L.E. MODESITT JR. TENEBRE (Darknesses, 2003)
A Lara e Van
I. TENEBRE SULLA MILIZIA 1 Tempre, Lanachrona Cinque uomini...
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L.E. MODESITT JR. TENEBRE (Darknesses, 2003)
A Lara e Van
I. TENEBRE SULLA MILIZIA 1 Tempre, Lanachrona Cinque uomini sedevano attorno a un tavolo rotondo. Il ripiano era di marmo rosa, le elaborate gambe che gli facevano da sostegno erano di legno di lorken intagliato e lucidato, talmente scuro che avrebbe potuto essere scambiato per ebano. Tre di essi indossavano l'uniforme blu e panna delle Guardie del Sud. Il quarto portava l'abito color argento di Archivista degli Atti. L'ultimo era il Signore-Protettore, vestito con una tunica azzurro-violetta dai profili color panna, simile nel taglio e nello stile alla divisa degli ufficiali. La fredda luce argentea del sole invernale filtrava nella stanza attraverso le alte e strette finestre della parete a sud, finestre la cui intelaiatura di lorken era delimitata da colonne di marmo rosa. Sotto il soffitto bianco a volta, una tappezzeria di damasco rosa ricopriva le pareti, senza tuttavia trasmettere alcun senso di calore alla sala delle conferenze. «Avete sentito e compreso tutti ciò che ha detto l'Archivista degli Atti, non è vero? Conoscete tutti le limitazioni della Tavola?» chiese il SignoreProtettore. «Non può mostrare quello che succederà nel futuro, ma solo quello che sta accadendo o è accaduto da poco. Non è così?» Il maresciallo Wyerl fece una pausa e si schiarì la voce, poi si scostò dal viso una corta ciocca di capelli castano chiaro. Nonostante le rughe che gli segnavano la zona intorno agli occhi, le guance ben rasate gli conferivano un fascino fanciullesco. Quasi ripensandoci, aggiunse: «Quanto, da poco?». «Le immagini migliori riguardano fatti successi da due o tre giorni», replicò l'uomo più anziano dall'abito argentato. «La maggior parte degli eventi può essere richiamata a distanza di una settimana. Quando si tratta di avvenimenti capaci di esercitare un forte impatto sul futuro, la visione si può protrarre per un mese, anche per un anno, benché risulti impossibile prevedere quali siano gli avvenimenti che la Tavola reputa degni d'interesse.» Poi l'Archivista aggiunse: «Di solito chi è provvisto di grande Talento non compare, e persino le conseguenze delle sue azioni si manifestano solo come ombre iridescenti per poche clessidre o per un giorno al massimo. Naturalmente, in base a ciò che non viene rivelato, a volte, si può dedurre
quale uso del Talento sia stato fatto dai propri nemici». L'uomo biondo più giovane che, ugualmente, indossava l'uniforme con le mostrine di maresciallo delle Guardie del Sud chiese con aria lievemente corrucciata: «Perché non compare chi è dotato di Talento?». «Le Tavole furono ideate e create all'apice del Duarcato da coloro che possedevano Talento. Immagino che non volessero che queste venissero usate contro di loro.» Le parole dell'Archivista lasciavano trasparire una certa durezza. «Esiste ancora qualcuno dotato di un Talento del genere?» domandò il maresciallo Wyerl. L'Archivista degli Atti sorrise debolmente. «A Corus ci sono sempre persone contraddistinte dal Talento, anche se sono davvero poche. La Matride era l'unica che la Tavola non riuscisse a rappresentare. Potrebbero venirne altri, ma, per il momento, tutti coloro che possiedono tracce di Talento e che ci sono ostili possono essere individuati tramite la Tavola.» «Come Aellyan Edyss, ad esempio?» «Il condottiero nomade compare molto chiaramente», confermò l'Archivista. Il Signore-Protettore si schiarì la voce e si rivolse a Wyerl: «Stavate per fare rapporto, maresciallo?». «Sì, Signore-Protettore.» Wyerl raddrizzò le spalle. «La reggente della Matride ha rafforzato le difese di Dimor e delle vie d'accesso alla strada principale, quelle lungo il fianco sud del braccio meridionale del fiume Lud, e ha piazzato sul posto almeno dieci compagnie di cavalleggeri regolari, oltre ad altrettante di ausiliari e a cinque compagnie di fanteria. Inoltre, la zona è protetta da quell'orribile lancia-proiettili di cristallo.» Il maresciallo inclinò il capo in direzione del collega più giovane. «Il Maresciallo Alyniat può fornirvi maggiori dettagli circa la situazione a Zalt e a Porta del Sud.» Il Signore-Protettore - che dimostrava come minimo una decina d'anni in meno rispetto agli altri presenti nella sala - fece un cenno di assenso al maresciallo. «Signore-Protettore», esordì Alyniat, «su un punto, in particolare, noi abbiamo avuto molta fortuna. Poiché l'Archivista degli Atti era stato in grado, a suo tempo, di svelare l'esistenza del lancia proiettili di cristallo, noi abbiamo potuto modificare le nostre strategie. L'assedio al forte di Zalt si è dimostrato efficace nel respingere i mattiti, che però si sono serviti di quell'arma per coprirsi la ritirata. Adesso occupiamo Zalt che perlopiù è
rimasta intatta, al pari del forte, che è stato ampliato e ulteriormente fortificato. Tuttavia... gli abitanti di Zalt si sono stabiliti a Dimor e hanno impiegato tutte le loro energie per consolidarne le difese. Di fronte a tale spiegamento di forze e al lancia-proiettili di cristallo, che si trova ancora là, è assai improbabile che, nel corso dei prossimi anni, si riesca a occupare Dimor senza ricorrere a uno straordinario impiego di risorse militari e di approvvigionamenti, e...» Alyniat indugiò, quasi sapesse che quanto stava per dire non sarebbe stato ben recepito. «Vi sconsiglierei dall'intraprendere un'impresa del genere.» Il Signore-Protettore sbottò in una risata. «Là dove i vostri predecessori avevano fallito, voi avete liberato Zalt e Porta del Sud. Terrò presente la vostra raccomandazione.» Le successive parole furono pronunciate con calcolata lentezza. «Finché Porta del Sud ci apparterrà.» A questa dichiarazione seguì un breve sorriso. «Ora, cosa mi dite dei seltiri, laggiù? Quelli rimasti dopo la conquista?» «Del seltiro Benjir si sono perse le tracce durante l'attacco finale alla città. Né lui né i suoi figli sono stati più visti da un anno a questa parte. Il nuovo comitato consultivo che risponde al Signore-Protettore è sotto la giurisdizione del seltiro Sinyen. Hanno accettato di buon grado il dominio di Lanachrona e i cambiamenti intervenuti nella riscossione dei dazi. Come sapete, siamo stati costretti a giustiziare parecchi seltiri e alcuni membri delle loro famiglie, prima che avessero ben chiaro il concetto che la corruzione degli esattori delle imposte non poteva essere ulteriormente tollerata. Quelli che si sono conformati ai principi dettati dalla legge, anziché dal denaro, stanno prosperando e si aggiudicheranno ben presto il controllo di quasi tutto il traffico commerciale di Porta del Sud. Abbiamo avuto cura di risparmiare le donne e di insistere affinché esse ricevano lo stesso trattamento riservato a quelle di Lanachrona.» Il biondo Alyniat si strinse nelle spalle. «L'attuazione di quest'ultimo provvedimento ha richiesto alcune esecuzioni, ma adesso le donne dimostrano una maggiore gentilezza nei confronti dei nostri soldati e mercanti e, col tempo, tutta la regione ci riterrà degni della sua fiducia.» «La mia consorte e le altre signore di Lanachrona troveranno tutto ciò davvero molto gradevole», replicò il Signore-Protettore prima di rivolgersi all'aiuto-maresciallo, un uomo più anziano, dal viso sottile e dai capelli brizzolati. «Parlatemi dei cantieri navali.» «Ci siamo appropriati dei cantieri senza gravi danni e, al momento, abbiamo completato tre bastimenti mercantili d'alto mare. La costruzione di
due era già in corso. La prima nave da guerra sarà pronta entro la fine della stagione e, se il denaro sarà sufficiente, pensiamo di fabbricarne altre cinque entro il prossimo anno.» «Quante ne occorreranno per conquistare Dramur?» chiese il SignoreProtettore. «Più di quante ne potremmo costruire in dieci anni», rispose l'aiutomaresciallo Frynkel. «Dovremo anche creare una scuola o un sistema per l'addestramento di ufficiali ed equipaggi destinati ai combattimenti in mare.» Il Signore-Protettore si accigliò. «Il problema di Dramur non passa in secondo piano, ma dobbiamo anche tenere conto del potere crescente di Aellyan Edyss. Ci stanno già giungendo lamentele sui tributi che questo individuo esige dai mercanti che transitano lungo l'Antica Strada Maestra. Inoltre, con i suoi nuovi Mirmidoni, sta cominciando ad assumere il controllo di alcune regioni di Ongelya.» «Ci vorranno anni prima che la conquisti tutta», fece notare Frynkel. «I confini di Ongelya si estendono per oltre un migliaio di vingti da nordovest a sudest. I suoi Mirmidoni possono spostarsi velocemente solo a cavallo.» «Ma si è impossessato di Illegea in pochi anni», replicò il SignoreProtettore. «Adesso occupa solo la parte settentrionale di Ongelya, circa un terzo del totale, e non ho dubbi che nel giro di un anno potrebbe occuparla tutta, se lo volesse. Ma la parte meridionale presenta poche attrattive, non certo quante ne offre Deforya, ad esempio.» «Eppure ci sono giunte voci di suoi saccheggi al sud», dichiarò Frynkel. «Potrebbe diffondere queste notizie per farcelo credere, mentre invece si muove in tutt'altra direzione», ipotizzò il maresciallo Wyerl. «Probabilmente verso la stessa Deforya. Altrimenti, perché mai il Landarco avrebbe consentito a cedere al Signore-Protettore il titolo di credito che il Consiglio delle Valli del Ferro si era impegnato a pagargli?» Il Signore-Protettore corrugò la fronte. Ignorando la sua espressione contrariata, Wyerl proseguì. «Edyss esercita già il controllo sull'Antica Strada Maestra. Se invade i territori di Deforya e conquista la città di Dereka, avrà in pugno l'accesso alla strada principale che porta al Passo Settentrionale...» «E tutto il commercio via terra con Lustrea.» Il Signore-Protettore annuì. «Riscuotendo un pedaggio su entrambe le vie di comunicazione, potrà ri-
empire i suoi forzieri e acquistare armi... Ma chi potrebbe vendergliele? Di certo non il Pretore di Lustrea. No, non lui.» «Ah... Signore-Protettore», interloquì l'Archivista degli Atti, «così come le Valli del Ferro, anche il Landarco di Deforya possiede miniere di ferro. Ma, al contrario delle prime, i Landarchi hanno sempre mantenuto in funzione una fonderia e una fabbrica di armamenti. Le loro armi sono di ottima qualità». «Ma i deforyani non combattono bene quanto gli uomini della Milizia delle Valli del Ferro», aggiunse il maresciallo Alyniat. «Cosa suggerite dunque, voi quattro?» Il tono di voce del SignoreProtettore lasciava trasparire un'uguale misura di divertimento e di esasperazione. «Un semplice messaggio per confermare il nostro sostegno al Landarco», replicò Wyerl, «un messaggio che magari lasci intendere che il Signore-Protettore è dalla sua parte e che proprio per tale motivo ha accettato di scambiare il suo improduttivo titolo di credito con monete d'oro sonante. Ma lasciamo che Aellyan Edyss agisca per primo. Tutti ci guardano con sospetto. Se ci muoviamo o facciamo pressioni sul Landarco, questi potrebbe rivolgersi a Edyss come al minore dei mali. Inoltre, le sue forze, così come le montagne che circondano Deforya, potrebbero scoraggiare il nostro condottiero nomade. In tal caso, voi sarete libero di dirigervi contro il nemico che risulterà più pericoloso. Se così non fosse e il Landarco avesse bisogno di aiuto, potreste inviargli un numero di uomini sufficiente a confermargli il vostro appoggio, ma non così grande da fargli credere che intendiate agire contro di lui». «E le Valli del Ferro?» «Tutto quello che i mercanti di Dekhron desiderano è essere liberi di vendere la loro merce e di guadagnare. Quanto ai pastori al nord, essi vogliono solo pascolare le loro greggi ed essere lasciati in pace», disse piano Wyerl. «Di sicuro ci deve essere un modo per far sì che queste necessità vengano soddisfatte con onestà e giustizia. Visto che voi possedete il loro titolo di credito per la somma di circa seimila ori più gli interessi, potreste persino acconsentire a cancellarne una parte, se accettassero di diventare una provincia di Lanachrona.» «Pensate che i membri della nostra Corporazione dei Mercanti li accetterebbero come loro pari?» «Un mercante vale l'altro. Le nostre terre parlano più o meno la stessa lingua e né i loro mercanti né i nostri vogliono pagare più tasse per finan-
ziare una guerra.» Wyerl sorrise. «Potreste persino lasciar intendere che un'imposta aggiuntiva di una sola parte su venti - o su cinquanta - sarebbe un prezzo irrilevante da pagare, se entrambe le corporazioni desiderano evitare una guerra, e che voi vi impegnate a far applicare a Dekhron le stesse leggi in vigore a Tempre e a Borlan, e a garantire, inoltre, che non ci saranno presidi di Guardie del Sud nelle Valli del Ferro, a meno che non sia il Consiglio dei Mercanti di Dekhron a richiederli espressamente.» «E cosa ci guadagniamo noi in cambio?» «Più tasse, Signore-Protettore, e la possibilità di dislocare più compagnie di Guardie del Sud sui confini orientali. E, in più, eviterete anche una guerra con le Valli del Ferro, il cui costo potrebbe essere molto salato, come la defunta Matride ebbe modo di scoprire.» «E che succederà se non accetteranno le nostre proposte?» Wyerl sorrise. «Allora, forse qualcun altro potrebbe attaccarli e, in tal caso, voi presenterete le vostre condoglianze... e aspetterete. Potreste anche far credere che ben pochi vorrebbero intrattenere rapporti commerciali con un popolo i cui debiti non vengono onorati.» Il Signore-Protettore scoppiò in una fragorosa risata. «Presentatemi un piano ben dettagliato, maresciallo, e studieremo il da farsi.» «Come desiderate, Signore-Protettore.» L'impercettibile traccia di un mesto sorriso aleggiava sulle labbra dell'Archivista degli Atti, mentre il Signore-Protettore si alzava per porre fine alla riunione. 2 Due uomini avanzavano cavalcando su ciascun lato del gregge di pecore nerine, mentre spingevano gli animali in direzione del fianco orientale della Cresta dell'Ovest, riportandoli verso la fattoria che si trovava al di là delle propaggini occidentali della cresta, troppo estesa e modesta per essere una collina, ma troppo alta per non esserlo. Il pallido sole invernale era appena calato all'orizzonte e il cielo verde-argento stava cominciando ad assumere un colore verde-viola intenso. A est, gli affioramenti di quarzo dell'Altopiano di Aerlal - che dominava imponente sui rilievi ondulati tutt'intorno alla fattoria - scintillavano nella luce del crepuscolo. Il sottile strato di neve risalente a due giorni addietro ricopriva ancora il rosso terreno sabbioso e i cespugli di quarasote che punteggiavano le alture. Il montone in testa al gregge abbozzò un piccolo movimento di testa,
quasi fosse sul punto di caricare, e le corna affilate come rasoi scintillarono nel debole chiarore, il nero mantello e il muso che si stagliavano netti contro il candore della neve, mentre si fermava per poi proseguire lungo il vecchio sentiero che si snodava attraverso il tratto inferiore della Cresta dell'Ovest, seguito dal resto delle pecore. L'uomo più giovane era Alucius. Cavalcare con indosso gli abiti di cuoio e seta nerina tipici dei pastori lo faceva sentire strano, dopo tutti quegli anni trascorsi a vestire dapprima l'uniforme di soldato e poi, durante l'ultimo anno, la divisa di capitano della milizia. Un refolo di vento, acre e pungente, soffiò da nordest, scompigliandogli i capelli, che erano di un colore scuro, grigio scuro: non il grigio dell'età avanzata, ma di una tonalità che si avvicinava al nero, pur senza esserlo. Gli occhi grigio chiaro, screziati di pagliuzze verdi, continuavano a osservare il gregge e i cespugli di quarasote, che rappresentavano l'unica forma di vegetazione in grado di crescere sul rosso suolo sabbioso che circondava la fattoria. Con la forza dell'esperienza e dell'abitudine, Alucius guidò il proprio cavallo - Selvaggio - attorno a un quarasote rinsecchito che aveva già prodotto i semi. Nella terra non si vedevano ancora spuntare i germogli, dato che questi si sarebbero mostrati solo in primavera. Nel frattempo, Alucius ebbe cura di evitare il cespuglio che, al pari di ogni altro quarasote, era munito di spine capaci di lacerare le carni di qualunque animale, tranne le pecore nerine, che invece si cibavano dei nuovi getti. La seta nerina - nonostante l'aspetto apparentemente morbido e soffice e la sua duttilità - diventava dura come una corazza, se sottoposta a pressione, ed era questo il motivo per cui Alucius indossava indumenti di seta nerina, soprattutto quando prestava servizio nella Milizia delle Valli del Ferro. L'uomo più anziano - il nonno di Alucius, Royalt - incitò le pecore che si attardavano, e fece affiancare il proprio cavallo a quello del nipote. «In questi giorni di licenza, hai avuto modo di vedere quasi tutte le terre della fattoria. Che ne pensi?» «L'anno scorso il clima è stato secco. Non ci sono molti germogli nuovi, se non nei pressi dell'altopiano. Forse là è piovuto o è nevicato di più lo scorso inverno?» Alucius piegò il capo, prestando attenzione a ciò che il Talento gli rivelava. Riusciva ad avvertire il colore grigio-violetto che denotava la presenza dei lupi della sabbia, da qualche parte a nord, insieme al lieve accenno del rosso-violetto dei sabbiosi, ma, quest'ultimo, così debole da non consentirgli neppure di localizzarli, benché capisse che non si trovavano nelle vicinanze del gregge.
«Perlopiù è nevicato. Ho tenuto le pecore vicino all'altopiano più di quanto avrei voluto, ma la loro lana si sta facendo resistente. È stato un anno buono, nonostante tutto.» Alucius portò lo sguardo sul montone guida - assai giovane per quella funzione - ma che denotava molta più saggezza dei suoi anni. Distrattamente lo studiò con i Talento-sensi, notando che anche l'animale era unito dal proprio filo vitale alla fattoria, un filo che, come tutti i legami di quel genere, se troncato, avrebbe provocato la morte del suo possessore. «Assomiglia persino ad Agnellino», dichiarò Royalt. «Già. Mi manca Agnellino. Speravo di vederlo un'ultima volta.» «Aveva quasi vent'anni, parecchi per un montone nerino.» «Sì, però lo speravo ugualmente», disse Alucius. «Questo ti ha preso in simpatia come il padre. Si vede.» «Vorrei restare qui, anziché tornare a Emal.» Alucius si sentiva a disagio ogni volta che il nonno accennava anche solo lontanamente al fatto che molto presto sarebbe diventato un pastore. «Ti mancano solo dieci mesi prima di finire il tuo servizio sotto le armi.» «Poi vedremo.» Alucius sapeva bene cosa sarebbe potuto accadere in quei dieci mesi. Tempo addietro, in meno di tre mesi si era trovato a essere ricognitore della milizia e poi prigioniero dei matriti, che gli avevano imposto un collare e l'avevano costretto a sottoporsi a un nuovo addestramento. In seguito, durante un altro periodo di due mesi, era riuscito a rendere inoffensivi tutti i collari della Matride, aveva costituito una compagnia di soldati, che aveva fatto evadere dal campo di prigionia e, insieme ad essi, aveva viaggiato per seicento vingti per tornare nelle Valli del Ferro; dopodiché era tornato a servire nella milizia come capitano ed era riuscito a nascondere a tutti quanti l'entità del proprio Talento. In un certo senso, rifletté, quell'ultima impresa si era rivelata la più difficile, anche se mantenere segreto il proprio Talento era una delle tradizioni più radicate nei pastori delle Valli del Ferro, poiché su questo poggiava il loro destino. «È stato un periodo calmo. Persino Kustyl lo dice», dichiarò Royalt. «Forse è proprio allora che bisogna preoccuparsi.» Alucius rise in tono mesto. «Qualcuno mi disse qualcosa del genere, una volta.» «Stai usando le mie stesse parole contro di me?» «Non contro di te. Sono solo preoccupato.» Mentre Selvaggio raggiungeva la cima della Cresta dell'Ovest, Alucius si sistemò meglio in sella. I fabbricati della fattoria si trovavano a un vingt - duecento iarde buone - a
ovest, e all'incirca cinquanta iarde più in basso rispetto alla sommità dell'altura. «Sei diventato più ansioso, dopo che ti sei sposato.» «Al mio posto non lo saresti anche tu?» Alucius si corresse prontamente: «Non lo sei stato anche tu? Non sei rimasto a lungo nella milizia, dopo che tu e la nonna vi siete sposati. Almeno, stando a quello che mi raccontava la mamma». Royalt fece una risatina. «Diciamo semplicemente che mi sentivo più a mio agio nei panni del pastore, soprattutto dopo che i mercanti avevano cominciato a protestare per ogni moneta d'oro spesa a sovvenzionare la milizia.» «Come ora?» chiese Alucius. «Ai miei tempi era peggio. Adesso si sentono ancora un po' inquieti riguardo a ciò che è accaduto. Sono passati poco meno di - due anni da quando i matriti occupavano Chiusa dell'Anima, e la occuperebbero ancora se il Signore-Protettore non avesse deciso di conquistare Porta del Sud.» «Può darsi, per quanto non si siano verificati dei veri scontri da più di un anno e il Consiglio abbia ridotto le compagnie della milizia da trenta a ventuno.» «E sarebbero solo venti se non fosse stato per te.» Royalt fece un gesto con la mano verso i fabbricati esterni alla fattoria, a meno di mezzo vingt davanti a loro. «Conduciamo il gregge nell'ovile. Possiamo continuare a parlare durante la cena.» Alucius annuì e fece fare un giro a Selvaggio intorno al gregge per assicurarsi che i ritardatari seguissero il montone guida. Una delle pecore più anziane del gruppo indugiava, quasi volesse rimanere fuori. Alucius proiettò verso di lei l'immagine di un lupo della sabbia, e questa si affrettò a raggiungere gli altri. Dopo che tutte le pecore nerine furono al riparo, Alucius smontò e legò Selvaggio a uno dei pali del recinto dell'agnellatura. Quindi verificò ancora una volta l'ovile. Mentre stava facendo scorrere l'ultimo chiavistello negli anelli, Wendra comparve accanto alla porta. Aveva indosso la giacca da pastore che la madre di Alucius le aveva confezionato e regalato in occasione del suo compleanno. Nel voltarsi, Alucius se la trovò davanti, la morbida bocca e gli occhi verdi dalle screziature dorate, entrambi atteggiati a un sorriso. Intorno al collo portava la sciarpa verde che lui aveva acquistato a Zalt: l'unico oggetto di un qualche valore che aveva portato con sé da Madrien.
Dopo essersi fissati per un lungo istante, si abbracciarono, e Alucius avvertì i loro fili vitali che si intrecciavano. Infine si separarono. «Perché... come...?» Alucius non sapeva bene come porre la domanda. Slegò Selvaggio. Wendra scoppiò in una risata. «Quando tua madre ha visto che stavi scendendo dalla Cresta dell'Ovest, mi ha praticamente buttata fuori dalla cucina.» La risata si spense. «Ha detto che partirai domani e che non ha intenzione di lasciarmi commettere i suoi stessi errori.» Alucius annuì gravemente. Suo padre, che era stato capitano della milizia, era partito quando lui aveva meno di tre anni e non aveva più fatto ritorno. «Devo ancora occuparmi di Selvaggio.» «Vengo con te. Mentre tu facevi rientrare il gregge, tuo nonno ha finito di governare il suo cavallo.» «Si merita un po' di riposo, visto che domani dovrà tornare a occuparsi di tutto quanto.» «Lo so», disse piano Wendra. Alucius capiva che la moglie era preoccupata e stava cercando di nasconderlo. «Che è successo?» «Niente.» Il respiro di Wendra formava una bianca nuvoletta di vapore nel crepuscolo invernale. Alucius scrutò Wendra con attenzione. «Non ci credo.» «No, davvero. Non dovrei essere preoccupata. Mio padre ci ha mandato un mezzo barile di buona birra chiara. Ce lo hanno portato la mamma e Korcler. Abbiamo chiesto loro di fermarsi a cena, ma la mamma ha detto che dovevano tornare. Erano stati da Gortal, allo stabilimento dei gatti della polvere, a consegnargli dei barili.» Wendra indugiò. «Mio padre preferirebbe non avere a che fare con Gortal, ma senza i suoi ordini...» «Non sarebbe in grado di tenere aperta la sua bottega di bottaio», Alucius finì la frase mentre conduceva Selvaggio nella stalla e si dirigeva verso il terzo recinto. Wendra annuì, fermandosi in fondo. «Sembra così... ingiusto... così sbagliato. Mio padre è un bravo bottaio, e non ha avuto la fortuna di possedere sufficiente Talento per diventare un pastore. Ma lavora sodo.» «Certo.» Alucius tolse la sella a Selvaggio e cominciò a strigliarlo. «Se davvero esiste Colui che È, c'è da chiedersi come mai ci siano al mondo così tanta cattiveria e così tanta ingiustizia.» Ripensando ai collari della Matride, aggiunse: «E molto spesso si ha l'impressione che gli sforzi compiuti dalla gente per porre rimedio a qualche malvagità finiscano solo per
produrne dell'altra». «Stai pensando a Madrien, non è vero?» «Sì.» «Vedi le cose in modo diverso, adesso.» «Che c'è di male?» «Nulla.» Wendra scosse il capo. «Risulta difficile credere che una sola persona potesse controllare i collari di tutti gli uomini di Madrien.» Poi guardò Alucius. «E non ci hai mai detto molto sull'argomento, tranne quell'unica volta.» «Non c'è motivo di raccontare di più, giusto? Basta che lo sappiate tu, il nonno e la mamma, nessun altro.» Alucius ripose la spazzola e carezzò Selvaggio sul collo. «Bravo, amico mio. E adesso un po' di foraggio.» «Ma... quando i collari persero il loro potere, perché... perché i soldati non si ribellarono?» «Alcuni lo fecero e si unirono alla mia compagnia. Ma si trattava di prigionieri. Perché mai gli altri avrebbero dovuto ribellarsi? Immagino che alcuni ci pensarono, ma non molti. La vita là non era poi così male, e ognuno aveva un posto decente dove vivere. L'unico aspetto negativo era il fatto che gli ufficiali dotati di Talento potevano uccidere a distanza chiunque indossasse il collare, e la maggior parte di questi erano uomini. Una volta che i collari smisero di rappresentare un pericolo e gli uomini ritornarono a una vita normale, per quale motivo la gente avrebbe dovuto abbandonare la propria casa o distruggere tutto? Può darsi che, senza la costrizione dei collari, abbia anche imparato a combattere meglio.» «Questo ti dà fastidio», dichiarò Wendra. «Che cosa?» «Mi raccontasti di come la maggior parte degli abitanti di Madrien vivesse in modo confortevole e di come invece Punta del Ferro sembrasse squallida al confronto.» Alucius uscì dal recinto chiudendosi il cancelletto alle spalle. «Mi piace pensare che gli altri possano essere trattati meglio, ma nel luogo dove questo accadeva veniva usata la forza. Il che non mi lascia molta speranza.» Dopo aver chiuso la porta della stalla, Alucius prese Wendra sottobraccio e, insieme, si incamminarono verso casa. Benché fosse quasi notte, il sentiero era chiaro a sufficienza per chi, come Alucius, possedeva la vista notturna del pastore, grazie alla quale anche il buio più profondo - dato che nessuna delle due lune rischiarava il cielo - sembrava appena poco più di un crepuscolo.
«Non voglio che tu riparta», disse lei piano. «So che devi farlo, ma sono preoccupata.» «Anch'io sono preoccupato.» Alucius rise. «È tutto tranquillo, a eccezione di qualche predatore o bandito.» «Nonno Kustyl dice che i furidi, che avevano lasciato le Colline dell'Ovest, stanno ritornando e che, tra non molto, cominceranno di nuovo a razziare le fattorie.» Alucius annuì. Il nonno di Wendra era bene informato. In qualità di vicino - se di vicinanza si poteva parlare, visto che tra una fattoria e l'altra c'erano oltre dieci vingti di distanza - Kustyl si fermava sovente a chiacchierare con Royalt, abitudine che si era ormai radicata nel corso del tempo. «Potrebbero, ma sono rimasti in pochi e probabilmente non lo faranno prima di alcuni anni. Per quell'epoca, mi sa che sarà qualche altro povero capitano a doversi occupare del problema.» Batté gli stivali contro i gradini della veranda per rimuovere il sottile strato di neve che vi si era depositato, poi passò la spazzola, prima su quelli di Wendra, quindi sui suoi. Una volta entrati, si diedero una ripulita nella stanza da bagno, dove l'acqua che la cigolante pompa a mano faceva fluire dal rubinetto era talmente fredda da rendere bluastre le mani di Wendra. Quando fecero il loro ingresso nella cucina, trovarono Royalt già seduto a un'estremità del lungo tavolo. L'uomo anziano si rivolse a Lucenda, in piedi accanto alla massiccia stufa di ferro. «Te l'avevo detto che non ci avrebbero messo molto.» La madre di Alucius abbozzò un sorriso indulgente, poi si accomodò a sua volta e inclinò la testa verso Alucius: «Se vuoi...». Alucius chinò il capo: «Nel nome di Colui che Era, È e Sarà, possa il nostro cibo essere benedetto, e con esso la nostra vita. E benedetta sia la vita di coloro che lo meritano e che non lo meritano, affinché tutti si possano impegnare a fare del bene in questo mondo e nell'altro». Le parole di quell'antica benedizione lo turbarono, sebbene fosse giunto a comprendere molto del loro significato. Persino alla sua giovane età, aveva visto abbastanza da capire che era spesso difficile stabilire chi fosse meritevole e chi non lo fosse, per quanto ciò potesse, a prima vista, sembrare semplice. Dopo oltre mille anni di massacri e di anarchia, la Matride aveva portato la prosperità e la pace lungo tutta la costa occidentale di Corus. Ma, per arrivare a questo, aveva dovuto opprimere più di quattro generazioni di uomini e imporre loro il collare d'argento, in grado di ucciderli in base al ca-
priccio di qualunque donna dotata di Talento. Chi aveva meritato cosa, per quanto tempo e perché? Alucius era ancora incerto sulle risposte da dare. Lucenda si alzò, imitata da Wendra. Quest'ultima cominciò a porgere vassoi e piatti dal portavivande, mentre Lucenda versava in una grossa terrina mestoli di una salsa che stava cuocendo a fuoco lento sulla stufa. «Pollo farcito marinato con salsa all'arancia e patate pasticciate! Una bella cena di commiato per Alucius!» commentò Royalt. «Se lo merita», rispose Lucenda. «Wendra e io abbiamo deciso di preparargli una cena degna di essere ricordata durante il freddo viaggio di ritorno verso Emal.» Wendra sorrise dolcemente a Royalt, sebbene gli occhi le luccicassero, e aggiunse: «E immagino che voi non lo gusterete per niente». Alucius fu quasi sul punto di soffocare nel tentativo di mandar giù la sua sorsata di birra. «Alucius», protestò Royalt, «quando tu sarai partito, mi troverò alla loro mercé. Sono proprio un povero pastore». Gli altri tre scoppiarono a ridere. «Non sei mai stato alla mercé di nessuno», ribatté Alucius, mentre si serviva di patate pasticciate. «E non tormentarci con i tuoi discorsi sul giusto rispetto che ti è dovuto, non stasera, perlomeno», interloquì Lucenda. Royalt si strinse nelle spalle con un gesto teatrale, quasi a voler significare la propria impotenza. Alucius assaggiò un boccone di pollo, poi sorrise a Wendra. «È buono. L'hai cucinato tu, vero?» Wendra arrossì. «Sì, l'ha preparato lei. Cucina meglio di me», rispose Lucenda per lei. «Ed è quasi altrettanto brava con i telai e le filiere.» Quell'affermazione sottintendeva il fatto che, sebbene suo padre mancasse del tutto di Talento, Wendra avrebbe potuto benissimo essere cresciuta in una fattoria e avere imparato tutto sin da bambina, tanto era capace. Anche se era chiaro ad Alucius che la moglie possedeva Talento, magari non quanto lui, ma in misura sufficiente a diventare anche lei un pastore, tanto che il giovane si ripromise, una volta terminato il servizio militare, di insegnarle tutti i segreti del mestiere. Mentre la famiglia era intenta a mangiare, nella stanza scese il silenzio. «Ho parlato con Kustyl la settimana scorsa», esordì infine Royalt. «Mi ha detto che a Borlan il prezzo per la seta nerina dell'estate si aggirava sul-
le quindici monete d'oro la iarda.» «La seta nerina non filata?» chiese Wendra. Royalt finì di mangiare la sua fetta di pane prima di annuire. «Sì, ma non la nostra. Si tratta sempre di pastori con piccole greggi, gente che non ha molti soldi e che non può aspettare. Ragion per cui, fa un accordo di vendita anticipato a prezzo fisso tramite un intermediario, il quale cercherà poi di rivendere la merce sul mercato a un prezzo più elevato. Se ci riesce, avrà guadagnato dei bei quattrini senza rischiare nulla.» «E che succede se il pastore non consegna la lana?» domandò Wendra. «Probabilmente, perde una parte o la totalità del suo gregge», replicò Alucius. «L'intermediario prenderà gli animali al posto della lana e poi li venderà ad altri pastori.» «Sono anni ormai che noi non comperiamo più pecore», disse Royalt. «Una volta fummo costretti a farlo, ma si parla di venticinque anni fa. La febbre grigia ci uccise una decina di pecore di prima qualità. Non avevamo scelta, anche se la cosa non ci piacque per niente.» Alucius non aveva mai sentito parlare di quell'epidemia, ma gli capitava sempre di scoprire qualcosa di cui non era al corrente quando il nonno cominciava a parlare del passato. «Il prezzo non sarebbe così alto, se i mercanti non fossero convinti che ci saranno dei problemi», commentò Lucenda. «Il clima non è stato poi così secco e in inverno non ha fatto molto freddo.» Quindi si rivolse al figlio, che le sedeva di fronte. «Forse il Signore-Protettore sta pensando di dirigersi a nord?» «Non ho sentito niente del genere, e il colonnello Clyon era venuto in visita a Emal due settimane prima che partissi in licenza. Si parla molto di più del fatto che la moglie del Signore-Protettore dovrebbe dargli un erede.» «Sono sposati da meno di un anno e già vogliono un erede?» chiese Wendra. «Non ha forse dei fratelli, se è di questo che tutti si preoccupano?» «Per quanto mi sembri di ricordare, ha due fratelli», rispose Lucenda. «Ma nessuno dei due è sposato. Non che il più anziano dei due non si possa considerare privo di certe doti.» «Vuoi dire sufficientemente ambizioso e assetato di sangue?» domandò secco Alucius. «Chi ti ha detto questo?» chiese Wendra guardando Alucius. «Il colonnello ne ha parlato qualche tempo fa. Ha detto che l'attuale Si-
gnore-Protettore possiede maggiori capacità di discernimento rispetto ai fratelli più giovani, ma che tutti e tre sono da tenere d'occhio.» «Clyon è un brav'uomo, ma divaga troppo», commentò Royalt. Alucius annuì. «Il maggiore Weslyn sta assumendo un'importanza sempre crescente.» «Pensi che sia un tipo a posto?» «Il maggiore Weslyn? Si limita a eseguire ciò che il colonnello gli ordina, ma...» «Forse non ha altrettanto polso?» chiese Wendra. «Oppure, se dovesse succedere qualcosa a Clyon, non farebbe che ubbidire alle direttive del Consiglio?» «La cosa mi preoccupa», ammise Alucius. «Il capo della Milizia delle Valli del Ferro deve essere in grado di opporsi al Consiglio, quando è il caso. Clyon ne è capace.» «Peccato che tu non possa essere colonnello», disse Wendra. Alucius rise piano. «Sono troppo giovane. Sono il capitano più giovane di torta la milizia.» «E sei anche quello che ha visto più cose di tutti», precisò Wendra. «Non è così che funziona. Inoltre, preferirei fare il pastore.» Royalt corrugò lievemente la fronte e Alucius non poté ignorare il senso di palese preoccupazione che accompagnò quell'espressione. Wendra fece correre lo sguardo dall'uno all'altro, ma rimase in silenzio. «Che altro ti ha detto Kustyl?» chiese Alucius. «Durante la guerra contro la Matride, il Consiglio ha preso in prestito dal Landarco di Deforya oltre seimila monete d'oro. Non volevano aumentare le tasse, ma non sono stati in grado di ripagare neppure gli interessi e, di certo, non riusciranno a rimborsare il debito. Dopo quattro anni, l'interesse arretrato ammonta ad altre tremila monete d'oro. Kustyl diceva di avere saputo che il Signore-Protettore ha rilevato il titolo di credito dal Landarco, il quale è stato costretto a venderlo a causa di alcuni problemi. Il Signore-Protettore ha pensato bene di aumentare il tasso di interesse sul credito, visto che il Consiglio non ha rispettato i termini di pagamento. Alcuni dicono che abbia persino mandato un inviato da Tempre. Tra i mercanti c'è una fazione che preferirebbe diventare provincia di Lanachrona, piuttosto che finire per pagare un cinquanta per cento in più di imposte.» «Così tanto?» si meravigliò Alucius. «Ne sarebbero capaci?» sbottò Wendra.
«Ebbene... alcuni sì», replicò Royalt. «Sono come Gortal», aggiunse Lucenda. «Poco importa cosa può succedere agli altri, fintanto che riescono a guadagnare.» «Cosa credi che possa succedere adesso?» chiese Alucius rivolto al nonno. «Questo... non lo so. Hai visto Madrien: finora, ciò che pensavi potesse succedere là si è verificato. I matrici sono ancora in grado di proteggere se stessi, per cui non restano che i nostri territori, quelli di Deforya e dei nomadi delle praterie verso i quali il Signore-Protettore potrebbe cercare di espandersi. Ha già conquistato Porta del Sud. Non lo vedo affatto interessato a spingere le Guardie del Sud oltre l'Antica Strada Maestra per conquistare mille vingti di lande desolate.» «Quindi, Deforya o noi», concluse Lucenda. «O entrambe», ipotizzò Alucius. «Col tempo, comunque.» Royalt scosse piano il capo. «Tanto non possiamo fare nulla adesso e, in ogni caso, nessuno ci interpellerà. Siamo solo dei pastori.» Si rivolse con un sorriso alla figlia: «Hai detto che c'era della torta?». Alucius era sbalordito all'idea che il Consiglio potesse cedere l'indipendenza delle Valli del Ferro pur di non pagare il debito, per quanto enorme potesse essere. Sbalordito da quella rivelazione, ma non sorpreso dal modo di agire del Consiglio... o dalla sua mancanza di previdenza. 3 Alucius si svegliò che era ancora buio, sapendo però di doversi alzare. La sua licenza di fine inverno era giunta al termine e lui doveva ripresentarsi all'avamposto di Emal. La settimana era passata in un baleno e ora aveva davanti tre giorni di viaggio a cavallo; doveva partire un giorno prima dei suoi soldati e comandanti di squadra, così da poter essere là quando si fossero presentati a rapporto. «Vorrei che ti fermassi di più», sussurrò Wendra, rannicchiandosi contro di lui. «Anch'io.» Lei lo tenne stretto per un attimo prima che la baciasse, poi disse: «È un lungo viaggio». «Lo so.» Alucius scivolò fuori dalle pesanti coperte, uscì da quella che era stata un tempo la camera degli ospiti e si diresse, attraverso il corridoio sul re-
tro, verso la stanza da bagno. L'acqua del rubinetto, azionata dalla pompa a mano, era come ghiaccio allo stato liquido, al punto che Alucius, dopo essersi rasato, aveva il viso gelato. Quando ritornò in camera, Wendra si era già infilata i pantaloni, la tunica e la pesante giacca invernale. Rimase seduta sul bordo del letto a osservarlo, mentre lui si infilava gli indumenti di seta nerina e l'uniforme da capitano. Quindi si alzò e lo abbracciò di nuovo. Si scambiarono un lungo bacio, poi lei si allontanò... un poco e premette il cristallo nero del proprio anello contro quello del para-polso da pastore di lui. Per un attimo vennero pervasi da un senso di calore e di vicinanza e rimasero là, abbracciati stretti. Wendra si scostò per lasciarlo finire di vestirsi, ma rimase ai piedi del letto, senza sedersi. Quando ebbe finito, Alucius raccolse le bisacce da terra e prese il fucile dall'alta rastrelliera fissata alla parete. All'infuori dei vestiti che aveva indosso e dei suoi articoli da toeletta personali, tutto il resto era già stato preparato la sera prima. Si allacciò la pesante cartucciera sopra il giaccone invernale della milizia. Sebbene non si aspettasse di avere problemi lungo il cammino, preferiva avere i proiettili a portata di mano, nel caso avesse dovuto affrontarne qualcuno. Il fucile gli apparteneva, ma era conforme ai criteri della milizia: si trattava di un'arma progettata per essere usata contro i sabbiosi e i lupi della sabbia, con un caricatore contenente solo cinque cartucce, ciascuna delle quali superava in diametro il pollice di una grossa mano. Wendra lo accompagnò fuori portando il cestino delle provviste per il viaggio. Mentre camminavano verso la stalla nell'oscurità, un'oscurità che agli occhi di Alucius appariva più come un leggero crepuscolo, lei disse piano: «Fa più freddo di ieri. Starai attento?». «Sono sempre stato attento, persino quando mi trovavo a Madrien.» «Sono preoccupata.» Anche Alucius lo era, sebbene avesse meno motivi di esserlo rispetto a quando si era arruolato per la prima volta, anni prima, nel bel mezzo di una guerra. Eppure... Corus era una terra turbolenta, e predoni e briganti erano sempre in agguato, anche se non c'erano guerre. Non ancora, perlomeno. Dopo aver sellato Selvaggio e aver riposto le provviste per il viaggio nelle bisacce, Alucius si voltò verso Wendra e l'abbracciò. «Ancora quattro stagioni e poi tornerò per stare con te.» Lei non disse nulla, ma sollevò le sue labbra verso quelle di lui. Quindi Alucius si infilò la maschera proteggi-capo, che era provvista di fessure solo in corrispondenza degli occhi, del naso e della bocca e gli a-
vrebbe riparato tutta la testa. «Ti fa sembrare pericoloso», commentò lei con un lieve sorriso. «Non so che dire riguardo al sembrare pericoloso, ma di certo la seta nerina impedirà alla mia faccia di congelare. Dovrò togliermela quando farà giorno, però, altrimenti qualcuno potrebbe pensare che sono un brigante.» Condusse Selvaggio fuori dal suo recinto, e dalla stalla, nell'aria gelida di quel mattino invernale, quando mancavano ancora tre clessidre al sorgere del sole. A ovest, appena al di sopra dell'orizzonte, il disco sfumato di verde di Asteria stava tramontando. La luna più grande - Selena - era calata una clessidra dopo il tramonto del sole, la sera prima. Alucius chiuse l'uscio della stalla e montò a cavallo. «Ti riaccompagno verso casa.» «Ma posso... d'accordo.» Wendra si girò e cominciò ad avviarsi in direzione del fabbricato della fattoria, con Alucius che le camminava al fianco in groppa a Selvaggio. Dopo che ebbero raggiunto la veranda, lui girò il cavallo. «Prometti che starai attento», ripeté Wendra al marito. «Lo prometto», la rassicurò lui. «Anche tu fai attenzione.» Wendra annuì, come se non osasse parlare. Dopo averla fissata per un lungo momento nell'oscurità, Alucius diresse il cavallo verso il sentiero che conduceva a sudovest, ricacciando il groppo che sentiva in gola. Comprendeva le paure della moglie e le sue preoccupazioni. Erano successe così tante cose. Tre anni prima si era arruolato nella Milizia delle Valli del Ferro, era diventato ricognitore, poi era stato catturato dai matriti nella battaglia di Chiusa dell'Anima e costretto, a causa del collare che gli era stato imposto, a servire come soldato nell'esercito della Matride. Dopo aver scoperto la portata del proprio Talento, aveva messo fine alla schiavitù dei collari ed era tornato alle Valli del Ferro alla testa di una compagnia di prigionieri liberati, solo per scoprire che il prezzo di quella libertà consisteva nel diventare capitano di quella stessa compagnia, al servizio della milizia. Adesso, dopo poco più di un anno passato al comando della Ventunesima Compagnia Cavalleggeri, non gli restavano che alcuni mesi perché completasse il secondo anno di ferma, per poi tornare a casa da Wendra e al suo lavoro di pastore. Mentre passava accanto ai fabbricati esterni, si voltò a osservare la fattoria. Wendra era là, immobile, che lo guardava allontanarsi. Le fece un cenno di saluto, senza essere certo che lei fosse in grado di vederlo nell'oscuri-
tà. Alucius aveva percorso meno di un vingt, quando percepì la presenza di qualcuno. C'erano quattro uomini, ma nessuno di essi era provvisto di Talento poiché, da quanto avvertiva, le loro emanazioni di colore erano soltanto nere, senza i lampi verdi che contraddistinguevano i pastori dotati di Talento e neppure i lampi violacei che erano l'unico altro genere di Talento nel quale si fosse imbattuto fino a quel momento. Fece rallentare Selvaggio portandolo al passo e proiettò i Talento-sensi tutt'intorno per cercare di capire dove i quattro fossero nascosti. Scoprì che si trovavano nell'avvallamento della palude, a meno di duecento iarde dal punto in cui il sentiero della fattoria si intersecava con la vecchia strada principale che collegava Glacenda, attraverso Chiusa dell'Anima e Punta del Ferro, a Dekhron. Due degli sconosciuti erano piazzati sul lato a nord e gli altri due sul lato a sud, tutti e quattro a meno di venti iarde dalla strada: si trattava chiaramente di un agguato. Alucius percepiva anche il grigio-violetto dei lupi della sabbia che, senza dubbio, erano in attesa di qualche carogna di cui cibarsi. Sorrise cupo dietro la maschera proteggi-capo. Di sicuro l'aspettativa dei lupi della sabbia non sarebbe stata delusa. Proseguì fino a trovarsi a meno di duecento iarde dal luogo dell'imboscata. Quindi, nell'oscurità della notte senza luna, tenendosi a sufficiente distanza, così che nessuno degli uomini potesse vederlo, fece fermare Selvaggio, smontò e lo legò a uno dei pali che si trovavano all'imbocco del sentiero della fattoria, poi estrasse il fucile dalla custodia e lo impugnò con la sinistra. Muovendosi silenzioso come solo chi è stato pastore e ricognitore sa fare, sgusciò tra i quarasote, ricorrendo alla sua vista notturna e ai Talentosensi per farsi strada verso la palude, sul fianco nord del sentiero. Sperava di essere in grado di usare il Talento per tramortire gli sconosciuti e poi recidere i loro fili vitali, anziché dover ricorrere al fucile. Così facendo, però, avrebbe dovuto avvicinarsi a poche iarde, rischiando di farsi sentire. Perciò, mentre avanzava strisciando verso quello dei quattro che era piazzato più a nord, tenne pronto il fucile. Una volta giunto sul bordo della palude, profonda appena una iarda e mezzo, si fece scivolare sul fondo e cominciò a dirigersi verso sud. Nell'udire dei lievi bisbigli, si fermò e restò in ascolto, del tutto immobile. «... mi è sembrato di sentire qualcosa...»
«... scricci, probabilmente...» «... non di notte né tantomeno in inverno.» «... zitto... starà arrivando...» Alucius costeggiò una piccola macchia di cespugli che gli arrivava all'altezza del petto e proseguì, col fucile pronto, sperando ancora di non doverlo usare, perlomeno non subito. Trascorse una mezza clessidra abbondante prima che Alucius potesse raggiungere una lieve curva lungo il margine della palude e avvertire la vicinanza del primo dei quattro. Si fermò un'altra volta. Quindi proiettò i Talento-sensi e colpì con forza i fili vitali giallo-bruni dello sconosciuto, fili che risultavano invisibili a chiunque non fosse dotato di Talento. Si udì un singulto soffocato seguito da un tonfo sordo, dopodiché, Alucius venne travolto dal familiare vuoto dalle sfumature rossastre che stava a significare la morte. «Silyn... sei lì? Silyn?» Ignorando la domanda del secondo uomo, Alucius avanzò fino a trovarsi a meno di dieci iarde da lui e proiettò di nuovo i Talento-sensi verso il suo filo vitale, colpì e, quando il nulla della morte lo raggiunse, trasalì un'altra volta. Poi per un po' rimase là in silenzio, rabbrividendo e sudando dietro la maschera proteggi-capo, nonostante il freddo e la lieve brezza notturna che gli alitava intorno, trasportando con sé l'acre odore di ferro caratteristico di tutti i venti che soffiavano sulla fattoria e che provenivano dall'Altopiano di Aerlal, a nordest. Infine, fece un lungo e profondo respiro e attraversò le dieci iarde di palude che lo separavano dal fianco occidentale. Una volta là, si arrampicò di nuovo a livello della strada e cominciò a muoversi silenziosamente in circolo verso ovest e poi verso sud, in direzione degli altri due. Questi si trovavano molto più vicini l'uno all'altro - a meno di tre iarde ed erano sdraiati pancia a terra dietro ad alcuni cespugli di quarasote, sul limitare della zona meno profonda della palude, a sud della depressione, dove il sentiero che conduceva alla fattoria scendeva ad attraversare un piccolo corso d'acqua dal flusso irregolare. Nessuno dei due tentò nemmeno di voltarsi, mentre uno alla volta venivano raggiunti dal tocco letale del Talento. Subito dopo, però, Alucius fu obbligato a sedersi, le gambe oltre il bordo sdrucciolevole della palude, col respiro affannoso e il corpo percorso dai brividi. Aveva già avuto occasione di uccidere prima servendosi del Talen-
to, ma mai più di una persona alla volta. Non aveva idea che potesse richiedere un tale sforzo o causare una reazione tanto violenta. Ma questo spiegava perché i possessori di Talento non fossero così rilevanti nel determinare le sorti del mondo, anche perché il numero di quelli che ne possedevano molto era davvero esiguo. Alucius dubitava addirittura che sarebbe stato capace di ripetere lo stesso procedimento contro un quinto uomo e di riuscire a rimanere cosciente. Di lì a poco, si rialzò faticosamente e si avvicinò ai due sconosciuti che giacevano là accanto per frugare nei loro borselli e giacconi, alla ricerca di qualche indizio che gli potesse far comprendere il motivo dell'aggressione. Ma trovò solo cinque monete d'oro in ogni borsello, oltre ad alcune d'argento e di rame. Prese quelle d'oro e lasciò le altre. Poi si avviò verso la prima coppia, ma anche lì scoprì che ciascuno dei due possedeva cinque monete d'oro. Fece un profondo respiro e si accinse a tornare da Selvaggio nell'oscurità, mantenendo i Talento-sensi bene all'erta. I lupi della sabbia erano più vicini, forse ad appena un vingt a ovest, al di là della vecchia strada principale in durapietra. Solo quando ebbe raggiunto il cavallo e il sentiero della fattoria, si concentrò sull'immagine dei cadaveri, ossia del cibo, proiettandola verso il branco di lupi della sabbia. Quindi, con un sorriso risoluto, risalì in groppa. Ma subito si accigliò. Il Talento gli diceva che qualcuno stava cavalcando verso di lui, e anche velocemente. Nell'avvertire, però, la familiare sensazione di nero disseminato di lampi verdi, capì che si trattava del nonno. Decise quindi che l'avrebbe aspettato là, senza andargli incontro. Dopo circa un quarto di clessidra, gli giunse una voce. «Alucius?» «Sono qui. Sto bene.» «Meno male. Non ero sicuro di quello che poteva essere accaduto finché non sono arrivato qua. Sapevo che si trattava di qualcosa di serio. Sentivo che eri preoccupato. E anche Wendra. L'abbiamo avvertito entrambi. Non era da te. Poi hai chiamato i lupi della sabbia», osservò Royalt, mentre si fermava sul sentiero della fattoria. «Non avevo idea che qualcuno lo potesse fare.» Al riparo della maschera proteggi-capo, Alucius rise con una specie di singulto. «Se non sbaglio, una volta, un certo qualcuno mi aveva raccomandato di non parlarne. I pastori non vanno in giro a raccontare le loro faccende personali, rammenti?»
«Ma tu puoi fare ben di più.» Alucius ignorò l'affermazione. «Erano in quattro. Non credo che i lupi della sabbia lascino molto dietro di sé. Sono affamati.» Fece avanzare Selvaggio verso il nonno, accostandosi al suo cavallo grigio, e tese la mano: «Sono stati pagati con monete d'oro. Cinque per ciascuno. Usale per la fattoria». Le venti monete tintinnarono nella mano dell'uomo più anziano. «Ho lasciato quelle d'argento e di rame nei borselli», precisò Alucius. «Che ne facciamo dei cavalli?» chiese Royalt. «Sono legati. Lasciamoli dove sono. Pensavo che tu e Kustyl avreste potuto trovarli insieme ai corpi - o a ciò che ne rimarrà - un poco più tardi. Stavo tornando alla fattoria per avvisarti, ma mi hai risparmiato il viaggio. In tal modo si penserà che i quattro, di chiunque si trattasse, erano viaggiatori che si sono smarriti di notte e hanno avuto la sfortuna di imbattersi in un branco di famelici lupi della sabbia.» «Questo è ciò che Kustyl e io diremo. Ma i cavalli li prendo adesso. Non voglio perderli a causa dei lupi della sabbia. Sarebbe un peccato.» Dopo un attimo, Royalt domandò: «Hai idea di chi potessero essere?». «Se Dysar fosse ancora vivo...» disse adagio Alucius. «Ma non riesco a pensare a nessun altro. Hai detto che anche Wendra ha sentito che stava per accadere qualcosa?» «Voleva venirti incontro. Ho pensato che fosse meglio di no.» Alucius annuì. «Possiede Talento. Potrebbe averne anche tanto. Dovresti portarla con te quando conduci le pecore al pascolo.» «Lo farò. Ci avevo già pensato.» Nessuno dei due disse esplicitamente che la fattoria necessitava di un pastore e che, in assenza di Alucius, se fosse accaduto qualcosa a Royalt, non ci sarebbe stato nessuno in grado di pascolare le pecore nerine, a meno che Wendra non avesse imparato. L'ultima donna pastore era stata la madre di Royalt, l'ultima donna provvista di Talento nella loro famiglia. Alucius non era al corrente - o non aveva chiesto, si corresse in silenzio - dell'eventuale esistenza di donne pastore nella famiglia di Wendra. Dopo un'altra pausa, Royalt disse: «È meglio che tu vada adesso, prima che i lupi della sabbia arrivino. Kustyl, Wendra e io... ci occuperemo di tutto». «Grazie.» Ancora una volta, Alucius diresse Selvaggio verso ovest lasciando dietro di sé il nonno.
Dopo meno di un quinto di clessidra, si trovò a cavalcare sull'antica strada principale. Il grigio selciato in durapietra, posato almeno un millennio prima, non veniva segnato né dal passaggio degli uomini né dal trascorrere del tempo. Nel giro di un giorno, qualunque scalfittura causata alle sue pietre grigie svaniva. Nell'oscurità, la superficie della strada emanava un debole chiarore, visibile solo a chi possedeva Talento, una striscia luminosa che correva diritta come la canna di un fucile da Chiusa dell'Anima a Punta del Ferro. Mentre avanzava, Alucius rifletteva sull'attacco appena sventato. Perché mai qualcuno avrebbe voluto fargli del male? Era il capitano più giovane della Milizia delle Valli del Ferro. Alla sua morte nessuno, eccetto la sua famiglia, avrebbe ereditato la fattoria, almeno non finché il nonno, la madre e Wendra fossero stati in vita. Non aveva mai avuto a che fare con traffici commerciali poco chiari. L'unica qualità di cui si poteva vantare era di essere il miglior capitano della milizia sul campo di battaglia. Senza dubbio, era il più esperto, e non per suo espresso desiderio. Ma, al momento, non c'era una guerra in corso e, per quanto a lui o al nonno fosse dato di sapere, nemmeno era prevista in un prossimo futuro. Dalle poche parole che aveva udito, i suoi presunti assassini non venivano dalle regioni meridionali delle Valli del Ferro, né da Deforya o da Lanachrona. Sebbene i lanachroniani potessero trarre beneficio da un'eventuale debolezza dell'esercito delle Valli del Ferro, Alucius non vedeva come la propria morte avrebbe potuto cambiare qualcosa. Era arruolato come soldato prigioniero nell'esercito matrite, quando la milizia aveva respinto i matriti, seppure avvalendosi di un precedente contributo suo e del SignoreProtettore di Lanachrona. Alucius riuscì solo a ipotizzare che l'imboscata significasse che lui avrebbe potuto essere in grado di fare qualcosa - o di fermare qualcosa altrimenti nessuno si sarebbe mai preso la briga di attentare alla vita di un modesto capitano. Il problema stava nel riuscire a capire di cosa si trattava prima che fosse troppo tardi, il che poteva essere difficile, dato che non aveva la più pallida idea di cosa stesse cercando. Era già trascorsa una clessidra quando, nell'oscurità, avvertì la vicinanza dello stabilimento dei gatti della polvere, il lungo fabbricato di legno destinato a ospitare gli animali la cui forfora procurava un piacere squisito a chi la inalava, e il cui valore rendeva l'oro e le gemme preziose materiali di poco conto. Alucius aveva incontrato Gortal solo in alcune rare occasioni, e parecchi anni prima. Persino allora aveva pensato che quell'uomo, che
teneva prigionieri i gatti e vendeva la loro polvere per sognare ai mercanti di Lanachrona, fosse un essere freddo e quasi senz'anima, nonostante le buone maniere e gli abiti raffinati. Gli scorriteli che lavoravano per Gortal avrebbero fatto qualsiasi cosa, pur di stare vicino ai grossi felini e respirare la polvere per sognare che si disperdeva nell'aria e, in particolare, si diceva che le donne che si trovavano nel Palazzo del Piacere sembrassero fanciulle virtuose, se paragonate alle scorritrici. Alucius non finiva di sorprendersi all'idea che qualcuno potesse consapevolmente distruggere se stesso a quel modo, e che Gortal accettasse il denaro che gli veniva da tanto degrado. Ma d'altra parte, rifletté addolorato, il denaro esercitava la propria influenza su tutti. Negli anni passati, i mercanti di Dekhron avevano fatto pressioni sul Consiglio per ridurre le dimensioni della milizia, invitando praticamente la Matride ad attaccarli, tutto perché non avevano voluto pagare le imposte necessarie al mantenimento di un esercito adeguato. Alla fine, avevano dovuto pagare di più, dato che erano stati costretti ad arruolare soldati e a equipaggiarli in fretta e furia - chiedendo in prestito del denaro e contraendo un debito - debito che, a quanto pareva, non erano in grado di rimborsare. E, ancora una volta, subito dopo la guerra, quegli stessi mercanti avevano obbligato il Consiglio a ridurre nuovamente gli effettivi dell'esercito, e anche le tasse che avrebbero potuto aiutare a ripagare il debito. Chissà se i membri del Consiglio assomigliavano a Gortal a un punto tale da essere disposti a fare qualunque cosa per il denaro? Nel freddo di quelle prime ore della mattina, Alucius sbuffò. Da quanto aveva potuto vedere, c'era ben poca differenza, tranne che Gortal era probabilmente più onesto. 4 Alustre, Lustrea Le pareti del laboratorio erano di marmo verde chiaro, ma il pavimento era di lucido granito grigio-rosa, come i pilastri. Non c'erano arazzi appesi e le finestre erano strette fenditure nel muro. A una discreta distanza dal bancone di lavoro era collocato un massiccio tavolo quadrato e scuro, in robusto legno di lorken, al centro del quale poggiava uno specchio dal vetro spesso, ugualmente profilato in lorken. Gocce di sudore scendevano dal viso del giovane dalla corporatura sotti-
le intento a scrutare la sua superficie circolare, superficie che, nel frattempo, da grigio opalescente si era trasformata in una turbinante nebbia color rubino. «Ebbene?» chiese l'uomo dall'abito nero e argento che stava alle spalle dell'ingegnere, protendendosi al di sopra del tavolo. «È uno strumento di fortuna, nobile Pretore. Non si tratta davvero di una Tavola dell'Archivista. Qui a est non ne sono rimaste», rispose l'ingegnere, evitando di incontrare lo sguardo dell'altro. «Avevo detto che avrebbe potuto funzionare come una Tavola.» Nella nebbia, prese forma un'immagine, quella di un giovane abbigliato con una veste color argento. «Questo è Tyren», dichiarò l'uomo più anziano. Un'altra immagine apparve: quella di un ragazzo un po' più giovane, con capelli biondo cenere e con indosso la divisa di cuoio blu degli illegeani, in sella a uno stallone bianco. Tutto l'insieme sembrava ricoperto da una patina argentata, a tratti sfocata. Poi comparve una terza rappresentazione meno chiara, quasi un'ombra, che lasciava intravedere qualcuno vestito con una specie di abito da pastore. Di lì a poco, si indovinò a malapena una quarta figura: il viso di una giovane donna, o una ragazza, ugualmente offuscata e persino più debole delle due precedenti. Dopodiché... le ultime tre immagini scomparvero, all'improvviso. Quasi subito, la superficie dello specchio andò in frantumi, proiettando schegge tutt'intorno. Un sottile rivolo di sangue prese a colare sull'avambraccio del giovane, mentre l'uomo più anziano si toglieva con cautela frammenti di vetro dalle pieghe del mantello. «Cosa significa questo, Vestor?» chiese quest'ultimo indugiando, per poi sbottare in una dura risata. «A parte il fatto di dimostrare le vostre limitate capacità?» «Se le confrontiamo con quanto è stato realizzato dagli Antichi, nobile Pretore, le mie capacità sono limitate, ma è perché sono giovane, e né il tempo né le risorse mi hanno consentito di migliorarle per voi. Nessun altro avrebbe potuto trasformare uno specchio nella riproduzione di una delle Tavole degli antichi Archivisti, quantunque si tratti di una ben misera riproduzione.» «Non è dunque rimasta alcuna Tavola in tutta Corus? Di tutte quelle citate dagli archivi?» «Ce n'è una. Riesco a sentirla.» Vestor sollevò le esili spalle e le lasciò ricadere. «Dove si possa trovare, non lo so, tranne che dovrebbe essere da
qualche parte a ovest della Dorsale di Corus.» «E voi non siete capace di costruirne una che sia in grado di durare più di una frazione di clessidra?» «Queste Tavole devono essere collegate a dei nodi all'interno della terra, Pretore, e non ho ancora scoperto la dislocazione di uno di questi nodi o il modo di creare tale collegamento.» «Quindi... dobbiamo farci bastare quello che abbiamo. Per ora.» Lo sguardo gelido del Pretore si posò sull'ingegnere. «Ma adesso ditemi - anziché raccontarmi quanto diventerete bravo - che cosa significano le immagini che abbiamo visto.» «Posso solo azzardare delle ipotesi, Pretore.» «Azzardate, dunque.» «Il giovane Tyren è destinato davvero a trovare e a reggere il duplice scettro e a condurre Alustre al potere ripristinando il dominio della Duarchia su tutte le terre di Corus, ma... verrà minacciato dagli altri tre.» «Minacce vaghe? O troppo deboli? Perché quelle immagini erano così poco chiare?» «Perché, suppongo, tutte quelle persone potrebbero essere in grado di evocare il Talento. In caso contrario, non avrei potuto richiamarle nello specchio. Magari non lo faranno mai, ma ne hanno la capacità.» «Dobbiamo trovarle ed eliminarle. Voi dovete trovarle.» «Una di esse veste l'uniforme dei cavalieri di Illegea. Sono portato a credere, benché si tratti di una semplice supposizione, che questo cavaliere sia Aellyan Edyss. La seconda è un pastore, probabilmente delle Valli del Ferro, anche se si potrebbe trovare ovunque, a Corus. La terza, l'immagine più confusa, è una ragazza, forse una giovane donna. Potrebbe benissimo non essere ancora nata, visto che la sua figura era così sbiadita.» Vestor incontrò lo sguardo severo del Pretore, ma non batté ciglio. «Creerete altri specchi e terrete la situazione sotto controllo.» «Temo che anche i nuovi specchi andranno in frantumi dopo essere stati usati.» «Non ha importanza. In tal caso, ve ne servirete solo quando anch'io sarò presente.» «E per quanto riguarda il denaro per equipaggiare il vostro esercito?» «Oh... lo avrete.» Il Pretore dai capelli grigi si produsse in un freddo sorriso. «Ne avremo bisogno per conquistare Illegea, che Aellyan Edyss lo voglia oppure no.»
5 Alucius si gettò un'occhiata alle spalle, a ovest, per scrutare nella pallida luce del crepuscolo la strada sgombra di neve, visibile soltanto grazie ai pali neri alti tre iarde, che erano collocati su entrambi i lati, alla distanza di un centinaio di iarde l'uno dall'altro. Non vide nessuno, ma d'altra parte non se lo sarebbe aspettato, poiché i Talento-sensi non gli avevano rivelato la presenza di anima viva nei dintorni, tranne la sua e quella di Selvaggio. Riportò lo sguardo dinanzi a sé e guidò il cavallo sulla destra della carreggiata, seguendo la strada che, negli ultimi due vingti prima di arrivare a Emal, tracciava un'ampia curva a sud, e scendeva attraverso un passaggio naturale ricavato nei fianchi dell'alta e ripida parete rocciosa che costeggiava il fiume, assecondandone il corso sinuoso. Nel percorrere il gelido tratto che in inverno godeva della luce solare solo per poche clessidre al giorno, Alucius, dopo essersi tolto la maschera proteggi-capo, si avvolse la sciarpa di lana nera ancora più stretta intorno al viso. Il sole era già tramontato al di là delle colline a ovest, grandi distese d'erba per quattro stagioni all'anno, che però, durante la quinta, quella invernale, si trasformavano in un'ampia superficie candida sulla quale il vento incessante che proveniva dall'Altopiano di Aerlal, a meno di una ventina di vingti a nord, sollevava bianchi mulinelli di nevischio. La maggior parte dei soldati di ritorno dalla licenza sarebbe passata per la strada inferiore lungo il fiume, ma Alucius preferiva quel sentiero in alto che, per quanto freddo, gli permetteva di risparmiare un giorno e mezzo di viaggio. Altrimenti avrebbe dovuto dirigersi a sud, verso Dekhron, e poi imboccare il cammino che costeggiava il fiume e risaliva a est-nordest fino a Emal. Nonostante la scorciatoia, il viaggio dalla fattoria a Emal durava tre giorni, e avrebbe anche potuto durarne cinque se il fondo stradale fosse stato fangoso, dato che, quando ci si lasciava alle spalle Punta del Ferro e si abbandonava il selciato in durapietra della strada principale, le vie di comunicazione dirette a est erano costituite soltanto da sentieri locali in terra battuta. Viaggiare d'inverno offriva però alcuni vantaggi: sebbene la superficie stradale risultasse sconnessa, il gelo rendeva comunque il terreno duro quanto la pavimentazione della strada principale. Dopo che Alucius ebbe attraversato il varco e raggiunto il tratto pianeggiante in basso, vide la città, a meno di un vingt a sud, appollaiata su una piccola altura prospiciente il fiume Vedra, la superficie del quale era al momento ghiacciata. Il ponte in pietra ad arco, che congiungeva le due rive
in corrispondenza del punto più stretto del fiume, costituiva l'unico attraversamento sicuro, eccetto in inverno, in un raggio di oltre trecento vingti, dalla sorgente, che si trovava alle propaggini dell'Altopiano di Aerlal all'incirca centoventi vingti a est-nordest di Emal - fino alla stessa Dekhron. La comunità lanachroniana di Semai, raggruppata tutt'intorno all'estremità meridionale del ponte, era poco più di un piccolo villaggio dov'era dislocata un'unica squadra di Guardie del Sud che, oltre a sorvegliare quel tratto, si preoccupava perlopiù di riscuotere i pedaggi dai pochi mercanti che vi transitavano. I muri di calce bianchiccia del centinaio di case che componeva l'agglomerato urbano di Emal si confondevano contro lo sfondo dei campi ricoperti di neve che scendevano quasi a lambire il fiume, mentre i tetti di ardesia dalla ripida pendenza - spogli e scuri - si stagliavano netti, quasi galleggiassero su quel mare di un biancore senza fine. Sottili spirali di fumo sì levavano nel cielo verde-argento del tramonto. Alucius superò alcune case dalle imposte sbarrate a proteggersi dal freddo e dal vento pungente che proveniva dall'altopiano e che portava con sé, come al solito, il sentore acre del ferro. Sottili strisce di luce filtravano attraverso le fessure delle persiane e l'odore del carbone bruciato rendeva il vento di nordest ancora più acre. Mentre Selvaggio avanzava lungo la via principale portando in groppa Alucius, i suoi zoccoli facevano scricchiolare la neve ammassata sul fondo stradale, neve che era alta fino al ginocchio e anche più, a ridosso dei muri delle case. L'avamposto della milizia sorgeva alla periferia meridionale di Emal, appena al di sopra del fiume, su una modesta altura che passava per un promontorio, a guardia dello stretto e alto ponte che attraversava il Vedra. A differenza delle basi militari del nord, l'avamposto era circondato da mura che, però, non erano formate da blocchi di pietra accuratamente squadrati come quelli che Alucius aveva avuto occasione di vedere a Madrien, bensì da sassi di tutte le dimensioni e sfumature di colore incuneati l'uno sull'altro e poi cementati insieme. In una garitta appena fuori, accanto al portone di quercia rinforzato da barre di ferro e, al momento, spalancato, stava di guardia una sentinella appartenente a una delle due squadre della Terza Compagnia di Fanteria di stanza a Emal. Nel vedere una sagoma che si avvicinava, il soldato balzò fuori dal suo riparo e scrutò nell'oscurità della sera, finché non identificò il giaccone invernale della milizia. «Capitano Alucius...» questi fece rallentare Selvaggio e fissò l'altro nel tentativo di riconoscerlo, poi aggiunse: «Nyllen, vero?».
«Ah... sì, signore. Non vi avevo visto con questo buio, signore.» «È già rientrato qualcuno della Ventunesima Compagnia?» «Oggi ne sono tornati tre o quattro, signore. Anche il comandante di squadra Longyl è già arrivato. Sono nelle baracche.» «Bene.» Alucius lo salutò con un cenno del capo e superò il cancello dirigendosi verso le stalle. Un comandante di squadra uscì dalla stanza degli ufficiali di servizio situata all'estremità delle baracche e attraversò il cortile in fondo, avvicinandosi alla sentinella. «Era il capitano Alucius, signore», lo informò Nyllen, aggiungendo a voce bassa, così che Alucius non potesse sentire: «Ma riconosce sempre tutti?». «Quasi sempre, Nyllen.» Alucius si era fermato fuori dalle stalle ed era in procinto di scendere da cavallo, quando la porta si spalancò. Smontò e condusse Selvaggio nel relativo tepore della scuderia, mentre lo stalliere richiudeva la porta. «Fa freddo stasera, signore», dichiarò Vinkin, il capo stalliere di Emal, assegnato sia alla Ventunesima sia alla Quinta Compagnia. «Alcuni si chiedevano se ce l'avreste fatta a rientrare stanotte. Io ho risposto che sareste sicuramente arrivato. Le condizioni atmosferiche non possono fermare un ufficiale che è anche un pastore.» «Non questa volta, in ogni caso», replicò Alucius con un sorriso. «C'è del foraggio e dell'acqua per il vostro cavallo, capitano.» «Grazie, Vinkin.» Alucius dimostrò con la sua espressione gratitudine e apprezzamento. Lo stalliere chinò il capo. La Ventunesima Compagnia disponeva di recinti per i propri cavalli sul lato nord del lungo fabbricato adibito a scuderia, e il primo di questi era riservato al capitano. A volte, come in quel momento, Alucius non poteva fare a meno di apprezzare i privilegi che il proprio rango gli riservava. Selvaggio si scrollò e sbuffò, mentre Alucius lo conduceva nel recinto e si accingeva a togliergli la sella. «Lo so. È stata una cavalcata lunga e fredda. Speriamo che adesso passi qualche giorno prima di dover uscire di pattuglia.» Selvaggio non mostrò di reagire al commento, non che il suo padrone si aspettasse il contrario. Dopo aver finito di governare lo stallone, Alucius si caricò le bisacce in spalla, prese il fucile che aveva appoggiato al muro e chiuse dietro di sé il
cancelletto del recinto. Attraversò la stalla e, mentre si avvicinava alla porta che dava sul cortile, salutò Vinkin con un cenno del capo. Dopo essersi richiuso l'uscio alle spalle, si incamminò sul terreno ghiacciato del cortile, verso l'edificio del quartier generale, un edificio appena più grande di un ovile per le pecore, benché in esso vi trovassero posto tre stanze per gli ufficiali di compagnia, due per gli ufficiali in visita, una saletta per le adunanze, una stanza da bagno comune, una cucina e un piccolo locale mensa destinato agli ufficiali e ai comandanti di squadra. Batté i piedi contro i gradini del portico e, in assenza di una spazzola, fece del proprio meglio per togliersi la neve dagli stivali e dai pantaloni, prima di entrare nell'atrio. Un'unica lampada a olio proiettava tutt'intorno una luce fioca. Un altro ufficiale, con indosso un maglione nero di lana sopra la tunica, comparve sulla soglia all'estremità opposta della stanza. «Lieto di vederti, Alucius.» «Anch'io sono contento di vederti, Feran. E sono anche contento di essere arrivato. Fa freddo, là fuori.» «Hai fatto la strada alta, vero?» Persino in quella semioscurità, le rughe intorno agli occhi di Feran erano profonde a sufficienza da denunciare la sua età: era infatti più anziano di Alucius di una buona quindicina d'anni. Questi annuì mentre si dirigeva verso il corridoio, lungo il quale si trovava la sua stanza. «Voi pastori! Se avessi fatto io quella strada, mi avrebbero ritrovato imprigionato in un blocco di ghiaccio la prossima primavera.» L'ufficiale di carriera sorrise mesto e scosse il capo. «Si risparmiano quasi due giorni, il che vuol dire mezza settimana in più che posso trascorrere con Wendra», precisò Alucius. «Che ragazzo fortunato!» «È successo qualcosa che dovrei sapere?» «Abbiamo ricevuto un dispaccio dal maggiore Weslyn a nome del colonnello, qualcosa circa la necessità di tenere sotto controllo eventuali predoni deforyani che si intrufolano nelle nostre terre attraverso il fiume, a est.» Alucius inarcò le sopracciglia, dalle quali si stavano staccando sottili frammenti di ghiaccio. «Lo so», disse Feran con una risata. «Cosa mai possono trovare dei predoni a est di qui? Ma questo era il contenuto del messaggio. Nient'altro, per la verità. Niente che ci riguardi. Abbiamo ricevuto rapporti di numero-
se incursioni di squatti a ovest di Collefiume.» «Non ci sono più stati squatti da generazioni, laggiù.» Collefiume si trovava a circa sessanta vingti a valle rispetto a Borlan e gli squatti erano stati respinti a ovest e a nord alcuni decenni prima. Al culmine della guerra matrite, la città era anche rimasta ben all'interno dei confini delle Valli del Ferro. «Ho idea che si tratti di predoni lanachroniani travestiti da squatti.» «Non credi che si tratti invece di matriti?» Alucius scosse il capo. «Non rientra nelle loro tattiche. Non manderebbero mai fuori un gruppo di soli uomini. Non ora, perlomeno. Giacché avrebbero paura di qualche defezione. Persino quando i collari erano funzionanti, non inviavano quasi mai pattuglie di ricognitori composte da meno di otto soldati.» «Non mi piace... i lanachroniani, voglio dire.» «Neppure a me.» Alucius fece una pausa e poi aggiunse: «Quando vai in licenza?». «Domani, sempre che la maggior parte dei tuoi soldati torni in tempo. Il colonnello vuole che tutti gli avamposti siano ben guarniti prima dell'inizio della primavera.» Feran si stiracchiò. «Sarà meglio che ti lasci sistemare le tue cose. Sembri stremato.» «Sono stremato», ammise Alucius. Con un cenno del capo, si diresse verso il suo piccolo alloggio. Questo misurava tre iarde per quattro e conteneva una brandina sistemata contro una parete, un minuscolo armadio, due bauli - uno destinato alla biancheria e l'altro ai documenti - una sedia senza braccioli dall'alto schienale rigido, che aveva più anni di Alucius, e un piccolissimo scrittoio. L'unica stretta finestra aveva le imposte sbarrate, per quanto, agli angoli, presentasse incrostazioni di ghiaccio e il respiro di Alucius producesse fitte nuvolette di condensa nel gelo della stanza. Dopo aver usato l'acciarino, con il concorso del proprio Talento, per accendere la lampada collocata nel supporto fissato alla parete, Alucius svuotò il fucile di tutte le munizioni e lo ripose nell'armadio; poi tolse i propri abiti e gli effetti personali dalle bisacce, lisciò le pieghe delle uniformi e le appese nell'armadio. Sebbene avesse allentato la sciarpa e si fosse sbottonato il pesante giaccone, preferì tenerseli addosso. Quindi si sedette allo scrittoio per scrivere una lettera a Wendra. Probabilmente non ci sarebbe stato alcun messaggero diretto a ovest per parecchi giorni, ma questo non aveva importanza. Aveva imparato a scrivere quando aveva tempo, e non quando i messaggeri si trovavano all'avamposto.
Così come stavano le cose, poi, il messaggero avrebbe dovuto lasciare la sua lettera alla bottega di Kyrial a Punta del Ferro, il che significava che sarebbero trascorse settimane prima che la moglie la ricevesse. Prese dall'astuccio la penna dalla punta in rame e il calamaio portatile. Di lì a poco, cominciò a scrivere. Carissima Wendra, il viaggio è stato lungo e freddo, ma ho avuto la fortuna di non incorrere in una tempesta di neve. Mi manchi già e vorrei che fossimo ancora insieme, a passeggiare, o persino a lavorare alla fattoria... Benché Alucius non avesse molte novità da comunicare alla moglie, si rammentava fin troppo bene gli anni in cui le novità erano tante, ma lui non disponeva di alcun mezzo per trasmetterle. 6 Ventidue uomini erano diretti a cavallo verso est, lungo la strada che costeggiava il fiume: due ricognitori all'avanguardia, seguiti da Alucius, Zerdial e dal resto della prima squadra. Alucius aveva lasciato le rimanenti squadre all'avamposto, affidate al comando di Longyl. La pattuglia seguiva le tracce di una quindicina di cavalieri. «Le impronte vanno in entrambe le direzioni, signore», osservò Zerdial. Il suo respiro produceva nuvolette di condensa nell'aria fredda e tersa di fine mattina. Alucius osservò il suo interlocutore: l'uomo dall'esile corporatura, comandante della prima squadra. C'erano stati momenti in cui Alucius aveva temuto che quel giovane ufficiale non acquisisse maturità sufficiente a ricoprire l'incarico che gli era stato affidato, ma grazie al suo aiuto Zerdial c'era riuscito, così come c'era riuscito Anslym, il comandante della seconda squadra. Gli altri tre ufficiali - Faisyn, Egyl e Sawyn - erano esperti veterani. «Hanno già attraversato il fiume», disse Alucius. «Hanno guadato in questo punto, si sono diretti a ovest, fino a Tuuler. Poi sono ripassati di qui per recarsi da qualche parte più avanti. Quindi, sono tornati sulla strada e hanno riattraversato per fare ritorno a Lanachrona.» Aveva una mezza idea del perché i cavalieri si fossero spinti oltre, verso est, ma voleva verificare se aveva ragione. All'infuori dei suoi uomini, non percepiva alcuna presen-
za nei dintorni tramite i Talento-sensi, e sarebbe stato molto sorpreso se si fossero imbattuti nei cavalieri. «I ricognitori hanno riferito di avere trovato sul ghiaccio orme in entrambi i sensi, signore.» Zerdial si accigliò. «Non c'è stata alcuna razzia a Tuuler.» «Là c'è ben poco da razziare e le case sono tutte in pietra», fece notare Alucius. «La maggior parte degli abitanti possiede fucili della milizia.» «Ma... perché...» «Non sono qui. Andiamo a vedere se si sono spinti fino alla seconda cascata.» Alucius indicò la strada davanti a loro. «Non è lontana.» «Sì, signore.» Le prime due settimane dopo il ritorno in servizio della Ventunesima Compagnia erano trascorse lentamente, molto lentamente: ogni settimana di dieci giorni sembrava durare il doppio. La terza era iniziata allo stesso modo e, benché Alucius non fosse uscito con tutte le squadre di pattuglia, ne aveva comunque accompagnate una buona metà, ed era stato proprio in occasione di una di quelle spedizioni che i soldati avevano scoperto orme di cavalieri che, venendo da Lanachrona, avevano attraversato il tratto gelato del fiume Vedra, per poi farvi ritorno. Mentre la prima squadra avanzava verso est, Alucius esaminò la strada e i pochi alberi che sì frapponevano tra questa e i campi a nord. Alla sua sinistra, a sud, si trovava il fiume, largo meno di cinquanta iarde in quel tratto. Il ghiaccio, che più a valle era spesso a sufficienza da reggere il peso di un carro, era chiaramente più sottile, tanto che, mezzo vingt più avanti, si potevano scorgere alcune crepe e persino un piccolo buco nel quale si vedeva scorrere l'acqua scura. Sul fianco a nord della strada, oltre gli alberi, i campi ricoperti di neve erano immacolati, senza impronte di uomini o di cavalli. Dopo una mezza clessidra, Alucius udì in lontananza un sordo brontolio provenire da un punto più a monte, dove il corso d'acqua curvava a nord per poi dirigersi di nuovo verso est. Sebbene in prossimità delle sponde si notassero incrostazioni di neve gelata, al centro, il fiume era privo di ghiaccio e la sua scura superficie era talmente liscia da sembrare quasi uno specchio nero dal quale si alzava una leggera nebbiolina di vapore. Visto che le tracce dei cavalieri si dirigevano a est, Alucius ne seguì il percorso, avanzando lungo la riva con la prima squadra. «Signore», disse Zerdial. «Perché continuano ad andare verso est, per poi tornare indietro? Oltre a questo punto non c'è ghiaccio e neppure un
modo per attraversare.» «Rifletti, Zerdial», rispose Alucius. Mentre la colonna procedeva lungo la lieve curva, dove la strada seguiva il corso del fiume, il sordo brontolio diventò un frastuono che colmava l'aria con una forza tale che le punte dei rami dei pochi ginepri sparsi lungo il percorso erano già sgombre della neve caduta appena il giorno prima. «Signore!» Zerdial indicò i due ricognitori dinanzi a loro, che avevano abbandonato la strada e si erano avvicinati al fiume. Dopo che la squadra li ebbe raggiunti, Alucius fece un cenno a Zerdial. «Squadra alt!» ordinò il comandante. Mentre conduceva Selvaggio a destra, giù verso la riva del fiume dove si erano fermati i ricognitori, Alucius lanciò un'occhiata a monte. A meno di un vingt si trovava una scarpata rocciosa dalla quale scendeva acqua nera come l'inchiostro, producendo una nube di vapore, mentre precipitava in una larga pozza, un centinaio di iarde più in basso. Per oltre cento vingti prima della cascata e per altri quattro dopo, l'acqua era priva di ghiaccio, poiché scorreva veloce sul fondo roccioso, sollevando tutt'intorno una specie di nebbia. A circa tre vingti verso ovest, il letto del fiume diventava più profondo e cominciava a essere ricoperto di ghiaccio. Per altri quattro vingti verso sud, la copertura ghiacciata era sufficientemente solida da consentire il passaggio di un carro, e così si manteneva per tutto il tragitto, fino ad arrivare quasi a nord di Tempre. Alucius si fermò a poca distanza dai ricognitori. «Sembra che qui abbiano abbeverato i cavalli, signore!» Elbard, il più anziano e massiccio dei due ricognitori, urlava per farsi sentire al di sopra del fragore della cascata. «Probabilmente questa mattina presto, forse prima dell'alba.» Nella neve gelata in prossimità del fiume si vedevano orme di stivali, e anche parecchie. «Sembra che abbiano anche fatto scorta d'acqua», disse Alucius. «Sì, signore.» «Nessuna traccia a est di qui?» «No, signore. Si sono riforniti d'acqua e sono tornati a ovest.» «Grazie.» Alucius fece un cenno col capo ai due ricognitori. «Ritorniamo a Emal, adesso.» «Sì, signore.» Alucius risalì la riva e si fermò sulla strada accanto a Zerdial. «Facciamo ritorno.»
«Sì, signore.» Zerdial si schiarì la voce. «Prima squadra! Avanti! Ricognitori in avanguardia!» Il capitano e il comandante percorsero il fianco della colonna in doppia fila della prima squadra, finché non ne raggiunsero la testa. Dopo che si furono avviati al passo verso ovest, Alucius si girò sulla sella a guardare Zerdial. «Che ne pensi?» «Sono arrivati fin qui per fare scorta d'acqua. Il che significa che hanno impiegato almeno un'altra clessidra tra andata e ritorno.» Zerdial aggrottò la fronte. «In tal modo hanno evitato di perdere tempo a rompere il ghiaccio, ma perché non si sono semplicemente fermati in uno dei villaggi sull'altra riva?» «Già, perché?» chiese Alucius. «Perché non volevano essere visti, signore?» «Immagino che il motivo sia proprio questo, Zerdial.» Alucius era giunto quasi immediatamente alla stessa conclusione, ma ciò che lo turbava era il fatto di non riuscire a capire perché i cavalieri non volevano essere visti. Dalle orme, si vedeva chiaramente che venivano da Lanachrona, e nessuno degli abitanti dei villaggi sulla sponda lanachroniana avrebbe notato il passaggio di Guardie del Sud, e nemmeno avrebbe fatto commenti. Quindi, tutto lasciava credere che non fossero Guardie del Sud, o perlomeno che non indossassero l'uniforme. Ma i briganti avrebbero trovato ben più facili bottini se si fossero diretti a sud e, nonostante gli avvertimenti ricevuti da Dekhron, Alucius stentava a credere che predatori deforyani avessero viaggiato per quasi trecento vingti, in inverno attraverso la zona più fredda delle montagne della Dorsale Superiore - per fare razzie in uno dei villaggi più poveri delle Valli del Ferro, o in una città presidiata da una guarnigione della milizia. Inoltre, non gli piaceva per niente l'idea di Guardie del Sud prive di uniforme. Nessuna delle alternative appena considerate era di suo gradimento, e questo significava che, se avessero trovato altre tracce, inverno o no, avrebbe dovuto organizzare turni di pattuglia prima dell'alba per vedere cosa si poteva scoprire. 7 Tempre, Lanachrona Il Signore-Protettore, il cui viso dimostrava una decina d'anni in più rispetto a quando, appena tre anni prima, era salito al potere, entrò rapido
nella semplice sala dalle pareti rivestite di marmo nascosta nelle profondità del palazzo che era stato eretto generazioni addietro, ponendo la massima cura nel non turbare la quiete della stanza e del suo contenuto. Gettò uno sguardo alla Tavola degli Archivisti, un congegno più simile per aspetto a una tavola incorniciata di lorken scuro che non a un prodotto del Cataclisma, quale invece era. La sua superficie scintillante pareva uno specchio. Ma non lo era. L'Archivista dall'abito color argento era in piedi sul lato più lontano della Tavola, in attesa. «Avete detto di avere finalmente trovato qualcosa circa il misterioso ufficiale che ritenete responsabile dell'uccisione della Matride», esordì il Signore-Protettore. «Richiamerò ciò che ho scoperto, Signore-Protettore. La cosa potrebbe sia sorprendervi sia divertirvi.» «Divertirmi? Cosa c'è di tanto divertente di questi tempi?» Il SignoreProtettore assunse un'aria corrucciata, ma si avvicinò alla Tavola per scrutarvi all'interno. L'Archivista si schiarì piano la voce, poi si concentrò sull'antico specchio. La sua liscia superficie, che sembrava avere uno spessore di appena poche spanne, fu sostituita da una nebbia vermiglia apparentemente profonda alcune iarde, nebbia che volteggiò, prima di svanire per lasciare il posto a un'immagine. Un ufficiale alto e dalle spalle ampie con indosso la divisa nera della Milizia delle Valli del Ferro stava cavalcando lungo una strada coperta di neve, affiancato da due comandanti di squadra. Sebbene il capitano avesse una corporatura di poco più robusta degli altri due, la sua presenza, persino attraverso la Tavola, trasmetteva un'impressione di autorevolezza e di importanza, facendolo apparire più imponente e più anziano di quanto non fosse. Inoltre la sua figura, circondata da una tremolante aura verde e argento, a tratti scompariva. «Indossa un'uniforme. È un mercenario?» Prima di rispondere, l'Archivista trasse un profondo respiro e lasciò che l'immagine svanisse per lasciare il posto allo specchio che rifletteva il soffitto. «Non credo, Signore-Protettore. Per una qualche ragione, era stato catturato dai matriti. Da ciò che riesco a vedere attraverso la Tavola, si tratta dell'erede di una famiglia di pastori delle Valli del Ferro che, a causa dell'involontario servizio prestato nell'esercito matrite, è stato trattenuto più a lungo nelle schiere della milizia. Attualmente comanda una compa-
gnia di cavalleggeri a Emal.» «E il loro Consiglio di idioti è al corrente del suo segreto?» «No, Signore-Protettore. Lo sconosciuto ha fatto sicuramente ricorso al proprio Talento per fare in modo che non lo scoprissero.» «Non mi piace il fatto che egli sia un ufficiale della milizia. Potete fare qualcosa attraverso la Tavola?» chiese il Signore-Protettore, dandosi poi da solo la risposta. «No, di certo. La Tavola serve solo a raccogliere informazioni, e questo è tutto.» Riportò lo sguardo sulla superficie vuota e poi di nuovo sull'Archivista degli Atti. «Continuate a sorvegliarlo e tenetemi al corrente se fa qualcosa che dovrei sapere.» «Sì, Signore-Protettore.» L'Archivista, dopo aver piegato lievemente il capo, si raddrizzò. «Sarebbe meglio non muoverci se non è necessario, ma... può darsi che si debba agire altrimenti. Già, proprio così.» Senza aggiungere altro, il Signore-Protettore uscì a grandi passi dalla stanza. L'Archivista lanciò un'occhiata alla superficie argentea, che si era ancora una volta trasformata in specchio. Nonostante la cupa luce che gli brillava negli occhi, mantenne un'espressione impassibile. Dopo che il SignoreProtettore fu uscito, si concentrò di nuovo sulla Tavola, il viso illuminato dal lieve bagliore viola che si irradiava dalle immagini che aveva richiamato. 8 Fuori dal fabbricato del quartier generale, forti raffiche di vento soffiavano ciò che altrimenti avrebbe potuto essere un leggero nevischio contro i muri di pietra e le imposte. Di tanto in tanto, una folata particolarmente violenta spingeva aria fredda e candidi sbuffi tra gli interstizi delle imposte e della finestra. In quel duadi desolato, appena all'inizio di un'altra settimana invernale, Alucius sedeva al tavolo del locale adibito a mensa per gli ufficiali e i comandanti di squadra, intento a studiare la pila di carte che aveva davanti. Per ogni uomo della compagnia c'era un foglio - o anche più di uno - che il capitano doveva utilizzare per preparare una scheda stagionale, che doveva essere poi spedita al quartier generale della milizia a Dekhron. Poiché era già trascorso più di metà inverno, nonostante la bufera di neve che infuriava fuori, e poiché Alucius non pensava di mandare soldati in perlustrazione in quella tormenta, aveva deciso di approfittare di quel riposo forzato
per concentrarsi sui suoi resoconti. Con l'intensificarsi dei turni di pattuglia che aveva previsto nelle settimane successive, avrebbe avuto ben poche possibilità di dedicarsi a quell'incombenza. Persino delle brevi annotazioni a mano richiedevano tempo, se il capitano della compagnia doveva prepararne un centinaio sui soldati e cinque sui comandanti di squadra; anche se, essendo la Ventunesima Compagnia sotto organico, Alucius avrebbe dovuto riempire solo novantaquattro schede con i profili dei soldati. In quel momento si udì bussare alla porta. «Sì?» «Signore», disse Longyl, il comandante di squadra più anziano, «mi avete mandato a chiamare?». «Sì.» Alucius indicò la sedia sull'altro lato del piccolo tavolo e aspettò finché l'ufficiale non ebbe preso posto. «Gradirei un tuo parere su Reltyr. Ho già parlato con Faisyn.» «Preferirei non dire molto, signore.» «Anche Faisyn mi ha risposto la stessa cosa, e devo dire che comprendo le vostre motivazioni», disse piano Alucius. «Ha una moglie fuori Procellaria, vero?» Stava cercando di usare il Talento per cogliere emozioni... indizi. Avrebbe potuto parlare direttamente con Reltyr, ma non voleva scavalcare il comandante di squadra più anziano e Faisyn, il comandante della terza squadra. «Gli sta creando problemi?» «Sì, signore, ma Reltyr è un buon soldato.» «La maggior parte del tempo. A meno che qualcuno non lo provochi a proposito della moglie. È questo ciò che è successo? O forse lei non si aspettava che tornasse da Madrien?» «Entrambe le cose, signore», ammise Longyl. «Allora non credi che congedarlo gli potrebbe essere di aiuto?» «No, signore. Quasi sicuramente ucciderebbe lei e il tizio con cui sta.» «Che cosa avete detto a Reltyr, tu e Faisyn?» chiese Alucius. «Gli abbiamo detto che qui aveva ancora un compito da portare avanti e che poteva scegliere. O restare fino al termine della ferma e ricevere la sua paga e un'indennità di fine servizio, oppure continuare a servire nell'esercito e ricevere il sussidio previsto per i militari che rinnovano il periodo di ferma. Altrimenti, può andarsene subito e rischiare di essere catturato e frustato, forse anche ammazzato per diserzione.» «Pensi che se ne starà tranquillo?» «Per un po', sicuramente.» «Credi che dovrei prenderlo in disparte e dirgli che so che sta attraver-
sando un brutto momento, ma che è una brava persona e abbiamo bisogno di lui?» Longyl si accarezzò il mento, raddrizzò le ampie spalle che sovrastavano un torace massiccio e ben sviluppato, poi parlò: «Non mi permetterei di chiedervi una cosa del genere, capitano...». «Ma forse potrebbe servire visto che sa che sono sposato, mentre tu non lo sei, e magari si sentirebbe compreso?» Dopo un po', Alucius aggiunse: «Dovrò dirgli che abbiamo discusso della sua situazione». «Potrebbe aiutarlo a fargli capire che voi vi interessate a lui.» «Gli parlerò oggi pomeriggio.» Alucius trattenne un sospiro. Alla fine, erano così tante le cose di cui preoccuparsi. Era il capitano ritenuto capace di vedere più di quanto fosse possibile, di sopravvivere al di là di ogni aspettativa e di essere quello che nessuno voleva irritare o fare arrabbiare, benché non avesse mai alzato la voce o inferto punizioni corporali, né durante il periodo trascorso nell'esercito matrite né in quello passato nella milizia. Naturalmente, erano molti i soldati che era riuscito a sottomettere. «Che mi dici di Ashren? Come va il suo braccio?» «Molto meglio, signore. Sembra proprio che guarirà.» Alucius aveva solo domande su due degli uomini che componevano la terza squadra, mentre non aveva bisogno di essere tenuto al corrente sulle altre due squadre, giacché lui stesso era costretto a tenerle d'occhio più da vicino. Faisyn, Egyl e Sawyn erano comandanti esperti, e Longyl gli era stato di grande aiuto. Alucius fissò per un attimo l'ufficiale più anziano, poi chiese: «Che ne pensi delle tracce sul fiume?». «Qualcuno è venuto a perlustrare la zona», disse l'altro, pizzicandosi il lobo dell'orecchio sinistro con aria assorta. Alucius rimase in attesa. «Direi che si tratta di Guardie del Sud che non vogliono essere riconosciute come tali. Se ci fosse una guerra in corso, direi che stanno preparando un attacco.» Dopodiché Longyl guardò Alucius con aria inquisitoria. Alucius accennò un sorriso, consapevole del fatto che l'altro desiderava conoscere la sua opinione, ma non voleva chiedere, segno che Longyl non era del tutto certo delle proprie supposizioni. «Stanno perlustrando la zona, e sono probabilmente lanachroniani, o pagati dal Signore-Protettore.» «Signore, avevamo ricevuto un messaggio riguardo a scorrerie di deforyani...» azzardò Longyl. «Era un'informazione mandata dal quartier generale un mese fa. Nessuno ha mai visto i cavalieri o le squadre di ricognizione, però.» Alucius an-
nuì. «Domani, se la neve lo consente, la terza squadra sarà fuori di pattuglia prima dell'alba?» «Dirò a Faisyn di tenere pronti i suoi uomini.» «Sarà meglio che ispezioni anche tutti i fucili. Se ci imbattiamo in questi briganti, o chiunque essi siano, la squadra ne avrà bisogno. Alucius abbozzò un riso beffardo. «Non dovrai dirgli questo, però. Limitati a riferirgli che il capitano desidera che i suoi fucili siano perfettamente in ordine, nel caso ci dovesse essere una bufera di neve o brutto tempo.» Longyl rispose con un altro sogghigno. «Sì, signore. A che ora?» «Tre clessidre prima dell'alba. La prima squadra verrà con noi. Lo dirò a Zerdial. Tu resterai di guardia all'avamposto.» Alucius avvertì la rassegnazione dell'altro... e la sua accettazione. Benché le uscite invernali prima dell'alba fossero terribili, Longyl preferiva l'azione piuttosto che dover stare di guardia, ma qualcuno doveva pur prendersi carico delle squadre che rimanevano di guarnigione. E siccome le pattuglie uscite di prima mattina, a mezzogiorno e nel tardo pomeriggio avevano trovato solo tracce ormai vecchie, Alucius sentiva il bisogno di guidare personalmente una squadra nel suo giro di perlustrazione. «Se non troviamo niente, domani manderò fuori la quarta squadra, prima dell'alba, con la seconda...» Si alzò in piedi. Longyl lo imitò. «Vado ad avvisare gli uomini, signore.» «Assicurati che indossino tutti le sciarpe e gli indumenti pesanti.» Alucius fece una pausa. «Vuoi dire a Egyl e a Zerdial di venire da me?» «Sì, signore.» Il comandante di squadra annuì, quindi si voltò e lasciò la stanza. Alucius si rimise a sedere e prese i fogli che contenevano le vecchie informazioni sulla quarta squadra, quella comandata da Egyl. Al di là dei vaghi rapporti su inesistenti predoni squatti a ovest e su presunti razziatori deforyani nei pressi di Emal, né lui né Feran avevano ricevuto ulteriori notizie o istruzioni dal quartier generale della milizia. E temeva di conoscerne il motivo. A causa della precaria pace tra Lanachrona e le Valli del Ferro, il Consiglio non voleva di certo che il colonnello Clyon inviasse messaggi di avvertimento circa eventuali attività lanachroniane ostili, sebbene Clyon facesse il possibile per mettere in guardia i suoi troppo poco numerosi capitani e le relative compagnie. Quindi, se ad Alucius fosse capitato di leggere i velati messaggi in modo corretto, e se si fosse imbattuto in Guardie del Sud lanachroniane travestite da deforyani o da briganti...
Il giovane capitano scosse il capo. Se... se ciò fosse accaduto, avrebbe deciso al momento, in base alle circostanze. 9 Lyterna, Illegea Nelle profondità della Volta di Lyterna, due uomini si trovavano in piedi di fronte al muro, una creazione che ben pochi avevano avuto occasione di vedere nel corso dell'ultimo millennio, e che ancora meno avrebbero creduto possibile, poiché si trattava al tempo stesso di una scultura in rilievo e di una pittura murale, i cui colori brillanti e molteplici trasudavano dalla roccia stessa anziché essere stati dipinti sulla superficie marmorea. Eppure, il muro sembrava ricavato da un unico blocco di pietra, visto che non si scorgeva traccia di giunzioni. La scena descriveva uno squadrone di venti Mirmidoni; ciascuno di questi antichi garanti della giustizia era seduto in groppa a uno pteridon, un animale dallo scintillante becco di cristallo azzurro e dalle ali ugualmente azzurre, che si librava in volo al di sotto di alte nubi. Ogni Mirmidone impugnava una lancia cosmica di metallo dello stesso colore. Da ogni lancia si dipartiva un raggio di luce azzurrognola che si abbatteva su un esercito schierato al centro di una prateria. E le fiamme originate da questi raggi incenerivano tutti i soldati di quell'imponente esercito. L'uomo più giovane - quello dai capelli biondo cenere e dal vestito azzurro - esaminò per un attimo in silenzio il muro prima di parlare. «È davvero un lavoro eccellente. Così realistico. Così perfetto. Si potrebbe pensare che sia stato creato soltanto ieri.» «Rappresenta ciò che era... e ciò che potrebbe ancora essere, Aellyan Edyss», replicò il consigliere dai capelli bianchi, che era anche il guardiano della Volta. «Se avrai la volontà di far sì che tutto ridiventi come prima.» «Se avrò la volontà?» Il tono di voce di Edyss non era né acuto né querulo, ma inquisitorio, privo di qualsiasi umorismo. «In che modo dovrò mostrare la mia volontà per far tornare tutto come prima?» «Rivolgi il tuo desiderio al muro, Aellyan Edyss, il più direttamente possibile.» Questi raddrizzò le spalle e, tenendo gli occhi bene aperti, fissò l'antico comandante dei Mirmidoni. Non pronunciò parola, ma l'intero suo corpo brillò, ricoprendosi d'argento.
All'improvviso, una parte di muro ruotò su se stessa rivelando un'apertura. Edyss scrutò nel buio al di là del varco, chiedendo al compagno più anziano: «Si tratta di una prova?». «Tutta la vita è una prova.» Il condottiero nomade inclinò il capo verso il consigliere. «Prego, nobile Consigliere.» Questi passò attraverso l'apertura rettangolare, larga una iarda e alta due, seguito dall'altro. Subito dopo il passaggio si richiuse e per un attimo i due si trovarono a camminare nella più completa oscurità, finché il consigliere non accese una torcia a raggi di cristallo, porgendone una seconda al compagno. Al termine di un corridoio dalle pareti rivestite di marmo - anche queste senza alcuna traccia di giunzione tra le lastre - i due entrarono in un'ampia sala tenebrosa. Edyss puntò la torcia in alto. La stretta fascia di luce rivelò una volta di pietra liscia e piatta, dall'apparente altezza di oltre quaranta iarde. Poi diresse il raggio verso la parete di destra, muovendolo piano. Questa sembrava costituita di liscio marmo azzurro, lungo il quale erano disposte a intervalli regolari delle cavità, ciascuna larga all'incirca dieci iarde. Ogni cavità aveva al suo interno una superficie piatta, dall'apparente aspetto di cristallo azzurro, alta cinque iarde, al di sopra della quale c'era uno spazio vuoto fino al soffitto. «Se mi è consentito chiedere... onorevole Consigliere?» «Questa è la sala degli ultimi Mirmidoni o, per meglio dire, dei primi.» I passi dell'anziano dai capelli bianchi suonavano attutiti nella vastità della sala, mentre si dirigeva verso la prima nicchia alla sua destra. Senza porre domande, Edyss lo seguì, finché i due si trovarono di fronte alla lastra semitrasparente. «Puntaci la torcia e stai attento a ciò che vedi.» Aellyan Edyss diresse la luce verso la superficie cristallina che, a una certa distanza, nella semioscurità, era parsa scura, mentre invece era chiara e leggermente sfumata di azzurro. Sul fianco sinistro, direttamente nel blocco, era stata ricavata una piccola nicchia, all'incirca delle dimensioni di un uomo, vuota all'interno. Più in profondità, incassata in quella solida nebulosità traslucida, si intravedeva una sagoma con imponenti ali azzurre ripiegate, simili a cuoio, e con un lungo e crudele becco di cristallo dello stesso colore. Anche gli occhi sembravano fatti della medesima materia e scintillavano simili a pietre preziose o a quei cristalli che avevano alimen-
tato le perdute lance cosmiche degli antichi Mirmidoni. Sebbene fossero perfettamente immobili, possedevano una loro oscura intelligenza. Una sella di cuoio azzurro era collocata appena dietro al grosso collo dell'animale, proprio sopra le spalle, da cui si dipartivano le ali. «Siamo in un mausoleo?» «No. Il comandante dei Mirmidoni creò tutto questo appena prima del Cataclisma. Il cristallo blocca lo scorrere del tempo e di qualunque altra cosa. Quando la sua superficie si dissolverà, lo pteridon tornerà a essere vivo come non mai, in attesa del suo nuovo cavaliere e padrone.» «Come faccio a liberarlo?» chiese Edyss, rivolto al consigliere. «Devi dichiararti d'accordo a legarti a lui, come padrone e cavaliere, finché entrambi sarete in vita. Solo questo.» «E finora nessuno l'ha fatto?» «Nessuno prima di te ha riunito Illegea e Ongelya, e poi non ce n'era bisogno. Come guardiani delle praterie e protettori della Cripta, non vogliamo che Lyterna cada nelle mani del Pretore e dei soldati di Lustrea, o in quelle del Signore-Protettore di Lanachrona. Magari, oltre a te, c'è qualcun altro che potrebbe accampare diritti sull'Eredità, ma non si è fatto avanti, mentre tu invece sì.» Un altro oggetto attirò l'attenzione di Edyss. «Si tratta di... una delle lance cosmiche dei Mirmidoni?» chiese, indicando un'asta di metallo azzurro scintillante collocata su un supporto accanto alla figura immobile dello pteridon. Il guardiano dai capelli bianchi sorrise. «Sì. Ogni lancia può essere portata e usata solo dal cavaliere dello pteridon. Ricava la propria energia dal sole e dal mondo circostante, ma gli antichi testi asseriscono che devono trascorrere alcune settimane prima che riacquisti interamente il suo potere.» «Che cosa...» Edyss aggrottò la fronte. «Gli pteridon si accoppiano?» «I testi non parlano di questo, ma suppongo che non lo facciano, visto che sono esseri creati dagli Antichi.» «Non dai Duarchi o dai loro adepti?» «I Duarchi usavano ciò che trovavano con tutta la saggezza di cui erano capaci, ma la maggior parte delle cose era stata lasciata loro in eredità dagli Antichi. Alcune loro costruzioni sono arrivate fino a noi: le strade principali in durapietra, alcuni edifici...» «Tranne questi pteridon», dichiarò Edyss. «Ce ne sono altri?» «Non che si sappia. Solo questi venti. Dovrete usarli assennatamente.»
«Farò ciò che posso. È quanto chiunque possa fare.» «Ed è ciò che esige l'Eredità.» Il consigliere alzò la mano. «Non possediamo tutte le parole dell'Eredità, ma queste sono le uniche che abbiamo.» Si schiarì la voce e recitò: «Ci sarà un tempo in cui verrà un condottiero, ed egli reclamerà la gloria del passato, infondendole nuovo vigore alla luce del sole, affinché al duplice scettro l'eterno potere sia assicurato.» «C'è dell'altro?» domandò Edyss, mostrando palese curiosità. «C'è, ma noi non ne conosciamo le parole. Un tempo erano scritte nella roccia, laggiù.» Il consigliere puntò la torcia sul muro al di sopra dell'apertura attraverso cui erano passati per entrare nella sala. «Ma, molto tempo prima che scoprissimo questo luogo, i versi delle due strofe successive furono sbalzati via. Si dice che l'Eredità fosse composta da molte strofe, che poi vennero sparse in tutta Corus, così che nessuno ne potesse conoscere l'intero contenuto fino a che tutte le terre non fossero state di nuovo riunite.» Aellyan Edyss sorrise. «Allora, è meglio che cominciamo.» Si diresse verso la prima nicchia. «È questa quella del comandante?» «Sì.» Aellyan Edyss vi entrò, e il blocco di cristallo che racchiudeva lo pteridon e la lancia cosmica cominciò a mandare bagliori. Il consigliere deglutì, mentre osservava la superficie della lastra brillare e dissolversi in una densa nebbia azzurrina. 10 In una fredda mattina di sexdi, nell'oscurità delle ultime clessidre che precedevano l'alba, le due squadre lasciarono Emal senza far rumore e si diressero verso est. Di tanto in tanto, si udiva il battere degli zoccoli sul terreno ghiacciato o lo scricchiolio da essi prodotto nel comprimere la neve fresca, neve nella quale sarebbero affondati se solo fosse caduta in modo più uniforme. Il vento, invece, la trasportava con un movimento vorticoso a formare dei mucchi che arrivavano all'altezza del ginocchio in alcuni punti, lasciando la strada completamente sgombra in altri. Le forti raffiche che avevano imperversato su Emal all'inizio della settimana si erano ridot-
te a una brezza leggera ma pungente da nordest, che recava con sé il lieve sentore acre e ferroso dell'Altopiano di Aerlal. Benché Alucius indossasse indumenti di lana e seta nerina sotto l'uniforme, rimpiangeva di non avere su di sé la maschera proteggi-capo al posto della pesante sciarpa di lana nera. Grazie a una delle prerogative che gli venivano dall'essere un capitano, portava con sé due fucili, poiché sapeva bene che, se si fossero imbattuti nei briganti, avrebbe avuto poco tempo per ricaricare una sola arma nell'oscurità. La pattuglia uscita in perlustrazione il giorno di tridi non aveva trovato la benché minima traccia, e nemmeno quella di quattri e di quinti, ma Alucius aveva deciso che la Ventunesima Compagnia avrebbe continuato a cercare finché non avesse trovato i cavalieri misteriosi che avevano lasciato le loro orme sul sentiero. Le pattuglie avrebbero anche messo in allerta la compagnia e i soldati rimasti di stanza all'avamposto, grati per il relativo calore e riposo di cui potevano godere nei giorni in cui non erano costretti a uscire in perlustrazione. Alucius aveva con sé la seconda e la terza squadra, e accanto a lui cavalcavano Anslym e Faisyn, rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra. La colonna era giunta a circa dieci vingti a est di Emal, a due o tre vingti dal villaggio di Tuuler. Sul fianco destro della strada, alla base di un leggero pendio, scorreva il fiume Vedra, la cui superficie ghiacciata era ugualmente punteggiata da cumuli di neve trasportata dal vento. Nell'oscurità appena rischiarata dal mezzo disco di Selena, Alucius continuava a scrutare la strada che gli stava dinanzi, il fiume gelato e la distesa di campi innevati alla sua sinistra, ricorrendo sia alla vista sia ai Talentosensi. «Questa volta pensate di trovare i predoni, signore?» chiese Anslym a voce bassa. «Prima o poi li troveremo», rispose Alucius. «E se così non fosse, gli uomini avranno comunque l'opportunità di imparare cos'è una campagna invernale.» Fece una pausa e poi aggiunse: «Perché mai dovrebbero averne bisogno, poi? Quasi tutti avranno finito il loro periodo di ferma prima del prossimo inverno, a meno che le Valli del Ferro non vengano attaccate. In tal caso, il Consiglio allungherà i tempi e arruolerà nuove reclute, e probabilmente un terzo dei soldati già in servizio verrà spinto a diventare comandante di squadra in altre compagnie». «Così come stanno andando le cose», disse piano Faisyn, «questo non mi sorprenderebbe».
«Perché il Consiglio ha ridotto il numero di compagnie nella milizia?» domandò Anslym. «È una politica che ha sempre seguito», disse Alucius. «I soldati costano. Se fosse stata istituita una milizia forte a sufficienza da scoraggiare i lanachroniani, i grossi mercanti di Dekhron si sarebbero visti costretti a pagare tasse molto più elevate. Poiché il Consiglio è costituito perlopiù da questi mercanti, non avrebbe approvato un aumento delle imposte destinato a esigere dai suoi membri più influenti ingenti somme di denaro. Se poi le tasse avessero gravato sui piccoli artigiani e proprietari terrieri, questi non avrebbero potuto permettersi i prodotti venduti dai mercanti. In entrambi i casi, i mercanti e i commercianti che controllano il Consiglio avrebbero perso del denaro.» «C'è dell'altro», fece notare Faisyn. «Il primo anno, i soldati di leva non vengono pagati molto.» «Perciò... il Consiglio aspetta finché il problema non si fa evidente e poi arruola nuovi soldati», concluse Anslym. «E spera che le compagnie più esperte riescano a fronteggiare eventuali attacchi finché le reclute non siano ben addestrate», arguì Faisyn. «Ecco perché il colonnello è riuscito a persuadere il Consiglio a tenere la Ventunesima Compagnia. La nostra paga è inferiore a quella di qualunque altra compagnia con altrettanta esperienza.» «Stiamo per farcela, l'esperienza», fece notare Alucius. Nella quiete e nel freddo invernale, aveva proiettato lontano il Talento e aveva avvertito qualcosa. Era finalmente riuscito a capire che, da qualche parte più avanti, c'erano dei cavalieri: ben più numerosi di quei dieci o quindici le cui tracce erano state scoperte dalla Ventunesima Compagnia quasi una settimana prima. «C'è un po' di foschia o di nebbia sul fiume, a est, e credo che là troveremo delle orme. Non posso ancora essere del tutto sicuro, ma credo che stiamo per imbatterci nei nostri cavalieri misteriosi.» Attraverso l'oscurità, Alucius gettò un'occhiata prima ad Anslym e poi a Faisyn. «Cosa volete che facciamo?» chiese Faisyn. «Ci troviamo a meno di un vingt da Tuuler. Conosci il sentiero che attraversa la periferia settentrionale?» domandò Alucius al comandante di squadra più anziano. «Quello che si dirige a nord, proprio al di sotto del promontorio?» «Sì, signore.» «Porta con te la terza squadra. Il sentiero sulla strada che costeggia il fiume è a circa un vingt a est del villaggio. È probabile che, quando arrive-
rete là, i predoni vi abbiano già superati. Se sulla strada del fiume trovate tracce del loro passaggio, dirigetevi a ovest e inseguiteli. Dovrete tenervi pronti. Se invece non vi hanno ancora raggiunti, aspettate, restando un po' indietro finché non saranno passati, o finché noi non vi raggiungeremo da est su quella stessa strada. Predisporremo un'imboscata a Tuuler. Se riusciamo a sorprenderli, quelli che cercheranno di scappare dovrebbero tornare verso di voi. Fate in modo che nessuno riesca a fuggire.» «Sì, signore.» Alucius si girò sulla sella verso Anslym. «Noi condurremo la seconda squadra dentro Tuuler: attraverso il villaggio, fino ai margini orientali, appena prima del punto in cui cominciano le basse colline. Metà squadra si posizionerà con te sul fianco a sudovest e l'altra metà starà con me. C'è neve sufficiente perché le sagome dei predoni risaltino contro il suo sfondo bianco anche prima dell'alba. Predisporremo un fuoco incrociato e li attaccheremo.» Alucius sorrise, con determinazione, benché dubitasse che gli altri due riuscissero a vederlo in quell'oscurità. «Attaccarli...» Anslym si lasciò sfuggire un'involontaria esclamazione. «Ci sono due possibilità», replicò Alucius. «O sono davvero predoni e, in tal caso, saccheggeranno la nostra gente. Oppure sono soldati di qualche altro esercito che fingono di essere predoni. Ma, qualunque cosa siano, credi che sarebbe una buona idea lasciarseli sfuggire, se li cogliamo di sorpresa?» Fece una pausa. «Vado a parlare con i ricognitori.» E, così dicendo, Alucius spronò Selvaggio ad avanzare. Alle sue spalle, Faisyn rise piano. «Ecco a cosa servono i capitani, Anslym. Vedi per cosa vengono pagati. Se sbaglia, dovrà vedersela con il colonnello. Ma anche se ha ragione, cosa di cui non dubito quando si tratta di lui, dovrà comunque rendere conto delle sue decisioni.» Mentre guidava il cavallo verso i due ricognitori che costituivano l'avanguardia della squadra, Alucius era certo che Faisyn avrebbe fatto del suo meglio nel cercare di chiarire bene la situazione al comandante di squadra più giovane, prima dello scontro con i predoni. «Signore?» disse con fare interrogativo il meno anziano dei due ricognitori, mentre Alucius lo affiancava. «Karstyn, voglio che tu vada avanti per circa un vingt sulla strada principale. Cerca di essere cauto. Siamo stati informati della presenza di briganti e ci sono buone ragioni di credere che abbiano attraversato il fiume. Se vedi o senti qualcosa, torna qui, ma fallo il più silenziosamente possibile. In caso contrario, aspettaci all'incrocio nel centro di Tuuler e tieni d'occhio le case e i negozi.»
«Sì, signore.» «Waris... il comandante Faisyn ti dirà dove andare. La terza squadra aggirerà Tuuler a nord. Fatti spiegare da lui.» «Sì, signore.» Alucius fece girare Selvaggio e tornò di nuovo alla testa della colonna, riprendendo il suo posto davanti ai due comandanti di squadra. Dopo che Faisyn ebbe istruito Waris e che questi si fu allontanato, Faisyn e Anslym, insieme alle loro squadre, cavalcarono in silenzio dietro ad Alucius, così che gli unici rumori furono quelli prodotti dagli zoccoli sulla pietra o sul terreno gelato e dallo sporadico sbuffare di qualche cavallo. Era trascorso un altro quarto di clessidra quando la seconda squadra raggiunse il primo podere alla periferia occidentale di Tuuler. Alucius si girò. «Faisyn... il sentiero che conduce a nord intorno al villaggio è proprio davanti a noi. Portati in retroguardia e imboccalo quando lo superiamo.» «Sì, signore.» Dopo aver oltrepassato il punto di intersezione con il sentiero, Alucius si voltò più volte, quasi ad assicurarsi dei movimenti delle squadre, benché i Talento-sensi gli avessero già confermato la partenza della terza squadra come se l'avesse vista con i propri occhi in pieno giorno. «Anslym.» Alucius fece segno all'altro comandante di avvicinarsi. «Signore.» «Ricordi le esercitazioni di tiro sui bersagli singoli? Qui faremo lo stesso. I tuoi uomini - io prendo la fila destra e tu quella sinistra - si disporranno in un punto ben nascosto, sul fianco a sudovest della strada. Ciascuno di essi prenderà di mira un bersaglio diverso: il soldato più a nord si sceglierà quello più a nord e così via. Se il nemico si presentasse in doppia colonna, entrambi gli uomini di ogni fila dovranno essere eliminati, a partire da quello più vicino. Noi spareremo da una diversa angolazione, ma seguiremo lo stesso procedimento. Passa parola, poi torna qui. Spiega bene cosa fare, poiché in seguito non avremo il tempo di farlo.» «Sì, signore.» La seconda squadra era quasi giunta all'incrocio che costituiva, nel contempo, la piazza e il centro di Tuuler, prima che Anslym tornasse di nuovo da Alucius. «Tutto a posto, signore.» «Bene.» Karstyn sbucò dall'oscurità e si diresse verso i due alla testa della colonna. «Signore... tutto tranquillo, tranne nella bottega più avanti sulla sini-
stra. Mi sembra che i suoi occupanti si siano alzati troppo di buonora.» Sebbene mancasse ancora più di una clessidra all'alba, dalle persiane del piccolo negozio che fungeva da spaccio e da rivendita di generi alimentari si vedeva filtrare luce, luce che stava a indicare che qualcuno al suo interno aveva acceso una lampada. Alucius sentiva anche che, là dentro, dovevano esserci almeno due persone. «Mi sembra un po' troppo presto per degli onesti lavoratori. C'è qualcuno fuori? Qualche cavaliere?» «No, signore.» «Bene... e grazie. Mettiti dietro di noi, per ora.» Attraverso il Talento, nonostante la seconda squadra fosse più vicina dei predoni, Alucius fu in grado di capire che questi avanzavano in doppia colonna, in file ben ordinate, alla maniera militare. Questo indizio da solo servì a fargli capire che non si trattava di comuni razziatori, ammesso che lo fossero. Dopo che ebbero superato il centro di Tuuler, Alucius vide che le poche abitazioni erano buie, e percepì solo lievi tracce di fumo di legna o di carbone, segno che gli abitanti non erano ancora in piedi. Nella parte orientale del villaggio, la strada seguiva il fiume curvando leggermente a sud, appena in salita, quel tanto che bastava a nascondere i cavalieri che transitavano in entrambe le direzioni gli uni agli altri. I razziatori si trovavano a meno di due vingti di distanza. Alucius si protese verso Anslym. «Vedi il frutteto sulla destra? Piazza un soldato dietro ogni albero, fai in modo che si accosti il più possibile al tronco, pur restando a cavallo. A causa del dosso, il nemico non riuscirà a vedere il frutteto finché non si troverà a circa un quarto di vingt. Raccomanda però ai tuoi uomini di sparare solo su mio ordine.» «Sì, signore.» «Tenetevi pronti con i fucili, Anslym. Passa parola.» «Fucili pronti...» «Adesso... la fila destra verrà con te, quella sinistra con me.» «Seconda squadra, fila sinistra con il capitano. Fila destra con me», ordinò Anslym. «Seconda squadra, fila sinistra, seguitemi», ripeté Alucius. I nove soldati seguirono Alucius abbandonando la strada e dirigendosi verso una baracca. Alucius si fermò al riparo della bassa costruzione e spiegò il da farsi ai suoi uomini. «Aspetteremo qui nascosti fino all'ultimo. Poi, al mio comando, balzeremo fuori per un rapido assalto, mirando ai singoli bersagli: il primo di noi farà fuoco sulla prima fila, il secondo sulla seconda...»
«Sì, signore.» Alucius si posizionò in testa alla fila, in modo da poter vedere oltre l'angolo della baracca di legno restando a cavallo. Alla loro sinistra, verso nord in direzione dell'Altopiano, a una distanza di circa un centinaio di iarde, c'era una casa, ma Alucius dubitava che i suoi abitanti avrebbero dato l'allarme, anche se avessero sentito o visto i soldati. Di lì a non molto, un lieve rumore di zoccoli giunse loro attraverso l'oscurità, un suono che solo Alucius poté udire, a conferma di quanto gli aveva già rivelato il Talento. «Tenetevi pronti», sussurrò. Un'altra frazione di clessidra passò, e i predoni si fecero più vicini. «Colonna avanti», ordinò Alucius a bassa voce, aspettando che tutti i suoi soldati fossero usciti dal riparo della capanna. «Pronti a fare fuoco. Seconda squadra! Fuoco a volontà!» Alucius proiettò il comando sia con la voce sia con il Talento. L'aria gelida fu attraversata da una scarica pressoché simultanea dal fianco a nord e da quello a sudest della strada. La milizia riuscì a sparare ben tre raffiche prima che dai predoni si sentisse provenire un'esitante, singola serie di bang. Mentre il vuoto della morte e dell'agonia dei razziatori si riversava su Alucius, le sue labbra si incurvarono in un sinistro sorriso. Le innumerevoli clessidre trascorse a esercitarsi erano chiaramente servite a qualcosa. «Ritirarsi! Indietro!» Il comando era stato dato in dialetto lanachroniano, e Alucius non ne fu troppo sorpreso. Dopo essersi assicurato che i predatori si fossero ritirati, egli diresse di nuovo Selvaggio verso la strada. «Seconda squadra! Tornare in formazione!» «Tornare in formazione sul capitano!» Alucius ricaricò i fucili con la rapidità che gli veniva dalla lunga pratica e dall'abitudine. Benché la sua squadra avesse agito velocemente, l'ultimo dei nemici superstiti era riuscito a sparire oltre il dosso prima ancora che la seconda squadra si accingesse a inseguirlo. Ma Alucius era ugualmente soddisfatto. Sarebbe stato stupido rischiare di incappare nelle raffiche della terza squadra, appostata più in là. Mentre con la seconda squadra superava il luogo dell'imboscata, Alucius fece un rapido calcolo dei morti: dieci o undici, oltre a uno che stava morendo. Una volta eliminati i restanti predoni, lui e i suoi soldati avrebbero dovuto tornare per prendere le armi e i cavalli e disfarsi dei corpi.
A meno di due vingti oltre la leggera salita descritta dalla strada, si scorgeva una moltitudine confusa di uomini e di cavalli stagliarsi contro lo sfondo innevato dei campi, e si udiva il fragore del metallo che cozzava contro il metallo, accompagnato da sporadici colpi di fucile. La maggior parte dei soldati della milizia era ancora ben salda in groppa, ma i nemici rimasti combattevano con una calma ferocia. «Sguainare le sciabole!» ordinò Alucius. «Carica!» Nell'impartire il comando, Alucius impugnò la spada con la sinistra, sebbene fosse altrettanto abile con la destra, al contrario del fucile, che riusciva a maneggiare meglio con la sinistra. Mentre osservava la mischia di cavalieri e cavalli, di razziatori e soldati morti e morenti, Alucius fu in grado di sentire che due predoni stavano cercando di fuggire, guidando i cavalli lontano dalla strada, attraverso i campi, in direzione del fiume. Poiché alcuni soldati della terza squadra si trovavano a copertura di quel tratto nel tentativo di bloccare i nemici e di accerchiare i loro cavalli, Alucius non se la sentì di sparare. «Seconda squadra! Seguitemi!» ordinò, spronando Selvaggio all'inseguimento, senza neppure voltarsi per assicurarsi che i suoi uomini lo seguissero. A poco meno di metà strada dal fiume, uno dei fuggitivi, dopo avere gettato prima un'occhiata dietro di sé e poi verso il fiume, rallentò all'improvviso e fece fare dietro front al suo cavallo. Nel percepire appieno il senso di fatalità dell'altro - rassegnato a morire, ma desideroso di trascinare altri con sé mentre si apprestava ad afferrare il fucile - Alucius puntò la propria arma, cercò di concentrarsi e fece fuoco. Dovette sparare tre volte prima di sentirsi sommergere dal vuoto creato dalla morte dell'avversario. Dopodiché superò il cavallo del morto e si incamminò tra la bassa vegetazione coperta di neve che portava al fiume, sulla cui superficie ghiacciata vide il razziatore superstite impegnato a spronare la sua cavalcatura nell'intento di fuggire. Alucius si fermò sulla riva, fece un rapido cambio di fucile e fissò l'attenzione e il proprio Talento sul fuggitivo. Bang! Un colpo fu sufficiente. Alucius si girò sulla sella rivolgendosi ai due soldati più vicini. «Skant, Noer... riportatelo indietro. Se riuscite a catturare il cavallo, ce ne potremo servire, ma dobbiamo assolutamente recuperare il corpo e il fucile.»
«Ah... sì, signore.» «Adesso torno sulla strada, dai comandanti di squadra.» Alucius condusse Selvaggio attraverso la neve gelata, su per il terreno leggermente in salita che portava alla strada, mentre il suo sensibile orecchio di pastore coglieva alcuni brani dei commenti dei due soldati. «... avevo dimenticato quanto fosse bravo con il fucile...» «... e non è neppure l'alba, ancora...» «... capisco perché hanno tentato di fare un'incursione notturna...» «Ma non è servito a nulla.» Alucius non ne era certo. A volte, anche le incursioni fallite avevano uno scopo. Sperava solo di trovare qualche indizio, ma il fatto che quei cavalieri avessero combattuto fino alla morte dimostrava una volta di più che non si trattava di semplici predoni. Faisyn e Anslym erano in attesa sulla strada, occupati a soprintendere alla cattura dei cavalli. «Abbiamo subito perdite?» chiese Alucius. «Due, signore», rispose Faisyn. «Silper e Daern. Gill ha ricevuto una sciabolata, ma non è grave.» «Sond è stato colpito al braccio sinistro da una pallottola che gli ha frantumato l'osso», riferì Anslym. «Abbiamo arrestato l'emorragia, ma non sono sicuro che riacquisterà l'uso del braccio, una volta guarito.» «L'avete steccato?» si informò Alucius. «Come meglio potevamo, signore.» «C'è qualche sopravvissuto tra i predatori?» Nel grigiore che precedeva l'alba, Alucius fece correre lo sguardo da Anslym a Faisyn. «No, signore.» «Qualcun altro è riuscito a fuggire?» «No, signore», dichiarò Faisyn. «Non abbiamo trovato tracce, e nessuno ne ha visti, all'infuori dei due che avete inseguito.» «Dovremo frugare i corpi. Conservate qualunque indizio che possa gettare una qualche luce sulla loro provenienza. Poi li lasceremo ai margini dei campi verso nord, a disposizione dei lupi della sabbia.» Alucius si rivolse ad Anslym. «Vorrei dare un'occhiata al braccio di Sond.» «È laggiù, sul fianco nord della strada.» Alucius e Anslym si diressero verso il soldato ferito. Ancora prima di fermarsi, Alucius percepì il trauma dell'osso fratturato. «Come ti senti, Sond?» «Devo dire... che fa male, signore.»
Alucius fece accostare Selvaggio al cavallo del soldato. Non c'erano ancora segni di infezione, e i frammenti di osso rimasti erano stati bendati. Alucius tastò le stecche, lasciando fluire un po' del suo Talento. Alzò lo sguardo verso il soldato, che si sforzava di restare cosciente. «Sembra che ci vorrà un poco perché guarisca, ma, con un po' di fortuna, non perderai il braccio.» «Ho sentito l'osso che si spappolava, signore.» «Ce la farai, Sond.» Alucius proiettò un senso di fiducia, poi si girò. Sebbene desiderasse prodigarsi quanto più possibile nei confronti dei suoi soldati, non poteva permettersi di sprecare troppo Talento in quel modo, anche se era improbabile che ne avrebbe avuto bisogno nei giorni successivi. «Anslym... incarica qualcuno di affiancarlo, per assisterlo e tenerlo sveglio.» «Sì, signore.» Alucius si fermò a nord del punto in cui le sue squadre avevano teso l'imboscata ai predoni. Da quel che poteva vedere, questi non indossavano uniformi, anche se i giacconi di lana grigia e le nere mantelle invernali, quasi identiche per tutti, avrebbero potuto benissimo passare per tali. Ma Alucius non aveva mai sentito parlare di soldati di Corus che portavano quelle divise, e dubitava che ce ne fossero. I fucili usati dal nemico non erano quelli pesanti a cinque colpi della milizia, né le armi più leggere a dieci cartucce dei mattiti. E non erano neppure lanachroniani. Tutto faceva presagire il profilarsi di problemi all'orizzonte e, sebbene la causa di tali problemi fosse da attribuire al Signore-Protettore, Alucius non poteva fare altro che supporlo. Si augurava che gli indizi raccolti dai soldati potessero fornire delle prove, anche se dubitava che tali prove li avrebbero guidati verso sud. I lanachroniani erano di gran lunga troppo scaltri per lasciarsi intrappolare. Trasse un profondo sospiro e sentì freddo, sebbene le prime luci dell'alba stessero rischiarando il cielo a oriente. Le squadre avevano dinanzi a sé una cavalcata di parecchie clessidre prima di tornare a Emal, con le armi confiscate ai nemici e i feriti. 11 Una luminosità che filtrava attraverso la nebbia annunciò l'alba, mentre
la seconda e la terza squadra della Ventunesima Compagnia si raggruppavano in formazione e si apprestavano a lasciare Tuuler alla volta di Emal. I soldati avevano impiegato più di una clessidra per radunare i quindici cavalli catturati ai nemici, quelli che non erano fuggiti, oltre alle loro armi e agli effetti personali, ma adesso tutto quanto era ben impacchettato in groppa ai quindici destrieri. «Colonna avanti!» ordinò Alucius. «Seconda squadra! Avanti!» «Terza squadra...» Alucius era molto preoccupato. A giudicare dalle loro armi, i cavalieri uccisi non erano di certo mercanti. Però non portavano nulla che permettesse di identificarli con assoluta certezza. I loro borselli contenevano monete di rame e d'argento, ma nessuna d'oro, all'infuori di quelle trovate addosso a un predone dalla barba grigia, la cui corporatura e il viso dai lineamenti severi si addicevano più a un soldato che non a un brigante. Il suo borsello conteneva dieci monete d'oro: una somma enorme per un bandito. Il giovane capitano scrutò la strada dinanzi a sé, una strada ora coperta di impronte di zoccoli e di stivali, nonostante il terreno gelato. In alcuni punti si scorgevano macchie di sangue e in altri si vedevano carcasse di cavalli, troppo pesanti da spostare. «Non abbiamo subito molte perdite», commentò Faisyn, che cavalcava alla sinistra di Alucius. «Per essere dei predoni, sembravano parecchio sorpresi quando li abbiamo attaccati.» «Non si aspettavano un'imboscata nel bel mezzo della notte», precisò Anslym. «Avete ragione entrambi», disse Alucius. «Ci fermeremo allo spaccio, a Tuuler.» Avvertendo la perplessità di Faisyn, aggiunse: «Quando prima gli siamo passati accanto, qualcuno era già alzato e aveva acceso il fuoco, benché mancassero ancora due clessidre all'alba». «Credete che i predoni fossero diretti là per rifornirsi di provviste?» «Vedremo.» Mentre Alucius, insieme alle due squadre, superava la baracca dietro alla quale si erano nascosti per predisporre l'agguato e raggiungeva la periferia di Tuuler, vide del fumo uscire dai camini della maggior parte delle case sparse qua e là. Più avanti, nei pressi dell'incrocio, parecchie abitazioni avevano già aperto le imposte per lasciare entrare la luce del giorno e, in un portico laterale, una donna con una giacca di pelle di pecora stava vuo-
tando un secchio d'acqua nella neve di un cortiletto. Nello scorgere i cavalieri con indosso i neri giacconi invernali della milizia, si precipitò dentro casa, facendo urtare per la fretta il secchio contro lo stipite della porta. Alucius gettò un'occhiata verso l'incrocio, poi istruì i suoi comandanti di squadra: «Anslym... prendi la tua squadra e portati sul retro della bottega. Di' ai tuoi uomini di tenersi pronti con i fucili. Non voglio che qualcuno esca». «Sì, signore.» «La terza squadra starà a copertura sul davanti, mentre io entro», disse Alucius a Faisyn. «Vorrei parlare con il proprietario.» «Quanti soldati volete portare con voi?» domandò Faisyn. «Direi che quattro dovrebbero essere sufficienti, insieme alle due squadre fuori, pronte a fare fuoco», rispose Alucius. «Sì, signore. Terza squadra! Fucili pronti! Prime due file, scendete da cavallo e accompagnate il capitano.» Proprio mentre i soldati della terza squadra si fermavano davanti al negozio, dalla porta del bottaio sull'altro lato della strada si affacciò un uomo che, dopo aver visto i cavalieri armati, fece un rapido dietro front e rientrò. Alucius smontò di sella e salì i due gradini che portavano all'angusto portico in legno. Dopo aver appurato che l'uscio non fosse chiuso col chiavistello, fece segno a uno dei suoi uomini di precederlo. Quindi entrò anche lui, avvertendo subito il contrasto tra la confortevole temperatura del locale rispetto a quella esterna. Gli altri tre soldati lo seguirono, le sciabole sguainate. All'interno, verso il fondo del negozio, che era poco più grande di uno stanzone adibito a magazzino, c'erano due uomini in piedi accanto a una lunga panca. Da una stufa di ferro collocata in una piccola rientranza in pietra ricavata nella parete a nord si irradiava un piacevole tepore. «Sto cercando il proprietario», disse Alucius. «Chi siete?» chiese il più alto dei due uomini, un individuo corpulento dalla barba scura. «Sono il capitano Alucius, della Milizia delle Valli del Ferro.» «Non avete fatto molto di questi ultimi tempi, capitano, eccetto cavalcare avanti e indietro. Non è certo come combattere, anche se, suppongo, dobbiate ubbidire agli ordini che vi vengono dati.» Un ampio e generoso sorriso - anche se falso - comparve sul volto del bottegaio, mettendo in mostra denti bianchi ma irregolari. «Suppongo che siate voi il proprietario del negozio.»
