Q uella notte per la strada non si sentiva quasi lodore di piombo. Il freddo era unanestesia, smorzava le sensazioni c...
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Q uella notte per la strada non si sentiva quasi lodore di piombo. Il freddo era unanestesia, smorzava le sensazioni chiudendo tutti dentro un frigorifero. Tito quasi vedeva non le altre persone ma vasetti di sottaceti, bottiglie di latte, pacchetti di prosciutto e surgelati. Tito portava in fronte i segni del contagio, delle macchie nere di pelle secca. Ce li avevano tutti da quando sera diffusa la Grande Allergia, sicchè non era una vergogna. A qualcuno gli venivano non in faccia o sulle mani e allora si sentivano più belli. Altri per coprirle si mettevano uno strato spesso di un cerone rosa ma sembravano dei manichini di plastica, delle bambole che quando entravano in un bar gli si scioglieva tutto come a mettere una bambola in un forno. Molti locali per questo smisero di accendere il riscaldamento ed erano freddi. Verso sera a tutti gli saliva la temperatura, gli venivano gli occhi lucidi per la febbriciattola dellallergia. In quel momento molti deliravano e diventavano aggressivi ma erano troppo deboli per fare veramente del male. Era come un lungo sogno, e nessuno sapeva più con certezza se ciò che ricordava laveva veramente vissuto o soltanto sognato. Unaltra conseguenza dellallergia fu la perdita della memoria e della forza di volontà. Tito passava per le strade davanti alle vetrine luminose delle gioiellerie delle agenzie di viaggi dei negozi di abbigliamento. Tutto era finto. Le persone non sorridevano mai avevano sempre paura erano sole al mondo con tutte le loro parole la bocca le mani. Allora Tito passava in mezzo a tutti spedito. La fabbrica di inquinamento vomitava nellaria il suo fumo pesante che scendeva fra le case colorando la nebbia. Un tempo sembra che il suo scopo principale fosse produrre laminati plastici e mobili in serie. Tito si fermò ad un chiosco a bere caffè caldo alla luce bianca del neon. Prese anche un pane con dentro
roba fritta. Quel giorno era il suo primo pasto. Si tolse le moffole e si soffiò sulle dita. Bevve un sorso di caffè ed ecco la scossa lancinante di dolore dovuta al suo dente guasto. Tito si piegò in due. Lomino del chiosco gli chiese -Che hai? Va tutto bene?. Avevano tutti paura di nuove malattie. Tito si riprese: Non è niente. Ho mal di denti. - Vai da un dentista, disse il tipo in uno slancio di intelligenza. - Si, certo. Domani ci vado. - Mal di denti mal damore. aggiunse lomino con una smorfia che voleva essere un sorriso. Che cazzo significa? pensava Tito. Nella sua carriera laveva sentito almeno 32 volte, una per dente marcio, e non aveva mai capito che centrano i denti con lamore. Boh. Mentre mangiava scrisse questi versi su di un tovagliolo di carta: Il bambino dal viso pallido rimesta a lungo nel flaconcino, assorto. Ha piccole, fragili mani operose. Ha occhi calmi e la fronte corrugata per limpegno. Con colori caldi, ricama di colore, i pensieri candidi, dei suoi piccoli amici. Dopo un lungo lavorio estrae un bastoncino tondo dal flacone e ci soffia sopra scaturendone una bolla di sapone enorme, luccicante, leggera parte, sinnalza, galleggia sulla testa delle persone che la guardano in alto, a bocca aperta, con degli oooh di ammirazione, han timore di commentare quellevento spettacolare, che il gioco di un bambino innocente arrivasse così in alto, riuscisse a raggiungere il sole. Tito si pulì le salsine dalla bocca con i suoi versi e li gettò nel cestino. Sentiva ancora una gran fame ma riprese a camminare. Aveva un buco nella suola della scarpa destra. Usciva il ditone nudo perchè anche il calzettone era partito. Il dito di Tito era blu per il freddo. Lo faceva sentire vivo. Ci fosse stato silenzio potevi sentire il dito gridare. Tito vide in lontananza molte persone che seguivano dei preti.
