RUTH RENDELL LA SFIDA DEL CORVO (An Unkindness Of Ravens, 1985) 1 Era una vicina. Una conoscente con cui Dora si fermava...
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RUTH RENDELL LA SFIDA DEL CORVO (An Unkindness Of Ravens, 1985) 1 Era una vicina. Una conoscente con cui Dora si fermava a scambiare quattro chiacchiere quando s'incontravano per strada. Ma stavolta non c'era stata una di quelle solite conversazioni futili. «Le ho promesso che te ne avrei parlato» disse Dora. «Sai, a volte, ha una strana espressione e ti confesso che mi sono sentita imbarazzata.» «Che cosa ti ha detto?» domandò Wexford. «Che Rod non era tornato, o era scomparso. Poi mi ha pregato di dirlo a te. Perché tu sei quello che sei, naturalmente.» Un ispettore capo investigativo di solito ha di meglio da fare, nelle ore libere, che ascoltare le lamentele di signore il cui marito se n'è andato con un'altra donna (perché doveva essere proprio ciò che era accaduto, decise Wexford cinque minuti dopo essere entrato in quella casa) ma questa signora era una vicina, abitava nella strada accanto... Wexford, in fondo, si sentiva sollevato: si trattava di un caso sul quale non sarebbe toccato a lui indagare. La sua villetta a schiera e quella della signora in questione erano state costruite alla stessa epoca, intorno al 1935, quando Kingsmarkham cominciava a non essere più un paese, ed erano sostanzialmente uguali: tre stanze da letto, due sale, cucina, bagno e seminterrato. Ma la sua era una vera casa, accogliente e piena di oggetti raccolti con amore, mentre quest'altra era... che cosa? Un riparo contro la pioggia, un posto dove mangiare, dormire e guardare la TV. Joy Williams lo accompagnò nella stanza sul davanti, che lei chiamava salotto. Non c'erano libri. Sul pavimento c'era un tappeto quadrato decorato da un bordo giallo a disegni geometrici, gli unici mobili erano un divano e due poltrone ricoperti di finta pelle color senape. Nel camino che, in quella casa, era stato sostituito da una struttura in pietra, aveva trovato posto un apparecchio elettrico di riscaldamento pesantemente decorato in uno stile medievaleggiante e munito di una sorta di saracinesca. Sopra la mensola era appeso uno specchio dalla cornice a segmenti di vetro opaco verde e giallo, un bell'esemplare di Liberty, se questo stile piace. L'unico quadro era una composizione in carta stagnola colorata raffigurante due gatti che giocano con un gomitolo di lana.
«È una donna così incolore» aveva detto Dora. «Ha l'aria di non interessarsi a niente e sembra sempre depressa. Vent'anni di vita in comune con Rodney non le hanno giovato molto.» Joy. Dora aveva osservato in tono contrito che doveva essere stato commesso un errore quando l'avevano battezzata. E col passare degli anni era diventata tutta grigia, non soltanto di capelli. Un tempo era stata graziosa e forse i suoi tratti avevano conservato qualcosa dell'antica bellezza, che spariva ormai sotto la carnagione segnata dalle rughe, sciupata e butterata, di colore grigiastro. Aveva probabilmente quarantacinque anni, ma ne dimostrava dieci di più. All'arrivo di Wexford, stava guardando la televisione: l'apparecchio era rimasto acceso, lei si era limitata a chiudere l'audio, come se non sopportasse di vedere uno schermo vuoto. Era uno dei più grandi schermi televisivi che lui avesse mai visto in una casa privata. Probabilmente Joy trascorreva là davanti la maggior parte delle sue giornate. Non c'era un posto a sedere in quella stanza che non fosse rivolto allo schermo. L'ispettore sedette di traverso sul divano, girando le spalle al televisore e Joy prese posto su una seggiola, saettando frequenti occhiate ai pattinatori che volteggiavano sullo schermo. «Vostra moglie vi ha detto...» «Sì, mi ha detto qualcosa» si affrettò a ribattere Wexford, per evitarle l'imbarazzo che già le andava arrossando le guance. «Qualcosa a proposito della scomparsa di vostro marito.» La donna rise, un chiocciare roco che Wexford avrebbe udito spesso, d'allora in poi. Una risata nella quale non v'erano gaiezza e buonumore. Rideva per nascondere un'emozione o perché non conosceva altro modo per mostrarla. Teneva le mani intrecciate in grembo e all'anulare le brillavano una fede di platino o d'oro bianco pesantemente cesellata e un anello di fidanzamento dello stesso metallo, ancor più pesantemente lavorato e in cui, tra picchi e piramidi, era incastonato un minuscolo brillante. «È partito per Ipswich e non l'ho più rivisto.» «È un rappresentante di commercio, mi pare che abbia detto Dora, vero?» «Sì, lavora per la Sevensmith Harding, la fabbrica di vernici.» Joy avrebbe potuto risparmiarsi la precisazione, pensò Wexford. La Sevensmith Harding era forse la ditta più nota in quel campo in tutta l'Inghilterra meridionale. Almeno un milione di pareti, fra Dover e il Land's End,
erano ricoperte di Settestelle opaca o lucente; lui stesso l'aveva usata per la propria stanza da letto e, se non andava errato, l'anticamera stessa della signora Williams era intonacata con la più recente tonalità di Settesoli prodotta dalla ditta. «La sua zona è il Suffolk» continuò Joy, rigirando gli anelli sul dito. «È partito giovedì scorso... una settimana ieri. Oggi è il ventitré, perciò doveva essere il quindici. Ha detto che andava a Ipswich a dormire, per essere pronto a cominciare il suo giro la mattina presto.» «A che ora è partito?» «La sera. Verso le sei. Era stato a casa tutto il pomeriggio.» Fu a quel punto che Wexford aveva pensato a un'altra donna. C'erano tre ore e mezzo di strada da Kingsmarkham a Ipswich, anche passando per il Dartford Tunnel, e un rappresentante di commercio che aveva un motivo più che legittimo per recarsi nel Suffolk ed era libero di partire alle quattro invece che alle sei, lo avrebbe sicuramente fatto. «Scendeva in albergo, a Ipswich?» «In un motel. Appena fuori città, credo.» La donna parlava con tono distaccato, come se sapesse poco del lavoro del marito e gliene importasse ancor meno. La porta si aprì e sulla soglia comparve una ragazza che si fermò di botto, mormorando: «Oh, scusate!» «Sara, a che ora è partito il babbo?» «Verso le sei.» La signora Williams assentì. «Mia figlia Sara» spiegò. «Avete anche un figlio, mi pare.» «Sì, Kevin. Ha vent'anni. È all'università.» La ragazza rimase in piedi dietro una poltrona, appoggiando le braccia alla spalliera e osservando la madre con un'espressione più o meno neutrale, tendente più all'ostile che all'affettuoso. Era alta e sottile, bionda, con un viso da madonna rinascimentale dai tratti delicati, la fronte alta e lo sguardo misterioso. Aveva capelli lunghissimi, che le arrivavano quasi alla cintola, ondulati come restano quando si portano abitualmente trattenuti in trecce. Indossava blue-jeans e maglietta a maniche corte con un corvo sul petto, attraversato dalla scritta ARRIA a lettere cubitali. Prese da un tavolino una fotografia e la porse all'ispettore, indicando col dito l'uomo seduto sulla spiaggia insieme a un ragazzo sui quindici anni e a una ragazzetta, lei cinque anni prima. L'uomo era alto e flaccido, in povere condizioni fisiche, con una palese tendenza alla pinguedine. Aveva la fronte alta e prominente che faceva apparire per contrasto confusi e insignifi-
canti i tratti della faccia. La bocca senza labbra, simile a una fessura, s'apriva appena in un sorriso stereotipato diretto all'obiettivo. Wexford restituì la fotografia, Sara la rimise sul tavolino, fermò per un momento lo sguardo vagamente sprezzante sulla madre, poi uscì dalla stanza. L'ispettore distinse il rumore dei suoi passi sulla scala. «Quando sarebbe dovuto tornare vostro marito?» «Domenica sera, aveva detto. Ma da principio non mi sono preoccupata non vedendolo tornare. Ho pensato che sarebbe rientrato lunedì, ma non è tornato neppure allora e non ha nemmeno telefonato.» «E voi non avete telefonato al motel?» Lei lo guardò come se le avesse suggerito un'impresa complessa e gigantesca che superava di gran lunga le sue capacità, come scalare una montagna o preparare un programma per un computer. «Oh no davvero! Voglio dire, telefonare a quella distanza! E comunque non ho il numero.» «Sicché non avete fatto niente?» Joy rise di quella sua risata chioccia e senza allegria. «Che cosa avrei potuto fare? Kevin era venuto a casa per il fine settimana, ma era tornato a Keele la domenica.» Lo disse come se qualsiasi azione in quel senso avrebbe potuto essere intrapresa soltanto da un familiare di sesso maschile. «Se avesse avuto qualche incidente, sarei stata informata, no? Aveva con sé una quantità di documenti a suo nome.» «Non avete nemmeno pensato a telefonare alla Sevensmith Harding?» «A che sarebbe servito? Stava settimane intere senza andare in ditta.» «È da giovedì scorso che non avete sue notizie? Niente, in questi otto giorni, che potesse farvi supporre dove si trovava?» «Niente. Diciamo però che non ho sue notizie da cinque giorni. Per i primi tre sapevo che sarebbe stato via.» Ora era giunto il momento di chiederlo. Dopo tutto era stata lei a chiamarlo. Come un vicino al quale confidarsi, senza dubbio, ma soprattutto come un poliziotto a cui ci si rivolge quando si è nei guai. Niente di quanto aveva udito finora lo induceva a pensare che fosse il caso di avviare un'indagine, anche solo preliminare, per scoprire dove si trovasse Rodney Williams. Guardando sua moglie, sua figlia, la casa, tutto ciò che lo circondava, Wexford si chiese come mai fosse rimasto lì tanto a lungo. Se n'era andato con o da un'altra donna e soltanto la vigliaccheria lo tratteneva dallo scrivere la lettera o fare la telefonata di prammatica. «Scusatemi, è possibile che vostro marito avesse... be', diciamo... un'a-
mica? Che frequentasse un'altra donna?» Joy lo fissò con un lungo sguardo freddo e impassibile, come se quel pensiero non le fosse nuovo, ma qualcosa in quello sguardo disse a Wexford che la signora Williams era il tipo di donna che rifiuta per principio di accettare pensieri sgradevoli. Scacciali, sopprimili, non pensare, non riflettere, non farti domande: ti renderebbe infelice. Accendi invece il televisore e resta a guardare con apatica indifferenza lo schermo finché non arriva l'ora di andare a letto con quella meravigliosa pastiglia che ti ha prescritto il dottore. Naturalmente poteva darsi che le facesse torto, che fosse tutto colpa soltanto della propria immaginazione. «È soltanto un'ipotesi» riprese. «Mi dispiace di avere dovuto accennarvi.» «Non so che cosa faccia quando sta lontano da casa per giorni e notti di fila, come potrei? Da quando siamo sposati è sempre stato così: più tempo in giro che a casa. Non so se abbia avuto sgualdrine intorno né mai gliel'ho chiesto.» La soluzione prospettata dall'ispettore, che per la maggior parte delle donne sarebbe apparsa la meno accettabile, sembrava essere stata un sollievo per Joy. Sospettava forse che suo marito fosse implicato in qualcosa di illegale, tanto da farle considerare qualcosa di immorale come un'alternativa confortante? «Pensate che dovremmo fare qualcosa?» «Se con questo intendete che dovreste denunciare la scomparsa di vostro marito perché la polizia faccia qualcosa per ritrovarlo, direi proprio di no. È molto probabile che riceviate sue notizie nei prossimi giorni. In caso contrario, penso che la cosa migliore da fare per voi sarebbe consultare un avvocato. Ma prima di tutto, mettetevi in contatto con la Sevensmith Harding. Con ogni probabilità, là sapranno dirvi qualcosa.» Joy non lo ringraziò per essere venuto. Wexford non era ancora nemmeno andato a casa, si era fermato da lei tornando dall'ufficio, ma lei non lo ringraziò né si scusò per avergli fatto perdere tempo. Girandosi a guardarla, l'ispettore la vide ritta sulla soglia, una mano sul battente, figura esile e angolosa in blusa color nocciola e pantaloni verde scuro dal taglio fuori moda. In tutta Alverbury Road il suo giardino era l'unico dove non sbocciasse un fiore primaverile, una primula o un narciso che interrompesse l'uniformità dei prati e il verde scuro della siepe. Era una nuvolosa sera d'aprile, fresca ma luminosa e il piccolo alveare
delle strade sembrava un unico grande giardino, disseminato di sbuffi e nuvole rosa e bianche e con i viali già cosparsi di variopinti petali caduti. Dora era seduta in poltrona quasi nella stessa posizione, rispetto al camino, di quella dov'era stata seduta Joy Williams, in una stanza della stessa forma e dimensioni di quella che lui aveva appena lasciata. Ma la rassomiglianza finiva lì. In questo camino ardeva un bel fuoco, perché la giornata era stata fredda, e davanti al camino Dora stava lavorando a una coperta, un patchwork blu e rosso, con tutte le sfumature di quei due colori intrecciate in un'infinità di disegni. La parte già finita le ricopriva i lembi della lunga vestaglia di velluto rosso. I suoi capelli erano ancora neri e folti, e poiché a quasi sessant'anni aveva conservato intatta la sua chioma bruna Wexford l'accusava scherzosamente di avere sangue di zingara nelle vene. «Hai visto Mike, oggi?» domandò. Alludeva all'ispettore investigativo Burden, braccio destro del marito. Wexford scosse la testa: no, era stato tutto il giorno in tribunale a Myringham. «Jenny è venuta a dirmi che aveva avuto i risultati dell'amniocentesi. Tutto è normale, è una femmina.» «Che diavolo è l'amniocentesi?» «Infilano un ago nella parete addominale, penetrano nella cavità uterina, prelevano un campione del liquido amniotico che contiene cellule provenienti dal feto, ne fanno una specie di coltura, credo. Così le cellule si moltiplicano e si può scoprire se sono presenti alcune gravi malformazioni, il mongolismo o la spina bifida. E naturalmente si può anche sapere in anticipo se il nascituro è maschio o femmina, a seconda se i cromosomi sono XY o XX.» «Ma quante cose sai! Dove le hai imparate?» «Me le ha spiegate Jenny.» Dora si alzò e posò la sua coperta su una seggiola. «L'amniocentesi però non si può fare prima della sedicesima settimana di gravidanza ed esiste sempre il pericolo di perdere il bambino.» Wexford segui la moglie in cucina. Mai come quella sera si era goduto la luce e il calore della propria casa e per contrasto gli venne in mente che Joy Williams non gli aveva offerto niente, nemmeno un bicchier d'acqua. Dora aprì lo sportello del forno e guardò con occhio critico il pasticcio di rognone che stava finendo di cuocere sul ripiano più alto. «Ti va di bere qualcosa?» «Perché no?» rispose lei. «Alla salute della perfetta bambina di Jenny e Mike.»
«Mi stupisce che Jenny abbia accettato di correre quel rischio» osservò l'ispettore quando ebbe versato uno sherry per la moglie e un whisky con acqua per sé. «È così ansiosa di avere quel bambino! Lo hanno desiderato per anni.» «Be', sai, Jenny ha più di quarantun anni e a quest'età il pericolo di avere un bambino mongoloide è maggiore. Comunque, ora sa che è tutto a posto.» «Vuoi sapere della signora Williams?» «Povera Joy! Era abbastanza carina quando l'ho conosciuta. Ma naturalmente, sono passati diciotto anni, ormai. Suo marito ha preso il volo con un'altra, vero?» «Se lo sapevi, perché mi hai messo di mezzo?» Dora rise, con quella sua gradevole risata di gola, ma si riprese subito, rimproverandosi per averlo fatto. «È un uomo odioso! Tu non l'hai mai conosciuto, vero? Ha qualcosa di ambiguo, di sfuggente. Tanto da farti pensare che nessuno potrebbe esserlo in maniera tanto evidente se avesse davvero qualcosa da nascondere.» «Ma ora hai cambiato opinione.» «Ti confesserò qualcosa che non ho osato dirti a suo tempo. Temevo che tu potessi dare in escandescenze.» «Capisco. Sono sempre stato così violento e pronto a menare le mani! Cos'è che volevi dirmi?» «Ha fatto delle proposte a Sylvia.» Lo disse in tono di sfida. Ritta nella sua lunga vestaglia rossa, col bicchiere di sherry in mano, gli occhi attenti e circospetti: sembrava straordinariamente giovane. «E allora?» ribatté Wexford. La sua figlia maggiore aveva trent'anni, era sposata da dodici e madre di due figli alti e robusti. «È una bella donna. Saranno stati parecchi gli uomini che le hanno fatto delle proposte, e suppongo che abbia sempre saputo badare a se stessa.» Dora gli lanciò una lunga occhiata in tralice. «Ti ho detto che non avevo osato parlartene: Sylvia, allora, aveva quindici anni.» La violenza che Dora aveva temuto scoppiò improvvisa in lui, anche dopo tanti anni. La sua bambina quindicenne! Wexford resistette all'impulso di urlare. Di mettersi a scalpitare. Bevve un sorso di whisky e disse freddamente: «E da quella brava bambina che era, Sylvia è corsa a raccontarlo alla mamma?» «Certo! È stato commovente. Ma penso che, in realtà, deve aver avuto
una paura folle.» «E tu, che cosa hai fatto?» «Sono andata a parlargli e gli ho detto chi eri. Non lo sapeva. Credo che non ci fosse più molto tra lui e Joy. Comunque, ha funzionato. Non si è più fatto vivo e Sylvia non è più andata a fare la baby-sitter da loro. Non dissi niente a Joy, ma penso che lo abbia saputo e che sia rimasta molto male, anche se non adorava più il marito come un tempo.» «Ero adorato anch'io, un tempo» commentò Wexford. «E lo sei tuttora, tesoro. Sai che tutte noi ti adoriamo. Tu non ti sei mai giocato il nostro rispetto correndo dietro alle ragazzine. Posso avere un altro po' di sherry?» «Dovrai versartelo da sola» ribatté lui, aprendo il forno e togliendone il pasticcio di rognone. «Tutto questo bere e spettegolare! Voglio la mia cena.» 2 Gli uffici della Sevensmith Harding, uno dei quattro maggiori colorifici sui cinquecento e giù di lì esistenti nel Regno Unito, si trovavano nella High Street di Myringham e sembravano più un complesso di studi legali o la sede di un grande, raffinatissimo antiquario che non quella di una fabbrica di vernici. Il presidente Jeremy Harding divideva il suo tempo tra i suoi possedimenti di Nassau e la sua villa a Monte Carlo. L'amministratore delegato, George Delahaye, sebbene vivesse nel Sussex, incrociava di rado nei pressi di Myringham. Miles Gardner, il vice direttore generale della ditta, conduceva una vita più normale. Wexford lo aveva conosciuto in casa del suocero di sua figlia Sylvia, che era architetto, e da allora le due famiglie, i Gardner e i Wexford, si erano frequentate. L'ispettore non si sentiva in termini sufficientemente amichevoli da prendersi la libertà di andare a trovarlo nel suo ufficio; ma quando gli capitò di trovarsi a Myrington con Burden, all'ora di colazione, decise di andare a fare uno spuntino al ristorante dell'Old Flag, che si trovava proprio di fronte agli uffici del colorificio. Erano trascorse due settimane dal suo incontro con Joy Williams e lui aveva praticamente scordato l'intera faccenda. L'aveva depennata dalla propria mente quella stessa sera prima di coricarsi e se in seguito le aveva rivolto un fugace pensiero, era stato soltanto per dire a se stesso che ormai
la signora Williams aveva in qualche modo sistemato le cose, oppure che il suo infedele consorte era rientrato all'ovile avendo scoperto, come tanti altri prima di lui, quanto fosse più semplice ed economica la vita domestica. Se anche Williams fosse stato tuttora latitante, niente avrebbe giustificato il fatto che lui, Wexford, facesse indagini alla Sevensmith Harding tanto più che, considerando la modestia dell'incarico di Williams, era assai poco probabile che il vice direttore avesse mai sentito parlare di lui. Wexford e Burden avevano trascorso la mattinata al tribunale di Myringham in qualità di testimoni per due diversi processi. Dopo la sospensione per il pranzo, Burden doveva tornare in tribunale per la prosecuzione dell'udienza, mentre Wexford aveva assolto il proprio compito. Mentre si avviavano verso il ristorante, l'ispettore osservò una volta di più che il suo compagno era taciturno e imbronciato, un atteggiamento che da qualche tempo sembrava essergli diventato abituale. E poiché Burden non era il tipo che se la prende troppo a cuore per qualche contrarietà sul lavoro, Wexford pensò che la causa fosse da ricercare in qualche suo problema familiare. Il matrimonio? No, pur essendo il secondo, era evidentemente un matrimonio felice, come del resto lo era stato il primo. Burden era uomo da rendere felice qualsiasi rapporto coniugale. Pareva possedere un talento particolare in quel campo, sapeva essere un marito affettuoso e obbediente senza rendersi ridicolo. No, non poteva essere quella la fonte del suo malumore. Il bambino che doveva nascere... Lui e Jenny lo desideravano da anni, benché Burden avesse già altri due figli, un maschio e una femmina, dal suo primo matrimonio. Wexford considerò per un attimo un'idea che gli era balenata in mente, poi la scacciò come assurda. Burden era l'ultimo uomo al mondo che si sarebbe preoccupato di avere un figlio all'età di quarantacinque anni. Per lui non era un problema. «C'è qualcosa che non va, Mike?» si decise finalmente a domandare l'ispettore, quando il silenzio si fece insopportabile. «No, niente.» Risposta classica. Uno dei casi in cui un'asserzione significa esattamente l'opposto di ciò che afferma. Wexford non insistette. Proseguì in silenzio, come il suo compagno, e in silenzio entrò con lui all'Old Flag. Il ristorante non era molto affollato e guardandosi in giro per scegliere un tavolo, l'ispettore scorse Miles Gardner che pranzava da solo. «Non vorreste farmi compagnia?» domandò il vice direttore.
«Pensavo che foste in attesa di qualcuno» ribatté Wexford. «Soltanto di qualche persona disposta a sopportarmi.» Gardner parlava con un tono cordiale che non aveva niente di affettato, una caratteristica che era sempre piaciuta all'ispettore. «Fanno un'ottima insalata di gamberi, qui. Potreste cominciare con quella, nel frattempo manderanno qualcuno dal macellaio a comperare una bistecca. Ma affrettatevi perché il macellaio chiude all'una e non riapre fino alle due, quando chiude il ristorante. Siamo fatti così a Myringham!» Wexford rise, ma Burden non l'imitò. Sedette con l'espressione educata ma rigida che fa comprendere all'individuo meno sensibile del mondo che sarete molto più felici - o meno infelici - se vi lasceranno a cuocere nel vostro brodo. Wexford decise di ignorarlo. Gardner sembrava felice della loro compagnia e, dopo aver ordinato un aperitivo per i suoi ospiti, prese a parlare con la solita elegante disinvoltura della nuova casa nella quale si era appena trasferito e che era stata progettata dal suocero di Sylvia. Era un dono prezioso saper parlare a quella maniera con un conoscente e un ospite occasionale, come se fossero vecchi amici che si vedevano spesso, pensò Wexford. Dalla casa, Gardner passò a parlare di lavoro, di disoccupazione e delle difficoltà del momento attuale. «L'atteggiamento generale nei confronti del lavoro e della conservazione del posto va cambiando» osservò. «Si va perdendo, soprattutto nella classe media, quell'attaccamento che durava per la vita al proprio posto di lavoro e alla carriera anche se erano diventati odiosi, e forse soltanto perché erano frutto di una scelta operata quando si avevano vent'anni o poco più.» «Perché questo cambiamento?» domandò Wexford. «Non lo so. Me lo sono chiesto anch'io più volte, ma non ho mai trovato una risposta soddisfacente. Posso solo aggiungere che insieme alla paura di perdere il posto e il rispetto per il datore di lavoro soltanto perché è il datore di lavoro, sono spariti anche l'orgoglio per il proprio mestiere e la lealtà verso la propria ditta. Un caso tipico è il mio direttore alle vendite. Un tempo si poteva avere la certezza che un uomo in quella posizione fosse una persona consapevole delle proprie responsabilità, uno che non ti avrebbe mai piantato in asso, che sarebbe stato orgoglioso, oserei dire riconoscente, di trovarsi dov'era e che avrebbe avuto sinceramente a cuore gli interessi della ditta.» «E invece che cosa ha fatto?» domandò inaspettatamente Burden, uscendo a un tratto dal suo mutismo. «Ha cambiato rotta in piena naviga-
zione?» «Non so se ha cambiato rotta, so solo che se n'è andato insalutato ospite. Un giorno ci ha telefonato sua moglie dicendo che era ammalato e poi non ne abbiamo saputo più niente finché non ci è arrivata una sua lettera di dimissioni, secca e sbrigativa, con un poscritto quasi insolente nel quale aggiungeva che si sarebbe messo in contatto con la nostra contabilità per incassare la liquidazione che gli spettava.» «Era con voi da molto tempo?» «Da quando aveva cominciato a lavorare, credo, ed era direttore alle vendite da cinque anni.» «Di questi tempi non avrete certo difficoltà a sostituirlo.» «No, certo. Non assumeremo un estraneo. Promuoveremo qualcuno del nostro personale. È sempre stata la politica della Sevensmith Harding, promuovere piuttosto che assumere.» A questo punto Burden, che doveva tornare in tribunale per le due, si alzò e prese congedo, stringendo la mano a Gardner e spingendosi fino a mormorare che era stato un piacere averlo incontrato. Uscito Mike, Wexford offrì un'ultima birra, poi gli venne in mente di fare una domanda. «Non sarà per caso il mio vicino, Rodney Williams, quello che promuoverete?» Gardner lo fissò sorpreso. «Rod Williams?» «Esatto. Abita nella strada accanto alla mia.» «Amico, Rod Williams è per l'appunto il direttore alle vendite del quale vi ho parlato.» «Williams?» «Williams, sissignore. Pensavo di avervi detto il suo nome.» «Sentite, qui uno di noi due sta equivocando!» «Voi, certo» ribatté Gardner sorridendo. «Sì, lo penso anch'io. Il Williams del quale parlo io, a quanto mi è stato detto, dovrebbe essere il vostro rappresentante per il Suffolk.» «Difatti lo è stato. Fino a cinque anni fa. Poi, quando il nostro direttore alle vendite si dimise per motivi di salute, fedeli alla nostra politica, promuovemmo lui a quel posto.» «Ma sua moglie è convinta che faccia tuttora il rappresentante! Continua ad andare nel Suffolk!» Il vice direttore inarcò le sopracciglia e sorrise ironico. «La sua vita privata non è affar mio.»
«Nemmeno mio, se è per questo!» Fu Gardner a cambiare argomento, passando a parlare della propria figlia che stava per sposarsi. Poi Wexford si congedò, con la promessa che si sarebbero tenuti in contatto. Tornando a Kingsmarkham, rifletté a lungo su Rodney Williams. Nella vita coniugale dell'ispettore non v'era spazio per alibi di nessun genere e questo lo induceva a chiedersi quale potessero essere le necessità di un uomo che da almeno cinque anni basava tutta la propria esistenza su un alibi continuato. Incredibile! Poi cercò di annullare le proprie sensazioni e di riflettere obiettivamente sul caso. Probabilmente, anni addietro Williams aveva conosciuto qualche ragazza con la quale desiderava trascorrere un po' di tempo senza per questo porre fine al proprio matrimonio e aveva trovato il modo di farlo tenendo nascosta alla propria moglie la promozione. Probabilmente la sua fiamma viveva a Myringham e così, mentre Joy era convinta che il marito soggiornasse in un motel alla periferia di Ipswich, lui se ne stava tranquillo con l'altra, vivendo in casa di lei e svolgendo regolarmente il proprio lavoro, dalle nove alle diciassette, alla Sevensmith Harding a Myringham. Una situazione boccaccesca di cui molti uomini avrebbero riso. Non Wexford. Vi era un altro aspetto della situazione che ben pochi avrebbero trovato risibile. Se Williams non aveva parlato alla moglie della propria promozione, presumibilmente non le aveva detto nemmeno del considerevole aumento della retribuzione che ne ricavava. Ma ormai il mistero non esisteva più. Joy aveva telefonato alla ditta accampando una scusa e attualmente Williams si trovava probabilmente in Alverbury Road, tentando di trovare una valida giustificazione per impedire alla moglie di scoprire l'inganno. Alle nove di quella sera Wexford era ancora in ufficio intento a rivedere per la decima volta le dichiarazioni che aveva raccolto per la preparazione di una denuncia per frode a carico di un certo Francis Wingrave Adams. Dubitava di essere riuscito a raccogliere prove irrefutabili e la sua opinione era condivisa dal pubblico accusatore, benché entrambi sapessero che l'uomo era colpevole. All'ultimo rintocco del campanile di St. Peter, l'ispettore chiuse l'incartamento e uscì per tornarsene a casa. Da qualche tempo aveva preso l'abitudine di andare e tornare a piedi dall'ufficio. Glielo aveva raccomandato il dottor Crocker, il medico legale, facendogli osservare che in fin dei conti era un tragitto di nemmeno un chilometro. «E allora a che mi serve?» aveva domandato lui.
«Un paio di chilometri a piedi ogni giorno possono significare dieci anni di vita in più» aveva ribattuto il medico. «Sicché se ne facessi sei, potrei vivere trent'anni di più?» Il medico non aveva nemmeno preso in considerazione la domanda ma Wexford, pur affettando disprezzo per la sua raccomandazione, l'aveva poi seguita. A volte, la passeggiata lo portava a passare davanti al villino dei Burden, in Tabard Road, a volte invece percorreva Alverbury Road, dove abitavano i Williams. Di tanto in tanto, sceglieva un percorso un po' più lungo, prendendo un sentiero che costeggiava i prati. Ma quella sera volle fermarsi dal collega per parlare con lui del caso Adams e, approfittando dell'occasione, per cercare di scoprire la causa di quella sua ostinata depressione. La coppia viveva tuttora nel villino che Mike Burden si era comprato poco dopo il primo matrimonio e il giardino, nonostante i vent'anni trascorsi, aveva tuttora un'aria incompiuta, tanto più che l'edera che avrebbe dovuto arrampicarsi lungo i muri era stata impietosamente potata alla base. Soltanto la porta d'ingresso era decisamente diversa. Nel corso di quei vent'anni aveva cambiato colore diverse volte (Burden era un decoratore appassionato) e dal rosa brillante di un tempo era diventata ora di un cupo blu verdastro... probabilmente grazie alla vernice Pavone Orientale della Sevensmith Harding. Sopra la porta, era già accesa la lampada a forma di grande stella. Venne ad aprire Jenny, la cui gravidanza cominciava ad essere visibile. Invece del solito "pre-maman", indossava un abito dalla cintura alta, come certe donne di Vermeer, e portava i lunghi capelli bruno-dorati sciolti sulle spalle. Wexford fu colpito dal suo aspetto, dal suo viso sparuto e dalla sua espressione desolata. Burden, che si era lasciato finalmente convincere a smettere di chiamarlo "signore", ora non lo chiamava più in nessuna maniera, ma Jenny lo chiamò famigliarmente Reg. «Mike è in soggiorno, Reg» disse, aggiungendo poi in uno strano tono che non le era abituale: «Io stavo per andare a letto.» Benché fossero soltanto le nove e venti, Wexford si sentì in dovere di scusarsi per essere venuto così tardi, e lei scrollò le spalle ribattendo che non importava, ma il modo come lo disse parve sottintendere che più nulla importava, ormai. L'ispettore la seguì nella stanza dove si trovava Mike. Questi, seduto sull'ampio divano, stava sfogliando un notiziario della polizia e Wexford si sarebbe aspettato che Jenny fosse stata seduta accanto a
lui, ma non era così, evidentemente, perché accanto a una poltrona all'altro capo della stanza giaceva il libro che lei stava leggendo, insieme con un lavoro a maglia bianco che non aveva l'aria di stare molto a cuore alla magliaia. In un vaso di vetro sul davanzale della finestra, alcune violaciocche languivano col gambo in tre dita d'acqua. «Bevete qualcosa?» chiese Burden posando il suo fascicolo. «Una birra. C'è della birra, vero, Jenny?» «Non lo so. Non tocco mai quella roba, io.» Lui non aprì bocca. Uscì dalla stanza e tornò dopo qualche momento con due lattine su un vassoio. La prima moglie di Burden, e anche Jenny, qualche tempo avanti, avrebbe osservato che in casa esistevano bicchieri per bere la birra. Ora invece Jenny si abbandonò stancamente sulla sua poltrona e, raccattando il libro e il lavoro a maglia, mormorò senza guardare i due uomini: «Bevete direttamente dalla lattina, vero?» Wexford cominciava a sentirsi a disagio. La tensione evidente fra Jenny e Mike sembrava aleggiare nell'aria come fumo acre che prendesse alla gola, ostacolando il respiro. Senza parlare, strappò con un colpo secco il coperchio della lattina, sogguardando Jenny che sedeva inerte col suo lavoro a maglia fra le mani e gli occhi fissi alla parete di fronte. Burden, seduto sul divano con la fronte aggrottata come di consueto, aprì a sua volta la lattina con un movimento maldestro e fece schizzare un getto di schiuma sul tappeto. Tre mesi prima, Wexford lo aveva visto rovesciare non un sorso di birra ma una coppa intera di spuma di fragole sul tappeto più nuovo e più chiaro della sala da pranzo e Jenny aveva riso, dicendogli di non preoccuparsi. Ora invece gettò un grido, balzando dalla poltrona. «Va bene, va bene, calmati! Pulisco io! Non è niente, vado a prendere uno strofinaccio.» Jenny scoppiò in lacrime e, tenendosi una mano sul viso, corse fuori della stanza. Mike la seguì, ma rientrò subito dopo con lo strofinaccio. «Scusateci» disse, inginocchiandosi sul tappeto. «Naturalmente non è per la birra. Basta un niente per sconvolgerla. Ma io ho deciso di non farvi più caso.» «Ma Jenny non sta bene, Mike...» «Oh, sta benissimo.» Burden si alzò e gettò lo strofinaccio sul margine piastrellato del focolare. «Ha una gravidanza eccezionale, senza il minimo disturbo. Non ha nemmeno avuto le nausee. Quando penso a quello che ha passato Jean...»
Wexford non riusciva a credere alle proprie orecchie. Un marito - e un marito come Burden - che fa confronti simili! Mike parve rendersi conto di ciò che aveva detto perché arrossì a un tratto. «No, davvero, sta perfettamente bene» riprese. «Lo dice lei stessa. È soltanto nervosa.» Wexford aveva pensato spesso che se tutti quelli che il suo collega definiva nevrastenici lo fossero stati per davvero, almeno tre quarti della popolazione avrebbe dovuto essere affidata alle cure di uno psichiatra. «Ma l'amniocentesi è andata bene, no?» domandò. «Non le hanno detto qualcosa che l'ha preoccupata?» Burden ebbe un attimo di esitazione. «Be', per essere sincero, qualcosa gliel'hanno detto.» Fece una risatina stridula. «Una cosa che a me non fa né caldo né freddo ma che a lei sembra una catastrofe.» Si rimise a sedere. «Non voglio parlarne» dichiarò in tono che non ammetteva replica. «Ho già detto troppo e non intendo aggiungere altro.» «Come vuoi» si arrese Wexford. «Ero venuto per parlare con te di Adams, se non sei troppo preso dai tuoi conflitti domestici.» «Ve l'ho detto, ormai non vi faccio più caso» ribatté Burden e i due discussero per una mezz'ora del caso Adams, ma senza troppo profitto. Quando Wexford tornò a casa, Dora era a letto e leggeva. Spogliandosi le raccontò ciò che era accaduto dai Burden. «Sono troppo vecchi per avere bambini» commentò Dora, che aveva anche lei qualcosa da raccontare al marito. «Sai, Rod Williams non è ancora tornato a casa. Ho incontrato Joy e mi ha detto che non ha ancora avuto sue notizie.» «Mi sembrava che avesse telefonato alla Sevensmith Harding» obiettò Wexford. «Questo è ciò che le avevi consigliato di fare. Le avevi detto di telefonare in ditta chiedendo notizie del marito e lo farà, ora.» Non era quello che Wexford aveva inteso dire, ma non ribatté e si infilò sotto le coperte, con la certezza di non avere ancora udito l'ultima parola sul caso Williams. 3 Erano ormai due settimane che vedeva la Ford Granada blu scuro parcheggiata fuori di casa sua, in Arnold Road, a Myringham. Era apparsa la prima volta dopo Pasqua. Graham Gee non riusciva a vederla dalle finestre sul davanti della casa né dal giardino anteriore, a causa dell'alta siepe, ma
la vedeva sempre uscendo o rientrando nella sua autorimessa la mattina alle otto e il pomeriggio alle cinque e mezzo. Dapprima, disse alla polizia, aveva pensato che fosse del ragazzo che abitava di fronte, uno sbarbatello sui sedici o diciassette anni, ma era un'auto troppo rispettabile per interessare un ragazzo di quell'età. Poi aveva cominciato a chiedersi se non appartenesse a qualche pendolare che usasse l'Arnold Road perché il parcheggio municipale, che si trovava a quattro o cinquecento metri da lì, era affollato su entrambi i lati da auto di altri pendolari. Graham Gee aveva cominciato a considerare quella Ford Granada lì, fuori dal suo cancello, come una spina nel cuore. Quanto prima centinaia di altri automobilisti avrebbero seguito l'esempio del suo proprietario. La Arnold Road era una bellissima strada, tranquilla e silenziosa, con villini ben distanziati, tutti attorniati da ampi giardini, e il peggio che vi fosse mai capitato era stato il furto di qualche dalia che sporgeva da una siepe. Perciò Graham Gee era stato profondamente sorpreso nell'accorgersi, una mattina, che erano spariti i coprimozzo della Granada. Forse non c'erano mai stati, Gee non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma era ben certo che le ruote c'erano, che l'auto non era mai stata appoggiata sopra quattro pilastrini di mattoni, ormai tutta sudicia e rigata dalla pioggia, come se veramente appartenesse al ragazzo di fronte. Tuttavia, aveva continuato a non fare niente, benché si fosse reso già da qualche tempo conto che l'auto era sempre rimasta là, giorno e notte, e che quindi non poteva appartenere a un pendolare. Soltanto una settimana più tardi, quando vide il finestrino posteriore sfondato, si decise finalmente ad agire. Il finestrino posteriore era andato in pezzi, le portiere erano state aperte e l'interno spogliato di tutto il possibile. Sparita la radio, i poggiatesta dei sedili anteriori, e qualcosa, forse un orologio, inserito nel cruscotto. Gee telefonò alla polizia. La polizia non ebbe bisogno di rintracciare il proprietario attraverso il registro automobilistico di Swansea. Il foglio di registrazione era nel cassetto del cruscotto, insieme con una mappa stradale dell'Inghilterra meridionale, una penna a sfera e un paio di occhiali da sole. L'auto apparteneva a Rodney John Williams, abitante in Alverbury Road 31, Kingsmarkham.
Come mai Williams aveva parcheggiato la propria auto in Arnold Road, quando il parcheggio della Sevensmith Harding era a meno di cinquecento metri, alle spalle degli uffici in High Street? Non era mai chiuso e non aveva cancelli, c'era soltanto un varco in una siepe, con un cartello: "Vietato l'ingresso ai non dipendenti". «Non capisco» disse Miles Gardner. «Per essere sincero, avevamo pensato di provvedere noi al recupero dell'auto, ma non abbiamo un'idea di dove si trovi Williams. Non c'era alcuna indicazione nella sua lettera di dimissioni e a quanto pare non abita più con la moglie. Sembra che si sia dissolto nel nulla. E quell'auto ormai è soltanto un guscio vuoto.» «C'è rimasto il motore» rispose Wexford. Gardner fece una smorfia. Erano nel suo ufficio, abbastanza severo ma lussuoso, dalle pareti ricoperte quasi per intero da pannelli di quercia. Niente vernice opaca Settestelle, qui, pensò l'ispettore. Sulla scrivania del vice direttore spiccava una grande fotografia raffigurante una signora alta con tre ragazze, tutte affettuosamente abbracciate, la moglie e le figlie di Gardner, e fra le molte foto incorniciate appese alle pareti, Wexford ne notò una dov'era ritratta una squadra di cricket con un giocatore alto e magro in atto di battere. Rodney Williams. L'alta fronte prominente, i lineamenti poco marcati, le labbra sottili erano inconfondibili. «Era molto più giovane, allora» osservò Gardner, seguendo lo sguardo dell'ispettore. «Che storia inverosimile! Williams è sempre stato un appassionato d'automobili. Non pensate che gli sia accaduto qualcosa, vero?» Il solito eufemismo per non dire "morto"... «Se pensate a un incidente, non lo credo» mormorò l'ispettore. «Sono più propenso a supporre che fosse coinvolto in un qualche imbroglio. Forse ne ha avuto abbastanza e ha deciso di smettere, oppure è successo qualcosa che gli ha fatto temere di essere scoperto. Se ha rubato o falsificato i conti penso che le ricerche si debbano fare qui in ditta. Voi ne sapete qualcosa?» «Non ne avrebbe avuto la possibilità. Volete che chiami il nostro capocontabile? Voglio dire che, per quanto posso immaginare io, un eventuale imbroglio avrebbe potuto soltanto riguardare la contabilità e in tal caso Ken Risby è l'unico che potrà dirvi qualcosa.» Gardner diede alcuni ordini all'interfono e mentre aspettavano, Wexford domandò: «Non c'è in giro niente di piccole dimensioni ma di valore di cui avrebbe potuto appropriarsi? Non potrebbe essersi trovato fra le mani un assegno e averlo falsificato? Non avrebbe potuto contraffare qualche fir-
ma?» Gardner era sbalordito. «Non credo. No, sono certo di no. Voglio dire, lo avrei saputo. Quest'uomo è sparito da tre settimane! Oh, ma ecco Ken. Lui potrà dirci qualcosa di preciso.» Ma Risby non fu in grado di dire niente. Sembrò non meno sbalordito di Gardner dalle supposizioni dell'ispettore. Come se l'uno e l'altro vivessero in un mondo dove la frode era una parola priva di significato, pensò Wexford spazientito, e gli uomini fossero tutti incorruttibili. «Qualche volta andava magari un po' su con le spese, ma niente più. Niente. Non maneggiava mai denaro della ditta. Che cosa vi fa pensare una cosa simile?» «Rifletteteci anche voi. Da cinque anni mentiva alla moglie che non sa ancora della sua promozione. A proposito, a quanto ammontava il suo stipendio?» «Venticinquemila» rispose il vice direttore senza troppo entusiasmo. Più di quanto Wexford si fosse aspettato. «E le mentiva anche su questo. Scommetto che le diceva di guadagnare meno della metà. Un bel giorno, annuncia che parte per Ipswich, dove presumibilmente non metteva piede da almeno cinque anni, e se ne va. Molla l'auto della ditta in una strada qualsiasi e scompare. E da quel giorno, a parte la telefonata fatta probabilmente dalla signora con la quale se l'intende per avvertirvi che "suo marito" era ammalato e a parte quella lettera di dimissioni, nessuno ha saputo più niente di lui. E mi chiedete perché nutro qualche sospetto? Parlatemi di lui. Se non è tipo da rubare o falsificare i libri, c'è qualche altro misfatto che potrebbe avere commesso?» I due fissarono l'ispettore senza aprir bocca. Privi d'immaginazione com'erano, non seppero azzardare alcuna ipotesi. Ma Wexford aveva immaginazione da vendere. «Non avrebbe potuto vendere vernici e colori a prezzo maggiorato, intascando la differenza? O qualcosa del genere?» Gardner, che da qualche momento sembrava privato per sempre della facoltà di sorridere, scoppiò in una risata. «Ma non era mica lui a effettuare le vendite, Reg. Non è così che si svolge il nostro lavoro. Rod non maneggiava denaro, sotto nessuna forma.» «Si direbbe che state parlando di un re!» osservò l'ispettore. «Comunque, signor Risby, vi dispiacerebbe dare un'occhiata ai vostri libri contabili?»
«Ma è assolutamente inutile, credetemi. Sarei pronto a presentarmi in tribunale ora e a giurare che non manca un centesimo nei miei libri.» «Spero che non dobbiate mai farlo, ma non siatene troppo certo.» Risby sbarrò gli occhi in faccia all'ispettore che continuò imperterrito: «Controllate attentamente quei vostri libri, vi dispiace? Frattanto, Miles, vorrei vedere la lettera di dimissioni che vi ha mandato Williams.» La lettera, dattiloscritta, sembrava essere stata battuta da qualcuno che non aveva eccessiva confidenza con la macchina per scrivere. Egregio signor Gardner, la presente per informarvi che mi dimetto, a partire da oggi, dalla Sevensmith Harding. Purtroppo si tratta di una decisione improvvisa che circostanze indipendenti dalla mia volontà mi costringono a prendere. Non tornerò in ufficio e vi sarò grato se non cercherete di mettervi in contatto con me. Distinti saluti Rodney J. Williams P.S. - Mi metterò in contatto con la contabilità per il versamento della mia liquidazione. «Pensavo che dati i vostri rapporti, vi chiamaste per nome» osservò Wexford, rivolgendosi a Gardner. «Infatti, era così che ci chiamavamo, Rod e Miles.» «Ma nella lettera vi chiama "signor Gardner".» «Forse perché una circostanza simile richiedeva un tono più formale.» «Può darsi. Non vi sareste aspettato, comunque, qualche spiegazione un po' più particolareggiata per delle dimissioni così inattese?» «Volete sottintendere che la lettera sia stata scritta da qualcun altro?» Wexford non si sbilanciò. «Posso prenderla? Vorrei fare esaminare la firma da un esperto. Potreste darmi un campione della firma di Williams? Un campione di cui siate certo dell'autenticità, naturalmente.» Sopra e dentro l'automobile erano state rilevate nove serie distinte di impronte digitali, fra le quali si trovavano presumibilmente anche quelle dei saccheggiatori. Le altre potevano essere di Williams, di Joy, di Sara, di Kevin e di chissà chi altri. Capelli, molti, biondi e grigi, sulla tappezzeria, ma nessuna macchia di sangue: niente di tragico. Ma qualcosa di strano, sì. Sul fondo del bagagliaio si rinvennero alcuni frammenti di intonaco che il
laboratorio della polizia identificò come uno di quelli prodotti dalla Sevensmith Harding. E pochi giorni dopo arrivò il verdetto riguardante la lettera. Era stata battuta su una Remington 315 portatile che presentava un difetto all'apice della A maiuscola, nell'asta della t minuscola e una irregolarità nella testa della virgola. La firma non era quella di Williams. Frattanto, la scomparsa di Williams aveva cessato di essere una questione privata e Wexford pensò che una sua visita in Alverbury Road 31 non sarebbe stata sgradita. Vi andò una sera intorno alle otto e la porta gli fu aperta da Sara che lo accolse senza aprir bocca, richiuse il battente alle sue spalle, gli aprì l'uscio del soggiorno e se ne andò in camera sua. Joy Williams stava naturalmente guardando la televisione. Un attimo prima di entrare, Wexford l'aveva sentita ridere. Lei non spense il televisore, chiuse soltanto l'audio. Non sembrava affatto entusiasta di quella visita inaspettata. Sì, ammise, lei e suo marito avevano un conto in banca intestato a entrambi. Avevano dovuto farlo per forza, date le frequenti e prolungate assenze di Rod. «Ogni quanto tempo vi mandano l'estratto conto?» «Ogni mese» rispose Joy mentre i suoi occhi correvano al video. Il dottor Crocker aveva raccontato all'ispettore di essere andato a visitare una signora ammalata di bronchite. Aveva il televisore in camera, e lo stava guardando con tutti i suoi sei figli. Quando le chiese di spegnerlo per poterle auscultare i polmoni, lei aveva protestato inviperita. «Va bene» aveva ribattuto lui. «Allora vuol dire che strappo io la spina, senza il vostro permesso.» Wexford, ora, avrebbe voluto agire allo stesso modo e lo avrebbe fatto, se avesse avuto qualche motivo di preoccupazione a proposito di Rod Williams. Dopo tutto, era stata Joy a chiedere a Dora che lui si interessasse al suo caso: come mai ora mostrava tanto palesemente di non gradire la sua presenza? «Vi dispiacerebbe mostrarmi qualcuno di quegli estratti conto?» Lei girò di lato la testa portandosi le braccia incrociate sul petto, la mano destra sulla spalla sinistra e la sinistra, con i suoi anelli di pessimo gusto all'anulare, sulla spalla destra, un gesto che le era abituale e che uno psichiatra avrebbe definito di inconscia difesa contro le violenze del mondo esterno.
