STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM AnaIecta 48
ALFIO MARCELLO BUSCEMI
GLI INNI DI PAOLO UNA SINFONIA A CRISTO SIGNORE
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STUDIUM BIBLICUM FRANCISCANUM AnaIecta 48
ALFIO MARCELLO BUSCEMI
GLI INNI DI PAOLO UNA SINFONIA A CRISTO SIGNORE
FRANCISCAN PRINTING PRESS
Jerusalem 2000
PREFAZIONE
Una sinfonia! Ho usato tale termine di carattere musicale volutamente, perché gli inni paolini non sono solo poesia, ma soprattutto canto a Cristo Signore, una lode cosmico-ecclesiale. Inoltre, se si lasciano da parte alcuni frammenti (Ef 5,14; lTim 3,16; 2Tim 2,11-13) sparsi negli scritti di tradizione paolina, i quattro inni di Fil 2,6-11; Col 1,15-20; Ef 1,3-14; Ef 2,14-18 si possono considerare come i movimenti di un 'unica sinfonia, che pur nella loro diversità tematica esprimono consonanza nella lode armoniosa di Cristo Signore dell 'universo e della chiesa. Ed è questo il carattere specifico della presente pubblicazione. Infatti, non mancano di sicuro in italiano degli studi critici sugli inni paolini (Heriban, Marcheselli, Fabris e altri), ma per lo più si interessano a ciascun inno in maniera isolata. lo, invece, intendo presentare gli inni nella loro unità ideale di canto a Cristo Signore. Tale prospettiva è maturata in me piano piano, man mano che il mio interesse per gli inni si faceva sempre più consistente. La gestazione, infatti, di questa pubblicazione ha avuto un processo lento, ma continuo nel tempo. Ha avuto inizio in un seminario accademico (1996) ed è stato portato avanti in una serie di conferenze sulla cristologia paolina, tenute in vista del giubileo del 2000 durante l'anno dedicato a Gesù Cristo. Infine, in vista della pubblicazione, ho soprattutto curato la parte strutturale degli inni, in modo da offrire un'analisi esegetica particolareggiata di ciascun inno. È la parte più originale di questo mio lavoro. Spero che esso sia di aiuto a comprendere sempre meglio la lode della Chiesa delle origini a Cristo Signore. Anzi.a tal proposito, nella parte teologica, ho scartato l'interpretazione gnostica o giudeocristiana gnosticizzante, per leggere gli inni paolini come rilettura ecclesiale del mistero di Cristo alla luce degli scritti profeti ci e sapienziali dell' AT. Un grazie va ai miei studenti. Il loro contributo di ricerca mi è stato prezioso per approfondire meglio certi aspetti particolari, storici e ambientali, degli inni. Infine, un grazie anche al mio confratello Stefano De Luca, che ha curato la grafica della copertina. Gerusalemme 6/1/2000 Epifania del Signore
SIGLE E ABBREVIAZIONI
ABI a. C. AnBib ANRW Anton AT ATANT BAGD
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Greek-English Lexicon ofthe New Testament and Other Early Christian Literature, Chicago-London 1979. BETL BGBE Bb Bib BS BSR BZ BU BZNW CAT CBNT CBQ CCSL cfr CNT CTNT DBS d. C. DCB ed. o eds ÉB EDNT Est.Bib
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INTRODUZIONE
Parlare di inni nel NT non è più un problema per nessuno. Anzi, dopo la riforma liturgica del Vaticano II, ciò che poteva sembrare una acquisizione laboriosa e riservata agli studiosi, ora è divenuto, grazie alla liturgia, di dominio pubblico. Nonostante ciò, le nostre idee rimangono vaghe sotto molti aspetti: recitiamo degli inni, ma non sappiamo: quanti inni vi sono nel NTI; quali sono i criteri per dire che una determinata preghiera, tratta dal NT, può essere detta un "inno"2; dove e quando questi inni sono sortP; quale teologia generale e particolare ci presentano; quale funzione ecclesiale: liturgico-battesimale, omologica, catechetica o parenetica,4 svolgono all'interno della comunità credente. A motivo di tutte queste incertezze, la ricerca sugli inni del NT registra a partire dal 1962 dei buoni contributi che aiutano a chiarire meglio sia i problemi formali ed ambientali degli inni che la loro teologia. Così, per esempio, nel 1962 apparve un breve contributo di G. Schille5 , nel 1967 quello di R. Deichgriiber6, nel 1971 quello di J. T. Sanders1, Tale incertezza si riscontra in molti autori che hanno trattato espressamente del problema: cfr Hengel, "Hymns and Christology", 88-89; Martin, "Hymns in the New Testament", 38-39. 2 Su questo punto cfr la buona sintesi di Martin, "Hymns, Hymn Fragments, Songs", 419-423. Il problema è stato affrontato da Hengel, "Hymns and Christology", 88-93, dove si chiede: "H ere we come up against the problem which really concerns uso Is it possible to pursue the origin of the Christ hymn behind the letters of Paul into the obscure peri od between AD 30 and AD 50, where the real decisive christological development took pIace?" (p. 89; cfr anche p. 78); Martin, "Hymns in the New Testament", 34-41; Bradshaw, The Search oj Christian Worship, 42-45. 4 Martin, "Hymns, Hymn Fragments, Songs", 421-423. Fruhchristliche Hymnen; su quest'opera cfr il giudizio molto pesante di Hengel, "Hymns and Christology", 189: "The investigation by G. Schille is a deterrent example of an early Christian 'panhymnology"'. 6 Gotteshymnus und Christushymnus in der jruhen Christenheit. Untersuchungen zu Form, Sprache und Stil der jruhchristlichen Hymnen. Ottimo lavoro, che mette bene in evidenza il genere letterario di ciascun inno e il loro ambiente vitale. Forse insiste troppo nella distinzione tra "inni a Cristo" e "inni a Dio". A causa di tale rigida distinzione, per esempio, Ef 1,3-14 non rientra tra gli "inni cristologici". 7 The New Testament Christological Hymns. Their Historical Religious Background,
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Introduzione
nel 1972 quello di K. Wengst8 , nel 1983 R. P. Martin pubblica il suo studio su Fil 2,5-11 alla luce del culto della Chiesa primitiva9 e M. Hengel pubblica un denso articolo sugli "inni e cristologia"IO, nel 1984 K. Berger fa il punto della situazione della ricerca sugli inni in ANRff'lI. A questi studi generali sono seguiti molti altri contributi relativi a ciascun "inno cristologico" del NTI2. Bisogna riconoscere che essi hanno portato molta luce nel campo dell 'innologia e hanno contribuito a far conoscere il clima di preghiera della comunità primitiva. Aspetti storici degli inni del NT 1) Gli inni cristologici del NT
Di inni cristologici nel NT se ne trovano un po' dovunque: nella tradizione lucana, il Benedictus (Lc 1,68-79), il Nunc Dimittis (2,29-32); in quella giovannea, il Prologo (Gv 1,1-18) e alcuni inni dell' Apocalisse; in quella vicina a Paolo, gli inni di Ebr 1,3-4 e di 1Pt 2,21-25; 3,1820 13 • Ma è proprio in Paolo che si riscontra il numero maggiore di inni rivolti direttamente a Cristo o che lo pongono al centro della lode: Fil 2,6-11; Col 1,15-20; Ef 1,3-14; 2,14-18; 5,14 14 ; lTim 3,16 15 • Tutti questi inni sono nati da un bisogno concreto delle comunità cristiane primiche a mio parere insiste troppo sullo sfondo gnostico degli inni. 8 Christologische Formeln und Lieder des Urchristentums. Carmen Christi: Philippians 2:5-11 in Recent Interpretation and in the Setting 01 Early Christian Worship. Ottimo studio che, oltre a fornire una precisa analisi della forma e del contenuto di Fil 2,5-11, mette bene in luce molti aspetti del culto cristiano della Chiesa primitiva. IO "Hymns and Christology", 78-96; 188-190. Il "Hellenistische Gattungen im Neuen Testament", 1149-1169, che insiste troppo sulla comparazione con i modelli innici del mondo ellenistico-romano. 12 Per la bibliografia cfr l'esposizione dei singoli inni. 13 Oltre ai commentari, cfr G. Delling, UflVOç, 522-531; Hengel, Studies, 227-291. 14 Certamente sorge il problema di sapere se la Lettera ai Colossesi e la Lettera agi i Efesini siano paoline o deutero-paoline. La questione, a mio parere, non si può risolvere in maniera apodittica e tutti gli argomenti che si possono addurre sono tutti ipotetici e spesso di scarso valore argomentativo. Personalmente le ritengo autentiche (cfr Buscemi, Paolo, 244-256); invece, per portare un esempio, Fabris, La tradizione paolina, 97205, le ritiene pseudepigrafe (cfr comunque la mia recensione a quest'opera in Alltoll 72/2 (1997) 317-319). 15 Ef 5,14 e !Tim 3,16, più che inni, sono frammenti di inni c in quanto tali non saranno presi qui in considerazione. Ef 2,14-18 è molto discusso come "inno": alcuni non lo ritengono tale, altri restringono la fonna innica solo ad Ef 2,14-16. Ef 1,3-14 vIene considerato da molti, più che un "inno a Cristo", una "eulogia a Dio Padre".
Aspetti degli inni del NT
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tive di lodare la persona di Cristo, ammirata ed amata per tutto ciò che egli ha compiuto per noi all'interno dell'opera salvifica. L'inno è pertanto celebrazione ecclesiale dell' esperienza di salvezza, vissuta nel Signore morto e risorto e sempre presente tra i suoi. Non una rievocazione drammatico-entusiasta di un'azione salvifica passata, ma UIi grido potente della fede del credente che esperimenta nel Cristo Signore la salvezza, la liberazione, la santità, e proprio per questo il fedele canta e inneggia a colui che lo ha amato e ha dato se stesso per lui, innalza a lui la sua lode e il suo ringraziamento.
2) Testimonianze bibliche e storiche Di tale prassi ecclesiale è testimone lo stesso Paolo, che in 1Cor 14,26 scrive: "Quando vi riunite, ciascuno ha un salmo (\jfuì-Ilov), ha un insegnamento, ha una rivelazione, una lingua (= un discorso in lingua), ha un'interpretazione. Tutto però si faccia per l'edificazione". Il termine \jfaÀ.lloç certamente non può essere preso nel senso letterale greco, in quanto indica uno "strumento a corda", ma piuttosto designa un "canto di lode" e nella tradizione giudaico-ellenistica un "inno religioso" in generale l6 • Quindi, Paolo esorta i Corinzi a innalzare dei "canti" durante le assemblee liturgiche per l'edificazione della comunità l7 • Tale esortazione è confermata da Ef 5,19-20: "Lasciatevi riempire di Spirito, intrattenendo vi fra di voi con salmi, inni e cantici spirituali (Èv \jfuì-Ilo'iç Kuì UIlVOtç Kuì CÌlou'iç 1tvEUfluUKU'iç), cantando e inneggiando (~OOV'!Eç Kuì \jfaì-ì-ov'!Eç) di tutto cuore al vostro Signore, rendendo continuamente grazie a Dio e Padre nostro per tutte le cose, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo", e da Col 3,16: "La parola di Cristo dimori in voi abbondantemente, ammaestrandovi e ammonendovi a vicenda con ogni sapienza, cantando (~OOV'!Eç) nei vostri cuori a Dio' per la grazia ricevuta con salmi, inni e cantici spirituali (\jfuì-1l0tç Kuì UIlVOtç Kuì CÌlou'iç 1tvEUIlU'!l KU'iç)" 18. È difficile dire se i tre termini \jfaÀ.1l0t, UIlVOt e cPùui indi16 Cfr Schlier, 0311, 441-444; Delling, U)1VOç, 509-512; Hengel, "Hymns and Christology"', 78-79; Balz, IJIcxÀ)10ç, 495-496. 17 Cfr Barbaglio, La Prima lettera ai Corinzi, 733-736; Hengel, Studies, 267-270. 18 Da un punto di vista sintattico, in Ef 3,19 i tre tennini IJICXÀ)10Iç lCcxì u)1VOtç lCcxì 03cxlç 7rVEU)1CXnlCCXlç possono essere uniti ai participi precedenti: òlòaO'lCOV1:Eç lCcxì vOU9nO\lV1:Eç, come fa per esempio la Volgata: " ... in omni sapientia docentes et commonentes vosmetipsos psalmis, hymnis, canti cis spiritualibus, in grati a cantantes in cordibus vestris Deo". Il canto, pertanto, avrebbe una funzione catecheti ca e parenetica (cfr in questo senso anche Schlier, 03r\, 443-44; Deichgriiber, Gotteshymnlls lInd Christushymnlls, 188-196; Hengel, "Hymns and Christology", 94-95; Penna, Efesini, 223; Lincoln,
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Introduzione
chino tre tipi diversi di canto dell'assemblea liturgica; molto probabilmente essi indicano solo i vari canti religiosi che la comunità elevava a Dio o a Cristo l9 • L'importante è che, sotto l'impulso dello Spirit020, il cristiano deve esultare, esprimendo nel canto la gioia dell' essere stato salvato· da Dio, della grazia ricevuta da lui nel Cristo e per mezzo del Cristo. Ma non è soltanto, come già si è detto, un canto dettato da un entusiasmo passeggero e momentaneo, ma un entusiasmo che trabocca dal cuore e ha un rifles.so nella vita quotidiana: "E tutto ciò che fate, sia in parole sia in opere, fatelo tutto nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di lui" (Col 3,17)21. Unita a lui, compenetrata da lui, tutta la vita dei cristiani diviene un' eulogia, un inno, una liturgia di lode a Dio e a Cristo per le meraviglie del suo amore. La chiesa primitiva visse a lungo in tale entusiasmo carismatico e lo trasmise alle generazioni seguenti, tanto che Plinio il Giovane scriverà nel 119 d. C. all'imperatore Traiano: "(1 cristiani) sono soliti riunirsi in un giorno stabilito, prima dell'alba, per cantare alternativamente tra loro inni e lodi a Cristo quasi fosse un Dio; e si impegnano con un giuramento non già a commettere qualche delitto, ma a rifuggire da furti, assassini, adulterio; a non mancare alla parola data; a non appropriarsi indebitamente di beni loro affidati in custodia''22. La sensibilità morale dello stoico Plinio rileva perfettamente la coerenza tra la vita e la professione di fede dei primi cristiani, espressa nei loro inni. Giustino, nella sua Prima ApoloEphesians, 345-347). Ciò è insinuato, d'altra parte, dalIa precisazione di I Cor 14,26: "tutto si faccia per l'edificazione". Per il testo di Col 3,16 cfr Lohse, Le lettere ai Colossesi e a Filemone , 275-278; Harris, Colossians & Philemon, 166-170. 19 Cfr Hengel, "Hymns and Christology", 80-81; Balz, \jIa.À.J.lOç, 495. Rutenfranz, UJ.lvoç, 393, ritiene possibile che il testo voglia distinguere i \jIaÀ.J.loi, termine di origine biblica e per lo più indicante i "Salmi di David", dagli UJ.lVOl e ci>Oat, termini elIenistici e indicanti una lode alla divinità. Ma non credo che il tenore del testo possa favorire una simile ipotesi. 20 Con Schlier, ci>OiJ, 442-444, il quale giustamente fa osservare che tali canti non solo erano ispirati dallo Spirito, ma riempivano i fedeli delIo Spirito di Cristo, permettendo ad essi di ripetere il canto di lode di Cristo (cfr anche Schlier, La lettera agli Efesini, 388-392; Hengel, "Hymns and Christology", 81 e 91-93; Balz, \jIaÀ.J.loç, 495-496). 21 Schlier, Efesini, 391, ritiene che "l'assemblea liturgica" a cui si fa riferimento sia quella "eucaristica" e a tale interpretazione non si oppone il fatto che il cristiano deve "rendere continuamente grazie a Dio", perché l'eucaristia deve tradursi nelIa vita di ogni giorno. Per quanto suggestiva sia tale interpretazione, mi sembra che essa speculi troppo sul termine eUxaptm:E1v di Ef 5,20 (cfr anche Penna, Efesini, 224; Lincoln, Eph-
esians, 347). 22 Epistola X, 96,7; cfr anche le osservazioni di Hengel, Studies, 262-264.
Aspetti degli inni del NT
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gia23 , ci fa rivivere il clima della liturgia della Chiesa del I sec., modellata su quella della comunità primitiva, quando scrive: "E nel giorno detto del sole", dopo aver ascoltato le memorie degli apostoli e le scritture dei profeti e celebrata l'Eucaristia, "colui che presiede innalza preghiere e ringraziamenti e il popolo acclama pronunciando l'Amen". E ancor più significativo Tertulliano: "Ci riuniamo per leggere le Scritture Sacre ... e dare nutrimento alla fede con i nostri canti sacri: ci solleviamo a viva speranza, rafforziamo la costanza, la fiducia e, con tali pratiche continue, rinsaldiamo tutta la nostra condotta di vita"24. 3) All 'origine degli inni: una comunità orante Tali testimonianze bibliche ed extrabibliche, ci riportano tutte ad una comunità vivente, che trova il suo centro vitale ed esistenziale nella liturgia. L'ambiente in cui sono sorti gli inni è la liturgia, o me~li~ ancora la comunità che si raduna per ascoltare la Parola e le meravlghe della salvezza operata da Dio in Gesù Cristo Signore e, mos~i dallo Sp~to, proclamare nel canto la propria risposta di fede che cOInvolge la vlta. Non poteva essere differentemente, perché la comunità liturgico-primitiva è in continuità storica con le assemblee liturgiche giudaiche e da esse ha ereditato lo schema essenziale della liturgia: celebrazione della Parola: lettura della Scrittura e omelia, celebrazione delle meraviglie operate da Dio nel canto dei salmi e di altre composizioni liturgico-poetiche25 . Echi di tali usi liturgici cristiani si hanno in Lc 4,14-30; At 13,15-43 e altri testi della missione paolina. Ma la liturgia cristiana si differenzia essenzialmente da quella giudaica, perché è sempre celebrazione della Pasqua, memoria di ciò che Dio ha fatto in Gesù per il popolo della nuova alleanza, memoria dei gesti salvifici di Gesù nell 'ultima cena, gesti che preannunciavano la sua morte e resurrezione in riscatto per moltj26. E in quell' occasione Gesù aveva cantato con loro gli inni dell 'Haggada Pasquale, che in lui divenivano il canto della nuova Pasqua. Apologia I, 67,3-7. Apologeticum, 39,3, anche se il testo parla di "sacris voci bus", che alcuni traducono con "canti sacri" e altri con "parole sacre" (cfr anche Apologeticum, 39/19). 25 Certamente non ci riferiamo ai cosiddetti piyyut, inni religiosi delle Ve VI sec. d. C., ma all'ambiente del I sec., che conosce già gli Hodayoth di Qumran e altri canti religiosi (cfr Hengel, "Hymns and Christology", 89-91; Hengel, Studies, 239-262; Charlesworth, "A Prolegomenon", 265-285, che offre una lunga serie di "inni", anche se molti di essi, rispetto ai nostri inni, sono certamente assai tardivi). 26 Hengel, "Hymns and Christology", 89-91; Martin, "Hymns in the New Testament", 34-37. 23
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Introduzione
Molti studiosi si sono lambiccati il cervello per trovare l'ambiente vitale degli inni cristiani o trovarne la matrice culturale. E pur ammettendo quasi unanimemente la liturgia come ambiente vitale, hanno scomodato i miti gnostici o le credenze dell'ermetismo come matrice culturale degli inni neotestamentari, e molti li prendono sul serio. Ma la loro vera matrice è l'AT, alla luce del quale viene riletta la persona e il senso di Gesù per la Chiesa27 • In particolare essi sono una potente espressione del "mistero di Cristo", della sua preesistenza in Dio e della sua missione redentrice e universale nel tempo e nello spazio, che ha inizio nella sua morte, resurrezione ed esaltazione, che diviene trionfo e vittoria sulle potenze del male (peccato, mondo, carne, legge, elementi del mondo) e sulla morte ultimo nemic0 28 • 4) Inni prepaolini o paolini?
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Una tale descrizione della comunità cristiana primitiva rimane, nonostante tutto, molto vaga. Infatti, molti esegeti continuano a sostenere che gli inni cristologici, presenti nell'epistolario paolino autentico o deutero-paolino, sono tutti prepaolini. Ciò significa, in termini storici, che dobbiamo far riferimento alla comunità cristiana degli anni 30-50 d. C., cioè ad un periodo molto oscuro della storia del cristianesim029 • Il dato di 1Cor 14,26, il quale attesta che la comunità si raduna per celebrare l'agape e che durante tale raduno i suoi membri sono esortati a cantare dei \jf(XÀllOt, è da collocare verso gli anni 53-54 d. C.30 e quindi si riferisce ad una prassi databile verso gli anni 50-52. Ef 5,19 e Col 3,16 sono certamente più tardivi, sia che le due lettere, a cui appartengono, vengano considerate autentiche o pseudepigrafe31 . Ciò significa che l'unica fonte di riferimento rimangono solo gli Atti. Ma il resoconto degli Atti per ciò che riguarda il nostro periodo è spesso sotto forma di "sommario", per cui molti dati sfuggono ad una precisazione storica. Così, At 1,14 ci fa sapere che i membri della piccola comunità (circa 120 persone in base ad At 1,15) "erano assidui e concordi alla preghiera C'n] 1tpOcrEuxfj) con Maria, la madre di Gesù, e i suoi fratelli". Qualche Hengel, "Hymns and Christology", 90-91.94-96. Hengel, "Hymns and Christology", 81-88; Martin, "Hymns in the New Testament", 39-41. 29 Ciò è ammesso pacificamente da Hengel, "Hymns and Christology", 89; la maggioranza non si pone neppure il problema, anche se continua a parlare di "inni prepaolìni". 30 Cfr Buscemi, Paolo, 161 nota 38. 31 Per la mia posizione su tale argomento cfr Buscemi, Paolo, 244-256. 27
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Aspetti degli inni del NT
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dettaglio in più ci viene dal sommario di At 2,42-48: "Erano assidui nell' ascoltare l'insegnamento degli apostoli ('t'Q ùtOUX'Q 'trov (X1tO<noÀCOV)32 e nell'unione fraterna33 , nella frazione del pane ('t'Q KÀa<JEt 'tOu ap'tou )34 e nelle preghiere ('tu'ìç 1tpO<JEUXU'ìç) 35 .... Ogni giorno tutti insie32 Con il teonine didaché si intende non solo la nonnale predicazione degli apostoli, ma soprattutto la catechesi noonativa che illustrava il kerygma e lo adattava alla vita. Era, pertanto, un insegnamento che foonava ed educava la comunità. Ciascun membro della Chiesa trovava in esso il nutrimento e lo stimolo per crescere sempre più nella fedeltà alla Parola e nella propria testimonianza a Cristo nella forza dello Spirito. La fedeltà a tale insegnamento detenninava un rapporto speciale tra gli apostoli e i membri della comunità e una coesione di pensare e di sentire nella comunità. In ogni caso, la comunità viene caratterizzata da Luca come una comunità convocata dalla Parola, a tal punto che il confronto abituale con essa diviene un tratto indispensabile della vita comunitaria: al primo annuncio (kerygma) deve fare seguito la perseveranza all'insegnamento (didaché) degli apostoli, in modo da divenire a sua volta testimoni e trasmettitori della stessa Parola di salvezza. 33 Il teonine koinonia, in base al contesto e ai sommari di 4,32-35 e 5,12-16, si riferisce alla comunione dei beni e non tanto alla semplice "comunanza di vita tra i cristiani" (come sostiene Hauck, lCOtvffiVta., 724). Anche se i I quadro tracciato da Luca i n questi sommari è alquanto idealizzato, la comunità degli inizi nel suo fervore e anche per il suo forte orientamento escatologico ha vissuto realmente un atteggiamento di condivisione dei beni, che non ha nulla a che fare con l'idea romantico-idealistica del "comunismo" dei nostri tempi. Non partiva dall'idea di uguaglianza tra gli uomini, ma piuttosto era una conseguenza dell'amore reciproco, dell'''essere un cuor solo e un'anima sola"; non intendeva risolvere un problema socio-economico quanto un problema di identità cristiana, in cui tutti i membri sono partecipi di un unico corpo, quello del Cristo, la Chiesa, che nella condivisione dei beni coniugava unità e amore fraterno. 34 L'espressione spezzare il pane è stata intesa o in senso tecnico-cultuale come la celebrazione dell'eucaristia o in senso comunitario di una riunione conviviale tra i membri della comunità primitiva; in quest'ultimo caso sarebbe quasi una precisazione del tennine koinonia. lo credo che non è il caso di distinguere molto e quindi lo spezzare il pane può indicare !'insieme dell'agape fraterna, che prevedeva un pasto in comune e anche la celebrazione della Cena eucaristica (cfr ICor Il, 17 -34). Ciò non contrasta neppure con At 2,46, in quanto lo spezzare il pane in ciascuna casa può essere inteso nello stesso senso, perché già Paolo parlava in Rom 16,5; I Cor 16,19; Fm 2; Col 4,15 di diverse "comunità domestiche" e la Chiesa di Gerusalemme doveva essere composta sicuramente di tante di queste piccole "comunità domestiche" che spezzavano il pane. 35 Stando ad At 2,46 i membri della comunità primitiva di Gerusalemme "erano assidui nel frequentare ogni giorno tutti insieme il tempio". La maggioranza di tali membri erano di origine giudaica e quindi nulla di particolare che essi continuassero a frequentare da buoni giudei il tempio. Così, per esempio, Giovanni e Pietro all'ora nona "salivano al tempio per la preghiera" (At 3, l). Ma ciò non impediva loro di avere anche delle riunioni di preghiere comuni all'interno delle comunità domestiche, come attestano At 1,14.24-25; 4,24-30; 12,12; 16,5.40; 20,20. Ciò era dovuto a motivi pratici, ma si noti che non era l'ambiente che creava la comunità, ma al contrario era la comunità che si creava il suo ambiente di culto secondo i suoi bisogni concreti. Infine, bisogna osservare che tutta l'opera lucana è pervasa da questo spirito di preghiera, tanto che Luca
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Introduzione
me frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa (KÀroV'tEç; Ka't' olKov ap'tOv) prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio (aivouv'tEç; 'tòv 0EOV) e godendo la simpatia di tutto il popolo ... ". Il brano in se stesso e molti dei suoi elementi sono veramente interessanti per parlare di una "comunità orante" e che fa della "liturgia" il centro della propria vita quotidiana. Inoltre, è degno di nota il fatto che "l'i nsegnamento degli apostoli" è unito sia alla "frazione del pane" sia "alle preghiere", in quanto potrebbe testimoniare a favore della stretta unione tra catechesi (insegnamento dottrinale e parenetico), liturgia eucaristica, preghiera e canti di lode già a partire dalla "comunità primitiva gerosolimitana". Un altro dato di rilievo è l'atvouv'tEç; 'tòv 0EOV che, in base ad At 4,23-31, potrebbe essere un ottimo riferimento all' ~OOV'tEç; di Col 3,16 e all' ~OOY'tEç; Kaì \jIaUOV'tEç; di Ef5,19. Anche il riferimento all'unanime frequenza al tempio (cfr anche At 5,12b) ci parla concretamente di una comunità cristiana in stretta continuità storica con la "liturgia giudaica". Ciò è dimostrato anche dalla "breve liturgia comunitaria" di At 4,23-31, che alza la sua voce pregando con il Sal 2,1-2. Infine, mi sembra bene mettere in evidenza che la comunità cristiana, pur essendo in continuità con la matrice liturgico-giudaica, sviluppa contemporaneamente una propria "liturgia di lode a Dio". Di un certo rilievo è anche il testo di At 16,25, parallelo ad At 5,40-42, il quale narra che Paolo e Sila in prigione "pregando inneggiavano a Dio (7tpoO'Eul;oJ..lEVOl UJ..lVOUV 'tòv 0EOV)". Il testo non parla di una liturgia comunitaria, ma è interessante perché mette in stretta connessione il "pregare" e il "cantare con inni". Da ciò si può anche dedurre che la preghiera comunitaria di At 1,15; 4,42-48; 13,2-3 poteva anche includere degli inni e questi inni erano rivolti a Dio per tutto ciò che egli compiva per mezzo del "suo santo servo Gesù" (At 4,30; 5,41 )36. Non c'è bisogno di andare oltre in tale ricerca, in quanto ogni altro è definito "l'evangelista della preghiera": ciò significa che per Luca presentare la Chiesa come assidua nella preghiera era una necessità, in quanto corrispondeva alla sua visione teologica particolare. La preghiera, per lui, è un tratto specifico della comunità cristiana, che continua in sé la grande tradizione giudaica. 36 Comunque At 16,25 fa parte della descrizione della missione paolina nel mondo ellenistico-romano e quindi potrebbe riflettere un atteggiamento estraneo alla "comunità giudeo-cristiana" di Gerusalemme e più confonne a quello della "comunità ellenistica" di Antiochia. In ogni caso, credo che la comunità gerosolimitana abbia sviluppato anch' essa degli inni, anche se a carattere più messianico e sul modello dei salmi veterotestamentario-messianici (cfr anche Hengel, "Hymns and Christology", 90-93).
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riferimento ad Atti risulterebbe susseguente all'esortazione di l Cor 14,26. Comunque, i risultati ottenuti sono abbastanza indicativi e possiamo enuclearli così: l°) la comunità cristiana, proprio perché in continuità storica con il giudaismo, prega con i salmi (At 4,23-31) e forse con altri canti di lode (At 16,25)37; 2°) la preghiera è rivolta a Dio per tutto ciò che egli ha compiuto per mezzo del "suo santo servo Gesù" (At 4,30); 3°) la preghiera è il centro della vita quotidiana della "comunità cristiana" (At 1,14; 2,42-48) e la sorgente da cui promana la sua azione missionaria nella forza dello Spirito (At l3,2-3); 4°) tutte le "comunità cristiane" sono "comunità oranti": quella di Gerusalemme come quella di Antiochia (At 13,2-3), quella di Samaria (At 8,14-17) come quella di Damasco (At 9,14: "tutti quelli che invocano il tuo nome"), di Cesarea (At 10,24-48), di Corinto (14,26). Tutti pregavano però allo stesso modo? È difficile dirlo. Stando alla sezione di l Cor 11-14 e ai testi di Ef 5,19 e Col 3,16, sembra che le comunità paoline cerchino un loro modo di organizzare la preghiera. Proprio per questo, bisogna chiedersi a quale modello ecclesiale gli inni fanno riferimento. Rispondere: alla "c 0munità primitiva" è dare una risposta generica che non risolve per nulla il problema. Si potrebbe pensare alla "comunità giudeo-cristiana" di Gerusalemme, e molti lo pensano, ma stando ai testi degli Atti, questa comunità "pregava lodando Dio per tutto ciò che egli ha compiuto per mezzo del suo santo servo Gesù". È vero che in questa comunità risuonava il grido del Marana' la, che Paolo ha conservato gelosamente in l Cor 16,22 e che ha adottato per le sue comunità di stampo ellenistico, e si pregava con i "salmi messianici" (At 4,23-31)38, ma ciò non dimostra che nella comunità di Gerusalemme siano sorte delle forme inni che simili a quelle che troveremo più tardi nell'epistolario paolino. Ancor meno sappiamo delle altre comunità ecclesiali succitate: Samaria, Damasco, Cesarea, Antiochia. A tal riguardo, d'altra parte, mi sembra che sorga un altro problema. Paolo afferma in Gal 1,18-20 di essere salito a Gerusalemme "dopo tre anni" dalla sua "chiamata" e di essere rimasto colà solo" 15 giorni" e 37
Su questo punto confrontare l'interessante articolo di Charlesworth, HA Prolegomenon", 265-285. Comunque, pur condividendo la tesi di fondo dell'Autore, io credo che gli "inni" della tradizione paolina sono sotto influsso di "giudeo-cristiani ellenisti" residenti nelle città della Diaspora, a cui il Charlesworth non mi sembra che abbia prestato molta attenzione. 38 Hengel, "Hymns and Christology", 93-94.
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Introduzione
di aver avuto pochi contatti con i membri di quella comunità. At 9,2630 conoscono un soggiorno un po' più lungo: qualche mese e presentano Paolo piuttosto impegnato a polemizzare con gli "ellenisti" che a condividere la vita della comunità gerosolimitana39 • Partito da Gerusalemme, il punto di riferimento ecclesiale per Paolo diviene la comunità mista di Antiochia di Siria (cfr Gal 1,21-24; At Il,19-30; 13,1-3), una comunità molto attiva nel predicare la buona novella del Signore Gesù Cristo, tanto che i membri di essa per la prima volta furono chiamati "cristiani" (At 11,19-26)40. Tale fatto è molto importante a mio parere. A Gerusalemme, pur predicando "la buona novella del Signore Gesù", si continuava a frequentare il tempio, a recitare più volentieri i salmi in genere e quelli messianici in particolare, ma è ad Antiochia che la comunità cristiana per la prima volta rompe con gli schemi precedenti e si apre definitivamente al mondo pagano. A motivo di ciò, essa deve creare anche motivi nuovi di preghiera, schemi nuovi di liturgia comunitaria sotto l'azione dello Spirito. "I profeti e i maestri" la educano e la fanno vivere in un entusiasmo che non sembra quello di Gerusalemme, tanto è vero che "la notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, la quale mandò Barnaba ad Antiochia" e questi, quando "vide la grazia del Signore, si rallegrò e, da uomo virtu~so qual era e pieno di Spirito Santo e di fede, esortava tutti a perseverare con cuore risoluto nel Signore" (At 11 ,23-24). Questa è la "comunità primitiva" di Paolo, non tanto quella di Gerusalemme con la quale ebbe pochi e controversi contatti, come ne fa fede Paolo stesso in Gal 1,22: "Ma ero sconosciuto personalme.nte alle chiese della Giudea che sono in Cristo". Da essa egli ha motivato la predicazione di Gesù, quale Cristo e Signore4\, come risulta da At Il,19-26. Con la comunità di Antiochia egli celebra il "culto del Signore" (At 13,2), cioè il culto del "Signore Gesù Cristo". Stando ad At 8,1-4 elI, 19-21, i fondatori della comunità di Antiochia sono stati dei "predicatori cristiano-ellenisti". È molto importante sottolinearlo per due motivi: l°) perché il sotto fondo degli inni non è tanto l'AT in generale, quanto la tradizione sapienziale biblico-ellenisti39
Su questi testi e il loro valore storico cfr Buscemi, Paolo, 56-65.
40 Buscemi, Paolo, 74-77; per l'attribuzione del nome "cristiani" ai credenti della comunità di Antiochia cfr Buscemi, Paolo, 65 nota 59. In At 9, I 9b-22, la predicazione di Paolo a Damasco è ancora centrata su Gesù, i I Cristo, il Figlio di Dio; ad Antiochia invece sembra che la predicazione va oltre e proclama Gesù come Cristo e Signore (At Il,19-26), che sono certamente i titoli più ricorrenti del kerygma paolino.
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ca, letta nella fonna conferitagli dalla LXX; 2°) perché, seguendo tale tradizione sapienziale, la comunità di Antiochia rilegge i titoli cristologici della comunità primitiva gerosolimitana: Cristo, Signore, Figlio di Dio, con schemi nuovi adatti all'ambiente fortemente ellenizzato di Antiochia e delle comunità della missione ai gentili 42 • Tali motivi, a mio parere, spiegano da una parte la continuità della tradizione su Gesù, quale Messia, Signore e Figlio di Dio, dall'altra anche l'introduzione di nuovi titoli attribuiti a Cristo, che in qualche modo approfondiscono quelli antichi. Ora, a mio parere, tutto ciò non poteva avvenire a Gerusalemme, dove si erano arroccati in un "tradizionalismo" che non pennetteva molti cambiamenti, come fanno fede At 11,1-18: Pietro deve difendersi della "novità" di aver imposto le mani sui gentili; 15,1.5: i giudeocristini provenienti dal fariseismo pretendono che tutto si svolga "secondo la legge di Mosè"; 21,17-25: Giacomo è estremamente orgoglioso che "migliaia di giudei sono venuti alla fede e tutti sono gelosamente attaccati alla legge", per questo esorta Paolo a mostrarsi "zelante della legge" dinanzi ad essi. Ad Antiochia si respira una diversa impostazione comunitaria: guidata dai profeti, la comunità apre le porte ai pagani divenendo una comunità mista (cfr Gal 2,1l-14a), prega nello Spirito e da esso riceve il comando di estendere la missione a tutto il mondo ellenistico attraverso l'azione di Paolo e Barnaba. Ora, stando a Gal 2,7-9, i criteri della missione di Paolo non erano certamente quelli di Pietro e dei "notabili" di Gerusalemme. Ciò significava che nelle zone di influsso paolino, pur predicando lo stesso kerygma di base, si aveva uno schema diverso di predicazione e di costituzione delle comunità43 • Per questo, l'invito di lCor 14,26, e quelli più tardivi di Col 3,16 ed Ef 5,19, sono un dato storico fondamentale per comprendere l'urgenza di dotare Ciò è messo in evidenza anche da Hengel, "Hymns and Christology", 93-96. Stando ad At 14,23; 20,17.28, anche nelle comunità paoline gli "anziani" sono preposti alle singole comunità quali capi, pastori del gregge, episcopi e facenti funzioni dell'apostolo. È chiaro che ciò fa sorgere un problema: Paolo nelle sue lettere nomina molti ministeri: profeti, maestri, episcopi, evangelisti, ccc., ma non nomina mai degli "anziani". Quindi, la notizia sulla loro istituzione nelle comunità del "primo viaggio missionario" da un punto di vista storico risulta poco sicura. È probabile che Paolo e Barnaba abbiano lasciato dci responsabili nelle comunità di Antiochia di Pisidia, di Lystra e Iconio. Luca, non avendo notizie certe c volendo dare loro un nome, li ha indicati con quello comune della comunità-madre di Gerusalemme e forse divenuto comune anche nella sua chiesa. D'altra parte, è possibile anche che il tennine possa essere tradizionale, almeno per le comunità di Antiochia di Pisidia c di !conio, i cui membri i n buona parte provenivano dalla sinagoga (cfr Buscemi, Paolo, 92 nota 97). 42
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le assemblee ecclesiali di schemi nuovi di preghiera: gli "inni" della tradizione paolina nascono in queste comunità e per queste comunità. Con ciò, è vero, non si può affermare apoditticamente che questi inni siano di Paolo. Da una parte, però, mi sembra che fanno giustizia del facile "prepaolinismo" che gli si vuole attribuire44 , dall'altra rendono probabile il loro "paolinismo", dato che l'apostolo era solito offrire personalmente dei modelli di comportamento ai suoi discepoli e alle sue giovani comunità. Comunque, il "paolinismo" degli inni potrebbe essere concepito o in maniera stretta: tutto deriva da Paol045 o in maniera larga: egli ha offerto una traccia e i suoi discepoli l'hanno sviluppata. In ogni caso, l'influsso di Paolo su tali inni è talmente forte che non vi sono motivi letterari e teologici e cristologici per parlare di "prepaolinismo". Così, per esempio, per quanti sforzi si facciano per mettere in evidenza degli hapax-legomena o delle formulazioni rare in Pao~, bisogna riconoscere che essi non sono un motivo sufficiente per dichiararli "prepaolini": il vocabolario raro in una composizione poetica o in una prosa ritmata è quasi una necessità. Allo stesso modo, la teologia di fondo degli inni è quella paolina e, se qualche elemento può sembrare derivato dalla tradizione giudeo-cristiana, cosa possibile, esso è però talmente amalgamato con gli altri elementi da risultare nuovo nella sua interpretazione. A causa di ciò, mi sembra sterile e del tutto inutile parlare di "prepaolinismo": l°) perché della letteratura cristiana degli anni 30-50 non sappiamo nulla; 2°) perché Paolo è stato, insieme a Barnaba ed altri "profeti e dottori", elemento-chiave della formazione della comunità primitiva di Antiochia e quindi anche della preghiera che in essa E ciò vale non solo per gli "inni", ma anche per molte altre fonnule che, pur trovandosi solo nell'epistolario paolino e deutero-paolino, vengono classificate come "prepaoline", senza però dame alcuna prova. Spesso ciò avviene perché alcune di queste fonne pongono qualche problema non tanto al testo paolino in se stesso, ma all 'impostazione logico-interpretati va dell'esegeta che tratta il testo. Così accade che una stessa fonnula viene considerata "paolina" da un esegeta e "prepaolina" da un altro e entrambi si dichiarano sicuri della loro attribuzione. In ogni caso, però, l'elemento più sacrificato è il testo e la sua collocazione storica. 45 Non so se Paolo fosse dotato di una "vena poetica", ciò a mio parere è poco importante, in quanto gli inni della tradizione paolina non vanno giudicati da un punto di vista strettamente poetico, ma dai contenuti che ci propongono. Inoltre, anche se si trattasse di una "prosa ritmata", credo che Paolo, in quanto retore, sarebbe stato capace di poter scrivere simili inni. Qualsiasi retore antico, infatti, cercava di dare al suo parlare un certo ritmo (o cursus) che fosse gradevole agli orecchi dei suoi uditori. E una lettura che per lo più veniva fatta a voce alta - non risultava gradita, se l'autore dello scritto non gli avesse impresso un detenninato ritmo consono all'argomento. 44
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si svolgeva; 3°) perché solo nelle comunità di tradizione paolina, in questo periodo storico, troviamo questo tipo di "inni cristologici", basati, più che sull' interpretazione messianica dell'A T, sulla tradizione profetica di Is 52,13-53,12 o su quella biblico-sapienziale dei testi di Proverbi, Sapienza e Siracide. Quelli di lPt 2,21-25; 3,18-20 ed Ebr 1,34; l Tim 3,16, pur essendo di tradizione paolina, rispecchiano un momento differente di tale tradizione; mentre quelli della tradizione giovannea (Vangelo ed Apocalisse) sono molto tardivi e con una concezione teologica e cristologica diverse. Forma e funzione degli inni della tradizione paolina A chi legge queste ricchissime composizioni di fede, può sorgere un legittimo dubbio: si tratta veramente di inni? Abituati come siamo ai nostri canti ecclesiali, belli o brutti che sono, difficilmente riusciamo a pensare agli inni del NT come a composizioni di tipo poetic046 . Anche la comparazione con i salmi e gli inni de II ' AT, redatti d'altronde in ritmi e criteri poetici molto lontani dai nostri gusti, ci lascia perplessi, tanto che gli studiosi preferiscono parlare più che di "inni" di "prosa ritmata"47. Inoltre, bisogna tener conto che essi non esistono in forma autonoma, ma sono stati inseriti o in una dimostrazione dogmatica o in una parenesi, cosa che ha potuto determinare dei cambiamenti, per accomodarli al senso letterario del nuovo contesto. Ciò obbliga l'esegeta a studiare la forma e la funzione degli "inni" sia del NT in genere che quelli della tradizione paolina in particolare.