«Supponete bene. Mi chiamo Cephys.» «Siete aperti così presto la mattina di solito?» Sul volto di Cephys la fronte si corrugò, ma il cipiglio subito si dissolse. «Per la verità, non siamo ancora aperti. Normalmente, in inverno, i clienti cominciano ad arrivare solo un paio di clessidre dopo l'alba.» Alucius annuì. «Già, è comprensibile. Vi spiace se diamo un'occhiata qui intorno?» «Non posso certo dire che mi faccia piacere, ma vedo che i vostri soldati hanno una sciabola in pugno, e non sarebbe saggio rifiutarsi.» Alucius si avvicinò alla panca. L'altro uomo, più giovane e magro, arretrò, sbarrando gli occhi. Cephys osservava il capitano della milizia con sguardo attento. «Vedo che avete preparato alcune provviste. Stavate aspettando qualcuno?» Alucius fissò il bottegaio. «Questo è il motivo per cui mi sono alzato così presto», ammise Cephys. «Alcuni mercanti... dicevano di essere deforyani. Erano già venuti in negozio un paio di settimane fa e mi avevano detto che sarebbero tornati questo sexdi.» Si accigliò. «Avrebbero già dovuto essere qui.» Alucius avvertiva con i Talento-sensi che l'altro gli stava nascondendo la verità. «Li avevate mai visti prima?» «Mai, prima di due settimane fa.» Era chiaro che mentiva, ma Alucius fece finta di niente, mentre spostava lo sguardo sulla merce impilata sulla lunga panca. Prese un cuneo di formaggio stagionato dalla crosta ricoperta di cera. «Provviste di viaggio. Quasi tutte preparate qui a Tuuler. Vedo che alcune portano persino un marchio.» «Quel tizio mi aveva detto che non avrebbe accettato merce senza marchio, visto che molti cercano di affibbiare roba avariata o di qualità scadente ai mercanti di passaggio.» «Immagino che debba aver detto proprio così», concordò Alucius annuendo. «Pensate che menta?» il volto di Cephys si irrigidì per la rabbia. «No. Credo che stiate dicendo la verità... questa volta.» Alucius posò un altro involto contenente strisce di carne secca, ugualmente conservate nella cera, e si voltò. «Non credo che i vostri mercanti arriveranno. L'uomo con cui avete concluso l'accordo aveva barba e capelli grigi?» «No... ma era quello che aveva pagato l'anticipo.» Alucius avvertì l'improvvisa preoccupazione dell'altro.
«Ci erano giunte notizie di una banda di razziatori», disse Alucius. «Perciò questa mattina siamo usciti di pattuglia presto e, in effetti, ci siamo imbattuti in alcuni predoni. La maggior parte non è riuscita a fuggire.» Sorrise e si strinse nelle spalle. «Pensavo che avreste dovuto saperlo.» «Razziatori? Avevano detto di essere mercanti. Portavano giacconi grigi di buona qualità.» «Può darsi, ma per essere dei mercanti, hanno sparato parecchio e, quando si sono accorti di non avere via di scampo, hanno combattuto fino alla morte, piuttosto di essere fatti prigionieri. I mercanti non si comportano così.» Alucius si girò verso la porta. «Mi chiedevo perché fossero diretti a Tuuler. Adesso lo so. Buona giornata.» L'ondata di costernazione e panico che aveva assalito il bottegaio fece capire ad Alucius che questi doveva aver sospettato qualcosa fin dall'inizio, benché non ne fosse sicuro. Una cosa però era certa: non avrebbe più ricevuto il denaro che gli era stato promesso. Mentre Alucius usciva dal negozio colse alcune frasi del proprietario. «... sterco di cavallo... miserabile milizia...» «... attento... è quello...» Alucius non riuscì a cogliere il resto della frase, ma ne immaginò il contenuto. Probabilmente riguardava il fatto che lui fosse un pastore o che avesse la reputazione di essere un capitano assetato di sangue. Rimontò rapido in sella e fece un cenno a Faisyn: «Possiamo andare». «Terza squadra! Colonna dirigersi all'incrocio...» Mentre rifletteva, Alucius fece voltare Selvaggio. Perché biasimare Cephys, quando il bottegaio altro non faceva che seguire l'esempio dei mercanti che tenevano le fila del Consiglio di Dekhron? Trasse un lento sospiro e si sistemò bene in sella. Nonostante il calore dei raggi solari che filtravano attraverso la foschia che avvolgeva quel tratto di valle lungo il fiume, il ritorno a Emal si sarebbe svolto all'insegna del freddo, per quanto non così pungente come all'andata. 12 Catyr, Lustrea La pallida luce del sole mattutino contribuiva ben poco a riscaldare il laboratorio al secondo piano dell'armeria provinciale. Gelide raffiche invernali provenienti dalla Dorsale di Corus soffiavano fuori dalle finestre,
mentre l'ingegnere dalla corporatura sottile osservava l'antico banco da lavoro e il contenitore nero di metallo che poggiava sopra una sottile lastra di perfetto quarzo verde. Il contenitore misurava circa due terzi di iarda in lunghezza, un terzo in larghezza e un altro terzo in altezza. Al suo interno si trovavano un insieme di cristalli - nessuno dei quali di colore rosso o viola -, piccoli oggetti metallici argentati e una forcella, pure d'argento. L'uomo mingherlino, con indosso le vesti nere e argento di un ingegnere pretoriano, regolò i contatti della forcella e sistemò al suo posto la lastra di quarzo, prima di chiudere il coperchio del contenitore. Quindi alzò lo sguardo e si rivolse all'uomo dai capelli grigi e dall'abito argentato di Pretore, che stava dall'altra parte del bancone. «Questa era l'ultima arma. Adesso tutte e dieci sono pronte per essere usate in battaglia.» «Con oltre mezzo anno di ritardo rispetto alla consegna prevista, Vestor.» «Non avevo certo messo in conto l'incidente talentoso che ha distrutto tutti i cristalli rossi e viola di Corus.» «No. Quello non potevate prevederlo. Avete scoperto qualcos'altro al riguardo, oltre al fatto che l'evento sembrava connesso alla morte della Matride?» «No, Pretore. Chiunque controllasse quel Talento non ha più fatto niente del genere, da allora.» «E non avrebbe potuto essere la stessa Matride?» «È possibile, anche se credo che sia una spiegazione troppo comoda.» Il Pretore scoppiò in una risata. «Ecco una frase degna di un vero figlio di Lustrea. La comodità non opera mai a vantaggio del singolo.» Dopo una piccola pausa, proseguì: «Non capisco perché i vostri congegni-replica quelli che imitano le Tavole degli Archivisti - mostrino Tyre, Aellyan Edyss e persino un pastore, oltre che soldato, che ha indossato tre diverse uniformi in altrettanti anni, ma non mostrino mai il Signore-Protettore di Lanachrona come possibile detentore o scopritore del duplice scettro». Il tono di voce del Pretore era amabile, ma le parole sembravano forgiate nell'acciaio. «Non lo so, Pretore», replicò cauto Vestor. «Immagino sia perché Lanachrona è il perno attorno al quale ruoterà l'intero futuro di Corus, e un perno non agisce. Inoltre, il mio congegno non mostra chi è interessato a reggere lo scettro, bensì chi potrebbe essere capace di farlo. L'ufficiale della milizia forse possiede il Talento ma non l'ambizione, mentre il SignoreProtettore magari ha l'ambizione, ma non la capacità.»
«Eppure... il Signore-Protettore, per quanto giovane, è in grado di mettere insieme un esercito ben più grande e potente di quello che potrebbe schierare Aellyan Edyss.» «Aellyan Edyss presiede il Consiglio della Volta a Lyterna. Non sappiamo ciò che la Volta contiene, poiché è protetta dal Talento.» «Potrebbe possedere armi come le nostre?» Il Pretore indicò il nero contenitore di metallo appoggiato sul banco. «Se le possiede, non le ha ancora tolte dalla Volta. E anche se lo facesse, potrebbe non essere capace di ripararle o di usarle.» «Potete dirmi se le ha davvero?» «Solo se non sono state create e manovrate completamente dal Talento, e se voi potrete permettervi altri specchi che replicano le Tavole, Pretore. Se si tratta di armi prodotte dal Talento e utilizzate da qualcuno che lo possiede... be', lo specchio non riuscirà a mostrarle.» «Ma queste armi esistono veramente?» «Non se ne sono più viste dai tempi del Cataclisma», dichiarò guardingo Vestor. «Allora questo è denaro speso bene.» Il Pretore rivolse lo sguardo verso le anguste finestre situate lungo la parete ovest del laboratorio. «Quando la tempesta di neve si sarà calmata, daremo inizio alla campagna per la conquista di Illegea. Benché la strada principale sia spesso interamente bloccata, grazie ai vostri apparecchi, saremo in grado di far sì che sia sgombra per il passaggio di tutte le nostre legioni. Attaccheremo quel barbaro prima che sia pronto ad affrontarci e prima che l'erba diventi alta a sufficienza da nutrire i cavalli dei suoi soldati. E prima che si faccia prendere troppo dall'ambizione», aggiunse il Pretore con voce gelida. «La sua insolenza nel pretendere pedaggi dai nostri mercanti non può essere tollerata oltre.» «Sembra davvero un tipo arrogante», commentò cauto Vestor. «Terribilmente arrogante.» «Tyren sarà dei nostri, Pretore?» «No, non per il momento. Non è saggio che il Pretore e il suo erede prendano parte alla stessa campagna. L'ho tenuto informato dei nostri progetti... e delle vostre... capacità, Vestor.» «Siete molto gentile, Pretore.» «Volete forse dire che sono molto prudente.» «Anche questo, sì.» Mentre il Pretore usciva dal laboratorio dell'armeria, la sua robusta risata aleggiò nella stanza.
13 Il vento faceva sbattere le finestre della mensa ufficiali, ma Alucius non distoglieva la propria attenzione dai documenti che aveva dinanzi, sul tavolo. Era già metà mattina di septi e più di un giorno era trascorso dalla battaglia contro i predoni, e lui non poteva terminare il rapporto destinato al quartier generale della milizia se prima non riceveva notizie da Haesphes. Pulì la punta della penna e chiuse il calamaio, poi si alzò e si diresse alla porta. Dal camino dell'armeria usciva fumo. Con una scrollata di spalle e senza nemmeno preoccuparsi di indossare il giaccone, Alucius uscì dagli alloggi del piccolo avamposto. Per un attimo si soffermò a scrutare il cortile, tenuto sgombro dalla neve da alcuni uomini muniti di pala: un provvedimento che permetteva di mantenere in esercizio i soldati, evitando al tempo stesso che il terreno si trasformasse in una fanghiglia impraticabile, una volta giunta primavera. Quindi si decise ad attraversare il cortile e a dirigersi verso l'edificio squadrato che fungeva da armeria. I suoi stivali scricchiolarono su una piccola lastra di neve ghiacciata sfuggita agli spalatori, che si era ammorbidita a causa del temporaneo disgelo del pomeriggio precedente, ridiventando poi ghiaccio. L'inverno avrebbe dovuto finire ufficialmente entro una settimana, ma la neve sarebbe probabilmente durata ancora parecchi giorni, prima di sciogliersi, trasformando le strade - e qualunque altra cosa - in un ammasso di fango. Raggiunta l'armeria, Alucius aprì la porta ed entrò. Nonostante il calore emanato dalla stufa collocata a ridosso del muro a sud, il locale era gelido. Alucius fece correre lo sguardo dai fucili appoggiati su una panca a Haesphes, l'armiere anziano, tornato quella stessa mattina di septi all'avamposto della milizia. Alucius non se la sentiva di rimproverargli di avere voluto essere presente ai funerali della figlia, anche se si era assentato nel momento meno opportuno. «Che ne pensate?» Haesphes sollevò lo sguardo, poi tossì e si schiarì un paio di volte la voce. Infine parlò, con l'accento marcato della gente che abitava il tratto superiore del fiume Vedra. «Sono fucili deforyani, signore, o comunque talmente simili da non riuscire a coglierne la differenza.» «Credete che qualcuno li abbia imitati?» «Non tutti. Cinque portano il marchio di fabbrica e i numeri di matricola
deforyani. Anche i fucili lanachroniani e quelli matriti sono provvisti di numeri di matricola. Le Valli del Ferro sono le uniche a non numerare i fucili.» «Perché non hanno riprodotto i numeri anche sugli altri? O non ne hanno scritti di falsi?» «Perché avrebbe comportato del lavoro supplementare... o perché volevano poter sostenere che le armi erano copie.» Haesphes si strinse nelle spalle. «Ottimo lavoro, comunque. Si tratta di armi solide quanto le originali, e si sa che i deforyani ne fabbricano di eccellenti. È uno dei motivi per cui Deforya è rimasta indipendente.» «E uno dei motivi per cui il Signore-Protettore vorrebbe occuparla?» Alucius ipotizzò. «Sono un semplice armiere, capitano», protestò Haesphes. Alucius scoppiò in una risata. «Sapete molte più cose voi di tutti noi, scommetto. In tutti questi anni vi sarete fatta una bella esperienza.» «Non quanto voi, signore, da quel che ho potuto sentire.» «Ma siete più anziano e avete sentito molte più cose. Chi altri potrebbe fabbricare queste armi? Voi di certo. E le armerie mattiti a Salser, anche se credo che nessuno di voi l'abbia fatto.» Haesphes increspò le labbra, guardò verso la stufa, poi si rivolse di nuovo ad Alucius. «Elcoyn ne sarebbe capace. Anni addietro, è stato apprendista a Dereka, e adesso possiede un'officina a Dekhron. E forse altre due o tre in tutta Lanachrona, oltre a parecchi armaioli di Lustrea, da quel che ho sentito raccontare.» «Perciò... è stato Elcoyn o qualcuno a Lanachrona», concluse Alucius. «Molto probabilmente.» «C'è modo di scoprirlo dai fucili in nostro possesso?» «Non qui. Se osservassi un armaiolo all'opera, potrei capire dalla lavorazione del legno o del metallo se certi motivi si ripetono. Ma così...» Haesphes scosse il capo. «Grazie. Potete metterli al sicuro da qualche parte? Il comandante potrebbe volerli esaminare.» «Sissignore, senz'altro.» «Grazie.» Alucius indugiò. «Sono addolorato per vostra figlia.» Non sapeva bene cos'altro dire, benché percepisse la tristezza dell'uomo più anziano. «Forse avrei potuto fare qualcosa.» «È successo tutto all'improvviso, signore. Nessuno avrebbe potuto farci niente. Ma grazie lo stesso.»
«Mi spiace.» Alucius lo salutò con un cenno del capo, si voltò e uscì dall'armeria. Si fermò al centro del cortile, ad assaporare il lieve tepore del pallido sole che era finalmente riuscito a emergere attraverso la nebbia mattutina. Il vento aveva mutato direzione e adesso soffiava da sud, portando con sé maggior calore. Se nella settimana successiva non si fossero verificate altre incursioni e se la temperatura si fosse mantenuta a quei livelli, probabilmente, da quelle parti, non avrebbero più visto predoni per un po', dato che il ghiaccio sul fiume si sarebbe rotto. Era forse la ragione per cui i cavalieri si erano recati a Tuuler il giorno prima? Alucius aggrottò la fronte, mentre proseguiva verso il piccolo edificio che ospitava il quartier generale. Prima di finire il suo rapporto per il colonnello, doveva ancora aggiungere le informazioni sui fucili. La mensa era vuota e le sue carte non erano state toccate, non che si fosse aspettato il contrario. Si sedette e ricominciò a scrivere. Aveva riempito forse mezza pagina quando udì dei passi nel corridoio. Alzò gli occhi verso la porta che si apriva per lasciar entrare Feran, intento a sbottonarsi il giaccone. «Sei tornato in anticipo», lo salutò Alucius. «Appena tre giorni prima.» Feran scosse il capo. «Così è stato persino più facile fare una levataccia prima dell'alba, questa mattina a Fiente.» Il capitano più anziano gli porse una busta con il sigillo nero del comandante della milizia. «Tieni.» L'intestazione diceva: Capitano Alucius, Avamposto di Emal. Alucius non aprì il messaggio. «Anche tu ne hai ricevuto uno?» chiese. «Alla fine della settimana scorsa. Il colonnello conosce la mia famiglia e mi ha rintracciato a Dekhron. Dopo aver letto ciò che mi aveva scritto ho deciso di tornare in anticipo. Quando gliel'ho fatto sapere, mi ha affidato questo messaggio per te.» Feran scoppiò in una risata rauca. «Vinkin mi ha riferito che qui c'è stato un po' di movimento.» «Razziatori, con uniformi deforyane e con fucili deforyani. Ieri.» «E?» Feran inarcò le sopracciglia. «Erano circa venticinque. Non è rimasto alcun superstite. La terza squadra ha perso due soldati e la seconda e la terza hanno avuto ciascuna un ferito.» «Com'è successo?» «Un agguato, due clessidre prima dell'alba, a Tuuler. Stavano andando a ritirare delle provviste. Avevo immaginato una cosa del genere, ma ne ab-
biamo avuto conferma solo dopo.» Feran annuì piano. «Capisco.» Alucius credeva di sapere cosa Feran avesse capito, ma glielo chiese lo stesso: «Capito cosa?». «Il motivo per cui il colonnello ha dislocato qui la Ventunesima Compagnia.» Feran fece un sorriso sbilenco e indicò la busta. «Aprila. Voglio vedere la tua reazione.» Alucius spezzò il sigillo e lesse in silenzio il messaggio. Capitano Alucius, il Signore-Protettore di Lanachrona ha inviato un fervente esposto al Consiglio. Egli asserisce che le Valli del Ferro offrono rifugio a predoni deforyani, che hanno attraversato il fiume Vedra e hanno terrorizzato i pacifici abitanti delle terre di Lanachrona. Il Consiglio desidera conoscere la ragione per cui non è stato informato riguardo a tali avvenimenti. Di certo ricorderete che, qualche tempo fa, avevo inviato una nota per avvisarvi di tale evenienza. Perciò vi sarei grato se mi poteste inviare al più presto un resoconto dettagliato delle contromisure che avete preso per porre fine a queste razzie. La firma e il sigillo appartenevano a Clyon, colonnello e comandante della milizia. Alucius sollevò il capo. «In un certo senso, sono lieto di essere stato in licenza», disse Feran. «Ho già fornito informazioni su ciò che ha fatto la Quinta Compagnia all'inizio dell'inverno, e sulle azioni che pensiamo di intraprendere se queste cosiddette incursioni dovessero continuare. Sebbene sia alquanto improbabile che continuino.» «Non per il momento», convenne Alucius. «Almeno non finché chiunque le abbia organizzate non verrà a sapere che tutti i componenti della spedizione sono stati uccisi.» Fece una pausa. «Scriverò la mia risposta, ma vorrei che tu dessi un'occhiata alle armi, ai cavalli e all'attrezzatura che abbiamo sequestrato, e aggiungessi un messaggio con le tue conclusioni personali. Altrimenti, il colonnello verrà accusato di presentare le notizie in modo tendenzioso, visto che i rapporti provengono da colui che, tra tutti i comandanti di compagnia, è più in debito nei suoi confronti.» «Può darsi che tu abbia ragione. Dopo che avrò governato il cavallo...» «Non avevi...»
«No. L'avevo affidato a Vinkin. Volevo sentire subito il tuo parere.» «Haesphes ha messo i fucili sotto chiave. Vinkin ha sistemato i cavalli dei nemici nella parte est della stalla, in fondo. Io ho tenuto tutti gli effetti personali, senza toccare niente.» «Darò un'occhiata.» Feran si girò e uscì dalla piccola stanza. Alucius fece un profondo sospiro. Adesso avrebbe dovuto riscrivere il rapporto. Nel tempo che Alucius impiegò a completare la nuova stesura e a iniziare la lettera di accompagnamento al colonnello, l'altro era tornato in mensa e aveva cominciato la sua lettera. Dopo che Alucius ebbe finito il suo messaggio, si schiarì la voce. «Sì?» domandò Feran. «Lo leggeresti, per favore?» «Oh, me fortunato!» scherzò Feran, ma prese il foglio e lo lesse con attenzione, mentre Alucius gli stava alle spalle e rileggeva a sua volta quanto aveva scritto. Colonnello Clyon Comandante della Milizia delle Valli del Ferro Caro colonnello Clyon, il vostro messaggio del venti di Duem ci è pervenuto oggi. Abbiamo scoperto tracce di razziatori solo intorno al cinque di Duem e, da quel momento, abbiamo fatto del nostro meglio per individuarli e fermarli. Vi farà piacere sapere che ieri la seconda e la terza squadra della Ventunesima Compagnia hanno avvistato i predoni, circa una trentina, e durante un attacco sferrato prima dell'alba nella zona orientale di Tuuler, li hanno sterminati fino all'ultimo uomo. Abbiamo recuperato tutte le loro armi e altri materiali. I fucili sembrano di modello e produzione deforyani, ma più della metà delle cavalcature aveva impressa sugli zoccoli la stella di ferro delle Guardie del Sud. Non riesco a immaginare come questo possa essere successo, ma presteremo particolare attenzione affinché nessun'altra banda di predoni possa servirsi dei territori intorno a Emal come rifugio per attacchi contro di noi o contro Lanachrona. Una copia del mio rapporto particolareggiato sull'attacco è allegata. Quando ebbe terminato, Feran restituì la lettera ad Alucius. «Che ne
pensi?» chiese il capitano più giovane. «Astuta. Hai evitato di trarre conclusioni.» «Lo farà lui, ma è meglio che sia così.» «Molto meglio.» Feran scosse il capo. «Non vedo l'ora di dire alla compagnia che ci sono guai in vista.» «Un'altra guerra, credi?» «Potrebbe non essere così evidente. Oppure sì. In ogni caso, qualcuno si sta accingendo a colpirci.» Alucius sapeva che Feran aveva ragione. Solo che non conosceva chi stava conducendo il gioco e di quale gioco si trattava. Chissà se il SignoreProtettore si sarebbe servito delle «incursioni» come scusa per invadere Deforya all'arrivo della primavera, o per conquistare le Valli del Ferro? Oppure era stato qualcun altro a organizzare il tutto? E in tal caso, chi? E perché? Uno dei membri del Consiglio, forse? Come Elcoyn? Ma perché? Non aveva risposte. Nessuna valida, perlomeno. Perciò, piuttosto che rimuginare su qualcosa che non poteva essere cambiato, prese un altro foglio. Di certo, poteva scrivere a Wendra un'altra lettera, lasciando che risalisse la strada da Dekhron fino a Punta del Ferro. Con ogni probabilità, ci sarebbero volute settimane prima che lei potesse leggerla, ma Alucius ricordava bene i tempi in cui non riusciva a mettersi in contatto con lei, e il dispiacere che ne aveva provato. Abbassò lo sguardo sul nero cristallo profilato in argento del para-polso da pastore e si perse per un attimo nelle sue profondità, pensando all'anello che portava la moglie. Quindi, con un sorriso, intinse la penna nel calamaio. 14 Dekhron, Valli del Ferro Due uomini sedevano a un piccolo tavolo in un angolo appartato del rumoroso caffè, intenti a osservare un suonatore di chitarra che accompagnava una donna vestita di giallo. La voce della cantante dai capelli corvini, pur essendo sommessa e appassionata, riempiva il locale dal basso soffitto. «...Selena brillava di luce e di onestà, in quella notte d'estate, tanto tempo fa, quando di restarmi fedele facesti giuramento, ma adesso il mio cuore è colmo di tormento,
per aver amato un uomo volubile come il vento...» L'uomo dalla faccia paffuta, con indosso una tunica azzurra dal taglio severo, faceva correre lo sguardo dalla cantante al proprio compagno, un mercante dai lineamenti aggressivi e dai capelli bianchi, le cui dita battevano sulla lucida superficie del tavolo di legno seguendo il ritmo della chitarra. Ma lui non sembrava accorgersene. Infine l'uomo vestito di azzurro si decise a parlare, a voce bassa. «Tarolt... mi avevi assicurato che quegli uomini erano affidabili.» «Lo erano», rispose Tarolt. Le labbra del mercante si curvarono in un sorriso fugace e crudele. «Sono morti compiendo il loro dovere. Un peccato... ma a volte gli eventi seguono un corso diverso. Dovresti saperlo, Halanat.» «Un uomo solo, e hanno fallito? In quattro?» Lo sguardo di Halanat si spostò per un attimo sul corpo voluttuoso della cantante per poi tornare a fissarsi su Tarolt. «E ti ci è voluto un mese per riuscire a scoprire quello che è successo?» «Avevano organizzato un attacco nell'oscurità. Sono stati uccisi e fatti a pezzi dai lupi della sabbia. Immagino che quelle belve abbiano lasciato ben pochi resti. Non sono animali spreconi per natura, o perlomeno, così mi è stato detto.» «Sbranati, comunque. Chi può dire che non sia stato lui a ucciderli e a lasciarli alla mercé dei lupi della sabbia?» «Può darsi», disse Tarolt, «ma non sono state trovate cartucce, e i loro borselli erano intatti, così come le armi e i cavalli. Un pastore del posto, uno che abita in una fattoria vicina a quella del capitano, ha consegnato tutto. Sai, i pastori sono sempre molto onesti riguardo a questo genere di cose». «Potrebbe aver usato una sciabola. È risaputo che i pastori fanno comunella.» «Anche questo potrebbe essere, ma alcuni testimoni hanno confermato che i quattro sono stati ammazzati dai lupi della sabbia.» Il pallido viso di Tarolt si atteggiò di nuovo a un freddo sorriso. «Non è andato perso niente. Sono tutti morti.» «Tranne il capitano.» «Ma anche se fosse stato lui a ucciderli, non avrebbe comunque capito il motivo per cui si trovavano là. O appreso il nome del mandante. E anche se fosse così perspicace da indovinare, considererebbe di certo le probabi-
lità più ovvie... questo fatto potrebbe persino persuaderlo a non prendere troppo le parti del colonnello. O a non seguire ciecamente il nonno o quel vecchio pazzo di Kustyl. Potrebbe addirittura arrivare a capire che l'alleanza è necessaria e che porterà solo a un indebolimento degli altri territori di Corus.» Tarolt riprese a seguire il ritmo con le dita. «Non ha prove, e nessuno darà credito a un mercenario rinnegato e, tanto meno, nessuno capirà cosa c'è realmente in ballo.» «Quelli che stanno con lui sanno come vanno le cose.» «Loro e pochi altri. Molto pochi. Noi intanto continuiamo a fare il possibile per scalzare il colonnello.» «E il capitano? Dobbiamo...» «Adesso lasciamo che siano gli altri a fare quello che possono. Se dovessero fallire, vedremo.» «E Weslyn?» «Senza il colonnello, si troverà da solo. Farà ciò che il Consiglio gli dirà di fare, e il Consiglio farà ciò che vogliamo noi.» Halanat fece un cenno d'assenso. Quindi entrambi ripresero a osservare la cantante. 15 Era trascorsa quasi una settimana da quando Alucius aveva inviato due soldati con il suo messaggio per il colonnello Clyon. Le nuvole si erano dissipate e il sole aveva preso a riversare i suoi caldi raggi sulla valle del fiume Vedra, mentre il vento continuava a soffiare da sud. Alucius era fuori dall'edificio adibito a quartier generale, in attesa di Bakka, il ricognitore della prima squadra. Il cortile dell'avamposto era polveroso, poiché era stata lasciata poca neve a sciogliersi all'interno delle mura. All'esterno, invece, le vie di Emal erano bassi torrenti di fango, al pari della strada che costeggiava il fiume. I soldati della quinta squadra sì stavano concedendo una pausa tra un'esercitazione con la spada e l'altra, una pausa richiesta da Alucius dopo che questi aveva visto entrare Bakka nel cortile. La maggior parte degli uomini era ferma al sole, col respiro affannoso a causa dell'addestramento corpo a corpo con le sciabole dalla lama protetta. Il ricognitore uscì dalla scuderia e si guardò intorno prima di scorgere Alucius, poi si diresse verso di lui. «Sono spiacente del ritardo, signore, ma mi ci è voluto un po' per spaz-
zolare via tutto il fango dal cavallo.» «Non c'è problema», replicò Alucius. «Immagino che ce ne fosse un bel po'.» «Esatto, signore.» «Cos'hai scoperto?» chiese Alucius. «Oltre al fango?» Bakka abbassò un attimo lo sguardo sul terreno polveroso del cortile, poi lo riportò sul capitano. «Non ho trovato alcuna traccia, signore. Ho esaminato accuratamente le rive, come mi avevate ordinato, ma non ho visto segni di zattere o di barche, o di qualcuno che si sia avvicinato al fiume ad abbeverare tanti cavalli. Né solchi di ruote di carri o impronte di zoccoli sulla carreggiata. E neppure orme fresche vicino al luogo in cui avevate teso l'agguato ai razziatori. Ho fatto un giro attorno a Tuuler. È là che ho trovato più fango...» «Com'era questo fango?» chiese Alucius. Bakka sogghignò timidamente. «Be', signore, ho pensato che se ne fosse formato così tanto perché erano passati un bel po' di cavalieri da quelle parti. Sono stato molto accurato. Ho addirittura controllato le stradine secondarie. Ma il motivo del fango era perché qualcuno aveva lasciato alzata la chiusa di uno dei canali di irrigazione, così, quando il livello dell'acqua ha cominciato a salire...» Alucius rise. Poi corrugò la fronte pensieroso. Chissà se era un espediente per nascondere le tracce? Scosse il capo. Dubitava che persino il più avventuroso dei comandanti o dei briganti potesse avere l'ardire di fare una cosa del genere. Uno degli aspetti negativi dell'essere un capitano era rappresentato dal fatto che si finiva per sospettare di tutto. Un altro aspetto che Alucius gradiva poco era l'impossibilità di uscire da solo in perlustrazione. Come capitano, non gli era permesso di uscire a fare sopralluoghi, tanto meno da solo, condizione nella quale lui riusciva al meglio, e non disponeva di alcun ricognitore che fosse anche solo lontanamente alla sua altezza. Perciò, molto spesso, gli sembrava di essere quasi cieco nel dover fare affidamento su altri, per quanto si adoperasse in ogni modo per addestrarli bene. «Signore?» «Mi chiedevo... non ha importanza.» Alucius si produsse nel suo sorriso professionale da capitano. «Grazie, Bakka. Riferisci al tuo comandante di squadra ciò che mi hai detto. Puoi andare.» «Sì, signore.» Bakka abbozzò un cenno di saluto e si allontanò. Alucius fece correre lo sguardo oltre le mura, a est, sul cielo verde-
argento e sulle lievi nuvole vaporose che preannunciavano almeno un altro giorno di bel tempo. Poi si voltò verso nord, a scrutare l'imponente baluardo dell'Altopiano di Aerlal. Benché si fosse già fatto un'idea ben precisa, non aveva risposte o prove valide sul motivo per cui qualcuno avesse voluto fare un'incursione a Tuuler o, quanto meno, dare l'impressione di usare il villaggio come base per una messinscena. Inoltre, non aveva ancora ricevuto alcuna notizia dal colonnello Clyon, e non sapeva bene quale delle due cose lo preoccupasse di più. Si voltò e tornò nel centro del cortile, facendo un cenno a Sawyn. «Quinta squadra! La pausa è finita. Adesso ci eserciteremo nel combattimento a coppie contro singoli.» Almeno, Alucius rifletté, avrebbe continuato ad affinare le abilità della sua compagnia nel combattimento con le armi. 16 Borlan, Lanachrona Il maggiore in uniforme color blu e panna bussò alla porta, poi si sistemò nervosamente la tunica. «Avanti, Ebuin.» Il capitano-colonnello era seduto dietro a una scrivania di scuro legno di quercia, ma si alzò quando l'ufficiale delle Guardie del Sud, inferiore a lui di grado, entrò e si chiuse la porta alle spalle. «Ho un rapporto, signore.» «Cos'altro è successo?» chiese il capitano-colonnello. «Signore?» «Sorridete sempre, quando portate brutte notizie, e vi dondolate sui piedi a quel modo. Dovete smetterla con quest'abitudine.» Il sorriso del capitano-colonnello era aperto e amichevole. «Accomodatevi e raccontatemi tutto», disse, riprendendo posto a sua volta e accingendosi ad ascoltare. Il maggiore Ebuin sedette sul bordo della sedia dal rigido schienale e puntò lo sguardo sul suo superiore. «La squadra dei predoni... è sparita. Da ciò che abbiamo appreso dai nostri informatori a Emal e a Dekhron, è stata completamente eliminata dalla Milizia delle Valli del Ferro.» «Completamente? Questo mi sembra... esagerato.» «È incappata nella Ventunesima Compagnia Cavalleggeri. Il capitano quello riguardo al quale mi avevate espresso la vostra preoccupazione - ha informato il quartier generale della milizia che si è imbattuto in una banda
di briganti deforyani. Pare che nessuno di essi sia sopravvissuto all'attacco.» «Le vostre fonti sono attendibili?» «Sono le stesse di sempre, signore.» «E nessuno è scappato? Dev'essere partito all'attacco ben deciso a distruggerli.» Il capitano-colonnello annuì, poi si pizzicò il lobo di un orecchio con aria assorta. «È un tipo determinato. Ci avevano riferito che era in gamba. Mi avevano assicurato che altri... tentativi... avrebbero risolto il problema, ma neppure questi hanno funzionato. Non sono soddisfatto come dovrei. Il Signore-Protettore non ama ricevere brutte notizie, il che significa che neppure il maresciallo Wyerl sarà contento. E noi non vogliamo dispiacere al maresciallo.» «No, signore.» «Tuttavia, la vostra idea di usare fucili deforyani era buona.» Il sorriso tornò sul volto del capitano-colonnello. «Avete qualche altra pensata di questo tipo?» «Attaccare Emal da est, con due compagnie. Gli attaccanti dovrebbero indossare tuniche deforyane.» «Perché mai dovremmo fare una cosa del genere?» «Per testare la forza della Milizia delle Valli del Ferro, e magari indebolirla, e attribuire la responsabilità dell'azione al Landarco di Deforya.» «Non mi sembra una cattiva idea, sempre che non ci rimettiamo degli uomini nello scontro, il che non sarebbe improbabile contro la Ventunesima Compagnia. Se attaccassimo la Quinta le perdite sarebbero minime, ma non ci sarebbe motivo per farlo, giusto? Inoltre, potremmo avere bisogno di quei soldati, in futuro, anche se faremmo volentieri a meno del loro capitano.» «Conosciamo i turni di pattuglia e possiamo fare in modo che il capitano della Ventunesima si trovi al posto giusto nel momento giusto.» «Sono certo che ci riuscireste, ma non possiamo continuare con le Guardie del Sud che attaccano le Valli del Ferro, anche se travestite da deforyani, e anche se riescono a risolvere questo... problema. E sarebbe ancora più imbarazzante se qualcuno venisse catturato. E dovesse spiegare...» Il capitano-colonnello si strinse nelle spalle. «Voi mi capite.» «Potete darmi l'autorizzazione e i fondi per arruolare duecento mercenari?» chiese Ebuin. «È possibile, se farete in modo che chiunque li ingaggi si esprima nel dialetto di Deforya. Ci vorrà circa una settimana per raccogliere denaro
deforyano.» Dopo una pausa, il capitano-colonnello aggiunse: «Vedete anche se i vostri agenti riescono a reclutare un cecchino o due. O anche tre. Preferiremmo non sprecare troppi soldati. Potrebbero servirci a est, qualora ce ne fosse la necessità». «Sì, signore.» 17 Nella fioca luce proiettata da una singola lampada a olio, nel piccolo locale della mensa, ben dopo il tramonto e il pasto serale consistente in montone arrosto stracotto, Alucius e Feran erano seduti l'uno di fronte all'altro, con la scacchiera di quest'ultimo in mezzo a loro. Erano già trascorse due settimane dall'inizio della primavera e il fango che aveva ricoperto ogni via di transito principale e secondaria aveva finalmente cominciato a sparire, trasformandosi in polvere o in mucchi di umida argilla. «Non abbiamo ancora avuto notizie dal colonnello», disse Alucius, mentre muoveva il suo pteridon minore. «Mi sa che stai di nuovo per vincere», commentò Feran rassegnato. «Non so perché continuo a giocare a leschec con te. Potrei prenderti la regina delle arianti e tre guerrieri e non riuscirei comunque a batterti. Avresti potuto guadagnare una fortuna se avessi giocato a leschec quando eri soldato semplice.» «Questo è il motivo per cui non l'ho fatto, ed è anche il motivo per cui non gioco per denaro», replicò Alucius con aria assente. «Perché credi che il colonnello non abbia risposto?» «Magari ha risposto. Se le strade a ovest sono altrettanto impraticabili delle nostre...» «Tre settimane sono un tempo considerevole.» «Cosa avrebbe potuto dire?» ribatté Feran, con un tono di voce che si fece sempre più ironico, a mano a mano che proseguiva. «Cari capitani, grazie per avermi confermato che sono successi dei guai e per avere causato un così evidente imbarazzo a qualcuno. Naturalmente, non posso esprimere ufficialmente il mio pensiero, poiché se lo facessi rischierei di sconvolgere il Consiglio, o il Signore-Protettore o il Landarco di Deforya, o forse tutti e tre insieme.» Alucius scoppiò in una fragorosa risata. «Grazie! Questa è la migliore spiegazione che avresti potuto dare, e probabilmente anche la più azzeccata.»
«Se lo è», replicò Feran con aria grave, «continuerò a fare il capitano qui o a Collefiume finché non mi congederanno dal servizio effettivo, e cioè per un'altra decina d'anni almeno». «Vorresti diventare un maggiore come Weslyn? O Dysar?» «Potrei essere bravo quanto Dysar. Chiunque lo potrebbe. Era il tipo che faceva sembrare buone le pesche acide», precisò Feran. «Al Consiglio piaceva.» «Ovvio che piaceva. Non voleva spendere soldi con le armi o con l'addestramento degli uomini o con i cavalli di riserva. Ordinava i viveri più a buon mercato e di qualità più scadente, a meno che il fornitore non fosse un amico di famiglia. Weslyn si dà da fare a modo suo. Adesso abbiamo persino alcuni cavalli in più.» «E di solito il cibo non è così male.» Feran rovesciò il suo re dei sabbiosi sulla scacchiera. «Non vedo perché dovrei continuare.» Scosse il capo. «Pensi che la vita sia una grossa partita a leschec?» «Mi dispiacerebbe credere che lo fosse», replicò Alucius. «Da ciò che vedo, è giocata troppo male.» «Ma noi vediamo tutto?» ribatté Feran, mentre cominciava a raccogliere le pedine per riporle nella malconcia scatola di legno. «Sono sicuro di no, ma in quello che sono riuscito a vedere c'è parecchio sudiciume.» «A volte me lo chiedo.» «Non ce lo chiediamo forse tutti?» Alucius si stirò e si alzò. «Dovrei dormire un po'. Domani mattina sono di pattuglia con la quinta squadra.» «All'alba?» «All'alba ci disporremo in formazione.» «Quando saremo di pattuglia la prossima settimana, non usciremo così presto», promise Feran. «Ha i suoi vantaggi. Vediamo più cose e, una volta tornati, gli uomini hanno più tempo.» «Preferirei dormire di più.» «Vai a letto prima», suggerì Alucius in tono divertito, mentre si dirigeva verso il suo piccolo alloggio. «Voi pastori...» rise di nuovo Feran. 18
La terza settimana di Triem, le strade intorno a Emal erano di nuovo praticabili, percorse perlopiù dai contadini e dai venditori ambulanti che si recavano di tanto in tanto in città. Alucius e Feran erano riusciti a mandare fuori le pattuglie senza che ci volesse mezza giornata per percorrere tre o quattro vingti, ma le pattuglie non avevano scoperto nulla di insolito. I soldati appartenenti alle squadre della Terza Compagnia di Fanteria, incaricati di riscuotere i pedaggi di transito sul ponte - sempre assai contenuti e nominalmente sotto il comando di Feran, non avevano riferito nulla di strano tra coloro che transitavano sul ponte, da o per Semai. Nell'assolato tardo pomeriggio di quattri, mentre il cortile dell'avamposto era attraversato da una leggera brezza, i due capitani si trovavano fuori dal quartier generale, intenti a osservare i soldati che scaricavano le provviste dai tre carri giunti finalmente da Dekhron, insieme ai due messaggeri che Alucius aveva inviato quasi un mese prima con il suo rapporto. Alucius e Feran avevano già messo sotto chiave nella camera di sicurezza i due piccoli forzieri con la paga destinata alle truppe, prima di tornare a soprintendere alle operazioni di scarico del resto della merce. I messaggeri uscirono dalle scuderie e si diressero verso i due capitani. Dovevano aver tentato di spazzolarsi via la polvere e il fango dalle uniformi, ma dalle condizioni dei loro stivali e dei pantaloni in corrispondenza del ginocchio, si capiva subito che alcuni tratti di strada lungo il fiume erano ancora un pantano. «Capitano... abbiamo tre messaggi. Due sono del colonnello Clyon. Uno per ciascuno di voi, e l'altro...» Nel tendere una busta ad Alucius, Firtal fece un largo sorriso. «Sembrerebbe personale, signore, direi.» Alucius restituì il sorriso ed estrasse il borsello, offrendo in cambio sei monete di rame, tre per ogni soldato, poiché tale era la tariffa «non ufficiale» per quel tipo di missive. «Probabilmente apprezzerò di più l'ultimo messaggio, Firtal.» «Sembra di una donna, signore.» «Mia moglie», disse Alucius con un sorriso. «L'avevo immaginato, signore, quando il pastore me l'ha consegnato.» «Ricordi di quale pastore si trattava?» «Ha detto di chiamarsi Kustyl e, poiché doveva sbrigare degli affari a Dekhron, aveva pensato di portare con sé la lettera della nipote. Ricordo bene questo particolare, signore, perché non sembrava tanto vecchio da avere una figlia che... be'...» Firtal arrossì. «Lo è, credimi», disse Alucius. «Ed è un buon pastore, uno dei miglio-
ri.» Alucius sorrise. «E sua nipote e io siamo sposati da poco meno di un anno.» «Non mi meraviglia che tu aspettassi con ansia una sua lettera», commentò Feran. I due messaggeri si produssero in un sorriso ancora più generoso. «Basta così», disse Alucius fingendo di arrabbiarsi. «Dobbiamo prima leggere i messaggi del colonnello.» Per varie ragioni, non era affatto ansioso di sapere cosa c'era scritto. «Sì, signore.» Firtal e Doonan annuirono e si allontanarono, stentando a trattenere il loro sorriso. Alucius si infilò la lettera di Wendra nella tunica e spezzò il sigillo nero della busta del colonnello. Anche Feran aprì il suo. Entrambi lessero in silenzio, mentre i soldati finivano di scaricare i carri. Il messaggio del colonnello era breve e la sua essenza era condensata in due concisi paragrafi, sui quali Alucius tornò un paio di volte. Al momento, la milizia si trova a corto di denaro e di approvvigionamenti. Benché sia convinto che i soldi per la paga dei soldati, le munizioni e i viveri che accompagnano questo messaggio non siano gli ultimi, come comandante, non sono in grado di garantire che il prossimo invio venga effettuato in tempi rapidi. Ho fatto presente il problema al Consiglio e, data la drammaticità del momento, spero che prendano le opportune misure. Il Consiglio mi ha anche pregato di richiamare l'attenzione di tutti gli ufficiali della milizia sulla gravità della situazione. Per tale motivo, il Consiglio invita ad astenersi da manovre o operazioni che possano essere interpretate come ostili. Visto lo stato precario delle finanze delle Valli del Ferro sarò più esplicito. Non sparate a nessuno, a meno di non essere attaccati e non intraprendete alcuna azione che non possa essere portata a termine con le provviste e le munizioni di cui disponete. Alucius fece una smorfia. Il nonno e Kustyl avevano di certo previsto il problema. Gli riuscì difficile credere che il Consiglio avesse lasciato peggiorare le cose fino a tal punto. Si accigliò. Dunque... poteva essere quella la ragione. Solo se la situazione fosse diventata insostenibile... Era forse quello il motivo della presenza di Kustyl a Dekhron? Il nonno di Wendra era sempre stato più in-
formato di Royalt, e Alucius si era spesso chiesto come facesse. Adesso stava cominciando a farsene un'idea. «A che stai pensando?» chiese Feran. «Che finiremo per diventare una provincia di Lanachrona, dopotutto», rispose Alucius. «Cosa te lo fa credere?» Alucius si strinse nelle spalle. «Siamo appena stati informati... ma immagino che il tuo messaggio sia uguale al mio...» disse, mentre tendeva la sua lettera al capitano più anziano. Feran le diede una scorsa, poi annuì e gliela restituì. «Stesse identiche parole. La sola cosa che cambia è il nome.» Fece correre lo sguardo verso i carri che, nel frattempo, erano stati svuotati. «Abbiamo ricevuto più provviste del solito.» «Scommetto che il colonnello le ha ottenute a credito, prima che il Consiglio lo informasse che non c'erano più soldi.» Feran guardò la sua missiva, poi alzò gli occhi e si diresse verso l'angolo dell'edificio adibito a quartier generale, per poi tornare indietro. Si fermò e fissò il giovane capitano. «La tua scommessa non mi piace.» Il tono di voce era mesto. «Credi che a me piaccia?» «Quei ruba-soldi, liquami di fogna, figli di cagna... Quindici anni della mia vita si sono succhiati, e a questo siamo giunti?» Feran parlava a voce bassa, con amarezza. Alucius lo capiva bene. Lui era stato fortunato a tornare nelle Valli del Ferro, dove aveva una famiglia e una fattoria. Se fosse rimasto a Madrien... avrebbe dovuto affrontare un futuro simile a quello che forse si prospettava per Feran? O forse no. «Non ci scommetteresti la fattoria della tua famiglia, vero?» «No. Ma se le cose stanno come pensiamo, potremmo perderla. Già ci siamo andati vicini durante la guerra contro i matriti, quando avevano aumentato le tasse.» «Quella feccia di letamaio... quei...» Feran scosse il capo adagio. «Qualunque cosa sia, non è ancora successa.» «Ma succederà.» La risata di Feran assomigliava più a un latrato. «Non mi sembri molto sorpreso. Hai idea del perché?» «Non per certo. Ho sentito dire che il Consiglio aveva preso in prestito seimila monete d'oro per mantenere la milizia durante la guerra matrite e che, al termine della guerra, ha ridotto le tasse con una rapidità tale da non
avere neppure i soldi per ripagare il prestito.» «Chi può avere prestato tutto quel denaro?» «Il Landarco di Deforya, o perlomeno così mi hanno detto. Ma lui ha ceduto il credito al Signore-Protettore.» «Che Asteria ci protegga... Quello che ho appena detto riguardo al Consiglio era fin troppo generoso.» Le labbra di Feran si serrarono. «E quel messaggio significa che vedremo le Guardie del Sud scorrazzare sulle nostre terre senza poterci fare niente?» «Non lo so», rispose Alucius pensieroso. «Se faranno pressioni sul Consiglio... ma non credo che lo faranno.» «Hai ragione. Il Consiglio può essere stupido, ma il Signore-Protettore non lo è.» Feran gettò un'occhiata oltre le mura meridionali dell'avamposto, in direzione del fiume e di Lanachrona. «Perché pensi che il colonnello ci abbia lanciato quell'avvertimento?» «Per eventuali futuri scontri?» ipotizzò Alucius. «Forse.» Feran si girò. «Puoi finire tu di controllare le operazioni di scarico? Ho bisogno di stare un po' da solo per pensare.» «Me ne occupo io.» Alucius capiva lo sconforto di Feran. L'ufficiale più anziano si era guadagnato il grado di capitano cominciando dalla gavetta e servendo la milizia a lungo e con fedeltà, e adesso vedeva improvvisamente.0 vanificato tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento, mettendo anche a repentaglio la propria vita. Alucius aveva seguito più o meno lo stesso percorso, sebbene non sempre di sua spontanea volontà e, di certo, non per così tanto tempo. Dopo che Feran fu rientrato nell'edificio, Alucius si infilò il messaggio del capitano nella tunica e si apprestò a leggere la lettera di Wendra. Mio caro, sei così premuroso a scrivermi, anche quando so che hai molto da fare, ma è un tale piacere ricevere le tue lettere... È da qualche tempo che tuo nonno mi porta fuori con il gregge. All'inizio, era sorpreso di vedere che i montoni mi seguivano e mi ubbidivano, così come lo ero io. Adesso capisco meglio il tuo amore per la fattoria e, dopo tutto quello che ho saputo e visto, ti amo ancora di più per il tuo amore e la tua gentilezza... Alucius sorrise tra sé. Wendra era un pastore nato. Lui l'aveva percepito, benché non ne avesse avuta la certezza.
...la cosa più difficile è stata imparare a usare bene il fucile per non scontentare tuo nonno, ma sono già riuscita a colpire un sabbioso e a ucciderlo... persino prima che tuo nonno mi venisse in aiuto... Un sabbioso? A fine inverno? Nonno Kustyl e tuo nonno Royalt mi hanno chiesto di dirti di agire con molta prudenza, poiché l'ingente prestito contratto a suo tempo da Dekhron è ora passato di mano, come sicuramente saprai, e ti prego di scusarmi se non entro nei dettagli, dato che i pastori non lo fanno, ma sono certa che capirai. Dovrai essere molto prudente anche con i tuoi averi personali, giacché potremmo non essere in grado di inviartene altri... Alucius fece una pausa e rilesse le ultime righe. La sua famiglia non gli avrebbe comunque inviato beni personali, quindi quella raccomandazione serviva a rafforzare quanto detto in precedenza. Feran aveva ragione di preoccuparsi. Alucius riportò lo sguardo sui delicati caratteri vergati sul foglio. Nonostante il palese avvertimento e il tono sinistro del contenuto, era felice di avere ricevuto la lettera, felice di avere avuto la possibilità di condividere con Wendra quelle brevi occasioni in cui erano stati insieme, e felice di aver capito fin dalla festa in cui l'aveva conosciuta, anni prima, quanto lei fosse speciale. 19 Il mattino di septi, tre giorni dopo l'arrivo della lettera di Wendra, poiché non riusciva più a dormire, Alucius si era alzato presto e, piuttosto che continuare a rigirarsi nel letto, si era lavato e vestito ben prima dell'alba, era uscito dal suo alloggio, aveva attraversato il cortile nell'oscurità passando davanti alla sentinella del Terzo Fanteria, che era scattata sull'attenti, e si era incamminato sul selciato deserto della strada sopraelevata che portava al ponte. Avanzò piano, in silenzio, fermandosi ai piedi del ponte. Alzò lo sguardo al cielo terso, rischiarato dal globo verdastro di Asterta, che brillava ben al di sopra delle alture affacciate sul fiume, a ovest di Emal. Asterta, l'anti-
ca luna della dea cavallo, che con l'altra luna - Selena - faceva parte della dualità rappresentante il Duarcato. Una dualità bilanciata, la divinità della guerra e quella della pace, tutte e due insieme a spartirsi la volta celeste; e per millenni, o così almeno testimoniavano i testi e le strade dell'antichità, quell'equilibrio aveva portato ricchezza. Ma era proprio così? Alucius si chiese se, stando a ciò che aveva visto nella sua breve vita, quelle antiche leggende corrispondessero a verità. Distolse lo sguardo dalla luna per posarlo sulla nera superficie del fiume che scorreva diretto a ovest, verso Dekhron. Kustyl era stato a Dekhron, e la lettera di Wendra aveva lasciato trasparire ben più che l'amore e la nostalgia. Aveva anche lasciato intendere in modo chiaro che i tempi erano instabili e che probabilmente lo sarebbero diventati ancora di più, e che il Consiglio non era stato in grado di prendere adeguate misure - o forse non l'aveva voluto - per estinguere il debito contratto durante la guerra matrite. Mentre il Landarco di Deforya non aveva mezzi efficaci per reclamare il pagamento, cosa di cui era senza dubbio consapevole, non si poteva certo dire che quell'incapacità fosse una delle prerogative del Signore-Protettore di Lanachrona. L'unica vera domanda che Alucius si poneva era con quali modalità il Consiglio si proponesse di ripagare il Signore-Protettore. I mercanti di Dekhron, e quei pochi altri che vivevano lungo le rive del Vedra, avevano forse molte più cose in comune con Lanachrona che con gli artigiani di Punta del Ferro o i pastori di pecore nerine del nord, e questi ultimi erano pochi e sparsi qua e là nelle aride distese di quarasote. Alucius dubitava che, contando anche le mogli e i figli, il loro numero sarebbe arrivato a superare le cinquecento unità. E cinquecento persone potevano fare poco contro le migliaia che abitavano Dekhron, e le decine di decine di migliaia che vivevano a Lanachrona. Si girò verso il ponte, dove tutto era immobile. Di notte, vi stazionava un'unica guardia - benché la garitta fosse munita di una grossa campana da poter suonare in caso di pericolo - e il cancello di ferro era sbarrato. Questo aveva un'altezza sufficiente da permettere il passaggio di un cavallo con in groppa il suo cavaliere e un'ampiezza tale da consentire il transito a un carro di dimensioni normali, sebbene, a volte, alcuni mercanti fossero stati costretti a smontare il pianale per farlo passare di traverso. Il cancello si trovava abbastanza in dentro, benché nella metà meridionale del ponte, così che, se qualcuno fosse riuscito a scavalcarlo o ad aggirare i fianchi protetti dal filo spinato, non avrebbe potuto portare con sé molta merce. Ma né le Valli del Ferro né Lanachrona si preoccupavano troppo dei singo-
li viaggiatori. Ciò che interessava a entrambe erano le sostanziose imposte pagate dai rispettivi mercanti o dai convogli carichi di mercanzie che transitavano sul ponte. Alucius nutriva il sospetto che il vero scopo delle guardie e del cancello fosse obbligare coloro che trasportavano merci di valore a deviare attraverso Dekhron e la piccola città di Salaan, sulla sponda lanachroniana del fiume Vedra. Ai lanachroniani probabilmente non importava molto, visto che nella zona orientale delle Valli del Ferro non avvenivano molti scambi commerciali, ma i mercanti che facevano parte del Consiglio delle Valli del Ferro si preoccupavano al punto da tenere una guarnigione di due compagnie di cavalleggeri e di due squadre di fanteria stazionata a Emal. All'estremità opposta del ponte, sull'altra riva del fiume, nel villaggio di Semai, non si vedeva brillare una sola luce, ma d'altra parte Alucius non ne aveva mai viste, tranne la sera presto, e di certo non a notte inoltrata, quando mancavano ancora parecchie clessidre prima dell'alba. La sua attenzione venne attirata da una lieve luminosità verde-argento alla sua sinistra, ed egli si girò adagio, avvertendo la presenza di un ariante. E la vide là, sospesa a mezz'aria, una minuscola figura femminile con ali che emanavano un bagliore verde-argento, ben tese al di sopra delle spalle. Poi, improvvisamente, sparì, quasi non ci fosse mai stata. Non un messaggio, non un pensiero, e neppure un gesto... ma Alucius si sentì percorrere da un brivido. Le arianti gli erano apparse solo in concomitanza, o in previsione, di importanti cambiamenti nella sua vita. Ma d'altronde, rifletté, rimproverandosi con un sorriso, sapeva già che la sua esistenza stava per cambiare. Anche se non sapeva bene come. 20 Lyterna, Illegea Le ombre ammantavano ancora i rossi pinnacoli rocciosi della Volta del Consiglio, sebbene la cruda luce bianca del sole di prima mattina si riversasse già sui picchi orientali della Dorsale di Corus. Contro quelle ombre, il colore delle guglie, segnate dal tempo e scolpite secoli addietro rubandole alle montagne circostanti, assumeva tonalità vermiglie. Legioni di nuovi Mirmidoni, tutti con indosso le loro armature azzurre, erano ferme sui gradini che conducevano alla Volta, lo sguardo rivolto in basso a ovest, verso lo slargo di levigata pietra rossa che si trovava ai piedi della scala. Nel piazzale c'erano venti pteridon, creature che risalivano al
periodo precedente il Cataclisma, allineati a formare un cuneo. Accanto a ognuno di essi c'era un cavaliere, con indosso l'armatura azzurra che nessuno aveva più visto a Corus dai tempi del Cataclisma. Ciascun cavaliere reggeva un'asta di scintillante metallo blu, l'antica lancia cosmica usata dai primi Mirmidoni. Vicino al primo pteridon, Aellyan Edyss, i capelli biondo cenere che brillavano al sole del mattino, sollevò il braccio che reggeva la lancia al di sopra del capo come per scagliarla in alto nel cielo, poi si girò verso lo pteridon e la ripose nel supporto fissato davanti alla sella. Quindi, con un potente balzo, saltò in groppa all'animale, sistemandosi sulla sella di cuoio azzurro quasi invisibile, tanto era simile al dorso del gigantesco bestione alato. A sua volta, lo pteridon fece un balzo avanti e spiegò le ali, che d'un tratto si allargarono per oltre venti iarde su ogni lato, e con possenti colpi si librò in aria trasportando con sé Aellyan Edyss. Un'unica, esplosiva acclamazione proruppe dai nuovi Mirmidoni, schierati sui gradini dell'antica Volta. Uno dopo l'altro, i rimanenti pteridon si alzarono dalla scintillante superficie di pietra levigata sotto la Volta e, seguendo Edyss, cominciarono a volteggiare nel cielo primaverile, sempre più in alto, fino a disporsi nuovamente in formazione a cuneo, diretti verso sud. Fermi appena davanti ai pilastri della Volta, i consiglieri osservavano la scena, la bocca lievemente spalancata, mentre gli pteridon si lanciavano contro i loro bersagli, che bruciavano in una vampata azzurrognola, ogni volta che venivano colpiti dagli stretti fasci di luce azzurra. 21 Un altro quattri arrivò e passò, un'altra settimana, altri dieci giorni di calore e polvere crescenti e di calma protratta a Emal e sulle strade delle regioni orientali delle Valli del Ferro. Il giorno di quinti, Alucius condusse la quarta squadra a est, oltre Tuuler, lungo il sentiero che costeggiava il fiume, verso la seconda cascata, anche se non si aspettava di scoprire alcunché. Lui ed Egyl cavalcavano affiancati in testa alla colonna, mentre i due soldati che fungevano da ricognitori si erano spinti un vingt più avanti scomparendo alla loro vista, nascosti dalla lieve curva della strada. Come se il tempo fosse stato regolato da una clessidra celeste, una volta giunta la primavera, le nevicate erano cessate, il cielo si era fatto più terso,
e da quasi un mese non era nemmeno caduta una goccia di pioggia sull'intera valle. La brezza leggera sollevava la polvere dal terreno e i cavalli della squadra, benché procedessero al passo, lasciavano dietro di sé una scia che restava sospesa a mezz'aria. Alucius si pulì via la fine sabbiolina dalla fronte umida e osservò la curva descritta dal sentiero poco più avanti, la capanna a sinistra e il frutteto a destra, con le verdi foglioline primaverili che ricoprivano già i rami dei meli e il lieve profumo degli ultimi fiori bianchi che aleggiava ancora nell'aria. Non era rimasto nulla a indicare che appena un mese prima in quel luogo era avvenuto uno scontro, o per meglio dire un agguato. Alucius poteva già udire in lontananza il fragore della seconda cascata, e gettò un'occhiata al fiume, la cui corrente era talmente impetuosa che la vegetazione del sottobosco, di solito a livello dell'acqua, si trovava una buona iarda al di sotto. «Ci sono state un po' di chiacchiere in giro, signore», disse Egyl circospetto. «Del tipo che gli uomini potrebbero non ricevere la loro paga, e che saremo tutti congedati, compresi quelli arruolati da tanto tempo.» «Ho sentito quelle voci», confermò Alucius. «Abbiamo ricevuto i forzieri con le paghe quasi due settimane fa, e in essi c'è denaro a sufficienza per la primavera e l'estate, e anche un po' per l'autunno. Non credo che rimarremo molto presto senza soldi.» «Mi fa piacere sentirvelo dire, signore. Tuttavia... anche il capitano Feran è troppo silenzioso. Jissop dice che non è un buon segno, lui che è stato comandante di squadra con il capitano per quasi quattro anni.» Alucius si chiese quali spiegazioni dare. Alla fine si decise. «Hai ragione. Si è fatto un gran parlare, ma le chiacchiere ci sono sempre. Ci sono sempre state. Non è certo un segreto che il Consiglio ha sempre avuto problemi nel trovare i soldi per pagare la milizia.» Si strinse nelle spalle. «Si tratta di un aspetto con il quale la milizia ha dovuto fare i conti fin dalla notte dei tempi.» «Cosa pensate che possa accadere, signore?» insistette Egyl. «Non lo so. Alcuni mercanti ritengono che dovremmo diventare parte di Lanachrona. Altri sono invece del parere contrario. I rappresentanti di entrambe queste fazioni siedono in Consiglio. So che il colonnello non è molto favorevole alla prima soluzione, ma ho anche sentito che il Consiglio è ancora debitore dell'ingente somma che aveva chiesto in prestito al Landarco di Deforya per sostenere le spese della milizia durante la guerra contro i matriti. Probabilmente dovrà aumentare le tasse per ripagarlo, il
che non andrà a vantaggio di nessuno. Cosa accadrà? Ne so quanto te.» Egyl fece una risata. «Non credo che sia proprio così, signore. Voi avete sempre visto lontano. Ecco perché ho chiesto il vostro parere. Ma dato che non parlate, mi viene da pensare che siate preoccupato quanto il capitano Feran. O forse mi sbaglio, signore?» Alucius si girò sulla sella e fissò Egyl. «No, sono preoccupato. Ma finché non sapremo per certo cosa succederà, non posso dire cosa sia meglio fare. Ci sono momenti in cui occorre agire e altri in cui è meglio aspettare. Questo è un momento in cui bisogna essere pronti al peggio, e aspettare.» «Credete che ci saranno attacchi da parte delle Guardie del Sud?» Alucius scosse il capo. «Può darsi che sia qualcun altro ad attaccarci, ma non le Guardie del Sud.» «Ma non c'è nessun altro su questo confine, signore.» «Se ben ricordo, il mese scorso, ci siamo imbattuti in predoni che sembravano provenire da Deforya.» «Capisco ciò che intendete dire, signore.» Alucius sperava che non ci fossero altre incursioni, ma si rendeva anche conto che questi assalti di «estranei» avrebbero rappresentato un motivo per fare ulteriori pressioni sul Consiglio e per costringere la milizia a usare risorse che non si poteva permettere. «Dobbiamo solo stare in guardia e stare a vedere quello che succede. È tutto ciò che possiamo fare.» E si augurava che fosse sufficiente. 22 Passo Meridionale, Dorsale di Corus Vestor cavalcava nel vento gelido, appena dietro l'avanguardia delle Legioni pretoriane, precedendo un piccolo carro trainato da un solo cavallo, sul quale erano collocate alcune casse, ciascuna contenente uno dei suoi congegni. Un secondo carro procedeva, ben scortato dalle guardie, in mezzo alle compagnie di fanteria e di cavalleria che gremivano la strada principale per oltre tre vingti in direzione di Catyr. Nonostante il cielo limpido e il sole, Vestor si strinse addosso all'esile corpo la pesante giacca foderata in vello di pecora, cercando di ignorare il freddo che gli si insinuava su per le gambe. «Fa caldo qui, per essere l'inizio della primavera», dichiarò il Pretore con entusiasmo, mentre accostava il suo destriero dal manto argenteo alla puledra grigia di dimensioni più ridotte dell'ingegnere. «Dovreste provare
in inverno.» «Se per voi è lo stesso, Pretore, preferirei di no», replicò Vestor. «Sono cresciuto a Lysia e non sono mai riuscito ad abituarmi ai climi rigidi.» «Non diventerete mai una Guardia pretoriana, dunque.» «No, Pretore. Temo che dovrò restare un ingegnere.» Il Pretore, il volto arrossato dal freddo e i capelli grigi spinti indietro dal vento, scoppiò in una risata. «Allora farete meglio a restare un buon ingegnere.» Indugiò un attimo e poi chiese: «Siete certo che Aellyan Edyss non abbia scoperto nella Volta qualche arma degli Antichi?». «No, signore. Ne sono praticamente sicuro. Ho distrutto due specchi cercando di scoprirlo, ma, come vi avevo detto, quando è implicato molto Talento, lo specchio non mostra nulla. Posso solo dire che non possiede armi come le nostre, o come quelle dei matriti.» «Quella donna è ancora al governo di Madrien?» «La donna che fungeva da assistente capo della Matride? Sì. Si è autonominata reggente della Matride.» «E nessuno ha obiettato?» «Chi riesce a capire la gente dell'ovest è bravo», replicò Vestor. Il Pretore sbuffò, poi alzò gli occhi, mentre un ufficiale si avvicinava al galoppo lungo il fianco della strada principale, per poi fermarsi davanti a lui, voltando il cavallo. «Onorevole Pretore, più avanti c'è un ricognitore di quei nomadi. Se ne sta appollaiato come un gatto di montagna sopra all'altura sul fianco nord della strada.» «Quanto è lontano, e quanto dista dalla strada?» «Forse un vingt da qui, e meno di mezzo vingt a nord, ma l'altura è un cento iarde abbondanti di dura roccia.» Il Pretore si rivolse a Vestor. «Il vostro congegno è in grado di distruggerla?» «Credo di sì.» «Allora, vediamo.» «Dobbiamo raggiungere un luogo sopraelevato dal quale godere di una buona visuale sul nomade», precisò Vestor. «Riuscirete a vederlo dal fianco della strada, più avanti, laggiù.» L'ufficiale indicò una collinetta sul lato settentrionale, più ampia di quelle che delimitavano la maggior parte della strada principale, e all'incirca mezzo vingt più avanti, verso ovest. Quando furono sul posto, il Pretore fece un cenno con la mano e la colonna si fermò.
Vestor fece avanzare il proprio cavallo sui mucchi di neve gelata, poi, dalla sua posizione in testa alla colonna, si girò e fece fermare in modo maldestro il carro che lo seguiva. Dopo che l'ingegnere fu smontato, un soldato dovette avvicinarsi per reggere le brighe della puledra, poiché questa aveva cominciato a dirigersi verso una luccicante lastra di ghiaccio che aveva l'aspetto di una pozza d'acqua. Il Pretore guardò a ovest e vide che il nomade si trovava ancora sull'altura. Vestor, dimentico di quanto gli succedeva intorno, slegò il pesante treppiede di quercia dal fianco del carro e lo sistemò sul terreno sconnesso, regolando le gambe a più riprese finché non fu ben saldo. Quindi allungò i supporti alla sommità del treppiede e li fissò. Soltanto allora tornò al carro e aprì uno dei pannelli di legno che si trovavano nella parte superiore ed estrasse un oggetto di metallo nero, di forma rettangolare, lungo circa una iarda e alto un terzo. Con l'esperienza derivata dalla pratica, appoggiò il congegno sui supporti e serrò le viti. Una volta che tutto fu pronto, aprì gli sportellini in alto, così che i raggi del sole filtrassero sui cristalli che si trovavano all'interno. «Quanto ci vorrà prima che sia pronto?» chiese piano l'ufficiale. «Quando il cristallo diventa incandescente», replicò Vestor, servendosi del piccolo telescopio fissato sul supporto sinistro del treppiede per puntare il dispositivo verso il nomade, che era rimasto quasi immobile sulla sommità dell'altura, a osservare la colonna delle Legioni pretoriane. Di lì a poco, Vestor spinse avanti una delle leve laterali, e il cristallo emise un bagliore rossastro. A ovest, a circa una decina di iarde sotto la postazione del nomade, un filo di vapore si sprigionò da uno dei ghiaccioli appesi alla sporgenza rocciosa. La punta del ghiacciolo, che il calore del raggio aveva staccato dalla parte superiore, cadde giù. Il nomade si sporse in avanti per vedere cosa fosse successo. Vestor aggiustò il tiro e spostò il raggio in alto facendogli compiere un movimento di taglio. Il fascio di luce rossa trapassò il nomade, perforandogli la corazza azzurra che gli proteggeva il torace come se fosse di leggero cotone. Una nuvola rosa spruzzò la neve tutt'intorno, mentre il corpo dell'uomo si divideva in due. Il suo cavallo fece per impennarsi, e crollò a terra. Vestor inghiottì convulsamente. «Meraviglioso! Meraviglioso!» esclamò il Pretore. «Così non sarà in grado di riferire un bel niente ad Aellyan Edyss.»
Il dispositivo cominciò a ronzare e Vestor, che stava ancora combattendo contro la nausea, spinse indietro la leva e chiuse i piccoli sportelli. «Perché l'avete spento?» chiese il maggiore. «Perché i cristalli all'interno comincerebbero a vibrare per poi disintegrarsi. Il funzionamento dell'apparecchio varia a seconda dell'umidità dell'aria e della temperatura. Ecco perché ce ne servono molti.» «Tutto questo vi rende onore», dichiarò l'ufficiale. «L'ingegnere è molto bravo nel riconoscere i propri limiti, capitano maggiore», disse il Pretore rivolto all'ufficiale. «Volete controllare che non ci siano altri ricognitori appostati sulle alture? Sarebbe un peccato averne ucciso uno e lasciare che gli altri vadano a riferire la nostra presenza.» «Sì, Pretore. Subito.» Vestor si accinse a togliere l'arma dai supporti per riporla nel vano all'interno del carro. «Siete bravo a usare le armi, Vestor», osservò il Pretore. «Si potrebbe davvero credere che veniate da una famiglia di artiglieri.» «Grazie, signore.» Vestor smontò il treppiede e lo assicurò di nuovo sul fianco del carro, poi si guardò intorno e vide che il soldato stava ancora tenendo per le briglie il suo cavallo. «Ma nessuno vi crederebbe mai un soldato di cavalleria», aggiunse il Pretore, scoppiando in una vigorosa risata. Persino dopo che si furono rimessi in viaggio, nessuno di loro rivolse lo sguardo verso il punto sull'altura a ovest, dove la neve era chiazzata di rosso. 23 Un vento leggero soffiava attraverso le imposte spalancate della mensa, in un pomeriggio di londi più freddo rispetto alle tiepide giornate della settimana precedente, ma non gelido. Sebbene nel cielo fossero presenti nuvole alte, non era piovuto, e Alucius dubitava che, con quel vento proveniente da nordovest, potesse cadere anche una singola goccia. Mentre stava seduto a un tavolo della mensa, di fronte a Feran, Alucius osservava la lettera appena ricevuta, che due soldati della milizia gli avevano portato direttamente dal quartier generale di Dekhron. Anche Feran ne aveva ricevuta una e la stava leggendo. Dopo un attimo, Alucius ruppe il sigillo e si apprestò anch'egli a leggere.
Capitano Alucius, qualche tempo fa, in primavera, avevate ricevuto una comunicazione in cui, a seguito di una difficile situazione finanziaria, il Consiglio pregava tutti i comandanti di compagnia di essere molto cauti nell'utilizzare le risorse a disposizione. Sebbene la milizia sia stata informata che tali difficoltà sono in corso di risoluzione, la quantità di provvigioni a nostra disposizione ha invece raggiunto il livello più basso di questi ultimi anni. Pertanto, siete pregati di non impegnarvi in addestramenti eccessivi e prolungati e di evitare qualsiasi pratica con armi che richiedano l'impiego di cartucce, fino a ulteriore avviso. Non sono previste elargizioni per rimpiazzi di posti vacanti nelle varie compagnie, e qualunque richiesta di retribuzione da parte di soldati prossimi al congedo verrà rimandata fino all'inizio del periodo del raccolto. Vi preghiamo di far avere un breve cenno di risposta ai messaggeri della presente missiva. Il sigillo era quello del comandante, ma la firma apparteneva al maggiore Weslyn ed era accompagnata dalla qualifica «ad interim». Alucius si chiese perché questi facesse le veci del comandante e si augurò che si trattasse di una situazione temporanea. Il colonnello Clyon era l'unico tra gli ufficiali anziani della milizia che, a suo parere, fosse in grado di contrastare le decisioni del Consiglio. Di lì poco, Alucius rilesse le brevi istruzioni ricevute, ma non riuscì a vedere altro che la disperata parsimonia del Consiglio e la sua immutabile incapacità di comprendere l'importanza della milizia. Di certo, avrebbe scritto alcune righe di risposta al messaggio, sebbene non avesse scelta. Dopodiché avrebbe sigillato anche l'ultima lettera indirizzata a Wendra e l'avrebbe spedita, anche se avrebbe avuto appena il tempo di aggiungere una breve nota a ciò che le aveva già detto. Di fronte a lui, Feran stava brontolando tra sé: «... una fabbrica di olio di semi... tutta l'idiozia... la stupidità...». D'un tratto, l'ufficiale più anziano gettò la sua missiva ad Alucius attraverso il tavolo. «Ti spiace leggerla? Roba da non crederci! Prima minacciano di tagliarci i viveri e la paga, e poi mi ordinano di prendere tutta la mia compagnia e di portarla a trenta vingti da qui, giù, lungo la strada del fiume, per fermarci tre settimane in un villaggio che nessuno ha mai sentito nominare, - tranne noi adesso - perché qualche mercante teme che la sua
preziosa fabbrica di olio di semi possa essere minacciata.» Alucius passò la sua lettera a Feran, poi cominciò a leggere il messaggio che l'altro aveva ricevuto. Capitano Feran, tenendo conto del vostro lungo servizio nella milizia e della vostra grande comprensione riguardo all'importanza di gestire le varie questioni, sia con rapidità sia con tatto, vi ordiniamo di portarvi immediatamente con la Quinta Compagnia, vale a dire il mattino successivo al ricevimento di questo dispaccio, nella città di Fiente. Laggiù, contatterete il mercante Yussel. La milizia è stata informata della possibile minaccia di un'incursione nella sua fabbrica di olio di semi. Poiché essa fornisce una gran parte del sostentamento necessario, sia in termini di viveri sia di altri materiali destinati alla milizia, il Consiglio si raccomanda caldamente di far stazionare sul posto una compagnia affinché si accerti che non vengano causati danni. Salvo ordine contrario, dovrete trascorrere un periodo di tre settimane a Fiente. Dovrete prestare la massima cura affinché la fabbrica non corra pericoli di alcun genere. Qualche tempo fa, in primavera, avevate ricevuto una comunicazione in cui, a seguito di una difficile situazione finanziaria, il Consiglio pregava tutti i comandanti di compagnia di utilizzare con grande cautela le risorse a disposizione... Alucius annuì. Le rimanenti istruzioni ricevute da Feran erano uguali alle sue, parola per parola, così come la firma e le qualifiche. Restituì gli ordini a Feran che, a sua volta, gli ridiede il suo messaggio. «Dobbiamo partire per proteggere una fabbrica di olio di semi. Ci crederesti?» domandò Feran. «Chi potrebbe mai volerla attaccare?» «Lanachroniani travestiti da predoni?» suggerì Alucius. Feran scosse il capo. «Hanno di certo stabilimenti di olio più importanti nelle terre di Lanachrona. È più probabile che sia qualcuno all'interno del Consiglio - questo mercante, come-diavolo-si-chiama - che vuole dimostrare di avere influenza sulla milizia.» «La firma mi preoccupa», disse Alucius. «La firma?» Feran abbassò lo sguardo sul foglio. «Comandante ad interim? Per tutti i liquami di sabbioso! Tutte le volte che il colonnello si assenta - o si ammala - il Consiglio fa pressioni su Weslyn.» «Speriamo solo che si tratti di un'assenza o di un'indisposizione tempo-
ranea.» Feran si irrigidì per un attimo, quindi scosse di nuovo il capo. «Già, speriamo che si tratti solo di quello.» «Sono certo che è così.» Alucius non era per niente sicuro, ma non c'era motivo di dirlo. Ci avrebbe pensato il tempo, in un modo o nell'altro. Si chiese anche quale genere di soluzione stesse elaborando il Consiglio. Quel velato riferimento lo preoccupava quanto la firma di Weslyn come comandante ad interim. Ma... aveva una risposta da scrivere - due in un certo senso - e avrebbe fatto meglio a mettersi al lavoro. Perciò, si diresse verso il suo alloggio per prendere carta, penna e calamaio, e la lettera indirizzata a Wendra. Alle sue spalle sentì Feran che continuava a brontolare a bassa voce. All'improvviso, Alucius si girò e si avviò verso il cortile, in cerca dei due messaggeri. Ne trovò uno all'angolo dell'edificio, intento a parlare con Egyl. Nel vedere Alucius che si avvicinava, entrambi alzarono lo sguardo. «Signore?» chiese Egyl. Alucius si rivolse al messaggero. «Soldato... potresti darmi qualche informazione? Riguardo al comandante: il colonnello Clyon. Gli ordini che ci avete consegnato erano firmati dal maggiore Weslyn in qualità di comandante ad interim. Il colonnello è forse malato?» «Be'... sì, signore. Da alcune settimane soffre di una terribile febbre. Questo almeno è ciò che il maggiore ci ha riferito.» «E voi non avete visto il colonnello in giro per il quartier generale?» «No, signore. Ce lo siamo chiesto, ma il maggiore ci ha detto...» «Grazie.» Alucius annuì. Quindi si voltò e tornò verso il proprio alloggio. Il colonnello gravemente ammalato? O fatto ammalare gravemente da qualcuno? La scelta del momento sembrava troppo casuale, e non gli piaceva per niente, anche se non poteva fare nulla per cambiare la situazione. A Feran la cosa sarebbe piaciuta ancora meno. Di questo Alucius era più che sicuro. 24 Nordest di Punta del Ferro, Valli del Ferro Wendra fece fermare la cavalla baia e rimase in ascolto. Puntò lo sguardo verso est, sulla testa del gregge dove cavalcava Royalt, e sull'Altopiano di Aerlal che si trovava oltre, più lontano. Poi si voltò a guardare la pecora
che si era attardata con il suo agnellino, a meno di quindici iarde a sud, e corrugò la fronte. Alla fine, girò la puledra e si diresse da quella parte. Un lievissimo sfavillio rossastro balenò nella scarsa luce del mattino, dietro a un fitto gruppo di quarasote. Wendra tirò veloce le redini ed estrasse il pesante fucile dalla custodia, lo armò e lo portò alla spalla con un movimento fluido, che però non possedeva ancora l'istintività derivante dalla lunga pratica. Rimase ferma a osservare, in attesa. Dopo un po' vide un lupo della sabbia precipitarsi a tutta velocità verso di lei, un balenio rosso scuro, con lunghe zanne di cristallo che scintillavano alla luce del sole. Wendra premette il grilletto. Bang! Ricaricò il fucile e fece di nuovo fuoco, mancando il bersaglio. Il terzo proiettile si conficcò nel torace della belva, che barcollò e cadde a terra a due iarde dalla cavalla. Wendra ricaricò il fucile, tenendolo pronto, mentre continuava a scrutare la distesa di quarasote tutt'intorno. Udì il rumore di zoccoli del cavallo di Royalt, ma non smise di sorvegliare il terreno circostante finché non individuò il secondo lupo della sabbia, a oltre trenta iarde di distanza, nascosto dietro una macchia ancora più fitta di quarasote. Di nuovo, Wendra rimase in attesa. L'animale si sporse a guardare, poi si voltò e spiccò un balzo verso un secondo gruppo di cespugli, per poi sparire in una buca talmente piccola che Wendra riusciva a malapena a distinguerla tra le asperità del terreno. «Non ne vedo altri», disse Royalt fermandosi accanto a lei. «Nemmeno io», replicò Wendra. «Ma perché solo due...?» «A volte, i più giovani cacciano in piccoli branchi.» Royalt, tenendo pronto il fucile, diede un'occhiata al lupo della sabbia che giaceva morto sul rosso terreno sabbioso. «Questo è un giovane esemplare.» Wendra valutò l'animale. «È lungo più di due iarde, senza contare la coda.» «Uno adulto può misurare quasi tre iarde.» Royalt sorrise. «Sei stata brava. Sono più difficili da colpire dei sabbiosi.» Wendra fece correre lo sguardo verso il gregge, per poi portarlo sulla pecora rimasta indietro. «Coraggio, muoviti», disse, cercando di proiettare il genere di autorità usata da Royalt e da Alucius. Di lì a poco, la pecora spinse col muso l'agnellino, e i due cominciarono a trotterellare per raggiungere il gregge. «Possiedi il tocco, Wendra.»
Lei sorrise debolmente. «Se potessi farlo con le persone. Con certe persone... perlomeno», aggiunse subito. «Come quelle che fanno parte del Consiglio.» Diede un colpetto alle redini, e la cavalla si avviò in direzione delle pecore, che stavano ancora avanzando a est, verso l'altopiano. «Già. E potrebbe diventare peggio.» Mentre si avvicinavano al gregge, Royalt affiancò il proprio cavallo alla puledra di Wendra. Pur continuando a parlare, non smisero di scrutare tra i quarasote. «Se Clyon non si riprende dalla sua malattia?» «Sempre che si tratti di una malattia.» «Credete che qualcuno all'interno del Consiglio possa spingersi così lontano?» «A volte mi chiedo se ci sia qualcuno nel Consiglio che non lo farebbe. Si preoccupano del denaro che riusciranno ad arraffare quest'anno, e non si chiedono se ce ne sarà ancora l'anno prossimo. Anche noi potremmo tosare a zero le nostre pecore per ricavarne subito una maggiore quantità di seta nerina... ma la metà di esse morirebbe nel giro di pochi mesi e, in tal caso, che guadagno ne avremmo avuto? Il pastore che non guarda al futuro non ne possiede uno. Agli uomini del Consiglio non è mai piaciuto Clyon, perché continuava ad ammonirli di pensare al futuro.» «Come possono essere tanto stupidi?» Royalt si produsse in un'aspra risata. «Guardati intorno, Wendra. La maggior parte delle persone è fatta così. Oh, parlano di progetti per il domani, di lavoro... ma quando guadagnano una moneta d'argento in più, la sprecano con un boccale di birra, con una sciarpa alla moda, o con un coltello più luccicante...» Il vecchio scosse il capo. Wendra lanciò un'occhiata al lupo della sabbia morto. «Lascialo. Non ci può servire.» Lei annuì, riportando lo sguardo dinanzi a sé, verso il gregge e verso l'Altopiano di Aerlal, in lontananza. 25 Nella luce obliqua della tarda primavera, Alucius era occupato a studiare la mappa distesa sul tavolo della mensa. Dopo un po', prese gli antichi calibri e misurò la distanza da Emal alla strada principale tra Salaan e Dereka. La annotò, poi misurò la distanza a volo d'uccello da Aelta a Emal, prendendo nota anche di questa. Mentre era intento a fare i suoi calcoli, si chiese come stesse procedendo il viaggio di Feran alla volta di Fiente, dato
che la Quinta Compagnia era partita il giorno prima. Toc, toc. Udendo bussare sullo stipite della porta - che peraltro era aperta - Alucius alzò gli occhi e vide Zerdial fermo sulla soglia. «Sì?» «Capitano... c'è un tizio qui fuori. Insiste nel dire che deve parlare con voi. È un anziano contadino. Dice che è importante.» Alucius si alzò. «Ha spiegato il motivo?» «Viene dall'altra parte del fiume... Ha chiesto del capitano pastore. Ha detto che deve parlarvi. Credo che abbia anche visto una delle guardie sul ponte, ma si ostina a dire che è con voi che vuole parlare.» «Vengo subito.» Alucius piegò con cautela la vecchia mappa e le appoggiò sopra uno dei libri di storia che aveva portato con sé a Emal dalla fattoria. L'aveva già letto una volta, quel libro - Le Meraviglie dell'antica Corus - e lo stava rileggendo una seconda. Quando Alucius uscì nel tiepido e velato sole di primavera vide un uomo fermo accanto al muro in compagnia di Zerdial. Lo sconosciuto aveva un aspetto macilento, i capelli grigi, e indossava una giacca di pelle di pecora consunta e tutta rappezzata, con pantaloni marroni ugualmente laceri. I suoi stivali erano stati cuciti e ricuciti, e il viso era solcato da rughe profonde e segnato dal tempo. Chiedendosi come mai questi l'avesse cercato, Alucius lo esaminò per un attimo con il Talento, ma non scoprì nulla di strano, se non che il suo filo vitale, di un intenso color marrone, era ben radicato da qualche parte a sudest, cosa che denotava un grande attaccamento a quella terra da parte dell'uomo. Alucius non ne era certo, ma aveva notato che chi aveva dei legami molto forti possedeva un filo vitale con tonalità di colore più marcate: quello dei pastori era quasi sempre di un bel nero deciso. «Siete voi il capitano pastore, signore?» Lo sconosciuto si soffermò con lo sguardo sui capelli grigio scuro di Alucius e annuì. «Sono io.» Alucius spinse indietro le maniche della tunica quel tanto che bastava a lasciar intravedere un attimo il para-polso di cristallo nero che portava sotto la camiciola di seta nerina, più efficace di una cotta di maglia contro i colpi di sciabola. «Il comandante di squadra mi ha riferito che volevate vedermi. In cosa posso esservi utile?» «Avete l'aspetto di un capitano, e sembrate anche sentirvi tale. Eppure avete acconsentito a vedermi?» Il vecchio aveva una domanda non formulata. Alucius sentì che, sebbene l'altro fosse un povero contadino, aveva una sua dignità. Perciò sorrise con quanta più gentilezza possibile e disse: «Po-
chi chiederebbero di vedere un capitano se non avessero qualcosa da dirgli. Voi avete fatto parecchia strada. Come potrei rifiutarmi di vedere un uomo che mi ha reso un onore così grande?». Lo sconosciuto abbassò bruscamente lo sguardo. Alucius sperava di non essersi spinto troppo oltre, ma l'orgoglio pareva essere l'unica cosa rimasta al suo interlocutore. Perciò aspettò, senza fretta. Adagio, l'uomo sollevò gli occhi, incontrando quelli di Alucius. Poi annuì. «Siete giovane per essere un capitano. Eppure siete molto più maturo di quelli che hanno più anni di voi.» Inghiottì a vuoto. «Possiedo ben poche cose, ma ho lavorato sodo. Non ho preteso mai niente, se non i frutti del mio lavoro e della mia terra.» «Vedo che avete lavorato sodo», replicò Alucius, ignorando l'impazienza che emanava da Zerdial. «Non vi piace chiedere, ma ascolterò ciò che avete da dirmi e, se posso, farò ciò che deve essere fatto.» Di nuovo, Alucius agiva in base alla sua interpretazione dei sentimenti dell'altro, dai quali trasparivano onestà e anche rabbia, ma una rabbia non diretta verso di lui, per quanto l'accento del contadino proclamasse le sue origini lanachroniane. «L'avete già fatto, capitano.» Il contadino indugiò, non avendo l'ardire di incontrare lo sguardo di Alucius, mentre proseguiva. «Sono io a essere in debito con voi. Sono in debito per la vendetta che non mi sono potuto concedere, signor capitano», replicò. Alucius fu stupito nell'udire la dichiarazione dell'uomo, ma avvertì nelle sue parole l'assoluta verità. «Sono lieto che qualunque cosa io possa avere fatto abbia incontrato la vostra approvazione, ma, poiché non conosco i dettagli, vi sarei grato se poteste spiegarvi meglio.» Nel dire questo, Alucius cercò di proiettare un senso di calore e di rassicurazione. «Lo farò. Voi non lo potete sapere, poiché tutto è accaduto sulla sponda meridionale del fiume, dove vivo. Dove vivevamo. Mia figlia, suo marito e i loro bambini... Veniamo da Saubyan. I predoni che non erano predoni, quelli vestiti di grigio, che si nascondevano sotto uniformi grigie. Dopo aver attraversato il fiume sul ghiaccio, hanno razziato il nostro piccolo villaggio. Avevo una figlia. I predoni l'hanno trovata graziosa, e lo era davvero.» Il vecchio si fermò, inghiottì a vuoto, poi continuò piano. «Suo marito l'ha difesa e l'hanno ucciso, e hanno colpito me con il calcio di un fucile.» Così dicendo, spinse indietro il cappello consunto per mostrare la cicatrice che gli attraversava la sommità del capo. «Hanno fatto del male a mia figlia. Nessuno pensava che potessi sopravvivere. Mia figlia non ce
l'ha fatta, e neanche Busyl. Mia moglie è morta molto tempo fa e mio figlio se n'è andato a cercare fortuna a Borlan. Adesso, devo occuparmi da solo del lavoro dei campi e di due bambini, il più grande ha sei anni.» Alzò una mano. «Non vi chiedo altro, capitano. A Lanachrona, nessuno ha alzato una mano. Voi li avete ammazzati tutti, non è vero? E voi da solo ne avete fatti fuori almeno una decina.» «Ne ho ucciso qualcuno», ammise Alucius. «E nessuno è sopravvissuto.» «Non sono in grado di darvi ciò che vorrei. Sono povero. Vi sono debitore, e l'unica cosa che posso darvi in cambio è quello che so. Ci sono altri razziatori. Sono vestiti di rosso, con tuniche rosse tutte uguali, di un tipo che non ho mai visto, e alcuni possiedono strani fucili lunghi, e li ho sentiti parlare. Pensano che sia vecchio, debole e sordo, ma non lo sono. Parlano del capitano pastore, e aspettano che l'acqua del disgelo scenda a valle. Hanno costruito zattere per portare le provviste...» Alucius annuì. «Non ero al corrente di tutto questo, e vi ringrazio. Potete dirmi quanti sono e dove intendono guadare il fiume?» «Ne ho contati quasi duecento. Parlavano di attraversare nel punto meno profondo, che si trova a soli due vingti a est del ponte, dove il fiume diventa più ampio. Useranno funi e faranno attraversare i cavalli di notte, prima dell'alba. Non vi posso dire il giorno esatto in cui avverrà, ma credo che sarà presto.» Alucius inclinò il capo. «Sono io a essere in debito con voi. E tutti i soldati di Emal, anche se nessuno si lascerà sfuggire una sola parola di quanto mi avete raccontato.» E così dicendo, lanciò un'occhiata alle spalle del contadino, verso Zerdial e aggiunse: «Nessuno». «Sì, signore», mormorò il comandante di squadra. Alucius si rivolse di nuovo all'uomo dai capelli grigi. «Avete fatto un'alzataccia e avete percorso molta strada. Posso almeno offrirvi un po' di pane e del formaggio per i bambini di vostra figlia, affinché non debbano patire le conseguenze della vostra assenza?» «Non vorrei... per me.» «Lo so», disse Alucius. «Ma per loro.» L'uomo abbassò gli occhi e fece un lieve cenno di assenso. Alucius si rivolse a Zerdial. «Vai dai cuochi e fatti dare del pane e un bel pezzo di formaggio. Di' loro che te l'ho chiesto io.» «Sì, signore.» Zerdial si allontanò di corsa. «Coltivate i campi o possedete del bestiame?» chiese Alucius. «I predoni hanno ucciso due pecore, ma mi hanno lasciato la mucca, e
hanno fatto così tanto chiasso che sono riusciti a rubare solo una gallina.» Il vecchio rise. «Questa è una delle ragioni per cui ho capito che non potevano essere dei veri predoni.» Alucius annuì. «Un razziatore che si rispetti avrebbe preso le galline prima ancora che se ne potessero accorgere.» «Siete un pastore, non è vero?» «Sì. La mia fattoria è a nord e, in questo momento, sono mia moglie, mia madre e mio nonno che se ne occupano. Possediamo un gregge di pecore nerine.» «Ma adesso voi siete un capitano.» «Ancora per qualche tempo. Mio nonno era capitano, e anche mio padre. Fu ucciso da una banda di razziatori quando ero ancora bambino.» «Sarebbe meglio che ci fossero più persone a occuparsi della terra e meno ad andare in giro con fucili e sciabole.» Entrambi guardarono Zerdial, che stava attraversando il cortile con una sacca di tela. Alucius prese un paio di monete di rame dalla borsa che portava alla cintura e le offrì al contadino. «Sono un pegno di amicizia, un semplice pegno, una per ogni bambino, per quando i tempi diventeranno difficili.» «Io non...» «Solo un piccolo pegno», ripeté Alucius. «Se dovessi ripagarvi davvero per ciò che mi avete offerto, nessuno di noi ne sarebbe contento.» Il contadino scoppiò in un'aspra risata. «Anche voi siete un uomo orgoglioso.» «Sì», ammise Alucius. «È uno dei miei difetti.» Il vecchio prese le monete, facendole scivolare in un'apertura all'interno della sua logora cintura di cuoio. «Vorrei che tutti gli ufficiali avessero il vostro difetto, capitano.» Alucius prese la sacca da Zerdial. Mentre la porgeva al contadino, capì che i cuochi - o Zerdial - erano stati generosi. «Forse dovreste dire agli altri abitanti del vostro villaggio che avete ricevuto queste provviste in cambio dell'aiuto dato a un pastore.» Poi fece un ampio sorriso e aggiunse: «D'altra parte, è la verità». L'altro si inchinò. «Solo per i bambini.» «Solo per i bambini», concordò Alucius. Quindi fece cenno a Zerdial di scortare il contadino al di là dei cancelli sul ponte. Il capitano rimase a osservare i due che attraversavano il cortile. Restò là finché Zerdial non fu di ritorno. «Ha attraversato il ponte, signore.»
«Bene.» «Gli avete dato due monete di rame. Due semplici monete di rame.» «Se gli avessi dato di più l'avrebbe considerato un insulto. E poi, mentre la presenza di due monete di rame si può giustificare, sarebbe difficile spiegare quella di due monete d'argento.» Zerdial posò lo sguardo sul cancello dell'avamposto, facendolo correre poi verso sud, prima di riportarlo su Alucius. «Signore? Ma come avete fatto a capire?» «Perché in tutte le terre che conosco, quasi tutti odiano i soldati, o se ne tengono lontani. Chiunque cercasse di me lo farebbe o per aiutarmi o per farmi del male. Ma questo contadino era troppo umile per volermi fare del male, e troppo timido. Perciò ho cercato di farlo sentire maggiormente a suo agio.» Quella, rifletté il capitano, era stata la parte facile. La parte difficile consisteva nell'escogitare un piano per fronteggiare una forza pari a due compagnie di cavalleggeri, mettendolo poi in pratica. Benché Alucius avesse fatto ritorno alla mensa e alle sue mappe, aveva la sensazione che qualunque cosa stesse per accadere sarebbe accaduta presto, poiché i soldati con le divise rosse da deforyani erano pagati, e qualcuno delle Guardie del Sud stava facendo finta di non vedere. I soldi non sarebbero durati a lungo e il Signore-Protettore non avrebbe potuto permettersi di distogliere per troppo tempo lo sguardo da ciò che stava succedendo. Tuttavia, se Alucius doveva agire, era necessario che lo facesse da solo. Anche se Feran si fosse trovato a Emal, Alucius immaginava ciò che lui o qualunque altro soldato - avrebbe detto riguardo all'avvertimento del vecchio. «Un contadino ti ha detto questo? Un contadino lanachroniano? E tu gli credi?» Inoltre, bisognava anche considerare la possibilità che il contadino fosse stato deliberatamente tratto in inganno. Ancora una volta, per nascondere il proprio Talento, Alucius avrebbe dovuto cercare di gestire la questione in un modo logico. Così, subito dopo il rancio di mezzogiorno, si fece trovare nella mensa ufficiali, dove aveva convocato i comandanti di squadra. Si lanciò un'occhiata intorno, guardando prima Longyl, e poi tutti gli altri comandanti, uno dopo l'altro: Zerdial, Anslym, Faisyn, Egyl e Sawyn. «Ho pensato...» Indugiò. «Non abbiamo più fatto manovre dall'autunno scorso. E non abbiamo mai riunito più di due squadre alla volta. Come ho già detto a molti di voi, non so cosa accadrà quest'anno, ma se dovremo affrontare uno scontro diretto, specialmente contro le Guardie del Sud, sarà
meglio essere preparati. È probabile che non ci verrà dato molto preavviso. Spesso è così che succede.» Alucius sorrise. «E sarei molto sorpreso se si presentassero a noi attraverso il ponte.» «Come pensate che arrivino, allora?» chiese Zerdial. Alucius fu grato al giovane comandante per aver posto la domanda giusta. «Non sono il loro comandante, ma se venissero in inverno lo farebbero attraverso il ghiaccio, mentre ora probabilmente guaderebbero il fiume dove l'acqua è più bassa. Il punto più indicato potrebbe essere rappresentato dal guado a est del ponte. L'acqua è profonda poco più di due iarde, e solo al centro del fiume. Oppure potrebbero giungere dai sentieri che passano per le paludi, a cinque vingti a ovest del ponte, per poi muoversi da un isolotto all'altro. In tal caso, dovrebbero solo attraversare il canale principale, che è largo meno di venti iarde.» Alucius fece una pausa, si schiarì la voce e proseguì. «Potrebbero anche optare per entrambe le soluzioni per cercare di separare la Ventunesima e la Quinta Compagnia. Inoltre, è possibile che le loro forze siano superiori alle nostre: almeno due contro uno, forse anche di più.» «Credete che questo accadrà davvero?» domandò Sawyn. Alucius sorrise. «Pensatela così. O succede o non succede. Nel primo caso, se siamo pronti, ce la caveremo. Nel secondo, avremo solo perso un po' di tempo e di energie. Ma se succede, e non siamo pronti... volete essere il comandante di squadra in quel momento?» Alucius fu lieto di vedere che Sawyn non aveva dovuto riflettere molto per giungere a una conclusione. «Cosa volete che facciamo?» chiese Longyl, il più concreto. «Vorrei che questo pomeriggio mandaste i vostri ricognitori nei pressi del guado a est del ponte. Dovranno osservare tutta la zona e tracciare delle mappe approssimative, indicando i punti in cui i lanachroniani potrebbero attraversare, sia con le zattere sia con i cavalli a nuoto. Voi dovrete accompagnarli, ma nessun altro, e vorrei che controllaste il fiume accertandovi però di non essere visti dall'altra parte. Se... se pensano di attaccarci, potrebbero già tenere d'occhio la zona. Può darsi di no, ma è comunque bene essere cauti. Se scoprono che li stiamo spiando, potrebbero cambiare i loro piani.» Alucius fece un'altra pausa. «Se invece arrivano da ovest, avremo più tempo e potremmo servirci del promontorio come difesa naturale. Tutti voi dovrete pensare a eventuali punti strategici nei quali piazzare i vostri uomini, sia in prossimità del guado sia a ovest di Emal.»
«Sì, signore.» «Un'altra cosa», disse Alucius. «Dovremo probabilmente far appostare una sentinella sul nostro lato del fiume. Pensate a quale postazione potrebbe essere la migliore.» Prima di concludere, lanciò un'ultima occhiata tutt'intorno nella piccola stanza. «Ci ritroviamo qui con i ricognitori subito dopo cena.» Non appena i sei furono usciti dalla mensa, Alucius ritornò alle mappe e ai suoi calcoli. 26 Il mattino di octi, Alucius si era alzato prima del sorgere del sole e stava percorrendo a cavallo la strada che costeggiava il fiume, in direzione del guado a est. Benché avesse ricevuto il rapporto dei cinque ricognitori e dei comandanti di squadra, al quale si erano aggiunte le considerazioni di Longyl, era del parere che fosse meglio verificare di persona l'area attorno al fiume, anche per capire se fossero già in corso preparativi per l'attacco. Inoltre, non voleva che gli altri capissero i suoi timori vedendolo uscire a cavallo di giorno e, benché fosse certo che Vinkin non ne avrebbe fatto parola, non poteva giurare su un'uguale discrezione da parte dei soldati di guardia ai cancelli. Se poi avesse chiesto il loro silenzio, non aveva dubbi che tutti avrebbero saputo delle sue preoccupazioni. Nell'oscurità che precedeva l'alba, tutt'altro che un impedimento per la sua vista da pastore, Alucius si fermò infine sul fianco della strada, nei pressi del cosiddetto guado. Là, rimase seduto in groppa a Selvaggio a osservare la riva, il guado e l'altra sponda del fiume, spingendo lo sguardo e i Talento-sensi fin dove gli era consentito. Fu sollevato nel non avvertire la presenza di una massa di soldati dall'altra parte, anche se scorse un gruppetto di uomini che dormivano sotto l'argine: probabilmente ricognitori o guerrieri nemici in avanscoperta. Ciò significava che avrebbe dovuto far appostare le sue sentinelle quel giorno stesso. Dopo essersi concesso un lungo e lento respiro, esaminò il terreno e il fiume. In quel tratto, il corso d'acqua aveva un'ampiezza maggiore che non a monte o a valle, all'incirca un centinaio di iarde, ma una profondità minore, che solo in corrispondenza del canale principale, e per non più di una ventina di iarde, raggiungeva oltre la iarda e mezzo. Alucius notò anche che il canale principale passava molto più in prossimità della sponda meri-
dionale, il che poteva rappresentare un vantaggio. Gli attaccanti avrebbero pensato di essere facilitati nell'attraversamento, visto che le acque più fonde si trovavano dalla loro parte e lontano dai fucili dei difensori. Ma agli occhi di Alucius questo voleva dire che, se solo avesse aspettato abbastanza da permettere alla massa dei nemici di avvicinarsi alla riva settentrionale, ci sarebbe stato un maggior numero di cavalieri nel fiume senza alcun posto dove andare, se non verso il fuoco della milizia. L'erba sul pendio che dalla strada scendeva fino all'acqua arrivava appena oltre il ginocchio, e sicuramente non era alta a sufficienza da nascondere una squadra di uomini, a meno che non fossero sdraiati pancia a terra, ma Alucius non voleva rinunciare alla libertà di movimento, soprattutto non quando la sua compagnia si trovava a fronteggiare una formazione grande il doppio. Guidò Selvaggio giù per il pendio, avvicinandosi al fiume. Alla distanza di dieci iarde dall'acqua il terreno era ancora molle, tanto da farvi sprofondare gli zoccoli di un cavallo e da diventare molto scivoloso, dopo il passaggio della prima squadra. Alucius lanciò un'occhiata alla sponda meridionale, dove la riva era più ripida. Con il clima mite e secco di quei giorni, sperava che gli attaccanti non si sarebbero accorti della differenza, e che comunque il fango fosse perlopiù concentrato sulla sponda settentrionale. Mentre tornava indietro, controllò e saggiò il suolo fino a conoscere alla perfezione i punti in cui era più solido e dove lo era di meno. Poi pensò a dove avrebbe potuto posizionare le squadre... in base non solo alle sue impressioni del momento, ma anche ai suggerimenti espressi dai suoi comandanti la sera prima. Quando girò Selvaggio per fare ritorno a Emal, il cielo stava assumendo un chiaro colore grigio-verde e, sebbene il gruppetto che dormiva sotto l'argine della riva meridionale si fosse svegliato, sicuramente non avrebbe predisposto un attacco nelle clessidre immediatamente successive. Ma l'attacco sarebbe arrivato nel giro di pochi giorni. Di questo Alucius era più che sicuro. 27 Lyterna, Illegea Quel luogo all'interno della Volta del Consiglio era chiamato «la sala più piccola» e aveva una lunghezza di circa cinquanta iarde e un'ampiezza di
quindici, con un soffitto alto più di dieci iarde. Le pareti e il soffitto erano di liscia pietra rossa, una pietra che, nonostante il suo apparente sfavillio, non rifletteva la luce. Gli antichi supporti a muro non reggevano più torce a raggi di cristallo come ai tempi del Duarcato, ma lampade a olio la cui luce proiettava un torbido bagliore sulla trentina di ufficiali Mirmidoni radunati sul palco di pietra, e tutt'intorno, all'estremità nord della sala. Mentre parlava, Aellyan Edyss camminava avanti e indietro, fermandosi e gesticolando di tanto in tanto «... siamo stati informati che le forze pretoriane stanno avanzando attraverso il Passo Meridionale. Possiedono armi in grado di sciogliere il ghiaccio e perforare le corazze.» Il comandante nomade guardò verso le file dei suoi ufficiali. «Occorre circa un quarto di clessidra perché diventino funzionanti. Noi cercheremo di distruggerle con gli pteridon e le lance cosmiche prima che i soldati del Pretore riescano a prendere la mira. Quando i congegni saranno fuori uso, allora attaccherete.» «Quanti soldati a cavallo porterà con sé il Pretore?» chiese un comandante più anziano, i lucidi capelli neri percorsi da striature grigie. «La maggioranza sono cavalieri, ma non sono bravi a cavalcare e a combattere come noi. Penso che ne arriveranno circa seimila. Ciascuno di voi vale due dei loro. Perciò siamo superiori dal punto di vista numerico.» Edyss sorrise. «Inoltre, non si aspettano un attacco dal cielo. Nessuno ha più fatto una cosa del genere dai tempi del Cataclisma.» «Quando partiamo?» chiese un altro comandante più giovane. «Domani all'alba. La Cavalleria Mirmidone si dirigerà a sud, verso il punto in cui l'Antica Strada Maestra si stacca dalla Dorsale di Corus. Dovreste arrivare laggiù con due giorni di anticipo rispetto ai lustreani. Noi non partiremo che parecchi giorni dopo perché gli pteridon viaggiano più veloci. Vorrei vedere se qui ci sono altre armi da utilizzare.» «Ne abbiamo abbastanza da annientarli!» esclamò qualcuno dal fondo del gruppo. «Certamente», replicò Aellyan Edyss. «Ma più armi abbiamo meno sono le probabilità di subire gravi perdite, e più rapida sarà la conquista di tutte le terre di Corus. Non è forse questo il nostro destino, oltre che il nostro diritto?» E, così dicendo, sollevò la mano stretta a pugno. «Non è forse questo?» «Destino! Destino!» Le acclamazioni echeggiarono attraverso la sala, come il brontolio del tuono di una violenta tempesta scaturita dalla Dorsale di Corus e in procinto di imperversare attraverso le pianure di Illegea.
28 Tre giorni erano trascorsi dall'octi in cui il contadino lanachroniano aveva incontrato Alucius. Era il pomeriggio di londi, sul tardi, quando un ricognitore della Ventunesima Compagnia, nascosto sulla riva settentrionale, aveva strisciato nell'erba fino al proprio cavallo e si era diretto di gran carriera a Emal a riferire che parecchi cavalieri erano apparsi brevemente sull'argine della riva meridionale, in prossimità del guado. Tre clessidre prima dell'alba di duadi, un altro ricognitore aveva riferito di un certo fermento sull'altra sponda. Poco dopo Alucius e la Ventunesima Compagnia cavalcavano verso est sulla strada che costeggiava il fiume, nell'oscurità senza luna, sotto un cielo stellato che rischiarava ben poco il cammino. Per quanto Alucius non avvertisse il bisogno di una maggiore luminosità, era consapevole che i suoi uomini avrebbero dovuto sparare al buio, e si augurava che la superficie del fiume facesse da contrasto. Si era preso la libertà di portarsi dietro due fucili e una buona scorta di munizioni. Aveva anche infilato la camiciola di seta nerina sulla biancheria personale che era solito indossare. Così sarebbe stato protetto da ben tre strati di seta nerina, con un'imbottitura extra in corrispondenza del torace tra il primo e il secondo strato, e un singolo strato a coprire le braccia e le gambe. Quelle protezioni non avrebbero fatto molto per la sua testa, ma poiché possedeva la camiciola, non vedeva perché non dovesse portarla. Mentre si avvicinavano alla curva subito prima del guado, Alucius si girò sulla sella e ordinò con voce appena udibile: «Cavalcare in silenzio. Passa parola». Dopo i bisbigli delle prime file, non gli riuscì di udire altro, ed era indubbio che neppure gli attaccanti potessero sentire. Guardò dinanzi a sé, ma la strada era sgombra, tranne per un unico ricognitore appostato su un lato della strada, a malapena visibile persino alla sua vista affinata e ai Talento-sensi. Dopo aver percorso un altro mezzo vingt, Alucius fece fermare il cavallo vicino al ricognitore. «Waris?» «Sì, signore?» rispose l'altro con voce bassa. «I loro cavalieri stanno tirando delle funi attraverso il fiume. O perlomeno hanno appena cominciato a farlo.» «Stanno piantando dei pali per fissarle?» «Sembrerebbe di sì.»
«Mettiamoci in formazione e aspettiamo. Avvisaci quando cominciano ad attraversare con il grosso delle truppe.» Alucius avrebbe potuto rallentare o fermare l'attacco, uccidendo i cavalieri che stavano fissando le funi, ma in tal modo non avrebbe fatto altro che costringere il nemico a rimandarlo a un'altra occasione, quando magari loro si sarebbero trovati a corto di provviste e, probabilmente, anche di uomini e di munizioni. Fece girare Selvaggio e lo guidò verso Longyl e tutti gli altri comandanti di squadra, dicendo loro sottovoce: «In formazione, come previsto». Nell'oscurità, gli uomini annuirono, poi si allontanarono silenziosi, quel tanto che bastava - almeno Alucius se lo augurava - da non essere uditi mentre si preparavano ad attendere. Longyl sgusciò via furtivo e si posizionò tra la prima e la seconda squadra, mentre tutte le altre si disponevano in formazione sull'avvallamento vicino al fianco sinistro della strada, da dove non avrebbero potuto essere visti nemmeno in pieno giorno. Alucius prese posto davanti alla terza squadra, in modo di trovarsi al centro e sfruttare al meglio la vista notturna e il Talento nei tiri iniziali. Di lì a poco, si udì il battere delle mazze, dei tonfi sordi contro i pali di legno. Poi tutto ritornò silenzioso. Faisyn, in groppa al suo cavallo accanto ad Alucius, si protese verso di lui. «Quanto dobbiamo aspettare ancora, signore?» «Waris ci farà sapere», bisbigliò Alucius di rimando, «non appena i primi cavalieri del corpo centrale si avvicineranno alla riva». Alucius lasciò che i propri sensi vagassero sul fiume. Gli attaccanti avevano due canapi - o cavi - disposti attraverso il fiume Vedra, ciascuno dei quali era fissato a un pesante palo piantato sull'argine, a circa cinque iarde di distanza dal bordo dell'acqua. Due mezze squadre di uomini a cavallo erano posizionate a dieci-quindici iarde lungo il pendio che risaliva dal fiume, ciascun gruppo a guardia di un palo. Sempre fermo accanto ad Alucius, Faisyn cambiò posizione sulla sella, chiaramente preoccupato dal fatto che Alucius stesse aspettando troppo. Una figura a piedi comparve sulla sommità del dosso e corse verso Alucius. «Signore! I primi cavalieri - il grosso della truppa - sono a circa quindici iarde dalla riva.» «Ventunesima Compagnia! Squadre in posizione di fuoco!» «Prima squadra...» «Seconda squadra...» Mentre i comandi si susseguivano, Alucius avanzò immediatamente, sapendo che la terza squadra di Faisyn l'avrebbe seguito, prima sul fianco
nord della strada, poi al di là, posizionandosi infine a circa dieci iarde sotto il margine. Una volta raggiunta la sua postazione, Alucius fermò il cavallo ed estrasse il primo pesante fucile dalla custodia. Di lì a poco Faisyn lo affiancò. «Pronti, signore.» Alucius scorse in basso, nell'oscurità, le guardie appostate poco più in su dei pali, e vide che si giravano scrutando verso la strada. «... c'è qualcuno lassù...» «... sono in tanti...» Alucius si guardò intorno. La prima squadra non era ancora in posizione, ma non poteva aspettare. «Ventunesima Compagnia, fuoco!» «Prima squadra, in posizione! Fuoco!» La voce di Longyl sovrastò quella degli altri. «Terza squadra, fuoco!» «Quarta squadra...» Le raffiche iniziali vennero dirette sui gruppi a guardia dei pali che tenevano fissate le funi per l'attraversamento del fiume. Alucius sparò cinque colpi, mirando ogni volta, con l'aiuto del Talento, a un cavaliere diverso, poi ripose il fucile nella custodia ed estrasse il secondo. Quando udì il primo bang isolato in risposta, aveva già fatto fuoco altre sette volte. Dopo che ebbe svuotato anche il caricatore del secondo fucile, la maggior parte delle guardie giaceva a terra. Mentre ricaricava, Alucius ordinò: «Ventunesima Compagnia! Mirate agli uomini sul fiume! Fuoco!». «Terza squadra, mirate agli uomini sul fiume! Fuoco!» «Quarta squadra...» «Seconda squadra...» I primi assalitori erano in procinto di raggiungere la riva settentrionale del Vedra, mentre quelli che si trovavano ancora al centro del fiume incitavano i cavalli ad avanzare; ma il livello delle acque, benché in quel punto fosse basso, e il fondo fangoso impedivano loro di procedere con rapidità. Come Alucius aveva sperato, la superficie chiara dell'acqua forniva sufficiente contrasto, così che i nemici vi si stagliavano contro come sagome scure. Alucius finì di ricaricare entrambi i fucili e ricominciò a sparare. Sebbene fosse certo di raggiungere la maggior parte dei bersagli, cadevano talmente tanti uomini che non avrebbe saputo dire con sicurezza quanti dei suoi tiri fossero andati a segno, anche se era consapevole di contribuire enormemente al massacro. Ma nessuno lo avrebbe saputo, il che era meglio.
Ricaricò il fucile una terza volta e continuò a fare fuoco, ma i cavalieri che si accostavano alla sponda settentrionale del Vedra erano ormai pochi. Si videro alcuni bagliori di arma da fuoco, uno proveniente dalla riva e parecchi dall'acqua, ma Alucius non udì né sentì pallottole arrivargli vicino, mentre sparava nell'oscurità - più simile a una luce crepuscolare per la sua vista affinata da pastore - selezionando un attaccante dopo l'altro, a mano a mano che si avvicinavano. Con la coda dell'occhio, vedeva intorno a sé i lampi dei pesanti fucili delle Valli del Ferro, e udiva il suono più grave di ciascuno scoppio. Quasi automaticamente, ricaricò di nuovo l'arma, per poi riprendere a sparare. I predoni più distanti cominciarono a rivolgere i cavalli verso la sponda meridionale, cercando di attraversare il tratto più profondo del canale principale. Un uomo fu trascinato lontano dalle funi con il suo cavallo e dovette lottare contro la corrente per mettersi in salvo. Malgrado il fuoco continuo della Ventunesima Compagnia, una quindicina di cavalieri riuscì a raggiungere la riva. Ma, a quel punto, il terreno umido e cedevole rese difficile la salita: proprio come Alucius aveva previsto. Mentre questi alzava lo sguardo a oriente, verso il cielo che stava diventando grigio, si rese conto che la battaglia era durata più del previsto. Mirò al predone alla testa del gruppo e premette il grilletto. D'un tratto si sentì colpire alla spalla destra e venne quasi sbalzato di sella. Poté a malapena reggere il fucile, anche se, come al solito, stava sparando con il braccio sinistro. Infine, riuscì a raddrizzarsi e a riporre l'arma. Il torace e la spalla erano entrambi intorpiditi e al tempo stesso bruciavano, come se all'interno avessero una palla infuocata. Tanti piccoli punti luminosi gli comparvero davanti agli occhi, impedendogli di vedere. Si appoggiò con la mano sinistra al pomo della sella per tenersi dritto. Ogni respiro era un tormento. «Ritirata! Riattraversate il fiume! Ritirata!» Il comando veniva dalla sponda meridionale del fiume Vedra. «Ritirata!» Alucius sperava solo di resistere finché non fosse del tutto certo che i nemici si erano ritirati. «State bene, signore?» chiese Faisyn, mentre si avvicinava ad Alucius con il suo cavallo, nella pallida luce dell'alba. «Sembrava che la maggior parte dei colpi fosse diretta contro di noi, contro di voi probabilmente.» «Credo... vedremo tra un po'», replicò Alucius. Il dolore non si era acuito, e non si sentiva più sul punto di svenire. Rimase in sella, aspettando
che l'alba permettesse di vedere le reali dimensioni della carneficina. I predoni sulla riva avevano già fatto dietro front, e il fiume era quasi deserto, sebbene parecchi soldati della Ventunesima Compagnia continuassero a sparare. Mentre Alucius guardava, un altro predone si portò una mano al petto e cadde di sella. Una pallottola raggiunse un cavallo, che crollò nel bel mezzo del canale principale trascinando con sé il suo cavaliere. Faisyn gettò un'occhiata alla cartucciera di Alucius, dove gli spazi vuoti erano di gran lunga più numerosi di quelli occupati dalle poche cartucce rimaste, e commentò: «Avete fatto partire un bel po' di colpi, signore». «Quanti più possibile», ammise Alucius. Abbassò gli occhi sulla spalla e vide il piccolo squarcio nella tunica. Attraverso lo strappo nel tessuto nero, intravide una pallina di metallo schiacciata contro lo strato esterno della camiciola di seta nerina. Di certo, senza quella protezione, sarebbe stato spacciato. Alucius si schiarì piano la voce. «Ventunesima Compagnia! Cessate il fuoco!» Sentì dolore anche al solo pronunciare l'ordine, ordine che, con ogni probabilità, non era necessario, visto che sulla sponda settentrionale i predoni erano tutti morti. Mentre il cielo diventava chiaro, la proporzione del massacro si fece più evidente. Nel tratto di fiume sotto di loro giacevano almeno cinquanta cadaveri, e quasi altrettanti sul pendio che risaliva la riva. Alucius ne scorse anche altri più a valle. Ripulire quel disastro avrebbe rappresentato un altro problema, così come lo sarebbe stato cercare prove che dimostrassero la vera identità dei predoni, presunti deforyani. Alucius si sistemò meglio in sella, e fece una smorfia di dolore. «Siete certo di stare bene, signore?» chiese Longyl preoccupato, dopo essersi accostato a lui. «Ho avuto momenti migliori, ma la ferita non sanguina, anche se credo che mi farà molto male.» «Alcuni predoni sparavano cercando di colpirvi. L'ho capito persino da dove stavo io. Avete idea di quale possa essere il motivo?» «Probabilmente pensavano che, una volta tolto di mezzo il comandante, voi vi sareste ritirati o non avreste più combattuto così compatti», ipotizzò Alucius. «Non riesco a pensare a nessun'altra ragione per cui dovessero colpire il capitano più giovane della milizia, o che fossero persino al corrente di questo.» A quel punto avrebbe riso, ma sapeva che ridere gli avrebbe procurato dolore e, di certo, sarebbe stato così per alcuni giorni, se
non per settimane. «Allora non si trattava di predoni», disse Longyl. «Immagino che fossero mercenari. Un altro stratagemma escogitato dal Signore-Protettore per fare pressioni sulle Valli del Ferro, senza far capire che l'iniziativa partiva da lui.» «Lo credete davvero, signore?» «È solo un'ipotesi», disse Alucius stancamente. Ma sapeva che si trattava ben più di quello. «Dobbiamo procedere con il nostro lavoro. Di' agli uomini di raccogliere le armi e radunare i cavalli nemici, quelli rimasti. E passa parola agli altri comandanti di squadra.» «Sì, signore.» Lieto di poter fare assegnamento sul comandante più anziano, Alucius guardò verso la sponda meridionale del Vedra. Mentre il sole illuminava il fiume a est, inondando la terra e le acque di una pallida luce dalle sfumature verdi, Alucius non vide alcun segno di predoni ancora in vita, solo cadaveri disseminati ovunque, uno addirittura rimasto intrappolato nelle funi, con il corpo sballottato qua e là dalla corrente. Gli unici suoni che si udivano erano i mormorii dei soldati, l'ansimare dei cavalli e alcuni lamenti. Cercando di non respirare troppo a fondo, Alucius continuò a sorvegliare la scena in groppa al suo cavallo, senza muoversi, mentre i suoi soldati setacciavano le rive del fiume. 29 La mattina di tridi, Alucius era a malapena capace di muoversi. Se ne stava in piedi, nudo fino alla cintola, nella piccola stanza da bagno che era solito dividere con Feran, intento a osservarsi il torace e la spalla, di un bel colore nero-violaceo che si estendeva dalla clavicola alla spalla, scendendo fin quasi all'addome. Da quanto aveva potuto capire osservando i frammenti di metallo incastrati nei fori della camiciola di seta nerina, era stato colpito due volte, quasi contemporaneamente. Doveva trattarsi di cecchini esperti, anche se non riusciva a comprendere perché qualcuno si fosse preso tanto disturbo. Era il capitano più giovane della milizia. Aveva fatto capire molto chiaramente che non intendeva restare in servizio, una volta finita la ferma. Non vantava legami personali con membri del Consiglio o con ufficiali anziani della milizia - o con altri personaggi importanti - né tantomeno esercitava lui stesso una qualche influenza. Eppure, gli avevano teso un agguato poco lontano dalla fattoria, e qual-
cuno - presumibilmente il Signore-Protettore di Lanachrona o qualcuno che rivestiva un'alta carica all'interno delle sue sfere governative - aveva già tentato di sferrare due attacchi a Emal. Mentre si accingeva a lavarsi e a farsi la barba, Alucius trattenne una smorfia, pensando all'assalto del giorno prima e a ciò che aveva riferito nel rapporto inviato al quartier generale della milizia, e a ciò che aveva evitato di riferire. Anche questa volta avevano trovato pochissimi indizi sui cadaveri, dettaglio che era stato riportato nella relazione. Ma i fucili, le monete e i trenta cavalli catturati avrebbero potuto contribuire a incrementare i fondi per l'avamposto di Emal. In qualità di comandante distaccato di compagnia, Alucius aveva la facoltà di vendere gli oggetti requisiti in battaglia, anche se poi doveva rendere conto della loro vendita e dell'utilizzo che avrebbe fatto del denaro ricavato. Ma di questo, nel suo rapporto, Alucius non aveva fatto menzione, e nemmeno aveva accennato al progetto che aveva intenzione di mettere in atto. Si fece pensieroso. Forse era stato preso di mira dai lanachroniani... ma non per il motivo che credeva. Forse avevano cercato di rivalersi sul capitano più giovane e più isolato per dimostrare la debolezza nelle difese dei confini meridionali. Se però le cose stavano effettivamente così, significava che qualcun altro aveva predisposto l'imboscata a Punta del Ferro. Con un cauto sospiro, Alucius si asciugò il viso. In ogni caso, avrebbe dovuto fare attenzione. Sperava solo che passasse qualche settimana prima che succedesse qualcos'altro. Aveva bisogno di un po' di tempo per ristabilirsi, visto che il Talento a cui ricorreva per curare gli altri non era efficace su di lui. Il Talento non funzionava mai così. 30 Durante la settimana e i due giorni successivi all'attacco non ci fu alcun evento particolare, all'infuori dei soliti giri di pattuglia e delle normali esigenze della guarnigione. A causa della protratta mancanza di pioggia, le strade si fecero ancora più polverose, e i contadini cominciarono a lamentarsi. Lungo le rive del fiume furono trovati altri cadaveri e anche due cavalli. Alucius sospettava vagamente che ce ne fossero molti altri che non sarebbero mai saltati fuori, ma non poteva certo biasimare chi li aveva trovati. Emal e Tuuler erano comunità tutt'altro che ricche.
I lividi sul torace e sulla parte superiore dell'addome di Alucius sbiadirono fino ad assumere un colorito giallastro dalle sfumature nero-violacee. Il forte dolore diminuì, e i predoni «deforyani» non si fecero vivi. Né giunsero messaggi, dispacci od ordini dal quartier generale della milizia. Alucius aveva dovuto scrivere un rapporto sui cinque soldati uccisi durante lo scontro, e alcune note più brevi sulle schede dei sei soldati feriti. Non menzionò, invece, le sue relativamente meno gravi lesioni. Il pomeriggio di quattri, stava attraversando il cortile dopo avere compiuto un inatteso giro di ispezione nelle baracche della compagnia, quando vide entrare dai cancelli dell'avamposto i soldati della Quinta Compagnia, con Feran alla loro testa. Benché fosse curioso di conoscere il motivo per cui la Quinta Compagnia fosse rientrata in anticipo, evitò di precipitarsi incontro a Feran e ritornò nel locale mensa per dedicarsi ai suoi rapporti stagionali sui soldati, rapporti che aveva iniziato il giorno prima. Apprezzava molto il fatto di essere solito scrivere con la mano sinistra, visto che la parte colpita continuava a fargli male e il dolore si estendeva fino alla mano destra, anche se il peggio era già passato. Quando Feran entrò nella stanza, Alucius alzò lo sguardo, restando però seduto mentre parlava. «Non mi aspettavo che tornaste così presto. Pensavo che vi avrebbero fatto girare attorno a Fiente per almeno un mese, così che il maggiore potesse dimostrare al Consiglio quanto la milizia si preoccupasse dei suoi mercanti e delle loro fabbriche di olio di semi.» «Ci è stato ordinato di tornare circa tre giorni fa.» Feran sogghignò. «Ci hanno detto che alcuni predoni avevano attaccato Emal.» Così dicendo, si lanciò uno sguardo tutt'intorno con fare teatrale. «Ma non vedo danni.» «Li abbiamo sorpresi mentre attraversavano il Vedra in prossimità del guado, prima dell'alba», disse blandamente Alucius. «Avevo immaginato che potessero provarci, perciò avevo piazzato delle sentinelle. C'erano due compagnie. Era buio, ma si distinguevano bene sullo sfondo del fiume. Abbiamo trovato novanta cadaveri e la gente del posto ne ha recuperati altri quindici più a valle. Per il momento.» «Non ti piace lasciare superstiti, vero?» chiese Feran. «Meno superstiti ci sono, meno ti devi preoccupare che ti attacchino di nuovo», fece notare Alucius. «Inoltre, avevano tuniche e fucili deforyani, ma erano dei mercenari. Tra di essi c'erano anche alcuni cecchini esperti.» «Tutti i pastori sono come te?» «Immagino di sì.» Alucius indugiò. «Hai in mente qualcosa, vero?»
«Avevo sempre immaginato i pastori come persone schive, occupate a sorvegliare il gregge e a intervenire per proteggerlo solo quando se ne presentava la necessità. Tu mi sembri più un montone guida. Sei sempre in testa al gruppo.» «Che altro potevo fare?» «È ciò che intendevo dire. I pastori non mettono a repentaglio la loro vita. Almeno, questa è la mia impressione.» «Dovevo escogitare qualcosa che impedisse loro di provarci di nuovo.» Alucius aspettò, prima di continuare: «Non possiamo affrontare troppe battaglie. La Ventunesima Compagnia è già a corto di munizioni». «Gli approvvigionamenti... questa faccenda del denaro del Consiglio mi preoccupa», disse piano Feran. «Hai avuto notizie?» Alucius scosse il capo. «Ho concluso un accordo con un fattore di Semai. Gli ho venduto tutti i fucili deforyani che avevamo recuperato. Non è la stessa cifra che ne avresti ricavato a Borlan o a Dekhron, ma ho avuto in cambio sessanta monete d'oro, più altre quindici per i cavalli. Con le monete di rame e d'argento che abbiamo raccolto sul campo di battaglia dovremmo essere in grado di pagare gli stipendi ai soldati e gli approvvigionamenti per un altro mese.» «Tu...» disse Feran ridendo. «Un pastore e un mercante. Potresti essere pericoloso, Alucius.» «Il regolamento stabilisce che un ufficiale distaccato di un avamposto può disporre del bottino acquisito durante azioni di guerra, purché presenti regolare rendiconto delle entrate e delle uscite. Ma ho tenuto per noi, come scorta, i dieci cavalli migliori.» «Questo l'hai detto al comandante ad interim?» «Se ben ricordo...» disse adagio Alucius, con un certo luccichio negli occhi, «questo dovrebbe far parte del rapporto di fine anno». «E allora non avrà più importanza», osservò Feran. «Vorresti che io scrivessi un rapporto in un periodo non previsto dal regolamento della milizia?» Dopo un momento, Alucius chiese: «Hai sentito qualcosa riguardo al maggiore Weslyn o al comandante?». «No. Gli ordini ricevuti a Fiente erano firmati dal maggiore Weslyn, in qualità di comandante ad interim, e i soldati che ce li hanno consegnati sapevano solo che il colonnello Clyon è molto malato.» «In precedenza... era solo malato.» «Lo so. Le cose non promettono bene.»
I due si scambiarono uno sguardo d'intesa. 31 Borlan, Lanachrona Ebuin si raddrizzò la tunica ed entrò nella piccola stanza. Si chiuse la porta alle spalle e si fermò sull'attenti davanti alla scrivania scura, di fronte al capitano-colonnello delle Guardie del Sud, che rimase seduto al suo posto. Questi fece segno all'altro di accomodarsi: «Prego, maggiore». Ebuin si sedette sul bordo della sedia, evitando di incontrare lo sguardo del suo superiore. «Ebbene?» chiese il capitano-colonnello. «I mercenari hanno sferrato l'attacco due clessidre prima dell'alba lo scorso duadi. Prima di attraversare il guado, non avevano riferito di aver notato segni della presenza della Ventunesima Compagnia. Il piano prevedeva che risalissero la strada del fiume dirigendosi a ovest fino a raggiungere il perimetro del centro abitato, che piazzassero dei cecchini ed eliminassero il capitano non appena la Ventunesima Compagnia avesse fatto la sua comparsa, e che poi si ritirassero, a meno di non essere assaliti a loro volta.» «Presumo che il piano non abbia funzionato a dovere.» Il tono di voce del capitano-colonnello lasciava trasparire una punta di divertimento. «No, signore. Meno di un terzo dei mercenari è sopravvissuto», riferì Ebuin. «Meno di cinquanta su centonovanta? Ma come è potuta accadere una cosa del genere?» chiese il capitano-colonnello. «Vi sarei grato se mi spiegaste...» «In qualche modo lui sapeva. Aveva fatto appostare la sua compagnia per sorprenderli. Era ancora buio, nessuna delle due lune era in cielo. Il momento era perfetto. Avevano in qualche modo bagnato la riva, visto che i primi cavalieri sono stati rallentati dal fango e la maggior parte di quelli che seguivano è stata abbattuta mentre era ancora in acqua. Solo le ultime squadre sono riuscite a fuggire.» «Nel fiume e al buio, e ciò nonostante ne hanno ammazzati così tanti?» «Sì, signore.» «Avevate mercenari sufficienti per due compagnie... Due.» Il capitanocolonnello si protese in avanti. «Quante perdite ha subito la Ventunesima
Compagnia?» «Meno di una decina. Due cecchini sostengono che il capitano sia stato colpito in pieno petto due volte e che non ne abbia risentito minimamente.» «È un pastore. Sicuramente sotto l'uniforme indossava indumenti di seta nerina.» «La seta nerina può fermare una pallottola, signore, ma non protegge dall'impatto. Il colpo deve avergli fratturato l'osso, come se fosse stato colpito da una delle antiche lance.» «Non mi dispiacerebbe avere un capitano di quel genere.» Il capitanocolonnello sorrise mesto. «Ce ne sono così pochi.» «Cos'altro...?» cominciò a dire Ebuin. «Bene o male, quest'impresa è conclusa. La vulnerabilità dei confini meridionali delle Valli del Ferro è stata dimostrata.» «Signore?» «Questo è un ordine del Signore-Protettore, maggiore. La vostra missione non ha riscosso un completo successo, non il successo che entrambi avremmo desiderato, ma è servita a provare ciò che il Signore-Protettore voleva, ed egli non ne è scontento.» «Sì, signore.» Ebuin non riuscì quasi a nascondere il sollievo nella propria voce. «Non contento come avrebbe dovuto essere, ma neppure scontento. Mi capite?» «Sì, signore.» «Neppure io sono del tutto soddisfatto, maggiore, ma credo che siamo stati entrambi molto fortunati e che dovremmo considerarci assolti da ogni biasimo. A volte, è meglio lasciar governare la regina delle arianti.» «Sì, signore.» Entrambi gli ufficiali annuirono, seppure per ragioni diverse. 32 Alucius e Feran avevano appena terminato la loro cena consistente in un piatto di mediocre montone stracotto, quando il soldato di guardia bussò alla porta. «Capitani, dei messaggeri chiedono di voi.» Dopo un momento, aggiunse: «Pare che ci siano brutte notizie, signori». Dopodiché se ne andò. Feran guardò Alucius, il quale si strinse nelle spalle. Entrambi uscirono
nel cortile, dove il sole del tardo pomeriggio proiettava lunghe ombre. Due soldati erano appena smontati da cavallo. Indossavano le fasce verdi dei messaggeri, che però erano state grossolanamente profilate di nero. Alucius non ebbe dubbi circa il contenuto del loro messaggio. Il soldato più basso si fece avanti. «Ci sono due messaggi per ciascuno di voi, signori.» Tese le missive, prima a Feran, e poi ad Alucius. «Dal quartier generale della milizia.» Una di esse era listata a lutto e sigillata all'esterno con ceralacca dello stesso colore. Alucius la aprì, consapevole di essere osservato da tutti i soldati del cortile, così come lo era Feran. Il testo del messaggio scritto con molta accuratezza era breve. È con enorme tristezza che la milizia annuncia la morte, dopo lunga malattia, del comandante, colonnello Clyon. Il colonnello aveva dedicato tutta la sua vita alla Milizia delle Valli del Ferro, ai suoi successi nel salvaguardare l'incolumità delle persone sotto la sua giurisdizione e al suo impegno nell'assicurare un libero flusso di scambi commerciali da e per le Valli del Ferro. In onore di questo straordinario ufficiale, viene indetto un mese di lutto in tutti gli avamposti della milizia. Tutti gli ufficiali porteranno una fascia nera sull'uniforme. La firma era, naturalmente, quella del maggiore Weslyn, in qualità di comandante ad interim. Alucius alzò gli occhi dal messaggio. «Grazie, soldati. Il colonnello ci mancherà.» Fece un cenno a Longyl che, nel frattempo, si era avvicinato al gruppetto. «Occupati dei messaggeri, Longyl. Hanno percorso molta strada per portarci queste cattive notizie.» «Sì, signore.» Né Feran né Alucius fecero commenti, finché non si ritrovarono di nuovo soli nella piccola mensa. «Sapevamo che sarebbe successo», disse Feran. «Ma questo non rende le cose più facili.» Poi guardò la seconda busta, ancora chiusa. «Tremo al solo pensiero di doverla aprire.» Anche Alucius era del suo parere, ma entrambi abbassarono lo sguardo e si accinsero ad aprire i messaggi. Alucius lesse lentamente e con attenzione.
Questi ultimi anni sono stati difficili e logoranti per la Milizia delle Valli del Ferro. Sono stati compiuti enormi sforzi per assicurare denaro, viveri, munizioni e ogni altro approvvigionamento necessario al mantenimento della milizia, e si può dichiarare senza alcuna esagerazione che il colonnello Clyon era riuscito a realizzare parecchio, nonostante alcuni insormontabili impedimenti. Questa lotta è costata molto, sia al colonnello sia ai soldati della milizia e agli abitanti delle Valli del Ferro. Gli ufficiali e i soldati continuano ad affrontare le difficoltà con onore e con l'abilità per cui la milizia è giustamente conosciuta in tutta Corus. Di recente, una compagnia, benché numericamente inferiore a un folto gruppo di assalitori bene armati, ha respinto un attacco riportando minime perdite. Questo attacco è stato sferrato a distanza di soli due mesi da un altro di analoga intensità. Tali incursioni ci fanno capire che stiamo vivendo un periodo turbolento e, proprio a questo proposito, in qualità di nuovo comandante della milizia, mi appello a voi e ai vostri soldati affinché vengano mantenuti gli alti livelli di preparazione e la continua vigilanza che contraddistinguono le nostre forze da innumerevoli generazioni a questa parte. Mi auguro di poter collaborare con voi, onde continuare tale onorata tradizione. Il messaggio di Alucius portava il nome di Weslyn, seguito dal titolo di colonnello e comandante. In calce al sigillo e alla firma, con la stessa calligrafia che aveva firmato il messaggio, probabilmente quella di Weslyn, figurava una breve nota: I miei complimenti per il vostro eccellente operato! Per ben due volte! Il giovane capitano trattenne un grugnito di disappunto. Almeno Weslyn sapeva che Alucius aveva fatto qualcosa. Poi attese che Feran finisse di leggere il proprio messaggio, prima di chiedere: «Anche nel tuo messaggio c'è la parte che riguarda "la tradizione e l'onore"?». «Oh, quella era chiara a sufficienza. La parte che mi preoccupa invece è quella del "costo pagato" per lottare.» Alucius annuì. «Credi che si tratti di un'allusione?» «È ben più di un'allusione.» Feran scosse il capo. «E non c'è nulla che io possa fare, perlomeno, non quando mi mancano ancora cinque anni prima di poter riscuotere la benché minima pensione. Tu potrai andartene tra meno di un anno.»