«Se volete...» L'ispettore lo aveva chiesto col tono di chi chiede un favore, e lei parve concederlo come tale. Non le ci volle molto per trovare gli estratti conto: non intendeva perdere il suo spettacolo più a lungo di quanto non fosse strettamente necessario. Mentre Wexford esaminava i fogli, si udì lo squillo del telefono e Joy sussultò. «Mio figlio! Mi telefona sempre il giovedì sera.» In ciascun rendiconto mensile risultava un versamento di cinquecento sterline, sempre effettuato più o meno all'inizio di ogni mese, con ogni probabilità l'assegno di uno stipendio. Ma, rifletté Wexford, lo stipendio di Williams era di venticinquemila sterline l'anno e nemmeno dopo tutte le possibili ritenute e deduzioni poteva scendere a quella cifra. In secondo luogo, non sarebbe stata comunque una cifra tonda. Terzo, sarebbe stata versata sempre, giorno più, giorno meno, alla stessa data, non a volte al primo, a volte all'otto del mese. La situazione era fin troppo chiara. Williams aveva da qualche altra parte un secondo conto corrente sul quale veniva versato il suo stipendio, e da quello lui prelevava ogni mese le cinquecento sterline che poi versava sul conto intestato anche alla moglie. Alla Sevensmith Harding non avrebbero avuto alcuna difficoltà a dirgli dov'era il secondo conto; il problema sarebbe stato quello di indurre un direttore di banca a fornirgli informazioni sulla situazione finanziaria di un cliente. Wexford tornò a guardare il foglio relativo al mese di aprile. Il giorno due era stata regolarmente versata la somma di cinquecento sterline e quello era l'ultimo versamento. Si era appena a metà maggio e il relativo estratto conto non era stato ancora inviato alla signora Williams. Joy rientrò in soggiorno col viso animato e colorito, che la faceva sembrare più giovane del solito. Effetto della chiacchierata col figlio, il suo prediletto. «Vorrei che telefonaste alla vostra banca per chiedere se sono state versate sul conto le solite cinquecento sterline. Vi dispiace?» le disse l'ispettore. Lei scosse la testa. Poi Wexford le chiese di parlargli dell'ultimo pomeriggio trascorso in casa da suo marito. Rod aveva tosato il prato, rispose lei, poi l'aveva accompagnata a fare la spesa al supermercato. Lei non sapeva guidare. «Tornati a casa, abbiamo preso il tè e Rod ha mangiato un panino imbottito. Non ha voluto altro. Mi ha detto che avrebbe fatto uno spuntino du-
rante il viaggio. Poi è salito a prepararsi la valigia e se ne è andato, dicendo che sarebbe tornato domenica.» Joy fece una delle sue terribili risatine. «Questo è tutto. Dopo ventidue anni di matrimonio!» «E voi che cosa avete fatto, dopo?» «Io?» «Sì, voi. Che cosa avete fatto, la sera? Siete rimasta in casa, siete uscita, è venuto a trovarvi qualcuno...» «Sono andata da mia sorella, a Pomfret, con l'autobus.» «E Sara?» «Lei è rimasta qui, in camera sua.» La signora Williams accennò al soffitto. «A studiare, immagino.» Questo lo disse come se si trattasse di una cosa inutile, o addirittura deplorevole. C'era qualcosa che non quadrava in quel racconto di come la signora Williams aveva trascorso la serata, qualcosa di incongruo, ma al momento Wexford non seppe individuarlo. «Vorrei parlare con Sara» disse. «Accomodatevi.» Joy lo fissò arditamente in viso, dimenticando per un momento la televisione. «È su, in camera sua, ma potete salire, se credete. Non avrà niente da obiettare.» Di nuovo quella risata orribile. «Semmai il contrario, se la conosco bene.» 4 Sicché la giovane Sara, che assomigliava a una fanciulla del Botticelli, a una vergine quattrocentesca, era stata sorpresa a letto col suo ragazzo. O, più probabilmente, non a letto: lì su quel divano di plastica gialla, o sul sedile posteriore di un'automobile. È così difficile trattare con le ragazze! Ti vanti di avere una mentalità aperta e illuminata, ma quando si tratta di tua figlia...! Ma questo non giustificava l'insinuazione maligna della signora Williams. Tuttavia, una qualche giustificazione forse l'aveva, povera donna. Stava attraversando momenti terribili e, praticamente certa di essere sul punto di perdere il suo uomo - se pure non l'aveva già perduto - era logico che nutrisse dell'amarezza verso la ragazza che ne aveva forse conquistato uno. Inoltre Joy aveva forse scoperto da poco che Sara aveva un ragazzo. La musica che proveniva da una stanza servì da guida a Wexford. Musica rock, sottolineata da un sommesso, monotono battere di tamburo. Bussò alla porta. Sara non rispose: "Entrate". Fu lei ad aprire la porta. Wexford aveva
spesso notato che il modo con cui una persona reagiva quando si bussava alla sua porta offriva spunti interessanti sul suo carattere e sulle sue motivazioni. Una donna che, per esempio, risponde: "Entrate" dimostra di essere più serena, più disponibile di quella che va ad aprire la porta. Quest'ultima è un'introversa, una donna chiusa e riservata. Inoltre, nei trenta o più secondi trascorsi prima di aprire la porta, che cosa ha chiuso nel cassetto o nascosto sotto una rivista? Si guardò attorno. Sara aveva dato alla sua stanza un'impronta personale. L'aveva resa più gradevole e non certo a causa dei mobili, tappeti e tende fornitegli dai genitori. Era la stanza più piccola di tutta la casa. Wexford aveva fatto costruire un locale in più quando le due figlie erano piccole. Quella casa invece aveva mantenuto la pianta iniziale. C'era una grande stanza da letto, quella dei genitori, che dava sulla strada, poi un'altra stanza più piccola che in quella famiglia era stata data al maschio e infine un piccolissimo locale, non più di tre metri per due, la stanza di Sara. Lei aveva appeso dei poster alle pareti, uno rappresentava un cavallo fulvo che galoppava nella neve, opera di un pittore naif jugoslavo, un altro ritraeva un magrissimo negro che suonava la chitarra; fra l'uno e l'altro erano appese una racchetta da tennis, una bambolina e una composizione di tarocchi. Ma il poster più sensazionale era appeso proprio di fronte alla porta: raffigurava una sorta di arpia con testa e seno di donna e corpo, ali e artigli di corvo che stringevano un nastro svolazzante sul quale era scritto ARRIA. Wexford rammentò la maglietta che Sara indossava la prima volta che l'aveva vista. La donna corvo aveva la faccia greve di un'eroina, una di quelle nobili, belle e coraggiose vergini, fanaticamente dedite a un ideale e che ti fanno venir voglia di tagliar la corda o di prendere un tranquillante. Su alcuni scaffali che avevano l'aspetto di essere stati montati dalla stessa Sara, erano allineati libri di saggistica: una Vita di Freud in edizione economica, Havelock Ellis di Phyllis Grosskurth, libri di Fromm, Laing, il testo di Freud su Leonardo e sull'Uomo dei lupi, i testi di Pizzey e di Shapiro sull'incesto e sui maltrattamenti e le sevizie dell'infanzia; non c'erano romanzi. Una piccola radio le forniva il sottofondo musicale mentre se ne stava probabilmente seduta alla scrivania intenta a leggere un testo di chimica che giaceva lì aperto. «Stiamo cercando vostro padre, Sara. Non posso dire, per ora, che sia scomparso, ma non riusciamo a trovarlo.» Lei lo fissò con uno sguardo grave e riservato. Wexford notò la sua carnagione chiara e vellutata, spruzzata appena di lentiggini dorate sul piccolo
naso diritto. Quando gli aveva aperto la porta, teneva in mano un pennarello verde. Sul dorso della mano sinistra aveva disegnato un serpente verde. «Avete qualche idea di dove potrebbe essere?» continuò Wexford. La ragazza scosse la testa, mentre riavvitava il cappuccio del pennarello e lo posava sulla scrivania. «Volete parlarmi dell'ultima volta che siete stata con lui? Eravate a casa quando è partito?» Sara ebbe un attimo di esitazione, poi annuì. «Era il secondo giorno di scuola dopo le vacanze pasquali. Ero tornata a casa un po' più tardi del solito perché ero stata in biblioteca a ritirare un libro.» Prese dallo scaffale due volumi e ne tese uno all'ispettore. Evidentemente intendeva far colpo su di lui, perché si trattava dei Principi di Genetica Umana di Stern. Lui non vi fece molto caso, ma controllò la data. «Ho telefonato alla biblioteca per farmi rinnovare il prestito» disse lei in tono difensivo. «Non mi bastavano tre settimane per leggerlo. È un testo difficile.» Sorrise finalmente e divenne bella. «Non sto dicendo che è troppo difficile per me, ma che la genetica non è un argomento facile.» «Come mai vi interessate di quest'argomento?» domandò Wexford. «Mi è stato offerto un posto alla scuola di medicina del St. Biddulph's e intendo andarci, ma naturalmente tutto dipenderà dai miei voti.» Il suo tono sembrava sottintendere che non avrebbe avuto alcuna difficoltà a conseguire il massimo. Doveva essere una ragazza molto intelligente, pensò l'ispettore. Un paio d'anni prima erano state pubblicate statistiche dalle quali risultava che troppi ragazzi studiavano medicina e che, al ritmo attuale, alla fine del secolo ci sarebbero stati almeno quarantamila medici di troppo. Le facoltà di medicina avevano quindi ricevuto istruzioni di rendere più difficili e costose le ammissioni, perciò se a Sara era stato offerto un posto al prestigioso St. Biddulph's... «I vostri genitori devono essere orgogliosi di voi.» L'occhiata che Sara gli gettò significava palesemente che Wexford aveva detto una sciocchezza. «È chiaro che non conoscete i miei genitori, ispettore.» «Avrebbero preferito che faceste qualcos'altro?» «Avrei potuto fare la dattilografa, no? O l'infermiera. Avrei ricevuto subito uno stipendio.» Dalla sua voce trasparivano collera e disprezzo. «Ma non mi fermeranno. Riuscirò a vincere una borsa di studio. Adesso non è più come ai vecchi tempi.»
Con "vecchi tempi", rifletté Wexford, intendeva certo alludere agli anni remoti di quand'era giovane lui, quando erano i genitori a pagare gli studi dei figli, oppure questi dovevano lavorare per pagarseli da soli. Ma ormai i tempi erano cambiati. Era inutile che un padre battesse i pugni sul tavolo per imporre la sua volontà. Un genitore poteva soltanto cercare di persuadere o dissuadere. «Allora, l'ultima volta che avete visto vostro padre...» «Entravo in casa mentre lui se ne stava andando» rispose Sara, perfettamente calma, ora, ma parlando del padre con tono vagamente derisorio, come se egli fosse per lei oggetto di scherno. «Lo udii parlare alla mamma della strada che avrebbe preso. La A26 fino a Tonbridge, poi il tunnel di Dartford fino alla M25 e di là alla A12 che lo avrebbe portato fino a Ipswich.» «E come mai ne parlava con vostra madre? Era una cosa che l'interessava in modo particolare? Voglio dire, non era la strada che prendeva di solito?» «L'ho detto che non conoscevate mio padre. Se ne è sempre infischiato solennemente dell'interesse altrui. È a lui che interessava: non fa che parlare di automobili, di guida, di percorsi. A me non interessano affatto, ma lui continua a parlarmene. Un'automobile è come una donna, per lui, le chiama persino per nome. La sua, una Granada, l'ha battezzata Greta.» «Vostro padre partì e vostra madre andò a Pomfret. E voi siete rimasta in casa a studiare?» La breve esitazione, la fuggevole espressione guardinga apparsa nei suoi occhi furono soltanto frutto dell'immaginazione? «Esatto. Non esco mai di sera in questo periodo. Non ho tempo.» Sara sorrise, un sorriso palesemente falso. «Ho saputo che è stata ritrovata l'auto.» «Sì. Ed è stata mezza smantellata: hanno portato via tutto il possibile.» «Vandali» mormorò lei, poi rise come rideva sua madre. «Povera vecchia Greta.» Poteva dare un'occhiata alla casa? E in particolare alle carte e ai vestiti di Williams? Joy non fece obiezioni. Accompagnato dal chiacchierio del televisore che saliva dal basso e dalla musica rock che attraversava le pareti, Wexford si accinse a ispezionare le altre due stanze da letto al secondo piano. Aprì la porta della seconda camera e guardò dentro. Mobili in pino quasi
nuovi, due variopinti tappeti afgani, un'allegra coperta a frange sul letto. Qualcuno scarsamente dotato di gusto e di denaro aveva fatto del suo meglio per creare un ambiente piacevole, l'unico tocco personale dell'occupante era forse la carta geografica del mondo appesa di fronte al letto. Wexford passò alla camera matrimoniale. I Williams dormivano in letti gemelli, una camicia da notte posata su quello più vicino alla finestra gli disse che lì dormiva Joy. Il resto dell'arredo era composto da un armadio guardaroba, un tavolino da toeletta col suo sgabello, un cassettone e due tavolini da notte. Oltre a quelli, c'era un armadio a muro. Nel cassetto del comodino fra il letto di Williams e la porta, l'ispettore trovò un astuccio da gemelli vuoto, un pettine, uno spazzolino da denti nuovo, un tubo di crema antisettica, una scatoletta di pasticche per la gola e un flaconcino di pillole vuoto. Sullo scaffale inferiore del comodino c'erano due romanzi di spionaggio, un notes nuovo, un passaporto a nome di R.J. Williams, un fazzoletto pulito con le sue iniziali e due rasoi elettrici. Nel guardaroba c'erano i vestiti di Joy, un assortimento dall'aria non troppo pulita e ordinata che emanava un vago odore di canfora e di disinfettante. Gli abiti di Rod erano nell'armadio a muro: un cappotto, un giaccone di montone, un impermeabile di plastica, due giacche sportive, quattro completi e due paia di pantaloni. Tutti indumenti di qualità abbastanza buona, assai migliori di quelli di Joy. Nell'insieme, tuttavia, rifletté Wexford mentre tastava le fodere e frugava nelle tasche, un guardaroba non molto fornito. Comunque Williams usasse spendere il proprio denaro, non era certo per l'abbigliamento. A meno che non avesse nascosto qualche valigia rigonfia nel portabagagli di Greta, senza che qualcuno lo vedesse. La sala da pranzo sembrava essere usata assai di rado. Un grande tavolo di lucidissimo legno chiaro con quattro seggiole assortite, lungo una parete una bassa credenza con sopra una ciotola di porcellana di Capodimonte e alla parete opposta una scrivania in mogano chiusa da un avvolgibile, probabilmente ereditata e certamente il mobile più bello della casa, costituivano tutto l'arredamento. Una porta finestra con tende color senape dava sul giardino posteriore, pochi metri quadrati di erba (che più nessuno doveva avere tosato da quando l'aveva fatto Williams cinque settimane prima) circondati da una staccionata e rallegrati da due piccoli meli i cui boccioli risplendevano pallidamente nel crepuscolo. L'avvolgibile della scrivania non era chiuso a chiave. Wexford l'aprì, ma non trovò niente. Carta da lettere senza intestazione, buste, una scatoletta di puntine da disegno, una boccetta di gomma arabica, un rotolino di
scotch. In un cassetto c'erano soltanto vecchi cartoncini natalizi, nell'altro alcune bollette della luce, una piccola calcolatrice tascabile e una penna a sfera rotta. Nessun libretto di assegni. Se Williams avesse voluto andarsene per sempre, non avrebbe preso il passaporto? Wexford tornò da Joy che stava ancora guardando la televisione, un'ennesima puntata dell'interminabile Runway, il teleromanzo del quale era protagonista sua figlia Sheila che interpretava la parte di una hostess. Se la signora Williams era al corrente di quella parentela, e non poteva non esserlo, non lo diede a vedere. Wexford rimase per un momento in piedi accanto a lei, osservando la figlia che tentava di placare un passeggero incollerito, poi fece ciò che aveva fatto il dottor Crocker... o quasi. Non arrivò fino a strappare la spina, ma spense semplicemente il televisore. Joy lo fissò sbarrando gli occhi. «Vostro marito possiede una macchina per scrivere, signora Williams?» «Una macchina per scrivere? No.» «E ha portato con sé una valigia, suppongo.» Lei fece un cenno d'assenso. «Com'era vestito?» «Prego?» «Che cosa indossava quando è partito per Ipswich?» Era evidente che Joy non lo ricordava. Aveva il viso inespressivo, annoiato. In quel momento, Wexford comprese che non amava il marito, e che, forse, non lo amava più da anni. Che fosse o non fosse con lei, non le importava affatto, a lei interessava soltanto il denaro e la posizione di cui godeva grazie a lui. O forse i suoi sentimenti erano meno semplici e lineari? Probabile. I sentimenti della gente non lo sono mai. Analizzare le reazioni di una moglie nei confronti del marito, o viceversa, non è mai facile. L'ispettore insistette. «Pantaloni nocciola, mi pare» rispose finalmente la donna, con un sforzo evidente per ricordare. «E un maglione blu. C'è il suo impermeabile, di sopra?» «Uno di plastica?» «No, no, ne ha uno molto bello, quasi nuovo. Deve esserselo portato via. E immagino che avesse messo in valigia anche una giacca. Ne ha una di pelle scamosciata marrone» aggiunse Joy, fissando sconsolata lo schermo nero e lucente. Forse era una crudeltà privarla di quel suo conforto, pensò Wexford, come impedire a un cane affamato di avvicinarsi a una ciotola piena di zuppa. Le chiese il nome e l'indirizzo della sorella, poi riaccese il
televisore. Lei lo guardò come se lo giudicasse pazzo, poi i suoi occhi si fissarono di nuovo sullo schermo, dove Sheila si stava vestendo in una camera d'albergo di Hong Kong per trascorrere la serata col comandante del Boeing 747. Tornando a casa, l'ispettore continuò a pensare a Williams e al denaro. Che cosa diavolo ne aveva fatto? Pur con tutte le tasse e le detrazioni, e le cinquecento sterline depositate ogni mese sul conto comune, dovevano essergli rimaste almeno dodicimila sterline l'anno. L'automobile che usava era della ditta, quindi il denaro non se n'era andato per automobili di lusso. Sul passaporto, vecchio di sette anni, era indicato un unico viaggio a Majorca, perciò il denaro non era stato speso nemmeno in viaggi all'estero. Restavano le spese per mantenere Kevin al college, ma... All'improvviso, vide chiaro qual era il particolare che lo impensieriva da un'ora. Williams se n'era andato un giovedì sera e il giovedì sera Kevin telefonava sempre a casa. Quel giovedì, poi, era il primo dalla sua partenza dopo le vacanze pasquali, eppure sua madre, che palesemente lo adorava, che aspettava eccitatissima la sua chiamata, che lo lodava con orgoglio per la regolarità delle sue telefonate, proprio quella sera era uscita e non per qualche motivo grave e improrogabile, ma unicamente per andare a far visita alla sorella. Se c'era andata... E per quanto riguardava i vestiti di Williams? Joy aveva mentito dicendo che si era portato soltanto una giacca e un impermeabile? O davvero non sapeva altro? D'altra parte Wexford non riusciva a immaginare Williams che, lasciata l'auto in Arnold Road, se ne andava con valigie rigonfie fino alla stazione ferroviaria di Myringham, distante quasi mezzo chilometro. E in ogni caso, perché andare a Myringham quando, se intendeva prendere un treno per Londra, la stazione di Kingsmarkham era di tredici chilometri più vicina? La settimana successiva i vestiti, almeno in parte, saltarono fuori. 5 Kingsmarkham e Pomfret sono collegate da una solitaria strada di campagna e una volta superata la Forest Road, le uniche case visibili sono quelle sul pendio della collina incoronata dalla foresta di Cheriton. I giardini posteriori delle case lungo la Forest Road si affacciano sui campi e a circa duecento metri dall'ultima casa di Kingsmarkham cessa l'illumina-
zione stradale. Più avanti, a mezza strada fra i due centri abitati, un unico lampione isolato illumina la pensilina della fermata d'autobus. Quella sera pioveva a dirotto, come accadeva ormai da giorni, e strada e campi sparivano dietro cortine grige. L'ultimo autobus da Pomfret a Kingsmarkham, che sarebbe dovuto passare alle dieci e quaranta, arrivò con dieci minuti di ritardo, sollevando enormi spruzzi d'acqua. La fermata in quel punto era obbligatoria e il conducente dell'autobus, benché non vi fosse nessuno ad aspettare, rallentò spostandosi sul lato della strada. Si accingeva ad accelerare di nuovo, quando una passeggera seduta accanto al finestrino in prima fila gettò un grido che lo indusse a bloccare di colpo il veicolo. «C'è un uomo che si trascina là vicino alla pensilina!» Il conducente scese dall'autobus, seguito da alcuni passeggeri. La pioggia continuava a cadere a torrenti, sferzando la strada, gli uomini e il mucchio inzuppato che strisciava sull'asfalto e gemeva, col sangue che gli sgorgava dal petto. A tutta prima, l'autista aveva pensato che fosse un cane ferito, ma la passeggera aveva avuto ragione: era un uomo. Un uomo che seguitò a strisciare verso l'autista, e crollò ai suoi piedi. Il giorno seguente, dall'altra parte di Kingsmarkham, verso Forby, una ditta che si chiamava Mid-Sussex Waterways incominciò a dragare uno stagno, il Green Pond Hall, che il suo proprietario intendeva trasformare, insieme con il terreno circostante, in un allevamento di trote. Lo scopo di quell'operazione era ovvio: liberare il piccolo, ma non troppo, specchio d'acqua dalla fanghiglia, dalle erbacce e dalle alghe che lo inquinavano. La rete di dragaggio portò in superficie una miriade di oggetti disparati: un canestro da supermercato, una quantità di bottiglie, il tubo di scarico di un'automobile, uno stivale di gomma, una casseruola e infine una borsa da viaggio rosso scuro. All'esterno, la borsa era totalmente ricoperta di fango verdastro ma quando la si aprì, si vide che soltanto una certa quantità di acqua era penetrata all'interno, bagnando senza scolorirli gli indumenti che conteneva, primo fra tutti, una giacca di pelle scamosciata marrone. Fu una fortuna, rifletté Wexford, che il capo della Mid-Sussex, William Milvey, avesse trovato nella borsa anche cinquanta sterline in biglietti da cinque, arrotolati e fermati con un elastico. Se ci fossero stati soltanto i vestiti, e rovinati per giunta, probabilmente avrebbe gettato la borsa nel poz-
zo scavato lì vicino proprio per raccogliervi il ciarpame portato a galla dalla draga. La scoperta del denaro, naturalmente, lo trattenne dal farlo ma ciononostante, Wexford non avrebbe forse mai saputo nulla di quella borsa se non fosse stato per una tessera di donatore di organi rinvenuta nel taschino della giacca di pelle marrone e intestata a R.J. Williams. William Milvey sapeva chi era R.J. Williams. Abitava a cinquanta metri da lui, in Alverbury Road. A Wexford ci volle una mezz'ora per appurarlo. Interrogò Milvey a proposito della borsa. L'aveva già vista nello stagno, prima che la ripescassero? Be', sì, pensava di sì, ora che l'ispettore glielo chiedeva. Gli pareva proprio di averla vista. Ricordava di avere visto una sorta di fagotto rosso scuro contro la sponda dello stagno, dalla parte del sentiero e del Kingsbrook, il torrentello che serpeggiava nelle vicinanze. No, non l'aveva toccato, finché non l'aveva ripescato la draga. «Cinquanta sterline» andava ripetendo Milvey. «E quella bella giacca!» «Avete visto qualcuno nei pressi dello stagno?» «Qualcuno di sospetto, intendete?» «Qualcuno di qualsiasi genere.» «No, nessuno.» Anche se vi fossero state tracce di pneumatici sulla strada che scendeva allo stagno da Forby e su quella che lo aggirava lungo la sponda più bassa, le ruote gigantesche della scavatrice meccanica le avrebbero cancellate e Milvey non ricordava di avere visto alcuna traccia di pneumatici. «Cinquanta sterline» badava a ripetere. «E quella bella giacca! Da buttar via!» «Vi dispiace lasciarmi il vostro indirizzo, signor Milvey? Della ditta e di casa. Potrei avere bisogno di parlare ancora con voi.» «Be', casa e ditta, l'indirizzo è lo stesso. Alverbury Road 27, Kingsmarkham.» «Mi state dicendo che abitate a pochi passi dal signor Williams?» Milvey parve un po' a disagio: «Vedo che lo sapete.» «No, non lo sapevo affatto. Allora lo conoscete, il signor Williams?» «Un poco. Mia moglie scambia qualche volta quattro parole con la signora Williams e mia figlia è compagna di scuola della loro Sara.» «Il signor Williams è scomparso» disse bruscamente Wexford. «Da più di un mese, ormai.» «Davvero?» Milvey non parve sorpreso, ma nemmeno disse che lo sa-
peva. «Cinquanta sterline in contanti» ripeté per l'ennesima volta. «E una giacca che poteva valere almeno tre volte tanto!» Wexford lo congedò. «Dev'essere una coincidenza» osservò Burden. «Tu dici? Una coincidenza davvero straordinaria, mio caro. Williams scompare perché ha fatto qualcosa o qualcuno ha fatto qualcosa a lui. La sua borsa da viaggio viene gettata in uno stagno e chi la ripesca, se non il tizio che abita a cinquanta metri da lui? Io non leggo più romanzi polizieschi da almeno quarant'anni, ma queste sono proprio coincidenze da romanzi gialli! T'è mai capitato niente del genere nella tua vita?» «Le mie nonne si chiamavano entrambe Mary Brown.» «Davvero?» Wexford rimase per un attimo disorientato. «Non me l'avevi mai detto. Erano tutt'e due delle stesse parti?» «Una era nata nel Sussex e l'altra nello Herefordshire. Mi sembra una coincidenza ben più strana di quella che ha portato Milvey a ritrovare la borsa di Williams. Riflettete un momento e vedrete che non è poi una coincidenza così straordinaria. Se la borsa fosse stata seppellita, o nascosta nel cavo di un albero, sarebbe stato diverso. Ma era in uno stagno e dragare gli stagni è per l'appunto il mestiere di Milvey. Visto che la borsa era nello stagno e che lo stagno doveva essere dragato (fatto ignorato, naturalmente, da chi l'aveva gettata là dentro), le probabilità erano che fosse Milvey a trovarla. Provate a esaminare questo dettaglio da quest'altro punto di vista.» Wexford intuiva però che c'era dell'altro in quella storia; lui non se la sentiva di liquidarla così, come faceva Burden. Il contegno di Milvey era stato un po' strano, anche se in modo appena percettibile, e Wexford era certo che non gli aveva detto tutto ciò che sapeva. Nella borsa si erano trovati, oltre alla giacca di pelle scamosciata e alle cinquanta sterline, un impermeabile 'tipo Burberry, uno spazzolino da denti, un tubo di pasta dentifricia, un rasoio, un flacone di colonia, un paio di mutande bianche e azzurre, un paio di calzini di seta nuovi: il bagaglio che un uomo si porterebbe via per restare fuori una notte, non tre giorni, e colonia, mutande e calzini sembravano suggerire una notte da trascorrere in compagnia. Sempre che la borsa non avesse contenuto qualcos'altro che era stato sottratto, forse per impedire che se ne identificasse il proprietario. Ma in tal caso, perché si sarebbe lasciata la tessera di donatore? "Desidero aiutare qualcun altro a vivere, dopo la mia morte" c'era scritto a stampatello sul rovescio del cartoncino. Rodney Williams aveva aggiunto di proprio
pugno l'autorizzazione a prelevare qualsiasi organo del suo corpo che potesse servire per un trapianto. Seguivano la firma e la data, di un anno prima, insieme col nominativo e il numero del parente più prossimo da avvertire in caso di disgrazia: ovviamente quelli della moglie Joy. La natura umana è un cumulo di contraddizioni, lo si è sempre saputo, tuttavia Wexford si stupì che un uomo capace di ingannare la moglie sull'entità del proprio stipendio e di far vivere lei e i figli con una parsimonia quasi indecorosa si mostrasse poi tanto generoso nei confronti del prossimo. Ma in fondo, poi, che cosa gli sarebbe costato questo gesto, dopo che fosse morto? Lo era, morto? «Dovremo cominciare a cercarlo» disse Wexford. «Intendo cercarlo sul serio. Bisognerà setacciare il terreno intorno al Green Pond.» Burden, che andava passeggiando su e giù per l'ufficio da una decina di minuti (un esercizio capace di logorare i nervi a chiunque meno che a lui, che lo faceva inconsciamente) si fermò di botto, sbarrando gli occhi in faccia al suo superiore. «Il terreno intorno allo stagno? Ma quello là ha semplicemente tagliato la corda per sfuggire alle conseguenze di qualcosa che aveva fatto.» «Va bene, Mike. Ammettiamo che sia così. Ma che cosa ha fatto? Alla Sevensmith Harding, niente. È perfettamente pulito, per quanto riguarda la sua ditta. E allora? Potrebbe essere stato coinvolto in qualche frode che non è ancora venuta alla luce, ma mi sembra una probabilità piuttosto remota. Se è scappato, dovrebbe averlo fatto perché quella frode stava per essere scoperta, ma in tal caso come mai non è ancora saltato fuori niente?» Burden si strinse nelle spalle. «Chi lo sa! Potrebbe essere stato soltanto un colpo di fortuna per lui che non se ne sia ancora saputo niente.» «E allora come mai non è ricomparso? Perché non è tornato a casa se il pericolo è stato scongiurato? Non è andato all'estero, a meno che non lo abbia fatto con un passaporto falso. E perché avrebbe dovuto darsi la pena di procurarsene uno falso quando ne aveva uno valido e nessuno si era preoccupato della sua assenza fino a tre giorni dopo che se n'era andato?» «Non avete pensato che quello di lasciare i propri vestiti sulla sponda di un fiume è il trucco più vecchio del mondo per uno che voglia sparire?» «La sponda di un fiume, sì, ma non quella di uno stagno dove, per affogare, uno dovrebbe mettersi bocconi con la faccia sott'acqua e trattenere il respiro! Inoltre, quella borsa doveva essere là da un paio di giorni al massimo. Se fosse stata nell'acqua melmosa fino da quando Williams è scom-
parso, sarebbe marcita e avrebbe puzzato come una carogna. La manderemo al laboratorio e vedremo che cosa ci diranno, ma possiamo già vederlo coi nostri occhi e sentirlo col nostro naso. Secondo me, Williams è morto. Me lo dice questa borsa. Se l'avesse gettata nello stagno per far credere a tutti che era morto, lo avrebbe fatto subito dopo la sua partenza. E dentro ci sarebbe stato qualcosa di diverso, qualcosa che facilitasse l'identificazione, non acqua di colonia e calzini nuovi. E di sicuro non ci avrebbe lasciato denaro. Ne avrebbe avuto bisogno lui. Avrebbe avuto bisogno di tutto il denaro a portata di mano. Perché sprecare cinquanta sterline, non ha mica svaligiato una banca! Credi a me, Mike. Nonostante la lettera e la telefonata, un'ora o due dopo essere uscito di casa Williams era già morto.» Il giorno seguente ebbero inizio le ricerche intorno al Green Pond, un comprensorio di circa tremila metri quadrati parte a bosco, parte a prato e parte occupato da stalle e recinti per bestiame. Il sergente Martin insieme a tre uomini conduceva le ricerche. Wexford fece un salto laggiù per esaminare i luoghi. Pioveva ancora, com'era piovuto la vigilia, e il giorno avanti e la maggior parte delle ultime tre settimane. La strada che scendeva allo stagno era ridotta a un pantano, un grande rivolo di cioccolato fuso dove una forchetta gigantesca avesse scavato due solchi. Alle tre del pomeriggio, Wexford aveva un appuntamento all'ospedale di Stowerton. Colin Budd era stato ricoverato per una notte al reparto terapia intensiva, poi trasferito in una camera del reparto di chirurgia. Le cinque ferite che aveva riportato erano tutt'altro che superficiali, una era penetrata in profondità per oltre sette centimetri, ma per fortuna nessuna aveva leso il cuore o i polmoni. Budd, un giovanotto scarno, addirittura ossuto, pallido e con capelli neri piuttosto lunghi, sembrava conoscere in anticipo che cosa avrebbe voluto sapere l'ispettore e declinò rapidamente nome, età, professione (meccanico presso un'autorimessa) e indirizzo: abitava a Kingsmarkham con i genitori. «Raccontatemi che cosa è accaduto.» «Quella ragazza mi ha piantato un coltello nel petto.» «Andiamo, signor Budd, sapete bene che non basta. Voglio un racconto particolareggiato, tutto quello che riuscite a ricordare, cominciando dal motivo per il quale stavate aspettando un autobus, di notte, in mezzo al nulla.» Budd parlava con una voce querula che si colorì di indignazione alle richieste dell'ispettore. Era uno di quegli uomini convinti che il mondo do-
vesse loro, oltre a un lavoro sicuro, anche molta considerazione. «Questo non c'entra.» «Lasciatelo giudicare a me. Dove avevate trascorso la serata, signor Budd?» «Al biliardo» disse lui in un soffio, come se stesse confessando di avere avuto un convegno con la moglie di un amico. «Dove?» «A Pomfret, in una stanza sul retro del White Horse. Chiudono alle dieci e avevo pensato di tornare a casa a piedi, ma cominciò a piovere a dirotto e mi ritrovai inzuppato da capo a piedi. Allora guardai l'orologio e vidi che tra una diecina di minuti sarebbe passato di lì l'autobus. Ero poco lontano dalla fermata.» «Come, voi, meccanico d'automobile, non avete la macchina?» «Ho avuto un incidente. È sbucata fuori all'improvviso una...» Wexford tagliò corto. «Sicché siete arrivato alla fermata, dove c'è la pensilina. E dopo che cos'è successo?» Budd lo guardò, poi distolse gli occhi. «C'era già una ragazza, seduta sulla panca. Mi sedetti vicino a lei.» «Molto vicino?» domandò ancora l'ispettore. «Be', sì, abbastanza. Perché, che importanza ha?» Wexford pensò che forse ne aveva. In Inghilterra, bene o male che sia, un uomo serio che siede su una panchina pubblica dov'è già seduta una donna, si mette il più lontano possibile da lei. E lo stesso farebbe una donna con un uomo, o con un'altra donna o un uomo con un altro uomo. «La conoscevate? L'avevate già vista?» Budd scosse la testa. «Le avete rivolto la parola?» «Soltanto per osservare che pioveva.» Lo sapeva certamente anche lei, pensò Wexford, mentre il meccanico continuava: «Peccato che avessimo un maggio così brutto, dissi; sembrava ancora inverno, quasi. E lei tirò fuori dalla borsa un coltello e mi si scagliò addosso.» «Soltanto quello? Non avete detto altro?» «Ve l'ho detto, no?» «Allora era una pazza? Una ragazza che accoltella un uomo soltanto perché le ha detto che piove!» «Le ho anche detto che se avessi avuto la mia macchina avrei potuto offrirle un passaggio.»
«In altre parole, stavate tentando un approccio?» «E se anche fosse, che avrei fatto di male? Non l'ho minimamente toccata, non ho fatto niente che potesse spaventarla. Ho detto soltanto che avrei potuto accompagnarla a casa. Ma lei ha tirato fuori il coltello, mi ha pugnalato quattro o cinque volte, io ho gridato e lei è scappata.» «Sareste in grado di riconoscerla se la rivedeste?» «Sicuro!» «Descrivetemela.» Budd si espresse confusamente, ma l'ispettore se lo aspettava. Non seppe dire se era alta o piccola, grassa o magra; l'aveva vista solo seduta e gli pareva che indossasse un impermeabile chiaro, aveva in capo un fazzolettone dal quale sfuggiva qualche ciocca di capelli biondi e il suo viso non aveva niente di particolare, non era carina. Wexford si domandò che cosa l'avesse attirato, allora. Soltanto il fatto che fosse donna e giovane? Forse sui vent'anni, disse Budd. Be', forse venticinque o ventisei. Spinto ad essere più preciso finì con l'ammettere che poteva avere dai diciotto ai trent'anni. Budd confessò di non essere in grado di essere più preciso. A lui era sembrata giovane. «Non sapete dirmi altro?» Intanto si era avvicinata a loro un'infermiera e Wexford immaginò quello che avrebbe detto. "Adesso bastava, il ferito doveva riposare..." La donna prese la cartella appesa ai piedi del letto e cominciò a leggerla con l'entusiastica concentrazione di uno studioso che avesse finalmente scoperto la chiave per decifrare il Lineare B. «Aveva un sacco. Lo prese prima di scappare.» «Che tipo di sacco?» «Un sacco di plastica, di quelli che distribuiscono per le pattumiere. Lo prese, se lo gettò su una spalla e filò via.» «Penso che basti per ora» disse a questo punto l'infermiera, variando un po' il copione. L'ispettore si alzò. La storia di Budd aveva creato un quadro che stuzzicava la sua immaginazione. La notte nera e piovosa, il lampo del coltello manovrato risolutamente, forse addirittura freneticamente, la ragazza che fuggiva sotto la pioggia col suo sacco su una spalla. Sembrava l'illustrazione di un romanzo fantastico, sinistro e misterioso. 6
A che cosa alludeva Burden dicendo che l'amniocentesi aveva messo in luce qualcosa che preoccupava Jenny? Wexford se l'era chiesto sovente e l'interrogativo gli si presentò di nuovo alla mente quel giorno quando, mentre l'autista lo portava a Myringham, vide sul marciapiede una donna con un bambino mongoloide. Non aveva insistito, con Burden: ci sono domande che è meglio non fare a un futuro padre. Come poteva esserci una malformazione genetica capace di lasciare indifferente un padre, ma di preoccupare una madre? Ridicolo. Qualsiasi malformazione sarebbe stata una tragedia. Una sordità parziale, un soffio al cuore, un labbro leporino... Ma queste non possono risultare da quell'esame. Un cromosoma in più? Era un campo entro il quale Wexford navigava nell'ignoranza più assoluta. Ripensò alle proprie figlie, perfette, sane, che non gli avevano mai creato alcun problema, e gli si riscaldò il cuore. Quel pensiero gli riportò alla mente il programma del National Theatre che aveva in tasca. Sheila, lasciato il set di Runway, vi avrebbe recitato durante la stagione estiva in un dramma di Shelley, I Cenci. Levò di tasca il programma. Non sapeva che Shelley avesse scritto anche drammi, ma il suo nome era lì, in tutte lettere: Percy Bysshe Shelley, dramma in cinque atti. Stava scegliendo il giorno adatto per andare con Dora a vederlo, quando il suo autista fermò la macchina accanto al marciapiede, davanti alla sede della Sevensmith Harding. Nell'ufficio di Gardner, Kenneth Risby, il capo contabile, gli riferì che lo stipendio di Williams veniva versato su un conto corrente che Rod aveva presso l'Anglian-Victoria Bank di Pomfret. Era dunque da quel conto che, a quanto pareva, Williams prelevava ogni mese le cinquecento sterline che versava poi su quello in comune con la moglie. Risby, che lavorava lì da quindici anni, fu categorico: i compensi di Williams erano sempre stati pagati in quella forma, fino da quando era un semplice rappresentante. Sempre alla banca di Pomfret, mai una volta a Kingsmarkham. «Di lui non abbiamo più saputo niente» interloquì Gardner. «Qualsiasi cosa intendesse con quel suo poscritto, non si è più fatto vivo.» «Quella lettera non l'ha scritta lui» gli rammentò Wexford e Gardner annuì con aria infelice. «La prima volta che abbiamo parlato di questo affare» riprese l'ispettore «mi diceste che una sedicente signora Williams aveva telefonato per avvertire che suo marito era ammalato e non sarebbe venuto in ufficio. Ricordate se fu il venerdì sedici aprile?»
«Sì, mi pare.» «Chi prese la telefonata?» «Una delle due telefoniste, non ricordo se Anna o Michelle. Io non ero ancora arrivato in ufficio.» «Williams aveva una segretaria, suppongo?» «Sì, Christine Lomond. Volete parlarle?» «No, non oggi. Ora vorrei parlare con la telefonista che ha preso la comunicazione.» Risultò che era stata Michelle, una ragazza molto giovane e carina, con un visetto intelligente. Ricordava perfettamente quella telefonata, chissà quanto ne aveva parlato con Anna o con Christine Lomond. La scomparsa di Williams doveva essere stata oggetto di molti commenti, in ditta. «Sì, la signora Williams telefonò alle nove e venti dicendo che il signor Williams era ammalato.» «Intendete dire che qualcuno ha telefonato dicendo di essere la signora Williams.» La ragazza lo guardò scuotendo energicamente la testa. «Era la signora Williams. "Sono Joy Williams" ha detto.» Wexford preferì non insistere, per il momento. «Quali furono esattamente le sue parole, lo ricordate?» «"Sono Joy Williams. Mio marito non può venire in ufficio, oggi." Disse così. Poi aggiunse, dopo una breve esitazione: "Il signor Rodney Williams, intendo, il direttore alle vendite". Risposi che non c'era ancora nessuno in ufficio, ma lei ribatté che non importava, bastava dicessi a Christine che il signor Williams aveva l'influenza e non poteva venire.» Chiunque fosse stato a telefonare, non poteva essere stata Joy. Lei non sapeva che suo marito era direttore alle vendite. «Come mai siete così certa che fosse proprio la signora Joy Williams che parlava?» «Era così. Sapevo che era lei.» «No, scusatemi. Voi sapevate soltanto che quella donna diceva di essere la signora Williams. Non aveva mai telefonato, prima, vero? Cosicché non potevate conoscere né riconoscere la sua voce.» «No, però telefonò un'altra volta, dopo.» «Quando?» «Circa tre settimane dopo.» Ma certo! Wexford rammentò di essere stato proprio lui a suggerire a Joy di farlo.
«Passai la comunicazione al signor Gardner» continuò Michelle. «Ed era la stessa voce, ne sono certa. La stessa voce della signora che aveva telefonato quel venerdì, dicendo di essere la signora Williams.» Raccolse la ragazza alla prima uscita per Kingsmarkham. Era ferma sul ciglio erboso e mostrava un cartello sul quale era scritto a grandi lettere "Myringham". Brian Wheatley fermò l'auto e la ragazza salì e si sedette accanto a lui. Solamente quando ebbe percorso qualche centinaio di metri, Wheatley si rese conto di avere imboccato la diretta per la città, invece della tangenziale, ma ormai era diventato troppo difficile invertire la marcia, in mezzo al traffico, e preferì proseguire. Tutto sommato, poteva anche non essere una cattiva idea: spesso la tangenziale era più affollata della diretta. Stava tornando da Londra, dove lavorava tre giorni la settimana, e poiché si era trasferito a Myringham soltanto da quindici giorni non era ancora pratico di strade secondarie e scorciatoie della zona, così, benché fossero appena le sei di sera e c'era ancora luce, uscito da Kingsmarkham finì col perdere l'orientamento e non sapere più dove si trovava. Allora accostò al ciglio della strada - una stradetta secondaria e in quel momento deserta, come ebbe ad ammettere poi lui stesso - per consultare la carta stradale. Spiegò alla ragazza, che non aveva ancora aperto bocca, il motivo di quella fermata poi allungò in braccio davanti a lei per aprire il cassettino del cruscotto dove si trovava la carta stradale, ma sentì la ragazza trattenere bruscamente il respiro come per collera o per paura e subito dopo avvertì un dolore acuto, una sorta di intenso bruciore alla mano destra. Non vide nemmeno il coltello. La ragazza balzò giù dall'auto, chiudendosi violentemente la portiera alle spalle, e fuggì di corsa, non lungo la strada ma imboccando un viottolo che separava un campo di grano da un bosco. Intanto il sangue aveva preso a scorrere da un profondo taglio alla base del pollice destro di Wheatley. Lui si fasciò la mano come meglio poté col fazzoletto, ma il trauma e la sensazione di essere sul punto di svenire gli impedirono per alcuni minuti di riprendere il viaggio. Finalmente controllò la carta, scoprì di essere più vicino a casa di quanto non si aspettasse e la raggiunse in circa un quarto d'ora. Il medico generico presso il quale si era iscritto la settimana precedente era ancora in ambulatorio, sua moglie lo accompagnò e il taglio fu suturato, mentre Wheatley raccontava al medico di essersi ferito mentre tagliava della carne. Lui avrebbe preferito dire la
verità, anche a costo di denunciare l'accaduto alla polizia, ma sua moglie lo aveva dissuaso, facendogli osservare che lo avrebbero senza dubbio accusato di avere provocato la reazione della ragazza cercando di allungare le mani. Wheatley, in seguito, cambiò idea e, all'insaputa della moglie, tre giorni dopo andò a raccontare la propria disavventura a Wexford. Si era deciso a rivolgersi alla polizia, disse, perché era andato crescendo in lui il risentimento contro quella ragazza, che non aveva toccato nemmeno con un dito, alla quale non aveva neppure rivolto la parola se non per comunicarle che si fermava per consultare la carta stradale; non gli andava che avesse potuto aggredirlo a quella maniera e se ne fosse andata indisturbata. «Sapreste descriverla?» Wexford, che si aspettava un'altra descrizione inutile come quella di Budd, fu sorpreso. Wheatley dimostrò di possedere, sotto un'apparenza impacciata, una mente perspicace e osservatrice. «Era piuttosto alta, per una donna: un metro e settanta o settantadue. Giovane, sui diciotto, diciannove anni. Capelli bruni o castani lunghi fino alle spalle, occhiali da sole benché il sole non ci fosse più, carnagione chiara. Ho notato che aveva mani bianchissime. Jeans e pullover, borsa scura, nera o blu.» «Avete avuto l'impressione che abitasse a Myringham? Che stesse tornando a casa?» «Non ho avuto impressioni di alcun genere. Quando è salita ha detto "Grazie" e basta, poi non ha più aperto bocca. Quando le ho spiegato che avrei attraversato Kingsmarkham invece di prendere la tangenziale, non ha fatto commenti, così come non ha parlato quando l'ho avvertita che mi fermavo per consultare la carta stradale. Poi, quando ho allungato il braccio davanti a lei - ma senza nemmeno sfiorarla, lo giuro - ha sobbalzato, trattenuto il respiro, niente altro.» Era la stessa ragazza che aveva aggredito Budd? Ma se si doveva credere a Wheatley, mentre nel caso di Budd v'era stata almeno una sia pur lieve giustificazione, in questo caso non v'era assolutamente niente. Forse la ragazza aveva creduto che la mano che si tendeva verso di lei si sarebbe poi posata sulla sua spalla, o sulle sue ginocchia? Poteva sembrare assurdo, ma due aggressioni dello stesso genere a breve distanza l'una dall'altra, inducevano a riflettere. Che cosa sarebbe successo la prossima volta? Qualcosa di molto più serio? O la tragedia era già accaduta?
Il direttore della succursale di Pomfret dell'Anglian-Victoria Bank assomigliava in maniera sorprendente a Hitler, e non soltanto per i baffetti e il ciuffo di capelli che gli ricadeva sulla fronte. Anche la faccia era la stessa: mento largo, naso carnoso, occhi piccoli dalle palpebre pesanti. Ma quei lineamenti sarebbero passati inosservati, non fosse stato per i baffetti e il ciuffo, cosicché riusciva impossibile scartare la sgradevole conclusione che il signor Skinner li portasse di proposito. Sapeva di rassomigliare al defunto dittatore e faceva del suo meglio per accentuare la somiglianza. Un impegno per il quale Wexford non seppe trovare altro motivo se non il desiderio di intimidire i clienti della banca. E difatti, pur mostrandosi gentile e cordiale, Skinner fu implacabile. Non permise all'ispettore di controllare i conti correnti di Rodney Williams, si rifiutò di fornire qualsiasi informazione al riguardo. «I conti correnti, avete detto?» osservò Wexford. «Sì. Il signor Williams ne aveva due... E vi ho già detto più di quanto non mi sia concesso.» «Due conti correnti intestati entrambi a suo nome?» Skinner, in piedi, col capo leggermente piegato di lato, assomigliava più che mai a Hitler in attesa del treno di Franco a Hendaye. «Ho detto due conti correnti, ispettore capo. Vogliamo fermarci lì?» Uno per farvi versare lo stipendio, pensò Wexford mentre l'auto lo riportava a Kingsmarkham, ma l'altro per che cosa? Il denaro per le spese della casa di Alverbury Road veniva prelevato dal conto di Kingsmarkham sul quale versava le cinquecento sterline che prelevava dal conto A di Pomfret. Dunque perché un conto B sulla stessa banca? Sua moglie non sapeva niente del conto A e questo bastava da solo a tenerle nascoste le sue risorse segrete. Perché mai aveva bisogno di un terzo conto corrente? Le ricerche intanto proseguivano nella zona che si stendeva fra Kingsmarkham e Forby: niente altro era ancora stato trovato, oltre alla borsa rinvenuta nel Green Pond. Williams è morto, pensò l'ispettore. Anche Burden era stato a Pomfret, a parlare con gli Harmer, sorella, cognato e nipote di Joy. John Harmer, farmacista, aveva il negozio in High Street. «Confermano che Joy è stata effettivamente da loro, quella sera» riferì Mike al suo capo. «Ma io non prenderei troppo sul serio ciò che dicono. Non che mentano intenzionalmente: non ricordano. Sono passate sette settimane e la signora Williams va spesso da loro, la sera. A guardare la televisione là, invece che a casa sua. Probabilmente si sente sola.»
Wexford gli raccontò quanto aveva saputo dalla telefonista della Sevensmith Harding. «La ragazza potrebbe sbagliarsi a proposito delle due voci, o potrebbe essersi persuasa lei stessa che si trattava della medesima voce, per drammatizzare un po', ma non è da escludere che sia stata davvero la stessa persona a telefonare la prima volta per avvertire che Williams era ammalato e poi, tre settimane dopo, per avere sue notizie. E noi sappiamo che la seconda volta è stata realmente Joy a telefonare. La signora Williams, la prima volta che le ho parlato, si era mostrata ansiosa che facessi qualcosa per rintracciare suo marito, ma in seguito lo è stata molto meno. Oserei persino dire che ha fatto dell'ostruzionismo. Durante il nostro primo colloquio non ha accennato al fatto di essere uscita, il giovedì sera. Ne ha parlato soltanto la seconda volta. Quella donna adora suo figlio. Per lei la figlia conta assai poco, ma Kevin è tutto... Che cosa c'è?» Burden aveva contratto il viso ed era diventato pallido, mentre si afferrava ai braccioli della poltroncina. «Niente, niente. Continuate.» «Bene. Kevin le telefona tutti i giovedì sera e quel giovedì era il primo dopo il suo ritorno al college. Una madre tanto devota non sarebbe stata ansiosa di udire tutte le notizie di cui sono curiose le madri in tali circostanze? Se aveva fatto buon viaggio, se aveva ritrovato la camera in ordine e via dicendo. E lei invece esce, e, non per un impegno importante, ma per andare a guardare la televisione a casa della sorella! Che cosa ti suggerisce questo comportamento?» Burden, che era riuscito a riprendersi da quel suo misterioso turbamento, fece una risatina. «Che la signora Williams è in qualche modo in combutta col marito. Che c'è in aria qualcosa, qualcosa che probabilmente comporta la necessità di creare l'impressione che Williams sia morto. Lui parte e più tardi lei esce per incontrarsi con lui lontano da casa. Qualunque cosa stessero combinando, dovevano farlo fuori della portata di Sara, come di chiunque altro. Così la mattina dopo lei telefona alla Sevensmith Harding avvertendo che il marito è ammalato. Assurdo credere che Joy non sapesse che lavoro facesse Williams e quanto guadagnasse. In seguito, lui o lei scrivono la lettera di dimissioni su una macchina presa a nolo. È probabile che sia stata lei a scriverla e che l'abbia indirizzata al "Signor Gardner" ignorando o dimenticando che lui e suo marito si chiamavano col nome di battesimo. L'auto abbandonata, la borsa nello stagno, tutto fa parte del piano studiato per indurci a credere che Williams è morto. Ma poi il crescente interessamento della polizia impaurisce Joy ed ecco l'ostruzionismo. Non potrebbe essere tutto un imbroglio architettato per frodare una compagnia
di assicurazioni?» «Senza un cadavere, Mike? Senz'altra prova della morte all'infuori di una borsa da viaggio fradicia? E se si vuole far credere di essere morti, non vi sono molti altri modi più semplici e convincenti, per farlo?» «Allora siete anche voi del mio parere? Non credete che sia morto?» «Io so che è morto» dichiarò Wexford. Il giorno seguente i fatti gli dettero ragione. Sembrava una tomba, ben delineata, come se ci fosse una lapide sopra, ma Edwin Fitzgerald a tutta prima non lo notò, gli sembrò soltanto un curioso fatto naturale. Fu Shep, il suo cane, ad attirare la sua attenzione. Edwin Fitzgerald era un poliziotto in pensione, ex istruttore di cani, ma Shep non era un cane addestrato e nemmeno troppo obbediente. Pareva sempre che non capisse una parola di ciò che il padrone gli diceva. Quella mattina di giugno, la prima bella mattina di quell'estate, Shep trascurò tutti gli ordini di Fitzgerald, ignorò i suoi ripetuti: «Lascia stare, smettila! Obbedisci, bastardo!» e continuò a scavare come un forsennato in un angolo di quello che al suo padrone sembrava soltanto un cumulo coperto di erbacce. Fitzgerald sgridò e lo minacciò, agitando il pugno, finché non vide ciò che l'animale aveva dissotterrato. Allora si fermò di botto. Il cane aveva messo allo scoperto un piede umano. L'essere stato poliziotto, fu di duplice vantaggio per Fitzgerald: gli impedì di sentirsi male davanti a quella scoperta e gli consigliò di non rivolgersi a chi abitava nelle vicinanze. Mise il guinzaglio al cane e lo trascinò via, se pure con fatica non indifferente. Allontanato il cane, l'ex poliziotto poté vedere che il piede era tuttora attaccato a una gamba e che presumibilmente, questa era ancora attaccata a un tronco. La scarpa era fradicia e annerita, incrostata di fango; attorno alla caviglia penzolava un cencio umido e fangoso che doveva essere stato l'orlo di un pantalone. Shep aveva scavato l'angolo di quello strano cumulo di terra. Tutt'intorno cresceva l'erba ormai pronta per il taglio; un'erba folta e disordinata, abbastanza alta da nascondere il cane che vi era balzato in mezzo, mentre lì, su quel rettangolo di circa due metri per uno, era ordinata, quasi come se fosse l'erba di un'aiuola ben curata, un fresco e regolare manto verde. C'era proprio voluto un cane per scoprirlo. Sarebbero bastati ancora un paio di giorni di sole, pensò Fitzgerald, e poi il fattore avrebbe falciato l'erba senza nemmeno accorgersi di quella differenza. Shep, dopo
tutto, era un bravo cane anche se non pareva essere in grado di capire gli ordini del padrone. Fitzgerald ripercorse il sentiero che portava a Myfleet, scese a gran passi la collina, raggiunse rapido il suo villino e telefonò alla polizia. 7 Dalla strada di Pomfret parte uno stretto sentiero che serpeggia tra i prati e s'inerpica per la collina, fino ai margini della foresta. Ai lati crescono, lungo i pendii erbosi, arbusti tra cui spiccano i viburni dalle infiorescenze complesse, piccole stelle raggianti colorate d'avorio e sotto, come se orlassero i prati di una larga fascia di pizzo, folti cespugli di mirridi dai fiori più candidi, sottili e delicati. Sparse qua e là sorgono alcune case, tra cui quella di Edwin Fitzgerald, collegate tra loro e con la strada da una rete di viottoli e di tratturi, mentre il sentiero principale dà l'impressione di dipanarsi ardito fino alla sommità della collina che s'erge come un obelisco. Là, in alto, il terreno è gradevolmente mosso, prati e arbusti cessano verso occidente al limitare del bosco di conifere, mentre larghi strati di calcare gessoso affiorano qua e là tra l'erba, in parte ricoperti dalla brughiera. Su tutto il paesaggio incombe la sommità rocciosa della collina, simile a un obelisco dalla punta a piramide tronca. La strada non ne raggiunge il piede. A cinquecento metri circa, devia verso occidente, biforca prendendo verso sinistra la direzione di Myfleet e verso destra quella di Pomfret, in mezzo a vaste distese erbose. Fu in uno di questi prati, attraversato da un viottolo che si diparte dalla strada per Myfleet, che venne fatta la scoperta. Il tumulo era situato entro un triangolo formato dal bosco, dal viottolo e dal sentiero, abbastanza vicino alla foresta da sentirne l'aroma resinoso. Il terreno era leggero e sabbioso, frammisto ad aghi di pino. «Facile da smuovere» disse Wexford a Burden. «Chiunque non sia proprio decrepito è in grado di scavare in mezz'ora una fossa come questa.» Stavano perlustrando il terreno, calcolando la distanza della tomba dalla strada e dal viottolo, mentre sir Hilary Tremlett, il patologo legale, sorvegliava gli uomini che disseppellivano il cadavere. Quando era arrivata la telefonata di Fitzgerald si trovava, per caso, a Stowerton per effettuare un'autopsia. Non erano ancora le dieci di una mattina assolata, poche nuvole candide veleggiavano nel cielo azzurro, eppure tutti i presenti indossavano l'impermeabile. Era piovuto ogni giorno per tante settimane che nessuno si fidava a uscire senza.
