MARY HIGGINS CLARK & CAROL HIGGINS CLARK IL LADRO DI NATALE (The Christmas Thief, 2004) In gioioso ricordo del nostro ca...
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MARY HIGGINS CLARK & CAROL HIGGINS CLARK IL LADRO DI NATALE (The Christmas Thief, 2004) In gioioso ricordo del nostro caro amico Buddy Lynch. Era il meglio del meglio, un uomo veramente fantastico. Ringraziamenti «Perché non scrivete una storia basata sul furto dell'albero di Natale che si monta nel Rockefeller Center?» ci ha chiesto Michael Korda. Ci è sembrata una bella sfida e un'idea divertente, così ci siamo imbarcate in questa nuova avventura. E ora, è arrivato il momento di offrire doni a chi ci ha sostenute durante il viaggio. Stelle luccicanti ai direttori editoriali Michael Korda e Roz Lippel. Siete grandi! Ghirlande scintillanti agli agenti Gene Winick e Sam Pinkus, e all'addetta stampa Lisl Cade. Decorazioni dorate all'editor Gypsy da Silva, alla redattrice Rose Ann Ferrick e ai correttori di bozze Jim Stoller e Barbara Raynor. Come sempre, un brindisi al sergente in pensione Steven Marron e all'agente investigativo in pensione Richard Murphy, per i consigli e le informazioni che ci hanno fornito. Allegri canti natalizi per Inga Paine, proprietaria della piantagione Paine's Christmas Trees, e per sua figlia Maxine Paine-Fowler, sua nipote Gretchen Arnold e sua sorella Carlene Alien, che ci hanno permesso di invadere la quiete domenicale della loro casa di Stowe, nel Vermont, con le nostre domande sulle piante che coltivano. Un rametto di vischio a Timothy Shinn, che ci ha spiegato la tecnica per trasportare un albero di nove tonnellate. Se abbiamo commesso degli errori, ti preghiamo di perdonarci. Grazie anche a Jack Larkin per averci messo in contatto con Tim. Un bacio di buon augurio alla nostra famiglia e agli amici, in particolare a John Conheeney, Agnes Newton e Nadine Petry. Nastri e canditi a Carla Torsilieri D'Agostino e a Byron Keith Byrd per
The Christmas Tree at Rockefeller Center, il loro racconto sul celebre albero. Uno speciale coro di riconoscenza alla gente del Rockefeller Center per la gioia che hanno donato a milioni di persone grazie alla loro tradizione che dura ormai da settant'anni - di trovare e decorare l'albero di Natale più bello del mondo. E infine a voi, lettori, i nostri auguri più affettuosi. Possano le vostre vacanze essere felici, benedette e piene di luce. «Credo che non esista poesia più bella di un albero.» JOYCE KILMER 1 Packy Noonan tracciò accuratamente una X sul calendario che aveva appeso alla parete della sua cella nel carcere federale alla periferia di Filadelfia, la città dell'amore fraterno. E, in effetti, in quel momento il suo cuore traboccava d'amore per il prossimo. Era ospite del governo americano da dodici anni, quattro mesi e due giorni, ma dato che aveva scontato più dell'85 per cento della pena ed era stato un detenuto modello, la Commissione per il rilascio sulla parola gli aveva concesso, seppur con riluttanza, la libertà a partire dal 12 novembre. Questo significava che ormai mancavano solo due settimane al fatidico giorno. Packy, all'anagrafe Patrick Coogan Noonan, era un artista della truffa, ed era riuscito a frodare circa cento milioni di dollari a coloro che avevano incautamente investito nella sua società. Quando il castello di carte era crollato, era stato calcolato che, anche dopo aver dedotto il denaro da lui speso in auto, gioielli, bustarelle e signore di dubbia fama, fossero rimasti pressappoco un'ottantina di milioni. Ma nonostante gli sforzi degli investigatori era stato impossibile recuperare questa somma. Durante gli anni di detenzione Packy non aveva mai cambiato versione: erano stati i suoi due ex soci a fuggire con i soldi, rendendosi irreperibili. In altri termini, proprio come gli investitori, anche lui era rimasto vittima della sua natura troppa fiduciosa. Cinquantenne, con un viso angoloso su cui spiccava un naso a becco, occhi ravvicinati, radi capelli castani e un sorriso rassicurante, aveva sopportato stoicamente il lungo periodo di prigionia. A sostenerlo era il pen-
siero che, una volta rilasciato, quei milioni di dollari l'avrebbero largamente compensato dei disagi sofferti. Dopo aver recuperato il bottino, lui avrebbe assunto una nuova identità; poi un aereo privato lo avrebbe portato in Sudamerica, dove un abile chirurgo plastico, che era già stato contattato, gli avrebbe dato un volto nuovo. Dei preparativi si erano occupati i soci scomparsi, che ora vivevano in Brasile godendosi dieci milioni prelevati dal capitale sottratto agli investitori. Il resto, Packy era riuscito a nasconderlo prima di venire arrestato, il che gli garantiva la fedele collaborazione dei compari. Il piano, messo a punto da tempo, prevedeva che lui si recasse presso il centro di accoglienza per ex detenuti di New York, come volevano le condizioni del suo rilascio, si attenesse doverosamente alle regole per qualche giorno e infine, scrollatisi di dosso eventuali pedinatori, s'incontrasse con i suoi complici per dirigersi con loro a Stowe, nel Vermont. Lì gli altri due avrebbero già preso in affitto una fattoria con fienile e noleggiato un autocarro, oltre a procurarsi tutta l'attrezzatura necessaria ad abbattere un albero di grandi dimensioni. «Perché proprio nel Vermont?» si era chiesto Giuseppe Como, meglio conosciuto come Jo-Jo. «Packy non diceva di aver nascosto il bottino nel New Jersey? Ci ha mentito?» «Dobbiamo fidarci di lui», gli aveva risposto il fratello Benjamin, detto Benny. «Packy sa sempre quello che fa.» Jo-Jo e Benny, due gemelli di quarantadue anni molto diversi nell'aspetto, avevano partecipato alla truffa fin dall'inizio, ma riconoscevano con umiltà di non possedere la fertile mente necessaria per escogitare piani immaginosi. Accettavano il ruolo di subordinati agli ordini di Noonan, ed erano felici di accontentarsi delle briciole che cadevano dalla sua tavola, dato che, tutto considerato, erano piuttosto consistenti. «Oh, che bello, il mio albero di Natale», sussurrò ora Packy a se stesso, mentre già si vedeva frugare sul ramo di una pianta in particolare per recuperare il tesoro in diamanti di grande valore che era rimasto celato lì per più di tredici anni. 2 Terminato l'incontro del Gruppo di sostegno per vincitori di lotterie, Alvirah e Willy Meehan decisero di sfidare il freddo di quel pomeriggio di
novembre tornando a piedi nel loro appartamento in Central Park. Era stata proprio Alvirah. a fondare il gruppo, dopo che lei e il marito avevano vinto quaranta milioni di dollari alla lotteria e alcune persone li avevano contattati via e-mail raccontando come anche loro avessero vinto grosse cifre per poi ritrovarsi senza un soldo nel giro di pochissimo tempo. Quel mese la riunione era stata anticipata perché la coppia si preparava a partire per una breve vacanza nel Vermont. Avrebbero alloggiato alla The Trapp Family Lodge di Stowe in compagnia dell'amica Regan Reilly, investigatrice privata, del suo fidanzato Jack Reilly, che era un ispettore di polizia, e dei genitori di lei, Nora e Luke. Nora era una celebre scrittrice di mystery, e Luke un impresario di pompe funebri. Sposati da quarant'anni e ormai sessantenni, Alvirah e Willy si trovavano nella loro casa a Flushing, nel Queens, la sera in cui le palline della lotteria avevano cominciato a cadere, una dopo l'altra, infilando una serie di numeri magici. Erano andate infine a comporre l'esatta sequenza che i Meehan giocavano da anni, una combinazione delle date dei rispettivi compleanni e anniversari. Alvirah sedeva in soggiorno con i piedi a mollo dopo una faticosa giornata di lavoro dalla signora O'Keefe, un'insopportabile snob, e Willy, che faceva l'idraulico, aveva appena finito di riparare le tubature di un bagno nel vecchio edificio adiacente al loro. Dopo un primo istante di assoluto sbalordimento, lei era saltata in piedi, rovesciando l'acqua fuori dal catino. Poi si era messa a danzare scalza per la stanza con il marito, mentre entrambi ridevano e piangevano di gioia. Fortunatamente, però, non avevano perso la testa. L'unico vero lusso che si erano concessi era stato comperare un appartamento di tre stanze con una terrazza che dava su Central Park. Ma anche in quello si erano mostrati cauti: avevano tenuto il loro piccolo appartamento a Flushing, nel caso lo stato di New York fosse andato in bancarotta e non avesse più potuto continuare a pagare loro le quote successive della vincita. Inoltre, risparmiavano metà della somma che ricevevano ogni anno e la investivano con oculatezza. I capelli di Alvirah, un tempo di un arancio fiammeggiante, ora erano tagliati da Antonio, il parrucchiere prediletto dalle signore dell'alta società, e avevano un'intensa tonalità ramata. Era stata una sua amica, la baronessa Min von Schreiber, a scegliere l'elegante completo pantalone che lei indossava quel giorno. Min l'aveva supplicata di non andare mai a fare shopping da sola, dato che la considerava una preda perfetta per le commesse decise a liberarsi dei capi invendibili.
Benché avesse abbandonato spazzolone e strofinacci, Alvirah conduceva ancora una vita molto attiva. La sua innata curiosità e la sua intraprendenza l'avevano spinta a diventare un'investigatrice dilettante. Portava sempre addosso un microfono nascosto in una grande spilla a forma di girasole, e lo accendeva ogniqualvolta aveva la sensazione di parlare con qualcuno che nascondeva un segreto. Nei tre anni che erano trascorsi dalla vincita aveva risolto una decina di casi, su cui aveva scritto degli articoli per il New York Globe. Il resoconto delle sue imprese aveva riscosso un tale successo fra i lettori che ora lei teneva una rubrica fissa sul settimanale. Anche Willy aveva chiuso la sua piccola attività ma lavorava più sodo che mai, mettendo le proprie capacità professionali al servizio degli anziani indigenti del West Side, sotto la direzione della sorella maggiore, suor Cordelia, un'energica monaca domenicana. Quel giorno il gruppo di sostegno si era incontrato in un lussuoso appartamento nella Trump Tower acquistato da Herman Hicks, che aveva vinto di recente alla lotteria e che, come disse in quel momento Alvirah con aria preoccupata: «Temo stia spendendo troppo in fretta i suoi soldi». Erano sul punto di attraversare la Quinta Avenue di fronte al Plaza Hotel. «Sta per scattare il giallo», le fece notare Willy. «Con questo traffico, non è il caso di restare bloccati in mezzo alla strada. Rischiamo di farci investire.» Alvirah avrebbe voluto affrettare il passo. Odiava perdere un semaforo, mentre suo marito era prudente. Ecco qual è la differenza fra di noi, pensò con tenerezza. Al contrario di lui, io amo rischiare. «Credo che Herman non avrà problemi», riprese Willy in tono rassicurante. «Come ci ha detto, abitare nella Trump Tower è sempre stato il suo sogno, e poi un immobile è comunque un buon investimento. Il prezzo dell'appartamento era equo, lui ha acquistato il mobilio dagli inquilini precedenti e, a parte il guardaroba che si è comperato da Paul Stuart, non ha fatto altre spese stravaganti.» «Be', è un vedovo settantenne a cui, dedotte le tasse, sono rimasti venti milioni di dollari, e non si troverà certo a corto di signore dispostissime a cucinare per lui», replicò Alvirah con una certa apprensione. «Vorrei solo che si rendesse conto di quanto è fantastica Opal.» Ricordò che Opal Fogarty faceva parte del gruppo fin dall'inizio. Aveva letto dell'iniziativa nella sua rubrica sul New York Globe, e l'aveva contattata dicendo: «Io sono la tipica vincitrice della lotteria che si è tramutata in una perfetta perdente, e vorrei avvertire i neovincitori di non farsi abbindo-
lare come me da qualche imbroglione dalla lingua sciolta». Nell'incontro che si era appena concluso, dato che c'erano due nuovi membri, Opal aveva raccontato un'altra volta la sua storia: aveva investito il proprio capitale in una compagnia di trasporti marittimi, il cui socio di maggioranza non aveva fatto altro che trasportare quel denaro dalla banca alle sue tasche. «Avevo vinto sei milioni», aveva spiegato la donna. «Dedotte le tasse, me n'erano rimasti circa tre, e un certo Patrick Noonan mi persuase a investirli nella sua società fittizia. Sono sempre stata devota a san Patrizio e pensavo che chiunque portasse il suo nome dovesse essere onesto. So che Packy, così si fa chiamare quel tizio, lascerà il carcere la settimana prossima e mi piacerebbe poter diventare invisibile per mettermi alle sue calcagna, dato che sono sicura che abbia nascosto il denaro sottratto agli investitori.» Gli occhi azzurri di Opal si erano riempiti di lacrime di frustrazione al pensiero che presto Packy Noonan sarebbe riuscito a mettere le mani sui soldi che le aveva rubato. «Avete perso tutto?» le aveva chiesto Herman, sollecito. Il tono gentile della sua voce non era sfuggito ad Alvirah, sempre pronta a combinare matrimoni tra i suoi amici. «Lo studio legale nominato dal tribunale è riuscito a recuperare circa ottocentomila dollari, ma poi ha emesso una parcella che corrispondeva a quella cifra, così a noi non è restato nulla.» Come se le avesse letto nel pensiero, Willy interruppe le riflessioni della moglie, commentando: «Alla riunione di oggi quei due ragazzi che hanno appena vinto seicentomila dollari sono rimasti molto impressionati dal racconto di Opal. È davvero triste che la nostra amica abbia perso tutto e che, a sessantasette anni, debba ancora lavorare come cameriera in un ristorante». «Presto avrà qualche giorno libero», rispose Alvirah, «ma scommetto che non può permettersi di andare da nessuna parte. Oh, Willy, noi due siamo così fortunati!» Scoccò un sorriso al marito, pensando, forse per la decima volta quel giorno, che era proprio attraente. Di struttura robusta, con una massa di capelli bianchi, il colorito rubicondo e acuti occhi azzurri, assomigliava molto a Tip O'Neill, l'ex presidente della Camera dei Rappresentanti. Scattò il verde. I Meehan attraversarono la Quinta Avenue e si incamminarono lungo Central Park per raggiungere il loro appartamento, appena dopo la Settima Avenue. Alvirah indicò una giovane coppia che stava sa-
lendo su una carrozza nel parco. «Chissà se lui le chiederà di sposarlo», disse. «Ricordi che è stato proprio lì che mi hai fatto la proposta di matrimonio?» «Certo», assentì Willy. «Speravo con tutto me stesso di avere soldi a sufficienza per pagare il giro in carrozza. Al ristorante, poi, volevo dare una mancia di cinque dollari al cameriere e stupidamente gli ho allungato un biglietto da cinquanta. In ogni caso, sono contento che abbiamo deciso di andare nel Vermont con i Reilly. Forse avremo occasione di salire su una di quelle slitte trainate da cavalli.» «Be', comunque io non ho nessuna intenzione di sciare», esclamò Alvirah. «Ecco perché ho esitato quando Regan ci ha proposto una vacanza in montagna. Lei, Jack, Nora e Luke sono ottimi sciatori. Ma noi potremo sempre fare un po' di fondo, e poi passeggeremo e porterò dei libri da leggere. In un modo o nell'altro, vedrai che troveremo la maniera di tenerci occupati.» Un quarto d'ora più tardi, nel loro confortevole soggiorno, Alvirah stava aprendo un pacco consegnatole dal portiere. «È incredibile», esclamò. «Non siamo ancora al Giorno del Ringraziamento e Molloy, McDermott, McFadden e Markey ci hanno già mandato un regalo di Natale.» Si trattava dell'agenzia di mediazione finanziaria, conosciuta come Four M's, che era stata scelta dai Meehan per la gestione del loro denaro, investito in fondi governativi o azioni di solide società. «Che cos'è?» chiese Willy dalla cucina, dove stava preparando due Manhattan, il loro aperitivo preferito. «Non sono ancora riuscita a capirlo. Hai presente tutta la plastica che usano oggi per fare i pacchetti? Ma credo si tratti di una bottiglia o di una caraffa. Il biglietto dice: 'Buone vacanze'. Dio, quei ragazzi vanno davvero di fretta. Siamo solo a novembre.» «Di qualunque cosa si tratti, non rovinarti le unghie», l'ammonì il marito. «Penso io ad aprirlo.» Non rovinarti le unghie. Alvirah sorrise nel ricordare gli anni in cui per lei era impensabile mettersi lo smalto, considerando tutti i detersivi e la candeggina che usava per pulire gli appartamenti. Suo marito ricomparve portando un vassoio con gli aperitivi e un piatto di cracker e formaggio. Il rinfresco offerto da Herman consisteva in salatini alla paprica e caffè solubile, e non aveva incontrato i loro gusti. Willy posò il vassoio sul tavolino davanti al divano e, strappato il nastro adesivo con un gesto secco, scartò il pacchetto. Da speranzosa, la sua e-
spressione si fece stupita. «Quanto denaro abbiamo investito con la Four M's?» chiese. Alvirah glielo disse. «Dai un'occhiata, tesoro. Ci hanno mandato un vasetto di sciroppo d'acero. È questa la loro idea di un regalo di Natale?» «Dev'essere uno scherzo», esclamò Alvirah. Scuotendo la testa, gli prese di mano il vasetto. «Guarda, Willy», gridò subito dopo. «Sull'etichetta c'è scritto: 'Questo sciroppo viene dall'albero riservato a Willy e Alvirah Meehan. Una volta che il vasetto sarà vuoto, andate a cercarlo per spillarne dell'altro'.» Willy cominciò a frugare tra la carta da regalo. «Qui c'è un foglio. No, è una mappa.» La esaminò qualche istante, poi scoppiò a ridere. «Tesoro, c'è un'altra cosa che potremo fare una volta a Stowe. Cercare il nostro albero. A giudicare dalla piantina, deve trovarsi vicino alla tenuta dei Trapp.» Squillò il telefono. Era Regan Reilly, da Los Angeles. «Siete pronti per la partenza?» chiese. «Non avete deciso di rimangiarvi la promessa, vero?» «Assolutamente no, cara», le assicurò Alvirah. «Ho delle faccende da sbrigare a Stowe. Devo dedicarmi alla caccia all'albero.» 3 «Hai l'aria esausta», disse preoccupata Nora Regan Reilly, guardando con affetto la sua unica figlia seduta al tavolo di fronte a lei. Per gli altri, quella trentunenne dai capelli corvini poteva anche essere un'abile investigatrice privata, ma per la madre era ancora una ragazzina che avrebbe protetto a costo della vita. «A me sembra che stia bene», commentò Luke posando la tazza di caffè e alzandosi. Alto un metro e ottantatré, dinoccolato, indossava come al solito un completo blu scuro, camicia bianca e cravatta nera. Era titolare di tre imprese di pompe funebri, e quello era il motivo per cui vestiva con tanta discrezione. Aveva una bella testa di capelli argentati e il viso magro, che poteva apparire adeguatamente malinconico, ma che, fuori dalle sale delle sue imprese, era spesso attraversato da un sorriso. Ora quel sorriso sembrava abbracciare la moglie e la figlia. Stavano facendo colazione nella casa di Summit, nel New Jersey, dove Regan era cresciuta e dove i suoi genitori tuttora abitavano. Era lì che Nora aveva scritto i romanzi gialli che l'avevano resa famosa. Ora lei si alzò a sua volta per salutare Luke. Da quando era stato rapito, un anno prima, o-
gni volta che lui usciva la moglie si preoccupava per quello che poteva accadergli. Come la figlia, Nora aveva lineamenti regolari, occhi azzurri e carnagione chiara, ma era bionda e piccola di statura. Alta un metro e sessanta, doveva sollevarsi in punta di piedi per dare un bacio al marito. «Non farti sequestrare», gli disse, scherzando solo a metà. «E torna presto, dobbiamo metterci in viaggio per il Vermont non più tardi delle due.» «Essere rapiti una volta nella vita rientra quasi nella media», interloquì Regan ridendo. «La settimana scorsa ho dato un'occhiata alle statistiche.» «E non dimenticare», ribadì Luke alla moglie per la centesima volta, «che se non mi fossi trovato in quella deprecabile situazione, Regan non avrebbe mai conosciuto Jack e ora tu non potresti pensare al suo matrimonio.» Era stato Jack Reilly, come capo della Squadra Anticrimine di New York, a occuparsi del caso quando Luke e la sua giovane autista erano stati rapiti. Jack non si era limitato ad arrestare i sequestratori e a recuperare il denaro del riscatto, ma in quell'occasione aveva anche conquistato il cuore di Regan. «Sono due settimane che non lo vedo», sospirò lei mentre imburrava un panino. «Stamattina voleva venire a prendermi all'aeroporto, ma gli ho detto di non preoccuparsi, che avrei preso un taxi. Deve ancora fare un salto in ufficio e sarà qui alle due.» Abbozzò uno sbadiglio. «Ogni volta questi voli notturni mi fanno sentire una viaggiatrice nello spazio.» «Ripensandoci, credo che tua madre abbia ragione», commentò Luke. «Con quella faccina, hai proprio bisogno di un sonnellino.» Ricambiò il bacio della moglie, arruffò scherzosamente i capelli della figlia e uscì. Regan scoppiò a ridere. «Papà è convinto che io abbia sei anni.» «Fa così perché sa che presto ti sposerai. Mi ha confidato che non vede l'ora di avere dei nipotini.» «Oh, mio Dio. La sola idea mi affatica ancora di più. Credo che andrò di sopra a sdraiarmi.» Rimasta sola a tavola, Nora si riempì di nuovo la tazza e aprì il New York Times. I bagagli erano già pronti in macchina, e quella mattina lei voleva buttare giù qualche appunto per il nuovo romanzo che aveva in mente di scrivere. Non aveva ancora deciso se Celia, la protagonista, sarebbe stata un'arredatrice di interni o un avvocato. In un caso, Celia avrebbe potuto conoscere l'uomo che sarebbe diventato il suo primo marito mentre arredava il suo appartamento a New York. Nell'altro, la trama avrebbe preso una
direzione diversa. Leggi il giornale, si disse. Quella era la prima regola per uno scrittore: metti l'inconscio in pausa fino a che non sei davanti al computer. Lanciò un'occhiata verso la finestra. Il tinello si affacciava sul prato all'inglese coperto di neve e sul giardino che conduceva alla piscina e al campo da tennis. Adoro questo posto, pensò. Mi arrabbio sempre quando qualcuno parla male del New Jersey. Be', come sosteneva papà: «Devi conoscere una cosa per apprezzarla». Avvolta nella vestaglia di satin, Nora si sentiva contenta e soddisfatta. Invece di inseguire malfattori a Los Angeles, Regan era a casa e sarebbe andata con loro in vacanza. Solo poche settimane prima era finita addirittura a bordo di un pallone aerostatico che solcava il cielo sopra Las Vegas! Lei non voleva neanche sapere come fosse successo, era solo felice di poter finalmente organizzare il matrimonio della figlia. Che non avrebbe potuto scegliere un uomo migliore di Jack Reilly. Di lì a poche ore, sarebbero partiti tutti alla volta della deliziosa Trapp Family Lodge, dove li avrebbero raggiunti i loro migliori amici, i Meehan. Come non essere di buonumore? si disse mentre apriva il quotidiano alla pagina della cronaca cittadina. La sua attenzione fu immediatamente attratta dalla foto di una bella donna in piedi in un bosco con indosso una gonna lunga, una camicetta a quadretti e un gilet. La didascalia recitava: «Il Rockefeller Center ha scelto l'albero». Quella donna ha un'aria familiare, pensò Nora mentre scorreva con gli occhi l'articolo. Un abete del Vermont alto ventiquattro metri sta' per diventare quest'anno l'albero di Natale più famoso del mondo. Scelto per la sua maestosa bellezza, venne piantato quasi cinquanta anni fa in un bosco di Stowe adiacente alla tenuta della leggendaria famiglia Trapp. Maria von Trapp si trovava lì quando l'alberello fu messo a dimora, come si può vedere nella foto. Poiché si avvicina il quarantesimo anniversario dell'uscita del più celebre film musicale di tutti i tempi, Tutti insieme appassionatamente, una storia commovente che esalta i valori famigliari e il coraggio di fronte alle avversità, l'arrivo dell'albero al Rockefeller Center quest'anno sarà accolto da un coro di centinaia di alunni provenienti da tutta la città, che canteranno una serie di motivi tratti dalla colonna sono-
ra del film. L'abete verrà abbattuto lunedì mattina e quindi trasportato a bordo di un camion e caricato su una chiatta nei pressi di New Haven, da dove proseguirà via mare, attraverso lo Stretto di Long Island, fino a Manhattan. «Santo cielo», esclamò Nora ad alta voce. «Taglieranno quell'albero gigantesco durante il nostro soggiorno a Stowe. Sarà divertente assistere alla scena.» 4 Quella stessa mattina, a centocinquanta chilometri di distanza, Patrick Noonan si svegliò con un ampio sorriso stampato sulla faccia. «Oggi è il grande giorno, eh, Packy?» fece cupo C.R., lo specialista di estorsioni che occupava la cella vicina. Packy capiva bene la ragione di quella tetraggine. Condannato a quattordici anni, C.R. era solo al suo secondo anno di detenzione, e non si era ancora abituato alla vita dietro le sbarre. «Proprio così», rispose in tono gentile, mentre radunava le sue poche cose: articoli da toilette, biancheria, calze e una foto della madre, morta da tempo. Parlava spesso di lei con affetto e gli occhi gli si riempivano di lacrime mentre, nella cappella del carcere, esercitava il suo ruolo di consigliere degli altri detenuti. Spiegava che la madre aveva sempre saputo cogliere il suo lato buono, anche quando lui aveva deviato dalla retta via, e sino alla fine era stata certa che sarebbe diventato un cittadino rispettabile. Di fatto, quando era morta, non la vedeva da vent'anni. Né aveva ritenuto opportuno confidare ai compagni che, dopo aver lasciato i suoi pochi beni alle Sorelle della Carità, lei aveva scritto nel testamento: «E a mio figlio Patrick, sciaguratamente noto come Packy, lascio un dollaro e il suo vecchio seggiolone, perché l'unico periodo in cui mi ha regalato un po' di felicità è stato quando era abbastanza piccolo da potervisi sedere». La mamma se la cavava bene con le parole, pensò ora Packy, intenerito. Devo aver ereditato da lei la mia lingua sciolta. Una donna che faceva parte della Commissione per il rilascio sulla parola era quasi scoppiata a piangere quando lui aveva detto che pregava per la madre tutte le sere. Non che fosse servito a molto: aveva scontato fino all'ultimo giorno il minimo della pena, più altri due anni. Il cuore tenero della donna era stato messo in mi-
noranza da quello duro degli altri membri della commissione, sei a uno. La giacca e i pantaloni che lui portava quando era stato arrestato erano ormai fuori moda, ma indossarli fu comunque fantastico. Grazie al denaro che allora aveva frodato, erano di Armani. E per quanto lo riguardava, facevano ancora la loro figura, anche se, una volta in Brasile, non gli sarebbero più serviti. Il suo avvocato sarebbe passato a prenderlo alle dieci per accompagnarlo al centro di accoglienza per ex detenuti conosciuto come The Castle, nell'Upper West Side di Manhattan. Packy sorrise pensando che sua madre sarebbe rimasta scandalizzata nel vedere come era stato trasformato quel posto che una volta era un famoso collegio cattolico per ragazze. Ufficialmente avrebbe dovuto restare li al centro un paio di settimane, per prepararsi a rientrare nel mondo in cui la gente lavorava per vivere. Era prevista la partecipazione a incontri di gruppo, nel corso dei quali sarebbero state ribadite le norme relative all'obbligo di firma e l'importanza di presentarsi regolarmente davanti al funzionario responsabile. Gli era stato inoltre assicurato che l'istituto gli avrebbe trovato una sistemazione stabile. Di certo, pensava Packy, una stanza male in arnese a Staten Island o nel Bronx. Non vedeva l'ora di essere fuori. Sapeva che il curatore fallimentare nominato dal tribunale per recuperare il denaro perso dagli investitori gli sarebbe stato alle calcagna, e non c'era nulla che lo allettasse di più della prospettiva di seminarlo. Tredici anni prima gli agenti investigativi avevano setacciato la città, e lui era stato arrestato proprio mentre stava per andare nel Vermont a recuperare il bottino prima di lasciare il paese, ma stavolta non si sarebbe fatto beccare. Gli era stato spiegato che la domenica avrebbe potuto lasciare The Castle al mattino, ma che doveva rientrare a firmare all'ora di cena. E Packy aveva già escogitato la maniera di scrollarsi di dosso il pivello che avrebbe dovuto tenerlo d'occhio. Alle dieci e quaranta di domenica mattina Benny e Jo-Jo lo avrebbero atteso all'angolo tra Madison e la Quinta, a bordo di un furgone con un portasci montato sul tetto. Seguendo le sue istruzioni, sei mesi prima i due avevano preso in affitto una fattoria nei pressi di Stowe il cui unico pregio era quello di avere un ampio anche se decrepito fienile, dove si poteva nascondere un autocarro. I due gemelli avevano installato nella fattoria un loro conoscente, un tizio senza precedenti penali e incredibilmente ingenuo che era stato felice
di ricevere un compenso per badare alla casa. In questo modo, se si fosse verificato qualche imprevisto e la polizia avesse cominciato a cercare un camion con un albero a bordo, non ci sarebbero stati problemi. Erano troppe le fattorie appartenenti ad appassionati di montagna che arrivavano da fuori, e sarebbe stato impossibile perquisirle tutte. E poi gli sciatori, di solito, non si presentavano in quella località fino al Giorno del Ringraziamento. Ho legato la borraccia con i diamanti a quel ramo tredici anni e mezzo fa, calcolò Packy. Un abete cresce di circa quarantacinque centimetri l'anno. Il ramo che ho contrassegnato era più o meno a sei metri di altezza; ricordo che ero sull'ultimo piolo di una scala di quella misura. Ora dovrebbe trovarsi più o meno a dodici metri. Il guaio è che i negozi non vendono scale tanto alte. Dovremo portar via l'intero albero, e se ci sarà qualcuno con niente di meglio da fare che occuparsi degli affari altrui, diremo che è destinato alla sfilata natalizia di Hackensack, nel New Jersey. Jo-Jo ha una falsa autorizzazione per l'abbattimento dell'abete e una finta lettera del sindaco di Hackensack che ringrazia Pickens per l'albero. Dovrebbero bastare. L'agile cervello di Packy cercò eventuali pecche nel piano, ma non ne trovò. A quel punto, pensò, nascondiamo l'autocarro nel fienile, cerchiamo il ramo con il bottino e poi via, in Brasile. Erano questi i pensieri che gli affollavano la mente mentre consumava la sua ultima colazione presso l'istituto di correzione federale. Quando ebbe terminato, salutò con affetto gli ex compagni di sventura. «Buona fortuna, Packy», gli augurò con solennità Tom, il suo amico borseggiatore. «Non smettere di predicare», gli disse un brizzolato detenuto. «Mantieni la promessa fatta a tua madre e sii di esempio ai giovani.» Ed, un avvocato che aveva fatto sparire i fondi fiduciari dei suoi clienti, gli sorrise agitando pigramente una mano. «Ti do tre mesi, dopodiché sarai di nuovo qui», predisse. Packy non diede a vedere quanto quell'osservazione lo infastidisse. «Ti manderò una cartolina, Ed», rispose. «Dal Brasile», borbottò poi a mezza voce mentre seguiva l'agente nella stanza del direttore, dove lo aspettava Thoris Twinning, il suo avvocato d'ufficio. Thoris era raggiante. «Un giorno felice», esclamò. «Un giorno molto, molto felice. E ho notizie fantastiche. Mi sono messo in contatto con il funzionario incaricato della sorveglianza, che ti ha trovato un lavoro. Da
lunedì prossimo lavorerai al bar del ristorante Palace-Plus, fra Broadway e la Novantasettesima.» Lunedì prossimo uno stuolo di servitori mi sventolerà mentre sarò sdraiato su un'amaca, pensò Packy, ma esibì il sorriso ammaliatore che aveva incantato Opal Fogarty e le altre duecento persone che avevano investito nella Shipping and Handling Company. «Le preghiere di mia madre sono state esaudite», disse. Alzò gli occhi al cielo e, atteggiando il viso a un'espressione compunta, aggiunse: «Un lavoro onesto con una paga onesta. Proprio quello che la mamma ha sempre desiderato per me». 5 «Santo cielo, questa sì che è una macchina», commentò Opal Fogarty dal sedile posteriore della Mercedes dei Meehan. «Quando ero ragazzina, avevamo un pick-up. Mio padre diceva che lo faceva sentire un cowboy. La mamma replicava che lo guidava come se fosse un manzo recalcitrante e che capiva benissimo perché lui si sentisse un cowboy. Papà lo aveva comperato senza dirle niente, e ragazzi, se si era arrabbiata! Ma una cosa devo dirla: è durato quattordici anni prima di morire sul Triborough Bridge nell'ora di punta. Perfino mio padre dovette ammettere che non c'era più niente da fare, ma quando si trattò di acquistare un'altra auto, la mamma andò con lui.» Rise. «Scelse una Dodge, e papà la fece infuriare chiedendo al concessionario se tra gli optional era previsto anche il tassametro.» Alvirah si girò a guardarla. «Perché ha fatto quella domanda?» «Tesoro, un sacco di taxi sono Dodge», spiegò Willy. «Una storiella divertente, Opal.» «Papà era divertente», assentì la donna. «Non ha mai avuto un soldo, ma era pieno di iniziative. Quando io avevo più o meno otto anni ereditò duemila dollari, e qualcuno lo convinse a investirli nei paracadute. Gli avevano detto che, con la diffusione dei voli a basso costo, tutti i passeggeri ne avrebbero voluto comprare uno. Immagino che l'ingenuità sia ereditaria.» Alvirah fu lieta di sentirla ridere. Erano le due, e stavano percorrendo la route 91, diretti nel Vermont. Quella mattina alle dieci, mentre lei e Willy facevano i bagagli, il televisore in camera da letto aveva trasmesso un servizio che aveva attirato la loro attenzione. Sullo schermo era comparso Patrick Noonan mentre lasciava il carcere federale a bordo dell'auto del suo avvocato. Al cancello, l'uomo era sceso a parlare con i giornalisti. «Sono addolorato per i danni che ho arrecato a chi ha investito nella mia società»,
aveva detto. Aveva gli occhi lucidi e gli tremavano le labbra. «Sono stato informato che lavorerò al bar del Palace-Plus, e chiederò che il dieci per cento del mio stipendio venga trattenuto per cominciare a indennizzare le persone che hanno perso i loro risparmi con la Shipping and Handling Company.» «Il dieci per cento del salario minimo!» aveva sbuffato Willy. «Sta scherzando.» Alvirah si era precipitata a telefonare a Opal. «Sintonizzati sul canale ventiquattro!» aveva gridato, ma se n'era subito pentita perché, nel vedere Packy sullo schermo, la donna era scoppiata a piangere. «Oh, Alvirah, mi fa male pensare che quell'imbroglione è di nuovo Ubero mentre io me ne sto qui, elettrizzata all'idea di poter stare a casa una settimana dal lavoro perché sono talmente stanca! Ricorda le mie parole: quell'uomo raggiungerà i suoi complici in Riviera, o chissà dove, per sperperare allegramente i miei soldi.» Era stato a quel punto che Alvirah l'aveva invitata ad andare con loro nel Vermont. «Lo chalet che abbiamo affittato ha due camere da letto e due bagni», aveva detto. «Ti farà bene cambiare aria per un po'. E poi ci aiuterai a seguire le indicazioni per trovare l'albero indicato sulla mappa. Dubito che raccoglieremo sciroppo, ma ho messo comunque in valigia il barattolo che ci hanno regalato. Potrei preparare pancake per tutti. E ho letto sul giornale che proprio in quella zona stanno per abbattere l'abete destinato al Rockefeller Center. Sarà divertente, non credi?» Non ci era voluto molto per persuadere Opal ad accettare e, in effetti, il suo umore era già migliorato. Durante il viaggio parlò solo una volta di Packy Noonan, per dire: «Ce lo vedo proprio a lavorare nel bar di un ristorante. Probabilmente si infilerà in tasca le tartine degli aperitivi». 6 A volte Milo Brosky rimpiangeva di avere incontrato i gemelli Como. Si era imbattuto casualmente in loro al Greenwich Village vent'anni prima, durante un seminario di poesia nella stanza sul retro dell'Eddie's Aurora. Benny e Jo-Jo bivaccavano al bar. Quel giorno mi sentivo proprio bene, pensò ora Milo mentre sorseggiava una birra nel salotto malandato della fattoria di Stowe. Avevo letto la mia poesia su una pesca che s'innamora di un moscerino della frutta, e gli altri partecipanti al seminario l'avevano trovata magnifica. Vi avevano colto un
significato profondo e una tenerezza che non sconfinava nel sentimentalismo. Ero felice, e a quel punto decisi che mi ci voleva una birra. Così conobbi i gemelli. Bevve un altro sorso. Avrei dovuto rifiutare la loro proposta, pensò ancora, cupo. Certo, sono stati buoni con me. D'altronde sapevano che non ce l'avevo fatta a sfondare come poeta e che avrei accettato qualsiasi lavoro pur di poter avere un tetto sopra la testa. Ma questo sembra sul punto di crollarmi addosso. Per me, quei due hanno in ballo qualcosa. Si accigliò. Quarantadue anni, con i capelli lunghi fino alle spalle e una barbetta rada, avrebbe figurato benissimo come comparsa in un film sul concerto di Woodstock del '69. I suoi ingenui occhi grigi avevano un'espressione perennemente benevola. La voce, un po' cantilenante, faceva venire in mente a chi l'ascoltava aggettivi come «gentile» e «amabile». Milo era a conoscenza del fatto che, una dozzina di anni prima, i gemelli Como erano stati costretti a lasciare in tutta fretta la città a causa del loro coinvolgimento nella truffa di Packy Noonan, e per molto tempo non aveva più avuto loro notizie. Poi, sei mesi addietro, era arrivata una telefonata di Jo-Jo. Senza dirgli dove si trovasse, gli aveva chiesto se era interessato a guadagnare un bel po' di soldi senza correre nessun rischio. Tutto quello che bisognava fare era trovare un fattoria da affittare a Stowe, nel Vermont. La proprietà doveva disporre di un grande fienile, lungo almeno una trentina di metri. Fino al primo dell'anno Milo avrebbe dovuto trascorrere alla fattoria dei lunghi fine settimana e farsi conoscere dalla gente del posto, spiegando che era un poeta che, come J.D. Salinger e Aleksandr Solzenicyn, aveva bisogno di un rifugio dove poter scrivere in solitudine. Milo aveva capito subito che Jo-Jo si era limitato a leggere quei due nomi, e che non aveva idea di chi fossero Salinger e Solzenicyn, ma la proposta era arrivata al momento giusto. I suoi lavoretti part-time erano sempre più rari; il contratto d'affitto della mansarda dove abitava stava per scadere e la padrona di casa aveva seccamente rifiutato di rinnovarglielo. Quella donna proprio non riusciva a capire che per lui era imperativo scrivere fino a notte fonda, benché le avesse più volte spiegato che i suoi pensieri trascendevano il quotidiano e che la musica rap metteva le ali alla sua poesia. Milo aveva impiegato poco tempo a individuare la fattoria giusta e da allora ci viveva a tempo pieno. Anche se i bonifici che arrivavano ogni mese sul suo conto lo avevano salvato, non erano comunque sufficienti per prendere un altro appartamento a New York. In città ormai i prezzi erano
astronomici, e lui malediceva il giorno in cui aveva detto alla padrona di casa che teneva la musica a tutto volume per non sentirla russare. In poche parole, non era contento. Era stufo della vita di campagna e anelava al fervore e all'attività del Greenwich Village. Amava avere un pubblico, e sebbene invitasse regolarmente alcuni degli abitanti di Stowe alle sue letture, dopo un paio di serate quelli non si facevano più vedere. Jo-Jo gli aveva promesso un compenso di cinquantamila dollari per la fine dell'anno, ma lui stava cominciando a sospettare che la fattoria e la sua presenza lì avessero a che fare con la recente liberazione di Packy Noonan. «Non voglio finire nei guai», aveva detto a Jo-Jo durante una delle loro telefonate. «Guai? Ma cosa ti sei messo in mente?» aveva risposto l'altro. «Credi che metterei un amico nei guai? Hai semplicemente preso in affitto una fattoria, giusto? Non è un reato.» Dei colpi alla porta interruppero le fantasticherie del poeta. Si precipitò ad aprire e si irrigidì nel vedere sulla soglia due uomini corpulenti e di bassa statura vestiti da sciatori, in piedi davanti a un autocarro con un paio di pini dalla chioma rada caricati sul pianale. Dopo un attimo di perplessità, li riconobbe e gridò: «Jo-Jo! Benny!» Mentre li abbracciava, notò quanto fossero cambiati i gemelli. Jo-Jo era sempre stato massiccio, ma doveva aver messo su almeno una decina di chili e aveva l'aria di un grosso gattone, con il viso abbronzato e la testa calva. Benny, alto sul metro e sessantasette come il gemello, era sempre stato così magro da dare l'impressione di poter infilarsi sotto una porta. Anche lui però era ingrassato, e pur non avendo raggiunto la stazza del fratello, ora gli assomigliava molto di più. Jo-Jo non perse tempo. «Ho visto che hai messo un lucchetto alla porta del fienile», disse. «Buona idea. Ora aprila.» «Subito, subito.» Milo andò in cucina a prendere la chiave, appesa a un chiodo. Al telefono, Jo-Jo era stato così minuzioso nello specificare le dimensioni del fienile che lui non aveva potuto fare a meno di insospettirsi. Sperava che la suddivisione dell'annesso in box non fosse un problema. Il proprietario della fattoria era andato in rovina dopo aver tentato di allevare cavalli da corsa. La gente diceva che, con i suoi incroci, riusciva a ottenere solo dei brocchi che mangiavano fino a scoppiare e che al cancello di partenza si mettevano seduti. «Sbrigati, Milo», abbaiò Benny. «Non vogliamo che qualche zotico del posto venga qui a una delle tue letture e veda il camion.»
