J. L. Rickard
Morte Al Piano Di Sopra Upstairs © 1932 Il Giallo Economico Classico N° 119 - 8 giugno 1996
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J. L. Rickard
Morte Al Piano Di Sopra Upstairs © 1932 Il Giallo Economico Classico N° 119 - 8 giugno 1996
Personaggi principali Hector Montague Vanessa Montague Joyce Chance Joseph Rousselle Rev. William Kingsdale Sig. Frazer
baronetto inglese sua cugina affascinante signora investigatore privato vicario della parrocchia di Saint Anselm ispettore di polizia
1. Hamilton Street, breve e larga, sarebbe una via come tutte le altre se le due chiese che la limitano alle estremità non le conferissero un certo carattere di originalità. Da un lato la chiesa anglicana eleva la sua torre quadrata, dall'altro sembra vigilare la chiesa cattolica, coi suoi mattoni rossi e gli spigoli di pietra grigia. Fra l'una e l'altra si seguono in una pacifica vicinanza due file di banalissime case; all'angolo un negozio di droghiere e di fronte una modesta sartoria. Il frastuono della King's Road imperversa poco distante, pur senza turbare la quiete della via silenziosa. La bottega del sarto, dipinta di un bel verdolino, mette all'angolo una nota di gaiezza; e la vetrina del droghiere, con le sue bottiglie e i suoi barattoli, che potrebbero contenere veleni o profumi, dà al passante un piacevole brivido di romantico mistero. Le case si somigliano tutte, come si somigliano i volti umani, sempre composti dei medesimi elementi; come l'anima di ogni individuo modifica l'espressione del viso, così gli abitanti delle varie case imprimono a ciascuna di esse un carattere proprio che le fa distinguere dalle altre. Qui, più che altrove, ogni casa sembra avere una vita esclusivamente a sé e i J. L. Rickard
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vicini s'ignorano fra loro quasi completamente. Una sola fra quelle abitazioni si distingueva in quel tempo dalle altre per il suo aspetto meschino. Il mutare dei tempi e delle condizioni finanziarie avevano richiamato nella via modesta tutta una nuova categoria d'inquilini, e ogni casa aveva risentito del progresso e aveva cercato di migliorare il proprio aspetto esteriore. Ma quella al numero 47 era rimasta immutata. La signora Packer che ne era da molti anni la proprietaria e affittava le camere dei tre piani, aveva aumentato i prezzi man mano che la via si faceva più elegante e la clientela più distinta; ma non aveva fatto alcun altro cambiamento. Daniel Harrington era venuto ad abitare al numero 47 di Hamilton Street molti anni addietro, quando i prezzi erano ancora assai modesti; tornando all'antica abitazione dopo una lunga assenza, trovò, come unica innovazione, l'affitto quadruplicato. Reduce da un lungo soggiorno nell'Africa Occidentale, che gli era costato parecchi anni di vita e aveva menomato notevolmente le sue energie, sopportava con molta filosofia la temporanea invalidità che lo faceva alquanto zoppicare da una gamba. Quel ritorno in patria dopo il lungo esilio gli dava un penosissimo senso di solitudine e di abbandono; e fu molto consolante per lui il trovare la sua camera e la signora Packer immutate. La vecchia padrona di casa lo accolse con molta cordialità; lui era un inquilino che pagava puntualmente e non dava il minimo disturbo; né troppo vecchio né troppo giovane, metodico e tranquillo. A questi suoi apprezzamenti, diremo così, utilitaristici si aggiungeva però un sentimento più disinteressato di sincera simpatia. Daniel Harrington aveva da poco superato la quarantina; alto e forte, naso diritto, volto completamente raso, occhi chiari e acutissimi. Sensibilissimo per natura, aveva dovuto modificare il proprio carattere nei lunghi soggiorni in lontani paesi, fra popolazioni strane e selvagge, che avevano messo a dura prova la sua resistenza fisica e morale. Ma il suo acutissimo spirito d'osservazione era rimasto intatto, e i suoi simili lo interessavano sempre moltissimo. Gli capitava talvolta di ascoltare un rumore di passi sul pavimento come si ascolta una musica; il più modesto passante attirava la sua attenzione, e la sua fantasia sempre desta lo seguiva anche quand'era scomparso alla svolta della via. L'osservare gli altri lo faceva vivere fuori della sua propria vita, in una continua tensione ed attenzione. Anche la signora Packer, il cui volto rugoso gli rammentava J. L. Rickard
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stranamente quello di una vecchia fattucchiera che l'aveva ospitato una volta nella propria capanna in mezzo alla giungla e perfino Joan, la serva sudicia e sciattona, mettevano in moto la sua fantasia; i suoi coinquilini poi riempivano le sue lunghe giornate d'infinite fantasticherie. Daniel era sempre alla ricerca di un qualche dramma nascosto; ogni individuo che vedeva entrare in una casa, richiudendosi l'uscio alle spalle, esasperava la sua curiosità per l'enigma che ogni porta poteva nascondere; ed egli cercava avidamente un indizio, una traccia qualsiasi di quelle vite misteriose. Nella sua solitaria clausura, condannato a passare le giornate disteso su un divano, la strada aveva per lui l'attrattiva d'un palcoscenico, e nessuno poteva conoscere meglio di lui gli abitanti di Hamilton Street. Proprio di fronte alla sua finestra, in una casa che, unica, portava ancora sulla porta un cartellino con la scritta "Camere da affittare", abitavano due uomini e una donna; impiegati, forse, a giudicare dalla regolarità con cui uscivano e rientravano. Vite rapide, affannose, che li spingevano sulla via nelle prime ore del mattino, per non tornare che a tarda sera, sempre incalzati dalla fretta e ignorandosi a vicenda. La casa accanto era molto diversa. Ridipinta di fresco d'una bella tinta chiara e brillante, con le finestre velate da eleganti tendine azzurre, con due belle piante verdi ai lati della porta d'ingresso, essa non poteva essere abitata che da una donna; Daniel ne fu certo assai prima di averla veduta. Un giorno finalmente la vide: alta, snella, elegante, e pensò che dovesse essere bellissima. Portava spesso un cappellino rosso, molto carino, ed aveva un certo modo circospetto di camminare che accrebbe la sua attenzione. Pareva quasi temesse di essere seguita o sorvegliata da qualcuno, o paventasse un incontro spiacevole. Le finestre della casa erano munite di imposte azzurre, nelle quali era intagliata una piccola mezza luna, particolare che accentuava quella lieve aria di mistero che la circondava. Quando Daniel non poteva dormire (cosa che gli accadeva abbastanza spesso) soleva sedersi accanto alla finestra, al buio, e di lì ascoltava fluire l'invisibile fiume della vita. Marzo era stato eccezionalmente rigido, quell'anno, e aprile aveva portato uragani di pioggia e nevischio. Quel giorno, il cielo, verso sera, si era rasserenato e, al tramonto, Daniel aveva veduto le ultime nuvole, sopra i tetti della casa di fronte, rosseggiare nel sole; ma l'aria era rimasta pungente e il soffio di levante che spazzava la Hamilton Street era gelato J. L. Rickard
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come un vento decembrino. Dopo le dieci di sera, i passanti s'erano fatti assai rari; Daniel non aveva sonno e, adagiato nella sua poltrona accanto alla finestra, con le persiane aperte e le tende alzate, fantasticava, come al solito, sull'impossibilità di penetrare il mistero delle case chiuse. La camera al secondo piano, proprio sopra la sua, era occupata dalla signorina Garret. Almeno avesse abitato di fronte! Avrebbe potuto inquadrarla in uno sfondo qualsiasi: una finestra, una porta, un giardino. La signora Packer era molto soddisfatta di quella sua inquilina, che pagava puntualmente e non dava alcun disturbo. Era una donnina tranquilla sui trentacinque anni; usciva ogni giorno, ma nessuno sapeva dove andasse; non riceveva mai visite e aveva un passo così leggero che Daniel si accorgeva appena della sua presenza. Quale serie di strane vicende aveva condotto la signorina Garret e lui stesso e tutti gli altri abitanti di quella via — pur così insignificanti per se stessi — in quell'angolo di mondo? Quale strana pausa nella vita li aveva raccolti, così, nella medesima rete? L'irrequieta fantasia di Daniel si sbizzarriva dietro a questo pensiero. Udì il portone di casa chiudersi piano: la signorina Garret rientrava. Riconobbe il suo modo cauto di richiudere la porta, quasi temesse di svegliare un dormiente. La udì salire le scale, passare davanti alla sua porta e fermarsi un istante in ascolto. Se avesse avuto i movimenti più liberi e avesse potuto alzarsi senza far rumore, avrebbe potuto raggiungerla e trattenerla. La sapeva, come lui, un'osservatrice; la sentiva simile a sé, da quel lato, e gli sarebbe piaciuto guardare in fondo a quell'anima... La sentiva, attraverso la porta chiusa, intenta a origliare; e trattenne il respiro, sperando quasi che il silenzio profondo la invitasse a girare la maniglia e metter dentro la testa. Ma la signorina Garret riprese a salire pian piano, e lui non l'udì entrare in camera; pareva si fosse dileguata. Quell'atto di curiosità, così inutile e ingiustificato, gliela aveva resa tuttavia più umana e più vicina. Quella prova di interessamento per il suo coinquilino correggeva l'idea di una persona fredda e compassata che le descrizioni asmatiche della padrona di casa gli avevano suscitato. I rari fanali s'erano accesi ad uno ad uno e illuminavano scarsamente la strada. Qua e là, dietro le persiane chiuse, brillava una lampada. I tetti spiccavano neri sul cupo azzurro del cielo e già la notte fredda e buia avvolgeva ogni cosa. La via era deserta e silenziosa. Un suono smorzato di J. L. Rickard
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passi attirò l'attenzione sempre vigile di Daniel; gli parve che quel passo lento e cauto avesse qualcosa di drammatico. A un tratto, lo udì farsi più rapido e vide un uomo che attraversava la strada. Indossava un pesante pastrano e un cappello floscio; e aveva un aspetto molto giovanile. Si avvicinò risolutamente alla casa in cui abitava la signora dal cappellino rosso. La casa era chiusa e silenziosa; le piccole mezzelune delle imposte erano tutte scure. Daniel si sporse in avanti, pieno di curiosità. Il giovanotto salì i pochi gradini davanti al portone, ma non suonò il campanello; levò invece di tasca una piccola chiave, aprì, entrò rapidamente e richiuse senza far rumore. Un lieve scricchiolio proveniente dalla camera del secondo piano fece trasalire il silenzioso osservatore. La signorina Garret aveva aperto la finestra. Nonostante il freddo e l'ora tarda, anch'essa era ancora alzata; anch'essa doveva aver veduto il singolare visitatore. Il giovanotto era sparito nell'interno della casa e tutto pareva finito; ma Daniel non era soddisfatto e avrebbe voluto saperne di più. Il fuoco, nel caminetto, s'era spento; egli si sentiva stanco e il letto lo tentava. Stava faticosamente alzandosi dalla poltrona, quando il rumore di un'automobile lo trattenne. Bisognava pur vedere se e dove si sarebbe fermata! E si rimise a sedere. Era una macchina di lusso, grande, scura; Harrington l'aveva veduta spesso fermarsi davanti alla casa di fronte. Nell'interno la luce era accesa e vi poté scorgere la solita signora, a fianco di un bell'uomo grande e grosso, dall'aria imponente e imperiosa: evidentemente era il proprietario della macchina. Questa s'arrestò dinanzi al portone, il signore ne uscì e disse poche parole all'autista; poi aiutò la signora a scendere, ridendo con lei. Lei gli passò davanti rapidamente, con aria quasi furtiva; frugò nella borsetta, ne trasse una piccola chiave e aprì la porta. Appena entrata nell'ingresso buio, girò l'interruttore della luce e Daniel la vide illuminata in pieno. Tornò subito sulla soglia e parlò a lungo, nervosamente, col suo compagno; si capiva che tentava di dissuaderlo dall'entrare con lei. Le sue esortazioni però non ebbero alcun effetto ed egli entrò risolutamente. La porta si richiuse un'altra volta; la scena era finita. Fuori non rimase che l'automobile con l'autista, col bavero di pelliccia rialzato fin sopra gli orecchi, ad attendere in silenzio il ritorno del padrone. J. L. Rickard
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Daniel rimase ancora qualche istante presso la finestra, scrutando il buio della via deserta; ma tutto era tranquillo e si decise finalmente a coricarsi. Quando fu svestito, tornò a dare un'occhiata alla strada. La macchina era sempre lì, e a una finestra della casa di fronte splendevano due piccole mezze lune luminose. Faceva freddo; si ritirò dalla finestra ridendo: quel povero autista gli faceva compassione. Al grosso signore poco importava se il domestico soffriva il freddo aspettandolo; egli se ne stava certo al calduccio, nell'elegante appartamento, dove pure era entrato contro la volontà della sua abitatrice. Ma chi mai poteva essere l'altro, che era entrato prima servendosi della chiave? Come avrebbe accolto l'intruso? Chissà se la signorina Garret aveva assistito anche lei a quella scena muta? Forse anche lei aveva spiato dalla finestra; chissà, forse conosceva anche gli attori. Si propose di procurarsi l'indomani un annuario postale, per cercarvi almeno il nome della signora dal cappellino rosso. Se avesse potuto far conoscenza con la signorina Garret, lei gli avrebbe forse saputo dire qualcosa. Nella via silenziosa e addormentata ognuno era immerso nei propri sogni; ma fra le pareti della casa di fronte, davanti a cui l'autista vegliava intirizzito e paziente, non stava forse svolgendosi un altro atto di una qualche strana commedia? Finalmente Daniel si addormentò, e non udì che, sopra il suo capo, la signorina Garret aveva lasciato cadere qualcosa. Probabilmente, in tutta la via, i soli che non dormissero erano lei e l'autista. La notte già cedeva ai primi bagliori dell'alba. La luce aumentava gradatamente scacciando le ombre e i sogni. L'aria si faceva più rigida e una tinta purissima avvolgeva tutte le cose, rendendole come incorporee. Hamilton Street, tuttora immersa nel sonno, taceva; e il primo veicolo che vi passò destò un fragore quasi di tuono. Un'atmosfera irreale avvolgeva la via silenziosa. L'automobile se n'era andata; degli avvenimenti della notte non restava più traccia; forse non erano stati che un sogno.
2. Shelton Gardens non è separato da Hamilton Street che da un grande parco, ma è un quartiere assai più distinto ed elegante. Le case che fiancheggiano il piazzale sono grandi e maestose; quella di Lady Montague, sebbene un po' più piccola delle altre, non è però meno J. L. Rickard
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importante. Nel salottino esposto a mezzogiorno non entrava il sole, quella mattina, e il grigio del cielo si rifletteva sul volto cupo di Lady Montague. Seduta davanti alla tavola apparecchiata per la prima colazione, la bella signora appariva preoccupata. Un elegante veste d'un rosso caldo faceva risaltare la sua bruna bellezza orientale e dava uno splendore più vivo ai grandi occhi neri, alla tinta un po' olivastra del viso, fiero sotto una voluta espressione di mansuetudine. Col mento appoggiato alle mani congiunte e le labbra strette, meditava, guardando il fuoco che scoppiettava nel camino. A trent'anni, Vanessa era vedova per la seconda volta. Il primo matrimonio non le aveva dato che delusioni, e lei aveva deciso, qualora le si fosse presentata l'occasione di rifare la propria vita, di tenersi al solido e di dare la preferenza a chi le potesse procurare una vita agiata. L'occasione si presentò e le fece conoscere in casa di comuni amici Sir Allan Montague. Le vesti di lutto e la triste solitudine della bella vedova attirarono la sua attenzione. Anche lui era solo; aveva passato tutta la vita ad accumulare denaro, senza curarsi delle amicizie; ora il suo isolamento gli appariva ad un tratto insopportabile. Giovane, bella, povera e sola, la vedova di George Hebberden gli sembrò la moglie ideale per lui. Gli avrebbe certamente regalato un figlio a cui lasciare la sua ricchezza e il titolo, che altrimenti sarebbero dovuti andare a suo cugino Hector Montague. Tanto Vanessa che Sir Allan erano completamente indipendenti, e le nozze si celebrarono in brevissimo tempo. Vanessa entrò nella palazzina di Shelton Gardens con un assai modesto corredo. Ma il secondo matrimonio non fu più brillante del primo. Sir Allan si mostrò subito molto esigente e tutt'altro che generoso; tutta una vita di risparmio gli aveva lasciato un'abitudine di economia, quasi di avarizia. Svanita, col tempo, la speranza del tanto desiderato erede, Vanessa vide affievolirsi e svanire ogni sua influenza sull'animo del marito. Sir Allan si ammalò di una lunga malattia che lo condusse lentamente alla tomba, e la moglie non osò mai opporsi alle sue piccole e grandi manie, per timore di essere lasciata senza un soldo. Se le avveniva di paragonare la sua sorte presente all'antica vita di privazioni, a fianco di uno scervellato sempre al verde, trovava che quella, almeno, era vita, mentre nella bella casa di Shelton Gardens era rinchiusa come in una tomba. J. L. Rickard
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Un anno prima di morire, quando ogni speranza di un erede era per sempre dileguata, Sir Allan cominciò a pensare seriamente a suo cugino Hector. La sua morte l'avrebbe fatto ricco, e il suo senso sviluppatissimo dell'ordine faceva desiderare al baronetto che il suo erede fosse in grado di amministrare la propria ricchezza. Lo richiamò dunque da Parigi, dove il giovane viveva poveramente dando lezioni d'inglese, e gli affidò le mansioni di segretario e quasi direttore della casa. L'arrivo del cugino portò un mutamento grandissimo nella vita di Vanessa. Col suo carattere imperioso e dominatore, il giovane prese ben presto un grande ascendente su di lei; del resto i suoi capelli d'un biondo cenere e i suoi occhi un po' languidi avevano realmente un fascino singolare. Anche Sir Allan fu subito conquistato dal cugino; ma questi non abusò della propria influenza e, sebbene alla morte del marito Vanessa fosse in completa disgrazia, anche lei ebbe larga parte dell'eredità, col diritto di rimanere nella casa di Shelton Gardens. Ma qualora avesse ripreso marito avrebbe dovuto rinunciare a tutto. La proprietà della casa restò a Hector; se poi egli si fosse sposato, Vanessa avrebbe avuto una casa più modesta ma sempre assai decorosa. Tale disposizione non diminuì certo l'interesse di Lady Montague per il cugino. Seduta nel bel salotto tranquillo, Vanessa riandava il passato. La stanza un po' severa le dava un senso delizioso di riposante sicurezza; sulla tavola, un gruppo di rose rosse in un vaso di cristallo le faceva pensare al tempo non lontano in cui tutte quelle cose le sarebbero sembrate irraggiungibili come le stelle del cielo. Il matrimonio con Sir Allan le aveva dato alcuni anni di esistenza assai monotona, ma le aveva procurato anche una quantità di agi ai quali ella non aveva mai nemmeno sognato. Ora Vanessa avrebbe potuto essere felice se, per la prima volta nella vita, non avesse sofferto le ansie e le angosce di una vera passione. Hector sapeva piacere alle donne. Lui l'aveva aiutata e protetta nei giorni del dolore, l'aveva rasserenata nelle ore di tristezza e aveva trovato per lei un grazioso soprannome. Con quel suo viso olivastro, i grandi occhi bruni e la massa di capelli neri, lei gli ricordava una delle eroine delle Mille e una notte, e non la chiamava, ormai, che "Madonna Luna". Nessuna parola decisiva era mai corsa fra loro, nemmeno un'allusione ad un possibile matrimonio: eppure Vanessa non pensava che a questo. La sua passione non le dava alcuna dolcezza, ma le infondeva una forza non comune. Per salvare le convenienze, aveva chiamato presso di sé una vecchia zia, la J. L. Rickard
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signora Cuthbertson, la quale faceva la sua parte di comparsa con molta discrezione e passava intere giornate nella propria camera senza turbare minimamente la vita della nipote. Tutto scorreva facile e piano, ora, nella vita di Vanessa; una sola preoccupazione la tormentava: Hector le dimostrava sempre la stessa affettuosa amicizia ed era con lei premuroso e cortese, ma niente di più. Ignorava completamente, o fingeva d'ignorare, la passione della cugina. La natura irrequieta di Vanessa non le permetteva di sopportare a lungo un tale stato di incertezza; aveva bisogno di sapere, di avere una base tangibile su cui costruire i suoi sogni. Il caso parve offrirle un aiuto quando, a una festa di beneficenza, una chiromante, con frasi vaghe e misteriose, lesse nella sua mano che lei aveva dato tutto il cuore a un uomo che l'amava, ma che, per una ragione segreta, non poteva confessarglielo. Una seconda lettura della mano le rivelò che l'uomo amato sarebbe stato ben presto libero di palesarle i propri sentimenti. Tutto ciò non fece che assecondare e ingigantire la sua idea fissa e, da quel momento, abbandonata ogni diffidenza, Vanessa credette ciecamente in ogni presagio, in ogni profezia che le confermasse la realizzazione del suo sogno. In casa della sua amica Lisa Bryant, una nuova profetessa, Madame Cassali, dava consultazioni private, e lei si affrettò ad interrogarla. Madame Cassali le fu prodiga di consolazioni; il suo responso rispecchiava perfettamente il pensiero di Vanessa. Hector l'amava, ma la ragione misteriosa che lo teneva lontano da lei era dovuta all'influenza di un'altra donna. Un avvenimento imprevedibile e straordinario stava per accadere, e avrebbe portato una profonda alterazione nella sua vita. Le parole ambigue di Madame Cassali affascinarono singolarmente Vanessa e la minaccia del misterioso avvenimento l'allarmò. Tornò ancora dalla sibilla e questa, dopo essersi fatta alquanto pregare, acconsentì a interrogare nuovamente le carte e le rivelò che se fosse riuscita a ritrovare un uomo che da tempo aveva dimenticato, questi avrebbe forse potuto allontanare da lei il pericolo che la minacciava e avere nella sua vita un'influenza benefica. Lady Montague frugò ansiosamente nella memoria per trovare una traccia della misteriosa persona così necessaria alla sua pace; rilesse tutte le vecchie lettere dimenticate nel cassetto della sua scrivania, ma non riuscì a scoprire nulla. Nei brevi anni della sua unione con George Hebberden, sia che lui fosse a casa o lontano, nell'Africa J. L. Rickard
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Occidentale, Vanessa aveva avuto ben poche conoscenze, e il secondo marito l'aveva tenuta quasi prigioniera, completamente estranea alla società. Ma la sua fede nella chiaroveggenza di Madame Cassali era ormai così assoluta che non disperò. L'uomo che doveva aiutarla esisteva senza dubbio, ed avrebbe finito col rintracciarlo. Un giorno le venne in mente un pacchetto di vecchie lettere che George le aveva scritto durante il suo ultimo soggiorno nell'Africa Occidentale. Ecco che il lontano passato le ritornava, dall'oblio in cui l'aveva quasi sepolto; dalle pagine, ingiallite, le parole d'amore e di nostalgia dell'uomo che l'aveva amata e che era sparito per sempre le diedero una certa commozione. Aveva dato a George Hebberden il primo slancio d'amore della sua giovinezza; e l'amore era svanito, come era svanito l'inchiostro con cui lui aveva scritto quelle parole. Rileggeva quell'antica corrispondenza, non per un impulso sentimentale, ma semplicemente per cercarvi la possibile traccia d'un uomo che ora avrebbe potuto decidere della sua sorte. Se non avesse da tempo rinunciato ad ogni illusione sopra di sé, si sarebbe giudicata senza cuore, in quel momento; ma non pensava ad esaminarsi; le sarebbe bastato trovare quel che cercava. George le descriveva la desolante monotonia della sua vita, l'ossessione di quel mare troppo azzurro, delle sconfinate foreste africane, delle interminabili strade abbaglianti sotto la sferza del sole. Ella scorreva distrattamente quella pagine dolorose, nella febbrile ricerca di un nome dimenticato. E lo trovò: Daniel Harrington. Daniel Harrington aveva fatto a George Hebberden l'impressione profonda che fa sempre a un animo debole e incerto un carattere forte e deciso. Nelle lettere di George il suo nome si ripeteva con frequenza, accompagnato da espressioni di entusiasmo. Annunciandone il ritorno in Inghilterra, George scriveva: Vorrei che tu lo conoscessi, Vanuccia; è un uomo straordinario. Egli conta di tornare nella casa dove abitava prima di partire, al numero 47 di Hamilton Street. Mi farebbe molto piacere che tu cercassi di conoscerlo". Vanessa non s'era curata di conoscere Daniel Harrington. Gli entusiasmi del marito non la commuovevano più; troppo volte aveva dovuto riconoscere che le persone "straordinarie" che egli le aveva tanto vantate J. L. Rickard
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non erano, in fondo, che dei semplici mortali, quando non si rivelavano anche inferiori alla media. Prima ancora che Harrington fosse sbarcato in Inghilterra, un cablogramma le aveva annunciato la morte di George, e lei aveva completamente dimenticato il nome di quel suo ultimo amico. Ora, la profezia di Madame Cassali l'aveva spinta a ricercarlo nelle vecchie carte. Seduta a tavola, davanti al posto vuoto di Hector Montague, ella ripensava a Daniel Harrington. Dov'era? Forse nuovi viaggi l'avevano riportato lontano dalla patria; forse anche il viaggio estremo l'aveva riunito a George Hebberden nel paese sconosciuto dove si ritrovano tutti coloro che hanno esaurito il proprio compito sulla terra. Ma i recenti rapporti con Madame Cassali e altra gente simile le avevano insegnato a inseguire fino all'assurdo le più strane fantasie; sicché decise di recarsi in Hamilton Street per vedere se, nella casa al numero 47, si affittavano ancora camere ammobiliate. Si scosse dalla sua fantasticheria e guardò l'orologio; l'ora della prima colazione era passata da un pezzo ed Hector, sempre puntualissimo, non si vedeva ancora. Un'acuta gelosia le strinse il cuore. Dov'era stato la notte scorsa? Egli non le diceva mai dove andava e quel che faceva; forse, conoscendo il suo umore geloso, voleva sfuggire ad esso col silenzio, o forse voleva risparmiarle dei dispiaceri? Secondo Madame Cassali, anch'egli l'amava e soffriva; ma, se l'amava, perché non parlare? Una fiamma d'ira le si accese negli occhi. Respinse il piatto che aveva davanti e suonò il campanello. Nella tensione dell'attesa, i nervi esasperati le facevano pensare che lui la evitasse deliberatamente, e quando Mortimer, il cameriere di Sir Hector, si presentò, lei riuscì con fatica a dominarsi. Alla sua domanda sulla ragione di quel ritardo il servo rispose con un certo imbarazzo: — Barr è tornato tardi, signora, e ha riportato subito la macchina nel garage. — Sicché Sir Hector non è tornato? — No, signora. — Avrà lasciato qualche ordine a Barr — aggiunse lei con un tremito nella voce. — Nessun ordine, signora. Aveva detto semplicemente a Barr di aspettarlo fuori. — Fuori, dove? J. L. Rickard
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— Fuori della casa dove Sir Hector era entrato... Ma forse sarà meglio che la signora parli con lui. — Sì; mandatemelo qui — disse la signora alzandosi. Un senso acuto di smarrimento l'invase. Hector era uomo d'affari, sempre molto occupato, e lei era avvezza alle sue partenze improvvise; ma, se talvolta gli era avvenuto di dover rimanere fuori tutta la notte, non aveva mai mancato di telefonare. Chi abitava in quella casa misteriosa? Quali ragioni ignote ve l'avevano trattenuto? Barr le avrebbe certamente spiegato ogni cosa. Forse la casa apparteneva ad uno dei direttori della Società Industriale Mineraria, della quale Hector faceva parte, oppure s'era trattenuto presso un amico improvvisamente ammalato. Doveva essere così; non poteva ammettere che Hector si fosse lasciato coinvolgere in qualche meschino intrigo! Quando l'autista entrò, Vanessa era pallidissima. Anche lui era pallido e aveva gli occhi assonnati. Le stette dinanzi con aria impertinente e, senza lasciarle il tempo d'interrogarlo, le snocciolò immediatamente tutta la storia. Aveva portato Sir Hector ad un ricevimento in Heaton Square; verso mezzanotte il suo padrone era uscito con una signora, che egli conosceva benissimo per averla condotta altre volte con la macchina. Li aveva condotti alla casa di lei, in Hamilton Street, dove Sir Hector gli aveva ordinato di attenderlo. L'aveva aspettato per alcune ore, intirizzito; poi anche la sua pazienza era giunta al limite e, quando aveva sentito scoccare le tre, se n'era andato. Se Sir Hector non aveva voglia di tornare a casa a piedi, avrebbe preso un taxi. — E mi mandi pure via, se vuole — aggiunse fieramente — non sono un cane, io, da far la guardia alle case! — Che numero aveva quella casa? — chiese Lady Montague, senza mostrare di rilevare quel contegno insolente. — Numero 48; ho avuto il tempo di vederlo bene, in tutte quelle ore! — Siete sicuro che non fosse il 47? — chiese lei ansiosamente. Nell'agitazione che la faceva quasi vaneggiare, le parve che, se la casa fosse stata quella in cui aveva abitato Daniel Harrington, ella avrebbe forse potuto dimenticare la donna cui l'autista aveva accennato. — Altroché — rispose Barr. — Il numero 47 è proprio di fronte, e lì le finestre erano tutte chiuse. Dovevano dormire tutti. — E Sir Hector non è tornato? — Già, me l'hanno detto. — Barr assumeva ora un tono di assoluta J. L. Rickard
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indifferenza. L'infreddatura che s'era buscata nell'attesa notturna andava aumentando, ed egli era ormai sicuro che Sir Hector, appena tornato a casa, l'avrebbe licenziato. — Andate pure — disse la donna senza guardarlo. — Sir Hector non tarderà molto. Lady Montague rimase immobile, quasi irretita da un oscuro senso di terrore. Non aveva mai udito nominare Hamilton Street, ed ecco che, nel corso di poche ore, due case di quella via avevano assunto una strana importanza nella sua vita. In una di esse avrebbe forse trovato Daniel Harrington, l'uomo della profezia; nell'altra era rimasto Hector Montague. Si avvicinò macchinalmente alla finestra e guardò giù, nella piazza fangosa, dove gli alberi agitavano al vento i rami ancora nudi. Madame Cassali aveva parlato di una donna; certamente era quella che Hector aveva accompagnato a casa dopo il ricevimento. Ma perché era entrato in quella casa; perché v'era rimasto? Forse un vincolo segreto lo univa a quella donna? Si sentiva travolgere da un'ondata di sdegno. Ma perché non confidarsi con lei? Avesse anche avuto un matrimonio indecoroso da tener segreto, a "Madonna Luna" avrebbe pur dovuto confessarlo! Ma no, non doveva trattarsi di un matrimonio; non era, certo, che una volgarissima relazione con una signora della buona società. Cose abbastanza frequenti! Ma, appena tornato, gli avrebbe parlato ben chiaro, e gli avrebbe detto che non intendeva affatto tollerare una simile situazione. Si proponeva di parlargli con tono assai pacato e tranquillo. Se Hector voleva continuare a condurre una vita dissipata e scandalosa, lei avrebbe lasciato la casa e se ne sarebbe andata a vivere altrove, con la zia. Ciò li avrebbe portati, necessariamente, a una spiegazione e, se lui si fosse mostrato pentito, lei avrebbe certamente perdonato. Forse, durante quel colloquio, Hector avrebbe finito per farle la tanto desiderata confessione... Ma perché non telefonarle, se non poteva tornare? Tanto poco si curava di lei? Quel pensiero la torturava. E se avesse telefonato durante la notte, mentre tutti dormivano? Forse non aveva voluto rincasare a un'ora così avanzata, ed era andato al suo circolo. Si aggrappò a quest'ultima supposizione e corse giù nello studio per telefonare al circolo. Sir Hector non c'era, né da parecchi giorni s'era fatto vedere. Anzi c'erano alcune lettere per lui. Vanessa non si sentì di sopportare le domande della zia; si chiuse in camera sua e si buttò sul letto, coprendosi gli occhi con le mani. Egli J. L. Rickard
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poteva tornare da un momento all'altro; forse stava salendo le scale. Per quanto felice di rivederlo, non avrebbe dovuto dimenticare il proprio risentimento; Madonna Luna non poteva aprirgli le braccia prima che l'incidente di Hamilton Street fosse chiarito. Le tornavano alla mente confusa le predizioni di Madame Cassali. Tutto si spiegava, ora; le sue profezie si delineavano nette; il velo del mistero che le avvolgeva stava per essere sollevato. Anche il pensiero di Daniel Harrington le dava conforto; lui l'avrebbe aiutata. Hector sarebbe tornato; andasse pure quanto voleva nella casa di Hamilton Street, lei aveva il vantaggio di vivere sotto il suo medesimo tetto e, presto o tardi, lui vi sarebbe tornato. Il silenzio l'avvolgeva come una densa cortina e le dava un senso insopportabile d'isolamento. Oltre quel silenzio torturante Hector viveva, camminava per le vie, forse stava ancora nella casa misteriosa, con quella donna. Una specie di fatalismo le fece assegnare a se stessa — o a lui — un'altra ora di tempo. Lo avrebbe aspettato ancora un'ora, leggendo, tranquilla. Quando fosse tornato, avrebbe fatto il possibile per accoglierlo serenamente e perdonargli tutto. Lentamente, la lancetta fece il giro del quadrante, e uno squillo leggero le disse che l'ora era trascorsa. Il cielo si faceva sempre più grigio e un velo di nebbia avvolgeva gli alberi del giardino. Nel piazzale tranquillo passavano venditori ambulanti col carretto, furgoni carichi di mercanzie, modeste automobili di piazza e ricche vetture padronali. Andavano, venivano, col lento scorrere delle ore, ma di Hector nessuna notizia. Calò il crepuscolo, si fece notte. Lui non era tornato.
3. In quella stessa rigidissima notte d'aprile in cui l'autista Barr aveva lungamente atteso Sir Hector Montague, rabbrividendo nell'automobile ferma davanti alla silenziosa Casina di Hamilton Street, una scampanellata aveva destato, verso le prime ore del mattino, il reverendo William Kingsdale. Era la governante dell'ammiraglio Lamington, venuto a pregarlo di accorrere al letto del suo padrone morente. Il vecchio ammiraglio non aveva mai chiesto, prima di allora, i servigi del reverendo; ma, giunto all'ultima ora, aveva pregato la vecchia governante di correre a cercare un J. L. Rickard
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sacerdote che gli parlasse del mondo sconosciuto verso il quale egli stava per partire. Il reverendo si vestì in fretta. Era avvezzo a quelle chiamate improvvise, e quelle pallide ore del primo mattino gli erano ben note. Disse qualche parola di conforto alla povera donna piangente e la rimandò a casa, assicurandola che l'avrebbe seguita al più presto, appena fosse pronto. Infilato il pastrano e avvoltosi ben bene nella sciarpa di lana, il reverendo Kingsdale uscì nella via. Mentre chiudeva la porta una grande automobile gli passò accanto e lui osservò che era vuota. Il vento rigido lo investì penetrandogli fin nelle ossa. Hamilton Street apparteneva alla sua parrocchia, e lui pensò che, forse, in quella via, più di uno avrebbe avuto bisogno dei suoi buoni uffici, anche più del vecchio ammiraglio. Ma i suoi parrocchiani solevano ricorrere a lui soltanto quando non poteva far altro che pregare per l'anima loro che li stava abbandonando. Se avesse bussato, a casa, ad una di quelle porte, chi gli avrebbe aperto e l'avrebbe invitato ad entrare? Le finestre erano tutte chiuse e buie; solo al numero 48 si vedeva filtrare dalle imposte una sottile striscia di luce. Egli ignorava chi abitasse in quella casa, che aveva cambiato spesso proprietario, e passò oltre senza badarvi. Per quanto egli si fosse affrettato, il viso sconvolto della governante che gli venne incontro nell'anticamera gli disse subito che giungeva troppo tardi: il suo parrocchiano aveva ormai risolto da sé il problema dell'aldilà. La morte l'aveva colto mentre faceva un solitario e le carte erano ancora sparse sul lenzuolo su cui posavano le mani ceree, immobili. Kingsdale fece del suo meglio per consolare la povera vecchia che si disperava, e poi, non potendo fare più nulla, se ne tornò per la sua strada meditando su quella misera fine. Era talmente assorto nei suoi pensieri, che l'aprirsi d'una porta lo fece trasalire. Una donna apparve in una striscia di luce. Gli sembrò assai bella, e quella visione dissipò le tristi immagini che gl'ingombravano la mente. Nel raggio che la illuminava, lei fece un gesto verso di lui, e gli parve di averla veduta altre volte. Sollevò il cappello e le chiese: — Ha bisogno di me, signora? Devo entrare? — Sì — ripeté la signora, ma parve esitare e rimase sull'uscio. — Non ha visto, per caso, un'automobile? — chiese poi. — Sì, un'ora fa, nell'uscire di casa. — Bene, entri — fece la donna allora, quasi si fosse finalmente decisa a J. L. Rickard
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fidarsi di lui; e si ritrasse un poco per lasciarlo passare. Un'ora dopo il reverendo Kingsdale riapparve sulla porta e si allontanò frettolosamente.
4. La gamba di Daniel Harrington andava migliorando. Poteva uscire, appoggiandosi a un bastone, passeggiare per Hamilton Street e spingersi anche fino al parco vicino, dove si sedeva su una panchina a godersi il sole. Il freddo diminuiva, e già si sentiva nell'aria un dolce tepore di primavera. Le pratelline costellavano l'erba di farfallette bianche e i rami neri degli alberi si ornavano del verde leggero dei nascenti germogli. Sempre intento ad osservare i suoi simili, Daniel aveva ora qualche nuovo soggetto su cui fantasticare. Nel guardare dalla finestra il funerale dell'ammiraglio Lamington, egli aveva notato che il vicario di Saint Anselm osservava con intensa curiosità la casa al numero 48. Lui sapeva ora che la bella inquilina era la signora Chance. Il vicario, infatti, fermo davanti all'abitazione dell'ammiraglio, mentre si andava formando il corteo, aveva un bel fingere di guardare il cielo; Daniel aveva visto perfettamente che i suoi occhi non si staccavano dalla casina dalle imposte azzurre; e si domandava se la graziosa signora dal cappellino rosso fosse una semplice parrocchiana, o anche una penitente del vicario, e se l'interesse che questi le manifestava fosse puramente spirituale. Anche vista da lontano, la signora Chance gli era sembrata capace d'ispirare una passione perfino al più inaccessibile degli uomini. Gli pareva però che la contemplazione di quella casa distraesse un po' troppo il reverendo dai doveri del suo ministero. Ad un tratto, la signora dal cappellino rosso comparve sul portone. Visto il vicario di S. Anselmo fermo sul marciapiede, a pochi passi da lei, uscì in fretta e gli passò accanto senza guardarlo. Il vicario, che aveva alzato la mano al cappello per salutarla, la riabbassò lentamente e seguì la signora con lo sguardo. Dunque si conoscevano; ma perché lei non l'aveva salutato? Daniel ne concluse che quella graziosa donnina doveva essere una persona originale. Nei giorni che seguirono, la vide spesso andare e venire, irrequieta. Quando uscì per la prima volta a far quattro passi sul marciapiede, si fermò davanti al suo portone. Che cosa era avvenuto dei due uomini e della ricca J. L. Rickard
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automobile? Né gli uni né l'altra s'erano più visti. Se avesse osato, avrebbe volentieri bussato a quella porta e sarebbe entrato in quella casa misteriosa i cui abitanti gli destavano tanta cocente curiosità. Nelle interminabili fantasticherie che riempivano le sue giornate solitarie, Daniel aveva spesso immaginato un colloquio con la signora Chance. Pensava alle cose profonde e gentili che le avrebbe potuto dire, alle confidenze che le avrebbe fatto sulla sua vita e sui suoi pensieri. Durante le sue brevi passeggiate, la incontrò qualche volta e gli parve che lei lo guardasse con un certo interesse. Quella donna lo attraeva in modo singolare, era divenuta per lui la donna ideale; con quel suo fare misterioso ella dava sempre nuova esca alle sue fantasticherie ed era ormai il centro dei suoi pensieri. La immaginava seduta per lunghe ore nel suo salottino solitario; si vedeva salire zoppicando le sue scale, verso il tramonto, in quella penombra che invitava a sognare; forse lei avrebbe accolto con piacere la sua visita, anche inattesa, e lui le si sarebbe seduto accanto ai piedi, vicino al fuoco, in silenzio. La vedeva, talvolta, dietro ai vetri velati dalle tendine azzurre; forse attendeva qualcuno che non veniva. Daniel pensava con ira gelosa all'uomo che forse la faceva soffrire. Nella sua fervida immaginazione lei gli appariva degna delle follie dei cavalieri erranti, capace di ispirare e di nutrire un grande amore, l'Amore classico, infinitamente al disopra delle misere passioncelle comuni. E il suo cuore si perdeva dietro a quei fantasmi che mettevano un raggio di sole nella sua monotona e triste esistenza. Era finalmente riuscito a vedere la signorina Garret. L'aveva vista fermarsi un momento davanti al portone di casa a guardare il funerale dell'ammiraglio; poi se n'era andata in fretta, come se quello spettacolo le fosse troppo penoso. Era una donnina bruna con gli occhi neri, le labbra sottili e un'aria timida e irresoluta; doveva avere un'anima irrequieta, sensibilissima, e doveva aver conosciuto giorni assai duri. Era trascorso qualche tempo dalla notte in cui la grande automobile s'era fermata davanti alla casa misteriosa. Pioveva; la signora Chance non era uscita e Daniel se ne stava, come al solito, accanto alla finestra, pensando a lei. Avrebbe voluto attraversare la strada e domandare se la signora riceveva; il primo momento d'imbarazzo sarebbe stato presto superato, e lui le avrebbe parlato di tante cose interessanti, intrattenendola piacevolmente. Lei era così giovane e vivace che tutto doveva interessarla. J. L. Rickard
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L'avrebbe esortata a non pensare troppo a quel volgare riccone che non s'era più fatto vedere con la sua automobile. Quanto all'altro, che era entrato in casa servendosi della chiave, egli non sapeva come classificarlo. Che fosse il marito non gli era mai passato per la mente. Non aveva mai fermato il pensiero su codesto ipotetico marito, il quale, del resto, avrebbe anche potuto essere un personaggio immaginario che lei aveva creduto opportuno di far apparire per salvare le convenienze. Adagiato nella sua poltrona accanto alla finestra, Daniel guardava i rari passanti scivolare rapidi sotto gli ombrelli rilucenti di pioggia. Vide il vicario di Saint Anselm passare in fretta e lanciare uno sguardo furtivo alla casa di fronte. L'aria era fredda e il cielo si oscurava rapidamente, ma la signorina Garret sarebbe rincasata all'ora consueta; nemmeno il tempo brutto le impediva di uscire. Quali erano le sue occupazioni? Quel pensiero lo distolse, per un momento, dai suoi immaginari, interminabili colloqui con la signora Chance. Un lieve colpo alla porta lo fece trasalire. Interruppe a malincuore le sue fantasticherie, si sollevò sui cuscini e invitò l'ignoto disturbatore ad entrare. Una bruna e graziosa figura di donna si affacciò all'uscio. Indossava una ricca pelliccia e un elegantissimo cappellino nero; gli occhi lunghi e scuri avevano uno sguardo intelligente e circospetto. — Mi permetta di presentarmi, signor Harrington — disse avanzando. — Io sono la vedova di George Hebberden. Il mio povero marito mi parlò di lei, nelle sue lettere, fino a pochi giorni prima di morire. Harrington si alzò faticosamente e le offrì una sedia. Ricordava benissimo George Hebberden: un bel giovane alto, costantemente perseguitato dalla cattiva fortuna. Esuberante e loquace, aveva il carattere fiacco e instabile dei predestinati all'insuccesso. Lasciando la giungla dov'erano vissuti insieme qualche tempo, Daniel sapeva benissimo che, se Hebberden fosse stato colto dalla febbre tropicale, ne sarebbe morto, incapace com'era del minimo sforzo di reazione. L'inatteso apparire della vedova di George lo sorprendeva. Non aveva mai tentato di raffigurarsela; ad ogni modo, gli pareva che avrebbe dovuto essere molto diversa. Non l'avrebbe mai immaginata così elegante, e l'espressione del suo volto lo lasciava perplesso: un'espressione strana, enigmatica, che lo sconcertava un poco. Forse quella visita le era costata un certo sforzo che la rendeva nervosa. Non doveva essere facile J. L. Rickard
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conversare con lei. Forse era venuta da lui perché le parlasse di George, e Daniel frugò rapidamente nella memoria per raccogliere i ricordi dei giorni vissuti con lui. Non c'era mai stata una vera amicizia fra loro, i loro rapporti non erano durati a lungo; perciò aveva ben poco da raccontare. Del resto, si accorse subito che i ricordi del marito non la interessavano gran che. La signora aveva avvicinato la propria sedia alla finestra e guardava giù nella strada con molta attenzione, rispondendo distrattamente alle parole di lui. Irritato, cessò di parlare, e lei non mostrò quasi di accorgersene. — Chi abita in quella casa con le imposte azzurre? — chiese finalmente, sporgendosi a guardare. Daniel non rispose subito. Guardava il fine profilo di quella donna che, venuta per la prima volta a casa sua, si comportava in modo così singolare. — Ho visto nell'annuario postale che vi abita una certa signora Chance — disse infine. — Ah, la signora Chance? E lei la conosce? — Soltanto di vista — rispose, assai meravigliato che la vedova di George Hebberden s'interessasse della sua vicina. — Com'è? È bella? — Gli occhi neri della signora si fissarono nei suoi e le palpebre ebbero un battito nervoso. — Non saprei dirglielo di preciso — fece lui ridendo — mi pare di sì; io non l'ho vista che dalla finestra; ma m'è sembrata assai carina. — Non so proprio perché io le faccia queste domande — rispose la signora in tono un po' sdegnoso. — M'hanno detto che è una donna che fa molto parlare di sé. — Ma, in che senso? — Daniel si sentì ribollire il sangue: che diritto aveva quella donna di esprimersi in quel modo? La signora Hebberden scrollò le spalle. — Oh, le solite cose. Si dice che attiri gli uomini, non saprei come, e che, una volta entrati in casa, non ne escano più. Strano, non è vero? — Stranissimo, davvero! — fece lui, incuriosito. — Ma che fa poi, di codesti uomini? Non li ammazzerà mica, spero! — Oh, non lo credo! — rispose la signora ridendo. — Ma è certo che un signore di mia conoscenza è entrato in quella casa circa dieci giorni fa e da allora non s'è più visto. — Può essere stato aggredito, rapito, o che so io, mentre tornava a casa. — La sua automobile è tornata, vuota. Ed era stato visto entrare proprio J. L. Rickard
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in quella casa — ribatté la signora fissandolo. — E non ne è più uscito. — Pare. Capirà bene che i suoi amici ne sono assai preoccupati. — Ma perché non fanno delle ricerche? La signora Chance potrebbe certamente fornire loro delle spiegazioni. E chi è quel fortunato mortale? — Non lo ricordo come si chiami — rispose l'altra senza guardarlo. — Ho poca memoria per i nomi, ma a una mia amica interesserebbe immensamente saperne qualche cosa. Io non ho voluto fare domande indiscrete e non so che quanto le ho detto. Entrò una sera in quella casa e l'autista lo aspettò fuori fino ad ora tardissima; poi, stanco, rientrò con la macchina vuota. Il padrone non s'è più visto. Non si vuol fare pubblicità per non far parlare i giornali ed evitare uno scandalo. Ma lei — continuò volgendosi di scatto verso Daniel — lei che passa tante ore qui, presso la finestra, non potrebbe sorvegliare un po' quella casa e vedere se quel signore si fa vivo? Forse riuscirebbe a dare un po' di pace alla mia povera amica. — Ma, cara signora, per sorvegliare la casa dovrei mettermi in pianta stabile davanti alla porta. Ciò non è possibile, non me la sento davvero! Lei giocherellava coi guanti, con aria un po' seccata. — E intanto, con questi discorsi inconcludenti, ho fatto tardi — disse alzandosi. — Me ne devo andare. Tornerò presto — aggiunse con un sorriso — e le porterò dei libri. Quando fu uscita, Daniel provò quasi un senso di sollievo. Nell'ultima luce del crepuscolo la vide attraversare la strada e, in lontananza, gli sembrò più attraente. Si avviava verso il parco, quando, all'angolo della chiesa cattolica, sbucò la nota figurina della signorina Garret, la quale, vista la signora che le veniva incontro, improvvisamente, quasi presa da un inesplicabile terrore, svoltò rapida per una via laterale. La signora Hebberden non s'avvide di nulla; ma Daniel ne rimase sconcertato. Appoggiato al davanzale della finestra, si chiese se non avesse preso un abbaglio. Quale ragione, infatti, poteva avere la signorina Garret per evitare la vedova di George Hebberden?