«È stata la pioggia a far crescere tutta quest'erba» continuò Wexford. «Capite quello che è accaduto? Il terreno qui intorno era ricoperto di un folto manto erboso. Poi viene scavata la fossa per seppellire quel poveraccio e la si ricopre di terra. Ma nella terra ci sono i semi e le piogge incessanti li fanno germogliare, ricoprendo il tumulo. È stato un errore non scavare una fossa più profonda. Perché non l'hanno fatto? Pigrizia? Mancanza di tempo? Oscurità?» Tornarono al punto dove gli agenti Archbold e Bennett erano intenti al loro delicato lavoro. Il cadavere non era stato avvolto o ricoperto prima di essere seppellito, ma la terra non lo aveva insudiciato come avrebbe fatto un terreno più argilloso e pesante. Emergeva relativamente pulito, anche se era fradicio ed emanava quell'orrendo fetore, ben noto a tutti i presenti, della carne in decomposizione. Era quell'esalazione che aveva attirato il cane. La faccia era pallida, chiazzata e gonfia, la pelle aveva uno strano colore biancastro. Wexford, pur non essendo schifiltoso, e nonostante la lunga esperienza, decise di non guardarlo più, a meno di non essere costretto a farlo. L'alta fronte sporgente, resa più alta e sporgente dalla caduta dei capelli, non dava adito a molti dubbi. Era il cadavere di Rodney Williams. Wexford si guardò bene dal compromettersi, era troppo presto per giungere a una tale conclusione, ma sarebbe stato molto sorpreso se non si fosse trattato di Williams. Sir Hilary si era accoccolato e protendendosi in avanti si era molto avvicinato al cadavere. Wexford si domandò come potesse resistere con la faccia a pochi centimetri dalla fonte di tanto fetore. Ma il patologo pareva a proprio agio in tutto quell'orrore: il cadavere, lo squallore, la carne in decomposizione. Ed era probabilmente un bene che così fosse. Dopo tutto faceva il suo mestiere. Il cadavere fu sottoposto a un controllo lungo e accurato. Il patologo legale lo esaminò attentamente, evitando solo di toccarlo, poi si alzò, fece un cenno al fotografo e un sorriso a Wexford. «Potrei dargli un'occhiata dopo colazione» disse. «Non ho molto da fare, oggi. Avete un'idea di chi possa essere?» «Penso di averlo identificato, sir Hilary.» «Meno male. Risparmieremo un sacco di tempo. Non ci vorrà molto a rimetterlo in sesto prima di farlo vedere al parente più prossimo.» Joy, pensò Wexford. Impossibile, come si poteva sottoporla a una tale prova. Avvertiva intanto sulla faccia il tepore del sole. Si voltò a guardare
l'ampia distesa di prati che costeggiavano la strada di Pomfret, l'erba verde spruzzata qua e là di macchie dorate, le siepi più scure, le pecore sparse lungo il pendio. Ma tutto ciò che riusciva realmente a vedere era quella terribile faccia del cadavere e la moglie che la fissava. Gli venne in mente che il punto più vicino a quel posto, sulla strada di Pomfret, era la fermata dell'autobus dov'era stato aggredito Colin Budd. Coincidenza? Il sentiero che passava a pochi metri da là dove era stato sotterrato il cadavere sbucava sulla strada proprio di fronte alla fermata. Ma Budd era stato accoltellato settimane dopo la morte di Williams. L'identificazione si poteva farla fare dal cognato, il farmacista. Quel tale John Harmer. Di cinque o sei anni più giovane di Wexford, pareva un uomo tranquillo e posato. Statura piuttosto bassa, lineamenti regolari, corti capelli ondulati, aveva un aspetto ordinato e inappuntabile. Chiuso il dispensario, aveva affidato il negozio alla moglie. Dopo aver respirato a fondo, guardò il cadavere e si attardò sulla faccia. I lineamenti regolari irrigiditi erano senza espressione. Non era tipo da mostrare stupore, disgusto, pietà. Pareva quasi di udire la voce di sua madre che raccomandava al ragazzino ricciuto: "Sii uomo, John. Non piangere. Sii uomo". E Harmer obbedì e si comportò da uomo. Ma, come il Macduff shakespeariano, avrebbe anche potuto forse aggiungere che era giusto "sentire da uomo". E infatti, la sua faccia andò impallidendo progressivamente finché non divenne bianco-verdastra come quella del cadavere. Non fu la volontà che lo tradì, fu lo stomaco. Uscì all'aria aperta, al sole, lontano da quella carne in decomposizione, aspirò una profonda boccata d'aria e la nausea si calmò. Fece un cenno di assenso a Wexford, e lo ripeté anche se non era necessario farlo. «È Rodney Williams, vostro cognato?» «Sì.» «Ne siete certo?» «Certissimo.» Wexford aveva pensato di affidare a Harmer l'incarico di comunicare la notizia a Joy, ma aveva subito capito che non era il messaggero compassionevole o per lo meno adatto a un tale compito. Preferì andarci lui stesso. Raggiunse Alverbury Road a piedi, riflettendo durante il tragitto. Non c'era molto che egli potesse fare fino a quando non avesse avuto il referto del patologo e al laboratorio non avessero esaminato gli indumenti di Williams. Rammentò con disgusto la massa insanguinata di stoffa che ricopriva le ferite. Lo rassicurava, ora, di avere chiesto al laboratorio di esaminare
con cura l'auto abbandonata, quando si pensava che Williams si fosse reso irreperibile per sottrarsi alle conseguenze di un eventuale reato da lui commesso. Quei frammenti di intonaco nel portabagagli dell'auto potevano essere prove importanti. Da principio aveva pensato che fossero dovuti al lavoro che svolgeva Williams, ma Gardner gli aveva detto che Rod non maneggiava mai, nel modo più assoluto, la merce che vendeva. Sicché era probabile che quei pezzi di intonaco fossero finiti in qualche modo fra i suoi vestiti e che nel baule fosse stato messo il cadavere stesso. Nel giardino anteriore di Alverbury Road 31 era stata tagliata l'erba e potata la siepe usando, pareva, un paio di cesoie che aveva perduto il filo. Almeno in quel campo, Rodney Williams aveva avuto qualche merito: sapeva tenere in ordine il giardino! La porta fu aperta da Sara che indossava una camicetta bianca, tutta bianca, ma i disegni che non le adornavano il petto parevano essersi trasferiti sulle sue braccia che le maniche corte lasciavano scoperte: il solito serpente tracciato col pennarello verde, una farfalla con un viso infantile, una donna-corvo dal seno aggressivo e le ali erette che appariva quasi oscena su quelle braccia dorate, lisce e tonde come quelle di un bambino. «C'è la mamma, Sara?» Lei annuì. Aveva intuito qualcosa dalla sua voce? Lo guardò di sottecchi, un po' timidamente, poi gli fece strada fino alla cucina. Joy Williams non ebbe alcuna premonizione. Era seduta davanti a un tavolo sul quale c'erano i resti di una colazione per due. Lo guardò con espressione vagamente ostile. Avevano mangiato pesce con fagioli al forno, una combinazione non troppo felice e lo confermava la quantità di cibo che Sara aveva lasciato nel piatto. Che cosa fa una ragazza per la madre, in una situazione simile? Le si avvicina e le mette un braccio intorno alle spalle? O quanto meno sta in piedi dietro la sua seggiola? Sara si avvicinò al lavello, volgendo loro le spalle, e rimase a guardare dalla finestra che vi stava sopra l'erba, la siepe e i meli sparuti del giardino posteriore. Wexford annunciò a Joy che suo marito era stato ritrovato. O quanto meno era stato ritrovato il suo corpo. Di più non poteva dirle, non sapeva altro. Le spalle della ragazza si contrassero, mentre la signora Williams si chinava in avanti premendosi una mano sulle labbra. Rimase così per qualche momento, poi la caffettiera che era sul fornello si mise a sibilare e Sara si girò di scatto, spense il gas e guardò la madre torcendo la bocca come se avesse mal di denti.
«Volete un caffè?» domandò Joy all'ispettore. Lui scosse la testa. Sara preparò il caffè istantaneo, e lo versò in due tazze, una contrassegnata da una grande S e l'altra decorata con la testa della principessa di Galles. Joy mise un cucchiaino di zucchero nella sua tazza poi, dopo una breve esitazione, ne aggiunse un altro. «Dovrò andare a vederlo?» «Lo ha già identificato vostro cognato.» «John?» «Perché, ne avete qualche altro?» «Rod ha un fratello a Bath. "Aveva", dovrei dire. Lui è ancora vivo, e Rod non c'è più...» «Oh mamma, per l'amor del cielo!» esclamò Sara. «Sta' zitta tu, puttanella!» Joy gridò quelle parole, poi non disse altro, ma continuò a gridare, battendo il pugno sul tavolo, la tazza sobbalzò, si ruppe e il caffè si versò sulla stuoia di cocco che copriva il pavimento. Joy continuò a gridare finché Sara non le diede uno schiaffo. Si comportò come se fosse già un medico che non perde la testa in un caso d'emergenza. «Avete qualcuno che possa stare con lei?» domandò Wexford. «No, non ha amiche. Ma forse verrà zia Hope.» La signora Harmer, evidentemente. Joy e Hope, Gioia e Speranza. Buon Dio! Sara sedeva accanto alla madre, ora, le teneva una mano, mentre lei stava inerte, con la testa arrovesciata sulla spalliera della seggiola. Lacrime silenziose le scorrevano lungo le guance. Wexford si rese conto che la ragazza faceva uno sforzo per vincere la propria ripugnanza. Il bisogno di stare lontane l'una dall'altra era reciproco. «Resterò io con la mamma» disse con una sfumatura di stoicismo nella voce. «Le darò un sedativo e le troverò qualcosa di interessante alla TV.» La panacea sempre a portata di mano. Era tardi, ormai, per il pranzo. Avrebbe fatto uno spuntino con Burden in ufficio, un panino e un caffè che potevano farsi mandare dalla mensa. Aveva un appuntamento con la stampa alle due e mezzo. Davanti alla stazione di polizia c'era già il furgone della televisione, dal quale stavano scendendo cronisti e fotografi. «Sono stati su alla foresta a riprendere immagini della tomba, di Fitzgerald e del cane» spiegò Burden. «E ora vogliono voi.» «Bene. Così avrò l'occasione di lanciare un appello a chiunque abbia vi-
sto quell'auto abbandonata.» Poi un altro pensiero mise a un tratto in allarme Wexford. «Ehi, ma non vorranno truccarmi, spero!» Burden, con la sua solita espressione imbronciata, si strinse nelle spalle come a significare la sua indifferenza. «Be', anche se lo volessero non sarebbe poi la fine del mondo!» Wexford fu pronto a cogliere l'occasione. «E che cosa sta provocando la fine del tuo mondo, Mike?» Burden distolse immediatamente lo sguardo, mormorando qualcosa che il suo capo non capì. «Che cos'hai detto?» «Che prima o poi dovrò pur dirvi qual è il mio problema.» «Sì, lo penso anch'io.» Osservando il suo aiutante, l'ispettore notò per la prima volta i fili grigi che si mescolavano ai capelli biondi. «Qualcosa che riguarda il bambino?» «Sì.» La voce di Burden si era fatta roca. «Ma soltanto nei confronti di Jenny, non per me.» Rise senza allegria. «È una bambina!» «Che cosa?...» In quel momento squillò il telefono. Wexford alzò il ricevitore. La televisione, il cronista del Kingsmarkham Courier e altri due giornalisti lo aspettavano al pianterreno. Burden intanto se n'era andato, chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle. 8 Stava preparando la tavola con i bicchieri di cristallo e l'argenteria che avevano ricevuto come regali di nozze. La tovaglia di pizzo l'avevano comprata a Venezia durante la loro prima vacanza dopo la luna di miele. La vita domestica l'aveva entusiasmata quando, dopo avere saputo di essere incinta, aveva lasciato l'insegnamento. Era una novità, per lei, starsene a casa, e assumere il ruolo di moglie. Poi era diventata indifferente, indifferente a tutto; ma non alla bambina che aspettava: per quella provava odio. A volte, mentre si aggirava per casa dopo che Mike era andato in ufficio, manovrando l'aspirapolvere o riordinando, aveva il viso rigato di lacrime. Piangeva perché non riusciva a credere a quell'odio, lei che aveva tanto desiderato un figlio. Durante la seconda seduta lo aveva detto allo psichiatra che l'aveva ascoltata senza fare commenti, ma con evidente interesse. Era stato Mike a suggerire uno psichiatra, benché di solito si facesse beffe della psichiatria, e lei aveva accettato il suggerimento senza protestare.
Rappresentava almeno una valida ragione per uscire, per fare qualcosa di diverso dal restarsene lì seduta, in casa, a rimuginare sull'avvenire, sul matrimonio, su quella bambina non desiderata. E a piangere, naturalmente, ricordando come era stata bella un tempo la sua vita, quando le giornate sembravano sempre troppo corte, quando insegnava storie alla Haldon Finch, suonava il violino in un'orchestra e frequentava un corso d'arte. Jenny si disprezzava, era nauseata da tanta autocommiserazione. Ma non poteva farci niente. Il rumore della chiave di Mike - che un tempo accelerava i battiti del suo cuore - non provocò in lei alcuna reazione, se non un vago timore per la serata che dovevano trascorrere insieme. Lui entrò e le diede un bacio. Non aveva ancora perso l'abitudine. «Com'è andata con la tua strizzacervelli?» Lei si risentì per la fretta che trapelava da quella domanda. Mike non vedeva l'ora che guarisse, che la loro vita ritornasse normale. «Che cosa ti aspetti? Un miracolo in due sedute?» Ebbe voglia di gridare. Ironia della sorte! Lei era un'insegnante, questa donna era una psichiatra, Pat, la figlia di Mike, stava specializzandosi in odontoiatria, eppure lei se ne stava lì inerte e avvilita come l'ultima, inconspicua donna di un harem. E tutto questo perché sapeva che avrebbe messo al mondo una bambina! Mike preparò da bere: un succo d'arancia per lei e un whisky, abbondante, per sé. E sapeva che se ne sarebbe versato un secondo. Fino a poco tempo prima, non aveva mai sentito il bisogno di bere, tornando a casa. Jenny lo guardò a lungo. Avrebbe voluto toccargli un braccio, prendergli una mano, ma un'apatia invincibile le impediva di farlo. «Mike» mormorò per la millesima volta «non posso farci nulla. Lo vorrei tanto, ci ho provato!» «Me lo dici sempre. Ma io non ti capisco: ciò che ti succede va al di là della mia capacità di intendere.» «E anche della mia» bisbigliò lei abbassando gli occhi. Il bambino si mosse, con lievi fremiti dapprima, poi con un calcio sotto lo sterno che le fece battere più forte il cuore. «Dio, come mi pento di averlo fatto!» gridò Jenny. «Mi pento di avere permesso che lo facessero! Se almeno non mi avessero detto niente! Perché ho voluto sapere? Se non avessi saputo niente, avrei continuato ad aspettare felice, avrei avuto il mio bambino e non mi sarebbe importato niente che fosse maschio o femmina, purché fosse sano. Non ho mai nemmeno desiderato che fosse un maschio, forse non ci
avevo nemmeno pensato. E ora invece, non riesco a sopportarlo. Non posso sopportare l'idea di tante fatiche e tanto dolore e tanti pensieri, e tutto... per una bambina!» Glielo aveva già sentito dire. Gli pareva che glielo avesse ripetuto ogni sera. Con qualche modesta variante, con altre frasi, altre parole. Ma questo restava il messaggio che Jenny ogni sera gli comunicava fino a quando, esausta, non scoppiava in lacrime e se ne andava a letto: ogni sera, più presto del solito, con il passare delle settimane. Invano le aveva chiesto il motivo di quella prevenzione contro la bambina: lei che era una femminista, che appoggiava il movimento di liberazione della donna, che tra i figli delle amiche prediligeva le bambine, che andava più d'accordo con la figliastra che col figliastro e che aveva sempre ammesso di preferire nell'insegnamento le ragazze ai ragazzi. Il perché non lo sapeva nemmeno lei. La gravidanza tanto attesa e da principio accolta con estatica felicità, ora minacciava di farla impazzire. E quello che era peggio, lo stesso Mike stava cominciando a detestare quell'essere che stava per nascere, a desiderare che non fosse mai stato concepito. Wexford e Burden stavano facendo colazione all'Old Cellar di Kingsmarkham, dove pranzavano un paio di volte la settimana non per la qualità della sua cucina, piuttosto dubbia, ma perché quel ristorante aveva il pregio di essere caldo quando faceva freddo e fresco quando faceva caldo, come quel giorno. Wexford aveva davanti a sé i giornali del mattino, escluso il Kingsmarkham Courier che era un settimanale e sarebbe uscito soltanto il venerdì seguente. I quotidiani non dedicavano molto spazio alla scoperta del corpo di Rodney Williams: si limitavano alla notizia di cronaca pura e semplice, senza fare cenno alla moglie, ai figli, al lavoro presso la Sevensmith Harding e men che meno al fatto che il suo cadavere era stato rinvenuto due mesi dopo la scomparsa. L'intervista televisiva di Wexford, un minuto di programma desunto dalla mezz'ora di registrazione, era passato solo nel notiziario regionale. I cadaveri degli uomini di mezza età non fanno notizia come invece quelli delle donne o dei bambini. La donna fa sempre notizia. Chissà se questa caratteristica cesserà quando avrà ottenuto l'uguaglianza e il rispetto dei suoi diritti. Quel pensiero rammentò a un tratto qualcosa all'ispettore. «Stavi per dirmi qualcosa, Mike, quando siamo stati interrotti.»
«Di solito, Jenny non ha niente contro le donne» disse Burden. «Anzi, è femminista. Credo anzi che sia segretamente convinta della superiorità delle donne nei confronti degli uomini... le considera più abili, più versatili. Confessa lei stessa di non riuscire a capirsi. Ammette di non avere mai avuto alcuna preferenza per il sesso del nascituro, eppure, quando ha saputo che avrebbe avuto una bambina, ha provato una sorta di sgomento. Poi questo sentimento si è lentamente trasformato in odio.» «Ma perché? Perché non vuole una bambina?» Wexford ricordò una confidenza che gli aveva fatto sua figlia Sylvia, madre di due maschi. «Forse perché pensa che le donne hanno una vita più difficile e non vuole avere la responsabilità di metterne al mondo una? Non sarebbe la prima!» «Non lo sa nemmeno lei. Afferma che dall'inizio del mondo i figli maschi sono sempre stati preferiti alle femmine e questo ormai è diventato parte della memoria della specie, che lei chiama inconscio collettivo.» «Così la chiama Jung.» Burden ebbe un attimo di perplessità, poi risolse di lasciar perdere quell'osservazione. «È matta. La gravidanza l'ha fatta impazzire. Oh, non guardatemi a quella maniera. Non ce la faccio più a nascondere per lealtà la mia disperazione. Non mi importa di sembrare poco comprensivo. Sapete quello che dice? Afferma di non poter sopportare l'idea di trascorrere tutta una vita con una figlia che non desidera, di non poter neppure immaginare di dover vivere per vent'anni con un essere che detesta ancora prima che sia nato. Che cosa ne sarà della mia vita se questa storia continua?» «Anche se sembrerà un luogo comune sono certo che la penserà diversamente quando la bambina sarà nata.» «Lo credete davvero? Credete che le vorrà bene, quando gliela metteranno fra le braccia? Volete che vi ripeta che cos'altro dice? Che non vorrà neppure vederla! Che dovremo darla subito in adozione senza vederla, né lei né io. Ve l'ho detto, sta impazzendo!» A Wexford venne una voglia irresistibile di bere qualcosa di forte. Non poteva farlo a quell'ora. Lo aspettava un intero pomeriggio pieno di impegni. E nemmeno Burden avrebbe bevuto. A giudicare dall'aspetto che aveva al mattino, Wexford capì che aspettava la sera per trovare nell'alcool un po' di consolazione. Pagarono il conto e uscirono alla luce splendente del sole di giugno. «Ora sta andando da una psichiatra. Ho riposto in queste sedute tutta la mia speranza. Proprio io! Pensate a che punto sono giunto; io che ho sempre criticato la pratica psichiatrica. Che non ho mai creduto nella sua utili-
tà.» In ufficio trovarono la relazione di sir Hilary Tremlett sui risultati dell'autopsia e il dottor Crocker arrivò al momento giusto per spiegare a Wexford alcuni punti che gli erano poco chiari. Sulla soglia incrociò Burden che usciva, immusonito e laconico come sempre. Il medico rise. «Mike ha una gravidanza difficile!» Wexford non diede spiegazioni. «Sir Hilary dice di aver trovato trecentoventi milligrammi di ciclobarbitone nello stomaco e in altri organi» osservò offrendo una sedia al medico. «Che cos'è il ciclobarbitone?» «Un barbiturico ad azione intermedia, vale a dire che ha un effetto della durata di circa otto ore. Un sonnifero, in altri termini. La dose normale è di duecento milligrammi, ma trecentoventi non sarebbero stati sufficienti ad ammazzarlo.» «Difatti, non è stato il barbiturico a ucciderlo. È stato accoltellato.» I due si scambiarono un'occhiata. Il pensiero di entrambi era corso a Budd e a Wheatley. «Per essere precisi, a causare la morte è stato un colpo che ha reciso la carotide.» «Accidenti! Il sangue dev'essere zampillato come una fontana!» «E c'erano altre sette ferite al collo e al petto.» Wexford tese i fogli al medico, trattenendone uno. «A me interessano di più le misure del coltello. Un grosso coltello da cucina con punta aguzza, sembra.» «Secondo sir Hilary, la morte dovrebbe risalire a sei, otto settimane. Che ne pensate? Che abbia preso un paio di pillole di sonnifero e che qualcuno lo abbia accoltellato mentre era nel mondo dei sogni? Ma se, come sembra, è stato ucciso poco dopo avere lasciato la propria casa, alle sei di quella sera, perché mai avrebbe preso il sonnifero a quell'ora?» «Potrebbe averlo preso scambiandolo per un'altra medicina. Soffriva di ipertensione.» Mentre Crocker leggeva la relazione, l'ispettore chiamò la telefonista e si fece passare il numero di Wheatley. Questi gli aveva detto di lavorare a Londra tre giorni la settimana, c'era quindi una probabilità che fosse in casa. E lo era, infatti. «Non mi siete sembrato molto interessato a ciò che vi dicevo» egli rispose in tono irritato. Wexford non aveva alcuna intenzione di discutere. In realtà, era vero. Non aveva mostrato molto interesse al caso. Ma alla luce degli eventi,
quell'episodio assumeva una ben diversa importanza. «Mi avete fornito una descrizione dettagliata della ragazza che vi ha aggredito, signor Wheatley, siete un ottimo osservatore e questo mi fa pensare che potreste avere notato qualche altro dettaglio. Volete ripensarci e cercar di ricordare esattamente come sono andate le cose? Soprattutto, vorremmo qualche altra informazione sulla ragazza, che aria aveva, la sua voce, eccetera. Possiamo venire a parlare con voi?» Lusingato, Wheatley promise che ci avrebbe ripensato e che avrebbe detto loro tutto quanto gli fosse venuto in mente quella stessa sera. Il dottor Crocker riprese a dire: «Non possono averlo accoltellato dentro l'automobile. Ci sarebbe stato molto sangue.» «All'aperto, allora?» «Legandogli al collo una tovaglia a fiori?» «Il rapporto non parla di tovaglia.» «Ma io l'ho vista, quando hanno riesumato quel povero diavolo.» Squillò il telefono. «Ispettore» disse la telefonista «la signora Williams desidera parlare con qualcuno di suo marito, Rodney Williams.» "Joy!" pensò lui. "Benissimo." «La signora Joy Williams?» «No, Wendy Williams.» «Fatela accompagnare qui, grazie.» La cognata? La moglie del fratello di Bath? Wexford rivolse un'occhiata interrogativa a Burden che rientrava in ufficio, dopo essere andato a esaminare gli indumenti ritrovati indosso a Williams: mutande blu - ben diverse da quelle bianche trovate nell'armadio di Alverbury Road - calzini marrone, pantaloni di gabardine nocciola, camicia a righe blu, marrone e color crema, pullover blu di St. Laurent. Nella tasca posteriore dei calzoni era stato trovato un libretto di assegni su uno dei conti correnti dell'Anglian-Victoria di Pomfret e un portafoglio contenente una banconota da cinque sterline, tre da una e due carte di credito, una Visa e un'American Express. Non c'erano chiavi, né di casa né dell'auto. «Probabilmente le teneva tutte assieme, come faccio io» commentò Burden. «Comunque sia, ci occuperemo di quel conto in banca, ora. Il dottor Crocker dice che aveva una tovaglia avvolta intorno al collo. Per tamponare il sangue, naturalmente.»
Bussarono alla porta; l'agente Bennett entrò con una giovane signora. «La signora Wendy Williams, signore.» Graziosa, giovane, non dimostrava più di venticinque anni. Il viso delicato e bello, incorniciato di capelli biondi e ricci, era teso e tirato. Crocker era balzato in piedi. Wexford la pregò di sedere e lei si accomodò sulla poltroncina lasciata libera dal dottore. Strinse spasmodicamente i braccioli, sussultò quando Crocker le passò alle spalle dirigendosi verso la porta che Burden gli chiuse alle spalle, rimanendo lì, fermo, in piedi. «Perché volevate vedermi, signora Williams?» Non rispose. Rimase a fissare l'ispettore passandosi la lingua sulle labbra. «Siete la cognata di Rodney Williams?» La donna raddrizzò appena le spalle, le mani ancora strette ai braccioli della poltroncina. «Come sarebbe a dire, la cognata? Sentite, io... non so come dirlo. Sono stata così... Ho creduto d'impazzire.» Le si era arrochita la voce. «L'ho letto sul giornale... una breve notizia e... Quella persona che hanno trovato...? È lui... è mio marito?» 9 Gli accadeva raramente di poter dare notizie rassicuranti. Fu sul punto di rispondere di no, no, naturalmente. Il cadavere era già stato identificato. «Come si chiama vostro marito, signora Williams?» «Rodney John. Ha quarantotto anni.» Si esprimeva con frasi brevi. Non aspettava le domande. «È alto uno e ottanta, è biondo con un po' di capelli grigi. Fa il viaggiatore di commercio. Nell'articolo si parlava di un viaggiatore di commercio.» Burden spalancò gli occhi, poi abbassò lo sguardo, mentre la donna inghiottiva a vuoto, lottando contro il panico, contraendo i muscoli. «Vorreste... vi prego, ho una sua fotografia.» Le tremavano le mani mentre cercava di aprire la borsa. La fotografia che tese a Wexford ondeggiò nell'aria. L'ispettore la fissò, incredulo. Era proprio Rodney Williams, con la sua fronte alta e sporgente, la bocca a fessura aperta in un largo sorriso. La foto era più recente di quella che gli aveva mostrato Joy e Williams vi appariva in calzoncini da bagno (il petto liscio, le gambe sottili e un pochino storte) accanto a questa signora Williams in bikini nero e a una ragazzetta
sui dodici anni, anch'essa in bikini. Gli occhi di Wexford tornarono a fermarsi sull'uomo, su quella fronte inconfondibile che ti faceva venir voglia di sbattervi sopra una parrucca col ciuffo per farla apparire diversa. La donna aspettava, senza staccargli gli occhi di dosso. Wexford annuì e lei si portò una mano al petto, bloccandosi per un momento in quella posa drammatica, poi chiuse gli occhi e si abbandonò di traverso sulla poltroncina. In seguito, l'ispettore la considerò una scena magistralmente ben recitata, ma al momento gli sembrò uno svenimento genuino. Burden la prese per le spalle, la costrinse a chinare il viso verso le ginocchia, mentre Wexford telefonava perché gli mandassero immediatamente una donna poliziotto. Qualcuno pensò anche a mandare un bricco di tè. Wendy Williams si riprese, raddrizzò le spalle e nascose il viso tra le mani. «Siete la moglie di Rodney John Williams e abitate a Pomfret, in Liskeard Avenue?» Lei bevve il tè bollente, chiudendo gli occhi. Quando li riaprì e li fissò in quelli dell'ispettore, lui notò che erano di un limpido, pallido azzurro come quello dei fiori di lino. Wendy annuì lentamente. «Da quanto tempo siete sposata, signora Williams?» «Da sedici anni. Abbiamo festeggiato il nostro sedicesimo anniversario in marzo.» Wexford stentò a crederlo. La sua carnagione era fresca e rosata come quella di un'adolescente, i capelli biondi erano morbidi come quelli di un bambino e sembravano naturalmente ricci. Lei notò la sua incredulità e nonostante il suo dolore ne fu lusingata. Era una di quelle donne che si nutrono di complimenti anche se non espressi. Un vago sorriso le aleggiò sulle labbra. L'ispettore guardò di nuovo la fotografia. «Mia figlia Veronica» spiegò lei. «Mi sono sposata giovanissima, avevo appena sedici anni. Questa foto è stata fatta tre o quattro anni fa.» Un bigamo, dunque. Non il solito marito infedele con un'amica nella città vicina, non il dongiovanni con una serie di amanti costose, ma il bravo, vero bigamo all'antica. Wexford non aveva il minimo dubbio che Wendy Williams possedesse il suo bel certificato di matrimonio, come lo aveva Joy, e se il suo non era valido, lei certo lo ignorava. Ecco dunque perché Williams non si era portato via nemmeno un cam-
bio di biancheria. Aveva tutto quanto gli serviva nell'altra casa. Ed ecco la spiegazione dei conti correnti in banca. Uno per il versamento degli stipendi e due conti comuni alimentati dal primo: Rodney John e Joy Williams, Rodney John e Wendy Williams. Non aveva nemmeno avuto bisogno di cambiare cognome per il secondo matrimonio: Williams era un cognome fin troppo comune. Era stato come un musulmano di stretta osservanza che tiene le sue mogli in abitazioni separate. Soltanto che nel suo caso, le mogli non conoscevano l'esistenza l'una dell'altra. Ma ora bisognava informarle entrambe, Wendy e Joy. «Potete dirmi quando avete visto il signor Williams per l'ultima volta?» Evitare di dire "vostro marito" era il primo passo verso la spiegazione. «Circa due mesi fa. Subito dopo Pasqua.» Non era il momento buono per chiederle conto di quell'intervallo di otto settimane. Wexford le disse che sarebbe andato da lei quella sera: ora l'avrebbe riaccompagnata a casa la donna-poliziotto, Polly Davies. Finalmente era accaduto qualcosa capace di distrarre Burden dai suoi guai familiari. Ora aveva l'espressione attenta e incuriosita di un ragazzino. «Che cosa avrà fatto a Natale?» osservò. «E a Pasqua? O per le vacanze?» «Lo scopriremo, sta' tranquillo. Altri bigami se la sono cavata. Probabilmente avrà anche lui il suo Bunbury.» «Il suo cosa?» «Un amico o un parente inesistente che gli fornisce gli alibi necessari. Penso che il Bunbury di Williams fosse una vecchia madre.» «Aveva una vecchia madre?» «Chi lo sa! Ma non avrà dovuto fare un grande sforzo d'immaginazione per inventarsene una.» «Pensi che sia andato dall'altra moglie, la sera che è partito da Alverbury Road?» «Quanto meno ne aveva l'intenzione, penso. Che poi ci sia arrivato, è un'altra questione.» Burden sembrava affascinato dagli accomodamenti familiari di Williams. «Sicché mentre Joy pensava che fosse a lavorare per la Sevensmith Harding a Ipswich, lui se ne stava con Wendy. Ma quand'era con Joy, Wendy che cosa pensava?» «Probabilmente non sapeva niente della Sevensmith Harding. Chissà quale frottola le avrà raccontato a proposito del suo lavoro!» «Ma non gli sarà mai accaduto di sbagliare nome? Voglio dire chiamare
Wendy Joy e viceversa?» «Ecco che parla l'innocente monogamo» osservò Wexford ridendo. «Come credi che se la cavino gli uomini sposati che hanno un'amante? Dicono "tesoro" e basta.» Burden scosse la testa come se il pensiero che gli era balenato in mente fosse pazzesco. «Credi che sia stata una di loro a ucciderlo?» «E poi a portarne lassù il corpo e ficcarlo in quella tomba? Williams pesava almeno novanta chili.» «Però potrebbe essere stata Wendy a fare quella telefonata.» «Ti pare che la sua voce assomigli a quella di Joy?» Burden fu costretto ad ammettere che non le assomigliava affatto. Joy aveva una voce monotona, senza accento né inflessioni; quella di Wendy era giovanile, flautata, con la "r" un poco arrotata. Stavano ancora parlando di voci quando squillò di nuovo il telefono. «C'è un'altra giovane donna che vuole vedermi» annunciò Wexford, posando il ricevitore. «La terza moglie di Barbablù?» Era la prima frase scherzosa che Burden pronunciava da due mesi. Wexford ne fu felice. «Forse sarà una mia fan, invece. Qualcuna che mi ha visto in TV!» «Sentite, se mi prendessi Martin e andassi intanto a parlare con Wheatley? Così potrei venire con voi da Wendy, stasera.» «D'accordo. Ci porteremo anche Polly.» La ragazza che entrò nell'ufficio aveva un'aria estremamente sicura. Si chiamava Eve Freeborn, aveva diciotto anni, capelli cortissimi tinti qui e là di rosso acceso, una casacca a quadri, pantaloni aderenti alle gambe e scarpe con suola di gomma. Seduta davanti alla scrivania a gambe divaricate, raccontò all'ispettore la sua storia con vivace disinvoltura. Veniva direttamente da scuola, era una studentessa, e mentre parlava rovesciò verso l'alto la palma di una mano, e Wexford vide il disegno tracciato con un pennarello all'interno del suo polso. Rappresentava un corvo con la testa di donna. «Mi sono resa conto che, come cittadina, era mio dovere venire a parlarvi. Ho tardato il tempo necessario per discuterne col mio ragazzo. Frequenta la mia stessa scuola, la Haldon Finch, e in un certo senso è coinvolto anche lui. Il nostro rapporto è improntato a una assoluta franchezza.» Wexford le fece un sorriso incoraggiante. «Il mio ragazzo abita a Myringham, in Arnold Road, quarantatré, una
casa a un solo piano.» Di fronte a Graham Gee, che aveva segnalato per primo la presenza della povera Greta, pensò l'ispettore. «Ci abitano anche i suoi genitori» aggiunse Eve in un tono che sottintendeva la grande condiscendenza del suo ragazzo nel permettere che babbo e mamma vivessero con lui nella loro casa. «A loro non piace che io passi la notte col mio ragazzo. Non ce l'hanno con me, personalmente, questo lo si potrebbe capire, sono contrari a qualunque ragazza, ve lo giuro. Così io aspetto che lui sia a letto e poi entro dalla finestra.» Wexford riuscì a non spalancare la bocca, ma non poté trattenersi dal chiedere: «E perché non viene lui da voi?» «Perché dormo con mia sorella. Allora vi stavo dicendo... Quel giovedì sera arrivai là verso le dieci, ma non c'era molto posto per parcheggiare e nel fare manovra urtai contro l'auto che avevo dietro. Non feci un gran danno, soltanto una lieve ammaccatura al parafango, ma pensai che fosse mio dovere assumerne la responsabilità e non lasciar perdere...» «Un momento. Era la sera del quindici aprile?» «Esatto. Era il compleanno del mio ragazzo.» «Com'era la macchina che avete urtato?» «Una Ford Granada blu scuro. Quella di cui avete parlato voi alla TV. Scrissi un biglietto col mio nome, l'indirizzo e il numero di telefono e lo infilai sotto un tergicristallo, ma dev'essere volato via o qualcosa del genere perché parecchi giorni dopo l'auto era ancora là e nessuno si era messo in contatto con me.» Dunque alle dieci di quella sera Greta era già là, ma da quanto tempo? «Che macchina avevate?» «La mia, naturalmente!» rispose sorpresa. «Avete un'automobile?» «Per essere precisi, era l'auto di mia madre, ma è lo stesso.» Stupefacenti, questi ragazzi! E ancor più stupefacente era quel loro modo di ignorare che le generazioni precedenti si comportavano in modo assai diverso. Ammettevano forse che la gente invecchiava, diveniva ottusa e severa, ma parevano convinti che al tempo della loro gioventù anche le generazioni che li avevano preceduti dormivano con il loro ragazzo, si appropriavano delle auto dei genitori, stavano fuori la notte, si tingevano i capelli in tutti i colori dell'iride. Wexford la ringraziò per l'aiuto e, mentre la ragazza si alzava, scorse di nuovo il disegno sul suo polso. Non sapeva quale scuola frequentasse Sara. E restava ancora quell'entità sconosciuta, Veronica Williams...
«Nella vostra scuola c'è una ragazza della vostra età che si chiama Sara Williams?» Capì senz'ombra di dubbio che Eve non aveva ancora collegati i due nomi. Lo fece soltanto ora. «Volete dire che Sara è la figlia dell'uomo ucciso?» «Sì. È nella vostra classe?» «No» rispose lei, guardinga. «Ma la conosco.» Wheatley abitava in un nuovo complesso residenziale di Myringham. La porta fu aperta dalla moglie di Brian, che era incinta e aveva aggrappata alla gonna una bimbetta sui tre anni. Questo indusse Burden a pensare che forse la gravidanza della moglie aveva avuto il suo peso nell'atteggiamento di Wheatley verso la ragazza cui aveva dato un passaggio. Brian poteva essersi sentito frustrato sessualmente. Ne sapeva qualcosa, lui! E forse aveva tanto insistito sull'assoluta purezza delle proprie intenzioni per non correre il rischio che sua moglie scoprisse che, mentre lei era in quelle condizioni, lui era capace di mettere le mani sulle ginocchia - se non addirittura sul seno - di un'altra donna. Una stanza della casa era stata adattata a studio per Wheatley. Lui stava telefonando, quando entrarono Burden e Martin, ma terminò subito la conversazione. Sì, gli era venuto in mente qualcos'altro, a proposito di quella ragazza. «Vi ho già detto che era molto alta, per una donna: almeno un metro e settanta. Al disotto dei vent'anni, ne sono certo. Con capelli castano scuro lunghi fino alle spalle e la frangetta, carnagione molto chiara e mani bianchissime. Mi sembra di ricordare che avesse un anello, non una fede matrimoniale, né un anello di fidanzamento, ma uno di quei grossi anelli d'argento che portano le ragazze. Non direi che fosse graziosa, nemmeno un po'.» Un contentino per la moglie, entrata in quel momento con la piccina in braccio? «Occhiali neri, una borsa a tracolla di pelle scura, jeans e golf grigio. Magra... pelle e ossa, direi.» Altro contentino coniugale. «E sotto il golf aveva una maglietta bianca con un disegno pazzesco sul petto... un uccello con la testa da donna.» «Non ce lo avevate detto, la volta scorsa, signor Wheatley.» «Sì, certo. Non vi avevo parlato dell'anello, della maglietta. Ma ripensandoci mi sono tornati in mente questi particolari. Sissignore. Una maglietta bianca con un uccello dalla testa di donna.»
«Non ci credo!» Fissò Wexford spalancando la bocca, sbigottita, e sbattendo le palpebre. Poi si passò una mano sul collo. «Non ci credo!» Ora c'era un tono di sfida nella sua voce. Ma subito dopo, con una lieve variante, dimostrò all'ispettore che lo credeva, e come! «Non voglio crederci!» Polly Davies, seduta lì come una brava chaperon, silenziosa, ma attenta, guardò Wexford che le fece un cenno d'assenso. «Purtroppo è la verità, signora Williams.» «Non... non ho il diritto di chiamarmi così, vero? E il mio certificato di matrimonio?» Povera donna, pensò Wexford. Poi gli venne in mente Eve Freeborn. Un intero mondo la separava da Wendy Williams, benché questa avesse soltanto quattordici anni più di lei, meno di una generazione. Sapeva, Eve, che esistevano documenti come i certificati di matrimonio? «Signora Williams» intervenne Pollie «perché non andiamo di là a fare un po' di caffè? Ne abbiamo voglia tutti. Il signor Wexford vorrebbe rivolgervi qualche domanda, ma sono certa che desidera lasciarvi prima il tempo per riprendervi da questo trauma.» Wendy si alzò, annuendo, e s'incamminò con le gambe rigide come se le si fossero bloccate le articolazioni e lo sguardo vitreo. Nessuno, in quel momento, le avrebbe dato venticinque anni. Uscite le due donne, Burden si strinse nelle spalle e ricadde in una delle sua malinconiche fantasticherie, mentre Wexford osservava la stanza in cui si trovavano. Wendy era una massaia meticolosa e forse persino un po' fanatica. Il grande locale dove l'aveva fatto accomodare serviva da salotto e da sala da pranzo. Era stato tappezzato di recente di un delicato colore rosato, il folto tappeto rosso fragola, i mobili in mogano e qualche pezzo in vimine bianco completavano l'arredamento. E dappertutto cuscini, in varie tonalità di rosso e di rosa. Una stanza arredata con molto buon gusto, assai diversa dalla squallida casa di Joy, eppure poco accogliente, fredda, come se ogni oggetto fosse stato messo lì per mostra, non per servirsene. L'ispettore ricordò che lì viveva anche una ragazza, ma di lei non c'era alcuna traccia evidente. «Mia figlia ha sedici anni» disse Wendy quando ebbe servito il caffè. E aggiunse, quasi in tono di sfida: «Li ha compiuti tre settimane fa.» Wexford, ricordando come lei gli avesse detto di avere festeggiato in marzo il sedicesimo anniversario di matrimonio, fece un rapido calcolo.
Sicché Williams l'aveva "sposata" tre mesi prima che nascesse la bambina. Aveva dovuto aspettare che lei avesse l'età legale per il matrimonio. «Dove vi siete sposata, signora Williams?» «All'ufficio di Stato Civile di Myringham. Mia mamma avrebbe voluto che ci sposassimo in chiesa, ma... per ovvii motivi...» Motivi più che "ovvii", pensò Wexford. Una gravidanza al sesto mese... che fegato, quel Williams! Un uomo sposato che "sposava" una ragazzina di quell'età, a meno di venti chilometri dalla città in cui viveva. Wendy gli stava tendendo un foglio, il suo certificato di matrimonio. Rodney John Williams, anni trentadue, un indirizzo di Bath probabilmente quello del fratello - e la professione: rappresentante di commercio. E Wendy Ann Rees, anni sedici, Pelham Street, Myringham, commessa di negozio. Testimoni Norman Rees e Brenda Rees. Parenti, o forse fratello e cognata. L'ispettore restituì il foglio a Wendy. Lei lo guardò a sua volta, passandosi la lingua sulle labbra. La sua espressione gli fece temere che fosse sul punto di strapparlo. Ma dopo un attimo Wendy lo rimise nella sua busta e lo posò su un tavolinetto che aveva accanto. «Signora Williams, vi dispiace dirci come mai non vi eravate allarmata per la lunga assenza di vostro marito?» Le dispiaceva sì, ma lo disse ugualmente, anche se con riluttanza. «Be', Rodney e io...» Diceva sempre "Rodney", notò Wexford, mai "Rod". «Avevamo litigato... litigato aspramente. Dev'essere stato pochi giorni dopo Pasqua. Lui l'aveva trascorsa a Bath, con sua madre. Faceva sempre Natale e Pasqua con lei. Era figlio unico, sapete, e lei era ricoverata da anni in una casa per anziani.» «Continui, la prego, signora Williams.» «Litigammo, dunque. Per una questione strettamente privata della quale preferirei non parlare, se non vi dispiace. Io gli dissi che... be', dissi che se lui... se non l'avesse smessa, se non mi avesse promesso sinceramente che mai... bene, dissi che avrei preso Veronica e me ne sarei andata e lui non ci avrebbe riviste mai più. Gli... gli diedi uno schiaffo, ero così furiosa, così disperata... Ma era in collera anche lui. Negò tutto, naturalmente, poi disse che non avevo alcun bisogno di andarmene, se ne sarebbe andato lui. Non poteva più sopportare i miei rimproveri, disse.» Wendy alzò la testa e guardò negli occhi Wexford. «Era vero, lo tormentavo, lo ammetto. Ma non ce la facevo più. Era sempre lontano da casa, non lo vedevo quasi mai. Non avevamo mai trascorso insieme un solo Natale, non ci eravamo quasi
mai presi una vacanza. Io lo pregavo...» Le mancò la voce e l'ispettore si rese conto che soltanto ora cominciava a vederci chiaro, a capire quale fosse stato il vero motivo di tante assenze. «Bene» riprese Wendy facendo uno sforzo per controllarsi «dopo un momento lui si calmò e penso di essermi calmata un poco anch'io. Doveva partire di nuovo e tornare il giovedì, il quindici di aprile, e per quanto fossi ancora sconvolta lo salutai dicendo che ci saremmo rivisti giovedì. Ma lui ribatté che forse ci saremmo rivisti e forse no, forse non sarebbe ritornato mai più. Così, capite, quando non lo vidi tornare, pensai che mi avesse piantata.» Una spiegazione non del tutto convincente. Wexford cercò di mettersi nei suoi panni. Che cosa avrebbe fatto lui se, quand'erano giovani, avesse litigato con Dora e dopo lei se ne fosse andata di casa dicendo: "Vado da mia sorella e non so se tornerò"? Oh, se il giorno fissato non fosse ricomparsa. Se soltanto avesse tardato un paio d'ore, lui avrebbe subito cominciato a impazzire per l'ansia. Certo, tutto dipendeva dalla gravità del litigio e dai motivi che l'avevano provocato. «Che cosa accadde esattamente quel giovedì sera?» «Tornai tardi dal negozio. Sapete, sono direttrice del reparto confezioni da Jickie, a Kingsmarkham, e il giovedì chiudiamo sempre tardi.» Jickie era un grande magazzino, il più vasto di Kingsmarkham. Williams si era sempre guardato bene dall'accompagnarvi Joy, quando lei vi andava a fare spese, sarebbe stato un rischio troppo grande. Aveva camminato su una corda tesa e forse, com'è nella natura di uomini come lui, aveva anche goduto del rischio che correva. Alla fine era caduto. Perché aveva perduto l'equilibrio? «Restiamo sempre aperti fino alle otto, ma io non riesco mai ad andarmene prima delle nove e poi mi ci vuole un quarto d'ora per arrivare a casa. Quella sera trovai Veronica sola a casa. Rodney non c'era. Pensai che forse sarebbe giunto più tardi, ma lui non tornò e allora capii. O almeno credetti di capire. Pensai che mi avesse lasciata.» «E in tutte le settimane seguenti» interloquì Burden «non siete mai stata preoccupata? Non vi siete mai chiesta che cosa ne sarebbe stato di voi e di vostra figlia se non aveste mai più rivisto vostro marito?» «Dal punto di vista finanziario me la sarei cavata benissimo anche senza di lui. Ho sempre dovuto lavorare e ora guadagno bene.» Vi era una sfumatura d'orgoglio nella morbida voce di Wendy e Wexford pensò che l'aspetto fragile di bionda dalla carnagione rosea nascondesse una donna d'acciaio. «C'era da pagare il mutuo per la casa e fino a cinque anni fa
Rodney non ha potuto provvedere ad altro. Poi è stato promosso e tutto è andato meglio, ma io ho continuato a lavorare. Avevo bisogno di una vita mia: lui era sempre lontano.» «Promozione?» domandò l'ispettore, per tastare il terreno. «Sì. Lavorava in una ditta modesta e gli affari non andavano troppo bene negli ultimi tempi... forniture per bagno e cose del genere. Rodney è stato nominato direttore alle vendite per questa zona.» Polly Davies prese il vassoio del caffè e lo riportò in cucina. Riusciva facile immaginare Rodney Williams - o l'idea che lui se n'era fatta - in quell'altra casa, rifletté Wexford, ma quasi impossibile immaginarlo in questa. Seduto davanti al tavolo dal piano di cristallo, a esempio, con il vaso di rose rosa e rosse, oppure sprofondato in una delle poltrone di cinz rosa. Williams era stato un uomo rozzo e lì tutto era nitido e delicato come l'interno di una conchiglia o di una rosa. «Bisogna che io sappia perché avete litigato, signora Williams.» «Non ha niente a che vedere con la morte di Rodney, credetemi, ispettore» ribatté lei in tono gentile. «Come potete saperlo?» Wendy lo guardò come se si sentisse oggetto di una persecuzione. «Come potrebbe? È morto per avere dato un passaggio a qualcuno che lo ha ucciso. Qualcosa di simile... Accade di frequente.» «Un'ipotesi interessante, ma nulla più, non vi pare? Non esiste alcuna prova a favore di questa versione e una quantità di indizi puntano verso una ben diversa interpretazione dei fatti. L'auto riportata a Myringham, per esempio. La telefonata fatta da qualcuno alla ditta dove lavorava vostro marito e una lettera di dimissioni. Come pensare che sia opera di un autostoppista omicida?» Lei sedeva rigida, lo sguardo ostinatamente rivolto altrove. Polly rientrò. «Va tutto bene, signora Williams?» Un cenno d'assenso e un sospiro. «Per quale motivo avete litigato?» «Posso rifiutarmi di dirlo.» «Senza dubbio. Ma perché farlo quando tutto ciò che ci direte rimarrà strettamente confidenziale? Non credete che il vostro rifiuto possa indurci a supporre qualcosa di peggio di quanto non sia in realtà?» Lei continuò a tacere, con l'espressione di chi si aspetta di vedere da un momento all'altro qualcosa di ripugnante. «C'era un'altra donna» disse finalmente, in un soffio.