1) Inni o prosa ritmata Certamente è molto difficile stabilire, con criteri di metrica poetica, delle strofe ben precise48 . Per rendersene conto, basta vedere i tentativi degli studiosi di dividere i grandi inni di Ef 1,3-14; Fil 2,6-11; Col 1,152049 . Comunque, si notano in essi un certo ritmo, assonanze e parallelimi di frasi, comuni nella poesia di ogni tempo, come in lTim 3,16: "Quegli che fu manifestato nella carne / fu giustificato nello Spirito; I 46
La divisione degli inni della tradizione paolina in stanze ben precise e uguali è un adattamento liturgico che ha poco riscontro nel testo originale. 47 Cfr Rigaux, Saint Paul et ses lettres, 184-186. 48 Hengel, "Hymns and Christology", 88. Tentativi più o meno riusciti sono stati fatti per ciascun inno, ma con scarsi risultati e spesso anche forzando il testo. 49 Rimando all'esposizione di ciascun inno.
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apparve agli Angeli I fu predicato alle nazioni; Il fu creduto nel mondo, I fu assunto nella gloria"; o come in Col 1,15-17: "Egli è immagine del Dio invisibile, I primogenito di ogni creatura, I poiché in lui furono create tutte le cose Il visibili o invisibili, I siano Troni o Dominazioni, I siano Principati o Potestà. I Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. II Ed Egli è prima di tutte le cose I e tutte le cose in lui hanno consistenza I ed Egli è il capo del corpo, della Chiesa". È innegabile che esempi come questi non possono essere classificati come "prosa normale"; c'è in essi qualcosa che eleva il tono della composizione e che li distingue decisamente dal contesto in cui si trovano. Così, in primo luogo, gli studiosi si sono sforzati di enucleare alcuni criteri per mettere in evidenza queste forme inniche50 : l°) L'uso del pronome dimostrativo a1YtOç (cfr Ef 2,14) o del pronome relativo pregnante oç (cfr Fil 2,6; Col 1,15), che fungono da elemento di transizione e di collegamento con ciò che precede. È possibile che gli inni, se essi sono precedenti alla composizione delle lettere che li contengono, avessero all'inizio il nome del personaggio di cui si tessono le lodi, cioè "Cristo Gesù" o il "Signore Cristo Gesù". 2°) L'uso di hapax-legomena o di un vocabolario raro, ricercato, ieratico e spesso unico all'interno della lette~a in cui si trovano. Così, per esempio, i termini EiKroV e 1tpOnOKOç in Col 1,15-20; o il termine eiPrlVll in Ef 2,14-18. 3°) L'uso del parallelismo antitetico in Fil 2,6-8 119-11, quello simmetrico in Col 1,15-16 1118-20, quello inclusivo in Ef 2,14-18 e quello progr.essivo di Ef 1,3-14. 4°) L'uso del ritmo (cfr Fil 1,9-11; Col 1,15-16), dell'anafora (Col 1,15-16a Il 1,18b-19), dell'epifora (cfr Col 1,16; Ef 1,3-14), dell'assonanza, delle ripetizioni, delle inclusioni, chiasmi ed altri fenomeni linguistici che, se non appartengono totalmente allo stile innico, spesso sono usati con l'intento di creare ritmo o un movimento differente da quello della prosa normale. 5°) L'uso delle frasi participiali (cfr Fil 2,7-8; Ef 1,3-14; 2,14-18; Col 1,18-20), che permettono un fraseggiare più sintetico e quindi più consono allo stile innico. 6°) L'uso abbondante del pronome dimostrativo a1YtOç nei casi obliCfr per esempio Rigaux, Saint Pau/ et ses /ettres, 184-196; Martin, "Hymns, Hymn Fragments, Songs", 420-421; Bailey - Vander Broek, Literary Forms , 76-82.
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qui, che crea collegamenti tra le varie parti ed è spesso determinante per la caratterizzazione cristologica dell'inno. r) Infine, non tutti gli inni hanno lo stesso genere letterario: Ef 1,314 si presenta sotto la forma dell' eulogia a Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo; Fil 2,6-11 come una riflessione teologica sull 'umiltà di Cristo alla luce dello schema biblico dell 'abbassamento-glorificazione del Servo di Jahvé; Col 1,15-20 ed Ef 2,14-18 hanno la forma dell'encomio a Cristo per la sua opera di salvezza51 •
2) Funzione ecclesiale degli inni Data la collocazione attuale degli inni all'interno delle diverse lettere, io credo che essi assumono una duplice funzione: una immediata e una originaria. Quella immediata è da determinarsi in base ai brani che contengono gli inni. Così, Ef 1,3-14, posta all'inizio della lettera agli Efesini, dove normalmente Paolo pone o una dossologia o un ringraziamento, assume la funzione di un'apertura solenne, consona al grande impianto teologico di questa lettera; Fil 2,6-11 si aggancia all' esortazione di 2,5 e anche alla serie di esortazioni che si trovano in Fil 1,27-2,18, quindi la sua funzione immediata è parenetica; Col 1,15-20 ed Ef 2,1418 sono invece agganciate a delle argomentazioni dottrinali e quindi assumono un carattere argomentativo all'interno delle pericopi che li contengono. In base a tutto ciò, la funzione di questi inni sembra piuttosto di carattere didattico-esortativo. Più difficile è determinare la funzione originaria dei quattro inni della tradizione paolina52 • È molto probabile che essi siano stati composti in primo luogo nella liturgia per acclamare Cristo, quale Signore e Salvatore della comunità. Precisare di più è entrare nel campo dell' opinabile. Così, c'è chi fa riferimento alla liturgia battesimale o a quella eucaristica; oppure come forn1e espanse di homologhie che mettono in evidenza il ruolo fondamentale di Cristo nella vita del cristiano. In ogni caso, il carattere cristologico degli inni è certamente fuori dubbio ed è il principale elemento di queste composizioni. Essi inneggiano a Cristo e di lui presentano particolarmente il suo ruolo nella creazione e nella redenzione, la sua preesistenza, incarnazione ed esaltazione, il suo ruolo Deichgriiber, GotteshYl1llllls 1I1ld ChristushYl1lllllS, 21-23.24-44.106-117. Cfr soprattutto Martin, '"Hyl11ns, Hyl11n Fragl11ents, Songs". 421-422; Hengel, '"Hyl11ns and Christology", 94-96, che sostiene s,110 il carattere didattico-cristologico degli inni. 51
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di pacificatore universale del cosmo e della chiesa, di capo che stabilisce la nuova creazione e l'uomo nuovo. Tale cristologia, inoltre, è fortemente congiunta con la teologia: si inneggia a Cristo "a gloria di Dio Padre". Ciò avviene chiaramente in Fil 2,6-11, dove è Dio che esalta Cristo quale Signore dell 'universo e tutte le creature confessano il suo nome "a gloria di Dio Padre" (Fil 2,11); in Col 1,15-20 abbiamo un'espansione del ringraziamento al Padre che ci ha stabiliti nel regno del suo Figlio diletto (Col 1,12-13), per questo il Cristo è l'immagine del Dio invisibile (Col 1,15) e per mezzo di lui il Padre riconcilia a sé le cose che sono sulla terra e nel cielo (Col 1,20); in Ef 1,3-14 l'azione salvifica di Dio Padre è talmente predominante che qualche esegeta lo vorrebbe considerare come una "eulogia a Dio Padre"; in ogni caso al cuore della teologia di Ef 1,3-14 ci sta proprio la cristologia e questa è "a lode della gloria di Dio Padre" (Ef 1,6.12.14); infine, in Ef 2,14 Cristo è la nostra pace per riconciliarci al Padre (Ef 2,16) e perché possiamo avere accesso a lui (Ef 2,18). A questi motivi principali si aggiungono negli inni anche dei motivi soteriologici, ecclesiologici e antropologici, che noteremo a suo tempo all'interno dell'esposizione di ciascun inno. Piano e metodo del lavoro
La struttura di questo nostro lavoro è semplice: prevede solo quattro capitoli riguardanti i quattro inni principali della tradizione paolina. Non vengono trattati invece i frammenti di Ef 5,14 e di lTim 3,16, che, pur offrendo degli elementi cristologici interessanti, sono però troppo parziali per avere uno sviluppo cristologico coerente: i loro contributi verranno inglobati qua e là nella trattazione degli altri inni. Ciascun inno, in primo luogo, sarà approfondito esegeticamente secondo il metodo storico-critico e quello strutturale; segue, poi, l'approfondimento teologico di tipo narrativo più che sistematico, che porrà in evidenza soprattutto la cristologia e la teologia e all'interno di esse anche i motivi soteriologici, ecclesiologici e antropologici che ciascun inno presenta.
CAPITOLO I
FIL 2,6-11 UMILIAZIONE ED ESALTAZIONE DI CRISTO
Egli che, pur essendo nella forma di Dio, non stimò come un bene da sfruttare a proprio vantaggio l'essere uguale/alla pari con Dio, ma svuotò se stesso prendendo la forma di schiavo, divenendo simile agli uomini; ritrovato anche nell 'aspetto esterno come un uomo, umiliò se stesso divenendo ubbidiente fino alla morte, la morte di croce. Perciò anche Dio lo ha superesaltato e gli ha conferito il nome che (è) sopra ogni nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi dei celesti, dei terrestri e subterrestri, e ogni lingua professi: Signore (è) Gesù Cristo, a gloria di Dio Padre. Analisi letteraria
1) Contesto Fil 2,6-111 è uno dei testi del NT più studiati e variamente interpretat02. In esso, la cristologia raggiunge uno dei vertici dottrinali più significativi e celebra con tocchi ben rifiniti il cammino di abbassamento volontario di Cristo e la sua esaltazione a Signore universale del cosmo. Fil 2,6-11 comunque, in base al suo contesto, si inserisce in una serie di esortazioni che Paolo3 in Fil 1,27-2,18 rivolge ai fedeli di Filippi: a) 1,27-30: state saldi in un solo spirito per la fede nel Vangelo; b) 2,1-4: concordi nell'unità dell'aIl presente studio riproduce con alcune leggere modifiche un mio precedente contributo: "Umiliazione ed esaltazione di Cristo", L'ancora nell'unità di salute XII (1997) 123-143. 2 Per la bibliogratia su Fil 2,6-1 I cfr Kiisemann, "Kritische Analyse von Phil. 2,5-11 ", 5195; Feuillet, "L'Hymne christologique", 352-353); Heriban, Retto .ppoVEiìv, 15-28. 3 Per l'attribuzione di Fil 2,6-1 I a Paolo o alla comunità cristiana prepaolina o a qualche comunità giudeo-cristiana o gnostica cfr soprattutto Feuillet, "L 'hymne christologique", 481-507; Martin, Carmen Christi., 42-62; 315-319. Personalmente ritengo che sia paolino sia dal punto di vista dello stile che da quello dottrinale (vedi Introduzione, pp. 5-10).
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Capitolo I
more e dei sentimenti; c) 2,5-11: abbiate gli stessi sentimenti di Cristo; d) 2,12-18: solleciti per la propria salvezza. In tale schema contestuale, Fil 2,6-11 rappresenta la migliore chiave di lettura del brano: guardando all'esempio di Cristo, i cristiani debbono rimanere saldi nella fede e lavorare indefessamente per il Vangelo, rimanere uniti e concordi nell'amore di Cristo Signore, lavorare con timore e tremore per la propria salvezza in modo da risplendere come astri nel mondo. Tutto, quindi, parte da Cristo e dal suo esempio di perfetta ubbidienza. In lui, il cristiano trova la sua salvezza e i motivi per lasciarla operare in se stesso e nei suoi rapporti con la comunità cristiana e il mondo esterno. 2) Delimitazione della pericope
Fil 2,6-11, pertanto, appartiene alla suddivisione di Fil 2,5-11, come dimostra il relativo oç del v. 6, che si riferisce a "in Cristo Gesù" del v. 5. Così, Fil 2,6-11 porta avanti l'esortazione di "avere in noi gli stessi sentimenti di Cristo". D'altra parte, proprio il relativo pregnante oç pone una leggera cesura tra l'esortazione e lo sviluppo di essa attraverso l'esempio di Cristo Gesù. La cesura è stabilita: l°) dal cambio del soggetto: dalla 2° persona plurale dell'esortazione, i cristiani, alla 3° persona singolare della relativa, il Cristo Gesù; 2°) dal cambio del modo: dall'imperativo dell'esortazione all'indicativo della relativa, che descrive l'abbassamento e l'esaltazione del Cristo; 3°) dal cambio dello stile: dal discorso parenetico alla forma dell'inno o della prosa ritmata; 4°) dal cambio tematico: dall'umiltà che i cristiani debbono coltivare per raggiungere l'unità del sentire all'umiltà del Cristo che si è abbassato per noi e a motivo di essa è stato esaltato. Così, il v. 5 funge da cerniera: da una parte riprende il contenuto essenziale delle esortazioni di Fil 1,27-30: state saldi in un solo spirito per la fede del Vangelo, e di Fil 2,1-4: concordi nell'unità dell 'amore e dei sentimenti; dall'altra, fa avanzare le due esortazioni dando ad essi il fondamento dell'esempio di Cristo. Fil 2,5-11 così risulta composta di due parti: a) 2,5: ripresa formale e contenutistica dell'esortazione a rimanere saldi, concordi e uniti negli stessi sentimenti; b) 2,6-11: l'esempio di Cristo come fondamento della vita cristiana, comunitaria e di testimonianza al mondo (Fil 2,12-18). La suddivisione di Fil 2,6-11, poi, trova il suo completamento in 2, Il, in quanto il v. 12 introduce una nuova suddivisione con un "cosicché", che, facendo leva sull'esempio di Cristo, invita (ritorno dell'imperativo) i cristiani (cambio di soggetto rispetto a 2,6-11) a lavorare con impegno per la propria salvezza e a testimoniare a tutti la Parola della vita che li
Fil 2,6-11
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fa risplendere come astri nel mondo. La suddivisione, pertanto, è stabilita: l°) in base al ritorno della forma dell'imperativo; 2°) dal cambio del soggetto: di nuovo i cristiani; 3°) dal cambio del tema: operare con timore e tremore obbedendo alla Parola e testimoniando la con la vita in mezzo al mondo. 3) Genere letterario
Fil 2,5-11, nel suo insieme, è un'esortazione, come indica l'imperativo della frase principale reggente: "abbiate gli stessi sentimenti"; da essa dipende tutto il carattere di Fil 2,5-11. Vista però in dettaglio, la pericope assume due caratteri differenti: il v. 5 ha la forma propria dell'esortazione, mentre i vv. 6-11 hanno una forma innica o di prosa ritmata. Più precisamente, Fil 2,6-11 ha la forma neotestamentaria di un "inno a Cristo", le cui caratteristiche principali sono: l) la frase relativa introduttoria (cfr Col 1,15; 3,16b; Ebr 5,7-10; lPt 2,22-24); 2) il ritmo, creato attraverso il fraseggiare asciutto, il vocabolario alquanto ricercato, il parallelismo dei membri di frase, l'assonanza verbale; 3) poco uso delle particelle di connessione, ma molto uso dei participi congiunti; 4) uso dell'antitesi letteraria, molto cara a Paolo, per creare movimento e progressività nelle idee; 5) la dossologia finale. 4) Struttura letteraria 4
A. vv. 6-8: l'abbassamento volontario ed estremo del Cristo Gesù 1)
v.
6: la condizione preesistente del Cristo oç f.V 1l0pQl1J eeou U1t<XPXrov OUX ap1tuYllòV i)Y1lO'uw 1:Ò EtVUt tO'u eE
B. vv. 9-11: l'esaltazione del Cristo
1) v.9: esaltazione e dono del nome ÒtÒ Kat Ò 8EÒç aÙ1:òv U1tEp{nj1roaEv Kat Exaptaa1:o aù1:4) 1:Ò ovolla 1:Ò U7tÈp m'Xv ovolla,
2) v. lO: l'adorazione del Cristo '{va EV 1:4) òvollan '!lì aou m'Xv yovu KUIl'l'l) E7tOUpaVtrov Kat Em yEtrov Kat Ka1:ax8ovtrov
3) v. Il: homologhia e dossologia Kat 7tuaa y'Aroaaa ESoll0'AoY1lalì1:at 01:t KUpWç Tr1aouç Xpta1:òç Eiç 80sav 8wG 7ta1:poç.
Osservazioni sulla struttura a) Fil 2,6-11 si divide in due parti: formalmente, per la congiunzione metabatica: ÒtÒ Kat del v. 9; grammaticalmente, per il cambio del soggetto: in 2,6-8 il soggetto agente è Cristo Gesù, mentre in 2,9-11 il soggetto è Dio Padre; contenutisticamente, per il cambio tematico: dal tema dell'abbassamento di Cristo in 2,6-8, si passa in 2,9-11 alla sua esaltazione. b) Le due parti sono divisibili in 3 stichi ciascuno: IO) vv. 6-8: I stico (v. 6): presenta la condizione preesistente di Cristo, delineata in forma inclusiva (EV 1l0p<j>i] 8eou U7tUPXrov - 1:Ò etvat 'iaa 8E4)); II stico (v. 7abc): descrive in antitesi (à'A'Au) e attraverso una frase indipendente affermativa e due participiali dipendenti congiunte modali la kenosis del Cristo nell'incarnazione; III stico (vv. 7d-8): mostra ancora in maniera inclusiva (cfr le due participi ali congiunte) l'estremo grado della kenosis nell'obbedienza fino alla morte di Croce.
Fi/2,6-11
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2°) vv. 9-11: I stico (v. 9): presenta l'esaltazione di Cristo (v. 9a), che si realizza nel conferimento del nome (v. 9b), un nome che è al di sopra di ogni altro nome (v. 9c); II stico (v. lO): è composto da una frase finale, che, attraverso diverse accentuazioni stilistiche (prolessi: v. IOa ed iperbato: v. IIc), descrive l'adorazione del nome di Gesù (v. IOb); III stico (v. Il): il versetto è formato da una frase finale coordinata (v. Ila), che introduce la confessione di fede del nome: Gesù Cristo è il Signore (v. Il b), e tale confessione è a gloria di Dio Padre (v. llc). I vv. 9-11 sono costruiti in perfetta inclusione letteraria, determinata dall'uso del termine 9E6ç all'inizio e alla fine della suddivisione. 3°) Le due parti sono costruite stilisticamente in maniera abile e compatta: formalmente si trovano racchiuse in un'inclusione letteraria stabilita attraverso il termine 9E6ç, che ricorre all'inizio e alla fine di tutta la pericope (v. 6a Il 11c); contenutisticamente sono in antitesi: abbassamento (vv. 6-8) - esaltazione (vv. 9-11); stilisticamente esse sono costruite, sia nel loro insieme che all'intemo delle singole parti, secondo la figura retorica del climax. Così, nella I Parte si può notare il progredire della kenosis del Cristo: stato preesistente, incarnazione, obbedienza fino alla morte in Croce; nella II Parte il progredire dell'esaltazione: esaltazione e dono del nome, adorazione, proclamazione di fede: Signore è Gesù Cristo. Analisi esegetica
v. 6: oç év llOpcj>fj 9EO'U l>1t<XpXrov: il relativo greco oç può essere interpretato, in base al contesto, in diversi modi: l°) come un semplice relativo ("il quale"): si aggancia al nome che precede e ne offre una descrizione; 2°) come un relativo pregnante: cioè include in sé un pronome dimostrativo o personale: "Egli che"; stabilisce, quindi, come una piccola cesura con ciò che precede e dona alla frase una certa enfasi; 3°) come un dimostrativo: "questi" e più liberamente: "Egli"5. Anche se questa terza ipotesi snellisce il testo, di fatto però stacca troppo l'inno dalla parenesi a cui è intimamente legato. Per questo credo che sia meglio adottare la seconda possibilità, in quanto lascia intatto il valore del relativo, dà più enfasi all'affermazione paolina e mantiene il collegamento stretto con la parenesi. In ogni caso. il riferimento è al Cristo Gesù e ai suoi sentimenti: egli è il modello unico del cristiano. 'Ev I.lOpcj>fj 9Eou l)1ux.PXrov: "pur essendo nella forma di Dio". Nel greco BDR,293,3bc.
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la frase è espressa attraverso una proposizione participiale congiunta di valore concessivo con aspetto duraturo continuo di uno stato di essere o esistere: "pur essendo"6. 'Ev /loP1ì ewù: èv + dativo indica lo stato in luogo figurato con termini astratti: la condizione nella quale Cristo si trovava; oppure un locativo circostanziale di modo: la modalità dell'essere di Crist07. MopiJ: il termine greco ha: l°) un senso proprio: "forma o apparenza esteriore", "condizione", "modo di essere o di esistere"8, sottolineando la condizione in cui si trova o si manifesta o l'aspetto proprio di un determinato essere animale, umano o divino; 2°) un senso filosofico: una "forma" in quanto percepibile, la figura di un essere o di un concetto; 3°) in senso religioso: l'immagine o la forma esterna con cui una divinità appare; ma può indicare anche la condizione in cui si trova la divinità. È chiaro che Paolo, non condividendo le concezioni pagane sulla divinità, non ha usato il termine né in senso religioso né in senso filosofico. Pertanto, il senso oscilla tra "forma" e "condizione". L'ultimo senso mi sembra il migliore. 0wù: può essere o un genitivo adnominale possessivo: "la forma o il modo d'essere proprio di Dio" o un genitivo adnominale qualitativo: "la forma o il modo d'essere divino". In base a tale esegesi, l'espressione participiale indica la preesistenza del Cristo Gesù nella sua condizione divina. OÙX ap1taY/lòv i]yiJcra1:o: "non stimò .... come un bene da sfruttare a proprio vantaggio (lett.: preda)": in italiano tutta questa perifrasi sta al posto della frase idiomatica greca ap1taY/lòv i]yE1creai 'H = "considerare qualcosa come un proprio vantaggio"9. "L'essere uguale/alla pari con Dio": è il "qualcosa" (oggetto diretto di "stimare") che il "Cristo preesistente non considerò come una rapina o un proprio vantaggio (predicato dell'oggettO)"IO. Tò Etvm lcra eEql: l'infinito sostantivato presente esprime qui solo l'aspetto e quindi l'idea verbale in generale II, più precisamente esprime l'aspetto durativo continuo del permanere del Cristo nella sua condizione di Mateos, El aspecto , 133; Fanning, Verbal Aspect, 411-412. Buscemi, Preposizioni, 58.64; BDR, 219,4. Per il senso preciso da dare al tennine, oltre ai dizionari, cfr Behm, /.IOP òvo/lan 'IllO'ou: la preposizione Èv in quest'espressione assume o un senso strumentale (ebraismo): "con la menBDR,254,1. Da um:p con l'idea di "eccesso" (Buscemi, Preposizioni, 99; Howard, A Grammar, Il, 327) + il verbo denominativo fattivo UIjIOW = "innalzare" = "innalzare oltre misura/oltre il limite") = in senso intensivo perfettivo: "esaltare", esaltare immensamente", "superesaltare" (Bertram, uIjIOW, 793-81 I). 29 Il verbo Xapiçol-lat ha qui un senso più forte di quello di "donare"; quindi è meglio interpretarlo nel senso di "conferire" (cfr Conzelmann, xaptç, Xapiçol-lat, GLNT, XV, 590, anche se non riesco a comprendere perché in 2,9 il termine sia prepaolino, dato che il termine nel NT appare solo 20 volte, di cui 13 in Paolo e 7 in Luca). 30 Cfr il senso della preposizione um:p + ace., che prende qui il senso metaforico di "superiorità" e un'idea sottintesa di "comparazione": "al di sopra" (BAGD, Lexicon, ad vocem um:p 2; BDR, 230; Buscemi, Preposizioni, 99). ]I Cfr Gnilka, Filippesi, 220-222; Heriban, Retto I/IPOVl'lV, 331-334.
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Fil 2,6-11
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zione del nome di Gesù" o temporale: "mentre si nomina/nel professare il nome di Gesù"32; forse meglio questo secondo senso: tutti gli esseri, appena si nomina il "nome" che Dio ha attribuito a Gesù 33 , debbono prestare il segno dell'adorazione. nav yovu Ka~1\"1:J: "ogni ginocchio si pieghi"; è una metonimia: la parte per il tutt034, in quanto "tutto l'essere" dei celesti, dei terrestri e dei subterrestri si deve piegare dinanzi a Gesù per adorarlo. 'E1tOUpaVtffiV KaÌ, ÈmyEtffiV KaÌ, Ka'tax90vtffiV: "dei celesti, dei terrestri e dei subterrestri": l'espressione, un efficace iperbato (il complemento di specificazione staccato dal suo nome reggente), indica la totalità degli essere, il cosmo intero. L'adorazione di Gesù, elevato alla "dignità divina", deve essere universale. v. 11: KaÌ, 1tacra yìdòcrcra ÈSOI-LOÀOy"crrl1:at on: "e ogni lingua professi". È una proposizione finale-consecutiva coordinata. nacra yÀoocra: altra metonimia: "tutto l'essere" dei celesti, dei terrestri e dei subterrestri, per mezzo della "lingua", proclama la "signoria" del Cristo. 'ESOI-wÀoy,,crrrrat: in senso intensivo perfettivo tecnico, "confessare", "proclamare", "riconoscere"; è seguito qui da un cm recitativo, che conferisce più enfasi a ciò che segue. La homologhia è una professione di fede, una proclamazione cultuale e quindi va resa con "lodare", "celebrare", "proclamare lodando". Questo senso sembra il migliore, dato che il nostro testo letterariamente dipende dalla formulazione di Is 45,23 (LXX): "a me si piegherà ogni ginocchio e ogni lingua proclamerà lodando Dio". Allora, la proskynesis e la homologhia hanno un solo fine: la proclamazione della "Signoria di Gesù Cristo"35. Kuptoç 'Il'lcrouç Xptcr'toç: la frase è ellittica per enfasi e quindi va integrata nelle nostre lingue. Con essa l'inno raggiunge il punto massimo del climax dell'esaltazione e in conseguenza anche dell'antitesi con la kenosis di 2,6-8. In tal modo, l'affermazione che Gesù Cristo è il "Signore" illumina l'espressione "il nome che (è) sopra ogni nome" di 2,9: il nome che Dio ha conferito a Gesù Cristo è "Signore". Tale nome appartiene solo a Dio ed esprime la sua "dignità, autorità e potenza divina". Cristo, ricevendo tale nome, è reso partecipe di tale "dignità, autorità e potenza divina". Per questo tutto il cosmo deve proclamarlo e prostrarsi dinanzi a lui. Abbiamo qui BAGO, Lexicol1, ad vocem OVOJ.HX 1,4cg; Thayer, Lexicol1, ad vocem ovolla 1-2; BOR, 206,2,4. 33 'l'lcWU è un genitivo adnominale possessivo o di detenninazione personale. 34 BOR, 495,4; Smyth, Greek Grammar, 3033. 35 Heriban, Retto rjJpovt:ìv, 351-357. 32
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una proclamazione di fede della comunità, che viene estesa a tutto l'universo, il quale per volere di Dio è reso partecipe a tale lode. Eiç ooçav eeou 1tu'tpoç: "a gloria di Dio Padre": indica lo scopo o il fine della proclamazione36 della Signoria di Gesù Cristo: essa ha come ultimo destinatario Dio stesso, il Padre del Signor nostro Gesù Cristo. Analisi tematica
L'analisi letteraria precedente mi sembra che evidenzi in Fil 2,6-11 soprattutto tre linee di contenuto: uno schema teologico ben definito: abbassamento-esaltazione, linea portante e progressiva di tutto l'inno, un'accentuazione evidente sul dato cristologico e infine un'orientamento teologico che dà senso e coronamento sia allo schema di base come anche alla cristologia tutta protesa "alla gloria di Dio Padre". 1) Lo schema biblico-teologico dell'abbassamento-esaltazione
Particolare interesse è stato riservato dagli studiosi allo sfondo storicoreligioso dell'inno, determinandone la struttura formale e i contenuti teologici. È vero che sono state fatte molte proposte a tale riguard037, ma quelle che hanno avuto una certa rilevanza sono tre, provenienti da un ambiente biblico e giudaico, il più consono ad un testo neotestamentario: a) il carme del Servo di Jahvé di Is 52,13-53,12; b) la tipologia di Adamo-Cristo o Satana-Crist0 38 ; c) la tradizione apocalittico-sapienziale del Figlio dell'uom039 o della Sapienza divina40 • Senza escludere nessuna di queste ipotesi,
36 Smyth, Greek Grammar, 1686; Humbert, Syntaxe, 519; Buscemi, Preposizioni, 44; BAGD, Lexicon, ad vocem etç4f. Cfr il quadro tracciato da Heriban, Retto IPpoviìv, 131-134, specialmente la nota 87. 38 Si tratta di un parallelismo tipologico di contrasto: i cristiani non debbono avere né l'atteggiamento di Satana né quello di Adamo, ma quello di Cristo. A mio parere, però, tale rapporto antitetico è insufficiente a spiegare lo sviluppo progressivo di Fil 2,6-11 e soprattutto lo schema essenziale: abbassamento volontario - esaltazione da parte di Dio. Neppure l'idea gnostica dell'«Adamo primordiale» riesce a spiegare l'idea teologica di fondo del nostro inno. Anche se riesce a spiegare il tema dell'abbassamento volontario, non credo che l'idea del "redentore redento" collimi con il tema dell'esaltazione del Cristo e della sua Signoria universale. 39 Il paragone con il Figlio dell'uomo della profezia apocalittica di Dan 7,13-14 è molto suggestivo e spiega molto bene il tema della preesistenza del Cristo e la sua esaltazione. Il Figlio dell'uomo, però, non si spoglia affatto della sua dignità, né si umilia volontariamente fino alla morte. In altre parole, manca nel parallelismo lo sviluppo progressivo antitetico: abbassamento-esaltazione. La stessa cosa bisogna dire riguardo al parallelismo con la Sapienza divina: può avere qualche contatto con alcuni elementi dell'inno, ma è certamente
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dato che ciascuna a suo modo può portare una certa luce al testo di Fil 2,6Il, mi sembra chiaro che lo schema teologico più completo lo offre Is 52,13-53,1241 , uno dei testi più utilizzati e meditati dalla comunità primitiva42 • Ciò significa che tra Fil 2,6-11 e Is 52,13-53,12 non bisogna ricercare tanto la concordanza letterale, quanto piuttosto lo schema biblico di fond0 43 : umiliazione volontaria del Servo di Jahvé fino al sacrificio di se stesso - esaltazione dello stesso Servo da parte di Dio. Tale concordanza schematica in primo luogo la si nota tra Is 53,2-9 e Fil 2,7 -8: entrambi parlano dell' abbassamento e umiliazione rispettivamente del Servo di Jahvé e di Gesù Cristo, ma mentre il testo isaiano si dilunga a descrivere le sofferenze del Servo, il testo di Fil 2,7-8 li tratteggia con rapidi tocchi e con un crescendo molto ben rifinito, che va dalla preesistenza del Cristo alla sua incarnazione e alla sua umiliazione fino alla croce. In ogni caso, l'elemento comune essenziale tra i due testi non sta nella descrizione dell'abbassamento, ma nella libera volontarietà di tale abbassamento. Così, del Servo di Jahvé è detto: "egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori" (Is 53,4), "la nostra iniquità" (53,11), "consegnò se stesso (la sua vita) alla morte". In Filippesi, Paolo insiste su tale abbassamento volontario del Cristo: "svuotò se stesso" (Fil 2,7), "umiliò se stesso" (Fil 2,8). Il parallelismo è certamente stretto, tanto che qualche esegeta stabilisce un'equivalenza tra l'espressione di Is 53,12: "consegnò se stesso alla morte" con "svuotò se stesso" di Fil 2,7, così da pensare che in Fil 2,7-8 non si parli tanto dell'incarnazione, ma della morte sacrificale di Cristo. Da un punto di vista filologico, la cosa è possibile, ma non credo che il parallelismo tra i due testi debba essere spinto fino ai dettagli formali
insufficiente a spiegare la dinamica dell 'inno, come riconosce lo stesso Feuillet che l'ha proposto. 40 Una buona esposizione di questi tentativi esegetici la si può trovare in Feuillet, "L 'Hymne christologique", 352-380; Heriban, Retto rppovElv, \3 1-162. 41 Qualche esegeta ha mostrato con molto zelo le differenze esistenti tra il testo paolino e il testo isaiano, ma in verità non ha mostrato con altrettanto zelo le somiglianze tra i due testi, in particolare lo schema teologico di fondo. A tale riguardo mi sembrano molto indicativi gli studi di Dupont, "Jésus-Christ dans son abaissement", 426-437; Feuillet, "L 'Hymne christologique", 356-365; Heriban, Retto rppOVElV, 145-162. 42 Cfr Dodd, Secondo le Scritture, 92-100. 43 Cfr in questo senso anche Murphy O'Connor, "Christological Anthropology", 45-46; Marcheselli Casale, "Cristo Gesù Signore", 361-379, anche se mi sembra un po' troppo drastica la sua conclusione: "Fil 2,6-11 può implicitamente alludere al servo di 1s 52,1353,12 e solo a livello tematico".