5. La casa in Terrington Square dove Madame Cassali teneva le sue consultazioni apparteneva alla signora Lisa Bryant. Costei era una di J. L. Rickard
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quelle donne che sanno rendersi indispensabili. Senza appartenere precisamente al gran mondo, ne viveva, per così dire, in margine, raccogliendo le confidenze di tutti. Si sussurrava che in casa sua avesse recapito molta corrispondenza clandestina e che lei amasse favorire certi convegni che i curiosi dovevano ignorare. Queste voci avevano intaccato notevolmente la sua reputazione; tuttavia, in compenso dei suoi buoni uffici, non soltanto era accolta cordialmente dalla buona società e molte signore del gran mondo le davano del tu, ma riusciva a vivere nell'agiatezza senza possedere un soldo. Fredda egoista calcolatrice, sapeva riuscire simpaticissima quando le tornava comodo. Alta e formosa, amava i colori chiassosi e violenti e portava lunghe collane di perle e grandi orecchini a pendenti. La sua casa era sempre aperta e i suoi ricevimenti assai frequentati. Madame Cassali era stata la sua ultima trovata per divertire e interessare i suoi ospiti, e aveva avuto un gran successo. Non era facile avere sottomano un'autentica sibilla, e Lisa era fiera della propria scoperta. La quale veniva poi a confermare la fama usurpata della sua grande bontà; poiché si raccontava che lei avesse salvato la povera donnina dalla miseria più nera e forse dal suicidio. Le voci erano piuttosto vaghe e discordi, ma la conclusione era la stessa. Aveva cominciato col darle un po' di denaro, l'aveva confortata con buone parole e, non sapeva dire come, ne aveva intuito le singolari attitudini. Allora l'aveva sistemata in una modesta cameretta mettendo a sua disposizione un salottino in casa propria, dove, al sicuro da ogni indiscreta curiosità della legge, lei poteva predire il futuro a coloro che, certi del suo segreto professionale, erano disposti a compensarla generosamente. Il salotto in cui Madame Cassali dava i suoi responsi era piccolo ed elegante. Un grande paravento, dipinto ad alberi azzurri, laghetti verdognoli e strane figure danzanti, nascondeva la porta, e la lampada era accuratamente velata da un paralume di seta arancione. Una tappezzeria color foglia morta copriva le pareti e un tappeto verde era steso sul pavimento; un tavolino laccato in bianco e oro, due sedie e alcuni cuscini ne formavano tutta la suppellettile. Dal cerchio dorato della lampada pendeva una borsa di velluto nero; in essa era chiusa la sfera di cristallo in cui la veggente leggeva il destino dei suoi clienti. Col capo avvolto in un fitto velo nero e frange d'oro che le lasciava scoperti soltanto gli occhi, vestita d'un ampio kimono ricamato, la figura enigmatica di Madame J. L. Rickard
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Cassali completava la scena. Seduta accanto al fuoco a cui tendeva freddolosa le mani sottili, lei chinava gli occhi verso la signora Bryant, pigramente sdraiata ai suoi piedi su un grande cuscino. — Non ne posso più, Lisa — diceva quasi piangendo — i miei nervi non reggono; credi, non posso resistere. — Macché! Sciocchezze! Non fare la stupida. Finché trovi degli imbecilli che ci credono, non ti preoccupare! Con Vanessa Montague, per esempio, hai fatto un effettone! — aggiunse, accendendo una sigaretta. — Già; ma ti assicuro che non so proprio perché. — Mi dicono che parla di te con grande entusiasmo; ti fa pubblicità, cara mia! — soggiunse ridendo. — Le hai fatto tanta impressione che ora puoi darle a bere qualunque panzana. — Stammi a sentire — riprese l'altra con leggera impazienza. — Tutto questo apparato scenico non serve che a dare la polvere negli occhi; sai bene che, se tu stessa non mi dessi l'imbeccata, non saprei proprio che cosa dire ai tuoi amici. Però, riguardo a Lady Montague io ero completamente all'oscuro di tutto; eppure sembra che le abbia rivelato cose molto importanti. — Che vuoi; talvolta può anche accadere, per puro caso, di azzeccare la verità. — Ma che cosa è venuta a fare in Hamilton Street? Lisa Bryant soffiò in alto il fumo della sigaretta. — A me lo domandi? E che cosa ne posso sapere io? Quel che importa è che non t'abbia riconosciuta; e, del resto, non era possibile. Chi vuoi che possa riconoscere Emily Garret in questo arnese? Se tu non fossi così stupidamente nervosa, le saresti potuta benissimo passare accanto senza che ne se accorgesse. — È strano, però — riprese Madame Cassali senza darle retta. — Voglio raccontarti una cosa ch'è accaduta poco tempo fa in Hamilton Street. Lisa si sollevò un poco, incuriosita. Lei nutriva un profondo disprezzo per la sua antica compagna di scuola e, se l'aveva protetta e aiutata, era stato unicamente per trarne profitto. Ora si beffava della sua eccessiva sensibilità con la sdegnosa arroganza del suo scetticismo. Emily Garret era andata da lei in condizioni miserevoli. Maestra supplente in una scuola femminile, aveva perduto il posto, era sola e sperduta e affatto sprovvista di mezzi. Lisa, in un lampo di genialità, aveva intraveduto la possibilità di J. L. Rickard
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sfruttarla. Sempre a caccia di qualcosa di nuovo e di attraente per divertire i suoi ospiti senza molta spesa, era felice di quella trovata, che, per di più, le avrebbe anche procurato un cespite di lucro. Debole e timida, durante gli anni di scuola Emily era sempre stata la sua schiava e lei l'aveva dominata con spietata durezza. Ora s'era piegata, senza farsi pregare, al suo nuovo capriccio e l'aveva anzi assecondata con un certo entusiasmo. Lisa le aveva procurato una camera in una casa per bene e la povera creatura, sperduta e disperata, dimostrava all'amica un'infinita riconoscenza. Ma Emily era onesta, e Lisa si vedeva spesso costretta ad usare tutta la propria autorità per vincerne gli scrupoli e farla perseverare in quell'indegna commedia. — Su! raccontami, dunque — disse la signora Bryant piena di curiosità. — Circa dieci giorni fa — incominciò la Garret a voce bassa — ho assistito a una scena curiosa. Avevo passato tutto il pomeriggio qui a raccontar panzane alla gente, e i miei nervi erano talmente sovreccitati che la solitudine della mia camera mi metteva paura. A furia di evocare spettri e fantasmi, si finisce per vederli realmente e si ha quasi l'ossessione della loro presenza. — Nervi, nervi, cara! Non ci badare! — rise la signora Bryant battendole una mano sulle ginocchia. — Continua la tua storia. — Ero così agitata che, nel salire le scale, mi fermai davanti all'uscio del signor Harrington e stavo quasi per bussare. Questo Harrington è un inquilino del primo piano, che deve avere una gamba ammalata, perché zoppica e non esce mai. Mi sembra una persona molto per bene, fine ed educata; forse mi avrebbe trattenuta un poco a chiacchierare. — Oh, Emily — la interruppe Lisa ridendo — come diventi indiscreta! Mi fai scandalizzare! — Non entrai — continuò la Garret rialzando il velo — non osai entrare, temendo che mi prendesse per una pazza, e salii in camera mia. Ma non avevo voglia di andare a letto; sedetti accanto alla finestra, al buio, cercando di superare la mia tormentosa inquietudine. Guardavo la casa di fronte; sai, quella con le imposte azzurre, che, non so perché, eccita sempre la mia curiosità. Vidi un uomo fermarsi davanti al portone, aprirlo con la chiave ed entrare. Ne fui sorpresa, perché non l'avevo mai veduto: non credo neppure che abiti lì. Stavo già per andarmene a letto, quando una grande automobile si fermò davanti alla stessa casa e ne vidi scendere la signora Chance. J. L. Rickard
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— Niente di più naturale che scendesse a casa sua. — La Bryant aveva smesso il suo tono beffardo e ascoltava ora con visibile interesse il racconto dell'amica. — E l'altro era entrato con la chiave, hai detto? Curiosa! — Con lei scese un signore alto e tarchiato, dall'aria imponente, e ordinò all'autista di attenderlo. L'autista spento il motore, si avvolse ben bene nella pelliccia, perché la notte era rigida, e si dispose a schiacciare un sonnellino. La signora Chance, però, non doveva desiderare che il suo compagno entrasse in casa; infatti, appena ebbe aperto il portone, la vidi tornare fuori e discutere a lungo con lui. Ma lui la prese per un braccio e si cacciò dentro ugualmente, sbattendo la porta. — E poi? — fece la Bryant accendendo un'altra sigaretta. — Ero molto stanca e mi sentivo tutta intirizzita, sicché mi decisi a coricarmi. Mi addormentai subito, ma dopo mezz'ora o poco più, mi svegliai di soprassalto con l'impressione netta che stava accadendo qualcosa di grave. Balzai dal letto spaventata e corsi alla finestra. La via era deserta e tranquilla; l'automobile non c'era più, ma dalle imposte della finestra di fronte filtrava un raggio di luce. Ad un tratto... udii un grido. — Ella si coprì il viso con le mani. — Che grido, Lisa; spaventevole! — E hai udito anche delle parole? — Era una voce che implorava aiuto, e gridava: "Dio mio! Dio mio!". La signora Bryant si alzò di scatto e sedette accanto al tavolo. Aveva il volto chiuso e duro. — E che pensi di tutto questo? — chiese. — Non lo so, non lo so; talvolta mi sembra perfino di aver sognato. — No, non hai sognato. L'automobile doveva esser quella di Hector Montague. Che egli abbia perso la testa per Joyce Chance non è un mistero per nessuno. E non hai veduto altro? — No. Rimasi ancora a lungo alla finestra, sebbene mi sentissi quasi mancare. Avrei dovuto forse avvertire qualcuno. — Non pensare ora a quello che avresti dovuto fare; dimmi, invece, che cosa hai fatto. Vorrei sapere qualcosa di più su questa strana faccenda. Se l'automobile non c'era più, vuol dire che Montague se n'era andato. Il mistero dunque s'impernia sull'uomo della chiave, poiché Joyce è viva e sana; l'ho incontrata stamattina in Loane Street, più bella che mai. — Devi sapere che quella notte morì l'ammiraglio Lamington — rispose la Garret, tutta tremante — e io vidi il vicario di Saint Anselm uscire dalla J. L. Rickard
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sua casa. Il portone del numero 48 era aperto e, nel passare, egli scambiò qualche parola con la signora Chance, che si affacciava proprio in quel momento. — Forse era scesa ad accompagnare Hector Montague — commentò quasi tra sé la Bryant. — Mi parve ch'ella pregasse il vicario di entrare, ma non capivo bene; tutto mi sembrava così strano e misterioso che mi sentivo accapponare la pelle. Il vicario entrò e, sebbene fossi tutto intirizzita, non mi staccai dalla finestra finché non lo vidi uscire. Dopo circa un'ora egli si precipitò fuori come un pazzo. — Questa sì è proprio una tua fantasia! — esclamò Lisa crollando il capo. — A quell'ora, e col freddo che faceva, era ben naturale che lui corresse! Hector Montague, dunque, se n'era andato; questo è chiaro; ciò che non riesco a spiegarmi è l'uomo dalla chiave e quel grido. Ma sei proprio sicura di averlo udito? — Certe volte mi pare davvero che non sia stato che un incubo atroce; ma quel grido l'ho udito, ne sono certa; e anzi mi rimprovero di non aver chiamato qualcuno. Ogni sera, quando torno a casa, sto a lungo alla finestra ad ascoltare; e mi capita perfino, qualche notte, di svegliarmi all'improvviso con quel grido negli orecchi. È un'ossessione! Lisa scosse il capo. — Strano! — disse. — Che l'uomo dalla chiave fosse il marito di Joyce? Io non l'ho mai visto, ma si dice che fosse un uomo irresistibile. Nessuno ha mai saputo che cos'abbia fatto di quel suo marito, se sia divorziata, vedova; chi lo sa? Ma stasera Joyce verrà qui, e tu dovresti dirle la sorte, Emily. — Ah, no, no! Basta! — esclamò la povera donnina sgomenta. — Non posso continuare a turlupinare la gente in questa maniera! È male, Lisa; Dio mi punirà! Farei qualunque altra cosa piuttosto!... — E che altro sapresti fare, sciocca! — proruppe aspramente la Bryant. — Niente! E nemmeno questo sapresti fare, se non te l'avessi insegnato io e non t'imbeccassi ogni volta! Non t'illudere, sai; anche se hai indovinato qualcosa su Vanessa Montague, non credere mica di essere una pitonessa autentica. Tu non devi far altro che seguire alla lettera le mie istruzioni; tanto, il futuro non lo conosci più di me! Emily Garret non ribatté, ma era tutt'altro che persuasa. Le immagini di Vanessa Montague, dell'inquilino del primo piano e della bella signora J. L. Rickard
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Chance l'assalivano, dandole un senso indefinito di sgomento. Dietro ad essi, si delineava come un'ombra la figura dell'uomo ch'era entrato in casa quella notte, e nella sua mente vaneggiarne un misterioso legame pareva riunirli tutti e confonderli e sovrapporli, come i personaggi d'un sogno, reali ed irreali al tempo stesso. Sollevò gli occhi e incontrò lo sguardo ostile dell'amica. — Quella notte dev'essere accaduto qualche cosa di straordinario in casa della Chance, e lei non vuol lasciarne trapelare nulla — disse la signora Bryant fissandola — ma tu devi scoprirlo, da sola io non ci riuscirei. Joyce non è donna da lasciarsi carpire facilmente un segreto. — Io non posso — ribatté debolmente la Garret. — Sai bene che ho promesso di non ripetere mai quel che mi viene confidato. — Il conoscere i fatti altrui mi ha sempre giovato — riprese l'altra senza badarle — e ora avrei voglia di fare un bel viaggetto. Se Joyce andasse un po' all'estero, per esempio, potrei accompagnarla, come accompagnai l'anno scorso in America Lydia Carrington, che non solo pagò tutte le spese, ma mi regalò anche un centinaio di sterline. Ed Elsa Barclay mi ha comperato questa casa. Vedi? Basta saper tacere quando è necessario. — Non voglio vederla! — Oh, santo cielo! Ma tu non devi dirle nulla; è lei che deve parlare, non capisci? In questo deve consistere la tua abilità. Io cercherò di portartela qui — e non credo che sarà molto facile — ma tu devi scoprire il mistero di quel grido... seppure l'hai sentito! — Lei passeggiava su e giù per la stanza, irritata, con un gran tintinnio delle lunghe collane e lanciava occhiate furibonde alla povera donnina spaurita. — Ma tu sei diventata talmente nervosa che non ci si può più fidare! — La debolezza la esasperava sempre, ed Emily Garret aveva paura di tutto: paura della miseria, paura della solitudine e una paura terribile della vita. Lisa l'aveva sempre tiranneggiata, e la loro strana amicizia non era dovuta, da parte sua, che a uno smisurato egoismo. Per questo s'era data la pena di ammaestrarla nella parte di Madame Cassali, cercando di ricavare dalle sue profezie il maggior profitto possibile. Ora, per la prima volta, la signorina Garret s'accorgeva che qualcosa d'insolito si destava in lei e che nelle sue predizioni obbediva talvolta a un'influenza ignota. Rimasta sola nel salottino, rievocò i ricordi della drammatica notte. Non avrebbe saputo dire, forse, se quel grido le era giunto da vicino, oppure da una indefinibile lontananza; ma era certa di J. L. Rickard
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averlo udito. Liza poteva dire quel che voleva e beffarla anche per le sue ridicole paure; ma Hamilton Street era divenuta realmente il teatro di qualche dramma misterioso. Raccolse le carte da tarocchi sparse sul tavolo e si preparò all'incresciosa ed emozionante seduta. Tra poco, i soliti clienti sarebbero venuti a consultarla affannosamente, e dalle sue labbra sarebbero uscite le consuete predizioni di amore, di ricchezza, di morte. Loro si aggrappavano alle chimere suscitate dai suoi presagi e vibravano per le sensazioni che lei destava in loro, credendo ciecamente alle sue parole, come a rivelazioni ultraterrene. Sentiva tuttavia che qualcosa di vero ci doveva pur essere, poiché talora un ignoto potere le dettava effettivamente parole di cui lei non era affatto responsabile.
6. Già quattro o cinque persone erano venute a interrogare la sibilla, e Madame Cassali aveva appagato le loro aspettative, dicendo press'a poco quanto desideravano di sentirsi dire. Per quanto vaghe e fantastiche fossero le predizioni, essi prendevano tutto per buona moneta e se ne andavano soddisfatti. Era già tardi quando Liza accompagnò nel salottino la signora Chance, e immediatamente la Garret si sentì invasa da un soffio misterioso, quasi fosse divenuta la ricevente di strane influenze diffuse nell'aria, non avvertite che da lei sola. Liza, in gran gala in un abito luccicante di lustrini, aveva in capo una lunga piuma verde smeraldo che ondeggiava a ogni suo movimento; la signora Chance invece era tutta in nero; ma le tinte più smaglianti scolorivano davanti a quella sua audace veste nera. I suoi meravigliosi capelli color rame, pettinati all'indietro, le lasciavano scoperta la fronte, dando maggior risalto alla sua singolare bellezza. Sembrava alquanto preoccupata e rispondeva piuttosto freddamente alle espressioni affettuose della padrona di casa. — Io non credo affatto a queste cose — diceva, con la sua voce dolce e pacata, guardando di sottecchi il volto velato della chiromante — e non mi piace fingere. Appariva così lontana e invulnerabile, che la povera Emily si sentiva ben piccola e debole al suo confronto. E fu presa da un acuto desiderio di J. L. Rickard
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affermare il proprio potere. — Ma non ci credo nemmeno io! — affermò la Bryant ridendo rumorosamente. — E non mi do nemmeno la pena di far finta! Però Madame Cassali fa proprio drizzare i capelli. Che cosa avete detto a July Filmer? È uscita di qui bianca come un cencio, con due occhi grandi così! Madame Cassali scosse il capo senza rispondere; lei sapeva bene la sua parte. "Taci sempre!", le aveva detto Liza. "Non c'è niente che faccia più impressione del silenzio". — Ecco, vedi? — ripigliava ridendo la padrona di casa — non c'è verso di cavarle una parola! Tu puoi confidarle che hai due mariti, o che sei la cugina del diavolo, non c'è pericolo che ti tradisca. Guai, del resto, se parlasse! Chissà quanti malanni farebbe succedere! La signora Chance non sembrava nemmeno darle retta, e Liza se ne andò, lanciando alla sua complice uno sguardo d'intesa. Joyce sedette accanto al tavolo laccato con un'aria perfettamente tranquilla e serena. Era soltanto un po' seccata, né si curava di nasconderlo. — Che cosa devo fare? Devo mescolare le carte? — No — rispose la Garret — lasciamo stare le carte, guarderò invece nel globo di cristallo. L'altra annuì senza mostrare la minima ansia per le sue eventuali rivelazioni. Sicura di sé, lei non vedeva in Madame Cassali che una volgare mistificatrice; e quell'atteggiamento indifferente esasperò la Garret. I ricordi della drammatica notte le si riaffacciarono alla mente più vivi che mai, e si propose di umiliare la sdegnosa superbia della bella signora, di turbare quella sua fittizia serenità di reginetta. Si chinò sul cristallo e fece finta di scrutarlo attentamente. Nella limpida sfera che lei reggeva con le mani un po' tremanti si rifletteva la graziosa immagine. Joyce Chance stava ammirandosi languidamente in uno specchio che riluceva lontano, nell'ombra della parete di fronte, e con tocchi leggeri si aggiustava i capelli. — Voi avete perduto una cosa che vi era molto cara — incominciò la Garret — e la cercate invano. La signora Chance inarcò leggermente le sopracciglia e sorrise. — Io perdo sempre qualche cosa — disse con tono indifferente. — Di che si tratterebbe, stavolta? — Potrebbe essere una lettera, o un documento importante. Non J. L. Rickard
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distraetevi, però, vi prego. — Sono attentissima — rise la signora. La Garret si fece più risoluta e riprese: — Vedo una casa con le imposte azzurre, in una via solitaria. I fanali sono accesi; è notte. Voi scendete da una grande automobile e un uomo vi accompagna. Egli vorrebbe entrare in casa, ma voi tentate d'impedirglielo. L'espressione d'annoiata indifferenza della signora non mutò, ma la sua mano si contrasse nervosamente. — Qualcuno era entrato in casa prima del vostro arrivo — continuò la veggente, parlando a scatti — era entrato cautamente, furtivamente. Era un uomo; il suo pensiero vi aleggia intorno anche in questo momento. — E chi è costui? — domandò l'altra senza scomporsi. La Garret la fissò e, come spinta da un ignoto impulso: — Vostro mari— disse. — Parlate del passato o del futuro? — Del passato — rispose abbassando gli occhi. Il volto della signora non aveva mostrato il minimo turbamento; ma ella sentiva di aver colpito giusto. — Molto interessante, davvero! — disse la Chance riprendendo la sua aria assente e continuando a giocherellare con gli anelli. — Devo proseguire? — Ma certo! Mi piacerebbe sapere che cosa è avvenuto di quei due uomini. La Garret si chinò sul cristallo, fingendo di scrutarlo con maggior attenzione. — Ora vedo soltanto il volto d'un sacerdote. È molto agitato e addolorato. Sembra quasi che voglia allontanare da sé qualcosa di sgradevole. È adiratissimo con voi. Vi lancia delle accuse... Vi chiede una cosa che voi vi rifiutate di fare... Ecco... vedo ancora... un uomo che cammina zoppicando. — Emily fissava lo sguardo davanti a sé, nel vuoto, invasata da una strana esaltazione. L'inquilino del piano di sotto le era sconosciuto e le appariva anche piuttosto enigmatico; d'improvviso sentì che il mistero di lui si fondeva con quello in cui era avvolta la donna che le stava davanti. Un'ignota voce interiore la spingeva a dirle cose che lei stessa non comprendeva. — Quell'uomo vi farà del male — disse con una sicurezza che la stupì. — Lui non vorrebbe, ma vi sarà trascinato suo malgrado. Evitate J. L. Rickard
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d'incontrarlo; non lasciatelo entrare in casa vostra. Guardatevene... altrimenti... — e s'interruppe. — Altrimenti?... — Non avrete più pace! — Ma, lo conosco io, quell'uomo? — chiese la signora. — Avete detto che è zoppo; non basta. È giovane? Dove abita? — Abita molto vicino a voi. — Madame Cassali tacque. La sua esaltazione era svanita, ed ora si sentiva tutta fredda e spossata. Non trovava più nulla da dire, e anche le solite frasi, cui ricorreva quando era a corto d'argomenti, le sfuggivano. La signora Chance stette un poco a guardarla. Poiché la profetessa non parlava più, respinse lievemente la sedia. Con la mano un po' malferma aprì la sua borsetta e posò sul tavolo il compenso convenuto, senza far commenti. Poi si alzò e, avvicinatasi allo specchio, si mise ad incipriarsi accuratamente, come se null'altro al mondo la interessasse. Ripresa la completa padronanza di sé, si volse alla Garret. — Madame Cassali — le disse — io non sono affatto superstiziosa e per darne una prova a me stessa, non a voi, cui poco importa di sapere fino a qual punto i vostri clienti rimangono impressionati dai vostri vaticini, la prima volta che incontrerò per la via quel signore, gli rivolgerò io stessa la parola. Voi avete descritto assai bene la mia casa e anche il vicario della parrocchia, il quale, molto probabilmente, non mi ha segnata nel suo buon libro; ma l'uomo che, secondo voi, entrò per primo in casa mia e l'altro che dovrebbe avermici accompagnato in automobile, non saprei davvero dove andarli a pescare. Io credo anzi che non esistano che nella vostra fantasia. Voi diceste che uno di loro era mio marito; ma com'è possibile, dal momento che sono vedova? — Io non ho fatto altro che descrivere quello che vedo — rispose la Garret. Fissava stupita la bellissima donna, così calma e serena, i cui grandi occhi sostenevano tranquillamente il suo sguardo. Se lei non avesse visto con i suoi propri occhi la strana scena, non avrebbe mai potuto credere che si fosse svolta in quel modo. — Chissà che codesti fatti non possano anche accadere, una volta o l'altra — disse la signora in tono scherzoso — forse fra molti anni; peccato che allora io avrò dimenticato le vostre profezie e non potrò riconoscervene il merito dovuto. — Voi non dimenticherete mai quello che vi ho detto stasera — J. L. Rickard
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mormorò la Garret. — Perché mi siete così ostile? — chiese la signora volgendosi di scatto a guardarla. — Io non sono per nulla psicologa; eppure sento la vostra ostilità contro di me. Perché? — Io dico quel che vedo e non nutro alcuna prevenzione verso i miei clienti. La signora Chance si riavvicinò al tavolo appoggiandovisi con le mani e fissò la pitonessa negli occhi. — Voi non sarete sempre Madame Cassali — le disse — la sfinge velata e misteriosa; sarete anche voi una donna come le altre, e mi piacerebbe vedervi senza tutte queste cianfrusaglie. Venite a trovarmi nella casa che poc'anzi avete descritto. È al numero 48 di Hamilton Street; troverete un appartamento semplice e modesto e vi persuaderete che anch'io, che ci vivo dentro, sono una donna modesta e per nulla diversa dalle altre. — Non direi — rispose la Garret piuttosto sgarbatamente, quantunque la graziosa audacia della signora l'attraesse suo malgrado. — Non vi chiederò certo pronostici o rivelazioni — riprese l'altra — avrò il piacere di offrirvi una buona tazza di tè, e chissà che non troviate nel mio salotto il mio vicino zoppo, o il reverendo Kingsdale, vicario della parrocchia. E non è detto che non possiate incontrarvi anche i due uomini misteriosi — aggiunse scherzosamente. — Venite; mi conoscerete meglio e non sarete più così severa con me. Se la bella signora, nell'andarsene, non avesse fissato sulla veggente uno sguardo troppo acuto e indagatore, questa avrebbe forse finito col persuadersi di avere, in quella famosa notte, preso lucciole per lanterne. Mentre la signora Chance stava per uscire, la padrona di casa comparve sull'uscio seguita da Lady Montague. — È così? — chiese fissando curiosamente Joyce — come è andata? Sei rimasta soddisfatta? — Oh! io sono una donna ben poco interessante — rispose l'altra con un sorrisetto ironico e guardando Lady Montague, la quale, invece, fissava molto ansiosamente gli occhi sulla profetessa. — Così poco interessante che nemmeno Madame Cassali ha saputo dirmi niente di straordinario. A quanto pare, sono minacciata da non so quali pericoli, per causa di un certo mio zoppicante vicino di casa. Ho capito subito però di chi si tratta; in Hamilton Street ci si conosce tutti, almeno di vista. Lady Montague si volse di scatto. J. L. Rickard
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— Lei abita in Hamilton Street? — Ah, perdonatemi! dimenticavo che non vi conoscete ancora! — si scusò la padrona di casa. — La signora Chance, Lady Montague. Le due donne si squadrarono in silenzio e vi fu un attimo di pesante silenzio; poi la signora Chance disse: — Conosco Sir Hector e ho sentito molto parlare di lei, signora; è strano che non ci siamo mai incontrate. — Mio cugino non mi ha mai parlato di lei — rispose Lady Montague arrossendo lievemente. A stento riusciva a dominare l'ira che la sconvolgeva. Avrebbe voluto chiederle conto di Hector: dov'era, che cosa aveva fatto, quella notte, uscendo di casa sua; ma sentiva che le sarebbe stato impossibile mostrare di ammettere un qualsiasi legame tra lei e suo cugino. Davanti a lei stava la donna che le aveva cagionato tanti dolori, che le aveva fatto perdere il sonno e la pace, che le aveva alienato il cuore di Hector e mutato l'affettuosa cordialità dei loro rapporti in quella fredda e compassata cortesia di cui lei tanto soffriva. La Garret le osservava al di sopra del velo che le nascondeva il volto e sentiva strane influenze aggirarsi nell'aria, forze ignote e misteriose che lei fingeva di evocare, senza credervi, ma che ora le si manifestavano veramente reali e sensibili. Nulla era detto a caso; il destino di ciascuno era segnato in modo inesorabile, più tragico forse delle sue stesse predizioni. L'atteggiamento deliberatamente ostile e scortese di Lady Montague verso la signora Chance l'aveva colpita. "Non si offende una persona senza ragione", lei si diceva; e qui la ragione doveva evidentemente ricercarsi nell'uomo che lei aveva intravisto quella notte. Perché mai Sir Hector non aveva mai parlato di quella donna alla cugina? Il sorriso morì sulle labbra della signora Chance, che rivolse poche parole indifferenti alla padrona di casa. — Madame Cassali — disse Lady Montague avvicinandosi al tavolo — appena saremo sole la pregherò di rispondere a una mia domanda. — Non vogliamo disturbare la seduta — disse Lisa tentando di condurre via Joyce; ma quella non era disposta a inghiottire l'offesa senza reagire. — Spero bene che non mi manderete in Hamilton Street anche lei! — disse ridendo alla sibilla nell'uscire. A Emily Garret parve quasi che qualcosa della personalità di quella donna fosse rimasto nell'aria e non le permettesse di concentrarsi sulle preoccupazioni della sua nuova cliente. "Non mandatela in Hamilton J. L. Rickard
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Street", aveva detto; ma quella c'era già stata! E le chiese con voce malferma: — Qual è la domanda che volevate rivolgermi? Il capo le doleva atrocemente, il dover pesare le parole per non dire troppe sciocchezze le costava una fatica immensa; mentre con la signora Chance aveva parlato senza badare nemmeno a quello che diceva. — V'interrogherò mentalmente — disse Lady Montague tendendole, attraverso la tavola, le mani febbricitanti e fissandola intensamente con gli occhi dilatati. L'altra prese nelle proprie quelle mani ardenti, di cui sentiva il fremito salire su per le braccia, e le strinse convulsamente. Un'onda d'indefinibili sensazioni l'avvolse, ma nessuna idea chiara si formava nel suo cervello; si sentì a un tratto completamente dominata dalla personalità occulta di Lady Montague. — Ecco — mormorò. — Lui vi ritornerà; ma non come voi immaginate. Vanessa Montague ritirò le mani e ricadde sulla sedia, mentre l'invadeva un senso di abbandono e di profonda stanchezza. — Quando? — disse lentamente. Madame Cassali scosse il capo. — È meglio non domandarlo — rispose. — Non date soverchia importanza alle mie parole. Io so assai poco, quasi nulla, e onestamente vi esorto a non prestare molta fede a ciò che potrebbe anche essere... — esitò alquanto — soltanto frutto della mia fantasia. — Non sono fantasie — disse Vanessa con voce soffocata. — Voi mi prediceste che sarebbe presto accaduta una cosa che mi avrebbe molto addolorata. È avvenuta. Mi diceste che avrei ritrovato un uomo di cui avevo dimenticato perfino il nome; e, per una caso straordinario, l'ho ritrovato... in Hamilton Street! In quella stessa via, e precisamente in casa della signora Chance andò una notte mio cugino Hector Montague e non è più ritornato, Madame Cassali; ed io sono pazza d'inquietitudine. So che lui è entrato in quella casa, ma non voglio che la gente ne parli; non voglio che il suo nome sia pronunciato accanto al nome di quella donna! — continuò appassionatamente. — Lei lo ha allontanato da me; ma voi avete detto che tornerà... che tornerà! — Si coprì il volto con le mani e scoppiò in lacrime. L'altra non le disse una parola di conforto; non si mosse. Quando Vanessa tentò di ricomporsi e sollevò gli occhi su di lei, s'avvide con stupore che Madame Cassali era svenuta.
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7. Nei giorni interminabili che seguirono la scomparsa di Hector Montague, Vanessa, oltre alla propria angosciosa preoccupazione, ebbe un'infinità di noie. Il campanello del telefono squillava ininterrottamente; da ogni parte della città si chiedeva del baronetto. Il segretario della S.I.M., seriamente impensierito, telefonava ogni momento; amici ed amiche che l'avevano aspettato invano a colazione o a pranzo chiedevano ansiosi la ragione del suo silenzio, e sul tavolo dello studio si ammonticchiavano le lettere. Se Vanessa non avesse dovuto rispondere subito a tanta gente, la situazione sarebbe stata meno difficile. Lei aveva immediatamente giudicato Joyce Chance come una donna estremamente pericolosa. La sua grazia singolare, la sua bellezza un po' artefatta, la sua audace eleganza, tutto rivelava in lei la donna meno adatta a compiacersi di una relazione puramente platonica. Sebbene molto nota per il fascino irresistibile che esercitava sugli uomini, della sua vita si sapeva ben poco. Tutto ciò sconvolgeva la mente di Vanessa e la faceva terribilmente soffrire. La sua maggior preoccupazione fu quella di tenere celato il suo sospetto che Hector fosse nascosto in casa di quella donna, per il timore, soprattutto, che la pubblicità data all'avventura lo legasse a lei più saldamente, costringendolo magari a un matrimonio di riparazione. Certo Joyce Chance era riuscita con qualche abile raggiro a trattenerlo in casa propria. Sia che lui fosse ammalato, o che fosse semplicemente vittima di una strana infatuazione, il suo silenzio era inesplicabile. Né si poteva sperare di saperne qualcosa dalla signora Chance, la quale continuava la sua solita vita e non si sarebbe lasciata sfuggire certamente una sola parola. Era quindi inutile stillarsi il cervello e arrovellarsi per cercare di penetrare quel mistero; e non le restava che attendere e soffrire. Risoluta a difendere a qualunque costo il nome del cugino dalle male lingue e a tenere segreti i rapporti di lui con la signora Chance, decise di mettere tutti fuori strada, inventando un pretesto che le parve sufficiente a spiegarne l'assenza. E incominciò a farne la prova raccontandolo alla zia. — Hector ci ha lasciate sole — disse, entrando in camera della vecchia signora — cercheremo di passarcela ugualmente, non è vero? — E dove è andato? — chiese la zia meravigliata. — Ha ricevuto un telegramma dal suo amico Maxime French, te lo J. L. Rickard
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ricordi? Quel giovane biondo con gli occhiali. Pare che abbia avuto dei guai seri, ed Hector è partito subito per Parigi. La zia brontolò un poco. Per lei, Parigi era un luogo di perdizione, dal quale un giovanotto per bene avrebbe dovuto sempre tenersi alla larga, e quello scalmanarsi tanto per un amico le pareva un'esagerazione. — Avrebbe fatto meglio a restarsene a casa! — osservò con una certa asprezza. — Insomma, che vuoi farci? È partito — disse Vanessa — e chissà quando potrà tornare. Non fu difficile far accettare la storiella anche agli amici; ma chi aveva ragioni più importanti di un semplice invito avrebbe voluto saperne di più, e Vanessa dovette confessare che non conosceva il suo indirizzo; mostrandosi tuttavia sicura che lui glielo avrebbe telegrafato da Parigi. Così, per il momento, tutti si chetarono. La notizia fece rapidamente il giro dei circoli e dei salotti, e Vanessa già si domandava che cosa ne avrebbe pensato la sua rivale. Tutti l'avevano bevuta e nessuno aveva sollevato obiezioni; ma quando fu la volta di Blythe, il segretario della S.I.M., la cosa cominciò a complicarsi. Era sorta, nella Società, una seria questione che rendeva necessario l'intervento immediato di Sir Hector, e soltanto motivi gravissimi avrebbero potuto giustificare la sua assenza in quel momento. Blythe insisteva perché Vanessa gli desse l'indirizzo dell'albergo al quale Hector scendeva, di solito, nelle sue gite a Parigi. Ma lei non era in grado di soddisfarlo. L'insistenza e lo sgomento di Blythe non fecero che aumentare l'angoscia di lei. Era infatti troppo anormale che Hector trascurasse a quel modo i propri doveri verso la S.I.M.! Non erano trascorse che ventiquattr'ore dalla sua scomparsa; ma lei era sulle spine e tendeva l'orecchio a ogni rumore che potesse far credere al suo ritorno. Un'ora più tardi capitò Blythe in persona. Era un giovanotto bruno, energico, attivissimo e di carattere impetuoso. Senza darle il tempo di rifiutarsi a riceverlo, si precipitò nel suo salotto. — È impossibile, signora, che Sir Hector se ne sia andato in un simile momento senza lasciarci il suo indirizzo! — disse. — Mi favorisca almeno quello del signor French, che io possa telegrafargli... Ma Vanessa non lo conosceva. French era un perdigiorno, che passava la vita al caffè, mangiava in trattoria e mutava continuamente domicilio. J. L. Rickard
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— Abbia pazienza, Blythe — disse Lady Montague con voce malsicura — mio cugino tornerà presto, o manderà notizie in qualche modo, stia tranquillo. Blythe la fissava irritato, con le mani sprofondate nelle tasche. — Che gli sia accaduto qualche cosa? Ma i giornali ne avrebbero parlato. Lady Montague scosse il capo in silenzio. Lei non gli dava già più retta; tutta la sua anima era tesa ad ascoltare, come lo era ormai da ventiquattr'ore. — Mi perdoni, signora — disse Blythe ad un tratto — ma è proprio sicura che Sir Hector sia andato a Parigi? Perché, se ci fosse il minimo dubbio, avrei modo di procurarmi la lista dei passeggeri che hanno fatto la traversata in questi giorni. Vanessa evitò di incontrare il suo sguardo. — È partito così in fretta — rispose. — Vedrà che non resterà assente a lungo. — E, intanto, noi come facciamo? È un vero disastro! Non ci posso credere! E per una ragione di questo genere! Per levare d'impiccio un amico! Ma poteva spedirgli del denaro; mandare un altro in sua vece; provvedere in qualche modo, insomma, non allontanarsi in questo momento! Egli sapeva bene... — S'interruppe, troppo irritato per proseguire. Vanessa si sentiva gelare. E se, Dio liberi, Hector non fosse più tornato, come giustificare la sua menzogna? Ma non voleva nemmeno fermarsi su quell'atroce pensiero. — Basta — fece Blythe alzandosi — non voglio importunarla più a lungo, Lady Montague. Se avrà qualche notizia, la supplico di farmela sapere subito. — Non dubiti — disse la signora con uno sforzo. Ma la sua resistenza era giunta al limite estremo e il suo volto s'era fatto talmente pallido, che il segretario se ne andò col dubbio che lei gli nascondesse qualche cosa di grave. Rimasta sola, Vanessa si abbandonò su una sedia accanto alla finestra, disperata e vinta. Il giorno moriva in un pallido tramonto e l'ultima luce cedeva davanti all'ombra invadente. Si sentì terribilmente sola; quella grande casa, senza di lui, era vuota, morta. Da molto tempo, lei non lo vedeva che assai poco; ma la sua presenza bastava ad animare la casa. Con J. L. Rickard
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gli occhi fissi al cielo grigio, guardava il crepuscolo piovigginoso e si sentiva infinitamente triste e stanca. Se Hector non fosse tornato subito, Blythe avrebbe scoperto la sua menzogna. Oh, se fosse tornato! Gli avrebbe detto con quanta cura aveva cercato di spiegare la sua assenza, per proteggerlo dalla curiosità dei maligni! Ma a che scopo? Che valeva inventare fantastiche spiegazioni per nascondere una follia che le spezzava il cuore, se lui stesso avesse dimenticato i suoi più pressanti doveri? Ormai era troppo tardi; Madonna Luna se la poteva anche scordare; ma gli impegni professionali no! Il lavoro aveva per Hector una grande importanza; se era giunto a trascurare anche quello, era perduto! I giorni e le notti passavano e Vanessa si era finalmente decisa a recarsi da Daniel Harrington. Rincasando dopo quell'inutile visita, seppe che Blythe era tornato e col cuore stretto domandò a Mortimer se non aveva, per caso, lasciato qualche ambasciata. Nulla. Non aveva neppure chiesto di lei; s'era solo informato se Sir Hector aveva dato notizie e, alla sua risposta negativa, s'era mostrato assai contrariato e aveva anche interrogato Barr che stava al cancello. — E che cosa gli ha detto Barr? — chiese lei ansiosa. — Gli ha risposto che non sapeva nulla. Ma poi, alle insistenze di quel signore, ha finito per insinuare che, secondo lui, Sir Hector non doveva essere partito da Londra. Nello studio di Hector, in cui, più che altrove, lei sentiva l'impronta viva della sua personalità, seduta davanti alla scrivania coperta di lettere che l'attendevano, Vanessa si domandava se non aveva sbagliato strada e se non avrebbe invece fatto meglio ad avvertire subito la polizia. In questo caso sarebbe stata costretta a confessare il suo sotterfugio, ma il desiderio di evitare uno scandalo l'avrebbe sufficientemente giustificata. No. Le costava troppo rinunciare alla lotta; far sapere a un primo venuto che Hector era andato in casa della sua rivale... no; non si sentiva ancora di poterlo fare. Perché non telefonare piuttosto a casa Chance, salvo interrompere la comunicazione ove la signora stessa le rispondesse? Se poi, per un caso fortunato, avesse potuto parlare con Hector, gli avrebbe detto come stavano le cose e l'avrebbe forse persuaso a tornare. Sfogliò febbrilmente l'elenco del telefono e, trovato il numero della signora Chance, 6660 Victoria, lo chiamò subito e aspettò, col cuore in tumulto. J. L. Rickard
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— Pronto! — Una voce improvvisa la fece sussultare. — Pronto, chi parla? — Era una voce maschile. — Chi parla? — ripeté. — La signora Hebberden — rispose precipitosamente Vanessa. La voce era profonda, dolce, con un leggerissimo accento straniero. — Desidera? — chiese l'ignoto interlocutore. — Potrebbe dirmi, per favore, se Sir Hector Montague è lì? La sua presenza è richiesta d'urgenza. — Sir Hector Montague? Non abita qui. Forse la signora ha sbagliato numero. — Parlo con il numero 6660 Victoria? — Sì, ma qui non abita nessun Montague. — Credo che la signora Chance lo conosca. — La signora non è in casa e non tornerà per un pezzo; quindi non posso domandarglielo. — Senta, mi aiuti, la prego — implorò Vanessa. — È una cosa della massima importanza. Sir Hector è entrato in quella casa circa due settimane fa e da allora non abbiamo più avuto notizie. Non potrebbe chiederne a qualcuno? — Non saprei, signora — rispose quella voce suadente — se potessi lo farei ben volentieri. Se vuole attendere un momento, domando alla cameriera. Seguì un breve silenzio, durante il quale Vanessa stette raccolta in atteggiamento di attesa, in una terribile tensione di tutta l'anima sua. — La cameriera mi dice — rispose la voce lontana — che lei se ne va ogni sera alle nove e che non sa nulla di Sir Hector Montague. Forse sarà venuto dopo che lei se n'era andata. Se crede lasciarmi il suo numero, potrò dire alla signora Chance di telefonarle, se ne sa qualcosa. Signora Hebberden, mi pare? Lo sconosciuto era molto gentile e lei gliene era veramente grata; e il sapere che Hector non si trovava più in quella casa le dava un certo sollievo; ma dov'era mai allora? — Pronto — riprese la voce — signora? — Devo essermi sbagliata, scusi — disse Vanessa bruscamente. — La ringrazio per la sua cortesia, buona notte. Riappese il ricevitore e si torse disperatamente le mani. Hector dunque era uscito da quella casa e, nel percorso tra Hamilton Street e Shelton Gardens, doveva essergli certamente accaduto qualche cosa di assai grave. J. L. Rickard
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Per la prima volta le si affacciò alla mente l'idea di qualche malore che potesse essergli occorso e un nuovo terrore la prese, che le fu quasi più insopportabile della gelosia. Pensò a quel che le conveniva fare. Telefonare alla polizia perché si facessero delle ricerche, perché si cercasse fra i rapporti degli agenti notturni qualche notizia di Hector? Era troppo orribile! Ci doveva pur essere qualche altra via, meno penosa, e che portasse a una minore pubblicità. E se l'uomo del telefono le aveva mentito? Come mai si trovava in quella casa mentre la signora era assente? Ci doveva pur essere un modo per fare delle investigazioni in segreto. Sentì un gran bisogno di aiuto, di consiglio, ma non già delle vaghe parole di Madame Cassali. Aveva bisogno di un parere concreto, energico, assennato, e forse nessuno meglio di Liza Bryant avrebbe potuto darglielo. Liza era una donna di buon senso, esperta della vita, e tutti ricorrevano a lei nei momenti difficili, sicuri della più assoluta discrezione. Decise quindi di recarsi da lei e le telefonò immediatamente, per sapere se poteva riceverla verso le nove. La voce della cameriera rispose che la signora era in casa e l'avrebbe aspettata.