Agitavano qualcosa verso il cielo e rosariavano. Avevano anche delle candele per richiamare lattenzione di dio che sta sulle nuvole nellalto dei cieli e guarda compassionevole in basso le sue creature che stanno a fare. Volevano le fine della Grande Allergia. Era per questo che pregavano il loro dio onnipotente. Invece cominciò a scendere una neve collosa. A Tito poi gli montò la febbre e cominciò a vedere un angelo che lo seguiva e lo chiamava: Tito... Tito, dove vai tutto solo? Per la strada. Me ne vado. Tito, dove stai andando? Vado da Maria. Ti sta aspettando, vero? Credo di si. Posso sentire che mi pensa perchè lora del nostro appuntamento si avvicina. Bene. Posso fare un pezzo di strada con te? Mi sento solo, ho freddo e fame. Certo amico. Non ho soldi, se no ti offrirei un boccone. Lo so. Non darti pena. Prendi il mio maglione. E caldo. Andiamo adesso. Solo non ti avvicinare, quando incontro Maria. Non voglio che veda che parlo con un angelo. Certo. Se vuoi posso trasformarmi in un cane. Ok.
Tito passò davanti a un negozio che vendeva pizza al taglio. Aspettami qui, disse al cane: Ciao, come stai. Io sono Tito. Ciao, cosa posso servirti? Per me niente, non ho soldi. Ma vedi quel cane lì fuori? Dice che è molto tempo che non mastica qualcosa e io gli credo. -una signora impellicciata guardava Tito con la faccia disgustata e le braccia cariche di sacchetti di pane da seimila lire il chilo-
Te lha detto proprio lui? Si. Ora, tu hai molto cibo e probabilmente fra poco butterai ciò che non hai venduto... Mi sto arrabbiando. Perchè? Io qui ci lavoro. Ci lavoro, capito? E allora? Allora o hai i soldi per pagare quello che vuoi o giri i tacchi e te ne vai col tuo cane via dal mio negozio! Sulle pizze di quel negoziante malvagio cerano formaggio, melanzane, pomodoro fresco, acciughe, funghi e ogni bene di dio ma in quel momento tutto si coprì di merda sciolta. Tito uscì dal negozio. Bravo. Hai fatto bene a rovinargli la pizza. Era il minimo che potessi fare. Tito... Dimmi amico. Mi ricorderò della tua gentilezza. Il cane sparì nel buio di un vicolo. La crisi a Tito gli era passata a continuò per la sua strada. Comè che Tito sembrava passare leggero per la scena della strada? Io lho sempre visto così, e credo che sia perchè non vuole dare troppo peso alla vita e allora la vita non gli pesa. Tito non odia nessuno e non vuole diventare ricco e neanche vuole successo nella società e non desidera per forza rispetto. Solo cammina per la strada da un posto ad un altro e ha sempre una meta anche se non cerca nessuno. Ora Tito arriva da Maria e si baciano sannusano si fanno le feste comè proprio dei cuccioli duomo. Maria le macchie nere ce lha sulle labbra e sullocchio destro.
T ito
aveva trovato lavoro nella fabbrica di melma di cioccolato,
chè cerano le feste e cera bisogno di persone per produrre la melma e i cioccolatini al liquore e alle nocciole. Lavevano assunto per due mesi a lavorare la notte e quel giorno era il primo nella fabbrica di melma. Maria lavorava di giorno e allora era meglio anche se quei ritmi, quegli orari, quei turni li stancavano fuori sincrono. Tito entrò nella bocca della fabbrica col fagottino con il pane e lacqua e da lì lo presero lo portarono nel ventre dove cera il processo della melma. Lambiente era intossicato di luce elettrica fredda, cera un gran frastuono e un odore nauseante di cioccolato caldo, di cacao cotto, di grassi nellaria, troppo per una persona viva. Ma nella fabbrica vivere non era concesso. Bisognava solo lavorare. Tito incontrò quelli che entravano nei forni per staccare i residui del cioccolato. Sembravano tristi. Chissà se da bambini facevano fantasie sulla fabbrica di melma di cioccolato, cose come mangiarne a sazietà, o ficcarci le mani. Adesso cerano veramente ma non erano più bambini e il cioccolato forse non gli piaceva. Comunque a Tito lo posizionarono da solo in uno stanzone vicino a un nastro dove passavano i cioccolatini ricoperti di granella e ogni tanto fatalmente ne riusciva uno handicappato. Tito doveva guardarli tutti passare e ratto prendere quelli con difetti. Un dispositivo contava il battito degli occhi di Tito, se stava concentrato, se lavorava, chè quelli della melma non volevano lavativi o ladri di salario. Un bracciale con un filo avvertiva Tito se il suo ritmo non era adeguato con una leggera scarica elettrica, per ottimizzare la produttività del processo. Hai capito tutto bene Tito? Si. Devo guardare i pezzi di cioccolato che passano su questo nastro. Esatto. Semplice vero? Si.
