Richard Bach
Le Storie Dei Furetti Saper Perdere Rangers Ferrets On The Range © 2003
I furetti, la montagna e il mare ...
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Richard Bach
Le Storie Dei Furetti Saper Perdere Rangers Ferrets On The Range © 2003
I furetti, la montagna e il mare C'erano una volta due furetti che vivevano vicino a un sentiero di campagna. Il sentiero seguiva il cammino del sole: la montagna lo vedeva nascere e il mare tramontare. I due furetti erano amici ma, mentre lei si sentiva attratta dal mare, lui lo era dalla montagna. E nessuno dei due seppe resistere a un richiamo così forte. «Che tristezza» disse lui «che le nostre strade ci portino in direzioni opposte.» «E’ terribile» aggiunse lei «doverci separare.» I due custodirono teneramente il proprio amore, ma ascoltarono il loro più alto senso del bene e si incamminarono lungo il sentiero, ognuno per la propria strada. Dopo numerose avventure scoprirono che, dietro la montagna, il sentiero conduceva al mare e, oltre il mare, portava verso la montagna. Dall'altra parte della montagna e del mare, i due innamorati si incontrarono di nuovo e le loro strade si ricongiunsero, tornando a essere una sola. Il nostro più alto senso del bene conosce ogni futuro possibile. Se sapremo ascoltarne i sussurri, scopriremo che il premio finale è la nostra più grande felicità. Antonius Furetto, Favole
Capitolo 1 «Non ho mai visto una cowboy con il cappello blu...» Cheyenne Jasmine era una furetta ancora molto giovane e, a dire il vero, lo era anche lui, che cercava di insegnarle a cavalcare i dolfini. La piccola dal mantello argentato si aggiustò il cappello sulla fronte, Richard Bach
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accennando un sorriso. «Tanto per cominciare, caro il mio Montgomery, non sono una cowboy, e faresti meglio a ficcartelo bene in testa. Invece di pensare al mio cappello, pensa a insegnarmi quello che sai!» Vivevano con i rispettivi genitori in due ranch confinanti, alla fine della strada lungo il fiume, riparati a ovest dalle imponenti montagne di Sweetroot, a nord e a est dalle selvagge praterie del Montana. Prima e dopo la scuola, e quando non dovevano rendersi utili a casa, cavalcavano insieme. Ora Monty era tranquillamente seduto in sella a Boffin, il suo dolfino grigio. Con le zampe incrociate, appoggiate alla sommità della criniera, osservava l'incantevole amica. «Se vuoi che salti, devi spostare il tuo peso all'indietro, Cheye. Per riuscire a saltare Starlet ha bisogno di alleggerire le zampe anteriori e di poter alzare il muso.» «Non vuole proprio saperne di saltare, Monty» disse Cheyenne mogia in sella al proprio dolfino. Lentamente, girò attorno all'imperturbabile Boffin e si fermò accanto a lui. «Mi spingo all'indietro, ma non c'è niente da fare. Invece di saltare si ferma!» «Secondo te qual è il problema, Cheye?» «Non vuole saltare.» «Questa è bella!» disse il suo istruttore. «Ma se con me non si è mai rifiutata! Come te lo spieghi?» «Si vede che le sei simpatico. Come a tutti i dolfini» sbottò avvilita la piccola Cheyenne. «Non vuole saltare perché io non sono te.» «Brava, continua pure a fare la zuccona. Ti sarà d'aiuto...» replicò tranquillo Monty. «Ti farò un'altra domanda: a cosa sta pensando? Ogni volta che non riesci a spiegarti il comportamento di un animale, chiediti: "A cosa sta pensando?".» «E come faccio?» chiese Cheyenne, ansiosa di conoscere la risposta. «Entra nella sua testa! Fai finta di essere Starlet. Prova adesso. Dunque, hai appena terminato la curva e vedi la staccionata; pensi: "Voglio saltare per Cheyenne!". Coraggio, prova.» L'allieva rimase a lungo in silenzio, come in trance, mentre immaginava la scena. «Non posso saltare» disse alla fine. «Benissimo. E perché non puoi saltare?» Cheyenne ci rifletté, la sua mente era un tutt'uno con quella del dolfìno, e all'improvviso capì. «Non sono abbastanza veloce! Cheyenne mi rallenta!» Richard Bach
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L'istruttore sorrise. «Interessante, non trovi? Credi che sia vero? Vuoi riprovare?» Il mantello di Cheyenne era luminosissimo. La piccola abbassò il capo verso il collo del dolfìno e, con il cappello calato sulle orecchie, partì al galoppo affrontando a tutta velocità la curva che portava alla staccionata. Il rimbombo degli zoccoli di Starlet fece tremare la terra, echeggiando per tutto il canyon in una nuvola di polvere. Monty la osservava. «Vai Cheye» disse sottovoce. La furetta dal mantello argentato lasciò andare il proprio peso all'indietro sussurrando: «Vola!». La coda come la scia di una cometa, Starlet si lanciò nel cielo insieme a Cheyenne. Come in una scena al rallentatore, nel silenzio irreale di un momento in cui il tempo parve fermarsi, il dolfino volò sopra la staccionata. Nell'istante in cui atterrò, la terra riprese a tremare e il rimbombo tornò a echeggiare per la vallata. Rispondendo al comando di Cheyenne, Starlet girò bruscamente e, dopo aver compiuto un mezzo giro, si fermò accanto a Boffin sbuffando vigorosamente. «Funziona!» esclamò l'allieva con gli occhi colmi di gioia. Il bell'istruttore annuì. «Non ci posso credere!» esclamò Cheyenne, ansimando per la felicità. Monty rimase ad ascoltare in silenzio. «Sono entrata nella sua mente! Volevo saltare... e voleva saltare anche lei!» «Direi che è andata proprio così.» «Lo rifacciamo?» «Dipende. Pensi che Starlet ne abbia ancora voglia o che sia stanca?» Il dolfino tese le orecchie in avanti e cominciò ad agitare la criniera al vento. Gli occhi neri come la notte di Cheyenne si illuminarono di gioia. «Sì, ne ha voglia!» «Forza allora, fallo...» Ma non fece in tempo a finire la frase che l'amica era già partita al galoppo. Montgomery si esercitava a guardare con le orecchie e il corpo, a occhi chiusi. La sentì arrivare alla curva che portava alla staccionata. Dal rumore degli zoccoli capì che era un po' lenta. Richard Bach
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Cheyenne spronò Starlet ad accelerare sul rettilineo, lasciò andare il proprio corpo all'indietro e spiccò il volo. Silenzio... uno... due... tre... e di nuovo il rumore degli zoccoli sulla terra, con il dolfìno che rallentava per girare. Monty non stava più nella pelliccia. Si chinò in avanti e sussurrò: «Dai, Boffin, facciamogli vedere chi siamo. Alla staccionata più alta!». Monty e Cheyenne erano inseparabili: insieme cavalcavano, esploravano, curiosavano tra la vegetazione della prateria e passavano ore e ore a osservare gli animali e le stelle. A volte, per poter cavalcare all'alba, si alzavano da tavola in fretta e furia, prima di aver finito la colazione, mentre i genitori li rincorrevano dicendo: «Almeno finisci la tua spremuta!». Una volta, Zander, il fratello di Monty, guardandoli aveva commentato: «Quei due sono fatti l'uno per l'altra. Diversi come l'acqua e la roccia, uguali come gli uccellini su un ramo!». Il cugino Furettone Jupe, assistendo alla scena, aveva annuito come per dire: «Ben detto!». Secondo lui lo sapevano tutti, anche se nessuno lo diceva. Monty aveva un dono particolare con gli animali e aveva giurato a se stesso di trasmetterlo solo all'amica del cuore, e ci era quasi riuscito. Tuttavia, mentre a lui bastava aprire il palmo di una zampa perché vi si posasse una farfalla, Cheyenne doveva sforzarsi un po' di più. Non sono buona come Monty, pensava Cheyenne. Non ho la sua pace interiore. Per insegnarle ad avere pazienza, Monty le cospargeva sementi sulla tesa del cappello, e le diceva di rimanere immobile fino a quando non fossero arrivati gli uccellini a fare colazione. Così Cheyenne imparò a essere paziente e provò una grandissima gioia nel sentire il loro impercettibile peso mentre si cibavano fiduciosi sul suo cappello. Cheyenne ci rifletté e un giorno, mentre cavalcavano lungo Sable Canyon, gli disse: «Monty, sento di poter contare su di te come su nessun altro al mondo. Non ci avevo mai pensato, ma ora capisco che è sempre stato così. Sei davvero importante per me». Era vero, Monty annuì. Poi disse: «Io ci sarò sempre per te, Cheye. Per tutta la vita, qualsiasi cosa succeda». Se il grande amore di Monty erano gli spazi aperti, quello di Cheyenne erano gli spazi chiusi del... grande schermo. Ogni fine settimana, dopo Richard Bach