8. L'insinuazione dell'autista che Sir Hector non si fosse allontanato da Londra lasciò Blythe più irritato che sorpreso. In fondo, lui non aveva mai creduto alle asserzioni di Lady Montague; un'inconscia diffidenza gli aveva fatto pensare che la signora avesse cercato una scappatoia per guadagnare tempo. La ragione di questa sua schermaglia gli sfuggiva, ma intuiva in lei una nemica che tentava di metterlo fuori di strada. Lei doveva certamente sapere dov'era Sir Hector, ma per qualche sua ignota ragione voleva tenerlo celato. La situazione della S.I.M. s'era fatta assai critica, e la presenza di Sir Hector era assolutamente indispensabile. Si doveva fare un'emissione di obbligazioni che avrebbe certamente destato l'allarme negli azionisti. La situazione della Società era delle più scabrose, tanto a Londra che all'estero. L'avvenire di Blythe dipendeva dalla solvibilità della S.I.M., la quale, a sua volta, era nelle mani del baronetto. E Blythe giurò a se stesso che l'avrebbe ritrovato. Ne chiese inutilmente notizie ai circoli ch'egli era solito frequentare; da parecchi giorni nessuno l'aveva visto. Esaurito quel campo di ricerche, egli J. L. Rickard
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si domandò, scoraggiato, dove avrebbe potuto rivolgersi. Londra gli stava intorno, coi suoi milioni di abitanti, con lo sterminato numero di vie e di case, di cui ciascuna racchiudeva in sé il mistero di tante vite. In quale di quelle case si trovava in quel momento Sir Hector? Che cosa era accaduto fra lui e quella donna enigmatica, da indurla a desiderarne la rovina? Non era il caso di pensare a rivolgersi alla polizia; bisognava anzi evitarne l'intervento. Se la scomparsa del baronetto fosse divenuta di dominio pubblico, le basi delle S.I.M. ne avrebbero subito una scossa assai pericolosa. Per il momento Blythe trovava, quindi, più comodo giovarsi della versione di Lady Montague per spiegare l'assenza del suo direttore. Camminava sconfortato e triste per Piccadilly, seguendo con lo sguardo distratto la fiumana del traffico cittadino. La società in cui egli viveva era troppo diversa e lontana da quella che Sir Hector frequentava per potervi trovare un qualche amico comune a cui chiedere cautamente notizie. Si faceva tardi, era stanco, ed entrò in un caffè per ristorarsi. La sala era affollata, e un confortante aroma di cioccolato fluttuava per l'aria tiepida. Evitando i tavolini occupati da belle ed eleganti signore, il giovane si rifugiò nell'angolo più lontano e sedette a un tavolo dove già aveva preso posto un ecclesiastico. Questi, immerso profondamente nei suoi pensieri che, a giudicare dall'espressione del suo volto, non dovevano essere molto allegri, parve non accorgersi nemmeno della sua presenza. E l'uomo di Chiesa e l'uomo di affari stettero l'uno accanto all'altro, completamente indifferenti ed estranei fra loro. Blythe fu ripreso ben presto dal vortice dei suoi pensieri. Dov'era Sir Hector? Che diavolo gli era mai accaduto? Perché Lady Montague non gli diceva la verità? Un'assenza così prolungata e misteriosa lasciava effettivamente adito a supposizioni tutt'altro che tranquillizzanti. La S.I.M. pericolava e, nella burrasca imminente, solo il credito personale del suo direttore avrebbe scongiurato una catastrofe. La sua assenza in quel momento era dunque peggio che una follia: era una colpa imperdonabile! Il sacerdote, sorseggiata la sua tazza di tè, cercò il borsellino per pagare; ma avendo frugato invano in tutte le tasche della veste e del soprabito, arrossì di confusione. Quel tramestio richiamò l'attenzione di Blythe che subito gli offrì cortesemente aiuto. — Posso aiutarla, reverendo? — domandò. — Spero che non l'abbiano derubato; avrà dimenticato a casa il portamonete. — Sì, devo proprio averlo dimenticato — rispose l'altro sorridendo, un J. L. Rickard
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po' mortificato della propria distrazione. — Il signore è molto gentile; le sono davvero riconoscente! Accettò il denaro che Blythe gli offriva e andò al banco a pagare. Poi tornò a sedersi. — Mi dispiace non poterle dare nemmeno un biglietto da visita — disse — permetta però che mi presenti: Kingsdale, vicario di Saint Anselm, in Hamilton Street. Se anche lei volesse favorirmi il suo nome e il suo indirizzo... — Blythe, segretario della Società Industriale Mineraria; 52, Atholl Street — rispose l'altro con un leggero imbarazzo. — Ma non vale la pena... li vicario lo fissò, inarcando le sopracciglia sottili. — Ho sentito parlare di codesta Società — disse. — Credo anzi di averne conosciuto uno dei direttori. — Forse Sir Hector Montague? — chiese Blythe tornando al pensiero che l'assaliva. Al nome del baronetto un vivo sgomento si dipinse sul volto del suo interlocutore, che si agitò sulla sedia con aria inquieta. — Mah... forse — rispose evasivamente. — Scusi; vorrebbe dirmi quando l'ha visto l'ultima volta? — chiese Blythe ansioso. Pensava che, dopo tutto, con un uomo di chiesa, poteva parlare a cuore aperto; lui non si sarebbe certamente valso delle sue confidenze a danno della S.I.M.; e, se sapeva realmente qualcosa, era indispensabile cogliere l'insperata occasione. — Le confesso, reverendo — continuò — che mi trovo in una grande difficoltà. Non voglio tediarla con inutili particolari, ma l'esporrò semplicemente la terribile congiuntura in cui mi sto arrabbattando. — Tuttavia non capisco in quale modo io potrei... — Lei potrebbe essermi di grande aiuto soltanto col dirmi quello che sa; seppure sa qualche cosa. La prego di ascoltarmi. — Si piegò sul tavolino, abbassando ancor più la voce. — Circa un paio di settimane fa, Sir Hector Montague scomparve improvvisamente. Per qualche giorno nessuno lo seppe e nessuno chiese di lui. Senonché, proprio in questi giorni, avrebbe dovuto avere luogo una seduta importantissima per la nostra Società; naturalmente l'abbiamo rimandata; ma ciò non si può fare all'infinito. Io ho davanti a me un mese di tempo per ritrovare Sir Hector, e... — E non è andato a casa sua a chiedere notizie? — disse il reverendo. J. L. Rickard
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— S'immagini se non l'ho fatto! Ma Lady Montague non sembra per nulla disposta ad aiutarmi. Il vicario evitò di incontrare lo sguardo del giovane. Pareva che si fosse, a un tratto, rinchiuso in se stesso; sullo sfondo gaio e multicolore della folla radunata nel caffè il suo volto bruno, con gli occhi abbassati sulle mani congiunte, risaltava con singolare contrasto. — Non vorrebbe aiutarmi, reverendo? — domandò Blythe ansioso. — Comprendo benissimo la difficoltà in cui lei si trova e sarei ben lieto di poterle essere utile, ma perché non tenta un nuovo passo presso Lady Montague? È una donna piuttosto impulsiva, ma dev'essere d'indole buona e generosa. Può darsi che muti pensiero. Io non posso dirle nulla... — si arrestò un momento e alzò gli occhi. — Capirà, se Lady Montague non è disposta a parlare, tanto meno posso farlo io... — Non glielo chiedo soltanto per me — insistette il giovane con voce commossa. — Ho moglie e un bimbo, reverendo; e se la S.I.M. andasse a catafascio, sarebbe un guaio grosso per tutti. — Capisco, capisco; e ne sono dolentissimo; ma, che vuole, noi non possiamo ripetere quanto ci viene confidato in segreto. Il viso di Blythe si oscurò. — L'essenziale, per conto mio, è sapere se lei l'ha veduto dopo di me. Se il direttore si tiene nascosto di proposito, che avverrà della nostra società? — È inutile discutere su questo argomento — disse il reverendo alzandosi. — Lei sa dove abita Sir Hector, e se sua moglie... — Ma non è sua moglie, è sua cugina! — esclamò Blythe. — E mi ha raccontato una fandonia che non sono affatto disposto a credere. — Sua cugina? — Nella voce del sacerdote suonava l'espressione del più vivo stupore. — Senta, signor Blythe; l'unico consiglio che io posso darle è di tornare in Hamilton Street da Lady Montague. Vedrà che la troverà meglio disposta. È tanto bella — aggiunse in tono più dolce — che non può non essere anche buona! Senza lasciare al giovane il tempo di ribattere, il sacerdote si allontanò frettolosamente, e la sua alta figura nera, con le magre spalle un po' curve, si perdette nella folla variopinta. — Hamilton Street — ripeteva Blythe trasecolato. — Hamilton Street! E dov'è codesta via? Ordinò un'altra tazza di tè e si sprofondò nuovamente nei suoi pensieri. Il mio incontro col reverendo Kingsdale era stato assai curioso; ma più J. L. Rickard
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di tutto lo sorprendeva quel suo ultimo consiglio. Quand'egli aveva parlato di Lady Montague, Blythe aveva inteso, naturalmente, che volesse alludere alla dama bruna che abitava nella palazzina di Shelton Gardens. Ma ora pareva che esistesse una seconda Lady Montague, ben distinta dalla prima, e che abitava in Hamilton Street. Una moglie? Forse il reverendo Kingsdale aveva di recente celebrato il matrimonio di Sir Hector con la bella incognita? Ma allora questo avrebbe potuto spiegare l'ambiguo contegno del baronetto! Nel mistero appariva finalmente un bagliore di luce e Blythe bevve il suo secondo tè con l'animo più tranquillo. L'ecclesiastico aveva parlato di Lady Montague con grande considerazione; le sue parole rivelavano un'ammirazione profonda; e lui doveva godere della sua piena confidenza. Forse conosceva tutta la storia, ma era vincolato dal segreto professionale. Tuttavia, quel che più interessava Blythe era di aver scoperto un filo che l'avrebbe forse condotto fino a Sir Hector. Ricordava vagamente di aver udito parlare di un fidanzamento fra il baronetto e la vedova di Sir Allan Montague, ciò che spiegava come anche lei ignorasse ora codesto suo matrimonio. La cosa si faceva davvero interessante. Se Sir Hector viveva una doppia vita, nulla di più naturale che dovesse, di quando in quando, eclissarsi, anche se questo procurava delle inquietudini a lui, segretario della S.I.M. Evidentemente, il baronetto non desiderava che si conoscesse il suo indirizzo di Hamilton Street, e ciò imponeva a Blythe la massima circospezione. Del resto, le sue nozioni in proposito era piuttosto vaghe: Hamilton Street! Chissà quanta gente abitava in quella via, e trovare la casa non sarebbe stato poi tanto facile. Né poteva sperare che l'annuario postale o l'elenco telefonico gli potessero essere d'aiuto, poiché, se il matrimonio non era ufficiale, il nome della nuova Lady Montague non vi figurava certamente. Chissà per quali motivi Sir Hector l'aveva voluto tenere nascosto: forse un recente divorzio della sposa o qualche altra importante ragione di famiglia? O forse era semplicemente il timore delle scenate che la bella cugina dagli occhi fieri non gli avrebbe certo risparmiato? Sir Hector aveva trovato più opportuno nascondere la propria felicità e godersi in pace la sua luna di miele un po' di contrabbando, senza preoccuparsi degli affari. Ciò non lo giustificava completamente: ma almeno ne spiegava il silenzio. "Ecco", pensava Blythe, "un uomo come J. L. Rickard
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quello, pieno d'energia e di coraggio, davanti alle donne diventa anche lui un coniglio!" Realmente, Lady Montague doveva avere un certo caratterino così poco malleabile, che non doveva essere facile affrontarla; ed anche lui, Blythe, nei panni di Sir Hector... non se la sarebbe cavata meglio. Ma l'altra Lady Montague, a quanto ne aveva detto il reverendo Kingsdale, doveva essere davvero molto bella! Finalmente si decise ad andarsene, pagò il conto e uscì. La cosa più semplice per lui sarebbe stata prendere un'automobile e farsi portare in Hamilton Street, farvi una breve ricognizione per rintracciare la casa e poi presentarsi risolutamente a Sir Hector. Le ragioni che ve lo spingevano erano tali da giustificare pienamente la sua indiscrezione. Un taxi libero passava in quel momento e lui vi salì. Il crepuscolo invadeva a poco a poco le vie della città, e fanali e vetrine si illuminavano rapidamente. Un velo d'ombra sfumava i contorni dei grandi palazzi e avvolgeva in una nebbietta opalina gli alberi dei palazzi già vestiti di un tenerissimo verde. L'automobile si diresse verso Hamilton Street. Giunto all'angolo dove una chiesa disegnava il suo severo profilo l'autista si voltò. — Che numero? — domandò attraverso il vetro. — Non importa, scendo qui. E scese, proprio davanti a un negozio di droghiere. La via apparve in tutta la sua lunghezza, pulita, tranquilla, con un'aria molto per bene. Percorse con lo sguardo le due file di case. Vide, lì vicino, una cartoleria; pensò d'entrarvi col pretesto d'un piccolo acquisto, chiedere l'elenco dei telefoni e, intanto, interrogare abilmente il cartolaio. La bottega era quasi vuota; non v'era che un signore, il quale stava comperando della carta da lettere, e si ritrasse zoppicando per fargli posto davanti al banco. — Vorrei fare una telefonata; ma ho dimenticato il numero — disse Blythe un po' esitante. La presenza di quell'estraneo gl'impediva di mentire con disivoltura. Il cartolaio gli porse premurosamente l'elenco. — Non saprebbe dirmi, per favore — domandò il giovane — a quale numero di questa via abitano i coniugi Montague? — Le posso dire, invece — rispose l'altro sorridendo — che non vi abitano punto. La strada è così corta che se ne conoscono tutti gli abitanti, e sono ben sicuro che nessuno di essi si chiama Montague. — Ma devono essere venuti da poco. J. L. Rickard
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— Non saprei, davvero; a meno che non siano ospiti di qualche famiglia d'amici... Ma è sicuro che la via sia proprio questa? — Sono sposati da poco — insistette Blythe — la signora è molto bella. Devono proprio abitare qui; me l'ha detto il reverendo Kingsdale. — Ah, il reverendo Kingsdale! Lo conosco benissimo; una gran brava persona! Ma perché non prova a chiedere in Compton Street? È parallela a questa; forse staranno lì. Blythe giocò un'ultima carta: — Non c'è una bella signora qui, in Hamilton Street? — Ah, questo è un altro paio di maniche! — esclamò il brav'uomo ridendo e rivolgendosi anche all'altro cliente, che sembrava prestare al dialogo un certo interesse. — Dica un po' lei, signor Harrington, se non abbiamo delle belle donne nella nostra via! — Certo, ve n'è più d'una — rispose l'altro con l'aria un po' seccata. — Secondo me — riprese il cartolaio — la più bella di tutte è la signora Chance, che abita al numero 48. La vedesse: è proprio da dipingere! Mi dispiace che non sia quella che lei sta cercando; ma, quanto a bellezza, glielo dico io, non c'è la seconda! — Temo di aver proprio sbagliato strada — disse Blythe deponendo sul banco l'elenco dei telefoni. — Ad ogni modo, la ringrazio. Buona sera. — Abbozzò un cenno di saluto anche al signore zoppo, che però finse di non accorgersene, e uscì dal negozio un po' mortificato. "Insomma, voglio tentare al numero 48", disse fra sé. Era anche curioso di vedere quella tanto decantata bellezza, e la cosa aveva una lieve sfumatura romantica che lo tentava. Quello zoppo doveva essere un ammiratore della belle signora e si capiva bene che l'udirne parlare da estranei lo irritava. D'altra parte, non era nemmeno da escludersi che la signora Chance fosse proprio Lady Montague e che, per desiderio del baronetto, intendesse conservare, davanti alla gente, il proprio nome di famiglia.
9. Liza Bryant era di ottimo umore e accolse Vanessa molto affettuosamente. Il grande salotto, di solito troppo affollato, appariva quella sera deserto e gelido, e le due amiche si rifugiarono nel salotto di Madame Cassali, al pianterreno. Anch'esso, senza la caratteristica figura J. L. Rickard
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della veggente, aveva un'aria tutta diversa dalla solita e Vanessa girò intorno a grandi occhi tragici, pieni di ombra, rabbrividendo leggermente. — Madame Cassali si è rimessa, dopo lo svenimento dell'altra sera? — chiese. — S'era stancata troppo, poveretta. — Macché! Isterismi! — disse Lisa seccata. — Non posso soffrire quelle smancerie! — E stringendosi attorno alle spalle il suo scialle spagnolo, sedette su un grande cuscino attorno al fuoco, di fronte alla poltrona di Vanessa. — Io già non credo affatto a tutte quelle storie, e ti confesso che talvolta mi danno anche ai nervi. Sono cose che finiscono per turbare il cervello a tutti gli ingenui che ci credono! Scusami, cara, se dico questo a te che sei del numero; ma, dimmi la verità, ti ha proprio detto delle cose straordinarie? — Sì — rispose Vanessa, giocherellando nervosamente con la sua collana di perle — m'ha detto delle cose proprio straordinarie, Lisa, e perfettamente vere. Io sono convinta della sua chiaroveggenza. — Spero bene che non ti lascerai influenzare da lei; sarebbe una follia! Chi vuoi mai che possa conoscere il futuro? Ma fammi il piacere! Sono tutte frottole. Gli occhi orientali di Vanessa si facevano sempre più cupi. — Credi che, nel mio caso, ha indovinato tutto per filo e per segno — disse lentamente — e anche per questo sono venuta da te stasera. Ho bisogno di un consiglio. — Ben lieta se potrò dartelo, cara! — esclamò Liza. — Il mio consiglio almeno avrà una solida base di buon senso, e non sarà fatto di simboli e di ombre. Io ti dirò sinceramente il mio pensiero. E per di più — soggiunse ridendo — te lo darò gratis! Aveva una grande curiosità di conoscere il motivo di quella visita, ma non voleva mostrarla. Si avvicinò ancor più a Vanessa, guardandola in silenzio. Sapeva bene che un ascoltatore immobile e muto persuade maggiormente alle confidenze. La prima parte del racconto non fu molto interessante. Lisa dovette sorbirsi tutta la storia del ritrovamento di Daniel Harrington, in seguito alle profezie di Madame Cassali. — Ma non mi sembra poi una cosa tanto straordinaria! — obiettò. — Che cosa ha fatto, infine, codesto signor Harrington? Se ti fosse caduto ai piedi giurandoti eterna fedeltà, se ti avesse confessato un amore nutrito per anni, dopo aver veduto la tua fotografia sul tavolo di tuo marito, laggiù, J. L. Rickard
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nelle giungle africane, capirei, ma così non ci trovo nulla d'interessante. Ma Vanessa aveva ben altro da dirle e si preparava ad aprire tutto il suo cuore alla scettica amica, che altrimenti le avrebbe rifiutato i suoi lumi. Lisa la fissava con i suoi chiari occhi da gatta, in attesa del famoso segreto. — Liza — mormorò Lady Montague chinandosi su di lei e posandole una mano sul braccio — non ridere, te ne prego; sono innamorata e, alla mia età, una passione è una cosa molto seria. L'altra trattenne un sorrisetto ironico. — Non avevo amato mai! — continuò Vanessa nell'estasi dei ricordi appassionati. — Non sapevo che cosa fosse un vero amore... e anche lui mi dimostrava tanto affetto e tanta simpatia! — E le narrò dei loro rapporti di affettuosa amicizia e del nome grazioso con cui soleva chiamarla: "Madonna Luna"; e poi della freddezza via via crescente del cugino, che si lasciava vedere sempre più di rado e solo di sfuggita; l'umiliante tortura dell'incertezza e infine la sua indignazione al vedersi trascurata e quasi evitata. — Eppure io so che mi vuol bene! — proruppe fieramente. — Lo so!... me l'ha detto Madame Cassali. Liza non fece commenti. Pensava che sarebbe stato assai meglio che gliel'avesse confessato lo stesso Sir Hector; ma lei sapeva benissimo che il cuore del baronetto apparteneva a ben altri che a Madonna Luna. La bella Joyce Chance, la variopinta e seducente farfalla, l'aveva abbagliato coi suoi colori smaglianti e gli aveva fatto dimenticare ogni altra cosa. Nonostante il suo freddo egoismo, sentiva una certa compassione per la povera Vanessa e pensava che Emily Garret non avesse forse tutti i torti se si rifiutava di continuare a illuderla. — Eh, via! — disse gaiamente — in fondo, tu hai sempre il vantaggio di abitare nella sua stessa casa; e per quanto egli se ne stia lontano, finirà sempre per ritornarvi. Pazienza, dunque, pazienza... e calma, soprattutto! — Sì, tu dici che egli finirà per tornare a casa — esclamò Vanessa facendosi ancor più pallida. — Ma non sai che da oltre due settimane Hector è scomparso! — Scomparso! — esclamò Liza profondamente sorpresa. — Purtroppo! Uscì di casa dopo pranzo, dicendomi che andava dagli Haddens... sai, in quel palazzone in Eaton Square... e non tornò più. A tavola s'era mostrato più taciturno del solito. La zia pranzava in camera, come fa spesso; ed io non volli importunarlo; quella sua aria distratta e J. L. Rickard
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preoccupata mi dava una gran pena. Mentre si prendeva il caffè, mi disse a un tratto: "Madonna Luna, secondo voi, che cos'è un mascalzone?". Lì per lì, non seppi che cosa rispondere; poi dissi: "Io chiamerei mascalzone colui che spezza il cuore di una donna innamorata". "Già", soggiunse, "ma ci dovrebbe essere anche l'equivalente femminile di questo epiteto!" Chissà a che cosa voleva alludere, Liza! Mi augurò la buona notte e se ne andò. Da quel momento — aggiunse con un fremito alle labbra — non s'è più fatto vedere, e io mi consumo nell'attesa e non dormo e sto sempre con l'orecchio teso, perché mi pare di udire lo squillo del telefono, o il rombo di un'automobile che si fermi alla porta. Ma non è tutto... — Aspetta — l'arrestò Liza — se non mi sbaglio, ho sentito dire da qualcuno che è andato a Parigi da quel suo odiosissimo amico Maxime French. Ma sì, me l'hanno proprio detto; ecco perché non l'hai più visto! Lady Montague scrollò il capo. — No, no — disse cupamente — questa è una frottola che ho messo in giro io stessa, per giustificare in qualche modo la sua assenza. — Davvero? — L'ultima volta che venni qui, incontrai la signora Chance. Come mai ricevi quella donna, Liza? Forse non la conosci bene, tu non sai quello che so io. Senti, quella sera, dopo il ricevimento degli Haddens, Hector l'accompagnò a casa, verso mezzanotte. Tu forse non sai che vive sola e che la sua domestica non dorme in casa. Io l'ho saputo oggi. Hector è entrato da lei, a quell'ora! Barr, l'autista, l'ha aspettato alla porta fin quasi all'alba; poi è tornato a casa solo. Capisci? E Hector non s'è più visto. Oh, Liza mia, credimi, sono disperata! — e posando il capo sulla spalla dell'amica, Vanessa scoppiò in lacrime. — Pensa — continuò singhiozzando — forse è rimasto tutti questi giorni con lei! E non una parola, non un cenno: nulla! Il silenzio, questo atroce silenzio! E lei se ne va in giro come niente fosse! L'hai vista l'altra sera? È una sfacciata; la menzogna fatta persona! E lui non pensa a mandarmi neanche una parola di conforto! È lei che non glielo permette, sai; ne sono sicura! E io non voglio parlarne a nessuno; non voglio che la gente si diverta a malignare sul conto nostro! La signora Bryant le accarezzava dolcemente la spalla; ma il suo viso, che l'altra non poteva vedere, era lo specchio delle più diverse espressioni. Meraviglia, inquietudine, e perfino un certo brivido di paura le guizzavano negli occhi. Non parlò senz'aver prima ben pesato le parole. Quello che la J. L. Rickard
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Garret le aveva raccontato era abbastanza strano, e la coincidenza coi fatti non solo era singolare, ma parecchio inquietante. — Ma perché vuoi che sia rimasto lì, cara? — disse, sforzandosi ad assumere un tono leggero e disinvolto. — È curioso davvero; ma io giurerei che ha lasciato Hamilton Street chissà da quanto tempo! Come mai puoi credere che lei lo tenga nascosto in casa e, poi, a quale scopo? Mi sembra che sarebbe molto più semplice che, pur esistendo fra loro una relazione, lui tornasse a casa propria. Nessuno potrebbe impedire loro di vedersi altrove. Mentre se, come tu dici, lei lo tenesse prigioniero presso di sé, magari nascosto in cantina, o che so io, capirai bene che, anche per lei, non sarebbe poi una cosa molto comoda! Credi, Vana, è un'idea assurda codesta. — Non vuol lasciarlo tornare a casa perché ha paura di me, capisci! — esclamò Vanessa con un lampo di fierezza negli occhi. — Lui mi ama, ne sono certa; e lei ha paura! La signora Bryant tacque. Circospetta e prudente com'era sempre, pensò bene di tenere per sé quel che sapeva. Del resto, non avrebbe potuto giustificare in alcun modo le informazioni avute dalla Garret. — Non posso persuadermi che Joyce Chance sia così sciocca — disse poi risolutamente. — Dammi retta, Vana, levati dalla testa questa idea. Probabilmente, mentre Sir Hector era in casa di lei, avrà avuto una chiamata urgente per affari. Può darsi che al suo ufficio conoscano questa sua amicizia e l'abbiano raggiunto lì. E in tal caso, chissà mai dove può essere andato! M'hanno detto che la sua Società ha delle miniere in Africa... Liza era soddisfatta di aver trovato una spiegazione così semplice e persuasiva. — No, no — ribatté Vanessa — non è così. Blythe, il segretario della S.I.M. mi ha telefonato e poi è venuto di persona a chiedermi di lui. Era agitatissimo e preoccupato, poiché ignorava assolutamente dove Hector si potesse trovare. E poi è venuto un'altra volta, mentre io non ero in casa, e ha interrogato l'autista, il quale gli ha detto che Hector non aveva mai lasciato Londra. E così tutta la mia astuzia... — s'interruppe con un sospiro. — E tu gli avevi raccontato quella storiella di French? — esclamò Liza con aria sgomenta. — Ma, Vana, che imprudenza! Non hai pensato che lui avrebbe finito per scoprire ch'era tutta una invenzione? Dire una bugia J. L. Rickard
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quando si corre il rischio d'essere scoperti! — Non erano che ventiquattr'ore che Hector mancava di casa; ed io volevo evitare a ogni costo che si facesse il nome di quella donna... Liza la guardava, ora, con una sincera pietà. Povera Madonna Luna! — Bene — disse lentamente — ormai, per questo, non c'è più rimedio ed è inutile discorrerne. Parliamo di Hector, piuttosto. Io, come ti ho detto, non posso credere che sia sempre in casa di Joyce; ma, se non è lì, come si spiega il suo silenzio? Vanessa le afferrò un braccio. — Che cosa vuoi dire? Che gli sia accaduta una disgrazia? No, no! Non può essere! Non ci posso nemmeno pensare! — Non ti agitare, cara — disse Liza alzandosi per suonare il campanello — ora prendiamo qualche cosa e poi parleremo tranquillamente e si vedrà di giungere a una conclusione. L'interruzione causata dall'entrare e uscire della cameriera col vassoio, e i gesti quasi meccanici del preparare e servire all'amica la bevanda riconfortante diedero tempo a Liza di riprendere la sua calma abituale. Ripensava al racconto di Emily Garret; al grido udito nella notte e, nonostante l'aridità del suo cuore, si sentiva realmente scossa e preoccupata. Si dava un gran da fare intorno alla tavola, facendo tintinnare le sue numerose collane, e canticchiando con gaiezza forzata, per evitare un silenzio imbarazzante. — Parliamo dunque pacatamente e con animo sereno, cara — disse, tornando al suo cuscino accanto al fuoco. — Procura di guardare le cose come un'estranea, da un punto di vista completamente impersonale, e ragioniamo. — Non posso, non posso! — esclamò Vanessa disperata — soffro troppo! — M'hai detto tu stessa che avevi bisogno di un mio consiglio. Ma come ti posso consigliare se non vuoi ragionare un po' sul serio e ti rifiuti di considerare la situazione con occhio più sereno? — Ho pregato Harrington di sorvegliare la casa — mormorò Vanessa. — Non vuol saperne! — Harrington sarebbe l'uomo di cui ti parlò Madame Cassali? — Sì, è lui. Capisci, bisognerebbe poter entrare in quella casa; oppure scoprire dove è andato Hector quando è uscito di lì... Se pure ne è uscito! — Ma sì! Di questo non c'è da dubitare! A meno che non si sia J. L. Rickard
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ammalato improvvisamente... — Liza si morse le labbra. Se avesse avuto sottomano Madame Cassali, avrebbe potuto far insinuare da lei a Vanessa che Hector era forse in pericolo. Ma dopo lo svenimento, quella non s'era più fatta viva; forse era indisposta e, ad ogni modo, l'incidente di quella sera gliel'aveva fatta cadere in disgrazia. Liza decise di perdonarla; Hamilton Street era divenuta un centro di avvenimenti importantissimi e, anche senza vesti di profetessa, Emily Garret ora avrebbe potuto esserle assai utile. — Comincio davvero a temere che gli sia accaduto qualche cosa di grave — disse Vanessa, smettendo di tormentare con le dita nervose il fermaglio della borsa e rialzando il capo. — E sono venuta da te, Liza, a domandarti se non conosci una via per procurarsi delle informazioni o per far sorvegliare una persona segretamente. Sono sicura che Hector si irriterebbe assai se questa brutta storia dovesse diffondersi. Certo, se lui riesce a liberarsi da quella donna, troncherà subito ogni cosa; e perciò bisogna andare molto cauti. Tu capisci, non è vero? — Ma sì; naturalmente! Sicché vorresti che un qualche agente privato facesse delle ricerche... Ma è una cosa semplicissima — continuò la Bryant — hai fatto benissimo a rivolgerti a me, cara! Io conosco un tale che fa proprio al caso tuo; un vero genio per queste faccende! — Liza si ammirava, parlando. — Uno di quegl'individui misteriosi, che sanno tenersi nell'ombra e sorvegliar tutto e tutti senza farsi scorgere. Si chiama Joseph Rousselle. Simpaticissimo! È anche un bel giovane! L'ha scovato una donnetta che rivende abiti usati; un tipo un po' equivoco, ma questo non c'entra. Joseph Rousselle è l'uomo che fa per te, Vana; uno Sherlock Holmes redivivo, prudente, discreto, astuto come un serpente! — Davvero? — fece l'altra tutta rianimata. — E dove potrei trovarlo? Vedi, bisogna ch'io mi muova, che faccia qualche cosa; altrimenti la mia povera testa se ne va! — Ti darò il suo indirizzo, aspetta. — E la signora Bryant andò a frugare nel cassetto del tavolo, da cui trasse una matita e un foglietto di carta. — Dunque, abita al numero 6 di Princes Row, Connaught Square. Un vicoletto sudicio e mal frequentato; un vero covo di teppisti! Quando ci andai la prima volta me la vidi brutta! Ma la sua camera è un modello d'ordine e di pulizia. Però faresti meglio a farlo venire a casa tua. — E tu credi che lui sarà capace di rintracciare Hector? — chiese angosciosamente Vanessa. J. L. Rickard
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— Vedrai che Rousselle lo troverà. È l'uomo che ci vuole. Ti costerà forse un po' caro, ma vedrai che ne sarei soddisfatta. — Ma perché è andato a stare in un quartiere così povero? — Ma! Che vuoi? Stranezze! È abituato a quell'ambiente di vizio e di miseria; forse gli piace viverci in mezzo! Chissà che non ci sia sotto qualche mistero. Non mi stupirebbe che avesse qualche marachella da far dimenticare; che fosse magari stato in prigione e che per adesso non gli convenga mostrarsi troppo in quartieri meglio frequentati. — Domani stesso lo manderò a chiamare — disse Lady Montague alzandosi. — Temo di avere aspettato anche troppo. Ma ero talmente abbattuta che non sapevo decidermi a far nulla. Adesso, invece, ho paura; e non so che cosa sia peggio! Liza accompagnò l'amica fino al cancello e stette a guardare l'automobile che si allontanava nella notte. L'espressione del suo volto s'era completamente trasformata, e quel rapido mutamento aveva qualcosa di drammatico. Madonna Luna avrebbe mai più riveduto Hector Montague? Liza ne dubitava molto.
10. La strana e unilaterale passione di Daniel Harrington faceva rapidi progressi e le malevoli insinuazioni della signora Hebberden contro la sua bella vicina avevano avuto il solito risultato di simili attacchi: di renderlo, cioè, più innamorato che mai. Ora lui si sentiva in dovere di difenderla. Dunque le male lingue cianciavano sul conto di lei, gelose della sua bellezza e della sua grazia; mettevano in giro storie scandalose, accusandola di attirare gli uomini in casa sua; mentre chiunque avesse gli occhi in testa ne restava affascinato, senza che lei si desse la pena di fare la civetta con chicchessia o di dire una sola parola di lusinga! Quel ciarlare di lei con tanta libertà gli dava terribilmente ai nervi. Anche quel cartolaio, con quei suoi apprezzamenti volgari, lo avrebbe preso a schiaffi. Così perseguitata dalla maldicenza e dall'invidia la signora Chance gli era infinitamente più cara. In quei giorni, la Casina di fronte era più tranquilla e più silenziosa che mai. Quel suo amore lontano e platonico lo inebriava. Tutto, ormai, gli parlava di lei: le prime foglie degli alberi, il purissimo azzurro del cielo J. L. Rickard
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d'aprile, l'aria tiepida e dolce. Sentiva il suo spirito aleggiargli d'intorno nel soffio della primavera, e ogni giorno passava e ripassava davanti alla sua porta fantasticando sul modo di poterle parlare. Forse lei l'avrebbe trovato un po' vecchio per concedergli più che una fraterna amicizia, ma se ne sarebbe accontentato, pur pensando con rimpianto a quel che avrebbe potuto essere il loro amore, se si fossero incontrati prima. Eppure quel caldo bagliore di giovinezza guizzava ancora nella grigia vita, e lui non si sentiva affatto vecchio. Avrebbe potuto prender moglie, né gli sarebbe stato difficile trovarla; un tempo ci aveva anche pensato, ma ora la sua mente e il suo cuore erano troppo presi dalla bella vicina. Molti uomini l'avevano amata, senza dubbio, e tutte le dolci parole che l'amore sa dettare lei le conosceva certamente; eppure, fra tanti amori, e forse tante avventure, lei aveva conservato un'aria di candore che la rendeva adorabile. I giorni in cui non la vedeva gli sembravano grigi e interminabili; il mondo gli appariva squallido e deserto, e nemmeno la sua prediletta occupazione di sorvegliare i passanti gli offriva più alcun interesse. In una di quelle tristi giornate, Daniel non poté resistere alla tentazione di fermarsi davanti al portoncino della casa dalle imposte azzurre; e stette a lungo appoggiato al battente, quasi aspettando. Nel cielo azzurro e profondo navigavano, lente e candide, grandi nuvole primaverili; tutto rideva all'intorno nel chiaro e fresco pomeriggio. Lui benediceva in cuor suo la dolce signora che l'aveva tolto dal grigiore della sua solitaria esistenza per ridestargli in cuore una vita più intensa di passione e di sofferenza. Improvvisamente il portoncino si aprì e la donna dei suoi pensieri vi si affacciò sorridente. Era senza cappello e indossava una semplice veste da casa. — Entri — gli disse — salga a riposarsi un poco. Daniel entrò in casa come trasognato e la seguì per le scale fino al salotto del primo piano, lottando con l'incantesimo che lo teneva. — L'ho visto dalla finestra appoggiato al mio portone — lei disse offrendogli una poltroncina — e ho pensato che forse sarebbe salito volentieri a fare quattro chiacchiere. Deve sapere che m'hanno messo in guardia contro di lei e questo, naturalmente, mi ha fatto venire una gran voglia di conoscerla. — E chi mai può averla messo in guardia contro di me? — domandò J. L. Rickard
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Daniel al colmo dello stupore. Poi pensò che era lui piuttosto che avrebbe dovuto stare in guardia, ricordando i due uomini di quella notte che non aveva più visto uscire. E stava quasi per dirglielo, ma si trattenne. Lei rideva. — Che vuole? Si vede che lei, in qualche modo, è unito al mio destino e io non posso sfuggirle. Deve sapere che me l'ha detto una certa Madame Cassali, un'indovina straordinaria che conosce ogni cosa: passato, presente, futuro; tutto! Mi parlò d'un uomo che zoppicava leggermente e mi disse di non permettergli mai di varcare la soglia di casa mia. Come vede, io non l'ho obbedita; ed ora staremo a vedere che cosa succederà! Joyce sedette in una poltroncina bassa accanto alla finestra e la luce viva mise un bagliore d'oro nel biondo tizianesco dei suoi capelli. La sua veste d'un azzurro smorto aderiva perfettamente alla snella persona; una lunga e pesante collana le pendeva dal collo. Nell'ombra azzurrognola della stanza, il suo volto bianco spiccava nella sua fine bellezza di cammeo. Daniel la contemplava estatico e parlò come in sogno, quasi senza rendersi conto di quel che diceva. — E come mai potrei farle del male? Io la conosco da un pezzo, signora; sto sempre a guardarla dalla finestra. Non le dispiace, non è vero? — Ma, secondo! — rispose lei, guardandolo di sottecchi con una mossa birichina. — Mi dica un po', ora, come si chiama, come mai è venuto ad abitare qui dirimpetto; mi racconti qualche cosa di sé, via. Che cosa ha fatto di bello nella sua vita? — La più bella cosa che mi sia capitata fino ad oggi, signora, è di essere entrato nel suo salotto. Mi chiamo Daniel Harrington e vengo dall'Africa Occidentale. Molti anni or sono abitavo in quella stessa camera, in casa della signora Packer e, siccome sono molto fedele per natura, ci sono ritornato. Ecco tutto!... Lei scrollò il capo. — No — disse — non può essere tutto; chissà quante vicende interessanti ci saranno state nella sua vita! Ma non vuole raccontarmele, non è vero? — Il passato non conta; quel che interessa è il futuro. Chi è codesta Madame Cassali? Mi piacerebbe conoscerla e domandarle per quale ragione l'ha messa in guardia contro di me. — Non potrà dirglielo forse, perché, dopo la sua famosa seduta con me, ebbe una specie di crisi nervosa che l'ha molto abbattuta. Non credo però J. L. Rickard
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che l'abbiano provocata le cose che m'ha detto! — aggiunse con una certa spavalderia. — Se togliamo quel curioso avvertimento sul conto suo, non ha saputo dirmi proprio nulla di interessante. Dopo di me, fu la volta di Lady Montague: una di quelle donne tragiche che prendono tutto sul serio; la vera cliente per una Madame Cassali! — Lady Montague? — fece Daniel sorpreso — Strano! — Perché? — Perché ieri sera, mentre mi trovavo dal cartolaio, qui all'angolo, entrò un giovanotto per domandare se Lady Montague abitava in questa via. Lei si spostò leggermente, in modo da voltare le spalle alla finestra, e lo fissò senza dir nulla. Quando lui tacque, non replicò, attendendo che continuasse. — Il cartolaio gli rispose che qui non abita nessun Montague — riprese Daniel. — Ma mi dica, mi dica ancora di Madame Cassali; ormai si sarà rimessa. Dove potrei vederla? La signora sorrise, distratta. — Per arrivare a Madame Cassali — rispose — bisogna prima far conoscenza con la signora Bryant. Madame Cassali non è una chiromante da strapazzo. Dicono che sia russa; io però non lo credo. Scommetterei che Lady Montague invece ne è convinta. — È molto bella Lady Montague? — Dio mio, molto bella non direi; a me non piace, per esempio; molti però la trovano bellissima. Perché me lo domanda? Le interessa molto? — M'interessa soltanto perché quel tale che chiedeva di lei al cartolaio diceva di aver saputo dal vicario di Saint Anselm ch'ella abitava precisamente in questa via. La signora Chance si alzò di scatto e si avvicinò al camino voltandogli le spalle. — Pare che il reverendo Kingsdale gliene avesse parlato con entusiasmo — concluse lui un po' mortificato per l'inatteso effetto delle sue parole. Ma che aveva detto infine? Possibile che il solo accenno alla bellezza di un'altra donna l'agitasse a quel modo? Ci doveva essere sotto qualche altra ragione. Lei si volse d'un tratto. — Com'era quel tale che chiedeva di Lady Montague? — domandò bruscamente. Harrington cercò di descriverglielo come lo ricordava: alto, elegante, J. L. Rickard
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bruno, un po' acceso in viso, d'aspetto non volgare, ma nemmeno eccezionalmente distinto. A lui era riuscito poco simpatico per quel suo fare troppo confidenziale col cartolaio e per un certo suo spirito di cattivo gusto. — Ad ogni modo — aggiunse — non credo si trattasse della Lady Montague che lei conosce. È maritata? — Vedova — rispose la signora seccamente. — Ah, vede? non è la stessa! — esclamò Daniel, tutto contento senza ben sapere perché. — Quel giovanotto parlava di un certo Sir Hector Montague che avrebbe dovuto essere il marito. La signora Chance non rispose; ma lui si sentì preso da un inesplicabile senso di disagio. L'atmosfera gli sembrava satura di elettricità. Lei stava immobile accanto al camino, con gli occhi bassi, le mani serrate e il volto rigido e chiuso. Stette a lungo, troppo a lungo, in silenzio; poi si avvicinò alla finestra e guardò giù nella via. — Che strane coincidenze si danno talvolta nella vita! — esclamò. — C'entrano ancora le predizioni di Madame Cassali? — lui chiese; e avrebbe voluto aggiungere: "come sarei felice se potessi far qualcosa per lei!". — Macché! No, no! — disse subito la signora — non m'ha detto proprio nulla d'interessante. Vorrei sapere, piuttosto, chi è codesto ammiratore di Lady Montague che va a domandare a destra e a sinistra dove abita la sua bella. Che volesse farle una serenata? Romantico, non le pare? — E chi le dice che non volesse invece venderle, per esempio, una macchina da cucire? Ma non perdiamo tempo a parlare di lui. — Mi dica dunque che cosa fa di bello, se vede qualcuno, come passa le sue giornate. — Lei gli fissava in volto i suoi grandi occhi profondi; e Daniel, incontrando quello sguardo, arrossì come un fanciullo. — Per un gran pezzo sono stato condannato all'inerzia da un malaugurato incidente — rispose. — Prima di partire dall'Africa, caddi da cavallo e mi spezzai una gamba; sicché me ne tornai in patria assai malconcio. Ora sto molto meglio; ma per parecchie settimane mi sono dovuto contentare di guardare il mondo dalla finestra della mia camera. È appunto per questo ho imparato a conoscerla così bene! Lei ebbe per lui qualche gentile parola di compianto e l'assicurò che, se l'avesse saputo così solo e triste, sarebbe andata ben volentieri a confortarlo. J. L. Rickard
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— Ho avuto anche una visita — soggiunse lui con un sorriso — una visita che non mi sarei mai aspettata, la vedova di un mio compagno d'Africa; una certa signora Hebberden. — Ah! Mi pare d'aver udito anche questo nome. Hebberden! Dove mai l'ho udito? No, non mi ricordo. È così? È stata carina con lei, codesta signora? L'ha saputo consolare un poco? — No, veramente! Anzi, se debbo dirle la verità, m'ha seccato parecchio. Anzitutto, io immaginavo che la vedova di George Hebberden dovesse essere una povera donnina assai modesta e dimessa, e mi vedo invece dinanzi una magnifica donna vestita all'ultima moda. E poi, non so perché, non m'è sembrata neppure di animo buono. — Ma che ha ragioni ha per dire questo? — domandò la signora Chance che cominciava a divertirsi. — Non è simpatico né generoso giudicare così una signora che è stata tanto gentile con lei! — È stata antipatica e ingenerosa! — esclamò lui imprudentemente. — S'immagini: è gelosa di lei! — Di me? — Precisamente. Vede? Lei fu messa in guardia contro di me ed io lo fui contro di lei. La signora Hebberden mi disse, nientemeno, che lei è una donna pericolosa! Un lievissimo, enigmatico sorriso errò sulle labbra della signora Chance. — Eh! Chissà! — Mi ha messo in guardia, capisce? — riprese Harrington ridendo, felice di poterle parlare così, confidenzialmente, lì, in quel salottino tepido, dove si sentiva sempre più a suo agio. — Mi disse che lei è una specie di Circe, che affascina gli uomini e li attira in casa, per non lasciarli più uscire; una maga malefica che adesca con filtri e incantesimi gl'innocenti mortali! Una fiamma improvvisa imporporò il volto della signora, che scattò con un movimento di sdegno. O era sgomento? — Ha detto questo? Ma chi è costei? Chi è questa signora Hebberden che osa attaccarmi così crudelmente e vigliaccamente alle spalle? Daniel si sarebbe picchiato per essersi lasciato sfuggire quelle parole. Quanto era stato sciocco! Ora lei era offesa, irritata, soffriva, e tutto per colpa sua! La guardò profondamente contrito. — Mi perdoni, signora; non avrei dovuto ripeterle simili sciocchezze. Pare anche a me che quella donna parlasse senza sapere quel che diceva; J. L. Rickard
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tanto per dire qualcosa. — No, no; qui si tratta di un'accusa vera e propria — ribatté la signora con voce dura — mi ripeta esattamente le sue parole. Daniel fu costretto a riferirle l'intero colloquio; e lei ebbe un piccolo riso duro e forzato. — Non so davvero donde sia sbucata codesta signora Hebberden, così maligna e pettegola! E lei ci crede a queste storie? Vorrei sapere dove li metterei tutti questi uomini, in una casetta così piccina! Fossi anche Circe rediviva, non saprei che farmene dei miei maiali e dei miei cavalli! Il mio giardinetto è troppo piccolo! — aggiunse con una risata amara. Parve a Daniel che lei prendesse la cosa abbastanza alla leggera e si sentì un po' sollevato. Era già l'ora d'andarsene e gli sarebbe stato troppo penoso lasciarla senz'avere la certezza di poter ritornare. — Non credo che quella signora tornerà da me — disse timidamente — ma, se tornasse, come potrei comportarmi? — Le domandi quando e dove m'ha conosciuta — risposa la signora Chance seccamente — e se dice che non mi conosce, le chieda un po' chi le ha procurato quelle lusinghiere informazioni sul mio conto. Vorrei proprio vederci chiaro, in questa storia. — Ho fatto male a parlargliene — concluse lui alzandosi. — Ne sono molto mortificato e non vorrei lasciarle una sgradevole impressione di questa mia prima visita. La prego, mi dica che non è in collera con me e che non mi serberà rancore. E non dimentichi la sua promessa di farmi conoscere Madame Cassali, appena saprà che i suoi nervi sono tornati a posto. Lei si alzò e gli tese la mano. — Me ne ricorderò, stia tranquillo. La condurrò una sera dalla signora Bryant; ma lei mi deve promettere che, se la signora Hebberden torna a farle visita, mi farà subito avvertire. Lui promise, ben lieto di poterle fare cosa gradita, senza pensare, lì per lì, al ginepraio in cui si sarebbe cacciato. — E potrò tornare? — le chiese. — Ma certo! E un'altra volta parleremo soltanto di noi e non ci occuperemo più degli altri. Nell'uscire, Daniel si volse, con la speranza di rivederla dietro i vetri, ma fu deluso. Mentre attraversava la strada, un'automobile di piazza si fermò davanti al numero 48. Si volse a guardare chi fosse il fortunato mortale che J. L. Rickard
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avrebbe preso il suo posto nel salottino tepido, e un'acuta gelosia gli morse il cuore. Era geloso di tutti gli uomini che l'avevano conosciuta prima di lui, che l'avevano chiamata per nome, mormorandole forse tante dolci parole che lui non avrebbe mai osato rivolgerle. Vide un giovanotto elegante scendere dalla vettura, lo vide pagare il conducente e, dopo una breve esitazione, suonare il campanello. E in colui che credeva uno sconosciuto, Daniel riconobbe immediatamente il giovane bruno e curioso che era entrato dal cartolaio per domandare se Lady Montague abitava in Hamilton Street.
