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WILLIAM KATZ FESTA A SORPRESA (Surprise Party, 1984) Prologo Gettò uno sguardo alla sua sesta vittima, orgoglioso del proprio lavoro. Giaceva lì, come le altre, completamente immobile; la vita le era stata tolta con l'impiego combinato di due armi. Si rese conto che l'avrebbero scoperta presto. Le autorità avrebbero capito che aveva fatto centro di nuovo. E si sarebbero preparate per la sua nuova beffa. Doveva farlo ancora una volta. Era questo il patto. Era questo l'atto di fede. Sapeva chi sarebbe stata la sua vittima, sapeva tutto di lei. Non avrebbe avuto sospetti, come non ne avevano avuti le altre, e non avrebbe opposto resistenza. Anche lei avrebbe recitato la sua parte come se fosse stata diretta da un bravo regista. Sarebbe accaduto secondo i piani. Tutte le sue vittime morivano secondo i piani. E sarebbe stato molto facile. Spencer Cross-Wade guardò, perplesso, la foto della sesta vittima. Qual era la chiave? Qual era la formula? Qual era il movente? Come mai questo mostro era sfuggito a lui e a tutti gli altri investigatori che si erano occupati del caso? Sapeva che l'assassino avrebbe colpito ancora, e ancora una volta Cross-Wade avrebbe dovuto salire due rampe di scale per andare a riferire ai suoi superiori di un'altra donna morta e di un'altra giornata infruttuosa per il Dipartimento di Polizia di New York. Era deciso a far sì che ciò non accadesse. Stava diventando una mania, un'ossessione in una carriera caratterizzata da una gelida riservatezza più intonata con Scotland Yard. Ma era una mania. Doveva trovarlo. 1 New York, novembre 198... Sedevano uno di fronte all'altra, a colazione, nel loro spazioso appartamento di cinque stanze che guardava su Central Park West. Samantha aveva trentacinque anni, occhi azzurri e capelli biondo rame che portava lun-
ghi e sciolti, ed era incredibilmente felice. Il suo matrimonio con Marty, che durava da otto mesi, era sublime, e il solo pensiero che alcunché potesse sconvolgerlo, che qualcosa di orribile potesse distruggerlo, era inconcepibile. C'erano matrimoni fatti per durare e lei credeva con tutta l'anima che il suo fosse uno di quelli. «Sono ancora sottosopra», disse Marty. Samantha sorrise; sapeva a che cosa alludesse. «Per via della festa?» «Già.» «Marty, tesoro, mancano ancora delle settimane.» «Sì, ma è la prima festa che mi viene offerta da mia moglie per un quarantesimo compleanno. Lascia che me la goda. Hai preparato la lista degli invitati?» «Certo. Voglio che ci siano tutti quelli che contano qualcosa per te.» «Questo vuol dire un bel mucchio di gente.» «Manderò gli inviti molto per tempo», disse Samantha. «Scommetto che nessuno mancherà.» «Tranne Mel Pierce. Passerà il dicembre ad Aspen.» «Vuol dire che manderà un telegramma.» Samantha si sporse in avanti sulla tovaglia bianca per avvicinarsi agli occhi di Marty che, come il solito, rimasero fissi su di lei. «Marty», chiese, «sei proprio sicuro della data?» «Certo che lo sono.» «Il cinque dicembre?» «È il giorno del mio compleanno, non è così?» «Un giovedì.» Marty sospirò. «Sam, ne abbiamo già parlato. Per me è importante che la festa abbia luogo proprio il giorno del mio compleanno. Giovedì, cinque dicembre.» Poi abbassò gli occhi e rimase per un po' in silenzio. Forse pensava al discorsetto che avrebbe dovuto fare alla sua festa, suppose Samantha, oppure a qualche vecchio amico che avrebbe voluto rintracciare. Samantha lo guardò e subito vide quanto era cambiata la sua vita; ancora una volta si rese conto di quanto era fortunata. Un anno prima, Samantha Reardon era una redattrice pubblicitaria di secondo piano in una piccola agenzia, e a mala pena riusciva a mettere insieme l'affitto di quello che lei amava definire uno «studio da scapolo» in una zona fatiscente di Manhattan. Gli uomini che aveva conosciuto erano per lo più veterani di matrimoni andati a male... maschi storditi, spremuti, con storie di conflitti da raccontare, desiderosi di trovare qualcuno che li ascoltasse, qualcuno che prendesse le loro parti contro mogli pestifere, avvocati
divorzisti manutengoli, o parenti micidiali. Samantha aveva collezionato troppe serate a fare l'ascoltatrice di professione, a stare a sentire e ad annuire, a volte anche a condividere le angosce di amici i cui matrimoni celebrati in paradiso erano finiti in tribunale, Sezione B, Cause matrimoniali. No, questo a lei non sarebbe successo. Con tutte le sue forze voleva trovare un uomo che la amasse e che lei potesse amare. Ma non era disposta ad accettare nessuno di quegli invalidi ambulanti. Avrebbe aspettato, come aveva sempre fatto, l'uomo giusto, non quello che poteva andare. Ma si era stancata di aspettare, si era stancata di cercare un ideale che era sempre dietro l'angolo. E poi, a un ricevimento per il lancio di un libro sulle diete-senzasacrifici, aveva incontrato Martin Everett Shaw. Marty. Mart. M.E. Samantha era cresciuta a Long Island; il padre era avvocato di una compagnia aerea, la madre insegnava inglese in una scuola superiore. Possedeva un certo istinto per l'eleganza e lo stile, e Marty li aveva entrambi con in più una sorta di magnetismo animale. Non si trattava solo della sua statura imponente — aveva la taglia di un terzino — o del talento infallibile nell'accoppiare la camicia giusta con l'abito giusto. Era, piuttosto, quella sua indefinibile aria di autorevolezza. Marty era capace di attraversare una stanza, facendo risuonare il parquet e rendendo ben chiara l'idea che sarebbe arrivato dall'altra parte qualsiasi cosa o chiunque si fosse trovato sulla sua strada. La sua voce era ferma e sonora ed egli non la alzava mai. Da lui emanava forza. Samantha lo sentiva e ne godeva. Aveva immaginato che si alzasse alle sei del mattino per prepararsi ad affrontare la giornata, e in seguito aveva scoperto di essere nel giusto. Aveva immaginato che lavorasse fino alle undici di sera, se necessario, e in seguito aveva scoperto di essere ancora una volta nel giusto. «Hai qualche pranzo importante oggi?» gli chiese, mentre finiva la colazione. «Non credo», rispose Marty, posando il tovagliolo ben piegato sul tavolo. «Ma di solito capita sempre qualcosa all'ultimo minuto. Se non ho impegni andrò a curiosare in una libreria. È uscito un nuovo libro sulle società per azioni e voglio comperarlo.» «Verrai a casa presto?» «Vuoi scherzare? Sta' a sentire, dolcezza, quando sei tu il padrone, sei padrone di tutto tranne che del tuo tempo. Dovresti vedere la pila di pratiche.» «Ma qualcun altro non potrebbe...?»
«No. Devo pensarci io.» Era proprio quello che avrebbe detto il padre di Samantha. In realtà, Marty le ricordava molto il padre, e questo forse era l'ingrediente magico. E tuttavia, Marty soddisfaceva un bisogno che Samantha aveva sempre sentito fin dall'infanzia. La sua era stata una casa fredda. I genitori vivevano ognuno per conto suo, avevano ben poco da dirsi, e meno ancora avevano da dire a lei. Era figlia unica, ma non aveva avuto tutte quelle attenzioni che di solito vengono riservate ai figli unici. Aveva idolatrato il padre, ma solo a distanza, e quando lui era morto aveva capito di non averlo mai conosciuto. Marty le aveva dato le premure e la considerazione di cui aveva bisogno. Anche quando si trovavano in un ristorante di lusso Marty non badava che a lei, a ciò che lei diceva, come se i cibi squisiti fossero solo un fatto marginale. Con i genitori, Samantha si era sentita un accessorio, il figlio che deve esserci in ogni famiglia americana. Marty l'aveva fatta sentire desiderata, per il solo fatto di essere Samantha. Si identificava con lui, forse perché anche lei aveva perso uno dei genitori quando era ancora una ragazzina, e le esperienze abbastanza simili avevano creato fra loro due un profondo legame emotivo. Le era sembrato difficile credere che quell'uomo forte e deciso non avesse una famiglia. Ricordava l'empito di simpatia che aveva provato quando lui le aveva detto di aver perso entrambi i genitori da ragazzo, di essersi mantenuto alla Northwestern University vendendo abbonamenti a riviste, di essere stato abbandonato e ignorato dagli altri membri della famiglia, di aver desiderato un fratello o una sorella. Samantha lo vedeva trasferirsi da una città all'altra dopo l'università, ottenendo modesti impieghi negli uffici pubblicità di grandi magazzini o di piccole società, riuscendo alla fine a mettere insieme il denaro sufficiente per andare a New York e fondare una sua propria ditta. Adesso aveva una famiglia, o almeno una moglie. Adesso aveva qualcuno con cui parlare, qualcuno che si curava di lui. Samantha si era sempre vista sposata a un uomo con una famiglia numerosa, occupata a visitare con lui la casa paterna del marito, impegnata con una sorta di parentela che lei non aveva mai avuto. Abbandonò quel sogno per Marty e lo fece di buon animo. In lui c'era solo una cosa strana... quegli occhi che a volte sembravano sfuggire come per mettersi sulla difensiva. Erano occhi cauti, attenti e Samantha si chiedeva perché. Forse perché la competizione nel mondo degli
affari era dura. Forse per via della difficile giovinezza di Marty, del suo senso di solitudine, un senso che induceva Samantha a prendersi cura di lui. Le sue energie erano ora concentrate sulla festa. Samantha aveva dovuto dirglielo perché spesso Marty andava fuori città e lei voleva essere sicura che l'ospite d'orore fosse presente. Ma aveva mantenuto un grande segreto. Era sicura che lui non avrebbe mai sospettato di niente. Sarebbe stato il clou della serata, gli avrebbe offerto un'occasione indimenticabile e avrebbe fatto dell'avvenimento quello che lei voleva che fosse veramente... un'autentica festa a sorpresa. Marty diede un'occhiata all'orologio, si alzò e baciò Samantha con una sorta di intenso affetto, insolito per un uomo di affari pieno di successo, ma anche di grattacapi. «Me ne vado», disse. Scomparve fuori della porta e di lì a poco Samantha sentì l'ascensore che saliva, si apriva, si chiudeva e poi tornava a scendere. Raggiunse la finestra del soggiorno camminando sullo spesso tappeto bianco e guardò giù verso i sentieri tortuosi e i viali di Central Park. Le ultime foglie autunnali stavano cadendo e lei ne seguì con lo sguardo una che volteggiava verso un uomo di circa vent'anni, le mani ficcate nelle tasche della giacca, che camminava verso la Fifth Avenue. La vista del parco e del panorama del centro era entusiasmante e magnifica, ma Samantha sapeva che non era quello scenario a darle, per la prima volta nella sua vita, tanta pace. Vide Marty uscire dall'edificio, voltarsi e salutarla con una mano. Ecco cos'era. Ecco qual era il fattore. Quella era la torta e la glassa insieme. Si guardò intorno. Avevano arredato l'appartamento sul moderno... molto bianco, un po' di metallo, dappertutto luci indirette. Faceva contrasto con l'aria un po' cupa del palazzo vecchio di cinquant'anni, con la sua formale facciata di pietra grigia, più adatto a un'epoca in cui i portinai avevano guanti bianchi e la gente bene arrivava in automobili da turismo scoperte. Samantha afferrò un telefono e formò un numero che le era familiare. «Lynne? Sam. Marty è appena uscito. Ti va di fare un salto qui?» Lynne stava arrivando. A lei era stato confidato il segreto di Sam, e quella sarebbe stata una giornata molto produttiva. Sam sapeva che ormai Marty era su un taxi a cinque o sei isolati verso il centro, diretto al suo ufficio. Lui non aveva confidato a nessuno il suo segreto.
Lynne Gould era una di quelle donne dall'energia inesauribile che sembravano avere ventisei ore in una giornata. Si occupava di una quantità di istituzioni caritatevoli, dirigeva una galleria d'arte, si prendeva cura di due figli ancora piccoli e con tutto questo riusciva ad avere in ordine i capelli biondi e corti. Sono perfetti, pensava Samantha. Sono una frana, pensava Lynne. Nessuna delle due aveva ragione. Lynne abitava nell'appartamento dall'altra parte del pianerottolo ed era diventata la migliore amica di Samantha fin da quando gli Shaw si erano trasferiti lì, subito dopo il matrimonio. Samantha era alta uno e cinquantasette, e così Lynne, con il suo metro e settantuno, sembrava torreggiare su di lei. C'era di che sentirsi in soggezione, se non fosse stato che Lynne trasudava una semplice cordialità che metteva chiunque a proprio agio. Lynne arrivò pochi minuti dopo la telefonata di Samantha con matita e taccuino in mano. «Sono pronta», annunciò. «Penso che passeremo il resto della mattinata a scavare nel sordido passato di Marty.» Samantha per prima cosa servì il caffè. «Non hai idea di quanto Marty aspetti questa festa», disse. «Non fa che parlarne. Anche questa mattina...» «Scommetto che non ha mai avuto una festa prima, almeno non da grande», rispose Lynne. «Dato che non ha una famiglia, è probabile che tu abbia ragione.» «Mi piacerebbe darne una per Charles», disse Lynne, «se riuscissi a tenerlo a casa il tempo necessario a tagliare la torta.» «Vedrò di fare la missionaria in questo senso», ribatté Samantha. «Sono sicura che ne sarebbe entusiasta come lo è Marty.» Poi un'espressione leggermente turbata si dipinse sul volto di Samantha. «Sei sicura che sia una buona idea?» chiese, come se volesse essere incoraggiata. «Stai scherzando?» la rimbeccò Lynne. «È formidabile. Voglio dire, riandare agli inizi della vita di Marty, mettersi in contatto con i maestri e i professori e tutti quegli altri tipi e chiedergli di mandare gli auguri per il suo compleanno. Buon Dio, se qualcuno lo facesse per me, lo coprirei di baci e anche di più.» «Spero solo che non vengano a galla brutti ricordi.» «Andiamo, Sam. Sai benissimo come Marty parla della sua giovinezza. È stata dura, è vero. Ma ne ha nostalgia, come tutti. Ascolta, hai proprio fatto centro. Stai preparando una specie di flashback per il caro vecchio Martin Shaw.» Lynne si era offerta di telefonare ai servizi informazioni dei posti dove
Marty aveva vissuto, lavorato o studiato per rintracciare i numeri delle vecchie conoscenze di Marty e passarli a Samantha. Sarebbe stata poi Samantha a telefonare a quelle persone. Lynne avrebbe risparmiato a Samantha un sacco di tempo, ma la cosa più importante era l'appoggio morale, un'amica su cui contare durante l'organizzazione della festa. Di lì a poco Samantha era seduta accanto a un tavolinetto nero nell'ingresso con la cornetta del telefono in mano, intenta a formare il prefisso 312 e un numero telefonico e poi ad aspettare mentre i clic dentro il microfono la avvicinavano sempre più al suo primo incontro con il passato di Marty, con quelle radici di cui lui parlava tanto. Sentì che il cuore cominciava a battere più in fretta. Sì, Lynne aveva ragione. Quello era un progetto fantastico, una spettacolosa festa d'amore. Inevitabilmente il suo cervello riandò ai racconti di Marty sulle burle che facevano alla Scuola di Giornalismo Medill della Northwestern University, dove, non si stancava mai di ripeterglielo, aveva imparato quel mestiere che alla fine avrebbe fatto di lui un mago della pubblicità. Rammentò che le aveva raccontato di quando lui e un suo compagno di corso erano andati in giro per Evanston a sollecitare ordinazioni per barattoli in confezione regalo di olio di gomito. Erano già riusciti ad avere, così sosteneva Marty, ventitré ordini, quando il preside li aveva scoperti e aveva ordinato loro di andare a scusarsi. Le scuse erano state così commoventi, diceva Marty, che sei persone avevano confermato l'ordine. Adesso Samantha era in linea. «Medill», disse una centralinista. «Sì», rispose Samantha, «mi chiedo se qualcuno potrebbe aiutarmi per una faccenda un po' particolare.» «Sì, signora?» chiese la voce femminile. «Vorrei un'informazione riguardante un ex studente.» «Lei è un datore di lavoro?» «No, una moglie. Ecco, voglio dire che sono sposata con una persona che ha frequentato il vostro corso del '66. Sto organizzando una festa di compleanno per mio marito e vorrei raccogliere vecchi aneddoti, magari ricordi dei professori. Insomma cose del genere.» «Questa è una richiesta insolita.» «Lo so», rispose Samantha con un risolino imbarazzato. «Senta, se è una seccatura...» «Niente affatto. Mi dia il nome di suo marito e guarderò nell'annuario. Non ne ha una copia?»
«No, Marty l'ha perduta prima che ci sposassimo. Il suo nome è Martin Everett Shaw e si è laureato con la lode.» «Shore? S-h-o-r-e?» «No, S-h-a-w.» «Ora guardo.» Ci fu una lunga pausa. Samantha e Lynne si sorridevano, ora che la divertente congiura aveva preso l'avvio. Samantha mise una mano sul ricevitore. «Sta guardando», sussurrò a Lynne. Sentì la donna che si muoveva all'altro capo della linea. Chissà quanto sarebbe piaciuto a Marty avere notizie da quelli della Medill. A Samantha sembrava già di vedere l'espressione del suo viso. La voce tornò a farsi sentire. «Signora, è sicura del corso?» «Sì. Perché?» «Non c'è nessun Martin Shaw nell'elenco.» «È impossibile. Marty mi parla sempre del corso del '66.» «Aspetti un secondo. Ha preso un diploma superiore o una laurea?» «Una laurea.» «Mi scusi. Ho guardato l'elenco sbagliato. Questi elenchi sono tutti in disordine. Un momento, per favore.» Samantha attese, strizzando un occhio a Lynne e tamburellando con la penna a sfera d'argento che teneva nella mano destra. «Signora?» «Sì.» «Non è nemmeno nella lista dei laureati.» «È chiaro che c'è un errore», disse Samantha. «Be', io ho consultato l'annuario e il nostro elenco ufficiale dei laureati. Non risulta nessun Martin Shaw. Non è possibile che lei si confonda con qualche altra scuola di giornalismo, come la Columbia?» Samantha provò una leggera irritazione. «Vuole che non sappia dove ha studiato mio marito?» rispose. Poi si rese conto di essere scortese con una persona che cercava di aiutarla. «Mi scusi. Forse è stato incluso negli elenchi di un anno sbagliato.» «Ho controllato l'elenco generale degli studenti, signora», rispose la voce con una nota di stoicismo. «E ho anche richiamato sul mio terminale i dati dell'economato. Avrebbero dovuto venir fuori i pagamenti delle rette. Nessun Martin Shaw. Nel '66 c'è un David Shaw, ma vedo che è un cittadino britannico. Forse è stato iscritto con un nome diverso. Per caso ha cambiato cognome?»
«No. È sempre stato Shaw.» «Non so che altro posso fare», disse la voce con un sospiro. Samantha frugò nella sua mente per cercare una via di uscita da quella confusione. «Marty è stato redattore capo del giornale», ricordò. «Anche se dagli altri elenchi è scomparso... la sua firma lì dovrebbe esserci ancora.» «Controllerò le annate rilegate.» La voce suonava un po' seccata. «Capisco di chiederle molto», disse Samantha. «Lasci stare. A proposito, suo marito ha mai ricevuto gli stampati che mandiamo agli ex studenti?» Samantha ci pensò su un momento. «Io non ho mai visto niente. Però lui si è trasferito parecchie volte...» «I nostri laureati sono giornalisti. Si trasferiscono spesso, ma noi li seguiamo.» Adesso la voce era asciutta, come se facesse una comunicazione. Ma Samantha non lo notò. Sentì che la donna sfogliava delle pagine... molte pagine. «No», giunse alla fine la risposta. «Ho controllato sei numeri del giornale del '66. Redattore capo era un'altra persona.» «Impossibile.» Dall'altra parte si sentì un lungo respiro impaziente. «Signora, posso parlare con franchezza?» Samantha fu colta di sorpresa dalla domanda. «Certo.» «Cose del genere succedono sempre, signora.» «Che cosa intende dire?» «Forse sarebbe meglio che lo chiedesse a suo marito.» Adesso c'era una sfumatura di comprensione. «Perché?» «Signora Shaw, è evidente che suo marito non ha mai frequentato questa scuola, e io spero che non si serva del nostro nome per ottenere un impiego. Se lo venissimo a sapere, denunceremmo immediatamente...» «Molte grazie.» Samantha riappese con un brontolio rivolto al telefono e posò la penna. «Lo crederesti?» chiese a Lynne. «Lo crederesti che non riescono a trovare il nome di Marty? Un laureato con lode? Una scuola di giornalismo? Ti sembra credibile tanta incompetenza?» «Sì», rispose Lynne. «Sono quei maledetti computer. Probabilmente il suo nome è saltato via da uno di quei dischetti. Scommetto che quella si è limitata a schiacciare qualche bottone. Niente nome, niente da fare.» «Ma ha guardato anche nei libri.»
«Questo è quello che ha detto. Sam, è storia vecchia con questi computer delle università. Avevano immagazzinato tutti i voti di mio fratello sbagliati. Chiariremo la cosa.» «Lo so», rispose Samantha, cercando di non pensare all'incidente. Ma dentro di lei c'era un misto di rabbia e di incredulità. Nemmeno per un attimo pensò che Marty avesse mentito sul suo passato. Non era da Marty, e lei lo conosceva troppo bene. Sapeva quello che avrebbe fatto adesso. Avrebbe chiamato il preside, non una qualsiasi tirapiedi dell'ufficio. Avrebbe avuto l'informazione che voleva. Ma quando chiamò le fu detto che il preside era in riunione. Avrebbe dovuto ritelefonare. «Vuoi fare qualche altra telefonata?» chiese Lynne. «Ho il numero del municipio di Elkhart.» «Voglio chiarire questa storia dell'università, prima di chiamare il suo paese natale», rispose Samantha. «Adesso facciamo qualche piano di guerra.» «D'accordo.» Samantha aprì il cassetto del tavolino e ne tirò fuori una copia del New York Magazine. Cercò un'inserzione verso la fine e porse la rivista a Lynne. «Qui c'è un tale che videoregistra le feste di compleanno.» «È un'idea fantastica.» «Pensi che qualcuno possa seccarsi?» «Se qualcuno si secca», ribatte Lynne, «è padronissimo di allontanarsi dalla macchina. Noi giriamo dei filmini. Ma questo è meglio. C'è il sonoro e tutto.» «Gli darò un colpo di telefono», disse Samantha prendendo un appunto. «Se Marty sapesse che cosa viene a costare mi lincerebbe.» «Sam», la rimbeccò Lynne, «gli uomini non linciano mai quando i soldi vengono spesi per loro. Se invece li spendiamo per noi, allora viene fuori il capestro. Sono parole sante. Me l'ha detto mio fratello. È avvocato divorzista.» Samantha e Lynne seguitarono a parlare e arrivarono al menu. Marty mangiava solo carne e patate, perciò nel menu ci sarebbero state carne e patate, ma servite con un tocco di eleganza e di romanticismo. Samantha fece qualche aggiunta a una lista di invitati che era già troppo lunga, un omaggio ai molti amici che Marty si era fatto a New York. Lei voleva anche un'orchestrina. Quella era una bella spesa, ma a Marty piaceva la musica di Broadway, così Samantha telefonò a un piccolo complesso della
Julliard School che eseguiva intrattenimenti alle feste, suonando un po' di tutto, dal classico al pop. «Perché non riprovi con quel preside?» le chiese Lynne dopo un'ora. Samantha allungò una mano verso il telefono, poi si bloccò. Voleva chiamare quel preside. Certo che lo voleva. Voleva mettere a posto quella faccenda della Medill. Ma guardò anche Lynne negli occhi e ciò che vide la fece sentire un po' a disagio. C'era attesa negli occhi della sua migliore amica, e curiosità. Forse troppa curiosità. Possibile che Lynne pensasse che Marty non aveva frequentato...? No, Lynne non era fatta così. Era troppo leale. Tuttavia Samantha quasi desiderò che Lynne non ci fosse, mentre faceva quella telefonata. Senza dubbio, c'era un errore madornale, ma era un errore imbarazzante e anche fra amiche quelle cose potevano diventare sgradevoli. E se, dopo tutto, nemmeno il preside fosse riuscito a trovare il nome di Marty? Che cosa avrebbe pensato Lynne? Che cosa avrebbe detto Lynne a suo marito? «Adesso non ho voglia di telefonare», disse bruscamente Samantha. «Chiamerò più tardi.» Aveva bisogno di pezze d'appoggio per quella seconda telefonata e sapeva dove procurarsele: da Marty stesso. Era sicura che non ci sarebbero stati problemi. 2 La sola cosa che preoccupava Marty era di incontrare qualcuno che conosceva. Perché Martin Everett Shaw stava uscendo da una stazione della metropolitana a Queens durante l'ora di pranzo in un giorno lavorativo? Senza dubbio Marty avrebbe avuto una spiegazione pronta. Marty Shaw trovava sempre le parole giuste. Ma quella era una giornata in cui non voleva essere visto. Camminava giù per la strada affollata in Forest Hills, con il vento freddo che gli soffiava in faccia. Odiava le giornate come quella. Nella sua mente si accavallavano confuse immagini, ricordi che alimentavano una rabbia crescente. Si accorse di un semaforo rosso proprio mentre stava per scendere da un marciapiede. Subito fece un passo indietro. Cercò di sgombrare la mente, ma sapeva per esperienza che non ci sarebbe riuscito, che quell'episodio doveva avere il suo corso. E ogni volta che uno di quei momenti esplodeva dentro di lui, egli si sentiva spaventosamente colpevole, ma il bisogno di mettere finalmente le cose a posto cominciava a crescere, a so-
praffarlo. Vide il Ferramenta Granville, uno dei più grandi negozi sul Boulevard. Non aveva telefonato prima. Non voleva richiamare l'attenzione su se stesso, non voleva che qualcuno in seguito ricordasse la sua telefonata. Marty non sapeva se Granville vendesse quello che lui cercava, ma supponeva di si, data la grandezza del magazzino. Meccanicamente raddrizzò la cravatta di seta a righe e si passò la mano destra sui capelli. Apparire ordinato, normale, sicuro. Non sembrare ansioso. Stai solo comperando cose che un sacco di gente compera. Pagare in contanti. Niente carte di credito. Niente nome sulla ricevuta. Granville era uno di quei negozi di ferramenta dove bisogna intrufolarsi in passaggi scuri e stretti fra ganci carichi di portalampade, sacchi di viti e vistose targhe con numeri civici. Marty si inoltrò lentamente giù per un passaggio, notando che era uno dei pochi clienti. Tuttavia ce n'erano abbastanza da non farlo notare. Finse un'aria confusa che richiamò l'attenzione di uno stanco commesso con sottili baffetti. «Cerca qualcosa?» «Ah, sì», rispose Marty. «Cerco uno di quei portalampade a vite, sa, per metterci una lampadina.» «Senta, qui c'è un milione di portalampade. Lo vuole con l'interruttore a catenina?» «Sì, proprio quello.» «Sono qui.» Il commesso era leggermente curvo e mandava un forte odore di tabacco scadente. Marty lo seguì lungo il passaggio fino al reparto forniture elettriche. Il commesso prese un portalampade da un gancio. «Ecco quello che cerca. Niente altro?» «Ah, mi lasci pensare», rispose Marty. «Pensi quanto vuole.» Il portalampade era un falso scopo. Marty comprava sempre qualcosa in più per dissimulare ciò che veramente voleva. «Avrei bisogno di un martello Roberts», disse alla fine, temendo che il suo tono di voce suonasse troppo ansioso. «Un cosa?» ribatté il commesso, gettando a Marty lo sguardo riservato a quelli che non capivano niente di ferramenta. «Un Roberts. Martello.» Il commesso grugnì e scosse il capo. «Mai visto uno che volesse una marca di martello. Un martello è un martello. Ascolti, ho gli Stanley, gli
Skil, ho... come diavolo si chiama quello? Roberts? Non l'ho mai visto in...» «Ma conosce la marca.» C'era una intensità non voluta nei grandi occhi verdi di Marty. «Certo che la conosco.» «Dove potrei trovarne uno?» «Ha bisogno proprio di quella marca? Senta, amico, lo Stanley è migliore. Lei legge Il Consumatore? Dura...» «Voglio proprio il Roberts.» Il commesso alzò le mani in segno di resa. «Volevo solo aiutarla. Provi da Becker. È due isolati più avanti. Lì hanno i Roberts. Le occorre altro?» «Una catena per bicicletta.» «Quella ce l'ho.» «Ne voglio una con il rivestimento di gomma rossa sulle giunzioni.» Il commesso fece un sospiro profondo e disgustato. «E ci vuole anche dei fiorellini, sopra?» Marty lo ignorò. «È necessario che sia rossa?» chiese il commesso. Marty ci pensò su. Sì, doveva essere rossa. «Rossa», rispose e la sua voce aveva il solito tono dogmatico, adesso. «Ne ho una.» Il commesso scortò Marty verso il reparto giochi e tirò fuori una catena da bicicletta rivestita in gomma rossa. Marty la prese e fece scorrere le dita robuste sui giunti, come se la accarezzasse. Era pesante. Doveva essere pesante. Se la attorcigliò intorno alla mano destra come fosse un serpente e poi la lasciò ciondolare. Ma subito si rese conto che stava attirando su di sé troppa attenzione. «Prendo questa», disse. «È tutto.» Lasciò il magazzino con il portalampade e la catena in un sacchetto di carta marrone e si avviò verso il negozio di Becker. Mentre camminava, ripose il sacchetto nella borsa di cuoio. «Questa è per te», sussurrò, quasi senza muovere le labbra, come se parlasse a qualcuno vicino. Ma nulla trapelava dal suo volto. Marty Shaw era solo un uomo d'affari come un altro che camminava per la strada. Nemmeno Samantha sospettava il tumulto che c'era nell'animo dell'uomo che lei credeva ideale. Guardò il suo orologio Rolex Submarine. Erano le tredici e quarantasei. Aveva un appuntamento in ufficio alle quindici. Era importante che arrivasse in tempo, importante per evitare domande. Affrettò il passo. Trovò Becker, un magazzino un po' più grande di Granville. Marty entrò, pro-
vando un certo imbarazzo per essere stato nel negozio di un concorrente, e temendo che quando fosse uscito gli avrebbero chiesto di mostrare il contenuto della sua borsa. Infatti all'ingresso c'era un cartello con la scritta «Ci riserviamo il diritto di ispezionare tutti i pacchi». Hiram Becker, alto e anziano, gli andò incontro. «Ha bisogno di aiuto?» «Sì», rispose Marty. «Vorrei un martello, un Roberts.» «Abbiamo i Roberts.» «Deve avere un manico leggero e la testa dipinta di nero.» «Vuole proprio quel modello?» «È un regalo per mio figlio. Deve andare d'accordo con gli altri utensili.» «Vedrò. Io sono un concessionario. Autorizzato.» Marty sentì crescere la tensione dentro di sé. Una perdita di tempo se Becker non avesse avuto quel martello. Becker scomparve nel magazzino sul retro e poi tornò con il martello Roberts, chiuso in una custodia di plastica incollata su un pezzo di cartone. «Ecco, ce l'ho», disse. «È l'ultimo.» Sollevato, Marty seguì Becker giù per un passaggio polveroso, pagò tre dollari e novantotto più le tasse e uscì in fretta dal magazzino. Nessuno gli chiese di aprire la borsa. Percorse il Queen Boulevard diretto a una stazione della metropolitana che lo avrebbe riportato a Manhattan. Sapeva che prima del cinque dicembre aveva altre cose da fare, ma potevano aspettare. I trenini non erano un problema. Il convoglio giusto avrebbe potuto metterlo insieme comprando in giro per la città i vari pezzi. Samantha avrebbe accettato le spiegazioni su quegli oggetti nuovi portati nell'appartamento. Samantha era sempre così comprensiva. Era perfetta. Marty salì su un vagone della metropolitana surriscaldato e si mise a sedere vicino a una vecchia alcolizzata. Teneva ben stretta la borsa, ma poi si rese conto che le nocche delle dita gli stavano diventando bianche e allora la posò sul pavimento fra i piedi. Mentre il treno si avvicinava alla sua fermata, Rockefeller Center, i suoi occhi si spostavano in giro, mostrando quello sguardo cauto e difensivo che Samantha notava così spesso. Non voleva che qualcuno cercasse di portargli via quella borsa dall'aspetto costoso. Troppo era stato investito nel suo contenuto. Quando il treno arrivò, salì gli scalini della stazione superando quelli che andavano verso la Fifth Avenue a fare con un certo anticipo le compere di
Natale. L'Agenzia Shaw aveva quattro uffici al dodicesimo piano del 1290 di Avenue of the Americas, un moderno edificio di pietra e metallo la cui unica caratteristica era quella di avere al pianterreno un negozio di dischi. Gli uffici di Marty erano l'opposto artistico dell'arredo semplice e funzionale del suo appartamento. Qui tutto era in uno stile francese sovrabbondante e pieno di curve, più simile a un museo che a un ufficio. Le finestre erano inquadrate da pesanti drappeggi e le stampe alle pareti erano montate in cornici dorate. Aveva avuto le sue ragioni per quella scelta, aveva detto a Samantha, ma non le aveva mai spiegato quali fossero. Ancor prima che entrasse, il passo pesante di Marty avvertì gli impiegati che era tornato. Sorrise quando aprì la grande porta di quercia. Sii concreto, continuava a dirsi. Solo chi è concreto si fa strada. «Buon pomeriggio a tutti. Telefonate?» Lois Carroll, la segretaria ventenne, porse subito quattro foglietti rosa a Marty, che si era fermato accanto alla sua scrivania. Egli mise con calma la borsa sul pavimento e li sfogliò. «Che cosa voleva la CBS?» «Warner Wolf ha bisogno di un'intervista con la ragazza che sta provando per la nuova squadra di rugby», rispose Lois. «E siccome noi rappresentiamo la squadra...» «Alla larga», disse Marty. «Telefonerò a Warner e gli offrirò qualcos'altro. Non mi piace quell'immagine per la squadra.» Lesse un altro foglietto. «Newsweek?» «Dicono che non vogliono il pezzo sul procedimento di depurazione dell'acqua della Rohr-Tech.» «Al diavolo. Sono il più quotato settimanale del mondo e neanche riconoscono l'acqua pura quando la bevono. Suppongo che questa chiamata della Princess Fashions riguardi le nostre fatture.» «Naturalmente.» Marty ignorò quell'appunto e passò all'ultimo foglietto. «Che cosa voleva Samantha?» «Ha lasciato detto di richiamarla. Era un po'...» «Un po' cosa?» «Tesa.» «Stava poco bene?» «No, solo che non era la solita Samantha rilassata.»