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l'escursione nella prateria, i due amici cavalcavano fino a Little Paw per accomodarsi sulle raffinate poltroncine di velluto rosso nella fila centrale del CineFur. «Questo vi piacerà, ragazzi» disse Furetto Alexopoulos restituendo i biglietti strappati, attraverso lo sportello del botteghino novecentesco, arrivato via mare direttamente dall'isola di Chios. «Furetto Heshsty è un giovane regista, ma vedrete cosa riesce a fare con la luce. Osservate come la luce racconta la storia!» Ben presto Cheyenne chiese ad Alexopoulos se avesse potuto dargli una zampa al cinema vendendo biglietti e pop-corn, cambiando le locandine e gli allestimenti e facendo le pulizie; insomma, qualsiasi cosa pur di scoprire come la magia riuscisse a passare dalla mente alle immagini. «Non ti potrò pagare molto» rispose Alexopoulos «ma vedrai i film gratis.» Durante ogni proiezione, Cheyenne imparava qualcosa e più imparava, più comprendeva il valore di ogni più piccolo, insignificante movimento grazie al quale un attore può dare una svolta alla storia, semplicemente cambiando stato d'animo pur mantenendo un'espressione apparentemente identica. Alexopoulos rispondeva alle sue domande e la interrogava per metterla alla prova. Le fece vedere un'infinità di film e la seguì da vicino, notando col passare del tempo enormi progressi che la rendevano sempre più bella anche agli occhi degli altri. Riteneva che Cheyenne non fosse così attraente solo per il suo aspetto fisico. Non è solo questione di bellezza, diceva a se stesso; Cheyenne ha una sorta di... trasparenza. Ecco, «trasparenza» era la parola giusta. Dentro di sé, la piccola furetta aveva la stessa magia che riusciva a catturare dallo schermo. A volte le lezioni erano durissime, a volte doveva recitare le scene senza parlare, da sola, in piedi e al buio in fondo alla sala. Una mattina, durante una proiezione, sbagliò una battuta per tre volte di fila e, in preda allo sconforto, disse sottovoce a Alexopoulos: «Non la imparerò mai!». «Non è detto» rispose Alexopoulos. «E un lavoro che richiede molti sacrifìci.» Cheyenne guardava ancora i film insieme a Monty, prestando più attenzione al volto dell'amico che allo schermo. Chissà cosa sta provando durante questa scena, si interrogava. Potrò mai capire cosa prova? Richard Bach
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Gli attori trasferiscono la loro anima nella recitazione, pensò, così come Monty trasferisce la sua nei dolfini. Nel cinema, anima e tecnica hanno bisogno l'una dell'altra. Se una delle due viene a mancare, la storia non trasmette emozioni. Più d'una volta, quando i due amici uscivano dal buio della sala per cavalcare fino a casa, il mantello di Cheyenne era bagnato di lacrime. «Che film meraviglioso, Monty» disse una volta Cheyenne, di ritorno verso casa dopo aver visto Viaggio disperato. «Laura l'ha sempre amato, ma gliel'ha detto solo alla fine! Pensa quanto tempo ha passato il povero Stefan senza saperlo.» «Cavolo, ma perché non gliel'ha detto subito?!» rispose Monty togliendosi il cappello e aggiustandosi il ciuffo con la zampa. «Io gliel'avrei detto subito; almeno Stefan avrebbe fatto la propria scelta più consapevolmente.» «Ma cosa dici, sciocchino?!» replicò Cheyenne avvicinandosi ancora di più all'amico, mentre in sella a Starlet e Boffin andavano incontro al tramonto. «Non potevo dirtelo, Stefan. Avrei voluto, ma non potevo. L'amore non è tale se c'è bisogno di chiederlo...» Le parole di Cheyenne suonarono ancora più dolci e profonde di quelle pronunciate dall'attrice. Non sembravano rivolte a uno Stefan lontano, ma a Monty, tanto vicino da poterlo toccare. Col passare del tempo, la passione di Cheyenne per il cinema cresceva. La piccola pensava che un attore, attraverso i suoi personaggi, mettesse in scena ogni volta una vita diversa, consentendo agli spettatori di vivere esperienze che, altrimenti, non avrebbero mai fatto. Mostrando cosa comporti prendere decisioni diverse a seconda delle circostanze, gli attori ci aiutano a diventare più saggi e maturi. Chissà come ci si sente, si domandava, a possedere un dono del genere. Cheyenne rifletté a lungo e, dopo molte chiacchierate con l'amico, un giorno prese la decisione. «Vado a Hollywood» gli disse davanti alla tovaglia a scacchi bianchi e rossi dove stavano per fare un picnic a base di sfiziosi ortaggi, noci e bacche appena raccolti. Una borraccia di acqua di montagna penzolava dal ramo di un pino. Nel prato attorno, le margherite azzurre sfiorate dal vento sembravano annuire in segno di approvazione. L'amico rimase in silenzio. E giusto così, pensò; è la sua strada. Ha lavorato sodo e ha capacità e passione da vendere... poi è così bella. Non Richard Bach
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passerà certo inosservata. «Il signor Alexopoulos mi ha detto che fare l'attore è un mestiere diffìcile» disse Monty. «Non si esce quasi mai all'aria aperta: si comincia presto e si finisce tardi, sempre a ripetere le stesse scene. Non finirai per stancarti, Cheye, di un lavoro tutto sommato così... banale?» «Non c'è niente di male a fare cose banali, fino a quando non ci si sente banali» disse citando una famosa frase. «Monty, voglio fare qualcosa che possa cambiare la vita degli altri. E allora ben vengano l'alzarsi presto il mattino e le scene ripetute fino allo sfinimento.» Poi guardò l'amico, sicura che avrebbe capito. «Devo provarci.» Monty sentì la sua vita scivolare via, allontanandosi nell'erba. Rimase a lungo in silenzio, prima di farle la domanda più importante per un furetto: «E lì che ti porta il tuo più alto senso del bene?». Mentre Cheyenne pensava alla risposta, le ombre si allungarono leggermente. A un certo punto si aggiustò la tesa impolverata del cappello e disse: «Sì». «Grandi cambiamenti in vista» commentò Monty. Cheyenne annuì. I due amici rimasero a guardarsi lungamente negli occhi. La sera prima della partenza di Cheyenne, nella sala cerimonie del villaggio si svolgeva la festa della mietitura. Monty e Cheyenne erano presenti con i genitori, in mezzo a una moltitudine di animali venuti dai paesi vicini. Anche Alexopoulos non era voluto mancare e, per una sera, il CineFur era rimasto chiuso. In quell'occasione, tutti sfoggiavano le sciarpe e i cappelli più belli per danzare al ritmo delle chitarre e dei violini: musica allegra per una serata di festa. Figure sinuose dalle code leggiadre danzavano sottobraccio, girando in tondo, formando quadrati e disponendosi in fila sul pavimento coperto di foglie. Durante le danze, i due amici si videro, illuminati dalle rispettive stelle. Cheyenne portava il solito cappello blu, mentre Monty, per l'occasione, aveva dato una spolverata a quello marrone. Si presero sottobraccio senza staccare gli occhi l'uno dall'altra ma subito dovettero separarsi, rispettando le regole del ballo. Nell'aria, si sentiva già il profumo dell'inverno, imminente come il cambiamento nelle loro vite. Dopo un po', Monty sparì. Cheyenne se ne accorse e sgattaiolò via dalla pista da ballo, infilò la porta aperta e passò dalle luci della sala al buio della notte. Lo vide seduto sul marciapiede, appoggiato a un palo, che Richard Bach
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guardava le stelle. «Dov'è il mio bel cowboy?» «Ciao, Cheye. Volevo starmene un po' in pace.» «È una bellissima festa.» Monty annuì. «Dai» lo stuzzicò «vieni a divertirti.» «Preferisco un po' di tranquillità.» «E cos'hai capito mentre ti godevi la tua tranquillità?» Ci pensò attentamente, poi decise di giocare la sua ultima carta. «Ecco cosa ho capito.» Il cowboy aprì la zampa. Radiosa come la luce del sole, sul palmo apparve una margherita azzurra, colta quel pomeriggio nel prato dove avevano fatto un picnic. «Oh...» «Non sono molto bravo per gli addii.» «Lo so.» Il chiaro di luna illuminava il volto mortificato e i baffetti di Monty. Cheyenne rimase incantata a osservare quell'immagine, avrebbe voluto fissarla dentro di sé per l'eternità. Il tempo scivolava dolcemente addosso a loro come una calda coperta che nessuno dei due voleva sollevare. Erano amici da così tanto tempo, e avevano sempre dato per scontato che non si sarebbero mai separati. Alla fine Monty si alzò e sciolse dal palo le redini di Boffìn. «Allora adesso ti aspetta una bella avventura in California...» «Chi lo sa. Comunque farò del mio meglio.» In quegli attimi, il tempo rallentò, ma non si fermò. Guardando negli occhi Cheyenne, Monty sfiorò con la zampa la tesa del cappello. Era quello il suo silenzioso addio. Lei gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia. Poi, sussurrando, gli disse: «Addio, Monty...». Il cowboy saltò in sella con un balzo e la piccola furetta lo guardò sparire nel buio della notte. Il mattino seguente, Cheyenne Jasmine salì sul treno alla stazione di Little Paw, destinazione Hollywood. Biglietto di sola andata.