11. L'abboccamento fra Vanessa e Joseph Rousselle doveva aver luogo in casa della signora Bryant. Non era questo il primo colloquio clandestino che si svolgeva tra quelle pareti, le quali serbavano una cert'aria di mistero molto confacente a simili convegni. Vanessa richiese, per il primo incontro, l'appoggio dell'amica. — Aiutami tu a spiegargli perché l'ho fatto venire — le disse. — Poi ci lascerai soli, perché è meglio che gli parli a quattr'occhi. — Come vuoi cara. Erano entrambe nervose, ma Liza, più padrona di sé, dominava l'amica. — E che cosa gli dirò? — sospirava Vanessa vicino alle lacrime. — Digli la verità; poi ci penserà lui a trovare il bandolo. — Ma come vuoi che gli racconti che sono innamorata di mio cugino? Non sono cose che si possono confidare al primo venuto! — E tu non dirglielo — ribatté l'altra indispettita. — Non gli dire nulla; tanto, sta' tranquilla che lo scoprirà ugualmente da sé! Mentre stavano bisticciandosi, giunse Rousselle, che la signora Bryant accolse con rumorosa cordialità. Era un giovane bruno, magro, con folti capelli ricciuti e grandi occhi intelligenti, vivacissimi. Accurato ed elegante nel vestire, aveva tuttavia in sé qualcosa di indefinibile, che parlava di miserie e di privazioni, di lotte e di sofferenze. Tutto un duro passato di dolore, e forse di tragedia, aveva lasciato sul quel volto scarno una traccia indelebile, che non sfuggì all'acuta sensibilità di Vanessa. Comprese come lui, nelle vicende della sua vita, avesse dovuto oltrepassare il limite estremo della sofferenza e dell'avventura; e lo guardava con occhi affascinati. Mentre Liza lo investiva con un fiume di J. L. Rickard
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parole, lei l'osservava in silenzio, immediatamente soggiogata da quella sua singolare personalità. Lui non aveva fatto che inchinarsi alle due dame, contegnoso e garbato; eppure c'era in lui qualche cosa che lo rendeva profondamente dissimile dagli altri giovani della sua età e della sua condizione; qualcosa di selvaggio e di dolce insieme, di stranamente personale e insolito. Rousselle evitava deliberatamente di guardarla e stava accanto a Liza, la quale, sempre parlando con esagerata vivacità, si avviava verso la porta. Vanessa si sentiva stringere da un indefinibile senso di disagio. Liza uscì finalmente e lui si avvicinò a Lady Montague. — Vuol dirmi, signora, che cosa desidera precisamente da me? — le chiese. Lei rimase qualche istante in silenzio, incapace di pronunciare una parola, mentre un'onda di sangue le saliva violentemente al viso. Quella voce, l'aveva udita un'altra volta: era la voce che le aveva risposto al telefono, quella sera, da casa Chance. E temette che anche lui dovesse riconoscere nella sua la voce della signora Hebberden. Ma se l'uomo che le stava dinanzi era un amico della signora Chance, come avrebbe potuto metterlo a parte del proprio segreto? — Non so come incominciare — disse, fissandolo intensamente. Il volto del giovane non mutò; era lui tanto padrone di sé, non aveva riconosciuto la sua voce? — Come le ha detto la signora Bryant — continuò Vanessa — mio cugino Hector Montague è scomparso improvvisamente da qualche tempo e non ha più dato sue notizie. Noi siamo, naturalmente, molto impensieriti. I suoi colleghi ne reclamano la presenza per affari urgentissimi... — s'interruppe, angosciata e sgomenta, incapace di proseguire. Rousselle le sedette accanto. — Seppure sarà possibile trovarlo, se non gli è avvenuto qualcosa di irrimediabile, io lo rintraccerò sicuramente, signora — disse senza guardarla. — Questi casi mi interessano sempre moltissimo ed anzi, per una fortunata combinazione, mi trovo in grado di approfondire la cosa meglio di chiunque altro. La signora Bryant mi dice che Sir Hector fu veduto l'ultima volta mentre entrava in casa della signora Chance. Io la conosco benissimo e sono certo che non mi sarà difficile avere da lei tutti i chiarimenti necessari. Vanessa ebbe un gran respiro di sollievo. Quelle parole vinsero la sua J. L. Rickard
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diffidenza si sentì subito molto più tranquilla e fiduciosa. — Ah, lei conosce la signora Chance? Lui assentì. — E crede che vorrà dirle la verità? — riprese Vanessa con ansia contenuta. — Saprò scoprirla da me — rispose sorridendo. — Siete molto amici? — Oh, molto amici non direi... — Rousselle tacque, con un lieve sorriso. Poi le fece una serie di brevi e rapide domande. Liza aveva ragione: egli doveva essere molto intelligente; ma la sua presenza le dava quasi un senso di malessere. — Appena saprò qualcosa verrò da lei, oppure le telefonerò — concluse il giovane alzandosi. — Vi sono anche altri, però, che si interessano a questo fatto. Qualche giorno fa, una certa signora Hebberden telefonò al numero 48 di Hamilton Street, appunto per chiedere di Sir Hector Montague. Mi trovavo per caso in casa Chance e risposi io stesso. La conosce lei questa signora? Vanessa si sentì impallidire. — Hebberden? — mormorò — Conosco una famiglia Hebberden, ma non so quali rapporti possa avere con mio cugino. Sa, lui ha molte relazioni e molti affari e da ogni parte mi chiedono di lui. Rousselle la studiava attentamente senza alcuna espressione di simpatia o di ostilità. Si sarebbe detto che la studiasse. Rimasta sola, Vanessa si sentì come sperduta, e il ritorno di Liza la riconfortò. — Non mi piace! — disse all'amica. — Poco male, non devi mica sposarlo! Se riesce a trovare Hector, che t'importa del resto? — Mi fa paura — mormorò Vanessa evitando il suo sguardo. — Perché era in quella casa quando io telefonai? Non ti sembra strano, Liza? Dev'essere in grande intimità con quella donna per trovarsi in casa sua mentre lei era fuori. Liza lo difese con calore, quasi offesa da quegli apprezzamenti. — Dio mio, che pena vivere in mezzo a tutti questi misteri! — proruppe Vanessa alzandosi. — Tu ti sei guastata i nervi coi sonniferi e con le fattucchiere, cara mia — ribatté l'amica impazientita. — Avresti bisogno piuttosto di cambiare aria. Perché non fai un viaggetto? Se volessi, si potrebbe andare insieme a J. L. Rickard
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passare qualche giorno a Parigi; ciò darebbe anche maggior consistenza alla tua versione e gioverebbe a tutt'e due. Non ti va? Ti avverto però che io non ho un soldo. — Ci penserò — rispose Vanessa stancamente. — L'idea non sarebbe cattiva; ma ora non posso assentarmi, perché, se Rousselle dovesse scoprire qualcosa, vorrei saperlo subito. Dio mio! Purché non saltino fuori dei grossi guai! Liza la baciò sulle guance con ben simulata effusione; poi, appena uscita l'amica, corse al telefono e chiamò la signora Chance. — Sono sola e annoiata; potrei venire a passare mezz'ora con te? Joyce esitò alquanto poi rispose: — Vieni pure; ma ti avverto che sono un po' stanca, perché ho avuto una giornata assai faticosa. La signora Bryant moriva dalla curiosità di sapere come mai Rousselle si fosse trovato, quella sera, in casa Chance. Joyce era molto prudente e non era facile cavarle un segreto, tuttavia valeva la pena di tentare. Si avvolse ben bene nella pelliccia e uscì nella notte rigida e stellata. La signora Chance venne in persona ad aprirle e salirono insieme nel salottino. Aveva realmente un'aria affaticata e Liza parlava e rideva forte, quasi per vincere un certo senso di disagio che pareva aleggiare nell'aria. — Che hai fatto per stancarti così? — chiese accendendo una sigaretta. — Hai avuto molte visite? I soliti ammiratori? Ormai ci dovresti essere abituata! — Oh, no. Qualcosa di meno divertente — rispose la bella signora. — Figurati, è venuto qui un tale che pretendeva che io non fossi io!... — Che non fossi tu? Ma chi avresti dovuto essere? — Voleva assolutamente ch'io fossi Lady Montague! — Veramente, non vi somigliate molto!... — No, grazie al cielo! — esclamò Joyce ridendo — spero di essere un po' meno stupida! — Ma perché avresti dovuto essere Lady Montague? È curioso davvero! Ma chi era questo bell'originale? — Era il segretario della... — s'interruppe di botto — non so, di una qualche Società... — Ma non ti sarà stato difficile persuaderlo che s'era sbagliato. — Eh, cara mia, quando uno, per partito preso, non crede una parola di quanto gli dici, come vuoi fare a persuaderlo? J. L. Rickard
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— Ma avrà avuto qualche buona ragione per insistere a quel modo. — Certo che l'aveva, o almeno credeva di averla; e ti assicuro che mi ci sarei divertita! Ma non la finiva più! — E come hai fatto a liberartene? Joyce si alzò e andò ad appoggiarsi al camino. Era irrequieta e nervosa, e guardava la sua ospite, incerta se dirle o non dirle qualcosa di più. — Ti confesso che non lo so nemmeno io — disse un po' irritata. — Ha finito con l'andarsene, ma ho una gran paura che ritorni! È un bel noioso, però! La signora Bryant stette un momento in silenzio, poi ripigliò: — Ma che tipo è costui? Ti è sembrato che avesse un'aria un po' sospetta? Ti pare che sia il caso di farlo sorvegliare? Perché, se mai, potrei raccomandarti un certo Joseph Rousselle: un poco di buono, ho paura, ma intelligentissimo; uno che sa arrivare dappertutto... Joyce si avvicinò alla finestra e finse di accomodare una piega della tenda, voltando le spalle all'amica. — Ah, davvero? — disse. — Buono a sapersi, ma non credo che ci sarà bisogno di arrivare a tanto. — E tu te ne stai sola in casa, la notte? — riprese l'altra. — Io non sono paurosa, ma non mi fiderei davvero! Perché non tieni una donna stabile? Posto ne devi avere anche di sopra. — E alzò gli occhi al soffitto. La casa, così linda al di fuori, nell'interno mostrava invece un certo bisogno di riparazioni. Sulla tinta chiara del soffitto spiccava infatti una grossa chiazza più oscura, come se dal piano superiore fosse filtrata dell'acqua. — Che vuoi, sarà una fissazione, ma la notte preferisco stare sola. Si sta così tranquilli! Ma dimmi di codesto tuo Rousselle. Che uomo è? E come hai fatto a scovarlo? Lisa le raccontò come lo aveva conosciuto; ma chi fosse precisamente non lo sapeva nemmeno lei. — È una specie di stregone — soggiunse. — Certi miei amici ne sono addirittura entusiasti. Alcuni si sono serviti di lui in qualche disavventura coniugale. Noi, almeno, di queste noie non ne abbiamo. In fondo, è una gran bella cosa essere vedove e libere! No? Tacque, sorpresa, vedendo gli occhi di Joyce riempirsi di lacrime. L'aveva sempre vista così calma e sicura di sé, che quel pianto non se lo sarebbe aspettato. J. L. Rickard
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— Dicevo per me, sai... — riprese in fretta — io non sono stata molto felice. — Oh, la felicità!... — Joyce guardava lontano, nel vuoto. — Di che cosa stavamo parlando? — Di Rousselle. — A lei premeva riprendere l'argomento. — Se quel curioso individuo tornasse a darti noia, dovresti proprio rivolgerti a lui; vedrai che te ne libera in quattro e quattr'otto! "Dopo tutto", pensava l'intrigante "Joyce potrebbe anche ignorare che Rousselle è stato a casa sua". Secondo il racconto di Vanessa, quella sera lui era solo in casa. Ma come v'era entrato e perché? Non si dette per vinta. — Ma bada — aggiunse ridendo — non è un uomo da fidarsene tanto; io lo crederei capace perfino di rubare! — Quel signore, per quanto noioso, m'è sembrato una persona per bene — disse Joyce con uno sforzo visibile — e non è affatto il caso di farlo sorvegliare. Ha qualche sciocca fissazione, ma gli passerà! Forse ho avuto torto a darvi tanta importanza; ma che vuoi? Oggi ero maldisposta. La signora Bryant si alzò. — Vedo che le piogge ti hanno danneggiato un po' la casa — disse guardando il soffitto. — Se vuoi, ti posso indicare dei bravi operai per farla riparare. Aveva fatto quell'osservazione tanto per mutare discorso, ma l'altra ne parve molto seccata e ribatté, piuttosto aspramente: — Non ho bisogno di nulla, tanto, fra un paio di mesi me ne vado! Liza avrebbe voluto saperne di più, ma Joyce lasciò cadere il discorso facendole capire che ne aveva abbastanza. Ma l'altra non si decideva ancora ad andarsene. — Sai? — riprese con aria distratta — pare che Hector Montague sia andato a Parigi. Vanessa ne fa una malattia, poveretta; ma io credo che lui si sia curato sempre ben poco di lei! — Padronissimo di starsene a Parigi, se gli fa piacere! — rispose Joyce. — E invece si va mormorando che la sua presenza a Londra sarebbe necessaria, in questo momento, per certi affari urgentissimi. Anzi si incomincia a sospettare che la notizia della sua partenza per Parigi non sia che una storiella. — E dove dovrebbe essere allora? — Chi lo sa?! È curioso, però! Credevo quasi che tu ne sapessi qualcosa. — E cosa vuoi che ne sappia io, se lo conosco appena? La signora J. L. Rickard
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Chance aprì la porta del salottino. — Non ti disturbare, cara — disse la Bryant — scendo da sola! Fa un freddo fuori! Joyce esitò un poco, ma rimase. Aveva una faccia pallida e stanca, con due grandi lividi sotto gli occhi. Liza la sbirciò prima di scendere e borbottò fra sé: — Ma che cos'ha mai Joyce? Non mi piace affatto. Spense la luce dell'atrio e, aprendo il portoncino, si sentì investire da un soffio gelido che la fece indietreggiare. In quel momento, un'alta figura d'uomo si affacciò sulla soglia. Si levò il cappello e aguzzò gli occhi nell'oscurità. — Stavo appunto per suonare — disse con voce bassa ed esitante — mi lascia entrare, non è vero? — Entri pure — riprese frettolosamente Liza, un po' spaurita — stavo per andarmene; se vuol salire, le riaccendo la luce. — Voleva proprio vederlo in faccia, quel tardivo visitatore, e si affrettò, con mano nervosa, a girare l'interruttore. Era un sacerdote. Alto, magro, imponente nella sua dignitosa compostezza, aveva qualcosa di così profondo e severo nei grandi occhi incavati che Liza fu ben lieta di non trovarsi, in quel momento, nei panni di Joyce Chance. Quando il nuovo venuto comprese di non avere davanti la padrona di casa, ammutolì e si guardò attorno confuso. — Salga pure — disse Liza — la signora è molto stanca, ma è ancora alzata. Io devo scappare buona notte. — Buona notte — ripeté lo sconosciuto distrattamente, e s'avviò per le scale. Liza stette a guardarlo, finché non lo vide attraversare il primo pianerottolo e sparire. — Alla grazia! Anche un sacerdote! — fece fra sé. — Li accalappia proprio tutti! — E le tornò in mente il racconto della Garret: quello doveva essere precisamente il vicario di Saint Anselm che lei aveva visto entrare in quella casa la notte della scomparsa di Hector Montague. Uscì sovrappensiero, scordandosi persino di tirarsi dietro il portone, e sentì il bisogno di confidare a qualcuno tutte quelle interessanti novità. S'imbacuccò nella pelliccia, attraversò di corsa la via e andò a suonare il campanello del numero 47. La povera Emily sarebbe stata felice di ritornare nelle sue grazie, e lei aveva un sacco di cose da raccontarle. Che gran chiacchierata avrebbero fatto! Il portone si aprì e Liza entrò in fretta. J. L. Rickard
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12. Lady Montague tornò a casa molto turbata e preoccupata. Sola con i suoi pensieri, sentiva crescere in sé la diffidenza verso Rousselle e si rimproverava di aver dato retta a Liza. Non pensò nemmeno di confidarsi con la zia, dalla quale non avrebbe potuto aspettarsi alcun aiuto; né, dopo le spiacevoli conseguenze dell'ultima seduta, poteva più ricorrere a Madame Cassali. Questa le aveva detto che Daniel Harrington l'avrebbe potuta aiutare; veramente, il loro primo colloquio non le aveva lasciato sperare molto; ma la profezia si doveva pur avverare. Pranzò da sola, nel silenzio della grande casa severa; quel silenzio e quella solitudine resero sempre più penoso il senso di sconforto che l'opprimeva. Il pensiero che Daniel avrebbe potuto forse toglierle quel gran peso dal cuore l'assillava al punto che, nella sua fantasia sovreccitata, le parve di sentire una forza ignota spingerla a recarsi subito da lui, malgrado l'ora già molto avanzata. Macchinalmente, quasi inconscia, indossò un lungo mantello nero, si calcò in testa un cappello e uscì nella notte. All'angolo del piazzale prese un taxi. Non pensò nemmeno come avrebbe giustificato la sua visita a quell'ora, gli eventi stessi l'avrebbero spiegata. Convinta com'era di obbedire a una forza superiore, in uno stato di semincoscienza, quell'abbandonarsi così, senza reagire, ad una ignota influenza più forte della sua volontà, le dava un senso di conforto e di riposo. Giunta in Hamilton Street, pagò la corsa e suonò al numero 47. La domestica che venne ad aprire le sgranò in faccia tanto d'occhi e la lasciò entrare senza dire nulla; e lei la seguì in silenzio su per le scale. Si sentiva così sconvolta che l'espressione spaventata della ragazza non la stupì; doveva avere un viso da far paura. Daniel Harrington stava leggendo accanto al fuoco e, all'entrare della signora, non seppe nascondere un movimento di sorpresa non del tutto piacevole. — Come mai, signora Hebberden, a quest'ora? — esclamò alzandosi. Vanessa sedette, cercando febbrilmente un pretesto qualunque alla sua visita. — Mi sentivo tanto sola! — disse con un sorriso forzato. — Talvolta la solitudine è un peso insopportabile... e ho pensato a lei come all'unica J. L. Rickard
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persona che avesse potuto confortarmi. Mi troverà indiscreta e inopportuna, è vero? Ma mi vorrà perdonare. Quel suo atteggiamento dimesso e quasi umile, così diverso dall'aria aggressiva della prima volta, meravigliò Daniel e l'espressione dolorosa di quel viso sconvolto lo commosse. Non poteva dimenticare le sue ingiuriose insinuazioni sul conto della signora Chance, ma in quel momento sentiva per lei una sincera pietà. — Ma signora, lei è molto turbata; che cosa le è accaduto? — Quelle parole di simpatia e il tono cortese con cui erano pronunciate le riempirono gli occhi di lacrime. — Una cosa terribile... terribile! — mormorò chinando il capo. — Lei ricorderà che, quando venni qui l'altra volta, io le parlai della signora Chance e di un uomo che, entrato una notte in casa sua, non n'era più uscito. — Ricordo — rispose asciutto lui, mettendosi tosto sulla difensiva. Si rammentò la promessa fatta a Joyce di avvertirla qualora la signora Hebberden fosse tornata. Ma come fare, a quell'ora? Eppure aveva promesso! — Quell'uomo era il mio fidanzato — continuò la signora — io non gliel'ho voluto dire, perché non se n'era ancora parlato con nessuno. Ho sofferto orribilmente, in queste settimane, e ora non ne posso più; i miei nervi non reggono, sono disperata e ho tanta paura! Mi aiuti, Harrington! Lei che conosce la vita meglio di me veda se si può fare qualcosa; non mi abbandoni; pensi che non ho nessuno! C'era tanto dolore nella sua voce che lui ne fu profondamente intenerito. — Ma perché non si rivolge direttamente alla signora Chance? — rispose. — È una cosa tanto semplice! Dia retta a me, cara signora; vede, lei abita qui di fronte e sono certo che acconsentirebbe a riceverla anche a quest'ora. Si persuada che sarebbe la migliore soluzione. Vanessa scosse il capo. — Non posso, non posso! — disse disperata — e poi, tanto, sarebbe inutile; negherebbe tutto, lo so! — Ma no, sono sicuro invece che farebbe di tutto per aiutarla. Si fidi di lei, signora. Comprendo il suo dolore e le sue angosce; ma non ha fatto nulla finora? — Sì, oggi mi so decisa a fare un certo passo, ma ne sono quasi pentita — sospirò Vanessa. — Un'amica mi consigliò di rivolgermi ad un J. L. Rickard
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agente privato, un certo Rousselle; chissà se riuscirà a scoprire qualche cosa!... — e un singhiozzo le serrò la gola. Daniel si alzò di scatto. Era inutile tentare di persuaderla; era meglio agire risolutamente, andare subito a dire tutto alla signora Chance. Lei avrebbe avuto pietà di quella povera donna disperata e, dimenticando il proprio rancore, sarebbe venuta subito a confortarla e a rassicurarla. — Senta, signora Hebberden — disse chinandosi su di lei e parlandole con amorevolezza, come ad una bimba. — Lei mi aspetta, non è vero? Mi dispiace doverla lasciare, anche per pochi minuti; ma ho un impegno con un amico e non posso mancare. Lei alzò gli occhi, quasi senza comprendere, ed assentì passivamente. — Tornerà presto? — Prestissimo, vedrà. Lei, intanto, cerchi di calmarsi, si metta tranquilla e si riposi. Ha un'aria tanto stanca e sofferente! Via, non si agiti così; vedrà che le cose si accomoderanno. Vengo subito, eh? — Ed uscì trascinando la gamba. Vanessa rimase assorta e trasognata, con gli occhi fissi alla fiamma del caminetto. I lunghi giorni di angoscia e di tensione nervosa avevano affinato la sua bruna bellezza orientale dandole una espressione quasi tragica. Appoggiò il capo alla spalliera della poltrona e chiuse gli occhi, quasi inconsapevole, nel suo turbamento, di essere rimasta sola in quella camera. Il breve riposo tuttavia ridonò un po' di quiete alla sua mente agitata e calmò alquanto il turbinio dei suoi pensieri; si rese improvvisamente conto della sua strana situazione. Dov'era andato Daniel? Quale pazzia aveva fatto a capitargli in casa a quel modo, di notte! Ora egli avrebbe scoperto assai facilmente che lei era Lady Montague; bella figura ci avrebbe fatto! E poi, avrebbe certamente avvertito la signora Chance dei suoi sospetti. Quanto era stata sciocca a mettersi così, spontaneamente, nelle mani di un uomo evidentemente devoto alla sua nemica! Si alzò, agitatissima, e si avvicinò alla finestra. Eccolo, che andava proprio da lei! Vanessa si coprì il volto con le mani. Ora si spiegava quella sua fretta di uscire; certo era andato a prenderla e le avrebbe raccontato di Rousselle e del fidanzamento!... Un folle terrore la prese. Tutti, tutti le erano contro! Quella donna era la più crudele nemica e tutti, Harrington, Hector, tutti erano per lei! J. L. Rickard
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Tornò accanto al fuoco e si abbandonò sulla poltrona. Tra poco la sua rivale sarebbe venuta e lei non l'avrebbe potuta evitare. Le parve di essere prigioniera in quella camera e quell'idea le riuscì insopportabile. Bisognava fuggire, subito. Si alzò di scatto, spense la luce e uscì nel pianerottolo. Voleva andarsene al più presto da quella casa, sottrarsi a una falsa posizione che lei stessa s'era inconsultamente creata. Ma, mentre stava per scendere, udì squillare il campanello alla porta di strada. Certo era la signora Chance; era accorsa subito, all'invito di Harrington. Si guardò intorno smarrita e infilò la scala che conduceva al piano superiore. Sul pianerottolo si apriva un piccolo stanzino da bagno, la cui porta era spalancata, v'entrò lesta e vi si chiuse dentro. Il cuore le martellava furiosamente. Udì un suono di voci e poi un passo leggero venire su per le scale. Senonché, con sua grande meraviglia, quel passo non si arrestò alla porta di Harrington, ma continuò a salire. Socchiuse appena l'uscio del camerino buio e aguzzò lo sguardo attraverso la fessura. Dunque non era la signora Chance! Eppure l'alta figura femminile che intravvedeva nella scarna luce del pianerottolo non le era ignota. Vanessa non credeva ai propri orecchi; quella era la voce di Lisa! E a chi parlava? Non le aveva mai detto di avere amici in quella casa! Ed ora ve la incontrava, di notte! Doveva dunque trattarsi di una persona che le era assai familiare. Ebbe l'impressione di essere stata tradita e ne sentì una fitta al cuore. Aprì un poco più lo spiraglio e sporse il capo a guardare. Una porta si aprì silenziosamente e, sulla soglia illuminata riconobbe Madame Cassali. Una Madame Cassali assai mutata; spoglia dei suoi paludamenti di sibilla, appariva più piccina e grama; la sua voce suonava fioca e stanca. — È inutile, Liza — lei diceva — non tentare di persuadermi; non vengo più; ho già fatto troppo male! — Non fare la stupida — esclamò l'altra, impaziente — non sono venuta per questo. Ho tante cose da dirti. Sono stata da Joyce Chance e ho bisogno di vuotare il sacco. Lasciami entrare, sciocchina! — e respingendo l'amica, la signora Bryant entrò risolutamente nella stanza. — Ssst! — fece la Garret — mi pare di sentire un rumore. Hai visto nessuno per le scale? — Nessuno. Ho incontrato per la via il tuo vicino zoppo; forse andava da Joyce. Via, finiscila con i tuoi stupidi nervi! Non c'è nessuno, va! Vanessa si ritirò nel bugigattolo. La Garret uscì sul pianerottolo e si J. L. Rickard
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sporse dalla ringhiera per guardare giù nella tromba delle scale. — Eppure ho avuto la sensazione precisa che ci fosse qualcuno! — No, no, sta' pur tranquilla! — ribatté l'altra. — Vieni dentro, via, che ho tante cose da raccontarti. È una storia curiosa, sai; io credo proprio che quella notte debba essere accaduto... Madame Cassali era rientrata e aveva chiuso con precauzione la porta. Vanessa, non udendo più nulla, sgusciò fuori dal suo nascondiglio. Tutto taceva, non si vedeva anima viva. Scese pian piano le scale, aprì cautamente il portone e uscì nella via. Un oscuro senso di smarrimento e di paura la stringeva dolorosamente. Tutti, dunque, la tradivano: Liza, alla quale aveva aperto il cuore con tanta fiducia; Madame Cassali, in cui aveva ciecamente creduto; Daniel Harrington e la signora Chance. Tutto era inganno; tutto era frode intorno a lei. Si sentiva spezzata, umiliata, vinta; le pareva che tutti la dovessero schernire e insultare senza che lei avesse la forza di reagire, sommersa com'era in un gorgo d'infinita tristezza.
13. Vanessa aveva bisogno di muoversi, di camminare, e tornò a casa a piedi, di buon passo. La duplicità di Liza l'aveva colpita come una mazzata, e il pensiero d'essere stata presa in giro in quel modo dalle due donne la avvilì profondamente. La sua casa l'accolse come un sicuro rifugio, dandole un senso d'indicibile conforto e riposo. La scomparsa di Hector aveva lasciato un insanabile vuoto nella grande casa severa; in quell'austero silenzio ritrovò l'opprimente soggezione dei tempi del vecchio Sir Allan, e la tristezza del passato si unì nel suo ricordo all'angoscia presente. Provò un bisogno acuto di rinchiudersi nella propria camera, di abbandonarsi sul letto a piangere liberamente tutte le sue lacrime. Ma nell'atrio del palazzo la luce era ancora accesa, e lei suonò il campanello per chiederne la ragione. L'orologio, con uno squillo grave, annunciò le undici e un quarto. Mortimer entrò. — C'è un signore che l'aspetta in salotto, signora — disse, guardandola in modo singolare, stupito forse del suo aspetto abbattuto e sconvolto. — Io gli ho detto che la signora era uscita; ma ha voluto attenderla. È J. L. Rickard
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qui da una buona mezz'ora. Non ha voluto lasciare il cappello in anticamera — aggiunse, cogliendo lo sguardo di Lady Montague che cercava un segno della presenza dell'estraneo. Mortimer non pareva molto soddisfatto dell'ignoto visitatore; forse pensava che ai tempi di Sir Allan non si vedeva girare per casa certa gente. — V'ha detto il suo nome? — chiese Vanessa stancamente. — Nossignora, non ha voluto dirmelo; ma mi ha assicurato che la signora l'aspettava. "Rousselle!", pensò Vanessa con un lampo di speranza. Se era venuto a quell'ora, doveva avere qualche cosa da comunicarle. — Potete andare a letto, Mortimer — disse — non ho più bisogno di voi. E salita rapidamente la scala, aprì la porta del salotto. Buio perfetto. Girò l'interruttore, nessuno. La bella sala era vuota e silenziosa; una lieve fragranza di rose appassite fluttuava nell'aria; dalla parete, un grande ritratto della madre di Sir Allan la guardava con occhi severi. Vanessa, attonita, passò nel salotto attiguo. Vuoto anche quello! Evidentemente, Rousselle, stanco di attenderla, se n'era andato. Svanita anche l'ultima speranza, in quella disgraziatissima sera, svanita per colpa sua, per quello sciocco, inutile tentativo di ricorrere a Daniel Harrington! Si tolse il cappello e il mantello e sedette accanto al fuoco semispento. Era tanto stanca che non si sentiva nemmeno la forza di andare a letto. La tremenda delusione di quella sera aveva fatto crollare di colpo tutta la sua fede, tutti i suoi sogni; non credeva più a nulla e a nessuno; forse anche Rousselle l'avrebbe tradita come gli altri. Eppure non si dava pace per aver perduto la sua visita. Si alzò e si mise a camminare nervosamente su e giù per la stanza. Improvvisamente, un rumore ben noto la fece trasalire e il sangue le diede un tuffo. Era il lieve girare di una chiave nella toppa. Si appoggiò allo schienale di una poltrona comprimendosi il petto con la mano, quasi per frenare i battiti incomposti del suo cuore. Un tremito incontenibile la faceva vibrare tutta. Udì il portone richiudersi pian piano, non aveva sognato! Ecco! Lei sapeva che sarebbe andata così: avrebbe udito la porta aprirsi e, dal baratro oscuro di quell'interminabile silenzio, Hector sarebbe uscito tranquillamente, semplicemente, come nulla fosse avvenuto, immutato e sereno; e le avrebbe parlato come prima, vivo e tangibile. Era meraviglioso, ma era vero, e lei si serrava le mani sul cuore ridendo J. L. Rickard
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sommessamente, pazza di gioia. Tutto era finito, dimenticato; niente contava più, ora. Le gambe quasi non la reggevano; si trascinò fin sul pianerottolo. Origliò, trattenendo il respiro. Udì dei passi risuonare nell'atrio e dirigersi verso lo studio; ne udì la porta aprirsi e richiudersi. Lui era andato, come era sua abitudine, a dare un'occhiata alla corrispondenza, prima di coricarsi. Quei piccoli atti insignificanti che era solito fare un tempo assumevano ora per lei l'importanza quasi d'un miracolo. Egli era tornato, era vicino a lei, sotto il medesimo tetto! Un respiro d'immenso sollievo le gonfiò il petto e gli occhi le brillarono di gioia. Doveva correre da lui o aspettare che lui venisse a cercarla? Scese alcuni scalini e si sporse sulla balaustrata per guardare giù nell'atrio. Il cappello e il pastrano di Hector erano lì, negligentemente gettati sul gran tavolo di quercia; lei li riconobbe e, in un impeto irrefrenabile di felicità, s'inginocchiò sui gradini congiungendo le mani in un fervido atto di riconoscenza. Lo udì andare e venire, nello studio, aprire cassetti, rovistare fra le carte, e avrebbe voluto correre da lui con le braccia aperte; ma si contenne. Si era mostrato freddo e crudele con lei; Madonna Luna non doveva dimenticarlo; era più dignitoso attenderlo in salotto. Vedendo la luce accesa lui sarebbe entrato... a quel pensiero sentiva le lacrime farle nodo alla gola. Aveva tanto sofferto che non poteva più dominarsi. Bisognava tuttavia salvaguardare la propria dignità: rientrò cautamente nel salotto lasciando la porta aperta e sedette accanto al fuoco, in attesa. Lo squillo acuto del telefono risuonò impaziente nel silenzio. Quel suono familiare le riuscì caro, pensando che lui avrebbe risposto alla chiamata. Ma chi mai telefonava a quell'ora? Chi poteva sapere che Hector era tornato? L'antica gelosia la riprese. Forse la sua nemica tentava di riprenderglielo. Vedeva il sorriso enigmatico del bellissimo volto odiato; e quella visione scompigliò tutti i suoi piani. Non poteva sopportare che Hector ascoltasse ancora quella voce perfidamente armoniosa; lei l'avrebbe impedito a qualunque costo; sarebbe andata da lui dimenticando la propria fierezza, si sarebbe abbassata a pregarlo, a supplicarlo. Lui avrebbe finalmente compreso che Madonna Luna era fedele e innamorata, mentre l'altra non era che una frivola civetta. Si alzò risolutamente e uscì sul pianerottolo. Ma, in quell'istante, un colpo d'arma da fuoco rintronò sinistramente nel silenzio, risvegliando gli echi della casa addormentata. Vanessa si fermò esterrefatta, agghiacciata J. L. Rickard
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dall'orrore. Un terrore senza nome la tenne immobile per qualche istante; poi si precipitò giù per le scale come una pazza. Le balenò il pensiero che Hector, sull'orlo della rovina, si fosse deliberatamente ucciso. Forse quella telefonata gli aveva portato qualche notizia disastrosa! Temette che si fosse chiuso nello studio per essere solo nel suo atto disperato; ma la porta cedette e lei si affacciò trepidamente. La grande stanza era illuminata soltanto dalla lampadina della scrivania; Hector era seduto compostamente sulla sua poltrona, col capo reclinato e le braccia distese sulle carte sparse davanti a lui. Il ricevitore del telefono era staccato e abbandonato sul tavolo. Tutto era in ordine; nulla era mutato. Soltanto Hector era terribilmente mutato: una striscia di sangue gli rigava il colletto bianco e rossi spruzzi gli macchiavano i biondi, lucidi capelli. Una densa nube le velò gli occhi e la mente, e lei si sentì sommergere nel nulla. Un'insostenibile pena le dilaniò il cuore quando le ritornò la coscienza delle cose. Lo studio era pieno di gente e di un bisbigliare sommesso. Barr le sorreggeva il capo, tentando di farle inghiottire qualche goccia di liquore. Vanessa fece uno sforzo per alzarsi, e l'autista s'interpose fra lei e la poltrona di Hector. Barr si mostrava insolitamente premuroso e gentile; tutti gli altri domestici s'erano rifugiati in un angolo, atterriti, e la fissavano con occhi spalancati. — Bisogna lasciare tutto come si trova, signora — disse Barr. — Abbiamo mandato ad avvertire la polizia. — La polizia? — esclamò Vanessa attonita — e perché? — Venga, signora, venga via di qui — disse Barr in tono rispettoso ma fermo. Lei lo guardò attonita, come intorpidita da uno stupore che le attenuava la coscienza al punto da renderla quasi insensibile. Capiva soltanto che Hector era lì, in quella stanza, vicino a lei, morto! Tutto il resto si perdeva in un denso velo di nebbia. Barr le parve ridicolo, così, tutto scarmigliato, con la livrea infilata sopra il pigiama e quell'insolita aria di premurosa gentilezza; e questo particolare provocò in lei una risata isterica, che la scosse come un singulto. — Venga, venga, signora — andava ripetendo l'autista. Esausta, lei si lasciò condurre via senza resistere. Salì le scale a fatica, inciampando ad ogni gradino, mentre grosse lacrime le scendevano dagli occhi. — Ma non è vero, non può essere vero! — ripeteva come trasognata. J. L. Rickard
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Davanti alla porta del salotto si fermò e guardò Barr gravemente: — Sir Hector è morto, non è vero? — chiese. — Purtroppo, signora; ma entri qui che devo dirle una cosa. — E la spinse nel salotto con un fare confidenziale che lei non rilevò. — Aspetti — mormorò il meccanico — senta, la pistola l'ho io in tasca. — Quale pistola? — Via, lei lo sa benissimo! Per fortuna, sono accorso prima di tutti e, nel sollevare lei da terra, l'ho trovata. Appena mi sarà possibile sgusciare fuori un momento, vedrò di farla sparire. Vanessa non capì e si lasciò cadere nella poltrona presso il caminetto. Pochi minuti prima, era seduta al medesimo posto, felice! Il mutamento era stato così fulmineo che dubitava ancora d'aver fatto un orribile sogno. Ma com'era strano il contegno di Barr! Che cosa aveva detto della pistola? Non riusciva a ricordare; ma, tanto, ora che Hector era morto, non le importava più di nulla. — Dovrebbe prendere un altro sorso di cognac, signora, prima che arrivino quelli della polizia — disse Barr, ma Vanessa non lo udì nemmeno e lui uscì dalla stanza scrollando tristemente il capo.
14. Daniel s'affrettava verso la casina dalle imposte azzurre e pensava al modo di persuadere la signora Chance a seguirlo. La confessione della vedova Hebberden giustificava pienamente, ai suoi occhi, l'atteggiamento ostile verso la sua bella vicina. Fidanzata ad Hector Montague, la Hebberden vedeva in lei una rivale temibilissima e ne era gelosa. Una donna doveva facilmente comprendere e perdonare il suo stato d'animo. Tutto confortato da questa speranza, si accostò al portone e fu assai sorpreso di trovarlo aperto. Qualcuno doveva esserne uscito in gran fretta dimenticando di chiudere. Che negligenza deplorevole! Entrò cautamente e si fermò nell'atrio. Dal piano superiore gli giunse un suono confuso di voci, e gli parve di distinguere una voce maschile che parlava in tono persuasivo e quasi supplichevole. Comprese che arrivava a sproposito; ma, poiché era lì, non si sentiva di rinunciare al suo proposito. Salì, cercando di farsi udire, e bussò all'uscio del salotto. Attese un poco. Tutto il suo bell'ardore già si raffreddava e svaniva. Nessuno rispose e lui bussò di nuovo. J. L. Rickard
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La porta si aprì violentemente. La signora Chance stava ritta presso la finestra, rivolta verso di lui, e lui vide con gioia il bel volto, scomposto dall'eccitazione d'un tempestoso colloquio, illuminarsi al suo improvviso apparire. Solo dopo qualche istante riconobbe in chi gli aveva aperto la porta il vicario di Saint Anselm. — Oh, caro Harrington — esclamò la signora con un chiaro sorriso — lei capita in un momento un po' critico. Abbiamo avuto una discussione piuttosto vivace, qui col signor vicario. Via, reverendo; non siamo proprio d'accordo, ma facciamo la pace ugualmente. Kingsdale taceva. Sul suo volto austero non v'era traccia di collera, ma nei suoi occhi si leggeva una profonda tristezza. — Io non ho altro da dirle, signora. — Eh, via — soggiunse lei con leggerezza forzata, mentre i suoi occhi correvano inquieti all'orologio — via, si può sempre aver qualche altra cosa da dire. — Io non ho altro da aggiungere — concluse gravemente il sacerdote. Daniel si sentiva terribilmente a disagio. — Debbo andarmene? — domandò timidamente. — No, no, rimanga e sieda lì. — Lei guardò nuovamente l'orologio. — Ma come mai è entrato senza suonare, Harrington? — Ho trovato la porta aperta, ma l'ho richiusa io. Ho fatto bene? — Benissimo! Lei è una persona di buon senso. — E volgeva verso di lui i suoi grandi occhi soavi, senza più curarsi del vicario, che continuava a fissarla, muto e triste. — Me ne vado, signora — disse a un tratto — e non tornerò mai più. Joyce si volse con una grazia incantevole. — Lei sa, reverendo, che ben di rado una donna può agire liberamente; e io meno di qualunque altra, poiché meno di tutte son padrona delle mie azioni. — Lei dovrebbe lasciarsi guidare unicamente dalla sua coscienza! Lei gli voltò le spalle di scatto e il suo volto si chiuse. — Mi dispiace, reverendo, ma non posso comportarmi diversamente. Comprendo benissimo le sue ragioni, ma la prego di non insistere, perché non riuscirebbe che a farmi soffrire di più. Buona notte! — Vorrei poterle credere, signora. — E, senz'aggiungere parola, il vicario uscì. Daniel non aveva capito nulla di quelle frasi scucite; comprendeva J. L. Rickard
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soltanto che lei soffriva e avrebbe voluto poterla consolare. — Temo di essere stato assai importuno — disse. — Tutt'altro! Lei non sa quanto piacere m'ha fatto. Ho avuto una giornata tremenda, oggi! Avevo tanto bisogno di distendere i miei nervi parlando a cuore aperto con un vero amico, che quasi quasi mi lasciavo andare a fare delle confidenze alla signora Bryant ch'era qui poc'anzi. E avrei fatto una sciocchezza, perché di quella donna c'è poco da fidarsi. E si abbandonò sulla poltrona in tale atto di stanchezza, che lui dimenticò ogni cosa: perfino la curiosità di conoscere il motivo del suo turbamento, tutto preso dal desiderio di confortarla. — Sono tanto triste, Harrington! Vorrei poter dimenticare, non pensare, non sapere più nulla, vorrei poter tornare bambina, a casa mia!... Ma io non ho più una casa dove tornare, non ho nessuno; e la vita è tanto dura e difficile! Daniel l'ascoltava, stupito di sentirla parlare con tanto abbandono. — Il signor Kingsdale ha cercato di spaventarmi — riprese. — Lui è così sicuro di sé, di quello che afferma, ma io non ci credo. M'ha parlato di punizioni terribili in un'altra vita, ma io, se pure ho peccato, l'ho avuta qui la mia punizione! — La sua voce suonava fredda e chiara, senza un fremito. — Ho sempre avuto un'anima irrequieta e fu la mia colpa più grave. Giovanissima, quasi bambina, mi lasciai scioccamente indurre a un disgraziato matrimonio, e quello fu la causa di tutti i miei guai! Tornare a casa mia! Chissà se lo farei, anche potendo! No! La freschezza, l'ingenuità dei miei primi anni; questo vorrei! I suoi occhi si alzarono «nuovamente all'orologio. Daniel ebbe la rapida visione di un mondo sconfinato e lontano. — Se la prima giovinezza non può tornare, lei potrebbe pur sempre rifare la sua vita, signora: un'esistenza nuova, libera, in mezzo alla sincerità della natura, lontana dalla vita fittizia e malsana della grande città... Lei ebbe un sorriso doloroso. — Troppo tardi, troppo tardi! — disse crollando mestamente il capo. — Io non sento più il fascino della natura; la solitudine della campagna mi spaventa; sono un pallido fiore di serra; peggio, un fiore artificiale. Ho bisogno di questa vita fittizia; ho bisogno di svagarmi, di chiacchierare, di veder gente, di danzare, di stordirmi! Dio mio! Quelle giornate interminabili nella solitudine dei boschi e dei prati; le notti silenziose sotto J. L. Rickard
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le stelle! No, no, non potrei più sopportarle! Io sto bene qui, a Londra; e ci resterò, a dispetto di tutti i Kingsdale e di tutti i Blythe del mondo! — Blythe? — Sì, quel bel tipo che cercava di Lady Montague; si chiama Blythe. Quelle parole richiamarono Daniel allo scopo della sua visita. — Sa, ho saputo che è la fidanzata di Sir Hector Montague — disse precipitosamente. — Sono venuto appunto per parlarle di lei. È la signora Hebberden. — Ancora la signora Hebberden! È curioso, però! — Le avevo promesso... — Daniel esitò. — Sì, sì, m'aveva promesso di farmela conoscere... — Lei non distoglieva più gli occhi dall'orologio; le lancette segnavano le undici. — È venuta da me — riprese Daniel; e lei lo guardò con una strana espressione. — È ancora lì nella mia camera; quasi me la dimenticavo. Povera donna, è disperata. Lei forse potrebbe... — Ora la cosa non gli appariva più tanto facile, e non trovava le parole. — Se la vedesse, fa pietà. È fidanzata al baronetto, capirà... Se lei volesse aiutarla... Una piega dura si disegnò intorno alla bellissima bocca della signora Chance e la sua voce suonò insolitamente aspra. — E che vuole che faccia? Io non ho niente da dirle. Quella donna dev'essere pazza! Io conosco appena Montague, né ricordo ch'egli abbia mai messo piede in casa mia. Daniel fu sgradevolmente sorpreso. Lui aveva veduto coi propri occhi Hector Montague entrare in quella casa! Forse poteva anche essersi ingannato; ma ebbe l'impressione netta che lei mentiva. E abbassò gli occhi, un po' confuso. — Se è così... — mormorò. — È così, le ripeto; e mi meraviglio che lei ne dubiti! Non pretenderà mica di sapere meglio di me chi viene in casa mia! Lei aveva ragione, in fine dei conti, e non toccava a lui d'immischiarsi dei fatti suoi. Ma si sarebbe aspettato da lei una maggiore confidenza. — Mi perdoni — disse dopo un breve silenzio — s'è fatto tardi: devo andare. Forse ho abusato della sua pazienza... — Lei ebbe un lieve sorriso. — E dunque — riprese lui timidamente — non vuol proprio venire a dire una buona parola a quella povera signora Hebberden? Forse ho fatto male a chiederglielo, ma fa tanta compassione quella poveretta! — Compassione? La farà a lei, a me no! Chi è, infine, codesta sua cara J. L. Rickard
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amica? — Non è una mia amica — protestò — ero amico del suo povero marito, quando eravamo insieme in Africa. — Ah, sì; non ricordavo ch'è una vedovella! — fece Joyce con sorrisetto ironico. — Bravo, Harrington, bravo; ora mi spiego tutta la sua premura! C'è del tenero, a quanto pare! Daniel la fissò coi suoi occhi chiari e le disse gravemente: — Credevo che lei avesse capito che, se ho una donna in cuore, non è certo la signora Hebberden! Joyce distolse un attimo lo sguardo da lui e poi gli fissò nuovamente in volto i suoi occhi ammaliatoti. — Via, se è così, le perdono! Sa, io sono esclusivista nelle mie amicizie. Ma ora devo uscire, caro Harrington. — Desidera che l'accompagni? — fece lui premuroso. — Devo andare a prendere un taxi? Lei guardò ancora una volta l'orologio. — No, grazie, prenderò l'autobus all'angolo di Sloane Square. Se non le rincresce accompagnarmi fin là, mi attenda un momento giù nell'atrio. Povera signora Hebberden! Forse si sarebbe stancata d'aspettarlo! Ma avrebbe seguito Joyce anche in capo al mondo. Camminarono l'uno a fianco dell'altra, in silenzio; al momento di salire sull'autobus, lei gli tese tutt'e due le mani in un affettuoso saluto. Daniel stette a guardare il carrozzone che si allontanava; poi s'avviò verso casa. Che avrebbe detto alla sua ospite? Molto probabilmente l'avrebbe trovata irritata ed offesa per il suo contegno così poco gentile; ma lui, in fondo, aveva creduto di far bene e, se non v'era riuscito, la colpa non era sua. Infine, nella peggiore delle ipotesi, la signora Hebberden non sarebbe più tornata, e di questo non sapeva troppo dolersi. Tuttavia fu contrariato nel trovare la camera vuota. Non conosceva l'indirizzo della signora e non avrebbe nemmeno potuto mandargli un biglietto di scusa. Questo pensiero lo turbò alquanto; ma l'immagine della signora Chance venne ben presto a scacciare dal suo cuore ogni preoccupazione e non pensò più che a lei. In fin dei conti, con quale diritto poteva aspirare alla sua piena confidenza? Se lei desiderava che l'episodio di quella notte rimanesse un segreto per lui come per gli altri, non doveva adontarsene. Passeggiando su e giù per la stanza, l'ingenuo innamorato finiva per giustificare pienamente il contegno della bella signora Chance. J. L. Rickard
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Ma anche al secondo piano, nella camera della signorina Garret, qualcuno camminava su e giù, e non era il passo cauto e leggero della sua mite vicina. Era un passo rapido e concitato. Certo, la signorina aveva visite. In altra disposizione d'animo, avrebbe molto fantasticato su quel passo sconosciuto; ma in quel momento aveva la mente e il cuore troppo occupati dall'immagine di Joyce. Perché usciva sola, di notte? La sua bellezza, sempre più appariscente, poteva anche, a quell'ora, procurarle qualche noia! Quel pensiero lo metteva sottosopra. Era già passata la mezzanotte... Ma le preoccupazioni di Daniel erano infondate, poiché la signora Chance, alla prima fermata dell'autobus, scese e, preso un taxi, diede un indirizzo al conducente, che s'avviò verso Hyde Park.
15. Il poliziotto di guardia all'angolo di Shelton Gardens s'annoiava da morire. Aveva fatto un giro d'ispezione nel piazzale e, al raggio della sua lampada tascabile, le severe facciate dei palazzi gli avevano mostrato le finestre tutte chiuse e l'aria più sonnolenta e tranquilla che si potesse desiderare. Aveva osservato il tardivo ritorno di Lady Montague; ma, visto che lei apriva il portone con la propria chiave, non ci aveva fatto molto caso. Shelton Gardens era veramente un quartiere molto rispettabile; tutti nomi della migliore aristocrazia, o di pezzi grossi dell'industria e della politica. Non c'era pericolo di vedere in giro facce sospette, da quelle parti. Su e giù per il marciapiede e lungo la cancellata del giardino, i cui alberi, nonostante il freddo persistente, già si ornavano di verdi germogli e di candidi boccioli che lucevano di guazza nel raggio della luna. Era bella, era suggestiva quella pace serena; ma così, senza un'anima con cui scambiare due parole, era anche mortalmente noiosa! Svoltato l'angolo, il poliziotto vide un taxi che s'avanzava lentamente. Gli parve vuoto; ma quando gli passò vicino, vi scorse dentro una figura indistinta. Il taxi rallentò e andò a fermarsi proprio davanti al portone di casa Montague. Una signora ne scese e parlò brevemente all'autista, il quale rimase nella vettura ad attenderla; poi salì i pochi gradini e, come aveva fatto l'altra, trasse dalla borsetta una chiave, aprì il portone ed entrò senza rumore. "E due!”, commentò fra sé il poliziotto, e proiettò il raggio della lampadina J. L. Rickard
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sul numero del taxi. — Fresca, eh? la nottata! — disse all'autista. — Acciderba, altro che fresca! — rispose quello. E il poliziotto continuò la sua ronda. Dopo qualche minuto, la seconda visitatrice ricomparve e risalì nell'automobile che si allontanò rapida e scomparve allo svolto. "Questa s'è fermata ben poco", pensò il poliziotto ripassando davanti alla casa. Non erano trascorsi dieci minuti che il portone si aprì di nuovo e ne uscì di corsa un uomo senza cappello, che gli fece grandi cenni con le braccia. — Che c'è? Cos'è successo? — chiese il giovane accorrendo. — Hanno ucciso... — ansimò l'altro — hanno assassinato Sir Hector Montague! L'agente entrò e seguì il domestico nello studio. Il baronetto era ancora nella stessa posizione in cui Vanessa l'aveva trovato. — Bisogna telefonare subito all'ufficio di polizia — disse il giovanotto. — Io non tocco niente! — esclamò Mortimer ritraendosi spaventato. — Ecco lì il ricevitore; vede? Il padrone stava telefonando quando l'hanno... — Già — fece l'altro raccogliendo il microfono rovesciato sulla scrivania. — Ora faccio io. Su, nel salotto, Vanessa era immersa in una specie di torpore. Seduta presso il caminetto, con le mani serrate in grembo, aveva smesso di piangere e di mormorare parole sconnesse; ma i suoi sensi ottenebrati non percepivano ancora il tramestio e il brusio del pianterreno. Si sentiva tutta pesta e indolenzita, come dopo una caduta, e pensava che avrebbe fatto meglio a coricarsi. Era inutile restare lì, accanto al fuoco spento: Hector non sarebbe salito mai più! Tutto era finito, per sempre! Perché non era morta anche lei? Due volte tentò di alzarsi e due volte ricadde nella poltrona; le parve che non avrebbe più potuto muoversi di lì. Mortimer aprì la porta e tossì leggermente. — La servitù è già stata interrogata, signora — disse esitando — hanno messo una guardia alla porta dello studio... La polizia... — Che cosa dite? — esclamò Vanessa alzandosi e fissandolo spaventata. — La polizia? Che c'entra la polizia? Un medico bisognava chiamare; non la polizia! È una profanazione! — Scusi, signora — riprese il domestico, senza badare alle sue parole — J. L. Rickard
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c'è qui una persona che desidera parlare con lei. — E si scostò, per lasciare passare un ispettore di polizia in borghese. Lei fissò il nuovo venuto sbattendo le palpebre e irrigidendosi per non cedere alla prostrazione che la riprendeva. Era un ometto basso e tarchiato, con un volto arido e bruno, solcato da rughe profonde. — Sono dolente di doverla disturbare, signora — disse in tono deferente — non la tratterrò un minuto più del necessario. È una cosa assai penosa, lo so, ma non posso esimermi dal farle alcune domande; e sono certo che lei mi vorrà aiutare. Quel fare cortese ma risoluto la persuase, e lei sedette senza protestare. — La prego di spiegarsi ben chiaro — disse — perché la mia testa non regge. — Io mi chiamo Frazer, signora — disse sedendole accanto — sono un ispettore della polizia investigativa. — Frazer, sì, ho capito — ripeté lei con un filo di voce. — Dev'essere stato un colpo terribile per lei, povera signora — riprese l'altro fissandola; — lei è stata la prima ad entrare nello studio, non è vero? — Sì; la prima — rispose Vanessa con un gran sospiro. — Ho udito lo squillo del telefono... e poi il colpo. Allora sono corsa giù come una pazza. — Capisco — disse Frazer. — Ma ha avuto un bel coraggio! Se fosse entrata prima che l'assassino fuggisse, avrebbe potuto pigliarsi una pallottola anche lei! Lo guardò distratta e disse che non ci aveva nemmeno pensato. Alle nuove domande dell'ispettore rispose che non le era mai balenata l'idea che si trattasse di un assassinio; aveva invece subito pensato a un suicidio per dissesti finanziari. Le abili e caute domande di Frazer portarono un po' di luce nella sua mente stanca e confusa, e lei si lasciò guidare da lui nell'oscuro labirinto della propria memoria, come un bimbo sperduto si affida al primo venuto che gl'insegni la via. — Dunque Sir Hector è stato assente a lungo e il segretario della S.I.M. ignorava dov'egli fosse? — fece l'ispettore. — Lei comprenderà, signora, che la cosa più importante da sapersi è dove il baronetto ha passato queste ultime settimane. Lei dice che è ritornato all'improvviso senza avvertire nessuno. Appena tornato, lo ammazzano a tradimento con un proiettile nella nuca. Qualcuno doveva conoscerne i movimenti. — È vero — esclamò Vanessa colpita — non ci avevo pensato; ma è J. L. Rickard
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così. Tacque, meditando immensamente. Ecco: ora tutti i suoi sotterfugi per far tacere le male lingue, per evitare lo scandalo, perché non si pronunciasse il nome di Joyce Chance, tutto era stato inutile, tutto crollava! Non aveva mai sentito di odiare quella donna come in quel momento! Ma ora l'avrebbe saputa smascherare! L'atteggiamento deferente e pietoso di Frazer, il suo sguardo franco e aperto, le sue maniere riservate le ispiravano la più completa fiducia. — La porta è ben chiusa? — domandò con voce sommessa. L'ispettore s'affrettò a chiuderla. Quando tornò a sedersi accanto a lei, nel suo volto grave gli occhi brillavano di una strana luce; ma Vanessa non se n'avvide. — Mio cugino ha passato tutto questo tempo in Hamilton Street, al numero 48 — proruppe. — Ora le dirò tutto. La sua narrazione fu alquanto sconnessa e con varie lacune, non volendo lei parlare delle sue visite a Daniel Harrington; ma la conclusione fu che, pur mancando assolutamente le prove, non le rimaneva alcun dubbio sul fatto che Hector non aveva più lasciato la casa di Hamilton Street. Frazer l'ascoltò in silenzio e poi riprese a interrogarla con quel suo fare pacato e persuasivo che le dava un senso di riposante sicurezza e la induceva alle confidenze. E riuscì infatti a farle confessare il suo amore per il cugino, la crescente freddezza di lui e il suo ingiustificato abbandono. — E quando aveva conosciuto codesta signora Chance? — domandò Frazer senza guardarla. — Non lo so. Lui non me ne parlò mai; ma Barr, il nostro autista, mi disse di averla scarrozzata più d'una volta. Fu lei a portarmelo via; lei! — concluse Vanessa fra le lacrime. Gli raccontò poi come avesse conosciuto la sua rivale ad un ricevimento in casa Bryant; poi... una nuova lacuna. — Mi dica un po', signora — fece l'ispettore mutando improvvisamente argomento — dov'è stata lei stasera? Mortimer, il cameriere, m'ha detto ch'è rientrata dopo le undici e cioè poco prima che ritornasse il baronetto. Vanessa strinse le labbra, contrariata. Non voleva parlare delle sue visite a Daniel Harrington; le pareva di farci una figura ridicola con quel suo meschino sotterfugio di presentarsi come la signora Hebberden. Tanto, quei suoi rapporti con Harrington non avrebbero portato maggior luce sulla tragedia; decise quindi di tacerli. — Mi sentivo così triste e inquieta — rispose — che non ho potuto J. L. Rickard
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reggere in questa gran casa silenziosa; e sono uscita e ho camminato a lungo: qualche ora forse. — Povera signora! E dov'è andata? — Così, a casaccio; non lo so più nemmeno io. — E quando entrò nello studio, non vide nessuno, oltre a Sir Hector? — Nessuno. Pensai subito a un suicidio e mi precipitai verso di lui e poi... poi non ricordo più nulla... — Lei gridò — continuò Frazer — e Barr, che udì il suo grido, fu il primo a entrare nello studio. Ora, stando alla deposizione di Barr, mi pare che, fra il momento in cui la signora ha gridato e quello in cui egli entrò nella stanza e la trovò a terra svenuta, dovrebbero essere passati almeno sei o sette minuti. Renny, l'agente di polizia di servizio nel piazzale, assicura di non aver udito nulla prima che Mortimer uscisse a chiamarlo. Ma lei, signora, è ben sicura che nello studio non ci fosse nessun altro? — Io non ho visto nessuno! — rispose Lady Montague giungendo le mani. Le tornò in mente l'ambiguo contegno di Barr e quella sua strana allusione a una pistola; ma non disse nulla. Ora comprendeva ciò che non riusciva a spiegarsi, e l'orrore di quell'idea la fece impietrire. Barr dunque sospettava di lei; Barr la credeva colpevole del delitto e, animato dal pietoso proposito di salvarla, aveva distrutto forse l'unica prova esistente contro l'ignoto assassino. — Non ha visto nessuno — ripeté l'ispettore — e l'arma non s'è trovata. Si capisce, del resto: l'assassino, o assassina che fosse, l'avrà portata con sé. — Una donna?... — Eh, già, non sarebbe forse la prima volta che una donna uccide! Una donna spara talvolta anche senza l'intenzione di uccidere; ma un colpo a bruciapelo, anche tirato da mano inesperta, può benissimo mandare un disgraziato all'altro mondo! Barr dice di aver trovato lei a terra, svenuta; e un momento dopo la stanza fu invasa da tutta la servitù. Per il momento, la porta dello studio è chiusa a chiave e vi ho messo un uomo di guardia. Ora si provvederà a chiamare un medico e a sbrigare tutte le formalità necessarie. Lei, signora, dovrà intervenire all'inchiesta. Ora mi dica un po', qui, in confidenza: crede lei che ci sia qualche motivo per sospettare che quella signora Chance abbia avuto uno zampino in questa faccenda? — Ma, senza dubbio! — esclamò Vanessa con impeto. — Fu lei la J. L. Rickard
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causa di tutto! Quelle terribili settimane di attesa e d'angoscia, e quel suo silenzio atroce... ed ora, questa orribile tragedia... tutto per colpa sua! Lei me l'ha rubato, ed ora lui è morto ed io non lo vedrò mai più! — E nascose il volto fra le mani singhiozzando disperatamente. Franzer la guardava sinceramente commosso. L'aveva giudicata una di quelle donne pericolose il cui amore può rovinare la vita d'un uomo; ma la sua singolare bellezza non lo lasciava del tutto indifferente. "Eppure", disse tra sé, "mi piacerebbe sapere che diamine ha fatto della pistola!"
