma quando Janet Grant è entrata nel camerino, Verne non c'era più. Era venuto prima e aveva afferrato Eve per un braccio, procurandole quel livido, per costringerla a dargli del denaro. Poi, se n'era andato. E così, ormai è tutto finito. Verne era l'unico a sapere.» «A sapere che cosa?» domandò O'Toole. «Chi ha ucciso Maitland Frederick.» «Dunque, voi non avete mai creduto che l'assassino fosse Cass Grant?»
La donna scosse il capo. «Perché?» «Perché qualcuno continuava a dare del denaro a Verne. Frederick era morto, Eve aveva solo quei tremila dollari. Dunque, chi poteva darglielo se non l'assassino che lui ricattava? Cass e Janet non hanno avuto che una piccola rendita sull'eredità del padre, quindi non erano in grado di pagarlo. E il peggio è che Verne era anche l'unico a sapere chi ha ucciso mia figlia.» La signora Simmons fece una breve pausa, poi disse: «Ripensandoci, credo che mangerei volentieri una creme caramel con panna montata.» 14 Hiram Potter e il tenente O'Toole della Squadra Omicidi si conoscevano da diversi anni. La loro collaborazione era cominciata per caso, durante un'indagine: allora, O'Toole aveva fatto del suo meglio per dimostrare che Potter era un pluriomicida e aveva finito col salvargli la vita. L'ostilità e la diffidenza reciproche si erano trasformate in un legame di fiducia e simpatia rimasto sempre immutato. Adesso, quel legame sembrava destinato a sciogliersi per far posto a un rinnovato antagonismo. «Cass Grant non ha ucciso Simmons!» protestò con foga Hiram Potter. «Lo tenete sotto custodia e non potrebbe avere un alibi più solido. Non vedo motivo per prolungare il suo stato di fermo.» O'Toole si accese una sigaretta, evitando d'incontrare gli occhi di Potter, e tacque ostinatamente. «Si può sapere che prove avete contro di lui?» insisté Hiram Potter. «Oh, basta!» replicò O'Toole, irritato. «Non lo tratteniamo per l'assassinio di Simmons, questo è ovvio. Ma voi sembrate aver dimenticato che ci stiamo occupando anche di quello di Eve Grant. E il movente più forte, in questo caso, lo aveva l'ex marito. Gelosia. Vendetta perché, quattro anni fa, lei aveva tentato di spedirlo sulla sedia elettrica. Cass non ha alibi per questo delitto. Ha mentito, affermando d'essere rimasto nell'atrio, durante l'intervallo. E resterà in stato di fermo finché non avrà detto la verità.» «Vorreste farmi credere che ci sono due assassini? Chi ha ucciso Simmons?» O'Toole scrollò il capo. «Accidenti, Potter, lo sapete che non mi occupo di questo caso. Se potessi, rinunzierei all'incarico. La prospettiva di far condannare a morte una donna mi angoscia.» Potter impallidì. «Che cosa volete dire?»
«L'avete capito benissimo.» O'Toole diede un'occhiata all'orologio e si alzò. «Aspettate» disse Potter. «Non avete nessuna prova contro Janet Grant. Lei aveva tutto l'interesse a proteggere Simmons, l'unico che avrebbe potuto testimoniare in favore di suo fratello.» O'Toole lo guardò in silenzio, poi annuì. «Okay. Adesso sedetevi, mi dà sui nervi vedervi passeggiare continuamente su e giù. Sedetevi, ho detto, e vi riassumo la situazione in poche parole. Dunque, Thornton riferisce a Eve che ha dato a Janet la disponibilità del suo patrimonio. Eve lo dice a Simmons per indicargli un'altra fonte di rifornimento e toglierselo dai piedi. Poi, Cass uccide Eve. L'odio che ha covato per quattro anni contro la ex moglie esplode, quando scopre che lei sta per sposare Thornton e, di conseguenza, sta per mettere le mani anche sul "suo" patrimonio, amministrato dal cugino. Simmons, che sa tutto, si mette in contatto con Janet, esige centomila dollari per aiutare Cass. Janet è terrorizzata. Combina un appuntamento con Simmons, esce di casa travestita, lo uccide mentre Cass ha un alibi di ferro e non spende un soldo.» «In tal caso» lo interruppe Potter, con calma «dovrete trovare una quarta persona, vero?» «Che cosa intendete dire?» «Intendo la persona che ha la quarta copia della fotografia di quel famoso "nudo". La persona che Simmons ricattava e che non può essere Janet Grant, ovviamente. Fino a tre mesi fa, lei non aveva abbastanza denaro per pagarlo. E adesso, vorrei vedere Cass Grant» concluse. Aveva riacquistato un'aria sicura e ottimista. «Che cosa avete in mente?» gli domandò O'Toole, insospettito. Potter gli rivolse un sorriso disarmante. «Di aiutarvi a chiudere il caso» rispose. «Questa volta, non dovete immischiarvi» dichiarò il tenente. «Per il vostro bene, Potter.» Rispose al telefono la ricezionista di Pete Russlin. L'avvocato era occupato con un cliente, disse. Poteva riferirgli un messaggio? Il signore voleva parlare con la segretaria? Ci fu uno scatto e poi una voce disse: «Sono la segretaria dell'avvocato Russlin.» «Mi chiamo Hiram Potter. Desidero avere un colloquio con Cass Grant. L'avvocato Russlin può combinarmi un incontro al più presto?»
La segretaria rispose che avrebbe riferito la sua richiesta. No, non sapeva quando l'avvocato sarebbe stato libero. Aveva molti impegni, quel giorno. Potter interruppe la comunicazione. La segretaria di Pete non voleva collaborare, era chiaro. Aveva reagito con istintiva ostilità, sentendo fare il nome di Cass Grant. Lo studio legale di Russlin era nella Madison Avenue: un piccolo appartamento con una stanza di ricezione arredata in stile modernissimo e una bella ragazza bionda seduta alla scrivania. Oltre all'ufficio di Russlin, ce n'era uno per il suo assistente e un altro, più piccolo, per la segretaria. Il signor Russlin non aveva fatto che andare e venire tutto il giorno, spiegò la ricezionista con un tono di rammarico, come se le dispiacesse deludere Hiram Potter. Adesso, non c'era. «Forse, avrà lasciato un messaggio per me.» La ragazza premette il pulsante dell'interfono, scambiò poche parole con la segretaria e sorrise. «La signorina Clark vi aspetta, signor Potter. La prima porta a sinistra del corridoio.» La signorina Clark era giovane, graziosa, elegante e sofisticata. Ma il tutto era guastato da uno sguardo sfuggente e dalla bocca imbronciata. «Il signor Potter? L'avvocato Russlin vi ha ottenuto l'autorizzazione. Non dovete far altro che andare alla Centrale di polizia.» «Grazie.» Potter si sedette davanti a lei. Trasse di tasca il portasigarette e glielo porse. Lei esitò, scrutandolo come per valutarlo. Il suo viso esprimeva l'ostilità che la voce aveva rivelato al telefono. Potter sostenne quell'esame sorridendo. «Grazie» disse infine la ragazza. Prese una sigaretta e lasciò che lui gliel'accendesse. Potter aspirò una lunga boccata di fumo. «Perché siete ostile a Cass Grant?» le chiese, poi. «E perché non dovrei esserlo?» ribatté la signorina Clark, con voce vibrante di tensione. «Lavoro qui da sette anni, ho visto l'avvocato Russlin fare una brillante carriera. Poi, si è lasciato coinvolgere nel caso Grant. È arrivato quasi al punto di farsi radiare dall'albo per salvare quell'assassino. E, da allora, lavora come un cane per guadagnarsi da vivere. Non ha più la clientela di un tempo. Adesso, si rivolgono a lui solo persone con pochi soldi e soprattutto gente equivoca, truffatori, delinquenti di piccolo calibro. Non riuscirà più a risalire, a riconquistare il successo professionale.» «Comunque, ha avuto almeno la fortuna di trovare una segretaria leale,
fedele, e questo non è poco» disse Potter. La ragazza arrossì, la sua espressione si fece meno dura. Era innamorata di Russlin, senza dubbio. Chissà se lui l'aveva capito, pensò Potter. «Lavora tanto» riprese la signorina Clark «e questo lo aiuta a scaricare la sua esuberante energia vitale, il suo bisogno d'essere sempre in azione. Ma quello che più desidera, quello che gli manca, è il riconoscimento delle sue doti non comuni. Vi assicuro che ci sono pochi penalisti tanto capaci e brillanti. Quindi, lui si sente un fallito.» Potter scrollò il capo, con fare comprensivo. «E credete che Janet Grant sia addolorata per quello che gli ha fatto?» riprese la ragazza. «Nemmeno per sogno. È una donna fredda, egoista, che pensa solo a quel pazzo di suo fratello. Pete... il signor Russlin ha tentato di convincerla che doveva lasciarlo a Wentworth, ma Janet non gli ha dato ascolto. E adesso che Cass Grant ha ucciso anche la moglie, lui è pronto ad assumersi un'altra volta la sua difesa.» Aspirò nervosamente qualche boccata di fumo, poi spense la sigaretta nel posacenere. «Bene, andate da Cass Grant, se ci tenete tanto a vederlo, ma al vostro posto, userei molta prudenza. Dovrebbero mettergli la camicia di forza, a quel pazzo omicida.» «Siete proprio sicura che sia pazzo?» «Non avete ancora saputo le ultime notizie?» replicò lei, invece di rispondere. «Quali notizie?» «A proposito del dottor Beldner, lo psichiatra che Janet Grant ha fatto venire qui dalla Svizzera.» «Che cosa gli è successo?» «È stato ucciso questa mattina, a Zurigo, da un paziente che aveva fatto dimettere dal manicomio.» Cadde una lunga pausa. «Che disastro...» mormorò Potter, spezzando infine il silenzio. Il viso di Cass Grant appariva profondamente mutato. L'espressione fredda e risoluta, che aveva colpito Potter durante l'intervista televisiva, era scomparsa. Adesso, tutti i muscoli sembravano essersi rilasciati, gli occhi avevano uno sguardo apatico. Quell'uomo si era arreso a priori, non voleva nemmeno tentare di battersi. Salutò con un cenno Hiram Potter e rimase in piedi, dall'altra, parte del tavolo, appoggiandosi alla spalliera della sedia.
«Chi vi ha mandato qui?» chiese. «Siete un amico di Thornton, vero? Fatemi il favore di andare al diavolo. Non voglio vedere né voi, né altri inviati di mio cugino. E se per caso siete un giornalista...» «Non sono un giornalista» lo interruppe Potter. «E nemmeno un amico di vostro cugino. Forse, voi non mi volete tra i piedi, ma vi assicuro che avete bisogno di me.» Cass lo fissò con una punta d'interesse. «Davvero? E come mai?» Potter sorrise. «Perché sono l'unica persona al mondo, oltre a vostra sorella, convinta che non abbiate ucciso Maitland Frederick. E, forse, anche l'unica che non vede in voi l'assassino di Eve. Credo che siate la vittima di un abilissimo complotto.» Le mani di Cass si contrassero sulla spalliera della sedia. «E ho intenzione di dimostrarlo» continuò Potter. «Dunque, smettetela di comportarvi come se foste in trance e sforzatevi di aiutarmi. Innanzi tutto, sedetevi e rilassatevi. In fretta, se possibile. Non ci lasceranno passare tutto il pomeriggio insieme. Quindi, non c'è tempo da perdere.» Cass obbedì, senza staccare gli occhi dal viso di Potter. «Non capisco» disse. «Perché lo fate? Se aveste un po' di cervello, vi rendereste conto che non ci sono speranze per me. Ormai, neanche Pete Russlin può salvarmi. I miracoli non si ripetono. Comunque» aggiunse, serrando le mani a pugno finché le nocche non sbiancarono «preferisco sedermi sulla sedia elettrica che non tornare a Wentworth. Un paio di scariche e questo inferno sarà finito, per me.» Hiram Potter accese una sigaretta, costringendosi ad assumete un'aria tranquilla. «Naturalmente, se non siete disposto a battervi, aggraverete la vostra situazione.» «Battermi! Buon Dio, e come?» «Dicendo la verità» rispose Potter. «Tutta la verità. Non l'avete mai detta, nemmeno quando era in gioco la vostra vita. Sono pronto a scommettere la testa che, al processo Frederick, solo una persona non ha mentito.» «E chi sarebbe?» «Vostra sorella. Ecco perché sono qui. Ho promesso a Janet di aiutarvi.» I due uomini si scambiarono un lungo sguardo. Poi, Cass disse: «Pete Russlin è innamorato di lei. Credo che Janet l'avrebbe sposato, se non fosse stato per me. È meglio che sappiate come stanno le cose prima... prima che vi lasciate coinvolgere» concluse, imbarazzato. Potter ghignò. «Sono anni che mi lascio coinvolgere in casi di questo genere.»