Perché no? si chiese Milo, ma non perse tempo ad afferrare il cappotto o a fare domande e corse fuori ad aprire l'ampia porta del fienile. Rabbrividì all'aria fredda della sera. Nella luce che andava sbiadendo vide un altro veicolo dietro il camion, un furgone con un portasci sul tetto. Strano, pensò, non avrei mai detto che quei due fossero degli sportivi. Quando accese la luce nel fienile colse un'espressione sgomenta sul viso di Jo-Jo. «Cosa sono questi box?» «Qui allevavano cavalli da corsa.» All'improvviso Milo si sentì nervoso. Ho fatto tutto quello che mi hanno chiesto, ragionò, quindi perché quest'ansia? «Ha le dimensioni giuste», si difese con voce gentile. «Non ce ne sono molti così grandi da queste parti.» «Sì, va bene. Fuori dai piedi.» Con un gesto imperioso, Jo-Jo fece segno al fratello di portare dentro il camion. Benny avanzò piano. L'autocarro passò per un soffio dalla porta, poi uno schianto improvviso segnalò che aveva strisciato lungo il primo box. Il rumore si ripeté a intermittenza fino a quando il veicolo non fu completamente all'interno. Lo spazio rimasto era talmente angusto che per scendere l'uomo dovette spostarsi sul sedile del passeggero, aprendo la portiera quanto bastava per strisciare fuori, per poi appiattirsi contro le pareti e i cancelletti dei box. Quando infine raggiunse gli altri alla porta, le sue prime parole furono: «Ho bisogno di una birra. Forse di due o tre. Hai niente da mangiare, Milo?» Per tenersi occupato quando non componeva versi in quei mesi di permanenza alla fattoria Milo aveva imparato a cucinare, e ora fu lieto di avere in frigo del sugo appena fatto. Ricordava che i gemelli Como adoravano la pasta. Un quarto d'ora più tardi i due sedevano al tavolo in cucina sorseggiando birra, mentre Milo faceva bollire l'acqua per gli spaghetti. Fu con una certa apprensione che, mentre si affaccendava ai fornelli, sentì sussurrare il nome di Packy. Dunque la fattoria aveva davvero qualcosa a che fare con il rilascio di quel tizio. Ma cosa? E qual era il suo ruolo? Attese di aver messo davanti ai gemelli due piatti caldi di pasta al pomodoro prima dire seccamente: «Se questa faccenda riguarda Packy Noonan, io ne esco all'istante». Jo-Jo sorrise. «Sii ragionevole, Milo. Hai preso in affitto un posto per noi quando sapevi che eravamo ricercati. Da sei mesi sul tuo conto vengo-
no versati regolarmente dei soldi. Tutto quello che devi fare è startene qui a scrivere poesie, e fra un paio di giorni ti infilerai in tasca cinquantamila dollari e sarai libero di tornare a casa.» «Un paio di giorni?» Milo non riusciva a credere alle sue orecchie. Fantasticava sulla felicità che avrebbe potuto comperarsi con cinquantamila dollari: un appartamento decente nel Village. La possibilità di non preoccuparsi di impieghi part time per almeno un paio d'anni. Nessuno riusciva meglio di lui a far durare i soldi. Jo-Jo, che lo stava studiando, annuì soddisfatto. «Come ho detto, non devi far altro che startene seduto qui a scrivere poesie. Inventatene una su un albero.» «Che genere di albero?» «Ne sappiamo quanto te, ma lo scopriremo presto.» 7 Non riesco a credere che sto cenando non solo con Alvirah e Willy, ma addirittura con la famosa scrittrice Nora Regan Reilly e la sua famiglia, pensò Opal. Questa mattina, dopo aver visto quel miserabile di Packy Noonan in televisione, avrei voluto voltarmi verso il muro e non scendere mai più dal letto. Con quanta rapidità possono cambiare le cose! Ed erano tutti così carini con lei. Durante la cena le avevano raccontato del sequestro di Luke, rapito e tenuto prigioniero in una vecchia houseboat sull'Hudson con la sua autista, una ragazza madre con due bambini piccoli, e di come sarebbero affogati se Alvirah e Regan non fossero arrivate in loro aiuto. «Alvirah e io siamo un'ottima squadra», osservò Regan. «Vorrei tanto che, mettendo insieme i nostri cervelli, trovassimo il modo di farle riavere i suoi soldi, Opal. Lei è convinta che Packy Noonan li abbia nascosti, vero?» «Non c'è dubbio», intervenne Jack Reilly con enfasi. «Il caso fu affidato al tribunale federale, così non fummo noi a occuparcene, ma sono certo che quell'uomo abbia una bella somma da qualche parte. In base ai conteggi dei federali mancano all'appello settanta, ottanta milioni di dollari. Probabilmente sono su un conto cifrato in Svizzera o in una banca delle Isole Cayman.» Jack stava sorseggiando il caffè, il braccio sinistro sulla spalliera della sedia della sua fidanzata. Il modo in cui continuava a guardarla fece pensa-
re a Opal che la ragazza aveva incontrato l'uomo giusto. Lui è talmente bello, si disse, e Regan così graziosa. Jack aveva i capelli biondo rossicci che tendevano ad arricciarsi, occhi nocciola e lineamenti regolari enfatizzati dalla mascella decisa. Quando erano entrati nel ristorante, i due si tenevano per mano. Regan era alta, ma Jack la superava di molto e aveva le spalle ampie. Anche se era solo la seconda settimana di novembre, una nevicata precoce aveva imbiancato i pendii. L'indomani i Reilly sarebbero andati a sciare. Era buffo che Jack e Regan avessero lo stesso cognome, considerò Opal. Lei, invece, avrebbe fatto una passeggiata nel bosco con Alvirah e Willy, alla ricerca del loro albero, mentre nel pomeriggio avrebbero preso una lezione di fondo. La sua amica le aveva detto che ci aveva già provato un paio di volte, e che mantenere l'equilibrio non era difficile... in più, si trattava di uno sport divertente. Opal non ne era sicura, ma si sentiva disposta a fare un tentativo. A scuola era un'atleta, e per mantenersi in forma camminava ancora molto. «Hai quell'espressione assorta di quando sei immersa in una delle tue riflessioni», disse in quel momento Luke, rivolto alla moglie. Nora bevve un sorso di cappuccino. «Stavo pensando a quanto mi sia piaciuta la storia della famiglia von Trapp. Ho letto il libro di Maria molto prima di vedere il film, ed è interessante trovarsi qui adesso, e sapere che uno degli alberi che lei vide piantare è stato scelto per il Rockefeller Center.» «Be', quell'albero è proprio in fondo alla strada a godersi i suoi ultimi giorni nel Vermont», commentò Luke, asciutto. «Lunedì mattina, prima di partire, assisteremo al suo abbattimento e potremo augurargli buon viaggio.» «In auto ho sentito dire alla radio che lo porteranno a Manhattan a bordo di una chiatta mercoledì mattina», li informò Alvirah. «Sarebbe divertente esserci al suo arrivo al Rockefeller Center. A me piacerebbe molto sentire il coro di benvenuto degli scolari.» Ma mentre pronunciava quelle parole provò la bizzarra impressione che qualcosa sarebbe andato storto. Si guardò intorno: nell'accogliente saletta i clienti indugiavano a chiacchierare a tavola. Perché sentiva con gelida certezza che da qualche parte si stavano preparando dei guai che avrebbero coinvolto Opal? Non avrei dovuto invitarla a venire con noi, pensò preoccupata. Non so per quale motivo, ma qui lei è in pericolo.
8 La prima notte di Packy a The Castle fu, nella sua opinione, appena migliore di quelle trascorse al penitenziario. Venne fatto registrare, gli fu assegnato un letto e dovette ascoltare di nuovo il regolamento. Dopodiché si assicurò la possibilità di lasciare il centro la domenica mattina affermando in tono pio che, da buon cattolico, non perdeva mai la messa. Per buona misura, aggiunse che quella domenica sarebbe stato l'anniversario della morte della madre. Da tempo aveva dimenticato la data della sua scomparsa, ma le lacrime che gli salivano sempre con facilità agli occhi e il sorriso birichino che accompagnò la sua candida affermazione: «Che Dio la benedica. Lei non mi ha mai abbandonato», fecero sì che il funzionario si sbrigasse a fargli avere il permesso. Il giorno e mezzo successivo passò come in una nebbia. Packy partecipò all'incontro obbligatorio in cui gli fu ribadito che sarebbe tornato in carcere a scontare il resto della pena se non avesse rispettato rigorosamente le condizioni del rilascio sulla parola. A tavola, fantasticava sui pasti che presto avrebbe consumato nei ristoranti di lusso brasiliani. Il venerdì e il sabato sera chiuse gli occhi nella stanza che divideva con altri due ex detenuti e scivolò nel sonno. Sognò camicie di cotone egiziano, pigiama di seta, e di mettere infine le mani sulla borraccia che conteneva i diamanti. La domenica mattina spuntò limpida e fresca. Due giorni prima c'era stata una nevicata precoce, e le previsioni del tempo ne annunciavano un'altra. Pareva che si stesse preparando uno di quegli inverni vecchio stile, il che a Packy andava benissimo. Non contava di affrontarlo con i suoi connazionali. Nel corso degli anni di detenzione era riuscito a tenersi in contatto con i gemelli Como pagando un certo numero di visitatori accuratamente selezionati perché spedissero le sue lettere ai complici e gli recapitassero le loro. Solo la settimana prima Jo-Jo gli aveva confermato per iscritto che si sarebbero incontrati dietro la cattedrale di Saint Patrick, raccomandandogli di assistere alla messa delle dieci e un quarto, e poi di fare due passi in Madison Avenue. Così Benny e Jo-Jo sarebbero stati lì. D'altronde, perché non avrebbero dovuto? si chiese Packy. Alle otto, chiuse dietro di sé la porta di The Castle e uscì in strada. Aveva deciso di percorrere a piedi i cento isolati che lo separavano dalla cattedrale, spinto non tanto dal desiderio di fare esercizio, quanto dalla consapevolezza che sarebbe stato seguito. Voleva rendere
la vita difficile al suo pedinatore. Gli sembrava di sentire le istruzioni che erano state impartite all'uomo incaricato di metterglisi alle costole: «Non staccargli gli occhi di dosso. Prima o poi ci porterà al denaro che ha nascosto». No, che non lo farò, pensava Packy mentre percorreva Broadway a passo svelto. Parecchie volte, fermandosi a un semaforo rosso, si voltò per guardarsi indietro, affascinato dal mondo che per tanto tempo gli era stato precluso. La seconda volta riuscì a individuare il pedinatore, un tizio corpulento che indossava una tuta da jogging. Che razza di sportivo, si disse. Sarà fortunato se riuscirà a non perdermi di vista prima del mio arrivo in chiesa. La messa delle dieci e un quarto era sempre la più affollata. Era cantata e spesso veniva celebrata dal cardinale. Packy sapeva già dove sarebbe andato a sedersi... sul lato destro, in una delle prima panche. Alla comunione, si sarebbe messo in fila con gli altri fedeli e, poco prima che arrivasse il suo turno, si sarebbe spostato a sinistra dell'altare infilandosi nel corridoio che conduceva al palazzo in Madison Avenue dove c'erano gli uffici dell'arcidiocesi. Ricordava che, quando era alle superiori, in un'occasione lui e i suoi compagni si erano riuniti lì prima di entrare tutti insieme nella cattedrale. Jo-Jo e Benny lo avrebbero aspettato a bordo del furgone di fronte all'ingresso del palazzo, e prima che il tizio corpulento avesse la possibilità di raggiungerli, loro se la sarebbero filata. Era ancora presto quando arrivò alla cattedrale e ne approfittò per accendere una candela davanti alla statua di sant'Antonio. So che se ti pregassi perché ho smarrito qualcosa mi aiuteresti, mormorò tra sé, ma quello che devo ritrovare è nascosto, non perduto. Quindi, ti chiedo solo un piccolo aiuto per far perdere le mie tracce a Jogger il Ciccione. Le mani giunte in preghiera gli permisero di dare un'occhiata allo specchietto che nascondeva fra i palmi. Fu così in grado di vedere il pedinatore inginocchiarsi in una panca lì vicino. Alle dieci e un quarto Packy attese che i religiosi avanzassero a passo di processione dal fondo della chiesa, e a quel punto risalì in fretta la navata e andò a piazzarsi a un'estremità della sesta panca a partire dall'altare. Lo specchietto gli rivelò che, quattro file più indietro, il pedinatore non era riuscito a occupare a sua volta un'estremità, ed era stato costretto a infilarsi oltre due donne anziane per trovare posto. Adoro le vecchie signore, pensò Packy, vogliono sempre stare sedute ai
lati delle panche. Hanno paura di perdersi qualcosa se si spostano verso il centro per far spazio a qualcun altro. Il problema era che la cattedrale pullulava di addetti alla sicurezza. Perfino un bambino di due anni avrebbe capito che quei tizi in giacca color vinaccia non erano sacrestani. Era un fattore di cui lui non aveva tenuto conto. Non solo: all'ingresso del corridoio c'erano anche degli agenti di guardia. Se solo avesse messo un piede sulla pedana dell'altare gli sarebbero saltati addosso in un istante. Preoccupato per la prima volta e scosso nella sua sicurezza, Packy perlustrò la scena con gli occhi. Gocce di sudore gli imperlarono la fronte mentre realizzava di avere ben poche opzioni. L'uscita a destra era senza dubbio la scelta migliore, considerò. E il momento giusto sarebbe stato alla lettura del Vangelo. Tutti si sarebbero alzati e lui avrebbe avuto la possibilità di sgattaiolare fuori senza che il tizio in tuta se ne accorgesse. A quel punto avrebbe preso a sinistra e percorso al volo il mezzo isolato che lo separava da Madison Avenue e dal furgone. «Fatevi trovare lì, ragazzi», bisbigliò. Ma anche se i suoi complici non c'erano e lui fosse stato seguito, uscire dalla chiesa prima della fine della messa non costituiva una violazione delle condizioni del rilascio. Cominciava a sentirsi meglio. Con l'aiuto dello specchietto, vide che un'altra persona era passata davanti alle due donne anziane per infilarsi nella panca dove sedeva il pedinatore. L'uomo ora era strizzato accanto a un giovanotto muscoloso che non gli sarebbe stato facile spingere da parte. «Meditiamo sulle nostre vite, su ciò che abbiamo fatto e che abbiamo tralasciato di fare», stava dicendo il celebrante, un monsignore. Era l'ultima cosa su cui Packy desiderava meditare. La lettura dell'epistola era terminata e lui non se ne era neppure accorto, concentrato com'era sulla fuga. «Alleluia», cantò il coro. La congregazione si levò in piedi. Prima che l'ultimo fedele si alzasse, Packy era già alla porta che si apriva sulla Quindicesima Strada. Prima che venisse intonato il secondo alleluia, era in Madison Avenue. Prima del terzo, prolungato alleluia, aveva individuato il furgone, aperto la portiera e saltato dentro. Un attimo dopo era partito. All'interno della cattedrale il giovanotto si era fatto manifestamente ostile. «Senta», disse al pedinatore, «se l'avessi lasciata passare con quella furia, avremmo rischiato di far cadere queste due signore. Si dia una calmata.»