«Mi passi casa mia.» Marty entrò subito nel suo ampio ufficio, le cui pareti marrone chiaro erano ricoperte da copie incorniciate degli articoli che lui aveva piazzato nelle riviste e nei giornali. Mentre sedeva dietro la scrivania, Lois fece il numero. Lo fece subito perché avvertì la preoccupazione di Marty. Tutti, nell'ufficio, sapevano quanto fosse protettivo Marty nei confronti di Samantha, quanto stesse attento a lei, quanto si preoccupasse per lei in quella grande città. Chiedeva sempre consiglio a Lois sui regali da comperare per Samantha e su dove comperarli. Era un attaccamento vecchio stile, pensava Lois, raro fra quelli che vivevano nel pazzo mondo dei mass-media. Avrebbe voluto avere anche lei un marito come Marty Shaw. «Ho Samantha in linea», disse al citofono. Marty prese il ricevitore. «Sam?» «Caro, avevo telefonato prima, ma eri appena uscito.» «C'è qualcosa che non va?» «Oh, no. Niente.» «Sam, hai una voce strana.» Samantha non riusciva a nascondere la sua contrarietà per quella faccenda della Northwestern. «Sto bene, Marty.» «Sei sicura? Di solito non telefoni mai a mezzogiorno.» «No, sul serio. Sembri mia madre. Sono solo un po' stanca. Avevo chiamato perché sto organizzando la grande serata di gala. C'è un tale che videoregistra queste feste. A me sembra stupendo, a meno che tu non sia contrario.» «Perché dovrei essere contrario? Quanto costa?» «Questa è una faccenda privata, signor Shaw.» «Imbrogliona.» «Devo dare una risposta al più presto. Altrimenti non ti avrei disturbato in ufficio.» «Sam, tu non mi disturbi mai.» «Oh, quanto mi fa piacere sentirlo. Ascolta, Martin Everett Shaw, ho avuto un'altra idea luminosa: fare incorniciare la tua laurea e appenderla in occasione della festa. Tu non l'hai mai fatto e...» «Sam, lo sai che sono indifferente a certe cose.» «Sì, ma io non lo sono. Marty, sono fiera di te. Voglio che il mondo lo sappia.» «Posso esercitare il diritto di veto?» chiese Marty, con una risatina lievemente imbarazzata. Samantha ebbe un attimo di esitazione. «Be', come presidente dell'A-
genzia Shaw immagino che tu abbia il potere di farlo. Però Marty, dovresti almeno tenere da conto quel diploma. Non devi trascurare certe cose. Lo custodirò io. Dov'è?» Ci fu una lunga pausa penosa. «Lo sai», rispose Marty, «che non ricordo nemmeno dove l'ho messo?» Un brivido percorse il corpo di Samantha. Non era la risposta che voleva. Non aveva mai dubitato di Marty. Emotivamente o razionalmente non era incline a dubitare di lui. «Pensaci, genio», gli disse, cercando con tutte le sue forze di nascondere la crescente inquietudine. «Mamma mia, io...» «Provaci.» In un certo senso, Samantha stava quasi supplicando, quasi pregando che quel brav'uomo non avesse falsificato il suo curriculum scolastico, come avevano fatto, lei lo sapeva, tanti altri. Marty schioccò le dita. «Ma certo», rammentò. «Con tutti quegli spostamenti ho levato di mezzo molti vecchi documenti. Hai presente quel mucchio di carte nell'ultimo cassetto della mia scrivania?» «Non mi dirai che l'hai cacciato lì, vero?» chiese Samantha con tono di rimprovero. «Confesso. Le mie scuse più sincere alla Scuola di Giornalismo Medill, a Lawrence S. Krieger, preside e grandissimo scocciatore.» Mart aveva sfoderato un gran sorriso che metteva in mostra due file di denti grandi, ma non perfettamente allineati. «Andrò a recuperarlo», sospirò Samantha. «Immagino che avrai da fare. Ora ti lascio.» «Sarò a casa per le sette.» «Ciao, amore.» Riappesero. Marty era un po' perplesso. Perché Samantha gli aveva telefonato per quella videoregistrazione invece di attendere il suo ritorno a casa? Credeva davvero che quei tipi sarebbero stati così impegnati un giovedì sera di dicembre? E a chi interessava un pezzo di pergamena? Sam di solito era piuttosto calma, tutt'altro che ansiosa. Forse era l'impegno di dover organizzare per la prima volta una grande festa. Marty non ci pensò più. Samantha corse alla scrivania di Marty e frugò tra le carte. Trovò quasi subito la grande cartella blu con il sigillo in rilievo della Northwestern University. In fretta, ma con un rispetto che si rifletteva nel gesto delicato delle mani, aprì la cartella e ne estrasse un pezzo di pergamena rigida pro-
tetto da un foglio di carta velina. Si sentì invadere da un'ondata di sollievo. Era certa che quella signora della scuola si era sbagliata. Lì c'era la prova concreta, inconfutabile. Samantha esaminò con attenzione il diploma e, per il solo fatto di tenerlo fra le mani, si sentì più vicina al passato di Marty. MAR T1N EVERETT SHAW Laureato in Lettere con Lode 16 giugno 1966 Rimise il diploma nella cartella e lo ripose in una cassetta a prova di incendio per tenerlo al sicuro. Ora sentiva del rimorso per aver interrogato Marty a proposito di quel documento. Mai più avrebbe avuto bisogno di simili conferme, si disse. Mai più. Si sedette per studiare qualche altro particolare della festa, poi si mise la mano destra sul ventre. Samantha cercava di controllare la sua speranza che quel cinque dicembre fosse segnato non solo da una grande festa, ma da un annuncio ancor più gioioso. Quanto lo desiderava Marty! Qualche indizio lasciava supporre che sarebbe potuto accadere. Aveva preso appuntamento con il medico. Adesso sperava e pregava. Martin Everett Shaw formò lentamente la combinazione della cassaforte del suo ufficio. Il quadrante si bloccò al diciotto ed egli aprì lo sportello corazzato che era ad altezza d'uomo. A parte una busta marrone, la cassaforte era vuota. Marty vi ripose con cura il martello e la catena da bicicletta, spingendoli entrambi verso il fondo. Si ricordava di quando, l'anno prima, vi aveva riposto un altro martello e un'altra catena, e di quando aveva nascosto gli altri martelli e le altre catene in una vecchia borsa da fotografo. Fissò la busta marrone, con gli occhi e il corpo immobili, come se contenesse qualche oggetto sacro. Allungò una mano e la prese, deponendola sulla scrivania ingombra di carte. Poi andò alla porta, la chiuse a chiave e tirò la tenda dell'unica grande finestra. Era solo, completamente solo con se stesso, isolato da un mondo che egli vedeva in modo diverso dagli altri. Tornò alla scrivania, si sedette e aprì la busta. Dentro c'erano dei ritagli di giornale, tenuti insieme con un elastico, alcuni ingialliti, altri più recenti. Erano giornali di ogni parte del paese. Marty schiacciò il pulsante del citofono. «Non mi passi telefonate, per favore», disse. Prese un ritaglio che era quasi in cima al mucchio. Lo ave-
va già letto molte volte, ma gli piaceva in modo particolare il tono e lo stile. E, grazie al suo lavoro nel campo pubblicitario, conosceva il giornalista che l'aveva scritto. Tornò a rileggere il pezzo, assaporando ogni parola: «La Polizia di Stato del Connecticut è rimasta sconcertata oggi dalla scoperta, in un prato ai margini della Statale I-95 presso Greenwich, di un...» 3 Samantha rimandò di nuovo la seconda telefonata alla Northwestern. Sì, con il diploma di Marty aveva la «pezza d'appoggio» che le occorreva, ma era ancora risentita per la risposta alla sua prima chiamata, e la sua reazione, molto umana, fu quella di cercare altre cose da fare. Si mise d'accordo per la videoregistrazione, andò nel negozio di ferramenta Gardner a comperare un nuovo tostapane e nell'ufficio postale ad acquistare un centinaio di francobolli. I suoi progetti per la festa erano grandi e stavano diventando sempre più grandi. Pensando al programma per il giorno dopo si frenava e si eccitava alternativamente. La mattina dopo lasciò che Marty andasse al lavoro e saltò su un taxi. Gli aveva tenuto nascosto il suo appuntamento. Perché metterlo in agitazione? Perché fargli nutrire una speranza che poteva risultare falsa? Ma il cuore le batteva mentre il taxi puntava a est attraverso il Central Park e poi a sud oltre i magazzini Bloomingdale e Alexander. Samantha scorse alla fine davanti a sé il complesso di edifici tutti bianchi, quegli edifici che, lo sentiva, avrebbero avuto una parte decisiva nella sua vita e in quella di Marty. L'Ospedale Universitario, che negli Anni Trenta stava nella First Avenue, è la sezione più elegante del New York University-Bellevue Medical Center. Quando il taxi si fermò nel viale circolare, Samantha pagò il conducente ed entrò in una delle bianche torri che aveva visto da lontano. «Il dottor Fromer?» chiese a una guardia in uniforme che stava al di là della porta girevole. Sapeva che aveva cambiato stanza. «Quinto, sedici», rispose la guardia paffuta. Samantha prese l'ascensore. Adesso al batticuore si era aggiunto un nodo in gola e nello stomaco. Diede il suo nome all'infermiera di Fromer e dovette aspettare più di quarantacinque minuti per essere visitata. Harold Fromer era sulla cinquantina, pesante e stanco, con il mento cascante e i capelli radi. Eppure era calmo e scrupoloso, un medico completamente affidabile. Parlava in modo sbrigativo, ma stava ben attento a non
trattare con sussiego le sue pazienti, che in genere erano molto più giovani. Dopo la visita e i controlli, fece passare Samantha nel suo piccolo studio che, secondo lei, somigliava più allo sgabuzzino del cassiere di una qualche associazione che a un luogo in cui ci si scambiano confidenze di carattere medico. «Che cosa vuole che le dica?» chiese Fromer, mentre si buttava a sedere dietro la scrivania di laminato plastico. Lo disse con un sorriso. Era il medico di Samantha da dodici anni. «Mi dica che dovremmo cominciare a pensare all'università», rispose Samantha. «Cominciate a pensarci.» «Ne è sicuro?» Fromer scrollò le spalle. «Il tecnico del laboratorio ha tirato in aria una moneta ed è venuta la risposta. Questo è il meglio che possiamo fare.» Strano, Samantha si sentiva calmissima. Non saltò su né sbottò a ridere o a piangere. Anzi, fu invasa da una sorta di serenità spirituale. Forse perché aveva previsto la diagnosi di Fromer. Forse perché sapeva che ciò avrebbe avvicinato ancora di più lei e Marty o forse perché il pensiero di crescere un bambino avrebbe ricordato a Marty la propria infanzia infelice. Avrebbe voluto dare a quel piccino tutto quello che lui non aveva mai avuto. «Bene», chiese, con la faccia finalmente illuminata, «che cosa devo fare?» «Be', festeggi», rispose Fromer. «Non è contenta?» «Certo che sono contenta.» «Anche suo marito vuole un bambino?» «Sicuro. Ha partecipato. Si è offerto volontario.» Fromer fece una goffa risata. Rideva sempre in modo goffo. Era convinto che la risata togliesse mascolinità all'uomo. «Nulla mi fa pensare che lei non debba avere una gravidanza normale», disse. Poi spiegò con cura tutto ciò che Samantha doveva sapere e le accennò ai mutamenti che avrebbe riscontrato su se stessa. «Suppongo di essere al secondo mese», disse lei. «All'incirca. Quando cominceremo a usare gli ultrasuoni per visitarla potrò essere più preciso. Vuole conoscere prima il sesso del bambino?» «No.» «Davvero?» Fromer spalancò gli occhi. Senz'altro Samantha faceva parte di una minoranza. «Dovreste scegliere un solo nome. Potreste prepararvi...»
Samantha si strinse nelle spalle. «Siamo un po' all'antica. Penso che ci piaccia fare le cose come si facevano una volta.» «Capisco.» Fromer corrugò un poco la fronte, poi si mise a tamburellare con una penna sulla scrivania. Samantha guardò la penna che Fromer maneggiava con le mani tozze. Sembrava preoccupato. «C'è qualcosa che non mi ha detto?» le chiese. Samantha si irrigidì impercettibilmente. «Che intende dire?» «Durante la visita lei era un po' più tesa del normale. Quando ha parlato di suo marito ho notato un certo... disagio. Nel suo stato deve essere rilassata, non in tensione. Se c'è un problema...» «Un problema?» «Voglio dire, nel matrimonio.» «Niente affatto.» Samantha era un po' seccata, ma sapeva che Fromer parlava per il suo bene. «D'accordo, ma se dovesse esserci, farebbe bene a chiedere consiglio. C'è gente con... problemi coniugali... che vuole avere un bambino perché pensa che sarebbe un bene per il matrimonio. Non è così. È solo il modesto consiglio di un medico.» «Sto preparando una grande festa per Marty», spiegò Samantha. «Non faccio che pensarci. Forse è per questo che sembro un po' meno scattante.» «Bene», rispose Fromer. «Cerchi di stare tranquilla. I primi tre mesi sono un po' delicati.» Fromer girò intorno alla scrivania e baciò Samantha su una guancia, un gesto che egli considerava una prerogativa del ginecologo. «Congratulazioni», disse. «Andrà tutto bene.» «Grazie. Quando vuole rivedermi?» «Fra un mese. E poi ogni mese.» Samantha fece per alzarsi, ma rimase a gingillarsi con la borsa di pelle. «Ehm, non abbiamo parlato...» «Della spesa.» «Già.» Samantha era all'antica... le riusciva difficile parlare di denaro con un medico. «È scritto tutto in questo opuscolo», rispose Fromer. «Se ha qualche domanda me la faccia. Lei... è assicurata?» «Sì. Spese mediche.» «Allora è a posto. Vada a dare la notizia a suo marito.» Chiacchierarono del più e del meno ancora per qualche minuto, poi Fromer accompagnò Samantha a una porta laterale che dava sul corridoio principale, rumoroso e affollato.
Mentre scendeva con l'ascensore, la pace che aveva provato nello studio di Fromer cominciò a svanire ed ella si sentì colmare da una gioia sfrenata. Cominciò a sorridere, senza rendersene conto, attirando gli sguardi incuriositi di medici e pazienti. D'istinto si mise una mano davanti al ventre allorché salirono altre persone e la ressa crebbe. «Incinta?» le chiese un medico accanto a lei. Adesso era terribilmente imbarazzata per il fatto di sentirsi così poco calma. «Oh, no», rispose. Che stupidaggine. Era l'ultima volta che lo negava. Quando uscì dall'edificio e salì su un taxi le sue prime parole furono: «Sono incinta. Guidi piano». Il conducente sorrise con condiscendenza, ma si attenne rigorosamente alle istruzioni. Lynne la stava aspettando fuori della loro casa in Central Park West. L'istinto le fornì tutte le informazioni di cui aveva bisogno. «Ci siamo», disse, mentre Samantha scendeva dal taxi sotto una leggera pioggerellina a vento. «Ci siamo», le confermò Samantha. «Lo sapevo. Lo capisco dalla grana della pelle di una persona.» «Ma via.» «I medici hanno i loro sistemi, io ho i miei.» Lynne scoppiò a ridere, afferrò Samantha per un braccio e la pilotò dentro il palazzo. Il portinaio, senza guanti, aprì la porta e non fece caso alla loro eccitazione. Si sentì il ticchettio dei tacchi mentre attraversavano l'ingresso, quasi tutto di marmo e illuminato da un enorme lampadario di cristallo che rammentava ai visitatori i giorni di splendore dell'edificio. «Devi preparare una cena con i fiocchi», disse Lynne, spingendo con insistenza il bottone dell'ascensore. «Perché?» «Perché? Mi domanda perché. Quando rimani incinta devi preparare una cena con i fiocchi per dirlo a tuo marito. Non lo hai mai visto fare al cinema? È un'abitudine americana.» «Ma io non lo dirò a Marty.» «Tu non... Mi stai prendendo in giro.» «Ci ho pensato nel taxi», disse Samantha. «Glielo dirò alla festa. Lo annuncerò. Voglio che tutti vedano la sua faccia.» «Avrà uno svenimento.» «No. Forse piangerà un po'.» Lynne cominciò a entusiasmarsi all'idea. «Be', ci saranno quelli della vi-
deoregistrazione. Ragazzi, sarà un momento da ricordare. Sì, è una grande idea. Diglielo alla festa. Io a Charlie lo dissi in casa di mia madre, dopo una litigata.» «Voglio proprio vedere la faccia di Marty», disse Samantha, più a se stessa che a Lynne. «Solo la faccia.» Entrarono nell'appartamento di Samantha che era gelato perché Samantha prima di uscire aveva dimenticato di accendere il riscaldamento. Fece scattare il termostato, tenendosi addosso il cappotto. «Vuoi stenderti?» chiese Lynne. «È un'altra tradizione.» «Voglio lavorare», rispose Samantha. «Madre eroica. Ragazzi, mi sembra quasi di vederti partorire senza l'aiuto di nessuno. Sei proprio il tipo, tu. Ehi, ti ho trovato un po' di numeri di telefono. Hai poi richiamato la Northwestern?» «No, lo farò dopo», rispose Samantha. Si voltò a fissare gli occhi di Lynne, a cercarvi l'espressione di curiosità che aveva visto in precedenza. La ritrovò. «Be'», disse Lynne, tirando fuori dalla borsetta un taccuino. «Ecco il numero della Scuola Elementare George Braden, Elkhart, Indiana. La prima alma mater di Marty.» Samantha era raggiante perché si sentiva immersa di nuovo nel ritmo della preparazione della festa. Sedette al tavolino, buttando giù qualche appunto su ciò che avrebbe chiesto a quelli della Braden. Sapeva di dover essere prudente. Le università erano abituate a ricordare i loro ex studenti, ma non era detto che fosse così per una scuola elementare. «Braden», rispose una voce femminile con l'accento asciutto del Midwest. «Sì, pronto», disse Samantha, un po' nervosa, «telefono da New York.» «New York City?» «Sì. Si tratta di mio marito. È stato scolaro alla Braden.» «Buon Dio, deve essere stato qualche anno fa.» «Sì, è stato alla fine degli Anni Quaranta o agli inizi dei Cinquanta.» «Le occorre un certificato scolastico, signora?» «No», rispose Samantha, «si tratta di una richiesta un po' fuori del comune. Sto organizzando una festa per il suo quarantesimo compleanno...» «Che carino.» «... e volevo raccogliere i ricordi di vecchi amici e insegnanti. Potrei avere i nomi dei suoi insegnanti e del direttore?» «Be'... penso di sì. Alcuni insegnanti forse sono...»
«Morti.» «Sì. Ma il direttore è sempre quello.» «Davvero?» «Mr. Cotrell aveva allora poco più di vent'anni ed è ancora qui.» «E gli insegnanti?» «La documentazione in proposito è nel magazzino distrettuale. Noi la conserviamo solo per cinque anni.» «C'è qualcuno che possa fare delle ricerche? Naturalmente sono pronta a pagare.» Samantha fece un sorriso a Lynne, sentendo ancora una volta che si stava avvicinando al passato di Marty. «Potrei trovare qualcuno, signora. Per la ricerca c'è da pagare un compenso fisso di dieci dollari. Ma non vorrebbe parlare con Mr. Cotrell intanto? È in ufficio.» Samantha esitò. I direttori scolastici l'avevano sempre intimidita. Il direttore era un persona alla quale non si rivolgeva mai la parola, a meno che non ti interrogasse. Ma questa era una situazione diversa, e Samantha ebbe ragione dei suoi timori infantili. «Sì», disse. «Mi farebbe piacere.» «Qual è il suo nome, signora?» «Samantha Shaw. Mio marito è Martin Everett Shaw.» «Un momento.» Samantha sentì dei clic sulla linea e coprì con la mano il microfono. «Mi sta mettendo in comunicazione con il direttore», spiegò a Lynne. «Era lì quando ci studiava Marty.» Sentì che veniva sollevato il ricevitore. «Lou Cotrell, Mrs. Shaw», rispose una voce cordiale e cantilenante, una dimostrazione del fatto che a volte direttori scolastici e pediatri assumono certi tratti di coloro di cui sono responsabili. «Ricordo bene suo marito.» «Davvero?» chiese Samantha tutta eccitata. «Shaw era una birba. Un vero demonio.» «È il ritratto di Marty.» «Un ragazzino smilzo.» «No, robusto.» «Be', cambiano. Si vede che lei lo nutre troppo bene.» «È probabile.» «Sono sorpreso di sentire che Martin vive a New York. Era uno di quei tipi ai quali piace l'aria aperta. Mi dispiace che non sia mai venuto a trovarci. Mi piacerebbe vederlo.» «Prenderò un appunto», disse Samantha. «Insisterò perché venga lì. Anzi, ci verremo tutti e due.»
«Sarebbe magnifico. Ora la mia assistente mi dice che lei vorrebbe qualche ricordo.» «Sì.» «Vedrò di pescarne qualcuno. E qualcuno ce lo metterò io. A proposito, lei ha una di quelle macchine per sentire le cassette?» «Sì, l'abbiamo.» «Allora le registrerò un nastro.» «Splendido!» «Mi dia solo l'indirizzo. E dica a Martin che il vecchio cortile della scuola aspetta che lui torni a scavarci delle buche.» «Grazie, Mr. Cotrell.» «Lou. Ormai siamo tutti cresciuti.» «Grazie, Lou.» «Grazie a lei per aver pensato a noi, Mrs. Shaw.» Entrambi risero. Samantha diede a Cotrell il suo indirizzo e aggiunse il numero di telefono, nel caso gli fosse venuto in mente qualcosa all'ultimo momento. Gli disse anche che si trattava di una sorpresa e lo pregò di spedire il nastro di lunedì in modo che arrivasse a metà settimana, quando Marty non era in casa. Samantha si rese conto che bisognava pensare a ogni dettaglio. Poi, a causa dei suoi profondi sentimenti per Marty, non poté fare a meno di aggiungere un'altra cosa. «Mr. Cotrell, ricorda niente dei genitori di Marty... storie commoventi, aneddoti, questo genere di cose?» «Ricordo che erano brave persone.» «Purtroppo sono morti troppo giovani. Entrambi quando Marty era ancora un ragazzo.» «È triste», disse Cotrell. «Fu dura per Marty, ma lavorò e riuscì a mantenersi alla Northwestern.» «Questo era nello spirito di Marty.» «Sì, è vero. Di nuovo grazie, Mr. Cotrell. Lou.» Riappesero. «Be', è stato straordinario!» disse Samantha a Lynne. «Ho intuito il senso», rispose Lynne. «Adesso devi cucinare.» «Forse dovrei far controllare il nostro mangianastri», fece Samantha, come parlando a se stessa. «La settimana scorsa non andava tanto bene. Non voglio che il cinque dicembre succeda un disastro con la registrazione di Mr. Cotrell.» «Ho io un tale che fa questi lavori. Te lo manderò.» Poi Lynne gettò un'occhiata all'orologio Mickey Mouse che aveva comprato a Disneyland.
«Ehi, devo schizzare via», esclamò. «C'è una 'vernice' importante giù in centro. Ricchi rompiscatole e gente del genere.» E, come era nel suo stile, Lynne in pochi secondi sparì senza tanti addii. Adesso Samantha era sola e si sentiva contenta di sé, di Marty, della vita. Aveva avuto una giornata proprio buona. Prese l'opuscolo del dottor Fromer e cominciò a leggere. Era molto chiaro e descriveva le tecniche che il dottor Fromer avrebbe impiegato per controllare la gravidanza, diceva che la madre avrebbe sentito il piccolo muoversi verso il quinto mese e metteva in guardia contro il fumo e i medicinali. C'era inoltre un paragrafo molto efficace sui pericoli che comportava un parto fuori dall'ospedale. Fromer non transigeva su questo ed elencava tutte le attrezzature di emergenza che aveva un ospedale e che non sarebbero state disponibili se una donna partoriva, per esempio, in casa. Samantha prese nota. Sarebbe andata in ospedale. Stava leggendo il capitolo sulle incubatrici — avevano una grande vetrata in modo che i parenti potessero osservare i principini e le principessine — quando squillò il telefono. Samantha pensò che fosse Marty e sollevò il ricevitore. Non era Marty. «Mrs. Shaw?» Riconobbe subito la voce. «Mr. Cotrell, Lou, è stato gentile a richiamarmi così presto. Ha scoperto qualcosa a proposito di mio marito?» «Be' è proprio per questo che le telefono.» «Aspetti che prendo un taccuino e una penna per scrivere tutto.» «Non è necessario, Mrs. Shaw. Temo... oh, è così imbarazzante.» «Imbarazzante?» «Be', lasci che le spieghi. Può immaginare quanto sia facile confondersi quando si è avuto a che fare con tanti bambini.» «Certo.» «E la mia memoria... temo di essere proprio il tipo del professore smemorato. Quando lei mi ha telefonato mi è venuto in mente un ragazzino, e l'ho ricordato come Martin Shaw. Ma... ecco, il nome non era Martin, era Melvin. Mel Shaw.» «Lei non ricorda mio marito?» «Mi ha detto che i genitori sono morti, riposino in pace. La madre di questo ragazzino è viva, e abita ancora qui. È questo che mi ha risvegliato la memoria.» Samantha capì che Cotrell era mortificato e le dispiacque per lui. «Lou»,
disse, «niente di male. Come è possibile che lei ricordi tutti i suoi scolari? Ascolti, la ringrazio per avermi chiamato. Ci sono i registri della scuola e magari qualche insegnante ricorderà...» «Questo è l'altro problema, Mrs. Shaw.» «Prego?» «Ho fatto guardare nei registri. Non c'è un Martin Shaw.» «Cosa?» «Anch'io sono rimasto sorpreso. Ora, può anche succedere che vadano perduti i documenti di uno scolaro relativi a un anno. Ma qui mancano quelli di tutti gli anni.» La telefonata con la Northwestern balenò nella mente di Samantha, che cercò di scacciarla. Il mondo era pieno di errori. A lei ne erano capitati due, uno dietro l'altro. «Martin ha frequentato la Braden», disse con fin troppa decisione. «Me lo ha detto lui.» «Capisco.» «Che possiamo fare?» «Davvero non so, Mrs. Shaw. Senza documenti siamo nel buio completo. Tutto quello che posso pensare è che siano stati richiesti in precedenza, tirati fuori dall'archivio e lasciati da qualche parte.» «Può essere», rispose Samantha, afferrandosi anche alle pagliuzze. «Ma questo non spiega le foto.» «Le foto?» «Le foto di classe. Ogni classe alla fine di ciascun anno viene fotografata. Ho fatto controllare le foto. Non c'è nessun Martin.» «Forse era assente», ribatté Samantha. «Per sei anni di seguito?» Ci fu un lungo silenzio, quel tipo di silenzio di cui Samantha aveva fatto esperienza durante la telefonata alla Northwestern. Alla fine lo ruppe. «Lou», chiese, un po' sulla difensiva, «che cosa significa?» Cotrell fece una risata, ma era un riso forzato, non del tutto amichevole. «Be'», disse, «forse c'è un errore.» «Per favore, vuole spiegarsi, Lou?» «Devo farlo?» Un brivido percorse la schiena di Samantha. «Gliene sarei molto... grata.» «E va bene, ecco qua. A volte, capisce, un bambino viene da una famiglia povera, e quando è cresciuto ciò è motivo di imbarazzo per lui. Così egli... migliora il suo passato.» Un'altra risatina forzata.
«Capisco», disse Samantha, piano. «Non è una cosa tanto grave, Mrs. Shaw. Ci sono qui vicino a Elkhart delle zone... zone modeste... e forse Martin ha pensato che Elkhart suonasse meglio.» «Non posso crederci», mormorò Samantha. «Se c'è altro che posso fare per lei, mi telefoni», continuò Cotrell. «Ora la saluto.» Samantha riappese, sconcertata. L'unica cosa positiva era che non ci fosse Lynne a vedere il suo imbarazzo. Ma no, pensò. Non può essere. Marty non poteva nasconderle il suo passato. Aveva parlato troppo spesso della Braden, e con tanti particolari. Chi ha qualcosa da nascondere evita del tutto certi argomenti. Suo nonno che aveva dei problemi con l'alcol non parlava mai del bere. E la faccenda della Northwestern si era sgonfiata quando lei aveva trovato la laurea di Marty. No, quello era solo un altro caso di archivi mal tenuti. Era comprensibile. C'erano documenti e fotografie smarriti e Cotrell che altro poteva fare se non coprire la sua scuola? Dopo qualche minuto, Samantha cominciò a sentirsi di nuovo bene, convinta che quel pasticcio si sarebbe risolto per il meglio. Tuttavia sentì che quegli incidenti avevano tolto alla progettazione della festa un po' del piacere, dell'entusiasmo. Aveva bisogno di parlare con qualcuno che ricordasse Marty, che conoscesse un sacco di cose su di lui e non avesse perso nemmeno una briciola del suo passato. Per Marty, quella era un'altra ora di intervallo dedicata alle compere. Questa volta era a Brooklyn, sulla Tredicesima Avenue, affollata di madri, di carrozzine, di borsaioli vari e di ambulanti che vendevano orologi Omega, garantiti in oro massiccio, per ventinove dollari e novantacinque. Era una strada di piccole botteghe, l'avanzo di un'era di gente modesta e di vicini molto legati fra loro. Non era elegante — era una specie di caos organizzato — e Marty vi si sentiva come uno di un altro mondo. Ma questo era il punto importante, come lo era stato a Queens. Lì nessuno lo avrebbe riconosciuto. Camminò per la strada affollata e di nuovo ci furono quelle ventate fredde. Di nuovo i ricordi amari esplosero dentro di lui. Parole gli attraversarono la mente, parole che egli associava alle gelide folate di vento. «Ti occupi solo di lui, non di me!» aveva gridato lei. «Io sono spazzatura. Io lo pulisco e gli asciugo la bocca. Ma tu gli porti i giocattoli! Che
cosa ci faccio qui con voi?» «Ma via, è il suo compleanno. Viene solo una volta l'anno, Alice.» «Sei un fannullone! Va' a giocare con i tuoi treni!» «Non sono un fannullone. Ho bisogno di un 'opportunità.» «Gli altri uomini non hanno bisogno di nessuna opportunità!» Le parole gli risuonavano nel cervello, e Marty sapeva che le avrebbe avute lì per tutta la vita. Poi si guardò intorno cercando di trovare Walson, un noto negozio di giocattoli e articoli per hobbies. Questa volta aveva dovuto telefonare prima perché aveva bisogno di un certo numero di cose ben precise. Walson ce le aveva quasi tutte. Nessun negozio aveva sempre tutto. Non era come ai vecchi tempi. Finalmente trovò Walson fra uno snack e una tintoria a secco, a metà di un isolato dove c'erano non meno di tre forni. Il posto gli fece subito impressione. Un buon negozio per hobbisti doveva essere stipato di modellini di aeroplani e di treni. Doveva avere scatole di montaggio che altrove era impossibile trovare e numeri arretrati di riviste come Model Railroading. I suoi commessi, con i te: ari incavati e gli occhiali dalle lenti spesse, dovevano essere capaci di elencare tutte le locomotive che la Lionel Trains aveva fabbricato e di dire in che anno erano uscite. Infine, doveva avere clienti ai quali piacesse intrattenersi il sabato a dibattere i grandi problemi del modellismo. Walson aveva tutto questo. «Posso aiutarla?» chiese un giovane commesso con un'aria entusiasta che pareva dicesse: «Lasci che le dica tutto quello che so». «Ho telefonato prima», rispose Marty. «Ho parlato con Steve.» I commessi dei negozi per hobbisti non hanno mai un cognome. «Sono io Steve.» Sì, aveva gli occhiali, il torace incavato e l'indispensabile camicia a scacchi. «Lei voleva il locomotore diesel.» «Sì.» «Da questa parte.» Steve condusse Marty in un reparto polveroso sul retro, dove vendevano treni elettrici usati. Marty riconobbe le scatole dei primi Anni Cinquanta color arancione e blu della Lionel. Trovava sorprendente che le persone conservassero quelle vecchie scatole e le dessero indietro quando vendevano i loro treni, a volte dopo una generazione. «Ecco qua», disse Steve. Tirò fuori una scatola arancione e blu. Dentro c'era una locomotiva nera e tozza con la scritta «Santa Fe» sulla fiancata. «'Santa Fe'», lesse Steve. «È questa quella che voleva, vero?»
«Esattamente», rispose Marty, prendendo in mano la locomotiva e accarezzandola. «Abbiamo anche una 'Chesapeake and Ohio'.» «No, questa è quella che volevo.» «Possiamo metterci qualsiasi scritta. Abbiamo un artista...» «No, va bene 'Santa Fe'.» «Bene. È in buone condizioni.» «Quanto costa?» «Centoventi.» «La prendo.» «D'accordo. Sa della trazione magnetica?» «Sì. Ne ho già avuta una.» «È un magnete che trattiene la macchina sui binari.» «Sì», ripeté Marty, «lo so, ne ho già avuta una.» Steve gli stava facendo perdere le staffe, ma non volle darlo a vedere. È facile ricordarsi della gente che si secca. «Lei voleva anche un carro per il trasporto del latte, mi pare», disse Steve. «Esatto.» «Ce l'ho, ma solo con cinque bidoni. Però cammina.» «Se cammina, lo prendo.» «C'è poi il cassone un po' ammaccato.» «Lo prendo lo stesso.» «Ha il binario automatico? Funziona solo sul binario automatico.» «Me ne occorrerà uno», rispose Marty. Adesso nella sua mente tornavano i ricordi: di come egli premesse il bottone rosso vicino al binario automatico, e l'uomo saltasse giù dal carro del latte e deponesse i bidoni argentati sulla piattaforma, e come il motorino ronzasse. E ricordava la voce. «Sei contento, Frankie? È questo quello che volevi?» Era una voce così gentile, così buona. «Frankie, questo è per te.» Sembrava che Marty fosse in un altro mondo. «Si sente bene, signore?» chiese Steve. «Sì, certo», rispose Marty. «Sono solo un po' stanco.» «Già. Con queste compere di Natale. Per lo più la gente compera roba nuova. Lei per Natale regala questi pezzi antichi? È un grande regalo.» «No, sono per me. È un hobby. Mi sono sempre piaciuti i treni Lionel, ma quelli di una volta erano meglio.» «Sono d'accordo», fece Steve. «Per questo teniamo simili prezzi.»