Capitolo 2 Richard Bach
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Il treno non aveva ancora lasciato Little Paw, si vedeva ancora il tetto dell'auditorium del villaggio, quando Cheyenne capì di aver commesso il più grande errore della sua vita. Con i baffetti schiacciati contro il finestrino, guardava l'unico luogo al mondo che poteva chiamare casa. Facile dire frasi come «Hollywood, sto arrivando!», oppure «Finché non provo non lo saprò mai». Ora l'ignoto non era più una possibilità da cui si poteva sempre tornare indietro, ma l'unica certezza per il futuro. Cheyenne seguiva con lo sguardo le montagne di Sable Canyon che scorrevano lungo il finestrino. Chissà se, come ultima immagine da portare con sé, cercava quella di un cowboy solitario in sella al suo dolfìno che, sulla cima di un monte, osservavano il treno allontanarsi. A fatica, distolse lo sguardo da Little Paw, prima che il treno le oscurasse la visuale. Gli altri passeggeri nello scompartimento videro in lei un'adorabile furetta seduta composta, con le zampette conserte e la schiena diritta. Non si accorsero però che stava strenuamente lottando per la propria vita nel tempestoso mare del cambiamento. Chissà dove dormirò stanotte, si chiese Cheyenne. Dove andrò una volta arrivata a Hollywood? Chi incontrerò e che lavoro farò per sopravvivere? Non so neanche se riuscirò mai a mettere zampa in uno studio o in un set cinematografico! La mia casa è il Montana e i suoi abitanti; mamma, papà, Monty; la mia cameretta; Starlet e Boffìn; i miei amici e i dolfini. E tutto questo... tutto questo si sta allontanando sempre di più! Una lacrima le cadde sulla zampa. Come si può essere così stupidi?, pensò. «Mi mostrerebbe il biglietto, per cortesia?» Cheyenne non colse lo sguardo tenero, da fratello maggiore, del controllore, dal momento che si girò dall'altra parte per asciugarsi le lacrime mentre gli porgeva il biglietto piegato in due: Little Paw-Denver; Denver-Hollywood. Cheyenne sentì il rumore della macchinetta perforatrice e, quando il controllore le restituì il biglietto, vide che nel cartoncino c'era un foro a forma di cuore. A quel punto alzò gli occhi attonita; il controllore si chinò verso di lei e con dolcezza le disse: «Non devi per forza sapere cosa ti aspetta, Cheyenne Jasmine. Il tuo più alto senso del bene ti guida e non ti abbandonerà mai». Cheyenne rimase ammutolita, con gli occhi sgranati. Richard Bach
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Il controllore si toccò il cappello in cenno di saluto e proseguì nell'altra carrozza. «Biglietti, prego.» Come faceva a sapere il suo nome? E come faceva a conoscere il suo futuro? Cheyenne, più confusa che mai, cercava una spiegazione al misterioso evento, ma dovette accontentarsi del ritmico rumore delle rotaie, attutito dalle pareti della carrozza. Nel frattempo il Montana scorreva veloce oltre il finestrino. La giovane teneva il biglietto nella zampa. Attraversando il foro, un raggio di sole le disegnò un cuore di luce sul mantello argentato. L'arrivo a Hollywood fu molto diverso da come lo aveva immaginato. Appena scesa dal treno, mentre era ancora sul marciapiede della stazione, vide uno splendido furetto che reggeva un cartello con la scritta «ATTORE?». Stupita, Cheyenne si fermò a chiedere spiegazioni. Il furetto le rispose: «Significa che se sei un'attrice ed è la prima volta che vieni a Hollywood possiamo aiutarti. Hai bisogno di un appartamento, di un book fotografico, di sapere chi sta facendo un casting e dove ci sono dei provini? Siamo qui per questo». «Ho bisogno di tutto l'aiuto possibile» rispose con un sorriso Cheyenne. La Casa per Giovani Attori era una deliziosa palazzina molto accogliente, con stanze in stile antico, a due passi dal Wilshire Boulevard. Un tempo era appartenuta a Furetto Beastil, una leggenda del film muto, che l'aveva lasciata in eredità alle future generazioni di attori. Le pareti erano rivestite di pannelli scuri tappezzati con immagini di attori, caratteristi, commedianti, ballerini e controfigure. Al primo piano c'era la cucina dove gli ospiti si alternavano ai fornelli, preparando pranzi e cene per tutti. I coinquilini di Cheyenne, memori del loro primo arrivo a Hollywood, le riservarono una calorosa accoglienza, ripetendole continuamente frasi come: «Ma quanto sei carina!»; «È un piacere averti qui!»; «Vedrai che farai strada!». Tra di loro non c'era competizione: erano tutti sicuri di essere nati per recitare un ruolo che nessun altro avrebbe potuto interpretare. Così si prestavano a vicenda cappelli e sciarpe per andare ai provini, a volte si preparavano per gli stessi ruoli, convinti che la parte sarebbe andata solo a chi era destinato ad averla. Richard Bach
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«Cheyenne?» disse, affascinata dal nome, Jerica, una minuta furetta color sabbia, che passò in rassegna la lista delle camere e gliene assegnò una in cima alle scale. «Solo film western?» «Spero proprio di no!» Le scale erano coperte da un tappeto in stile liberty color muschio, mentre le pareti erano sfarzosamente decorate con motivi rossi e dorati che ricordavano il CineFur. «Per carità, adoro il Far West, ma spero di cimentarmi anche in qualche genere più moderno, che so, film drammatici, commedie, noir, film d'azione...» «Cheyenne è proprio un bel nome. Ma fa molto film western. Comunque vedremo. Caso mai ti piacesse un altro nome o ce ne fosse uno che hai sempre sognato di avere, questo è il momento giusto per dirlo.» Prima ancora di aver terminato il book, Cheyenne spedì a Monty una foto con dedica. Al mio cowboy, con affetto, tua Cheyenne. Trascorse molto tempo prima che tornasse a firmarsi con quel nome. Un giorno l'aspirante attrice si presentò al provino per una piccola parte ne La signora che parla, un film ambientato nel secolo scorso. Il ruolo era quello di un'impresaria teatrale che doveva recitare una sola battuta: «Placidia, tocca a te». Jasmine ripeteva la frase in continuazione e le compagne di stanza le davano pareri e consigli. «Placidia, tocca a te.» La furetta decise che il tono non doveva essere freddo e autoritario, ma gentile e incoraggiante, come se da Placidia si aspettasse un dono. Al provino, la responsabile del casting la osservò con attenzione, facendole recitare la battuta una sola volta. Poi, impassibile, le allungò un biglietto: «Mercoledì, ore sei, B». Quando la giovane attrice ringraziò, la responsabile stava già scegliendo due piccoli gemelli tra quattro coppie di adorabili cuccioli. Jasmine si precipitò a casa, spalancando la porta in vetro e noce massiccio della vecchia palazzina. «Ce l'ho fatta! Ho avuto la parte!» I compagni, felici per la notizia, la accerchiarono chiedendole di ripetere la battuta come al provino. Poi le spiegarono che «ore sei» significava alle sei del mattino e «B» era il secondo più grande studio cinematografico della Silver Mask Studios. Mercoledì mattina alle cinque e mezza, Jasmine si presentò, pettinata e spazzolata, allo studio B della Silver Mask con il suo biglietto d'ingresso. Richard Bach