«Se mi lasceranno andare», ribatté Alucius. «Ti lasceranno. Non intendono pagare nessuno più a lungo di quanto non debbano.» Feran scoppiò in una risata. Alucius lo imitò, ma mantenne le proprie riserve. Tuttavia, c'era ben poco che potesse o dovesse dire in eventuali messaggi diretti a Dekhron. Aveva già pronta una lettera da spedire a Wendra, ma decise di non mandargliela. Prima della partenza dei messaggeri, la mattina successiva, avrebbe invece preparato una nota molto più breve, nella quale le avrebbe inviato semplicemente i suoi saluti affettuosi, comunicandole anche la notizia della morte del colonnello Clyon. Non aveva idea di chi avrebbe potuto leggere i suoi messaggi nei giorni e nelle settimane che sarebbero seguiti. 33 A ovest del Passo Meridionale, Illegea Le Legioni pretoriane stavano avanzando a cavallo verso ovest lungo la strada principale, attraverso il varco che la perizia ormai da tempo dimenticata del Duarcato aveva permesso di scavare nelle rocce rosse molto prima del Cataclisma e che delimitava l'estremità a ovest del Passo Meridionale. Il ricognitore che portava il grado di maggiore proseguì lungo il fianco della strada in direzione del Pretore, facendo rallentare il cavallo, mentre si avvicinava e annunciava: «I nomadi sono schierati sulle colline settentrionali, oltre quattro vingti a ovest di qui, Pretore, e noi abbiamo piazzato dei ricognitori sull'altura di fronte. Non si sono mossi». «Il punto in cui le legioni si schiereranno si trova a meno di due vingti dalla loro postazione, giusto?» Il Pretore diresse lo sguardo a occidente, scrutando il limpido cielo grigio-argento, e la distesa ondulata che si allargava a perdita d'occhio verso ovest, divisa dalla linea scura della strada principale, quella chiamata Antica Strada Maestra, per motivi morti e sepolti con le passate generazioni. «Sì, signore.» «E la loro postazione si trova a portata di tiro dei vostri congegni, non è vero, ingegnere?» domandò il Pretore rivolgendosi a Vestor, che cavalcava dietro al carro adibito al trasporto del primo terzo delle sue apparecchiature. «Proprio così», replicò Vestor. «Dovrete tenervi pronto a montarli subito tutti e dieci, non appena arriveremo sul posto.»
Vestor guardò il Pretore. «Ci sono solo treppiedi per sei armi, Pretore.» «Farò mandare avanti gli altri carri, insieme agli arcieri che avete addestrato, così che possiate allestire le prime sei, e tenere pronte le altre in sostituzione di quelle già usate. Una volta che le avranno sperimentate in battaglia, i nomadi non ci daranno certo il tempo di sostituirle.» Il Pretore si accigliò. «Quando si combatte bisogna avere tutto a portata di mano. Può darsi che non si presenti una seconda occasione.» «Contro dei nomadi delle praterie?» esclamò sarcastico Vestor. «Un tempo eravamo tutti nomadi delle praterie, o qualcosa del genere», replicò secco il Pretore, girando il cavallo per poter impartire gli ordini ai suoi uomini: «Conducete avanti tutti i carri dell'ingegnere!». Vestor si sollevò sulle staffe, giusto per stirare un po' le gambe, dondolandosi da una parte all'altra, prima di lasciarsi ricadere sulla sella di cuoio che gli sembrava più dura del ferro. Poi si accinse ad avanzare, in silenzio. In meno di una clessidra, poco dopo mezzogiorno, le legioni erano tutte schierate sull'altura, in attesa. Al centro delle forze pretoriane, appena a est della cima più alta della dorsale sulla quale sventolava lo stendardo del Pretore, Vestor finì di montare il sesto treppiede fissandolo ben saldo a terra. Quindi cominciò a posizionare le armi di cristallo sui singoli supporti. «Pretore!» Nell'udire il tono urgente del grido, l'ingegnere alzò gli occhi dal secondo treppiede, che un arciere stava tenendo fermo per consentirgli di assicurare l'apparecchio ai morsetti. Vestor rivolse lo sguardo a nord. Si aspettava di veder avanzare i nomadi, ma le loro schiere continuavano a restare immobili. Tutto ciò che poté scorgere fu uno stormo di grossi uccelli, forse falchi, alzarsi in volo oltre le spalle dei nomadi. «Pretore!» Al secondo richiamo Vestor si concentrò sullo stormo, poiché nient'altro si muoveva. Poi inghiottì a vuoto nel vedere con i propri occhi quelle creature librarsi in aria con le lunghe ali azzurre, portando in groppa degli uomini, così piccoli al confronto delle loro cavalcature da sembrare pupazzi. Vestor immaginò che quegli esseri volanti dovessero essere pteridon, anche se non ne aveva mai visti, se non raffigurati negli antichi disegni o nelle pedine usate per giocare a leschec. «Pteridon...» mormorò. «Pteridon...» Un luccichio di metallo azzurro attirò la sua attenzione: metallo azzurro nelle mani dei cavalieri. Bruscamente, Vestor si mise a correre verso i carri. «Presto! Dobbiamo preparare le armi! Dovete puntarle sugli pteridon!»
«Pteridon?» chiese uno degli arcieri. «Ma non ci sono...» «Adesso ci sono!» ribatté secco l'ingegnere. «Cos'altro credete che siano quelle creature lassù?» Con tutta la rapidità di cui fu capace, Vestor posizionò il resto degli apparecchi sui treppiedi e li fissò. Quindi puntò lo sguardo di nuovo a nord, nel cielo verde-argento, in direzione degli pteridon che stavano avanzando veloci incontro alle forze pretoriane. «Non appena si troveranno al centro della valle dinanzi a noi, fate fuoco!» Lo stesso Vestor si piazzò dietro al treppiede in fondo alla fila, a est. Alzò l'apparecchio regolando il tiro verso i mostruosi ammali e i loro cavalieri. Poi azionò la leva di accensione. Il congegno cominciò a ronzare proiettando nel cielo un fascio di luce rossa, che però mancò lo pteridon in testa allo stormo. Vestor fece di nuovo fuoco, e questa volta recise di netto l'ala di uno di quelli che stavano sul fianco della formazione. Per un attimo, rimase a osservarlo ruotare vorticosamente nel vuoto, sbalzando di sella il suo cavaliere, un nomade dalla divisa azzurra, che volteggiò nel cielo come una bambola, prima di piombare a terra. Quindi si costrinse a puntare l'arma contro un secondo bersaglio. Di nuovo, per un paio di volte lo mancò. Gli pteridon erano ormai quasi sopra le loro teste e stavano scendendo in picchiata proprio nella sua direzione. Un grido spaventoso si alzò a ovest. Con la coda dell'occhio, Vestor credette di scorgere un lampo di luce azzurrognola attraversare il cielo. Una saetta cerulea sfrecciò sopra di lui, emanando un calore simile a quello di una fornace. Ma passò rapida, seguita subito da un'altra alla sua sinistra. Si udì un gemito stridulo, in crescendo. Vestor si buttò a terra, imitato dall'arciere che aveva di fianco. Prima ancora che i due arrivassero a toccare l'erba del prato, frammenti di metallo esplosero tutt'intorno. L'ingegnere si guardò il braccio sinistro ed estrasse una piccola scheggia che vi si era conficcata bucando la manica della tunica, senza però produrre nient'altro che una scalfittura. Un altro lampo sfiorò velocissimo il fianco della collina, e ancora una volta grida di agonia fecero tremare l'aria, accompagnate da una nuova ondata di calore e dal puzzo nauseante di carne bruciata. Vestor si rimise in piedi barcollando e lanciò un'occhiata ai treppiedi. In corrispondenza del punto in cui erano stati posizionati gli ultimi due, a ovest, si vedevano fiamme azzurrine in procinto di spegnersi. Le loro incastellature - piegate a metà - erano bastoni carbonizzati. Il terzo treppiede era sparito, così come l'arciere. I due successivi - insieme agli arcieri - era-
no invece intatti. Vestor alzò lo sguardo. Gli pteridon li avevano oltrepassati e stavano tornando per un altro attacco. «Mirate davanti a loro! Appena un poco!» Vestor si apprestò a fare lo stesso... ma mancò il bersaglio. Riaggiustò il tiro... e vide precipitare un altro pteridon, poi un altro ancora, con le ali tranciate da uno degli arcieri. La creatura in testa allo stormo e il suo cavaliere si trovavano a meno di un centinaio di iarde, quando Vestor riuscì a proiettare il fascio di luce sul lungo collo dello pteridon alla sinistra del capo-stormo. Per qualche strano motivo, non riusciva a centrare quest'ultimo. A quel punto, un altro lampo azzurrino si abbatté sulla sommità della collina, e Vestor si buttò a terra per proteggersi dal soffio incandescente che stava per investirlo. Quando si rialzò, con le gambe tremanti, scoprì che lui e il suo treppiede erano gli unici scampati al massacro. Guardò verso est, ma in corrispondenza del punto in cui si trovava il Pretore con il suo stendardo si levava una vampata azzurrognola frammista a fumo di un colore bianco-grigio oleoso. L'arma sul treppiede stava cominciando a gemere, perciò Vestor chiuse di scatto le aperture e la liberò dai morsetti, precipitandosi verso il carro per prenderne un' altra prima che tornassero gli pteridon. Sollevò lo sguardo e ne scorse un gruppo che giungeva da nordovest, e vide lingue di fuoco attraversare l'intera cresta. Mentre queste, insieme ai fasci di luce azzurrina che le alimentavano, avanzavano crepitando nella sua direzione, l'ingegnere si tuffò rotolando giù per il versante opposto della collina. Una miscela di cristalli, sottoposti a eccessivo sforzo, e di fiamme generate dalle lance cosmiche scoppiò, scaraventandolo un centinaio di iarde più in basso. Per un po' giacque disteso sull'erba umida. «Ingegnere! Siete voi?» Vestor si mise a sedere a fatica, poi scorse un ufficiale, il ricognitoremaggiore, che cavalcava verso di lui portando con sé un cavallo privo di cavaliere. «Se desiderate rivedere Alustre, montate in groppa. Il Pretore è morto, e quelle cose...» «Gli pteridon», precisò Vestor quasi involontariamente. «Sono pteridon.»
«Qualunque cosa siano, stanno riducendo tutto in cenere. Però non credo che riescano a inseguirci attraverso il passo. Il corridoio nella roccia è troppo stretto. Il maresciallo ha ordinato a tutti di ritirarsi da quella parte.» Vestor si issò in sella a fatica, aiutandosi con una sola mano, poiché soltanto allora si rese conto che non poteva muovere né la mano né il braccio sinistro. Dopodiché si apprestò a seguire il maggiore, senza voltarsi indietro. 34 L'ultimo quinti prima dell'inizio dell'estate, in una mattina secca e polverosa, sotto un cielo grigio-argento abbagliante, Alucius stava avanzando a cavallo alla testa della seconda squadra, verso est, lungo la strada del fiume. Due ricognitori lo precedevano, mezzo vingt più avanti, e Anslym gli cavalcava accanto a sinistra. Sebbene fosse appena metà mattina, Alucius dovette tamponarsi la fronte con la manica della tunica per togliere la polvere e il sudore, e scolarsi una buona mezza bottiglia d'acqua, tanto era assetato. «È da quasi un mese che non si vedono predoni, signore», disse Anslym. «Credete che presto ne arriveranno altri?» «Non credo», replicò Alucius, «ma il buonsenso mi dice che le due bande che abbiamo sgominato non avrebbero nemmeno dovuto trovarsi qui». Scosse il capo. «Spero di non vederne altre. Abbiamo munizioni sufficienti solo per i giri di pattuglia, e non per una battaglia in piena regola.» «Il colonnello Weslyn ha per caso mandato una comunicazione riguardo le munizioni e i viveri?» «Niente di nuovo, tranne un messaggio nel quale raccomanda di usare entrambi con parsimonia... e una comunicazione in cui dice che ci sono problemi negli approvvigionamenti di polvere da sparo e zolfo.» «Lo zolfo viene da Lanachrona, vero?» «Già», disse Alucius, lanciando un'occhiata dinanzi a sé, verso una nuvola di polvere sulla strada, e tornando poi a guardare Anslym, dopo aver appurato che la polvere veniva sollevata da un carro di contadini trainato da buoi che avanzava verso di loro, probabilmente diretto al mercato di Emal. «Ci sono sempre stati problemi. Speravo che la nuova reggente dei matriti potesse incoraggiare gli scambi commerciali di materiali come lo zolfo con le Valli del Ferro, ma non è successo.» «I matriti non amano commerciare con altri Paesi, vero?»
«Non ne hanno bisogno come noi. Possiedono i prodotti più svariati. A loro non servono quelli delle altre terre di Corus.» La sua constatazione peccava di generosità. Da quel che aveva potuto vedere, Alucius dubitava che alle donne di Madrien potesse importare granché delle altre popolazioni di Corus. Nel tentativo di scacciare quel pensiero, portò lo sguardo sul fiume Vedra, osservando i vortici creati dalle sue acque scure. Vortici? Si girò ed esaminò il fiume con maggiore attenzione, soffermandosi non solo sui mulinelli che si formavano vicino a riva, ma anche sulle due iarde all'incirca di fango secco della sponda, appena al di sotto del groviglio di erba e di basse sterpaglie che segnava la linea costiera, la quale, dopo la piena primaverile, raramente variava. Non ricordava di avere mai visto un livello dell'acqua così basso, soprattutto in quel periodo dell'anno. Il che voleva dire che sull'altopiano non c'erano state le solite nevicate abbondanti. Data la mancanza di neve o pioggia degli ultimi due mesi e la probabile assenza di precipitazioni a breve scadenza, e data anche la scarsità di acqua nel fiume, non c'erano buone prospettive per il raccolto, per non parlare del resto. «Signore?» «Stavo pensando alla pioggia», confessò Alucius. «Se non piove, i contadini non avranno un buon raccolto. Entro l'inverno prossimo, i prezzi degli alimenti aumenteranno e le entrate del fisco saranno ancora più inconsistenti, poiché la gente spenderà di meno.» Anslym si accigliò. «Imposte più basse vogliono dire meno soldi per la milizia, e noi siamo già a corto di tutto.» «La maggior parte degli uomini...» «Dovrebbe essere congedata a fine anno. Ma, probabilmente, a chi se ne andrà non verrà riconosciuta un'indennità di congedo pari a quella che avrebbe potuto ricevere in passato. Qualcuno potrebbe anche andarsene con un mese di anticipo, rinunciando alla paga per quell'ultimo mese, e tornare così alla sua famiglia, alla fattoria o alla bottega, che avranno problemi a sfamare tutti.» Alucius aggiunse: «Questo potrebbe succedere, se non piove. Ma mancano ancora parecchi mesi a fine anno e la situazione potrebbe cambiare». Considerando il modo in cui stavano andando le cose, Alucius non era comunque pronto a scommettere che le Valli del Ferro avrebbero beneficiato di altra pioggia. O che il Signore-Protettore non avrebbe trovato la maniera di sfruttare la siccità a proprio vantaggio.
35 Tempre, Lanachrona Il giovane dalla tunica azzurro-violetta sollevò gli occhi dalla Tavola degli Archivisti. Un'espressione di fastidio gli increspò le labbra strette prima che parlasse. «Potete evocare nuovamente la scena, Archivista?» «Come desiderate, Signore-Protettore. Ho pensato che doveste vederla.» «Non sono riuscito a capire quello che ho visto», borbottò l'uomo più giovane. La foschia purpurea turbinò e mostrò una veduta dall'alto. Due eserciti, ciascuno su un'altura, si fronteggiavano. A sud dello schieramento più meridionale si scorgeva un'ampia strada che correva da est a ovest, per poi svanire a est nella Dorsale di Corus e a ovest in mezzo alle colline. Il Signore-Protettore studiò con attenzione la scena sulla Tavola degli Archivisti, poiché ciò che aveva visto la prima volta gli era parso incredibile. Di nuovo osservò i due eserciti. Come in precedenza, una fiammata dalle sfumature argentee apparve accanto allo stendardo di quello posizionato più a sud, un esercito dalla divisa nera e argento o, in alcuni punti, grigia e argento. Poi apparve una seconda lingua di fuoco. Di lì a poco, l'intera sommità della collina venne invasa dalle fiamme che sbaragliarono i soldati, i quali si ritirarono in tutta fretta lungo la grande strada, mettendosi al riparo delle rosse alture rocciose. Il Signore-Protettore guardò l'Archivista degli Atti. «Ho visto fiamme scaturire dal nulla, fiamme azzurre che hanno distrutto un enorme esercito. L'altro esercito non si è mosso per niente. Alcune fiamme avevano una sfumatura argentea, e questo significa che erano create dal Talento.» Poi indugiò. «Ma... come è possibile che qualcuno evochi una fiamma di tale intensità? E dove si trovava chi l'aveva provocata?» «Voi non avete visto tutto quello che è successo», spiegò l'Archivista dai capelli grigi. «L'azzurro è sempre stato il colore dei Mirmidoni del Duarcato, sono le loro lance cosmiche a produrre le fiamme azzurrognole. Questo è ciò che affermano gli atti.» «Non ho visto né pteridon né lance cosmiche. Il solo azzurro che ho individuato era quello delle uniformi dell'esercito più a nord... e fiamme che scaturivano dal nulla», osservò il Signore-Protettore. «No... questo è ciò che la Tavola vi ha mostrato. Non può mostrare creature talentose, né detentori di Talento.»
Il Signore-Protettore si strofinò la fronte. «Volete spiegarvi più chiaramente? Non ho molto tempo per i giochi e gli indovinelli.» «Credo che Aellyan Edyss abbia trovato - non so come - degli pteridon nella Volta del Consiglio, conservati là per essere protetti dallo scorrere del tempo. O che abbia scoperto il segreto per generarli. Sono creature talentose, così come le lance cosmiche sono armi interamente prodotte dal Talento. Non vi è stato possibile vedere né pteridon né lance cosmiche perché la Tavola non li può mostrare. Potete invece vedere le conseguenze, le fiamme incontrollabili e la disfatta delle Legioni pretoriane.» «Ne siete certo?» «Sono certo che possiede esseri e armi in cui il Talento è implicato. E che, qualunque cosa siano, hanno provocato ciò che avete visto.» «Quindi... ho questa... reggente della Matride a ovest, con il suo lanciaproiettili di cristallo. A nord ho un ufficiale della Milizia delle Valli del Ferro, che la vostra Tavola indica come potenzialmente pericoloso nei miei confronti, sebbene non ne spieghi il motivo, e adesso ho Aellyan Edyss a est, in combutta con creature dotate di un Talento tale da sconfiggere un esercito ben più grande di quello che potrei mettere insieme io dopo aver sguarnito tutti gli avamposti di Lanachrona.» «La Tavola mostra ciò che è, Signore-Protettore.» «La questione con il Consiglio delle Valli del Ferro non è risolta, e, tuttavia, occorreranno settimane o mesi prima che i suoi membri arrivino a capire di non avere davvero alcuna scelta.» Il Signore-Protettore si massaggiò la fronte con la mano destra. «Adesso, dopo quello che è accaduto, non posso affrontare un combattimento al nord, indipendentemente da quanto lunga sia l'attesa.» «Forse la minaccia della forza, e l'offerta di vantaggi...» «Vantaggi?» «Tuttavia, può darsi che ci sia qualcos'altro in grado di aiutarvi a convincere il Consiglio, accrescendo al tempo stesso il vostro potere.» L'Archivista indugiò, poi chiese: «Non avete detto che la Milizia delle Valli del Ferro è costituita da molte compagnie che eguagliano in valore e abilità quelle delle Guardie del Sud?». «Sì. Non lo dichiarerei in modo troppo esplicito, ma per quanto ne sappia, è proprio così. Specialmente la compagnia comandata dal capitano pastore.» «Forse dovreste trasformare queste compagnie - e il capitano - in vostri alleati. Non è forse vero che un alleato è meglio di un nemico? Le Valli del
Ferro hanno una milizia che non sono in grado di mantenere e di pagare per assicurarsi una difesa di cui non avrebbero bisogno, se voi garantiste loro la libertà e la possibilità di effettuare scambi commerciali senza alcuna limitazione.» Il Signore-Protettore sollevò di scatto la testa. «Non sarebbe una cattiva idea, ma come...?» «Questo, Signore-Protettore», replicò l'Archivista degli Atti, «non ve lo so dire. Posso suggerirvi il modo in cui incastrare insieme i vari pezzi, ma siete voi il capo, e sta a voi scoprire come incoraggiare chi di dovere a vedere le cose secondo la vostra ottica». «O secondo la sua», rifletté l'uomo più giovane. Dopo un momento, le labbra gli si incresparono in un lento sorriso. Si alzò adagio, salutando con un cenno del capo l'Archivista, mentre usciva dalla piccola stanza dalle pareti ricoperte di marmo. 36 Nel pomeriggio inoltrato del primo quattri d'estate, un unico carro, carico a metà, era giunto dal quartier generale della milizia, trasportando gli approvvigionamenti per la stagione successiva. Insieme al carro era arrivata una breve missiva del colonnello Weslyn nella quale egli spiegava il problema e si scusava per la scarsità di provviste, adducendo come scusa l'incapacità del Consiglio di raccogliere una quantità sufficiente di denaro attraverso le tasse. Mezzo carro, rifletté Alucius, per due mesi. Più di metà viveri era costituita da farina e da carne essiccata. C'erano quattro casse di cartucce - due per ogni compagnia di cavalleggeri, e nessuna per le due squadre di fanteria - e la Ventunesima Compagnia da sola aveva consumato quasi quattro casse di munizioni durante lo scontro con i predoni. L'unico aspetto gradevole di quella consegna era rappresentato dalla lettera di Wendra, che Alucius si era fatto scivolare nella tunica per poterla leggere in un momento di calma. Quel momento si era finalmente presentato dopo cena, quando, nella luce del crepuscolo, si era seduto sulla vecchia sedia della sua minuscola camera e aveva spezzato il sigillo che chiudeva la busta. Mio caro Alucius, ti scrivo questo messaggio in fretta perché nonno Kustyl è in procinto di recarsi a Dekhron per incontrare alcuni mercanti, e mi ha
detto che potrebbe consegnarlo al quartier generale della milizia, assicurandosi che ti venga recapitato. Abbiamo appena ricevuto la tua ultima lettera, quella in cui ci informi della morte del colonnello Clyon e della tua battaglia contro i predoni. Tuo nonno era già al corrente di quanto è accaduto al colonnello. È profondamente rattristato, e mi ha pregato di dirtelo. Mi ha anche detto che non era sorpreso riguardo alle incursioni. Spera che per un po' non si verifichino più, visto tutto quello che è successo. Alucius annuì. Wendra e il nonno la pensavano come lui. Siamo stati contenti di sapere che non sei stato ferito gravemente in battaglia e che adesso ti senti meglio... Alucius si fece pensieroso. Non aveva accennato alle ferite. Poi abbassò lo sguardo sul para-polso da pastore di cristallo nero. Certo, Wendra doveva aver saputo che non era stato colpito in modo grave. I germogli primaverili di quarasote sono più piccoli del solito. Questo non ha influito sulla qualità della lana nerina che abbiamo appena ottenuto dall'ultima tosatura. A meno che non piova più tardi durante l'estate, la lana delle pecore non sarà così resistente l'anno prossimo... Adesso tuo nonno lascia che io conduca da sola il gregge nei pascoli a sud della fattoria, anche se solo per una parte del giorno. A volte ci avvicendiamo. Questo gli permette di dedicarsi alla manutenzione delle macchine la mattina, mentre io aiuto tua madre nella cardatura e nel lavoro alle filiere nel pomeriggio... Due settimane fa, un sabbioso ha ucciso una delle pecore, che ha lasciato un piccolo. Mi è venuta in mente la storia di Agnellino e ho deciso che, se tu sei stato capace di nutrirlo e di curarlo quando avevi solo cinque anni, ci sarei riuscita anch'io. Le prime notti sono state dure, ma adesso il piccolo ha imparato a nutrirsi dalla bottiglia e sta crescendo bello robusto. Alucius sorrise tra sé. L'aveva detto che sarebbe diventata un pastore, e c'era riuscita. Avrebbe solo voluto essere là, con lei, a condividere la sua gioia. Ma se lui fosse stato presente, si chiese, lei sarebbe riuscita a scopri-
re ciò che era davvero? Devo concludere per consentire al nonno di prendere la lettera. Spero di vederti appena le circostanze lo permetteranno. Ti mando tutto il mio amore... Alucius rimase assorto a lungo, a leggere e a rileggere le parole della lettera, soprattutto le ultime righe. 37 Nella tarda mattinata di septi, due settimane dopo l'arrivo del carro delle provviste, Alucius stava conducendo, con la seconda squadra, esercitazioni di combattimento a cavallo: corpo a corpo con la sciabola. Longyl, invece, era fuori con la prima squadra in una radura a est per effettuare delle manovre. Il sole picchiava impietoso sull'avamposto di Emal attraverso il cielo verde-argento di un'altra giornata senza nuvole, quando un soldato della milizia con indosso la fascia di messaggero varcò i cancelli. Sebbene il selciato della strada fosse stato spazzato, il cavallo del messaggero sollevava polvere al suo passaggio. «Riposo!» ordinò Alucius, e diresse Selvaggio verso il soldato impolverato, che si era fermato accanto al piccolo fabbricato del quartier generale. «Capitano Alucius?» Questi annuì. «Ho dispacci per voi e per il capitano Feran. Devo consegnarli personalmente a ognuno di voi.» Alucius non ebbe bisogno di mandare a chiamare il capitano più anziano, poiché questi era già uscito dal quartier generale e si stava dirigendo verso di loro. «Capitano Feran?» «In persona», rispose Feran. Il messaggero si protese sulla sella e gli tese una busta, poi avvicinò il cavallo ad Alucius, dando quasi l'impressione di non volersi avvicinare troppo al più giovane dei due ufficiali, e gli tese l'altra missiva. «Mi è stato ordinato di aspettare le risposte.» Alucius si voltò e fece un cenno ad Anslym, poi attese che il comandante di squadra attraversasse il cortile.
«Anslym... occupati del messaggero. Si fermerà questa notte e ripartirà domani mattina.» «Sì, signore.» Anslym si rivolse all'altro. «Seguitemi.» Il soldato dall'esile corporatura gettò un'occhiata ai due ufficiali. «Avrai una risposta per l'adunata di domani mattina», promise Alucius. «Sì, signore.» Feran e Alucius rimasero a guardare, mentre il messaggero seguiva Anslym verso le scuderie. «Sembra che non gli vada di fermarsi da queste parti», osservò Feran. «La cosa non mi piace.» «Non credo che vorrei essere un messaggero della milizia di questi tempi», aggiunse Alucius. «Non ci sono molte buone notizie da comunicare.» «Non credi che qui ci sia una buona notizia?» ridacchiò Feran alzando lo sguardo su Alucius. «Che ne dici?» Alucius indugiò, poi spezzò il sigillo e aprì il dispaccio. «Tanto vale che leggiamo subito cos'altro è andato storto.» «Ma che bell'ottimista sei», disse Feran, tenendo ancora in mano la busta chiusa. «In confronto a te... direi proprio che lo sono.» Alucius diede una scorsa ai saluti di rito e si concentrò sul testo. Come molti di voi ben sanno, le Valli del Ferro hanno contratto pesanti debiti durante la Guerra Matrite. Il Consiglio non ha potuto aumentare le tasse abbastanza in fretta da coprire le spese per il mantenimento della milizia e per l'acquisto di munizioni e viveri, ed è stato costretto a chiedere in prestito ingenti somme di denaro ad altri Paesi. A causa delle avverse condizioni climatiche e degli sfavorevoli scambi commerciali nel corso di questi ultimi anni, il Consiglio non è stato neppure in grado di raccogliere i fondi necessari a ripagare gli interessi dei debiti, e nelle sue casse non è rimasto che il denaro sufficiente ad assicurare un mese di paga ai soldati e agli ufficiali. Purtroppo le incursioni dei predoni e di altre bande continuano, e tra poche settimane non sarà più possibile assicurare la protezione degli abitanti delle Valli del Ferro. Il Signore-Protettore di Lanachrona ha espresso la sua profonda preoccupazione circa il fatto che, in mancanza di un esercito operante, i confini settentrionali di Lanachrona saranno indifesi di fronte a razzie del tipo di quelle che si sono verificate nelle nostre terre all'inizio dell'anno, finché i briganti non sono
stati eliminati dai soldati della milizia. Ha fatto notare che, in tal modo, Lanachrona sarà costretta a dislocare un numero maggiore di compagnie di Guardie del Sud lungo il fiume Vedra e a inseguire dette bande di predoni all'interno delle Valli del Ferro, distruggendone gli eventuali rifugi. Tutto ciò non contribuisce a creare circostanze favorevoli né per le Valli del Ferro né per Lanachrona. A causa dell'attuale situazione, il Consiglio ha portato avanti una serie di negoziati con i rappresentanti del Signore-Protettore di Lanachrona... Alucius trasalì. Sebbene si fosse immaginato una cosa del genere, vederlo scritto nero su bianco gli provocava comunque un trauma. ...e ha elaborato un accordo di alleanza tra Lanachrona e le Valli del Ferro. Un riepilogo dei suoi punti principali è allegalo. La Milizia delle Valli del Ferro rimarrà un'unità separata, sotto la giurisdizione del Consiglio, ma cambierà il proprio nome in Guardie del Nord. Tutti i soldati e gli ufficiali rimarranno in servizio continuando a ricevere la loro paga e tutte le compagnie verranno regolarmente approvvigionate. Più avanti, nel corso dell'estate, dopo che i comandanti delle Guardie del Nord e del Sud si saranno incontrati, potranno intervenire ulteriori cambiamenti, ma qualunque impegno assunto nei confronti dei soldati e degli ufficiali della milizia verrà interamente onorato... Uno dei vostri compiti consisterà nello spiegare alla popolazione di Emal e a quelle dei territori limitrofi le variazioni intervenute, assicurando loro che nulla cambierà nei loro riguardi. Non ci saranno guarnigioni di Guardie del Sud nei vostri territori. Il Consiglio continuerà a promulgare le leggi per le Valli del Ferro. Le imposte per i contadini e per i piccoli artigiani non subiranno particolari modifiche. L'unico aumento sarà di una parte su venticinque, aumento che era già stato deciso dal Consiglio per ripagare il vecchio debito. Un notevole vantaggio sarà rappresentato dal fatto che non ci saranno più dazi sulle merci lanachroniane vendute all'interno delle Valli del Ferro, né su quelle delle Valli del Ferro vendute a Lanachrona. Siete pregato di rispondere per iscritto dichiarando la vostra fedeltà alla milizia e, di conseguenza, alle Guardie del Nord, per il momento presiedute dal Consiglio a nome del Signore-Protettore...
Alucius gettò un'occhiata al secondo foglio, ma i punti elencati corrispondevano a quelli riassunti nella lettera di accompagnamento. Guardò Feran, in attesa che l'ufficiale più anziano terminasse di leggere, poi chiese: «Che ne pensi?». «Siamo stati venduti, e non c'è un dannato accidente di niente che possiamo fare.» Feran emise un grugnito. «Sai che cosa mi toccherà fare?» «No.» «Mi toccherà togliere le guardie dal ponte e dal cancello. Chiunque potrà attraversare portando qualunque cosa.» «Immagino che non sia poi così male», dichiarò Alucius. «No, questo non è male. E per un po' non succederà niente di terribile. Non subito, almeno. Ma le imposte sugli artigiani e sui contadini tra qualche mese verranno aumentate, per poi diventare ancora più esose l'anno successivo. Poi forse cambieranno le nostre uniformi per renderle più simili a quelle delle Guardie del Sud, e in men che non si dica gli ufficiali anziani saranno tutti gente che viene da Borlan o da Tempre.» «E allora?» chiese Alucius. «Cambierebbe forse qualcosa riguardo alla situazione attuale? Il maggiore... il colonnello Weslyh non sembra già uno che viene da Borlan?» Feran rise, ma dalla sua voce traspariva una punta di acredine. «Forse... forse... dovremo stare a vedere che succede, giusto?» Alucius non ne sembrava particolarmente entusiasta, così come non lo era riguardo al fatto di informare i suoi soldati, anche se sapeva che erano fidati e che non l'avrebbero abbandonato. Sperava solo di poter continuare a fare del suo meglio nei loro confronti. 38 Alla fioca luce proiettata dalla lampada a olio della mensa, Alucius sedeva al tavolo, con un foglio bianco davanti, in procinto di scrivere un'altra lettera a Wendra, poiché aveva già spedito la precedente con il messaggero che aveva portato la notizia della forzata unione delle Valli del Ferro con Lanachrona. Poiché la serata era calda, si era tolto la tunica ed era rimasto solo con la camiciola. Le finestre erano spalancate e, di tanto in tanto, una mosca o una zanzara si dirigeva con un lieve ronzio verso Alucius. Ma nessuna gli si avvicinava troppo. Feran si schiarì la voce. Con indosso solo i calzoni e una camiciola sfi-
lacciata, se ne stava a piedi nudi sulla porta che dava sul corridoio in fondo, dal quale si accedeva alle loro due minuscole stanze e ad altre due riservate agli ufficiali in visita, per quanto, nel corso dell'ultimo anno, non ci fosse stato alcun ufficiale in visita. Alucius alzò lo sguardo. «Non riesco a capire come in faccia», disse Feran. «Fare cosa?» «Le zanzare. Se chiudo le finestre non riesco a dormire perché fa troppo caldo. Se le lascio spalancate per far entrare un po' d'aria, arrivano le zanzare e mi divorano. A te invece ronzano attorno, ma non si avvicinano.» Alucius scosse il capo. «Non amano i pastori. Abbiamo un cattivo sapore.» Questa era l'unica spiegazione che poteva fornire, dato che non voleva ammettere di usare un'infinitesima frazione di Talento per impedire agli insetti di pungerlo. «Immagino che vivere da quelle parti ti dia il diritto di avere almeno alcuni vantaggi.» Feran prese posto sulla sedia di fronte ad Alucius. «Sono terre troppo fredde e desolate per i miei gusti. Quando abbiamo dovuto combattere tutto l'inverno a Chiusa dell'Anima sono quasi morto. Pensavo che non sarei mai più riuscito a scaldarmi.» «Il freddo non mi dispiace», ammise Alucius, posando la penna, «e mi piacciono gli spazi aperti. Lo sai. È stata la cosa più dura da sopportare quando ero un soldato matrite: il dover sempre stare con gli altri, senza potermi allontanare un attimo». «Anche adesso ti piace cavalcare da solo.» Alucius annuì. «I soldati lo capiscono. Ridono del loro capitano pastore, quando credono che non li senta.» «Gli uomini l'hanno presa abbastanza bene», disse Feran. «Meglio di me, scommetto.» «Riceveranno il loro stipendio, mentre prima rischiavano di non venire pagati, e potranno restare, se lo vogliono, o andarsene una volta finita la ferma. E non dovranno combattere contro le Guardie del Sud. Avrebbe potuto essere peggio», disse Alucius. «Non abbiamo perso una guerra e nessuno pensa di invadere le Valli del Ferro.» Non ancora, pensò tra sé. «No, abbiamo solo perso la pace... e la possibilità di fare le cose a modo nostro», commentò secco Feran. «Cosa credi che succederà? Il SignoreProtettore non lascerà che ce ne stiamo qui seduti a prendere i nostri soldi. Non per molto, comunque.» «Probabilmente no. Che ne pensi?»
«Se potesse fare a modo suo, scioglierebbe la milizia. Ma questo non accadrà, almeno per un po'. Immagino che verremo dislocati qua e là e a qualcuno verrà offerto un incentivo per andarsene in anticipo.» Feran si appoggiò alla spalliera della sedia e cacciò una zanzara particolarmente insistente. «Se i lanachroniani stessero ancora combattendo i matriti, ci potremmo ritrovare a cavalcare di nuovo verso ovest, ma non credo che questo accada, non quest'anno, perlomeno.» «No. Il Signore-Protettore ha conquistato Porta del Sud e la strada principale che collega Tempre al porto di questa città. Alcune compagnie della milizia potrebbero essere inviate laggiù per pattugliare la zona. Visto che i soldati mattiti non sorvegliano più le strade principali, i lanachroniani dovranno assicurare una loro presenza per evitare le incursioni dei predoni della Costa Arida, o di qualche altra banda.» «Meglio che essere mandati a nord», disse Feran. «Il Signore-Protettore potrebbe fare una puntata a Klamat, per impadronirsi del commercio del legname, magari addirittura per conquistare Porto del Nord.» «Mi sa che questo non accadrà per qualche anno», ipotizzò Alucius. «Dovrebbe mandare le Guardie del Sud attraverso le Valli del Ferro, e ha promesso che non l'avrebbe fatto.» «Pensi davvero che manterrà la parola?» «Non all'infinito. Ma per un anno o due sì, forse anche più.» «Perché? In ogni caso non potremmo fare molto al riguardo.» «Hai ragione. Non potremmo. Ma ha promesso. E come la prenderebbero gli altri governanti se venisse meno a un accordo scritto? Il Landarco, la reggente della Matride, o gli stessi mercanti di Dramur? Non darebbero mai il loro consenso, a meno di non esservi costretti, e pretenderebbero più denaro o condizioni migliori. No... aspetterà finché non gli si presenterà una valida ragione, poi dirà che i tempi sono cambiati.» Alucius rise. «I tempi cambiano prima o poi. Tutto ciò che deve fare è aspettare.» «Sono comunque preoccupato...» confessò Feran alzandosi. «Anch'io», ammise Alucius. «Ma non so che fare.» «Fa più freddo. Credi che pioverà?» Feran si diresse verso la porta. «Spero, ma il cielo è sereno.» «Niente pioggia, allora. Ci vediamo domani mattina.» «Buonanotte.» Alucius si appoggiò alla spalliera della sedia. Nonostante la differenza di età, Feran era il solo amico che si fosse fatto da quand'era ragazzo e trascorreva clessidra dopo clessidra a chiacchierare con Vardial. Adesso Vardial era dislocato da qualche parte a sudovest, lungo il Vedra, e
Alucius non lo vedeva da anni. Ma d'altra parte, rifletté Alucius, l'esistenza condotta fino a quel momento non gli aveva permesso di farsi molti amici, e di certo non quando la fattoria più vicina si trovava quasi a dieci vingti di distanza. Avrebbe potuto avere amici quando era soldato semplice, non fosse stato per Dolesy e per il fatto che poi era diventato ricognitore. E l'essere diventato poi un prigioniero arruolato nell'esercito matrite e più tardi un comandante di squadra non aveva contribuito ad allargare il suo campo di amicizie. Sorrise. Chiacchierare con Feran gli piaceva. Era uno degli aspetti più gradevoli dell'essere di stanza a Emal. 39 Tempre, Lanachrona Il Signore-Protettore si avvicinò alla finestra del suo studio privato e guardò fuori, attraverso la pioggia brumosa, verso il fiume Vedra. «C'è qualcosa che ti preoccupa, non è vero, caro?» La donna che aveva parlato non si poteva definire bella, o graziosa, poiché i suoi occhi erano troppo grandi e il naso troppo affilato, sebbene la voce fosse ferma e al tempo stesso melodiosa. «Si tratta di questa unione forzata con le Valli del Ferro? Ancora?» «Che altro potevo fare? Avevi ragione, quest'unione forzata ci è costata molto meno cara di una guerra, per quanto sia stata raggiunta minacciando di farne una. Col tempo, se sentiranno le redini lente, se ne scorderanno, o perlomeno accetteranno. Ma persino così, con la campagna in corso a occidente, siamo arrivati al limite. Eppure, se non avessimo agito contro Madrien dopo la sparizione della Matride, non saremmo mai stati in grado di conquistare Porta del Sud. I nomadi si stanno agitando a oriente, e presto o tardi Deforya capitolerà, e allora perderemo l'altra strada principale verso est. Nelle Valli del Ferro, solo i pastori possiedono un qualche potere, ma, con il passare degli anni, sono sempre di meno. A causa dei mercanti di Dekhron che esercitano il controllo sul loro Consiglio, le Valli del Ferro saranno sempre deboli.» «Finché qualcun altro non le invaderà, come ha cercato di fare la Matride.» «Quest'unione si è rivelata la soluzione migliore, eppure sono preoccupato, mia cara», ammise il Signore-Protettore. «Ma non per questo, mio caro Talryn. Hai parlato dei matriti e delle Val-
li del Ferro e dei problemi che hanno creato in passato. Si tratta forse di quell'ufficiale pastore? Hai riflettuto troppo a lungo su di lui, nonostante tutte le altre difficoltà che ti trovi ad affrontare.» E, così dicendo, sollevò la testa dal tavolino sul quale stava scrivendo. «Lui è la chiave di qualcosa. Lo sento, eppure non posso dire di cosa, tranne che l'Archivista non lo ha molto in simpatia, per quanto cerchi di nasconderlo.» «Direi che si tratta di un punto a favore di questo ufficiale, anche se viene dal nord.» «Enyll non ti piace, vero?» Il Signore-Protettore si voltò e si avvicinò alla consorte fermandosi dietro di lei, poi le appoggiò le mani sulle spalle e, con i pollici, cominciò a massaggiarle i muscoli vicino alle scapole. «Che bello, ma non è necessario...» «Lo so che non è necessario, ma è una delle poche cose che posso fare per te senza che c'entri il fatto di essere Signore-Protettore. Che mi stavi dicendo di Enyll?» «Ben poco», rispose lei sorridendo maliziosamente. «Di' qualcosa in più, allora.» «Enyll ha una tale sete di sapere che non esiterebbe a sacrificare chiunque per scoprire - o riscoprire - le fonti di un nuovo potere o il progetto di qualche arma sconosciuta degli Antichi. Reputa inferiori tutti coloro che non possiedono una conoscenza pari alla sua. Questa la chiamerei arroganza del sapere.» «In questo senso, direi che è proprio arrogante», replicò il SignoreProtettore. «Eppure la sua sete di sapere lo rende prezioso.» «Lo rende anche pericoloso e imprevedibile.» «Anche.» Il Signore-Protettore scoppiò a ridere. «Quando si tratta di arrivare al nocciolo del problema, sei meglio di qualunque ministro e maresciallo.» «Non ti importa... delle mie altre carenze?» «Siamo giovani, e ciò che deve essere, sarà. Preferisco te, così come sei, a qualunque altra.» Così dicendo, si chinò e le baciò la nuca, con dolcezza. 40 Poco più di una settimana dopo che Alucius e Feran avevano mandato le loro risposte al colonnello Weslyn, una squadra di soldati della milizia entrò dai cancelli dell'avamposto di Emal, questa volta di pomeriggio,
mentre Alucius era impegnato ad addestrare la quinta squadra. Il comandante si avvicinò ad Alucius. «Signore? Siete voi il capitano Alucius?» «Esatto, comandante. Posso esservi utile?» Alucius non aveva molta simpatia per le squadre che si presentavano non annunciate all'avamposto, specialmente dopo l'ultimo messaggio, quello in cui si dichiarava che il Consiglio aveva ceduto un'indipendenza conquistata a caro prezzo, dopo anni di sacrifici. «Siamo l'avanguardia del comandante, il colonnello Weslyn.» «Il colonnello è diretto all'avamposto di Emal?» «Sì, signore. Sta visitando tutte le guarnigioni lungo il fiume.» «Quando è previsto il suo arrivo? E quanti soldati sono con lui?» «Tra circa una clessidra, signore. Solo un'altra squadra.» «Se volete scusarmi, il mio comandante di squadra sarà da voi tra un attimo.» «Sì, signore.» Di nuovo... Alucius ebbe l'impressione che gli riservassero molta più attenzione e cortesia che a un normale capitano. O se quella eventualità era da escludere, voleva dire che il colonnello, presentendo problemi, aveva ordinato che tutti gli ufficiali venissero trattati con la massima gentilezza. Alucius avvisò subito Feran, poi si attivò con Longyl per fare in modo che la Ventunesima Compagnia si disponesse schierata, come per un'ispezione: in formazione e con indosso le uniformi regolamentari dell'estate. Il cortile era affollato, con la Quinta Compagnia sul lato nord e la Ventunesima sul lato sud. Inoltre, attraverso i cancelli aperti, Alucius vide che molti abitanti della città si erano radunati là fuori a guardare. Alucius e Feran si trovavano pronti a cavallo, e in attesa, quando il colonnello fece il suo ingresso alla testa di un'altra squadra, accompagnato da un capitano che Alucius non conosceva, e seguito dallo stendardo nero di comandante. «Ventunesima Compagnia, tutti presenti e pronti per l'ispezione», annunciò Alucius. «Quinta Compagnia, tutti presenti e pronti per l'ispezione...» «Capitani, voi ci onorate.» Weslyn era alto e biondo, il viso abbronzato e il sorriso sollecito. Inclinò lievemente il capo. «Non quanto voi onorate noi, signore», rispose Alucius, in un certo senso grato per la pratica nel gestire situazioni di quel genere, acquisita senza volerlo quando era comandante di squadra nell'esercito matrite. Feran si limitò a salutare con un cenno del capo.
«Faremo una breve ispezione.» Weslyn fece una risata sommessa. «È stato un lungo viaggio.» Come promesso, il giro d'ispezione fu breve, e il comandante si prodigò solo in commenti lusinghieri nei confronti di alcuni soldati. Dopodiché girò il proprio cavallo verso Alucius e Feran. «Se non vi dispiace, capitani... vorremmo darci una rinfrescata prima di cena, per spiegarvi poi il motivo della nostra visita.» «Sì, signore. Gli alloggi per gli ufficiali in visita sono pronti, signore, per quanto non siano molto spaziosi.» Dopo che il comandante fu smontato da cavallo e l'ebbe affidato a un soldato della sua squadra, Alucius si voltò. «Ventunesima Compagnia! Rompete le righe!» «Quinta Compagnia! Rompete le righe!» ripeté Feran. Alucius e Feran affidarono i loro cavalli a Vinkin, cosa che normalmente Alucius non avrebbe fatto, non fosse perché desiderava scambiare qualche parola con Feran prima del loro incontro con il comandante. I due ufficiali si appartarono all'ombra, su un lato del cortile, lontano dalle baracche e dall'edificio del quartier generale. «Che ne pensi?» chiese Alucius. «Sta visitando tutti gli avamposti sul fiume. Questo significa cambiamenti in vista. Saremo tutti dislocati altrove o direttamente sotto il comando lanachroniano... o qualche altra cosa del genere. Che potrebbe voler dire, altrimenti?» Alucius annuì. Era anche sicuro che il comandante dell'avanguardia avesse ricevuto precise istruzioni nel riferire loro quanto aveva detto. «Tanto vale che ci andiamo a dare una ripulita prima di sentire che cosa ha da dirci.» Il colonnello era già in attesa nella piccola sala della mensa, quando i due capitani raggiunsero lui e l'ufficiale che lo accompagnava. Alucius non ricordava che il colonnello Weslyn lo superasse in altezza di una mezza testa. Solo pochi uomini erano così alti, e in un numero ancora più ristretto l'altezza era abbinata a spalle larghe e ben sviluppate. Il colonnello possedeva entrambe quelle caratteristiche. Con i capelli biondi dalle sfumature argentee, la mascella squadrata e i penetranti occhi azzurri, aveva un aspetto alquanto imponente nella piccola mensa ufficiali. Alucius studiò il colonnello con il Talento, e non si stupì di vedere che il suo filo vitale era di un colore marrone ambrato ed era rivolto verso sudovest, di certo non il filo vitale di un uomo che veniva dal nord, o di uno
capace di comprendere i pastori. «Salute, Alucius, Feran», esordì il colonnello con una voce piena e profonda. Alucius lo salutò con un cenno educato del capo. «Salute a voi, colonnello, e benvenuto all'avamposto di Emal.» «Salute», fece eco Feran, con appena una punta di cortesia nel tono di voce. «Questo è il capitano Shalgyr, che ricopre la funzione di mio aiutante durante questo giro», spiegò Weslyn, indicando l'ufficiale tarchiato dai capelli neri che gli stava accanto. «Siamo lieti di fare la vostra conoscenza», disse Alucius. Feran annuì. «Potremmo anche sederci», li invitò Weslyn. «La cena sarà pronta a momenti», aggiunse Alucius, facendo segno al cuoco che si era affacciato dalla minuscola cucina. «Temo che non sarà all'altezza di quelle di Dekhron.» «Anche Dekhron lascia molto a desiderare ultimamente.» Il colonnello indugiò e proseguì con un sorriso. «Immagino che nessuno si aspettasse di vedermi qui a Emal.» «No, signore», ammise Alucius. «Questi ultimi tempi sono stati difficili e spero che il peggio sia passato, ma ho pensato che sarebbe stato meglio discutere le varie questioni seduti comodamente a tavola, diciamo, in modo meno formale.» Weslyn fece una pausa, mentre l'inserviente - la figlia del cuoco - si avvicinava con due boccali di birra che, seguendo lo sguardo di Alucius, pose dinanzi a Weslyn e a Shalgyr, prima di andarsene e tornare con gli altri due restanti. «Non so se i dispacci ufficiali vi abbiano informati circa la pericolosità della situazione. I debiti contratti dal Consiglio, compresi gli interessi, avevano raggiunto la cifra di diecimila monete d'oro.» Feran inghiottì, fece per parlare, ma poi si fermò senza pronunciare sillaba. «Si trattava di una cifra talmente enorme che neppure le entrate di parecchi anni avrebbero potuto coprire.» Alucius nascose il proprio cipiglio. In base ai suoi calcoli approssimati, il bilancio annuale stanziato per la milizia si aggirava sulle cinquemila monete d'oro, e sicuramente c'erano anche altre spese. «Il Consiglio non poteva destinare tutte le entrate al pagamento del debito, anzi, non era neppure in grado di ripagare gli interessi. In effetti, come vi abbiamo scritto, avevamo solo fondi sufficienti per approvvigionare le
compagnie e per pagare i loro stipendi fino al termine dell'estate. La siccità e la scarsità dei prossimi raccolti non hanno fatto che peggiorare le cose. Il denaro era stato inizialmente preso in prestito al Landarco di Deforya, che però voleva essere ripagato, e che ha ceduto la nota del debito al SignoreProtettore.» Weslyn si strinse nelle spalle. «Comprendete bene la posizione del Consiglio. Non aveva scelta. E ora dobbiamo elaborare i termini dell'accordo.» L'inserviente portò un piatto di montone stufato ricoperto di salsa bianca, un secondo di patate pasticciate, una composta di mele spruzzata con del miele e due cestini di pane. Weslyn si servì, prima di chiedere: «Nessuna domanda?». «Vorremmo soltanto sapere cosa succederà a noi e ai nostri soldati», disse Feran in tono educato. «Capisco la vostra preoccupazione che, del resto, è anche la nostra», rispose il colonnello. «Non so cosa possiate avere sentito, ma il Signore nomade di Illegea - il cui nome è Aellyan Edyss - ha conquistato Ongelya. Ma la cosa più importante, di cui abbiamo avuto notizia, è che egli ha messo in rotta le forze di Lustrea nei pressi del Passo Meridionale e ha ucciso il Pretore. Sebbene il figlio del Pretore goda di grande rispetto e sia destinato ad assumere di certo la carica del padre, è alquanto improbabile che sferri subito un altro attacco contro i nomadi. Siamo stati informati dal Signore-Protettore che Aellyan Edyss si sta dirigendo a nordovest. Il Landarco di Deforya teme che Edyss possa preparare un assalto contro le sue terre.» «Perché non Lanachrona?» chiese Feran senza mezzi termini. «Anch'essa si trova a nordovest.» «Perché trarrà maggior vantaggio dalla conquista dei passi settentrionale e meridionale verso est. Già controlla il Passo Meridionale che conduce a Lustrea. Se si impadronisce di Dereka, avrà il controllo su entrambe le vie principali di comunicazione e sui passi. Inoltre Deforya è un bersaglio più facile di Lanachrona.» «Non capisco come la cosa possa interessare noi, o addirittura le Valli del Ferro», dichiarò Feran. «No, non direttamente. Ma...» Weslyn lasciò la frase a metà e sorrise. «Come ho spiegato, la milizia è in debito verso il Consiglio e, adesso, verso il Signore-Protettore. Questi si è dichiarato d'accordo, come diceva il mio precedente messaggio, ad accettare il fatto che la milizia si trasformi nelle Guardie del Nord di Lanachrona. Inoltre, ha acconsentito a farsi cari-
co dei pagamenti arretrati e di tutti gli stipendi dei soldati e degli ufficiali.» Alucius temeva di sapere dove il discorso stava andando a parare, ma rimase in attesa. «Poiché i confini meridionali delle Valli del Ferro non dovranno più essere pattugliati, gli avamposti lungo la sponda orientale del fiume Vedra saranno abbandonati...» Feran annuì. «Volete che offriamo i nostri servigi per qualche sporco lavoro altrove, per poter giustificare la nostra paga?» Weslyn proseguì senza guardare Feran. «Il Consiglio ha dovuto accettare parecchie condizioni facenti parte dell'accordo stipulato con Lanachrona. Come sapete, l'organizzazione della milizia è unica nel suo genere, tra tutte le terre di Corus. Ad esempio, le attrezzature e i cavalli delle Guardie del Sud appartengono al Signore-Protettore. Ed è così anche per Madrien, per Lustrea e persino per Deforya. Il Signore-Protettore si assume la responsabilità per i debiti della milizia, ma non reclama... alcuna proprietà, diciamo. Inoltre si impegna a non dislocare Guardie del Sud nelle Valli del Ferro per i prossimi venti anni. In cambio di tutto ciò chiede che le Guardie del Nord gli forniscano quattro compagnie di cavalleria - al comando dei propri ufficiali, naturalmente - affinché prestino servizio assieme alle Guardie del Sud per proteggere i confini di Lanachrona.» Alucius si trattenne dall'annuire. Feran emise un grugnito. «Abbiamo pensato che ci sarebbero stati meno problemi se a tale servizio fossero state assegnate le compagnie che già dovevano essere spostate.» Weslyn sorrise ad Alucius. «Inoltre la Ventunesima Compagnia ha la fama di essere molto capace, e il Signore-Protettore ha specificamente richiesto la vostra presenza. A meno che, naturalmente, non preferiate rilevare tutto intero il vostro periodo di ferma: quattro anni come capitano, che corrisponderebbe a dieci volte la percentuale di un soldato di leva pastore, visto che il vostro servizio non è ancora stato completato.» Alucius non dovette considerare a lungo la proposta. La quota di un soldato di leva avrebbe richiesto metà delle entrate annuali della fattoria. Quella di un capitano l'avrebbe mandata in rovina. «Presteremo servizio come richiesto.» «Pensavo che avreste accettato.» Weslyn si rivolse a Feran. «Per quanto riguarda la Quinta Compagnia, ci sono due possibilità, capitano. Potreste essere assegnato all'avamposto che sarà aperto a Glacenda e incaricato di mantenere la strada principale sgombra da bande di predoni... e di fornire
un servizio di guardia lungo i confini settentrionali con Madrien, oppure potreste essere assegnato alla Ventunesima Compagnia.» Le labbra di Feran si serrarono. «Se la Quinta Compagnia si unisse alla Ventunesima, passereste sotto il comando del capitano maggiore Alucius, ovviamente. A meno che non decidiate di lasciare le Guardie del Nord.» Weslyn si concesse un sorso di birra. Alucius nascose una smorfia. Era chiaro che Weslyn stava cercando di costringere Feran a lasciare la milizia. Dopo un lungo momento di riflessione, Feran abbozzò un sorriso, un freddo sorriso. «Se per voi è lo stesso, colonnello, direi che la Quinta Compagnia e io preferiremmo servire sotto il comando del capitano maggiore Alucius.» Per un breve istante, il volto del colonnello fu attraversato da un'espressione di sorpresa, prima che egli riacquistasse la solita imperturbabilità. «Le Guardie del Nord e il Signore-Protettore saranno lieti di sapere che due compagnie così valide difenderanno i nostri confini.» Da quando in qua i confini di Lanachrona erano diventati «i nostri» confini?, si chiese Alucius. Mentre si tagliava un pezzo di montone, Weslyn si rivolse ad Alucius. «La vostra promozione a capitano maggiore diventerà effettiva quando lascerete Emal, tra due settimane a partire da ieri. Farò in modo che i vostri gradi vengano spediti in tempo.» «Conoscete il punto esatto in cui dovremo difendere questi confini?» chiese Alucius. «Oh... non l'avevo detto? Il Signore-Protettore sta inviando un distaccamento di cinque compagnie di cavalleggeri in appoggio al Landarco di Deforya. Quattro saranno composte da uomini delle Guardie del Nord e una da quelli delle Guardie del Sud. Fa piacere sapere che la Ventunesima e la Quinta Compagnia ne faranno parte.» «In che modo... o dove raggiungeremo il distaccamento?» «Il comandante di questo distaccamento è il maggiore Draspyr, credo. Ho qui un tracciato del percorso che dovrete compiere, e ve lo lascerò, naturalmente. Attraverserete il Vedra in questo punto e vi dirigerete a sud verso la strada principale per raggiungere un avamposto situato in una località chiamata... vediamo... Senelmyr, ecco. Lì incontrerete il maggiore e le altre compagnie. Abbiamo portato anche le nuove mostrine da cucire sulle spalle delle uniformi. In realtà si tratta di semplici triangoli azzurri di
seta cangiante, da mettere sulle vostre tuniche, così che le Guardie del Sud vi possano identificare. Discuteremo gli ulteriori dettagli domani mattina, dopo che avrete avuto il tempo di riflettere su quanto ho detto.» «Che ne sarà di questo avamposto?» chiese Alucius. «La milizia lo chiuderà? Oppure lo venderà?» «Le Guardie del Nord non hanno ancora deciso», disse piano il colonnello. «Certo, sarebbe prudente vendere le proprietà non utilizzate per abbassare i costi.» All'improvviso sorrise di nuovo. «Per essere un avamposto isolato, non è poi così male.» Il colonnello guardò Feran e poi Alucius. «Posso chiedervi come siete riuscito a mantenerlo in così discrete condizioni?» «Ricorrendo ad alcuni accorgimenti, signore», rispose Alucius. «Il sugo non costa molto, e aiuta a credere che la carne non sia poi così dura. Le mele sono del tipo che si guasta durante gli spostamenti e perciò non sono care.» «Voi due siete pieni di risorse. Molto bene. Questo tornerà utile sia a voi che a noi.» Weslyn sorrise di nuovo. «Lo sapevate che riceviamo già le fragole prugnole da Dekhron? E senza pagare tasse, così che anche l'artigiano più povero se le può permettere.» Alucius comprese che il colonnello aveva esaurito gli argomenti che lo avevano portato a compiere il suo giro di visite. Perciò rimase in ascolto, intervenendo di tanto in tanto con garbati commenti, finché la cena non giunse al termine. Dopo altri scambi di battute, i due capitani dell'avamposto si scusarono e uscirono nella luce ancora chiara della sera. Il disco del sole era sospeso sulle alture a occidente del fiume e diffondeva pallidi raggi dalle sfumature verdi, mentre scompariva dietro l'orizzonte. I due attraversarono in silenzio i cancelli e si incamminarono lungo la strada maestra, finché non furono certi di essere lontani da orecchi indiscreti. «Mi dispiace, Feran», disse Alucius. «Io non...» «Non è colpa tua, non te ne voglio. Che io sia dannato se accetto di essere dislocato in un posto dove non smette di nevicare che per due mesi all'anno. E quella pensione me la dovranno dare.» «Pensi che la Quinta Compagnia...» «La pensano tutti come me. Un terzo degli uomini ha lasciato Chiusa dell'Anima - o Punta del Ferro - per togliersi dal freddo. Credi che vogliano prestare servizio in un posto che si trova a meno di trecento vingti da Sabbie Gelate?» «Ha deciso di promuovermi per costringerti ad andartene», fece notare
Alucius. «Tutti e due siamo stati imbrogliati. Non potevi permetterti quel riscatto, vero?» «Avrebbe ridotto la mia famiglia in povertà. Avremmo dovuto vendere la fattoria, e ancora sarebbero mancate centinaia di monete d'oro.» «Così tanto?» «Alcune centinaia», ammise Alucius, «ma non ci sarebbe stato modo di procurarsele». «Be'... almeno a te verranno un po' di soldi da tutto questo.» Un po' di soldi, e molti più problemi. Mentre osservava il sole che tramontava, Alucius rifletté. I problemi si moltiplicavano. Era stato catturato dai matriti. Per riuscire a fuggire era ricorso al Talento, che aveva distrutto il potere nascosto dietro ai collari matriti e ucciso la Matride. Ma, per poter tornare nelle Valli del Ferro, era stato costretto a rimanere nella milizia, seppure come ufficiale, anziché come comandante di squadra. E adesso veniva inviato a combattere contro un conquistatore nomade che aveva sbaragliato l'esercito più grande e potente di Corus. Ricacciò indietro l'impulso di autocommiserarsi. Era tornato indietro vivo, quando molti non ce l'avevano fatta, e le sue capacità erano state riconosciute, e aveva potuto sposare la ragazza che amava, sebbene non avessero trascorso insieme più di un mese in un anno. Al solo pensiero di Wendra, il para-polso gli parve farsi più caldo. 41 Nell'afosa sera d'estate, Alucius era seduto al piccolo tavolo della sua stanza, intento ad asciugarsi la fronte con il dorso della mano. Era più affaticato di quanto avesse creduto. Tuttavia, doveva scrivere a Wendra e, sebbene fosse stanco, si sentiva troppo irrequieto per poter riposare. Prese la penna e la intinse nel calamaio, componendo adagio parole e frasi. Dopo aver finito un'altra pagina di quella lunga lettera alla moglie, rilesse ciò che aveva scritto, consapevole di dover essere molto cauto nell'affidare i propri pensieri alla carta. Il cambiamento da milizia in Guardie del Nord non riguarda la durata del mio periodo di ferma, che rimane invariato, anche se pare che mi verranno affidate altre mansioni. La Ventunesima Compagnia è stata assegnata a un distaccamento che verrà inviato in aiuto al
Landarco di Deforya. Partiremo tra poco più di una settimana. Sono stato promosso capitano maggiore al comando della Ventunesima e della Quinta Compagnia, anche se continuerò a ricoprire la carica di comandante della Ventunesima Compagnia... Abbiamo lavorato sodo per assicurarci che entrambe le compagnie siano pronte ad affrontare il viaggio imminente... Alcuni dei preparativi non contemplavano ciò che il colonnello avrebbe auspicato, dato che Alucius e Feran avevano preso alcune decisioni personali, tra cui figuravano quelle di trovare fondi di magazzino da vendere alla gente del posto per raccogliere altro denaro, da poter usare per gli eventuali acquisti di provviste che si fossero rese necessarie lungo il cammino. Né il colonnello né il Consiglio erano al corrente di quelle vecchie giacenze, e neppure sarebbero stati in grado di venderle e, per quanto riguardava Alucius, lui e Feran non si stavano appropriando indebitamente di materiale non di loro proprietà, ma si stavano semplicemente preoccupando del sostentamento delle loro compagnie. ...il colonnello Weslyn ha molto insistito affinché, per prima cosa, cucissimo le nuove mostrine blu sulle spalle delle nostre tuniche. Immagino che ciò sia necessario, così che le Guardie del Sud, con le quali viaggeremo, capiscano che adesso siamo tutti insieme. Dopo tutti gli anni passati a sentire parlare della milizia e a farne parte, mi riesce difficile abituarmi all'idea delle Guardie del Nord. Ma i tempi cambiano e noi dobbiamo cambiare con loro... Alucius era certo che la sua famiglia avrebbe pienamente compreso il significato che aveva voluto attribuire alla sua descrizione del colonnello Weslyn, per quanto dubitasse che Royalt o Kustyl avrebbero potuto fare qualcosa al riguardo. Tuttavia, voleva che capissero bene che genere di uomo fosse - e non fosse - il colonnello Weslyn. Annuendo tra sé, mise da parte la lettera per un momento, giacché non voleva concluderla senza avere la certezza che un messaggero sarebbe partito verso ovest. Prese il vecchio libro di storia - Le Meraviglie dell'antica Corus - e lo sfogliò finché non trovò la parte che riguardava Deforya. Dopo avere scorso alcune pagine, l'occhio gli cadde su alcuni paragrafi.
Le antiche mappe risalenti a tempi di molto anteriori al Duarcato si riferivano a quel luogo come alla «terra del grande dolore», e alcune note affermavano che nessuno fosse vissuto laggiù per parecchie generazioni... Eppure il terreno era adatto alla coltivazione della melaprugna e della mela verde, e indubbiamente aveva frutteti, seppure abbandonati da lungo tempo, e rovine di una grande città, con case che dovevano essere state edificate con pietra di ottima qualità. I Duarchi Riemyl e Fuentyl non poterono sopportare quello spreco e si proposero di offrire del terreno a coloro che avevano commesso crimini contro il Duarcato, ponendo come unico vincolo che restassero all'interno della provincia alla quale era stato dato il nome di Deforya, in ricordo dell'antico termine di «terra dell'abbondanza»... Tutti coloro che si trasferirono in quell'immenso territorio furono molto contenti delle concessioni di proprietà loro accordate... Le miniere di ferro nella zona orientale furono scoperte durante il governo dei Duarchi Antyn e Brytil, e divennero operanti grazie all'ingegnoso sistema idrico tuttora in uso presso i Landarchi... La «terra del grande dolore»? Alucius cercò qua e là nel libro, ma non trovò ulteriori riferimenti, né altro che potesse far luce su quella faccenda. Ma i libri spesso non raccontavano la storia per intero. Alcuni affermavano ancora che le arianti e i sabbiosi fossero solo creature mitologiche, e in tutti i racconti che aveva avuto occasione di leggere quando si trovava a Madrien non ne aveva mai sentito parlare; ma, d'altra parte, non aveva mai sentito neppure parlare dello spirito dei boschi che gli aveva fornito la soluzione per distruggere il potere dei collari. Nelle leggende c'era spesso un fondo di verità... anche se queste - per non parlare della verità - erano difficili da scoprire quando non si era nativi del posto. Poiché veniva da una famiglia di pastori, Alucius comprendeva bene tutto questo. A quel punto, sentì che le palpebre si facevano pesanti, poi sbadigliò. Era stanco. Chiuse adagio il libro e lo lasciò sul tavolino. Quindi si alzò e si stiracchiò. Il giorno seguente sarebbe stato un altro lungo giorno. II LE TENEBRE DEGLI PTERIDON
42 Fermo all'estremità opposta dello stretto ponte in pietra sul fiume Vedra, in groppa a Selvaggio, Alucius guardava passare la colonna dei soldati della Ventunesima Compagnia proveniente da Emal e diretta a Semai. Tranne i due ragazzini appollaiati su un vecchio masso alle spalle di Alucius, nessuno sembrava prestare attenzione alla scena, sebbene alcuni abitanti stessero probabilmente guardando da dietro le persiane. Mentre i soldati cavalcavano verso di lui e si disponevano di nuovo in formazione sulla stradina polverosa al di sotto della strada maestra meridionale, Alucius gettò una rapida occhiata all'avamposto di Emal e alle sue mura, dove non restavano che due squadre di fanteria, che sarebbero state temporaneamente dislocate a Sudon entro la settimana. Dalle mura il suo sguardo si spostò sul ponte. Come una delle prime palesi dimostrazioni di «unione», Feran aveva ordinato di togliere le postazioni di guardia ad ambedue le estremità del ponte, come pure il cancello di ferro. I nuovi lavori di muratura erano evidenti, ma nel giro di qualche anno sarebbero scoloriti sotto le intemperie e nessuno avrebbe saputo che un tempo c'era stato uno sbarramento a guardia del ponte. Alucius si chiese cosa avrebbe ricordato la gente e cosa avrebbe scelto di dimenticare, poiché anche dimenticare costituiva una scelta. Abbassò gli occhi, verificando ancora una volta la coppia di fucili che teneva nelle custodie fissate a entrambi i lati della sella, davanti alle ginocchia. Di certo, contravveniva a qualche regolamento portandone due, ma non riusciva neppure a pensare all'eventualità di dover tornare indietro a prenderne un altro nel bel mezzo di una battaglia. Per lo stesso motivo, uno dei cavalli da soma era carico di fucili di scorta per tutti i suoi uomini. Quando la Ventunesima Compagnia si ritrovò in formazione nello slargo sporco e polveroso a sud della strada maestra, e la Quinta Compagnia fu pronta ad attraversare il ponte, Alucius si portò in testa alla colonna. «Ventunesima Compagnia! Avanti!» «Avanti!» ripeté Longyl a metà colonna. «Prima squadra! Avanti!» «Seconda squadra...» Anziché far raggruppare le due compagnie nel centro di Semai, Alucius aveva concordato con Feran che la Ventunesima Compagnia si sarebbe portata alla periferia meridionale del villaggio, dove avrebbe aspettato che la Quinta la raggiungesse. Mentre cavalcava lungo la strada piena di polve-
re, Alucius gettò un'occhiata alle poche case e alle rare botteghe: una specie di rivendita di generi alimentari, il laboratorio di un bottaio e quello di un falegname. Un centinaio di iarde più a sud si trovava una fucina. Un contadino dai capelli grigi stava in piedi accanto al muro sul lato orientale della strada, poco più in là della fucina, con due bambini in tenera età al suo fianco. L'uomo alzò la mano, poi chinò il capo, imitato dai piccoli. Alucius capì che si trattava del contadino che lo aveva messo in guardia contro i predoni, e cercò di ricordarne il nome... ma non ci riuscì. Vergognandosene quasi, fece ricorso ai Talento-sensi, e finalmente il nome gli ritornò alla memoria. «Abyert», disse, facendo fermare Selvaggio a pochi passi da lui, «vi devo ancora ringraziare e augurare ogni bene a voi e ai vostri nipotini. È assai probabile che io non torni più a Emal, poiché sono stato assegnato a una guarnigione a est, ma vi sarò sempre grato per ciò che avete fatto». Nell'udire il proprio nome, il contadino impallidì. «Non dovete preoccuparvi», lo rassicurò Alucius, infondendogli calore e rassicurazione con il Talento, così che, alla fine, poté percepire il sollievo dell'altro. Lo sguardo dell'uomo non incrociò il suo, mentre rispondeva: «Vi porgiamo i nostri migliori auguri, capitano». «Grazie.» Alucius fece un ultimo cenno con il capo, ma nell'allontanarsi, colse le parole del contadino. «... bambini... è uno dei grandi, forse addirittura un lamaro... non dimenticate mai di averlo incontrato.» Un lamaro? Alucius aggrottò la fronte. Il mitico eroe o personaggio destinato a ripristinare il Duarcato o a impedirne il ritorno? Poi scosse la testa e sorrise. Un lamaro? No. Soltanto un pastore che veniva da un posto a nord di Punta del Ferro e che desiderava solo tornare dalla moglie e a pascolare le sue pecore. Spronò Selvaggio lungo il fianco della strada per raggiungere l'avanguardia di Zerdial. 43 I due giorni di viaggio a cavallo su strade polverose a sud di Emal avevano reso Alucius e Feran - così come tutti gli altri soldati - accaldati e impolverati. I territori nordorientali di Lanachrona erano afflitti dalla stes-
sa siccità delle Valli del Ferro. Le poche coltivazioni erano misere e stentate, e in molti campi si vedevano germogli rinsecchiti a causa della mancanza di pioggia. Anche il vento era saturo di terriccio e, persino a mattina inoltrata, una coltre di polvere ricopriva qualunque cosa su cui Alucius posasse lo sguardo. Circa una clessidra dopo mezzogiorno, le due compagnie giunsero ai margini di un villaggio privo di qualunque indicazione o segnale stradale. Sul fianco meridionale di una collinetta prospiciente un piccolo corso d'acqua era disposta in ordine sparso poco meno di una ventina di case. I rivestimenti in legno non sembravano essere stati dipinti da anni, e la maggior parte dei fabbricati esterni era pericolante. Mentre Alucius aveva sempre pensato che le belle abitazioni in pietra di Madrien facessero sfigurare quelle delle Valli del Ferro, non poté fare a meno di dirsi che quelle catapecchie rendevano persino le modeste costruzioni di Emal simili a palazzi. «Più ci spingiamo a sud e più la gente è povera», disse Feran, che in quel momento cavalcava accanto ad Alucius. «Siamo lontano dai fiumi e probabilmente la terra non è così fertile. Non ci sono terreni formati da depositi alluvionali e neppure quella gran quantità d'acqua, e niente pioggia...» «Quanto credi che manchi alla strada principale?» chiese Feran. «Stando alle mappe, meno di cinque vingti. Se questo villaggio è Yumel», rispose Alucius. «Poi dovremo dirigerci a est lungo la strada principale per altri cinque vingti all'incirca, per imboccare quella che porta al forte di Senelmyr.» «Mi sembra strano cavalcare verso un avamposto delle Guardie del Sud.» «Manderemo avanti un messaggero a comunicare con largo anticipo il nostro arrivo.» Il tono di Alucius era secco. «Che ne pensi di questa faccenda?» «Ci sono troppe cose che non sappiamo. Il Signore-Protettore deve volere qualcosa da noi, e non soltanto toglierci di torno. Se fosse stato questo il suo scopo, saremmo tutti sulla vecchia strada settentrionale diretta a Glacenda o a Klamat. È solo che non riesco a immaginare che cosa abbiamo noi che non abbiano loro.» «Siamo più sacrificabili», fece notare Feran. «Questo è vero, ma ciò significa che ha già in mente qualcosa per cui sacrificarci, e questo qualcosa potrebbero essere i nomadi delle praterie a sud di Deforya o i lustreani. In ogni caso, qualcuno sta cercando di avanzare
verso ovest, e il Signore-Protettore vuole fermarlo prima che Lanachrona ne faccia troppo le spese.» «Forse ci sta usando per guadagnare tempo, mentre consolida l'occupazione di Porta del Sud.» «Può darsi.» Alucius si strinse nelle spalle. «Vedremo.» «Già.» Feran fece un cenno verso la retroguardia della compagnia. «Vado a dare un'occhiata alle mie pecorelle smarrite e a controllare i cavalli da soma.» «Grazie.» Dopo che Feran si fu allontanato sul fianco della strada, Alucius continuò a scrutare dinanzi a sé, osservando tanto con gli occhi che con il Talento le case accanto alle quali passavano. Quando le due compagnie di Guardie del Nord avevano attraversato il centro abitato di Yumel, nessuno si era fatto vedere. Alucius non li biasimava. Dubitava che la gente fosse stata informata del fatto che i due eserciti erano stati riuniti, e dei semplici triangoli di seta blu non sarebbero certo bastati ad allontanare l'apprensione provocata dal passaggio di soldati con le divise nere attraverso le terre di Lanachrona. Benché si fossero concessi solo brevi soste per rifocillarsi e ripristinare le loro scorte d'acqua, era metà pomeriggio quando la colonna di cavalieri raggiunse la strada che portava al forte di Senelmyr. Avevano percorso oltre un vingt, allorché scorsero due soldati delle Guardie del Sud accompagnati da Waris, il ricognitore della terza squadra, dirigersi a ovest, verso Alucius e la sua avanguardia. «Ci stanno aspettando, signore», dichiarò Waris. «Bene», replicò Alucius. «Grazie.» Dopodiché le due compagnie seguirono le Guardie del Sud alla volta del forte. Non c'erano tracce di città. Il forte, sebbene più grande dell'avamposto di Emal, era molto meno imponente, costruito com'era all'interno di un muro di mattoni alto appena due iarde e mezzo, e costituito da una serie di bassi fabbricati, più simili a ovili per le pecore che ad alloggi per le truppe o a scuderie. Un maggiore con la divisa blu e panna delle Guardie del Sud li aspettava sul portico di legno privo di copertura del primo edificio che si trovarono di fronte dopo aver varcato i cancelli. Accanto a lui c'era un capitano. «Ventunesima Compagnia! Alt!» ordinò Alucius. Poi diresse Selvaggio verso il capitano. «Capitano maggiore Alucius, delle Guardie del Nord, Maggiore.» «Sono il maggiore Draspyr, capitano maggiore. E sono lieto di vedere
voi e i vostri soldati.» Draspyr era biondo, con gli occhi azzurri e una cicatrice sottile, appena arrossata, che gli solcava la guancia sinistra. Il sorriso era caloroso e cordiale. «Salute.» La voce, di una pastosa tonalità baritonale, ben si accordava al sorriso. Alucius cercò di sorridere a sua volta, benché la freddezza che percepiva dietro a quell'apparente affabilità lo lasciasse perplesso. «Salute, Maggiore. Siamo pronti a unirci alle vostre forze.» «Discuteremo i dettagli dopo che i vostri uomini si saranno sistemati. Raggiungetemi nella sala delle adunanze tra, diciamo, una clessidra.» Draspyr fece cenno al capitano che gli stava accanto e a un comandante di squadra che si era appena avvicinato. «Il capitano Clifyr e il suo sottotenente maggiore aiuteranno le vostre compagnie a sistemarsi. Voi e il capitano Feran, naturalmente, alloggerete qui con gli altri ufficiali.» Clifyr si fece avanti esattamente di un passo e si rivolse ad Alucius. «Signore... se voi e i vostri uomini volete seguirci. Alle vostre compagnie sono state assegnate le baracche vicino al muro orientale.» Alucius e i suoi soldati seguirono i due ufficiali. Dopo essersi assicurato che gli alloggi e le stalle fossero adeguati, seppure al di sotto dei loro standard abituali, e dopo essersi preso cura di Selvaggio, lui e Feran tornarono insieme a Clifyr sul davanti della postazione. Gli alloggi riservati agli ufficiali avevano più o meno le stesse dimensioni di quelli di Emal, anche se erano più spartanamente arredati, visto che ogni stanza era dotata di una semplice brandina, di un armadio privo di ante e di un tavolino corredato da uno sgabello. Le imposte dell'unica finestra pendevano sbilenche e il materasso era vecchio e sottile. Prima di dirigersi verso la sala delle adunanze per incontrare il maggiore, Alucius cercò di ripulirsi dalla polvere e di lavare la biancheria sporca, che appese poi a una corda stesa tra la brandina e l'armadio. Il maggiore si alzò quando egli fece il suo ingresso. Sul vecchio e consunto tavolo circolare era aperta una grossa mappa che raffigurava la parte orientale di Lanachrona e Deforya. «Spero che gli alloggi siano accettabili.» Draspyr emise una sorta di grugnito. «Anche se lasciano alquanto a desiderare, sono comunque meglio delle stazioni intermedie e degli accampamenti all'aperto.» «Sono certo che entrambi abbiamo visto di meglio e di peggio», rispose educatamente Alucius. «Già.» Draspyr scrutò Alucius per un lungo momento. Mentre l'altro lo studiava, Alucius approfittò del proprio Talento per co-
glierne i sentimenti: perlopiù di curiosità, ma con un sottofondo di superiorità. Poi attese che il maggiore parlasse. Con un gesto quasi brusco, Draspyr indicò la mappa. «Vedete la linea blu, qui. Questa è la vecchia strada principale settentrionale. Collega Borlan ad Alustre, attraverso Deforya e il Passo Settentrionale. La percorreremo fino a Dereka. Dopodiché ci sposteremo sulle strade locali fino alle propaggini meridionali delle Montagne della Barriera. Il nostro compito sarà triplice. In primo luogo, con la nostra presenza, dovremo assicurare al Landarco l'appoggio di Lanachrona. In secondo luogo, dovremo determinare il grado di minaccia che i nomadi delle praterie rappresentano effettivamente. E in terzo luogo, in caso di attacco diretto contro di noi, o contro i soldati del Landarco che ci accompagnano, dovremo combattere al meglio delle nostre possibilità.» «Sapete se i nomadi delle praterie avanzano verso nord? E a quale velocità?» «Il Signore-Protettore è stato informato con rapporti molto attendibili che un grosso contingente di compagnie di cavalleria si sta dirigendo a nordovest di Lyterna, verso le Montagne della Barriera, che fungono da frontiera con Deforya. Pare assai improbabile che tale esercito nutra intenti pacifici.» Un freddo sorriso comparve sulle labbra del maggiore, mentre abbassava gli occhi sulla mappa, per poi proseguire: «Le altre due compagnie di Guardie del Nord ci raggiungeranno domani sul tardi, oppure il giorno di sexdi. Il capitano maggiore Heald sarà a capo di quel distaccamento, oltre che al comando della Terza Compagnia, e il capitano Koryt sarà il responsabile dell'Undicesima Compagnia». Alucius cercò di mantenere un amabile sorriso e si augurò di non mostrare lo shock che la notizia gli aveva procurato. Come ricognitore, quando ancora non era comandante di squadra, aveva servito sotto Heald, che era un bravo ufficiale, per quanto non eccezionale. Koryt, molto meno competente, era il comandante di compagnia del quale Alucius era stato costretto a farsi gioco per poter fare ritorno nelle Valli del Ferro. Feran era di certo molto più qualificato di quei due ufficiali, a meno che nel frattempo non avessero fatto enormi progressi. Alucius si rimproverò per quella cattiveria nei confronti di Heald, visto che lui stesso era sicuramente migliorato da quando aveva servito nella sua squadra. «Conoscete questi due ufficiali, capitano maggiore?» «Li ho conosciuti entrambi, sebbene il capitano maggiore Heald sia l'unico che abbia visto in azione», rispose Alucius. «Oppose resistenza contro
i matriti per quasi una stagione, nelle vicinanze di Chiusa dell'Anima, finché il Consiglio non riuscì a mandargli dei rinforzi.» Aveva anche perso più di metà compagnia, sacrificando inutilmente alcuni soldati, ma di questo Alucius non parlò. «Che cosa sapete del capitano Koryt?» «Molto poco, signore. L'ho solo incontrato per una frazione di clessidra circa un anno fa.» Draspyr annuì saggiamente. «Mi è stato detto che possedete un'eccellente esperienza di combattimento, ma che eravate il più giovane tra i capitani, prima di essere promosso.» «Probabilmente è vero, signore.» «E che portate sempre a termine i compiti che vi vengono assegnati, di solito con un numero di perdite minore del previsto, e... se mi è consentito dire, con grande costernazione degli ufficiali vostri superiori.» Gli occhi azzurri di Draspyr scintillarono, ma lo scintillio non era dovuto tanto alla battuta quanto alla soddisfazione di avere resa nota un'informazione acquisita con molta fatica. «Anche questo probabilmente è vero, signore.» «Avete mai disubbidito direttamente a un ordine, capitano maggiore?» «Solo quando sono fuggito da Madrien, signore.» Draspyr sospirò, ma più che altro per semplice ostentazione. «La gerarchia di comando corre da me a voi e al capitano maggiore Heald separatamente e direttamente. Nessuno di voi due sarà subordinato all'altro. Credo che questo sia il sistema migliore di gestire la cosa.» «Sì, signore.» Indubbiamente si trattava dell'unico modo pratico che Draspyr fosse stato in grado di trovare e, dal punto di vista di Alucius, era molto meglio che non ricevere ordini da Heald. «Abbiamo anche portato due carri carichi di cartucce per le vostre armi, capitano maggiore.» Il sorriso svanì. «Il maresciallo Wyerl aveva pensato di equipaggiare le vostre compagnie con i nostri fucili standard, finché non gli sono giunte notizie degli pteridon.» «Pteridon, signore?» «Pare che Aellyan Edyss sia riuscito a procurarsi qualche pteridon. Se ne è servito assai efficacemente per uccidere il Pretore ad Alustre e per sbaragliare il suo esercito. Il Signore-Protettore e il maresciallo Wyerl hanno pensato che, poiché le vostre armi sono state ideate per uccidere predatori come i lupi della sabbia e i sabbiosi, potrebbero rivelarsi utili anche contro altre dannate creature talentose.»
«Può darsi, signore», convenne Alucius cortesemente. «Quando sarà il momento, vedremo.» A prescindere dal fatto che Aellyan Edyss avesse degli pteridon oppure no - e il maggiore pensava di sì - Alucius non vedeva il motivo per cui questi avrebbe potuto essere ingannato. Inoltre, la ragione per cui lui e quattro compagnie di Guardie del Nord avevano ricevuto quell'incarico pareva avere molto più senso, così come lo aveva la scelta delle compagnie assegnate. «Non mi sembrate troppo sorpreso, capitano maggiore.» «Ho imparato che a Corus tutto è possibile, signore. Ho visto il lanciaproiettili di cristallo della Matride e i collari d'argento di Madrien, e ho visto sabbiosi sbucare dal terreno per poi sparirvi con quasi altrettanta rapidità. Abbiamo pezzi di leschec che raffigurano pteridon e personaggi da leggenda, e vie di comunicazione indistruttibili che non mostrano segni di usura.» Alucius sorrise mestamente. «Se al Signore-Protettore è stato assicurato che i nomadi hanno degli pteridon... allora io non ho motivo di dubitarne.» Draspyr scoppiò a ridere, un suono che tradiva una punta di reale divertimento, prima di aggrottare la fronte e chiedere: «Lancia-proiettili di cristallo?». «Un'arma in grado di lanciare centinaia di minuscole frecce di cristallo lunghe all'incirca così...» e Alucius indicò con le mani una lunghezza di circa mezza iarda. «Il primo lancia-proiettili esplose durante la battaglia nei pressi di Chiusa dell'Anima, ma uno degli ingegneri della Matride l'ha ricostruito.» «Voi l'avete visto?» «Sono stato ferito durante uno degli scontri di Chiusa dell'Anima dov'era usato questo congegno.» Alucius era certo che il maggiore non fosse stato informato riguardo al lancia-proiettili di cristallo. Da ciò che aveva udito e visto di Lanachrona, la cosa non lo sorprese. «È bene che voi e i vostri uomini siate abituati a ciò che è insolito.» Draspyr sollevò lo sguardo nel vedere che il capitano Clifyr entrava nella sala, pressoché in silenzio, e si inchinava, sempre senza parlare. «Un'ultima cosa: domani mattina presto, ripasseremo i comandi e faremo un po' di manovre, giusto per essere certi che usiamo e comprendiamo tutti gli stessi ordini.» «Sì, signore.» «A domani mattina, capitano maggiore.» Alucius inclinò la testa verso il maggiore, poi attese che Clifyr lo salu-
tasse, prima di ricambiare. Nell'uscire dalla sala delle adunanze lasciò la porta socchiusa e prestò ascolto. «Non sembra così pericoloso, signore...» mormorò Clifyr. «A dispetto di quel viso giovane e franco, Clifyr, sarebbe capace di trasformare voi e la vostra compagnia in tante salsicce di maiale in meno di una clessidra. È un tiratore scelto, in grado di fare centro su oltre la metà dei suoi bersagli durante un combattimento, per quanto incredibile possa sembrare. È un ottimo spadaccino, si destreggia bene con entrambe le mani nel maneggiare la sciabola, e ha ucciso personalmente oltre un centinaio di uomini in battaglia...» «Signore?» «Questo è quanto ci è stato riferito dall'Archivista degli Atti... Ora... dobbiamo parlare dei vostri rapporti...» Alucius cercò di cogliere altri frammenti di conversazione, ma, a quel punto, uno dei due ufficiali chiuse la porta. Archivista degli Atti? Chi o cos'era un Archivista degli Atti? E come faceva a sapere tutte quelle cose su di lui? Feran lo stava aspettando sulla porta della sua stanza, accanto a quella di Alucius. Questi fece segno all'ufficiale più anziano di seguirlo nel suo alloggio. Chiuse la porta, ma dopo tutto il cavalcare degli ultimi giorni, non gli andava di sedersi. «Cosa hai scoperto di nuovo?» chiese Feran. «La situazione è ancora peggiore di quanto avevamo immaginato.» «Questo lo sapevamo. Dimmi cosa c'è di peggio.» «Aellyan Edyss possiede alcuni pteridon», disse Alucius con voce pacata. «Pteridon? E ti aspetti che io ci creda? Sono esseri immaginari... creature mitiche...» Alucius si strinse nelle spalle. «D'accordo. Aellyan possiede qualcosa che ha sbaragliato le legioni di Alustre e ucciso il Pretore, e ha spaventato il Signore-Protettore quel tanto che basta perché decidesse di inviare cinque compagnie di cavalleggeri in appoggio al Landarco di Deforya.» «Se è così spaventato, perché ha deciso di mandare tutte queste compagnie... Oh...» Feran fece una smorfia. «Per tutti gli escrementi di un sabbioso! Figlio di un topo rognoso... Ha mandato una sola compagnia di Guardie del Sud, e il resto è tutto composto da soldati delle Valli del Ferro.»
«Noi abbiamo fucili più pesanti e poi, in tal modo, il Signore-Protettore può essere informato sull'operato di Edyss, e liberarsi degli uomini migliori della milizia se questo Edyss non rappresenta una minaccia. E anche se lo fosse, Lanachrona non ci rimetterebbe molto.» «Tutto perché quella manica di mercanti fornicatori di Dekhron non ha mai avuto il coraggio di aumentare le tasse per provvedere al mantenimento della milizia...» «Presto o tardi, Aellyan Edyss si sarebbe probabilmente mosso nella nostra direzione.» «Ma noi non ci troveremmo così esposti se non fosse per quei codardi bacia-quattrini.» «Hanno mandato due carri pieni di cartucce per i nostri fucili», aggiunse Alucius. «Mi piacerebbe fare qualche esercitazione di tiro al bersaglio per aria: magari legando una corda tra due pali o due alberi, e facendovi correre sopra qualcosa.» «Credi davvero...?» chiese Feran fissando Alucius con sguardo duro. «Sì. Anche il maggiore ci crede. Ha ricevuto questo incarico perché è discretamente sveglio, ma possiede anche quel tanto di arroganza da non rendersi conto di quanto sia rischioso. Dobbiamo appurare se gli pteridon rappresentano un pericolo reale, rassicurare il Landarco sul fatto che il Signore-Protettore è suo alleato e, se possibile, uccidere gli pteridon o scoprire come fare a eliminarli.» «Non pretendono molto, vero?» «Mi avevi detto di essere disposto a fare qualunque cosa pur di non essere assegnato ai gelidi territori di Glacenda.» Alucius sorrise. «Direi che questo potrebbe davvero essere chiamato "qualunque cosa".» «La prossima volta - se ce ne sarà una - ricordami che il freddo non è poi così terribile.» Feran scosse il capo, con un'espressione talmente esagerata che Alucius scoppiò a ridere. Dopo un attimo, anche Feran lo imitò. 44 Come aveva predetto il maggiore Draspyr, le altre due compagnie di Guardie del Nord arrivarono il giorno di quinti sul tardi, quando il sole aveva ormai toccato l'orizzonte, a ovest, al termine di una giornata calda e polverosa. Alucius si affrettò ad andare loro incontro mentre attraversavano i cancelli del forte. Aveva sperato di incontrare Heald da solo, ma il
maggiore si trovava già là, in compagnia del capitano Clifyr. Il capitano maggiore Heald si fermò di fronte al maggiore lanachroniano. I suoi occhi erano ancora segnati da profonde occhiaie e il viso era diventato più sottile di quanto Alucius riuscisse a ricordare. «Signore, capitano maggiore Heald e capitano Koryt a rapporto», disse Heald inclinando il capo. «Sono lieto di vedervi, capitano maggiore», rispose Draspyr. «Siete arrivati presto.» «Abbiamo pensato che fosse meglio così, signore», replicò Heald. Draspyr indicò Alucius. «Credo che abbiate già conosciuto il capitano maggiore Alucius...» «Certamente», disse in tono caloroso Heald. «Abbiamo combattuto insieme a Chiusa dell'Anima, e sono contento di vedere che saremo di nuovo insieme qui.» Se le parole di Heald stupirono Alucius, il calore con cui vennero pronunciate lo stupì ancora di più. E dovette sorprendere anche il maggiore, che indugiò prima di rispondere: «Mi fa piacere saperlo». Dopo un attimo di silenzio, aggiunse: «Quando avrete sistemato i vostri uomini, capitano maggiore Heald, vorrei incontrarvi per mettervi al corrente della situazione. Nella sala delle adunanze qui accanto. Dopodiché voi e il capitano maggiore Alucius potrete discutere di ciò che vi sembrerà più opportuno. Domani faremo alcune manovre tutti insieme, e il giorno di septi partiremo. Il capitano Clifyr e il suo sottotenente maggiore vi mostreranno le baracche per le truppe». «Sì, signore.» Heald inclinò il capo, poi guardò Alucius e sorrise. «Sono lieto di rivedervi.» «Anch'io», replicò Alucius, quasi sorpreso di pensarlo davvero. Dopo che Heald ebbe girato il cavallo e si fu allontanato alla testa della Seconda Compagnia, Draspyr si rivolse ad Alucius commentando: «Non mi avevate detto che eravate amici». «Non abbiamo mai trascorso molto tempo insieme, signore, ciò non toglie che nutriamo del rispetto reciproco l'uno verso l'altro.» Ad Alucius non parve di avere distorto troppo la verità. «Bene. Questo tornerà utile nel corso della nostra missione.» Draspyr era preoccupato e compiaciuto al tempo stesso, sentimenti che Alucius sarebbe stato in grado di cogliere persino senza l'aiuto del Talento. «Se volete scusarmi...» «Certo, signore.» Con un cenno del capo, Alucius si girò, dirigendosi
verso il suo alloggio. Una clessidra più tardi si udì bussare alla porta della piccola stanza nella quale Alucius stava leggendo l'unico libro di storia che aveva portato con sé. Si alzò per aprire. Heald lo salutò con un sorriso amichevole, ma esitante. «Alucius...» «Sono felice di rivedervi», rispose Alucius. «Devo dire che sono stato un po' sorpreso.» «Anch'io, ma sono certo che vi siete meritato i vostri gradi. Avreste dovuto essere un ufficiale fin dall'inizio.» «Se lo fossi stato, probabilmente non avrei imparato tutto ciò di cui avevo bisogno», replicò Alucius, chiudendo la porta dietro al suo visitatore. «Può darsi, ma... sono contento che lo siate. Soprattutto adesso.» Dopo un attimo di silenzio, Alucius chiese: «Come sta la Terza Compagnia?». «Non ne sono rimasti molti di quelli che conoscevate. Se ben ricordo, eravate amico di Kypler e di Velon. Velon ha ottenuto il congedo lo scorso autunno, ed era ben lieto di tornare ai suoi alberi da frutta e al suo mulino. Oliuf è stato ferito, ha avuto una gamba fratturata. È stato congedato. Zoppica ancora, ma per il resto sta bene.» Il volto di Heald si fece serio. «Il giovane Kypler... è stato ucciso nel corso di uno degli ultimi scontri, prima che i matriti venissero respinti da Chiusa dell'Anima. Mi dispiace.» «Grazie di avermelo detto.» «Ah, e Geran è stato nominato tenente l'autunno scorso. Adesso è al comando della Diciassettesima Compagnia. Non era molto contento di sapere che l'hanno assegnato a quell'avamposto in corso di ristrutturazione, su a nord. L'ho visto a Dekhron e vi manda i suoi saluti.» Heald indugiò. «È vero che avete annientato un'intera compagnia di predoni lo scorso inverno, e ridotto due compagnie a poco meno di due squadre questa primavera?» «Abbiamo avuto fortuna.» Heald rise di cuore. «Questa frase me l'avete detta troppo spesso. Siete voi a procurarvi quel tipo di fortuna, lavorando sodo.» «Duro lavoro... e fortuna», convenne Alucius senza troppa convinzione. «Ecco cosa succede a essere un pastore.» L'ufficiale più anziano esitò. «A Pyret, sapete... Dysar mi ha reso la vita... tutt'altro che piacevole.» «Non ha mai compreso la vostra situazione.» Questo era vero, e Alucius l'aveva pensato allora e anche in seguito, quando aveva riflettuto sulla campagna di Chiusa dell'Anima alla luce delle sue ultime esperienze.
«Non ha mai capito nulla, se non che la milizia costava troppo», disse Heald con franchezza. Alucius rise. «Nessuno ne parla molto, ma si dice che lo faceste arrabbiare talmente tanto che il cuore gli cedette.» «Lo feci arrabbiare, questo è vero. E il suo cuore si fermò.» Non per quel motivo, ma Alucius non intendeva certo aggiungere altro. «Voleva che fossimo tutti fucilati come disertori perché eravamo stati fatti prigionieri o creduti morti e non avevamo avuto la decenza di suicidarci, piuttosto che portare i collari matriti.» «Erano così terribili come dicono?» «Peggio. Ma a un certo punto i collari smisero di funzionare e riuscimmo a fuggire. Quando erano operanti, qualunque donna ufficiale era in grado di uccidere chi li portava semplicemente mettendo mano a un piccolo cappio fissato alla sua cintura. Se poi assalivate un ufficiale, morivate sul posto. Se cercavate di togliervi il collare, morivate ugualmente.» Heald venne percorso da un brivido. «Fummo fortunati che i collari smisero di funzionare e che potemmo toglierli prima che li riparassero. Anche se non so nemmeno se l'abbiano fatto.» Sicuramente no, pensò Alucius tra sé. «Perciò ci dirigemmo verso casa e quando giungemmo nelle Valli del Ferro... e finalmente incontrammo Dysar e il colonnello Clyon, dissi a Dysar che, se non ci avesse trattato equamente, avremmo dovuto rivolgerci altrove, come ad esempio trovare rifugio presso i pastori.» Il resoconto della vicenda non era proprio corretto, ma sufficientemente veritiero. «E poi dissi al colonnello Clyon che, dopo tutta la fatica che avevamo fatto - e tutti i collari d'argento che ci eravamo portati dietro - il Consiglio avrebbe avuto dei problemi se si fosse comportato male nei nostri confronti. E lui si dimostrò d'accordo.» «E Dysar questo non lo accettò?» «Qualcosa non gli andò giù», disse Alucius. «Si fece tutto rosso e cadde di sella.» «Non mi sorprende. Aveva un caratteraccio.» Heald fece una pausa. «A ogni modo... dopo questo fatto, le cose sono andate meglio.» «Finché il colonnello non si è ammalato ed è morto», precisò Alucius. «Se davvero si è ammalato.» «Non lo sapremo mai con sicurezza», fece notare Alucius. «No. A prescindere da ciò che pensiamo.» Dopo un momento, Heald aggiunse: «Ah... e Koryt non farà il difficile. È sbiancato quando è stato
informato della vostra presenza». Rise di nuovo. «Gli ho chiesto di dirmi di voi e sapete cosa mi ha risposto?». «Non riuscirei proprio a indovinare», ammise Alucius. «Ha detto che il Consiglio ha commesso un errore madornale a scegliere l'unico ufficiale della milizia più cattivo di un gatto della polvere e più resistente di un sabbioso.» Alucius non poté fare a meno di accigliarsi. «Poi ha aggiunto», proseguì Heald, chiaramente divertito, «che però si sbagliava, poiché era ovvio che volevano liberarsi di tutti noi, quando invece nessuno era mai riuscito a liberarsi di voi. Il Consiglio, Dysar, la Matride e le Guardie del Sud ci avevano provato, e tutti avevano fallito». Il capitano maggiore più anziano inarcò le sopracciglia. «È vero?» «Non saprei dire riguardo al Consiglio», disse Alucius adagio. «Gli altri... be', sono sopravvissuto a tutte le battaglie. Ho avuto fortuna.» Heald scosse il capo. «Usate troppo quella parola. Ricordo la vostra prima missione come ricognitore. Non so come, ma un buon tre quarti di una pattuglia matrite venne messo fuori combattimento. Si trattò di fortuna?» Heald fece un largo sorriso. Alucius si strinse nelle spalle. Di certo, non voleva essere visto come qualcuno in grado di trovare una soluzione a tutto. «Probabilmente sì... ma non saremo così fortunati contro i nomadi delle praterie.» Il viso di Heald si fece serio. «Lo so. La Terza Compagnia ha uomini molto validi. Quella di Feran è solida, tutti lo dicono. La Ventunesima Compagnia ne vale probabilmente due, se non di più, e Koryt si butterebbe contro uno di quei lancia-proiettili di cristallo piuttosto che farvi arrabbiare.» Il che non era necessariamente una buona cosa, rifletté Alucius. «Se gli raccomandate di essere prudente, lo sarà», disse Heald. «Lo dovrete fare voi», precisò Alucius. «Il maggiore Draspyr ha detto che nessuno di noi due sarà considerato di grado superiore all'altro.» Heald annuì. «Non ne sono sorpreso. Siamo stati promossi entrambi allo stesso tempo. Funzionerà.» Alucius se lo augurava. «Il maggiore vi ha informato su Aellyan Edyss e sulle sue armi?» «Gli pteridon? Sì. Che ne pensate?» «Ha raccontato quella che crede sia la verità, e non vedo motivo per cui il Signore-Protettore possa averlo ingannato al riguardo. Questo giustifica anche la nostra presenza qui.»
«Perché questa nuova e più grande Lanachrona ci ritiene sacrificabili... e perché siamo abituati a usare i fucili pesanti.» «Ma non siamo abituati a colpire bersagli volanti. Stavo pensando di fare qualche esercitazione utilizzando oggetti lanciati per aria...» «Dovrete fare in modo che si muovano velocemente...» La discussione si protrasse per oltre una clessidra. 45 La strada principale settentrionale che si dirigeva a est era lunga, persino più lunga di quella di mezzo, che da Punta del Ferro conduceva nel cuore di Madrien. Sebbene la strada del forte di Senelmyr si trovasse a oltre cento vingti a est di Salaan, restavano più di quattrocento vingti da percorrere per giungere a Dereka. Dopo nove giorni di viaggio a cavallo, le compagnie si stavano appena addentrando tra le prime colline che portavano alle montagne della Dorsale Superiore: barriera naturale tra Lanachrona e Deforya, sebbene il vero confine si trovasse un poco più a est del punto intermedio della catena. Feran e Alucius procedevano insieme, alla testa di quella parte di colonna che comprendeva sia la Ventunesima sia la Quinta Compagnia, che in quel momento formavano la retroguardia, precedendo i dieci carri delle provviste. Il grigio selciato in durapietra, al pari del fondo stradale di tutte le altre vie principali di collegamento, non presentava tracce di usura, ma appariva più polveroso di qualunque altra strada Alucius avesse mai percorso, poiché non era più piovuto, forse addirittura dall'inizio della primavera. Alucius e Feran, al pari di molti altri soldati, si ritrovarono vittime di frequenti starnuti. Alucius gettò un'occhiata agli scuri picchi rocciosi che si innalzavano oltre le colline attraverso le quali stavano passando, picchi le cui cime innevate dominavano in lontananza al di sopra della strada che si snodava dritta dinanzi a loro. «Avrei preferito avere più tempo per esercitarci con i bersagli mobili.» «Perlomeno, abbiamo dato agli uomini un'idea di come dovrebbe essere. Avresti dovuto vedere la faccia del maggiore, anche se non ha proferito parola.» «Cosa avrebbe potuto dire?» disse Alucius ridendo brevemente. «Non ne sappiamo di più adesso di quando abbiamo lasciato Senelmyr.» «Chissà se il maggiore è a conoscenza di qualcosa che non ci ha detto!»
«Non credo.» Alucius sollevò la bottiglia dell'acqua e bevve un'abbondante sorsata. «I suoi soldati sono belli robusti, ma Longyl ha chiesto un po' in giro. Hanno avuto tutti problemi... sono bravi combattenti, ma la loro condotta non è esemplare quando sono fuori servizio. Anche Heald mi ha riferito qualcosa del genere ieri sera.» «E qual è il problema del maggiore, invece?» «Credo che occupi una posizione sufficientemente solida da non poter essere congedato, ma che non goda dei favori del Signore-Protettore. Come noi tutti, del resto.» «Se riusciamo a imparare qualcosa e a sopravvivere, andrà tutto bene. In caso contrario, be'... il Signore-Protettore avrà sacrificato cinque compagnie per il suo amico e alleato, il Landarco... Non è così forse?» Feran si affrettò ad aggiungere: «Presentato in questo modo sembra accettabile. Ma probabilmente è peggio, soprattutto per te». «Per me?» Feran avvicinò il proprio cavallo a quello di Alucius. «Sei un pastore. Sei più di un pastore. Ho visto abbastanza per capirlo.» L'ufficiale più anziano alzò una mano a respingere eventuali obiezioni da parte di Alucius. «Anch'io sono andato un po' in giro. Ho sentito un po' di chiacchiere e ho saputo, ad esempio, che il Signore-Protettore si serve di gente provvista di Talento per consultare uno strano specchio in grado di scoprire le cose. Come credi che avrebbero potuto sceglierti, altrimenti?» «Sfortuna? Congiura?» ipotizzò Alucius. «Può darsi, ma non contare troppo sul fatto che ti si creda un giovane capitano sempliciotto.» «Ci posso sempre provare», ridacchiò Alucius. «Prova tutto quello che vuoi. Non dirò niente. Approfitterò di qualsiasi vantaggio ci venga offerto. Non sarà facile.» «No», convenne Alucius. «Se i nostri fucili sono efficaci contro gli pteridon - o contro qualunque altra diavoleria abbiano quei nomadi - allora il Signore-Protettore godrà di una buona scusa per gettare ogni compagnia della milizia, cioè delle Guardie del Nord, nella battaglia, se i nomadi si dirigono a ovest.» «Ma si dirigeranno davvero a ovest?» chiese Feran, come se sapesse già la risposta. «Non credo. Non per un po', almeno. Ricaveranno maggiori vantaggi nel conquistare Deforya, poiché si assicureranno il controllo di entrambi i passi e del commercio via terra verso est, mentre non vedo cosa potrebbero
guadagnare se attaccassero subito Lanachrona.» «Questa... spedizione... puzza più di una carogna vecchia di una settimana in piena estate. Hai qualche idea di come potremmo uscirne?» «Oltre ad annientare un esercito di nemici dieci volte superiore al nostro, e qualche pteridon, o qualcosa di altrettanto terribile... no. Non ancora, perlomeno.» «Continua a pensare. Sei tu quello intelligente.» Feran si costrinse a ridacchiare. «Grazie tante», rispose secco Alucius. «Sei anche il capitano maggiore. Io sono solo un semplice capitano che ubbidisce agli ordini, cercando umilmente di fare del suo meglio.» «Già che ci siamo, potresti anche rincarare la dose», commentò Alucius in tono ironico. «Non so bene come, ma se c'è un modo...» Entrambi scoppiarono a ridere. 46 Alustre, Lustrea Vestor stava in piedi accanto al secondo passaggio a volta dell'antico laboratorio degli Ingegneri pretoriani. Alle sue spalle brillavano le pareti di pallido marmo verde e i pilastri e il pavimento di liscio granito grigiorosato. Sottili strisce di vivida luce solare estiva si riversavano dalle anguste finestre. L'uomo dai capelli scuri, con indosso la giacca nera e argento e i pantaloni argentati di Pretore, poco più anziano dello stesso Vestor, avanzò verso di lui. Vestor si inchinò. «Pretore Tyren.» «Ingegnere.» Il nuovo Pretore attraversò la stanza, fermandosi accanto al banco da lavoro e ai tavoli sui quali erano posate alcune strette vasche contenenti semi di cristalli. Dopo aver esaminato il banco e le vasche, si voltò verso l'ingegnere. «Ho ricevuto alcuni rapporti. Dicono tutti che siete rimasto da solo a combattere contro gli pteridon, finché le vostre armi e gli arcieri non sono stati eliminati, e che avete riportato delle ustioni e avete messo a repentaglio la vostra vita.» «Sì, Pretore.» «E che siete stato ferito al braccio e alla mano.» Tyren indugiò, prima di chiedere: «Ciò potrebbe compromettere il vostro lavoro?». «Posso ancora disegnare e dedicarmi ai lavori delicati, ma temo che dovrà passare un po' di tempo prima che il mio braccio sinistro riesca a solle-
vare pesi.» «Ma siete in grado di costruire altre armi simili a quelle usate contro gli pteridon?» «Come potete vedere, ho già iniziato. Avevo già spiegato a vostro padre, prima che partissimo per Catyr, che non si tratta di un procedimento immediato. Non posso accelerare la crescita dei cristalli.» «A differenza di mio padre, Vestor, sono disposto a concedervi tempo per assicurarmi che le cose vengano fatte come si deve. Avevate sei lame di luce, con all'incirca due ricambi per ciascuna. Giusto?» «Sì, Pretore.» «Ne costruiremo venticinque, con cinque ricambi per ognuna. Quando affronteremo di nuovo i nomadi saremo pronti a ogni evenienza. Mi sembra di capire che un congegno è rimasto intatto.» «Lo sto utilizzando come modello per gli altri.» «Bene. Che mi dite del progetto per la Tavola?» Tyren indicò il massiccio e squadrato tavolo nero di legno di lorken collocato lontano dal banco da lavoro, e lo spesso specchio di vetro, ugualmente profilato in lorken, appoggiato sul tavolo. «Ho trovato un sistema per misurare le forze esercitate sullo specchio. Al momento opportuno, sarò almeno in grado di determinare dove posizionarle per poterle utilizzare più a lungo senza provocare esplosioni. Mi auguro di riuscire in tal modo a realizzare un duplicato della Tavola degli Archivisti. Per quanto, temo, questo richiederà ancora più tempo.» «Non trascurate la vostra ricerca, ma prendetevi tutto il tempo necessario. Il nuovo Duarcato ne avrà bisogno, e se riuscirete nel vostro intento, riceverete lodi e ricompense tali da eclissare quelle di qualunque altro ingegnere dall'epoca del Cataclisma.» Tyren sorrise. «Molte sono le cose che ci avete già dato, ottenendo spesso ben poco in cambio. Mi sono preso la libertà di far preparare per voi le stanze all'ultimo piano della Torre Settentrionale. Lassù c'è spazio a sufficienza per una famiglia, con tutte le comodità, e il vostro nuovo stipendio potrebbe garantirne il mantenimento, se questo è ciò che desiderate. In caso contrario, vi godrete da solo tutte quelle comodità.» Gli occhi di Vestor si dilatarono, seppure lievemente. «Siete davvero molto gentile.» «Soprattutto realistico, Vestor. Persino gli ingegneri amanti del proprio lavoro hanno bisogno di riconoscimenti e di denaro», proseguì Tyren. «Riceverete la medaglia verde al valore nel prossimo consiglio delle onorifi-
cenze.» Poi annuì, arretrando di un passo. «Inutile dire che mi aspetto continui progressi da parte vostra.» Infine, con un sorriso, si girò. Vestor fece un cenno del capo, più rivolto a se stesso che non al Pretore che si allontanava. 47 Il successivo giorno di octi, le cinque compagnie si erano già inoltrate tra le montagne della Dorsale Superiore, ben più elevate di qualunque altra catena Alucius avesse visto fino a quel momento. Ciò nonostante, pensò, anche la cima più imponente sembrava bassa, se paragonata all'Altopiano di Aerlal. D'altra parte, a quanto ne sapeva lui, nessuno aveva mai tentato di scalare le oltre seimila iarde delle ripide pareti dell'altopiano. Come aveva avuto occasione di dirgli il nonno anni addietro, quando lui aveva sognato di arrampicarsi su quella montagna, c'erano modi migliori - e anche meno pericolosi - di fare la figura dello sciocco. Mentre Alucius esaminava con il Talento le alture tutt'intorno e al di sopra di lui, nonostante fosse mezzogiorno, poté avvertire un'oscurità che avvolgeva i grigi pendii rocciosi, sui quali crescevano molte meno piante di quanto si fosse immaginato. Eppure, non gli riuscì di individuare la causa di quell'oscurità. Gli alberi, tutti conifere, erano vecchi, curvi e contorti, con una minima percentuale di pini o abeti più giovani o più piccoli. Anche le poche valli che aveva visto avevano un aspetto desolato, ricoperte com'erano da distese di sassi, disseminate qua e là da qualche cespuglio stentato. «Di certo il vento soffierò forte qui, in inverno», disse a Longyl, che gli cavalcava al fianco. «Lo penso anch'io, signore. Non ho quasi visto animali: solo pochi corvi e un falco. Non ci dev'essere molta selvaggina di piccola taglia.» «No.» Alucius non aveva percepito molti segni di vita. Persino le brulle pianure di quarasote intorno alla fattoria, sotto l'Altopiano di Aerlal, erano popolate da un maggior numero di creature viventi. «Meno male che abbiamo con noi i carri con le provviste. Sarebbe difficile trovare cibo da queste parti.» «Per cinque compagnie... sarebbe addirittura impossibile, signore.» «Speriamo che sulle Montagne della Barriera le cose migliorino.» «Credete che ci dirigeremo presto da quella parte?» «Nessuno l'ha detto, ma non scommetterei il contrario.»
«Almeno siamo in estate.» Mentre Alucius procedeva in groppa a Selvaggio verso una bassa cresta, avvertì all'improvviso una punta di colore azzurro-violetto sulle alture a sud: appena un accenno. Si costrinse a sollevare piano lo sguardo, come se esaminasse i fianchi di quella gola innaturale attraverso cui passava la strada principale, ma non vide nulla. Qualunque cosa fosse quella creatura nascosta a spiare tra le rocce là in alto, doveva essere simile a un sabbioso. Ma esistevano i sabbiosi di montagna? Alucius non ne aveva mai sentito parlare, e nei racconti che aveva letto non aveva mai trovato alcun cenno a tale possibilità; si era invece imbattuto in qualche riferimento sui sabbiosi in generale e sul fatto che molti abitanti di Corus, specialmente quelli dei territori meridionali, li ritenevano creature mitiche o leggendarie, anche se i pastori ne avevano visti in numero sufficiente da sapere che erano ben lungi dall'essere un frutto dell'immaginazione. «Visto qualcosa, signore?» «Mi era parso, ma adesso è sparito.» Alucius si risistemò sulla sella, gli occhi fissi sulla strada incredibilmente diritta e sull'arido canyon che si dipanavano verso est. Nel suo libro di storia aveva trovato alcune succinte notizie su Deforya, descritta come un'antica terra di grande dolore, abbandonata da tutti i suoi abitanti prima dell'avvento del Duarcato. Chissà se le montagne riflettevano quella condizione, o se il dolore era stato originato da qualcosa che esse contenevano? Spostò lo sguardo a nord, sugli interminabili vingti di grigia roccia praticamente senza vita, e poi di nuovo davanti a sé, sulla strada. Il vuoto di quelle montagne poteva avere avuto una qualche influenza? Non ne sapeva abbastanza per trovare una risposta. Si rivolse invece a Longyl e chiese: «Come stiamo con le scorte d'acqua per i cavalli?». «Per il momento... siamo a posto, e se raggiungiamo il torrente questa sera non ci saranno problemi.» Alucius annuì. Quella percezione viola-azzurrognola era svanita, quasi non ci fosse mai stata, e non aveva neppure lasciato la sensazione persistente che invece sentiva alla fattoria, quando c'erano sabbiosi nelle vicinanze. 48 Il giorno di duadi le compagnie erano giunte nei pressi dei margini orientali della Dorsale Superiore. Una clessidra prima, a causa della rota-
zione di posto, la Ventunesima Compagnia si era portata in testa alla formazione centrale, circa mezzo vingt dietro l'avanguardia lanachroniana, dove era solito cavalcare il maggiore Draspyr. A meno di un vingt più avanti, oltre l'avanguardia, Alucius scorse due grigie pareti verticali di roccia, che si innalzavano lisce e ininterrotte per quasi duecento iarde al di sopra della strada principale. Avvicinandosi, vide che le pareti erano persino più innaturali della stretta gola, diritta come la canna di un fucile, attraverso la quale avevano marciato per giorni, poiché erano state ricavate dal centro di un'unica montagna, e tagliate a creare un'apertura ampia quasi mezzo vingt, più che sufficiente perché il fiume a sinistra della strada e la strada stessa convergessero paralleli nelle pianure che si trovavano al di là. Alucius si chiese come mai gli antichi costruttori - giacché si doveva sicuramente trattare di un'opera del Duarcato - non avessero realizzato un percorso più contenuto e più facilmente difendibile. Ma poi... rise tra sé. Il Duarcato si proponeva di unificare Corus, non di creare angusti passaggi che avrebbero potuto essere rinforzati per facilitare ribellioni o rivolte. «Signore?» lo interruppe Zerdial. «Stavo riflettendo», Alucius indicò le pareti rocciose dinanzi a sé, «su come cambiano i tempi». Zerdial aggrottò la fronte, ma non chiese spiegazioni. Dopo aver superato l'imponente passo, Alucius si trovò dinanzi una pianura senza fine, appena solcata qua e là da lievi ondulazioni. La strada principale non si era abbassata più di duemila iarde dalla massima altitudine raggiunta nel mezzo della Dorsale Superiore, quando sboccò nella vallata circondata dalle alte montagne che costituiva il territorio di Deforya. Alucius aveva studiato le mappe e la storia di Corus, e sapeva che Deforya era circondata su tre lati dalle montagne, mentre a nord era protetta dai fianchi simili a bastioni dell'Altopiano di Aerlal. Sapeva inoltre che era essenzialmente un'immensa vallata che si estendeva per duecento vingti da ovest a est, e per trecento vingti dall'Altopiano di Aerlal a nord alle Montagne della Barriera a sud, che costituivano il confine tra Deforya e Illegea. Conoscere quei dati per averli letti e vedere la valle smisurata con i propri occhi erano due cose completamente diverse. Mentre continuava ad avanzare in groppa a Selvaggio, attraversando il valico roccioso della Dorsale Superiore e lasciandoselo alle spalle, Alucius venne assalito da un'altra sensazione, una sensazione di immensa tristezza, un'emozione che non gli scaturiva dall'interno, ma che proveniva dalle
montagne di grigia pietra che aveva appena superato... e persino dalla pianura di fronte. Una sensazione emanata da quelle creature che non aveva mai visto, il cui colore talentoso azzurro-violetto gli era parso così simile a quello dei sabbiosi, eppure così diverso. E perché mai un sabbioso - o qualunque cosa fossero gli esseri che abitavano le montagne - avrebbe dovuto essere triste, o mostrare tristezza? O erano forse altre le ragioni all'origine di ratta quella tristezza? Alucius gettò un'occhiata alla sua sinistra. Il fiume che aveva visto fluire per gli ultimi cinquanta vingti attraverso l'antico canale in pietra, a fianco della strada principale, adesso era completamente incanalato in un acquedotto in durapietra, ampio oltre venti iarde, i cui archi aggraziati si innalzavano già quasi più di cinque iarde sopra il livello della strada, lungo la quale correva in parallelo. «Non ho mai visto una cosa del genere, neppure a Hieron», disse piano Zerdial. «A Hieron non avevano bisogno di acquedotti; anche se doveva essere costato loro altrettanta fatica, se non di più, costruire gli argini del fiume e le vie di comunicazione che li affiancavano», osservò Alucius. «Mai quanto scavare un percorso attraverso le montagne, vero?» chiese educatamente Zerdial. «Più o meno lo stesso, immagino. A Hieron, le strade sugli argini di entrambe le rive del fiume si snodavano per oltre centocinquanta vingti, e probabilmente i matriti dovevano aver scavato in profondità per costruire le fondamenta. Qui si sono limitati a tagliare la roccia.» «Solo?» chiese Longyl, portandosi col proprio cavallo alla sinistra di quello di Alucius. «Solo», confermò Alucius con una risata. «È sempre più facile togliere, quando si crea qualcosa. È come un lavoro di intaglio. Si elimina ciò che non serve. Quando invece si costruisce, per prima cosa occorre scavare bene in profondità...» Tacque e scosse il capo. «Probabilmente hai ragione. Non sappiamo in che modo lavoravano. Se lo facessimo oggi, tutto questo - indicò la gola artificiale e l'acquedotto - sarebbe più facile.» «Quanto dista Dereka, signore?» domandò Zerdial, chiaramente desideroso di cambiare argomento. «Circa trenta vingti. Non ci arriveremo entro oggi. Inoltre, il programma prevede che ci fermiamo a una stazione di confine situata a pochi vingti da qui, a est. Può darsi che dovremo fermarci là finché il Landarco non ci mandi a chiamare. Il maggiore non ne era sicuro.»
«Non si sono sprecati troppo con le spiegazioni, vero?» chiese Longyl. «Queste cose non cambiano da una terra all'altra», dichiarò Alucius, trattenendosi dall'aggrottare la fronte. Persino dopo essersi allontanati dalle montagne, il suo Talento continuava a registrare quella sensazione di tristezza. 49 I tridi, le compagnie ripartirono dalla stazione di guardia di buon'ora, scortate da una mezza squadra di soldati deforyani in uniforme cremisi, sorprendentemente simile a quella indossata dalla seconda banda di predoni, che la Ventunesima Compagnia aveva annientato alla fine dell'inverno. Il cielo verde-argento era terso, il sole bianco emanava una vivida luce e la giornata era resa gradevole, forse a causa dell'altitudine di Deforya, da una leggera brezza che soffiava da nord. La strada principale e l'acquedotto proseguivano verso est. Di tanto in tanto, Alucius riportava lo sguardo a nord, ma l'acquedotto restava là, bene in vista, poiché il terreno si era alzato solo di poche iarde dopo che avevano lasciato la stazione. A intervalli di circa due vingti, delle tubature circolari in durapietra convogliavano l'acqua dell'acquedotto nel terreno, acqua che poi ricompariva in pratiche fontane di pietra squadrate sul lato a nord dell'acquedotto stesso e su quello a sud della strada. Dalle fontane si dipartivano canali di pietra a cielo aperto, che correvano paralleli ai frutteti. O piuttosto, Alucius pensò, erano i frutteti a essere stati disposti in parallelo ai canali di irrigazione. A volte, nei pressi delle fontane, capitava di vedere villaggi con case simili l'una all'altra: tutte con una struttura rettangolare, imposte rossomarroncine, muri di pietra intonacati e vecchi tetti ricoperti da lastre di ardesia. Sebbene le case fossero ben tenute, nessuna sembrava recente. Altre volte non comparivano abitazioni, ma solo frutteti. A metà pomeriggio, ciò che inizialmente era parsa una sfumatura dorata nel punto d'incontro tra la strada e l'orizzonte era invece risultato essere un primo scorcio della città di Dereka. In mezzo ai prati verde oro, al di sopra dei filari ordinati di meli e di melopruni di cui erano colmi i frutteti che fiancheggiavano la strada e l'acquedotto, si vedevano ergersi palazzi di pietra simile all'oro e tre scintillanti torri verdi, che ricordarono ad Alucius la torre di Punta del Ferro. Persino alla distanza di oltre cinque vingti, i netti e distinti profili degli edifici, così come le loro dimensioni, si staglia-
vano chiaramente sullo sfondo. Molti dovevano misurare un centinaio di iarde su ogni lato. A mano a mano che Alucius e la colonna di soldati si avvicinavano, fabbricati più piccoli - case, botteghe, stalle - diventarono visibili e, sebbene il materiale usato per la costruzione fosse sempre la pietra, le sfumature che contraddistinguevano i vari blocchi erano più tendenti al giallo, e i loro contorni erano meno netti e distinti. L'acquedotto e la strada principale proseguivano diritti, dividendo completamente la città in due parti, quella settentrionale e quella meridionale, con metà degli antichi palazzi distribuiti a nord e l'altra metà a sud. Anche le case alla periferia della città erano di pietra gialla, ma squadrate alla bell'e meglio, e i tetti erano ricoperti da semplici lastre irregolari di ardesia, simili a quelli delle Valli del Ferro. Alcune vie laterali erano pavimentate in pietra, ma la maggior parte di esse era sporca e polverosa e ben più affollata rispetto a qualunque altra città Alucius avesse visitato, ma nessuno dei passanti che percorrevano quelle vie si avventurava sulla strada principale. Tuttavia, alcuni commenti giunsero fino alle loro orecchie, benché Alucius avesse avuto qualche difficoltà iniziale a comprendere il dialetto, una forma di lanachroniano stranamente accentata. «... nero... vengono dal nord...» «... il Landarco... comperati...» «... non vogliamo stranieri... ci rubano l'acqua...» «No... mandati dal giovane Signore-Protettore... meglio che combattano qui...» «... non ci saranno battaglie... gli spiriti delle rocce stermineranno i mangiatori di erba...» Nei pressi del centro città, le scorte deforyane svoltarono a sud, su una strada selciata in pietra gialla, nella quale anni di passaggi di ruote di carro avevano tracciato solchi profondi quasi una spanna. L'avanguardia e il resto della colonna li seguirono. Alucius studiò gli antichi edifici dai contorni precisi e lineari. Le finestre erano rettangolari, prive di persiane. I tetti in pendenza, alcuni alti cinquanta iarde, erano ricoperti dalle stesse lisce pietre dorate, così che non si vedeva alcuna linea di separazione apparente tra il tetto e il muro della casa. Un fabbricato a est della via principale che stavano percorrendo era completamente svuotato all'interno, e Alucius se ne chiese il motivo. Chissà se tutta la struttura interna era crollata, come nella torre verde di Punta del Ferro? O se c'erano altre ragioni?
Proseguirono verso sud, avvicinandosi a un altro palazzo antico e imponente, lungo almeno trecento iarde. Là, su un'asta posta dinanzi a un ampio viale circolare che fungeva da ingresso, sventolava una bandiera rossa con profili dorati, raffigurante una mezza luna d'oro con una luna intera più piccola, di colore verde, sotto un arco formato da quattro stelle a otto punte. All'estremità settentrionale del palazzo sorgeva una torre rivestita di scintillante pietra verde: una copia di quella accanto alla quale Alucius era così spesso passato durante l'infanzia, nei suoi viaggi a Punta del Ferro. «Dev'essere il palazzo del Landarco», ipotizzò Longyl. «Sembra molto vecchio.» «È in durapietra dorata», disse Alucius. «È citato nei libri di storia, ma non si accenna al fatto che Dereka sia stata edificata con queste pietre. Non ho mai visto palazzi simili a Madrien.» «Ah...» disse Longyl con espressione di scusa. «Tu ne hai visti?» «Sì, signore. Ho visto costruzioni di questo tipo alla periferia di Faitel. Al centro c'era un grande lago circolare di acqua scura. Dicevano che era stato prodotto dal Cataclisma, ma non ci hanno spiegato come. Circa due vingti più all'interno rispetto al lago, c'erano palazzi come questo.» «Interessante.» Era ben più che interessante, e aveva un senso logico , anche se Alucius non sapeva dire il perché, proprio come allora non era stato in grado di immaginare la funzione di quell'edificio a Hieron, che in seguito aveva scoperto essere la residenza della Matride. I cancelli di ferro del palazzo erano aperti, ma sorvegliati da una mezza squadra di soldati a cavallo che non si mossero, mentre la colonna li superava dirigendosi verso un'altra antica costruzione più bassa, benché altrettanto lunga, situata più a sud, sul lato ovest della via principale e circondata da un muro in pietra alto un paio di iarde. All'ingresso del forte stazionavano due sentinelle, al riparo di garitte di legno aperte. Al di là del cancello c'era un vasto cortile pavimentato con pietre vecchie e danneggiate, sebbene le crepe fossero state riparate con del cemento e gli interstizi tra una pietra e l'altra riempiti, anche se non di recente. All'estremità occidentale si trovava il lungo edificio basso dal centro del quale, al piano terra, si estendeva per circa dieci iarde nel cortile una piattaforma in pietra con una balaustra. «In formazione per compagnia, da sinistra a destra, centrati sulla piattaforma!» L'ordine di Draspyr rimbombò tra le mura. La Ventunesima Compagnia, che si trovava a metà colonna, si trovò
proprio di fronte alla piattaforma. Quindi aspettarono tatti che i dieci carri li raggiungessero cigolando e si fermassero a loro volta. Alucius si gettò un'occhiata alle spalle. Le cinque compagnie - più di cinquecento tra soldati e ufficiali - e i carri coprivano appena metà dell'intero cortile. Un uomo alto, dai capelli scuri e dalla barba dal taglio accurato, con indosso un'uniforme cremisi dalle spalline argentate e un collare d'argento con l'emblema raffigurante due spade incrociate sopra una stella a otto punte, si fermò al centro della piattaforma, dietro la balaustra. Quella specie di terrazza era alta a sufficienza perché la testa dell'uomo superasse di una iarda e mezzo quelle dei soldati a cavallo e dei loro ufficiali. «Vi do il benvenuto alla Prima Base Lancieri di Dereka, da parte mia e del Landarco.» Poi l'ufficiale si rivolse al maggiore Draspyr: «La vostra presenza e l'amicizia che ci dimostrate, sono molto apprezzate. Avete fatto un lungo viaggio, e non voglio prolungarlo oltre. Tra alcune clessidre si terrà una festa in vostro onore. I vostri soldati saranno festeggiati nella sala riservata alle truppe, mentre voi, maggiore, e i vostri ufficiali cenerete con il Landarco nella Grande Sala dei Banchetti...». Ad Alucius ci volle un attimo per abituarsi all'accento, anche se le parole gli erano sufficientemente familiari. «... le scuderie sono pronte, e anche i vostri alloggi, così che possiate prendervi cura dei cavalli e rinfrancarvi dalle fatiche del viaggio.» A un suo cenno, apparvero alle sue spalle dieci uomini in uniforme cremisi, l'equivalente dei comandanti di squadra, giudicò Alucius, che scesero nel cortile, diretti a coppie verso le cinque compagnie. «... e adesso... vorrei scambiare una parola con voi e con i vostri ufficiali, prima che ve ne andiate.» «Ufficiali, avanzate!» ordinò Draspyr. Alucius diresse Selvaggio verso la terrazza, fermandosi accanto a Feran. Heald si affiancò ad Alucius, mentre Koryt si posizionò sull'altro fianco di Feran, con Clifyr vicino a lui a chiudere la fila. «Sono l'aiuto-maresciallo Ahorak, assistente comandante in capo di Dereka, e sono lieto di fare la vostra conoscenza. Sarete tutti alloggiati nel fabbricato riservato ai visitatori. All'estremità nord troverete gli alloggi per gli ufficiali, in quantità più che sufficiente a soddisfare le vostre esigenze. Troverete anche un caffè per ufficiali nel seminterrato dell'edificio del quartier generale, qui accanto, aperto tutti i giorni a partire da una clessidra prima dell'alba fino a mezzogiorno... Domani mattina... vi aggiorneremo sui movimenti dei nomadi, e il giorno di quinti partirete verso sud per rag-
giungere le nostre guardie di confine...» Alucius ascoltò la breve spiegazione, con un garbato sorriso sulle labbra, cercando nel contempo di studiare l'aiuto-maresciallo. Ahorak non mostrava alcuna traccia di Talento, e dietro l'amichevole facciata nascondeva condiscendenza e arroganza, probabilmente dovute al fatto di dover dare il benvenuto a un semplice maggiore. Alucius capiva che, nell'inviare solo un maggiore, il Signore-Protettore aveva desiderato trasmettere un altro messaggio. «... voi, maggiore, come comandante di questo esercito, siederete alla tavola alta con il Landarco e, se mi fornirete i nomi e i ranghi dei vostri ufficiali, li faremo accomodare alla tavola lunga dei Lancieri di Deforya, con gli ufficiali... a cena non sono ammesse armi... neppure le sciabole...» Dopo aver ricevuto un'altra serie di istruzioni, Alucius seguì un comandante di squadra deforyano verso il settore delle scuderie riservato agli ufficiali, dove si occupò di Selvaggio, per poi tornare al fabbricato destinato agli alloggi degli ufficiali in visita, alloggi che erano situati al piano superiore delle baracche e sembravano quasi sfarzosi. Ogni stanza aveva pareti rivestite di marmo, con scuri all'interno delle finestre, un ampio letto con uno spesso materasso, uno scrittoio e un grosso armadio, una profusione di attaccapanni da muro e persino una rastrelliera per fucili. Il pavimento era di lucido granito, arricchito da un grande tappeto intrecciato di fianco al letto. Inoltre, anziché avere un locale da bagno in comune per tutti, ogni ufficiale divideva con l'occupante della camera attigua una vasta sala da bagno con una vasca munita addirittura di due rubinetti, uno dei quali lasciava scendere acqua calda - non bollente - ma calda. Dopo averne discusso con calma con Heald, Alucius e l'altro capitano maggiore avevano concordato che fosse meglio occupare ciascuno una stanza attigua a quella del proprio capitano. Alucius provò immensa gioia nel potersi ripulire da capo a piedi e, mentre Feran faceva a sua volta il bagno, prima di rivestirsi del tutto, si lavò anche la biancheria e l'uniforme che aveva indossato durante il viaggio. Di lì a poco, due carrozze aperte condussero i sei ufficiali dalla Base dei Lancieri al palazzo del Landarco. Furono scortati attraverso un ampio vestibolo alto trenta iarde e largo cinquanta, con pilastri in durapietra dorata che trasudavano antichità, sebbene la sala avesse un aspetto immacolato e il pavimento di pietra liscia fosse lucido a sufficienza da riflettere le sagome degli ufficiali. Poi proseguirono nell'ancora più immensa Grande Sala
dei Banchetti, con pilastri e volte simili ai precedenti, e con tende cremisi drappeggiate tra un pilastro e l'altro, su ogni lato della sala. La tavola alta poggiava su una predella, che sopravanzava di circa una iarda il resto del salone. La tavola lunga, collocata più in basso, copriva solo il terzo anteriore della Sala dei Banchetti. Mentre il maggiore Draspyr fu condotto al suo posto, Alucius fu fatto sedere tra due ufficiali deforyani in uniforme cremisi con spallette dorate. Heald era seduto di fronte, due posti più in là verso la testa della tavolata. Si erano appena accomodati che un funzionario dalla veste dorata si fece avanti e batté una pesante mazza sul pavimento della predella. A quel punto, comparve il Landarco, abbigliato non in cremisi, ma in verde scuro con profili in oro. Non era un uomo corpulento e aveva un viso sottile, ma persino dalla distanza di venti iarde, Alucius avvertì l'autorità che emanava dalla sua persona, benché priva di Talento. «Al tempo eterno, a Colui che È e all'Ignoto, poiché tutti e tre sono e sono sempre stati!» Il Landarco chinò il capo nel silenzio della sala e aggiunse: «E ai nostri amici venuti da nord e da ovest per offrire generosamente i loro servigi contro il flagello del sud. Stasera non ci saranno discorsi, e neppure brindisi! Soltanto vino, buon cibo e amicizia!». Detto questo, si voltò e si avviò al suo posto a metà della tavola alta, dove si sedette. Subito comparvero i servitori, tutti di giovane età. Alucius si lanciò un'occhiata intorno, rendendosi conto che, da quando aveva fatto il suo ingresso nel palazzo del Landarco, non aveva visto neppure una donna. Cercò di usare il Talento, sapendo che tale sforzo avrebbe potuto stancarlo, ma era necessario che apprendesse più di quanto i suoi occhi erano in grado di dirgli. Individuò i fili vitali di tutti i commensali, quasi tutti di un colore rosso ruggine, una tonalità che comunicava un senso di antica tristezza o sofferenza, o qualcosa del genere. Chissà se le terre conservavano quei sentimenti e li tramandavano? In che modo? «Come siete diventato ufficiale dell'esercito... lanachroniano?» chiese il capitano seduto di fronte ad Alucius e, apparentemente, persino più giovane di lui. Alucius ci mise un attimo a cogliere il significato della domanda che gli era stata rivolta, prima di rispondere: «Ero capitano nella Milizia delle Valli del Ferro quando il Consiglio accettò di entrare a far parte di Lanachrona. Subito dopo fui promosso capitano maggiore». Avvertendo nell'altro una certa frustrazione, prima ancora che finisse di parlare, aggiunse: «A quel punto, avevo già qualche anno di servizio alle spalle».