«Ah. Bene, cosa volete che faccia?» «Riferitemi esattamente tutto ciò che ricordate dell'assassinio.» «Ma io non so niente!» protestò Cass. «Vi giuro che non ho messo piede dietro le quinte.» «Non intendo l'assassinio di Eve, ma quello di Maitland Frederick.» «Non capisco perché...» «In nome del cielo, sbrigatevi!» lo interruppe bruscamente Potter. «Non c'è tempo da perdere, ve lo ripeto.» «Da dove volete che cominci?» «Dall'inizio. Dal mattino di quel giorno.» «Sono uscito con un cliente che voleva comprare tre macchine: un modello sportivo, una giardinetta e un'utilitaria per sua moglie. Una di quelle cose che non capitano quasi mai. E gliele ho vendute tutte e tre.» La voce di Cass si era fatta più vivace, al ricordo di quel successo, il suo viso aveva perso l'espressione apatica. «Sono rimasto col cliente dalle nove del mattino alle tre pomeridiane. Lui l'ha testimoniato. Non ci siamo separati nemmeno per un minuto.» Eccitato da quel successo, era corso a casa per dare la notizia a Eve. L'avrebbero festeggiato in grande stile: pranzo in un ristorante alla moda, teatro, night club. Eve... Cass s'interruppe per un attimo e poi disse che Eve andava pazza per gli svaghi mondani, ma che dopo il matrimonio lui non aveva avuto abbastanza denaro per offrirglieli spesso. Quando era arrivato a casa, aveva trovato Thornton davanti alta porta. Il domestico che avevano a quel tempo... non ne ricordava il nome, Gherkins o qualcosa di simile... era venuto ad aprire. «Thornton vi faceva spesso visita?» s'informò Potter. «Veniva a cena una volta al mese. Non eravamo molto affiatati. Thornton era maggiore di me e Janet, aveva interessi diversi dai nostri. Piaceva più a mio padre che a noi. Entrambi collezionavano libri, anche se Thornton era specializzato in testi di letteratura classica, mentre papà faceva una raccolta generica.» «Se non sbaglio» disse a questo punto Hiram Potter «non sono state svolte indagini su quello che aveva fatto vostro cugino durante la mattinata e nelle prime ore del pomeriggio.» «Ma lui non può aver avuto niente a che fare con quel delitto» protestò Cass. «Ne siete convinto?» «Be', non vedo come...»
«Eve. Thornton voleva sposarla, no? Potrebbe essersi innamorato di lei molto tempo fa.» «Per Eve, questo sarebbe stato un matrimonio d'interesse» dichiarò Cass. «Al tempo in cui è stato ucciso Frederick, Thornton non aveva ancora l'amministrazione del mio patrimonio, e quindi dubito che lei l'avrebbe degnato di un'occhiata. Inoltre, è impossibile che Thornton sapesse della sua relazione con Frederick, quindi, anche ammettendo che amasse Eve, non avrebbe avuto un movente per assassinarlo.» «Sapete, mi sembra un miracolo che siate sfuggito alla sedia elettrica» commentò Potter. «Si direbbe che vi affanniate a scagionare tutti e a incriminare voi stesso.» «Per carità!» Inaspettatamente, Cass sorrise. «Non esiterei a mandare chiunque sulla sedia, pur di salvarmi, ma Thornton no, accidenti! Non è stato lui. Non ha il temperamento irascibile e impulsivo dei Grant. Jan e io sì, lo abbiamo. Ma in Thornton, impulsi e sentimenti sono sempre rimasti surgelati.» «Forse, Eve lo ha aiutato a scongelarli» insinuò Potter. Cass si strinse nelle spalle. «L'attrezzatura per riuscirci l'aveva. E Dio sa quanto male ha fatto con la sua bellezza. Qualche mese fa, Thornton ha dato a Jan la disponibilità del suo patrimonio. Mia sorella crede che abbia ceduto perché lo aveva minacciato di rendere pubblicamente noto il suo rifiuto, informandone la stampa. Ma non è così. Thornton voleva sposare Eve e non osava farlo fin tanto che, come tutti sapevano, disponeva della quota ereditaria di mia sorella. Sarebbe stata una cosa troppo sporca.» «Capisco» disse Potter. «Ma, adesso, parliamo dell'assassinio di Frederick.» «Mio padre era a letto, con l'influenza, e Thornton voleva fargli visita. È entrato nella biblioteca, mentre il cameriere saliva a informare papà del suo arrivo.» «Come fate a saperlo?» lo interruppe Potter. «Jan lo ha trovato lì pochi minuti dopo. Non avrebbe avuto il tempo di andare altrove.» «Continuate.» «Appena sono rientrato, Jan mi ha preso in disparte per dirmi della telefonata di Anne Frederick. Ho pensato che quella donna mentisse e volevo farle una scenata. Poi, mi è venuto anche il dubbio che Frederick avesse insistito, convincendo Eve a posare per lui.» Cass s'interruppe, per farsi accendere da Potter una sigaretta. Gli trema-
vano leggermente le labbra. Aspirò una lunga boccata, per allentare la tensione. «Jan mi ha detto che ne aveva già parlato con Eve e che, prima di tutto, avrei dovuto chiedere spiegazioni a lei. Naturalmente, Eve ha negato ogni accusa. Si è aggrappata a me, piangendo, mi ha supplicato di non precipitare le cose, di affrontare i Frederick solo dopo essermi calmato, e poi...» Arrossì intensamente. «Be', accidenti, il sesso era la sua arma più efficace.» «Una tattica per temporeggiare.» «Che cosa intendete dire?» «Quando vostra sorella è uscita dalla stanza, dopo averle riferito le accuse della signora Frederick, Eve ha telefonato a qualcuno.» Cass lo fissò, allibito. Poi, con un sospiro, schiacciò nel posacenere la sigaretta quasi intatta. «Sono andato a cercare Frederick» riprese. «Era inutile coinvolgere anche sua moglie. Quando la domestica mi ha aperto, Anne Frederick e Thornton erano insieme, nel salotto. Mio cugino ha tentato di fermarmi, ma io l'ho respinto e sono corso allo studio.» Ebbe un gesto d'impazienza. «Sono cose che avrò ripetuto almeno cento volte.» «Ma non avete detto tutto» obiettò Potter. «Questa volta, non dovete tacere niente.» «La porta dello studio era aperta. Sono entrato e ho visto Frederick riverso sul pavimento. L'avevano strangolato. Sul cavalletto, c'era il ritratto di Eve. L'ho bruciato nel caminetto.» «Perché avete sempre negato l'esistenza di quel "nudo"?» «Perché mi attribuiva un movente molto forte» rispose Cass. «Ma non valeva la pena di commettere un omicidio per Eve. E io non ho ucciso Frederick. Quando ho capito chi era Eve, tutto mi è diventato indifferente.» I due uomini tacquero, ciascuno immerso nei propri pensieri. «Frederick non si è certo strangolato da solo» disse infine Potter. «Sembra assolutamente escluso che abbia potuto farlo sua moglie. Ammettiamo che voi e Thornton non abbiate mentito. Lui ha sentito qualcuno muoversi nello studio e voi avete trovato Frederick morto. Rimangono due grossi interrogativi: chi era questo qualcuno e come ha fatto a introdursi, non visto, nello studio? Aveva a disposizione due o tre minuti al massimo.» «Che strano...» mormorò Cass, quasi tra sé. «In tutti questi anni, ho continuato a chiedermi "chi" aveva ucciso Frederick e mai "come" aveva fatto.» Potter notò che si era acceso in lui un vivo interesse, che era pronto a
sviscerare il problema. «Conoscete bene la pianta delle due case e del giardino?» «Solo grosso modo. Non le ho visitate.» «La facciata dà direttamente sulla strada. Entrambe hanno anche una porta d'ingresso nel seminterrato e una porta-finestra nel piccolo soggiorno sul retro, dalla quale si accede al giardino.» «Perché siete passato dalla casa accanto, per andare allo studio?» «Erano in corso dei lavori di restauro della facciata posteriore e uno degli operai aveva rotto un vetro della porta-finestra. In attesa di sostituirlo, l'avevano bloccata con delle assi e non si poteva aprirla.» «Dunque, quel giorno, era possibile entrare in entrambe le case sia dall'ingresso principale sia da quello del seminterrato, ma per raggiungere lo studio si doveva necessariamente passare dalla portafinestra del tinello dei Frederick.» «La situazione è ancora più complicata. La porta principale di tutte e due le case veniva tenuta sempre chiusa a chiave, e all'ora del delitto c'erano dei domestici nel seminterrato di entrambe. A meno che l'assassino non avesse la facoltà di rendersi invisibile... No, capite? Non poteva esserci nessuno, oltre alle persone presenti.» Potter sospirò. «Voi, Thornton o un estraneo: l'unica soluzione è questa. E l'estraneo "deve" avere avuto un mezzo per introdursi nello studio. Riflettete, cercate di capire come ha fatto.» Cass scosse il capo. «Jan ha tentato di dimostrare che c'era qualcuno nello studio, raccontando quella storia di un uomo zoppo che puliva i vetri delle finestre. Se l'è inventato, Potter. Cercava di salvarmi, povera Jan.» «Questa mattina, vostra sorella ha ricevuto la telefonata di un uomo che ha detto d'essere il misterioso zoppo. In cambio di centomila dollari, era disposto a denunziare l'assassino di Frederick e di Eve.» Cass sussultò. «Mio Dio! E lei ci è cascata?» «È andata all'appuntamento con quell'uomo, ma non gli ha dato il denaro.» «Grazie al cielo. L'hanno arrestato?» «È stato ucciso. Strangolato.» «Ucciso?» «Già. Sua moglie lo ha identificato. Era il patrigno di Eve, Verne Simmons. Soffriva di tubercolosi ossea e zoppicava. Simmons era anche l'uomo che da qualche tempo perseguitava Eve.» Cass si protese verso di lui. «Potter, che cos'è successo a Jan?»