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«In bocca al lupo, signorina Jasmine» le disse il guardiano salutandola mentre entrava negli Studios. Jasmine si infilò nella porta insieme alle truccatrici. «Tu devi essere Jasmine» le disse sorridendo una di loro. La nuova arrivata fece segno di sì, tremando forte come una foglia. «Vieni con noi, tesoro. Ti prepareremo per andare in scena. “Io sono Molly e loro sono Penta e Glorielle.» «E la mia prima volta davanti a una macchina da presa...» «Stai tranquilla» la rincuorò Glorielle. Il pavimento era coperto da grovigli di cavi neri e lo studio era diviso da mezzi sipari. Sui monitor apparivano le immagini di set vuoti, senza pubblico. Alzando lo sguardo, ci si perdeva in una foresta di luci e faretti fissati alle impalcature; la maggior parte su enormi ponteggi e treppiedi. Riuscirò a imparare tutto? Questo luogo diventerà casa mia? Le tre furette fecero accomodare Jasmine in sala trucco: specchi circondati da luci e ripiani stracolmi di matite, ombretti, pennellini e spugnette di ogni colore e forma. Poi cominciarono a osservarla da tutte le angolazioni. «Che ne dici, Penta?» chiese Molly. «Che viso meraviglioso! Direi che un velo di fondotinta e un tocco di baf-liner sono più che sufficienti.» «Ha tutte le carte in regola» commentò Glorielle. «E adorabile. Anzi, anche qualcosa in più...» Penta ammirava incantata Jasmine, come fosse di fronte a una creatura fantastica. Alla fine scosse la testa. «No, soltanto un po' di talco.» Le altre truccatrici osservarono di nuovo la giovane attrice e annuirono in segno di approvazione. Niente fondotinta e baf-liner per l'incantevole furetta acqua e sapone dagli occhi neri; solo un velo di talco per evitare che il riflesso delle luci sul mantello sovraesponesse la pellicola. Per la prima volta nella sua vita, Jasmine sentì la fresca fragranza delle nuvolette di talco sul suo corpo. Un giorno, pensò Penta guardandola nello specchio, Hollywood sarà sua. In un attimo, fu dichiarata «perfetta» e subito congedata. «E adesso cos'è quella faccia, tesoro?» disse Molly. «Le luci della ribalta stanno per accendersi; rilassati e pensa a divertirti!» Il talco sembra funzionare, pensò Jasmine sul set. Tutti gli occhi erano Richard Bach
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puntati su di lei. Intorno solo bisbigli. «Guardate!» «Wow...» C'erano l'aiutoregista, il cameraman, i tecnici del suono, gli addetti alla giraffa e al carrello, e gli elettricisti che, sulle impalcature, correvano avanti e indietro spostando cavi e riflettori. Tutti sapevano che sul set c'era qualcuno di nuovo e che si chiamava Jasmine. Finalmente arrivò il regista, un tipo di poche parole dal mantello color caramello e il muso nero leggermente brizzolato. Attorno al collo, Furetto Heshsty portava il suo segno di riconoscimento: una sciarpa di seta consunta. Salutò con un cenno del capo e, quando lo videro arrivare, tutti ammutolirono. «Buongiorno a tutti. Oggi gireremo solo qualche scena. Ci sono obiezioni?» Heshsty alzò lo sguardo. Passando in rassegna i colleghi, si accorse di Jasmine, che restava in disparte rispetto al resto del gruppo. Ma rimase impassibile, non disse una parola. Mentre tutti lo osservavano guardare la nuova arrivata, il regista si ricordò di salutarla e lo fece con il solito cenno del capo. Educatamente, la giovane ricambiò. Anche a Jasmine era giunto all'orecchio che Heshsty stesse terminando una sceneggiatura segreta di cui si conosceva soltanto il titolo. A Hollywood si diceva che La prima luce sarebbe stata una trilogia, ma girava voce che i film fossero addirittura cinque. Alcuni erano certi che il primo episodio si intitolasse L'origine; secondo altri era invece Pianeta casa. Tutto il resto era mera speculazione. Il punto di vista di un giovane regista sulle origini della propria razza era il progetto più top secret di tutta la storia della Silver Mask. Quella mattina Jasmine ascoltò le indicazioni di Heshsty a venti zampe di distanza. «Come avrete visto, i giornali stanno cominciando a parlare piuttosto bene de La signora che parla. Continuate così. E continuate ad amare quella macchina da presa» disse il regista sorridendo, senza togliere gli occhi dalla bozza finale della sceneggiatura. Poi si girò verso due attori che indossavano sciarpe e cappelli d'epoca. «Millisa e Nolan, stamattina cominciate voi. Mantenete la meravigliosa tensione che avete in questo momento. Oggi giriamo la scena più Richard Bach
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importante di Millisa, e quello che...» In quel momento, Jasmine sentì dall'alto un rumore, come di un colpo di frusta, e un sibilo che fendeva l'aria avvicinandosi sempre di più, con la minacciosa forma di un riflettore che finì per schiantarsi al suolo in un'accecante esplosione di scintille, vetri e pezzi di lamiera a non più di cinque zampe da lei. «Corpo di mille roditori!» gridò Jasmine accovacciandosi con le zampe sulla testa per proteggersi. Il rumore del riflettore si era ormai affievolito e tutti si voltarono sbigottiti verso di lei, attirati dalla sua esclamazione. Nessuno si mosse. «Signorina Jasmine» disse imperterrito Heshsty «questo è il set di uno studio cinematografico. Siamo felici di averla qui con noi e non vediamo l'ora di lavorare insieme a lei. Tuttavia, se non le dispiace, saremmo lieti se potesse evitare di utilizzare questo genere di linguaggio sul luogo di lavoro.» Jasmine si sentì mortificata. Era il suo primo giorno sul set, e aveva imprecato! Avrebbe voluto chiedere scusa, ma i baffetti le tremavano troppo e le parole le si erano fermate in gola. Così riuscì soltanto ad annuire. «Grazie» disse il regista distogliendo lo sguardo da lei, ma dandole ancora un'ultima occhiata prima di tornare dalla protagonista. «Allora, dicevamo che oggi gireremo la scena più importante di Millisa...» Il turno di Jasmine arrivò solo verso mezzogiorno. Nel frattempo, imparò velocemente osservando gli altri. Conosceva i suoi passi e li seguì uno a uno, fermandosi di fronte alla protagonista, quasi ansiosa di pronunciare la battuta. «Placidia, tocca a te.» Silenzio. Subito dopo, Heshsty disse solo quattro parole: «Stop. Okay. Grazie, Jasmine». Nessun suggerimento, nessuna correzione, nessun secondo ciak. Jasmine lasciò lo studio senza neanche dare un'occhiata ai fotogrammi della sua scena, convinta che non avrebbe mai più lavorato a Hollywood. Non riusciva a credere a cosa aveva fatto. Ho imprecato!, pensò. Sul palcoscenico! Fu l'unica a non notare la propria espressività durante le riprese, la luminosa vulnerabilità dei suoi occhi neri in quell'unico istante di recitazione. E fu anche l'unica a non accorgersi che, mentre si allontanava dal set, Heshsty la seguì con lo sguardo fino a quando non fu uscita dalla Richard Bach
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sala. L'intensità di quell'attimo fu tale che, il giorno seguente, i giornali accostarono il nome del regista a quello della giovane attrice. La rivista «Celebrity Ferrets» titolò in prima pagina: FURETTO HESHSTY SALVA LA VITA A UNA GIOVANE ATTRICE INDIFESA. Ancora più dettagliatamente, nella pagina dedicata a Hollywood di «Chissà» c'era scritto: «Elettricità pura negli studi della Silver Mask, quando Heshsty incontra per la prima volta la debuttante Jasmine, appena arrivata dal Texas».