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e a negare le evidenti differenze di contenut044 • Il confronto, a mio parere, deve rimanere solo a livello di schema teologico: Cristo, come il Servo di Jahvé, ha volontariamente abbassato se stesso al punto da non "considerare un vantaggio la sua uguaglianza con Dio" (2,6) nella sua condizione divina preesistente, da "svuotare se stesso prendendo la forma di servo e divenendo uomo" (2,7) nell'incarnazione, da "umiliare se stesso" in un'ubbidienza spinta fino al sacrificio di se stesso nella morte di Croce (2,8). Allo stesso modo, anche Fil 2,9-11 trova una corrispondenza a livello di schema teologico. La sola concordanza verbale tra {nv6ro di Is 52,13 e ù1tCpu\jI6ro di Fil 2,9 non credo che sarebbe sufficiente per stabilire un qualsiasi rapporto letterario. Ma tale parallelismo, se è letto alla luce dello schema generale, assume grande rilevanza nel confronto. Così, come all'umiliazione volontaria del Servo di Jahvé segue la sua esaltazione da parte di Dio (ls 53,12), allo stesso modo in Fil 2,9-11 il Cristo è sovraesaltato da Dio e riceve un "nome" che gli conferisce la dignità divina (Fil 2,9), tanto da ricevere l'adorazione di tutti gli esseri del cosmo (Fil 2,10) e la proclamazione universale della sua Signoria (Fil 2, Il). Di tutti questi elementi non c'è alcuna traccia in Is 52,13-53,12, ma l'idea dell'esaltazione conseguente all'abbassamento e all'umiliazione volontaria è comune a tutti e due gli inni. E inoltre, sembra essere uno schema molto caro a Paolo, che lo applica con molta spontaneità e lo può variare con altrettanta libertà in 2Cor 8,9 e in altri testi 45 • 2) Cristologia funzionale di Fil 2.6-11
Non c'è dubbio, Fil 2,6-11 è un inno cristologico, una proclamazione di fede del ruolo centrale di Cristo nella vita del cristiano e una celebrazione liturgica di Cristo Signore. Si tratta di un vertice della confessione della fede cristiana primitiva che con immediatezza e profondità mette in evidenza i tratti fondamentali della cristologia neotestamentaria: preesistenza, incarnazione, sacrificio volontario e Signoria universale di Crist046 • Così, qualche esegeta (Dupont, "Jésus dans son abaissement", 509-512; Feuillet, "L'Hymne christologique", 359-362) vorrebbe riferire "svuotò/annientò se stesso" non tanto all'incarnazione, ma al "sacrificio di Cristo"; credo però che questa idea è più legata a Fil 2,8 e non a 2,7. Inoltre, è inutile voler trovare in Fil 2,7 l'idea dell'incarnazione alla maniera dei nostri trattati dogmatici. Tutte le fasi del mistero di Cristo: preesistenza, incarnazione, morte sacrificale, sono viste in maniera sintetica e funzionale. 45 Cfr Dupont, "Jésus dans son abaissement", 509-512. Cfr anche Mt 23,12; Lc 14,11; 18,14. 46 Cfr in questo senso anche Cullmann, Cristologia, 271-280 (in particolare p. 278); Schnackenburg, "Cristologia", 392-408. 44
Fil 2,6-11
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a) La preesistenza di Cristo Si potrà discutere a lungo se l'immagine del Cristo preesistente tratteggiata da Fil 2,6-11 abbia come modello la figura dell "'uomo celeste" della dottrina giudaica dei "due Adamo" (cfr 1Cor 15,49), del Messia pre~sisten te delle tradizioni rabbiniche47 o forse meglio le speculazioni biblico-ellenistiche sulla "sapienza" (Prov 8,22-31; Sap 7,22-8,l; 9,1-18; Sir 24,1-30). Nessuna ipotesi può essere esclusa, ma mi sembra più probabile che su questo punto Paolo si sia servito del modello biblico-sapienziale, anche se da un punto di vista formale non è escluso un accostamento all'''Adamo celeste", come dimostra il fatto che Paolo continua a parlare di "forma". In ogni caso, tutti questi paralleli dimostrano solo una cosa: l'idea di preesistenza non è estranea al mondo concettuale e religioso del tempo di Paolo. Ma ciò che mi sembra più importante è il fatto che Paolo non parla di preesistenza di Gesù, ma di preesistenza divina di Gesù. Fil 2,6, a tal riguardo, ha delle espressioni inequivocabili. Gesù, prima della sua kenosis volontaria, era "nella forma di Dio" (èv IlOPD 8COù), "era uguale/alla pari a Dio" ('tò et v<Xt '{crcx 8cci)). Le due espressioni sono sinonime, ma la prima indica la "condizione divina" di Cristo, la seconda il suo rapporto speciale con Dio. In tal senso, Cristo prima dell'incarnazione, aderendo al 8ÈÀll11CX del Padre (cfr Gal 1,4; 4,4-5.7), non considerò un vantaggio il ritenere la sua condizione divina e il suo rapporto speciale con il Padre. Di più: obbedendo (Fil 2,8) al disegno del Padre, "svuotò se stesso", non perdendo la sua "natura divina", ma spogliandosi della sua condizione e del suo rapporto speciale con il Padre. Tutto ciò mi sembra confermato anche dal fatto che Paolo non tratta in maniera diretta della preesistenza di Cristo, ma in maniera funzionale, cioè orientata verso il raggiungimento di un obiettivo da portare a compimento. Per questo, egli ha stabilito un rapporto stretto tra il v. 6 e il v. 7, come dimostra la costruzione participiale congiunta concessiva: "pur essendo" (im:apXffiv) del v. 6a, l'infinitiva oggetto del v. 6c ('tò etv<Xt '{crcx ecci)) dipendente dalla frase idiomatica greca ap1tcxYllòV "Yelcr8cxt "Cl e anche dalla congiunzione avversativo-progressiva CxÀÀa del v. 7. Tutto il contenuto del v. 6 è orientato all'espressione "svuotò se stesso" (Émnòv èKÈVfficrcV) e indica allo stesso tempo la ferma decisione del Cristo preesistente di assumere la nostra natura umana per portare a compimento il disegno del Padre.
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Cfr Manns, "Un Hymne Judéo-chrétien: Philippiens 2,6-11", 18-42.
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b) L'incarnazione di Cristo Fil 2,7 ha il suo centro portante nell'espressione "svuotò se stesso" (Èaw'Còv ÈlcÉvcooev), come dimostra la costruzione sintattica e il contenuto di tutto il versetto. Di più: tutta la prima parte dell'inno (vv. 6-8) è caratterizzata da questa kenosis di Cristo. Ed essa è vista come una nuova "condizione". Paolo non insiste sul concetto negativo di svuotamento, ma attraverso le due participiali congiunte modali del v. 7 ci indica come questa kenosis è avvenuta. In primo luogo, "prendendo la forma di servo" (/.lOp
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a) Il ruolo di Dio Padre Purtroppo non si insiste molto su questo dato fondamentale della teologia paolina48 • Eppure, basterebbe rileggere un po' tutti gli inni paolini, per rilevare il ruolo determinante del Padre nell'''economia del mistero". Per Paolo, il Padre è la causa agente originante dell'''economia del mistero della salvezza". È lui che "ci ha prescelti prima della fondazione del mondo, perché fossimo santi e immacolati al suo cospetto nell'amore" (Ef 1,4), "ci ha predestinati alla figliolanza adottiva (Ef 1,5) e all'eredità (Ef 1,11) dei santi nella luce (Col 1,12) per mezzo di Gesù Cristo, secondo il beneplacito del suo volere" (Ef 1,5.11), ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà: di "ricapitolare tutte le cose in Cristo, sia quelle celesti, sia quelle terrestri" (Ef 1,9-10), ci ha gratificati nel suo Diletto, donandoci la redenzione e la remissione dei peccati (Ef 1,6-7; cfr Col 1,13-14). È il Padre che ha sovraesa1tato Gesù e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome (Fil 2,9): in lui ci ha benedetti con ogni benedizione (Ef 1,3), ci ha liberati dalla potestà delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore (Col 1,13), lui che è immagine del Dio invisibile e Signore a gloria di Dio Padre (Fil 2,11). Di più, l'azione di Cristo ha un fine ultimo ben preciso: "riconciliarci a Dio in un solo corpo" (Ef 2,16), "divenire abitazione di Dio" (Ef 2,22), avere "accesso al Padre ed essere così concittadini dei santi e familiari di Dio" (Ef 2,18-19). Per questo ogni cristiano deve "crescere nella conoscenza di Dio" (Coll,IO), ringraziarlo (Col 1,12) e benedirlo: "Benedetto sia Iddio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nei cieli ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale in Cristo" (Ef 1,3). In Fil 2,9-11 tale teologia è messa molto bene in evidenza sin dalle prime battute. Il Padre, infatti, "superesalta" Gesù "conferendogli il nome". L'esaltazione di Gesù, infatti, ha la sua origine nella dynamis del Padre, nella sua iniziativa, che guardando all'obbedienza umile ed estrema di Gesù si compiace di lui e lo innalza donandogli la sua stessa dignità divina. Con ciò non si vuoI dire che Gesù non possedesse tale dignità, ma che Dio gli restituisce quella "condizione divina", quell "'essere alla pari di Dio" di cui egli, per compiere la volontà del Padre, si era "svuotato". Anzi, con una ardita trasposizione cristologica, il Padre lo "superesalta" donandogli come Xaplç; la sua stessa dignità di Signore e impone a tutte le creature del co48 Cfr Lyonnet, "La Sotériologie paulinienne", 841-858; Romaniuk, L 'amour du Père et du Fili', 153-235; Alonso Schoekel, "La Rédemption oeuvre de solidarité", 449-472; Buscemi, "Libertà e Huiothesia", 117-119.
Fil 2,6-11
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smo (2,1O-lla) di adorare il Cristo Gesù esaltato dalla sua potenza (cfr Rom 1,4) e di professare nella fede: "Gesù è il Signore" (Fil 2,11). In tal modo, il Cristo non solo è innalzato, ma è anche intronizzato come sovrano universale di tutti gli esseri del cosmo, dinanzi al quale tutti devono piegare le ginocchia e tutti devono professare la sua Signoria universale. Di più: dato che il testo di Fil 2,10-lla sembra fare riferimento ad Is 45,23, tale adorazione e homologhia diventano anche celebrazione liturgica del "Cristo Signore dell 'universo". b)"A gloria di Dio Padre" Come tutto ha origine dal Padre, così tutto ha come fine la gloria del Padre. Letta alla luce di ICor 15,20-28, tale dossologia afferma in maniera inequivocabile un'idea molto cara a Paolo: "la gloria del Padre" è la finalità ultima di tutto l'evento salvi fico stabilito dal Padre e portato a compimento dall'obbedienza umile di Gesù, il culmine verso cui tutta l'esistenza di Gesù è orientata. La sua kenosis volontaria e la sua esaltazione hanno un solo scopo: la "gloria di Dio Padre". Così, mi sembra che tale dossologia finale dell'inno vada riferita in primo luogo a tutto l'inno e solo dopo all'adorazione e alla homologhia del cosm0 49 , che professando la "Signoria di Gesù" riconosce l'opera salvi fica del Padre e gli rende "gloria".
4) Il senso della parenesi di Fil 2,6-11 L'inno di Fil2,6-11 è parte integrante di una parenesi sull'unità nell'amore e nei sentimenti e soprattutto ad avere "gli stessi sentimenti del Cristo Gesù". Parenesi che propone Cristo come modello della comunità cristiana, un esempio non solo da seguire ed imitare, ma da porre come fondamento ad ogni relazione interpersonale e comunitaria. L'esempio di profonda umiltà e di piena disponibilità del Cristo diviene la base portante del vivere cristiano, un modo di attuare in pienezza la prop.ria fede nel Vangelo (Fil 1,27-30), di promuovere la concordia dei sentimenti nell 'amore reciproco (Fil 2,1-4) e dell'essere solleciti nel cammino della salvezza (Fil 2,12-18). Tutto parte da lui e tutto ha senso in lui, secondo la grande intuizione che Paolo suggerisce in Fil 1,21: "Il mio vivere è Cristo". Ma l'inno non suggerisce solo quest'aspetto parenetico. Esso preesisteva a questa parenesi e cantava in maniera mirabile la via percorsa da Cristo per obbedire al Padre e per manifestare il suo amore ai fratelli. Pertanto, l'inno delinea un cammino di umiltà, di obbedienza, di donazione piena e 49
Cfr in questo senso Gnilka, Filippesi, 229.
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radicale al volere del Padre. Un cammino a prima vista tutto in discesa, tutto orientato al fallimento e alla morte. Ritornano alla mente le parole di Sap 5,4: "Ecco colui che noi una volta abbiamo deriso e che stolti abbiamo preso a bersaglio del nostro scherno; giudicammo la sua vita una pazzia e la sua morte disonorevole". Ma è stata "la follia dell'amore" che ha fatto sì che Gesù scegliesse di spogliarsi della sua condizione divina e assumesse la condizione umana dei suoi fratelli e l'obbedienza totale al Padre per portare a compimento il suo disegno di amore e di grazia. L'inno, pertanto, diviene contemplazione in primo luogo del mistero di Cristo, ma anche canto a Colui che per amor nostro sacrificò se stesso e lode al Padre che lo ha innalzato quale Signore del nostro vivere e sentire.
CAPITOLO II COL 1,15-20 CRISTO, IMMAGINE DEL DIO INVISffiILE
Egli è l'immagine del Dio invisibile, primogenito di ogni creatura, poiché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili, sia Troni sia Dominazioni, sia Principati sia Potestà; tutte le cose sono state create per opera di lui e in vista di lui. Ed egli è prima di tutte le cose e tutte le cose in lui sussistono; egli è anche il capo del corpo, cioè la Chiesa. Egli è principio, primogenito di tra i morti, affinché sia sempre primo in tutte le cose (per ottenere il primato su tutte le cose), poiché in lui si compiacque di far abitare tutta la pienezza e per opera di lui riconciliare tutte le cose a sé (o in vista di lui), facendo pace per mezzo del sangue della sua croce, per opera di lui, sia le cose che sono sulla terra sia le cose che sono nei cieli. Analisi letteraria
1) Contesto
Non c'è dubbio che l'inno abbia inizio con il relativo pregnante oç, che enfaticamente continua la parenesi di Col 1,9-13 1 dandogli un fondamento cristologico (cfr Fil 2,1-5.6-11). Ma esso, proprio perché relaCon Aletti, Colossiens 1.15-20, 11-20, anche se ritengo che la pericope non sia un "rendimento di grazie" o un prolungamento del "rendimento di grazie" di 1,3-8, ma un "invito" o un'''esortazione'' a lasciarsi riempire della conoscenza della volontà di Dio e a corrispondervi con sapienza spirituale e gratitudine a colui che ci la liberati e immessi nel regno del Figlio del suo amore (Col 1,9-14). In tal senso, mi sembra che vada anche la sintassi del brano con tutte le sue proposizioni finali (ivcx + cong in 1,9; infinito finale in l, l O; e tutti participi congiunti di valore finale di l, l 0-12, sia che li si faccia dipendere dal verbo di "movimento comportamentale" 1tI:'pmcx'tllcrCX\di l, l O o dal verbo 7tÀllProell'tE di 1,9), con cui Paolo invita i suoi fedeli di Colossi a determinati comportamenti rispetto al mistero del piano salvi fico di Dio. In tale prospettiva, l'inno riveste un'importanza fondamentale, in quanto illumina l'orientamento del cristiano verso quel "regno del Figlio" a cui Dio lo ha reso partecipe.
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tivo, si riallaccia ad un sostantivo che lo regge: all'espressione genitivale "del Figlio del suo amore" di Col 1,13. D'altra parte, in 1,13 il soggetto è "Dio Padre" (cfr 1,12) e in 1,14 "noi" che "nel Figlio del suo amore" abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati. In 1,15 il soggetto cambia e rimane fisso fino ad 1,23: è "il Figlio del suo amore", immagine del Dio invisibile e primogenito di tutte le cose create (1,1518a), inizio e primogenito di tra i morti, in cui abita la pienezza e in cui tutte le cose sono riconciliate (1, 18b-20), che riconcilia anche i pagani, perché anch'essi siano santi e irreprensibili al suo cospetto (l,21-23). Così, il contesto immediato dell'inno è la pericope 1,9-23 2 e Col 1,1520, da una parte, precisa l'espressione "il Figlio del suo amore" di 1,13 dando un fondamento cristologico all'esortazione di 1,9-13, centrata sull'azione salvifica del Padre3; dall'altra, offre un appoggio anche all'applicazione parenetica (cfr il Kat consecutivo) di 1,21-23, rivolta alla comunità di Colossi, i cui membri in maggioranza provenivano dal paganesimo. 2) Delimitazione della pericope L'inno ha inizio in 1,15 per due motivi: a) il pronome relativo enfatico oç, che da una parte porta avanti il discorso e dall'altra crea una sospensione per porre enfaticamente l'accento sul nuovo soggetto della frase: "il Figlio del suo amore"; b) lo stile differente: si passa dalla prosa piana di Col 1,9-13 ad una prosa ritmata; dai participi congiunti di Col l, l 0-124 agli indicativi di 1,15-20. La conclusione dell'inno, poi, bisogna porla in Col 1,20, dato che nel v. 21 ritorna lo stile piano dell'esortazione, che viene introdotta con un Kat consecutivo: "e così"5.
Cfr anche Fabris, "Inno cristologico (Col 1,15-20)", 498-499. Deichgraber, Gotteshymnus und Christushymnus, 78-82, vede in Col 1,12-14 un inno a Dio Padre, strettamente unito a quello di Col 1,15-20, un allargamento delle affermazioni cristologiche contenute in 1,12-14. A mio parere, è difficile dire se Col I, I 214 sia un inno, anche se ha un andamento di prosa ritmata; in ogni modo, il legame che unisce i vv. 12-14 con 1,15-20 è un po' tenue. Il v. 14, infatti, potrebbe essere benissimo la conclusione di questo ipotetico inno di 1,12-14, mentre l'inno di 1,15-20 è certamente un allargamento redazionale fatto dall'autore della lettera. 4 Alcuni esegeti considerano questi participi come "imperativali". In verità, tutti i participi di Col I, 10-12 sono dei participi congiunti: o di valore modale strumentale, che esplicano il "camminare in maniera degna del Signore" di I, IO, o di valore finale, dipendenti da un verbo di movimento, che mettono in rilievo lo scopo da raggiungere con il "camminare in maniera degna del Signore" (I, I O). 5 Per il Kui consecutivo, cfr Zerwick, Graecitas, 455, p. 154.
Col 1,15-20
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3) Genere letterario In base a ciò, ColI ,15-20 può essere classificato in senso largo come un "inno"6 o come una "prosa ritmata"7, che inneggia a Cristo attribuendogli diversi titoli. Come altri "inni cristologici neotestamentari", le sue caratteristiche principali sono: 1) la frase relativa introduttorÌa (cfr Fil 2,6-11; Ebr 5,7-10; 1Pt 2,22-24); 2) il ritmo, creato attraverso un fraseggiare asciutto, un vocabolario alquanto ricercato, il parallelismo dei membri di frase, le assonanze verbali; 3) poco uso delle particelle di connessione: o'n, Et 'te, Kai, '{va, e degli articoli con i termini che caratterizzano il soggetto dell'inno; 4) ripetizione di Kai e di Et 'te, per creare la progressione delle coppie di sostantivi; Dato, poi, che l'inno è inserito nell 'insieme della pericope di Col 1,923, esso condivide in qualche modo il carattere esortativo della pericope. È vero che, facendo leva sul participio 1tpoO"euxo/levot di 1,9 e sul participio euxaptO"'touv'teç di 1,12, si può ipotizzare un carattere "doxologico" del brano, ma nell'insieme Col 1,9-23 rimane a mio parere un'esortazione a "camminare in maniera degna del Signore". Inoltre, anche se l'inno è collegato con Col 1,12-14, bisogna precisare che questi versetti dipendono dal participio congiunto modale o finale euxaptO"'touv'teç di 1,12, che precisa o il modo o lo scopo del "camminare in maniera degna del Signore". Così, essendo l'inno un allargamento cristologico del v. 14, esso partecipa al carattere esortativo della pericope a cui appartiene. Così, Coll, 15-20, pur essendo un inno di lode a Cristo, un encomio a colui per opera del quale e nel quale siamo stati creati e salvati, all'interno di ColI ,9-23 riveste un carattere anche esortativo. 4) La struttura di Col 1,15-20 Sono state proposte molte strutture, ma differiscono tra loro solo per una divisione bipartita o tripartita della pericope8 e per la disposizione di alcuni dettagli del test0 9 • Inoltre, pochi esegeti trattano direttamente la Così, per esempio, Benoit, "L'hymne christologique", 229-231; Sanders, The New Testament Christological Hymns, 1-5; Aletti, Colossiells 1,15-20, 3-6; 118-120; Baugh, "The Poetic Fonn of Coll, 15-20", 227-244; Fabris, "Inno cristologico", 499. 7 Con Bruce, "Colossians Problems", 99-111. Fa eccezione la struttura quadripartita di P5hlmann, "Die hymnische AllPriidikationen in Kol 1,15-20", 53-74; e quella quintopartita di Masson, Colossiens, 105; e di Hugedé, Colossiens, 48-49. 9 Per una presentazione critica delle principali strutture letterarie proposte cfr Robinson, "A Fonnal Analysis", 270-287; Gabathuler, Jesus Christus, Haupt der Kirche
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struttura letteraria in se stessa; in genere, essa è coniugata con la ricerca della sua forma redazionale e del suo sfondo letterario lO. Per quanto ciò sia interessante, credo che nello stabilire la struttura di Col 1,15-20 il testo vada trattato e compreso nella sua formulazione definitiva e attraverso tutti gli elementi strutturali che possono aiutarci a comprendere meglio la sua linea di pensiero ll • Comune, poi, a tutte le strutture è il parallelismo: oç Ècrnv ... on Èv a:lJ'teP di 1,15-16 e 1,18b-19. Esso, poi, è rafforzato dal ripetersi del termine 1tpro'tO't01Wç in 1tpro'tO't01Wç 1taÀi} (l, 18a), àpxi! (l,18b), npò nav'Lrov (l,17a), '{va yÉvllWt ... npro'tt:urov (l,18d). 2) Anche la suddivisione della pericope non è difficile a stabilirsi ed è basata su elementi formali e contenutistici: a) Lo schema oç ÈaÀ1Ì wl) crro~awç -rfìç ÈKKÀllcriaç: "ed egli è il capo del corpo, cioè la Chiesa". Anche se il versetto potrebbe ricevere diverse interpretazioni (cosmologiche, ecclesiologi che)46, il suo senso è chiaro: Cristo non solo è all' origine e dà consistenza al cosmo, ma soprattutto egli è colui che lo domina, lo determina e lo dirige47 . Il termine greco KE<j>aÀrl, infatti, designa il punto più elevato di una persona, di un animale, di un monte; ma può 41 Feuillet, Le Christ Sagesse de Diell, 213, scguendo l'opinione di S. Basilio, Lightfoot c Lohmcycr, pensa che l'aù,oç fan v sia uguale ad Eyro Eif.l\ di Gv 8,58, mettendo in risalto l' csscre eterno del Cristo rispetto al divenire delle creature. 42 Cfr Ic buonc osscrvazioni di Feuillet, Le Christ Sagesse de Diel/, 214-216. 43 Cfr Rocci, Vocabolario greco, ad vocem 5; BAGD, Lexicoll, ad vocem 3; Thayer, Lexicoll, ad vocem 4. 44 Cfr per csempio Kasch, auV\aTTlf.l1, 263-266. 45 Cfr anche Sir 43,24-25: "Nclla sua parola tuttc le cose sussistono"; ma anche per Filonc il À6yoç divino è il legamc uniticantc chc tutto ticnc unito e mantiene nell'unità (cfr Lohse, Colossesi, 117). 46 Cfr pcr escmpio Lohsc, CohiS.\·esi, 117-121; Bcnoit, "Corps, Tètc ct Pléròme", 5-44 (= Exégèse et Théologie, Il,107-153); Fcuillet, Le Christ Sagesse de Dieu, 217-225; Dacquino, "Cristo capo dcI corpo", 131-175. 47 Cfr Schlier, KE!»a.À~, 363-364; Benoit, "Corps, Tètc et Pléro111c", 128-138; Gonzalez Ruiz, "Senti do soteriologico dc KE!»a.Àrl', 185-224; Tromp, "Caput intluit sensum et motum", 353-366; Fcuillet. Le Christ Sagesse de Diell, 225-228.
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anche indicare il punto di inizio o di partenza, come anche la parte estrema o il fine di una determinata realtà. Così, in senso traslato, esso denota l'elemento predominante, superiore e determinante. Tou crro/la'toç: nel greco il termine crro/la assume un senso antropologico: il corpo dell'uomo, e un senso cosmologico: il cosmo, un corpo che riassume in sé tutte le cose create48 • In base al contesto precedente, Col 1,15-17, il "corpo" è certamente il "cosmo", che trova nel Cristo il suo principio: "creato per mezzo di lui", la sua guida superiore e determinante: "tutto sussiste in lui", il suo fine: "tutto è stato creato in vista di lui". In base a ciò, 'tou crro/la'toç, più che un genitivo possessivo, sembra essere un genitivo oggettivo: Cristo appartiene al "corpo" a motivo della sua incarnazione, ma il "corpo" ha origine per mezzo suo, è determinato da lui, e si orienta a lui. Tfìç ÈKKÀllcriaç: non si sa se questo genitivo appartenesse all'inno primitivo o sia stato aggiunto da qualche redattore49 • In ogni caso, tale precisazione è divenuta essenziale se si vuoI comprendere in pieno la terza parte dell'inno, Col 1, 18b-20. Si tratta di un genitivo epesegetico: "cioè la Chiesa". In tal senso, all'interpretazione cosmologica necessariamente fa seguito 1'interpretazione ecc1esiologicaSO , molto consona d'altronde al pensiero di Paolo (lCor 12,12; Rom 12,4-5; Ef 1,2223; 4,12.15-16; Col 2,10.19) e che trova il suo seguito normale in Col 1,18b-20. In senso ecc1esiologico, Cristo è "capo" della Chiesa, perchè essa ha la sua origine in lui che l 'ha costituita nella santità, la sua consistenza e crescita rimanendo unita a lui, il suo fine ultimo quale orientamento escatologico definitivo si . v. 18b: oç Ècr'tlV àpXr1, 1tpOHO'tOKOç ÈK 'trov VfKproV: "Egli è principio, primogenito di tra i morti". "Oç: è ripresa del relativo pregnante anaforico: "Egli che" (cfr 1,15). 'APXr1: questo nuovo titolo è attribuito a Cristo, in quanto egli è "capo" (Col l, 18a)S2; per questo il termine àpXr1, che attribuisce a Cristo la stessa prerogativa della Sapienza (Prov Schweizer - Baumgartel, arol-W, 609-790. Che potrebbe essere anche Paolo, se l'inno appartiene alla comunità primitiva, o un discepolo di Paolo, se la lettera non è paolina. so Cfr anche Deichgraber, Gotteshymnus und Christushymnus, 148. 51 Cfr Schlier, ICEaÀTl, 382-384; Dacquino, "Cristo capo del corpo", 131-175 (con bibliografia). 52 Non è il caso di riferirsi ancora a Col 1,15 e interpretare apXrl in senso cosmologico (cfr per esempio Delling, àpXTl, 1286): l°) perché Col I, 18b-20 è uno sviluppo di I, 18a in chiave ecclesiologica ed escatologica insieme; 2°) non lo pennette il titolo seguente "primogenito tra i morti" (cfr anche Lohse, Colossesi, 122-123). 48
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8,23)53, indica che egli è l'origine e il fondamento della Chiesa e del tempo della Chiesa. In tal senso, egli è il1tpurro'WKoç ÈK 'trov vEKproV, in quanto egli è "primizia di quanti si sono addormentati" (l Cor 15,20), "primo della resurrezione dei morti" (At 26,23); non solo perché egli è risuscitato per primo, ma perché egli è il fondamento della nostra resurrezione: "in Cristo tutti saranno vivificati .... Primizia è Cristo, poi quelli di Cristo al momento della sua Parusia" (lCor 15,22-23)54. Cristo, pertanto, è primo nel piano cosmologico, primo nel piano ecclesiologico, primo nel tempo escatologico della salvezza. "Iv <X yÉvT]'tm Èv 1t&mv <Xù'tòç 1tpOHEUroV: "affinché sia sempre primo in tutte le cose". Anche se grammaticalmente il participio 1tpro'tEUrov può essere interpretato come predicato nominale, a me sembra che sia meglio intenderlo come unito strettamente all'ausiliare yÉvT]'tm e in tal modo forma una coniugazione perifrastica55 , che intende rimarcare la durata (presente) e la continuità dell'azione: "sia sempre primo"; Èv 1tàmv: più che le singole creature, qui il neutro indica in maniera globale il primato cosmologico (1,15-16), il primato ecclesiologico (l, 18a) e il primato escatologico (l, 18b-20). v. 19: O'tl Èv <Xù't
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Cfr in questo senso Aletti, Colossiens 1.15-20, 87-93. Cfr Foerster, eipllV01tOIÉCù, 243-244; Spieq, €ÌP~Vll, fÌPllV01tOlÉCù, 215-230. Cfr Thayer, Lexicol1, ad voeem 2b.
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pienziale in particolare o biblico secondo una rilettura rabbinica67 • Nessuna di queste ipotesi va esclusa per principio, anche se a motivo della formazione paolina lo sfondo giudaico sembra essere il più ovvio. a) Coll, 15-20 alla luce del pensiero gnostico Molti commentatori di Col 1,15-20, come si è visto in esegesi, fanno spesso riferimento alla dottrina gnostica a motivo dei suoi risvolti cosmologici e per il riferimento alle potenze angeliche. In ogni caso, mi sembra che sia da escludere una dipendenza letteraria stretta dallo gnosticismo: i pochi termini gnostici che si possano riscontrare nell'inno e nella lettera in genere possono avere anche una spiegazione non gnostica. E' possibile, però, che Paolo, combattendo un errore gnosticizzante, si sia servito di una terminologia vicina alla gnosi 68 • Ciò può essere confermato dal fatto che Paolo dice di combattere una certa "filosofia" che serpeggiava all'interno della comunità ecclesiale di Colossi69 • In base a Col 2, tale "filosofia" sembra riguardare un culto latreutico alle potenze angeliche che non solo dirigono il cosmo, ma anche lo dominano. Così configurato, l'errore della comunità non è necessariamete un errore gnostico, tranne a voler prestare a Paolo e ai suoi fedeli colossesi del I sec. d. C. una cosmologia e un'angelologia propria dello gnosticismo del II sec. d. c.. Infatti, sappiamo benissimo che Paolo in Gal 4,3.9 parla degli (J'tmxe'ìa 'tO\) KOcrl!OU (gli elementi del mondo) senza far alcun riferimento ad alcuna dottrina gnostica; tutt'al più fa riferimento al giudaismo apocalittico che abbondava in riferimenti ad esseri celesti che presiedevano agli astri e a certi fenomeni del cosmo. La stessa terminologia dell'inno non va necessariamente interpretata alla luce della dottrina gnostica, ma come sembra più probabile alla luce della sapienza giudaico-biblica. Così, è possibile che termini come 1tpOrco'tOKoç, 1tÀrlPffil!a, EtKroV ecc. possano evocare concetti gnostici, ma in ogni caso in maniera ridotta e approssimativa. Anzi, si può vedere nel Cristo, "primogenito di ogni creatura" l'immagine dell' Urmensch, dell' Uomo Archetipo 70, capo di tutto il cosmo, che, disceso dal cielo, riassume in sé Burney, "Christ as the ARCH of creation", 160-177; Manns, "Col 1,15-20", 100110; Davies, Paul and Rabbinic Judaism, 147-176. 68 Kiisemann, "Begriindet der neutestamentliche Kanon", 219; Wright, "Poetry and Theology", 451-452. 69 Cfr Grech, "L'inno cristologico di Col l'', 87-89; inoltre, Lohse, Colossesi, 237244. 70 In verità, l'esegesi antica, dominata totalmente dal pensiero greco, interpreta i n 67
Col 1,15-20
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tutto il cosmo, lo pacifica riconciliando gli eoni e la terra e risalendo al 1tArlProllCX ristabilisce l'unità essenziale del cosmo stesso 71. b) Coll, 15-20 alla luce della tradizione giudaico-biblica A prima vista, neppure la tradizione giudaico-biblica (Proverbi, Siracide, Sapienza; Baruch) ed extra biblica (Filone, Pseudo-Aristea) di stampo ellenistico, è lontana da una simile idea: in essa l'Uomo Archetipo viene identificato ora con la Sapienza ora con il LogoS72. Ma la tradizione giudaica in generale e biblica in particolare non si fermano solo ad una tale evocazione, ma offrono dei paralleli formali e contenutistici al nostro inno che vanno approfonditi per capirne meglio il sens0 73 . l°) Il rapporto cosmo - storia della salvezza 74 • Tale rapporto è presente in tutta la Bibbia: dalla prima pagina del Genesi 75 all'ultima pagina dell' Apocalisse. Dio crea il mondo e nella potenza del suo amore lo fa "buono"; Dio ricrea "cielo e terra" e nella forza del suo amore redentore li riconcilia a sé e li rende "giusti"76. Quindi, la rivelazione biblica legge il rapporto cosmo - storia della salvezza in maniera globale: il creato ha un senso nel piano divino, è opera dell'amore del Dio creatore diversi modi questa figura dell'Uomo Archetipo. Così, Origene e altri pensano che le "idee" di tutte le cose si trovano in Cristo come nella loro causa esemplare; altri, facendo appello alla distinzione tra mondo intelligibile e mondo sensibile, sostengono che Cristo è l'Archetipo universale, nel quale erano contenute le idee di tutte le cose che vengono all'esistenza; altri, richiamandosi al Logos filoniano, ritengono che il Cristo sarebbe da concepire come l'Anima del mondo; infine, facendo riferimento alla concezione gnostica, altri lo identificano con la figura del "Redentore redento" (Sanders, The New Testament Christological Hymns, 79-80). 71 Cfr anche Grech, "L'inno cristologico di Col l", 90; Sanders, The New Testament Christological Hymns, 75-79. 72 Cfr anche Grech, "L'inno cristologico di Col 1",90-91. 73 Su questo punto confrontare le buone osservazioni critiche di Sanders, The New Testament Christological Hymns, 79-87; Wright, "Poetry and Theology", 452-458, anche se attribuisce eccessiva importanza alla ricerca dci Bumey. Di particolare interesse mi sembra la seguente osservazione: nell'esaminare lo sfondo giudaico, non bisogna considerare solo una corrente di tale tradizione, ma vederla possibilmente nelle sue varie sfaccettature (p. 453). In tal senso va pcr esempio G. Schimanowski, Weisheit IInd Messias, Tiibingen 1985. 74 Feuillet, "La création de r Univers 'dans le Christ''' 1-9; Barbour, "Salvation and Cosmology", 257-271; Marangon, "Rapporti tra cosmo e storia della salvezza", 13-35; Montagnini, "Linee di convergenza", 37-56. 75 Cfr Manns, "Col 1,15-20", I 00-11 O lo ritiene un "midrash cristiano" su Gen l, l . Cfr anche Pollard, "Colossians 1,12-20", 195-203. 76 Cfr le buone osservazioni di Marangon, "Rapporti tra cosmo e storia della salvezza", 24.
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e salvatore, esso partecipa alla sinfonia di lode e di gloria della manifestazione dei figli di Dio. Esso non è isolato, ma tende all'unità essenziale di tutta la creazione. Ma ciò non avviene per una forza intrinseca al creato, ma per la potenza creatrice e salvatrice della Parola di Dio che lo chiama dal caos della inesistenza all'ordine della esistenza. Incontriamo, così, nell'espressione "Parola di Dio" la prima forma di mediazione 77 , che più tardi assumerà, all'interno del giudaismo biblico di stampo ellenistico, il carattere personificato del "Logos creatore" o della "Sapienza creatrice". In ogni caso, il rapporto cosmo - storia della salvezza non si delucida portando una serie di testi più o meno probanti da mettere a confronto poi con Col 1,15-20, ma rilevando lo spirito evocatore che essi vogliono suscitare nel lettore attento. In tal senso, la Parola creatrice, il Logos creatore o la Sapienza creatrice, l'Uomo Archetipo, esprimono tutti la stessa idea: la ricerca del principio unificatore di tutte le realtà create: dagli esseri inanimati all'uomo; del principio unificatore della creazione del cosmo e della sua storia: una sola storia di salvezza. Tale riflessione biblico-sapienziale è determinante per la comprensione profonda di Col 1,15-20, dove il Cristo è presentato come il "primogenito della creazione" (aspetto cosmologico) e come "l'inizio, il primogenito di tra i morti" (aspetto storico-salyifico). In tal senso, Cristo è il principio personale unificatore che crea e fa sussistere il cosmo, che salva e riconcilia il cosmo con se stesso e con Dio78 • Risulta chiaro allora, anche da un punto di vista strutturale, che l'elemento decisivo di tutto l'inno è il rapporto, continuamente sottolineato tra a:tl1oç e 'tà 1tUv'ta., tra il cosmo e Cristo, che lo crea, lo fa sussistere, lo riconcilia con Di0 79 • 2°) Testi sapienziali e Col 1,15-20. La maggioranza degli studiosi di Col 1,15-20 ammette uno stretto rapporto tra l'inno e alcuni testi sapienziali veterotestamentari, quali Prov 8,22-31, Sir 24,3-12, Sap 7,228,18°. L'importante, comunque, non è tanto il trovare qua e là, all'interno dell' AT, dei paralleli formali, quanto di entrare nello spirito che anima sia i testi dell'AT citati sia il testo dell'inno. Si impone, così, un esame attento dei vari testi e del loro contesto e del milieu culturale che li Marangon, "Rapporti tra cosmo e storia della salvezza", 24-33. Cfr in tal senso anche Niccacci, La casa della sapienza, 137-176. 79 Montagnini, "Linee di convergenza", 40-44. 80 Per questi testi e altri di matrice sapienziale riferentisi al problema cfr Schimanowski, Weisheit und Messias, 17-85; Edwards, Jesus the Wisdom oJ God, 19-68. 77
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ha prodotti. Prov 8,22-31 81 : questa autopresentazione della Sapienza82 mette in evidenza alcuni elementi importanti di confronto con l'inno: - La Sapienza è personificata: parla, presenta se stessa come inizio dell'operare divino, è concepita, generata e costituita da Dio8~, è al suo fianco quale architetto 84 di tutta l'opera di Dio, è lieta e si diletta dinanzi alla sua opera e soprattutto di stare con i figli dell'uomo. - La Sapienza è preesistente: dal v. 22 al v. 26 è un martellare continuo quest'idea di preesistenza e di eternità della Sapienza 85 , mentre dal v. 27 al 31 essa è a fianco di Dio per ordinare, quale esperto architetto, tutto il cosmo voluto da lui86 . - La Sapienza è inizio 87 delle opere di Dio: inizio eterno del disegno
81 Per Prov 8,22-31 cfr Vischer, "L'hymne de la Sagesse", 175-194; Aletti, "Pr 8,2231",25-37; Bartina, "La Sabiduria in Pr 8,22-36", 5-31; Gilbert, "Le discours de la Sagesse en Pr 8", 202-218; Conti, "Natura della Sapienza", 43-66; Schimanowski, Weisheit und Messias, 26-38; Niccacci, La casa della sapienza, 144-147. 82 Prov 8,22-31 si inserisce in una più vasta autopresentazione della Sapienza, precisamente nel contesto di 8,1-9,6: a) 8, I-II: la Sapienza invita gli uomini ad ascoltare la sua voce, ad accogliere la sua istruzione, per divenire prudenti e da inesperti assennati; b) 8,12-21: le virtù della Sapienza i suoi molteplici benefici: essa possiede prudenza, intelligenza, consiglio, buon senso, potenza, giustizia, equità e timore del Signore; assicura successo nella vita, capacità di governo nella giustizia e nella rettitudine, riempie di beni quanti la amano; c) 8,22-31: la Sapienza creatrice del cosmo, che si diletta dell'opera di Dio e di stare con i figli dell'uomo; d) 8,32-36: la Sapienza, maestra e dispensatrice di vita; 9,1-6: invito conclusivo della Sapienza a mangiare il suo pane, a bere il suo vino, ad abbandonare la stoltezza, ad andare diritti per la via dell'intelligenza. Per una struttura simile cfr Conti, "Natura della Sapienza", 44. 83 Sul vocabolario genetico di Prov 8,22-31 cfr Conti, "Natura della Sapienza", 45-47. 84 Il tennine iii.lt;li ('tExvi 'tT]ç, artifex, architetto) deve essere preso nel senso di una persona capace di preparare progetti e di attuarli praticamente (cfr Conti, "Natura della Sapienza", 51-53). 85 Conti, "Natura della Sapienza", 49-50, che fa coincidere preesistenza ed eternità. lo credo che i due concetti vanno tenuti separati, ponendo l'accento non tanto sull"'atemporalità" della Sapienza, quanto sulla sua preesistenza presso Dio. 86 Il concetto di cosmo, a mio parere, va precisato, sia all'interno dell'inno di Prov 8,22-23 sia in Col 1,15-20. Esso, infatti, non riguarda la creatura inanimata, ma anche gli esseri animati e in particolar modo "i figli di Dio", gli uomini (v. 31). 87 Sul senso del tennine l'n:!1 cfr le buone osservazioni di Conti, "Natura della Sapienza", 47-49. Certamente, il tennine è preso senza alcuna detenninazione e quindi può avere diversi sensi: inizio, primizia, punto di partenza e, in senso genetico, primogenito. Questo senso è molto interessante nel confronto con Col 1,15-20, ma, essendo un predicativo dell'oggetto, forse è meglio mantenere il suo senso proprio: "inizio", che poi l'esegesi può esplicitare.