«Ha avuto un brutto shock, scoprendo il cadavere. L'ho mandata a casa. Con il denaro intatto.» «Al diavolo il denaro! Adesso, la polizia sospetterà che Jan abbia ucciso quell'uomo per dimostrare la mia innocenza. L'arresteranno?» «Smettetela di gridare e rilassatevi.» Cass si appoggiò allo schienale della sedia, ma le sue mani si contraevano spasmodicamente. «Per ora, non c'è pericolo che arrestino Janet. Anzitutto, perché lei non può aver ucciso Frederick. In secondo luogo, perché una verifica dei suoi depositi bancari dimostrerà che non può essere la persona che Simmons ricattava da tempo. La polizia dovrà riesaminare il caso da capo e finirà senza dubbio per scoprire l'uomo che ha ucciso Frederick, vostra moglie e Simmons.» «Ne sembrate molto sicuro» osservò Cass, stupito. «Lo sono. Vi garantisco che non si commetteranno altri errori.» «Vorreste mettervi al più presto in contatto con Russlin? Lui troverà qualche soluzione per proteggere Jan. L'ama ed è sempre stato un buon amico per noi. Il migliore. Ha compiuto miracoli per evitarmi la condanna a morte e poi per farmi trasferire dal manicomio di Stato a Wentworth. Si è giocato la reputazione per me, lo sapete. L'hanno bersagliato di critiche, qualcuno l'ha persino accusato di aver corrotto la giuria. Non si è più ripreso, professionalmente. La maggior parte dei clienti di un tempo l'ha lasciato. Noi non potremo mai dimostrargli abbastanza gratitudine.» Accettò un'altra sigaretta che Potter gli offriva e, questa volta, la fumò rilassandosi. «Pete è un avvocato in gamba e un amico sincero» ripeté. «Quando tutto sarà finito, sposerà Janet e vivrete sempre felici e contenti.» Potter sorrise. «Non intendevo...» «State tranquillo, non ho posto la mia candidatura alla mano di vostra sorella. Bene, penso che Russlin e io potremmo collaborare un po'.» Potter si alzò come se, improvvisamente, avesse fretta di andarsene. Poi, esitò. «Ancora un paio di domande. Avete mai letto "Le Metamorfosi" di Ovidio?» Cass lo guardò, stupito. «Sì, ne ho trovato la traduzione nella biblioteca di Wentworth. In tre anni, avevo letto tutti i libri e stavo per ricominciare da capo, quando è arrivato quello psichiatra svizzero a tirarmi fuori di là.» «Cosa ne pensate delle "Metamorfosi"?» «Piuttosto monotone, in complesso. Ovidio ritornava spesso sullo stesso
tema. I classici non sono la mia passione, ma quel libro serviva a darmi un certo tono di intellettuale.» Potter gli strinse la mano, si avviò alla porta e, improvvisamente, si girò. «Dove avete passato quei venti minuti d'intervallo, ieri sera?» «In un bar della Settima Strada. Dopo aver visto Eve così trionfante, pronta a conquistare il mondo, ho provato un tal senso di nausea... sì, d'autocommiserazione, lo ammetto, che ho sentito il bisogno di bere. Soltanto un whisky, però. Non volevo dare a quella disgraziata la soddisfazione di vedermi crollare a pezzi, ubriaco.» «Qual è il bar?» «Mi pare che si chiamasse "Tim's". Un locale ampio, molto affollato e piuttosto buio. Con un jukebox. Ho avuto l'impressione che il proprietario facesse anche l'allibratore.» «Qualcuno vi ha notato?» «Non lo so. È probabile. C'è la mia fotografia su tutti i giornali. Il playboy assassino. Credo che ormai la gente mi riconosca a prima vista.» «Ve lo auguro» disse Hiram Potter. 15 «Fermatevi qui» disse Janet e il tassista accostò al marciapiede. A mezzo isolato di distanza, lei aveva visto la folla radunata davanti alle palazzine gemelle, fotografi, operatori della Tv, curiosi e agenti di pattuglia. Era inevitabile affrontarli, per entrare in casa, e questa volta non poteva camuffarsi. Aveva tutto F occorrente nella valigia di tela, alla stazione. Con un improvviso senso di sgomento, capì quanto sarebbe sembrata sospetta alla polizia quella sua "fuga" da casa. S'incamminò in fretta, a testa alta, lo sguardo fisso davanti a sé. I flash cominciarono subito a scattare. Non solo i fotografi, ma anche alcuni curiosi volevano immortalarla. «Signorina Grant, che effetto vi ha fatto l'assassinio della vostra ex cognata?... Russlin difenderà vostro fratello anche questa volta?... Perché siete andati a teatro, ieri sera?» Lei scosse il capo, senza rispondere, ma i reporter l'avevano circondata, impedendole di raggiungere la porta di casa. Per esperienza sapeva che qualsiasi commento, anche il più innocuo, sarebbe stato "gonfiato" e deformato nei pezzi di cronaca. Un agente scese da un'autopattuglia. «Circolate» disse ai giornalisti.
«Voltatevi, signorina Grant... Grazie... Volete fare qualche dichiarazione sull'arresto di vostro fratello?» «Ma Cass non è stato...» Janet s'interruppe. L'agente le prese un braccio. «Via di qui» ingiunse alla folla e accompagnò la ragazza fin sulla porta. Janet suonò il campanello, ma poi ricordò che i domestici se n'erano andati e frugò nella borsetta alla ricerca delle chiavi. Scattò un altro flash e lei si rese conto che quella foto la ritraeva accanto al poliziotto che le teneva un braccio. «Grazie» disse all'agente, prima di entrare. «Vi prego, non potete mandare via tutti?» Lui la guardava con aria strana. «Credevo che foste in casa. Come avete fatto a uscire?» «Mi sono travestita da cameriera» rispose lei. «Date retta a me. Non fate più certe bravate e restate qui tranquilla.» Janet annuì e chiuse la porta. Le sembrava che fosse trascorsa una piccola eternità da quando era uscita, aveva incassato il denaro ed era andata all'appuntamento con l'uomo zoppo. Nella sua stanza, si svestì, indossò una vestaglia e si distese sulla poltrona a sdraio. Voleva riflettere, valutare gli ultimi avvenimenti, comporli in un quadro. Invece, scivolò quasi subito nel sonno. Da qualche parte, squillava un campanello. Ancora semiaddormentata, Janet tese la mano verso il telefono che aveva fatto dorare per intonarlo al motivo stampato sulla tappezzeria. Poi, lasciò ricadere la mano. Udiva un insistente martellare. Aprì gli occhi e si accorse d'essere in vestaglia. Sbatté le palpebre, stupita. Che cosa stava facendo, lì? Guardò l'orologio. Erano le quattro. Aveva dormito per quasi tre ore. Quel martellare... ma che cosa facevano i domestici? Qualcuno bussava col battente d'ottone, dopo aver suonato il campanello d'ingresso. Perché nessuno andava ad aprirgli? Poi, rammentò che era sola in casa, senza più domestici. Corse al piano terreno e sbirciò fuori da una finestra. Una folla ostinata e paziente continuava ad aspettare lo sviluppo degli avvenimenti. Pete Russi in, che di pazienza non ne aveva, martellava la porta. Janet fece scorrere il chiavistello e gli aprì. Appena dentro, lui la strinse tra le braccia. «Grazie a Dio! Temevo che ti fosse successo qualcosa. Ancora un momento e avrei forzato la porta.»
«Sono felice di vederti, Pete.» Janet si sottrasse all'abbraccio e allora notò quanto fosse pallido e teso il viso dell'uomo. «Appena mi hanno dato il tuo messaggio, sono corso qui. Purtroppo, ero in tribunale quando hai telefonato.» Pete si guardò attorno. «Dove sono andati a cacciarsi i tuoi domestici? Ho fatto tanto baccano da svegliare un morto.» Mentre lo precedeva nella biblioteca, lei gli riferì l'accaduto. «Allora, sei rimasta qui sola? Impossibile, Janet. Devi trasferirti in un albergo. Lascia che ti prenoti subito una stanza.» La ragazza scosse il capo. «Ma non puoi...» «Meglio sola, qui, che non in un albergo dove avrei addosso gli occhi di tutti» lo interruppe lei. «Non ho più l'appartamento sopra il negozio, ho già disdetto l'affitto.» «Non sei al sicuro in questa casa. Hai dimenticato che, tempo fa, vi si introduceva qualcuno alla ricerca di non so cosa? Ti prego, dammi ascolto. Starei troppo in pena, sapendoti qui.» «È inutile, Pete. Non cambio idea.» Il tono fermo della sua voce gli fece abbozzare un gesto di resa. «Almeno, chiedi a qualcuno di venire a tenerti compagnia.» «La polizia provvederà a proteggermi finché il caso non sarà chiuso.» Il volto di Pete si illuminò. «Janet, perché non ci sposiamo subito? Bastano tre giorni per ottenere la licenza di matrimonio. Poi, avrò il diritto di abitare qui e aver cura di te. Ti prego, tesoro.» «Il solito paladino...» Janet si sforzò di parlare con tono scherzoso, ma aveva la gola stretta dall'emozione al pensiero che Pete era pronto a compromettere irrimediabilmente la sua carriera pur di sposarla. «Ho aspettato tanto, Janet» disse lui, gravemente. «Troppo. Sapevo di non avere speranze, mentre Cass era internato a Wentworth, ma adesso... Ti amo, Janet. Sposiamoci. È la cosa più giusta che potremmo fare. Anche tu mi vuoi bene da molti anni. Non prolungare inutilmente la mia attesa.» «Oh, Pete, mi dispiace. Non immagini quanto...» Russlin la guardò negli occhi, intensamente. «Saprei proteggerti e renderti felice, cara, ne sono certo. Non costringermi ad aspettare finché Cass non sarà scagionato da ogni sospetto.» «Non si tratta di Cass. Io... io non posso sposarti, Pete.» Lui si volse, andò fino in fondo alla stanza e rimase a fissare ciecamente un arazzo appeso alla parete. «C'è un altro, vero?» La sua voce suonò ato-
na, penosamente diversa da quella vibrante di sempre. «Sei cambiata. Tu ami un altro, Janet.» La ragazza non rispose. Rimase seduta, aspettando che Pete le tornasse vicino. Infine, lui si girò, cercando i suoi occhi. Le sorrideva: un sorriso affettuoso, di amico comprensivo. «Bene» disse, sedendosi di fronte a lei. «Dimentichiamo Russlin, l'innamorato, e facciamo scendere in campo Russlin, il penalista. Parliamo di Cass e organizziamo un piano strategico.» «È successo qualcos'altro, Pete, e bisogna che tu lo sappia. Una cosa tremenda.» Gli disse della telefonata che aveva ricevuto, dell'uomo che affermava d'essere lo zoppo ed esigeva centomila dollari per scagionare Cass. Gli riferì tutto con calma, parlandogli dell'assassinio che aveva sentito commettere e del suo incontro con Hiram Potter. Lui l'ascoltò in silenzio, senza mai distogliere gli occhi da quelli di Janet, stringendole le mani fino a farle male. Infine, quando la ragazza tacque, trasse un lungo sospiro. «Mio Dio, che rischio hai corso... Pensa se l'assassino si fosse accorto della tua presenza, se avesse deciso di eliminare anche te...» Prese un fazzoletto e si asciugò la fronte sudata. «L'assassino sapeva che ero lì» gli disse Janet. «Ho chiamato, dal piano terreno. È stato allora che ha ucciso lo zoppo. Ho sentito quel poveretto dibattersi, scalciare, e poi l'altro uomo correre ad aprire la finestra che dà sulla scala di sicurezza.» «Sei riuscita a vederlo?» «Non ho nemmeno tentato d'inseguirlo, Pete. Per poco, non sono svenuta quando ho scoperto il cadavere. L'assassino ha avuto tutto il tempo per fuggire.» «E poi, hai chiamato Potter» disse Pete, e Janet notò l'espressione di pena che gli offuscava lo sguardo. «Prima, avevo telefonato a te, ma tu eri in tribunale, Pete. E la polizia... pare che non si fidi molto dei Grant. Avevo bisogno di aiuto, in quel momento.» «Ma perché ti sei rivolta proprio a Potter?» «Perché lui è l'unico che abbia creduto all'esistenza dello zoppo. La polizia no, mai. Tu, nemmeno. E anche Cass era convinto che me lo fossi inventato. Adesso, quell'uomo è morto e non c'è più nessuno che possa scagionare Cass. Nessuno.»