Capitolo 3 Monty sentiva la mancanza di Cheyenne più di quanto volesse ammettere. Tuttavia, i furetti non si lamentano e non cercano di far cambiare idea a chi ha preso una decisione. Cheyenne se n'era andata a ovest, mentre lui era rimasto a Little Paw. Si dedicava ai dolfini e cercava di comprenderne il linguaggio. Un giorno capì che i genitori di Boffin erano stati animali selvaggi, veloci come il vento. Monty, gli disse il dolfino, è arrivato il momento. Ho bisogno di gareggiare! Per verificare di aver capito bene, il giovane cowboy non perse tempo, sciolse Boffin in un prato e lo cronometrò sulle distanze di mille-mila e dieci-mille-mila zampe. I tempi del dolfino lo sbalordirono letteralmente. Per la gioia di Boffin, si iscrissero a tutte le gare dello Stato senza perderne neanche una e, in breve, tra i furetti cowboy del Montana non si parlò d'altro che dell'imbattibile coppia. Un giorno l'animale nitrì, si girò verso il compagno e gli disse, soltanto muovendo i baffi: Te l'avevo detto che potevo correre! Con i premi delle vittorie, Monty acquistò la distesa del vecchio Donnola Gramp, vicino alle rive del Little Paw River. Restaurò la capanna sul pino e vi aggiunse una baracca e una selleria. Senza l'aiuto di nessuno, ricostruì il recinto e spianò una parte di terreno per ricavarne una pista da corsa e un granaio. Una mattina all'alba, Monty era tutto indaffarato a issare con un paranco la trave portante del tetto. «Serve una zampa?» La furetta che aveva pronunciato quelle parole si era avvicinata così Richard Bach
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silenziosamente che, per poco, Monty non lasciò andare la fune dallo spavento. Il pesante tronco oscillò pericolosamente sopra la sua testa. Monty si girò come meglio poteva reggendo la fune e, alla sua destra, vide una piccola furetta dal mantello color noce moscata, con delle screziature più scure sul musetto. «Grazie» rispose a denti stretti, mentre risollevava la pesante trave uno zampimetro alla volta. «Un attimo e sarò subito da lei.» Poi fece un gran respiro e riprese a tirare la fune. «Sembra pesante» disse la visitatrice. «Già.» Per un attimo, Monty pensò di fissare la fune e fermarsi a riposare, ma subito cambiò idea: non avrebbe mai abbandonato l'impalcatura senza aver prima ultimato il lavoro. «Posso aiutare?» Monty sorrise, rimanendo aggrappato alla corda con le zampe tremanti, pensando che, anche se si fosse appesa alla fune con tutta la forza che aveva, la trave non si sarebbe mossa di uno zampimetro. «Sì» grugnì. «Fammi diventare più forte!» «Più forte quanto?» A quel punto, Monty scoppiò a ridere e la trave ricominciò a precipitare. In quel frangente, il massimo che riuscì a fare fu arrestare la caduta incastrando la fune in una bietta. La trave tornò a oscillare minacciosamente sopra di lui. Monty si girò verso l'interlocutrice. «Scusa?!» «Ti ho chiesto quanto più forte vorresti diventare» gli rispose più seria che mai la piccola furetta. «Be', abbastanza forte da riuscire a fare quello che sto cercando di fare.» La sconosciuta annuì convinta. Gli si avvicinò di un altro passo, come per presentarsi, ma disse solo: «Ecco fatto». Monty le diede la zampa. «Piacere, Montgomery. Ma... "fatto" cosa?» «Io sono Kinnie, e adesso che ci siamo presentati, riprova a tirare la fune.» «Magari tra un attimo. E la trave portante, quella più pesante. Con le altre sarà più semplice.» «Prova adesso.» Monty si chiese il motivo di quell'insistenza. Poi ricordò i suoi principi fondamentali: rispetto per i più anziani, per i coetanei, per i più giovani e per se stessi. Richard Bach
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Stranamente non riusciva a collocare la sua spregiudicata, piccola visitatrice in nessuna di quelle categorie. Kinnie sembrava allo stesso tempo saggia e giovane, estranea e intima. A ogni modo, fece come gli aveva chiesto. Appoggiato al paranco, fece un respiro profondo; poi, seguendo con le zampe la fune dall'alto al basso, la liberò dalla bietta. La afferrò saldamente, proprio come prima, ma questa volta non faticò particolarmente a reggere l'enorme peso. «Abbastanza forte da riuscire a fare quello che sto cercando di fare» era stata la sua richiesta, ed era stato accontentato. Chi era quella creatura? Senza compiere sforzi eccezionali, Monty recuperava la fune zampa dopo zampa, facendo salire lentamente la gigantesca trave. Ora la trave dondolava sopra le sedi dei pali di sostegno. Monty lasciò andare lentamente la fune e un'estremità della trave si incastrò perfettamente nella sua sede, mentre l'altra fece perno sul palo fino a quando fu in linea con l'altra sede. A quel punto, il giovane furetto lasciò andare del tutto la fune e la trave si incastrò con un gran botto. Ora a Monty non restava che assicurare la trave con qualche tassello. «Bel granaio» disse Kinnie. «Grazie. Forse è un po' più grande del necessario.» «No, niente affatto. Vedrai che quest'inverno ti farà comodo.» Monty scrutò la strana visitatrice in silenzio. Come faceva a sapere in anticipo cosa sarebbe successo durante l'inverno? Concluse che doveva trattarsi di un furetto filosofo. Animali rari, mistici e bizzarri, almeno stando a quello che si diceva in giro. Eccone uno qui davanti a me, pensò. «Benvenuta allora» le disse. «Grazie dell'invito.» Non ricordo di averla invitata, pensò Monty. Ma sono curioso e forse la curiosità vale come invito. «Posso esprimere tre desideri?» «No, uno solo. Gli altri vengono di conseguenza.» «Voglio sapere.» «È questo il tuo desiderio?» Monty annuì. «Ecco fatto.» Di nuovo quella frase, pensò. Sembra l'incantesimo di uno stregone. «Fatto cosa?» «Ho esaudito il tuo desiderio. Ora sai.» Richard Bach
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«Mah, a dir la verità mi sembra tutto uguale a prima.» «Infatti non è cambiato nulla... ma tu sei diverso.» «Perché?» Kinnie gli spiegò come si fa con i cuccioli: «Ti ho concesso di essere consapevole di quello che già sai». «Dimostramelo.» «Puoi vederlo da solo. Io ti faccio una domanda, e tu mi rispondi.» La piccola furetta indietreggiò leggermente nella foschia del mattino, allontanandosi come se avesse voluto diventare grande come una casa. «Chi sono io, Montgomery?» «Non sono sicuro...» «Sbagliato. Tu sei sicuro. Ne sei assolutamente certo. Ma non hai il coraggio di ammettere ciò che è fuori dal comune» disse sospirando. «Ora ti concedo di essere coraggioso.» Poi, pazientemente, gli ripetè la domanda: «Chi sono io, Montgomery?». «Sei un furetto filosofo.» «Era così difficile? Io sono, per usare le tue parole, un furetto filosofo. E dimmi, come fai a saperlo?» Monty cercò la risposta dentro di sé, poi disse soltanto: «Lo so». Avrebbe capito? Kinnie sorrise per la risposta così audace. E dal coraggio, pensò, che nasce la saggezza. La creatura dal mantello color noce moscata si fregò le zampe, felice di essere stata chiamata da Monty. C'erano ancora così tante cose di cui parlare! «Da dove vengo?» La forza dell'abitudine suggeriva a Monty di rispondere: «Non lo so», mentre la paura lo spingeva a fargli dire: «Come faccio a saperlo?». Tuttavia, come ogni furetto, prima di fare una scelta Monty confrontava sempre le varie opzioni con il suo più alto senso del bene, per cui aveva scelto di vivere nel Montana, frequentare Cheyenne, e persino lasciarla andare incontro al suo destino, proprio come lei aveva fatto con lui. Quella mattina, il suo più alto senso del bene aveva sollevato una trave portante, e un giorno gli avrebbe dato la possibilità di insegnare agli altri cosa significa possedere un dono del genere. Tuttavia, anche nei momenti di maggiore difficoltà, Monty aveva chiesto una guida e non la risoluzione dei propri problemi. Improvvisamente, l'illuminazione: Come faccio a rispondere se prima non Richard Bach