«Intendete dire che vostro marito si vedeva con... un'amica?» «"Si vedeva"» fece eco Wendy. «Mi piace quest'espressione. Esatto, si vedeva con un'amica, diciamo pure così.» «Voi come vorreste dire?» «Oh sì, va benissimo così come dite voi. Come altro si potrebbe dire? Con una parola cruda, suppongo.» E a un tratto l'atteggiamento riservato sparì lasciando erompere un'ondata di amarezza e di risentimento. «Credevo che non gli sarebbe mai importato niente di nessun'altra all'infuori di me! Sembro ancora giovane, no? La gente dice che dimostro diciotto anni. E sono abbastanza carina. Che diavolo aveva da... Sì, litigammo per quello. Per una ragazza. Volevo fargli promettere che non sarebbe accaduto mai più.» «E lui rifiutò?» «Oh no, promise, ma io non gli credetti. Pensavo che avrebbe ricominciato alla prima occasione. E io non potevo più sopportarlo, non lo volevo più a quelle condizioni. Fui contenta che non fosse tornato, lo capite? Contenta!» «Devo sapere il nome di quella ragazza.» La risposta fu rapida come un lampo. «Non so come si chiama.» «Suvvia, signora Williams!» «Non lo so. Lui non ha mai voluto dirmelo. Una ragazza e basta. Che importanza ha?» Aveva già detto troppo, pensava. Wexford glielo leggeva in viso, nello sguardo, stupito della propria indiscrezione. E in quel momento, prima che lui potesse dire qualcosa, la porta si aprì ed entrò una ragazza. Wexford rimase a bocca aperta. Benché fosse un po' meno alta e con i capelli più corti, era la copia esatta di Sara Williams. Avrebbero potuto essere gemelle. 10 Capelli dello stesso colore oro pallido, ondulati, che sfioravano appena le spalle, occhi bruni, naso piccolo e diritto, pelle candida spruzzata di lievi efelidi. L'alta fronte di Rodney Williams e la sua bocca sottile. Ma invece di jeans, questa giovane indossava un abito estivo bianco, con sandali dello stesso colore. Si fermò sulla soglia, palesemente sorpresa, e anche qualcosa più che sorpresa, alla vista dei due uomini. «Mia figlia Veronica» disse impacciata Wendy, che appariva non meno
sorpresa di lei. «Sei tornata presto!» «Mica tanto. Sono le nove.» La stessa voce della madre, morbida e garbata, ma senza alcun difetto di pronuncia. Diversa da quella di Sara, brusca e senza inflessioni. «I signori sono ispettori di polizia» spiegò Wendy un po' più disinvolta. «Se ne andranno tra qualche minuto. Una questione che riguarda il negozio» mentì col tono più naturale del mondo. «Ti spiace lasciarci soli ancora per qualche momento, cara?» «Bene. Vado a fare il bagno, intanto.» La ragazza uscì, richiudendosi gentilmente la porta alle spalle, come avrebbe fatto senza dubbio sua madre. «Non sa...» cominciò Wexford. «Non l'ho vista in tutto il giorno, oggi. Dopo la scuola, il martedì, va sempre da una sua amica. Ó almeno così dice, è sempre così misteriosa...» «Quale scuola frequenta, signora Williams?» «La Haldon Finch. Le dirò di suo padre più tardi, quando saremo sole. E non sarà facile, spero che ve ne rendiate conto.» L'ispettore tornò all'argomento di cui stavano parlando quand'era entrata Veronica. «Mi dicevate di quell'altra donna. Potrebbe essere andato da lei, la sera in cui morì.» «Non lo so.» Nella voce di Wendy, ora, s'indovinava la paura. Qualcuno l'avrebbe forse confusa con la cautela o l'apprensione. Ma era paura. «Avete parlato di una ragazza. Volevate dire una giovane?» La paura si accentuò. «Sì, molto giovane, è tutto quello che ne so. Niente altro.» Wexford rammentò le proposte che Williams aveva fatto, una volta, a Sylvia, quando Sylvia aveva quindici anni. Era a questo che pensava Wendy quando aveva chiesto in tono patetico se lei non sembrava ancora giovane? Temeva forse, a trentadue anni, di non esserlo abbastanza per un uomo di quarantotto? «Giovane abbastanza per vivere ancora coi genitori?» Un cenno d'assenso, penoso e perplesso. «Che altro sapete, signora Williams?» «Niente altro, ve l'ho detto. Pensate forse che avessi voglia di parlarne con lui?» Comprensibile. Da principio, l'ispettore aveva pensato che Wendy men-
tisse dicendo di non conoscere il nome della ragazza, ma ora non ne era più così certo. Quante volte aveva udito qualcuno dire: «Se mio marito (o mia moglie) mi tradisse, preferirei non saperne niente. Occhio non vede, cuore non duole.» Aveva tenuta per ultima la domanda che, lo sapeva, sarebbe stata la più odiosa di tutte ma non poteva non rivolgergliela. «Come ve ne siete accorta? Come avete saputo dell'esistenza di quella ragazza?» Si era sbagliato. La domanda la lasciò indifferente. La lasciò indifferente perché la risposta fu una bugia che lei si era studiata e ripassata nella mente durante il loro colloquio. «Ho ricevuto una lettera anonima.» Ma lui sapeva che sarebbe arrivato alla verità. Non c'era fretta. «Ora, vostra figlia, signora Williams...» «Che c'entra lei?» lo interruppe rapida e sulla difensiva. «Vorrei parlarle.» «Oh no, questo no! Vi prego!» «Dopo che glielo avrete detto e avrà avuto un paio di giorni per superare il trauma.» «Ma perché?» «Suo padre è stato ucciso. Avrebbe dovuto venire qui, mentre lei era a casa, sola. Potrebbe essere venuto, e in tal caso, Veronica può essere stata l'ultima persona che lo ha visto vivo.» «Non è venuto. Veronica me l'avrebbe detto.» «Lo sapremo, signora Williams. Vorremmo anche dare un'occhiata alla casa, e in particolare agli oggetti personali di vostro marito.» «E così, continuiamo a ritornare alle ragazzine» osservò Burden. «E ai corvi con la testa di donna.» «Anche Bud e Wheatley sono stati aggrediti da ragazze giovanissime armate di coltello. A Rodney Williams piacevano le ragazze giovani, a quanto pare, ne aveva una per amica ed è morto anche lui dopo essere stato aggredito a coltellate. Wheatley dice che la ragazza dalla quale è stato aggredito indossava una camicetta bianca con un uccello dalla testa di donna sul petto...» «E Sara Williams ne ha una uguale, oltre a un poster con lo stesso disegno in camera sua. Eve Freeborn ha un corvo dalla testa di donna tatuato o disegnato sul polso sinistro e ho già visto almeno altre cinque ragazze con
queste magliette bianche decorate con un corvo dalla testa di donna sul petto, a Kingsmarkham e a Pomfret.» «Accidenti!» si lasciò sfuggire Burden. «Speravo che quel disegno ci avrebbe portati a qualcosa! Ma qui è come nella storia di Alì Baba e dei quaranta ladroni, quando la donna gli dice che potrà riconoscere la giara giusta perché è contrassegnata da una croce e lui scopre che qualcuno ha segnato con una croce tutte le giare!» «Secondo me, quel corvo-arpia è il distintivo o il simbolo di qualche sorta di società o di culto. Gruppi di libertari o spurii combattenti per la libertà!» «Per i diritti degli animali, o qualcosa del genere?» chiese dubbioso Burden. «Non sarebbe da escludere. Il senso recondito di quell'immagine potrebbe essere che gli animali, gli uccelli nel caso particolare, hanno gli stessi diritti degli esseri umani.» «Nel disegno sulla maglietta di Sara e sul poster in camera sua c'è anche una parola che sembra un acrostico. ARRIA. Animai Rights e chissà che altro?» «C'è stata una matrona romana che si chiamava Arria, mi sembra di ricordare. Cercherò di scoprirlo. Ma se si trattasse dei diritti degli animali, Mike, ci sarebbe da aspettarsi che le vittime delle aggressioni fossero persone che si sono mostrate in qualche modo crudeli verso di loro. Non ci risulta. Ne parleremo con Sara. Ma prima voglio lasciare a lei e a sua madre il tempo di rimettersi dalla sconvolgente scoperta di avere avuto un padre e un marito bigamo.» «Glielo avete già detto?» «Sì. Mi è sembrato che a Joy importasse più di tutto la questione economica. Il denaro di cui è stata privata perché suo marito doveva provvedere a un'altra famiglia. Si è limitata a ridere con amarezza.» «Come vanno le indagini di Martin sulle macchine per scrivere?» Wexford gli passò il rapporto. La lettera di dimissioni non era stata scritta su una delle macchine della Sevensmith Harding, tutte elettroniche, e in nessuna delle due case di Williams esisteva una macchina per scrivere. Gli Harmer ne avevano una in casa e la usavano la signora Harmer e sua figlia Paulette, ma era una piccola Olivetti elettrica. «Deve averla scritta la nuova ragazza di Rodney» ipotizzò Burden. «Troviamo quella ragazza e avremo trovato la dattilografa.» «Troviamo quella ragazza e non importerà più se troviamo o no la datti-
lografa.» Il sergente Martin era andato anche a Bath. La città di origine della famiglia Williams. Là, in un complesso residenziale a pochi chilometri dalla città, in una casa molto simile a quella che Rodney aveva comperato per la seconda moglie, viveva il fratello di Rodney, Howard. Era l'indirizzo indicato sul certificato di matrimonio di Wendy. Anche i genitori avevano abitato a Bath, il padre era morto quando Rodney era piccolo e la madre quando aveva ventisette anni. La madre era servita a Williams come alibi per le sue assenze. Senza dubbio, lui doveva avere detto a Wendy che la vecchia signora non approvava il suo matrimonio con una ragazza tanto più giovane di lui e di conseguenza non voleva neppure vedere la nuora, ma un figlio devoto non poteva fare a meno di andare a trovarla di tanto in tanto. Howard Williams sembrava un uomo onesto e schietto. Non aveva mai intrattenuto rapporti molto stretti col fratello. Anni addietro, almeno quindici o sedici, alcune lettere destinate a Rodney erano state recapitate per errore al suo indirizzo e lui si era limitato a farle proseguire. Senza dubbio comunicazioni dello Stato Civile dopo il suo matrimonio con Wendy, pensò Wexford. Howard Williams era anche lui rappresentante di commercio e il quindici aprile si trovava in Irlanda per conto della sua ditta. Joy non gli aveva comunicato la morte del fratello. Lui aveva letto la notizia sui giornali e a quanto pareva aveva reagito con pacata indifferenza. La casa di Wendy Williams, alla periferia di Pomfret, era a circa un chilometro e mezzo dalla farmacia di Harmer. La relativa vicinanza dei cognati alla sua seconda e illegittima abitazione aveva preoccupato Williams? Aveva comprato la casa in quella zona per accontentare Wendy? O considerava quel rischio come parte inevitabile dell'equilibrio instabile in cui viveva? Tra la zona dove abitava Wendy e il centro della città sorgeva la Haldon Finch School, un complesso che ospitava duemila studenti e studentesse, costituito da sei fabbricati, con campi di gioco, cinque campi da tennis e una pista per corse. Lo sport era tenuto in gran conto, alla Haldon Finch: la più lusinghiera media scolastica contava poco, se non si eccelleva anche in atletica. Alle cinque e mezzo di quel pomeriggio, sui campi da tennis adiacenti alla Procter Road, giocavano dodici ragazze. «Scendiamo a dare un'occhiata» disse Wexford a Burden. Erano in auto, diretti a casa di Wendy per parlare con Veronica, e Do-
naldson, il loro autista, aveva imboccato quella strada secondaria per evitare gli ingorghi del traffico. Una delle tenniste era Eve Freeborn, Wexford la riconobbe immediatamente dal ciuffo di capelli purpurei. Giocava in coppia con un'esile brunetta. Le loro avversarie erano una robusta biondona e un'altra esile brunetta con gli occhiali. Le quattro ragazze giocavano sul campo più vicino alla strada, ma dal punto in cui si trovava, Wexford riusciva a vedere le altre quattro coppie impegnate sugli altri due campi, per quel tanto che gli bastava per essere certo che nessuna di loro era Sara Williams. Lei certo non frequentava quella scuola: sarebbe stato un rischio troppo grande persino per Rodney! Doveva trattarsi di un torneo perché sui tre seggi dell'arbitro c'erano tre giovani donne che avevano tutta l'aria di essere maestre di tennis. Wexford si rese subito conto che nessuna delle ragazze giocava molto bene. Il livello medio di gioco si era abbassato, dai tempi di Sylvia e Sheila? O era colpa della televisione? Tutti gli spettatori si erano abituati a vedere i migliori giocatori del mondo impegnati nei vari campionati, e il gioco, a livello di squadra locale, non interessava più nessuno. Si fermò a seguire con interesse la partita e a un certo punto udì l'arbitro annunciare "vantaggio Kingsmarkham". Si trattava proprio di un torneo e fu la scuola in trasferta ad aggiudicarsi il gioco. Le ragazze cambiarono campo, fermandosi sotto il seggio dell'arbitro ad asciugarsi il sudore e a bere qualche sorso di aranciata fresca. Eve si trovava ora a pochi metri da Wexford, ma non lo vide o fece finta di non vederlo. Da quella breve distanza, tuttavia, l'ispettore scoprì che il disco rosso che fino a quel momento gli era sembrato soltanto una macchia sulla camicetta bianca della ragazza era invece un distintivo. Un distintivo sul quale poté scorgere due ali distese e una parola. ARRIA. Fece due passi avanti per distinguere meglio e in quel momento la donna che arbitrava l'incontro scese dal suo trespolo e si avvicinò alla rete di recinzione. Robusta e muscolosa, aveva il viso corrucciato e gli occhi lampeggianti. «Desiderate qualcosa?» domandò con voce glaciale. Wexford trattenne tutte le risposte insolenti, provocatorie e persino lievemente licenziose che gli salirono alle labbra. Era un poliziotto. E in ogni caso, Burden lo prevenne con la classica risposta di chi è stato colto in fallo. «Niente, stavamo soltanto guardando.» «Bene, allora forse vi converrà tornare a occuparvi delle vostre faccende
personali.» «Andiamo, Mike» mormorò Wexford. Tornarono rapidamente all'automobile, seguiti dallo sguardo della "signora arbitro". «Chissà se le chiamano ancora così?» «Così come? Signora arbitro?» Burden rimase zitto per un momento, poi disse, col viso contratto: «Ve lo dirò quando la mia nuova figlia avrà undici anni. Sempre che riesca a nascere. E ad avere undici anni. E se lei e io saremo ancora insieme, quando li avrà.» «A questo punto!» «No? Forse no. Forse allora saremo insieme lei e io, e non Jenny e io.» La situazione in casa Burden doveva essere grave se Mike si abbandonava a uno sfogo di quel genere presente Donaldson, anche se era certo che quel brav'uomo non ne avrebbe mai detto una parola. Wexford non aprì bocca. Osservò la faccia sempre più accigliata del collega, gli occhi che s'incupivano, le rughe che gli solcavano la fronte. L'auto si mise in moto. Wexford girò la testa a guardare un'ultima volta le giocatrici e vide Eve scattare e mettere a segno la più bella volée di tutta la partita. «Veronica avrebbe dovuto giocare in una gara di tennis, oggi, ma era troppo sconvolta» spiegò Wendy. «Non è nemmeno andata a scuola e io ho dovuto prendere un giorno di permesso. È stato terribile doverle dire che suo padre era morto, ma ho anche dovuto spiegarle che aveva un'altra moglie, un'altra figlia e un'altra casa.» La seconda signora Williams, che sulle prime Wexford aveva giudicata dolce e gentile, andava ora rivelando altri lati del proprio carattere, non ultima la poco piacevole abitudine di addossare agli altri la colpa delle proprie disgrazie. «Le ho detto tutto e da principio lei non ha aperto bocca, poi è stata presa dall'angoscia. Sarete buono con lei, vero? Ricordatevi che ha soltanto sedici anni. E non ha solamente perduto il padre. Ha subito un trauma ben più grave.» Questa madre non l'avrebbe certo fatto salire in camera della figlia. Sarebbe scesa Veronica e lei sarebbe stata presente al colloquio. La ragazza comparve difatti poco dopo, con fare diffidente, il faccino serio e abbattuto. Aveva pianto, ma ora i suoi occhi erano asciutti e non più arrossati, soltanto un pochino gonfi. Tuttavia, si era vestita con cura per quell'incontro, come lo aveva fatto sua madre. Particolari di quel genere, che molti uomini
non avrebbero notato, non sfuggivano all'ispettore. Wendy indossava un abito di cotone nero con maniche molto larghe, un po' troppo elegante per definirsi da lutto, e Veronica era in gonna rosa a pieghe, camicetta bianca con una V dorata sul petto e scarpette bianche e rosa. Probabilmente Wendy comprava i loro vestiti con lo sconto, al Jickie. «Questi sono l'ispettore capo Wexford e l'ispettore Burden, tesoro. Desiderano rivolgerti alcune domande, Non temere, niente di difficile o complicato. Sanno quale brutto colpo hai avuto. E sarò qui anch'io.» Perbacco, non ha mica dieci anni, pensò Wexford, un po' sconcertato dallo sguardo cupo e fisso della ragazza. «Mi dispiace tanto di tuo padre, Veronica. So che sei molto addolorata e probabilmente vorresti restartene sola, ma tua madre ti ha spiegato come stanno le cose. Tuo padre è stato ucciso. E noi dobbiamo trovare l'assassino, non ti pare?» Un dubbio che gli era familiare lo assalì. Dovevano proprio? Cui bono? Chi ne avrebbe tratto beneficio, vendetta, ricompensa? Era un poliziotto e pensieri simili non dovevano trovare posto nella sua mente. Il dubbio non trasparì nella voce. Guardò la ragazza chiedendosi che cosa poteva esserle passato per la mente durante tutte quelle settimane trascorse senza avere alcuna notizia del padre. Aveva creduto, come sua madre, che fosse con un'altra donna? O aveva accettato la sua assenza come aveva accettato le altre, quando pensava che fosse in giro per lavoro o per i suoi doveri filiali a Bath? Veronica non lo stava più guardando, fissava il pavimento, la testa reclina come un fiore che sta appassendo sullo stelo. «Pensi che possiamo tornare al quindici aprile?» gli chiese l'ispettore. «Era un giovedì. Tua mamma aspettava il ritorno del babbo per quella sera, ma dovette trattenersi fino a tardi al negozio. Tu però eri a casa, vero?» Il "sì" fu poco più di un soffio. Wexford non avrebbe nemmeno capito se contemporaneamente Veronica non avesse fatto un cenno di assenso. «Che cosa hai fatto? Sei tornata da scuola... alle quattro?» Anche Wexford la trattava come se avesse dieci anni, ma era l'atteggiamento di lei, con la testa china, gli occhi bassi, le mani intrecciate in grembo, i piedi incrociati, a creare quella sensazione. Un altro lieve cenno di assenso. «E dopo cosa è accaduto? Per che ora aspettavi il babbo?» Un mormorio per dire che non lo sapeva. «Non sapevamo mai quando sarebbe arrivato» intervenne Wendy. «Non lo precisava mai.» «E arrivò?» riprese Wexford.
«No! Ve l'ho già detto.» «Signora Williams, lasciate che sia vostra figlia a rispondere.» Veronica era impacciata, nervosa, forse anche infelice. Ma a un tratto fece uno sforzo. Parve capire che non esisteva via d'uscita, che avrebbe comunque dovuto parlare, perciò tanto valeva che lo facesse subito. Gli occhi bruni e lucenti di Sara si fissarono in quelli dell'ispettore, le belle labbra di Sara si socchiusero in un tremito. «Ho preso un tè. No, una coca e qualcosa che la mamma mi aveva lasciato in frigorifero. Ho telefonato a una mia amica per dirle di venire qui, ma lei mi ha risposto che non poteva uscire e mi ha invitato ad andare da lei.» «Mentre tu volevi restare qui ad aspettare il babbo, è così?» Veronica non era Sara e men che meno Eve Freeborn. Girò il capo fissando la madre in cerca d'aiuto. «Non c'era bisogno che rimanesse qui ad aspettarlo» intervenne Wendy. «Ve l'ho già detto, in realtà non pensavamo nemmeno che sarebbe tornato.» «Tutt'e due, signora Williams?» «Be', no, non so come la pensasse Veronica. Non le avevo detto niente della possibilità che Rodney e io ci separassimo. Aspettavo di vedere come si sarebbero messe le cose. Ma comunque non era necessario che Veronica lo aspettasse e io non avrei... Bene, deve vivere la sua vita!» Che cosa stava per dire, Wendy, quando si era interrotta e aveva fatto quella sorprendente dichiarazione sull'indipendenza ovviamente inesistente di quella giovane? «E allora sei uscita?» «Sono andata dalla mia amica, ma non mi sono fermata molto. Abbiamo suonato qualche disco, poi avrei voluto che uscissimo insieme per andare a bere un caffè, ma lei non poteva, doveva badare al fratellino.» «Allora te ne sei tornata a casa. Che ora era?» «Non sono tornata direttamente a casa. Sono andata a bere un caffè per conto mio da Castor. Sono rientrata a casa alle nove e la mamma è arrivata dieci minuti dopo.» «Sei stata delusa di non trovare il babbo?» «Non so. Non ci ho pensato» mormorò Veronica, poi fece un'inattesa, sorprendente dichiarazione. «Non m'importa di stare da sola. Mi piace.» «Oh, senti!» esclamò Wendy, piccata. «Non sei mai sola, se posso evitarlo! Fammi il favore di non parlare come se fossi una bambina trascura-
ta!» Wexford chiese il nome dell'amica di Veronica e fu subito soddisfatto: si chiamava Nicola Tennyson e abitava poco lontano da loro. Wendy non mosse alcuna obiezione quando l'ispettore le chiese di esaminare ciò che Rodney Williams aveva lasciato di suo nella casa, anzi la prontezza del suo consenso gli fece pensare che fosse ben contenta che lui e Burden vedessero l'ordine perfetto delle stanze, l'eleganza dell'arredamento e la prova della sua abilità di massaia. Fu interessante vedere come Williams avesse tenuto per quel suo domicilio i capi più eleganti e moderni del proprio vestiario: jeans e camicie a quadri, un completo di gabardine e un altro di lino color sabbia; due paia di stivaletti bassi, un paio di mocassini beige e biancheria che sarebbe stata adatta a un uomo ben più giovane del saltuario inquilino di Alverbury Road 31. «C'erano due uomini diversi in lui» osservò Wexford. «E forse tre.» «Questo lo vedremo. In ogni caso, era a un tempo un uomo di mezza età, consuetudinario, forse annoiato, marito e padre come tanti altri, e un uomo ancora giovane, forse con qualche velleità -guarda queste mutande - capace di stare alla pari con una moglie tanto più giovane di lui, adatto a vivere in questa bomboniera.» Wexford si guardò in giro, pensando a quell'altra casa in Alverbury Road. Qui c'erano copriletti di velluto, tendaggi alle finestre, cuscini di seta. E un letto matrimoniale ampio e confortevole. Qui, Williams non aveva avuto nemmeno una scrivania sua. Soltanto un cassetto nel canterano dalle maniglie dorate. Questa era evidentemente la casa di Wendy, il regno dove lei era sovrana. Così infantile, fragile, dalla voce dolce e morbida, era tuttavia stata capace di creare un ambiente tutto femminile, esclusivo... dove Rodney era forse stato tollerato per gentile condiscendenza, a patto che si comportasse bene. E a quanto pareva, non si era mai comportato molto bene: sempre fuori di casa, lontano, per il suo lavoro o per far visita alla "madre"... Wendy, allora, si era arredata una casa tutta fiori, colori e cuscini di seta, riservando al marito soltanto qualche angolino, come se nel suo intimo avesse sempre saputo che un giorno lì sarebbero rimaste sole lei e sua figlia. Wexford esaminò il contenuto del cassetto ma, come si era aspettato, non trovò altro che carte senza importanza. Tranne una patente di guida recante l'indirizzo di Alverbury Road. «Ha corso un bel rischio lasciandola qui» osservò Burden.
«Il rischio era parte integrante della sua vita. E credo che a lui piacesse vivere sul filo del rasoio. Inoltre, le mogli sospettose controllano le lettere, non le patenti di guida.» Nel cassetto c'erano fatture, il rendiconto mensile di una carta di dedito, bollette del televisore, il preventivo di un'impresa edile di Pomfret, la Godwin & Sculp, datate 30 marzo per tappezzare il soggiorno e una fattura quietanzata della stessa ditta per la sostituzione di un serbatoio dell'acqua. Sullo stesso piano c'erano altre due stanze da letto e un bagno. La camera di Veronica era linda come uno specchio, tutta bianca e ornata di pizzi e ricami assai simile alle ideali camerette per adolescenti pubblicate dalle riviste di arredamento. Non c'erano poster alle pareti, non c'erano mobili fatti in casa e non c'erano nemmeno libri. Una camera creata per una ragazza che lì dentro non avrebbe fatto altro che starsene seduta accanto alla finestra a fantasticare. La scala a chiocciola, l'infernale aggeggio che costituisce una costante minaccia per chi non è giovane e agile, perforava da cima a fondo la casa come la vite di una pressa. Al pianterreno c'erano uno stanzino per la doccia, un altro coi servizi igienici, una stanza posteriore larga come tutta la casa con porte-finestre che si aprivano su un patio e su un minuscolo giardino. La stanza, che Williams avrebbe potuto usare come studio, se gli fosse stato concesso di averne uno, serviva invece alle occupazioni casalinghe di Wendy. C'erano una macchina per cucire e una per maglieria, un tavolo da stiro con due ferri, uno a secco e uno a vapore, e vestiti, dappertutto, appesi con cura dentro i loro sacchi di plastica. Madre e figlia erano rimaste ad aspettarli in sala da pranzo, Wendy intenta a ricamare qualcosa, un fazzoletto o un centrino, mentre Veronica mangiucchiava nocciole tostate che prendeva da un sacchetto di carta stagnola. Erano tutt'e due molto tese, ansiose che i due investigatori se ne andassero e le lasciassero sole. «Hai mai sentito parlare di un'associazione o di un circolo che si chiama ARRIA?» domandò Wexford a Veronica. Nessuno scatto, nessuna reazione. La ragazza si limitò a un lieve cenno d'assenso. «A scuola?» «Sì, ne fanno parte alcune ragazze dell'ultimo e del penultimo anno.» «E tu no?» «Bisogna avere compiuto sedici anni.»
«Soltanto ragazze? La Haldon Finch è una scuola mista. Nessun ragazzo è socio?» Veronica era dopotutto un'adolescente normale. Nonostante la timidezza, e quel suo fare pudico e d'altri tempi era anche lei come le sue coetanee. L'occhiata che lanciò all'ispettore diceva tutto il suo disprezzo per la cretineria di cui danno a volte prova gli adulti. «Certo che è soltanto per donne. È un gruppo di femministe, come le chiamate voi. Femministe militanti.» «Allora spero che tu ne starai alla larga, Veronica» s'intromise Wendy con un tono secco e brusco. «Spero che tu non abbia niente a che fare con loro. Se c'è una cosa che detesto è la cosiddetta liberazione della donna! Liberazione! Io sono economicamente indipendente e guarda in che guaio mi trovo. Quando sarà giunto il momento, spero che tu saprai scegliere meglio di me. Mi auguro che tu possa trovare un uomo che abbia veramente cura di te, che sia un sostegno per te, un uomo bello e bravo che... che ti voglia veramente bene!» Le tremavano le labbra. Posò il ricamo a aggiunse, come se la figlia non fosse lì: «Io non ero abbastanza donna per Rodney. E non ero abbastanza giovane. Troppo forte e indipendente e... e matura, lo so!» Fece uno sforzo enorme per impedire alle lacrime di sgorgare e alla voce di spezzarsi. E vinse. «Ricordalo, Veronica, quando verrà il tuo momento!» Fu il sergente Martin che si occupò della denuncia. Ne informò lui stesso l'ispettore Wexford, anche se non c'era molto su cui indagare. Del resto, non era successo ancora praticamente niente. «La signorina Caroline Peters, insegnante di educazione fisica alla Haldon Finch, ha riferito che due uomini gironzolavano intorno al campo sportivo e guardavano le ragazze che giocavano a tennis. Erano arrivati in auto, con quel preciso intento. Guardoni, li ha chiamati. Ha chiesto alle ragazze se qualcuna di loro li conosceva, ma tutte hanno negato di averli mai visti.» Grazie, signorina Freeborn, pensò Wexford. «Lasciate perdere, Martin. Abbiamo altre cose più importanti di cui occuparci.» «Devo archiviare il caso?» «No. Ci penserò io.» Un biglietto o una telefonata alla signorina Peters avrebbe chiarito l'equivoco. Lei aveva il diritto di sapere. Era un'insegnante coscienziosa, consapevole delle proprie responsabilità. Non era il caso di riderne, se non
forse, più tardi, con Burden. Le visite in Liskeard Avenue gli avevano fornito abbondante materia di riflessione, oltre a un particolare che lo lasciava perplesso. Gli era sembrato strano che mai una volta, in nessuna occasione, Wendy avesse mostrato il minimo interesse per l'altra famiglia di suo marito. Non aveva fatto alcuna domanda sulla moglie che lei aveva soppiantato ma non sostituito né sui figli che erano in fondo fratellastri della sua Veronica. Glielo aveva impedito una gelosia feroce? O un qualche altro motivo più inerente alla sua indagine? 11 Kevin Williams assomigliava più alla madre che al padre. Nessuno avrebbe sospettato che fosse il fratellastro di Veronica. L'eredità genetica, così manifesta in Sara e in Veronica, in lui non era evidente. Aveva una fronte molto bassa che i capelli ricoprivano quasi, modi spicci e distaccati, un'aria indifferente a tutto. Wexford, che era giunto insieme a Martin, aveva interrotto quello che sembrava un consiglio di famiglia. Una volta tanto il televisore era spento, video e audio. Joy Williams le presentò soltanto il figlio, con un orgoglio e un compiacimento esagerati, e Wexford dovette intuire per conto proprio che la donna e la ragazza sedute sul divano dovevano essere Hope Harmer e sua figlia Paulette. Sebbene fosse meno magra, più fresca e più accurata, la rassomiglianza con Joy non lasciava adito a dubbi. Hope era una donna graziosa e, nonostante la drammaticità degli eventi, contenta di vivere. In quanto a Paulette, sua figlia, per dirla come i nipotini dell'ispettore, lei era una bomba. La sua bellezza straordinaria relegava Sara e Veronica al rango di ragazze appena graziose. Una bellezza che ricordò all'ispettore un quadro che aveva visto una volta, il ritratto che Dante Gabriele Rossetti fece alla moglie dell'amico e pittore William Morris. Anche Paulette era bruna come la modella del pittore e il suo viso aveva lo stesso cupo splendore, la stessa perfetta simmetria dei lineamenti. La stessa espressione rapita aleggiava nei grandi occhi scuri. Quando Wexford le chiese se era chi lui pensava fosse, lei alzò gli occhi sognanti d'un color grigio scuro e annuì, poi tornò a guardare la rivista che aveva in mano e che pareva occuparsi unicamente di acconciature. L'anno scolastico era finito e Kevin era tornato direttamente a casa. Non
per molto, si affrettò a spiegare all'ispettore quando rimasero soli nella sala da pranzo. Si fermava solo qualche giorno per stare con sua madre e poi sarebbe andato in Cornovaglia ospite di un amico con il quale progettava di trascorrere una vacanza in Francia. Parve sorpreso quando Wexford gli chiese nome e indirizzo dell'amico. «Vi consiglierei di non lasciare l'Inghilterra, per il momento.» «Non potete trattenermi qui. Non ho niente a che vedere con la morte di mio padre.» «Che cosa avete fatto la sera di giovedì quindici aprile?» «È il giorno in cui è morto mio padre?» I suoi modi distaccati stavano trasformandosi in malumore. Anche in questo assomigliava alla madre. «Le faccio io le domande, Kevin.» Non v'era alcuna durezza in quelle parole, tuttavia Kevin reagì come se nessuno gli avesse mai parlato in quella maniera. Corrugò la fronte bassa e mise il broncio. «Chiedevo soltanto. Era mio padre, no?» Dal tono, da questo suo modo forzato e artificioso di esprimere i suoi sentimenti, l'ispettore intuì che in quella casa a nessuno era mai importato di Rodney Williams. Come del resto era avvenuto anche nell'altra sua casa. Nessuno si era mai preoccupato a lungo di lui. In quel campo almeno aveva avuto ciò che si meritava. «Che cosa è accaduto quella sera? Che cosa avete fatto?» «Avrò telefonato a casa, penso» rispose il ragazzo, tornando all'abituale indifferenza. «Telefono sempre, il giovedì, se no mia madre sta in pensiero.» «Forse ricorderete quella sera se vi dico che era il primo giovedì di scuola dopo le vacanze pasquali.» Kevin si concentrò, come se stesse riflettendo ma Wexford era certo che i suoi ricordi gli erano stati ben chiari fin dall'inizio. «Ah, sì! Ora ricordo. Ho telefonato a casa intorno alle otto, otto e mezzo... non vorrete sapere il minuto esatto, vero? Ma la mamma era uscita. Ho parlato con Sara.» «Sarete rimasto sorpreso che vostra madre fosse uscita senza aspettare la vostra telefonata.» «Sì, mi è sembrato abbastanza strano. Per mia madre, come lo avrete notato, io sono il sale della terra.» Il ragazzo alzò le spalle in un gesto esagerato. «Non era la prima volta che accadeva.» «Com'erano i rapporti con vostro padre?»
«Non c'erano rapporti fra noi. Ci parlavamo appena. Una situazione piuttosto comune, no?» «E fra vostro padre e Sara?» La risposta venne rapida. Incredibile. Era la risposta che avrebbe potuto dare un secolo prima un ragazzo come Kevin. «Lasciate fuori mia sorella da questa storia!» Wexford si sforzò di non ridere. «D'accordo. Per ora.» Joy e la sorella, quando le raggiunse, stavano interrogando con insistenza Martin su Wendy Williams. Le due cuginette erano scomparse. Martin, che rispondeva a monosillabi alle domande delle due donne, parve sollevato quando entrò l'ispettore. Joy tacque bruscamente e, vedendolo solo, domandò: «Dov'è mio figlio?» come se temesse che lo avesse già arrestato e messo al sicuro nel cellulare. Era il suo primo incontro con Miles Gardner dopo la scoperta del cadavere di Rodney Williams. Wexford e Burden lo stavano aspettando nel suo ufficio immerso nella penombra nonostante la giornata piena di sole. Il vice direttore arrivò finalmente, si scusò per il ritardo ed espresse il suo dispiacere per l'inattesa dipartita di Williams con le solite frasi di circostanza, Wexford lo interruppe. «Se non avete impegni per colazione, potremmo andare insieme all'Old Flag.» «Mi dispiace, ma ho già promesso a mia figlia Jane di pranzare con lei. Ha un colloquio all'università, oggi pomeriggio, ed era così nervosa! Sapete com'è! Così la porto a pranzo con me per tirarla un po' su di morale!» Wexford chiese di parlare con Christine Lomond e, se era possibile, nell'ufficio che era stato di Williams. Gardner lo accompagnò personalmente. Nell'ufficio, c'erano due scrivanie e due macchine per scrivere, una Sierra 3400 e un'Olympia ES 100. La ragazza che entrò poco dopo era tutta una sinfonia di rosso e di verde: giacca e gonna di lino rosso, camicetta verde scuro, al collo una catena con un pendente verde e al polso un orologio col cinturino verde e rosso. E quando scartabellò nello schedario, le sue unghie sembravano veloci scarafaggi scarlatti. Wexford le aveva chiesto se poteva trovargli qualcosa scritto a macchina da Williams e quando lei gli porse alcuni fogli dattiloscritti sull'Olympia il suo interesse si acuì a un tratto perché gli sembrò di notare un'irregolarità all'apice dell'A maiuscola.
Ma l'esperimento non approdò a nulla. Probabilmente il difetto derivava soltanto dal nastro consunto perché quando le bianche dita dalle unghie scarlatte ebbero ribattuto sull'Olympia le stesse parole, usando un nastro nuovo, la scrittura risultò perfetta. «Dove abitate, signorina Lomond?» «Qui a Myringham, perché?» ribatté lei in tono un po' brusco. «Vi piaceva il signor Williams?» La ragazza non rispose subito. Sembrava risentita per quella domanda, probabilmente perché si aspettava soltanto di essere interrogata su questioni d'ufficio. Quanti anni poteva avere? Ventisei? Ventisette? Forse di meno. Il trucco pesante e la pettinatura troppo elaborata la invecchiavano. «Allora, signorina?» «Be', sì, mi piaceva. Almeno credo. Non mi sono mai posta la domanda se mi piacesse o no.» «Siete in grado di dirmi che cosa avete fatto la sera del quindici aprile?» «Come posso ricordarmelo? È passato tanto tempo!» «Cercate di ricordarlo ripensando a ciò che è accaduto il giorno seguente. Quel mattino una donna vi ha telefonato per avvertirvi che il signor Williams era ammalato e non sarebbe venuto in ufficio.» «Credo di essere stata assente anch'io, quel giorno.» Non aveva l'aria colpevole, spaventata o sulla difensiva. Era solo imbronciata, come se i vestiti, il trucco, la capigliatura, non avessero provocato l'effetto voluto. «Vivete sola o con qualcuno?» Una domanda innocentissima, della quale tuttavia lei parve risentirsi. «Certo che vivo sola! Sono rimasta a casa, sola, a guardare la televisione.» Un'altra! Che cosa faceva la gente prima della scoperta del tubo catodico? Eppure lui avrebbe dovuto ricordarseli gli alibi più frequenti a cui ricorreva la gente prima dell'avvento della televisione. Ma non ne fu capace. Gli venne vagamente in mente: leggevo, cucivo, ascoltavo la radio, ero andato a fare una passeggiata... Di malavoglia, con tono risentito, la signorina Lomond gli diede il suo indirizzo. Sì, possedeva una macchina per scrivere, ammise, una vecchia Smith Corona, non portatile, ma la teneva a casa dei genitori, a Tonbridge, e non l'aveva mai portata nel suo appartamentino di Myringham. Al pianterreno, nel salone d'ingresso, videro una ragazza che si stava spogliando. O almeno così parve, a tutta prima, allo sbalorditissimo Wex-
ford. La ragazza parlava con la centralinista mentre si sfilava dalla testa un indumento di cotone, mettendo allo scoperto lunghe cosce snelle, finché non ricadde a nasconderle una gonna che non arrivava al ginocchio. Evidentemente si era sfilata soltanto una blusa, sotto alla quale portava una maglietta bianca a maniche corte. «Jane» disse la telefonista «ci sono...» La ragazza si girò di scatto verso i due investigatori. Sul petto della maglietta c'era stampato ARRIA. Ciò che maggiormente colpì Wexford, quando vide la casa di Down Road, a Kingsmarkham, fu che certamente nessuno, là dentro, era costretto a dividere la sua camera con qualcun altro. Era un'enorme villa edoardiana, ricca di pinnacoli, torrette e balconi. Quasi tutte le case di quell'epoca erano state frazionate in appartamenti, quella no. Lì viveva una sola famiglia che aveva a propria disposizione come minimo otto stanze da letto. Eppure, Eve Freeborn aveva affermato di essere lei ad andare, di notte, dal suo ragazzo, a Myringham, perché non poteva riceverlo lei, a casa sua, in quanto dormiva nella stessa camera con la sorella. E chissà poi se l'aveva, una sorella! A tutta prima gli sembrò che fosse proprio Eve ad aprirgli la porta. In fondo, il fatto che questa avesse i capelli verdi non significava niente. Ormai le ragazze cambiano il colore dei capelli come cambiano vestito. Un secondo sguardo gli disse che non erano nemmeno gemelle monozigote pur avendo la stessa figura e lo stesso colore di occhi. Quanto a quello dei capelli, Dio solo sapeva quale fosse in origine. Forse lo avevano dimenticato persino loro. Nella casa aleggiava un tenue odore di marijuana, un odore inconfondibile somigliante a quello del fumo di legna mescolato al sentore di un'acqua di colonia dolciastra. «Eve?» domandò la sorella, sorpresa. «Volete vedere Eve?» «È tanto difficile?» «Non so se...» Wexford le aveva mostrato la sua tessera. Dopo tutto era sera e lei era molto giovane. Non avrebbe certo fatto entrare in casa uno sconosciuto. Ma ora la ragazza stava esaminando quella tessera come se fosse un mandato d'arresto. L'ispettore si spazientì. «Devo compilare qualche modulo o chiamare un garante?» «No, no, accomodatevi. Scusatemi. Era solo che...»
Aveva l'irritante abitudine di non terminare le frasi. L'ispettore la seguì nell'atrio a pannelli scuri come gli uffici della Sevensmith Harding e su per un'ampia scala curva che sfociava in una balconata. L'odore di marijuana era più debole, lassù, ma sempre presente, in contrasto con la sorprendente aria "anni Sessanta" che pervadeva la casa. Appeso a una parete spiccava un grande poster raffigurante John Lennon davanti a un pianoforte a coda bianco; sopra un tavolo c'era un vaso con erbe essiccate e penne di pavone e appeso come ornamento, non perché fosse stato dimenticato lì per caso, c'era un antico vestito di seta rossa ricamato in oro e ormai sciupato dal tempo e dalle tarme. «I vostri genitori sono in casa?» «Hanno un appartamento a Londra, dove vivono una buona metà dell'anno.» Impossibile indovinare se la ragazza lo rimpiangesse o ne fosse contenta. Probabilmente quei genitori non avevano più di quarant'anni, e la mamma forse anche qualcuno di meno. «È meglio che aspettiate qui. Vado a vedere se...» Tutte le porte delle stanze da letto erano aperte. Soltanto che non si trattava di vere e proprie stanze da letto. Per quel tanto che Wexford poteva vederne, erano piuttosto camere-salotto, con poltrone e tavolini e cuscini sul pavimento, poster e cartoline illustrate appuntati disordinatamente sulle pareti e una "turca" ricoperta da stoffa a vistosi disegni. Wexford sedette su una sedia a dondolo, cercando di raccapezzarsi in quella strana casa. E finalmente un lampo gli illuminò la mente. Non erano le ragazze a vivere nel passato, a trovarsi in ritardo di vent'anni sul loro tempo, a scegliere di proposito una cornice anacronistica. I loro genitori erano stati giovani negli anni Sessanta, ne avevano assorbito lo spirito e i principi e non li avevano più persi. Erano loro, non le ragazze, a fumare marijuana. Bisognava intervenire al riguardo... Quanto a lungo intendeva farlo attendere? L'ispettore si alzò e raggiunse il corridoio dal quale proveniva l'eco di alcune voci femminili: non un grazioso cinguettio, non un mormorio indistinto, ma il rumore di una discussione accesa. Una scala portava all'attico, ma le voci non venivano dall'alto. Ci fu uno scoppio di risa, qualche applauso. Mentre Wexford se ne stava lì incerto se entrare nella stanza sicuramente piena di ragazze vocianti, la porta si spalancò all'improvviso e due ragazze si fermarono stupite sulla soglia fissandolo incuriosite. Una gli era sconosciuta, l'altra era Caroline Peters, insegnante di educazione fisica.
Prima che qualcuno avesse il tempo di pronunciare una parola, dalla stanza uscì anche Eve Freeborn. Portava i soliti jeans attillatissimi, ma questa volta aveva indossato una camicetta di raso rosso che si armonizzava con il colore dei capelli. Caroline Peters invece era vestita come un ragazzo, blue-jeans, giubbotto di pelle nera e stivaletti bassi, senza trucco e capelli a spazzola. «Oh, scusate! Aspettate da tanto?» domandò Eve. «Loro ci fanno aspettare da quattromila anni!» esclamò la Peters in tono velenoso. Lo aveva riconosciuto e la cosa non le faceva alcun piacere. O semplicemente lo considerava per ciò che era al di là della sua professione... un uomo? Wexford non aveva mai avuto contatti con quelle femministe più accese che sostengono la totale incompatibilità dei sessi. Capì all'improvviso quello che stava succedendo. «Ho per caso interrotto una riunione dell'ARRIA?» «È finita» rispose Eve. «Non avremmo tollerato nessuna interruzione!» Wexford guardò Caroline. «Non ve ne andate, per favore. Vorrei parlare anche con voi.» Lei alzò le spalle e rientrò nella stanza. Eve accennò con la mano verso l'altra ragazza, una giovane molto graziosa dal viso sottile e dai capelli rossi. «Questa è Nicky.» Nella stanza, un'altra camera-salotto più ampia, con coperte a strisce appese dappertutto, come in una tenda di beduini, altre cinque o sei ragazze, tutte in maglietta bianca con un ARRIA stampato sul petto, si apprestavano ad andarsene. C'erano Sara Williams e sua cugina Paulette, che stavano parlando con Jane Gardner. Una giovane negra, sottile ed elegante come un'indossatrice, sedeva a gambe incrociate su un grande cuscino posato sul pavimento. Eve si rivolse al gruppo. «Non ricordo più come si chiama» e con tono indifferente, come se fosse un particolare trascurabile, «ma è un poliziotto.» Poi presentò a Wexford, una dopo l'altra, le ragazze. «Jane, Sara, Paulette, Donella, Helen, Elaine e Amy, mia sorella.» Caroline Peters sprofondò le mani nelle tasche del giubbotto. «Che cosa volete?» «Tanto per cominciare, vorrei sapere qualcosa di più a proposito
dell'ARRIA.» «Tanto per cominciare, l'abbiamo creata io e una studiosa di materie classiche che ora è a Oxford. Arria Paeta» proseguì Caroline dopo una breve pausa «era una matrona romana, moglie di Cecina Paetus, del quale naturalmente aveva dovuto assumere il nome. L'antica Roma era famosa per l'oppressione e lo sfruttamento esercitati sulle donne.» Da brava maestra, s'interruppe in attesa di un commento. Non fu delusa, ma forse sorpresa. «L'imperatore Claudio» disse Wexford, che aveva preparato la lezione «aveva ordinato a Cecina Paetus di togliersi la vita, ma lui non ebbe il coraggio di uccidersi, e fu quindi sua moglie che prese la spada e se la conficcò nel petto, dicendo: "Guarda, Paetus, non fa male...". Però questo non spiega affatto quel che significa il vostro ARRIA.» «Sta per: Action for the Radical Reform of Intersexual Attitudes. Noi crediamo che l'atteggiamento della gente nei confronti dei rapporti sessuali debba essere radicalmente cambiato.» «In quali scuole avete seguaci?» Fu Eve a rispondere: «Haldon Finch, Kingsmarkham High, St. Catherine...» ma Caroline Peters l'interruppe. «Insegno alla Haldon Finch. L'ARRIA è nata un anno fa al St. Catherine. Si ammettono soltanto ragazze che hanno compiuto sedici anni e sono lieta di dire che il suo successo è stato immediato. Come avrebbe potuto non averne un'organizzazione creata soltanto per le donne, intesa a non dare quartiere agli uomini?» Guardò Wexford con una gelida occhiata di disgusto che gli fece provare una sgradevole sensazione di inferiorità. «La nostra organizzazione è stata in grado di farsi conoscere e di diffondere le nostre idee in tutte le scuole della zona e ben presto sono nati altri gruppi a Pomfret e a Kingsmarkham.» Il tono era solenne, come se si trattasse di una evangelizzazione, pensò l'ispettore. Ma il sarcasmo si trasformò immediatamente in stupore. «Attualmente abbiamo più di cinquecento membri» concluse la signorina Peters. Wexford trattenne il fischio che stava per uscirgli dalle labbra. A quanto poteva ammontare la popolazione femminile locale, fra i sedici e i diciotto anni? Non più di duemila ragazze e ciò significava che il venticinque per cento si era affiliato all'ARRIA. Accidenti, potevano fare una rivoluzione! «Bene, avete distintivi e magliette, tenete riunioni e discorsi, ma che cosa fate, in pratica?» La risposta fu pronta. «Evitiamo per quanto possibile i rapporti con gli
uomini, li sfidiamo con armi intellettuali e fisiche.» Wexford drizzò le orecchie. La Peters non aveva la borsetta come quasi tutte le altre, ma aveva tasche. E lui non era munito di un mandato né, più importante, aveva con sé una donna poliziotto per un'eventuale perquisizione. «Abbiamo uno statuto e un manifesto» continuò l'insegnante. «Penso che ve ne sia una copia, qui, da qualche parte, e non ho niente in contrario a farvelo leggere. Siete d'accordo, voi tutte?» Le rispose un mormorio di assenso. «Devo precisare che il nostro obiettivo non è di trattare con gli uomini in condizioni di parità, di giungere a una tregua o a un compromesso, oppure all'innaturale intesa che nelle passate rivoluzioni è sorta talvolta tra proletariato e borghesia. Come ha detto Marx in tutt'altro contesto: I filosofi hanno cercato di spiegare il mondo. Il punto è un altro. Bisogna cambiarlo. Buonasera a tutte.» La signorina Peters se ne andò, richiudendosi la porta alle spalle con una cura che aveva qualcosa di sinistro. «Per armi fisiche» spiegò Eve dopo un breve silenzio «Caroline intendeva soltanto mezzi di autodifesa. Le affiliate devono iscriversi a corsi di judo o di karaté.» «Avrete forse notato che dalla nascita dell'ARRIA i corsi di arti marziali sono triplicati in risposta all'accresciuta domanda. Questo è l'ARRIA.» Nicky aveva parlato con tono orgoglioso, ma non aggressivo, concludendo tuttavia con un rapido colpo vibrato nell'aria come se avesse manovrato una scure. Wexford, un uomo alto più di un metro e ottanta, ringraziò il cielo di non essersi trovato alla fine della sua traiettoria. «D'accordo sull'autodifesa» disse. «Ma l'aggressione? Non ammetterete, spero, che sia lecito portare armi offensive!» No, certo. Non lo ammettevano. Nessuna delle ragazze aveva l'aria impaurita o colpevole o comunque preoccupata. Gli parve però di scorgere un certo disagio nell'espressione di alcune ragazze. «Vi darò una copia del nostro statuto» disse Eve. «Non è un documento riservato. Ci fa piacere che chiunque lo voglia, uomo o donna, sappia quello che facciamo. Avete figlie?» «Parecchio più anziane di voi.» La ragazza lo guardò come se lo valutasse. «Bene, è logico, no? Ma non si è mai troppo vecchi per l'ARRIA.» Lo statuto era dattiloscritto, senza difetti né alle A maiuscole, né alle t minuscole, né alle virgole. Wexford se lo mise in tasca, per leggerlo più tardi con comodo, mentre Sara Williams seguiva attentamente ogni suo
movimento. «Se tutte se ne stanno andando» disse poi l'ispettore a Eve «vorrei parlare un momento con voi, da sola.» Il tono severo del poliziotto, che faceva seguito al tono quasi scherzoso usato prima, parve sconcertare la ragazza, che si passò una mano tra la rossa cresta di capelli. «E va bene, se volete. Fuori tutte, donne!» impose con una risata stridula. «A casa!» Rimasto solo con lei, Wexford disse, brusco: «Mi avete raccontato delle menzogne!» «Non è vero!» «Mi avete detto che il vostro ragazzo non poteva venire da voi perché dormivate nella stessa camera con vostra sorella e questa è una frottola. C'è una quantità di camere, in questa casa, e per giunta i vostri genitori non ci sono quasi mai. Perché mi avete mentito?» «Be'» mormorò lei un po' impacciata. «Un motivo c'è. Potrete scoprirlo da voi nel nostro statuto. Articolo 4.» L'ispettore levò di tasca il foglio che gli avevano consegnato e cercò l'articolo 4. "Le donne..." Non le socie dell'ARRIA, si diceva, ma sempre "donne", come se l'associazione includesse l'intera popolazione femminile. "Le donne dovranno evitare la compagnia degli uomini nei limiti del possibile, ma se fosse necessaria la loro presenza per motivi sessuali, biologici o di affari, è opportuno che siano esse ad andare da loro, anziché permettere che siano gli uomini a venire da noi." «Ma perché?» domandò Wexford. «Caroline e Edwina, la nostra compagna che è ad Oxford, dicono che è per togliere agli uomini quella loro antica abitudine di essere ricevuti dalle donne come dei sultani.» «È per questo dunque che andavate dal vostro ragazzo in Arnold Road? Era necessaria la sua presenza per scopi sessuali o addirittura biologici?» «Non è per questo che di solito le donne cercano gli uomini?» «Be', ci sono altri modi per esprimerlo. Modi più... estetici, direi. Forse anche più civili!» «Oh, civili! La civiltà l'hanno creata gli uomini e non è un granché, non vi pare?» Wexford non insistette. «Sapevate che Sara Williams era la figlia dell'uomo ucciso, il proprietario dell'auto che avevate visto in Arnold Road?»