«Temo... di non essere stato chiaro. In generale, come fa uno... a diventare ufficiale? Per diritto di nascita, per aver frequentato una scuola... per incarico del Signore-Protettore...?» Alucius annuì. «Non posso dire cosa succede nelle Guardie del Sud, ma per quanto riguarda le Guardie del Nord, cioè noi con le uniformi nere, ci sono vari modi di diventare ufficiale. Personalmente, sono cresciuto facendo il pastore...» «I pastori proprietari terrieri, volete dire?» «Sì», ammise Alucius. «Possediamo una grossa fattoria a nord di Punta del Ferro, nelle Valli del Ferro.» «E probabilmente voi siete il figlio cadetto?» «No. Sono figlio unico. La mia famiglia è convinta che un pastore non possa meritare rispetto se non ha servito nella... nelle Guardie del Nord.» Era stato sul punto di dire «milizia» poiché le abitudini di una vita non potevano cambiare tanto facilmente, soprattutto quando si cercava di alterare le proprie risposte, senza discostarsi troppo dalla verità. «E avete partecipato a molte... battaglie?» La domanda venne formulata dal capitano maggiore più anziano, alla sua sinistra, il cui nome era Gheranak, stando alla targhetta che aveva davanti a sé. Occupava il posto accanto a Heald, vicino a quello del capotavola. La domanda era stata posta in tono pratico, come se l'altro già sapesse. Alucius rispose: «È difficile fare paragoni, ma mi è stato detto che, tra i soldati delle Guardie del Nord, sono uno di quelli con maggiore esperienza di combattimento». Il volto del giovane ufficiale di fronte a lui espresse una garbata incredulità. Heald fece per aprire bocca, ma si bloccò, mentre il capitano maggiore Gheranak, autore della domanda, abbozzò un cenno con la mano. «Capitano maggiore Shorak.» Le parole erano misurate e pacate. «Ho letto questa mattina la nota personale del capitano maggiore Alucius. È assai avvincente. Fu ferito gravemente durante una battaglia contro i matriti e dato per morto. Sebbene fosse stato fatto prigioniero, in poco più di due anni, non solo guarì da una ferita alla testa ritenuta mortale, ma riuscì anche a fuggire. E condusse con sé un'intera compagnia di soldati, sterminando quattro compagnie matriti. Di recente, per ben due volte, ha eliminato bande di predoni che erano di gran lunga superiori come numero alle squadre dei suoi uomini. È anche interessante notare che ha sempre combattuto stando nelle prime file.» Il capitano maggiore più anziano inclinò il capo in dire-
zione di Alucius. «Chiedo scusa, capitano maggiore Alucius, ma è spesso difficile parlare dei propri meriti senza apparire pretenziosi.» Alucius gli rispose con un cenno. «Grazie. Non sapevo che la storia della mia vita mi avesse preceduto.» Era sorpreso sia dal fatto che l'altro avesse raccontato la verità su di lui sia che la conoscesse. «Be'... non è proprio così, ma il Landarco ha le sue fonti.» Heald nascose il proprio cipiglio, poi guardò Alucius, che gli sorrise mesto ottenendo per tutta risposta un'impercettibile scrollata di spalle. Il volto del giovane dirimpettaio di Alucius era quasi livido. «Vi chiedo scusa, capitano maggiore.» «Non preoccupatevi... dopotutto cercavate solo di ottenere qualche informazione», disse Alucius con un sorriso. L'altro impallidì ancora di più, e cercò rifugio dietro un calice di vino ambrato. «Il nostro Shorak, qui...» disse l'ufficiale alla destra di Alucius, «deve imparare ancora qualcosina sul modo in cui le altre terre gestiscono i propri eserciti. Ma imparerà». «Temo di non sapere nulla dell'organizzazione dei vostri Lancieri», confessò a sua volta Alucius. «Conosco talmente poco che non saprei porvi alcuna domanda intelligente. Forse sarete così gentili da illuminarmi.» «Sono Feorak», si presentò l'ufficiale, voltandosi con una risatina a guardare Shorak. «Vedete, Shorak! È così che avreste dovuto fare.» Poi si rivolse ad Alucius: «Avete ucciso parecchi uomini in battaglia, vero?». «Abbastanza», ammise Alucius. «Le esperienze acquisite danno un'aria diversa. Impossibile non capirlo quando si guarda bene una persona», disse Feorak, rivolto tanto a Shorak quanto ad Alucius. «Avete chiesto dei Lancieri. Abbiamo venticinque compagnie, cinque delle quali sono già in servizio al confine. Altre cinque partiranno con voi il giorno di quinti. Mi spiace di non essere tra i prescelti. Dunque... l'organizzazione. Gli ufficiali vengono tutti da famiglie in grado di garantire un'educazione ai propri figli. Si tratta di solito di figli cadetti di proprietari terrieri, come nel caso mio e di Shorak, ma anche di mercanti o di funzionari. Si frequenta un anno di addestramento all'Accademia dei Lancieri. I soldati semplici frequentano la stessa accademia, ma solo per tre mesi. Le varie compagnie sembrano strutturate come le vostre, ma ogni squadra è composta da ventiquattro soldati, e ci vogliono cinque squadre per formare una compagnia. Al comando di ogni compagnia c'è un capitano maggiore, che ha sotto di sé un capitano, coadiuvato da un co-
mandante di squadra e da un aiuto comandante di squadra, e poi c'è un altro comandante di squadra per ogni squadra, con un soldato anziano a capo di ogni sottosquadra di dodici uomini.» Alucius annuì. La spiegazione era stata molto esauriente. «Il vostro problema più grave sono i nomadi, o si tratta di una minaccia recente?» «Per quasi una generazione non abbiamo avuto molto a che fare con quelle popolazioni. Non erano neppure unite prima dell'arrivo di Aellyan Edyss. Si trova ogni genere di predoni e di bande nascosti tra i monti della Dorsale di Corus, a est di Aelta, ed è quello il luogo in cui la maggior parte delle compagnie di Lancieri è stata distaccata. Anche in questo momento ce ne sono ancora dieci stazionate lassù.» «Perciò, dopo la nostra partenza, resteranno solo cinque compagnie a Dereka?» Feorak annuì. «La maggioranza dei deforyani non si preoccupa troppo dei nomadi. Crede di essere protetta dagli spiriti delle montagne. Dereka non ha mai subito invasioni, nemmeno prima del Cataclisma.» «Spiriti delle montagne?» «Nessuno li ha mai visti, ma abbiamo trovato predoni, persino nomadi, uccisi sui pendii o in corrispondenza dei passi. Senza che vi fosse alcun segno di violenza sui loro corpi.» Feorak si strinse nelle spalle. «Nessuno riesce a spiegare cosa sia successo, ma...» Alucius annuì. «Se funziona...» Assaggiò un boccone della carne che aveva preso dal vassoio di portata. Era tenera, ricoperta da una glassa di melaprugna e appena saporita, ma non assomigliava ad alcun tipo di carne che avesse già mangiato in precedenza. «È antilope delle pianure», disse esitante Shorak. «Vi piace?» «È molto buona», replicò Alucius. «È un animale che vive nei territori a sudest, al di sotto della strada principale, prima che questa si addentri nel Passo Settentrionale. È difficile da cacciare, ma, da parecchie generazioni, è il genere di carne che si cucina di preferenza per i banchetti.» «Prima ancora che questa terra prendesse il nome di Deforya? O è sempre stata chiamata così?» chiese Alucius, mantenendo un tono di voce indifferente. «Stando a quanto narrano i libri, si è sempre chiamata Deforya, terra di prosperità e di abbondanza, protetta dalle stesse montagne...» «Allora, sono le montagne il motivo per cui non siete preoccupati riguardo ad Aellyan Edyss?» domandò Alucius. «Ha messo in rotta i Preto-
riani e ha conquistato Ongelya.» «Ma non ha attraversato le Montagne della Barriera», dichiarò Shorak. «Nessuno l'ha mai fatto. Non con un grosso spiegamento di forze, comunque.» «Non ancora», aggiunse Feorak con una risata. «Abbiamo attraversato vingti e vingti di frutteti», disse Alucius, bevendo un piccolo sorso del vino ambrato. «I nostri frutteti sono famosi in tutta Corus...» Alucius rimase in ascolto, ponendo solo di tanto in tanto qualche domanda. Un paio di clessidre più tardi, Feran, Alucius e Heald si ritrovarono su una delle carrozze che li riportava ai loro alloggi. Nessuno dei tre parlò durante il tragitto, perlomeno non finché ebbero attraversato il cortile e si furono diretti verso gli alloggi riservati agli ufficiali, al chiarore delle due lune, Selena e Asterta, i cui mezzi dischi brillavano nel cielo. «Che ne pensate di Dereka? Come vi sembra questo posto?» chiese Alucius quasi pigramente, guardando prima Heald e poi Feran. «Vecchio», rispose Feran. «È come se fossero rimasti indietro di una generazione.» Quindi rise piano. «Sembrano esserne contenti.» «Contenti? Lo credi davvero? Contenti o rassegnati?» «Contenti come la maggior parte della gente», disse Heald. «Ho l'impressione che ci osservino di continuo. Sapevano tutto di noi.» Aggiunse a bassa voce: «Gheranak sapeva anche del lancia-proiettili di cristallo. Dopo aver raccontato a tutti le vostre imprese, mi ha chiesto di quell'arma, di cosa potesse fare e se qualcun altro fosse in grado di costruirne una». «I capitani al mio tavolo chiedevano perché i predoni indossassero uniformi deforyane», aggiunse Feran. «Quelli che avevano attaccato Tuuler, sapete?» «Sicuramente non avevano avuto tutte quelle informazioni dal SignoreProtettore, o dal maggiore», fece notare Alucius. «La cosa non mi piace», dichiarò Feran. «Non è poi così male», replicò Alucius. «Pensate a come siamo arrivati qui.» Heald annuì, comprendendo ciò che Alucius intendeva dire e non dire. Dereka era chiaramente un luogo dove i muri avevano occhi e orecchi, se non addirittura qualcosa di più. 50
Tempre, Lanachrona Il Signore-Protettore entrò nella sala delle riunioni e prese posto su una sedia vuota. Guardò i due marescialli e l'Archivista degli Atti. «Archivista... volete fare il vostro rapporto?» «Il capitano pastore si trova a Dereka. Cosa vi aspettate da questa mossa?» domandò l'Archivista dalla veste color argento, in tono piatto. Gli occhi erano due pozze nere in un volto che, dall'inverno precedente, si era fatto persino più sottile. A quelle parole, il silenzio calò attorno al tavolo, poi si fece più profondo. Nessuno parlò. Di lì a poco il Signore-Protettore sorrise, seppure debolmente. «Mio caro Archivista, è la prima volta che mi parlate in tono così duro. Voglio credere che abbiate una valida ragione.» «Ce l'ho, Signore-Protettore. Temo che stiate scatenando più di quanto non vogliate. Voi desiderate la stabilità di Lanachrona, ma la Tavola non è quasi più in grado di mostrare il capitano pastore. Il che non è davvero molto incoraggiante se non avete...» «Sono sposato da meno di un anno, e ho dei fratelli.» «Chiedo scusa, Signore-Protettore. Non intendevo dire questo. Mi stavo riferendo alla Tavola. Sapete cosa significa quando un'immagine non viene mostrata.» «Vuol dire, mio caro Archivista, che avevo ragione. Aellyan Edyss ha i suoi pteridon. E anche noi abbiamo la nostra arma talentosa. Che i due combattano a Deforya o vicino alle Montagne della Barriera per noi non fa alcuna differenza. In entrambi i casi vinceremo. Se il capitano maggiore ne esce vittorioso, riceverà un encomio da parte nostra e tornerà a fare il pastore, che è tutto ciò che desidera. E ce ne sarà grato. Se invece si mostra bramoso di conquistare la gloria in battaglia, potremmo anche nominarlo maggiore e mandargli un esercito più numeroso, per consentirgli di attaccare i nomadi e conquistare le loro terre. Tutto questo contribuirà anche a far sì che il buon colonnello Weslyn continui a guardarsi alle spalle. Se il capitano maggiore non dovesse farcela, sono certo che causerà comunque ai nomadi un danno maggiore di quanto Aellyan Edyss possa immaginare. E lo terrà buono per un po' impedendo che decida subito di assalirci di nuovo e, se Deforya l'avrà scampata, rafforzerà anche le nostre relazioni con il Landarco.» «Non credete che questo capitano possa rivoltarsi contro di voi?» chiese
il maresciallo Alyniat. «Non finché sarà un pastore con una fattoria, con una madre, un nonno e una moglie. La fattoria è la sua vita. È così per tutti i pastori.» Il SignoreProtettore sorrise, gelido. «E se dovesse accadere qualcosa alla fattoria o a qualcuno di loro, farò in modo che chi ne è stato causa debba soffrire conseguenze ben peggiori. Non mi piace che i miei validi strumenti vengano danneggiati per pura meschinità.» I due marescialli si affrettarono ad annuire. L'Archivista rabbrividì in modo impercettibile. «Che mi dite dei nomadi?» chiese il Signore-Protettore. «Stanno perlustrando i passi a nord, tra Illegea e Deforya. Stanno anche facendo scorta di provviste», rispose l'Archivista. «Come sapete, la Tavola non mostra gli pteridon, ma non ha rivelato altri segni di battaglie.» «Bene.» Il Signore-Protettore si rivolse al maresciallo più anziano. «Quanto ci vorrà a mettere insieme le forze necessarie per spostarsi da Glacenda a Porto del Nord?» «La Tavola dell'Archivista dice che ci sono solo due compagnie di cavalleggeri matriti posizionate a nord di Armonia. Potremo disporre di quanto ci serve all'occupazione di Porto del Nord in meno di due settimane. Ci impadroniremo di Armonia entro la fine della stagione del raccolto. Dopodiché il conflitto si farà più intenso e difficile. Può darsi che raggiungiamo Arwyn prima dell'inverno.» «Allora, consolideremo la nostra posizione prima dell'inverno, ovunque sia. Non commetteremo lo stesso errore della Matride.» Il SignoreProtettore si rivolse ad Alyniat e poi all'Archivista: «Farete in modo di tenermi aggiornato sui movimenti delle truppe matriti?». «Sì, Signore-Protettore.» «È... Pensate che far spostare i nostri soldati a ovest...?» Wyerl non terminò la frase. «No. Non ne siamo sicuri. Ma Aellyan Edyss è un nomade. Pensa ai saccheggi e all'oro. Ecco perché vuole Deforya e il controllo del Passo Settentrionale. Se adesso attacchiamo Madrien, potremo impossessarci di tatti i porti più importanti della costa, tranne Hafin, e a tempo debito potremo sconfiggere i matriti. Controlliamo già gran parte delle vie di comunicazione principali, e il denaro scorre copioso nelle tasche dei nostri esattori a Porta del Sud.» I due marescialli annuirono di nuovo.
51 Alucius sentiva sotto i piedi il freddo delle lisce piastrelle. Abbassò lo sguardo e si accorse di indossare dei semplici calzoncini, anziché i suoi indumenti di seta nerina. Mentre rialzava lo sguardo vide che una donna dai setosi capelli neri, dagli occhi violetti e dalla pelle candida e immacolata, con indosso ancora meno indumenti di lui, era entrata dal passaggio a volta di fronte a lui, e avanzava sinuosa, sorridendo e facendogli cenni, lasciando intendere che ogni genere di delizia fosse a portata di mano. Ma Alucius esitò e fece un passo indietro, avvertendo un profondo senso di gelo. La donna gli fece di nuovo cenno, e Alucius indietreggiò ancora di più. Una saetta violacea comparve sulla punta delle dita di lei e si scagliò nella sua direzione. Alucius sollevò la sciabola che si era trovato in mano all'improvviso. La saetta gli sfrecciò accanto sprigionando un calore intenso, pari a quello di una fucina. Si sentì il puzzo di capelli che bruciavano... i suoi capelli. Alucius balzò a sedere di scatto sull'ampio letto nella stanza dalle pareti rivestite di marmo nelle baracche dei Lancieri di Dereka, le cui mura dovevano risalire almeno ai tempi antecedenti al Cataclisma. Nell'oscurità, per lui più simile al chiarore del crepuscolo, Alucius si guardò intorno, ma non vide né avvertì alcuna presenza nella camera, che era perfettamente silenziosa, non fosse stato per il suo respiro affannoso. Inghiottì e si inumidì le labbra. Perché mai la Matride, o l'immagine che aveva di lei? Non aveva più fatto quel sogno sin da quando l'aveva uccisa. Perché adesso? Erano settimane che non pensava neppure alla precedente sovrana di Madrien, se non di sfuggita, forse. Il motivo era forse dovuto al fatto di essere attorniato da tutti quegli edifici antichi? O al senso di dolore che permeava Deforya? Dopo aver messo le gambe fuori dal letto, Alucius si alzò. Si avvicinò alla finestra e aprì un poco le imposte. Sotto di lui, il cortile era vuoto. Poi si voltò. Aveva bisogno di dormire ancora e se non l'avesse fatto se ne sarebbe pentito, visto il lungo viaggio che la Ventunesima Compagnia doveva ancora affrontare. Mentre si infilava di nuovo sotto la coperta leggera, del tutto adeguata a quella fresca notte d'estate, cercò di non pensare alle ragioni che si nascondevano dietro al sogno appena fatto. Era inoltre preoccupato per Wendra, anche se non capiva perché il sogno avesse risvegliato le sue preoccu-
pazioni, e si augurava di avere modo di scriverle, almeno. O, ancora meglio, di tornare alla fattoria. Ma quel ritorno, lo sapeva fin troppo bene, non sarebbe avvenuto prima di molti mesi, sempre che lui e i suoi compagni fossero riusciti a sopravvivere. 52 Il giorno di quinti, Alucius si trovava alla testa della Ventunesima Compagnia diretto a sud, lasciandosi alle spalle la città di Dereka alla volta delle cime brumose delle Montagne della Barriera, appena visibili in lontananza, oltre i frutteti e le praterie. La strada che conduceva a sud non aveva il fondo in durapietra, sebbene fosse lastricata, perlomeno, per i primi cinque vingti che avevano percorso dopo aver lasciato la città e per quanto Alucius poteva vedere spingendo lo sguardo dinanzi a sé. Lastricata o no, era comunque polverosa. Dato che la Ventunesima Compagnia era quarta in ordine di marcia, tra le compagnie di Lanachrona e quelle delle Valli del Ferro, e poiché l'esercito deforyano era in testa, la quantità di polvere nell'aria era tale che Alucius si trovava a doversi pulire dalla fronte e dal viso la sottile sabbiolina almeno a ogni vingt. Longyl cavalcava al suo fianco. «Non ci sono acquedotti né frutteti lungo questa strada, anche se il terreno non sembra diverso. Scommetto che potrebbero coltivare anche qui le loro meleprugne.» «Già, potrebbero, se solo avessero acqua e qualcuno che se ne prendesse cura.» «C'era molta gente a Dereka», rifletté Longyl. «Non mi sembra che avesse un gran bell'aspetto.» «Alcuni palazzi erano vuoti, quelli vecchi», fece notare Alucius. «Ma io non ne ho visti di nuovi», disse Longyl ridendo. Nemmeno Alucius. E si era reso conto anche di qualcos'altro. A causa di tutti gli incontri ai quali avevano dovuto partecipare il giorno di quattri, e di tutto il tempo trascorso a pulire e riparare il loro equipaggiamento, erano stati talmente occupati da non avere tempo per dare un'occhiata alla città. Durante il vingt successivo, ripensò a ciò che lui e Longyl si erano detti, alle poche parole che aveva colto nelle strade riguardo all'acqua, e alla deplorabile mancanza di esperienza del capitano Shorak. Poi si voltò verso Longyl. «Ti lascio il comando per un po'. Devo parlare al capitano Feran.»
«Sì, signore.» Alucius condusse Selvaggio lungo il ciglio della strada, verso il retro della colonna dove si trovava la Quinta Compagnia, osservando gli stretti carri e i cavalli da soma che formavano una lunga fila di circa mezzo vingt dietro agli uomini di Feran. Il trasferimento delle munizioni e degli armamenti dai grossi carri lanachroniani a quelli deforyani aveva rappresentato un problema, ma il maggiore aveva assicurato loro che era necessario, poiché il tragitto verso l'avamposto deforyano attraverso le Montagne della Barriera era troppo stretto per carri più voluminosi. Nel vedere Alucius avvicinarsi e affiancarglisi con il cavallo, Feran sollevò il braccio in segno di saluto. «Sei venuto qua dietro a mangiare un po' più di polvere?» «Sai che adoro la polvere», rispose Alucius sorridendo. «Stavo pensando alla cena al Palazzo del Landarco.» «Probabilmente il cibo migliore mai avuto, almeno finché non saremo tornati a casa.» «Già.» Alucius indugiò. «Eri seduto con i capitani. Come ti sono sembrati?» «Ci siamo divertiti più di te. La maggior parte era composta da militari di carriera, proprio come me.» «La maggior parte... o tutti?» chiese Alucius. «Probabilmente tutti... o quasi, da non fare alcuna differenza. Perché?» «Alcuni dei capitani maggiori seduti al mio tavolo erano più giovani di me... di parecchi anni. Venivano da famiglie di grossi proprietari terrieri.» Feran annuì. «Pensi che, in realtà, siano i capitani a gestire le compagnie?» «Nella maggioranza dei casi, sì. Direi che sono loro a comandare, allo stesso modo in cui i comandanti di squadra guidavano le compagnie matriti.» «Se funziona...?» «Scommetto che funziona molto meglio che non se fosse il capitano maggiore a occuparsi direttamente del comando. Almeno, per quanto riguarda i capitani maggiori più giovani.» «E tutto questo ha a che fare con i nomadi?» chiese garbatamente Feran. «Sì, se dobbiamo combattere al fianco dei Lancieri deforyani. E questo è il motivo per cui Heald e io siamo stati promossi. O perlomeno, è uno dei motivi.» «Oh...» Feran scosse il capo. «... figlio di una scrofa rachitica!»
L'esclamazione venne pronunciata sottovoce, ma raggiunse ugualmente l'orecchio di Alucius. «Tutto quello che hanno fatto finora è stato cacciare piccole bande di predoni, e adesso mi stai dicendo che tutti quei capitani maggiori sono senza cervello?» «No... sto dicendo che non si può sapere. Hanno acquisito tutti il loro grado grazie alla posizione delle famiglie, e alcuni possono avere cervello, anche se non potremo saperlo finché non ci troveremo impegnati in battaglia.» «Questo spiega anche perché quei capitani maggiori evitavano di parlarmi», continuò Feran. «Sono solo un povero ufficiale venuto su dalla gavetta, non il figlio di un proprietario terriero.» «E io sono considerato una nullità perché sono l'unico figlio di un pastore che è stato un ufficiale», fece notare Alucius ridendo. «Rispondono alle mie domande solo quando vi sono costretti.» «Sai... capitano maggiore Alucius», disse Feran con aria afflitta, «ogni volta che cominci a pensare, io finisco per preoccuparmi. Perché non mi hai semplicemente lasciato credere che tutto andasse bene? Almeno per un altro giorno». Feran assunse un'aria di finta disperazione. Alucius scoppiò in una risata, imitato da Feran. Che altro potevano fare? 53 Alustre, Lustrea Vestor guardò la medaglia verde che aveva sul bavero, la decorazione al valore, poi il braccio sinistro ferito. Serrò le labbra e sorrise, freddamente, spostando lo sguardo verso le anguste finestre e il cielo verde-argento che si intravedeva al di là. Si avvicinò al banco da lavoro principale, dove esaminò e strinse parecchie viti d'argento sui pezzi all'interno dei contenitori di metallo nero, pezzi destinati a fungere da supporto ai cristalli. Di lì a poco si spostò alle vasche dei cristalli per poterne controllare la crescita. Quindi, con fare noncurante, procedette con cautela oltre l'ultima vasca e si accostò al banco da lavoro più piccolo collocato nell'angolo, in un punto che passava facilmente inosservato. Rimase a lungo chino sul banco, poi spinse indietro una lastra di quarzo verde, portando alla luce un lucido cerchio di metallo argentato nascosto dietro il sostegno di legno di quercia che reggeva la sommità della lastra.
Fece parecchi respiri profondi. Poi si raccolse a fissare la nebbia color rubino che si stava formando, attraversata qua e là da sfumature rosse e viola. Alcune scure sagome informi simili a figure comparvero per poi svanire, seguite subito dopo dalla sezione di un grafico. Persino mentre Vestor si concentrava a memorizzare il grafico che si stagliava contro le nebbie multicolori, il suo sguardo andava di continuo al cristallo ambrato fissato sul fianco dello specchio metallico. Il cristallo cominciò a mandare bagliori, e Vestor arretrò dal banco proprio mentre il cristallo andava in frantumi. La superficie di metallo, in precedenza lucida, appariva adesso annerita, come bruciata, per quanto non fosse né deformata né scheggiata. Vestor richiuse rapidamente la lastra di quarzo che fungeva da coperchio, poi afferrò il suo lapis da ingegnere e cominciò a prendere nota e a fare schizzi di ciò che aveva visto nello specchio. La mano destra era svelta nel trasferire le annotazioni sulla carta. Una volta finito, contemplò il lavoro fatto e sulle labbra gli apparve un sorriso di contenuta soddisfazione - seppure per un attimo - per poi subito svanire, quando posò il lapis e si massaggiò con la mano destra il braccio sinistro, sul quale si era appoggiato nel ricopiare il grafico. Il suo sguardo si posò sulla medaglia verde. «... a malapena sufficiente...» Ma le parole furono pronunciate a voce talmente bassa che neppure un osservatore che si fosse trovato dietro la parete più vicina, qualora ve ne fosse stato uno, avrebbe potuto udirle. 54 Quattro giorni più tardi, le dieci compagnie, seguite dai carri delle provviste e dai cavalli da soma, stavano procedendo in fila indiana lungo uno stretto sentiero che si snodava in mezzo alle Montagne della Barriera, i cui fianchi, sebbene neppure lontanamente ripidi come quelli dei monti della Dorsale Superiore, apparivano più brulli, costituiti com'erano da un insieme di antica lava e rossa arenaria. La strada lastricata si era trasformata in un sentiero polveroso due giorni prima. All'inizio avevano attraversato colline di sabbia rossastra, disseminate di affioramenti di roccia nera, di sporadici cactus che, al confronto, facevano sembrare lussureggianti le Valli del Ferro, e di alberi spinosi con rade foghe argentee, più piccole del dito mignolo di un bambino.
Questi alberi erano spariti quando il convoglio aveva raggiunto le montagne vere e proprie, ma i cactus erano rimasti, anche se erano ancora più scarsi e vetusti. Sopra le loro teste, il sole splendeva bianco e caldo. Tranne che nelle due stazioni intermedie, situate accanto a delle sorgenti, non avevano trovato altra acqua, e avevano rinvenuto ben pochi segni di vita animale, all'infuori di qualche creatura simile agli scricci e di qualche raro corvo che volteggiava in cerca di carogne. Su entrambi i lati del sentiero incombevano picchi grigio-rossastri, anch'essi privi di vegetazione e di acqua. Nel vedere quel tracciato, quasi simile per dimensioni a una mulattiera, Alucius capì perché i deforyani si servissero di cavalli da soma e di carri stretti per portare le provviste, e il fatto che quella consuetudine fosse apparentemente radicata da generazioni gli fece meglio comprendere il motivo per cui il Signore-Protettore temeva che Deforya cadesse nelle mani dei nomadi, visto che sarebbe stato estremamente difficile riconquistarla. «Non mi meraviglia che si chiamino le Montagne della Barriera», disse Longyl, che cavalcava alla sinistra di Alucius, leggermente più indietro. «Non siamo ancora a metà percorso tra le montagne», replicò Alucius, ripulendosi dal viso la polvere rossa e sabbiosa che si infilava dappertutto. Non soffiava un alito di vento, e la sabbiolina impalpabile sollevata dagli zoccoli rimaneva sospesa a mezz'aria, in attesa di incollarsi ai soldati e agli ufficiali. Ancora una volta, la Ventunesima Compagnia era quarta in ordine di marcia tra tutte le compagnie che provenivano dall'ovest, cioè nove su dieci. Solo il povero Feran era costretto a mangiare più polvere. Non molta di più, comunque. «Non capisco perché i nomadi dovrebbero volere queste terre», disse Longyl. «Non le vogliono. Vogliono Dereka e la strada principale, e le carovane dei mercanti che la percorrono. Hanno già il controllo della strada principale meridionale che porta a Lustrea.» «Sembra che le nostre missioni consistano sempre nel difendere un pugno di mercanti e i soldi di qualcun altro.» Longyl scosse il capo. «Questo Aellyan Edyss potrebbe utilizzare meglio i suoi pteridon che non appropriarsi di altre terre per procurarsi più monete d'oro.» «Può darsi che lo faccia», disse Alucius, «e può darsi che i mercanti non riescano a immaginare che lui voglia altre cose oltre il denaro. Ma...» indugiò un momento, per poi proseguire, «se è davvero così, allora diventa più pericoloso per noi, perché cercherà di conquistare Deforya a ogni co-
sto». «Credete che voglia reclamare il duplice scettro? Ho sempre pensato che si trattasse solo di una storia inventata.» «È una storia, o una leggenda, come la vuoi chiamare», rispose Alucius. «Nessuno l'ha mai visto questo scettro. Almeno, è ciò che mi disse il nonno anni fa. Ma, d'altra parte, tutti pensavano che anche gli pteridon fossero creature mitiche.» «Vorrei che fossero rimasti tali», replicò Longyl. «Sapete, signore, con voi non ci si annoia mai a lungo.» «Non mi dispiacerebbe che ci annoiassimo», disse Alucius. «Almeno per un anno, a partire da adesso.» «Ma non succederà», predisse Longyl. Alucius era dello stesso parere. Non credeva che la situazione si mantenesse tranquilla, perlomeno non dopo aver raggiunto il fianco meridionale delle Montagne della Barriera, dov'era piazzato il campo di pattuglia deforyano. Memore di ciò che aveva sentito dire sugli spiriti delle montagne, Alucius aveva continuato a scrutare tutt'intorno , ma invano. Non era stato in grado di individuare alcun segno delle creature che emanavano l'aura azzurro-violetta avvertita tra le alture della Dorsale Superiore, né di qualunque altro essere vivente di grosse dimensioni. Notò anche che il senso di tristezza o dolore che aveva provato a Deforya - e che sembrava essere diminuito quando si erano diretti a sud - adesso era completamente sparito. Al suo posto non era rimasto... nulla. Anche l'intrico dei fili vitali presente in quei luoghi era ridotto all'essenziale, e la percezione di vitalità che caratterizzava la maggior parte delle terre attraverso cui aveva viaggiato lì era inesistente. Persino i monti della Dorsale Superiore gli erano sembrati vivi, seppure in modo limitato. Alucius non si era accorto della differenza finché non era giunto tra le Montagne della Barriera. «Sta succedendo qualcosa là davanti.» Longyl si alzò sulle staffe. «Si sono fermati.» «Colonna alt!» Ancora prima di ricevere il comando di fermarsi, Alucius impartì l'ordine. Di lì a poco comparve un soldato. «Capitano maggiore, signore, tutti gli ufficiali si devono portare in testa alla colonna.» Longyl lanciò un'occhiata interrogativa ad Alucius. «Vediamo cos'è successo», rispose questi. «Falli smontare e assicurati che bevano un po'.» Poi spronò Selvaggio, superando i soldati dell'Undice-
sima Compagnia. Dovette cavalcare per oltre un vingt lungo il sentiero tortuoso prima di raggiungere l'inizio della colonna. Là, trovò ad aspettarlo il maggiore delle cinque compagnie deforyane e il maggiore Draspyr, a cavallo, entrambi rivolti verso gli altri ufficiali. «Il maggiore Weorynak», esordì Draspyr, «ha richiesto questo breve incontro. Alle nostre spalle c'è il cadavere di un ricognitore nomade. Almeno, crediamo si trattasse di un ricognitore. Il maggiore desidera dirvi qualcosa, dopo che gli avrete dato un'occhiata». Alucius fu il penultimo ad arrampicarsi su per il fianco del sentiero, seguito da Feran. Vide due corpi distesi a terra: quello di un uomo e quello del suo cavallo. Entrambi avevano l'aspetto di chi ha passato settimane - se non addirittura anni - sotto il sole e in un clima secco, tanto sembravano prosciugati, ma la scintillante corazza azzurra del nomade era appena ricoperta da un velo di polvere. Il nomade aveva capelli scuri e una carnagione sorprendentemente chiara che, per quanto segnata dalle rughe e dalle intemperie, sembrava appartenere a un uomo giovane. Il cavallo aveva il mantello grigio, ora ridotto a pelle disseccata e aderente alle ossa. I due giacevano ammucchiati, quasi fossero stati abbattuti contemporaneamente. La mano destra del cavaliere stringeva ancora il fucile, come se l'avesse appena estratto dalla custodia. L'arma, benché simile ai fucili deforyani e matriti, non era proprio identica, e aveva la canna d'acciaio azzurrato. Alucius si allontanò e raggiunse in silenzio gli altri. Dopo che anche Feran fu tornato, il maggiore deforyano si schiarì la voce. «Questo sentiero era deserto quando l'ultimo messaggero l'ha percorso, non più di quattro giorni fa», disse il maggiore Weorynak. «Avete visto cosa possono fare gli spiriti della montagna a un uomo che viaggia da solo. Vi consiglio perciò di cavalcare sempre almeno in coppia.» Quindi fece voltare il cavallo, quasi a significare che aveva detto quanto era necessario. Anche gli altri ufficiali deforyani girarono i propri cavalli. «Questo è tutto», annunciò Draspyr. «Tornate alle vostre compagnie.» Alucius ritornò sui suoi passi con Selvaggio, dirigendosi verso la Ventunesima Compagnia con aria meditabonda. Anche i matriti non volevano che i ricognitori uscissero da soli in perlustrazione. A tutta prima, Alucius aveva pensato che fosse perché volevano tenere sotto controllo i portatori di collare, ma probabilmente c'era anche un'altra ragione, che nessuno aveva mai spiegato. O si trattava invece di una coincidenza? Aveva quasi raggiunto i suoi soldati, quando una voce alle sue spalle lo
chiamò. «Alucius?» Nell'udire Feran che lo chiamava, fece rallentare Selvaggio e si portò sul bordo del sentiero, fermandosi tra la Ventunesima e la Quinta Compagnia. «Che ne pensi?» domandò Feran. «Quello che pensi tu, scommetto. Qualunque cosa sia stato, preferisce colpire i cavalieri solitari che non le compagnie numerose.» «Colonna avanti!» giunse l'ordine da sud. Alucius fece un cenno a Longyl, che ripeté il comando. Alucius e Feran dovettero proseguire fianco a fianco lungo il pendio polveroso. «Prima... gli pteridon, e adesso questi... spiriti», disse Feran. «Mi preoccupano di più gli pteridon», rispose Alucius. «I deforyani hanno avuto a che fare con gli spiriti per generazioni. Nessuno invece aveva mai più visto uno pteridon dai tempi del Cataclisma, non fino ad ora, almeno.» «Credi che qualunque cosa abbia ucciso il nomade possa tornarci utile? Aiutandoci ad assottigliare le schiere nemiche?» «Non lo so.» Alucius sapeva solo che, qualunque cosa fosse, doveva essere inconsueta e assai rara. Era il Talento a dirglielo, e dubitava che quella creatura - ammesso che ce ne fosse solo una - potesse fermare l'invasione di migliaia di nomadi spalleggiati da pteridon. A quel proposito si chiese, e non per la prima volta, che genere di tattica lui o chiunque altro avrebbero potuto adottare contro cavalieri armati di tutto punto e aiutati da esseri volanti che avevano già sbaragliato uno dei più grandi eserciti di Corus. 55 Tempre, Lanachrona L'Archivista degli Atti si trovava in piedi, da solo, nella stanza dalle pareti marmoree situata nelle profondità del palazzo del Signore-Protettore, gli occhi fissi sulla Tavola degli Archivisti. La superficie argentea simile a uno specchio turbinò e si ricoprì di una nebbia color rubino. Poi, da quella nebbia che, nel frattempo, aveva assunto sfumature nero-violacee, emerse la figura imponente di un uomo alto dalle spalle larghe, dagli occhi rosso-violetti, dalla pelle d'alabastro e dai capelli neri. Alle sue spalle si vedeva una sala con pareti rivestite di marmo rosa, colonne dorate e tende viola scuro profilate in oro, una sala che
assomigliava a una delle poche e antiche illustrazioni rimaste delle grandi sale ormai scomparse di Elcien o Ludar. L'Archivista degli Atti esaminò la sala e l'uomo, che sorrideva, quasi fosse consapevole di essere osservato. Quindi, la scena svanì, per essere sostituita dalla vista di una pagina, metà schema e metà testo. L'Archivista socchiuse gli occhi per cogliere il significato di ciò che veniva mostrato. Mentre leggeva, assunse uno guardo incredulo e cercò freneticamente un foglio di carta, trovando solo un messaggio infilato nella tunica, che si affrettò ad appiattire sul ripiano di legno accanto allo specchio, girandolo dalla parte non scritta. Poi, con un lapis, cominciò a trascrivere il documento e l'iscrizione in calce alla palesemente antica illustrazione. La fronte gli si imperlò di sudore, ed egli dovette più volte asciugarsi con la manica le goccioline salate che rischiavano di offuscargli la vista, mentre era intento a copiare febbrilmente quanto mostrava la Tavola. Di lì a non molto, tremante e percorso dai brividi, con gli indumenti zuppi, lasciò che l'immagine della Tavola svanisse e sì avviò barcollando verso l'unica sedia appoggiata alla vetusta parete, cadendovi sopra con un tonfo sordo. Ma, mentre leggeva ciò che aveva copiato e si massaggiava la fronte dolorante, negli occhi dalla lieve sfumatura violacea comparve una luce. 56 Trascorsero altri due giorni prima che le dieci compagnie raggiungessero la fortezza deforyana, all'estremità meridionale delle Montagne della Barriera. Cresta Nera, così si chiamava il luogo su cui sorgeva la fortezza, era un'ampia cengia formatasi su uno scuro affioramento di antica lava. Il margine di quella cengia - in corrispondenza del fianco a nord - era delimitato da una parete quasi verticale alta mille iarde; l'altro margine, quello a sud, terminava in uno strapiombo sulle praterie sottostanti. Alla porzione piana della sporgenza vera e propria, larga quasi duecento iarde e lunga venti, si accedeva attraverso un sentiero sul lato est. Il lembo occidentale finiva proprio nel punto in cui la pietra arenaria s'incurvava in avanti, interrotta da un precipizio profondo più di mille iarde che arrivava fino ai prati in basso, riprendendo subito a innalzarsi, per altre mille iarde verso il cielo, con un muro di roccia. Ad Alucius non piacque molto quella collocazione. Sebbene ci fosse so-
lo uno stretto sentiero di collegamento con le praterie più sotto, e le erte pareti tutt'intorno rendessero un attacco alquanto problematico, si poteva contare su un'unica via d'uscita per tornare a Dereka. Chissà perché gli antichi costruttori non avevano pensato a creare un passaggio alternativo? O forse erano certi di non avere mai bisogno di un'altra via di fuga? Le stalle e gli alloggi dei soldati erano stati intagliati o scavati nello strato di arenaria rossa che costituiva la parete più alta sul fondo della sporgenza. Vedendo i bordi stendati delle aperture e gli archi, Alucius fu in grado di capire che dovevano essere stati costruiti parecchio tempo prima. Vide anche che ampie porzioni circolari della rossa arenaria, attorno e sopra agli archi, erano leggermente più scure rispetto ad altre zone, ma solo in corrispondenza delle fasce delle volte e delle poche finestre. Spinse lo sguardo un po' più in là, verso ovest, ma non scorse altre macchie scure nella sezione di roccia priva di gallerie e di archi. «Le stalle sono all'interno delle grosse arcate all'estremità orientale, gli alloggi in quella occidentale...» Ubbidendo agli ordini, e dopo aver aspettato che arrivassero anche le restanti compagnie, Alucius guidò i suoi uomini verso le stalle. Le cinque compagnie deforyane che si trovavano già di stanza a Cresta Nera non avevano neppure aspettato che la Quinta Compagnia portasse i propri cavalli nelle stalle, per disporsi in formazione e prepararsi a fare ritorno a Dereka. Dopo essersi occupato dei suoi soldati e dei loro cavalli, assicurandosi che questi ultimi avessero sufficiente foraggio e fieno - proveniente forse dalle praterie sottostanti - Alucius condusse Selvaggio nelle stalle riservate agli ufficiali. Era in procinto di uscire, quando Feran lo raggiunse. «Non vedono l'ora di partire. Questo significa che i nomadi sono pronti all'attacco, anche se non credo, immagino di sì, ma...» «Che il loro comandante li lasci andare via?» Alucius inarcò le sopracciglia. «Siamo arrivati. Perché mai dovrebbe voler rischiare la perdita di altre cinque compagnie tra le Montagne della Barriera? Diranno che lo fanno per proteggere Dereka, qualora i nomadi si dovessero spingere fin là.» «Dereka...» borbottò Feran. «Suppongo che sia così. L'unica cosa decente che abbiamo visto, eccetto i frutteti.» Il Capitano Clifyr si avvicinò ai due e indicò il secondo passaggio a volta scavato nella pietra rossa, a partire dall'estremità ovest. «Gli alloggi degli ufficiali sono qui. Potrete occupare qualunque posto libero, ma sarete in
due per ogni stanza. Il maggiore desidera vedervi appena possibile. C'è una sala delle adunanze appena dentro questo stesso passaggio.» «Grazie, capitano.» Alucius fece un cenno educato con il capo, poi si caricò le bisacce sulla spalla, e reggendo un fucile in ogni mano, si avviò nella direzione indicata. Feran lo seguì. «Continua a non piacermi.» «Si limita a eseguire gli ordini del maggiore.» «Forse è per questo.» Gli alloggi riservati agli ufficiali erano costituiti da minuscole cellette prive di finestra, poco più grandi di tre iarde per due, collocate lungo un corridoio dal soffitto sorprendentemente alto: quasi tre iarde. Ciascuna di esse era provvista di due brandine, con una mensola sopra la testiera e una serie di ganci appesi ai piedi del letto, ma non c'erano porte. Alucius si chiese se lui e Feran sarebbero riusciti a spogliarsi contemporaneamente. «Quale brandina preferisci?» chiese Feran ridacchiando. «Dopotutto, sei tu quello con il grado più alto.» «Prenderò quella a sinistra.» Non che facesse molta differenza, visto che erano identiche. Dopo aver sistemato rapidamente i propri effetti personali sulla mensola, Alucius sgusciò fuori dallo spazio ristretto della camera e si avviò verso il fondo del corridoio. Appena prima che questo finisse, c'era un pozzo d'aerazione verticale dal quale entrava aria più fresca, creando un flusso di ricambio lungo tutto il passaggio. Al di là del pozzo d'aerazione si trovava una stanza da bagno provvista di una piccola fonte, chiaramente alimentata da qualche sorgente sotterranea. Alucius tornò sui suoi passi e si diresse verso la sala delle adunanze, seguito da Feran. Il capitano Clifyr era già nella sala, ammobiliata da un lungo tavolo in pietra arenaria scavata direttamente dalla roccia, rinforzato in alcuni punti da supporti di legno e ricoperto da strati di vernice. Una dozzina di sgabelli, nessuno dei quali sembrava nuovo, era disposta tutt'intorno al tavolo. L'unica finestra, munita anche di persiane, era chiusa, sebbene Alucius avvertisse l'aria calda che filtrava attraverso le fessure. Alucius e Feran presero entrambi posto e attesero. Di lì a poco comparvero Heald e Koryt, poi Clifyr uscì per tornare subito in compagnia del maggiore Draspyr. I quattro ufficiali della vecchia milizia si alzarono. Draspyr fece loro segno di rimettersi a sedere e srotolò una mappa, che fermò agli angoli con alcune piccole pietre fornitegli da Clifyr, prima di sollevare di nuovo lo
sguardo e cominciare a parlare. «In base a quanto ci ha riferito il comandante deforyano appena partito, i nomadi sono accampati a circa dieci vingti a sud, sulle rive di un piccolo torrente, l'unico corso d'acqua esistente in questa parte delle Montagne della Barriera. Non sono stati avvistati pteridon, ma, stando alle informazioni che ho ricevuto prima di lasciare Borlan, nell'attacco contro le forze pretoriane, gli pteridon erano comparsi poco prima dell'inizio della battaglia. «Cominceremo i nostri giri di ricognizione domani. Le pattuglie saranno formate da due squadre, ciascuna proveniente da una compagnia diversa. Finché non riceveremo altre indicazioni, chiedo a ciascuno di voi di accompagnare in perlustrazione la squadra prescelta. Domani le compagnie di pattuglia saranno la Ventitreesima delle Guardie del Sud e la Ventunesima delle Guardie del Nord. Il giorno di tridi sarà la volta della Terza e della Quinta, mentre il quattri sarà il turno della Ventitreesima e dell'Undicesima. Non appena vi sarete allontanati dalla fortezza dovrete dividervi in sottosquadre e perlustrare le aree segnate qui sulla mappa...» Draspyr indicò i vari punti. «La prima sezione...» Alucius notò che alla Ventunesima Compagnia era stata assegnata la zona dove si presumeva fossero accampati i nomadi. «Dovrete raccogliere informazioni circa i possibili percorsi da e per l'accampamento nemico, le fonti di approvvigionamento di foraggio per i cavalli, i luoghi adatti alla battaglia e quelli non adatti. Qualunque dettaglio riguardo i nomadi, i loro cavalli e le loro armi sarà di vitale importanza...» Draspyr continuò a parlare per oltre un quinto di clessidra, prima di fermarsi a chiedere: «Qualche domanda?». Alucius si schiarì la voce. «Signore?» «Sì, capitano maggiore?» «Gli ufficiali deforyani hanno per caso accennato al motivo per cui cinque compagnie hanno lasciato la fortezza, in un momento in cui un attacco dei nomadi potrebbe essere imminente?» «No, non l'hanno fatto, capitano maggiore.» Alucius avvertì la collera dell'altro nei suoi confronti, o nei confronti dei deforyani, e si limitò a replicare: «Grazie, signore». «Signore?» domandò Heald. «Sappiamo quanti sono i nomadi?» «Mi spiace, ma non lo sappiamo. I deforyani non hanno inviato ricognitori nelle praterie o, perlomeno, non così lontano.» La cosa non stupì Alucius, sebbene suscitasse lo stupore di Koryt e Clifyr.
«Signore?» chiese Feran. «I deforyani erano qui semplicemente a difesa di questa base? O mi sfugge qualcosa?» «Credo, capitano Feran, che abbiate afferrato la situazione. Tuttavia, non siamo in grado di fare commenti riguardo ai loro ordini, poiché sono sotto il comando del Landarco e, inoltre, ci hanno gentilmente permesso di usufruire dei loro alloggi e delle loro provviste. Potremmo dire che siamo qui quasi come ospiti.» Draspyr si alzò. «Ci vediamo tra poco nella mensa ufficiali.» «Allora, ne hanno una?» mormorò Feran sottovoce. Alucius aspettò finché il maggiore non se ne fu andato. «Devono averne una. Altrimenti gli ufficiali sarebbero costretti a consumare i loro pasti con i soldati semplici.» «Impossibile», disse piano Heald. «Non vogliono neppure mangiare con i firmaioli.» Clifyr stava aguzzando le orecchie per ascoltare, senza averne l'aria. Alucius si voltò verso di lui. «Ci stavamo chiedendo che tipo di mensa abbiano qui.» «Per la verità, è abbastanza buona», disse Clifyr. «Ci sono sedie e tavoli a sufficienza per una quarantina di persone e una cucina fornita di tutto punto.» Feran e Heald sorrisero e annuirono. «Grazie», replicò Alucius, aspettando che Clifyr lasciasse la stanza. «Tutto questo mi puzza come un escremento di sabbioso», sbottò infine Feran. «A noi chiedono di pattugliare, combattere e... i deforyani se ne stanno qui seduti ad aspettare che i nomadi attacchino?» «Non attaccheranno qui», disse Heald. «Si limiteranno ad aggirare Cresta Nera e a dirigersi verso Dereka.» «Vedremo», rispose Alucius. «A partire da domani.» Gli altri annuirono con l'aria di non essere troppo contenti, ma, d'altra parte, neppure Alucius lo era. 57 A sud delle Montagne della Barriera, Illegea Nell'aria fresca della sera, circa una ventina di condottieri Mirmidoni si era riunita nella tenda più grande dell'accampamento, dopo aver sollevato una buona parte dei teli che la ricoprivano per lasciar entrare la brezza. Erano seduti a gambe incrociate sui sottili ma eleganti tappeti intrecciati
attorno allo sgabello su cui aveva preso posto Aellyan Edyss. Fuori, nella luce del crepuscolo, si erano adunati anche alcuni giovani Mirmidoni, a sufficiente distanza dalla luce proiettata dalle lampade appese ai pali infissi nel terreno perché i loro volti risultassero invisibili. «Siamo i cavalieri del vento», esordì Edyss, dichiarando ciò che era già ovvio. «Noi cavalchiamo il vento sui nostri cavalli e in groppa agli pteridon, e nulla può fermare il vento.» Dopo una pausa, proseguì. «I popoli dell'ovest credono che il nostro unico scopo nella vita sia saccheggiare. Il saccheggio non è male», disse ridacchiando. «Non è proprio niente male. Ma non basta. Per generazioni le genti dell'est e dell'ovest hanno percorso la grande strada attraverso le nostre terre, facendo i loro comodi, disprezzandoci. Persino adesso ci disprezzano. Lassù nella fortezza sono state dislocate dieci compagnie di soldati. Ce ne sono sempre state cinque. Hanno una così misera considerazione di noi da credere che altre cinque compagnie - poche centinaia di soldati muniti di fucili - possano impedirci di riscattare il nostro destino?» Un «no» sordo e simile a un brontolio di tuono risuonò tra i condottieri. «Per generazioni quegli smidollati dei deforyani hanno confidato nella protezione delle montagne credendosi al sicuro. Non s'immaginavano che avremmo potuto agire tutti insieme. Loro possiedono grandi praterie e pochi cavalli. Hanno acqua per tutto l'anno, eppure vivono ammonticchiati in un pugno di città e villaggi. Controllano la strada principale settentrionale, ma ne traggono un ben misero guadagno. Sono forse loro i guardiani di quelle terre? Inneggiano forse al cielo e alla vita? Si meritano i territori che possiedono?» «No!» rumoreggiarono di nuovo i presenti. «I popoli dell'ovest... nella loro arroganza, scenderanno dalla montagna e si metteranno a perlustrare. Per un po'... li lasceremo fare, ma staremo a vedere cosa fanno e come lo fanno. Attaccheremo solo se si avvicinano al nostro accampamento. Vedranno com'è potente il nostro esercito, ed esiteranno. Mentre saranno lì a meditare sul da farsi, e prima che possano richiamare altri soldati, li assaliremo, loro... e quegli spregevoli deforyani.» Edyss si alzò, gli occhi fiammeggianti che fissavano a turno quelli di ogni condottiero. Nel silenzio che seguì, prese di nuovo posto sullo sgabello. «Come possiamo essere certi che i deforyani o i loro alleati non possiedano un'arma simile a quella dei lustreani?» chiese uno dei comandanti più anziani, con un'espressione impassibile sul viso segnato dalle intemperie.
«Non lo siamo», replicò Aellyan Edyss. «Ma lo scopriremo prima di condurre gli pteridon in battaglia. Noi abitanti delle praterie possiamo essere scaltri come i serpenti dell'erba alta, quando ce n'è bisogno. Se possiedono una tale arma, strisceremo su per la montagna nell'oscurità e li elimineremo mentre dormono.» E così dicendo, rise. «Potremmo farlo comunque.» «E gli spiriti delle montagne?» «E allora?» chiese il comandante dai capelli biondi. «Le praterie hanno i loro spiriti, molto più numerosi di quelli delle montagne. Avete mai avuto paura di cavalcare a causa degli spiriti delle praterie?» La sua risata era aperta, ma al tempo stesso beffarda. L'uomo che aveva posto la domanda abbassò lo sguardo, mentre altre risate echeggiavano all'interno della tenda. «Abbiamo già messo in rotta la più grande armata che sia stata riunita da molte generazioni a questa parte», continuò Edyss. «Se colpiamo quando il nemico è debole e scegliamo il tempo e il luogo delle nostre battaglie, vedremo sventolare la bandiera dei nuovi Mirmidoni su Dereka e, prima che le vostre esistenze giungano al termine, anche sulle lontane Alustre e Tempre, e persino su Hieron e Porta del Sud. Corus può essere nostra. Sarà nostra...» Nell'oscurità fuori dalla tenda, comparvero dei sorrisi sui volti in ombra dei Mirmidoni più giovani. 58 La mattina di duadi di buonora, subito dopo l'adunata, Alucius e la terza squadra della Ventunesima Compagnia lasciarono Cresta Nera per il loro giro di pattuglia e imboccarono un sentiero che doveva essere stato scavato nella lava nera in tempi lontani, un sentiero persino più stretto di quello che li aveva condotti attraverso le Montagne della Barriera. I tornanti si susseguivano uno dopo l'altro, e mentre i tratti esposti erano sgombri, le rientranze protette in corrispondenza dei tornanti erano ostruite da mucchi di fine sabbia scura, che in alcuni punti si era riversata sul sentiero. Alucius si trovava quasi in testa, con davanti solo i due ricognitori. Sebbene avessero coperto poco meno di un vingt, poté vedere che, sul terreno, non c'erano orme di cavalli o di uomini, ma soltanto di qualche roditore e di qualche raro uccello, oltre ai segni lasciati dal corpo strisciante di un grosso serpente. All'infuori dei suoi soldati e dei cavalli, con i Talento-
sensi non avvertiva altre presenze. Una volta raggiunto il fondo del sentiero, mentre con la terza squadra aspettava il capitano Clifyr e la sua prima squadra, Alucius esaminò la parete rocciosa pressoché verticale alle loro spalle. A quanto riusciva a vedere, non esistevano altri percorsi che dalle praterie conducessero a Cresta Nera, non direttamente, almeno. C'erano altre gole e angusti passaggi che portavano a nord, ed era possibile che i nomadi se ne servissero per aggirare la ripida parete e immettersi sul sentiero che Alucius e le altre compagnie avevano percorso con i carri, anche se il piccolo distaccamento dei quattro uomini di guardia a quel tratto avrebbe sicuramente ritardato l'attacco quel tanto che bastava a far sì che i rinforzi coprissero le duecento iarde che li separavano dalla fortezza. Sempre che non succedesse di notte, quando sarebbe stato difficile distinguere le sagome degli assalitori dalla scura roccia, finché non si fossero trovati a poche centinaia di iarde. Alucius decise di far presente quel particolare al maggiore al suo ritorno, dopo aver scoperto quanto fosse difficile arrampicarsi a cavallo su per lo scomodo e vecchio sentiero. L'erba che ricopriva ogni cosa aveva ancora il colore verde intenso di inizio estate, e spuntava rigogliosa da fitti ammassi di spesse radici che sporgevano almeno un dito dal terreno. Ciascun gruppo di radici era distante dall'altro almeno due spanne. In molti punti, l'erba arrivava ai fianchi, ed era alta a sufficienza da nascondere un ricognitore accovacciato, ma non un uomo in piedi o un cavallo. Dove gli steli erano più radi, Alucius poté vedere le stoppie marrone chiaro dell'anno precedente, anche se ne erano rimaste ,poche. Chissà se anche lì c'erano scarafaggi o altri insetti che se ne cibavano, come accadeva per gli scarabei dal guscio con i quarasote rinsecchiti? Il capitano Clifyr si fece incontro ad Alucius ben prima che la retroguardia della squadra della Ventitreesima Compagnia lasciasse lo stretto sentiero. Si fermò a poca distanza da Alucius e gli fece un cenno con il capo. «Capitano maggiore.» «Capitano. Com'è andata la discesa?» «È ripida. Il terreno è buono, tranne nei punti dove c'è sabbia.» Clifyr fece una pausa. «Come ci comportiamo per il ritorno?» «Credo che sia un po' prematuro occuparsene adesso. Noi pensavamo di spingerci più a ovest», disse Alucius. «Dovremo accertarci di avere le nostre squadre al completo prima di tornare, anche se uno di noi potrebbe aspettare qui per un po' i ritardatari, con il rischio di essere un facile bersa-
glio per il nemico.» «Il maggiore vuole che tutti tornino...» Alucius fissò Clifyr e disse piano: «Fate ciò che ritenete più opportuno. Probabilmente noi ci metteremo più tempo. Potrete aspettarci qui o tornare alla fortezza. Se non vi troviamo alla base del sentiero, e se non ci sono tracce a indicare che siete già risaliti, vi cercheremo qui intorno». Clifyr assunse un'aria contrariata, poi annuì. «Come desiderate, capitano maggiore.» «Non è certo una cosa che si possa programmare fino al minimo dettaglio. Andrà tutto bene», disse Alucius, ricorrendo al proprio Talento per proiettare un senso di rassicurazione e fiducia. «Ci rivedremo questo pomeriggio, sul tardi.» Poi girò Selvaggio e fece ritorno alla propria squadra. Mentre Clifyr impartiva gli ordini ai suoi uomini, Alucius si fermò vicino al comandante della terza squadra. «Faisyn... proseguiremo insieme finché non raggiungeremo quel punto di fronte alla prossima gola, a ovest. Dopodiché tu ti dirigerai a sud. Porterai con te gli uomini della fila sinistra, con Waris come ricognitore, mentre io prenderò la destra con Dueryn. Hai ben chiara la zona che dovrai perlustrare? E quanto a sud ti dovrai spingere?» «Sì, signore.» «Non fate soste troppo lunghe, e ricorda che saremo seguiti, seppure a distanza, dai nomadi. Potrebbero attaccarci in qualsiasi momento. Non credo che lo faranno, ma potrebbero.» Alucius rise piano. «È già capitato che mi sbagliassi, e non vorrei subire perdite inutili perché sono stato preso in parola. Con i lanachroniani e i mattiti ci eravamo fatti qualche idea sulle loro tattiche di combattimento. Qui, invece, non sappiamo cosa potrebbero fare.» «Ma credete che ci metteranno alla prova?» «Ne sono quasi certo. Quello che non so è se lo faranno attaccandoci subito per vedere come ci difendiamo o se ci sorveglieranno prima per un po'.» Faisyn annuì. «Pattuglia, avanti!» ordinò Alucius. Impiegarono due clessidre a raggiungere la cresta più alta, quella che sovrastava il piccolo torrente che scaturiva dalle Montagne della Barriera attraverso una stretta gola, un vingt più a nord. La cavalcata era stata meno rapida del previsto, a causa dell'erba folta e della mancanza di un sentiero vero e proprio. Una volta sul posto, Alucius esaminò ancora una volta il
terreno tutt'intorno. Sotto di loro, lungo un lieve tratto pianeggiante, il torrente correva sinuoso verso sud. Da ciò che Alucius e il maggiore avevano potuto osservare, e dai fuochi che avevano avvistato la notte precedente, i nomadi si erano accampati sul fianco sud del piccolo corso d'acqua, a circa sette vingti in direzione sudovest. Alucius fece un cenno al comandante di squadra alla sua destra. «Faisyn.» «Signore?» «Ricorda. Adesso ti dirigi a sud e poi a est. Non spingerti a ovest più di quanto tu non lo sia già. E quando tornerai al sentiero dal quale siamo scesi, aspettaci, ma fai in modo di essere pronto a risalire subito in caso di pericolo. Sarai allo scoperto fino al primo tornante, ma non dovrebbero esserci problemi.» «Sì, signore.» «Adesso andate. Ci vediamo più tardi.» Alucius si guardò intorno per un po' finché non fu sicuro che nessuno li seguisse, per quanto ne avesse già avuta conferma tramite il Talento, quindi girò il cavallo e cominciò a scendere con il resto della squadra giù per il pendio che conduceva al torrente. Questo era largo appena tre iarde e profondo una, con un letto di fango e argilla che però non ne intorbidiva le acque. Dopo che ebbero riempito le bottiglie e abbeverato i cavalli, si arrampicarono di nuovo su per il pendio, poco più avanti. A circa metà salita, Alucius avvertì la presenza di cavalieri a sud, a malapena percepibili con i Talento-sensi. «Dueryn!» «Sì, signore?» Il ricognitore si affiancò ad Alucius. «Ci stiamo avvicinando ai confini del territorio pattugliato dai nomadi. Vorrei che tu ti tenessi un po' indietro rispetto agli altri e sorvegliassi bene il territorio a sud.» «Sì, signore.» Mentre Dueryn voltava il cavallo, Alucius chiamò Velmyr, un soldato più anziano. «Signore?» «Vorrei che tu ci precedessi, non di molto, circa cinquanta iarde, e ci avvisassi se vedi qualcosa.» «Sì, signore.»
Alucius dubitava che fosse passata più di mezza clessidra quando Dueryn tornò, fermandosi con il cavallo di fianco a lui. «Siamo seguiti, signore. C'è un gruppo di nomadi a circa un vingt più a sud, sull'altura dall'altra parte del torrente. Perlopiù, si tengono al riparo della cresta.» «Quanti sono?» chiese Alucius. «Solo cinque o sei, mi sembra.» Il numero corrispondeva a quanto Alucius aveva percepito con il Talento. «Allora non dobbiamo preoccuparci di un attacco immediato. A ogni modo, dovrebbero scendere per poi risalire verso di noi. Ma tieni gli occhi aperti e fammi sapere se c'è qualche cambiamento.» Mentre Dueryn girava il cavallo, Alucius cercò di estendere le proprie percezioni più a sud. In qualche punto imprecisato al di là del torrente, avvertì la presenza di molti uomini, ma la vaghezza della sensazione gli fece capire che dovevano essere lontani almeno trecento o quattrocento vingti. C'era invece qualcosa, o meglio qualcuno, proprio davanti a loro. «Velmyr!» «Signore?» Alucius non parlò, ma fece cenno all'altro di avvicinarsi e di affiancarlo. «Cos'hai visto?» gli chiese, mentre la pattuglia seguiva la linea della cresta dirigendosi verso sudovest. Si trovavano ora a circa duecento-trecento vingti a sud delle alture che costituivano le propaggini meridionali delle Montagne della Barriera. «Erba, signore, e poi ancora erba. Forse anche dei cavalieri più avanti, all'orizzonte, sull'altra sponda del torrente. Ho visto delle macchie scure... ma solo ogni tanto.» «La cosa non mi sorprende.» Alucius avvertiva la presenza di un nomade, o ricognitore, nascosto nell'erba alta, un centinaio di iarde davanti a loro. «Pattuglia, alt!» ordinò, fermando il cavallo. Si chiese se fosse il caso di far sapere all'altro che si era accorto della sua presenza. «Silenzio», intimò Alucius, mentre esaminava la distesa verde dinanzi a sé. «C'è qualcuno o qualcosa nascosto nell'erba. Dal modo in cui questa si muove al vento, direi che si tratta di un gatto delle praterie o di un ricognitore nomade.» Per un po' la pattuglia rimase immobile, e gli unici suoni che si sentivano erano il respiro dei cavalli e lo sporadico scricchiolio del cuoio prodotto da qualche soldato che si muoveva sulla sella. Alucius rifletté. Non aveva intenzione di uccidere qualcuno, ma non voleva neppure aggirare il punto
in cui era appostato il nemico. Se si fossero avvicinati ancora, qualcuno avrebbe potuto essere colpito, probabilmente uno dei suoi uomini. «Puoi scegliere di alzarti o di venire colpito!» si decise finalmente a gridare Alucius. Non ottenne alcuna risposta. Alucius non percepiva paura, ma piuttosto una sorta di disprezzo. Mentre estraeva il pesante fucile della milizia, fece un profondo respiro, poi lo armò e lo puntò. La traiettoria del tiro si discostò leggermente dal punto in cui pensava si nascondesse il nemico. Anche questa volta non ci fu risposta. «La prossima pallottola sarà per te!» disse Alucius, riarmando il fucile. L'arroganza che emanava dal nomade non mutò, mentre questi continuava a tenersi nascosto. Con un senso di rammarico, Alucius fece di nuovo fuoco. Bang! Sebbene venisse raggiunto da un'ondata di dolore, non percepì alcuna paura, né reazione, ma solo un rafforzarsi della determinazione dell'altro. Perciò si tenne pronto a sparare per la terza volta, quando il nomade balzò in piedi puntando il proprio fucile. Prima ancora di poter premere il grilletto, questi si trovò a cadere lungo e disteso nell'erba, mentre il vuoto rossastro e cupo della sua morte si riversava su Alucius. «... merda di sabbioso...» giunse un'esclamazione soffocata alle spalle di Alucius. Questi scrutò tutt'intorno a sé, con gli occhi, le orecchie e il Talento, ma non avvertì altre presenze nei dintorni, se non forse quella di un cavallo nella palude in basso, più a sud. «Pattuglia, avanti!» Si fermò accanto al morto e smontò, poi lo perquisì rapido, ma trovò solo alcune monete che gli lasciò. Nessuna mappa, né qualunque altra cosa oltre a ciò che era solito portare un soldato. Lasciando il corpo nell'erba, rimontò in sella e fece segno alla pattuglia di proseguire. «... non avevo visto muoversi l'erba...» «... perché non sei un pastore...» «... i pastori sono tremendi... non bisogna farli arrabbiare... si dice che qualche anno fa, quand'era ancora un soldato, fu aggredito al buio da tre tizi e che lui li abbia fatti fuori tutti e tre, a mani nude...» Alucius avrebbe voluto negare. Era successo durante l'addestramento: i suoi aggressori erano solo due, e lui li aveva messi fuori combattimento senza far loro del male, anche se avrebbe potuto ucciderli con facilità. Ma non era stato necessario, e quei due sarebbero stati degli stupidi a farsi uccidere durante una delle prime scaramucce di Chiusa dell'Anima.
«Tenete gli occhi bene aperti!» ordinò, più che altro per porre fine a quei mormorii. Proseguirono verso sudovest per un'altra clessidra e mezzo prima che Alucius decidesse di fermarsi. Gli assembramenti di nomadi sulla riva opposta si erano fatti più numerosi: Alucius e gli altri avevano individuato quattro gruppi separati, benché ciascuno non fosse composto da più di quattro o cinque cavalieri. Data la situazione, però, Alucius non voleva mettere a repentaglio la propria squadra avventurandosi oltre o attraversando il torrente per avvicinarsi al nemico. Almeno, non quando si trattava di un territorio che stava appena imparando a conoscere, e di un momento in cui il numero dei suoi soldati era chiaramente inferiore a quello dei nomadi. Attraverso il Talento, capì che questi si trovavano proprio nel punto indicato loro dai rapporti, e i fuochi da campo accesi nel tardo pomeriggio glielo confermarono. L'odore acre che giungeva da nord spinto dalla brezza avvalorava anche un altro particolare: i nomadi non usavano legna per i loro falò. Ma d'altra parte non sarebbe stato possibile, poiché Alucius non aveva visto né alberi né cespugli adatti allo scopo. Sulla via del ritorno, Alucius continuò a controllare tutt'intorno con il Talento, e il ricognitore Dueryn continuò ad aggiornarlo su eventuali cambiamenti, ma i nomadi che li seguivano si tennero a più di un vingt di distanza a sud, spiandoli lungo tutto il tragitto, fino all'imbocco del sentiero che saliva verso Cresta Nera, dove Faisyn e l'altra metà della squadra si trovavano in attesa, con due soldati della Ventitreesima Compagnia, che si affrettarono a risalire su per il pendio, dopo avere avvistato Alucius. 59 Altri tre giorni di pattugliamento non cambiarono granché, tranne il fatto che il numero di nomadi che li seguiva aumentava sempre più. Alucius stava facendo colazione nella mensa ufficiali dalle pareti di arenaria, seduto su una robusta sedia di legno, indubbiamente di parecchi anni più vecchia di lui. Dinanzi a sé, in un piatto di terracotta sbeccata ugualmente vetusto, c'era un'omelette ripiena di formaggio e di carne di origine imprecisata, accompagnata da un contorno di mele e meleprugne essiccate, il tutto preparato dal cuoco deforyano che si erano portati al seguito insieme al carro delle provviste. Gli unici ufficiali presenti nella stanza erano quelli provenienti dall'o-
vest: Feran, Clifyr ed Heald. Koryt era uscito poco prima, così come il maggiore Draspyr. Gli ufficiali deforyani, aveva notato Alucius, si alzavano un po' più tardi. «Quanto tempo credete che passerà prima che ci attacchino?» domandò Heald. «Oggi... domani. Non più tardi di dopodomani», dichiarò Feran. Alucius ingoiò un sorso dell'amara birra che veniva servita a colazione e mangiò un ultimo boccone di omelette evitando di esprimere la sua opinione, mentre finiva la frutta essiccata. Feran gli lanciò uno sguardo al di sopra del tavolo, come a voler sollecitare il suo parere. Alucius si strinse nelle spalle, sebbene condividesse il giudizio dell'altro circa un imminente attacco. In quel momento, il maggiore Draspyr comparve sulla soglia, il viso acceso. «Ordinate ai vostri uomini di prendere le armi e tenersi pronti! Chiedete ai comandanti di squadra di farli schierare in formazione qui davanti! Poi venite da me nella sala delle adunanze!» «Sì, signore.» Alucius si alzò. Aveva potuto avvertire l'agitazione del maggiore, persino senza ricorrere al Talento. «Oggi, scommetto», borbottò Feran sottovoce, mentre si alzava a sua volta. «Mi scuserete se non accetto la scommessa», replicò Heald. Alucius lasciò che gli altri si dirigessero verso le baracche. Quanto a lui, procedette a grandi passi fuori dalla mensa verso il ciglio della sporgenza, dove si fermò, tenendosi venti iarde più a destra rispetto alla mezza squadra di soldati deforyani, che stava là in piedi intenta a scrutare verso sud. Per un lungo momento, Alucius studiò il terreno in lontananza. Tre colonne, ciascuna della lunghezza di parecchi vingti, stavano cavalcando verso nord. Il centro della colonna era diretto all'imboccatura del sentiero che saliva alla fortezza. Dopo aver gettato un'altra occhiata, si affrettò verso il passaggio a volta in arenaria che portava agli alloggi della Ventunesima Compagnia. Longyl lo stava già aspettando. «Ho detto agli uomini di tenersi pronti, signore.» «Bene. Falli schierare in formazione a piedi, nello slargo davanti alle baracche. Con le armi e con tutte le cartucce che riescono a portare. I nomadi si stanno preparando all'attacco. Si preannuncia una lunga giornata.» Alucius fece una pausa. «Falli restare il più possibile addossati alla parete del-
la montagna.» «Ah... sì, signore.» «Ci faremo avanti quando ce ne sarà bisogno.» Alucius non diede altre spiegazioni, poiché temeva che non avrebbero avuto molto senso, dato che quella richiesta era basata più su una sua intuizione che non su qualcosa di concreto. «Ci vediamo fuori, Devo prima incontrarmi con il maggiore Draspyr.» «Sì, signore.» Quindi, prima di tornare all'aperto, Alucius corse nella sua stanza e afferrò entrambi i fucili e le due cartucciere. Indugiò un attimo davanti all'ingresso degli alloggi ufficiali per guardare a sud. Nel cielo, in lontananza, si vedevano delle macchie nere volteggiare al di sopra del punto in cui era situato l'accampamento dei nomadi. Alucius rifletté. L'accampamento si trovava a oltre sei vingti di distanza da Cresta Nera, eppure lui riusciva a scorgere le ali di quelle cose che stavano volando là sopra, e le distingueva con chiarezza. In vita sua non aveva mai visto niente di proporzioni simili. Si voltò e tornò dentro, dirigendosi verso la sala delle adunanze. Non fu l'ultimo ad arrivare, giacché il capitano Koryt lo seguiva. Mentre Alucius prendeva posto, Draspyr fissò esplicitamente i due fucili, ma non fece commenti. Poi cominciò a parlare: «Da ciò che si può vedere, i nomadi hanno più di cinquanta compagnie di cavalieri. Non ho visto, però, i tanto chiacchierati pteridon...». «Sono là fuori adesso», disse Alucius. «Stanno sorvolando l'accampamento dei nomadi.» Draspyr annuì con impazienza. «Perciò ci troviamo a dover affrontare migliaia di nomadi e le loro portentose creature. Ho dato ordine alla Ventitreesima Compagnia di disporsi subito sul bordo della sporgenza, ma a turno ci alterneremo. I deforyani hanno inviato le loro cinque compagnie lungo il sentiero per cui siamo arrivati e prenderanno posizione nei punti in cui i nomadi non potranno attaccarli facilmente...» Alucius nutriva qualche dubbio circa la validità di quella strategia, ma decise di non esternarlo. Draspyr non lo avrebbe ascoltato. «Il resto di voi farà tenere pronti i propri uomini appena all'interno delle baracche e delle stalle, divisi per compagnia. Lascerò al capitano maggiore Heald e al capitano maggiore Alucius l'incarico di scegliere la loro collocazione come meglio credono, ma chiedo solo di fare in modo che possano sostituire senza difficoltà i compagni in prima fila, quando sarà necessario. Mi riservo di ispezionare le vostre postazioni in qualsiasi momento.» Do-
podiché fece un brusco cenno con il capo e concluse: «È tutto». Dopo che il maggiore si fu allontanato per raggiungere di corsa il limitare della sporgenza dove la Ventitreesima Compagnia stava prendendo posto, Heald si avvicinò ad Alucius. «Come pensate di disporre gli uomini?» «Una compagnia nel corridoio di ogni baracca e due - la Ventunesima e la Terza - nel corridoio di ogni stalla?» «Per me va bene.» «Con doppia scorta di munizioni e con i fucili carichi», aggiunse Alucius. «Se il nemico arriva fin quassù, potremmo essere costretti a far fuoco dai corridoi e dai locali provvisti di finestre.» «Ci avevo pensato. Spero che succeda il più tardi possibile.» Alucius si rivolse a Feran. «Fai occupare il corridoio delle baracche dalla Quinta Compagnia.» «Ci terremo pronti.» I due uscirono all'aperto, nell'aria fresca del mattino, e Alucius scrutò il cielo a sud. Gli pteridon stavano ancora volteggiando sull'accampamento dei nomadi, ma si erano alzati più di mille iarde rispetto a Cresta Nera e stavano ancora salendo. «Sarà meglio che facciamo mettere tutti in posizione.» Si incamminò rapido verso lo slargo davanti alle baracche, con Feran al suo fianco. Quando si avvicinarono alla Ventunesima Compagnia, Feran si diresse di corsa verso la Quinta. «Ventunesima Compagnia, tutti presenti e pronti, signore», riferì Longyl. «Dobbiamo tenerci pronti a rinforzare o a rimpiazzare la Ventitreesima Compagnia. Nel frattempo, ci sistemeremo nel corridoio della stalla di mezzo, divisi per squadre.» Longyl inarcò le sopracciglia. «Non ha senso stare fuori all'aperto.» Alucius indicò gli pteridon che stavano volteggiando nel cielo, e che si erano nel frattempo disposti in una lunga fila rivolti a nord, verso Cresta Nera. Ne contò undici. Bang! Bang! I soldati della Ventitreesima Compagnia cominciarono a sparare dal ciglio della sporgenza. Sulla parete rocciosa che sovrastava il punto in cui era piazzata la Ventunesima Compagnia si udì un sordo clang, mentre un globulo grigiastro di metallo, che in precedenza era stato una pallottola, cadeva sulla pietra d'arenaria proprio dietro all'ultimo soldato della quarta squadra. «Ventunesima Compagnia! Riposizionarsi in formazione nel corridoio della seconda stalla, in ordine di squadra. Prima squadra, avanti! Muovete-
vi!» Mentre i suoi uomini si schieravano in formazione, Alucius gettò un'occhiata verso la parte frontale della parete lungo la quale erano situati gli alloggi e le stalle. La Quinta Compagnia era quasi tutta al riparo, mentre la Terza e l'Undicesima stavano finendo di entrare in quel momento. Solo la Ventitreesima si trovava allo scoperto, anche se la maggior parte dei soldati era sdraiata pancia a terra lungo il bordo della nera sporgenza rocciosa, intenta a fare fuoco sui nomadi che avanzavano. Quando il resto della Ventunesima Compagnia si fu portato all'interno del corridoio della stalla, Alucius la raggiunse, fermandosi accanto al muro a destra dell'alto arco. I soldati lanachroniani continuavano a sparare verso il basso e le pallottole nemiche continuavano a colpire la parete rocciosa sopra di loro. Molte vi rimanevano conficcate, ma alcune cadevano sulla pietra, come un'intermittente grandinata di piombo. Longyl si avvicinò ad Alucius. «Potrebbero servire altri soldati là fuori, signore?» «I nomadi possono solo risalire il sentiero in fila indiana.» Guardò verso est, dove la strada, o meglio il sentiero, che li collegava con Dereka sbucava tortuosa dalle Montagne della Barriera. «Mi preoccupa di più la possibilità che ci sorprendano alle spalle. Dovresti mandare Waris e Dueryn... a dare un'occhiata lungo la strada. Non sono così convinto che i deforyani abbiano fatto ciò che pensa il maggiore.» Longyl lo guardò senza capire. «Dovrebbero fare da copertura a quel tratto di strada, per impedire che il nemico ci accerchi», Alucius guardò ancora verso est. «Anche se nutro qualche dubbio in proposito.» «Manderò immediatamente Waris e Dueryn, signore.» «Falli uscire subito», raccomandò Alucius. Longyl si allontanò, e pochi istanti dopo si videro comparire i due ricognitori con i loro cavalli. Alucius trattenne un mesto sorriso. Fortunatamente Longyl gli aveva suggerito senza volerlo l'idea dei ricognitori. Rimase a osservare mentre i due si avviavano lungo la scarpata rocciosa e sparivano dietro una prominenza per imboccare il sentiero che conduceva a Dereka. Longyl ricomparve. «Grazie per avermici fatto pensare, Longyl», disse Alucius, rivolgendosi al comandante di squadra. «Signore... cos'è quello?»
Una lingua di fuoco azzurrina si abbatté sull'estremità occidentale della sporgenza, dov'erano schierati i soldati impegnati a tenere sotto tiro i nomadi che stavano salendo verso Cresta Nera. Le fiamme che si sprigionarono furono così intense che Alucius ne avvertì il calore persino dal punto in cui si trovava, vicino all'ingresso delle stalle. Quasi senza accorgersene, fece un passo avanti. Gli ultimi soldati della fila, con le loro divise blu e panna, si erano trasformati quasi all'istante in sagome annerite, compreso il capitano Clifyr, il cui corpo cadde in avanti in preda agli spasmi. Dietro all'ondata infuocata, a poco più di cinquanta iarde dal ciglio della sporgenza, comparve una creatura alata di colore azzurro, che misurava più di dieci iarde dalla punta del becco alla coda. Su una sella, collocata anteriormente alle ali, sedeva un cavaliere proteso in avanti, con una lancia azzurra in pugno, dalla quale scaturivano altre fiamme azzurrognole. Mentre lo pteridon passava, Alucius si sporse dall'ingresso delle stalle e scrutò il cielo. Non vide altri pteridon nei dintorni, sebbene gli sembrasse che uno stesse virando verso ovest, pronto anch'esso a scendere su Cresta Nera. Poi lanciò un'occhiata verso il ciglio della cengia, dove la restante metà della compagnia, distesa pancia a terra, era ancora intenta a far fuoco sul nemico più in basso. Nessun ordine era stato impartito. Impugnando un fucile, Alucius corse verso di loro. «Al riparo! Rientrate nelle baracche e nelle stalle!» Parecchi soldati alzarono lo sguardo su di lui. «Mettetevi al riparo!» ordinò di nuovo Alucius. «Subito!» Seppure adagio, i lanachroniani cominciarono a muoversi. «Veloci!» latrò Alucius. «A meno che non vogliate finire carbonizzati!» Quell'ultimo avvertimento fu efficace. I soldati si precipitarono con un balzo in direzione di Alucius. Questi alzò lo sguardo, vedendo un'ombra stagliarsi contro il sole di prima mattina, e si affrettò a sua volta verso l'ingresso delle stalle. Gli ultimi quattro o cinque soldati furono inghiottiti dalle fiamme e Alucius ne avvertì il calore sul collo, mentre correva al riparo. Una volta raggiunto l'ingresso del corridoio si voltò e vide scendere in picchiata un altro pteridon, a poco più di trenta iarde di distanza dallo slargo davanti alla fortezza. «Capitano maggiore!» Alucius si girò. «Non avevo ordinato la ritirata», ringhiò Draspyr. «Non erano i vostri soldati, capitano maggiore. Se nessuno sta di guardia al sentiero, i nomadi
ci salteranno addosso.» «Quando raggiungeranno la sommità, saranno comunque esposti al nostro fuoco», fece notare Alucius. «Piazziamo i nostri uomini in corrispondenza di ogni arco e apertura. Da lì, cercheremo prima di tutto di abbattere gli pteridon. Se fossero rimasti al loro posto, maggiore, adesso sarebbero tutti morti.» Draspyr fece correre lo sguardo oltre le spalle di Alucius, verso le sagome annerite che si contorcevano debolmente, poi inghiottì a vuoto. Dopo qualche momento disse: «Vi chiedo scusa, capitano maggiore. Continuate». Poi si allontanò. Alucius si sporse a guardare, mentre un altro pteridon scendeva sorvolando il bordo della sporgenza a poco meno di cinquanta iarde di distanza, così vicino che Alucius poté distinguere il cavaliere dai capelli neri con la lancia di metallo azzurro in pugno, persino mentre prendeva la mira e faceva fuoco. Benché fosse certo di avere colpito la creatura alata, questa continuò per la sua strada verso est, sottraendosi alla vista. «Colpite i cavalieri!» ordinò Alucius. «Passate parola.» Poi si sentì uno sciocco, giacché non aveva mai dato il comando di prepararsi a sparare. Si voltò quindi verso Longyl. «Fai posizionare la prima squadra vicino all'arco d'ingresso in doppia fila.» «Prima squadra in posizione! In doppia fila, prima fila in ginocchio, pronti a fare fuoco!» Un altro pteridon si avvicinò da ovest, e trovò Alucius pronto. La pallottola colpì il cavaliere, il quale collassò sulla sella, mentre la sua cavalcatura virava, dirigendosi rapidamente verso sud. Poi successe una cosa imprevedibile: uno degli artigli dello pteridon si protese ad afferrare la lancia azzurra caduta dalle mani del cavaliere morente. Alucius si asciugò la fronte grondante di sudore. Sentiva che lo pteridon sarebbe tornato, portando con sé un nuovo cavaliere. Altre fiamme azzurrognole si abbatterono sullo slargo, a circa venti iarde di distanza dalla parete rocciosa lungo la quale si trovavano le baracche e le stalle. Alucius aggrottò la fronte, cercando di capire da dove venissero. «Arrivano!» gridò Longyl. Alucius spostò l'attenzione sul margine esterno della sporgenza, dove finiva - o meglio, cominciava - il sentiero. In quel punto erano appena comparsi parecchi nomadi, che stavano spronando i cavalli nella loro direzione.
«Ventunesima Compagnia! Puntate sui nomadi!» ordinò Alucius. «Fuoco!» Mirò anch'egli sul cavaliere in testa alla fila. Bang! Il cavallo crollò a terra. Poi sparò al cavallo del secondo cavaliere, ma questi fece uno scarto per evitare l'animale caduto e il colpo mancò il bersaglio. Il successivo invece andò a segno. Grazie anche al fuoco ininterrotto delle altre compagnie, l'ondata di nomadi si arrestò. Per un po' tutto tornò tranquillo, e Alucius ne approfittò per ricaricare il fucile, benché il caricatore non fosse del tutto vuoto. Il mucchio di cavalieri e di cavalli morti che si era formato in cima al sentiero che portava alla sporgenza avrebbe di certo rallentato l'avanzata nemica, si augurò Alucius, permettendo in tal modo ai soldati di eliminare i nomadi a mano a mano che arrivavano a tiro. Ma la pausa sarebbe stata solo temporanea, finché le altre colonne di nomadi, quelle che avevano aggirato la postazione, non avessero raggiunto Cresta Nera. Un'altra saetta azzurrina attraversò lo slargo di lava nera, colpendo un soldato lanachroniano. Alucius si domandò come mai quel soldato si trovasse ancora all'aperto, ma non era certo il momento di chiederlo. A ogni modo, lo pteridon successivo lo trovò pronto ad accoglierlo. Mentre i suoi soldati sparavano ai nomadi - per impedire loro di raggiungere la sporgenza - Alucius mirò alla testa del mostruoso animale. Di nuovo, fu certo di averlo colpito, ma questi non diede segno di essere stato ferito. Il secondo colpo abbatté invece il cavaliere. E ancora una volta... accadde lo stesso fatto sorprendente. Lo pteridon afferrò la lancia azzurra e fece rotta verso l'accampamento dei nomadi. Per un po' su Cresta Nera regnò un silenzio inquieto. Nessun altro nomade si fece vedere sulla sporgenza. Ma il nemico non poteva avere deciso di ritirarsi. Era solo metà mattina, e i nomadi erano di gran lunga più numerosi dei difensori. Mentre ricaricava il fucile, Alucius rifletté. Se non fossero riusciti a fermare gli pteridon, sarebbero stati perduti. Magari lo sarebbero stati comunque, ma la presenza delle creature alate rendeva concreta quell'eventualità. Il fatto che fossero invulnerabili alle pallottole... voleva dire che possedevano sicuramente Talento. Che cosa mai poteva essere usato contro il Talento? Alucius era stato così occupato da non averci pensato davvero. Il cristallo viola della Matride aveva respinto le pallottole e i colpi di sciabola, e solo il senso di oscurità che si nascondeva dietro all'intreccio
dei fili vitali si era dimostrato efficace. Ma lui non poteva avvicinarsi agli pteridon sfidando la fiamma azzurra prodotta dalle lance cosmiche. Chissà se era possibile generare un guscio di oscurità attorno alle pallottole sparate dal suo fucile, così come aveva fatto a suo tempo con il cristallo della Matride? Cercò di impegnarsi nel creare un involucro nero attorno alla cartuccia che stava nel caricatore del suo pesante fucile. Poi, arma alla mano, sgusciò fuori dall'arco delle stalle. «Signore... c'è una di quelle bestie...» Alucius si girò, quasi al rallentatore, a fronteggiare lo pteridon che stava planando verso lo slargo, con l'impressione che si stesse dirigendo proprio su di lui. Sollevò il fucile e sparò, concentrandosi sulla mira e sulla buia caligine che avvolgeva il freddo piombo della pallottola. Lo pteridon barcollò. Alucius ricaricò e fece ancora fuoco, e poi ancora. Un grido acuto lacerò l'aria, e la bestia cadde letteralmente in picchiata, schiantandosi sul sentiero più in basso. «Signore!» Alucius balzò al riparo delle stalle, mentre una striscia di fiamma azzurrina si abbatteva contro la nera roccia della postazione. Subito dopo la comparsa dello pteridon al di sopra della sporgenza, un cavaliere era sbucato da dietro la parete di arenaria, in corrispondenza dell'imbocco con il sentiero che portava a Dereka, e si era diretto verso le stalle. Alucius si affacciò di nuovo dal passaggio a volta per sparare a un altro pteridon. Ovviamente, non doveva essersi concentrato a sufficienza, poiché l'animale vacillò, ma proseguì per la sua strada. Alucius ricaricò veloce il fucile e si voltò verso Waris. Il ricognitore, che aveva dovuto chinarsi per poter passare a cavallo sotto l'arco d'ingresso delle stalle, smontò immediatamente. «Cos'hai scoperto?» domandò Alucius. «I deforyani... sono svaniti», disse Waris col respiro affannoso. «Dueryn è ancora fuori... sta controllando le vie d'accesso a ovest. Fortunatamente... a est c'è una gola... i nomadi dovranno percorrere altri sei o sette vingti prima di poterla aggirare. Il terreno è accidentato... Non ci riusciranno prima di domani.» Alucius guardò fuori. Tre pteridon si stavano dirigendo a nord, proprio verso le stalle. «State tutti indietro! Più indietro che potete!» Alucius alzò il primo fucile, costringendosi a concentrarsi su due cose:
la testa del primo pteridon e l'oscurità, quanta più oscurità possibile, all'interno della cartuccia che stava nel caricatore. Sparò una volta, poi puntò la canna verso il secondo mostro volante e sparò altre due volte. Entrambi gli pteridon caddero, uno come se fossero venute a mancargli le ali, e l'altro avvitandosi su se stesso e andandosi a fracassare all'estremità della sporgenza, dove la sfortunata squadra della Ventitreesima Compagnia era stata incenerita. Alucius avvertì, ancora prima di vederla, la saetta di fiamma azzurrina che descriveva un arco nella sua direzione, e si affrettò a tuffarsi dietro l'arco che conduceva alle stalle. Sentì le fiamme passargli sopra la testa e, per un attimo, ebbe l'impressione di trovarsi in un forno; quella sensazione cessò e lui rotolò veloce su se stesso e puntò di nuovo il fucile, ma il terzo pteridon era già fuori tiro. «Ha virato verso ovest», disse Longyl. «Tutto bene?» «Per il momento.» «Come avete fatto...» «Ho mirato agli occhi», disse Alucius, non discostandosi troppo dalla verità. In effetti, aveva mirato agli occhi. «Guardate!» esclamò uno dei soldati. Quasi senza accorgersene, Alucius guardò nella direzione indicata. L'enorme corpo dello pteridon caduto sul ciglio della sporgenza, appena al di sopra del sentiero, aveva preso fuoco producendo una fiamma azzurrognola, simile a quella delle lance cosmiche. Dopo un momento, Alucius concentrò il proprio Talento sulla creatura che stava bruciando. Si inumidì le labbra. Dietro a tutto quell'azzurro si nascondeva la stessa malvagia sfumatura viola-rossastra che aveva percepito nei collari della Matride e nel cristallo violaceo al quale essi erano collegati. «Indietro!» gridò. «A terra.» Fece appena in tempo a buttarsi anche lui a terra, oltre il muro, che lo pteridon esplose, scaraventando ondate di calore insopportabile fin dentro le stalle. Alucius si rialzò a fatica, cercò il fucile che aveva usato e lo tese a Longyl. «Fallo pulire.» Poi afferrò il secondo fucile e si avvicinò all'uscita. Fiamme azzurrognole ardevano ancora in alcuni punti dello slargo, ma nessuna a meno di trenta iarde dall'ingresso delle stalle. Alucius guardò in alto con gli occhi e con i Talento-sensi. I restanti pteridon - sei in tutto - volteggiavano nel cielo sopra di loro, ma cercavano di tenersi fuori tiro da eventuali colpi di fucile. Il che signi-
ficava che neppure le lance erano in grado di coprire la distanza che le separava dalla postazione. Alucius sorrise mesto, mentre usciva dal corridoio delle stalle. «Signore...» «Di' agli uomini della squadra di tenersi pronti a sparare se vedono spuntare la testa di qualche nomade oltre il ciglio della sporgenza», ordinò Alucius. Quindi uscì ancora di più allo scoperto e rimase in attesa. Bang! L'oscurità e la pallottola si erano fuse in un tutt'uno, e un altro pteridon piegò le ali, anche se Alucius non poté vedere il punto esatto in cui era precipitato. All'improvviso, i cinque pteridon superstiti cominciarono a volteggiare più in alto, per poi dirigersi verso sud. «Ventunesima Compagnia, portarsi sul margine della sporgenza!» ordinò Alucius. «Subito! Longyl, manda dei ricognitori lungo il sentiero! Ci dovranno avvisare se i nomadi riescono ad attraversare la gola o ad aggirarla.» Senza aspettare risposta, Alucius si precipitò a sua volta sul limitare dello slargo. Dovevano impedire ai nomadi di raggiungere la fortezza, e l'assenza degli pteridon avrebbe facilitato loro il compito... Poco meno di cinquanta iarde più in basso, lungo il sentiero, un'altra compagnia di nomadi stava avanzando. Alucius si sdraiò pancia a terra e cominciò a sparare. Di lì a poco venne raggiunto da altri soldati, che iniziarono anch'essi a sparare. Longyl si avvicinò strisciando ad Alucius e gli tese il secondo fucile. «Ho pensato che vi potesse servire, signore.» «Grazie.» «Grazie a voi, signore.» Trascorse quasi una clessidra, durante la quale i corpi degli uomini e dei cavalli continuarono ad ammonticchiarsi sul sentiero in basso, prima che i nomadi superstiti si decidessero a ritirarsi da quella posizione così esposta al micidiale fuoco degli avversari. Alucius rimase in osservazione per circa un'altra clessidra, poi si alzò e ordinò: «Quinta Compagnia! Portarsi sul bordo! Rimpiazzare la Ventunesima Compagnia!». «Quinta Compagnia! Avanti!» tuonò la voce di Feran. Alucius si accostò a Longyl. «Di' agli uomini di rifocillarsi e riposarsi. Ma assicurati che ricarichino tutte le armi e che abbiano le cartucciere pie-
ne.» «Sì, signore.» «Devo trovare il maggiore Draspyr.» Prima di recarsi alla ricerca del maggiore, mentre le compagnie si davano il cambio, Alucius fece correre lo sguardo sulle praterie sottostanti. I nomadi stavano piazzando un altro accampamento a meno di un vingt dall'imbocco del sentiero che si arrampicava fino alla fortezza. Alucius esaminò anche il cielo a sudovest, ma non vide traccia di pteridon. Traendo un profondo sospiro, si avviò verso gli alloggi degli ufficiali e la sala delle adunanze, portandosi dietro entrambi i fucili. Il maggiore Draspyr era in piedi nel passaggio che portava alla sala delle adunanze. Mentre Alucius si avvicinava, disse con voce pacata: «Capitano maggiore... voi e i vostri uomini siete riusciti a eliminare quattro di quei mostri e a metterne fuori combattimento altri due...». «Gli altri due torneranno», ribatté Alucius stancamente. «Abbiamo ucciso i loro cavalieri, ma questo non basterà a fermarli.» Poi aggiunse: «Ho mandato fuori dei ricognitori. Uno è già tornato. I deforyani si sono ritirati e i nomadi non tarderanno ad accerchiarci. Probabilmente non ci riusciranno oggi, ma lo faranno sicuramente questa notte o domani». «Mi avevano avvisato riguardo ai deforyani», disse Draspyr. «Riesco a malapena a crederci... hanno semplicemente alzato i tacchi, così, e se la sono svignata.» «Credono che le montagne possano fermare i nomadi, e se non lo dovessero fare, preferiscono comunque combattere per difendere ciò che ritengono valga di più.» «È impossibile difendere Dereka. È troppo esposta.» Draspyr scosse il capo. «Devo congratularmi con voi, capitano maggiore. Avete gestito gli uomini in modo encomiabile durante la battaglia.» «Grazie, signore.» Alucius non se la sentiva di fargli notare che i suoi ordini erano stati tardivi e la sua capacità di comprensione della situazione lo era stata ancora di più, e che solo grazie al Talento - che era stato quasi sul punto di non usare - era riuscito a fermare il nemico. «Dovremo fare di meglio. Molto meglio.» «Pensate che dovremmo ritirarci?» Il buonsenso gli suggeriva a gran voce di dire di sì, pensò Alucius, mentre si accingeva a rispondere. «Questa sarebbe la mia reazione immediata, signore. Non possiamo restare qui a lungo, non senza rinforzi, almeno. Ma sulla strada del ritorno non c'è acqua, se non nelle stazioni intermedie, e la
stazione più vicina si trova a due giorni di cammino da qui. E poi, anche i nomadi sono diretti da quella parte e potrebbero arrivarci prima di noi. I deforyani non hanno portato via i carri, il che significa che avremo provviste in abbondanza per un po', a prescindere da quello che decideremo di fare. Credo che dovremo valutare attentamente la situazione.» Alucius stava parlando anche in base al proprio intuito. Per una qualche ragione, l'idea di ritirarsi subito gli sembrava sbagliata. Molto sbagliata. Avrebbe voluto capire il perché, visto che sapeva che non avrebbero potuto trattenersi molto a Cresta Nera. «In tal caso, voi e io dovremo farci una breve cavalcata», disse Draspyr. «Accompagnati da una squadra, naturalmente. Così vedremo il da farsi prima di prendere una decisione.» Alucius annuì. «Direi che è un'ottima soluzione.» E si augurò davvero che lo fosse. 60 Nel tardo pomeriggio, Alucius e il maggiore si avviarono verso nord lungo lo stretto sentiero, preceduti da due ricognitori della quarta squadra e seguiti a breve distanza da Egyl e dai rimanenti soldati della quarta squadra. Il maggiore Draspyr aveva lasciato una squadra della Ventitreesima Compagnia a guardia del sentiero, in corrispondenza dell'imbocco con Cresta Nera. Alucius esaminò il terreno tutt'intorno con attenzione. Per il primo mezzo vingt a nord della fortezza, il sentiero era addossato al fianco della montagna e, in molti punti, sporgeva meno di due iarde dalla ripida parete. Benché ai nomadi sarebbe stato impossibile far avanzare parecchi uomini contemporaneamente lungo un passaggio così angusto, il problema stava però nel fatto che i difensori non avrebbero avuto alcuna protezione e, anche se avessero eretto una barricata, al meglio avrebbero potuto sperare in una sospensione temporanea, al termine della quale sarebbero stati sopraffatti per mancanza di munizioni o viveri. Alucius sperava di trovare una postazione migliore. «Avranno difficoltà a muoversi lungo questo percorso», fece notare Draspyr. «Vorrei trovare un punto che ci permetta di tenere il nemico sotto tiro senza essere così esposti», replicò Alucius. Il tratto successivo era costituito da un ripido passaggio ricavato nella
roccia, dove il sentiero raggiungeva un'ampiezza di quasi tre iarde. Anche se Alucius avesse piazzato più in alto dei tiratori scelti, li avrebbe comunque esposti all'attacco degli pteridon, e inoltre ci sarebbe stato posto solo per un pugno di uomini. Proseguirono un altro mezzo vingt, e poi un altro ancora, e il sentiero tornò a farsi stretto cominciando a inerpicarsi tortuoso per ripidi picchi. Mentre affrontavano l'ennesima curva, Alucius osservò il terreno che gli stava dinanzi. Il sentiero si dirigeva a ovest, per poi piegare a est, passando attorno a un basso promontorio che sporgeva sopra una gola. La salita alla sommità del promontorio - una cresta rocciosa - era graduale, così da permettere a uomini e a cavalli di arrampicarvisi. Inoltre, a meno di un centinaio di iarde a ovest, la pietra arenaria si ergeva a formare di nuovo un muro che si arcuava in alto, rendendo difficile un efficace attacco da parte degli pteridon. «Questo posto potrebbe essere l'ideale», dichiarò Alucius. «Vediamo.» Draspyr guardò Alucius ma non parlò. «Dal basso, dove la roccia sporge, non sarà difficile arrivare fino in cima e godere anche di una copertura sul fianco. Salgo a vedere com'è l'angolazione rispetto al sentiero che porta a nord.» «È parecchio a nord di Cresta Nera», fece notare Draspyr. «Sì, ma non hanno altro modo di sorprenderci alle spalle.» Mentre avanzavano verso il promontorio, il maggiore non replicò. Dopo che ebbero raggiunto il punto indicato, un punto in cui il sentiero si allargava a sufficienza da consentire ai soldati di passare comodamente o di girare i cavalli, Alucius alzò il braccio. «Pattuglia, alt!» Poi smontò e tese le redini a Egyl. «Spero di non metterci molto.» Portando con sé uno dei fucili, cominciò ad arrampicarsi su per il pendio di arenaria. Dopo parecchie scivolate riuscì finalmente a raggiungere la sommità, da dove poté scrutare verso nord. Da dove si trovava gli era possibile vedere quasi tutto il tratto successivo di sentiero, che curvava di nuovo verso ovest e poi verso est, offrendo un ottimo campo di tiro ai soldati che si fossero trovati sulla cresta. All'estremità del promontorio, dove il sentiero tracciava una curva ad angolo retto, lo spazio era stretto quel tanto che bastava perché si potesse piazzare uno dei carri deforyani, rovesciato sul fianco e pieno di sassi, così da rallentare l'assalto dei nomadi. Un altro carro, collocato ancora più a nord, avrebbe potuto intralciare ugualmente la loro avanzata e renderli più vulnerabili al fuoco.
Alucius riportò lo sguardo verso nord. Un cavaliere con indosso l'uniforme delle Guardie del Nord stava avanzando lungo il sentiero nella loro direzione, guardandosi di tanto in tanto alle spalle. Sebbene fosse ancora lontano, Alucius riconobbe Dueryn. Avvisò il resto della squadra che stava in basso. «Sta arrivando un ricognitore! Mi sembra Dueryn. Ditegli di aspettarmi.» Mentre questi si avvicinava alla pattuglia, Alucius continuò a controllare il terreno per capire quanto sarebbero stati esposti i suoi soldati. A eccezione di un breve tratto di circa venti iarde, il baluardo di arenaria del promontorio avrebbe costituito una buona posizione da cui difendere la strada e fornito un'ottima protezione a due squadre di uomini che si fossero appostate là per sparare sul nemico. Annuendo tra sé, Alucius cominciò a scendere, stando bene attento a dove metteva i piedi. Era già rimontato a cavallo, quando giunse Dueryn. «Signore? Non mi aspettavo di trovarvi da queste parti.» «Avete localizzato i nomadi?» «Sì, signore. La gola qui a est... prosegue dritta per altri dieci vingti all'incirca, per poi interrompersi quasi di colpo. Si sono accampati proprio a est di uno stretto passaggio che si immette sul sentiero. Potrebbero attraversare stanotte o forse domani mattina. A ovest...» Il ricognitore scoppiò in una sgangherata risata. «C'è un'altra gola profonda una ventina di vingti, forse più. Escludo che scelgano di passare da quella parte.» «Non c'è alcun modo di oltrepassarli?» chiese il maggiore. «Non su questo sentiero, signore», rispose Dueryn. «Da dove si trovano, potrebbero far fuoco su di noi con almeno tre compagnie, e noi saremmo in fila indiana. E potrebbero anche attaccarci.» Draspyr annuì come se non si fosse aspettato una risposta diversa. Poi guardò Alucius. «Dovremo mandare qui una compagnia non appena saremo tornati alla fortezza.» «La Terza Compagnia», suggerì Alucius. «Anche se sarà necessario far avvicendare le altre.» Si rivolse a Egyl. «Lascia qui un paio di ricognitori fino all'arrivo della compagnia.» «Sì, signore.» Il comandante di squadra si voltò verso i suoi uomini. «Feshyn e Dorayn! Sorvegliate la strada finché non vi daremo il cambio. Se avvistate qualche nomade, correte subito ad avvisarci.» Alucius rimase in fondo alla colonna, insieme al maggiore, mentre i soldati riprendevano la via del ritorno lungo lo stretto sentiero. «Credete che i nomadi attaccheranno?» chiese Draspyr.
«Voi no, signore?» replicò Alucius. «Da ciò che ho visto, lo faranno sicuramente. La situazione non promette niente di buono.» «No», ammise Alucius. Aveva già in mente qualcosa, ma non era pronto a condividere le proprie idee con nessuno, tanto meno con il maggiore. Non ancora, perlomeno. La cavalcata verso Cresta Nera si svolse nel silenzio e quando giunsero alla fortezza, nel tardo pomeriggio, i cuochi avevano già preparato la cena per gli ufficiali e i soldati, sebbene fossero previsti due turni per consentire il rimpiazzo delle squadre rimaste di guardia sullo slargo, in corrispondenza del sentiero che scendeva alle praterie. Dopo cena, Alucius convocò i ricognitori della Quinta e della Ventunesima Compagnia nella sala delle adunanze. «Vi spiego qual è il problema. È probabile che si riesca a resistere finché ci saranno munizioni e viveri a sufficienza. Ma, col passare dei giorni, i nomadi qui intorno non faranno che aumentare, mentre le probabilità di ricevere rinforzi continueranno a essere nulle. Dueryn afferma che sul lato ovest del sentiero non c'è alcun passaggio in grado di permettere al nemico di arrivare fin qui. Ciò che vorrei trovare è una qualunque via, probabilmente a ovest, che porti al sentiero principale, a nord dell'accampamento dei nomadi. Lo so che sembra impossibile, ma questo sentiero fu scavato di proposito, e faccio fatica a credere che chiunque l'abbia concepito non abbia previsto un modo alternativo di andarsene da qui.» Waris scambiò un'occhiata con un altro ricognitore. «Vorrei che partiste domani mattina presto, non appena ci sarà luce sufficiente. Non sareste utili a nessuno se precipitaste giù per un dirupo, andandovene quando è ancora buio. È tutto.» Dopo che i ricognitori ebbero lasciato la stanza, Alucius raggiunse il margine dello slargo, dov'erano piazzate due squadre dell'Undicesima Compagnia. Due squadre erano più che sufficienti per stare di guardia alla fortezza il tempo necessario a richiamare le altre tre in caso di attacco. E così il resto degli uomini avrebbe potuto riposare un po' durante quell'assedio, un assedio che avrebbe potuto protrarsi a lungo. Koryt gli si fece incontro nell'oscurità che avanzava. «Che ne pensate?» «Potrebbero attaccare stanotte, o domani o il giorno dopo, o in qualunque momento a partire da adesso. Non credo che ci lasceranno perdere.» «Nemmeno io», replicò il capitano. «Vedo che i vostri soldati sono ben piazzati. Siamo pronti a raggiunger-
li, in caso di attacco.» Koryt annuì. Alucius lo salutò con un cenno del capo e si avviò verso le baracche. Doveva cercare di riposare un po'. Feran alzò lo sguardo dalla sua brandina nel vedere Alucius entrare nella stanzetta buia. «Niente di nuovo?» «Non ancora. I nomadi sono ancora laggiù, e ovunque si trovino.» «Attaccheranno stanotte. Stavano attizzando i fuochi.» «Ma guarda un po' chi è l'ottimista tra noi due!» «Cerca di dormire un po'», suggerì Feran, mentre si girava dall'altra parte. Alucius si chiese se sarebbe riuscito a riposare bene - se non del tutto anche se, una volta sdraiato, sentì le palpebre farsi pesanti. Si era appena addormentato, quando nel corridoio echeggiarono alcuni spari lontani, che lo fecero balzare a sedere sulla minuscola brandina. «Ci attaccano! Tutti gli ufficiali e le compagnie si portino fuori!» Alucius si infilò in fretta gli stivali e afferrò entrambi i fucili e la cartucciera. Feran lo seguì immediatamente. Una volta all'aperto, Alucius udì le pallottole che fischiavano sopra la sua testa, mentre si avviava verso il punto in cui la Ventunesima Compagnia si stava schierando al buio, appena davanti alle baracche. Ancora una volta Alucius fu felice della propria vista da pastore, che gli consentiva di vedere di notte come se fosse solo il crepuscolo. Poi corrugò la fronte. Dov'erano gli pteridon? Chissà se erano in grado di vedere o di volare di notte? Proiettò i Talento-sensi tutt'intorno... ma non colse alcun segno delle creature volanti. «Ventunesima Compagnia pronta, signore!» dichiarò Longyl. «Grazie, Longyl.» Alucius impartì gli ordini. «Ventunesima Compagnia! Divisa per squadre! Dalla destra!» Poi si avvicinò a Feran. «Sei pronto a occupare la sezione centrale?» «Sì, signore.» Feran alzò la voce per farsi udire. «Quinta Compagnia, sezione centrale!» «Tenetevi bassi mentre vi avvicinate al bordo!» li esortò Alucius. «Bassi!» Rimase un attimo a osservare i soldati che correvano, poi si avviò strisciando verso la propria postazione, a rinforzo delle due squadre dell'Undicesima Compagnia. L'intensità del fuoco nemico aumentò. Alucius scru-
tò ancora una volta il cielo, con gli occhi e con il Talento: non c'era alcuna traccia degli pteridon. Quindi si affrettò a prendere posto, pancia a terra, accanto a un soldato che gli pareva di ricordare si chiamasse Ryem. «Signore?» disse l'altro. «Continua a tenere d'occhio i nomadi, Ryem.» Alucius prese la mira su uno dei nomadi in testa, distante poco meno di cinquanta iarde sul sentiero, poi fece fuoco. Una sventagliata di pallottole di fucile si abbatté sullo stretto sentiero già disseminato di cadaveri, perlopiù di uomini anziché di cavalli, segno evidente che gli attaccanti intendevano assalirli di nascosto e a piedi. Sotto la violenza del fuoco dei difensori, i nomadi caddero o ripiegarono. Alucius non aveva idea di quanti ne avesse uccisi, sapeva solo che ne aveva colpiti parecchi, anche se in quell'oscurità nessuno se ne sarebbe accorto. Il che era sicuramente meglio. Dopo una mezza clessidra di calma, Alucius lasciò la sua postazione e ordinò: «Ventunesima Compagnia... tornate alle baracche!». «Quinta Compagnia...» gli fece eco Feran. «Undicesima Compagnia...» disse Koryt. «Quarta e quinta squadra restate in posizione. Prima, seconda e terza squadra, tornate alle baracche fino al prossimo turno di guardia...» Alucius si fermò, aspettando che tutti i soldati rientrassero. Poi alzò lo sguardo verso il cielo, ancora stupito di un attacco senza il concorso degli pteridon. Era dunque così difficile volare al buio, o c'era qualche altro motivo? Mentre rifletteva, i suoi occhi colsero il mezzo disco verdognolo di Asterta, la luna della guerra e della dea cavallo. Chissà se i nomadi si sentivano favoriti da lei! Ma aveva importanza? Si chiese quanti altri assalti ci sarebbero stati, e se c'era davvero un sistema per lasciare Cresta Nera. Sperava che i ricognitori riuscissero a scoprirlo, anche se non sapeva bene come avrebbero potuto attaccare i nomadi e fuggire. 61 Dopo quell'assalto, sebbene non se ne fossero verificati altri, Alucius non riuscì a dormire bene e finì per alzarsi prima dell'alba. Dubitava che molti avessero dormito quella notte. Aveva due ombre scure sotto gli occhi, mentre consumava la colazione, una colazione preparata dai cuochi deforyani. Il fatto che fossero stati abbandonati là dalle compagnie tornate
a Dereka non stupiva Alucius, ma, del resto, ben poche cose lo stupivano ormai riguardo ai deforyani. Consumò il suo pasto in silenzio insieme a Koryt, poiché la Quinta Compagnia stava facendo il turno di guardia ai margini dello slargo, e Heald e la Terza Compagnia erano ancora appostati sul sentiero a nord. Non aveva nemmeno terminato, quando vide un soldato sulla soglia della mensa che lo cercava con lo sguardo. Lasciò il piatto a metà e si precipitò fuori. «Signore... mi manda il capitano maggiore... ci sono parecchi nomadi sulla vecchia strada, a nord della Terza Compagnia... forse dieci o dodici compagnie.» Mentre il messaggero riferiva il suo messaggio, alle spalle di Alucius comparve Draspyr, ma il maggiore non parlò. «Grazie. Prenditi qualcosa da mangiare e tieniti pronto a ripartire. Il maggiore e io ti faremo sapere.» «Sì, signore.» Il soldato dal viso paffuto annuì, poi si affrettò verso la mensa riservata alla truppa. «Servono rinforzi», disse Draspyr. Alucius sentiva che questa volta i nomadi sarebbero ricorsi anche agli pteridon a nord, o in entrambi i luoghi, ma, d'altra parte, lui non aveva il dono dell'ubiquità. Dopo aver riflettuto, replicò: «Suggerisco di mandare la Ventunesima Compagnia in appoggio alla Terza, e di lasciare la Ventitreesima e l'Undicesima qui, con la Quinta». Draspyr sorrise ironico. «Immaginavo che questa potesse essere la vostra proposta. Sarebbe stata anche la mia.» Alucius pensò di giustificare le sue motivazioni, ma poi decise di non farlo. «Partiremo il più presto possibile.» Draspyr annuì. Quando Alucius raggiunse l'area delle baracche, Longyl era già in attesa. «Signore?» «Di' agli uomini di sellare i cavalli. Ci dirigeremo a nord, come rinforzo alla Terza Compagnia. Stanno per essere attaccati dai nomadi.» Poi rise tristemente all'assurdità di quella precisazione: non c'era un solo posto dove non fossero attaccati dai nomadi. In meno di un quarto di clessidra, la compagnia si ritrovò sul sentiero che andava a nord, seguita da parecchi cavalli adibiti al trasporto di munizioni, acqua e viveri. Mentre procedeva, e i raggi del sole cominciavano appena a illuminare i pendii di arenaria a est, Alucius non smise di scrutare
il cielo, pur non scorgendo traccia di pteridon. La Ventunesima Compagnia aveva già percorso poco più di un vingt, quando i suoi Talento-sensi lo misero in guardia. Alzò gli occhi e, poco più a ovest oltre il fianco della montagna, appena distinguibili, vide volare tre pteridon. Alucius annuì tra sé. Era stato in grado di avvertire la sensazione violacea che stava dietro a quegli animali, una sensazione stranamente simile a quella prodotta dal cristallo che forniva energia ai collari della Matride, anche se sapeva che i matriti non avevano nulla a che fare con i nomadi. Chissà se tutto questo era semplicemente dovuto al fatto che alcuni tipi di impiego del Talento si accompagnavano al colore viola, mentre altri richiamavano il verde e il nero? Per quale motivo? E c'era forse un collegamento tra la sparizione del cristallo viola e la comparsa degli pteridon? «Eccoli, signore!» esclamò Longyl alle spalle di Alucius. «Speriamo che Heald riesca a far mettere i suoi uomini al riparo.» Alucius spronò Selvaggio a correre più veloce, anche se lo stretto sentiero rendeva difficile avanzare rapidamente. Una delle creature dalle ali azzurre si lanciò verso il basso, e una saetta di luce azzurrognola partì dalla lancia metallica impugnata dal suo cavaliere. Alucius non poté vedere dove lo pteridon fosse diretto, poiché aveva la visuale bloccata dalla curva descritta dal sentiero, ma ebbe la certezza che stesse attaccando la Terza Compagnia. Mentre Alucius si avvicinava con la Ventunesima Compagnia ai soldati sotto assedio, vide che gli pteridon - quattro di essi - continuavano a girare in tondo e a lanciarsi verso il basso emettendo fasci di fiamme azzurrognole, e si augurò che ciò significasse che Heald e i suoi uomini erano al sicuro. Un'altra mezza clessidra trascorse, e Alucius superò un'ennesima curva, oltre la quale poté vedere chiaramente il promontorio, completamente deserto, a eccezione di due sagome annerite a metà del fianco. Heald doveva aver tenuto d'occhio il cielo e fatto correre subito i suoi uomini al coperto della parete di arenaria, al riparo dagli pteridon, ma impossibilitati a difendere la strada. Sebbene le fiamme delle lance cosmiche si abbattessero sulla sommità del promontorio e arrivassero a una quindicina di iarde dalla sua base, gli pteridon non riuscivano ad avvicinarsi al punto in cui si erano rifugiati i soldati quel tanto che bastava a consentire ai loro cavalieri di colpirli. Neppure i soldati, però, erano in grado di sparare agli pteridon e ai cavalieri, né tanto meno ai nomadi più a nord, che stavano senza dubbio avanzan-
do spediti nella loro direzione. Alucius vide anche i cavalli della Terza Compagnia, allineati in una lunga fila più a sud, a ridosso della parete, sorvegliati da alcuni soldati, e ugualmente riparati dai dardi azzurrognoli dei cavalieri nemici. L'ultimo cavallo della fila si trovava solo a un centinaio di iarde da Alucius. Dal punto in cui stavano volteggiando, cercando di restare fuori tiro e tuffandosi di tanto in tanto verso il basso, gli pteridon non avevano ancora avuto modo di scorgere la Ventunesima Compagnia. «Compagnia, alt!» Alucius scese da cavallo e porse le redini di Selvaggio a Longyl. «Falli aspettare qui, con i fucili pronti.» «Sì, signore. Con i fucili pronti.» Dopo aver recuperato entrambe le sue armi, Alucius avanzò un'altra cinquantina di iarde verso nord, lungo lo stretto sentiero, tenendosi il più possibile addossato al fianco della montagna. Dopo essersi spinto abbastanza a nord da avere una chiara visuale degli pteridon, si concesse un po' di tempo per osservare la situazione e concentrarsi sull'involucro di oscurità che avrebbe dovuto proiettare sulle cartucce nel caricatore, un'oscurità che proveniva dall'intero suo essere, dalla fattoria e dall'intrico dei sani fili vitali disseminati in tutta Corus. Poi fece fuoco. Bang. Il primo pteridon precipitò a capofitto, andando a schiantarsi nella gola che si trovava più a nord, alla destra di Alucius. Questi venne quasi subito raggiunto dal calore prodotto dall'esplosione azzurrognola che seguì. Cercò tuttavia di ignorarla e di concentrarsi sul secondo pteridon. Ma quel bersaglio si rivelò più difficile da colpire perché tutti i cavalieri modificarono immediatamente la loro rotta e cominciarono a salire, volando sempre più in alto, per scoprire da dove fosse giunto l'attacco. Alucius aveva già svuotato il caricatore del primo fucile e sparato due cartucce del secondo, quando riuscì a colpire lo pteridon più basso. Le ampie ali azzurre della bestia cedettero... ma egli non poté vedere dove cadde. Un'acclamazione si levò dai soldati schierati contro la parete a ovest del promontorio. Alucius e la Ventunesima Compagnia rimasero a guardare le creature alate che si allontanavano verso sud. Prima ancora che le grida di entusiasmo fossero sopite, Heald ordinò: «Tornate in posizione, pronti a fare fuoco!». Uno dei soldati venne colpito da una pallottola nemica mentre si arrampicava su per il fianco dell'altura.
«Ventunesima Compagnia! Avanti!» ordinò Alucius. Mentre Longyl lo affiancava tenendo Selvaggio per le briglie, Alucius ripose un fucile nel fodero e montò rapido in sella. «Bel colpo, signore.» «Colpo fortunato», ammise Alucius. «Dovremo portarci con i cavalli oltre la postazione della Terza Compagnia, probabilmente fino a raggiungere il carro che blocca il passaggio.» «Sì, signore.» Alucius non poté impedirsi di provare un senso di vertigine quando superò la fila di cavalli della Terza Compagnia, poiché nel farlo andò molto vicino al margine del sentiero scavato nella nera lava, dal quale si poteva facilmente vedere in basso, e il «basso» era rappresentato da un salto nel vuoto di parecchie migliaia di iarde. Fece fermare Selvaggio davanti al primo cavallo della fila, smontò e si rivolse al giovane soldato dell'Undicesima Compagnia. «Ci penso io, signore.» «Grazie.» Alucius si arrampicò su per il fianco della montagna finché il sentiero non sparì dalla vista, poi deviò a est, tenendosi ben al di sotto degli uomini di Heald, occupati a sparare a più non posso, e proseguì in quella direzione, aspettando che la Ventunesima Compagnia, più in basso, si fermasse. «Prima e seconda squadra! Smontate e prendete i fucili. Risalite il fianco in appoggio alla Terza Compagnia!» Alucius si rivolse a Longyl: «Trattieni qui gli altri finché non avrò capito bene cosa ci serve e dove». Longyl annuì. Alucius si arrampicò su per la roccia friabile prestando molta attenzione. Tutto il sentiero brulicava di nomadi che stavano avanzando a piedi e il primo gruppo si trovava a meno di cinquanta iarde dal carro. Si chinò, tenendosi al riparo della cresta rocciosa. «Ventunesima Compagnia! Prima squadra, seguitemi! A terra!» Aspettò giusto il tempo che i soldati si mettessero in posizione. «Mirate ai nomadi alla testa del gruppo! Fuoco!» La prima raffica fu quasi istantanea e falciò la maggior parte dei nomadi delle prime file. Dopo che la terza sventagliata di colpi, ben più violenta delle prime due, andò a segno, nessuno dei nomadi delle prime file si muoveva più. «Seconda squadra! Alla mia sinistra! Unitevi alla Terza Compagnia!» Heald alzò la mano e sorrise. «Benvenuti!» «Abbiamo altre munizioni giù in basso.» Non che fossero sufficienti. Neanche lontanamente sufficienti, pensò Alucius, ma i nomadi non lo do-
vevano sapere. Non ancora, perlomeno. 62 Alucius rallentò mentre, insieme a Heald e alla Terza Compagnia, percorreva le ultime cinquanta iarde prima che il sentiero tracciasse la curva a gomito che portava a Cresta Nera. Non era molto contento di avere lasciato Longyl sul promontorio, anche se era improbabile che gli pteridon attaccassero nel tardo pomeriggio, soprattutto dopo la loro frettolosa ritirata, e poi lui doveva vedere se uno dei ricognitori era tornato e se aveva scoperto un'altra via per andarsene dalla fortezza. Avevano quasi dato fondo alla loro scorta di munizioni, e Alucius era certo che gli attacchi sarebbero continuati. Inoltre, non aveva visto pteridon aggirarsi a sud... e sperava che i soldati a Cresta Nera avessero resistito contro gli assalti dei nomadi. I quattro uomini di guardia sull'ultimo tratto di sentiero osservarono i due ufficiali e i cavalieri che li seguivano. «Signore... come vanno le cose a nord?» «Per il momento riescono a trattenere il nemico», rispose Alucius. «Signore... ci sono stati gli pteridon, qui.» «Ci sono ancora?» «No, signore. Hanno fatto solo un'incursione, in mattinata. Poi si sono diretti a sud. Da allora, ci sono stati anche due attacchi da parte dei nomadi.» In un certo senso, la cosa non piacque per niente ad Alucius. «Quanti pteridon?» «Solo due. Non sono rimasti a lungo, ma hanno ucciso qualcuno della Quinta Compagnia. Il capitano Feran li aveva,fatti correre quasi tutti al riparo, per poi farli uscire in tempo per sventare l'assalto dei nomadi.» «Grazie.» Alucius percorse l'ultima stretta curva che lo separava dalla nera cengia di lava su cui era situata la fortezza. Lungo il ciglio che si affacciava sulla valle sottostante, vide altre sagome annerite. Quasi subito Feran gli corse incontro. Alucius fece fermare Selvaggio accanto a lui. «Ve la siete vista brutta?» «Avrebbe potuto essere peggio. Gli pteridon ci hanno assalito solo una volta, ed erano soltanto in due. Si sono catapultati verso il basso e hanno scagliato una fiammata sullo slargo. Era quasi impossibile colpirli. Abbiamo perso metà squadra. I nomadi ci hanno attaccati tre volte oggi. Le ultime due erano solo per assicurarsi che fossimo all'erta.»
«Sai se qualche ricognitore della Ventunesima Compagnia è già tornato?» «Ho visto arrivare un paio di cavalieri circa mezza clessidra fa», replicò Feran. «Uno era ferito. È stato appena dopo l'ultimo attacco dei nomadi. Non ero molto attento...» concluse, scuotendo il capo. «Grazie. Vado a vedere cos'hanno scoperto.» Alucius si augurava di tutto cuore che avessero trovato qualcosa. «Ammesso che abbiano scoperto...» «Pensi che ci possa essere un'altra via d'uscita?» «Lo spero», ammise Alucius. «Anche se non so dove.» «Se c'è qualcuno che la può trovare, quello sei tu. Fammi sapere.» Feran indicò il margine dello spiazzo. «Devo andare a dare un'occhiata.» «Lo farò.» Alucius si sentì di nuovo preoccupato per aver lasciato soli la Ventunesima Compagnia e Longyl... ma... se non avesse trovato un percorso alternativo per togliersi di lì, era probabile che sarebbero morti tutti comunque. Si avviò verso l'arco che conduceva alle baracche dov'erano alloggiati i soldati della Ventunesima Compagnia. Waris e Dueryn si trovavano all'inizio della camerata, e uno dei cuochi deforyani era intento ad avvolgere una benda attorno alla spalla sinistra di Waris. «Signore... hanno detto...» «La Ventunesima Compagnia è ancora fuori. Sono tornato a vedere se avete scoperto qualcosa.» «Signore...» Waris abbassò lo sguardo sulla spalla bendata, mentre il deforyano si scostava. «Com'è la ferita?» «Non è grave», mentì il ricognitore. Alucius era in grado di avvertire le ondate di dolore che emanavano da lui. «Fa' vedere.» Tese la mano, sfiorando appena con le dita la fasciatura, e lasciò fluire un po' del suo Talento sul muscolo lesionato. «Ci vorrà un po' perché guarisca, ma guarirà.» Indugiò, quasi timoroso di chiedere. «Hai trovato qualcosa?» «Signore... avevate ragione... c'è un'altra strada... ma non c'è alcun modo di raggiungerla. Almeno, noi non siamo riusciti a scoprirlo.» «Continua», lo esortò Alucius. «Cresta Nera... è situata... è una lunga e grossa punta rocciosa, che ha su entrambi i lati delle gole. Ho cercato di portarmi un po' in alto per vedere
meglio. I nomadi mi hanno colpito mentre stavo scendendo. Non mi ero accorto che fossero così vicini, ma sono sicuro che non hanno capito il vero motivo per cui mi trovavo là. Hanno creduto che li stessi spiando, e hanno fatto fuoco dal basso, a est. A ogni modo in certi punti, a ovest... si intravede un sentiero, proprio come quello che ci ha portati fin qui, anche se la parete nella quale è stato scavato è talmente ripida... che non si può scendere. Sembra che corra lungo il fianco occidentale della montagna, allo stesso modo in cui quello per il quale siamo venuti corre lungo il fianco orientale.» Alucius si fece pensieroso. «L'estremità superiore occidentale di Cresta Nera era costituita da solida roccia, giusto? Ne sei sicuro?» «Sì, signore...» Waris trasalì di nuovo per il dolore. «Il sentiero è molto lungo, ma non lo si può vedere stando sul fianco orientale, a meno di non essere molto in alto e di guardare in pieno giorno...» Alucius annuì. «Grazie. Adesso riposati. Può darsi che più tardi tu debba cavalcare.» Poi si rivolse a Dueryn. «Vieni con me...» «Sì, signore.» I due lasciarono le camerate e si avviarono lungo il corridoio per poi uscire all'aperto, dove Alucius prese a dirigersi a passo rapido a ovest, verso la costa della montagna. Heald sbucò fuori all'improvviso. «Niente in contrario se mi unisco a voi? Sembra che abbiate in mente qualcosa.» «I ricognitori dicono che c'è un altro sentiero che porta a Cresta Nera. Ma non mi hanno saputo dire dove arriva.» «Io non ho visto nessun sentiero. E voi?» «Ho come l'impressione che sia stato fatto di tutto perché non lo vedessimo.» Alucius si fermò a pochi passi dalla parete di arenaria che interrompeva l'estremità occidentale dell'ampia cengia di lava. La montagna si ergeva per più di un migliaio di iarde sopra la sua testa, e sembrava essere costituita di solida roccia. Ma, particolare ancora più importante, neppure i suoi Talento-sensi percepivano alcuna cavità all'interno, mentre ripercorreva adagio il perimetro del muro roccioso che curvava verso l'ingresso delle stalle. Alucius alzò gli occhi a studiare la ripida superficie che gli stava davanti e notò la rientranza, in alto a sinistra, quasi al di sopra dell'arco che portava alle stalle a ovest. Chiunque avesse creato i corridoi e le stanze scavate nella pietra l'aveva fatto in modo così simmetrico che, fin dal primo momento in cui aveva visto Cresta Nera, Alucius si era domandato come mai
non ci fosse un secondo accesso. Fino a quel momento non aveva dato peso alla cosa, ma ora doveva dare retta al proprio intuito. Si avviò all'ingresso delle stalle e l'attraversò veloce, procedendo verso il fondo, fino alla sezione più occidentale di tutti i corridoi. Una volta là, cominciò a esaminare le pareti scure, sia con gli occhi sia con il Talento. Avvertì la perplessità di Heald e Dueryn. Sentì che il muro era diverso in un punto, anche se a prima vista sembrava del tutto uguale al resto. Estrasse il coltello dalla cintura e cominciò a grattare via lo strato superficiale. Dapprima si staccarono solo pezzi di arenaria, poi una polvere di colore bianco-rossastro, e infine un grosso blocco di malta rivestito di arenaria. Continuò a grattare finché non portò alla luce il contorno di un blocco di pietra, incastrato tra altri blocchi. Si voltò verso Dueryn. «Mi servono quattro uomini, con pale, picconi, e qualunque altra cosa siano in grado di trovare.» «Sì, signore», disse l'altro precipitandosi fuori. «Voi pastori...» Heald scosse il capo. Alucius continuò a scalzare l'intonaco coperto di sabbia rossa: una buona imitazione dell'arenaria stessa. «Signori? Cosa state combinando qui? In fondo alle stalle?» La voce del maggiore Draspyr tradiva ben più che non una semplice irritazione. «Stiamo cercando di scoprire se esiste un altro passaggio che ci porti fuori da Cresta Nera senza dover affrontare migliaia di nomadi.» «Nelle stalle?» «Questa mattina avevo mandato dei ricognitori a cercare...» Alucius proseguì nella sua spiegazione, concludendo: «Se esiste un passaggio sul fianco occidentale, dev'essere stato occultato per qualche ragione, e deve trovarsi sicuramente in questa parte della montagna». Indicò le pietre che aveva messo a nudo. «Sono solo ricoperte di malta, non saldate insieme. Il che significa che chiunque le abbia inserite intendeva poterle rimuovere con facilità. Ho mandato a chiamare alcuni soldati... così vediamo.» «Avete lasciato sola la vostra compagnia?» «Solo per un po'. La Ventunesima Compagnia sta difendendo bene la posizione. Il comandante Longyl è un ufficiale esperto, e non avrebbe potuto essere di aiuto qui. Per ben due volte, questa mattina e a inizio pomeriggio, le nostre compagnie hanno respinto i nomadi. La Terza Compagnia è stata là fuori per un giorno intero e ha perso alcuni uomini a causa degli pteridon. Siamo però riusciti ad abbatterne due e a far ritirare gli altri, ma i nomadi non si fermeranno. Quindi sono tornato qui portando con me la
Terza Compagnia. Sono venuto a vedere se i ricognitori avevano scoperto qualcosa e a prendere altre munizioni per la Ventunesima Compagnia.» «Non ne sono rimaste molte», fece notare Draspyr. «Ecco perché è importante quello che stiamo facendo in questo momento.» «Signore?» chiese una voce alle spalle degli ufficiali. I quattro soldati che avevano seguito Dueryn nelle stalle erano provvisti di un paio di pale corte, di un piccone e di una spranga di ferro lunga una iarda e mezzo. «Dobbiamo togliere questi blocchi.» «Sì, signore.» I quattro impiegarono solo un quarto di clessidra per scalzare la malta dal resto della parete e rimuovere i blocchi di pietra non saldati tra di loro: un sicuro indizio, agli occhi di Alucius, che il passaggio portava al sentiero abbandonato, seppure solo un indizio. Ancora prima che i blocchi fossero tolti, Alucius avvertì la presenza di una galleria e di aria più fredda. E la galleria c'era davvero: una specie di corridoio dotato di torce a raggi di cristallo infilate su supporti fissati lungo il muro, le prime di quel genere che Alucius avesse visto a Deforya. «Sono convinto che qui ci sia finalmente una possibilità di tornare a Dereka.» Alucius si incamminò nella galleria, sufficientemente ampia e alta da consentire il passaggio di un uomo a cavallo - seppure di stretta misura - e prese una torcia. Al chiarore verdognolo dei suoi raggi, Alucius vide che il tunnel proseguiva verso nordovest, così continuò ad avanzare. Quel tratto era lungo più di duecento iarde ed era interrotto, all'estremità nord, da un altro muro, costituito però solo da blocchi di pietra disposti l'uno sull'altro senza essere saldati con la malta, attraverso le fessure dei quali si vedeva filtrare la luce. Si rivolse a Draspyr. «Vorrei inviare un messaggero alla Ventunesima Compagnia per dirle di ripiegare su Cresta Nera.» «Ma non sappiamo ancora se questo passaggio sarà davvero in grado di portarci fuori, capitano maggiore», gli fece notare Draspyr. «O se non incapperemo nei nomadi, una volta arrivati dall'altra parte.» «No, non lo sappiamo», convenne Alucius. «Ma mi avete appena detto che abbiamo quasi finito le munizioni. Se tentiamo, non possiamo certo stare peggio di come stiamo ora, e abbiamo buone probabilità di riuscire.» Draspyr annuì. «Fate partire il vostro messaggero.» Alucius si rivolse a Dueryn. «Sei pronto?»
«Sì, signore.» «Longyl dovrà far credere che i soldati siano ancora là. Dovrà cercare di lasciare un paio dei suoi uomini in posizioni strategiche, perché sparino di tanto in tanto, finché gli altri non saranno ben lontani. Poi dovranno ritirarsi e raggiungere il resto della compagnia.» Alucius si augurava che lo stratagemma funzionasse, visto che i nomadi non avevano mai tentato in precedenza attacchi nelle prime ore della notte. «Manderò con lui metà squadra della Terza Compagnia», aggiunse Heald. Mentre Alucius osservava i quattro soldati aprire un varco nel secondo muro, sperava solo che il sentiero fosse percorribile, almeno fino a portarli oltre il punto in cui erano piazzati i nomadi. Draspyr si era già allontanato per organizzare la ritirata, quando Alucius vide, attraverso la breccia, uno stretto sentiero illuminato dalla luce del tardo pomeriggio, in alcuni tratti sabbioso e chiaramente non usato da anni, se non da generazioni. Sentì che quel passaggio sembrava aperto e sicuro, anche se poteva solo sperare di non ingannare se stesso, e gli altri. 63 Il sole era già calato dietro ai picchi occidentali delle Montagne della Barriera, quando tutte le compagnie furono finalmente riunite. Uno dei ricognitori di Heald si era anche spinto per oltre un vingt sul nuovo sentiero e aveva riferito che il fondo era solido, per quanto a tratti sabbioso, e pareva essere in buono stato per almeno un altro mezzo vingt davanti a lui. Il maggiore Draspyr e i superstiti della Ventitreesima Compagnia erano in testa alla colonna, costituita da un solo carro a bordo del quale si trovavano i quattro cuochi deforyani abbandonati dai loro conterranei, e dai rimanenti cavalli addetti al trasporto di munizioni e viveri. La Ventunesima Compagnia - che avevano stabilito dovesse chiudere la colonna - stava di guardia, mentre gli altri avanzavano attraverso la galleria in fondo alle stalle e sbucavano sul sentiero occidentale. Per il momento, sull'altro percorso che conduceva a Cresta Nera, non c'era stato segno di un imminente attacco da parte dei nomadi. Non appena l'ultimo cavallo ebbe oltrepassato l'ingresso della galleria, tre soldati della Ventunesima Compagnia cominciarono a rimettere i blocchi di pietra al loro posto. Mentre questi si davano da fare, Carlis, un soldato dal fisico sottile, spazzò il pavimento sul lato delle stalle per togliere ogni traccia di detriti.
Quando fu in prossimità dell'apertura, che a quel punto era ormai murata a metà, venne aiutato dai compagni che stavano al di là a issarsi lungo il muro esterno, ripulendolo dagli ultimi calcinacci, e a infilarsi nello stretto pertugio, prima che gli altri finissero di rimettere in sede le ultime pietre. Alucius sperava che i nomadi, non trovando alcun indizio di ciò che era avvenuto nella stalla, avrebbero deciso di non investigare oltre, almeno non subito. Inoltre, anche se fossero riusciti a individuare il passaggio, il tempo perso a ricostruire il muro non era sprecato, poiché ci avrebbero comunque impiegato un po' a demolirlo. Più lontano riuscivano a spingersi le compagnie decimate delle Guardie del Nord e delle Guardie del Sud, prima che la loro fuga venisse scoperta, e meglio sarebbe stato. Restava sempre la possibilità che gli pteridon li avvistassero dall'alto, benché il rischio fosse minimo, giacché le creature alate erano rimaste in poche e il tratto iniziale del percorso sarebbe stato coperto nell'oscurità. Alucius confidava anche che i nomadi si comportassero con maggiore cautela nel gestire gli pteridon superstiti e che, soprattutto, non fossero in grado di rimpiazzare quelli abbattuti. Poi lui e alcuni dei suoi uomini ripeterono l'operazione di pulizia della galleria e di chiusura del secondo passaggio, prima di andare a raggiungere il resto dei soldati sul cammino che li avrebbe riportati a Dereka. A quel punto, Alucius si augurò che il viaggio si svolgesse rapidamente e senza troppi intoppi. 64 A sud di Cresta Nera, Illegea Nella luce di metà mattina, Aellyan Edyss guardò il gruppetto di condottieri che gli stavano davanti, all'imbocco dello stretto sentiero che si arrampicava fino a Cresta Nera. «Non avete trovato nessuno, lassù? Proprio nessuno?» «Avevate ordinato di attaccare all'alba, e noi abbiamo attaccato. Non abbiamo trovato resistenza da parte del nemico. Abbiamo frugato dappertutto. Non sono più là, ma neppure sul sentiero che porta a Dereka. Sono svaniti, come se non fossero mai esistiti.» Aellyan Edyss scoppiò in una risata che echeggiò attraverso la prateria. «Perciò nulla più si frappone tra noi e Dereka!» «Ma sono svaniti», protestò un condottiero più anziano. «Non ci sono né cadaveri né cavalli. Nessuno dei nostri li ha visti.»