9 La domenica pomeriggio Alvirah esclamò con ammirazione: «Sembra che tu abbia un talento naturale per lo sport, Opal». Il viso della donna s'illuminò. «A scuola ero un'atleta», rispose. «La mia specialità era la pallavolo. Credo di essere naturalmente coordinata. Quando ho messo gli sci da fondo e sono partita, mi è sembrato di danzare sulla neve.» «Be', di certo hai dato un bel distacco a me e ad Alvirah», osservò Willy. «Sei filata via come se fossi nata sugli sci.» Erano le cinque, il fuoco ardeva nel camino dello chalet preso in affitto alla Trapp Family Lodge e i tre stavano sorseggiando un bicchiere di vino. La passeggiata nel bosco in cerca dell'albero indicato sulla mappa era stata rimandata. Sabato mattina avevano deciso di prendere tutti subito una lezione di fondo. Poi, dopo pranzo, solo Opal era tornata a sciare con una maestra. La domenica, dopo la messa nella chiesa locale e un'ora di sci, i Meehan ne avevano avuto abbastanza, ed erano stati felici di rincasare per fare un sonnellino. Le ombre fuori si stavano allungando e Alvirah aveva cominciato a chiedersi dove fosse finita l'amica quando, aprendo la porta, aveva visto Opal arrivare con gli sci fin davanti allo chalet. Aveva le guance rosee e gli occhi che scintillavano. «Oh, ciao, cara», l'aveva salutata Opal mentre si slacciava gli sci, «è stato bellissimo. Non ho provato una gioia simile da...» si era interrotta, e il sorriso che le aleggiava sulle labbra era svanito. Alvirah sapeva che era stata sul punto di dire: «...da quando ho vinto alla lotteria». Ma il sorriso di Opal era ricomparso immediatamente. «Ho passato una giornata magnifica», aveva ripreso. «Non potrò mai ringraziarvi abbastanza per avermi invitato.» I Reilly avevano trascorso la domenica sulle piste e il gruppo si riunì alle sette nella sala da pranzo dell'albergo. Durante la cena, Regan li intrattenne con il racconto di uno dei suoi casi preferiti: quello di una novantaduenne che si era fidanzata con il suo consulente finanziario e contava di sposarlo di lì a tre giorni. In segreto, progettava di donare due milioni di dollari a testa ai quattro nipoti, se solo si fossero presentati tutti al matrimonio. «Quella sarebbe stata la quinta volta che si sposava», spiegò Regan. «La
famiglia venne a sapere del suo intento e naturalmente decise di partecipare al completo alle nozze. Chi non lo avrebbe fatto? Ma la nipote più giovane, un'attrice, era partita per uno dei suoi week-end 'via col vento'. Aveva spento il cellulare e nessuno sapeva dove si trovasse. Così fui incaricata di trovarla per fare in modo che fosse presente alla cerimonia.» «Commovente, vero?» commentò caustico Luke. «Per due milioni di dollari io sarei disposto perfino a fare da damigella», rise Jack. «Mia madre aveva l'abitudine di ascoltare un programma radiofonico intitolato: 'Mr Keen, l'uomo che rintraccia le persone scomparse'», rammentò Opal. «A quanto pare, tu sei brava come lui, Regan.» «In effetti, ne ho rintracciata qualcuna», ammise lei. «E per alcuni di loro sarebbe stato meglio che tu non lo avessi fatto», disse Jack. «Perché sono finiti al fresco.» Un'altra cena molto gradevole, stava pensando Opal. Persone simpatiche, buona conversazione, dintorni meravigliosi... e ora la scoperta di un nuovo sport. Si sentiva lontano milioni di chilometri dal Village Eatery, dove faceva la cameriera ormai da vent'anni, fatta eccezione per i pochi mesi in cui aveva tenuto in banca il denaro della vincita. Non era un brutto posto dove lavorare, si disse. Il ristorante era carino, aveva la licenza per vendere alcolici e il bar. Ma i vassoi erano pesanti e la clientela costituita soprattutto da studenti universitari, che sostenevano di avere pochi soldi. Il che, pensava lei, non era una buona scusa per lasciare mance irrisorie. Il tenore di vita che Alvirah e Willy si concedevano e il bell'appartamento di Herman Hicks le rammentavano quanto fosse stata sciocca a fidarsi di quel bugiardo dalla lingua sciolta di Packy Noonan, e ancora più doloroso le risultava ascoltare le chiacchiere eccitate di Nora che stava preparando il matrimonio della figlia. La nipote di Opal, la sua parente preferita, era da tempo che risparmiava per potersi sposare. «Sarà un matrimonio modesto», le aveva detto Kristy. «Gli insegnanti non guadagnano molto. Papà e mamma non possono permettersi di aiutarmi, e non puoi immaginare quanto costi anche solo un piccolo ricevimento.» Kristy era la figlia di suo fratello minore e viveva a Boston. Aveva frequentato l'università grazie a una borsa di studio, con l'accordo che dopo la laurea avrebbe insegnato per tre anni in una scuola cittadina. Tim Cavanaugh, il suo fidanzato, frequentava i corsi serali della facoltà di economia e commercio. Erano due bravi ragazzi e avevano molti amici. Mi piacereb-
be organizzare per loro un bel matrimonio, si disse Opal, e aiutarli ad arredare la casa. Se solo... Se solo, se solo, si schernì. Falla finita. Pensa a qualcos'altro. Il «qualcos'altro» che le balenò alla mente fu che, mentre faceva lezione di fondo quel sabato pomeriggio, era passata davanti a una fattoria isolata a circa tre chilometri di distanza. Sul vialetto, un uomo era intento a caricare degli sci sul tetto di un furgone. Opal lo aveva visto solo di sfuggita, ma per qualche strana ragione le era parso familiare, come se si fosse imbattuta in lui di recente. Il tizio era basso e tarchiato, come del resto molti clienti del ristorante. È una tipologia, niente di più, si disse: ci sono gli alti e ci sono i bassi. Ecco perché mi è sembrato di conoscerlo. E tuttavia, non riusciva a scrollarsi di dosso quel pensiero. «Per te va bene, Opal?» le chiese Willy. Con un sussulto, si rese conto che era la seconda volta che lui le faceva quella domanda. Di cosa stava parlando? Oh, sì, rammentò poi. Aveva proposto di fare colazione presto, l'indomani, per poter assistere al taglio dell'abete destinato al Rockefeller Center. Poi, dopo aver trovato l'albero indicato sulla mappa, avrebbero fatto ritorno all'albergo per pranzare e fare i bagagli. «Benissimo», si affrettò a rispondere. «Voglio comperare una macchina fotografica per scattare qualche foto.» «Ne ho una io, Opal. E voglio fare una foto all'albero di Alvirah e mandarla al nostro broker», rise Nora. «L'unica cosa che ci regala a Natale è una torta alla frutta.» «Un barattolo di sciroppo d'acero e un albero che cresce a centinaia di migliaia di chilometri da casa tua non è esattamente un lusso da sibariti», commentò Alvirah. «Le persone per cui facevo le pulizie ricevevano sempre grosse bottiglie di champagne.» «Quei giorni sono passati per sempre», intervenne Willy con un gesto liquidatorio della mano. «Oggigiorno ti va bene se un fornitore, come regalo, fa a tuo nome una donazione di una cifra non ben specificata alla sua istituzione caritatevole preferita, che tu non hai mai sentito nominare.» «Fortunatamente, nella mia professione non ho questi problemi. I clienti preferiscono che noi non ci facciamo vivi, soprattutto durante le feste», scherzò Luke. Regan scoppiò a ridere. «Che sciocchezze, papà. Da parte mia, non vedo l'ora di assistere al taglio dell'albero. Pensate a tutta la gente che andrà ad ammirarlo al Rockefeller Center. E poi, sarà divertente vedere quanto tem-
po impiegheremo a localizzare l'albero di Alvirah con la mappa.» Non poteva sapere che una gita spensierata si sarebbe trasformata in un affare mortalmente serio quando, l'indomani, Opal sarebbe andata da sola a dare un'occhiata all'uomo che aveva intravisto davanti alla fattoria... dove Packy Noonan era appena arrivato. 10 Sembra di essere in una puntata di qualche stucchevole serie televisiva, pensava Milo mentre sollevava il coperchio per controllare la cottura dello stufato di manzo che sobbolliva sul fuoco. Era domenica sera e l'atmosfera nella fattoria, pervasa dall'odore del cibo, aveva un che di intimo, di accogliente. Guardò fuori e vide che aveva cominciato a nevicare. Ma a dispetto di tutto, lui non vedeva l'ora di tornare al Village. Sentiva il bisogno di nuove stimolanti letture e della compagnia di altri poeti. Loro ascoltavano in un silenzio pieno di rispetto le sue composizioni e poi applaudivano, e a volte gli dicevano che erano commoventi. Se anche non lo pensavano davvero, sapevano comunque fingere bene. Mi danno l'incoraggiamento che mi serve, concluse. I gemelli Como lo avevano avvertito che sarebbero stati di ritorno domenica sera dopo le sei, e che volevano trovare la cena pronta. Erano ripartiti il sabato pomeriggio, e se gli erano sembrati nervosi al loro arrivo, lo erano molto di più quando se n'erano andati. Innocentemente, Milo aveva chiesto dove fossero diretti, ma Jo-Jo aveva replicato, brusco: «Non sono affari tuoi». Gli ho risposto di prendersi un calmante, rammentò Milo, e lui è andato su tutte le furie. Poi Jo-Jo aveva urlato a Benny di scaricare gli sci e di rimetterli a posto meglio. Gli aveva detto che non sembravano fissati bene, e che l'ultima cosa che voleva era che uno sci volasse via in autostrada andando a sbattere contro un'autopattuglia. «Un poliziotto alle calcagna che chiede di vedere le nostri patenti false è proprio quello di cui abbiamo bisogno», aveva sbraitato. Un quarto d'ora dopo aveva intimato al fratello di entrare in casa perché stava passando un gruppo di fondisti. «Fra loro potrebbe esserci un agente», aveva sibilato. «C'era o non c'era la tua foto in televisione quando hanno parlato di Packy? Vuoi tirarceli tutti addosso?» Quei due erano spaventati a morte, era stata la conclusione di Milo. D'altro canto, lo era anche lui. Era evidente che, in qualunque cosa fossero
coinvolti i gemelli, si trattava di una faccenda rischiosa. Se li avessero arrestati, avrebbero certamente fatto il suo nome e lui sarebbe stato accusato di avere dato ospitalità a due ricercati. Non avrebbe dovuto mescolarsi a quella gente, ed era sicurissimo che la loro partenza fosse legata al rilascio di Packy Noonan. Chi avrebbe creduto che lui ignorava che tredici anni prima i gemelli erano scomparsi in coincidenza con l'arresto di quel truffatore, e che da allora non aveva più avuto loro notizie? Fino a quel momento, ovviamente, si corresse. No, decise poi. Non ci crederebbe nessuno. Per anni i gemelli Como avevano eluso la polizia e, ben nutriti come apparivano, era evidente che avevano vissuto bene. Di conseguenza loro avevano certamente almeno parte del denaro sottratto agli investitori. Perché correre il rischio di tornare? si chiese. Packy ha pagato il suo debito con la società, rifletté ancora, ma è fuori sulla parola. Da quello che i gemelli si dicevano quando credevano che lui non potesse sentirli, era evidente che progettavano tutti e tre di lasciare il paese di lì a pochi giorni. Per andare dove? E portandosi dietro che cosa? Infilzò un pezzetto di manzo e se lo cacciò in bocca. Jo-Jo e Benny si erano trattenuti alla fattoria solo ventiquattr'ore, ma in quel breve tempo era tornata fra loro l'antica familiarità. Prima che Jo-Jo si facesse prendere dall'isteria avevano riso insieme, ricordando i giorni passati. E dopo aver ingollato un paio di birre, Benny lo aveva addirittura invitato ad andare a trovarli in Bra... Milo sorrise al ricordo. Benny aveva cominciato a dire «Bra...» quando il fratello lo aveva zittito. Era evidente che intendeva «Brasile», invece si era corretto blaterando: «Bra-bra. Bora-Bora, cioè». Benny non era mai stato troppo sveglio. Cominciò ad apparecchiare la tavola. Se per caso i gemelli fossero tornati in compagnia di Packy Noonan, questi avrebbe apprezzato lo stufato, o ne aveva già mangiato a sufficienza in prigione? Ma anche in tal caso, pensò Milo, di certo non era buono come il mio. E comunque, se qualcuno non gradiva lo stufato, c'era abbondanza di sugo per la pasta. Da quello che aveva sentito dire, Packy diventava alquanto sgradevole se le cose non erano fatte a modo suo. Però conoscerlo non mi dispiacerebbe, rifletté. Non si può negare che possieda quello che viene definito carisma. Questo è uno dei motivi per cui il suo processo fece tanta sensazione... la gente non sa resistere ai criminali dotati di carisma. Un'insalata verde con scaglie di parmigiano, biscotti fatti in casa e gelato
avrebbero completato la cena, un pasto degno della regina di Inghilterra, se solo si fosse degnata di comparire da quelle parti con gli sci ai piedi. I piatti scompagnati non erano adatti a un'altezza reale, ma non aveva importanza. Di sicuro i gemelli non ci avrebbero fatto caso. Per quanto denaro avessero per le mani, sarebbero comunque rimasti dei rozzi. Come diceva sempre sua madre: «Milo, tesoro, la classe non si compra». E, ragazzi, se aveva ragione! Non c'era altro da fare per ingannare l'attesa. Milo andò alla porta d'ingresso e l'aprì. Lanciò un'occhiata al fienile, e ancora una volta si scoprì a domandarsi: a che cosa serve l'autocarro? Se sono diretti in Bra Bra Brasile, di certo non ci andranno con quello. Al loro arrivo, sul pianale c'erano un paio di pini malconci, ma il giorno prima Benny li aveva scaricati in uno dei box. Forse dovrei davvero comporre una poesia su un albero, si disse mentre richiudeva la porta. Andò alla traballante scrivania che l'agente immobiliare aveva avuto la sfrontatezza di definire antica, si sedette e chiuse gli occhi. Un albero scarno che nessuno vuole, pensò con tristezza. Finisce in un box per cavalli, e lì c'è un vecchio ronzino destinato alla fabbrica di colla. Sono entrambi spaventati. L'albero sa che incontrerà la sua fine in un camino. In un primo momento albero e cavallo non si intendono, ma l'infelicità ama la compagnia e, dato che non possono evitarsi, i due finiscono per fare amicizia. L'albero confida al cavallo che non è mai diventato alto, e che tutti lo chiamavano «Cepposo». Quello era il motivo per cui era finito lì. Il cavallo gli racconta come, durante una corsa che avrebbe dovuto vincere, si era invece seduto sulla pista dopo il primo giro perché era stanco. Cepposo e il vecchio ronzino si confortano l'un altro e progettano la fuga. Il cavallo afferra l'albero per un ramo, se lo issa sul dorso, abbatte la porta del box e corre verso la foresta, dove da allora vivranno felici e contenti. Milo scosse la testa. Aveva gli occhi pieni di lacrime. «A volte la bella poesia mi colpisce con la forza di un pugno», disse ad alta voce. Tirando su con il naso, prese un foglio e cominciò a scrivere. 11 Fin dal primo istante in cui vide il furgone parcheggiato in Madison Avenue, Packy Noonan si rese conto che in quei tredici anni la capacità in-
tellettuale dei gemelli Como non era cresciuta di una virgola. Mentre saliva sul sedile posteriore e chiudeva la portiera, fumava di collera. «E questi sci? Perché non mettere addirittura la scritta L'AUTO DELLA FUGA DI PACKY?» «Cosa?» grugnì Benny senza capire. Jo-Jo, al volante, diede gas. Arrivò una frazione di secondo troppo tardi al semaforo e, vedendo un poliziotto fermo all'angolo, decise di non rischiare. Anche se l'agente non stava guardando verso di loro, passare con il rosso non sarebbe stata comunque una buona idea. «Vi avevo detto di portare qualche paio di sci per poterli montare dopo avermi recuperato», sibilò Packy. «In questo modo, se qualcuno mi avesse visto correre lungo l'isolato, avrebbe potuto riferire solo che ero salito su un furgone. Poi noi ci saremmo fermati da qualche parte per mettere gli sci sul tetto. La polizia avrebbe cercato un furgone privo di particolari segni di riconoscimento. Siete degli idioti; tanto valeva ricoprirlo di adesivi del tipo SUONA IL CLACSON SE AMI GESÙ, santo Dio.» Jo-Jo girò la testa per guardarlo. «Abbiamo rischiato la pelle per venire a prenderti, Packy. Non eravamo tenuti a farlo, sai.» «Muoviti!» strillò l'altro. «È verde. Ti serve un invito scritto per accelerare?» Per essere una domenica mattina, il traffico era più intenso del solito. Il furgone percorse lentamente il lungo isolato in direzione della Cinquantaduesima, poi Jo-Jo prese a est. Nel preciso istante in cui scomparivano alla vista, l'uomo che Packy aveva soprannominato Jogger il Ciccione risalì trafelato Madison Avenue. «Aiuto! Aiuto! Qualcuno ha visto un uomo che correva?» urlò. L'agente, che non aveva notato Packy, si precipitò da lui, palesemente convinto che si trattasse di uno squilibrato. Newyorkesi e turisti, uniti per un momento dalla curiosità, si fermarono a guardare. Il ciccione in tuta alzò la voce. «Qualcuno ha visto un tizio passare correndo, un minuto fa?» «Datti una calmata, amico», gli intimò il poliziotto, «se non vuoi che ti arresti per disturbo della quiete pubblica.» Un bambino di quattro anni in piedi di là della strada tirò la gonna della madre, intenta a parlare al cellulare. «Un uomo che correva è salito su un furgone con gli sci sul tetto», disse. «Bada ai fatti tuoi, Jason», lo redarguì la donna. «Non farti sentire dall'agente. Chiunque stiano cercando, sarà probabilmente un borseggiatore.
Che lo trovino loro. È per questo che sono pagati.» Riprese la conversazione telefonica. «Jeannie, sei mia sorella, e ho a cuore il tuo bene. Molla quel bastardo!» Meno di due isolati più in là il furgone procedeva lento nel traffico. Seduto dietro, Packy incitava mentalmente il veicolo: Park, Lexington, la Terza, la Seconda, la Prima. All'altezza della Prima Avenue, Jo-Jo mise la freccia. Altri dieci isolati per il FDR Drive, calcolò Packy. Aveva cominciato a mordersi le unghie, un'abitudine che aveva abbandonato all'età di nove anni. Non possono accusarmi di niente fino a stasera, quando mancherò di presentarmi a The Castle. Ma se mi beccano con i gemelli, è finita. Frequentare noti criminali significa l'immediato rientro in carcere. Avrei dovuto farmi lasciare il furgone parcheggiato da qualche parte. Ma se mi avessero fermato da solo, come avrei giustificato il possesso di un veicolo? Potevo sostenere che lo avevo vinto alla lotteria? Gli sfuggì un gemito. Benny si girò a guardarlo. «Ho un buon presentimento, Packy», disse. «Ce la faremo.» Ma a lui non sfuggì il sudore che gli rigava il viso. E Jo-Jo guidava così lentamente che procedevano a passo d'uomo. So che non vuole correre il rischio di farsi beccare a un incrocio, pensò, ma questa è follia! Sopra le loro teste, un rumore indicò che l'elastico che legava uno degli sci si era slacciato. «Accosta!» strillò Packy. Due minuti dopo, tra la Prima e la Seconda, scaricò gli sci e li scaraventò nel bagagliaio. Poi indicò a Jo-Jo di spostarsi sul sedile del passeggero. «È così che ti hanno insegnato a guidare in Brasile? Benny, passa dietro.» Nei venti minuti successivi viaggiarono verso nord in un silenzio di tomba. Benny, che si faceva intimidire facilmente, se ne stava ingobbito sul sedile posteriore. Aveva dimenticato che Packy andava su tutte le furie quando era preoccupato. Che diavolo gli prende? si chiese. Ci ha scritto di trovare qualcuno di fiducia che affittasse una fattoria con un grande fienile a Stowe. Lo abbiamo fatto. Poi ci ha fatto sapere di procurarci una sega a doppia impugnatura, un'ascia, della corda e quindi l'autocarro. Lo abbiamo fatto. Perché allora si comporta così? Packy ha sempre sostenuto di aver nascosto il resto del bottino nel New Jersey, quindi per quale motivo ora siamo diretti nel Vermont? Non ho mai sentito che per andare nel New Jersey si debba passare da lì.
Seduto davanti, Jo-Jo stava pensando le stesse cose. Quando siamo fuggiti in Brasile, Benny e io avevamo dieci milioni di dollari con noi. Lì abbiamo vissuto bene, molto bene, mai però alla grande. Packy ci ha detto che aveva altri settanta-ottanta milioni su cui mettere le mani una volta uscito, ma non ha mai specificato quale sarebbe stata la nostra parte. Se le cose vanno male, Benny e io potremmo finire in galera con lui. Saremmo dovuti restare in Brasile e lasciare che per qualche settimana facesse lo schiavo in quel cesso di ristorante dove gli hanno trovato lavoro. Così, quando fossimo andati a salvarlo, ci avrebbe apprezzati un po' di più. Anzi, ci avrebbe baciato i piedi. Quando videro il cartello con la scritta BENVENUTI NEL CONNECTICUT, Packy mollò il volante e applaudì. «Siamo di uno stato più vicini al Vermont», ridacchiò. Rivolse un largo sorriso a Jo-Jo. «Ma non ci fermeremo a lungo. Sbrigheremo le nostre faccende e poi via, nel Brasile soleggiato.» A Dio piacendo, pensò piamente Jo-Jo. Ma qualcosa mi dice che Benny e io avremmo fatto meglio ad accontentarci dei dieci milioni. Il suo stomaco gorgogliò mentre faceva un debole tentativo di rispondere al sorriso dell'altro. 12 Erano le otto e un quarto quando Milo sentì il motore di un veicolo che si avvicinava. Con un certo nervosismo, si precipitò ad aprire la porta. Vide Jo-Jo scendere dal furgone dal lato del passeggero e quindi Benny emergere dal sedile posteriore. Chi c'era al volante, allora? La sua domanda trovò risposta un istante dopo, quando la portiera del guidatore si aprì e comparve una figura. La debole luce che trapelava dalla finestra del soggiorno bastò a confermargli i suoi sospetti. L'ospite misterioso era proprio Packy Noonan. Benny e Jo-Jo guardarono il compagno precederli su per i gradini della veranda. Milo si affrettò a spalancare la porta. Era pronto a scattare in un saluto militare, ma Packy gli tese la mano. «Così tu sei Milo, il poeta», disse. «Grazie per aver tenuto il forte per me.» Se avessi saputo che lo tenevo per te, ora non sarei qui, pensò lui, ma si scoprì a ricambiare il sorriso. «È stato un piacere, signor Noonan», rispose. «Packy», lo corresse l'altro gentilmente mentre si guardava intorno. Annusò l'aria. «Che buon profumo.»
«È il mio stufato di manzo», spiegò Milo, affastellando le parole. «Spero che il manzo le piaccia, signor... che ti piaccia, Packy.» «È il mio piatto preferito. La mamma lo preparava tutti i venerdì... o forse il sabato.» Packy stava cominciando a divertirsi. Quel poeta era trasparente come un adolescente. Devo avere un dono naturale con la gente, si disse. Altrimenti come avrei fatto a convincere quei babbei a continuare a investire nella mia società? Decise che quello era il momento giusto per assicurarsi una volta per tutte la lealtà del ragazzo. «Jo-Jo, hai portato i soldi?» «Sicuro, Packy.» «Tira fuori cinquanta biglietti di quelli grossi e dalli al nostro amico Milo.» Passò il braccio intorno alle spalle dell'altro. «Non è quello che ti dobbiamo, naturalmente. Questo è solo un bonus perché sei un tipo sveglio.» Cinquemila dollari? pensò Milo. No, un momento, aveva detto biglietti grossi. Non aveva inteso altri cinquantamila, vero? Il suo cervello non riusciva a concepire un simile pensiero. Due minuti più tardi non riuscì a tenere la bocca chiusa mentre Jo-Jo, con aria scontrosa, cominciava a prelevare cinquanta mazzette di banconote da una valigia piena di soldi. «Ci sono dieci banconote da cento in ogni mazzetta», affermò. «Contali, quando avrai finito di scrivere la tua poesia.» «Per caso, non hai tagli più piccoli?» fece allora Milo esitante. «Non è facile cambiare le banconote da cento dollari.» «Prova con il gelataio in fondo all'isolato», scattò Jo-Jo. «Ho sentito che ha un sacco di spiccioli.» «Milo», intervenne Packy con gentilezza. «Oggigiorno non è più così difficile cambiare i biglietti da cento. Ora lascia che ti illustri il nostro piano. Saremo fuori di qui martedì al più tardi. Il che significa che tutto quello che devi fare è badare ai fatti tuoi e ignorare i nostri movimenti fino a quel momento. E quando ce ne andremo, riceverai altri cinquantamila dollari. Sei d'accordo?» «Oh, sì, signor Noonan... cioè, Packy.» Milo pregustava il Greenwich Village come se fosse già lì. «Se per caso qualcuno suonasse il campanello per chiedere se hai visto in giro un autocarro, tu dimenticherai che in effetti qui ce n'è uno, giusto, Milo?» L'altro annuì. Packy lo guardò dritto negli occhi e si considerò soddisfatto. «Molto be-
ne. Vedo che ci capiamo. Che ne dite di mangiare qualcosa, ora? È stato un lungo viaggio e il profumo del tuo stufato mi ha fatto venire l'acquolina.» 13 Accidenti, che buone forchette, pensò Milo mentre riempiva per la terza volta i piatti di Packy e dei gemelli. Sembra che stiano morendo di fame. Fu con una certa soddisfazione che vide scomparire in un baleno anche l'insalata e i biscotti. Aveva fatto tanti di quegli assaggi da non avere più appetito, il che era meglio perché era costretto ad alzarsi di continuo per servirli o aprire un'altra bottiglia di vino. Packy, Jo-Jo e Benny gareggiavano a chi beveva di più. L'alcol li rilassava. Gli sci che ballonzolavano sul tetto del furgone erano diventati improvvisamente motivo di ilarità. Il fatto che un tamponamento di quattro auto sulla Route 91 avesse provocato un gigantesco ingorgo, costringendoli a superare lentamente un esercito di poliziotti, scatenò un altro giro di sonore risate. Alle undici, i gemelli avevano le palpebre pesanti, mentre Packy chiacchierava ancora a tutto spiano. Milo si era limitato a un paio di bicchieri. Al suo risveglio, l'indomani, non voleva scoprire di aver dimenticato quello che era stato detto. Aveva tutte le intenzioni di restare sobrio fino a quando il suo denaro non fosse stato al sicuro sotto un materasso nel Greenwich Village. Jo-Jo spinse indietro la sedia e si alzò sbadigliando. «Me ne vado a letto. Ehi, Milo, quei cinquantamila extra significano che lavi tu i piatti.» Cominciò a ridere, ma Packy batté la mano sul tavolo per indicargli di tornare a sedersi. «Siamo tutti stanchi, idiota. Ma dobbiamo parlare d'affari.» Senza curarsi di trattenere un rutto, Jo-Jo ricadde pesantemente sulla sedia. «Chiedo scusa», borbottò. «Se non facciamo le cose nel modo giusto, dovrai chiedere scusa al governo», ribatté l'altro. Milo rabbrividì. Proprio non sapeva che cosa aspettarsi. «Domani ci alzeremo presto», cominciò Packy. «Milo penserà alla colazione.» Il poeta assentì. «Dopo di che porteremo fuori l'autocarro, raggiungeremo un albero che si trova a pochi chilometri dalla fattoria, per caso proprio sulla tenuta di un
tizio per cui lavoravo da ragazzo, e lo abbatteremo.» «Abbattere un albero?» lo interruppe Milo, eccitato. «Non sarete gli unici a farlo, domani.» Corse a prendere la pila di quotidiani che si era accumulata fuori della porta sul retro. «Sentite un po'!» gracchiò. «Domattina alle dieci l'abete che è stato scelto per diventare l'albero di Natale del Rockefeller Center verrà tagliato. È tutta la settimana che si preparano! Ad assistere ci sarà mezza città, e tutta la stampa... giornalisti, televisioni, radio.» «Dove sarebbe quest'albero?» chiese Packy in tono pericolosamente tranquillo. «Dunque...» Milo diede una scorsa all'articolo. «Un paio di occhiali da lettura mi farebbero proprio comodo», commentò. «Oh, ecco qui. Si trova sulla tenuta dei Pickens.» Packy balzò in piedi. «Dammi quel giornale!» gridò, strappandoglielo di mano. Quando i suoi occhi si posarono sull'abete raffigurato nella foto solo e maestoso in una radura - e pronto a partire per New York, cacciò un urlo. «Questo è il mio! È il mio albero!» «In zona ci sono un sacco di splendidi abeti che potete abbattere», suggerì Milo, desideroso di rendersi utile. «Tirate fuori l'autocarro!» sbraitò Packy. «Porteremo via il mio albero stanotte!» 14 Alle undici Alvirah indugiò davanti alla finestra della camera. Le luci nella maggior parte degli chalet erano spente e in lontananza si scorgeva il profilo delle montagne. Sono così immobili e silenziose, pensò con un sospiro. Willy era già sotto le coperte. «Qualcosa non va, tesoro?» «No, proprio nulla. È solo che sono talmente newyorchese che faccio fatica ad abituarmi a questo silenzio. A casa, i rumori del traffico, delle sirene della polizia e dei furgoni si fondono a formare una specie di ninnananna.» «Vieni a letto, dai.» «Ma qui c'è una tale pace», proseguì Alvirah. «Scommetto che se ora mi incamminassi lungo uno di quei sentieri, sentirei solo il fruscio di un animaletto che fugge o magari il verso di gufo. È tutto così diverso, vero? A quest'ora a New York ci sarà una fila di auto al Columbus Circle, che suo-
nano il clacson perché è appena scattato il verde e qualcuno non è ripartito all'istante. A Stowe, invece, per strada non c'è nessuno e a mezzanotte non ci sarà più una luce accesa. Tutti staranno sognando. Mi piace.» Un russare sommesso le disse che Willy si era addormentato. «Vediamo che cosa succede nel mondo», disse Nora mentre Luke apriva la porta del loro chalet. «Mi piace sentire le ultime notizie prima di andare a letto.» «Non sono sicuro che sia una buona idea», replicò asciutto il marito. «Le storie che riferiscono non sono esattamente dei catalizzatori di sogni piacevoli.» «Quando di notte non riesco a dormire, io mi metto sempre ad ascoltare il notiziario», interloquì Regan. «Mi aiuta a prendere sonno... a meno che, naturalmente, non sia successo qualcosa di grave.» Jack prese il telecomando e premette il pulsante di accensione. Sullo schermo comparve l'immagine dello studio di Flash News Network. I conduttori non ostentavano i loro soliti sorrisi solari, poi un servizio mostrò Packy Noonan che lasciava il carcere federale. «Guardate un po' chi si vede!» esclamò il poliziotto. «Packy Noonan», esordì con aria seria il giornalista, «da poco liberato dopo aver scontato la pena di dodici anni e mezzo per aver truffato gli investitori con la sua società di trasporti marittimi inesistente, ha lasciato il centro di accoglienza per ex detenuti questa mattina per assistere alla messa nella cattedrale di Saint Patrick. Lo seguiva un investigatore privato ingaggiato dallo studio legale incaricato di recuperare il denaro sottratto. Noonan, tuttavia, è riuscito a sfuggire al suo controllo uscendo dalla chiesa durante la funzione, ed è stato visto correre lungo Madison Avenue. Non presentandosi al centro, questa sera, ha violato le condizioni del rilascio sulla parola. Abbiamo ricevuto in redazione telefonate ed e-mail da parte di investitori da lui frodati che hanno saputo della fuga da un nostro precedente notiziario. Loro sono sempre stati dell'idea che Noonan abbia nascosto una grossa somma di denaro, e si dicono certi che ora stia cercando di recuperarla. Chi darà notizie utili a rintracciare Noonan riceverà una ricompensa di diecimila dollari. Se avete informazioni, siete pregati di contattare il numero che compare in sovraimpressione sullo schermo.» «Quel tizio sta correndo un grosso rischio», commentò Jack. «Ha scontato la sua pena e ora è fuori sulla parola, ma se lo prendono dovrà rientrare in carcere. Di sicuro ha nascosto il denaro da qualche parte e non ha vo-
glia di aspettare due o tre anni per recuperarlo. Scommetto che sarà fuori del paese in un attimo.» «Povera Opal», sospirò Nora, «anche lei ne è sempre stata convinta. Se potesse mettere le mani su quel Packy, gli torcerebbe il collo.» Regan scosse la testa. «Mi fa star male pensare alle persone che, proprio come lei, sono state ingannate e hanno perso tutto quello che avevano. Almeno, quando Noonan era in prigione, sapevano che era infelice. Ora saranno costretti a chiedersi se vivrà alla grande con i loro soldi.» «Io ve l'avevo detto», esclamò Luke. «Adesso siamo in tensione proprio quando è ora di andare a dormire.» Non poterono fare a meno di scoppiare a ridere. «Sei terribile», lo rimproverò Nora. «Spero solo che Opal non abbia visto il notiziario. Lei di certo non chiuderebbe occhio.» A poche porte di distanza, nello chalet che divideva con Alvirah e Willy, Opal si era addormentata non appena aveva posato la testa sul cuscino. Non aveva visto il notiziario, nondimeno sognò di Packy. I cancelli del tetro penitenziario si stavano spalancando. Lui usciva tenendo tra le braccia delle federe rigonfie. Lei sapeva che erano imbottite di denaro... il suo denaro. Fece per seguirlo, ma le gambe si rifiutavano di muoversi. Perché non mi obbediscono? si chiese frenetica. Devo prenderlo. Packy scomparve in fondo alla strada. Ansimante, lei cercò ancora di muoversi, e si svegliò di soprassalto. Oh, mio Dio, esclamò tra sé con il cuore in gola. Un altro incubo su Packy Noonan. Mentre si sforzava di calmarsi, pensò che il suo inconscio stava cercando di far affiorare qualcos'altro. Sta per emergere, si disse mentre tornava a chiudere gli occhi. Lo sento. 15 «I miei piani», gemeva Packy. «Dodici anni e mezzo di galera, e ogni singolo minuto sognavo di mettere le mani su quell'albero. Ora ci mancava solo questo!» Dal sedile posteriore, Benny si protese in avanti cacciando la testa tra lui e Jo-Jo. «Perché è così importante mettere le mani su quell'albero?» volle sapere. «Devi esprimere un desiderio o qualcosa del genere?» Era buio pesto e sulla tranquilla strada di campagna non c'erano altri veicoli. I tre erano diretti alla tenuta dei Pickens, per valutare la situazione.
Come Noonan aveva spiegato, pieno di amarezza: «Per quello che ne sappiamo, gli uomini del Rockefeller Center potrebbero aver lasciato qualcuno a sorvegliare l'albero durante la notte. Prima di precipitarci lì con l'autocarro, dobbiamo appurare che cosa sta succedendo». «Cerca di arrivarci, Benny», ringhiò ora Jo-Jo. «Lui deve aver nascosto qualcosa nell'albero, e ora ha paura di non poterlo recuperare. Sono i nostri soldi, vero, Packy?» «Bingo», fece l'altro. «Dovresti fare domanda per il Mensa. Ti accoglierebbero sicuramente.» «Che cos'è il Mensa?» chiese Benny. «Una specie di club. Sostieni un esame. Se lo passi, vai alle riunioni con altre persone che lo hanno superato a loro volta, e che si congratulano fra di loro ripetendosi quanto sono intelligenti. C'era uno di quei tizi nella sezione del carcere dove stavo io. Era così in gamba che, per passare un biglietto al cassiere della banca per fargli tirare fuori i soldi, aveva usato una distinta di versamento su cui aveva messo la sua firma.» Packy sapeva di stare parlando a vanvera. Quando era nervoso, a volte gli capitava. Calmati, s'impose. Fai pensieri positivi. Pensò ai soldi. Fuori, la temperatura stava calando rapidamente. Sentì i pneumatici slittare mentre passavano su una lastra di ghiaccio. «Dimmi una cosa, Packy», insistette Jo-Jo. «Il nostro denaro è su quell'albero. Tu sei stato dentro dodici anni. Perché non lo hai depositato su un conto cifrato in Svizzera o in una cassetta di sicurezza? Ti sei trasformato in uno scoiattolo?» Packy non riuscì a impedire alla sua voce di farsi stridula. «Lasciate che vi spieghi. E ascoltate attentamente, così non sarò costretto a ripetermi, perché siamo quasi arrivati.» Pigiò sul freno nel vedere un cervo sbucare dai cespugli sul lato della strada. «Vai all'inferno, Bambi», borbottò tra i denti. Come se lo avesse sentito, il cervo girò su se stesso e scomparve. La strada curvava bruscamente a destra. L'uomo accelerò di nuovo, ma con cautela. E se l'albero era sorvegliato? Che cosa avrebbero fatto, in quel caso? «Voglio sapere come stanno le cose, Packy», disse Jo-Jo, spazientito. I gemelli avevano il diritto di essere informati, riconobbe lui. «Voi due eravate coinvolti come me nella truffa fino al collo. La differenza è che ve la siete filata con la grana e avete trascorso gli ultimi dodici anni in Brasile, mentre io dividevo la cella con uno fuori di testa.» «Avevamo solo dieci milioni», specificò Benny con fare oltraggiato.