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di Dio e in quanto tale sua "primogenita"88 (v. 22), inizio temporale dei tempi di realizzazione (vv. 23-26), inizio esecutivo di ciascuna opera all'interno dell'ordine del cosmo (vv. 27-30). - La Sapienza è il principio unificatore del cosmo in tutte le sue dimensioni: inanimata, animata e personale. Tutto ha inizio da lei e tutto in lei riceve forma, ordine, consistenza e finalità. Sir 24,3-21 89 . Si tratta di un autoelogio della Sapienza sotto forma innica, che da una parte conclude la prima parte del libro del Siracide e dall'altra introduce la seconda parte di esso. In tal modo, rappresenta il punto centrale90 del pensiero sapienziale di Ben-Sira: tutto trova unità, coesione e guida per la vita nella Sapienza-Tora. Alcuni elementi di questo autoelogio della Sapienza91 possono essere utili per un confronto con l'inno di Col 1,15-20: - La Sapienza è personificata: essa appartiene a Dio, procede da lui 92 , ma è distinta da lui, è la sua Parola93 , il suo "alito"94 che ricopre la terra. - La Sapienza è la Parola creatrice preesistente: essa era presso Dio, fu creata all'inizio, prima del tempo (Sir 24,9), aveva la sua dimora stabile nelle altezze del ciel095 e il suo tron0 96 in una colonna di nubi 97 , 88 Conti, "Natura della Sapienza", 47-49. 89 Su Sir 24,3-21 cfr Virgulin, "Elogio della Sapienza", 465; Minissale, Siracide, 124125; Schimanowski, Weisheit und Messias, 44-61; Schnabel, Law and Wisdom, Tiibingen 1985; Conti, "Origine divina della Sapienza", 9-42; Niccacci, La casa della sapienza, 149-151. 90 Cfr in questo senso Minissale, Siracide, 124; Conti, "Origine divina della Sapienza", IO. 91 Sir 24,3-21 si inserisce nella seguente cornice letteraria: a) Sir 24,1-2: introduzione all'autoelogio; b) Sir 24,3-4: la Sapienza presso Dio; c) Sir 24,5-6: la dimora della Sapienza nel cosmo; d) Sir 24,7-11: la dimora della Sapienza in Israele; e) Sir 24,12-17: grandezza e splendore della Sapienza; f) Sir 24,18-21: invito della Sapienza. 92 Per l'espressione "uscire dalla bocca dell' Altissimo" cfr Conti, "Origine divina della Sapienza", 11- 13. 93 Minissale, Siracide, 125; Conti, "Origine divina della Sapienza", 14. 94 Il termine OlltXÀll può indicare la "nebbia", il "vapore", la "nube", l'''alito''. Nel nostro testo, dato che la Sapienza "esce dalla bocca di Dio", il senso migliore è quello di "alito". In tal senso, la Sapienza, in quanto Parola, è il segno concreto della presenza creatrice di Dio (cfr anche Sap 7,25-26; inoltre, Conti, "Origine divina della Sapienza", 13-14 ). 95 Cfr l'analisi di Conti, "Origine divina della Sapienza", 15-16. 96 La Sapienza, proprio perché procede da Dio, è assisa su un trono presso Dio (Sap 9,4.10-17) e partecipa della sua regalità (cfr anche Conti, "Origine divina della Sapienza", 16-17). 97 La "colonna di nube" indica la presenza potente di Dio (Es 14,21-22; Sap 10,17-18) e quindi il fondamento stabile su cui poggia il trono della Sapienza. Leggermente diversa
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entrambi segno della presenza e della potenza divina della Sapienza. - La Sapienza ha il dominio sul cosmo: esso si estende nel cielo, negli abissi, sul mare e sulla terra; essa domina sulle realtà cosmiche come sui popoli e le nazioni98 • - La Sapienza pone la sua tenda tra il popolo di Dio, in' Israele: in esso mette radici, cresce, stende i suoi rami, produce i suoi frutti 99 ; in esso esercita l'ufficio profetico (24,8-9), l'ufficio sacerdotale (24,10), l'ufficio regale (24, Il), per mostrare al popolo di Dio, quale albero della vita, tutta la sua magnificenza e la sua vitalità, per spandere in esso la sua soavità e la sua fragranza lOo , per rivolgere a coloro che la amano il suo invito a saziarsi dei suoi frutti di gloria, di grazia e di ricchezza e a seguirla per il cammino della giustizia. Sap 7,22-8,1 101 . La pericope fa parte del lungo discorso (Sap 7,18,21) con cui Salomone tesse l'elogio della Sapienza divina 102. In essa viene descritta soprattutto la natura divina della Sapienza e la sua attività cosmical03• Alcuni elementi sono certamente interessanti per il nostro confronto con l'inno di Col 1,15-20 e si possono così enucleare: - La Sapienza è personificata: è uno spirito, emanazione della potenza di Dio, effluvio della sua gloria, irradiazione della sua luce eterna, l'interpretazione di Conti, "Origine divina della Sapienza", 16-18. Anche qui, il tennine "cosmo" non deve essere inteso solo in senso restrittivo, ma in senso pieno, cioè come comprendente le "realtà cosmiche" e l'uomo, verso cui Dio ha una speciale predilezione; inoltre, il testo parla di "ogni popolo e nazione", cioè dell'uomo nelle sue detenninazioni concrete di razza, di lingua e di costumi. 99 Notare il climax di Sir 24,11-17 con cui l'autore esprime la grande vitalità della Sapienza (Conti, "Origine divina della Sapienza", 31-32). 100 Molti profumi, di cui si paria in Sir 24,15, erano usati nel culto (cfr Es 30,23.34-38) e, pertanto, sottolineano l'ufficio sacerdotale della Sapienza, la quale soprattutto diffonde il suo profumo "come vapore d'incenso nel santuario'" (cfr Minissale, Siracide, 127; Conti, "Origine divina della Sapienza'", 32). 101 Conti, Sapienza, 116-122; Schimanowski, Weisheit und Messias, 74-79; Niccacci, La casa della sapienza, 154-157. 102 La cornice letteraria di 7,22-8, I si configura nel seguente modo: 6,22-25: introduzione al discorso sulla Sapienza; 7,1-6: la natura umana di Salomone, paradigma per ogni uomo; 7,7-12: Salomone chiede la Sapienza come il tesoro inesaurabile, incalcolabile e imperituro; 7,13-21: proposito di Salomone di comunicare a tutti la Sapienza; 7,22-8,1: natura divina della Sapienza e sua attività cosmica; 8,2-21: la Sapienza, fonte di vita e consigliera di virtù; 9,1-18: preghiera di Salomone per avere la Sapienza (Conti, Sapienza, 109 e 111). 103 La struttura di 7,22-8,1 è abbastanza semplice: 7,22-24: attributi e funzioni della Sapienza; 7,25-26: origine e natura divina della Sapienza; 7,27-8,1: l'attività uniticatrice della Sapienza (cfr anche Conti, Sapienza, 116).
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specchio tersissimo della sua attività, immagine della sua bontà; per questo ad essa vengono attribuiti una serie di 21 attributi, che indicano la sua eminente perfezione e sottolineano la sua intimità con Dio (7,23. 25.27), la sua collaborazione nell'opera creatrice (7,22; cfr 7,12: "madre di tutte le cose"; 7,21: "artefice di tutto"; 7,26; 8,4.6), la sua attività è benefica, rinnovatrice, santificatrice a favore degli amici di Dio (7,23. 27-28; cfr 7,14). _ La Sapienza è eterna: essa è infatti "irradiazione della luce eterna" (7,26), per questo è anche uno "spirito immutabile e fermo" (7,23) e inoltre, "pur essendo unica, può tutto, restando in se stessa, rinnova ogni cosa" (7,27). _ La Sapienza è principio di coesione di tutte cose: essa, infatti, è "unica" (7,22.27), ma nello stesso tempo "molteplice" (7,22), per questo penetra tutti gli spiriti (7,23), pervade, penetra e rinnova ogni cosa (7,24.26), entrando nelle anime prepara gli amici di Dio e i profeti (7,27.28). _ La Sapienza domina il cosmo: essa si estende da un confine all 'altro dell'universo e lo governa con rettitudine. In conclusione, dai testi analizzati mi sembra che risulti evidente che lo sfondo letterario di ColI, 15-20, più che quello gnostico, sia quello dei testi della Sapienza veterotestamentaria. Tali testi sono riletti da Paolo alla luce di Cristo e rappresentano la struttura portante del suo pensiero. Da essi egli ricava una figura molto ricca e variegata della Sapienza divina, personificata, increata, creatrice, reggitrice del cosmo e degli uomini, principio unificatore di tutte le cose, che da essa hanno inizio e per mezzo di esse sussistono e operano l04 • 104 Secondo Dunn, Christology in the Making, 168-176, tale conclusione non sarebbe possibile per tre motivi: l°) a causa dello stretto monoteismo giudaico; 2°) a motivo di alcuni testi sapienziali che affermano chiaramente che è Dio che crea tutte le cose e quindi la sapienza non è altro che un modo poetico di esprimere la sapienza ordinatrice di Dio stesso; 3°) perché, se attribuiamo una qualche entità personale alla "sapienza", dobbiamo farlo anche per altre espressioni con cui si indica la potenza di Dio: per esempio: "il braccio di Dio", "la mano destra di Dio". Credo che il concetto di "monoteismo", di cui si serve Dunn, non sia quello biblico veterotestamentario, neppure nella sua conformazione giudaico-sapienziale (cfr Bonsirven, "Judaisme", 1149-1163; Schimanowski, Weisheit und Messias, 17-205; Nobile, Premesse, 47-62), ma probabilmente si serve del concetto giudaico-rabbinico che si determinò alla luce della polemica giudaicocristiana (comunque, a tal riguardo cfr anche Philipson, "Monotheism", 659-661; Urbach, The Sages, 19-65; Schimanowski, Weisheit und Messias, 207-303). Infatti, il concetto biblico di "monoteismo" non è un dogma astratto, ma una confessione di fede
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2) La cristologia di Col J, J5-20
Sia l'esegesi che la ricerca dello sfondo culturale hanno mostrato la grande ricchezza cristologica di Col 1,15-20. L'analisi esegetica, mi sembra, ci permette di scoprire tre direttive cristologiche fondamentali su cui si muove l'inno della Lettera ai Colossesi: precisamente, i titoli attribuiti a Cristo, il ruolo che egli riveste all'interno del piano cosmicosalvi fico di Dio e in conseguenza il primato assoluto che Cristo assume all'interno di tutta la creazione e della storia universale dell'uomo. Tre direttive che, coniugandosi dinamicamente tra loro, offrono una visione unitaria del mistero di Cristo: egli è il principio personale di incontro tra realtà cosmica e realtà umana, principio di coesione, di dinamismo e di unità di tutta l'opera di Dio, principio di amore e per questo di vita, di riconciliazione e di salvezza. Proprio per questo, la migliore lettura della cristologia di Col 1,15-20 non può venire dal mondo ellenistico o gnostico, anche se a volte molto vicino nell'espressione termino logica, ma dal mondo biblico-sapienziale che gli fa da sfondo e che ci permette una lettura sintetica molto ricca e profonda del mistero di Cristo e del suo primato universale. Di più: seguendo lo stile dei testi sapienziali, l'autore di Col 1,15-20 non ha trovato un modo migliore di presentare tale mistero se non nella forma innica, poesia e canto a Cristo, sapienza che salvaguarda il fedele dal cadere nel politeismo pagano. Esso, quindi, non riguarda la vita intima di Dio, ma l'agire di Dio nei nostri confronti. Pertanto, riconoscendolo come "unico", professiamo che egli è il nostro creatore, il nostro aiuto, il nostro liberatore, ecc. Proprio a motivo di un tale "monoteismo funzionale", il giudaismo ha potuto ammettere non solo degli esseri intermedi e angelici, ma anche delle vere e proprie "realtà preesistenti" alla creazione del mondo e al concreto effettuarsi della storia della salvezza a favore dell'uomo: la parola di Dio, lo spirito, la gloria, la shekina, la legge e, tra di esse, anche la sapienza, che manifestàno l'unico Dio e la potenza e sapienza del suo agire (cfr anche il punto di vista giudaico di Wyschogrod, "A Jewish Perspective on Incarnation", 195-209). Così, mi sembra strano affermare che, perché vi sono dei testi che attribuiscono la creazione del mondo direttamente a Dio, essi annullano quelli che parlano della "sapienza creatrice" che opera accanto a Dio. Infine, non credo che la "sapienza", cosÌ come viene descritta dai libri sapienziali, sia da mettere in paragone con certe espressioni metonimiche come il "dito di Dio", il "braccio potente di Dio" ecc. La metonimia antropologica di tali espressioni non ha nulla da fare con la personificazione della sapienza creatrice e ordinatrice di Dio: essa è generata da Dio, opera accanto a lui, agisce da "architetto di Dio". Non si tratta di una "prosopopea", un modo poetico per indicare un intervento diretto di Dio. La sapienza non è Dio stesso, ma realizza ciò che Dio vuole, lo ordina e lo porta al pieno compimento. Comunque, lo stesso Dunn, The The%gy o[ Pau/, 267-277, dopo le tante reazione suscitate, sembra essere più prudente nell'esprimersi; almeno più prudente di qualcuno che lo segue troppo da vicino: cfr per esempio, McGrath, "Change in Christology", 39-50.
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di Dio, mediatore universale di riconciliazione, capo trovano esistenza, consistenza e vita.
10 CUI
tutto e tutti
a) I titoli di Cristo Ed è proprio dello stile innico accumulare dei titoli per esaltare il personaggio che 1'inno celebra. In tal senso, Col 1,15-20, non è solo una riflessione teologica o cristologica, ma preghiera di lode e di ringraziamento a Dio e al Figlio del suo amore (Col 1,12-13), canto di esaltazione del ruolo cosmico-salvifico di Cristo, lode a lui quale capo in cui abita la pienezza della divinità (Col 1,19; 2,9), a lui che tutto compone in unità, tutto conduce a salvezza, tutto pacifica per mezzo del sangue della sua croce (Col l,20). Lode, preghiera, riflessione, pertanto, si intrecciano tra loro, per esaltare Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di ogni creatura venuta all'esistenza e alla salvezza, capo della realtà creata e soprattutto riconciliata con Dio. 1°) Cristo, immagine del Dio invisibile Il primo titolo, o la prima lode, che l'inno attribuisce a Cristo è condensato nell'espressione: "immagine del Dio invisibile". Senza negare tutte le implicazioni "ontologiche" che esso comporta, bisogna riconoscere che in base al contesto esso assume in primo luogo una chiara dimensione funzionale: Cristo è "immagine del Dio invisibile", perché ci fa conoscere Dio che crea il cosmo, stabilisce per esso un piano di salvezza, ci rivela il suo amore nella creazione, nella redenzione, nella remissione dei peccati (Coll, 13), nella riconciliazione (Coll,20) e nella partecipazione al regno del Figlio del suo amore (l, 13). Pertanto, mi sembra che il titolo "immagine del Dio invisibile" non va solo letto all'interno dell'inno, ma anche e soprattutto all'interno del suo contesto immediato e più precisamente alla luce di Col 1,12-14, a cui esso fa diretto riferimento. In base a ciò, il titolo "immagine del Dio invisibile" è attribuito al "Figlio del suo amore" di cui si parla in l, 13 e a cui il relativo di 1,15 fa diretto riferimento. L "'immagine del Dio invisibile" è, pertanto, in collegamento con "il Diletto" (Ef 1,6), con il "il Figlio diletto" (Mc 9,7; Mt 17,5), nel quale il Padre si è compiaciuto (Mc l, Il; Mt 3,17; Lc 3,22) di far abitare la pienezza della sua divinità (Col 1,19; 2,9) e nel quale viene rivelato tutto il suo amore per il creato e per gli uomini. "L'immagine di Dio" è il "Figlio", che manifesta il Padre e il suo a-
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more. Ciò va sottolineato, non tanto per dare man forte a questa o a quella scuola teologica (tomista o scotista)I05, ma per concretizzare meglio l'identità del personaggio di cui si parla nell'inno. Egli è una persona unica, non divisibile tra M'Yoç acra.pKoç e M'Yoç EVcra.pKOç, tra "Figlio preesistente" e "Figlio incarnato": di tali distinzioni non c'è alcuna traccia nell'inno. Il "Figlio" è uno ed agisce nella sua preesistenza per attuare l'opera di amore del Padre e nella sua incarnazione per riconciliare gli uomini al suo amore. Visto, poi, alla luce dello sfondo sapienziale anticotestamentario, il "Figlio" assume in sé non solo tutti i contorni della Sapienza creatrice: personificazione, preesistenza, origine divina, dominio universale su tutte le cose, principio di unità e di coesione di tutta la realtà creata materiale e spirituale, ma assume anche quelli propri dell' azione soteriologica del Padre (1,12-14). Egli è il "capo del corpo" (l,18a) in quanto ha il primato su tutte le cose (l, 17a.18d), in lui abita la pienezza della divinità (2,9), in lui si attua la riconciliazione e la pacificazione universale delle cose tra loro e con Dio (1,20; Ef 2,14-18), egli è il capo della Chiesa (1,18a), l'inizio dei risuscitati alla nuova vita (l, l8c), del popolo di Dio. Cristo infatti, in quanto "Figlio, immagine del Dio invisibile", partecipa al potere creatore del Padre e al suo potere soteriologico e nello stesso tempo lo rivela a noi. Così, nel "Figlio" possiamo conoscere il Padre e il mistero del suo amore per noi e per tutta la sua creazione. Egli è "immagine" di Dio in tutto l'insieme del eéÀTU.ta. divino, nella creazione e nella redenzione. Egli è generato dal Padre quale suo "primogenito" prima della creazione di ogni cosa e prima della redenzione di tutte le cose; egli agisce nella creazione, gli dà consistenza e finalità; egli opera nel popolo di Dio, lo riconcilia e lo pacifica con Dio, gF dà unità e coesione con tutta la creazione. In una parola, egli è l'immagine dell'amore del Padre, perché nella sua funzione mediatrice ce lo rivela e ce ne rende partecipi. 2°) Primogenito di ogni creatura Così106, il "Figlio" ci manifesta in primo luogo l'amore del Padre 105 Cfr in questo senso Feuillet, Le Christ Sagesse de Dieu, 200-202, che si attarda a discutere se hanno ragione i tomisti o gli scotisti, anche se riconosce che il testo non dà appoggio né agli uni né agli altri. 106 Con Vanni, "Immagine del Dio invisibile", 111-112: il collegamento asindetico dei due titoli: "immagine del Dio invisibile" e "primogenito di ogni creatura", considera i
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verso tutte le cose create, verso la "creazione". E il termine KTIO'U; non va preso solo nella sua connotazione passiva di creatura quale "effetto de Il 'atto del creare", ma anche nella sua connotazione attiva quale azione amorosa di Dio l07 che crea tutto per mezzo del Figlio e in vista del Figlio (1,16)108. In tal senso, il secondo titolo, attribuito al "Figlio": "primogenito di ogni creatura", assume un senso pregnante. Egli, infatti, è stato "generato prima" dell'azione creatrice del Padre e in lui e per mezzo di lui Dio ha creato tutto il cosmo, le cose del cielo e della terra, le visibili e le invisibili, i troni e le dominazioni, i principati e le potestà, in una parola "tutte le creature" di Dio, effetto della sua azione d'amore (1,15-16). Nel Figlio, inoltre, l'amore creatore del Padre si manifesta come azione provvidente e finalizzante, perché "tutte le creature di Dio" trovano nel Figlio esistenza, consistenza e coesione: "Egli è prima di tutte le cose, e tutto in lui ha consistenza, egli è il capo del corpo" (l, 17-l8a). Ma non solo il termine "creazione" ha un senso pregnante, ma anche e soprattutto il termine "primogenito". E ciò perché il termine "primogenito" in relazione al Padre indica la preesistenza, la generazione eterna e l'origine divina del Figlio: egli appartiene al Padre da sempre, è il Diletto in cui il Padre si è compiaciuto, in cui ha riversato la pienezza del suo amore divino e nel quale ha stabilito il suo piano eterno d'amore; in relazione alle creature, poi, "primogenito" indica la mediazione creatrice del Figlio rispetto a tutte le creature del cosmo e in particolare degli uomini: egli è l'inizio della creazione, il principio di unione e di coesione di tutte le creature, il fine ultimo verso cui tutto il cosmo tende e trova pace e unità con Dio. 3°) Primogenito di tra i morti Tale mediazione del Cristo non si manifesta solo a livello del cosmo, ma soprattutto a livello ecclesiale 109 • Formalmente lo si può stabilire in base a due elementi letterari del testo: l°) in base al genitivo epesegetico "della Chiesa" aggiunto all'espressione "Egli è il capo del corpo" due titoli come uniti tra loro e rappresentanti "un unico campo semantico delimitato progressivamente da due linee convergenti". 107 In Col 1,16 l'aoristo ÈKttcr91l e il perfetto €Kncr'W.l sono passivi teologici, che si richiamano all'azione creatrice di Dio: è Dio che crea per mezzo e in vista di Cristo. 108 Allo stesso modo anche Vanni, "Immagine del Dio invisibile", 109. 109 Per un collegamento tra i titoli di Col 1,15 e di Col l, 18b cfr anche Vanni, "Immagine del Dio invisibile", 112, anche se con diversa argomentazione.
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(l,18a), stabilendo così uno stretto rapporto tra cosmologia ed eéclesiologia: la creazione tende verso la sua determinazione ultima divenendo il "corpo ecclesiale" di Cristo; ciò si precisa meglio 2°) in base alla permanenza del termine "primogenito", che mantiene tutta la sua ampiezza semantica: il "Figlio" è "primogenito" in rapporto al Padre, perché egli è l'inizio della nuova vita nella resurrezione (1,18b), della Eùoolcia del Padre, che nel Figlio ha stabilito sin dall'eternità la nostra liberazione dal potere delle tenebre (1,13), la riconciliazione rappacificando con sé tutte le creature per mezzo del sangue del suo Figlio (1,20), la nostra partecipazione alla sorte dei santi nella luce (l,12) e al regno del Figlio del suo amore (1,13). Contemporaneamente, il Figlio è "primogenito" in rapporto "(a coloro che sono risuscitati) di tra i morti", divenendo per loro capo (l,18b), riconciliazione (1,19), pacificazione (1,19; 2,14), partecipazione all'eredità dei santi (1,12) e al suo regno (1,13). Il termine "primogenito", comunque, non ha più qui un senso generazionale, ma una dimensione soteriologica ed ecclesiologica insieme: il Figlio è "primogenito" perché "inizio" (ùpxi!) di tutta l'opera salvifica del Padre, perché "capo" (KElj>aAi!) della Chiesa formata da tutti coloro che in lui sono risuscitati a vita nuova, riconciliati, rappacificati e santificati dall'amore di Cristo e del Padre. 4°) Capo del cosmo e della Chiesa
Derivato dai precedenti titoli, quale loro corollario formale e contenutistico, l'ultimo titolo, che l'inno attribuisce a Cristo, è quello di "capo del cosmo e della Chiesa". Formalmente, esso scaturisce dal senso metaforico di eccellenza e superiorità che assumono i termini "primogenito", "inizio", "capo" all'interno dell'inno: il Figlio, perché "immagine del Dio invisibile", non ha solo una priorità temporale (l, 17a) rispetto alla creazione e al cosmo redento, ma soprattutto una priorità di eccellenza e di superiorità (1,17-20), che lo rende origine, fondamento, capo di tutte le realtà create e redente. Contenutisticamente, il titolo di "capo" si rifà alla Sapienza che, in quanto reshit (inizio, primogenita, capo), domina, dà fondamento e guida uomini e cose nella giustizia e santità. In tal senso, i tre termini precedenti esprimono tre aspetti differenti della superiorità del Figlio nel piano cosmico-salvifico di Dio: primogenito, infatti, sottolinea la relazione intima che intercorre tra il Padre e "i l Figlio del suo amore", relazione che lo rende "immagine del Dio invi-
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sibile", perché manifesta a noi il mistero creatore e redentore dell' amore del Padre; inizio rimarca la superiorità del Figlio nel piano d'amore di Dio, in quanto egli è la causa agente efficiente da cui tutto ha origine, unità e coesione (l, 16-17): la creazione e la redenzione, egli è l'origine e il fondamento della Chiesa e del tempo della Chiesa; capo mette in rilievo la superiorità regale del Figlio (l,B) rispetto al cosmo e alla Chiesa 110: Cristo non solo è all'origine e dà consistenza al cosmo e alla Chiesa, ma soprattutto egli è colui che domina, determina, dirige e dà vita a tutta la realtà creata e redenta. Ma egli è soprattutto capo, perché ci rende partecipi del suo regno, in cui godiamo della libertà dal potere delle tenebre, del bene della riconciliazione con il Padre e della remissione dei peccati, dell' eredità dei santi nella luce, della pace universale con cui Cristo ci rende fratelli tra noi e figli dell 'unico Padre. Egli è il primo e ha il primato su tutte le cose.
b) Il ruolo cosmico-salvifico di Cristo Da tutte le considerazioni esposte, mi sembra che il ruolo di Cristo in Col 1,15-20 vada descritto sotto due angolazioni differenti, anche se complementari: il ruolo cosmico-salvi fico di Cristo nella creazione e il ruolo cosmico-salvi fico di Cristo nella riconciliazione. Non si tratta di due ruoli, ma di un unico ruolo cosmico-salvifico: Cristo, "immagine del Dio invisibile", mostra ai credenti I I I il piano misterioso d'amore di Dio, che si manifesta nella creazione e ancor di più nella riconciliazione. l°) Il ruolo cosmico-salvifico di Cristo nella creazione La prima parte de Il 'inno si sofferma a descrivere il ruolo di Cristo nella creazione con delle espressioni preposizionali molto pregnanti: in lui sono state create tutte le cose (1,16), tutte le cose sono state create per mezzo di lui (1,16), tutte le cose sono state create in vista di lui (1,16), tutte le cose sussistono in lui (l, 17b). Attraverso questo alternarsi di preposizioni, l'inno ci presenta diverse sfumature del ruolo di Cristo nel IlO Mi sembra giusto sottolineare con Feuillet, Le Christ sagesse de Dieu, 225, che questo titolo è stato posto nell 'inno per colpire la particolare dottrina colossese sugl i angeli: essi, per quanto creature superiori al creato e agli uomini, sono sottomesse a Cristo, che è a capo di tutte le cose che sono in cielo e sulla terra, "visibili e invisibili, sia troni che dominazioni, sia principati che potestà" (Col 1,16). 111 Come risulta dal contesto di Col 1,9-14 e 1,23, il mistero dell'amore creatore e salvi fico di Dio è proposto alla contemplazione dei cristiani n, in maniera più larga, ai credenti.
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piano della creazione di Dio, Ciascuna di esse, pertanto, è un tassello per comprendere meglio e in profondità la ricchezza dell'azione cosmicosalvifica di Cristo, a) Tutto è stato creato nel Cristo Gesù Come si è visto sopra in esegesi, l'espressione Èv umql e una form ula pregnante di senso, cioè potrebbe assumere: a) senso causale-strumentale o ministeriale: "per mezzo/per opera di lui" e tale senso si accorderebbe molto bene con l'ambientazione sapienziale che normalmente si dà all'inno, ma allora Col 1,16f sarebbe una ripetizione inclusiva quasi inutile; b) con senso locale-sociativo: "in lui", cioè in stretta unione con lui, principio di coesione di ogni realtà creata: tutto è stato pensato e voluto nel Cristo ll2 . Nessuno dei due sensi deve essere sacrificato, perché ciascuno di essi rappresenta una parte della grande ricchezza contenutistica della formula più ricorrente in tutto l'epistolario paolino: "nel Cristo Gesù". Tutto avviene in lui, tutto si svolge in lui, tutto trova il suo orientamento in lui. Non fa meraviglia, quindi, che anche la creazione, quale atto d'amore di Dio, e le creature, quale effetto concreto del suo amore, hanno la loro origine "nel Cristo". E' possibile che la formula unita al verbo "creare" assuma principalmente il senso locale-sociativo: Dio crea il cosmo "nel Cristo", cioè in stretta unione con lui lo pensa, lo vuole, lo attua. Cristo, in tal senso, diviene il luogo privilegiato in cui il Padre manifesta il suo 8ÉÀll/lu, la sua volontà di creare il cosmo; nello stesso tempo, il Cristo è anche la causa esemplare, in base alla quale il Padre dà vita a tutte le cose, e la causa ministeriale, per opera del quale il Padre manda ad effetto il suo progetto d'amore. In altre parole, il Cristo è il principio di unità e di coesione di tutte le cose llJ : tutte le cose sono state stabilite in lui, tutte hanno la loro forma e il loro fondamento in lui, tutte sono state create per opera (e per amore) di lui. Con ciò il ruolo di Cristo assume quello dei testi sapienziali di Prov 8,26-30, nel quale Dio crea e stabilisce tutte le cose in intima unione con 112 E accettando anche l'esegesi di Rashi a Gen l, l: tutto è stato pensato e voluto a motivo c per amore di Cristo. Sarebbe un' ottima base esegetica per la visione scoti sta del primato di Cristo. Comunque, per la storia dell'interpretazione cfr Feuillet, Le Christ sagesse de Dieu, 202-210. 1L' Cfr in questo senso anche Feuillet, Le Christ sagesse de Dieu, 206, anche se tenta di restringere il senso a questa sola interpretazione di "in lui".
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la Sapienza e avendola come suo "architetto" per dare forma e fondamento· a tutte le cose; di Sir 24,5, in cui la Sapienza, che procede dalla bocca di Dio, ricopre tutte le cose come una nube, cioè, fuori metafora, quale presenza di Dio che "nella sapienza e per mezzo di essa" dà a tutte le cose fondamento sicuro e stabile; ma soprattutto di Sap 7,23-30, in cui la Sapienza è uno spirito che pervade ogni cosa, penetra in esse rinnovando le e dandole forma e guidandole verso la pienezza della loro esistenza. In Cristo, vera Sapienza di Dio, tutto trova vita, fondamento, sicurezza, pace e stabilità nella giustizia e santità (cfr Prov 8,12-21; Sir 24,16.21; Sap 7,27). ii) Tutto è stato creato per opera di Cristo Anche questa seconda affermazione dell'inno circa il ruolo cosmicosalvi fico di Cristo è fatta attraverso un' altra espressione preposizionale: tutto è stato creato Ot'(xù'tou (Col 1,16f). La preposizione oui + genitivo, trattandosi di una persona e non di uno strumento inanimato, deve essere intesa della causa agente efficiente ministeriale che agisce come intermediario nell'azione del creare: è Dio che crea, ma crea per opera del Figlio. Pertanto, in Col l, l6f viene ripreso ed esplicitato con chiarezza il ruolo mediatore del Cristo, componente essenziale dell'espressione pregnante "tutto è stato creato in lui" di 1,16a. Tale ruolo è, in primo luogo, permanente, come suggerisce la variazione tra l'aoristo fK'ttcr91l (fu creato) e il perfetto EK'ttcr'tat (è stato creato): Cristo è mediatore non solo nel momento in cui Dio formava tutte le cose "nel Figlio", ma egli rimane tale per chiunque contempla l'opera creatrice di Dio 114. Inoltre, essendo Cristo causa agente efficiente ministeriale, egli è unito strettamente al Padre: egli opera insieme al Padre e la creazione è opera del Padre e del Figlio. Per questo, il ruolo di Cristo è dinamico: attua il piano del Padre e lo porta al suo compimento e alla sua perfezione. La mediazione di Cristo, in tal modo, è riletta alla luce dei testi yeterotestamentari della Sapienza creatrice, per mezzo della quale tutto è stato creato. Anche se qualcuno esprime dei dubbi sul termine "architetto" di Proy 8,30, è chiaro che la Sapienza gioca un ruolo molto dinamico nell'opera della creazione, come fanno fede Proy 3,19-20: "Il Signore ha fondato la terra con la Sapienza"; Sap 7,21: "essa è artefice di tutte le cose" (cfr anche 8,6); Sap 8,26: "(La sapienza) è uno spec114
Per il valore del perfetto in Col 1,16 cfr Fanning, Verbal Aspect, 153-154; 293-295.
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chio senza macchia dell'attività di Dio"; Sap 9,1-2: "Dio dei padri e Signore di misericordia, che tutto hai creato con la tua parola, che con la tua sapienza hai formato l'uomo". Tale ruolo dinamico della Sapienza non è visto come subordinato: essa appartiene a Dio, procede dalla sua bocca (Sir 24,3), è emanazione della sua potenza, effluvio genuino della sua gloria, riflesso della sua luce perenne, specchio della sua attività, immagine della sua bontà (Sap 8,26-27). Essa è eterna come colui che l'ha generata (Prov 8,23-24), sempre presente (Sir 24,9), presso di lui, nell 'attuazione delle sue opere (Prov 8,26-30). La rilettura sapienziale dell'inno è molto attenta e vuoI mettere in evidenza non solo la mediazione di Cristo nella creazione di tutti gli esseri del cielo e della terra, ma anche che tutti gli esseri trovano in lui, come nella Sapienza divina, la loro origine, la loro unità, la loro coesione. La mediazione divina, dinamica ed eterna di Cristo è il fondamento della nostra esistenza e del nostro destino ultimo. iii) Tutto è stato creato in vista di Cristo Proprio per questo Paolo coniuga la mediazione di Cristo con l' 0rientazione di tutte le creature verso Cristo. Egli è la causa finale verso cui tutto tende. In ciò vi è certamente un superamento del ruolo della Sapienza. Lo stesso Paolo pone spesso come fine ultimo di tutte le cose Dio: "Poiché da lui, grazie a lui e per lui (eiç aù'tov) sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli" (Rom Il,36); "Per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui (eìç aù'tov), e un solo Signore Gesù Cristo, per opera del quale tutto esiste e noi per opera sua". Ma qui, in Coll,16f, il Cristo diviene la causa finale di tutto. L'idea probabilmente è motivata, come si è visto dalle speculazioni rabbiniche sul Messia: "tutto il mondo è stato creato in vista del Messia" (R. Johannan). Ciò, a mio parere, significa che la creazione, in quanto deve la sua origine alla mediazione di Cristo e ha in lui la sua forma e il suo principio di consistenza, è orientata alla sua Signoria, destinata al suo regno (Col 1,13). In tal senso, si avrebbe una coincidenza con lCor 15,25-28: "Bisogna che egli regni e tutto gli sia sottomesso, allora egli consegnerà il regno al Padre, affinché Dio sia tutto in tutti". Allora, abbiamo questo senso: tutto è orientato a Cristo come Cristo è orientato al Padre; tutto trova unità in Cristo e in lui con il Padre.