«Bene», continuò Marty, cercando di affrettare le cose, «ho bisogno del vecchio vagone officina. Quello grigio.» «Ce l'ho.» «Un carro merci chiuso e automatico.» «Anche.» «Al telefono lei mi ha detto che non sapeva se aveva il carro bestiame.» «Ho guardato», rispose Steve. «Non ce l'ho. Come arrivano vanno via. Per quello lì non posso prometterle niente.» Marty chiese qualche altro articolo e mentalmente prese nota di quello che doveva ancora procurarsi. Steve gli fece un pacco e Marty pagò in contanti... trecentosettantuno dollari e ottantasei. Niente firme da fare. Nel tenere in mano quei treni Marty provò un'emozione particolare, mentre camminava per la Tredicesima Avenue diretto a una stazione della metropolitana. Aveva amato i suoi treni anche se li aveva avuti solo per pochi giorni. Si chiese — sapeva che era una fantasticheria — se quelli per caso fossero i treni, proprio quelli che gli erano stati regalati. Qualcuno poteva averli venduti a Walson. Sapeva che era improbabile, ma non impossibile. Poiché aveva detto a Steve che i treni erano per lui non aveva potuto chiedere una confezione regalo. Però doveva incartarli bene. Voleva che i suoi impiegati pensassero che erano solo regali di Natale per i clienti. Non voleva che qualcuno vedesse il nome del negozio. Così entrò in una cartoleria, comprò della carta da regalo e del nastro, sedette sulla panca di una fermata d'autobus e incartò da solo i trenini. «Sei un fannullone! Va' a giocare con i tuoi treni!» Ancora una volta le parole tornavano alla mente di Marty. Sapeva che i trenini le avrebbero fatte riaffiorare. Era accaduto l'anno prima, e l'anno prima ancora. «Non davanti ai bambini, Alice!» Tutto era successo proprio a causa dei treni? No, Marty sapeva che c'era stato molto di più. Di nuovo, si sforzò di cancellare tutto, specialmente mentre scendeva nella stazione della metropolitana, dove tre ragazzi dalle facce minacciose fissarono lui e i suoi pacchi natalizi. Marty guardò altrove, sentì il cuore che palpitava e cercò di arrivare il più in fretta possibile allo sportello dei biglietti. «Buon Natale», disse con sarcasmo uno dei ragazzi. Poi i tre si allontanarono. Preferivano uomini anziani che non fossero in grado di difendersi. Marty vide una monaca con un bussolotto di latta, seduta accanto a un
girello, che raccoglieva denaro per gli orfani. Marty aveva compassione degli orfani e gettò nel bussolotto un dollaro. «Dio la benedica», disse la monaca. «Grazie, Sorella», rispose Marty. La catena, il martello, i treni. Marty si stava avvicinando, il cinque dicembre si stava avvicinando. Sapeva che presto avrebbe provato quella strana sensazione, quell'impulso, e sapeva che non sarebbe stato capace di resistere. 4 Con metodo Samantha continuò a ricostruire il passato di Marty. Continuò a rimandare la seconda telefonata alla Northwestern — il fiasco con Lou Cotrell non la incoraggiava a fare una telefonata che avrebbe potuto essere sgradevole — ma cercò di indagare sull'infanzia di Marty a Elkhart. Chiamò la scuola media superiore, ma il vicepreside rifiutò categoricamente di collaborare. Samantha avrebbe dovuto mandare una lettera, debitamente legalizzata, in cui precisava la sua richiesta. Le documentazioni sugli studenti erano riservate, spiegò l'amministratore, con una voce da conferenziere pedante che avrebbe intimidito qualsiasi studente, insegnante o genitore. Allora Samantha chiamò il liceo, dove trovò un'atmosfera molto più calda. Ma non c'era nessuna traccia di un Martin Shaw. Non era negli elenchi dei diplomati. Samantha sentì che il panico la stava prendendo, ma riuscì a controllarlo subito. Rammentò che Cotrell si era chiesto se i documenti non fossero stati prelevati dall'archivio e poi non restituiti. Tutti i documenti di Marty avrebbero potuto essere stati richiesti a un determinato momento e poi non rimessi a posto. Quanto alle fotografie di classe, gli originali avrebbero potuto essere stati tolti e mai più riarchiviati. Avrebbero potuto esserci molte spiegazioni. Così Samantha telefonò al Municipio di Elkhart, chiedendo un certificato di nascita. «No, signora», disse all'altro capo del filo una voce arcigna e burocratica, «non ci risulta che uno Shaw, Martin sia nato qui.» «La nascita avrebbe potuto non essere stata registrata?» chiese Samantha, con una sfumatura di disperazione nella voce. «È possibile», fu la risposta, «ma c'è una probabilità su mille. Voglio di-
re che questa nascita è avvenuta in epoca moderna, quando chiunque viene registrato.» Adesso il panico di Samantha cominciava a crescere. Nessun certificato di nascita. Nessun curriculum scolastico. Nessuna traccia di Marty a Elkhart. La parola «registrato» era impressa nella sua mente, così chiamò l'ufficio di Elkhart che conservava i documenti sulla coscrizione militare. Nessun Martin Shaw. Non era mai stato registrato. La preparazione di quella festa per il quarantesimo compleanno di Marty stava diventando un orrore, un'escursione in un passato che poteva non esistere. E tuttavia Samantha si rifiutava di crederlo. Doveva esserci una qualche spiegazione. Non poteva chiedere aiuto a nessuno. Era troppo imbarazzante. Come si fa a dire a un'amica che non riesci a scoprire il passato di tuo marito? Come fai a dirle che forse tuo marito ha qualcosa da nascondere? Impossibile. Non avrebbe potuto sostenere le occhiate sbalordite o incuriosite di Lynne. Solo Marty poteva darle le risposte, Samantha lo sapeva, e lo avrebbe fatto. No, non lo avrebbe affrontato direttamente. Se gli avesse confessato che aveva indagato sul suo passato, avrebbe mandato in fumo la principale sorpresa della festa. Avrebbe cercato di ottenere le informazioni indirettamente. Avrebbe agito con furbizia. Lui non se ne sarebbe mai accorto. Per prima cosa Samantha si rese conto che doveva fare ancora una telefonata. Sgradevole o no, doveva chiamare la Northwestern e chiarire quella faccenda. Avrebbe potuto essere un punto fermo, qualcosa di concreto. Dopo tutto Marty il suo diploma lo aveva. Questa era una prova tangibile. Si armò di coraggio. Ogni telefonata era difficile, perché tutte le volte aveva paura di una risposta brusca o di un insulto. Controllò il numero, ebbe la comunicazione con il centralino della scuola e chiese di parlare con il preside, Sanford Beale. Ci vollero più di quattro minuti per rintracciare Beale — stava discutendo con uno studente nell'atrio — e altri sei prima che arrivasse al telefono. Samantha, seduta davanti al tavolino, aspettava, tamburellando nervosamente con le dita sul telefono. «Beale», disse una voce opaca e indifferente. «Preside Beale, il mio nome è Samantha Shaw.» «Sì, so già tutto», disse Beale, senza alcun calore nella voce. «La signora che ha parlato con lei mi ha informato. Che altro posso fare?» «Be', prima di tutto ho delle buone notizie», rispose Samantha. «Non so che cosa sia capitato ai vostri archivi, ma Marty ha il suo diploma. Ce l'ho proprio qui.» «Ah, davvero?» chiese Beale. La freddezza della sua voce scosse Sa-
mantha. «Sì», rispose lei. «Lo teneva riposto.» «Signora, è un falso.» Ci fu un silenzio di tomba. Che cosa poteva rispondere Samantha a una simile affermazione? Che cosa poteva rispondere chiunque? «Come può dirlo, così da lontano?» chiese lei, cercando di dominare il suo avvilimento. «È proprio perché sto qui che lo so», spiegò Beale. «Suo marito non ha mai frequentato la Northwestern. La cosa è semplice.» «Ma come fa a saperlo?» «Perché nessuno passa di qui senza lasciare una traccia. Ecco come lo so. E se suo marito usa un diploma falso, procederemo contro di lui per vie legali. Lei dovrebbe saperlo. E adesso, se vuole scusarmi...» Un'idea balenò nella mente di Samantha. «E se Marty svolgesse un lavoro segreto per conto del governo e se questo avesse voluto cancellare ogni traccia del suo passaggio alla Northwestern... per chissà quali motivi?» «Comunque, qualcuno qui si ricorderebbe di lui», rispose Beale. «E poi, se lui avesse voluto nascondere il suo passato alla Northwestern, non avrebbe lasciato in giro un diploma.» Era vero. «Lei farebbe bene a parlarne con lui», continuò Beale, e la sua voce ebbe per la prima volta un accento umano. «Oppure lasci perdere tutta questa storia. La falsificazione del diploma potrebbe essere una leggerezza commessa in passato da suo marito. Se non si serve di quel diploma, forse non è il caso che lei rischi...» Beale non finì. Non aveva bisogno di dirlo a chiare note. Una spiegazione su un falso passato poteva facilmente distruggere un matrimonio. La conversazione terminò su questa nota amara. Istintivamente, Samantha si precipitò a esaminare ancora una volta il «diploma» di Marty. Sembrava abbastanza genuino, ma naturalmente sapeva bene che era facile fabbricare un falso. Non si rese conto di quanto le tremassero le mani finché non cercò di leggere i minuscoli caratteri stampati sotto le parole Northwestern University. Sì, quella era una crisi bella e buona, la prima del loro matrimonio, ed era particolarmente grave. Adesso anche la festa stava perdendo importanza. Samantha non si sarebbe mai aspettata di trovarsi di fronte al passato di Marty in questo modo. Non avrebbe mai immaginato di doverlo interrogare. Marty sarebbe tornato a casa fra poche ore. Samantha doveva preparare
le sue mosse, prevedere ogni sfumatura della conversazione. Sentiva la tensione. La sentiva nella testa e ora anche nel ventre. Temette per il piccino proprio nel giorno in cui aveva saputo che c'era. Marty arrivò a casa affamato e stanco, come il solito. Quel pomeriggio aveva avuto una riunione dopo l'altra con i clienti, e un cliente in particolare lo aveva sfiancato, pretendendo che un articolo su un corso di ginnastica ideato da sua moglie venisse pubblicato nella pagina scientifica del New York Times. Marty gli aveva spiegato che il Times era una meta difficile da raggiungere per chiunque si occupasse di pubbliche relazioni e che il giornale esigeva vere informazioni. Il cliente aveva proposto di pagare per la pubblicazione dell'articolo e Marty allora aveva dovuto spiegargli che il giornale non poteva essere comprato. «Tutti possono essere comprati», aveva insistito il cliente. «Io voglio che Ruthie appaia su quel giornale.» Dopodiché era andato via sbattendo la porta. Marty aveva dovuto chiudere con quel cliente, anche se questo rappresentava una bella perdita per la ditta. Quando entrò in casa non notò nulla di insolito in Samantha. Sua moglie indossava la stessa gonna grigia con una camicetta blu che aveva portato durante il giorno, aveva i capelli pettinati all'indietro e un'aria serena. Samantha aveva l'abilità di nascondere le preoccupazioni e, in quel particolare giorno, di nascondere la novità del piccino. Ma, quando gli occhi di Marty guardavano altrove, lei lo fissava più del solito. Si chiedeva quale fosse la verità, come si sarebbe risolto l'enigma. Quegli occhi, quegli occhi sospettosi... avevano forse a che fare con il suo passato. Samantha aveva paura della risposta, era ancora nella fase del rifiuto. Quell'uomo era buono. Quell'uomo era pulito. Tutto si sarebbe risolto. «Hai l'aria sfinita», disse Samantha. «Sfinita, sì. Sono addirittura a terra.» Samantha corrugò la fronte. «Di solito non parli in questo modo.» Marty si sfilò il soprabito e la giacca e cominciò a disfare il nodo della cravatta di seta a righe rosse. «Ma di solito non mi capita per cliente un Jesse James.» Si buttò su una poltrona di cuoio nero, senza tante cerimonie appoggiò i piedi su un tavolino e raccontò a Sam la storia del cliente che voleva passare bustarelle sottobanco. «Avresti dovuto sentire quell'idiota», disse. «Voleva che portassi cinquemila dollari in contanti — tutti in biglietti da cento — a uno dei direttori del Times per far pubblicare un articolo su quella sgonfiona di sua moglie e sulla sua ginnastica casalinga. E si
è offeso quando io mi sono rifiutato di farlo.» «Non gli hai consigliato un'altra strada?» chiese Samantha, porgendo a Marty una scatola di cioccolatini. «No. Non era il tipo. Ho dovuto dirgli addio.» «Buon per te.» «Ma non per il conto in banca.» «Comunque buon per te. Non vale la pena prendersela per tipi come quelli. Sono degli imbroglioni.» Marty gettò uno sguardo divertito a Samantha. «Vedi, dolcezza, la maggior parte è formata da imbroglioni. Dio sa che cosa combinano con le denunce delle tasse. Ma questo tipo ce l'aveva scritto in fronte. Credo che i soldi siano della moglie. Di solito lo sento a naso.» «Hai fatto la cosa giusta», disse Samantha. «Ma ora dimentica quel verme. Che ne diresti di una bistecca di lombo?» Di colpo, Marty sembrò rilassato. «Questa sì che è una buona idea», rispose. Poi i suoi occhi si illuminarono. «A proposito, ho visto un appunto sul tuo tavolino. Non avevi un appuntamento con il dottor Fromer, oggi?» Samantha rifletté in fretta. «Sì. Il solito Pap Test annuale.» «Va tutto bene?» «Ci vorrà qualche giorno per i risultati. Ma mi sento bene.» «Ma certo», rispose Marty, alzandosi e abbracciando Samantha, e Samantha sentì che nelle sue parole c'era amore. «Vivrai fino a cento anni... e voglio esserci anch'io.» «Ci sarai», disse piano Samantha. «Perché non mangiamo?» Marty si sciolse dall'abbraccio e andò a lavarsi mentre Samantha finiva di preparare la cena. A casa Shaw si cenava sempre a lume di candela, su un tavolo vicino alla finestra del soggiorno, e sempre con una tovaglia bianca. Era quel genere di eleganza che piaceva tanto a Marty quanto a Samantha. Per loro, tutto questo voleva dire che il loro matrimonio meritava il meglio, che era speciale, che ogni sera era un avvenimento, che non avrebbero permesso che la loro unione finisse con salsicce troppo cotte mangiate su un tavolo di cucina sporco. Mentre si sedevano, meccanicamente guardarono fuori della finestra le luci della città. Non si stancavano mai di quella vista. Il panorama aveva un che di romantico. Era un sogno, aveva sempre pensato Samantha, un sogno che voleva far continuare con tutte le sue forze. Samantha verificò mentalmente la sua strategia. Doveva ottenere delle
informazioni da Marty. «Oggi mi è capitata una cosa buffa», raccontò. «Ah, sì?» «Mi trovavo dalle parti dello studio di Fromer e un tizio mi ha fermato per chiedermi delle indicazioni. Era circa della tua età. Indovina un po' da dove veniva?» «Da Marte.» «Da più vicino. Da Elkhart.» Il viso di Marty si illuminò. «Elkhart, Indiana?» Samantha gli lanciò un'occhiata come se volesse dire «e quale altra, sennò?» «Forse lo conosco», disse Marty. «È probabile. Ci siamo messi a chiacchierare. Quel tipo era stato alla Braden.» «Come si chiama?» «Wilson. Fred.» Samantha osservava e ascoltava con attenzione. Marty avrebbe presa per buona quell'invenzione? «Non mi suona familiare», disse lui. «Era un anno dietro di te. Mi ha detto che credeva di conoscere il tuo nome.» «È stato molto tempo fa. C'erano altri Shaw a Elkhart. Non conosco quel tipo.» «Ha frequentato lì anche le scuole superiori. Mi ha detto che giocava a rugby.» «Può darsi. Ma non lo conosco.» «A Elkhart c'era una buona squadra?» Marty si strinse nelle spalle. «Abbastanza buona.» Samantha si irrigidì, ma ancora una volta cercò di nasconderlo. Aveva svolto bene il suo compito e aveva telefonato a un giornale di Elkhart. Per tre anni, sui quattro della scuola superiore di Marty, la squadra non era mai stata sconfitta. «Solo abbastanza?» A un tratto Marty fissò con interesse Samantha. Nei suoi occhi c'era una sfumatura di sospetto. «Perché?» chiese bruscamente. «Era solo una domanda», rispose Samantha, sentendosi balzare il cuore in petto. «Da come quel tipo ne parlava, avrei giurato che la squadra valesse i New York Jets.» Marty riprese a mangiare. «Io non seguivo molto il rugby», disse. «Ave-
vo da pensare ai miei problemi familiari.» Ci fu un silenzio imbarazzato. Samantha provò un po' di vergogna. Se ne era dimenticata. «Ma ora che ci penso», continuò Marty, con un tono di voce più cordiale, «ricordo che per qualche anno furono imbattuti.» Samantha provò subito un gran sollievo. Marty lo sapeva. Lo ricordava. «È quello che mi ha detto quel tizio», disse. «Forse a voi due farebbe piacere scambiare quattro chiacchiere.» In quell'attimo Samantha notò un lieve accenno di paura negli occhi di Marty. Egli smise di mangiare, poi si riprese e continuò. «Non gli avrai dato il nostro numero di telefono, vero?» «No.» Marty parve sollevato. «Non bisogna mai dare il proprio numero di telefono», spiegò. «Non si può mai sapere.» Poi guardò Samantha con un'espressione quasi triste. «A volte ho queste specie di incubi che ti riguardano, che riguardano qualcosa che potrebbe accaderti.» «Marty, a me non succederà nulla.» «No, no, certo che no. Ma devi essere prudente. Ne ho viste tante in vita mia. Ho visto fare cose terribili.» Allungò un braccio e afferrò la mano di Samantha, come se non volesse lasciarla andare. «Comunque sii prudente», la implorò. «Tu sei tutto il mio mondo.» «Starò attenta per tutti e due», rispose Samantha. Rimasero così per quasi un minuto, guardandosi negli occhi, senza muoversi, esprimendo i loro sentimenti con la stretta delle mani. Marty aveva bisogno di lei, Samantha lo sapeva. Era una sensazione molto gradevole, a dispetto di tutti i punti interrogativi che c'erano sul passato di lui. A poco a poco ripresero la cena. Come Samantha aveva previsto, Marty si buttò sulla pietanza. «Una buonissima bistecca», commentò Marty. «Dove l'hai comperata?» «Da D'Agostino. In offerta speciale.» «Con i buoni sconto.» «Indovina chi me l'ha insegnato.» «Ah, ah», rispose Marty con aria furbastra. «Il vecchio Marty Shaw sa come risparmiare il dollaro. Svendere ai clienti è un buon metodo.» Rise compiaciuto. Samantha cambiò argomento per continuare la sua indagine. «Sai», disse, «voglio dirtelo prima che mi passi di mente. Oggi stavo guardando quel
canale di informazioni...» «Il CNN?» «Mi pare. C'era quel giornalista che se la stava prendendo con le scuole di giornalismo. Ha parlato della tua, della Columbia e di un'altra.» «Forse della Missouri.» «Sì. Diceva che sfornano solo bidoni. Mi ha fatto andare su tutte le furie.» Marty scrollò le spalle. «È un pezzo che si dicono cose di questo genere.» «Ma Medill a te è servita?» «Certo. Ho imparato molto e ho conosciuto molte persone.» «Quel tipo diceva che si possono imparare le stesse cose lavorando.» «Questo lo si può dire di qualsiasi professione», dichiarò Marty. «Probabilmente uno studente di medicina impara le stesse cose sia da un medico praticante che in una facoltà universitaria.» Marty non sospettava nemmeno che l'intervista televisiva di cui Samantha stava parlando non era mai stata trasmessa. «Che cosa hai studiato tu a Medill?» chiese lei. Marty si appoggiò allo schienale della sedia. «Oh, vediamo. C'era cronaca, servizi, testi pubblicitari, fotografia.» «La scuola di giornalismo aveva un suo edificio?» «Oh, certo.» «Mi sorprende che non ti abbiano mai mandato nulla. Avranno pure un'associazione di ex studenti.» «Sì, ma io non mi sono mai preoccupato di comunicare i miei cambi di indirizzo.» Poi Marty fissò Samantha direttamente negli occhi. «Ragazzi, stai proprio frugando nel mio passato, stasera.» Samantha si sentì gelare, ma si finse disinvolta. «È perché ti amo. Il tuo passato mi interessa.» «Be', non credo che sia un passato così avvincente.» Samantha capì che non doveva insistere troppo se voleva evitare che Marty sospettasse qualcosa. Ma voleva piazzare un altro colpo, e lo fece con aria scherzosa. «D'accordo. Non mi impiccerò più del tuo passato», disse. «Però sono decisa a mettere in cornice, un giorno di questi, il tuo certificato di nascita.» «Se riesci a trovarlo», borbottò Marty. Ma non sembrò infastidito dall'accenno al certificato. Finirono di cenare e parlarono della festa. Marty fu d'accordo su alcuni
nuovi invitati, ma chiaramente era preoccupato. Samantha suppose che fosse per via del cliente perduto. In effetti, Marty era di nuovo alle prese con i ricordi, ricordi di un trenino elettrico che girava su rotaie montate alla bell'e meglio sul pavimento di un soggiorno. Non sapeva che cosa gli avesse riportato alla mente quell'episodio, ma il clacson di un camion in strada gli era parso molto simile alla sirena diesel del suo vecchio trenino. Bastò questo per trasportarlo in un mondo diverso, un mondo che cercava di dominarlo. Per Samantha, vedere Marty preoccupato era un fatto eccezionale — tanta era l'attenzione che lui le dedicava normalmente — tuttavia qualche volta accadeva. Quasi sempre c'era di mezzo l'ufficio. In quel momento, però, la interessavano di più i risultati delle sue indagini discrete. D'un tratto si rese conto che aveva saputo ben poco. Dunque Marty era al corrente dei trascorsi della squadra di Elkhart. E con questo? Chiunque si fosse fabbricato un passato falso avrebbe potuto informarsi sugli eventi sportivi locali. Lo stesso si poteva dire per quel che riguardava la sua conoscenza del corso di studi a Medill. Facile da sapere. Samantha non aveva avuto l'opportunità di chiedergli qualche particolare che solo una persona che ci fosse stata davvero avrebbe potuto sapere. Ma dato che Marty era come se avesse delle antenne per ciò che concerneva il suo passato, capì che non avrebbe mai avuto una simile occasione. Comunque, quella stessa sera, mise insieme un altro piano, sebbene si rendesse conto che avrebbe potuto suscitare l'ostilità di Marty. Era un tentativo estremo, qualcosa che avrebbe potuto rompere la scorza e far venire fuori almeno in parte la verità. Mentre Marty si preparava ad andare a letto, Samantha entrò nella stanza. Aveva assunto di proposito un'aria preoccupata. «C'è qualcosa che non va?» chiese Marty. «Vuoi proprio saperlo?» «Sì.» Marty smise di spogliarsi. Sembrava preoccupato. «È successo qualcosa?» «No, ma qualcosa potrebbe succedere.» Marty era pieno di curiosità. «Va bene, ecco di che cosa si tratta», disse Samantha. «Questa sera ti sei seccato un po', quando parlavamo del tuo passato.» Marty si irrigidì impercettibilmente, poi scoppiò a ridere. «No davvero.» «Oh, sì», insisté Samantha. «Sei diventato irascibile. Forse avrei dovuto capire. Comunque, volevo tanto che tu avessi questo grosso regalo di com-
pleanno.» «Sam, la festa è il mio regalo.» «Qualcosa oltre a quella. Qualcosa per te. Qualcosa per noi.» «Sei incredibile.» «Ascolta. Pensavo che sarebbe stato magnifico se avessi preso per te... per noi... dei biglietti d'aereo.» «Una vacanza?» «Qualcosa del genere.» Samantha si strinse nelle spalle con aria innocente. «Pensavo che saremmo potuti andare nel Midwest. Tu avresti potuto tornare a Elkhart, visitare la tua vecchia casa e poi fare un salto fino alla Northwestern. Lo so che per te quelli sono stati anni difficili, amore, ma ogni uomo prova il desiderio di tornare a casa.» Samantha si voltò, continuando a recitare la sua parte fino in fondo. «Ma forse non è una grande idea.» Ci fu una pausa. «Quando vorresti partire?» chiese Marty con calma. «Dopo la festa. Intorno a Natale. Fa freddo, ma c'è un'aria di vacanze.» «E va bene!» «Davvero? A Elkhart? Alla Northwestern?» «Certo. È il momento giusto per andarci. Il lavoro va a rilento. E a me piacerebbe fare quel viaggio.» Un fremito cominciò a scuotere il cuore di Samantha. «Ehi», continuò Marty, «ti porterò negli stessi posti dove un tempo portavo le ragazze.» «Le zone di combattimento, eh?» «Ascolta, conoscevo i posti migliori. Ti mostrerò la mia stanza alla Northwestern. Aveva una vista sul lago Michigan che... be', te la farò vedere.» «Voglio vedere la casa in cui hai vissuto.» «Una casetta bianca, rivestita di legno, con due comignoli. Era questa la cosa strana», disse Marty. «Chiunque riconosceva la casa degli Shaw per via di quei due comignoli.» Samantha stava cominciando a essere ottimista. Accettando di fare quel viaggio, Marty non cercava di sfuggire al suo passato. Anzi, sembrava diventato improvvisamente entusiasta. Samantha non riusciva a capire perché. Forse la proposta di quel viaggio aveva fatto vibrare qualche corda profonda, sentimentale di cui lo stesso Marty ignorava l'esistenza. Quale che fosse la ragione, Samantha era sicura di una cosa: un uomo che cerca di nascondere il proprio passato non accetta di fare quel viaggio. No, lei non era ancora in grado di spiegare i documenti perduti e il caos che aveva
trovato alla Northwestern e a Elkhart, ma forse Marty era vittima di negligenze altrui. Forse la documentazione era stata tolta per ordine di qualche tribunale e per ragioni che Samantha non riusciva a immaginare. «Prenderò i biglietti», disse. «Prova con la United», suggerì Marty. «Perché non prendiamo un volo per Chicago e cominciamo con la Northwestern? Dopo potremmo affittare una macchina e andare a Elkhart. Un tempo facevo sempre così.» «Ci sono buoni ristoranti a Evanston?» «Certo. E sono sicuro che si ricorderanno di me. Alla scuola di giornalismo c'era un tipo che voleva specializzarsi in critica gastronomica. In seguito cambiò idea e aprì un suo ristorante. Mi piacerebbe proprio rivederlo.» Samantha era al settimo cielo. Questo era ciò che aveva desiderato sentire. Poi Marty fece quello che aveva fatto una sola volta in passato, subito dopo che lei aveva accettato di sposarlo: improvvisò una piccola giga irlandese nella camera da letto. Poi si fermò con gli occhi spalancati come quelli di un ragazzino. «Voglio ordinare del gelato», annunciò. «C'è quella nuova gelateria che lo porta a casa ventiquattro ore su ventiquattro. Cioccolato va bene?» Samantha sbottò a ridergli in faccia, ma quella scena le piaceva. «Va bene», rispose. Marty telefonò. Era di buon umore. Sapeva che quel viaggio nel Midwest non si sarebbe mai fatto. 5 «Dunque è ancora lì, con i due comignoli. È meraviglioso. Volevo dirle che la ringrazio per avermi dato il nome della famiglia che ci vive adesso. Ci metteremo in contatto.» Samantha posò la cornetta e si voltò verso Lynne tutta contenta. «Questo è il tipo di telefonata che mi piace. Mi rallegra la giornata.» «La casa è proprio come l'ha descritta Marty?» chiese Lynne. «Esattamente. Questo è quello che mi ha detto il capitano della polizia. Non crede che siano state fatte delle modifiche. Scriverò alle persone che abitano lì. Forse ci lasceranno entrare in modo che Marty possa vedere la sua vecchia stanza.»
Lynne era sdraiata sul divano bianco di Samantha. «Ho un'idea», disse, sbadigliando. «Se gliele paghi forse ti manderanno delle foto che potresti mostrare alla festa.» «Glielo chiederò», rispose Samantha. Era al settimo cielo. La telefonata al commissariato di polizia del vecchio quartiere di Marty a Elkhart l'aveva rassicurata. Il capitano aveva confermato la descrizione che Marty le aveva fatto della zona. Samantha aveva fatto anche un'altra telefonata fortunata. Rammentando che Marty aveva un passaporto, aveva telefonato al Dipartimento di Stato e aveva saputo che egli aveva esibito il certificato di nascita come prova della sua cittadinanza. Il certificato era stato rilasciato a Elkhart. Dunque, rifletté Samantha, il Municipio di Elkhart le aveva dato un'informazione sbagliata. La sua fiducia in Marty era stata confermata dalle parole di lui la sera prima e da quelle telefonate; ma Samantha doveva ancora raggiungere il suo obiettivo principale: mettersi in contatto con persone che avessero conosciuto Marty per sapere che cosa ricordassero. Nessuno al commissariato lo rammentava, ma nessuno era lì da più di quindici anni. Samantha decise che non avrebbe richiamato la Northwestern, innanzi tutto perché la scuola di giornalismo era legata alla carriera di Marty. Se avessero pensato che lei era una rompiscatole, avrebbero messo di mezzo qualche personaggio influente, fra gli ex studenti, che avrebbe potuto danneggiare la carriera di Marty. «Non fa altro che parlare dell'Esercito», disse Samantha a Lynne. «Lo sai che si arruolò volontario.» «Ci credo», rispose Lynne, prendendo una mela da un paniere di frutta che stava su un tavolino di vetro. «È proprio il tipo dell'eroe. Il mio Charlie invece è il tipo che si arrende subito e non ci pensa più.» «Volevano che facesse il corso allievi ufficiali, ma lui rifiutò», continuò Samantha. «Gli piaceva stare fra i soldati. E così finì in un ufficio, un soldato con una laurea in giornalismo.» «E magari aveva più istruzione di tanti pezzi grossi», disse Lynne. «Certo. Mi ha detto che lo trattavano quasi come uno di loro. Un maggiore gli disse che si sentiva imbarazzato di fronte a lui perché non aveva nemmeno un diploma.» «Non ti ha mai fatto il nome di qualche compagno d'armi?» Samantha rifletté per un momento. «C'era un certo caporale Bose. Era il suo migliore amico. Richard Bose. In seguito Marty lo perse di vista. Peccato.»
Lynne diede un morso alia mela e si alzò. «Fai un miracolo», disse. «Telefona a Washington e fatti dire dove abita Bose adesso. Forse lo sanno.» Senza nemmeno rispondere, Samantha andò al telefono. Aveva già pensato di rintracciare i vecchi camerati di Marty e Lynne le aveva fornito lo spunto per farlo subito. Si fece dare il numero del Dipartimento della Difesa e telefonò. Dopo pochi secondi si trovò in contatto telefonico con la burocrazia militare. Secondo i suoi conti le passarono nove numeri diversi prima di metterla in contatto con un sergente dell'ufficio personale il quale aveva una vaga idea del fatto che c'erano stati uomini sotto le armi anche prima della settimana precedente. «Sergente Mulligan.» «Sergente», rispose Samantha, già sfinita da quella peregrinazione telefonica, «mi chiamo Samantha Shaw.» «Sì, signora. Che cosa posso fare per lei, signora?» La voce di Mulligan dava l'impressione che egli stesse letteralmente sull'attenti mentre le rispondeva. «Mio marito, Martin Shaw, andò sotto le armi negli Anni Sessanta, dopo l'università.» «Nel Nam, signora?» «Prego?» «Era nel Vietnam, Mrs. Shaw?» «Solo per poco tempo. Per lo più è stato a Fort Polk.» «Anche io ero lì. Si tratta di qualcosa che ha a che vedere con la legislazione sui veterani, signora?» «No, sergente. Nulla di così importante. Mio marito era volontario.» «ER.» «Mi... scusi. Continuo a non...» «Esercito Regolare, signora. Si è arruolato.» «Sì, è così. Aveva alcuni cari amici. Sto cercando di rintracciare uno di loro.» «E vuole che le diamo l'indirizzo, se lo abbiamo.» «Esatto.» «Controllare non è un problema, Mrs. Shaw. Riceviamo continuamente richieste di questo tipo. Ci sono sempre riunioni e cose del genere.» «Bene, le sono molto grata.» Samantha, come era nelle abitudini di Marty, fece un saluto militare da burla a Lynne che si divertiva sempre molto. Lynne si stava già infilando il soprabito perché aveva un altro impegno e a gesti fece capire a Samantha che sarebbe tornata presto.
«Vuole darmi il nome del soldato, signora?» chiese Mulligan. «Bose. Richard Bose.» «Esercito?» «Oh, sì.» «Le schede di servizio si trovano a St. Louis, signora, ma sono tutte computerizzate. Vedrò se Bose risulta inserito nel computer.» «Grazie.» Samantha sentì che Mulligan batteva qualcosa sulla tastiera di un computer. Poi sentì Lynne chiudere la porta di casa. Ci fu una pausa di silenzio mentre Mulligan lavorava. Tutto quello a cui Samantha pensava era la festa e il prossimo viaggio con Marty. «Signora?» «Sì?» «Sul mio terminale non risulta un Richard Bose, ma non è un fatto insolito. Potrei fare un controllo incrociato battendo il nome di suo marito. Otterrei così il nominativo del reparto. Bose era in forza nello stesso reparto?» «Credo di sì», rammentò Samantha. «Mi dispiace di portarle via tanto tempo, sergente. Penso che lei abbia cose più importanti da fare.» «Niente affatto, signora. Piuttosto, lei conosce il nominativo del reparto di suo marito?» «No, purtroppo no.» «Immagino che lei non conosca nemmeno il suo numero di matricola.» Gli occhi di Samantha si illuminarono mentre compiva un mezzo giro sulla sedia. «Quello, invece, lo conosco. Una volta l'ho imparato a memoria per scherzo. È ER38567194.» «Ora lo batto.» Samantha rimase di nuovo in attesa, ripassando mentalmente i nomi delle persone con cui avrebbe dovuto mettersi in contatto dopo aver localizzato Bose. Marty aveva lavorato per un giornale locale in California e lei pensò che i suoi ex colleghi avrebbero rammentato qualche episodio del periodo in cui lui faceva il cronista, prima di entrare nel ramo delle pubbliche relazioni. Quella sarebbe stata la telefonata successiva. Di lì a poco Mulligan tornò all'apparecchio. «Signora, quel numero di matricola è nel computer e risulta assegnato a Shaw, Martin.» Poi ci fu una pausa alla quale Samantha non fece caso. «Il suo foglio matricolare», continuò Mulligan, ma con un tono di voce nettamente mutato. Era più pacato, meno stentoreo. «Ce l'ho proprio sotto gli occhi, signora.»
Samantha avvertì il mutamento di voce. «Qualcosa non va?» chiese. «Sono... sono spiacente, signora.» «Spiacente? Per che cosa?» «Per suo marito, signora.» «Di che si tratta?» Mulligan esitava. Pensò che il comportamento di Samantha fosse strano. «Mi spiace, Mrs. Shaw, ma suo marito è stato ucciso in Vietnam.» Fu come se qualcuno avesse colpito Samantha in mezzo agli occhi con un martello. Per qualche istante quasi non vide più. Non spiccicò parola, ma si limitò ad allontanare il ricevitore dall'orecchio e a fissarlo, come se, così facendo, potesse vedere la faccia di Mulligan. Era stato tutto così bello fino a poche ore prima, quando Marty aveva accettato di fare quel viaggio nell'Ovest. Adesso tutto crollava di nuovo. Aveva udito delle parole alle quali non voleva credere. Troppo bizzarre, troppo fuori dal mondo. Marty era vivo. Era in carne e ossa. Ma allora chi era morto in Vietnam? La sala delle riunioni era piena di fumo, risucchiato verso l'alto dagli aspiratori che Marty aveva fatto mettere in funzione. Egli sedeva all'estremità di un lungo tavolo di teak e presiedeva una seduta strategica con un nuovo grosso cliente... una compagnia aerea il cui movimento passeggeri stava calando rapidamente. Marty e una donna molto più giovane di lui erano i soli rappresentanti della sua ditta. La compagnia aerea, naturalmente, era rappresentata da otto direttori, due avvocati, un contabile e uno psicologo che era il consulente della direzione per i rapporti con il pubblico. Marty aveva davanti a sé un fascio di opuscoli, la cravatta era un po' allentata e sembrava un uomo pronto a lottare. Era una messinscena. Sapeva che a quel genere di clientela piaceva che le persone che si occupavano delle loro pubbliche relazioni avessero l'aspetto di chi è pronto a emanare tonnellate di energia creativa e a travolgere la concorrenza. Era l'immagine di un creatore di immagini e Marty sapeva come sfruttarla. «Il vostro problema», disse ai presenti, «è che la gente non vede nella vostra compagnia nulla che la distingua. Siete il Signor Uomo Qualunque.» Il presidente della compagnia aerea era un uomo elegante di quarantotto anni, abbronzato e pieno di salute, un ex pilota. «Qual è la sua soluzione?» chiese con un piglio brusco, quasi militaresco. «Dobbiamo cercare di scoprire che cosa vi distingue dagli altri», rispose Marty.
Nella stanza scoppiò una grossa risata. Marty guardò uno per uno i rappresentanti della compagnia aerea. Lui non rideva. «Difficile, eh?» «Ascolti, noi non siamo la Delta o la Lufthansa. Ecco perché abbiamo bisogno di lei.» «Credo che questo sia il nocciolo del problema», ribatté Marty. «Siete troppo modesti. Avete un ottimo curriculum, ma vivete all'ombra dei grossi concorrenti. E adesso è inutile che parli io, voglio che siate voi a dirmi di che cosa andate orgogliosi nella vostra gestione. Dico sul serio.» Marty si appoggiò alla spalliera della poltrona e fece un gesto verso il presidente che cominciò a parlare, dapprima con qualche incertezza, poi rapidamente, sulla qualità del personale tecnico che era riuscito ad accaparrarsi. Mentre ascoltava, Marty cominciò a distrarsi. Gli era capitato spesso, ma ora succedeva ogni giorno. Era stato così anche negli anni passati. Quando si avvicinava il cinque dicembre la sua mente non riusciva a concentrarsi sul lavoro. Adesso tornava a udire parole e voci. «Hai paura che i bambini vengano a sapere perché non riesci a conservarti un lavoro?» «Forse è su di te che potrebbero scoprire qualcosa. Dove passi le sere, Alice?» «Vorresti darmi della puttana? È questo che vuoi dire?» Marty a mala pena sentiva il monotono chiacchierio dei dirigenti della compagnia aerea. Il sudore gli imperlava la fronte. Era una scena di orrore, una tempesta interiore che contrastava con il suo aspetto perfettamente controllato. «Darmi della puttana! Ti sfido a farlo! Provati solo a pronunciare quella parola!» «Frankie», aveva detto la voce gentile, «forse faresti meglio ad andare nella tua stanza.» Adesso Marty sentì una domanda che gli arrivava dall'altro capo del tavolo. «Questo non potrebbe essere qualcosa che la compagnia dovrebbe mettere in evidenza, Marty?» Grazie a Dio aveva sentito la domanda, pensò. Nessuna di quelle persone che sedevano intorno al tavolo sospettava ciò che succedeva dentro di lui. Però non aveva sentito le frasi precedenti. Bisognava fingere. Fingere bene. Marty si schiarì la gola. «Penso che vada valutato rispetto ad altri fattori», disse. «Il pubblico ha un punto di saturazione. Non ogni cosa può essere trattata in eguale maniera.»
«Ma noi potremmo metterlo in evidenza», disse uno dei vicepresidenti della compagnia. «A mio parere non dobbiamo basarci solo su questo, adesso», ribatté Marty. «Vorrei prima fare qualche test.» «Questo mi va», disse il presidente. Tutti annuirono. Capirono che Marty era in gamba. «Vorrei sentire dell'altro», disse Marty. Il contabile cominciò a esporre le economie che la compagnia aveva realizzato e la mente di Marty ricominciò a divagare. Un'immagine si formò nel suo cervello: i trenini montati che correvano, il loro ticchettare che riempiva la casa. Mentre il contabile snocciolava una sfilza di cifre, Marty afferrò una penna. I direttori pensarono che stesse prendendo appunti. Invece scriveva una lettera. Caro papà, È arrivato di nuovo il momento. Come l'anno scorso e tutti gli anni precedenti. So che ti preoccupi per me e per quello che potrà succedermi. Non devi preoccuparti. Andrà tutto bene. L'importante è ricordarti nel modo giusto. Spero che sarai orgoglioso di me. Spero che sarai orgoglioso di me il giorno cinque. Il tuo affezionato figlio, Frankie Il contabile terminò. «Ha preso nota di tutto?» chiese a Marty. «Certo», rispose Marty. «Ho buttato giù tutto ciò che mi serviva.» Fece scivolare la lettera dentro una cartella. «Capisco», rispose Samantha, guardandosi le mani che tremavano leggermente. «Mi spiace di averle portato via del tempo.» Riappese il ricevitore. Dunque, Marty non aveva lavorato al San Diego Union, nonostante le avesse raccontato un sacco di storie sul suo lavoro di cronista di nera. Non avevano mai sentito parlare di lui. In archivio non avevano nemmeno una domanda di assunzione firmata Martin Shaw. E nessuno dei capiservizio ricordava i fatti sui quali egli sosteneva di avere scritto. Samantha telefonò al Des Moines Register — Marty le aveva detto di aver lavorato anche lì — ed ebbe la stessa risposta. Adesso non era più incline a credere che tutte le persone con le quali aveva parlato fossero incompetenti con archivi in disordine.
Fu colpita dal fatto che nell'Esercito c'era stato un Martin Shaw e che suo marito aveva usato il numero di matricola di quel Martin Shaw. Ovviamente Marty era venuto a sapere di quel soldato morto e si era appropriato del suo numero di matricola perché aveva bisogno di un precedente militare verificabile. Ma perché? E perché era tanto ben disposto a ritrovare un passato che, come appariva sempre più evidente, era avvolto nelle ombre? C'era di mezzo la sicurezza nazionale? Marty era una specie di James Bond che doveva nascondere le proprie tracce? Respinse questa ipotesi, perché era convinta che un uomo che cercasse di nascondere qualcosa non avrebbe mai accettato di fare un viaggio «nostalgico». Ma forse non era un viaggio nostalgico. Forse Marty aveva una buona conoscenza di certe zone del paese perché questo faceva parte della sua copertura. Samantha cominciava a sentirsi sopraffatta dagli interrogativi, spaventata da altre eventualità. Forse c'era qualcosa che non andava nella mente di Marty, qualcosa che lo induceva a mentire. Forse aveva avuto un incidente che aveva leso il suo cervello. O forse si immaginava delle cose. Ma se egli fosse stato «normale» e se nel suo passato ci fosse stato qualcosa di insolito, perché non lo aveva confidato alla donna che aveva sposato? Samantha non poteva venirne a capo da sola. Stava cominciando a convincersene. Ma a chi avrebbe potuto rivolgersi per avere un consiglio? A Lynne? Era troppo vicina e troppo curiosa. A un amico di Marty? Questo avrebbe significato umiliarlo a sua insaputa. E se quel mistero avesse avuto una spiegazione del tutto plausibile? Se avesse avuto una spiegazione medica o psichiatrica? Di certo lei non era disposta ad affrontare Marty e a mettere in pericolo il matrimonio. Per quanto ne sapeva Samantha Shaw, nessuna moglie aveva mai dovuto fronteggiare una situazione simile... essere sposata a un uomo meraviglioso il cui passato sembrava inesistente. Alla fine decise di fare qualcosa. Decise che c'era una sola persona alla quale poteva rivolgersi per consiglio. Sì, era un amico di Marty, ma un amico così speciale, così leale che, secondo Samantha, non ci sarebbe stato nessun rischio. Dopo tutto Tom Edwards era il migliore amico di Marty, il suo alter ego, una persona con la quale egli parlava ogni giorno. Tom e Marty sembravano pensare e sentire nello stesso modo. Tom era più giovane di qualche anno, ma questo non aveva mai avuto importanza.
Tom faceva l'agente immobiliare per uno dei più grossi mediatori di Manhattan e lavorava in un cubicolo di vetro tappezzato di mappe, fotografie di appartamenti e ritagli di giornali sui recenti aumenti dei fitti. Come Marty, anche Tom era un uomo robusto, ma possedeva una personalità più tranquilla, più morbida, senza il piglio autorevole di Marty. Essi si capivano l'un l'altro, pensò Samantha, in un modo emotivo, intuitivo. Tom, rifletté lei, aveva una gentilezza che a Marty faceva difetto perché aveva passato troppo tempo in mezzo agli squali del mondo degli affari. «Tom Edwards», rispose Tom, con il suo tono di voce efficiente, ma garbato. «Tom, sono Samantha.» «Ehi, Sam. Quale onore. Non mi telefoni mai. Stai cercando un nuovo appartamento o roba del genere?» Samantha si mise a ridere. «No, Thomas, sto cercando te.» «Me? Che cosa devo fare?» «Niente di illegale. Ho solo bisogno del tuo aiuto.» «È successo qualcosa?» «No, niente. Ti ho chiamato in un brutto momento, forse?» «No, è una giornata tranquilla. Tanto è vero che più tardi avrei telefonato al vecchio Mart per fare due chiacchiere.» Tom si passò una mano fra i lunghi capelli prematuramente grigi. «E adesso spara. Che cosa posso fare per te?» «Sai della festa che sto organizzando per Marty?» «Sicuro.» «Quello che sto per dirti tientelo per te.» Poi Samantha si fermò, raggelata per un attimo. «E allora?» chiese Tom. Ma Samantha rimase silenziosa. Non ce la faceva a fare quello che aveva pensato di fare... rivelare, sia pure a Tom, tutto quello che era successo. Non era emotivamente pronta come aveva creduto. No, l'avrebbe presa alla larga. Ci sarebbe arrivata a poco a poco. Avrebbe cominciato con qualche sondaggio. «Tommy», continuò alla fine, «sto pensando di aggiungere alla festa una sorpresa. Cerco di rintracciare i vecchi amici e gli insegnanti di Marty per farmi raccontare da loro qualche episodio del passato.» «Fantastico.» «Così... tu conosci nessuno?» «Ehm», rispose Tom, «vecchi amici e insegnanti?» «Esatto, Thomas, è quello che ho detto.»
«Lasciami pensare.» Tom rifletté per qualche momento. «Harold Tyler.» «Tom, Marty lo frequenta anche adesso, Harold.» «Ma non si conoscono da tempo?» «Sì, ma io vorrei qualcuno che lui abbia perso di vista.» «Oh, afferro l'idea. Be', vediamo. Ci sarebbe... no, è uno con il quale si vedono anche adesso.» «Insegnanti della Northwestern», suggerì Samantha, per vedere come reagiva Tom, «oppure qualcuno di Elkhart.» «Sam, non ne conosco nessuno», ammise alla fine Tom. «Lo sai che Marty e io siamo amici solo da cinque anni. Non parliamo mai del passato. Capisco che possa sembrare strano, ma è vero. I soli suoi amici che conosco sono quelli che conosci anche tu, forse con un paio di eccezioni.» «Tom, non mi dirai che Marty non ti ha mai parlato di nessuno, vero?» Tom rise, ma con una sfumatura di nervosismo. «Be', forse di qualche vecchia amichetta.» «D'accordo, sei leale. Ma adesso fuori i nomi.» «Sam», spiegò Tom, «tutto quello che conosco sono i nomi di battesimo... e certe caratteristiche. Lo sai come parlano gli uomini.» «Così sono a zero», disse Samantha, un po' delusa. «Potrei darti i nomi degli amici che Marty ha oggi... di quelli che tu non conosci, voglio dire.» «Va bene, ma quello che mi serve sono i vecchi compagni.» «Non hai un altro modo per avere quei nomi?» «E come? Non posso far parlare Marty. Eppoi lui non ha conservato molti... legami con il passato.» «Be', non è stato dei più entusiasmanti.» Samantha decise di tentare un approccio leggermente diverso. «Tu sei stato sotto le armi, vero, Tom?» «Sì.» «Mi stupisce che voi due non raccontiate mai storie di guerra.» «Capisco. Ma stammi a sentire, perché non ti concentri sul presente? Pensaci un momento. Tornare al passato di Marty potrebbe non essere, dopo tutto, un'idea così fantastica. A volte i ricordi fanno strani effetti.» «Lo credi davvero?» «E chi può dirlo? Ma tu riflettici. Marty ha un sacco di amici, adesso, e sono loro quelli che contano.» «Ci penserò», promise Samantha. «Ehi, ma tu devi lavorare. Sarà meglio che tagli corto.»