16. La mattina appresso, tutti i giornali parlavano della tragica morte di Hector Montague. Blythe lesse la dolorosa notizia mentre faceva colazione e si sentì mancare il respiro. Poco importava se la signora Chance fosse o non fosse Lady Montague; con la morte del baronetto, alla S.I.M. non restava che chiudere bottega, e il povero Blythe si trovava a mal partito. Il colpo che aveva troncato la vita di Sir Hector troncava nello stesso tempo la carriera del segretario della S.I.M., il quale si vedeva ora dinanzi un orizzonte assai fosco. Anche Daniel Harrington apprese l'orribile fatto dai giornali e ne provò una viva impressione. Il cronista accennava, benché soltanto di sfuggita, a Lady Montague. Dunque Sir Hector aveva moglie e il suo fidanzamento con la signora Hebberden non era che uno scherzo di pessimo gusto. Lei pareva convinta che il baronetto fosse scomparso dopo quella sua famosa visita alla signora Chance; tuttavia i giornali non parlavano affatto di tale sparizione, e Sir Hector era stato ucciso in casa propria. Così diceva la cronaca: Il tragico fatto fu scoperto da Lady Montague, la quale udì uno sparo e corse nello studio. La povera signora Hebberden avrebbe dunque ricevuto da quell'annuncio un doppio colpo. Daniel ripensò al giovane bruno che aveva chiesto al cartolaio l'indirizzo di Sir Hector Montague. Che fosse lui l'assassino? Gli era sempre piaciuto poco; forse, fin da quella sera nella cartoleria, egli premeditava già il delitto. Anche la sua visita alla signora J. L. Rickard
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Chance e il suo bizzarro contegno con lei gli apparivano ora assai sospetti. Curiosa, però, quella fissazione della Hebberden che Montague fosse rimasto in casa della signora Chance! Però, quella notte, anche lei doveva essere molto sconvolta dalla notizia. Decise di andare a trovarla in mattinata, forse le sarebbe stato di qualche conforto il poter parlarne con un amico. Rilesse attentamente il resoconto del giornale. Non si avevano prove né sospetti contro alcuno, il movente del delitto era completamente ignoto e tutto pareva avvolto nel più profondo mistero. Una fotografia del baronetto lo mostrava ancora giovane e prestante, e Daniel, pur non trovandolo troppo simpatico, doveva ammettere che era un tipo da piacere molto alle donne. Evidentemente, la signora Chance aveva le sue buone ragioni per non parlare volentieri di quella visita notturna. Stava appunto per scendere, quando udì bussare leggermente alla porta e, al suo invito, vide affacciarsi timidamente la signorina Garret. Il viso pallido della visitatrice portava le tracce di molte notti insonni, e i suoi occhi spalancati e il tremito che la scuoteva dicevano chiaramente come i suoi nervi fossero in pessime condizioni. — Scusi, signor Harrington — balbettò con un filo di voce — vorrebbe prestarmi un momento il giornale? Joan m'ha detto che hanno... sì, volevo vedere... — Ecco, signorina — disse Daniel porgendole il foglio — è stato commesso un brutale assassinio. Ha mai sentito parlare di Sir Hector Montague? Molto probabilmente quel nome le era sconosciuto, vivendo lei in un mondo diverso, ma Daniel ricordava che anche la sua vicina aveva assistito dalla finestra all'episodio di quella notte. La Garret arrossì violentemente e mormorò abbassando gli occhi: — Sì, questo nome non mi è nuovo. — E non tese la mano e a prendere il giornale, ma rimase immobile, come assorta in una spaventosa visione. — Si accomodi, signorina Garret, facciamo quattro chiacchiere da buoni vicini — le propose Harrington, attratto inconsciamente da quel suo atteggiamento misterioso. — Senz'esserci mai avvicinati, noi ci conosciamo benissimo, non è vero? — Oh, no, lei non mi conosce davvero, altrimenti non mi parlerebbe così! Se mi conoscesse intimamente, mi disprezzerebbe anche lei, come mi disprezzo io stessa! J. L. Rickard
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— Eh, via, signorina! Non sia così severa con se stessa; tutti abbiamo qualcosa in fondo all'anima che ci fa scontenti di noi medesimi. Emily sedette, tormentando nervosamente con le dita irrequiete gli angoli del giornale. — Lei è troppo buono, signor Harrington, troppo gentile... Daniel sedette accanto alla finestra. La casina dalle imposte azzurre aveva il solito aspetto tranquillo, le finestre del salotto erano aperte e i fiori del terrazzino ridevano nel sole. — Lei dunque conosceva Sir Hector Montague? — Lui no, ma conosco Lady Montague — rispose la signorina, spiccicando le parole a stento. — Povera donna, sarà disperata! — Eh, lo credo! — fece Daniel. — Si legge sui giornali la notizia di simili fatti, ma non ci si rende conto di tutto l'orrore che li accompagna. La nostra fantasia non arriva a raffigurarsi il dramma nella sua tremenda realtà. — Guardò la sua visitatrice che gli stava dinanzi silenziosa, agitata da un tremito incontenibile, con gli occhi dilatati e senza sguardo. Il suo viso delicato e gentile sarebbe stato tutt'altro che brutto, se avesse avuto un'espressione più riposata e tranquilla. Da qualche tempo non la vedeva più uscire e rientrare con la solita regolarità. Forse aveva perduto il suo impiego, forse anche pativa un po' la fame. Avrebbe voluto invitarla a colazione, ma non osò; quell'aria da uccellino spaurito lo intimidiva. — E chi l'ha ucciso? — domandò lei con voce appena percettibile. — Non si sa. Oh, ma lo troveranno, stia tranquilla! — Le tolse di mano il giornale e le fece un breve riassunto del drammatico avvenimento. — Ho conosciuto Lady Montague — ripeté la Garret — ma darei qualunque cosa per non averla mai veduta. Povera signora, fa davvero pietà! — Quella donnina sparuta doveva sapere qualche cosa; forse cose di molta importanza. Quel suo turbamento non doveva essere soltanto effetto dei suoi nervi sovreccitati. — Lei sa, non è vero, signor Harrington, che lei non era moglie, ma solamente cugina di Sir Hector? — No, non lo sapevo — disse Daniel gettando un'occhiata al giornale — allora la perdita le sarà meno dolorosa! — Non credo, perché ne era molto innamorata. Daniel era un po' meravigliato che la sua vicina la sapesse così lunga; ma non fece commenti. Guardava il ritratto del baronetto che aveva fatto J. L. Rickard
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tanta strage di cuori femminili. — Ieri sera venne a trovarmi una signora — soggiunse dopo un breve silenzio — e mi confidò di essere la fidanzata di Sir Hector. La Garret assentì col capo senza capire. Il suo cervello divagava dietro un'idea fissa. — Io mi domando chi è responsabile di questo atroce delitto — proruppe a un tratto. — Creda, signor Harrington, non so darmi pace! Non dovrei parlare di queste cose, ma sono tanto agitata e turbata! Deve sapere che io ho commesso un'azione assai brutta: ho ingannato il prossimo, ho dato ad intendere alla gente di saper predire il futuro. Parlava molto seriamente e con quella sua aria spaventata gli faceva proprio compassione. Tuttavia Daniel non poté reprimere un sorriso, all'idea che quella timida creatura avesse tentato d'imbrogliare il prossimo. — Immagino che sarà stata una cosa molto innocente; ma come mai le è frullato per la testa di mettersi a fare l'indovina? — Fu una mia amica ad indurmici; mi faceva leggere la sorte in casa sua, e fu così che conobbi Lady Montague. Lei, poveretta, mi credeva ciecamente. Io capivo di far male; eppure continuai. Che vuole... la miseria... il bisogno... — Capisco, capisco... — Ma non avrei dovuto ingannarla a quel modo! Avrei dovuto agire più onestamente. Per la verità, l'ultima volta tentai di metterla in guardia; ma non mi volle dar retta. E la signora Chance... — Conosce anche la signora Chance? — l'interruppe Daniel. — Ha detto anche a lei la buona ventura? La Garret abbassò gli occhi confusa e arrossì. — Sì, anche a lei. Le dissi cose che già sapevo, fingendo di vederle riflesse in un cristallo. E la esortai perfino... — con uno sforzo visibile gli alzò gli occhi in viso — la esortai a guardarsi da lei, signor Harrington. Non so perché glielo dissi; non lo so davvero; mi venne detto, così... — Ma allora lei è Madame Cassali! — esclamò Daniel sbalordito. — Ma io le sono molto riconoscente! La signora Chance m'invitò a casa sua appunto perché lei l'aveva messa in guardia contro di me. La ringrazio, signorina; lei m'ha fatto un favore immenso; poiché... poiché, nonostante i miei quarant'anni suonati, io sono sempre un incorreggibile sognatore e non desideravo che di conoscere quella creatura incantevole. Daniel vide il volto della sua ospite contrarsi penosamente e la sua J. L. Rickard
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anima richiudersi come una sensitiva. — Sono contenta che la signora Chance non m'abbia dato retta — disse con voce mutata ed opaca — così, da questo lato almeno, non avrò responsabilità. Del resto, ha ragione la mia amica Lisa Bryant quando dice che io dò corpo alle ombre e vedo tutto con la lente d'ingrandimento! — Signorina Garret — disse Daniel molto seriamente — mi pare che lei esageri davvero. Come vuol mai che le sue predizioni possano aver influito sul tragico fatto di stanotte? Le sue parole avranno, tutt'al più, procurato un po' di gioia e di fiducia a Lady Montague, se, come immagino, lei l'avrà rassicurata circa i sentimenti del cugino. Lei ignorava, senza dubbio, come lo ignorava lei, il fidanzamento di Sir Hector con la signora Hebberden; ora, purtroppo, questa tragedia mette fine a tutto, e né l'una né l'altra lo potrà più sposare. Quanto alla signora Chance, non conosceva affatto il baronetto e quindi non c'entra nulla. Daniel pronunciò queste ultime parole con deliberata fermezza. La signora Chance aveva negato di conoscere Montague, e lui intendeva sostenere quel suo diniego. Il ricordo di ogni minimo particolare di quella gelida nottata d'aprile era stampato ben chiaro nella sua memoria e certamente anche la signorina Garret se ne doveva rammentare molto bene; ma lei si trovava ora in un tale stato di nervosismo ed era così impressionabile, che gli parve assai facile farla dubitare anche di quello che aveva veduto coi propri occhi. Daniel temeva, in fondo, che la signora Hebberden, con la sua idea fissa che il fidanzato le fosse stato sequestrato dalla Chance, potesse procurare alla sua bella vicina delle gravi noie; e quel pensiero lo preoccupava assai. — La signora Chance lo conosceva benissimo — disse la Garret con voce fredda. — Non credo — ribatté Daniel pacato, ma risoluto. — Alcune settimane fa, in una notte rigida e ventosa, mentre me ne stavo qui, seduto alla finestra, vidi la signora Chance entrare in casa, in compagnia d'un signore. Le confesso che sono molto curioso, e spinsi la mia indiscrezione fino al punto di chiederne conto alla signora stessa; ebbene, lei mi dimostrò, come due e due fan quattro, che non si trattava affatto di Sir Hector e che non lo conosceva nemmeno. Vede? La Garret non rispose, giocherellava distrattamente con un tagliacarte, assorta in un pensiero lontano. — Lei crede che verrò immischiata anch'io in codesta faccenda? — J. L. Rickard
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chiese a un tratto. — Dio mio; se ci penso, mi si rizzano i capelli! Daniel rise. — Ma no! che cosa le viene in mente? Che c'entra lei, scusi? Non ha nulla da dire, nessuna prova da offrire; nessuna testimonianza che possa far luce nel mistero. Che cosa può temere? Lei non ribatté, ma non gli parve convinta. Evidentemente non gli aveva detto tutto; forse gli aveva taciuto la cosa più importante. Un canto triste salì dalla strada e riempì il breve silenzio; poi la Garret riprese: — Potessi almeno parlare con Lady Montague! Povera donna, quanto deve soffrire! Crede lei ch'io possa tentar di vederla? — E perché no? Provi, può anche darsi che acconsenta a riceverla. — Sì, può anche darsi; mi dimostrava tanta fiducia, che sento proprio il bisogno di scusarmi per averla così vilmente ingannata. Eppure non capisco, non capisco!... — continuava stringendosi angosciata le piccole mani — non dovrei parlare più di queste cose; ma, tanto, poiché le ho detto il resto... Daniel non ci si raccapezzava. — Dica, dica pure, forse le farà bene confidarsi con un amico. Ma in quel punto, sul balconcino della casa di fronte comparve la signora Chance, che guardò con insistenza la sua finestra. Forse aveva bisogno di lui? Tutta la sua curiosità, tutto il suo interesse per la signorina Garret svanirono d'un tratto e Daniel s'alzò in piedi bruscamente. — Mi perdoni, signorina — disse — ma dovrei uscire per un affare urgente. Se volesse tornare un'altra volta, mi farebbe molto felice. Lei lo guardò intimidita e delusa. — Avevo un'altra cosa da dirle — mormorò — una cosa che forse la poteva interessare. — Me la dirà un'altra volta, cara signorina — e già lui non l'ascoltava più. Quella donnina scolorita e insignificante, tutti i suoi rimorsi, i suoi dolori, le sue paure, non erano più per lui che vane e misere cose; mentre la donna dei suoi pensieri, la dolce signora dei suoi sogni lo attendeva impaziente dall'altra parte della via. La Garret comprese che sarebbe stato inutile insistere. — Oggi stesso andrò a trovare Lady Montague — disse — ha niente da dirle? — Io? E che cosa potrei avere io da dirle? — Non lo so... credevo... — e la sua voce si perdette in un mormorio J. L. Rickard
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indistinto. — Arrivederla, signor Harrington, e scusi!
17. Rousselle stava facendo la prima colazione in un caffeuccio di un quartiere eccentrico, e intanto dava una scorsa al giornale. Alla notizia della morte di Sir Hector Montague non un muscolo del suo volto bruno si mosse. Lesse e rilesse il resoconto senza batter ciglio; poi bevve tranquillamente la sua tazza di caffè. Era vestito con una certa eleganza e accuratamente sbarbato; nessuno avrebbe potuto immaginare davvero ch'egli abitasse in quel lercio vicoletto di Princes Row. Pagato il conto, uscì e s'avviò, adagio, adagio verso Shelton Gardens. Quando giunse a casa Montague era quasi mezzogiorno. La tragica notizia aveva già radunato nel quartiere la solita folla di sfaccendati, che alcune guardie di polizia si affannavano a tenere al largo. Con le persiane chiuse e gli ottoni del portone opachi, la bella casa appariva mutata e come offuscata da un'ombra di lutto e quasi di vergogna. I vicini evitavano di passarvi accanto, offesi nella loro dignità da quell'oscuro delitto che comprometteva il decoro dell'aristocratico quartiere. Rousselle passò davanti al poliziotto di guardia, fermo all'angolo della casa, salì la breve gradinata e suonò il campanello. Mortimer gli venne ad aprire e lo guardò con occhio ostile. — Ah! — disse — c'è qui il signor Frazer che vuol parlarle. — Io devo invece parlare a Lady Montague — rispose l'altro entrando. — Volete sentire se può ricevermi? — Non credo — ribatté il domestico seccamente. Quell'individuo non gli andava a genio, non doveva essere un signore. — Andate a domandarglielo — insistette Rousselle senza scomporsi — può darsi che mi riceva. Sapete bene che ieri sera non ho potuto aspettarla. — Io non so niente — replicò Mortimer, tenendosi sulle sue. — Ad ogni modo, io ho ordini precisi dal signor Frazer e devo avvertirlo subito che lei è qui. — E va bene, conducetemi da lui, allora — disse il giovane con un lampo d'ira negli occhi — non vorrete mica farmi restare qui nell'ingresso! Mortimer lo piantò in asso senza rispondergli e scomparve in un corridoio a sinistra. Rousselle lo udì bussare a una porta. J. L. Rickard
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Rimasto solo nel grande atrio, il giovane si guardò intorno. A destra c'era la porta dello studio, dov'era stato commesso il delitto; un brusio di voci gli giunse da quella parte: la polizia stava compiendo le consuete formalità. Nel centro v'era lo scalone, e lui si avvicinò al primo gradino. Proprio di fronte, sul primo pianerottolo, si vedeva l'uscio del salotto; era chiuso e non vi si avvertiva alcun rumore. Tese il collo per guardare l'altra rampa di scale, ma un suono di passi per il corridoio lo fece tornare rapidamente al posto di prima. — Venga con me — disse Mortimer, e lui lo seguì in una stanza, dove un ometto dal volto intelligente ed energico, seduto a una scrivania stava ripulendo accuratamente gli occhiali. — La prego di scusarmi se la disturbo, signor Rousselle — disse in tono cortese — ma lei comprenderà... — Comprendo perfettamente — rispose l'altro sedendosi — io sono stato qui ieri sera ed è ben naturale che si desideri interrogarmi. Frazer gli rivolse parecchie domande, sempre con la massima cortesia e deferenza, e lui rispose che era venuto in quella casa la sera innanzi, per la prima volta, per parlare a Lady Montague di un affare suo personale, del quale però non poteva dire nulla, trattandosi di cosa assai delicata e riservatissima. — Io sono un agente privato — soggiunse — e lei comprenderà certamente come la mia posizione richieda una discrezione e una segretezza assolute. — Senza dubbio — annuì l'ispettore, scrutandolo attentamente. — Dunque lei venne qui per conferire con Lady Montague su codesto suo affare. — Precisamente. Ma la signora non era in casa e io mi fermai ad attenderla, pensando che non avrebbe tardato molto. L'aspettai una ventina di minuti; poi, per non disturbare la servitù, me n'andai senza avvertire nessuno. In casa, tutto era tranquillo e non udii alcun rumore. Uscito di qui, me ne tornai direttamente a casa e me ne andai a letto. — Senta — disse Frazer fissandolo sempre — lei dovrà pur finire col rivelare il vero motivo della sua visita; tant'è che me lo dica subito. Rousselle esitò alquanto, poi disse: — Sono tornato oggi per parlarne a Lady Montague; per quanto, ormai, la cosa non abbia più importanza. Comunque, se lo vuol proprio sapere, io ero stato incaricato dalla signora di scoprire dove fosse Sir Hector. J. L. Rickard
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Mancava da casa da venti giorni e più, e lei ne era assai impensierita. — Impensierita! — ripeté l'altro — eh, sfido! Se n'era andato senz'avvertirla e non s'era più fatto vivo!... — Insomma, lei m'incaricò di rintracciarlo; ed io mi trovai in un bel ginepraio, perché le indicazioni che mi aveva dato erano assolutamente false. Non so come, Lady Montague s'era messa in testa che il baronetto fosse nascosto in casa d'una certa signora Chance che abita in Hamilton Street. Era una pura fantasia; ma lei ci aveva fatto una fissazione. In realtà, pare che Sir Hector facesse un po' la corte a quella signora, e Lady Montague ne era pazzamente gelosa. — Sicché non era in quella casa? — Macché! Era andato a Parigi per soccorrere un amico che pare si trovasse in gravi pasticci finanziari. — Ma è sicuro che non sia una frottola, codesta? — Diamine, sicurissimo! — fece l'altro offrendo una sigaretta all'ispettore e accendendone una per sé. — Volli appurare anche la faccenda di Hamilton Street e feci cantare la domestica. Sir Hector andò, una sera, in casa della signora Chance e lasciò l'automobile alla porta, ma l'autista, che dev'essere un curioso tipo, si stancò d'aspettarlo e se ne tornò a casa solo. S'immagini la faccia del baronetto, quando uscì e non trovò più la macchina! Egli prese un taxi, andò direttamente alla stazione e partì. Così mi disse Mary Elder, che l'aveva saputo la mattina appresso dalla signora. — Mary Elder sarebbe dunque la domestica della signora Chance? — Appunto. Ho potuto assodare inoltre che col primo battello del mattino era partito per il continente un passeggero senza bagaglio con un semplice soprabito. La ragione di questa partenza improvvisa fu risaputa alcuni giorni dopo agli uffici della S.I.M., a cui probabilmente il baronetto aveva scritto o telegrafato. Egli partì dunque la notte del 15 aprile e non ritornò, a quanto pare, che ieri sera, 3 maggio. Io ero venuto qui appunto per dire a Lady Montague che Sir Hector era stato visto a Parigi da un mio amico e collega, certo Crawshay, al quale avevo fatto pervenire i connotati del baronetto. Frazer con le mani incrociate sul tavolo, non lo perdeva d'occhio un momento. — E, nel corso delle sue investigazioni — chiese — non riuscì a scoprir nulla di quanto avvenne in quella notte del 15 aprile fra Sir Hector e la J. L. Rickard
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signora Chance? Che cos'è, vedova, sposata, questa signora? Che ci sia stato un alterco con lei, o col marito, se c'è? Ne sa nulla, lei? — Nulla. Non so proprio come Lady Montague si sia messa in testa che Sir Hector fosse rimasto in quella casa! — Era innamorata del cugino, non è vero? — Oh, pazzamente innamorata! E, a proposito, come sta ora? — Poveretta, se lo può immaginare!... — Io credo però che, sebbene ora tutto purtroppo sia finito, sarebbe opportuno ch'io dicessi quel che volevo dirle ieri sera e che, ormai, non è più un segreto per nessuno: e cioè che Montague era andato realmente a Parigi. Lei s'era costruito tutto un romanzo, basato unicamente sulla sua fantasia, mentre la verità era tanto semplice e chiara. Crede che potrò vederla? — Non so se la signora acconsentirà a riceverla — rispose Frazer alzandosi. — La ringrazio, signor Rousselle, per tutte le informazioni che m'ha dato. — E lei — fece Rousselle quando fu sulla porta — è già sulla buona strada? Ha qualche indizio, qualche sospetto? — Oh, nulla di positivo, per ora — fece l'altro riempiendo la pipa. — I giornali parlano di un colpo sparato a bruciapelo; l'assassino avrà dunque avuto un'arma da fuoco. — Eh, sì, ma non è stato così sciocco da lasciarla sul posto! Se si potesse avere almeno un indizio sul movente del delitto sarebbe già un bell'aiuto; ma non credo che il baronetto avesse nemici. — Certe volte, un amico può essere più pericoloso di un nemico — osservò il giovane con una risatina secca. — Ora Mortimer andrà a informarsi se la signora la può ricevere. Se crede, intanto, di attendere qui fuori... Rousselle tornò nell'atrio vuoto e di nuovo si guardò intorno curiosamente. Nulla era mutato dalla sera avanti. Ma se le cose avessero potuto parlare!... Mortimer attraversò silenziosamente il vestibolo, lanciandogli uno sguardo un po' diffidente, e scomparve su per lo scalone. Un pallido raggio di sole scendeva obliquo dalla grande vetrata del fondo; tutto taceva intorno; anche le voci, nello studio chiuso, erano cessate; non s'udiva che il monotono ticchettio d'un grande orologio. — La signora l'aspetta in salotto — disse Mortimer tornando — se vuol J. L. Rickard
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favorire... — Grazie, non v'incomodate; conosco la strada. Mortimer lo stette a guardare mentre saliva, fregandosi il mento con aria dubbiosa. Sospettava di tutti; e quel Rousselle specialmente gli piaceva assai poco. Del resto, gli garbavano poco anche tutte quelle facce nuove che giravano per casa fin dal mattino, e tutti quei giornalisti che lo tormentavano per avere notizie e che lui era costretto a rimandare a becco asciutto. Il salotto era immerso nella penombra; e l'alta figura di Lady Montague, tutta vestita di nero, dritta e immobile nel mezzo della stanza, con i suoi grandi occhi tragici nel volto pallidissimo, lo commosse profondamente. Lui le s'inchinò volgendo altrove lo sguardo. — Ero venuto ieri sera, signora — disse con la sua voce armoniosa e carezzevole — ma non l'ho trovata in casa. Oggi sono tornato, ma purtroppo non ho nulla da dire che le possa dare conforto. Immagino tuttavia che lei desideri sapere... — Sì; mi dica — rispose Vanessa con voce stanca; e sedette su una poltrona con le mani abbandonate in grembo. In piedi davanti a lei, Rousselle le ripeté quanto aveva già narrato a Frazer e le mostrò la lettera del suo collega francese, sulla quale lei gettò appena uno sguardo. — Come vede, signora, la sua supposizione non aveva alcun fondamento. Sir Hector era a Parigi. — Non è vero! — esclamò Vanessa con un lampo di sdegno negli occhi — non è vero! È una menzogna, e io lo so troppo bene! — Ma mi pare di averle dato prove abbastanza convincenti, signora; la lettera di Crawshay parla chiaro. Il baronetto è tornato ieri sera ed è venuto direttamente a casa. — Le ripeto che è una menzogna; lei non ha fatto che riportarmi una storiella, che io stessa avevo messo in giro per giustificare la sua assenza. Non gliene faccio un rimprovero, Rousselle; tanto, ormai, a che gioverebbe? Nulla giova, ormai! Non m'importa più di nulla! Rousselle la fissò a lungo con una strana espressione. — È inutile ch'io tenti di convincerla, signora — disse passeggiando nervosamente su e giù per la stanza — lei non mi ascolterebbe nemmeno. Del resto, ormai il destino s'è compiuto e noi non possiamo farci nulla; ma, creda a me, lei fa male a torturarsi così per un uomo che non lo meritava. J. L. Rickard
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Lui non l'ha mai amata. Perché accorarsi tanto, signora? Pensi al modo indegno in cui l'ha trattata! — Io penso soltanto che la signora Chance è stata la causa di tutto! — Ma signora, non dica queste cose, per carità! Cerchi piuttosto di mettersi tranquilla, di riposare un poco; deve averne un immenso bisogno! E se posso esserle utile in qualche cosa, disponga sempre di me. — Oh, nessuno può più far nulla per me — esclamò lei con voce rotta — ormai per me tutto è finito. Ma io ho un debito con lei — soggiunse stendendo la mano ad un libretto di assegni ch'era sul tavolo accanto — mi dica quanto le devo per il suo disturbo. — La prego, signora, non ne parliamo neppure — rispose il giovane bruscamente. — Dal momento che le mie informazioni non sono servite a nulla!... Se l'avessi trovata in casa ieri sera, forse le cose avrebbero... sarebbero andate diversamente. Così non posso accettare nulla da lei. Lui le posò una mano sul braccio e Vanessa lo guardò sorpresa. Una strana commozione gli tremava nella voce ed i suoi occhi avevano una luce singolare. — Io me ne vado, signora — disse — e probabilmente non c'incontreremo mai più. Lei è stata trattata in modo crudele e forse le sue prove non sono finite. Ma so che è forte e coraggiosa; che Iddio l'aiuti! Vorrei poterla aiutare anch'io! Era di nuovo la voce dolce e armoniosa che le aveva parlato al telefono, resa più profonda da un'intensa espressione di pietà. E quello che le era sembrato un giorno una specie di elegante briccone, le apparve ora in una luce tutta nuova di passione, di forza e anche di bontà. E, pur senza spiegarsi quel suo atteggiamento, Vanessa ne fu commossa. — La ringrazio per le sue buone parole — disse mestamente — ma non vorrei aver abusato... Lui si avanzò d'un passo, come per dire qualcosa, ma si trattenne. — Non ci rivedremo più, signora — disse — e sarà bene. Tutto passa... Lei non lo ascoltava già più, e lui uscì in silenzio. Attraversò l'atrio senza guardarsi intorno, con gli occhi fissi nel vuoto e il viso sconvolto da una commozione violenta. — Dio mio — ripeteva fra sé — che orrore! Che cosa infame!
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La signorina Garret aveva fatto perdere a Daniel tutta la mattinata, sicché non poté recarsi dalla signora Chance che nel pomeriggio. L'accoglienza che ne ebbe, disinvolta e sorridente come al solito, lo sorprese. Senza sapere bene il perché, Daniel si aspettava di trovarla di pessimo umore. — Lei è un amico impareggiabile — gli disse col suo dolce sorriso — io devo essere grata a quella sciocca Madame Cassali, poiché, in fondo, è stata lei a procurarmi la sua conoscenza. — A proposito, volevo appunto parlarle di quella disgraziata. Sa che è venuta a farmi una specie di confessione? Ma ne riparleremo; ora c'è dell'altro. Ha letto dell'orribile delitto di questa notte? — Sì, sì; ma mi dica che cosa le ha rivelato Madame Cassali; m'interessa molto! — insistette la signora Chance gaiamente. — Come mai è venuta a cercare proprio lei? Mi racconti, via! Madame Cassali pareva interessarla assai più dell'assassinio di Hector Montague! Daniel trovò strana e fuori luogo quella sua leggerezza; ma non seppe reagire. — Madame Cassali ha deposto la sua aureola di mistero e si è rivelata qual è, cioè una povera donnetta timida e direi anche un po' squilibrata. Abita in una cameretta sopra la mia; si chiama Emily Garret, e s'è messa a fare l'indovina per miseria, per buscare qualche soldo raccontando frottole a chi le beve; ma non conosce il futuro più di lei e di me. Quindi anche quanto le ha detto sul conto mio non è che pura fantasia. — Ah, dunque abita qui di fronte! — disse la signora con una strana voce. — Ora mi spiego tante cose! Ma mi racconti: che cosa le ha detto ancora? E come mai ha scelto proprio lei per confessare? Ci sarà una ragione. — Poveretta; era tanto agitata stamattina, che ha sentito il bisogno di sfogarsi con qualcuno. La ragione dev'essere questa: lei deve aver fatto qualche predizione a Lady Montague, incoraggiandola a fidare nell'amore del cugino e, pensando che ciò abbia avuto una qualche influenza sulla tragedia di questa notte, ha paura di venir chiamata come testimone. — E le ha chiesto aiuto? — No, non m'ha chiesto aiuto, povera diavola; soltanto una parola di conforto. La signora si alzò di scatto e si affaccendò intorno a un vaso di fiori. — Me l'immaginavo ch'erano tutte fandonie! — esclamò. — Si capisce J. L. Rickard
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come riusciva ad accontentare tutti; inventava lì per lì e prediceva a ciascuno ciò che le sembrava più adatto. Sfido io che ora abbia dei rimorsi! E ben le sta! Ma crede proprio che non la interrogheranno? — Nemmeno per sogno! Mi preoccupa molto, invece, la fidanzata del baronetto: la signora Hebberden. Ieri sera, rientrando, non la trovai più; e non so nemmeno dove stia di casa. Dev'essere stato un colpo ben terribile per lei! — Tutti soffrono a questo mondo, caro Harrington — sentenziò la signora. — È triste, ma è così! — Lasciò i fiori e si riavvicinò all'ospite. — Sa che parto? Non mi sento troppo bene e ho bisogno di cambiare aria. Daniel ebbe una fitta al cuore. — Parte? E quando? — Forse stasera stessa — rispose lei sorridendo. — Che vuole, io sono sempre stata una nomade; non posso mettere radici in nessun luogo e mi pare già d'essere qui da un secolo! — Londra, senza di lei, mi sembrerà un deserto! — sospirò Daniel. — Ma tornerà presto, non è vero? Mi pare che lei non possa stare molto tempo lontana da Londra. È una città che avvince più di qualunque altra. — E chi lo sa? — Gli sedette accanto e fissò nel vuoto gli occhi leggermente velati. — Chi può saperlo? La vita serba sempre nuove sorprese e vi riafferra, dovunque andiate. Vi credete al sicuro, ed ecco che una nuova insidia vi attende. Creda, Harrington, io non ho paura della morte; ma vi sono dei giorni in cui guardo all'avvenire con vero sgomento! — Oh, li conosco quei giorni! — rispose lui lentamente. — Dovunque io vada, mi domando sempre se ritornerò — continuò lei con voce stanca e dolente — mi domando per quanto tempo ancora avrò la forza di tirare avanti così. Daniel si sentiva soffocare. Un bisogno irresistibile d'aria libera, di sole, di moto lo opprimeva. — Oggi abbiamo tutti i nervi tesi come corde di violino — disse. — Dev'essere stato quel maledetto affare di Shelton Gardens che ci ha messi sottosopra. Vuol venire un po' con me a prendere una boccata d'aria? Credo che le farà bene. — Volentieri — rispose lei subito — mi attenda un momento, faccio presto. Harrington rimase solo nel salottino. Le sconsolate parole della sua amica gli risuonavano nel cuore e lui ne comprendeva tutta la profonda J. L. Rickard
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amarezza. Lei era una di quelle nature singolari la cui vita è sempre avvolta in un velo d'incertezza e di mistero, che sono spinte dal destino a percorrere vie diverse da quelle già segnate e familiari a tutti gli altri. Se ne stava pensieroso e triste ad aspettarla, quando il telefono, accanto a lui, squillò improvviso. Quasi inconsciamente alzò il ricevitore e lo portò all'orecchio. Una voce sconosciuta parlò: — Bisogna licenziare immediatamente Mary Elder. — Pronto — disse Harrington — come dice? — Ma l'ignoto interlocutore non replicò e lui rimase attonito a ruminare lo strano messaggio. La signora rientrò in quel momento, pronta per la passeggiata. Aveva messo il solito cappellino rosso che gli piaceva tanto, e un tocco leggero di rossetto le ravvivava le guance. — Che c'è? — chiese, vedendolo ancora col microfono all'orecchio. — Ho risposto, senza pensarci, a una chiamata del telefono; perdoni l'involontaria indiscrezione. Se ho capito bene, qualcuno le consiglia di licenziare immediatamente una certa Mary Elder. La signora lasciò cadere la borsetta e si chinò a raccoglierla. — Ah, ho capito! — disse rialzandosi — dev'essere Henry Dane; un mio vecchio amico che ha una curiosa prevenzione per quella ragazza e dice che ha le mani lunghe. Potrebbe anche aver ragione; certo non ho intenzione di tenerla, perché non sa fare nulla. La sua voce suonava falsa e un po' irritata. Era forse un po' seccata con lui per quella sua indiscrezione. Anche il tono perentorio di quel signor Dane gli sembrava piuttosto curioso per un amico. Lui non consigliava di licenziare la domestica infedele, ma ordinava di farlo senza indugio, con un'aria da padrone. Daniel avrebbe voluto trovare un'interpretazione diversa, ma non ci riuscì e si sentiva terribilmente a disagio. — Ora che ci ripenso — disse la signora — sarà meglio ch'io resti a casa per definire subito questa noiosa storia della cameriera. Me n'ero proprio scordata. Lei mi perdona, non è vero? — E non la rivedrò prima della sua partenza? Se sapesse che dolore sarà per me! Non ho mai osato dirle nulla... e non voglio parlare ora che la vedo così turbata. — Turbata, io? — Oh, a me non lo può nascondere; l'amo troppo per non leggerle nell'anima. Lei soffre, e io vorrei poter fare qualcosa per confortarla. J. L. Rickard
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Perché non vuol dirmi... perché non vuole confidarsi con me? Inaspettatamente, lei si lasciò cadere di schianto in una poltrona e, coprendosi il volto con le mani, scoppiò in un pianto convulso. — Lo so, lo so che lei mi vuol bene, anche se non lo merito — esclamò fra i singhiozzi. — Sono tanto infelice; ma non mi domandi nulla perché non posso parlare. Bisogna che parta! Dovrò anzi far vidimare il mio passaporto, e non sarebbe male che lei venisse con me all'ufficio. Il mio vero nome non è quello che porto e lei mi potrebbe essere di grande aiuto — aggiunse sollevando il capo e tentando di sorridere. — Ma certo che ci vengo! — rispose Daniel, e le si inginocchiò accanto prendendole le mani. — Verrò con lei ben volentieri — soggiunse con voce carezzevole. — Si fidi di me, si lasci aiutare. Vedrà che il mondo non è poi tanto brutto, e tutto finirà per accomodarsi! — Grazie, Harrington, allora ritorni fra un'ora a prendermi — rispose con la voce ancora alterata, ritirando le mani dalla sua stretta. — Ho tanto bisogno di un'amicizia sincera! Si sente, lei, di essermi veramente amico? — Sì — rispose pacatamente — può contare su di me. — Oh, la mia testa, la mia povera testa! — lamentò Joyce — sembra che mi si spezzi! Ha ragione il vicario quando dice che io mi punisco da me stessa dei miei peccati. Iddio sarebbe più misericordioso! — Ma mi dica, mi dica tutto — esclamò Daniel appassionatamente — quando saprò, mi sarà più facile trovare un rimedio. Un affetto come il mio non si sgomenta di nulla; qualunque cosa dovesse rivelarmi, lei può contare di me. — Lo so, lo so, ma non posso parlare. — Però non può negare che in tutto questo c'entri Montague; e anche un'altra persona. Li ho visti coi miei occhi entrare da lei quella notte. — Li ha visti entrare? — chiese lei sommessamente. — Ma Sir Hector non l'avrà visto uscire, però, a meno che non sia rimasto tutta la notte alla finestra! I suoi grandi occhi azzurri lo scrutavano ansiosi. Harrington le pose una mano sulla spalla. — Montague non è uscito di qui, quella notte — disse gravemente — e lei deve aver vissuto delle settimane di terrore. Io lo so; e posso anche dirle che lei la sa lunga sul delitto di stanotte; ma non vuol parlare. Chissà che non v'abbia avuto una parte lei stessa? Vede che le parlo senza reticenze. Del resto, che ciò sia vero o no, non ha importanza per me. Capisce, ora, J. L. Rickard
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quanto grande è il bene che le voglio? Joyce taceva con l'anima tesa in un supremo sforzo di volontà. Poi si mise a ridere e gli prese le mani. — Lei è tanto caro e buono — disse — ma ha preso un bel granchio! Grazie al cielo i miei guai non hanno la gravità che lei immagina. Deve sapere che, in quella famosa notte, Sir Hector mi chiese di sposarlo e io rifiutai. Tentò perfino di uccidermi. Ma non parliamo più di questa storia odiosa. — Si chinò e gli sfiorò la fronte con un bacio rapido e leggero. — Lei è un caro e buon amico — soggiunse — molto sensibile e anche un po' romantico. Io le sono molto grata per le sue affettuose espressioni. Daniel si alzò un po' stordito e si avvicinò all'uscio. — E così, devo tornare a prenderla per andare all'ufficio passaporti? — Ma sì, fra un'oretta, se non le dispiace; intanto io sbrigherò questa noiosa faccenda della cameriera. Sono cose assai seccanti, ma bisogna pur occuparsene! Si tolse il cappello e lo depose su una sedia.