«Si stanno nascondendo tra le rocce per sfuggirci, e moriranno là, eccetto quei pochi che si arrenderanno e imploreranno pietà. Ma noi non avremo nessuna pietà, non dopo tutti questi anni passati a subire il loro disprezzo e le loro continue invasioni.» Il biondo comandante, il cui viso si era fatto talmente pallido da essere quasi livido, si girò e indicò le distese erbose verso sud. «La loro terra diventerà anche la nostra.» «Hanno abbattuto molti pteridon...» Edyss si voltò adagio, con sguardo truce, ma non riuscì a capire chi avesse proferito quelle parole. «Non ha importanza. Ne abbiamo ancora, e poi siamo perfettamente in grado di conquistare Dereka senza l'aiuto di quelle creature alate. Laggiù ci sono meno di venti, compagnie di cavalleggeri, che preferirebbero di gran lunga darsela a gambe piuttosto che combattere. I soldati venuti dall'ovest sì che avrebbero combattuto, ma anch'essi sono fuggiti. Non giungerà nessun altro aiuto a difendere il Landarco e i suoi grassi proprietari terrieri.» Questa volta, nessuno protestò. «Lasceremo qui una guarnigione», concluse, indicando Cresta Nera, «ma non una numerosa. Voi cominciate a dirigervi a Dereka. Vi raggiungeremo sull'altro versante». 65 Il cielo era verde-argento e sgombro di nuvole, come lo era stato per quasi tutto quell'anno, e la quantità di polvere rossa sollevata a ogni passo dai cavalli che precedevano Alucius e Selvaggio era ancora maggiore, benché si trattasse solo dei cavalli dell'avanguardia, poiché la Ventunesima Compagnia si trovava adesso in testa alla colonna. Sotto il caldo sole di fine estate, Alucius sbadigliò e cercò di sistemarsi meglio in sella. Dopo cinque giorni di viaggio a cavallo, e senza praticamente aver chiuso occhio durante la prima notte, si sentiva tutto indolenzito, con le membra rigide e stanche, per quanto, lungo il cammino, avessero trovato due stazioni intermedie - poco più che caverne - dotate però di sorgenti. Nella seconda avevano persino dovuto scavare nella sabbia che si era ammucchiata all'ingresso per poter entrare e arrivare fino all'acqua, che comunque era trasparente e pura... ed era stata molto gradita. Seguendo il tracciato occidentale, rimasto così a lungo in disuso, gli stanchi soldati e ufficiali avevano impiegato quattro giorni per giungere finalmente al sentiero principale, attraverso una breve galleria, ugualmente
chiusa alle estremità da muri formati da blocchi di pietra. Alucius aveva insistito affinché, dopo il loro passaggio, il secondo muro fosse ricostruito. Poi vi aveva fatto ammucchiare contro sabbia e detriti, per dare l'impressione che il vento li avesse spinti in quella direzione nel corso degli anni. Magari i soldati deforyani avrebbero guardato sospettosi quella stranezza, ma i nomadi non l'avrebbero probabilmente notata, dato che la strada non era loro così familiare. Alla fine raggiunsero il sentiero principale, dopo avere aggirato a nord la postazione dei nomadi, cosa che risultò subito chiara vista l'assenza di orme recenti. Il punto in cui i due percorsi si intersecavano si trovava più o meno dove finivano le montagne e cominciavano le rosse colline sabbiose punteggiate qua e là da alberi contorti, sebbene la valle in cui erano situate Dereka e la strada vera e propria fosse ancora distante parecchi giorni di cammino. Tuttavia, il sentiero si era fatto ampio a sufficienza da permettere il transito di soldati in doppia fila. «Come pensate che reagiranno i deforyani nel vederci tornare?» chiese Longyl, che cavalcava alla destra di Alucius. «Si congratuleranno con noi per aver ucciso un così folto numero di nomadi e, una volta dentro le loro case, si lamenteranno perché non ne abbiamo uccisi abbastanza e perché il Signore-Protettore non ha mandato un esercito adeguato. Poi, probabilmente, quando ci sarà la battaglia cruciale contro i nomadi giunti alle porte di Dereka con l'intenzione di conquistarla, ci vedremo riservare le prime file. Non proprio al centro, ma in qualche punto lì vicino in modo da subire ingenti perdite.» «Il capitano Feran ci aveva avvisati che eravate proprio di buon umore, signore. Capisco cosa intendeva dire.» «Come tutti quanti, sono semplicemente stanco, Longyl.» Alucius non si sentiva né allegro né indulgente, e immaginava che la causa fosse da attribuirsi alla stanchezza. Lui, Waris e gli altri ricognitori erano riusciti a far mettere in salvo la maggior parte dei soldati, ma i giorni trascorsi a Cresta Nera e la rapida ritirata non erano propriamente da considerarsi un successo, e neppure un'impresa condotta a buon fine. Avrebbe dovuto dare subito ascolto alle proprie intuizioni circa la struttura simmetrica di Cresta Nera. Ma anche così... la situazione sarebbe cambiata di molto? In ogni caso, non avrebbero potuto ripiegare immediatamente. Perlomeno, non senza essere considerati dei codardi, sia dal Signore-Protettore sia dal Landarco, rischiando di subire provvedimenti disciplinari da parte del colonnello Weslyn e dello stesso Signore-Protettore. E se non avessero dovuto affron-
tare gli pteridon in circostanze che si erano rivelate a loro favorevoli, non avrebbero potuto ucciderne così tanti. Poiché ne avevano eliminati circa la metà, avevano ridotto di conseguenza il loro micidiale impatto. Inoltre, avevano sterminato centinaia di nomadi, subendo perdite di poco più superiori al contingente di una compagnia. In tal modo Dereka era stata efficacemente protetta e al Landarco era stata data la possibilità di chiedere rinforzi da nordest, se solo avesse voluto. E avevano di certo ridotto pure il pericolo che i nomadi rappresentavano nei confronti di Lanachrona e delle Valli del Ferro. E allora, perché Alucius si sentiva così depresso? Forse perché sapeva che nessuno si sarebbe detto soddisfatto di quanto era avvenuto? Perché non avevano tentato l'impossibile per fermare i nomadi? Perché non avevano sterminato tutti gli pteridon? Perché si profilavano altre battaglie da combattere al fianco di un alleato poco fidato? Alucius fece un respiro profondo e rivolse lo sguardo a nord. Probabilmente, una volta giunto a Dereka, il cibo e il riposo lo avrebbero fatto sentire meglio. Almeno così sperava. 66 Appena prima di mezzogiorno, sotto un cielo punteggiato di alte nuvole vaporose, Alucius attraversò l'antico cortile di pietra della Prima Base Lancieri di Dereka diretto verso il caffè degli ufficiali. Erano trascorsi due giorni da quando le Guardie del Sud e del Nord erano tornate in città e, sebbene lui e i suoi soldati si fossero concessi un po' di riposo e un'alimentazione decisamente migliore, si sentiva ancora preoccupato. Quando fece il suo ingresso nel locale, gli altri tre ufficiali avevano già preso posto a un tavolino tondo in un angolo. Benché fosse presente anche un gruppo di ufficiali deforyani, nessuno di essi era seduto vicino ai compagni delle Guardie del Nord, e attorno a Heald, Feran e Koryt c'erano solo tavolini vuoti. Per contro, il cuoco deforyano guardò l'uniforme di Alucius, mentre questi si fermava al basso bancone che separava la zona delle cucine da quella riservata ai tavoli, e disse: «Abbiamo dell'ottimo pollo, signore. E posso anche servirvi patate pasticciate e un'eccellente salsa al vino di melaprugna». «Grazie. Molto volentieri. Portatemi anche un po' di frutta, quello che
avete.» «Sì, signore. Arrivo subito. Accomodatevi.» Con un sorriso, il cuoco si voltò verso i fornelli. Alucius attraversò la sala dal lucido pavimento di pietra e si accomodò sull'unica sedia vuota, accanto agli altri. «I cuochi sono gentili.» «Credo che uno di quelli che abbiamo ricondotto in città abbia raccontato tutto ai suoi colleghi», disse Heald. «La qual cosa non ha reso molto felici i deforyani.» «Sono lieto che qualcuno abbia apprezzato il nostro operato», commentò Feran, bevendo un sorso di birra da un grosso bicchiere. «Nessun altro si è degnato di farlo.» I presenti si lasciarono andare a una risata bassa e amareggiata. «Avete visto il maggiore stamattina?» chiese Koryt. «Il maggiore Draspyr doveva incontrarsi con l'aiuto-maresciallo deforyano...» Alucius fece una pausa. «Ahorak, l'assistente del comandante in capo, per discutere la strategia di difesa di Dereka.» «Cosa ci sarà mai stato da discutere?» domandò Feran. «La città necessita di una difesa. I nomadi si stanno dirigendo da questa parte. Vogliono la città e tutto quello che c'è dentro. Se nessuno li ferma, la prenderanno.» Il cuoco ricomparve con un grosso piatto e un boccale di birra chiara dai riflessi dorati. «Grazie.» Alucius non si era ancora abituato all'idea di una mensa ufficiali che era anche un caffè, e dove non doveva pagare. Il cuoco si inchinò, per poi allontanarsi. «I loro spiriti delle montagne non hanno fatto granché», commentò Heald, dopo aver terminato l'ultima forchettata di patate. «Perlomeno, non da quello che ho potuto vedere.» «Alucius ha fatto ben di più, trovando la strada per farci tornare», disse Feran. «Chi credete abbia murato il secondo sentiero? E per quale motivo?» chiese Koryt. Alucius assaggiò un pezzo di pollo, tenero e saporito, prima di rispondere. «Non lo so, ma è successo sicuramente molto tempo fa. Immagino che il sentiero a occidente sia stato chiuso subito dopo il Cataclisma da uno dei primi Landarchi. Probabilmente perché voleva rendere difficile l'accesso di Dereka ai nomadi. Si tratta solo di un'ipotesi. Inoltre, occultando l'accesso in quel modo, riservava a sé e alla sua gente un'alternativa di cui nessuno sarebbe stato a conoscenza. L'unico problema è che qualcuno ha dimenti-
cato.» «Dimenticato, o semplicemente tenuta segreta la cosa?» azzardò Feran. «Tenuta segreta per generazioni», suggerì Heald, «e poi dimenticata». A quel punto tacque e guardò verso la porta. Nel caffè era appena entrato il maggiore Draspyr, che stava passando in rassegna i tavoli. Poi, scorgendo i suoi quattro ufficiali, si avviò nella loro direzione, oltrepassando i deforyani e lo spazio creato dai tavoli vuoti. I quattro si alzarono, e Alucius prese una sedia dal tavolo più vicino. «Volete unirvi a noi, signore?» Draspyr corrugò la fronte, ma solo per un attimo, poi rise e replicò: «Perché no? Questo posto vale quanto qualunque altro per fare una riunione». Ancora prima che il maggiore si sedesse, al suo fianco era comparso un cuoco, che gli posò davanti un alto boccale di birra. «Signore... vi andrebbe un po' di pollo con patate pasticciate? È il nostro piatto del giorno.» «Ah... sì, grazie.» Il cuoco si inchinò e corse via. Alucius notò l'aria corrucciata ostentata dagli ufficiali deforyani, ma non fece commenti. «È quasi imbarazzante», borbottò Draspyr. «Cuochi o non cuochi, non potevamo certo abbandonarli là.» «I deforyani l'hanno fatto, signore», fece notare Heald. Draspyr inarcò le sopracciglia. «Già. Ma noi non siamo deforyani.» «Potete aggiornarci su quello che è successo durante la riunione di questa mattina, signore?» chiese Alucius. «Cioè, se è possibile. E riguardo le munizioni?» «Stavo proprio per farlo.» Draspyr abbassò la voce. «Per prima cosa, le munizioni. In effetti, esiste un fucile usato per la caccia alle antilopi delle praterie, la cui canna ha lo stesso diametro delle vostre cartucce. Il bossolo è un pochino più corto, ma può essere adattato alle vostre armi. In verità, l'armeria sta già lavorando sulle cartucce e parecchie centinaia dovrebbero già essere pronte domani, e forse molte di più nei prossimi giorni. Questa era la parte facile.» Parecchie centinaia di cartucce sarebbero state utili, Alucius rifletté, sebbene ne servissero piuttosto parecchie migliaia. «I nomadi rappresentano l'altro problema», continuò Draspyr. «L'aiutomaresciallo ci ha riferito che il maresciallo dubita che il Landarco sia proprio convinto dell'esistenza degli pteridon.» Il maggiore sbuffò. «Non so se
ciò significhi che neppure Ahorak ne è convinto, o che nemmeno uno dei tre lo è. Nessun ufficiale di Ahorak li ha visti. E non li hanno visti perché stavano fuggendo con le loro onorevoli code tra le loro brutte gambe macchiate di giallo.» «Forse è un bene che la Ventunesima Compagnia non li abbia eliminati tutti», disse Heald piano. «Se lo avesse fatto, non avrebbero mai creduto alla loro esistenza.» «Oh...» aggiunse Feran, «l'aiuto-maresciallo sarebbe anche capace di affermare che non ne abbiamo ucciso nessuno... e che non ce ne sono mai stati altri, all'infuori dei due rimasti». Alucius aveva considerato quella possibilità, ma era lieto che fosse stato qualcun altro a parlare. «Se non fossimo intrappolati nel mezzo», dichiarò Koryt, «mi verrebbe quasi da sperare che i nomadi se la prendano, questa dannata città». «Basta così», sussurrò Draspyr. «Ci troviamo presi nel mezzo e abbiamo l'ordine di aiutare a respingere i nomadi. Se non ci riusciamo...» Si strinse nelle spalle e lasciò la frase a metà. Per quanto riguardava Alucius, non c'era alcun bisogno che la finisse. «Cosa vogliono fare il Landarco e il maresciallo?» chiese Alucius. «L'ha detto?» «I loro discorsi sono sempre educati ed eleganti, capitano maggiore, e interminabili. E quando hanno finito di parlare non sono mai sicuro che abbiano detto davvero qualcosa.» Draspyr sollevò il boccale di birra e bevve un sorso. «È buona. Quasi buona come un'ottima annata di vyan, che però qui non si trova.» Aspettò che il cuoco mettesse in tavola il suo piatto, poi proseguì: «Fino a oggi, il maresciallo - l'aiuto-maresciallo - non era neppure convinto che i nomadi li avrebbero attaccati, ma poi alcuni ricognitori deforyani hanno riferito della presenza di trenta compagnie a due giorni da Dereka, a sud. L'aiuto-maresciallo ha subito dichiarato che, date le dimensioni delle forze nemiche, il Signore-Protettore avrebbe potuto inviare un numero maggiore di compagnie». Koryt fece una smorfia. «Mi sono limitato a rispondere che noi eravamo qui e che avremmo fatto del nostro meglio.» Draspyr bevve un altro sorso di birra. «Vorrei che voi tutti rifletteste sulle strategie migliori da adottare nel corso della battaglia. Parlatene insieme, e incontriamoci di nuovo questa sera dopo cena. Domani mattina dovrò vedere il maresciallo e il suo aiuto, per decidere l'ordine di battaglia, se mai ci sarà una battaglia.» Draspyr si accinse a consumare
il suo pasto. Feran gettò un'occhiata ad Alucius, che rispose con un'impercettibile stretta di spalle. Che altro potevano fare, se non pensare a come uccidere migliaia di nomadi? O quello, oppure uccidere gli pteridon superstiti e i comandanti nemici, sempre che riuscissero a individuarli in mezzo a tutte quelle orde di cavalieri. Un sorriso mesto comparve sulle labbra di Alucius. Uccidere gli pteridon sarebbe stato possibile. Quanto al resto, nutriva fortissimi dubbi. 67 Alustre, Lustrea Il rumore di stivali sul pavimento di lucido granito rosa giunse dopo che Vestor era già stato avvisato dell'arrivo del Pretore dal lampeggiare del cristallo inserito accanto allo specchio metallico. Prima ancora di udire i passi, l'ingegnere aveva già rimesso a posto il coperchio di quarzo sul banco da lavoro un po' in disparte, nascondendo sia lo specchio sia i cristalli, e si era portato davanti alle vasche, dove rimase in attesa del Pretore, il volto illuminato dalla luce soffusa di fine estate, che filtrava nella stanza attraverso le strette finestre. Tyren si fermò poco distante da Vestor. L'ingegnere inclinò il capo. «Pretore Tyren.» «Non ho avuto vostre notizie di recente, Vestor. Ho pensato di farvi visita per sentire di persona.» Tyren osservò l'ingegnere. «Dovete aver lavorato parecchio. Il vostro viso è pallido per mancanza di sole e i capelli sembrano ancora più scuri per contrasto.» Poi annuì. «Eppure avete un aspetto più sano e vigoroso.» «La mia salute è buona, Pretore.» Vestor sorrise educatamente. «Mi sto godendo il nuovo alloggio nella torre e la libertà che mi avete concesso. Ho fatto buon uso di entrambi. Avremo tutte le lame di luce che avete richiesto entro la primavera prossima, e ne saranno già pronte dieci, credo, al termine della stagione del raccolto.» Tyren aggrottò la fronte, seppur impercettibilmente, prima di annuire. «Speravo che trovaste un sistema per riprodurre i cristalli in modo più veloce.» «Posso crearne solo un numero limitato per volta, Pretore, a meno che non vogliate che addestri altri ingegneri, anche se sembrano essere pochi
quelli in possesso sia del Talento sia dei presupposti per aiutarmi nei miei incarichi.» Tyren scoppiò in una risata dolente. «Non ne abbiamo trovati. Di questi tempi, a Lustrea, ci sono davvero poche persone provviste di Talento.» «Ce ne sono sempre state poche, dopo il Cataclisma.» «Così mi avete detto.» «Non sono stato con le mani in mano. Come avevate richiesto, mi sono concentrato sui calcoli e sul materiale necessario per fabbricare una Tavola degli Archivisti, una vera. La Tavola non potrà essere collocata ad Alustre, data la mancanza di nodi, sia qui sia nelle immediate vicinanze.» «Nodi?» «Sotto la superficie di Corus scorrono reti di energia invisibile. Queste reti tengono insieme il mondo. Per far sì che una Tavola funzioni - senza che esploda - è necessario che sia montata in un luogo dove almeno due linee di questa energia si intersecano, meglio ancora sarebbe tre, se possibile.» Vestor indicò la mappa racchiusa in una cornice di legno di quercia posata su un robusto cavalletto. Quel gesto lo aiutò a distogliere il proprio sguardo da quello del Pretore senza darlo a vedere. «Ho decifrato gli antichi codici. Alustre, Elcien e Ludar un tempo erano costruite in corrispondenza di tali nodi, ma Alustre non lo è più. Ci sono buone probabilità che uno di questi nodi si trovi a Prosp, o nei dintorni.» «Non ci sono altre località più agevoli da raggiungere?» «Potrebbe essercene una nei pressi di Norda... o forse anche di Dulka», replicò Vestor, guardando di nuovo il Pretore diritto in faccia. «Quelli sarebbero i luoghi più adatti.» «Quanto ci vorrà per stabilirlo?» «Mi ci vorrà più tempo ad arrivare fin là che non a stabilirlo. Non più di qualche giorno di permanenza nella zona in cui vorrete sistemare la Tavola.» «Ma dovremo costruire un edificio adeguato per ospitarla... giusto?» «Non dovrà essere molto grande, e la Tavola andrà installata sottoterra, per potersi collegare ai nodi e al flusso di energia.» Tyren annuì pensieroso. «Vi siete dato molto da fare, Vestor, e finché il vostro operato darà buoni frutti, continuerete a essere ricompensato.» «Grazie, Pretore.» «Avete scoperto qualcos'altro? Qualcosa in grado di accrescere la forza delle nostre legioni?» «Potrei avere scoperto il cifrario di un antico manuale nella vostra bi-
blioteca, un manuale che illustra altre armi, forse anche il segreto delle lance cosmiche dei Mirmidoni.» «I nomadi le possiedono già», gli fece notare Tyren. «Perdonate, Pretore. Essi le possiedono, ma noi ne abbiamo distrutta una buona metà durante quella fatale battaglia. Potrebbero perderne altre - magari le hanno già perse - nel corso di un loro attacco contro Deforya o Lanachrona. È vero che hanno le lance cosmiche, ma non sono in grado di fabbricarne di nuove.» Tyran scoppiò in una risata. «Siete davvero un fenomeno, Vestor. Davvero. Se riuscite a riprodurmi le lance cosmiche, io vi farò costruire una residenza estiva sulle Colline Acoliane: un piccolo palazzo, ma pur sempre un palazzo.» Fece una pausa. «E ricordate, mantengo sempre la parola data.» «Lo so, Pretore.» Vestor indicò le vasche dei cristalli. «Desiderate vedere gli ultimi cristalli?» I due si diressero verso i contenitori. 68 Nella grigia luce che precedeva l'alba della mattina di duadi, Alucius si guardò intorno nel cortile della Prima Base Lancieri, ora quasi interamente pieno di soldati, la maggior parte dei quali con indosso le tuniche rosse dell'esercito deforyano. I suoi occhi si puntarono sulla Ventunesima Compagnia. Avevano avuto fortuna. La compagnia era rimasta con novanta uomini. La Quinta Compagnia di Feran ne aveva appena ottanta, così come la Terza e l'Undicesima. La Ventitreesima Compagnia, invece, era stata talmente ridotta a mal partito dagli pteridon che Draspyr aveva riorganizzato i cinquantadue superstiti in tre squadre al comando di un ufficiale anziano che riferiva direttamente a lui. L'aria nel cortile era calda e immobile, rotta solo dal respiro a tratti ansante dei cavalli, dallo scricchiolio del cuoio delle selle e dei finimenti e dalle voci che gridavano ordini. Con indosso gli indumenti di seta nerina e la tunica da pastore sotto l'uniforme, Alucius sentiva più caldo di quanto avrebbe voluto, ma quegli accorgimenti gli avevano salvato spesso la vita e, comunque, se avesse voluto rinfrescarsi, avrebbe sempre potuto bere dell'acqua. Abbassò lo sguardo sulle bottiglie che portava con sé, per poi rialzarlo in attesa degli ordini. Le prime dieci compagnie deforyane avevano già fatto girare i propri
cavalli e stavano uscendo dai cancelli aperti, dirette verso sud lungo la strada principale. «Ventunesima Compagnia!» annunciò il maggiore Draspyr a cavallo, dal suo posto accanto alla piattaforma sulla quale l'aiutante deforyano stava impartendo i comandi. «Pronti a cavalcare», replicò Alucius. «Siete il prossimo, capitano maggiore.» Alucius fece un cenno a Longyl. «Ventunesima Compagnia! Dal fondo...» Dopo che la sua compagnia ebbe attraversato i cancelli e si fu avviata a sud, oltrepassando la residenza del Landarco e il centro di Dereka, Alucius gettò un'occhiata verso nord. Per quanto fosse presto, le strade non sembravano molto diverse da prima, percorse com'erano da alcuni bottegai e da un numero ben più cospicuo di mendicanti e di passanti di altro genere. Nessuno aveva azzardato più di un'occhiata verso i cavalieri, come se nessuno sapesse o ritenesse importante che parecchie migliaia di nomadi stavano premendo a sud o che una quantità decisamente inferiore di Lancieri deforyani e di Guardie del Nord si stava apprestando a combatterli. Longyl seguì lo sguardo del capitano maggiore. «Verrebbe da pensare che si siano rifugiati da qualche parte, o perlomeno che si siano chiusi in casa. O magari diretti a est, sulla strada principale, lontano da qui.» «Dove mai potrebbero andare? Nessun proprietario terriero li ospiterebbe. Anzi, potrebbe addirittura cacciarli a colpi di fucile. Non c'è acqua, tranne quella dell'acquedotto, che però non arriva più a est di qui.» «Se... e so bene che è il tipo di scommessa difficile da vincere, signore, ma se ne usciamo vivi, non posso fare a meno di pensare che sarò ben contento di tornare alle Valli del Ferro, persino sotto il Signore-Protettore.» Alucius non provava molta simpatia per il Signore-Protettore, ma del resto non gli era piaciuto molto neppure il fatto che il Consiglio gli avesse ceduto le Valli del Ferro. E di certo non gli piaceva l'operato dei governanti di Deforya, né la malvagità su cui aveva poggiato il dominio della Matride, una malvagità talmente palese da stentare a credere che avesse potuto guidare una terra così prosperosa che, a modo suo, aveva fatto di tutto per trattare con equità i propri abitanti. «Anch'io sarò ben contento di tornarmene a casa», si limitò a dire Alucius. «Il nostro compito consisterà nel trovare un sistema per rendere possibile questo ritorno.» Il che si sarebbe rivelato proprio difficile come Alucius temeva.
Mentre avanzavano verso sud, un vento leggero cominciò a soffiare alle loro spalle, freddo per essere solo a fine estate, ma sufficiente a disperdere un po' dell'aria stagnante che gravava su Dereka. Dopo un altro quarto di clessidra, la colonna di cavalieri deviò e si diresse a est-nordest lungo un percorso più stretto che formava un arco tra la strada meridionale e quella principale che portava a est, verso il Passo Settentrionale, distante circa duecento vingti a nordest. Dal breve resoconto ricevuto in precedenza, Alucius aveva compreso che i nomadi si erano stabiliti a dieci vingti a sudest di Dereka, in prossimità di uno dei pochi corsi d'acqua esistenti in quella zona. I ricognitori ne avevano sorvegliato le mosse. Col sopraggiungere dei quattro pteridon, nel tardo pomeriggio del giorno prima, persino gli ufficiali deforyani erano stati costretti ad ammettere la loro esistenza. Ma, stando al racconto del maggiore Draspyr, era successo proprio ciò che Feran aveva previsto, ed essi avevano manifestato educatamente qualche perplessità circa il fatto che una decina di quelle creature alate avesse potuto attaccare Cresta Nera. Il maggiore non aveva riferito molto agli ufficiali delle Guardie del Nord riguardo il suo incontro con i deforyani, e quel poco che aveva detto era stato riferito a denti stretti, facendo chiaramente capire, anche a chi fosse sprovvisto di Talento, tutta la sua rabbia e frustrazione. Mentre cavalcava lungo la strada di raccordo, Alucius cercò di proiettare lontano i Talento-sensi, ma non percepì molto, poiché un eccessivo numero di fili vitali si agitava tutt'intorno a lui, e anche perché i nomadi si trovavano a parecchi vingti di distanza, se non di più. Alla sua destra, la verde pianura d'erba di fine estate, percorsa da sfumature dorate e alta fino al ginocchio, si estendeva per due o tre vingti verso la linea dell'orizzonte, interrotta a sudest dalla cima di una lunga montagna. «Credete che attaccheranno subito?» chiese Longyl. «Non possono aspettare troppo», replicò Alucius. «Non ci sono molte possibilità di procurarsi del cibo a sud, tranne il foraggio per i cavalli, e non ci sono neppure molti punti in grado di fornire acqua sufficiente a dissetare tutta quella moltitudine di uomini. Inoltre, i nomadi possono contare sulla presenza degli pteridon e di un numero di guerrieri di gran lunga superiore al nostro, e sul fatto che, finora, nulla li ha fermati.» «Ma ne abbiamo frenato l'impeto, facendone fuori un bel po'.» «Temo che dovremo ucciderne parecchi di più», osservò Alucius. «Peccato che non piova. Magari quelle bestie se ne starebbero lontane», disse Longyl. «Se le nuvole fossero basse.»
«Non abbiamo visto una sola goccia d'acqua in tutta la stagione», replicò Alucius con una risata. «E non credo che pioverà adesso. Ma anche se fosse, aspetterebbero. E noi non saremmo comunque pronti ad affrontare una forza di quelle dimensioni.» Si interruppe nel vedere che le compagnie davanti a loro si erano fermate e si stavano schierando in formazione perpendicolarmente alla strada, sotto gli ordini di un maggiore deforyano. «Ventunesima Compagnia... disporsi in formazione!» «Ventunesima Compagnia...» fece eco Longyl. Mentre i raggi del sole cominciavano a filtrare al di sopra delle praterie a est, i Lancieri deforyani e le Guardie del Nord - e ciò che restava dell'unica compagnia delle Guardie del Sud - furono fatti allineare lungo l'arco centrale della strada di raccordo, nella zona sudorientale di Dereka. Così piazzati, di fronte all'immensa distesa verde, essi si trovavano proprio tra l'accampamento dei nomadi e la città, sulla strada che avrebbe permesso loro di spostarsi rapidamente sia a est sia a sud, nel caso in cui il nemico avesse attaccato da un'altra direzione. Le squadre della Ventunesima Compagnia furono fatte disporre su quattro file, ciascuna formata da cinque uomini, anche se poi in realtà le file erano solo tre, con i pochi soldati rimasti fatti posizionare dietro la terza fila. Alle loro spalle c'erano cinque compagnie deforyane, spiegate in modo da essere pronte a rimpiazzare eventuali vuoti negli altri schieramenti o fornire appoggio durante un attacco diretto. Alucius vide alla sua sinistra, a cinquanta iarde a nordest, Feran pronto a cavallo in testa alla Quinta Compagnia. Dietro di lui c'erano il maggiore e, subito dopo, Heald e poi Koryt. Alla sua destra vide invece un capitano maggiore deforyano e un capitano che non conosceva e, alla distanza di altre cinquanta iarde a sudovest, un gruppo di ufficiali. Lo schieramento proseguiva a perdita d'occhio, tanto che Alucius non fu più in grado di distinguere ogni singolo ufficiale. Ma da ciò che riuscì a capire, le compagnie delle Guardie del Nord erano tutte e quattro disposte poco più a nord del centro della formazione. Alucius si chiese se i nomadi avrebbero attaccato all'alba, ma trascorse un'altra mezza clessidra, durante la quale il sole si alzò all'orizzonte, e ancora non si vide alcuna traccia di cavalieri, né a sud né a est. Passò ancora un po' di tempo e la lieve brezza cessò, lasciando il posto a una calma opprimente. Alucius ordinò una pausa, concedendo a ogni squadra, a turno, qualche istante per sgranchirsi le gambe. A un tratto, un soldato si precipitò verso la testa del loro schieramento.
«Nomadi in vista! Tutte le compagnie in posizione! Nomadi in vista...» «Ventunesima Compagnia! Pronti a cavallo!» Alucius guardò di nuovo verso sudest. Trascorse meno di un altro decimo di clessidra, poi, per un attimo, gli parve che un'ombra fosse stata proiettata sull'altura erbosa che si trovava da quella parte, poiché vide una massa scura scendere attraverso l'erba dorata. Ma il cielo verde-argento era privo di nuvole, e la massa scura era formata dai cavalieri nomadi, che stavano avanzando decisi verso di loro. «Controllate i fucili!» ordinò Alucius. Ancora prima che i nomadi si avvicinassero. Alucius capì che non cavalcavano allineati, bensì formando un massiccio cuneo la cui punta era diretta al centro dello schieramento deforyano, sebbene le estremità si estendessero ben oltre il raggruppamento dei lancieri. «I bersagli non mancano», osservò Longyl. «Più di quanti ne vorrei», ribatté Alucius. Quando si trovarono a meno di un vingt, i nomadi rallentarono, poi si fermarono. Alucius credeva di conoscere il motivo di tale strategia, e spinse lo sguardo all'orizzonte, in attesa. Nel cielo dietro l'altura da cui erano scesi i cavalieri spuntarono quattro sagome nere. Gli pteridon descrissero alti cerchi nell'aria e virarono verso nordovest, diretti al centro della formazione deforyana. Contrariamente a quanto era accaduto a Cresta Nera, mentre i nomadi si avvicinavano, anche gli pteridon guadagnarono terreno, mantenendosi però sempre a una certa altezza. Alucius se ne chiese il motivo. Avrebbero attaccato all'ultimo momento? Perché restavano così in alto, e al centro? Forse perché avevano capito che solo alcuni dei soldati nemici erano in grado di ferirli? I marescialli deforyani si astennero dall'impartire qualsiasi disposizione... o comando. Alucius vide che il cuneo formato dai nomadi avrebbe colpito i lancieri ben prima che le sue ali si fossero avvicinate alla Ventunesima Compagnia. «Ventunesima Compagnia, disporsi in diagonale sinistra! Pronti a fare fuoco! La prima raffica a bersaglio singolo. La prima a bersaglio singolo!» «Quinta Compagnia, in diagonale sulla Ventunesima! Pronti a fare fuoco!» Alucius si sentì tremare il terreno sotto i piedi, quando i nomadi sprona-
rono i loro cavalli al galoppo e puntarono verso il centro delle linee deforyane. Rimase però fermo, a osservare le distanze che si accorciavano. Non appena i nemici si trovarono a circa centocinquanta iarde, impartì l'ordine: «Ventunesima Compagnia, aprite il fuoco!». La prima scarica si abbatté sul fianco del cuneo, falciando un gran numero di guerrieri. La seconda si rivelò altrettanto tempestiva ed efficace. Sebbene la terza e la quarta fossero ugualmente valide, i colpi non vennero sparati all'unisono, creando così l'impressione di fuoco continuo. Nonostante le perdite, i nomadi continuavano ad avanzare, e le ali della loro formazione si trovavano adesso a meno di un centinaio di iarde da Alucius. «Ventunesima Compagnia! Riposizionarsi. Schieramento serrato! Riposizionarsi!» Alucius ricaricò veloce il fucile che aveva usato e lo ripose nella custodia. Se avesse avuto bisogno di usare di nuovo le armi, sarebbero state entrambe cariche. «Quinta Compagnia. Riposizionarsi!» Alucius alzò lo sguardo e vide uno degli pteridon volteggiare appena a ovest della battaglia, poi scendere rapidamente verso il centro della retroguardia deforyana, accompagnato da una fiammata azzurrognola. Poi dovette concentrarsi sui nomadi, ormai giunti a poca distanza da lui. Sguainò la sciabola. «Ventunesima Compagnia! Carica!» Lo schieramento serrato era una sorta di piccolo cuneo, la cui punta era costituita da Alucius stesso. Con la sciabola sguainata, si scagliò sui nomadi, cercando nel contempo di far credere loro che la sua compagnia fosse la più numerosa e micidiale mai vista. Il primo nomade si diresse proprio verso Alucius, che fece scansare Selvaggio solo all'ultimo momento, per poi piegarsi sulla sella e sferrare una sciabolata. L'avversario aveva tentato di usare la stessa tattica, ma non si aspettava che lui scartasse a sinistra, e venne colpito alla spalla sinistra e alla gola. Dopodiché Alucius lasciò che fossero il proprio addestramento e Selvaggio a portarlo in mezzo alla mischia e cercò solo di mantenersi in continuo movimento. A un certo punto, gli parve che il braccio sinistro fosse diventato di piombo e sentì che, sotto gli indumenti di seta nerina, non c'era un solo punto che non gli facesse male a causa dei colpi ricevuti. Poi, all'improvviso, si ritrovò senza nessuno intorno. Si voltò indietro. La maggior parte degli uomini della Ventunesima
Compagnia era riuscita a farsi strada attraverso le schiere nemiche, che avevano continuato nella loro avanzata. Lo schieramento serrato aveva dato i suoi frutti. La Ventunesima Compagnia si trovava adesso alle spalle dei nomadi. «Ventunesima Compagnia. Dal fondo, mantenere lo schieramento.» Il comando serviva solo ad assicurarsi che tutti si disponessero di nuovo nella stessa formazione di prima, pronti a gettarsi un'altra volta nella calca. «Avanti, al trotto veloce!» Alucius gettò un'occhiata alla sua destra. Anche la Quinta Compagnia era riuscita a passare, per quanto desse l'impressione di aver subito un maggior numero di perdite.» Mentre le due compagnie delle Guardie del Nord si dirigevano a nord, nuovamente verso il centro della battaglia, Alucius capì ciò che aveva intenzione di fare Aellyan Edyss. I deforyani avevano concentrato tutte le loro riserve nel mezzo. Erano riusciti a fermare la carica dei nomadi - o piuttosto questi avevano consentito a lasciarsi fermare - visto che ormai avevano completamente accerchiato il grosso delle truppe deforyane, con il chiaro intento di ucciderne tutti i componenti. E ora gli pteridon stavano sorvolando proprio quel punto, lanciando fiamme azzurrognole che facevano cadere i deforyani come mosche. La vicinanza limitava il raggio di tiro dei cavalieri in groppa alle creature alate, ma gli effetti erano comunque devastanti. Gli pteridon colpivano al centro dello schieramento deforyano, nei punti in cui i lancieri erano a malapena in grado di muoversi, mentre i nomadi che li avevano accerchiati pensavano a eliminare quelli che tentavano di sfuggire il fuoco delle lance cosmiche. Mentre avanzava, Alucius gettò un'occhiata alla sua sinistra e, scorgendo finalmente Longyl, diresse Selvaggio verso il suo comandante di squadra più anziano. «Faremo una conversione e ci disporremo in linea di tiro a cinquanta iarde dai nomadi. Poi ci daremo da fare per eliminarne quanti più possibile.» Longyl annuì con aria torva. Quando si trovarono a circa un centinaio di iarde dalla retroguardia nemica, Alucius diede l'ordine: «Ventunesima Compagnia! Fermarsi e disporsi in linea di tiro! Linea di tiro!». Lo schieramento era un po' irregolare, ma ben distanziato. «Fucili pronti. Prepararsi a fare fuoco. Aprite il fuoco!» Alucius puntò il pesante fucile e sparò... ancora e poi ancora. Poi ricaricò.
I nomadi erano talmente occupati a farsi strada tra i deforyani che Alucius e la Ventunesima Compagnia, insieme a Feran e alla Quinta, dovettero ricaricare due volte le proprie armi prima che un folto numero di guerrieri nemici - il corrispettivo di circa cinque compagnie - cominciasse a staccarsi dal folto della mischia. «Mirare ai nomadi a sud! A sud!» La Ventunesima Compagnia rispose al comando con immediatezza. Una violenta sventagliata di colpi si abbatté sugli attaccanti, seguita subito da un'altra. A quel punto, la Quinta Compagnia rivolse i fucili contro quei nomadi che stavano dirigendo i propri cavalli verso le due compagnie delle Guardie del Nord. «Riporre i fucili. Sguainare le sciabole! Prepararsi a caricare. Schieramento serrato!» La Ventunesima Compagnia, sebbene composta da un numero inferiore di uomini, riuscì ben presto a farsi strada attraverso la formazione nemica. Alucius si guardò alle spalle, ma i nomadi non erano rivolti verso di loro, e quelli rimasti erano impegnati nel combattimento corpo a corpo all'interno della mischia creata dalla Quinta Compagnia. «Ventunesima Compagnia! Alt!» I superstiti si fermarono bruscamente e in modo disordinato. «Mantenere la posizione.» Alucius rinfoderò la sciabola e afferrò di nuovo il fucile, ricaricandolo rapido. Se non fosse riuscito a fermare gli pteridon, tutto sarebbe stato perduto. Magari lo sarebbe stato comunque, ma doveva tentare. «Disporsi in formazione attorno al capitano maggiore, fucili pronti!» ordinò Longyl. Alucius portò lo sguardo a nord... scrutando e aspettando. C'erano quattro pteridon. Uno, chiaramente più grosso degli altri, si trovava a una maggiore altezza e non stava attaccando i deforyani. Alucius attese, finché non vide che uno degli pteridon più in basso si stava preparando a lanciarsi in picchiata da nordovest. Alzò il pesante fucile, concentrandosi sull'involucro di oscurità che avrebbe dovuto avvolgere la cartuccia nel caricatore. Bang! Il colpo andò a segno e lo pteridon collassò su se stesso, poi precipitò al suolo andando a schiantarsi sull'erba, a ovest della Ventunesima Compagnia, con un impatto tale da far tremare il terreno, benché il punto di caduta si trovasse a oltre mezzo vingt di distanza.
Subito si sprigionarono alte fiamme, mentre una violenta ondata di aria calda si abbatteva su Alucius. «Mirare ai cavalieri a nord!» ordinò Longyl. «Fuoco!» Alucius si costrinse a ignorare i cavalieri che stavano avanzando, e rimase in attesa dello pteridon successivo. Ancora una volta, si concentrò e fece fuoco... mancando però il bersaglio, poiché la creatura alata aveva virato proprio nel momento in cui lui premeva il grilletto. Fece di nuovo fuoco, e poi di nuovo. Il quarto colpo centrò l'ala della bestia, che vacillò e rallentò. Alucius estrasse il secondo fucile cercando di conferire alla pallottola ancora più oscurità, mentre mirava allo pteridon. Ciò nonostante, occorsero altri due spari prima che il mostruoso animale e il suo cavaliere cadessero a terra, abbattendosi sull'estremità occidentale del cuneo formato dai nomadi. L'esplosione che seguì disperse e ferì centinaia di guerrieri, che però si ricompattarono subito e ripresero a incalzare i deforyani intrappolati al centro. Mentre Alucius ricaricava i fucili, sopraggiunse il terzo pteridon, seminando la morte tra le linee deforyane e allontanandosi prima ancora che lui fosse pronto a sparare. Alucius rifletté sul da farsi. Entrambe le creature alate superstiti erano fuori tiro. «Dovete tentare, signore!» lo esortò Longyl. «Dovete farlo!» Alucius fece un respiro profondo, poi alzò il pesante fucile. Fece fuoco quattro volte, mancando sempre il bersaglio. Chissà se, con l'aiuto del Talento, sarebbe stato capace di aggiungere potenza alle cartucce? Doveva escogitare qualcosa. Piano piano, con attenzione, cercò di visualizzare una lunga linea viola che si dipartiva dal caricatore, passando attraverso la canna del fucile, fino a raggiungere lo pteridon. Bang! Una luce violacea lampeggiò davanti a lui, obbligandolo a battere le palpebre, con gli occhi che lacrimavano. Una sfera infuocata color viola-bluastro esplose, facendo piovere fiamme sui nomadi e sui Lancieri deforyani, ma soprattutto sui primi. Alucius era a malapena in grado di vedere. «Potete farlo, signore! Dovete farlo!» lo incitò Longyl. Dovete? Alucius si dondolò sulla sella, poi cambiò deliberatamente fuci-
le, costringendosi a ignorare i guerrieri nemici che stavano per attaccare la Ventunesima Compagnia. Doveva abbattere l'ultimo pteridon. L'ultimo... in qualche modo. Nel frattempo, questo era volato ancora più in alto. Poteva farcela... poteva... gli occorreva lo stesso tipo di oscurità che aveva usato per soffocare il cristallo viola della Matride. Con estrema lentezza, Alucius alzò il fucile, proiettando di nuovo quella linea di energia viola, rafforzandola con l'oscurità dalle sfumature verdi che aveva impiegato contro il cristallo. Adagio prese la mira, puntò, e ancora prima di premere il grilletto, impresse alla pallottola la volontà di colpire la creatura alata che portava in groppa Aellyan Edyss, poiché il cavaliere sull'ultimo pteridon altri non poteva essere che lui. Una fantasmagoria di lampi verdi, neri e viola gli passò dinanzi agli occhi quasi accecandolo, e l'impatto prodotto dal proiettile che era andato a colpire lo pteridon lo fece vacillare sulla sella, mentre una fiammata azzurra si dipartiva dall'animale e dal suo cavaliere, guizzando in ogni direzione. Piano piano, la vista di Alucius tornò a farsi chiara, e per un lungo momento calò il silenzio sul campo di battaglia e nel cielo verde-argento, come se il tempo stesso si fosse fermato. Lo pteridon pareva congelato, immobile, là in alto, scintillante nella bianca luce del sole di mezzogiorno. Poi... frammenti irregolari di colore nero-violaceo presero il posto dello pteridon e del suo cavaliere, schizzando ovunque. Alucius rimase a guardare, incapace di muoversi, mentre vedeva schegge viola volare verso di lui e verso i soldati della Ventunesima Compagnia che l'avevano difeso e tenuto al riparo per consentirgli di colpire gli pteridon. Non poteva lasciar morire i suoi soldati. Non poteva davvero. Cercò di ritrovare quel senso di verde frammisto all'oscurità, quella sensazione protettiva che lo accompagnava, ma i suoi pensieri erano come melassa in inverno, come colla che si induriva, e sentì lingue di fuoco azzurro - talmente caldo da bruciargli i capelli - espandersi tutt'intorno a lui. Fece un ultimo disperato tentativo di creare uno scudo di verde sui suoi soldati, ma una raffica di aria calda lo investì insieme a Selvaggio. Si accorse di cadere con lui all'indietro, e di non riuscire a liberarsi. Mentre veniva scaraventato a terra dall'esplosione, Alucius si vide avvolto da una nebbia verde, un verde sfumato di nero, un nero che lo travolse e lo trascinò via con sé.
69 Nordest di Punta del Ferro, Valli del Ferro I due pastori cavalcavano ai lati opposti del gregge, Wendra a est, subito dopo il montone guida, e Royalt a ovest, appena dietro alle pecore che si erano attardate. Wendra si accigliò e alzò lo sguardo verso l'Altopiano di Aerlal. Per un istante, giusto per un istante, le era parso che gli affioramenti di quarzo dell'altopiano scintillassero di una luce verde. Esaminò attentamente l'altura, ma non vide traccia di quella luce verdognola, se mai c'era stata. Poi, mentre l'oscurità si abbatteva su di lei, fermò il cavallo tirando le redini, pallida in volto. Si guardò la mano e sfilò il pesante guanto da pastore. Il cristallo nero dell'anello sembrava vivo, come se vibrasse di energia. Ma da esso si sprigionava un senso di dolore, di agonia. Per un momento Wendra si limitò a fissare il cristallo. Lo stava ancora fissando quando Royalt le si accostò, dopo avere risalito il fianco del gregge. «Alucius?» chiese. «Alucius... è stato colpito, o ferito», spiegò la giovane donna dai capelli castani. «Mi era parso di scorgere un lampo verde sull'altopiano e poi mi sono sentita inghiottire dal buio, ma era più come se mi fossi ustionata.» «Ustionata?» il volto rugoso di Royalt si irrigidì in un'espressione preoccupata. «Così mi sono sentita, come se il fuoco mi fosse passato sopra. Per un attimo, ho sentito il puzzo di capelli bruciati.» Le labbra le si serrarono. «Ma è vivo?» «Sì», confermò lei. «Preghiamo Colui che È», disse piano Royalt. «E le arianti», aggiunse Wendra. «Credi che Alucius sia un figlio delle arianti?» «Lo è sempre stato.» «È ciò che affermava Lucenda.» Royalt scosse il capo. «Non so se sia vero, ma di certo crederlo non può nuocere.» Wendra guardò l'anello, che adesso le sembrava più caldo, poi si rimise il guanto. I suoi occhi corsero di nuovo verso l'Altopiano di Aerlal, e le sue labbra cominciarono a muoversi, senza emettere alcun suono. 70
Alucius giaceva su un letto di fiamme azzurre, incapace di muoversi, mentre un uomo dai capelli neri, dalla pelle d'alabastro e dai profondi occhi violetti, stava chino su di lui e gli parlava con voce squillante. Alucius cercò di comprendere le parole, ma il loro significato gli sfuggì. L'uomo parlò di nuovo, paziente, ma Alucius non fu ancora in grado di capire. Si sforzò, concentrandosi su ogni singolo termine, sapendo che ciascuno di essi era importante, che doveva riuscire a comprendere ciò che lo sconosciuto dalla pelle d'alabastro stava cercando di dirgli, altrimenti sarebbe stato dannato in eterno. Ma l'uomo svanì dietro una cortina di fiamme azzurre. Qualcuno si lamentò, ed era lui a lamentarsi. Si sentì nuovamente la pelle infuocata, mentre onde rossastre lo travolgevano. Una figura indistinta gli appoggiò qualcosa di fresco sulla fronte. Lui voleva ringraziare, ma non poteva, poiché il buio lo stava inghiottendo un'altra volta. A un tratto, si trovò in piedi in una stanza illuminata da una luce purpurea, di fronte a un cristallo viola che prese a girare vorticosamente. Dal cristallo uscivano lance trasparenti, sfumate di rosa e con la punta fiammeggiante. A ogni lancia che lo colpiva, Alucius trasaliva avvertendo sempre più dolore, finché l'intero suo corpo non si trasformò in una massa infuocata. Accanto al cristallo, ricomparve l'uomo dalla pelle d'alabastro. Il suo sorriso non era più indulgente, bensì freddo e altero. Parlò di nuovo. Le parole rotolarono fuori, ciascuna simile a un blocco purpureo che galleggiava verso Alucius, e che egli cercava di afferrare, chiudendo tra le dita solo il vuoto. Con un'espressione triste e al tempo stesso sdegnosa, lo sconosciuto svanì. Al suo posto, tra Alucius e il cristallo comparve la figura massiccia di un sabbioso dalla pelle cosparsa di scintillanti cristalli nero-verdognoli. Questi alzò una mano e colpì il cristallo che girava. Frammenti nero-violacei volarono dappertutto. Ognuno di essi, dopo aver colpito la parete della stanza o lo stesso Alucius, si trasformava in uno sbuffo di fumo viola che si dissolveva all'istante. Il sabbioso fissò Alucius. Pur essendo privo di bocca, gli parlò. Ha detto che avresti dovuto trovare una Tavola. Pensa che tu sia in grado di capire. Si sbaglia, ma questo lo devi scoprire da solo.
Quindi una luminosità verde dorata si riversò nell'anonima stanza, e comparve un'ariante dalla figura aggraziata e delicata, soprattutto se paragonata a quella del tarchiato sabbioso. Carezzato da quella luce verde, Alucius sentì placarsi le fiamme che gli lambivano il corpo, e anche il dolore. Questa volta l'oscurità che lo avvolse era fresca e piacevole. 71 Tempre, Lanachrona L'Archivista degli Atti dal viso diafano si scostò appena dalla Tavola restando a guardare, mentre il Signore-Protettore osservava la scena che si svolgeva dinanzi a lui. «Vedete», indicò l'Archivista. «Ecco le uniformi nere delle Guardie del Nord, e le due compagnie che si creano un varco tra le orde di Aellyan Edyss. E quel vuoto argenteo? Quello è il vostro capitano pastore. Osservate quanti corpi cadono al suo passaggio.» «E allora? È sempre stato bravo a combattere. Questo è il motivo per cui l'abbiamo mandato in battaglia.» Una nota di fastidio trasparì dalla voce dell'uomo più giovane. «Sì, Signore-Protettore. Vi prego solo di guardare più attentamente.» I due studiarono l'immagine nella Tavola, assistendo alla carica delle due compagnie, poi la conversione in linea di tiro e il massacro che ne seguì, quando centinaia di nomadi vennero uccisi, perché sorpresi alle spalle. Videro anche come i nomadi eliminassero altrettante centinaia di soldati deforyani, dopo averli spinti gli uni contro gli altri, mentre fiamme azzurrognole incenerivano quelli dalle rosse uniformi che stavano al centro della formazione. Pian piano, un gruppo di nomadi isolati si unì a formare un cuneo che caricò le sparute schiere di Guardie del Nord rimaste fuori dall'accerchiamento. La compagnia più a sud si strinse compatta a formare un altro cuneo che penetrò le linee nemiche, disperdendo e uccidendo decine di guerrieri prima di schierarsi, questa volta a comporre un cerchio intorno alla mutevole e scintillante figura argentea, cerchio che, a tratti, assumeva una configurazione ovale. «Adesso... vi prego», disse l'Archivista, «osservate con maggiore attenzione». Nel frattempo, si asciugò di nascosto il sudore dalla fronte. Gli occhi dalle sfumature violette si incupirono. «Sto osservando.»
Persino dalle immagini apparse sulla Tavola, era chiaro che qualcosa di invisibile era precipitato al suolo, abbattendosi su un'ampia porzione di nomadi e carbonizzandoli insieme a moltissimi altri soldati. Più a nordest, si vide un'altra simile scena di distruzione e, dopo un po', una terza ancora più imponente. D'un tratto, parecchie centinaia di nomadi, se non un buon migliaio, si diressero verso sud disponendosi ad attaccare con violenza il piccolo assembramento di Guardie del Nord disposto in formazione circolare. Proprio nel momento in cui i nomadi si trovavano a poche iarde di distanza dal loro obiettivo, un'immane esplosione azzurra occupò tutta quanta la superficie della Tavola, incenerendo all'istante intere schiere di cavalieri, ma lasciando intatto l'anello di Guardie del Nord che si trovava a sud, tranne per un singolo punto nero al centro. «Cosa...» mormorò il Signore-Protettore, «cos'è successo?». «Non... posso dirlo con certezza, ma pare che ogni cerchio annerito corrisponda alla distruzione di uno pteridon e al posto in cui è caduto. Azzarderei l'ipotesi che l'ultimo si riferisse alla morte di Aellyan Edyss e del suo pteridon.» «L'ultimo pteridon caduto ha ucciso tutti i nomadi intorno... a migliaia.» Mentre la superficie della Tavola assumeva un aspetto uniforme color argento, il Signore-Protettore si rivolse all'Archivista. «Avete detto che lui è sopravvissuto?» «Molto probabilmente, anche se posso solo dedurlo da ciò che mostra la Tavola. Infatti, si vede un letto vuoto con una figura dalle cangianti sfumature argentee, e persone che portano cibo, che osservano e a volte parlano. La loro espressione è mutata. All'inizio tacevano, e alcuni tra gli ufficiali sembravano preoccupati. Adesso parlano tutti più disinvolti. «Questo significa solo che lui sopravviverà, ma nient'altro.» «I nomadi si sono ritirati, giù fino a Illegea, e si stanno dirigendo a Lyterna, dove sceglieranno nuovi condottieri e un altro capo. Non l'avrebbero fatto se l'impatto non si fosse dimostrato davvero devastante. Persino adesso l'erba risulta ancora annerita in molte zone del campo di battaglia.» «E gli pteridon?» «Non ne sono assolutamente sicuro, ma... sembra che non ne siano rimasti altri.» Il Signore-Protettore scoppiò in una risata schietta e trionfante. «Avete visto, Archivista. Avevo ragione. La nostra arma talentosa ha sconfitto le loro e ha eliminato tutti gli pteridon. A questo punto, se i nomadi dovessero attaccare Lanachrona, cadrebbero per mano delle Guardie del Sud.»
Fece una pausa. «Che ne è stato del maggiore e della compagnia di Guardie del Sud?» «Non riesco a trovare tracce del maggiore Draspyr o del capitano Clifyr. È probabile che siano morti.» «Mi dispiace, ma si sono fatti onore, e una compagnia non è un prezzo troppo alto da pagare per una vittoria del genere.» Di lì a poco, il SignoreProtettore aggiunse: «Le Guardie del Nord devono avere subito parecchie perdite». «Sembra di sì. Sono ben lontane dall'aver mantenuto il loro effettivo di partenza.» «Anche questo è un bene: meno persone in grado di creare problemi negli anni a venire.» Il Signore-Protettore annuì tra sé. «E il capitano maggiore Alucius sarà ben lieto di tornare a fare il pastore. Invieremo un messaggero espresso per chiedergli di riportare le sue compagnie a Dekhron...» Il Signore-Protettore si interruppe. «Scommetto che il Landarco pregherà l'onorevole capitano maggiore di ricondurre i suoi uomini a Lanachrona molto prima che il nostro inviato riesca a raggiungerlo.» «Lo credete davvero, Signore-Protettore?» «Il Landarco può anche essere un debole, ma non è uno sciocco. Osservatelo nella Tavola e capirete. Noi manderemo il nostro messaggero con il messaggio, e lasciamo che raggiunga il nostro buon capitano maggiore ovunque si trovi, chiedendogli di presentarsi a Tempre per ricevere una ricompensa. Dovremo però consentirgli di portare con sé una squadra, per non dargli l'impressione di essere prigioniero. Che tipo di ricompensa? Delle monete d'oro e un onorevole ritorno anticipato alle sue greggi.» «Lo fareste venire fin qui, Signore-Protettore?» «Certo. Così potrà rendersi conto che Tempre è una grande città, non vecchia e cadente come Dereka, o Dekhron, e capirà anche che io posso comportarmi in modo terribile e riconoscente al tempo stesso. Gli farò capire che l'intero futuro dei pastori dipende dall'appoggio che essi saranno disposti a dare a Lanachrona.» «Ma quell'ufficiale non è un uomo. È un lamaro, e porterà con sé la rovina.» Il Signore-Protettore scosse il capo. «Avete torto al riguardo. Potrà anche essere un lamaro, ma è giovane, e ha una moglie attraente. Desidera tornare da lei. Noi gli manifesteremo la nostra gratitudine, ma gli faremo anche comprendere che il supporto e la tolleranza dimostrati nei confronti dei pastori nell'evitare di sradicarli dalle loro terre o di gravarli di tasse
dipende da noi, e che senza il mio consenso non ci sarebbero pastori.» L'Archivista fece per parlare, poi ci ripensò e si limitò a chiedere: «Credete che ciò sia saggio?». «Se... se lui è davvero quello che affermate, perché mai dovrei offenderlo? Se non lo è, allora il tempo ce lo dimostrerà, e noi agiremo diversamente. Può anche darsi che Colui che È si sia servito di lui, così come si è servito di altri. Non vorrei offendere Colui che È. E voi?» «Ma se non ci credete nemmeno. Me l'avevate detto, signore.» «Certo, ma se Lui esistesse... perché offenderlo? Già, perché? Se il capitano maggiore è in qualche modo favorito dal destino o da poteri sconosciuti, con tutti i nemici che abbiamo, credo che sia meglio non crearcene un altro. Non siete d'accordo?» «Sì, signore. Al vostro posto non lo farei. Proprio no.» «Bene.» Il Signore-Protettore si avviò verso il passaggio a volta che conduceva fuori dalla stanza dalle pareti rivestite di marmo, poi si voltò. «Potrei anche volere qualcosa di più dal capitano maggiore, ma ci devo riflettere. È un buon comandante, dopotutto, molto più valido di altri giovani comandanti. Magari qualche breve missione... vedremo. Nel frattempo, tenetemi d'occhio i nomadi e il ritorno delle Guardie del Nord.» «Sì, Signore-Protettore. Vigileremo con molta attenzione.» 72 Più di una settimana passò prima che Alucius riacquistasse del tutto la consapevolezza di quanto lo circondava, seppure poco per volta. Era stato riportato a Dereka, alla Prima Base Lancieri, ma era stato sistemato al pianterreno, nella grande camera riservata agli aiuto-marescialli, ed era lì che aveva visto le prime donne - se si escludevano quelle incontrate per strada - da quando aveva messo piede a Deforya. Quelle che si prendevano cura di lui erano anziane, prodighe di incoraggianti sorrisi e avare di parole. A volte, gli era parso di avvertire una luminosità verde, ma non ne era sicuro, e quando guardava più attentamente, questa era sparita. Alucius era sdraiato in un ampio letto posto di fronte a grandi finestre che si affacciavano su un piccolo cortile lastricato, sul retro, che dava l'impressione di essere sempre deserto. Dalla finestra entrava una lieve brezza che portava con sé gli aromi provenienti dalla cucina. La camera era priva di specchi, e le sue infermiere gli avevano tolto le bende dal volto soltanto il giorno prima. Quando lo avevano portato là,
qualcuno doveva averlo spogliato e i suoi indumenti di seta nerina erano stati lavati e stirati, e poi appesi in un grosso armadio. Indossava una camicia da notte di morbido cotone. Da ciò che poteva vedere, le braccia e il torace erano coperti di lividi di un variegato e sbiadito colore giallo-violaceo che lasciava presagire un'imminente guarigione, anche se il più piccolo movimento gli causava ancora un lieve dolore. La pelle sul dorso delle mani si stava sfogliando e rivelava un nuovo strato sottostante di epidermide rosa. I capelli gli erano probabilmente stati tagliati, oppure erano bruciati, dato che, al tatto, sentiva solo peli corti e ispidi sia sulla testa che sul viso. Feran fu il suo primo visitatore. «Hai un aspetto migliore», disse Feran sorridendo. «Non credo... di voler sapere quale aspetto avessi prima.» Alucius si sentiva la gola secca, a prescindere da quanta birra bevesse dal bicchiere che gli avevano posato sul tavolino di fianco al letto. Parlare gli risultava difficile. «Che è successo... i nomadi?» «Ricordi... ricordi cosa successe all'ultimo pteridon... be'... su quello c'era Aellyan Edyss, almeno per quanto abbiamo potuto capire. L'esplosione ha ucciso la maggior parte dei suoi ufficiali. Non sappiamo con esattezza quanti nomadi ci abbiano rimesso la pelle, ma di certo una buona metà. I deforyani a quel punto hanno attaccato, e il nemico ha ripiegato a sud, verso Illegea.» «Così... semplicemente?» «L'aiuto-maresciallo Ahorak - non voleva parlare con me, ma ha dovuto, visto che gli era impossibile parlarti - mi ha detto che la ritirata nemica aveva a che fare con il loro modo di governare. Gli ufficiali dovevano scegliersi un nuovo capo, e poiché molti erano rimasti uccisi... insomma, qualcosa del genere. Ma a noi la cosa non è dispiaciuta affatto.» «Che mi dici... la Ventunesima Compagnia?» Alucius temeva il peggio. «Le squadre sui fianchi sono state quelle colpite di più: la prima e la quinta.» «Quanto?» Alucius tentò di mettersi a sedere, ma era troppo debole. «Sono rimasti sessanta soldati. Egyl se la sta cavando bene con loro.» «Egyl? E Longyl...?» «I nomadi lo hanno ucciso poco prima di essere raggiunti dalle fiamme. Non ho visto quello che è successo. Nessuno ha visto», disse Feran. «Tutto quanto intorno alla Ventunesima Compagnia è saltato in aria... incenerito. Credo che sia stato il fattore determinante nel convincere i nomadi a torna-
re a Illegea.» Alucius riuscì ad assentire fiaccamente. «E la Quinta Compagnia?» «Eravamo a sufficiente distanza da voi, così solo un paio di soldati ci hanno rimesso la pelle, anche se prima ne abbiamo persi un bel po'. Ne sono rimasti quarantacinque.» «E... gli altri?» «Il maggiore e la quasi totalità della Ventitreesima Compagnia sono stati annientati. Non sono rimasti che due soldati, che ho spostato alla Quinta Compagnia. Metà della Terza Compagnia è sopravvissuta, ma Heald non ce l'ha fatta, e l'Undicesima è ridotta a meno di un terzo. Koryt se l'è cavata per il rotto della cuffia. Ha il braccio sinistro fratturato e una brutta ferita da taglio sulla coscia. Però sembra che ce la farà. Finché non starà meglio, l'ex comandante di squadra anziano di Heald manterrà il comando della Terza e dell'Undicesima Compagnia.» Feran scosse il capo. «Nessuno credeva che ti saresti salvato. La tua uniforme era completamente carbonizzata. Le donne che ti hanno curato hanno detto che non c'era una sola spanna di pelle del tuo corpo che non fosse ustionata o piena di lividi, ma perlopiù ustionata.» «I pastori... sono robusti...» «La seta nerina ti ha protetto, ma continuo a credere che chiunque altro sarebbe morto.» Alucius dovette appoggiarsi ai cuscini. «E Selvaggio...?» «Anche il tuo stallone è resistente. Aveva ferite e ammaccature, ma adesso è più in forma di te.» Feran sorrise. «Sarà pronto a ricondurti a casa, quando sarai guarito.» Alucius annuì. «Ho spiegato ad Ahorak che tu avevi addestrato i soldati a colpire bersagli volanti. L'ho detto anche a Egyl. Ecco come sono andate le cose.» «Grazie...» sussurrò Alucius. «Quando ti sentirai meglio, il Landarco ti conferirà una sorta di onorificenza, poi ci spedirà tutti a fare i bagagli. Immagino che pensi che, pochi come siamo, non dovremmo trattenerci a lungo.» Feran si alzò. «Sarà meglio che vada. Dovrai riposare.» «Grazie...» Alucius sapeva di continuare a ripetersi, ma non riusciva a trovare nient'altro da dire. «No. Siamo noi che dobbiamo ringraziarti. Chiunque sia sopravvissuto alla battaglia sarebbe morto se non fosse stato per te, e lo sappiamo bene tutti. Faremo tutti in modo che nessun altro lo sappia. E così sarà.» Feran
sorrise. «Cerca solo di guarire. Ti vogliamo vedere presto cavalcare alla nostra testa.» Dopo che Feran se ne fu andato, Alucius rimase a guardare con occhi assenti fuori dalla finestra aperta. 73 Alucius si trovava in un'ampia sala, di un tipo che non aveva mai visto prima. Sopra di lui, il soffitto a volta si alzava per almeno cinquanta iarde, un soffitto che sembrava rivestito di lastre di marmo rosa così abilmente posate da non mostrare alcun segno di giunzione o di malta tra l'una e l'altra. Le pareti erano ricoperte dallo stesso marmo. Colonne dorate fiancheggiavano l'ingresso e interrompevano la continuità delle pareti a intervalli regolari. Tendaggi di un color viola scuro profilati in oro, appesi a supporti dorati fissati alle colonne, incorniciavano le pareti marmoree. Dopo aver esaminato la sala tutt'intorno, Alucius abbassò lo sguardo. Il pavimento era di lucido marmo verde e oro e ciascuna sezione ottagonale di marmo verde conteneva una stella a otto punte di marmo dorato, il cui contorno era tracciato da una sottile lamina di metallo dorato che non era né oro né ottone. Alucius rialzò lo sguardo e vide dinanzi a sé un uomo apparire dal nulla. Lo sconosciuto dall'alta figura aveva pelle d'alabastro, lucidi capelli neri e penetranti occhi viola. Era in piedi al centro di una delle stelle, con indosso una tunica verde brillante, profilata di viola scuro, con calzoni dello stesso colore e stivali neri, così lucidi da sembrare metallici. Si trovava a meno di due iarde da Alucius, e il suo sguardo dai riflessi violetti si fissò su di lui quando cominciò a parlare. Le parole avevano un suono profondo e sonoro, ma risultarono incomprensibili ad Alucius, benché sentisse che avrebbe dovuto capire. Dopo un momento, l'uomo aggrottò la fronte e parlò di nuovo. «Avresti dovuto capire l'antica lingua. Può darsi che, essendo tu quello che sei, non te ne renda conto.» «Rendermene conto?» Alucius si sentì come un bambino circondato da persone che discutevano di questioni che lui avrebbe dovuto conoscere... e che invece non conosceva. «Sono solo un pastore e un capitano.» L'uomo dalla pelle d'alabastro scoppiò in una risata. «Hai già ucciso due molto più grandi di te, e dici di essere solo un pastore? Il SignoreProtettore ti conosce meglio di quanto tu non conosca te stesso. Perché
mai, altrimenti, avrebbe scelto uno sconosciuto capitano e l'avrebbe mandato a combattere contro il più grande schieramento di nomadi che si sia visto da molte generazioni a questa parte? E come avresti potuto trionfare, se non fossi stato più importante di ciò che dici di essere?» «Fortuna e abilità, e capacità di approfittare delle loro debolezze», rispose deciso Alucius. «Ci vuole ben altro che non la sola fortuna e abilità per essere un figlio del Duarcato... se non addirittura il migliore. Non potrai nascondere a lungo quello che sei in un mondo di uomini meschini e gelosi. Ma... se continui ad agire così, non sarai l'eroe che ripristina il duplice scettro e la prosperità del Duarcato, bensì lo sfortunato lamaro. E se diventerai un lamaro, soffrirai, perché dovrai fronteggiare il duplice scettro. A pochi verrà dato di provare le sofferenze che tu dovrai sopportare.» Poi Alucius si ritrovò in una stanza buia, le cui antiche pareti in durapietra cominciarono a muoversi, richiudendosi su di lui... sempre di più... Balzò a sedere di scatto nell'ampio letto, percorso dai brividi, con la camicia da notte intrisa di sudore. Dopo un momento, si asciugò il volto grondante, ma con cautela, poiché la pelle appena riformatasi era ancora delicata. Rimase seduto per un po' nell'oscurità chiedendosi perché avesse sognato ancora l'uomo dagli occhi viola. Infine, si spostò in un angolo del letto, dove le lenzuola di cotone erano asciutte e fresche e, di lì a poco, si appisolò di nuovo. Quasi subito, si trovò con indosso l'uniforme delle Guardie del Nord, in groppa a Selvaggio, mentre piantava gli speroni nel fianco dello stallone per spronarlo ad avanzare. Più avanti c'era uno pteridon, il cui cavaliere scagliava azzurre saette infuocate con la sua lancia metallica contro la Ventitreesima Compagnia. Lo pteridon e la cortina di fiamme azzurrognole si stavano spostando verso la Terza Compagnia. Alucius alzò il fucile e cercò di prendere la mira e di sparare, mentre continuava ad avanzare, ben sapendo di non avere il tempo di fermarsi a fare fuoco, giacché doveva abbattere subito lo pteridon. Ma le fiamme raggiunsero inesorabilmente i soldati e la creatura dalle ali azzurre virò verso Alucius, arrivandogli così vicino che egli poté distinguere il viso diafano e i capelli neri del suo cavaliere mentre questi puntava la sua lancia cosmica contro di lui e Selvaggio. A quel punto, venne travolto da lampi di luce azzurra e si sentì bruciare i capelli... ne avvertì il puzzo. Alle sue spalle, alcuni cavalli lanciarono nitri-
ti laceranti quando vennero avvolti dalle fiamme. Alucius si mise di nuovo a sedere di scatto, fradicio di sudore, nonostante la fresca brezza notturna che filtrava dalla finestra socchiusa. Ricordò le parole che l'uomo dalla pelle d'alabastro aveva pronunciato in sogno. «Se diventerai un lamaro, soffrirai perché dovrai fronteggiare il duplice scettro.» Un lamaro? Una creatura leggendaria del passato? Che cosa poteva mai avere a che fare con lui? Lui era un pastore. O un ufficiale" delle Guardie del Nord che desiderava solo finire il suo periodo di ferma per poter tornare alla fattoria. Alucius si rammentò anche della minaccia che lo sconosciuto del sogno aveva proferito: che avrebbe sofferto come pochi altri. Di certo, non voleva soffrire, o far soffrire la sua famiglia, ma non aveva idea di cosa potesse fare per evitare tale sofferenza. Chissà se l'aver agito come riteneva giusto lo poneva in contrasto con il duplice scettro? Stentava a credere che i suoi sogni o pensieri gli dicessero che avrebbe dovuto consentire alla Matride di continuare a soffocare uomini e donne attraverso i collari che controllavano i loro fili vitali. O che avrebbe dovuto permettere agli pteridon e ai loro cavalieri di incenerire migliaia di soldati e conquistare Dereka e qualsiasi altra terra e città che si fossero trovati davanti. E... oltre a essere il simbolo dell'antico Duarcato, da molto tempo dissolto, che cosa poteva mai rappresentare il duplice scettro? L'uomo del sogno aveva lasciato intendere che era qualcosa di più, ma Alucius, nonostante i numerosi viaggi e le letture, non aveva mai sentito parlare di quell'oggetto, se non come emblema dell'antico regno dei Duarchi o come metafora riferita a qualcuno posseduto dall'ambizione di occupare una posizione di comando. E perché Alucius continuava a sognare l'uomo dalla pelle d'alabastro? All'infuori di una fugace visione della Matride, che non era neppure sicuro di avere avuto, non aveva mai visto nessuno con un simile incarnato e con occhi viola. Né gli era mai capitato di apprenderne l'esistenza attraverso i libri. Eppure... la figura del sogno aveva sollevato una questione interessante. Perché il Signore-Protettore aveva scelto proprio Alucius? Che cosa mai poteva sapere? Alucius rimase seduto nel letto per quasi una clessidra a riflettere, prima di avere il coraggio di mettersi di nuovo a dormire. Mentre finalmente scivolava pian piano nel sonno, tenne i propri pensieri fissi su Wendra.
74 Tempre, Lanachrona Il Signore-Protettore e la sua consorte sedevano l'uno di fronte all'altra al tavolo della piccola sala da pranzo privata. Dopo avere assaporato l'ultimo boccone di mousse di melaprugna, lui posò l'antico cucchiaio d'argento. «I tuoi pensieri sono al di là del fiume, mio caro», disse la moglie con una risata. «Cosa che del resto succede spesso in questi giorni.» «Ah, mia cara Alerya, mi conosci fin troppo bene.» Fissò gli occhi scuri su di lei e le fece un affettuoso sorriso. «Meno male che siamo sposati. Altrimenti saresti stata pericolosa.» «Che sciocchezze. Non ti conosco per niente, e perciò non rappresenterei per te alcun pericolo.» Sorseggiò il vino da dessert dai riflessi ambrati. «Che cosa ti preoccupa adesso?» «Enyll... c'è qualcosa in lui», rifletté il Signore-Protettore. «C'è sempre stato qualcosa di strano in lui», suggerì la consorte. «No... qualcosa di diverso. Prima... era sempre presente, anche quando non avevo bisogno di lui, sempre desideroso di raccontarmi le sue ultime scoperte vere o presunte. Ora, a meno che non sia io ad andare a trovarlo nella sala della Tavola, lo vedo di rado.» «Sta nascondendo qualcosa.» «Sì, ma cosa?» chiese Talryn. «Ho chiesto alle mie spie più esperte di perquisire le sue stanze e frugare tra le sue carte. L'ho fatto seguire ogni momento del giorno e della notte. Tutti i suoi movimenti mi sono stati riferiti.» Il Signore-Protettore scosse il capo. «E da tutto ciò che cosa è emerso? Che trascorre sempre più tempo con la Tavola.» «Allora», ipotizzò lei, «qualunque cosa ti nasconda dovrà essere ricercata là». «E come posso scoprirlo? Non conosco nessuno dotato di Talento che sia in grado di usare la Tavola, tranne lui. E anche se lo conoscessi, sarebbe più meritevole di fiducia di quanto non lo sia lui?» «Forse la Tavola ha svelato qualcosa che lui non desidera portare a conoscenza. O magari, il solo fatto di usarla lo ha in qualche modo cambiato?» «Già, potrebbe essere, ma anche in questo caso, che facciamo? Ammesso che si trovi un altro Archivista, la stessa cosa non potrebbe accadere anche a lui?»
«Continua a farlo sorvegliare, ma comportati come se nulla fosse. Se è davvero cambiato, finirà per fare qualcosa che ti fornirà un indizio. Può anche darsi che, visto che sta invecchiando...» «Mi chiedo...» «Che cosa, mio caro?» domandò Alerya. «Niente... una sciocchezza.» «Con te non si tratta mai di una sciocchezza.» Il Signore-Protettore rise. «No. Hai ragione, ma è una semplice sensazione, e preferirei non dire altro finché non avrò visto e riflettuto di più al riguardo.» Lei aggrottò la fronte. «Non sei d'accordo?» «No. Capisco come ti senti, specialmente nelle vesti di SignoreProtettore.» Fece una pausa. «Mi fido delle sensazioni. Se non desideri parlarne perché non trovi le parole giuste per descrivere ciò che senti, allora, va bene così. Ma... segui il tuo istinto, se necessario, anche se non riesci a dartene una spiegazione logica.» «Molti consiglierebbero il contrario», disse lui piano. «Perché sono sciocchi», replicò lei. «Nella maggior parte dei casi, gli uomini tendono a crearsi difficoltà proprio perché ragionano troppo, anziché ricorrere al ragionamento per risolvere i problemi.» «Dobbiamo continuare su questo argomento?» chiese lui, alzandosi da tavola e gettando un'occhiata verso la porta della camera da letto. Lei scosse il capo, affettuosamente, poi si alzò e prese la sua mano. 75 Alucius si guardò nello specchio, controllando il suo aspetto e l'unica uniforme che gli era rimasta. I capelli scuri avevano la stessa tonalità di sempre, solo più corti. Il viso era più sottile e roseo di quanto non ricordasse e la barba, aveva notato rasandosi, era diventata più dura. Sulla guancia sinistra notò alcune lievi cicatrici bianche, ma non aveva idea di come avesse fatto a procurarsele, a meno di non essersele fatte inavvertitamente durante la battaglia o dopo che lui e Selvaggio erano caduti. L'uniforme gli stava un po' larga, ma non troppo. Dopo essersi concesso un'ultima occhiata, si voltò e uscì dalla stanza che gli avevano consentito di continuare a occupare, persino adesso che era in via di guarigione.
Fuori, nel cortile sul davanti della postazione, erano stazionate due squadre. Una era la terza squadra della Ventunesima Compagnia, e l'altra una squadra di Lancieri deforyani in alta uniforme. Quest'ultima era già posizionata in formazione, mentre i soldati della terza squadra al comando di Egyl, che faceva le funzioni di comandante di squadra anziano, erano tutti riuniti dietro a Selvaggio. Nel vederlo avvicinarsi, il cavallo scartò leggermente con la testa, ma si calmò subito, rassicurato dai Talento-sensi di Alucius. «È contento di vedervi, signore», disse Egyl. «Tutti noi lo siamo.» «Anch'io sono contento di vedervi», rispose Alucius, evitando di sottolineare il fatto che avrebbe desiderato vedere ben più dei quattordici soldati superstiti della terza squadra. Quindi montò in groppa e si sistemò sulla sella. Il capitano maggiore deforyano impartì un comando a voce bassa, e i suoi soldati cominciarono ad avviarsi attraverso i cancelli spalancati. «Avanti!» ordinò Egyl, a un cenno di Alucius. Dopo che furono usciti dalla postazione e si furono diretti a nord, Alucius alzò lo sguardo a osservare la via principale, che sembrava poco diversa dalle volte precedenti, percorsa sui due lati - ma non al centro - da venditori ambulanti, mendicanti e gruppi di persone che si recavano a fare acquisti, a eccezione di un ragazzo, che l'attraversò di corsa per poi nascondersi dietro ad alcune donne anziane. Senza neppure ricorrere ai Talento-sensi, ma solo in base al proprie sensazioni generali, Alucius capì che il ragazzo doveva aver rubato qualcosa. «Sapete perché il Landarco vi vuole vedere, signore?» chiese Egyl «Non ne so molto di più di quello che ti ho detto», rispose Alucius. «Mi ha mandato a chiamare perché desidera esprimersi personalmente la sua gratitudine. A quanto dice l'aiuto-maresciallo Ahorak, si tratta di un grande onore.» «È più di quanto abbiamo avuto dal Consiglio.» Proprio così, rifletté Alucius, ma in quell'occasione non avevano salvato un intero Paese. In effetti, aveva assistito all'occupazione della sua terra da parte dei lanachroniani perché un pugno di avidi mercanti era più interessato al denaro che non all'indipendenza, e né lui né il colonnello Clyon erano stati in grado di fare granché. La cavalcata fu breve, meno di mezzo vingt a nord dalla Prima Base Lancieri ai cancelli di ferro della residenza del Landarco, le guardia della
quale stazionava una mezza squadra di lancieri in unica forme rossa. Al passaggio di Alucius, questi chinarono il capo, seppure per un attimo. «È la prima volta che assisto a un'accoglienza del genere» osservò Egyl. «Anch'io», replicò Alucius, «ma l'unica occasione in cui siamo stati qui in precedenza era per un banchetto». Poi si fece silenzioso e pensò ai tre ufficiali che erano con lui quella volta, e che adesso erano morti. Benché non avesse approfondito la conoscenza del maggiore, e non gli importasse molto di Clifyr, sentiva invece la mancanza di Heald, che avrebbe voluto poter conoscere meglio. «Signore...» mormorò Egyl. Alucius alzò lo sguardo. L'intero muro all'interno del cortili antistante il palazzo del Landarco era di un color azzurro scintillate: l'azzurro delle corazze appartenute ai nomadi. «Non si può certo dire che qui ci siano poche corazze», commentò Egyl sottovoce. Alucius le contò, cercando di fare una rapida moltiplicazione. Di quello che riuscì a calcolare, là dentro dovevano esserci quasi tremila corazze: più di quante l'intero esercito deforyano e le compagnie occidentali messi insieme potessero vantare. «Decisamente più dei lancieri e dei nostri uomini, direi.» «Si sapeva fin dall'inizio.» Egyl si interruppe, mentre si avvicinavano all'ingresso. Mentre fermavano i cavalli sotto la tettoia, Alucius scorse l'aiutomaresciallo in piedi in attesa, sui gradini della scalinata. Insieme a lui c'era un uomo dai capelli bianchi con indosso l'uniforme di maresciallo. Alucius scese da cavallo e porse le redini di Selvaggio a Egyl: «Non so quanto ci vorrà». «Non vi preoccupate, signore. Aspetterò.» Alucius salì tre gradini e si inchinò. «Maresciallo, aiuto-maresciallo.» «Capitano maggiore Alucius», lo salutò Ahorak, «vi presento il maresciallo Seherak». Alucius inclinò il capo. «Molto onorato, maresciallo.» «Siamo tutti onorati dalle vostre gesta, capitano maggiore.» «I vostri lancieri hanno combattuto da prodi», replicò Alucius, pensando che i lancieri avevano combattuto con coraggio, seppure senza troppa intelligenza. «Sono stati molto coraggiosi.»
Alucius sentiva che il maresciallo era incuriosito, e anche un po' irritato, sebbene non lo desse a vedere e si comportasse con estrema cortesia. Ahorak sembrava invece preoccupato. «Avete visto le corazze dei nomadi nel cortile anteriore?» chiese l'automaresciallo Ahorak, comunicando ancora un'impressione di nervosismo. «Sì», confermò Alucius. «Ce ne sono quasi altrettante nel cortile sul retro. Il Landarco ha voluto che fossero esposte, così che tutti potessero capire l'importanza di questa vittoria.» Ahorak sorrise di nuovo. «Venite. Il Landarco vi aspetta.» Scortato dai due ufficiali deforyani, Alucius attraversò gli archi di pietra e fece il suo ingresso nel palazzo. Tre lancieri deforyani condussero il gruppetto nella stessa sala che aveva ospitato il banchetto, ma poi li fecero proseguire verso un passaggio a volta fiancheggiato da duplici colonne, accanto alle quali stavano di guardia tre lancieri con uniformi rosse, ornate però da cordoncini dorati sulle maniche. Quando furono in prossimità della porta, i tre lancieri si fecero da parte. Una voce profonda e sonora annunciò: «Il maresciallo Seherak, l'aiutomaresciallo Ahorak e l'onorevole capitano maggiore Alucius, rappresentante del Signore-Protettore di Lanachrona e delle Valli del Ferro». Il Landarco stava seduto nella sala delle udienze - relativamente piccola rispetto a quella appena attraversata - sopra una pedana di durapietra dalle sfumature color giallo oro. La sedia era di legno dorato e sembrava molto antica. Quando ebbero raggiunto i gradini che portavano sulla pedana, i due marescialli si fermarono, imitati da Alucius. Il Landarco si alzò e avanzò di due passi nella sua direzione. «Capitano maggiore... venite, vi prego...» Alucius si inchinò, poi salì lentamente e con cautela i tre gradini. Una volta giunto in cima, inclinò di nuovo il capo. Il Landarco sorrise. Indossava la stessa tunica verde scuro e i pantaloni con profili dorati che portava al banchetto. Alucius sentì che il sorriso del Landarco era amichevole, quasi spiacente, ma attese che fosse lui a cominciare a parlare. «Deforya vi è molto grata, capitano maggiore Alucius, davvero molto grata. Se un così gran numero di lancieri non avesse assistito alle imprese vostre e dei vostri soldati, sarebbe stato difficile crederci. Ma tutti mi hanno testimoniato che, con due sole compagnie, avete sbaragliato un intero schieramento di nomadi, per poi abbattere le creature alate munite di Talento e annientare la metà delle forze nemiche.» Il Landarco continuò a
sorridere, anche se una certa titubanza traspariva dietro la sua espressione amichevole. «Siete molto gentile, onorevole Landarco.» Alucius inclinò di nuovo leggermente il capo. «Siamo venuti a compiere il nostro dovere e abbiamo cercato di compierlo al meglio. Molti uomini coraggiosi hanno pagato con la vita, e molti di essi erano deforyani.» «Hanno compiuto il loro dovere, e con coraggio. Ma voi e i vostri uomini siete andati al di là del semplice dovere e avete salvato una terra che non è la vostra.» Il Landarco fece un breve cenno con la mano. Un uomo vestito di rosso venne avanti portando un cuscino di velluto dello stesso colore. Su di esso poggiava una stella d'oro a otto punte, con un bordo in smalto verde brillante. «Questa è la Stella del Coraggio. Nel corso delle generazioni successive al Cataclisma, solo venti persone hanno ricevuto questa onorificenza. Voi siete il ventunesimo. Non riesco a immaginare nessuno più degno di voi di portarla.» Il Landarco fece una pausa. «Se, da quel che ho sentito, siete del parere che i vostri soldati dividano con voi una parte del merito, allora vi chiedo di portarla anche a loro nome.» Il funzionario presentò il cuscino al Landarco, che prese la decorazione e l'appuntò sul petto di Alucius. Poi il Landarco fece un altro cenno. Comparve un secondo funzionario con uno scrigno di legno intagliato, che aprì mostrandone il contenuto. Al suo interno c'erano centinaia di monete d'oro. «Ci sono due monete d'oro per ogni soldato che vi ha accompagnato a Deforya», disse il Landarco. «È poco, lo so. Non ho oro a sufficienza per tutti quanti, e questo è un semplice pegno, ma un pegno offerto a voi e ai vostri uomini, soltanto per voi. Dimostrerò in altro modo la mia riconoscenza al vostro Signore-Protettore.» «Vi ringrazio per la gentilezza, onorevole Landarco, e non mancherò di trasmettere il vostro sollecito pensiero e apprezzamento ai soldati e ai familiari di coloro che sono caduti in battaglia.» «Sono certo che lo farete, capitano maggiore. I nostri ringraziamenti sono sinceri, benché non generosi quanto vorrei.» Il sorriso esitante si era trasformato, seppur impercettibilmente, in uno più professionale e sicuro. «Ho saputo che partirete al termine della settimana.» Alucius non ne era stato messo al corrente, anche se, così, avrebbe avuto altri sei giorni per rimettersi in forze e per assicurarsi che il suo esercito, ormai privo di ogni sostentamento, ricevesse un'adeguata quantità di viveri
e l'equipaggiamento necessario. «Mi sembra di capire che questo sia il programma, sempre che abbiamo i viveri e l'equipaggiamento necessari.» «Il maresciallo Seherak e l'aiuto-maresciallo Ahorak faranno sì che riceviate tutto quanto vi occorre.» Lo sguardo del Landarco si posò sui due ufficiali rimasti ai piedi della pedana. «Tutto quanto.» Entrambi i marescialli inclinarono il capo in segno di assenso. «Vi auguriamo un felice ritorno a Lanachrona», aggiunse il Landarco. «Non dimenticheremo ciò che avete fatto.» Fece un ultimo cenno col capo e indietreggiò. Alucius si inchinò, poi scese i gradini della pedana, camminando in senso obliquo, poiché non voleva dare le spalle al Landarco, ma neppure camminare all'indietro. Il funzionario con lo scrigno di monete d'oro lo seguì. I due marescialli scortarono Alucius attraverso la sala dei ricevimenti e l'ingresso, in direzione dell'uscita, sempre seguiti dal funzionario. Mentre si avvicinavano all'arco che conduceva all'esterno, l'aiutomaresciallo Ahorak disse: «Nel pomeriggio il maggiore Wasanyk vi farà visita per discutere ciò che vi servirà durante il viaggio». «Lo riceverò con piacere, e vi siamo fin d'ora grati per il vostro interesse e l'aiuto che ci vorrete offrire.» Tutti e tre gli uomini si scambiarono sorrisi, benché Alucius fosse ben consapevole che altro non si trattava che di espressioni di falsità a livelli diversi. All'esterno, Egyl e la terza squadra stavano ancora aspettando insieme ai deforyani. «Egyl... ci serve qualcuno di fiducia a cui lasciare in custodia lo scrigno.» «Sì, signore.» Egyl si girò sulla sella. «Waris, vieni avanti!» Il ricognitore prese in consegna lo scrigno e se lo sistemò davanti sulla sella. Poi Alucius salì in groppa a Selvaggio e salutò con un ultimo cenno del capo i due marescialli fermi in cima alla scalinata. Egyl non pronunciò sillaba finché non ebbero lasciato il cortile del palazzo e non si furono avviati a sud, lungo la via principale che li avrebbe riportati alla Prima Base Lancieri. «La stella, signore?» «Oh... questa. È la Stella del Coraggio. Il Landarco non ne voleva distribuire a centinaia. Così l'ha data solo a me chiedendomi di portarla a nome di tutti.» «Scommetto che non ha detto proprio così, signore.»
«No, ma ci è andato vicino», disse Alucius. «Ed è quello che diremo a tutti quanti.» «E lo scrigno, signore?» «Due monete d'oro per ogni soldato, e due per le famiglie di chi non ce l'ha fatta.» «È già qualcosa», concesse Egyl. «Il Landarco si è scusato di non poterci offrire di più, ma ci fornirà viveri e munizioni per il viaggio di ritorno. Ha detto ben chiaro ai due marescialli che ci dovranno dare tutte le provviste di cui abbiamo bisogno.» «Gentile da parte sua.» Il tono di voce di Egyl era secco. «Non credo che ci vorremo fermare più a lungo. Lo abbiamo reso molto nervoso.» «Già, me ne rendo conto. Persino senza contare il vostro ultimo exploit, signore, le nostre cinque compagnie hanno ucciso più nomadi di quanto non abbiano fatto le loro venticinque messe insieme.» «Il Signore-Protettore possiede circa un centinaio di compagnie. Mi sembra di capire che il Landarco ne abbia, al momento, solo una quindicina. Al posto suo, sarei preoccupato anch'io.» Egyl ridacchiò. «Avete informato il Landarco dell'esistenza dell'altro sentiero?» Alucius sogghignò. «Mi sono dimenticato. E credo che non lo abbia fatto neppure il maggiore Draspyr.» «Signore...» Egyl rise. «Non erano molto interessati a Cresta Nera. Se vorranno approfondire la questione, lo scopriranno da soli. Abbiamo lasciato delle tracce. In caso contrario...» Alucius si strinse nelle spalle. «Dobbiamo prepararci. Questo pomeriggio verrà da noi un maggiore per vedere quali sono i viveri che ci servono. Parla con tutti i comandanti di squadra. Fai in modo di avere pronta una lista di tutto ciò che occorre: soprattutto munizioni, cavalli da soma e cavalli per i carri delle provviste.» «Sì, signore. Avevo già cominciato a prepararla.» «Bene.» Ancora una volta Alucius si disse fortunato a essere affiancato da comandanti di squadra come Longyl ed Egyl. Il viso gli si fece serio, mentre pensava a Longyl... e a Heald. 76 Nell'ampio letto che pareva così vuoto senza Wendra, Alucius si rivoltò
nell'oscurità. Poi si mise a sedere di scatto, in cerca della sciabola. Nonostante godesse di un'ottima vista notturna, la figura ferma sulla soglia gli apparve indistinta, e appena poco più grande di un bambino di dieci anni. Capitano maggiore... non ti occorrono armi. Ma le puoi portare, se lo desideri. Alucius aggrottò la fronte. La figura femminile in realtà non aveva parlato, e il suo filo vitale era di un bel colore verde compatto, diverso da quelli che aveva visto fino a quel momento. Ma, sebbene il Talento gli dicesse che lei non intendeva fargli del male, si teneva ancora sulla difensiva. Vestiti e seguimi. C'è qualcosa che dovresti sapere prima di lasciare Dereka. Alucius rifletté un attimo, poi sgusciò fuori dal letto e si infilò i pantaloni, la tunica e gli stivali. Si allacciò anche la cintura della sciabola. Mentre lui si vestiva, la donna incappucciata rimase ferma, sul limitare della porta. Quando le si avvicinò, sfiorando con le dita l'impugnatura della sciabola, percepì in lei una sorta di divertimento. Non ne avremo bisogno, ma portala con te, se lo desideri. Poi la sconosciuta si girò e toccò l'antico supporto fissato alla parete, inizialmente destinato a reggere una torcia a raggi di cristallo, ma adattato in seguito a fare da sostegno a una lampada a olio. In silenzio, una sezione del muro si aprì, seppure solo di mezza iarda all'incirca. La donna vi si infilò attraverso, senza guardarsi indietro. A una iarda dall'apertura era fissato un altro supporto, che però questa volta sosteneva una vera torcia a raggi di cristallo. A un cenno della donna Alucius la prese e l'accese, benché non avesse bisogno del suo limitato ma intenso fascio di luce per distinguere la scala di pietra che si trovava all'estremità opposta del piccolo locale privo di finestre. La scala portava in basso. Dalla lieve luminescenza che permeava le pareti e il pavimento, Alucius capì che il posto in cui si trovava era stato costruito interamente in durapietra dorata. La sua minuscola compagna scese leggera i gradini, sempre evitando di voltarsi indietro. Alucius la seguì, non prima di essersi lanciato un'ultima occhiata alle spalle per accertarsi che il varco per il quale erano entrati fosse rimasto aperto. Sentiva che quel luogo non veniva visitato da anni, se non da generazioni, nonostante l'assenza di polvere e sebbene l'aria non fosse né viziata né sapesse di muffa. Chissà se tra le proprietà della durapietra figurava anche quella di preservare la qualità dell'aria? La scala continuò a scendere per circa tre piani, forse di più.
Un paio di iarde dopo la fine delle scale c'era un altro arco di pietra formato da due pilastri sormontati da un architrave rettangolare. Alucius continuò a seguire la donna che, a suo parere, era in qualche modo simile a un'ariante o allo spirito dei boschi che gli aveva fornito la soluzione per aprire il collare della Matride. Ma questa non era dotata di ali, e non c'erano neppure alberi nelle vicinanze, perlomeno non a Dereka. Oltre l'arco si trovava una lunga stanza il cui alto soffitto a volta si ergeva per cinque iarde abbondanti al di sopra della testa di Alucius. La stanza misurava circa quindici iarde per sei. Non c'erano finestre, e le pareti erano coperte da dipinti. Guarda molto attentamente... Alucius puntò il raggio della torcia sul murale che correva tutt'intorno alle pareti, rendendosi conto che non vi era raffigurata una sola scena, bensì un'intera serie, e ogni immagine misurava due iarde di lunghezza e una di altezza. I colori avevano mantenuto la brillantezza e la freschezza del giorno in cui erano stati stesi. Sicuramente doveva essere così, dato che Alucius non riusciva davvero a immaginarli più vividi di come gli apparivano. Ogni immagine era incredibilmente reale. Si costrinse a iniziare dalla prima, a sinistra dell'arco, dov'era riprodotta una nave senza vele, la cui prua ricurva fendeva le acque scure in mezzo a due ali di schiuma, quasi a comunicare l'idea di grande velocità. Sull'asta dell'albero di bompresso sventolava un vessillo che Alucius non aveva mai visto, sul quale figuravano due scettri incrociati leggermente diversi l'uno dall'altro, ma entrambi di colore azzurro metallico, posti sopra una stella verde brillante a otto punte. A giudicare dalle dimensioni delle figure che si affacciavano sul ponte, l'imbarcazione doveva essere lunga circa duecento iarde. La stella aveva la medesima forma di quelle usate dal Landarco e ricordava la decorazione che era stata conferita ad Alucius. Il secondo dipinto descriveva una creatura con ali azzurre simili a cuoio, ripiegate lungo il corpo. Accanto allo pteridon, poiché di questo si trattava, si vedeva un cavaliere con indosso una scintillante corazza ugualmente azzurra e con in mano una lancia metallica dello stesso colore. Il cavaliere aveva il viso di un pallore luminescente, gli occhi viola e i capelli e le sopracciglia neri e lucidi. Nella terza scena era dipinta una figura maschile dai capelli color sabbia e dalla pelle scura, incatenata a una struttura metallica a forma di T, al centro di un palco di pietra rotondo. La bocca dell'uomo era spalancata, come per protestare. Sopra al palco, sulla sinistra, si trovava un alto podio, o
pulpito, fatto con una sorta di metallo azzurro riflettente. Dietro c'era una donna con indosso un lucente abito azzurro. I capelli erano neri e lucidi, il volto e il collo bianchi e quasi opalescenti, le labbra rosse e gli occhi viola. Da qualche punto imprecisato in alto, filtrava una luce cerulea che si proiettava sul prigioniero al centro del palco, dalla cui grigia tunica cominciavano a scaturire lingue di fuoco azzurrognolo. Alucius spostò adagio la torcia da un dipinto all'altro, poiché, sebbene fosse in grado di distinguere le varie raffigurazioni senza il suo ausilio, avrebbe comunque rischiato di lasciarsene sfuggire i dettagli. Vide immagini di possenti buoi della sabbia, dal candido manto sfumato di viola, intenti a trainare a grande velocità enormi carri lungo le strade principali, città gremite di palazzi in durapietra dorata e scintillanti torri verdi, un porto affollato di navi delfino, uomini e donne abbronzati che raccoglievano frutta da file di alberi, sorvegliati da un guardiano dalla pelle d'alabastro, e una grossa chiatta diretta a sud sul fiume Vedra. Quell'ultimo luogo gli era familiare, perché gli argini erano identici a quelli che aveva potuto ammirare a Hieron, benché nel dipinto non comparisse tale città. Alucius avanzava adagio, osservando le varie scene con attenzione. Quando si ritrovò al punto di partenza, le contò: erano ventuno. Poi venne colpito da un altro particolare e diresse di nuovo il raggio della torcia verso il murale. Tutti i visi riprodotti avevano lo stesso incarnato opalescente, i capelli neri e gli occhi viola. Si voltò, come per chiedere spiegazioni allo spirito-donna... ma la stanza era vuota. Fece correre la torcia lungo le pareti e verso l'alto soffitto a volta, ma lei se n'era andata. Ripercorse il cammino a ritroso e risalì la scala, chiedendosi se non fosse rimasto intrappolato e se il varco fosse ancora aperto. Lo era, e nel rimettere piede in camera sua non poté impedirsi di tirare un sospiro di sollievo. L'apertura non si richiuse. Alla fine, dopo che Alucius ebbe fatto ruotare il supporto della torcia nella posizione originale, il muro ritornò adagio al proprio posto. A questo punto, lui fece un passo avanti, lasciando scorrere le dita sull'antica superficie di pietra. Gli interstizi di giunzione erano talmente sottili da essere a malapena distinguibili, inoltre non gli riuscì di percepire nulla al di là della parete, nemmeno facendo ricorso al Talento. Pareva quasi che la durapietra lo bloccasse. Si era forse trattato di un altro sogno? A dir la verità, gli era sembrato anche troppo reale. Abbassò lo sguardo e si accorse di avere ancora in ma-
no l'antica torcia a raggi di cristallo, di un tipo che non aveva mai visto, il cui fascio di luce creava un vivido cerchio bianco sul pavimento di pietra. La spense e se la fece scivolare all'interno della tunica. Riportò lo sguardo sul supporto della lampada a olio, proprio sopra la sua testa. Dopo qualche istante, tese la mano e lo fece girare. Nel muro si riformò il varco. Alucius lo attraversò, ma la lunga scala era ancora là, con i gradini che portavano in basso. Si voltò e tornò in camera, azionando il dispositivo di chiusura. L'apertura scomparve. Perché mai lo spirito - oppure si trattava di un'ariante travestita - era apparso adesso, dopo le battaglie? Perché gli aveva mostrato il murale nascosto? Sentì una morsa serrargli lo stomaco. Guardando fuori dalla finestra, vide che il cielo si stava facendo grigio. Anziché cercare di rimettersi a dormire per quel poco tempo che mancava all'arrivo dell'alba, si spogliò e andò nella stanza da bagno attigua alla camera per lavarsi e prepararsi in vista del nuovo giorno che aveva davanti. E per riflettere. III. L'OSCURITÀ DEL TRIONFO 77 Il giorno di septi si annunciò sereno e più fresco, forse in previsione della stagione del raccolto, che avrebbe dovuto iniziare di lì a meno di una settimana. Il cielo al di sopra del cortile dei lancieri era di un colore verdeargento luminoso, e un vento frizzante, ma non freddo, soffiava da nord. Alucius era già in sella, le spalle rivolte ai cancelli spalancati. Dinanzi a lui, i soldati - raggruppati in tre compagnie - erano schierati in formazione e divisi per compagnia. «Ventunesima Compagnia, presente e pronta, signore», dichiarò Egyl. «Quinta Compagnia, presente e pronta, signore», riferì Feran. «Terza Compagnia, presente e pronta, signore!» Koryt aveva ancora il braccio sinistro steccato e appeso al collo. «Riposo.» Alucius fece girare Selvaggio e si diresse, attraverso lo stretto corridoio formato dalla Ventunesima e dalla Quinta Compagnia, verso il cortile aperto che si trovava alle loro spalle. Si fermò a poca distanza dalla balaustra della piattaforma, dove era fermo ad aspettarlo il maresciallo Seherak.
«Capitano maggiore.» «Siamo pronti a lasciare Dereka, maresciallo.» «Tutta Deforya vi augura buon viaggio.» Il maresciallo Seherak sorrise caloroso. «Avete operato magnificamente, capitano maggiore, e dimostrato un coraggio incredibile.» Senza nemmeno affannarsi troppo, Alucius avvertì la freddezza che si celava dietro a quell'espressione cordiale, come se il Talento fosse diventato parte integrante dei suoi sensi fisici e funzionasse ancora prima che lui si concentrasse per richiamarlo. Avvertiva anche una sorta di velato disprezzo, quasi il maresciallo pensasse che Alucius fosse uno sciocco fortunato e senza cervello. «Sappiamo entrambi, maresciallo, che tale coraggio è nato dalla disperazione, è stato utilizzato con abilità e ricompensato dalla fortuna», rispose Alucius sorridendo. Il sorriso dell'altro mutò, seppure impercettibilmente, mentre replicava: «Può darsi, ma sempre di coraggio si è trattato». «Ciascuno di noi cerca di svolgere al meglio i compiti che gli sono stati assegnati, signore, e vi ringrazio per la considerazione e per le generose provviste che ci avete fornito per il viaggio. Trasmetterò i vostri omaggi e saluti al Signore-Protettore.» «Abbiamo apprezzato molto l'aiuto che egli ci ha concesso per il mantenimento dell'autonomia di Deforya.» Il tono di voce del maresciallo sottolineò appena la parola «autonomia». Alucius avrebbe voluto che anche le Valli del Ferro fossero state trattate con maggiore «autonomia» dal Signore-Protettore, ma qualcosa gli faceva credere che neppure i deforyani sarebbero rimasti a lungo indipendenti, visto il loro modo di combattere e il comportamento dei loro proprietari terrieri. «Non mancherò di comunicargli i vostri ringraziamenti, maresciallo.» Alucius inclinò il capo, poi girò il cavallo e si avviò verso i cancelli. Una volta giuntovi, occupò il suo posto dietro alla simbolica avanguardia, alla testa delle sue truppe. «Colonna, avanti!» Mentre i soldati - ora praticamente solo Guardie del Nord - uscivano dal cortile e si dirigevano a nord, Alucius rifletté. Mezza stagione prima, sei ufficiali e cinque compagnie quasi a pieno effettivo erano partiti da Lanachrona. Adesso... erano tre gli ufficiali a tornare, alla testa di tre compagnie, il cui numero di uomini in forza era pari a quello di due soltanto, lui era l'ufficiale anziano, e tutti acclamavano alla grande vittoria conseguita sui nomadi, su Aellyan Edyss e i suoi pteridon.
Ma il fatto più preoccupante era costituito dalla comparsa dello spirito simile a un'ariante e dalla sua visita alla stanza segreta. Chiedendosi ancora se si trattasse di un sogno, Alucius era sceso nel sotterraneo un'ultima volta, prima che i soldati si radunassero in cortile... ma la stanza e il murale erano sempre là. Mentre passavano oltre il palazzo del Landarco, la mezza squadra di soldati deforyani di guardia ai cancelli scattò sull'attenti. Alucius rese il saluto con un inchino. «Avete visto?» domandò Egyl. «È la seconda volta.» «Ho visto. Loro comprendono l'importanza di ciò che abbiamo fatto.» «Non pensate che gli ufficiali capiscano?» «Solo alcuni, credo, i capitani perlopiù. Anche il Landarco, ma lui è da considerarsi altrettanto prigioniero dei capitani.» «Signore?» «I capitani maggiori e i loro superiori provengono tutti da famiglie di proprietari terrieri. Essi esercitano il controllo sulle terre e sui Lancieri deforyani e su chiunque controlli coloro che a loro volta esercitano il potere su Deforya.» Alucius indicò la gente sui marciapiedi e nelle botteghe. «Guarda. Non c'è quasi nessuno che ci degni di uno sguardo. Ai loro occhi, qualunque soldato equivale a un lanciere. Non c'è differenza. Piuttosto che niente, sono contenti di vederci partire.» Egyl si accigliò. «Non credete che funzioni così dappertutto?» «Non fino a questo punto.» Alucius si sistemò meglio sulla sella. «Nelle Valli del Ferro ci sono gli artigiani, i pastori e i mercanti. I mercanti possiedono i soldi e il potere, ma di tanto in tanto devono anche ascoltare gli altri. A Lanachrona ci sono i produttori di vino, i mercanti, le corporazioni degli artigiani e le Guardie del Sud. Queste ultime sono composte soprattutto da ufficiali che hanno fatto carriera partendo dalla gavetta, il che significa che la loro lealtà va ai superiori e al Signore-Protettore, non certo a chi possiede il denaro.» «Siete preoccupato, non è vero, signore?» «Abbiamo davanti un lungo viaggio», disse Alucius. «Mi sentirò meglio quando saremo tornati a Dekhron.» «Dekhron, signore?» «In quale altro posto potremmo andare? Hanno chiuso Emal e non abbiamo ricevuto ordini. Preferisco andare là, piuttosto che a Borlan o a Tempre, senza parlare del fatto che Dekhron è molto più vicina.» Quello era un altro aspetto che lo impensieriva, anche se in quel momento Alucius
era troppo concentrato sulle preoccupazioni che già lo assillavano e che non era nemmeno in grado di identificare. 78 Tempre, Lanachrona Nell'oscurità rischiarata da un'unica lampada accesa nell'antica stanza sotterranea, la stanza al di sopra della quale più tardi era stato costruito un palazzo, l'Archivista degli Atti avanzava verso la Tavola. Il passo era strascicato, esitante, come se i piedi si muovessero contro la sua volontà. Il respiro era affannoso. Alla fine, si fermò accanto alla Tavola degli Archivisti. Sebbene l'aria della notte fosse fresca, la sua fronte era imperlata di sudore. Le mani si appoggiarono sul bordo, poi afferrarono la parte inferiore del rivestimento di lorken, come per cercare di alzarlo. Ma la Tavola non si mosse. Dopo qualche istante, l'Archivista abbassò lo sguardo sullo specchio e sulla foschia purpurea che si stava formando. La nebbia si alzò turbinando al di sopra della lucida superficie di cristallo, nel debole chiarore della stanza, avvolgendo il viso dell'Archivista. Questi girò il capo, ma il corpo rimase là immobile. L'intera sua struttura venne percorsa dai brividi, una, due volte, per poi irrigidirsi in preda agli spasmi e collassare in un mucchietto informe sul pavimento accanto alla Tavola. La nebbia svanì e la superficie dell'antica Tavola apparve di nuovo levigata e intatta, priva persino delle impronte delle dita sul bordo del cristallo e sulla sua lucida cornice di lorken. Circa un quarto di clessidra più tardi si udì un lamento, che si interruppe bruscamente. L'Archivista rotolò su se stesso, si stirò, poi si alzò con la grazia di un uomo molto più giovane e vigoroso. Nel vedere la Tavola, gli occhi gli si illuminarono e le labbra si incurvarono in un sorriso soddisfatto, prima che si voltasse e uscisse con passo rapido dalla stanza. 79 Alucius lanciò uno sguardo alla sua destra, al di là del canale artificiale a nord, verso le grigie alture rocciose che si ergevano oltre il canyon nel quale era stata scavata la strada che li avrebbe ricondotti a Lanachrona.
Poco più avanti, i due ricognitori della Seconda Compagnia stavano avanzando su per la leggera salita in cima alla quale la strada sarebbe proseguita in piano per oltre dieci vingti, come Alucius ben ricordava, attraverso una stretta valle che conteneva ben poco all'infuori di bassi cespugli e sassi. Gli alberi erano radi, costituiti perlopiù dalle conifere contorte e piegate che avevano già avuto occasione di vedere all'andata. Non c'era praticamente altra vegetazione, neppure in prossimità dei corsi d'acqua, se non qualche misero cespuglio che era riuscito ad affondare le proprie radici in qualche punto della roccia dove la terra e la sabbia si erano ammucchiate nel corso dei secoli, dai tempi in cui la strada e il canalone erano stati scavati nel cuore delle montagne della Dorsale Superiore. Mentre procedeva cavalcando verso ovest lungo la strada principale, Alucius avvertì più forte che mai il senso di dolore già percepito in precedenza. Mentre rifletteva, accarezzò Selvaggio con aria assente. Chissà se quella sensazione si era fatta davvero più forte o se erano invece i suoi sensi ad essersi acuiti! Continuava a fare sogni - o frammenti di sogni - che avevano come protagonisti uomini e donne dalla pelle d'alabastro. Se l'antico murale nella stanza sotterranea era veritiero, e Alucius sapeva che lo era per quanto non fosse in grado di provarlo, allora, durante il Duarcato, l'antica Corus era stata governata da persone simili alla Matride. Ma nessun testo di storia accennava a questo particolare. Né gli era mai capitato di leggere racconti o leggende che ne parlassero. Il che voleva dire che nulla di quanto fosse stato scritto negli ultimi cento anni riguardo alla Matride aveva mai messo in evidenza le peculiarità del suo aspetto. Chissà se si trattava di qualcosa che veniva dato per scontato, talmente privo di interesse da non essere neppure preso in considerazione dagli antichi abitanti? E che dire dei cavalieri sugli pteridon? Anch'essi avevano lo stesso incarnato pallido, sebbene non così diafano come quello delle figure rappresentate nel dipinto. Era possibile che una qualche sorta di Talento avesse mantenuto giovani i cavalieri sin dai tempi del Cataclisma? O forse cavalcare una di quelle creature volanti aveva contribuito a modificare l'aspetto dei nomadi? Ancora una volta senza poterlo provare, Alucius aveva capito che l'ultimo cavaliere da lui abbattuto, e la cui morte era stata quasi causa della sua, altri non era che Aellyan Edyss. Ma se le cose stavano davvero così, l'ipotesi che gli antichi pteridon potessero trasformare le sembianze di chi li
cavalcava non reggeva. E i collari della Matride, allora? Possedevano anch'essi antiche Talento-energie che le avevano reso pallido l'incarnato e viola gli occhi? Oltre a mantenerla eternamente giovane, come avevano affermato gli ufficiali matriti? E cosa aveva a che fare tutto ciò con lo spirito-donna che gli aveva mostrato il murale? Gli aveva detto che doveva vederlo. Ma perché? E che avrebbe potuto fare? Forse lei si aspettava che uccidesse tutti gli individui dalla pelle d'alabastro incontrati sul suo cammino? O che diffidasse di loro, come se già non lo stesse facendo? Serrò le labbra. «Tutto bene, signore?» chiese Egyl. «Stavo ancora riflettendo», confessò Alucius. «Continuo a chiedermi come abbia fatto Aellyan Edyss a procurarsi quegli pteridon, e se ce ne sono altri in giro. E per quale motivo ubbidivano a lui e ai suoi cavalieri.» «Non starei a pensarci su troppo, signore. Dobbiamo già essere contenti che sapevate cosa fare.» Una clessidra più tardi, Alucius era ancora immerso nelle sue riflessioni... ed era sempre più preoccupato. Si sistemò meglio sulla sella, non perché fosse stanco, ma perché si sentiva a disagio. Per il momento, non aveva avvertito la presenza viola-azzurrognola dell'essere misterioso dell'andata, ma quella mancanza di segni di vita lo impensieriva più di quanto non avesse fatto in precedenza. Persino il lieve bagliore del fondo stradale in durapietra gli sembrava essersi fatto più fioco. Chissà se era perché i suoi Talento-sensi si erano acuiti ed erano diventati più attivi? O perché la mancanza di vita emanata da quelle montagne aveva realmente eroso un po' dell'energia presente nel selciato? O semplicemente perché lui era più ansioso? Aveva tutti i motivi per non esserlo. Era riuscito a sopravvivere a una situazione quasi impossibile e stava tornando a casa. Gli mancavano meno di quattro mesi al congedo, e non c'era alcuna immediata avvisaglia di altri possibili conflitti o guerre. Erano stati dunque la visita di uno spirito dalle sembianze di ariante e una manciata di sogni a farlo sentire così inquieto? Venne percorso da un brivido. Poi aggrottò la fronte. Perché mai doveva sentire così freddo? Era quasi l'inizio della stagione del raccolto, ma lui indossava indumenti di seta nerina e un giaccone, e la brezza che soffiava da ovest attraverso il canalone era solo piacevolmente fresca. Di lì a un momento venne travolto da un'ondata di vuoto rossastro che lo colse impreparato, dato che non si era aspettato un evento del genere sulla
strada principale. Quelle morti - presumibilmente dei due ricognitori - erano state provocate dal freddo che aveva avvertito in precedenza, ma qualunque cosa ne fosse stata la causa doveva trovarsi poco più avanti. Si voltò verso Egyl. «Fucili pronti! Passa parola.» «Ah... sì, signore. Fucili pronti. Ventunesima Compagnia! Fucili pronti!» Prima ancora che Egyl potesse fargli qualche domanda, Alucius chiese: «Chi sono i tuoi tiratori migliori?». «Waris e Dueryn, naturalmente, e forse anche Makyr e Fiens.» «Ordina loro di portarsi in testa alla colonna.» C'era qualcosa là davanti e, per quanto sembrasse ostile, non si trattava di lancieri o di nomadi. Ma di qualunque cosa si trattasse - e Alucius non ne aveva idea - il freddo che emanava e le morti che aveva causato, e di cui lui non aveva fatto cenno, lasciavano ben pochi dubbi circa la sua ostilità. Alucius non aggiunse altro finché i quattro tiratori scelti non si trovarono a cavalcare fianco a fianco alle sue spalle. Poi si girò a mezzo sulla sella. «C'è qualcosa dinanzi a noi, e non credo che abbia intenzioni amiche voli nei nostri confronti.» «Ma i ricognitori...» cominciò col dire Egyl. «Potrebbero non averla vista in tempo. Voglio che voi quattro vi disponiate allineati subito davanti a me, in modo da avere una linea di tiro sgombra da eventuali ostacoli. Tenetevi pronti non appena arriveremo in cima alla salita.» «Sì, signore.» Mentre i quattro avanzavano, Alucius controllò i suoi fucili e cominciò a rivestire ogni cartuccia con lo stesso tipo di oscurità che gli aveva permesso di abbattere gli pteridon. Dopo aver finito con le sue cartucce, cominciò a far scorrere l'oscurità vitale - poiché era così che la considerava - in quelle dei quattro soldati. A mano a mano che la colonna si approssimava alla sommità, il freddo e il buio si facevano più opprimenti. Alucius aveva l'impressione che più avanti ci fosse un muro d'acqua pronto ad abbattersi su di loro e a spazzarli via. Ma, d'altra parte... cos'altro avrebbero potuto fare se non avanzare? Ritirarsi di fronte a un nemico così potente in quello stretto canalone sarebbe stato molto peggio. Mentre procedeva, Alucius impugnò uno dei fucili. Ancora prima che la testa della colonna raggiungesse la cima, si udirono le esclamazioni soffocate degli altri. Alucius guardò Egyl con la coda dell'occhio. Il comandante
di squadra aveva la bocca spalancata e gli occhi stralunati. Le venti o più creature che volteggiavano in aria poco più avanti erano simili agli pteridon, anche se di taglia più piccola - circa la metà - e di colore violaceo, e non portavano in groppa alcun cavaliere. Le unghie adunche delle zampe anteriori erano più lunghe: artigli di un colore azzurro metallico, scintillanti e affilati come lame. Le sei creature che invece bloccavano la strada erano ancora peggio. Ognuna di esse era grande all'incirca quattro volte un cavallo da tiro, con spalle massicce, un lungo corno triangolare e squame dai lucenti riflessi viola. I due ricognitori e i loro cavalli - o, per meglio dire, i loro resti sanguinolenti - giacevano a meno di un centinaio di iarde da dove si trovava Alucius. «Mirate con cura. Pronti a sparare. Fuoco!» Alucius centrò con il primo proiettile l'occhio destro del mostruoso animale munito di corno, poi puntò l'arma sul secondo e sparò di nuovo. Entrambi caddero a terra, sprigionando colonne di fiamme azzurrognole. Uno degli pteridon precipitò a terra ruotando vorticosamente su se stesso, mentre gli altri si avventavano sui soldati. Gli unicorni talentasi abbassarono la testa, pronti a caricare. Alucius fece fuoco altre due volte, mirando a quelli più grossi. Una pallottola mancò completamente il bersaglio. L'altra affondò nella possente spalla del quarto unicorno, facendo scaturire lingue di fuoco dalla ferita. Alucius alzò il fucile e diresse l'ultimo colpo verso lo pteridon più vicino, mancandolo. Il proiettile, che era andato comunque vicino alla creatura alata, deviò leggermente ed evitò Waris per una frazione di iarda. Alucius cambiò fucile e sparò a un altro pteridon, questa volta centrandolo. Una raffica di fiamme azzurrognole si abbatté sul davanti della colonna, facendo prendere fuoco alla manica del giaccone di Fiens. I tre unicorni superstiti si trovavano a cinquanta iarde. «Sparate a quelli a terra!» gridò Alucius, cercando di infondere oscurità alle cartucce dei quattro tiratori e di Egyl. Alucius sapeva bene che sarebbe stato inutile far disporre i soldati in linea di fuoco obliqua o dare l'ordine di ritirarsi. Un altro unicorno esplose in una fiammata bluastra, mentre uno pteridon comparso dal nulla assestava una zampata di striscio a Dueryn, facendolo cadere - il corpo segnato da lunghe ferite nere che ancora fumavano - sul selciato in durapietra, di fronte agli altri soldati. Alucius ne approfittò per sparargli e fu ricompensato da un'altra vampata
azzurrognola. Dopodiché si concentrò sugli unicorni rimasti. L'ultimo fu abbattuto quando si trovava a dieci iarde appena dalla testa della colonna. Alucius fece del suo meglio per erigere intorno a sé una barriera protettiva di colore verde. Dovette riuscirci in parte, dato che il calore, per quanto intenso, gli bruciacchiò solo i capelli, ma non gli ustionò le parti del corpo rimaste scoperte. Gli pteridon raddoppiarono i loro attacchi, assalendo la colonna da ogni lato, lanciandosi in picchiata e sferrando terribili fendenti con gli artigli. Nonostante la loro destrezza, a poco a poco, quegli esseri spaventosi cominciarono a diminuire. Alucius si costrinse a concentrarsi su due cose soltanto: sparare e ricoprire con un involucro di oscurità le cartacce di tutti quanti gli stavano vicino. Dopo qualche tempo - Alucius non seppe dire quanto - finalmente uccise l'ultimo e abbassò il fucile. Malgrado la confusione e i colpi inferti dagli artigli degli pteridon, il numero di corpi che giacevano sul fianco della strada o nel mezzo della colonna era inferiore a quello che Alucius aveva temuto. Le perdite erano sicuramente più di quante avesse voluto, ma meno di quante avrebbero potuto essere. «Chiama tutti i capitani a rapporto», disse stancamente a Egyl. «Occupati dei feriti, ma fai uscire in avanguardia Waris e l'altro tiratore - Makyr in modo che si portino avanti per circa mezzo vingt, tenendosi in vista, però. E raccomanda loro di tenere gli occhi bene aperti.» «Sì, signore. Waris, Makyr, avete sentito il capitano maggiore.» Egyl si rivolse a un altro soldato della colonna: «Esklyr, di' ai capitani che il capitano maggiore li vuole a rapporto». Il comandante di squadra guardò Alucius. «Per un pelo non uccideva anche voi, signore.» Alucius abbassò lo sguardo sul braccio destro. Un lungo squarcio gli aveva lacerato la manica del giaccone e raggiunto il tessuto della tunica, fermandosi alla camiciola di seta nerina, che appariva scintillante e intatta. Il braccio gli faceva così male che faticava a muoverlo. «Non me n'ero accorto. Ho avuto fortuna.» A dire il vero, si sentiva tutto il corpo percorso da un lieve tremito, come se fosse del tutto esausto. Prese la bottiglia dell'acqua e bevve una lunga sorsata. Gli avrebbe fatto bene. Mentre aspettava che gli ufficiali si presentassero a rapporto, Alucius lanciò un'occhiata a Waris e a Makyr, ma nessun altro animale fece la sua comparsa. Inoltre, la percezione di quel terribile gelo era svanita, lasciando solo l'onnipresente sensazione di dolore. Poi fece girare Selvaggio ed esa-
minò la valle pietrosa tutt'intorno. Non vide altre tracce della presenza di animali talentosi, se non le chiazze scure e oleose in corrispondenza dei punti in cui erano bruciati. Non erano rimaste ossa carbonizzate, né squame... nulla, all'infuori dei resti dei violenti incendi. Alucius avvertiva però qualcos'altro, o meglio, la mancanza di qualcosa. Attorno ad essi non c'era alcun segno di vita. Persino i pini, benché fossero ancora verdi, in realtà erano morti, e nel giro di qualche settimana, se non di qualche giorno, sarebbero rinsecchiti. Tirò un profondo sospiro di sollievo nello scorgere Feran che si stava avvicinando sul fianco della strada, seguito da Koryt. Quest'ultimo aveva ancora il braccio steccato, ma la fascia che lo reggeva era bruciacchiata da un lato, così come il volto, che appariva tutto arrossato dalla stessa parte. Feran fece fermare il cavallo. «Quinta Compagnia, dieci morti, cinque feriti.» La voce del comandante più anziano suonava rauca e stridente al tempo stesso. «Terza Compagnia», riferì Koryt, «sei morti, tre feriti». «Ventunesima Compagnia, signore», disse Egyl, «tre morti, sette feriti». Diciannove morti. Alucius rimase un attimo in silenzio. «Grazie. Voi e i vostri nomini vi siete comportati bene. Molti non avrebbero retto l'impatto.» «Che cosa... erano... quelle cose?» domandò Feran. «Non lo so, ma quelle creature volanti assomigliavano agli pteridon. Può darsi che si trattasse di pteridon selvatici, del tipo addestrato poi dagli Antichi e diventato simile a quelli che abbiamo visto con i nomadi.» Alucius rifletté. «Quelle grosse bestie sulla strada ricordavano invece nell'aspetto i buoi della sabbia, se questi ultimi fossero stati provvisti di squame e di un corno sulla fronte.» «Buoi della sabbia? Come nelle leggende? Ma come...» «Ne ho visto uno in un dipinto, una volta», disse Alucius. «In un disegno, per la verità.» Si inumidì le labbra, rendendosi conto che, all'infuori del murale nei sotterranei della Prima Base Lancieri, non aveva mai visto altro. Eppure, aveva capito subito di quale animale si trattasse, e non c'era stato bisogno che si chiedesse come e perché lo aveva saputo. «Non mi è ancora chiaro il motivo per cui alcuni proiettili riuscivano a ucciderli e altri no», disse Feran. «Erano soprattutto i colpi che partivano dalla testa della colonna», osservò Koryt. «Ho visto uno dei ricognitori - Waris, mi pare - eliminare due di quelle orribili creature volanti.»
Alucius era contento per ben più di una ragione di aver pensato di infondere oscurità anche alle cartucce degli altri soldati. «I soldati davanti tiravano sicuramente da un'angolatura migliore, e io non ho voluto che gli altri si allontanassero troppo, rischiando così di diventare facile preda di quegli esseri.» Feran annuì in segno di assenso. «Dovremo portare i cadaveri via di qui, se possibile.» Si trattava probabilmente di un gesto inutile, ma Alucius non voleva seppellire nessuno in quella terra dolente tra i monti della Dorsale Superiore. Non ne sapeva spiegare la ragione, e inoltre, come capitano maggiore, non era tenuto a farlo. Avrebbe invece dovuto rendere conto delle perdite subite al colonnello, e magari scrivere un rapporto che avrebbe potuto finire nelle mani del Signore-Protettore. La prospettiva non lo entusiasmava, ma non sarebbe stata certo terribile quanto l'esperienza appena vissuta. 80 Nordest di Punta del Ferro, Valli del Ferro Nel tardo pomeriggio, la figura con indosso gli abiti da pastore procedeva adagio a cavallo in fondo al gregge, incitando ad avanzare le pecore che si erano attardate, mentre si dirigeva a nordovest, verso la Cresta dell'Ovest e la fattoria. Wendra, poiché di lei si trattava, aveva dovuto condurre le pecore più a sudest di quanto avesse voluto, poiché i quarasote nei pressi della fattoria non erano ricchi di nuovi germogli. Si accorse che i montoni guida avevano ridotto l'andatura, e avvertì la loro tensione. Mentre spronava il cavallo verso la testa del gregge, estrasse il fucile dalla custodia e scrutò il rosso terreno sabbioso, proiettando tutt'intorno i Talento-sensi, cosa che rappresentava per lei ancora una novità. Nell'avvicinarsi ai montoni, vide sollevarsi più avanti, a meno di cinquanta iarde da dove si trovava, un leggero sbuffo di sabbia. Non un alito di vento smuoveva l'aria calda e tranquilla di fine pomeriggio. Wendra si fermò e impugnò il pesante fucile, aspettando che il sabbioso uscisse. Fece del suo meglio per comunicare, seppure in modo maldestro, una sorta di avvertimento ai montoni guida, e venne ricompensata nel vedere che uno di essi - il figlio di Agnellino, le parve - aveva cominciato a sbuffare e a raspare il terreno tra i cespugli di quarasote. A un tratto... venne circondata da una luminescenza verde, un verde dalle sfumature nere.
Spostò bruscamente lo sguardo dal suolo che sembrava ribollire all'ariante, apparsa a meno di tre iarde da lei. Devi attingere all'oscurità che c'è in te. Falla scorrere nelle pallottole. Attingi all'oscurità... Come poteva attingere all'oscurità? Quale oscurità? Questa oscurità... Wendra percepì una serie di fili, filamenti neri intrecciati ad altri verdi, che si dipartivano da lei e dall'ariante. Allora comprese, e attinse all'oscurità. Dopodiché... armò il fucile e aspettò. Una vorticosa nebbia violacea si levò dal rosso terreno ricco di sabbia che sembrava spumeggiare. E il sabbioso comparve, quasi immediatamente, un sabbioso diverso da tutti quelli che Wendra aveva visto fino a quel momento: una creatura dalla pelle nero-violacea, invece che color del cuoio e punteggiata di cristalli. Bang! La prima pallottola lo centrò in pieno petto, ma lo strano essere, benché barcollasse, continuò ad avanzare verso di lei. Wendra fece di nuovo fuoco e lo raggiunse tra il collo e la spalla, in un punto in cui, a detta di Royalt, i sabbiosi erano più vulnerabili. L'impatto lo fece vacillare di nuovo, ma non gli impedì di fare un altro passo avanti. Quindi seguirono un terzo e poi un quarto colpo. Dopo il quarto colpo, la creatura venne circondata da una turbinosa nebbia violacea. All'improvviso alzò un braccio, ma prima di poter completare il gesto, crollò a terra, mentre il braccio disteso andava a colpire i germogli di un cespuglio di quarasote che stava là vicino. Una bassa colonna di fiamme violacee esplose verso l'alto, per poi estinguersi, lasciando dietro di sé un sommario cerchio di terra annerita. Per alcuni istanti ancora, Wendra tenne sollevato il fucile, pronta a sparare l'ultima cartuccia. Poi lo ricaricò rapida. Solo dopo un po' capì che il sabbioso - o altri suoi compagni - non sarebbe tornato. Lo sguardo le si posò sul cespuglio di quarasote sfiorato dallo strano essere. Mentre guardava, il cespuglio diventò nero e si raggrinzì, poi si disintegrò trasformandosi in un mucchio di cenere. Wendra deglutì, ma gli occhi le corsero verso il gregge. C'erano tutti, per quanto uno dei montoni guida sbuffasse, quasi a suggerirle di muoversi. Subito lei proiettò verso di loro la sensazione di movimento, e i montoni cominciarono ad avanzare verso nordest, passando a una certa distanza dal punto in cui era caduto il sabbioso.
Wendra si voltò indietro una sola volta, ma il cerchio annerito era ancora là. 81 Altri tre giorni trascorsero prima che Alucius e le sue ulteriormente decimate truppe si portassero fuori dai monti della Dorsale Superiore e raggiungessero le aride e polverose pianure delle regioni orientali di Lanachrona, dove, nel corso della stagione appena passata, sembrava essere piovuto poco o niente. Il caldo era ancora quello di piena estate, e la polvere era sottile e si insinuava dappertutto. Per quanto Alucius avesse sperato di poter riportare i corpi dei soldati uccisi a Emal o a Dekhron, il calore e il rischio di una rapida putrefazione resero necessaria la loro sepoltura non appena ebbero lasciato le montagne e raggiunto una zona in cui fosse possibile scavare delle buche. Là, dopo avere guardato un'ultima volta le ventuno tombe, Alucius aveva rivolto una breve preghiera a Colui che È, chiedendosi, e non per la prima volta, se in quella preghiera non vi fosse più desiderio che sostanza. Non avevano incontrato altre creature talentose, e neppure Alucius ne aveva avvertito la presenza. Eppure continuava a chiedersi perché mai fossero stati attaccati. Si trattava di una sorta di avvertimento? Come i sogni che aveva fatto? Se ci fossero stati solo i sogni, avrebbe potuto ignorarli, ma la stanza segreta e l'assalto degli pteridon selvatici gli rendevano impossibile non dare ascolto alle proprie ansie. Chissà se le figure viste in sogno esistevano da qualche parte? Dove? Forse Alucius rappresentava un ostacolo per qualcuno? Aveva sempre l'impressione di non essere altro che un ostacolo per qualcuno o per qualcosa. Tranne che per le arianti. Chissà se queste ultime e gli individui dalla pelle d'alabastro erano nemici? O forse entrambi volevano servirsi di lui? Scosse il capo: non aveva ancora trovato le risposte. La maggior parte delle fattorie sparse che avevano superato dopo essersi fermati a seppellire i cadaveri era abbandonata, l'erba sulle colline ridotta a stoppie rinsecchite e i piccoli campi, un tempo coltivati, erano diventati ora semplici quadrati o rettangoli di terra sabbiosa. Le stazioni intermedie avevano praticamente solo acqua da offrire, e Alucius fu molto grato al Landarco per aver fornito loro sufficienti provviste per il viaggio. A metà pomeriggio, attraverso il velo di polvere che aleggiava a mezz'aria, Alucius scorse un cavaliere dirigersi verso la colonna: si trattava di
Waris, uno dei due ricognitori inviato in avanscoperta. Waris percorse l'ultimo tratto di strada che lo separava dalla testa del convoglio e fece affiancare il proprio cavallo a quello di Alucius. «Signore... ci sono quattro messaggeri delle Guardie del Sud, dicono di avere un messaggio personale per voi da parte del comandante in capo di Lanachrona.» «Per me, non per il maggiore Draspyr?» chiese Alucius. «Sono stati molto precisi, signore», replicò il ricognitore. «Ah... signore... forse solo quello con il messaggio», suggerì Egyl, che gli cavalcava al fianco. «Di' loro di raggiungerci, ma chiedi ai tre soldati che accompagnano il messaggero di unirsi all'avanguardia», disse Alucius. Egyl annuì. Quando il messaggero con l'uniforme blu e panna delle Guardie del Sud arrivò, cercò di non mostrarsi troppo sorpreso davanti al loro esiguo contingente e all'aspetto malridotto della maggior parte dei soldati, anche se Alucius ne percepì lo stupore. «Abbiamo passato quasi un'intera stagione a combattere, soldato», disse secco Alucius, «con un effettivo di molto inferiore a quello del nemico e contro creature talentose che non si erano più viste dai tempi del Cataclisma». «Sì, signore.» Alucius si sforzò di sorridere. «Signore, ci è stato ordinato di consegnarvi questo personalmente e di chiedervi di aprirlo subito.» Il messaggero avvicinò il proprio cavallo a quello di Alucius. Egyl intercettò il messaggio, piegato e sigillato, e si protese per tenderlo ad Alucius. Questi lo prese, ruppe il sigillo e cominciò a leggere. Onorevole capitano maggiore Alucius, gli echi del trionfo riportato nello sconfiggere i nomadi delle praterie e nel porre fine alla loro invasione di Deforya sono giunti fino al Signore-Protettore. Egli è molto compiaciuto del vostro successo, e ha espresso la volontà di ricompensarvi di persona per l'abilità che avete dimostrato nel comando e per la superba impresa portata a termine da voi e dai vostri soldati...