«Allora no, non lo sapevo. Lo so adesso. Sara la conosco soltanto tramite l'ARRIA, non sapevo nemmeno chi fosse suo padre.» L'ispettore non fece obiezioni. «La signorina Peters non mi ha detto molto della vostra associazione. Come si fa per entrare a farne parte? Si paga una quota d'iscrizione? C'è una sorta di iniziazione come, per esempio, nel caso della massoneria, tanto per intenderci?» «Non abbiamo bisogno di denaro, perciò non si paga una quota di iscrizione. E del resto dove potremmo prendere il denaro? Siamo per la maggior parte studentesse, dovremmo chiederlo ai nostri genitori e questo è fuori discussione. Leggete l'articolo 6. Del resto, le nostre uniche spese sono le fotocopie e queste ce le fa Nicky usando la fotocopiatrice di suo padre la notte, mentre lui dorme.» «Può iscriversi chiunque lo voglia?» «Basta essere di sesso femminile, avere compiuto sedici anni e non essere sposata. Ovviamente, una donna sposata ha già capitolato. E in ogni caso non le sarebbe possibile attenersi al regolamento. Io sono una socia fondatrice e all'inizio le cose erano molto più complicate. Edwina voleva cerimonie d'iniziazione, una sorta di battesimo del fuoco, capite?» «Di che genere?» Wexford, più che mai incuriosito, cominciava a temere che Eve si rendesse conto di stare trascorrendo troppo tempo con un uomo. Ma i suoi timori risultarono infondati. «Alcune di noi condividevano le sue idee» rispose docilmente la ragazza. «Intendo dire che il suo è un atteggiamento radicale. Affermava, per esempio, che non potevamo fare una rivoluzione di stampo marxista perché Marx era un uomo e, sosteneva che la sessualità è un fatto politico: l'unico modo valido per conquistare la libertà per le donne passava dal lesbismo. Un comportamento eterosessuale significava collaborazione col nemico. Nemmeno Caroline Peters è mai arrivata a tanto.» «Dovevate parlarmi dell'iniziazione.» Ma Eve parve riluttante a toccare l'argomento. «Il risultato fu una scissione. Con Edwina si schierarono Sara Williams e Nickey Anerley. Quel gruppo, fra l'altro, contestava l'istruzione in comune con l'altro sesso. Volevano scuole e istituti superiori riservati a sole donne e con personale di ogni ordine e grado tutto femminile. Sarebbe, naturalmente, una conquista straordinaria, magnifica, ma purtroppo difficilmente attuabile.» «Soprattutto in considerazione del fatto che solo di recente le donne hanno ottenuto l'ammissione ad alcune università maschili, in particolare a
Oxford.» «Questo non c'entra. Sarebbe soltanto questione di buttar fuori gli uomini. Edwina e le altre del suo gruppo che frequentavano scuole miste volevano organizzare degli scioperi per ottenere che ne fossero estromessi i maschi, ma Caroline si è opposta. Immagino che temesse di perdere il posto.» «È stata questa la causa della scissione?» «Be', in parte. Tutto ciò è accaduto l'autunno scorso. Ma poi Edwina è andata a Oxford e le altre si sono calmate. Un simile progetto era comunque irrealizzabile. Così come era pura fantasia un'altra proposta di Edwina. Sosteneva che per dare prova di essere una vera femminista, una donna dovrebbe uccidere un uomo.» Eve guardò l'ispettore con aria circospetta. «Con questo non voglio dire che ogni donna che volesse iscriversi all'ARRIA dovesse uccidere un uomo: si ipotizzava la creazione di gruppi di tre o quattro membri...» «Ma questa non è una vera e propria cerimonia d'iniziazione, vero? Potrei descriverne io qualcuna, se volete.» 12 Jenny Burden leggeva con viso imperscrutabile il manifesto dell'ARRIA. Aveva ormai superato lo stadio in cui una donna incinta tenta di mascherare con indumenti il suo stato: più niente riusciva a dissimularlo. La sua condizione non le donava affatto. Era sempre sembrata più giovane della sua età, ma ora pareva troppo vecchia per avere un bambino. La faccia più che segnata pareva aver perso la giovanile nettezza dei lineamenti, gli occhi erano pesantemente cerchiati e i muscoli della mascella si erano rilasciati. Non potendo più tenere in grembo i fogli che stava leggendo li aveva appoggiati a un libro aperto sul tavolo a cui era seduta. Burden era sollevato di vederla fare almeno un piccolo sforzo per sottrarsi all'apatia che si era impadronita di lei via via che procedeva con la psicoterapia. Alla rivolta, all'odio violento contro la bambina che stava per nascere era succeduta la rassegnazione. Ora Jenny aspettava passivamente. Quando Wexford era arrivato si era limitata a porgergli la guancia per un bacio. Con voce spenta gli aveva chiesto come stavano Dora e le ragazze. E lui aveva pensato: dopo la nascita della bambina, impazzirà, si rifugerà nel mondo della schizofrenia e trascorrerà il resto della sua vita in un manicomio. Non era certo la prima a cui sarebbe accaduta una simile disgra-
zia. Eppure ora stava leggendo lo statuto dell'ARRIA, e pareva provare molto interesse in ciò che leggeva. E a un tratto, prese a leggere ad alta voce. «"Articolo 6: Salvo limitate eccezioni, nessuna donna deve dipendere finanziariamente da un uomo." Poi elencano le eccezioni. "Articolo 7: Tutte le donne devono frequentare un corso di arti marziali o di tecniche difensive. Articolo 8: Tutte le donne devono portare con sé qualche arma di difesa consentita dalla legge, per esempio spruzzatori di ammoniaca, temperini, pepaiole, ecc. Articolo 9: Nessun membro deve sposarsi, lasciarsi coinvolgere dal concetto borghese del fidanzamento o accettare qualsiasi accordo con un uomo concernente la coabitazione. Articolo 10..." Volete sentire l'articolo 10?» «Oh, l'ho già letto» esclamò Wexford. «E lo considero un'eresia!» «Certo, è evidente che voi uomini dobbiate pensarla così! Avrei forse dovuto leggere lo statuto prima di conoscerti, Mike!» Burden parve accusare il colpo. «Ma allora l'ARRIA purtroppo non esisteva. Però era già nata agli inizi di quest'anno, prima che lasciassi il mio lavoro. Ho sempre desiderato leggere il suo manifesto, ma nessuno ha mai voluto parlarmene. Ero una donna sposata, capite.» «Certo, è stato un colpo di fortuna che io abbia potuto metterci sopra le mani» concesse Wexford. Burden stava facendo uno sforzo per riprendersi dal dolore che la moglie gli aveva dato. «Sentiamo questo articolo 10.» «Bene, eccolo. "Le donne che desiderano avere un figlio devono scegliere il padre potenziale per le sue doti fisiche, la salute, il vigore e arrivare al concepimento in una situazione che, per quanto sia possibile, somigli allo stupro."» «Che cosa intendono dire?» esclamò Burden. Wexford s'intromise sentenzioso: «Margaret Mead, l'antropologa americana, ci informa che nella tribù degli Arapesh gli uomini temono lo stupro come lo temono le donne di altre culture.» «Ma è un pensiero spaventoso!» Forse, rifletté Wexford, a Mike piacerebbe approfondire questo concetto di stupro, ma lo trattengono le sue inibizioni... «Il guaio è che questo statuto è stato scritto da lesbiche come Edwina Klein e Caroline Peters. Non si addice a donne che amano gli uomini e che sono la stragrande maggioranza.»
Jenny lanciò al marito un'occhiata glaciale. «Nella spiegazione che viene dopo è detto che gli autori si rendono conto che una donna può provare affetto per un uomo e persino - cito testualmente - "per ciò che viene definito amore sessuale", ma è necessario rinunciare a qualcosa per la causa. Altre donne in passato si sono negate queste concessioni e ne sono state ampiamente ricompensate. Il testo procede: "Dopo tutto è davvero così importante questo cosiddetto amore quando se ne considerino alcuni altri aspetti concomitanti: sfruttamento, pornografia, degradazione, rinuncia alla carriera, stupro, incesto padre-figlia e il persistere del diverso atteggiamento moralistico davanti all'amore legalizzato e a quello detto libero?".» «Non mi pare che tutto ciò possa avere qualche rapporto con la nostra situazione familiare» osservò Burden. «I rivoluzionari sono sempre estremisti» ribatté Jenny con una determinazione che indusse i due uomini a guardarla con sgomento. Burden era impallidito. «E sai che ti dico?» continuò lei. «Se queste ragazze riusciranno a compiere anche solo una parte di ciò che si propongono, se arriveranno a far capire alla gente quale "iniquo arbitrio" costituisca tutto questo... bene, forse non mi dispiacerà più tanto di avere messo al mondo una figlia. So che dovete parlare, voi due. Vi lascio soli.» Si alzò, diede un bacetto in fronte al marito e si avviò goffamente verso la porta. Non v'erano né dignità né bellezza in lei perché la creatura che la rendeva deforme non era desiderata. Burden sfiorò con un dito il manifesto dell'ARRIA come se costringesse se stesso a toccare qualcosa di ripugnante. «In tutto questo avverto una minaccia. Mi fa paura.» «È un bene che tu sia tanto onesto da ammetterlo.» «Credete che vi sia qualcosa di concreto in questa non tanto larvata richiesta di ammazzare un uomo?» L'aveva creduto, da principio. La risposta gli era sembrata ovvia e l'aveva, per un momento, ritenuta la sola possibile. A quel punto il suo tono nei confronti di Eve era mutato. All'inizio aveva parlato con lei in tono quasi scherzoso, poi il suo comportamento si era fatto più brusco. E senza dubbio l'aveva spaventata con domande dure e incalzanti. «Ma nessuna l'ha mai fatto! Era soltanto frutto di una... fantasticheria, come l'amore di gruppo e altre cose simili. Come l'orgia. Ci pensi, immagini come potrebbe svolgersi, ma non lo fai mai!» «Molti lo fanno.»
«Hai ragione. Non è stato un paragone azzeccato. Quello che intendevo dire è che le fantasie non diventano mai realtà.» «No? E chi è allora uno psicopatico? Non è chi confonde la fantasia con la realtà?» In preda al panico di uno che si rende conto di avere parlato troppo, Eve aveva insistito e sostenuto che l'idea era di Edwina Klein, soltanto sua, persino il gruppo secessionista si era opposto. Allora Wexford le aveva chiesto che cosa intendessero per "armi consentite dalla legge". Includevano i coltelli? Non veri coltelli, aveva risposto lei, guardandolo come avrebbe potuto fare una bambina, gli occhi spalancati, impauriti di fronte a qualcosa che non arrivavano a capire. «Certo, ho avuto la tentazione» confessò a Burden «di pensare che un gruppo di quelle ragazze si era impadronito di quel povero vecchio Williams come fecero le Menadi con Orfeo e che lo avevano fatto fuori sulla spiaggia di Lesbo.» Burden lo fissò sbigottito. «Ci beviamo una birra?» «Ottima idea.» Burden tornò poco dopo con due lattine e due boccali su un vassoio. Poveretto, pensò Wexford, ne ha subite più di quante non sia in grado di sopportare. Strano che tante drammatiche complicazioni debbano accanirsi proprio su un uomo come Mike, così semplice, così privo di immaginazione. Il prototipo dell'uomo kafkiano che, per quanto si chiuda nella propria stanza, si nasconda, tenti di farsi incospicuo, viene ugualmente raggiunto dalla vita che si rotola in estasi ai suoi piedi. Mentre per lui, Wexford, niente veniva mai a turbare la pace domestica. E meno male! «Dovremo comunque darci da fare e controllare tutte le socie dell'ARRIA! Sono più di cinquecento, ricordalo.» «La ragazza che ha ferito Budd potrebbe non essere la stessa che ha aggredito Wheatley, la quale a sua volta potrebbe non essere quella che ha ucciso Williams, eppure nulla vieta che si sia trattato invece della stessa ragazza.» «Hai ragione. Ma non possiamo pensare che sia stata "una" ragazza ad aggredire e uccidere Williams. Nessuna ragazza avrebbe potuto trasportare da sola il cadavere in auto e poi scaricarlo e seppellirlo.» «Secondo me, dobbiamo esaminare i fatti sotto questo punto di vista: da una parte ci sono le femministe più radicali; di queste sappiamo che (a) hanno preso in considerazione l'idea di uccidere un uomo e (b) che secondo il loro statuto tutte dovrebbero avere sempre con sé un'arma di difesa.
Sappiamo inoltre che sicuramente Wheatley e probabilmente Budd sono stati accoltellati da socie dell'ARRIA. Ci è stato detto che Williams aveva per amica una ragazza giovanissima. Non potrebbe essere anche lei socia dell'ARRIA?» «Qualunque siano le regole dell'ARRIA» osservò Wexford «conosciamo qualche seguace che non disdegna di avere a che fare con l'altro sesso. Se si vuole uccidere un uomo, quale occasione migliore, per farlo, di quella che l'ARRIA definirebbe probabilmente "una situazione libido-emotiva"?» Burden finì la birra. Rimase pensieroso. Poi chiese: «Ma perché i corvi?» «Come simbolo dell'ARRIA, intendi? È un uccello da preda? Non direi. Non lo so, Mike. In ogni caso non si tratta di un uccello gentile, docile. Il corvo gracchia. È sgarbato. Ecco. Forse ci sono. La sgarberia del corvo rispecchia forse l'atteggiamento che queste donne vogliono assumere nei confronti dell'altro sesso. Soltanto che ci feriscono col coltello, invece di usare il becco.» «Solo se provocate, però.» «È vero. Budd, per sua stessa ammissione, aveva cercato di fare lo stupido con la ragazza che lo ha aggredito. Forse si è spinto più in là di quanto non ammetta. Wheatley sostiene di non avere fatto assolutamente niente, ma non credo che dica la verità. Hanno tentato un approccio e sono stati presi a coltellate. Questo non ti induce a chiederti che cosa mai avrà fatto Williams?» Tornando a casa, Wexford rifletté su ciò che doveva fare dopo la sua visita in casa Freeborn. Dopo di lui c'erano stati il sergente Martin e l'agente investigatore Bennett, e quella stessa mattina Charles Freeborn, il padre di Eve, era comparso davanti al magistrato per rispondere all'accusa di possesso di marijuana e di avere permesso che si fumasse marijuana in casa sua. Dopo avere scoperto la droga in casa, Bennett aveva effettuato un metodico sopralluogo nel grande giardino quasi incolto cominciando dalla serra e seguendo poi il sentiero che si addentrava fra l'intrico dei cespugli e si snodava lungo il perimetro del giardino, serpeggiando fra aiuole trascurate dove poche piante inselvatichite emergevano da un tappeto di erbacce. Un cancello nella recinzione del giardino si apriva su un viottolo che offriva una scorciatoia per High Street. Bennett si stava chiedendo se non fosse frutto di un'ossessione cercare in un posto come quello la Cannabis sativa, che richiede molta luce solare e spazio per crescere, quando si era trovato
davanti all'unica aiuola ben coltivata di tutto il giardino. A poca distanza dalla casa era stato sgombrato un tratto rettangolare di terreno, ricoperto di pianticelle bene ordinate e delimitato da un recinto di mattoni. Bennett aveva sostenuto che si trattava di giovani piante di pomodoro, ma Martin non si era lasciato ingannare. Per poter svolgere il proprio effetto allucinogeno quando viene ingerita, la canapa indiana ha assoluto bisogno di raggi infrarossi durante la coltivazione e quell'aiuola ne era inondata, situata com'era nell'unica parte del giardino che prendeva sole dalla mattina alla sera. Wexford si chiedeva, e non per la prima volta, se era giusto andare in casa di qualcuno con la scusa di dare un'occhiata e fare quattro chiacchiere, scoprire per caso una droga proibita e subito, senza remore, mettere in moto la macchina della giustizia incaricata di punire il contravventore. Ma certo che era giusto! Lui era un poliziotto e il suo dovere aveva la precedenza su qualsiasi altra considerazione. Bisognava che così fosse, o avrebbe regnato il caos. Alla conclusione dell'anno scolastico, verso la fine di luglio, gli uomini di Wexford avevano individuato e interrogato circa la metà delle adepte dell'ARRIA, rintracciate con enormi difficoltà perché Caroline Peters dichiarava e sosteneva di non possedere la lista dei membri. Quale bisogno ne avrebbero avuto, visto che non esistevano quote di associazione e tutte le comunicazioni necessarie venivano trasmesse a voce? Paulette Harmer, la nipote di Williams, era stata scagionata. Le sere in cui erano stati aggrediti Budd e Wheatley, lei si trovava col suo ragazzo trasgredendo evidentemente le regole dell'ARRIA - e il quindici aprile era in casa coi genitori e la zia Joy. Eve Freeborn, prima di andare dal suo ragazzo in Arnold Road, aveva trascorso la serata in casa coi genitori e la sorella. Lo stesso alibi valeva anche per Amy, però nessuna delle due sorelle poté provare la propria estraneità alle aggressioni subite da Budd e Wheatley. Né poté provarla Caroline Peters, la quale tuttavia il quindici aprile si trovava a Londra per un convegno. La rossa Nicky, che risultò essere Nicola Anerley e non Nicola Tennyson di cui aveva parlato Veronica, era stata alla festa di compleanno di un'amica insieme con altre dodici adepte dell'ARRIA. Jane Gardner la interrogò personalmente Wexford. Era il meno che potesse fare dati i rapporti amichevoli che lo legavano al padre. Miles fece in modo di trovarsi in casa anche lui all'ora fissata per il colloquio e, come
sua moglie, parve considerare addirittura oltraggioso quell'interrogatorio specie quando Wexford dovette pregarli di lasciarlo solo con la ragazza. Uscirono brontolando dal salotto, tenendosi a braccetto, come se sentissero il bisogno di sostenersi a vicenda in quell'immane disgrazia. Jane invece lo accolse sorridendo, perfettamente a suo agio. «Noi ci siamo già conosciuti, vero?» disse non appena furono soli. «In ufficio, dal babbo.» All'ispettore tornò in mente la ragazza che si spogliava tranquilla sotto gli occhi di tutti. "In ufficio, dal babbo." E quando si era girata e aveva visto lui che la guardava, non aveva battuto ciglio. «Conoscevate Rodney Williams, Jane?» «Sì, ci eravamo incontrati una volta nell'ufficio del babbo e lui ci ha presentati. Oh, era un uomo affascinante, sapete?» Jane sorrise un po' tristemente. «Ti faceva sentire come se tu fossi l'unica persona con la quale valesse la pena di parlare.» La prima persona che avesse una buona parola per il povero Rodney! pensò Wexford stupito. Ma poi lei sciupò tutto. «Immagino che facesse così con tutte le ragazze della mia età!» Poi l'interrogatorio continuò. Era una seguace entusiasta dell'ARRIA? Aveva fatto parte del gruppo dissidente? Era solita portare un'arma? Dov'era quando erano stati aggrediti Budd e Wheatley ed era stato ucciso Williams? Sì alle prime due domande, uno sdegnato no alla terza. Il quindici aprile sera era stata a fare la baby-sitter, il giorno dell'aggressione a Budd lei era dalla sorella appena sposata, non ricordava che cosa avesse fatto quando era stato aggredito Wheatley. Poi l'ispettore la sorprese con una domanda che sembrava illogica. «Quali scuole hanno corsi commerciali?» «La Haldón e il Sewingsbury,» Jane gli lanciò un'occhiata un po' ansiosa. «Il babbo è addirittura sconvolto all'idea che possiate sospettare di me!» «Ma no! È soltanto la prassi normale.» Lo riaccompagnò alla porta la domestica. Né Miles né sua moglie si fecero rivedere. Donaldson lo riportò a Kingsmarkham e lo depositò alla porta di casa. Dora, già vestita di tutto punto, stava parlando al telefono con Sylvia. Passandole accanto, Wexford le sfiorò una guancia con le labbra, lei mormorò qualcosa a proposito di spicciarsi e tornò a parlare con la figlia. Wexford salì in camera a cambiarsi e indossò il suo abito migliore, grigio come tutti gli altri, ma un po' più nuovo e meno sciupato.
In treno, parlò a Dora della visita ai Gardner. Probabilmente non vi sarebbero stati altri inviti a feste in giardino, osservò. «Poco male» ribatté lei. «Che te ne importa? Rilassati ora e pensa al teatro.» «Non ho nemmeno letto la tragedia.» «Non ne hai avuto il tempo.» «Oh, si trova sempre il tempo per ciò che si desidera veramente fare!» Così tutto quello che sapeva su I Cenci era che il dramma era stato bandito per anni dai palcoscenici inglesi. Lui e Dora, in occasione di un viaggio in Italia, avevano visto il ritratto di Beatrice Cenci eseguito da Guido Reni ed esposto alla Galleria Nazionale di Roma, ma non aveva collegato le due cose se non per il fatto che, come gli aveva detto Sheila, quel ritratto sarebbe stato riprodotto sul programma. Sì, avrebbe proprio dovuto leggere la tragedia di Shelley o almeno il Beatrice Cenci di Moravia, un romanzo che sarebbe forse risultato più divertente. A tutta prima, il dramma non sembrò affatto divertente. Shelley, pensò Wexford pur rendendosi conto di essere tutt'altro che un critico bene informato, non era Shakespeare. E scrivendo quella tragedia in versi liberi e in cinque atti, non mostrava di essere indietro almeno duecento anni? Poi apparve sulla scena Sheila, con i capelli biondi raccolti in una cuffietta e una lunga veste bianca e grigia e lui dimenticò tutto il resto, in un'ondata di orgoglio paterno. Sheila aveva un modo di recitare tutto particolare, e questo lo riconoscevano anche i critici, che dava chiarezza anche alle frasi più oscure. Fu così anche quella sera e a un tratto Wexford comprese. La trama e l'obiettivo della tragedia si dispiegarono ai suoi occhi e lo stile di Shelley cessò di essere anacronistico. Non fu lo stesso per Dora. Al bar, mentre bevevano un bicchiere di vino durante l'intervallo, sussurrò al marito: «C'è qualcosa che non capisco. Non è soltanto il fatto che nessuno riusciva più a sopportare le prepotenze del vecchio, vero? Voglio dire, perché Sheila si è precipitata in scena gridando di avere gli occhi pieni di sangue?» «Suo padre le ha usato violenza» spiegò lui, poi si rese conto di ciò che aveva detto e precisò: «Il conte Cenci ha usato violenza a sua figlia Beatrice.» «Ah ecco! Ora capisco! Il testo non lo dice in modo esplicito, vero?» «Shelley non poteva permettersi di essere più chiaro. Pensa che sia stato il tema dell'incesto che ha fatto bandire dalle scene il dramma per secoli.»
Mentre aspettavano che il sipario si alzasse sul quarto atto, Wexford lesse sul programma il riassunto della cronaca storica su cui si basava la tragedia. Beatrice, la sua matrigna e suo fratello furono giustiziati per avere ucciso il conte Cenci, rispettivo marito e padre. Guido Reni aveva eseguito il ritratto di Beatrice mentre lei era in prigione. In seguito la ragazza era stata torturata per estorcerle una confessione. Erano fatti storici, avvenimenti realmente accaduti. Raccapriccianti. No, decisamente non era il lavoro che si possa desiderare di rivedere una seconda volta o di rileggere dopo averlo visto. Terminata la rappresentazione, salirono come al solito ai camerini. Sheila, ora in jeans e pullover, aveva ancora sul viso una maschera di lucente cerone bianco e i capelli appuntati in alto sulla nuca per l'esecuzione, come quando aveva esclamato: Ecco, Madre, stringetemi la cintura... Signore, siamo pronte. Bene, così va bene. Durante il viaggio di ritorno, Dora si addormentò in treno, mentre suo marito rifletteva sul più prosaico argomento delle macchine per scrivere. Alla Haldon Finch fu il custode della scuola ad accompagnarli. La sezione commerciale non aveva sede in un edificio suo, ma occupava semplicemente tre aule all'ultimo piano della scuola vecchia. La custode accompagnò Wexford e Burden su per una notevole (e notevolmente malandata) scala di marmo Art Déco e lungo un ampio corridoio a volta e aprì loro la doppia porta che dava accesso alla sezione commerciale, porta anch'essa Art Déco, con volute e foglie in ferro battuto verde sui vetri ghiacciati. La scuola vecchia era stata costruita nel 1930 e le aule sembravano non avere avuto da allora altro ammodernamento che una mano d'intonaco. Le macchine per scrivere erano nell'ultima aula e qualcuna sembrava persino più vecchia dell'edificio nel quale si trovava. Burden prese ad aggirarsi fra i tavoli con un foglio di carta in mano, probabilmente con i difetti di scrittura dei quali andavano in cerca: un difetto all'apice della A maiuscola e nell'asta della t minuscola e un'irregolarità alla testa della virgola. Wexford provò un lieve brivido di eccitazione scorgendo la prima Remington 315.
Burden infilò nel rullo un foglio di carta e batté qualche tasto. Niente di irregolare in nessuno dei tre segni incriminati. Provò con la seconda. L'A maiuscola non era perfetta, ma non lo erano nemmeno la B, la D e alcune altre maiuscole, mentre tutte le minuscole e la virgola erano assolutamente normali. Burden ripeté l'esperimento con la terza e ottenne una copia di assoluta perfezione. E nemmeno la quarta risultò essere la macchina usata per scrivere la lettera di dimissioni del povero Williams. «Ed eccoci di nuovo al punto di partenza» commentò Wexford. «Mostrate questi campioni agli esperti. Potremmo esserci sbagliati» osservò Burden. «Non ci siamo sbagliati. Sono tutte qui le macchine di proprietà della scuola?» domandò l'ispettore al custode. «Le altre sono fuori per la revisione.» «Sapete quante e da chi sono state mandate?» Il custode non lo sapeva. Pensava che le macchine fossero quattro o cinque al massimo, ma non aveva la più pallida idea di chi fosse il tecnico che le riparava. Wexford lo ringraziò e i due ispettori se ne andarono. L'anno scolastico era finito, ma non per quanto riguardava lo sport. Cinque o sei ragazzi in calzoncini e maglietta correvano sulla pista e sui campi di tennis erano in corso una partita di singolare e una di doppio. Non v'era nessun arbitro sui seggi, ma Caroline Peters era presente in qualità di allenatrice. Il singolare, infatti, non era una partita, ma una lezione tra lei e un'allieva che risultò essere Veronica Williams. Le giocatrici del doppio erano Eve e Amy Freeborn; Helen Blake e un'altra ragazza che Wexford non aveva mai vista. Possibile che in quell'angolo del Sussex esistessero ragazze fra i sedici e i diciotto anni che lui non aveva mai visto? Si avvicinò con Burden alla rete di recinzione e rimase a guardare, come aveva fatto quell'altra volta. Ma ora Caroline non venne a redarguirli: si limitò a lanciare loro un'occhiata di fuoco. Sapeva chi erano, ora. Dopo qualche momento - quanto bastò a Wexford per rendersi conto che Veronica era la giocatrice più brava che lui avesse mai visto su un campo privato - i due ispettori tornarono alla loro auto. «Hanno scoperto qualcosa circa le impronte rilevate sulla macchina di Williams?» domandò Burden. «Ne hanno rilevate una sessantina, lasciate complessivamente da nove persone. Le più numerose appartengono a un uomo che sembra sia Wil-
liams.» «Ma le sue dita non saranno state in condizioni molto buone, dopo essere state sottoterra per nove settimane!» «Difatti. Hanno confrontato le impronte lasciate sull'auto con quelle rilevate nella sua camera da letto... nelle sue due camere da letto, per essere precisi. Le altre appartengono a due uomini non identificati, che potrebbero essere stati quelli che hanno smantellato Greta, a Joy, a Wendy, a Sara, a Veronica e ad altre due donne... forse amiche delle mogli o delle figlie, e forse no. Il volante era stato pulito.» «Molto più di quanto non ci aspettassimo, vero?» Nicola Tennyson, l'amica di Veronica, fu elettrizzata dall'idea di farsi rilevare le impronte digitali. Non ricordava molto della sera del 15 aprile. Sì, era rimasta in casa a badare al fratellino, quella sera, e Veronica era stata da lei, ma non seppe precisare l'ora. Lei e Veronica andavano tanto spesso l'una a casa dell'altra. Una delle due serie di impronte non identificate su Greta risultò appartenere a lei. 13 A quanto aveva detto Wheatley, la donna che lo aveva assalito era più alta della media. Budd aveva affermato di non poter dire quanto fosse alta quella che aveva aggredito lui perché l'aveva vista soltanto seduta. E questo non era proprio vero, poiché l'aveva vista fuggire col sacco su una spalla, ma lui ricordava soltanto il sacco e il fatto che era bionda. La ragazza di Wheatley aveva capelli "castani o comunque chiari" e diciotto o diciannove anni. Budd riteneva che la sua assalitrice ne avesse venti. O forse venticinque o ventisei. O un'età qualsiasi tra i diciotto e i trenta. In entrambi i casi le ferite erano state inferte con un temperino a lama larga. Ma non necessariamente lo stesso temperino. Né la stessa donna. Wexford si domandò che cosa potesse esservi in quel sacco. Era certo che Budd non se lo era inventato. Non aveva fantasia sufficiente. Sicché c'era stato un sacco, un sacco di plastica nera, da bidone delle immondizie. Perché e per che cosa, quella ragazza portava un sacco simile? Pioveva a catinelle, quella sera. E sacchi di quel tipo erano ottimi per tenere asciutte le cose. Ma che cosa? La fermata dell'autobus era la più vicina al punto dove era stato rinvenuto il cadavere di Rodney Williams. Ma quand'era stato aggredito Budd, Williams era morto da sei settimane.
Wendy Williams non era molto alta, ma era bionda e sembrava molto più giovane di quanto non fosse. A Budd poteva essere sembrata sui vent'anni, o poco più. Aveva appena cominciato i suoi quindici giorni di ferie e Wexford pensò che ne avrebbe trascorso una buona parte alla stazione di polizia di Kingsmarkham. Andò a prenderla con l'automobile. Veronica era nel soggiorno color gelato di lampone, seduta al tavolo dal ripiano di vetro a sfogliare una rivista. Sembrava una ragazzina di dodici anni con i capelli alla paggio, lo scamiciato giallo pallido, la camicetta bianca inamidata, le calze bianche alla caviglia e i sandaletti azzurri quasi troppo infantili per una ragazza della sua età. «Ti ho vista giocare a tennis, l'altro ieri.» «Sì, vi ho notato.» Perché quell'improvvisa espressione circospetta, quell'ombra di disagio frammista all'ingenuità? «Sei molto brava.» Lo sapeva, non era necessario che glielo dicessero. Un sorriso educato e poi tornò alla rivista. Wendy entrò nella stanza, vestita con la massima cura. Ormai le donne non badavano più all'eleganza, se non in occasioni particolari, o per divertimento. Per andare alla polizia, pensò Wexford, sarebbero bastati jeans e camicetta, ma questo modo di vestire sportivo non era stato accettato da Wendy Williams, né mai lo sarebbe stato. Forse non possedeva nemmeno un paio di jeans. Aveva indossato un grazioso abito di cotone, di quelli che si devono stirare spesso, con un'alta cintura di vernice nera per mettere in evidenza la vita ancora sottile come quella di un'adolescente, e sandali rossi con tacchi a spillo. Wexford decise di portarla nel proprio ufficio, invece che in una delle stanze usate per gli interrogatori. «Non mi avete detto molto di quell'amichetta di vostro marito, signora Williams» esordì quando furono là. «Vi ho detto tutto quello che so: che è molto giovane e basta.» «Non vi credo. Sono certo che troverete dell'altro, se frugherete bene nella memoria.» Lei sembrò chiudersi in se stessa. Perché? Perché voleva tenergli nascosta l'identità di quella ragazza? «Perché mai mi è venuto in mente di parlarvi di quella storia!» Esasperata. Il tono di una madre al bambino che continua a infastidirla con la sua insistenza.
«Avevate ricevuto una lettera anonima, avete detto.» Esitante, Wendy aprì la bocca come per dire qualcosa, ma lui la prevenne. «Però non l'avete conservata. L'avete bruciata.» «Come lo sapete?» «Signora Williams, andiamo, soltanto nei romanzi la gente brucia le lettere anonime! Nella realtà, al massimo si trattano con disgusto. Ma non si bruciano. Nelle case di oggi non esistono quasi più i camini. Dove andreste a bruciarla una lettera anonima?» Wendy non aprì bocca. L'espressione corrucciata del viso la rese quasi brutta. «Chi riceve una lettera anonima non ha voglia di tenerla sotto gli occhi. La butta in fondo a un cassetto o nel cestino della carta straccia. Avete forse ha letto in un romanzo giallo che il protagonista ha bruciato una lettera anonima, non è così? Ma, in realtà, non avete mai ricevuto una lettera anonima.» «E va bene, è vero, non l'ho ricevuta.» «Non vi hanno mai detto che non bisogna mentire alla polizia?» Il tono un po' canzonatorio della domanda indispettì Wendy. «Io non ho mentito» ribatté bruscamente. «Cera una ragazza! Aveva un debole perverso per le ragazze giovani, ecco tutto, e questo ha rovinato la mia vita.» La sua voce si fece stridula, aspra, e poi lamentosa. «Pensavo che si fosse innamorato di me, quando ci siamo conosciuti. Pensavo che mi amasse, ma ora ho capito che si era incapricciato di me soltanto perché ero giovanissima. Poi ha dovuto sposarmi perché stava per nascere Veronica. Sposarmi! È facile sposarsi, vero? Si può farlo quante volte si vuole!» «Non ho mai avuto una vera vita» continuò Wendy dopo una breve pausa. «Mai una vera giovinezza, Ho trentadue anni e non sono mai nemmeno andata a cena con un uomo in un ristorante decente. Non sono mai stata all'estero. Non ho mai avuto un capo d'abbigliamento che non fosse stato comprato da Jickie con lo sconto! Non ho mai avuto nemmeno un anello di fidanzamento.» Wexford tornò a chiederle come avesse saputo dell'esistenza di quella ragazza, ma dovette ripetere una seconda volta la domanda. «Me lo confessò Rodney.» «Ve lo ha confessato di punto in bianco? Non avevate alcun sospetto, e lui ha ammesso di avere un'amica?» «Ve l'ho detto.»
«Ma perché ha confessato? Intendeva lasciarvi per lei? Come avete infatti pensato che avesse fatto?» Wendy rimase zitta, col viso contratto in un'espressione cocciuta. Wexford tornò a interrogarla su quel 15 di aprile. A che ora era uscita da Jickie per tornare a Pomfret? Il personale del suo reparto era stato interrogato da Martin, da Bennett e da Archbold, ma nessuno aveva saputo dirlo. Perché avrebbero dovuto ricordarsi proprio di quella sera? Una cassiera tuttavia aveva osservato che se veramente la signora Williams non se n'era andata fino alle nove, lo aveva fatto molto più tardi del solito. Ma Wendy continuò a sostenere di essere uscita a quell'ora e non ci fu verso di smuoverla. Wexford finì per lasciar perdere e passò, con una certa esitazione, a un'altra domanda. Dato che suo marito la trascurava tanto e che da due mesi lei pensava di essere stata addirittura abbandonata, aveva fatto amicizia con un altro uomo? «Sarebbe stato più che naturale da parte vostra. Siete ancora giovane. E avete detto voi stessa di non avere mai avuto una vera vita, una vera giovinezza.» «Intendete dire una... relazione con qualcuno?» «Sarebbe comprensibile.» «Sarebbe disgustoso! Immorale! Ho una figlia a cui pensare! Devo essere di esempio a Veronica. Il fatto che Rodney si sia comportato in maniera così orribile con me non è un motivo sufficiente perché io faccia altrettanto. Sono sempre stata una moglie fedele. Non ho mai nemmeno guardato un altro uomo, non mi è mai nemmeno passato per la mente.» Wexford, che cominciava a conoscerla bene e a capire il suo atteggiamento, non insistette. A quell'ora, Burden aveva certo messo in moto il loro piano. Poteva anche non funzionare, naturalmente... E se avesse funzionato, che cosa avrebbe messo in chiaro o provato? Continuò a interrogare Wendy sulla sua vita, i suoi sentimenti, le sue reazioni. Lei non fece mai il minimo accenno all'altra famiglia di Rodney. Anche se era ormai disposta a riconoscere che i veri Williams erano quegli altri, ci si sarebbe aspettati che dimostrasse almeno qualche curiosità nei loro confronti. O si sentiva superiore a tali miserie umane? «La signora Joy Williams» disse deliberatamente l'ispettore «ha una figlia e un figlio. La ragazza assomiglia in maniera straordinaria a Veronica. Che cosa provate nei loro confronti?» Si rendeva conto di comportarsi come uno psicologo, ma tutti i poliziotti lo sono un poco quando interrogano qualcuno. Tuttavia modificò la domanda. «Non vi interessa sapere qualco-
sa sul loro conto?» «No.» Era arrossita di nuovo, ma non cedette. «Perché dovrebbe? Non sono niente per me. E nemmeno a Rodney doveva importare molto di loro.» «Che cosa ve lo fa pensare?» Lei fece un gesto con le mani come a indicare che era ovvio. Poi Wexford disse che bastava così, per quel giorno. Aveva già predisposto perché la riportassero a casa in macchina. Scesero insieme in ascensore, con tempestività perfetta perché quando le porte della cabina si aprirono al pianterreno, Burden stava attraversando il vestibolo con Joy Williams, diretto allo stesso ascensore. Wexford si fermò con la scusa di parlargli e le due donne rimasero a qualche passo l'una dall'altra, Joy con gli occhi fissi su Wendy e questa con lo sguardo incollato alla parete di fronte, come se fosse il più interessante esempio di decorazione murale dai tempi delle pitture cavernicole di Trois Frères. Formavano un contrasto grottesco e patetico, quasi troppo marcato per essere reale. Joy con quel suo informe golfino infilato su un vestito di cotone dall'orlo scucito e le scarpe sformate, come sempre. Wendy, un po' insicura sui suoi tacchi alti, con la testa eretta e un vago sorriso sulle labbra. L'ironia stava nel fatto che entrambe erano state ripudiate. Poi Burden e Joy entrarono nell'ascensore e le porte si richiusero alle loro spalle. «Sapete chi era quella signora?» «Quale signora?» ribatté Wendy. «Oh, via, non sto parlando di Greta Garbo. Quella che era con l'ispettore Burden.» Lei inarcò le sopracciglia, scrollando le spalle. «Era Joy Williams.» «Sua moglie?» «Sì.» «Sembra che abbia sessant'anni.» Di sopra, Burden interrogò Joy sulla telefonata e sulla lettera di dimissioni di suo marito. Come mai era uscita la sera di giovedì 15 aprile, invece di rimanere in casa ad aspettare la consueta telefonata del figlio? «Be', non posso mica stare lì sempre ad aspettare i suoi comodi» ribatté lei con voce greve di amarezza. «Tanto a lui gliene importa assai se mi trova o no! È come suo padre... indifferente. Ho fatto tutto quello che ho potuto per lui, baciavo il terreno su cui camminava. Ma tanto valeva che
non facessi niente. Sapete dov'è ora? In Cornovaglia, in vacanza. Ecco quanto significa per lui il fatto che sua madre sia rimasta vedova!» Forse era la verità. Forse Joy aveva finalmente capito di avere viziato suo figlio. Forse aveva anche litigato con lui, il giorno prima che ripartisse per l'università. Tuttavia, niente indicava che l'adorazione materna fosse diminuita. «Sapete chi era la signora che stava con l'ispettore capo Wexford?» «Posso immaginarlo.» La stridula risatina secca. «Una sgualdrinella da quattro soldi. Non ha dato prova di molto buon gusto, povero Rodney!» Alla successiva domanda di Burden, se Sara avesse un ragazzo, rispose incredibilmente di non saperlo. Ed era chiaro che non gliene importava niente. Nei suoi occhi apparve persino un lampo di odio quando udì nominare sua figlia. «Dopo tutto quello che ho fatto per lei» aggiunse, come se l'argomento in discussione fosse quello dell'ingratitudine di Sara. Burden la riportò a casa. Aveva l'impressione di trovarsi davanti a un muro, un solido blocco di cemento a due dita dalla sua faccia. Carol Milvey non era un membro dell'ARRIA, ma aveva anche lei diciott'anni e abitava a due numeri di distanza dai Williams. Ed era stato suo padre, il titolare della Mid-Sussex Waterways, a scoprire la borsa di Rodney nel Green Pond, una coincidenza che non era mai stata chiarita. Andò il sergente Martin a interrogarla e l'intervista fu brevissima, perché il quindici di aprile la ragazza era a letto con la tonsillite ed era rimasta assente da scuola per due giorni. Altre dieci socie dell'ARRIA furono completamente scagionate sia per il 15 aprile sia per la sera dell'aggressione a Wheatley. Era agosto, ormai, e la gente cominciava a partire per le vacanze, socie dell'ARRIA comprese. La Pomfret Office Equipment Ltd. invece doveva riaprire proprio in quei giorni, dopo quindici giorni di ferie, e se le macchine per scrivere della Haldon Finch erano a riparare da qualche tecnico, con novanta probabilità su cento dovevano trovarsi là. Si era investigato anche alla sezione commerciale del Sewingsbury College, ma senza risultato. Oltre a dieci macchine per scrivere elettroniche altamente sofisticate, avevano soltanto alcuni microcomputer ACT Apricot, mentre alla Kingsmarkham High School c'era una sola macchina per scrivere in uso presso la segreteria. «Vorrei arrivare a capire perché mai si debbano battezzare delle macchi-
ne col nome di frutti!» osservò Wexford mentre lui e Burden se ne tornavano via. «Ci dev'essere certo qualche impensabile spiegazione freudiana. E a proposito di spiegazioni inconcepibili, ti rendi conto che c'è un aspetto di questo caso che non abbiamo mai preso in considerazione? Il movente. Non parliamo mai di movente.» Burden parve sul punto di ribattere che non sta alla polizia di occuparsi del movente e che, in ogni caso, i moventi adottati dai criminali erano spesso incredibili o inconsistenti. Ma poi cambiò idea e disse invece con qualche esitazione: «Williams potrebbe essere stato ucciso per motivi che l'ARRIA definirebbe di difesa personale.» «Già, ma in tal caso ci troveremmo di fronte a una difficoltà. Se presumiamo, come stiamo facendo, che la donna o la ragazza che fece la telefonata e scrisse la lettera fosse la giovane amica di Williams, che bisogno avrebbe mai avuto di difendersi contro di lui? Budd e Wheatley sono stati accoltellati perché avevano tentato un approccio sessuale, ma se quella ragazza era la sua amante un approccio sessuale sarebbe stato accolto con entusiasmo, non credi?» «Dipende dalla natura di quest'approccio» osservò Burden col suo solito tono pudibondo. «Pensi che Williams sia stato un sadico o che avesse qualche altro vizio segreto? Non c'è alcun indizio che possa farci pensare che avesse strane tendenze sessuali. Dimentichi inoltre che il delitto ha tutta l'aria di essere stato premeditato. A Williams è stato somministrato un sonnifero, prima di accoltellarlo. Non credo si possa sostenere questa ipotesi, che cioè un bel giorno Williams ha suggerito alla sua ragazza una qualche nuova incredibile maniera di fare l'amore, e che di conseguenza lei ha sostituito un sonnifero alle sue pillole ipotensive, e poi lo ha pugnalato otto volte con un coltello da cucina mentre dormiva.» «Quale movente suggerireste, allora?» «Non mi viene in mente alcun movente logico. Però mi rifiuto di credere che una ragazza lo abbia accoltellato per liberarsi di lui quando le sarebbe bastato dargli il benservito, rimandandolo alla sua o meglio alle sue mogli. E poi, una ragazza avrebbe potuto ucciderlo, ma non sarebbe certo riuscita a trasportare da sola il cadavere. Una ragazza che ha un marito o un fidanzato geloso? Le adepte dell'ARRIA non hanno marito e non dovrebbero nemmeno impegnarsi con un uomo al punto da suscitare una situazione simile. Ma siamo certi che l'amica di Williams è un membro dell'ARRIA? O che esiste davvero?»
Per quel giorno le speculazioni finirono lì e Wexford tornò a casa a prendere Dora per andare a vedere Sheila che recitava all'Oliver nel Piccolo Eyolf di Ibsen. 14 La Pomfret Office Equipment Ltd., che aveva sede in un negozio con un grande capannone alle spalle, era di proprietà di Edgar e James Ovington, padre e figlio. Sì, erano loro a provvedere alla manutenzione delle macchine per scrivere della Haldon Finch, rispose Edgar Ovington alla domanda di Wexford, e le riparazioni le facevano durante le vacanze estive della scuola. Suo figlio James era andato a ritirarle il 26 luglio, un giorno prima che finisse l'anno scolastico. Wexford e Burden lo seguirono nel capannone dietro il negozio, pieno di macchine per scrivere di ogni genere, a mano, elettriche ed elettroniche, tutte bene allineate sui ripiani, ognuna con un cartellino sul quale era indicato il nome del proprietario. Ovington indicò quelle appartenenti alla Haldon Finch, tre su un ripiano e altre due sul ripiano sovrastante: tre Remington 315 portatili e due Adler Gabrielle 500. Dopo avere sommariamente spiegato a Ovington che cosa cercavano. Burden si fece dare un foglio di carta, lo infilò sotto il rullo della prima Remington e batté alcune lettere comprendenti A maiuscole, t minuscole e virgole. Tutte risultarono perfette e lo stesso fu per la seconda Remington. «Avete cambiato i caratteri di qualche tasto?» domandò Wexford. «No, finora non le ho nemmeno toccate.» Burden riprovò con la terza Remington. Perfetta, una scrittura persino migliore delle altre due. Evidentemente era lì soltanto per un normale intervento di manutenzione. «Sono le sole macchine ritirate alla Haldon Finch?» «Sissignore. Le contrassegniamo tutte non appena entrano in magazzino.» «Sicché non può darsi che una macchina della scuola sia stata restituita per errore a qualcun altro?» «Come sarebbe possibile, se tutte sono contrassegnate dal cartellino con l'indicazione Haldon Finch?» ribatté Ovington quasi offeso. Quando Burden chiese di poter esaminare qualsiasi altra Remington 315 che si trovasse eventualmente fra le duecento e più macchine allineate nel magazzino, Ovington cominciò a protestare e la cosa sarebbe forse andata
per le lunghe se non fosse sopraggiunto il figlio, James, un giovanottone pelato e sempre sorridente. «Prego, accomodatevi pure» disse mettendo in mostra una chiostra di grossi denti candidi. «Volete che vi faccia un campione di scrittura di ogni macchina che abbiamo?» Fu un'offerta sincera, senz'ombra di sarcasmo. «Grazie, ma ci interessano soltanto le 315, ci pensiamo noi.» Ne trovarono altre due, ma nessuna rivelò il minimo difetto. «Grazie per la collaborazione e scusateci per il disturbo» disse Wexford e i due investigatori se ne andarono. «L'avranno gettata in qualche fosso o in uno stagno» osservò Burden quando furono fuori. «Non nel Green Pond, in ogni caso. Altrimenti Milvey l'avrebbe trovata.» Wexford rifletté ancora alla strana coincidenza. Il legame tra Milvey e Rodney Williams non poteva essere stata Carol, che era a letto con la tonsillite la sera in cui l'uomo era stato ucciso. Eppure, una connessione doveva pure esserci stata. Wexford rifiutava di credere che fosse stato soltanto il caso a far ritrovare a Milvey la borsa del suo vicino nel Green Pond. E la coincidenza divenne ancora più strana e incredibile quando, il giorno seguente, lo stesso Milvey telefonò per avvertire di avere rinvenuto, in un piccolo stagno ornamentale della tenuta di Green Pond Hall, un lungo coltello da cucina. I tre piccoli stagni nel vecchio giardino ormai divenuto un intrico selvatico erano stati ostruiti da fango e sabbia trasportati dalle sorgenti provenienti dalla foresta di Cheriton e la polizia li aveva già fatti svuotare al tempo delle prime ricerche nella tenuta, ma poi si erano intasati di nuovo. Quando vi era stato gettato il coltello? Dopo le ricerche della polizia? Oppure era stato trascinato fin lì da un altro nascondiglio più a monte? Era un coltello di notevoli dimensioni, col manico di plastica bianca lungo quindici centimetri e la lama triangolare, con la punta molto aguzza, lunga ventidue centimetri. Negli incavi intorno alla testa dei chiodi che fissavano il manico era rimasta qualche traccia di fango grigiastro ma in nessun punto si vedeva la minima macchia di ruggine. Wexford lo mandò al laboratorio della polizia. Il legame con Milvey continuava a restare un mistero. Seduto alla scrivania, di fronte a lui, l'ispettore non sapeva più quali domande rivolgergli. Gli venne in mente a un tratto l'idea delirante che Milvey e Joy Williams potessero essere stati amanti. Ma no, era un'ipotesi pazzesca... il grasso, ot-
tuso Milvey e la sciatta Joy! E se Milvey fosse stato coinvolto nella morte di Williams, perché mai avrebbe denunciato la scoperta dell'arma che era servita per ucciderlo? Si ritrovò a dire: «Vi renderete conto anche voi, signor Milvey, che la vostra posizione in tutta questa storia lascia molto perplessi. L'uomo che è stato ucciso abitava a pochi passi da voi e siete stato voi a trovare prima la valigetta poi un coltello che con ogni probabilità è l'arma del delitto.» «Be', qualcuno doveva pure trovarli, prima o poi» ribatté Milvey, che parve non afferrare il sottinteso. «A Kingsmarkham vivono all'incirca settantottomila persone.» Milvey fissò l'ispettore con ottusità bovina. «La prossima volta che mi capita di trovare qualcosa che potrebbe interessare la polizia, mi guarderò bene dal parlarne» esclamò poi con espressione truce. Mentre al laboratorio si confrontavano le misure del coltello con quelle delle ferite riscontrate sul cadavere di Williams, Martin e Bennett indagarono sulla sua provenienza. Coltelli di quel tipo si vendevano in trentanove negozi e magazzini della zona, ma soltanto da Jickie trovarono la stessa marca francese. «È vero, Wendy Williams lavora là» osservò Wexford, parlandone con Burden «ma chi non va a fare acquisti da Jickie? Ci andiamo anche noi. E anche voi. Martin ha provato a chiedere al personale del reparto se ricordavano qualcuno che avesse acquistato di recente uno di quei coltelli, ma nessuno ha saputo dire niente, naturalmente. Inoltre, non è detto che il coltello sia stato comprato appositamente per ammazzare Williams. Anzi, è probabile il contrario.» Wexford decise di fare un altro sopralluogo al magazzino di Ovington. Li ricevette Ovington padre che a tutta prima cercò di opporsi a nuove ricerche con la scusa del lavoro pressante. Si arrese, brontolando, quando l'ispettore gli fece notare che si sarebbe potuto accusarlo di ostruzionismo. Spostandosi da uno scaffale all'altro, Wexford esaminò i cartellini legati alle diverse macchine. «Usate sempre questo sistema di etichettatura?» «Perché, cos'ha di sbagliato?» «Non dico questo, ma mi sembra che non sia troppo preciso. Questo, a esempio. Che cosa significa "P. e L."?» «Porter e Lamb» grugnì Ovington. «E come sapete che significa Porter e Lamb e non, a esempio, Payne e Lovell, il negozio di ferramenta di High Street?»