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chiedo? «Sono un furetto filosofo» ripetè tranquilla Kinnie. «Da dove vengo?» O mio io più elevato, domandò in silenzio Monty, da dove vengono i furetti filosofi? La risposta non tardò ad arrivare, senza bisogno di pensarci su. Ma certo! È così semplice: «Non vieni da un luogo, ma da una inclinazione spirituale: l'inclinazione alla bontà d'animo». «Esatto. E puoi provenire anche tu da quell'inclinazione?» «Sì che posso» rispose. Tutti possono. «Ora facciamo un gioco. Tu sai che sono un furetto filosofo perché...» disse facendogli cenno di completare la frase con le parole giuste. «Perché non lascio...» Vuole che lo dica con le sue parole invece che con le mie, pensò perplesso Monty. «... niente al caso?» Kinnie aggrottò le sopracciglia. «Impronte! Io non lascio impronte!» Si sta spostando, disse tra sé Monty. Vuole che verifichi. Monty appurò che Kinnie aveva detto la verità. Sul pavimento impolverato del futuro granaio, la piccola creatura non aveva lasciato alcuna traccia. «E io non lascio impronte perché...» Monty accettò fiducioso l'invito di Kinnie a essere coraggioso: «... perché vedo la tua immagine dentro di me e la proietto dove voglio. Tu non lasci impronte perché non appartieni al mio mondo reale, ma a quello interiore». Kinnie fece un cenno di assenso così evidente da sembrare un inchino. «Bravo! Non hai detto "al mondo reale" ma "al mio mondo reale"!» Si spostò leggermente e guardò per terra. «Certo, se volessi potrei lasciare anch'io le impronte...» Nella testa di Monty il puzzle si stava ricomponendo velocemente. Sentì le rivelazioni di Kinnie leggere e uniche come fiocchi di neve. In quel momento avrebbe saputo rispondere a qualsiasi domanda su di lei e su se stesso. Ma certo che avrebbe potuto lasciare le impronte, se solo lo avesse voluto! Che strano, pensò. Di fronte ai grandi quesiti, i migliori maestri non rispondono mai «Studia la filosofia» o «Prendi una laurea», ma «Lo sai già». La piccola furetta lesse negli occhi di Monty quello che lui stava Richard Bach
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pensando. «E allora dov'è la scuola per i furetti filosofi?» «All'angolo» rispose Monty, sorridendo all'immagine di un'aula in mezzo alla foresta, con le tendine colorate alle finestre e il comignolo fumante. «La scuola è all'angolo tra il sentiero dove ci si pone una domanda e la strada dove ci si rende conto della risposta.» «Mi è piaciuta la parte del "rendersi conto", Montgomery. Risposta esatta. E io sono la tua insegnante.» «Per niente!» disse Monty ridendo. «Io e te siamo uguali.» «In che senso?» replicò aggrottando di nuovo le sopracciglia e puntando i pugnetti sui fianchi. «Intendi dire che io e te siamo simili, che ci assomigliamo? Non che io e te siamo proprio uguali, vero?» «E invece io e te siamo proprio uguali.» Kinnie rimase a studiarlo in silenzio. Quando partono, pensò, chi li ferma più? «E chi sarebbero gli altri furetti filosofi?» Solo fino a qualche istante prima, Monty non avrebbe saputo cosa rispondere. «Sono tutte quelle creature che si pongono delle domande e trovano da sole le risposte.» «Tutte le creature? Vorrai dire tutti i furetti. Oppure formiche filosofe, uomini filosofi, elefanti filosofi...?» «Ciò che è vero per gli elefanti lo è anche per le formiche» rispose Monty. Tutto d'un tratto, Kinnie gli andò vicinissimo, alzò lo sguardo e gli mise la zampa sulla spalla. «Niente male, mio caro Montgomery. Ci hai messo un po', ma finalmente hai capito. Ora comincia il divertimento!» Sembrava che Kinnie aspettasse quel rumore che giunse alle loro spalle. Sorrise, salutò con la zampina e scomparve. Senza lasciare impronte. Lo scalpitio di zoccoli al trotto e il nitrito felice di un dolfìno annunciarono una visita. «Ooh! Ferma, Fulmine» disse Jupe rallentando appena girato l'angolo del ranch. «Mio cugino ha costruito una trave che reggerà per l'eternità, ma avrà bisogno di aiuto per sollevarla.» Il dolfìno si fermò proprio accanto a Monty, che gli diede da sgranocchiare una zolletta di carota presa dalla cassetta degli attrezzi. Fulmine gradì il regalo. Jupe alzò lo sguardo e quando vide la trave perfettamente fissata gli si drizzarono i baffetti. «Caspita! Buongiorno, cugino.» Monty sollevò leggermente la tesa del cappello. «Jupe.» Richard Bach
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Era appena arrivato, ma non riusciva a togliere gli occhi dalla trave. «Hai fatto tutto da solo? Prima dell'alba?!» «No» rispose Monty. «Mi hanno aiutato.» La conoscenza appena maturata gli suggerì di fare attenzione: a volte è meglio gestire con cautela il proprio sapere. Dentro di me viaggia veloce come la luce, pensò, ma fuori è meglio mostrare di compiere un passo alla volta. Così, arrivata l'estate, Monty inaugurò la sua scuola per furetti cowboy che, sebbene concepita soprattutto per i cuccioli, era aperta anche agli adulti. Quando era da solo si dedicava a porsi interrogativi sul suo io più elevato e, col passare del tempo, si era reso conto che era vero ciò che pensava da tempo: i furetti hanno dei poteri di cui non si rendono conto. Trascorreva il resto della giornata a insegnare a cavalcare e a capire il linguaggio dei dolfini. «Per prima cosa» diceva sempre all'inizio dei corsi, dopo aver radunato gli allievi intorno alla linea di partenza «imparerete come si perde.» E infatti gli allievi si allenavano assiduamente ad accettare le sconfitte con dignità, inventandosi i modi più simpatici e bizzarri di festeggiare le vittorie altrui, pur senza rinunciare al gusto della sfida e a progettare strategie vincenti per le corse successive. Monty insegnava anche a chiedere consigli ai vincitori, e a farlo in modo così sincero da ottenere sempre una risposta spontanea. Soltanto alla fine, insegnava come vincere. Gli insegnamenti più importanti non erano quelli espliciti ma quelli nascosti dove gli allievi capivano che gli animali erano tutti uguali e imparavano a stabilire un contatto mentale con le altre creature, unendo le loro anime verso un unico, comune obiettivo. Nel frattempo, Monty cominciò ad avere un pubblico di curiosi sempre più nutrito e interessato. Così decise di armarsi di microfono e registratore e di raccontare con la sua voce calma e profonda tutto quello che aveva imparato. La serie di nastri intitolata I segreti dei dolfini riscosse un grande successo anche tra i non addetti ai lavori. Ad appassionare gli ascoltatori erano le avventure, il senso dell'umorismo e la saggezza di Monty. Le sue storie conquistavano anche chi non aveva mai visto un dolfino. Lentamente, cominciarono ad arrivare lettere da tutto il mondo. Una in Richard Bach
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particolare arrivò con il timbro postale di Loch Y'ar, in Scozia. «Caro fratello» scriveva Zander «che meravigliosa scoperta! Ascoltare I segreti dei dolfini è stata una rivelazione. Che lavoro originale e affascinante. Complimenti, Monty! Cambierai il modo di vedere i dolfini e gli animali in generale.» Zander poi gli raccontò alcune novità sulla sua attività di zoologo all'estero. «La grande novità è che siamo riusciti a clonare una nuova razza di pecore in miniatura, grandi meno di un quarto rispetto al dolfìno più piccolo. Sono creature dolci e amorevoli e hanno la capacità di unire le loro menti come se fossero una sola. Sono intelligenti, premurose e riflessive. Sono una razza a pelo lungo, con dei colori che fanno invidia all'arcobaleno, da quelli più brillanti alle tinte pastello! Per questo noi le chiamiamo pecore Arcobaleno. E vedessi come crescono velocemente! «Abbiamo applicato i tuoi principi, provando ad ascoltarle. All'inizio eravamo stupiti, ma abbiamo scoperto che oltre a essere animali romantici hanno anche uno spiccato senso degli affari. «Per farla breve, le pecore Arcobaleno sarebbero disposte a darci la lana, in cambio di un'accogliente sistemazione sulle alture del "Selvaggio West", come lo chiamano loro. Wyoming o Montana. Hanno bisogno di spazi aperti, condizioni climatiche ideali e panorami che stimolino la loro naturale inclinazione ad astrarre il pensiero e a fare un po' di movimento, ma solo a patto che siano sempre accompagnate da guide. Da sole non saprebbero cavarsela. «Chiedono vitto e alloggio per duemila di loro, oltre che per alcuni furetti suonatori di cornamusa e tamburi a cui sono affezionate, perché nate e cresciute sotto i cieli delle Highlands. «Il tuo lavoro ci ha pienamente convinti! Sei tu l'unico furetto in grado di dirigere un ranch di altissima qualità, che soddisfi le esigenze e i desideri di questa meravigliosa cultura. Ovviamente il ranch avrà degli appositi spazi riservati alla tua scuola di cowboy e agli studi sui dolfìni, a qualsiasi livello.» Dopo alcune pagine di analisi finanziarie ed economiche, Zander concludeva: «Caro Monty, sono sicuro che rimarrai incantato dal carattere e dalle qualità delle Arcobaleno. Spero che mi risponderai il prima possibile e che verrai a trovarci per discutere di persona la nostra e la loro offerta. Richard Bach