Puoi anche divertirti facendo un gioco. Per esempio puoi contare i cioccolatini o pensare facendo il conto alla rovescia del tuo tempo di lavoro. Potresti forse anche parlare da solo o fantasticare su quello che faresti se vincessi la Grande Lotteria. E meglio no? Non so. Può essere. Tito... Si? Non ci deludere, Tito. Noi della fabbrica di melma contiamo molto sulle tue capacità. Farò del mio meglio, signore. Potremmo tenerti qui dentro per sempre. Ti piacerebbe Tito? Non lo so signor Capoprocesso. Dipende dalla mia vita. Tra non molto potresti chiedere di essere trasferito da questa Soluzione Finale dei cioccolatini al processo della melma. Qui arriveranno quelli in uno stadio più avanzato della Grande Allergia. Ci penserò signore. Tito... Si? Non odiare la tua macchina, Tito. Rispettala. Non farle niente che non vorresti fosse fatto a te. Ricorda che se il Cervello del Processo ti invia una scossa è per il tuo bene. Quando prenderai i soldi non ti sentirai in colpa perchè non avrai rubato alla fabbrica e potrai mangiare e vestirti e curarti col frutto del tuo lavoro per potere ancora venire dentro nella fabbrica. Fai tesoro di questi consigli. Si Capoprocesso. Ora ti lascio solo. Comincia pure a osservare il nastro. Buona notte, Tito. Grazie Capoprocesso. Buona notte.
Tito cominciò a osservare il nastro, che era molto veloce. Non dovrò fare niente pensò Tito, perchè i pezzi di cioccolato erano tutti perfetti. Invece eccone uno
handicappato. Sembrava volersi salvare, passare inosservato ma Tito lo prese e se lo mise in bocca. Era abbastanza gradevole ma il dolce finì sul suo dente marcio ed ebbe un forte dolore. La scarica elettrica arrivò subito dal bracciale e attraversò il suo corpo. Grazie Cervello del Processo -disse Tito E per il tuo bene, Tito. -rispose il Cervello.
L a mattina era grigia e nebbiosa. I treni passavano pieni di persone che stavano andando nelle loro fabbriche. Tito stava con Maria che doveva cominciare il suo lavoro. Ciao Tito. Ciao dolce. Comè andata alla fabbrica di melma? Credo bene. Veramente non ricordo. Sono felice per te, Tito. Spero che tu possa avere una carriera. Grazie bella. Festeggiamo con un caffè? Hai soldi? No, ma chiederò alluomo del caffè se può farmi credito. Presero un caffè. Il primo sorso come al solito portò dolore a Tito, per via del suo dente sensibile. Che coshai Tito? Mi duole un dente. Vai dal dentista amor mio. Si, certo... Maria... Si? Mi sento strano Maria. Ogni volta che soffro... per il dente... mi sento come più sveglio. Per esempio ora ricordo qualcosa di stanotte... ho sofferto e ho provato un sentimento che da molto tempo non provavo più... mi sentivo in prigione e volevo
rompere un vetro e scappare... Non è da te Tito. Ma io ora so che un tempo ero così, che odiavo le fabbriche e le imposizioni e volevo liberare le persone e dare a tutti una vita più degna. -Maria portò una mano alla fronte di TitoStai delirando mio dolce Tito. Hai la febbre. Sto benissimo! Ascoltami... io lottavo per lambiente... Si, certo, lho già sentita questa storiella. Tu vuoi dire prima della Grande Allergia. Io mi sento forte... Senti, io me ne vado. Mi fai paura. Sei strano. Parli come un ribelle. Bevi più acqua. Quelli dellAmministrazione mica mettono i calmanti nellacquedotto per niente. Dammi un bacio. Vivi sereno. Ci vediamo stasera, e fammi trovare il mio Tito. Avrà ragione lei -pensava Tito. Posso avere un bicchiere dacqua del rubinetto? chiese alluomo del caffè. Poi andò al cesso.