«In questo momento, non sono affatto preoccupato per tuo fratello» dichiarò Pete. «Lo sono per te, cara. Sei tu che devi essere liberata da qualunque sospetto.» «Lo so. La polizia non vorrà credere che quell'uomo aveva una prova per dimostrare l'innocenza di Cass. Penseranno che mi ricattava e che io l'abbia ucciso per questo.» «Qualunque cosa accada, sapremo batterci bene» la incoraggiò lui. Uscì nell'atrio, dove aveva lasciato il suo cappotto, e quando tornò le depose in grembo un pacchetto. «Un regalino. Potrebbe esserti utile, adesso che sei qui sola.» Janet disfece l'involucro ed ebbe un sussulto di sgomento. «Una pistola. Per carità! Avrei paura persino di toccarla.» «È una torcia elettrica a forma di pistola. Meglio tenerla a portata di mano. Non si sa mai.» Lei la depose sul tavolo, ridendo. «Sei incorreggibile.» «Per lo meno, ti ho fatta ridere. E adesso, Janet, dimmi esattamente che cos'è successo quando sei andata nel camerino di Eve.» Ascoltò assorto la sua minuziosa relazione, facendole ogni tanto una domanda, prendendo qualche appunto. «E non sei riuscita a vedere in faccia lo zoppo. Hai soltanto sentito il suo passo.» «Mentre ero dietro le quinte, non ho visto altri che Eve, la signora Simmons e due macchinisti. Gli attori erano tutti nei loro camerini, si stavano cambiando per il secondo atto. Ho sentito risuonare il passo di quell'uomo nel vicolo. Allora, sono scesa dalla scala di sicurezza e l'ho inseguito.» «Cass ti ha detto dov'è stato durante l'intervallo? Tu capisci, vero?, che non può essere rimasto nell'atrio. Altrimenti, Sanders Newton l'avrebbe visto. E Thornton Grant giura che se n'è andato.» «Non abbiamo avuto l'occasione di parlarci, ieri sera. Il poliziotto di guardia sul palcoscenico continuava a ripeterci di star tutti zitti e che il tenente O'Toole ci avrebbe interrogati presto.» «Senti, cara, c'è un'eventualità che dobbiamo affrontare. Cass potrebbe essere rientrato dalla scala di sicurezza, restando poi nascosto nel ripostiglio, mentre tu eri con Eve. E potrebbe averla uccisa dopo che sei uscita da teatro per inseguire quell'uomo. Questa volta, dobbiamo procurargli un alibi solidissimo, a prova di bomba.» «Lo so.» Janet cercò gli occhi di lui. «Non tormentarti così, Pete. Me ne rendo conto perfettamente. Data la situazione, la polizia non può che incriminare Cass o me. Oppure tutti e due. Per salvarci, dobbiamo scoprire il
vero assassino, non c'è altra via d'uscita,» «Vorrei che tu non fossi andata nel camerino di Eve» disse Pete con veemenza. «Mi sento colpevole, Janet.» «Colpevole?» «Vi ho consigliato io di assistere a quella stramaledetta prova generale. Speravo di allentare la tensione, in modo che Cass non avesse qualche reazione inconsulta il giorno del matrimonio di Eve.» «Tu hai agito con le migliori intenzioni, non devi rimproverarti. Ormai, è fatta. E poi, noi siamo andati a teatro per nostra libera scelta. Nessuno ci ha costretti.» «Sì, è fatta» disse lui, alzandosi. «Vado da Cass. Spero di convincerlo a rivelarmi dov'è stato durante l'intervallo. Dobbiamo trovargli qualche testimone. Accidenti, ci sarà pur qualcuno che l'ha riconosciuto. C'è la sua fotografia su tutti i giornali.» Strinse forte le mani di Janet. «Non abbatterti, cara.» Squillò il telefono e Janet prese il ricevitore. «Signorina Grant? Sono Hiram Potter. Vorrei pregarvi di fare una cosa.» «Se posso. Ditemi, signor Potter, avete...?» «Dopo. Adesso ascoltatemi. Tra un quarto d'ora, dovete salire nella vostra stanza e mettervi alla finestra dalla quale avete visto l'uomo zoppo attraversare il giardino, passando dietro le siepi. Potete farlo?» «Sì, certo» rispose Janet, stupita. Depose il ricevitore e riferì a Pete la richiesta di Potter. Dopo un quarto d'ora che le parve interminabile, salì con Russlin nella propria stanza e guardò, dalla finestra, il giardino ricoperto di neve, con lo studio nello sfondo. «Si può sapere come mai Potter è stato coinvolto in questa faccenda?» le chiese Pete. «Per caso. È ospite di Graham Collinge e lui l'ha portato con sé alla prova generale.» «Per caso?» ripeté Pete, scrollando il capo. «Ne dubito. Potter è un tipo strano, che ha un debole per i delitti misteriosi. E ha fama d'essere un duro, anche se dall'aspetto non lo si direbbe. Ho conosciuto il suo avvocato. Abbiamo fatto l'università insieme.» «E lui non vi ha mai presentati?» «No. Potter si è sbrigato a liquidarlo, spedendolo sulla sedia elettrica.» Russlin s'interruppe bruscamente e mise una mano sulla spalla di Janet. Lei s'irrigidì e rimase in ascolto, con gli occhi rivolti al soffitto. Qualcuno
stava camminando, al piano di sopra. Per alcuni istanti, entrambi rimasero immobili. Poi, Pete si girò verso la porta. Ci fu un rumore di passi che scendevano in fretta le scale e, subito dopo, l'uscio venne spalancato. «Non volevo spaventarvi» disse Hiram Potter, notando gli occhi sbarrati di Janet. «Ma non avevo altro mezzo per dimostrarlo.» «Per dimostrare che cosa?» gli domandò Pete. «Che la signorina Grant non può aver visto l'uomo zoppo attraversare il giardino, quel giorno di quattro anni fa.» «Ma io l'ho visto!» gridò Janet. «L'ho visto! Anche voi non mi credete più?» Pete le cinse le spalle con un gesto di conforto. «Come tuo avvocato, Janet, ti consiglio di non rispondere a nessuna domanda. Lascia fare a me.» Potter incontrò gli occhi della ragazza. «L'uomo ucciso oggi nel magazzino è stato identificato. Era il patrigno di Eve, Verne Simmons. Ed era anche il vostro zoppo, signorina Grant. Soffriva di tubercolosi ossea. Era piuttosto basso di statura, come me, e le siepi del giardino sono alte un metro e ottanta. Voi non avete visto Simmons, quel giorno, ma qualcun altro che si era messo un berretto di tela bianca.» Janet scosse il capo. «Credo che vi sbagliate. Io ho visto l'uomo sulla scala a pioli, mentre guardava attraverso il lucernario. L'ho visto muoversi goffamente, quando è sceso. Ho visto il suo berretto bianco dietro le siepi, ho sentito il suo passo al piano di sopra. Poi Eve ha gridato, quando lui l'ha colpita.» «Oh, certo, Simmons era qui» convenne Potter. «E i rischi che quei due hanno corso mi lasciano senza parole. Avevano solo una probabilità su cento di realizzare il loro piano senza che nessuno li vedesse.» «Quali due?» «Sì. Quando è venuto qui, Simmons ha portato con sé l'assassino. Ossia, l'uomo col berretto bianco che avete visto voi, signorina Grant.» «Come diavolo avete fatto a entrare in questa casa?» gli domandò Pete. 16 Come aveva fatto, l'assassino, a entrare in casa e a raggiungere, non visto, lo studio? Come? Dopo aver lasciato Cass Grant, Potter aveva cominciato ad arrovellarsi
su quell'enigma: escludendo che il colpevole fosse la signora Frederick, Cass o Thornton, bisognava riesaminare il problema da una nuova prospettiva. Per il momento, Potter aveva accantonato Thornton, e non perché credesse di poterlo escludere senz'altro dalla lista dei sospetti, ma perché il fatto che fosse colpevole o innocente non serviva a spiegare la presenza di Simmons e dell'assassino nello studio, né la loro successiva comparsa nell'appartamento di Eve. Le porte principali delle due palazzine erano chiuse a chiave e c'erano dei domestici nel seminterrato di entrambe le case, che avrebbero visto passare un estraneo. Restava solo la possibilità di accedere allo studio dalla Sessantasettesima Strada, ma anche così non si spiegava come avessero fatto quei due uomini a entrare nella casa dei Grant. L'unico ingresso dal giardino, ossia la porta-finestra del tinello, era bloccato. Dunque? Case gemelle. "Gemelle!" Potter entrò in una tabaccheria, dove c'era un telefono pubblico, e chiamò la signora Frederick. «Sì, in origine le due case erano collegate» gli disse lei. «Avevano fatto aprire un arco nel muro divisorio dei salotti e una porta di comunicazione all'ultimo piano... No, non credo che sarebbe stato possibile... La madre di Cass e di Janet ha deciso di far chiudere l'arco e sigillare la porta da entrambe le parti... Ho consegnato le mie chiavi a Thornton Grant, quando ho lasciato la casa... Gli telefono subito... Sì, naturalmente, Janet aveva un mazzo di chiavi. Probabilmente anche Eve... Sì, le serrature e le chiavi delle palazzine erano identiche. La nonna di Janet non voleva riconoscere il diritto alla privacy del figlio, e noi non ci siamo curati di farle cambiare. Per quanto ne so io, non esistono altre chiavi... Spero che riuscirete ad aiutare Janet e Cass, signor Potter.» Poco dopo, Thornton Grant consegnò a Potter le chiavi della casa un tempo abitata dai Frederick. «Non riesco a immaginare che cosa vi illudiate di scoprire, dopo quattro anni» gli disse freddamente. «La signora Frederick ha portato via tutto quello che le apparteneva.» «Francamente, non lo so neanch'io» rispose Potter. Mentre si fermava in un drugstore per fare un acquisto, ripensò alla telefonata di cui Helen Baxter, la domestica di Eve, aveva udito per caso qualche frammento. "Ci sei dentro anche tu", aveva detto Eve. Ci sei dentro anche tu. Anche tu... Nella cabina telefonica del drugstore, Potter esitò, tentando di respingere
l'idea che gli era venuta. Ma non ci riuscì e compose il numero del tenente O'Toole. Parlò in fretta, concitato. «Dunque, sembra proprio che sia stata la ragazza» disse O'Toole, sforzandosi di non avere un tono troppo soddisfatto. «Io l'avevo...» «Ci sono alcuni punti da controllare subito» lo interruppe Potter. «Da parte mia, sto facendo tutto quello che posso, ma a certe cose dovete provvedere voi.» Gliele elencò e il tenente prese rapidi appunti. «Okay» disse infine. «Vediamo se ho capito bene. Cercare un vecchio impermeabile che probabilmente si trova a teatro. Verificare se ci sono tracce di fluoroscina sul palcoscenico. Scoprire da quanto tempo Janet Grant tiene sulla corda Pete Russlin... E questo, come lo sapete?» «Me l'ha detto la segretaria di Russlin, che è innamorata di lui e gelosissima di Janet.» «Capisco. Dunque, telefonare a Kenneth Morton, della City Bank, facendo il vostro nome. Interrogare la vecchia signora che abita nel caseggiato dirimpetto al magazzino... "Tim's", nella Settima Avenue, e tutti gli altri bar nelle vicinanze del teatro. E... ma cosa diavolo? Sì, capisco. Pensate che fossero complici.» Hiram Potter non rispose. Aveva il viso duro, contratto. «Che ne dite dell'assassinio di Beldner?» gli chiese O'Toole. «L'aveva fatto dimettere lui, quel paziente, credendolo guarito. A volte, si tratta di una tara familiare, vero?... Ah, le "Metamorfosi". Ma noi... Okay, sarà un lavoraccio... Il giardino? Ma è successo quattro anni fa, amico mio. Come...?» «Il modo lo troverete» disse Potter. «Dovete trovarlo.» Dopo aver telefonato a Janet Grant, Hiram Potter prese un tassì e si fece condurre all'angolo tra la Quinta Avenue e la Sessantasettesima Strada. Percorse lentamente l'isolato. A metà strada, una cancellata ornamentale in ferro battuto divideva il marciapiede da una striscia di prato e alcune aiuole, una di quelle oasi di verde che, ogni tanto, si scoprono nella giungla d'asfalto di New York. Potter non indugiò a guardarsi intorno. Con aria decisa, aprì il cancello, lo varcò e se lo chiuse alle spalle. Gli edifici su entrambi i lati dell'"oasi" avevano le finestre schermate da pesanti tendaggi. Lui attraversò il prato fino al punto dove alcune piante in vaso e, d'estate, qualche ombrellone a strisce, tavolini e sedie di vimini creavano l'illusione di un vero giardino. Qui, una bassa siepe segnava il confine con la proprietà dei Grant.