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2°) Il ruolo cosmico salvifico di Cristo nella riconciliazione La seconda angolazione, con cui l'inno presenta il ruolo cosmicosalvifico di Cristo, è quella della "riconciliazione", intesa nel suo senso più ampio di tutta l'opera storico-salvifica di Cristo. Proprio per questo, in essa va incluso tutto il mistero di Cristo: dall'incarnazione alla morte e resurrezione. In base a ciò il mistero personale di Cristo è visto in maniera funzionale, in quanto non ci parla tanto dell' incarnazione, della morte o della resurrezione, ma di ciò che essi hanno prodotto nel piano d'amore del Padre, che vuole riconciliare a sé tutte le cose, sia quelle della terra che quelle del cielo (l,20), ci vuoI rendere partecipe dell' eredità dei santi (1,l2) e del Regno del Figlio del suo amore (l,13). i) "In lui si compiacque di far abitare tutta la pienezza" Al di là di tutte le divergenze di costruzione che la frase comporta, mi sembra che il senso esegetico e anche quello teologico trovano un punto fermo ancora una volta nell' espressione preposizionale "in lui". Il suo senso mi sembra che in 1,19 sia solo quello locale: Cristo è il luogo in cui "la pienezza di Dio (= Dio)" si è compiaciuta di manifestarsi all'uomo e a tutte le creature del cielo e della terra; oppure, se si preferisce Dio come soggetto della frase: Cristo è il luogo in cui Dio si è compiaciuto di far abitare la sua "pienezza", cioè, in base a Col 2,9, la pienezza della sua divinità. Nell'uno e nell'altro caso, il riferimento è all'incarnazione del Figlio, quale manifestazione concreta del piano di salvezza di Dio per il mondo. Ciò ha un parallelo molto significativo con la Sapienza che trova la sua delizia tra i figli dell 'uomo e pone la sua tenda in Israele, tra il popolo di Dio. I! Cristo incarnato, in base a tale parallelo, è la presenza concreta di Dio in mezzo alla creazione e in mezzo al suo popolo. I! nesso causale (o'n) tra 1,19 e l, 18b, allora, si arricchisce di un nuovo senso. I! Cristo è "inizio" e "primogenito di tra i morti", perché con la sua incarnazione dà inizio al piano salvi fico del Padre e attraverso essa veniamo generati alla nuova vita. Così, il Cristo non è solo l'inizio della creazione, ma anche e soprattutto della nuova creazione, che trova nell 'incarnazione del Figlio la prima manifestazione concreta della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Siamo in presenza di un 'intuizione teologica formidabile, che conferisce all 'incarnazione il suo giusto ruolo cosmico-salvi fico. Una tale prospettiva la si può leggere, fatte le dovute differenze di prospettiva, anche in Gal 4,4-5, in cui l' incarnazio-
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ne nella pienezza del tempo si coniuga perfettamente con la soterio10gia, divenendo il principio dinamico della nostra liberazione e del nostro essere partecipi alla figliolanza divina. Così, è proprio l'incarnazione l'inizio del nostro divenire "conformi all'immagine del Figlio", affinché Cristo sia "il primogenito tra molti fratelli" (Rom 8,29). "In lui", nella sua incarnazione, l'uomo non solo gode della presenza gioiosa e feconda del suo Dio, ma esperimenta anche tutta la ricchezza del suo amore misericordioso che lo libera dal potere delle tenebre, lo redime dal peccato, lo fa partecipe della sorte dei santi e lo introduce nella luce e nel regno del suo Figlio diletto (Col 1,12-14). L'incarnazione, pertanto è l'inizio del piano d'amore del Padre e il Cristo è l'inizio della nostra nuova vita di figli e di comunione con Dio. ii) La riconciliazione per opera e in vista di Cristo Il ruolo di Cristo, se ha inizio nell'incarnazione, ha però il suo centro portante nell'opera della "riconciliazione". Il verbo U1tOKu"CuAMlaaroè un termine paolino (Ef 2,16), intensivo del più comune KU"CaAAUaaro (Rom 5,10-11; Il,15; 2Cor 5,18-20); entrambi indicano l'opera della redenzione, giustificazione e santificazione che Dio ha operato per opera del Cristo. In tal modo viene riconfermato il ruolo cosmico-salvifico di Cristo: egli è la causa agente efficiente ministeriale per opera del quale il Padre opera la "riconciliazione". Questa, in base al testo e al suo contesto, è da riferirsi alla liberazione dal potere delle tenebre, alla redenzione e remissione dei peccati (Col 1,13-14). Di più: è l'azione con cui il Padre, liberandoci dal potere oscuro del peccato, ci redime e ci rende partecipi della figliolanza divina nel Cristo e per opera di lui partecipi della sorte dei santi e del regno del suo Figlio diletto (Coll, 1213). In altre parole, l'espressione preposizionale "per opera del Cristo" indica il ruolo redentore del Cristo e, in base a 1,20b, più precisamente il suo sacrificio redentore. N ormalmente nei testi paolini succitati Cristo riconcilia gli uomini con Dio, per questo alcuni esegeti interpretano Eiç uù'tov di 1,20 come equivalente di un dativo di termine: Dio riconcilia a sé tutte le cose attraverso l'opera mediatrice e redentrice di Cristo. Altri interpreti, stabilendo un parallelismo con l, 16f, danno ad Eiç uù'tov un senso finale: "i n vista di lui": Dio non solo realizza la riconciliazione per opera di Cristo, ma anche in vista di Cristo. Egli, infatti, nel piano salvifico di Dio non è solo la causa agente ministeriale, ma anche la causa finale verso cui tutto
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si orienta, trova forma e santità. In tal senso, Cristo, in quanto "inizio" e "primogenito dei morti", inaugura il tempo ultimo della nuova creazione riconciliata per mezzo del sangue di Cristo e pacificata secondo la cuBorla divina. Egli, quindi, è l'inizio e il fine a cui tutta l'opera di Dio tende incessantemente in una ricerca continua di pace e di armonia con se stessa e con Dio. In lui, per lui e in vista di lui tutte le creature trovano la pace, perché egli è la nostra pace (Ef 2,14). 3°) Il primato di Cristo Da quanto detto fin qui, mi sembra che dall'inno scaturisca un'ultima tematica: il primato di Cristo. Esso rappresenta il culmine e la sintesi di tutto il pensiero cristologico di Col 1,15-20. In esso Cristo ha un triplice primato: un primato assoluto, un primato di eccellenza, un primato universale 115. Cristo è il primo, perché egli è prima di tutte le cose (1,17), della terra e del cielo, delle visibili e delle invisibili (1,16). Egli, infatti, è il Figlio diletto (1,13), immagine eterna del Dio invisibile (1,15), che era presso il Padre e per mezzo del quale tutto ha ricevuto esistenza e vita (1,16.17). Per questo egli è il "primogenito di ogni creatura" (1,15), perché inizio della creazione di Dio (1,16-17), il "primogenito di tra i morti" (1, l8c), perché inizio della nuova vita secondo la resurrezione e la redenzione da lui operata (1,19-20). Egli è il capo del corpo (1,18a), perché tutto in lui trova consistenza, unità e coesione (1,17), ma soprattutto è capo della Chiesa (1, 18a), perché in lui e in vista di lui, inizio e primogenito della resurrezione e della nuova creazione (1, 18bc), Dio si è compiaciuto di far abitare nell'incarnazione la pienezza della sua divinità (1,19; 2,9), manifestando (immagine) a tutti gli uomini la bontà del suo piano d'amore; si è compiaciuto di riconciliare tutti gli esseri a sé (1,20a), quelli della terra e quelli del cielo (1 ,20c), pacificandoli (1 ,20b), ricostituendo nel Cristo la loro unità perduta a causa del peccato (1,14) e rendendo l i degni dell'eredità e del regno (1,12.13). Cristo è capo (1,18), perché egli è l'inizio (1, 18b), il primogenito (1,15 .18b) e colui che presiede a tutte le cose (l, 17a.18c). In lui e per 115 Per un approccio simile, ma articolato diversamente, cfr Aletti, Colossiens /./5-20, 93-94; Karris, A Symphony, 78-80, che vi trovano sei modi di esprimere il "primato di çristo": di eminenza, di universalità, di unicità, di totalità, di priorità, di compimento. E chiaro che è un modo, a volte molto sottile, di esprimere gli stessi concetti che qui ho sintetizzato in tre momenti.
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opera di lui tutte le cose hanno origine (1,16), consistenza (l, 17b) e fine (l,16f.20a). Egli ha il primato, perché Dio in lui ha fatto abitare la pienezza (1,19) della sua divinità (2,9) e per opera di lui e in vista di lui ha stabilito la nostra redenzione (1,14), riconciliandoci e rappacificandoci (l,20) nel suo amore infinito e misericordioso. Nel mistero totale di Cristo - incarnazione (1,19), morte (l ,20b) e resurrezione (l, 18b) - tutte le creature formano il suo corpo (1, 18a) e insieme a lui partecipano all'unica Chiesa (l,18a), che canta l'inno di lode a Dio e a Cristo (1,1520), Figlio del suo amore (1,13). Cristo è Re dell'universo, perché possiede un regno d'amore (1,13) e di luce (1,12), a cui tutte le creature prendono parte (1,13), perché in lui abbiamo ricevuto la redenzione, la remissione dei peccati (1,14), la liberazione dal potere delle tenebre (1,13), perché il Padre ci ha resi degni di avere parte a questa eredità dei santi (1,12). Ma non solo gli uomini sono chiamati a far parte della Signoria di Cristo, ma tutte le creature visibili e invisibili, troni e dominazioni, principati e potenze (1, 16.20c), sono state create per opera di lui e in vista di lui (l, 16af) e tutte sono state riconciliate e rappacificate per opera di lui e in vista di lui (1,20), in modo che egli abbia il primato assoluto e universale su tutte le cose (l,18c)116. 3) La teologia di Col 1,15-20
Col 1,15-20 ha un carattere certamente cristologico. Ciò non significa, però, che nell 'inno non vi siano anche degli aspetti teologici molto rilevanti, che da una parte danno la giusta dimensione della cristologia e dall'altra ci permettono di rilevare il quadro teologico globale in cui la cristologia dell'inno si inserisce ll7 • Tale quadro teologico globale ha due momenti forti: a) Dio creatore del cosmo. E' un aspetto che risalta in maniera evidente dall'analisi di Col 1,16, che in maniera inclusiva pone l'atto della creazione del cosmo tra due passivi teologici: ÈK'tlcr811 - EKncr't<Xt (l, 16a; 1,16f). La causa agente originante di tutto il cosmo, di ogni creatura del cielo e della terra, delle creature visibili e invisibili, come delle potenze 116 A tale proposito cfr le buone applicazioni pratico-pastorali di Edwards, JeslIs the Wisdom 01 Cod, 69-171; Karris, A Sympholly, 83-89. 117 Di diverso avviso sembra Aletti, Colossiells /./5-20, 45, per il quale "Dieu - nella nostra pericope - est passé sous silence" e si sforza di minimizzare qualsiasi dato teologico presente nella pericope. Ma la sua interpretazione mi sembra non solo esagerata, ma anche non tiene eonto del contesto in eui l'inno di Col 1,15-20 è stato inserito.
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angeliche (l, 16b-d), è il Padre. Da lui scaturisce la vita, sia come progetto d'amore sia come attuazione attraverso l'opera del Figlio. Il Padre e il Figlio sono uniti intimamente nell'atto della creazione, tanto che il Figlio non è altro che "l'immagine del Dio invisibile" (l, 15), cioè colui che manifesta nella creazione l'atto d'amore (1,12-13) del Padre che progetta la creazione e la mette in atto, la concretizza per opera del Figlio e la orienta verso il Figlio (1, 16af), perché "nel Figlio" (1,16) trovi il suo scopo (1, 16f), la sua unità (l, 17a.18a), la sua coesione (1, 17b) e il suo fondamento stabile (1, 16a). Tutte le creature e tutti gli esseri hanno, così, la loro origine dal 8ÉÀl1J.1a divino, dalla volontà cosmico-salvifica del Padre. b) Dio salvatore del cosmo. Il secondo momento forte de Il 'inno è da ricercare nella eùooKia divina (1,19), che intende riconciliare tutti gli esseri a sé (1,20). Nonostante la dimensione cosmica che l'inno offre in Col 1,20c, mi sembra che Col 1,15-20 mantenga la normale teologia paolina della riconciliazione: il soggetto del riconciliare è il Padre (1,1920) e la riconciliazione ha luogo tra Dio e gli uomini in primo luogo e in senso subordinato anche con tutti gli esseri della terra e del cielo (1,20; cfr Rom 8,18-26), mediatore della riconciliazione è il Cristo (1 ,20abc). Ma anche il contenuto interno della riconciliazione è paolino, come dimostrano sia il testo di Coll, 19-20 come il contesto di Col 1,1214. In base ad essi, infatti, la riconciliazione ha il suo punto di origine nell'azione del Padre (1,19), che nel Cristo (1,19a), per opera di Cristo (l,20) e in vista di Cristo (1,20a) ci libera (l,13), ci redime (1,14), ci offre la remissione dei peccati (1,14), ci dona la sua pace (1,20b), ci rende degni della sorte dei santi (l, 12) e ci fa partecipe del regno del suo Figlio diletto (1,13). Inoltre, come si è detto, la riconciliazione ha il suo punto forte nel mistero di Cristo: incarnazione (1,19), morte (l ,20b) e resurrezione (l, 18b). Nella totalità del suo mistero, pertanto, il Cristo diviene per volontà del Padre (1,19) il primogenito dei risuscitati da morte (l, 18b) per introdurli nella vita nuova, inizio (1, 18b) della pacificazione universale (1 ,20b) per ristabilire l'unità di tutti gli esseri, capo del corpo che è la Chiesa (l, 18a), punto culmine della comunione di Dio con gli uomini, stabilito per mezzo della mediazione universale di Cristo.
CAPITOLO III EF 1,3-14 IL DISEGNO SAL VIFICO DI DIO NEL CRISTO GESÙ Benedetto (è) il Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo, poiché ci ha scelto in lui prima della fondazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nell 'amore, predestinandoci alla figliolanza adottiva per opera di Gesù Cristo in vista di luilper sé, secondo il beneplacito della sua volontà, a lode gloriosa (lett. di gloria) della sua grazia con la quale ci ha gratificato nel Diletto. In lui abbiamo la redenzione per mezzo del suo sangue, la remissione dei peccati, secondo la ricchezza della sua grazia, che egli ha fatto abbondare per noi con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà secondo il suo beneplacito, che prestabilì in lui in vista dell 'amministrazione della pienezza dei tempi, di ricapitolare/raccogliere sotto un capo tutte le cose nel Cristo, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In lui, nel quale anche siamo stati scelti/messi a parte predestinandoci (o essendo stati predestinati) secondo il disegno di colui che opera potentemente secondo la decisione della sua volontà, affinché noi, che abbiamo sperato prima nel Cristo, fossimo a lode della sua gloria. In lui anche voi, avendo ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza, in lui, avendo anche creduto, foste segnati con lo Spirito salIto della promessa, che è caparra della nostra eredità in vista della redenzione della (sua) acquisizione a lode della sua gloria. Analisi letteraria l) Contesto
L'inno di Ef 1,3-14 segue immediatamente il praescriptum (1,12) della Lettera agli Efesini, occupando il posto che di norma Paolo riserva al ringraziamento (Rom 1,8; lCor 1,4-8; 2Cor 1,3-7; Fil 1,3-
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Capitolo III
lO; Col 1,3~8; 1Tess 1,2-5; 2Tess 1,3-10; Fm 4-7)1. Questo risulta come un prolungamento della lode che Paolo rivolge a Dio per l'azione di grazia che opera in mezzo agli Efesini, divenendo insieme alla benedizione un'introduzione alla prima parte della lettera (2,1-3,19), che a sua volta si conclude inclusivamente con una dossologia a Dio che opera nel Cristo e nella Chiesa (3,20-21). 2) Delimitazione della pericope
L'inno inizia in 1,3 con una formula di benedizione e si prolunga in una serie ininterrotta di participi (1,3b; 1,5; 1,9), di proposizioni relative (1,7; 1,8; 1,11; 1,13; 1,14), causali (l,4) e infinitive finali (1,4b; 1,12), che determinano l'unità formale dell'inn02 • A causa di ciò, l'unica vera cesura si ha con il òtà 't01)'to di 1,15, dove inoltre si passa dalla benedizione al ringraziamento ("non cesso di ringraziare") introdotto con il soggetto al singolare (eyro). Anche il contenuto di 1,3-14 è unico: la lode al Padre per il suo piano salvifico ("il beneplacito della sua volontà", cfr 1,5; 1,9; 1,11), che porta a compimento nella redenzione (1,7; 1,14) nel e per opera di Cristo (1,3.4. 5.6.7.9.10 11.12.13) e per mezzo dello Spirito promesso (1,3; 1,1314) a lode della sua gloria (1,6; 1,12; 1,14). 3) Genere letterario
Ef 1,3-14, dal punto di vista della forma, è lina eulogia a Dio, una proclamazione di lode per il piano di salvezza stabilito dalla benevolenza del Padre, realizzato per la mediazione del Cristo e portato a compimento dall'azione teleologica dello Spirito. Sia per la forma che per il contenuto si ispira a delle forme inniche dell' AT che hanno inizio con baruk 'elohe Jahwé (cfr SI 31,22; 144,1; Tob 13,1 ecc.) o del giudaismo (cfr 1QM XIII,2; Shema; Shemone 'esre)3. Anzi, la eulogia cristiana ha la sua origine proprio dalla berakah giu-
A causa di ciò, Penna, Efesini, 82, lo ritiene "come blocco a sé stante i n funzione di proemio". 2 Cfr anche l'analisi di Schlier, Efesini, 48-49; Grelot, "La structure", 194-195. Norden, Agnostos Theos, 253 nota I, ha scritto esagerando alquanto: "E' il più mostruoso conglomerato di frasi che io abbia incontrato nella lingua greca". Tale giudizio sembra essere troppo pesante e in qualche modo è stato ridimensionato da Robbins, "The Composition of Eph 1:3-14",677-687. Inoltre, la letteratura paolina conosce altri periodi molti lunghi e complicati alla maniera di quello di Ef 1,314, basta cfr Rom 1,1-7; 12,4-8.9-13; 2Cor 10,3-6; 11,24-29; ecc. In ogni caso, l'inno di Ef 1,3-14 ha un suo fascino, che non deriva tanto dalla fonna, ma dai suoi contenuti, espressi in fonna ritmica (cfr anche Penna, Efesini, 83). 3 Schlier, Efesini, 52-55; Cambier, "La bénédiction", 60-61; Deichgraber, Gotteshymnus und Christushymnus, 40-43; Montagnini, "Christological Features", 530; Grelot, "La structure", 200; Fabris, "Il piano divino", 511-523.
EI1,3-14
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daica4 • Nel NT, solo due inni incominciano con la fonnula "Benedetto Dio": precisamente il Benedictus5 e il nostro inno di Ef 1,3146 • Nonostante questi riferimenti fonnali, bisogna riconoscere che Ef 1,3-14 non ha la fonna propria di un salmo7, a cui invece si rifà certamente il Benedictus, ma quella delle composizioni di "prosa ritmata" che si incontrano nell'epistolario paolino (Fil 2,6-11; Col 1,15-20; Ef 2,14-18; Rom 8,31-39) e nel Prologo di Gv 1,1-18. In Ef 1,3-14, infatti, si riscontrano gli stessi fenomeni già registrati negli "inni paolini": il ritmo incalzante delle frasi, un vocabolario alquanto ricercato e fonnato di parole perispomene8 , il parallelismo dei membri di frase, le assonanze verbali, poco uso delle particelle di connessione, molto uso dei participi per creare collegamenti (1 ,3b.5. 9.11.13), ripetizioni di fonnule come "secondo il beneplacito della sua volontà" (1,5.7.9) o "a lode della sua gloria" (1,6.12.14)9 e il ripetersi martellante, anche se variato nelle fonne pronominali: "i n lui", "nel quale", della fonnula molto cara a Paolo: "in Cristo" (1,3.4.5.6.7.9.10-11.12.13)1°. L'importanza di tale fonnula, nell'insieme dell'inno, fa sì che Ef 1,3-14, nonostante la sua dimensione trinitaria ll , deve essere considerato come un inno cristologico l2 • Infatti, l'elemento cristologico è il cuore o la base portante della benedizione del Padre e dell'azione santificatrice dello Spirito. Tutto avviene "nel Cristo" e "per mezzo del Cristo": "in lui", il Diletto (1,6), il Padre rivela il suo disegno benevolo (1,6; 1,9; 1, Il) di salvare tutti gli uomini, renderli santi e Cfr Lyonnet, "La bénédiction", 341-352; Penna, Efesini, 106. Cosi Schlier, Efesini, 53; contrario Cambier, "La bénédiction", 60. Comunque, fonnule eulogiche, simili a quella di Ef 1,3 e poste all'inizio delle rispettive lettere, si trovano anche in 2Cor 1,3 e I Pt 1,3, ma non fanno parte di inni, anche se 2Cor continua con una certa prosa ritmata. 7 Cambier, "La bénédiction", 60; Fabris, "II piano divino", 513, ammette invece che l'autore "si è ispirato liberamente alle composizioni bibliche dei salmi e degli inni dell'ambiente giudaico". 8 Cioè con accento circontlesso alla tine; se ne contano ben 35 e anch 'esse determinano un certo ritmo, specialmente in tinale di frase (cfr Innitzer, "Der Hymnus i n Eh 1,3-14",612-621; Penna, Efesini, 83). 9 Cambier, "La bénédiction", 98; Montagnini, "Christological Features", 537538, la ritengono una "formula-ritornello", avente tùnzione strutturante. IO Cfr Montagnini, "Christological Features", 535-537, che lo ritiene elemento strutturante del brano; di diverso avviso è Schlier, Efesini, 49-50 nota 4: incerto Cambier, "La bénédiction", 66-67 e 98-99. Il Cfr anche Coutts, "Ephesians 1.3-14", 117-118; Barth, Ephesians /-3, 101. 12 Schlier, Efesini, 56-57; Cambier, "La bénédiction", 66-67; Montagnini. "Christological Features", 538-539. In contrario, Deichgriiber, GotteshYl1lll/ls /Ind Christushymnus, 65-76, seguendo Conzelmann, lo ritiene: "eine Meditation liber das Thcma 'Gott in Christus"'; Lincoln, Ephesians, 43: 'The theocentric perspectivc rcmains dominant".
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figli (l,4-5), e li ha segnati con il sigillo dello Spirito (1,13) in vista di divenire sua speciale proprietà (1,14); "per mezzo di Cristo" otteniamo la redenzione (1,7.14), la remissione dei peccati (1,7), la ricchezza della grazia divina (l, 7), la conoscenza del mistero (l,8-9). In tal senso, la formula "in Cristo" conserva la sua pregnanza semantica ed esprime tutta la ricchezza dell'opera redentrice e salvifica del Cristo: non solo il suo ruolo di mediatore l3 nel piano divino del Padre, ma anche il centro portante di tutta l'opera salvi fica di Dio l4 • È difficile dire quale sia l'ambiente proprio dell' inno, anche se quello liturgico sembra il più probabile, stando anche a ciò che si legge in Ef 5,19-20 e Col 3,16-17 15 • Ma, a causa di questi testi, risulta arduo voler attribuire quest'inno (e anche gli altri inni paolini) alla liturgia battesimale o alla catechesi pre-battesimale I6 • Quest'ultima ipotesi potrebbe essere verosimile, dato che Paolo si serve degli inni o all'inizio di una parenesi (Ef 1,3-14.15-2,lO) o all'interno di essa (Fil 2,1-18; Col 2,9-29). In ogni caso, essa serviva per dare fondamento alla dottrina che si stava esponendo. 4) La struttura letteraria A. Ef 1,3: Introduzione della eulogia l°) v. 3a: Dio oggetto della nostra benedizione EÙÀoyrrtòç Ò 8EÒç Kat n:a'tllP 'COD Kupiou 1lj.Hl)V 'IllO'OD XplO''tOD,
2°) v. 3b: Dio soggetto della nostra benedizione Ò EÙÀoYrlO'aç 1l)l<Xç Èv n:cXO'l] EÙÀoyi T)Y<X1tllJlÉvql.
C. Ef 1,7-10: I benefici apportati da Cristo l) VV. 7-8: la redenzione 'Ev
iP fxOJlEV
'tT]v arroÀu'tproO"tv cStà 'tou a'iJla'taç aù'tau, 'tT]V a dç OiKOVOJltav 1:0U rrÀllPWJla1:0ç 1:rov KatproV, avaKE, 1:à bit 'taLç oùpavotç Kaì 'tà Èrrì 1:f1ç yf1ç Èv aù't4'>.
D. Ef 1,11-14: giudei e pagani segnati con lo Spirito di salvezza l) vv. 11-12: i giudei scelti per primi 'Ev
iP Kaì ÈKÀllPw811JlEV rrpoopt0"9ÉV1:Eç Ka'tà rrpo8EO"tv 'tau 1:à rrav't<X Èvepyouv'taç K<X'!à 1:T]v ~ouÀT]v 'tau 9EÀiJJla'taç aù'tau eìç 1:Ò dvat T)IlUç eìç Errat vov 06~l1ç aù'tau 'taùç rrpollÀrtt K XptO"1:4'>.
2) v. 13: i pagani segnati con lo Spirito della promessa 'Ev
iP Kaì uJldç 1:ÒV Myov 1:f1ç aÀ118etaç, 1:Ò eùayyÉÀtOv 1:f1ç O"ro1:11ptaç uJlrov,
Èv
iP Kaì rttO"'teuO"av'teç ÈO" sia l'elemento strutturante principale di tutto il brano. 21 Mi limito a citare solo queste due pleroforie, in quanto hanno elementi di confronto; del resto la pericope è piena di espressioni pleroforichc. cfr per es. quella di I, I b: ò EÙÀoy~crU(; ~J.liiç Èv mXcr\1 EÙÀoyi~ 7tV€uJ.latl Kì] Èv tòìç É1wupaviol dando ad essa il valore enfatico di "È in lui nel quale"23. Comunque, sia tali espressioni che i participi, dato che sono elementi grammaticali dipendenti, più che una divisione della pericope indicano unione con qualche elemento principale della frase. In tal senso, una divisione rigida della pericope, cioè basata su elementi formali assolutamente certi, non è possibile. Gli elementi rilevati sono utili, ma non sempre sicuri. Così, senza rinunciare del tutto ad essi, credo che si possa seguire un'altra via di ricerca, basata su altri elementi grammaticali: il variare dei tempi, il variare dei soggetti di frase, alcuni collegamenti sintattici particolari. Tenuto conto di ciò, credo che si possa stabilire: a) Ef 1,3a e 1,3b sono strettamente uniti per due motivi 24 : l°) perché il participio attributivo descrittivo di 1,3b, redatto sotto la forma dell' antanak/asis 25 , aggiunge una determinazione particolare alla eu/ogia di 1,3a, da cui dipende tutto il resto della pericope: Dio 22 Cambier, "La bénédiction", 78-80 e 98. 23 Cfr il tentativo di Grelot; inoltre, Lincoln, Ephesians,
15-16; Montagnini, Efesini, 95 elIO. 24 Lincoln, Ephesians, 17-18, pur ritenendo che ogni parte dell'eu/ogia finisca con una frase preposizionale con Èv, lascia questa parte iniziale senza questa caratteristica generale del brano. Pur non condividendo del tutto l'ipotesi del Lincoln, credo che, lasciando unito il v. 3, esso funzioni meglio. 25 Cfr Cambier, "La bénédiction", 62, anche se non mi sembra esatto dire che l'antanak/asis, introdotta dal participio attributivo, risulta come una prima motivazione della eu/ogia.
EI1,3-14
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non è solo il "benedetto", ma anche "colui che ci ha benedetti"26; 2°) perché il Kaecbç di 1,4 fa passare dalla formula eulogica alla motivazione di essa, creando un leggero stacco nel test0 27 e facendolo avanzare nel contenuto. Proprio per tali motivi, credo che Ef 1,3 nel suo insieme sia da considerare come l'introduzione generale dell' inn0 28 . b) Il Kaecbç causale di 1,4 introduce la motivazione29 di tutta l'eulogia: noi benediciamo Dio, perché egli ci ha scelto nel Cristo prima della creazione del mondo. Si noti come formalmente tale motivazione è in progresso rispetto alla eulogia. Essa, infatti, da una parte riprende sia il soggetto agente: ò eùÀ.oyT!craç, sia i destinatari della benedizione divina: TJ,..u'iç, sia il ruolo determinante di Cristo nel piano di Dio: Ev Xptcr'tep, dall'altra esplica con l'aoristo èçeì..éça'to in che cosa consista la "benedizione divina" e che 1'''elezione divina" ha avuto luogo "prima della costituzione del mondo", nel disegno eterno di Dio. Tale aoristo indicativo, poi, trova la sua continuazione temporale nel participio congiunto 1tpoopicraç, qualunque valore esso abbia: modale temporale o causale, e trova il suo compimento nell'èXapi'tcooev TJlléiçdi 1,630 , dato che in 1,7 non solo troviamo il presente indicativo: exollev, ma anche il cambio del soggetto. Per questi motivi formali, credo che Ef 1,4-6 forma il primo blocco unitario, tutto centrato sul tema della elezione. A sua volta, esso può essere suddiviso in tre parti: l°) v. 4a: la motivazione della eulogia: la nostra elezione; 2°) w. 4b-5: scelti per la santità e la figliolanza: questa leggera cesura si fonda sull'infinitiva finale di 1,4b3 \ e sulla participiale con26
Con Penna, Efesini, 84; meno preciso mi sembra Montagnini, Efesini, 82, che ritiene il participio attributivo descrittivo ò EUÀoY~O<xç come una motivazione. 27 Cfr anche Penna, Efesini, 84. 28 Allo stesso modo anche Cambier, "La bénédiction", 62-67 e 103; Barth, Ephesians /-3, 99; Penna, Efesini, 84. 29 Per il senso causale di K<x6roç nel nostro contesto cfr BAGD, Lexicon, ad vocem 3; BDR 453,2; per un senso più sfumato cfr Thayer, Lexicon, ad vocem 3, che lo definisce più che causale come "corresponsive"; Cambier, "La bénédiction", 67-68; Lincoln, Ephesians, 16-17; Montagnini, Efesini, 84 nota 46: "come è verQ che"; ma forse va molto bene la congiunzione causale italiana: "siccome" (con Penna, Efesini, 88). 30 L'esclusione dell'intinito presente tinale eìv<XI di Ef l,4b dall'attuale discussione non pone problema, in quanto esso non indica temporalità, ma solo valore aspettuale: Dio ha scelto il cristiano, perché egli sia sempre santo e immacolato dinanzi a lui nell'amore. 3\ L'intinitiva tinale di I Ab è certamente una proposizione dipendente da eçEÀi:ç<X"tO, ma rimane sempre una proposizione distinta dalla sua principale; quindi può stabilire una leggera cesura strutturale, che mette in rilievo il progredire del pensiero generale dci testo.
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giunta di valore probabilmente modale 32 e sul primo richiamo alla euoOldav 'tou 8eÀrllla'toç au'tou di 1,5; 3°) v. 6: il fine ultimo del! 'elezione: la gloria di Dio, ed esso viene espresso attraverso la pleroforia33 di valore finale: eiç E1tatVOV OOçllç 'tfìç Xapt 'tOç au'tou ~ç éXapi 'tcooev "Il XptO"'te!> di 1,12; l'altra inclusione formale tra il participio congiunto 1tpOOpt0"8éV'tEC; di l, Il e quello predicativo del soggetto dell 'infinitiva 1tpOCfr anche Penna, Efesini, lO 1-102; in contrario Montagnini, Efesilli, 110, ma il suo ragionamento non mi sembra molto convincente, dato che bisogna far leva nell'interpretazione non tanto sull'aspetto "polemico", ma sul "fatto storico": nessuno può contestare che i primi cristiani provenivano dal giudaismo e quindi la loro "pre-elezione" è un dato che risulta sia dagli Atti degli Apostoli che dali' epistolario paolino, in particolare dalla Lettera ai Romani. 42 Penna, Efesilli, 104, il quale però registra solo il ritorno del "noi", ma non dà alcun peso al ritorno del presente indicativo. 41
Ef 1,3-14
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11ÀmKo,t<Xçdi 1,12; infine la posizione centrale dell'espressione pleroforica Ka'tà 't1Ìv pouÀ1Ìv 'tou geÀr1lla'toç au'tou di l,Il. 2°) 1,13: i pagani segnati con lo Spirito della promessa: anche qui la costruzione è molto ricercata: si noti in primo luogo l'inclusione iperbatica che è stabilita tra ullelç, posto all'inizio di 1,l3, e il suo predicato verbale ÈO"payt0"911'te,posto quasi alla fine43 ; al centro poi di tale inclusione sono stati posti i due participi congiunti:
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sto, il Diletto" (1,4.6), così anche la santità del cristiano ha il suo ambiente .vitale "nell' amore", condizione essenziale della santità cristiana (lCor 13). Così, in Ef 3,17-19, è l'amore che permette al cristiano di penetrare nella conoscenza profonda dell'amore di Cristo, "per pervenire all'intera pienezza di Dio"; in 4,2 il cristiano deve realizzare la sua vocazione alla santità "nell'amore", che è umiltà e mitezza, magnanimità e tolleranza (cfr Gal 5,22); mentre, in 4,1516, egli deve "crescere proiettato verso Cristo facendo la verità ed edificando nell'amore"; infine, in 5,2, la santità del cristiano è imitazione dell'amore sacrificale di Cristo, che per noi si è offerto "quale oblazione e vittima a Dio in odore di soavità" (cfr Rom 12,1-2). In definitiva, è nell'amore, quale partecipazione all'amore di Cristo e di Dio, che realizziamo il progetto di santità, a cui Dio ci ha chiamati. I1poopt<Jaç T)!J. KocrllOU di 1,4 ed entrambi si rifanno alla "decisione (1,11) benevola (1,5.9) della volontà divina (1,5.9.11)". Eiç ul08Ecriav:"all'adozione". È il fine a cui mira la predestinazione divina. Il termine ul08Ema, raro nel greco profano e assente dalla LXX, è nel NT esclusivo della letteratura paolina79 • In Rom 9,4 Paolo afferma, in linea con la teologia dell 'Esodo e dei profeti, che l'adozione a figli è uno dei privilegi dell 'Israele di Dio. Tale privilegio, però, è divenuto una realtà piena e definitiva solo nel periodo escatologico, "nella pienezza dei tempi" (Gal 4,4), quando Dio mandò il suo Figlio per liberarci dalla schiavitù della legge e donarci l'adozione a figli (Gal 4,4-5)80 e per mezzo di lui portare a compimento tale nostra predestinazione (Ef 1,5)81. Di più: per garantire questa nostra figliolanza e renderla stabile, "Dio mandò lo Spirito del Figlio suo per gridare nel nostro cuore: Abba! Padre!" (Gal 4,6). Egli non comunica uno spirito di schiavitù, ma uno spirito di figliolanza, per mezzo del quale veniamo abilitati a chiamare Dio: Abba! Padre! (Rom 8,15), a comprendere profondamente il senso di "essere figli di Dio" (Rom 8,16) e attendere insieme a tutte le creature del cosmo la manifestazione gloriosa della nostra figliolanza (Rom 8,23)82. In base a tutti questi testi paolini, la ul08Emaè l'attuale condizione esistenziale dei cristiani, a cui Dio ci ha predestinati dall' eternità, che ci è stata comunicata per mezzo di Cristo e che sperimentiamo nella nostra vita attraverso l'azione teleologiça dello Spirito che ci spinge ad essere e a vivere da figli di Dio. La frase viene completata anche qui con varie espressioni preposizionali: otà '!llcrOl> Sul concetto di predestinazione cfr Dion, "La prédestination chez S. Paul", 5-43. Per il concetto di uio9EO'lacfr von Martitz - Schweizer, Ut09Ema,268-274; Feigin, "Some cases of Adoption", 186-200; Schoenberg, "Huiothesia", I 15-123; Lyall, SIa ves, Citizens, Sons, 67-99; Scott, Adoption as Sons oj God, Tiibingen 1992. Nel greco profano è presente dal 11 sec. a. C. ed è un termine giuridico per indicare l'adozione a figlio, mentre nel NT assume una chiara valenza teologica, come testimoniano Rom 8,15.23; 9,4; Gal 4,5. 80 Buscemi, "Libertà e Huiothesia", 130-135. 81 Flowers, "Adoption and Redemption", 16-21; Theron, "Adoption in Pauli ne Corpus", 6-14; Schoenberg, "St. Paul's Notion", 51-75; Drago, "La nostra adozione", 203-219; Lyall, "Roman Law", 458-466; Byrne, 'Sons ojGod', 126-127. 82 De la Calle, "La 'Huiothesia' de Rom 8,23", 77-98; Rossi, La creazione tra il gemito e la gloria, 127-128. 78 79
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XptO""CO'0: indica la causa agente ministeri aIe e quindi sottolinea la mediazione di Cristo nella nostra predestinazione a figli 83 • Eiç a:tytov: Eiç + accusativo con senso di finalità o scopo "in vista di lui/per sé". Più difficile è dire se a{l'tov indichi Cristo come causa esemplare ultima (cfr Col l, 16f.20) verso cui si indirizza la nostra figliolanza per avere la sua pienezza di gloria (cfr Rom 8,29; Fil 3,21; Ef 4,13-16), o il Padre che ci ha resi figli per sé, per la lode gloriosa (Ef 1,6.12. 14) che a lui noi tutti dobbiamo. Quest'ultima opinione mi sembra più probabile, dato che nel contesto il soggetto è Dio e tutto il piano della salvezza si compie "a lode della sua gloria"84. Ka'tà Tilv fÙÒOKtaV "CO'0 efÀrllla'tOç aù"CO'0: "secondo il beneplacito della sua volontà": tale costruzione è rarissima nell'epistolario paolin0 85 e nel resto del NT86, ma è abbastanza documentata nella letteratura veterotestamentaria, specialmente in quella del cosiddetto "giudaismo biblico"87. Ka't<X + ace. sottolinea fortemente la corrispondenza88 tra la predestinazione a figli mediante l'opera di Cristo con il piano salvi fico del Padre. Tutto ciò dipende dalla "benevolenza" del Padre 89 , o più precisamente, interpretando il genitivo seguente come di provenienza: "dalla benevolenza che emana dalla volontà salvifica del Padre"; oppure, ipotizzando un genitivo di qualità: "dalla benevola volontà del Padre"90. Pertanto, il termine eéÀll-
Cfr anche Gal 4,4-5, ma sottolineando una differenza prospetti ca: mentre Ef 1,5 sottolinea la mediazione nel progettare la nostra predestinazione, Gal 4,4-5 pone l'accento sulla mediazione di Cristo nella realizzazione concreta della nostra figliolanza divina all'interno della storia umana o, per dirla con Paolo, "nella pienezza dei tempi" (cfr anche Drago, "La nostra adozione", 212-213). 84 Con Cambier, "La bénédiction", 75-76; Penna, Efesini, 91-92; ma anche Schlier, Efesini, 72 nota 42, nonostante che egli sceglie la prima interpretazione. 85 La si trova solo qui e con leggere variazioni in Ef 1,9: Ka'tà 't'Ìjv EÙOOKtaV aù'toi); l, Il: Ka'tà 'tl1v ~01JÀ.l1v wi) 9EÀ.T1Ila1:0ç aù'toi) (e poco prima 1,11: Ka'tà 1tp09EOW 'toi) 'tà mXv'ta ÈVEpyoi)V'toç, che certamente è sulla stessa linea di pensiero) e in Gal 1,4: Ka'tà 'tò 90" lllw 'toi) 9EOi) Kat 1tmpòç TUHOV. 86 Fuori dell'epistolario paolino si trova in IPt 4,19; IGv 5,14 (cfr anche Ebr 2,4: Ka'tà 'tl1V aùwi) 9ÉÀ.ll<J\V); nella letteratura patristica: Ignazio, Ad Smyrnaeos, l, l; Giustino, Dia!. Tryph., 116. 87 Cfr IEsd (LXX) 8,16; Sir 8,15; 32 (35),17; Dan Il,16.36 (nel TM anche in 4,32; 8,4; Il,3); nella letteratura rabbinica lo si trova all'inizio del Qaddish: "Magnificato e santificato sia il suo grande Nome nel mondo che Egli ha creato secondo il suo volere (T1m:lì::J)". Un esempio lo si può trovare anche nella letteratura profana in POxy VI,924,8, ma è tardivo (IV sec. d.C.) (cfT Moulton - Milligan, Vocabulary, ad vocem 9ÉÀ.lllla; Schrenk, 9ÉÀ.lllla, 295 nota 16). 88 Buscemi, Preposizioni, 76. 89 Per il concetto di EùooKla cfr Schrenk, EÙÒoKta, I 131-1 132; Bietenhard, EÙOOKÉW, 1285-1288; Spicq, EÙÒOKÉW, 307-315; Mahoncy, EùooKla, 75-76. 90 Per il genitivo di qualità cfr BDR, 165; mentre per l'accumulo dei genitivi di diversa valenza grammaticale cfr BDR, 168,2,2.