T ito andò alla sua casa e provò a dormire. Ma non riusciva più a smettere di pensare. Era diventato inquieto e la cosa progrediva, sembrava farsi enorme. Cominciò a ricordarsi i libri che aveva letto in infanzia. Tutte le lettere, le frasi, gli intrecci gli tornavano alla mente, e i volumi andavano ad occupare gli scaffali della sua memoria. Tutto tornava alla sua mente che si stava riattivando dopo un lungo torpore, si stava risvegliando poco a poco nelle sue diverse parti. Tito così poteva sentire le sua potenza crescere e riscopriva le sensazioni dalle più semplici alle più sofisticate, e infiniti sentimenti. La felicità che gli procurava la sua
rinascita era tale che Tito si mise a piangere. Provò ancora la gioia della matematica e della filosofia, accolse la conoscenza e le diede il benvenuto, le si concesse furiosamente e ricordò di sapere di arte, di musica e di storia, e da tutto il suo essere si levò imperioso il sentimento della Giustizia e del Dovere verso lUmanità e il Pianeta. Si sentiva la mente agile, scattante, potente, libera e ordinati sentiva i suoi contenuti. Poteva facilmente pensare e con gran velocità, e immaginare qualsiasi cosa. Il piacere per ciò sembrava non aver fine. Si rese conto di essere un uomo libero ma che il sistema in cui sera abbattutto a vivere voleva contenerlo in un mondo virtuale fatto di prigioni senza senso, senza scopo, senza unautentica necessarietà. Si rese conto fermamente che la sua via, invece, era unaltra. Da quel momento, come un bambino, cominciò a riscoprire il mondo. Stanotte andrò alla fabbrica della melma. Stanotte capotterò tutto. -questa era le fiera volontà di Tito.
Q uel giorno Tito non poteva dormire. Era troppo bello vivere a quel modo. Così andò danzante per la strada a portare in giro il suo essere vivo. Erano esplose le fogne. Non si respirava per lodore, che era compatto e opponeva quasi resistenza agli spostamenti. Ma nessuno sembrava volerlo notare: i commercianti addobbavano le vetrine, mettevano piccoli alberi sintetici con le palle colorate allingresso delle loro cavità lussuose. Le donne vagavano da una boutique allaltra a fare acquisti in vista del Natale nella gran puzza di merda. Avevano addosso magnifiche pellicce di animali morti e una dose massiccia di cerone sul viso. Il vento alzava turbini
di polvere infetta che sattaccava alla loro cera. Ciao Tito. Ciao zia. -la zia baciò Tito che rimase appiccicato alla sua guanciaSei andato alla fabbrica di melma? Si. Bene. Lo zio si è molto prodigato per farti avere quel buon posto. Che fai per la strada? Nulla. Bene. Ora vieni con la zia poichè desidero farti un regalo. Cosa ti piacerebbe? Due biglietti daereo per le zone libere dalla Grande Allergia, zia. Non credo sia possibile, Tito caro. Io pensavo a un ninnolo. E poi come puoi andare via ora che thanno rinchiuso nella fabbrica di melma? Non lo so, zia. Hai sempre avuto molta fantasia, Tito. Si zia. Vieni. Ti acquisterò un bel paio di sandali di Prada, per lestate. Ci vogliono ancora sei mesi, per lestate, zia. Si, ma ora costano meno Tito mio caro. Tito si liberò del regalo gettandolo in un cestino e continuò la sua via. Hai qualcosa contro i ragazzi ex tossicodipendenti, Tito? No. Allora me la comperi una penna, Tito? No. Dopo langolo Tito si fermò davanti alla vetrina di una agenzia di viaggi, luminosa, voleva mettere voglia di raggiungere quei posti caldi dove la Grande Allergia non era ancora arrivata. Cerano le fotografie coi nomi e sotto le grandi cifre di denaro che bisognava pagare agli scafisti dellagenzia per lasciare il paese. Un uomo da dentro gli faceva segno di entrare con un dito, ridendo. Non potrò mai avere tutti questi soldi -pensava Tito- neanche se eliminassi i cioccolatini handicappati per cinque