Hiram Potter lanciò una rapida occhiata alle finestre dei due caseggiati, ma non vide nessuno. Ancora una volta, si stupì, pensando al rischio corso da chi era penetrato nel giardino passando di lì. Dopo aver scavalcato la siepe, girò intorno allo studio. Si trattenne per un momento a osservare le più alte siepi del giardino, poi si diresse verso la palazzina disabitata. Al terzo tentativo, trovò la chiave che apriva la porta-finestra ed entrò. Il giorno dell'assassinio di suo marito, Anne Frederick si era intrattenuta con Thornton nel salotto che dava sulla Sessantottesima Strada. Dunque, con una fortuna del diavolo, l'impresa aveva potuto essere compiuta. La casa era vuota, buia e fredda. Accanto al tinello, c'era la scala di servizio. Potter salì al secondo piano e cercò la porta di comunicazione tra le due palazzine. Scoprì che non era più sigillata. Tentò di aprirla, ma tra le chiavi che gli aveva dato Thornton non ne trovò nessuna adatta. Allora, trasse di tasca la pinzetta per depilare le sopracciglia che aveva comprato al drugstore e, inginocchiato sul pavimento, la inserì delicatamente nella serratura. Poco dopo, la porta si aprì sul pianerottolo di casa Grant. Potter scese di corsa le scale. Trovò Janet e Pete insieme, vicini, come se si preparassero ad affrontare un nemico. «Quel giorno di quattro anni fa, le cose sono andate così» concluse Potter, dopo aver spiegato com'era entrato in casa. «Ritengo che, poi, Eve abbia fatto uscire i due uomini dalla porta principale, approfittando di un momento in cui non c'era in giro nessuno.» «L'ho sempre saputo...» mormorò Janet. «Lei conosceva l'assassino di Maitland Frederick e ha lasciato che condannassero Cass. Come ha potuto tradirlo fino a questo punto, anche se non lo amava?» «Ritengo che fosse terrorizzata e che avesse un fortissimo istinto di sopravvivenza» disse Potter. «Eccome se l'aveva» confermò Pete. «Il guaio è stato che lei era tanto giovane e bella, con un'aria così innocente, e che Cass ha sempre negato l'esistenza di quel "nudo". Quindi, non ho potuto torchiarla molto, al processo. La giuria mi avrebbe accusato d'intimidazione. Avevo le mani legate, purtroppo.» «Almeno, adesso sappiamo come ha fatto qualcuno a introdursi qui, recentemente. Credevo che fosse stata Eve, perché aveva ancora un mazzo di chiavi.» «Qualcuno si è introdotto qui?» esclamò Potter. Janet gli parlò dell'intruso che aveva perquisito più volte la casa, senza
che il custode riuscisse mai a sorprenderlo, e gli disse della telefonata fatta da Eve il giorno dell'assassinio di Frederick. Potter si rivolse a Russlin. «Questo vi fornisce un ottimo elemento per la difesa. Una fortuna, che il custode abbia sporto denunzia alla polizia.» «Me ne servirò senz'altro» disse Pete. «Non avete qualche asso nella manica, per caso? Sono a corto di risorse e mi serve tutto l'aiuto possibile.» Potter annuì. «Ho detto a Cass che noi due riusciremo a combinare qualcosa di buono, insieme.» «Avete visto Cass?» esclamò Janet. «Nel pomeriggio. È pronto a battersi fino in fondo.» «Lotta per la sua vita» mormorò lei. «Su, cara, non perdere ogni speranza» la esortò Pete. «La battaglia non è ancora incominciata.» «Helen Baxter, la domestica di Eve, sostiene la vostra versione secondo cui la vostra ex-cognata avrebbe perso qualcosa d'importantissimo. L'ha sentita parlare al telefono, non molto tempo fa. "Devi ritentare" diceva ansiosamente. "Dopotutto, ci sei dentro anche tu."» «Se stava parlando con Thornton, lo spellerò vivo in tribunale» dichiarò Pete. «Mostrerò a tutti quello che c'è dietro la maschera dell'integerrimo studioso. Suderà sangue, come ha sudato Cass. E questo mi farà un immenso piacere.» «Sì, penso che sarebbe uno spettacolo tutto da godere» confermò Potter. «Ma adesso... adesso, c'è Janet.» «Che cosa intendete dire?» Automaticamente, Pete ripeté il gesto protettivo di mettere un braccio sulle spalle della ragazza. «L'assassinio di Simmons. Vi giuro che non capisco perché O'Toole non l'abbia ancora fermata per interrogarla.» In quel momento, al piano terreno, squillò il campanello d'ingresso. O'Toole non era venuto ad arrestare Janet, anche se per un momento, notando la sua espressione dura, Pete si aspettò di vederlo esibire un mandato. Il tenente disse che era venuto di persona per portare una buona notizia alla signorina Grant. Cass sarebbe stato rilasciato quella sera. Dopo una prima reazione di sbigottimento, Pete s'illuminò. «Grazie a Dio!» O'Toole non fece commenti. Russlin lo guardò insospettito. L'atteggiamento del detective lo lasciava perplesso: sembrava più F esecutore di una condanna capitale, che non il latore di buone notizie.
«Andrai tu a prenderlo e lo porterai subito a casa, vero, Pete?» disse Janet. Lui le sorrise e si chinò a sfiorarle leggermente le labbra. «Terrò la situazione sotto controllo.» Quando se ne fu andato, anche O'Toole si preparò a congedarsi. «Vostro fratello dovrebbe arrivare presto» disse. «Ne sono tanto felice.» «Venite con me, Potter?» Dopo aver lanciato un'occhiata alla ragazza, Potter annuì. «Avete messo un agente di guardia a questa casa?» chiese, seguendo O'Toole. Il tenente ghignò. «Bella fiducia avete in me!» Fuori, li aspettava un'autopattuglia e lui diede al conducente un indirizzo del Bronx. Il cielo si era schiarito, ma faceva molto freddo ed era quasi buio. Infine, Potter spezzò il silenzio nel quale O'Toole si era chiuso, dicendogli di aver scoperto come aveva fatto l'assassino a introdursi, non visto, in casa Grant. «Una scoperta molto interessante e utile.» Improvvisamente, O'Toole sorrise. «S'intende che dovrei arrestarvi per violazione di proprietà privata e scasso. Come avete imparato a forzare una serratura?» «Una dote congenita. E adesso, volete spiegarmi perché avete deciso di rilasciare Cass Grant?» «Ci siamo dati da fare, dopo la vostra telefonata. Abbiamo controllato al "Tim's Bar". Cass ha passato là quasi tutti i venti minuti dell'intervallo, fissando cupamente un bicchiere. Ha ordinato solo un whisky e non l'ha nemmeno bevuto tutto. L'hanno riconosciuto tre o quattro persone, oltre ai baristi, i quali ci hanno garantito che possiamo fidarci di loro. Pare che in quel locale abbiano organizzato una piccola sala corse clandestina e che, per questo, non vogliano mettersi nei guai con la polizia.» «Dunque, Cass ha un alibi per l'assassinio di Eve» disse Potter. Siccome O'Toole sembrava non voler aggiungere altro, pregò: «Raccontatemi ancora qualche cosina.» Il tenente sorrise. «E va bene. Haskel mi ha telefonato. C'era un vecchio impermeabile dietro le quinte del Crescent Theater. Non si sa a chi appartenesse, ma vi sono state rilevate tracce di fluoroscina. Haskel ne ha trovate altre su un tavolo del palcoscenico e nel ripostiglio.» «E voi... lo lasciate libero?» «Ho mandato uno dei miei uomini a interrogare gli abitanti del caseggia-
to dirimpetto al magazzino. Un altro agente è andato a casa di Russlin. Ha portato con sé una delle foto di Janet pubblicate dai giornali. Ho telefonato io stesso al vostro amico banchiere. Il quadro sta cominciando a comporsi.» «E adesso dove andiamo?» «A casa di Simmons, nel Bronx. Abbiamo scoperto il suo indirizzo.» L'amministratore del complesso residenziale aggrottò la fronte, quando O'Toole esibì il suo tesserino. Certo, aveva un passe-partout, rispose. In che guai si era cacciato Simmons? O'Toole gli spiegò che si era fatto ammazzare. «L'ha investito una macchina, eh? Immaginavo che sarebbe andata a finire così, prima o poi. Zoppo com'era, ci metteva troppo tempo ad attraversare la strada.» «Lo conoscevate bene?» «Lo vedevo una volta il mese, quando mi pagava l'affitto. Sempre in contanti.» «Questo non vi stupiva?» L'uomo gli lanciò un'occhiata ironica. «Amico, chi fa questo lavoro non deve stupirsi di niente. Per lo meno, Simmons pagava regolarmente. Ed era un tipo tranquillo. Le donne gli piacevano e non se le lasciava mancare, ma non dava mai party chiassosi.» Simmons abitava lì da quattro anni. Aveva un appartamento di cinque locali al quarto piano del palazzo F. L'amministratore precedette Potter, O'Toole e il sergente verso l'edificio, che era identico agli altri quindici del complesso residenziale. Aprì la porta e si ritrasse per far passare i tre uomini. Poi, si lasciò sfuggire un sibilo. «Non immaginavo che fosse tanto ricco!» L'appartamento era arredato con costosa eleganza: grandi tappeti pregiati, molti quadri, mobili di classe. Il bar era ben fornito e il guardaroba conteneva una dozzina di abiti confezionati su misura più una collezione di scarpe e di camicie. «Sapete se aveva un impermeabile?» chiese Potter all'amministratore. «Credo di no. Era uno dei pochi rimasti fedeli all'ombrello.» «Non ci occorre altro, grazie» intervenne O'Toole. «Appena avremo finito, vi restituiremo la chiave.» L'amministratore esitò di fronte a quel brusco congedo, ma dovette rassegnarsi ad andarsene. Aiutato dal sergente, O'Toole incominciò a perquisire l'appartamento.