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«Con affetto, «Zander.» Montgomery posò la lettera sulla scrivania del granaio, si grattò la testa pensieroso e si abbandonò sulla sedia, dove chiuse gli occhi. Mio più alto senso del bene, chiese in silenzio, cosa devo fare? Non sono un furetto d'affari ma un semplice cowboy che ama il Montana. Se accetto la proposta di Zander renderò migliore la vita di qualcuno o sarò una delusione? E se non accetto porrò fine alle speranze di chi ha fiducia in me o lo indirizzerò verso una strada migliore? Qual è la scelta che farà il bene di tutti? Senza farsi attendere, il suo più alto senso del bene rispose con quattro parole: «Pensi che sarà divertente?». L'angoscia aveva messo a dura prova Montgomery, ma non riuscì a sopraffarlo del tutto. Il grande ranch fu costruito su un'area di mille megazampe di prateria, foresta, fiumi e montagna, nella natura selvaggia a nord-est di Little Paw, vicino al villaggio di Northstar. L'ingresso era segnalato da un imponente arco in legno di pino sopra la strada, a lettere bianche scolpite su fondo nero: ARCOBALENO VILLAGE CENTRO DI ADDESTRAMENTO COWBOY L'area brulicava di operai e in tutta la vallata echeggiavano i rumori di martelli e di seghe, lo stridore delle pietre che, una sopra l'altra, davano forma ai comignoli, gli scricchiolii e i tonfi dei rami d'albero con cui si costruivano le pareti, il tintinnio degli attrezzi da lavoro, il raschio dei mobili di legno sui pavimenti ad assi. Alla fine, l'Arcobaleno Village non era più un plastico in un ufficio, ma una imponente costruzione ben visibile all'orizzonte. C'erano la zona per gli addetti ai lavori, le aree per l'addestramento dei giovani cowboy, le baracche, i granai, i recinti, le piste da corsa e la mensa. Più lontano, in un luogo appartato, gruppi di casupole in legno per le pecore Arcobaleno, centri di meditazione, vasche da bagno con acqua calda, spazi per i picnic e torrette dove cornamuse e tamburi potevano salutare il tramonto. Ma la vera attrattiva per le piccole pecore, il sogno che le aveva spinte oltreoceano, era la natura incontaminata e selvaggia del Montana. Una volta Monty aveva sperato di condividere l'amore per la sua terra Richard Bach
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con una sola compagna, ma il destino gliel'aveva portata via. Ora l'avrebbe condiviso con migliaia di altre creature.
Capitolo 4 Improvvisamente si levò una vorticosa fiammata blu vicino al tavolo sette, dove erano seduti dodici furetti. I clienti degli altri tavoli si girarono a guardare. Erano tutte celebrità e commentavano tra di loro gli show che accompagnavano ogni portata. Lo chef Gerhardt-Grenoble inclinò la sua «omelette di mezzanotte flambé», facendo uscire dal fuoco una pioggia di minuscole stelle fatta di polvere di zafferano e coriandolo, prima di servirne a tutti una porzione ancora infuocata. Una leccornia irresistibile. «Et voilà» disse. «Bon appétit, mesdames et messieurs.» Con un sorriso mesto, si inchinò all'applauso dei colti ospiti e si allontanò educatamente. Mentre se ne andava, rivolse un saluto a un tavolo occupato dai suoi più cari amici che erano mischiati tra le celebrità. Nessuno si accorse che lo chef sembrava assente, come se dietro il sorriso stesse in realtà dicendo addio. Dire che solo La Mer des Etoiles di Manhattan fosse il fiore all'occhiello di Gerhardt-Grenoble non era esatto. I suoi ristoranti erano tutti fiori all'occhiello nel mondo dell'alta cucina: Parigi, Beverly Hills, Tokyo, Buenos Aires e Nuku Hiva. I furetti dell'alta società, famosi per la perspicacia e il buon gusto, giudicavano lo chef una star proprio come i suoi clienti. «Meraviglioso» disse sottovoce il cameriere al tavolo sette. «Non credete anche voi che non sia un cuoco, ma un mago?» Ogni mattina, prima dell'alba, in qualsiasi parte del mondo si trovasse, Gerhardt-Grenoble si infilava sciarpa e cappello e girava per i migliori mercati delle città. Annusava e tastava la frutta e la verdura più fresche, tra le rauche voci della folla alle prime ore del giorno. E così stava facendo anche quel giorno a Manhattan, insieme al suo vecchio amico e socio, indicando ai venditori le cassette e gli scatoloni con il loro contenuto fresco di giornata da far recapitare al La Mer. Passavano da una bancarella all'altra, con le narici sempre all'erta in quel mare di fragranze. «Hop, hop» facevano alcuni furetti passandosi pesanti cassette di banane Richard Bach
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scaricate da un camion. «Hop, hop!» «La belle cuisine» disse in mezzo al baccano lo chef con garbato accento svizzero «ci ha fatto compiere un lungo viaggio, Armond». «Già. Abbiamo cominciato insieme» rispose l'amico «e continueremo ancora per un bel pezzo». Annusò un pomodoro che aveva il colore del tramonto e lo ripose, poi ne scelse uno da un'altra cassetta, lo annusò e annuì al venditore che lo stava guardando. Questi colse il cenno di assenso e annotò sull'ordine il numero della cassetta. «Te la caverai benissimo» disse lo chef. Armond si girò verso l'amico, sollevando appena il capo. «Cosa stai dicendo, Gren?» Gerhardt-Grenoble estrasse da un taschino della giacca un ritaglio di giornale piegato in due e glielo passò senza dire una parola. Il socio lo aprì e lesse: LA LANA PIÙ SOFFICE DEL WEST, ARCOBALENO VILLAGE DI FURETTO MONTGOMERY: DOVE TROVARE LA MIGLIORE LANA DEL MONDO. Subito sotto c'erano una fotografia di Monty con in braccio un agnello e poche righe di testo interrotte dallo strappo, come se il lettore non fosse interessato al contenuto dell'articolo. Armond alzò lo sguardo dal ritaglio, fissando allibito l'amico. «Hai deciso di andartene?» «Sì. Ti ricordi il nostro accordo?» «Certo: ciascuno di noi è libero di andarsene, per qualsiasi ragione...» «I La Mer di tutto il mondo sono tuoi.» «Ma Gren, sei all'apice del successo! E davvero ciò che vuoi?» Lo chef annuì. Il venditore, notandolo, aggiunse all'ordine due dozzine di zucchine. «Succederà anche a te, Armond. A un certo punto arriva il momento in cui la tecnica non basta più. E di più importante c'è solo... che cosa c'è di più importante della tecnica?» «Il sentimento? Lo stile? Il quid?» «No. La semplicità.» «Ma certo, la semplicità. Però, scusa, è proprio necessario sacrificare tutto quello che hai costruito fino a oggi? Dove hai intenzione di andare, Gren? Da...» Armond si fermò un istante per dare un'occhiata al ritaglio di giornale «... Montgomery?» Richard Bach
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Gren sorrise. «Nel Montana.» «La tua fama ti precederà.» «No. Gerhardt-Grenoble è stato visto per l'ultima volta... be', comincia a pensarci su, Armond, visto che sei stato tu l'ultimo ad averlo visto. Promettimi che non dirai a nessuno dove andrò.» «Quando ritornerai?» «Goditi i La Mer.» Un antico proverbio dei furetti dice: «Una volta scalate certe vette, non si può più scendere ma è necessario aprire le ali e spiccare il volo». I due amici erano tranquilli in mezzo agli bop, bop, al baccano e al trambusto del mercato. A un certo punto lo chef si girò verso il compagno, lo salutò con un cenno del capo e scomparve tra la folla. D'altronde, pensò Armond, i geni sono tutti un po' pazzi.