«Se hai bisogno di una mano per la festa, fammi un fischio.» Riappesero. Samantha non aveva saputo nulla. Ma il fatto che Tom non avesse alcuna informazione era la conferma di un'idea... che il passato di Marty non era un libro aperto. Come mai, dopo tutto, un uomo non parlava degli anni giovanili con il suo migliore amico? Era innaturale, anormale. La conversazione con Tom non fece che accrescere le ansie di Samantha. Samantha non si diede per vinta. Cercò di escogitare il sistema di portare a galla il passato di Marty senza irritare il marito. Infatti, l'ultima volta che gli aveva fatto delle domande lui l'aveva rimproverata. Così, quella sera dopo cena, mentre guardavano un vecchio film con Humphrey Bogart, lei affrontò con eleganza l'argomento. Durante un intervallo pubblicitario si voltò verso Marty, che se ne stava sprofondato in una poltrona, e disse: «Senti, stavo pensando che abbiamo completato la lista degli invitati... ma abbiamo dimenticato quelle persone che bisognerà rintracciare». Marty aveva l'aria stupita. «Rintracciare?» «Be', voglio dire che forse ti farebbe piacere ritrovare qualcuno che hai perso di vista. Dovresti dirmelo adesso perché ci vuole tempo per avere gli indirizzi. E non vorrei che gli inviti arrivassero tardi.» «Nessuno», rispose Marty, senza distogliere gli occhi dalla pubblicità della Coca-Cola. «Sei sicuro?» «Assolutamente. So chi voglio vedere.» «Nemmeno quel Bose dell'Esercito? Hai parlato spesso di lui.» «Sam, questo accadeva anni fa. I tempi erano diversi.» «Ma se avevi simpatia per lui...» «Magari adesso non mi piacerebbe più. Forse ha una moglie invadente. Forse è un drogato. Non mi piace riesumare la gente.» «D'accordo. Il caso è chiuso.» Poi Marty si rivolse a Samantha, sorridendo gentilmente. «Ti ringrazio per il pensiero», disse. «Ti ringrazio davvero.» Quelle parole fecero bene a Samantha, ma non era il «bene» al quale era abituata. Adesso le parole di Marty non riuscivano a confortarla fino in fondo, con tutti quegli interrogativi sospesi nell'aria. Poi Marty fce qualcosa che Samantha giudicò strano. Si alzò a metà del film — non lo aveva mai fatto — e si avviò per uscire dalla stanza. «Ti interessa il film?» chiese. «Non molto», rispose Samantha.
«Vieni con me.» Samantha seguì Marty in camera da letto. Egli si fermò da una parte e per qualche minuto ispezionò la stanza, spostando lo sguardo da sinistra a destra e poi di nuovo a sinistra. «Che cosa stai facendo?» chiese Samantha. «Voglio cambiare la sistemazione dei mobili», rispose Marty. «Perché? Stanno bene così.» «Bene non è magnificamente.» Nella voce di Marty c'era un tono leggermente sprezzante che Samantha non aveva mai sentito prima. La infastidì, ma cercò di non darlo a vedere. «Che cosa avresti in mente?» chiese. «Qualcosa che ho visto in una rivista di architettura e che mi è piaciuta.» «Ce l'hai qui, quella rivista?» «No, l'ho gettata via.» Perché mai aveva gettato via una rivista di cui voleva servirsi come modello? Samantha rivolse la domanda a se stessa. Capì che Marty non era dell'umore giusto per essere contraddetto. «Voglio mostrarti una cosa», disse Marty. Tirò fuori un pacchetto dalla borsa di cuoio e lo aprì; conteneva una cornice dorata vistosa e di poco prezzo che andava bene per una foto dieci per diciotto. «Ho comprato questa», proseguì. «Penso che dovrebbe essere messa qui.» E piazzò la cornice a capo del letto. «Be'...» cominciò a dire Samantha, disgustata da quella cornice. «Non ti piace?» «Sei sicuro di volerla mettere lì?» «Sì», rispose Marty. «Non sei d'accordo?» Samantha si sentiva sempre più esasperata. «Marty», disse, «gli oggetti per la casa li abbiamo sempre comperati insieme.» «Non ti piace», disse lui, e sembrò che il suo entusiasmo fosse svanito. «No, mi piace. È graziosa. Ma se vogliamo cambiare l'arredamento della stanza, ho qualche idea.» Marty si precipitò verso Samantha e la abbracciò. «Ehi», esclamò, e all'improvviso era tornato il vecchio Marty, «questa è una società. Forse mi sono lasciato trasportare dall'entusiasmo. Voglio che tu dica la tua su ogni cosa. Ma, Sam, questa è una gran bella sistemazione. Ci tengo molto. Almeno proviamola.» «Certo», acconsentì Samantha. Come era possibile opporsi quando parlava così ragionevolmente? Eppoi, lei aveva preoccupazioni ben più importanti di quell'improvviso interesse del marito per l'arredamento. Senza una parola, Marty cominciò a cambiare la disposizione dei mobili,
rifiutando l'aiuto di Samantha. Aveva sul viso un'espressione decisa, quasi appassionata, come se fossero in gioco i suoi sentimenti più profondi. Samantha non riusciva a capirci nulla. Marty inchiodò la cornice esattamente dove aveva detto. Stava malissimo, ma lui sembrava esserne molto orgoglioso. Girò il letto in modo che la testiera si trovò a ridosso del radiatore, cosa che Samantha sapeva essere completamente sbagliata. Ed era sicura che lo sapeva anche Marty. Di certo egli sapeva che il comò non deve bloccare una finestra. Ma quando ebbe finito le cose stavano proprio così. E Samantha non riusciva a capire in base a quale logica avesse arrotolato i tappeti e li avesse messi da parte. Ed era anche al di là della sua comprensione che una rivista di architettura proponesse una simile sistemazione o quanto meno acconsentisse a pubblicarla nelle sue pagine. «Ecco fatto», disse lui, con la fronte imperlata di sudore, quando ebbe terminato, «ti dico che mi piace proprio.» Samantha non fiatò. «E a te?» chiese alla fine Marty. «Be'», rispose lei, «ha i suoi lati buoni.» «So che è insolito», proseguì Marty, «e per giunta la nostra stanza non ha la forma giusta. Ma proviamo per un po'. Se poi decidi che non ti piace, cambierò di nuovo.» «Bene», acconsentì Samantha. Era strano, molto, molto strano. Uscì dalla stanza per andare a scrivere qualche appunto per la festa. Martin Shaw si avvicinò lentamente al letto, poi vi si sdraiò sopra. Afferrò il cuscino di Samantha e se lo strinse al petto, come se fosse stato un animale di pezza. Alzò lo sguardo. Le sue labbra cominciarono ad articolare delle parole. «Frankie vuole un bacino», sussurrò. 6 La bottega si trovava vicino al fiume Hudson. Nella zona c'erano magazzini e ditte di importazione e il taxi di Samantha riuscì a passare a fatica fra i camion che sostavano, ingombrando la strada, per caricare e scaricare. L'aria era piena di un frastornante suono di clacson. Sull'insegna c'era scritto SIMON CORNICI E LAMINATURE e Samantha, quando entrò, sentì la segatura che volava nell'aria. Fra la parte anteriore della bottega e il retro c'era un semplice divisorio davanti al quale si vedeva un banco di metallo e una sedia. Al banco non c'era nessuno e al-
lora Samantha suonò un piccolo campanello arrugginito. Non era un gran posto, ma se Simon era in grado di rispondere a una domanda importante niente altro contava. Howard Simon era un ometto, alto circa un metro e sessanta, oltre l'ottantina, con una faccia sottile che lo faceva rassomigliare a un elfo. Uscì da dietro il divisorio bardato come il solito, una tuta blu sopra una camicia bianca con la cravatta rossa, Aveva pochi capelli. Appena vide Samantha le sorrise subito, quasi con deferenza. Simon lavorava soprattutto con i grandi magazzini che si facevano rappresentare da messaggeri impersonali e quindi ricevere una cliente in carne e ossa, e soprattutto attraente, era per lui un avvenimento. «Posso fare qualcosa per lei?» chiese Simon, accennando un inchino alla vecchia maniera. «Sì», rispose Samantha, provando subito una certa fiducia per quell'uomo. «Avrei un diploma.» «Vuole incorniciarlo?» «Non so.» «Non sa?» chiese Simon, alzando le mani con un gesto di comica, ma garbata sorpresa. «Forse posso aiutarla a decidere.» «È per un... collega di lavoro», proseguì Samantha. «Ma ho un dubbio al riguardo. Non so se sia autentico. Potrebbe esserci un errore o qualcosa del genere.» Samantha era confusa al massimo e Simon se ne accorse benissimo. Il problema gli si era presentato già altre volte. «Potrei vederlo?» chiese. Samantha aveva messo il diploma in una borsa enorme. Vi frugò dentro. «È una cosa confidenziale, capisce?» «A chi vuole che lo dica?» rispose Simon. Samantha estrasse lentamente il diploma e lo porse a Simon. «Northwestern», disse lui. «Una buona università.» Voltò il diploma e ne esaminò il retro, facendo scorrere la mano sulla superficie. «Peccato che questa persona non l'abbia mai frequentata.» Samantha si irrigidì. «Che cosa intende dire?» chiese, quasi con un tono di sfida. «Il documento è falso», rispose Simon scuotendo le spalle. «Ho visto molti, molti diplomi di questa scuola. Sono tutti incisi. Si sentono le lettere passando la mano sul retro. Questo è stampato. Un lavoro molto andante.» «Lei ne è... sicuro?» chiese Samantha.
«Faccio questo lavoro da sessanta anni, signora.» «Grazie», mormorò Samantha. Simon vide che gli occhi le si riempivano di lacrime. In una prova concreta c'era qualcosa di definitivo, di decisivo. Adesso non ci potevano essere più dubbi sugli anni passati da Marty alla Northwestern. Quegli anni non erano mai esistiti. Senza aprire bocca, Samantha uscì dalla bottega e prese un taxi per tornare a casa. Fu il viaggio più triste che avesse mai fatto. Non avrebbe voluto andare a casa per non dover sopportare la continua allegria di Lynne e la... (ancora non sapeva come chiamarla) di Marty. Le aveva mentito a proposito della Northwestern e adesso cominciava a capire che doveva averle mentito anche su altre cose. Lui non era il Marty Shaw che aveva creduto di conoscere. Era un altro, e il matrimonio non era il sogno che lei aveva immaginato. Stava diventando un incubo. Lottava per controllarsi, per non cedere al panico, per non cadere a pezzi. Una cosa le avevano insegnato i gelidi anni prima di Marty: l'inutilità della disperazione. Ma il meccanismo di difesa che gli psichiatri chiamano rifiuto continuava a lavorare dentro di lei. Mentre attraversava Central Park West cominciò a pensare che doveva aver trascurato una spiegazione logica e onorevole per tutto ciò che aveva scoperto, una spiegazione che le avrebbe consentito di conservare l'amore e il rispetto per Marty. Fino a quando non avesse trovato questa spiegazione, i suoi sentimenti, le sue paure, le sue speranze sarebbero stati in lotta gli uni con le altre. Rientrando nell'appartamento prese una decisione. Aveva bisogno dell'aiuto di un professionista. Se c'era qualcosa che non andava in Marty, non poteva diagnosticarlo da sola. Uno psichiatra sarebbe stato probabilmente la sua carta migliore e lei sapeva esattamente chi voleva. Aveva ascoltato alcune sue conferenze alla New School dove aveva frequentato un corso di psicologia. Le era sembrato chiaro e molto preparato, ma anche molto umano. Aveva parlato sull'argomento delle tensioni nella vita degli uomini. Non appena si fu tolta il soprabito Samantha afferrò il telefono e fissò un appuntamento urgente con il dottor Kenneth S. Levine. Levine era interno al New York Hospital, ma aveva anche un piccolo studio privato. Samantha si fece lasciare dal taxi alla fine dell'isolato. Continuava a provare un certo disagio nei riguardi degli psichiatri — i suoi genitori non avevano mai avuto fiducia in questa categoria di medici — e si sentiva addirittura un po' imbarazzata. Si mise un paio di occhiali scuri e salì i bianchi scalini che portavano allo studio di Levine.
Visto da vicino, Levine appariva più vecchio di quel che Samantha ricordasse. Era sullo scorcio della cinquantina, con i capelli tutti grigi e gli occhi infossati. Aveva proprio l'aspetto di uno psichiatra, pensò Samantha, il che spiegava in parte la fiducia che i pazienti avevano in lui. Lo studio era foderato di legno rossastro e illuminato da luci indirette, che non davano fastidio agli occhi ed erano concepite per far rilassare le persone ansiose. Mentre discuteva il caso di Marty con Samantha, Levine stava seduto su una enorme sedia ortopedica dietro la scrivania ingombra. «Non capisco», gli disse Samantha. «Marty è un uomo onesto. La gente con cui lavora lo rispetta. Ma tante cose che mi ha detto si sono rivelate false. E tuttavia vuole fare quel viaggio.» «Ha una certa tendenza a esagerare?» chiese Levine. «No.» «Però si occupa di pubbliche relazioni. L'esagerazione fa parte del suo lavoro.» «Sì, certo. Ma non la porta in casa.» «Le pare che provi il bisogno di far colpo su di lei?» «Non più di chiunque altro. Non è uno spaccone. Non si vanta di qualità che non possiede.» «Capisco.» A mano a mano che andava avanti Levine prendeva appunti su un blocchetto giallo. «Ha notato in lui vuoti di memoria?» Samantha ci pensò su per un momento. «A volte Marty ha la memoria corta», ammise lei. «Quanto corta?» «Non capisco.» «Dimentica cose ovvie come i nomi dei parenti?» «Oh, no. Magari dimentica di pagare un conto o di comperare le pile per la radio.» «È cambiato, dopo il matrimonio?» «No, per niente.» «Ha problemi di salute?» «No.» «Grane con la legge?» «Cosa?» «È importante che io lo sappia», le spiegò Levine. «Non me ne ha mai parlato», rispose Samantha. Poi ebbe una risatina ironica. «Ma è chiaro che questo non vuol dir niente.» «Marty frequenta uno psichiatra?»
«No, a meno che non lo faccia di nascosto.» «Quello che sto cercando di scoprire», disse Levine, «è se c'è qualcosa che può turbare Marty, che può alterare la sua capacità di giudizio. A volte le persone mentono — per esempio, riguardo al proprio passato — per disperazione. Sentono il bisogno di inventarsi una seconda identità.» «Capisco», rispose Samantha. «Ma non riesco a pensare a nulla che possa turbarlo. Sembra molto soddisfatto.» «Ed è sempre stato così?» «Sì, da quando lo conosco.» «Questa è forse una domanda difficile, Mrs. Shaw, ma suo marito usa mai espressioni come 'Vorrei uccidermi'?» «No. Mai.» «Bene. A proposito, ha parlato con lui del diploma falso?» «No.» «Be', non lo faccia, lui potrebbe reagire a una sfida del genere in modi molto strani.» La conversazione durò quasi due ore. Alla fine Samantha era sfinita e Levine aveva riempito di appunti quarantadue pagine. Ne rilesse alcune prima di esprimere un giudizio. «Mrs. Shaw», esordì, «lei mi ha descritto un uomo perfettamente normale... tranne che per il suo falso passato e per la strana idea di risistemare la stanza da letto. Le ho già detto prima che per me è impossibile dare un giudizio preciso senza aver visto Marty. E tutto quello che lei mi ha raccontato non fa che confermarlo. Dovrei parlare con lui per poterle essere di qualche aiuto.» «Ma, dottor Levine, lei mi ha chiesto di non provocarlo.» Levine sospirò. «È vero. Lei non può spiattellargli in faccia le sue vere preoccupazioni. Dovremmo trovare un modo per farlo venire qui.» «Per esempio?» «Be', potrebbe dirgli che le sembra stanco... per via del lavoro, intendo. Potrebbe chiedergli di farsi visitare per amor suo.» Samantha soppesò l'idea, poi scosse il capo. «Non la berrebbe», disse. «Marty è uno di quei tipi capaci che sanno cavarsela da soli.» «D'accordo. E allora, Mrs. Shaw, il punto è questo: niente Marty, niente risposte.» Era un altro vicolo cieco. Samantha non riusciva a immaginare il modo di portare Marty da uno psichiatra, e adesso si chiedeva se Levine avrebbe potuto davvero aiutarla. E se Marty fosse stato solo un bugiardo senza alcun problema mentale? Levine che cosa avrebbe potuto farci?
Fu una Samantha scoraggiata quella che uscì dallo studio di Levine. Non prese un taxi per tornare a casa, ma preferì attraversare a piedi il Central Park, spazzato da un vento gelido, per mettere ordine nei propri pensieri, per studiare il modo di uscire da quel dilemma. Il parco era vuoto, quasi desolato, e fece sentire Samantha ancora più sola. Aveva provato con Tom Edwards e con Kenneth Levine. Aveva anche provato a sondare Marty, sia pure nel suo modo dilettantesco, ma non aveva fatto alcun progresso. Adesso avrebbe voluto non aver mai pensato a dare quella festa o a rintracciare persone del passato di Marty. L'ignoranza a volte è una fortuna, pensò. Che ci sarebbe stato di male nel non sapere che il passato di Marty era tutta un'invenzione? Avrebbe avuto un matrimonio felice, un'esistenza tranquilla. Adesso, invece, che cosa aveva? «Signorina Ficcanaso», borbottò, quasi con disprezzo. In un certo senso, se la prendeva con se stessa. Era naturale. Alcuni giorni dopo Samantha andò a parlare con uno psicologo, poi, il giorno seguente, con un altro psichiatra. Le ripeterono quello che aveva detto Levine: senza la presenza di Marty non potevano essere di alcun aiuto. Samantha rinunciò. Ma c'era un'altra domanda che aveva fatto Levine e che continuava a frullarle per il capo. Ne era spaventata, ma non riusciva a togliersela di mente. Levine le aveva chiesto se Marty avesse avuto fastidi con la legge. Era una possibilità, Samantha lo sapeva, una possibilità che poteva spiegare perché egli avesse falsificato il suo passato. Decise allora di consultare un avvocato. Ma chi? Non sarebbe mai andata dall'avvocato di famiglia perché ciò sarebbe stato troppo imbarazzante. Inoltre era l'avvocato di Marty fin da prima del loro matrimonio. Aveva bisogno di un penalista, di un legale che conoscesse quel genere di problemi. Così un giovedì, nel bel mezzo di una nevicata novembrina, Samantha Shaw uscì di casa e si fece portare da un taxi all'emeroteca della New York Public Library, dove sfogliò numeri arretrati di giornali cercando il nome di un penalista che avesse al suo attivo un bel po' di successi. Perché se Marty era nei guai, voleva che ne uscisse. Non importava ciò che aveva fatto, non importava ciò che le aveva detto, ma doveva cavarsela. Quello di cui aveva bisogno era un principe del foro. E credette di averlo trovato nella persona di L. Douglas Grimes. Grimes aveva due studi: uno lussuoso in Wall Street e un altro un po' squallido in un edificio di arenaria di West Manhattan. Samantha, una si-
gnora con un problema personale, venne ricevuta nell'edificio di arenaria. Lo studio era piccolo, con il pavimento di linoleum bianco e una scrivania di legno scheggiato: un ambiente perfetto per gli emarginati e per coloro che pensavano di esserlo. Ma dietro la scrivania erano appesi sedici attestati rilasciati da diverse associazioni cittadine che esaltavano i meriti di Grimes. Aveva un aspetto comune ed era leggermente panciuto, ma il suo modo di guardare del tutto normale, le maniche della camicia arrotolate, i capelli spettinati, le scarpe consumate, i pantaloni spiegazzati e tenuti su da bretelle, tutto questo giocava a suo favore quando aveva a che fare con la parte «non privilegiata» della clientela. Egli era uno di «noi» anziché uno di «loro». Ascoltò ciò che Samantha diceva, fissandola con occhi che la sapevano lunga, e lei tirò fuori tutto. Quando ebbe finito, Grimes aspettò un minuto buono prima di fare un commento. Si tolse le lenti senza montatura, si appoggiò alla spalliera della poltrona, si mise le mani sul capo, e questo voleva dire che stava pensando. Poi la guardò ancora una volta e cercò di scoprire, con i suoi venti anni di esperienza, se gli stesse mentendo. Decise che non mentiva. «Il suo è uno dei problemi più difficili che mi sia mai capitato», disse. «Non so come la veda lei.» «Io lo amo», rispose Samantha. «Ecco come la vedo.» Grimes ebbe una risata nervosa. «Lei sarebbe un ottimo testimone di difesa. Suscita molta simpatia. Ma mi stupisce che non abbia affrontato suo marito.» «Non posso. Se lui avesse delle buone ragioni per tutto questo? A volte penso che sarebbe stato meglio se non avessi saputo niente.» «Capisco.» Grimes si alzò dalla sedia e si appoggiò al bordo della scrivania. «Ma lei non lo pensa sul serio. Lei vuole la verità proprio perché lo ama. Lei sente che suo marito potrebbe essere in pericolo. Dopo tutto, si è rivolta a me.» Samantha dovette ammettere che Grimes aveva ragione. Era disposta a perdonare quasi tutto, compreso un passato vergognoso, ma aveva bisogno di sapere. «Può essere che abbia qualche problema con la giustizia?» chiese. «Come si fa a dirlo?» rispose Grimes. «Ci vorrebbe un investigatore privato che pedinasse Marty e scoprisse i suoi precedenti. Le verrebbe a costare caro e potrebbe non portare a nulla. E Marty potrebbe accorgersene.
Certi investigatori privati sono tutt'altro che dei geni.» «Le erano mai capitati altri casi come questo?» Grimes rise: era una risata suggerita dall'esperienza. «Oh, molti, molti, molti. Nascondere il passato per coprire qualcosa è normale. Lo fanno sempre gli ex galeotti. E i bancarottieri. Inoltre, sa, ci sono i renitenti alla leva, gli evasori fiscali, gli alcolizzati, e i tipi che se ne infischiano di provvedere al mantenimento dei figli...» Samantha sobbalzò. Grimes se ne accorse. «Sapevo che a questo punto avrebbe fatto un salto», disse. «È tipico delle donne.» Samantha scosse la testa con un gesto enfatico. «Marty non lo farebbe mai. Lui...» «Eppure si tratta di qualcosa che lei potrebbe dover affrontare», ribatté Grimes. Samantha sospirò, poi trasse un profondo respiro. Stai calma, si disse. Non detestare Grimes perché dice cose detestabili. Sta cercando di aiutarti. «Quante sono le probabilità che si tratti di... quella faccenda del mantenimento dei figli?» chiese. Grimes si strinse nelle spalle. «Anche qui, come si fa a dirlo? Ascolti, non salti alle conclusioni. Ci sono molte altre possibilità. Voglio dire che Marty potrebbe aver fatto qualcosa di eroico.» Samantha si animò. «Per esempio?» «Potrebbe aver catturato un criminale.» Grimes cominciò a camminare avanti e indietro, proprio come un avvocato intento a costruire una teoria che sa essere gradita al suo cliente. «Forse ha paura di una ritorsione e ha dovuto crearsi una nuova identità per proteggersi. Lei sa che il governo prevede casi del genere.» «E io potrei scoprirlo?» «Probabilmente no. È chiaro che suo marito non usa il suo vero nome. Quindi a chi dovremmo rivolgerci? E che cosa si dovrebbe cercare?» «E se andassi alla polizia?» Grimes ci rifletté su, mentre si avvicinava a uno dei suoi diplomi per raddrizzarne la cornice. Qualsiasi risposta avrebbe potuto creare dei guai. «Tutto dipende da quella che è la verità su Marty», rispose. «Potrebbe mandarlo in prigione, se è ricercato e i poliziotti lo scoprono. Se invece ha un problema mentale, un'amnesia o qualcosa del genere, potrebbe aiutarlo. Secondo ogni probabilità, rivolgersi alla polizia non servirebbe a niente. Hanno casi più scottanti di cui occuparsi.» Samantha capì che era al punto di partenza. Teorie, altre teorie e ancora
teorie, e tutte a sue spese. Sentì che c'era una sola conclusione ovvia, una conclusione che le ripugnava: doveva affrontare Marty. «Può darmi qualche consiglio professionale?» chiese alla fine a Grimes. «Certo. Se suo marito fa qualcosa di sospetto, lei non si immischi. Potrebbe essere accusata di complicità, anche se affermasse di non saperne niente. Se fa qualcosa di strano, mi telefoni.» «Che cosa intende per 'strano'?» «Qualcosa che puzzi di guadagni non giustificati. Se vuole fare una vacanza che non può permettersi, lei non lo accompagni. Potrebbe usare denaro sporco. Se le porta un regalo che rischia di far saltare il vostro bilancio, gli dica che si sente imbarazzata ad accettarlo e mi telefoni.» Grimes si avvicinò a Samantha e la guardò fisso negli occhi spauriti. «Se scopre un'arma in casa, mi chiami immediatamente. Se ci sono addebiti telefonici che escono dalla norma... voglio saperlo. Lei si accorgerà se c'è qualcosa che non funziona. Le mogli lo intuiscono sempre. Voi siete i migliori investigatori privati.» Su questa battuta, si separarono. Samantha tornò a casa in taxi. Non sapeva proprio che cosa fare. Quando arrivò salutò amichevolmente Al, il vecchio portinaio, che lavorava lì da trentacinque anni e che apriva la porta con lo stile di un uomo che è orgoglioso del proprio lavoro. «Ah, Mrs. Shaw», esclamò mentre Samantha stava andando verso l'ascensore, «c'è un pacco.» «Per me?» «Credo che sia per Mr. Shaw.» Al condusse Samantha nel ripostiglio e le diede un pacchetto avvolto in una comune carta marrone. Era chiaramente indirizzato a Marty, ma non recava l'indirizzo del mittente. Samantha lo guardò, lo tastò e improvvisamente si sentì spaventata. Ma perché spaventarsi? Era solo un pacco. Lei sapeva perché. Un pacco come un altro, senza indirizzo del mittente, e Grimes che l'aveva messa in guardia a proposito di armi e di cose strane. «Grazie, Al», disse meccanicamente e si affrettò a entrare nell'ascensore. Quando arrivò a casa, posò il pacco sul tavolo di cucina e rimase a guardarlo forse per due minuti. Non aveva mai aperto la posta di Marty, prima. Suo padre le diceva sempre che la posta, anche dopo decenni di matrimonio, era una faccenda personale. Le vennero in mente i film di spionaggio, dove i pacchi vengono aperti e poi richiusi e nessuno se ne accorge. Sarebbe stata capace di farlo? No, non era nella sua natura. Sì, doveva farlo. So-
spetto, preoccupazione e paura si stavano impadronendo di lei. I suoi impulsi normali cedettero. Aprì con cura il pacco. Dentro c'era una scatola. Anche questa era del tutto comune. Samantha vi posò sopra le dita, per togliere il coperchio, ma esitò. Che cosa c'era lì dentro? Un'arma? Mazzette di denaro? Esplosivi? Sollevò il coperchio. Guardò dentro. Non provò nulla perché non c'era nulla da provare. Dentro la scatola c'era un libro con un biglietto. Era un regalo di compleanno inviato in anticipo da un amico di Marty che non avrebbe potuto partecipare alla festa. Il libro era: Storia della stampa americana scritta da un professore della Medill. Che ironia, pensò Samantha. Proprio un'ironia. Rifece il pacco. Sembrava che non fosse stato mai toccato. Qualche minuto dopo suonò il telefono. Era Grimes. Il cuore di Samantha diede un balzo. Era venuto a capo di qualcosa? Aveva fatto delle telefonate e aveva avuto delle informazioni? Doveva esserci qualcosa di nuovo. Altrimenti perché avrebbe chiamato? «Ho ripensato al suo caso», disse Grimes. Samantha provò subito una delusione. «Sa», continuò Grimes, «qualsiasi cosa lei faccia, potrebbe non approdare a nulla.» «Di questo mi rendo conto», sospirò Samantha. «E questa faccenda potrebbe ridurla in pezzi. Mi chiedo se lei abbia preso in considerazione l'idea di eliminare il problema dalla radice.» Eliminare? Samantha si sedette, era sull'orlo di un attacco di nervi. Il linguaggio di Grimes era più adatto a una faccenda di malavitosi che a una crisi familiare. «Che cosa intende dire?» chiese piano. «Divorzio.» «No.» «Bene, d'accordo. Il cliente è lei. Ma questo 'no' non può essere eterno. Deve pensarci su. Questa storia potrebbe distruggerla.» Samantha non era veramente arrabbiata per il consiglio di Grimes. Forse gliene era addirittura grata. Sì, avrebbe potuto esserci un divorzio, se le cose si mettevano al peggio. Il suo cuore diceva di no, ma la sua mente avrebbe potuto dire forse. Certo, si rifiutava di prendere la cosa sul serio. Tutto si sarebbe appianato. Anche dopo la telefonata di Grimes continuò a ripeterselo. L'incubo sarebbe finito. Marty ne sarebbe venuto fuori. Ma, forse...
Era tormentata dai dubbi. Non aveva un piano. Era intontita. Non fosse altro che per uscire dal buio si rimise con foga a preparare una festa per un uomo che non conosceva. Quattro giorni dopo la visita di Samantha a Grimes, Marty portò a casa i trenini elettrici. Samantha era perplessa. Un uomo adulto con dei trenini giocattolo? In un appartamento di città? Senza bambini in casa? Ma Marty le spiegò. «Non ho mai posseduto dei trenini», disse con un tono da ragazzo. «Sono magnifici. Un sacco di uomini li hanno. Sam, ci sono club di appassionati in tutto il mondo.» Ma lei non era convinta. «Ascolta, costruirò un piccolo plastico, che si potrà smontare facilmente e riporre nello sgabuzzino. Ti piacerà.» Samantha fu tentata di parlare a Marty del bambino, ma si trattenne. C'erano ancora troppi dubbi. «Penso che andrà bene», disse. «Per me è molto rilassante», proseguì Marty, come se facesse appello alla devozione di Samantha. Poi le spiegò che comprava solo treni usati perché preferiva i vecchi modelli. «Ma tu non compri mai nulla di usato», ribatté Samantha. «Questa è una cosa diversa. Bisogna capire questo hobby. I vecchi prodotti Lionel... sono favolosi.» Era una cosa strana, ma non abbastanza strana da indurla a telefonare a L. Douglas Grimes. E Samantha non vide nulla che collegasse i trenini con il mistero del passato di Marty. Forse egli voleva solo un passatempo. Che cosa c'era di male? D'accordo, niente storie. Pace. Lasciamo pure che abbia i suoi giocattoli, se ne ha bisogno. Samantha era disposta ad accettare quei trenini per casa solo come l'eccentricità di un uomo che lavorava sodo. Tom Edwards venne a dare una mano a Marty per montarli nel salotto. Per un po' fecero marciare i trenini, poi Tom se ne andò a casa e lasciò che Marty si divertisse a farli correre da solo. Samantha rimase a osservarlo dall'ingresso, notando l'espressione intensa del viso e gli occhi affascinati. «Non ti avevo mai visto così felice», disse, entrando nel salotto. Marty non rispose. Non si accorse nemmeno della sua presenza. E va bene, gli uomini si lasciavano prendere da certe cose. Il rugby. La pallacanestro. Succedeva. Cercò di non sentirsi offesa. «Posso farli andare anch'io?» chiese. Marty la guardò. La domanda era stata fatta a cuor leggero, ma l'espres-
sione di lui era cupa. «Sei certa di volerlo fare?» «Sì.» Ma Frankie non lo avrebbe permesso, non era così? Marty sapeva che Frankie non lo avrebbe permesso, ma sapeva anche che doveva evitare ogni sospetto. «Bene», disse. «Falli andare. Farò di te un macchinista. Ma giocaci solo per pochi minuti.» Le strizzò un occhio. «Noi ragazzini dobbiamo giocare prima dei compiti.» Samantha sedette sul pavimento accanto a Marty. Egli le guidò con gentilezza la mano destra sulla leva del grosso trasformatore Lionel che comandava l'impianto. Samantha si sentì ridicola, e anche tutti quegli aggeggi le sembravano ridicoli. Marty le disse di premere il pulsante che faceva suonare la sirena. Lei lo fece. Buon Dio, e se i vicini avessero sentito? E se Lynne avesse sentito? Stava per restituire i comandi a Marty quando notò che un po' di grasso della locomotiva aveva macchiato il tappeto bianco. Questo la sconvolse. Come aveva potuto farlo Marty? Stava sempre così attento alle sue cose, a tenere tutto in ordine. Che cosa c'era di tanto importante in quei trenini da fargli sporcare un buon tappeto senza nemmeno fiatare? Forse quei treni erano qualcosa di più di un passatempo. Forse per Marty significavano qualcosa che lui non voleva rivelare. Ma Samantha non aveva modo di scoprirlo. Nei giorni seguenti cercò di studiare una qualche strategia per affrontare il mistero di Marty. La parola «polizia» continuava a frullarle per il capo. Si ripeteva tutte le ragioni per cui non avrebbe dovuto andarci, ma l'istinto le diceva che quella poteva essere la sua unica via di uscita. Come avere una certezza? La vita di Samantha stava cominciando a essere una sfilza di supposizioni e di intuizioni. Lynne venne ad aiutarla a preparare gli inviti e le altre cose. «Sei mai stata al Ventesimo Distretto?» le chiese Samantha. Lynne rimase sorpresa. «Perché?» chiese. «Questa mattina sono stata infastidita per strada.» «Quel tipo con la camicia a scacchi?» «Oh... no. Questo non aveva una camicia a scacchi. Portava un giubbotto di cuoio nero e sotto un maglione verde. Volevo sporgere denuncia, ma non sono mai stata in un posto di polizia.» «Non è un luogo di perdizione», rise Lynne. «Io ci sono stata.» Poi si accorse che Samantha parlava molto sul serio. «Ehi, ma questo bellimbusto ti ha fatto qualcosa?»
«Oh, no, solo dei commenti. Credo che fosse ubriaco. Però mi ha spaventata.» «Ascolta, sono molto gentili. Se vuoi andarci, ti accompagnerò io.» «Ci penserò su», disse Samantha. 7 C'era un uomo il quale, senza saperlo, aspettava che Samantha Shaw decidesse di andare alla polizia. Nel quartier generale della polizia di New York, Spencer Cross-Wade gettò un'occhiata al calendario e sentì un empito di disgusto e insieme quel senso di frustrazione che provava da quando si occupava di quel caso. Rimanevano solo tre settimane al cinque dicembre. Tre settimane per mettere insieme un orrendo puzzle. Tre settimane per impedire un'altra tragedia. Tre settimane per coronare una carriera che si avvicinava alla fine. Aveva fatto un cerchio intorno alla data con un pennarello nero e quel nero sembrava accentuare l'importanza della cosa. Quante probabilità c'erano? Quale fulmine a ciel sereno doveva arrivare? Voleva sì risolvere quei misteri, ma adesso capiva che non c'era una reale probabilità di riuscirci. Piccolo, tendente alla calvizie, vicino ai sessanta, Spencer Cross-Wade aveva un'aria più da Scotland Yard che da Dipartimento di Polizia di New York. Suo padre era stato a Scotland Yard e prima di lui c'era stato suo nonno. Ma Spencer era venuto in America mentre prestava servizio nella Royal Navy durante la Seconda Guerra Mondiale, aveva sposato un'americana ed era rimasto lì. La moglie era morta nel 1955. Non avevano avuto figli. Non si era risposato. Viveva solo in un appartamentino di Brooklyn che guardava sull'East River, apparentemente soddisfatto dei suoi ricordi, di ciò che rammentava dell'Inghilterra e con progetti di viaggi che avrebbe fatto quando, di lì a pochi mesi, sarebbe andato in pensione. Il suo ufficio era semplice... una scrivania di metallo, pareti grigie, qualche poltrona per i visitatori e, per rallegrare l'ambiente, un assortimento di fiori che egli cambiava di continuo. «Ogni uomo dovrebbe possedere un giardino», amava dire ai colleghi, ammiccando con gli occhi come era sua abitudine. Era un vezzo molto inglese, che faceva parte della sua discreta campagna per portare un po' di distinzione britannica in quell'arcigno dipartimento di New York. Il citofono ronzò. Allungò una mano, premette il bottone rosso e sentì la voce di Sally dall'anticamera della sezione omicidi.