«Payne e Lovell non sono nostri clienti.» «Forse non mi sono spiegato. Con questo sistema delle iniziali, mi sembra facile incorrere in qualche errore. "H. Finch" mi sembra un sistema un po' sbrigativo per indicare proprio la scuola. Supponiamo che abbiate un cliente che si chiama Henry Finch. Sarebbe facile fare confusione con la Haldon Finch, non vi pare?» «Non abbiamo un cliente che si chiama Henry Finch.» «Ma qualcuno che si chiama Finch lo avete?» domandò bruscamente Burden. «Può darsi.» La tipica risposta del testimone reticente, che non può dire no e non vuole compromettersi con un sì, pensò Wexford. «Vorreste controllare, per favore?» «Non Henry, in ogni caso» mormorò Ovington. «Una signora. Il cui nome non comincia per H.» «State facendoci perdere tempo, signor Ovington.» Ci si divertiva, lui. «Le abbiamo riparato una Remington non molto tempo fa. Ma non una 315, comunque. Posso guardare sul registro.» «Forse è proprio andata così» osservò Wexford quando lui e Burden rimasero soli per qualche momento. «Potrebbero avere fatto confusione coi cartellini e rimandato alla signora Finch una macchina non sua.» «Se ne sarebbe accorta di sicuro, no?» «Potrebbe non averla ancora usata.» Wexford prese a esaminare i cartellini di tutte le macchine allineate sul ripiano più vicino. P. e L., E. Ten., TML, HBSS, H. Finch, J. St. G., M. Br... Dopo qualche minuto, Ovington tornò con un registro. «Ecco qui, la signorina J. Finch, Bodmin Road 22, Pomfret. Ha ritirato lei stessa la sua macchina il ventisei luglio.» 26 luglio. Il giorno in cui erano state ritirate e portate lì le macchine della Haldon Finch, rifletté l'ispettore. Poteva significare qualcosa? Né lui né Burden chiesero dove fosse Bodmin Road, ma Burden osservò: «Sapete una cosa? Wendy Williams abita in Liskeard Avenue e Liskeard è un posto in Cornovaglia mentre Bodmin è la sede della contea di Cornovaglia. Le due strade potrebbero essere vicine.» E lo erano. Liskeard Avenue era una trasversale di Bodmin Road e al primo piano del numero ventidue, un piccolo fabbricato di quattro appartamenti in tutto, abitava, stando alle targhette dei campanelli, una signora
Joan B. Finch. Non la trovarono in casa, tuttavia, né quel pomeriggio né la sera alle sette quando fecero un secondo tentativo. Wexford era tornato a casa da un'ora quando gli telefonarono per avvertirlo che era stato accoltellato un quarto uomo. Si era trattato di una ferita leggera a un braccio perché la vittima si era messa a gridare, facendo accorrere un'autopattuglia con due agenti a bordo, in sosta nelle vicinanze. Era accaduto alle sei di sera, quando cominciava a far buio. L'uomo giaceva di traverso in un vialetto del parco e mentre gli agenti erano chini su di lui, da dietro gli alberi era emersa una ragazza che aveva teso loro un temperino insanguinato, dichiarando di chiamarsi Edwina Klein. 15 Tutta l'ARRIA era pronta ad affrontare lo scontro. Le ragazze erano presenti in forze nell'aula del tribunale della Corte dei Magistrati: Wexford non l'aveva mai vista tanto affollata. C'erano Caroline Peters e Sara Williams, la rossa Nicole Anerley, Jane Gardner e le gemelle Freeborn, Helen Blake e Donella, la piccola negra, la tennista bruna con gli occhiali e quella senza occhiali. Quel caso rappresentava la prova del fuoco. Wexford lo aveva già previsto prima ancora di parlare con Edwina Klein. La ragazza non era stata un vero e proprio "agente provocatore". Sarebbe un mondo ben triste quello in cui viviamo se si fosse potuta definire così una donna soltanto perché passeggiava da sola, all'imbrunire, in un viale del parco. Ma stava di fatto che Edwina lo aveva fatto deliberatamente, una sera dopo l'altra, fino da quando era tornata da Oxford alla fine di giugno, aspettando di essere aggredita. Era stata franca e sincera con l'ispettore, senza nascondere nulla, anzi ammettendo persino di essere stata lei ad aggredire Wheatley, mentre si trovava a casa per un fine settimana. Per questo Wexford aveva deciso di non opporsi alla libertà su cauzione. Edwina gli aveva promesso che avrebbe parlato di nuovo con lui, apertamente, e lui, con una fiducia che avrebbe fatto rizzare i capelli in testa al sovrintendente, le aveva creduto. Fondatrice dell'ARRIA insieme con Caroline Peters, Edwina era una ragazza esile di media statura, dotata di un'intelligenza acuta, era una pioniera, una martire. Per l'udienza si era vestita interamente di nero: pantaloni neri, maglione a collo alto nero, un fazzolettone nero che le nascondeva i capelli. Tutta nera come un corvo. L'unica piccola nota di colore era il piccolo distintivo arancione dell'ARRIA appuntato sul petto.
Che cosa si aspettavano quelle ragazze? Una sorta di processo a Giovanna d'Arco? Nessuna aveva la minima idea della procedura di quella corte, tutte sembrarono incredule quando l'udienza si concluse, dopo cinque minuti, col rinvio di Edwina alla Corte della Corona con l'accusa di ferimento volontario e con il susseguente rilascio su cauzione di mille sterline per sé e di altrettante per l'anziana signora che l'accompagnava, una prozia che, non essendo abbastanza vecchia per essere stata una suffragetta, aveva tutta l'aria di rimpiangere amaramente la bella occasione perduta. Il contingente dell'ARRIA uscì con un mormorio risentito, Helen Blake e Amy Freeborn ripresero il vessillo arancione con la donna-corvo che avevano dovuto lasciare fuori e il gruppo divenne un corteo che sfilò cantando "Vinceremo, un giorno vinceremo" fino a High Street. Joan Finch aveva sessantacinque anni, o forse più. Lì fece accomodare nella stanzetta dove lavorava, poco più grande di un ripostiglio, e mostrò loro la macchina per scrivere, una grossa Remington vecchia almeno quanto lei. Sì, disse, l'aveva ritirata personalmente al Pomfret Office Equipment il 26 luglio ed era proprio la sua, senza alcuna possibilità di dubbio. Comunque, non era una 315 e non era portatile. Ma la signorina Finch insistette ugualmente per battere un campione di scrittura che risultò perfetto in ogni lettera. Pranzarono in un piccolo ristorante lì nei pressi, poi tornarono in ufficio dove Wexford aveva appuntamento con Edwina Klein. La ragazza era già là ad aspettarlo, con la prozia, e l'ispettore, nonostante la fiducia che aveva nutrito, emise un sospiro di sollievo nel constatare che aveva mantenuto la parola. La presenza dell'anziana signora in funzione di chaperon sorprese l'ispettore, che considerava Edwina come la personificazione dell'indipendenza, della sicurezza di sé. «Sono anche il suo avvocato, oltre che sua zia.» «Capisco, ma questo non sarà un interrogatorio. Sarà soltanto una chiacchierata sui vari aspetti di questo caso.» «È quello che dicono tutti» ribatté la signora, che si chiamava Pearl Kaufmann. Indossava un abito di seta blu e sandali bianchi un po' tozzi che le ingrossavano i piedi. Edwina era ancora in nero come la mattina, ma invece del maglione a collo alto portava una maglietta nera a girocollo e senza maniche, più adat-
ta alla temperatura della giornata, sempre col distintivo dell'ARRIA appuntato sul petto. Grandi occhiali da sole trasformavano il suo viso in una maschera inespressiva. «Mi aveva trattata esattamente come se fossi una prostituta» gli aveva detto durante il loro primo colloquio. Non portava occhiali da sole, allora, e i suoi occhi brillavano di sdegno. «Non che vi sia qualcosa di male nel fare la prostituta. Niente da dire se lo siete in realtà. Ma gli uomini hanno una certa maniera di pensare...» «Non tutti.» «La maggior parte. Non mi ha nemmeno rivolto la parola. Ho cercato di farlo io. Gli ho chiesto che cosa faceva e dove abitava, e lui si è messo a ridere, come se avessi fatto una domanda cretina.» «Perché gli avete chiesto un passaggio? Per provocare proprio la situazione che si è verificata?» «No, quella volta no. Ammetto di averlo fatto proprio ieri sera, ma con quello là no. Avevo avuto un passaggio da Londra a Kingsmarkham da un tale che non poteva portarmi oltre. È stato proprio in conseguenza del fatto di quella sera che poi ho deciso di andare a passeggiare nel parco per vedere che cosa sarebbe accaduto.» «Volete raccontarmi esattamente come sono andati i fatti a bordo di quell'automobile?» «Quell'uomo ha fermato l'automobile in una stradina laterale. Poi ha parlato. Mi ha detto: "Vieni, andiamo nel bosco". Non ho capito che cosa intendesse, dovete credermi; ma sapete che cosa ha pensato lui? Che volessi essere pagata in anticipo! Allora ha chiesto: "Bastano dieci sterline?" poi ha allungato le mani.» Edwina si posò una mano sul seno. «Mi ha toccata qui. Come se fosse un tappo o un interruttore. Non ha cercato di abbracciarmi né di baciarmi. Si offriva soltanto di pagarmi e di toccarmi. Così io gli ho conficcato il temperino nella mano.» Non era presente la zia né c'erano gli occhiali neri a nascondere l'espressione del suo viso quando gliene aveva parlato per la prima volta. Ora Edwina sembrava più pacata, meno indignata. Frutto dell'esperienza fatta in tribunale? Aspettò docilmente di essere interrogata, mentre sua zia fissava con simulato interesse la carta geografica appesa alle spalle di Wexford. «Avete accoltellato qualcun altro?» domandò bruscamente l'ispettore, sapendo che quella domanda avrebbe sollevato un'obiezione. Edwina scosse la testa. «Non terremo conto di ciò che avete detto, ispettore» rispose la zia.
«Dimentichiamolo.» «Come volete. Quando la polizia si serve di un agente provocatore, ad esempio una donna poliziotto che siede in un cinematografo frequentato da qualcuno sospettato di infastidire le donne, il pubblico, particolarmente i seguaci della vostra professione di fede, insorge in armi. Manda alte grida indignate se un giovane poliziotto si serve di proposito di una toeletta pubblica notoriamente frequentata da omosessuali. In altre parole, non è giusto che la polizia agisca a questo modo nell'interesse della giustizia, ma è giusto che voi lo facciate unicamente nell'interesse dei vostri principi. C'è un termine piuttosto severo per definire ciò che avete fatto voi, non vi pare?» «Adescamento» rispose calma Edwina. La zia non batté ciglio. «Io non ho adescato nessuno. Non ho fatto altro che andare a passeggiare fra gli alberi. Non ero nemmeno vestita in maniera provocante.» Lo disse in tono sprezzante, alzando orgogliosamente la testa. «Non lo farei mai. Ero in jeans e giubbotto. Non uso nemmeno un filo di trucco. L'unica mia provocazione è stata quella di essere là e di essere una donna.» «Quello che mia nipote intende dire» aggiunse seccamente la signorina Kaufmann «è che a una donna non è possibile andare impunemente in certi posti. È quanto intendeva provare e l'ha provato.» Wexford non ribatté. Si rendeva conto che le loro argomentazioni rispecchiavano esattamente la realtà e che quello era un esempio di quei casi in cui un poliziotto capisce che gli argomenti del suo antagonista sono più giusti dei suoi, ma ciononostante è costretto ad attenersi a questi. Le donne avrebbero dovuto imparare le tecniche dell'autodifesa, se desideravano uscire sole la sera, questo sembrava un dato incontrovertibile. L'alternativa era che cambiassero la natura degli uomini e questo sarebbe potuto accadere soltanto con estrema lentezza, nel corso dei secoli, e non di pochi anni o decenni. Scribacchiò alcune frasi inutili su un foglio di carta, tanto per far passare trenta secondi e mettere a tacere per qualche momento le due visitatrici. Finalmente rialzò la testa e guardò Edwina che si era tolta gli occhiali, apparendo a un tratto più giovane e nervosa. «Conoscete i Williams, suppongo?» Lei si aspettava quella domanda. Intuiva che era quello il vero scopo di quel colloquio. Ma fu lei a sorprendere Wexford con la propria risposta. «Quali Williams? Sono due le famiglie che si chiamano così, no?» «Ce ne saranno anche duecento nella zona, per quello che ne so» ribatté seccamente l'ispettore. «È un nome molto comune. Parlo dei Williams che abitano in Alverbury Road, qui a Kingsmarkham. La ragazza si chiama Sa-
ra, c'era anche lei in tribunale stamattina. La conoscete, penso.» «Sì, frequentavamo la stessa scuola. Lei ha un anno meno di me.» «E Rodney Williams, suo padre, lo conoscevate?» Edwina fu pronta a rispondere, nonostante l'occhiata ammonitrice della zia. «Sì, tanto lui quanto sua moglie. Sara e io eravamo insieme a scuola di danza e i genitori venivano sempre a prenderla, l'uno o l'altro. Lui me lo ricordo perché era il solo padre che venisse a prendere la figlia. A volte assisteva anche alla lezione.» A guardare le ragazzine in tutù, pensò Wexford. O più probabilmente in calzamaglia, come usava ora. «Mi avete chiesto quale delle due famiglie intendessi» disse. «L'altra la conosco appena.» Edwina alzò le spalle. «Veronica è identica a Sara.» I nervi dell'ispettore tintinnarono. Poteva essere lei il trait d'union fra le due famiglie. Era la sola, fra tutti quelli con cui aveva parlato, che le conoscesse, o che ammettesse di conoscerle, entrambe. «Allora sapevate che erano sorellastre? Sapevate che Williams era il loro padre?» «Oh no! No. Forse pensavo... Be', no, non ci ho mai pensato. Non potrebbero essere cugine?» «Quando avete visto per l'ultima volta Rodney Williams?» «Anni fa.» Edwina cominciava a sentirsi un po' intimorita, ora. A che cosa miravano tutte quelle domande? «Non lo vedo da anni.» «Allora come mai conoscete Veronica?» Nessuna esitazione. «Giocavo a tennis contro di lei. Quando andavo ancora a scuola.» «Ma ha tre anni meno di voi.» «Certo. Era una sorta di bambina prodigio. Era avanti di un anno, a scuola.» Tutto ragionevolissimo, più che plausibile. Edwina era a Oxford, quando era stato ucciso Williams. Glielo aveva già detto la sera precedente e gli aveva anche dato alcuni nominativi per controllare la sua asserzione. Burden era per l'appunto andato a Oxford per farlo, anche se Wexford era certo che la ragazza non gli aveva mentito. «Dunque conoscevate entrambe le famiglie» riprese «ma non sapevate che fossero, per cosi dire, una famiglia sola? Non sapevate che Rodney Williams era il padre di Veronica quanto di Sara e Kevin?» Wexford decise di essere completamente franco. «Nessuno di loro sapeva dell'esistenza
dell'altra famiglia. I Williams di Pomfret non sapevano niente di quelli di Kingsmarkham e viceversa. Fino ad alcune settimane dopo la morte di Rodney. Dunque, se voi conoscevate questi e quelli, dovete anche avere saputo che Rodney Williams era un bigamo, o quanto meno un uomo sposato che manteneva due case. E se lo sapevate, chi ve lo ha detto?» «Non lo sapevo affatto.» La fredda, recisa negazione lo deluse. Gli era sembrato che stesse per aprirsi uno spiraglio. Ma lei mise fine a quella speranza. «Non sapevo niente. Ho detto di avere notato che si assomigliavano e ricordo di avere detto una volta a mia zia che dovevano essere cugine.» Edwina guardò la signorina Kaufmann che annuì precipitosamente. «Non ho mai scambiato più di qualche parola con Veronica. Quanto alla signora Williams, quella vera, l'ho vista più di una volta ma lei non sa nemmeno chi sono. E per quanto riguarda quell'altra, ero soltanto una cliente.» Wexford non aveva altro da chiederle. Aveva ferito Brian Wheatley e Peter John Hyde, l'ultimo della serie, ma sicuramente non aveva ucciso Williams. Se era stata una donna a ucciderlo, avrebbe avuto bisogno di qualcuno che le desse una mano. «Questo è tutto. Grazie, signorina Klein.» Lei si alzò e si avviò con grazia alla porta, tenendosi eretta ma col capo leggermente chino. Zia e nipote avevano la stessa figura, lo stesso portamento benché una avesse cinquant'anni più dell'altra. Che ne sarebbe stato di Edwina Klein? Sarebbe stata sicuramente riconosciuta colpevole. L'avrebbero ripresa al college? O il suo avvenire era irreparabilmente rovinato? E lei lo aveva gettato al vento per amore di una causa persa? Davanti alla porta, prima che lui l'aprisse, la ragazza disse: «Avete affermato che i Williams di Pomfret e quelli di Kingsmarkham non sapevano niente gli uni degli altri. Ma, tanto per mettere le cose a posto, non è vero.» Wexford si sentì a un tratto la gola secca per l'eccitazione. «Che cosa intendete dire?» «Quello che ho detto. Si conoscevano benissimo.» Lui tolse la mano dalla maniglia e si appoggiò contro il battente come a impedirle di uscire. Ma Edwina si tratteneva lì volontariamente, con aria un po' perplessa, accanto alla zia annoiata ma paziente. «Come lo sapete?» «Perché le ho viste assieme.» Il sollievo lo inondò come fosse sudore. Gli diede le vertigini. La ragaz-
za si rese conto di avere fatto una rivelazione inattesa e sul suo viso apparve un'espressione di attenta curiosità. «Chi avete visto?» «Quelle due donne. Al Precinct Café di Kingsmarkham, prendevano un caffè assieme.» «Quando? Lo ricordate?» Se fosse stato una settimana o anche un mese prima, l'informazione non avrebbe significato niente. «Il Natale scorso, credo. Doveva essere Natale o Pasqua perché io ero a casa. All'infuori di quel famoso fine settimana quando ho chiesto un passaggio a quel Wheatley. E non è stato allora e nemmeno a Pasqua che le ho viste. C'era la neve per le strade.» «È nevicato la prima settimana di gennaio» precisò la signorina Kaufmann, desiderosa di essere d'aiuto ora che la nipote non era minacciata. «Dev'essere stato allora, dunque» disse Edwina. Sorrise, come se fosse soddisfatta di essere stata utile, e Wexford fu certo che aveva detto la verità. 16 Aprendo il cancello del numero 31 di Alverbury Road, Wexford incrociò il portalettere che usciva con un grosso pacco di corrispondenza legato con una fascetta di gomma. L'uomo non entrò al numero 29. Proseguì direttamente per la villetta successiva, quella di Milvey e, osservandolo, Wexford comprese a un tratto come lo stesso Milvey entrasse nel caso. Non si trattava di una coincidenza, era tutto semplice e naturale, soltanto che lui aveva messo il carro davanti ai buoi... Suonò il campanello e la porta fu immediatamente aperta da Sara, come se la ragazza fosse stata lì ad aspettare. Sventolò un foglio. «Promossa col massimo dei voti!» esclamò con un sorriso trionfante, quasi che lui fosse venuto lì col solo proposito di conoscere il risultato dei suoi esami. «Congratulazioni! Dov'è vostra madre?» «Il posto al St. Biddulph's è assicurato! Voglio telefonare a mia cugina Paulette per sapere com'è andata a lei!» Wexford stava per ripetere la sua domanda quando Joy uscì dalla cucina, vestita come non l'aveva mai vista prima. Benché lui non le avesse detto niente, forse aveva intuito che si sarebbe incontrata di nuovo con Wendy.
O glielo aveva detto la sera precedente la stessa Wendy? Non ne sarebbe stato sorpreso. In fondo non gli sarebbe dispiaciuto se le due donne avessero scoperto che lui era al corrente dei loro rapporti. Joy indossava gonna e camicetta linde e ben stirate, si era lavata i capelli e ritoccata le labbra col rossetto, con qualche sbavatura, come accade alle donne che lo usano di rado. Forse si vestiva sempre con cura particolare per incontrarsi con Wendy. Forse c'era rivalità fra loro, anche se le accomunava l'odio per Williams. E del resto, un'alleanza non significava necessariamente che esistesse una reciproca simpatia... Wendy arrivò accompagnata dal sergente Martin e da Polly Davies. La sera prima aveva protestato aspramente per essere costretta a perdere una giornata di lavoro, ma non le era venuto in mente - come non era venuto in mente a Joy - che avrebbe potuto rifiutarsi, che la polizia non era ancora in condizioni di imporre, ma soltanto di chiedere la loro collaborazione. Non avevano la fortuna di avere una zia-avvocato. La prima signora Williams era già seduta nella stanza dei colloqui quando Wendy entrò, col viso inespressivo e gli occhi bruni fissi sulla finestra alle spalle di Joy. Indossava un elegante abito a fiori, ornato di volantini arricciati al collo e alle maniche, e scarpe bianche. Quando Martin e Polly erano andati a prenderla (raccontò poi Polly a Wexford), aveva abbracciato freneticamente Veronica, piangendo e singhiozzando, come se temesse di non rivederla mai più. Sembrava Maria Antonietta che andava al patibolo, aveva commentato Polly, appassionata di letture romantiche. Di tutta quella scena, ora non le restava altro che un lieve gonfiore agli occhi. «Quale di voi due ha scoperto per prima l'esistenza dell'altra?» domandò Wexford. «Non capisco. Come sarebbe a dire?» disse Wendy. «Mi spiegherò meglio. Quando avete scoperto che Rodney aveva già una moglie? E voi, signora Williams, quando avete saputo che vostro marito si era "sposato" con un'altra donna?» Wexford aveva sottolineato con la voce il participio passato: sposato. «Allora? So che non siete state sincere con me. So che vi conoscevate. Il punto è: quando vi siete conosciute?» «Io non ho mai saputo della sua esistenza finché non me ne avete parlato voi» disse Joy con la sua solita voce spenta. «Quando mi avete detto che oltre a tutto il resto era anche bigamo.» «Che significa "tutto il resto", signora Williams?»
«Tanto per dirne una, il fatto di avermi mentito a proposito del suo lavoro.» Wendy mormorò qualcosa. «Prego, signora, non ho capito!» «Ho detto: "e quello di avere altre donne". Era questo "il resto". Le altre donne.» «Non ha mai avuto altre donne» disse Joy. Non si rivolgeva a Wendy, ma a Wexford. «A parte lei, non ne aveva altre.» «Che si illuda pure, se vuole» replicò Wendy alzando le spalle, senza rivolgersi a nessuno in particolare. «Quando vi siete conosciute, signora Williams?» L'ispettore si rese conto che la situazione stava diventando grottesca. Erano tutt'e due la "signora Williams". Si alzò e girò attorno alla scrivania per avvicinarsi a Wendy, mentre Joy si ribellava: «Non dovete chiamarla così! Lei non ha alcun diritto a questo nome! È soltanto la signorina Non-so-cosa, dovete chiamarla col suo nome!» «Maniere da pescivendola» mormorò Wendy. «Una donna così volgare! Nessuna meraviglia che si sia rifugiato da me!» «Una puttanella da quattro soldi! Ma guardatela, vestita come una ragazzina!» Recitano, pensò Wexford, è soltanto una messinscena a mio uso e consumo, forse hanno fatto persino le prove! E richiamò pacatamente all'ordine le due donne. William Milvey era rimasto a casa, nel suo ufficio, ad aspettare Burden. C'era con lui la moglie, una donna robusta e cordiale, che presentò subito all'ispettore. «Mia moglie divide con me i compiti di direttore della ditta» spiegò con una certa importanza. «E naturalmente è al corrente di tutto, esattamente come me.» «Devo sempre sapere dov'è mio marito, per il caso che lo cerchi qualcuno» aggiunse lei in tono un po' più modesto. «Il quindici aprile? Posso controllare sul registro, vero, Bill?» La signora Milvey prese un registro e ne sfogliò le pagine. «Ecco qui. Da Pasqua fino alla fine di aprile hanno lavorato lungo la strada di Myringham. Al Green Pond hanno cominciato soltanto un mese più tardi.» «Siete certa?» «Certissima. È scritto qui. Trentun maggio, Green Pond. Lo ricordo be-
nissimo, ora. Per la fine di maggio, Bill aveva in programma un importante lavoro di drenaggio a Sewingbury, ma all'ultimo momento il cliente lo annullò, così poté anticipare il lavoro al Green Pond che doveva essere fatto più tardi.» «Ne avete parlato con qualcuno, di questo fatto?» «Può darsi. Si dicono tante cose. E questa non era certo un segreto, non vi pare? Ma volete sapere se ne ho parlato con la nostra vicina, la signora Williams?» «Sì.» «Non sapevo ancora niente di suo marito, allora. L'incontrai uscendo per la spesa, mentre Bill portava fuori il furgone, e mi venne spontaneo di dire che il lunedì sarebbe andato a lavorare a Green Pond Hall.» «Avete proprio precisato che il lunedì trentun maggio vostro marito avrebbe dragato lo stagno?» «Non mi sembrava che ci fosse nulla di male!» No? Wexford non l'aveva azzeccata completamente con la sua supposizione, cioè che la signora Milvey aveva detto a Joy che lo stagno era già stato dragato o che lo sarebbe stato soltanto molto più tardi. Ma questo dava un diverso - e incomprensibile - aspetto alle cose. Se Joy aveva saputo che il Green Pond, lo stagno dove aveva gettato la valigetta del marito, sarebbe stato dragato il lunedì seguente, come mai non l'aveva recuperata durante il fine settimana? Una possibile alternativa era che invece l'avesse nascosta da qualche altra parte e l'avesse gettata nel Green Pond soltanto quando aveva saputo che esso sarebbe stato dragato immediatamente. Ma perché avrebbe agito a quel modo, perché si sarebbe comportata in maniera così assurda? E quella fu la prima supposizione di Wexford che andò a monte. Burden stava andando a controllare la seconda. Secondo la sua opinione e nonostante la rivelazione di Edwina Klein, a lui non sembrava che si fossero avvicinati alla soluzione. E la settimana seguente, lui avrebbe dovuto prendere una licenza perché il parto era imminente. Ovington figlio era solo alla Pomfret Office Equipment. Per fortuna: Accolse Burden con un sorriso più accattivante che mai. «In che cosa posso esservi utile? Ditemi che cosa devo fare.» «Avete un metodo particolare per contrassegnare le macchine, qui» rispose l'ispettore. «Non proprio un codice, ma una sorta di sistema stenografico, direi. Quando siamo stati qui abbiamo notato una macchina contrassegnata con "E. Ten" e ci siamo chiesti che cosa significasse. Non era
una Remington 315, naturalmente, altrimenti le saremmo saltati sopra. Perciò il mio, ora, è per così dire uno sparo nel buio, non so bene nemmeno io che cosa sto cercando.» «Se volete sapere che cosa significa "E. Ten" vi accontento subito.» Tuttavia, Ovington ebbe un attimo di esitazione che indusse Burden a chiedersi che cosa fosse l'ombra di disagio apparsa per un attimo sul suo viso. «Significa Eric Tennyson, tutto qui.» Secondo colpo di fortuna. «Tennyson... Sapete se ha una figlia che si chiama Nicola?» «Sì, infatti.» L'amica di Veronica Williams, dalla quale lei andava regolarmente il giovedì. Ma la macchina col cartellino "E. Ten" non era una Remington 315. A meno che... «Una Olivetti» disse Ovington. «Ma ne hanno un'altra, non ricordo di che marca. La signora fa la dattilografa di professione, sì, intendo... ha una sorta di copisteria.» Di nuovo quell'espressione di disagio. «Be', tanto vale che ve lo dica» proruppe alla fine Ovington, come se fosse sul punto di togliersi dal petto un peso che l'opprimeva da tempo. «I Tennyson sono miei amici. Sapevo che avrei dovuto dirvelo quando siete stati qui l'altra volta.» «Be', non c'è niente di male in questo, no?» «No, ma... Il fatto è che sono amici anche della signora Williams, la moglie del Williams che è stato ucciso. Quella sulla quale state facendo indagini. Io... io l'ho conosciuta là, dai Tennyson.» «State cercando di confessarmi qualcosa, signor Ovington?» Il sorriso un po' ebete, una contrazione dei muscoli facciali trasformarono il suo viso in una maschera da doccione. Si torse le mani, poi le intrecciò dietro la schiena per evitare di ripetere il gesto. La luce delle lampade che pendevano dal soffitto piuttosto basso nel capannone traeva riflessi giallastri dal cranio spoglio del giovane. Perché si paragona sempre a un uovo la testa dei calvi? Quella di Ovington sembrava piuttosto un grosso ciottolo levigato. «Che cosa state cercando di dirmi, signor Ovington?» «Be', sono molto amico della signora Williams. Ma senza niente di male, sia ben chiaro. L'ho conosciuta a casa di Eric e siamo usciti qualche volta insieme, per andare a bere qualcosa, a fare una passeggiata, cose del genere. Poi, quando è sembrato che suo marito avesse finalmente... be', se ne fosse andato per sempre, io... io ho sperato che il nostro rapporto potesse diventare più serio.» Parlava a scatti, incerto, palesemente incapace di do-
minare la situazione nella quale si era cacciato. «Ma non c'è mai stato niente di male fra noi, ci tengo a precisarlo.» Burden pensò scioccamente che Wendy Williams doveva sentirsi attratta dai calvi: prima Rodney con quella sua fronte eccessiva, nuda come una mela, poi quest'altra testa a forma di ciottolo. «Però ho pensato che a questo punto sarebbe stato sleale da parte mia negare i miei rapporti con lei» aggiunse il giovanotto con una sorta di ansia. «Un po' come abbandonare una nave quando si vedono scappare i topi, non so se mi spiego.» Burden afferrò il concetto e pensò alla gioia che avrebbe ricavato Wexford da quella nobile metafora. E ora dai Tennyson. Mezz'ora dopo era nella loro casa situata dalle parti della Haldon Finch. Nicola era a un campeggio in Scozia fino alla fine del mese, gli disse la signora Tennyson, ma se poteva essergli utile lei... Sì, suo marito era andato a riprendere la Olivetti alla Pomfret Office Equipment tre giorni prima. Sì, lei aveva un'altra piccola portatile che usava quando la Olivetti era fuori per una riparazione o per la revisione annuale. E gliela mostrò. Una Remington 315. Burden infilò sotto il rullo il foglio che la signora gli porse e batté qualche riga... Un difetto all'apice dell'A maiuscola, all'asta della t minuscola e una irregolarità alla testa della virgola... «Non l'ho mai vista in vita mia finché non ci siamo incontrate qui.» Wendy. Joy non aprì bocca. «Io dico invece che vi conoscevate da tempo. Secondo me le cose sono andate a questo modo: un giorno la signora Joy è venuta a fare spese da Jickie e chiacchierando con lei voi avete scoperto chi era. Questo accadeva circa un anno fa e da allora siete sempre rimaste in contatto.» Joy uscì in un'altra delle sue risatine stridenti che somigliava al gracchiare di un uccello. «Ma se l'avessi conosciuta, perché dovrei fingere il contrario?» insistette Wendy. Fu Joy a offrire la risposta. Senza rivolgersi direttamente a Wendy, della quale finora non aveva riconosciuto l'esistenza se non per ingiuriarla, fece la sua prima osservazione non ostile all'altra signora Williams. «Perché lui pensa che se noi due ci conoscevamo, potremmo avere ucciso insieme Rod.» «Per conto mio, avrei ucciso piuttosto lei» mormorò Wendy a mezza vo-
ce. Si era appena scoperta una smagliatura che le scorreva su per la gamba destra come un minuscolo millepiedi. La notò anche Joy e i suoi occhi si fissarono su quel punto mentre le sue labbra si socchiudevano in una lieve smorfia, pallido sembiante di un sorriso. Stavolta Wexford guardò lei. «La mattina di venerdì sedici aprile qualcuno, una donna, telefonò alla Sevensmith Harding per avvertire che Rodney Williams era ammalato e non sarebbe andato in ufficio. E la telefonista che ha risposto non ha dubbi che la voce fosse la vostra, signora Williams.» «Non può conoscere la mia voce, chiunque sia. Io non sapevo nemmeno che Rod lavorasse in quell'ufficio, l'avete dimenticato?» Si aprì la porta e Burden mise dentro la testa, facendo un cenno a Wexford che si alzò e lo raggiunse fuori, lasciando le due signore Williams con le due donne-poliziotto. Burden aveva mandato al laboratorio il nuovo campione di scrittura e ora riferì in breve al capo la conversazione avuta con la signora Tennyson. La signora non aveva battuto alcuna lettera di dimissioni e nessuno le aveva chiesto di farlo. Wendy Williams la conosceva da anni, ma i suoi rapporti con Rodney erano sempre stati molto superficiali. Le loro figlie, invece, che avevano la stessa età e frequentavano la stessa scuola, erano "amiche per la pelle". «Potrebbe averla scritta Wendy, quella lettera?» domandò Wexford. «Voglio dire, avrebbe potuto usare quella macchina? Se l'omicidio è stato premeditato, e ha tutta l'aria di esserlo stato, potrebbe averla scritta giorni o anche settimane prima.» «La signora Tennyson ha una stanza che usa come ufficio e si chiude là dentro a scrivere a macchina per tre o quattro ore al giorno. Di solito usa la Olivetti. La Remington non la tiene neppure là. Di solito sta in un armadio nell'ingresso, a meno che non ne abbiano bisogno il signor Tennyson per i suoi affari o la loro figlia Nicola per battere qualche saggio scolastico. Pare che sia permesso farlo, alla Haldon Finch.» «Wendy è mai rimasta sola in quella casa?» «Un giorno ai primi di aprile vi andò a prendere Veronica, ma le due ragazze erano ancora fuori e la signora Tennyson, che stava battendo a macchina un lavoro urgente, la lasciò sola ad aspettare per una decina di minuti, finché non ebbe finito.» «Può darsi che Wendy sapesse dov'era la Remington e che avesse con sé qualche foglio di carta. Quale stratagemma migliore che usare una mac-
china per scrivere che normalmente se ne sta chiusa in un armadio?» Poi Burden riferì a Wexford il colloquio con Ovington. «Pensi che potrebbe essere un movente, Mike? Il problema è sempre questo: la mancanza di movente. Se Wendy desiderava sposare Ovington...» «E Joy, chi desiderava sposare?» «Sì, d'accordo, hai ragione. Se sono state loro, l'hanno fatto insieme e non è molto probabile che Joy desse una mano a uccidere Rodney perché Wendy potesse sposare un altro.» Wexford si batté ripetutamente un pugno sulla fronte. «Sciocco che sono! Non c'è nessun movente! Se Wendy sapeva di Joy, sapeva anche di non essere sposata legalmente con Rodney, perciò niente le avrebbe impedito di sposare un altro... E il coltello, quello che non riusciremo mai a provare al di là di ogni dubbio che è stato l'arma del delitto? Poteva essere di Joy o di Wendy.» «E Wendy lavora al Jickie, che vende proprio quel tipo di coltelli.» «Wendy ci lavora, ma la città intera ci va a fare spese.» Wexford rifletté un momento. «Tra gli oggetti e i documenti trovati in camera di Williams in Liskeard Avenue c'era il preventivo di una ditta per il rifacimento del soggiorno e quando siamo andati là, era infatti evidente che la stanza era stata rifatta di recente. Da quella ditta? O da qualcun altro? Dalla stessa Wendy? Sarà opportuno fare qualche indagine, non ti pare?» Burden lo guardò. Entrambi stavano pensando che Rodney Williams era stato ucciso a coltellate, una delle quali aveva reciso la carotide. «Sì, lo penso anch'io.» Era una di quelle giornate afose, pesanti, con un sole offuscato, come capitano soltanto sul finire di agosto. Per i pochi momenti durante i quali si erano trattenuti nell'ufficio di Burden, Wexford si era tolto la giacca. Ora se l'infilò di nuovo e scese nella stanza dei colloqui dov'erano rimaste ad aspettarlo le due signore Williams. 17 Sulla prima pagina di quasi tutta la stampa nazionale c'era la fotografia di Joy e Wendy che uscivano dalla stazione di polizia. Uno dei giornali, quello forse più incline a dare risalto alle notizie sensazionali di cronaca nera, era riuscito a dare l'impressione che non uscissero, ma entrassero nella stazione di polizia, generando nel lettore il sospetto (nemmeno troppo infondato) che non ne fossero più uscite. Joy si nascondeva il viso con una
mano mentre Wendy fissava pietosamente l'obiettivo, povera figuretta sperduta nel suo abito da ragazzina. Al loro fianco Burden, impassibile e distaccato nel suo vestito quasi nuovo. «Sembri giovane e bellissimo» osservò Jenny a colazione. «Ma tanto dimagrito!» Spostò la propria mole ingombrante, spingendo indietro la seggiola. «Sono le preoccupazioni.» «Eh sì, povero Mike!» Tese le braccia per stringere a sé il marito. Ormai poteva farlo soltanto se era seduta. Lui ricambiò la stretta. Forse tornerà tutto a posto, forse sopravviveremo. Uscì prima delle nove, immergendosi nell'aria soffocante e appiccicosa, sotto un cielo piatto e grigio col sole che era soltanto una macchia più luminosa. Il tipo di giornata, pensò, che si trovava soltanto in Inghilterra e che, moltiplicato per cinquanta, poteva costituire tutta un'estate. Quanti costruttori e imbianchini esistevano a Pomfret? E a Kingsmarkham? Non soltanto ditte ma anche operai singoli, che lavoravano nelle ore libere per arrotondare il salario? Che straordinaria fortuna se i Williams si fossero serviti della ditta che aveva fatto loro quel preventivo. Non passò prima dalla stazione di polizia, così non fu presente quando Hope Harmer telefonò per avvertire che sua figlia era scomparsa, che non era tornata a casa né la sera precedente né quella mattina. John Harper era nel dispensario a preparare alcune medicine. Si rifiutava di credere che a sua figlia fosse accaduto qualcosa. Non era più una bambina, sapeva badare a sé stessa e conosceva persino lo judo. La sua assenza probabilmente aveva qualcosa a che vedere con quell'idiozia del movimento della donna. Hope era venuta ad aiutarlo in negozio soltanto per le pressanti insistenze del marito e aveva telefonato da lì. A conclusione di una scena fra loro due, pensò Wexford. La signora Harmer era in uno stato pietoso. A lei si addiceva soltanto la felicità. Si accontentava di poco e la contentezza faceva risplendere il suo viso grassoccio e piacente. L'inquietudine agiva su di lei come su un animale. Aveva il viso tirato, i lineamenti rigidi e toglieva persino lucentezza ai suoi capelli insinuando cupe ombre di paura nei suoi occhi placidi. Wexford, ispettore capo, era venuto col sergente Martin, due gradi superiori della polizia per il caso di una ragazza che non era tornata a casa. Ma le circostanze alterano le prospettive.
«Mio marito mi rimprovera e mi chiede cos'altro posso aspettarmi quando la lascio uscire col suo ragazzo a tutte le ore e permetto che resti la notte a casa sua. Ormai lo fanno tutti, non si può proibirglielo. E poi sono fidanzati e io dico sempre che quando ci si vuole veramente bene...» Parlava tanto per parlare, ma a un tratto le mancò la voce. Prese a torcersi le mani. «Era uscita col fidanzato, ieri sera?» «No, lui è a Birmingham. Ci è andato per la sua ditta.» «Però è uscita. Dov'è andata?» «Non lo so. Non me l'ha detto. Se n'è andata senza dirmi niente verso le sette.» «Ma a voi non interessava sapere dove andava?» domandò Martin. «Non m'interessava! Certo che m'interessava. Se dipendesse soltanto da me, vorrei sapere dov'è in qualsiasi momento del giorno e della notte. Intendo dire che non gliel'ho chiesto, mi sono imposta di non farlo. Quando era più giovane, suo padre le diceva sempre: voglio sapere dove vai e con chi, potrai fare quello che vuoi quando avrai diciott'anni. Bene, adesso li ha e si ricorda quelle parole. Se le ricorda anche mio marito e mi impedisce di farle domande. E comunque Paulette non ci risponderebbe nemmeno.» Povera donna, così presa tra marito e figlia e, senza dubbio, vessata da entrambi... O forse era ben contenta che l'avessero liberata dal peso delle responsabilità? «E dopo che cos'è accaduto? L'avete aspettata?» «Avrei voluto. Sapevo che Richard era a Birmingham, capite? Ma John mi ha detto che non voleva vedermi diventare isterica e quando lui ha preso una compressa di sonnifero, ne ha fatta prendere una anche a me.» Certo, i sedativi dovevano essere sempre a portata di mano, dagli Harmer... «Poi, stamattina... Be', avevo lasciata aperta la porta della sua camera, prima di andare a letto. Così, se l'avessi vista chiusa, avrei saputo che era tornata. Ma stamattina era sempre aperta. È stato un tale colpo, quando... quando sono entrata a guardare, pensando che forse era tornata e non aveva chiuso la porta, e invece non c'era. John però non si è allarmato. Pare impossibile, ma non sono riuscita a fargli capire che se Richard è a Birmingham, Paulette non poteva essere con lui...» La signora Harmer scoppiò a piangere disperatamente. Martin andò a chiamare suo marito, che sembrò più che altro irritato e spazientito.
«È meglio che le dia un calmante, l'aiuterà a ritrovare l'equilibrio» osservò. «È meglio che faccia qualcos'altro, signor Harmer» ribatté Wexford. «La riporti a casa. Lasci perdere il negozio.» La Godwin & Sculp non aveva eseguito il lavoro a casa Williams, ma là sapevano chi lo aveva fatto. Un loro ex dipendente che si era poi messo in proprio, dissero a Burden, e non perdeva occasione per soffiare loro i clienti. Rintracciare Leslie Kitman fu meno semplice. Lui non aveva una moglie come la signora Milvey che sapesse sempre con esattezza scrupolosa dove si trovava. Aveva soltanto una madre che diede a Burden cinque indirizzi dove forse avrebbe potuto rintracciarlo, sparsi tra Pomfret, Kingsmarkham e Stowerton. Non c'era a nessuno dei cinque, ma a Stowerton gli dissero che, con un po' di fortuna, poteva forse essere in... Liskeard Avenue! E fu proprio là, a tre case da quella di Wendy, che Burden trovò finalmente Kitman, in cima a una scala, intento a verniciare all'esterno l'intelaiatura di una finestra. Quando, stando al piede della scala, Burden gli gridò chi era, Kitman si lanciò immediatamente in un profluvio di parole per spiegare come mai non avesse ancora rinnovato il bollo di circolazione. Alla fine, però, l'equivoco fu chiarito e Kitman scese rapidamente dalla scala, col pennello che gocciolava vernice bianca sul prato sottostante. La sera precedente, Wendy l'aveva trascorsa a letto, dove si era rifugiata, coi nervi a pezzi, subito dopo essere tornata dalla stazione di polizia. Veronica le aveva poi portato una cena frugale composta di tè con pane e burro. Anche Joy Williams era rimasta in casa con la figlia. Sotto lo stesso tetto ma in stanze diverse: Sara come al solito nella sua camera da letto e Joy in soggiorno a guardare la televisione. Sebbene fosse giovedì, Kevin non le aveva telefonato. Evidentemente, il giovanotto si sentiva impegnato a farlo soltanto quando era al college e non quando vagabondava qua e là in vacanza. Quelli furono gli alibi presentati a Wexford dalle due principali sospette. Richard, il fidanzato di Paulette Harmer, era tornato da Birmingham nel pomeriggio e aveva fornito all'ispettore un resoconto particolareggiato e in apparenza soddisfacente di ciò che aveva fatto la sera precedente. Ci avrebbe pensato la polizia di Birmingham a controllare. Alle sei, Paulette non era ancora ricomparsa e Wexford fu certo che non l'avrebbero mai più rivista viva. Lo sentiva. Tuttavia, non aveva dato ancora il via a eventuali
ricerche. Da dove avrebbero potuto cominciare? «Ho l'impressione» disse a Burden, che era lì seduto nel suo ufficio, «che sia stata Paulette a fornire il sedativo col quale è stato addormentato Williams. Per lei, era facile procurarselo. E mi sto chiedendo se dopo non si sia impaurita e non abbia detto a qualcuno, a Joy per esempio, che avrebbe confessato tutto prima che lo scoprissimo noi.» «C'è anche un'altra possibilità...» Burden s'interruppe senza precisare quale. Wexford guardava distrattamente fuori della finestra. Era l'ora di andare a casa, ma non ne aveva voglia. Il tempo, l'atmosfera, l'ora tarda sembravano grevi di aspettativa. Un lontano, incessante rombo di tuono era di per sé stesso una minaccia, il segno di una bufera imminente, ma sembrava contenere anche qualcosa di più, la premonizione di una tragedia. «Raccontami di Kitman, con tutti i particolari» disse l'ispettore a Burden, che gli aveva già riferito sommariamente il proprio colloquio con l'imbianchino. «Aveva cominciato a lavorare dai Williams il quattordici aprile. La stanza era tappezzata e ha dovuto faticare non poco per togliere la carta. Gli ci è voluto tutto il quattordici e il quindici. Il quindici sera, quando se ne è andato, non aveva ancora finito. La stanza non era stata sgombrata, ma lui aveva ricoperto ogni mobile con teli suoi. La mattina del venerdì sedici, quando è tornato al lavoro, alcuni teli erano stati rimossi e ripiegati. Questo probabilmente è accaduto anche al mattino precedente. Suppongo. Wendy e Veronica continuavano a usare quella stanza.» «Che cos'altro ha notato la mattina del venerdì?» «Noi vorremmo che avesse notato una bella macchia su una parete, vero? Una larga macchia di sangue? E magari altro sangue sui teli? No, niente di tutto questo, o quanto meno Kitman non notò niente. Tuttavia, le pareti erano molto in disordine, naturalmente, tutte a chiazze e macchie. Il mattino del giorno sedici ha cominciato a ricoprirle con una mano di intonaco. Una cosa però l'aveva notata e me lo ha detto senza che io dovessi interrogarlo. Era probabilmente una curiosità che lo assillava fino da quel giorno. Uno dei teli non era suo.» «Che cosa?» «Sì. Immaginavo che vi avrebbe fatto sobbalzare. Kitman si porta sempre appresso un certo numero di teli, vecchi lenzuoli, tende e persino una vecchia coperta di cotone. Secondo lui, quando se ne è andato, la sera del quindici, ha lasciato sette teli per coprire i mobili e parte del tappeto, al
mattino del sedici ha notato che tre erano stati tolti dai mobili e lasciati sul pavimento ripiegati. Sulle prime non ha dato alcuna importanza al fatto, ma poi si è accorto che uno dei teli non era suo. Era più nuovo e in condizioni migliori.» «Ne ha parlato a Wendy?» «Lui dice di sì. Il sabato. E lei gli ha risposto di non saperne niente. E del resto, a lui che cosa importava? Il numero dei teli era sempre lo stesso. Non si va alla polizia per dire che qualcuno ti ha portato via un vecchio lenzuolo e l'ha sostituito con uno meno vecchio. Però Kitman ha continuato a rimuginare su quel fatto. Intendete convocare di nuovo le signore Williams?» «Certo.» Era venerdì, l'ultimo venerdì del mese e l'ARRIA teneva le sue riunioni l'ultimo venerdì del mese, pensò Wexford. No, l'ultimo giovedì. Proprio l'ultimo giovedì del mese precedente lui era piombato in casa Freeborn nel momento in cui si stava sciogliendo una riunione. Prese il ricevitore e chiamò John Harmer. Il farmacista non era più calmo e sarcastico, ma preoccupato. Sua moglie dormiva. Probabilmente imbottita di sedativi, pensò l'ispettore. «E qui è pieno di poliziotti» aggiunse il farmacista. «Lo so. Purtroppo non posso dirvi che non è il caso che vi preoccupiate. Penso che dobbiate prepararvi a ricevere una brutta notizia, ma sarà meglio non dire niente a vostra moglie, per ora.» «Non andrò certo a svegliarla per dirle che secondo voi sua figlia è morta!» Wexford si congedò garbatamente e posò il ricevitore. Bisognava cominciare a cercare Paulette. Forse il giorno dopo avrebbero annaspato un po' meno nel buio e avrebbero saputo in che direzione avviare le ricerche. La pioggia cominciava a battere contro le finestre e il tuono rombava più vicino quando Martin e Marion Bayliss raggiunsero la stazione di polizia con le due signore Williams e Wexford scese nella stanza degli interrogatori per un altro confronto. Wendy, abbigliata con la consueta cura, i capelli in ordine perfetto, era in lacrime e si tamponava gli occhi con un fazzolettino rosa, mentre Joy era più sciatta che mai, calzava sui piedi umidi sandali sformati, un bottone mancava al suo vestito e si era messa un fazzolettone in testa. Sembrava una profuga. E come loro, aveva il viso grigio e tirato. Burden entrò nella stanza e sedette accanto a Wexford. Frattanto Wendy,
visto che nessuno cercava di consolarla, aveva smesso di piangere, ma stringeva sempre nel pugno il suo fazzolettino rosa. «Era Paulette Harmer l'amichetta di vostro marito?» La domanda era rivolta a entrambe. Assurdo, pensò Wexford. Qui stiamo legalizzando la bigamia! Joy rispose con la sua risata chioccia, più sprezzante del solito. Wendy ribatté di non sapere nemmeno chi fosse Paulette Harmer, non l'aveva mai nemmeno sentita nominare. «E allora, chi era?» «Non aveva amichette» dichiarò Joy. «A meno che vi riferiate a lei» aggiunse indicando Wendy. «E in questo caso, userei un altro appellativo.» Wendy sbuffò e si tamponò gli occhi. «Allora, signora Williams?» insistette l'ispettore. «Ve l'ho già detto, non so niente.» «Al contrario, avete detto voi stessa di sapere che ne aveva una, una ragazza giovanissima che vive qui nei dintorni con i genitori. È vero o no?» Wendy guardò Joy, i loro occhi si incontrarono e a Wexford sembrò di intuire per la prima volta un qualche rapporto tra di loro. Poi Wendy distolse lo sguardo. «Rodney Williams aveva un debole per le ragazze molto giovani» riprese l'ispettore «e voi stessa ne siete un esempio, signora Williams. Quanti anni avevate quando vi siete conosciuti? Quindici? È per questo che avete inventato una sua amichetta. Perché sapevate che era nel suo carattere?» «Non l'ho inventato.» L'ispettore si rese conto a un tratto che in Joy stava avvenendo un mutamento. Tremava per l'emozione. Le mani erano aggrappate all'orlo del tavolo. La pioggia batteva violenta contro i vetri delle finestre. Burden si alzò e andò a chiudere le imposte. Joy si chinò in avanti. «Sara vi ha parlato?» domandò. Wexford fu sul punto di ribattere che le domande le faceva lui, ma cambiò idea. Tastò il terreno. «Può darsi.» «Piccola sgualdrina!» Wexford intuì, e non sapeva nemmeno per quale ragione, che le due donne erano finalmente unite da un legame comune. E quel legame non era il marito morto. Lo scrosciare della pioggia si faceva più intenso: una cataratta. Si conoscevano, si conoscevano, pensò. Edwina diceva il vero. Si erano unite in una cospirazione e lo erano tuttora. La recita è finita. Si voltò verso Joy e fu come se i suoi occhi fissi su di lei, inflessibilmente, dessero fuoco alle polveri.
Joy parlò con voce roca. «Bene, tanto vale che ve lo dica. Non erano le ragazzine giovani che lo attiravano. Non qualsiasi ragazzina. Era sua figlia.» 18 Capitava. Non era nemmeno tanto insolito. Negli ultimi tempi era diventato un argomento ripreso anche dai testi di psicologia. Eppure, che l'incesto padre-figlia potesse essere l'elemento chiave di quel caso non gli era nemmeno passato per la mente. In seguito, si sarebbe chiesto ripetutamente come mai non ci aveva pensato, conoscendo se stesso come si conosceva; nella stanza degli interrogatori con le due donne sedute di fronte a lui, rammentò solo la rappresentazione di I Cenci e Beatrice - sua figlia Sheila nei panni di Beatrice - che si precipitava in scena gridando: "O mondo! O vita! O giorno! O infamia!" Avrebbe dovuto bastare per farglielo capire! Wendy aveva nascosto il viso fra le mani, mentre Joy lo fissava contraendo le labbra. Wexford stava formulando una domanda, ma Joy lo prevenne. «Me lo ha detto lei stessa. A me, sua madre! Alla moglie di suo padre! Mi ha detto che lui andava nella sua camera in piena notte. Diceva di avere freddo, di non riuscire mai a scaldarsi da quando dormivamo in letti separati. Così le diceva: che lei avrebbe potuto scaldarlo. Perché lei non ha gridato? Perché non è scappata? Lui si è infilato nel suo letto e l'ha fatto. Non voglio ripetere il termine che ha usato mia figlia, che usano tutti per quella cosa. Mentre dormivo! Io dormivo e lui stava facendo quella cosa con sua figlia.» Joy rise. Un rumore secco, come il suono di una raganella, ma indubbiamente una risata. Guardò Wendy, e diresse a lei la sua risata. Forse era stata in combutta con lei, pensò Wexford, forse quella storia gliel'aveva già raccontata, una confidenza tra donne, ma ora godeva nel ripeterla, lì davanti a tutti, una pubblica, trionfante umiliazione. Come lo psicologo cui si era paragonato, Wexford non intervenne, non fece domande; lasciò che parlasse senza interruzioni, se voleva parlare. La pausa durò a lungo. Wendy guardava fuori della finestra, allo schermo d'acqua che la pioggia creava davanti ai vetri. Si era premuta le dita sul volto con tanta forza da lasciare alcune impronte rosate. Finalmente, Joy riprese a parlare, senza che nessuno la esortasse. «Lei aspettò che suo padre uscisse per andare a lavorare, poi mi raccontò
tutto, mentre io stavo stirandole una camicetta per la scuola.» L'insulto aggiunto all'offesa, parve voler sottintendere. L'atto di violenza del padre sarebbe stato meno offensivo per la madre se la notizia le fosse stata comunicata mentre lei stava stirando una camicia per Kevin. «Me lo ha detto senza perifrasi, in modo chiaro e violento. Non ha sentito il bisogno di usare un po' di tatto, un certo riguardo, di dirmelo con gentilezza? In fin dei conti, lui era soltanto mio marito! Mi stava comunicando che mio marito mi era stato infedele!» E venne la solita risata, ma soltanto un simulacro della risata abituale, questa volta. «Io non volevo ascoltarla. Gliel'ho detto. Basta, non voglio sentire altro, e mi sono coperta le orecchie con le mani.» Una reazione di rifiuto: un modo di agire abituale in quella famiglia. Wexford fece un cenno d'assenso, come per invitarla a proseguire. «Mi sono coperta le orecchie con le mani, ma lei si è messa a gridare. Non mi importava? Non ero sconvolta? Allora le ho risposto. Certo che ero sconvolta. Nessuna madre ama scoprire che sua figlia è una ragazza di quel tipo. Gliel'ho detto. Se vai a raccontare questa storia in giro, rovinerai la tua famiglia. Tuo padre andrà in galera e che cosa penserà la gente di me? E Kevin che cosa dirà al college?» «Che cosa intendete dire con "una ragazza di quel tipo", signora Williams?» domandò Burden. «Be', è ovvio, no? Non voglio dire che lui non fosse un debole...» Una fuggevole occhiata a Wendy. «Sappiamo che lo era. Ma non sarebbe mai arrivato a quel punto senza...» Joy s'interruppe, fissando Wexford che ripensò alle sue parole quando le aveva chiesto di parlare con sua figlia e Joy lo aveva fatto salire nella camera della ragazza, osservando che Sara non avrebbe fatto obiezioni. "Semmai il contrario, se la conosco bene." «Incoraggiamento?» domandò pacatamente. Lei fece un impaziente cenno d'assenso. «Lo abbracciava, faceva di tutto per attirare la sua attenzione. E non aveva più dieci anni! Glielo dissi: non hai più dieci anni, ti siedi sulle sue ginocchia... Che cosa ti aspettavi? Ora il meno che puoi fare è di tenere la bocca chiusa, pensa un po' anche a quello che provo io, una volta tanto!» «Quando accadde?» «Poco prima di Natale. Lo so perché ricordo di averle detto che aveva scelto proprio un bel momento, quando stavamo per riunirci tutti per Natale.» Wendy, rimasta impassibile fino a quel momento, trasalì lievemente.