«Tu te ne sei tenuti almeno settanta.» «Non mi sono serviti a molto, in prigione. Per tutto il tempo in cui quegli allocchi ci davano il loro denaro da investire, io ho comperato diamanti, pietre sciolte, alcune addirittura del valore di due milioni.» «Perché non ci hai chiesto di custodirle mentre eri dentro?» domandò l'altro. «Perché così a quest'ora sarei ancora in Madison Avenue ad aspettarvi.» «Questo non è carino.» Benny scosse la testa. «Insomma, ho capito che i diamanti sono su quell'albero, giusto? È una fortuna che Milo ci abbia detto che stava per essere abbattuto. Pensare che saremmo potuti arrivare con un giorno di ritardo e ritrovarci a mani vuote.» «Non è questo il punto, Benny», interloquì Jo-Jo. «Packy, perché hai scelto un abete del Vermont? Il New Jersey è pieno di bellissimi alberi, sai, ed è molto più vicino a New York.» «Vi ho detto che un tempo lavoravo per i proprietari di questa tenuta!» scattò l'altro. «Quando avevo sedici anni, la mia cara vecchia mamma convinse il tribunale a mandarmici per non so quale esperimento di riabilitazione per minorenni disadattati.» «Che genere di lavoro facevi?» domandò Jo-Jo. «Tagliavo gli alberi, soprattutto per il mercato natalizio. Ero bravo. Imparai perfino a usare una gru per sollevare i più alti, quelli che venivano scelti per i centri cittadini di tutto il paese. Comunque, quando ebbi paura che i revisori dei conti ci beccassero, prelevai i diamanti dalla cassetta di sicurezza, li misi in una borraccia di metallo e li nascosi sull'albero. Non pensavo che mi ci sarebbero voluti tredici anni per tornare a recuperarli. I proprietari della tenuta piantarono quell'abete il giorno del loro matrimonio, cinquanta anni fa, dicendo che non l'avrebbero mai fatto tagliare.» «Come se si potesse essere certi di qualcosa», commentò Benny. «Con lo sviluppo edilizio di questi ultimi anni, poteva succedere. Lo sai che, nel nostro vecchio quartiere, il campo da calcio...» «Non mi interessa il tuo vecchio quartiere!» gridò Packy. «Per la radura bisogna svoltare qui. Tenete le dita incrociate, ragazzi. Ora lasciamo la macchina e proseguiamo a piedi.» «E se c'è una guardia?» «Forse dovrà passare il resto della notte a guardarci mentre abbattiamo l'albero. Prendi la torcia elettrica, Jo-Jo.» Packy aprì la portiera e scese. Il sangue gli scorreva così rapido nelle vene che neppure notò la differenza tra il tepore dell'abitacolo e la gelida
aria della notte. Si tenne sul bordo del sentiero, pronto a nascondersi se avesse scorto qualcuno. Lentamente, arrivò all'ultima curva, tallonato dai gemelli. Quasi non riusciva a credere ai suoi occhi. Il riverbero della neve gli permise di scorgere almeno i contorni della scena. Accese la torcia, puntandola verso terra. Vicino al suo albero era parcheggiato un autocarro con il pianale vuoto. Una gru era già sul posto, i cavi assicurati vicino alla cima dell'abete, così che sarebbe stato facile caricarlo sul camion. Sembrava che non ci fosse nessuno a sorvegliarlo. Jo-Jo e Benny furono abbastanza furbi da non dire una parola. Con cautela, Packy si accostò all'abitacolo del camion e guardò dentro. Nessuno. Tentò di aprire la portiera, ma senza riuscirci. Sotto il paraurti, pensò. Era lì che nove camionisti su dieci nascondevano le chiavi di scorta. Scoppiò a ridere quando le trovò. «Un autentico regalo», disse ai gemelli. «L'autocarro e la gru qui ad aspettarci. Stiamo per recuperare una borraccia che contiene diamanti per milioni e milioni di dollari. Prima, però, dobbiamo tornare alla fattoria a prendere la sega. È un vero peccato che voi imbecilli non abbiate pensato a buttarla nel bagagliaio.» «Ce n'è una elettrica sul pianale», osservò Benny, indicandola. «Perché non usiamo quella?» «Sei pazzo? Quell'affare sveglierebbe anche i morti. Voi ragazzi impiegherete un minuto a tagliare l'albero mentre io manovro la gru.» «Io ho mal di schiena», protestò Benny. «State a sentire!» Packy era sul punto di esplodere. «Con la vostra parte del bottino avrete di che pagare un esercito di chiropratici e massaggiatori. Muoviamoci, stiamo perdendo tempo!» 16 A meno di duecentocinquanta metri di distanza, nella dimora del diciottesimo secolo che sorgeva al centro della tenuta, Lemuel Pickens faticava a prendere sonno. Di norma, lui e la moglie Vidya si coricavano alle nove e mezzo e sprofondavano prontamente nell'incoscienza. Ma quella sera, a causa dell'albero, avevano rivangato i tempi passati e ripescato il vecchio album per guardare la foto che li raffigurava mentre piantavano l'abete il giorno delle loro nozze, cinquant'anni addietro. Non eravamo dei ragazzini neanche allora, ricordò Lemuel con una risatina. Viddy aveva trentadue anni e io trentacinque. Il che, all'epoca, signi-
ficava essere vecchi. Ma come diceva sempre lei: «Lemmy, avevamo delle responsabilità. Io avevo mia madre a cui badare, e tu dovevi pensare a tuo padre. Quando ci vedevamo in chiesa, la domenica, capivo che avevi un debole per me, e ne ero felice». Poi la madre di Viddy era morta. Due settimane dopo suo padre si era sentito poco bene e, in un battibaleno, si era spento anche lui, rammentò Lemuel allungando una leggera gomitata alla moglie. Quando russa sembra un temporale, si disse mentre lei si girava sul fianco. Il ronfare cessò. Non abbiamo avuto il dono dei figli, pensò, ma l'albero è stato la nostra creatura. Gli si inumidirono gli occhi. Vederlo crescere, con quei rami così perfetti, e quella sfumatura di azzurro nelle giornate di sole. Di sicuro è il più bello. Solo, in mezzo alla radura. Non abbiamo voluto piantarne altri nelle vicinanze, e nel corso degli anni abbiamo provveduto regolarmente alla pacciamatura. Lo abbiamo coccolato. È stato divertente. Si girò su un fianco. Quando quella gente si è presentata alla porta per chiederci se eravamo disposti a cederlo al Rockefeller Center, ricordò, sono stato sul punto di sparare loro addosso. Come mi sono incavolato, però, quando poi ho saputo che, dopo il mio rifiuto, erano andati da Wayne Covel per chiedergli il suo grande abete azzurro! A Viddy e a me sono bastati due minuti per risolvere la questione, si disse. Non rimarremo qui ancora a lungo per prenderci cura del nostro albero. Anche se nel testamento lasciassimo scritto che non dovrà essere tagliato, non sarà più la stessa cosa quando noi non ci saremo. Non sarà più speciale per nessuno, ma se va al Rockefeller Center, renderà felici migliaia di persone. Ad accoglierlo a New York ci saranno gli scolari e quelle graziose Rockette, e canteranno motivi tratti dal film di Maria von Trapp. Strano, che sia capitata da queste parti proprio mentre stavamo mettendo l'albero a dimora. Sapeva che ci eravamo appena sposati, e intonò una canzone nuziale austriaca e ci fotografò accanto all'albero. Poi noi fotografammo lei nello stesso punto. Lamuel sospirò. Viddy non vede l'ora di andare a New York per vedere il nostro albero sfolgorante di luci. La scena verrà ripresa dalla televisione e tutti sapranno che è il nostro cinquantesimo anniversario. Vogliono addirittura intervistarci al Today Show. Viddy è talmente eccitata, sta pensando di farsi acconciare i capelli in uno di quei centri estetici alla moda della città. Quando ho saputo il costo, mi è quasi caduta la dentiera. Ma come lei mi ha fatto notare, ci è andata solo un paio di volte in tutti questi anni. Chissà che faccia farà Wayne Covel quando ci vedrà in televisione a
parlare con Katie o Matt. È furente perché, quando noi ci abbiamo ripensato e abbiamo detto a quella gente che potevano prendere il nostro abete, hanno mollato il suo come se fosse una patata bollente. Lemuel allungò un'altra gomitata alla moglie. Fa più rumore di un albero che viene abbattuto, pensò. 17 Wayne Covel non credeva alle sue orecchie. Si trovava in piedi sulla scala appoggiata al tronco dell'abete azzurro di Lemuel Pickens, impugnava un machete ed era pronto a mettersi all'opera. Era deciso a ridurlo in modo tale che gli uomini mandati dal Rockefeller Center sarebbero tornati di corsa da lui. Li avrebbe fatti sospirare, voleva togliersi quella soddisfazione, ma in ultimo gli avrebbe permesso di prendere il suo magnifico albero. Arrivo, Today Show, pensò. Poi però sentì dei passi che si avvicinavano dall'altra parte dell'albero e si rese conto che pochi minuti prima aveva udito, senza farci caso, il ronzio di un motore. Ormai era troppo tardi per scendere dalla scala e darsela a gambe, così fece l'unica cosa possibile. Ficcò il machete nella cintura degli attrezzi che aveva in vita e rimase perfettamente immobile nel buio. Magari se ne andranno subito, si augurò. L'importante era che non lasciassero qualcuno lì di guardia per tutta la notte. Che cosa devo fare? si chiese frenetico. Sono entrato in una proprietà privata senza essere autorizzato. Se mi scoprono, Lem Pickens capirà al volo che cosa avevo in mente e io finirò nei guai. Alcuni uomini stavano camminando nei pressi dell'albero, poi si allontanarono leggermente. Parlavano tra loro di diamanti nascosti... pietre preziose del valore di milioni di dollari! Wayne rischiò di cadere dalla scala, tanto era concentrato nello sforzo di captare le parole. Di sicuro stavano scherzando, si disse. Ma non era così, lo sapeva. C'erano dei diamanti nascosti in una borraccia di metallo sospesa tra i rami, e quei tizi avevano intenzione di portarsi via l'albero. Wayne era terrorizzato. Era ovvio che si trattava di criminali. Come filarsela senza farsi beccare? Se lo avessero scoperto, avrebbero capito che li aveva sentiti. In tal caso, che cosa sarebbe successo? Non voleva neppure pensarci. «Prima, però, dobbiamo tornare alla fattoria a prendere la sega», disse
uno di loro, palesemente di malumore. «È un vero peccato che voi imbecilli non abbiate pensato a buttarla nel bagagliaio.» Grazie, Signore! avrebbe voluto gridare Wayne. Se ne andavano. Questo gli avrebbe dato il tempo di scendere e avvertire la polizia. Forse c'era una ricompensa! Diventerò un eroe, pensò. Quei tizi non avrebbero nascosto qui i diamanti se non se li fossero procurati in modo losco, ne era sicuro. Attese fino a che il rumore del motore svanì in lontananza, poi estrasse dalla cintura la torcia elettrica e l'accese. Dove poteva essere nascosta la borraccia? si domandò. Di certo era stata fissata a un ramo o al tronco. I rami non erano abbastanza spessi da poter contenere all'interno un oggetto come quello. E se qualcuno avesse praticato una cavità nel tronco, la linfa non sarebbe riuscita a circolare e l'albero sarebbe morto. Proteso in avanti, Wayne sollevò qualche ramo con le mani protette dai guanti. Che razza di scherzo, pensava intanto. Quando si dice cercare un ago nel pagliaio. Ma forse avrò fortuna e la troverò. Certo... e magari il Boston vincerà finalmente la Coppa del Mondo. Ciononostante, scese un piolo alla volta, separando i rami ed esaminandoli alla luce della torcia. Tre pioli più giù, vide qualcosa legato a un ramo sopra di lui, circa a metà tra il tronco e punta. Non poteva essere... oppure sì? Wayne sfilò il machete e si allungò verso l'alto. Gli aghi gli graffiarono il viso e andarono a impigliarsi nei baffi, ma lui neppure se ne accorse. Sarebbe riuscito ad arrivare a tagliare il ramo appena dietro l'oggetto misterioso? Era in punta di piedi, immerso nell'albero, quando con un solo fendente recise in due il ramo e poi si affrettò a scendere. Una volta a terra, puntò la luce sul pezzo caduto e la torcia rivelò una fiaschetta di metallo assicurata al ramo con il fil di ferro che si usava nelle recinzioni elettriche. Wyane si accorse di tremare per l'eccitazione. Con un secondo fendente, tagliò di nuovo il ramo in modo che la sezione a cui era fissata la borraccia non fosse lunga più di trenta centimetri. Soffocò l'impulso di lanciare un grido di trionfo, come faceva ogni volta che i Red Sox segnavano un punto contro gli Yankee, e cominciò a correre. Nella fretta non si accorse che il machete, sulla cui impugnatura era inciso il suo nome, era sfuggito dalla cintura, cadendo sul prato. Non pensava più di chiamare la polizia. Il Signore opera per strane vie, si disse mentre continuava a correre lungo il perimetro della proprietà dei Pickens. Se fosse stato scelto il mio al-
bero, avrei avuto il mio quarto d'ora di celebrità, ma tutto sarebbe finito lì. Invece, se la borraccia è davvero piena di diamanti, sarò un uomo ricco... e che smacco per Lem perdere l'opportunità di diventare famoso! Desiderava solo trovare il coraggio di tornare lì l'indomani mattina per vedere che faccia avrebbe fatto il vicino nell'accorgersi che del suo bell'albero era rimasto solo un ceppo. E che dire delle facce di quegli uomini quando avessero scoperto che il ramo con la borraccia era scomparso? In ogni caso, augurava loro buona fortuna. Dopo tutto, stavano lavorando per lui. Se fossero effettivamente riusciti ad abbattere l'abete di Lem, ad andare al Rockefeller Center sarebbe stato il suo. Wayne corse nella notte più forte che poteva. Dovrei dare un'occhiata all'oroscopo di oggi, pensò. I miei pianeti devono essere tutti allineati. 18 Alla fattoria Milo, che stava dormendo come un ghiro sul divano, fu svegliato e convocato in cucina da Packy. «Non voglio essere ulteriormente coinvolto in questa faccenda!» protestò il poeta. «Ci sei già dentro fino al collo!» abbaiò l'altro. «E ora dobbiamo cavarcela insieme. Non possiamo tenere due autocarri nel fienile, e neppure lasciarne uno in piena vista!» «Qui intorno ci sono un sacco di strade solitarie», fece notare Benny. «Perché non molliamo lì il nostro? Anche se è un peccato... è stato un ottimo affare. Ci avevi appena fatto sapere che dovevamo procurarcene uno, quando ci siamo imbattuti in questo a un'asta. Lo abbiamo pagato in contanti, sai. Eravamo fieri di noi stessi, proprio così.» «Per favore, Benny!» urlò Packy. «Quando saremo di ritorno con il mio albero, porterai il nostro autocarro fuori dal fienile, percorrerai la Route 100 per una quindicina di chilometri e poi lo lascerai da qualche parte. No, aspettate un momento! Milo, sarai tu al volante. Qui in giro ti conoscono, e guidare un camion non è illegale. Benny ti seguirà con il furgone e ti riporterà indietro.» È più di quanto avessimo concordato, pensò Milo. Dubito che arriverò mai a spendere quei soldi. Ma non protestò. Ormai in effetti c'era dentro, e non si era mai sentito tanto infelice. «Bene, allora è deciso», tagliò corto Packy. «Milo, non fare quella faccia preoccupata. Usciremo dalla tua vita abbastanza presto.» Lanciò un'occhia-
ta ai gemelli. «Coraggio, voi due. Non abbiamo molto tempo.» Quando arrivarono alla radura non nevicava più e fra le nuvole si intravedeva qualche stella. Packy ne fu lieto. Gli sarebbe bastato tenere la torcia accesa all'intensità minima per dirigere Benny e Jo-Jo mentre segavano l'albero. La gru del Rockefeller Center era già pronta a spostare l'abete una volta tagliato, e i cavi legati alla cima avrebbero impedito che si abbattesse con violenza al suolo. Sono stato un idiota a pensare di poter tagliare un albero di queste dimensioni e farlo atterrare proprio sul pianale, ammise Packy con se stesso. E a dimenticare che i rami più bassi devono essere legati. Diciamo la verità, prima di tutto sono stato un idiota a nascondere i diamanti su un albero. Ma quelli ingaggiati dal Rockefeller Center hanno fatto le cose come si deve, si consolò. Bel lavoro, ragazzi. Jo-Jo e Benny andarono a piazzarsi su due lati dell'abete, impugnando la sega. «Molto bene», disse Packy. «Ecco come farete. Benny, tu spingi mentre Jo-Jo tira. Poi, Jo-Jo, tu spingi mentre Benny tira.» «Poi io spingo mentre Jo-Jo tira», confermò Benny. «E Jo-Jo spinge mentre io tiro. Giusto, Packy?» Noonan avrebbe voluto urlare. «Sì, è giusto. Cominciate. E fate in fretta!» Anche se era una sega manuale, il rumore parve riverberare per tutto il bosco. Seduto sulla gru, Packy abbassò la luce della torcia verso la base del tronco. Per un istante il fascio luminoso cadde sul punto dove sapeva di aver nascosto la borraccia. Poi vide una scala che non aveva notato e un ramo che giaceva a terra. Improvvisamente si sentì a disagio. Illuminò i gemelli che tiravano e spingevano. Passarono diedi minuti. Quindici. «Sbrigatevi», li sollecitò Packy. «Avanti.» «Stiamo spingendo e tirando più in fretta che possiamo», ansimò Benny. «Abbiamo quasi finito. Siamo quasi... cade!» strillò. Per un momento l'albero, reciso alla base, parve vacillare, poi, trasportato dalla gru, rimase sospeso in aria trattenuto dai cavi e quindi calò lentamente sul pianale. Packy era madido di sudore. Come ho fatto a ricordare le manovre? si chiese. Liberò i cavi, saltò giù e si precipitò al posto di guida dell'autocarro. «Benny, tu vieni con me. Jo-Jo, seguici con il furgone,
come se ci stessi scortando. Se abbiamo fortuna...» Con angosciante lentezza, il grosso camion attraversò la radura e imboccò la sterrata. Costeggiato il lato est della tenuta di Lem Pickens, Packy prese la Route 108 e finalmente fu in Mountain Road. Il traffico era scarso e lui si augurò che i passeggeri delle poche auto che incontravano fossero troppo stanchi o indifferenti per chiedersi che cosa stesse succedendo. «A volte gli alberi di grandi dimensioni vengono trasportati di notte per evitare ingorghi stradali», spiegò, più a se stesso che a Benny. «Probabilmente chi ci vede pensa che stiamo facendo proprio questo.» Ma qualcosa lo preoccupava più della difficoltà di arrivare al fienile senza farsi beccare... il ramo che giaceva a terra, proprio sotto il punto in cui era nascosta la borraccia. Aveva adagiato l'albero sul pianale con quella parte rivolta verso l'alto, e non vedeva l'ora di cominciare le ricerche. Erano le tre in punto quando arrivarono alla fattoria. Benny saltò giù e aprì la porta del fienile. A marcia indietro, portò fuori l'altro autocarro provocando un frastuono assordante mentre abbatteva ciò che restava dei box. Milo arrivò di corsa e lo sostituì al posto di guida. Una volta sul furgone, Benny agitò la mano, sorrise e dette un breve colpo di clacson. A quel punto Packy portò il camion rubato nel fienile. «Ora devo solo cercare la striscia rossa che ho dipinto sul tronco nel punto in cui parte il ramo con la borraccia, e saremo sulla strada per il Brasile. Secondo i miei calcoli, ormai dovrebbe essere più o meno a dodici metri di altezza.» Jo-Jo tirò fuori il metro che l'altro gli aveva detto di portare e insieme cominciarono a misurare l'albero. Packy ebbe un sussulto quando, a circa sei metri di altezza, trovò un ramo spezzato. Possibile che fosse caduto da lì il pezzo che aveva visto a terra? Incurante degli aghi che lo graffiavano, cercò di strapparlo via e lanciò un urlo quando uno spuntone di fil di ferro lo ferì a un dito. Puntò la torcia contro il tronco e vide un cerchio rosso alla base del ramo spezzato. Non c'era traccia della borraccia e si vedevano solo i resti del filo di ferro con cui aveva assicurato il suo tesoro. «Cosa?» sbraitò. «Non c'è! Credevo che ormai il mio ramo fosse più in alto. Dobbiamo tornare indietro! La borraccia dev'essere fissata al pezzo che ho visto per terra vicino alla scala.» «Non possiamo riportare fuori questo camion! Dovremo aspettare che tornino Benny e Milo», gli fece notare Jo-Jo.
«E la macchina di Milo?» urlò ancora Packy. «Le chiavi le tiene nella tasca del cappotto», rispose l'altro. Sarei dovuto restare in Brasile e lasciare Packy a preparare tartine in quel buco di ristorante, pensò per la terza volta quel giorno. 19 Lem Pickens continuava a svegliarsi ed era tormentato da brutti sogni. Non sapeva perché, ma temeva che qualcosa andasse storto, e si chiedeva se non avessero commesso un errore cedendo l'albero al Rockefeller Center. In fondo è naturale, si disse. Aveva letto su un libro che ogni cambiamento improvviso era causa di paure e agitazione. Di certo Viddy non sembra preoccuparsene, pensò, guardando la moglie che dormiva pacificamente. Il rumore che faceva era una via di mezzo tra quello di una sega a catena e di un martello pneumatico. Lem si sforzò di evocare pensieri gradevoli che attutissero l'ansia. Pensa a quando pigeranno l'interruttore e il nostro albero sfolgorerà con più di trentamila luci colorate. Che spettacolo! Ma conosceva il motivo della sua preoccupazione. Non sarebbe stato facile stare a guardare mentre l'abete veniva abbattuto. Si chiese se l'albero fosse spaventato, e in quel momento prese una decisione: sveglierò Viddy prima del solito e, dopo aver bevuto il caffè, andremo a dirgli addio come si conviene. Sentendosi più tranquillo, chiuse gli occhi e scivolò di nuovo nel sonno. Dopo qualche minuto il rumore dalla sua parte del letto non poteva ancora competere con quello prodotto da Viddy, una russatrice olimpionica se mai ce n'è stata una, ma era sulla buona strada. Mentre i due coniugi dormivano, Packy Noonan sedeva in lacrime sul ceppo del loro amato albero con in mano un machete, e la luce della torcia rivelava un nome inciso sull'impugnatura: Wayne Covel. 20 Wayne ansimava quando arrivò finalmente alla porta sul retro, stringendo fra le mani il pezzo di ramo che aveva tagliato. Lo posò sul tavolo della disordinatissima cucina, si versò una dose generosa di whisky per calmare i nervi, e infine prese la taglierina dalla cintura degli attrezzi. Con dita tre-
manti, recise il fil di ferro che assicurava il contenitore al ramo. Le borracce contengono solo cose buone, pensò trangugiando un sorso di whisky. Quella era coperta di terra al punto da essere praticamente sigillata e non riusciva a svitare il tappo. Andò al lavello e aprì il rubinetto. A un suono gorgogliante seguì un filo d'acqua, che dopo un po' divenne calda. Wayne tenne la borraccia sotto il getto per lavare via i detriti, poi gli ci vollero tre energiche torsioni prima che il tappo cedesse. Prese uno strofinaccio sporco e lo spiegò sul tavolo. Lentamente, quasi con reverenza, rovesciò il contenuto sul gallo che cantava proprio al centro e strabuzzò gli occhi. Quella gente parlava sul serio... erano diamanti grossi come l'occhio di un gufo, alcuni di una bellissima tonalità dorata, altri sfumati di azzurro e uno grande come un uovo di pettirosso. Dovette scuotere con forza la borraccia per farlo uscire. Il cuore gli batteva così forte che ebbe bisogno di un altro lungo sorso di whisky per calmarsi. Faticava a credere che stesse accadendo davvero. È una fortuna che Lorna mi abbia mollato l'anno scorso. Ha detto che, dopo otto anni, ne aveva abbastanza di me. Be', anche quelli trascorsi con lei sono stati più che sufficienti. Sempre a criticare, a brontolare. Ti auguro di trovare l'uomo sensibile che stai cercando, tesoro, pensò. Lorna si era trasferita a Burlington, a quarantacinque chilometri da lì e Wayne aveva sentito che usciva con tizi conosciuti via internet. Prese una manciata di diamanti, ancora incredulo della sua buona sorte. Forse, quando avrò escogitato la maniera di venderli, farò un viaggio in prima classe e manderò una cartolina a Lorna perché sappia quanto mi sto divertendo... e che sono felice di non averla tra i piedi, si disse. Soddisfatto all'idea di snobbare la sua ex ragazza, Wayne cominciò a pensare al da farsi. Una volta scoperto che il suo abete era scomparso, Lem se la sarebbe sicuramente presa con lui. Devo trovare il modo di giustificare i graffi che ho in faccia, rifletté. Posso sempre sostenere che ho perso l'equilibrio mentre stavo potando uno dei miei alberi. L'unica cosa che gli riusciva bene era badare alle piante sull'appezzamento di terra che non aveva ancora svenduto. Il problema successivo sarà trovare un nascondiglio per i diamanti, pensò mentre li rimetteva nella borraccia. Sarò sospettato di aver abbattuto l'abete, quindi devo stare attento. Non posso tenerli in casa. Se la polizia decidesse di perquisirla, con la fortuna che ho li troverebbe subito. Perché non fare come quei criminali? si chiese a quel punto. Perché non nasconderli su una delle mie piante fino a quando le acque non si saranno
calmate e io potrò fare un salto nella grande città? Ricoprì la borraccia di nastro adesivo marrone, poi frugò nei cassetti stracolmi finché trovò il rotolo di fil di ferro che Lorna aveva usato per appendere dei quadri nel tentativo di abbellire la casa. Cinque minuti dopo si arrampicava sul vecchio olmo che cresceva nel cortile anteriore e, seguendo l'esempio dei tre truffatori, restituiva i diamanti alla protezione di Madre Natura. 21 Dopo l'incubo su Packy Noonan, Opal non riuscì più a chiudere occhio. A intervalli abbastanza regolari guardava l'ora sulla radiosveglia: le due, le tre e mezzo, le cinque. Il sogno l'aveva turbata, riportando alla superficie tutta la rabbia e il risentimento che provava nei confronti di Noonan e dei suoi complici. Aveva cercato di prendere la cosa con filosofia, ma era così offensivo da parte di quel truffatore dichiarare che avrebbe devoluto il dieci per cento dello stipendio per indennizzare le vittime del suo raggiro! Si sta nuovamente prendendo gioco di noi, pensò. Continuava a rimuginare sulle notizie trasmesse dalla televisione. Un'emittente aveva mandato in onda un breve resoconto della truffa e alcune immagini di Packy in compagnia di quegli idioti di Benjamin e Giuseppe Como, che si facevano chiamare Benny e Jo-Jo. Opal ricordava il giorno in cui, seduti al tavolo delle riunioni, i tre avevano cercato di convincerla a investire altro denaro. Benny si era alzato per andare a riempirsi la tazza di caffè. Si muoveva in modo talmente goffo, rammentò ora lei... come se avesse avuto qualcosa nei pantaloni. Mia madre, almeno, avrebbe detto così. Ecco cos'era! Di colpo, balzò a sedere sul letto e accese la luce. Aveva improvvisamente capito che l'uomo che aveva visto caricare gli sci su un furgone durante la lezione di fondo le ricordava Benny. Il sabato pomeriggio, quando sulla pista si erano imbattuti in un altro gruppo di sciatori molto lenti, la maestra aveva detto: «Aggiriamoli da questa parte», e cosi erano passati di fianco a una fattoria dall'aria trascurata. La stringa del mio scarpone si era rotta, ricordò Opal, e per annodarla io mi sono seduta su un masso nel bosco abbastanza vicino alla casa. Ho visto un uomo che caricava degli sci sul tetto di un furgone. Mi è sembrato
in qualche modo di conoscerlo, poi però qualcuno lo ha chiamato e lui è rientrato di corsa. Anche se aveva fretta, si muoveva goffamente. Basso e tarchiato. Goffo, ricordò. Sarei pronta a giurare che era proprio Benny Como! Ma è impossibile, si disse subito dopo, la mente in subbuglio. Che cosa mai ci farebbe qui? Al processo, il procuratore distrettuale che aveva perseguito i gemelli Como si era detto sicuro che i due avessero lasciato il paese dopo essere usciti dal carcere dietro pagamento di una cauzione. Perché mai Benny avrebbe dovuto essere lì nel Vermont? Ormai certa che non sarebbe riuscita a dormire, Opal si alzò, infilò la vestaglia e scese le scale. Il soggiorno al pianterreno era un open space con il soffitto di travi, un camino di pietra e ampie finestre che si affacciavano sulle montagne. L'angolo cucina si trovava due gradini più in basso, delimitato da un bancone. La donna si preparò un caffè e poi andò a mettersi davanti a una finestra sorseggiando la speciale miscela del Vermont. Ma quasi non ne sentiva il sapore. Mentre contemplava il meraviglioso paesaggio, si chiese di nuovo se fosse davvero Benny l'uomo che aveva visto alla fattoria. Alvirah e Willy non si sveglieranno prima di un paio d'ore, rifletté. Potrei andare con gli sci da fondo fin là. Se c'è ancora il furgone, prenderò nota del numero di targa. Sono sicura che a Jack Reilly non dispiacerà effettuare un controllo. Oppure, pensò, posso andare ad assistere al taglio dell'abete per il Rockefeller Center, cercare con gli altri l'albero di Alvirah e quindi tornare a casa. E passare il resto della vita a chiedermi se quel tizio era davvero Benny e se non ho perso l'occasione di mandarlo al fresco. Non permetterò che accada, decise. Tornò di sopra e si vestì in fretta, indossando un maglione pesante sotto la giacca a vento che aveva comperato nel negozio di articoli sportivi dell'albergo. Fuori, il cielo era coperto e l'aria satura di umidità. Nevicherà ancora, si disse... gli appassionati di sci saranno contenti che la stagione quest'anno sia iniziata così presto. Ho un ottimo senso dell'orientamento, volle rassicurarsi mentre agganciava gli sci. Non avrò difficoltà a trovare la fattoria. Conficcò i bastoncini nella neve e si diede una spinta. Intorno era tutto così tranquillo. Benché non avesse quasi chiuso occhio, si sentiva sveglia e vigile. Sarà una pazzia, ammise con se stessa, ma devo assicurarmi di non aver trascurato l'opportunità di vedere quei truffatori in manette. E con i ceppi ai piedi, aggiunse mentalmente. Quello sì che sarebbe un
bello spettacolo. Opal procedeva in salita a ritmo sostenuto. Sono maledettamente brava sugli sci, pensò ancora con una punta di orgoglio. A colazione racconterò ad Alvirah la mia impresa! Anche se lei farà il diavolo a quattro perché non l'ho avvertita. Mezz'ora dopo arrivava in vista della fattoria. Devo stare attenta, si disse. In campagna la gente si alza presto... non come certi miei vicini che non aprono le imposte prima di mezzogiorno. Alla fattoria tutto era silenzioso. Il furgone era parcheggiato proprio di fronte alla porta. Un po' più vicino, pensò Opal, e sarebbe finito direttamente in soggiorno. Attese per una ventina di minuti, ma nessuno uscì per andare a mungere le vacche o a dar da mangiare ai polli. Chissà se tenevano degli animali nel fienile. È davvero molto grande, considerò. Ha l'aria di poter ospitare tutti quelli dell'arca di Noè. Si spostò a sinistra per dare un'occhiata alla targa del furgone. Dal punto in cui si trovava non riusciva a leggerla. Era rischioso, ma doveva proprio avvicinarsi, si disse. Inspirò profondamente, poi abbandonò la protezione degli alberi ed entrò nella radura. Si fermò solamente quando fu a pochi metri dal furgone. Ormai piuttosto nervosa, lesse a fior di labbra la targa bianca e verde. «BEM 360. BEM 360», ripeté. «Lo scriverò non appena sarò fuori vista.» All'interno della fattoria, proprio al tavolo intorno a cui solo poche ore prima regnava un'atmosfera da convivio, tre malviventi stanchi, con i postumi della sbronza e alquanto irritati, cercavano di escogitare la maniera di recuperare la borraccia piena di diamanti che era il loro biglietto per una vita di agi. Sul tavolo c'era il machete di Wayne Covel. La guida telefonica locale era aperta alla pagina su cui figuravano il nome e il numero di telefono dell'uomo. L'indirizzo non compariva. Milo aveva già preparato due cuccume di caffè e due vassoi di pancake con bacon e salsiccia. Packy e i gemelli avevano divorato la colazione, ma ora ignorarono la sua scherzosa osservazione: «Altre frittelle per i ragazzi che devono crescere?» I tre rimasero in silenzio lanciando occhiate torve al machete. Tanto valeva nutrirli, pensò Milo, versando la pastella nella pentola. Era evidente che la sfortuna non aveva tolto loro l'appetito. «Lascia perdere l'alta cucina», gli ordinò in quel momento Packy. «Vieni a sederti. Ho dei piani per te.»
Milo obbedì. Credendo di spegnere il fuoco sotto i pancake, accese invece il fornello su cui stava la padella per friggere piena di unto. «Sei sicuro di sapere dove vive questo Covel?» chiese Packy guardandolo con aria accusatrice. «Certo», confermò lui tutto orgoglioso. «È scritto nella seconda pagina dell'articolo che ti ho mostrato ieri sera. Dicono che è insolito trovare due alberi degni di comparire al Rockefeller Center nello stesso stato, e tanto più in proprietà confinanti. Ora, tutti sanno dove vive Lem Pickens, e Covel sta proprio alla porta accanto.» Benny arricciò il naso. «Che cosa sta andando a fuoco?» Si voltarono tutti verso la cucina a gas. Fiamme e fumo eruttavano dalla vecchia padella di ghisa, e vicino a essa anche i pancake si stavano rapidamente annerendo. «Stai cercando di ucciderci?» strillò Packy. «Questo posto puzza!» Balzò in piedi. «Il fumo mi fa venire l'asma!» Corse alla porta di ingresso, la spalancò e si precipitò sulla veranda. A pochi passi da lui, una donna con degli sci da fondo stava fissando la targa posteriore del furgone. La donna girò di scatto la testa e i loro occhi si incontrarono. Erano passati più di dodici anni, ma si riconobbero all'istante. Lei si voltò e fece un futile tentativo di fuggire, ma nella fretta scivolò e cadde. Packy le fu subito addosso, una mano premuta sulla sua bocca e un ginocchio contro la schiena. Un istante più tardi, stordita e terrorizzata, Opal sentì altre mani afferrarla rudemente e trascinarla in casa. 22 Alvirah si svegliò alle sette e un quarto di buonumore. «Mi sento come se stessero cominciando le vacanze natalizie», disse. «Pensa un po', vedere l'abete destinato al Rockefelier Center nel suo habitat naturale prima che sfolgori di luci a New York.» Dopo quarant'anni di matrimonio Willy era abituato alle osservazioni mattutine della moglie, e aveva imparato a grugnire la sua approvazione anche mentre si godeva gli ultimi minuti di dormiveglia. Alvirah si voltò a guardarlo: aveva gli occhi chiusi e la testa sepolta nel cuscino. «Willy, è arrivata la fine del mondo e tu e io siamo morti», mormorò. «Uh-huh», assentì lui. «Fantastico.»