«Signore, c'è il detective Loggins per lei.» «Ah», rispose Cross-Wade. «Lo aspettavo. Vengo subito.» Arthur Loggins aspettava in anticamera, seduto su una sedia di metallo e intento a leggere le pagine sportive del New York Post. «Arthur», esclamò Cross-Wade, rifiutandosi di usare il più familiare «Arty», con cui i colleghi chiamavano Loggins da quarantadue anni. «Vieni. Ho bisogno di te.» Loggins, tarchiato, goffo, pesante, dall'aria ottusa, ma dotato di un fiuto particolare per i dettagli e i minimi particolari, seguì Cross-Wade. «Mi spiace di essere in ritardo, signore», disse Loggins, con un tono di voce così monotono da riuscire esasperante, «ma avevo un caso da chiudere.» «Bisogna sempre chiudere i casi», sentenziò Cross-Wade. «Un poliziotto deve farlo sempre. È una cosa che ammiro. A Scotland Yard un ispettore segue un caso dal principio alla fine. Mai scusarsi se si deve chiudere un caso... per lo meno non con me.» «Sì, signore», rispose Loggins, che non si aspettava una simile valanga di saggezza poliziesca. Affrettò il passo perché Cross-Wade era già sparito nel suo ufficio, mentre lui stava ancora nel corridoio. Alla fine entrò e sedette. «Hai il pollice verde?» chiese Cross-Wade. «No, signore», rispose Loggins. «In casa è mia moglie che traffica un po' con le piante. Petunie e roba del genere. Io? Io guardo le partite.» «Capisco. Il giardinaggio dà all'uomo la sensazione di creare qualcosa», affermò Cross-Wade. «Ma penso che ci sia del buono anche nel guardare ventidue giovanotti che si prendono a spintoni.» Ammiccò. Voleva sempre essere sicuro che i suoi uomini capissero quando scherzava. «Dunque», disse, «sei stato trasferito alla mia sezione per un solo caso. Non se ne deve parlare fuori di qui, e non con la stampa. È chiaro?» «Sì, signore», rispose Loggins, impressionato dal fatto di essere stato convocato per qualcosa di tanto misterioso. «Non vogliamo che se ne parli perché non vogliamo suscitare panico nel pubblico. Sei stato scelto tu perché sei un investigatore tenace, l'uomo dei particolari. E Dio sa se ho bisogno di particolari.» «Grazie», disse Loggins. Cross-Wade fece un mezzo giro sulla poltrona, si alzò e con un dito batté sul calendario, esattamente sulla data del cinque dicembre che era segnata da un circolo nero. «Ecco la chiave dell'operazione», spiegò a Log-
gins. «Questa data è il nostro obiettivo e il nostro incubo. Se passa senza che ci sia stato nessun arresto, una donna morirà. Spero che tu prenda tutto ciò molto sul serio.» «Certamente, Mr. Cross-Wade. Esco ora da un caso di omicidio.» «Qui siamo di fronte a più omicidi», continuò Cross-Wade. «Sembra che negli ultimi sei anni, ogni cinque dicembre, una donna sia stata assassinata nello stesso modo in qualche parte del Nordamerica. Tutte sono state colpite al capo con un oggetto contundente e poi strangolate con qualcosa che sembrerebbe una catena.» «Le vittime avevano nulla in comune fra loro?» chiese Loggins. «Sì», rispose Cross-Wade. «Ognuna aveva capelli biondo rame, lunghi e sciolti.» «Niente altro?» «Niente che si sappia.» «Testimoni, signore?» «In alcuni casi ci sono stati dei testimoni che hanno riferito di aver visto un uomo dalla corporatura grossa nelle vicinanze dei luoghi dei delitti, ma nessuno è stato in grado di fornire una descrizione precisa. I dipartimenti di polizia interessati hanno provato con l'ipnosi, con la macchina della verità, insomma con i soliti sistemi che useremmo anche noi e Scotland Yard. Ma non è venuto fuori niente.» «Lei ha parlato del Nordamerica, signore. Mi chiedo...» «Ci stavo arrivando, Arthur. Gli ultimi tre omicidi sono avvenuti a New York o nelle vicinanze, ed è per questo che ci occupiamo noi del caso. Ci aspettiamo che con tutta probabilità un'altra donna muoia il cinque dicembre.» «Ci sono sospetti?» «Nemmeno uno. Ma sappiamo qualcosa dell'assassino. Di per sé la data sembra essere la chiave dell'enigma, così ho fatto controllare dal mio personale gli avvenimenti di tutti i cinque dicembre degli ultimi cinquanta anni.» Cross-Wade frugò in un cassetto della scrivania e tirò fuori una cartella verde. «I risultati sono notevoli. Leggiteli.» Porse la cartella a Loggins. «Ho anche fatto studiare il caso ai nostri psicologi. Una domanda, Arthur. Hai mai sentito il termine 'schizofrenia da anniversario"?» «No, signore.» «Be', ne sentirai parlare parecchio. Io la chiamo 'schizofrenia da calendario'. È tutto in quella cartella. Leggila e poi torna da me.» Loggins lasciò l'ufficio. Cross-Wade rimase a fissare il vuoto davanti a
sé, ben sapendo che l'assegnazione di un altro uomo, per quanto capace fosse, non lo avrebbe portato più vicino alla meta. Conoscere il probabile movente, conoscere la data del prossimo omicidio, conoscere le caratteristiche fisiche della vittima, ma non conoscere l'identità dell'assassino... questo rappresentava la più grande frustrazione della sua carriera di poliziotto. Samantha aveva commesso un errore grossolano. Un errore serio, in un certo senso imperdonabile. Aveva dimenticato che tutte le telefonate che aveva fatto per controllare il passato di Marty sarebbero risultate dalla bolletta del telefono. La bolletta arrivò un sabato, quando Marty era in casa e, per sfortuna di Samantha, fu lui che scese a ritirare la posta. Marty se ne accorse subito. Le telefonate alla Northwestern, a Elkhart, a Washington. Che accidenti stava combinando? Perché telefonava in quei posti? Marty se ne rimase appoggiato alla parete di marmo nello stanzino della posta, fissando la bolletta come se fosse un indovinello cinese. Samantha sospettava qualcosa? Qualcuno le aveva fatto una soffiata? Non poteva farle delle domande su quelle telefonate. Interrogarla sarebbe parso di per sé sospetto. Si limitò a pagare la bolletta senza mostrargliela, sperando che lei non si accorgesse che mancava una bolletta. Però Marty stava in apprensione e a questo non era abituato. Aveva sempre avuto il perfetto controllo della situazione, non aveva mai avvertito il pericolo di essere scoperto. Ma ecco che Samantha si metteva a fare quelle telefonate, e questa era una cosa che lui non poteva controllare. Era l'anno più importante di tutti e qualcosa poteva andare storto. Il lunedì successivo andò a compiere un'altra missione segreta... a Wall Street, non da un agente di borsa o in una banca, ma in uno dei più grossi negozi di biglietti augurali di Manhattan. Il negozio prosperava con la clientela di Wall Street; infatti il proprietario aveva calcolato che quei signori in abiti rigati spedivano sempre biglietti augurali ai clienti e ai clienti potenziali. Poiché ogni «obiettivo» esigeva un biglietto per feste, compleanni e anniversari, gli affari del negozio andavano a gonfie vele durante tutto l'anno. Il proprietario si portava a casa incassi da sei cifre e abitava a Greenwich, Connecticut. Marty gettò un'occhiata a un'anziana commessa con un abito a pallini e intuì che quella donna doveva conoscere a memoria tutta la merce in ma-
gazzino. «Posso aiutarla?» chiese la donna. «Sì», rispose Marty. «Ho bisogno di biglietti di auguri per dei clienti importanti. Biglietti di auguri d'un certo tipo.» «Probabilmente li abbiamo.» Dalla tasca interna della giacca Marty tirò fuori una lista. «Per il compleanno di un ragazzo ho bisogno di un biglietto di auguri con l'immagine di un cavallo.» «Abbiamo molti biglietti con cavalli», disse la donna. Portava gli occhiali appesi al collo con una catenina e se li infilò in previsione della ricerca che avrebbe dovuto fare. «Un cavallo marrone, se è possibile.» La donna rimase imperturbabile. «Ne abbiamo anche di marroni.» «Ho bisogno di un biglietto con la riproduzione di una barca a vela.» «Per qualche anniversario particolare?» «No, un biglietto generico.» «Non sarà difficile. Le barche a vela vanno sempre molto. Pensi che ne ho un tipo in cui la vela è fatta proprio di stoffa. Tela, credo. Vuole vederlo? Costa tre dollari.» «Mi va bene un tipo semplice», rispose Marty. «Ho anche bisogno di un biglietto natalizio in cui si vedano Giuseppe e Maria che pregano.» «Tipo standard», disse la donna. «E un biglietto per uno che va in pensione con l'immagine di un agricoltore.» La donna si fermò. «Be'», disse, «gli agricoltori non vanno molto da queste parti. Le andrebbe bene qualcosa con dei fiori?» «No.» Marty si rese conto di essere stato troppo brusco. «Voglio dire che certamente sarà grazioso, ma la persona che va in pensione si è comprata una fattoria e...» «Che ne dice di un paesaggio con animali al pascolo?» Sarebbe andato bene? Avrebbe soddisfatto le esigenze del rituale e soprattutto avrebbe soddisfatto zio Ned? «Sì, prenderò quello», rispose Marty, sperando che quel biglietto fosse all'altezza della situazione. Poi passò ad altre cose che aveva scritto sulla sua lista. La donna gli diede ciò di cui aveva bisogno o qualcosa di molto vicino alle sue richieste ed era la prima volta che accadeva, a memoria di Marty, con una sola visita in un negozio.
Portò i biglietti di auguri in ufficio e chiuse a chiave la porta. Poi li prese, uno per uno, e li firmò: «Con affetto, Frankie». Uno era indirizzato a Jim e Greta Carman, un altro allo zio Fred e alla zia Mil. Alcuni erano destinati a parenti, altri ad amici. Scrisse gli indirizzi, ma tralasciò l'indicazione dello stato e del codice di avviamento postale. Sapeva che sarebbero finiti tra la posta non recapitata, ma andava bene lo stesso. Quello che contava era il rituale, solo il rituale. Il giorno dopo prese un taxi e si fece portare alla Columbia University. Questo non faceva parte del rituale, era vita vera. Lì non sarebbe mai stato riconosciuto. Nessuna delle tante persone che conosceva aveva motivi per andare alla Columbia ed egli si confuse fra la folla variopinta che circolava nei paraggi. Attraversò Broadway e si diresse verso l'agenzia di viaggi Radius. Stava al secondo piano di un vecchio edificio di arenaria, sopra un negozio di apparecchi fotografici, e aveva nella vetrina i soliti manifesti di compagnie aeree che annunciavano voli a prezzi ridotti per Spagna, Portorico, Brasile e Perù. Non ci potevano essere dubbi sul tipo di gente che abitava nel West Side, pensò Marty. Salì le due brevi rampe di scale di legno, girando attorno a un poveraccio chiaramente imbottito di droga. La porta della Radius era spalancata, una cosa insolita in un quartiere in cui le doppie serrature erano di uso corrente. All'interno la Radius si presentava come la tradizionale agenzia di viaggi: file di tavoli coperti di carte, orari, messaggi telefonici e lettere. Ann Sherman, una ragazzona laureata in storia cinese alla Columbia, che lavorava part time nell'agenzia, guardò Marty. «Posso aiutarla?» chiese, facendogli segno di avvicinarsi al banco. «Sì», rispose Marty. Non comportarti come un dirigente, si disse. Non in questo quartiere. Sei solo un tizio qualsiasi che vuol fare un viaggio. «Vorrei comperare un biglietto per Roma», disse. «Bene», rispose Ann, mentre Marty sedeva in una poltrona per i visitatori. Prese un grosso libro nero che conteneva gli orari aerei internazionali e cercò la pagina dei voli per Roma. «Andata e ritorno?» chiese. «Sì.» Un biglietto di sola andata per Roma avrebbe potuto suscitare sospetti. «È per lei?» «Sì. Una sola persona.» «Bene, e quando vorrebbe partire?» «Il sei dicembre mattina.» Quella data fece provare a Marty un brivido nella spina dorsale.
«Proprio di mattina?» chiese Ann. «Sì, ho degli impegni precisi.» «E il ritorno sarebbe per...?» «Il diciotto dicembre.» «Peccato che non possa trattenersi fino a Natale. Il Natale a Roma è bellissimo.» «Lo so», rispose Marty, «ma quest'anno proprio non posso.» «Se lei potesse tornare due giorni più tardi», disse Ann, tenendo il dito puntato su una riga del librone, «potrei praticarle una tariffa più bassa.» «Più bassa di quanto?» «Oh, di circa duecento dollari.» «Be', non credo. Perderei qualche giorno di lavoro qui.» «D'accordo. Naturalmente lei vuole un volo nonstop.» «Certo.» «C'è un volo Alitalia che parte alle nove e venti di mattina e arriva a Roma intorno alle undici e trenta di sera.» «Va benone.» «Vuole anche prenotare un albergo?» «No, starò da amici.» «D'accordo. Vediamo per il ritorno.» Trovò un buon volo per il ritorno e cominciò a scrivere i dati per il biglietto. «Il suo nome, signore?» «Steele», rispose Marty. «Elliot Steele.» E aveva un passaporto falso che lo dimostrava. Infatti nella cassaforte aveva una serie completa di documenti intestati a Elliot Steele e comprati dallo stesso falsario che, diciotto anni prima, gli aveva preparato tutti i documenti di cui aveva avuto bisogno per diventare Martin Everett Shaw. Come recapito telefonico diede ad Ann il numero di un servizio di segreteria telefonica. Aveva fatto un abbonamento, con il nome di Steele, proprio per il mese di dicembre. La tensione era eccessiva per Samantha. Camminava avanti e indietro per il soggiorno riflettendo sulla mossa che avrebbe dovuto fare per penetrare nel passato di Marty, quando a un tratto sentì un capogiro. Non è niente, pensò. Forse un malessere mattutino. Ma poi le parve come se qualcosa le stringesse le narici. Spalancò la bocca per respirare e si sentì sull'orlo del panico. Controllati, si disse. Andò barcollando al telefono e chiamò Lynne. «Lynne... sto soffocando.» Poi svenne.
Ci vollero sei preziosi minuti perché un fabbro riuscisse ad aprire la porta. Samantha era priva di conoscenza, ma respirava. Dieci minuti più tardi arrivò un'ambulanza all'ingresso del palazzo. Due paramedici si precipitarono dentro con due valigette, una bombola di ossigeno e un cofanetto pieno di strumenti. «Che cosa è successo?» chiese uno dei due a Lynne. «Non lo so», rispose lei quasi intimidita. «Si sentiva soffocare.» Il colorito di Samantha... buono. Il respiro... relativamente normale. Non c'erano sintomi di soffocamento. Il secondo paramedico tirò fuori lo stetoscopio e le auscultò il cuore. Normale. «Soffre di disturbi cardiaci?» chiese a Lynne. «No, che io sappia. Ma io sono solo un'amica.» Fecero rinvenire Samantha con dei sali e un massaggio. Lei aprì gli occhi, si guardò intorno con aria spaventata e alla fine riconobbe Lynne. «Scusami», disse. «Scusarti? Sono contenta che tu sia viva.» «Credo che mi sia mancato il fiato.» Istintivamente si portò le mani al ventre. «Spero solo...» «Andiamo in ospedale», disse Lynne. «No», rispose Samantha, ed era un no reciso. Lynne rimase sbalordita, ma Samantha non tentennò. «Adesso mi riposo un poco.» Non voleva andare in nessun ospedale e non voleva che lo dicessero a Marty. «Si preoccuperebbe», spiegò, e poi avrebbe scoperto la storia del bambino. Nonostante i dolori e i misteri ella conservava i pensieri premurosi di un tempo. «È stato solo un piccolo collasso», disse con calma. «Forse mi ha fatto male qualcosa che ho mangiato.» Accettò invece di andare dal dottor Fromer, che la ricevette immediatamente. Egli la visitò e poi la fece sedere in un piccolo ufficio vicino al gabinetto medico. Lynne aspettò fuori per rispettare l'intimità di Samantha. «Senta», disse Fromer, «io non vedo nessun problema medico. Non ci sono complicazioni nella gravidanza.» Vide stamparsi sulla faccia di Samantha un'espressione di sollievo. «Ma sia sincera con me. Ha fatto qualcosa che possa averle procurato questo svenimento?» «No», insisté Samantha. «Ha bevuto alcolici?» «No. Lo sa che non bevo.» «Altre sostanze? Capisce che cosa voglio dire.» «Non toccherei mai quella roba!»
«Certo», disse Fromer con un sorriso di simpatia. «Non in momenti normali. Ma i momenti cambiano. Quando è stata qui l'ultima volta le dissi che mi sembrava sotto tensione. Adesso mi sembra che stia ancora peggio.» Samantha si strinse nelle spalle. Oh, quanto avrebbe voluto dire tutto. Invece mantenne il suo segreto. «Forse è per via del bambino che sto aspettando», disse. «Non lo credo.» Fromer aveva visto troppe donne con problemi personali per poter essere tratto in inganno. «Le ripeto quello che ho detto l'altra volta. Dovrebbe pensare a chiedere consiglio, se ha un problema personale. Un altro episodio come questo potrebbe danneggiare il piccolo. Su questo punto devo essere molto deciso.» Samantha lo guardò e per qualche istante non disse nulla. A un tratto si rese conto che la crisi poteva fare del male a un essere che non era lei. A una cosa simile non aveva pensato prima. «Grazie», mormorò. «Le assicuro che voglio davvero questo bambino.» 8 «Cristo onnipotente», disse Loggins, rientrando nell'ufficio di CrossWade con un mucchio di carte riguardanti il caso dello schizofrenico da calendario. «È orribile.» «Sì», rispose Cross-Wade, «e non ci sono novità. Hai qualche teoria, Arthur?» «No, signore. Abbiamo a che fare con uno squilibrato. Dai delitti precedenti si potrebbe ricavare qualsiasi indizio.» «Precisamente.» «E non c'è molto.» «Avrei pensato a un cambiamento di strategia», rivelò Cross-Wade. «Fino a ora ho evitato di dare pubblicità alla cosa. Ne verrebbe fuori uno spettacolo disgustoso. Ma se noi diramassimo un allarme pubblico alle donne con i capelli biondo rame e lunghi — ce ne saranno migliaia — forse potremmo spaventare l'assassino. O forse una di queste donne potrebbe vedere qualcosa di sospetto in un uomo che conosce.» Loggins si strinse nelle spalle. Non gli sembrava una grande idea. «D'altra parte», proseguì Cross-Wade, «se l'assassino colpisce ancora, noi faremo la figura degli impotenti. E questo incoraggerebbe lui e forse anche altri. Però un allarme pubblico è un rischio.» Cross-Wade comincia-
va a trovarsi d'accordo con Loggins. «No», concluse, «penso che non ne farò di niente.» Al cinque dicembre mancavano diciassette giorni. Dopo lo svenimento Samantha si riposò solo per un giorno. Era arrivata a una inevitabile conclusione: doveva rivolgersi agli amici più intimi per risolvere il mistero del passato di Marty. Nessun'altra iniziativa avrebbe funzionato. A questo la spingeva il bambino che portava in seno. Che cosa sarebbe successo se i suoi dubbi su Marty non fossero stati chiariti al momento del parto? Se lei fosse stata trasportata in una sala parto senza sapere chi fosse in effetti suo marito, e che cosa gli passasse per la mente? E se la verità avesse avuto una ripercussione tragica sul piccolo? Così prese contatto con alcuni amici di Marty, rivelando loro solo una parte del problema, dicendo che aveva delle difficoltà nell'appurare certi particolari del passato di Marty. Tutto quello che ne ricavò furono alzate di spalle, accenni al fatto che forse lei aveva frainteso certe parole di Marty circa il suo passato, e insomma la netta impressione che nessuno volesse immischiarsi troppo nei problemi familiari degli altri. Inevitabilmente, pensò a Tom Edwards. Gli aveva già telefonato, questo era vero, ma era stata elusiva, non gli aveva detto quanto fosse serio il suo problema. Era ancora riluttante a raccontare tutto a Tom. Dopo tutto, questo avrebbe potuto guastare la sua profonda amicizia con Marty. Ma se c'era una persona che poteva aiutarla, questa era Tom Edwards. Nessuno sapeva più cose su Marty, in che modo passava il tempo, che cosa pensava. Samantha gli telefonò e gli chiese di vederlo a pranzo. Si trattava di Marty, gli disse, ed era importante. «Sta poco bene?» chiese Tom con una sfumatura di ansia. «Forse», rispose Samantha. Devi sembrare più drammatica che puoi, si disse. Devi scuotere Tom. Devi farlo entrare nell'ordine di idee giusto. «Quando vuoi che ci vediamo?» rispose Tom. Rimasero d'accordo di incontrarsi in un piccolo ristorante cinese vicino all'ufficio di Tom. Egli conosceva il direttore e si fece riservare un separé sul retro, lontano dal viavai dei camerieri. Alla prima occhiata Tom si accorse che c'era qualcosa che non andava in Samantha. Nei suoi occhi c'era uno sguardo vacuo. Il solito scintillio era sparito. La dolcezza che di solito sembrava avvolgerla come un manto, era sostituita da una rigidità che fece presagire a Tom il peggio. Non aspettò nemmeno di offrire a Samantha un aperitivo e non si lasciò nemmeno an-
dare alle solite battute. «Sam, che cosa c'è che non va?» chiese. «Voglio saperlo subito.» «Non ne sono sicura», rispose lei. Teneva ancora abbottonato il soprabito invernale, per smaltire il freddo che c'era fuori. «Marty sta morendo?» «No, niente del genere.» «Mi hai detto che forse è malato.» Samantha esitò. «Si tratta di un'altra specie di malattia», disse. «Tom, prima che io ti dica qualcosa, voglio che tu risponda ad alcune domande.» «Spara.» Allontanò con un gesto un cameriere che si era fermato accanto al tavolo. «Quale università ha frequentato Marty?» Tom la guardò come se lei stesse prendendolo in giro. «Ma... la Northwestern. E tu lo sai benissimo.» «Credevo di saperlo.» «Va' avanti.» «Dove ha frequentato le scuole superiori?» Tom le lanciò un'altra occhiata perplessa. «A Elkhart, Indiana.» «E tu come lo sai?» «Che cosa vuol dire, come lo so?» «Tom, per favore.» «Me lo ha detto lui, Sam.» «E le elementari?» «Sempre a Elkhart.» «E dove ha prestato il servizio militare?» «Nell'Esercito.» «Ne sei sicuro?» «Certo che ne sono sicuro. Sam, tu mi hai telefonato qualche settimana fa e mi hai chiesto dei vecchi amici di Marty. È sempre la stessa storia?» «Ne sei assolutamente sicuro, Tom?» «Sì!» «E perché?» «Per la stessa ragione di prima. Me lo ha detto lui.» «Tom, c'è niente del passato di Marty che tu sai per conoscenza diretta?» «Per conoscenza diretta?» «Qualcosa che non ti abbia detto lui.» «No.» «Capisco.»
«Sam, che cos'è questa storia? Devi dirmelo.» Samantha si guardò attorno nel ristorante dalle luci soffuse, come se tutte quelle facce anonime fossero interessate ai casi suoi. Si piegò in avanti, e quasi rovesciò un bicchiere d'acqua, per essere sicura che Tom udisse ogni sua parola anche in mezzo al vocio e al rumore delle stoviglie. «Tom», disse, e si sentì improvvisamente calma mentre cominciava la confessione. «Ho cercato di rintracciare delle persone per la festa. Ho telefonato alla Northwestern, a Elkhart, all'Esercito.» «È stato magnifico.» «No, non lo è stato. Non c'è niente di vero, Tom. Marty non ha mai frequentato la Northwestern e nemmeno le scuole di Elkhart.» Tom era sbalordito, gli occhi quasi chiusi per lo scetticismo. «Continua.» «Ho controllato e ricontrollato. Nell'Esercito c'era un Martin Shaw.... ma è stato ucciso.» Tom si limitò a fissare Samantha senza rispondere, perché in effetti non sapeva che cosa dire. «Non ci credo», fu tutto quello che riuscì a dire. «Nemmeno io ci credevo», rispose Samantha. «Ho fatto esaminare il diploma di Marty. È falso.» Tom fece un profondo respiro che denotava una tensione inconsueta in lui. «Ordiniamo», suggerì, prendendo tempo per pensarci su. Ordinarono piatti semplici e le parole che scambiarono con il cameriere valsero a ridurre un poco l'elettricità che c'era nell'aria. Poi Tom tornò al nocciolo della questione. «Ascolta», disse, «non è possibile che tu abbia trascurato qualcosa?» «Per esempio?» «Forse il diploma di Marty è un duplicato. Tanta gente perde gli originali e si fa fare delle copie.» «Tom, non c'è traccia di Marty alla Northwestern... né in alcun altro posto. A Elkhart non hanno nessuna foto scolastica di nessun anno. Sembra che Marty non abbia un passato.» «Sam, parli come un film di Hollywood.» «Non riuscirebbero a farne uno come questo, Tom.» «Hai controllato tutto?» «Tutto.» Tom si appoggiò alla spalliera della sedia, accettando finalmente quello che Samantha gli stava dicendo. «Adesso capisco», disse, «perché pensavi che Marty potesse essere malato. Intendevi malato di mente.»
«Sì», rispose piano Samantha. Ci fu una pausa lunga, quasi cupa, ma poi, incredibilmente, sulla faccia di Tom apparve un gran sorriso, un sorriso del tutto fuori posto. «Tu sai qualcosa», esclamò Samantha, sperando, sperando intensamente che Tom avesse la risposta. «No, non so niente», rispose Tom, deludendo Samantha. «Sorrido perché sono sicuro che questa storia si chiarirà. Sam, Marty è un ragazzo a posto.» «Buon Dio, lo so», rispose Samantha, «meglio di chiunque altro.» «Se ha dovuto raccontarti qualche frottola riguardo al suo passato, avrà avuto le sue buone ragioni. E se io conosco Marty, devono essere state ragioni maledettamente buone.» Samantha sentì il bisogno di parlare a Tom del bambino, e di come questa circostanza accrescesse il suo bisogno di risolvere ogni dubbio riguardante Marty. Ma nemmeno Marty sapeva nulla del piccino. No, sarebbe stato sbagliato farlo sapere prima a un altro uomo. Ma c'era qualche altra cosa che lei doveva appurare. «Tom, Marty ti ha mai detto di aver avuto fastidi con la legge?» «Perché, ha dei problemi?» «È quello che sto cercando di scoprire.» Tom si strinse nelle spalle. «No, non mi ha mai accennato a niente.» «Credi che possa avere avuto... un passato? Capisci quello che voglio dire?» «Marty? Ragazzi, ne dubito. Ma, accidenti, chi può mai dirlo? Magari può aver commesso uno sbaglio una volta... quando era giovane.» «Potremmo saperlo», disse Samantha. «Potremmo rivolgerci all'FBI o a gente del genere.» «Ehi», la mise in guardia Tom, «se Marty ha fatto qualcosa di sbagliato che cosa ti fa pensare che non abbia cambiato il suo nome?» «Già.» L'avvocato Grimes aveva detto la stessa cosa. «E c'è dell'altro», proseguì Tom, «abbiamo parlato di malattia. Forse Marty ha un'amnesia o soffre di qualche disturbo psichico.» «E tu potresti scoprirlo?» «Io?» Tom era incredulo. «Tom, ho tentato di tutto.» C'era negli occhi di Samantha un insolito sguardo supplichevole. «Ho persino consultato un avvocato.» «Ma non hai parlato con Marty.» «Oh, Dio, no.»
Tom guardò severamente Samantha, deciso a darle quella che a lui sembrava una lezione di buon senso. «Tu lo ami ancora, Sam?» chiese. «Sicuro.» «Lo ameresti anche se nel suo passato ci fosse qualcosa di sgradevole?» «Credo proprio di sì.» «E allora non hai che due scelte... o dimentichi tutta questa storia... o lo affronti a viso aperto.» In quel momento arrivarono le pietanze: zuppa di wanton per Samantha, uova in camicia per Tom, costolette di maiale per entrambi. Ma Samantha non ce la faceva a mangiare. «Tom, al posto mio tu che cosa faresti?» chiese. «Non lo so», rispose Tom mentre prendeva il cucchiaio. «Non sono sposato, e non sono una donna... è ovvio. Ma...» Esitò. Samantha capì che non era disposto a compromettersi. «Ti prego, dimmelo», chiese. «Forse faresti meglio a non affrontarlo. Potresti distruggere il vostro matrimonio.» «Tom, io però ho bisogno di sapere.» Tom annuì con quello speciale calore che gli era proprio. «So che cosa c'è dentro di te», disse piano. All'improvviso tacquero entrambi. Samantha non riusciva a sapere nulla, nemmeno dal più intimo amico di Marty; il consiglio che le veniva dato era logico, ma non la portava più vicino a una soluzione. In un certo senso, sentiva che Tom stava proteggendo Marty come avevano fatto altri suoi amici. Forse Tom pensava che indagare nel passato di Marty era un'indebita ingerenza da parte di una moglie. E forse lo era. Forse c'erano cose che lei non avrebbe dovuto sapere. Del resto anche lei non aveva segreti, difficoltà, cose che avrebbe preferito che Marty non scoprisse? Suo padre le diceva sempre che in ogni armadio c'era almeno un pezzo di scheletro. Comunque voleva tentare ancora un colpo con Tom. «Tom», disse. «Ti ho chiesto se potevi scoprire qualcosa. Ma tu sei stato evasivo. Puoi farlo?» «Sam», rispose Tom. «Non saprei nemmeno in che modo. Voglio dire, come si fa a frugare nel passato di un uomo?» Naturalmente aveva ragione. Come aveva detto Grimes, quello era un lavoro da investigatore privato. Samantha cominciava a sentirsi un po' sciocca. Le sue supposizioni erano sbagliate. In effetti Tom non sapeva molto di Marty. Adesso il suo atteggiamento verso Marty sarebbe certa-
mente cambiato e anche il suo atteggiamento verso di lei. Non aveva fatto altro, temeva, che diminuire la stima che Tom aveva per lei. Alla fine egli si offrì di fare qualche discreto sondaggio riguardo al passato di Marty e forse di fare qualche controllo per conto suo. A parte ciò, il pranzo con Tom non diede alcun risultato. E tuttavia Samantha non voleva cedere. Forse c'erano altri amici che ne sapevano di più o che erano disposti a dire di più. Chiamò altri due amici di Marty, spiegando loro qual era il problema e rassicurandoli che probabilmente c'era stata solo un po' di confusione. Furono tutti servizievoli e comprensivi, ma non furono in grado di fornire informazioni utili. Le loro risposte non furono in sostanza diverse da quelle che Samantha aveva già sentito... che tutto si sarebbe chiarito, che Marty doveva avere i suoi buoni motivi, che forse aveva svolto qualche lavoro per il governo, che se nascondeva qualcosa aveva il diritto di farlo. E poi, che importanza aveva, se era un bravo marito? Samantha si ritrovò in un vicolo cieco. Al cinque dicembre mancavano tredici giorni. Marty era ancora preoccupato. Ogni cosa era stata preparata. Ma c'erano quelle telefonate. Che cosa stava combinando quella donna? Le telefonate continuavano? E se sì, che cosa avrebbero rivelato? Erano le quattro del pomeriggio quando un fattorino di un'agenzia autorizzata arrivò nell'ufficio di Marty con una lettera. Dalla busta egli capì subito chi la mandava e rimase sorpreso. Chiuse a chiave la porta e posò la lettera sulla scrivania. La aprì con attenzione e lesse il foglietto scritto a mano. Aveva temuto che un giorno o l'altro un biglietto del genere sarebbe arrivato. Guardò i grossi caratteri a stampatello che attraversavano tutto il foglio, scritto con una grafia nervosa. «La mogliettina sa», c'era scritto. «La mogliettina sa che non hai un passato.» Stracciò la lettera. 9 Marty non si lasciò prendere dal panico. Non si lasciava mai prendere dal panico. Sì, Samantha sapeva più di quanto lui volesse, ma non sapeva quello che aveva preparato. Non poteva saperlo. Non poteva sospettare. Certo, avrebbe fatto delle domande. Ma questa era appena un'incrinatura in un piano così bello, in un rito così perfetto. Le sue apprensioni — confermate ora dal biglietto — sfociarono in una decisione ferrea. Poteva tenere
la situazione sotto controllo... fino al cinque dicembre. «Non ho mai mangiato un pollo più buono», dichiarò Marty a Samantha mentre stavano cenando, quella sera. «Mia signora, tu hai un tocco speciale.» Samantha non vedeva Marty così allegro dal giorno dei trenini elettrici. Sembrava meno tirato. «Penserò alla supervisione di tutte le portate per la festa», disse. «Non se ne parla nemmeno», protestò Marty. «Tu sarai anche una Supercreatura, in cucina, ma alla mia festa sei un'ospite. Niente da fare.» «Marty, ho parlato di supervisione. Non toccherò un tegame.» «Via, via, ti conosco. Ascolta, quei cuochi sono dei professionisti e sanno quello che fanno.» «Ma io ci tengo troppo.» Marty scoppiò a ridere. «E va bene, occupati pure della supervisione. Ma almeno vieni in salotto a salutare. Promesso?» «Promesso.» Marty sorrise con quel suo viso largo e segnato che aveva affascinato Samantha fin dal primo momento. Ma adesso quella faccia non era più la stessa per lei. Le domande si affollavano nella sua mente. Come faccio a sondarlo? Come faccio a sapere? Quando lo affronterò, se mai ne sarò capace? «Mi rimane ben poco da fare per la festa», disse lei. «Devo solo scegliere la torta e occuparmi dei fiori. Tu non sei contrario ai fiori, vero?» «Io? No. Perché?» «Be', pensavo che a volte gli uomini...» «I fiori mi piacciono. Sono un tipo sentimentale», disse Marty, e Samantha si chiese a proposito di che cosa egli fosse veramente sentimentale. «Hai visto i biglietti di risposta arrivati oggi?» «No.» «Paul, Keith Harris, Fred e Maryann, Seymour Rose, vengono tutti. Leggi il bigliettino di Fred. Ti piacerà da morire. Ah, Hank Burnham della NBC non potrà venire.» «Oh, mi dispiace. Hank è un bravo ragazzo. Siamo stati a Fort Polk nello stesso periodo... ma non ci siamo incontrati.» Buon Dio, pensò Samantha, come può mentire così? Come può sostenere questa finzione? O forse non si rende conto che è una finzione? «Deve andare nell'Indiana a fare un servizio su un incontro di rugby», spiegò lei. «Oh, a proposito, ti manderà un pezzo da collezionista riguar-
dante una finale di campionato.» Gli occhi di Marty si illuminarono. «Davvero? Di che si tratta?» «Non me lo ha detto. È un segreto.» «È molto carino.» Marty guardò l'orologio. «Senti, che ne diresti di andare al cinema?» «Stasera?» «A meno che non debba chiederti un appuntamento con due mesi di anticipo.» Samantha non ci era preparata. La sua mente era troppo turbata e un divertimento non era certo la prima cosa cui pensasse. «Posso declinare l'invito?» chiese piano. «Tu non ti senti bene», affermò Marty. A Samantha parve di scorgere un velo di preoccupazione sul volto di lui. «No, sono solo stanca.» «D'accordo. Non sono da biasimare se ci ho provato.» Marty terminò la cena fino all'ultimo boccone, si alzò e andò dietro la sedia di lei. Cominciò ad accarezzarle i capelli, un gesto che non faceva da mesi e che a lei piaceva molto. Lo aveva fatto anche alle altre, negli anni precedenti. «Lo sai quanto sei speciale?» chiese. «Sì», rispose Samantha, «ma non mi dispiace se me lo ripeti.» «Va bene, da dove comincio?» Continuò ad accarezzarla. Che attori erano entrambi, pensò. Samantha sapeva che lui era tutto un falso e Marty sapeva che cosa le avrebbe fatto. Eppure la conversazione non languiva mai, non c'era un momento di incertezza. Che cosa passava per la mente della donna? Come faceva a dissimulare così bene i suoi sospetti? In un certo strano modo Marty era colpito, più colpito di quanto lo fosse mai stato con Samantha. Mai prima si era accorto che lei fosse una persona. Ma c'era una domanda che voleva una risposta, una scena da recitare. Ed egli lo avrebbe fatto con stile. Lo aveva sempre fatto con stile. «Be'», disse, «tu sei speciale perché sei molto affettuosa.» «Bene», rispose Samantha. «Poi?» «E bella.» «Continua.» «Credo che il resto lo terrò di riserva.» «Vuoi dire che non riesci a trovare niente altro?» «E va bene», disse Marty, «ci sarebbe leale, fedele, gentile, rispettosa...» «D'accordo, sono soddisfatta», rise lei. Poi venne fuori una domanda, quasi che Samantha non fosse riuscita a trattenerla. «Marty, che cosa face-
vi a Fort Polk?» Marty si irrigidì, ma Samantha non poté accorgersene. Ci siamo, egli pensò. «Facevo l'eroe», rispose. «Via, sii serio.» «No, davvero. Ricevetti un encomio solenne per estrema prudenza.» «Marty...» «E va bene. Ti dirò tutto.» Smise di accarezzarle i capelli. «Dattilografo. Battevo a macchina i rapporti sugli incidenti alle jeep.» Scoppiò a ridere. «Questo fa diminuire la tua stima per me?» «No. Non mi aspettavo che facessi il generale.» Parlarono per qualche altro minuto del più e del meno, poi Marty guardò l'orologio. «Senti, se non andiamo al cinema, penso che sbrigherò un po' di lavoro.» «Va bene.» Adesso Samantha avvertì la tensione che c'era in Marty. Lo si notava dalla voce, dalla velocità con cui parlava. Egli andò a sedersi alla scrivania in camera da letto, gettando un'occhiata al telegiornale della sera della CBS, che guardava quasi sempre, e fece finta di esaminare una pila di carte. E di nuovo tornarono le parole, le parole impresse per sempre nella sua mente distorta. «Frankie è un bravo ragazzo. Ha aspettato molto tempo.» «Non raccontarmi storie. È un bambino. Quanto può aspettare un bambino?» «Voglio che sia felice.» «Felice lui? E io non devo essere felice?» «Tu sai che ci ho provato.» «E quando ci hai provato? Ieri o questa mattina?» Dio, che cosa successe quel giorno! Marty ricordava e il quadro non aveva perso nulla della sua chiarezza e della sua immediatezza. Adesso era quasi arrivato a un altro giorno particolare, in cui il ricordo doveva concretizzarsi in nobili imprese. Sentì che le mani gli tremavano. Il ricordo non l'avrebbe lasciato. Era rafforzato da ciò che vedeva nella stanza, quella strana sistemazione dei mobili, quella bizzarra cornice. Altri uomini avevano anche loro quella cosa dentro? C'era qualcun altro che l'avesse? Si accorse che stava continuando a fissare il mobilio. «A Frankie piace», sussurrò a se stesso. Lo sapeva. Marty perse completamente la nozione del tempo. Alla fine arrivò Samantha. «C'è qualcosa che non va?» chiese.
«Eh?» La mente di Marty non era preparata a rispondere a domande. «Sono ore che te ne stai qui, Marty. È successo qualcosa in ufficio?» Marty si strinse nelle spalle. «No, si tratta solo di un mucchio di scartoffie. Sai, promemoria e fatture. È stata una buona occasione per rimettermi in pari. Va tutto bene.» «Sicuro?» «Sicuro.» Samantha si sentì tentata, se ne avesse avuto l'opportunità, di gettare un'occhiata a quella pila di carte. Forse, ma solo forse, lì c'era la chiave del passato di Marty. Forse egli faceva qualcosa nel suo lavoro che le avrebbe fornito una traccia. Lasciò cadere l'idea. Troppo rischiosa. Lei non era una professionista. «Vieni a letto?» chiese. «È un po' presto. Credo che resterò alzato ancora un poco. Non ti dispiace, vero?» Samantha scoppiò a ridere. «Mi dispiace sempre. Ma per questa sera ti perdono, purché abbia la mia parte domani.» «Lo giuro», rispose Marty. «Metterò all'opera tutte le mie risorse.» «D'accordo, ma non metterle all'opera da qualche altra parte.» Samantha gli fece l'occhietto, in un modo seducente, così perfettamente normale, ma anche così perfettamente assurdo, considerando ciò che ognuno dei due sapeva. Eccola lì, impegnata in una schermaglia verbale con un uomo che era diventato l'oggetto di tutti i suoi sospetti, un uomo del quale ella portava in seno il figlio, un uomo la cui vita era un mistero. E le risposte di lui? Quelle tipiche di Marty, anche se la sua mente era concentrata su un martello e una catena e sul modo in cui di lì a poco sarebbero stati usati. Samantha andò a letto. Lui la guardò. Sarebbe vissuta altri dodici giorni. Il giorno dopo Samantha prese la decisione: andare alla polizia. Le veniva dal coraggio della disperazione, eppure aveva il più razionale dei motivi... aveva esaurito ogni altra via e la sua curiosità stava tramutandosi in paura, paura che qualsiasi cosa ci fosse di sbagliato in Marty potesse un giorno o l'altro scoppiarle fra le mani. Andandoci avrebbe potuto fargli del male, ma avrebbe anche potuto proteggerlo. Per evitare qualsiasi imbarazzo, decise di non parlarne a nessuno dei suoi amici, compreso Tom. Non c'era proprio bisogno che lo sapessero. A tutta prima pensò di andare al Ventesimo Distretto che era lì vicino.