Dopo una mezz'ora, scrollò il capo, sbigottito, e disse: «Mi sembra di partecipare a una caccia al tesoro.» Avevano trovato cinquemila dollari in banconote da cento sotto il tappeto del soggiorno e altri cinquemila nell'imbottitura di una poltrona. Tre mazzette da diecimila dollari erano nascoste rispettivamente in un album di dischi, in una scarpa e sotto la fodera di un cappello. «La sua vedova avrà una bella sorpresa» commentò Potter. «Ma è denaro estorto col ricatto» gli fece osservare O'Toole. «E chi potrebbe mai venire a reclamarlo senza prenotarsi un posto sulla sedia elettrica? Nessuno può dimostrare che questo denaro è frutto di ricatti. Eve e Frederick sono morti.» Nella cabina della doccia, sotto una mattonella smossa, c'era una busta di plastica. O'Toole la depose sul tavolo, accanto al denaro. L'aprì e ne tolse una piccola fotografia. Dopo averla esposta alla luce, la porse a Potter. Lui la guardò e si affrettò a restituirgliela, disgustato. «Adesso sappiamo che arma aveva in mano Simmons e perché Eve doveva pagarlo.» «Ma Simmons riceveva regolarmente del denaro anche da un'altra fonte» gli ricordò O'Toole. «Aveva visto commettere un assassinio.» «Dunque, vi siete convinto, finalmente.» O'Toole annuì. «Avete svolto un ottimo lavoro di deduzione. Di solito, un uomo innamorato non ragiona mai a mente lucida.» Potter ignorò quelle ultime parole. «E adesso?» «Adesso, sistemiamo le cose in modo che nemmeno il più astuto degli avvocati possa trovare un punto debole nell'accusa. Questa volta, l'assassino non se la caverà, Potter.» «Ma non gli state concedendo troppa libertà d'azione?» O'Toole ghignò. «Non quanta credete, ve lo garantisco.» Quando O'Toole diede al sergente l'indirizzo di Thornton, Hiram Potter si affrettò a dire: «A questo punto, è meglio che mi eclissi. Thornton Grant non ha molta simpatia per me.» «Sto per diventargli antipatico anch'io» ribatté O'Toole. «Dunque, saremo in due.» Dopo averli fatti entrare, il domestico si affrettò al primo piano. Thornton scese subito, seguito da un uomo grassoccio nel quale Potter riconobbe Willis Kent, uno dei più valenti avvocati di New York. «Il mio legale» lo presentò Thornton. «Il signor Potter. Il tenente O'Toole.» Ignorò il sergente e si rivolse a Potter: «Continuate a frugare nelle
immondizie?» «Signor Grant» intervenne subito l'avvocato «è meglio che lasciate parlare me.» Tentò una manovra diversiva. «Hiram Potter? Conosco vostra zia.» «Me ne dispiace per voi.» Kent rise. «Capisco quello che intendete, ma anche se finisce per essere un po' invadente, è sempre animata dalle migliori intenzioni. Da quando la frequento, ho seguito indirettamente la vostra avventurosa carriera.» Ammiccò, con una luce maliziosa negli occhi. «Sarà un privilegio vedervi in azione.» Thornton si sforzò di abbozzare un sorriso, ma Willis Kent rideva, una risata gioviale, ben misurata, gradevole, di stile decisamente professionale. Voleva rendersi simpatico a tutti i costi, pensò Potter. Lo vide lanciare un'occhiata significativa al suo cliente, che non sembrava affatto disposto a collaborare, Thornton sedeva impettito, rigido, tentando inutilmente di dominare il tic che aveva contratto dopo la morte di Eve. «Quanto ci metterete per chiudere il caso?» domandò bruscamente. «Signor Grant» tornò a intervenire Kent «devo ammonirvi...» O'Toole si affrettò a interromperlo. «Non siamo rimasti con le mani in mano» disse, con calma. «Oggi, verso mezzogiorno, è stato commesso un altro assassinio.» Fece una breve pausa. «La vittima è Verne Simmons, il patrigno di Eve. L'hanno strangolato. Il medico ha accertato che soffriva di tubercolosi ossea e che era zoppo.» Un'altra pausa. «Cass Grant è stato rilasciato. Aveva un alibi inattaccabile per l'ora del delitto.» «E per l'assassinio di Eve?» «Anche per quello. Vostro cugino non l'ha uccisa, signor Grant. Sappiamo dov'era e che cos'ha fatto durante quei venti minuti d'intervallo.» «Non ci credo» dichiarò Thornton. «Quale rapporto c'è tra l'assassinio della signora Grant e quello del suo patrigno?» chiese Willis Kent. «Simmons svolgeva un'attività molto redditizia e sporca: il ricatto. Ma Cass e Janet non avevano abbastanza denaro per soddisfare le esigenze di quell'uomo. Solo recentemente Janet è entrata in possesso del suo patrimonio, e lui l'ha saputo da Eve, alla quale lo aveva detto il signor Thornton Grant. Questa mattina, Simmons le ha telefonato, chiedendo centomila dollari: in cambio, le avrebbe detto chi aveva ucciso Maitland Frederick ed Eve.» «Dunque, è stata Janet» intervenne Thornton. «Ma certo, era chiaro, do-
veva essere uno dei due.» «Signor Grant!» protestò Kent. «Devo insistere perché lasciate parlare me.» Thornton era avvampato. «Non sapete vedere la verità, quando l'avete sotto gli occhi? Janet ha ucciso per salvare Cass. Lei odiava Eve.» «Simmons ha esercitato il ricatto per quattro anni perché aveva assistito all'assassinio di Maitland Frederick. Vi ripeto che i Grant non avevano abbastanza denaro per lui.» Le labbra di Thornton continuavano a contrarsi spasmodicamente. «State cercando di coinvolgere Eve? Sarebbe la cosa più sporca... Vorreste forse tirare in ballo quella fandonia del ritratto che Frederick te avrebbe fatto?» O'Toole trasse di tasca la busta di plastica, porse la fotografia a Thornton. «Questa l'abbiamo trovata nascosta nell'appartamento di Simmons.» Thornton la guardò, poi la diede a Kent. «E adesso, parliamo un po' del vostro alibi per quei venti minuti d'intervallo» disse vivacemente O'Toole. «Avete affermato d'essere rimasto a fumare nell'atrio.» «Quel giorno, avevo dimenticato di mandare dei fiori a Eve.» La voce di Thornton era atona. «C'è un negozio che resta aperto fino a mezzanotte, vicino al teatro. Sono andato là e ho scelto delle orchidee, i suoi fiori preferiti. Avrebbero dovuto farglieli trovare nel camerino alle undici, subito dopo la prova.» Il sergente annuì. «Li hanno portati.» «Perché me l'avete tenuto nascosto?» chiese O'Toole. Thornton non rispose. «Cass Grant aveva detto d'essere rimasto nell'atrio» spiegò Potter. «Il signor Thornton non si lascia mai sfuggire un'occasione per dare del filo da torcere a suo cugino.» Improvvisamente, Thornton si alzò in piedi, facendo sussultare tutti. «Perché Cass si è vendicato solo su Frederick? Perché non ha ucciso anche lei... anche Eve?» «Signor Grant!» gridò Willis Kent, tentando di sopraffare la sua voce. «Non dovete dire nemmeno una parola di più, capite?» 17 Janet guardò l'orologio. Quasi le sette. Tra poco, Cass sarebbe tornato a
casa. Provava un senso di vuoto, di languore, e si rese conto che quel giorno non aveva toccato cibo. In cucina, si preparò un uovo strapazzato e bevve un bicchiere di latte. Più tardi, sarebbe andata a cena con Cass in qualche piccolo ristorante dove nessuno li avrebbe riconosciuti. Lei ne conosceva molti. Per quattro anni, non aveva frequentato che locali di quel genere, appartandosi in un angolo, protetta dai suoi occhiali neri. Ma, ormai, l'incubo era finito. Finito, finito, continuò a ripetersi, ma non riusciva a esserne convinta. In lei, restava annidato quel senso di vuoto, che somigliava tanto alla paura. Assurdo. Cass era libero e non poteva più succedere niente di male. Mai più. Il campanello d'ingresso squillò: tre colpi brevi, il segnale di Cass. Janet corse ad aprirgli, gli gettò le braccia al collo. «Oh, Cass... Cass!» Lui sorrideva, un sorriso spontaneo. Per la prima volta dopo l'assassinio di Frederick, aveva ritrovato un'espressione serena. «Ciao, sorellina.» Entrò in casa, si tolse il cappotto. «Pete è venuto a prendermi, mi hanno fatto firmare qualche documento, e poi sono uscito. Tutto qui. Naturalmente, mi hanno pregato di non lasciare la città. Avrei voluto che Pete venisse qui con me, per festeggiare, ma aveva un impegno e ha detto che ci telefonerà più tardi. Gli ho promesso di non fare brindisi senza di lui. Jan, come potremo mai dimostrargli tutta la nostra gratitudine? Ma, forse, il tuo amore basterà a ripagarlo.» La ragazza si affrettò a cambiare argomento. «Siamo rimasti senza domestici, sai? Si sono licenziati tutti, stamattina. Puoi preparare tu i cocktail, e poi andremo fuori a cena. C'è un piccolo ristorante, poco lontano di qui, dove nessuno ci riconoscerà. Vi ho pranzato spesso, la cucina è ottima.» «Hai passato quattro anni d'inferno, vero?» Il viso di Cass s'indurì. «Raccontami quello che è accaduto stamattina.» «Prima, beviamo qualcosa.» «D'accordo.» Cass si guardò attorno, godendo la sensazione d'essere tornato a casa. Quella sera, non c'era una folla radunata nella strada, davanti all'ingresso. La tensione si era allentata. «Ehi, ma che cos'è successo all'orologio di smalto? Qualcuno l'ha fatto cadere?» «Non lo so.» «Non ricordo di aver mai visto quella crepa. Be', non importa. Dove tie-
ni i liquori, adesso?» Nella biblioteca, il telefono squillò. «Sarà Pete. Gli dirò di sbrigarsi a venire.» Pochi minuti dopo, Cass uscì dalla biblioteca e prese il cappotto che aveva gettato su una sedia. «Devi già uscire?» gli chiese Janet, stupita. «Pete mi aspetta in ufficio. Ha detto che non sarà una cosa lunga.» Cass le fece un cenno di saluto e si affrettò fuori. Non poteva trattarsi di una nuova complicazione, pensò Janet. Solo qualche formalità burocratica da sbrigare. Cass sarebbe tornato presto, con Pete. Avrebbero brindato a questo, al fatto d'essere di nuovo insieme. Cass, Pete e lei, come un tempo. Non riuscì a stare seduta. Prese ad aggirarsi nell'atrio, poi andò nella biblioteca e infine nel salottino di sua madre. I vetri della porta-finestra riflettevano la luce della stanza. Janet accostò le tende, come per respingere qualcosa, una "presenza" che attendeva fuori, nella notte, e che voleva entrare. Ormai, non poteva più accadere niente di male, si ripeté. Lei e Cass non correvano pericoli. L'incubo era finito. Ma il gelo della paura cominciava a farla tremare. Improvvisamente, cedendo a un impulso irresistibile, salì nell'appartamento un tempo abitato da Eve e da Cass. Si guardò attorno, incerta, e poi prese a ispezionare la scrivania del piccolo soggiorno. Nei cassetti c'erano solo delle buste, qualche foglio di carta da lettera, una stilografica d'oro senza cappuccio. In camera da letto, l'armadio e i cassetti della toilette erano vuoti. Janet si inginocchiò per cercare sotto il letto, tra le molle. Niente. Si alzò, sospirando, e in quel momento udì un leggero suono metallico. Era il rumore di una chiave che girava in una serratura... nella serratura della porta di comunicazione tra le due palazzine. La ragazza si precipitò fuori e corse giù per le scale. Al primo piano, sentì la porta aprirsi e chiudersi. Poi, un rumore di passi. Guardò la lunga rampa di scale che portava a pian terreno e capì che non avrebbe fatto in tempo a raggiungere la porta d'ingresso. L'intruso l'avrebbe sentita scendere e si sarebbe affrettato a inseguirla. Entrò nella sua stanza e chiuse la porta. La serratura era senza chiave: in vita sua, non aveva mai avuto bisogno di sbarrare quella porta. Si appoggiò al battente, ansando, col cuore che le martellava in gola. Disperatamente, si guardò attorno, cercando qualcosa con cui difendersi.