Inutile svegliarlo adesso, decise lei. Fece la doccia e indossò i pantaloni di lana grigio scuro e un twin set a quadrettini bianchi e grigi, un'altra delle combinazioni che la baronessa Min von Schreiber aveva scelto per lei. Ma guarda come sono elegante, notò osservando la propria immagine riflessa nello specchio a grandezza naturale. Ai vecchi tempi, mi sarei messa pantaloni porpora e una felpa verde e arancio. Ma in fondo Willy e io non siamo cambiati. Ci piace ancora aiutare il prossimo. Lui lo fa riparando tubi che perdono a chi non può permettersi un idraulico, io sforzandomi di raddrizzare le cose per chi è sopraffatto dai problemi. Andò al tavolino da toilette e prese la spilla a forma di girasole che nascondeva un piccolo microfono. Voglio registrare le parole della gente mentre l'abete viene abbattuto, pensò. Sarà un ottimo spunto per la mia rubrica. «Tesoro.» Alvirah si girò. Willy era seduto sul letto. «Prima hai forse detto qualcosa a proposito della fine del mondo?» «Sì, e anche che noi due eravamo morti. Ma non preoccuparti, siamo ancora vivi e vegeti, e la fine del mondo è stata rimandata.» Willy sorrise mortificato. «Ora sono sveglio, tesoro.» «Mentre tu ti lavi e ti vesti, io comincio a fare i bagagli», disse lei. «Abbiamo appuntamento con gli altri alle otto e mezzo in sala da pranzo. Strano, Opal non si è ancora alzata. Sarà meglio che vada a svegliarla.» Lei e Willy occupavano la camera matrimoniale al pianterreno, mentre l'amica si era sistemata in un'altra stanza di sopra. Alvirah passò in soggiorno e vide un biglietto con la calligrafia di Opal sul bancone. Come mai è già uscita? si chiese perplessa prendendolo in mano per leggerlo. Cari Alvirah e Willy, mi sono svegliata presto, così ho deciso di andare a fare un po' di fondo. C'è una cosa che devo controllare. Ci vediamo a colazione alle otto e mezzo. Con affetto, Opal Sempre più preoccupata, Alvirah rilesse le poche righe. Opal sarà anche dotata come sciatrice, ma non conosce tutte le piste, rifletté. Alcune portano in zone molto isolate. Non sarebbe dovuta andare da sola. E che cosa
poteva esserci di tanto importante da spingerla a uscire così presto? Prese la caffettiera e si riempì una tazza. Il caffè aveva un gusto leggermente amaro, come se fosse stato fatto molto tempo prima. Dev'essere uscita davvero all'alba, considerò. Mentre aspettava che Willy finisse di vestirsi, si scoprì a contemplare le montagne. In alto si andavano addensando nuvole scure e la giornata era grigia. Ci sono talmente tante piste, pensò di nuovo. Opal potrebbe smarrirsi. Erano le otto e un quarto. L'amica aveva promesso di raggiungerli alle otto e mezzo. Sono una sciocca a preoccuparmi, si disse Alvirah. Fra pochi minuti saremo tutti insieme a tavola a fare colazione. Willy emerse dal bagno con indosso un maglione tirolese che aveva acquistato nel negozio di articoli sportivi dell'albergo. «Credi che dovrei imparare qualche yodel?» chiese. Si guardò intorno. «Opal dov'è?» «Ci raggiunge tra poco in sala da pranzo», rispose Alvirah. O, almeno, lo spero, aggiunse tra sé. 23 I Reilly uscirono dal loro chalet alle otto e venti e si avviarono verso l'albergo. «È tutto cosi bello qui», sospirò Nora. «Perché non appena uno riesce a rilassarsi è già ora di partire?» «Be', se tu non accettassi di intervenire a tutti quei pranzi di gala, potresti essere rilassata come i miei cari dipartiti», osservò il marito. «Non posso credere che tu l'abbia detto di nuovo!» esclamò Regan ridendo. «È difficile rifiutare quando posso contribuire a raccogliere denaro per istituzioni di beneficenza», si difese Nora. «E l'evento di domani è per una causa particolarmente meritevole.» «Ma certo, mia cara.» Jack aveva ascoltato quel breve scambio di battute. Luke e Nora si divertono sempre insieme, pensò. E cosi sarà anche per Regan e me quando saremo sposati da tanto tempo. Passò un braccio intorno alle spalle della sua fidanzata, che gli rivolse un sorriso birichino. «Questa è una discussione destinata a non concludersi mai», commentò lei alzando gli occhi al cielo. «Vedremo come vi parlerete voi due, da qui a trent'anni», disse Luke. «Vi garantisco che ascoltarvi non sarà per nulla avvincente. Le coppie ten-
dono a tornare sempre sugli stessi argomenti.» «Faremo del nostro meglio per restare interessanti», promise jack. «Ma dubito che ci sia qualcosa di noioso in voi due.» «A volte un po' di noia è preferibile», osservò Nora mentre Luke apriva la porta d'ingresso dell'albergo. «Specialmente quando so che Regan corre dei rischi a causa del caso a cui sta lavorando.» «Una preoccupazione che condivido», affermò Jack. «Ecco perché sono così contenta che vi sposiate», riprese Nora. «Ho la sensazione che tu baderai a lei anche quando non sarete insieme.» «Ci puoi scommettere», rispose Jack. «Grazie, ragazzi», rise Regan. «È carino sapere che c'è un sacco di gente che si preoccupa per me.» Dall'atrio passarono in sala da pranzo, dove c'era il buffet della colazione. La cameriera li accolse con cordialità. «Buongiorno, il tavolo è pronto. I vostri amici non sono ancora arrivati.» Prese i menu e fece strada al gruppetto. «Ho sentito che partite oggi», aggiunse. «Sfortunatamente sì», rispose Nora. «Prima però assisteremo all'abbattimento dell'albero destinato al Rockefeller Center.» «Troppo tardi.» «Come?» «Siete arrivati tardi.» «Hanno anticipato il taglio?» «Non proprio. Lem Pickens è andato a salutare il suo abete stamattina presto, e non c'era più. Qualcuno lo ha segato in piena notte e ha perfino rubato l'autocarro che avrebbe dovuto trasportarlo. Ne parlano tutti. Una delle nostre ospiti mi ha appena raccontato di aver visto un servizio di Imus su MSNBC.» «Immagino già cosa avrà detto il giornalista in proposito», commentò Regan. «Secondo lui, è stato un gruppo di ubriaconi», riferì la cameriera mentre distribuiva i menu. «Nessun altro si sarebbe preso questa briga.» «È una tipica bravata da ragazzi», commentò Jack. «E ora che cosa faranno?» chiese Nora. «Se non ritrovano l'abete entro oggi, probabilmente si rivolgeranno al vicino dei Pickens. Il suo albero era la seconda scelta.» «Ecco un movente», suggerì Jack scherzando solo a metà. «Lo può ben dire», esclamò la cameriera, gli occhi scintillanti per l'ecci-
tazione. «Al notiziario di stamattina Lem Pickens, furioso, ha dichiarato che il colpevole era il suo vicino.» «Potrebbe venire denunciato per aver fatto una simile insinuazione», disse Regan. «Non credo che gli importi. Oh, ecco i vostri amici.» Alvirah e Willy li stavano raggiungendo al tavolo. Regan notò che, anche se stava sorridendo, la sua amica sembrava preoccupata. «Buongiorno», esordì infatti la donna con voce ansiosa. «Opal non è ancora arrivata?» «No», rispose lei. «Non è con voi?» «È uscita stamattina presto per andare a fare fondo e sul biglietto c'era scritto che ci avrebbe raggiunti a colazione.» «Siediti, Alvirah. Vedrai che sarà qui fra poco», intervenne Nora in tono rassicurante. «Non puoi immaginare quello che abbiamo appena saputo.» L'altra si accomodò al tavolo e la guardò, incuriosita. «Durante la notte qualcuno ha tagliato l'albero destinato al Rockefeller Center e l'ha portato via», spiegò Nora. «Cosa?» «Non hanno rubato l'albero di Alvirah, vero?» interloquì Willy. «Altrimenti sì che sarebbero nei guai.» La moglie lo ignorò. «Perché mai qualcuno dovrebbe prendersi il disturbo di rubare un albero? E dove possono averlo portato?» In poche parole, Regan le riferì che anche l'autocarro era scomparso e che il proprietario dell'albero, Lem Pickens, aveva accusato il vicino del furto. «Subito dopo colazione voglio andare sul posto a dare un'occhiata di persona», annunciò Alvirah fissando la porta. «Spero che Opal si sbrighi a raggiungerci.» Jack beve un sorso di caffè. «Sapete se Opal ha sentito le notizie su Packy Noonan?» «Quali notizie?» chiesero Alvirah e Willy all'unisono. «Noonan non ha fatto ritorno al centro di accoglienza, il che significa che ha violato le condizioni del rilascio.» «Opal ha sempre sostenuto che quell'uomo aveva nascosto il bottino da qualche parte. Ora sarà andato a riprenderselo.» Alvirah scosse la testa. «È disgustoso.» Allungò la mano verso il cestino del pane e, dopo un attento esame del contenuto, ordinò alla cameriera una fetta di strudel. «Non dovrei», ammise, «ma qui i dolci sono talmente buoni.»
Lo squillo perentorio del cellulare nella sua borsa la fece sussultare. «Ho dimenticato di spegnerlo prima di entrare», si scusò, chinandosi a recuperarlo. «Pronto... Oh, ciao, Charley.» «È Charley Evans, il direttore del New York Globe», spiegò Willy agli altri. «Cento a uno che è già al corrente della scomparsa dell'abete. Sa sempre tutto prima che succeda.» «Sì, l'ho sentito», stava dicendo Alvirah. «Subito dopo colazione farò un salto là per parlare con la gente del posto. E così, dopo tutto, ne è venuto fuori un crimine.» Rise. «Certo che mi piacerebbe risolvere il caso... Sì, Willy e io possiamo trattenerci qui per qualche giorno. Ti richiamo più tardi. Oh! A proposito, ci sono novità su Packy Noonan? Ho appena saputo che ieri sera non è rientrato al centro. C'è qui una mia amica che ha perso tutti i suoi soldi con la sua società.» L'espressione di Alvirah si fece incredula. «È stato visto salire su un furgone con la targa del Vermont? In Madison Avenue?» Gli altri si guardarono. «Con la targa del Vermont!» ripeté Regan. «Magari è lui che ha tagliato l'albero», suggerì Luke. «Oppure George Washington.» E con voce più profonda, aggiunse: «Padre, non posso mentire. Sono stato io ad abbattere il ciliegio». «Il nostro storico colpisce ancora», scherzò Regan rivolgendosi al fidanzato. «Ma la differenza tra Noonan e George Washington è che Packy non ammetterebbe mai di essere colpevole, neppure se venisse sorpreso con l'accetta in mano.» «E comunque Washington non ha mai pronunciato una frase del genere», interloquì Nora. «Queste sciocche storielle sono state fabbricate dopo la sua morte.» «Be', scommetto che chiunque sia stato non diventerà mai presidente degli Stati Uniti», esclamò Willy. «Non ci conterei», borbottò Luke. Alvirah chiuse la comunicazione e attivò la vibrazione sul cellulare. «Forse Opal chiamerà per avvisarci che è in ritardo», disse posandolo sul tavolo. Poi aggiunse: «Un sacerdote di Saint Patrick aveva notato un furgone con la targa del Vermont fermo di fronte alla canonica, in Madison Avenue. Poi ha telefonato una donna dicendo che suo figlio ha visto un uomo correre lungo l'isolato e salire a bordo di un furgone. L'investigatore privato che lo seguiva ha dichiarato che, prima di uscire dalla chiesa, Noonan ha persino acceso una candela davanti alla statua di sant'Antonio». «Dovrebbe accenderne una anche lui per chiedere al santo di aiutarlo a
ritrovare Packy», suggerì Willy. «Mia madre lo faceva spesso, dato che continuava a perdere gli occhiali.» «Sant'Antonio sarebbe stato un grande investigatore», disse Regan nel tono asciutto che era il marchio di fabbrica del padre. «Dovrei tenere una sua immagine in ufficio.» «Ora mangiamo», intervenne Nora. Durante la colazione Alvirah non smise di tener d'occhio la porta, ma Opal non comparve. Il cellulare vibrò mentre lasciavano la sala da pranzo. Era di nuovo il suo direttore. «Alvirah, abbiamo appena fatto qualche ricerca su Packy Noonan. Quando aveva sedici anni, ha partecipato a un programma di riabilitazione per minorenni disadattati a Stowe. Tagliava gli alberi per Lem Pickens. Probabilmente non c'è nessun collegamento; comunque, tienilo presente quando parli con i locali.» Alvirah sentì un tuffo al cuore. Opal era in ritardo di un'ora, e Packy Noonan poteva essere da quelle parti. Il suo sesto senso le diceva che un collegamento c'era, eccome. E non prometteva nulla di buono. 24 Quella mattina presto, mentre il sole si affacciava sopra le montagne, Lem e Vidya, mano nella mano, arrancavano nel bosco con i doposci per dare un ultimo sguardo al loro amato albero prima di cederlo al mondo. «So che è dura, Viddy», disse Lem. «Ma pensa a come ci divertiremo a New York. E il nostro abete non scomparirà del tutto. Mi hanno spiegato che a volte, dopo la fine delle feste, utilizzano gli alberi di Natale per fare trucioli per l'Appalachian Trail.» Viddy aveva le lacrime agli occhi. «Be', è carino, Lem, ma non ho nessuna intenzione di andare a fare trekking lungo l'Appalachian Trail. Quei giorni sono passati da un pezzo.» «Oppure usano il legno per costruire gli ostacoli dell'Equestrian Center.» «Non voglio che i cavalli saltino sopra il mio albero. E comunque, dov'è l'Equestrian Center?» «Da qualche parte nel New Jersey.» «Lascia perdere. Il viaggio a New York sarà per me l'ultima occasione di fare i bagagli. Quando torneremo, puoi donare tutto il mio set di valigie in beneficenza e ottenere una detrazione dalle tasse.»
Sbucarono da dietro la curva nella radura e si fermarono impietriti. Là dove il loro amato abete era cresciuto e aveva prosperato per cinquant'anni restava solo un ceppo non più alto di trenta centimetri. La scala che gli operai avevano portato giaceva al suolo, e l'angolo disegnato dalla gru era diverso dalla sera prima. «Sono venuti qui all'alba e lo hanno abbattuto!» s'infuriò Lem. «Aspetta che metta le mani su quella gente di New York. L'abete sarebbe dovuto rimanere nostro fino alle dieci di questa mattina. Non avevano il diritto di tagliarlo prima.» Viddy, sempre la più rapida a elaborare le informazioni, indicò la gru. «Ma Lem, perché avrebbero dovuto farlo quando sapevano che i giornalisti sarebbero arrivati in massa? A New York tutti si aspettano di vedere la scena in televisione; ricordi quello che abbiamo letto?» Era così sorpresa da aver dimenticato la malinconia di poco prima. «Non ha senso», concluse. Intanto che si avvicinavano al ceppo sentirono il rombo di un motore sulla strada. «Forse tornano a prendere la gru», disse Lem mentre andavano a piazzarsi con atteggiamento protettivo ai lati del moncone. «Ora gliene voglio dire quattro.» Un uomo sulla trentina, che lui aveva visto il giorno prima mentre legavano i rami più bassi dell'abete, stava avanzando verso di loro. Phil qualcosa, rammentò Lem. Vide un'espressione incredula comparire sulla sua faccia. «Dov'è finito l'albero?» urlò l'operaio. «Lei non lo sa?!» esplose Lem. «Certo che no! Mi sono svegliato presto e ho deciso di venire direttamente qui. Gli altri arriveranno alle otto. E dov'è il nostro camion?» «Lem, ti avevo detto che non potevano essere stati quelli del Rockefeller Center!» esclamò Viddy. «Ma chi lo ha fatto, allora?» Vicino a lei, il marito si erse in tutta la sua altezza, che con l'età si era ridotta a un metro e ottantatré, e puntato un dito accusatore verso il bosco, gridò: «Quel buono a nulla di Wayne Covel!» Qualche ora dopo, quando i Meehan e i Reilly giunsero sulla scena, Lem stava ancora ribadendo le sue accuse a chiunque fosse disposto ad ascoltarlo. E dato che ormai tutti sapevano che qualcuno era riuscito a far scomparire un albero di tre tonnellate, la folla prevista di un centinaio di persone si era triplicata e altra gente continuava ad arrivare. Il bosco pullulava di
giornalisti, operatori e inviati dei principali network. Per la gioia dei media, quello che doveva essere un esempio della tradizione americana si era trasformato nella notizia del giorno. I Meehan e i Reilly si fecero largo fino a raggiungere il capitano di polizia sul bordo della radura. Alvirah si guardava intorno sperando che Opal, essendo in ritardo, si fosse recata direttamente lì. Jack si presentò e disse al capitano che la sua amica stava scrivendo un pezzo per un giornale newyorkese. «Può aggiornarci sull'accaduto, capo?» chiese poi. «Be', l'albero che avrebbe dovuto finire dalle vostre parti è stato portato via. Abbiamo trovato un autocarro abbandonato sulla Route 100, nei pressi di Morrison, e crediamo che abbia avuto una parte nel furto. Stanno cercando di risalire al proprietario. Quelli del Rockefeller Center hanno offerto una ricompensa di diecimila dollari se l'abete verrà restituito in buone condizioni. E con tutta questa copertura stampa...» indicò le telecamere, «saranno di sicuro in parecchi a mettersi in cerca.» «Crede che siano stati dei ragazzi a fare questo scherzo?» domandò Alvirah. «Se è così, devono essere maledettamente in gamba», replicò scettico l'agente. «Non è facile abbattere un albero di quelle dimensioni. Basta tagliarlo con l'angolazione sbagliata e ti rovina addosso. Ma chi lo sa? Magari ricomparirà in un campus universitario ricoperto di carta argentata. Io, però, ne dubito.» Lem Pickens si stava finalmente calmando. Da ore non aveva abbandonato la sua posizione, fatta eccezione per quando, alle sette e venti, era andato con la polizia a bussare alla porta di Wayne Covel. A quel punto neppure la sua giusta collera riusciva più a riscaldarlo. Mentre s'incamminava verso casa con la moglie per bere una tazza di caffè, si fermò davanti al capitano. «Capo, qualcuno è tornato a parlare con quello squallido rapitore di alberi?» «Senta, Lem», rispose il poliziotto esasperato, «al momento non c'è nessuna ragione per interrogarlo ancora. Stamattina, quando lo abbiamo tirato giù dal letto, Wayne ha affermato di non saperne niente. Solo perché lei lo ritiene responsabile, non significa che lo sia davvero.» «Be', chi altri potrebbe essere stato?» domandò allora lui retoricamente. Alvirah approfittò dell'occasione. «Signor Pickens, sono una giornalista del New York Globe. Posso farle qualche domanda su una persona che ha
lavorato per lei anni fa?» Lem e Viddy si voltarono verso il gruppetto. «Chi ha detto di essere?» «Veniamo da New York, e forse le interesserà sapere che, fra tutti, abbiamo risolto un bel po' di casi.» Alvirah presentò gli amici ai Pickens. «Ho letto i suoi libri, Nora!» esclamò Viddy. «Perché non venite a bere una cioccolata da noi? Così potremo parlare in pace.» Splendida idea, pensò Alvirah. Potrò chiedere di Packy Noonan senza essere interrotta. «Sì, venite», disse Lem con voce roca, confermando l'invito con un gesto della mano nodosa. Alvirah si rivolse al capitano. «Una nostra amica è uscita stamattina presto per andare a fare fondo, e avrebbe dovuto raggiungerci a colazione. Non si è ancora vista, e io sto cominciando a preoccuparmi.» «Tesoro», la interruppe Willy, «sono sicuro che Opal stia bene. L'aspetterò io. Vedrai che prima o poi arriverà. Vi raggiungeremo insieme, oppure possiamo ritrovarci qui.» «Non ti dispiace?» «No. C'è movimento, e non mi annoierò. Forse, però, dovresti darmi la tua spilla.» Alvirah sorrise. «Quel giorno è ancora lontano», disse. E s'incamminò con gli altri sulla scia dei coniugi Pickens. 25 Opal era svenuta mentre veniva trascinata dentro. Gli uomini l'avevano sdraiata sul bitorzoluto divano del soggiorno e lei si era ripresa quasi subito, ma aveva deciso di fingersi ancora priva di sensi finché non avesse escogitato il da farsi. La casa puzzava di fumo, evidentemente porte e finestre erano state aperte per arieggiarla e il freddo la faceva rabbrividire. Guardandoli attraverso gli occhi socchiusi, vide che erano stati Benny e Jo-Jo ad aiutare Packy a portarla lì. Quei tre furfanti sono di nuovo insieme! pensò. Di certo Dio non ha concesso ai gemelli il dono della bellezza. Adi sono ricordata del modo goffo di muoversi di Benny, e ora eccomi qui. Avrei dovuto dire ad Alvirah dove andavo e perché. Poi un pensiero inquietante la colpì: che cosa le avrebbero fatto? «Ora potete chiudere le finestre!» abbaiò Packy. «Si gela qua dentro.» Si
accostò al divano e guardò Opal. «Coraggio, su. Va tutto bene», disse allungandole dei colpetti sulla guancia. Disgustata da quel tocco, lei aprì gli occhi. «Toglimi le mani di dosso, miserabile ladro!» «Vedo che ti sei ripresa», borbottò l'uomo. «Benny, Jo-Jo, portatela in cucina e legatela a una sedia. Non voglio che tenti di scappare.» Gli sci da fondo erano sul pavimento del soggiorno. I gemelli la sospinsero in cucina, dove Milo, alquanto nervoso, stava preparando dell'altro caffè chiedendosi quale fosse la pena prevista per il sequestro di persona. Nella stanza le finestre erano ancora aperte, e il tanfo di grasso bruciato, combinato all'aria gelida, diede la nausea a Opal. Guardò il giovane. «Sei tu il cuoco qui? Perché in tal caso qualche lezione di cucina ti sarebbe utile.» «Sono un poeta», rispose lui con aria infelice. «Lasciatemi le mani libere», disse secca Opal ai gemelli quando cominciarono a legarla. «Magari volete che vi compili un altro assegno. E non mi dispiacerebbe bere una tazza di caffè.» «Una vera comica», ridacchiò Benny. «Chiudi il becco», scattò Packy entrando. «Fuori non ho visto nessun altro. Dev'essere venuta da sola.» Si sedette di fronte a lei. «Come facevi a sapere che eravamo qui?» «Prima il caffè.» Superata la reazione iniziale di rabbia e choc, Opal guardò meglio Noonan e colse la disperazione sul suo viso. Di sicuro non era stato autorizzato a lasciare il centro per ex detenuti, ragionò. Si era spinto fin lì per recuperare il denaro che aveva nascosto, e poi lasciare subito il paese? Per quale altro motivo, altrimenti, lui e i gemelli Como sarebbero andati nel Vermont? Di certo, non per sciare. «Latte e zucchero?» chiese educato Milo. «Abbiamo latte parzialmente e totalmente scremato.» «Scremato e niente zucchero.» Opal guardò i gemelli sovrappeso. «Prendere il caffè senza zucchero non farebbe male neanche a voi.» Era pazzesco, ma insultare gli uomini che le avevano causato tanta infelicità le dava una certa soddisfazione. Dovrei essere più spaventata, pensò. Però ho come la sensazione che non mi nuoceranno più di quanto abbiano già fatto. «Sto cercando di stare a dieta», brontolò Benny. «Ma non è facile quando si è sotto stress.» «Sei sotto stress da due giorni», gli rammentò Packy. «Prova a passare dodici anni e mezzo al fresco.»
Milo posò una tazza davanti a Opal. «Ecco il suo caffè», mormorò con gentilezza. «E adesso parla», intimò Packy alla prigioniera. Lei rifletté su cosa era meglio dire. Se li avesse informati che qualcuno sarebbe certamente andato a cercarla, l'avrebbero lasciata lì, o se la sarebbero portata dietro? Decise di attenersi quanto più possibile alla verità. «L'altro giorno, mentre facevo fondo, ho visto in questo cortile un uomo che caricava degli sci sul tetto di un furgone. Mi è parso familiare, ma solo stamattina mi sono resa conto che mi ricordava Benny, così ho deciso di controllare il numero di targa. Ecco tutto.» «Benny colpisce ancora», grugnì Packy. «E a chi lo hai detto?» «A nessuno, ma i miei amici si staranno sicuramente chiedendo che fine ho fatto.» Decise di non specificare che tra i suoi amici c'erano il capo della Squadra Anticrimine di New York, un'investigatrice munita di regolare licenza e un'altra investigatrice dilettante che forse era la migliore su quella sponda dell'Atlantico. Noonan la fissò. «Accendi la televisione, Benny», ordinò poi. «Vediamo se hanno già scoperto il ceppo.» Il suo tempismo era perfetto. La telecamera zumò su Lem Pickens che, con aria furiosa, indicava il ceppo affermando che il colpevole era il suo vicino, Wayne Covel. Packy prese il machete posato sul tavolo e guardò il nome inciso nell'impugnatura. «Diavolo. È il nostro uomo. Benny, Jo-Jo, devo parlarvi un momento in privato.» E rivolto a Milo, aggiunse: «Tienila d'occhio. Recitale una poesia o che so io». «Qualcuno ha abbattuto l'albero destinato al Rockefeller Center!» proruppe Opal quando i tre furono usciti. Milo indicò il soggiorno. «Sono stati loro. Riesce a crederci?» «Jo-Jo, ti sei procurato i sonniferi per il volo in Brasile?» stava chiedendo intanto Packy. «Sicuro.» «Dove sono?» «Nella mia borsa.» «Vai subito a prenderli.» Benny aveva l'aria preoccupata. «So che ieri notte non abbiamo chiuso occhio, Packy. E che sei nervoso, ma non credo ti faccia bene un sonnifero proprio adesso.» «Sei un tale idiota», sibilò l'altro a denti stretti.
Jo-Jo tornò quasi subito con in mano un flacone, che tese a Packy con un'occhiata interrogativa. «Dobbiamo trovare la maniera di entrare a casa di Covel per recuperare i diamanti. Se anche la lasciamo legata, potrebbe riuscire a liberarsi. E se qualcuno la trovasse, parlerebbe. È indispensabile che resti incosciente fino a quando non saremo sull'aereo. Un paio di queste pillole dovrebbero tenerla fuori combattimento per almeno diciotto ore.» «Pensavo che qui sarebbe rimasto Milo.» «E così sarà. Dormirà anche lui.» Packy si fece cadere sul palmo della mano quattro pillole. «Come pensi di fargliele ingoiare?» bisbigliò Benny. «Tu versa a Milo una tazza di caffè. Ci metti dentro queste e mescoli. Lui lo berrà. Mi sorprende che sia ancora in grado di mettersi seduto a comporre poesie con tutto il caffè che butta giù. Io sarò carino e ne riempirò una anche per la signora Sacco di Soldi. E se non lo beve, passeremo al piano B.» «Che sarebbe?» «Gliele cacceremo in gola a forza.» In silenzio, fecero ritorno in cucina, dove Opal stava raccontando a Milo la storia delle persone rimaste coinvolte nella truffa. «Una coppia investì nella società i soldi che avevano messo da parte per la pensione», disse. «E furono costretti a vendere la loro bella casetta in Florida. Ora integrano l'assegno della previdenza sociale facendo lavoretti saltuari. E poi c'era la donna che...» «Bla bla bla», la interruppe Packy. «Non è colpa mia se siete stati tutti così ingenui. Ora ci vuole un'altra tazza di caffè.» Milo saltò in piedi. «Non preoccuparti», lo fermò Benny. «Ci penso io.» «Ehi, guardate un po'!» esclamò Packy indicando il televisore mentre prendeva la tazza vuota di Opal e si avvicinava ai fornelli. Sullo schermo, un poliziotto e Lem Pickens bussavano alla porta di una fattoria cadente. Una voce fuori campo informò i telespettatori che, circa un'ora prima, il capo della polizia aveva accompagnato Pickens a casa del vicino. «I due uomini sono ai ferri corti da anni. E un magnifico abete di Covel era stato sul punto di venire scelto per il Rockefeller Center», spiegò il giornalista. «Ricordo di aver visto quella specie di discarica, da ragazzo», commentò Packy rimettendo la tazza che aveva riempito vicino a Opal. «Ora sembra
in condizioni perfino peggiori.» Sullo schermo, la porta della fattoria si aprì e comparve un uomo in vestaglia con i capelli arruffati. Seguì uno scambio concitato tra lui e Pickens, quindi un primo piano del viso stravolto di Covel. Non era un bello spettacolo. «Guardate quei graffi», ringhiò Packy. «Sono freschi. Se li è procurati rubando la nostra borraccia.» «Ho saputo che hai tagliato l'albero», lo accusò Opal. «Che cosa ci avevi nascosto? Qualcosa di mio, forse?» Lui la guardò dritto negli occhi. «Diamanti», disse con una smorfia beffarda. «Una borraccia piena di diamanti che valgono una fortuna. Uno solo vale tre milioni di dollari.» Indicò lo schermo. «Faccia Graffiata li ha rubati, ma li recupereremo. Penserò a te quando ci godremo i nostri soldi.» «Non la passerete liscia.» «Oh, sì, invece.» Packy guardò la tazza della donna di nuovo vuota per metà e sorrise. Quella di Milo, invece, era ancora piena per tre quarti. «Ora state zitti. Voglio sentire il notiziario.» Attesero durante la messa di onda di parecchi spot, a cui seguì il bollettino meteorologico locale. «Il cielo oggi è grigio e nuvoloso», disse il presentatore. «E pare che sia in arrivo una tempesta.» Packy guardò Jo-Jo. Avevano contattato il loro pilota nel pieno della notte per dirgli di farsi trovare alla pista di atterraggio fuori Stowe. Una tempesta avrebbe ritardato la partenza. Lui era fuori di sé dall'ansia, ma sapeva di dover aspettare che i sonniferi facessero effetto. Gli sembrava che le possibilità di raggiungere il Brasile si stessero rapidamente riducendo. Terminato il bollettino, ci furono altre rimasticature sull'abete scomparso, poi passarono a un'altra notizia. «Packy Noonan, l'artista della truffa che ha violato la libertà sulla parola, è stato visto ieri mentre saliva su un furgone a Manhattan. Sul tetto del veicolo c'erano degli sci, e la targa era del Vermont.» La foto segnaletica di Packy riempì lo schermo. «Quindi è possibile che Noonan sia diretto dalle nostre parti», concluse il conduttore. «Speriamo di no», replicò il collega al suo fianco. «È sorprendente che quell'uomo sia riuscito a ingannare tanta gente. Non ha l'aria così scaltra.» «Non lo è», borbottò Opal, assonnata. Ignorandola, Packy abbassò il volume. «Fantastico. Ora non possiamo più usare il furgone, e la mia faccia è stata vista da tutta la città.»