19. L'ispettore Frazer aveva un gran da fare. L'affare Montague non sembrava dei più complicati; tuttavia desiderava ritardare l'inchiesta pubblica di almeno un paio di giorni. Tornava ogni tanto nello studio del baronetto e sedeva sulla sua poltrona, immerso in gravi meditazioni. Il colpo era stato sparato a bruciapelo, e il proiettile estratto era risultato appartenente ad una piccola Colt. Un giocattolo, più che un'arma, e di modello piuttosto antiquato; lui se n'intendeva! Le munizioni di quel calibro erano ormai quasi introvabili e del resto, tutti gli armaioli di Londra erano stati inutilmente interrogati per vedere di scoprirne il compratore. L'assassino doveva essersi avvicinato silenziosamente alla poltrona, mentre Sir Hector stava parlando al telefono, e doveva averlo colpito a tradimento. La tenda di ricco e pesante broccato poteva offrire un sicuro nascondiglio all'assassino — uomo o donna che fosse — né era probabile che il baronetto, rincasando dopo una lunga assenza, con un cumulo di lettere che l'attendeva sulla scrivania, si desse la briga di frugare la stanza per vedere se qualcuno vi stesse in agguato. Due persone, secondo Frazer, potevano ritenersi specialmente interessate J. L. Rickard
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nella losca tragedia, e più d'ogni altra Lady Montague. Barr, infatti, l'aveva trovata nello studio e lei avrebbe avuto poi tutto il tempo di nascondere l'arma. Il classico delitto passionale si delineava ben chiaro: i due cugini s'erano bisticciati, e la chiamata telefonica — probabilmente della signora Chance — aveva provocato la crisi. Però il fatto che Lady Montague fosse armata faceva pensare ad una premeditazione. Lei, d'altronde, era uscita la sera stessa, senz'avvertire nessuno; poteva anche essersi procurata l'arma, Dio sa come. Era questa una supposizione un po' arrischiata, ma non certo da trascurarsi. L'ispettore aveva ripetutamente interrogato Lady Montague e lei aveva sempre persistito nella sua accusa contro Joyce Chance. Nessuno dei domestici conosceva costei, ad eccezione di Barr. Mortimer gli parlò di una certa signora Bryant, che abitava in Terrington Square, e veniva spesso in casa. Frazer fece un elenco di tutte le persone da interrogare, ma era convinto che qualcun altro restasse ancora nell'ombra. La seconda persona gravemente indiziata, secondo lui, era Rousselle. Aveva dato ordine di pedinarlo ed aveva assunto informazioni nel suo quartiere. Era un uomo misterioso, del quale nessuno sapeva nulla; né si era nemmeno ben certi che si chiamasse proprio Rousselle. Abitava in Princes Row da circa un anno e, pur non avendo l'aria miserabile dei suoi vicini, viveva poveramente in una meschina cameretta e mangiava in una trattoria da pochi soldi. Lo vedevano andare e venire con circospezione, a ore insolite; spesso spariva anche per qualche tempo. Non aveva amici, a quanto pareva, e, ad ogni modo, era troppo diverso dai suoi vicini per fraternizzare con loro. Correva anche voce che fosse straniero. Rousselle si faceva passare per un detective privato e, in quel quartiere abitato da povera gente e di dubbia onestà, che lottava con la fame e non guardava tanto per il sottile, nessuno si curava di lui né pensava a osservare troppo le sue mosse misteriose e le prolungate assenze. Se veramente desiderava che le sue abitudini passassero inavvertite, non avrebbe certo potuto scegliere un quartiere più adatto. Frazer esaminò per la centesima volta la porta e la finestra. L'assenza di Lady Montague, quella sera, avrebbe favorito il gioco di Rousselle. Non era probabile, tuttavia, ch'egli sapesse dell'insolita uscita della signora; a meno che non fosse stato tutto il giorno a sorvegliare la casa; il che gli sembrava assai poco verosimile. Rimasto solo nel salotto, lui avrebbe potuto insinuarsi nello studio e nascondervisi. Ciò presupponeva però J. L. Rickard
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ch'egli conoscesse tutti i movimenti di Sir Hector e attendesse, armato, il suo ritorno. Ma, in fondo, quali motivi avrebbero spinto costui a uccidere il baronetto? Frazer era assai perplesso. C'era poi la deposizione di Renny, l'agente di servizio quella notte, il quale diceva di aver veduto un'altra signora entrare in casa Montague pochi minuti prima dello sparo, e uscirne quasi subito. Lei era entrata servendosi d'una chiave ed era poi scomparsa senza lasciare traccia di sé. Quella donna doveva certo saperne qualcosa; poteva anche essere la signora Chance in persona; ma come accertarsene ora? Che cosa fosse venuta a fare quella donna in casa Montague era un altro punto oscuro. Un convegno con Sir Hector? Ma quel baronetto doveva essere un Don Giovanni redivivo! La cugina innamorata pazza di lui; la signora Chance accusata di averlo sequestrato in casa propria; ed ecco ora questa terza donna che nessuno sapeva chi fosse! Ma bisognava scovarla e farla cantare! L'ispettore guardò l'orologio; fece un ultimo giro per la stanza, poi uscì, chiuse la porta e mise la chiave in tasca. Mentre s'avviava pensieroso per l'atrio, udì squillare il campanello di strada. Tornò indietro di qualche passo e si ritirò nel vano della porta. Mortimer, che stava preparando la tavola, andò ad aprire e Frazer si sporse un poco per vedere chi entrava. Era una donnetta vestita di grigio, mingherlina e sparuta, con un'aria imbarazzata. — Lady Montague non riceve — disse Mortimer recisamente. — Ma per me farà un'eccezione — insistette l'altra. — Vi prego di dirle che Madame Cassali desidera parlarle. — Io ho l'ordine... — ribatté Mortimer; ma la strana visitatrice lo interruppe: — Portatele questo biglietto, per favore; vedete, vi ho scritto anche un altro nome; sono sicura che mi riceverà. — Madame Cassali, Emily Garret - 47, Hamilton Street — lesse Mortimer ad alta voce. — Va bene, lo porterò alla signora. Intanto, se vuole accomodarsi... La donna entrò, mentre Frazer, dal suo nascondiglio, l'osservava curiosamente. L'interessava molto quella ignota abitatrice di Hamilton Street, dove lui stava appunto per recarsi. La Garret si guardò attorno con aria spaurita; poi si avvicinò, in punta di piedi, alla porta della sala da pranzo, rimasta aperta, e vi si affacciò J. L. Rickard
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guardinga, credendo senza dubbio che quella fosse la stanza del delitto. Tornò indietro, sempre sulla punta dei piedi, e rimase ferma ad aspettare, con gli occhi fissi alla scala. Frazer intanto stava almanaccando chi mai potesse essere quella curiosa donnetta che si faceva chiamare con un nome di battaglia. Non aveva certo l'aria d'una giornalista, né di una donna di teatro, e tanto meno di una sarta di grido. Era curioso di vedere se Lady Montague l'avrebbe ricevuta. Mortimer riapparve e le comunicò che la signora l'attendeva. Lei s'irrigidì visibilmente contro un accesso di timidezza morbosa, e con un grande sforzo riuscì ad assumere un'aria abbastanza disinvolta. Seguì Mortimer su per lo scalone, mentre l'ispettore se n'andava, ridacchiando fra sé di quella buffa figura. Valeva la pena d'andar a chieder di lei al numero 47 di Hamilton Street, per sapere quale dei due nomi era veramente il suo. Come mai Lady Montague, che non voleva veder nessuno, aveva acconsentito a riceverla? Che fosse quella la donna misteriosa? Il fatto che abitasse in Hamilton Street era tuttavia una curiosa coincidenza. "Ora conoscerò anche questa famosa signora Chance", pensava l'ispettore strada facendo. Doveva essere una donna piuttosto interessante. Rousselle s'affannava a dimostrare come lei non avesse nulla a che fare con la tragedia, mentre Lady Montague persisteva nell'accusa, pur non avendo la minima prova contro di lei. Frazer la giudicava una di quelle eleganti pupattole che si atteggiano a donne fatali e giocano col cuore degli uomini, salvo a ritirarsi spaventate nell'ombra, non appena si affacci sullo sfondo qualche realtà paurosa. Hamilton Street gli apparve luminosa e gaia nel sole, con le sue casette ridipinte di fresco e gli ottoni delle porte tersi e rilucenti. Soltanto la casa al numero 47 aveva un aspetto meschino e trasandato. A quella porta egli suonò prima di recarsi dalla "donna fatale". Gli aprì una ragazzetta spettinata che lo guardò con due occhi spaventati. — È in casa Madame Cassali? — Non sta mica qui — rispose la ragazza scuotendo il capo. — Ah, beh, mi sarò sbagliato — disse Frazer sorridendo. — E la signora Garret abita qui? — Sì, ma è uscita. — Oh, insomma, non ho proprio fortuna! — Ma c'è il signor Harrington, se vuole — disse la servetta, quasi per compensarlo. — Anzi mi ha detto che se viene la signora Hebberden, la J. L. Rickard
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faccia passare anche se non è in casa e le dica di aspettarlo. — Ma io non sono mica la signora Hebberden! — No, ma il signor Harrington è amico della signorina Garret e saprà certo dirle quando tornerà. — E va bene — fece bonariamente l'ispettore — salirò un momento dal signor Harrington. Daniel si disponeva a uscire e aveva già indossato il soprabito. Frazer si scusò d'aver ceduto all'invito della servetta. Harrington gli piacque subito e lo giudicò senz'altro un galantuomo. — Cercavo la signorina Garret, o Madame Cassali che sia — disse — ma è fuori, e la ragazza dice che lei sa quando tornerà. — Ha esagerato — rispose Daniel con un sorriso — io non conosco affatto le abitudini della mia vicina, e anzi ho saputo soltanto oggi che si chiama Madame Cassali. Frazer chiuse la porta. — E che cosa fa, sotto il nome di Madame Cassali? M'interesserebbe assai di saperlo. Quell'ometto dalle larghe spalle e dall'occhio così acutamente indagatore aveva un'aria poco rassicurante, e Daniel esitò alquanto a rispondere. — Non saprei dirglielo. Probabilmente avrà scelto quel nome perché le sembrerà più attraente del suo, magari sull'insegna di un negozio, o che so io. Frazer intanto s'era avvicinato alla finestra. — Bella camera — osservò — e anche la via mi piace molto, così chiara e tranquilla. Chi abita in quella casa con le imposte azzurre? — Senta — fece Harrington seccato — mi vuol dire perché mi fa tutte queste domande? Io non ho il piacere di conoscerla e lei può avere codeste informazioni da chiunque. Perché le chiede proprio a me? — Oh, nulla; domandavo così, per discorrere. Non m'interessa affatto. Dovrei recarmi dalla signora Chance e non ricordo il suo numero. Daniel comprese che il suo ospite faceva sul serio e che molto probabilmente la sua visita non era estranea alla tragedia di Shelton Gardens. Stimò quindi più opportuno non contrariarlo e non destare in lui inutili sospetti. Joyce lo aspettava appunto per andare con lui all'ufficio passaporti. — La signora Chance abita precisamente nella casa qui di fronte — rispose — stavo andandoci proprio ora. Se desidera, posso accompagnarla. J. L. Rickard
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— Accetto con piacere — disse l'altro — devo dire due parole alla signora per una certa mia faccenda. Scesero insieme; ma Daniel non si sentiva affatto tranquillo. Una cameriera che non aveva mai visto aprì loro la porta e li fece entrare nel salotto. — Ah, dimenticavo di presentarmi — disse l'ispettore ridendo — mi chiamo Frazer. Che grazioso appartamentino — continuò guardandosi intorno — però quel soffitto è in condizioni assai cattive. Daniel, trepidante nell'attesa della padrona di casa, non l'ascoltava nemmeno. Joyce entrò, già pronta per uscire, e guardò i due visitatori con un'aria un po' sgomenta. Frazer si presentò con un rigido inchino. Lei ascoltò le spiegazioni di Harrington piuttosto seccata, ma ormai tornata padrona di sé. — Che cosa desidera da me, signor Frazer? — disse volgendosi all'ispettore. — Ecco, signora; se non le rincresce, vorrei parlarle a quattr'occhi. Si tratta di cosa piuttosto delicata ed è necessario che nessuno ci ascolti. Daniel si alzò; quell'esordio non gli andava troppo a genio e il suo volto assunse un'espressione preoccupata ed ansiosa. Ma Joyce sorrideva serenamente. — Devo aspettarla giù? — chiese. — Se non le dispiace; immagino che non sarà cosa lunga; non è vero? — Dunque, signora — cominciò Frazer, appena Daniel ebbe richiuso la porta — io ho bisogno del suo aiuto. Sono incaricato di fare indagini sul delitto di Shelton Gardens e vengo da lei per certe informazioni. — Benissimo — rispose pacatamente — soltanto mi rincresce che sia capitato assai male, perché io non ne so proprio nulla. — Lei non ricorda quando vide l'ultima volta Sir Hector Montague? Joyce meditò alquanto, poi rispose: — La sera del 15 aprile, lo incontrai ad un ricevimento presso comuni amici e lui mi riaccompagnò a casa con la sua automobile. Salì con me e si trattenne fino a tarda ora. L'autista, anzi, non ebbe la pazienza di aspettarlo e se ne tornò via da solo. Forse aveva freddo, perché la nottata era rigida; fatto sta che, quando Sir Hector scese, la macchina non c'era più. — E a che ora se ne andò il baronetto? — Non saprei dirglielo davvero. Ricordo che restammo a lungo accanto J. L. Rickard
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al fuoco a chiacchierare, senz'accorgerci che le ore passavano. — Le disse dove andava, uscendo di qui? — Mi ci lasci pensare; non ricordo, veramente; sa, sono passate parecchie settimane e, in fondo, la cosa non m'interessava gran che. Certo che, quantunque non fossimo in grande intimità, la sua tragica fine mi ha molto addolorata. — Eh, sì; capisco benissimo. Ma lui non le parlò di qualche suo progetto? Non le disse, per caso, che doveva partire la notte stessa? — Mi pare, sì, che accennasse di dover andare a Parigi per aiutare, credo, un suo amico che si trovava in un grande impiccio. Ma, per dir la verità, ci separammo un po' bruscamente... ecco... preferirei non parlarne. — Insomma, lui aveva intenzione di partire per Parigi. E a quale proposito incominciò il litigio? — Litigio? Io non ho parlato di litigi. Le ho detto che abbiamo chiacchierato a lungo; ma non che ci siamo bisticciati. — Lei sapeva del suo fidanzamento con la cugina? Joyce non rispose subito; abbassò gli occhi e un lieve rossore le colorò le guance. — M'avevano detto, veramente — disse poi — che era fidanzato con una certa signora Hebberden; ma non so chi sia. — Hebberden? — ripeté Frazer sorpreso; e gli tornarono in mente le parole della servetta a proposito di una signora Hebberden che Harrington attendeva. — Così m'hanno detto. — La signora Chance mostrava chiaramente di averne abbastanza. — Secondo lei, che tipo di donna è Lady Montague? — fece l'altro in tono confidenziale. — Io distinguo le donne in tre categorie: le appassionate, le gelide e le normali. A quale categoria lei crede che appartenga Lady Montague? — Lo domandi a chi può saperlo meglio di me. — Eh, via, lei lo sa benissimo! Le donne si capiscono tra loro alla prima occhiata. — Io la ritengo semplicemente un'isterica — disse Joyce. — E dica un po' : Sir Hector non contava di tornare a casa, uscendo da qui? — Ah, questo non lo so davvero. Ricordo, come le dissi, che aveva parlato di recarsi a Parigi, ma non so altro. Che sia tornato, pover'uomo, J. L. Rickard
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ora lo sappiamo! — Lei non ha mai udito parlare di un certo Rousselle e dei rapporti di costui con Lady Montague e col baronetto? Uno strano bagliore le guizzò negli occhi, ma fu un attimo. Riprese subito a sorridere tranquilla, come prima. — Conosco un Rousselle — rispose — un agente privato, di cui anzi ebbi occasione di servirmi una volta per una cameriera che mi derubava; ma non so se sia la stessa persona. — La sua cameriera di chiama Mary Elder, non è vero? — Sì; ma come fa lei a saperlo? — Ho bisogno di parlare con questa Mary Elder, vuol farmi il favore di chiamarla? — Oh, mi dispiace molto, ma l'ho licenziata da qualche giorno e non saprei nemmeno dirle dove abiti. — Non importa; volevo domandarle una cosa, ma non fa nulla. Ella si alzò. — Se posso esserle utile in qualche altra cosa, signor Frazer, me lo faccia sapere — disse con quel suo solito fare grazioso. — Lei resta qui, non è vero? — le domandò Frazer inchinandosi. — Oh, non ho certo intenzione di allontanarmi da Londra, per ora. Frazer si accomiatò da Joyce, perfettamente convinto che non si sarebbe mossa da Londra, ma Daniel, che attendeva nell'atrio, appena lo vide gli disse: — La signora dovrebbe affrettarsi, altrimenti troveremo chiuso l'ufficio passaporti. — Ah, lei parte per l'estero, signor Harrington? — fece l'ispettore. — Io no, è la signora Chance che parte stasera per Boulogne. L'ispettore lo salutò amichevolmente ed uscì in gran fretta. Al primo posto telefonico si fermò ed ebbe una lunga conversazione. Quando uscì, fischiettando e fregandosi le mani, alzò gli occhi al cielo in cui nere nubi, spinte dal vento, si accavallavano minacciose. "Meno male", pensò, "che le ho risparmiato una brutta traversata!"
20. L'inchiesta si svolse molto semplicemente, con gran delusione del pubblico che si attendeva drammatiche e forse scandalose dichiarazioni. J. L. Rickard
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Lady Montague fece la propria deposizione con voce rotta e sommessa e, dopo di lei, deposero, a turno, tutti i domestici. L'autista giurò di non aver abbandonato la sua signora dal momento in cui l'aveva trovata nello studio, svenuta, fino al sopraggiungere dell'agente di polizia; mentre la cameriera Caroline Wells sostenne di averlo veduto uscire in giardino, dopo che aveva accompagnato in salotto Lady Montague. Ma le informazioni di costei erano così incerte e confuse che il coroner non vi dette soverchia importanza. Della seconda signora che Renny aveva visto entrare in casa quella notte non si poté sapere nulla, salvo che era di media statura; e nemmeno il conducente del taxi, rintracciato e interrogato, ne seppe dire gran che. Era salita in automobile nei pressi di Hyde Park e ne era scesa a Piccadilly, perdendosi nella folla. Alle pressanti domande del coroner l'autista del taxi non seppe precisare nulla circa l'aspetto della sua cliente; ricordava soltanto che aveva una voce gradevole e maniere signorili, e che non sembrava affatto agitata né turbata. Del resto, era entrata ed uscita da casa Montague prima che si udisse lo sparo e quindi non pareva aver niente a che fare col delitto. Dal verdetto risultò che l'assassinio era stato commesso da mano ignota. Tutto si risolveva quindi in una bolla di sapone e la morbosa curiosità del pubblico rimase delusa. Vanessa, pallida e affranta, evitò a stento l'assalto delle macchine fotografiche e le indiscrete interviste dei giornalisti. Uno solo fra tutti, più intraprendente degli altri, riuscì a domandarle se il verdetto l'aveva soddisfatta. — No — rispose fieramente — ma, se c'è giustizia al mondo, si finirà per scoprire il colpevole! Il giornalista avrebbe voluto saperne di più; ma Frazer le si mise al fianco e tagliò corto alle insistenze. — La prego di lasciare in pace Lady Montague — disse all'indiscreto. — Venga, signora, c'è qui l'automobile che l'aspetta. Vanessa, che s'era eccitata per un momento, ricadde subito nel suo cupo mutismo e seguì passivamente l'ispettore. Questi l'aiutò a salire in vettura e poi tornò dal giornalista. — Si guardi bene dal pubblicare le parole di Lady Montague — gli disse in tono reciso. — Verrà anche il momento delle rivelazioni sensazionali, glielo dico io, ma, per ora, acqua in bocca. Capito? J. L. Rickard
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E per finire di convincere il petulante giovanotto lo prese sotto braccio e lo invitò a colazione. Per qualche tempo ancora si continuò a parlare del delitto, e le opinioni si mantenevano discordi. Per alcuni, la colpevole era Lady Montague che, in un accesso di gelosia, aveva perduto la testa. Altri sussurrarono di minacce e di ricatti da parte di un domestico e dell'autista. Altri ancora collegavano la tragica fine del baronetto col fallimento della S.I.M. Ma, in realtà, nessuno ci capiva nulla. Poi, a poco a poco, la curiosità del pubblico si volse altrove e nessuno pensò più al mistero di Shelton Gardens. Nella grande casa silenziosa quasi tutti i domestici rimasero al loro posto, e Vanessa si rinchiuse sempre più nella sua cupa e solitaria malinconia. Improvvisamente, senza che nessuno se l'aspettasse, ricomparve a Londra Maxime French. La S.I.M. era in piena liquidazione; licenziato su due piedi il personale, il povero Blythe, con l'aiuto d'un impiegato, si occupava tristemente delle ultime pratiche. In mezzo a tanto squallore capitò, una bella mattina della fine di maggio, Maxime French. Con il suo fare un po' spavaldo, si presentò nell'ufficio di Blythe, portandovi, con la sua barbetta bionda e il chiaro vestito primaverile, una gaia nota di eleganza parigina. — Lei è il segretario della società, non è vero? — chiese sedendosi senza tante cerimonie. — Ero — rispose tristemente Blythe. — Ho saputo con vero dolore della fine tragica del povero Montague. Eravamo tanto amici ed ero felice di rivederlo, tornando a Londra. — Ma non era stato, fino a poco tempo fa, a Parigi con lei? — chiese l'altro giocherellando nervosamente con la matita. — Con me? Ma nemmeno per sogno! Chi gliel'ha detto? — Lady Montague mi assicurò che Sir Hector era stato chiamato a Parigi da lei, signor French, e questa fu la sola giustificazione che fu data della sua assenza, poiché lui mancava da Londra da quasi tre settimane. Quando venne ucciso, era appena tornato. Anche un certo Rousselle, agente privato, confermò questa versione e, ch'io sappia, nessuno la contestò. Blythe si alzò, s'avvicinò alla finestra e guardò fuori. Eccolo là, il solito tipo che da parecchi giorni stava alle calcagna, che non perdeva di vista un momento la sua casa, o gli uomini della S.I.M. quando c'era lui. Ma che J. L. Rickard
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voleva costui? Ormai cominciava a dargli ai nervi! E anche Frazer, l'ispettore di polizia, che gli capitava certe volte tra i piedi all'improvviso e lo tempestava di domande, gli dava un gran fastidio! Blythe s'era ben guardato dal parlare del proprio colloquio col vicario Kingsdale e della visita alla signora Chance. Il preteso viaggio di Sir Hector a Parigi — al quale lui non aveva mai voluto credere — era stato confermato dalle indagini di Rousselle; sicché anche lui aveva finito per ammetterlo. Che significava dunque ora quell'insistenza di Frazer e la sorveglianza della quale era fatto segno? Anche la sua pazienza, infine, aveva un limite! — Allora — disse French — Hector ha detto una bugia a sua cugina; oppure lei stessa ha inventato di sana pianta codesta storiella. Io non mi sono mai sognato di chiamarlo a Parigi. Questo non escluderebbe, tuttavia, che lui ci sia venuto ugualmente senza farsi vedere da me. Blythe provò un certo sollievo a raccontargli tutta la storia, e Maxime lo stette ad ascoltare con attenzione, fumando una sigaretta dopo l'altra. — E chi l'ha ucciso? — domandò infine. — Mah! Non si sa. — Ma avrete qualche sospetto, almeno. — Sa, bisogna andare adagio coi sospetti. — Eh, via, con me può parlare! Ci sarà pur stato qualcuno che aveva qualche interesse a farlo sparire. Blythe lo guardava in silenzio. L'aspetto sereno e simpatico di Maxime gli piaceva e lo sollevava un poco dall'irritazione che gli procuravano sempre i colloqui con Frazer. — Capirà — continuò l'altro — che la cosa interessa molto anche me; poiché, in fondo, in questa losca faccenda, ho avuto anch'io, inconsciamente, una parte considerevole. Io sono stato, per il delinquente, una specie di paravento dietro al quale lui ha preparato il suo colpo. Blythe gli confidò di non aver mai creduto alla versione di Lady Montague; costei, del resto, era tanto angosciata e sconvolta per la sparizione del cugino da non sapere nemmeno quel che diceva. — Secondo me — concluse bruscamente — è stata proprio lei ad ammazzarlo. Era pazza di gelosia per un'altra donna. — E come fa lei a saperlo? Blythe si fece coraggio — tanto, era sicuro che French non l'avrebbe tradito — e gli narrò del colloquio avuto col vicario e della conseguente J. L. Rickard
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scoperta della signora Chance. — Quando ci ripenso — disse — mi meraviglio io stesso della mia sfacciataggine, ma si trattava di salvare la S.I.M. dallo sfacelo. Mi recai dunque dalla signora Chance e tentai di farla cadere in trappola dicendole che il reverendo Kingsdale m'aveva assicurato che da lei avrei potuto avere notizie di Sir Hector. È rimasta un po' male, ma s'è difesa magnificamente! Sembrava una lotta fra cane e gatto; e lei, da furba gattina, ha saputo così bene giocare d'astuzia, che ha finito anche col prendermi in giro con molta grazia. — Non ha provato a domandarle se aveva sposato segretamente Sir Hector? — Le dissi addirittura che sapevo del suo matrimonio con Montague e la supplicai di lasciarmi parlare con lui. Allora prese paura sul serio e si fece bianca come un cencio, ma si riprese subito ed io fui costretto anche a farle delle scuse. Ah, è una donna che la sa lunga, quella! E non si lascia mettere nel sacco tanto facilmente! — E ha parlato a Frazer di queste cose? — No. A quale scopo? Per la bella figura che ci ho fatto! E poi, malgrado tutto, lei era stata così gentile e carina con me che sentivo il dovere, almeno, di non immischiare il suo nome in questa brutta faccenda. Se avesse saputo qualche cosa, sono sicuro che si sarebbe presentata spontaneamente all'udienza. Anzi quasi me l'aspettavo. Fra l'altro, mi confidò che Lady Montague le aveva procurato un mondo di noie con la sua gelosia. Poveretta, almeno risparmiarle questa, non le pare? — Ma sa che è una storia curiosa? Voglio proprio andare a fare una visita a Lady Montague. Io ho sempre avuto un debole per queste donne che prendono tutto dal lato tragico e che, all'occasione, sono capaci persino di farsi giustizia da sé. — Abita ancora in Shelton Gardens, e credo sia sorvegliata anche lei — disse Blythe. — Ma guardi un po' — fece l'altro soprappensiero — guardi un po' quanta gente c'è di mezzo in questa faccenda! Lei con il detective alle calcagna, Lady Montague sequestrata in quella grande casa malinconica, col suo dolore e forse col suo rimorso. Quel Rousselle che fornisce le prove della mia presenza a Parigi, mentre ero a Budapest; il vicario che teme di svegliare i cani che dormono e non fiata; e chi altri? Ah, sì, ci sarà chi mi ringrazierà forse in cuor suo di non avere mai domicilio fisso a J. L. Rickard
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Parigi, perché, se fosse stato facile trovarmi, tutta la storiella del viaggio sarebbe andata in fumo. Sarei proprio curioso di conoscerlo, costui. — Vattelapesca! — sospirò il povero segretario. — Ormai, per la S.I.M. non c'è più rimedio, ma mi piacerebbe veder chiarito questo mistero; non fosse che per non vedermi più alle costole quel brutto muso, che passa le sue giornate a occuparsi dei fatti miei! Nel pomeriggio, Maxime French fece una lunga passeggiata. Non aveva ancora deciso quale delle due donne che tanto lo interessavano avrebbe cercato di vedere per prima. Era curioso di conoscere la signora Chance, ma Lady Montague l'interessava forse di più. Innocente o colpevole, la vita non doveva ormai essere per lei che una lenta agonia. Aveva amato Hector Montague, e lui lo conosceva troppo bene per non sentire una profonda pietà per la donna che aveva avuto fede in lui. La parte che lui stesso, senza saperlo, aveva avuto nella strana vicenda aumentava la sua curiosità. Passando per Hamilton Street, vide entrare nella casa dalle imposte azzurre una bella signora, seguita da un uomo distinto, il quale zoppicava leggermente; certo quella doveva essere la signora Chance. La chiesa di Saint Anselm era aperta per le funzioni della sera e Maxime, che da moltissimi anni non aveva messo piede in una chiesa, v'entrò e stette a lungo a osservare il reverendo Kingsdale. Avrebbe avuto una gran voglia di avvicinarlo e tentare di sapere qualche cosa da lui; ma non voleva farlo senz'aver prima veduto Lady Montague. Quel mistero occupava ormai tutti i suoi pensieri; cosa ben insolita in lui che prendeva sempre il mondo alla leggera; e, uscendo dalla chiesa nelle prime ombre del crepuscolo, lui stesso si stupì del suo strano eccitamento. Rievocava il bel volto gioviale dell'amico, i suoi biondi capelli accuratamente lisciati e profumati, lo sguardo un po' languido e quel suo fare affettuoso e simpatico. Hector Montague era stato un impenitente dongiovanni e volentieri si vantava delle proprie vittorie. Maxime era convinto che quella sua leggerezza era stata la causa della tragica fine. La posizione sociale e finanziaria, il fascino personale, l'avevano salvato fino allora; ma infine anche lui c'era cascato e, senza dubbio, il suo triste destino s'era compiuto per causa di una donna. E, fra le ombre del fosco dramma, si delineò nell'accesa fantasia di Maxime l'enigmatica figura di Lady Montague. Se realmente era stata lei a ucciderlo, la colpa non era sua, ma certamente di Hector che l'aveva trascurata, poi abbandonata per correre dietro a chi sa quale altra J. L. Rickard
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avventura. Maxime ricordava assai bene i facili amori e le innumerevoli conquiste del suo intraprendente amico; e ricordava pure che un giorno gli aveva parlato dell'unica donna che aveva veramente amato e che era entrata profondamente nella sua vita. Gli raccontava come l'avesse perduta e poi ritrovata dopo tanti anni e ne descriveva con entusiasmo la rara bellezza. "Non la potrò mai dimenticare", diceva, "perché l'ho amata giovinetta, quando io stesso ero poco più che un ragazzo, e l'amore della prima giovinezza non si scorda mai più." E gli aveva descritto anche una donna bellissima che lui chiamava "Madonna Luna", e che lo amava e l'avrebbe sposato solo che lui avesse voluto. Ma il destino l'aveva riavvicinato alla donna del suo primo amore e lei lo aveva ripreso completamente. "Non so ancora se riuscirò a riconquistarla", gli aveva confidato "ma ho delle buone speranze." E ora tutto era finito!
21. Al pari di Blythe, Lady Montague sapeva benissimo d'essere sorvegliata dalla polizia. Le rare volte che usciva di casa, un individuo, che montava continuamente la guardia davanti alla palazzina, le si metteva alle calcagna, senza nemmeno darsi la briga di nascondersi; e ciò le dava talmente ai nervi che aveva finito per non uscire quasi più. Di quando in quando, una visita di Frazer rinnovava senza fine le solite domande. La testimonianza di Rousselle circa il viaggio del baronetto a Parigi andava sgretolandosi dalla base, essendo ormai assodato che il passeggero che aveva fatto la traversata in quella notte non era Sir Hector. — Gliel'ho detto che non poteva essere lui — ripeteva tristemente Vanessa — quel viaggio l'avevo inventato io. È inutile, finché non si deciderà a far arrestare la signora Chance non verrà mai a capo di nulla. E mi faccia il piacere di levarmi d'attorno quel noioso guardiano! Stia tranquillo, che non ho nessuna intenzione di andarmene da Londra; e nemmeno da questa casa! Finalmente Frazer cedette e la guardia scomparve. All'inchiesta, la deposizione di Barr, che giurava di aver accompagnato Lady Montague nel salotto e non averla lasciata che per scendere nel vestibolo con gli altri domestici in attesa d'essere interrogato dalla polizia, era stata contestata da quella della cameriera Caroline Wells, la quale J. L. Rickard
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invece sosteneva d'averlo visto uscire in giardino. Ma, a un più stringente interrogatorio del coroner, la ragazza finì con il sembrare a tutti nient'altro che una sciocca visionaria, e nessuno mise più in dubbio le risolute affermazioni dell'autista. Frazer però non era perfettamente tranquillo su questo punto e si riservava di tornarvi sopra appena se ne fosse presentata l'opportunità. Non bisognava aver fretta; ma la pazienza, fortunatamente, era una delle sue principali virtù. Tolse il detective da Shelton Gardens e lo mandò in Hamilton Street con l'ordine di sorvegliare la signora Chance, ma con molta discrezione, in modo da non destare sospetti. Da quando le era stato negato il passaporto, lei non aveva rinnovato il tentativo di lasciare Londra. Nessuno ormai parlava più del misterioso affare e tutto pareva dimenticato. Ma Frazer vegliava. D'accordo con Mortimer, col quale se l'intendeva cordialmente, era sempre al corrente di tutto quanto avveniva in casa Montague; mentre il suo dipendente lo teneva informato di quel che succedeva in Hamilton Street. Tuttavia non gli riusciva ancora di vederci chiaro. Quando seppe che Maxime French era a Londra ed aveva fatto una visita al segretario della S.I.M., si propose di parlargli, per poter stabilire con sicurezza come la testimonianza di Rousselle fosse completamente falsa. Rousselle era scomparso improvvisamente; a Scotland Yard si era saputo che si trovava ora in una piccola pensione a Dover e che aveva fatto qualche tentativo di lasciare l'Inghilterra di nascosto. La polizia del porto non lo perdeva d'occhio; ma non era stato ancora possibile trovare un pretesto per farlo arrestare. I sospetti contro di lui si facevano tuttavia sempre più gravi, quantunque le ragioni per cui il giovanotto aveva fatto quella falsa testimonianza rimanessero ancora inesplicabili. Si sapeva che Rousselle dimorava a Londra da poco più d'un anno e che, durante quel periodo, aveva sempre lavorato come agente privato; ma del suo passato si conosceva poco o nulla. Si diceva che fosse vissuto a lungo nell'America meridionale e il suo collega Crawshay, da Parigi, aveva confermato tale notizia. La polizia parigina non aveva però dato di costui informazioni troppo soddisfacenti e c'era poco da fidarsi. Tutto ciò dava molto da pensare al bravo Frazer, il quale, pur non avendo alcun serio appiglio contro Rousselle, perseverava nelle proprie indagini, nella speranza di trovare finalmente un indizio sicuro che lo J. L. Rickard
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guidasse in quel labirinto. Un giorno si recò, come al solito, a trovare Lady Montague e, strada facendo, ruminava malinconicamente i punti più oscuri della questione. Venne ad aprirgli Caroline Wells, che lui non aveva più rivisto dopo l'inchiesta. Lei si pose l'indice sulle labbra e gli fece segno di seguirla in silenzio nello studio. Le persiane chiuse e le tende abbassate davano alla stanza un'aria di mistero e di lutto. Involontariamente Frazer abbassò la voce. — Che c'è? — domandò bruscamente alla ragazza. Caroline gli era sempre stata antipatica, con quei suoi occhi scialbi e un po' strabici, con quei capelli sbiaditi, gli faceva quasi ribrezzo. — Ho trovato la pistola! — bisbigliò lei. — Nessuno ha voluto credere a quel che io ho detto di Barr; ma qui c'è la prova! — Levò un mano dalla tasca del grembiule e depose l'arma sulla scrivania. — Sono rimasta qui apposta perché la volevo spuntare! Frazer prese la pistola e l'osservò attentamente. Nel caricatore non restava che una sola cartuccia; tutte le altre erano vuote. — Dove l'avete trovata? — Eh, dove Barr l'aveva nascosta! Credeva, lui, d'essere furbo, ma io sono stata più furba di lui! L'aveva sotterrata in giardino, in uno di quei vasi di palme, sa, vicino al muro di cinta. Credeva che lì nessuno sarebbe andato a scovarla; io l'ho trovata e l'ho nascosta nella mia camera. E lui se n'è accorto, sa! L'ho capito benissimo; ed ora è fuori di sé dalla rabbia e dalla paura! — Caroline sghignazzò sommessamente. Frazer si cacciò l'arma in tasca e fissò la ragazza, accigliato. — Siete capace di tenere chiuso il becco? — disse. — Eh! Se mi conviene! Vede che ho ben saputo tacere fino ad ora. Barr si dà delle arie; ma me la pagherà! "Ho capito!", fece l'ispettore tra sé, "povero diavolo, non ha torto, però, se si rifiuta di comprare la propria salvezza a quel prezzo!" — Ma non crederete mica che l'abbia ucciso lui! — soggiunse ad alta voce. — Non dico questo — fece l'altra con petulanza — ma certo deve aver tenuto mano all'assassino. Costui avrà quel che si merita, ma lui andrà almeno in galera, spero! — Via, Caroline; mi pare che parliate un po' troppo alla leggera. Nessuno sa ancora chi abbia ucciso Sir Hector. Del resto, mi sembra strano J. L. Rickard
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che Barr non abbia cercato di nascondere la pistola un po' meglio... se pure è stato lui a nasconderla! — Ma se glielo dico io ch'è stato lui! Non ha fatto in tempo a portarla via, perché io l'ho scovata subito. — E perché non avete detto tutto questo all'inchiesta? Lei ebbe un sorriso furbesco. — Ho detto che l'avevo visto uscire in giardino. — Sì, ma della pistola non avete parlato affatto. Perché? Caroline abbassò gli occhi. — Capirà — disse un po' esitante — volevo avere qualcosa in mano... — Sì, sì — fece l'ispettore sedendosi — capisco benissimo, voi volevate fargli un ricatto bell'e buono. Ciò non mi riguarda e ve la sbrigherete fra voi; ma è così, non è vero? Del resto, voi avete veduto Barr uscire in giardino, ma non l'avete mica visto sotterrare la pistola. Quando è stato che l'avete trovata? Lei lo guardò arditamente in faccia. — È stato dopo l'interrogatorio — rispose. — Barr era andato con Mortimer a bere un bicchierino; le altre donne, spaventate, si erano chiuse in camera; quelli della polizia stavano qui dentro ad esaminare le porte e le finestre in cerca di tracce e d'impronte digitali o che so io. Io sono uscita in giardino a prendere una boccata d'aria. Che vuole, è stato un colpo di fortuna — aggiunse con un sorrisetto — in terra, vicino ai vasi delle palme, c'era il portasigarette di Barr. Doveva essergli scivolato fuori di tasca. Capirà che non mi è stato difficile scoprire il resto. Così all'inchiesta dichiarai soltanto quel poco che mi conveniva, riservandomi di farlo impiccare quando fosse venuto il momento. — Non si fa impiccare un uomo tanto facilmente, cara la mia ragazza — osservò Frazer. — Le chiacchiere non bastano; prove, ci vogliono, e di quelle chiare! D'altronde, anche voi potreste aver preso un granchio. Anzitutto Barr, che dorme in una camera sopra il garage, e che, essendo ancora alzato, udì lo sparo prima di tutti, appena entrato in casa andò a svegliare Mortimer, poi corse qui nello studio. Dunque vedete che, se pur la pistola gli capitò poi nelle mani, non può essere stato lui a sparare. Caroline scrollò le spalle. — Beh, avrà tenuto mano all'assassino, e poi ha anche giurato il falso! Mi pare che ce ne sia d'avanzo per farlo andare in galera. Per conto mio, sono pronta a giurare su quanto le ho detto. J. L. Rickard
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— E che avete taciuto all'inchiesta, perché vi faceva comodo — ribatté severamente l'ispettore. — Non crediate però di farci una gran bella figura e di cavarvela tanto a buon mercato, sapete! Se io fossi in voi, mi guarderei bene dal parlarne. Intanto, su questo nostro colloquio, acqua in bocca, eh? Siamo intesi! La ragazza gli lanciò un'occhiataccia. Capiva d'aver fatto un buco nell'acqua e n'era inviperita. — Però non negherà che le abbia dato delle informazioni preziose — insistette caparbia. — Chi lo sa? — rispose Frazer alzandosi. — La pistola potrebbe anche essere proprio quella che stiamo cercando; ma non si sa mai! In fin dei conti, mi pare più probabile che l'assassino si sia rimesso l'arma in tasca e se la sia portata via; ma ciò non vuol dire, ripeto, che non possa anche essere questa. E ora favorite annunciarmi a Lady Montague. Rimasto solo, egli esaminò accuratamente la pistola. Non sarebbe stato facile scoprirne il proprietario; ma bisognava pure arrivarci. E s'avviò per lo scalone, assai preoccupato. Trovò Vanessa nel salotto, seduta accanto alla finestra, con un libro in mano. Alzò su di lui i begli occhi velati di tristezza. — E così? — chiese, indicandogli una poltroncina — nulla di nuovo? — Nulla. Volevo soltanto mostrarle una cosa. — Levò di tasca la pistola e gliela porse, fissandola intensamente. Se era una creatura di carne e ossa, avrebbe pur dovuto dare qualche segno di confusione e di sgomento, a quella vista! Invece lei prese l'arma e la rivoltò fra le mani senza mostrare null'altro che un vivo interesse. — La riconosce? — domandò lui, sicuro che avrebbe negato. — Ma certo! — fece lei alzando gli occhi. — È la pistola di Hector; la riconoscerei fra mille. La comperò l'anno scorso, prima di partire, perché c'erano stati dei furti qui nel quartiere; m'insegnò a servirmene e volle che la tenessi nella mia camera. — Si coprì gli occhi con la mano e sospirò. — Dove l'ha trovata? Io la restituii a mio cugino appena ritornò dal suo viaggio e so che lui la teneva nel cassetto della scrivania. Frazer la guardò con volto grave. — Fu trovata nascosta in giardino, e pare che Barr... — Non è vero! — l'interruppe Vanessa con veemenza. — Barr era qui con me. Non può essere quella! — E depose l'arma sul tavolino con un gesto d'orrore. — Ma se lei ha questo sospetto, come ha il coraggio di J. L. Rickard
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mettermela in mano? Appariva così sincera, così spontanea, che Frazer cominciò a dubitare della propria convinzione. Prese la pistola e la rimise in tasca. Se quella donna mentiva, era davvero una grande artista, e lui, sebbene a malincuore, non poteva che ammirarla. — Vada via, la prego — mormorò la signora. — Vada via! L'ispettore si alzò come un cane bastonato. — Devo mandarle qualcuno? — disse. Vanessa gli annunciò nuovamente con la mano di andarsene. Nel chiudere la porta, la udì singhiozzare sommessamente. Stette qualche istante dietro la porta, tendendo l'orecchio, combattuto fra un sentimento di profonda pietà e la coscienza del proprio dovere e della grave responsabilità che gl'incombeva. Quello sarebbe stato il momento di metterla con le spalle al muro e obbligarla a confessare; tuttavia, l'agire così brutalmente gli ripugnava. Esitò alquanto, poi riaprì la porta pian piano. Lady Montague continuava a piangere col volto fra le mani. Al lieve cigolio della porta sollevò il capo e guardò l'ispettore con aria di rimprovero. — Che c'è ancora? — Mi perdoni, signora; capisco che sono indiscreto, ma debbo compiere il mio dovere. Dovrei dirle ancora una cosa. — Sentiamo. — La vide impallidire e comprese che, nonostante la sua grande forza d'animo, il cuore le tremava. — Volevo avvertirla — riprese esitante — che lei potrebbe anche venire arrestata sotto l'accusa di aver ucciso suo cugino. — Me lo dice per mettermi in guardia? — chiese Vanessa scattando in piedi. — Può darsi. Non dico che vi sia già un mandato di cattura contro di lei... Ma, se lei volesse parlare... Lei girò lo sguardo intorno come sperduta; tutto il suo coraggio l'abbandonava d'un tratto. — Ma lei sa quello che dice? — ansimò. — Ma lei può credere un simile orrore? L'ispettore Frazer s'irrigidì. — Non faccio che avvertirla, signora. Creda, non è un compito facile né piacevole il mio; ma è meglio che lei sappia come stanno le cose. J. L. Rickard
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Vanessa ebbe un singhiozzo soffocato; ma sollevò fieramente la testa. — Non creda di farmi paura — esclamò. — Fino a questo momento lei ha finto di proteggermi e di essermi amico, soltanto per prendermi in trappola. Era il suo dovere e non gliene faccio rimprovero; ma... — s'interruppe, pallidissima, e lui comprese che non era la minaccia dell'arresto che l'aveva così profondamente colpita, bensì il dolore che un simile sospetto potesse venire concepito. — Non pensi che io abbia voluto, signora... — Non penso nulla e non dirò una parola per difendermi. Non ho più nulla da dirle! — E gli volse ostentatamente le spalle. Frazer uscì dalla stanza terribilmente perplesso. Anche l'ultimo dardo l'aveva lasciata incolume e padrona di sé! Per riconfortarsi, andò a bere un bicchierino; poi s'incamminò verso l'abitazione di Madame Cassali.
22. Se Maxime French, quella sera, avesse chiesto di vedere Lady Montague, lei avrebbe certamente rifiutato di riceverlo; ma il giovane seguitava a passeggiare su e giù per il piazzale senza potersi risolvere a suonare il campanello. S'era proposto di vedere, uno dopo l'altro, tutti i personaggi del dramma, ma non aveva ancora saputo decidere da quale avrebbe incominciato. Aveva una gran paura della signora Chance, sicuro che con quella avrebbe, senz'altro, avuto la peggio, e non osava disturbare il reverendo Kingsdale prima d'aver approfondito un po' di più la conoscenza dei fatti. Si recò dunque a Shelton Gardens per dare un'occhiata alla casa in cui il suo povero amico aveva finito così tragicamente i suoi giorni. La sera era calma e tepida; un velo di nuvole leggere circondava di un pallido alone il disco della luna; le fronde degli alberi frusciavano lievemente nell'aria profumata dal soffio dell'estate già prossima. Maxime aveva letto e riletto con grande attenzione tutti i resoconti della tragedia, prendendo nota dei minimi particolari. Guardava ora la guardia notturna che faceva la ronda per il piazzale, proiettando sulle case sonnacchiose il raggio della lampadina tascabile, e rimuginava nella mente la deposizione di Renny, il poliziotto di servizio in quella notte tragica. Due donne erano dunque entrate in quella casa, ma una di loro era scomparsa. Emersa per un attimo dalla fiumana di umanità che scorreva J. L. Rickard
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senza tregua nelle vie della metropoli, era stata subito inghiottita da quel flusso perenne, senza lasciar traccia di sé. Chi mai poteva essere quella donna misteriosa? Forse un'altra ignorata vittima dell'irresistibile Hector? Nel piazzale deserto un uomo veniva verso di lui con passo leggermente zoppicante. Nel passargli accanto Maxime lo guardò, aguzzando gli occhi nella penombra. Quando si voltò per tornare indietro, lo vide fermo a guardare la casa del baronetto. Dopo la visita a Blythe, considerava con occhio sospettoso chiunque avesse anche lontanamente l'idea di un poliziotto travestito; ora volle sapere chi fosse e che cosa aspettasse costui. — Scusi — fece garbatamente, avvicinandosi — mi potrebbe dare un fiammifero? L'altro si volse premuroso. — Volentieri — rispose subito in tono cortese, e gli porse la scatola dei cerini. Aveva una voce simpatica. Maxime comprese che i suoi sospetti erano infondati. — Bella sera — osservò. — Lei abita qui nel piazzale? — No, no — rispose l'altro ridendo — abito in Hamilton Street: un quartiere assai più modesto! — Ah! — fece Maxime, con studiata indifferenza. E pensava: "Ma dove diavolo l'ho visto io, costui?". — E lei — soggiunse lo sconosciuto — abita qui? — Io sono un giramondo — rispose Maxime — non ho mai potuto adattarmi ad avere una casa. Mi sembrerebbe d'esser prigioniero... come se prendessi moglie! Non è affare per me. Passeggiavo, così, per prendere una boccata d'aria dopo pranzo. E lei, come mai è capitato da queste parti? — Così, per curiosità. — E cosa c'è di curioso in questi paraggi? Me lo dica, la prego, che mi ci possa interessare anch'io! — Non ha udito parlare del delitto commesso qualche settimana fa in quella casa? — fece l'altro accennando col bastone alla palazzina d'angolo. — Vede quella finestra a destra del portone? In quella stanza fu ucciso Sir Hector Montague. — Davvero! Mi fa venire la pelle d'oca! E chi è stato? — Mah!? Non si sa nulla. Permetta intanto ch'io mi presenti: Harrington. Questa tragedia mi appassiona molto, perché conoscevo la fidanzata del povero baronetto e, guardi che strano caso, la sera stessa del delitto lei era J. L. Rickard
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venuta a trovarmi. Da allora non l'ho più riveduta. French si presentò a sua volta e disse di aver conosciuto, tempo addietro, un certo Montague, e di aver udito vagamente parlare dell'orribile fatto. Scambiarono ancora quattro chiacchiere, poi Harrington lo invitò ad accompagnarlo verso casa. — È curioso, però — osservò Maxime, indugiandosi ancora a guardar la palazzina — come l'assassino abbia potuto svignarsela così, indisturbato. Se ben ricordo, s'è accennato anche a una donna, della quale nessuno seppe poi dire nulla... — Appunto — rispose Harrington. — Ma tutta questa faccenda è avvolta in un tale mistero che, le confesso, mi dà un senso di oppressione. E s'avviarono insieme. In quel momento, il portone di casa Montague si aprì e una donna uscì sul piazzale. Indossava un lungo mantello di raso nero e un piccolo cappello di feltro. Si guardò intorno con aria circospetta, e poi s'incamminò lentamente verso destra. Maxime sentì uno strano brivido giù per la schiena. — Quella è Lady Montague, non è vero? — disse sottovoce. Harrington fece due passi verso di lei, poi si fermò, seguendola con lo sguardo attonito. — Ma è curioso! — esclamò, volgendosi al compagno — quella non è Lady Montague, è la signora Hebberden! I due uomini si guardarono in silenzio, colpiti simultaneamente dal medesimo pensiero. — E abita anche lei in quella casa? — domandò French. Harrington non rispose. Camminarono alquanto in silenzio, poi Maxime domandò ancora: — Chi è codesta signora Hebberden? È stato fatto anche il suo nome a proposito della tragedia? — Ma no! Perché, povera signora? È vedova, ed ora s'era fidanzata al baronetto, il quale le dava, credo, parecchi dispiaceri — s'affrettò a spiegare Daniel. — È una donna bizzarra, gelosa, impulsiva, direi anche un po' visionaria, poveretta!... S'era poi messa in testa certe idee!... Maxime avrebbe voluto domandargli quali fossero quelle idee; ma stimò opportuno di non mostrarsi troppo curioso. — Ricordo — disse — che Hector Montague mi parlava spesso di una donna che aveva avuto una grande influenza sulla sua vita. Quando ho visto, poc'anzi, quella figura bruna uscire dalla sua casa, non so perché m'è tornata in mente quella donna. Che fosse lei? J. L. Rickard
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— Senta — ribatté Daniel vivacemente — se il Montague che lei ha conosciuto è lo stesso che fu ucciso in quella notte, era un gran mascalzone; glielo dico io! — Se ben ricordo, parecchi anni fa, deve aver avuto dei pasticci — riprese French soprappensiero — credo abbia fatto un matrimonio di capriccio, che poi andò a rotoli, e lui piantò la moglie in malo modo. Per molti anni non se ne seppe nulla; finché, un bel giorno, lei ricomparve sulla sua strada. Lui mi raccontava come fosse di quelle creature affascinanti e pericolose, che rendono l'esistenza impossibile a chi vive con loro, ma dalle quali non si può più staccarsi. A sentire lui, era una bellezza meravigliosa. L'ultima volta che lo vidi, mi disse di averla incontrata per caso, non so più dove, e di essere stato violentemente ripreso dall'antica passione. Comincio a credere che si trattasse proprio di quella signora Hebberden. Mi dispiace di non averla potuta veder meglio! — È una bella donna, infatti — osservò Harrington distrattamente — o almeno può passare per tale. Io conobbi il suo defunto marito in Africa. È venuta due volte da me; ma non so dove abiti. Fui uno sciocco a non domandarglielo; ma chi avrebbe mai pensato... — s'interruppe bruscamente. Quel giovane che, fino a pochi minuti prima, gli era del tutto sconosciuto, gl'inspirava una viva simpatia e il parlare con lui del truce mistero che gli gravava sull'anima come un incubo gli dava un immenso sollievo. — Era terribilmente gelosa della signora Chance — riprese — che, poverina, non aveva mai fatto nulla per meritarselo, e le lanciava delle accuse atroci. — Hector non mi confidò mai il nome di quella sua "donna fatale" — continuò Maxime — ma ne parlava spesso e la chiamava... come la chiamava?... aspetti... no, non Madonna Luna; quella era un'altra... — Le ripeto che era un mascalzone, ed ha avuto quel che si meritava! — ripeté Daniel con calore. Così chiacchierando erano giunti in Hamilton Street. La via era tranquilla e silenziosa. Daniel aprì il portoncino e invitò il compagno a salire. Alzando gli occhi alla finestra, vide un filo di luce filtrare attraverso le persiane chiuse. — Oh bella! — fece — c'è qualcuno in casa mia! — Non vorrei disturbare — disse French mentre lo seguiva per le scale. Harrington aprì la porta della sua camera, e Maxime vide in piedi accanto al tavolo una donna piccola e mal vestita, con due grandi occhi J. L. Rickard
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spaventati in un viso insignificante. "Se è questa la signora Chance", pensò, "non ha davvero l'aria d'una donna fatale!" — Oh, buona sera, signorina Garret — fece Daniel abbastanza freddamente. Quell'importuna gli avrebbe tolto il piacere di parlare un po' a lungo e con calma di quel che gli stava tanto a cuore. Forse il suo nuovo amico poteva dargli delle informazioni molto interessanti su quanto aveva fatto Montague nelle settimane che avevano preceduto la sua morte; e ciò poteva avere una grande importanza anche per Joyce. Lei aveva improvvisamente rimandato la partenza e, quantunque quella sua decisione gli avesse fatto un piacere immenso, lo addolorava il vederla insolitamente abbattuta e nervosa. Emily Garret fece un passo verso di lui; ma, visto che non era solo, si ritrasse intimidita e stette un po' a guardare i due uomini volgendo dall'uno all'altro gli occhi spiritati. — Ho confessato — disse poi, quasi senza fiato. — È venuto da me l'ispettore Frazer e gli ho confessato tutto! — Che cosa avete da confessare, signorina? — domandò French nel chiudere la porta. Lei si volse a Daniel. — Anche lei ha udito un grido, quella notte, dica la verità! Non è possibile che non l'abbia udito, anche lei era alzato e ha visto l'automobile fermarsi lì!... — e additava la casa di fronte. — Frazer m'ha detto che avrebbero arrestato Lady Montague, se io non parlavo! Harrington la prese per un braccio e la fece sedere sulla poltrona. — È una crisi d'isterismo, non ci badi — disse sottovoce a French. Questi si avvicinò alla Garret, che s'era abbandonata sulla poltrona come una marionetta cui si fosse spezzato il filo, e le prese una mano. — Badi a quel che dice, signorina — l'ammonì benevolmente — quel che ha raccontato all'ispettore non lo ripeta a nessuno, nemmeno ai suoi più intimi amici. — Dio mio — gemette la poveretta — pensare che volevano arrestare Lady Montague! Se Frazer non fosse venuto a cercarmi l'avrebbero impiccata!... — E, coprendosi il volto con le mani, scoppiò in un pianto convulso. — Ed ora che lei ha parlato?... — insinuò Maxime. — Ora finalmente si saprà che Sir Hector era andato dalla signora Chance — singhiozzò la Garret. — Chissà che cos'è accaduto, quella notte, J. L. Rickard
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in quella casa!... Non è stata Lady Montague a ucciderlo, no! È stata... — e nascose nuovamente il viso fra le mani, tutta scossa da un tremito isterico. — Se ne vada, per carità, signor French! — supplicò Harrington — questa disgraziata non sa quel che dice!