Aveva finalmente capito dove Rodney trascorreva le feste? Era stato subito dopo quell'episodio, probabilmente ai primi di gennaio, rammentò Wexford, che Edwina Klein aveva visto le due donne insieme. «Ne avete parlato con qualcuno?» domandò Burden. «Certo che no! Non lo avrei fatto sicuramente scrivere sui giornali!» Lui si rivolse a Wendy. «Quando ve lo ha raccontato? O, dovrei dire, quando vi ha messo in guardia?» Wendy, che non aveva dato alcun segno non solo di turbamento, ma nemmeno di sorpresa, si limitò a scuotere la testa. «Non ne ho mai saputo niente.» «Suvvia, Wendy...» Wexford aveva risolto finalmente il problema dei nomi. «Joy, scoperta la vostra esistenza, venne a cercarvi per spiegarvi chi era in realtà Rodney. Per avvertirvi, soprattutto, di badare a vostra figlia.» «Spiegare a lei?» interloquì Joy. «Che cosa avrebbe dovuto importarmene?» «Wendy» riprese Wexford in tono quasi insinuante «non potrete dirci che non sapevate niente di Rodney e di sua figlia Sara! Non ci farete credere che quanto abbiamo udito ora è stata una novità per voi! Non sareste potuta essere meno sorpresa se vi avessi detto che sta piovendo. Siate sincera, Joy venne da Jickie e vi disse chi era, non è così? Oserei dire la settimana prima di Natale. Come sapeva chi eravate? Aveva visto per strada Veronica e aveva notato la sua somiglianza con Sara... una somiglianza che poteva avere una sola spiegazione...» Erano sorprese, ora, tutt'e due, non c'era dubbio. Allora si era sbagliato. Non importava. Poteva essere accaduto in un altro modo... Joy aveva seguito Rodney, lo aveva visto con Wendy. Insomma c'erano mille altre maniere. «Vi siete conosciute da Jickie, poi vi siete incontrate di nuovo dopo Natale. E chissà quante altre volte vi siete riviste in seguito...» Wendy balzò in piedi, con gli occhi colmi di lacrime. «Voglio parlare con voi da sola! Soltanto voi e io!» «D'accordo.» Burden non aspettò che i due fossero usciti, per riprendere l'interrogatorio di Joy. Quando aveva cominciato a sospettare che suo marito avesse una seconda casa? Ne aveva mai parlato con lui? Wexford si stava richiudendo la porta alle spalle nel momento in cui Joy scoppiò a ridere per quella domanda. L'ispettore andò con Wendy nel suo ufficio, la fece sedere di fronte a sé, davanti alla scrivania.
«Che cosa volevate dirmi, Wendy?» Aveva abbandonato decisamente il "signora Williams". «Quello che ha già detto quella là» rispose lei con un filo di voce, come se avesse perduto a un tratto tutte le forze «E cioè? Vi spiace spiegarvi meglio?» «Era lo stesso anche per noi. Come ha detto lei. O..., be', avrebbe potuto esserlo. Voglio dire, lo avrebbe fatto se non lo avessero ucciso.» In Wexford si fece la luce. «Intendete dire che Rodney ci aveva provato anche con Veronica? E, a quanto credo di capire, sono stati solo degli approcci?» Wendy annuì, piangendo apertamente, ora, e tamponandosi gli occhi col fazzolettino rosa. «Prima che Joy vi mettesse in guardia o dopo?» Una lieve alzata di spalle, poi un tremito in tutto il corpo. Le lacrime le avevano tolto dal viso il trucco e ora Wendy appariva più giovane, indifesa e disperata. «Dedicava a Veronica maggiore attenzione di quanto un padre normale non usi fare con una figlia adolescente? Ve lo diceva lei o lo vedevate voi? La baciava, le diceva che era bello stare lì solo con lei, quando voi non c'eravate?» «Sì, sì, sì!» «Cosicché il quindici di aprile, per quanto fosse poco probabile che Rodney tornasse, consigliaste a Veronica di uscire, per evitare di trovarsi sola con lui? Glielo avete spiegato anche a lei?» L'espressione colpevole sul viso di Wendy cancellò l'indignazione. Wexford intuì che era sull'orlo di una confessione. «O l'avete mandata fuori per potere restare voi sola con Rodney... voi e Joy?» Non pioveva più e il cielo era di due diverse sfumature di blu: un limpido azzurro scuro e il blu plumbeo delle nubi ammassate. Le nove di sera. Il buio cresceva. Un insolito freddo nell'aria. Probabilmente nel corso della mattina sarebbe ricominciato a piovere. Uscendo dalla stazione di polizia, Wexford s'incamminò a piedi per togliersi di dosso il senso di chiuso, di oppressione, il peso dei milioni di parole non pronunciate, di bugie ostinate. Quanti, in mancanza di un alibi, affermavano di essere andati a fare una passeggiata? Non ricordavano dove. Una passeggiata. E lui naturalmente
non ci credeva. Si sa sempre dove ci porta una passeggiata. Eppure gli venne in mente che forse nemmeno lui avrebbe saputo dire dove fosse stato quella sera. Vagava senza scopo, anche se con passo vivace, soltanto per poter riflettere su ciò che era accaduto. Il tutto era stato inconcludente, deludente. Aveva passato le due donne sotto il torchio, strizzandole come cenci bagnati. Joy aveva riso e Wendy aveva pianto. E lui aveva continuato a dire a se stesso: Edwina Klein le ha viste insieme. Perché avrebbe mentito? Perché avrebbe inventato? Ma alla fine aveva dovuto rilasciarle. Wendy era sull'orlo del collasso... o fingeva abilmente di esserlo. Il caso era chiarissimo, aveva detto Burden. Finalmente era saltato fuori un movente. Joy aveva ucciso spinta dall'amarezza e dalla gelosia, Wendy spinta dalla paura che Rodney facesse a Veronica quello che aveva fatto a Sara. Una cospirazione avviata subito dopo Natale, messa a punto durante i primi tre mesi dell'anno, portata a termine in aprile. Rodney era stato ucciso nella stanza che sarebbe stata ritappezzata l'indomani e il sangue era stato asciugato con uno dei teli di Kitman; troppo tardi si erano rese conto di ciò che avevano usato. Doveva essere andata così, non v'era altra spiegazione. Forse non avevano inteso uccidere, soltanto affrontare Rodney insieme, minacciarlo, inferirgli un colpo. Ma lì a portata di mano, forse sul tavolo, c'era il coltello da cucina. Quello rinvenuto da Milvey? La lama si adattava perfettamente alla lunghezza e alla profondità delle ferite. Ma migliaia di altri coltelli vi si sarebbero adattati. Ma questa ricostruzione degli eventi non spiegava il sonnifero. Si trovò senza avvedersene in Down Road. O forse aveva sempre saputo dove stava andando? Le grandi vecchie case quella sera sembravano affondare tra il cupo fogliame appesantito dall'acqua e un profumo verde cupo saliva dall'erba e dai fiori inzuppati dalla pioggia. In casa Freeborn erano illuminate due finestre, una al pianterreno e un'altra al primo piano. Wexford aprì il cancello e risalì il viale. Le due gemelle vennero ad aprire la porta insieme e l'ispettore approvò la loro cautela. Erano di nuovo sole in casa, abbandonate a se stesse. Chissà dov'erano i loro irrequieti genitori. Le due ragazze avevano quella sera i capelli azzurro chiaro e una sfumatura rosa sulle palpebre, ma per il resto le due facce identiche erano perfettamente pulite. E identica sulle due facce fu l'espressione di sgomento alla vista dell'ispettore. «Volete accomodarvi?» domandò Eve.
«Sì, grazie.» Nella casa non aleggiava più odore di marijuana, almeno quello lo aveva ottenuto, anche se si trattava di un successo alquanto dubbio. Sembrava che le due ragazze non sapessero dove portarlo, così rimasero in piedi nell'atrio. «C'è stata una riunione dell'ARRIA, ieri sera» riprese Wexford. «Dove ha avuto luogo? Qui?» «Quasi tutte hanno luogo qui» rispose Amy. «Anche quella di ieri sera?» «Sì.» Wexford aprì una porta e accese una luce. Era un immenso soggiorno, con una quantità di cuscini variopinti che formavano vari isolotti su un pavimento che non conosceva pulizie da un paio di decenni, un divano sul quale era stato gettato un arazzo che poteva avere avuto le sue origini in Perù e una bizzarra sedia a dondolo, di vimini, a forma di emisfero. Le porte-finestre, senza tende, davano su una sorta di impenetrabile boscaglia. L'ispettore sedette sulla sedia di vimini, senza lasciarsi impressionare dalla sua precaria stabilità. «Chi c'era alla riunione?» Le due ragazze si scambiarono un'occhiata, poi tornarono a guardare lui. «Le solite» rispose Amy. «Sono sempre le stesse, no?» I nomi fatti da Wexford ottennero un cenno d'approvazione ognuno. «Caroline Peters? Nicola Anerley? Jane Gardner? Paulette Harmer?» Il cenno d'assenso non differì in nulla dagli altri. «Edwina Klein? E Sara Williams?» «No, Sara non c'era» rispose Amy. «È dovuta restare a casa con sua madre.» John Harmer l'aveva azzeccata, quando aveva supposto che la scomparsa di Paulette avesse qualcosa a che vedere con "quell'idiozia del movimento della donna". «A che ora è terminata la riunione?» «Verso le dieci» disse Amy. E dopo una breve pausa, aggiunse: «Ho sentito dire che Paulette non è tornata a casa per tutta la notte e...» Lasciò la frase in sospeso. «Non me lo avevi detto!» esclamò Eve in tono aspro. «Mi è uscito di mente.» Amy tornò a guardare Wexford. «Era arrivata un po' in ritardo, ma non ha detto perché. Edwina aveva portato anche sua zia, non perché desiderasse iscriversi, ma soltanto per vedere che cosa accadeva... Per quanto, potrebbe anche iscriversi, se volesse, visto che non si è sposata.»
L'ispettore non fece commenti. «Paulette era sola, quando se n'è andata?» «La riunione ha avuto luogo di sopra» ribatté Eve, rigida e asciutta. Evidentemente lei, al contrario della sorella, non perdonava a Wexford la faccenda della canapa indiana. «Non vedevamo chi usciva dalla casa. Comunque, Paulette è uscita dalla stanza con Edwina e sua zia.» «Sì, ma poi si sono separate» intervenne Amy. «Ho visto dalla finestra Edwina e la zia salire in auto, ma Paulette non era più con loro.» «Lì fuori che cosa c'è?» domandò Wexford, indicando le porte-finestre, oltre le quali si scorgeva soltanto una massa di fogliame. «La serra.» Amy spalancò le finestre e girò un interruttore. Per anticonvenzionali che fossero, i Freeborn non erano del tutto inefficienti. La serra, dall'alta volta in vetro ghiacciato, tutta verde e viola con un disegno Art Nouveau a tulipani, era piena di piante dal fogliame verde scuro, alcune delle quali sembravano subtropicali, tutte bisognose di molta acqua, che palesemente ricevevano. D'inverno questa baracca deve costare un patrimonio, rifletté Wexford avvicinandosi ed entrando nella serra dove scoprì persino alcuni esemplari preziosi di orchidee. Eve, senza esserne richiesta, toccò un altro interruttore e un fiotto di luce inondò il giardino oltre la serra, che, peraltro, non se lo meritava. Non era un giardino, ma un immenso disordinato intrico di erbacce, rose selvatiche e rovi, intorno a un solitario albero secolare, il tutto circondato da un muro irregolare di cespugli lungo l'intero perimetro. «Non ci veniamo quasi mai» spiegò Amy. «Ce ne serviamo soltanto come scorciatoia per raggiungere High Street. Quando non piove, naturalmente. Ma il babbo va pazzo per la sua serra. È lui che coltiva le piante là dentro.» E la Cannabis sativa, pensò Wexford uscendo in giardino, dove l'aria era così umida e fredda che l'acqua pareva gocciolarti addosso. Le due ragazze non l'avevano seguito. L'ispettore scoprì un sentiero che, un tempo pavimentato, era ormai invaso anch'esso dall'erba e lo seguì. Ma la luce delle lampade non andava oltre una decina di metri e lui dovette accendere la torcia elettrica per proseguire. Il sentiero costituiva la scorciatoia per High Street di cui aveva parlato Amy. I cespugli fra i quali serpeggiava, lauri e rododendri lucenti e sgocciolanti, richiamarono alla mente di Wexford un cimitero. Anche nei cimiteri v'erano, come lì, funerei cespugli ornamentali spesso trascurati e, come
lì, senza fiori; ma, diversamente da lì, con lapidi tombali. Si trovò all'improvviso davanti alla siepe e al cancelletto. Da lì si vedevano le facciate posteriori delle altre case, e alcune finestre illuminate. Il sentiero proseguiva all'interno della cinta, girando intorno al giardino e Wexford seguì l'ellissi che disegnava, ripiegando verso destra, dove si trovava un boschetto di bambù, un intrico di canne quasi secche. Poi il suo impermeabile si impigliò, Wexford diede uno strattone e sentì il rumore della stoffa lacerata. Allora volse il raggio della torcia per vedere che cosa fosse accaduto. Il raggio si spostò da un'aiuola di rose di macchia a un groviglio di rovi spinosi, e si posò su un braccio steso, un viso semisepolto, un simbolo e un acrostico, rossi sul cotone bianco: ARRIA e la donna-corvo. Quel posto assomigliava a un cimitero più di quanto non avesse immaginato. 19 Erano lì tutti, il dottor Crocker, sir Hilary Tremlett con l'impermeabile sopra la giacca del pigiama e un paio di pantaloni grigi, Burden nitido e fresco come a metà mattina. E la pioggia che veniva giù a catinelle. Avevano dovuto rizzare una sorta di tenda sopra il corpo. Era stata strangolata con un pezzo di corda. I lampi del fotografo lo accecavano. Non voleva più guardarla. Gli dava la nausea. Non una nausea fisica: aveva superato da un pezzo quello stadio. Non più laurea in farmacia, non più matrimonio con Richard Cobb, non più piena fioritura di quella strana bellezza che era stata a un tempo calda e remota. Lo preoccupavano le due ragazze, Eve e Amy, sole in quella casa enorme, con un'altra ragazza, loro coetanea, morta in giardino. Marion Bayliss aveva tentato di rintracciare i genitori, ma non li aveva trovati a nessuno dei numeri indicati dalle gemelle. Sui vicini non c'era da fare alcun conto. Con quelli della casa accanto, i Freeborn non si parlavano nemmeno. Eve pensò a Caroline Peters e fu proprio l'insegnante che alla fine venne a trascorrere la notte con loro. Quando Wexford riuscì a infilarsi finalmente sotto le coperte, erano quasi le tre. Dora gli aveva lasciato un biglietto che lui lesse senza assimilarlo. "Un certo Ovington ti ha cercato più volte al telefono." Dormiva profondamente, ora, e nel sonno sembrava giovane più che mai. Wexford si distese accanto a lei e l'ultima cosa di cui fu cosciente prima di addormentar-
si a sua volta fu di averle posato una mano sulla vita ancora sottile. «È morta da circa ventiquattr'ore» disse Crocker. «Più o meno come pensavate voi, no?» «Con che cosa l'avranno strangolata, esattamente? Con una corda, un filo di ferro, un filo elettrico?» «Poiché è la più facile da trovare e la più resistente, penso alla corda di nylon che si usa per appendere i quadri. Dov'erano trentasei ore fa le vostre sospette?» «A casa, con le loro figlie, dicono.» Wexford prese a rileggere la deposizione fatta da Kitman, l'imbianchino. Il lenzuolo scomparso vi era descritto con una certa cura, ma a che serviva, ormai? Erano trascorsi quattro mesi da quando quel lenzuolo, nascosto in un sacco di plastica, era stato rimosso dagli spazzini municipali. E il coltello probabilmente se n'era andato con lui. Non si poteva credere che l'arma fosse quella rinvenuta da Milvey, non potevano esserci due simili coincidenze. Le pareti erano state stuccate e ritappezzate, diceva Kitman. Ma non aveva notato se la mattina del sedici aprile le chiazze di stucco fossero diverse da come le aveva lasciate lui la sera del quindici. Era possibile che qualche buco fosse stato riempito da qualcun altro. Bisognava convocare di nuovo le due donne? Una di loro aveva ucciso quella ragazza, due sere avanti. Per impedirle di confermare la loro colpevolezza nella faccenda del sonnifero. Una sola o entrambe? Joy era perfettamente in grado di sapere dove sarebbe andata quella sera e quale strada avrebbe preso uscendo, la scorciatoia per High Street dov'era la fermata dell'autobus per Pomfret. Burden era in ritardo. Ma anche lui aveva lavorato tutto il giorno precedente, ed era andato a letto più tardi del suo capo. Quell'ultima riflessione richiamò alla mente di Wexford il biglietto di Dora e aveva già teso la mano verso il telefono per chiamare Ovington quando entrò Mike. Non sembrava stanco, ma soltanto di dieci anni più vecchio e di dieci chili più magro. «Sono cominciate le doglie» annunciò. «L'ho portata in ospedale stamattina alle otto.» «Allora sarà meglio che inizi subito la tua licenza.» «Grazie. Sapevo che lo avreste detto. Questi bambini sanno scegliere proprio il momento giusto! Non avrebbe potuto aspettare una settimana?
La chiameremo Mary.» «Non preoccuparti, Mike. Ce la caveremo. Tieniti in contatto.» Con un po' di fortuna, quel giorno sarebbe arrivato il rapporto del patologo riguardante Paulette Harmer e forse qualche altra notizia dal laboratorio circa l'arma del delitto. Wexford aveva mandato Martin da un magistrato a chiedere un mandato di perquisizione per la casa di Wendy e nel frattempo era andato lui stesso a casa di Joy. Sara stava tosando il prato anteriore, quando lui arrivò. Usava uno di quei piccoli tosaerba elettrici che funzionano mediante un filo elettrico avvolto intorno a una spola e, mentre Wexford usciva dall'auto, il motore mandò un sibilo e si fermò. Sara, paonazza di collera, si chinò ad afferrare il filo e gli diede alcuni strattoni. L'ispettore la udì imprecare, sibilando proprio la parola che Joy si era rifiutato di usare parlando dell'aggressione perpetrata dal marito. «Se non state attenta a staccare la corrente prima di toccare il filo» l'ammonì «un giorno o l'altro vi toserete una mano!» Lei si calmò con la stessa rapidità con la quale aveva preso fuoco. «Lo so. Mi riprometto sempre di farlo, ma poi me ne dimentico. Queste trappole! È il quarto filo che cambio, quest'estate!» Sfilò la spina dalla presa e sorrise. Indossava una maglietta ARRIA, identica a quella che aveva indosso Paulette. «Volete vedere la mamma?» Non poteva ancora sapere di Paulette. E forse non le sarebbe importato. Come non le sarebbe importato quando avrebbe visto sua madre arrestata per omicidio. Ma forse era naturale che alla vittima di un incesto non importasse più niente di niente. Wexford provò compassione per Sara. «Vorrei parlare con voi, prima.» L'autorimessa, ora che non c'era più nessuna auto a occuparla, era diventata un deposito per attrezzi e vecchi mobili da giardino. Sara indicò all'ispettore una sdruscita sedia a sdraio, poi sedette su un bidone rovesciato e riprese a lottare con la caparbia spola del tosaerba. Il filo sembrava destinato a fare la fine dei tre che lo avevano preceduto e che ora giacevano lì su un ripiano, accanto ad alcune latte vuote di pittura Settestelle. L'ispettore immaginò che si stesse dando da fare per non dover guardare lui, mentre parlavano di suo padre. Al primo accenno all'incesto, una prudente versione di ciò che gli aveva raccontato Joy, la ragazza non arrossì, ma impallidì lentamente. Il suo viso, normalmente pallido, divenne color lattescente. Con estrema gentilezza, Wexford le domandò quando fosse accaduto la
prima volta e lei continuò a tenere la testa china, cercando di far girare la spola con la mano destra, mentre con l'indice sinistro teneva bloccato il filo rosso. «In novembre» rispose finalmente, confermando le sue supposizioni. «Il giorno cinque.» Sara alzò gli occhi e li riabbassò rapidamente. «È successo soltanto due volte. Ci ho pensato io a fare in modo che non accadesse più.» «Lo avete minacciato?» «Soltanto con lo spauracchio della polizia» mormorò Sara dopo una breve esitazione. «Perché non ne avete parlato con vostro fratello? O lo avete fatto? Mi sembra che siate molto uniti, voi due.» «Sì, è vero. Nonostante tutto.» Non spiegò che cosa intendesse con quel "tutto", ma Wexford pensò di saperlo. «Non potevo.» Distolse il viso. «Mi vergognavo troppo.» Sara detestava sua madre, era stato un piacere dirlo a lei? Sara diede un ultimo strattone e il filo si sbloccò a un tratto srotolandosi di colpo dalla spola, metri di sottile cavo scarlatto contorto a spirale. In casa c'era anche Kevin, giunto inaspettato quella mattina. Doveva avere fatto un viaggio scomodo. Era ancora disteso sul divano color senape, esausto, sudicio, gli abiti in disordine. Portava ancora gli stivali. Joy aveva aperto la porta a Wexford reggendo un vassoio con panini, caffè e yogurt. L'ispettore la trascinò in cucina e la informò brutalmente di ciò che era accaduto a Paulette. Lo sapeva già. Le aveva telefonato il cognato mentre Sara era in giardino. Così almeno disse. Wexford le comunicò che desiderava rivederla alla stazione di polizia, insieme con Wendy. Avrebbe mandato una macchina a prenderla. «E mio figlio come se la caverà con la cena?» «Datemi un apriscatole e gli insegnerò io come usarlo.» Lei non sembrò rilevare il sarcasmo. Sì, rispose, per una volta avrebbe potuto accontentarsi di cibo in scatola. La tappa successiva fu Liskeard Avenue, Pomfret. Martin, che aveva ottenuto il mandato di perquisizione, era già lì insieme ad Archbold e a due agenti in uniforme, Palmer e Allison. Wendy, in lacrime, stava cercando di convincerlo che non sarebbe stato necessario tirar giù la tappezzeria dalle pareti del soggiorno. Veronica era seduta vicino al tavolo col piano di cristallo. All'arrivo dei poliziotti stava cucendo l'orlo di un vestito bianco, che ora giaceva lì davanti a lei. Accolse Wexford con un "Salve" mormorato a fatica, mentre
sua madre si precipitava verso di lui, supplicandolo di intervenire. «Mi dispiace, Wendy. Vi capisco. Ma provvederemo noi a farvi rimettere in ordine tutto come prima.» Per voi o per qualcun altro, pensò. «E cercheremo di fare il minor danno possibile.» In effetti, in un angolo erano già pronte quattro grandi latte di un prodotto della Sevensmith Harding (naturalmente!) che, a quanto dichiarava a grandi lettere l'etichetta, era il mezzo migliore, più facile e pulito, per staccare la tappezzeria dalle pareti. Wexford si augurò che non fosse soltanto una vanteria. «Ma perché?» continuava a ripetere Wendy mentre, con scarsa coerenza, riponeva i soprammobili in un armadio a muro. «Non sono autorizzato a dirvelo» si scusò Wexford, trincerandosi dietro la classica risposta ufficiale. «Ma non abbiamo fretta. Sgombrate pure voi stessa la stanza, se lo preferite.» Veronica, senza aprir bocca, si rimise a cucire. «Sta rifacendo l'orlo al suo vestito da tennis» spiegò sua madre. «Deve giocare nel singolare femminile, oggi pomeriggio.» «Bene, non abbiamo niente in contrario» la rassicurò l'ispettore. «Oh, ma sarà sconvolta, povera figliola!» Wendy trascinò Wexford in cucina. «Non parlerete con lei di... della faccenda che sapete, vero?» «Non sono un'assistente sociale.» «Non c'è stato niente di concreto. Ho badato io a questo.» Impossibile, tuttavia, non considerare Rodney Williams, apparso fino a quel momento soltanto come bugiardo e imbroglione, come una sorta di mostro. Perpetrare un'aggressione sessuale su una figlia era già abbastanza abominevole, ma nutrire quasi contemporaneamente identiche mire sulla sua sorellastra più giovane? «Ma non avreste avuto alcun sospetto, se Joy non vi avesse messa in guardia!» «Quante volte ve lo devo ripetere, ispettore, che non ho mai visto quella donna, finché non me l'avete... presentata voi?» «Non mi avete mai detto come avete saputo che Rodney aveva delle mire su Veronica. Nessuno vi aveva detto niente, ma voi sapevate. Era lei la ragazzina che viveva coi genitori, della quale avete sempre rifiutato di dirmi il nome?» Wendy accennò di sì, senza guardarlo. «Come lo sapevate, Wendy? Avete visto qualcosa? Avete notato qualcosa nel suo atteggiamento, quando lui pensava che non lo guardaste? Prima
o dopo che Joy vi mettesse sull'avviso?» «Non ho visto niente» mugolò lei. «Me lo ha detto Veronica.» «Veronica? Quell'innocente ragazzina che sembra avere dodici anni invece di sedici? Quella ragazzina che avete tenuta accuratamente al riparo dalle brutture della vita? Lei ha interpretato i baci affettuosi, gli abbracci, i complimenti del padre come approcci sessuali?» Un lieve cenno d'assenso. Poi una serie di cenni vigorosi. «E tuttavia voi avete dichiarato che "non c'è stato niente di concreto". Cioè niente più che un bacio, una carezza, un complimento? E lei, lei, li ha interpretati come approcci incestuosi?» La risposta di Wendy fu tipica. Scoppiò in lacrime. Wexford fece del suo meglio per calmarla, poi tornò in soggiorno dove ora Allison stava spalmando le pareti col prodotto della Sevensmith, mentre Palmer si dava da fare con un raschietto di ferro. Veronica era scomparsa. Forse il sospetto che quella tappezzeria nascondesse qualche prova era pazzesco, rifletté l'ispettore; era comunque sempre possibile che un'analisi dello stucco rivelasse tracce di sangue. E se non trovavano niente? Leslie Kitman avrebbe avuto un altro lavoro, e la settimana seguente sarebbe stato incaricato di risistemare il salotto a spese dell'intendenza di polizia. Pioveva di nuovo. La partita a tennis di Veronica era stata rimandata poiché né a Kingsmarkham né a Myringham esistevano campi coperti. Wexford, tornato in ufficio benché fosse sabato, guardò l'ora. Le dodici e mezzo. Quasi tre ore da quando Mike era venuto ad annunciargli l'imminente nascita della figlia: era ancora troppo presto perché ci fossero delle novità. Qualcosa seguitava a ronzargli in testa, qualcosa che Wendy aveva detto. Forse a proposito del torneo di tennis? No, lei gli aveva detto soltanto che Veronica giocava quel pomeriggio. E allora, perché mai lui avvertiva quella curiosa intuizione che proprio nelle parole di Wendy si trovasse la risposta a tutti gli interrogativi? Gli capitava spesso di provare quella sensazione a proposito di un dettaglio, quando si avvicinava alla soluzione di un caso, e ogni volta il dettaglio, per quanto modesto, risultava essere di vitale importanza e la sua intuizione quasi sempre fondata. Questa volta, però, stranamente, non riusciva a dare forma al suo sospetto. Tutti gli uomini a sua disposizione si trovavano o a casa di Wendy a togliere la tappezzeria del salotto o in Down Road a indagare di casa in casa alla ricerca di qualunque ragazza che avesse partecipato alla riunione
dell'ARRIA. Wexford si sentiva solo e abbandonato. Dora era andata a Londra per il compleanno di Robin, il primogenito di Sheila, e non sarebbe tornata fino al giorno seguente e Crocker di sabato andava sempre a giocare a golf. L'ispettore avrebbe voluto dormire, ma non gli riusciva mai, di giorno. Che cosa gli aveva detto Wendy? Che cosa? Tremlett stava probabilmente ancora eseguendo l'autopsia sul corpo di quella povera ragazza che aveva procurato il sonnifero a Joy poi l'aveva minacciata di confessarlo? Forse non l'aveva minacciata, ma solo avvertita che intendeva farlo perché aveva troppa paura. E Joy? Somministra a Rodney il sonnifero, sostituendolo alle sue compresse per l'ipertensione. Il tempo di arrivare a Pomfret e il sonnifero fa effetto. Lo segue in autobus fino alla casa di Wendy. Arriva. Lo trova addormentato. Lo guarda e ripensa a quello che ha fatto, a come ha trattato sua figlia. Ha sposato un'altra donna. Maledetto sceicco. L'altra moglie è d'accordo, anche se Joy la detesta. Perché ora è in pericolo anche sua figlia, da quando le ha confessato il vizio di Rodney. Perché lasciare che si risvegli? Domani il salotto sarà rimesso a nuovo, qualunque macchia sarà cancellata. Bisognerà riuscire a tenere nascosto il cadavere quanto basta. Il mattino dopo telefona all'ufficio, informa che lui si è ammalato, alterando un poco la voce. Scrive la lettera di dimissioni, ha la possibilità di andare a casa di un'amica per batterla a macchina, una macchina che nessuno sarà in grado di rintracciare. Ci sono dentro tutt'e due, Joy e Wendy, le due mogli di Rodney Williams, per il meglio e per il peggio, finché morte non le separi. Lo hanno accoltellato tutt'e due, anche se è stata Joy a dargli il sonnifero. Joy e Wendy insieme hanno portato il cadavere giù per quella pazzesca scala a chiocciola, poi attraverso la porta dell'autorimessa. Ha guidato Wendy perché Joy non lo sa fare, ma è stata Joy a scavare. A Joy non importa sporcarsi le mani. Due mogli, accomunate nell'impresa, e quelle che il delitto ha unito, l'uomo non osi separare. Wexford si era talmente calato nel personaggio di Joy che fu quasi sul punto di concludere quell'intimo monologo con una delle sue orribili risate. Era poco probabile che Burden telefonasse prima di sera e comunque lo avrebbe chiamato a casa. Wexford se ne andò all'Old Cellar e si offrì uno spuntino innaffiato da un bicchiere di Frascati, poi ritornò nel sobborgo dove le strade portavano il nome di città della Cornovaglia: Bodmin, Truro, Falmouth, Liskeard. Aveva ripreso a cadere una gelida pioggerella grigia, sembrava di essere tornati a quei giorni passati tra la scomparsa di
Rodney Williams e il rinvenimento del suo cadavere. Nel soggiorno di Wendy si erano fatti progressi notevoli. Tre pareti erano già state più o meno scrostate e Martin era riuscito ad accaparrarsi qualcuno del laboratorio, una ragazza un po' disordinata in tuta blu che tuttavia aveva l'aria di un'esperta e stava coscienziosamente raschiando dalle pareti campioni di stucco giallastro. Wendy era giù nella sua lavanderia-stireria-sartoria, a ritagliare modelli da una rivista. Un'occupazione che senza dubbio aveva su di lei un effetto terapeutico. Veronica era insieme a sua madre. Il torneo era stato rimandato, Wexford si ricordò di avere promesso a Joy che avrebbe mandato una macchina a prenderla, "più tardi", creando il problema: chi avrebbe preparato la cena del povero Kevin. Bene, sarebbe stato molto più tardi... Forse il giorno dopo. Forse un altro giorno. O mai. No, non doveva abbandonarsi a pensieri simili. Wendy indossava un vestito di lino. Forse se l'era messo per andare ad assistere alla partita. Veronica era ancora vestita da tennis: minigonna bianca a pieghe (chi avrebbe potuto immaginarla in calzoncini?) e qualcosa di troppo elaborato per essere definito una maglietta. «Rinvieranno tutto a lunedì pomeriggio, immagino» osservò Wendy con la voce resa stridula dalla delusione. «E ciò significa che almeno la metà degli spettatori non potrà venire.» La tecnica del laboratorio con la sua scatola di campioni, il raschiatoio ancora in mano, scese lungo la scala a chiocciola. «Mi è venuta la nausea» sussurrò Veronica. Sua madre fu a un tratto tutta premure, tutta sollecitudine, balzando in piedi e trascinando la figlia nel piccolo bagno attiguo. Wexford risalì. Archbold se n'era andato, Martin stava bevendo del tè da una fiaschetta e gli altri due poliziotti si scolavano una coca-cola mentre aspettavano che il diluente agisse sulla quarta parete. Wexford provò qualcosa che assomigliava alla nausea. La stanza, che fino a ieri sembrava l'interno di una bomboniera, era adesso un disastro. Un macello, la definì Martin, e un macello era proprio quello per cui Wexford pensava fosse stata usata: il motivo per cui aveva chiesto di togliere la tappezzeria. E se si fosse sbagliato? Se invece Rodney Williams fosse stato ucciso altrove? Troppo tardi. «Ti spiace passarmi uno di quegli arnesi?» domandò a Martin indicando i raschiatoi. Le macchie di stucco più chiare erano quelle dei buchi riempiti da Wendy prima che gli operai cominciassero a tappezzare.
E su quelle il raschiatoio non aveva effetto. «Volete che provi io, signor ispettore?» Allison mostrò un arnese che a Wexford sembrò un cesello. E grazie al piccolo arnese, quella divenne la gran giornata di Allison, un poliziotto come tanti, che non si era mai distinto in nulla. «Signor ispettore, credo di avere trovato...» Wexford gli fu accanto in un lampo. Sotto i suoi occhi, Allison continuò a scavare meticolosamente, ringraziando il cielo di avere pensato a mettersi i guanti. L'oggetto era stato ficcato nella fessura avvolto in un giornale, poi ricoperto con lo stucco. Il poliziotto scalpellò e scavò e finalmente ficcò una mano nell'apertura, guardando Wexford, che fece un cenno d'assenso. Il coltello venne tolto dalla carta che l'avvolgeva con la cura reverente con la quale si sarebbe trattato un oggetto di fragile cristallo. Rimasero tutti a fissarlo, lì sulla sua carta, nitido e lucente come un lungo prisma di un lampadario. 20 Wexford le trattenne per tutta la domenica e i giornali del lunedì mattina strombazzarono la notizia che un arresto era imminente. Ma Wexford le voleva tutt'e due, Joy e Wendy. Sarebbe stato facile incriminare quest'ultima per l'uccisione di Rodney Williams: la lama del coltello murato nel suo soggiorno si adattava perfettamente alla misura delle ferite riscontrate sul corpo della vittima e la carta nella quale era stato avvolto era un foglio del Daily Mail del 15 aprile. Ma non c'era niente che potesse collegare Joy al delitto. Gli unici elementi in possesso dell'ispettore erano la dichiarazione di un teste che asseriva di avere visto le due donne insieme e una voce al telefono che si presumeva fosse quella della prima signora Williams. Per di più, Joy aveva anche un alibi. Wendy non ne aveva. Su di lei parevano addensarsi le ombre cupe del carcere quando entrò in scena Ovington. L'ispettore gli aveva telefonato quella stessa mattina, incurante del fatto che fosse domenica. Quando Ovington giunse alla stazione di polizia, erano tutti nella stanza degli interrogatori: Wexford, il sergente Martin, Polly Davies e le due donne: la povera profuga e la bambola infranta. La loro vicenda le aveva stranamente ravvicinate. Così pareva in apparenza. C'era stata una sorta di fusione, fra loro due, e Wexford pensò al riccio e alla tar-
taruga di Kipling, unitisi a formare l'armadillo. Joy e Wendy non erano giunte a tanto, ma l'ansia e il tormento avevano avuto il loro effetto sulla più giovane e la più vecchia si era curata un po' del suo aspetto, forse perché era a casa suo figlio. Comunque fosse, non portava più un fazzoletto in testa e indossava scarpe decenti. Mentre il trucco di Wendy era sbiadito, aveva qualche capello sul vestito di cotone nero e la lunga smagliatura in una calza non migliorava il suo aspetto. L'ispettore uscì per andare a parlare con Ovington. Più che mai sorridente e premuroso, il giovane non sarebbe riuscito ad apparire credibile nemmeno al più ingenuo degli uomini, figurarsi poi a un poliziotto incallito. «Era con voi il quindici di aprile? È venuta da voi a bere qualcosa, dopo il lavoro? E come mai la signora non ha mai accennato a questo fatto?» «Non desiderava far sapere che si vedeva con me quando era ancora vivo suo marito.» Quadrava. Quella della virtù coniugale era uno degli aspetti dell'immagine che Wendy amava dare di sé stessa. Non bastava tuttavia a garantire che il racconto di Ovington rispondesse alla verità. Wexford lo ringraziò distrattamente per essere venuto, poi, mentre tornava dalle due vedove Williams, gli venne in mente che il complice di Wendy avrebbe potuto essere Ovington, invece di Joy. In tal caso, chi aveva telefonato? Wendy stava piangendo. Si lagnò di avere freddo. Era vero, la temperatura si era molto abbassata nonostante la stagione, ma avrebbe potuto accorgersene anche lei e, sacrificando la vanità, portarsi un soprabito. Wexford pensò a tutti i posti di polizia dove l'avrebbero lasciata lì a battere i denti, abbassando addirittura la temperatura, se fosse stato possibile. Non si poteva definirla tortura, far gelare un sospettato per costringerlo a fare qualche ammissione. «Portatele qualcosa per coprirsi» disse a Polly. Tornò sull'argomento dell'incesto e ottenne come sempre versioni poco attendibili. Joy seguitava a non credere che Rodney sarebbe arrivato a tanto e insistette nel sostenere che era stata Sara a provocarlo. Poi Wendy ammise che lui aveva cominciato ad andare in camera di Veronica per darle il bacio della buonanotte e quello non era affatto "bello". A quel punto anche Joy, scordandosi di quanto aveva affermato poco prima, ammise che era cominciato così anche con Sara. Polly rientrò con un golf grigio, scovato chissà dove, e Wendy se lo mise sulle spalle con palese riluttanza. All'ora di colazione, furono serviti dei panini ripieni di carne o uova so-
de e crescione. Nel frattempo l'ispettore aveva passato in rassegna gli avvenimenti a partire dal 15 di aprile e stava arrivando alla sera dell'ultimo giovedì. E finalmente, poco prima delle tre, Joy crollò. Cominciò a mugolare come un cane, ciondolando avanti e indietro sulla seggiola e battendo i pugni sul tavolo. Wexford sospese la procedura e mandò a prendere una tazza di tè, poi condusse Wendy nella stanza attigua e l'interrogò sul conto di Ovington. Con sua grande sorpresa, lei ammise senza troppa riluttanza di essere stata a casa di lui la sera del 15 aprile, press'a poco dalle sette e tre quarti fino alle nove e un quarto. Perché non l'aveva detto prima? Lei fornì la stessa giustificazione data da Ovington. Evidentemente l'avevano concordata insieme, rifletté l'ispettore. «Ve lo spiego subito» ripose Wendy con una tranquilla disinvoltura che lo lasciò di stucco. «Non l'ho detto prima perché avete tutti quanti una mente capace di tutto. Ma avete ormai rivangato tanto fango e sudiciume che la mia innocente amicizia con un uomo non può più aver alcun peso.» Ma che peso aveva tutto quanto era stato detto, di fronte al coltello nascosto nel muro? Più tardi, quel pomeriggio, comparve Burden. Sembrava invecchiato di un secolo. «Per l'amor di Dio» esclamò Wexford. «Non lo dicevo sul serio quando ti ho pregato di rimanere in contatto.» Ma Burden non sapeva come far passare il lungo tempo dell'attesa. Si dedicò a Joy, cercando di demolire il suo alibi, ma il tè aveva fatto miracoli per lei. Si tenne aggrappata alla versione della serata trascorsa a casa degli Harmer, a guardare la televisione, e dopo una mezz'ora reagì come avrebbe dovuto fare da parecchi giorni. Non era affatto tenuta a parlare, se non lo voleva. Non era sotto accusa. Wendy, purtroppo, era tornata nella sala degli interrogatori e la udì. Fra le lacrime, sorrise quasi amichevolmente a Joy. «Ottima idea. Non dirò più niente neanch'io. Peccato non averci pensato prima.» Unite nel silenzio, le due donne fissarono Wexford. Perché non accusarle entrambe? Dell'uccisione di Rodney Williams e, se quell'accusa non reggeva, dell'uccisione di Paulette Harmer. Udienza speciale la mattina seguente e rinvio a giudizio. Archbold venne ad avvertirlo che tre persone desideravano vederlo. L'ispettore lasciò con Burden e Martin le due donne ammutolite e scese con l'ascensore.
James Ovington era seduto insieme al taciturno padre e a una signora anziana che presentò come sua madre. Chissà perché, Wexford non aveva mai pensato che Ovington padre avesse anche una moglie, anche se era logico supporlo: Ovington figlio doveva pure essere venuto al mondo. «I miei genitori desiderano parlarvi» annunciò quest'ultimo, più fresco, più roseo, più sorridente che mai. Un modo di dire, perché a quanto sembrava l'unico loro desiderio era quello di tornarsene al più presto a casa loro. Wexford li invitò a salire nel suo ufficio, al primo piano, ma la signora Ovington ribatté che preferiva di no, come se salire al piano di sopra con degli uomini fosse una cosa poco decente e Wexford dovette ripiegare su una saletta dei colloqui. Là, James Ovington domandò al padre: «Allora, cos'è che volevi dire al signor ispettore capo, papà?» A quanto pareva, niente. «Hai detto tu che volevi venire a parlargli.» «Volevo un corno» ribatté Ovington senior. «Ma se devo, devo. Ecco cos'ho detto io!» «È qualcosa che riguarda la signora Wendy Williams, signor Ovington?» suggerì Wexford. Lentamente e controvoglia, Ovington padre ammise: «L'ho vista.» «L'abbiamo vista tutt'e due» aggiunse la signora Ovington, divenuta a un tratto audace. «L'abbiamo vista tutt'e due.» Wexford si convinse a portare pazienza. «Ho capito. Quando l'avete vista?» James aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse. «Ha la macchina» bofonchiò finalmente suo padre. «L'aveva parcheggiata davanti al negozio. Però non l'abbiamo vista entrare.» Silenzio. Wexford dovette intervenire ancora. «Entrare dove?» «Ma da mio figlio, naturalmente! Di che altro stiamo parlando? Lui abita al pianterreno e noi al primo piano, no?» «Però l'abbiamo vista uscire» riprese Ovington padre. «Intorno alle nove e un quarto. Ha inciampato e per poco non è caduta. Non mi sorprende con quei tacchi. Noi eravamo alla finestra e io ho detto a mamma: guarda là, con che razza di tacchi va in giro!» «Ed era la sera del quindici aprile!» esclamò James Ovington, incapace di contenersi più a lungo. «Il primo giovedì dopo Pasqua» aggiunse suo padre.
Quella sera andò a letto presto e dormì per nove ore filate. Non si permise di pensare alle due donne. Contro Joy non esisteva uno straccio di prova e Wendy era stata scagionata dagli Ovington. Non si poteva escludere la possibilità che fosse stata Joy a compiere il delitto in casa di Wendy e che questa l'avesse poi raggiunta in seguito per aiutarla a portare via il cadavere e l'automobile. La mattina si svegliò fresco e riposato, con la mente lucida, e a un tratto rammentò quello che gli aveva detto Wendy. Era stato il giorno in cui Veronica avrebbe dovuto giocare la finale del torneo di tennis. L'importanza delle sue parole stava in ciò che esse potevano ricordargli, e ora che ricordava, ogni dettaglio prese ad andare senza intoppi al proprio posto. «Che idiota sono stato!» esclamò ad alta voce. «Davvero, tesoro?» «Se ci fossi arrivato prima, forse quella povera figliola non sarebbe morta.» «Oh via!» commentò Dora. «Non sei mica il Padreterno.» Il telefono squillò mentre lui stava uscendo e andò a rispondere Dora, che poi gli riferì l'ambasciata. Il rapporto sull'autopsia effettuata da sir Hilary Tremlett lo aspettava in ufficio e Wexford lo lesse insieme col dottor Crocker. La ragazza era stata strangolata con una corda sottile, ma resistente che aveva lasciato un profondo solco rosso intorno al suo collo. «Il cavetto di nylon di un tosaerba elettrico» osservò Wexford. Crocker lo guardò corrugando la fronte. «Un po' stravagante, direi!» «Niente affatto. Nell'autorimessa di Joy Williams ce ne sono tre rocchetti e, a meno che io mi sbagli di grosso, uno dei tre sarà vuoto.» «Avete intenzione di andare a controllare?» «Per ora no. Più tardi, forse. Pensate che sia sbagliato spingere una bambina a fornire informazioni a danno dei parenti più stretti?» «Come accade nei paesi totalitari? Il fine giustifica i mezzi? Be', dipende da quello che intendete per parenti più stretti. Se si tratta dei genitori, direi proprio di sì. Ti dà la nausea.» «Anche drogare un uomo e accoltellarlo e poi nascondere il coltello dentro a un muro dà la nausea.» Wexford prese il ricevitore del telefono, poi lo posò di nuovo. «Devo arrestare due donne» mormorò «ma al punto in cui siamo non riuscirò a sostenere l'accusa! Quando ricominciano le scuole?»
Crocker sembrò un po' sconcertato da quell'apparente non sequitur. «Le secondarie, entro questa settimana, credo.» «Allora è meglio che lo faccia oggi stesso, se voglio trovarla senza sua madre.» L'ispettore riprese il telefono e chiese un numero esterno. Lo squillo si ripeté tanto a lungo da fargli pensare che in casa non ci fosse nessuno. Poi finalmente nel ricevitore squillò la voce un po' acuta di Veronica. «Veronica? Sono l'ispettore capo Wexford, della polizia di Kingsmarkham.» «Ah sì, salve.» Aveva paura o rispondeva sempre al telefono con quella voce cauta e un poco ansante? «Volevo soltanto controllare un paio di dettagli con te, Veronica. A che ora hai la partita stasera e dove?» «Al Tennis Club di Kingsmarkham, stasera alle sei. Perché?» Wexford era troppo scaltrito per rispondere a quella domanda. «Vorrei parlare con te, dopo l'incontro. Ma non con te e tua madre, con te da sola. D'accordo? Penso che tu abbia una quantità di notizie che vorresti dirmi, o sbaglio?» Il silenzio fu così pesante da fargli temere di essersi spinto troppo oltre. Ma no. E fu meglio di quanto avesse sperato. «Sì, ho qualcosa da dirvi. Qualcosa che devo dirvi.» Gli sembrò di udire un singhiozzo, ma forse si era soltanto schiarita la gola. «Benissimo. D'accordo, allora. Dopo la partita, vieni subito qui. Sai dove siamo?» Le spiegò come arrivare alla stazione di polizia. «È a non più di dieci minuti dal Tennis Club. Dopo ti farò riaccompagnare a casa in auto.» «Dovrò dirlo alla mamma» mormorò lei. «Ma certo, diglielo.» Era sembrato troppo ansioso? «Ma fa' capire a tua madre che desidero vederti da sola.» L'enormità di ciò che stava facendo lo colpì mentre posava il ricevitore. C'era qualcosa che potesse giustificarlo? Lei era una ragazzina di appena sedici anni in possesso di informazioni di vitale importanza per lui e un'altra ragazzina adolescente in possesso di informazioni di vitale importanza per lui era stata strangolata prima che potesse riferirgliele. Stava mandando Veronica incontro alla stessa sorte che aveva travolto Paulette Harmer? Se ci fosse stato Burden, si sarebbe confidato con lui ma con Crocker non si sentiva di farlo. «Non andate là, dunque?» domandò il medico un po' sconcertato sia
dall'espressione di Wexford sia dall'enigmatica conversazione cui aveva assistito. «È l'ultima cosa da fare.» E spero di avere il coraggio di andare fino in fondo, pensò poi l'ispettore, quando Crocker fu uscito. Peccato che mancassero ancora tante ore! Ma il vantaggio di una gara serale era che poco dopo sarebbe stato buio... Vantaggio! In quel momento, lei stava probabilmente telefonando alla madre, da Jickie, per raccontarle tutto, sperava Wexford, e convincerla a lasciarla andare sola. E lui l'avrebbe fatta strettamente sorvegliare passo per passo. Squillò il telefono. La signorina Veronica Williams desiderava parlare con lui, disse il centralinista. «Potrei venire a parlare con voi adesso» disse la voce quasi infantile. «Sarebbe più semplice. Così non dovrei turbare la mamma. Non sarei costretta a dirle che non la voglio con me, intendo.» Wexford strinse i denti, si sforzò di fare il duro. «Ora sono troppo occupato. Non potrò riceverti fino a stasera, Veronica. E anzi, vorrei che lo dicessi a tua madre, ti prego. Diglielo ora.» Ma se avesse ritelefonato, pensò, lui avrebbe ceduto e l'avrebbe lasciata venire. Non sarebbe stato capace di insistere. Veronica avrebbe riconosciuto Martin? E Archbold? E Palmer? Avrebbe certamente riconosciuto Allison. Che importanza aveva, in fondo, se li avesse riconosciuti? Anche lui ci sarebbe stato. Non c'era un altro modo: doveva farle percorrere quei dieci minuti di strada dal Tennis Club alla stazione di polizia, nelle prime ombre della sera, e sperava che avrebbe seguito le sue istruzioni e preso il sentiero che attraversava i campi. Di nuovo il telefono. È lei. Non posso ostinarmi. Andrò io, da lei e la farò parlare. Avrò prove sufficienti. Sollevò il ricevitore. «L'ispettore Burden per voi, signor Wexford.» La voce di Burden era strana, cambiata. «È tutto finito. Mamma e bambino stanno benone. Le hanno fatto il taglio cesareo stamattina alle nove.» «Congratulazioni, Mike! Splendido! Fa' i miei auguri a Jenny. Quanto pesa Mary? Voglio dirlo a Dora.» «Tre chili e ottocento grammi, ma non sarà Mary. Dovremo cambiare una lettera al nome prescelto.» Wexford non aveva voglia di fare congetture. Jenny doveva aver convin-
to Mike a scegliere un nome meno semplice. «Sarà Mark» riprese Burden. «Ci vediamo più tardi.» 21 Proprio su quel sentiero era stato rinvenuto anni addietro il cadavere di una donna. Lo stavano pensando tutti, anche Palmer e Archbold che a quell'epoca probabilmente andavano ancora a scuola. Come Veronica Williams. Aveva mai saputo di quel delitto, lei? E la gente, ne parlava ancora? La donna uccisa abitava in Forest Road, l'ultima strada nella zona che facesse ancora parte di Kingsmarkham. Là comincia il confine di Pomfret, anche se il territorio è poi aperta campagna fino a Pomfret in una direzione e fino alla stazione di polizia di Kingsmarkham nell'altra. Il Tennis Club, tuttavia, non è in Forest Road ma in Cheriton Lane, una parallela sul lato di Kingsmarkham. Alcuni prati cinti da siepi coprono i pochi acri fra il circolo e la città e il viottolo corre per l'appunto lungo una di quelle siepi, costeggiando a un certo punto un boschetto, per emergere infine in High Street, una cinquantina di metri a nord e sul lato opposto della stazione di polizia. Wexford aveva messo Martin e Palmer con un'auto in Cheriton Lane, lui stesso si sarebbe appostato con Archbold nel boschetto, Loring si sarebbe confuso con gli spettatori alla partita, Bennett avrebbe pattugliato l'incrocio con High Street e Allison doveva seguire la ragazza a distanza di sicurezza. Frattanto la comparsa di Burden, che ora si trovava lì in ufficio con lui, aveva almeno offerto un diversivo al lungo, noioso pomeriggio. «Non capisco come abbiano potuto commettere un errore così madornale nella determinazione del sesso» osservò Wexford. «Io non so niente di queste cose ma mi pare che se la formula del cromosoma maschile è XY e la formula di quello femminile è XX, dovrebbe essere così all'atto del concepimento e fino alla morte di un uomo o di una donna, no?» «Non è questo il punto. A quanto mi hanno spiegato, con l'amniocentesi si prelevano cellule del liquido amniotico, entro il quale è immerso il feto, ma qualche volta, un caso su diecimila, viene commesso un errore e si prelevano cellule appartenenti alla madre invece che al bambino. E non è nemmeno detto che gli errori siano realmente così rari, perché se il nascituro è una femmina, nessuno se ne accorge. Ma nel nostro caso, a quel che ho capito, è molto probabile che cada qualche testa.»