«E nessuno dimentica una faccia così graziosa», disse Opal. Si sentiva le palpebre incredibilmente pesanti. Benny aveva cominciato a sbadigliare. Guardò la tazza che teneva in mano e sul suo viso comparve un'espressione orripilata. Quando si voltò, vide che gli altri due lo stavano fissando con identico orrore. Perfino lui capì che era meglio non dire niente. «Razza di imbecille», sibilò Jo-Jo, precipitandosi di sopra a prendere altre due pillole. Tornò e riempì nuovamente la tazza di Milo. Venti minuti dopo, c'erano tre persone in stato comatoso nella cucina della fattoria, le teste posate sul vecchio tavolo. «Mi dispiace che mio fratello si sia lasciato distrarre dal notiziario», si scusò Jo-Jo. «A volte gli riesce difficile concentrarsi su più di una cosa alla volta.» «So che cosa è successo», ringhiò Packy. «Portiamo di sopra il poeta e la chiacchierona e leghiamoli ai letti. Quanto a Benny, lo sistemeremo nel bagagliaio dell'auto di Milo. Appena recuperati i diamanti, ce la fileremo.» «Forse dovremmo lasciare a Benny un biglietto e tornare a prenderlo più tardi», suggerì Jo-Jo. «Non sono un maledetto taxi! Nel bagagliaio starà benissimo. Spero solo di non doverlo portare di peso sull'aereo. E ora, muoviamoci!» 26 I quattro Reilly e Alvirah sedevano nel salotto dei Pickens. Sopra il camino, chiuse in identiche cornici, campeggiavano due foto: la prima raffigurava i padroni di casa che, il giorno delle nozze, piantavano l'abete azzurro ora scomparso, mentre la seconda ritraeva Maria von Trapp che sorrideva indicando l'alberello. Lem arrivò portando un vassoio carico di tazze di cioccolata calda. Viddy lo seguiva con un piatto di biscotti che avevano la forma di albero di Natale. «Ho appena imparato a prepararli», disse. «Pensavo di distribuirli oggi dopo il taglio dell'abete e di farne un'altra infornata da portare a New York.» Corrugò la fronte. «Ora posso pure buttare via la ricetta.» «Trattieni i cavalli, cara», osservò il marito. «Riavremo indietro il nostro albero, dovessi anche sparare a Wayne Covel nei piedi finché non ci avrà detto dove lo ha nascosto.» Oh, ragazzi, pensò Regan. Qui si fa sul serio. Lem cominciò a distribuire le tazze fra gli ospiti, quindi si accomodò su
una vecchia sedia a dondolo di fronte al divano. Quella sedia sembrava parte di lui, osservò Regan mentre, con un mormorio di ringraziamento, prendeva un biscotto dal piatto che Viddy le porgeva. «Allora, Alvirah, è così che si chiama, giusto?» esordì Lem, desideroso di andare dritto al punto. «Infatti.» «Da dove salta fuori un nome del genere?» «Dallo stesso posto da cui arriva un nome come Lemuel.» «Giusto. Che cosa voleva domandarmi?» Bevve un sorso di cioccolata con un mugolio di soddisfazione. «Meglio che ci soffiate sopra prima di berla, o vi brucerete la lingua.» Alvirah rise. «Un'amica di mia madre aveva l'abitudine di versare il tè nel piattino per raffreddarlo. E il marito le diceva sempre: 'Perché non lo sventoli con il cappello?'» «Devo ammettere che la cosa mi avrebbe infastidito.» «Non posso darle torto. Ora, quello che volevo domandarle», continuò Alvirah, «è se si ricorda per caso di un certo Packy Noonan, che lavorò qui molti anni fa, nell'ambito di un programma per minorenni disadattati.» «Packy Noonan!» esclamò Viddy. «È stato l'unico del gruppo a tornare a farci visita. Gli altri erano un branco di ingrati. Anche se, a essere onesta, per anni mi sono chiesta se non fosse stato lui a rubare il mio cammeo dalla toilette.» «Non abbiamo avuto figli», spiegò Lem, «e abitualmente contribuivamo al programma durante l'alta stagione, quando la gente veniva qui a scegliere gli alberi di Natale. Faceva un gran bene a quei ragazzi. Si sentivano soddisfatti di se stessi. E ciò li aiutava a darsi una regolata.» «Con Packy Noonan non ha funzionato», replicò Alvirah con voce piatta. «Che cosa intende dire?» «È appena uscito di prigione dopo aver scontato più di dodici anni per aver sottratto denaro ai suoi investitori. Ieri, a New York, ha violato le condizioni del rilascio sulla parola, ed è stato visto salire su un furgone con la targa del Vermont. Mi chiedevo se si era mai fatto vivo con voi.» «È entrato in prigione dodici anni fa?» proruppe Lem. «Non riesco a crederci!» Anche Viddy era stupita. «Forse, dopo tutto, è stato davvero lui a rubare la spilla. Però fu così carino quando tornò a salutarci. Bicordo di aver pensato che, alla fine, se l'era cavata proprio bene. Era tutto elegante. Da ragazzino sembrava un vagabondo, ma quel giorno
aveva un'aria assai distinta.» «Grazie ai soldi di qualcun altro», mormorò Luke. «Quand'è che è venuto a trovarci, Viddy?» chiese Lem. La donna chiuse gli occhi. «Fammi pensare. La mia memoria non è più quella di una volta, ma è ancora abbastanza buona.» Attesero. Con gli occhi chiusi, Viddy cercò a tastoni la sua tazza, soffiò sulla cioccolata, poi ne bevve un sorso. «Ricordo che era primavera e che stavo preparando delle torte per la vendita di beneficenza organizzata dalla chiesa in favore del centro di ritrovo per gli anziani. Si era allagata la cantina, capite. Tutte quelle cartelle del bingo rovinate. Sì, è stato esattamente tredici anni e mezzo fa, subito dopo quel grosso temporale il giorno della Festa della mamma. All'uscita dalla chiesa pioveva a dirotto e i mazzolini di fiori che tutti avevano appuntato al petto si erano sciupati. Comunque, quella settimana Packy venne a bussare alla nostra porta. Lo invitai a entrare, e rammento che fu davvero carino. Accettò una fetta di torta e un bicchiere di latte, dicendo che quella merenda gli ricordava sua madre, e che lei gli mancava molto. Aveva addirittura le lacrime agli occhi. Quando gli chiesi di che cosa si occupasse adesso mi rispose che era nella finanza.» «Oh, sicuramente», non riuscì a trattenersi dal commentare Alvirah. «Lo vide anche lei, Lem?» «Mio marito era nel bosco a potare le piante», spiegò Viddy. «Soffiai nel fischietto che tengo vicino alla porta di servizio e Lem arrivò subito perché sa che non lo faccio mai, a meno che non si tratti di una cosa importante.» «Sono sceso dalla scala e sono entrato in casa. Ragazzi, se ci rimasi di sasso nel vedere Packy!» «Vi disse perché era qui?» domandò ancora Alvirah. «Ci spiegò che era in zona per affari e che aveva pensato di passare a ringraziarci per quello che avevamo fatto per lui. Poi vide la foto dell'albero e chiese se era ancora il nostro beniamino. 'Ci puoi scommettere', risposi. 'Vieni a dargli un'occhiata.' E lui mi seguì. Ammirò l'abete con me, poi mi aiutò a riportare la scala nel fienile. Quando lo invitai a fermarsi a cena non accettò, ma affermò che si sarebbe tenuto in contatto. Non avemmo più sue notizie, e ora capisco perché. Le uniche telefonate che puoi fare dal carcere sono quelle a carico del ricevente.» «Spero proprio che non torni a trovarci», saltò su Viddy. «La prossima volta gli chiudo la porta in faccia.» Regan e Alvirah si scambiarono un'occhiata.
«E tutto questo accadde tredici anni e mezzo fa?» chiese poi quest'ultima. «Sì, certo», confermò Viddy, ora con gli occhi ben aperti. «Non capisco perché mai Packy dovrebbe tornare qui», si interrogò Lem ad alta voce. «Che fine ha fatto il denaro che ha sottratto?» «Nessuno lo sa», rispose Regan. «Molti però pensano che, ovunque lui si trovi adesso, stia andando a recuperare i soldi che ha nascosto da qualche parte.» «Quel giorno insistette per farvi investire nella sua compagnia di trasporti?» chiese Alvirah. «Quello era il periodo in cui la frode funzionava alla grande.» «Non ci chiese neppure un centesimo», esclamò il padrone di casa. «La sapeva troppo lunga per cercare di raggirare Lemuel Pickens!» Alvirah scosse la testa. «È riuscito a truffare un sacco di gente in gamba. Ho un'amica che ha perso tutti i suoi soldi con quella società fasulla e, fino alla vigilia dell'arresto, Packy ha cercato di indurla a convincere i suoi conoscenti a investire. È strano che non abbia tentato di farvi compilare un assegno, ma dev'essere venuto qui per un altro motivo. Stamattina quella mia amica avrebbe dovuto raggiungerci a colazione, ma non si è vista. Ora l'idea che quell'uomo possa essere nel Vermont, o addirittura in questa zona, m'inquieta molto.» «L'unico criminale di cui dovete preoccuparvi è quello che vive nella fattoria accanto alla nostra», ruggì il padrone di casa. «Quel Wayne Covel ha abbattuto il mio albero, e deve pagare per questo!» «Zitto, Lem», lo rimproverò la moglie. «Alvirah è preoccupata per la sua amica.» «È possibile che questo Wayne abbia conosciuto Packy quando era vostro ospite, anni fa?» Lem scrollò le spalle. «Può darsi. Hanno più o meno la stessa età.» «Forse potrebbe ricevermi.» «Di certo quello non vuole parlare con me!» gridò di nuovo il padrone di casa. Viddy pensò che era meglio spostare la conversazione su un altro argomento. Quando Lem si agitava, ci voleva un sacco di tempo per calmarlo. «Sa, Nora», disse in fretta, «io adoro leggere. Mi sono perfino cimentata con la scrittura. C'è un nuovo arrivato in città che ha convinto alcuni di noi a partecipare a delle letture di poesia nella vecchia fattoria dove abita. Ma era assurdo, e non ci sono più tornata. La prima sera ha recitato un suo
componimento su una pesca che s'innamora di un moscerino della frutta. Ve lo immaginate?» «Stai parlando di Milo, Viddy?» intervenne Lem. «Quel tizio strano con i capelli lunghi e la barbetta?» «Tesoro, non è strano.» «Sì, che lo è. Viene nel Vermont. Non scia. Non fa pattinaggio su ghiaccio. Se ne sta seduto in quella fattoria malandata a scrivere poesie. Io dico che qualcosa di strano c'è, non crede, Nora?» «Oh, be'», cominciò lei, «a volte a uno scrittore fa bene isolarsi per lavorare in pace e tranquillità.» «Lavorare? Scrivere di una pesca e un moscerino della frutta non è lavorare! Non so quanto riuscirà ad andare avanti così. Come fa a pagare i conti?» Alvirah si sentiva inquieta. Aveva voglia di uscire per andare in cerca di Opal. «Come sapete, sto scrivendo un articolo sul vostro albero per la mia rivista. Posso chiamarvi più tardi? Forse per allora la polizia avrà qualche indizio. Non riesco a credere che un abete alto ventiquattro metri sia svanito nell'aria.» «Neppure io», fece Lem. «E ho intenzione di organizzare una squadra per cercarlo!» «Qualcuno vuole dell'altra cioccolata?» chiese Viddy. 27 Dopo aver nascosto la borraccia tra i rami dell'olmo che cresceva in cortile, Wayne Covel si era sforzato di dormire un po'. Inutile. Si era reso subito conto che occultare i diamanti sull'albero era stata un'idea stupida. Se quelli del Rockefeller Center fossero sciamati nella proprietà, supplicandolo di dargli il suo abete azzurro, chissà che cosa sarebbe potuto succedere. Le due piante non erano poi così lontane. E se qualche fotografo avesse avuto l'idea di arrampicarsi sull'olmo per scattare delle foto durante l'abbattimento? Non avere la borraccia sotto controllo lo innervosiva terribilmente. Così, poco prima dell'alba uscì, si arrampicò sull'olmo e recuperò la fiaschetta di metallo. Tornato a letto, svitò il tappo e si concesse una breve occhiata alle gemme prima di scivolare finalmente nel sonno, coccolandosi la borraccia tra le dita come avrebbe fatto un bambino con il biberon. Quando Lem Pickens bussò alla sua porta in compagnia della polizia,
Wayne balzò in piedi con un sussulto e la borraccia gli sfuggì dalle mani. Atterrò sul pavimento, il tappo volò via, e i diamanti si sparpagliarono nella stanza, finendo sotto i mucchi di vestiti sporchi che ingombravano il pavimento. Wayne andò ad aprire con indosso la sua vestaglia rossa e vide, sgomento, che un esercito di telecamere lo stava aspettando. Il suo primo pensiero fu la terrificante possibilità che il capo della polizia avesse in mano il tanto temuto mandato di perquisizione. Quando poi realizzò che erano lì solo per riprendere Lem che urlava contro di lui, cominciò a sbraitare di rimando e chiuse loro la porta in faccia. La casa di un uomo è il suo castello, si disse. Non avrebbe tollerato un simile atteggiamento da nessuno. Chiuse a chiave la porta e si precipitò in camera a recuperare i diamanti. Quando ritenne di averli raccolti tutti, avvertì l'insolito impulso di fare un po' di pulizia. Vorrei aver contato le pietre ieri sera, pensò, ma la borraccia sembra di nuovo piena. Afferrò un mucchio di vestiti, andò in cucina e, aperta la porta della cantina, scese i gradini cigolanti, attento a evitare l'ultimo in fondo, che era rotto. Non mi sorprende che non abbia mai voglia di venire qua sotto, considerò mentre inalava l'odore di umido e di chiuso del locale. Un giorno o l'altro bisognerà dare una bella pulita anche qui, ma ora potrò assumere qualcuno che lo faccia per me. Per prima cosa dovrei sbarazzarmi di quel vecchio deposito di carbone. Dopo la seconda guerra mondiale papà passò al riscaldamento a cherosene, e si limitò a metterci una porta, trasformandolo in un piccolo laboratorio che non ha mai usato. Anch'io in tutto questo tempo non ci sono entrato, ricordò. Probabilmente sarebbe più facile dare fuoco alla casa e costruirne una nuova, piuttosto che rimetterla in sesto. Lasciò cadere gli indumenti sul pavimento davanti alla lavatrice, prese dallo scaffale una scatola quasi vuota di detersivo e lo versò nella vaschetta. Infilò i vestiti nel cestello, lo chiuse e mise in funzione la lavatrice prima di tornare di sopra. Il televisore era sul banco della cucina, accanto al portatile. Wayne mise sul fuoco il caffè, accese la TV e spostò il computer sul tavolo. Trascorse il resto della mattinata davanti allo schermo, passando nervosamente da un canale all'altro. Sembrava che tutti non parlassero d'altro che dell'abete scomparso. Ascoltò anche più volte la notizia che Packy Noonan, un truffatore appena rilasciato sulla parola, era stato visto salire su un furgone con la targa del Vermont; pareva che quel tizio, da ragazzo, avesse lavorato a Stowe all'interno di un programma di riabilitazione.
Packy Noonan, rifletté Wayne. Quel nome mi dice qualcosa. Mi sembra di averlo già sentito. Nel frattempo stava cercando di decidere che cosa fare dei diamanti visitando parecchi siti web. Devo capire come posso venderli, si disse. S'imbatté in internet in un certo numero di annunci promozionali di periti. «Acquistiamo ai prezzi più alti e vendiamo ai più bassi» sembrava essere lo slogan preferito delle ditte specializzate in compravendita di pietre preziose. Sì, figurarsi, pensò Wayne. E sì, lo so che un diamante è per sempre. E che i diamanti sono i migliori amici di una ragazza. Fatemi respirare! Poi sorrise. Se fosse stata lì ora e avesse dato un'occhiata a quelle bellezze, Lorna avrebbe letteralmente sbavato. Quasi fosse dotato di percezioni extrasensoriali, o meglio, quasi ne fosse dotata lei, Wayne sentì il clic che segnalava l'arrivo di un'e-mail. Si aspettava che fosse di qualcuno che gli proponeva un lavoretto e rimase sorpreso nel vedere che arrivava invece dalla sua ex. Wayne, vedo che non ti sei ancora sbarazzato di quella vestaglia rossa e che sei sempre ai ferri corti con Lem Pickens. Ho sentito che, se non riusciranno a ritrovare il suo albero, probabilmente sceglieranno il tuo per il Rockefeller Center. So che non avresti mai rubato quell'abete... significherebbe troppa fatica! Magari avresti preso il machete che ti ho regalato a Natale per tagliare un ramo o due, ma questo al massimo. Se optano per il tuo albero e ti va un po' di compagnia a New York, fammi uno squillo. xoxo Lorna P.S. Che cosa sono quei graffi sulla faccia? Sembra che tu abbia una nuova ragazza piuttosto vivace... o forse stavi ficcando il naso tra i rami! Wayne fissò disgustato le poche righe del messaggio. Xoxo, baci e abbracci, pensò sprezzante... è in cerca di un viaggio gratis a New York. Vuole essere al centro dell'azione. Se solo sapesse qual è la vera grande novità di casa Covel, tornerebbe di filato a maneggiare la scopa. Lo fece ridere il fatto che lei si fosse presa la briga di ricordargli il machete che gli aveva regalato a Natale. Quando lui aveva aperto il pac-
chetto gli aveva subito mostrato l'incisione con il suo nome. Da come si comportava, sembrava che gli avesse dato una pepita d'oro. Poi, in modo lento ma inesorabile, un pensiero inquietante gli si affacciò alla mente. Il machete. La cintura degli attrezzi gli era parsa stranamente leggera quando, quella mattina, se l'era tolta per gettarla su una sedia della cucina. Si precipitò a recuperarla, sperando contro ogni speranza che il machete fosse al suo posto. Non c'era. È caduto nei pressi dell'albero di Lem? si chiese. Ero fuori di me quando ho visto la borraccia, e forse non mi sono accorto di averlo perso. Perché diavolo Lorna ci ha fatto incidere il mio nome? Era impossibile che Lem lo avesse già trovato, altrimenti quella mattina lo avrebbe sicuramente esibito, considerò. Quei criminali che hanno abbattuto l'albero... sono stati loro a trovarlo. E adesso magari stanno arrivando. Forse mi uccideranno perché ho preso il bottino. Non posso rimanere qui da solo, si disse. D'altro canto, se me ne vado, tutti penseranno che sono stato io a rubare l'abete. Squillò il telefono. Ansioso di udire la voce di un altro essere umano, Wayne si affrettò rispondere. «Pronto?» Silenzio. «Pronto», ripeté nervosamente lui. «C'è qualcuno in linea?» La risposta fu il rumore della comunicazione che veniva interrotta. 28 «La borraccia ce l'ha sicuramente lui», dichiarò Packy richiudendo il cellulare. «Come fai a saperlo?» chiese Jo-Jo. «Lo so e basta. Chiamalo istinto criminale.» «Ce ne vuole uno per riconoscerne un altro, eh, Packy?» Si stava facendo tardi. Solo alle dieci i due erano finalmente riusciti a sedersi a bordo della decrepita berlina marrone che il proprietario della fattoria metteva a disposizione dei braccianti, e che era stato ben felice di vendere a Milo. Quindici anni, con i paraurti tutti ammaccati, il bagagliaio chiuso da una corda e pezzi di ricambio recuperati da un cimitero d'auto, era la tipica vettura che solo una persona felicemente priva di senso pratico
come quel poeta avrebbe accettato di comperare. Insieme, Packy e Jo-Jo avevano portato Milo e Opal di sopra, legandoli stretti alle testiere dei letti. Avevano tentato anche di svegliare Benny ficcandogli ripetutamente la testa in una bacinella d'acqua. Poi avevano rinunciato e, trascinatolo fuori, lo avevano infilato nel bagagliaio dell'auto. In un empito di amor fraterno, Jo-Jo era rientrato di corsa in casa a prendere un cuscino e una trapunta. Dopodiché aveva chiuso la mano di Benny intorno alla torcia e gli aveva appuntato un biglietto sulla giacca, nell'eventualità che, svegliandosi, si chiedesse cosa diavolo stesse succedendo. «Gli ho scritto di starsene fermo e tranquillo fino a quando non apriremo il baule», spiegò poi a Packy. «Già che ci sei, perché non gli leggi la fiaba della buonanotte?» grugnì l'altro. Noonan sapeva che per nulla al mondo avrebbero dovuto usare il furgone, anche se Jo-Jo aveva replicato che la macchina di Milo era inaffidabile. «Forse non hai sentito bene la televisione!» aveva strillato allora Packy. «Hanno gridato ai quattro venti che mi hanno visto salire su un furgone con gli sci sul tetto e la targa del Vermont. E che, da ragazzo, ho lavorato qui a Stowe. Ora tutti gli sbirri dello stato, e soprattutto di questa zona, stanno cercando un furgone munito di portasti. Andarcene con quello sarebbe come denunciarci da soli per riscuotere la ricompensa.» «Saliamo su quel rottame, e saremo fortunati se riusciremo ad arrivare al fienile», aveva ribadito Jo-Jo. «E perché allora non prendere addirittura l'autocarro con l'albero?» I due uomini si erano guardati con aria torva. Poi Packy aveva detto: «Dobbiamo recuperare i diamanti, Jo-Jo. Li ha certamente quel Covel. Nessuno farà caso a noi se usiamo l'auto di Milo. Forza, muoviamoci». Al volante, inforcò gli occhiali scuri. «Dammi uno di quei berretti di lana», ordinò. «Vuoi quello azzurro con la striscia arancione o il verde con....» «Dammene uno e falla finita!» Packy accese il motore che scoppiettò, poi si spense. Diede gas. «Avanti! Avanti!» «Forse dovrei mettere un berretto a Benny», disse Jo-Jo. «Il bagagliaio non è riscaldato e lui ha i capelli ancora umidi.» «Si può sapere che ti prende?» abbaiò Packy. «Non appena tuo fratello si addormenta, diventi più idiota di lui!» Jo-Jo aprì la portiera. «Gli metto il berretto», ripeté cocciuto. «E poi ha
il sangue più fluido dopo essere stato tutto questo tempo in Brasile.» Nel tentativo di mantenere la sanità mentale, Packy cominciò a riflettere sui suoi problemi e le possibili soluzioni. Nessuno farà caso a una macchina come questa, si disse per tranquillizzarsi. È un pezzo che la gente del posto vede Milo andare e venire. Dobbiamo solo sperare che la vecchia berlina non ci lasci a piedi. E quanto meno, sappiamo che Covel è a casa. Dobbiamo penetrare in quel suo tugurio e costringerlo a restituirci la borraccia. Da qui alla pista di atterraggio ci sono solo quindici chilometri, e il pilota ci sta già aspettando. Jo-Jo risalì in macchina. «Sbrigati», latrò Packy. «Dobbiamo andarcene da qui prima che qualcuno venga a cercare Sherlock Holmes.» «Chi è Sherlock Holmes?» volle sapere l'altro. «Opal Fogarty, scemo! Quella che ha investito i soldi!» «Oh, lei. Ha un bel caratterino. Non vorrei trovarmi nei paraggi quando si sveglierà e scoprirà di essere impacchettata ben bene.» Packy non si degnò di rispondere. Diede gas e con un ruggito l'auto si portò via i suoi tre occupanti, due dei quali decisi a recuperare i diamanti, e il terzo che, fosse stato sveglio, avrebbe condiviso la loro determinazione. Dentro la fattoria chiusa a chiave, il fornello sotto la caffettiera che Jo-Jo pensava di aver spento completamente continuava a tremolare. Prima che la macchina fosse fuori dal cortile, la fiammella si spense. Un attimo dopo un odore acre cominciò a diffondersi dalla cucina economica, segno inequivocabile di una fuga di gas. 29 Nell'istante in cui Alvirah scorse Willy da solo vicino al moncone dell'albero, il suo cuore ebbe un tuffo. Si fece largo tra la folla di curiosi fino a lui. «Nessuna notizia di Opal?» chiese. Vedendola turbata, il marito temporeggiò. «Be', qui non c'è, tesoro, ma scommetto quello che vuoi che è tornata allo chalet. Probabilmente sta facendo i bagagli, ed è ansiosa di scusarsi per non averci raggiunto a colazione.» «Mi avrebbe chiamato al cellulare. Le ho lasciato un messaggio sulla segreteria. Willy, sappiamo tutti e due che le è successo qualcosa.» Li avevano raggiunti i Reilly, e a Regan bastò un'occhiata al viso di Al-
virah per capire che la sua amica non era ancora ricomparsa. «Perché non ci trasferiamo da voi?» suggerì. «Forse Opal si è persa lungo qualche pista nel bosco e sta cercando di rientrare.» L'altra annuì. «Oh, come vorrei che fosse così. Teniamo le dita incrociate.» Si allontanarono rapidamente dalla radura, che brulicava ancora di giornalisti e operatori. Quando stavano arrivando al punto dove avevano parcheggiato le auto, il cellulare di Alvirah squillò. Tutti trattennero il fiato mentre lei rispondeva. Era Charley Evans, il suo direttore. «Alvirah, la storia si sta ingrossando ogni minuto che passa. E su ogni televisione via cavo, e da tutto il paese arrivano e-mail di gente indignata per il furto dell'albero. Sostengono che rappresenta un pezzo di America e lo rivogliono indietro.» «Oh, bene», fece lei senza troppo entusiasmo. Tutto quello a cui riusciva a pensare era Opal. Ma la frase successiva di Charley attirò la sua attenzione. «Quanto a Noonan, senti questa. Un uomo che dormiva nella sua stessa stanza al centro di accoglienza ha riferito alla polizia che una notte Packy ha parlato nel sonno. Pare che continuasse a borbottare: 'Dobbiamo prendere la borraccia'.» «'Dobbiamo prendere la borraccia'», ripeté Alvirah. «Be', immagino che in tutti questi anni non abbia assaggiato una sola goccia di alcol. Magari stava sognando di farsi un bicchierino di whisky.» «Ma la cosa realmente interessante è un'altra.» «E sarebbe?» «Continuava anche a ripetere: 'Stowe'. L'uomo se ne è ricordato solo stamattina, quando ha visto il servizio sul furgone con la targa del Vermont.» «Oh, mio Dio», gridò Alvirah. «L'amica di cui ti ho parlato, quella che è stata frodata da Packy e che è venuta qui con noi, è scomparsa.» «Scomparsa!» Ad Alvirah sembrava quasi di vedere le antenne di Charley allungarsi verso un possibile scoop. «Stamattina è uscita presto per andare a fare fondo», continuò. «E non è ancora tornata. Avremmo dovuto incontrarci ore fa.» «Se s'imbattesse in Packy Noonan, si riconoscerebbero?» chiese il direttore. «All'istante.»
«Posso capire che tu sia preoccupata. Spero che la tua amica torni presto», disse Charley. E subito aggiunse: «Comunque, tienimi informato». Alvirah riferì agli altri i borbottii notturni di Packy. «'Dobbiamo prendere la borraccia'?» ripeté Regan. «Se avesse desiderato bere un liquore non avrebbe parlato di borraccia. No, il significato dev'essere un altro.» «Un sacco di gente usa borracce per nascondere gli alcolici», interloquì Nora. «Cosi possono farsi un goccio quando nessuno li guarda.» «Ricordi? Tuo zio Terry aveva questa abitudine», disse Luke. «Nessuno era più bravo di lui a buttare giù un sorso senza farsi beccare.» «Papà, non potresti aspettare che io sia sposata prima di raccontare queste edificanti storie di famiglia?» rise Regan. «Aspetta di conoscere i miei parenti», fece Jack sorridendo. Poi tornò serio. «Mi chiedo perché mai Packy Noonan stesse facendo un sogno che riguardava una borraccia.» «Saperlo piacerebbe molto anche a me», commentò Alvirah. «Ma al momento a preoccuparmi è soprattutto il fatto che abbia nominato Stowe.» Opal non era tornata allo chalet. Tutto era rimasto come quando loro erano usciti e il biglietto che lei aveva lasciato era ancora sul banco della cucina. Si affrettarono verso l'albergo per parlare con l'addetta alla reception. «Pare che la nostra amica, Opal Fogarty, sia scomparsa», disse Alvirah. «Per caso, sa se qualcuno è rimasto ferito su una pista di fondo?» La ragazza l'ascoltò con aria seria, poi scosse la testa. «No, ma posso assicurarle che c'è sempre qualcuno che controlla le piste. Informerò quelli della scuola di sci che andranno a cercare la signora Fogarty. Da quando tempo è uscita?» «Ha lasciato lo chalet stamattina presto con l'intenzione di raggiungerci a colazione alle otto e mezzo. Sono passate quasi tre ore.» L'ansia di Alvirah cresceva di minuto in minuto. «Faccio subito uscire il gatto delle nevi. E se lei non rientra presto, avvertiremo il Centro Soccorsi di Stowe.» Il Centro Soccorsi. Un nome che a Alvirah parve carico di minaccia. «La mia amica è andata a fare fondo in questi ultimi due giorni», disse alla ragazza. «Sa se i maestri con cui ha sciato sabato e domenica pomeriggio sono rintracciabili? Noi siamo stati con lei solo al mattino.» «Me ne accerto subito.» La giovane sollevò la cornetta, chiamò la scuola di sci e fece qualche domanda. «Il maestro con cui la signora Fogarty ha
sciato ieri ha detto che, durante la lezione, non è successo niente di particolare», spiegò poi. «La maestra del sabato pomeriggio oggi non c'è, ma quando è rientrata non ha riferito nessun problema.» «Grazie», sussurrò Alvirah. Poi consegnò alla ragazza il suo numero di cellulare, chiedendole di chiamarla immediatamente se avesse avuto notizie. Gli altri la guardavano, gravi in volto. «Di certo a questo punto non ho più voglia di andare alla ricerca del mio albero, e so che voi dovete tornare a casa. Vi avvertirò non appena sapremo qualcosa.» Regan guardò Jack. «Io non sono costretta a rientrare subito. Resterò qui a dare una mano ad Alvirah.» «Mi fermo anch'io», dichiarò lui in tono deciso. Nora aveva l'aria frustrata. «Vorrei che potessimo rimanere anche noi, ma domattina devo prendere un aereo.» Scosse la testa. «Non posso mancare a quel pranzo.» «Non preoccuparti», la tranquillizzò Alvirah. «E Regan, tu e Jack non siete tenuti a fermarvi.» «Restiamo», ribadì la ragazza. «Non avere quell'aria preoccupata, tesoro», fece Willy alla moglie. «Andrà tutto bene, vedrai.» «Ma, Willy», gridò Alvirah, «è probabile che Packy Noonan sia da queste parti! Ha violato le condizioni del rilascio e Opal è scomparsa. Lui sa che lei sarebbe felice di rivederlo in prigione, e se per caso si sono incontrati, chissà che cosa potrebbe farle.» «Hai una fotografia di Opal con te?» le chiese Regan. «Figurati, non ne ho neanche una di Willy.» «La tua rivista non pubblicò la sua foto quando vinse alla lotteria?» «Sì. È così che Packy Noonan ha scoperto che lei aveva un capitale da investire.» «Possiamo scaricare la foto dal computer e fare delle copie da mostrare alla gente», suggerì Regan. «Ce ne occuperemo noi due», si offrì Jack. «Luke, Nora, voi andate pure a fare i bagagli. Alvirah e Willy, perché non ci rivediamo allo chalet tra mezz'ora? Cominceremo a far girare la faccia di Opal in città.» «Ho un brutto presentimento», sussurrò Alvirah. «La colpa è mia. Fin dal momento in cui siamo arrivati qui con lei, ho avuto la sensazione che qualcosa sarebbe andato storto.» Era quasi come se percepisse l'odore del gas che stava saturando la fattoria dove Opal e Milo dormivano il loro sonno indotto dai farmaci
30 Dopo che i Reilly e Alvirah si furono congedati, Viddy cominciò raccogliere le tazze vuote. Lem l'aiutò a portarle in cucina, e fu lì che la realtà di quanto era accaduto la colpì in pieno. Non si era ancora ripresa dallo choc causato dalla scomparsa dell'albero quando erano arrivate la polizia e la stampa. Comparire in televisione con suo marito era stato eccitante, conoscere quelle persone di New York aveva costituito una gradevole distrazione... soprattutto considerando che Nora Reilly era la sua scrittrice di gialli preferita. Ma ora riusciva a pensare solo all'abete, a quando Lem e lei lo avevano piantato il giorno delle nozze, e Maria von Trapp, capitata lì per caso, si era fermata a congratularsi con loro. Allora io ebbi il coraggio di chiederle di cantare per noi quella bella canzone nuziale austriaca, ricordò. Lei fu così gentile, e la canzone incantevole. Quel giorno decisi che non avrei piantato altri alberi vicino all'abete, in modo che i nostri bambini potessero giocare protetti dalla sua ombra. Viddy si sentiva molto triste mentre metteva le tazze nel lavello. Non abbiamo avuto figli, e forse è sciocco, si disse, ma quanto abbiamo coccolato quell'albero! Ogni anno lo misuravamo, anche se negli ultimi tempi è stato qualcuno altro a farlo, perché non volevo più che Lem salisse così in alto. Quando erano entrati in casa con i nuovi amici, lei si era precipitata alla credenza per prendere il suo amato servizio di porcellana. Lo tirava fuori solo il giorno del Ringraziamento e a Natale, e anche in quei casi temeva sempre che qualcuno ne rompesse un pezzo. La moglie del nipote di Lem, Sandy, era una brava ragazza, ma impilava le stoviglie pericolosamente in bilico l'una sull'altra quando l'aiutava a sparecchiare. Nonostante quella maldestra assistenza, Viddy era riuscita a far sì che il servizio rimanesse intatto per tutti quegli anni. Sì, c'era qualche scheggiatura qua e là, ma nulla di grave. Sapendo quanto lei ci tenesse, Lem prestò molta attenzione nell'appoggiare le tazze sullo scolapiatti di fianco al lavello. Viddy si girò per prenderle, ma improvvisamente gli occhi le si riempirono di lacrime e, alzando la mano per asciugarsi il viso, ne urtò una. Stava per cadere per terra, quando la prontezza di riflessi di Lem impedì la tragedia. «L'ho presa, Viddy», esultò lui mostrando la tazza che aveva afferrato al
volo. «Hai ancora il tuo bel servizio completo.» Per tutta risposta, la moglie si precipitò fuori della cucina dirigendosi in camera da letto. Tornò pochi istanti dopo con un album di fotografie. «Non mi importa più neppure delle porcellane», gemette. «So benissimo che, nel preciso istante in cui chiuderò gli occhi per sempre, Sandy se le prenderà e le userà per la merenda dei figli.» Con le mani che le tremavano, aprì l'album dove c'era l'ultima foto che avevano scattato all'abete. «Il nostro albero! Oh, Lem, avrei tanto voluto guardare l'espressione della gente quando lo avessero visto a New York, sfolgorante di luci. Volevo che diventasse una specie di opera d'arte ammirata da tutti. E fare una bella fotografia da mettere fra quelle due.» Indicò le foto sopra il camino. «Volevo anche avere una registrazione del coro degli scolari che festeggiavano il suo arrivo al Rockefeller Center. Lem, noi due siamo vecchi, ormai. Ogni anno, quando arriva la primavera, mi chiedo se ne vedrò un'altra. So che non ce ne andremo in un alone di gloria, ma in qualche modo il nostro abete ci avrebbe reso speciali.» «Su, su, Viddy», borbottò goffamente Lem. «Ora cerca di calmarti.» Ignorandolo, lei prese un fazzolettino di carta dalla tasca del grembiule e si soffiò il naso prima di continuare: «Al Rockefeller Center tengono un registro degli alberi... annotano le loro dimensioni e caratteristiche, oltre al nome di chi li ha donati. Qualche hanno fa scelsero un albero che apparteneva a un convento e c'è la foto della suora che lo aveva piantato, e un'altra della stessa donna cinquant'anni dopo, il giorno in cui la pianta venne abbattuta. Questa è storia, Lem. La nostra e quella del nostro albero sarebbe stata scritta per essere tramandata. E ora probabilmente l'abete è stato gettato chissà dove in un bosco, dove comincerà a imputridirsi... e io non posso sopportarlo!» Con un singhiozzo, Viddy lasciò cadere l'album e crollò sul divano coprendosi il viso con le mani. Lem la fissava, confuso. In cinquant'anni di matrimonio non aveva mai visto la sua tranquilla, riservata Viddy mostrare tanta emotività. Non mi sono mai reso conto di quanto i suoi sentimenti siano profondi, pensò. E mi sento in colpa per non essermene mai accorto. Al diavolo la squadra di ricerca, decise. Si chinò su di lei e le prese il viso tra le mani. «Ti lascio sola, Viddy, ma prima voglio che tu mi ascolti un momento. Hai capito?» Lei annuì. Lem la guardò negli occhi. «Devi smettere di piangere perché sto per
farti una promessa. Ho salvato la tazza, giusto?» Tirando su con il naso, Viddy assentì. «Bene. So che è stato quel serpente di Covel ad abbattere il nostro albero, ma hai sentito anche tu quelli del Rockefeller Center affermare che, chiunque l'abbia fatto, ha usato la gru per caricarlo sull'autocarro. Questo significa che dev'essere ancora integro. Ora, forse quel verme è riuscito a portarselo via, però non può essere andato lontano. Stamattina, quando ci siamo presentati a casa sua, era ancora in vestaglia. Potrebbe averlo scaricato in un bosco, ma non può far sparire un grosso camion. Il nostro albero è da qualche parte qui intorno, e io lo troverò. Batterò i boschi centimetro per centimetro. Attraverserò tutte le proprietà che abbiano un ampio cortile, controllerò tutti i fienili abbastanza grandi da contenere un autocarro, e troverò il nostro albero!» Si raddrizzò. «Sicuro come è sicuro che mi chiamo Lemuel Abner Pickens, non tornerò prima di averlo recuperato. Mi credi, Vidya?» Lei corrugò la fronte. Non sembrava convinta. «Voglio crederti. Solo, non farti arrestare per violazione di domicilio.» Ma Lem era già uscito. «E cerca di non farti sparare», gli gridò dietro la moglie. Lem non la udì. Come Don Chisciotte, era un uomo con una missione. 31 «Hai visto quante auto?» ringhiò Jo-Jo. «Verrebbe da pensare che lì stiano distribuendo diamanti.» «Com'è che trovi sempre la cosa giusta da dire?» ribatté Packy. «Stanno tutti correndo a curiosare il moncone dell'abete.» In entrambe le direzioni, il traffico sulla strada che portava alla tenuta dei Pickens era intenso. La gente lasciava la macchina ai margini del bosco e proseguiva a piedi fino alla radura. L'atmosfera era quella dell'apertura della stagione di football. «Ci stanno facendo perdere un sacco di tempo», brontolò Packy, spazientito. «Tante storie per un albero. Se sapessero cosa c'è dietro...» «Se lo sapessero, ci sarebbe un bel po' più di traffico», fu la pratica risposta di Jo-Jo. La strada disegnava una lunga curva. Vicino all'imboccatura della sterrata c'era una fila continua di auto parcheggiate.