Alucius aggrottò la fronte. Un incontro con il Signore-Protettore era proprio l'ultima cosa che desiderava. Perciò, vi chiediamo di recarvi a Salaan, dove lascerete i soldati superstiti delle Guardie del Sud in consegna al comandante dell'avamposto, e quindi a Dekhron. Dopo aver riferito al colonnello Weslyn, dovrete proseguire immediatamente verso Tempre, lungo la strada principale, accompagnato da una squadra che sceglierete tra quelle che hanno combattuto al vostro fianco. Le guardie che vi hanno consegnato la presente missiva vi scorteranno durante il viaggio. Non appena giunto a Tempre, dovrete fare rapporto al quartier generale delle Guardie del Sud, e a me di persona, prima di incontrarvi con il Signore-Protettore... Il messaggio - o l'ordine che dir si voglia - portava la firma di un certo maresciallo Wyerl, comandante in capo di Lanachrona, e un elaborato sigillo dorato. Recarsi a Tempre? E perché? Se il Signore-Protettore avesse voluto ricompensarlo, avrebbe potuto farlo in modo più semplice. E se invece lo voleva morto, anche in questo caso si sarebbero potuti trovare sistemi più facili. Ma il fatto che tutte le Guardie del Sud e del Nord venissero informate sul viaggio che Alucius avrebbe compiuto fino a Tempre per ricevere la ricompensa ne rendeva la morte meno probabile. O forse no? Che sarebbe successo se fossero stati attaccati dai predoni lungo il cammino? Ma non stava diventando troppo pauroso? «Signore?» disse Egyl. «Il Signore-Protettore è molto compiaciuto per le nostre imprese e si complimenta con tutti. Dobbiamo prima recarci a Dekhron per fare rapporto. Poi ha chiesto che mi diriga a Tempre, accompagnato da una squadra di miei soldati, per ricevere le sue personali congratulazioni...» «Personali?» esclamò il messaggero. «È un grande onore.» Alucius temeva che si trattasse di un onore più grande di quello che desiderava ricevere. 82 La strada principale verso ovest era diritta, polverosa, deserta e lunga. Alle truppe stremate di Alucius occorse un'altra settimana di cammino,
dopo essersi lasciate alle spalle le montagne della Dorsale Superiore, per arrivare al forte di Senelmyr. Là, Alucius insistette che si fermassero due giorni per riposare, sebbene desiderasse porre termine al più presto a quel viaggio. Il piccolo distaccamento di Guardie del Sud che trovarono al forte si dimostrò disponibile nell'aiutarli a riparare l'assale di uno dei carri delle provvigioni, disponibile ma per niente desideroso di socializzare. Dopo che Alucius e i superstiti delle quattro compagnie iniziali ebbero ripreso il loro cammino, impiegarono altri cinque giorni per giungere nei pressi di Salaan. Poco prima di metà pomeriggio, a sud di Salaan, la strada principale deviava bruscamente verso nord, una delle poche curve - se non l'unica - incontrate durante il viaggio, e la sola che non comportasse l'innesto con un'altra strada. Heslyn, una delle guardie inviate con il messaggio, stava cavalcando accanto a Egyl, dietro ad Alucius e a Feran. «Capitano maggiore, l'avamposto di Salaan si trova appena prima del ponte che attraversa il fiume.» Alucius si girò sulla sella. «Quanto dista da qui?» «Cinque, sei vingti», replicò Heslyn. Solo quando la colonna si trovò a due vingti dalla città, e i suoi bassi edifici apparvero all'orizzonte, a nord, Alucius cominciò a vedere un panorama diverso da quello costituito dalle poche capanne e fattorie che spuntavano qua e là sulle colline di erba rinsecchita. Gli unici alberi che si vedevano erano quelli piantati in prossimità delle abitazioni, piccoli alberi da frutta non più alti di cinque o sei iarde. «Che piante sono?» si decise infine a chiedere Alucius. «Albicocchi», rispose Heslyn. «I loro frutti sono facili da far essiccare. Ne consumiamo in gran quantità.» Alucius non ricordava di avere mai visto albicocche essiccate a Punta del Ferro. «Non le mandano a nord», disse Feran. «Mi chiedo perché.» Alucius si strinse nelle spalle. «Ecco un'altra cosa che non dicono agli ufficiali. Una delle tante.» «Te ne accorgi solo ora?» «Di questo e di molte altre cose.» Feran ridacchiò. Dopo circa un quarto di clessidra raggiunsero le prime case sul fianco meridionale di Salaan: basse costruzioni con il tetto a falda leggermente in pendenza e con i muri esterni ricoperti da un intonaco biancastro. Le finestre erano feritoie, prive di persiane, e nessuno degli edifici era dotato di
veranda sul davanti, ma solo di un piccolo tettuccio a riparo della stretta porta d'ingresso. «Le dimore dei mercanti sono a ovest, sul promontorio che si affaccia sul fiume», spiegò Heslyn. «Naturale», mormorò Feran. Alucius gettò un'occhiata verso ovest, ma la visuale gli fu impedita dai tetti delle case più modeste. C'erano dei gruppetti di persone lungo la strada principale, a nord, che nello scorgere i soldati si affrettarono a sgusciare via, così che questi si trovarono a passare davanti ad abitazioni dalle porte sbarrate e senza nessuno in vista. Le persone che sostavano nella piazza principale di Salaan non se ne andarono, ma si limitarono ad allontanarsi dalla strada principale e da quelle secondarie, raccogliendosi sulle soglie e sotto i portici delle botteghe - non veri e propri porticati, ma semplici tettoie che fornivano riparo dal sole - da dove rimasero a osservare i cavalieri. Alucius vide una bottega di generi alimentari, il laboratorio di un bottaio, di un vasaio e, particolare alquanto sorprendente, anche quello di un tessitore, oltre a una taverna. L'insegna della taverna non portava scritte, ma solo l'immagine di un boccale. Tranne la strada principale, tutte le altre che portavano alla piazza non erano lastricate. «Gente cordiale», osservò Feran. «Non credo che gli abitanti di Punta del Ferro o di Dekhron si prenderebbero la briga di uscire nelle strade se vedessero passare delle compagnie di Guardie del Sud», disse Alucius. «Ma loro hanno vinto», fece notare Feran. Non la gente di Salaan, pensò Alucius. Si era aspettato che la città fosse più grande. «Non manca molto, capitano maggiore», dichiarò Heslyn. «Mezzo vingt, forse meno.» Poiché gli era stato ordinato di lasciare la Ventitreesima Compagnia a Salaan, Alucius aveva fatto portare in testa alla colonna Sarapyr e Aelyn: gli unici due superstiti della compagnia. Essi cavalcavano dietro a Egyl e a Heslyn. Mentre uscivano dalla piazza diretti a nord, la struttura più ovvia che si trovarono davanti nell'avvicinarsi al fiume fu quella del ponte in durapietra grigia che attraversava il Vedra, un ponte che un tempo Alucius avrebbe potuto definire imponente, poiché si ergeva in tutta la sua grandiosità al di sopra delle basse abitazioni. Ma questo sarebbe stato prima di avere ammi-
rato il ponte dalle linee massicce e aggraziate che congiungeva le due sponde del fiume Vedra in prossimità di Hieron, o la strada scavata interamente nella roccia delle montagne della Dorsale Superiore. Mentre si approssimavano, Alucius vide che il ponte era attraversato da una corsia grande il doppio rispetto a quella della strada principale, priva però del divisorio centrale che aveva notato in costruzioni più importanti. La guardiola in pietra sulla sponda meridionale non era stata rimossa, a differenza di ciò che invece era stato ordinato di fare a Feran per quella di Emal, ma i cancelli erano spalancati e fermati da catene, e non c'erano Guardie del Sud in vista. «A destra, signore, appena prima della guardiola», indicò Heslyn. Alucius fece un cenno a Egyl. «Colonna a destra!» ordinò il comandante di squadra. Alucius fece dirigere Selvaggio a destra, lungo una stradina fiancheggiata da un muro, larga a sufficienza da consentire il passaggio a tre cavalieri affiancati, verso una serie di cancelli aperti a trenta iarde di distanza. Non appena videro avvicinarsi le truppe, i due soldati di guardia scattarono sull'attenti. Alucius si fermò a pochi passi dalle guardie. «Colonna alt!» «Signore?» la voce della guardia più giovane era esitante. «Capitano maggiore Alucius, delle Guardie del Nord. Siamo diretti a Dekhron, di ritorno da Deforya, e abbiamo avuto l'ordine di lasciare qui gli uomini della Ventitreesima Compagnia.» «Sì, signore, sono certo che sarete i benvenuti, signore. Vado a cercare il capitano maggiore, signore. Entrate.» Alucius annuì e proseguì all'interno del cortile polveroso, dove si fermò. «Mantenete la formazione!» Non dovette attendere a lungo. Il capitano maggiore che comparve di lì a poco aveva un fisico sottile, capelli brizzolati e una buona quindicina d'anni in più di Alucius. Ed era nervoso. Sollevò lo sguardo su di lui. «Capitano maggiore? Mi era stato riferito che avreste riportato la Ventitreesima Compagnia.» Guardò alle spalle di Alucius, chiaramente alla ricerca di altre uniformi blu e panna. «Capitano maggiore. Sarapyr e Aelyn sono gli unici superstiti della Ventitreesima Compagnia.» Alucius fece spostare un poco Selvaggio per permettere all'ufficiale di vedere i due.
«Due uomini... solo due?» La voce del capitano maggiore delle Guardie del Sud vacillò tra l'incredulità, la preoccupazione e l'orrore. «Può darsi che non vi sia giunta notizia», disse piano Alucius. «Ci siamo trovati a fronteggiare oltre un centinaio di compagnie di nomadi e a combattere pteridon guidati da nomadi armati di lance cosmiche. Li abbiamo sbaragliati ed eliminato circa una settantina di compagnie. E logicamente abbiamo riportato alcune perdite.» Si produsse in un freddo sorriso. «Siamo partiti che eravamo sei ufficiali e oltre cinquecento soldati. Al ritorno eravamo tre ufficiali e centosessanta soldati. Ah, anche i deforyani hanno perso oltre la metà dei loro lancieri.» Il capitano maggiore delle Guardie del Sud si rattrappì sotto lo sguardo di Alucius. «Non ci avevano informato.» «La Ventitreesima Compagnia è stata la prima ad affrontare gli pteridon, subendo così pesanti perdite fin dall'inizio, finché non siamo riusciti a escogitare il sistema per distruggere quelle bestie. Sarapyr e Aelyn vi potranno raccontare in dettaglio quello che è successo. Hanno dimostrato grande coraggio e incredibile audacia», concluse Alucius. Decise di non aggiungere che, del resto, tutti i soldati si erano comportati allo stesso modo. «E il maggiore Draspyr? Il capitano Clifyr?» «Entrambi sono rimasti uccisi mentre guidavano in battaglia i loro uomini. Il Signore-Protettore e il maresciallo Wyerl sono già al corrente dell'accaduto.» Alucius offrì un sorriso professionale. «Dobbiamo proseguire per Dekhron. Non sono il loro comandante, ma mi sento di dire che Aelyn e Sarapyr si meritano una bella licenza.» Si voltò. «Aelyn, Sarapyr?» Le due Guardie del Sud si staccarono dalla colonna in groppa ai loro cavalli e si spostarono di lato. Il capitano maggiore fece correre lo sguardo dai due soldati ad Alucius, e poi ancora ai soldati. «Una licenza è il minimo che possano meritare», disse Alucius con gentilezza, proiettando un senso di correttezza e giustizia. Il capitano maggiore trasudava confusione. «Dovrò incontrarmi con il Signore-Protettore», aggiunse Alucius. «Sono certo che mi chiederà della Ventitreesima Compagnia.» Questa volta Alucius proiettò autorità e potere. Il capitano maggiore fece un passo indietro. «Sì, sicuramente avranno la loro licenza. Sicuramente.» Alucius sorrise. «Mi fa piacere saperlo. E farà piacere anche al Signore-
Protettore.» Dopo un attimo, aggiunse: «Dobbiamo andare». Gettò un'occhiata a Feran e a Egyl e ordinò: «Colonna, dietrofront, avanzare dal fondo». Mentre la colonna si avviava attraverso i cancelli, Alucius udì Heslyn sussurrare a Egyl. «Lui... voglio dire...» «È sempre alla testa dei suoi uomini durante le battaglie, e li protegge. L'ha sempre fatto», replicò Egyl. «L'ho visto beccarsi una pallottola nella spalla e non battere ciglio. E combattere fino alla fine.» Egyl stava ricamando un po' sulla realtà dei fatti, ma Alucius non aveva certo intenzione di riprenderlo di fronte a tutti. Si rivolse a Feran e scrollò impercettibilmente le spalle con aria impotente. Feran gli rispose con un sorriso e mormorò: «Meno male che tra un po' te ne vai. Sta diventando impossibile essere alla tua altezza». Alucius si augurava che né il colonnello né il Signore-Protettore - o il maresciallo Wyerl, in quel caso - avessero in serbo una qualche sgradevole sorpresa al riguardo. Gli zoccoli dei cavalli risuonarono sul ponte privo di traffico, ad eccezione di due carri vuoti diretti a sud, alla volta di Salaan. Alucius fece correre lo sguardo sul fiume Vedra. Le sue sponde di fango disseccato gli fecero capire che le acque erano ben al di sotto dei livelli normali. La stessa cosa sembravano anche confermare i moli riservati allo scarico delle merci, a ovest, dove erano stati costruiti temporanei prolungamenti. Vi era ancorata una sola chiatta, sulla quale un gruppetto di uomini stava sistemando alcuni barili nella sezione di poppa. La guardiola sulla sponda settentrionale, un tempo occupata dagli uomini della milizia, era vuota, sebbene lì, a differenza della sponda meridionale, i cancelli erano stati rimossi. L'imbocco della strada principale diretta a Dekhron ricordò ad Alucius Hieron, poiché, anche in quel caso, la via sopraelevata aveva chiaramente rubato una ricca porzione di terreno al settore riservato al commercio in prossimità del fiume, e ad essa andavano a congiungersi rampe di accesso e strade in pendenza di recente costruzione. Gli edifici erano molto più simili a quelli di Punta del Ferro, perlopiù di pietra e con tetti ricoperti di tegole o di ardesia. Alcuni dei palazzi più vicini ai moli si innalzavano per due o persino tre piani. Benché le vie principali e secondarie di Dekhron non fossero affollate, si vedevano in giro mercanti, compratori, passanti e qualche sporadico mendicante. Qualcuno azzardò un'occhiata verso i soldati, ma, non appena questi alzarono la testa, distolse subito lo sguardo.
Disinteresse? Rabbia nascosta? Alucius avvertiva entrambi i sentimenti, oltre al dispiacere. «C'è un po' più di vita qui», osservò Feran. «È meglio che svoltiamo nella via prima della piazza. Ci porterà dritti al quartier generale.» A differenza di Salaan, il quartier generale delle Guardie del Nord non si trovava sul fiume, ma un poco più spostato a nordovest. Alucius non aveva dubbi che ciò fosse dovuto al fatto che le zone più vicine al fiume e alla strada principale erano state requisite dai mercanti che avevano il controllo sul Consiglio e sulla milizia. «Mi immaginavo che fosse questo, anche se tu conosci il posto meglio di me.» «Più di quanto vorrei», ammise Feran. «Avrei preferito tornare a Emal.» Alucius annuì. Anche lui, ma avevano ricevuto l'ordine di recarsi a Dekhron. Dekhron dava l'impressione di essere una città stanca. Era questo l'unico modo in cui Alucius avrebbe potuto descriverla. Un tempo avrebbe potuto considerarla una città in piena regola, ma la metà delle sue strade era ingombra di mucchi di fango essiccato, e soltanto il quartiere in prossimità dei moli poteva vantare fabbricati decenti. La colonna svoltò a ovest e proseguì, superando alcune piccole case. Di tanto in tanto, qualche bambino alzava lo sguardo sui soldati impolverati e, una volta, videro una madre trascinare via il figlio per allontanarlo dalla strada. Il quartier generale era una versione più grande dell'avamposto di Emal, chiaramente visibile a parecchie centinaia di iarde di distanza, recintato da un muro di pietra che comprendeva una superficie di almeno mezzo vingt su ogni lato, con scuderie, baracche e alloggi per gli ufficiali, tutti imbiancati a calce e con tetti ricoperti da tegole d'ardesia, e con cortili lastricati. Nello scorgere la colonna avvicinarsi lungo il viale che correva parallelo al fiume, i due soldati di guardia al cancello principale si irrigidirono sull'attenti. Alucius avanzò, poi fece rallentare Selvaggio. «Capitano maggiore Alucius e quattro compagnie a rapporto, come da ordini ricevuti.» «Sì, signore.» Alucius non aspettò di essere riconosciuto, ma continuò ad avanzare, facendo segno al resto della colonna di seguirlo. Si era appena fermato fuori dalle scuderie sul lato meridionale dell'avamposto quando vide comparire il colonnello Weslyn, accompagnato da un capitano e da parecchi comandanti di squadra. Il colonnello indossava un'impeccabile uniforme nera di
ottimo taglio con mostrine blu sulle spalle. Alucius era fin troppo consapevole della propria uniforme consunta e dello squarcio frettolosamente rammendato sulla manica. «Capitano maggiore Alucius! Bentornato! Voi e i vostri soldati avete fatto l'impossibile!» disse Weslyn salutandolo con un ampio sorriso. «Questo almeno è ciò che il Signore-Protettore ha dichiarato, e chi siamo noi per discutere le sue affermazioni?» «Tutto dipende da ciò che intendete per impossibile, colonnello.» Prima che Weslyn potesse replicare, Alucius aggiunse: «Abbiamo ucciso gli pteridon e i loro cavalieri armati di antiche lance cosmiche e, dopo che i deforyani erano accerchiati e presi in trappola, abbiamo eliminato più di settanta compagnie di nomadi. Il Landarco di Deforya ci ha conferito la Stella del Coraggio, ci ha fornito provviste e munizioni e ci ha rimandato a casa. Il Signore-Protettore ha dato il suo assenso, ed eccoci qui». «Già, eccovi qui.» Weslyn si produsse in un altro generoso sorriso. «Immagino che siate stanco per il viaggio e che vogliate sistemare i vostri uomini.» «E i cavalli.» Alucius portò lo sguardo sul fondo della colonna, dove si trovava il carro delle provviste. «Abbiamo ancora delle provviste. Non molte, ma potrebbero essere utili. Dovranno essere scaricate. Sono certo che i vostri soldati se ne potranno occupare.» «Sicuramente.» Alucius avrebbe diffidato della cortesia del colonnello anche se non avesse percepito il senso di rabbia e di sconforto che si nascondeva dietro alle sue gentili parole. Aspettò. «Il comandante in capo Wyerl mi ha pregato di trasmettervi il suo apprezzamento per tutto ciò che voi e le Guardie del Nord avete fatto. Dopo che avrete sistemato i vostri uomini e vi sarete installato negli alloggi degli ufficiali in visita... Come capitano maggiore al comando di più compagnie, vi meritate senz'altro un alloggio destinato agli ufficiali di grado superiore.» Weslyn fece una pausa, poi proseguì: «Il maggiore Imealt e io vorremmo invitarvi a cena insieme ai vostri ufficiali, ma non in mensa. Meritate di meglio». «Grazie, signore. Credo che il capitano Feran, il capitano Koryt e io gradiremo molto il vostro invito.» «A tra poco, capitano maggiore, signori. Il capitano Dezyn vi aiuterà e risponderà a tutte le vostre domande.» A un cenno del colonnello, si fece avanti un ufficiale dai capelli biondi.
Weslyn si produsse in un ultimo ampio sorriso, prima di dirigersi verso l'edificio del quartier generale. «Signore... quanti soldati...» «Centosessantuno, più tre comandanti di squadra, dieci conducenti di carri e sette carri. E tre ufficiali. E anche dieci cavalli di scorta.» In realtà, i dieci cavalli di scorta erano diventati tali solo dopo la battaglia contro i nomadi. «Abbiamo soldati assegnati a tre compagnie, ma in realtà provengono da quattro.» «Sì, signore. Le baracche migliori sono a nord, e sono tutte vuote e pulite...» Alucius annuì. Ci volle più di una clessidra prima che i cavalli venissero sistemati nelle stalle e i soldati nei loro alloggi. Quindi Alucius, con i due fucili e le bisacce, venne scortato dal capitano Dezyn su per le scale che portavano all'ultimo piano riservato agli ufficiali. Dezyn guardò i due fucili ma non disse nulla finché non furono giunti in cima alle scale. «Avete la possibilità di scegliere, signore, ma il secondo alloggio è il migliore.» «Va bene.» Alucius sperava che fosse pulito e avesse un letto decente. «Ah... signore. Il colonnello vi aspetta da basso tra poco più di mezza clessidra.» «Grazie per avermelo ricordato.» Alucius si costrinse a sorridere. Era talmente stanco che paventava quella cena con il colonnello, ma probabilmente era stata proprio la sua stanchezza uno dei motivi per cui il colonnello aveva insistito per invitarlo, includendo anche Koryt e Feran. «Vi dispiacerebbe dirlo anche al capitano Feran e al capitano Koryt?» «No, signore. Avevo già in programma di farlo.» Dezyn aprì la seconda porta sul corridoio. «La chiave è sul tavolo e le lenzuola sono già sul letto.» «Grazie.» Alucius entrò e chiuse la porta. La stanza era pulita e più grande di qualunque altra Alucius avesse mai visto nelle Valli del Ferro - un sei iarde abbondanti per quattro - e ammobiliata con un letto matrimoniale, un grosso scrittoio, due lampade da parete, un armadio, una rastrelliera per i fucili, un forma-stivali e una stanza da bagno attigua. Ma, d'altra parte, Alucius non era mai stato prima in un alloggio per ufficiali di grado superiore. Il che lo preoccupava, quasi quanto il fatto di dover cenare con il colonnello. L'unica cosa che desiderava davvero era tornare alla fattoria e da Wen-
dra. Era riuscito ad affrontare - seppure cavandosela a fatica i nomadi, i predoni e innumerevoli battaglie. Le uniche questioni in cui non era stato in grado di avere la meglio erano quelle in cui erano implicati il denaro e l'intrigo, e adesso temeva che in qualche modo tornare alla fattoria e dalla moglie sarebbe stato più difficile di quanto sembrava, anche se non sapeva dire il perché. Con calma, appese le armi e la cintura e si spogliò, prima di dirigersi verso la stanza da bagno. Impiegò tutta la mezza clessidra rimasta per lavarsi e ripulire alla meglio la sua uniforme. Dopo essersi rivestito, si riallacciò il cinturone con la sciabola e si diresse alla porta. Fece un respiro profondo e uscì nella luce del tardo pomeriggio. Il colonnello e un maggiore dall'aspetto azzimato, dai soffici capelli neri e dagli occhi azzurri, lo stavano aspettando ai piedi delle scale che portavano agli alloggi degli ufficiali. Feran e Koryt erano già con loro. Weslyn indicò il maggiore con un cenno. «Capitano Alucius, vi presento il maggiore Imealt.» Alucius inclinò il capo. «Piacere di fare la vostra conoscenza.» «Il piacere è mio, capitano maggiore. I racconti delle vostre imprese sono già diventati leggenda.» «Temo di non poter essere all'altezza di questi racconti», Alucius obiettò. «Sono solo un pastore che ha cercato di fare del suo meglio.» «Allora, vorremmo averne tanti come voi.» «Non vi spiace camminare un po', vero?» chiese il colonnello. «Pensavo di andare da Elyset. L'insegna dice che il nome del locale è "Il montone rosso", ma tutti lo chiamano con il nome della proprietaria. Ho fatto prenotare il tavolo migliore.» «Voi sapete senza dubbio più di noi ciò che è meglio», replicò Alucius. «Purché non sia troppo lontano.» «È vicino, e l'ambiente è molto cordiale», aggiunse il maggiore Imealt. «Immagino che abbiate fatto un lungo viaggio per tornare», commentò Weslyn, che camminava accanto ad Alucius e guidava gli altri verso la piccola uscita a sud, un semplice arco nel muro sorvegliato da un'unica guardia e grande abbastanza da permettere il passaggio soltanto di uomini a piedi. «Ci sono volute più di due settimane. Abbiamo dovuto fermarci un paio di giorni al forte di Senelmyr. Gli uomini e i cavalli avevano bisogno di riposare.» Alucius scosse il capo. «Non mi ero immaginato che a oriente
potesse essere così brullo. Non c'è proprio niente.» «Mi è stato detto che è una strada molto lunga», disse Weslyn. «Come avete trovato il maggiore lanachroniano?» «All'inizio era un po' dubbioso, ma alla fine andavamo d'accordo. Direi che era un buon ufficiale. Ha avuto solo la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato durante la battaglia finale.» Weslyn aveva avuto ragione su una cosa. «Il montone rosso» si trovava a meno di un centinaio di iarde a sud dell'avamposto, ed era un fabbricato in pietra rossa situato in un angolo, con antiche e strette finestre. Elyset si fece loro incontro sulla soglia. L'ostessa dai capelli striati di grigio salutò il colonnello con un sorriso professionale. «Vi abbiamo preparato il tavolo d'angolo, colonnello.» Alucius sentì che, indipendentemente dal sorriso, la donna non provava molta simpatia per Weslyn, cosa di cui il colonnello era al corrente e alla quale non attribuiva importanza. «Grazie, Elyset.» Weslyn indicò Alucius. «Vi presento il capitano maggiore Alucius. Era al comando dell'esercito che ha sconfitto i nomadi.» Alucius sorrise e inclinò il capo, proiettando calore e cordialità. «Abbiamo fatto ciò che era necessario. Sono lieto di fare la vostra conoscenza.» Poi si esibì in un largo sorriso. «Qual è il vostro piatto migliore stasera?» Elyset rise, proprio come Alucius sperava facesse. «È un vero soldato, colonnello!» Quindi si rivolse ad Alucius e aggiunse a voce più bassa: «Ci sono le quaglie. Le ragazze non ve lo diranno, ma voi dite che l'avete saputo da me». «Lo farò.» Weslyn trattenne un'espressione di cipiglio e si costrinse a sorridere. «Ve l'avevo detto che lo era.» Alucius indicò i due capitani alla destra del maggiore Imealt. «E anche loro lo sono. Non avrei potuto farcela senza il loro aiuto.» «Vi accompagno al tavolo.» Elyset precedette gli ufficiali verso il tavolo d'angolo, collocato accanto a un camino spento riparato da un paravento di vimini. «Ecco qua.» Il maggiore e il colonnello presero posto sulle sedie di legno senza braccioli rispettivamente alla destra e alla sinistra di Alucius, il quale forse avrebbe potuto evitare la manovra, ma decise di far finta di niente. Feran, che era rimasto un po' indietro rispetto agli altri, colse l'occhiata di Alucius e inarcò le sopracciglia. Questi rispose con un lieve cenno,
mentre il colonnello e il maggiore si sedevano. Feran atteggiò la bocca a un sorriso divertito, costringendosi però a tornare subito serio. «Che cosa desiderano i signori?» chiese la cameriera, una donna dall'età indefinita. «Che cosa avete stasera?» chiese Imealt. «Le bevande le conoscete. Stasera... abbiamo stufato, come sempre. Poi cotolette di agnello e pollo alla Vedra con tagliatelle integrali. E il lymbyl.» «Per me, il lymbyl con del buon vino rosso», ordinò Imealt. Entrambi i capitani ordinarono pollo con birra, e il colonnello optò per il lymbyl con la birra. La cameriera guardò Alucius. Alcuni erano molto golosi di lymbyl, ma quel pesce simile all'anguilla ad Alucius non era mai piaciuto. «La birra... e... ah... Elyset mi ha detto qualcosa riguardo alle quaglie...» «Vedo se ci sono. Vi faccio sapere.» Dopodiché la cameriera li lasciò. Imealt si rivolse a Koryt. «Siete al comando sia della Terza che dell'Undicesima Compagnia?» «Di ciò che ne è rimasto, signore. Cinquantasette soldati in tutto.» Koryt attese. «Non mi avevate detto che, rispetto ai quattrocento uomini con cui eravate partiti, solo centosessanta in tutto erano sopravvissuti?» domandò Weslyn ad Alucius, quasi con aria assente, come se avesse avuto intenzione di chiedergli qualcos'altro. «Proprio così. Circa un terzo delle nostre perdite l'abbiamo subito nelle Montagne della Barriera, dopo che i deforyani si erano ritirati lasciandoci da soli a difendere Cresta Nera. Gli altri soldati, invece, li abbiamo persi dopo essere sfuggiti all'accerchiamento nemico ed essere tornati a Dereka per la difesa della città. Aellyan Edyss aveva qualcosa come un centinaio di compagnie. E gli pteridon.» «Pteridon?» Alucius avvertì la sorpresa del colonnello, e questo lo infastidì, poiché aveva già avuto occasione di menzionarli. Forse non aveva prestato attenzione? «Non ne sapevamo nulla finché non abbiamo incontrato le Guardie del Sud a Senelmyr. Quando il maggiore Draspyr ci ha informato della loro esistenza, eravamo tutti preoccupati.» Alucius aveva deciso di non dire che gli pteridon avevano messo in rotta l'esercito del Pretore a Lustrea. «Quello era uno dei motivi per cui avevano chiesto la partecipazione delle Guardie del Nord. I nostri fucili sono più pesanti, per cui hanno pen-
sato che se funzionavano contro i sabbiosi potevano senz'altro essere più efficaci delle loro armi contro gli pteridon.» «E immagino che così sia stato», azzardò Weslyn. «Non quanto avremmo voluto, ma ce la siamo cavata.» Alucius prese il bicchiere di birra che la cameriera gli aveva messo di fronte e bevve un sorso adagio. «Da quel che ho sentito, voi e i deforyani avete sbaragliato i nomadi, costringendoli a ripiegare su Illegea.» «Non esattamente, signore», replicò Feran, precedendo Alucius. «I nomadi avevano cercato di accerchiare tutti noi, ma il capitano maggiore ci ha fatti disporre in uno schieramento serrato che ci ha permesso di rompere l'accerchiamento. Così, abbiamo potuto colpire gli pteridon e assalire quelle carogne azzurre da dietro.» «Azzurre...» «Oh, i nomadi indossavano corazze di quel colore», replicò Feran. «Ne abbiamo uccisi così tanti che il Landarco ha ricoperto i muri del suo cortile con le loro corazze. I deforyani non sono tanto abili.» «Ah...» Imealt gettò un'occhiata a Koryt. «Non avete detto molto, capitano.» «Non c'è molto da dire. Il capitano Feran ha già raccontato tutto. Se non ci fosse stato il capitano maggiore, saremmo tutti morti. Invece, siamo stati noi ad ammazzare loro. Abbiamo perso molti soldati, ma loro ne hanno persi di più.» Koryt si rifugiò dietro al suo bicchiere di birra. «Il messaggio inviatoci dal maresciallo Wyerl diceva che i nomadi avevano schierato oltre cento compagnie contro di voi.» Il tono di voce di Weslyn lasciava trasparire un'educata sfumatura di dubbio. «Non conosco il numero esatto», ammise Alucius. «Ma il Landarco ha recuperato circa seimila corazze. Probabilmente, ce n'erano di più, ma questo è il numero di quelle appese ai muri del palazzo.» «Davvero un bel risultato, direi», replicò Weslyn. «Non mi stupisce che il Signore-Protettore voglia incontrarvi...» «Ecco qua!» La cameriera posò i piatti di fronte a ciascuno dei commensali. Alucius notò che gli era stata portata la quaglia. Aspettò finché tutti ebbero il proprio piatto, prima di tagliarne un pezzo e assaggiarlo. Aveva fame e la quaglia era saporita, e tenera. Per un po' nessuno parlò, ma non passò molto tempo prima che Weslyn, finito di sorseggiare il suo vino, si rivolgesse di nuovo ad Alucius. «È un
onore davvero raro, persino per un lanachroniano, ricevere un invito dal Signore-Protettore.» «L'ho sentito dire.» «E voi rappresentate le Guardie del Nord, tutti noi, per così dire. E questo avviene in un momento in cui non c'è molto denaro qui al nord...» «Non ce n'è mai stato molto», intervenne secco Feran. «Be', sì. È vero. Ma forse, grazie alle vostre imprese, il SignoreProtettore potrebbe rivolgersi a noi con occhio più favorevole e più assennato di quanto non abbia fatto il Consiglio...» Alucius si chiese se fosse possibile trovare qualcuno di meno assennato del Consiglio. «... incarichi futuri... promozioni... tutto questo è in ballo, al momento...» Mentre Weslyn continuava a parlare, suggerendo ad Alucius di fornire informazioni positive al Signore-Protettore, Alucius notò due mercanti, uno dal viso tondo e dalla tunica color blu scuro, e l'altro dai capelli bianchi e dall'abito nero, seduti a un tavolo accanto alla parete, a meno di tre iarde da dove si trovava lui. Sebbene i due sembrassero parlare tra di loro e fossero occupati a mangiare, non v'era alcun dubbio che prestassero ugualmente ascolto a ciò che veniva detto al loro tavolo, e spesso con aria attenta. Alucius cercò di non fissarli, benché si chiedesse per quale motivo fossero così interessati, e cosa esattamente potessero volere. Più di una volta sentì il loro sguardo puntato su di lui. «... importante che il Signore-Protettore creda che le Guardie del Nord sono affidabili, oltre che valide...» Per il resto della cena, Alucius si limitò perlopiù ad ascoltare - a mangiare - cercando di non sbadigliare troppo spesso, tanto era stanco. Sulla via del ritorno all'avamposto, nessuno parlò molto. Una volta all'interno degli alloggiamenti riservati agli ufficiali in visita, il colonnello Weslyn disse solo: «Ci vediamo domani mattina, dopo la solita adunata, dalla quale però voi e i vostri uomini siete dispensati». «Grazie», rispose Alucius, che aspettò finché il colonnello e il maggiore non si furono allontanati. Dopodiché si accertò che Egyl e i comandanti di squadra sapessero di non doversi presentare all'adunata, anche se avrebbero dovuto comunque alzarsi presto se volevano far colazione. Poi salì in camera sua. Non si era ancora slacciato il cinturone che reggeva la sciabola, che udì bussare alla porta. Capì che si trattava di Feran, ancora prima di aprire la porta e fargli
cenno di entrare. «Che ne pensi?» chiese Feran, gettando un'occhiata alla porta che si era richiusa alle spalle. «Weslyn è preoccupato. I mercanti non si fidano di lui, e neppure il Signore-Protettore. Anch'io sarei preoccupato al posto suo.» «Credi che la Quinta Compagnia sarà ancora dislocata a Glacenda?» «Non subito, credo. Dovranno prima unificarne alcune, come ad esempio la Ventunesima con la Quinta, sempre che mi permettano di tornare a fare il pastore. In tal caso, immagino che otterrai una licenza di un mese, poi ti verrà assegnato un servizio poco impegnativo per un altro mese, e poi ti manderanno in qualche posto come Procellaria per una stagione...» «E infine a Glacenda?» «O a Chiusa dell'Anima, per sferrare un attacco contro i matriti», ipotizzò Alucius. «Sei sempre così ottimista. Credi davvero che ti lasceranno andare via?» «La cosa mi preoccupa», confessò Alucius. «Mi preoccupa parecchio.» «Come potrebbero trattenerti?» «Minacciando di aumentare le tasse sulla seta nerina, o sulle terre di proprietà delle fattorie. Oppure il Signore-Protettore potrebbe semplicemente ordinarmi di restare.» Alucius scosse il capo. «Che cosa potrei fare se mettessero in atto uno di questi provvedimenti?» «Niente.» «Esatto.» Alucius fece una pausa. «Ma se ne avrò l'occasione... e se mi sarà possibile, vedrò cosa posso fare per te e per la Quinta Compagnia.» «Non pensi...» «E chi altro? Preferirei di gran lunga avere te al comando della Quinta Compagnia, e magari della Ventunesima.» Alucius soffocò uno sbadiglio. «Sei stanco.» «Non lo siamo forse tutti?» «Cerca di dormire un po'.» Feran sorrise. «Ci vediamo domattina.» Dopo che Feran se ne fu andato, Alucius si spogliò adagio. Che avrebbe potuto fare? Che avrebbe dovuto fare? E ancora non sapeva perché lo spirito-donna gli aveva mostrato il murale a Dereka, anche se temeva quello che sarebbe potuto accadere, una volta che l'avesse scoperto. 83 Alucius aveva trascorso gran parte della mattinata al lavoro con gli im-
piegati del quartier generale delle Guardie del Nord per provvedere alla paga arretrata dei soldati, visto che le sue riserve di denaro - quelle inviate alle compagnie prima della sua partenza da Emal - erano finite all'incirca quando lui si stava riprendendo dalle ferite riportate a Dereka. Poi aveva dovuto sostenere una discussione sull'invio delle due monete d'oro alle famiglie dei soldati morti in battaglia - le monete che gli erano state donate dal Landarco - poiché non aveva con sé le schede dei familiari. Persino il maggiore Imealt lo aveva appoggiato a quel proposito, ma forse perché il denaro non proveniva dai forzieri delle Guardie del Nord. Dopodiché aveva dovuto preoccuparsi delle uniformi e delle attrezzature, scrivere le lettere di incarico necessarie alla promozione di Egyl a comandante di squadra anziano e di altri quattro soldati con esperienza al grado di comandante di squadra. Quando finì, era quasi mezzogiorno. Subito dopo il pranzo, Alucius sgattaiolò nella sua relativamente spaziosa camera per scrivere una lettera a Wendra, poiché, finalmente, aveva la possibilità di comunicarle sue notizie. Mia carissima Wendra, con questa lettera ti informo che sono vivo e sto bene, anche se ho da poco recuperato completamente le mie forze. Sono stato ferito nella battaglia finale di Dereka, ma abbiamo vinto, e i nomadi si sono ritirati a Illegea. Mi ci sono volute parecchie settimane per riprendermi a sufficienza da poter cavalcare, e altre due settimane di viaggio sulla strada principale per poter arrivare a Dekhron ieri. Mi trovo ancora a Dekhron, ma non tornerò a casa tanto presto. Mi sto preparando a partire per Tempre, dove incontrerò il SignoreProtettore, il quale ha richiesto la mia presenza per congratularsi con me, quale rappresentante di tutti i soldati delle Guardie del Nord. A volte mi riesce ancora difficile pensare che siamo le Guardie del Nord di Lanachrona, anziché la Milizia delle Valli del Ferro. Quanto durerà il viaggio, ancora non so, ma ci vorranno parecchi giorni prima che possiamo partire. Non ho neppure idea di quanto a lungo mi fermerò a Tempre. Durante i miei spostamenti, sarò accompagnato da una squadra dei miei uomini, ma non dall'intera compagnia, o di ciò che rimane della Ventunesima Compagnia. Avevamo lasciato le Valli del Ferro con quattro compagnie, quasi a pieno effettivo, e siamo tornati con meno di due. La Ventunesima Compagnia è stata più fortunata di altre, anche se ci siamo ritrovati con poco più di metà uomini.
Mi ha molto stupito vedere quanto i territori orientali della regione a nord di Lanachrona siano desolati e brulli, oltre che scarsamente abitati. Il terreno è quasi arido come nelle nostre distese di quarasote, anche se il suolo è più polveroso che sabbioso. Temo che non riuscirei mai a vivere al sud. Mi mancano troppo il freddo e gli ampi spazi attorno alla fattoria, e soprattutto mi manchi tu, e non vedo l'ora di togliermi l'uniforme e di tornare. Con tutto il mio amore. Dopo aver firmato la lettera, Alucius la piegò e la sigillò, poi scrisse all'esterno il nome di Wendra e l'indirizzo della bottega del padre a Punta del Ferro, prima di infilarla nella tanica in attesa di trovare un messaggero diretto a nord. Si alzò adagio e si stirò, dopodiché uscì. Doveva ancora dare disposizioni per far ferrare alcuni cavalli. Doveva anche stendere un rapporto sulle perdite subite di cavalli e di attrezzature durante le varie battaglie sostenute a Deforya. Il colonnello aveva insistito su quest'ultimo punto, spiegando che, sebbene tali rapporti fossero semplici formalità, venivano ancora richiesti dal comandante in capo di Lanachrona. Alucius si chiese quante altre lettere e rapporti si sarebbero resi necessari nel corso dei giorni successivi. 84 Tempre, Lanachrona Nella luce grigia di una nuvolosa mattina, poco dopo l'alba, l'Archivista degli Atti era in piedi, con indosso solo gli indumenti intimi, davanti allo specchio del suo appartamento privato, un alloggio costituito da uno spazioso - seppure non lussuoso - soggiorno, una camera da letto e una stanza da bagno adibita anche a guardaroba. Quei locali erano sempre appartenuti agli Archivisti degli Atti" e si trovavano al secondo piano del palazzo del Signore-Protettore, un edificio ricostruito parecchie generazioni addietro e largamente ampliato - sulle fondamenta di una struttura preesistente. L'appartamento dell'Archivista era situato al di sopra delle antiche fondamenta e delle stanze sotterranee risparmiate dal Cataclisma e da altri eventi. Dopo aver versato dal flacone azzurro privo di etichetta l'unguento preparato in precedenza, l'Archivista se lo spalmò adagio sui capelli neri,
spazzolandoli accuratamente. Mentre li pettinava, questi si schiarirono fino a diventare colore dell'argento. Rimase a lungo a esaminarsi, poi posò la spazzola. Quindi si versò sulle mani il contenuto di una seconda boccetta marrone e si massaggiò quella specie di lozione sulla pelle, così che, una volta finito, il viso parve leggermente abbronzato, anziché bianco opalescente. Infine, prese un sottile pennello e lo intinse in un liquido scuro. Con molta attenzione, applicò il liquido lungo le impercettibili linee, un tempo rughe profonde, che gli solcavano il viso. Quando ebbe terminato, annuì con approvazione ammirando la propria immagine riflessa nello specchio, poi ripose i vari flaconi in una semplice scatola di legno e nascose la scatola in un compartimento segreto del doppio fondo del cassettone. Solo allora indossò gli abiti argentati di Archivista degli Atti e si diresse verso la porta per iniziare la giornata. 85 Alucius si destreggiò a fatica attraverso un'altra giornata densa di ulteriori dettagli burocratici, quali il dover ottenere l'autorizzazione dal capitano incaricato dei fondi destinati alle scuderie, per poter pagare il maniscalco che aveva ferrato una cinquantina di cavalli, e il convincere l'ufficiale addetto agli approvvigionamenti a mettere a disposizione altre uniformi senza addebitarle ai soldati. Questi si era infatti ostinato a dire che le uniformi danneggiate o mancanti erano una conseguenza della trascuratezza dei soldati e non della normale usura. Il nuovo manuale del furiere - inviatogli da Tempre - non prevedeva la voce relativa ai danni subiti in battaglia. Accennando agli ordini ricevuti dal Signore-Protettore - e ricorrendo al Talento - Alucius riuscì a procurare le uniformi a tutti i suoi soldati facendole catalogare sotto la voce «su richiesta del Signore-Protettore». Dopodiché si concesse una passeggiata in cortile per un buon quarto di clessidra facendo lunghi e profondi respiri, prima di rientrare nell'edificio del quartier generale per incontrarsi di nuovo con il colonnello Weslyn. Questi aveva uno studio al secondo piano, con un balcone che si affacciava sul cortile. Quando Alucius entrò nella stanza, le doppie porte erano aperte, ma il colonnello, seduto dietro una vecchia scrivania in noce, non accennò ad alzarsi. Si limitò a posare le carte che stava esaminando e lo guardò al di sopra delle basse pile di fogli ordinatamente sistemate davanti a lui. «Buongiorno, capitano maggiore. Come procedono le cose?» Alucius gettò un'occhiata ai mucchi di documenti. «Pensavo di avere vi-
sto abbastanza carte in questi giorni, ma mi pare di capire che anche voi non abbiate di che lamentarvi.» «Le Guardie del Nord sono tenute a presentare ancora più rapporti di quanti non ne presentasse la milizia, temo. Il che comporta vantaggi e svantaggi. Il Consiglio non ha mai voluto vedere resoconti di alcun genere, e ciò che non ha voluto vedere ha determinato la fine del suo potere, così, adesso, io devo riferire direttamente al comandante in capo di Lanachrona. Attraverso i rapporti, ci è possibile spiegare le varie problematiche e necessità, anche se questo porta via parecchio tempo.» Il colonnello si strinse nelle spalle. «Volevate vedermi?» «Sì, signore. Il Consiglio non è più...» «Il Signore-Protettore l'ha sciolto. Ha minacciato di far giustiziare quei membri che avessero osato protestare, ma poi ha concesso la grazia. Adesso... ditemi il motivo della vostra visita.» Alucius decise di approfondire oltre la questione sul Consiglio. «Speravo che avremmo potuto parlare delle compagnie che sono tornate da Deforya, se non vi spiace.» Alucius fissò il colonnello dalla divisa impeccabile. «Sapete che non dipenderà interamente da me», replicò Weslyn in tono sciolto. «Farò le mie raccomandazioni al maresciallo Wyerl. Lui è il comandante in capo delle Guardie del Nord e del Sud, come ben sapete, con facoltà di accettare o meno i miei consigli. Ci vorrà un po' di tempo prima che riceviamo notizie. Avevo pensato, in base a quanto mi avevate suggerito, di concedere agli uomini una licenza di un mese. Se saremo fortunati, prima del loro ritorno, sapremo come procedere.» Weslyn sorrise. «Cosa consigliereste?» Alucius rispose a quel sorriso con uno altrettanto falso, e probabilmente altrettanto palese. «Prima che lasciassimo l'avamposto di Emal, avevate accennato al fatto che il Signore-Protettore era maggiormente interessato a rafforzare le postazioni delle Guardie del Nord nelle regioni settentrionali e occidentali. Poiché siamo rimasti a lungo lontani dalle Valli del Ferro, non ho idea di cosa sia stato deciso o attuato nel frattempo. Non vorrei fare proposte contrarie ai suoi e ai vostri intendimenti. Potreste magari spiegarmi in breve come stanno le cose e quali sono le postazioni a corto di uomini?» Il colonnello si appoggiò un po' indietro sulla vecchia sedia di legno, producendosi in un sorriso ancora più generoso. «Sì... è opportuno considerare ciò che è possibile, e vorrei che fossero di più gli ufficiali in grado
di capirlo.» Alucius ignorò l'allusione al fatto che lui non rientrasse tra quelli che capivano, continuò a sorridere educatamente, e aspettò. «L'avamposto di Chiusa dell'Anima è stato trasferito nella vecchia fattoria ai margini occidentali della valle, nei pressi delle Colline dell'Ovest, la stessa fattoria, credo, che un tempo aveva servito da accampamento ai matriti. Il fabbricato originale è stato ampliato, diventando così una base di attestamento capace di ospitare qualcosa come dieci compagnie. Al momento, ce ne sono cinque. Le cose sono andate molto più a rilento al nord. Durante l'estate abbiamo completato una piccola postazione a Glacenda e ci sono dei lavori in corso per la costruzione di un avamposto temporaneo nelle Colline dell'Ovest, a est di Klamat. Il comandante in capo sperava di intraprendere una campagna alla fine dell'estate, ma i problemi logistici hanno fatto sì che cambiasse idea. Anche il campo di Procellaria è stato ampliato, ed è attualmente occupato da cinque compagnie, con spazio sufficiente per altre cinque.» «Capisco. Avete dodici compagnie dislocate lungo le strade principali che portano ai territori settentrionali di Madrien. Noi ne avevamo quattro, e presumo che qui ne abbiate una. Se mi è permesso chiedere, dove sono stazionate le altre quattro? Lungo il fiume Vedra, a ovest?» «Esatto.» Il colonnello sorrise. «A dir la verità, il comandante in capo è rimasto così favorevolmente colpito dalle gesta delle Guardie del Nord da assicurarci che non farà economie per il reclutamento di un numero di soldati sufficiente a rimpiazzare le perdite subite a Deforya e per l'addestramento e la formazione di tre nuove compagnie prima della primavera ventura.» Alucius si sentì contrarre lo stomaco. Era chiaro che il SignoreProtettore intendeva usare le Guardie del Nord come punta di lancia nell'assalto contro le regioni settentrionali di Madrien. Benché non provasse molta simpatia per i matriti, non vedeva però l'utilità di sacrificare i soldati delle Valli del Ferro in tale impresa, quando era palese che tutti i vantaggi sarebbero andati a sud, contribuendo all'effettivo indebolimento delle Valli del Ferro e a un ulteriore rafforzamento di Lanachrona. Eppure, i mercanti avrebbero dato il loro consenso o non si sarebbero comunque opposti a tale strategia, Alucius ne era certo, poiché in tal modo avrebbero guadagnato altro denaro da tenere al caldo nei loro forzieri. Sarebbero stati acquistati più cavalli, più selle, più uniformi e un maggior numero di provviste, e Dekhron si sarebbe ulteriormente avvicinata a
Tempre e a Lanachrona, mentre i pastori del nord sarebbero rimasti ancora più isolati. «Dove proporreste di inviare le vostre compagnie», chiese il colonnello, «al termine della licenza?». Alucius non voleva rispondere alla domanda. Se avesse espresso un suggerimento, avrebbe dimostrato di approvare la strategia che era stata adottata. «Sono stato via per un po', colonnello, e può darsi che mi sia perso qualcosa... ma... ci sono un paio di questioni. Per prima cosa, più della metà degli uomini della Ventunesima Compagnia concluderà il periodo di ferma alla fine dell'anno.» «Compreso il loro capitano maggiore e, a questo proposito, mi è stato assicurato che i vostri congedi verranno onorati. Ho pensato che i soldati rimasti avrebbero potuto entrare a far parte della Quinta Compagnia, tranne forse quelli destinati ad assumere il grado di comandante di squadra in altre compagnie. E l'altra questione?» «Be'... ho l'impressione che dovremo combattere la stessa guerra una seconda volta, anche se in questo caso sarà il Signore-Protettore a fornire il denaro, mentre noi forniremo gli uomini e la carne da macello.» Weslyn inclinò il capo, poi annuì pensieroso. «Questa è una possibilità reale, capitano maggiore. Non è un buon affare, ma è quanto di meglio siamo riusciti a concludere. Le Valli del Ferro sono povere, molto più povere di quanto chiunque al di fuori del vecchio Consiglio abbia mai saputo. Non avremmo potuto trovare i fondi sufficienti a combattere contro i lanachroniani. Non avevamo neppure i soldi per pagare i nostri soldati in tempo di pace. Non avevamo soldi per le munizioni. E una guerra ci avrebbe distrutti. Le Guardie del Sud hanno combattuto contro i matriti nelle regioni meridionali. Hanno conquistato Zalt e occupato Porta del Sud. È per questo motivo che siamo riusciti a respingere i matriti la volta precedente. Combattere di nuovo contro di loro non è esattamente ciò che ognuno di noi desidera, ma è molto meglio di qualunque altra cosa che avrebbe potuto avere in serbo per noi il futuro.» Alucius sentiva che il colonnello credeva in tutta onestà alle proprie parole. Ma l'aspetto peggiore di ratta la faccenda era che Alucius stesso non si sentiva così sicuro che il colonnello avesse torto. «Non posso certo dire che la situazione mi piaccia...» «Capitano maggiore, a nessuno di noi piace, e agli ex membri del Consiglio piacerà ancora meno di quanto piace a noi tra qualche tempo. Ma non avete risposto alla mia domanda.»
«Se potessi scegliere», disse piano Alucius, «chiederei che le due compagnie venissero assegnate a Chiusa dell'Anima». «Pensavo che avreste suggerito Procellaria.» «Procellaria sarebbe più piacevole come posto, ma, quando inizierà la battaglia, gli scontri lì saranno più violenti, e i miei uomini hanno già combattuto troppo tempo in condizioni difficili.» Il colonnello Weslyn si accigliò. «Perché pensate che a Procellaria gli scontri saranno più violenti?» «Perché la strada principale inferiore conduce ad Arwyn, dov'è stazionato un maggior numero di compagnie matriti, e perché Arwyn, essendo più vicina a Hieron, è in grado di ricevere da questa rinforzi in modo più rapido e diretto.» «A Glacenda ci sarebbero ancora meno probabilità di combattere», gli fece notare Weslyn. «Vero... ma molti soldati mi hanno detto che preferiscono combattere un po', piuttosto che trovarsi in un posto così a nord.» «Gliel'avevate chiesto?» «No. Me l'avevano detto la primavera scorsa, quando mi avevate annunciato la ridistribuzione delle compagnie. Mi sono semplicemente ricordato adesso di questo particolare.» «Capisco. Bene... vedremo cosa si potrà fare.» Weslyn si schiarì la voce e raddrizzò le spalle. «Quale squadra intendete condurre con voi a Tempre?» «Gli ordini che mi erano stati dati dal maresciallo Wyerl dicevano che avrei potuto condurre con me un'intera squadra di mia scelta. Visto che non me ne è rimasta una tutta intera, pensavo di raggruppare la terza e la quarta squadra della Ventunesima Compagnia. In tutto, sarebbero diciannove soldati. Ma vorrei comunque che anche a loro venisse concessa la licenza, una volta tornati. Un mese, come per gli altri.» «Direi che può andare. Quando pensate di partire?» «Dopodomani. Non appena sarà tutto pronto.» «Bene.» Con un sorriso professionale sulle labbra, il colonnello si alzò. «Fatemi sapere se vi serve qualcos'altro... per quanto, da quel che vedo, ve la sapete sbrigare egregiamente da solo, capitano maggiore.» Alucius si alzò a sua volta. «Facciamo del nostro meglio, signore.» Si inchinò leggermente e uscì. 86
Una sera, sul presto, Feran e Alucius se ne stavano seduti a uno dei tavolini della locanda di Elyset. Benché le imposte fossero spalancate per lasciar entrare l'aria più fresca da fuori, la sala principale era in penombra, poiché le lampade alle pareti non erano ancora state accese. Entrambi avevano dinanzi a sé un bicchiere di birra ambrata. «Che cosa hai saputo dal colonnello?» domandò Feran, prima di bere un sorso dal suo bicchiere. «Le cose stanno peggio di quanto si pensava. Il Consiglio non ha neppure più il controllo delle Guardie del Nord. Il Signore-Protettore l'ha sciolto. Il colonnello riferisce direttamente al comandante in capo di Lanachrona. Il Signore-Protettore manderà del denaro, sufficiente a mettere insieme ed equipaggiare altre tre compagnie di Guardie del Nord entro la prossima primavera, in previsione dell'attacco contro Madrien. Il colonnello non l'ha detto, ma non vedo altre ragioni per giustificare la costruzione di postazioni a est delle Colline dell'Ovest, ed è ovvio che, dando fondo alle nostre riserve militari, Lanachrona ci indebolirà, rafforzandosi nel contempo.» «E... Weslyn... il Consiglio... accettano questa situazione?» «Non hanno altra scelta. Il Signore-Protettore ha minacciato di far giustiziare tutti i membri del Consiglio. Già in passato nessuno voleva combattere. Pensi che lo vogliano fare adesso? Persino prima che tutto questo accadesse, prima della scorsa primavera, le Valli del Ferro non possedevano il becco di un quattrino. Non avevano neppure denaro a sufficienza per assicurare all'esercito la scorta di munizioni fino all'estate.» «Perciò, in definitiva, noi scendiamo in campo e ci facciamo ammazzare perché i mercanti non perdano il loro denaro. È così?» «Lo perderanno comunque, tra non molto. No... noi scendiamo in campo e combattiamo nelle terre di Madrien per non dover combattere in quelle delle Valli del Ferro e per impedire che il sangue scorra all'interno dei nostri confini. Dobbiamo sacrificarci per le nostre famiglie e per i nostri amici.» Tranne che, Alucius si astenne dal dire, sarebbe stato Feran a sacrificarsi, se lui fosse tornato a fare il pastore. «Se la metti così...» Feran sospirò, poi bevve un lungo sorso della sua birra. «Non migliora di molto la situazione», ammise Alucius. «Il momento è critico per chiunque faccia parte delle Guardie del Nord. Per quanto, ultimamente, sia meglio per quasi tutti gli altri.» «Come... come hanno fatto ad arrivare a questo punto?»
«Lo sai bene quanto me. I mercanti del Consiglio non volevano perdere il loro denaro. E neppure i proprietari terrieri e gli artigiani. Be'... in un modo o nell'altro bisogna pur pagare, e adesso finiranno per sborsare più quattrini per le tasse pur godendo di una minore indipendenza, e questo solo perché non hanno voluto farlo prima.» Alucius sorseggiò la sua birra, poi si appoggiò allo schienale della sedia, mentre la cameriera gli metteva davanti un piatto di stufato e posava un cestino di pane sul tavolo. «Una moneta d'argento a testa, signori.» Alucius tirò fuori una moneta d'argento e una di rame, imitato da Feran. Dopo che la cameriera si fu allontanata, Feran abbassò lo sguardo sulle sue cotolette. «L'anno scorso... per lo stesso piatto ho pagato tre monete di rame.» «I prezzi continuano a salire.» Alucius si tagliò un pezzo di pane di segale. Avrebbe preferito il pane scuro, più morbido, ma la melassa era finita, o così almeno aveva detto la cameriera. «Quindi, anche il cibo costa di più?» Con la bocca piena di stufato piccante, Alucius annuì. «Hai potuto scoprire cos'hanno intenzione di fare di noi?» «Il colonnello mi ha chiesto se avevo qualche suggerimento da dargli per i miei uomini. Ho cercato di saperne di più, ed è stato allora che mi ha detto delle altre tre compagnie. Nemmeno lui era molto entusiasta della cosa.» «Tu hai la brutta abitudine di dirmi quello che non voglio sentire, capitano maggiore.» «Tanto vale che ti racconti tutto, allora. Ho proposto al colonnello di inviare la Quinta Compagnia a Chiusa dell'Anima.» «Tu ci hai fatti offrire volontari per Chiusa dell'Anima?» chiese Feran. «Sai quanto io odi il freddo.» «No... c'erano altre possibilità. Potevate essere mandati a Glacenda per l'inverno, o a Chiusa dell'Anima, oppure a Procellaria. A Procellaria avreste fatto da punta di lancia nell'attacco della primavera prossima contro Arwyn, dove i matriti faranno confluire tutte le compagnie e le armi in loro possesso. Mi avevi detto che avresti fatto qualunque cosa per evitare Glacenda. Per cui ho fatto cadere la scelta sul numero due nella lista delle cose sgradevoli.» «Che fottutissimo mondo di sabbiosi è quello in cui si vincono le battaglie, ma si finisce comunque per essere fregati?» borbottò Feran, mentre usava il coltello che portava alla cintola per tagliarsi un pezzo di cotoletta.
«Avresti preferito essere dislocato a Glacenda?» «No. Chiusa dell'Anima è meglio... credo anche che tu abbia ragione riguardo a Procellaria.» Feran bevve un altro sorso di birra e sollevò il bicchiere vuoto. «Che mi dici di te?» «Parto dopodomani per Tempre. Il colonnello mi ha dato il permesso di formare un'unica squadra con i superstiti della terza e della quarta. Porterò Faisyn con me e lascerò Egyl al comando del resto della compagnia, ma adesso andranno tutti in licenza. E voi pure. Per un mese. Anche noi ci andremo, al ritorno.» «Quindi, non succederanno grandi cose durante la stagione del raccolto o in autunno.» Feran porse il bicchiere alla cameriera. «Tranne il fatto che proseguiranno i lavori di costruzione delle postazioni nelle Colline dell'Ovest e si occuperanno dell'addestramento di altri soldati.» «Perché credi che il Signore-Protettore ti abbia invitato a Tempre?» «Non lo so. La cosa mi preoccupa. Sono solo un modesto capitano maggiore, e anche uno dei più giovani. Mentre lui è a capo di un intero Paese. Se si tratta solo di un gesto di riconoscenza, allora si tratta di un gesto ben strano.» «Forse... forse sa...» «Sa che cosa?» replicò Alucius con aria indifferente. Feran sbuffò. «Sei un pastore. Tutti lo sanno.» Abbassò la voce e si protese verso di lui al di sopra del tavolo. «Parecchi soldati, inclusi Egyl, Koryt e io, sanno che sei molto più di questo. Non diciamo niente perché è meglio, e perché ci hai salvato la vita più di una volta. Ma a Tempre si raccontano storie di possessori di Talento... e di una Tavola munita di uno specchio in grado di vedere le cose, di proprietà del Signore-Protettore.» «Me ne avevi già accennato, quand'eravamo diretti a Deforya.» «Esatto. Ho avuto torto? Tu credi che qualcun altro sarebbe riuscito a fermare quegli pteridon?» «Non lo so.» «Alucius...» la voce di Feran era bassa, ma ferma. «Entrambi conosciamo la risposta, e scommetto che anche il Signore-Protettore la conosce. Sarà meglio che ti prepari a una tale eventualità. Vorrà sicuramente qualcosa. Non so cosa, ma non vorrei trovarmi nei tuoi panni per tutto l'oro di Tempre.» Alucius scoppiò in una risata dal suono falso. «Non sono certo di volerlo
neppure io, ma mi ci trovo mio malgrado.» Bevve un lungo sorso e finì la sua birra. Feran scosse il capo e cominciò a sorseggiare il secondo bicchiere. 87 Nel tardo pomeriggio di sexdi, due giorni dopo aver lasciato Dekhron, Alucius e la sua nuova squadra - formata dagli uomini rimasti della terza e della quarta squadra - avevano raggiunto il punto in cui la strada principale si riavvicinava al fiume Vedra. Le aride praterie delle regioni orientali di Lanachrona erano state sostituite da campi coltivati su entrambi i lati della strada, campi irrigati da pompe azionate da muli, che facevano confluire le acque del fiume in stretti canali. File di granturco rigoglioso si succedevano a file di una pianta più bassa, che Alucius non conosceva. Sebbene fosse già la stagione del raccolto, faceva caldo come in piena estate. Alucius si concesse un'altra sorsata dalla seconda bottiglia d'acqua, prima di riporla nel contenitore. Aveva avuto tempo in abbondanza per pensare e, nonostante ciò, molte domande erano ancora senza risposta. Subito dopo aver lasciato l'avamposto di Dekhron, mentre lui e i suoi soldati attraversavano la città, non solo erano stati ignorati dagli abitanti, ma Alucius aveva addirittura percepito ostilità nei loro confronti. Chissà se alla milizia, diventata ora Guardie del Nord, si attribuiva la colpa dell'annessione delle Valli del Ferro ai territori di Lanachrona? E in tal caso, chi mai avrebbe potuto diffondere tali false notizie? Forse i due mercanti che lo avevano spiato al «Montone Rosso»? Ex membri del Consiglio contrariati e scontenti per il suo scioglimento da parte del Signore-Protettore? Cercò di trattenersi dall'assumere un'aria corrucciata. «Manca meno di una clessidra alla postazione di Borlan, signore», annunciò Heslyn. «Si trova da questa parte del fiume. Del Vyana, voglio dire.» «Grazie.» Alucius non vedeva quasi nulla davanti a sé, tranne fattorie e campi, e due fiumi: il Vyana alla sua sinistra, che scorreva verso ovest attraverso i campi più bassi a sud, e il Vedra alla sua destra. Dopo circa un quarto di clessidra, Alucius fu finalmente in grado di distinguere dinanzi a sé le mura della postazione di Borlan, sul fianco destro della strada principale, in corrispondenza dell'alto triangolo di terra formato dal congiungimento dei due corsi d'acqua. Sebbene ci fossero alcune case attorno alla postazione, la città vera e propria era situata più in basso,
sulla riva occidentale del Vyana, al di là del ponte sul quale passava la strada principale. Dapprima Alucius si stupì che la strada principale attraversasse il Vyana, ma non il Vedra, e che poi deviasse a sud congiungendo Borlan a Krost, quando invece sarebbe stato molto più pratico farla correre direttamente da Borlan a Tempre. Ma poi, nel ripensare all'immagine del veloce bastimento ammirato sul murale di Dereka, comprese. Il Vedra, da Borlan in poi, era ampio e profondo, e le antiche popolazioni si sarebbero sicuramente servite di quel corso d'acqua se avessero voluto recarsi direttamente a Tempre, mentre invece la strada principale era destinata a fare da collegamento con tutta la zona meridionale di Lanachrona. La postazione era costituita da un muro di mattoni gialli alti quasi tre iarde, con al suo interno file di fabbricati a due piani. «Signore... se permettete, annuncio il vostro arrivo», propose Heslyn. «Prego...» Non male come idea, pensò Alucius, dicendosi che avrebbe potuto arrivarci da solo. Heslyn si staccò dalla colonna e si avviò al galoppo verso la postazione, poi si fermò ai cancelli, a trecento iarde dal resto della colonna. Mentre Alucius osservava, uno dei due soldati di guardia all'ingresso corse via, per poi tornare di lì a qualche istante. Heslyn rimase in attesa là fuori. Quando Alucius e la sua squadra giunsero all'imbocco della strada selciata che conduceva alla postazione, una strada lunga circa cinquanta iarde, dal fondo sconnesso e pieno di crepe riparato a più riprese, svoltarono e si diressero verso i cancelli aperti. D'un tratto, udirono alcuni squilli di tromba - stonati -, una serie di terzine. «Mai avuto una fanfara prima d'ora», mormorò Faisyn. La tromba suonò di nuovo, mentre Alucius raggiungeva le sentinelle. Al di là dei cancelli, scorse metà squadra di Guardie del Sud schierata a formare una sorta di guardia d'onore. Cosa aveva mai potuto dire Heslyn alle sentinelle? Che lui e la terza squadra erano eroi leggendari? Un biondo maggiore delle Guardie del Sud stava in attesa sull'attenti, accanto ai soldati schierati. Alucius fece segno ai suoi uomini di fermarsi, mentre si portava con Selvaggio di fronte al picchetto d'onore. «Squadra alt!» ordinò Faisyn. «Capitano maggiore Alucius, Guardie del Nord, benvenuti all'avamposto di Borlan! Vi ringraziamo dell'onore che ci rendete con la vostra visita e faremo il possibile per rendervi il viaggio più agevole.» Le labbra del
maggiore erano incurvate in un cordiale sorriso. Dietro al sorriso, Alucius percepì preoccupazione e curiosità, ma replicò subito. «Siamo noi a essere onorati dalla vostra cortesia e cordialità e apprezziamo profondamente il vostro benvenuto.» A un cenno del maggiore, si fece avanti un comandante di squadra anziano. «Lethyn accompagnerà i vostri uomini alle scuderie e ai loro alloggi e, naturalmente, alla mensa. Si assicurerà anche che tutti i cavalli che ne avranno bisogno ricevano le cure del maniscalco. Vi fornirà poi le provviste per il resto del viaggio.» Alucius, a sua volta, indicò il proprio comandante di squadra. «Questi è Faisyn, il comandante della terza squadra.» I due comandanti conferirono brevemente, quindi la terza squadra si diresse verso le scuderie situate nell'angolo nordoccidentale della postazione. «Sono Ebuin, temporaneamente al comando della postazione di Borlan», si presentò il maggiore. «Vi accompagno nelle scuderie riservate agli ufficiali, poi vi mostrerò gli alloggi degli ufficiali in visita.» Il tono di voce era amichevole. «Siete molto gentile.» Sebbene Alucius non avvertisse in lui l'arroganza e la falsità percepite in altri ufficiali, come ad esempio il colonnello Weslyn e i marescialli di Deforya, sentiva che Ebuin irradiava una certa freddezza. «Sono molto incuriosito», ammise Ebuin. «Ma... se non vi dispiace, rimanderei la cosa a più tardi. Spero che vi vorrete unire a me nella mensa ufficiali, dopo che vi sarete sistemato nei vostri alloggi.» Il maggiore si fece rapidamente strada attraverso i mucchietti di fango rinsecchito che costellavano il cortile interno, fermandosi fuori da un ingresso ad arco a un'estremità delle scuderie. «Scegliete il recinto che preferite per il vostro cavallo. Vi aspetto qui.» Fedele alle sue parole, Ebuin era ancora là in attesa, dopo che Alucius ebbe finito di prendersi cura di Selvaggio. Alucius portava la bisaccia in spalla e reggeva un fucile in ogni mano. «Due fuchi?» Ebuin inarcò le sopracciglia. «A volte, mi è stato utile non dover ricaricare», ammise Alucius. «Capisco.» Ebuin si avviò in direzione del fabbricato a due piani più piccolo, subito dietro all'edificio del quartier generale. «Gli alloggi riservati agli ufficiali in visita sono gli stessi che occupiamo noi. Sono semplicemente le ultime tre stanze al piano superiore. Tutti dividiamo un'unica stanza da bagno. Non succede spesso che qui si fermino capitani maggiori
o ufficiali anziani. La maggior parte dei combattimenti si svolge a ovest.» «Credevo che occupaste Porta del Sud.» «Il maresciallo sta avanzando lungo la strada costiera di sudovest alla volta di Fola. Vuole aggirare Dimor. I matriti possiedono un'arma laggiù.» «È un lancia-proiettili di cristallo», spiegò Alucius. «Spara punte di cristallo lunghe mezza iarda. Decine e decine di piccole frecce a ogni tiro.» «L'avete visto?» «I matriti lo avevano usato contro di noi a Chiusa dell'Anima. Ne hanno solo uno, e avevo sentito dire che l'avevano trasferito a sud dopo essersi ritirati dai territori settentrionali.» «Capisco.» Ebuin si fermò ai piedi delle scale nell'ala nord degli alloggiamenti. «In cima a questa scala. La mensa ufficiali si trova sul davanti del fabbricato principale che ospita tutti i locali mensa. Finisco i rapporti ai quali stavo lavorando e vi aspetto là tra una clessidra. Se per voi va bene.» «Benissimo. Così posso ripulirmi un po' dalla polvere del viaggio», disse Alucius con un sorriso. Aveva anche intenzione di assicurarsi con Faisyn che la terza squadra avesse avuto una sistemazione adeguata. Dopo che il maggiore si fu allontanato, Alucius salì le scale. L'alloggio consisteva in un'unica modesta stanza, ammobiliata con un letto singolo moderatamente ampio, uno scrittoio, una rastrelliera per le armi e gli stivali e un piccolo armadio. L'acqua nella stanza da bagno era fredda, ma ce n'era in abbondanza, e Alucius se ne servì per lavarsi un'uniforme e un cambio di indumenti intimi di seta nerina, prima di farsi il bagno. Dopo essersi rivestito, scese e si diresse verso le baracche. Faisyn si stava vestendo e, prima di entrare, Alucius aspettò finché non ebbe finito. Il pavimento era un po' impolverato, ma le robuste brandine erano separate l'una dall'altra da un ampio spazio, e c'erano ganci sul muro per appendere le uniformi e le armi. «Com'è qui?» «Meglio di altri posti, signore. Ho dovuto insistere con un paio di soldati perché si lavassero.» «Sylat?» Faisyn rise. «Lui e Vercal.» «Ci serve per caso qualcosa che non so?» Il comandante di squadra aggrottò la fronte. «No, signore. Uno dei flaconi di olio per cuoio si è rotto, ma Lethyn ce ne ha già procurato un altro.» «Bene. Volevo solo esserne certo prima di incontrare il maggiore. Ci
vediamo più tardi, allora.» «Sì, signore.» Ebuin lo stava aspettando nella piccola mensa che conteneva tre tavoli appena, solo uno dei quali era apparecchiato per due. Quando Alucius fece il suo ingresso, il maggiore si alzò. «La cena sarà pronta a momenti», disse, indicandogli l'altra sedia. Alucius prese posto. Sul tavolo c'era già una brocca di birra ambrata, con due bicchieri vuoti. «È una buona birra, la parte migliore del pasto, da queste parti», dichiarò il biondo ufficiale più anziano. «Coraggio, versate.» Alucius riempì entrambi i bicchieri e prese quello alla sua sinistra. «Il capitano-colonnello è a Tempre. Altrimenti si sarebbe di certo unito a noi.» Ebuin alzò il bicchiere, che sembrava molto antico. «Alla vostra salute...» «Alla vostra.» Alucius ricambiò il brindisi sollevando il suo. «Ci avevano avvisati della vostra visita parecchie settimane fa. Non ci era stato detto molto, tranne che, dopo la morte del maggiore Draspyr, avevate assunto il comando delle due forze congiunte e che avevate sbaragliato i nomadi che avevano assalito Dereka. Eravate molto inferiori a loro come numero, non è vero?» «Nella proporzione di circa uno a tre, o di uno a quattro.» Alucius bevve un piccolo sorso di birra. Ebuin aveva ragione. La birra era fresca, proprio quel che ci voleva per togliersi dalla gola la polvere del viaggio. «Compresi i deforyani?» «I Lancieri deforyani contavano venticinque compagnie. In effetti, insieme a loro, raggiungevamo la proporzione di uno a quattro.» «Il che vuol dire che i nomadi avevano schierato più di centoventi compagnie?» «Questo è ciò che mi ha detto più tardi uno dei marescialli deforyani. Dopo la battaglia, avevano raccolto più di seimila corazze.» Ebuin sembrò chiaramente sorpreso da quella cifra, per quanto si limitasse ad annuire e a bere un sorso della sua birra, prima di proseguire. «Qualcuno ha accennato al fatto che possedevano creature talentose...» «Pteridon. Animali volanti dalla pelle azzurra, i cui cavalieri erano armati con antiche lance cosmiche. Le lance emettevano lampi di luce azzurrognola.» Alucius tacque, mentre un inserviente portava due grossi piatti e li posava al centro del tavolo. Uno di essi conteneva strisce di carne ricoperte da una salsa color cara-
mello e da mandorle leggermente tostate, guarnite con fette di limetta. Sul secondo era disposto del riso glassato fritto. «Porcellino delle praterie», spiegò Ebuin indicando le strisce di carne. «Sono animali simili allo scriccio, ma molto più grandi e mansueti. La loro carne ha lo stesso sapore del pollo.» Alucius ne dubitava, ma si servì di carne e riso in abbondanza. Ebuin se ne tagliò parecchi pezzetti e cominciò a mangiare. Alucius lo imitò, con maggiore cautela, e decise che la carne non era poi così male: era meglio delle punte di quarasote, anche se non buona come il pollo, e certamente non come la quaglia che gli avevano servito da Elyset. «Riguardo a quegli pteridon», disse Ebuin di lì a poco, «credevo che i fucili non fossero efficaci contro le creature talentose». «È più difficile colpirle. Ma noi usiamo cartucce più grosse delle vostre.» Alucius dovette subito trangugiare un boccone di riso perché c'era qualcosa di molto piccante nel condimento della carne e si sentiva la bocca in fiamme. «Cartucce più grosse significano anche un caricatore con meno proiettili.» «È questa la ragione per cui portate due fucili?» «Una delle tante.» «E queste cartucce si sono dimostrate valide contro quelle bestie?» «Non quanto contro i nomadi», disse Alucius con un triste sorriso. «Alla fine siamo riusciti a uccidere gli pteridon, ma ce n'erano soltanto undici, e non prima però che avessero spazzato via circa la metà delle forze deforyane.» «E voi non siete rimasto ferito?» «Hanno colpito parecchi dei nostri. Io mi sono accorto in tempo...» Alucius fornì una breve descrizione dell'attacco in schieramento serrato e di ciò che era successo dopo, tralasciando il particolare delle pallottole rivestite di oscurità usate contro gli pteridon, «... e quando ho ripreso conoscenza, mi sono trovato a letto, accudito da alcune donne molto anziane. Poi, una volta guarito, il Landarco mi ha appuntato una bella decorazione sul petto, ha caricato me e i miei soldati di provviste e ci ha spediti a fare i bagagli». «Devo dire che è una storia alquanto sorprendente», commentò Ebuin. «Ho come l'impressione che abbiate un po' minimizzato le vostre imprese. Altrimenti il Signore-Protettore non avrebbe voluto vedervi.» «Pare che sia al corrente di molte cose», disse Alucius con aria indifferente. «E, spesso, ancora prima di riceverne notizia dai messaggeri.»
Ebuin non replicò. «È evidente», insistette Alucius. «Ci aveva mandato incontro dei messaggeri, che abbiamo incontrato appena fuori dalle montagne della Dorsale Superiore. Non era certo possibile che un messaggero con i particolari della nostra vittoria avesse potuto raggiungerlo e poi tornare da noi in così poco tempo. Deve sicuramente possedere qualche marchingegno.» «Corrono voci», disse Ebuin in tono vago, «ma è qualcosa di cui non sono bene al corrente. I maggiori non sono così informati». Alucius capì che mentiva, ma si limitò a dire: «E i capitani maggiori lo sono ancora meno». «Non succede sempre così, forse?» «Siete qui da un po', vero? A Borlan, voglio dire.» «Da due anni. Dovrei essere trasferito a ovest alla fine dell'anno.» «Quando ero a Emal abbiamo subito parecchi attacchi da parte dei predoni. Indossavano divise rosse, come quelle dei deforyani, ma non venivano da Deforya. Non ne avete sentito parlare?» «Ho saputo che ci sono state alcune incursioni a est, ma noi non abbiamo mai visto predoni», replicò Ebuin in tono piatto. «Avete avuto fortuna.» Alucius bevve un altro sorso di birra e si riempì di nuovo il bicchiere. Poi guardò l'altro ufficiale. «Sì, grazie.» Ebuin accennò a un altro brindisi e sorseggiò la sua birra. «Si dice che Dereka sia una città molto antica.» «Lo è. Il palazzo del Landarco fu costruito prima del Cataclisma, e la città è servita da un acquedotto ugualmente vetusto.» «Non troverete niente di così vecchio a Tempre», dichiarò Ebuin. «Il Signore-Protettore, e il padre prima di lui, hanno fatto ricostruire quasi tutto, tranne la loro residenza, che fu interamente rifatta dal nonno...» Da quel momento in poi, la conversazione si mantenne incentrata sulle città, sulla durata del viaggio e su altri argomenti di carattere innocuo. Quando Alucius fece ritorno ai suoi alloggi, era già molto buio. Mentre si spogliava, rifletté sulle cose che aveva imparato. Il maggiore aveva cercato di rimanere sul vago, ma sicuramente sapeva molto più sui predoni di quanto non avesse voluto dire. E se Alucius avesse insistito nell'ottenere altre informazioni avrebbe corso il rischio di rivelare più di quanto aveva appreso. Il maggiore era anche bene informato sugli pteridon e sullo specchio misterioso - o Tavola, come veniva chiamato - in possesso del Signore-Protettore. E quale poteva essere il motivo dell'assenza del capitano-colonnello? Forse perché era al corrente di cose che il Signore-
Protettore non voleva rendere note ad Alucius? Dalle domande che Ebuin gli aveva fatto, era chiaro che sospettava che Alucius fosse molto più di un buon ufficiale, ed era anche chiaro che sapeva della sua esistenza da ben più di una stagione. Il maggiore gli era sembrato troppo tranquillo e consenziente. E tutto questo preoccupava ancora di più Alucius. 88 Tempre, Lanachrona Sebbene il Signore-Protettore si fosse mosso senza far rumore e avesse cercato di raggiungere la Tavola degli Archivisti senza avvisare nessuno, l'Archivista degli Atti era già in piedi ad aspettarlo sulla soglia della sala sotterranea. «Signore-Protettore.» «Salute Archivista.» «Desideravate qualcosa?» «Questa mattina non vi ho visto, e non ci siamo incontrati spesso durante queste ultime settimane.» «Ho cercato di perfezionare i sistemi di funzionamento della Tavola», replicò l'Archivista. «E ci siete riuscito?» chiese il Signore-Protettore, avvicinandosi al cubo nero che la conteneva. «Ci sono varie... possibilità, anche se è troppo presto per dirlo. Ma sarete il primo a saperlo. Ve lo prometto.» «Avete scoperto cos'è successo ai nomadi di Illegea?» domandò il Signore-Protettore. «Privi come sono della guida di Aellyan Edyss, si stanno di nuovo frazionando in tribù senza dimora stabile e indipendenti l'una dall'altra. Signore-Protettore. Non hanno raggiunto un accordo sulla scelta di un capo, per cui non minacceranno più Lanachrona o Deforya per parecchi anni, se non per tutta la durata della vostra vita.» «E il Landarco?» «Ben poco è cambiato a Deforya. E sarà così anche in futuro, a quanto pare.» L'Archivista fece seguire quelle parole da una risata sarcastica. «Ma, d'altra parte, ben poco è cambiato in quelle terre da intere generazioni a questa parte.» «Credete che qualcuno cercherà di spodestare il Landarco?» «È possibile, ma questo non influirà sul corso degli eventi. Chiunque di-
venti Landarco sarà sempre soggetto al potere dei proprietari terrieri.» «Siete diventato molto più cinico ultimamente, Archivista.» «Direi che sono diventato più... realistico, Signore-Protettore.» «Immagino che si possa dire così.» L'uomo più giovane rimase in silenzio, guardò la superficie opaca della Tavola e chiese: «Che cosa avete saputo del capitano maggiore Alucius?». «Ha lasciato Dekhron ed è passato da Borlan, diretto verso Krost, nel viaggio che lo porterà qui, Signore-Protettore. Sembra che abbia nemici all'interno delle Guardie del Nord e tra i mercanti di Dekhron, anche se nessuno si è ancora mosso.» «Qualunque cosa succeda, non potrà che andare a nostro vantaggio», replicò il Signore-Protettore. «Se lo temono, dimostreranno prudenza nell'operare. Se decidono di agire ed eliminarlo, ci saranno meno problemi da parte dei pastori. Se invece sarà lui a uccidere i mercanti o a fiaccarne il potere, avremo la possibilità di esercitare un maggiore controllo su Dekhron prima di quanto previsto.» «Questo è vero.» «Non mi sembrate più così preoccupato riguardo al capitano maggiore. Siete ancora contrario alla sua venuta qui?» «Ci ho ripensato, Signore-Protettore. Come avevate detto all'inizio, la sua visita potrebbe presentare dei vantaggi. Enormi vantaggi.» Il Signore-Protettore annuì. «Sono lieto di sentirvelo dire.» «In tal modo, potrete giudicare da solo se egli rappresenta un pericolo o un'opportunità da sfruttare per il bene di Lanachrona.» «E se rappresentasse entrambi?» «Il Signore-Protettore siete voi.» L'Archivista rise di nuovo. «Come sempre, sarete voi a dover decidere.» 89 Dopo altri sei giorni di viaggio ininterrotto, e di accampamenti all'aperto sulla nuda terra, pomeriggio di londi Alucius e la sua squadra avevano raggiunto il settore settentrionale di Krost. Dopo che si erano lasciati Borlan alle spalle e si erano inoltrati più a sud, il paesaggio si era fatto più collinoso e lussureggiante, e Alucius e i suoi uomini avevano attraversato paesaggi dai prati ancora verdi - sebbene fosse già iniziata la stagione del raccolto -, campi coltivati a fagioli o a piante per la produzione dell'olio di semi, oltre a interminabili vingti di alberi di mandorlo. Le fattorie e i fab-
bricati erano di legno, ma ben curati e numerosi. La strada principale era più trafficata, percorsa da carri che andavano in entrambe le direzioni. L'aria era diventata più calda e umida, tanto che Alucius sudava copiosamente e consumava enormi quantità di acqua. Dinanzi a sé, Alucius vide l'incrocio dove le due strade principali si intersecavano, e in corrispondenza del quale lui e i suoi soldati avrebbero dovuto dirigersi a ovest per raggiungere l'avamposto di Krost. A sudest della città, che era più grande di Borlan ma appena la metà di Hieron, si potevano ammirare colline coperte da interminabili filari di vigneti. Alucius si rammentò che Krost si trovava vicino alla zona delle Colline di Vyan, rinomata per le sue vigne. Heslyn cavalcava di nuovo alle spalle di Faisyn e di Alucius. «Raccontateci qualcosa di Krost, Heslyn», chiese Alucius, girandosi sulla sella. «Si dice che sia il luogo dove si producono i vini più buoni di tutta Corus, ma non è vero. Le uve migliori si coltivano a Vyan, ed è là che si trovano anche i vini più pregiati. Alcuni tra i vinificatori provengono da famiglie che si dedicavano a questa attività già prima del Cataclisma. Persino oggi, questi vini vengono spediti in tutti i Paesi. Krost è una città di commercianti vinicoli e di mercanti, ed è uno dei maggiori produttori di bottiglie del mondo. Migliaia e migliaia di bottiglie. Vedete quelle tre alte ciminiere a sinistra dell'incrocio? È la fabbrica di bottiglie. Lì si fanno anche i bicchieri a calice, poiché nessun lanachroniano che si rispetti berrebbe mai del buon vino in un bicchiere che non sia un calice. Se guardate a est, sul lato meridionale dell'altra strada, potete vedere un'enorme collina che sembra tagliata a metà.» Alucius cercò con lo sguardo - e trovò - la collina dalla forma strana. «È là che si estrae la sabbia più fine, che viene poi trasportata alla fabbrica del vetro... il piombo per il cristallo proviene da Soupat, e si dice che sia proprio questa la ragione per cui la strada principale arriva fin laggiù...» Di lì a non molto, mentre Heslyn era occupato a illustrare loro le particolarità di Krost, la squadra giunse all'incrocio, che si trovava nel centro della città, e si diresse verso ovest. Le strade principali si snodavano in mezzo a una gran confusione di edifici, alcuni dei quali raggiungevano l'altezza ragguardevole di quattro piani, e molti dei quali avevano un aspetto vetusto, sebbene non fossero costruiti in durapietra. Alucius notò che doveva esserci stato un numero altrettanto cospicuo di palazzi antichi nei tempi passati, poiché la strada principale che stavano percorrendo si trovava allo
stesso livello delle altre vie cittadine. Oppure, con il passare degli anni, le vie e i palazzi della città dovevano essere stati edificati sulle rovine di quelli preesistenti, fino a raggiungere la medesima altezza della strada principale. Ancora una volta, Alucius lasciò che Heslyn li precedesse per annunciare il loro arrivo, ma lo fece accompagnare da Makyr. Quando oltrepassò con i suoi uomini il cancello dell'avamposto, una mezza squadra di Guardie del Sud, completa di comandante di squadra alla sua testa, era schierata nel cortile per dare loro il benvenuto. Non fecero neppure in tempo a fermarsi che tre ufficiali si precipitarono fuori dal quartier generale per andare loro incontro. Tutti e tre indossavano impeccabili uniformi blu e panna. Dalle mostrine, Alucius riconobbe un capitano e un maggiore, ma non seppe dire quale fosse il grado dell'ufficiale dai capelli grigi - presumibilmente un ufficiale anziano - che si era fatto avanti con gli altri. «Capitano maggiore Alucius, delle Guardie del Nord, in viaggio verso Tempre.» «Siamo molto lieti della vostra visita, capitano maggiore. Sono il capitano-colonnello Jesopyr.» L'ufficiale dai capelli grigi indicò gli altri con un cenno del capo. «Il maggiore Fedosyr e il capitano Quelyn. E questi è il comandante di squadra anziano Desar.» «Siamo felici di essere qui, signore.» «E noi siamo felici di avervi qui con noi. Ma bando alle formalità. Pensiamo a sistemare voi e i vostri uomini.» Il comportamento di Jesopyr e i sentimenti che si percepivano dietro alla facciata erano così cordiali e amichevoli, e talmente dissimili da quelli del maggiore Ebuin, che Alucius si limitò ad annuire, trovandosi momentaneamente a corto di parole. «Il capitano Quelyn vi farà da scorta e Desar si assicurerà che ai vostri soldati e al comandante di squadra non manchi nulla. Abbiamo molto spazio qui...» Qualche istante dopo, Alucius conduceva Selvaggio nelle scuderie, ascoltando ciò che gli raccontava Quelyn. «... ci avevano informati del vostro arrivo, dev'essere stato parecchie settimane fa... In questi giorni stiamo solo usando le stalle numero uno... gli ufficiali in visita qui, attraverso il primo ingresso ad arco...» Da ciò che Alucius poté valutare, nelle scuderie c'era posto per quasi quattrocento cavalli, e solo poco meno di un quarto era usato in quel momento. Il resto sembrava vuoto. Dopo aver sistemato Selvaggio, Alucius
uscì portando con sé i finimenti e le bisacce e dirigendosi, attraverso il cortile, verso una costruzione a due piani in pietra grigia, lunga più di un centinaio di iarde. Gli alloggi per gli ufficiali avevano quasi cinquanta camere, o porte che presumibilmente davano su altrettante camere, ma l'ala attraverso cui il capitano Quelyn condusse Alucius sembrava vuota. Quelyn aprì una porta. «Per la verità, questi sono gli alloggi riservati ai colonnelli, ma chiunque sia stato al comando di cinque compagnie merita di essere considerato un colonnello. Se vi occorre qualcosa, qualunque cosa, ditelo a me o al comandante di squadra anziano.» Alucius si guardò intorno nella camera spaziosa - un buon dieci iarde per quattro - ammobiliata con una scrivania antica, un letto matrimoniale che pareva ugualmente un pezzo d'antiquariato, un armadio doppio, una rastrelliera di legno intagliato per le armi e gli stivali, ampie finestre munite di imposte, e una stanza da bagno comunicante. «Direi che sembra tutto perfetto.» «Il capitano-colonnello ha in programma una cena di gala tra due clessidre circa», continuò Quelyn. «Ma io ho solo l'uniforme regolamentare», fece notare Alucius. «Oh, le nostre cene di gala prevedono che si indossi l'uniforme, l'unica differenza sta nel fatto che verrà servito vino invece di birra, e la qualità del cibo sarà migliore.» Quelyn fece una risatina. «Siamo sempre molto felici di ricevere visite di personaggi importanti.» Alucius non si sentiva per niente un personaggio importante, ma solo uno stanco ufficiale delle Guardie del Nord. «Il capitano-colonnello voleva darvi il tempo di verificare la sistemazione dei vostri uomini e le provviste, di modo che ci diciate cosa vi manca prima della vostra partenza di domani.» Quelyn sorrise. «La mensa ufficiali è al piano terra nel fabbricato qui di fronte. Ci vediamo tra due clessidre, allora?» «D'accordo», confermò Alucius. Quelyn si chiuse la porta alle spalle, lasciandolo meditare sull'evidente cordialità e trasparenza che stavano dietro alle parole del capitano e del capitano-colonnello. Alla fine Alucius ripose le armi nella rastrelliera e appese gli abiti e i suoi effetti personali, prima di passare nella stanza da bagno. Lì c'era persino una vasca munita di rubinetto che lasciava scendere acqua tiepida, e Alucius non esitò a godersi un bel bagno. Ebbe anche il tempo di lavare le uniformi sporche e la biancheria e di recarsi nelle baracche dei soldati a parlare con Faisyn, anche se ci fu ben
poco di cui discutere, dato che i lanachroniani si erano dimostrati molto solleciti. «Ci considerano come degli eroi, signore.» «Siete stati degli eroi, benché la maggior parte della gente non lo sappia. Lascia che gli uomini si gustino questo momento, ma ricorda loro - con gentilezza - che siamo ospiti. E se non si comportano come tali... be', dovranno fare i conti con me.» «Sì, signore.» Faisyn ridacchiò. Alucius lo imitò. Si concesse un altro po' di tempo per farsi un giro all'interno dell'avamposto, ma tutto ciò che vide confermò le sue impressioni. L'avamposto era stato costruito per ospitare tra le dieci e le quindici compagnie, mentre ora ce n'era di stanza solo una, o forse una e mezzo. Ma le attrezzature non sembravano trascurate e avrebbero potuto essere utilizzate quasi immediatamente, qualora ce ne fosse stato il bisogno. Quando Alucius tornò dalla passeggiata vide Quelyn che lo stava aspettando fuori dall'edificio dove si trovavano sia gli alloggi ufficiali sia la mensa. «Il colonnello immaginava che avreste voluto controllare la sistemazione dei vostri uomini. Ha detto che si capiva che eravate quel tipo di comandante.» Quelyn tossì. «Be'... ha detto qualcosa riguardo al fatto... che anche voi eravate uno di loro.» Alucius sorrise. «Non è un segreto, non nelle Valli del Ferro perlomeno, che ho iniziato la carriera militare come soldato semplice. Poi sono stato aiuto-comandante di squadra e comandante di squadra. La sola funzione che non ho ricoperto è stata quella di aiuto-capitano.» «Dovete aver iniziato il servizio quand'eravate molto giovane.» «Sì. Molto giovane.» Alucius non ritenne opportuno dilungarsi oltre. «Scusatemi. Sarà meglio che entriamo. Al capitano-colonnello non farà piacere sapere che vi ho trattenuto qui fuori.» Alucius seguì il giovane capitano attraverso le doppie porte di quercia, lungo un breve corridoio dal pavimento ricoperto da piastrelle di marmo blu e bianco a forma di losanghe. La mensa conteneva più tavoli di quanti Alucius riuscisse a contarne, ma solo uno era apparecchiato, con una tovaglia candida e le posate. Cinque ufficiali, compreso il capitano-colonnello, stavano aspettando in piedi attorno al tavolo, chiacchierando a bassa voce. Quando Alucius e Quelyn fecero il loro ingresso nella stanza, la conversazione cessò.
«Puntualissimo. L'avevo detto», esclamò il capitano-colonnello Jesopyr. «Capitano maggiore, vorrei presentarvi gli ufficiali che ancora non avete incontrato. Il capitano Besyr, il capitano Zenoryn e il capitano maggiore Klynosyr. Ricordate invece il maggiore Fedosyr, che avete già conosciuto.» «Sono lieto di fare la vostra conoscenza, signori.» Il capitano-colonnello condusse Alucius a un capo del tavolo. «Accomodatevi pure.» Alucius si sedette, imitato dagli altri. Poi Jesopyr, si girò verso il mobiletto alle sue spalle e prese una delle bottiglie dal colore ambrato che vi erano appoggiate. Avvitò un aggeggio con la punta metallica a forma di spirale nel tappo e lo estrasse. «Questo è uno dei nostri rossi migliori. Cioè», aggiunse in tono di scusa, «uno dei rossi migliori che un ufficiale delle Guardie del Sud sia in grado di permettersi. E questo l'ho tenuto in serbo per occasioni simili». «Dall'ultima cena di un mese fa?» chiese il giovane capitano maggiore Klynosyr - il cui volto era incorniciato da una barba corta e ben curata. «No, questa è un'occasione che si presenta ogni due mesi... ma che dico, ogni due stagioni. Quante volte ci è capitato di cenare con un capitano maggiore che ha sbaragliato pteridon e nomadi ed è stato decorato dal Landarco di Deforya?» Jesopyr si protese in avanti e riempì a metà il calice di cristallo che stava di fronte ad Alucius, versando poi il vino anche negli altri sei bicchieri, e vuotando in tal modo la bottiglia. Jesopyr sollevò il proprio bicchiere. «Al nostro ospite. Che la salute lo accompagni a Tempre e sulla via del ritorno, insieme alla saggezza.» «Grazie.» Alucius ricambiò il brindisi. «E alla vostra ospitalità.» Il vino dagli scuri riflessi ambrati era decisamente meglio di qualunque altra cosa Alucius avesse mai gustato, non che avesse bevuto molto vino prima di allora, rifletté. Era anche più alcolico della birra. A quel punto comparvero due soldati in giacca bianca, che appoggiarono rapidi un piatto davanti a ogni ufficiale. Su ciascun piatto erano disposte delle fettine di qualcosa che Alucius non conosceva, ricoperte da una glassa. Ne assaggiò un boccone e scoprì che si trattava di un pesce molto saporito, guarnito da una glassa di limone e mandorle, che sembrava andare giù con facilità. «Avevate mai provato prima il regaleco affumicato al limone?» domandò il maggiore.
«Ho già assaggiato questo pesce, ma non cucinato così», rispose Alucius. «E quello che ho mangiato io non era buono come questo.» «Sono lieto di sentirvelo dire.» Il colonnello sorrise, come se avesse vinto una specie di scommessa. «Immagino che non abbiate visto molti pesci durante il vostro viaggio a Deforya.» «Direi proprio di no; là si mangiava un piatto di antilope molto gustoso.» «Che ci raccontate degli pteridon?» mormorò qualcuno. Il colonnello gettò un'occhiata severa verso il capitano più giovane. Alucius sorrise. «Non credo che le sue carni siano molto buone. Sembravano piuttosto... grasse.» «Avete...» disse uno dei capitani seduto all'altra estremità del tavolo e di cui Alucius non ricordava il nome, interrompendosi bruscamente. «... combattuto contro dei veri pteridon?» Alucius lasciò che una punta di divertimento si insinuasse nella propria voce. «Alcuni nomadi cavalcavano delle grosse bestie azzurre dotate di ali ed erano armati di lance cosmiche di metallo azzurro dalle quali si sprigionavano fiamme dello stesso colore. Erano simili alle immagini che compaiono negli antichi dipinti e ai pezzi che si usano per giocare a leschec. Magari quei bestioni erano tutt'altro, ma se gli pteridon sono ancora peggio degli animali che abbiamo combattuto... be', preferisco non vederne nemmeno uno.» La battuta fu accompagnata da una sommessa risata. «Avevano le antiche lance cosmiche?» chiese il maresciallo Fedosyr. «Del tipo che lancia fiamme azzurre? Sì. Non eravamo al corrente della loro esistenza, ed è questo il motivo per cui il capitano Clifyr e parecchi uomini della Ventitreesima Compagnia ci hanno rimesso la vita.» Quelyn fissò uno degli altri giovani capitani, ma nessuno parlò, mentre gli inservienti ricomparivano con la seconda portata: una zuppa servita in basse scodelle. Alucius la trovò insipida, ma non sgradevole, e simile alla crema di zucca che era solita cucinare sua nonna. «Abbiamo sentito dire che, sotto il vostro comando, le forze lanachroniane hanno sterminato più della metà dei nomadi. Come ci siete riuscito, se posso permettermi di chiedere, con un numero di soldati tanto inferiore?» chiese Fedosyr. Ancora una volta, Alucius si lanciò in un riassunto epurato delle fasi salienti della battaglia di Dereka. «... e, benché io non abbia assistito alla conclusione della battaglia, i miei ufficiali e i marescialli deforyani mi hanno assicurato che questo è esattamente ciò che è successo.»
«È vero che vi è bruciata addosso l'uniforme?» domandò meravigliato Quelyn. «Ho avuto molta fortuna. La maggior parte di coloro che sono stati colpiti dalle fiamme delle lance cosmiche sono morti. Mi ci sono volute parecchie settimane per ristabilirmi completamente.» «E c'erano più di cento compagnie nemiche?» «Più o meno.» Gli inservienti tornarono, questa volta portando della carne ridotta a fettine sottili come un foglio di carta, e poi arrotolate a tubo e ripiene di una sostanza verde-bianchiccia. La carne era tenero vitello e il ripieno era costituito da formaggio misto a una crema di prezzemolo. Alucius la terminò in un batter d'occhio. A un certo punto della cena, il vino ambrato che non aveva finito era stato sostituito da un rosso color rubino. «Ho saputo che il Landarco vi ha premiato con la Stella del Coraggio.» Il colonnello si rivolse al maggiore. «In precedenza, vale a dire dai tempi del Cataclisma, ne erano state conferite solo venti.» Alucius fu assalito di nuovo da un'ombra di dubbio, sia per le informazioni di cui il capitano-colonnello era a conoscenza sia per la palese allegria con cui raccontava le sue imprese. «Sapete», aggiunse Jesopyr con una risata, «dovrete stare molto attento una volta giunto a Tempre. Laggiù non sono abituati ai veri eroi». Il gelo assoluto che si nascondeva dietro a quelle cordiali parole fece irrigidire Alucius. L'avvertimento era diretto e chiaro come la lama di una spada, e sembrava quasi altrettanto letale. «Là, gli ufficiali», continuò Jesopyr, «tranne il maresciallo Wyerl, naturalmente, non hanno partecipato a una vera battaglia da anni, e sono abituati a ragionare più in termini di denaro e di commercio, e sui vari modi di sconfiggere altri popoli senza dover combattere». «... ma neppure questo sapevano fare bene, finché non hanno inviato Wyerl e Alyniat a ovest...» «... i matriti perlopiù ci sapevano fare... ho sentito di una squadra che aveva quasi spazzato via un'intera compagnia...» «Qual è stata la vostra esperienza con i matriti, capitano maggiore?» domandò l'altro capitano maggiore presente alla cena. «Alcuni erano molto abili nel combattere. I veri capi erano di solito i comandanti di squadra anziani.» Alucius bevve un sorso del vino color rubino, ugualmente buono... e molto alcolico. «Avevano inflitto pesanti perdite alla... milizia. È ciò che abbiamo co-
munque sentito dire.» «È stato all'inizio, quando possedevano il lancia-proiettili di cristallo...» continuò a spiegare Alucius, finendo il proprio racconto nel momento stesso in cui gli inservienti portarono in tavola delle minuscole fette di torta al miele. Mentre gli ufficiali finivano il dolce, il capitano-colonnello Jesopyr sorrise ad Alucius. «Siete stato molto gentile, capitano maggiore. Spero che i nostri ufficiali più giovani abbiano prestato ascolto con attenzione a quello che ci avete raccontato. Ma... avete qualche domanda da farci... possiamo esservi utili in qualcosa?» «Questo è un avamposto piuttosto... notevole», disse Alucius. «E vi chiedete perché siamo così pochi in tutto questo spazio?» lo interruppe il capitano-colonnello, terminando la frase per lui. «Già, me lo sono chiesto.» «Meno di un anno fa, qui c'erano dieci compagnie. Il maresciallo Wyerl ne ha inviate nove a Zalt e a Porta del Sud. Il mese prossimo arriverà una compagnia di reclute da addestrare, e il mese successivo ne arriverà un'altra. La vostra visita è capitata nel momento in cui siamo al minimo del nostro effettivo.» Dalle parole del colonnello traspariva verità, ed era proprio quel senso di verità a disturbare Alucius più di quanto avrebbe potuto fare l'inganno. «Quindi, la linea difensiva a occidente sta richiedendo più soldati di quanto previsto?» «Esatto, e questo è uno dei motivi per cui, mi sembra di capire, il Signore-Protettore desidera ringraziarvi. Non possediamo moltissime compagnie, e voi avete eliminato una grossa minaccia potenziale da oriente.» «Avrebbe potuto essere una minaccia anche per le Valli del Ferro», osservò Alucius, soffocando uno sbadiglio. «Forse, ma vi siamo tutti grati, o perlomeno dovremmo esserlo, visto che le compagnie stazionate a est sono davvero poche, adesso.» Il capitano-colonnello fece un sorriso professionale. «Siete stanco. Persino io me ne sono accorto.» «È stata una lunga giornata.» «Ci vediamo domattina.» E così dicendo, il capitano-colonnello si alzò. Alucius si ritrovò a sua volta in piedi e scortato dagli altri ufficiali, mentre usciva dalla mensa diretto verso i suoi alloggi. Nonostante le gentilezze che gli erano state tributate e tutto il presunto onore che comportava quel lungo viaggio fino a Tempre, Alucius avrebbe comunque preferito tornare
alla fattoria, alzarsi prima dell'alba e cavalcare tutto il giorno, e soprattutto stare con Wendra. 90 Tempre, Lanachrona Il Signore-Protettore varcò la soglia del suo studio privato, chiudendosi la porta alle spalle e sorridendo ad Alerya, che sollevò lo sguardo dallo scrittoio e dal foglio sul quale stava scrivendo. «Come ti senti?» domandò. «Come prima, mio caro marito.» Alerya bevve un piccolo sorso da un calice e lo posò di nuovo sullo scrittoio. «Hai l'aria preoccupata.» «Vorrei che leggessi questo.» Il Signore-Protettore porse alla moglie due fogli. Lei li prese e lesse, assumendo un'espressione accigliata prima ancora di aver finito. «Si finge più vecchio di quanto non sia? Qualcuno ha preso il suo posto? Qualcuno più giovane? Perché ci è voluto così tanto per scoprirlo?» «Era ricorso a dei sotterfugi... e non avevamo controllato la sua stanza da bagno.» «La cosa non mi piace. Sei certo che si tratti di Enyll?» «Ne sono sicuro. Lo conosco da quand'ero bambino. Il suo aspetto non è cambiato. E nemmeno la voce, né il modo di parlare.» «Allora ha scoperto il modo di ringiovanire?» La risata di Alerya era acuta, quasi amara. «Che uomo fortunato.» «Sei certa di sentirti bene, mia cara?» «Non sono così portata a essere madre come avevamo sperato. O magari non lo è il mio corpo. Forse la tua scelta non è stata delle migliori.» Il Signore-Protettore si portò alle sue spalle, poi si chinò e l'abbracciò dolcemente. «Preferisco la donna che ho scelto. E niente e nessuno potrà farmi cambiare opinione.» «Ne sono lieta.» Per un attimo, lei gli appoggiò il capo contro il petto. «Temo che ci sia dell'altro.» «Ebbene, sì. Enyll non è più dello stesso parere riguardo al capitano pastore. Adesso è contento che il capitano maggiore Alucius si stia dirigendo a Tempre. È quasi eccitato all'idea, mentre prima era molto irritato.» «Irritato? Se ben ricordo, era arrabbiato e si era espresso molto duramente nei tuoi confronti.»
Alerya tentò di dissimulare un piccolo rutto. «Vorrei che il cibo potesse riposare più tranquillo nel mio stomaco.» «Passerà, dicono.» Alerya scosse il capo. «Risparmiami, Talryn. Ti prego.» Bevve un altro sorso infinitesimale dal suo calice. «Pensi che sia stato un errore ordinare ad Alucius di venire qui?» «Non credo, ma le persone non cambiano il proprio punto di vista senza una valida ragione.» «Gli uomini cambiano raramente il proprio punto di vista, indipendentemente dalle ragioni. Ecco perché ti ho chiesto se l'Archivista sia davvero Enyll.» «Potrebbe essere colpa della Tavola?» «Ho fatto delle ricerche negli archivi privati, ma non ho trovato alcun cenno a una cosa del genere.» «Sai se qualcun altro abbia passato altrettanto tempo a studiare la Tavola?» «È il primo vero Archivista da generazioni.» Il Signore-Protettore emise un sospiro. «E adesso dovrò prestare attenzione a tutto quello che dico o faccio, quando sarò con lui.» «Come fai con tutti gli altri.» «Tranne che con te, della qual cosa ti sono molto grato.» Il SignoreProtettore le strinse affettuosamente le spalle. I suoi occhi si posarono sul calice e, vedendo che il livello del liquido era a malapena diminuito, si fecero cupi. 91 Poco prima del mezzogiorno di septi, Alucius e la terza squadra abbandonarono la strada principale inferiore che collegava i territori orientali con quelli occidentali, per immettersi sul breve tratto che correva in direzione nordovest fino a Tempre, raggiungendo di nuovo il fiume Vedra. A ogni vingt, il terreno diventava sempre più collinoso, e i campi coltivati avevano ceduto il posto ai frutteti. Gli alberi più frequenti erano i meli e i peri, mentre i mandorli erano spariti. Si vedevano anche più greggi di pecore di città - o eduli -, ovini dal vello bianco e grigio che producevano una lana più ruvida e meno resistente di quella delle pecore nerine, e la cui carne era invece commestibile. Era trascorso un quarto di clessidra da quando avevano superato la pietra
rettangolare ai margini della strada che indicava una distanza di cinque vingti da Tempre, quando Alucius scorse Makyr di ritorno, in lontananza, mentre percorreva a cavallo la lunga ma impercettibile discesa che portava fino a loro. «C'è qualcuno più avanti», disse Alucius a Faisyn. «Un'altra guardia d'onore, signore.» «Credi davvero?» «Sì, signore. Sembra davvero che il Signore-Protettore abbia modo di sapere le cose in anticipo. Forse è questo il motivo per cui siamo diventati parte di Lanachrona.» «Può darsi.» Di lì a non molto, Makyr si trovò a meno di venti iarde di distanza. «Signore!» gridò il ricognitore. «C'è una squadra di Guardie del Sud che sta venendo verso di noi, signore. La comanda un capitano. Dice che ci scorteranno al quartier generale delle Guardie del Sud.» «Che è proprio dove siamo diretti. Continuiamo ad avanzare finché non li raggiungiamo. Mettiti dietro a Faisyn e a me.» «Sì, signore.» Alucius e Selvaggio erano appena giunti al culmine della salita, talmente lieve che avevano dovuto percorrere parecchi vingti per superare un dislivello di sole cinquanta iarde. Dopo aver ammirato le ardite opere create dall'uomo nelle montagne della Dorsale Superiore, Alucius si chiese perché gli antichi costruttori non avessero semplicemente ricavato un passaggio che attraversava da parte a parte quell'altura dalla lieve pendenza, ma immaginò che fossero troppi i misteri del genere rimasti irrisolti, e che sicuramente non si poteva trascorrere l'intera vita a cercarne le risposte. Fermi in una piazzola laterale sulla cima c'erano Waris, il capitano delle Guardie del Sud e una squadra di soldati con indosso immacolate uniformi blu e panna. Il capitano era alla testa del gruppo. «Squadra, alt!» ordinò Alucius. «Capitano maggiore Alucius, signore?» «Sono io, capitano, insieme alla terza squadra della Ventunesima Compagnia. A rapporto, come mi è stato ordinato dal maggiore Wyerl.» «Signore.» L'ufficiale si irrigidì sull'attenti. «Benvenuti a Tempre. Capitano Gueryl e la squadra d'onore al vostro servizio.» «Grazie, capitano. Immagino che ci accompagnerete dov'eravamo diretti.» «Sì, signore.»
«Volete affiancarvi a me?» «Sì, signore.» Il capitano fece un cenno al comandante di squadra. «Fai strada, Byryn.» La squadra d'onore lasciò lo slargo dall'antico fondo in durapietra e si avviò giù per una quasi altrettanto impercettibile discesa, alla volta della città. Faisyn mantenne il suo posto, mentre Alucius faceva avanzare Selvaggio, portandosi alla sinistra del capitano. Diversamente da tutti i soldati delle Guardie del Sud che Alucius aveva visto fino a quel momento, l'ufficiale e i suoi uomini portavano una fascia blu sulla spalla. «Siete arrivato prima del previsto, signore», dichiarò Gueryl. «Pensavamo di incontrarvi nel punto in cui le strade principali si dividono.» «Ci avete comunque raggiunti abbastanza presto», disse Alucius. «Quanto manca al quartier generale... o comunque alla nostra destinazione?» «Sarà il quartier generale, signore. Meno di una clessidra.» Da quella posizione leggermente sopraelevata, Alucius poteva vedere Tempre allargarsi davanti ai suoi occhi in tutte le direzioni. La porzione superiore della modesta altura che avevano appena attraversato era totalmente priva di fattorie, o di case, quasi come se, per circa un vingt su entrambi i lati del piatto cocuzzolo, ne fosse stata vietata la costruzione. Tutt'intorno si vedevano prati e boschi di alberi di legno duro e legno dolce, ma nessun muro o steccato, e neppure si vedevano piante arboree sempreverdi. Alucius si interrogò circa l'assenza di quel tipo di vegetazione. Le prime fattorie incontrate sul cammino erano costituite da case ben curate e da minuscoli appezzamenti di terreno, alcuni dei quali raggiungevano appena le duecento iarde su ogni lato, sebbene, generalmente, fossero più grandi e avessero almeno qualche pianta da frutto, e persino piccoli orti. Ovunque, l'erba era ancora verde, così come le foglie sugli alberi. La strada principale continuava a digradare dolcemente in direzione del fiume e di due torri gemelle di colore verde. «È quello il palazzo del Signore-Protettore?» domandò Alucius al capitano Gueryl. «Là, dove ci sono le due torri?» «No, signore.» Gueryl rise. «Quasi sempre, chi viene a Tempre per la prima volta si sbaglia: quelle torri risalgono a prima del Cataclisma, e affiancano il Grande Porto sul fiume.» «Quindi, i moli sono stati costruiti in durapietra.» «Sì, signore. Come facevate a saperlo?» chiese Gueryl. «Le torri. Ne abbiamo una simile a Punta del Ferro. E ne ho viste un pa-
io a Dereka. Tempre era un centro commerciale ai tempi del Duarcato. Il Grande Porto costituiva probabilmente il motivo dell'importanza di Tempre. Scommetto che la maggior parte del traffico commerciale si svolgeva sul fiume, giù, fino a Faitel e a Elcien.» Alucius scoppiò a ridere. «Per la verità, non so proprio come stessero le cose. E voi?» Gueryl rimase in silenzio per un attimo. «Non ci avevo mai pensato. Ai giorni nostri, il commercio a lunga distanza avviene perlopiù attraverso la strada principale che va a Porta del Sud o a Lustrea, a est.» «Gli scambi commerciali si sono intensificati, adesso che Lanachrona si è impossessata di Porta del Sud?» «Parecchio, dicono.» Guardando in basso lungo la strada principale, tra lo spazio delimitato dalle due torri, Alucius vide che, al di là delle scure acque tranquille del fiume Vedra, si ergeva l'estremità più meridionale delle Colline dell'Ovest che, a differenza della loro controparte settentrionale, dove la flora era rappresentata da radi ginepri e pini sparsi qua e là sulla roccia frammista a sabbia, comprendeva invece una vegetazione mista di pini e di alberi di legno dolce, che formavano una verde cortina ininterrotta di fogliame. Sul fiume c'erano chiatte che scendevano la corrente e imbarcazioni a vela che la risalivano, e alcune di queste ultime erano ulteriormente potenziate da squadre di rematori. Alucius non poté impedirsi di ripensare all'antica nave del murale, quella che solcava i vasti oceani senza vele né rematori. Di lì a non molto, le fattorie sui fianchi della strada furono sostituite da un numero sempre maggiore di fabbricati dai muri di mattoni gialli su appezzamenti di terreno molto più ridotti, e da alcuni gruppi di botteghe. Tutto sembrava ordinato, lindo e ben curato. «Le case qui sono ben tenute», osservò Alucius. «Sì, signore. Il Signore-Protettore fa pagare la multa a chi non le mantiene in ordine.» Dinanzi a loro, sulla destra della strada, comparve una casa molto più grande, simile quasi a una vecchia dimora signorile rivestita di marmo bianco-verdognolo, che però sembrava essere stata costruita di recente. Lunghe e basse stalle erano collocate su entrambi i lati della struttura principale a tre piani, che esibiva archi e ampie finestre al di sopra di un portico a pianta circolare, dove stavano in attesa due servitori dalla livrea verde. La proprietà era circondata da un basso muro e, in corrispondenza del cancello aperto, stazionavano due guardie, ugualmente vestite di verde.
Alucius guardò di nuovo l'edificio - il cui aspetto ricordava più un piccolo palazzo - che sembrava trovarsi fuori posto, attorniato com'era da case e botteghe dall'aria più modesta. «A chi appartiene?» Il giovane capitano non rispose, e Alucius avvertì la sua riluttanza nel parlare. «Capitano?» «È il palazzo della polvere. Il proprietario si chiama Drimeer.» «La polvere per sognare, per la quale i ricchi pagano fior di quattrini solo per annusarla? E questo Drimeer si arricchisce sempre di più?» Gueryl annuì brevemente. «Cosa sapete della polvere per sognare?» «Che rovina la gente.» Ad Alucius non andava di spiegare che Punta del Ferro era una delle fonti da cui proveniva. «Molto più di quello.» «Come ha fatto questo Drimeer...?» «Si è accaparrato una decina di case e ha costruito questa...» mentre passavano davanti al cancello, Gueryl indicò la grande villa. «Non trasgredisce la legge e la mantiene in buone condizioni. Se il Signore-Protettore prendesse provvedimenti contro di lui... tutti i mercanti penserebbero che la legge non ha più valore.» Alucius annuì. Sospettava anche che il palazzo della polvere per sognare costituisse un ottimo esempio per dimostrare che il Signore-Protettore rispettava le regole stabilite. «Tra un po' svolteremo nel Viale della Guardia. Si trova a est del Viale del Palazzo, ma entrambi si dipartono dalla strada principale per dirigersi a nord.» Gueryl indicò alla sua destra. «Potete vedere le torri quadrate del palazzo, laggiù.» Alucius seguì la direzione della sua mano e scorse la struttura in pietra color giallo-crema. «E vedete, a destra, il lungo e basso edificio oltre il parco? Quello è il fabbricato principale del quartier generale delle Guardie del Sud. Ospita gli alloggi e i locali riservati agli ufficiali anziani, e anche le sale per le adunanze. È lì che sarete ospitato, signore. Gli alloggi per gli ufficiali regolari, le scuderie e le baracche si trovano dietro, al di là del cortile sul retro.» Subito dopo che la colonna ebbe svoltato nel primo viale, un cavaliere delle Guardie del Sud si staccò dalla guardia d'onore che precedeva Alucius e la sua terza squadra e si affrettò verso il quartier generale. Prima che Alucius potesse dire qualcosa, il capitano Gueryl gli spiegò rapido: «Il maresciallo Alyniat ha insistito per darvi personalmente il ben-
venuto al vostro arrivo, signore. Questo è davvero un grande onore. Il maresciallo è secondo in grado solo al comandante in capo». Gli onori che apparentemente gli venivano tributati di continuo rendevano Alucius alquanto nervoso, ed egli si agitò inquieto sulla sella mentre si avvicinavano ai muri di granito grigio del quartier generale, che pareva di dimensioni assai modeste, se paragonato alle basse colline contro le quali si stagliava. Alucius notò ancora una volta che neppure quelle alture, simili più a un'unica dorsale che correva ininterrotta verso ovest, in direzione del fiume e del palazzo del Signore-Protettore, presentavano fabbricati, o muri o recinti, per circa mezzo vingt dalla sommità in giù. Mentre facevano il loro ingresso nel cortile del quartier generale, Alucius si aspettava quasi di udire uno squillo di tromba, ma i quattro soldati di guardia accanto ai pilastri dell'ingresso - poiché solo di pilastri si trattava, visto che l'accesso non era munito di cancelli - si limitarono a lanciare un'occhiata distratta al drappello. Alucius giudicò alquanto appropriata quell'accoglienza riservata a un semplice capitano maggiore, in una terra dove persino i colonnelli si trovavano, per così dire, a ogni angolo di strada. Il fabbricato più importante del complesso raggiungeva i quattro piani di altezza e i suoi lisci muri di marmo grigio dominavano imponenti al di sopra delle levigate lastre di granito che ricoprivano la maggior parte della superficie all'interno delle mura, a eccezione del giardinetto recintato che faceva bella mostra di sé davanti al portico squadrato dell'ingresso principale. Là accanto stazionavano due belle carrozze, chiaramente in attesa di qualche personaggio in vista. Erano le prime di quel tipo che Alucius vedeva, poiché a Punta del Ferro venivano usati soltanto i carri. La squadra d'onore li fece passare attorno all'ala orientale del quartier generale, per poi condurli in un grande cortile lastricato retrostante. Il cortile era stato ricavato scavando il fianco della collina e ospitava le scuderie, sulla destra, e le baracche e gli alloggi, in fondo, a ridosso di un muro di pietra alto quasi quindici iarde, il cui scopo era nascondere - o minimizzare - le dimensioni del complesso allo sguardo di chi lo vedesse dall'esterno delle mura di recinzione. La squadra delle Guardie del Sud svoltò di nuovo a sinistra, dirigendosi verso una piccola entrata sul retro, piccola se paragonata alla grandiosità di quella sulla facciata anteriore, ma che aveva quasi le stesse dimensioni di quella del palazzo del Landarco a Dereka. Alucius vide parecchi soldati in uniforme delle Guardie del Sud fermi sui gradini che portavano all'ingres-
so. «È il maresciallo Alyniat?» domandò a bassa voce. «Mi pare, signore. Non l'ho mai visto da vicino, ma sembra proprio lui. Di sicuro non è il maresciallo Wyerl e poi, al momento, non ci sono altri marescialli qui a Tempre.» La squadra d'onore superò la scalinata per consentire ad Alucius di fermarsi proprio di fronte al punto in cui sostavano il maresciallo e il suo piccolo seguito di guardie personali, oltre a un maggiore e a un colonnello non ben identificato. Alucius fece fermare il cavallo e inclinò il capo. «Maresciallo.» «Capitano maggiore Alucius. Benvenuto a Tempre e al nostro quartier generale. Desideravo darvi personalmente il benvenuto. Non capita spesso di incontrare ufficiali reduci da così brillanti vittorie contro forze tanto imponenti.» «La vittoria è stata riportata grazie al sacrificio dei nostri soldati e ufficiali, che hanno combattuto con coraggio pur sapendo di dover fronteggiare creature talentose e un esercito smisurato. Non ci troveremmo qui, adesso, se non fosse per il loro eroico contributo.» «Questo è certo», disse Alyniat sorridendo. «Ma nessun libro di storia ha mai raccontato di un giovane capitano maggiore capace di guidare tanto intrepidamente e magnificamente i suoi uomini. Volevo chiedervi, anche se la domanda potrebbe sembrare sconveniente, se è vero che la vostra uniforme ha preso fuoco e che tutto il vostro corpo è rimasto ustionato, al punto che non c'era una sola spanna di pelle che non fosse viola?» Alucius sorrise, poiché aveva ben compreso il significato di quella domanda. «Così mi è stato detto, signore, anche se non sono in grado di confermarlo personalmente, visto che sono rimasto incosciente per parecchi giorni dopo la battaglia. Posso solo dire che persino i miei capelli erano bruciati. E sono tuttora corti.» Alyniat rise. «Il maresciallo Wyerl vi manda i suoi saluti, e mi prega di dirvi che sarete nostro ospite a cena questa sera. Di nuovo... a nome del Signore-Protettore, porgo a voi e ai vostri uomini il nostro benvenuto a Tempre.» Dopodiché fece un cenno con il capo, mettendo chiaramente fine a quella cerimonia non ufficiale. Alucius gli fece un inchino da dove si trovava, in groppa a Selvaggio. «E noi ringraziamo voi e il Signore-Protettore, lieti di essere stati utili.» Poi restò in attesa di vedere cosa sarebbe successo. «Squadra avanti.»
La squadra d'onore si allontanò dal portico, seguita da Alucius e dai suoi uomini. «Il comandante in capo dev'essere rimasto davvero impressionato dalle vostre imprese», disse Gueryl. «Potrebbe anche essere semplicemente perché siamo la prima unità di Guardie del Nord ad aver messo piede a Tempre e al quartier generale», ipotizzò Alucius. «Potrebbe essere», convenne amabilmente Gueryl. Benché Alucius lo sentisse dubbioso, apprezzò il fatto che Gueryl non aggiungesse altro. Non appena le due squadre si fermarono fuori dalle scuderie, Gueryl fece un cenno al comandante di squadra anziano del picchetto d'onore, che si affrettò a raggiungerli. Alucius fece girare Selvaggio, di modo che anche Faisyn venisse incluso nella conversazione. «Byryn assisterà il vostro comandante di squadra...» «Faisyn», lo interruppe Alucius, presentando il suo comandante. «Per assicurarsi che i vostri soldati e i loro cavalli ricevano un'adeguata sistemazione», concluse Gueryl. Quando Alucius ebbe finito di governare Selvaggio, i due ufficiali lasciarono le scuderie. Per tornare all'edificio principale che ospitava gli alloggiamenti per gli ufficiali dovettero percorrere quasi mezzo vingt, o perlomeno così parve ad Alucius. Questi portava ancora con sé entrambi i fucili, ma il capitano non fece commenti. Una volta entrati, Gueryl lo condusse su per un'ampia scala di pietra. «I vostri alloggi sono al terzo piano, in fondo all'ala ovest. La finestra del salottino guarda direttamente sul palazzo del Signore-Protettore e sulle torri.» L'accenno a un alloggio dotato di salottino non contribuì di certo a far diminuire l'ansia di Alucius, facendogli tornare in mente l'avvertimento di Feran riguardo al fatto che il Signore-Protettore potesse voler qualcosa da lui. Quando ebbero raggiunto il terzo piano, girarono a sinistra, oltrepassando una coppia di Guardie del Sud che avevano sulla manica della divisa fasce blu, simili a quella portata da Gueryl. Mentre i due ufficiali proseguivano lungo il corridoio dal pavimento marmoreo, Alucius colse qualche brano nella conversazione delle due guardie. «Capitano maggiore... a questo piano?» «... ben più di quello, dicono... un grande eroe... ha salvato l'intera mis-
sione a est... sbaragliato i nomadi...» «... qualche onore...» «... nomadi non si fossero ritirati... avremmo dovuto mandare decine di compagnie a est... forse tu...» In risposta si udì solo un grugnito. Questo significava forse che il Signore-Protettore aveva un numero eccessivo di compagnie impegnate? Con troppi uomini dislocati a ovest? Le labbra di Alucius si incurvarono in un fugace sorriso. Ma, d'altra parte, non era quella la natura umana? Volere più di quanto si fosse in grado di mantenere in caso di avversità? Gueryl si fermò davanti all'ultima porta, a doppio battente in legno di quercia dorato, che brillava tanto doveva essere stata ripassata a cera. Pescò dalla tasca una chiave d'ottone lucente, che tese ad Alucius dopo aver aperto. Entrarono in un piccolo vestibolo dalle piastrelle blu e oro. Subito dopo, al di là di un passaggio ad arco squadrato, si trovarono in un salotto che misurava oltre dieci iarde per quindici, dotato di tre ampie finestre disposte fianco a fianco sulla parete più lunga, dalle quali si poteva ammirare il palazzo color crema dorato del Signore-Protettore. La stanza era ammobiliata con un sofà imbottito blu scuro, due poltrone della stessa tinta, un'imponente scrivania in legno intagliato addossata alla parete nord, e abbinata a un'altrettanto imponente sedia in legno intagliato. Cinque lampade a muro erano disposte tutt'intorno, mentre sul pavimento, al centro, era stato posato un tappeto blu scuro che riproduceva un motivo di stelle verdi a otto punte intrecciate tra loro, con un profilo dorato. «La camera da letto è per di qua...» Grande più o meno cinque iarde per dieci, questa seconda stanza era di dimensioni più ridotte, se paragonata al salotto. Offriva anch'essa una vista sul palazzo, ed era composta da un alto letto triplo e da due armadi che ne ricalcavano lo stile. Alucius posò le sue bisacce e sistemò i facili nella rastrelliera, poi seguì Gueryl verso un'altra porta. Attigua alla camera da letto, si trovava una stanza da bagno munita di una vasca ricavata da un unico blocco di marmo rettangolare, corredata di due rubinetti, entrambi di bronzo lucente. Dopo avere mostrato quest'ultimo locale ad Alucius, il capitano tornò nel salotto. Alucius lo seguì. «Vi occorreranno uniformi pulite, naturalmente. Per chiamare l'inserviente, basterà che tiriate questo cordone. Se lo avvisate stasera, ve le pre-
parerà lavate e stirate prima di domani a mezzogiorno.» «Questo mi sarebbe di grande utilità», disse Alucius educatamente. «Io... non credo che ci rivedremo, signore, ma è stato un piacere. Il maggiore Keiryn sarà da voi tra un paio di clessidre per scortarvi a cena. Non avevo capito che entrambi i marescialli vi avrebbero preso parte. Se dovesse intervenire qualche cambiamento, o io o il maggiore ve lo comunicheremo.» «Grazie. Mi siete stato di grande aiuto.» «Prego, signore.» Gueryl si inchinò e uscì. Quando la porta si fu richiusa, Alucius tornò nel salotto e si avvicinò alle finestre. Le due laterali erano aperte e una lieve brezza fresca entrava nella stanza. Per un po' Alucius rimase là a riflettere, senza neppure vedere il palazzo davanti a sé. Il capitano era stato sincero in tutto ciò che aveva detto. E da quel che Alucius aveva potuto capire, lo era stato anche il maresciallo. Mentre di certo il primo non poteva essere al corrente di cose che i suoi superiori desideravano tenere riservate, l'apparente trasparenza del maresciallo e il suo accenno casuale ai fatti di Dereka costituivano un potente messaggio. Messaggio che era stato trasmesso in sordina, ma con un grande impatto. Circondato dal lusso di quell'alloggio, Alucius si chiese ancora una volta cosa potesse volere da lui il Signore-Protettore. 92 Prosp, Lustrea Vestor esaminò il cubo di lorken nero che gli arrivava all'altezza dei fianchi, sul quale era stata montata una scintillante superficie a specchio, ugualmente profilata in lorken. I lisci pannelli di legno che costituivano la struttura del cubo proseguivano per un altro terzo di iarda oltre il pavimento di pietra, e poggiavano direttamente sulla roccia di granito sottostante. Il pavimento della piccola stanza, delle dimensioni di dieci iarde quadrate scarse, era stato costruito attorno al cubo, utilizzando lastre di marmo verde recuperate dalle rovine che si trovavano appena oltre il centro di Prosp. Le colonne e il rivestimento delle pareti provenivano da altre rovine, sebbene il colore del marmo fosse simile. All'infuori del soffitto, che era stato finito solo il giorno innanzi, del tetto e dei muri esterni, ben poco dell'edificio che circondava la Tavola era stato completato. Vestor osservò di nuovo la levigata superficie, un elemento creato molto
prima di quanto immaginasse il Pretore. Lanciò un'occhiata verso il passaggio a volta ancora incompleto, poi estrasse i fogli di pergamena che provenivano dagli archivi pretoriani e i nuovi fogli che aveva realizzato nei giorni precedenti la sua partenza da Alustre, parecchie settimane prima. Dopo aver sistemato un foglio di ciascun tipo su entrambi i lati della superficie a specchio, si chinò ed estrasse alcuni cristalli dalla scatola ai suoi piedi, disponendoli al centro della Tavola. Quindi, consultando i fogli, risistemò i cristalli a uno a uno. Infine, pescò dalla tunica un oggetto antico che ricordava nell'aspetto una torcia a raggi di cristallo e ne regolò l'apertura a un'estremità. Quando ebbe finito di esaminare sia l'antico manoscritto sia quello più recente, fece un profondo respiro e accese la torcia, dirigendone la luce sul cristallo recettore a forma di prisma. Un groviglio di raggi purpurei scaturì dai cristalli e svanì quasi immediatamente. Subito dopo, la superficie dello specchio venne attraversata da una sequenza di luci intrecciate a formare strani motivi, che a loro volta si dissolsero. Il cubo di lorken ebbe un tremito, seppur lieve, come se si stesse piano piano assestando e penetrando nel granito sottostante. Per un lungo momento ci fu silenzio. Poi dalla superficie a specchio si levò un sottile anello di nebbia argentea, seguito da un secondo anello purpureo. Entrambi si trasformarono in tentacoli dello spessore di un canapo, o di un serpentello. Con un'espressione accigliata, Vestor arretrò di un passo per sottrarsi a quelle braccia che si protendevano verso di lui, ma queste schizzarono turbinando dalla Tavola e gli si proiettarono addosso avvolgendolo completamente, prima che potesse indietreggiare oltre. «No... no!» Poi, quasi contro la sua volontà, la bocca di Vestor si chiuse bruscamente, ed egli si fermò vacillante a due iarde dalla Tavola, come se stesse lottando contro un nemico invisibile. Le due nebbie inondarono il suo corpo, per poi svanire adagio. Vestor rimase per un po' immobile. Una delle Guardie pretoriane si affacciò al passaggio a volta. «Signore... ho sentito dei rumori. Va tutto bene?» Vestor si raddrizzò, ripulendosi la tunica, e le rivolse un sorriso. «È stata solo un'esclamazione di sorpresa. Sto bene. Non mi sentivo così bene da anni. Tanti anni.» «Bene, signore.» La guardia si ritrasse velocemente. Vestor fece un risolino sardonico e spostò lo sguardo verso la nuova - e
ora perfettamente funzionante - Tavola degli Archivisti, mormorando tra sé: «Bel lavoro. Proprio un bel lavoro. Adesso, con tre, possiamo cominciare». E così dicendo, si riavvicinò alla Tavola. 93 Il maggiore Keiryn - dall'aitante corporatura e dai capelli rossi - si presentò davvero allo scadere esatto delle due clessidre. Scortò Alucius giù per due piani di scale, dirigendosi verso l'ala orientale del quartier generale, in una sala da pranzo privata che, al loro ingresso, trovarono vuota. L'unico tavolo tondo presente nella stanza era coperto da una tovaglia di lino di un bianco abbagliante, corredata da tovaglioli dello stesso tessuto, ma di colore blu. Ciascuno dei quattro posti era apparecchiato con posate d'argento, vassoi e piatti di porcellana avorio con bordi blu e oro, e con due calici. Su un tavolino di servizio erano disposte in bella vista numerose bottiglie di vino dai riflessi ambrati. «Il maresciallo dovrebbe raggiungerci tra poco», Keiryn fece una pausa. «Le vostre imprese hanno creato un bel po' di trambusto, sapete? Non capita spesso che un capitano maggiore assuma il comando e riporti la vittoria in una battaglia che vede schierate un centinaio di compagnie nemiche. E accade ancora con minor frequenza quando vi sono implicate creature talentose come gli pteridon.» «Si è trattato più che altro di una questione di fortuna», mentì Alucius. «Dubito che la fortuna abbia molto a che vedere con tutto ciò. Stando a quello che il maresciallo Wyerl ci ha detto, pare che abbiate raramente perso delle battaglie, se non addirittura mai, e che abbiate più esperienza di combattimento voi di qualsiasi altro ufficiale in tutta Corus.» «Ho combattuto molto più di quanto avrei desiderato, ma sono certo che esistono altri ufficiali ugualmente esperti...» Alucius si fermò nel mezzo della frase, mentre la porta della sala da pranzo si apriva per lasciare entrare due uomini con l'uniforme delle Guardie del Sud. Il maggiore si fece incontro ai due nuovi venuti. «Marescialli...» «Buonasera, maggiore», disse Alyniat, avvicinandosi e inclinando il capo in direzione di Alucius: «Capitano maggiore». Si girò verso il maresciallo più anziano e di poco più basso. «Maresciallo Wyerl, vorrei presentarvi il capitano maggiore Alucius delle Guardie del Nord.» Adesso che era più vicino, Alucius fu in grado di vedere che i capelli
biondi di Alyniat erano, in realtà, più grigi che biondi e che i suoi occhi erano circondati da una fitta rete di rughe sottili. I capelli corti e bruni di Wyerl mostravano anch'essi cospicue striature argentee, ma, nonostante le ombre scure sotto gli occhi, emanava da lui un fascino giovanile. «È da un po' che desideravo incontrarvi, capitano maggiore Alucius.» Wyerl lo salutò con un sorriso fanciullesco. «Vi siete fatto una terribile reputazione.» «Posso fare ben poco riguardo a ciò che dicono gli altri, maresciallo», disse Alucius inclinando il capo a sua volta. «Temo che mi abbiano trasformato in qualcosa che non sono.» «Questo vale per chiunque combatta per vivere e sopravvivere.» Wyerl rise piano, poi indicò il tavolo. «Ma sediamoci, prego.» I due marescialli presero posto l'uno di fronte all'altro, mentre Alucius si trovò faccia a faccia con il maggiore Keiryn. Si erano appena accomodati, che comparvero subito due inservienti a versare un pallido vino ambrato da una delle bottiglie nel più piccolo dei due calici. Wyerl alzò il bicchiere per un brindisi. «Al nostro ospite.» «Con tutta la mia gratitudine per la vostra ospitalità», rispose Alucius, sollevando il suo. Trovò il vino eccellente, benché fosse consapevole della propria limitata esperienza nel giudicare. Gli inservienti si allontanarono per poi riapparire con dei piattini, che appoggiarono sopra a quelli già sistemati davanti a ogni commensale. Sui piattini c'era un involucro di pasta sfoglia non più grande del pugno di un bambino. Alucius lo studiò, poi si servì della forchetta per assaggiarne una piccola porzione friabile. Il ripieno, qualunque cosa fosse, era caldo, dolce e piccante al tempo stesso, con un sentore di burro e di qualcos'altro che non avrebbe saputo dire. «Vi piace il charysa?» domandò Alyniat. «È buono. Non l'avevo mai assaggiato prima», confessò Alucius. «Scommetto che, come la maggior parte degli ufficiali, assaggerebbe praticamente qualunque cosa prima di dire che non gli piace», dichiarò Wyerl. «E scommetto anche che ci sono ben poche cose che non gli piacciono.» «Solo le punte di quarasote con il miele», confessò Alucius. «Non posso dire di averle mai sentite nominare», disse Alyniat. «È un cactus che cresce nelle nostre terre. Io personalmente trovo che sappia di olio e di segatura, ma era uno dei piatti preferiti della mia fami-
glia. Dopo che mi hanno costretto a mangiarlo durante tutta la mia infanzia...» Alucius si strinse nelle spalle con aria esplicita. Il maresciallo scoppiò in una risata. Dopo un attimo di esitazione, anche Keiryn lo imitò. «Com'era il vitto a Dereka?» chiese Wyerl. «Perlopiù, ci veniva servito il rancio dei soldati, tranne quando abbiamo partecipato al banchetto offerto dal Landarco agli ufficiali. In quell'occasione, ci hanno portato antilope con una salsa di mela-prugna. Era buona.» «Mai assaggiata», disse Alyniat. I piatti vuoti furono portati via e sostituiti da un' insalata appena condita con olio e guarnita da formaggio grattugiato e noci. Il condimento sapeva di olio di mandorle. «Il prossimo piatto vi dovrebbe piacere», dichiarò Wyerl. Alucius riuscì persino a capire di cosa si trattava: era maiale selvatico in salsa di peperoni, con contorno di fettine di mela saltate in padella. «Le guardie offrono una taglia sui maiali selvatici», spiegò Alyniat. «Sonò troppo numerosi e distruggono i campi coltivati. Perciò noi offriamo una moneta d'argento per ogni maiale catturato. I contadini ricevono una ricompensa per qualcosa che va anche a loro vantaggio e noi abbiamo in cambio della buona carne.» «Com'è in confronto all'antilope?» domandò Wyerl. «È buono. Sono due tipi diversi di carne. Ma entrambi sono troppo sostanziosi per essere consumati tutti i giorni», disse Alucius. «Non secondo il Landarco, scommetto. È vero che il suo palazzo risale a molto tempo fa?» «È in durapietra dorata. Il che vuol dire che deve essere stato costruito prima del Cataclisma, penso», commentò Alucius. «Dicevate che il Landarco aveva tappezzato i muri del cortile del suo palazzo con le corazze dei nomadi?» chiese il maresciallo Wyerl. Alucius l'aveva sicuramente detto in altre occasioni, anche se non ne aveva ancora fatto parola con nessuno a Tempre. «Sì, è vero, signore. Ho contato - calcolato, in verità - più di tremila corazze nel cortile anteriore. E il suo aiuto-maresciallo mi disse che ce n'erano altrettante nel cortile sul retro, per quanto io non le abbia viste.» «Seimila morti. Una notevole impresa, non c'è che dire.» Wyerl guardò Alyniat. «Per non parlare degli pteridon.» «E senza molto aiuto da parte dei deforyani, immagino.» Alyniat fissò Alucius dritto in faccia.