23. Joyce, obbligata a restarsene a Londra, usciva pochissimo e si annoiava terribilmente. Le visite quotidiane di Daniel, la sua devota amicizia, e quella specie di adorazione di cui lui la circondava le erano ormai divenute indispensabili. Daniel era più che mai schiavo del suo fascino e il velo di tristezza che le impallidiva il volto mirabile gliela rendeva sempre più cara. Passavano insieme intere giornate, o seduti all'ombra dei grandi alberi del parco, o nel raccolto silenzio del salottino di Hamilton Street; ma, pur nella fraterna intimità dei lunghi colloqui, lei non gli aveva mai permesso di gettare uno sguardo sul suo passato, che restava tuttora per lui immerso nel più profondo mistero. Daniel sentiva che il dramma, o forse la tragedia, dovevano aver avuto una parte considerevole nella vita di quella donna, e l'esserne così inesorabilmente escluso lo faceva soffrire. Dopo il fatto di Shelton Gardens, Joyce conduceva una vita ritiratissima; fosse suo desiderio di restarsene appartata, o fosse che la società le tenesse il broncio, Daniel non l'aveva mai capito bene. Un giorno, tuttavia, verso la metà di maggio, le venne il desiderio di andare a trovare Liza Bryant. Questa l'accolse con le consuete esclamazioni di gioia esagerata. — Oh, cara — esclamò — è un secolo che non ti si vede! Credevo quasi che tu fossi partita. — Ma nemmeno per sogno! — rispose l'altra gaiamente. — Vuoi che me ne vada proprio ora che incomincia la bella stagione? E come sta Madame Cassali? S'è ristabilita dopo quella sera disgraziata? — Sì, sta bene, spero anzi di riaverla presto qui. A proposito — continuò Liza fissandola intensamente — non ci siamo più viste dopo quell'orribile fatto! Povero Montague! Ci aveva tenuti tanto in pena con la sua scomparsa, e poi non è tornato che per farsi ammazzare! Che fatalità! — E non si sa ancora chi sia l'assassino? — chiese Joyce. — Sospettano di qualcuno? — Di qualcuno? Ma di tutti, puoi dire! Se non fossi troppo vecchia perché quel povero Hector mi facesse la corte, credo che sospetterebbero J. L. Rickard
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anche di me! Però l'opinione pubblica è tutta contro Madonna Luna, come la chiamava lui; mentre, poveretta, credo sia innocente come l'acqua! — Credi?... — fece la Chance. — Certo che era una curiosa situazione la sua... — Oh, Joyce, non esser così maligna, via! — Ma io non dico nulla!... Soltanto mi sembra un po' strano che qualcuno sia potuto entrare in casa Montague e uscirne, di notte, senza essere veduto... Sai? — riprese dopo una breve pausa — ho avuto anch'io una visita di Frazer, l'ispettore della polizia investigativa. Simpatico! Tu che ricevi mezza Londra lo conoscerai certamente. — Sì — riprese la Bryant — è venuto anche da me, sapendomi molto amica di Vanessa Montague. M'ha raccontato un sacco di storie di delitti molto interessanti. — Forse ho fatto male — riprese Joyce — a non confidargli una cosa. Hai udito mai nominare una certa signora Hebberden? Io non so chi sia, ma mi dissero che era la fidanzata di Hector Montague. Un fidanzamento segreto, a quanto pare. Bene: la sera stessa del delitto, forse un'ora prima che Montague venisse ucciso, questa signora Hebberden si era recata da un mio conoscente che abita proprio di fronte a casa mia, certo Harrington. C'era stata anche un'altra volta, ma non gli aveva mai voluto dare il proprio indirizzo. Da quella sera lui non ne ha più saputo nulla. — Aspetta — l'interruppe Liza — non era la sera ch'io venni da te? — Può darsi. Fatto sta che la Hebberden si recò da Harrington proprio quella sera, e lui la lasciò un momento per venirmi a dire una cosa... ma questo non c'entra, quando tornò a casa, lei era sparita. E senti questa, poi — soggiunse con aria di mistero — ieri sera Harrington stava passeggiando per Shelton Gardens, quando vide aprirsi il portone di casa Montague e uscirne... indovina un po'!... — La signora Hebberden! — fece Liza stupefatta. — Proprio lei! Vedi che ne sei sbalordita anche tu — osservò Joyce con uno strano sorriso. — Non credi che a Frazer interesserebbero queste cose? Dovresti raccontargliele, se lo vedi. — E perché non gliele racconti tu stessa? Ma Joyce aveva delle ottime ragioni per non volersi immischiare in quella faccenda. L'assurda gelosia di Lady Montague per lei la metteva in una posizione assai delicata, e la Bryant non poté fare a meno di convenirne. J. L. Rickard
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— È curioso però — osservò Liza — che codesta signora Hebberden continui a frequentare quella casa. Ma il tuo amico Harrington è ben sicuro di non aver avuto le traveggole? — Figurati! L'ha perfino indicata a un altro signore che era con lui!... Quanti bei fiori hai nel tuo salotto! — soggiunse, per cambiare discorso. — Continui sempre a dare le tue belle serate? — Sempre, cara, spero anzi di vedertici qualche volta. — La presenza di Joyce era sempre un bell'argomento in un salotto, e Liza era lieta di poter fare mostra della sua bella e brillante amica. — E quel bel giovanotto un po' misterioso di cui mi parlasti una volta: Joseph Rousselle, mi pare; l'hai più visto? — No. M'hanno detto che anche lui era implicato nell'affare Montague e che se l'è svignata alla chetichella. — Davvero? Non l'ho mai sentito dire. Mi piacerebbe molto che tu, che sei una donna di spirito, sfidassi le prevenzioni e lo invitassi ad uno dei tuoi ricevimenti. — Ma non t'ho detto, cara, che non è più a Londra? Se ci fosse, figurati; Lo inviterei ben volentieri! Ti confesso che, con quei suoi occhi neri e con quell'aria fatale, m'ha fatto quasi girar la testa! — Ma potrebbe anche essere tornato — insistette l'altra. — Già, hai ragione. Voglio proprio tentare — disse Liza ridendo — certo, ci vuole del coraggio a invitarlo; ma per farti piacere... perché tu devi avere qualcosa da dirgli, non è vero? Bada che a me non la si fa! Scommettiamo che hai bisogno di lui per qualche tuo pasticcetto? — Potrebbe anche darsi — ammise Joyce. — Stai ancora sola in casa, la notte? Dimmi la verità. — Ma no! Metti il cuore in pace; ora ho ben due ancelle! Sei contenta? Ho rinunciato alle mie idee d'indipendenza. Sai? La mia antica domestica, quella Mary Elder della quale mi fidavo tanto, si è rivelata una poco di buono; credo che fosse perfino ricercata dalla polizia. Fatto sta che un bel giorno è sparita e non ne ho saputo più nulla. — E desideri proprio che io parli a Frazer di quella signora Hebberden? — domandò Liza. — Se ti sembra opportuno — rispose l'altra alzandosi — e se la gente continua a mormorare sul conto di Lady Montague... Povera donna! Avrà i suoi difetti, ma sono sicura che non ha mai pensato a uccidere suo cugino! Del resto, all'inchiesta si parlò di una signora che fu vista entrare... te ne J. L. Rickard
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rammenti? Liza se ne ricordava benissimo e sapeva che Frazer stava cercando quella donna misteriosa per tutta Londra. Appena uscita la Chance, telefonò all'ispettore. Quell'ometto energico, dalle maniere brusche e risolute, le era riuscito subito assai simpatico, e l'idea di contare fra i propri amici un ispettore della polizia investigativa solleticava il suo gusto per le eccentricità. Ora le faceva molto piacere avere una comunicazione importante da fargli e lo pregò di recarsi da lei al più presto. Frazer non si fece aspettare molto e Liza lo ricevette nel salotto di Madame Cassali. Lui ascoltò con vivo interesse il suo racconto e disse che, in un modo o nell'altro, sarebbe riuscito a scovare la misteriosa vedovella. — Ma la signora Chance non aveva altro da dirle? — domandò poi. Liza sorrise. — Sì, ha una voglia matta di parlare con Joseph Rousselle e m'ha anzi pregato d'invitarlo a casa mia. Io, veramente, lo credevo uccel di bosco e, ad ogni modo, non so se sia una persona da ricevere in una casa per bene. Che ne dice lei? Frazer fece tanto d'occhi. — Ma benone! — esclamò — magnifica idea! Lo inviti, lo inviti! È tornato... Benissimo! Se lei m'aiuta, siamo a cavallo. — Volentieri, se posso. Mi dica lei che cosa dovrei fare. — Ecco — spiegò Frazer — lei dovrebbe dare un bel ricevimento, invitando molta gente; anche più del solito. Dovrebbe invitare quell'Harrington e fare il possibile per indurre a prendervi parte anche Lady Montague. Madame Cassali dovrebbe riprendere, per l'occasione, le sue spoglie di pitonessa e leggere la sorte come soleva. — Ma lei mi chiede l'impossibile — rispose Liza — quella povera Garret, con tutti i suoi scrupoli... — Lasci fare a me, penso io a convincerla. Naturalmente, anch'io sarò della brigata, soltanto non comparirò in scena. Lei mi permetterà di assistere alla festicciola in perfetto incognito. E vedrà che ci verrà anche Rousselle... poiché la signora Chance desidera tanto vederlo. — E come fa lei a saperlo? Forse è riuscita ad accalappiare anche lui? — Eh, via! — fece l'ispettore sorridendo — quando una bella signora esprime il desiderio d'incontrare un giovanotto a un ricevimento, è troppo naturale che questi non se lo faccia dire due volte. — Ma sa — disse Liza ridendo forte — che lei mi fa quasi paura? Che J. L. Rickard
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cosa accadrà di straordinario, quella sera, a casa mia? — Cara signora — rispose gravemente Frazer — lei vuol sapere un po' troppo. Dunque, siamo intesi. Madame Cassali farà, come al solito, le sue predizioni in questo salottino e leggerà la sorte anche al signor Joseph Rousselle. A questo io tengo in modo specialissimo. Mi fido di lei, signora. Vedrà che la sua serata riuscirà assai interessante. Frazer uscì dalla casa di Terrington Square molto soddisfatto. Quella cara signora Bryant era una donna veramente preziosa. Non gli aveva raccontato gran che di nuovo, per dire il vero, ma gli aveva offerto un'insperata possibilità. Fece una passeggiatina fino ad Hamilton Street, oltrepassò l'abitazione della signora Chance, e gettò un'occhiata in tralice a un giovanotto che stava dipingendo il cancello della casa accanto. Poi entrò in un caffè a pochi passi di lì e sedette a un tavolino. Non erano passati due minuti che il giovanotto entrò con aria distratta nello stesso caffè e si mise a sedere vicino a lui. — È tornata la Elder? — gli domandò l'ispettore sottovoce. — Sì — rispose l'altro — è tornata stamattina alle nove e mezza. S'è fermata circa venti minuti. — E poi l'avete seguita? — L'ha seguita Patterson. Ecco l'indirizzo. — E gli porse un foglietto ripiegato che l'ispettore si cacciò subito in tasca. Frazer pagò la sua bibita ed uscì senz'aggiungere parola. Quando fu nella via, levò di tasca il bigliettino, lo lesse e s'incamminò fischiettando. Il quartiere in cui Mary Elder abitava non era, a dire il vero, molto aristocratico; ma, in compenso, era vicinissimo ad Hamilton Street, il che costituiva, agli occhi di Frazer, un notevole vantaggio. Egli percorse lentamente la King's Road e poi si cacciò in un dedalo di stradicciole sudice e fetide, dove un nugolo di bimbi schiamazzava sguazzando nei rigagnoli, fra i detriti di verdure e di frutta che ammorbavano l'aria. Princes Row, il meschino vicolo ove abitava Joseph Rousselle, era un paradiso terrestre a paragone del quartiere in cui era andata a stabilirsi Mary Elder. Frazer entrò in una botteguccia, col pretesto di comprare un giornale, e si appoggiò al banco con aria confidenziale. — Brutti tempi, eh, signora? — disse in tono amichevole alla giornalaia. — Non si tira avanti; tutto aumenta! — Ah, non me ne parli, caro lei! — fece la donna abboccando subito. — J. L. Rickard
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Non si vive più, tutti cercano lavoro e nessuno ne trova... — A proposito — riprese l'ispettore — mia moglie è un po' malandata e non se la cava più da sola. Non conoscerebbe lei, per caso, una brava donna che potesse venire qualche ora ad aiutarla? La giornalaia stette un po' a pensare, poi rispose: — Ci sarebbe una certa Mary Elder. So che è disoccupata, ma, badi, veh! io non la conosco, non voglio responsabilità. — E fa benissimo! ad ogni modo, potrei parlarle. Dove sta? — Proprio qui da me, al terzo piano. — Allora posso salire? — Sì, sì, s'accomodi pure. Dev'essere in casa. Frazer, prima di bussare, si fermò un istante a origliare. Un lieve fruscio nell'interno della camera gli rivelò la presenza della donna. Allora bussò leggermente e, quando la porta si aprì, atteggiò il volto a un sorriso benevolo. — La signorina Mary Elder? — Sì, signore, sono io. La voce punto sgradevole e l'aspetto piuttosto fine fecero pensare che la poveretta avesse conosciuto tempi migliori. Appariva pallida e patita; ma i capelli erano ravviati con cura e le sue vesti erano linde, come lo era la misera stanzetta in cui abitava. — Se permette, vorrei dirle due parole — disse Frazer entrando. — Dovrei rivolgerle alcune domande, ma è necessario che lei mi risponda con la massima sincerità. Chiuse la porta e si avvicinò alla donna, la quale, ritta presso il tavolino su cui, accanto ad una bottiglietta d'inchiostro, erano sparsi alcuni fogli e buste, lo guardava senza rispondere.
24. L'ispettore non parlò subito. Fissava la donna con i suoi occhietti penetranti, conscio che quel suo silenzio la turbava profondamente. Lei si chinò sul tavolino e, con le mani un po' tremanti, raccolse i fogli sparsi, cercando di nasconderli. — In che cosa posso servirla, signore? — domandò. — Avrei bisogno del suo aiuto, signorina. Sediamo, se non le dispiace, e discorriamo un poco. J. L. Rickard
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Mary sedette di fronte a lui, fissandolo, inquieta. I fogli erano ormai al sicuro dentro la loro busta e lei tormentava con le dita nervose un foglietto di carta asciugante. — Senta, signorina — cominciò l'ispettore in tono risoluto — è meglio che io le dica subito chi sono e perché sono venuto da lei. Eccole il mio biglietto. Io ho bisogno di sapere da lei alcune cose. Stia tranquilla che nessuno saprà che ha parlato con me e il suo nome non verrà nemmeno pronunciato. Se lei risponderà francamente alle mie domande, sarà tanto di guadagnato per lei e per tutti. Si udì un passo per la scala. Mary Elder corse alla porta e uscì sul pianerottolo. Frazer udì un rapido bisbigliare di sommesse voci femminili. Il foglietto di carta asciugante era caduto a terra; lo raccolse e se lo cacciò in tasca. Quando Mary rientrò, l'ispettore l'attendeva pazientemente, con le gambe accavallate. — Dunque, signorina Elder, mi dica un po' — fece bonariamente — lei fu per qualche tempo al servizio della signora Joyce Chance, in Hamilton Street, e un bel giorno la signora la licenziò su due piedi. È così? — Proprio così, signor ispettore. — Lei continua, però, a frequentare la casa e, per mostrarle quanto la so lunga sul conto suo, posso anche dirle quando c'è stata ultimamente e perché c'è andata. Vuole che glielo dica? — No — fece la ragazza ritraendosi — non mi dica nulla. Ma, se sa tutto, perché vuol farmi parlare? — Il mondo è cattivo, cara signorina, e la gelosia è una delle più forti passioni. La signora Chance è troppo bella per non destare gelosie, e io so che ha dei nemici. Il viso pallido di Mary Elder si fece livido e i suoi occhi sgomenti non si distoglievano da quelli del suo interlocutore. — Ma no, signor ispettore — balbettò — non credo che abbia dei nemici. — Lei non lo crede perché le vuole bene, perché è una creatura affettuosa e fedele, ma purtroppo è vero, e io sono venuto da lei appunto perché m'aiuti a proteggere la sua signora. E sono certo che lo farà. — Ma che cos'hanno con lei? Che cosa possono farle? — Niente, cara, niente, purché io riesca a stabilire con sicurezza un fatto. È necessario ch'io possa provare che un certo signore, scomparso nella notte del 15 aprile, non si recò a Parigi, come alcuni sostengono, ma J. L. Rickard
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rimase a Londra e precisamente in casa Chance. Lei mi dirà che potrei domandarlo direttamente alla signora; ma deve sapere che, se si vuole evitare che i giornali ne parlino, lei sa bene come la gente pettegola ami lo scandalo, io non posso agire in forma ufficiale. Perciò sono venuto da lei nella massima segretezza. Dica la verità: la signora Chance temeva che la cosa si risapesse, non è vero? — Sì — fece la ragazza — mi disse che aveva una gran paura. — Lo so. E so molte altre cose. Più di lei ne so, ma ho bisogno della sua conferma. Frazer vedeva sul volto della sua interlocutrice svanire a poco a poco l'espressione spaventata e diffidente con cui l'aveva accolto. — Vuol raccontarmi, con le sue parole, quel che avvenne in casa Chance durante la notte del 15 aprile? — Non posso! — esclamò Mary, girando intorno lo sguardo nuovamente spaurito — non posso parlare senza il permesso della signora. Frazer si alzò e prese il cappello che aveva deposto sul tavolino. — Capisco — disse lentamente — lei non ha torto. Mi dispiace, però; perché, quando verrà citata a testimoniare, dovrà parlare per forza. E allora sarà un altro affare, signorina. — E s'avviò, come a malincuore, verso la porta. Lei lo seguiva con lo sguardo ansioso. Frazer girò la maniglia e socchiuse la porta. — Aspetti! — fece la ragazza. — Crede davvero che ci possa essere un processo? — Eh, potrebbe darsi benissimo — rispose l'altro voltandosi. — Ma non voglio forzare la sua confidenza. Sa, sono cose serie: o ci si fida completamente, o è meglio non parlarne nemmeno. — Ma mi garantisce che, se parlo, lei non si servirà delle mie confidenze per fare del male alla mia signora? Non mi tende mica un tranello? Frazer lasciò la maniglia e tornò accanto al tavolino. — Le do la mia parola d'onore che non le tendo alcun tranello. Io non ho nulla a che vedere con quanto accadde in casa della signora Chance la notte del 15 aprile, ma so che certi nemici della signora vorrebbero renderla responsabile di un altro fatto avvenuto alcune settimane più tardi. Ha sentito parlare del delitto di Shelton Gardens? L'ispettore sedette nuovamente di fronte a Mary Elder, che si ravviò i capelli con un gesto inconscio. Aveva udito, confusamente, dell'assassinio, J. L. Rickard
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ma non ci aveva fatto gran caso. — Allora io avrei il dovere di parlare? — Ma senza dubbio! La donna stette alquanto silenziosa, poi cominciò a raccontare. La mattina del 16 aprile lei si era recata, come era solita, alle otto, in Hamilton Street, ed era entrata servendosi della chiave. Di solito, a quell'ora, la signora non era ancora alzata; ma quella mattina Mary la trovò nell'atrio, in veste da camera e tutta in lacrime. Mary era già da oltre un anno al servizio della signora Chance e le era molto affezionata; ma la signora, pur trattandola con grande bontà, non le aveva mai concesso la minima familiarità. Il vederla così disperata la sorprese e la commosse. Cercò di confortarla come poteva e le preparò subito una buona tazza di tè. La signora, un po' sollevata, le narrò allora una storia molto strana. Due suoi amici erano venuti a trovarla, la sera innanzi, e avevano seriamente litigato fra loro. Dalle parole aspre erano passati alle vie di fatto, con tanta violenza che lei si era invano interposta per separarli. Nella lotta, uno dei due era caduto malamente, battendo il capo contro lo spigolo del caminetto. "Mary, Mary", le aveva detto la povera signora, "che paura! Pareva morto! Non si moveva più, era tutto insanguinato." — Non sa come si chiamasse il ferito? — chiese Frazer. — La signora parlava d'un certo Sir Hector, il cognome non lo so. — E poi? Continui. Mary Elder riprese il racconto. — L'altro visitatore, del quale la signora non mi disse mai il nome, l'aiutò a trasportare il ferito nella camera degli ospiti, al secondo piano; poi se ne andò. Può immaginare come rimase la mia povera padrona, con un uomo in quello stato, che pareva dovesse morire da un momento all'altro! Scese a chiamare l'autista, che Sir Hector aveva lasciato alla porta con la macchina; ma questi se n'era già andato. La via era deserta. La signora vide un prete uscire da una casa vicina e lo pregò d'entrare. "Ho fatto male, Mary", singhiozzò la povera signora, "non avrei dovuto chiamare nessuno; ma lasciarlo morire a quel modo senza una preghiera, senza una benedizione, non me la sentivo!" — E non avevano chiamato un medico? — chiese Frazer. — Ma credo di sì. Un giorno vidi venire un giovanotto che immaginai J. L. Rickard
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fosse il medico. — Sicché — disse Frazer — la signora fece entrare il prete... — Sì. E mi raccomandò che, se fosse tornato a chiedere di lei, non lo avrei dovuto lasciare più entrare e avrei dovuto dirgli soltanto che il ferito stava benissimo. "Bada ch'egli crede che io mi chiamo Lady Montague”, mi disse la signora. Tutto quel giorno Mary fu affaccendata a far sparire dal salottino le tracce della lotta notturna. Sul soffitto s'allargava una macchia; ma la signora non vi dette importanza: la notte avanti, nel preparare una compressa da applicare sulla nuca di Sir Hector, aveva rovesciato inavvertitamente una catinella d'acqua. La preoccupava molto, invece, che la cosa si risapesse, e non faceva che raccomandarle il silenzio. Nessuno, tranne il reverendo Kingsdale, che non avrebbe certo fiatato, nessuno doveva sapere che, da quella notte, Sir Hector non era più uscito dalla sua casa. E Mary non aveva aperto bocca. — E nessuno sospettò di nulla? — fece l'ispettore un po' incredulo. — Per quanto tempo andò avanti così? — Per un paio di settimane. Spesso andavo a origliare all'uscio del malato. Talvolta udivo un gemito, talvolta nulla. — E il medico che diceva? — Veniva sempre la sera tardi, quando io ero già andata via. Ma un giorno venne un po' prima e lo vidi anch'io. Era un bel giovanotto, bruno, magro, molto affabile. La signora non era in casa, ed egli si trattenne a lungo nella camera del malato. Quando scese, mi disse che Sir Hector stava molto meglio e che oramai era fuori pericolo. Ricordo che in quel momento il telefono suonò e, siccome io non so tanto fare, lui rispose per me e poi venne in cucina a domandarmi se conoscevo una certa signora Hebberden. — E poi? — fece l'ispettore a voce bassa. Lui non osava quasi far domande, per timore di rompere quella specie d'incanto che pareva tenere la donna. Lei rievocava gli oscuri ricordi della misteriosa vicenda e nel suo volto si rispecchiava il terrore di quei giorni tremendi. Mary esitava ora a riprendere il suo racconto, come se un ricordo più terribile degli altri le rinnovasse un più atroce spavento. — Era il tre di maggio — riprese infine — non dimenticherò mai quella data! Saranno state le sei del pomeriggio. Ero sola in casa. La signora era uscita dicendomi che non sarebbe tornata per pranzo. Ormai m'ero abituata J. L. Rickard
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alla presenza invisibile di quell'ospite misterioso e non ci pensavo quasi più. Il reverendo Kingsdale era tornato due volte a chiedere di Lady Montague; ma io, fedele agli ordini ricevuti, non l'avevo mai lasciato entrare. Mi sentivo un po' a disagio, così sola, e, senza sapere bene il perché, avevo paura. La signora mi aveva dato il permesso d'andarmene prima del solito e ne approfittai con piacere. Ma, quando fui per uscire, quel silenzio che regnava così assoluto in tutta la casa mi dette un brivido. Pensai che quel povero signore, di sopra, poteva anche esser morto, e l'idea di lasciarlo solo, nella casa deserta, mi agghiacciò. Mi fermai nell'atrio, con l'orecchio teso. Non so perché, mi pareva di dovere, da un momento all'altro, udire qualcosa. Infatti udii, a un tratto, la porta della camera del malato aprirsi di schianto, e poi un passo pesante e malfermo scendere le scale. Ero rimasta immobile, senza fiato per lo spavento. E vidi finalmente lo sconosciuto. Pareva uscito dalla tomba. Aveva i capelli scarmigliati, la barba lunga; era in abito da sera tutto sgualcito e strappato e, sebbene si reggesse con una mano alla ringhiera, appoggiandosi con l'altra al muro, faceva una gran fatica a tenersi ritto. "Chi siete?", mi chiese aspramente, "venite a darmi una mano." Io corsi da lui e lo aiutai alla meglio a sedersi. Stette qualche minuto in silenzio, coprendosi gli occhi con la mano, poi mi domandò se ero sola in casa. Gli risposi di sì e mi offrii di andargli a prendere un po' di cognac, nel salotto da pranzo. Accettò. La mano mi tremava tanto che, nel riempirgli il bicchierino, ne versai più della metà. Lui mi guardava e taceva. Quel silenzio mi atterriva più di qualunque scoppio d'ira. C'era tanta sofferenza, tanto furore concentrato in quello sguardo che non potevo sostenerlo. Mi domandò quanto tempo era stato malato. "Tre settimane", gli dissi; e lui mi lanciò un'occhiata furibonda. "Andate subito a chiamarmi un taxi", ordinò. Io gli obiettai timidamente che la signora era uscita. "Già!", esclamò con un riso sarcastico che mi rimescolò tutta, "e sarà disperata, poverina, di non trovarmi più al suo rientro!" Corsi a cercare il taxi e, quando tornai, lo trovai col pastrano indosso e il cappello in capo. Li aveva scovati nella cassapanca, dove la signora li aveva nascosti. "Dite alla vostra padrona che ci rivedremo, e faremo i conti!..." Pioveva a catinelle. Lo vidi uscire barcollando, entrare faticosamente J. L. Rickard
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nell'automobile, dicendo all'autista di portarlo allo stabilimento dei bagni turchi in Hill Street, poi la macchina si allontanò sotto la pioggia. Io rimasi come inebetita. Mary si appoggiò affranta allo schienale della sedia, coprendosi gli occhi con la mano. Frazer la lasciò tranquilla per qualche minuto, poi le domandò: — E lei che fece allora? La ragazza si sollevò con un gran sospiro. — Eh, che vuole che facessi? Non potevo mica impedirgli d'andarsene!... — No, si capisce! Dico che cosa fece lei, in casa, dopo la partenza di quel signore. — Mi tolsi il cappello, me ne tornai in cucina, mi rimisi il grembiule e salii nella camera del secondo piano. Avesse visto quella camera! Tutto sottosopra, le coperte in un mucchio per terra, i guanciali macchiati di sangue, il pavimento tutto sudicio e bagnato; e un certo odore nell'aria: un odore che dava alla testa e la rendeva pesante! Spalancai subito le finestre e mi accinsi a fare un po' di pulizia. La signora m'aveva detto che il malato non poteva prendere che un po' di latte e che il medico lo sosteneva a furia d'iniezioni; e ciò spiegava forse quello strano odore. Le confesso che mi passarono per la testa molti brutti pensieri; ma il mio dovere era di lavorare e non di andare a cercare la ragione di certe cose, e non volli pensare male. La signora mi avrebbe certamente spiegato tutto. Soltanto mi chiedevo che cosa avrebbe detto il medico di quella fuga! Mary parlava sommessamente, quasi rievocasse quei ricordi solo per se stessa. — La signora era tornata finalmente ed era salita di corsa al secondo piano. Aveva un viso stravolto che mi fece paura — continuò Mary — e mi domandò con un'insolita asprezza che facessi lassù. Le narrai, tutta tremante, della partenza del malato. Lei si adirò moltissimo e mi sgridò terribilmente perché l'avevo lasciato andare. Ma che ci potevo fare io? Sembrava un pazzo! La signora intanto, s'era un po' calmata e mi parlò in tono più gentile. "È realmente un pazzo, Mary", mi disse, "un pazzo pericoloso! È un grosso guaio per tutti ch'egli sia uscito!" Povera signora, era disperata! — La signora Chance andò subito al telefono, non è vero? — disse J. L. Rickard
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Frazer. — Sì, signore, la udii parlare a lungo, nel salottino. — E non udiste, per caso, quel che diceva? — No, signore, non capii nemmeno una parola. Io mi offrii di restare con lei la notte, ma non volle. Speravo che il dottore sarebbe venuto, più tardi; ma la signora mi disse di avergli telefonato che il malato si sentiva bene e che se n'era andato. "Va pure, Mary", mi disse, "nulla dev'essere mutato, nelle apparenze. Forse accadranno delle cose gravi, ma bada: qualunque cosa avvenga, tu non sai nulla! Ricordati, non parlare con nessuno." Frazer si alzò. Mary non aveva più niente da dirgli. Del delitto di Shelton Gardens lei non poteva sapere nulla. — E quel signor Joseph Rousselle, a cui lei scrive spesso — le domandò dopo un breve silenzio — non poteva fare nulla per la signora Chance? Mary Elder balzò in piedi spaventata. — Ma io non le ho mai detto... — No, cara signorina, s'intende; lei non me l'ha detto, ma io lo so ugualmente. Domandavo soltanto se il signor Rousselle non avrebbe potuto far qualcosa per quella povera signora. — Io non l'ho mai veduto, glielo giuro! — esclamò la donna. — Mio Dio, come ho fatto a raccontarle tutte queste cose? — Stia tranquilla, figliuola, ha fatto benissimo. Ma quando l'ispettore fu uscito, Mary Elder scoppiò in un pianto disperato.
25. Maxime French dovette tornare parecchie volte a Shelton Gardens prima che Lady Montague consentisse a riceverlo; e poi dovette usare tutte le sue facoltà persuasive per vincere il suo scontroso ritegno e indurla a parlargli con piena fiducia. Non era stato facile superare quel sentimento di avversione che lei nutriva contro di lui. Troppe cose glielo rendevano odioso: la sua vita irregolare, la sua fama di scapestrato; ma, soprattutto, la triste ed inutile fiaba che lei stessa aveva messo in giro, servendosi del suo nome. Però un biglietto di lui, che le chiedeva un colloquio "dovendo riferirle cose importanti riguardo una certa signora Hebberden", aveva vinto la sua J. L. Rickard
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ultima resistenza. Maxime entrò nel grande salotto con un sentimento di viva curiosità e, guardandosi attorno, pensava che quella stanza elegante e serena era una cornice singolare per la figura di un'assassina. Quando poi vide Lady Montague, pur riconoscendo immediatamente in lei la donna indicatagli da Harrington come la signora Hebberden, ebbe la certezza più assoluta della sua innocenza. — Perché ha voluto venire qui? — domandò Vanessa. — Che cos'ha da dirmi sul conto della signora Hebberden? — Nulla, poiché la signora Hebberden è lei. Lei lo guardò senza battere ciglio. — Ha forse conosciuto il mio primo marito? — No, signora — rispose French sedendole accanto. — Sere fa, stavo laggiù nel piazzale con Daniel Harrington e guardavamo la sua casa. Lei uscì, Harrington la riconobbe e mi disse il suo nome. — Il mio antico nome — disse lei con tristezza. — Non è più il caso di farne un mistero; me ne servii soltanto per evitare incresciose spiegazioni. Perché mi guarda in quel modo? — Vanessa sentiva svanire a poco a poco nell'anima sua la diffidenza e le prevenzioni, e si abbandonava all'amaro piacere di parlare a cuore aperto. — Ora mi si accusa di aver ucciso mio cugino. Sarò giudicata e forse condannata — continuò — tutto può accadere e ormai nulla più mi sorprende. Talvolta mi stupisco perfino che qualcuno mi creda innocente! Tagliata fuori dal mondo, circondata soltanto da sospetti e da più o meno manifeste antipatie, Vanessa non vedeva ormai altri che la povera Madame Cassali, la sola che le fosse rimasta fedele. Nemmeno Frazer s'era più fatto vivo e lei, pur reputandolo il peggiore dei suoi nemici, ne sentiva quasi la mancanza. Ora, il parlare con una persona amica e benevola le dava un conforto immenso; le faceva sentire che l'antica Vanessa, spensierata e amante della vita, non era morta dal tutto in lei. Dopo l'orrore di quelle ultime settimane di angoscia, di sospetti e di spavento, la sentiva rivivere in sé e palpitare. Maxime le era simpatico. Aprirsi a lui le sembrava facile, tanto più che si mostrava informato quanto lei stessa di tutti gli avvenimenti che le avevano devastato la vita. Scesero nello studio, e lei gli descrisse la tragica scena. — Vede? La pistola era qui, in questo cassetto della sua scrivania. Chi J. L. Rickard
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l'ha ucciso doveva saperlo! E la colpa è tutta di quella donna: la Chance! Ne sono sicura come lo sono di essere viva! Non vorrà, lei, aiutarmi a trovarne le prove? Maxime la guardava con sincera simpatia e si sentiva pronto a tentare qualunque cosa per far trionfare la sua innocenza. Il dramma si poteva ricostruire facilmente. Montague, seduto alla scrivania, voltando le spalle alla finestra, stava parlando al telefono e non aveva udito il lieve fruscio della tenda scostata. L'assassino aveva quindi potuto avanzare silenziosamente e colpirlo a bruciapelo. Vanessa, accorsa al rumore dello sparo, aveva perduto i sensi e il suo svenimento aveva permesso all'ignoto di fuggire prima dell'arrivo di Barr. Una buona stella aveva voluto che, in quel momento, Renny, la guardia notturna, si trovasse all'estremità opposta del piazzale; sicché l'assassino aveva potuto sgusciare fuori inosservato e andarsene tranquillamente dall'altra parte. Svoltato l'angolo, era in salvo. — Se potessi, anche lontanamente, supporre un movente qualsiasi in Rousselle, non esiterei un momento a ritenerlo autore del delitto — disse Maxime, mentre tornavano in salotto. — Del resto, ci sono delle forme di pazzia che spingono un uomo a uccidere per il solo morboso bisogno di vedere il sangue. Mi piacerebbe vedere da vicino quell'individuo. — Anch'io vorrei che lo vedesse; ma, creda, non può essere stato lui... a meno che non ve l'abbia indotto quella donna! French comprese che con lei era inutile discutere. Non vedeva le cose che da un unico punto di vista e, ossessionata da quell'idea fissa, non poteva più ragionare. La lasciò a malincuore, con la promessa di tornare presto a riferirle quanto gli fosse riuscito di raccogliere. L'afa del caldo pomeriggio gravava sulla città. Un velo di polvere ricopriva il fogliame degli alberi assetati. Maxime French si sentiva la testa pesante e pensò che un buon bagno turco gli avrebbe rischiarato le idee. Si diresse quindi verso lo stabilimento di Hill Street. Lady Montague, così sola e minacciata, con quel suo atteggiamento dignitoso nel suo immenso dolore, l'aveva subito conquistato, destando nel suo animo cavalleresco un vivo desiderio di spezzare una lancia in suo favore. Il bagno caldissimo gli dette un senso immediato di benessere e, bevendo il suo caffè nel sontuoso tepidario, si sentiva realmente un altro uomo. A un tavolino accanto al suo stava seduto un ometto tarchiato, dalla J. L. Rickard
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faccia quadrata ed energica, in cui brillavano due occhietti acuti come spilli. Chiacchierava affabilmente con uno degli inservienti e lo faceva ridere coi suoi aneddoti piccanti. Ora gli stava narrando d'un tale che era rimasto in casa d'una certa signora di manica un po' larga, ubriaco fradicio, per quindici giorni di seguito. — M'hanno detto, anzi — continuava ridendo — che vi capitò qui in uno stato da far paura, e che doveste lavorargli attorno per mezza giornata, prima di fargli riacquistare un aspetto decente. Non vi ricordate, per caso? Dovevano essere i primi di maggio. — Ma sì, è vero, signore; me ne ricordo benissimo! — esclamò il bagnino. — Noi non badiamo troppo all'aspetto dei nostri clienti, ma quello m'è rimasto proprio impresso! Aveva una faccia, poveretto! Ci disse anzi ch'era stato ammalato. Ricordo che mandammo un fattorino al suo circolo a prendergli dei vestiti, perché i suoi erano ridotti in uno stato!... — Ah, dunque è vero? Mi fa proprio piacere, perché ho vinto una scommessa. E ha mangiato qui, naturalmente. Il bagnino assentì e continuò a parlargli sottovoce. Maxime non riuscì a cogliere quasi nulla, ma udì benissimo il nome di Montague. Ma chi era quell'ometto che mostrava un così vivo interesse per il fatto che anche a lui stava tanto a cuore? Bisognava tentare di avvicinarlo. L'inserviente se n'era andato e l'ometto pareva meditare profondamente. — Deliziosi, questi bagni, non è vero? — disse Maxime accostandosi al tavolino di Frazer e sedendoglisi accanto. — Sono venuto qui per ripulirmi bene dalla polvere di Parigi. Frazer lanciò un'occhiata di traverso all'importuno, e stava già per rispondergli poco garbatamente; ma l'altro seguitò senza scomporsi: — Sicuro, perché io, di solito, vivo a Parigi. L'inverno scorso, però, lo passai a Budapest. Lei raccontava, or ora, al bagnino, delle curiose storielle; ma scommetterei che non ne ha mai udita una più strana di quella che è capitata a me. S'immagini che, tornando a Londra pochi giorni fa, ho saputo che mi avevano coinvolto in un terribile dramma, del quale io non avevo udito nemmeno parlare... Gli occhietti grigi e penetranti di Frazer lo scrutarono con intensa curiosità. — Conosceva Sir Hector Montague? — gli domandò. — So che anche lui passava spesso qualche tempo a Parigi. — Oh, eravamo vecchi amici! J. L. Rickard
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L'ispettore si chinò in avanti e gli afferrò un braccio. — Ma allora lei è il signor Maxime French — disse gravemente. — Benissimo; avevo proprio bisogno di parlare con lei. Le ore passavano, e le prime ombre del crepuscolo trovarono i due uomini ancora seduti al tavolino a discorrere. Maxime, nella sua abituale leggerezza, non s'era mai curato di studiare il carattere del suo amico Hector; ma le abili e insistenti domande di Frazer suscitarono dal fondo della sua memoria una quantità di episodi e di precedenti che potevano dare di lui un ritratto assai vivo. — Non si creda in dovere, perché parla di un morto, di mostrarmene solo il lato migliore! — gli disse l'ispettore. — Qui si tratta di sapere la verità; e conoscere i particolari della vittima può essermi di grandissimo aiuto nella ricerca dell'assassino. Compagni di scuola fin dalle prime classi elementari, i due amici erano vissuti per molti anni nella più completa intimità; e Maxime, senza rendersene conto, conosceva profondamente tutte le qualità e i difetti di Hector Montague. Più furbo che intelligente, questi voleva, tanto nei giochi che nello studio, primeggiare sui compagni, ma, non potendo sempre riuscirvi con mezzi leciti, non esitava talvolta a ricorrere all'astuzia e all'inganno. Fin da ragazzo aveva incominciato a correre dietro alle gonnelle, ed era stato anzi allontanato dalla scuola in seguito a un fatto un po' losco. Poi, trovandosi in cattive acque, era riuscito a procurarsi un posto d'istitutore presso una ricca famiglia. — Sa se ci fosse anche una ragazza, in quella famiglia? — domandò Frazer. — Sì; e mi pare di ricordarmi che Hector cominciò subito a farle il cascamorto. Una volta mi disse che era bellissima e indiavolata, e che aveva i capelli color rame. Dopo qualche tempo, tutta la famiglia partì per Cuba ed Hector dev'essere andato con loro, perché per molti anni non ne seppi più nulla. — Non ricorda come si chiamassero quei signori? — No. Sa, sono passati almeno quindici anni, da allora. Un bel giorno ci ritrovammo a Parigi, dov'egli era tornato senza un quattrino e assai male in arnese. Però, quantunque in bolletta, era sempre lo stesso incorreggibile donnaiolo. Una volta gli domandai, così, per burla, se non aveva mai pensato a prendere moglie. Mi rispose che era già sposato da parecchi anni. J. L. Rickard
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— E la moglie dove l'aveva lasciata? — Chi lo sa? Lui certo non lo sapeva! Un bel giorno scomparve e seppi più tardi ch'era andato a vivere con un vecchio cugino ricchissimo. Una bella bazza gli era toccata! I due giovani s'erano riveduti dopo qualche anno in condizioni assai mutate; e Montague era stato molto generoso con l'amico, che attraversava allora un periodo piuttosto difficile, e l'aveva largamente soccorso. — Fu in tale occasione che mi parlò di "Madonna Luna" — continuò Maxime. — "È innamorata cotta di me", mi disse, "ma non è il mio tipo. Bella, sai; ma una sciocca sentimentale, che prende tutto in tragico e non ha un briciolo di spirito. Mi dà ai nervi! E poi, ho avuto la disgrazia di ritrovare la donna del mio primo amore e non vivo più che per lei!" Io lo canzonai, mettendo in dubbio ch'egli avesse realmente avuto un vero amore; ma mi accorsi che diceva davvero. "Non so che diavolo abbia", mi confidava, "ma sono innamorato pazzo di lei, come tanti anni fa. Il guaio è che allora fui un imbecille, e adesso lei non ne vuole più sapere. Ma per amore o per forza, la riavrò!" — Bei propositi! — osservò Frazer. — Da quel giorno non lo rividi più — concluse French. — Le pare che quanto le ho raccontato possa esserle utile? — Eh, sì — rispose l'ispettore — in un modo o nell'altro, credo che riuscirò a cavarne qualche cosa. Spero che ci rivedremo presto. Intanto cerchi di tener sollevato un po' l'animo a Lady Montague. Poveretta, dev'essere molto in collera con me; ma non potevo agire diversamente. Finirà per convincersene anche lei. — Che fosse lei "Madonna Luna"? — fece Maxime, sovrappensiero.
26. Uscirono insieme dallo stabilimento e si separarono subito. Maxime, prima di pranzo, voleva fare una visitina al vicario di Saint Anselm; Frazer s'avviò verso Terrington Square. La sera era afosa e pesante come lo era stato il pomeriggio; l'aria era soffocante ed immobile. Frazer prese per il terrapieno che costeggiava il Tamigi. Una nebbietta leggera saliva dalle acque calme del fiume, e la musica tenue delle onde gli accarezzava dolcemente l'orecchio. L'ispettore suonò il campanello di casa Bryant e una cameriera tutta J. L. Rickard
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agghindata lo condusse nel solito salottino. La signora stava vestendosi per andare a pranzo da amici e tardò un poco a comparire. Arrivò, finalmente, tutta scintillante di ori e di pietre false, con uno scialle di seta color solferino drappeggiato sullo sgargiante vestito verde raganella. — C'è qualcosa di nuovo, caro Frazer? — domandò. — Non molto, ma qualche cosa c'è. French è a Londra, e ho potuto accertarmi che la storia del viaggio di Montague a Parigi fu tutta una fandonia. Del resto, ne ero ormai sicuro. Lei potrebbe parlare stasera stessa alla signora Chance? — Se proprio lo desidera, posso tentare. Che cosa dovrei dirle? — Oh, niente, dovrebbe semplicemente farle una domanda. Se ci andassi io, si allarmerebbe; ma lei può farlo senza metterla in sospetto. — Naturalmente, ci vorrà un certo tatto... — S'intende, ma lei è maestra in queste cose! — fece Frazer con un sorrisetto adulatore. — La difficoltà sta tutta nell'intavolare abilmente il discorso; e nessuno certo saprebbe farlo meglio. Lei deve semplicemente domandarle se si rammenta dell'istitutore che seguì la sua famiglia a Cuba una quindicina d'anni fa. — Ma codesto personaggio esisteva realmente, o l'ha inventato lei? — Io non invento mai nulla — rispose l'ispettore sorridendo — mi servo soltanto di un vecchio giochetto che, fatto con abilità, dà sempre ottimi risultati; so che di lei mi posso fidare. Osservi bene il contegno della signora e mi riferisca quel che le avrà risposto. Forse lei non sa che la sua bella amica, da ragazza, visse con la sua famiglia a Cuba. Lisa avrebbe voluto sapere molte altre cose, ma Frazer tagliò corto e si congedò in fretta, promettendo di tornare l'indomani mattina. Non era, a dire il vero, troppo simpatico fare lega con un detective per tendere un tranello ad un'amica; ma la Bryant non era donna da guardare tanto per il sottile; anzi, in fondo, non le dispiaceva quell'occasione per turbare un poco la calma olimpica della bella Joyce, per la quale, nonostante tutte le sue smancerie e le sue proteste d'affetto, non nutriva che un profondo sentimento d'invidia. Andò, come aveva in programma, a pranzare da certi suoi amici, ma, col pretesto di un improvviso mal di capo, li lasciò di buon'ora e si precipitò in Hamilton Street. Trovò Joyce in casa, sola. — Che cosa dirai, cara, che non mi sono più fatta vedere? — cominciò J. L. Rickard
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Lisa, entrando tutta ansante nel salottino. — Che vuoi, sono sempre tanto impegnata! Ma stasera ho piantato tutti e sono venuta a farti un saluto. — Sei molto buona — rispose Joyce senza entusiasmo. Bellissima, nella leggera veste d'un viola pallido, lei appariva, come sempre, calma e serena; ma allo sguardo penetrante di Liza non sfuggì un impercettibile turbamento, sotto quell'aspetto impassibile. — Come va, cara, Joyce? Posso sperare, dunque, di vederti al mio prossimo ricevimento? — Ma sì, ho tutta l'intenzione di venirci. — Sai? soggiunse l'altra — ci sarà Madame Cassali, che s'è finalmente rimessa ed è in grado di riprendere le sue sedute. — Ah! — fece Joyce — credevo che avesse deciso di smettere, ora che ha svelato il trucco! Era stata una graziosa trovata, però! — Trucco? — ribatté Liza senza scomporsi, accendendo una sigaretta. — Ma che trucco d'Egitto! Quella stupida s'era spaventata per quel suo svenimento e non aveva più fiducia nelle proprie facoltà. Ma sono tutte storie! Come ben sai, io non credo affatto alle sue predizioni, tuttavia non posso negare che abbia un dono straordinario. Non so proprio che cosa sia! — Davvero non lo sai? — fece Joyce con un sorrisetto ironico. — Ho capito, tu credi che io le dia l'imbeccata, non è vero? Devo confessare che, fino a un certo punto, non hai torto, ma ho notato che, nelle sue rivelazioni, lei va ben oltre quello che io le dico; e qui, vedi, io stessa non ci capisco più niente. Joyce non replicò. Evidentemente non desiderava insistere su quell'argomento. — È proprio straordinario — continuò la Bryant, risoluta a tenderle la trappola a qualunque costo. — Ieri sera, per esempio, mi sono divertita un mondo a farle fare qualche esame grafologico, e le ho dato da esaminare, fra le altre, una tua lettera — senza dirle, naturalmente, di chi fosse. — Ebbene, mi ha detto cose che io ignoro assolutamente, tanto che mi domando ancora se sono vere, o se sono delle scempiaggini che s'è sognate lei. — Oh, saranno certo delle solite sciocchezze — fece Joyce con una smorfietta di scherno. — Senti, cara, tu forse non sai che la signorina Garret, non più tardi di ieri, ha fatto una scenata da pazza in camera del mio vicino Harrington. Da pazza, ti dico! E ha lanciato delle stupide accuse, a proposito di quello sciagurato affare di Shelton Gardens, contro J. L. Rickard
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persone che non c'entrano affatto. Capisci? Quella è un'isterica, e, se tu le sei amica, faresti meglio a non incoraggiarla in quel gioco pericoloso, perché, se non la smette di fare la Cassandra, quella zitellona del malaugurio, finirà in un manicomio, te lo dico io! Lisa non aveva mai veduto Joyce irritata a quel modo; ma non mostrò di accorgersene e continuò a fumare senza dire nulla. — Una volta — continuò la Chance, riprendendosi un poco e tentando di volgerla in burletta — mi commovevo sulla sorte dei profeti dell'Antico Testamento, lapidati dalla plebe inferocita, ma ora capisco che se lo meritavano. La Bryant fece una spallucciata. — Ma si può sapere che cosa ha raccontato quella stupida al tuo amico Harrington? Scommetterei che ha preso una cotta per lui e ha fatto quella scenata per rendersi interessante. Sarebbe proprio un tiro da vecchia zitella isterica! Ma non vuoi che ti racconti dell'esame grafologico? T'è passata la stizza? — Joyce sospirò. — M'è passata, sì, ma credi, m'interessa così poco la vostra grafologia! — La Garret ne aveva poca voglia, veramente — continuò l'altra senza badarle — ma, per farmi piacere, diede un'occhiata alla lettera. — Ma sì — l'interruppe Joyce soffocando uno sbadiglio — ci avrà visto fra le righe un uomo bruno e una donna bionda; il tradimento di un amico, un viaggio all'estero e i numeri del lotto! Le solite cose, le so a memoria. — Niente affatto — fece la Bryant curvandosi verso di lei per osservarla meglio. — Ha detto "Vedo fra le righe la parola 'Cuba'. È ripetuta parecchie volte, scritta con un carattere incerto, quasi infantile". Joyce le fissava in volto i suoi grandi occhi tranquilli, nei quali non si poteva leggere altra espressione che quella di una noia infinita. — "Vedo una giovanetta sui diciott'anni", continuò la Garret, "vestita di bianco, in un grande giardino. I suoi capelli color rame brillano al sole; il suo viso è bellissimo..." e qui la descrizione perfetta di quella che dovevi essere tu a diciassette o diciotto anni. Nota bene che, come t'ho detto, lei non sapeva che la lettera fosse scritta da te! — Ah! — fece Joyce con aria perfettamente indifferente. — E poi — riprese la Bryant — vedeva un fanciullo, il fratello minore della ragazza, passeggiare a fianco d'un giovanotto, che doveva essere il suo istitutore. E infine, "come in un lampo" — ha detto proprio così — ha intuito che la ragazza e l'istitutore erano... J. L. Rickard
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— Erano?... — fece Joyce, arrossendo lievemente. — Eh, si capisce: erano innamorati! — Lisa, non mentire! — gridò la Chance scattando in piedi. — Ripetimi ciò che ha detto quella donna! — Il suo volto s'era alterato in modo tale che Lisa n'ebbe quasi paura. — Fuori tutto! — fece Joyce con voce soffocata — voglio sapere tutto! Ne ho il diritto! Giura che la Garret non sapeva che quella lettera era mia! — Ti assicuro che non sapeva nulla. Disse che vedeva i due giovani come attraverso un velo di nebbia; ma ne distingueva perfettamente il volto. — E ti descrisse anche quello di lui? — Sì, ma le ho promesso di non rivelare nulla a nessuno e non parlerò. D'altra parte, anche se ci fosse qualcosa di vero in tutto ciò, se realmente tu sei stata innamorata dell'istitutore di tuo fratello, non mi sembra che la Garret abbia dato prova d'uno straordinario acume. Sono i soliti romanzetti di tutte le ragazze: l'istitutore, e poi il maestro di piano... e così via. — Ma te l'ha descritto? — ripeté Joyce. — Sì. — Allora devi ripetermi le sue precise parole. — Ma, Joyce, che cos'hai? — fece la Bryant accorrendo verso di lei. — Sei bianca come una morta! Ti senti male? Lascia che chiami la cameriera. Vuoi prendere qualcosa? — E ti ha detto il suo nome? — insistette Joyce senza rispondere alle sue premure. — Sì, anche il nome. Lisa Bryant giocava d'audacia e andava assai oltre i limiti della propria missione. Una frenesia di sapere tutto a qualunque costo le toglieva ogni senso di misura; un desiderio crudele di sopraffare l'invulnerabile Joyce, di vederla cadere fino in fondo alla trappola che le aveva teso con così maligna abilità. Ma l'altra si riprese subito e simulò una curiosità meno viva e quasi distratta. — Strano! — osservò. — Non ci capisco un bel nulla. Ma bisognerebbe sapere anche il resto. — Ho promesso a Emily di non tradire il suo segreto — rispose Liza giocherellando con gli anelli. — Eh, via! Poiché m'hai detto tanto, puoi andare fino in fondo. Se ha indovinato giusto, ti prometto di dirtelo. Vedi, m'hai già convertita; ritiro le J. L. Rickard
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mie proteste d'incredulità. Sono perfettamente convinta delle straordinarie facoltà di Madame Cassali. Joyce parlava sorridendo; ma i suoi occhi fissavano l'interlocutrice con un'ansia indicibile. Liza stette qualche istante in silenzio, terribilmente perplessa, sotto lo sguardo interrogatore dell'amica. Che cosa doveva rispondere? Era Rousselle? Era Montague? Era un terzo, sconosciuto? Non sapeva davvero che pesci pigliare. — Ma, dal momento che lo sai — fece — che bisogno c'è che te lo dica? — Per darmi una nuova prova del potere della Garret. La Bryant giocò l'ultima carta, a caso: — Poiché vuoi proprio saperlo, ti avverto però che io non l'ho creduto, la Garret ha detto che l'istitutore di tuo fratello era Hector Montague. Se l'avessero schiaffeggiata, Joyce non avrebbe potuto rivoltarsi con maggior violenza. — Non è vero! — gridò fuori di sé. — Ha mentito! Come osa, quella sfacciata, inventare simili infamie? E che cosa ti ha detto ancora? Quali altri menzogne ha saputo inventare? Io ho conosciuto Hector Montague soltanto pochi mesi fa, e non permetto che si mettano in giro delle calunnie sul conto mio! Hai capito? — Ritta nel mezzo della stanza, con gli occhi fiammeggianti di sdegno, Joyce era più bella che mai. — Ma lasciatemi in pace, una buona volta! — riprese con le lacrime nella voce. — Perché mi tormentate così? Che cosa vi ho fatto, infine? Anche tu sei d'accordo con tutti gli altri; e quella tua Garret è un'impostora! — E nascose il volto fra le mani singhiozzando disperatamente. L'altra le si avvicinò carezzevole. — Ma, cara, che cosa dici? Via, sii ragionevole; perché dovremmo inventare delle calunnie a tuo danno? In fin dei conti, che cosa s'è detto di male? Non c'è motivo di agitarsi in questa maniera! Joyce si lasciò cadere, affranta, sul divano. — Hai ragione — mormorò con voce fioca — perdonami. Ho fatto male a lasciarmi trasportare così. Ma che vuoi; quello sciagurato affare di Shelton Gardens mi ha scosso i nervi in modo tale che non mi riconosco più. Scusami, Liza. Ed ora va via, te ne prego! Ho bisogno di stare sola; di riposare un poco. — Ma non sei mica in collera con me, vero? Verrai alla mia serata? — Sì, sì, ci verrò, sta tranquilla — rispose Joyce; poi, come se una voce interiore le avesse parlato, soggiunse: — per quanto... farei forse meglio a J. L. Rickard
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non venirci! — Ma no! E che farei allora di Joseph Rousselle? — Già — ripeté la Chance — che ne faresti? — E fissò nel vuoto lo sguardo pieno di lacrime, come assorta in una visione dolorosa. — Buona notte, Joyce — disse la Bryant, già sull'uscio. — Se dessi retta a me, dovresti consultare un medico. Hai davvero i nervi un po' troppo tesi. L'altra continuò a fissare dinanzi a sé, senza rispondere.