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/la indica la volontà divina salvifica91 , che, nel suo beneplacito (1,1,5.9) e nell'abbondanza della sua grazia (1,7), ci svela nella pienezza dei tempi (1,10) il mistero della nostra salvezza (l,Il): il vangelo (1,13) della predestinazione alla santità (1,4-5.11), della redenzione che ci fa proprietà speciale di Dio (1,7.l4), partecipi della sorte dei santi (Col l, Il) e inseriti nel Cristo in cui tutti gli esseri del cielo e della terra sono ricapitolati/raccolti in unità (l, lO). La volontà salvi fica del Padre è, pertanto, all'origine di tutta l'opera della salvezza, ne guida la realizzazione nel Cristo e la conduce al suo fine mediante l'opera santificatrice dello Spirito. La volontà divina del Padre diviene la ragione di fondo, la norma suprema, la fonte unica nella quale tutto è ricapitolato, la ragione pretemporale, benigna e amorosa da cui tutto scaturisce92 • Eiç; E1tatVOV ò6Sllç; 'tfìç; Xapt wç; aù'toù: "A lode gloriosa della sua grazia". È l'ultima aggiunta preposizionale, legata al tema della "predestinazione" in Ef 1,5-6, che indica il fine ultimo non solo della predestinazione e dell' elezione divina, ma di tutto l' inn0 93 : la 10de94 e la gloria del Padre. Si tratta di una breve dossologia 95 che inneggia a Dio per il conferimento della sua "grazia", intendendo questo termine come la sintesi di tutta l'opera divina, dono gratuito del Padre ai suoi figli. Fedele al suo stile evocativo e pleroforico, la frase viene ulteriormente ampliata attraverso una relativa paranomasica (Xaptç; - ÈXapi 'tfficrEVJ6: ~ç; ÈXapi 'tfficrEV T]/laç; Èv 'tei'> 1Ìya1tll/lÉvql, Sul concetto di eÉÀru.la CIT Schrenk, eÉÀT]IHX, 263-311; Miiller, "Volontà/eÉÀ.UÀatooucr8at 'tà miv'tu èv 't4) Xptcr't4): "Ricapitolare / raccogliere sotto un capo tutte le cose nel Cristo". La proposizione infiniti va è esplicativa e in quanto tale oggetto diretto di )'VropiçroI15 : mostra concretamente qual' è il contenuto del mistero della volontà di Dio, che egli ora manifesta a noi. Il composto àvUKE<j>UÀatOro 116 può derivare dal preverbio àvà = su + KE<j>aÀUtOV = "punto principale", "parte essenziale e rilevante", "ciò che ricapitola tutto", "somma", allora in senso temporale-intensivo ll7 : "ricapitolare". L'idea teologica sarebbe: ricapitolare tutto, le cose del cielo e della terra, in Cristo. Egli è il principio unificatore di tutto il cosmo e di tutto il piano salvifico di Dio. E' una lettura possibile" 8 , ma non esclude un'altra lettura filologica di àvUKE<j>aÀatOro, che può derivare anche dal preverbio àva = su + KE<j>UÀ1'\ = "punto più elevato, iniziale, finale o determinante", "testa", "capo", quindi in senso perfettivo-risultativo: "riportare tutto sotto un capo", "raccogliere sotto un capo""9. L'idea teologica: Dio raduna tutto il cosmo in unità e gli dà in Cristo un capo che lo ordina e gli conferisce unità. Inoltre, bisogna osservare che il verbo àVUKE<j>UÀatooucr8at è un aoristo medio dinamico l2O : Dio si impegna attivamente a realizzare la Signoria di Cristo, in modo che tutto il cosmo tenda verso di lui e in lui trovi unità, fondamento e pienezza di senso. Inoltre, in tale qualità di capo del cosmol 21 , Cristo è stato dato alla chiesa, suo corpo e pienezza di fusione con i "misteri" delle religioni pagane, non si vede il motivo per cambiarlo nelle nostre lingue con il tennine meno evocativo: "segreto" (cfr anche Lincoln, Ephesians, 30-31). D'altra parte, il tennine "segreto" potrebbe adattarsi all 'intenzione divina, finché era rimasta nascosta; il tennine "mistero", invece, evoca una dimensione escatologica: esso è stato manifestato nell'evento-Cristo, ma nello stesso tempo siamo condotti dallo Spirito a comprenderlo meglio e soprattutto a divenirne partecipi. 115 Viteau, Étude, I, 355, p. 151, e 267, p. 161; BDR, 394. 116 Per il tennine <XVu,lCE<j)u,À,moro cfr Schlier, <xvU,lCE<j)u,À,moollm, 386-390; Merklein, <Xvu,w)>u.À,moro, 82-83; Schlier, Efesini, 89-91; Barth, Ephesians /-3, 89-92; Penna, Efesini, 98-100, anche se la sua traduzione estremamente letterale è poco convincente; inoltre, l'azione non parte dal basso, ma parte da Dio che muove tutto il cosmo a trovare la sua unità e il suo capo in Cristo. 117 Buscemi, Preposizioni, 23. 118 Anzi, a partire da S. Ireneo è stata la lettura esegetica più comune (cfr Lincoln, Ephesians, 32-34). 119 Tale senso, però, non si registra nel greco classico. Anzi, si può essere certi che il tennine <xvu,n:cI>u,À,moro deriva da lCEcI>UÀ,U,\OV e non da lCEcI>U,À,Tl. Dato che Cristo veni va denominato lCEcI>U,À,Tl (Col 1,18), è possibile che in base ad esso venne data una sfumatura semantica diversa al verbo <xvu,n:cI>u,À,moro (cfr Schlier, <XVu,lCEcilu,À,moollm, 390). Barth, Ephesians /-3, 91 nota 92, fa risalire tale interpretazione fino al Crisostomo. 120 Cfr Thayer, Lexicon, ad vocem <xvu,n:cI>u,À,moro; per il medio dinamico cfr Cignelli - Bottini, "Le diatesi del verbo II", 237-244. 121 In Ef 1,22 non c'è dubbio che lCEcilu,À,Tlv è un predicativo dell'oggetto (u'ln:ov). Più
Ef 1,3-14
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lui che tutto riempie in ogni sua parte (Ef 1,22-23). "Tutte le cose": come specifica l, 10b, si tratta di "tutte le realtà che sono nel cielo e nella terra" ('tà È7tì 'to'ìç oupavo'ìç Kaì 'tà È7tì 'tfìç yfìç Èv au'te!'», quindi, decodificando il binomio "cielo-terra", tutto il cosmo. 'Ev Q) Kaì ÈKÀT\proerUleV: "In lui, nel quale anche siamo stati scelti/messi a parte". 'Ev Q): il pronome relativo ha valore pregnante, per questo è bene renderlo con l'enfatico "in lui, nel quale", che anche se risulta sovrabbondante, è però consono allo stile dell' inno: indica il Cristo, signore di tutte le cose e della Chiesa. Kai: è additivo e può rafforzare sia ciò che precede: "proprio in l u i "122, sia ciò che segue: "anche siamo messi a parte"l23. Nel primo caso l'accento cade sul ruolo di Cristo, nel secondo sull'essere "messi a parte". Forse, il fatto di essere posto a centro dell'espressione è una finezza retorica per attribuirlo ad entrambi i membri della frase: "Proprio in lui anche (noi) siamo messi a parte". KÀT\poùcreai 24 : è un verbo denominativo fattivo: "stabilisco, scelgo mediante la sorte" e in senso intensivo-perfettivo: "scegliere", "mettere a parte", "destinare". In base al contesto, "siamo scelti e destinati" a ricevere come nostra "parte" "lo Spirito della promessa"125 e l'eredità (Ef 1,13-14). A chi si riferisce la prima persona plurale ÈKÀT\ProeT\lleV? ancora a tutti i cristiani oppure ai soli giudei, dato che in 1,13 il "voi" si riferisce ai destinatari della lettera, per lo più di origine pagana? Questa seconda ipotesi, stando anche a 2,14-18 e altri brani, sembra la più probabile. Con essa si spiega meglio anche l'uso del participio attributivo wùç 7tpOT\ÀID KOWç, che indica persone che hanno sperato per prime o prima di altre, e forse anche di 7tpooplcreév'teç, che allora prenderebbe il senso di "essere destinati prima o per primi". L'espressione Èv au'te!'> ÈKÀT\ProeT\IlEV sembra riferirsi all'azione storica di Dio in Cristo e pertanto non si riferisce tanto alla predestinazione pretemporale, ma discutibile è l'attribuzione di \mÈp 1tavta a KEa).,~v. In base al contesto immediato esso è possibile e forse anche il miglior senso (cfr SchIier, Efesini, 128-129, che lo assimila al tà 1tana di Ebr 2,8; Penna, Efesini, 119). In ogni caso, però, non è escluso che esso possa avere un valore avverbiale: Dio sottopose tutte le cose sotto i suoi piedi e lui diede quale capo soprattutto alla chiesa, detenninando un passaggio simile a quello di Col 1,18-19. 122 Cambier, "La bénédiction", 91. 123 Schlier, Efesini, 92 nota 75. 124 Per l'uso di K).,T1pococfr Foerster, K).,T1Poco,601-604; Eichler, KÀiìpoç, 569-575; Barth, Ephesians 1-3, 92-94. 125 Schlier, Efesini, 93, pensa che in Cristo noi abbiamo ottenuto "la terra promessa", ma in tutto il testo non c'è alcun accenno a ciò, tranne che non si vogliono accettare tutte le speculazioni gnostiche sull'espressione "nei cieli". A mio parere, il verbo KÀT1poucr9<Xt è apparentato con il tema della K).,T1povo~la e con quello della promessa (cfr anche Gal 3,14.29; 4,1-7).
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Capitolo III
al fatto che i giudei siano stati scelti per primi a ricevere i benefici della salvezza 126 • npooptcreév'teç Kcl'tà 1tpOeecrtv wu 'tà miv'ta évepyouv'toç Ka'tà 't1Ìv ~OUA1Ìv 'tOu eeArllla'toç aù'tou: "predestinandoci (o essendo stati predestinati) secondo il proposito di colui che opera potentemente secondo la decisione della sua volontà". npooptcreév'teç: è un participio congiunto di valore causale: "dato che/poiché siamo stati predestinati"; oppure, di valore modale di azione concomitante a quella principale: "predestinandoci" o più liberamente: "siamo stati messi a parte e destinati per primi". Il senso del verbo 1tpoopi,çetv 127 è certamente mutato rispetto a quello registrato in 1,5: ha assunto il senso etimologico di essere "destinato per primo o prima di altri". Infatti, esso non si riferisce più al disegno eterno di Dio, ma al realizzarsi concreto e storico di quel disegno nel Cristo l28 . Quindi, la "p re-destinazione" dei giudei si inserisce nello svolgimento storico del disegno salvi fico di Dio. Ka'tà 1tpOeecrtv: il termine 1tpOeecrtç 129, allora, non coincide con il "disegno di Dio" (eéATUW), ma indica il modo concreto che Dio ha prestabilito per realizzare il suo disegno l3O • Ciò è confermato dal fatto che subito dopo viene inserita un'ulteriore precisazione: Ka'tà 't1Ìv ~OUA1ÌV 'tou eeArllla'toç aù'tOu, che richiama le espressioni simili di 1,5: "secondo il beneplacito della sua volontà" e di 1,9: "secondo il suo beneplacito, che egli prestabilì in lui". Unica differenza, ma molto indicativa, è l'uso del termine ~OUArl. Esso indica la "decisione", la "determinazione"; quindi, indica qualcosa di concreto, tanto che può anche significare il "decreto stabilito dalla decisione presa dall' assemblea"131. Allora, i giudei sono stati scelti per primi secondo la decisione di Dio, che ha stabilito l'adempiersi storico della salvezza nel Cristo. Eiç 'tò elVat 1Ìllaç eiç E1tatVOV ò6Sllç aù'tOu 'tOùç 1tpollAmKo'taç év 't Kat mcr'tEucraV'tEç: l'enfatico Èv cI>D4 Kal probabilmente deve 132 Il participio perfetto non indica solo il momento dell'adesione dei giudeocristiani a Cristo, ma anche l"effetto del perdurare della loro tiducia nell'azione salvifica di Cristo (cfr anche Schlier, Efesini, 95; Lincoln, Ephesians, 37), tanto che il participio perfetto potrebbe essere tradotto con il senso durativo continuo del participio presente: ""noi, che speriamo nel Cristo". Ed è proprio il perdurare di questa "speranza" che li rende testimoni della gloria di Dio. 111 Tale espressione la si trova anche in 2Cor 6,7; Coll,S. 1.14 Questo secondo relativo preposizionale Év 4> può avere nel testo una doppia di-
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Capitolo III
essere riferito sia all'atto di fede sia all'azione dell'essere segnati. TItcr'tEucraV'ttç: altro participio congiunto di valore temporale/causale di azione anteriore a quella della principale: "dopo aver/poiché avete creduto". Si tratta di un atto necessario, come insinua l'additivo "anche": non basta aver ascoltato la "parola del Vangelo", ma bisogna renderla operante nella fede. Solo la fede ci permette di ricevere il battesimo e di "essere segnati con lo Spirito santo". 'Emj>payicr81l'tE 'tQ) 1tVEUllan Tfìç É1taYYEÀtaç 'tQ) <xytcp: "Foste segnati con lo Spirito santo della promessa". È il culmine della climax che Paolo stabilisce: ascolto, fede, recezione del sigillo dello Spirito. Il verbo mj>payiçffi significa: "porre il sigillo" e da qui due diversi sensi: a) chiudere con sigillo", "sigillare"; b) "segnare con il sigillo", "contrassegnare"135. Questo secondo senso è da collegare sia con l'immagine profana del padrone che pone il sigillo sulle persone e cose che gli appartengono, sia con quella religiosa di una persona che, segnata con il sigillo della divinità, passa in suo possesso e sotto la sua protezione. Su questa linea troviamo che nell' AT la circoncisione è il sigillo de Il 'alleanza di Dio con Abramo (Gen 17,116), in Is 44,5 ed Ez 9,4-7 sugli eletti viene posto il sigillo escatologico del tau: entrambi indicano che Israele è divenuto proprietà speciale di Dio e gode della sua protezione l36 . Allo stesso modo il cristiano, dopo aver ascoltato la parola della salvezza e aver creduto in essa, riceve il segno della sua totale appartenenza a Dio: lo Spirito santo promesso e che realizza la promessa 137 • Con esso il Padre nel battesimo l38 lo ha segnato in vista della liberazione totale che lo renpendenza sintattica: l°) può riferirsi direttamente all' espressione che lo precede: 'tò EùayyÉÀtov 'tiìç
3) Cristo, centro del disegno di Dio Il pensiero cristologico di Ef 1,3-14 lo si rileva dall 'uso continuo delle espressioni preposizionali: "in Cristo" (1.,3.4.6.7.9.10.11.12. 13), "per opera di Cristo" (1,5.7), che nella loro pregnanza contenutistica indicano ora la mediazione salvifica del Cristo, ora il "l u 0go" privilegiato in cui si manifesta concretamente l'amore salvi fico del Padre e in cui tutto l'agire divino trova la sua realizzazione piena e definitiva. Tutto è "ricapitolato nel Cristo" (1, l O), perché Cristo è l'inizio del pensiero del Padre, il centro del disegno dell'amore divino verso cui tutto converge e trova la sua unità di salvezza, il fine verso cui tutto si dirige per divenire espressione di lode al Padre. a) Il disegno di Dio "in Cristo" Se si eccettua Ef 1,8.14, tutti gli altri versetti dell'inno fanno riferimento a Cristo attraverso le formule paoline "nel Cristo", "per opera di Cristo". Così, l'accentuazione cristologica dell'inno mostra l'importanza di Cristo e il suo ruolo nel disegno di Dio. Due momenti cristologici essenziali per comprendere tutta la struttura formale e contenutistica di questo incomparabile inno a Cristo. l°) I titoli cristologici La formula "in Cristo" è certamente importante, ma essa si precisa meglio se la leggiamo alla luce di Ef 1,3, dove Dio viene indi-
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cato come il "Padre del Signore nostro Gesù Cristo" (cfr Rom 15,6; 2Cor 1,2; Il,31; Col 1,3). In base a ciò, la formula si arricchisce di una splendida luce teandrico-messianica. Infatti, essa si riallaccia al titolo messianico-cristologico Kuptou 'Ill<mu XplO"WV 51 • Tale formula è comune nell'epistolario paolino e anche nella Lettera agli Efesini, dove compare in 1,3.17; 3,11; 5,20; 5,23.24. Essa ci immette nella comprensione profonda del mistero di Cristo: egli è il "Signore Gesù Cristo". Gesù fa riferimento al Gesù storico l52 , al quale sono attribuiti i due titoli cristologici di "Cristo" e di "Signore": Cristo l53 sottolinea la messianicità di Gesù: egli è l'inviato di Dio che deve portare a compimento il disegno salvifico di Dio, la santificazione (1,4), l'adozione a figli (1,5), la redenzione totale dell'uomo (1,7.14), la rivelazione del mistero (1,9-10), la partecipazione al popolo santo di Dio e all'eredità (1,13-14). Signore l54 è evidente trasposizione cristologica dell'attributo divino che l'AT riservava solo a Jahvé e sottolinea che per Paolo Gesù non era un semplice "inviato di Dio", ma insieme al Padre l'autore stesso della nostra salvezza: in lui Dio stesso opera concretamente la liberazione all'interno della storia umana secondo il suo eterno disegno di amore. Ma con ciò non si esaurisce ancora la ricchezza cristologica della formula di Ef 1,3, in quanto il titolo cristologico: "Signore Gesù Cristo" specifica il titolo divino: "Padre" sottolinenando il rapporto di intimità che esiste tra Dio e Cristo. Egli è "il Diletto" (Ef 1,6) del Padre o, come dice in maniera stupenda ed efficace Col l, l3, "il Figlio del suo amore". In lui, origine, centro e termine dell'amore divino, il Padre ci ha scelti, ci ha redenti, ci ha segnati con il suo Spirito, ci ha resi figli e ci fa trovare il punto di unità e di incontro con sé. Così, "nel Cristo" anche noi abbiamo un rapporto speciale con il Padre l55 • La 151 In tal senso cfr Romaniuk, L 'amollr dll Père et du Fils, 55; Hengel, Between Jesus and Paul, 65-67. 152 Cosi per esempio Cerfaux, Le Christ, 375; Foerster, KuptOç, 1470; e in maniera più estesa in "llO"o'Ùç, 917-934. 153 Per questo titolo cristologico cfr Cerfaux, Le Christ, 361-381; Kramer, "Christ, Lord, Son of God", 19-64; Vermès, Jesl/s the Jew, 129-159; Hengel, Between Jesus and Paul, 65-77. 154 La letteratura è molto vasta. Qui basterà citare Certàux, "Le titre Kyrios", 3-188; Le Christ, 345-359; Cullmann, Cristologia, 301-358; "Kyrios", 200-228; Vennès, Jesus the Jew, 103-128; Hurtado, "New Testament Christology", 306-317 (con bibliografia recente); Foerster, KuptOç, 1450-1488; Spicq, KuptOç, 415-428. 155 Cfr Penna, E(esini, 86, anche se tende a ridimensionarne il valore per il fatto che cssa si trova più spesso nei fonnulari protocollari (Rom 1,7; ICor 1,3; 2Cor 1,2; Gal 1,3.4; Ef 1,2; Fil 1,2; Col 1,2; 2Tess I, I; Fm 3) che nei "corpus" delle lettere paoline (Fil 4,20; ITcs 1,3; 3,11.13; 2Tess 2,16). Ma per quanto stereotipata, la fOn1lUla indica un profondo convincimento di Paolo: noi siamo figli di Dio (Rom 8,9.14; 9,26; Gal 3,26; 4,5-7; Ef 1,4) e tàmiliari di Dio (Ef 2,19).
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Capitolo III
formula, in tal senso, risulta un'efficace prolessi della nostra predestinazione a figli. 2°) Il carattere cristologico del disegno divino Con ciò non fa meraviglia che il disegno di Dio assuma un'evidente caratterizzazione cristologica: sia il eD"ru.w. eterno del Padre, sia l'attuazione storica della salvezza, sia il suo compimento escatologico, tutto porta l'impronta del Cristo. Tutto dipende dal rapporto di figliolanza stabilito inizialmente in Ef 1,3, che ci fa comprendere l'unità essenziale del volere tra il Padre e il Figlio, la concordanza eterna di reciproco amore tra il Padre e il Diletto (1,6). Da questa unità di essere e di volere scaturisce il "disegno divino" ed esso non può essere concepito che "nel Diletto": il Padre mostra il suo amore verso di noi, la sua benevolenza, la sua grazia nel Figlio del suo amore (Col 1,13). Da questo amore reciproco scaturiscono tutte le fasi del "mistero", un mistero d'amore che si svela a noi per gradi, "nei tempi di grazia" della storia della salvezza, ma sempre alla luce di Cristo. Diviene, così, benedizione ad Abramo e alla sua discendenza, che è Cristo (cfr Gal 3,16); una benedizione che segna la vita dei patriarchi, di Israele, dei profeti, una benedizione dall'alto (1,3) che comunica "lo Spirito della promessa" (1,13-14; cfr Gal 3,14), che ci rende nel Cristo partecipi della figliolanzà divina e dell' eredità dei santi (1,11.14; cfr Col 1,12). Tale benedizione ha i suoi momenti forti nel Cristo: l'elezione ad essere santi (1,4), la predestinazione ad essere figli (1,5), la redenzione dalla schiavitù del peccato (1,7), la conoscenza del mistero di Dio (1,9-10), l'essere segnati con lo Spirito (1,13), la partecipazione all'eredità (1,1l.l4). Tutta la nostra esistenza cristiana, in tal modo, è segnata da questo volere divino che tutto pensa, tutto opera e tutto porta a compimento nel Cristo. Così, nel Cristo, prima della creazione del mondo (1,4.5), siamo stati scelti per essere santi (1,4) e destinati ad essere figli (1,5); nel Cristo, in questo tempo presente della grazia, dopo aver ascoltato la parola della verità e creduto nel vangelo della salvezza, siamo stati redenti dai nostri peccati, resi degni di conoscere il mistero della volontà salvi fica di Dio, segnati con lo Spirito promesso, acquistati al popolo santo di Dio per essere partecipi dell'eredità. Tutto si compie "nel Cristo", perché Dio in lui ha riversato per noi tutta la benevolenza, la ricchezza e la sovrabbondanza del suo amore eterno ed infinito. Tutto si compie "nel Cristo", perché in lui tutti noi abbiamo accesso, quali figli, ali 'amore del Padre e a tutte le manifestazioni della sua grazia. Cristo è il punto d'incontro di Dio con l'uomo e dell'uomo con Dio. Anzi, Dio, nel-
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l'amministrazione dei tempi della salvezza, tutto ha fatto convergere verso di lui, perché egli sia il capo del cosmo e della Chiesa. Tutto si compie "nel Cristo", ma anche tutto si compie "per mezzo del Cristo". La mediazione del Cristo, certamente è espressa in Ef 1,5, dove la nostra "predestinazione a figli" non è stata stabiita solo "nel Cristo", ma anche "per mezzo di Cristo". Abbiamo, così, una duplice caratterizzazione cristologica: l'essere "predestinati nel Cristo" indica che il progetto del Padre è stato pensato e voluto "nel Figlio diletto", mentre l'essere stati "predestinati per mezzo di Cristo" indica che l'attuazione del progetto divino della nostra adozione a figli è avvenuta attraverso la mediazione del Cristo. Nel primo caso, Cristo è causa agente efficiente insieme con il Padre, nel secondo caso Cristo è la causa agente ministeriale per mezzo della quale Dio porta a compimento il suo progetto di Padre nei nostri confronti. Tale mediazione del Cristo ha avuto luogo nel suo sacrificio cruento sulla Croce: siamo stati redenti ed abbiamo sperimentato la ricchezza della grazia amorosa del Padre "per mezzo del sangue di Cristo" (1,7). Per mezzo di questo sangue versato per noi abbiamo ricevuto la remissione dei peccati, siamo stati purificati e resi santi, siamo divenuti figli di Dio e acquistati quale suo popolo santo per la lode gloriosa della sua grazia. b) Cristo, capo del cosmo Tutto ciò sfocia nell'idea centrale dell'inno di Ef 1,3-14 e precisamente nella "rivelazione del mistero" di 1,9-lO. Infatti, tutta l' azione del Padre è orientata a tale rivelazione, come sottolinea in maniera efficace l'espressione "l'amministrazione della pienezza dei tempi". La salvezza è azione dinamica di Dio che si svela "nei tempi" e questi "tempi" sono amministrati da Dio, che li porta avanti e li guida verso la loro pienezza, perché raggiungano lo scopo per cui sono stati stabiliti. Sono tappe di grazia e di benedizione, segnate dalla benevolenza divina, che portano a compimento ultimo e definitivo il piano di salvezza voluto da Dio a nostro favore. Il tempo scorre, ma è nelle mani di Dio, che lo guida per le sue vie e lo porta al suo compimento attraverso i momenti della sua grazia e questi raggiungono nel tempo stabilito "la pienezza del tempo" (cfr Gal 4,4). In questo scorrere del tempo e attraverso i tempi, il disegno di Dio si realizza incessantemente fino a raggiungere lo scopo per cui è stato stabilito, fino alla manifestazione piena del "mistero di Dio", che per secoli era rimasto nascosto a causa dei "tempi dell 'ignoranza", ma ora nel compimento dei tempi è svelato nel Cristo e per mezzo di Cristo. Egli è la rivelazione della volontà salvifica di Dio per noi.
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Capitolo III
Certamente non è facile stabilire, come si è visto, il senso preciso del termine greco ùvaKeaÀmoro. In ogni caso, è meglio mantenere tutta la sua ampiezza semantica, in modo da poter esprimere teologicamente tutta la ricchezza pregnante dell'espressione paolina. In primo luogo, però, bisogna rilevare la dinamicità del verbo: usato nella forma del medio, esso esprime tutta la forza dell'intenzione del Padre e del suo impegno nell'amministrazione dei "tempi della salvezza". Essi sono tali, momenti di grazia, proprio perché portano a compimento il disegno divino di far convergere tutto verso Cristo. Ecco, il mistero! L'uomo, infatti, non può mai con le sue sole forze di scienza, di intelligenza e di sapienza penetrare nel disegno di Dio. Solo nel Cristo, la conoscenza umana, la gnosi, la sofia di questo mondo, è illuminata e riceve la rivelazione del mistero nascosto dai secoli. Egli solo ci fa conoscere l'insondabile ricchezza dell'economia dinamico-salvi fica di Dio. In lui, attraverso "i tempi", tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra, sono, perché egli è il principio unificatore di tutti i tempi, di tutto il cosmo, di tutto il piano salvi fico di Dio. Così, tutto il cosmo, radunato in unità nel Cristo, ha un capo che lo ordina e lo porta alla pienezza della salvezza. Tutto è orientato a Cristo e tutto nel Cristo, capo e guida del cosmo e della Chiesa, diviene lode a Dio, ben~dizione per i benefici del suo amore (1,4.5.9). Lode a Dio per l'abbondanza di grazia di cui ci ha fatto dono nel Diletto (1,6). Lode al Padre per la benevolenza mostrataci nell'elezione ad essere santi, nell'averci predestinato ad essere figli e nell'averci redenti purificandoci dai nostri peccati (1,47). Lode a Dio, perché, predestinandoci ad essere santi e figli, ci ha resi nel Cristo lode perenne della sua gloria (1,11-12). Infine, lode a Dio, perché avendoci segnati con il suo Spirito ci ha inseriti nella promessa, ci ha acquistato come suo popolo e ci dà accesso all' eredità dei santi, per essere lode della sua gloria (1,14). Nel Cristo la nostra eulogia raggiunge il suo culmine e la sua pienezza: tutto è orientato a Cristo e tutto in lui diviene benedizione al Padre.
CAPITOLO IV
EF 2,14-18 CRISTO NOSTRA PACE
Egli, infatti, è la nostra pace, colui che ha fatto di ambedue una cosa sola, che ha abbattuto il muro divisorio del recinto, l'inimicizia nella sua carne, annullando/poiché annullò la legge dei precetti per mezzo rli ordinamenti, allo scopo di creare in se stesso i due come un unico uomo nuovo, facendo la pace, e riconciliare a Dio l'uno e l'altro in un solo corpo mediante la croce avendo ucciso/uccidendo l'inimicizia in se stesso. Ed essendo venuto, annunziò pace a voi lontani e pace ai vicini, poiché per lui abbiamo accesso entrambi in un unico Spirito al Padre. Analisi letteraria
1) Contesto L'inno di Ef 2,14-18\ è inserito nella lunga catechesi ecc1esiologica di Ef 1,15-3,21, le cui articolazioni mostrano un approfondimento sapienziale progressivo del mistero di Cristo e della Chiesa. Così, in Ef 1,15-23, ci viene mostrato il progetto di Dio, che tutto ha sottomesso al Cristo, costituendolo capo del coSmo e della Chiesa, principio della speranza a cui siamo stati chiamati, della ricchezza dell'eredità divina tra i santi e della straordinaria grandezza della potenza salvifica di Dio verso tutti i credenti. Tale potenza si è manifestata a favore dei gentili che a causa dei loro peccati erano figli della disobbedienza e a favore dei giudei che adempiendo i voleri della carne erano divenuti figli dell'ira (Ef 2,1-10). Ma Dio, nel suo grande amore, ha convivificati con Cristo tutti i credenti, noi una volta morti a causa dei peccati, ma ora conrisuscitati con Cristo e salvati Per Ef 2, 14-18 cfr Merklein, "Zur Tradition", 79-102; GonzaIez Lamadrid, Ipse est pax nostra, Madrid 1973; Zerwick, Cristo nostra pace, Torino 1974; Ramaroson, "«Le Christ, notre Paix»", 373-382; Penna, "«L'Evangile de la paix»", 175199; Karris, A Symphony, 92-111, che restringe l'inno a Ef 2,14-16.
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Capitolo IV
per grazia mediante la fede. Di più: in Cristo la salvezza è riconciliazione universale tra giudei e gentili, tra i credenti e Dio. Cristo, infatti, è la nostra pace, colui che per mezzo del suo sangue ha distrutto il muro di divisione della legge e con ciò ha proclamato il buon annuncio della pace e ci ha costituito dimora di Dio nello Spirito (Ef 2,11-22)2. Questo è il mistero di Cristo e della Chiesa, che Paolo, ministro del Vangelo per i gentili, annuncia a tutti, perché comprendano da una parte l'insondabile ricchezza di Cristo e del suo amore e dall'altra la straordinaria missione della Chiesa di rendere nota la multiforme sapienza di Dio, che nel Cristo ci ha dato accesso alla sua grande misericordia (Ef 3,1-19). A lui la gloria nella Chiesa e nel Cristo Gesù per tutte le generazioni e per tutti i secoli (Ef 3,20-21). Ef 2,14-18, quindi, rappresenta il culmine dell'argomentazione paolina: Cristo è la nostra pace, perché egli ha annullato l'antica condizione di lontananza dei gentili da Dio (Ef 2, 11-l3), abolendo la legge dei precetti che creava l'inimicizia, ha riconciliato gli uomini tra loro e con Dio (2,14-18), ma soprattutto ha stabilito una nuova situazione ecclesiale, dove tutti sono cittadini dei santi e familiari di Dio, fondati su Cristo e sugli apostoli, per crescere e divenire dimora di Dio nello Spirito (Ef 2,19-22)3. 2) Delimitazione della pericope
L'inizio dell'inno è stabilito dall'introduzione enfatica del pronome personale Utl'tOç; , che crea uno stacco molto forte con il pronome UIlElç; che in Ef 2,11-13 caratterizza i cristiani provenienti dal paganesimo. Inoltre, con 2,14 ha inizio un fraseggiare più solenne e ritmato che dura fino al v. 184, mentre in 2,19 si riprende il normale Cfr anche Lincoln, Ephesians, 131-134; pur condividendo lo stesso contesto di Ef 2,14-18, cioè Ef 2,11-22, Karris, A Symphony, 95-97, offre una diversa ricostruzione del contesto, che va a mio parere oltre i limiti del suddetto contesto. 3 Cfr Gonzalez Lamadrid, Ipse est pax nostra, 9-55; Barth, Ephesians 1-3, 275276; Lincoln, Ephesians, 131-133; Idem, "The Church and Israel in Ephesians 2", 607-609. Con Barth, Ephesians 1-3,260-261. Per un'opinione diversa cfr Lincoln, Ephesians, 128-129, che si basa non tanto su elementi di stile, ma sulla possibilità che Ef 2,17 possa usare il testo di Is 57,19 mettendolo così in connessione con Ef 2,13. Per quanto significativa possa essere tale motivazione da un punto di vista redazionaie, non credo che essa possa cancellare il ritmo impresso ad Ef 2,17-18. Tale osservazione è valida anche per Sanders, The New Testament Christological Hymns, 14-15, dove offre anche un 'improbabile, quanto curiosa ricostruzione dell'inno. Così, secondo lui, il termine EX9pa. di 2,14d sarebbe un 'interpolazione interpretativa dell'autore della Lettera agli Efesini, in quanto troppo connesso con il tema dell 'inno, allo stesso modo di 1tOlWV dpllvf\v di 2,15c; lo stesso dicasi di 2,15a, perché crea un certo disturbo nel parallelismus membrorum dell'inno che consta solo di due membri; infine anche lilà ,OU (Ha.UpOU di 2, 16a non è altro che un
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stile dell'argomentazione con l'espressione conclusiva: "ora dunq u e"5 e si registra di nuovo il cambio del soggetto: ritorno del "voi ''6, cioè i cristiani della gentilità, rispetto al soggetto di Ef 2,1417: "Cristo", che in Ef 2,18 diviene il soggetto logico della frase, mentre il soggetto grammaticale è "noi", cioè tutti i cristiani che per mezzo del Cristo e nello Spirito hanno accesso al Padre. Così; il nostro brano risulta molto unitario per il ritmo e per l'inclusione letteraria tra 2,14 e 2,18, stabilita dalla ripetizione del termine pace e dell'aggettivo pronomina1e Ot à,.Hj>o'tÉpouç EV Év't oolJ.lan 'te!> efe!> ò. 't. o'taupou,
01:Epa EV: "colui che ha fatto di ambedue una cosa sola". Il participio articolato ò 1tot-rlcraçè un participio sostantivato appositivo, quindi specifica l'intera affermazione di 2,14a: 23 In tal senso vanno alcune tradizioni rabbiniche riferite sotto il nome di Rabbi José Hagalili (vissuto verso il 110 d. C.): "Anche il nome del Messia è detto 'pace', come sta scritto: 'Padre eterno, Principe della pace (Is 9,5)'; 'Grande è la pace, giacché quando il re, il Messia, si rivelerà ad Israele, egli darà inizio alla sua opera solamente con la pace, come sta scritto: Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di gioia che annuncia la pace' (ls 52,7)" (cfr Schlier, Efesini, 189 nota 15). 24 Barth, Ephesians 1-3,276-279, fa riferimento solo a Is 57,19, ma ciò mi sembra poco probabile. Paolo, seguendo il modello interpretativo rabbini co, fa a mio parere riferimento a più testi e li combina tra loro in modo da ottenere una rilettura più vicina alla sua presentazione di Cristo come "nostra pace". 25 Cfr Barth, Ephesians 1-3, 292-298; Lincoln, Ephesians, 140. 26 Cfr Gdc 6,24: "Allora Gedeone costruì in quel luogo un altare al Signore e lo chiamò: il Signore (è) Pace"; Rom 15,33: "II Dio della pace sia con tutti voi" (cfr anche Rom 16,20; 2Cor 13,11; Fil 4,9; ITess 5,23; 2Tess 3,16); e il detto di Rabbi Jehoshua (vissuto verso l'anno 90 d. C.): "Grande è la pace, giacché il nome di Dio vien detto 'pace'" (cfr Schlier, Efesini, 189 nota 15: cfr anche Penna, "«L'Evangile de la paix»", 182.184-185, che però non sembra andare al di là di un genitivo oggettivo, mentre l'espressione a mio parere sopporta molto bene anche il valore di un genitivo epesegetico, riallacciandosi così alla tradizione veterotestamentaria e rabbinica; comunque, cfr la nuova posizione assunta da Penna, Efesini, 141, dove ammette che il termine "pace" è divenuto "quasi un titolo cristologico"). 27 Per il concetto di pace nel mondo greco-romano e nel mondo biblico cfr Penna, "«L'Evangile de la paix»", 177-181. 28 Con Gonzalez Lamadrid, 1pse est pax nostra, 18-19.
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"Cristo è la nostra pace". L'aoristo è effettivo e, in base al contesto immediato, fa riferimento al sacrificio della Croce di Cristo (2,14b. 16)29. Più difficile a determinarsi è il senso dell'aggettivo pronominaIe neutro "C<X à./lo"CEpa. Probabilmente viene usato il neutro 30 , perché non si parla dei cristiani in se stessi, ma delle due situazioni (paganesimo e giudaismo; cfr Ef 2,11-12; Gal 5,6; 6,15) in cui essi si trovavano prima che Cristo li radunasse in "una nuova realta", precisamente quella ecclesiale. Quindi, Cristo è nostra pace, perché egli è il principio costitutivo e fondante dell 'unità della Chiesa, suo unico corpo (cfr Ef 2,16), in cui entrambi giudei e pagani sono stati inseriti mediante il sacrificio di Cristo. Kaì "Cò /lEO'o"COtXOv "Cou paY/lou À:oO'ac;: "e il muro divisorio del recinto ha abbattuto". A causa della congiunzione (Kai)31 anche il secondo participio ÀUO'ac; è un participio sostantivato appositivo, che precisa ancora il senso dell' affermazione di Ef 2, 14a: Cristo è nostra pace, perché è colui che ha abbattuto il muro divisorio del recinto 32 . Il verbo À,Uffi di per sé significa "sciogliere", ma anche "disciogliere" e in senso intensivo-negativo e idiomatico: "rompere" e" abbattere". Cristo, perché nostra pace, ha fatto cadere "Cò /lEO'o"COtxov,il "muro divisorio", il "recinto" ("COu paY/lou: gen. appositivo) che determinava la "separazione"33 (gen. oggettivo o di contenuto) e 29
Mateos, El aspecto, 380-381, pp. 119-120; Fanning, Verbal Aspect, 414-415.