«Hanno fatto del loro meglio», temporeggiò quest'ultimo. «La maggior parte dei loro ufficiali di grado superiore a quello di capitano proviene da famiglie di proprietari terrieri, non è vero?» «Da quel che ho visto, direi di sì. I loro capitani, poi, sono paragonabili più a dei comandanti di squadra anziani», ammise Alucius, «e mi sono sembrati più esperti al comando di quanto non lo fossero i loro superiori». «Sono dei bravi tiratori...?» «Hanno detto niente delle abituali postazioni dei lancieri...?» Mentre Wyerl lo tempestava di domande, tra una risposta e l'altra, Alucius finì la sua pietanza e l'inserviente portò via il piatto in silenzio. Poi fu la volta del dessert, un budino di crema color arancio dalla forma ovale, con uno stemma in rilievo: quello delle Guardie del Sud. Alucius ne assaggiò un pezzettino, e trovò che era dolce, cremoso, come suggeriva il suo aspetto, e aveva il sapore di mandorle e arancia. «Voi siete un pastore per nascita e destinato a ereditare la fattoria di famiglia, mi pare di capire», disse Alyniat. «Eppure, siete entrato a far parte della milizia come soldato semplice. Non è insolito?» «Non avevo molta scelta. Il Consiglio aveva indetto un ordine di reclutamento, e si dà il caso che io fossi l'unico figlio maschio. La quota che la mia famiglia avrebbe dovuto pagare per il mio riscatto avrebbe portato la fattoria alla rovina.» Alucius capiva che i due conoscevano già la sua storia, e immaginava dove intendessero andare a parare. «Eppure le famiglie dei pastori hanno fama di essere... come dire, ricche», disse Wyerl. Il maggiore Keiryn trasudava un silenzioso smarrimento, che preoccupava Alucius più ancora delle domande che gli venivano rivolte. «Tenendo conto della terra che possediamo e delle attrezzature, molti direbbero che siamo ricchi», ammise Alucius, «anche se, paragonato a tutto il denaro che occorre per la gestione della fattoria e la produzione della seta nerina, il ricavo è davvero esiguo. E poi c'è l'acquisto dei solventi che vengono da Lanachrona, il che comporta una spesa supplementare per i costi di trasporto». «Al giorno d'oggi, non ne sono rimasti molti di pastori, vero?» «Non so esattamente quanti siano i pastori, ma direi che ci sono meno di un centinaio di fattorie che producono seta nerina, e questa cifra si riduce ogni anno che passa. La maggior parte delle fattorie a nord e a ovest è stata abbandonata nel corso di questi ultimi dieci o vent'anni.» «E il motivo qual è?» domandò Wyerl.
Alucius capì che la domanda si scostava dall'argomento principale e che il maggiore era sinceramente interessato a conoscere la risposta. «È piovuto meno nel corso delle ultime generazioni, almeno in base a ciò che dice mio nonno. I quarasote non crescono dove il clima è troppo umido, ma senza un po' di pioggia, i cespugli non producono germogli sufficienti a nutrire le pecore nerine.» «Germogli?» «Neanche un montone nerino è in grado di mangiare i quarasote che hanno più di un anno. Le loro spine si induriscono a formare degli spuntoni in grado di scalfire l'acciaio o di squarciare il corpo di un uomo o di un cavallo.» «Il quarasote può essere così micidiale?» «È una delle ragioni per cui i matriti hanno avuto problemi, sebbene fossero più numerosi di noi. Credevano che, attaccandoci da nord, dove le terre erano meno popolate, avrebbero potuto scendere lungo la strada principale che parte da Chiusa dell'Anima.» Alucius sorrise. «Ma quella strada corre attraverso colline e pianure disseminate di quarasote. Di là non si può passare a cavallo, soprattutto con uno che non sia abituato a tali percorsi. Noi conoscevamo a occhi chiusi tutti i sentieri secondari. Non conosco il numero esatto, ma credo che abbiano perso qualcosa come dieci compagnie per ciascuna delle nostre.» Wyerl annuì. «Buono a sapersi. Eppure... quelle terre devono essere alquanto brulle... alcune, perlomeno.» «Verso le Colline dell'Ovest, a occidente di Chiusa dell'Anima, non sono rimaste molte fattorie. Là le precipitazioni sono state ancora più scarse.» «Il che non lascia molto spazio a nuovi investimenti, giusto?» «No», confermò Alucius, curioso di vedere dove il maresciallo intendeva arrivare. «Quindi, un eventuale aumento delle tasse potrebbe costringere molti altri proprietari di fattorie ad abbandonare le proprie terre?» «Un aumento delle tasse potrebbe effettivamente portare a questo», ammise Alucius. «Persino la vostra, di fattoria?» «Non so quale sia la nostra situazione economica, di questi tempi.» Alucius si strinse nelle spalle. «È il nonno che se ne occupa.» «Anche vostra moglie è un pastore?» «Viene da una famiglia di pastori.» «Sarebbe davvero un peccato dover rinunciare a una tale proprietà.»
Wyerl guardò Alyniat. «Non credete?» «Certamente.» Alyniat scoppiò in una risata. «Potremmo rischiare di non avere altri ufficiali come il nostro capitano maggiore.» Alucius si rilassò un poco, sentendo che il messaggio - o uno dei messaggi - era stato trasmesso. «Ho visto che non vi è piaciuto il mandorlato d'arancia», osservò il maresciallo Wyerl, guardando il piatto vuoto di Alucius. «Per niente, signore. Per niente.» «È anche uno dei miei dolci preferiti...» A quelle parole, e al loro significato recondito, Alucius capì che il maresciallo gli aveva fatto giungere il primo messaggio, sebbene non si fosse ancora fatto una chiara idea di cosa poteva volere il Signore-Protettore. Voleva forse che Alucius comandasse una spedizione da qualche altra parte? Contro i matriti a Dimor? O contro Deforya, per invaderla? O si trattava invece di tutt'altra cosa? 94 La mattina di octi, Alucius si era alzato presto, con lo stomaco che gli brontolava per la fame. Poiché non intendeva aspettare che arrivasse il solito ufficiale di turno a prenderlo in consegna, si lavò e si vestì rapidamente, poi uscì per vedere di trovare qualcuno che potesse indicargli dove era situata la mensa ufficiali, o comunque dirgli dove avrebbe potuto trovare qualcosa da mangiare. Decise che avrebbe chiesto alle due guardie che stazionavano sulle scale, perciò si diresse verso di loro e interrogò il soldato più anziano. «Sapreste dirmi dov'è la mensa ufficiali, o dove posso fare colazione?» «Ah... al primo piano, signore, a metà dell'ala ovest. La colazione sarà servita ancora per un'altra clessidra.» «Grazie.» «Prego, signore.» Tra i due ci fu una breve conversazione, ma talmente sottovoce che Alucius non riuscì a cogliere granché, a meno che non si fosse fermato ad ascoltare di nascosto. Trovare la mensa ufficiali non fu difficile. Alucius si limitò a seguire con discrezione due giovani capitani, che lo portarono proprio davanti a una lunga tavola oltre la quale stavano parecchi inservienti. Prestò ascolto, poi, quando venne il suo turno, si fece avanti e ordinò: «Vorrei delle uova strapazzate con prosciutto e pane. E della birra».
L'inserviente più vicino fissò l'uniforme di Alucius. «Mmm... capitano maggiore?» «Esatto, delle Guardie del Nord. Sono qui su ordine specifico.» «Solo un attimo, signore.» Come aveva già fatto con i due capitani, l'inserviente riempì il piatto e lo porse ad Alucius, insieme a un bicchiere di birra. «Grazie.» Mentre Alucius si allontanava con un'abbondante porzione di uova strapazzate, fette di prosciutto e pane tostato, il tutto condito da una cospicua dose di salsa, udì la conversazione alle sue spalle. «Non so se lui...» «Che importanza ha? E poi se è davvero lui, gli volevi dire di no?» Con un lieve sorriso, Alucius osservò gli ufficiali intorno a sé e notò un capitano maggiore dai capelli brizzolati seduto solo a un tavolo. «Vi dispiace se mi unisco a voi?» Il capitano maggiore sembrò stupito, poi gli sorrise. «No, anzi mi fa piacere. Credevo che nessuno di noi avrebbe avuto l'opportunità di parlare con voi. Siete quello che ha cacciato i nomadi da Deforya, non è vero?» «Alucius... sono io.» E, così dicendo, Alucius prese posto sulla sedia di fronte all'ufficiale più anziano. «Io sono Paerkl. Mi trovo qui solo temporaneamente, per fornire informazioni agli ingegneri addetti ai rilevamenti.» «Ingegneri addetti ai rilevamenti?» «A turno, alcune compagnie vengono incaricate di fare rilievi nelle zone di cui non si possiedono mappe precise. Cerchiamo cose che risalgono al Cataclisma - strade, oggetti - e poi riferiamo. Adesso starò qui una settimana per rivedere tutti i disegni e le mappe che ho preparato, e poi me ne torno a Hyalt.» Alucius annuì, con la bocca piena di uova strapazzate e pane tostato. «È vero che c'erano più di cento compagnie di nomadi e degli pteridon?» «Non so bene cosa si stia raccontando in giro, ma è vero. I Lancieri deforyani avevano circa venticinque compagnie e noi ne avevamo cinque. Una di Guardie del Sud e quattro di Guardie del Nord, e il maggiore Draspyr - delle Guardie del Sud - era al comando di tutte e cinque.» «Draspyr? L'ufficiale che aveva disubbidito all'aiuto-maresciallo Frynkel e aveva distrutto i mercantili a Porta del Sud?» «Non l'avevo mai incontrato prima, e lui non mi ha mai parlato delle sue precedenti imprese.» Alucius cercò di ricordare quale aspetto avesse Draspyr. «Abbastanza alto, biondo, con una cicatrice sulla guancia.»
«È proprio lui. O perlomeno lo era. Perché non ce l'ha fatta, vero?» «Abbiamo perso più di metà soldati e metà ufficiali. Lui era tra quelli che ci hanno rimesso la pelle. Delle cinque compagnie con cui eravamo partiti, meno di due sono tornate.» Alucius bevve un sorso di birra. «E voi eravate l'ufficiale più anziano tra i superstiti?» Alucius annuì di nuovo. Paerkl scosse il capo. «Pteridon, dicevate? Avete qualche idea di dove li avessero presi?» «Ammesso che qualcuno lo sapesse, non me l'hai mai detto. I deforyani non credevano neppure alla loro esistenza, almeno, non finché quelle creature alate non hanno incenerito un paio di squadre.» «Chissà che spettacolo.» «Non del genere che si rivede volentieri.» Alucius fece un pausa, poi chiese: «Siamo giunti qui venendo da Dekhron, attraverso Borlan e Krost. Ho avuto l'impressione che tutti gli avamposti fossero sotto organico. È a causa della campagna di Porta del Sud?». «In prevalenza, sì. L'area interessata dalla campagna si estende per oltre trecento vingti, dal nostro vecchio confine con Madrien fino a Porta del Sud. Hanno rafforzato il forte di Zalt, ma la difesa della strada principale richiede l'impiego di quindici compagnie. Come minimo. Senza contare l'offensiva in corso contro Fola.» Paerkl si accigliò per un attimo. «Venendo qui, vi siete fermati a Krost, all'avamposto?» «Sì.» «C'era il colonnello Jesopyr?» «Sì, c'era. È il comandante dell'avamposto, giusto?» «Per ora. Ha raggiunto l'età della pensione, ormai. Credo che gli verrà conferita un'onorificenza durante la prossima cena celebrativa indetta dal comandante in capo, qui a Tempre. È un brav'uomo. Ho prestato servizio al suo comando. Mi piaceva. Vecchio stile. Il tipo che apprezza più un nemico coraggioso che un amico scadente. Non è di quelli che ti dice quello che vuoi sentire e poi ti pugnala alle spalle mentre ti abbraccia.» «Quelli ci sono sempre. Ne ho trovati alcuni anche nella milizia, prima che diventassimo Guardie del Nord. Più preoccupati per una mezza moneta d'argento che per la vita di un soldato.» Paerkl scosse il capo e bevve un ultimo sorso di birra. «Meno ce ne sono, meglio è.» «Avete mai incontrato un certo maggiore Ebuin?» Il lieve irrigidirsi di Paerkl fu più eloquente delle sue parole. «È il nume-
ro due a Borlan. Sotto il capitano-colonnello Yermyn. Hanno le stesse idee. Così mi hanno detto. Non li conosco personalmente.» «Nemmeno dopo che ebbe finito di parlare», dichiarò Alucius, «ero sicuro di cosa avesse voluto dire. Era molto cortese, però». «Cortese è il termine giusto.» Paerkl spinse indietro la sedia. «Mi ha fatto piacere conoscervi e spero che tutto proceda bene. Il Signore-Protettore dovrebbe consegnarvi una specie di ricompensa. È bello vedere che un ufficiale che ha combattuto valorosamente ottiene il giusto riconoscimento. Non capita spesso.» Poi, con un sorriso, il capitano maggiore Paerkl si congedò. Nessuno si avvicinò ad Alucius mentre finiva di far colazione. E nemmeno quando ripercorse la strada inversa per raggiungere i suoi alloggi. Era in dubbio se andarsene un po' in giro a esplorare, ma non sapeva bene dove e cosa cercare, e nemmeno cosa avrebbe dovuto scoprire. Aveva anche il presentimento che, di lì a poco, qualcuno sarebbe andato a cercarlo. Su quest'ultimo punto aveva ragione. Un giovane capitano, che Alucius non conosceva, stava camminando avanti e indietro nel corridoio, davanti alla porta del suo appartamento. «Capitano maggiore Alucius?» «Sì?» «Sono il capitano Deen. Il maggiore Keiryn mi ha assegnato a voi come assistente durante la vostra permanenza a Tempre.» Il capitano esibì un sorriso imbarazzato, espressione che sembrava corrispondere alla sua mortificazione interiore. «Ma ho ricevuto l'ordine solo stamattina.» «Non c'è problema. Avevo appetito e ho trovato la mensa ufficiali.» «Ah... quale?» «Quella al primo piano. Ho seguito un paio di capitani.» «Ah... dovremo mostrarvi quella riservata agli ufficiali più anziani. È là che vi stavano aspettando. Si trova all'altra estremità del primo piano. Durante la vostra assenza... sono andato là a cercarvi, ma mi hanno detto di non avervi visto.» «Ho fatto una sostanziosa colazione», disse Alucius. «Bene. Vi aspettano giornate dense di impegni qui a Tempre.» Alucius inarcò le sopracciglia. «Il capitano-colonnello Omaryk - capo della squadra progettazione - ha chiesto che gli riferiate sui nomadi e sulle caratteristiche delle forze del Landarco, oltre che sulla strada che attraversa le montagne della Dorsale Superiore. Poi il capitano-colonnello Dytryl - l'ufficiale addetto ai rileva-
menti - desidera incontrarvi per un paio di clessidre oggi pomeriggio. E, naturalmente, a mezzogiorno sarete ospite al pranzo degli ufficiali anziani...» «Ero venuto qui per incontrare il Signore-Protettore...» Alucius azzardò. «Oh, sì. L'incontro è previsto per londi. Il Signore-Protettore non concede udienze il fine settimana, e non vi potrà comunque vedere finché non avrete relazionato a chi di dovere, e poi il decdi, il comandante in capo vi ha invitato nella sua residenza. L'aiuto-maresciallo Frynkel desiderava conoscervi, così è stato più semplice programmare una cena il fine settimana, invitando tutti e due. L'aiuto-maresciallo ha detto che potreste fornirgli indicazioni preziose sulla strada principale di sudovest e sui matriti...» Non si poteva certo dire che il Signore-Protettore non stesse ottenendo informazioni da Alucius. Ma era tutto ciò che voleva? Per scoprirlo, non c'era che da aspettare. 95 Prosp, Lustrea L'uomo con l'abito da ingegnere pretoriano si dava da fare veloce sul congegno posato sul banco da lavoro improvvisato. Era là in piedi, nell'aria tiepida della stagione del raccolto, nel laboratorio attiguo alla stanza che ospitava la nuova Tavola degli Archivisti, la prima a essere stata ricostruita da più di un millennio. A prima vista, il dispositivo al quale stava lavorando aveva l'aspetto di una vecchia pistola, anche se il progetto era molto più antico e prevedeva una canna che fungeva da regolatore di uscita dei cristalli e un calcio destinato a ospitare le cariche a raggi di cristallo. Le dita dell'ingegnere si muovevano abili mentre completava in silenzio l'assemblaggio, avvitando le piastrine che si piegavano a formare l'impugnatura e il collettore di luce. Alla fine, si raddrizzò e inserì l'arma nella fondina che portava al fianco. Quindi si diresse verso il passaggio a volta che immetteva nella sala della Tavola, salutando con un cenno la Guardia pretoriana che stazionava fuori sulla soglia. Non appena Vestor si chiuse la porta alle spalle, il frastuono prodotto all'esterno dai muratori e dai carpentieri si affievolì. Egli si diresse verso il tavolo-scrittoio collocato a ridosso della parete e raccolse parecchi fogli di pergamena. Poi si girò. Nell'avvicinarsi alla Tavola, il suo sguardo spaziò
sul cubo scuro di lorken che gli arrivava all'altezza della vita. Una volta che l'ebbe raggiunta, fissò la sua superficie a specchio e si concentrò. La nebbia purpurea cominciò ad alzarsi turbinando, per poi dissolversi e lasciare il posto al volto di un uomo dalla pelle d'alabastro e dagli occhi viola, la cui bocca era incurvata in un sorriso. Vestor annuì e appoggiò sulla Tavola il primo foglio di pergamena, che ben presto sparì. Ripeté l'operazione con il secondo e il terzo foglio. Dopo che anche quest'ultimo si fu dileguato, l'ingegnere indietreggiò e tirò un profondo sospiro, asciugandosi la fronte madida di sudore. L'intero suo corpo era scosso dai brividi e il petto si sollevava e si abbassava come se avesse percorso un vingt a tutta velocità. Dopo un momento, si diresse allo sgabello accanto allo scrittoio e si sedette. Anche tutte le immagini comparse nella Tavola erano svanite, lasciando solo uno specchio trasparente che rifletteva le pesanti travi del soffitto. 96 Alucius procedeva veloce verso il suo alloggio, prestando appena attenzione al capitano Deen. «... e quando la squadra logistica venne riorganizzata - questo fu perché il maggiore-colonnello Hurgenyr andò in pensione proprio prima che il padre del Signore-Protettore morisse - il suo successore pensò che avrei potuto essere utile al personale addetto ai rilevamenti. Ma il capitanocolonnello Dytryl non voleva giovani ufficiali, ma solo cartografi e ufficiali anziani che si erano guadagnati i gradi con l'esperienza e che avevano girato tutti gli avamposti di Lanachrona... Fortunatamente, a quel punto, il maresciallo Wyerl suggerì che avrei potuto essere di aiuto al maggiore Keiryn...» «Sono certo che siete molto bravo a far sì che gli ufficiali come me o altri arrivino dove devono arrivare...» «È proprio ciò che ha dichiarato ieri Keiryn, ringraziando persino Colui che E. Ma, sapete, è davvero un privilegio essere qui al quartier generale. Mio padre è molto soddisfatto del mio incarico. Era un maggiorecolonnello incaricato dei servizi logistici fluviali e mia cugina, be', veramente, la figlia della cugina di mio padre, è la moglie e consorte del Signore-Protettore. Noi tutti continuiamo a sperare che abbiano presto un figlio. Comunque, il maggiore ha detto persino che sarebbe un peccato distaccarmi presso una compagnia...»
Alucius aprì la porta e si fermò nell'ingresso del suo alloggio. «Aspettatemi un attimo, per favore. Non ci metterò molto. Devo solo recuperare alcuni appunti.» Dopo essersi rifugiato in camera da letto, Alucius si chiuse la porta alle spalle e trasse un lungo sospiro. Poi si chinò a frugare nella bisaccia cercando le poche annotazioni che gli erano rimaste dei suoi viaggi e che avrebbero potuto essergli utili durante il suo rapporto (o interrogatorio?) al capitano-colonnello Omaryk. Mentre si alzava, lanciò un'occhiata dalla doppia finestra, indugiando con lo sguardo sul palazzo del Signore-Protettore. D'un tratto si irrigidì, avvertendo qualcosa che non aveva più sentito da molto, e fissò la propria attenzione sull'edificio che gli stava dinanzi. La sensazione di oscurità attraversata da sfumature violacee, che proveniva da qualche punto all'interno del palazzo e fluiva verso l'alto, era talmente palese che Alucius si chiese come mai non l'avesse notata prima. Forse perché non aveva guardato da quella parte? O perché era stato troppo indaffarato a spostarsi freneticamente di qua e di là? Si soffermò a osservare, concentrandosi. Da quell'oscurità traspariva la stessa implicita malvagità della percezione rosso-violacea emanata dal cristallo che aveva scoperto nella residenza della Matride. Era forse quello il motivo per cui era stato messo in guardia a Dereka? Il Signore-Protettore aveva qualche affinità con la Matride? Mentre Alucius guardava, l'oscurità svanì. Dunque, egli rifletté, qualunque sia la sua causa, non è costante come lo era invece quella che faceva funzionare il cristallo violaceo. Ma questo rendeva ancora più difficile stabilire il da farsi. Di certo, non gli sarebbe stato possibile tenere sempre d'occhio il palazzo. Ed era impensabile che, durante i suoi appuntamenti con i vari ufficiali, li abbandonasse di punto in bianco per precipitarsi là a cercare di scoprire chi o che cosa produceva quell'oscurità dalle sfumature violacee. Dopo aver fatto un altro respiro profondo, Alucius si infilò i fogli delle sue note nella tunica e si accinse a tornare dal capitano Deen. Questi lo stava aspettando, con un sorriso, nell'ingresso. «Non vi ci è voluto molto, capitano maggiore. Adesso, ci recheremo dalla squadra progettazione. Lì vi incontrerete con il capitano-colonnello Omaryk... uno dei primi ufficiali nominati dal nuovo Signore-Protettore; infatti, dopo la sventurata morte del maresciallo Slayern e il pensionamento del maresciallo Retlyn, quando scelse il maresciallo Wyerl come comandante in capo... fece anche trasferire Omaryk da Borlan...»
Alucius cercava di ascoltare con attenzione, mentre seguiva il giovane capitano giù al secondo piano e poi verso est, lungo il corridoio principale. Di lì a poco, Alucius fu condotto in una piccola sala riservata alle riunioni. Il capitano-colonnello Omaryk era magro come un chiodo, con un viso lungo e lentigginoso. Indicò ad Alucius la sedia libera di fronte a sé. «Prego, accomodatevi, capitano maggiore. Vi presento il capitano Kurelyn, che dirige una delle sezioni analitiche. Ed è bravo e veloce nel prendere appunti.» Un lieve sorriso attraversò il volto di Omaryk. Alucius prese posto e rimase in attesa. «Tralasciamo le inutili formalità. Vedo dalle vostre precedenti esperienze che avete avuto occasione di percorrere la strada di mezzo da Chiusa dell'Anima attraverso le Colline dell'Ovest, e la strada costiera interna, giù fino a Zalt. Conoscete anche la strada principale di sudovest, quella che va dal vecchio confine lanachroniano fino a Zalt. Inoltre, il vostro ultimo incarico vi ha condotto da Senelmyr a Dereka, e quindi a sud fino alle estreme propaggini delle Montagne della Barriera, per poi farvi tornare a Salaan e infine a Tempre. Avete dimestichezza con i sistemi di addestramento dei matriti e le loro strategie belliche, e probabilmente avete più conoscenza voi delle capacità tattiche dei nomadi illegeani e dei Lancieri deforyani di qualunque altro ufficiale lanachroniano. Sono supposizioni corrette, le mie?» «Con qualche eccezione, signore.» «Quali sarebbero queste eccezioni?» «Anche altri ufficiali potrebbero essere stati a Dereka, signore. Io non ne conosco, però potrebbero esserci.» «E che mi dite dei matriti?» «Direi che li conosco più io di chiunque altro nelle Guardie del Nord. Non saprei dire per quanto riguarda le Guardie del Sud.» «Va già meglio...» Omaryk fece una pausa. «Siete mai stato interrogato sui matriti dai vostri superiori delle Guardie del Nord?» «Solo dal colonnello Clyon. Ma non so che cosa ne abbia poi fatto delle mie informazioni.» «Nemmeno noi. Cominciamo con i Lancieri deforyani. Per prima cosa, vorrei sapere quali sono le vostre impressioni generali e la vostra conoscenza della loro struttura militare.» «In base a ciò che mi hanno detto parecchi ufficiali, i Lancieri deforyani sono costituiti da venticinque compagnie...» Alucius riferì tutto ciò che sapeva o gli era capitato di sentire, tralasciando volutamente di parlare
delle deduzioni a cui era giunto da solo. «Intendete dire che i Lancieri deforyani hanno ufficiali in esubero e che le capacità di questi ufficiali sono marginali, nel migliore dei casi?» «Sì, signore. Detto così è fin troppo gentile.» «Potreste dirmi alcune delle ragioni che vi hanno portato a formulare tale giudizio?» «Quando ci trovavamo a Cresta Nera...» Alucius raccontò la ritirata dei deforyani e il loro abbandono dei cuochi. «Non credete che si sia trattato di una decisione saggia?» «No, signore. Prima o poi, avremmo dovuto comunque ripiegare, ma all'inizio eravamo in una posizione di superiorità e avremmo potuto infliggere molte perdite al nemico. Se i deforyani si fossero fermati, queste perdite avrebbero potuto essere ancora maggiori. Ma i Lancieri non hanno neppure tentato di resistere e si sono precipitati a Deforya. Poi si sono lasciati accerchiare durante la battaglia finale.» «E voi non siete stati accerchiati?» «No, signore. L'attacco nemico è stato massiccio, ma non compatto. Avevo dato ordine ai miei soldati di disporsi in una formazione serrata a cuneo e, così facendo, siamo riusciti a penetrare lo schieramento nemico e ad attraversarlo, dopodiché ci siamo raggruppati di nuovo e li abbiamo attaccati da dietro. I deforyani non avevano neppure creduto ai rapporti dei loro ufficiali riguardo all'esistenza degli pteridon.» «E che cosa è accaduto?» «I nomadi li hanno circondati, e i cavalieri sugli pteridon hanno lanciato fiamme in mezzo ai deforyani, finché non siamo intervenuti noi eliminandoli e spezzando l'accerchiamento.» Alucius sentì di avere fornito un'immagine veritiera dell'accaduto, seppure non troppo particolareggiata. «Credo che abbiate un po' semplificato il vostro racconto, capitano maggiore.» Un lieve sorriso attraversò nuovamente il viso di Omaryk. «Ma poiché non siete parte in causa, proseguiamo. Quali ordini avevate ricevuto voi e le compagnie deforyane prima dell'attacco alle porte di Dereka?» «Ci avevano fatto schierare tutti sulla strada di raccordo, ma, una volta iniziato l'attacco, non abbiamo ricevuto alcun ordine preciso. È per questo motivo che ho preso l'iniziativa.» «Nessun ordine?» «No, signore.» Da quel momento in poi, le domande si fecero sempre più dettagliate e miranti a conoscere qualunque cosa, dall'accuratezza di tiro dei deforyani
al numero di capitani semplici e capitani maggiori, alla loro formazione, fino al caffè degli ufficiali, alle strade e agli acquedotti che servivano Dereka e alla dislocazione dei frutteti e delle fonti lungo la strada principale. 97 Alucius non donni bene né la notte di octi né quella di novdi. I suoi sogni - quelli che gli riuscì di ricordare - abbinavano figure dalla pelle d'alabastro a pteridon e buoi della sabbia selvatici, mentre lui si trascinava lungo gallerie senza fine alla ricerca di... qualcosa. Quello, si disse, era per l'appunto il suo problema. Tutti coloro che gli stavano intorno sembravano voler qualcosa da lui. Qualcuno, come ad esempio il capitano-colonnello Omaryk, era stato molto esplicito. Altri, come il maggiore Ebuin, lo erano stati molto meno. Il giorno di decdi il quartier generale era quasi deserto, cosa che del resto Alucius si aspettava, visto che era l'ultimo giorno della settimana, perciò, dopo aver fatto colazione, decise di recarsi a trovare gli uomini della terza squadra. Dopodiché fece ritorno al suo alloggio per cercare di riflettere sulla situazione. Tranne quell'unica volta in cui si trovava in camera sua e aveva guardato verso il palazzo del Signore-Protettore, non aveva più avvertito quel senso di oscurità violacea, né in quell'edificio né altrove; e nemmeno aveva ricevuto altri messaggi, velati o meno, dopo quello trasmessogli dai marescialli al suo arrivo. E non aveva neppure visto in giro persone dall'incarnato opalescente o dalla pelle d'alabastro. Né aveva visto o sentito arianti, sabbiosi o altre creature talentose. L'unico avvertimento che gli era arrivato diceva che, se non avesse fatto ciò che il Signore-Protettore desiderava, la sua vita, la sua famiglia e la sua fattoria avrebbero potuto essere distrutte. Ma, al di là del fatto che il Signore-Protettore aveva voluto accertarsi che lui fosse ben consapevole della cosa, Alucius non aveva ancora capito cosa desiderasse ricevere in cambio. Infine, il pomeriggio di decdi, il capitano Deen comparve per scortare Alucius alla residenza privata del comandante in capo Wyerl. Forse perché quel pomeriggio faceva più fresco, mentre superavano altri cavalieri e parecchie carrozze, le vie di Tempre non parvero molto affollate, e comunque decisamente meno del giorno di septi, quando Alucius aveva fatto il suo ingresso nella capitale.
«... splendido pomeriggio... la stagione del raccolto è molto bella a Tempre. È un peccato che non abbiate avuto l'opportunità di vedere il fiume...» «La vostra famiglia vive qui vicino?» chiese Alucius, interrompendo il monologo del capitano Deen. «No, abita nella zona occidentale, oltre il quartiere commerciale. Bisogna avere molto denaro per vivere sulle Colline Dorate. È per questo che le chiamano così, sapete? Perché uno deve possedere parecchie monete d'oro per starci. Oppure essere un maresciallo. Uno dei miei cugini abita poco più a nord di qui. Dice che il posto dove vive fa parte delle pendici d'argento perché è appena poco più in basso delle Colline Dorate. Un giorno, anche lui sarà molto ricco. È già proprietario di quindici carri, la maggior parte dei quali viaggia sulle strade del quadrato, anche se un paio riesce a farli arrivare fino a Porta del Sud.» «Il quadrato?» «Sì, le strade principali che collegano Tempre, Krost, Syan e Hyalt formano quasi un quadrato; anche Vyan ne fa parte, benché si trovi a circa un terzo del tratto che va da Krost a Syan. Dato che mio cugino percorre queste vie di collegamento con regolarità, è riuscito ad aggiudicarsi molte spedizioni di merci. È in gamba, ha solo qualche anno più di me. Mi aveva chiesto se volevo fare il capo delle guardie che scortano i convogli e occuparmi del loro addestramento, insomma, quel genere di cose. Ma io non mi sentivo portato, anche se ho dovuto riflettere bene prima di dirgli di no. Mi aveva offerto un'ottima paga...» Mentre attraversavano la dorsale e proseguivano sulla strada selciata al di là di altre due basse colline, Alucius continuava ad ascoltare. La residenza del maresciallo Wyerl era un edificio lungo e basso circondato da giardini e recintato da un muro in pietra non più alto di una iarda e mezzo. Due Guardie del Sud si alzarono sull'attenti quando Alucius e Deen attraversarono il cancello e imboccarono un vialetto circolare in direzione dell'ingresso principale. «Il maresciallo ha detto che vi avrebbe fornito una scorta per il ritorno, signore. Ci vediamo domani mattina. Vi ricordo che avete appuntamento con il Signore-Protettore una clessidra prima di mezzogiorno.» «Mi farò trovare pronto. A domani.» Alucius fece fermare il cavallo e smontò. Una delle Guardie del Sud prese le redini. «Lo sistemeremo nelle stalle sul retro, signore.»
«Grazie.» Ancora prima che Alucius raggiungesse la porta in legno di quercia dorato, questa si aprì. Sulla soglia comparve una donna dal viso paffuto e dai capelli biondi arricciati in fitti boccoli. «Voi dovete essere il capitano maggiore Alucius. Io sono Queyela. Wyerl aveva detto che sareste arrivato a momenti. Prego, entrate.» Alucius le fece un inchino. «Grazie.» Entrò in un vestibolo dal pavimento di piastrelle dorate, grande circa tre iarde per lato. Una bambina dall'apparente età di dieci o dodici anni era ferma nel passaggio a volta che si apriva sulla parete a sinistra dell'ingresso. «Elizien...» Senza neppure aspettare che la madre finisse di parlare, Alucius avanzò, fermandosi a pochi passi dalla bambina, che gli arrivava appena oltre la vita. «Elizien, che bel nome. A te piace?» chiese Alucius sorridendo. «È il mio nome», rispose lei. «Il mio è Alucius.» «Lo so. Siete un ufficiale che era anche un pastore, al nord.» «Mi piace pensare di esserlo ancora», replicò Alucius. «È vero che avete ucciso uno pteridon?» «Ne ho uccisi parecchi, in realtà.» «Perché? Sono così rari. Mio padre dice che non se ne sono più visti a Corus dai tempi del Cataclisma.» «Non avevo altra scelta. I cavalieri degli pteridon stavano cercando di uccidere i miei soldati.» «Ma non potevate fermarli in altro modo?» «Elizien... se avessi conosciuto un altro modo...» Alucius si strinse nelle spalle con aria impotente. «Se non avessero cercato di ucciderci, non avrei fatto loro del male.» «Che tristezza.» «Elizien...» disse la madre dolcemente, «tuo padre sta aspettando il capitano maggiore». «Lo so.» Elizien fece un inchino e si allontanò lungo il corridoio, scomparendo alla vista. «Avete figli, capitano maggiore?» chiese Queyela. «No. Ma penso che ne avremo... almeno, lo spero.» «A prescindere da qualunque idea vi siate fatto, resterete comunque sorpreso», disse la donna con una risata. «Vi stanno aspettando sul retro. Venite con me, vi accompagno...»
Alucius la seguì verso una porta aperta su un terrazzo posteriore, dove vide i due marescialli in piedi, con lo sguardo rivolto al giardino. Con l'aiuto dei Talento-sensi, fece del suo meglio per riuscire a cogliere parte della loro conversazione. «... eccolo... l'Archivista sostiene che è l'uomo più pericoloso di tutta Corus...» «... questo si riferiva al mese scorso... valido ufficiale... l'Archivista non ha molta simpatia per loro...» «... non esagerate con le domande, Frynkel... vorrei godermi la cena...» «... solo qualche momento...» Mentre usciva sulla terrazza, Alucius si sforzò di sorridere educatamente. «Alucius!» Wyerl lo accolse con un largo sorriso. Alucius non percepì né malizia né prudenza dietro a quelle parole. «Maresciallo... siete stato molto gentile a invitarmi.» «Gentile, forse, ma avevo i miei buoni motivi. L'aiuto-maresciallo Frynkel desiderava parlare un po' con voi prima che incontraste il SignoreProtettore. L'ho pregato di essere breve.» «Lo sarà sicuramente, visto che non rimane molto da dire che io non abbia già detto a qualcuno.» «Vi porto da bere. Cosa desiderate?» «Per me, birra o vino bianco.» «Abbiamo una birra eccellente.» Wyerl si allontanò, lasciando soli i due. L'aiuto-maresciallo Frynkel era più basso del maresciallo Wyerl di circa una spanna ed era quasi calvo. I pochi capelli rimasti erano neri e sottili. Il volto era dominato da un naso affilato e da profondi e attenti occhi scuri. «Capitano maggiore Alucius. L'eroe di Dereka.» Le parole furono pronunciate in tono gentile, senza alcuna intenzione di deriderlo, sebbene lasciassero trasparire una punta di divertimento. «Può darsi che altri lo affermino», rise Alucius. «Io mi vanto solo di essere sopravvissuto.» «Sopravvivere è spesso tutto ciò che ciascuno di noi può desiderare. I vostri uomini non parlano molto di quella vostra esperienza. Lo sapevate?» «Non posso certo dire che la cosa mi sorprenda. Sono ben pochi coloro che desidererebbero parlare di una campagna nel corso della quale hanno perduto così tanti compagni. E soprattutto così lontani da casa.» «Sarebbero disposti a perdere ancora di più per proteggervi, capitano maggiore», aggiunse Frynkel. «Questo genere di lealtà è molto raro.»
«Sono dei bravi soldati, signore, e abbiamo attraversato parecchi momenti difficili insieme.» «Durante gli attacchi voi siete sempre alla testa dei vostri uomini, capitano maggiore. Sapete quanti ufficiali riescono a sopravvivere dopo un anno di battaglie in quella posizione?» «No, signore.» «Ho chiesto al personale che lavora per me di verificare. Ci sono molte cose su cui amiamo tenerci aggiornati. Perciò ho inviato alcune lettere ai comandanti di mia fiducia. Sapete cosa dicevano le risposte che ho ricevuto?» Alucius lo sospettava, ma si limitò a rispondere: «Non mi permetterei di azzardare un parere che sia contrario alle vostre fonti di informazione, signore». «Vorrei averne di capitani-colonnelli che mi dicano "no" con altrettanta gentilezza.» Frynkel rise, poi aggiunse: «Nessuno ricordava di avere mai visto o sentito parlare di ufficiali che, dopo essere rimasti sempre alla testa dei loro uomini, siano sopravvissuti per così tanto tempo. Mi interesserebbe molto sapere come siete riuscito a farcela voi, dopo tre anni di combattimenti». «Cos'altro può essere se non fortuna, o buona sorte, signore? Sono stato ferito parecchie volte, e alcune di queste ferite avrebbero potuto essere mortali se fossi stato colpito anche solo una spanna più in là.» «Questo è ciò che ho pensato anch'io all'inizio. Cioè, fino a che il capitano-colonnello Omaryk e io non abbiamo cenato insieme. Solo durante la battaglia di Dereka, avete guidato almeno quattro cariche contro forze decisamente superiori alle vostre, occupando sempre la posizione di testa. Nemmeno la seta nerina avrebbe potuto salvarvi.» «Signore, non vi so spiegare il motivo. I pastori sono un po' più robusti degli altri, forse a causa del difficile ambiente in cui si trovano a vivere, ma sono stato ferito, colpito e ustionato quel tanto che basta per sapere che sono anch'io un povero mortale come tutti gli altri.» Per quanto Alucius ne sapesse, quella era la pura verità. «Non otterrete altro, Frynkel», dichiarò Wyerl porgendo un alto bicchiere di birra chiara a entrambi. «Speravo di potervi porre un'ultima domanda.» Alucius annuì, mentre beveva un piccolo sorso della sua birra. «Preferireste che Lanachrona onorasse il suo impegno con voi e vi congedasse o che vi chiedesse di prolungare il servizio per un altro anno anco-
ra?» Alucius inclinò impercettibilmente la testa. «Questa è un'altra domanda a cui non so rispondere. Sono un bravo ufficiale. Altri sono sicuramente altrettanto bravi. Molti ufficiali delle Guardie del Nord sono al corrente del mio stato di servizio. Se il comandante in capo del Signore-Protettore prolungasse il mio periodo di ferma contro la mia volontà, o mi mettesse in condizioni di non poter rifiutare, mi sento di dire che il fatto potrebbe avere sugli altri ufficiali delle Guardie del Nord ripercussioni poco gradevoli. Quanto poi all'importanza dell'eventuale impresa a cui sarei destinato, non è qualcosa che io sono in grado di giudicare.» Wyerl incurvò le labbra in un ampio sorriso, scuotendo il capo. «Ciò che quest'uomo sta dicendo, Frynkel, è che ha compiuto miracoli ed è riuscito a sopravvivere, solo nella speranza di tornare a casa. Se gli prolunghiamo il periodo di ferma, metà degli ufficiali delle Guardie del Nord perderà la voglia di comportarsi come ci si aspetta che si comporti un ufficiale. E non sarei sorpreso se tale atteggiamento negativo finisse per contagiare anche le Guardie del Sud.» Nell'udire il commento di Wyerl e la sincera emozione che si avvertiva dietro a quelle parole, Alucius si sentì del tutto confuso. Perché gli era stato chiesto di venire a Tempre? Solo per fornire informazioni ed essere ringraziato? Ne dubitava, eppure... «Probabilmente avete ragione», ammise Frynkel, «ma mi era stato ordinato di sondare questa possibilità». «Direi che basta. Una cena stupenda ci sta aspettando e noi intendiamo gustarcela.» Wyerl indicò il giardino. «Questo è il giardino di erbe officinali di Queyela, o meglio, quella parte sulla destra. Non credo che il terreno e il clima delle Valli del Ferro consentano di coltivare piante del genere, vero?» «A sud di Punta del Ferro ne ho visti alcuni, ma nelle pianure di quarasote e intorno all'Altopiano dove viviamo noi, il suolo è troppo arido e sabbioso.» «L'Altopiano è davvero così alto come dicono?» È più alto delle montagne della Dorsale Superiore. Mio nonno mi disse una volta che si innalza per quasi settemila iarde dal fondo valle...» Wyerl annuì. Alucius capì che il maresciallo aveva davvero intenzione di mettere in pratica ciò che aveva appena detto, e sperò che la cena sarebbe stata piacevole.
«Ecco Elizien.» Wyerl si voltò a guardare la bambina dai capelli castani che stava sorridendo e chiamando il padre con un cenno. «Le ho detto che avrebbe potuto cenare con noi. Non vi dispiace, vero?» «Mi fa molto piacere», rispose Alucius con un sorriso. Forse la cena sarebbe stata davvero piacevole. 98 Tempre, Lanachrona Sei molto gentile, Talryn.» Alerya, il viso cereo, alzò lo sguardo sul consorte dai cuscini del monumentale letto. «Sono così dispiaciuta. Speravo che questa volta... ti avrebbe facilitato i compiti. Adesso... tutti sapranno, e le cose saranno più difficili...» «Avere un erede non produrrà grandi cambiamenti in chi si vorrà accanire su di me o in coloro ai quali potrò accordare la mia fiducia. Le persone fidate resteranno tali, mentre quelle inaffidabili saranno sempre inaffidabili.» Il Signore-Protettore scosse adagio il capo. «Ne esistono sempre troppo poche del primo tipo e troppe del secondo.» «Più tardi incontrerai il capitano pastore, vero?» La voce di Alerya era bassa, con un che di forzato. «Sì.» «Che farai? Hai deciso?» «Gli darò una ricompensa, naturalmente. Questo lo sapevi già. Che altro potrei fare? Dovrò accordargli il congedo anticipato?» «È un possessore di Talento, vero?» «Ha sconfitto gli pteridon, che sono quasi certamente creature talentose. O, perlomeno, deve aver escogitato qualcosa. Enyll afferma che lo è, ma non mi fido per niente di lui.» Il Signore-Protettore guardò la moglie, debole ed esausta. «Cosa devo fare secondo te?» «Di' a Enyll di entrare solo per un attimo nella sala delle udienze, di osservare il capitano maggiore, e di uscire prima che tu cominci a parlare. Dopo, gli chiederai cosa ha visto. Questo ti rivelerà molto di ciò che desideri sapere.» «E dopo?» Il Signore-Protettore sorrise alla moglie e le carezzò la guancia pallida. «Non dovrei farti stancare.» «Chiedi a qualcuno di accompagnare il capitano maggiore a visitare il palazzo, tutto il palazzo.» «E tu credi che...»
«È possibile...» disse lei facendo una smorfia, poi continuò: «Il capitano maggiore potrebbe essere come Enyll, o potrebbe essere, come noi pensiamo, un uomo che si sente obbligato a fare ciò che ritiene meglio, pur desiderando il contrario. Qualunque cosa succeda, o non succeda, ti aiuterà a capire molto. Se il capitano maggiore è semplicemente un bravo soldato, accetterà i tuoi doni con gratitudine e tornerà nelle Valli del Ferro. Se è qualcosa di più, potrebbe agire, o potrebbe anche non farlo. O, in tal caso, potrebbe agire Enyll. Chiedi al capitano maggiore di aspettare qualche giorno, finché non avrai preparato una lettera per il suo colonnello. Poi... resta a guardare, e tieniti pronto a fare ciò che si renderà necessario». Il sorriso le svanì dalle labbra. «Sono... stanca... così stanca.» Il Signore-Protettore suonò il campanello sul tavolino accanto al letto, poi si chinò sulla moglie. «Scusami. Non intendevo farti stancare...» «Tu... non...» Lui le prese la mano e, insieme, aspettarono. 99 Fedele alla sua promessa, il capitano Deen arrivò il mattino di londi di buonora, e se ne rimase a passeggiare avanti e indietro fuori dalla mensa riservata agli ufficiali anziani, finché Alucius non comparve dopo aver terminato la colazione. «Buongiorno, signore.» Deen si produsse in un inchino, mentre si avvicinava ad Alucius. «Buongiorno.» Alucius attese che Deen lo raggiungesse, per poi incamminarsi lungo l'ampio corridoio, verso i piedi delle scale che l'avrebbero condotto al suo alloggio, sapendo di avere almeno una clessidra di tempo per prepararsi in vista dell'incontro a palazzo. «Volevo soltanto mettervi a conoscenza delle varie formalità richieste per l'udienza con il Signore-Protettore», esordì il capitano. «Ci sono alcuni aspetti...» «Coraggio. Tanto vale che cominciate subito.» «Dovrete trovarvi sul posto, e presentarvi al capitano-colonnello Ratyf con almeno mezza clessidra d'anticipo. Il capitano-colonnello Ratyf è l'ufficiale responsabile degli appuntamenti. Potrete indossare la vostra uniforme d'ordinanza, visto che nessuna uniforme di gala è stata prevista per le Guardie del Nord, e portare con voi la sciabola, che è considerata un'arma da cerimonia; nessun'altra arma, all'infuori dei coltelli da cintura, è
consentita in presenza del Signore-Protettore. Non potrò accompagnarvi all'udienza, in quanto si tratta di un incontro privato, non pubblico. Ci saranno comunque guardie nascoste dietro ai paraventi, e il segretario del Signore-Protettore prenderà nota di ciò che verrà detto, anche se voi non lo vedrete neppure... davvero un grande onore, un'udienza privata... solo a pochi viene concessa ogni anno...» Alucius continuò ad ascoltare, mentre salivano le scale che portavano al terzo piano e svoltavano nel corridoio ovest, passando davanti alle guardie in servizio, diretti verso il suo alloggio. «... Al Signore-Protettore ci si rivolge sempre chiamandolo "SignoreProtettore". A volte, viene permesso ai ministri anziani e ai marescialli di chiamarlo "Signore", ma si tratta di un privilegio che solo lui può concedere... e che raramente concede...» Mentre entravano nel suo alloggio, Alucius disse al capitano: «Volete sedervi da qualche parte mentre mi preparo?». «Oh... sì, signore.» Alucius si chiuse la porta della camera da letto con fermezza alle spalle, senza fare rumore. Una volta solo, si lasciò andare a qualche considerazione, poi si sfilò la tunica. Dopo essersi lavato, ritornò in camera e indossò di nuovo la camiciola di seta nerina e la tunica. Portava sempre gli indumenti di seta nerina sotto l'uniforme. Anzi, non si avventurava mai da nessuna parte senza averli addosso, memore delle innumerevoli volte in cui l'avevano protetto da ferite mortali. Il Signore-Protettore voleva qualcosa e non desiderava che lo si sapesse in giro. O forse gli concedeva un'udienza privata perché non voleva pubblicizzare troppo il fatto che la spedizione nei territori dell'est avrebbe potuto concludersi in un disastro, visto che tutte le compagnie lanachroniane erano impegnate sul fronte occidentale? O si trattava di tutt'altra cosa? Non avrebbe potuto scoprirlo finché non si fosse incontrato con lui e, in un certo senso, non era sicuro di voler sapere cos'aveva in mente. Alucius lanciò un'occhiata fuori dalla finestra, verso il palazzo. Non si percepiva alcun segno dell'oscurità violacea avvertita in precedenza, né l'aveva percepito le ultime volte che gli era capitato di guardare da quella parte. Alla fine, si decise a raggiungere il capitano Deen in salotto. «Andiamo?» «Forse dovremmo. Siamo in anticipo, ma è sempre meglio che essere in ritardo. Soprattutto oggi.» Deen si alzò rapido e si avviò.
Alucius si chiese cosa avesse voluto dire Deen con quel «soprattutto oggi», ma lasciò perdere e seguì il capitano verso l'uscita e attraverso il cortile. Quando raggiunsero il recinto di Selvaggio, Alucius vide che la sella e i finimenti erano stati tutti ripuliti, cosparsi di grasso speciale per cuoio e strofinati fino a diventare lucidi. Lo stallone scosse piano la testa quando Alucius lo condusse in cortile, come se fosse contento di uscire dalle stalle e di trovarsi all'aria aperta. «Bravo... adesso ci facciamo una cavalcata. Non molto lunga, ma pur sempre una cavalcata.» Alucius montò in sella e attese che il capitano lo raggiungesse. Quindi i due ufficiali si avviarono costeggiando l'ala est dell'edificio. Una volta oltrepassati i cancelli, svoltarono a destra, verso ovest, in direzione del fiume e del Grande Porto, che si trovavano proprio alle spalle del palazzo del Signore-Protettore. «Perché non sarebbe una buona idea essere in ritardo, soprattutto oggi?» si informò infine Alucius. «Sua moglie è stata... indisposta.» «Indisposta?» «Be'... sperava di poter dare un erede al marito... e...» Deen si strinse nelle spalle con aria impotente. «Ma sono ancora giovani.» Alucius annuì, non perché fosse d'accordo, ma perché era in grado di capire lo stato d'animo del Signore-Protettore, anche se sperava che il suo cattivo umore non si ripercuotesse su di lui. Entrambi i lati del viale erano abbelliti da giardini. Alcune guardie in uniforme color avorio erano stazionate a intervalli regolari lungo i muretti in pietra che delimitavano la carreggiata, mentre altre percorrevano i vialetti lastricati, molti dei quali erano bordati da aiuole con fiori dai colori vivaci e con cespugli potati a forma di animale. Alucius ne vide uno che riproduceva un cavallo nell'atto di impennarsi. Fontane disposte qua e là spruzzavano in aria i loro zampilli. Numerose donne con bimbi piccoli, e almeno un signore anziano, passeggiavano lungo i sentieri. «Questi sono i giardini del Signore-Protettore. Erano stati iniziati dal nonno dell'attuale Signore-Protettore. Sono aperti al pubblico», spiegò il capitano Deen. «Sembrano ben curati», osservò Alucius. «Lo sono. Sono previste multe per chi li danneggia o coglie i fiori.» «E se qualcuno non è in grado di pagare?» «Allora, dovrà lavorare nei giardini percependo lo stipendio di operaio
addetto alla loro manutenzione finché non avrà ripagato il danno.» «A questo punto, immagino che ben pochi osino rovinarli», dedusse Alucius. «Pochissimi. Molti invece sono quelli che se li godono. Ci sono fiori provenienti da tutta Corus, e persino alcuni dalle isole occidentali. Altri vengono da luoghi inimmaginabili, mentre altri ancora...» Alle spalle dei giardini e del palazzo, si vedevano chiaramente le torri verdi che fiancheggiavano il Grande Porto, torri identiche a quelle di Punta del Ferro e di Dereka. «Che c'è dentro alle torri?» chiese Alucius. «Nulla, signore. L'interno è vuoto e, per quanto ci è dato sapere, è sempre stato così fin dai tempi del Cataclisma. Non ci sono neppure scale o supporti per i gradini, ma solo una singola entrata alla base di ciascun edificio. E niente finestre.» «Ce n'è una identica a Punta del Ferro.» Alucius si chiese distrattamente quale funzione avessero avuto le torri durante il Duarcato. Nel corso dei suoi viaggi, aveva avuto occasione di vedere che tutto ciò che era stato creato dal Duarcato per durare, come le strade principali in durapietra, era sempre stato costruito con uno scopo ben preciso. «Qualcuno sa perché sono state erette?» «No, signore, a meno che non fossero destinate a segnalare la presenza del porto.» A destra del viale, i giardini terminavano a ridosso di un muro, un muraglione di pietra alto più di quattro iarde, che delimitava il confine con le terre di proprietà del palazzo. A sinistra, i giardini - sebbene divisi dal Viale del Palazzo, che si biforcava dalla strada principale dirigendosi verso nord - proseguivano fino ad arrivare al Grande Porto. «Entriamo qui, signore.» Il capitano Deen indicò il primo ingresso. L'accesso al palazzo era costituito da un portico coperto, di poco più grande e imponente di quello del quartier generale delle Guardie del Sud, ma presidiato da una mezza squadra di guardie in uniforme blu scuro con profili d'argento, anziché color panna. Inoltre, mentre i due ufficiali si fermavano, videro che parecchi garzoni di stalla erano in attesa là accanto. Un altro capitano stava aspettando in cima alla scalinata. Come il capitano Gueryl, anch'egli portava una fascia blu sulle spalle della divisa. Il capitano Deen non scese da cavallo. «Vi lascio qui, signore.» «Grazie, capitano. In qualche modo troverò la strada del ritorno.» «Sì, signore.»
Alucius smontò di sella. Il capitano dai capelli brizzolati si avvicinò ad Alucius. «Capitano Alfaryl, capitano maggiore. Il capitano-colonnello Ratyf mi ha chiesto di accompagnarvi.» «Grazie.» Alucius sollevò lo sguardo. Sebbene non fosse grande come il palazzo del Landarco, l'edificio che aveva davanti dominava ugualmente maestoso, con i suoi cinque piani di altezza e le sue duecento iarde abbondanti di lunghezza da est a ovest. «Si è mai perso qualcuno qui?» «Facciamo in modo che questo non succeda, signore.» «Lo immagino.» Alucius seguì il capitano più anziano attraverso i doppi archi in pietra, in un vestibolo quadrato della misura di circa quindici iarde su ogni lato e dal soffitto a volta che si innalzava per dieci iarde abbondanti. La luce entrava dagli alti lucernari situati sul lato a sud. Il pavimento era di lucido granito, nel quale erano inserite strisce di materiale simile a marmo di colore blu che riproducevano dei motivi a forma di losanga. Il capitano Alfaryl guidò Alucius all'altra estremità, facendolo passare al di là dell'arco centrale - di un insieme di tre archi squadrati - in un corridoio lungo oltre cinquanta iarde. Subito dopo aver percorso una ventina di iarde, però, svoltò in un altro corridoio più corto. In fondo, si vedeva una fila di alte porte doppie, davanti alle quali stazionavano altre quattro guardie dalla divisa blu e argento. Senza che nessuno parlasse, la guardia che stava al centro aprì una delle porte e fece entrare Alucius e il capitano, richiudendola alle loro spalle. Alucius si trovò in un'ampia sala arredata con alcuni divani e poltrone imbottite, con tendaggi blu e panna e pesanti tappeti dello stesso colore stesi sul pavimento di granito. Alle pareti, rivestite con pannelli di legno di pino, erano appesi parecchi ritratti, tutti di uomini, presumibilmente dei precedenti Signori-Protettori. All'infuori di Alucius, del capitano Alfaryl e del capitano-colonnello che si stava dirigendo verso di loro, la sala era vuota. «Capitano-colonnello Ratyf», presentò Alfaryl, «il capitano maggiore Alucius». «Ah... sì, signore. Il Signore-Protettore si stava chiedendo... Poiché siete in anticipo... un attimo che chiedo. Può darsi che egli desideri vedervi prima...» Il capitano-colonnello si dileguò attraverso una porticina. Il capitano Alfaryl lanciò uno sguardo ad Alucius e poi tutt'intorno nella stanza. «Alquanto strano...» «Che il Signore-Protettore veda qualcuno in anticipo?»
«Nei momenti riservati alle udienze ha parecchi appuntamenti, signore.» «Quindi, di solito c'è più gente qui?» «Sì, signore.» La qual cosa non fece sentire Alucius maggiormente a suo agio, e ancora meno lo tranquillizzò, quando il capitano-colonnello ricomparve e gli fece un cenno. «Vorrebbe incontrarvi adesso, signore, visto che siete qui.» Alucius si voltò verso Alfaryl. «Grazie.» «Prego, signore.» Alucius seguì il capitano-colonnello verso la porta più grande situata in fondo alla sala d'attesa. Ratyf la aprì e annunciò con voce stentorea: «Il capitano maggiore Alucius delle Guardie del Nord». Alucius entrò nella sala delle udienze e udì la porta chiudersi alle sue spalle. Quest'altra stanza non era molto più grande del corridoio che portava alla sala d'attesa, ma le pareti in durapietra dorata erano ricoperte da sontuosi arazzi blu e la luce delle torce, disposte ovunque, comunicava un'impressione di spazio. Il pavimento era di lucido marmo bianco, impreziosito da intarsi della stessa pietra blu del vestibolo, anche se questi riproducevano piccoli rettangoli, anziché losanghe. Alucius non percepì intorno a sé né apprensione né paura, ma solo una vaga sfumatura violacea che non aveva avvertito prima. Il Signore-Protettore lo aspettava in piedi davanti a un trono di onice bianco. Era un uomo dalla corporatura snella e dai capelli neri, con indosso una semplice tunica azzurro-violetta priva di qualsiasi decorazione od ornamento. L'alta spalliera del trono si innalzava per più di tre iarde a formare un pinnacolo, alla sommità del quale brillava una stella blu di cristallo. Per un attimo Alucius trattenne il respiro, ma si rilassò subito, poiché vide che si trattava di una semplice pietra e non di un fulcro di energia, come invece era stato il cristallo della Matride. «Capitano maggiore.» «Signore-Protettore.» Alucius si inchinò. Mentre rialzava la testa, scorse una figura alle spalle del Signore-Protettore, sulla destra: un uomo anziano dagli abiti color argento. Tranne che, ad Alucius, quell'uomo non pareva per niente anziano, e il filo vitale che fuoriusciva dalla sua persona era nero e viola... caratterizzato dalla stessa malvagità già percepita in presenza degli pteridon e della Matride. Prima che Alucius potesse indagare oltre, l'uomo svanì rapido e silenzio-
so attraverso una porta laterale, nascosta a metà dal fianco destro della pedana sulla quale era collocato il trono. Alucius era consapevole di non avere colto appieno il significato di quell'apparizione, ma non riusciva a capire bene cosa gli fosse sfuggito. «Prego, accomodatevi.» Il Signore-Protettore indicò una semplice sedia disposta sul largo gradino appena al di sotto del trono, poi anch'egli si sedette sul morbido cuscino, unica concessione alla comodità nell'austera struttura di onice. Alucius prese posto, rendendosi conto di costituire un perfetto bersaglio per il tiratore scelto nascosto nella galleria a sinistra, del quale era in grado di avvertire la presenza pur non potendolo vedere. Lanciò un'occhiata in direzione della porta, sulla destra. Lo sconosciuto svanito così rapidamente dalla stanza continuava a impensierirlo. «Sì», disse il Signore-Protettore con un sorriso, «ci sono delle guardie là dietro. È un peccato, ma in passato il loro intervento è stato necessario. Mi aspettavo che l'avreste scoperto subito. Da ciò che ho sentito e che mi è stato riferito nei vari rapporti, ci sono ben poche cose che vi sfuggono, capitano maggiore Alucius». «Cerco di non farmele sfuggire, Signore-Protettore.» Alucius fece un largo sorriso, augurandosi di sembrare impacciato. «Ho visto un ministro, qualcuno vestito d'argento, uscire dalla sala quando sono entrato...» «Oh... era l'Archivista degli Atti, uno dei miei più vecchi consiglieri.» La spiegazione del Signore-Protettore corrispondeva a verità, anche se era ben lontana dall'essere esauriente, o almeno così parve ad Alucius, che percepì un insieme di accettazione e di sorpresa da parte dell'altro. «Quindi è il vostro segretario... mi è stato detto...» «No.» Il Signore-Protettore scoppiò in una risata. «Oggi, è il maggiore Suntyl a farmi da segretario. Non si tratta di un incarico ricoperto da una sola persona, ma da tante che si avvicendano.» Prima che Alucius potesse porgli un'altra domanda, egli continuò: «Siete più giovane di quel che mi aspettavo, ma, in un certo senso, anche più vecchio. Immagino che dipenda dalle esperienze che avete vissuto. Ditemi... come vi sentivate a dover portare addosso un collare matrite?». «Cercavo di essere molto cauto, Signore-Protettore. Quando qualcuno può ucciderti senza nemmeno toccarti o fare ricorso alle armi, allora fai di tutto per essere molto prudente.» «Prudente?» L'uomo più anziano sorrise. Questa è una parola che, a parere di molti, non vi si addice. Invece io penso di sì. Ciò che può apparire
temerario agli occhi di alcuni potrebbe, in effetti, essere considerato molto prudente da un uomo preparato al peggio. Ho sentito dire che, quando avete scoperto di dover affrontare gli pteridon, avete subito ideato un sistema di tiro al bersaglio mobile sul quale far impratichire i vostri uomini. È vero?» «Sì, Signore-Protettore. Temo però che non si sia rivelato utile quanto avevo sperato.» «Ho anche saputo che eravate comandante di squadra matrite a Zalt. Immagino che abbiate dovuto uccidere delle Guardie del Sud.» Alucius non esitò. «Parecchie, signore.» Un accenno di sorriso apparve sul volto dell'altro. «Ciò nonostante, adesso avete messo a repentaglio la vostra vita per salvare le Guardie del Sud e Lanachrona?» «Quando portavo il collare matrite, non ero totalmente libero di agire. Senza collare, ho potuto scegliere, Signore-Protettore.» Alucius si chiedeva dove l'altro volesse andare a parare. «Cosa avete pensato dell'unione tra le Valli del Ferro e Lanachrona?» «Non posso dire di esserne stato contento. Pensavo che il Consiglio in passato si fosse comportato in modo talmente sconsiderato da non avere altra scelta. Da ciò che ho potuto vedere, preferisco che le Valli del Ferro vengano governate da Tempre, piuttosto che da Hieron, Dereka o Lyterna.» «Non è una risposta delle più entusiastiche, capitano maggiore», replicò il Signore-Protettore, con un tono di voce divertito. «Di solito, sono più bravo a dire la verità che non a mentire, SignoreProtettore.» «Di solito... termine interessante.» Il Signore-Protettore rise, prima di proseguire. «Siete un pastore, e immagino che vorrete tornare a esserlo, non è vero?» «Vorrei, Signore-Protettore. Non avevo programmato di restare nella milizia e poi nelle Guardie del Nord per tutto questo tempo. Quando sono stato fatto prigioniero... la durata della ferma era di due anni, ma quando sono tornato gli anni erano diventati quattro.» «E il vostro periodo di ferma scade all'inizio dell'inverno, se ben ricordo.» «Sì», confermò Alucius. «A meno che non succeda qualcos'altro.» Il Signore-Protettore si appoggiò allo schienale, come per riflettere, e Alucius sentì che stava effettivamente pensando, non speculando. «Alcuni
degli ufficiali migliori sono stati in precedenza pastori, anche se sono pochi quelli bravi come voi. Fare il pastore comporta uno stile di vita molto particolare.» Si protese verso di lui. «In che modo lo descrivereste?» Alucius non replicò subito, poiché si rese conto che era necessario formulare la risposta con una certa attenzione. Alla fine, disse: «È difficile da descrivere, Signore-Protettore. Un pastore deve capire le pecore nerine, i quarasote e la terra. Deve stare bene da solo. Siamo così pochi, noi pastori, che non saprei dire se siamo davvero degli ufficiali migliori». «Sarebbe un peccato che le Valli del Ferro perdessero i loro pastori, eppure potrebbe succedere così facilmente.» «Già, potrebbe», convenne Alucius. «Il Consiglio era quasi riuscito a rovinarci. Pensava solo al prezzo della seta nerina finita e non a quello che ci costava produrla.» «Aveva imposto delle tasse troppo alte?» «E aveva costretto troppi pastori ad arruolarsi. Mio nonno ha superato abbondantemente i dodici quinti, e mio padre è morto. Sono figlio unico, eppure il Consiglio ha ritenuto opportuno che mi arruolassi nella milizia.» «Ma non aveva fissato una quota per il vostro riscatto?» Alucius si lasciò andare a una breve risata. «Per il riscatto si pretendeva un pagamento pari alla metà del guadagno annuale derivante dalla vendita di seta nerina. Un pastore si può dire contento se, dopo tutte le spese cui deve andare incontro, gli rimane un decimo di quella cifra. Alcuni sono già fortunati a finire l'anno senza aver fatto debiti, soprattutto nei periodi di siccità.» «Che sciocchezza...» mormorò il Signore-Protettore. «Davvero insensato.» Alucius capì che il commento era sincero. Il Signore-Protettore si raddrizzò sul cuscino. «Ho letto tutti i resoconti degli ufficiali anziani che vi hanno incontrato da quando siete arrivato a Tempre. Nessuno mette in dubbio le vostre mirabili imprese. Esistono troppe prove sul numero dei nomadi e sul potere distruttivo degli pteridon. Tuttavia... nessuno è stato in grado di spiegarmi in modo soddisfacente come abbiate potuto compiere azioni tanto eccezionali. Vorrei che me lo diceste voi.» «Farò il possibile. Dopo essere giunti a Dereka...» Alucius raccontò ciò che aveva già detto agli altri, senza aggiungere né togliere alcun particolare, e concluse parlando del suo risveglio nel quartier generale degli ufficiali a Dereka. «... e questo è ciò che è successo.»
«Davvero straordinario», commentò il Signore-Protettore. «Dal vostro racconto, si ha l'impressione che qualunque ufficiale un po' attento potrebbe fare la stessa cosa.» Rise di nuovo. «Ma noi sappiamo bene che raramente un ufficiale fa ciò che deve essere fatto nel pieno di una battaglia, e quando non è al comando. Ho letto numerosi rapporti nel corso di questi ultimi anni, e ho visto che parecchi ufficiali avevano avuto idee brillanti, che però non erano stati capaci di concretizzare. Invece voi, capitano maggiore, avete sempre messo in atto le vostre strategie. In che modo siete diverso?» Il Signore-Protettore concentrò tutta la sua attenzione su Alucius. Questi non distolse lo sguardo. «Perché, Signore-Protettore, sono un pastore, e perché mio nonno ha cercato di addestrarmi al meglio. Perché sono stato soldato e ricognitore, e poi prigioniero, e poi ancora comandante di squadra matrite, e infine perché i miei uomini mi hanno sempre onorato della loro fiducia e mi hanno sempre seguito.» Il Signore-Protettore annuì adagio. «E perché non ci sono altri ufficiali che abbiano avuto le vostre stesse esperienze.» Si raddrizzò a sedere e sorrise. «Siete davvero unico, capitano maggiore Alucius. Più unico di quanto chiunque di noi possa dire.» L'enfasi posta sull'ultima parola si udì appena, ma era di certo presente nei sentimenti del Signore-Protettore. «Ho avuto fortuna, Signore-Protettore, e per questo mi sento riconoscente.» «Ho notato che non portate la Stella del Coraggio.» «In effetti, no. Non mi sembrava corretto, visto che tutti i soldati che hanno combattuto con me a Deforya la meriterebbero.» «Capisco.» Il Signore-Protettore si accarezzò per un attimo il mento. «Avevo richiesto la vostra presenza per varie ragioni, capitano maggiore. Innanzitutto perché desideravo conoscervi. Capita raramente di incontrare un vero eroe. E poi perché volevo ricompensarvi personalmente per aver salvato Lanachrona da quella che avrebbe potuto diventare una situazione molto problematica, e volevo dirvelo a voce.» Il Signore-Protettore prese una medaglia: una stella di smalto blu su fondo dorato. «Questa è la Stella dell'Onore. L'ultima è stata conferita più di una generazione fa. E potrebbe passare un'intera generazione prima che ne venga attribuita un'altra.» Sorrise. «Questa medaglia vi rende onore e, se mi è concesso, vi ordino di portarla in tutte le cerimonie e le occasioni ufficiali.» «Sì, Signore-Protettore...» «"Signore" può bastare.» Il Signore-Protettore appuntò la decorazione
sul petto di Alucius e sussurrò sorridendo: «Indumenti di seta nerina?». Alucius annuì. L'altro scoppiò in una risata. «Capisco perché siete riuscito a sopravvivere. Per essere così giovane, non lasciate niente al caso. Il mio Archivista degli Atti temeva che non avreste servito bene Lanachrona, ma voi avete fatto più di quanto chiunque si potesse aspettare da qualunque ufficiale. Mi auguro che adesso se ne renda conto.» Alucius colse qualcosa, ma fu incapace di decifrare il messaggio. «Ho sempre cercato di fare del mio meglio, Signore.» «E voglio credere che continuiate a farlo, sia qui sia quando tornerete nelle Valli del Ferro.» Ancora una volta si percepì una lieve enfasi sulla parola «qui», ma talmente impercettibile che nessuno all'infuori di Alucius avrebbe potuto coglierla. «Come segno di riconoscenza per le vostre imprese, invierò un ordine alle Guardie del Nord affinché veniate congedato entro due settimane dal vostro arrivo a Dekhron.» Alucius cercò di non spalancare la bocca per la sorpresa: non si era davvero aspettato una cosa del genere. «Dovrete restare qui ancora qualche giorno, mentre i marescialli e gli impiegati prepareranno l'ordine, ma non ci vorrà molto.» «Grazie, Signore. Apprezzo dal profondo del cuore ciò che avete fatto. Davvero dal profondo del cuore.» «Avete la capacità di mettere a posto le cose, capitano maggiore, anche quando non vi viene richiesto espressamente. Come ho già detto, ho piena fiducia che seguitiate a farlo, qui e nelle Valli del Ferro. Sarebbe un peccato perdere i pastori e quella loro speciale capacità di vedere il giusto e di metterlo in pratica nei momenti di necessità.» Il Signore-Protettore si alzò. Alucius lo imitò il più rapidamente possibile. «Farò del mio meglio, Signore.» «È tutto ciò che chiunque potrebbe chiedere.» Il Signore-Protettore sorrise, poi chiese, come ripensandoci: «Vi piacerebbe visitare il palazzo, capitano maggiore?». Alucius capì fin troppo bene che non si trattava affatto di un ripensamento. «Sì, mi piacerebbe molto, Signore-Protettore, se però non costituisce un problema. È assai improbabile che torni di nuovo qui, e vorrei poter essere in grado di raccontare agli altri ciò che ho visto.» A un cenno del Signore-Protettore, alla sinistra del trono di onice comparve un maggiore. «Capitano maggiore, vi presento il maggiore Suntyl.»
Alucius inclinò il capo. «Maggiore, sarei lieto se poteste accompagnare il capitano maggiore in una visita completa del palazzo, a eccezione del mio appartamento privato e della sala della Tavola.» Sala della Tavola? Ecco un'altra parola... ma dove l'aveva già sentita? «Come desiderate, Signore-Protettore.» «Vi porgo ancora i miei ringraziamenti, capitano maggiore», disse il Signore-Protettore. Alucius si inchino e scese a ritroso i gradini per evitare di volgere le spalle al Signore-Protettore. Il maggiore Suntyl lo seguì. Dopo che i due furono usciti nel corridoio, Alucius si voltò. «Non dovevate assistere il Signore-Protettore in altri appuntamenti?» «Normalmente sarebbe stato così.» Il maggiore spostò il peso da un piede all'altro, apparentemente a disagio. Alucius cercò di proiettare amicizia e schiettezza. «Ma questa mattina aveva impegni altrove?» «Li ha cancellati tutti, perciò...» Suntyl si strinse nelle spalle. Alucius sorrise, convogliando con il Talento l'idea che lui avesse necessità di sapere e che il Signore-Protettore fosse d'accordo. «Sua moglie, sapete...» «È dunque così malata?» chiese Alucius a bassa voce. «Avevo sentito...» Il maggiore indugiò. «Ah... non so... ma... chiacchiere... voci... l'erede tardava ad arrivare, e poi invece tutti sorridevano... e questo fine settimana... non erano... temo... lei ha perso il bambino...» «Mi dispiace. Sarei sconvolto anch'io se succedesse a mia moglie.» Persino mentre era occupato a rassicurare il maggiore, Alucius si sforzava di escogitare un sistema per ottenere altre informazioni, ma poi decise di rinunciare. Doveva concentrarsi sulla visita a palazzo, poiché Feran aveva ragione. Il Signore-Protettore voleva qualcosa. Anche senza chiederlo in modo specifico, in effetti, egli si era detto speranzoso che Alucius mettesse a posto qualcosa a Tempre, e l'unica cosa che sembrava fuori posto era l'Archivista degli Atti. Chissà se il Signore-Protettore sospettava la sua malvagità? In tal caso, e Alucius immaginava che davvero sospettasse, quell'uomo si dimostrava incredibilmente percettivo per essere privo di Talento. Della qual cosa Alucius era assolutamente certo. Era dunque questo il vero motivo per cui l'aveva invitato a Tempre cercando di confondere le idee all'Archivista? Alucius sorrise debolmente.
«Credo che dovremmo cominciare dalla Sala dei Ritratti», disse Suntyl. «Non siete mai stato qui prima d'ora, vero?» «No. E potrei sbagliarmi, ma credo di essere il primo ufficiale delle Guardie del Nord in visita a Tempre. Suppongo che il Signore-Protettore volesse che io ne riportassi un'impressione, diciamo così, molto favorevole.» Suntyl sorrise. «Questo è proprio da lui. Dunque, dicevamo, la Sala dei Ritratti. È la seconda grande sala situata al piano principale. La maggior parte delle altre stanze è adibita a locali di lavoro. Tutti coloro che, come me, fanno da segretari al Signore-Protettore dispongono di una stanza in cui redigere i documenti ufficiali. È molto importante che questi siano accurati...» Alucius annuì, ascoltando, mentre tornavano indietro lungo il grande corridoio e svoltavano a sinistra per immettersi in un altro breve corridoio, anch'esso con una fila di doppie porte. «Tutti i ritratti qui esposti sono di famiglia... il primo a sinistra appartiene al bis-bisnonno dell'attuale Signore-Protettore...» Dalla Sala dei Ritratti tornarono sui propri passi e visitarono le stanze da lavoro, parecchie altre sale da ricevimento, un piccolo giardino recintato e una biblioteca nella quale erano conservati tutti gli incartamenti legislativi di Lanachrona. Poi scesero al piano seminterrato, dov'erano collocate le cucine, le dispense, le cantine e persino un piccolo laboratorio di bottaio e di falegname. Di là, proseguirono lungo un interminabile corridoio molto più antico, verso un'altra serie di scale. A un certo punto superarono un passaggio a volta, al di là del quale ad Alucius sembrò di avvertire... qualcosa... forse quel colore violaceo, per quanto fosse talmente debole da non poterne essere certo. Alucius però non aveva dubbi circa il fatto di dover trovare l'Archivista degli Atti. Persino l'averlo visto di sfuggita gli aveva fatto chiaramente capire che quell'individuo rappresentava un pericolo sia per lui sia - probabilmente - per il Signore-Protettore, il quale sembrava un sovrano più onesto di quanto non lo fosse il Landarco o gli ex membri del Consiglio, e sicuramente la Matride. «Dove porta questo passaggio?» chiese Alucius, indicando il passaggio a volta. «Ah...» Il maggiore esitò. «Alle stanze da lavoro dell'Archivista.» «E alla sala della Tavola?» «Si trova appena prima delle stanze da lavoro. Ma...» Il maggiore trasu-
dava preoccupazione. Alucius sorrise. «Lo so. Il Signore-Protettore ha detto che dovevo vedere tutto tranne quello. Di sicuro, non vi chiederò di andare contro i suoi desideri, né di disturbare l'Archivista.» Non per il momento, almeno. «C'è qualcos'altro in fondo al corridoio?» «Solo le cantine interrate per la conservazione di tuberi e radici...» Alucius scoppiò in una risata. «Il Signore-Protettore avrebbe qualcosa da obiettare se dessimo un'occhiata a queste cantine?» Suntyl sorrise. «Non credo proprio.» Dal piano inferiore, il maggiore condusse Alucius su per due rampe di scale, fino al secondo piano, per fargli visitare la stanza da musica e l'attiguo salone dei concerti. Alucius non ne aveva mai visto uno, né aveva mai avuto occasione di ammirare il clavicordo dai lucidi tasti di osso. Le stanze proseguivano senza fine, e Alucius annuiva e ascoltava, cercando di tenere a mente l'ubicazione della sala della Tavola. Quasi due clessidre più tardi, i due ufficiali tornarono nel vestibolo, appena dentro l'ingresso principale del palazzo. «Vi ringrazio molto. Il palazzo è stupendo e vi sono molto grato per avermi dedicato tutto questo tempo.» Mentre parlava, Alucius ricorse al proprio Talento per toccare i fili vitali del maggiore, seppure con estrema delicatezza. «Oh... mi gira la testa...» Le ginocchia dell'ufficiale più anziano si piegarono. Una delle guardie accorse. «Ha detto di avere le vertigini. C'è qualcuno...?» Alucius si guardò intorno. «Possiamo portarlo nella sala d'attesa. Potete darmi una mano?» In due trasportarono Suntyl nella sala e lo adagiarono su uno dei divani. Mentre Alucius si raddrizzava, il capitano-colonnello entrò di corsa dalla porticina laterale. La guardia si allontanò, congedata da un cenno dell'ufficiale anziano. «Mi aveva accompagnato a fare un giro di visita al palazzo ed eravamo tornati nel vestibolo», spiegò Alucius. «Ha detto di avere le vertigini ed è caduto a terra. Non sapevo dove...» «Oh...» cominciò a lamentarsi Suntyl. «Sembra che stia meglio.» Alucius si sentì sollevato, poiché manipolare i fili vitali era sempre un affare delicato. «Posso trovare da solo la strada per l'uscita.» «Siete...»
«Sono più che certo e vi ringrazio entrambi enormemente.» Alucius fece un inchino, poi si precipitò fuori attraverso la doppia porta, camminando rapido lungo il corridoio che portava al vestibolo principale. 100 Dopo che si fu allontanato dalla sala d'attesa del Signore-Protettore, Alucius utilizzò il proprio Talento per dare l'impressione di essere un capitano-colonnello. Era molto più facile distorcere l'immagine di cose già esistenti piuttosto che creare l'illusione di qualcosa che non c'era, anche se si trattava di un corridoio vuoto. E poi c'erano troppe Guardie del Sud nel palazzo. Si fermò un attimo a riflettere. Voleva davvero trovare l'Archivista? Aveva forse altra scelta? Il Signore-Protettore non avrebbe predisposto le cose in quel modo se avesse avuto un'altra opportunità, e il fatto che lui si comportasse con tanta prudenza significava che l'Archivista era davvero pericoloso. Ad Alucius non piaceva la sensazione intermittente di malvagità che fluiva da quell'individuo, e si chiedeva in che modo l'Archivista avrebbe potuto colpire i pastori delle Valli del Ferro se non fosse stato fermato. Ma... se Alucius avesse tentato di fermarlo... cosa sarebbe potuto succedere a lui? Perché bisognava anche considerare la possibilità che l'Archivista fosse molto più forte di quello che sembrava. Per un momento, Alucius rimase immobile nel corridoio. Poi si girò e si avviò giù per le scale, oltre le cucine, imitando la camminata di un ufficiale che andava di fretta e che non desiderava essere disturbato. Da quel che aveva potuto percepire, nessuno gli aveva rivolto più di un'occhiata. Di lì a poco, si trovò a percorrere il corridoio sul retro, verso il passaggio a volta che conduceva nelle stanze dell'Archivista. Mentre avanzava, si rese conto di qualcos'altro. Le stanze si trovavano in fondo al lato nord del palazzo, probabilmente persino al di sotto del livello del cortile sul retro. Quando si fermò davanti al passaggio, non c'era nessuno nelle vicinanze. Da un punto non ben precisato dall'altra parte, si avvertiva una lontana sensazione di oscurità violacea. Sebbene le pietre e la forma dell'arco fossero simili a quelle degli archi squadrati del piano superiore, Alucius sentiva che erano antiche, molto più antiche rispetto al resto, come se il palazzo stesso fosse stato costruito attorno ad esse. E se un palazzo veniva edificato attorno a una struttura preesistente, voleva dire che questa conteneva un oggetto di valore - o capace di fornire potere - come ad esempio la Ta-
vola, in grado di visualizzare gli eventi che accadevano in ogni parte di Corus? Alucius avanzò di un passo verso la porta, poi di un altro. Mine, la aprì e sgusciò all'interno, trovandosi in uno stretto corridoio dai muri in pietra, che non solo aveva un aspetto più vetusto, ma anche più umido e buio, rischiarato com'era da una sola torcia fissata a un gancio. Alucius proseguì. Giunse a una porta chiusa, sulla sinistra, ma non percepì alcuna presenza al di là, e neppure segni di quell'emanazione nero-violacea. Si diresse quindi verso la porta che si trovava in fondo al breve passaggio, una porta appena accostata, e si fermò poco distante. La sensazione di malvagità che proveniva da dentro era forte, quasi palpabile. Alucius si fece più avanti e proiettò i suoi Talento-sensi nella stanza per esaminarla. All'infuori di una persona e della Tavola, questa era vuota. La Tavola stessa appariva ancorata al pavimento e provvista di una sorta di condotto di oscurità violacea che si inseriva nel terreno dirigendosi verso nord. L'Archivista era in piedi davanti alla tavola, di sbieco rispetto alla porta, così che questa rimaneva fuori dal suo campo visivo, a meno che non si voltasse. Alucius fece un respiro profondo e creò un'illusione di vuoto, poi aprì piano la porta e scivolò all'interno. La luce nella stanza era al tempo stesso dorata e rosso-violacea. La prima proveniva dalle quattro torce collocate sui portalampade da parete, che già avrebbero potuto essere considerati antichi generazioni addietro, mentre la luce rosso-violacea era quella che Alucius percepiva solo attraverso il Talento, ed era emanata sia dalla Tavola sia dall'Archivista. Il filo vitale di quest'ultimo era mostruoso. Alucius non poté non provare una sensazione di gelo. Esso non era del normale colore marrone scuro o chiaro, oppure giallo, oppure ancora nero o nero sfumato di verde, o persino nero sfumato di viola o di rosso, o formato dal doppio filamento rosso e nero che aveva visto nei collari della Matride. Questo, invece, era costituito da un sottilissimo filo del colore dell'ambra, attorno al quale si intrecciava un pulsante cordone viola, che proveniva dalla Tavola al centro della stanza. Questa aveva la forma di un cubo di legno di lorken scuro con una scintillante superficie superiore simile a uno specchio. L'Archivista si voltò, guardando Alucius dritto in faccia. Il suo sorriso era gelido. «La vostra illusione qui non funziona, lamaro. Eravate stato avvisato.» «Avvisato?» Alucius abbandonò il suo travestimento e osservò la figura
accanto alla Tavola, figura che sembrava presentare una duplice immagine: quella di un uomo più anziano dai capelli bianchi e quella di un uomo più alto, dalla pelle d'alabastro e dai capelli neri, quasi uguale ai personaggi rappresentati nel murale di Dereka, o nei suoi sogni. «Avvisato», ripeté l'Archivista. «Vi era stato detto che se aveste agito contro di me sareste diventato un lamaro, e come tutti i lamari avreste fallito.» «Non ho fatto nulla, tranne andarmene un po' in giro a esplorare.» «Siete venuto qui per me. Non negatelo. Magari non ne siete consapevole, ma siete stato mandato. Coloro che vi hanno mandato hanno fallito in precedenza, e falliranno adesso.» L'Archivista rise, una risata dal suono profondo e malinconico, più raggelante di un ghigno. «Per molti versi, questo renderà il mio compito ancora più facile, poiché voi siete uno dei tre.» Uno dei tre? Tutto questo non aveva senso per Alucius, anche se, nelle questioni in cui era implicato il Talento, molte cose sembravano illogiche finché non accadevano provando il contrario. Non poteva negare che lo spirito-donna lo avesse avvisato, ma di certo non lo aveva mandato. «Nessuno mi ha mandato.» «In tal caso siete doppiamente sciocco ad avventurarvi qui privo di qualsiasi alleato.» Senza indugiare oltre, Alucius fece ricorso al proprio Talento per colpire il filo vitale dell'altro, solo per scoprire che sembrava protetto da una corazza. L'Archivista scoppiò in una risata. «Non sono uno dei vostri coreani gracilini, una pecora di città da mandare al macello.» Coreani? Alucius non aveva mai sentito pronunciare quel termine. A quel punto sentì una nebbia violacea fluire dalla Tavola e dall'Archivista stesso, una nebbia che stendeva una cappa d'oscurità sulla stanza, sebbene le torce continuassero a proiettare la loro luce dorata. «Credo sia meglio che voi diventiate qualcun altro... e il povero SignoreProtettore non potrà dire molto in proposito. Uscirete dal palazzo... e tornerete alla vostra fattoria, e nessuno sarà più saggio di voi.» L'Archivista pose entrambe le mani sulla Tavola. Sebbene le sue parole non avessero molto senso, il pericolo che vi si nascondeva dietro era più che palese. Un'ondata violacea travolse Alucius, che afferrò istintivamente la sciabola rivestendola dell'oscurità della vita. Sferrò alcuni fendenti contro quell'ondata che gli si stava riversando ad-
dosso e avanzò - lento e deciso - verso l'Archivista, anche se ogni passo gli costava fatica, quasi stesse arrampicandosi su gradini sproporzionatamente alti. «Possedete davvero un po' di Talento e, a tempo e luogo, potremmo utilizzarlo adeguatamente», osservò l'Archivista. Una nebbia color rubino - invisibile, se non attraverso il Talento - cominciò a levarsi dalla Tavola, girando vorticosamente attorno all'Archivista e protendendosi con braccia sinuose in direzione di Alucius. Questi infuse ancora più oscurità alla sciabola, oscurità che fluì verso l'esterno. L'ondata violacea si ritrasse subito, ma le braccia di nebbia color rubino continuarono a farsi avanti, trafiggendo l'oscurità con un bagliore sinistro e cercando di attorcigliarsi attorno ad Alucius. Questi scartò di lato, con la sciabola ancora dinanzi a sé, e si riparò di fianco alla Tavola, sul lato opposto a quello dell'Archivista, il quale continuava a tenere le mani appoggiate sulla sua superficie. L'uomo, che era anziano e al tempo stesso non lo era, fissò lo sguardo su Alucius, e le braccia purpuree mutarono direzione, avanzando con un movimento ondulatorio attorno alla Tavola, anziché sopra di essa. Alucius si sentiva zuppo di sudore, sebbene si trovasse nella stanza da appena una frazione di clessidra. Col respiro affannoso, cercò di convogliare oscurità - oscurità pura - verso quelle micidiali appendici color rosso scuro. Per un attimo, le braccia si ritrassero, tanto che Alucius tentò di aggirare la Tavola per colpire l'Archivista con la sciabola. Ma poi si allargarono, come per accerchiarlo. Sebbene la sciabola rivestita di oscurità bloccasse l'ondata violacea, i tentacoli ondeggianti e sinuosi si limitavano a scansarsi, evitando la lama. Da un punto imprecisato giunse un'idea, debole ma distinta. La Tavola... entra nella Tavola. Entrare nella Tavola? In che modo? La sua superficie era solida. E perché? Entra nella Tavola. Alucius si sforzò di creare altra oscurità, ma sia l'ondata violacea sia le braccia di nebbia color rubino circondarono la Tavola, avvicinandosi sempre di più. Come poteva l'Archivista - o la creatura che si nascondeva in lui - essere così forte? E cosa mai restava da fare ad Alucius? Entrare nella Tavola? Ma come?
Forse avrebbe potuto salirci sopra. La nebbia e quel terribile colore viola sembravano evitare la parte superiore della Tavola. E una volta lì... con la sciabola... avrebbe potuto colpire direttamente l'Archivista. Alucius fece un balzo, sperando che la struttura reggesse il suo peso. Atterrare sulla Tavola con gli stivali fu come atterrare su una lastra di pietra dopo essersi lanciato da un'altezza di parecchie iarde, ma egli cercò comunque di sferrare un fendente all'Archivista. Questi si ritrasse, mentre un largo sorriso gli si dipingeva sul volto. «Persino meglio!» La solida superficie della Tavola sparì, e Alucius si sentì precipitare in mezzo a un buio violaceo. Tenebre dalle sfumature violacee sì agitavano vorticose intorno a lui, come le acque di un torrente, un torrente sotterraneo privo di luce nel quale era intrappolato, tranne che non c'era corrente a trascinarlo e il freddo era più intenso di quello di una bufera di neve a Chiusa dell'Anima. Non poteva vedere, non con gli occhi perlomeno, e non era in grado di muovere il corpo, benché ci provasse. I suoi Talento-sensi gli permettevano di vedere le tenebre, attraverso le quali avvertì dei fili, o meglio delle frecce. Una era viola scuro, ricoperta di azzurro, ed era la più luminosa. Un'altra, poco lontana dalla prima, era dello stesso colore viola scuro, ma rivestita d'argento. Una terza era verde-dorata, sottile, quasi inconsistente, come se fosse nascosta o protetta da una barriera violacea, o si trovasse addirittura fuori da quel buio. Poi Alucius vide una lunga freccia viola scuro e nera, dalla tonalità così profonda e malvagia che, persino all'idea di avvicinarla con i Talento-sensi, si sentì afferrare dalla nausea. Che fare? Si concentrò sulla freccia ricoperta di azzurro, ma mentre lo faceva, sentì che l'Archivista e i tentacoli color rubino lo stavano cercando. La sua attenzione si rivolse allora alla freccia argentata, che era sì di colore viola, senza però evocare la voluttà della caccia. Alucius tentò di usare il proprio Talento per farsi trasportare verso la freccia, o per farla avvicinare a sé, prima che le tenebre della Tavola lo congelassero e gli impedissero di pensare o di usare il Talento. Non accadde nulla, o almeno nulla che potesse sentire. Che altro poteva fare? In qualche punto, nell'oscurità «dietro» di sé, avvertiva i tentacoli color rubino che si protendevano verso di lui, ed era consapevole che, se l'avessero toccato, l'avrebbero trasformato... in qual-
cosa di terribile come l'Archivista... o avrebbero posto fine per sempre alla sua vita. Tentò di visualizzare una lunga e sottile linea viola, una linea di energia vitale che lo collegava alla freccia argentata, che pulsava e lo guidava in direzione di quella luminescenza. Improvvisamente, lampi color argento e sprazzi di luce presero a guizzargli intorno. 101 Tempre, Lanachrona L'Archivista degli Atti era fermo accanto alla porta che dava nella sala della Tavola, tenendola aperta per l'uomo più giovane, simile nell'aspetto al Signore-Protettore e con gli stessi capelli scuri, ma dalla corporatura più massiccia e meno slanciata. «Nobile Signore Waleryn... avevate mai visto la Tavola prima d'ora?» chiese l'Archivista. «Solo una o due volte, con mio padre, come sicuramente potrete ricordare», replicò Waleryn, in tono educato e raffinato. «Da allora non sono stato invitato che raramente. Anzi, mai, per dire la verità.» «Ho pensato che forse avreste dovuto vederla», dichiarò Enyll. «Ho scoperto alcuni vecchi documenti... che mi hanno permesso di migliorarla.» «Non sono il Signore-Protettore, Archivista. Posso fare ben poco, io.» «Per ora, può darsi. Ma il Signore-Protettore non ha altri eredi all'infuori di voi, e voi dovreste sapere ciò che la Tavola è in grado di fare. Vostro fratello non ve ne ha parlato?» «È stato, diciamo... occupato con la sua consorte, di recente. Alerya è stata poco bene...» «Capisco. È molto preoccupato per lei.» La simpatia che lasciava trasparire la voce dell'Archivista era tutt'altro che profonda. «Cos'avete in mente di preciso, Enyll? Non mi avete invitato qui per discutere della Tavola o dei problemi domestici del mio fratello maggiore.» «Domestici? Se non ci sarà alcun erede, questi problemi saranno tutt'altro che domestici. Ma... non è un argomento che ci interessi adesso. In effetti, vi avevo invitato per mostrarvi la Tavola. E anche per una questione di eredi, seppure per vie traverse.» «Vie traverse? Che strana frase è mai questa?» «Per nulla. Non sono più giovane come una volta», disse l'Archivista in
tono piatto. «Non conosco nessuno provvisto di Talento in grado di usare la Tavola. Ciò che invece non si sa è che persino qualcuno dotato di una mente agile può essere capace di utilizzare alcune delle sue funzioni. Non tutte, ma un buon numero. Ed è per questo motivo che vi proporrei, avendo a cuore l'interesse della vostra famiglia, di essere la persona alla quale poter trasmettere le mie conoscenze.» Le labbra di Waleryn si incresparono in un debole sorriso, che svanì subito. «È necessario che ci sia qualcuno», aggiunse l'Archivista. «Non vorrete certo che tali conoscenze vadano perdute, vero?» «No, sicuramente no.» Entrambi sorrisero. 102 Alucius si ritrovò in piedi sulla Tavola - solo nella stanza - con la sciabola ancora in pugno. L'intero corpo gli tremava, scosso dai brividi, e le gambe erano deboli, ma l'uniforme era asciutta, benché conservasse tracce di ghiaccio, che però si sciolse immediatamente senza bagnare il tessuto. Si guardò intorno, accorgendosi con stupore di trovarsi in un'altra stanza, priva di finestre, e simile a quella dell'Archivista, su un'altra Tavola, simile alla precedente ma non identica. Rinfoderò rapido la sciabola e saltò sul pavimento, mentre esaminava la stanza e la Tavola. A differenza di quella dell'Archivista, quella che gli stava davanti era molto più recente e dava l'impressione di essere appena stata fabbricata. Anche il locale che la ospitava era chiaramente stato costruito da poco. In effetti, Alucius si rese conto, doveva ancora essere completato. Dalle pareti mancavano gli arazzi, e c'era solo un paio di torce, di un tipo che non aveva mai visto prima, appeso a semplici cavicchi di legno conficcati tra una pietra e l'altra del muro. Le pietre sembravano molto antiche e provenivano indubbiamente da un altro edificio. Su un lato della stanza era stato collocato un tavolo con davanti uno sgabello. Mentre teneva d'occhio la porta, Alucius si avvicinò veloce al tavolo e alla bassa pila di carte che vi stava sopra. Lanciò un'occhiata al primo foglio, una specie di grafico, ma faticò a decifrare il testo, allo stesso modo in cui aveva trovato difficile interpretare la lingua scritta dei matriti subito dopo essere stato catturato dalle forze della
Matride. Infatti, alcune parole sembravano familiari, mentre altre non lo erano affatto. Dove si trovava? E come aveva fatto la Tavola a portarlo fin lì? O come aveva fatto il suo Talento a permettergli di usare la Tavola per sfuggire all'Archivista? E perché mai l'Archivista era così forte? Alucius non aveva mai avvertito prima quel genere di Talento-energia. Ma, d'altra parte, si rese conto, lui non aveva mai affrontato direttamente la Matride. Si era limitato a distruggere il cristallo, il quale a sua volta l'aveva uccisa. Guardò di nuovo la Tavola, cercando di esaminarla sia con gli occhi sia con il Talento, e vide che era profondamente radicata nel terreno - e molto, molto più profondamente -, collegata a qualcosa attraverso l'oscuro condotto che aveva già notato nell'altra... da qualche parte lontano, molto lontano. Dopo aver lasciato la Tavola e il grafico incomprensibile, si diresse verso la porta, proiettando i Talento-sensi al di là. Percepì la presenza di una sentinella di guardia alla porta e, avvicinando l'orecchio al legno di quercia, poté udire il suono di scalpelli e martelli, come se l'edificio là fuori fosse ancora in fase di costruzione. Dov'era finito? E cosa avrebbe potuto fare? Cosa poteva fare? Si guardò di nuovo intorno e notò l'assenza di finestre e uno strano odore di terra. Chissà se le Tavole dovevano essere installate in modo da trovarsi a contatto con il terreno o con la roccia sottostante? Altri pensieri e impressioni gli attraversarono la mente, ma nessuno che avesse una certa logica. Stava arrivando qualcuno: si trattava di un altro individuo dal quale emanava quel colore rosso-violaceo dall'apparenza così malvagia che lui ben conosceva. Alucius esaminò per l'ennesima volta la stanza. All'infuori della Tavola, non c'era nulla dietro cui nascondersi. Perciò sguainò la sciabola e si appiattì contro la parete, di fianco alla porta. Questa si spalancò scricchiolando, come se non fosse montata bene sui cardini, e un uomo dalla corporatura sottile, non molto più vecchio di Alucius, entrò nella stanza. Chiuse la porta con fermezza, producendo un sonoro clic. Poi inserì con uno scatto il chiavistello e piroettò su se stesso, allungando la mano verso la fondina che portava al fianco nel tentativo di estrarre un oggetto simile a una pistola. Alucius gli vibrò un fendente sulla spalla destra ed ebbe l'impressione che la lama avesse colpito una cotta di maglia, o della seta nerina. L'impat-
to fu di una tale violenza che Alucius riuscì a malapena a non lasciarsi sfuggire l'arma, sebbene facesse del suo meglio per riportare la sciabola verso l'alto e mirare al polso scoperto dell'avversario. Anziché andare a colpire il polso, la sciabola si abbatté sull'avambraccio dell'uomo, provocando in Alucius un altro tremendo contraccolpo. Per un attimo i due barcollarono. Alucius si passò la sciabola nella mano destra, poiché la sinistra era talmente intorpidita che difficilmente sarebbe riuscita a sferrare un altro colpo. Lo sconosciuto balzò di lato ed estrasse la pistola, allontanandosi da Alucius. Un raggio di luce azzurra sfiorò la spalla di Alucius. Una pioggia di frammenti rocciosi semiliquidi si abbatté sul pavimento, mentre il muro sembrava fumare in corrispondenza della breccia a forma di triangolo dove il raggio della pistola ne aveva corrosa una parte, come se fosse neve caduta su una stufa bollente. Una luce azzurra che distruggeva la pietra? Armato di una semplice sciabola, Alucius si sentì terribilmente in svantaggio. Terribilmente. Si protese in avanti e afferrò per una gamba lo sgabello, scagliandolo contro l'uomo, o anche lui era un Archivista? Mentre l'altro scansava il colpo, precipitandosi a bloccare la porta, Alucius si spostò verso la Tavola, facendo in modo che questa si frapponesse tra lui e l'avversario. «Chi siete?» chiese l'uomo dal fisico esile che, al pari dell'Archivista, sembrava essere due persone, una delle quali possedeva pelle d'alabastro e occhi violetti, sebbene quell'immagine fosse solo percepita dai Talentosensi di Alucius. «Alucius», disse questi, tenendosi basso. «E voi chi siete? Un altro Archivista?» «Vestor è il mio nome. E sono un ingegnere.» «Dove ci troviamo?» «Qui? Siamo a Prosp. Dove altrimenti ci dovremmo trovare?» Vestor alzò la pistola nera. Alucius si nascose dietro la Tavola, certo che Vestor non avrebbe rischiato di distruggerla. Ciò nonostante, il raggio di luce azzurra gli saettò appena sopra la testa. Alle sue spalle, un'altra porzione di roccia si vaporizzò, per poi condensarsi in solide schegge che caddero a terra come chicchi di grandine. Alucius evitò di guardare da quella parte e cercò invece di usare i Talento-sensi per sorvegliare l'avversario.
Questi teneva la pistola alzata, in attesa di poter sparare. Ma non chiamò la sentinella che stazionava fuori, la qual cosa, di per sé, parve ancora più agghiacciante. Alucius raggiunse il filo vitale intrecciato di colore violaceo dell'altro, simile a un serpente, e colpì. Fu come utilizzare di nuovo la sciabola, tanto il Talento gli rimbalzò contro come se avesse trovato una corazza. Ma, a differenza dell'Archivista, Vestor barcollò, così come Alucius. Poi si ripeté ciò che era già successo con l'Archivista. Vestor, con la pistola ancora in pugno, portò gli occhi sulla Tavola, mentre una nebbia color rubino cominciava ad alzarsi dalla sua superficie argentea. Per pochi attimi, si distinsero solo sottilissime ragnatele, che poi si ingrossarono fino ad assumere l'aspetto delle braccia che l'Archivista aveva creato e con le quali aveva attaccato Alucius. Questi non scorse altra via d'uscita, se non la porta sbarrata. O la Tavola. Ma, d'altra parte, tentare di assalire un uomo munito di un'arma capace di far fondere la solida roccia, e che pareva invulnerabile tanto ai colpi di sciabola che al Talento, era un'impresa destinata sicuramente a fallire. Alucius deglutì, cercando di concentrarsi, poi fece un balzo e si buttò di piatto sulla Tavola, desiderando con tutte le proprie forze di trovarsi altrove. Ovunque. Per un lungo momento, rimase là esposto, indifeso, chiedendosi se non avesse commesso un altro grosso errore. Vestor abbassò la pistola nera, come se cercasse di prendere la mira per colpire Alucius e risparmiare la Tavola. Alucius vide il raggio azzurro guizzare verso di lui e, nonostante la protezione di seta nerina, avvertì un calore terribile, seguito da un dolore insopportabile. Poi sprofondò di nuovo attraverso la superficie non più solida della Tavola. Persino mentre precipitava all'ingiù nelle gelide tenebre violacee, si chiese se potesse fare qualcosa, qualunque cosa. Non aveva immaginato di potersi imbattere nelle figure in carne e ossa del murale di Dereka - o nei loro discendenti - che possedevano Tavole in grado di vedere ogni cosa e che fungevano da passaggio verso altri luoghi. Che indossavano l'equivalente della seta nerina e i cui poteri talentosi erano molto più grandi dei suoi. E che lo consideravano poco più di una seccatura. Per un attimo, il freddo gli risultò quasi gradito, poiché attenuò il dolore infuocato che sentiva alla spalla. Ma, di lì a poco, avvertì sia il fuoco sia il gelo, e il suo corpo sarebbe stato scosso da brividi di febbre se non si fosse trovato immobilizzato in mezzo a quella corrente nero-violacea.
Che poteva fare? La freccia azzurra l'avrebbe ricondotto all'Archivista, quella argentata all'altro Archivista, e i filamenti viola scuro a qualcosa che sarebbe stato ancora peggio, o così almeno temeva. Con il Talento e con la mente, che si faceva via via sempre più debole, cercò di dirigersi a fatica alla freccia verde-dorata, che gli pareva fragile, come nascosta dietro un muro. Più le si avvicinava, più questa sembrava allontanarsi. Poi, anziché provare a raggiungere la freccia, sperimentò un sistema diverso: tentò di essere un tutt'uno con essa, di trovare la pace in quel verde ristoratore, di sfuggire il fuoco che sentiva bruciargli la spalla e il gelo che gli ghiacciava il resto del corpo. Ancora una volta venne catapultato attraverso una barriera, anzi due, una di tenebre violacee e l'altra color oro e argento che guizzò via da lui mentre la luce brillava tutt'intorno. Quindi il rosso dell'agonia e le tenebre ebbero la meglio su di lui. 103 Nordest di Punta del Ferro, Valli del Ferro Il sole pomeridiano della stagione del raccolto inondava di luce e di calore le distese di quarasote nei pressi dell'Altopiano di Aerlal, e polvere sabbiosa veniva sollevata dagli zoccoli dei due cavalli e da quelli più leggeri delle pecore nerine. Da dove stava cavalcando, a est del gregge, Wendra tirò bruscamente le redini, facendo una smorfia di dolore. «Che succede?» chiese Royalt, mentre si avvicinava a lei in groppa al suo cavallo bigio. Wendra si sfilò i pesanti guanti da pastore e guardò il cristallo nero dell'anello che portava al dito e l'alone di pelle arrossata che si era formato attorno. Aspettò, finché Royalt non si fa fermato accanto a lei. «C'è qualcosa che non va», disse. «Alucius è ferito. Non è come prima.» «Che vuoi dire?» domandò Royalt. «Prima, l'anello era diventato freddo, come il ghiaccio. Poi, circa una clessidra fa, si è riscaldato. Mi ero chiesta cosa potesse essere accaduto, ma sentivo che Alucius stava bene. Adesso, invece, ho avvertito il fuoco, tanto forte che mi si è arrossata la pelle, e poi... poi ho avvertito dell'altro gelo.» «Ma lui è...?»
«È vivo, ma gravemente ferito.» Wendra deglutì. «Questa volta mi sembra diverso dalla precedente. Non so come, ma sono sicura che lo è.» «Dovrebbe trovarsi a Tempre. Per tutti i sabbiosi... spero che il SignoreProtettore...» Royalt scosse il capo. «Ma tutto questo non ha senso. Perché mai il Signore-Protettore avrebbe così tanto pubblicizzato l'evento, invitandolo laggiù, per poi...?» «Credete che stia tornando a casa, dunque? O magari si trova a Dekhron?» chiese Wendra, lo sguardo fisso ancora sul cristallo nero. «Può darsi. Può darsi. Qualche membro del Consiglio, o quella serpe della sabbia di Weslyn... Non è la prima volta che ci provano.» «Ma allora li aveva fermati, non è vero?» «Già», ammise il vecchio, «ma, quando sbagliano, persino le serpi della sabbia traggono insegnamento dai propri errori, mentre chi ha avuto successo non impara molto». «Temete che il troppo successo gli abbia in qualche modo fatto abbassare la guardia?» chiese la ragazza. «Alucius ha visto in faccia il male, Wendra, ma ciò che non ha visto, non ancora perlomeno, è con quanta facilità il male si può diffondere e colpire. Non ha visto o percepito la malvagità realmente distruttiva. È qualcosa che un vecchio pastore come me è in grado di avvertire, anche se non ne conosco la causa.» Indugiò. «Vuoi che torniamo alla fattoria?» Lei scosse il capo. «Non potrei comunque aiutarlo, e finirei per preoccuparmi maggiormente.» Un'amara risata seguì le sue parole. «Restando qui non mi sentirò certo meno in ansia, ma almeno avrò qualcosa da fare.» Royalt annuì. 104 Ancora una volta, Alucius si ritrovò in una strana stanza, vuota, con un'unica ampia finestra davanti a sé. Le pareti erano di pietra dalle sfumature ambrate, che sembravano catturare all'interno grandi quantità di luce. Abbassò lo sguardo. I suoi piedi poggiavano su un semplice quadrato d'argento, simile a uno specchio, tranne che non rifletteva nulla. Si sentiva la spalla in fiamme e, quando guardò, vide che l'arma dell'ingegnere gli aveva prodotto uno squarcio nella tunica e nella camicia, senza però intaccare la camiciola di seta nerina che portava sotto. Mentre rialzava lo sguardo ed esaminava la stanza, sentì che questa cominciava a girargli intorno. Cercò di avvicinarsi barcollando alla parete,
tendendo la mano sinistra per appoggiarsi, visto che le gambe avevano preso a tremare e a piegarsi. Cadde a terra, chiedendosi - di nuovo - dove si trovasse, mentre il dolore alla spalla si faceva più forte. Una luce rossastra gli offuscò gli occhi, e la stanza girò intorno a lui ancora più vorticosamente... sempre di più. Gli parve di vedere una luminescenza verde. O si trattava invece di un'illusione? Cercò di sollevare la testa, di concentrarsi su una scintillante luce verdedorata... e perse conoscenza. L'oscurità - un'oscurità profonda - lo travolse. L'oscurità si fece meno accentuata, e Alucius avvertì attorno a sé la presenza di figure, figure robuste, seguite da altre verdi e brillanti. Ma un'altra ondata di buio, caldo e intenso, lo investì, trascinandolo in più fredde profondità. Quanto a lungo rimase prigioniero di quel buio, Alucius non seppe dirlo, salvo che ancora una volta quella densa nebbia scura dalle sfumature verdi si alzò, dandogli l'impressione di trovarsi avvolto da una leggera foschia, dove tutto era silenzio, senza suoni né echi, e dove venne di nuovo assalito da un acuto spasimo rossastro che gli traversò la spalla. Ma, dopo l'ondata devastante di quel rosso dolore, il bruciore e le fitte che sentiva alla spalla cominciarono ad attenuarsi. E, prima di rendersene pienamente conto, scivolò - o venne fatto scivolare - nel buio dell'incoscienza. Poi lottò attraverso altra oscurità, oscurità disseminata di sogni di uomini e donne dalla pelle d'alabastro, dotati di invisibili appendici dalla forma di serpente, e di pistole che producevano lame di luce azzurra che sembravano sempre colpire la sua spalla, indipendentemente da quanto si chinasse o cercasse di frapporre tra loro e sé la nera protezione del suo filo vitale. Infine, Alucius si svegliò un'altra volta a poco a poco, e si ritrovò sdraiato su un letto stretto, mentre sentiva che il calore gli sgorgava dalla fronte e dalla spalla. Riuscì a malapena a girare il capo, quel tanto che bastava a vedere una fascia lucente sulla spalla destra, una fascia che trasmetteva calore e frescura al tempo stesso. Alzò gli occhi, ma vide solo le pareti ambrate, e una porta massiccia, più piccola di quanto avesse pensato. Una minuscola figura femminile comparve accanto al letto. Devi mangiare. Poi ti riposerai. Eri gravemente ferito, ma guarirai. Però devi mangiare. «Come...?» Alucius non era neppure in grado di alzare le braccia, tanto
le sentiva pesanti. Starai meglio... mangia per rafforzare il tuo corpo... La figurina raccolse con un cucchiaio del cibo da un piatto e imboccò Alucius: era una sostanza pastosa, che sapeva vagamente di punte di quarasote, anche se era molto meglio, o così almeno sembrava. Alucius inghiottì adagio, poi ne mangiò ancora. La terza cucchiaiata conteneva del cibo diverso, dal sapore simile a frutta, più fresco. Mentre mangiava, sentiva che il corpo gli si faceva sempre più stanco e le palpebre più pesanti... così scivolò piano nella confortevole e verde oscurità, e dormì, questa volta senza sognare. 105 Alucius sbadigliò e cominciò a stirarsi. Una lieve fitta di dolore gli attraversò il braccio destro, facendolo fermare. D'un tratto, si rese conto di essere sveglio, davvero sveglio. Non aveva idea di quanto a lungo avesse vagato, a metà tra sonno e veglia, attorniato da figure indistinte in mezzo a un'oscurità soffusa di verde. Ricordava di avere parlato con qualcuno, ma non con chi, né quello che aveva detto. Lanciò un'occhiata intorno a sé. Non capiva se quella fosse la stessa stanza nella quale si era trovato subito dopo essere fuggito da quello strano ingegnere; capiva solo che aveva le stesse pareti ambrate, le quali sembravano contenere grandi profondità al di sotto della loro superficie, e una sfumatura simile alla freccia dorata che l'aveva guidato attraverso l'oscurità. Non gli pareva di avere visto un letto nella prima stanza, non che avesse visto molto prima di crollare a terra privo di sensi, comunque. Adagio, girò il capo verso destra. C'era un'unica finestra, dalla quale si vedeva il cielo verde-argento di Corus. Esaminò con maggiore attenzione la finestra e la sua intelaiatura, e si accorse che il vetro era straordinariamente trasparente. Non aveva mai visto un vetro tanto sottile. Inoltre, non era montato su un telaio di legno, ma su uno di lucido metallo argentato, che però non era argento. Sulla parete era disposta una fila di ganci color ambra, apparentemente fissati al muro senza alcun punto di giunzione. Dai ganci pendevano la sua uniforme, gli indumenti di seta nerina e la sciabola. Sulla tunica non scorse alcuna traccia di bruciatura o di danno. I suoi stivali erano stati messi l'uno accanto all'altro contro la parete, sotto l'uniforme. Solo allora si rese conto di indossare una specie di veste larga, di una tonalità verde scuro, e di un tessuto persino più morbido della seta nerina; lo
palpò con le dita della mano sinistra per capire cosa fosse. Alla fine, fece scivolare le gambe oltre il bordo dello stretto letto e si alzò. Si sentiva un po' traballante, ma riuscì ugualmente a fare pochi passi e a portarsi davanti alla porta, che era costituita da un solido pannello di legno dorato, privo di finestrella o di spioncino, e dotato di una singola maniglia dello stesso metallo argenteo della finestra. Toccò la superficie del pannello, che era più liscia del legno e non mostrava venature. Per quanto Alucius spingesse o tirasse, la maniglia non girava. Assestò una spinta anche alla porta, ma questa non vibrò neppure. Cercò di studiarla con il Talento, ma qualcosa al suo interno e nella parete lo fece desistere. Fece un passo indietro. Si sentiva davvero prigioniero. Guardò verso la finestra, che poggiava sulla stessa liscia e lucida struttura muraria color ambra delle pareti. In quel momento, si accorse di un'altra particolarità. La stanza aveva una forma a cuneo, molto più stretta sulla parete di fondo dove c'era la porta e più ampia in corrispondenza della finestra. Il muro in cui era inserita quest'ultima descriveva una curva. Si avvicinò adagio alla finestra e al vetro, che era molto chiaro. Per un momento, rimase là a studiarla, finché non scorse una specie di maniglia su un lato. La spinse verso il basso e tirò. La finestra scorse verso sinistra con una facilità tale da fargli quasi perdere l'equilibrio, e un vento gelido penetrò nella stanza: un vento che sapeva d'inverno. La richiuse rapido. La veste che aveva indosso forniva una ben scarsa protezione contro quel freddo. Poi si fece assorto, poiché aveva avuto l'impressione che, mentre la finestra si apriva, l'intelaiatura argentata penetrasse nel muro. Aprì di nuovo, appena un poco. Notò allora che non era il telaio a muoversi, bensì il vetro, che scivolava all'interno della struttura senza lasciare il benché minimo spazio tra sé e il metallo. Ricorse al Talento, ma, sebbene riuscisse a proiettarlo oltre il vetro, qualcosa nella pietra ambrata gli impediva di percepire alcunché al di là della sua superficie. Dopo aver chiuso un'altra volta la finestra, osservò il panorama. Si trovava in una specie di torre circolare. Sotto di lui c'erano altri fabbricati di forma tonda o arcuata che si estendevano per circa un vingt, fino a un muro circolare costruito con la stessa pietra ambrata, che circondava sia la torre sia gli edifici. Oltre il muro, il terreno era bianco, di candida sabbia che scintillava e luccicava al sole del mattino. Più in là, tutto quel biancore finiva a ridosso di un muraglione di roccia scura, che si ergeva in verticale per almeno mezzo vingt. Sulla sua sommità si intravedevano cristalli ret-
tangolari dalle sfumature verdi, che non sembravano tanto riflettere i raggi solari quanto attirarli e imprigionarli dentro di sé. I cristalli avevano un aspetto familiare... Alucius avvertì una luminescenza verde alle sue spalle. Si voltò verso la porta, che in quel momento si stava aprendo per lasciar entrare un'ariante. Stai molto meglio. L'ariante sembrava giovane e aveva un aspetto molto femminile, avvolta com'era da una nebbia verde dalle sfumature dorate che le faceva da abito. Le sue labbra non si muovevano mentre parlava, ma Alucius capiva chiaramente ciò che gli diceva. La fissò negli occhi, brillanti occhi verdi, che erano chiari e profondi e avevano un'aria molto vissuta, pensò Alucius, tanto vissuta che lui si sentiva di nuovo bambino nella fattoria del nonno. «Dove mi trovo?» Nella città nascosta. Non ci resterai a lungo. Solo finché non sarai guarito e pronto a fare ciò che deve essere fatto. «La città nascosta? Come...?» Sai come hai fatto ad arrivare fin qui. Non ci saresti riuscito senza saperlo. «Ma non so dove siamo.» Non ha importanza. Ciò che importa adesso e che tu guarisca completamente e impari meglio a padroneggiare te stesso e il tuo Talento. «Sei lo spirito-donna che mi ha mostrato il murale?» Chi sono io ha poca importanza. Hai visto il dipinto e sei stato avvisato, ma non hai compreso appieno il suo significato. O il potere di coloro che vi erano rappresentati. Alucius rifletté su quelle parole per un momento, soffocando uno sbadiglio. Forse non era ancora così forte come aveva creduto. Si avvicinò al letto e si sedette, tenendo gli occhi fissi sull'ariante. «Ho visto che il Duarcato era in realtà governato da gente diversa, gente dalla pelle d'alabastro, simile per aspetto alla Matride.» La Matride e persino l'ingegnere e l'Archivista degli Atti sono solo pallide proiezioni di coloro che un tempo regnavano su Corus, e che torneranno se tu non ti impegnerai a imparare e a padroneggiare te stesso. «Perché non lo fate voi?» Ad Alucius non sorrideva l'idea di farsi coinvolgere in cose che non capiva, e ricordava fin troppo chiaramente il consiglio del nonno a quel proposito, e riguardo a come i superiori si servissero delle persone loro sottoposte. E lui sentiva di essere stato usato, o di essersi lasciato usare, ancora e poi ancora. Pensò al murale e al Cataclisma. «Vi era già capitato prima, non è vero?»
L'ariante rimase in piedi davanti a lui. In piedi, non a mezz'aria... e in silenzio. «Perché proprio io? Mi avete protetto e tenuto d'occhio per anni, o mi sbaglio? Cosa volete da me?» Se adesso non impari e quando torni non uccidi l'ingegnere e i suoi simili, Corus diventerà di nuovo com'era un tempo, per poi sparire definitivamente. «Com'era? Negli anni precedenti il Cataclisma? Come può accadere una cosa del genere?» L'ariante si strinse nelle spalle. Uno dei tenebrosi... ifrit... si è impossessato dell'ingegnere. «Ifrit?» Sono esseri... esseri muniti di grandi e malvagi poteri. Poiché c'è un solo portale completamente funzionante, il possesso di altre persone è l'unica cosa possibile a un'intelligenza superiore. Questi ifrit sono in grado di trasportare creature talentose, ma queste creature non sopravvivono a lungo nel vostro mondo. Se l'ifrit che si trova a Prost rimane là e costruisce un altro portale, mentre il suo simile ripara quello che si trova a Tempre, insieme potranno trasportare altri tenebrosi ifrit nel vostro mondo e si impossesseranno di chiunque vogliano. Preferiscono chi è dotato di Talento, come te o la tua Wendra. «Ma perché?» Il loro mondo sta pian piano morendo. Questo perché gli ifrit catturano le forze vitali di quanti li circondano e se ne nutrono, servendosene per qualunque scopo. Quando le forze vitali di un mondo sono esaurite, essi ne cercano altre. Attraverso sogni e visioni, inducono gli esseri degli infiniti mondi che circondano le infinite stelle a costruire le Tavole, con la promessa di acquisire grandi conoscenze e potere. «E il Cataclisma?» Fu un vero Cataclisma... riuscimmo a spezzare tutte le linee di forza che tenevano insieme i portali... e gli ifrit emigrarono in un altro mondo... meno inospitale... ma anche quello sta morendo, ed essi stanno cercando di tornare qui. «Ma per quale motivo voi non potete...» Apparteniamo a una vecchia stirpe, e siamo rimasti in pochi... sempre meno, a ogni generazione che passa... non possediamo più la capacità di strappare i fili di un intero mondo come facemmo un tempo. Alucius percepì la muta disperazione dell'ariante. «Cosa devo fare? Co-
me posso avere la meglio su di loro? L'Archivista mi ha quasi ucciso.» Sei passato attraverso i portali della Tavola con tutto il tuo corpo, non solo con la mente. Puoi attingere all'energia dei portali e del mondo con più vigore di quanto gli ifrit non possano fare adesso. I portali non sono altro che strumenti. Quando avrai recuperato le tue forze, ti insegneremo come fare. «Ma perché proprio io?» chiese di nuovo Alucius, mentre si sentiva le palpebre pesanti. E chi altri se no? La tua stirpe è giovane, e ci sono poche persone dotate di Talento, all'infuori di voi pastori. Esso non è apprezzato. In alcuni popoli viene addirittura disprezzato. In molte terre, coloro che possiedono Talento vengono uccisi alla nascita, se lo si capisce, altrimenti più tardi. Al pari di chiunque altro, l'ariante intendeva servirsi di lui. No! La risposta dell'ariante fu come un'onda d'urto calda e fredda, indignata e trasudante una verità che ad Alucius fu impossibile ignorare. Ne hai la capacità, tutta la capacità, e sei in grado di fare molto meglio di noi. «Ma voi... avete questa città, e potete volare e...» Ci sono molte cose che tu non sai. Abbiamo subito molte più sconfitte di quante se ne possano desiderare. Non possiamo costringerti. E nemmeno importelo. Possiamo solo mostrarti come si fa, e sperare che tu possa comprendere che è necessario agire. Le mute parole dell'ariante si erano un po' addolcite alla fine, e avevano assunto un tono quasi implorante, e disperato. Alucius non sapeva cosa replicare, e le sue palpebre si erano fatte pesanti, così pesanti. Qualunque cosa succeda, adesso devi riposare. L'oscurità dalle luminescenti sfumature verdi rappresentò un gradito sollievo da tutti i pensieri che giravano vorticosamente attorno ad Alucius e nella sua mente. 106 Tempre, Lanachrona Nell'aria fresca della sera incipiente, il Signore-Protettore entrò in camera da letto, scrutando verso il letto. «Sono sveglia, Talryn.» Il Signore-Protettore chiuse la porta dietro di sé e attraversò la stanza,
prendendo posto sulla sedia accanto al capezzale. «Come ti senti, mia cara?» «Mi sento meglio», rispose Alerya. «Ma non bene come vorrei che ti sentissi.» «Avresti dovuto sceglierti una sposa più robusta, mio caro.» La voce di Alerya tradiva la fatica che le costava parlare. «Io volevo te. Ti amo per la profondità della tua anima e per il tuo modo di pensare.» «Ah, se... il mio corpo fosse forte come i miei pensieri...» Talryn si protese in avanti e le carezzò la guancia. «Riacquisterai le forze. Ci vorrà un po' di tempo, ma ci riuscirai.» «Sei stanco... e ti preoccupi troppo. Si tratta della guerra sul fronte occidentale... o del capitano maggiore... oppure di entrambi?» «La guerra sta procedendo come previsto. Le Guardie del Nord hanno conquistato Klamat e stanno avanzando sistematicamente verso sud. Sono giunte anche a un centinaio di vingti dalle Colline dell'Ovest sulla strada di mezzo. Se va tutto bene, dovremmo occupare Armonia entro la fine dell'autunno. Forse anche prima.» «Sii prudente.» «Ho detto ad Alyniat e a Wyerl di occupare quei territori, non di distruggerli, e di avanzare solo quando sentiranno di avere il pieno controllo su ciò che hanno già conquistato.» Talryn si inumidì le labbra. «Sono ancora in ansia riguardo al capitano maggiore. Dopo che ha lasciato Suntyl e Ratyf, tutti l'hanno visto andarsene. Ma non ha mai raggiunto l'uscita del palazzo.» Talryn si accigliò. «È successo quasi una settimana fa. E non c'è nessuno che abbia segnalato la presenza di un ufficiale sconosciuto, né che abbia trovato il suo corpo. Non posso far sapere a tutti che uno dei miei ufficiali è sparito all'interno del palazzo. T'immagini cosa potrebbe succedere? Anche se, prima o poi, dovremo comunicare la notizia a Dekhron. A prescindere da come presenterò la cosa, ci saranno comunque problemi. Capisci? Faccio venire il poveretto a Tempre per dargli una ricompensa, e questo sparisce? Chiunque penserà al peggio.» «Non è poi così terribile. Almeno penseranno che non sei un debole. Di' agli uomini della sua squadra che sta svolgendo un incarico per conto tuo. Mandali in licenza per qualche giorno. Se non dovesse tornare, concedigli un'altra onorificenza e invia del denaro alla vedova, poi rimanda indietro la sua squadra.» «Potrei fare questo, ma Alucius è un buon ufficiale, e mi ha tratto d'im-
paccio da una brutta situazione.» «Hai chiesto a Enyll di consultare la Tavola?» «No. Non mi sembra il caso. Il capitano maggiore possiede Talento a sufficienza perché la sua immagine non compaia sulla Tavola. Se dietro a questa storia c'è lo zampino di Enyll, come temo, rischierei di fargli capire chiaramente che sospetto di lui. Eppure mi chiedo... come abbia potuto far sparire un uomo senza che nessuno se ne accorgesse, senza lasciare alcuna traccia. Tutte le sale sono sorvegliate, ci sono guardie a tutti gli ingressi. Questo significa forse che non mi debbo fidare di nessuno?» «Non hai mai potuto farlo, mio caro.» Un tono di lieve divertimento trasparì dalle parole di Alerya. Il Signore-Protettore rise, troppo forte. «Fai bene a ricordarmelo. Ma c'è ancora qualcuno di cui mi fido e che avrebbe sentito qualcosa in giro. Le voci corrono, prima o poi.» Alerya annuì, e lasciò che il marito continuasse. «E inoltre c'è Waleryn. Non gli sta passando niente di buono per la testa. Porta stampato sulle labbra quel sorriso insignificante che può solo voler dire che sta tramando qualcosa alle mie spalle.» «Credi che abbia a che vedere con la scomparsa del capitano maggiore?» Alerya tossì. Il Signore-Protettore si alzò immediatamente e le offrì un sorso dal bicchiere sul comodino. «Non dovresti parlare. Non dovrei parlarti. Non ti voglio stancare.» «Posso sempre ascoltare...» «Allora... ascolta soltanto... Non posso negare che il fatto di parlarti e di sapere che mi ascolti mi aiuta a chiarire le idee.» Si protese verso di lei e le baciò la fronte. «Sei ancora troppo calda.» «Il tuo guaritore dice che sto meglio... Continua...» Talryn aprì la bocca, come per protestare, poi sorrise debolmente e proseguì. «Waleryn... non credo che abbia qualcosa a che fare con il capitano maggiore. Non è forte a sufficienza, almeno non da solo, e poi io vengo sempre informato quando due o più persone si incontrano. E finora non ho saputo niente. Ciò non toghe che Enyll stia tramando qualcosa con il mio caro fratellino.» Guardò Alerya. «I sovrani non dovrebbero sentirsi colpevoli, ma io provo un forte senso di colpa. Ho lasciato intendere che Enyll potrebbe rappresentare un problema. Al capitano maggiore. E lui ha capito perfettamente ciò che volevo dire. So che ha capito. E adesso è scomparso.»
«Allora... è meglio... che tu sia molto prudente con Enyll... e che mandi Waleryn da qualche parte lontano da Tempre per la stagione del raccolto... e anche durante l'autunno...» Alerya impallidì. Il Signore-Protettore si alzò di colpo e afferrò il campanello. «No... starò subito meglio... un momento... tienimi la mano...» Talryn continuò a reggere il campanello in una mano, mentre con l'altra teneva quella della moglie. E non lo appoggiò, mentre osservava con sollecitudine Alerya. 107 Alucius aprì gli occhi. Per un attimo rimase immobile. Nella stanza tutto era uguale a prima. L'uniforme era ancora appesa al gancio sulla parete, con sotto gli stivali. Dalla finestra dai vetri sottili poteva vedere il terso cielo verde-argento che a poco a poco si faceva scuro. Si mise a sedere, appoggiandosi sulla mano e sul braccio destro, ma avvertì appena una lieve punta di dolore nel braccio e nella spalla feriti. Era ovvio che doveva aver dormito quasi tutto il giorno. La stanza era silenziosa, ed egli si girò e mise giù i piedi dal letto, appoggiandoli sulle fresche piastrelle verdi del pavimento. Non c'era traccia dello specchio quadrato, segno inequivocabile che Alucius doveva essere stato spostato dalla camera nella quale era giunto in origine. Quando si era svegliato la volta precedente, non aveva neppure pensato allo specchio: chiaro indizio che i suoi sensi non erano vigili come credeva. Perché le creature dalla pelle d'alabastro non si erano accorte dell'esistenza della freccia dorata? Se erano così potenti, perché non avevano attaccato le arianti? E se queste erano tanto abili da impedire loro l'ingresso nella città nascosta, perché non fermavano quell'invasione attraverso le Tavole, o i portali? Di certo, erano state molto brave nel tenere il suo Talento confinato tra le mura di quella stanza. I divoratori delle forze vitali non percepiscono ciò che tu chiami la freccia dorata. Non si trova all'interno del loro oscuro condotto. Tu l'hai percepita al di là del condotto, e per raggiungerla hai dovuto uscirne. Questo sta a dimostrare quanto tu sia forte. Alucius si voltò. Non aveva udito né visto l'ariante, e neppure ne aveva avvertita la presenza. Possiamo guardare senza che ci si accorga di noi. In tal modo, sprechiamo poca energia. Un senso di afflizione accompagnava quelle parole.