La torcia elettrica a forma di pistola, che le aveva regalato Pete, era rimasta sul tavolo della biblioteca. Il suo sguardo cadde sul telefono dorato. Fece per staccare il ricevitore, e allora capì. Lo seppe immediatamente che cosa avrebbe trovato. Quello che cercava era stato sempre lì, certo. Persino la paura scomparve, annullata dallo shock di quella scoperta. «Oh, Cass» sussurrò. «Cass...» Sollevò il telefono, tentando di ricordare come funzionava. Poi, le parve che un anello di fuoco le serrasse la gola. La sua testa venne strappata all'indietro, con violenza. Da qualche parte, degli uomini gridavano. E Cass urlava selvaggiamente: «Maledizione, lasciatemi!» Le bruciava la gola e quasi non riusciva a respirare. Aprì gli occhi, a fatica. Giaceva sul pavimento, nella stanza la luce era accesa e una figura sfocata stava china su di lei. Aspirò avidamente l'aria e quella specie di nebbia che aveva davanti agli occhi si dissolse. Adesso, vedeva chiaramente l'uomo inginocchiato che le teneva le mani sul collo. Era Thornton. Janet urlò. Dietro di lei, Hiram Potter disse: «Non fateglielo vedere.» Ma Janet voleva vedere. Thornton si era alzato in piedi, tenendo una cordicella tra due dita. E vicino a lui c'era Cass, che aveva in mano una lunga fune con un cappio all'estremità. «Doveva sembrare un suicidio?» chiese Janet, con voce rauca, ma ferma. Provava uno strano senso di distacco. «Pare di sì» rispose Cass. Il poliziotto che lo teneva per un braccio si ritrasse. Cass si girò lentamente. «Non volevo ostacolare la polizia col mio intervento» disse. «Non sono mai stato tanto felice di vederla all'opera.» Janet continuava a fissare lo sguardo davanti a sé. Non aveva ancora la forza di voltare il capo, di "vederlo". «L'abbiamo preso in flagrante, grazie a Dio!» esclamò O'Toole, trionfante. E poi, Pete Russlin disse con voce spenta: «Vogliamo sbrigarci a farla finita?» Allora, Janet lo guardò. «Perché, Pete? Perché?» «Avevate capito?» le chiese Potter, sorpreso. «Solo quando ho sentito qualcuno introdursi in casa e ho tentato di tele-
fonare alla polizia» rispose lei. «In quel momento, ho ricordato. Avrei dovuto capirlo subito, quando ho sentito Eve dire "Il telefono", ma avevo frainteso.» Si alzò e raccolse il telefono dorato che, prima, le era sfuggito di mano. «Questo non è un vero telefono, ma un portagioielli a combinazione, che Pete aveva regalato a Eve, dicendo che nessun ladro si sarebbe mai degnato di guardarlo. Lei non se n'era servita, sembrava non sapere che farsene, così l'ho preso io e l'ho fatto dorare, con l'intenzione di riporvi anelli e orecchini. Poi, chissà perché, non l'ho mai adoperato.» Capovolse il telefono e lo osservò, aggrottando la fronte. «Ma qual è la combinazione...? Ah, sì. ora ricordo. Bisogna comporre col disco la parola EVE.» Si udirono tre brevi scatti e la base dell'apparecchio girò su un perno, rivelando la cavità interna. Janet ne estrasse alcune lettere. Riconobbe subito la grafia di Pete. Una lettera incominciava con "Amore mio" e finiva: "Il tuo Pete che ti adora". "Mi fai impazzire" era scritto in un'altra. "Nessun uomo potrebbe mai rinunziare a te." Janet le porse a O'Toole assieme al telefono. Fu Cass a rompere il silenzio. «Ho ricevuto una telefonata da Pete, che mi sollecitava a raggiungerlo in ufficio. Quando sono arrivato, l'ho trovato chiuso, non c'era nessuno. Anche se non sospettavo di lui, mi sono allarmato. Mi avevano già incastrato due volte e non volevo correre un altro rischio. Sono tornato qui il più in fretta possibile. Non sapevo che O'Toole faceva sorvegliare la casa. E non avrei mai immaginato che...» S'interruppe, poi la sua voce salì di tono. «Portatelo via! Non voglio più vederlo!» O'Toole fece un cenno al poliziotto che teneva Pete per un braccio. «State tranquilli, non opporrò resistenza» disse Russlin. Si rivolse a Janet: «Ho dovuto farlo. Dio sa che non volevo, ma non mi restava altra scelta.» «Il mio migliore amico...» sibilò Cass. Nel vedere la sua espressione, O'Toole gli si parò davanti. Il viso di Pete si contrasse. «Ho fatto l'impossibile per salvarti dalla sedia elettrica. Ma tu sai com'era Eve... Siamo diventati amanti la sera del nostro primo incontro. Nessun uomo che l'abbia amata può rinunziare a lei. Una donna così gli entra nel sangue. Forse, era un veleno, una droga, ma...» S'interruppe. Cass fece un movimento brusco e O'Toole lo trattenne.
Pete uscì, scortato da un poliziotto. A quelli che lo videro andarsene, parve già un uomo staccato dalla vita. 18 Erano le due del mattino, quando Hiram Potter tornò a casa di Collinge. Con lui, c'era O'Toole. Il commediografo ghignò. «Lo sapevo che, prima o poi, avrei ricevuto una visita della polizia» disse, con aria rassegnata. «Potter era sicuro che vi avremmo trovato in piedi» si scusò il tenente. E ne ebbe la conferma, vedendo un libro aperto su un tavolino accanto alla poltrona di Collinge. Questi offrì da bere ai due uomini, osservò i loro visi pallidi, stanchi, e commentò: «Come dice il proverbio, il delitto non paga.» «In questo momento, Pete Russlin lo sta constatando di persona. Tre assassini e un tentato omicidio! L'abbiamo preso in flagrante. Una cosa che succede una volta su mille... anzi, una su diecimila.» «Russlin! L'avvocato che ha strappato Cass Grant alla sedia elettrica!» «E che ha aiutato Eve Grant a organizzare il proprio assassinio.» O'Toole allungò le gambe, sorseggiando il suo whisky. «Bevo questo e poi mi precipito a letto. Non ricordo quasi più com'è fatto, il mio letto.» «Non vi mollo finché non mi avrete raccontato tutto» dichiarò Collinge. «Pete Russlin! Come avete fatto a scoprirlo?» O'Toole fissò Potter con uno sguardo tutt'altro che amichevole. «Se penso a come mi avete trattato da idiota, mi vien voglia di sbattervi in cella con Russlin. Un giorno o l'altro, finirete per passare la misura.» «Voi eravate convinto che il colpevole fosse uno dei Grant e io ve l'ho lasciato credere.» «Mentre sapevate che Eve aveva una relazione con Russlin.» «Non lo sapevo, ma ne ero quasi certo. Non vedevo altra soluzione del problema. Ma dell'innocenza di Janet non ho mai dubitato.» «Vorreste essere più espliciti?» protestò Collinge. «Sto morendo di curiosità.» O'Toole fece un cenno a Potter, ma questi si era rilassato in poltrona, con gli occhi socchiusi. «Bene» disse il tenente «adesso che il caso è risolto, tutto sembra molto semplice. Ma Russlin era il miglior amico di Cass Grant, pareva che fosse innamorato di Janet, si era battuto per salvare Cass dalla sedia elettrica e
poi per farlo trasferire a Wentworth. Con un curriculum del genere, era al di sopra d'ogni sospetto.» «Ma Russlin non voleva che Cass fosse rimesso in libertà» osservò Potter, senza aprire gli occhi. «Sapeva che i Grant non si arrendono. Cass non si sarebbe dato pace finché non fosse riuscito a scoprire la verità, e la posizione di Russlin era abbastanza vulnerabile, dopotutto. C'erano le visite che gli aveva fatto Eve, c'era il suo conto corrente prosciugato, e c'era Verne Simmons.» «Russlin ha confessato?» chiese Collinge. «Avete prove a suo carico?» Avevano tutte le prove necessarie, assicurò O'Toole. Una vecchia signora, che abitava nel caseggiato di fronte al magazzino, aveva identificato con sicurezza Russlin da una fotografia. Quel mattino, l'aveva visto seguire Simmons nel magazzino, dal quale non era più uscito. E il cappio usato per strangolare Simmons era identico a quelli con cui aveva assassinato Eve e tentato di uccidere Janet. «Ma perché non parlate voi, Potter?» disse il tenente. «Il merito di aver risolto il caso è vostro. La confessione di Russlin conferma punto per punto la vostra teoria.» «Dunque, Russlin ha parlato?» si stupì Collinge. «Non capisco. Come avvocato...» «È stato sorpreso in flagrante. Quattro persone l'hanno visto mentre tentava di strangolare Janet Grant. E poi, credo che non gli importi più niente di niente e che preferisca farla finita in fretta.» Collinge si girò spazientito verso Potter. «Se non hai perso la voce, ti dispiacerebbe farmela sentire?» «Preferisco che parti O'Toole. Io ho bisogno di un altro whisky.» Graham Collinge riempì due bicchieri. «Gradisci anche un pizzico di arsenico?» Tutto era incominciato quando Pete Russlin aveva incontrato Eve, in un night club, e si era pazzamente innamorato di lei, spiegò Potter. Erano diventati subito amanti. Pete sapeva chi era quella ragazza, ma non se ne curava. Anzi, forse proprio la sua dissolutezza contribuiva ad aumentarne il fascino per lui. Non ignorava che Frederick aveva un diritto di prelazione su Eve e che, ogni tanto, altri uomini passavano nella sua vita. «Poi, Eve ha incontrato Cass Grant, gli ha fatto perdere la testa e l'ha sposato. Russlin non ha potuto impedirglielo. Infine, Frederick l'ha convinta a posare per quel "nudo".» «Dunque, il "nudo" esisteva?»