Capitolo 5 «Uno... due... tre!» Al tre, i piccoli cowboy schierati uno accanto all'altro lanciarono i loro lazo verso una fila di sagome in legno che, per assomigliare il più possibile alle pecore Arcobaleno, erano state ricoperte di paglia a mo' di lana. Tutti gli allievi mancarono i bersagli, chi colpendo la sagoma col cappio, chi lanciando il cappio per terra. Per nulla contrariato, l'istruttore si strinse nelle spalle mentre i piccoli recuperavano le loro corde colorate, pronti ad ascoltarlo. GerhardtGrenoble assistette alla scena, scese dal taxi e respirò a pieni polmoni l'aria estiva del Montana, con i suoi profumi di salvia, pino e fiori selvatici. «Quando dico tre» disse l'esperto istruttore «il lazo deve andare sopra il collo della pecora, non su una roccia o su un cespuglio. Un giorno potrebbe capitare che al posto di una sagoma di legno ci sia una pecora smarrita sull'orlo di un burrone o di una scarpata, e il vostro lazo le salverà la vita. Quindi bisogna esercitarsi, giusto?» Per dare una dimostrazione della giusta esecuzione, il cowboy continuò a indietreggiare. Gli allievi pensarono che da una distanza del genere sarebbe stato impossibile. «Non così lontano, Dakota!» fece appena in tempo a gridare una piccola cowboy, prima di venire zittita dai compagni. «Tenete il cappio ben distante dalla zampa, sopra la testa» disse, facendo Richard Bach
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abilmente roteare il lazo azzurro in cielo «e vedrete che quando lo lancerete andrà più lontano. Proprio... così...!» Lo chef trovò l'ufficio del ranch. Sulla targhetta della porta c'era scritto: «FURETTO MONTGOMERY». Bussò. «Avanti, è aperta.» Entrato, notò che il proprietario, muso ampio e corpo armonioso, sembrava più giovane rispetto alla fotografia del giornale. Era alla scrivania, chinato su un libro contabile. Alla stessa scrivania, spalle alla porta, stava seduta quella che aveva tutta l'aria di essere una furetta d'affari. Gerhardt-Grenoble non credette ai propri occhi. Sulla scrivania c'era la fotografia di Jasmine, con una dedica che faceva fatica a leggere. Monty alzò lo sguardo dal libro contabile. «Buongiorno.» Cosa ci faceva la foto della sua celebre amica nel selvaggio Montana? Lo chef sgranò ancora una volta gli occhi, poi si ricompose. «Buongiorno.» Dall'accento sembrò più uno svizzero che uno dell'Ovest. «Possiamo aiutarla?» «Sono il vostro nuovo chef.» Montgomery sorrise. «Ah, bene, signor...» «Mi chiami pure Cookie. E non c'è affatto bisogno che mi dia del lei.» «E molto gentile da parte tua, Cookie. Ti ringrazio, ma uno chef lo abbiamo già.» «Benissimo. Avrò bisogno di un aiutante.» Monty rise di gusto e si passò una zampa sulla testa per lisciarsi il pelo. «Bisogna vedere se Bud sarà d'accordo...» Cookie annuì. «Spiegami per quale motivo Bud dovrebbe impazzire dalla voglia di fare il tuo aiutante, dal momento che è capocuoco sin dal primo giorno che abbiamo aperto il ranch.» «Certo, posso dimostrartelo!» Monty si lisciò i baffetti. «Puoi dimostrarmelo...» «Sicuro!» Monty sorrise di nuovo. «E come?» Cookie si strinse nelle spalle. «Datemi tre uova.» A quel punto la furetta d'affari si girò, divertita dalla risposta di Cookie. Aveva un incantevole musetto marrone scuro e due vispi occhi neri, attenti a tutto quello che aveva attorno. Richard Bach
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«Lei è Adrienne, il nostro direttore commerciale» disse Monty posando una matita sul registro contabile a mo' di segnalibro. «Credo che le uova non manchino. Chiediamo a Bud se ce ne può lasciare qualcuna.» Adrienne, ancora sorridente, gli porse la zampa.
Capitolo 6 Era l'alba e Monty cavalcava tranquillamente Ladyhawke, verso gli alti pascoli. Davanti a sé, avvolto sul pomo della sella, il lazo di lana nera; dietro, le coperte arrotolate. A est il cielo era screziato da pennellate di luce silenziose nell'aria fredda e pungente. Il giovane cowboy fece un respiro profondo. Respirava la luce, la linfa dei pini, degli abeti e della salvia, e quella della terra e dell'erba mescolate al profumo cristallino del fiume e alla fragranza dei fiori selvatici accarezzati dalla brezza. Che meraviglia, pensò. Non mi stancherò mai di tutto questo. Mai. Respirò ancora. Mentre si avvicinava al pascolo di mezzo, cominciò a sentirne da lontano il profumo dell'erba. Poi fiutò la presenza di Fragola, Cedro, Pesca, Mandarino, Mirtillo, Liquirizia e Albicocca. Fu proprio Albicocca ad andargli incontro, una pecora alta solo poche zampe, dal colore vivace come il frutto da cui prendeva il nome e dal profumo altrettanto invitante. Vediamo cosa vuole, Ladyhawke, pensò Monty. Il dolfino si fermò senza bisogno di ordini o segnali. Il cowboy scese dalla sella e allungò una zampa verso il piccolo esemplare clonato. «Come va, Albicocca? Vi state divertendo, vero?» La pecora avanzò lentamente, rispondendogli brevemente col pensiero in lingua scozzese: «Ci siamo perse, Monty!». Il furetto accarezzò energicamente la pecora dietro le orecchie. «E così vi siete perse ancora, eh?» Albicocca fece segno di sì con il muso.