«Forse tutto questo potrebbe rivelarsi una fortuna per noi», biascicò Packy mentre oltrepassavano la stradina. Proseguirono per qualche centinaio di metri sino alla recinzione di filo spinato che delimitava il confine tra le proprietà di Lem Pickens e di Wayne Covel. Sul vialetto d'accesso della cadente costruzione che Packy e JoJo avevano visto al notiziario era posteggiato il furgone di un'emittente televisiva. Un gruppo di giornalisti e operatori stava intorno a un abete gigantesco che svettava nel cortile. «Quello dev'essere il secondo arrivato al concorso di bellezza», disse Packy. «Se avessi tempo, lo tirerei giù.» «Peccato che non abbia vinto», commentò Jo-Jo. «Almeno, quel Covel non avrebbe ficcato il naso nel nostro albero. Guarda, eccolo lì.» La porta di ingresso si era aperta e Covel era comparso sulla soglia. Sorrise quando le telecamere lo inquadrarono. «Questo è il momento giusto», mormorò Packy. «Sono tutti sul davanti, e noi passeremo dal retro.» Alla fine della curva scorse qualche auto parcheggiata anche dietro la casa e andò a infilarsi nello spazio libero tra due macchine, in modo che la vecchia berlina fosse meno visibile. Con il berretto tirato sugli occhi, aprì la portiera e scese, poi prese dal sedile il sacchetto di carta in cui avevano infilato il machete. Grazie a Dio esistevano gli incisori, pensò, altrimenti avrebbe brancolato nel buio senza nessuna speranza di individuare quel ladro. Ma perché preoccuparsi di far incidere il proprio nome sull'impugnatura? si chiese. Che razza di perdente. Dopo un'occhiata nervosa in direzione del bagagliaio, Jo-Jo scese a sua volta e insieme si diressero verso la porta di servizio della casa. Una volta lasciata la protezione degli alberi, videro un piccolo fienile. La porta era aperta e dentro c'era un pick-up. «E ora che facciamo, Packy?» bisbigliò Jo-Jo. «Credi che potremmo passare di lì?» Indicò le due ante arrugginite della botola che conduceva in cantina. «Prima voglio mettere fuori uso il pick-up, nel caso lui decida di tagliare la corda prima che noi mettiamo le mani sui diamanti. Staccherò un paio di fili.» «Questa sì che è un'idea», disse Jo-Jo, ammirato. «Proprio come fanno le suore in Tutti insieme appassionatamente. Hai presente quando confessano alla madre superiora di avere peccato?»
«Ora chiudi il becco. Ti farò segno quando avrò finito, e scenderemo insieme.» Packy attraversò di corsa il breve spazio che lo separava dal fienile, pregando la defunta madre di fare sì che nessuno lo vedesse. Nel giro di due minuti aveva aperto il cofano, tagliato alcuni fili con il machete e lo aveva richiuso, soddisfatto delle prestazioni dell'attrezzo. Poi gli affiorò alla mente lo sgradevole pensiero che l'ultima volta quel machete era stato usato per staccare la borraccia dal ramo a cui lui l'aveva assicurata tredici anni prima. Attese sulla porta fino a che fu certo che la via fosse libera, e infine schizzò in diagonale verso la botola. Il lucchetto, che sembrava essere stato montato un'eternità prima, cedette facilmente e cadde a terra al primo colpo di lama. Trattenendo il fiato, Packy si chinò a sollevare un'anta. Lo scricchiolio dei cardini arrugginiti gli gelò il sangue nelle vene. L'aprì quanto bastava per insinuarsi all'interno, poi fece cenno a Jo-Jo di raggiungerlo. Con il cuore in gola, lo guardò arrancare goffamente attraverso il cortile. Gli tenne aperta la botola, ma a quel punto Jo-Jo si bloccò. «Non è meglio che recuperiamo il lucchetto?» chiese in una buona imitazione di un bisbiglio. «Voglio dire, se qualcuno viene sul retro e lo vede lì rotto, potrebbe insospettirsi.» «Prendilo allora! Presto!» I due si infilarono nella botola, chiusero l'anta e per un istante non videro più nulla. «Questo posto puzza», si lamentò Jo-Jo. «Non peggio di una palestra, e mi sembra ovvio che è da un bel pezzo che non ne frequenti una.» «A me piace la spiaggia.» Quando i loro occhi si furono abituati alla semioscurità, scorsero una finestra con i vetri incrostati da cui filtrava una debole luce. Packy accese la torcia elettrica e si guardò intorno mentre procedeva con cautela sul pavimento di cemento. La lavatrice era in funzione. «Chi mai potrebbe fare il bucato in un momento come questo?» domandò Jo-Jo. «Forse ha messo a lavare i vestiti che indossava quando ha tagliato il ramo. Per distruggere le prove, giusto, Packy? È così che fanno nei film.» «Non sapevo che fossi un appassionato di cinema», mugugnò l'altro. Vicino alla lavatrice c'era una specie di ripostiglio con una porta malconcia. Packy l'aprì e dette un'occhiata all'interno. «Ecco dove resteremo
nascosti fino a che non saremo sicuri che Covel è solo.» La minuscola stanza conteneva un tavolo da lavoro e qualche attrezzo sparpagliato qua e là. La porta in cima alle scale si aprì e una lampadina che pendeva nuda dal soffitto si illuminò. Packy e Jo-Jo si tuffarono nel ripostìglio mentre un carico di biancheria sporca volava giù per i gradini. La luce si spense e la porta venne richiusa con uno scatto. Jo-Jo sporse fuori la testa e si guardò in giro. «Questo tizio è uno sciattone. E che bisogno c'era di spaventarci così?» Packy aveva ancora il cuore in gola. «Non sarà facile. Dobbiamo assolutamente trovare il modo di capire se è solo.» Uscirono dal ripostiglio, e Packy puntò la torcia sul cumulo di indumenti sparpagliati in fondo alla scala. La lavatrice cominciò a vibrare rumorosamente. «Sembra che stia per decollare», osservò Jo-Jo. La porta in cima alle scale tornò ad aprirsi, terrorizzandoli di nuovo. Questa volta, nella fretta di guadagnare la sicurezza del ripostiglio, Jo-Jo inciampò in una camicia di flanella che giaceva per terra. D'istinto, allungò in avanti le braccia per attutire l'impatto contro il pavimento di cemento e qualcosa che gli parve una pietra affilata gli ferì la mano destra. La pietra splendeva. La prese e, avanzando carponi, s'infilò nello stanzino. «Mi sono graffiato», si lamentò, cercando di riprendere fiato. «Ma credo che ne valesse la pena.» Aprì la mano. «Dai un'occhiata.» Packy illuminò con la torcia il palmo paffuto del complice. Poi prese il diamante grezzo su cui non posava gli occhi da quasi tredici anni e lo baciò. «Sono tornato», sussurrò. «Sicuro che sia uno dei tuoi?» chiese Jo-Jo. «Voglio dire, dei nostri.» «Sicurissimo! È uno dei gialli. Forse non te ne sei reso conto, però stai guardando due milioni di dollari. Ma che cosa ne ha fatto degli altri quel fuori di testa?» «Forse dovremmo frugare tra il bucato», suggerì Jo-Jo. «Anche se sarebbe piuttosto sgradevole.» «Buona idea. Comincia pure», ordinò Packy, prendendo il machete. «Io salgo in cima alle scale per vedere se riesco a sentire qualcosa. Se è solo, lo becchiamo adesso.» 32
Armati di fotocopie su cui campeggiava il volto raggiante di Opal che teneva in mano il biglietto vincente della lotteria, Regan e Jack tornarono dai Meehan. Sotto la foto, un breve testo segnalava la scomparsa della donna e chiedeva a chiunque avesse informazioni utili di telefonare al numero di Alvirah oppure contattare la polizia locale. «Ne abbiamo lasciata qualcuna alla reception», spiegò Regan agli amici. «Ora Jack e io ripercorreremo a piedi la pista di fondo dove lei è stata con il suo gruppo ieri e appenderemo queste agli alberi lungo la strada. Se nelle vicinanze ci sono delle abitazioni, andremo a suonare alla porta.» «E poi ci guarderemo intorno per vedere se c'è un furgone bianco con un portasci», aggiunse Jack. «Ho chiamato il mio ufficio chiedendo di tenermi aggiornato su qualunque novità riguardo a Packy Noonan. Ho detto ai miei uomini che rimango qui a Stowe, e di seguire anche il caso dell'abete scomparso per riferirmi eventuali sviluppi.» Erano seduti nel soggiorno dello chalet, che all'improvviso sembrava aver perso il suo allegro calore. La preoccupazione di Alvirah per l'amica si faceva sempre più forte. «Potrebbe essere dappertutto», disse con voce tesa. «Magari è stata costretta con la forza a salire su un'auto. Quando è uscita stamattina presto non doveva esserci quasi nessuno in giro. Willy e io andremo in città a mostrare la sua fotografia alla gente. So di ripetermi, ma ho la netta sensazione che Opal sia in grave pericolo e che non ci sia un minuto da perdere.» «Risentiamoci tra un'ora», propose Regan. «Jack e io abbiamo il tuo numero di cellulare, e tu hai i nostri.» Lasciarono tutti insieme lo chalet. Mentre Willy e Alvirah partivano in macchina, Regan e Jack imboccarono la pista su cui Opal aveva sciato la domenica, seguendola a mano a mano che si snodava tra gli alberi. Non c'era nessuno in vista. «Secondo te, quante probabilità ci sono che lei si sia imbattuta in Packy Noonan?» chiese Regan dopo un po'. «Stamattina è uscita presto per 'controllare una cosa', e non è più rientrata. Se ha notato qualcosa di sospetto e Noonan è in zona...» Jack alzò le mani in aria. «Chi può dirlo?» La neve scricchiolava sotto i loro piedi mentre camminavano fianco a fianco, le spalle che si sfioravano. «Forse lui si nasconde qui a casa di un amico», riprese Regan. «Ma perché? Ha scontato oltre dodici anni di carcere. Ha pagato il suo debito con la società. Come hai affermato tu ieri sera, violando le condizioni del rilascio corre un grosso rischio. E poi, Jack, è davvero strano che Noonan ab-
bia lavorato per i Pickens e che l'abete di Lem sia stato abbattuto meno di ventiquattr'ore dopo che lui è stato visto salire su un furgone con la targa del Vermont. Non so per quale ragione dovrebbe essersi preso la briga di tagliare un albero, ma si tratta di una curiosa coincidenza, non credi?» Jack annuì. Immersi nei loro pensieri, si inoltrarono sempre più lungo la pista e ogni centinaio di metri si fermavano ad attaccare la foto a un albero. Bussarono alle porte delle poche fattorie che incontrarono; nessuno, tuttavia, riconobbe Opal né riferì di avere assistito a qualche insolito episodio. Tutti stavano seguendo con grande interesse i servizi televisivi sull'abete scomparso. «Quei due non sono mai andati d'accordo», osservò brusca una donna. «Ma se volete la mia opinione, Wayne Covel non avrebbe l'energia per abbattere un albero e poi trasportarlo chissà dove. Figurarsi! Una volta gli ho dato dei lavoretti da sbrigare, ma impiegava un'eternità a farli e alla fine l'ho mandato via.» Li invitò a bere un caffè, ma loro la ringraziarono congedandosi. Mentre tornavano indietro, Regan disse: «Dev'essere passata più o meno un'ora. Chiamo Alvirah». In tono scoraggiato, l'amica le comunicò che le ricerche sue e di Willy non avevano sortito effetto. Si erano appena salutate, quando squillò il cellulare di Jack. Era il suo ufficio. Lei lo vide cambiare espressione mentre ascoltava. «Sono risaliti al proprietario dell'autocarro abbandonato», la ragguagliò poi lui. «L'uomo non sapeva nulla dell'abete, ma è saltato fuori che i suoi cugini, Benny e Jo-Jo Como, erano coinvolti nella truffa di Noonan. Ed ecco la grossa novità: hanno trovato le impronte di Benny sul volante.» «Oh, mio Dio», sussurrò Regan. «Forse allora è in lui che si è imbattuta Opal.» «Tutti pensavano che quei due avessero lasciato il paese», disse Jack. «Forse, però, non è così.» «Magari è stato proprio Benny ad andare a prendere Noonan con il furgone», congetturò lei. «Ma che cosa c'entra l'autocarro? Possibile che Packy sia effettivamente coinvolto nel furto dell'abete? E per quale motivo?» «È andato a trovare i Pickens meno di un anno prima di venire arrestato. Forse cercava un nascondiglio per il denaro. Sappiamo che parecchi malviventi non si fidano delle banche, né delle cassette di sicurezza, e neppure dei conti cifrati in paradisi fiscali come le Isole Cayman.»
«Ha ammassato milioni e milioni di dollari», gli ricordò Regan. «È impossibile che li abbia tenuti in contanti. In che modo avrebbe potuto nasconderli?» «I ladri spesso convertono il denaro rubato in gioielli e pietre preziose», affermò Jack. «Sono più difficili da rintracciare.» «Ma anche se hanno nascosto dei gioielli sull'albero di Lem Pickens, perché fare la fatica di abbatterlo e portarselo via? Non ha senso. Ora è meglio che avverta Alvirah. Sono sicura che la notizia si spargerà nel giro di pochi minuti.» Regan compose di nuovo il numero dell'amica. Alvirah era stata appena informata dal suo direttore. «Stiamo tornando all'albergo», disse. «Qui in città ho la sensazione di perdere tempo. Voglio parlare di nuovo con l'addetta alla reception per sapere chi ha preso lezione di fondo assieme a Opal. Spero soltanto che non siano già ripartiti tutti. E voglio anche tentare di rintracciare la maestra di sci che oggi non è di turno.» «Ci vediamo lì», rispose Regan. «Ormai siamo quasi alla fine della pista.» Una pista che si è rivelata un vicolo cieco, pensò mentre chiudeva la comunicazione. 33 Lem saltò sul pick-up e partì rombando. L'unica consolazione gli veniva dalla ricompensa promessa dal Rockefeller Center a chi avesse ritrovato l'albero, perché ciò significava che sarebbero stati in molti a cercarlo. Non gli importava che fosse qualcun altro a intascare i diecimila dollari. A lui premeva solo che l'abete si avviasse in tutto il suo splendore alla volta di New York. Già si immaginava l'espressione estasiata di Viddy quando ne avesse visto i rami sfolgorare di migliaia di luci. In fondo al vialetto svoltò e diede gas. Per prima cosa pensava di passare davanti all'abitazione di Wayne Covel, tanto per dare un'occhiata in giro. Da lì, sarebbe andato a setacciare i fienili della zona e alcune delle stradine senza uscita nei sobborghi cittadini, dove gli appassionati di sci avevano costruito le case. Di solito, loro non si facevano vedere fino al Giorno del Ringraziamento e Covel avrebbe potuto abbandonare il camion in una di quelle viette. Nessuno così lo avrebbe visto per giorni, a meno che non lo stessero espressamente cercando. Accese la radio. Prevedibilmente, alla stazione locale stavano parlando
dell'albero. «Se fossi Wayne Covel e non avessi niente a che fare con la scomparsa dell'abete, citerei per danni Lem Pickens chiedendo un grosso risarcimento... ogni albero della sua tenuta, ogni gallina del suo pollaio, e tutti i suoi denti d'oro», stava dicendo il conduttore. «In questo paese non si può calunniare impunemente la gente e passarla liscia. Abbiamo qui con noi l'esperto legale...» A disagio, Lem spense l'apparecchio. «Voi non ne sapete un bel niente di giustizia», brontolò fra i denti. «A volte un uomo deve prendere in mano la situazione. Viddy ha bisogno del suo albero e io non posso starmene in disparte in attesa che lo trovino i poliziotti. E probabilmente loro hanno bisogno di uno stupido mandato di perquisizione anche solo per sbirciare nel fienile di qualcuno.» Passò piano piano davanti alla casa di Covel, e la vista del grande abete azzurro gli fece ribollire il sangue. Se finirà al Rockefeller Center al posto del nostro, Viddy ne sarà devastata, pensò. C'erano parecchi giornalisti accampati sul vialetto e Lem notò anche molta gente della città. Sapeva che alcuni di loro non sopportavano Wayne, e che erano lì solo perché desideravano apparire in televisione. Dietro la curva scorse l'auto del poeta. Impossibile confonderla, con quel paraurti tenuto insieme da un pezzo di spago. Non gli sarebbe dispiaciuto sgonfiargli le gomme. Come osava sprecare una serata di Viddy annoiandola a morte con le sue orribili poesie? Aveva addirittura avuto la sfrontatezza di distribuire copie di quella sul moscerino della frutta. Forse farò prima un salto in periferia, decise poi. Neppure Covel sarebbe così sciocco da nascondere l'abete vicino a casa sua. Nell'ora e mezzo successiva si intrufolò in quasi tutte le proprietà private di Stowe. Vagabondò da un fienile all'altro, aprì le porte e si arrampicò per sbirciare dalle finestre quando quello era l'unico modo per guardare all'interno di una costruzione abbastanza grande da contenere un autocarro. Fu inseguito da polli che schiamazzavano, cavalli che nitrivano e da un cane che gli abbaiò dietro mentre lui se la filava. A quel punto, aveva una gran fame ma non se la sentiva di tornare a casa. Non voleva trovarsi faccia a faccia con Viddy finché non avesse recuperato l'abete. Salì sul pick-up e accese la radio per sentire se c'erano novità. Fu così che seppe che sul camion abbandonato avevano trovato le impronte di Benny Como. «È stato Packy Noonan!» gridò, colpendo il volante con la mano. Sape-
vo che non poteva uscire niente di buono dalla visita che ci fece anni fa, si disse. Ma volevo credere che si fosse riscattato. Ah! E Viddy ha sempre sospettato che fosse stato lui a rubare il cammeo. Spero proprio che ci sia dentro anche Wayne Covel perché, se è innocente, io sono in guai grossi. Viddy non resterà solo senza il suo abete, ma anche senza un tetto sulla testa. Decise di non pensarci. Avrebbe sospeso le ricerche solo per un rapido spuntino alla tavola calda. Devo assolutamente trovare quell'albero, si ripeté frenetico. Quella era la cosa più importante. 34 Packy se ne stava accovacciato in cima alle scale, perfettamente consapevole che in qualunque momento Wayne Covel avrebbe potuto avere un nuovo attacco di zelo domestico e scaraventare di sotto un altro carico di biancheria sporca. Il che significa che la riceverei in piena faccia, pensò. Ma non possiamo aspettare ancora per molto. Era lì da mezz'ora e gli dolevano le ginocchia e la schiena. Poco prima, Dennis Dolan, cronista di una qualche cittadina del Vermont, aveva suonato il campanello ed era stato invitato dal padrone di casa a entrare a bere un caffè o una birra. Dolan aveva spiegato che gli sarebbe piaciuto scrivere un pezzo di taglio biografico su di lui, se il suo albero fosse finito al Rockefeller Center. E Packy aveva dovuto sorbirsi la storia della vita di Wayne, compreso il fatto che la sua ex ragazza, Lorna, gli aveva inviato un'e-mail proprio quella mattina. Dopo che Dolan si fu congedato, Wayne tornò in cucina e alzò il volume della televisione. Armato di machete e tallonato da Jo-Jo che portava corda e nastro adesivo, Packy era stato sul punto di uscire allo scoperto e saltargli addosso, quando un energico bussare mandò all'aria il suo piano. Covel andò ad aprire e accolse con calore il suo visitatore. A quanto pareva era Jake, un compagno di bevute passato a offrirgli conforto morale. Dalla porta della cantina socchiusa, Packy ebbe il privilegio di ascoltare lo scambio di battute. «Wayne, ragazzo mio, ho detto a quei giornalisti che Lem è fuori di testa. La verità è che tu non gli sei mai piaciuto. Non vedeva l'ora di incolparti di qualcosa, eh? Mi sa che, se il suo albero non salta fuori, verranno a supplicarti di cedere il tuo. Nel caso tu debba apparire in televisione, ti
consiglierei di dare una regolatina ai capelli. Io sto andando dal barbiere proprio adesso, vuoi un passaggio?» Packy avrebbe voluto urlare per la frustrazione, ma per fortuna Wayne rifiutò la proposta. «Forse puoi lasciar perdere i capelli, ma se fossi in te, darei una spuntatina ai baffi e mi raderei. Anche se con quei graffi non sarà facile», seguitò Jake. «Be', io vado.» Il riferimento ai graffi fece sì che Packy stringesse con più forza l'impugnatura del machete. Covel se li era procurati rubando la sua borraccia! Wayne aprì la porta d'ingresso e ringraziò l'amico per la visita. Poi, con sua grande disperazione, Packy udì un'altra voce. «Signor Covel, posso presentarmi? Sono l'avvocato Trooper Keddle, specializzato in contenziosi. Posso entrare?» No! Agonizzò Packy. No! Si sentì tirare per i pantaloni. «Non possiamo starcene qui come ragazze che fanno tappezzeria in attesa che qualcuno le inviti a ballare», sussurrò Jo-Jo. «Dalla finestra non si vede granché, ma quanto basta per capire che fuori tira una brutta aria.» «Non ti ho chiesto le previsioni del tempo!» sibilò Packy. «Chiudi il becco.» L'avvocato aveva seguito Wayne in cucina. «Si sieda», lo invitò questi. «Tiri fuori il suo taccuino e prenda nota di quello che sto per dirle. Se crede che Lem Pickens possa mandarla qui a spaventarmi, è pazzo, e lui pure. Non ho rubato io il suo albero e sono pronto a scommettere che non mi denuncerà. Sono stato chiaro, Trooper?» «No, no, no, no, signor Covel», fece Keddle in tono suadente. «Qui stiamo parlando di denunciare lui. L'ha calunniata. Vede, non ha usato il termine presunto. Si può accusare qualcuno in pratica di tutto, a condizione che si parli solo di presunzione di reato. Senza mezzi termini e davanti alle telecamere il signor Pickens l'ha invece accusata di essere colpevole di un reato. Ora, mio caro signor Covel, l'ambizione del nostro studio legale è che lei venga debitamente indennizzato per questo insulto alla sua integrità. Lo merita, signor Covel. Lo merita la sua famiglia.» «Non sono sposato, e i miei cugini non mi sono simpatici», replicò Wayne. «Mi sta dicendo che quello che ho sentito alla radio è vero? Che posso citare Lem per aver sparlato di me?» All'idea, si appoggiò all'indietro sullo schienale della sedia ridendo di cuore. «Può citarlo per aver danneggiato la sua reputazione, per averle causato
una sofferenza emotiva che diminuirà di sicuro la sua capacità di mantenere la consueta attività lavorativa, per averla aggredita verbalmente dopo che lei si è alzato dal letto di soprassalto perché ha sentito dei colpi alla sua porta...» «Ho afferrato il concetto», lo interruppe Wayne. «Mi sta bene.» «Lei non dovrà sborsare neppure un soldo. La prima preoccupazione del mio studio è la giustizia. 'Giustizia per la vittima' è il motto che compare sulle scrivanie di tutti i nostri associati.» «In quanti siete, Trooper?» «Due. Mia madre e io.» Non sono mai andato in giro armato, pensò Packy. Non ne ho mai avuto la necessità. Io sono solo un truffatore. Ma darei qualunque cosa per avere una pistola adesso. Tuttavia, Jo-Jo è un carro armato. È in grado di tenere fermo Covel mentre io farò roteare il machete come se avessi davvero intenzione di usarlo, e in un batter d'occhio avremo i diamanti. Covel non rappresenta un problema, però non possiamo occuparci contemporaneamente anche di quell'inseguitore di ambulanze. Da quello che vedo, è piuttosto in forma, e in cortile potrebbe esserci ancora qualcuno. Un grido e siamo fregati. Jo-Jo lo stava di nuovo tirando per i pantaloni. «Hai detto che il diamante che abbiamo trovato vale due milioni?» bisbigliò. «Forse dovremmo accontentarci di quello.» Packy scosse la testa con tanta violenza che la sbatté contro la porta. «La porta che dà in cantina scricchiola», disse Wayne all'avvocato mentre intascava il suo biglietto da visita e si alzava. «Forse con i soldi di Lem riuscirò a comperarmene una nuova.» La prospettiva gli strappò un'altra risata a cui Keddle si sforzò di partecipare. Poi finalmente il legale, con un ultimo fervorino sulla sua capacità di raddrizzare i torti, si congedò. Ci siamo, pensò Packy. Basta indugi. Fece un cenno a Jo-Jo e un istante dopo, mentre Wayne oltrepassava la porta della cantina per tornare al tavolo, lui la spalancò e, prima di poter emettere una sola esclamazione, l'uomo si ritrovò schiacciato a terra. Noonan gli chiuse la bocca con il nastro adesivo e Jo-Jo si affrettò a legargli gambe e braccia. «Abbassa le tendine del soggiorno», ordinò Packy. «E chiudi a chiave la porta d'ingresso. Devono pensare che si è stufato di avere compagnia.» Accostò il machete al viso di Covel. «Lo riconosci?» brontolò. «Scommetto di sì. Forse ti aiuterà a ricordare dove hai messo i miei diamanti. E non
fare rumore, se non vuoi ritrovarti a ingoiare il tuo nome inciso nell'impugnatura. Sono stato chiaro?» Wayne annuì ripetutamente. Packy si alzò e corse alla finestra della cucina. Tenendosi schiacciato alla parete, tirò giù la tendina avvolgibile, che rovinò sul suo braccio. Era stata attaccato al rullo con lo spago. Che razza di artigiano, pensò, scoccando a Wayne un'occhiata di disprezzo. Armato di nastro adesivo, accostò una sedia alla finestra, ci salì sopra e arrotolata la tendina intorno al rullo con una mano, usò l'altra per fermarla con il nastro adesivo. In soggiorno, Jo-Jo ebbe più fortuna, ma stava andando alla porta d'ingresso per chiuderla a chiave, quando la maniglia si abbassò e l'uscio si aprì. «Wayneeee, teeesoro», trillò Lorna entrando. «Sorpresa! Sorpresa!» 35 Opal si sentiva come quando era stata sotto anestesia durante l'operazione di appendicite. Allora aveva sentito qualcuno che diceva: «Si sta svegliando, dagliene ancora un po'». E qualcun altro che rispondeva: «Ne ha già presa abbastanza da abbattere un elefante». Ora aveva la stessa impressione... come se fosse immersa nella nebbia o sott'acqua, e nuotasse per raggiungere la superficie. Ricordava di aver tentato di replicare, mentre era lì sul lettino in sala operatoria: «Sono una dura. Non riuscirete a mettermi fuori combattimento facilmente». Ed era proprio quello che pensava adesso. Dal dentista, quando era piccola le ci voleva quasi una bombola di gas esilarante prima che fosse possibile procedere all'estrazione. Continuava ripetere al dottor Ajong di aumentare la dose, perché era ancora seria più che mai. Da chi ho ereditato una soglia di tolleranza tanto alta? si chiese, vagamente consapevole di non poter muovere le braccia. Immagino che ti leghino con le cinghie prima di iniziare l'intervento, fu il suo ultimo pensiero mentre scivolava di nuovo nel sonno. Un po' più tardi, ricominciò a nuotare verso la superficie. Che diavolo mi prende? pensò. Mi sento come se avessi buttato giù cinque vodke. Ma perché? Si chiese se non fosse di nuovo al matrimonio di sua cugina Ruby. Era stato servito un vino talmente scadente che un paio di bicchieri le erano bastati per svegliarsi, l'indomani, con i postumi di una sbornia.