Scartò l'idea. Troppi amici da quelle parti. E se qualcuno l'avesse vista entrare o uscire? Che cosa avrebbe pensato la gente? In effetti nessuno aveva piacere di essere visto in un posto di polizia, pensò. Era un residuo tenace della sua educazione borghese. Perciò prese uno sgangherato taxi e si recò al comando della polizia, una moderna costruzione nella parte bassa di Manhattan, dove era la sede principale dell'Ufficio Persone Scomparse. La piazza antistante brulicava di poliziotti. Samantha, nello scendere dal taxi, scorse un vero e proprio mare di blu. Di primo acchito quella vista la spaventò. C'era in essa qualcosa di vagamente militare; era come se si trovasse in una fortezza, circondata da un paesaggio ostile. Naturalmente i poliziotti non facevano altro che entrare e uscire dagli uffici, e in genere avevano un'aria distesa. Ma la scena era inconsueta per Manhattan, i cui abitanti di solito vedevano, al massimo, qualche gruppetto di poliziotti. «Sì, signora?» chiese l'agente di guardia all'ingresso principale. Samantha rimase subito impressionata dal suo portamento. I comandi hanno sempre il meglio. «Vorrei denunciare la scomparsa di una persona.» «Un bambino, signora?» «No, un adulto.» «Bene. È proprio sicura che sia scomparso?» Samantha esitò. «Sì. No. È molto complicato. Si tratta di un uomo che può essere scomparso, ma che forse non lo sa. Capisco che può suonare strano.» «Questo è il nostro lavoro», disse l'agente. «Prenda l'ascensore fino al quarto piano, volti a sinistra. Stanza 418.» «Grazie.» Samantha prese un ascensore affollato da robusti poliziotti con un «delinquente» in manette che doveva essere interrogato. Giunse al quarto piano e si avviò verso una robusta porta sulla quale era scritto in lettere dorate che cominciavano a scheggiarsi PERSONE SCOMPARSE. In un certo senso, quelle lettere scheggiate sembravano appropriate, al contrario dell'edificio moderno che le circondava. Un posto di polizia, anche se era il comando della polizia, avrebbe dovuto essere vecchio e umido, con crepe nei soffitti e lampadine senza paralume. Sulle pareti avrebbero dovuto esserci le foto dei ricercati e non avvisi di riunioni del sindacato di polizia. Avrebbe dovuto esserci odore di muffa, non la purezza dell'aria condizionata. In ogni caso non avrebbero dovuto esserci macchine per scrivere elet-
troniche e terminali di computer. Il posto non combaciava con l'immagine che Samantha se ne era fatta, e forse questo era un bene. Si sentì un po' più a suo agio una volta arrivata al quarto piano, un po' più come un visitatore in uno stabile di uffici del centro. Dovette aspettare oltre un'ora seduta su una fredda sedia di metallo in una disadorna anticamera grigia. C'erano altre persone prima di lei e Samantha fu colpita dal fatto che erano quasi tutte donne. Perché? Non riusciva a capirlo. Forse quello era un giorno particolare? Oppure le donne erano più portate a denunciare casi del genere? Ed erano lì per denunciare la scomparsa di bambini? O c'erano molti Marty, molti di più di quello che Samantha pensava? Di tanto in tanto sentiva dei singhiozzi venire dalla stanza accanto, che era al di là di una porta chiusa. E, di tanto in tanto, delle donne uscivano coprendosi il volto, frettolose, talora addirittura correndo. O erano imbarazzate, rifletté Samantha, o avevano appena avuto brutte notizie. A un certo punto si avvicinò alla donna poliziotto che stava dietro la scrivania dell'anticamera, una negra giovane e snella che fece di tutto per essere cortese. «Non ci vorrà molto», disse la donna poliziotto, presumendo che Samantha volesse sapere questo. «Oh, no», ribatté Samantha, «questo non mi preoccupa. Mi stavo solo chiedendo...» Si fermò pensando che la sua domanda avrebbe potuto sembrare ridicola. «Sì?» Samantha proseguì. «Mi stavo chiedendo quanti... ne ritrovano.» «Non molti», rispose la donna poliziotto con franchezza. «Perché?» «Glielo spiegherà il funzionario», si sentì rispondere Samantha. «Io non sono autorizzata a entrare in questi particolari.» Questi particolari? Quali particolari? C'era qualcosa di segreto? Samantha era seccata da questa piccola pignoleria burocratica, ma non lo diede a vedere. Non irritarli. Non quando ne hai tanto bisogno. Tornò a sedersi. Qualche minuto più tardi un sergente alto, di mezza età, sporse la testa dalla porta della stanza accanto. Guardò un bigliettino di colore rosa che aveva in mano. «Mrs. Shaw?» «Sì?» Samantha si sentì gelare. Adesso che era arrivato il suo turno si sentiva scossa da brividi di paura. Quello era un poliziotto. Un tutore della legge. Un tipo con una pistola, un manganello e un biglietto per la galera. La realtà si fece strada e Samantha di colpo si rese conto di quanto fosse
fuori posto, estranea. «Da questa parte, signora», la invitò il sergente, con un lieve sorriso sul volto. Samantha gli gettò una rapida occhiata e solo allora si rese conto che era un asiatico. Era sciocco e infantile, ma quando vide quel viso non poté fare a meno di pensare a Charlie Chan. Lì per lì questa fu l'unica immagine che potesse associare a un poliziotto asiatico, la sola immagine che le venisse in mente. Samantha lo seguì, al di là della porta, in una grande stanza divisa in due cubicoli, ciascuno dei quali era rivestito con materiale antiacustico. Era virtualmente impossibile da un cubicolo udire le conversazioni che si svolgevano nell'altro. Samantha notò la targhetta nera nella quale era scritto: SERGENTE YANG. Yang le fece cenno di sedersi, e questa volta si trattava di una poltrona imbottita. «Vedo», disse il sergente, «che lei abita nel Ventesimo Distretto. È già stata in quell'Ufficio Persone Scomparse?» «No, ero...» «Un po' imbarazzata.» «Sì.» «Capisco.» Il sergente si accorse che Samantha lo stava fissando. «Mia madre era americana», le spiegò, come soleva fare in pratica a tutti i visitatori. «Ho preso la forma degli occhi da mio padre. È originario di Taiwan.» Sul suo volto si disegnò un ampio sorriso. Samantha lo trovò simpatico. «Io non sono mai stata in Oriente», disse, cercando di dare un tono leggero alla conversazione. «Nemmeno io. Mi hanno detto che ci sono dei posti molto belli. Ma se ci andassi dovrei far visita ai miei parenti. Capisce ciò che voglio dire.» Il sergente studiò il bigliettino rosa che Samantha aveva riempito in precedenza. «Un passato fantasma», disse. «Sì», rispose Samantha. «E lei ha cercato aiuto altrove... da gente del mestiere?» «Sì. Ho fatto di tutto prima di venire qui.» «Questo è quello che ci piace. Molta gente si precipita da noi quando potrebbe risolvere il problema a casa propria. Così fanno inceppare il sistema.» Samantha non rispose, ma si chiese se lei facesse inceppare il sistema. Alla fine Yang si appoggiò allo schienale della vecchia poltrona che mandò sinistri scricchiolii. Gettò il biglietto rosa sulla scrivania e si prepa-
rò a fare a Samantha il solito discorso. «Prima di entrare nei particolari», disse, «voglio chiarirle alcune cose. Prima di tutto, i nostri successi qui sono pochi. Noi non riusciamo a trovare molte persone scomparse perché molte persone che sono scomparse vogliono esserlo.» «Vogliono esserlo?» «Sì. È gente che decide di cambiare la propria vita. Piantano tutto e se ne vanno. Sono soprattutto uomini sposati. A un certo punto la pressione cresce, i conti da pagare aumentano, e allora mollano tutto. Non ha mai letto sui giornali di tipi che sono stati visti per l'ultima volta nelle stazioni ferroviarie?» «Sì.» «Si tratta quasi sempre di stazioni ferroviarie. E molti spariscono per sempre.» Samantha si rese conto di aver condotto fino a quel momento un'esistenza perfetta. Nessuno che lei conoscesse era mai sparito in quel modo. «Marty non è il tipo», disse a Yang. Il poliziotto sorrise. «Nessun marito lo è mai», commentò. «Però, vede, suo marito non è fuggito da lei. La sua preoccupazione è che possa essere scomparso da qualche altro posto.» «Sì. Certo.» «Bene», proseguì Yang, «elenchiamo tutte le possibilità. Potrebbe essere scomparso volontariamente o involontariamente. Se è scomparso involontariamente, ciò potrebbe essere stato causato da una malattia mentale, o da un incidente che abbia prodotto in lui una reazione psichica. Se è scomparso volontariamente, potrebbe averlo fatto perché era stufo della sua vecchia vita o per sfuggire a qualche cosa. Non è detto che si tratti di un reato. Può essere uno scandalo o addirittura un'incomprensione. Oppure potrebbe aver avuto qualche insuccesso professionale che lo imbarazzava.» «Proprio non lo so», rispose Samantha. «Certo. Ma vediamo di approfondire. A Marty non è mai sfuggito un nome che lei non avesse mai sentito?» «Solo nomi di persone che avevano a che fare con il suo lavoro», rispose Samantha. «E dopo mi diceva chi erano.» «Parla nel sonno?» «No.» «Le appare mai confuso riguardo al suo passato? Per esempio, dice una cosa e poi si corregge?» «No, niente affatto. Marty non fa altro che parlare del suo passato... o di
quello che egli dice essere il suo passato. Abbiamo persino deciso di fare un viaggio nel Midwest, dove lui dice di essere cresciuto.» «Ah, sì? Questo è interessante.» Yang scarabocchiò un appunto riguardo al viaggio. «Molti di quelli che fuggono non lo farebbero mai. Ma non darei molta importanza alla cosa.» «Perché?» «Perché potrebbe darsi che Marty conosca sul serio le zone che visiterete, ma al tempo stesso potrebbe mentirle sul fatto di avervi vissuto. Dove dice di essere nato?» «A Elkhart, nell'Indiana.» «E andrete anche lì?» «Sì.» «Perché?» «L'ho proposto io. In realtà stavo cercando di metterlo alla prova, ma lui ha colto al volo l'occasione.» «Bene», disse Yang, stringendosi nelle spalle, «non capisco che cosa abbia in mente.» «Ma perché mai vorrebbe andarci?» chiese Samantha. «Forse per far colpo su di lei. Forse vuole esibirle il suo falso passato. Può darsi che gli dia sicurezza vedere che lei crede alla sua storia.» Samantha fissò il pavimento di linoleum che non era stato lucidato da mesi. «Tutte teorie», disse; anche se non ne aveva avuto l'intenzione, nel suo tono di voce c'era una sfumatura di scortesia e di ingratitudine. «Si capisce», rispose Yang. «Stiamo cercando di ricostruire la biografia di una terza persona.» «Forse lei... non può farci niente», azzardò Samantha. «Conosce il vecchio adagio — è delle parti di mio padre — che anche il viaggio più lungo comincia con un passo?» «L'ho sentito», rispose Samantha. «Bene, noi possiamo fare qui quel primo passo. Forse non potremo scoprire chi sia Marty o da dove venga, ma possiamo circoscrivere certe cose. Le ho già elencato alcune possibilità.» «L'avvocato che ho veduto, Mr. Grimes, ha detto quasi le stesse cose che dice lei», gli riferì Samantha. «Non lo metto in dubbio. C'è una specie di elenco standard. E adesso, mi dica, ha qualche registrazione della voce di suo marito?» «Nastri?» «Sì. Dettature per l'ufficio o cose del genere.»
«Non so. Posso guardare nella sua scrivania. Perché?» «Per le inflessioni dialettali. Abbiamo un esperto qui. Potremmo riuscire a scoprire da quale parte del paese viene.» «Cercherò di procurarmi qualcosa», disse Samantha. «Bene. E adesso mi dica, suo marito prende delle medicine particolari?» «No.» «Peccato. A volte riusciamo a rintracciare vecchie ricette.» Yang scriveva mentre parlava e Samantha riuscì a vedere che la sua calligrafia — era mancino — appariva impeccabile. Con la coda dell'occhio Yang si accorse che lei lo stava osservando. «Mi piace scrivere», spiegò. «Scrivo tutto a mano. Non credo nelle macchine per scrivere. Sono troppo impersonali.» Sorrise di nuovo. Samantha si sentì d'un tratto vicina a lui. Di tutti quelli con i quali aveva parlato, Yang era, per lei, il più umano. Quel muro invisibile che l'aveva separata da Grimes, da Levine, dagli amici di Marty, perfino da Tom Edwards, lì non c'era. Con lui posso parlare, pensò. A lui voglio parlare. «Ascolti, posso dire una cosa?» si aprì improvvisamente. «Certo.» «Sono incinta.» «Congratulazioni. Non lo sapevo.» «Grazie, ma non è questo il punto. Io voglio il bambino. È il mio bambino. È nostro.» Fece una pausa. «Ma a volte mi sembra di non volerlo. Lei capisce quello che voglio dire.» «Via, via», disse Yang. «Sarà bellissimo.» «Sergente Yang, è il bambino di Marty, mi creda. Ma io non so chi sia suo padre. Capisce quello che intendo dire?» «Sì, lo capisco.» Poi Samantha fece quello che non voleva fare. Cominciò a piangere, e proprio come le altre donne che aveva visto uscire dalla stanza, proprio come quelle donne che piangono quando sono sotto tensione, proprio come quel genere di donna che lei non avrebbe mai voluto essere. E Yang rimase lì a guardarla piangere, sapendo che quello era lo sfogo migliore. Vedeva lacrime tutti i giorni, come i medici vedono sangue tutti i giorni, e ormai le lacrime facevano parte del suo lavoro. Non disse niente, aspettando che Samantha si ricomponesse. In effetti sfruttò quei minuti per scrivere altri appunti su Marty, però ogni poco gettava delle occhiate comprensive a Samantha per non apparire freddo e distaccato. «Mi scusi», disse alla fine Samantha, prendendo un fazzoletto di carta
che Yang le porgeva e asciugandosi gli occhi. «È un inferno. Non mi era mai capitato di lasciarmi andare così.» «Sono lieto che le sia successo qui», ribatté Yang. Non avrebbe potuto piangere davanti a Lynne o a Tom. Persino lo studio di uno psichiatra sarebbe stato troppo gelido. Ma lì pianse. «Ho aspettato Marty», continuò, cercando di trattenere i singhiozzi. «Per tutta la vita l'ho aspettato. D'accordo, cerco di convincermi che tutto andrà bene, ma so che non sarà così. Mi dico che lui è il principe azzurro che io credevo, ma in realtà so che non lo è. E io porto in seno suo figlio e mi chiedo che cosa gli dirò quando verrà il tempo. Marty non ci sarà. Sento che non ci sarà.» Yang non la interruppe. Sapeva che le vittime risolvevano in questo modo il problema nella loro mente. Meglio non intervenire a sproposito. «Ho avuto altre opportunità di sposarmi», continuò Samantha. Adesso voleva parlare, anche se divagava dall'argomento. «Uno faceva il giornalista, corrispondente all'estero. Non sarebbe stata un'ottima scelta? Ma io dovevo aspettare Martin Everett Shaw. Nessun altro andava abbastanza bene per la piccola, graziosa Samantha.» «Non parli così di se stessa», la ammonì Yang. «Ognuno di noi si attende il meglio. Penso che lei avesse ragione.» Samantha fissò Yang, lo fissò profondamente negli occhi. «Lei vede un sacco di donne come me, vero?» chiese. «Ogni giorno», rispose Yang. «E voglio che lei eviti di cadere nei soliti schemi. Molte donne si lasciano andare a credere di essere in colpa se il marito scompare o se ha un problema come quello di Marty. Vedo che anche lei comincia a pensarla così. Il problema è di Marty, non suo. Se lui ha fatto qualcosa di sbagliato, lei non ne ha colpa.» «Grazie», disse piano Samantha. Per la seconda volta nella sua vita aveva trovato un uomo che era del tutto comprensivo e solidale. La prima volta si era trattato di Marty. «Cerchiamo di andare avanti», suggerì Yang. «Certo. Mi spiace di portarle via tanto tempo.» «Non ci pensi neppure.» Yang fece una pausa. Sapeva che era rimasto qualcosa da chiarire fin da prima dello sfogo di Samantha. «Circa la sua gravidanza», riprese, «va tutto bene?» «Si», rispose Samantha. «La prego, si tenga il bambino.» Ci fu un lungo silenzio. Quegli occhi a mandorla erano così sinceri, così
partecipi, che sarebbe stato impossibile sfidarli. «Lo terrò», promise Samantha e capì che non avrebbe potuto mai infrangere quella promessa. «Vorrei farle qualche domanda di carattere economico», proseguì Yang, «se lei è d'accordo.» «Sì.» «Lei ha mai esaminato la vostra denuncia dei redditi?» «Be', se ne occupa Marty, ma io la vedo ogni anno. Controllo l'esattezza dei conti.» «C'è qualche somma importante che Marty non dichiari? A me può dirlo.» «No, è un contribuente onesto.» «Lei è in grado di controllare i suoi guadagni?» «Che cosa intende dire?» «Be', non ci sono somme importanti che in qualche modo spariscano?» Samantha rifletté. «Non credo, ma in realtà non ho mai fatto dei conti. Perché?» «Se suo marito ha un problema e deve pagare qualcuno, magari anche per rimanere vivo, queste somme dovrebbero risultare in qualche modo.» «Mio Dio», gemette Samantha. «La prego di non saltare alle conclusioni. Vorrei avere tutti i conti che può procurarsi senza insospettire suo marito.» «Me li procurerò.» La conversazione durò per un'altra ora, con Yang, impeccabilmente cortese, che faceva le solite domande senza giungere a nessun risultato importante. Era pessimista sulla possibilità di risolvere il caso. Il ritratto verbale che Samantha gli aveva fatto di Marty gli diceva che si trattava di un uomo astuto, calcolatore, il tipo che sapeva coprire le proprie tracce e che probabilmente aveva cercato una nuova vita, con una nuova identità, per sfuggire a qualcosa di spiacevole che c'era nel suo passato. «Noi abbiamo accesso a una banca dati su scala nazionale», spiegò a Samantha. «Ci sono immagazzinate migliaia di fotografie di persone scomparse. Si tratta solo di un tentativo, ma vorrei che lei guardasse alcune di quelle foto.» «Alcune?» «Sono catalogate. Le mostrerò solo uomini che abbiano all'incirca l'età di Marty. Non ha senso guardare i ragazzi o gli ottantenni. È d'accordo?» «Sono disposta a tentare di tutto.» Yang fece uscire Samantha dall'Ufficio Persone Scomparse e l'accompa-
gnò in una fototeca in fondo al corridoio. Mentre camminavano, le mise un braccio intorno alle spalle, mostrando ancora una volta un'attenzione che lei apprezzò molto, e che era stata un elemento mancante nella sua vita prima di Marty. Samantha notò il modo in cui gli altri poliziotti guardavano Yang... quell'orientale alto che teneva un braccio intorno alle spalle di una «denunciante», il poliziotto che avrebbe potuto essere benissimo uno psicologo, un sacerdote o un assistente sociale. La fototeca consisteva in una lunga fila di archivi metallici pieni di fotografie delle persone scomparse; c'erano anche tavoli e sedie per coloro che, come Samantha, dovevano esaminare la raccolta di foto. Yang scelse il mucchio giusto e Samantha cominciò a cercare senza aspettarsi alcun risultato. «Ricordi», le disse Yang, «che suo marito potrebbe aver cambiato il proprio aspetto. Cerchi di studiare bene i lineamenti del viso e i segni caratteristici. Qualsiasi cosa che possa sembrarle familiare. Osservi anche l'attaccatura dei capelli e la grandezza delle orecchie.» «D'accordo», rispose Samantha. Nonostante il suo pessimismo si sentiva a proprio agio a guardare quelle foto. Per lo meno stava facendo qualcosa e non si limitava a filosofare con amici o a teorizzare con professionisti pagati, ben pagati. Rimase stupita dal numero delle foto... erano migliaia e tutte in formato grande su carta lucida. Non erano, però, foto segnaletiche. Non ci sono foto segnaletiche di persone scomparse. Per la maggior parte erano foto di famiglia riprodotte dagli uffici di polizia di tutto il paese. Alcune erano patetiche, altre strazianti. Vi si vedevano uomini con le mogli e i figli in momenti felici. Quasi tutti gli uomini sembravano persone comuni, non di quelle che spariscono o si cacciano nei guai. Eppure, stando a quello che diceva Yang, abbandonavano i loro cari e ricominciavano una nuova vita. «Molti di questi uomini probabilmente hanno altre mogli e altri figli», spiegò Yang. «Talora scompaiono più e più volte. Abbiamo avuto il caso di un uomo che aveva abbandonato tre diverse famiglie.» «Ma non ci sono vere e proprie persone scomparse?» chiese Sàmantha. «Oh, certo. Molti bambini. Questo è uno scandalo nazionale. E anche gli adulti spariscono, a volte dopo essere stati rapinati. Li fanno sparire, così che in seguito non possano testimoniare. E ci sono i casi di ferite al capo di cui abbiamo parlato.» Come le aveva promesso, Yang mostrò a Samantha foto di uomini che
avevano più o meno l'età di Marty. Ma le mostrò anche fotografie di uomini più giovani prese anni prima, uomini che in quel momento avrebbero potuto avere l'età di Marty. Yang rimase accanto a Samantha, esaminando ogni foto. Dopo poco entrarono nella fototeca un altro poliziotto e un'altra donna, una sposina di poco più di venti anni il cui marito era scomparso improvvisamente. Samantha ascoltò la conversazione, costellata di parole come «bancarotta», «creditori», «strozzini». Il caso sembrava logico. Un uomo che aveva guai di denaro mollava tutto. Dopo un po', le fotografie cominciarono ad apparire confuse. Inoltre Samantha non vedeva nulla che le fosse familiare. Nessuno di quegli uomini rassomigliava neppure lontanamente a Marty. Non sapeva se essere felice o avvilita. Una traccia, anche se spiacevole, sarebbe stata meglio di quel continuo mistero, degli interrogativi, dell'ignoranza. Ma lo sarebbe stato davvero? Continuò caparbiamente a passare una pila dopo l'altra, ora sperando di riconoscere Marty e subito dopo sperando di non riconoscerlo. Le foto degli uomini più giovani la affascinavano, perché in quelle c'era la possibilità di imbattersi nel passato di Marty. Alcune fotografie erano state scattate dieci o quindici anni prima. Marty avrebbe dovuto essere sullo scorcio della ventina, un'età in cui molti uomini si sposano e hanno i primi figli. Aveva visto Marty in casa di amici prendere in braccio i loro figli. Le era sempre sembrato goffo, come se non sapesse quello che doveva fare. No, non era possibile che egli fosse uno di quegli uomini che avevano già avuto una famiglia. E poi... Arrivò a una foto. Un uomo in jeans, con una camicia sportiva, due ragazzini accanto a lui, davanti a una grande casa tipo fattoria. Samantha sollevò la foto, la studiò. Sbatté più volte le palpebre come per aguzzare la vista, per combattere la stanchezza che le sdoppiava le immagini. A Marty piacevano le case tipo fattoria. Lo aveva detto lui. Una fattoria in campagna. Ecco quello che voleva per le loro estati. Forse gli erano sempre piaciute. Forse aveva vissuto in una fattoria. I lineamenti di quel ritratto le erano molto familiari. Yang si accorse della reazione di Samantha. Anche in questo caso rimase in silenzio. Bisognava che la testimone studiasse accuratamente la foto. Bisognava che ri-
flettesse. Non doveva essere suggestionata o guidata. C'era un'altra foto. Lo stesso uomo, questa volta con una donna giovane, vistosamente attraente. Samantha sentì che le lacrime le salivano di nuovo agli occhi. Possibile? Le foto non erano molto chiare. Erano state scattate nel 1970. Ma quella faccia, e la struttura e la forma delle spalle, e quella casa tipo fattoria. Con un gesto lento, gentile, per non disturbarla o irritarla, Yang prese da uno scaffale una piccola lente di ingrandimento. La fece scivolare verso Samantha, che la piazzò sopra il volto ritratto nella seconda fotografia e poi chinò il capo per mettere a fuoco l'immagine. Strinse i pugni, poi si morse un labbro. Il suo corpo sembrò irrigidirsi, come se fosse stato trafitto all'improvviso. «Marty», mormorò, «ti ho trovato.» 10 «Prenda tempo», suggerì Yang a Samantha. Non mostrava di essere contento per la scoperta che lei aveva fatto. Conosceva il significato di quel momento. La donna avrebbe sofferto. Aveva toccato il fondo della sua vita, una scoperta che l'avrebbe cambiata per sempre, che avrebbe distrutto il suo matrimonio e forse l'avrebbe indotta a tentare qualcosa di irreparabile. Non era il momento di festeggiare o di gridare «Eureka». È raro che lo sia nel caso di persone scomparse, perché il ritratto ben noto di solito conferma i più cupi timori. Yang si avvicinò a un altro archivio e ne estrasse un breve rapporto scritto il cui numero di protocollo corrispondeva a quello delle foto che Samantha aveva appena identificato. Mentre lo tirava fuori le gettò un'occhiata al di sopra di una spalla. Adesso sedeva immobile a fissare le fotografie, la faccia inespressiva tranne che per gli occhi umidi, le mani che nemmeno tremavano. Era l'effetto del colpo, Yang lo sapeva. Forse guardava più i bambini e la donna, specialmente la donna, che non l'uomo. Stava vedendo delle persone che inevitabilmente erano molto importanti per lei. Samantha si sentiva più stordita che in collera, ma una domanda la tormentava: quella donna, quei bambini erano ancora vivi? Forse no. Forse era accaduta una tragedia... un incendio, un incidente d'auto o qualcos'altro. Forse era per questo che Marty... Che cosa doveva sperare? Che cosa era giusto?
Era giusto pregare che fossero morti, che Marty fosse fuggito da un orribile passato e avesse trovato la sua Samantha? Era crudele, immorale, osceno pensare così? Sì, lo era, ma era anche naturale. E, senza alcun imbarazzo, Samantha sperò dentro di sé che quella famiglia non ci fosse più, che non esistesse più sulla terra, ma solo nei recessi della mente di Marty, causa, è vero, di un'angoscia continua... ma spanta per sempre. Yang le portò il rapporto, contenuto in una cartella gialla marcata BRANNEN, KENNETH. «Suo marito è esperto di banche?» chiese Yang. Samantha si strinse nelle spalle. «Si intende di denaro. Non abbiamo mai parlato di banche, tranne quando si trattava di aprire dei conti.» «L'uomo delle foto era banchiere. Era sposato con quella donna e aveva due bambini. Abitavano a Green Bay, Wisconsin... sa, c'è una squadra di rugby, lì.» «L'ho sentita nominare. Marty a volte la guarda alla televisione.» «Ah, sì?» «Ma guarda anche altre squadre.» «Già. Il rapporto dice che quest'uomo è scomparso nel 1969 mentre tornava a casa da una riunione di riservisti dell'Esercito. Era in un reparto dell'amministrazione.» Samantha sentì che il cuore le veniva meno. «Vuol dire... che quelli della sua famiglia erano vivi quando è scomparso?» «Sì, penso di sì. Qui non dice nulla che faccia pensare il contrario.» «Capisco», disse piano Samantha. Yang sapeva che era approdata sull'altra sponda, nell'abietta realtà di un mondo in cui gli uomini abbandonano le proprie famiglie e cominciano nuove esistenze. Sapeva di dover fare in modo che ella si concentrasse su quel problema invece di consumarsi dentro. «Marty parla del suo servizio militare?» chiese. «Sì, ma non di essere stato nell'amministrazione. Dice che era in altri posti. Non era vero.» «Per favore, guardi ancora le foto. È sicura che sia Marty?» Samantha guardò le foto e le studiò con la lente di ingrandimento. «Senza dubbio gli somiglia», disse con voce gelida. «Voglio dire, non è cambiato molto. Sì, questo è Marty.» Ora la realtà prendeva corpo, la stava afferrando, la stava dominando. «Questo è Marty. E questa è sua moglie. E questi sono i suoi figli. È davvero bravo a conservare i suoi segreti, vero? Non gli è mai scappato detto nulla. Proprio bravo, questo Marty. Questo
marito. Che cosa le ha fatto. Che cosa ha fatto a loro. E a me!» «Cerchi di controllarsi», le suggerì piano Yang. «Ricordi che ancora non c'è una identificazione certa.» «Io sono l'identificazione certa», ribatté Samantha. Sentiva che il raziocinio la stava abbandonando. Adesso era tutta emotività, ma non voleva mettersi a singhiozzare di nuovo. Stava controllando le lacrime, le stava trattenendo. «C'è molto poco nella cartella di quest'uomo», le disse Yang. «È incompleta, il che accade quando c'è di mezzo un piccolo ufficio di polizia. Senza dubbio ha commesso un reato.» «Davvero?» «Abbandono del tetto coniugale. Ha abbandonato la famiglia. Se questo è il suo Marty, dovrebbero esserci delle imputazioni nel Wisconsin.» Samantha ripensò ora all'avvocato Grimes. L'aveva avvertita di questo, che avrebbe potuto mettere Marty nei guai se fosse andata alla polizia. Ma non le importava più. Se lui era capace di fare ciò che aveva fatto, meritava la sorte peggiore. «Bisogna che mi procuri più dati su quest'uomo», disse Yang. «Mi serve una identificazione inattaccabile, anche con la sua testimonianza.» Yang ricondusse Samantha con le foto nel suo ufficio. Servendosi del terminale che aveva sulla scrivania, cercò di ottenere maggiori informazioni su Brannen, Kenneth dal casellario giudiziario centrale. Non ottenne nulla. Mentre Yang lavorava, Samantha sentì che in un altro sgabuzzino un uomo supplicava, metà in inglese e metà in spagnolo, che gli dessero notizie del figlio scomparso. Il ragazzo era uscito dal suo appartamento in Manhattan alta per andare a lavorare da Macy, ma non era mai arrivato al magazzino. Samantha soffriva con quell'uomo che continuava a gemere che quello era il suo unico figlio, che sua moglie era morta, che era solo e aveva paura. C'è chi sta peggio di me, pensò Samantha. Perdere un figlio è peggio che ritrovarsi con un criminale per marito. La ricerca con il computer non approdò a nulla. Yang rinunciò e decise di telefonare direttamente all'ufficio di polizia di Green Bay, Wisconsin. Ebbe la comunicazione in meno di un minuto. Il sergente di servizio prese dall'archivio il vecchio dossier riguardante Kenneth Brannen, ma anche quello era incompleto. C'erano documenti che mancavano... forse richiesti da qualche ufficio durante quegli anni, non restituiti e quindi andati perduti. C'era però qualcosa che poteva essere utile a Yang. «Il soggetto ha una piccola cicatrice chirurgica sul ginocchio destro», disse il sergente di
Green Bay con una voce roca, rovinata dal fumo. Yang scarabocchiò qualcosa, poi si voltò verso Samantha. «Suo marito ha una cicatrice sul ginocchio destro?» «No», rispose Samantha. «Quest'uomo ce l'ha. Ma potrebbe aver fatto una plastica.» Il sergente di Green Bay proseguì. «Quest'uomo era interessato alle ferrovie.» «A suo marito piacciono le ferrovie?» chiese Yang a Samantha. Sobbalzò. I treni. Quegli stupidi treni. «Sì. Senz'altro sì!» Capì che quello era l'uomo giusto. Le altre informazioni da Green Bay erano di scarsa importanza... avrebbero potuto riguardare molti altri uomini. Kenneth Brannen amava parlare di sport. Era stato due anni nell'Esercito, per lo più in Europa. Andava sempre in chiesa e pretendeva che anche la famiglia ci andasse. Le schede mediche e dentistiche mancavano, ma avrebbero potuto essere rintracciate se ci fosse stata un'indagine ufficiale. C'era tuttavia un'altra informazione che Yang doveva comunicare a Samantha, anche se ciò le avrebbe procurato dolore e tanta amarezza. In un appunto di aggiornamento della cartella, datato 1982, si leggeva: Mrs. Kenneth Brannen (Kathleen) non si è risposata sebbene, trascorso il periodo di sette anni richiesto dalla legge, abbia fatto dichiarare la morte presunta del marito. È bibliotecaria e risiede al 27 di Mulberry Drive West. Entrambi i figli frequentano l'università con borse di studio. Mrs. Brannen cerca ancora informazioni sul marito e la sua vecchia associazione universitaria continua a offrire a questo scopo cinquemila dollari di ricompensa. Yang lesse l'appunto a Samantha. «Quella donna può essere una fonte di informazioni importante», disse. «Se non ha nulla in contrario mi metterò in contatto con lei. Unendo tutti i pezzi, spero di arrivare a una identificazione certa... se questo è Marty.» Samantha era esasperata. «È lui. Mi creda. Ma... pensa che quella donna vorrà cooperare?» «Cerca ancora informazioni», rispose Yang, ripetendo ciò che diceva l'appunto. «Le cerca dalla nuova Mrs. Brannen, o Mrs. Shaw, o quale che sia il mio nome?»
Yang non ci aveva pensato. Non gli era mai capitato un caso in cui la vecchia moglie e la nuova mirassero allo stesso scopo. «Su questo non posso rispondere», disse. «Ma a lume di naso penso che qualsiasi donna nella sua situazione collaborerebbe. L'unica complicazione è nel fatto che ha ottenuto la dichiarazione di morte presunta del marito. Se c'è stata la liquidazione di una polizza, e Marty è l'uomo in questione, la compagnia di assicurazione potrebbe decidere di farle causa.» «E potrebbero vincerla?» «Non sono un avvocato. Ma facciamo finta di niente e procediamo. D'accordo?» Samantha sospirò. Era tanto sconvolta che ogni decisione ben ponderata le riusciva impossibile. «Direi di sì», fece. Yang stava per richiamare Green Bay, quando d'un tratto Samantha allungò una mano e gli toccò un braccio come per fermarlo. «Aspetti», disse. «Che cosa c'è che non va?» La donna fece un profondo respiro. Sapeva che ciò che avrebbe detto sarebbe suonato sciocco o peggio. «Voglio parlarle.» «Lei vuole cosa?» «Voglio parlare con Mrs. Kenneth Brannen, la prima moglie di mio marito... la sua sola moglie legittima.» «È sicura di volerlo fare?» «Sì», disse Samantha con decisione. Era stupita del suo autocontrollo. Se la tua vita va in frantumi, si disse, raccogli i pezzi con stile. Sua madre le avrebbe detto proprio questo. Ma quanto avrebbero resistito i suoi nervi? Quanto, prima che il dolore diventasse insopportabile? «Potrebbe essere un colloquio difficile», la avvertì Yang. «Sono pronta. Noi due abbiamo molto in comune.» Yang annuì, comprendendo che Samantha era decisa a farlo. Richiamò Green Bay. «La persona che è qui con me vuole parlare con Mrs. Brannen», disse. «È possibile?» Il sergente all'altro capo del filo sbottò a ridere, una risata roca che finì con un colpo di tosse. «Mai sentita una cosa del genere», disse. «È la sua volontà», insisté Yang, che ora sosteneva le ragioni di Samantha. «È possibile combinare?» «Posso provarci», rispose Green Bay. «La richiamo.» «Grazie, Green Bay.» Yang riappese. «Adesso non ci resta che aspettare», disse.
Al piano di sotto, Spencer Cross-Wade cancellò un altro giorno sul suo calendario. Undici giorni al cinque dicembre ed egli non aveva assolutamente nulla di nuovo. Era ridotto a esaminare le circostanze dei delitti precedenti per cercare di scoprire qualche nuova traccia. Arthur P. Loggins era sprofondato in una delle poltrone per i visitatori, altrettanto sconcertato. Cross-Wade cominciò a camminare avanti e indietro con le spalle curve e la testa bassa. Sembrava un uomo sconfitto. «Sono umiliato», dichiarò. «Anche i miei fiori hanno un'aria triste. Di sopra diranno che non sono abbastanza moderno, che non ho usato nel modo giusto i computer, che i miei sistemi di indagine sono superati. Be', hanno ragione. Questo è quello che so. Questo è quello in cui credo.» «Sì, signore», rispose Loggins, con il suo solito tono opaco. «Hai interrogato di nuovo tutti i testimoni, ed è venuta fuori solo quella faccenda del fischio?» «Non proprio un fischio, signore.» «Sai quello che voglio dire, Arthur.» «Sì, signore. La signora che si trovava vicino al luogo dell'assassinio dell'anno scorso ha detto di aver sentito una persona che faceva un suono simile alla sirena di un treno.» «Avrebbe potuto essere chiunque», disse Cross-Wade. «Sì, signore. Ma il posto era proprio ai margini della Statale I-95 a Greenwich, Connecticut. La signora disse che pochissime persone passano di là. Lo abbiamo accertato anche noi. Ed era più o meno intorno all'ora del delitto.» «E allora? Dobbiamo emettere un ordine di ricerca per chiunque imiti i treni?» Loggins non rispose. Anche lui si sentiva umiliato, al pari di CrossWade. «Stavo pensando di far trasmettere dalle pattuglie una richiesta a tutti i proprietari dei negozi di parrucchiere per signora», annunciò Cross-Wade. «Dovrebbero fare attenzione a tutte le clienti con i capelli biondo rame. Potremmo chiedere ai commissariati di zona di mettersi in contatto con loro. Ma... temo che la notizia circolerebbe e ci ritroveremmo con lo stesso problema di un allarme generale. Una buffonata.» «Sì, signore.» «È una cattiva idea. Sono contento di aver capito che era cattiva. Ascolta, Arthur, ci deve essere una foto di quest'uomo da ragazzo. Sappiamo dove abitava. Non posso credere che tutte le fotografie siano sparite.»
«È così, signore, a parte quella brutta foto del giornale, e anche di quella non c'è più il negativo. La foto è molto confusa. Ne abbiamo già parlato.» «Sì. E va bene, non ho niente altro. Questo è un uomo che non commette errori, che non lascia indizi concreti. Per quello che ne sappiamo, quest'anno potrebbe anche colpire in Alaska. O potrebbe addirittura essere morto.» «Signore», disse Loggins, «è probabile che questo sia uno di quei casi in cui le uccisioni continuano finché il tipo non commette un errore, come il 'Figlio di Sam'. Lo ricorda? Venne preso per via dello scontrino di un parcheggio.» Cross-Wade smise di camminare e si lasciò cadere nella poltrona dietro la scrivania, sfinito da quella prova. «So bene che hai ragione», disse. «Una vita può essere salvata o perduta solo per un colpo di fortuna.» Nella stanza piombò il silenzio, ognuno dei due era perduto nei propri pensieri... pensavano all'insuccesso, a un'altra vittima. Alla fine, CrossWade parlò piano e in termini che non aveva mai usato prima. Si detestava per ciò che stava dicendo, ma sapeva di avere delle responsabilità ben precise. «Arthur, vediamo di studiare un piano d'azione da seguire nel prossimo omicidio. Dobbiamo sapere esattamente come reagire, quali domande fare, quali passi intraprendere. I ricordi dei testimoni svaniscono rapidamente.» «Butterò giù qualche appunto», promise Loggins. «Fallo.» Samantha aspettava. Yang sbrigò del lavoro mentre il sergente di Green Bay cercava di mettersi in contatto con Kathleen Brannen. Ma i pensieri di Yang andavano a Samantha e alla sua situazione emotiva. Vide che la reazione, fino ad allora tenuta a freno, stava per arrivare, come succede quando uno perde un parente e si occupa con calma di tutto quello che c'è da fare, poi crolla quando si trova di fronte alla realtà. Yang vide che le mani di Samantha tremavano leggermente e il viso stava perdendo colore. Poi notò che si metteva una mano sul ventre. «Qualcosa non va?» «Solo una fitta», rispose lei con voce tremante. Pensò a quello che le aveva detto Fromer. La tensione avrebbe potuto costarle il bambino. «Andrà tutto bene.» «Abbiamo del personale paramedico», disse Yang un po' allarmato.