«Altro che!» esclamò O'Toole. La signora Frederick aveva scoperto il quadro e minacciato di far scoppiare uno scandalo. Eve era terrorizzata. Aveva telefonato a Pete, dicendogli che dovevano fare qualcosa, subito, prima che Cass venisse coinvolto. Non voleva perdere i vantaggi del suo matrimonio. Pete si era introdotto nello studio, passando da un giardino della Sessantasettesima Strada, e aveva ucciso Frederick. «Perché ucciderlo?» chiese Collinge. «Lo odiava» rispose Potter. «Per lui, Frederick era un rivale ben più temibile di Cass e di chiunque altro, perché era tanto simile a Eve. E poi, aveva un capro espiatorio ideale a portata di mano: Cass Grant, il marito folle di gelosia, l'uomo tanto facile all'ira. Russlin ha pensato che, in questo modo, si sarebbe sbarazzato di due rivali. Ma ha avuto sfortuna. «Verne Simmons, il patrigno di Eve, ricattava Frederick sin da quando gli aveva gettato tra le braccia la ragazza, un anno prima del suo matrimonio con Cass. Continuava a tener d'occhio lo studio e aveva fotografato il quadro compromettente. Simmons ha visto commettere l'assassinio. Quando Russlin è uscito dallo studio... non ci aveva messo più di cinque minuti per uccidere Frederick... lui era là fuori ad aspettarlo. «Simmons era un uomo dai riflessi pronti. Aveva perso una fonte di reddito, ma eccone lì un'altra a disposizione. Non sappiamo ancora perché Russlin non se ne sia andato, passando dal giardino della Sessantasettesima Strada. Forse, nel frattempo, era arrivato qualcuno. Lui e Simmons hanno rischiato grosso, entrando in casa Frederick per poi introdursi nella palazzina accanto attraverso la porta di comunicazione al secondo piano. Più tardi, Eve li ha fatti uscire dall'ingresso principale.» «Eve, la donna fatale...» mormorò Collinge. «Perché, dopo averla uccisa, Russlin ha lasciato quel messaggio sul suo corpo?» «Una volta che era andato da Cass, a Wentworth, l'aveva trovato intento a leggere "Le Metamorfosi". Gli aveva chiesto ridendo se voleva competere con Thornton e Cass gliene aveva letto un passo, dicendo che lo faceva pensare a Eve. "Che strana coincidenza" aveva commentato Pete. "Ho saputo che la tua ex moglie sta per debuttare a Broadway in una commedia che s'intitola appunto "La donna fatale"." E quando Cass è stato rimesso in libertà, Russlin ha ricordato quell'episodio e si è servito della citazione come di un elemento per incriminarlo. Dopotutto, Cass poteva fare benissimo da capro espiatorio una seconda volta.» Per quattro anni, Simmons aveva letteralmente dissanguato Pete. Il ban-
chiere amico di Potter aveva convinto il banchiere di Russlin a ragguagliare O'Toole sulla sua situazione finanziaria in via non ufficiale. Ogni due settimane, Russlin faceva un prelievo di cinquecento dollari. Poi, Eve aveva annunziato a Pete la propria intenzione di sposare Thornton Grant. Lui sapeva che Thornton era tipo da farle buona guardia e che, di conseguenza, questa volta l'avrebbe persa irrimediabilmente. Per di più, gli sarebbe rimasta sempre appiccicata addosso quella sanguisuga di Simmons. «Quasi quasi fa compassione» commentò O'Toole, sarcastico. «Eve ha detto a Pete che alcune sue lettere e una fotografia del "nudo" erano rimaste in casa Grant» continuò Potter. «Gli ha dato le chiavi, affinché andasse a cercarle. Chiavi che gli abbiamo trovato in tasca, questa sera, infilate su un anello d'oro con le iniziali di Eve. C'era anche quella della porta di comunicazione al secondo piano. Lui è penetrato più volte in casa, cercando disperatamente quelle lettere che lo avrebbero incriminato. Ma non ha riconosciuto lo scrigno a forma di telefono, perché Janet l'aveva fatto dorare. «Poi, la signorina Grant ha deciso di riaprire la sua casa e il pericolo d'essere scoperto è sensibilmente aumentato. In realtà, Russlin si è tradito due volte. La prima quando, dopo aver accompagnato a casa Janet, una sera, ha accennato alla crepa nell'orologio di smalto, che era intatto quando avevano chiuso la palazzina e che aveva fatto cadere lui stesso, durante una delle sue perquisizioni. La seconda volta, è stato a teatro. Dopo l'intervallo, appena rientrato in platea, ha chiesto: "Che cos'è successo?". Ovviamente, credeva che il cadavere di Eve fosse già stato scoperto. «Janet era riuscita a far dimettere Cass da Wentworth, e Russlin ne ha approfittato per architettare un delitto perfetto. Simmons stava logorando i nervi di Eve, avrebbe potuto farla crollare, era quindi venuto il momento di eliminarlo. Eve doveva far andare a teatro i Grant, attrarre Janet nel suo camerino, con un pretesto, e Russlin avrebbe provveduto a imitare il passo di Simmons in modo che lei lo sentisse. Poi, il patrigno di Eve sarebbe stato ucciso, a teatro. Janet avrebbe affermato ancora una volta che c'era stato lo zoppo, sulla scena del delitto, quel fantomatico zoppo che tutti credevano una sua invenzione. E Cass era lì, a portata di mano, un folle appena dimesso da una clinica per malattie mentali.» «Eve ha acconsentito a rendersi complice di questo delitto?» esclamò Collinge, allibito. «Quattro anni fa, non aveva battuto ciglio di fronte all'assassinio di Fre-
derick» gli fece osservare O'Toole. «Questa volta, però, Russlin voleva uccidere anche lei.» Potter si rivolse al tenente. «Che cos'ha detto, stasera?» «Che Eve era come una droga. Intossicava un uomo e lui non poteva rassegnarsi a perderla.» Eve e Russlin avevano convinto i Grant ad assistere alla prova generale. Poi, lei era stata presa da qualche scrupolo. Aveva detto a Pete della telefonata fatta alla polizia e della trappola montata nel ripostiglio. Non era forse meglio lasciare che arrestassero il suo patrigno? Lui non avrebbe mai osato rivelare di aver assistito all'assassinio di Frederick, per non essere accusato di complicità. Russlin aveva avuto uno shock, ma si era detto che, in fondo, poteva farcela lo stesso. «Eve ha attratto Janet nel camerino e Pete si è precipitato fuori del teatro, ha comprato una bottiglia di Scotch in un bar vicino, il "Triple X", ha gettato il denaro sul banco ed è corso via. Per far questo, ci ha messo circa tre minuti. Non aveva altro alibi da esibire, ma d'altra parte, con Janet e Cass pronti a prendersi la colpa di tutto, non rischiava d'essere sospettato. È rientrato dalla scala di sicurezza, si è messo un vecchio impermeabile per proteggersi dalla fluoroscina, è penetrato nel ripostiglio e vi ha lasciato la bottiglia.» «Come fate a saperlo?» «Sul tavolo del palcoscenico, dove più tardi ha deposto la bottiglia, c'è una macchia circolare di fluoroscina. Poi, ha aspettato che Janet se ne andasse, è sceso nel vicolo dalla scala di sicurezza e ha cominciato a zoppicare. Lei non ha esitato a inseguirlo.» «Dunque, ha toccato lui e non Simmons.» «Esatto, ha toccato lui. Quando Janet è rientrata a teatro, vi è tornato anche lui; passando sempre dalla scala di sicurezza, ha preso la bottiglia di Scotch, si è tolto l'impermeabile ed è andato nel camerino di Eve. Gli sono bastati due minuti per strangolarla e metterle il foglio con la citazione di Ovidio sul petto. Era un indizio contro Cass Grant che, in seguito, dopo molte esitazioni, Pete si sarebbe "rassegnato" a rivelare, riferendo l'episodio accaduto a Wentworth. «Ma c'era Simmons, appostato all'angolo del vicolo. Aveva seguito l'andirivieni di Russlin, l'aveva sentito camminare con passo claudicante, aveva visto Janet rincorrerlo. Il mattino seguente, dopo aver letto i giornali, gli ha telefonato in ufficio. La centralinista, che abbiamo tirato giù dal letto un paio d'ore fa, ha ascoltato la conversazione. "Doppi guai, doppi soldi" ha
detto Simmons. E allora, Russlin...» A Potter tremò la voce, fu costretto a interrompersi. O'Toole gli lanciò un'occhiata, poi si rivolse a Collinge: «Russlin ha dato appuntamento a Simmons in quel magazzino del Greenwich Village. Poi, ha telefonato a Janet Grant, alterando la voce e spacciandosi per l'uomo zoppo.» «Voleva scaricare la colpa del delitto su di lei?» «Cass era alla Centrale di polizia con un alibi di ferro, e lui doveva pur trovare qualcun altro. A questo punto, Potter ha avuto un lampo di genio. Dietro suo consiglio, abbiamo fatto un'indagine nella casa dove abitava Russlin e scoperto che, da quattro anni, Eve andava spesso da lui. Il quadro ha cominciato a delinearsi nitido. Ieri sera, Russlin aveva tentato di giocare l'ultima carta, chiedendo a Janet di sposarlo. Ma lei aveva... ha altre aspirazioni.» O'Toole lo disse, evitando di guardare Potter. «Poi, sono entrato in scena io annunziando che Cass sarebbe stato rilasciato, e Russlin ha dovuto agire in fretta. «Ha telefonato a Cass, chiedendogli di raggiungerlo subito in ufficio. Quando l'ha visto allontanarsi da casa, vi si è introdotto, passando dalla palazzina gemella. Aveva deciso d'inscenare un suicidio. Avrebbe strangolato Janet e poi simulato un'impiccagione per nascondere i segni lasciati sul collo dalla cordicella. Ma c'erano alcuni miei uomini appostati nelle vicinanze». Collinge alzò il bicchiere verso il tenente. «O'Toole, abbiamo tutti gli assi in mano,» «Non ve l'avevo detto?» «Ma no, non intendevo questo. Sarà il dramma del secolo! E voi siete fatto apposta per interpretare la parte del protagonista.» «Provateci» ringhiò O'Toole. «Provateci, vi dico.» Il giorno dopo, nel tardo pomeriggio, Hiram Potter e il tenente O'Toole andarono a casa Grant. Cass, che li aveva invitati con insistenza, li accolse stringendo loro calorosamente la mano. Janet, ancora molto pallida, si limitò a sorridere, in silenzio. «Thornton è stato qui, stamattina» disse Cass. «Ieri sera, tra una cosa e l'altra, non aveva fatto in tempo a spiegarmi perché era venuto. Ha deciso di restituirmi al più presto la disponibilità del mio patrimonio. Povero diavolo! Contraeva talmente le labbra che, per poco, non mi ha trasmesso il suo tic.»
«Be', può dirsi fortunato» commentò O'Toole. «Supponiamo che avesse sposato Eve.» «Vorrei sapere una cosa» intervenne Janet. «Quanti uomini avete piazzato qui, ieri sera?» «Uno in giardino, uno al secondo piano e un altro davanti all'ingresso principale. L'uomo al secondo piano ha continuato a nascondersi, mentre voi ispezionavate le stanze di Eve.» «Non vi ho ancora ringraziato» disse Janet. «E non ho parole per farlo.» «È stato Potter a illuminarmi» rispose O'Toole. Per un attimo, i grandi occhi neri fissarono Hiram Potter. «Lo sapevo.» Cass alzò il bicchiere. «A voi due. Un giorno o l'altro, Janet e io riusciremo a dimostrarvi tutta la nostra gratitudine.» O'Toole ricambiò il brindisi. «A ulna nuova vita.» «Sarà davvero una nuova vita, per tutti e due» dichiarò Cass. «Jan ha deciso di vendere la sua boutique.» «E poi, che cosa farà?» chiese il tenente. Ancora una volta, Janet fissò per un attimo Potter. «Non lo so» rispose. Fu allora che Potter incominciò a parlare in fretta, dicendo che lui avrebbe fatto un viaggio. Voleva passare l'inverno nel Sud. In primavera, forse, sarebbe andato a visitare il Grand Canyon, uno di quei posti dove l'imponenza della natura fa ritrovare il senso delle proporzioni umane. Depose il bicchiere, strinse la mano a tutti e se ne andò. Sembrava un uomo in fuga. Cadde un breve silenzio. Poi, O'Toole sospirò. «Pover'uomo...» «Perché?» chiese Cass. «Sapete come l'ho incontrato? Stavo indagando su un caso di pluriomicidio e alla fine si è scoperto che quei delitti li aveva commessi la ragazza di cui Potter era innamorato. È stata rinchiusa a vita in un manicomio criminale. Poco tempo fa, ho saputo che la sua salute sta declinando rapidamente. Potter ha continuato ad amarla. Poi, si è liberato di quell'ossessione nell'unico modo normale: innamorandosi di un'altra. Ma quest'amore gli fa paura, e così è fuggito.» Seguì un nuovo silenzio. Cass lo spezzò, dicendo: «Sono felice d'essere tornato a casa. Tanto felice che sarei disposto a passare tutta la vita qui dentro.» «Ti concedo di godertela per un po', la nostra casa» dichiarò Janet, con voce vibrante. «Ma, appena ci sentiremo tutti e due più forti, pronti per rientrare nel mondo, faremo un viaggio.» I suoi occhi splendevano. «In pri-
mavera, voglio visitare il Grand Canyon.» Vide Cass fissarla stupito e aggiunse: «Ricordi il brindisi che hai fatto, la sera del tuo ritorno da Wentworth? Alle cose rimaste in sospeso.» «Non arrendetevi» le consigliò O'Toole. «Forse, riuscirete a tenere Potter così occupato che non andrà più in cerca di guai. Lo spero, almeno» concluse, dubbioso. FINE