Mia cugina Ruby... io sono Opal... la figlia di Ruby si chiama Jade... tutte pietre preziose, pensò ancora confusamente. Ma non mi sento affatto come un opale. Piuttosto come un ciottolo, direi. I Flintstone. Qualcuno aveva vinto un premio per aver suggerito loro di chiamare il bambino Ciottolo. Quando ho detto a papà che Opal mi sembrava un nome stupido, lui ha risposto: «Parla con tua madre, l'idea è stata sua». La mamma ha detto che il nonno ci chiamava i suoi gioielli, e che era stato lui a suggerire i nomi. Si riaddormentò. Quando tornò ad aprire gli occhi, cercò di muovere le braccia e immediatamente capì che qualcosa non andava. Dove sono? si domandò. Perché non posso muovermi? Lo so... Packy Noonan! Mi ha visto mentre leggevo il numero di targa. E gli altri due. Sono stati loro a legarmi. Io ero seduta al tavolo in cucina. Con i mìei soldi hanno comperato dei diamanti. Hanno rubato l'albero di Natale. Ma non hanno i diamanti, non ancora. L'uomo in TV, quello con il viso graffiato, li ha lui. Come si chiamava? Wayne... Ero seduta al tavolo in cucina. Che cosa è successo? Il caffè aveva uno strano sapore. Non l'ho bevuto tutto. Ricadde nel sonno. Poco prima di svegliarsi di nuovo sognò che aveva dimenticato di spegnere il fornello e in cucina stava uscendo il gas. Al risveglio, mormorò a fior di labbra: «Non è un sogno. Sento davvero odore di gas». 36 Alvirah e Willy arrivarono in albergo e si precipitarono alla reception. «La squadra di soccorso ha battuto tutte le piste almeno una volta», li informò la ragazza. «Non hanno trovato la vostra amica, ma stanno continuando le ricerche.» La fotografia di Opal era sul banco. «Sono in molti a cercarla?» chiese Alvirah. «Oh, sì», rispose l'altra. «Abbiamo mostrato la sua foto anche agli ospiti dell'albergo, ma sfortunatamente per ora nessuno ha potuto fornire informazioni utili. Alcuni ricordano di aver visto la signora Fogarty in sala da pranzo, ma questo è tutto.» Regan e Jack entrarono nell'atrio. «Oh, Regan», esclamò Alvirah. «Io so che sono stati Packy e Benny a rapire Opal. Ho appena chiamato la polizia, ma al momento non ci sono
novità.» «E ora?» chiese Willy, dando voce all'interrogativo che era nella mente di tutti. Alvirah si rivolse all'impiegata. «Potrebbe tentare di nuovo di rintracciare la maestra di sci che era di turno sabato pomeriggio?» «Le abbiamo già lasciato parecchi messaggi, a casa e sul cellulare, ma ci riproverò. So che nei giorni liberi le piace dormire fino a tardi. O magari è andata a fare una discesa. Non credo che si porti sempre dietro il telefonino.» «Dormire fino a tardi?» si stupì Alvirah. «È mezzogiorno passato.» «Ha solo vent'anni», rispose sorridendo la ragazza mentre digitava il numero. Sentendola lasciare l'ennesimo messaggio, Alvirah scosse la testa. «Dubito che avremo fortuna.» «Hai detto che pensavi di parlare con le persone che quel pomeriggio hanno preso lezione di sci di fondo», intervenne Jack. «Probabilmente da qualche parte c'è l'elenco dei loro nomi.» «Certo che c'è», disse l'addetta alla reception. «Datemi un minuto per guardare sul computer.» Si allontanò dal banco e sparì nell'ufficio sul retro. Il gruppetto attese in silenzio. Quando ricomparve, l'impiegata aveva in mano una lista su cui figuravano sei nomi. «So per certo che alcuni di loro sono partiti stamattina, ma adesso verifico se gli altri sono ancora qui in albergo.» La porta si spalancò e un ragazzino sui dieci anni dai capelli rossi si scaraventò nell'atrio. Lo seguirono i suoi genitori, dall'aria esausta. «Non ci credo ancora che abbiano tagliato l'albero! Come ci sono riusciti?» stava esclamando il ragazzino in tono vivace. «Mamma, possiamo far sviluppare subito le foto? Così domani a scuola potrò mostrarle ai miei compagni. Che faccia faranno davanti a quel moncone! Voglio andare a New York a vedere quale altro albero hanno scelto. Dai, papà, ci andiamo durante le vacanze di Natale? Voglio scattare una fotografia per metterla accanto a quella del ceppo.» Si interruppe solo quando vide la foto di Opal sul banco. «Quella è la signora che era nel mio gruppo di sci di fondo!» Straripante di energia, cominciò a saltellare. «La conosci?» gli chiese Alvirah. «Sei andato a sciare con lei?» «Sicuro. Era proprio in gamba. Mi ha detto che si chiamava Opal e che
era la prima volta che sciava. Però, a me sembrava brava... molto meglio di un'altra vecchia che continuava a incrociare le punte.» Alvirah decise di ignorare quel «vecchia». «Bobby», intervenne il padre, «lo sai che si dice 'anziana', non 'vecchia'.» «Che c'è di male?» protestò lui. «È così che Screwy Louie chiama sua moglie.» «Quando hai sciato con Opal?» ritentò Alvirah. «Sabato pomeriggio.» Alvirah si rivolse ai genitori. «C'eravate anche voi?» Entrambi parvero imbarazzati. «No», rispose infine la madre. «Mi chiamo Janice Granger. Mio marito Billy e io abbiamo sciato con Bobby per tutta la mattina. Dopo pranzo, lui ha voluto uscire di nuovo. La maestra di sci lo conosce bene e lo ha tenuto d'occhio.» «Tenere d'occhio me? Ero io a tenere d'occhio Opal!» Il ragazzino indicò nuovamente la fotografia. «Che cosa intendi dire?» chiese Alvirah. «La maestra ci ha fatto spostare su un'altra pista perché davanti a noi c'era un gruppo lentissimo, che ci stava facendo impazzire. Opal ha dovuto fermarsi a sistemare la stringa dello scarpone che si era rotta. Io l'ho aspettata. Poi le ho detto di sbrigarsi perché continuava a fissare quella fattoria.» «Fissava una fattoria?» «Be', c'era un tipo che stava caricando degli sci sul tetto di un furgone e lei lo guardava. Le ho chiesto se lo conosceva e mi ha risposto di no, ma che le sembrava familiare.» «Di che colore era il furgone?» si affettò a domandare Alvirah. Lui alzò gli occhi al soffitto e si morse il labbro inferiore prima di affermare: «Sono sicuro, era bianco». Ora i quattro amici avevano l'assoluta certezza che l'uomo che Opal aveva scorto era Packy o Benny, e temevano il peggio. «Dov'è la fattoria?» intervenne Jack. «Qualcuno ha una cartina?» domandò Bobby. «Ce l'ho io», rispose l'addetta alla reception. «Veniamo qui fin da quando lui è nato», spiegò Billy Granger. «Bobby conosce i dintorni meglio di chiunque altro.» L'impiegata aprì la cartina su cui erano segnate le piste e il ragazzino si chinò a esaminarla. Infine, ne indicò una. «Questo è un ottimo posto per
sciare.» «E la fattoria?» chiese Alvirah. «Bobby, dov'è quella fattoria?» Lui mise il dito sulla cartina. «Qui abbiamo incontrato il gruppo dei lumaconi. Gli abbiamo girato intorno e qui è dove la signora anziana, Opal, si è seduta ad annodare la stringa dello scarpone.» «E la fattoria era lì vicino?» Questa volta era stata Regan a parlare. «Sì. E accanto c'è un fienile molto grande.» «Io credo di sapere dov'è», intervenne Billy Granger. «Può venire con noi?» domandò Jack. «Non c'è tempo da perdere. Si tratta di un'emergenza.» «Naturalmente.» «Vengo anch'io», esclamò Bobby, gli occhi sfavillanti di eccitazione. «Niente da fare!» disse Janice Granger. «Ma non è giusto! Io sono l'unico che sa se è proprio quella fattoria!» «Bobby ha ragione», intervenne Alvirah. «Non voglio che ci sia anche lui, se dovesse succedere qualcosa», spiegò Janice. «Voi tre non potreste accompagnarci là con la vostra macchina?» chiese Jack. «La prego. È molto importante.» I genitori di Bobby si scambiarono un'occhiata. «Va bene. Abbiamo l'auto qui fuori», cedette infine il padre. «Yyppppeee!» urlò il ragazzino, dirigendosi verso la porta. Si precipitarono tutti nel parcheggio. Con Jack alla guida dell'auto di Alvirah, seguirono la macchina dei Granger giù per la collina su cui sorgeva l'albergo, diretti alla fattoria satura di gas dove Opal lottava per riprendere conoscenza. 37 La determinazione era una cosa. Il successo un'altra. Lem era andato dappertutto senza approdare a nulla. Le possibilità di mantenere la promessa fatta alla moglie sembravano farsi sempre più remote. Ora stava percorrendo la via principale. Scorgendo l'insegna della sua tavola calda preferita, esitò un istante, poi accostò. Il suo stomaco brontolava così forte che non riusciva a pensare con lucidità. Non si può riflettere quando si ha fame, si giustificò, ricordandosi che non aveva fatto neppure colazione. Non sono più rincasato da quando sono venuti da noi quei tizi di New York, e la cioccolata di Viddy, per quanto deliziosa, non basta a so-
stentare un uomo. Scese dal pick-up e una foto affissa al lampione attirò il suo sguardo. Dedicò un istante a esaminare l'immagine della donna sorridente che teneva in mano un biglietto della lotteria. Anche lui avrebbe potuto vincere alla lotteria del Vermont, rammentò, se non avesse dimenticato di comperare il biglietto. I numeri che giocava sempre con Viddy erano usciti proprio quella settimana. Per un po' lei è stata piuttosto fredda con me, si disse. Grazie a Dio, non si trattava di una grossa cifra. Le ho spiegato che le tasse si sarebbero portate via la maggior parte della vincita e che gli agenti immobiliari avrebbero cominciato a tormentarci perché acquistassimo beni di cui non avevamo alcun bisogno, come un appezzamento di terra in Florida che con ogni probabilità era solo una palude brulicante di alligatori. Lem socchiuse gli occhi. I numeri che avrebbe dovuto comporre chi aveva notizie di Opal Fogarty erano quelli della polizia e di Alvirah Meehan. Oggi Alvirah è stata da noi. Strano, pensò. Stiamo entrambi cercando di ritrovare qualcosa che ci sta molto a cuore. Entrò nella tavola calda e prese posto al banco. Quel giorno era di turno Danny. «Ciao, Lem, mi dispiace tanto per il tuo albero.» «Grazie. Ho un po' di fretta. Devo ritrovarlo prima che questa faccenda mi uccida.» «Che cosa prendi?» «Prosciutto, bacon, due uova fritte, carne trita con le patate, gelatina e un paio di fette di pane bianco tostato. Niente burro. Me ne sto lontano dal burro, io.» Danny gli versò una tazza di caffè. Più in alto sulla destra, il televisore era acceso con il volume basso. Lem lanciò un'occhiata allo schermo, dove un giornalista stava indicando un autocarro. L'udito comincia a fare cilecca, pensò incupito. Quando al mattino Viddy gli chiedeva se voleva altri biscotti, capitava che lui rispondesse: «Che bussolotti?» «Alza quel volume, Danny», gridò. «...l'abitacolo del camion abbandonato su cui sono state rilevate le impronte di Benny Como era in uno stato di indescrivibile disordine. Ma le nostre fonti ci dicono che, oltre a sacchetti vuoti di patatine, involucri di gomma da masticare e scatole dei fast food, gli investigatori hanno trovato un elemento incongruo, se si considera chi era al volante dell'autocarro.»
Lem si protese in avanti. «Si tratta di una copia di una poesia intitolata 'Ode a un moscerino della frutta' che era infilata nella visiera parasole. L'autore è sconosciuto e la firma impossibile da decifrare.» Lem saltò su come se lo avesse punto una vespa. «È la poesia di Milo!» gridò. «Questa storia puzza. E io sono uno scemo!» Corse fuori e si precipitò al pick-up. Mentre pigiava il piede sull'acceleratore, si maledi più volte. Sono un idiota! si ripeté. Era evidente come il naso in mezzo alla mia faccia, e io me ne sono forse accorto? No! Anni fa, il tizio che ha venduto la macchina a Milo ingrandì il fienile. Pensava che quei muli che chiamava cavalli da corsa avrebbero vinto il Kentucky Derby. Povero illuso. Ma ora il fienile è abbastanza grande da contenere il mio albero! 38 «Dov'è la mia borraccia?» chiese Packy con voce quieta. «Dove sono i miei diamanti?» Erano domande a cui era impossibile rispondere, dal momento che la bocca di Wayne era sigillata con il nastro adesivo. Lui e Lorna erano legati mani e piedi su due sedie in cucina. Dopo averla avvertita che un grido sarebbe stato l'ultimo, Packy non si era preoccupato di imbavagliare anche la donna. Pensava, a ragione, che fosse troppo spaventata per mettersi a chiamare aiuto. E poi, nel caso quel balordo di Covel avesse cominciato a fare giochetti, c'era sempre la possibilità che lei sapesse dove erano nascosti i diamanti. «Wayne», riprese, «hai rubato la borraccia dall'albero dei Pickens, e questo non è carino. È la mia borraccia, non la tua. Ora ti tolgo il nastro adesivo, ma se cominci a urlare io mi arrabbierò. Ci siamo intesi?» Il prigioniero annuì. «Ha capito», mormorò Lorna con voce tremula. «Davvero. Non sembra troppo furbo, ma lo è. Io dico sempre che avrebbe potuto fare grandi cose, se non fosse così pigro.» «Ho già sentito la storia della sua vita», replicò Packy, impaziente. «L'ha raccontata a un giornalista. Ha perfino parlato di te.» Lorna girò di scatto la testa. «Che cosa gli hai detto?» chiese a Wayne. «Packy, vediamo di sbrigarci», intervenne Jo-Jo. L'altro lo guardò con aria cupa. Si era accorto che la paura stava svanen-
do dagli occhi di Covel. La ragazza aveva ragione: quel tipo non era uno stupido. Si capiva che il suo cervello stava lavorando a pieno regime, cercando di escogitare la maniera di tenere i diamanti. Con un gesto secco, Packy staccò il nastro adesivo che gli tappava la bocca, strappando via anche qualche pelo dai baffi. «Ahi!» gemette l'uomo. «Non fare il bambino. Milioni di donne pagano ogni giorno per farselo fare. Si chiama depilazione con la ceretta.» Packy si protese sul tavolo. «La borraccia. I diamanti. Subito.» «Quali diamanti?» si intromise nuovamente Lorna. «Wayne non ha nemmeno due soldi in croce. Se non mi credete, guardate in quella scatola di sigari vicino al lavello. È piena di conti scaduti da pagare.» «Signora cara», disse Packy, «ora chiudi il becco. Covel, vogliamo i diamanti.» «Non li ho...» «Sì, invece!» grugnì l'altro. Estrasse di tasca il diamante giallo che avevano recuperato in cantina. Lo agitò sotto il naso di Wayne prima di posarlo sul tavolo. «Questo era in mezzo ai panni sporchi che hai scaraventato giù per le scale.» «Lo avrà lasciato cadere qualcuno. Oggi c'è stato un gran viavai di gente», disse Covel con voce stridula. «Quel diamante è bellissimo!» trillò Lorna. È spaventato, ma non abbastanza da decidersi a sputare il rospo, pensava Packy. Accostò il viso a quello di Covel fin quasi a sfiorarlo. «Posso sempre chiedere a Jo-Jo di sistemarti a modo suo. E se lo fa, ti assicuro che finirai per parlare. Ma io sono una persona gentile. Un uomo giusto.» Prese il diamante e lo lasciò cadere nel taschino della camicia di Wayne. «Questo gingillo che hai vicino al cuore vale due milioni di dollari. È tuo se ci restituisci la borraccia con il resto delle pietre.» «Ma non so niente dei diamanti.» Sta cercando di guadagnare tempo, si disse Packy. Forse sta aspettando qualcuno. Impugnò il machete e lo fissò con aria pensosa. «Credo che la nostra pazienza si sia esaurita, non è vero, Jo-Jo?» «Esauritissima», confermò l'altro. Packy sollevò l'attrezzo e l'abbatté sul tavolo. Con un tonfo sordo, la lama si conficcò profondamente nel legno. «È quel bel machete che ti ho regalato a Natale!» Il tono di Lorna era
accusatorio. «È per colpa del tuo machete che siamo finiti nei guai», ringhiò di rimando Wayne. Si rivolse a Packy. «Va bene, va bene, ve lo dirò. Ma solo se mi date un altro diamante... quello che sembra un uovo di pettirosso. Ve ne resteranno comunque a sufficienza.» «Se avete tutti questi diamanti, ne voglio uno anch'io», protestò Lorna. «Me ne basta uno piccolo.» «Di piccoli non ce ne sono», scattò Packy. «Covel, tu vuoi l'uovo di pettirosso, e la tua ragazza un diamantino. Dovreste proprio fare coppia fissa, siete una gran bella squadra. Dov'è la borraccia?» «Abbiamo fatto un patto, allora?» volle sapere Wayne. «Io mi prendo i due diamanti. Lei può farne a meno.» «La borraccia!» «Non hai ancora giurato.» «Lo giuro! Croce sul cuore e che possa morire!» Wayne esitò un istante, chiuse gli occhi, poi tornò ad aprirli. «Mi fido di te. La borraccia è nell'ultimo cassetto sotto i fornelli, dentro una grossa pentola senza un manico.» In un baleno, Jo-Jo era in ginocchio e scaraventava fuori dal cassetto casseruole, padelle e un vecchio stampo per biscotti. Trovò la vecchia pentola, aprì il coperchio e ci infilò la mano. «È questa, Packy?» domandò tenendo alta la borraccia. Packy l'afferrò, svitò il tappo e la rovesciò. Alcune gemme gli caddero nel palmo della mano. «Sembra bella piena», disse con un sospiro di sollievo. «Probabilmente quello che abbiamo trovato era l'unico caduto.» «L'uovo di pettirosso?» gli ricordò Wayne. «Oh, già.» Con cautela, Packy si versò in mano altri diamanti. «Eccolo... è talmente grosso che quasi non passa per l'apertura. Ma non importa.» Tornò a infilare i diamanti nella borraccia, poi si girò con la mano tesa. Mentre estraeva il grande diamante giallo dal taschino di Covel, questi gli morse un dito. «Ahi!» gridò Packy. «Spero di non prendermi la rabbia.» «Sapevo che non avresti dovuto fidarti di lui, Wayne», strillò Lorna. «Non ne fai mai una giusta.» Un istante dopo Jo-Jo aveva chiuso la bocca con il nastro a entrambi. Packy fece dondolare la borraccia davanti a Covel. «Pensi di essere in gamba. Anche la tua ragazza lo crede. Peccato che non abbia il tempo di buttarvi tutti e due giù dal ponte di Brooklyn. Chiunque si fidi della parola
di un truffatore non merita di avere spazio in questo mondo.» Poi lui e Jo-Jo si precipitarono verso la porta sul retro. 39 I Granger imboccarono una sterrata dove c'era un cartello con la scritta STRADA SENZA USCITA e procedettero molto lentamente a causa del fondo dissestato e ricoperto da uno strato di neve. Nella vettura dietro di loro Alvirah, Willy, Regan e Jack trattenevano a stento l'impazienza. Ma alla fine la prima auto si fermò vicino a una fattoria e la portiera posteriore si spalancò. «È questa!» gridò Bobby. «Risali subito in macchina!» gli ordinò la madre. Jack portò la Mercedes dei Meehan fino al prato davanti alla casa e spense il motore. «Sembra deserta», commentò Willy, spostando lo sguardo dalla fattoria al grande fienile. Scesero e si incamminarono rapidi verso l'entrata. «Guardate», esclamò a un certo punto Jack, indicando il fianco del fienile. «Un furgone bianco con un portasci.» Le due donne si precipitarono sulla veranda, cercando di sbirciare all'interno. Alvirah tirò Regan per un braccio. «Guarda, lì per terra ci sono un paio di sci da fondo.» «Potrebbero essere di chiunque», obiettò lei «Niente affatto. Quello è il berretto di Opal! Dobbiamo entrare!» «Hai ragione, Alvirah», assentì Willy. Saggiò la maniglia, ma la porta era chiusa a chiave. Allora prese una sedia sulla veranda e la usò per fracassare il vetro della finestra. «Se mi sbaglio, pagherò i danni. Ma mi fido dell'istinto di Alvirah», disse agli altri che lo guardavano sorpresi. Li aggredì l'odore del gas che usciva dalla casa. «Oh, mio Dio», gemette Alvirah. «Se Opal è lì...» In un lampo, Jack eliminò con un calcio gli ultimi frammenti di vetro, saltò dentro e andò ad aprire la porta d'igresso. Gli lacrimavano gli occhi a causa del gas. «Opal!» gridò Alvirah. Il pianterreno era deserto. Entrato in cucina, Willy si avvicinò alla cucina economica e spense il fornello. «Ecco da dove veniva.» Regan e Jack si lanciarono su per le scale, tallonati da Alvirah. C'erano
tre camere da letto, tutte con la porta chiusa. «Quassù il gas si sente meno», commentò Regan tossendo. La prima camera era vuota. Nella seconda, trovarono un uomo legato al letto. Alvirah corse a spalancare la porta della terza stanza e ansimò. Opal giaceva immobile sul letto. Anche lei era stata legata. «Oh, no», sussurrò Alvirah, chinandosi sull'amica. Vide che muoveva le labbra e si sforzava di aprire gli occhi. «È viva!» esclamò allora. Subito Jack le fu accanto e tagliò le corde con il temperino. Sollevandola da sotto le ascelle, Regan costrinse Opal a mettersi seduta. «Se le porte non fossero state chiuse, a quest'ora sarebbero morti tutti e due», disse cupo Jack. «Ce la fate a occuparvi di lei da sole?» «Certo», assicurò Alvirah. Mentre lui usciva dalla stanza, le due donne si passarono le braccia di Opal intorno alle spalle e la portarono giù dalle scale. Dietro di loro, Jack e Willy trasportavano di peso un uomo dai capelli lunghi in stato d'incoscienza. In pochi secondi erano già fuori e si affrettavano ad allontanarsi dalla casa. «Se avessimo suonato il campanello, saremmo saltati tutti in aria», commentò Jack. «Il pianoterra era talmente saturo di gas che l'impulso elettrico avrebbe scatenato un'esplosione.» Mentre attraversavano il campo sentirono avvicinarsi un motore, e qualche istante dopo comparve un pick-up che procedeva a tutta velocità. Al volante c'era Lem Pickens. Senza mostrare di vederli, l'uomo saettò loro accanto e andò a fermarsi di colpo davanti al fienile. Scese, si precipitò alla porta, la spalancò e cominciò a saltare su e giù. «Il nostro albero!» urlò. «Il nostro albero! Ho trovato il nostro albero!» Poi si precipitò all'interno. «Dunque era qui!» esclamò Regan. Opal era ancora sostenuta dalle due donne. «Packy», mormorò. «I diamanti, i miei soldi.» «Sai dov'è Packy?» la interrogò gentilmente Alvirah. Lem li raggiunse di corsa. «L'albero sta bene. Ha solo un ramo rotto!» Finalmente parve accorgersi di quello che stava succedendo. «Che gli prende a questi due?» domandò. «Devono essere stati drogati», disse Alvirah. «E dietro tutto questo c'è Packy Noonan.» «E il cosiddetto poeta», dichiarò Lem, indicando Milo che dormiva in
piedi sorretto da Willy e Jack. «Wayne... ha... i diamanti... Packy è andato là», sussurrò Opal. «Dove?» chiese Regan. «Casa di Wayne...» «L'avevo detto che Wayne Covel c'era dentro fino al collo», esultò Lem. Regan si rivolse a lui. «Lei sa dove abita Covel. Ci accompagni, per favore. Non c'è neppure un secondo da perdere!» Jack stava già parlando al cellulare con la polizia locale. Lem si voltò a guardare il fenile. «Non posso!» gridò. «Non posso perdere di vista l'albero!» Bobby Granger, sfuggito ai genitori, stava correndo verso di loro. «Baderò io all'albero, signore», gridò. «Non permetterò a nessuno di toccarlo!» «La polizia sta arrivando qui e altri agenti sono già diretti a casa di Covel», annunciò Jack. «Le assicuro che l'albero non corre alcun pericolo, signor Pickens. E abbiamo davvero bisogno del suo aiuto. Lei conosce la città.» I Granger avevano raggiunto il figlio. «Faremo noi la guardia all'albero», propose Billy. Alvirah si sedette con Opal e Willy sul sedile posteriore della Mercedes. Regan e Lem si sistemarono davanti. Jack, al volante, mise in moto e si avviò con decisione sobbalzando lungo la sterrata. «Qui a sinistra», lo indirizzava Lem. «Sapevo che Wayne Covel, Packy Noonan e il cosiddetto poeta erano tutti in combutta. Se siete alla ricerca di qualcosa che è stato rubato, non mi sorprenderebbe affatto di trovarlo a casa di Covel. Ora là a destra.» La malandata vettura di Milo comparve dall'altra parte della strada, procedendo nella direzione opposta allo loro. «Quella è la macchina del poeta», esclamò Lem, «ma sappiamo che non può essere lui!» Mentre l'auto li incrociava Alvirah gridò: «C'è Packy Noonan alla guida!» Jack effettuò appena possibile un'inversione a U e si ritrovò dietro un furgone delle consegne. In quel punto la strada era troppo stretta perché potesse superarlo. «Forza!» gridò. «Forza!» Quando arrivarono a un incrocio, la vecchia berlina non c'era più. «Sono andati di là!» Lem indicò a sinistra. «Come fa a saperlo?» chiese Jack. «Guardate! Il paraurti è in mezzo alla strada. Finalmente si è staccato.»
Regan parlava al telefono con la polizia. Rapidamente, riferì che avevano individuato Packy Noonan e descrisse la macchina su cui viaggiava. Vicino a lei, Opal borbottava: «Prendetelo. Vi prego... ha tutti... i miei soldi». «Lo prenderemo», le promise Regan. «È un peccato che tu non sia del tutto sveglia per goderti il momento.» Sbucando da una curva, videro in distanza la macchina di Milo. Con un ampio sorriso Jack si mise alle calcagna del vecchio macinino, accelerando quando era necessario per impedire ad altre auto di frapporsi fra loro. In lontananza vide arrivare verso di loro un'autopattuglia, la luce che balenava sul tettuccio. Si fermò per consentire agli agenti di fare un'inversione a U e lanciarsi all'inseguimento di Packy. Un momento dopo, una voce tuonò all'altoparlante: «Accosta, Noonan. Se non vuoi cacciarti in guai più grossi di quelli in cui sei già». Una seconda pattuglia superò Jack, mentre altre due arrivavano dalla direzione opposta. Nell'auto di Milo, Packy prese la borraccia e la tese a JoJo. «Falla sparire!» ordinò. L'altro aprì il finestrino e gettò fuori la borraccia, che rimbalzò a terra e rotolò al di là del bordo della strada. «Tanta fatica per abbindolare quei babbei di investitori, e guarda un po' come va a finire», si lamentò Packy vedendola scomparire nel bosco. Poi fermò l'auto e spense il motore. «Scendete tenendo le mani alzate», intimò la voce all'altoparlante mentre l'autopattuglia accostava. Intanto stavano arrivando i rinforzi. Si fermò anche Jack e tutti i passeggeri uscirono dalla Mercedes, tranne Opal, accasciata sul sedile posteriore. Regan tornò indietro di un centinaio di metri sulla strada. La borraccia di metallo era finita contro un grande abete. La prese, la scosse e sorrise sentendo un leggero tintinnio. Svitò il tappo. «Mio Dio», sussurrò guardando dentro. Si lasciò cadere alcuni diamanti sul palmo. «Devono valere una fortuna», considerò. «Aspetta che li veda Opal!» Rinfilò con cura le pietre nella borraccia e, risalito l'argine, si avvicinò a Packy, ora in manette. «È questa la borraccia dei tuoi sogni?» fece sarcastica. «Quelli che hanno perso tutto il loro denaro con la tua società fittizia saranno felici di sapere che è stata recuperata.» A quel punto si udirono dei colpi provenire dal bagagliaio della vecchia berlina. Con le armi spianate, due agenti lo aprirono e si ritrassero di scatto. Benny si mise lentamente a sedere e si guardò intorno. «Sapevo che
non avremmo dovuto essere troppo avidi», dichiarò sbadigliando. «Svegliatemi quando arriviamo alla stazione di polizia.» Poi tornò a sdraiarsi e chiuse gli occhi. Regan si voltò verso Alvirah. «Che ne dici di mostrare questa a Opal prima di consegnarla?» Si affrettarono verso la loro auto e, messa la donna a sedere, le chiusero le mani intorno alla borraccia. «Tesoro, guarda», la esortò Alvirah. «Cerca di stare sveglia il tempo necessario per dare un'occhiata.» Regan tornò a svitare il tappo. «Cosa?» borbottò Opal. «Questi diamanti valgono molto più della tua vincita alla lotteria. Ora riavrai indietro almeno parte del denaro», disse Alvirah. Per quanto lei fosse stordita, quelle parole riuscirono a penetrare nella mente di Opal, che si mise a piangere per l'emozione. Un'ora dopo Lem Pickens attraversava la città alla guida dell'autocarro, con la mano pigiata sul clacson. Seduto accanto a lui, Bobby Granger salutava la folla festante che si era radunata sul bordo della strada. Infine, i due risalirono piano piano la collina verso la tenuta dei Pickens. Alvirah, Willy, Regan, Jack e Opal, ora un po' più vigile, aspettavano con Viddy sulla veranda. La notizia che l'abete era stato recuperato si era propagata con la velocità di un incendio, e giornalisti e operatori erano accorsi in cortile per immortalare il momento in cui, sempre suonando il clacson, Lem Pickens fermava trionfalmente il camion del Rockefeller Center davanti alla casa. L'espressione di Viddy quando vide il suo amato abete azzurro ricordò ad Alvirah quella che aveva scorto poco prima sul viso di Opal e, proprio come la sua amica, anche la signora Pickens scoppiò a piangere di gioia. Epilogo Quando infine giunse il momento dell'accensione delle luci sull'albero di Natale, Lem e Viddy erano ormai quasi diventati dei newyorkesi. Due giorni dopo il recupero dell'abete, si erano recati al Rockefeller Center per assistere al suo arrivo e avevano ascoltato il coro di benvenuto degli scolari della città. A deliziare Viddy era stata soprattutto la selezione di brani tratti da Tutti insieme appassionatamente. Edelweiss, pensava. Il nostro abete azzurro è la mia stella alpina.
Poi erano stati invitati a rimanere per partecipare alla festa che gli investitori della Patrick Noonan Shipping and Handling Company avevano organizzato in onore di Opal. I diamanti erano stati valutati oltre 70 milioni di dollari e gli investitori avrebbero così recuperato buona parte del loro denaro. Packy Noonan, Jo-Jo e Benny erano in carcere in attesa del processo, e non avrebbero messo piede su una spiaggia brasiliana né in nessun altro luogo per molto, molto tempo. Milo se l'era cavata con una ramanzina, grazie alla sua collaborazione con la polizia e alla testimonianza di Opal, che aveva spiegato come fosse involontariamente finito nelle maglie di un disegno criminale. Ora era tornato al Greenwich Village e scriveva poesie sul tradimento. I cinquantamila dollari che erano stati rinvenuti nella fattoria erano risultati falsi, ma lui aveva già vinto un premio per una poesia su un autocarro. Quando la polizia aveva trovato Wayne Covel e Lorna legati, il primo aveva sostenuto di ignorare il motivo della visita fattagli da Noonan, ma la sua versione era stata contraddetta da quelle congiunte di Opal, Milo, Packy, Jo-Jo e Benny. Ciononostante, come ebbe a sottolineare lo stesso Wayne: «Non fosse stato per me, ora Packy Noonan sarebbe in Brasile con tutto il denaro». Ammise di aver tagliato un ramo dell'abete e affermò che stava cercando di trovare il modo di restituire i diamanti senza dover spiegare come se li fosse procurati. La sua dichiarazione non era molto convincente, ma il giudice lo condannò solo a dodici ore di lavoro socialmente utile. Dubito che sarà utile a qualcosa, aveva pensato Viddy. Quanto a Lorna, se ne era tornata a Burlington, a visitare i siti internet dei single e a fantasticare sull'uomo gentile e sensibile dei suoi sogni. Buona fortuna, le augurava Viddy. La pillola più difficile da ingoiare per Packy fu scoprire che gli abeti azzurri crescevano dalla sommità. Non sarebbe stato quindi necessario abbattere l'albero, dato che la borraccia si trovava alla stessa altezza di quando l'aveva legata al ramo anni e anni prima. Per recuperare i diamanti quella notte, a lui e ai gemelli sarebbe bastato fare il giro dell'albero, sorprendere Wayne sulla scala e tagliare il ramo con il suo machete. Ora Lem e Viddy si trovavano nella sezione riservata agli ospiti, in attesa che le luci venissero accese. Con loro c'erano i Meehan, i Reilly, i Granger, Opal e il suo amico Herman Hicks, che aveva vinto di recente alla lotteria. Dopo la cerimonia si sarebbero trasferiti tutti a casa sua. Era una bella serata fresca. Il Rockefeller Center traboccava di gente e le strade
circostanti erano state chiuse al traffico. «Viddy, stamattina tu e Lem siete stati fantastici al Today Show», si congratulò Regan. «Tutti e due così spontanei.» «Lo pensi davvero? Avevo i capelli a posto?» «Lo spero bene, con quello che è costato il centro di bellezza!» interloquì Lem. «Mi è piaciuto da morire farmi truccare», ammise la moglie. «Ho detto a Lem che lo rifarò quando torneremo qui per il vostro matrimonio.» «Che Dio mi aiuti», borbottò lui. Opal e Bobby sedevano vicini. Il ragazzino si voltò a guardarla. «Sono proprio contento che abbiamo fatto fondo assieme», dichiarò. «E io pure», rispose lei. «Perché altrimenti ora non sarei qui.» La donna scoppiò a ridere. «Non ci sarei neppure io!» Herman le prese la mano. «Non dirlo neanche per scherzo, Opal.» «È uno spettacolo talmente bello», sospirò Alvirah. Willy annuì sorridendo. «Qualcosa mi dice che per il prossimo mese faremo tappa qui tutte le sere.» «Però non siamo mai andati a riempire il barattolo di sciroppo», rammentò Nora all'amica. «Tesoro, è davvero un peccato che ci siamo persi quell'avventura emozionante», scherzò Luke. «Per il momento io ne ho avuto abbastanza di emozioni!» esclamò Opal. «E credetemi, d'ora in poi i miei soldi resteranno in un salvadanaio. Basta con i Packy Noonan... non mi farò più abbindolare da vermi come quello.» Il coro intonava una canzone natalizia. Mancava un minuto. È pura magia, pensava Regan. Jack le passò teneramente un braccio intorno alle spalle. Anche questa è magia, si disse lei con un sorriso. La folla cominciò il conto alla rovescia. «Dieci, nove, otto...» Viddy e Lem, le mani intrecciate, trattennero il fiato. Rimasero a guardare mentre l'albero che avevano amato per cinquant'anni si accendeva improvvisamente di migliaia di luci colorate, e tutti sulla piazza lanciavano un grido di ammirazione. FINE