«Vuole che chiami qualcuno?» «No, la prego.» Samantha temeva che l'avrebbero portata in ospedale e così non avrebbe potuto parlare con Kathleen Brannen. «Passerà. È solo un po' di nervosismo.» «Posso capirla», disse Yang. Il telefono squillò. Entrambi lo guardarono. Yang, adesso, era emotivamente coinvolto con il suo «caso». Lasciò che il telefono suonasse ancora una volta, poi alzò il ricevitore. «Yang.» Ci fu una pausa. Il volto di Yang era inespressivo. «Capisco», rispose all'interlocutore. «La ringrazio molto.» Poi riappese. «Mrs. Brannen telefonerà qui», riferì a Samantha. «Al più presto.» «Ha detto come gli è parsa?» chiese Samantha. «Sbalordita, confusa.» Poi il telefono suonò di nuovo. Yang allungo una mano, ma Samantha fu più svelta. Yang non cercò di fermarla. La donna alzò il ricevitore. «Pronto?» C'erano disturbi sulla linea, ma la voce giungeva chiara. Era una voce strascicata, comune, non come Samantha si era aspettata che fosse la voce della prima moglie di Marty. «Potrei parlare con il sergente Yan?» chiese Kathleen Brannen, saltando l'ultima lettera del nome di Yang. «Lei è... Mrs. Brannen?» rispose Samantha. «Sì.» «Qui parla...» Samantha esitò. Che cosa doveva dire? In che modo doveva presentarsi? Mio Dio, pensò, io sono l'altra donna. L'altra donna... sembrava un racconto sentimentale o un teleromanzo. Sapeva che cosa Kathleen avrebbe pensato di lei. Avrebbe pensato la stessa cosa se ci fosse stata lei a Green Bay, abbandonata, con due figli. «Parla Mrs. Martin Shaw», se ne uscì alla fine. «Io sono lei.» «Oh», rispose Kathleen, con un tono soffocato, ma non inquieto. «Credo che forse noi... conosciamo lo stesso individuo.» «Credo di sì», rispose Samantha. A un tratto si sentì vicina a Kathleen, una cosa che non si era aspettata. Entrambe erano state ingannate dal medesimo uomo. Quante storie avrebbero potuto raccontare. «Era interessato ai treni anche allora?» chiese con un certo cinismo. «Sì. Molti lo sono, qui. Capisce?»
«Capisco. E aveva i suoi trenini?» «No. Gli piacevano quelli regolari.» «Bene, le farà piacere sapere che adesso è passato ai trenini giocattolo.» Era una strana conversazione, nessuna delle due sapeva che cosa dire, come dirlo, e come arrivare all'argomento di una identificazione certa. «Ascolti», disse Kathleen. «Io non sono né arrabbiata né niente. Non mi interessa più né lui né ciò che ha fatto. Io l'ho fatto dichiarare cadavere.» «Capisco.» «Perché è andata alla polizia?» «È una lunga storia», rispose Samantha. «Con Kenny tutto è sempre una lunga storia. Le sbronze sono una lunga storia. Le altre donne. Il gioco. Perfino l'occhio.» «L'occhio?» «Già. Gli piaceva parlarne.» «Parlarne?» «Senta, mi sta seguendo?» chiese Kathleen. «L'occhio di vetro.» «Cosa?! Di che cosa sta parlando?» Il cuore di Samantha rimbombava come colpi di cannone. A un tratto cercò di prendere fiato. «L'occhio sinistro», rispose Kathleen. Ci fu un silenzio. Poi Kathleen riprese. «Ascolti, signora, stiamo parlando dello stesso tipo?» Samantha non rispose subito. Era impossibile. Non poteva essere così. Guardò di nuovo le fotografie. Quello era Marty. Era Marty. Era Marty? Forse quella Kathleen stava architettando qualcosa. «Non c'era niente nella cartella di suo marito a proposito di un occhio di vetro», disse, con un filo di voce. «Lo so», rispose Kathleen. «Non ne parlai alla polizia.» «Non ne ha parlato? E perché?» «Pensai che se Kenny fosse tornato sarebbe andato su tutte le furie. Lui parlava del suo occhio, ma si arrabbiava se lo facevo io. Senta, le darò il nome del suo medico. Glielo dirà lui, signora.» Diceva la verità. Istintivamente, Samantha lo sapeva. Quelle foto non erano di Marty. Era un errore, un terribile, sconvolgente errore. La macchina fotografica aveva mentito. Oppure i suoi occhi avevano mentito. O forse qualcosa dentro di lei aveva voluto con troppa ostinazione. «Non è necessario il medico», disse Samantha. «Io non sono sposata a suo marito. È stato uno sbaglio. Mi dispiace se l'ho turbata.» «Turbare me? Sono al di là di ogni turbamento», fece Kathleen. «Ogni due anni ricevo telefonate come questa. È la vita.»
«Grazie. Le auguro buona fortuna.» «Già», rispose Kathleen. «Anche a lei.» Entrambe riappesero. «Mi dispiace», disse Samantha a Yang. «Pensavo che fosse lui.» Riprese a piangere. «Non si scusi», la consolò Yang. «Succede spesso. A me dispiace che lei sia stata coinvolta in questa faccenda.» «Sarà meglio che vada», disse Samantha. Si sentiva umiliata. A Yang dispiaceva per lei, ma capiva che provava il bisogno di rimanere sola con i suoi sentimenti. «D'accordo», rispose. «In ogni caso adesso lei deve riposarsi. Ma rimarrò in contatto. Va bene?» «Va bene.» Alla fine Samantha sorrise. Era un sorriso debole, non profondamente sentito, filtrato attraverso la tortura che aveva appena patito. Capì però di avere un amico. «Mi chiedo che cosa sarà di lei», disse, facendo un gesto verso il telefono. Yang non sapeva che cosa rispondere. Vedeva tante tragedie che in paragone i problemi di una donna sola a Green Bay sembravano remoti. Aiutò Samantha ad alzarsi e la sostenne mentre tornavano lentamente verso il corridoio. «Sto bene», gli disse lei. «Davvero sto bene.» Come per un gesto di fiducia, Yang la lasciò andare. Samantha si avviò da sola, camminando più in fretta e senza incertezze, come se i suoi meccanismi di difesa avessero avuto il sopravvento. Ma Yang era ancora preoccupato. «Posso farla accompagnare a casa da una nostra auto», le propose. «Oh, no», insisté Samantha. «Mi vergognerei se qualcuno mi vedesse. Mi capisca, non ho niente contro la polizia.» Yang si mise a ridere. «Capisco. Penso che nemmeno io vorrei essere visto in un'auto della polizia. Almeno posso chiamarle un taxi?» «Certo. Grazie.» Attraversarono l'atrio e girarono un angolo. Per caso Samantha urtò un uomo che veniva in senso contrario. «Scusi», disse. «Ma si figuri», rispose Spencer Cross-Wade, e continuò per la sua strada. Samantha tornò a casa sfinita. Disse a Lynne che era andata per negozi a vedere cose per neonati e che si era stancata troppo. Si sdraiò e si addormentò sapendo di essere arrivata, in un certo senso, alla fine. Andare alla polizia era stata l'ultima cosa che poteva fare. Sì, avrebbe potuto assumere un investigatore privato, ma si rese conto che il rischio che Marty se ne ac-
corgesse era troppo grande. E, inoltre, era probabilmente abbastanza esperto da confondere bene le sue tracce, così che non rimanesse niente da investigare per un investigatore. No, la visita a Yang era stata l'ultimo passo. Se lui non riusciva a venire a capo di niente, ella avrebbe potuto passare il resto dei suoi giorni sposata con un mistero, vivendo nella paura, chiedendosi sempre quale terribile sorpresa la aspettasse. Rammentò un film di Alfred Hitchcock, Il ladro, dove Henry Fonda veniva messo in prigione per un delitto che non aveva commesso. Era quasi la stessa cosa, rifletté Samantha ... anche lei pativa una specie di carcere, sebbene non avesse fatto niente di male. Anche lei aveva perso il controllo del proprio destino. Anche lei viveva nella paura che le cose rimanessero come erano, o addirittura peggiorassero. Quel pomeriggio pianse fino ad addormentarsi. E mentre piangeva, di tanto in tanto scoppiava in una risata nervosa, irrefrenabile. Era qualcosa di triste, da incubo, qualcosa di strano. La sera avrebbe fatto l'amore con quell'uomo. E l'indomani avrebbe ricominciato a organizzare la sua festa. Era come se Henry Fonda si preparasse a festeggiare il compleanno del suo pubblico ministero. «Deve essere un modello Trenta», ribatté Marty al telefono, parlando da una cabina infocata sotto il Rockefeller Center. Era il genere di telefonata che non avrebbe mai fatto dall'ufficio, con il pericolo che una segretaria lo ascoltasse. «Non mi interessa un sostituto.» Era sorpreso di se stesso. Era difficile che fosse così brusco. Sapeva che la tensione lo stava prendendo. Controllala, si disse. Mancano meno di due settimane. Cerca di resistere fino ad allora. Non deludere papà adesso. Lui non ti ha mai deluso. «E lo vuole funzionante?» chiese la voce all'altro capo del filo. «Sì. Compro solo apparecchi che funzionino», rispose Marty. L'osservazione era abbastanza ovvia, ma non tanto ovvia date le circostanze, perché Marty voleva comperare un televisore vecchio di trentaquattro anni, un dieci pollici RCA modello Trenta, uno dei primi classici dell'era della televisione. Era l'apparecchio che lui stava guardando la sera del 5 dicembre 1952. Era quel genere di cose che non si comprano in un negozio e nemmeno in una bottega di antiquario. Bisognava rivolgersi a un collezionista. Ce n'erano sparsi in tutti gli Stati Uniti e mettevano le loro inserzioni di tre righe nelle riviste di hobby, offrendo di scambiare un RCA così e così con un Admiral così e così, oppure chiedendo un sacco di denaro per le vec-
chie radio Philco a consolle che simboleggiavano l'era del solo audio. Marty aspettò con impazienza, tamburellando sul vetro della cabina e introducendo nell'apparecchio un altro decino per essere sicuro che la comunicazione non si interrompesse. Il tipo dall'altra parte sembrava un po' picchiato. Quasi tutti lo erano... gente capace di elencarti ogni valvola usata nel modello Trenta, e la sua funzione. «Va bene», disse il tipo, «posso trovarlo. Conosco un tale. Ma le costerà.» «Quanto?» «Diciamo tremila.» «Gesù. Tremila dollari.» «Duemila se non è riparabile. Ascolti, amico, sta parlando di un modello Trenta, non di spazzatura. Sta parlando di un classico.» «Lo so, lo so», ribatté Marty, che non sopportava di essere ammaestrato da un mattoide del New Jersey. «Quando può procurarselo?» «Lei quando può procurarsi i tremila?» «Questa sera, in contanti.» «Allora lo avrà stasera. Il mio amico è proprio qui in città. Vuole che le sia recapitato?» «No, passo a prenderlo io.» «Come faccio a sapere che verrà davvero?» «Le manderò una caparra per mezzo di un fattorino nel giro di un'ora.» Marty non se ne rendeva conto, ma aveva il respiro pesante... era per via del caldo che c'era nella cabina e per l'eccitazione che gli dava quell'acquisto. Mio Dio, tutto stava andando insieme. «Venduto», disse il tipo. Si scambiarono il nome... solo che Marty non diede il suo. Poi riappesero. Marty aveva già il videoregistratore. E aveva già il nastro... prodotto da una ditta che pubblicava la storia della televisione per videoteche familiari: Douglas Edwards con il notiziario, sponsorizzato dalla Oldsmobile. Era il programma che stavano guardando la sera del 5 dicembre 1952. A papà era sempre piaciuto Doug Edwards. «Frankie, questo è sull'inverno in Corea», aveva detto quella sera, mentre sullo schermo compariva Edwards. «Dovresti guardarlo.» Frankie lo aveva guardato, e adesso lo avrebbe guardato di nuovo. 11
«Frankie Nelson», disse Cross-Wade, parlando al telefono del suo ufficio. «Questo era il suo nome, ma pensiamo che lo abbia cambiato. Abbiamo controllato ogni Frank Nelson negli Stati Uniti senza risultati. L'incidente accadde appena fuori Omaha, Nebraska, il 5 dicembre 1952.» Aspettò mentre all'altro capo della linea gli rivolgevano una domanda. «Non c'è nessuna fotografia chiara», rispose Cross-Wade, «nemmeno da bambino. Non mi chieda perché. Io mi baso solo su un'idea... che il mio uomo viva parte del tempo fuori degli Stati Uniti. Vede, a Scotland Yard questo è un problema normale perché ci sono molti paesi nel Commonwealth. Ho pensato che se l'Ufficio Passaporti potesse stare all'erta, forse riusciremmo ad arrivare a qualcosa.» Ci fu di nuovo una pausa. «Grazie.» La conversazione terminò. Fra i colpi tirati alla cieca, quello era il più cieco di tutti. L'Ufficio Passaporti del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti non era certo un ufficio di investigazioni criminali, ma bisognava tentare ogni strada. Cross-Wade sapeva che migliaia di tentativi in un periodo di mesi o di anni finivano probabilmente per portare a qualche indizio utile. Ma lui non aveva mesi o anni, e nemmeno settimane. Aveva solo giorni. E un altro giorno era passato. Un altro giorno senza progressi. Controllò la data sul suo calendario. Nove giorni all'assassinio. Sulla sua scrivania c'era una pila di promemoria. Come al solito Wade sfogliò i rapporti sulle persone scomparse, non per cercare il suo schizofrenico del calendario, ma per cercare la sua vittima... una donna con i capelli biondo rame data per scomparsa, adescata dal suo potenziale assassino. Aveva controllato un piccolo numero di donne con i capelli biondo rame scomparse, ma senza risultato. La maggior parte erano ricomparse, oppure si erano fatte vive per posta, o erano state trovate morte lontano da casa vittime dell'alcol o della droga. Scorse i rapporti con rapidità, ma con attenzione, perché credeva ostinatamente nei particolari. Erano appena passate le tre di una soleggiata e insolitamente calda giornata autunnale con i caloriferi del comando che andavano troppo forte. Cross-Wade sentiva il sudore che gli imperlava la fronte e la crescente umidità del colletto floscio. E poi... Era quasi passato oltre. Si trattava di un promemoria scritto impeccabilmente dal sergente Yang, che egli conosceva e rispettava. Oggetto: una certa Samantha Shaw. Non fu la descrizione fisica di Samantha che colpì
Cross-Wade. In effetti il colore dei suoi capelli non era nemmeno citato. Si trattava di qualcos'altro, qualcosa di molto più interessante. Prese il telefono e si mise in comunicazione con Yang. «Yang, parla Cross-Wade.» «Sì, signore», rispose Yang con un tono asciutto e militaresco. Aveva un sacro rispetto per quella leggenda vivente. «Yang, ragazzo mio», chiese la leggenda, «ricorda una certa Samantha Shaw?» «Se la ricordo?» rispose Yang. «Uno dei miei casi più difficili, signore.» «Ah, dunque ce l'ha presente. Una domanda: la donna ha aggiunto altro a proposito di questo riferimento al cinque dicembre?» «No, signore. Solo quello che c'è nel rapporto.» «Ah. Mi dica, Yang, ricorda il colore dei suoi capelli?» Yang ci pensò su per un momento. «Eh, no, Mr. Cross-Wade. Portava una specie di colbacco. In genere ci interessa di più la descrizione della persona scomparsa.» «È giusto», commentò Cross-Wade. «Quella signora aveva la sensazione di essere in pericolo?» «No, non proprio. Era solo preoccupata per il passato del marito.» «Già. Un ottimo rapporto. Ascolti, sto lavorando su un caso in cui questa data ha una sua importanza. Potrei fare qualche domanda a quella signora?» «Certo», disse Yang. «Ma potrei chiederle di andarci piano, signore? Quella donna sta soffrendo molto.» «Gentilezza è il mio secondo nome», rispose Cross-Wade. Riappese e si attaccò al citofono. «Mi mandi Loggins, per favore!» Qualche minuto dopo entrò Arthur Loggins. «Mi ha chiamato, signore?» «Sì. Prendi una sedia, Arthur. Alla svelta.» Loggins notò lo scintillio nello sguardo di Cross-Wade. Era successo qualcosa. Loggins valutò quello scintillio... era a metà fra «fatto importante» e «probabilmente significativo». Valutare gli scintillii era una specialità di Loggins. Nella squadra omicidi si impara a immaginare la storia dietro un'espressione. «Qualcosa di nuovo, signore?» chiese Loggins, già conoscendo la risposta. «Forse, Arthur, e forse qualcosa di importante.» Di nuovo centro, pensò Loggins, con un certo orgoglio. «Un dispaccio dell'Ufficio Persone Scomparse», continuò Cross-Wade.
«Eh?» «Una donna si è rivolta a loro diversi giorni fa con una strana storia. Stava organizzando una festa per il marito... quarantesimo compleanno, le solite cose. Voleva trovare i suoi vecchi amici e insegnanti.» «Un pensiero affettuoso, signore.» «Ma non c'è riuscita. Per il semplice fatto che il passato di quel signore non esisteva. Nessuna delle cose che egli le aveva raccontato trovava conferma.» «Interessante, signore. Ma...» «Che cosa c'entra con noi?» «Sì, signore.» «Il compleanno del marito cade il cinque dicembre.» «Caspita, signore.» «Già... caspita. Sappiamo che il compleanno del nostro assassino è il cinque dicembre.» «Potrebbe essere una coincidenza, signore.» «Questo lo so, Arthur. E probabilmente lo è. Ma è l'unico filo conduttore che io abbia... un uomo con il compleanno giusto, con un passato non controllabile, più o meno dell'età giusta.» «C'è una descrizione fisica, signore?» «Sì. È un uomo robusto. In linea generale, coincide con le descrizioni che abbiamo. Ma lo stesso si potrebbe dire di molti altri uomini.» «E a proposito di questo signore c'è niente che riguardi capigliature biondo rame?» «Ancora non lo so. Ascolta, Arthur, fammi un favore: va' a trovare questa signora, questa Mrs. Shaw, e falle le solite domande.» «Lo farò, signore.» «Oggi stesso, Arthur.» Loggins uscì e Cross-Wade rimase di nuovo solo con i suoi pensieri. Il nuovo filo era così sottile, la traccia così vaga, eppure egli provava una certa eccitazione. Era consapevole del pericolo di illudersi, di convincersi di avere in mano qualcosa, solo per avere la soddisfazione di agire. Istintivamente, si preparò alla delusione. Una volta aveva calcolato che nella maggior parte delle indagini solo una traccia su ventidue finiva per risultare importante. Quello che desiderava non contava, lui non si aspettava molto da Samantha Shaw. Loggins prese la metropolitana diretto alla Settantaduesima Strada e a
Central Park West, fermandosi in una stazione di coincidenza per comperare una copia del New York Post e un pacchetto di bubble gum Bazooka, di cui era un moderato consumatore. Il titolo di testa del Post, NE UCCIDE DUE, NE VIOLENTA UNA, era tipico di quel giornale. Loggins passò alle pagine sportive. Conosceva il quartiere di Samantha. Aveva lavorato nella squadra omicidi del Ventesimo Distretto dieci anni prima, quando la zona non era così cara e gli abitanti erano un po' più giovani. Ci mancava da tre anni e rimase stupito per i cambiamenti. Un sacco di braccialetti d'oro, bambini con le governanti, boutique dappertutto, gente che girava con lo sguardo vacuo di chi ha paura di perdere il suo primo milione. In quella parte del West Side una volta c'erano artisti, pensionati, giovani, e semplici bulletti che ciondolavano per il parco. Adesso il denaro traboccava dappertutto, e Loggins si sentiva un po' a disagio. Aveva telefonato prima per essere sicuro che Samantha fosse in casa e Marty non ci fosse, e il portinaio lo indirizzò al piano di Samantha. Suonò il campanello. Proprio in quel momento Lynne Gould uscì sul pianerottolo diretta all'ascensore. Sul viso rotondo e mite di Loggins apparve un sorriso e Lynne rispose con un cenno del capo goffo e incuriosito. Doveva essere un piazzista o un tecnico o qualcuno che vendeva qualcosa per la festa, pensò Lynne, mentre gli passava accanto e prendeva l'ascensore per scendere. «Chi è?» chiese meccanicamente Samantha, sebbene lo sapesse già. «Detective Loggins, signora.» Tirò fuori la tessera, pronto a mostrarla. Vide aprirsi lo spioncino e apparire un occhio che lo studiò attentamente. Poi, una catena che scorreva e lo scatto di una serratura. La porta fu appena socchiusa. Loggins passò la tessera attraverso l'apertura. La porta venne aperta un po' di più. E allora Arthur Loggins vide. «Gesù Cristo.» «Cosa?» chiese Samantha. Loggins riacquistò subito un contegno ufficiale. «Oh, mi scusi, signora. Stavo pensando a una cosa. Posso entrare, signora?» «Sì, prego.» Loggins entrò, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dai lunghi capelli biondo rame di Samantha. Entrò con passo incerto, rendendosi conto che qualsiasi domanda potesse fare sarebbe stata probabilmente inutile. I capelli biondo rame... questo era il nocciolo, la pizza completa, come amava dire. Cambiava tutto, rendeva possibile tutto, creava un legame dove prima non ce n'era stato alcuno.
«Prego, si sieda», disse Samantha. «Grazie, Mrs. Shaw.» «Vuole del caffè?» «No, grazie, signora. Ho appena preso qualcosa.» Loggins si guardò intorno. La casa che gli era stata assegnata si trovava a Staten Island e non era in una zona così attraente. Guardò nella stanza da pranzo. Sul tavolo c'erano dei pezzettini di carta sistemati in modo da formare delle brevi file. Samantha si accorse che quei foglietti attiravano la sua attenzione. «Sto organizzando una festa», spiegò. «Quella è una eventuale sistemazione dei posti. Il sergente Yang glielo avrà detto.» «Ho letto il rapporto, signora», disse Loggins. «Mi spiace molto di doverle sottoporre dei quesiti.» «Non è lei a farlo», lo rassicurò Samantha. «È lui.» E accennò con un gesto a un ritratto di Marty su un tavolino di vetro. Samantha era molto composta; emotivamente si era ripresa dalla prova che aveva subito con Yang e si era immersa di nuovo nei preparativi per la festa, continuando a gingillarsi — nella mente spossata — con la solita fantasticheria che tutto si sarebbe risolto felicemente. «Signora, sono venuto per chiarire alcune cose», disse Loggins. «Ma... ecco, mi chiedo se potrei fare una telefonata. Riservata, signora.» Samantha era sconcertata. Loggins continuava a guardare i suoi capelli. «Riguardo a me?» chiese. «Questioni d'ufficio, Mrs. Shaw.» «Sì, certo», acconsentì Samantha. «C'è un telefono in cucina. Io vado in camera da letto.» «Mi dispiace di disturbarla.» «Non si preoccupi.» Che cosa poteva fare Samantha? Quell'uomo voleva telefonare e non si può dire di no a un poliziotto. Ne aveva paura. Anche dopo aver sperimentato la cordialità del sergente Yang, non riusciva a superare quella sua paura della polizia. Si affrettò verso la camera da letto e si chiuse la porta alle spalle. Loggins andò in cucina. Non riusciva a ricordare il numero diretto di Cross-Wade e dovette cercarlo nella sua rubrichetta fitta di numeri e con le orecchie agli angoli delle pagine. Poi formò in fretta il numero. Rispose Cross-Wade in persona. «Parla Mr. Cross-Wade.» «Loggins, signore.»
«Sì, Arthur?» «Signore, non ci crederà.» «A che cosa non crederò?» «La signora dalla quale sono venuto... ha capelli biondo rame lunghi.» Ci fu un silenzio sulla linea. Cross-Wade si raddrizzò sulla poltrona come se avesse ricevuto una rivelazione divina: una donna con i capelli biondo rame sposata a un uomo senza un passato, e il cui compleanno cadeva il cinque dicembre. «Arthur, forse siamo sulla strada giusta. Aspettami lì. Voglio trattare la cosa personalmente... ti raggiungo il più presto possibile.» «È quello che avevo sperato, signore.» Riappesero. Cross-Wade cercava di controllare le sue emozioni mentre su un macchina della squadra si affrettava verso Central Park West. I suoi capelli erano biondo rame o rossi? Loggins avrebbe potuto prendere un abbaglio. Sono due tinte simili e gli uomini non sanno distinguere tanto bene le sfumature nel colore dei capelli. Eppoi, significava davvero qualcosa? Il colore poteva essere niente altro che una coincidenza... notevole, è vero, ma pur sempre una coincidenza. Ci sono donne con i capelli biondo rame e una certa percentuale di loro, forse una su qualche migliaio, poteva avere dei mariti nati il cinque dicembre. E forse tutta la storia di quell'uomo che non aveva un passato significava solo l'inettitudine della moglie a controllare le cose. Forse quella donna era trasandata e sconsiderata, una le cui indagini sul passato del marito erano andate a buca a causa degli errori che lei stessa aveva commesso. Tutto era possibile, Cross-Wade lo sapeva, e sarebbe stato assurdo nutrire delle speranze. Arrivò al palazzo e prese l'ascensore. Istintivamente, esaminò con un colpo d'occhio il pianerottolo fuori dell'appartamento di Samantha. C'era un'ombrelliera con dentro un ombrello nero. Nei rapporti c'era qualche accenno a ombrelli usati dallo schizofrenico del calendario? Gli pareva di no, ma prese nota mentalmente di controllare. Non c'era altro di interessante. Suonò il campanello. Samantha, che era stata avvertita dal portinaio e che aveva in casa la protezione di Loggins, aprì direttamente la porta. Guardò in faccia CrossWade, che era alto quanto lei. In un certo senso rimase delusa. Si era aspettata che il superiore di Loggins fosse alto, dall'aria inflessibile, una specie di personaggio da film. Ma l'unica cosa che si adattava a quell'immagine era l'impermeabile. «Cross-Wade», disse lui. Come Loggins, guardò i capelli di Samantha.
Erano biondo rame. «Entri», lo invitò Samantha. Passarono nel soggiorno, dove trovarono Loggins. «So che può apparirle insolito il fatto che io mi precipiti qui, Mrs. Shaw», spiegò Cross-Wade, mentre si toglieva il soprabito e lo posava su una sedia, «e mi scuso per il disturbo. Ma Mr. Loggins mi ha comunicato una faccenda molto importante e io volevo parlarle di persona.» Loggins aveva detto ben poco, non volendo anticipare il capo, e quindi Samantha non aveva la minima idea di ciò di cui stava parlando CrossWade. «La ringrazio per essere venuto», disse, sentendo che era l'unica cosa che potesse dire. Cross-Wade sedette. Samantha fece altrettanto e di colpo entrambi sentirono crescere la tensione. C'era qualcosa di non detto fra loro, ed entrambi avevano paura di sperare, ma avevano anche paura di non farlo. «Mrs. Shaw», esordì Cross-Wade, «Mr. Loggins le ha detto qualcosa riguardo a quello che ci interessa?» «Solo che ha avuto il mio nome dal sergente Yang. Dopo che le ha telefonato ha ripassato con me il rapporto del sergente, controllando i fatti. Mi ha detto che voleva aspettare lei.» «E lei ha avuto la sensazione che fosse successo qualcosa di importante.» «Mi ha detto che c'era qualcosa di nuovo. Io... io questo non lo capisco proprio.» «Mrs. Shaw», disse Cross-Wade, guardando Samantha con aria torva, «noi abbiamo un problema che può avere qualcosa a che fare con la sua situazione.» Samantha sospirò. Non avrebbe voluto sollevare la questione prematuramente, ma doveva farlo. «Mr. Loggins mi ha detto che siete della omicidi», disse. «È esatto.» «E questo che cosa ha a che vedere con il resto?» «Sarò lieto di spiegarglielo, signora. Ma devo avvertirla... è una storia che potrebbe turbarla. Deve essere preparata.» «Sono pronta», rispose Samantha, quasi con un filo di voce. «Dopo le ultime settimane, sono pronta a tutto.» Cross-Wade cercò le parole con cura. Voleva essere il più gentile possibile, ma anche preciso. «Signora», le chiese, «ha mai sentito parlare di un certo Bleuler?»
«No.» «È stato uno dei primi sperimentatori in psichiatria. Un tipo brillante. Gliene parlo perché ha individuato un certo numero di categorie di quella malattia mentale conosciuta come schizofrenia. Le è familiare il termine?» «Naturalmente l'ho già sentito», rispose Samantha. «Una volta ho seguito un corso di psicologia, ma non posso dire di saperne molto.» «Nemmeno io. Ma c'è una sottocategoria nota come schizofrenia da anniversario. Di questa probabilmente non ha mai sentito parlare.» «Temo di no.» «È rara. Si ha quando una persona soffre di disturbi mentali in un particolare giorno. Di solito ha a che vedere con qualcosa accaduto in quel giorno nel passato della persona in questione.» «Capisco», disse Samantha. «Un po' come sentirsi tristi nell'anniversario della morte di qualcuno.» «Precisamente. Ma a volte si va oltre la tristezza. Queste persone possono fare cose strane.» «Per esempio?» «Alcune possono uccidere.» Samantha non reagì. L'idea stessa dell'assassinio era estranea alla sua forma mentale. La malattia la capiva. Forse anche il tradimento o l'inganno. Ma l'assassinio? Una cosa del genere accadeva in altre famiglie, in altri mondi. «Che altro possono fare?» chiese. «Perché non ci limitiamo all'omicidio?» rispose Cross-Wade, e vide lo spavento negli occhi di Samantha. Non era la risposta che lei avrebbe voluto. «Capisco che possa far paura», le disse. «Per dirla con un eufemismo.» «Be', non si può sfuggire alla verità. È questo ciò di cui stiamo parlando. Gli psicologi della polizia sono convinti che ci sia in giro una persona in queste condizioni. Chiamiamolo per semplicità uno schizofrenico da calendario. I suoi delitti avvengono in un determinato giorno dell'anno. E quel giorno, Mrs. Shaw, è il cinque dicembre.» «Marty!» esclamò Samantha. Sentì che il sangue le scorreva via dalla testa. Per un attimo, le sembrò di perdere conoscenza. Coraggio, si disse. Fatti forza! Si riprese. Sarebbe stata più forte di quanto essi avrebbero immaginato. «È il compleanno di mio marito», disse, cercando di controllare il tremito della voce. «Penso che voi lo sappiate. Era nel rapporto del sergente
Yang.» «È questo che ha attirato la nostra attenzione», rispose Cross-Wade con un tono di voce dolce e confortante. «Questo e il suo... passato insolito. E adesso anche un'altra cosa.» «Che cosa?» «Mrs. Shaw, l'individuo che cerchiamo è un assassino. Le sue vittime sono tutte donne. E tutte hanno lo stesso colore di capelli. Questo colore è il biondo rame.» «Oh, no, no, no», gridò Samantha. «Posso credere quasi a tutto, ma non che il mio Marty... Marty... si prepari a uccidere me. Forse non lo conosco così bene come credevo, ma lo conosco abbastanza bene. No, questo no. Non...» Si fermò. Guardò Cross-Wade, poi Loggins, infine di nuovo CrossWade. Essi avevano già visto cose del genere. E lei lo sapeva. Lo sentiva. Avevano visto le mogli che negano, che rifuggono, che respingono. Avevano visto le madri che dicevano: «Ma il mio Johnny è un bravo ragazzo». Avevano visto tutti quelli che gridano no, per dover poi ammettere che era sempre stato sì. «So come si sente», disse Cross-Wade. «Anche io mi sentirei così.» Vide l'espressione di rifiuto scomparire dal volto di Samantha, per cedere il posto a un coraggioso tentativo di rimanere calma. «Mi racconti tutta la storia», pregò Samantha. «D'accordo. È meglio che lei sappia, che lei capisca.» Cross-Wade si alzò lentamente e si avvicinò al lato del divano dove era seduta Samantha. Si sedette accanto a lei, cercando di dimostrare la sua preoccupazione, i suoi sentimenti. «Ci sono stati sei di questi omicidi», le rivelò, «uno in ognuno degli ultimi sei anni. Tutti sono stati commessi con un oggetto contundente e una catena.» Samantha trasalì. «Posso chiederle se suo marito possieda delle armi?» «No, che io sappia.» «Possiede una catena da bicicletta?» «No. Non ha nemmeno una bicicletta.» «Andiamo avanti. Questi omicidi sono avvenuti nel Nord America, gli ultimi tre a o vicino a New York. Noi ci aspettiamo che un'altra donna muoia la notte del cinque dicembre.» «È la sera della festa di Marty», disse Samantha. «Ha insistito su quella data.»
«Insistito?» «Sì. Anche se cadeva durante la settimana.» Cross-Wade pensò che era strano. Tutti i delitti erano avvenuti quella sera. Perché Marty, se era lui l'assassino, avrebbe voluto occupare quella sera con una festa? Naturalmente, rifletté Cross-Wade, avrebbe potuto cambiare tattica e progettare l'assassinio per il giorno. Ma se la vittima era Samantha, certamente non l'avrebbe uccisa durante il giorno, per avere poi la sera una festa in casa senza di lei. Cominciavano a spuntare delle contraddizioni, ma Cross-Wade tirò dritto. «Arrivai alla conclusione che la data del cinque dicembre doveva avere un significato speciale», disse, «e così feci fare dai miei uomini un controllo sui casi degli anni passati. E trovammo quello che stavamo cercando.» «Marty?» Samantha era sull'orlo della disperazione. Cross-Wade alzò una mano per calmarla. «Mi lasci finire», insisté con gentilezza, e lei si lasciò andare sul divano. «Sembra», continuò Cross-Wade, «che il 5 dicembre 1952 alla periferia di Omaha ci sia stato un omicidio. La vittima era un operaio disoccupato. Aveva comperato al figlio maggiore un impianto di trenini elettrici...» Samantha rimase senza fiato. «Che cosa c'è?» «I treni.» «Che intende dire, signora?» «Marty ha comprato dei treni.» «Che treni?» «Pochi giorni fa ha portato a casa dei trenini elettrici. Li ha montati sul tappeto. Lo ha macchiato. Là, può vedere la macchia.» Indicò una macchia di grasso sul tappeto. «Ha detto perché voleva i treni?» chiese Cross-Wade. «Solo che li aveva sempre desiderati. Che era un bellissimo hobby. Cose del genere. Li ha fatti andare, ha lasciato che li facessi marciare anch'io, poi li ha riposti.» «Dopo me li faccia vedere», disse Cross-Wade, «ma ora continuiamo con i precedenti.» «Prego.» Samantha adesso respirava a fatica, e quella informazione sui trenini mise anche Cross-Wade in uno stato di eccitazione. Ancora una volta dovette farsi forza. Le coincidenze, rammentò a se stesso, erano la maledizione dei casi criminali. Non cadere nella trappola. Non essere trop-
po sicuro. «Questo disoccupato tornò a casa con i trenini e li diede al ragazzo», continuò Cross-Wade. «La moglie si arrabbiò per quel regalo. Date le difficoltà economiche in cui si trovavano non capiva perché si dovessero spendere dei soldi per comperare dei trenini elettrici. Litigarono. Il litigio diventò violento. La moglie prese un martello e colpì il marito sulla testa. L'uomo cadde, ma era ancora vivo. Allora lei lo strangolò con la catena della bicicletta del figlio più piccolo.» «Mio Dio», mormorò Samantha. «Il figlio maggiore assisté a tutta la scena», aggiunse Cross-Wade. «Che cosa accadde di quei ragazzi?» chiese Samantha. «Furono separati e affidati a parenti. La madre andò in carcere dove morì qualche anno più tardi. Non siamo riusciti a rintracciare nemmeno un componente della famiglia. Sono svaniti nel nulla. E non si sa dove siano vissuti i ragazzi.» «Come si chiamavano?» «Nelson. Il ragazzo più grande si chiamava Frankie Nelson. Naturalmente, adesso potrebbe avere un nome diverso.» «Ma questo come...?» «Ci sto arrivando. La madre aveva capelli biondo rame come i suoi.» Samantha rabbrividì a quelle parole. «Noi crediamo», continuò CrossWade, «che il figlio maggiore sia lo schizofrenico da calendario, che la data del cinque dicembre inneschi nella sua mente una pazzia incontrollabile. Egli dà la caccia a donne con i capelli biondo rame perché rappresentano sua madre. Nella sua mente, esse diventano sua madre. Per il resto dell'anno probabilmente è del tutto normale. Non sappiamo perché abbia cominciato a uccidere solo sei anni fa, ma i nostri psicologi dicono che in casi simili è possibile qualsiasi cosa.» «E lei crede», disse Samantha con aria cupa, «che Marty sia quest'uomo.» «Non l'ho detto», rispose Cross-Wade. «È solo un'ipotesi che merita di essere vagliata. Avrebbe l'età giusta... anche se non possiamo essere sicuri sull'età di suo marito dato che lui ha alterato tanti dati personali. La data del cinque dicembre è chiaro che significa qualcosa per lui. Lo dimostra la sua insistenza perché la festa avvenga in quel giorno. E lei ha capelli biondo rame.» «Perché non fa dei controlli?» chiese Samantha. «Non capisco bene che cosa vuol dire, signora.»
«Be', ci sono schede mediche e fotografie. Una foto di questo Frankie Nelson potrebbe dirle se Marty gli rassomigli.» «Certo, ma non ci sono fotografie. Gli album di famiglia sono scomparsi. Senza dubbio, li hanno presi i parenti. I medici di allora non ci sono più e nemmeno i loro archivi. Era un piccolo centro dove non badavano molto alle formalità. Qualche prova del processo è rimasta, ma non ci dice nulla. Supponiamo che Frankie Nelson sia cresciuto, abbia lasciato le persone con cui viveva e se ne sia andato per il mondo. L'unica cosa che abbiamo è la foto di un giornale scattata il giorno dei funerali del padre. Si vedono in lontananza Frankie e il fratello minore. Ma è troppo confusa per poter servire a qualcosa. Perciò, come vede, non abbiamo modo di fare un controllo su suo marito riandando al passato.» «Sì, vedo.» «Abbiamo messo insieme le informazioni che abbiamo con il solito lavoro di routine. Quello che ci mancava era un vero sospetto. Adesso ce l'abbiamo perché lei è stata così assennata da rivolgersi alla polizia.» Stranamente, Samantha provò all'improvviso un senso di ribellione. Cross-Wade aveva voluto farle un complimento, ma suscitò in lei solo pensieri dolorosi. Aveva messo nei guai Marty. Be', lui lo meritava... forse. Forse. Comunque era una moglie che aveva tradito il marito. Non riusciva a scrollarsi di dosso il pensiero, la vergogna. Sì, era irrazionale. Sapeva che non avrebbe dovuto pensare in quel modo. Ma se era irrazionale, era anche comprensibile. Era la sua educazione borghese. La famiglia prima di tutto. I panni sporchi si lavano in famiglia. A un tratto sentì di detestare Cross-Wade, di odiare quell'ometto, di disprezzare il messaggero a causa del messaggio. Quel poliziotto era venuto a dirle che avrebbe potuto essere assassinata da suo marito, dall'uomo che ella aspettava, che amava, che rispettava, del quale portava in seno il figlio. Ma chi era costui? Chi era per venire, con quel bestione del suo aiutante, a dirle quelle cose indecenti? Non se ne rese conto, ma l'espressione del suo viso stava diventando ostile e sprezzante. Loggins lo notò. E anche Cross-Wade. «Comprendo la sua reazione», disse piano Cross-Wade, parlando da quel nonno che non sarebbe mai stato. «Sono sicuro che lei ce l'ha con me per quello che ho detto, ma io posso dire solo quello che sappiamo. Questa è soltanto un'indagine. Nessuno è accusato. Era importante che lei conoscesse i precedenti. Adesso la mia maggiore preoccupazione è lei, e la sua sicurezza.»