anni. E io stasera darò fuoco alla fabbrica della melma. Tito riprese la via e sinoltrò nel territorio dei giovani nazisti che sostenevano le loro idee con i cazzotti. Infatti subito lo fermarono per schiarirgli le idee a suon di schiaffoni. Fermati Tito. Cosa volete? Perdonaci Tito, ma abbiamo bisogno di sprangarti la testa. Perchè? Non lo sappiamo. Mi ammazzerete? Forse si, Tito. Siete contenti che la Grande Allergia ha ridotto tutti quanti al vostro livello mentale? Si, se non altro perchè ora non ci sentiamo più diversi. Ora basta, Tito, dobbiamo cominciare a spezzarti le ossa. Da dietro arrivò uno con una spranga di ferro e colpì Tito a un fianco, un altrò lo buttò a terra e cominciarono a prenderlo tutti a calci con i loro grossi anfibi, anche sulla faccia. Quello con la spranga la alzò in alto caricando tutta la sua forza e puntò un punto preciso della testa di Tito. Fu allora che gli si staccarono le braccia e caddero a terra rompendosi in mille schegge. In mezzo ai nazisti cera il cane che Tito aveva trattato con gentilezza la sera precedente. I nazi fuggirono lasciando indietro il loro camerata mutilato. Stai bene, Tito? -chiese il cane scodinzolando Credo di si, grazie. Sei ferito alla testa, lascia che ti lecchi. Grazie amico. Tito si mise seduto contro una pila, e il cane gli parlò: Tito, so che oggi sei diverso. Vedo la luce viva dei tuoi occhi. Ricordo molte cose, Angelo. Cosa farai adesso? Non lo so. Darai fuoco alla fabbrica di melma, Tito.
Si, questa notte. E poi? Vorrei lasciare il Paese con Maria, ma non ho soldi. Maria cosa pensa del tuo nuovo essere, Tito? Credo di farle paura. Guarda il contenuto della tue tasche, Tito. -Tito si accorse con stupore di avere un po di denaro in tascaE per la benzina, Tito. La benzina? Per la fabbrica di melma, Tito. Ti sarò sempre vicino amico. Qualsiasi cosa tu faccia io sarò sempre con te. Il cane sparì in un portone e Tito riprese zoppicando la sua via. Aveva molta fame e allora mangiò una bomba di riso. Saccorse di non avere più il dente malato: un calcio dei nazi glielaveva fatto cascare.
Q uella sera Tito andò a prendere Maria con una tanica da quaranta litri di benzina legata alla schiena. Quel peso lo faceva camminare tutto gobbo e lentamente. Ciao Tito. Ciao mia. Che hai lì? E una tanica di super. Ah. Comè andata la giornata? Bene, grazie. E il tuo lavoro? Si, si, bene. Andiamo a casa. Voglio farti qualcosa di buono da mangiare in modo che affronterai la nottata alla fabbrica di melma più felice dellaltra notte. Andiamo, sù. I ragazzi attraversarono tutta la città senza accorgersene, come gli uccelli, in un momento furono in periferia, alla loro stanza. Maria preparò per Tito la pasta al burro. Che ne pensi di venirtene via con me, Maria?
Non lo so Tito. Che significa non lo so? Non saprei, Tito. Prova a pensarci. Mi costa fatica. Non ricordo bene cosa voglia dire andare via. Mi sento girare la testa. Siediti cara. Si Tito. Volevo dire lasciare il paese. Andare dove la Grande Allergia non è ancora arrivata. Con che denari amore? Non lo so. Il mio per ora è solo un progetto. Forse se lavorerai alla fabbrica di melma per quindici anni potrai permetterti i tuoi sogni, Tito. Si. Certo. Potremmo invece andarcene a piedi, Maria, da qualche parte. A che fare, Tito? Non lo so. Verresti? Non lo so. Io sento che voglio essere dove sei tu, Tito. Bene. Ora devo andare, se no ritarderò. Bene, Tito. Lascia che ti aiuti a prendere la tua tanica. Grazie zucchero, sei gentile. Mi fa felice laiutarti, Tito. Che tu possa fare un buon lavoro questa notte. Ciao Maria. Ciao Tito.
Dicembre 2000