«Hanno creata tanta inutile infelicità!» «Infelicità sì, è la parola giusta, ma forse non inutile. Jenny dice di avere imparato molto da quell'errore. Ha capito di non essere... come dire... una femminista per istinto e ora sente di dover guardare al femminismo non da un punto di vista emotivo, ma considerando ciò che è giusto e ragionevole. Non sapevamo, nessuno dei due, quanti pregiudizi vecchi e sorpassati nutrissimo ancora dentro di noi. Perché anch'io, in fondo, lo devo ammettere, desideravo un figlio, anche se non lo dicevo, e quell'errore ci ha insegnato che ci siamo tenuti reciprocamente nascosti i nostri veri desideri anche se pensavamo di essere franchi e aperti l'uno con l'altro.» Wexford riuscì a fatica a restare impassibile. «Adesso che hai un maschio non rimpiangerai di non aver avuto una femmina, spero!» Aveva parlato al singolare, ma pensava anche a Jenny che gli sembrava il tipo di donna per la quale l'erba del vicino è sempre più verde. «Ma no, che diamine!» protestò Burden, piccato. «E poi, che importanza ha il sesso, purché sia sano e abbia tutte le dita delle mani e dei piedi?» Wexford ritenne chiuso l'argomento. Poiché era lì, pensava di prendere parte "all'operazione Veronica"? Ma Burden non poteva. Doveva tornare subito all'ospedale. Poi Wexford pensò che forse sarebbe ricominciato a piovere, e l'incontro sarebbe stato sospeso e Veronica si sarebbe limitata a prendere l'autobus per venire da Pomfret alla stazione di polizia. Verso le cinque e mezzo del pomeriggio il cielo si schiarì e parve quasi certo che l'incontro avrebbe avuto luogo. E, a meno che non si fosse risolto in due rapide partite, difficilmente Veronica avrebbe potuto lasciare il circolo prima delle sette. E che cosa fare, fino ad allora? Perché non andare ad assistere all'incontro? Individuò subito Martin e Palmer a bordo di un'auto a discreta distanza dall'ingresso, ma proseguì senza dar segno di averli visti. Il campo sul quale si sarebbe giocato era ancora deserto e gli spettatori in giro si potevano contare sulle dita. Wexford rifletté che in quelle condizioni Veronica lo avrebbe visto sicuramente e questo avrebbe mandato all'aria tutto il suo piano. Non gli restava quindi che rifugiarsi al bar, l'ultimo posto dove una giocatrice sedicenne si sarebbe recata prima di una gara. Da lì, un salone semicircolare con un'ampia vetrata che offriva un'ottima vista su tre dei nove campi del circolo, avrebbe potuto seguire comodamente l'incontro. Wexford ordinò una birra e si sistemò in posizione strategica.
Ma vennero le sei, poi le sei e dieci, e nessuno compariva. Non è venuta, pensò l'ispettore. Poi, quando Dio volle, arrivò un arbitro che si arrampicò sul suo alto seggio e poco dopo apparvero anche Veronica e una ragazza un po' più vecchia e molto più alta e atletica di lei. Quasi nello stesso momento, Wexford vide Loring avvicinarsi ai pochi spettatori e accomodarsi su una panca vuota. Meno male che Veronica non lo aveva mai visto, commentò fra sé l'ispettore. Doveva fare piuttosto freddo, là fuori. Una folata di vento sollevò la minigonna a pieghe di Veronica, mentre le due ragazze cominciavano a palleggiare per riscaldarsi. Loring sollevò il colletto della giacca e si accese una sigaretta. Finalmente ebbe inizio la prima partita. Avrebbe fatto buio presto quella sera, col cielo ancora così imbronciato, e Wexford si domandò se la luce sarebbe durata abbastanza da consentire che si concludesse l'incontro. Veronica, al servizio, vinse il primo gioco a zero, ma il gioco si fece un po' più difficile quando cominciò a servire la sua avversaria. Tre pari. Sembrava che la partita dovesse continuare a lungo con alterne vicende e invece si concluse abbastanza rapidamente. Veronica mantenne i suoi due servizi e strappò il servizio all'avversaria. «È uno schianto quella ragazzina» osservò al fianco di Wexford la cameriera del bar, interessata alla partita. «Forte come un cavallo, con braccia come corde di una frusta.» Mancavano venti minuti alle sette e cominciava a farsi buio. Veronica vinse i primi due giochi della seconda partita, ma l'altra ragazza si batteva con determinazione. Probabilmente non aveva mai giocato contro Veronica e le ci era voluto tutto quel tempo per scoprire il suo punto debole, il passante incrociato di diritto che, al contrario del rovescio, raramente le riusciva bene. E fu appunto insistendo su quel colpo che la sua avversaria riuscì a guadagnare punti su punti finché non arrivò a condurre per 4 a 2. La luce aveva ormai assunto una sfumatura bluastra, ma le linee del campo erano ancora ben visibili, sembravano risplendere di una vaga luminosità fluorescente. Poi fu come se Veronica avesse imparato a un tratto a dominare anche il diritto incrociato, come se le fosse entrata in corpo una nuova carica, il dono di un virtuosismo mai conosciuto. Non aveva mai giocato a quel modo, pensò Wexford. Per un breve quarto d'ora, giocò come se si trovasse sul campo centrale di Wimbledon, non per un colpo di fortuna ma per un dirit-
to duramente acquisito. La sua avversaria non fu in grado di opporsi. In un quarto d'ora conquistò quattro punti in tutto e Veronica vinse anche la seconda partita per 6 a 4. Scagliò in aria la racchetta, la riafferrò al volo poi si avvicinò alla rete per scambiare la rituale stretta di mano con l'avversaria. Wexford salutò la cameriera e sgattaiolò via, non prima di aver visto le giocatrici entrare nell'edificio dov'erano gli spogliatoi. Loring era ancora là seduto sulla panca. Archbold se ne stava acquattato fra l'erba alta che quasi lo ricopriva per intero nel punto in cui il viottolo sfociava nel campo. Wexford lo vide subito, ma una volta ancora non ne diede alcun segno. Veronica non lo avrebbe visto di certo. Il viottolo serpeggiava parallelamente a una siepe, poi costeggiava il boschetto. Il primo crepuscolo si stendeva immobile, sospeso fra luce e oscurità. Se fosse stato più buio, nessuna ragazza dotata di un minimo di prudenza avrebbe osato percorrere quella strada, ma Veronica Williams, nonostante le apparenze, non era una ragazza prudente. L'aria era ferma e umida, l'erba bagnata. Wexford si avviò lungo il sentiero, sotto gli alti rami, certo com'era sempre stato che l'aggressore di Veronica l'avrebbe aspettata nel boschetto. Archbold aspettava là dalle cinque e mezzo, per sicurezza, ma Wexford ormai non poteva più unirsi a lui senza correre il rischio di essere visto. Per essere rimasto là al circolo fino alla fine dell'incontro, stava correndo il rischio di essere lui stesso a mandare all'aria il suo piano. Poco più avanti, un grande acero stendeva i suoi rami frondosi sopra il viottolo, mentre i più bassi sfioravano quasi il terreno. L'ispettore ne scartò uno, si appoggiò contro il tronco e rimase in attesa. Erano le sette e mezzo, ormai, e Wexford cominciò a chiedersi se Veronica sarebbe mai venuta. Il fatto che vi fossero stati così pochi spettatori alla partita, non escludeva la possibilità che si fosse preparato un festeggiamento per lei, al circolo. Poi ricordò che era figlia di sua madre: le ci sarebbe voluto parecchio tempo per cambiarsi e pettinarsi, forse aveva fatto anche una doccia. Wendy era il tipo che avrebbe tirato giù dal letto anche un moribondo per cambiargli le lenzuola prima che venisse il medico. Rimase fermo al suo posto nel crepuscolo silenzioso che cominciava a essere offuscato da una lieve nebbiolina. Di tanto in tanto si udiva il rombo lontano di qualche pesante automezzo che passava sulla strada tra Kingsmarkham e Pomfret, ma niente altro. Nemmeno gli uccelli cantavano più in quella stagione e a quell'ora. Wexford riusciva a vedere il viottolo per
una diecina di metri dietro a sé e una cinquantina davanti e gli sembrava la strada più deserta che avesse mai visto in vita sua. Archbold si sarebbe buscato i reumatismi restando là sdraiato sull'erba bagnata, col freddo che gli penetrava nelle ossa. E forse si era addormentato. E a un tratto apparve Veronica. Non sembrava affatto intimorita. Wexford vide chiaramente per un attimo il suo viso, con quella sua espressione innocente. Innocente e fiduciosa. Non pensava nemmeno di poter correre qualche pericolo. Se la sua sorellastra Sara sembrava una madonna fiorentina, lei assomigliava a un paggio mediceo, il piccolo viso serio e pensoso e la cornice dorata dei capelli lisci e della frangetta. Indossava pantaloni di cotone rosa, accuratamente stirati dalla mamma, le scarpe di tela bianca e rosa, un giubbotto a righe azzurre e bianche aperto su un soffice pullover bianco e portava la racchetta in una custodia blu. Lo sguardo attento dell'ispettore colse tutti quei particolari mentre gli passava davanti camminando svelta. Non osò uscire dal suo nascondiglio. Veronica avrebbe potuto voltarsi indietro. Saltò invece nel campo attiguo, fra le stoppie che in quella luce apparivano grigie, e si mise a correre lungo l'altro lato della siepe. Un bel tratto più avanti, al disopra degli arbusti, vedeva la testa bionda di Veronica che stava per raggiungere il boschetto. E a un certo punto Wexford si trovò la strada sbarrata da un groviglio di filo spinato, troppo fitto per poter aprirsi un varco e troppo alto per poterlo scavalcare senza arrecare un grave danno ai suoi pantaloni. Non gli restò altro che riattraversare la siepe, aggirare l'ostacolo, rientrare nel campo. Veronica intanto era scomparsa. Wexford si sentì il cuore balzargli in gola. Se aveva incontrato l'aggressore ed era entrata nel boschetto... Se Archbold si era addormentato davvero... Tornò sul viottolo e raggiunse di corsa il boschetto. Era molto buio lì fra gli alberi, si camminava su un folto tappeto di aghi d'abete. Wexford continuò a correre finché non andò a sbattere contro Archbold. «Qui non c'è nessuno, signor ispettore. Non ho visto anima viva da quando sono qui.» «Tranne la ragazza» obiettò Wexford ansante. «È appena passata, sola, diretta verso High Street.» L'ispettore emerse dal boschetto sul lato di Kingsmarkham, seguito dall'agente. Veronica non si vedeva da nessuna parte. La siepe troppo alta e il fogliame degli alberi impedivano la visuale. Wexford dimenticò ogni discrezione, abbandonò la caccia all'assassino e si lanciò a precipizio lungo
il viottolo, in preda alla paura. Un momento prima aveva pregato il cielo che non arrivasse Bennett, proveniente da Kingsmarkham, a rovinare tutto. Ora sperò di vederlo apparire. Restava un ultimo campo che il viottolo tagliava in diagonale correndo poi lungo una siepe ad angolo retto con la strada. Nessun segno di Bennett. L'aveva vista? O aveva visto l'aggressore? Gli sarebbe stato possibile vederla, in quella luce morente? Il prato era grigio, le siepi scure, l'aria era densa e nebbiosa, la visibilità quasi nulla, si scorgevano a malapena i fari delle macchine che passavano sulla strada per Pomfret. Veronica non c'era. Il prato era deserto. Ma là in fondo, dove il viottolo incontrava la siepe, appena appena percettibile, qualcosa si muoveva. Veronica aveva percorso la diagonale ed era arrivata agli ultimi cento metri, i suoi indumenti chiari coglievano la poca luce rimasta e la faceva risplendere come una falena sullo sfondo del fogliame scuro. Wexford e Archbold non presero la diagonale. Non volevano rischiare di essere visti. Si tennero lungo la siepe di recinzione, benché non vi fosse sentiero, lo sguardo fisso sulla pallida falena sfarfallante là in fondo, diretta verso la strada per Pomfret. Non la raggiunse mai. Lo sfarfallio cessò e qualcos'altro apparve laggiù in fondo al campo, dov'erano alcuni olmi morti fra un intrico di rovi, di ortiche e di clematidi selvatiche. Qualcosa o qualcuno era balzato da quell'intrico e le sbarrava la strada. A Wexford sembrò di udire un grido. Non ne fu certo. E, comunque, non un grido di paura, piuttosto un'esclamazione di sorpresa. Wexford tagliò l'angolo, correndo come un pazzo, col cuore che gli batteva nella cassa toracica, correndo come un uomo di quasi sessant'anni non avrebbe dovuto correre. Archbold riuscì a precederlo solo di una frazione di secondo. Strano che la lama di un coltello riuscisse a mandare un lampo persino in quella semioscurità. Wexford vide quel lampo, poi lo vide cadere al suolo. Archbold stava già stringendo Veronica che nascondeva il viso sul suo petto, aggrappandosi alla sua giacca. Lei non tentò nemmeno di fuggire. Strinse le mani l'una all'altra, chinando la testa tanto da non mostrare il viso. In quel momento, come se fosse uscito dal nulla, comparve correndo anche Bennett. Finalmente Sara Williams rialzò il viso, con un'espressione di vaga sorpresa. «Arrestatele entrambe» ordinò Wexford. «Saranno chiamate a rispondere dell'accusa di omicidio volontario di Rodney Williams.»
22 «Erano le due ragazze, non le loro madri, che si conoscevano» disse Wexford. «Ho interpretato erroneamente le parole di Edwina Klein. "Quelle due donne si conoscevano" ha detto. "Le ho viste insieme." E io ho ritenuto che alludesse a Joy e Wendy, per me Sara e Veronica sono solo due ragazze. E invece per le femministe militanti dell'ARRIA tutte le persone di sesso femminile sono donne. Come lo sono per gli organizzatori sportivi. Le concorrenti sono sempre donne, anche se hanno soltanto quindici anni.» Burden e il dottor Crocker non fecero commenti. Erano a casa di Burden e stavano bevendo del caffè. Il caso era chiuso. Un tribunale speciale per Sara e un tribunale speciale dei minorenni per Veronica avevano rinviato a giudizio le due ragazze. Poi una banda scatenata di telecronisti e di fotografi aveva colto di sorpresa l'ispettore capo, che sarebbe apparso una seconda volta in televisione. Con l'aspetto di un centenario, aveva pensato lui, che aveva trascorso tutta la notte a interrogare Sara. Chissà quanta gente avrebbe telefonato per suggerire che era tempo che andasse in pensione. «Si erano conosciute al tennis, naturalmente. Quando sono salito nella sua camera da letto per parlarle, ho notato che aveva una racchetta appesa alla parete. Non era neppur lontanamente all'altezza di Veronica, era solo una riserva, ma un giorno l'hanno chiamata per giocare contro di lei. Che cosa è accaduto allora? Non lo so e lei non me l'ha detto. Forse qualcuna delle ragazze le ha fatto notare la loro somiglianza e, visto che si chiamavano tutt'e due Williams, Sara avrà pensato che erano cugine. Una delle due, probabilmente Sara, deve avere indagato più a fondo e la verità è venuta a galla. Può essere bastata una fotografia: "Guarda, questi sono i miei genitori...".» «Un'esperienza sconvolgente» osservò il medico. «E al tempo stesso eccitante.» «Un punto di vista un po' superficiale» commentò Burden. «Anzi, da insensibile, oserei dire. Quelle due ragazze erano molto sole, Veronica protetta ma repressa, Sara trascurata, trattata con scarso affetto dai familiari... Chissà, forse sarà stato sconvolgente, ma anche confortante scoprire di avere una sorella?» Wexford reagiva sempre in modo affettuoso e divertito quando Burden dava prova di questa sua nuova sensibilità, acquisita tardi nella vita, e spesso mal diretta. Gli ricordava quel vecchio detto sulle buone intenzioni
di cui è lastricato l'inferno. L'ispettore scelse accuratamente le parole. Parole molto dure, dette però con tono esitante. «Sara Williams non prova normali sentimenti d'affetto, non ha un normale bisogno d'amore, non soffre di solitudine. Penso che la si possa definire una psicopatica. Ha solo bisogno di attirare l'attenzione del suo prossimo, di fare colpo, di imporre la sua volontà. Dalla sorellastra deve avere avuto subito ammirazione. Sara è una ragazza di intelligenza notevole. È molto superiore a Veronica, intellettualmente. È una solipsista, forte, decisa, insensibile, amorale. Dotata di una forza di carattere eccezionale.» Crocker inarcò le sopracciglia. «Ricordatevi che state parlando di una diciottenne che è stata violentata dal padre!» Wexford non fece commenti. Stava pensando a ciò che gli aveva detto quella ragazza, seduta a un capo di quel tavolo intorno al quale sedevano lui, Martin e Marion Bayliss come se fosse lei a presiedere al colloquio. Aveva parlato tenendo la testa alta, descrivendo i suoi sentimenti e le sue azioni, senza pensare minimamente a scagionarsi. «Veronica mi assomiglia, è così simile a me che ho cominciato a sentirla come parte di me stessa, quella parte più debole, più graziosa, più femminile. Una parte di cui ho ultimamente desiderato di liberarmi.» Il solipsismo, secondo il lessico, è l'atteggiamento di chi risolve ogni realtà in sé considerando l'universo intero come semplice rappresentazione della propria e particolare coscienza. «Perché non avete mai detto ai vostri genitori che avevate conosciuto Veronica?» «Perché avrei dovuto?» La freddezza delle sue risposte lasciava senza fiato. «Sarebbe stato più che naturale affrontare vostro padre rivelandogli quello che avevate scoperto.» Era schietta, a suo modo. «Mi piaceva avere un segreto. Mi divertiva l'idea che lui pensasse che non sapevo niente.» «Per poter avere un'arma contro di lui?» «Forse» aveva ammesso lei in tono indifferente, contrariata che il colloquio non fosse centrato esclusivamente su di lei. Era con quest'arma che lo aveva minacciato dopo l'incesto? È così che era riuscita a fermarlo? «Avete impedito anche a Veronica di dirlo a sua madre?» «Lei faceva quello che le dicevo io.»
Lo disse con il tono dell'addestratore che parla di un cane docile e ubbidiente. L'addestratore che dà per scontata l'obbedienza, tanto sono efficaci la sua personalità e la sua tecnica, tanto sarebbe impensabile una reazione diversa. Wexford si rammaricava che Crocker e Burden non avessero ascoltato e visto l'atteggiamento di Sara quando aveva pronunciato quelle parole. Lui non tentò nemmeno di descriverlo. «Le due ragazze presero a incontrarsi molto spesso» spiegò. «Sara andava persino a casa di Veronica, quando Wendy era al lavoro. E Veronica finì con l'ammirarla in maniera insensata, la seguiva in tutto, avrebbe fatto qualunque cosa Sara le avesse chiesto. Gli psichiatri la chiamano folle à deux, un tipo di pazzia che coglie due persone soltanto quando sono insieme, ed è mediata dall'influenza che esercitano reciprocamente l'una sull'altra. Tuttavia, in tutti questi casi c'è sempre una delle due che è più debole e l'altra che assume il ruolo dominante. Ripensando con attenzione ai nostri incontri non ricordo che Sara mi abbia mai rivolto una frase che non cominciasse con "Io" o di cui lei non fosse il principale oggetto. «I frequenti incontri» proseguì l'ispettore dopo un breve pausa «portarono naturalmente a un nutrito scambio di informazioni. Sara aveva sempre creduto che suo padre fosse il rappresentante della Sevensmith Harding per la zona di Ipswich, mentre Veronica era persuasa che fosse il rappresentante di una ditta che produceva arredi per bagno, così fecero alcune indagini e scoprirono la verità. Da oltre un anno sapevano che lavoro svolgeva Rodney e quanto guadagnava. «Sara inoltre mise in guardia Veronica contro le tendenze sessuali del loro padre. Fu così che Wendy cominciò a temere un approccio incestuoso. Non perché avesse visto lei qualcosa, né perché qualche bacio o carezza avesse insospettito Veronica, ma perché Sara le aveva detto chiaro e tondo quello che doveva temere e lei lo aveva riferito alla madre senza rivelarle la fonte. In un modo o nell'altro, Sara era riuscita a comunicare alla sorellastra una paura folle, e l'aveva trasformata in una ragazza stordita e confusa. Riflettete alla situazione in cui si trovava questa povera ragazza. Scopre che il padre ha una moglie legittima e due altri figli, capisce che il secondo matrimonio del padre non è valido e che quindi lei è figlia illegittima. Suo padre è dunque un impostore e un bugiardo. Ha mentito sul lavoro che svolge. Ma peggio di ogni altra sua colpa, ha usato violenza alla figlia maggiore ed avrà di sicuro le stesse intenzioni nei suoi confronti. Come meravigliarsi che sia spaventata a morte. «L'aver confessato a Wendy la sua paura di essere sessualmente aggredi-
ta dal padre ha avuto come unico effetto di fare esplodere un dissidio fra padre e madre. Wendy ha forse accusato Rodney e lui ha recisamente negato? E quasi certo. La lite deve comunque essere stata abbastanza accesa da far pensare a Wendy che il marito intendesse abbandonarla. Ma le ha comunque lasciato il timore, se lui fosse tornato, che potesse insidiare Veronica. Ecco perché non volle che la ragazza rimanesse sola in casa, la sera del quindici aprile, quando Rodney avrebbe dovuto far ritorno. «Ma Veronica aveva ora, oltre alla madre, un'altra amica e confidente. Aveva Sara. E Sara giustificò la fiducia che Veronica aveva riposto in lei. Fu sicuramente Sara ad avere la brillante idea, per distogliere le attenzioni del padre, quella sera, di sostituire con un sonnifero le pillole ipotensive. Uno stratagemma che si poteva usare una volta sola. Solo in caso di emergenza. «Al contrario delle loro madri, le due ragazze sapevano che dalla casa di Alverbury Road sarebbe andato direttamente a quella di Liskeard Avenue, così Sara provvide a cambiargli le pillole nel flacone, lasciandone soltanto due che Rodney ingollò, come previsto, prima di uscire di casa. E senza dubbio cominciò a sentirsi cascare di sonno ancora prima di arrivare a Pomfret.» «Ed era stata Paulette Harmer a fornire a Sara il sonnifero?» domandò il medico. «Penso di sì. È l'ipotesi più probabile. Ma non fu per quello che Paulette morì. Morì perché la piega che stavano prendendo gli avvenimenti l'indusse a riflettere sulla sera del quindici aprile e questo le riportò alla mente alcuni particolari. Rammentò di avere udito sua madre parlare al telefono con la zia Joy, quella sera, dicendole quanto fosse contenta di sapere che Kevin si trovava sempre bene al college, e si ripropose di riferirlo a noi perché aveva saputo dai giornali, dalla televisione e dai discorsi dei genitori che nutrivamo gravi sospetti sul conto di sua zia. Sapeva benissimo che sua zia era rimasta a casa sua, quella sera: c'era alle otto, quando aveva parlato al telefono col figlio, e c'era ancora alle otto e mezzo quando aveva parlato con la sorella.» Sarebbe potuta essere una creatura che spargeva fiori sul suo cammino o che sorgeva dal mare dentro una conchiglia, con quel viso dolce, innocente e un poco misterioso. Un lieve sorriso di compiacimento le aleggiava sulle labbra. Aveva i capelli pettinati all'indietro, ma alcuni riccioli ribelli le ricadevano come viticci d'oro, sulla candida fronte. «Veronica mi telefonò per dirmi che si era profondamente addormenta-
to, come avevo previsto. Le ho risposto che mi sarei recata subito a casa sua.» Lui la interruppe per chiederle perché. «Pensavo di doverlo fare. Non mi sarebbe mai più capitata un'occasione come quella, non vi pare?» Lui si trattenne dal chiederle che cosa intendesse dire. I suoi occhi parvero farsi più grandi, il viso più inespressivo. «Lo vidi là addormentato e pensai: è in mio potere. Ho anche pensato al potere che lui aveva su di me. E ho cominciato a sentire salire in me il furore.» «E Veronica?» «Non ho pensato a lei. Era lì, suppongo. Sì, certo, c'era anche lei. "Possiamo ucciderlo e mettere fine a tutto" le ho detto. Poi le ho chiesto di portarmi un coltello. Ma non facevo sul serio, era come un sogno, una fantasia. Ero in collera, ero eccitata, esaltata, come quando si è bevuto.» Folie à deux. Era esaltata anche Veronica? Da Sara non lo avrebbe saputo di certo; inutile cercare di sapere da Sara quali erano i sentimenti di un'altra persona. «Presi il coltello dalle sue mani e lo levai dalla custodia di cartone, poi mi avvicinai a mio padre che dormiva lì sul divano e mi misi a giocherellare, agitandogli il coltello sul viso, fingendo di pugnalarlo. Lui dormiva profondamente. Facevo ridere Veronica con quella manovra, ma lui non si accorgeva di niente. Non ricordo che cosa, poi, mi ha fatto smettere di scherzare. Ero così eccitata, esaltata che non me lo ricordo più. Ma è andata così. Un minuto prima era tutta una fantasia, poi a un tratto è diventata realtà.» Guardò Marion seduta a un lato del tavolo, poi Martin seduto all'altro lato. Come se volesse accertarsi che l'attenzione del suo uditorio era centrata su di lei. Finalmente i suoi occhi si fissarono in quelli di Wexford. «Alzai il coltello e glielo piantai nel collo, con forza, tenendolo con le due mani. Si svegliò, gridando, e allora lo pugnalai ancora e ancora perché il sangue smettesse di zampillare. Farò il medico, io, quindi so che il sangue smette di sgorgare quando uno è morto.» Per quanto indurito dal mestiere, ci vollero a Wexford alcuni minuti per ritrovare la voce. «Lo ha accoltellato anche Veronica?» «Le ho dato il coltello, dicendole che doveva farlo, ma lei si è limitata a ficcarlo nella grande ferita che avevo già aperto io, poi è scappata via e si è
sentita male.» «Completamente pazza» commentò Burden. «Non lo so. Non ne sono sicuro. Non è compito nostro definire che cos'è la psicosi.» «E dopo che cosa accadde?» domandò il dottor Crocker. «La stanza era tutta disseminata di teli di protezione. Uno ricopriva anche il divano sul quale si era addormentato Rodney Williams, e fu quel telo, appartenente a Leslie Kitman, a raccogliere la maggior parte del sangue. Altri schizzi avevano raggiunto la parete dalla quale Kitman aveva tolto proprio quel giorno la vecchia tappezzeria. Veronica intanto si era ripresa e, obbedendo agli ordini di Sara, aveva lavato il coltello. Poi le venne in mente di nasconderlo dentro il muro. Nella parete vi erano numerose crepe ancora da stuccare e nell'autorimessa le due ragazze scovarono un barattolo di stucco. C'era anche l'auto di Rodney, la Granada battezzata Greta e che Sara sapeva guidare. Avvolsero il corpo nel telo di Kitman, poi gli arrotolarono intorno al collo due tovagliette da tè di Wendy, ripulirono la stanza e fra tutt'e due trasportarono il povero Rodney giù nell'autorimessa e lo ficcarono nel portabagagli. Durante il tragitto, buttarono il telo in un bidone della spazzatura. Erano le sette e mezzo.» «Ma allora com'è possibile che Kevin abbia potuto parlare con sua sorella quando telefonò, alle otto?» «Non parlò affatto con lei, ma con la madre. In seguito mentirono tutti e due per proteggere Sara. Oh, lo so, Joy non le è molto affezionata, ma è pur sempre sua figlia e quando cominciò a riflettere su quanto era successo, intuì che Sara poteva essere coinvolta nella scomparsa del padre. Da principio, pensò veramente che il marito l'avesse abbandonata e chiese il mio intervento perché la consigliassi, ma poi le cose cambiarono e credo di sapere perché. Seguendo il mio consiglio, telefonò alla Sevensmith Harding e là le dissero che lei aveva telefonato il venerdì sedici aprile, avvertendo che suo marito era malato. Senza dubbio, a tutta prima, Joy pensò che si trattasse di un errore, ma la telefonista era così certa che quella voce fosse proprio la sua! E lei conosceva una donna che aveva la sua stessa voce: sua figlia. «Non dimenticate che Joy sapeva quello che provava Sara nei confronti del padre, dopo l'incesto. E sapeva che era rimasta fuori per ore, la sera del quindici aprile. Così ci ha detto, e lo ha fatto confermare da Kevin (senza alcuna difficoltà, suppongo, perché quel ragazzo non ha alcuna simpatia
per i poliziotti e vuol molto bene alla sorella) che era stata lei a uscire, mentre Sara non si era mossa da casa. Vi fu collusione con Sara? Ne dubito. Non esisteva un vero rapporto tra madre e figlia. Probabilmente Joy disse soltanto che era meglio attenersi a quella versione e Sara non fece obiezioni.» «State descrivendola come un'eroina pronta a sacrificarsi per amore materno, e questo non si accorda affatto a ciò che sappiamo di Joy Williams» obiettò Crocker. «No. Joy credeva, giustamente, di non correre alcun rischio. Era persuasa che non avremmo mai arrestato un innocente. La sua fiducia deve essere stata messa a dura prova, in questi ultimi giorni.» «Dunque, dicevate, le due ragazze portarono il corpo di Williams fino alla foresta di Cheriton e gli scavarono la fossa con la sua stessa pala da neve?» osservò Burden. «Una fossa poco profonda perché Sara non voleva che passasse troppo tempo prima che lo scoprissero. Le bastavano un paio di settimane, il tempo sufficiente perché si cancellasse ogni indizio. Invece le cose non andarono così e trascorsero due mesi prima che il corpo venisse scoperto. «Mi sono a lungo arrovellato per trovare una spiegazione a quelle strane coincidenze che riguardavano Milvey» proseguì Wexford. «Ora ho finalmente capito che cos'è accaduto. Non c'è stata alcuna coincidenza. Sara e Veronica nascosero la valigetta del padre, probabilmente nella foresta stessa, con la speranza che la si ritrovasse nel giro di pochi giorni. Invece non la vide nessuno. Finché, un giorno, Sara udì la signora Milvey dire a Joy che il giorno successivo il marito avrebbe cominciato a dragare il Green Pond. Allora andò a recuperare la valigia e la gettò nello stagno dove infatti venne ripescata.» «Ma perché voleva che il corpo venisse ritrovato? Che differenza faceva per lei?» «Questo te lo spiegherò più tardi.» «Perché prendersi il disturbo di telefonare alla Sevensmith Harding e scrivere una lettera per ritardare le ricerche e poi cercare di accelerarle? Penso che sia stata Sara a telefonare, vero? La sua voce assomiglia moltissimo a quella di sua madre.» «Sara ha telefonato e Veronica ha battuto a macchina la lettera. A casa della sua amica Nicola Tennyson, sulla macchina per scrivere della signora Tennyson. Seppellirono il cadavere, nascosero la valigetta, poi Sara riportò a Pomfret Veronica, perché potesse trovarsi in casa al ritorno della madre.
Erano circa le nove e Wendy, come sappiamo, rientrò soltanto alle nove e mezzo, dopo l'appuntamento segreto con James Ovington. Fu Sara stessa ad abbandonare la Grenada in Arnold Road là dove, poco dopo, la vide Eve Freeborn. Se Sara fosse arrivata un po' più tardi oppure Eve un po' più presto, le due socie dell'ARRIA si sarebbero incontrate, facilitando così, involontariamente, il nostro compito. Ma quando Eve arrivò, Sara era già sull'autobus che la riportava a casa. «La mattina seguente, si chiuse in salotto e, prima di andare a scuola, fece quella telefonata. E con questo si completa il quadro delle circostanze che hanno accompagnato la morte di Rodney Williams» concluse l'ispettore capo. Per qualche momento, nessuno parlò. Wexford rimase a fissare il nitido giardino di Burden, con le sue siepi fiorite e il prato verde smeraldo. I crisantemi gialli di Jenny brillavano sotto il sole. «È triste pensare» sospirò Crocker «che è stata stroncata sul nascere la carriera di Sara come medico.» Burden lo fissò sorpreso. «Al St. Biddulph's non daranno certo molta importanza a questa banalità: che cosa ha fatto, dopo tutto: ha ucciso il padre sgozzandolo con un coltello da cucina!» esclamò sarcastico. «Ma non credete che possa essere un'attenuante, o anche qualcosa di più di un'attenuante, il fatto che quel padre l'avesse violentata e desse segno di accingersi a fare altrettanto con l'altra giovanissima figlia? Non pensate che un giudice, una giuria, saranno pronti a considerare l'incesto una sorta di giustificazione?» Fu Wexford a rispondere. «Io sì.» «La condanna potrà essere mite, allora?» chiese ancora Crocker. «Sara non avrà il dubbio privilegio di esercitare la professione medica come l'umilissimo sottoscritto, ma almeno non subirà un duro castigo!» «Io non sarei tanto certo» intervenne Burden. «Per il fatto della premeditazione e della cura con la quale ha nascosto le tracce, intendete?» «Perché ha ucciso Paulette Harmer» disse Burden. «È vero, lo ha fatto, ma non è questo che intendevo. Vedete, Rodney Williams non ha mai commesso quell'incesto. E nemmeno ha mai dato segno di volerlo commettere con l'altra figlia. Dubito molto che abbia mai aggredito qualcuno a scopo sessuale, nemmeno nel significato più ampio del termine.»
23 Crocker aveva afferrato immediatamente il significato di ciò che l'ispettore aveva detto, e Wexford lasciò che fosse lui a spiegarlo. Il medico cominciò esponendo a grandi linee la "teoria della seduzione" di Freud quale era stata espressa nel famoso saggio del 1896. Tredici pazienti di Freud avevano dichiarato di essere state violentate dal proprio padre e lui lo aveva creduto, costruendo su quei fatti una teoria che poi aveva abbandonato, quando aveva capito di essersi lasciato ingannare. Era poi giunto alla conclusione che le giovani sono inclini a quel tipo di fantasia sessuale e a pensare che il padre abbia fatto l'amore con loro. Da queste ricerche avevano preso l'avvio i suoi lavori sulla fantasia infantile e da ultimo il postulato sul complesso di Edipo. «State dicendo che è stata tutta una fantasia da parte di Sara?» osservò Burden. «Lei non è proprio una ragazzina!» «Nemmeno le pazienti di Freud lo erano, quando lui le ebbe in cura.» «Penso anch'io che Sara abbia nutrito queste fantasie infantili sul conto del padre» convenne Wexford. «Diventata più grande ha letto Freud e alcuni testi sull'incesto. Li ha ancora in camera sua. E c'è un riferimento sull'incesto tra padre e figlia nella costituzione dell'ARRIA. Ha letto anche quello e lo ha addirittura scritto lei? Sara era, nella sua mente, molto profondamente legata al padre, molto più di quanto non lo fosse lui con sua figlia.» «Ma come sapete che non è stata realmente sedotta? L'incesto esiste. Ci sono uomini che lo commettono con la propria figlia. Voglio dire, come faceva Freud a essere certo che nemmeno una di quelle tredici donne diceva la verità?» «Questo non lo so, ma sono certo che non è mai accaduto a Sara. Non è il genere di ragazza cui possa accadere: non è ignorante, ottusa o sottomessa. La presunta seduzione da parte del padre seguiva lo schema descritto nei libri. La ragazza non oppone resistenza, non lotta, non grida. Non vuole creare scandalo. Ma alla prima occasione lo racconta alla madre che reagisce con collera, rimproveri, e accusa la figlia di essersi comportata in modo provocatorio. Joy ha reagito esattamente com'era da prevedere, ma Sara? Se l'incesto fosse realmente avvenuto, lei, socia di un certo rilievo dell'ARRIA, femminista militante, non avrebbe lottato e gridato? Era molto brava a manovrare coltelli, no? Ed è l'ultima persona al mondo che si sarebbe preoccupata di mettere nei guai, morali o materiali, la famiglia.
Quanto al raccontarlo alla madre, perché lo ha fatto? Non c'è confidenza fra lei e sua madre. Sara la disprezza. Se avesse voluto confidarsi con qualcuno, lo avrebbe fatto semmai col fratello. No, non c'è mai stata alcuna violenza sessuale. Se ci fosse stata, Sara l'avrebbe tenuta segreta per servirsene contro suo padre, non sarebbe mai corsa a raccontarlo alla madre. «Fu lei ad accoltellare Colin Budd, naturalmente. Se ricordate, accadde la sera prima che Milvey cominciasse a dragare il Green Pond. Col favore dell'oscurità, Sara andò nella foresta a recuperare la valigetta e la mise in un sacco di plastica. Quando arrivò Budd, lei era là ad aspettare l'autobus che l'avrebbe portata all'estremità opposta di Kingsmarkham, nelle vicinanze di Forby Road e di Green Pond Hall. Non aveva alcuna intenzione di attirare l'attenzione. Aveva inoltre imparato a stare sempre all'erta contro eventuali approcci sessuali. Quella sera stava badando ai fatti suoi e quel tizio l'ha trattata come se si fosse trovata lì soltanto per servirgli da svago. Non v'è dubbio, ha perso la calma e lo ha ferito col temperino.» «Ma se era stata tutta una fantasia» obiettò Burden tornando all'analisi del carattere di Sara «perché si è preoccupata di mettere in guardia Veronica, contro qualcosa che non sarebbe mai accaduto?» «Una fantasia non è volontariamente inventata, non è qualcosa in cui il soggetto che la vive non crede.» «Allora lei ci credeva? Sara era convinta di quello che diceva?» «Sì e no. Con me ha ammesso che non era mai successo niente, ma non mi stupirei che domani dicesse che è accaduto e che ne fosse convinta. Avere un segreto simile da confidare, un segreto così orribile e spaventoso, ha certamente accresciuto il suo ascendente su Veronica. Veronica aveva paura di lei, nutriva per lei un'ammirazione frammista a timore reverenziale, ma ancora prima dell'uccisione di Rodney aveva cominciato a perdersi d'animo. Non riusciva più a reggere.» Wendy era stata convocata di nuovo. Contrariamente al solito si era mostrata calma, forte e ragionevole. Wexford aveva pensato che l'atmosfera del suo ufficio sarebbe stata più accogliente di una delle gelide stanze degli interrogatori. Marion e Polly erano sedute fianco a fianco e Veronica se ne stava un po' in disparte. Era pallidissima e l'ispettore notò che i suoi capelli erano molto più lunghi di quando l'aveva vista la prima volta. Li stava forse lasciando crescere, imitando in questo dettaglio il suo idolo e modello, Sara? Le domandò
quando si era incontrata per la prima volta con la sorellastra. «In settembre» rispose la giovane con voce tanto sommessa che Wexford dovette ripetere la domanda. «Settembre dell'anno scorso.» «E vi siete riviste spesso, da allora? Una volta la settimana?» Altro sussurro. «Di più.» Sì, riuscì a farle dire l'ispettore, si telefonavano sempre. A volte era come un gioco: Sara le telefonava per avvisarla che pochi minuti dopo sarebbe stata in Liskeard Avenue; lei telefonava a Sara per dirle che, se stava attenta a non farsi vedere, poteva andare a guardare Rodney e Wendy che la guardavano giocare a tennis. «Ma poi smise di sembrare un gioco, vero? Il quindici aprile smise di essere un gioco.» La ragazza annuì, le spalle scosse da un tremito involontario. «Ma tu» interloquì Wendy «perché facevi sempre quello che voleva? Perché non ti ribellavi mai?» Come avrebbe potuto rispondere Veronica? «Le hai detto che saresti venuta alla polizia a confessare la parte che avevi avuto nell'omicidio, vero, Veronica?» le domandò Wexford quasi con dolcezza. Lei guardò Wendy. «Ho avuto paura che ti arrestassero.» Una piccola scintilla di trionfo sul viso dolente di Wendy. In quella incredibile circostanza, i tanti anni di devozione verso la figlia venivano compensati. Wexford riemerse dalla sua fantasticheria quando Burden posò davanti a loro un vassoio con tre lattine di birra e quel tipo di vettovaglie di cui si cibava in assenza di Jenny. «Sveglia, capo!» «Oh, scusatemi.» «Sentite, se non v'era stato alcun incesto e di conseguenza non v'era da temere alcuna aggressione da parte di Williams, perché mai lo hanno ucciso? In sostanza, non siamo ancora arrivati a scoprire il movente. O siete del parere che uno psicopatico non abbia bisogno di movente... o quanto meno di un movente comprensibile per la gente normale?» «Vi ho già detto che nel comportamento di Sara c'è sempre stato qualcosa di calcolato, anche se in apparenza incomprensibile, lo dimostra il fatto che prima ha nascosto il corpo e in seguito si è data un gran da fare perché venisse scoperto. E vi ho anche chiaramente fatto capire, destando proba-
bilmente la vostra disapprovazione, che non ho mai nutrito molta compassione per lei. Secondo me non c'è alcuna giustificazione a quello che ha fatto» spiegò Wexford. «Oh, sì, un movente lo aveva, certo, ma si tratta di un movente cinico, simile a quello di un'avvelenatrice che uccide un parente per denaro.» «Ma suo padre non aveva denaro da lasciarle in eredità» obiettò Burden. «Così sembrava, anche se il direttore dell'Anglian-Victoria mi ha lasciato intendere che una somma considerevole si andava accumulando su uno dei due conti aperti da Williams presso la sua banca, probabilmente il conto segreto sul quale veniva versato il suo stipendio che poi andava in parte ad alimentare i conti correnti intestati alle due signore Williams. Tuttavia, non è stato per l'eredità che Sara ha ucciso, anche se il movente è pur sempre il denaro. «Sara voleva laurearsi in medicina» continuò l'ispettore. «Era la sua più grande ambizione. Sapeva di avere le doti per riuscire. Ma i suoi genitori si opponevano e lei dovette convincersi che lo facevano soltanto perché lei era una donna. E ciò era probabilmente vero da parte di Joy, che non avrebbe voluto vederla primeggiare su Kevin. «Da principio, questo non la preoccupò molto. Parlo di un anno fa, più o meno. Sara sapeva che suo fratello era andato al college grazie a una borsa di studio della quale tuttavia non conosceva l'ammontare, anche se sapeva che il suo importo era proporzionale al reddito paterno, dichiarato dal datore di lavoro.» Burden fece un cenno d'assenso. «Comincio a capire.» «Poi, un anno fa, Sara conobbe Veronica e a poco a poco, quando il trauma di quell'incontro cominciò ad affievolirsi, quando molti interrogativi trovarono risposta, comprese quale era la triste realtà. Suo padre seguitava a dirle di non volere che lei facesse il medico perché non era una professione adatta a una donna, perché lei poi si sarebbe sposata e tutto il suo studiare sarebbe stato sprecato, eccetera. Ma lei intuì che ci doveva essere un altro motivo. Scoperto l'inganno del padre, scoperto che egli aveva mentito a entrambe le mogli riguardo al suo lavoro e ai suoi guadagni, Sara fece qualche indagine per accertare che cosa facesse in realtà e quanto guadagnasse. E capì. Se suo padre avesse compilato il modulo per farle avere la borsa di studio, avrebbe dovuto dichiarare un reddito non di diecimila sterline l'anno, ma di due volte e mezza tanto, quanto cioè sarebbe stato dichiarato dalla Sevensmith Harding. «In base ai regolamenti riguardanti le borse di studio, per un reddito di
diecimila sterline, la famiglia contribuisce alle spese con una somma che si aggira sulle quattrocentosettanta sterline, per un reddito di venticinquemila deve pagarne quasi duemila. E Rodney, oltre ad avere due famiglie da mantenere, ne pagava già altrettante per Kevin. Mai, Sara si rendeva conto, avrebbe sborsato una somma simile anche per lei. E infatti, quando lo affrontò e gli chiese se avrebbe compilato la domanda per la sua borsa di studio lui rifiutò recisamente e aggiunse che lo faceva per il suo bene, per non incoraggiarla a intraprendere una professione sbagliata perché era certo che non sarebbe mai stata un buon medico.» «Bastardo!» mormorò Crocker. Wexford si strinse nelle spalle. «Siamo noi che sbagliamo, illudendoci sui rapporti tra genitori e figli, partendo sempre dal presupposto che tutti i genitori amino i propri figli e ambiscano a quanto c'è di meglio per loro.» «Tuttavia, se Sara avesse parlato del suo problema alla scuola, o con qualche comprensivo funzionario degli uffici interessati, forse si sarebbe potuto trovare una soluzione per farle avere ugualmente una borsa di studio, non credete? Chissà quanti casi ci sono come il suo!» «Forse. Ma non dimenticate che Sara ha soltanto diciotto anni. E che per fare un passo del genere avrebbe dovuto rivelare che il padre era un bugiardo e un bigamo. Inoltre, quanto tempo sarebbe passato prima di giungere a una soluzione? Un anno? E intanto che cosa ne sarebbe stato del posto ottenuto al St. Biddulph's, dove gli aspiranti si contano a centinaia? Sara optò per un tentativo di persuasione e, se questo fosse fallito, per il ricatto.» «Disse al padre che se non avesse acconsentito a presentare quella domanda, lei avrebbe detto alla madre di Wendy e indotto Veronica a parlare con la propria di Joy?» «Questa era la sua intenzione. Ma le restava ancora tempo. Il termine per la domanda della borsa di studio scadeva a luglio. Poi c'era l'incesto. Mai accaduto, naturalmente, ma Joy lo credeva e Veronica ne era spaventata da morire. Se fosse fallito tutto il resto, quella sarebbe stata un'altra arma per il ricatto. Veronica cominciava già ad essere atterrita dalle manifestazioni di affetto del padre. Non voleva più restare sola con lui, a meno che non fosse ridotto in condizioni di non nuocere. Ecco perché Sara pensò al sonnifero, contribuendo ad accrescere le paure di Veronica con la gravità di quel passo. «Ma quanto sarebbe stato più semplice, dopo tutto, toglierlo di mezzo! Eccolo lì, immerso in un sonno di piombo, l'uomo che poteva distruggere
il suo avvenire! Uccidilo adesso, in questa stanza che tornerà presto a essere pura e immacolata, ripulita da ogni segno di morte violenta. Libera di lui il mondo, afferra l'occasione. Uccidere potrebbe forse diventare un atto eroico. Nella costituzione dell'ARRIA non stava forse per essere incluso un articolo che imponeva di uccidere un uomo per entrare a farne parte? Veronica mi aiuterà, perché lo odia anche lei e ne ha paura. «Ma se poi non rinvenissero più il corpo? Se passassero settimane e mesi, se passassero luglio e agosto e il termine per presentare la domanda e tu non potessi riempire la parte dov'è detto: 'Padre: nel caso che fosse deceduto è necessario allegarne la documentazione...'? Soltanto tu e Veronica sapete che è deceduto. Hai faticato tanto per ottenere il massimo dei voti e intanto il tempo passa. Bisogna fare in modo che il cadavere venga scoperto al più presto.» «Secondo voi il delitto è stato freddamente premeditato, ma poi commesso nell'impulso del momento» disse Crocker. «In un certo senso sì. Sara essendo quella che è, cioè un carattere estremamente complesso, anche il delitto ha avuto caratteristiche complesse. È stata un'uccisione rituale, non dimentichiamo che anche Veronica fu indotta a inferire qualche colpo, è stata una vendetta... Sara era arrivata quasi a convincere anche se stessa, oltre all'aver pienamente convinto Veronica, della realtà dell'incesto. Quando accoltellò il padre, era un'eroina, era Beatrice Cenci. E fu anche un'uccisione sperimentale, una sorta di vivisezione, per vedere se si poteva fare, se avrebbe funzionato. E fu anche un delitto provocato dal disgusto, dalla delusione. Suo padre, l'uomo che un tempo lei aveva adorato, si era rivelato un bigamo, un essere squallido che aveva un'altra figlia, una sorta di copia di se stessa e forse lui l'amava più di quanto non avesse mai amato lei. Ma soprattutto fu un omicidio per interesse, compiuto per poter soddisfare a ogni costo le ambizioni che Sara nutriva. Non credo che sarebbe stata il medico a cui avrei voluto affidare la mia famiglia. Sicché Williams non aveva forse tutti i torti, dicendole che non era adatta a quella professione. Forse non era stata soltanto meschinità da parte sua, non era il bastardo che voi immaginate. Forse, anche senza indagare a fondo, sentiva che in quella sua figlia v'era qualcosa di anormale, di distruttivo, ed era a questo che si riferiva, quando le disse che non sarebbe mai stata un bravo medico.» Wexford si alzò. «È tardi» esclamò. «È ora che torni alla donna del mio cuore.» Burden prese a riordinare un po' la stanza, riponendo tazze e piatti sul
vassoio: «E la mia torna a casa domani.» Era raggiante, soddisfatto, animato dalle migliori speranze, come se quei cinque mesi di ansia e di angoscia non fossero mai esistiti. «Una delle sue ex allieve della Haldon Finch è andata a trovarla. Una socia dell'ARRIA. L'emblema del corvo, le ha detto, significa che intendono spazzar via le carogne che gli uomini si sono lasciati alle spalle in tutto il mondo. Non ci avevamo pensato a questa spiegazione.» «Ah!» Wexford si fermò sulla soglia. «Dimenticavo di darvi un'ultima informazione. Vi ricordate della giovane amica di Williams...» Burden e il medico lo fissarono stupiti. «Ma non aveva un'altra ragazza!» esclamò Mike. «Certo che l'aveva! Non c'entra con la sua morte, con il nostro caso, perciò non ci riguarda. Ma pensate alla natura tortuosa e libidinosa di quell'uomo. Era inevitabile che ci fosse. E le sue due mogli lo sapevano, lo intuivano. È probabile che lui abbia sempre avuto delle amichette nel corso degli anni. Di questa... c'erano le sue impronte digitali sull'auto abbandonata. Per questa ragione lei mi ha detto che suo padre non voleva che gliele prendessimo. Si sono naturalmente conosciuti negli uffici della Sevensmith Harding.» «Jane Gardner...» «Era con lei che Williams doveva trovarsi la sera del quindici aprile a Myringham. Doveva andare a prenderla nella casa dove faceva la babysitter e avrebbero trascorso la notte insieme in albergo. Altrimenti, perché mai si sarebbe portato dietro una valigetta ventiquattr'ore con un solo cambio di biancheria, uno spazzolino da denti e un tubetto di dentifricio? Il sonnifero cominciò ad agire mentre stava attraversando Pomfret e invece di raggiungere Jane, Williams fece appena in tempo ad arrivare a casa. Jane dapprima pensò che non fosse potuto andare all'appuntamento, poi quando Rodney scomparve, immaginò che l'avesse piantata per un'altra donna. Ho parlato con lei, stamattina, e ha ammesso tutto. Non c'era più bisogno di nasconderlo, adesso che avevamo eseguito un arresto.» «Che cosa vi ha fatto pensare a lei?» «Non so. Intuito, forse. Era l'unica persona che avesse avuto una buona parola per Rodney Williams.» Wexford uscì e si richiuse lentamente la porta alle spalle. FINE