30 Smyth, Greek Grammar, 1024; BDR, 138, l; Pax, "Stilistische Beobachtungen", 336-337. 344-345); Barth, Ephesians 1-3, 262-263; Gonzalez Lamadrid, lpse est pax nostra, 20-21; Lincoln, Ephesians, 140, anche se ritiene che il neutro "tà àJ.lljlo"tcpa sia un resto di materiale tradizionale riferentesi al cielo e alla terra. Tale ipotesi è accettata da quegli autori che si basano su speculazioni giudiaco-gnostiche o giudaico-apocalittiche: cfr Testa, "Gesù pacificatore universale", 18; Schlier, Efesini, 190-204, ma mi sembra che la forza dei testi addotti non sia molto probante. In ogni caso, a mio parere, più che di "zone" si tratta di "situazioni vitali" (cfr Ef 2,11-12; ma anche Gal 5,6; 6,15) che hanno detenninato la vita dei cristiani prima di aver creduto in Cristo (Ef 1,11-13). D'altra parte, mi sembrano un po' strane anche le spiegazioni di Penna, Efesini, 141, e di Montagnini, Efesini, 177. 31 Gonzalez Lamadrid, lpse est pax nostra, 21, lo considera come epesegetico; Montagnini, Efesini, 177, un ICal consecutivo; tali interpretazioni non mi sembrano fìlologicamente necessarie, anche perché il testo già stabilisce attraverso l'inclusione uno stretto rapporto tra i due participi. 32 Il valore aspettuale è effettivo di azione anteriore a quella della principale di 2,14a (Mateos, El aspecto, 380-381, pp. 119-120; Fanning, Verbal Aspect, 413). 33 Di per sé il tennine IjlpaYJ.loç indica un luogo chiuso, una chiusura e da qui uno "steccato", una "siepe" o un qualche cosa che separa e chiude. Pertanto, in base al contesto di Ef 2, 14b-15, si rifà all'idea della "legge" che "separa" (= cinge come una siepe) per proteggere. Questa è la posizione più nonnale del giudaismo ellenistico e rabbinico. I testi certamente più significativi sono quelli dello Ps. -Aristea 139: "(Mosè) ci ha circondati con una trincea invalicabile e con mura di ferro, perché non ci mescolassimo minimamente con gli altri popoli"; e in 142: "(Mosè) ci ha circondati con misure di purezza"; e quello di I QH 1,3: "E tu hai fatto una siepe intorno
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soprattutto era una "separazione" (gen. epesegetico )34, una barriera tra giudei e pagani. Quale sia tale "muro divisorio" che creava "separazione" ed era "separazione" Paolo non lo dice espressamente, ma in base a Ef 2,15a sembra che sia "la legge dei precetti", dato che Cristo, abbattendola, è divenuto la nostra pace35 • Tilv Exepav Èv 'tl) crapKÌ aù'toD: "l'inimicizia nella sua carne". Così, come sta in Ef 2,14c, l'espressione può essere appositiva dell'espressione 'tò llecrO't01XOV 'tOD eEc!> òtà 'tou (J'tuupou: "e riconciliare a Dio l'uno e l'altro in un sol corpo mediante la croce". Come indica la congiunzione Kui, il Cristo aveva anche un altro scopo nell'annullare la legge, precisamente "riconciliare gli uomini a Dio". Il verbo à1tOKu'tuÀ.À.acrcrro, intensivo di KU'tuÀ.À.acrcrro, indica nell'epistolario paolino la riconciliazione dell 'uomo con Dio per mezzo di Cristo (Rom 5,10-11; 2Cor 5,18-20; Col 1,20.22; cfr anche Rom 11,15). Il pensiero, quindi, si approfondisce: Cristo, abolendo la legge, non solo ci ha costituiti in se stesso come un solo uomo nuovo, ma in lui siamo pacificati anche con Dio e riacquistiamo l'intimità con lui. Abbiamo, così, il duplice movimento biblico della teologia paolina della liberazione: Cristo ci libera dalla schiavitù della legge e ci immette nella figliolanza divina (cfr Gal 4,4-5). Ma il tema della riconciliazione, in Ef 2,16, ha anche un altro sviluppo cristologico con le due aggiunte seguenti: la riconciliazione con Dio è avvenuta òtà 'tOu cr'tuupou, cioè attraverso la mediazione onerosa e amorosa di Cristo (cfr Rom 5,6-11; Gal 2,20; 56 Con Gonzalez Lamadrid, lpse est pax nostra, 30-31. 57 Cfr le buone osservazioni di Barth, Ephesians 1-3, 308-311; meno bene Gonzalez Lamadrid, Ipse est pax nostra, 31; Lincoln, Ephesians, 144, i quali ritengono che Cristo ha abolito totalmente le differenze creando "the third race". Montagnini, Efesini, 184, ha scritto molto bene: "Quella che viene annullata non è la diversità, ma la divisione .... (i due gruppi) diventano come mani che si protendono verso di lui". 58 Un senso finale, infatti, grammaticalmente e contenutisticamente non è da escludere, ma mi sembra poco probabile in quanto già la finalità dell'azione del Cristo la si ha nella prima parte di Ef 2, 15b. Per questo, mi sembra meglio il senso causale che motiva tale finale. 59 Con Gonzalez Lamadrid, lpse est pax nostra, 32.
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Ef 5,25), e èv évì. crc.Ollc:xn, che assume nel testo una duplice dimensione: cristologica ed ecclesiologica. In base ad Ef 5, 15b, la nostra riconciliazione è avvenuta nel Cristo, nel quale siamo divenuti un solo uomo nuovo e per mezzo di lui un solo corpo, la Chiesa60 • In tal modo, teologia, cristologia ed ecclesiologia si coniugano perfettamente tra di loro, ma il centro portante di essi è proprio la Cristologia. Nel Cristo, la pace riacquista la sua dimensione orizzontale ecclesiologica: gli uomini divengono una cosa sola tra loro, un solo corpo, un solo uomo nuovo; nello stesso tempo, riacquista anche la sua dimensione verticale ecclesiologica: i credenti, costituiti in un solo corpo, sono riconciliati con Dio per mezzo di Cristo e vivono da figli di Dio in attesa della pienezza della loro intimità con il Padre61 • ,A1tOK'tet vc:xç 't1Ìv ex6pc:xv èv C:Xù't
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Dio. Tale parallelismo centrale deve essere inteso in senso progressivo in tutti i suoi elementi: a) "creare" e "riconciliare": la nuova creazione ha la sua pienezza nella riconciliazione con Dio; b) nella nuova creazione "i due" divengono "entrambi": si passa dalla divisione all'unità; c) tale unità forma "l'unico uomo nuovo" che diviene "un solo corpo": il senso cristologico genera quello ecc1esiologico; d) nella Chiesa, corpo di Cristo, regna la pace, perché non c'è più spazio per l'inimicizia tra i credenti nel Cristo Gesù. Kaì eÀ8rov EùllYYEÀtcra'tO: "ed essendo venuto annunciò": l'ultima parte dell 'inno (vv. 17-18) si apre con un participio congiunto di valore temporale di azione antecedente a quella della principale reggente: "dopo essere venuto", oppure di valore modale: "venendo, annunciò" e più liberamente: "venne e annunciò". La seconda possibilità sintattica mi sembra la migliore e la frase trova un ottimo parallelo di sfondo nella profezia di Zac 9,9-10: "Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme. Ecco, a te viene il tuo re ... annunzierà la pace alle genti", ma anche in quella di Is 57,19, che, in base al contesto, parla di preparare la via al Messia (Is 57,14), al quale Dio ha posto sulle labbra: "Pace, pace ai lontani e ai vicini" e di Na 2,1: "Ecco sui monti i passi di un messaggero, un araldo di pace"62. A causa di ciò, credo che il participio eÀ8rov indichi in generale la venuta del Messia (Zac 9,9), quale portatore del "vangelo di pace" (Is 52,7; Is 57,19; Zac 9,10) ai lontani e ai vicini (Is 57,19; Zac 9,10)63. EÙllYYEÀtcra'tO EtPrlVllV UJllV 'tolç JlaKpàv Kaì dprlVllV 'tolç eyyùç: "annunziò pace a voi lontani e pace ai vicini". Formalmente l' espressione è una fusione e rilettura messianica dei due testi del TritoIsaia e di quello di Zaccaria, ma con una differenza significativa: mentre nei tre testi si parla dell' annuncio di pace come un evento futuro che si deve realizzare alla venuta del Messia, in Ef 2,17 è presentato come un evento già compiuto, come dimostra l'aoristo complessivo: EùllYYEÀtcra'tO. In base ad esso, la pace non è stata solo annunciata, ma è ormai il contenuto centrale dell' evangelo predicato dai credenti, come afferma Ef 6,15: "avendo calzato i piedi con la prontezza per il Vangelo della pace", dove il genitivo è oggettivo: "il Vangelo che annuncia la pace", essendo una rilettura di Is 57,2, 62 Cfr anche Lincoln, Ephesians, 147, che parla di "creative combination" dei testi di Is 57,19 e 52,7, ma a mio avviso anche di altri testi veterotestamentari. 63 Con Penna, "«L'Evangile de la paix»", 188-189, anche se si sforza non solo di includere tutte le fasi della vita terrena di Gesù, ma soprattutto il suo sacrificio sulla Croce. Per le varie opinioni esegetiche cfr Ramaroson, "«Le Christ, n6tre Paix»", 380-381.
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di Zac 9,10; Na 2,1: "Quanto sono belli i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace". Tale "evangelo della pace" è per tutti i credenti, per i pagani ('tolç llaKpav) e per i giudei ('tOlç Eyyuç)64: è una ripresa immediata del contesto dell'inno, precisamente di Ef 2,13 e in parte di Ef 2,19, che mostra che l'antica profezia è divenuta una realtà per tutti i credenti in Cristo. "On Ot' a1:n:où exollEv 'tr,v npocrayO)yr,v oi à,1l
Barth, Ephesians /-3, 268; Lincoln, Ephesians, 149-150; Montagnini, Efesini, 186-187. 68 Cfr Foerster - von Rad, eipTtvT1, 191-244; Rader, The Church and Racial Hostility, Tiibingen 1978; Beck, PaceleipTtvT1, 1129-1133; Liberti (a cura), La Pace secondo la Bibbia, L'Aquila 1993; Alganza Rodan, "Eiréne", 123-152. 69 Cfr Toutain, "Pax", 362-363; Foerster, eipTtvT1, 193; Spicq, eipTtVT1, 215-217. 70 Stando alla testimonianza di Pausania, 1,8,2, anche nel mercato di Atene c'era una statua della dea EipTtvT1: "Dopo le statue degli 'eponimoi' [eroi delle IO tribù di Clistene], ci sono i simulacri (ayaì.,wx'ta) degli dei Anfiarao [indovino e re di Argo]
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Ovidio: "Ipsum nos carmen deduxit Pacis ad aram, / haec erit a mensis fine secunda dies. / Frondibus Actiacis comptos redimita capillos / Pax ades et toto mitis in orbe mane! / Dum desint hostes, desit quoque causa triumphi: / tu ducibus bello gloria maior eris"72; Tibullo: "Interea Pax arva colat. Pax candida primum / duxit araturos sub iuga curva boves, / Pax aluit vites et sercos condidit" uvae, / funderet ut nato testa paterna merum, / Pace bidens vomerque nitet: at tristia duri / militis in tenebris occupat arma situs/ ... At nobis, Pax alma, veni spicamque teneto l perfluat et pomis candidus ante sin u m "73. A prima vista, tutto ciò potrebbe sembrare un buon parallelo al nostro testo, ma non è così. La Eirene, di cui si parla in questi testi, non è una persona che stabilisce la pace, ma l'esaltazione o personificazione di una condizione o di uno stato di pace74, un'esaltazione della Pax Romana imposta con la guerra e spesso anche con il sorpruso. Non è una pace che viene dall'alto né da un rapporto personale 7S, ma esprime soltanto lo stato di non-belligeranza e la conseguente condizione di felicità e di benessere 76 . Tale prospettiva, è chiaro, è insufficiente per spiegare il nostro testo, in cui la pace non nasce dalle potenzialità dell'uomo, ma procede da Cristo e viene instaurata attraverso un profondo rapporto religioso di fede in lui. b) La pace nel pensiero gnostico Tale idea viene messa meglio in evidenza da un'altra corrente interpretativa del nostro brano: quella gnostica77 o gnostico-giudaica78 . e Eirene che porta il piccolo Pluto"; tale statua, secondo Pausania, IX,16,2, era opera di Cefisodoto. 71 Più tardi, prima Vespasiano e dopo Domiziano gli consacrarono un tempio nel Foro, da essi costruito e che chiamarono "Foro della Pace" ~cfr Richardson, "Pax, Templum", 286-287; "Pax Augusta, Ara", 287-289; ; Staccioli, Roma Antica, 123126; Grimal, Enciclopedia dei miti, 468; Munoz, "La Pax Romana", 201-204). 72 Ovidio, Fasti, I, 709-714 (il discorso sulla pace continua fino al v. 720). 73 Albio Tibullo, Elegia l, 10,45-50.69-70. 74 Cfr Virgilio, Egloga IV, 15-17: "I11e deum vitam accipiet divisque videbit I permixtos heroas et ipse videbitur illis, I pacatumque reget patriis virtutibus orbem"; inoltre, Spicq, EÌp~VT], 216-217; Munoz, "La Pax Romana", 204-228. 75 Basta confrontare in tal senso Virgilio: "Tu regere imperio populos, Romane, memento I haec ti bi erunt artes - pacisque imponere morem, parcere subjectos et debellare superbos" (Eneide, VI, 851-853). Si tratta di una "pace imposta", tanto che Epitteto invita il suo interlocutore ad andare in piazza e a gridare: "O Cesare, i n questa pace che tu hai stabilito, quanto io debbo soffrire; agiamo per procura" (Epitteto, Diss. 111,22,54-55). 76 Cfr Beck, Eip~vT], 1129. 77 In tal senso si può confrontare la posizione di Conzelmann, Schweizer e altri. Essi, in verità, non sostengono un influsso diretto dello gnosticismo, ma, non ritenendo autentica la Lettera agli Efesini, pensano che essa vada collocata verso la fine del primo secolo e quindi risente della problematica gnostica a motivo della lotta
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Essa, facendo leva su alcuni elementi problematici del testo, tende a risolverli invocando uno sfondo letterario gnostico-giudaico. Così, il neutro 'tà <X1l
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dimensione futura, ma anche una dimensione salvi fico-universale: tutti i popoli riceveranno l'annunzio della pace e saranno investiti dall'azione salvi fica del Messia (Is Il,1-9) che li radunerà e li renderà partecipi del banchetto escatologico che Dio ha preparato sul suo santo monte: "Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti. Eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto; la condizione disonorevole del suo popolo farà scomparire da tutto il paese, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse; questi è il Signore in cui abbiamo sperato, rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza" (Is 25,6-10). Anzi, non solo sul Messia si poserà lo Spirito del Signore (Is Il,2), ma anche su tutti coloro che hanno creduto e sperato nel Signore: "Infine, in noi sarà infuso uno spirito dall'alto; allora il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà considerato una selva. Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino. Effetto della giustizia sarà la pace, frutto del diritto una perenne sicurezza. Il mio popolo abiterà in una dimora di pace" (Is 32,15-18), in cui "il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la panterà si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà" (ls Il,6-8). Tali espressioni non vogliono presentare una visione poetica e utopica della realtà futura, ma una realtà salvi fica che Dio stabilisce per l'uomo, se questi si lascia investire dal suo progetto di pace. La visione profetica, pertanto, mette ancor meglio in luce il concetto di "pace": essa non deriva dall'uomo, ma è un dono di Dio; essa è una condizione, uno stato di benessere, che scaturisce dal rapporto d'amore tra Dio e il suo popolo; essa si concretizza come giustizia che salva e come salvezza che investe tutto l'uomo, donandogli sicurezza e benessere, giustizia e concordia con i fratelli. Tale pace deriva dallo Spirito di Dio (Is 32,15), che opera nel cuore dell 'uomo e vi instaura la pace, quale effetto diretto dell'intimità di amore con Dio. 2) Il "Vangelo paolina della pace"
Se tale ricostruzione biblico-teologica del concetto di pace nell'AT risulta vera, allora mi sembra che il testo di Ef 2,18: "mediante lui abbiamo accesso entrambi in un unico Spirito al Padre" assuma uno spessore teologico molto rilevante e risulta una rilettura molto pregnante del messaggio veterotestamentario sulla "pace". Infàtti,
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in esso troviamo gli elementi essenziali. La pace viene da Dio come dono di salvezza integrale dell'uomo: egli è "il Dio della pace" (Rom 15,33; 16,20; 2Cor 13,11; Fil 4,9; lTess 5,23; 2Tess 3,16); il Messia, l'inviato di Dio per proclamare il lieto annunzio della pace, non solo proclama la pace a tutti gli uomini, ma egli stesso è "p a c e " e fondamento universale della pace: "Cristo è la nostra pace" (Ef 2,14); tale pace Cristo ce la comunica attraverso lo Spirito, che produce in noi il frutto della pace, quale espressione dell'amore a Dio e ai fratelli: "il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace" (Gal 5,22). In tal modo, il concetto di pace nell'epistolario paolino assume un carattere marcatamente trinitario e conserva la connotazione di relazioni interpersonali d'amore tra Dio e l'uomo, tra Cristo e l'uomo, tra lo Spirito e l'uomo, tra uomo e uomo. a) "Il Dio della pace" La dimensione teologica del concetto di pace risulta evidente da una formulazione originale di Paolo: "il Dio della pace", che grammaticalmente può avere una doppia interpretazione a seconda come si intende il genitivo "della pace". Se lo si prende con senso oggettivo, allora l'espressione assume il senso: Dio è colui che promuove la pace, che dà la pace, che garantisce la pace; se invece il genitivo va preso in senso epesegetico, la frase assume un senso molto più forte e si avvicina all'affermazione di Gedeone in Gdc 6,24: "Dio è pace". Entrambi i sensi sono possibili, non solo grammaticalmente, ma anche concettualmente. Infatti, il secondo è la base portante del primo: nulla si può dare e garantire, se non lo si possiede in pienezza. Dio è pace e per questo da lui scaturisce come da sorgente pura e ricca la pace per l'uomo. Dio è pace e la promuove con amore a favore dei suoi figli. Dio è pace e in quanto tale garante assoluto e fedele della nostra pace, che è salvezza e benessere integrale a cui ciascuno di noi aspira nella fede e nella speranza. Raggiungiamo, in tal modo, un'altra certezza di fede di Paolo espressa in 1Cor 14,33: "Dio non è un Dio di disordine, ma di pace". In questo testo, il termine "disordine" non ha solo il senso etico di una disarmonia che turba il buon ordinamento della comunità cristiana nell' espletamento delle "agapi" (lCor 12-14), ma quello teologico-religioso ben più profondo: Dio non può essere sorgente di un disordine che compromette l'amore fraterno all' interno delle comunità, perché egli è il "Dio dell'amore e della pace" (2Cor 13,11). Proprio per questo Dio è "colui che chiama alla pace" (1 Cor 7,15; Col 3,15b). L'affermazione paolina è di una ricchezza unica, in quanto coniuga il tema della pace con quello della vocazione
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cristiana alla santìtà. Ciò significa, in primo luogo, che non vi può essere santità che non partecipi alla vita stessa del Dio della pace, al mistero insondabile del "Dio dell'amore e della pace". Per questo, per Paolo, la pace può divenire una realtà nel cristiano solo quando Dio, per mezzo di Cristo, lo riconcilia con sé (2Cor 5,18-20). E la riconciliazione non è solo remissione dei peccati (Rom 5,8-10; Ef 1,7), ma soprattutto giustificazione (Rom 5,1-11; 1Cor 1,30), santificazione (lCor 1,30; 2Cor 5,17-20), adozione a figli (Rom 8,15-16; Gal 4,5; Ef 1,5), partecipazione al popolo santo di Dio (Ef 1,14), essere concittadini dei santi e familiari con Dio (Ef 2,19). La pace viene da Dio ed è intimità con Dio. Per questo Paolo augura ai cristiani che "il Dio della pace sia con voi" (Rom 15,33; 2Cor 13,11; Fil 4,9), perché da questa comunione intima con Dio sorge la garanzia assoluta che "il Dio della pace" schiaccerà potentemente Satana (Rom 16,20), santificherà il cristiano totalmente (lTess 5,23) e lo ricolmerà della pace in ogni tempo e in tutte le forme (2Tess 3,16). Dio, infatti, è la sorgente della pace e la pace è dono d'amore di Dio per tutti coloro che credono in lui e sperano in lui. In tal senso va la formula protocollaria dell'inizio di tutte le lettere paoline: "grazia e pace da parte di Dio e del Signore nostro Gesù Cristo". Per quanto stereotipata possa essere, tale formula di saluto contiene tre elementi essenziali che contraddistinguono la pace cristiana da ogni altro tipo di pace: essa è "grazia", cioè un dono gratuito d'amore di Dio all 'uomo in vista della realizzazione della sua volontà salvi fica (Gal 1,3-4); essa è un dono che proviene da Dio che comunica alla sua creatura la sua "grazia", che è amore che salva, giustifica e santifica; essa, infine, è un dono che ci è comunicato per mezzo di Cristo che ci giustifica dandoci accesso al Padre (Rom 5,1; Ef 2,18), riconciliandoci con lui (Rom 5,10) e con i fratelli (Ef 2,16) e immettendoci come un solo uomo nuovo nella vita stessa di Dio (Ef 2,16), in cui è la nostra pace87 • b) "Cristo, nostra pace" L'inserimento cristologico: "e del Signore nostro Gesù Cristo", nella formula "grazia e pace da parte di Dio", suggerisce qualcosa di più che la semplice mediazione di Cristo nel dono che Dio ci fa
Gonzalez Lamadrid, Ipse est pax /lostra, 67-69, facendo riferimento ad alcuni testi dell'AT e di Qumran, in cui si ritrova la terminologia dell'''avvicinarsi a Dio", sostiene anche un senso cultuale dell'idea teologica del nostro "accesso al Padre", Tale proposta, pur non essendo in primo piano nel nostro testo, non credo che sia totalmente da escludere, dato che per Ef 2,21-22 i cristiani debbono crescere i n "tempio santo di Dio", in "dimora di Dio nello Spirito", 87
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della sua pace. Infatti, il testo afferma chiaramente che tale "d o n o della pace" proviene da Dio e da Cristo, entrambi visti come sorgente da cui promana tale dono, tanto che Paolo può caratterizzarla indistintamente come "la pace di Dio" (Fil 4,7) o come "la pace di Cristo" (Col 3,15). Inoltre, tutto il testo di Ef 2,14-18 attribuisce a Cristo tutta una serie di azioni che stabiliscono la pace per il credente e tra i credenti. Così, Cristo abbatte il muro di divisione che determinava l'inimicizia tra giudei e pagani (2,14), annulla la legge dei precetti (2,15), riunisce giudei e pagani in una sola realtà (2,14.5.16) e li crea in se stesso come un solo uomo nuovo (2,15), li riconcilia in un solo corpo con il Padre uccidendo in se stesso l'inimicizia (2,16) e venendo nel mondo annuncia la pace ai vicini e ai lontani (2,17), tanto che per mezzo di lui ritroviamo l'accesso al Padre (2,18). Ciò è importante sottolinearlo, in quanto porta a compimento tutto ciò che l'AT dice sul Messia, il quale è "Principe della pace" (ls 9,5) e, anche se con qualche incertezza letteraria, "è la pace" (Mi 5,4). In tal modo l'affermazione paolina di Ef 2,14 non appare né isolata né senza un fondamento sicuro nella tradizione biblica. Essa è una rilettura cristologica di Paolo di carattere tipologico: ciò che viene detto nell' AT del Messia non solo si adempie nel Cristo, ma raggiunge chiarezza, perfezione, tanto da caratterizzare la nuova economia della salvezza come "alleanza di pace nel Cristo". In lui, la pace di Dio viene a noi e si manifesta come relazione personale di riconciliazione nell'amore. Cristo è la nostra pace. Tale solenne affermazione non è isolata nel testo, ma viene tematizzata e spiegata. Così, in Ef 2,17 troviamo un'altra potente affermazione, che sviluppa il tema di "Cristo, nostra pace": "Egli venne ed annunciò la pace ai vicini e ai lontani". Sullo sfondo dell' adempimento della profezia di Is 57,19, l'espressione paolina coniuga il "venire", che fa riferimento all'incarnazione, e "il lieto annuncio della pace", che fa riferimento a tutta l'opera salvifica di Cristo a nostro favore. Così, tutto il mistero personale di Cristo, dall'incarnazione alla predicazione e alla sua morte sacrificale per noi, è orientato all'annuncio della pace e allo stabilimento in noi e fra noi "della pace di Dio", che è amore salvifico per tutti gli uomini. Nel Cristo la pace non è solo condizione socio-religiosa di tranquillità o di benessere, ma è soprattutto un rapporto interpersonale di amore, che elimina ogni inimicizia, ci immette nel Cristo, l'uomo nuovo, che ci apre alla riconciliazione con il Padre, raggiungendo così il vertice più alto della nostra pace. Proprio perché solo inseriti nel Cristo, nel suo mistero personale di totale disponibilità per tutti gli uomini, noi possiamo avere pace tra noi e con Dio, egli è la nostra pace, colui
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che non solo ha eliminato ogni inimicizia tra "i lontani" (i pagani) e "i vicini" (i giudei), ma li ha resi entrambi un solo uomo nuovo (2,15), ha dato loro accesso al Padre (2,18) rendendoli concittadini dei santi e familiari di Dio (2,19). Ma l'evento, che più di ogni altro ci fa comprendere in profondità l'affermazione paolina: "Cristo è la nostra pace", è certamente la sua oblazione personale (2,14: "nella sua carne") sulla croce (2,16). Per mezzo di essa, Cristo ha eliminato il muro di divisione (2,14b), la legge dei precetti (2,15), sorgente di inimicizia tra i popoli (l,14c), facendo di essi una sola realtà (1,14a), un solo corpo (2,16), un solo uomo nuovo (2,15). In altre parole, attraverso il suo sacrificio personale (2,14) Cristo è divenuto il principio costitutivo e fondante dell'unità della Chiesa, suo unico corpo (2,16), in cui ogni popolo, giudaico o pagano, è stabilito nella pace. Ma nel Cristo, inseriti in lui, gli uomini non solo trovano la pace reciproca, ma soprattutto sono riconciliati con Dio (2,16) ritrovando l'intimità con lui (2,18), l' adozione filiale (1,5; Gal 4,5) e la partecipazione alla redenzione dell'acquisizione (1,14) per essere e rimanere popolo santo di Dio (2,19), stabilito permanentemente nella pace (2,15c) che proviene dall'amore del Padre e di Cristo. Tre sono, dunque, i motivi per cui essenzialmente la comunità innalza il suo canto di lode a "Cristo, nostra pace": l'abolizione della legge, la riconciliazione con Dio, la costituzione dell 'uomo nuovo. Certamente l'affermazione "Cristo ha abolito la legge" è molto ardita, dato che "la legge dei precetti" è la legge mosaica, la legge che Dio stesso ha dato a Mosè come espressione della sua volontà e come dono per la vita (Lev 18,5; cfr anche Gal 3,12). Ma non è una novità nell'epistolario paolino, basta pensare a Rom 10,4: "Cristo è la fine della legge" o Gal 2,19: "Per mezzo della legge sono morto alla legge per vivere per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo". Ed è proprio la morte di Cristo che ci offre la chiave di soluzione del problema. Sulla croce Cristo ha assunto su di sé tutta la maledizione che la legge comminava contro di noi: "Maledetto chiunque non osserva tutti i precetti della legge" (Gal 3,10) ed è divenuto per noi maledizione: "Maledetto colui che pende dal legno" (Gal 3,13). In questa oblazione totale, Cristo ha compiuto una volta per tutte l' obbedienza al Padre, centro portante di tutta la legge ed espressione dell'amore incondizionato al Padre. Egli non ha abolito la legge profonda dell'amore che si abbandona nella fede alle esigenze della volontà del Padre. Cristo ha abolito "la legge dei precetti", quella legge esteriore che si nutre di casistica e di formalità esteriore, ma non sa penetrare nella volontà del Padre e non sa rispondere con
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amore all'amore. Cristo ci ha liberato da questa maledizione e ci ha reinseriti nella pace, che è comunione d'amore con Dio, obbedienza totale e radicale da figli, gioia di vivere in unità con il Padre e con i fratelli. Per Paolo non c'è pace senza "riconciliazione con Dio", basta cfr Rom 5,1-11, dove il tema della pace è coniugato con quello della giustificazione e della riconciliazione. Rispetto a tale testo, però, Ef 2,16 rappresenta un approfondimento molto interessante che si articola in due momenti essenziali: l°) l'autore della nostra riconciliazione è Cristo, nel quale non solo siamo divenuti "un solo uomo nuovo", ma anche siamo stati riconciliati con Dio, avendo egli eliminato attraverso la sua mediazione onerosa e amorosa l'inimicizia che ci divideva tra noi e ci allontanava dall'intimità con il Padre; 2°) la riconciliazione, pertanto, non è un fatto individuale tra me e Dio, ma è un fatto ecclesiale: la riconciliazione non avviene tra me e Dio, ma tra tutti i credenti, che nel Cristo sono divenuti un solo uomo nuovo, e Dio; in altre parole, non vi può essere riconciliazione con Dio, se prima non si è eliminata la divisione e l'inimicizia tra noi. In tal modo, teologia, cristologia ed ecclesiologia si coniugano perfettamente tra di loro, ma il centro portante di essi è proprio la cristologia. Nel Cristo, la pace riacquista la sua dimensione o:t:izzontale ecclesiologica: gli uomini divengono una cosa sola tra loro, un solo corpo, un solo uomo nuovo; nello stesso tempo, riacquista la sua dimensione verticale: i credenti, costituiti in un solo corpo, sono riconciliati con Dio per opera di Cristo e vivono da figli di Dio in attesa della pienezza della loro intimità con il Padre. Raggiungiamo così il vertice cristologico più alto dell'inno: la costituzione dell'uomo nuovo. Il tema percorre tutto l'inno: la pace di cui parla Paolo è proprio l'unificazione di pagani e giudei nel Cristo e per mezzo del Cristo in vista di formare un solo corpo ed entrambi essere inseriti nell'uomo nuovo. Ma al di là di questa problematica contingente di natura inerreligiosa, credo che l'inno sottolinea una dimensione fondamentale della vita cristiana: quella ecclesiale del nostro essere uno nel Cristo Gesù. Così, in Ef 2,14 Cristo è nostra pace perché è "colui che ha fatto di ambedue una cosa sola". Egli, infatti, ha determinato all'inizio della storia della Chiesa il crollo delle antiche istituzioni umane: giudaismo e paganesimo, facendo cadere il muro della divisione e dell'inimicizia: la legge dei precetti, e stabilendo nella fede una realtà nuova attraverso il suo sacrificio sulla Croce. Una "nuova creazione" si è determinata per coloro che credono: "Chi è in Cristo, questi è una nuova creatura" (2Cor 5,17). Nasce "l'uomo nuovo" (Ef 2,15): "non conta più né la circonci-
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sione né l'incirconcisione, ma solo la nuova creazione" (Gal 6,15), che si instaura attraverso "una fede agente per mezzo dell'amore" (Gal 5,6). Anzi, "non c'è più né giudeo né greco, ma tutti siete uno nel Cristo Gesù" e questo "uno" è "l'unico uomo Cristo Gesù" (Rom 5,15-17), il nuovo Adamo escatologic088 , nel quale per noi ha sovrabbondato il dono della grazia di Dio (Rom 5,15). Il cristiano, liberato dalla legge, è totalmente rinnovato nel battesimo, si è rivestito di Cristo e vive in lui un'esistenza nuova, riconciliata con Dio e stabilita nella pace che è amore a Dio e ai fratelli. Non vi sono più "lontani" e "vicini" (Ef 2,17), ma tutti portiamo impressa in noi l'immagine di Cristo nostra pace, che ci guida all'unità del pensare, del sentire e dell'operare nella forza dell'unico Spirito che ci rende fecondi di amore per l'utilità e l'edificazione dell'unico "corpo di Cristo" (Ef 2,16.18). c) La pace, "frutto dello Spirito" In base a ciò, il concetto cristiano di pace assume anche una dimensione pneumatologica. Essa viene dall'alto: da Dio, è entrata nella nostra storia per opera di Cristo, agisce in noi per mezzo dello Spirito: essa è frutto dello Spirito (Gal 5,22)89. In tal senso, la pace è una forza dinamica che rende stabile il nostro rapporto di amore con Cristo e con il Padre. Lo Spirito è sempre in opera: grida nel nostro cuore ricordandoci che siamo figli di Dio, fratelli di Cristo (Gal 4,67), ci spinge ad essere operatori di pace (Mt 5,9), produce in noi il frutto dell'amore (Gal 5,22) che rende stabile la pace in noi (Ef 2,15c) e tra noi per edificare la Chiesa, corpo di Cristo. Nello Spirito l'affermazione paolina: "Cristo è la nostra pace" raggiunge il massimo della sua forza salvi fica e diviene operante in noi: "Il desiderio dello Spirito, infatti, è vita e pace" (Rom 8,6). Il cristiano, che si lascia guidare dallo Spirito, non solo non è più sotto la legge (Gal 5,18), ma Cristo vive in lui ed egli nel Cristo che lo ha amato e ha dato se stesso per lui (Gal 2,20; Ef 5,2). Così lo Spirito, facendoci vivere nel Cristo, ci dà la forza di vincere tutte le sollecitazioni del nostro egoismo che ci porta alla divisione e all' inimicizia (Gal 5, 1621), ci fa agire da figli di Dio per essere sempre nella pace e comunicare la pace, ci perfeziona continuamente (Gal 3,3) per avere acSull'Adamo escatologico, come principio unificatore della nuova umanità, cfr le interessanti osservazioni di Gonzalez Lamadrid, Ipse est pax lIostra, 96-98, basate su testi della tradizione rabbinica (M. Sallh 4,5; T.b Sallh 38-a-b; Pirke R. Eliezer, XI,76-77) e patristica (Agostino, 111 Johallllis Evallgelill/1/, IX,14). 89 Per tale affermazione paolina e il suo contesto, oltre ai commentari, cfr Buscemi, Leltera ai Galati /1/ , 28-60. 88
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cesso al Padre (Ef 2,18) ed essere partecipi della sua eredità tra i santi (Ef 2,19; Gal 4,7; Col 1,12). Così, lo Spirito è la nostra forza interiore, il coraggio divino, che ci spinge a vivere nella pace con Dio e con i fratelli, a costruire la pace per l'edificazione della Chiesa di Cristo e a beneficio di tutti gli uomini che Dio ha amato e per i quali Cristo ha dato se stesso sulla Croce.
CONCLUSIONE Volendo riassumere i dati essenziali di questa mia ricerca sugli inni, credo che si possano ricapitolare sotto due aspetti diversi: uno storicoambientale e l'altro teologico. Sotto il punto di vista storico, ho cercato soprattutto di indagare sulle origini degli inni paolini esulI' etichetta di "prepaolini" spesso attribuita ad essi. Gli inni paolini sorgono in un periodo molto antico della Chiesa primitiva, tra il 30-50 d. C., un periodo poco documetato dalla letteratura cristiana e quindi scarso di elementi di confronto con i nostri inni. Essi sono sorti certamente all'interno delle comunità delle origini e in vista dell' animazione liturgica di tali comunità. Più difficile è precisare se essi siano stati prodotti dalla comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme o dalle comunità giudeo-ellenistiche della diaspora cristiana. Da un 'analisi attenta del comportamento ecclesiale e liturgico delle comunità di Gerusalemme e dintorni, essenzialmente legate alla liturgia e alla salmodia del tempio, e soprattutto degli schemi teologici soggiacenti agli inni, mi sembra che l'ipotesi più probabile sia quella di attribuirli alle comunità giudeo-ellenistiche. Erano esse che avevano bisogno di una "liturgia nuova" e che rileggevano la persona del Cristo alla luce della "sapienza creatrice e preesistente" o del "Kyrios esaltato". Elementi questi che potevano far presa sull'animo fortemente ellenizzato dei membri delle comunità di Antiochia e di quelle delle missioni paoline. Se ciò è vero, mi sembra quasi impossibile parlare di "prepaolinismo", in quanto Paolo ha operato all'interno della comunità mista di Antiochia e ha plasmato con la sua predicazione le comunità da lui fondate. AI limite, se non si vuoi attribuire direttamente a Paolo il merito di tali composizioni, si deve parlare di "paolinismo" degli inni delle lettere paoline, in quanto il pensiero di Paolo ha influito su tali composizioni ecclesiali. In ogni caso, Paolo si è servito di tali inni e li ha inseriti come parte integrante della sua catechesi o della sua parenesl. In quanto al contenuto teologico, bisogna distinguere negli inni di Paolo lo schema teologico generale e l'accentuazione cristologica. Infatti, la teologia non esclude affatto la cristologia, ma la prima include in sé, come momento essenziale e centrale, la cristologia. Anzi, per comprendere bene la cristologia paolina, bisogna prima studiare lo schema teologico in cui essa è inserita.
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Conclusione
a) Lo schema teologico generale Se si escludono i due frammenti di Ef 5,14 e di l Tim 3,16, tratti probabilmente da inni cristologici più ampi, gli altri inni (Fil 2,6-11; Col 1,15-20; Ef 1,3-14; 2,14-18) mostrano una struttura teologica molto consistente, che può essere definita come "sintesi della storia della salvezza" o, per usare un termine caro a Paolo, come "economia del mistero" (Ef 3,9), nascosto agli uomini lungo i secoli, ma ora svelato da Dio ai suoi santi apostoli e profeti (Ef 3,5-7), per far conoscere a tutti "le insondabili ricchezze di Cristo" (Fil 3,8). Tale piano ha la sua origine nella volontà salvi fica del Padre, la sua attuazione concreta alI' interno della storia umana nell' azione redentrice di Gesù Cristo-Figlio di Dio, ed è portata al suo compimento ultimo e definitivo nell'azione perfettiva dello Spirito Santo. Il Padre, origine della salvezza. Purtroppo non si insiste molto su questo dato fondamentale della teologia paolina. Eppure, basterebbe rileggere l'inno di Ef 1,3-14, per rilevare il ruolo determinante del Padre nell"'economia del mistero", tanto che si può anche discutere se in quest'inno si parli più del Cristo o del Padre. Ma tale verità non risulta solo da Ef 1,3-14, ma anche dagli altri inni paolini: Fil 2,9-11; Col 1,12-14.19; Ef 2,16-18. Per Paolo, il Padre è la causa agente originante dell'''economia del mistero della salvezza". È lui che "ci ha prescelti prima della fondazione del mondo, perché fossimo santi e immacolati al suo cospetto nell 'amore" (Ef 1,4), "ci ha predestinati alla figliolanza adottiva (Ef 1,5) e all'eredità (Ef 1,11) dei santi nella luce (Col 1,12) per mezzo di Gesù Cristo, secondo il beneplacito del suo volere" (Ef 1,5.11), ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà: di "ricapitolare tutte le cose in Cristo, sia quelle celesti, sia quelle terrestri" (Ef 1,9-10), ci ha gratificati nel suo Diletto, donandoci la redenzione e la remissione dei peccati (Ef 1,6-7; cfr Col 1,13-14). È il Padre che ha sovraesaltato Gesù e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome (Fil 2,9): in lui ci ha benedetti con ogni benedizione (Ef 1,3), ci ha liberati dalla potestà delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore (Col 1,13), lui che è immagine del Dio invisibile (Col 1,15) e Signore a gloria di Dio Padre (Fil 2,11). Di più, l'azione di Cristo ha un fine ultimo ben preciso: "riconciliarci a Dio in un solo corpo" (Ef 2,16), "divenire abitazione di Dio" (Ef 2,22), avere "accesso al Padre ed essere cosÌ concittadini dei santi e familiari di Dio" (Ef 2,18-19). Per questo ogni cristiano deve "crescere nella conoscenza di Dio" (Col l, l O), ringraziarlo (Col 1,12) e benedirlo: "Benedetto sia Iddio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nei cieli ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale in Cristo" (Ef 1,3).