27. Maxime French s'incamminò verso l'abitazione del vicario con una certa trepidazione. Non era impresa facile; ma era assolutamente necessario indurre il reverendo Kingsdale a tirare fuori quanto sapeva. Il sacerdote si sarebbe certamente rifiutato di tradire un segreto di cui era custode; ma il giovane sperava di riuscire a persuaderlo che il suo preciso dovere, in quel momento, era di parlare. Grosse gocce di pioggia cominciavano a cadere quando giunse in Hamilton Street, e l'odore un po' acre della terra bagnata gli vellicò gradevolmente le narici. L'aria s'era rinfrescata e una leggera brezza incurvava le cime degli alberi del parco vicino. Maxime suonò il campanello del presbiterio e fu introdotto in un piccolo studio semibuio, dove il vicario lo accolse con pacata cortesia. — S'accomodi — gli disse. — In che cosa posso servirla? Maxime esitò un poco, non sapendo come incominciare; poi si raschiò la gola. — Ecco, reverendo — rispose — io avrei bisogno del suo aiuto... In poche parole: io sono venuto a chiederle alcune importantissime informazioni. — Sentiamo. — Io mi chiamo Maxime French e sono amico devoto di Lady Montague. Lei ricorderà benissimo, reverendo, la fosca tragedia di Shelton Gardens: voglio dire l'assassinio del povero baronetto. Oggi, sua cugina, della cui innocenza io mi faccio garante, è accusata di aver commesso il delitto. Se non si riesce a fare luce su alcuni avvenimenti che precedettero il misfatto e che, indubbiamente, sono con esso strettamente collegati, la povera signora dovrà subire l'onta d'un processo. Mi consta che lei, reverendo, è al corrente di quanto accadde nella notte tra il 15 e il 16 aprile al numero 48 di Hamilton Street. In nome della giustizia, e per la salvezza J. L. Rickard
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di Lady Montague, vuol confidarmi tutto quello che sa in proposito? Il vicario, seduto alla scrivania, tracciava nervosamente dei segni con la matita su un foglio di carta. — Lei dimentica di parlare a un sacerdote, signore. Io non posso tradire un segreto che mi venne confidato. — Ah, me l'aspettavo — esclamò l'altro — me l'aspettavo che avrebbe accampato il pretesto del segreto professionale! Ma qui non è il caso, reverendo... Ascolti, mi permetta di spiegarle... Vede, io non vengo da lei in forma ufficiale... Noi vorremmo, se fosse possibile, risparmiare dei grossi guai anche alla signora Chance. Lei non deve pensare ch'io sia qui per tenderle un tranello e per strapparle delle rivelazioni compromettenti per quella signora; no. Noi vorremmo anzi metterla, possibilmente, fuor di questione. Ma, se lei non è disposto a parlare francamente, ci vedremo costretti, per proteggere Lady Montague dal grave pericolo che la minaccia, a far citare in giudizio la signora Chance. Lei comprende, reverendo, che la cosa assumerebbe, in tal caso, un ben diversa importanza. Il vicario stette alquanto in silenzio, meditando intensamente. — Lei mi assicura, sul suo onore — disse finalmente — che nulla di quanto io potrei dirle verrebbe mai usato a danno di colei che chiama la signora Chance? Mi garantisce che quella donna non verrà accusata, né, comunque, coinvolta in codesto triste affare? — Senta, reverendo, se non si riesce a stornare ogni sospetto da Lady Montague, la signora Chance verrà inevitabilmente chiamata in causa. Se invece noi sapremo esattamente come sono andate le cose, forse ci sarà possibile di evitarlo; ma per Lady Montague è questione di vita o di morte, e lei comprenderà bene che bisogna salvarla a qualunque costo. Potrebbe anche darsi che quanto avvenne quella notte in casa della signora Chance non avesse alcuna relazione col delitto; ma, perché lo si possa affermare, è necessario sapere tutto. Reverendo, io le do la mia parola d'onore che non farò mai nulla con il deliberato proposito di nuocere alla signora Chance. Più di questo non le posso promettere. — E così sia — disse. — Parlerò. Per qualche istante il più assoluto silenzio regnò nel piccolo studio quasi buio. Nell'ultima luce del crepuscolo, il volto scarno del vicario appariva grave di pensieri e di tragici ricordi. A un tratto sollevò il capo, si passò una mano nei folti capelli grigi e cominciò a raccontare rapidamente. J. L. Rickard
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Narrò della chiamata notturna per la morte dell'ammiraglio Lamington e del proprio ritorno nella gelida alba del 16 aprile, interrotto dall'apparizione, sull'uscio della casina dalle imposte azzurre, dell'elegante signora in abito da ballo che, tutta sconvolta, l'aveva pregato di entrare. Il vicario la seguì nell'atrio illuminato, dove la bellissima donna, tutta tremante, lo supplicò di prestarle il suo mantello e il cappello. "Per amor di Dio, m'aiuti a salvare un disgraziato!" gli disse. "È accaduto un gravissimo incidente ed è necessario che un uomo esca di qui senza essere riconosciuto. Per carità, mi dia il suo mantello e il suo cappello!" Affascinato e commosso da quella bella creatura così agitata e disperata, si tolse macchinalmente gl'indumenti richiesti. Sentiva di agire quasi inconsciamente, senza riflettere su quello che faceva. Avrebbe voluto protestare, spiegare alla donna come lui non potesse prestarsi a favorire forse la fuga di un delinquente, chiederle almeno qualche chiarimento; ma lei non gliene lasciò il tempo e, strappandogli quasi di mano la roba, corse giù per la scaletta che conduceva al sottosuolo. Rimasto solo, comprese d'essersi lasciato prendere la mano e di avere agito assai leggermente, e fu assalito da una quantità di dubbi e di scrupoli. Chi era quella donna, giovane e bella, che non gli chiedeva consigli o preghiere, ma soltanto il mezzo per facilitare la fuga a uno sconosciuto? E perché fuggiva costui? Che cosa era accaduto in quella casa? Fu tentato di scendere la scaletta, ma non volle avere l'aria di spiare. Non volle nemmeno, però, andarsene senza una spiegazione; e salì la prima rampa di scale, deciso ad attendere finché qualcuno comparisse. Sul pianerottolo vide una porta aperta, ed entrò in una stanza buia. Cercò a tentoni l'interruttore della luce e lo girò. Tre lampade velate di seta azzurra illuminarono una strana scena. Il piccolo salotto era tutto sottosopra: sedie rovesciate, tappeti spostati, gingilli sparsi al suolo; un vero campo di battaglia. Sul marmo del caminetto, una macchia scura e, sul pavimento, una larga chiazza di sangue. Indietreggiò inorridito, con gli occhi fissi all'orribile spettacolo. A un tratto, sentì qualcosa di freddo scendergli per il collo e si volse con un sussulto di spavento. Era solo. Alzò gli occhi al soffitto; sul bianco dell'intonaco, al centro d'una larga macchia, una goccia scura s'era da poco formata e stava per cadere. Quale dramma spaventoso s'era svolto nel piccolo salotto scompigliato? Il suo primo impulso fu di aprire la finestra per chiedere aiuto; ma si trattenne. La goccia caduta dal soffitto doveva avere un significato e J. L. Rickard
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bisognava scoprirlo subito: forse, in un camera del secondo piano, qualcuno stava perdendo sangue fino a morirne. Bisognava, anzitutto, correre in suo soccorso; poi avrebbe pensato ad avvertire la polizia. — Si metta nei miei panni, signor French, e immagini in quale stato d'animo io mi dovessi trovare. Saranno state le quattro del mattino; la via era deserta e silenziosa. Io mi trovavo in casa di gente sconosciuta, dove certamente era accaduto qualche fatto orribile. Forse, in quella stanza sopra il mio capo, un uomo stava morendo. Il mio dovere era di correre presso di lui; ma le confesso sinceramente che, se avessi potuto, avrei, invece, infilato l'uscio e sarei scappato senza voltarmi indietro! Uscendo dal salotto, il vicario udì salire dall'atrio un mormorio di voci sommesse. Si sporse dalla ringhiera e, nella mezza luce, scorse un'altra figura d'uomo con indosso il suo mantello e il suo cappello. Costui teneva fra le braccia la bella signora vestita di bianco e la baciava e ribaciava con passione quasi selvaggia. C'era, in quei baci frenetici, la disperazione di un distacco senza ritorno. Il vicario distolse lo sguardo da quella scena, alla quale non si sentiva in diritto di assistere, e si affrettò su per la scala. Aprì con mano tremante l'uscio della stanza sovrastante il salotto. Buio pesto! Un filo di luce filtrava dalla via, attraverso le imposte chiuse, lasciandogli distinguere appena la forma confusa di un letto, con accanto una sedia e, su questa, una piccola lampada. Con le gambe che gli si rifiutavano, fece qualche passo e accese la lampadina non osando guardarsi intorno. Un uomo era buttato supino sul letto, con il capo penzoloni, da cui il sangue gocciolava lentamente sul pavimento nudo. Aveva il volto livido, le vesti in gran disordine e un largo strappo alla giacca sopra una spalla. Era grande e grosso e, pur nel miserabile stato in cui era ridotto, conservava l'aspetto di persona sana e di condizione molto agiata. Il primo pensiero del vicario fu che quell'uomo fosse morto. Dunque lui aveva prestato i propri indumenti ad un assassino, per agevolargli la fuga! Si avvicinò alla finestra, risoluto a dare l'allarme; ma un gemito dello sconosciuto lo fece accorrere prontamente al suo letto. Alla luce della piccola lampada, esaminò accuratamente la ferita e constatò, con indicibile sollievo, che era assai meno grave di quanto temeva. Non era che una profonda abrasione, dovuta, molto probabilmente, all'aver battuto il capo contro lo spigolo del caminetto. Il polso aveva un battito regolare e le condizioni del ferito apparivano buone. J. L. Rickard
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Il vicario cercò di sollevare alla meglio il corpo pesante e di metterlo in una posizione meno scomoda; fasciò la nuca sanguinante col proprio fazzoletto di bucato, meravigliandosi tuttavia, in cuor suo, che un uomo così grande e grosso e robusto fosse ridotto in simili condizioni per una ferita così leggera. Depose a terra la lampada e sedette accanto al letto. Nello spostare la seggiola urtò in un bicchiere che vi stava sotto. Si chinò a prenderlo e lo fiutò. Conteneva gocce di un liquido incolore e denso, con un leggero odore particolare che lui riconobbe subito per bromuro. Ecco dunque la causa dell'insensibilità del ferito! Invece di dargli un tonico, gli avevano somministrato una forte dose di una sostanza sedativa che l'aveva immerso in una specie di torpore. Il sacerdote fissava perplesso il bicchiere, quando un lieve fruscio gli fece alzare gli occhi. Sulla porta, immobile come una statua, stava la bella signora, più bianca della sua veste. — È ancora qui? — mormorò con voce malsicura. — Che cosa è accaduto in questa casa? — domandò Kingsdale severamente. — Chi è quest'uomo? — È mio marito, Sir Hector Montague — rispose lei in un soffio. Poi continuò precipitosamente: — Non voglio nasconderle nulla. L'altro, che lei ha così generosamente aiutato a fuggire,... è anche lui... mio marito. L'orrore che quelle parole gl'ispiravano era mitigato dal tono di assoluta sincerità con cui lei le aveva pronunciate. E il vicario non volle esprimere subito un giudizio severo. — Quest'uomo non è ferito gravemente, ma è narcotizzato — disse con voce ferma. — Lo so. — Lei congiunse le mani in atto supplichevole. — Lo so, io stesso gli ho dato il narcotico. Era necessario. Urlava come un indemoniato, m'ha fatto quasi morire di paura! Non volevo fargli del male, ma soltanto che tacesse, che dormisse! Oh, non mi guardi così! Non fu che un incidente... creda... — Usciamo di qui, signora, e mi racconti tutta la storia — disse il vicario Kingsdale con fare paterno.
28. Il vicario seguì la moglie di Sir Hector nel salottino, dove la luce blanda J. L. Rickard
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delle lampade velate pareva irridere al tragico scompiglio della stanza civettuola. Joyce si lasciò cadere su una poltrona, disfatta. Tutta la fittizia energia che fino allora l'aveva sostenuta, in una disperata tensione di nervi, l'abbandonava ad un tratto. Sotto il carminio che le copriva, le sue labbra erano livide come quelle d'una morta. Aprì a fatica gli occhi e il suo sguardo allucinato si posò sul sacerdote. — Perché non se n'è andato subito? — disse con voce stanca e dolente. — Nessuno avrebbe dovuto sapere nulla! — Adesso lei devi dirmi tutta la verità, signora — replicò il vicario gravemente. — Io non mi atteggio a giudice; ma, comunque, mi trovo coinvolto in una misteriosa faccenda, e ho quindi il diritto di esigere una spiegazione. — Ebbene, parlerò; ma mi lasci riprendere fiato; non ne posso più! Lui stette pensieroso a osservarla, così bella e gentile, con un'espressione di profondo dolore e di mortale stanchezza nel volto impallidito. Le sue stesse parole gli avevano fatto comprendere come fosse completamente fuori delle legge umana e divina, eppure c'era qualche cosa in lei che lo induceva alla pietà più che alla riprovazione: si augurò che fosse, in fondo, più infelice che colpevole. Finalmente Joyce riaprì gli occhi e si sollevò con un gran sospiro. Interrottamente e a sbalzi, con frasi spesso sconnesse, gli narrò la dolorosa storia della propria vita. Figlia del colonnello Roques, non aveva che un indefinito ricordo della madre, morta quando lei e il fratello minore erano ancora bambini. Aveva appena diciassette anni quando suo padre, che possedeva una vasta tenuta nel Brasile, s'era trasferito con i figliuoli a Cuba, conducendo con se anche un giovane istitutore, sotto la cui guida il ragazzo avrebbe dovuto completare gli studi. Alto, biondo, snello, con due languidi occhi azzurri, Hector Montague era il tipo più adatto a far girare la testa ad una romantica giovinetta. Per ingannare la noia dell'esilio, lui s'era messo a corteggiarla con assiduità finché si innamorò di lui perdutamente. Sicuro che il padre non avrebbe mai acconsentito a un simile matrimonio, il giovane indusse Joyce a sposarlo segretamente. Tutti avrebbero dovuto ignorare quelle nozze fino alla maggiore età della sposa. Senonché, il carattere violento del Montague e la pessima reputazione che lui si fece in breve tempo come giocatore e scapestrato indussero il colonnello Roques, J. L. Rickard
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che non lo aveva mai avuto nel suo buon libro, a pensare seriamente di liberarsene. Joyce, disperata, non si sentì il coraggio di affrontare l'ira paterna rivelandogli la propria follia, e il suo povero romanzo d'amore finì miseramente nel più profondo ed amaro disinganno. Dopo averla spogliata dei suoi piccoli risparmi e dei gioielli della madre, dopo averla torturata in tutti i modi, lo sciagurato scomparve improvvisamente. Joyce venne a sapere più tardi, indirettamente, che s'era imbarcato su un piccolo vapore mercantile diretto a Bahama, nelle Indie occidentali. Poi, più nulla. Soltanto, in paese, udì ancora per molto tempo parlare della sua condotta scandalosa e, al ricordo di lui e delle sue disgraziate nozze, le fiamme della vergogna le salivano al viso. Il segreto non era trapelato ad anima viva; il matrimonio era stato contratto sotto un falso nome, sicché lei poteva sperare che nessuno al mondo ne avrebbe mai saputo nulla. E che il tempo avrebbe sepolto tutto nell'oblio, ridandole, se non la felicità, almeno la pace. Tre anni passarono; e il ricordo di quei dolorosi avvenimenti si perdeva quasi in una nebbia di sogno, quando il destino portò nella sua vita un giovane chiamato Charles Trent, che ben presto s'innamorò di lei. Redento col lavoro da un passato burrascoso, in ottime condizioni finanziarie, egli sembrava offrire, ora, il migliore affidamento, e il colonnello Roques gli accordò ben volentieri la mano della figlia. Di Montague nessuno aveva più saputo nulla. Joyce si illuse di poter ricominciare la vita dimenticando la dolorosa parentesi del primo matrimonio. Tutti i fiori e gli auguri che erano mancati a quelle infauste nozze clandestine rallegrarono in gran copia l'unione dei due giovani che, appena sposati, s'imbarcarono per l'Europa. Si stabilirono a Parigi. Ma la cattiva sorte non cessò di perseguitare la giovane donna. Lei amava appassionatamente il marito; ma non aveva mai osato confessargli la follia dei suoi diciott'anni. Questo segreto fra loro dava forse al contegno di lei qualche stranezza, che finì con l'insospettirlo, al punto da creare fra i due sposi il più aspro disaccordo. La loro breve felicità fu distrutta; il giovane, ripreso dalle antiche abitudini di scapestrato, si diede a frequentare i peggiori ambienti e le più losche compagnie; tanto che un giorno lei venne a sapere che lui, dato fondo a tutto il suo patrimonio, s'era affiliato a una banda di ladri internazionali. Finalmente, coinvolto in un furto clamoroso, Charles cadde nelle mani della giustizia e venne condannato. J. L. Rickard
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Joyce aveva ereditato dalla madre una discreta sostanza che le permetteva di vivere con una certa agiatezza. Disperata, partì per Londra, fiduciosa che l'immensa metropoli avrebbe offerto un rifugio sicuro al suo dolore e alla sua vergogna. E, sotto il nome di Chance, andò ad abitare nella casetta di Hamilton Street. Allo scoppiare della guerra, Charles Trent ottenne finalmente una riduzione di pena per arruolarsi; mutò il suo nome in quello di Joseph Rousselle e partì per il fronte. Il caso fece incontrare nuovamente i due sposi in un ospedale, dove Joyce prestava la propria opera di infermiera. E la sua via crucis ricominciò. Joyce, con la sua bellezza, con i suoi modi graziosi e affascinanti, si accaparrò ben presto molte simpatie e fu accolta nella migliore società. Sebbene ancora attaccatissima al marito, Charles ebbe la prudenza di non voler riprendere la vita in comune. Il passato di lui non le avrebbe permesso di presentarlo come marito e, d'altra parte, temeva sempre che lui riprendesse un giorno la sua vita disordinata. Accettò tuttavia di vederlo spesso in segreto; ma ben presto dovette convincersi che, pur amandola con passione, lui non avrebbe saputo perseverare in una condotta onesta e regolare. Nemmeno il grande amore per la sua donna poteva domare quel carattere bizzarro e selvaggio. Così cominciò per Joyce una vita di sotterfugi e di menzogne. Charles aveva la chiave di casa, e andava e veniva a suo piacimento, ma lei fu costretta a regolare tutte le proprie abitudini su quelle di lui. Di qui la necessità di tenere una domestica soltanto durante il giorno, per evitare che s'incontrasse con Rousselle, il quale soleva venire da lei quasi ogni sera. Quelle visite notturne e segrete non le spiacevano affatto, anzi avvolgevano il loro amore di un romantico velo di mistero che non mancava di un certo fascino. Per cui Joyce visse qualche tempo quasi felice. Ma quella felicità fu assai breve. Una sera, a un pranzo di amici, lei si trovò inaspettatamente di fronte Hector Montague. Perfettamente padrona di sé, non diede il minimo segno di commozione e, appena le fu possibile scambiare con lui due parole a quattr'occhi, gli dichiarò apertamente che non considerava affatto legale il loro matrimonio e che oramai era conosciuta da tutti come signora Chance. Sulle prime, il baronetto non parve dare soverchia importanza al loro incontro; ma in breve cominciò a dimostrarle un ben diverso interessamento, che non aveva nulla di platonico e, sebbene lui fosse sul J. L. Rickard
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punto di fidanzarsi, parve completamente ripreso dall'antico amore. Per oltre un anno, destreggiandosi con infinita abilità e astuzia, Joyce seppe tenerlo a distanza e impedire che Rousselle si avvedesse di nulla. Ma quella sera, Montague s'era mostrato più insistente che mai e deciso ad ottenere per forza ciò che per amore gli era negato. L'accompagnò a casa, insistendo per entrarvi con lei. Visti nell'atrio il pastrano e il cappello di Rousselle, lei tentò ogni mezzo per impedire ad Hector di entrare; ma non riuscì che a insospettirlo e a irritarlo, sicché l'incontro fra i due uomini fu dei più violenti. Investito villanamente da Montague che, con aria da padrone, gli ingiunse d'andarsene, dichiarandosi legittimo marito di Joyce, Rousselle gli fu addosso con un balzo e Joyce, nell'impossibilità di separarli, dovette assistere, atterrita, alla lotta furibonda. Montague, grande e grosso, avrebbe forse avuto il sopravvento, senonché, mancatogli un piede, cadde riverso, battendo la nuca contro lo spigolo del camino, e rotolò a terra privo di sensi. Joyce riuscì, con disperati sforzi, a salvare il caduto dal furore di Rousselle, esasperato dalla gelosia e dalla improvvisa rivelazione. Una tempesta di frenetica passione si scatenò in quell'anima selvaggia, e soltanto l'immenso amore per lei la poté domare. Con gran fatica, trasportarono Montague al secondo piano. Ma il dolore risvegliò in parte la coscienza del ferito, strappandogli alte grida. Joyce, disperata, temendo che gli urli destassero l'attenzione dei vicini, non trovò altro mezzo per farlo tacere che quello di somministrargli una forte dose di bromuro, che da tempo aveva in casa. Ciò l'avrebbe tenuto quieto per qualche ora e le avrebbe permesso di provvedere alla salvezza di Rousselle. Dato il suo passato equivoco e burrascoso, lui doveva evitare a ogni costo di avere a che fare con la polizia. Mentre il giovane scendeva in cucina per lavarsi le mani imbrattate di sangue, Joyce corse alla porta di strada, risoluta a mandar via con un pretesto l'autista del baronetto. Ma questi, forse stanco d'aspettare, se n'era già andato. La via era deserta e, vedendo il sacerdote, lei pensò subito che avrebbe potuto fornire un travestimento abbastanza sicuro per il fuggitivo; e, senza troppo riflettere, lo chiamò. — Io avevo la sensazione che qualcuno stesse spiando da una finestra della casa di fronte — disse Joyce — chiunque fosse, avrebbe veduto un prete entrare in casa mia e poi uscirne; e Rousselle era salvo. Ed ora che le ho detto tutto, sente di potermi assolvere? Il vicario aveva ascoltato il drammatico racconto con religiosa J. L. Rickard
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attenzione e ne era rimasto profondamente commosso. — Davanti agli occhi di Dio, signora — rispose dopo avere alquanto meditato — lei è la moglie legittima di Sir Hector Montague. L'altro, mi duole di doverglielo dire, non può considerarsi suo marito, e lei ha il dovere di non vederlo più. Il suo caso è ben doloroso; ma non c'è alternativa possibile. — La ringrazio, reverendo. Ora non posso rendermi conto della situazione; non posso pensare a nulla, la mia povera testa non regge più; ma, ad ogni modo, le sono profondamente riconoscente! — E così la lasciai — concluse il sacerdote, fissando negli occhi Maxime, che l'aveva ascoltato senza fiatare. — La rivedo ancora, pallida come uno spettro, nella magnifica veste scollata. Povera creatura; povera anima tormentata! Creda, ne ho viste, in vita mia, di scene strazianti; ne ho ricevuto di confessioni tragiche e disperate; ma non ricordo di essermi mai sentito così profondamente sconvolto come in quella notte. — E poi? — insisté Maxime. — Tentai più volte di tornare a parlarle; rifiutò sempre di ricevermi. Entrarle in casa per forza, non potevo. D'altra parte, la ferita del baronetto era leggera ed io lo credevo già tornato, bene o male, a casa propria. Capirà: se avessi soltanto dubitato che la sua ferita fosse pericolosa, avrei avuto il dovere di avvertire la polizia. Ma alcuni giorni dopo, per una strana combinazione, mi imbattei nel segretario della S.I.M., il quale mi' raccontò che Sir Hector Montague era scomparso. Questo mi preoccupò seriamente e mi indusse a fare un altro tentativo per avvicinare sua moglie. Caso volle che, mentre io stavo per suonare il campanello, una signora uscisse dal portone; io ne approfittai per introdurmi in casa, in un modo forse non molto corretto; ma volevo sapere ad ogni costo quel ch'era avvenuto. La stanza era già quasi buia; ma nessuno dei due pensava ad accendere la luce. Maxime si alzò e si avvicinò alla finestra. — E allora? — chiese ansioso. — Lady Montague — non voglio chiamarla diversamente, perché questo è veramente il suo nome — Lady Montague, mi disse che il baronetto stava benissimo ed era partito per Parigi. Io la supplicai di raggiungerlo, ma lei mi oppose un rifiuto reciso. Non potei insistere, perché sopraggiunse un signore e non fu più possibile tornare sull'argomento. J. L. Rickard
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— E non ha saputo altro? — Nulla — rispose mestamente il vicario — nulla; tranne la orribile morte del baronetto. Gran parte del doloroso passato è sepolto con lui; ma io sono convinto che la sua vedova non ha avuto nulla a che fare con la sua tragica fine. Confido nella sua parola d'onore, signor French, affinché quanto le ho raccontato resti fra noi. Per me, quella donna è un'infelice, ma non è affatto colpevole e nutro per lei la più profonda pietà. Maxime French, uscendo dal presbiterio, gettò uno sguardo alla casa dalle imposte azzurre e si domandò se la pietà e l'indulgenza del reverendo non fossero dovute un tantino anche alla bellezza ed alla grazia affascinante della signora Chance.
29. Non era stato davvero tanto facile persuadere Emily Garret a riprendere, fosse pure soltanto per una sera, le vesti di sibilla. I suoi poveri nervi non s'erano ancora riavuti dalla terribile scossa, e la gravità del nuovo cimento l'atterriva. Ma due parole di Frazer erano bastate a vincere la sua riluttanza, e lei era pronta a qualunque sacrificio per la salvezza di Lady Montague, il nuovo idolo al quale votava tutta la sua devozione. Ottenuto il suo consenso, l'ispettore volle suggerirle la sua parte, parola per parola; ma, per quanto convinta dell'importanza di ciò che avrebbe dovuto dire, lei lo ascoltava appena. Le antiche sensazioni le si ridestavano e sentiva che non avrebbe potuto dominare l'impulso che la spingeva a esprimersi in un modo piuttosto che in un altro. Erano inutili tutti i suggerimenti; lei non avrebbe saputo dire se non quanto le dettava la voce misteriosa che parlava in lei. — Farò del mio meglio, signor ispettore — disse — ma non oso prometterle nulla. Io non posso sempre dire quel che voglio; spesso sono costretta a seguire un impulso che è più forte della mia volontà. Gli invitati si affollavano più numerosi del solito nei salotti della signora Bryant e lei li accoglieva con la consueta esuberante cordialità. Ma, pur sotto l'allegria rumorosa delle sue risate e l'irrequieto affaccendarsi, Lisa appariva insolitamente turbata. Tra la folla sempre crescente degli ospiti, l'ispettore Frazer, completamente irriconoscibile, si aggirava quietamente, sorvegliando gli ultimi arrivati. Lisa confidava in gran segreto a questo e a quello che J. L. Rickard
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Madame Cassali aveva acconsentito, in via del tutto eccezionale, a dare quella sera un ultimo saggio della sua virtù divinatoria. Le dieci erano suonate da un pezzo, quando apparve Joyce Chance pallidissima, nella sua deliziosa veste di pizzo bianco. Daniel Harrington l'accompagnava, seguendola come un cane fedele. Lui la vedeva soffrire atrocemente, ma non poteva che attendere in silenzio che lei gli aprisse il suo cuore e gli permettesse di aiutarla in qualche modo. I nervi di Joyce erano tesi fino all'insostenibile: il pensiero di trovarsi tra pochi minuti faccia a faccia con Rousselle la esasperava dolorosamente. Dopo la morte di Montague, immaginando di essere sorvegliata, non aveva più osato farselo venire in casa. Ora, per quanto quell'incontro in mezzo a tanta gente non presentasse alcun pericolo, si sentiva tutta agitata e trepidante. Salutata la padrona di casa, Joyce attraversò i salotti e uscì sul largo balcone che dava sul piazzale. Da lì, seduta su una poltrona di vimini, avrebbe potuto facilmente riconoscere chi entrava in casa. Harrington le sedette accanto senza aprire bocca. E, per la prima volta, lei pensò seriamente a confidare ogni cosa a quell'amico devoto e a chiedergli conforto e consiglio. Ma, come confessargli quel che sapeva sul mistero di Shelton Gardens? Era necessario che Rousselle trovasse il modo di lasciare segretamente l'Inghilterra. Ma tutte le vie gli erano precluse e il cerchio della sorveglianza lo stava serrando sempre più. Forse Daniel avrebbe saputo darle un buon suggerimento. Ad ogni modo, parlare con lui di quell'angoscia che le logorava l'anima e i nervi le sarebbe stato d'immenso sollievo. Le lettere di Rousselle, che Mary Elder le portava di nascosto, le davano assai scarso sconforto. Irrequieto per sua natura, lo stato attuale di incertezza e di pericolo imminente lo esasperava a tal punto che si proponeva talvolta di costituirsi alla polizia per farla finita. La sera era tepida e calma. Dalle finestre aperte di una casa in fondo al piazzale giungeva, affievolita dalla distanza, una musica leggera di ballo; dai salotti vicini veniva il brusio confuso delle voci gaie degli ospiti. Joyce si sentì disperatamente triste, e un sospiro lungo e profondo le sfuggì dal petto. Harrington le pose una mano sulle sue, in una timida e rispettosa carezza. — Sono terribilmente stanca della vita — lei disse con un piccolo riso J. L. Rickard
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nervoso. — Se le cose non cambiano, e presto, non so che cosa avverrà di me. — Perché non si fida di me, Joyce? Perché non vuol darmi il modo di fare qualche cosa per lei? — Oh, Daniel! Troppe cose avrei da dirle — proruppe a un tratto — troppi errori ho commesso nella mia vita! Ho sempre agito di primo impulso, senza domandarmi se facevo bene o male. — La sua voce era velata e come lontana. — Credo di essere stata sempre un po' incosciente. I nostri errori ci seguono, nella vita, e, commesso il primo, siamo fatalmente trascinati a commetterne altri. Io non ero bugiarda; lo sono diventata dopo aver commesso un grave fallo: quello di vivere con un uomo che in realtà non era mio marito, sebbene io lo considerassi assolutamente tale. Io le ho mentito, Daniel, le ho sempre mentito, fin dal primo giorno. — Lo so — rispose lui pacatamente. — Ma non sa tutto! — fece Joyce appassionatamente. — Io sono responsabile davanti a Dio della morte di Hector Montague. Ricorda quella sera che uscimmo insieme e lei mi accompagnò fino all'autobus? Sa dove andai quella sera? Mi ascolti, Daniel, e tenga in mente quel che le dico; perché forse non è finita. — L'ascolto, cara. — Che orribile cosa dover sempre mentire! E che sollievo poter finalmente essere sincera e dire tutto quello che mi pesa nell'anima! Lady Montague intuì subito che Hector era rimasto in casa mia; e anche lei, Daniel l'ha indovinato. Un giorno, lo avevo amato; tradita e abbandonata da lui, ora lo odiavo. Lui mi voleva ad ogni costo ed io sapevo che soltanto cedendogli avrei ottenuto che lasciasse in pace l'uomo che veramente adoravo. Non potei superare la repulsione che m'ispirava, non potei compiere l'orribile sacrificio e, per timore della sua vendetta, la trattenni in casa mia. — Ma come ha potuto tenerlo prigioniero contro la sua volontà? — domandò Daniel a voce bassa. — A forza di narcotici. La notte in cui lei lo vide entrare in casa mia, lui v'incontrò l'uomo che amavo e, dopo una lotta violenta, cadde battendo il capo contro il marmo del camino e perdette i sensi. Io riuscii a mantenerlo per giorni e giorni in uno stato di completa incoscienza. Capivo che quel che facevo era insensato e completamente inutile; ma, almeno per il momento, serviva ad allontanare da me l'orribile dilemma. Un giorno, o J. L. Rickard
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che gli avessi somministrato una dose insufficiente, o che, riprendendo forza, fosse divenuto meno sensibile all'azione della droga, fatto sta che mentre ero fuori si destò e, quando tornai a casa, non lo trovai più. Nella penombra del terrazzo, Harrington la guardava in silenzio. I suoi sospetti erano dunque giusti; ma la verità gli appariva ora assai più grave e lo trovava impreparato. Joyce riprese il racconto abbassando ancora più la voce. — Spaventata dal pericolo cui l'altro si trovava esposto, gli telefonai immediatamente per metterlo in guardia. Hector Montague era uomo influente e avrebbe potuto rovinarlo, farlo arrestare e condannare; perderlo irreparabilmente. Questo pensiero mi ossessionava. Stabilimmo che lui si recasse a Shelton Gardens per assicurarsi se Hector fosse tornato a casa. E allora trovai la forza di compiere il sacrificio. Per la salvezza di colui che amavo decisi di cedere alle pretese di Montague. Quella sera, quando lei venne da me per parlarmi della signora Hebberden — che era poi Lady Montague — io uscii per andare da lui. Se lui avesse voluto dimenticare il sequestro subito e impegnarsi a lasciare in pace l'altro, io avrei acconsentito a ritenere valido il matrimonio che ci aveva uniti tanti anni fa e a considerarmi, d'ora innanzi, sua moglie. Conoscendo il mio carattere impulsivo e mutevole, lui mi aveva dato da tempo la chiave di casa sua, sempre sperando che potessi, da un momento all'altro, cambiare pensiero. Tacque un istante, e Daniel tremò di dover udire la confessione del delitto. — Alla prima fermata dell'autobus, scesi e con un taxi mi feci condurre a Shelton Gardens. Entrai furtivamente. Sul tavolo dell'atrio vidi il suo cappello e il pastrano. Era tornato! Daniel — lei gli pose una mano sulla spalla — sarò stata vile; ma vi sono cose più forti di noi. In un attimo fui di nuovo fuori, senza aver fatto un passo di più. — Sia lodato Iddio! — fece Harrington con un gran respiro. — Tornai indietro umiliata e desolata. Avevo voluto compiere il sacrificio e non ne avevo avuto la forza. Mi disprezzavo, mi sentivo piccola e vile e, nella mia mortificazione, volli fare un altro tentativo: gli telefonai. Gli dissi: "Mi arrendo, venite domani". Lui mi rispose furibondo, colmandomi di ingiurie volgari. Improvvisamente, udii un rumore secco, del quale non seppi rendermi conto; poi più nulla. Per quanto insistessi, non ebbi più risposta... Nel pronunciare queste ultime parole, Joyce aveva nascosto il volto sulle J. L. Rickard
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braccia appoggiate alla ringhiera del balcone, quasi sopraffatta delle terribili vicende che rievocava e da un'infinita stanchezza della vita. — Ho voluto dirle queste cose, Daniel — rispose sollevando lentamente il capo — perché lei sappia che la responsabilità morale di quel delitto è tutta mia. E quest'ultimo colpo ha spezzato per sempre la mia vita. Senza una parola, Harrington posò una mano su quelle di lei; ma, sotto la muta carezza, la sentì d'un tratto irrigidirsi. Un uomo attraversava il piazzale quasi deserto, dirigendosi verso casa Bryant. Joyce si alzò bruscamente. — Rientriamo — disse. — Mi stia vicino, perché presto la pregherò di riaccompagnarmi a casa. Nei salotti affollati, Lisa portava da un gruppo all'altro la sua instancabile vivacità. Di quando in quando scambiava qualche parola con un ometto tarchiato, che nessuno conosceva e che non si allontanava mai dal tavolo dei rinfreschi. — Eccolo — bisbigliò Frazer — è arrivato finalmente. Lo vede? Lì, accanto alla finestra, in dolce colloquio con la Chance. Ne avranno di cose da dirsi dopo un mese che non si vedono! — Pover'uomo! — fece Lisa. — Mi fa pena! — Eh, sì, ma anche lei, disgraziata, fa compassione. — Frazer addentò un pasticcino. — Dunque siamo intesi, signora. Io scendo ad avvertire Madame Cassali e lei, quando crede, porta giù il signor Joseph Rousselle ad ascoltare il responso della pitonessa. Va bene? — Lasciamoli discorrere in pace altri dieci minuti; poveretti! — fece Lisa, sbirciando i due presso il balcone. Ma, quando l'ispettore se ne fu andato, lasciò passare ben più di dieci minuti prima di avvicinarsi a Joyce e Rousselle. Si sarebbe detto che la parte di Giuda, accettata da lei sul principio con tanto cinismo, ora le fosse piuttosto incresciosa. — Ah, finalmente l'ho trovato, Rousselle! — esclamò simulando abilmente la sorpresa. — Temevo quasi che non venisse più. Venga con me, giù nel salottino del primo piano, a farsi leggere la sorte dalla nostra profetessa. Io non ci credo, sa; ma è così divertente! Anche la signora Chance faceva un po' la scettica; ma credo che stia per convincersi. Ora vorrei sperimentare la virtù della nostra sibilla sopra un soggetto interessante com'è lei. Con la vita burrascosa che deve aver vissuto, ne dovremmo sentire delle belle! J. L. Rickard
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Rousselle accolse la proposta senza troppo entusiasmo. — Le confesso, signora, che non mi interessa affatto ciò che mi riserva il destino. Credo che molti dei suoi ospiti sarebbero invece ben lieti di sentirselo predire. Perché perdere il tempo proprio con me? — Così, per farmi piacere, per fare un piccolo esperimento. — E infilò il braccio sotto quello di Rousselle. — Venga, Joseph, venga un po' a metter nel sacco la sibilla. Lei è capace anche di questo. Sarebbe carino, però! Lui la seguì a malincuore, volgendosi, sulla porta, a guardare ancora una volta, con infinita tristezza, il volto pallido di Joyce. Immobile nella penombra del balcone, lei lo seguiva con gli occhi dilatati, quasi tragici nella loro espressione di profondo e disperato dolore. E l'ultimo ricordo di Rousselle fu la visione di quel viso sconvolto. Joyce sedette, sempre assorta e quasi senza pensiero. Harrington le si avvicinò e le accarezzò una mano; ma lei non alzò gli occhi. Si sentiva inaridita, disseccata, come se una fiamma divoratrice l'avesse arsa fino alle sorgenti stesse della vita. Giù, nel suggestivo salottino, dove Madame Cassali aveva svelato il mistero dell'avvenire a tanti illusi, il grande paravento ad alberi azzurri e a laghetti verdastri aveva cambiato posto e serviva da sfondo alla figurina velata della veggente, i cui occhi avevano, quella sera, uno strano bagliore. Sul tavolo laccato, accanto al solito globo di cristallo, c'era un oggetto coperto da un fazzoletto di seta. Emily Garret udì aprirsi la porta dietro alle sue spalle e s'irrigidì con uno sforzo doloroso. — Se non lo faccio, Lady Montague sarà condannata... sarà condannata... condannata! — si ripeteva senza fine. — Eccola, la nostra famosa Madame Cassali — disse Lisa con la sua voce squillante, ridendo come se avesse detto la più spiritosa facezia. — Vedrà che le farà drizzare i capelli, rievocando il suo tenebroso passato! Rousselle taceva. Girò per la stanza uno sguardo inquieto, fermandolo con sospettosa curiosità sul pavimento, sulla finestra velata da lunghe tende, e finalmente sulla profetessa, seduta accanto al tavolo, silenziosa e raccolta. — Fa molto caldo qui — disse lui con quella sua voce armoniosa — non si potrebbe aprire quella finestra? — Ma certo — rispose la padrona di casa — se a Madame Cassali non dà noia, apra pure. Rousselle scostò la tenda e aprì la vetrata. Era una grande finestra che J. L. Rickard
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dava su un terrazzino prospiciente un piccolo cortile interno. Poi andò a sedersi accanto alla veggente senza dire una parola. Il suo bruno volto era immobile ed enigmatico come quello di un idolo di pietra. — Bene, allora vi lascio — disse la Bryant, e uscì in fretta. Rousselle non alzò nemmeno gli occhi. — Prenda in mano il globo di cristallo — disse la Garret con voce soffocata. Le pareva che lui dovesse udire il martellare disordinato del suo cuore. — Che cosa c'è sotto quel fazzoletto? — domandò il giovane. — Un oggetto di cui mi servirò poi. La prego, cerchi di concentrare tutto il suo pensiero sul cristallo. — Va bene; ma per quanto tempo? — Credo che ora basterà. Adesso lo dia a me. — E con gli occhi fissi sul globo lucente, Emily cominciò a ripetere coscienziosamente la parte che le era stata suggerita. Descrisse esattamente lo studio di Shelton Gardens, e poi, via via, tutta la scena del delitto, quale Frazer l'aveva ricostruita. Parlava in fretta, senza mai alzare gli occhi. — Ma lei sta descrivendomi il fattaccio di Shelton Gardens! — proruppe Rousselle ad un tratto, con una risatina secca e stonata. — Mi dispiace, Madame Cassali, ma il giochetto è abbastanza stupido e trito. E poi, non ha nemmeno indovinato giusto. Si chinò su di lei e le afferrò un polso. — Metta giù quella roba e mi dica chi ha montato questa trappola. Cosa c'è sotto quel fazzoletto? Mi lasci vedere. Terrorizzata, la Garret obbedì e con mano tremante sollevò il fazzoletto. Apparve una piccola pistola, quella stessa che Caroline Wells aveva trovato in giardino. — Ah, ah! — sghignazzò l'altro — lei sperava di spaventarmi eh? L'arma è carica; voleva forse ammazzarmi? — Ma no, ma no! — balbettò la povera Emily — che cosa dice?... — Beh, allora glielo dirò io com'è andata — disse Rousselle beffardo. — Deve dunque sapere, cara Madame Cassali, che io ero andato a Shelton Gardens senza la più lontana idea di uccidere Hector Montague. Ma Dio, o il diavolo — o chi altro sia che si compiace di rovinarci — mi pose quest'arma a portata di mano. Lei ha raccontato come io entrai nello studio e mi nascosi dietro la tenda; e, fin qui, ha indovinato perfettamente. J. L. Rickard
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— Egli ridacchiò di nuovo. — Mi nascosi appunto quando entrò Montague ed egli aprì il cassetto della scrivania proprio quel tanto che bastava per farmi scorgere la pistola. Poi il telefono squillò e io lo udii parlare con una signora, per la quale io nutrivo la massima considerazione. Non voglio ripetere le sconce ingiurie che quel sozzo bestione seppe dirle; non oserei mai! Mi sentii salire il sangue al cervello, e lo ammazzai come un cane. E, se non fosse per tutte le noie e i dolori che questo mio fatto ha provocato ad altre persone, le giuro che non lo rimpiangerei assolutamente. Le afferrò anche l'altro polso, tenendoli entrambi in una sola stretta, come in una morsa di ferro e, con la mano libera, presa la pistola. — È una vecchia arma mezzo arruginita — disse. — Sparando, mi feci male a un dito e la gettai subito in terra. Intanto sopraggiunse Lady Montague che, nel cadere svenuta, la nascose col suo corpo. Ad ogni modo, la vecchia pistola ha fatto il suo dovere e io le sono affezionato. Lei mi permetterà dunque di conservarla, Madame Cassali, e mi vorrà perdonare se me ne vado dalla finestra, invece che dalla porta, perché non mi fido più né di lei né di quella cara signora Bryant. In un batter d'occhio, frantumò la lampada che pendeva sul tavolo e, d'un balzo, fu sul balcone. Ma dal paravento sbucò fuori Frazer, che gli fu addosso e l'afferrò per il lembo della giacca. — Troppo tardi, Rousselle! Troppo tardi! Ma fu lui che giunse troppo tardi. L'ultima avventura di Joseph Rousselle si era conclusa. Lasciata la sua vittima con Madame Cassali, Liza Bryant era tornata dai suoi ospiti, che già cominciavano a congedarsi. Lei uscì sul terrazzo, irresistibilmente attirata verso Joyce Chance. Tentò di farla parlare, ma l'altra non disse una parola. Harrington, al suo fianco, distratto e preoccupato, si sforzava di sostenere la conversazione. — Avete udito? — fece lui a un tratto, balzando in piedi. — Qualcuno ha sparato un colpo di rivoltella. — Macché! — rispose Liza, alzando le spalle. — Lei sogna! FINE
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