«Voi dite che io sono forte. Ma non mi sono sentito così quando ho lottato contro di loro. Come posso essere capace di vincere... una tale forza?» Nel combattere contro l'Archivista e l'ingegnere, si era sentito impotente, come quando aveva diciassette anni e veniva strapazzato dal nonno durante i suoi allenamenti. Un uomo piccolo, se armato di uno dei vostri fucili è capace di ucciderne uno molto più grande e vigoroso, se questo è disarmato. Di fronte agli ifrit, tu eri disarmato. È necessario che impari prima cos'è la forza. «E che cos'è?» Hai visto i fili vitali e il modo in cui essi attraversano e avvolgono il mondo. Questi fili sono presenti in qualsiasi mondo in cui ci siano forme di vita. Ogni vita è unica, e i fili uniscono insieme tutte le vite. Tu hai visto solo quelli più grossi. Prima di replicare, Alucius rifletté un momento sulle parole dell'ariante. «Qualunque tipo di vita crea dei fili, persino gli scarabei dal guscio, le cimici e...?» Non è la vita a creare i fili. Dove ci sono forme di vita, lì ci sono fili. Le due cose sono inscindibili. Una punta di ironia trasparì dalle parole dell'ariante. Tu hai visto cosa può succedere quando si toccano i fili. Alucius fece di sì con la testa, accorgendosi che persino quel semplice movimento gli procurava un lieve senso di vertigine. Sei ancora debole. «Sì, è vero.» Cercò di radunare i pensieri sparsi. «Sapere che ci sono più tipi di fili non mi aiuterà molto.» Ciascun filo è costituito da fili più piccoli. Questi, a loro volta, sono formati da filamenti ancora più sottili. Alucius colse nella sua interlocutrice un tono di condiscendenza e se non fosse stato così debole avrebbe replicato, ma il semplice fatto di stare seduto sul letto ad ascoltare richiedeva un notevole sforzo. Chiunque... qualunque cosa controlli i fili più sottili... ha il controllo su ciò che succede. Il dominio di questi fili richiede conoscenza e forza. Noi possediamo la conoscenza, ma non abbiamo più la forza di esercitarla. Tu possiedi la forza, ma non la conoscenza. Se vuoi, ti insegneremo. Volere? Non aveva molta scelta. E, comunque, le arianti lo avrebbero lasciato andare se avesse deciso di non accettare? Potremmo guidarti fino al portale di Tempre. Alucius rise. Questo non avrebbe migliorato di molto la situazione. Anche se avesse trovato il modo di uccidere l'Archivista - e gli venne il dub-
bio che nemmeno un fucile sarebbe riuscito nell'intento - avrebbe saputo che le altre creature sarebbero state ancora al lavoro. A volte, ciò che sembrava rappresentare una scelta non lo era. È pur sempre una scelta. Ciò che limita la tua scelta è la comprensione. Una mente saggia ha davanti a sé sempre meno scelte di una stolta. «Non mi potrei proprio definire saggio. Un uomo saggio non si sarebbe cacciato in un guaio del genere.» Anche le menti più sagge possono trovarsi davanti a enormi difficoltà. Alucius avvertì tristezza dietro a quelle parole, una tristezza che non desiderava esplorare. Aveva già abbastanza problemi, e aveva la netta sensazione che, se i suoi problemi non sembravano così gravi all'ariante, qualunque cosa risultasse per lei di «enorme difficoltà» si collocava senza dubbio ben oltre le sue limitate capacità. «Cosa devo fare?» chiese infine. L'ariante gli presentò un vassoio sul quale erano disposti un piatto e un grosso bicchiere colmo di un liquido ambrato simile alla birra. Per il momento... devi mangiare e riposare. Cominceremo domattina. Quello che dovrai affrontare sarà molto più difficile di qualunque altra esperienza passata. Più difficile di qualunque altra esperienza passata? Quelle parole non erano decisamente incoraggianti. 108 Alucius si alzò. Con indosso ancora la veste verde che gli arrivava appena alle ginocchia, si diresse verso la finestra, quella lastra di vetro così sottile da sembrare inesistente, incassata nella lucida struttura argentea. Fece leva sulla maniglia e la aprì, sporgendosi all'esterno nell'aria gelida e cercando di cogliere altri particolari della torre. C'era ben poco da vedere, tranne che la struttura doveva essere di forma circolare, con un diametro di circa trenta iarde, per quanto si trattasse solo di una congettura. In basso, oltre i fabbricati di pietra dai riflessi ambrati, non notò segni di vita. Si ritirò nella stanza e chiuse la finestra. Rabbrividiva dal freddo. In quel momento, avvertì la presenza dell'ariante e si voltò. Stava ferma sulla soglia, reggendo un altro vassoio sul quale era posato il solito bicchiere di bevanda simile alla birra e un piatto con la colazione, qualcosa che ricordava nell'aspetto le uova strapazzate, con del pane tostato e miele, e sottili fette di prosciutto. Su un lato del vassoio faceva bella
mostra di sé anche una melaprugna. Mentre mangi, andrò avanti nel mio racconto. Alucius tornò verso il letto e si mise a sedere, posò il bicchiere sul pavimento e il vassoio sulle ginocchia, visto che nella stanza non c'erano altri mobili all'infuori di quello, di un piccolo lavabo che gli arrivava alla vita e di ciò che passava per un vaso da notte. C'era una volta un mondo con un cielo di colore verde intenso... «Questo mondo?» biascicò Alucius. L'ariante ignorò la domanda. I venti soffiavano con violenza e le estati erano tanto fredde quanto lo sono ora gli inverni di Corus. Durante l'inverno, tutti i fiumi ghiacciavano in profondità. Su questo mondo vivevano degli animaletti, grandi come la tua mano, se non più piccoli, che avevano imparato a collegarsi ai fili vitali del mondo stesso e a viaggiarvi attraverso come se volassero. Erano talmente minuscoli e leggeri che il mondo non se ne accorgeva. Tutto andava bene, perché questo era giovane e i suoi fili erano ancora delicati. Il tempo passò, comparvero sempre più animali, molti dei quali erano grandi. Alcuni erano feroci e i loro fili vitali molto più robusti. Essi predavano gli altri, compresi quelli che avevano imparato a volare. Questi ultimi erano diventati più grossi, e si servivano dei fili vitali dei predatori per sfuggire loro. Altri invece se ne servivano per catturarli. Tuttavia, appartenevano tutti alla stessa razza, benché alcuni si librassero in aria e altri no. Gli anni passarono. Proprio come è successo ai tuoi antenati, questi animali divennero consapevoli di se stessi e del mondo che li circondava. Cominciarono a modificarlo per andare meglio incontro alle proprie necessità, e i giorni si fecero più caldi... «Modificare il mondo? In che modo?» Prima, ascolta la storia. Nell'udire la brusca risposta dell'ariante, Alucius serrò le labbra, poi fece un profondo respiro e bevve un sorso della sua bibita, di gran lunga meglio di qualsiasi birra avesse mai assaggiato. I giorni si fecero più caldi, il vento prese a soffiare con meno violenza, le piogge a cadere più di frequente, i fiumi non si trasformarono più in blocchi di ghiaccio durante l'inverno, e piante simili ai quarasote spuntarono nelle terre a nord. Durante quella fase iniziale della vita, le dimensioni e le conoscenze degli animali in grado di volare si accrebbero. E poi tutto cambiò. Una coltre di oscurità calò su quel mondo primitivo e, quando essa si alzò, erano comparse altre strane creature nelle terre più calde a sud. Si trattava di creature diverse, poiché non avevano avuto origine
dal cristallo, bensì dal carbone. «Carbone?» Alucius non poté impedirsi di ripetere. Da quella sostanza elementare che è alla base del carbone. In seguito, capirai. Non interrompermi. Per cui, in quel mondo, esistevano adesso due tipi di vita, entrambi legati, per mezzo dei loro fili vitali, l'uno all'altro e al mondo stesso: le creature comparse all'inizio, nate dal puro cristallo e dalla furia degli elementi, e quelle venute da qualche altra parte. All'inizio, le nuove creature abitarono solo poche vallate a sud, ma le erbe e le piante che crescevano là cominciarono anch'esse a cambiare il mondo, rendendo l'aria più calda e umida, e il terreno più acquoso e denso. La maggior parte degli animali che volava si sentiva a disagio in quel clima afoso e si ritirò a nord, sulle montagne, dove costruì nuove e magnifiche città. Solo alcuni rimasero a vivere in quelle terre, preferendo però luoghi più asciutti ed elevati. Col passare del tempo, si svilupparono altri esseri che riunirono in sé le caratteristiche delle due razze. L'ariante si fermò, come se si aspettasse qualche domanda da parte di Alucius. Questi terminò l'ultimo boccone di uova strapazzate e bevve un lungo sorso di birra, prima di parlare. «Stai dicendo che, tempo fa, molto tempo fa, i divoratori di forze vitali... gli... ifrit... avevano messo gente come noi in... questo mondo... nel nostro mondo?» Sì. «Ma... perché? Perché l'hanno fatto, e poi hanno... ci hanno lasciati soli?» I contadini seminano il raccolto e si assicurano che cresca. Non lo fanno certo per gentilezza. Ad Alucius non piaceva troppo l'idea di essere considerato una pianta pronta da raccogliere. «Perciò... sono molto più vecchi di voi. Come potete pensare che io possa avere la meglio su di loro?» Non sono più come un tempo. E neppure noi. Tu invece sei molto più di ciò che eri una volta. Ci abbiamo pensato noi. «Voi?» Basta così. Hai poco tempo per imparare tutto ciò che serve. Era necessario che conoscessi le tue origini e quello che è successo. Non si agisce bene nell'ignoranza. Seguì una risata. Alucius si chiese chi avesse riso. «Ma, e il Cataclisma?» In un primo momento, quando i divoratori di forze vitali fecero la loro apparizione tra i primitivi contadini del sud, non ci badammo, e commettemmo un grosso errore. Nessuno di noi si preoccupava delle melmose
terre meridionali. A meno di non osservare da vicino, quei poveri contadini e coloro che erano venuti a governarli non erano molto dissimili. Inizialmente, non c'era alcuna differenza, poiché i pochi prescelti tra i tuoi antenati venivano guidati da sogni e visioni, e non dagli ifrit in carne e ossa. Persino i palazzi delle prime città vennero fatti edificare da lontano. Poi vennero costruiti i portali - quelle che voi chiamate Tavole - e il primo ifrit comparve di persona sulle terre di Corus. In seguito, quando ci rendemmo conto di quello che stava succedendo, tentammo di attaccare, proprio come hai fatto tu. Migliaia di noi trovarono la morte sotto i colpi delle lame di luce e delle lance cosmiche. Anche gli ifrit morirono a migliaia, ma erano molto più numerosi di noi. Il racconto dell'ariante rendeva Alucius sempre più inquieto. Gli ifrit incrementarono i raccolti e moltiplicarono la tua gente, così da poterne disporre in abbondanza. Noi tornammo a nord, alle nostre città nascoste, e ci concentrammo sui reali principi dell'esistenza. Una volta imparato tutto ciò che c'era da imparare, strappammo i fili del mondo, in modo da troncare i filamenti vitali violacei degli ifrit, e tagliammo i condotti che portavano verso il loro mondo. Nel fare ciò, apportammo anche qualche piccolo cambiamento, dove ci fu possibile... «Le pecore nerine, i sabbiosi e i lupi della sabbia?» Sì, le pecore nerine e i lupi della sabbia... I sabbiosi sono invece simili a noi. Quell'impresa ci esaurì, e molti di noi morirono. Non siamo mai stati molto prolifici. «In quanti siete rimasti adesso?» Ancora una volta, l'ariante non rispose, e Alucius se ne rimase seduto sul letto, stordito. La sua gente, i suoi antenati, inviati da chissà dove, quasi come... pecore di città o una mandria di buoi, ancora meno importanti dei pedoni in un gioco di leschec che vedeva sfidarsi arianti e ifrit. E senza mai trovare nessun accenno di tutto ciò in quello che gli era capitato di imparare o di leggere. L'Eredità dei Duarchi doveva davvero essere temuta e rifuggita, eppure, tra tutti coloro che aveva conosciuto, nessuno era stato in grado di spiegarne il motivo, se non in termini molto vaghi e a livello di semplice sensazione. Perché ti poni domande? chiese la sua interlocutrice con gentilezza. Se n'erano andati, e noi non avremmo mai rivelato quello che era successo. Alucius continuava a sedere sul letto. Come poteva credere a ciò che l'ariante gli aveva raccontato? Ma, del resto, alla luce delle recenti esperienze, e dopo aver provato sulla propria pelle il potere dell'Archivista e del-
l'ingegnere, come poteva non credere? L'ariante attese, in silenzio. Infine, Alucius si decise ad alzare lo sguardo. «E voi?» Ciò che farai non cambierà il nostro destino. Speriamo che cambino invece le cose per voi e per il vostro mondo. «Ma hai detto che non veniamo neppure da questo mondo.» Tu e quelli della tua razza, soprattutto i pastori, appartenete a questo mondo e avete il dovere di aiutarlo. «Ma perché?» chiese Alucius in tono piatto. Hai visto i fili vitali, e il modo in cui si legano al mondo e lo rafforzano, non è vero? «Sì.» Qualunque cosa sia successo... appartiene al passato. Tu sei colui che è destinato a sostenere il mondo e a cacciare gli ifrit; se fallirai, tutto quello che abbiamo fatto sarà stato inutile. «Non hai risposto alla domanda che ho fatto... su di voi.» L'ariante rimase in silenzio, un silenzio che si protrasse a lungo. Infine, Alucius chiese stancamente: «Cosa devo fare? Da dove cominciamo?». Osservati, osserva il tuo filo vitale. Non toccarlo. Guardalo solo. Alucius cercò di concentrare il proprio Talento sul suo filo vitale. A quel punto, gli mancò il respiro. Il suo filo vitale non era più del colore nero sfumato di verde che ricordava, o che aveva visto negli altri pastori: era diventato verde brillante, appena solcato da alcune sottili strisce nere. Esamina uno dei fili neri. Cerca di vedere i filamenti più piccoli all'interno. Sentì che lo sguardo gli si faceva sfocato, sebbene stesse «guardando» con il Talento e non con gli occhi. Ma tutto ciò che poté sentire fu una sorta di lanugine che circondava il filo nero. Pensa a questo filo come se fosse stato diviso e poi intrecciato di nuovo insieme. Alucius si concentrò ancora di più, creando un'immagine mentale, e cercando di seguire il senso del filo, ma questo non emerse. L'ariante non fece commenti. Chissà se poteva funzionare in senso inverso? Anziché raffigurarsi il filo, cercò di vedere i sottili filamenti che si intrecciavano tra di loro a formare un pezzo unico. Per un attimo, gli parve di distinguere qualcosa, ma
l'immagine che ne ebbe fu - nuovamente - quella di un singolo filo. L'ariante rimase in silenzio, astenendosi dal dargli suggerimenti o fare osservazioni. Forse poteva visualizzare il filo in altro modo? Non creare qualcosa che non c'è. È un filo, composto da filamenti più piccoli. Questo è ciò che è. E tu devi imparare a vederlo così. «Ma come?» sbottò Alucius. «Per te sarà anche facile!» Prova ancora. Pensa soltanto al filo. Alucius cercò di liberare la mente e di concentrarsi sulla sottile linea nera, raffigurandosela proprio come un filo. Il sudore gli imperlava la fronte, e l'intero suo corpo era scosso dai brividi. Per un istante - un semplice istante - ebbe una fuggevole visione di filamenti intrecciati gli uni agli altri, filamenti composti da altri ancora più sottili. Poi la sensazione svanì, ed egli si ritrovò a tremare in modo incontrollabile. Per il momento, non sei in grado di fare altro. Devi riposare. Non una lode, né un riconoscimento. L'ariante raccolse il piatto e il bicchiere vuoti e si diresse alla porta. Mentre usciva, Alucius le proiettò dietro i Talento-sensi. Il filo vitale di lei era dello stesso verde brillante del suo, ma senza alcuna traccia di nero. Deglutì di nuovo a vuoto. In base a ciò che percepiva con il Talento, e secondo una logica talentosa, era più somigliante a una di quelle creature che non ai pastori. Conosceva la vecchia canzone che parlava del figlio dell'ariante. I versi gli tornarono in mente con facilità, sebbene fossero trascorsi parecchi anni da quando l'aveva sentita l'ultima volta. «...Ma è dell'ariante il figlio migliore, perché sui sabbiosi uscirà vincitore, e il perduto vessillo garrirà nel vento sotto il cielo color verde e argento.» Vincitore... sui sabbiosi? L'ariante aveva detto che i sabbiosi erano simili a loro e, nonostante la sua stanchezza, Alucius aveva avvertito la verità dietro a quell'affermazione. Inoltre, le arianti e i sabbiosi formavano una coppia nel gioco dei leschec: la regina delle arianti e il re dei sabbiosi. Ma, d'altra parte, in quel gioco figuravano anche gli pteridon e gli alettri. La testa gli stava scoppiando, e ancora molte domande erano senza risposta. Non era neanche certo di avere posto le domande giuste, e questo
rendeva il tutto ancora più difficile. Con un sospiro, tornò a sdraiarsi sul letto. Si sentiva le palpebre talmente pesanti... 109 Alucius si trovava in piedi davanti alla finestra, un luogo dove aveva sostato parecchio nel corso di quegli ultimi giorni, a guardare fuori nel tardo pomeriggio, socchiudendo gli occhi contro il riverbero della bianca luce solare. Era trascorsa almeno una settimana, o forse anche più, durante la quale, almeno due o tre volte al giorno, era stato occupato a seguire gli insegnamenti dell'ariante. Era tornato a indossare l'uniforme, tranne la giacca. Sebbene sapesse che si trattava solo di un'impressione, con quell'abbigliamento si sentiva meno incapace che non con la veste verde, che le arianti gli lasciavano usare come camicia da notte. Gli ci erano voluti tre giorni prima che fosse davvero in grado di distinguere il livello immediatamente inferiore di composizione dei fili, e cinque prima che lo potesse fare con una certa facilità: e si trattava solo del suo filo vitale. Poi gli era stato chiesto di distinguere i filamenti intrecciati nel filo vitale dell'ariante. Quella richiesta da sola avrebbe dovuto convincerlo dell'onestà delle arianti, dato che implicava una certa dose di fiducia. Ciò nonostante, continuava a essere preda dei dubbi. Per quanto avesse interrogato a più riprese l'ariante, non sapeva molte più cose su di loro di quante ne sapesse all'inizio. Non gli era chiaro quante arianti fossero rimaste e quale potesse essere il legame tra queste e i sabbiosi, e se questi ultimi fossero considerati dalle arianti come degli individui in tutti i sensi o solo come una sorta di pecore nerine. Non aveva visto né avvertito la presenza di altre arianti - neppure in lontananza - ma non sapeva se ciò fosse dovuto alla particolare struttura delle mura d'ambra della torre. Quando aveva aperto la finestra e proiettato all'esterno i Talento-sensi, non aveva percepito nulla, all'infuori del vuoto. L'ariante continuava a dirgli che era dotato di molta più forza di loro o degli ifrit. Eppure, entrambi erano riusciti facilmente a esercitare un certo controllo su di lui. Ma, del resto... che altra scelta poteva avere? Si hanno sempre delle scelte. L'ariante era comparsa nella luce del tardo pomeriggio, i cui raggi filtravano obliqui attraverso la finestra all'interno della stanza. «Inadeguate.» Alucius si voltò, mentre rispondeva. «E le scelte inade-
guate servono solo a creare l'illusione di averne.» Non tutte le scelte sono inadeguate come potrebbero sembrare a prima vista. Invece, alcune che all'apparenza sono buone si dimostrano col tempo meno sagge. «Dici così perché sei un'ariante e hai vissuto parecchi anni e visto molte più cose di un povero pastore e ufficiale delle Guardie del Nord.» Non sei povero né come pastore né come ufficiale. L'ariante sollevò un poco la mano. Su di essa vi era uno scriccio, libero. Il piccolo roditore color marrone rossiccio guardò Alucius con i suoi occhietti neri spalancati, ma, benché facesse vibrare i baffi e si guardasse intorno furtivo, non accennò a scappare. Alucius non era mai riuscito ad arrivare a poca distanza da una di quelle timide creature, eppure adesso lo scriccio se ne stava tranquillo nel palmo della mano dell'ariante, per nulla spaventato e intento a osservarlo con curiosità. Non avvicinarti. Usa il Talento per esaminare il suo filo vitale. Non toccarlo, però. Ricorda che, rispetto a te, è molto fragile. Alucius accettò l'inutile avvertimento e si preparò a studiare l'animaletto. I fili dello scriccio erano molto più sottili - e delicati - di quelli che componevano il filo vitale suo o dell'ariante. Osserva i nodi, quei punti in cui i fili si attorcigliano insieme. Nodi? Persino mentre si poneva la domanda, Alucius cercò di trovarli in mezzo ai filamenti dello scriccio, che rimase calmo a guardarlo. Ovunque ci siano fili, di qualunque tipo, ci sono nodi. Dove ci sono nodi, là c'è fragilità. «Fragilità. Ma dovrebbero essere più resistenti in corrispondenza dei nodi.» È solo un'impressione. Alucius si concentrò sui nodi, cercandone uno grosso. Nel trovarne uno, gli sembrò di nuovo che fosse più resistente dei semplici fili intrecciati. Prima che potesse parlare, l'ariante lo prevenne. Osserva con attenzione. Alucius rimase a guardare, mentre una sottile linea di colore verdedorato partiva dall'ariante e si dirigeva sullo scriccio per poi insinuarsi, a mo' di sonda, attorno a uno dei nodi più evidenti, proprio dove il filo vitale usciva dal corpo del roditore. Dopodiché la sonda dorata si scompose in tante dita, ciascuna delle quali cominciò a torcere. I fili schizzarono in tutte le direzioni in una nuvola di filamenti, che svanirono subito alla vista. Lo scriccio cadde esanime.
Alucius rimase a bocca aperta. L'ariante l'aveva ucciso. No! Guarda! Continuò a prestare attenzione a ciò che faceva l'ariante. Questa volta la sonda verde-dorata radunò i filamenti sciolti, che Alucius riusciva a malapena a distinguere, e li riallacciò insieme, formando quello che si sarebbe potuto chiamare un intreccio più solido. Di lì a poco, lo scriccio fu attraversato da un brivido e sollevò lo sguardo, con gli occhi che brillavano. «Tu... l'hai ucciso, e poi l'hai riportato in vita.» No. È solo un'impressione. Un corpo non muore nell'istante in cui i suoi fili vitali vengono recisi o modificati. La morte sopraggiunge poco dopo, e con rapidità, ma non all'istante. Se il danno viene riparato subito, non si producono conseguenze permanenti. Imparerai anche tu a farlo. Alucius fu sul punto di protestare, poi rifletté: «Tu non puoi uccidere, ma mi vuoi insegnare a fare entrambe le cose?». È uno dei primi rudimenti che dovrai conoscere per sconfiggere gli ifrit. Uno dei primi? Solo uno dei primi? Sì. Mentre il sole scivolava oltre gli scuri bastioni a ovest della torre, nella stanza calò il buio. Devi imparare molto, ma hai così poco tempo. Non preoccuparti per lo scriccio. Ti guiderò io, e se sarai abile e delicato, non gli farai del male. «Ma potrebbe essere pericoloso sperimentare questo sulle persone o su animali più grandi?» È pericoloso anche per lo scriccio, ma non ci sono alternative, almeno non per il momento. Alucius guardò il roditore dagli occhietti vivaci, che a sua volta lo fissava, quasi fiducioso. Distolse lo sguardo, pur sapendo che la sua riluttanza era irrazionale. Aveva ucciso centinaia di soldati e si preoccupava per uno scriccio? È bene che tu sia preoccupato, ma devi provare. Dopo un momento, Alucius chiese: «Come faccio?». Hai visto. Cerca di fare lo stesso. Adagio, Alucius tentò di creare una sonda verde-dorata, simile a quella dell'ariante, che andò ad avvolgersi attorno a un grosso nodo per poi cominciare a disfarlo. Uccise quattro volte lo scriccio, e altrettante volte l'ariante lo riportò in vita.
Direi che basta. Sei troppo stanco per continuare. E poi, stai ancora pensando in termini di forza. «Non funzionerebbe con uno di quegli ifrit», protestò Alucius, sforzandosi di tenere lontane rabbia e frustrazione dalla propria voce. Invece sì. Pensa a cosa potrebbe accadere se tutto il tuo Talento si concentrasse in corrispondenza di un minuscolo punto all'interno di un nodo. O se tu usassi il Talento per deviare il colpo di un altro. E con quel suggerimento, l'ariante si voltò e se ne andò portandosi via lo scriccio. Alucius rimase alla finestra, al buio, per molto tempo. Poi si voltò e cominciò a esaminare la porta. Questa era chiusa dall'esterno con un catenaccio. Era riuscito a scoprirlo qualche giorno dopo aver recuperato le forze, ma non aveva ancora trovato un sistema per aprirlo. Forse ciò che l'ariante gli aveva insegnato avrebbe potuto essergli d'aiuto. Visualizzò una lunga sonda sottile e dorata, che fece scivolare nella minuscola fessura tra il fondo della porta e le piastrelle verdi del pavimento. Nel sentire che la sonda si dirigeva verso il catenaccio di metallo e si avvolgeva attorno alla protuberanza che si trovava a una delle estremità, Alucius si lasciò andare a un sorriso. Poi cercò di tirare per far uscire la sbarra dagli anelli. Non successe nulla. Pareva quasi che il metallo fosse cosparso di grasso e impedisse alla sonda manovrata dal Talento di fare presa. Cercò di rendere la sonda più ruvida e le infuse più forza. L'espediente non funzionò. Allora cercò di renderla collosa, come se fosse del miele, mentre provava di nuovo a tirare. Questa volta ci riuscì. Spalancò la porta e uscì in una stanza circolare: una specie di pianerottolo, ma privo di scale. Dinanzi a sé, sull'altro lato del pianerottolo, a livello del pavimento di piastrelle verdi, Alucius vide un'apertura quadrata. Avanzò con circospezione e si sporse nel vuoto. Nell'oscurità, poté distinguere poco, anche se con il Talento sentì che quella specie di pozzo scendeva per almeno cinquanta iarde e si innalzava per altre dieci o quindici. Si girò, con cautela, e studiò il pianerottolo. Accanto alla porta della sua camera - o cella - vide altre due porte, entrambe chiuse. Solo la sua era munita di chiavistello, che aveva anche l'aria di essere piuttosto recente. Chissà se l'avevano aggiunto a causa della sua presenza? Abbassò la maniglia della porta alla sua sinistra e l'aprì. La stanza era vuota. Nonostante l'assenza di mobili o di polvere, dava l'impressione di non essere stata usata da anni, se non da molto più tempo.
Alucius chiuse la porta e aprì l'altra, chiedendosi se desse su una scala, ma trovò invece un'altra stanza, ugualmente vuota. A differenza delle altre due, però, aveva uno specchio quadrato inserito nel pavimento. Lasciando aperto, Alucius entrò e si avvicinò allo specchio per esaminarlo. Al di sotto della sua superficie, riusciva a percepire il filo dorato e l'oscurità che lo circondava. Di certo, se avesse voluto, avrebbe potuto andarsene. Ma per fare che? Gli unici posti raggiungibili erano quelli dove avrebbe trovato gli ifrit ad attenderlo. Alucius fece un respiro profondo, rammentandosi del consiglio del nonno, circa il non agire finché non fosse stato ben sicuro sul da farsi. Dopo un lungo momento, girò attorno allo specchio e si avvicinò alla finestra, identica a quella della sua stanza. Persino il panorama era lo stesso. Quindi si voltò e uscì, fermandosi sul pianerottolo a osservare il vuoto creato da quella specie di pozzo con un mesto sorriso. Non c'era modo di scendere di là. La torre doveva essere stata costruita per le arianti, vista la totale assenza di scale. Non aveva altra via d'uscita, se non il condotto che passava attraverso lo specchio e, tenendo conto di dove questo portava, era meglio aspettare piuttosto che andare alla cieca. L'ultima volta che l'aveva fatto l'aveva pagata cara. Dopo aver tratto un altro profondo respiro, Alucius tornò in camera sua. Ma lasciò la porta accostata. 110 Un'altra settimana passò, senza che l'ariante accennasse alla porta aperta. Durante quel periodo, nei suoi tentativi di imparare a maneggiare i fili, Alucius riuscì a uccidere parecchi scricci, una ghiandaia grigia e un serpente della sabbia. Con estrema pazienza, l'ariante li fece rivivere tutti. Alla fine, Alucius imparò la tecnica e fu in grado di sciogliere i nodi e di riportare in vita da solo il serpente della sabbia e l'ultimo scriccio. Dopodiché, senza neppure una parola di commento, l'ariante lo lasciò solo. Il mattino seguente, riapparve con la colazione. Mentre Alucius mangiava, lei rimase in silenzio finché non ebbe quasi finito. Gli ifrit stanno costruendo un altro portale. Sei fortunato che questo richiederà molto tempo. «Io sono fortunato. E di voi che mi dite?»
Non siamo rimasti in molti. Una punta di sarcasmo trapelò da quell'affermazione. Hai già scoperto che la torre è praticamente vuota, non è vero? Alucius bevve un ultimo sorso di birra. «Lo sai benissimo.» Anche la maggior parte della città lo è. Questo è il motivo per cui non vedi un gran movimento dalla tua finestra. «Ma mi tenete qui.» Non ci resterai a lungo, se impari. Seguimi. Alucius seguì l'ariante fuori dalla stanza, sul pianerottolo, e nella stanza vuota con lo specchio sul pavimento. Adesso... devi imparare a mettere in pratica ciò che sai. Alucius era convinto che già lo stava facendo. Indugiò. «Aspetta un attimo. Le Tavole sono fissate nel terreno. Mentre questo specchio si trova in una torre, e non è collegato al suolo.» È collegato ai nodi del mondo. Usa il tuo Talento. Alucius si concentrò. Nel farlo, comprese che tutta la torre e anche tutta la città erano profondamente collegate con il mondo, quasi come le Tavole, ma senza quel colore rosso-violaceo. Adesso... devi affrontare ciò che ti ha sconfitto. Una striscia di Talento violaceo balenò verso Alucius, che eresse davanti a sé una barriera di oscurità. Sebbene la sua protezione reggesse, la striscia violacea lo costrinse ad arretrare. Devi deviare i colpi, quando ti è possibile. Una seconda striscia di energia lo attaccò, ma egli la contrastò, usando il proprio Talento quasi come una sciabola, e parò il colpo. Per poco meno di un quarto di clessidra, si esercitò contro le strisce e le frecce violacee che gli venivano scagliate contro dall'ariante. Direi che basta. Il pericolo più grave non viene da un singolo ifrit. Alucius serrò le labbra, mentre la ben nota nebbia purpurea si levava dallo specchio e si trasformava in un paio di braccia sinuose dirette verso di lui. Istintivamente, creò l'oscurità della forza vitale, attorno alla quale le braccia si mossero ondeggiando. I nodi? Dov'erano i nodi? Mentre schivava i tentacoli, uno di essi gli sfiorò il gomito. «Ah!» Il dolore fu straziante. Alucius fece un balzo indietro, consapevole di essere quasi intrappolato a ridosso della parete. Non morirai, ma potresti desiderare di essere morto se non riesci a fermarli.
«Grazie», borbottò Alucius, innalzando una temporanea barriera di oscurità, mentre i Talento-sensi cercavano di capire dove le braccia purpuree potessero avere dei nodi, ammesso che li avessero. Scoprì alcuni ispessimenti che, in effetti, avrebbero potuto essere dei nodi. Alucius sondò con il Talento, tastando tutt'intorno e schivando, ma i nodi sembravano protetti da una corazza. Dovette scansare bruscamente di lato per evitare una delle braccia, ma questa riuscì a sfiorargli il ginocchio. L'ondata di dolore infuocato gli paralizzò mezza gamba destra, tanto che inciampò e cadde. Per evitare le spire che avanzavano verso di lui dovette rotolare attraverso un angolo dello specchio, e un'altra ondata di dolore questa volta di gelo - lo colpì alla spalla. Metti a fuoco la tua sonda! Concentrati! Più facile a dirsi che a farsi. Ciò nonostante, Alucius si sforzò di concentrare tutta la propria Talentoenergia in una minuscola punta di freccia che scagliò contro un nodo. D'un tratto, la sezione di braccio sotto il nodo si disintegrò in una nuvola di filamenti, che svanì pressoché all'istante. Come pure svanì anche il sorriso di Alucius quando l'altro tentacolo purpureo gli sferzò la mano sinistra, lasciandogliela intorpidita. Alucius cercò di restare in piedi, ma poteva solo muoversi a fatica, poiché la gamba destra, la spalla e la mano sinistra erano quasi paralizzate. Disperatamente diresse un'altra freccia verde-dorata di Talento verso il nodo più evidente nel tentacolo superstite. Anche questo si dissolse in una nuvola di filamenti. Poi entrambe le braccia e la nebbia purpurea cominciarono a dissiparsi. Alucius indietreggiò con passo malfermo. Aveva il respiro affannoso. Si sentiva gli abiti incollati addosso e la fronte madida di sudore. La gamba, la mano e la spalla erano ancora inservibili. Per oggi basta. L'ariante si voltò, come per andarsene. Alucius avvertì in lei molta debolezza, e si chiese se l'esercizio non avesse in qualche modo prosciugato le sue forze. «Quanto...» Finché non sarai in grado di fermare quelle braccia prima che ti vengano troppo vicino. Quando affronterai gli ifrit, se anche un solo braccio di quella nebbia ti sfiorerà, essi si impossesseranno di te, o ti uccideranno. Il dolore è tutto ciò che io riesco a creare, ma me ne servo perché il tuo corpo è ancora in parte condizionato dai riflessi fisici, e tu non saresti capace di renderti conto del pericolo, se non avvertissi dolore. Magari non fosse
così. Alucius non poté impedirsi di interpretare l'osservazione quasi come un insulto. Ma sentiva che l'ariante aveva ragione. Durante le esercitazioni con il nonno, non aveva imparato nulla finché non aveva provato dolore. Prima che l'ariante se ne andasse, le pose un'altra domanda su cui aveva riflettuto, soprattutto dopo aver visto il pozzo d'accesso sul pianerottolo. «Quando tutto questo sarà finito... potrò volare... come voi?» Solo in certi luoghi, ma non dove vorresti che ti vedessero. Un'ironia maliziosa trasudava da quelle parole. «Perché?» L'ariante non rispose, ma da lei emanò un senso di impazienza. Alucius rifletté. Quando si trovava in compagnia dell'ariante, aveva ancora la tendenza a fare domande impulsive. Erano anni che non gli capitava. Perché si comportava così proprio con lei? Perché gli rammentava il nonno? E perché lui era tornato a sentirsi bambino? «Forse perché comporterebbe uno spreco di energia delle forze vitali, ed essendo più grosso e pesante di voi, gli unici punti in cui queste energie raggiungono una concentrazione sufficiente sono le città e i grandi centri abitati?» Questo rappresenta solo una parte della difficoltà. L'impazienza era svanita. L'altra parte consiste nel fatto che usare il Talento per volare significa dover attingere alle proprie forze vitali e alla propria energia, se non ci sono altre fonti nelle vicinanze. A meno di non trovarsi in un posto come questo o di comportarsi come i tenebrosi ifrit. Alucius aggrottò la fronte. «Tu qui voli, anche se c'è poca...» Anche tu puoi farlo qui. La città nascosta fu costruita in modo da sfruttare le energie del mondo stesso. D'altra parte, tu questo l'avevi già percepito. «Anch'io posso?» Fece una pausa. «Aspetta un momento. Mi avevi detto che...» Anche i mondi sono vivi, se hanno vita al loro interno e in superficie. È necessaria una grande energia per arrivare al centro di un mondo e potersi collegare ai suoi fili. Adesso non lo potremmo più fare. Alla fine, dopo che gli ifrit avranno esaurito tutte le forze vitali, prosciugheranno anche il mondo e si serviranno della sua forza per creare un condotto verso altri mondi. Ma dovranno prima inviare molti ifrit in carne e ossa nel mondo successivo per poter fare una cosa del genere. «E lascerebbero l'intero mondo... morto?»
Te l'abbiamo detto. Più di una volta. «Mi spiace. Mi ci vuole un po' per abituarmi all'idea.» L'ariante volò fuori dalla stanza, dirigendosi verso il pozzo sul pianerottolo. Alucius la seguì zoppicando. Puoi provare a volare qui... ma non avvicinarti ancora al pozzo. Alucius la osservò librarsi al di sopra del pozzo e poi scendere, simile a un lampo verde-dorato che svanì in basso. Era in grado di volare? E come? L'ariante gli aveva detto che occorreva allacciarsi ai fili vitali, ma nella torre non c'erano altri fili all'infuori dei suoi. Per un attimo, Alucius esaminò la torre, finché non riuscì a distinguere la rete di fili verde-dorati presente nei muri e sul pavimento, e dappertutto. Abbassò lo sguardo. I suoi piedi fluttuavano a un terzo di iarda abbondante dalle piastrelle. Fu così sorpreso che perse la connessione con i fili e cadde a terra. Gli stivali picchiarono sul pavimento con un pesante tonfo ed egli barcollò appoggiandosi alla gamba ancora intorpidita per evitare di avvicinarsi al pozzo buio. Finalmente si raddrizzò con un sospiro di sollievo. Capiva perché l'ariante gli aveva consigliato di non provare a volare sul pozzo. Con quello, avrebbe potuto cimentarsi in seguito. Qualsiasi esperienza avrebbe potuto tornargli utile. Si avviò adagio, con un passo un po' sbilenco, verso la sua stanza. Più tardi, dopo che il dolore e la stanchezza fossero passati, avrebbe provato di nuovo. 111 Tempre, Lanachrona Il Signore-Protettore era fermo in piedi, appoggiato a un lato della scrivania, nel piccolo studio privato attiguo alla sala delle udienze, intento a guardare il fratello. «Ci siamo visti di più in quest'ultimo mese che non in tutto l'anno.» «È vero», ammise Waleryn. «Dovrei forse non preoccuparmi delle difficoltà e dei problemi che angustiano mio fratello?» «Sei molto gentile», replicò il Signore-Protettore, scostandosi dal viso i capelli neri, che erano più lunghi del solito. «È stato un anno difficile, seppure positivo, sotto molti aspetti.»
«Già, sotto molti aspetti.» Waleryn annuì. «Come sta Alerya?» «Sta meglio, anche se la sua guarigione richiederà del tempo.» «Alcuni dicono che adesso non potrà più avere figli», disse l'altro. Il Signore-Protettore si voltò solo in parte. «Spesso in ciò che si dice c'è ben poca verità, ma solo il riflesso dell'intenzione altrui. Non c'è ragione per cui non possa avere altri figli, una volta che avrà recuperato le forze.» «Fratello... è assai improbabile che possa tornare com'era prima.» Waleryn fissò il fratello maggiore con sguardo duro. «Non credi che dovresti prendere in considerazione... l'idea di cercarti un'altra moglie?» «Perché?» «Magari, per il futuro di Lanachrona.» Waleryn si strinse nelle spalle. «Se l'ami troppo per ripudiarla, potresti pensare ad altre... soluzioni. Ci sono molte donne che si presterebbero... persino di buona famiglia.» «Waleryn, non posso credere che tu mi stia suggerendo...» «Mio caro Talryn... non sto suggerendo niente. Non ancora, perlomeno. Penso solo che tu debba valutare le varie alternative che ti si offrono.» Waleryn si inchinò. «Ero solo passato a vedere come stavi, e mi sembra ovvio che, come sempre, stai bene, perciò non ti disturberò oltre.» «Ti ringrazio per la gentilezza», replicò il Signore-Protettore, senza scostarsi dalla scrivania, mentre l'altro si inchinava di nuovo e usciva. Il Signore-Protettore aspettò finché non ebbe chiuso la porta, poi gettò un'occhiata all'antica clessidra sul ripiano della libreria. Poi annuì tra sé e si diresse alla porta che dava sulla scala circolare che saliva ai suoi appartamenti privati. Quando giunse in cima, tolse una chiave d'ottone dalla cintura e aprì la prima porta sul pianerottolo, entrando nell'atrio principale. Superò le guardie, e passò nel vestibolo privato del suo appartamento. Nel salottino attiguo, vide Alerya seduta al piccolo scrittoio, seppure con indosso ancora la veste da camera. «Mio caro... non ti aspettavo così presto», esclamò lei offrendo al marito un caloroso sorriso. «Mi era rimasto un po' di tempo prima del prossimo appuntamento.» Indugiò. «Sei certa che dovresti stare alzata?» «Scrivo un poco e poi mi riposo. Non posso riacquistare le forze standomene sempre a letto.» «Non devi esagerare», la ammonì lui. «Non sto esagerando. Sono molto prudente.» Il suo sguardo si fissò sul volto del marito. «Mi sembri preoccupato.» «Lo sono, mia cara. Waleryn è venuto a trovarmi. Mi ha suggerito di...
cercarmi un'altra moglie... o, come ha detto lui, di trovare altre soluzioni. Ho rifiutato.» «Se non guarirò del tutto... potresti non avere scelta.» «Siamo entrambi giovani», replicò il Signore-Protettore. «Questi discorsi sono stupidi.» «Non sono stupidi per gli altri. Ma non è questo il motivo per cui sei preoccupato.» «No. Sono in ansia perché Waleryn non intendeva dire ciò che ha detto. Non ha tentato di convincermi, o di gestire la cosa con cautela. È stato troppo diretto, come se intendesse farmi rifiutare la sua proposta.» «Ah... non vuole che tu abbia un erede», disse Alerya. «Questo è ciò che io penso. Sicuramente qualcun altro deve averlo istigato.» «Enyll?» «Sarei portato a crederlo.» Il Signore-Protettore si accigliò. «Vorrei tanto che il capitano maggiore avesse potuto fare qualcosa.» «Ma Enyll non ti sta creando difficoltà?» «No. È più gentile e sollecito del solito, e non mi dà alcuna fiducia. Anzi, meno del solito.» «Credi che possa avere ucciso il capitano maggiore? O che sia stato Waleryn?» «Waleryn non avrebbe potuto fare una cosa del genere. E poi non era ancora tornato da Vanyr. Quanto a Enyll...» Il Signore-Protettore si strinse nelle spalle. «Non avrebbe sicuramente esitato a ucciderlo. Però... non posso dirlo con certezza. La mia parte razionale dice che l'ha fatto. Il mio istinto dice di no. Sento che si comporterebbe... diversamente.» «Fidati del tuo istinto.» «È difficile farlo nelle questioni di stato.» Il Signore-Protettore si portò alle spalle della moglie, si chinò e l'abbracciò baciandola sulla guancia. «Con te è molto più facile.» La tenne per un po' stretta a sé, in silenzio, poi si rialzò e disse: «Temo di dover andare: la prossima udienza mi aspetta. E tu devi riposare». «Dopo che avrò finito questa lettera.» Con un triste sorriso, lo osservò allontanarsi e uscire rapido dagli appartamenti privati attraverso il vestibolo. 112
Altri tre giorni passati a parare e a contrastare colpi di Talento-energia sempre più forte e a eludere e disintegrare tentacoli purpurei lasciarono esausti Alucius e L'ariante. Tra un allenamento e l'altro, Alucius si impratichiva a volare, anche se la stanchezza rendeva alquanto limitati i suoi tentativi. Il quarto giorno, Alucius si svegliò prima del solito, si lavò e si vestì, accarezzandosi la corta barba grigio scuro che aveva lasciato crescere durante la sua pseudoprigionia nella torre. Chissà se, per imparare qualcosa, doveva sempre sperimentare la prigionia e la sofferenza? Continuò a riflettere su quell'aspetto della propria vita, mentre si affacciava alla finestra e osservava la città in basso, o quello che riusciva a scorgere: una città praticamente deserta e vuota. Questo, adesso, era in grado di sentirlo. Al di là delle mura ambrate della torre e degli edifici sottostanti, il sole del mattino proiettava lunghe ombre sulla sabbia bianca. Le ombre arrivavano quasi a lambire il bastione di roccia scura che segnava il limitare della valle nella quale era situata la città nascosta. Gli affioramenti di cristallo rettangolare sulla cima del bastione emettevano uno scintillio dalle sfumature verdi sotto i raggi solari, e si aveva l'impressione che la maggior parte di questi fosse assorbita dai cristalli anziché venirvi riflessa. Il cielo era più scuro rispetto a Tempre o a Dekhron, non di molto però, appena una punta di verde più intenso. Nel sentire l'ariante avvicinarsi, Alucius si voltò e rimase in attesa. L'ariante comparve sulla soglia portando, ancora una volta, la colazione. Devi mangiare. Alucius le prese il vassoio e il bicchiere di birra dalle mani e si sedette sul letto. Il momento è giunto. Devi tornare e portare a termine la battaglia. «Ma non so come usare il mio Talento contro gli ifrit.» La cosa preoccupava Alucius. Enormemente. Ricordava ancora lo straordinario potere di quelle due creature. Dovrai agire con loro esattamente come hai fatto contro i tentacoli. Il metodo è lo stesso contro tutte le forme di vita. «Credi che io abbia imparato abbastanza?» La sensazione di un sorriso raggiunse Alucius. Nessuno impara mai abbastanza, perché ogni apprendimento porta a un ulteriore apprendimento. Chi non continua a imparare muore, dapprima dentro di sé, e poi dappertutto. Devi ancora imparare molto, ma non puoi farlo qui. «Vuoi dire adesso?» Alucius terminò l'ultimo boccone di uova strapaz-
zate e bevve un lungo sorso di birra. Non lo potrai fare mai più qui. Hai imparato tutto ciò che eravamo in grado di insegnarti. Tutti ci auguriamo che possa bastare. «Grazie per la fiducia», rispose secco Alucius. Possiedi l'abilità e la conoscenza per farcela. Ciò non significa che ci riuscirai. Alucius non aveva certo bisogno che quel particolare gli venisse rammentato. «Cosa devo fare?» Userai lo specchio nella stanza a fianco. Porta con te la sciabola. Alucius posò il vassoio e si alzò, si diresse alla parete, prese la sciabola e agganciò il fodero alla cintura. L'ariante era già uscita, perciò Alucius la seguì sul pianerottolo e nella stanza attigua. L'ariante lo aspettava accanto allo specchio. Alucius le lanciò un'occhiata. Mettiti in piedi sullo specchio. Cerca le profondità. Ripeti ciò che hai fatto quando hai raggiunto la città nascosta. Pensa all'ingegnere, a Prosp, a qualunque cosa in grado di riportarti verso il portale di quella Tavola. «Prosp... perché è quella la Tavola più pericolosa?» Sia la Tavola sia l'ifrit che si è impossessato dell'ingegnere laggiù sono più pericolosi della Tavola di Tempre. Alucius si pose al centro dello specchio quadrato, avvertendo sotto di sé le sue profondità verde-dorate e i legami con la terra, e anche oltre. Poi indugiò e guardò l'ariante. «Grazie.» Dopo un momento, chiese: «Ti rivedrò... vi rivedrò ancora?». Sarai sempre il benvenuto, quando vorrai. Se riuscirai nel tuo compito... allora il futuro sarà ciò che deve essere, e questo ci ringrazierà più delle parole. Le parole dell'ariante rassicurarono e al tempo stesso turbarono Alucius, benché non sapesse spiegarsene il motivo. Devi andare, prima che sia troppo tardi. Egli annuì, raddrizzò le spalle, fece un profondo respiro. Poi si concentrò sulle profondità che stavano sotto di lui e sui legami che portavano giù, nelle viscere stesse della terra. Si sentì precipitare... Il gelo lo avvolse, un freddo intenso che permeava lo scuro verdedorato, ma un freddo meno acuto e pungente di quello che caratterizzava il nero violaceo del condotto degli ifrit. Ne avverti la differenza, poiché, questa volta, si trovava all'interno del canale verde-dorato, oltre al quale,
in parallelo, correva quello nero. Con riluttanza, Alucius si protese verso la terribile oscurità violacea, ricorrendo a una sottile vibrazione talentosa verde-dorata, anziché alla linea viola che aveva utilizzato per arrivare alla città nascosta. D'un tratto, si trovò nell'altro condotto, dove proiettò tutt'intorno i Talento-sensi alla ricerca della freccia argentata che ben ricordava. Non faticò a trovarla, tanto era luminosa e sembrava fargli cenno freddamente di seguirla. Dopo essersi preparato all'eventualità che l'ingegnere lo stesse aspettando, concentrò la propria attenzione sul portale della Tavola. Una luce argentea guizzò intorno a lui. 113 Alucius batté le palpebre. Si trovava sulla Tavola più recente, nella penombra di una stanza non illuminata. Era forse già sera a Prosp? In precedenza, quando aveva viaggiato attraverso i condotti degli ifrit, non aveva notato variazioni di tempo nel raggiungere la città nascosta, o perlomeno così gli era parso. Poi sorrise. Come poteva sapere in che momento del giorno si trovava, visto che la stanza era sottoterra? Persino mentre scendeva dalla Tavola, sentì che era diventata più «viva». Si chiese cosa avesse fatto l'ingegnere - o l'ifrit che si era impossessato di lui - per creare quell'effetto, e quale significato potesse avere. Nella semioscurità, controllò rapido la stanza, sia con gli occhi sia con il Talento, ma vide che era vuota. Si avvicinò adagio alla porta, accanto alla quale si fermò e restò in ascolto, utilizzando di nuovo i Talento-sensi per esplorare i locali attigui. Come la volta precedente, sentì che al di là stazionava una guardia, ma non percepì altre presenze nelle vicinanze. Con tocco leggero, proiettò una sonda verde-dorata verso il filo vitale della guardia e premette con fermezza, seppure delicatamente. Poté percepire - e udire - l'altro che cadeva a terra. Solo allora si decise ad aprire la porta. La vivida luce che si riversava giù dalla tromba delle scale confermò ad Alucius che anche a Prosp era mattina - o comunque pieno giorno - e che, all'infuori della guardia dalla divisa nera e argento che giaceva svenuta a terra, quella sezione inferiore dell'edificio era deserta. Forse l'ingegnere si era recato altrove? Magari a installare un'altra Tavola? O forse non era solito arrivare così presto?
Alucius esaminò rapidamente l'altro locale. Poteva ancora udire i rumori prodotti dagli strumenti dei carpentieri, per quanto gli giungessero più attutiti: probabilmente stavano lavorando all'esterno, o a un piano superiore. Poi udì un suono di passi, passi affrettati, e si nascose in una nicchia che si trovava nella stanza esterna, a circa dieci iarde dalla porta, che lasciò socchiusa. Mentre stava là, fece il possibile per camuffare l'intensità del proprio filo vitale, cercando di renderlo simile a quello marrone e nero di uno degli operai. Il tentativo riuscì. L'ingegnere si bloccò nel vedere la guardia a terra, ma subito proseguì nella sala della Tavola, senza neppure gettare un'occhiata verso il punto in cui si trovava Alucius. Questi lo seguì, strisciando furtivo contro il muro. Prima ancora di arrivare alla porta, che era rimasta aperta, concentrò il Talento sull'arma dell'ingegnere, che se ne stava fermo oltre la soglia a esplorare la Tavola con punte di Talento-energia color viola. Alucius gli arrivò alle spalle, cercando di far penetrare la sua Talentosonda all'interno dell'arma dell'altro per dissolverne i legami. Vestor si voltò e alzò la lama di luce puntandola contro Alucius, ma non successe nulla. Con un sorriso, la posò sul tavolo. «Vedo che... avete imparato qualche trucco.» Alucius proiettò un'altra Talento-sonda, la più sottile e potente che gli riuscì di produrre. L'ingegnere vacillò, poi rispose con un lampo di Talento-energia di un viola intenso, un'energia che proveniva sia dalla Tavola sia da lui stesso. Anziché fermarlo, Alucius si scansò, come per evitare il fendente di una spada, e contrattaccò. Vestor non parò il secondo colpo, anzi, ebbe persino un attimo d'incertezza, prima di avvicinarsi alla Tavola e appoggiare le mani sulla sua superficie, come aveva fatto l'Archivista. Immediatamente la nebbia color rubino si levò, avvolgendolo con una grossa nube dalle sfumature violacee. Alucius scagliò un'ondata di oscurità contro la Tavola, respingendo momentaneamente la nebbia. Poi, questa volta, fu lui a precipitarsi alla porta chiudendola con il chiavistello. Si augurò di non comportarsi da sciocco, ma non gli andava l'idea di venire assalito alle spalle mentre era impegnato a lottare contro l'ingegnere. E, in ogni caso, il suo istinto gli diceva che, se non fosse uscito vittorioso da quello scontro, non sarebbe stato fatto prigioniero, ma, in un modo o nell'altro, sarebbe morto. «Piuttosto sicuro di sé per essere solo un misero coreano possessore di
un po' di Talento», lo derise l'ingegnere, evocando altra nebbia color rubino, che assunse la forma delle braccia sinuose conosciute fin troppo bene da Alucius. Questi si concentrò, cercando di individuare i nodi al loro interno, per poi dirigere una sonda infuocata color verde-dorato contro il nodo più evidente, quello del braccio a sinistra più vicino a lui, in corrispondenza del punto in cui si dipartiva dalla Tavola. Con le mani ancora appoggiate sulla superficie a specchio, Vestor emise un grugnito, la pallida fronte madida di sudore, mentre mandava un'ulteriore copertura di un vivido viola-rossastro a rinforzare i tentacoli. Una volta che Alucius ebbe inserito la sua sonda sotto lo scudo viola, cercò di piegare e sciogliere i sottili filamenti che componevano il nodo. Nel farlo, si sentì avvolgere da un calore insopportabile, tanto che il sudore prese a colargli dalla fronte. Ebbe l'impressione di muoversi brancolando nel buio, come se il tempo intorno a lui rallentasse, mentre la punta sottile della sua Talento-sonda si insinuava più in profondità nel nodo del tentacolo color rubino, per poi torcere nuovamente e cercare di tagliare i legami dei filamenti più fini. All'improvviso, il tentacolo svanì in una nuvola di esili filamenti viola che vennero risucchiati dalla Tavola. «Non sei un possessore di Talento», gridò l'ingegnere, con i tratti del viso alterati. «Sei un uomo morto. Non ce la farai. Non ci potrai fermare. Non questa volta. Non un misero gruppetto di vecchi tremolanti che moriranno nel giro di pochi anni.» Alucius si bloccò sorpreso nel sentire quelle parole, poi si ricompose e si concentrò sull'altro tentacolo color rubino, che nel frattempo si era fatto più spesso ed era protetto da un ulteriore strato di lucentezza viola. Né Alucius né l'ingegnere pronunciarono sillaba, mentre la Talentoenergia verde-dorata si batteva contro quella viola-rossastra. Alucius scagliò la sua sonda contro il nodo principale del tentacolo, ma l'ingegnere, le vene che gli sporgevano sulle tempie, proiettò l'energia strato su strato attorno alla sonda, così che Alucius poté appena muoverla. Con grande fatica, Alucius la attorcigliò attorno ai fili, ma non riuscì a spezzarli. L'ingegnere cercò di contrastare ulteriormente la sonda di Alucius inviandole contro un altro spesso strato violaceo, ma questi la gonfiò appena e mandò in frantumi il rivestimento. Vestor diresse un altro lampo di energia contro Alucius, il quale la schivò e piegò la sonda, pronto a recidere il nodo, ma il tentacolo era sparito.
Alucius si sentì vacillare. Un terzo braccio apparve, più grande e meglio protetto del primo e del secondo, e si diresse verso Alucius. Questi inserì la sua sonda in un nodo più piccolo e vulnerabile, all'estremità del tentacolo. Quasi all'istante, le ultime due iarde di braccio svanirono in una nuvola di filamenti viola. Un altro lampo violaceo schizzò verso Alucius, il quale riuscì a malapena a pararlo, prima di contrattaccare con una fulminea saetta verde-dorata. Vestor emise un altro grugnito, ma il braccio color rubino prese di nuovo a ingrossarsi, procedendo sinuoso nella sala della Tavola in direzione di Alucius. Questi notò che la Talento-corazza viola dell' altro si stava assottigliando. Con rapidità, proiettò una seconda sonda verso il nodo più grosso del suo filo vitale, in corrispondenza dei punto in cui i due fili - quello della Tavola e quello dell'ingegnere - si allacciavano. Dopo un attimo di resistenza, la sonda riuscì a penetrare nel nodo e a torcerne i fili, con abilità e feroce determinazione. Il filo vitale viola esplose in una miriade di filamenti più sottili, che si sciolsero e si scomposero in filamenti ancora più minuscoli. L'ingegnere fissò Alucius a bocca aperta, quasi lo vedesse per la prima volta. Alucius non esitò: colpì di nuovo, tranciando i rimanenti fili. Mentre le ginocchia di Vestor cedevano, il suo pallido volto si accartocciò e si fece più scuro. Poi l'ingegnere cadde in avanti sul pavimento di pietra. Alucius deglutì a vuoto, mentre la Tavola risucchiava i pochi brandelli rimasti di ciò che era stato un mostruoso filo vitale nero-violaceo. Mentre anche l'ultimo filamento spariva, l'intero edificio venne scosso da un tremito. Un lampo di luce viola - visibile solo attraverso il Talento - si proiettò dalla Tavola attraverso la stanza, e Alucius sentì che, con la fine dell'ingegnere, almeno una parte di questa era morta, o comunque aveva cessato di funzionare. Per un interminabile momento, nonostante le oscillazioni che avevano cominciato a scuotere l'edificio, Alucius rimase immobile, in piedi e col respiro affannoso, cercando di riprendere fiato. Si sentiva come se avesse percorso un vingt o forse più a tutta velocità, mentre invece, dal suo arrivo nella stanza, non si era mosso per più di venti iarde. Le scosse continuarono, e la struttura che lo circondava cominciò a on-
deggiare con maggiore violenza. Una grossa lastra di rivestimento, pari quasi al peso di Alucius, si staccò dalla parete interna della stanza andando a schiantarsi sul pavimento con un impatto che si ripercosse anche su di lui e produsse una raggiera di crepe sulle pietre tutt'intorno. Prima che l'onda dell'impatto svanisse, una seconda lastra seguì la prima, e un tremendo scricchiolio accompagnato da forti gemiti riempì il palazzo. Alucius udiva gli uomini gridare, le voci appena attutite dal frastuono delle pietre che crollavano e dalle continue vibrazioni del terreno e dell'edificio. Altre lastre caddero. Alucius fece correre lo sguardo dalla porta alla Tavola. Mentre una grossa crepa si formava nel muro accanto a lui, egli si portò con un balzo sulla Tavola e si concentrò alla ricerca del condotto nero-violaceo. Questa volta cadde attraverso la Tavola - o al suo interno - con estrema rapidità. Venne nuovamente circondato dal gelo, e lo shock fu violento, a causa del calore che Alucius aveva accumulato lottando contro l'ingegnere. Immerso in quel freddo e in quell'oscurità, si fermò per un attimo, sebbene nutrisse qualche dubbio circa lo scorrere del tempo all'interno del buio condotto. E adesso? Non si era aspettato di dover utilizzare di nuovo la Tavola per fuggire da un palazzo che stava crollando. Chissà se gli sarebbe stato possibile tornare alla città nascosta per riordinare le idee? Cominciò a cercare il filo dorato che doveva trovarsi oltre il condotto nero... ma ne intravide appena il riflesso in lontananza, come se fosse stato rimosso. Insistette in quella direzione, ma il filo svanì del tutto. Tentò di raffigurarselo mentalmente e di provare ad allontanarsi, ma fu inutile. Identico risultato ottenne quando cercò di avvicinarsi, poiché il tremolante filo dorato, benché visibile, si tenne fuori portata. Sentì che il freddo invadeva ogni fibra del suo essere. Perché mai era così difficile trovare il filo che conduceva alla città nascosta, e servirsene? Forse perché le arianti non volevano che tornasse? O perché, ora che lui sapeva come fare a raggiungerle, avevano preso provvedimenti per impedire che altri ci riuscissero? Quasi prossimo alla disperazione, Alucius cominciò a cercare la freccia azzurra, quella che l'avrebbe riportato a Tempre, e all'Archivista degli Atti. Mentre era intento nella ricerca, si accorse che la freccia argentata era sbiadita - anche se non svanita del tutto - sebbene si facesse sempre più pallida. Alucius continuò a concentrarsi - mente e corpo - sulla freccia
azzurra... raffigurandosela vicino. In quell'istante, una brillante luce azzurra gli fiammeggiò tutt'intorno. 114 Quando Alucius comparve sulla Tavola dell'Archivista, avvolto da una nebbia che gli evaporava dal viso e dal corpo, le due figure fecero un balzo indietro scostandosi. Si sentiva la pelle gelida, come se il sudore si fosse trasformato in ghiaccio per poi sublimare. Fece correre lo sguardo dall'Archivista al secondo uomo, simile nell'aspetto al Signore-Protettore, benché più basso di statura e più massiccio, e anche più giovane. Poi puntò gli occhi sull'Archivista, che stava alzando verso di lui un'arma che ricordava vagamente una pistola. «Waleryn, se tenete alla vostra vita, prendetelo. È uno spirito malvagio che si impossesserà di voi, anima e corpo!» gridò bruscamente l'Archivista. Alucius riuscì a malapena a ripararsi dietro la Tavola, che la lama di luce fece fuoco sopra la sua testa. Alcune goccioline semisolide caddero picchiettando sul pavimento, mentre l'odore della pietra e del metallo surriscaldati invadevano l'antica stanza. Al riparo della Tavola, Alucius protese la sua Talento-sonda e toccò il filo vitale di Waleryn, quel tanto che bastava a stordirlo e a farlo cadere a terra, dopo che le sue dita avevano afferrato invano il bordo della Tavola in cerca di sostegno. L'Archivista non disse nulla, ma un altro lampo di luce azzurrognola guizzò contro il muro alle spalle di Alucius, e altre goccioline si sparsero sul pavimento, mentre un puzzo acre riempiva la stanza. Alucius proiettò la sua sonda verso la lama di luce, sciogliendo i legami dei cristalli. «Waleryn!» sbottò l'Archivista. «Razza di femminuccia...» Alucius emerse da dietro la Tavola fronteggiando l'ifrit e studiando il suo mostruoso filo vitale alla ricerca dei nodi più vulnerabili. L'Archivista puntò l'arma contro Alucius, ma, poiché da questa non scaturì alcun raggio di luce, la posò sulla Tavola. «Questo non ti aiuterà per molto.» La fin troppo familiare nebbia color rubino cominciò ad alzarsi dalla superficie a specchio, mentre un muro di energia violacea si abbatteva su Alucius. Questi creò un cuneo verde-dorato per proteggersi e lasciò che la malva-
gia energia gli passasse attorno, poi colpì a sua volta mirando al nodo nel quale si intrecciavano i fili vitali dell'Archivista: quello della Tavola e quello collegato a un punto non ben identificato di Lanachrona. Uno scudo violaceo gli si oppose, ma solo per un attimo, poiché subito le mani dell'Archivista abbandonarono la Tavola e la nebbia color rubino cominciò a diradarsi. Alucius vi fece calare sopra un velo di oscurità, disperdendola ancora di più. «Non durerà», disse piano l'Archivista, riappoggiando le mani sulla Tavola. «Quanto basta», replicò Alucius frugando all'interno del nodo vitale dell'altro e cercando di mantenere la sua sonda verde-dorata centrata e compatta. «Non riuscirai a sconfiggerci tutti quanti», disse l'Archivista. «Però puoi unirti a noi.» E, così dicendo, scagliò un altro lampo violaceo in direzione di Alucius. Questi si scansò di lato e proiettò verso il volto dell'Archivista un'abbagliante luce dorata che avrebbe dovuto confonderlo. L'altro batté le palpebre, poi rispose con un'altra scarica di energia violacea, mentre dalla superficie a specchio si levavano ancora una volta le braccia color rubino. Adesso che Alucius comprendeva meglio il funzionamento di quelle braccia, visto che gli si presentavano per la seconda volta - o forse per la quarta, pensò con aria assente - riuscì a colpire i nodi nel punto in cui si staccavano dalla Tavola, così che entrambi si dissolsero in un attimo, mentre i filamenti di cui erano composti schizzavano tutt'intorno, per poi venire risucchiati dal diabolico strumento e dall'invisibile condotto al suo interno. «Non puoi essere...» ringhiò l'Archivista, scaraventandogli contro un ennesimo lampo. Mentre questo passava oltre lo scudo protettivo verde-dorato. Alucius sferrò un attacco, duro e determinato, contro i nodi del filo vitale dell'altro. Una nuvola violacea schizzò tutt'attorno all'Archivista, che cadde in avanti andando a sbattere contro la Tavola, per poi crollare sul pavimento di pietra. Alucius venne assalito da un'ondata di sfinimento che, per un attimo, lo costrinse a restare appoggiato al bordo della Tavola, ansimante, mentre cercava di riprendere fiato. Le sue membra sembravano essersi fatte di piombo, tanto gli riusciva difficile muoverle.
Sperava che la morte dell'Archivista, o dell'entità che si era impossessata di lui, non provocasse un altro terremoto, ma questa volta non sentì ondeggiare il pavimento, né vibrare le strutture del palazzo, ed egli ne fu ben lieto, poiché non avrebbe saputo in quale altro luogo rifugiarsi attraverso la Tavola. Infine si raddrizzò. E adesso? Cosa poteva fare di quella Tavola? Se fosse rimasta là, prima o poi, avrebbe finito per attirare qualcun altro e... Alucius scosse il capo e cominciò a sondare, individuando nodi, collegamenti e connessioni. Senza la preoccupazione di dover tenere a bada l'Archivista, poté mettere in pratica gli insegnamenti dell'ariante con più calma e precisione. Si augurava solo che, per fare ciò che aveva in mente, servissero più la delicatezza e l'abilità che non la forza, dato che la sua Talento-energia era giunta quasi al limite. Di questo era più che certo. Continuò a sondare la Tavola, finché non trovò quello che stava cercando: un nodo multiplo, formato dall'intreccio di diversi fili, due dei quali erano spessi e di colore nero-verdastro; uno aveva la stessa tonalità violacea del condotto dell'ifrit, e un altro era di un viola più chiaro, che lo fece star male solo a vederlo. Eppure, era proprio lì che Alucius avvertiva l'energia, al punto da provare la netta sensazione che, se avesse disfatto il nodo e i fili che lo componevano, si sarebbe verificata una reazione tale da rendere sconsigliabile sostare nelle vicinanze. Lanciò uno sguardo a Waleryn, che giaceva ancora a terra incosciente, poi si chinò e lo afferrò per la tunica, trascinandolo fuori dalla sala della Tavola e lungo uno stretto corridoio, fino a raggiungere una stanza lontana dalla Tavola. Benché dopo quello sforzo Alucius si ritrovasse col fiato corto, tornò ugualmente verso la sala della Tavola. Si fermò sulla soglia e, con le mani appoggiate sul pesante pannello della porta, proiettò una sottile sonda verde-dorata verso la connessione dei fili e, filamento dopo filamento, cominciò a disfarli. Quando giunse a poco più di metà del lavoro, si scontrò con la resistenza oppostagli dal filo violaceo, che gli scagliò addosso una fiammata, una scarica di energia che egli riuscì a bloccare, sebbene l'impatto lo facesse vacillare per un attimo all'indietro. Alla vista di tale reazione, Alucius chiuse la porta e arretrò un poco, sempre continuando a sciogliere il grosso nodo. Ma non giunse al termine, poiché, quando si trovò più o meno a tre quarti - o così almeno gli parve - tutti e quattro i fili si dissolsero.
Alucius si mise a correre il più lontano possibile. Aveva appena raggiunto il passaggio a volta esterno che una sonora esplosione scosse il pavimento e le mura, scaraventando la porta della sala della Tavola contro la parete del corridoio di fronte, dopo averla divelta dai cardini. Potenti schizzi di polvere grigia frammista a una violacea lucentezza talentosa uscirono dalla stanza. L'intero palazzo vibrò - una, due volte - poi tutto tornò tranquillo. Alucius rimase a guardare, ansimante e grondante di sudore, mentre la polvere cominciava a depositarsi. Non ebbe bisogno di tornare nella stanza per rendersi conto che la Tavola aveva cessato di funzionare. Un mezzo sorriso gli sfiorò le labbra e si sentì sollevato, poiché dubitava che gli fosse rimasta Talento-energia sufficiente a fare qualcos'altro, tranne magari a creare un'illusione minore e temporanea. Avanzò guardingo lungo il corridoio che portava alle cucine, creando l'immagine di un capitano-colonnello, la cui presenza venne ignorata dai cuochi e dagli inservienti che gli passarono accanto affannati, tranne che da una donna che gli chiese: «Cos'è successo?». «C'è stata un'esplosione negli alloggi dell'Archivista», replicò Alucius. «... prima o poi doveva succedere.» Alucius continuò per la sua strada. Prima di trovare il SignoreProtettore, doveva sbrigare un'altra faccenda. Sperava di esserne all'altezza. Sorrise tra sé. Aveva però un vantaggio: nessuno sapeva del suo ritorno, all'infuori di Waleryn, ma questi non si sarebbe svegliato tanto presto. La prima necessità impellente era trovare qualcosa da mettere sotto i denti. Mentre avanzava tra la gente che correva e le guardie che stazionavano nel corridoio esterno, si servì di un'illusione più efficace per sgattaiolare nelle cucine e servirsi di un pasticcio di carne e di un bicchiere di birra. Quindi, trovò una nicchia buia appena fuori dalla dispensa dove si conservava la selvaggina e si liberò dell'illusione. Aveva la vista appannata e le mani tremanti quando cominciò a mangiare. Una volta finito, rimase là per un po' in ascolto, ma nessuno si diresse da quella parte, sebbene avesse udito parecchie guardie e ufficiali interrogare chi si trovava nei paraggi. Infine, una mezza clessidra più tardi, dopo aver recuperato un po' di forze ed essersi circondato con uno scudo di invisibilità, cominciò a salire e a percorrere corridoi secondari, fino all'ultimo piano, dove si trovavano gli appartamenti del Signore-Protettore.
Dopo aver sbagliato strada più volte, finalmente ci arrivò. Dovette stordire entrambi i soldati di guardia davanti alla porta che dava nel vestibolo privato e poi ricorrere alla sua Talento-sonda per poterla aprire. La moglie del Signore-Protettore stava seduta allo scrittoio dandogli le spalle, della qual cosa Alucius fu grato. Con estrema delicatezza, egli toccò il suo filo vitale, e la donna si afflosciò cadendo in avanti sul ripiano del tavolo. Con cautela, mentre si avvicinava al suo corpo privo di sensi, lo esaminò con una sottilissima Talento-sonda dorata, notando alcune brutte macchie rossastre all'interno. Dopo averla adagiata su un sofà, si concentrò, mettendo insieme ciò che già conosceva sulle arti della guarigione con quello che gli avevano insegnato le arianti. Quando finalmente si allontanò, il respiro di lei si era fatto più regolare. Per contro, Alucius si ritrovò di nuovo zuppo di sudore, persino dopo aver bevuto un po' della birra scura contenuta nella caraffa che stava sullo scrittoio. Il passo successivo era trovare il Signore-Protettore, da solo, preferibilmente. Dopo aver individuato il passaggio nascosto al di là dell'ingresso principale, scese giù per la scala circolare. In quello che doveva essere lo studio privato del Signore-Protettore non c'era nessuno, ma udì delle voci provenire dalla saletta attigua. Perciò si sedette su una delle sedie dal rigido schienale e rimase in ascolto. Mentre aspettava e si riposava un po', sperando che l'udienza non durasse a lungo, estrasse la Stella dell'Onore dal borsello che aveva appeso alla cintura e se l'appuntò sulla tunica. «... la Tavola è stata distrutta? E come è potuto accadere?» «... non so, Signore-Protettore... l'Archivista è morto. Vostro fratello Waleryn è ancora privo di sensi. I muri sono pieni di crepe, ma non abbiamo trovato traccia né di esplosivi né di polvere da sparo.» «Nel mio stesso palazzo, e voi non siete in grado di dirmi...» La conversazione andò avanti per un po', poi giunse al termine. Alucius si alzò. «... circondato da incapaci...» Il Signore-Protettore era così assorto che non alzò nemmeno gli occhi mentre entrava nello studio, seguito dal maggiore Suntyl. «Signore!» esclamò questi. Il Signore-Protettore sollevò lo sguardo. Si fermò, poi si voltò verso Suntyl. «Potete lasciarci, maggiore. Sono certo che il capitano maggiore ha
molte cose da riferirmi. Chiudete la porta, per favore. Bene.» «Sì, Signore-Protettore.» Suntyl si avviò a ritroso verso la porta. Una volta soli, il Signore-Protettore scoppiò in una risata. «Avrei dovuto immaginarlo. L'avevo sperato, ma non dopo così tanto tempo. Non dopo che eravate svanito senza lasciare tracce.» Il Signore-Protettore osservò Alucius. «Avete l'aria di essere stato tenuto prigioniero.» «Lo sono stato. Ho trascorso molto più tempo di quanto avrei voluto a Prosp. L'Archivista mi aveva mandato là.» Alucius sapeva che, se avesse voluto dare un senso alla sua storia, non avrebbe potuto tenere nascosto tutto al Signore-Protettore, anche se non vedeva il motivo di parlare delle arianti. «Vi ha mandato fin là?» «Attraverso la Tavola. Durante il Duarcato, questa fungeva da mezzo di trasporto. Laggiù c'era un'altra Tavola.» «C'era?» «Quando sono venuto via, in tutta fretta, vi è crollato sopra un intero palazzo.» «Mi state dicendo che quella Tavola non potrà più essere utilizzata?» «No. E in ogni caso non vorreste farlo, visto il prezzo da pagare.» Alucius chiese subito: «Waleryn è vostro fratello?». «Perché?» domandò il Signore-Protettore. «Era in compagnia dell'Archivista. L'ho lasciato che era privo di sensi in una dette sue stanze.» «Vi siete solo limitato a lasciarlo, o che altro?» «Dunque, eravate già al corrente. Quando riprenderà conoscenza, starà benissimo.» Alucius guardò calmo il Signore-Protettore, che fece un passo indietro. Dopo una lunga pausa, Alucius continuò: «Avevate ragione a chiedermi di risolvere il vostro problema con l'Archivista degli Atti. Prima o poi vi avrebbe ucciso o avrebbe fatto sì che uno della sua specie si impadronisse del vostro spirito. Oppure avrebbe fatto in modo che veniste ucciso in qualche spiacevole incidente e che vostro fratello prendesse il vostro posto. Ovviamente, a quel punto, qualcuno si sarebbe già impossessato di vostro fratello». «Tutto questo... dovete essere impazzito.» «No.» Alucius proiettò assoluta certezza. Fredda e brutale certezza. «A differenza di molti altri, io non voglio niente da voi, tranne ciò che mi avete già promesso. Siete Libero di credermi o no. C'è una... un'entità... che si
serve delle Tavole per prendere possesso delle persone che le consultano. Ecco perché le Tavole non avrebbero potuto essere una... forma affidabile di trasporto. La Matilde era una di quelle persone.» «Come può essere? Non aveva una Tavola.» «Possedeva un cristallo viola che svolgeva più o meno le stesse funzioni. Era così che controllava i collari.» «Come fate a saperlo... se posso chiedervelo?» «Sì, potete chiedermelo.» Alucius sorrise. «Ma è meglio che non risponda, se non per dirvi che lo so, ma che non l'ho uccisa io.» In effetti, non era stato lui. Aveva distrutto il cristallo, che a sua volta l'aveva uccisa. «Come sta vostra moglie?» Il Signore-Protettore fissò uno sguardo penetrante su Alucius. «Cosa sapete di lei?» «Prima di... partire, il maggiore che vi faceva da segretario è stato così gentile da informarmi sul suo stato di salute.» «Cosa...?» «Ora che l'Archivista è morto - e che vostro fratello non è più in combutta con lui - potreste scoprire che vostra moglie si riprenderà presto.» «State dicendo che l'Archivista - e mio fratello - avevano a che fare con la sua malattia?» «Era nell'interesse di entrambi che non aveste un erede», gli fece notare Alucius. «In tal modo, l'Archivista avrebbe potuto coltivarsi Waleryn...» Le spalle del Signore-Protettore si incurvarono. «Avrei dovuto accorgermene... sapevo... sapevo che Waleryn stava tramando qualcosa.» «Potrete chiederglielo, quando ritornerà in sé. Si sveglierà presto, se già non lo ha fatto.» «Cosa ne avete fatto della Tavola? Avrebbe potuto essere uno strumento utile.» «La Tavola ha smesso di funzionare alla morte dell'Archivista», replicò Alucius. In un certo senso, era vero. «Lui - o l'essere che lo possedeva l'avevano modificata.» Anche quello era vero. «Anche se la Tavola avesse funzionato, non avrebbe potuto trasportare attraverso i suoi condotti più di un pugno di persone, che sarebbero diventate come l'Archivista: immortali e malvagie.» Alucius stava un po' esagerando, sebbene la Matride avesse posseduto sicuramente quelle caratteristiche. «Trovo difficile credere a questa storia dell'entità che si impossessa dello spirito della gente.» «Non siete obbligato a credermi.» Alucius si strinse nelle spalle. «Potete
credere quello che preferite, Signore. Se vi piace di più credere che l'Archivista stesse complottando per prendere il vostro posto, ebbene, fatelo. Potrete anche tirare in ballo vostro fratello, oppure no. A voi la scelta.» Il Signore-Protettore annuì, chiaramente riluttante e non del tutto compiaciuto. «E voi?» «Come ho detto prima... tutto ciò che desidero è potermene tornare a casa, secondo le modalità che mi avevate proposto.» «E farete...?» «Farò quello che ho promesso. Le Valli del Ferro non possono più restare isolate, ma i pastori sì.» «Siete un ufficiale alquanto insolito, capitano maggiore.» «Forse perché non ho mai cercato di esserlo.» Il Signore-Protettore prese il campanello dalla scrivania. «Potremmo parlare ancora a lungo, ma credo che nessuno di noi due avrebbe molto da aggiungere.» «Nemmeno io lo credo.» L'altro suonò il campanello. Il maggiore Suntyl comparve all'istante, quasi fosse rimasto in attesa appena fuori dalla porta, come del resto aveva fatto, stando alle percezioni di Alucius. «Maggiore... il capitano maggiore Alucius è tornato un po' in anticipo rispetto al previsto dalla missione che gli avevo assegnato. Per favore, fate sellare il suo cavallo e chiamate una scorta per riaccompagnarlo al quartier generale delle Guardie del Sud...» Mentre il Signore-Protettore dava istruzioni, Alucius si chiese di nuovo se fosse stato prudente lasciare in vita Waleryn. Ma, d'altra parte, Alucius e la sua famiglia avrebbero dovuto vivere nelle Valli del Ferro, che adesso erano governate da Lanachrona, e benché il Signore-Protettore gli avesse chiesto di prendere provvedimenti riguardo all'Archivista, non avrebbe avuto piacere di scoprire che il fratello era morto, a meno che egli non sapesse molto più di quanto gli aveva fatto credere. Dopo che il maggiore fu uscito, il Signore-Protettore si rivolse ad Alucius: «Il maggiore Suntyl tornerà non appena il vostro cavallo e la scorta saranno pronti». «Grazie.» Alucius si inchinò lievemente. «Sono certo che entrambi saremo contenti di questo vostro ritorno alle Valli del Ferro.» Il Signore-Protettore fece una risata sommessa. «Non mi ero reso conto degli svantaggi che un ufficiale così devoto e capace potes-
se comportare.» «Come quelle armi che non sbagliano mai un colpo?» «Qualcosa del genere», ammise il Signore-Protettore. «Non sono così infallibile, Signore, né voglio essere considerato tale.» «Potrei avere qualche difficoltà a cambiare il mio punto di vista», replicò il Signore-Protettore, «ma terrò fede più che volentieri alle mie promesse». Alucius sentì nell'altro il desiderio sincero e la speranza che non intervenissero circostanze tali da costringerlo a modificare le sue intenzioni. 115 Tempre, Lanachrona Il Signore-Protettore attraversò rapido il vestibolo dei suoi appartamenti privati, dirigendosi verso il salotto. Alerya non si trovava allo scrittoio, bensì in piedi davanti alla finestra aperta che dava sul terrazzo. Si voltò, il viso illuminato da un ampio sorriso. «Mia cara... stai...?» «Sto bene. Più che bene.» Fece una pausa, poi proseguì adagio, con aria pensierosa. «Talryn... oggi è successa una cosa molto strana.» «Non strana quanto quella che è successa a me, scommetto. Hai sentito tremare il palazzo?» «Sì, sembrava che il terreno tutt'attorno vibrasse.» «La Tavola è esplosa, e il capitano maggiore è tornato. Ha detto di essere stato a Prosp.» Talryn si fece serio. «Non stava mentendo. Eppure nessun cavallo sarebbe stato in grado di portarlo fin là e poi indietro nel giro di poco più di un mese. Ha detto che Enyll si era servito della Tavola per mandarlo fino a Prosp. Poi, quando è tornato, ha lottato con Enyll e lo ha ucciso. Ha detto che una creatura malvagia si era impossessata di lui. Non ha voluto raccontarmi i dettagli, nonostante le mie insistenze, ma, poiché mi è sembrato riluttante, alla fine ho lasciato perdere.» «Lo sapevo che c'era qualcosa che non andava in Enyll! Te l'avevo detto.» «Sono contento di vedere che tu e il capitano maggiore vi trovate d'accordo», commentò secco Talryn. «Sarà difficile spiegare l'accaduto.» «Per niente. Enyll ha cercato, poco saggiamente, di spostare la Tavola. Questa è esplosa. E lui è morto. Mi dicevi spesso che altre Tavole erano
già esplose, quando venivano spostate. Chi le conosce sa che può succedere, e gli altri non hanno bisogno di saperlo.» Talryn annuì, poi osservò la moglie con attenzione. «Non ti avevo vista così piena di energia da quando...» «Non mi hai mai vista così, mio caro. Mai. Ecco perché è stato tutto così strano. Questo pomeriggio... ero seduta allo scrittoio... stavo cercando di scrivere due righe a mia madre. È ancora nella sua casa estiva di Lesyna, se ben ricordi.» «Certo, vai avanti.» «All'improvviso, mi sono sentita debolissima e sono svenuta, proprio là, allo scrittoio.» «E questo ti ha fatto stare meglio?» «Sì, mio caro. Quando ho ripreso i sensi, circa due clessidre più tardi, mi sentivo come adesso. Come se non fossi mai stata ammalata.» Alerya sorrise. «Lo so... so... che... tu... noi...» «Aspettiamo, e si vedrà», dichiarò Talryn con cautela. «Aspetterò, ma sarai tu a vedere.» Alerya gli gettò le braccia al collo con impeto. «Sarai tu a vedere.» «Come...?» mormorò il Signore-Protettore, parlando più tra sé che non con la moglie. «Ha importanza, mio caro?» Un lento sorriso comparve sulle labbra di Talryn. «No... per una volta... non ne ha. Sicuramente non ne ha.» Le sue braccia si strinsero attorno a lei con fare protettivo. «Adesso non dovrai trattarmi come se fossi fragile porcellana.» «Ancora per un po'.» «Solo per un po'.» Entrambi sorrisero, ma lo sguardo del Signore-Protettore si rivolse a est, al quartier generale delle Guardie del Sud. 116 Alucius non fu sorpreso di vedere che il suo ordine di congedo era arrivato presto la mattina successiva, che scoprì essere sexdi. Fu invece quasi più sorpreso di trovare Faisyn e la terza squadra ancora a Tempre. Avrebbe voluto scrivere a Wendra, ma era più probabile che sarebbe arrivato prima lui della lettera... anche se, per ogni evenienza, buttò giù qualche riga su un foglio dandole sue notizie.
Benché avesse apprezzato enormemente il lusso di poter fare un bagno caldo, di rasarsi e di indossare un'uniforme pulita, era già impaziente di lasciare Tempre quando finalmente, a metà mattina, la terza squadra si schierò in formazione nel cortile sul retro del quartier generale delle Guardie del Sud. «Terza squadra, presente e pronta, signore!» riferì brusco Faisyn, facendo seguire le parole da un largo sorriso. «Dirigiamoci verso casa, Faisyn.» «Sì, signore! Terza squadra, avanti!» Nessuna scorta ufficiale li precedette, quando girarono attorno all'ala est del quartier generale e uscirono dai cancelli, diretti a sud, lungo il Viale della Guardia. L'aria era così calda che ad Alucius riuscì difficile credere che la stagione del raccolto fosse quasi al termine e che mancassero solo poche settimane all'autunno. Il piccolo contingente superò l'estremità orientale dei giardini pubblici del Signore-Protettore, mentre Alucius si girava sulla sella a guardare il palazzo e le colline circostanti, sulle quali non c'erano né case, né steccati o mura, né qualunque altra cosa. Quelle che sembravano essere due dorsali distinte si univano proprio dietro al palazzo. D'un tratto, scoppiò a ridere, vedendo per la prima volta, sia con gli occhi sia con il Talento, i fili vitali del mondo che scorrevano in quel punto. Ovvio che gli antichi ifrit avessero costruito le Tavole in corrispondenza dell'intersezione di tali fili con la superficie terrestre. Chissà se lui o altri, col tempo, sarebbero mai riusciti a progettare Tavole da utilizzare per il trasporto? Si trattava di un'idea sciocca, perché avrebbe reso Corus vulnerabile nei confronti di altre invasioni da parte degli ifrit. Magari... in futuro? O la minaccia e il pericolo di tale eventualità sarebbero sempre stati troppo grandi? Alucius non poteva certo dire di conoscere la risposta. «Signore?» disse Faisyn, interrompendo le sue meditazioni. «È difficile spiegare...» Alucius scosse il capo. «Potete dirci, signore», chiese Faisyn, «che tipo di missione vi era stata affidata dal Signore-Protettore? Nessuno ha saputo spiegare. Ci hanno detto solo che vi era stato affidato un incarico». «Vorrei poterlo fare, Faisyn», replicò Alucius. «Ma non sarebbe bene per nessuno di noi due. Diciamo solo che si trattava di una missione pericolosa, che sono stato ferito e fatto prigioniero, ma sono stato tanto fortunato da riuscire a scappare e a portarla a termine, e che non vorrei mai più
vivere un'esperienza del genere.» Il che era sicuramente vero. «Andremo in licenza, quando torneremo?» «Il colonnello Weslyn me lo aveva assicurato», replicò Alucius. «Per quanto mi riguarda, a Tempre eravate tutti in servizio.» «Sì, signore. Grazie, signore.» Mentre proseguivano lungo il Viale della Guardia e passavano davanti al palazzo della polvere, Alucius gettò uno sguardo all'imponente struttura, ma non vide nessuno, tranne un guardiano in livrea verde e le mura rivestite di marmo verdognolo che brillavano alla luce del mattino. Quando si era trovato davanti per la prima volta la marmorea dimora di Drimeer, Alucius aveva avuto difficoltà a credere che i recinti per l'allevamento dei gatti della polvere potessero generare un tale lusso corrotto fuori dai confini di Punta del Ferro. Riflettendoci bene, però, la cosa non era inverosimile, soprattutto in base a ciò che aveva scoperto sul Duarcato negli ultimi mesi. Si sistemò meglio sulla sella, lieto di lasciarsi Tempre alle spalle, e di tornare a casa. 117 Il viaggio da Tempre a Dekhron, per quanto fortunatamente privo di eventi, fu lungo e ancora contrassegnato dal caldo, benché la stagione del raccolto fosse quasi giunta al termine. Gli ufficiali delle Guardie del Sud che incontrarono durante le soste furono tutti gentili, anche se non sembravano più provare curiosità sul loro conto, come se la sorpresa destata dalla convocazione di un ufficiale delle Guardie del Nord a Tempre fosse oramai stata superata e assorbita. Alucius e la terza squadra raggiunsero Salaan a metà pomeriggio del secondo giorno d'autunno. Una pioggerella sottile aveva cominciato a cadere dalle nuvole basse, mentre il drappello attraversava il fiume Vedra passando sul ponte che collegava Salaan a Dekhron. Un unico carro, trainato da un pony guidato da una donna dai capelli grigi, si stava dirigendo a sud. La donna non degnò di uno sguardo i cavalieri. Nonostante la presenza di nuvole e di una modesta precipitazione, il livello del fiume continuava a restare basso e ostentava le stesse sponde di fango rinsecchito e disseminato di crepe che Alucius ricordava di avere visto già all'andata. Sotto il ponte, gli attracchi per le chiatte erano deserti, i magazzini chiusi. Nonostante l'umidità, l'aria di Dekhron continuava a sapere di polvere. Benché molte botteghe sulla via principale fossero aperte, si vedevano in
giro poche persone: appena qualche passante per strada o sotto i portici. Alucius e Faisyn svoltarono verso ovest poco prima di raggiungere la piazza principale - anch'essa praticamente deserta, da quel che si poteva vedere - con la terza squadra al seguito. Mentre si approssimavano al quartier generale, la nebbia si infittì, anche se la pioggia era diminuita. I due soldati di guardia si limitarono a fare un cenno del capo nello scorgere i gradi di Alucius, ma prima che questi e la terza squadra raggiungessero le scuderie, il colonnello Weslyn fece la sua comparsa, accompagnato dal maggiore Imealt. «Bentornato, capitano maggiore!» La voce di Weslyn suonava calorosa e cordiale. Alucius avvertiva preoccupazione e paura dietro quella facciata. «È bello essere di nuovo qui, colonnello. Prima che mi dimentichi, ho dei messaggi per voi da parte del Signore-Protettore. Dopo che ci saremo sistemati, ve li porterò.» Alucius non aveva alcuna intenzione di darglieli senza presenziare alla loro lettura da parte del destinatario. «Molto bene. Abbiamo parecchie cose da discutere, capitano maggiore. A tra poco.» Con un altro sorriso e un cenno del capo, il colonnello si allontanò. Il maggiore Imealt lo seguì. Alucius si assicurò che tutti i cavalli fossero nelle stalle e i soldati adeguatamente sistemati nelle baracche, prima di portare i suoi effetti personali negli alloggi riservati agli ufficiali anziani, guidato nuovamente da Dezyn, lo stesso capitano dai capelli biondi che lo aveva assistito al suo arrivo, la precedente stagione. Alucius si concesse appena il tempo necessario a rinfrescarsi e a ripulire la divisa dalla polvere del viaggio, prima di recarsi all'incontro con il colonnello. Weslyn lo stava aspettando seduto dietro la sua scrivania e si limitò a fargli cenno di entrare, restando in silenzio finché non ebbe chiuso la porta. Alucius non attese di essere invitato a sedersi e, dopo avere porto al colonnello i due dispacci sigillati, prese posto sulla sedia di fronte a lui. Weslyn posò le buste davanti a sé, ma non accennò ad aprirle. «Gli ultimi messaggi che abbiamo ricevuto», cominciò col dire in tono discorsivo, «dicevano che avevate ricevuto un'onorificenza e che il Signore-Protettore vi aveva chiesto di rimanere a palazzo come suo assistente per alcune settimane». «È vero. Desiderava conoscere maggiori dettagli sulle Guardie del Nord e sui mattiti. Nel corso di questi ultimi anni, i lanachroniani non hanno
avuto molte opportunità di ricevere informazioni su Hieron», dichiarò Alucius. «E l'onorificenza?» «Oh... Alucius estrasse la medaglia dal borsello che portava alla cintura. «La Stella dell' Onore. Il Signore-Protettore mi ha detto che non veniva concessa da almeno una generazione.» «E ve l'ha conferita personalmente?» «Sì, nella sala delle udienze, signore. I dispacci invece me li ha mandati più tardi tramite i messaggeri.» Alucius indicò le due buste sigillate. «Sono per voi.» «Lo dite come se dovessi aprirle in vostra presenza.» «Sarebbe preferibile», suggerì Alucius. Weslyn si accigliò. «Conoscete il contenuto?» «Non ho aperto le buste, signore. Ma mi è stata data copia di un messaggio, di quello che ordina il mio immediato congedo al mio arrivo a Dekhron.» Weslyn non disse nulla, mentre prendeva la prima busta, spezzava il sigillo e leggeva il foglio singolo con impresso sul fondo il sigillo in rilievo. Infine sollevò lo sguardo. «Il Signore-Protettore deve nutrire molta considerazione per voi, capitano maggiore. Ordina che veniate congedato subito e che vi venga concessa la paga intera fino alla fine dell'anno.» Sorrise con una punta di tristezza. «E non potrete essere richiamato in servizio senza un espresso consenso scritto del Signore-Protettore.» Quell'ultimo particolare colse Alucius di sorpresa. Weslyn aprì la seconda busta e lesse il messaggio, prima di riprendere a parlare. «Si ordina alle Guardie del Nord di non procedere all'arruolamento di altri pastori, anche qui, senza il consenso del Signore-Protettore. Sapreste spiegarmene la ragione?» «No, signore. Non ho mai avuto occasione di parlare di questo al Signore-Protettore. Mi aveva invitato solo a raccontargli cosa facevano i pastori e come si svolgeva la loro vita.» «Dovete essere stato molto convincente.» «Non gli ho chiesto altro che di poter essere congedato, non appena fosse scaduto il periodo di ferma.» «Potete dirmi quali mansioni avete svolto per il Signore-Protettore?» «Mi ha pregato di non parlarne, signore, ma posso dire che non avevano nulla a che fare con le Guardie del Nord, le Valli del Ferro o voi direttamente.»
«Direttamente?» Weslyn inarcò le sottili sopracciglia biondo-grigie. «Tutto ciò che il Signore-Protettore fa in un modo o nell'altro ci riguarda indirettamente.» «Questo è vero. Proprio vero.» Weslyn si produsse in una risatina forzata. «Signore?» «Sì?» «Avete ricevuto notizie della Quinta Compagnia e del capitano Feran?» Weslyn annuì. «La Quinta Compagnia è stata dislocata all'avamposto di Chiusa dell'Anima. In primavera, se necessario, e se il Signore-Protettore lo riterrà opportuno, potrebbero unirsi alle altre forze nell'attacco di Arwyn.» «Grazie.» «Il capitano Feran e le Guardie del Nord sentiranno la vostra mancanza, capitano maggiore. Tra altri cinque anni avreste potuto diventare maggiore e, con l'appoggio del Signore-Protettore, magari anche comandante, uno di questi giorni.» Alucius sorrise. «Anche a me mancheranno, colonnello, ma sono senz'altro più bravo come pastore che come ufficiale, ed è tempo che io torni a esserlo. Siete molto meglio voi come comandante di quanto potrò mai diventarlo io.» «Molti metterebbero in dubbio ciò che avete appena detto, capitano maggiore; ma il Signore-Protettore ha reso nota la sua volontà, e noi ubbidiremo. Potrete partire domani mattina, se lo desiderate.» Weslyn si alzò. «Lo desidero e ve ne sarei grato, colonnello.» Alucius si alzò e fece un inchino. Sentiva che il comandante delle Guardie del Nord era in preda a sentimenti contrastanti di timore e sollievo. Mentre tornava verso i suoi temporanei alloggi non poté fare a meno di sentirsi stupito per la condiscendenza del colonnello. Chissà se Weslyn aveva temuto che Alucius potesse portargli via il posto di comandante? Era forse quello il motivo per cui aveva accennato al fatto che Alucius avrebbe potuto diventare comandante? O si trattava solo di una battuta? Weslyn era così bravo a mascherare i propri sentimenti che Alucius non poteva esserne certo. Di una cosa però era certo: era pronto a lasciare le Guardie del Nord per tornarsene a casa. Più che pronto. 118 Dekhron, Valli del Ferro
Il mercante dal viso paffuto e dalla tunica grigia dal taglio severo avanzava nella nebbia sottile in direzione del grande edificio situato in una stradina laterale. Quando entrò nel portico, finalmente al riparo dalla pioggerella notturna, la porta d'ingresso si aprì. Un individuo più alto, i cui lineamenti spiccavano nel volto pallido e spigoloso persino alla fioca luce che filtrava dal corridoio alle sue spalle, si fece da parte per far entrare l'uomo più giovane, poi chiuse la porta. «Erhelya è andata da Halyne, e i domestici sono stati molto contenti di avere la serata libera.» Si girò e si avviò, attraverso il salotto sul davanti della casa, verso l'attiguo studio, illuminato da una singola lampada a olio posata su un angolo della scrivania. Una volta lì, si sedette e attese che l'altro prendesse posto su una poltroncina di legno di fronte a lui. «Ho dovuto spostare i miei impegni per venire qui stasera, Tarolt», si lagnò l'uomo più giovane. «Capisco», rispose l'altro annuendo. «Era necessario. Sai cos'è accaduto? È probabile che colui che ha a che fare con tutto ciò arrivi ben presto da queste parti. Ma c'è poco tempo. Ho ricevuto un messaggio poco fa.» Tamburellò con le dita sulla lucida superficie della scrivania. «Ci serve denaro, stanotte.» «Per fare che, Halanat?» «Il capitano maggiore. Prima che raggiunga le montagne dell'Altopiano di Aerlal.» «Ma avevi detto...» «Le cose sono cambiate. E parecchio. Abbiamo dovuto preparare un piano in tutta fretta, perché a volte il colonnello si comporta da imbecille e agisce con eccessiva cautela. Nessuno di quelli che hanno contatti con il capitano maggiore, seppure da lontano, sospetterà qualcosa. Inoltre, gli uomini impiegati per... questa azione diretta... dovranno saper usare bene il fucile. Questo è il motivo per cui ci servirà più denaro del solito.» «E?» «Quell'ufficiale è chiaramente un pastore. Dovranno usare fucili lanachroniani. Hanno una portata di tiro maggiore. Di gran lunga maggiore e, in effetti, capace di rendere vani gli eventuali e vari accorgimenti a cui potrebbe ricorrere un pastore.» Tarolt fece un sorriso crudele. «La seta nerina ha i suoi limiti, sai.» «L'ultima volta... li ha fatti fuori tutti e quattro. Quanti uomini sei riuscito a mettere insieme in un solo pomeriggio?»
«Quel che basta. Magari questa volta avranno successo, magari no. Nell'uno o nell'altro caso, qualche risultato ci sarà. Al limite, servirà a ricordare al colonnello da che parte stare. Ed è possibile che, in caso di esito negativo, aiuti a rafforzare ancora di più la decisione del capitano maggiore di restarsene con le sue greggi. Se ci resterà abbastanza a lungo, ci si dimenticherà di lui. Sarebbe comunque meglio non affidarsi al fato. Mi servono quattrocento monete d'oro entro una clessidra. Qui.» «Quattro... cento?» balbettò Halanat. «Quattrocento?» «Per lui e per tutto quello che c'è in ballo, è un prezzo modesto da pagare. Se riesce a raggiungere le terre dei quarasote, nemmeno venti sicari e quattrocento monete d'oro basteranno.» Tarolt si alzò. «Sarà meglio che ti sbrighi.» Lentamente, come se fosse stordito, anche Halanat si alzò. 119 Il giorno di tridi, Alucius era già in piedi di buonora, ma poi, dopo aver salutato gli uomini della terza squadra, dovette aspettare l'arrivo degli impiegati per essere certo che Faisyn e i suoi soldati ottenessero la loro licenza e ricevessero la paga. Dovette anche attendere il suo foglio di congedo e il denaro che gli era stato promesso. Ad Alucius sarebbe piaciuto poter salutare il resto della Ventunesima Compagnia, ma, come aveva immaginato, quelli che avevano scelto di prolungare il loro periodo di ferma erano già stati trasferiti alla Quinta Compagnia a Chiusa dell'Anima, sotto il comando di Feran, dove li avrebbero raggiunti anche quei soldati della terza squadra che avessero deciso di restare in servizio al termine della licenza. Tutti gli altri erano stati congedati in anticipo, senza dubbio per far risparmiare quattrini alle casse dell'erario, così come sarebbero stati congedati in anticipo anche coloro che, nella terza squadra, avrebbero dovuto concludere il periodo di ferma il mese successivo. Perciò, Alucius sellò Selvaggio e caricò le sue bisacce, poi aspettò gli impiegati, che erano in ritardo, più in ritardo del solito, e che al loro arrivo si scusarono profusamente. Due di essi erano particolarmente nervosi, anche se Alucius non riuscì a capirne il motivo, neppure ricorrendo al proprio Talento. Inoltre, quella mattina, il colonnello Weslyn non si era fatto vedere per niente, tanto che Alucius dovette pregare il maggiore Imealt di porgergli i suoi saluti. Tuttavia, prima che la terza clessidra finisse, lui e
Selvaggio furono in grado di lasciare il quartier generale delle Guardie del Nord. Ancora una volta, le abitazioni della zona settentrionale di Dekhron gli parvero cadenti, soprattutto se paragonate a quelle di Tempre o alle case che ricordava di avere ammirato nelle terre di Madrien. Le imposte mancavano di vernice o erano scrostate, o cadevano a pezzi. La maggior parte dei fabbricati era stata costruita utilizzando materiale di recupero da abitazioni ancora più vetuste, così che pietre di diverse dimensioni e colori risultavano spesso mescolate tra di loro. Anche le strade riflettevano la stessa mancanza di cure. All'infuori della strada principale, ratte quelle secondarie erano ingombre di sporcizia e di terra ancora bagnata per la pioggia della sera precedente. Tutto questo non rappresentava una novità per Alucius, anche se, ogni volta che tornava a casa dopo un'assenza prolungata, vedeva le Valli del Ferro con gli occhi di uno straniero. Mentre attraversava quel settore della città, lasciandosi definitivamente alle spalle il quartier generale delle Guardie del Nord. Alucius superò un carro di prodotti agricoli, che procedeva anch'esso nella sua direzione, probabilmente verso Punta del Ferro. Subito dopo vide le ultime abitazioni che, virtualmente, avrebbero dovuto far parte di Dekhron, anche se in realtà si trattava di capanne e appezzamenti di terreno isolati o di piccole fattorie disposte lungo la strada principale, oltre le quali si trovavano una zona paludosa, che copriva un tratto a nord della strada che portava a Sudon, e alcuni affioramenti rocciosi, dove praticamente non cresceva alcuna vegetazione. Per il momento, Alucius non scorse nessuno davanti a sé. Si stiracchiò un poco, alzandosi sulle staffe, quindi si risistemò in sella. Era un po' contrariato per il fatto di non essere potuto partire prima, dato che sarebbe arrivato alla fattoria solo a tarda sera, se non a notte inoltrata. Se Selvaggio si fosse stancato, avrebbe sempre potuto fermarsi a Punta del Ferro, sebbene non gli andasse l'idea di prolungare il viaggio che l'avrebbe portato a casa, e da Wendra. Le nuvole si erano un po' diradate, ma il cielo rimaneva grigio e il vento, che non era più caldo, portava con sé un chiaro sentore d'autunno. Per la prima volta da mesi, Alucius non si scoprì a sudare sotto gli indumenti di seta nerina, e si rese anche conto che, dopo tempo immemorabile, non si stava recando in battaglia o in territori sconosciuti. Sorrise debolmente all'ironia di quella constatazione.
Poiché il cammino era sgombro, all'inizio del pomeriggio Alucius aveva quasi raggiunto l'incrocio nel quale confluiva la strada secondaria che portava a ovest, a Sudon, dov'era ubicato l'avamposto destinato all'addestramento reclute delle Guardie del Nord. Nel frattempo, si rese anche conto che qualcosa lo infastidiva. Si era guardato alle spalle innumerevoli volte, ma, per quanto era stato in grado di vedere - cioè, almeno fino a una distanza di tre vingti - la strada era deserta. Poco più avanti, il terreno saliva gradualmente nel passare attraverso le basse colline che si stendevano per oltre tre vingti, fino a circa un vingt prima dell'incrocio. Anche sulla strada davanti a lui, per un buon vingt, non c'era nessuno. Alucius fece fermare il cavallo e rimase in ascolto. All'infuori di alcuni uccelli che lanciavano striduli richiami dai margini di un viottolo diretto a est, non udì altro. E neppure gli riuscì di percepire, attraverso il Talento, alcuna presenza di uomini o di altri animali nelle immediate vicinanze. Gli sembrò invece di avvertire qualcuno molto più avanti, ma probabilmente si trattava di qualche squadra o compagnia proveniente dall'avamposto di Sudon - o là diretta - forse occupata in manovre o esercizi di addestramento. Dopo un po' fece avanzare di nuovo Selvaggio, tenendo però d'occhio la strada e i dintorni. Proseguì per un altro vingt verso nord fino a raggiungere una lieve inclinazione, che costituiva l'unica vera pendenza sulla strada principale tra Dekhron e Chiusa dell'Anima. Le nuvole erano di nuovo basse, ma non minacciavano pioggia. La sensazione di una presenza umana si fece più forte, anche se non sembrava troppo vicina. A oltre un vingt di distanza, più avanti, sulle basse colline che fiancheggiavano la strada, c'erano due gruppi, uno su ogni lato della carreggiata. Da ciò che Alucius riuscì a capire, i fili vitali di questi sconosciuti erano quelli di un uomo normale, e non i doppi fili violacei delle creature possedute dagli ifrit, né quelli verdi screziati di nero dei pastori. Controllò i fucili che portava assicurati alla sella, accertandosi che fossero carichi, poi aprì una bottiglia d'acqua e ne bevve una lunga sorsata. Anziché spronare Selvaggio, si fermò, smontò e usò una delle bottiglie per abbeverare il cavallo, prima di farlo proseguire a passo leggermente più ridotto. La strada davanti a lui continuava a essere sgombra. Dopo aver percorso un altro mezzo vingt, Alucius fu certo. C'erano due gruppi di uomini sulle colline poco più avanti, ciascuno arretrato di parec-
chie centinaia di iarde rispetto alla carreggiata, uno a est e l'altro a ovest. Fece un respiro profondo, mentre cercava di decidere il da farsi. Non era certo che quegli uomini stessero aspettando proprio lui. Tuttavia, non riusciva a immaginare altro motivo del loro appostamento, se non quello di attaccare i viaggiatori. Si chiese se per caso fosse diventato così ansioso e pieno di sé da arrivare a pensare che dei normali briganti stessero dando la caccia proprio a lui, ammesso che stessero dando la caccia a qualcuno. Scosse il capo. Non desiderava altro che tornare a casa, e qualunque cosa fossero quegli sconosciuti, continuare lungo la strada principale sarebbe stato pericoloso. Con un sospiro, diresse Selvaggio verso ovest, perché là i rilievi erano un po' più accentuati e anche perché i due gruppi in attesa avrebbero avuto difficoltà a vederlo mentre si avvicinava. Non appena i Talento-sensi gli indicarono che solo un basso rilievo si frapponeva fra lui e il gruppo appostato sul lato occidentale della strada, Alucius condusse Selvaggio su per il fianco della collina, tutto rocce e rosso terreno sabbioso disseminato qua e là di pini e ginepri, finché non raggiunse una macchia di ginepri, a meno di trenta iarde dalla cima. Una volta lì, smontò e legò Selvaggio al cespuglio di mezzo, dove sarebbe stato ben nascosto, a meno che qualcuno non si fosse spinto troppo vicino. Portandosi dietro entrambi i fucili e una cartuccera che aveva tenuto con sé dopo aver lasciato Dekhron, Alucius risalì la collina fino alla sommità, fermandosi in un punto fitto di pini, tanto che riusciva a sentire gli uomini appostati più sotto solo attraverso il Talento senza riuscire a vederli. Passo dopo passo, scivolò giù per l'altro versante puntando verso nord, finché, protetto dai bassi e larghi rami di un pino, non ebbe una chiara visuale del suo obiettivo. Gli uomini del gruppetto più a ovest non erano soldati, bensì banditi con indosso abiti grigi. Alucius rimase a osservarli per un po', mentre meditava sul da farsi. Ne contò dieci, tutti in attesa, alcuni seduti e altri già sdraiati pancia a terra in posizione di tiro, ma lontani più di duecento iarde dalla strada. La distanza da sola convinse Alucius che quei sicari erano stati mandati là per ucciderlo. Benché tentasse di mantenersi calmo, sentì montare dentro di sé una rabbia sorda. Non aveva mai voluto consapevolmente procurare del male a nessuno. Aveva fatto del suo meglio per svolgere i compiti che gli erano stati assegnati e proteggere la sua terra e la sua famiglia; eppure qualcuno continuava a cercare di ucciderlo, e lui non sapeva ancora né di chi si trat-
tasse né perché, sebbene nutrisse il sospetto che il colonnello Weslyn non fosse proprio innocente al riguardo, e che alcuni mercanti, ex membri del dissolto Consiglio, potessero esservi coinvolti. Ma si trattava solo di sospetti. Per un po' si limitò a osservare gli uomini che, a loro volta, tenevano d'occhio la strada. Avrebbe potuto aggirarli e non se ne sarebbero mai accorti. E poi non era sicuro - non del tutto, almeno - che fossero appostati là per uccidere lui. Anche se, dalle armi che portavano e dalla posizione che sembravano aver scelto con cura, in modo da avere una chiara linea di tiro sulla strada, non c'erano dubbi che intendessero attentare alla vita di qualcuno. Dai loro abiti e da ciò che percepiva tramite i Talento-sensi era chiaro che non erano soldati, ma sicari. Infine, Alucius cominciò a scendere, il più silenziosamente possibile, finché non si trovò a meno di un centinaio di iarde, un poco più in alto rispetto al punto in cui erano i banditi. Li studiò di nuovo, notando che quello verso il fondo pareva il capo. Poi puntò il fucile. Bang! Il capo crollò a terra. Alucius continuò a fare fuoco, con determinazione, finché non ebbe svuotato il caricatore del primo fucile. Poi agguantò il secondo e riprese a sparare. Quando anche il secondo fucile fu scarico, erano rimasti vivi solo tre banditi, intenti a sgattaiolare via in cerca di un riparo. Alucius ricaricò entrambi i fucili, poi proiettò i Talento-sensi tutt'intorno. Uno dei banditi si era diretto a nord e stava correndo verso il suo cavallo. Gli altri due avrebbero dovuto attraversare un tratto di terreno scoperto per raggiungere le proprie cavalcature. Incurante del bandito che ormai stava fuggendo a cavallo e contro il quale non avrebbe potuto fare niente, poiché era già fuori tiro e oltre la portata del suo Talento, Alucius aspettò un po', e poi un altro po'. Sentiva che il fuggitivo era diretto a est verso l'altro gruppo, il che significava che non avrebbe potuto stare lì tranquillo ancora per molto. Mentre si stava chiedendo se ritirarsi subito, uno degli altri due banditi tentò di raggiungere il proprio cavallo. Alucius lo abbatté con un paio di colpi. L'altro cominciò ad aggirarlo verso est. Alucius si riportò immediatamente sulla cima della collina e scese dall'altra parte, dirigendosi verso la
macchia di ginepri dove aveva lasciato Selvaggio. Una volta là, ricaricò entrambi i fucili e scrutò l'area circostante con il Talento. Qualcuno nel gruppo dei banditi doveva essere sicuramente abile nello scoprire le tracce, poiché Alucius si accorse che stavano facendo lo stesso cammino percorso da lui in precedenza, il che di certo voleva dire che stavano seguendo le sue orme. Si guardò intorno, ma i cespugli dietro ai quali si trovava fornivano senz'altro il nascondiglio migliore. Selvaggio lo aveva già portato in groppa per oltre una ventina di vingti e Alucius dubitava che, sebbene fosse un cavallo robusto, sarebbe stato in grado di tenere testa a più di dieci uomini con cavalli freschi. Alucius si abbassò dietro ai ginepri, piazzandosi nel punto che gli forniva una migliore visuale verso il basso, e si dispose ad aspettare. Un poco più a nord, Selvaggio se ne stava tranquillo, legato al suo cespuglio. Il buonsenso gli avrebbe suggerito di evitare semplicemente i banditi e di andarsene, ma l'intuito gli fece capire che il cosiddetto buonsenso non avrebbe funzionato. Ai tempi in cui era ancora una recluta, era stato sempre il buonsenso a consigliargli di evitare Dolesy. Ma neppure allora aveva funzionato, tanto che, alla fine, era stato costretto ad affrontarlo. Il suo intuito gli diceva che era meglio lottare quando si aveva una piccola probabilità di farcela, piuttosto che farsi cogliere alla sprovvista. Di lì a poco, dopo meno di un decimo di clessidra, Alucius sentì provenire dal basso il suono prodotto da zoccoli di cavalli - e di voci - seppure attenuato. «... perché stiamo facendo questo... ucciso otto...» «... dieci monete d'oro per ciascuno... ecco perché... e anche perché, se non lo prendiamo... chi ci assumerà ancora?» Dieci monete d'oro per ogni uomo? Era più di quanto guadagnasse un soldato in due anni. Alucius deglutì a vuoto e continuò ad aspettare, nascosto dietro al grosso tronco del vecchio ginepro. «... piano... non può essere troppo lontano... Sylor... dirigiti verso sinistra...» Anche se Alucius avrebbe potuto uccidere il bandito che si era allontanato dal gruppo, decise di non farlo e di restare ancora in attesa e, dopo un po', fu in grado di vedere - oltre che percepire - i primi quattro uomini della sommaria colonna che era intenta a seguire le sue tracce su per la collina. Aspettò ancora un attimo, poi puntò il fucile.
Bang! Bang! Bang! «Fottuto bastardo!» I cavalieri si rifugiarono dietro ai tronchi mentre Alucius ricaricava il fucile. Aveva ucciso due dei suoi assalitori e ferito il terzo, gravemente. Ma gli erano rimaste meno di venti cartucce contro dieci banditi. Dal basso gli giunsero alcuni spezzoni di conversazione, dai quali capì che gli aggressori si erano divisi in tre gruppi. Infatti, tre gruppi separati sbucarono dal folto dei pini, spronando i cavalli su per il fianco della collina. Bang! Bang! Bang! Alucius fece fuoco sul gruppetto al centro, quello leggermente avanzato rispetto agli altri, poi, quando ebbe vuotato il caricatore del primo fucile, si rivolse verso quello alla sua destra, a ovest. Aveva sparato altri quattro colpi quando schegge di legno gli piovvero sul viso, oscurandogli temporaneamente la vista. Poi l'intero suo corpo venne scaraventato di lato, mentre una fitta di dolore gli percorreva la gamba sinistra. Fece del suo meglio per rotolare verso destra, quel tanto che bastava a evitare di essere colpito di nuovo, anche se, per alcuni istanti, non fu in grado di vedere, sia per le schegge di legno sia perché gli occhi gli lacrimavano. Mentre se ne stava disteso a terra, inserì altre cartucce nel caricatore, cercando di ricacciare indietro le involontarie lacrime. Tunk! Un'altra pallottola si conficcò nel tronco del ginepro, appena sopra la sua testa. Hiiii! Alucius trasalì nell'udire il lamento disperato di Selvaggio e sentì che stava morendo sotto una pioggia di pallottole. Si inumidì le labbra secche e finalmente la vista gli si schiarì. Da ciò che riusciva a vedere e a percepire, nonostante il dolore lancinante alla gamba e al fianco sinistro, capì che ci dovevano essere ancora cinque banditi: tre nascosti dietro un pino a est poco più sopra di lui, e altri due in basso alla sua destra. «... continua a sparare... non possono essergli rimaste molte cartucce...» «... oggi ce le siamo guadagnate quelle monete d'oro...» Alucius si concentrò sui tre dietro al pino, puntando il fucile in quella direzione e restandosene immobile in attesa. Gli parve che fosse trascorso un quarto di clessidra o forse più prima che uno si decidesse a cacciare fuori la testa.
Bang! Bang! Il buio vuoto rossastro che si abbatté su Alucius confermò la morte del bandito. Ne restavano altri quattro. Tunk! Altre schegge gli piovvero tutt'intorno, risparmiandogli però gli occhi. Si girò di nuovo verso i due rimasti dietro al pino, quasi volesse incoraggiarne uno a mostrarsi. Il tempo passò, poi un altro bandito sbirciò, sporgendosi di quel tanto che bastava. Ci vollero comunque due colpi per ucciderlo Alucius ricaricò... non abbastanza in fretta. «Aggiralo da sopra...» gridò qualcuno. «Tieniti basso. Lo puoi colpire dall'alto.» Il bandito superstite, dei due che erano nascosti dietro al pino, cominciò a spostarsi, procedendo carponi, la testa bassa. Alucius non riusciva a vederlo bene, ma continuò a osservarlo, seguendolo col fucile, in attesa del momento propizio. Un'altra pallottola raggiunse il ginepro e frammenti di tronco piovvero su Alucius. Contemporaneamente, il bandito che si trovava più in alto si lanciò attraverso una piccola radura. Alucius fece fuoco, una, due volte, prima che il terzo sparo colpisse l'altro alla gamba. Mentre questi involontariamente si piegava, il quarto sparo di Alucius lo centrò in pieno petto. Alucius ricaricò il fucile con le cartucce rimaste: ne erano rimaste tre per due banditi. «Adesso!» si sentì gridare. Un bandito sbucò fuori a cavallo, servendosi dell'animale come scudo, mentre avanzava verso Alucius. Sebbene la cosa gli ripugnasse, questi abbatté il cavallo con un solo colpo, ma gliene occorsero altri due per uccidere il cavaliere. Da quanto Alucius riusciva a capire, doveva essere rimasto un solo bandito. Ma, sfortunatamente, non aveva più munizioni e il fianco sinistro si era trasformato in una massa compatta di dolore. La testa gli pulsava. Tank! Tunk! Mentre le pallottole colpivano il tronco del ginepro - appena sopra la sua testa - altre foglie e frammenti di corteccia caddero addosso ad Alucius. Il bandito superstite aveva ancora munizioni, e presto o tardi lo avrebbe colpito, a meno che...
Un'altra pallottola lo sfiorò, passandogli a una spanna dalla testa. Con un ultimo tentativo disperato, Alucius proiettò una sottile Talentosonda, facendola scivolare attraverso le cinquanta iarde circa che lo separavano dall'altro, cercando di muoverla con fermezza, ricorrendo all'abilità, più che alla forza. La vista gli si appannò e riuscì a malapena a percepire la presenza dell'altro. Ce la mise tutta per raggiungere il filo vitale del bandito e per cercare di individuare un nodo da disfare. Alla fine, Alucius lo trovò e diede uno strappo con la Talento-energia, strappo che fu subito seguito da un'ondata di oscurità che lo travolse. Solo oscurità, senza alcuna sfumatura di verde. Craa... craaa... Qualcosa colpì la mano tesa di Alucius. Cercò di muoverla, e un'altra ondata di dolore lo travolse. Adagio, aprì gli occhi. A una iarda circa dalla sua mano, vide un corvo che lo fissava, per poi volare via d'un balzo. «Non sono... ancora... pronto... per te...» Alucius si trascinò via dal ginepro e si avvicinò a Selvaggio. Un nugolo di mosche si era già posato sul cadavere del cavallo. Alucius inghiottì a vuoto. Selvaggio lo aveva portato da Madrien a Deforya, e poi a Lanachrona e di nuovo indietro, superando le battaglie più sanguinose, ed era morto a causa di una manciata di pallottole sparate da alcuni banditi durante un'imboscata. E questo perché Alucius era stato tanto sciocco e orgoglioso da credere di essere invulnerabile. Dopo un po' Alucius spostò lo sguardo dal corpo del fedele stallone al sole, che si trovava ora soltanto a una spanna dalla linea dell'orizzonte, a occidente. Che riuscisse a camminare era davvero improbabile, e non aveva neppure un cavallo. Nonostante il feroce mal di testa che lo attanagliava, proiettò all'intorno i Talento-sensi... sperando di trovare uno dei cavalli dei banditi. Ne avvertì due. Tentò allora di creare l'illusione di foraggio e di acqua. Di lì a poco, entrambi i cavalli si mossero. Il sole stava quasi tramontando, quando Alucius riuscì ad attirarne uno una giumenta - abbastanza vicino da afferrarne le briglie e rimettersi in piedi, per poi issarsi a fatica in sella, ricorrendo di continuo al Talento per tranquillizzarlo. La sua gamba sinistra era completamente insensibile. Quindi spronò la puledra verso nord. Si augurava solo di farcela a raggiungere la postazione di Sudon, o perlomeno la strada che portava laggiù. Di quella cavalcata non ricordò molto, tranne la crescente oscurità.
A un certo punto, udì la voce di qualcuno e cercò di concentrarsi. «Signore... signore?» Il viso imberbe di un soldato nell'uniforme delle Guardie del Nord sbucò fuori dal cerchio di oscurità. «Banditi...» Alucius riuscì a dire. «Sulle colline... poco distanti dalla strada... a sud dell'incrocio per Sudon...» La sentinella guardò il capitano maggiore. Alucius cercò di resistere, ma, ancora una volta, venne inghiottito dal buio. 120 Per molte clessidre, se non addirittura per giorni - Alucius non riuscì bene a capire - vagò attraverso un'oscurità densa di dolore. Gli sembrò che qualcuno lo nutrisse e gli parlasse, ma non riusciva a ricordare cosa avesse mangiato o con chi avesse parlato. Poi, quasi all'improvviso, si ritrovò cosciente, disteso in un letto. Un comandante di squadra anziano lo stava fissando. «Come vi sentite, signore?» Alucius alzò lo sguardo. «Come se avessi il fianco sinistro in fiamme.» Avrebbe dovuto riconoscere l'ufficiale, ma aveva la vista appannata e la testa che gli pulsava. «Abbiamo trovato i banditi - dei sicari di Dekhron - e il vostro cavallo, capitano maggiore.» Ci fu una pausa. «Eravate con qualcuno, signore?» «No... mi stavo dirigendo verso casa.» «Starete qui un po', adesso.» «Come... la mia gamba?» «Siete qui da quasi tre giorni. Siete stato colpito alla coscia, due volte, e anche al torace. La seta nerina ha fermato le pallottole, ma il guaritore dice che avete una costola fratturata, forse anche due, e non c'è un punto sotto la spalla sinistra che non presenti ammaccature.» Alucius riconobbe finalmente il comandante di squadra: si trattava dell'uomo che lo aveva addestrato quand'era una recluta, anni prima. «Siete ancora qui, Estepp?» «Ero andato un po' in giro, e poi mi hanno rimandato qui. Sono tornato il mese scorso.» L'uomo più anziano scoppiò in una risata. «Per forza doveva trattarsi di voi. Vi rendete conto di avere ucciso ventuno banditi? Non sappiamo bene cosa sia successo a uno di loro. Non abbiamo trovato segni di
pallottole sul corpo. Può darsi che l'abbiate spaventato a morte.» «Non so.» Alucius non tentò neppure di scuotere la testa. Sapeva che qualunque movimento gli avrebbe procurato dolore. «Spero che non vi dispiaccia se ho raccontato di voi ad alcune reclute. È una storia troppo bella. Un ufficiale in congedo, che non può fare a meno di compiere il proprio dovere ed elimina più di venti banditi per impedire che qualche innocente venga ucciso. Abbiamo dovuto riferire il fatto al quartier generale e abbiamo ricevuto un messaggio dal comandante questo pomeriggio. Alle onorificenze che avevate già ricevuto, hanno aggiunto anche la Stella del Comando, signore.» «Ma che bello», disse Alucius in tono secco. «Io volevo solo tornarmene a casa.» Estepp sorrise. «Certo che, per essere uno che non aveva mai voluto fare il soldato, signore, avete fatto più voi di qualsiasi altro ufficiale da generazioni a questa parte.» «Forse... perché non volevo...» «Potrete anche non volerlo, signore, ma nel profondo di voi c'è un ufficiale nato, proprio come vostro nonno.» Estepp fece una pausa. «Devo andare a dare un'occhiata alle reclute, signore.» «Andate pure, ho bisogno di riposare.» Estepp si allontanò chiudendosi la porta alle spalle. Mentre Alucius se ne stava là sdraiato in quelli che, gli sembrò di capire, dovevano essere gli alloggi riservati agli ufficiali anziani, i pensieri cominciarono ad affollargli la mente. Quei possibili assassini lo preoccupavano ancora. Aveva conosciuto abbastanza bene il Signore-Protettore da capire che non si sarebbe comportato in quel modo. E neppure poteva essere stato Waleryn a organizzare l'attacco e ad avvisare così rapidamente Dekhron. Il colonnello, allora? C'erano forti probabilità che Weslyn fosse implicato... anche se quello non sembrava essere il suo stile. Sicuramente sarebbe stato capace di ordinare ad Alucius - come aveva già fatto in precedenza di intraprendere missioni in cui avrebbe potuto essere ucciso, ma gli mancava il coraggio di agire direttamente. Qualcuno però l'aveva fatto. Solo che Alucius non sapeva di chi si trattasse, o quali fossero le motivazioni. A quel punto, le palpebre gli si fecero pesanti. 121
Una settimana dopo, nel pomeriggio sul tardi, Alucius attraversava la piazza di Punta del Ferro alla testa di una colonna di soldati - corrispondente più o meno al contingente di una squadra - diretti a nord, come riserve per l'avamposto di Chiusa dell'Anima. Era in sella al cavallo migliore, tra quelli appartenuti ai banditi, che le Guardie del Nord avessero potuto catturare: uno stallone grigio, non vivace come Selvaggio, ma robusto. Alucius non si fermò al negozio del bottaio, poiché il Talento gli disse che Wendra non si trovava là. In effetti, non si era aspettato di trovarla nel negozio del padre, anche se, nell'avvicinarsi alla piazza, aveva voluto verificare. Sia Estepp sia il capitano maggiore Culyn - responsabile del centro addestramento reclute di Sudon - avevano insistito affinché accompagnasse quel distaccamento. E siccome il suo fianco destro era ancora di un bel colore giallo-violaceo e gli doleva, Alucius aveva messo a tacere l'orgoglio e aveva accettato l'offerta. Parte della coscia sinistra e del torace erano ancora intorpiditi. Riusciva a malapena a muovere il braccio sinistro e le dita di tanto in tanto gli formicolavano. Il Talento gli diceva che ci sarebbe voluto un po' prima che quei traumi guarissero del tutto. «La vostra fattoria si trova a nord della città, signore?» chiese Zearyt, il comandante di squadra che avrebbe assunto il comando della quarta squadra della Dodicesima Compagnia. «Quasi dieci vingti più a nord», confermò Alucius. «Non è necessario che mi scortiate fin là...» «Signore... se non vi accompagniamo fin sulla porta di casa, sia Estepp sia il capitano maggiore Culyn reclameranno la mia testa e di me non resterà neppure quel che basta per fare uno stendardo da sventolare in faccia ai matriti.» Zearyt sogghignò, con un'espressione che era una via di mezzo tra il rammarico e il piacere. «E poi... molti di noi desidererebbero vedere la vostra fattoria, se non avete niente in contrario.» «Per la verità, non è ancora mia. Ci abitano mio nonno e mia madre. E mia moglie.» «Anche lei è un pastore?» Alucius sapeva quel che Zearyt intendeva dire. «Sì. Porta fuori spesso il gregge.» L'altro scosse il capo. «Ho visto solo poche volte le pecore nerine da vicino. Non so se vorrei avvicinarmici troppo. È vero che sono in grado di sventrare un lupo della sabbia?»
«Durante un combattimento corpo a corpo, un montone ne sarebbe anche capace. Ma i lupi della sabbia cacciano di solito le pecore o gli agnellini che si sono allontanati dal gregge.» Mentre passavano accanto alla torre verde che si trovava poco più a nord del Palazzo del Piacere, ad Alucius tornarono in mente le torri di Dereka e di Tempre, e gli ifrit dalla pelle d'alabastro. Mentre si augurava di non doverne più vedere - sia con gli occhi sia con il Talento - si sistemò meglio sulla sella. Non poteva dire di avere ricavato piacere da ciò che aveva imparato, eppure alcuni indizi erano sempre stati là, come i pezzi dei leschec, verdi e neri: i due colori della vita. E il fatto che gli pteridon non lasciassero resti una volta bruciati, quello era stato un altro indizio. Eppure, chi avrebbe potuto immaginare ciò che avevano davvero significato? Un altro particolare che lo preoccupava e lo tranquillizzava al tempo stesso era che, dopo l'ultimo attacco, non aveva più avvertito la verde luminescenza delle arianti. Avevano proprio fatto tutto quanto era in loro potere? E adesso l'avevano abbandonato? Oppure stavano semplicemente a guardare per scoprire se sarebbe riuscito a sopravvivere senza il loro aiuto? In effetti, c'era riuscito, ma si era trattato di un'esperienza molto impegnativa, molto più impegnativa di quanto avesse voluto. Alucius sorrise debolmente tra sé, poi si accigliò mentre si approssimavano al recinto dei gatti della polvere e udiva alzarsi delle voci alle sue spalle. Durante tutto il viaggio, era rimasto a sentire i mormorii dei soldati della colonna, cercando, perlopiù, di ignorarli. A volte era stato difficile. «Eppure... sembra così giovane per essere un capitano maggiore...» «... a sentire tutto quello che ha dovuto passare... preferisco essere un soldato semplice...» «... ha iniziato così... anni fa...» «Estepp diceva che l'hanno dato per morto qualcosa come quattro volte... la Stella del Coraggio di Deforya, la Stella dell'Onore del SignoreProtettore, e la Stella del Comando...» «... sono decorazioni che non vengono date a chiunque, a meno che uno non muoia... o ci arrivi tanto vicino da esserlo, praticamente...» Purtroppo, Alucius pensò, quel soldato aveva ragione. Alucius era stato sul punto di morire ancora più spesso di quanto chiunque sapesse - o avesse saputo - a eccezione della sua famiglia. «... ucciso venti banditi da solo... riesce difficile crederlo...» «... ventuno... c'era sul rapporto... hanno ucciso il suo cavallo...» Al pensiero di Selvaggio, Alucius trasalì. Lo stallone si era meritato di
meglio, ma lui non sapeva cos'altro avrebbe potuto fare, almeno non dopo aver preso quella sciocca decisione iniziale di affrontare i banditi. Ma... era poi una decisione così stupida? O lo era stata la tattica che aveva messo in atto, facendo affidamento ancora una volta sulla forza bruta? L'ariante aveva cercato di insegnarglielo, ma lui non aveva ancora imparato ad applicare quella lezione su vasta scala. Il sole era già basso sull'orizzonte quando giunsero in prossimità della strada secondaria che portava alla fattoria, e Alucius era più che consapevole del dolore che avvertiva al torace e alla gamba. «La stradina sulla destra, mezzo vingt più avanti», disse piano. «Siete proprio isolati qui, signore. Non c'è niente», osservò Zearyt. «È così per la maggior parte delle fattorie», replicò Alucius. Nell'approssimarsi alla casa, Alucius scorse due figure ferme sulla veranda: sua madre e Wendra. Il fatto che Royalt non fosse con loro stava a indicare che si trovava ancora fuori con il gregge. Mentre si avvicinava, Alucius proiettò il proprio Talento verso Wendra, soffermandosi su di lei. Il suo filo vitale non era più nero screziato di verde, bensì quasi completamente verde, con appena qualche sfumatura nera. Alucius sorrise. Il sorriso di lei gli parve come il sole che risplendeva dopo il gelido inverno. Seguito dai soldati, Alucius avanzò fino ai piedi della veranda, dove smontò di sella, le membra rigide, e si voltò. «Vi ringrazio tutti.» Wendra scese qualche scalino e appoggiò una mano su quella di lui. Persino senza girarsi, Alucius fu in grado di avvertire i loro fili vitali che si fondevano l'uno nell'altro. «Anche noi vi ringraziamo», disse Wendra dal punto in cui si era fermata, un gradino più in su rispetto ad Alucius, mentre si illuminava in un altro caloroso sorriso. «Abbiamo pensato che si meritasse una scorta, signora.» Zearyt si inchinò sulla sella. «Non succede spesso che le Valli del Ferro possano vantare un ufficiale che si è guadagnato le onorificenze di ben tre Paesi.» Poi sì rivolse ad Alucius. «È stato un piacere, signore, e adesso è tempo che ripartiamo.» «Non vi fermate questa sera?» chiese Wendra. «Lo vorremmo, ma gli ordini sono ordini e dobbiamo arrivare alla stazione intermedia prima che faccia notte.» Wendra osservò la colonna. «Lasciate almeno che vi diamo una spalla di
montone già cucinata da portare con voi per la vostra sosta.» Zearyt sorrise. «Non posso certo dire che... questo sia contrario agli ordini.» Alucius soffocò una risatina e lasciò che Wendra si mettesse al lavoro, mentre lui restava con la mano destra appoggiata alla ringhiera della scala che saliva alla veranda. Alla fine, una mezza clessidra più tardi, la sua scorta se ne andò con cibo sufficiente a nutrire l'intera squadra e con un largo sorriso stampato su più di un volto. Wendra gli si avvicinò. Le sue dita gli sfiorarono la guancia. «Ero così preoccupata.» Si protese in avanti e lo baciò dolcemente. Per un attimo, il calore di quel benvenuto fece svanire ogni dolore. Wendra fece un passo indietro. «Dobbiamo rimetterti in sesto.» «Tolgo la sella al tuo cavallo», disse Lucenda. «Ma posso...» «Ti proibisco di fare una cosa del genere», lo ammonì Wendra. «Ti ho visto scendere da cavallo, e ho sentito quanto soffri e come a malapena tu riesca a reggerti in piedi. Adesso vieni in casa con noi e ti sistemi in una comoda poltrona, se non addirittura a letto.» «La poltrona andrà benissimo», accettò Alucius, lasciando le brighe dello stallone grigio alla madre. «È ferito», disse Lucenda in tono asciutto. Poi scrutò il figlio con fare inquisitorio. «Due costole fratturate e ben più di un'ammaccatura.» «Ci dirai cos'è successo quando arriva il nonno?» «Vi racconterò tutto.» Alucius sapeva di non avere scelta, perlomeno non quando si trattava di Wendra e del nonno. «Hai bisogno...» «Ce la faccio.» «È ancora più cocciuto di prima», commentò Lucenda. «Non così tanto», ribatté Alucius. Una volta entrati, Wendra si precipitò in soggiorno e tornò in cucina trascinandosi dietro una poltrona attraverso il passaggio a volta. «Siediti.» Alucius si lasciò cadere nella poltrona, mentre lei si chinava e lo baciava, delicatamente, ma con calore. «Ti avrei stretto a me, ma ti avrei fatto più male che bene», disse piano. «Sono così contenta che tu sia tornato.» «Anch'io. Anch'io.»
Gli diede un altro bacio prima di rialzarsi. «Ti porto un po' di birra, così te ne starai qui seduto a sorseggiarla mentre finisco di preparare la cena. Ti racconterò quello che è successo ultimamente alla fattoria. Tua madre e tuo nonno già lo sanno, mentre invece se tu mi raccontassi qualcosa di te, dovresti poi ripeterlo anche a loro.» Alucius rise e aspettò la birra. Dopo che Wendra gli ebbe messo un bicchiere nella mano destra, lui sorrise e chiese: «Cos'è successo? Hai incontrato un'ariante, non è vero?». «Anche tu, giusto?» «Il simile riconosce il simile.» Alucius fece un largo sorriso, godendosi il calore e l'affetto che si irradiavano da lei. «L'hai detto al nonno... o alla mamma?» «Tuo nonno lo sa, credo. Io non ho detto niente. Lei... mi ha insegnato ad avvolgere l'oscurità attorno alle cartucce.» «Deve averti insegnato ben di più, o forse sei tu ad averlo imparato.» «Mi aveva spaventato. Così ho cercato di ragionarci sopra.» Wendra gettò un'occhiata verso la porta. Lucenda entrò in cucina, lanciò un'occhiata ad Alucius e annuì. «Ho lasciato le tue bisacce nell'ingresso. Hai perduto Selvaggio?» «È stato ucciso durante un attacco sulla strada di casa», disse Alucius. «Vi racconterò tutto non appena arriva il nonno.» «Non ci vorrà molto. Adesso si trova sul fianco più basso della Cresta dell'Ovest.» Lucenda osservò il figlio con aria critica. «Mi sembra che tu stia già meglio. Non benissimo, ma meglio.» «Sei sempre stata brava a fare complimenti, mamma.» Wendra scoppiò in una risata. Di lì a poco anche Lucenda la imitò, prima di voltarsi verso Wendra. «Cosa posso fare?» «Se volete preparare le patate...» Alucius posò la birra sul tavolo e si alzò. Entrambe le donne lo guardarono. «Vorrei solo rinfrescarmi... e sistemare un po' di cose. È stato un lungo viaggio.» Si diresse verso la stanza da bagno, ben sapendo che il nonno non lo avrebbe lasciato molto tranquillo al suo ritorno, almeno non finché non l'avesse informato su tutto. 122
Durante la cena, tra un boccone e l'altro, Alucius parlò, raccontando ogni particolare: dall'iniziale partenza da Emal fino all'attacco dei banditi, non tralasciando nemmeno il ruolo svolto dall'ariante e ciò che gli aveva svelato riguardo agli ifrit e al Duarcato. «Credi che dicesse la verità?» chiese Royalt. «Sembra... be'... strano...» «Diceva la verità», affermò Wendra. Lucenda e Royalt fissarono entrambi la giovane donna. Wendra sorrise compita e chiese al marito: «Dove pensi che si trovi questa città nascosta?». «Non lo so. Ma se dovessi fare delle ipotesi...» Alucius gettò un'occhiata verso est. «Già, potrebbe essere», disse adagio Royalt. «Ben pochi si cimenterebbero in un'arrampicata di oltre seimila iarde in verticale. Anni addietro, alcuni ci provarono. Tre ci rimisero la pelle, uno non riuscì più a camminare diritto. Ed era salito di sole duemila iarde.» «Inoltre... i cristalli rettangolari... Mi chiedo se siano quelli che vediamo a volte all'alba e al tramonto», disse Alucius. «Potrebbe essere», rifletté Lucenda. «Ma credi che ti abbiano raccontato tutto?» «Non credo. Ma da quello che ho visto, mi fido più di loro che di qualunque ifrit.» «Questo è certo», convenne Royalt. «Le arianti non creano problemi. Non lo hanno mai fatto. Che mi dici del Signore-Protettore? Pensi che manterrà la parola data? Sei sicuro che non abbia niente a che fare con il tuo ultimo attacco?» «Sono più che sicuro.» Alucius bevve un altro sorso di birra. «Non sarei disposto a scommettere altrettanto sul fratello. Al confronto di Waleryn, anche i serpenti della sabbia sembrano inoffensivi, ma ci vuole del tempo a organizzare un'imboscata e noi abbiamo viaggiato veloci tornando da Tempre. «Scosse il capo. «Doveva essere... qualcuno di Dekhron.» «Quello spregevole codardo di Weslyn?» chiese Royalt. «No. Weslyn è un codardo, e ha avuto a che fare con l'attacco - magari ha fornito le informazioni e mi ha fatto ritardare la partenza da Dekhron ma non l'ha organizzato. Dev'essere stato uno dei mercanti di Dekhron... ma chi? Non saprei neppure da chi cominciare.» «Forse Kustyl potrebbe», suggerì Royalt. «Dovrà essere molto cauto», disse Alucius.
Royalt rise. «Sa esserlo quando serve.» «Digli di essere ancora più cauto», si raccomandò Alucius, finendo l'ultimo sorso di birra. Poi si strinse nelle spalle, come per chiedere se avevano altre domande da fargli. «Ti andrebbe di andare a dormire?» chiese Lucenda. «No. Sono stanco, e ancora dolorante. Ma non ho sonno. Vorrei sedere un po' in soggiorno in compagnia di Wendra.» Lucenda e Royalt risero. Alucius si sentì arrossire e, gettando un'occhiata a Wendra, vide che anche a lei si erano imporporate le guance. Royalt si alzò. «Vado a vedere le pecore.» Anche Lucenda si alzò. «Mi occupo dei piatti. Wendra, portalo in soggiorno.» Indugiò e guardò Alucius. «Non sarebbe meglio che ti stendessi?» «Ora come ora... sto meglio seduto.» Alucius si alzò, adagio. Si sentiva meglio, e si chiese se non fosse per merito di Wendra, quando i loro fili vitali si erano toccati e intrecciati in quel lungo attimo. «Mi sento già molto meglio.» «Bene», replicò Wendra con un sorriso. Alucius entrò in soggiorno e prese posto sul divano, guardando la moglie e il posto libero accanto a sé. «Sei sicuro?» «Sicurissimo.» Wendra gli si sedette accanto, alla sua destra. Alucius volse il capo e le sussurrò all'orecchio: «Hai fatto qualcosa... con il tuo Talento?». «Come avrei potuto non farlo?» mormorò lei. «Soffrivi così tanto. L'ho percepito quando ti trovavi ancora a un vingt di distanza. Non riesco neppure a capire come tu possa avere fatto a sopportare un viaggio così lungo in quelle condizioni.» «Volevo vederti. Volevo tornare a casa.» Lei tese la mano e strinse la sua con dolcezza. «Questo mi fa piacere, ma avresti potuto aspettare.» «No... che non potevo.» Lei sorrise e per un po' se ne stettero seduti in silenzio, Alucius con il capo appoggiato a quello di Wendra, godendosi la quiete e il calore di quel ritorno. Poi Wendra si girò e lo guardò. «Tu non credi che sia finita, vero?» «No. Niente sarà finito, finché non saremo morti, e dopo l'esperienza che
ho vissuto con le Tavole, non ci giurerei nemmeno su quello. In un certo senso, però, non c'è molto che possiamo fare adesso. Al momento, non ci sono certezze. Una delle poche cose di cui sono sicuro, da quel che ho visto, è che i mali più grandi insorgono quando qualcuno crea di proposito miseria e sofferenza e costringe la gente a fare cose malvagie pur di sopravvivere ed evitare il dolore. Ciò di cui sono certo è che viviamo ogni attimo una sola volta, e che niente potrà restituirci quell'attimo quando è passato.» «Questo è vero. Ma non hai risposto alla mia domanda.» «Non è finita», ammise Alucius. «Qualunque cosa sia in agguato dietro le Tavole, si trova ancora là. Ma non c'è nulla che io possa fare al riguardo. Non ora che le Tavole sono state distrutte. È trascorso almeno un millennio da quando la malvagità ha regnato su Corus, e può darsi che ne passi un altro prima che ritorni.» «E potrebbe tornare anche domani. O la prossima stagione.» «Già.» Alucius annuì. «E potrebbe essere già tornata.» «Ti stai riferendo al mio ultimo attacco?» «Chi altri potrebbe voler spendere duecento monete d'oro per cercare di uccidere un uomo che non vuole nemmeno... che desidera solo fare il pastore?» «Non so se c'è qualcosa che io possa fare adesso.» Alucius fece una pausa, poi aggiunse a bassa voce: «Dopo quest'ultimo attacco... non ho più sentito né avvertito le arianti». «E... credi che se ne siano andate?» «No. Non so cosa pensare. Può darsi che non sappiano che sta succedendo qualcosa. O che adesso tutto dipenda da noi. Oppure che non ci sia niente da fare in questo momento.» Le sue labbra si incresparono. «Non lo so.» Ci fu un prolungato silenzio, prima che riprendesse a parlare. «So solo che avevo bisogno di stare con te. È stato come se il mondo intero volesse tenermi lontano da te e, ogni volta che credevo di poter tornare, accadeva qualcosa che me lo impediva.» La guardò negli occhi, quei profondi occhi color verde-dorato che riflettevano la sua stessa essenza. «Può darsi che fosse così... ma adesso sei qui con me.» Ancora una volta, le loro labbra si toccarono, dolcemente, così come i loro fili vitali e le loro anime.
FINE