Lo schema teologico generale
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Il Figlio, autore della salvezza. Se il piano della nostra salvezza ha origine dal beneplacito del Padre, esso però è divenuto una realtà storica "nel Figlio", cioè per mezzo di Gesù Cristo e in Gesù Cristo. Per gli inni paolini, il Figlio preesistente, incarnato, morto, risuscitato ed esaltato, è la causa agente efficiente della nostra salvezza. "In lui" siamo stati prescelti prima della fondazione del mondo (Ef 1,4), predestinati alla figliolanza adottiva (Ef 1,5): siamo figli nel Figlio. "In lui e in vista di lui" sono state create tutte le cose e tutte hanno consistenza (Col 1,16-17); "in lui" abbiamo conosciuto il mistero della volontà di Dio (Ef 1,9) e abbiamo ricevuto la benedizione (Ef 1,3), la redenzione, la remissione dei peccati e l'abbondanza della grazia mediante il suo sangue (Ef 1,6-7); "in lui" abbiamo ricevuto la Parola della Verità, il Vangelo di salvezza, e siamo stati contrassegnati con lo Spirito promesso per il raggiungi mento della redenzione (Ef 1,13), abbiamo avuto accesso al Padre e siamo divenuti tempio santo di Dio e suoi familiari (Ef 2,19-21), è stato abbattuto il muro di separazione, la legge, che divideva giudei e pagani, e ha fatto di tutti noi "un solo uomo nuovo" (Ef 2,14-16); "in lui", mediante il Sangue della sua Croce, tutte le cose sono riconciliate e rappacificate tra di loro e con Dio (Col 1,20): egli è la nostra pace. E lo è, perché egli è il Figlio (Ef 1,3), l'immagine di Dio (Col 1,15), il diletto (Ef 1,6), il primogenito di ogni creatura (Col 1,15), il servo obbediente (Fil 2,6-8), il redentore (Ef 1,7), il riconciliatore (Ef 2,16; Col 1,20); egli è il capo della Chiesa (Col 1,18), il Signore nostro Gesù Cristo (Ef 1,3; Fil 2,9-11), morto, risuscitato ed esaltato per noi, in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 1,19; 2,9) e in cui sono riposte tutte le ricchezze della grazia divina (Ef 3,8). Lo Spirito, il perfezionatore nell'opera della salvezza. Accanto al Padre e al Figlio, negli inni appare, anche se con frequenza molto limitata, lo Spirito Santo, come causa agente teleologica. La pneumatologia degli inni è molto ridotta, ma teologicamente consistente: lo Spirito Santo è il segno e il pegno della nostra redenzione: "siamo stati contrassegnati con lo Spirito della promessa", lo Spirito Santo, il quale è pegno della nostra eredità per il raggiungimento della redenzione che ci ha acquistati a Dio, a lode della sua gloria (Ef 1,13), e il segno e il pegno della nostra giustificazione in quanto in lui diveniamo "uno in Cristo", "il quale fu manifestato nella carne, fu giustificato nello Spirito" (l Tim 3,16); infine, è segno e pegno del nostro accesso al Padre (Ef 2, 18) e della sua abitazione in noi: "in lui anche voi, insieme con gli altri, venite costruiti per diventare abitazione di Dio in virtù dello Spirito" (Ef 2,21).
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Conclusione
In vista della lode eterna a Dio Padre. La teologia degli inni è marcata fortemente dalla tensione escatologica. E non può essere differentemente, dato che il "mistero di Dio" trova la sua piena realizzazione solo "nella pienezza dei tempi", nel mistero di Cristo. È Gesù, infatti, che porta tutto a compimento nel mondo, nella storia e nell 'uomo. Tutta la sua vita - incarnazione, morte e resurrezione - è l'evento escatologico per eccellenza, che determina la vittoria di Dio sulla morte, sul peccato e sulle potenze del male. "In Cristo Gesù", morto, risorto ed ora esaltato come Signore, si è già realizzato l' eschaton nella storia degli uomini e del mondo e si continua a realizzare nella vita della Chiesa, in cui si stabilisce proletticamente per la presenza dello Spirito il Regno futuro di Dio. Gli inni paolini hanno espresso tale dimensione essenziale della vita di Cristo e della Chiesa con espressioni cariche di ardente attesa escatologica. Dio infatti leggiamo in Ef 1,9-10 - "ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà in vista dell'economia della pienezza dei tempi: cioè il proposito di ricapitolare tutte le cose in Cristo, sia quelle celesti, sia quelle terrestri". A tale scopo, "Dio ha sovraesaltato Gesù e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio degli esseri celesti, terrestri e sotterranei, e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è Signore, a gloria di Dio Padre" (Fil 2,9-11). Proprio per questo è stato costituito "primogenito di ogni creatura", "Capo del corpo, che è la Chiesa, lui che è il principio, il primogenito di tra i morti, per ottenere il primato su tutte le cose" (Col 1,18). Il cristiano conosce tale piano di Dio e sa che in tale piano, per il benepll;lcito divino (Ef 1,5), egli è stato predestinato ad essere santo e immacolato al suo cospetto (Ef 1,4), ad essere partecipe della figliolanza adottiva (Ef 1,5) e a trasformare la sua vita in una lode perenne a Dio (Ef 1,3), in vista della sua gloria (Fil 2, Il; Ef 1,3.6.12.14). Tutto ciò è possibile, perché ha ricevuto lo Spirito "pegno della nostra eredità in vista del raggiungi mento della redenzione che ci ha acquistati a Dio a lode della sua gloria" (Ef 1,14). b) L'accentuazione cristologica In base a quanto si è detto, penso che a nessuno sfugga che la cristologia negli inni paolini riveste una posizione centrale. Così, pur continuando a leggere gli inni entro lo schema teologico generale, dobbiamo parlare in essi di accentuazione cristologica, che si manifesta
L'accentuazione cristologica
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soprattutto nella concentrazione dei modelli cristologici! adottati e nella moltiplicazione dei titoli attribuiti a Cristo. Ho parlato di "concentrazione dei modelli cristologici", perché non credo che negli inni troviamo un modello unico di cristologia, ma troviamo mescolati insieme, in una sintesi per lo più ben riuscita, diversi livelli della cristologia della comunità primitiva: la cristologia kerygmatica, quella soteriologica, quella protologica. La cristologia kerygmatica. La cristologia, cioè, basata sul kerygma fondamentale della fede. Gli inni sono per la comunità cristiana primitiva non solo rievocazione, ma soprattutto annuncio e proclamazione della morte e resurrezione di Cristo, composti non sotto forma di predicazione, ma di lode rivolta a Dio per il dono della salvezza operata per mezzo di Cristo e che possiamo vivere nel Cristo. Al centro di tale schema stanno, e in ciò gli inni riflettono perfettamente il pensiero paolino, la morte in croce (Fil 2,8; Col 1,20; Ef 1,7; 2,16) e la resurrezione di Cristo (Fil 2,9-11; Col l, 18b). Nella morte e resurrezione di Cristo ha fatto irruzione nella vita del mondo e nella storia degli uomini la salvezza di Dio, la redenzione, la remissione dei peccati, la riconciliazione. La salvezza, però, non è concepita come futura, ma come già presente e perfezionantesi fino alla parusia del Cristo. La cristologia assume una forte coloritura escatologica: l'uomo e il mondo sono introdotti nel futuro di Dio, una nuova vita si apre e si lascia plasmare dallo Spirito di Cristo. La cristologia soteriologica. Negli inni tale riflessione su Cristo, la si nota appena. Viene sviluppata, invece, in antitesi con certo giudeocristianesimo e con correnti gnosticizzanti, la cristologia soteriologica: con la morte e resurrezione di Cristo entra nel mondo un principio religioso nuovo, si è determinata una nuova creazione, una nuova economia di salvezza, opposta all 'antica economia della legge: il muro di divisione tra le genti - giudei o pagani - è stato distrutto mediante il sangue di Cristo (Ef 2,15). Egli è la nostra pace (Ef 2,14) e la salvezza viene all 'uomo mediante la fede, professata nel battesimo, nel Signore morto, risorto ed esaltato e nella partecipazione alla sua nuova condizione esistenziale per la forza del suo Spirito (Ef 2,12-14). Il cristianesimo si configura così come accettazione dell'efficacia salvifica di Cristo, sempre presente in mezzo ai suoi, e come vita da figli di Dio in lui. Anzi, Cristo è la vita del cristiano e della chiesa, corpo di Cristo, formato da tutte le membra che sono divenuti "uno in lui". Pcr qucsti modclli cristologici cfr Segali a, "L'inno cristologico di Col 1,15-20", 375-377; inoltrc, "Cristologia dci Nuovo Testamento", 112-123.
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Conclusione
La cristologia protologica. Tutto ciò ha determinato negli inni un 'ulteriore sviluppo cristologico: il centro dell "'economia del mistero di Dio" si è spostato dall'opera redentrice di Cristo alla persona di Cristo. Anzi, Cristo stesso è il "mistero di Dio" (Ef 3,4; Col 4,3), "nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza" (Col 2,3). Tale mistero "nelle passate generazioni non fu fatto conoscere ai figli degli uomini, al presente invece è stato rivelato in virtù dello Spirito ai suoi santi Apostoli e Profeti" (Ef 3,5). La riflessione sulla persona di Cristo così si impone. Con l'aiuto dell' apocalittica veterotestamentaria e giudaica in generale e delle correnti sapienziali dell' AT, la cristologia protologica si sofferma particolarmente sul primato di Cristo, riflettendo sulla sua preesistenza, sul suo ruolo nella creazione: tutto è stato fatto in lui e in vista di lui, sulla sua kenosis nell 'incarnazione, sulla sua esaltazione nella resurrezione, divenendo principio di salvezza e di riconciliazione per tutti gli esseri celesti e terrestri e per tutta la creazione: egli è il Signore che detiene il primato su tutto. In lui il Padre, nella pienezza dei tempi, ricapitolerà tutte le cose (Ef 1,9-10). Una tale prospettiva cristologica, come già si è detto, ha determinato il moltiplicarsi dei titoli attribuiti a Cristo: essi vogliono sottolineare l'importanza e la centralità di Cristo nell '''economia del mistero di Dio". Rileggerli oggi diviene per noi, come per i nostri fratelli che ci hanno preceduti e ce li hanno trasmessi nel canto, una potente professione di fede ecclesiale. Essi si possono ragruppare sotto due formule molto care a Paolo: Il Signore nostro Gesù Cristo. La formula contiene due titoli molto antichi, attribuiti dalla comunità primitiva a Gesù. Il nome Gesù fa riferimento al Gesù storico: non un personaggio mitico, ma un uomo, "nato da donna, nato sotto la legge" (Gal 4,4), "della stirpe di Davide" (Rom 1,3), "che diede la sua magnifica testimonianza davanti a Ponzio Pilato" (l Tim 6,13), morto, risorto e innalzato alla destra di Dio. Questo Gesù è il Cristo: l'inviato di Dio che, avendo preso forma di servo (Fil 2,6-7), ha portato agli uomini la redenzione (Ef 1,7.14), la remissione dei peccati (Ef 1,7), la riconciliazione (Ef 2,15-16; Col 1,20), la pace degli uomini tra loro e con Dio (Ef 2,15-16; Col 1,20), la benedizione (Ef 1,3) l'adozione a figli (Ef 1,5) e l'eredità (Ef l,Il). In lui siamo stati prescelti e predestinati a lode della gloria di Dio e in lui tutte le cose sono state create (Col 1,16), sussistono (Col 1,17) e sono ricapitolate (Ef l, lO), per essere il primogenito di tutte le creature (Col 1,15), il principio e il capo della chiesa (Col 1,18). Proprio per questo Gesù, il Cristo, è il Signore: tale titolo è un evidente trasposizione
L'accentuazione cristologica
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cristologica dell'attributo divino che l' AT riservava solo a Jahwé e sottolinea che per gli inni paolini Gesù non era un semplice "inviato di Dio", ma che tale inviato è di natura divina e, in quanto tale, ha ricevuto "un nome che al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio ... e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre" (Fil 2,9-11). Gesù è il Figlio di Dio. In verità, tale formula di fede non appare negli inni paolini, ma in essi Gesù viene chiamato: il Figlio del suo amore (Col 1,13), stupenda definizione cristologica, che non dice semplicemente la filiazione divina di Gesù, ma che Gesù in quanto Figlio è il termine dell'amore del Padre. Nell'amore il Padre partecipa al suo Figlio la natura divina e lo fa centro di incontro e di attuazione dei suoi disegni di redenzione, di riconciliazione e di amore verso gli uomini. L'immagine del Dio invisibile (Col 1,15): richiamandosi alle affermazioni bibliche e giudaiche sul ruolo cosmico-teologico della "sapienza divina, immagine della bontà di Dio" (Sap 7,26), l'espressione afferma non solo l'identità esistente tra Gesù-Figlio di Dio e il Padre: egli era "nella forma di Dio" e "uguale a Dio" (Fil 2,6), ma anche l'identità della volontà salvifica: egli rivela agli uomini l'amore creatore e salvifico del Dio invisibile, facendolo presente nella loro vita e nella loro condotta: "vi siete spogliati dell 'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore" (Col 3,10); in tal modo egli è partecipe della creazione di tutte le cose e del loro rinnovamento nella redenzione. Il primogenito di ogni creatura: l'espressione, nella sua sinteticità, potrebbe esssere equivoca: Cristo non è il primo delle creature, ma egli è il primogenito da cui tutte le creature hanno origine, perché in lui e per lui tutte le cose sono state create; pertanto l'espressione sottolinea da una parte lo speciale rapporto esistente tra il Padre e Gesù: egli è stato generato non creato, è l'unigenito, che, essendo eterno, è anteriore a tutti gli essseri creati, e in tal senso è anche primogenito; dall'altra, l'espressione rimarca il ruolo di Cristo nella creazione: egli, sapienza increata del Padre, è il principio-origine della creazione e della nuova creazione. c) Cristo. centro e senso della storia
Egli ha il primato su tutte le cose (Col 1,18), perché in lui Dio Padre si è compiaciuto di far abitare la pienezza della divinità (Col 1,19) con tutte le sue prerogative, in particolare quello della "creazione" e quello della "santificazione". Tale primato di Cristo ha senso a livello personale: egli è l'inizio della nostra esistenza naturale e l'inizio della nostra esistenza spirituale; egli è la nostra vita (Gal 2,20; Fil 1,21). E la
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Conclusione
nostra vita ha consistenza (Col 1,17) solo se rimaniamo a lui uniti per mezzo della fede e dell'amore: egli vive in me e io in lui (Gal 2,20). E ha senso, solo se è orientata a lui: tutto è stato creato in vista di lui (Col 1,16). A livello ecclesiale: egli è la nostra resurrezione, la nostra riconciliazione con Dio e con i fratelli, la nostra pace (Ef 2,14); Egli è il capo della chiesa, radunata e santificata dalla sua morte e resurrezione e riunita attorno a lui che è il Signore: in lui diveniamo "uno" (Gal 3,28) e siamo un solo corpo (lCor 12,12.27; Rom 12,5). "Tutto, infatti, Dio ha posto sotto i suoi piedi e l 'ha costituito, sopra tutte le cose, capo della chiesa, la sua pienezza riempie di ogni bene tutte le cose" (Ef 1,22). Infine, a livello cosmico, perché in lui, centro dell 'universo, Dio ha stabilito di ricapitolare tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra; in lui, senso della storia, tutte le cose partecipano alla redenzione, divenendo nuova creazione; in lui, fine ultimo di tutte le cose create nell'amore, la creazione attende bramosamente la rivelazione dei figli di Dio e la liberazione dalla corruzione per entrare insieme a tutti noi nella gloria dei figli di Dio (Rom 8,19-23) ed essere così tutti, riuniti attorno a Cristo, una lode eterna a gloria di Dio Padre
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INDICE DEI TESTI BIBLICI
Esodo
Salmi
14,21-22: 58 30,34-38: 59
2,1-2: 8 31,22: 76 35,27: 142 71,17: 88 85,9-14: 142 144,1: 76
7,7-12: 596068 7,12-21: 5960 7,22-24: 5960 7,22-8,1: 31 59 7,23.25.27: 60 7,23-30: 68 7,25-26: 58 59 60 7,26: 157 7,27-8,1: 596068 8,2-21: 59 8,6: 68 8,26: 68 8,26-27: 69 8,26-30: 69 9,1-2: 69 9,1-18: 31 59 10,17-18: 58
Proverbi
Siracide
8,16: 93 10,9: 88
3.19-20: 68 8,1-9,6: 57 8,1-11: 57 8,12-21: 5768 8,22-23: 57 8,22-31: 3157 8,23-24: 69 8,26-30: 67 8,32-36: 57 9,1-6: 57
ICronache
Sapienza
28,4-5: 93
5,4: 36 6,22-25: 59 7,1-6: 59 7,1-8,21: 59
8,15: 96 24,1-2: 58 24,3-4: 58 69 24,3-21: 58 24,5-6: 58 68 24,7-11: 58 24,8-9: 59 24,9: 58 69 24,10: 59 24,11: 59 24,11-17: 59 24,12-17: 58 24,15: 59 24,16-21: 68 24,18-21: 58 32 (35),17: 96
Genesi
Tobia
1,1: 67 2,24: 133 12,3: 110 116 17,1-16: 106 18,18: 110 116 22,2: 98 22,18: 110116
13,1: 76
Levitico 18,5: 147 19,2: 93 Deuteronomio 32,15: 98 33,5.12: 98 Giudici 6,24: 128 142 144 IRe
Esdra 8,16: 96
IMaccabei 7,37: 93 Giobbe 1,21: 88
176
Isaia
Michea
Atti
5,1.7: 98 9,5: 128 142 146 Il,1-9: 143 11,6-8: 143 25,6-10: 143 32,15-18: 143 42,1: 98 44,2: 98 44,5: 106 45,23: 35 52,7: 128 136 138 142 52,13: 30 52-13-53,12: 13 282930 53,2-9: 29 53,4: 29 53,11:29 53,12: 29 30 54,10: 142 57,2: 136 57,14: 136 57,19: 122 128 136142 146
5,4: 128 142 146
1,14:679 1,15: 68 1,24-25: 7 2,42-48: 79 2,46: 7 3,1: 7 4,23-31: 89 4,24-30: 7 4,30: 8 9 4,32-35: 7 4,42-48: 8 5,12b: 8 5,12-16: 7 5,40-42: 8 5,41: 8 8,1-4: lO 8,14-17: 9 9,14: 9 9,26-30: lO 10,24-48: 9 Il,1-18: Il 11,19-21: lO Il,19b-22: lO 11,19-26: lO Il,19-30: lO 12,12: 7 13,1-3; lO 13,2-3: 8 9 lO 13,15-43: 5 14,23: Il 15,1.5: Il 15,7.22.25: 93 16,5.40: 7 16,25: 89 20,17.28: Il 20,20: 7 21,17,25: Il
Geremia 1,5: 92 Il,15: 98 12,7: 98 29,11: 142 31,31-33: 110116
Ezechiele 9,4-7: 106 34: 116 34,23-31: 110 34,25: 142 36: 116 36,22-32: 110 37,26: 142
Nahum 2,1: 136137 142
Zaccaria 9,9: 136 9,9-10: 136 137 142 9,10: 137 142
Daniele 4,32: 96 4,34: 113 7,13-14: 28 8,4: 96 Il,3: 96 11,16.36: 96
Matteo 3,17: 62 98 5,9: 149 17,5: 98 19,5: 133 23,12: 30
Marco 1,11: 6298 9,8: 98
Luca 1,14-30: 5 3,22: 6298 13,7: 132 14,11: 30 21,28: 98
Romani Giovanni 1,1-18: 77
1,1-7: 7694 1,3: 156
177 1,4: 35 1,7: 118 1,8: 75 1,28: 92 2,4: 99 3,3: 132 3,24: 99 113 3,29: 112 3,31: 132 4,14: 132 5,1: 145 5,1-11: 145 148 5,6-11: 134 5,7: 92 5,8-10: 145 5,9-10: 99 145 5,10-11: 71134 5,15-17: 133 149 5,15.20: 100 6,6: 132 7,2: 132 7,6: 132 8,6: 149 8,9. 14: 118 8,15: 95 145 8,16: 95 145 8,18-26: 74 8,19-23: 158 8,23: 95 8,28-31: 92 8,29: 71 9496 8,30: 94 8,31-39: 77 9,4: 95 9,23: 99 9,26: 118 10,4: 132 147 10,12: 99 10,14: 105 Il, I 5: 71 134 l 1,33: 99 Il,36: 69
12,1-2: 93 94 12,4-8.9-13: 76 12,5: 158 13,8-10: 132 15,6: 117 15,33: 144145 16,5: 7 16,20: 144 145 lCorinti 1,3: 118 1,4-8: 75 1,6: 92 1,28: 132 1,30: 99 127 145 2,6-7: 100132 2,7: 94 115 6,13: 132 6,20: 99 7,15: 144 7,23: 99 11,17-34: 7 11-14: 9 12,6.11: 104 12,12.27: 158 12-14: 144 13:94 13,8: 132 13,10: 132 13,11: 132 14,26: 3 4 6 9 Il 14,33: 144 15,20-28: 69 15,24: 132 15,26: 132 15,33: 128 15,49: 31 16,19:79 16,20: 128 2Corinti 1,2:117118
1,3: 77 1,3-7: 75 3,7.11.13: 132 3,14: 132 4,15: 100 5,17: 133 145 148 5,18-20: 71 134 145 6,7: 105 8,9: 3032 9,8: 100 10,3-6: 76 Il,24-29: 76 11,31: 117 13,11: 128 144 Galati 1,3.4: 118 145 1,4: 31 96 1,15: 92 1,18-20: 9 1,21-24: lO 2,5.14: 105 2,7-9: 11 2,11-14a: 11 2,19: 132 147 2,20: 113 134 149 157 158 3,2.5: 105 3,3: 106 149 3,5: 104 3,8: 91 3,12: 147 3,14.29: 103 110 3,17: 132 3,22-23: 130 3,26: 118 3,28: 133 158 4,1-7: 103 4,4: 101 115 120 156
178 4,4-5: 70 95 96 134145 4,4-5.7: 31 32 4,5-7: 118 149 149 4,6: 95 4,9: 93 5,4:132 5,6: 129 132 149 5,11: 132 5,14: 132 5,16-21: 149 5,18: 149 5,22: 94 138 144 149 6,15: 129133 148 Efesini
1,1-2: 75 118 125 1,2.15: 105 1,3: 34 133 153 154 156 1,3-14: 1 2 13 14 15 16 75-120 138 152 1,3-14.15-2,10: 78 1,3.17: 117152 1,4: 34 118 152 153 154 1,5: 34 145 152 153 154 156 1,5.14: 137 1,6: 62 154 1,6-7: 34 152 153 1,6.12.14: 16 1,7: 145 155 156 1,9-10: 34 152 153 154 156 1,10: 156 1,J 1: 34 152 156 1,12: 127 154
1,13: 127 153 1,14: 137 145 154 156 1,15-23: 76 121 1,15-3,21: 121 1,18: 99 1,20: 90 1,22: 158 1,22-23: 103 2,1-3,19: 76 2,1-10: 121 2,4-7: 99 2,6: 91 2,10: 133 2,11-12: 129 2,11-13: 122 123 124 2,11-22: 122 123 128 2,12-14: 155 2,13: 122 131 2.14: 14 16 72 155 158 2,14-16: 2 153 2,14-18: 2 14 15 77 103 121 152 2,15: 155 2,16: 16 34 71 99 152 155 2,15-16: 156 2,16-18: 152 2,18: 16 153 2,18-19: 34 152 2,19-22: 122 123 137 145 147 149153 2,21: 153 2,22: 34 152 3,1-19: 122 3,4: 156 3,5: 115 156
3,5-7: 152 3,9: 152 3.10: 91 3,11: 117 3,12: 137 3,16: 99 3,17-19: 94 3,19: 3 3,20-21: 76 122 4,2: 94 4,3: 125 134 4,4: 138 4,13-16: 96 4,15-16: 94 4,24: 133 4,30: 113 5,1-2: 9394 149 5,14: 2152 5,19: 8911 5,19-20: 3678 5,20: 4117 5,23.24: 117 5,25: 135 5,31: 133 6,12: 91 6,15: 138 6,15.23: 125 136 6,19: 115 Filippesi
1,3-10: 75-76 1,7: 92 1,15: 93 1,21: 35 127 157 1,27-2,18: 15 17 1,27-30: 17 1835 2,1-4: 171835 2,1-18: 78 2,5: 15 2,5-11: 2 18 19 2,6: 14157 2,6-7: 156
INDICE DEGLI AUTORI Achtemeier E.: 142 165 Aland B.: 159 Aland K.: 80 159 Aletti J.-N.: 37 39 40 41 4446 47 51 52 53 57 72 73 162 165 Alexander Ph. S.: 131 165 Alganza Rodan: 138 165 Allan A: 91 163 Allen L. C.: 94 165 Alonso Schoekel L.: 34 114 165 Arndt W. F.: 24 25 2627 28 49 83 159 Bailey J. L.: 14 165 Balchin J. F.: 40 162 Balz H.: 3 4 104 165 Barbaglio G.: 3 165 Barbour R. S.: 55 165 Bartels K.H.: 46 165 Barth M.: 77 78 80 83 87 89 90 91 93 94 98 100 101 102 103 104 107 122 123 124 128 129 130 131 133 134 138 165 Bartina S.: 57 166 Battaglia V.: 167 Bauer W.: 24 25 26 27 28 49 83 159 Baugh S. M.: 39 162 Baumgiirtel F.: 50 Beck H.: 138 l39 166 Becker O.: 107 166 Behm J.: 22 107 166 Benoit P.: 394041 42444950 51 162 166 Berger K.: 2 160
Bernini G.: 51 162 Bertram G.: 26 166 Beyer H. W.: 88 166 Beyreuther E.: 107 166 Bietenhard H.: 96 166 Blashki A: 172 Blass F.: 21 26 27 45 83 88 90 92 97 98 100 102 129 130 l33159 Bonnard P.: 46 166 Bonsirven J.: 61 l31 166 Bornkamm G.: 101 166 Bottini G. c.: 52 102 159 Bradshaw P.: 1 160 Brandt Th.: 100 166 Bruce F. F.: 39 162 Biichsel F.: 99 113 166 Bultmann R.: 99 166 Burini C.: 169 Burney C. F.: 5455 162 Buscemi A M.: 2 6 lO Il 22 25 26 28 34 95 96 102 114 132141 149159 161 166 Byrne B.: 95 166 Calzecchi R.: 174 Cambier J.: 76 77 78 80 82 83 88 89 90 91 92 93 9496 97 98 100 103 106 163 Cano M. J.: 142 166 Cantalamessa R.: 45 162 Caragounis C. c.: 101 167 Castellino G.: 97 163 Cathcart K. J.: 142 167 Cerfaux L.: 117 161 167 Charlesworth J. H.: 5 9 167 Cignelli L.: 5288 102 l33 159 Coenen L.: 94 167
182 Conti M.: 4657585960 167 Conzelmann H.: 26 40 77 123 139167 Cordié C.: 169 Coutts J.: 77 78 80 164 Cullmann O.: 30 117 167 Dacquino P.: 4950 162 Danker F.: 24 25 26 27 28 49 83 159 Daremberg Ch.: 173 Davies W. D.: 54167 Debrunner A: 21 26 27 45 83 88 90929798 100 102 129 130 133 159 Deichgraber R: 1 3 15 38 40 507677 123 127 160 Deissmann A: 113 167 De la Calle F.: 95 167 DellingG.: 235152132167 De Lorenzi L.: 164 Dion H. M.: 95 167 Dodd Ch. H.: 29167 Drago P. A: 95 96 164 Dreyfus F.: 97 164 Dunn J. D. G.: 47486061 159 168 Dupont J.: 29 30 168 Edwards D.: 5773 168 Eichler J.: 103 168 Eltester F.-W.: 40 168 Fabris R.: 2 38 39 76 77 80 89 91 92 93 100 104 162 164 168 Fairc10ugh H. R: 174 Fanning B. M.: 22 24 68 89 129131159 Feigin S.: 95 168 Feuillet A.: 17 29 45 46 47 48 49 52 55 63 66 67 68 160 161 162 168 170 Fitzer G.: 106168 Flender O.: 45 168
Flowers H. J.: 95 168 Foerster W.: 53 103 107 117 133 138 168 Frazer J. G.: 171 Gabaluther H. J.: 39 162 George A: 97 168 Gewiess J.: 52 168 Ghini E.: 51 168 Giavini G.: 41 162 Gilbert M.: 57 169 Gingrich F. W.: 2425 2627 28 4983 159 Gnilka J.: 2635 124 169 Gonza1ez Lamadrid A: 121 122 128 129 130 131 132 133 134 135 141 145 149 164 Gonzalez Ruiz J. M.: 50 169 Grech P.: 54 55 162 Grelot P.: 7678 80 81 164 Grimal P.: 139 169 Guemes Villanueva A: 114 169 Harris M. J.: 4 169 Harvey A E.: 101 169 Hauck F.: 7 92 100 169 Hawthome G. F.: 160 Hengel M.: 1 2 3 4 5 6 8 9 Il 13 15 117 160 169 Heriban J.: 17 22 26 27 28 29 161 Hillers D. R: 142 169 Hofius O.: 92 164 169 Hoover R W.: 22 161 Howard W. F.: 24252690 159 Hugedé N.: 39 169 Humbert J.: 222528 159 Hurtado L. W.: 117 169 Innitzer T.: 77 lovino P.: 80 lO l 164 Jacobs P.: 104 169 Jeremias J.: 19 161
183 Jones W. H. s.: 168 JosephL.: 172 Karavidopoulos J.: 159 Karris R J.: 40 42 43 44 72 73 121 122 123 169 Kasch W.: 49169 Kasemann E.: 17 54 140 161 169 Keller C.-A: 142 168 Kertelge K.: 99 169 Kittel G.: 45 167 Kleinknecht H.: 45 167 Kramer W.: 117 169 Kramer H.: 81 164 Krienke H.: 104 169 Kruse c.: 107 164 Kuhli H.: 45 169 Langkammer H.: 46 170 Lausberg H.: 89 159 Leroy H.: 99 170 Liberti v.: 138 170 Lightfoot J. B.: 2249 52 170 Lincoln A T.: 3 4 77 80 81 83 87 90 91 92 93 99 100 102 104 105 122 123 124 128 129 132 134 136 138 164 170 Lohmeyer E.: 1949 Lohse E.: 449515254170 Lyall F.: 95 170 Lyonnet S.: 34 77 93 99 113 114 164 170 Mahoney R: 96 170 170 Manns F.: 19 30 40 54 56 161 162 Marangon A: 55 56 170 Marchel W.: 114 170 Marcheselli Casale C.: 29 40 41 161 162 Marchesi A: 89 170 Martin R. P.: 1 256 14 15 17 160
Martini C. M.: 159 Metzger B. M.: 159 Masson C.: 39 170 Mateos J.: 22 24 88 129 131 132159170 Maurer C.: 104 170 McGrath J. F.: 61 170 Merklein H.: 102 121 124 140 170170 Messing G. M.: 160 Michaelis W.: 46 51 170 Milligan G.: 96 159 Minissale A: 58 59 170 Molina Rueda B.: 165 166 171 Montagnini F.: 55 56 76 77 78 80 81 83 84 85 86 104 123 125 126 129 130 131 132 133 134 137 138 163 164 170 Moulton J. H.: 2496 159 Miiller D.: 97 170 Mundle W.: 99 171 Munoz F. A: 139.165 166 171 Murphy O'ConnorJ.: 29161 Murtonen A: 88 171 Namia G.: 159 Neusner J.: 162 Niccacci A: 56575859171 Nobile M.: 51 61 171 NordenE.: 76171 Oepke A: 23 171 Panimolle S. A: 52 163 Patsch H.: 88 171 Pax E. W.: 114129171 171 Penna R: 3 4 76 77 78 80 83 84 85 8688 8990 91 92 93 94969798 99 100 101 102 103 104 107 118 121 123 124 128 129 130 131 132 136137 164 171 Percy E.: 51 171 Pérez Fernandez M.: 141 171
184 Philipson D.: 61 171 P6h1mann W.: 39 163 Pollard T.: 56 163 Prat F.: 114 171 Preisker H.: 97 171 Rader W.: 138 140 141 171 Rah1fs A: 160 Ramaroson L.: 121 127 130 131135 136137 164 Ravasi G.: 141 Regard P. F.: 51160 Rehkopf F.: 21 2627 45 83 88 90 92 97 98 100 102 129 130133 159 Reid D. G.: 160 Reumann J.: 101 172 Richardson L.: 139 172 Rigaux B.: 13 14 172 Robert A: 170 Rocci L.: 22 25 49 89 92 98 100 101 104 160 Robbins Ch. J.: 76 164 Robinson J. M.: 394041 163 Roetze1 C. J.: 132 165 Romaniuk K.: 34 97 114 117 172' Rosenbaum M.: 47 172 Rossi B.: 47 95 172 Rutenfranz M.: 4 172 Sabourin L.: 114 172 Sacchi A: 52 162 163 164 Saglio E.: 173 Sa1as A: 40 163 Sand A: 107 172 Sanders J. T.: 1 39 40 55 122 123 124 139 161 Scharbert J.: 88 172 Schille G.: 1 124 161 Schimanowski G.: 55 57 58 59 61 172 Schippers R: 106 172
Sch1ier H.: 3 4 50 76 77 78 88 89 90 91 92 93 96 97 98 100 101 102 103 104 105 106 107 124 127 128 129 130131132137140172 Schmidt K. L.: 94 104 172 Schnabe1 E. J.: 58 172 Schnackenburg R.: 30 41 163 172 Schneider G.: 100 172 Schneider J.: 24 172 Schoenberg M. W.: 95 173 Schramm T.: 106173 Schrenk G.: 52 96 97 104 173 Schu1te R: 114173 Schweizer E.: 50 95 139 163 167 Scott J. M.: 95 173 Segalla G.: 155 173 Silbermann A. M.: 47 172 Smyth W. H.: 22 24 25 27 28 46 129 160 Spicq C.: 2223 45 5253 9699 107114117138139173 Staccio1i R: 139 173 Stern M.: 131 173 Strachan L. R. M.: 167 Swallow F. R: 113 173 Testa E.: 123 129130 140 165 Thayer J. H.: 22 27 46 49 53 83 102 160 Theron D. J.: 95 173 Thie1s J.: 48 174 Toutain J.: 138 174 Trench R C.: 2224 174 Trisoglio F.: 171 Tromp S.: 50 163 TurnerN.:4651159 Urbach E. E.: 61 174 Vander Broek L. D.: 14 165 Vanni U.: 45 6465 163 Vattioni F.: 171
185 Vawter B.: 40 Vermès G.: 117 174 Virgulin S.: 5258 174 Vischer W.: 57 174 Viteau J.: 93 102160 Von Martitz W.: 95 174 Von Rad G.: 45 138 174 VorHinder H.: 99 174 Vuilleumier R.: 142 174 Vawter B.: 40 163 Wengst K.: 2 161 Wilhelmi G.: 124125 126 165 Wright N. T.: 404154 163 Wyschogrod M.: 61 174 Zerwick M.: 22 24 38 47 121 160 165 Zimmerli W.: 161 Zorell F.: 22 160
INDICE GENERALE
Prefazione Sigle e Abbreviazioni
V
VII
Introduzione
Aspetti storici degli inni del NT
2
Gli inni cristologici
2
l) Testimonianze bibliche e storiche 2) All'origine degli inni: una comunità orante 3) Inni prepaolini o paolini? Forma e funzione degli inni della tradizione paolina l) Inni o prosa ritmata 2) Funzione ecclesiale degli inni Piano e metodo
3 5 6
13 13 15 16
Capitolo I: Fil 2,6-11. Umiliazione ed esaltazione di Cristo
Analisi letteraria di Fil 2,6-11 l) 2) 3) 4)
Contesto Delimitazione della pericope Genere letterario Struttura letteraria
17 17 18 19 19
Analisi esegetica
21
Analisi tematica
28
l) Lo schema biblico-teologico dell' abbassamento-esaltazione 28 2) Cristologia funzionale di Fil 2,6-11 a) La preesistenza di Cristo
3O 31
187 b) L'incarnazione di Cristo c) Il sacrificio volontario di Cristo d) La Signoria universale di Cristo 3) Teologia di Fil 2,6-11 a) Il ruolo di Dio Padre b) "A gloria di Dio Padre" 4) Il senso della parenesi di Fil 2,6-11
32 32 33 33 34 35 35
Capitolo II: Col 1,15-20. Cristo, immagine del Dio invisibile Analisi letteraria di Col 1,15-20 l) 2) 3) 4)
Contesto Delimitazione della pericope Genere letterario Struttura letteraria
37 37 38 39 39
Analisi esegetica
45
Analisi tematica
53
1) Sapienza e Inno cristologico di Col 1,15-20 a) Col 1,15-20 alla luce del pensiero gnostico b) Col 1,15-20 alla luce della tradizione giudaico-biblica 2) La cristologia di Col 1,15-20 a) I titoli di Cristo l°) 2°) 3°) 4°)
Cristo, immagine del Dio invisibile Primogenito di ogni creatura Primogenito di tra i morti Capo del cosmo e della Chiesa
b) Il ruolo cosmico-salvifico di Cristo l li) Ruolo cosmico-salvi fico di Cristo nella creazione i) Tutto è stato creato nel Cristo Gesù ii) Tutto è stato creato per opera di Cristo iii) Tutto è stato creato in vista di Cristo
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2°) Ruolo cosmico-salvifico di Cristo nella riconciliazione 70 i) In lui si compiacque di far abitare tutta la pienezza
70
188 ii) La riconciliazione per opera e in vista di Cristo 3°) Il primato di Cristo
71 72
3) La teologia di Col 1,15-20
73
a) Dio creatore del cosmo b) Dio salvatore del cosmo
73 74
Capitolo III: Ef 1,3-14. Il disegno salvifico di Dio nel Cristo Gesù Analisi letteraria 1) 2) 3) 4)
Contesto Delimitazione della pericope Genere letterario Struttura letteraria
75 75
76 76 78
Analisi esegetica
87
Analisi tematica
107
1) la benedizione a Dio
108
2) Il disegno di Dio
109
a) Eletti per essere santi b) Predestinati ad essere figli c) Redenti per appartenere totalmente a Dio d) La rivelazione del mistero
110
111 113 115
3) Cristo centro del disegno di Dio
116
a) Il disegno di Dio "in Cristo"
116
l°) I titoli cristologici 2°) Il carattere cristologico del disegno divino b) Cristo capo del cosmo
116 118 119
Capitolo IV: Ef 2,14-18. Cristo nostra pace Analisi letteraria l) 2) 3) 4)
Contesto Delimitazione della pericope Genere letterario Struttura letteraria
121 121 122
123 124
189 Analisi esegetica
127
Analisi tematica
138
1) Lo sfondo del concetto di pace a) La pace nel mondo ellenistico greco-romano b) La pace nel pensiero gnostico c) La pace nell'Antico Testamento 2) Il "Vangelo della pace" a) "Il Dio della pace" b) "Cristo, nostra pace" c) La pace, "frutto dello Spirito"
138 138 139 141 143 144 145 149
Conclusione
1) Lo schema teologico generale 2) L'accentuazione cristologica 3) Cristo, centro e senso della storia
152 154 157
Bibliografia
159
Indice dei testi biblici
175
Indice degli autori moderni
181
Indice generale
187