Aveva detto le cose giuste. Stava per riconquistare la fiducia della donna. «Che cosa dovrei fare?» chiese lei, rendendosi conto di quanto i suoi sentimenti stessero diventando imprevedibili. «Molto poco. La questione è quello che noi dobbiamo fare. Seguiremo suo marito e studieremo i suoi movimenti. Può darsi che da ciò che fa si possa capire che cosa sta progettando, se sta progettando qualcosa. Spero proprio che sia innocente.» In realtà Cross-Wade non lo sperava. Sperava invece con tutto il cuore di aver trovato il suo uomo. Nei suoi sentimenti c'era una schietta preoccupazione per Samantha e visioni abbaglianti di gloria, di una cattura in extremis. Ma egli doveva dire quelle cose. Solo l'esperienza gli insegnava quali parole usare, quali pause fare, quali espressioni assumere. Era tutto difficile, era tutto un'arte. «E», proseguì rivolto a Samantha, «vorrei il permesso di perquisire l'appartamento.» «Perché?» «Innanzi tutto per capire come vive suo marito. Questo potrebbe dirci qualcosa. In secondo luogo, per vedere se c'è qualcosa che ci ricordi la vita del giovane Frankie Nelson a Omaha. In terzo luogo, potremmo trovare qualcosa di cui anche lei ignora l'esistenza.» «Per esempio?» «Per esempio un martello e una catena.» «Faccia pure», disse Samantha. Cross-Wade fece firmare a Samantha una dichiarazione di assenso alla perquisizione, nel caso fosse stato necessario esibirla in seguito in tribunale. Dopo tutto, Samantha avrebbe potuto rivelarsi una testimone ostile, addirittura coinvolta nei delitti, anziché una vittima. Cross-Wade aveva visto troppi voltafaccia del genere. «La prego di accompagnarmi», le chiese. «Potrei aver bisogno di farle delle domande.» Samantha cominciò a guidare Cross-Wade e Loggins nel giro dell'appartamento. Il suo risentimento stava scomparendo. Sapeva che poteva essere in gioco la sua stessa vita. «I treni», le suggerì Cross-Wade. Samantha condusse gli investigatori in uno sgabuzzino dove Marty aveva riposto i trenini elettrici. Cross-Wade li esaminò, prendendo in mano quasi ogni pezzo e studiando i particolari. «Notevole», disse alla fine, voltandosi verso Loggins. «Arthur, che cosa ne dici?»
Loggins esaminò i treni. «Vecchi Lionel», rispose. «Fabbricati dalla ditta originale. Questa roba risale agli Anni Cinquanta.» «Marty le ha detto perché ha comprato dei vecchi treni?» chiese CrossWade a Samantha. «Mi ha detto di preferire i vecchi modelli. Dice che i vecchi prodotti della Lionel sono magnifici.» «Ha ragione», assentì Loggins. «Arthur», chiese Cross-Wade, «c'è niente sui treni che provocarono il litigio fatale in casa Nelson?» «No, signore. Ricordo di aver letto qualcosa in proposito. Sequestrarono i treni come reperto per il processo, poi li riconsegnarono a Frankie. Ma non c'era una descrizione.» «E ricevute dell'acquisto?» «Non ne è venuta fuori nessuna. C'era un'annotazione secondo la quale il negozio dove erano stati acquistati chiuse qualche anno più tardi.» «Maledizione», disse piano Cross-Wade. Il tempo aveva cancellato anche questo. Avrebbe potuto confrontare i treni di Marty con quelli di Frankie Nelson, ma la mancanza di una documentazione rendeva la cosa impossibile. Poi fu colto da un'idea. «Mrs. Shaw, è sicura che suo marito li abbia comprati da poco?» «Certo. Qui non c'erano.» «No, mi ha frainteso. Lo so che qui non c'erano. Ma è sicura che lui non li avesse?» «Be'...» «Avrebbe potuto tenerli in ufficio o da qualche altra parte.» «Che cosa ha in mente?» «Questi potrebbero essere proprio i treni che Frank Nelson aveva da bambino, proprio i treni che causarono la morte di suo padre.» Samantha fece un passo indietro, come se i treni fossero contaminati. «Perché avrebbe portato a casa questa roba?» chiese. «Non lo so», ammise Cross-Wade. Tornò a voltarsi verso Loggins. «Arthur, non dovrebbero esserci tanti negozi di trenini usati a New York. Fa' un elenco di questi pezzi e vedi se qualcuno li ha comperati di recente.» «Sì, signore», rispose Loggins. Cross-Wade entrò nella camera da letto. Rimase sorpreso dalla bizzarra sistemazione dei mobili, specialmente dalla testiera del letto contro il radiatore e dall'armadio che bloccava una finestra. I suoi occhi notarono la vistosa cornice. «Interessante», commentò.
«So quello che sta pensando», disse Samantha. «È orribile.» «È una questione di gusti, signora.» «Questo è il gusto di Marty.» «Prego?» «Ha voluto risistemare la stanza in questo modo. Poco tempo fa.» «Quando?» «Oh, un paio di settimane fa, mi pare.» «E perché?» «Disse che voleva fare una prova, che l'aveva visto in una rivista di architettura.» «Forse stava scherzando.» «Non aveva l'aria di essere uno scherzo, non più dei treni.» «Ma con tutte le possibili sistemazioni della stanza perché proprio questa, signora?» «Non lo so», sospirò Samantha. «Ha fatto niente altro di insolito?» «Nulla che mi venga in mente, voglio dire nulla di così evidente.» «Quella è la sua scrivania?» chiese Cross-Wade. «Sì.» «Posso esaminarla?» Samantha fece un gesto di assenso. Cross-Wade frugò nella scrivania e trovò solo un pacco di normali carte di ufficio. «Qui non c'è niente», disse, «ma non mi aspettavo di trovare qualcosa di insolito. Nessuno lascia degli indizi in una scrivania in casa.» Visitò il resto dell'appartamento. «Solo i treni forniscono un motivo di sospetto», dichiarò alla fine. «Ma naturalmente non c'è nulla di decisivo.» «Non lo pensavo nemmeno io», disse Samantha. «Quello che abbiamo qui è solo un insieme di circostanze», continuò Cross-Wade. «Sono necessarie altre indagini.» Ancora una volta Samantha non otteneva risposte precise. Il tormento del dubbio, del sospetto, continuava. Cross-Wade si preparò ad andarsene. Ma prima doveva dare a Samantha qualche consiglio ben preciso. «Signora», disse, «devo chiederle la sua collaborazione.» «Certo.» «La prego di ascoltarmi attentamente. Non modifichi in nulla i suoi programmi. Ciò potrebbe indurre Mr. Shaw a sentirsi spiato. Cerchi di mostrarsi allegra. Parli del viaggio che avete progettato. A proposito, ha detto
a qualcuno di essere venuta da noi?» «No.» «Bene. Naturalmente, i portinai di sotto hanno capito. Prima di andarmene li istruirò a dovere. Abbiamo i nostri sistemi per indurre la gente a collaborare. Suo marito non deve scoprire che siamo stati qui. Ora, il cinque dicembre...» «Mio Dio, è così vicino», gemette Samantha. «Sì, poco più di una settimana. Metteremo degli uomini nell'edificio quel giorno e quella sera per garantire la sua sicurezza. Qui ci saranno dei microfoni. Ci sono appartamenti vuoti su questo piano?» «No, ma in fondo al corridoio c'è un inquilino che sta via per un mese.» «È quello che ci serve. Ci metteremo in contatto con l'amministrazione del palazzo. Saremo in grado di sentire tutto ciò che vi direte, lei e suo marito. Se succede qualcosa di insolito potremo intervenire in pochi secondi.» Poi Cross-Wade fece una cosa che nessun altro investigatore della polizia di New York faceva o avrebbe fatto. Prese la mano di Samantha e la baciò. «Lei è una signora», disse. «Mi duole che ciò debba accadere a lei.» «Grazie», rispose Samantha. «Grazie tante.» Era sinceramente toccata. «Ci aiuti affinché noi si possa aiutarla», concluse Cross-Wade. Era la sua frase conclusiva, detta con assoluto tempismo, perfezionata negli anni. E uscì. Con una sola visita al sergente Yang, Samantha Shaw era finita al centro di una intensa, massiccia indagine poliziesca. Un errore avrebbe potuto distruggere la sua vita. Un successo avrebbe distrutto il suo matrimonio. 12 «È incredibile», disse Samantha. «Non è bello?» «Be'... è carino. Ma che succede, Martin Everett Shaw? Vuoi metterti a fare l'antiquario?» «Ancora?» «Prima i vecchi trenini elettrici, poi questa vecchia televisione. Non mi hai nemmeno detto niente prima. E va bene, d'accordo. Tu hai i tuoi hobbies. Ma io non capisco.» Stavano nel soggiorno, con il vecchio modello Trenta posato sul tappeto, il mobile di legno marrone lucidato di fresco, lo schermo da dieci pollici ingiallito dal tempo, le vecchie valvole ancora visibili sul retro attraverso i
fori di aerazione incrostati di polvere. «È un pezzo da collezionisti», spiegò Marty. «Questo è uno dei primissimi apparecchi messi sul mercato. Praticamente segna l'inizio dell'industria della TV.» «Mi fa tanto piacere.» «Questo era l'apparecchio che zio Milty desiderava tanto.» «Sono commossa», rispose Samantha. In un momento qualsiasi sarebbe scoppiata a ridere per l'imbonimento di Marty, per il suo entusiasmo infantile per un vecchio apparecchio in bianco e nero che magari nemmeno funzionava. Ma quello non era un momento qualsiasi, e il suo primo pensiero fu di parlare di quell'acquisto a Cross-Wade. Come i treni, anche quello era un oggetto degli Anni Cinquanta. «Funziona», la rassicurò Marty. «L'ho provata personalmente.» «Magnifico.» Diceva le sue battute, ma con la mente era lontana. Gesù, pensava, io lo amo e lui forse sta progettando di uccidermi. Uccidermi! «Che cosa pensi di farne?» gli chiese. «Metterlo in bella vista. Costa cinquanta dollari. È un argomento di conversazione. La gente sarà interessata. Vedrai alla festa.» La parola «festa» fu come una scossa elettrica per Samantha, che improvvisamente sentì una vampata di paura. Paura di lui? Di Marty? Sì, aveva paura di lui, e non se ne era resa conto fino a quel momento. Quella cocente realtà urtava contro la barriera emotiva che ancora esisteva dentro di lei. Non avrebbe mai immaginato che sarebbe giunto un momento simile. Paura di Marty. Paura di una data sul calendario. Aveva paura, sì, ma ancora non accettava l'idea che tutto quell'entusiasmo per un vecchio apparecchio TV potesse in qualche modo andare d'accordo con ciò che CrossWade sospettava. «Mi piace», disse alla fine, sperando con questo di chiudere la discussione. «È ... insolito. Mettilo dove vuoi.» Marty sorrise. Falsa, come sempre. Quella sera fecero l'amore, e dal punto di vista fisico nulla era cambiato. Ma per Samantha non c'era più né emozione né calore. E d'un tratto sentì Marty come una creatura strisciante, ansimante, un intruso che si gettava su di lei come un animale voglioso. Le rivelazioni di Cross-Wade non la abbandonavano neppure in un momento di intimità. «Mi sembra incredibile quello che sto facendo», pensò lei, mentre continuava a recitare, il che
era esattamente quello che Cross-Wade avrebbe voluto che facesse. La mattina dopo Samantha telefonò a Cross-Wade per informarlo del televisore. Dopo poco Cross-Wade la richiamò per dirle che un modello Trenta RCA era stato trovato nella casa dei Nelson dopo il delitto. Un altro anello. Un altro colpo per Samantha. Ma anche un altro ammonimento da parte di Cross-Wade: il modello Trenta era molto diffuso a quel tempo. Lo avevano milioni di famiglie. Forse era una coincidenza. Alcuni casi presentavano molte coincidenze. Cross-Wade riferì inoltre a Samantha che Loggins aveva controllato i negozi di New York che vendevano trenini usati. In effetti Marty aveva comprato quei treni di recente. «Il commesso se ne ricordava», disse Cross-Wade. «Lo ha descritto esattamente. Ma, torno a ripeterlo, dobbiamo essere prudenti prima di tirare delle conclusioni.» Cross-Wade disse a Samantha che stava mostrando le foto di Marty agli amici e ai parenti delle altre vittime dell'assassino del calendario. Samantha sentì come una morsa allo stomaco. Il ritratto di suo marito, quasi fosse quello di un ceffo qualsiasi, sarebbe stato mostrato a gente che viveva nel dolore. Come erano precipitate le cose. Come era disgustoso tutto ciò. Doveva tener presente che quella era solo un'indagine. Doveva cercare di rimanere calma. Ma fino a che punto un essere umano poteva controllarsi? Samantha seguì il consiglio di Cross-Wade e tornò a occuparsi dell'organizzazione della festa. Ma da quel momento in poi capì che sarebbe stata solo una cosa meccanica. Un lavoro. Un compito. Una finta. Cross-Wade aveva scagliato il fulmine. E così lei preparava una festa per l'uomo che amava e che temeva al tempo stesso, e l'ambivalenza di quella situazione la straziava. Le sembrava strano preparare una festa che avrebbe potuto trasformarsi in una notte di terrore. Le pareva che il suo fosse un caso singolare. Senza dubbio nessuna moglie si era mai trovata in una situazione simile, per lo meno nessuna di cui lei avesse letto o sentito. Era ingiusto, terribilmente ingiusto, e pur tuttavia si sentì a un tratto rinfrancata per aver pensato a una parola così blanda come «ingiusto». «Catastrofico» sarebbe stato meglio. Tom Edwards si offrì di dare una mano. Aveva alcuni giorni di vacanza e nessun progetto preciso. Disse a Samantha di essere rimasto turbato dopo il loro pranzo, ma di non essere riuscito a escogitare un modo per aiutarla a scoprire il passato di Marty. Se non altro poteva rendersi utile con la festa.
Samantha gliene fu grata. Tom conosceva meglio di lei le persone che Marty frequentava per motivi di lavoro e fu una mano santa per evitare accostamenti sbagliati nella distribuzione dei posti a tavola. Mentre lui si concentrava su queste strategie, Samantha sceglieva le ultime cose riguardanti il menu e le decorazioni. Era inevitabile, tuttavia, che finissero per parlare del «problema», come Samantha preferiva chiamarlo. «È venuto fuori qualcosa?» chiese Tom con delicatezza, in quel suo modo di fare ingenuo che inteneriva tanto Samantha. «Niente», rispose lei. «Sto nascondendo tutto sotto il tappeto.» «Decisione saggia.» «Sapevo che lo avresti detto.» «Be', Sam, è come ti ho detto. O dimentichi o lo affronti. Non lo hai affrontato, vero?» «No.» «Ne ero convinto. Sono contento che tu non lo abbia fatto. Il vostro è un matrimonio magnifico. Non rovinarlo. Il passato di un uomo appartiene a lui. Inventati qualcosa. Immagina che sia stato una spia che abbia salvato il suo paese. E potrebbe anche essere vero.» «Ci ho già pensato, credimi. Pensi che un gelato di crema e cioccolato sia abbastanza come dessert?» Tom rifletté un momento, alzando gli occhi dal mucchietto di segnaposti che stava sistemando. «Sì, va bene, ma solo se il cioccolato è abbondante. Lo sai, divorano tutto. Però faresti bene ad avere un'alternativa. Se è una sera fredda e umida nessuno vorrà il gelato.» «Mousse di cioccolato?» «Esagerato, mia cara Samantha.» «Già, esagerato. Hai ragione. Troppo ricercato.» Samantha cancellò la mousse. «Ehi, ho bisogno di un elenco di pezzi per la mia orchestrina... sai, quei tre suonatori.» «Motivi di spettacoli. Vanno sempre bene», disse Tom. «E poi sono quelli che piacciono a Marty. Lascia perdere il rock, e, per l'amor di Dio, niente country. Motivi di spettacoli. Se vuoi puoi infilarci qualcosa dei Beatles. Qualche settimana fa sono andato a una grossa festa dove suonavano davvero la musica giusta. Ti farò avere l'elenco dei pezzi.» «Sul serio?» «Certo.» «Sei un tesoro. E hai tanto buon gusto.» Samantha aveva ragione. Tom, più gentile e più sensibile di Marty, ave-
va un gusto squisito praticamente per quaisiasi cosa. E non aveva mai bisogno di assoldare qualcuno per aiutarlo... né per il suo appartamento né per la sua casetta nel Connecticut. Alcuni lo definivano «artista», ma «sensibile» era forse la parola più giusta. Il fatto che non avesse moglie dava alla parola «sensibile» un significato sfumato, e persino un'amica intima come Samantha non avrebbe saputo dire quali fossero le sue inclinazioni. Sembrava «a posto», ma non parlava mai di donne, e quando lei gli aveva chiesto se non avesse considerato l'eventualità di sposarsi aveva sempre cambiato discorso. In un certo senso, Samantha si sentiva attratta da lui tanto più da quando il suo matrimonio con Marty aveva preso una piega così bizzarra. Ma lei non aveva la minima intenzione di far qualcosa in merito e così le sue inclinazioni non erano un problema assillante. «Quando avete intenzione di fare quel viaggio nel Midwest, tu e Marty?» chiese Tom. «Non abbiamo fissato una data», rispose lei. «Pensi che sia una buona idea?» «Certo. Un'idea splendida. Potrebbe sistemare le cose. Marty potrebbe rivelarti qualche suo segreto.» «Lo credi davvero?» «È un'ipotesi.» Samantha sentì il bisogno di parlargli del bambino. Dopo tutto lo aveva detto al Dipartimento di Polizia di New York. Perché non doveva dirlo a Tom? Ma, nonostante tutto quello che era successo, aveva ancora in mente di fare l'annuncio alla festa, e non riuscì a decidersi di dirlo a Tom prima che a Marty. A una cosa, però, non seppe resistere, a un piccolo gentile sondaggio, a un altro sottile tentativo di scoprire qualcosa del passato di Marty. «Tom», chiese dopo un lungo silenzio, «sei rimasto sorpreso quando Marty mi ha sposato?» La domanda parve innervosire Tom. «Perché me lo chiedi?» «È solo una curiosità.» Tom scrollò le spalle. «Non ricordo. È certo, però, che non sono svenuto. Voglio dire, che Marty mi parlò di te in termini abbastanza favorevoli.» «Sì, posso immaginarlo.» «E poi lui voleva sistemarsi. Gli piacciono i bambini, lo sai.» «Sì, lo so.» Non parlare del piccolo, continuava a ripetersi Samantha. Non farlo. «Perciò, no, non credo di essere rimasto sorpreso. E tu sei rimasta sor-
presa quando te lo ha chiesto?» «L'avevo sentito arrivare.» «Già. Le donne lo sentono sempre.» «Tom, è felice?» Tom si voltò a guardare Samantha con una curiosa espressione sul viso. «Ehi», disse, «pensavo che avessimo messo a nanna tutte le angosce.» «Questa non è angoscia, Tom. È solo una domanda. Ogni moglie vuole saperlo.» «E lui non te lo dice?» «Certo. Ma può darsi che abbia una preoccupazione, un cruccio di cui parla con te. Capiscimi, non voglio sondarti...» «Sam, questo Marty Shaw è un uomo felice. E con questa festa tu lo farai ancora più felice. Non parla d'altro. Me la sta facendo uscire dagli occhi. E piantiamola con tutto il resto, vuoi?» Scoppiò a ridere. Anche lei si mise a ridere. Non parlarono più di angosce. «Conosce quest'uomo?» chiese Cross-Wade, mentre uno stufato di manzo cuoceva in un tegame a non più di due metri di distanza. Alice Carrione scoppiò in lacrime, distolse lo sguardo e si limitò a gemere: «Maryanne». Cross-Wade attese. Mai far fretta. Non in casi del genere. Mettiti nei suoi panni. Una madre. Felice. Un tipo tutto famiglia. E poi una sera arriva un poliziotto a comunicare che la figlia dai capelli biondo rame, l'unica figlia, è stata trovata morta in un terreno abbandonato a Queens. Il dolore non muore mai. Anzi peggiora con il passare dei mesi. Ogni accenno al delitto porta con sé le lacrime. Lasciala tranquilla. Dalle tutto il tempo di cui ha bisogno. «Io la capisco», disse Cross-Wade. «Era una così bella ragazza. Condivido la sua rabbia. Per questo voglio catturare l'animale che lo ha fatto.» Guardò la madre di Maryanne Carrione. Aveva solo cinquantaquattro anni, ma sembrava più vecchia di dieci anni... conseguenza del dolore, di una vita distrutta emotivamente quando la sua piccola era stata distrutta fisicamente. Sentì il vuoto in quella piccola casa popolare di Brooklyn, in un caseggiato dove ognuno si occupava degli altri, e dove i delitti erano rari. Mrs. Carrione si ricompose e guardò la foto di Martin Everett Shaw che Cross-Wade aveva portato con sé. «Glielo chiedo di nuovo», disse, «ricorda quest'uomo? Lo ha mai visto insieme con sua figlia?»
La donna prese la fotografia e la sollevò con mani umide di sudore e tremanti. «C'erano molti signori suoi amici», rispose, «se capisce quello che voglio dire.» «Capisco.» «Uomini molto distinti. Sempre molto distinti.» «Si capisce. Non avrebbe potuto essere altrimenti.» «Di questo non posso essere sicura. Vede, non li portava tutti a casa. A volte li incontrava sul lavoro, specie durante la settimana.» «Ricorda di aver parlato di loro con Maryanne?» «Oh, sicuro. Discorsi fra madre e figlia. Quello che un uomo faceva per vivere. Che prospettive aveva.» «Qualcuno di loro si occupava di pubbliche relazioni?» «Qualcuno, mi pare. Tanti giovanotti se ne occupano.» «Sì. E di treni?» «Treni?» «Ci sono uomini che si occupano di treni come passatempo.» «Questo non lo ricordo.» «Maryanne le ha mai detto che qualcuno dei suoi amici avesse frequentato una scuola di giornalismo? O che fosse nato nell'Indiana?» Mrs. Carrione ci pensò su per un poco, poi si strinse nelle spalle. «La maggior parte di quei giovanotti erano di New York. Vede, noi siamo di origine italiana. Non ci piace allontanarci troppo da casa.» «Ah, l'Italia», replicò Cross-Wade. «Come la capisco.» «Alcuni potevano venire da altri posti. Ma proprio non ricordo.» «Ce n'erano che fossero stati sotto le armi?» «Sicuro. La maggior parte.» «Rammenta dove, signora?» «No.» Poi Mrs. Carrione guardò ancora una volta la foto. «Crede che sia stato quest'uomo a uccidere la mia bambina?» «Non lo sappiamo», rispose Cross-Wade, «Me la lasci guardare ancora.» Cross-Wade sapeva che era inutile. Era normale che un testimone volesse dare una seconda occhiata dopo aver saputo che l'individuo ritratto in una foto era un sospettato. La gente voleva collaborare. Voleva l'onore psicologico di aver mandato un assassino dietro le sbarre. Ma era la prima reazione davanti a una fotografia quella che contava davvero. «È difficile dirlo», ammise finalmente Mrs. Carrione. E Cross-Wade se ne andò.
Aveva un elenco di appuntamenti... altri amici e parenti di vittime. Aveva anche mandato la foto di Marty agli uffici di polizia che avevano investigato sulle vittime dell'assassino del calendario fuori di New York, ma senza alcun risultato. Si chiedeva per quale motivo avesse diramato quelle foto. Sapeva che molti uffici di polizia non avevano voglia di investigare su delitti che non stavano più sulle prime pagine dei giornali. Era avvilente, ma Cross-Wade non poteva farci niente. La cooperazione fra gli uffici di polizia dipendeva interamente dal modo in cui cooperavano i cooperatori. Si fermò davanti a un appartamento di Riverdale, dove abitava il fratello disoccupato di una delle vittime. Si trattava della ragazza il cui cadavere era stato scoperto a poca distanza dalla strada interstatale a Greenwich, Connecticut. Il fratello, Steve Lewis, aveva ventidue anni, era magro e impudente, e ricevette Cross-Wade con una lattina di birra in mano e nulla addosso al di sopra della vita. Non era il tipo di figlio di cui Cross-Wade sarebbe stato orgoglioso, ma il maturo ispettore non fece una piega, non corrugò nemmeno la fronte, mentre entrava nell'appartamento in disordine. Sapeva bene che non bisogna mai mostrare disprezzo per un testimone. Che non bisogna mai renderlo pauroso, ostile o sospettoso. Non c'è bisogno che uno sia un angelo per testimoniare a un processo. Cross-Wade e Lewis sedettero. «Ha mai visto quest'uomo?» chiese Cross-Wade, porgendo la foto di Marty a Lewis, che continuò a bere la sua birra. «Sì», rispose Lewis. «Dove?» «Dove?» ripeté Lewis. «Non lo so. L'ho visto.» «Devo sapere dove», insisté Cross-Wade. Lewis guardò di nuovo la fotografia. «Una birra?» chiese. «No, grazie», rispose Cross-Wade. «Non riesco a inquadrarlo», ammise alla fine Lewis. «Lo ha visto con sua sorella?» «E chi lo sa? Non vedevo molto mia sorella. Capisce quello che voglio dire?» «Penso di sì.» «Lei non... non mi approvava. Capisce quello che voglio dire?» «Continuo a pensare di sì.» «Lei se la faceva con tipi che andavano a scuola e roba del genere.
Quando stavo da mamma a volte la vedevo.» «Portava lì i suoi amici?» «Eh già. Mamma voleva dar loro un'occhiata. Vecchio stile, come lei.» «Sì», disse Cross-Wade. «Già», fece Lewis. Chiuse un occhio per guardare di nuovo la foto e la sua faccia assunse una espressione distorta e strana. «Ma sì», disse di nuovo, «lo conosco. Mia sorella usciva con lui.» «Ne è sicuro?» L'atteggiamento di Cross-Wade rimase calmo e professionale. «Me lo ha chiesto lei, non è così?» «Qual era il suo nome?» «Il nome?» «Sì. Quello con cui chiamiamo le persone.» «Ehm, vediamo un po'. Il nome. Arnie o qualcosa del genere. Ma sì, Arnie.» «Marty?» «Proprio così.» «E il cognome?» «Quello non riesco a ricordarlo.» «Shaw?» «Mi sembra esatto.» E così adesso Cross-Wade aveva un uomo che diceva di ricordare che sua sorella era uscita con Marty Shaw. Fece qualche altra domanda, poi lasciò l'appartamento di Riverdale. Mentre era ancora sul pianerottolo cancellò Steve Lewis dalla lista. Non aveva creduto nemmeno per un attimo a Lewis. Lewis era uno di «quelli». Mostrate loro una foto qualsiasi e riconoscono il soggetto. Dite loro un nome e lo ricordano. Una perdita di tempo. Un inganno. Un ragazzo irresponsabile che avrebbe detto qualsiasi cosa. Cross-Wade lo aveva capito per istinto, perché aveva alle spalle una carriera dedicata a individuare i bugiardi. Un sacco di persone rischiavano di finire in carcere, e alcuni ci finivano, pensò Cross-Wade, a causa di tutti gli Steve Lewis del mondo. Ci volle un'altra giornata a Cross-Wade per interrogare gli amici e i parenti che aveva sulla lista, ma volle farlo personalmente. Aveva bisogno di sentire il «tono» delle loro risposte, di vedere le loro reazioni emotive davanti alla foto di Marty... tutte cose che un rapporto scritto non poteva dargli. Comunque, non venne a capo di nulla. Certo, alcuni dissero che Marty «aveva un aspetto familiare», ma un sacco di gente ha un aspetto familiare.
E certi dissero che il nome «Marty Shaw» non gli giungeva nuovo, ma questo che significava? L'assassino del calendario probabilmente usava nomi falsi. Anzi, e questo Cross-Wade lo sapeva, forse l'assassino non conosceva nemmeno le sue vittime. Poteva essersi limitato a seguirle e ad accalappiarle un cinque dicembre solo per il colore dei capelli fluenti. Era il ventotto novembre. Il giorno del Ringraziamento. Cross-Wade era così preso da quel caso che non se ne era nemmeno accorto. E ancora su Martin Shaw aveva solo sospetti e coincidenze. Era il primo giorno del Ringraziamento che Marty e Samantha passavano insieme, ma poiché Marty non aveva una famiglia e quella di Samantha non era vicina, non fu una festa come nelle altre case. Declinarono un invito di Lynne e trascorsero la giornata tranquillamente, a guardare per un po' la parata di Macy che passava per Central Park West e a consumare una modesta cena a base di tacchino. La pace del loro appartamento era in stridente contrasto con le tempeste che squassavano i loro animi. Ventinove novembre. Uno scacco per Cross-Wade. Afferrandosi a ogni appiglio, aveva mandato una delle sbiadite foto dei ragazzi Nelson ai funerali del padre a un laboratorio molto qualificato del New Jersey che si era specializzato in un procedimento creato dalla giapponese Minolta. Servendosi di vecchie fotografie quel laboratorio poteva «proiettare» le immagini negli anni futuri e mostrare l'aspetto delle persone divenute mature. Ma per Cross-Wade non riuscì a fare nulla. La vecchia foto era troppo sfocata, troppo sbiadita, le facce troppo vaghe. Trenta novembre. A mezzogiorno Loggins entrò nell'ufficio di Cross-Wade. «Rapporto sui pedinamenti», disse al capo. Loggins in persona aveva sorvegliato Marty durante le mattinate; poi per il pomeriggio e le sere gli aveva dato il cambio un altro sergente. «Niente?» chiese Cross-Wade. «No, signore. È una persona normale.» «Una personale normale», gli fece eco Cross-Wade. L'eloquio di Loggins lo divertiva. «Sì, Mr. Cross-Wade. Il soggetto...» «Persona, Arthur. Persona. Cerchiamo di essere urbani, al comando.»
«Mi scusi, signore. Comunque, questa particolare persona si alza a un'ora normale e si reca in ufficio in centro all'indirizzo che lei conosce. A volte va in taxi, a volte a piedi. Dipende dal tempo che fa.» «Va mai con qualcuno?» «No, signore. Non ci risulta. Arriva in ufficio e di solito lavora fino alle dodici e trenta, quando si reca a colazione.» «Di solito?» «A volte va ad appuntamenti di affari. Controlliamo dove va. Si tratta di ditte con le quali la sua ha rapporti di lavoro. Quando va a colazione è solo o con qualcuno del suo ufficio. Un quadro molto normale, signore. Naturalmente, a volte si reca in qualche negozio, ma niente che possa interessarci.» «E immagino che i rapporti serali non siano diversi.» «Torna a casa. Di regola.» «Fin qui, non abbiamo fatto un passo avanti dopo il colloquio con Mrs. Shaw», disse Cross-Wade. «Mi spiace, signore.» «E c'è dell'altro, Arthur. Gente simile, con costrizioni mentali, di solito osserva rituali ben precisi. Non è vero?» «Penso di sì, signore.» «Questo assassino ha ucciso donne che conosceva appena o che non conosceva affatto, e poi è scomparso. Ora noi ipotizziamo che il suo prossimo bersaglio sia la moglie, il che è del tutto fuori posto. Non quadra. Per la prima volta richiamerebbe l'attenzione su di sé. Dovrebbe fuggire, ma noi sapremmo il suo nome. Perché farebbe una cosa del genere?» Loggins alzò le spalle. A quella domanda non c'era risposta. «Sai, Arthur», continuò Cross-Wade, «penso che forse ci troviamo di fronte a una serie di coincidenze. Shaw potrebbe non essere il nostro uomo. Lo sa Iddio se non è già accaduto prima ... ed è per questo che a volte mettiamo in gattabuia l'individuo sbagliato. Però io non ho mai visto niente di simile. I treni. La data del cinque dicembre. La moglie con i capelli biondo rame. Tutto questo potrebbe essere pura coincidenza, Arthur. «Vedi, ci troviamo di fronte a un assassino astuto. Guarda come riesce a togliere tutte le impronte digitali dalla scena di ogni delitto. Un uomo intelligente. Riflessivo. Sarà anche schizoide, ma solo in quel particolare giorno dell'anno. Può darsi che sia troppo in gamba per noi.» «Troppo in gamba per lei, signore?» chiese Loggins. Cross-Wade aveva bisogno di quel complimento. «Vedremo», rispose.
«Abbiamo ancora cinque giorni. Cinque giorni per salvare una vita.» 13 Il primo dicembre Cross-Wade era abbattuto. «È quella data», spiegò a Loggins, con un sorrisetto. «Siamo entrati in dicembre. Mi sento come uno schizofrenico da calendario. La data mi perseguita.» Il sorrisetto scomparve e il viso si fece cupo. «La depressione, come sai, è il sintomo più comune della malattia.» I suoi uomini continuavano le indagini, e lo stesso Cross-Wade tornò a parlare, per telefono, con i parenti delle vittime per vagliare ogni possibile prospettiva. Dai rapporti sulla sorveglianza di Marty risultavano sempre e soltanto le tipiche attività di un uomo d'affari. Tuttavia fu quel pomeriggio — primo dicembre — che l'indagine prese una nuova piega, una piega che egli aveva temuto, per la quale provava ripugnanza e che però rispondeva finalmente alla domanda fondamentale che lo aveva perseguitato fin da quando aveva parlato con Samantha: qual era la verità su Martin Shaw? Come aveva detto a Samantha, egli riteneva che le cartelle mediche del piccolo Frankie Nelson fossero andate perdute per sempre. Ma aveva anche chiesto alla polizia di Omaha di continuare le ricerche, con urgenza, e di non abbandonarle. Il primo dicembre arrivò al comando della polizia una grossa busta marrone spedita per espresso. Una lettera di accompagnamento spiegava che le cartelle mediche di Frankie Nelson erano state trovate. Erano state messe fuori posto e conservate nell'archivio del tribunale penale. Venivano allegate. In tutta fretta, gli esperti della polizia le confrontarono con quelle avute dal medico di Marty. Vennero messi a confronto colore degli occhi, segni epidermici e cicatrici chirurgiche. Le cartelle non concordavano. Era così. Prova positiva. Per Cross-Wade, alla domanda era stata data risposta. La sua indagine sfumava. Cercò di non farsi prendere dalla disperazione. Con l'autodisciplina di un bravo soldato, afferrò il telefono e chiamò Samantha Shaw. Quando arrivò la chiamata Samantha stava dormendo, stanca per la gravidanza, per la festa, per il matrimonio in crisi. Allungò una mano verso il
comodino per prendere il microfono, ma lo urtò malamente e lo sentì cadere sul mobiletto. Alzò il capo, tentò di nuovo, prese saldamente la cornetta e se la portò all'orecchio. «Pronto?» Cross-Wade avvertì la voce malsicura. «Mrs. Shaw?» La voce non fu riconosciuta subito. «Sì?» «Parla Mr. Cross-Wade.» Samantha balzò a sedere. «Sì.» «Mrs. Shaw, ho notizie per lei.» Il volto di Samantha si impietrì per la tensione. Si trattava di Marty, doveva essere una cattiva notizia, doveva essere la parola finale che avrebbe suggellato la sorte del suo traballante matrimonio. «La prego, mi dica», fece, cercando di essere coraggiosa. «Mr. Martin Shaw non è il nostro uomo.» Era un fulmine a ciel sereno. Samantha sbatté gli occhi, poi guardò fisso davanti a sé, poi guardò il telefono come per cercare una conferma alle strane parole che aveva appena udito. «Non è... per favore lo ripeta.» «Le ho detto, Mrs. Shaw, che suo marito non è il nostro uomo. Ne abbiamo la prova certa. Si è trattato di coincidenze, ma niente di cui preoccuparsi.» Per un attimo Samantha si sentì sommergere da un'ondata di sollievo. Le si toglieva letteralmente un peso dal cuore. Marty non era un assassino. Non era un omicida abituale. Non era braccato dalla polizia. Dio, questa sì che era una buona notizia, una notizia che le dava la speranza di poter rimettere in sesto il matrimonio, di riportarlo al suo immacolato splendore. Ma un'altra verità le impedì di provare una vera gioia. E va bene, Marty non era quella orribile cosa che Cross-Wade stava cercando. Ma allora, chi era? Il problema non era stato sfiorato. Chi era? «Sono un po' sollevata», disse Samantha a Cross-Wade. «Ma adesso lei è in grado di dirmi qualcosa riguardo a mio marito? Voglio dire, lei deve aver saputo qualcosa di lui per essere giunto a questa conclusione.» «Temo di no», rispose Cross-Wade. «Abbiamo saputo chi non è grazie alle cartelle mediche che finalmente sono state ritrovate. Ma non abbiamo nulla di nuovo su di lui. Dal suo punto di vista lei è sempre a zero.» «Già, penso di sì», convenne Samantha. «Però, Mrs. Shaw, rifletta su questo. Per lo meno lei è al sicuro. Comprendo bene l'altro suo problema. Ma la sua sicurezza è di importanza ca-
pitale.» «Sì.» «Sono a sua disposizione, signora. Se c'è qualcosa che posso fare per aiutarla, la prego di chiamarmi. Anche se sto alla omicidi, posso darle qualche consiglio.» «Le sono grata», gli disse Samantha. «Davvero. Sa, è strano, ma avevo quasi sperato che lei mi dicesse che Marty era il suo uomo, e che aveva saputo tutto del suo passato.» «È un sentimento naturale», rispose Cross-Wade. «Tutti preferiamo sapere. L'incertezza è tremenda.» «Sì, lo è.» «Buona fortuna, Mrs. Shaw. Spero che lei trovi al più presto le risposte che cerca.» «Grazie per il suo aiuto», rispose Samantha. Riappesero. In effetti Samantha avrebbe voluto continuare a parlare, sviscerare ancora una volta il suo problema con Cross-Wade, ma capì che non era quello il momento. Quell'uomo aveva ancora da prendere un assassino. Si alzò e si occupò di qualcosa che riguardava la festa. Cross-Wade aveva ragione. Certo era ancora al punto di partenza, ma per lo meno non doveva vivere con il sospetto che suo marito volesse ucciderla. Cross-Wade chiuse l'indagine su Martin Everett Shaw. Annullò la sorveglianza e cominciò a cercare un altro sospetto. Non fece altro che cancellare la possibilità di un successo. Marty pensava ancora a quelle telefonate che Samantha aveva fatto. Continuava a farle? Stava ancora indagando? Lo avrebbe saputo dalla prossima bolletta del telefono, che però non sarebbe arrivata prima del cinque dicembre. Avrebbe potuto chiamare la società dei telefoni e far controllare le registrazioni, ma questo avrebbe suscitato dei sospetti. Perciò non gli rimase altro da fare che almanaccare. Ma, poiché era già il primo dicembre, le domande stavano rapidamente diventando accademiche. Resisti, continuava a dirsi. Devi farlo per papà. Puoi resistere per papà, vero, Frankie? Faresti qualsiasi cosa per papà. Entrò in una gioielleria vicino al Rockefeller Center. Una signora smilza, una immigrata russa con un accento forte, ma gradevole, stava dietro il banco vestita con un semplice abito grigio. I suoi occhi freddi e attenti seguirono Marty che si avvicinò a una vetrinetta dove erano esposte, su un fondo di velluto blu, le collane d'oro. Marty le esaminò attentamente a una
a una. La signora capì che si trattava di un regalo, e di un regalo importante. Riconosceva le mosse degli uomini davanti a una vetrinetta così come Arthur Loggins riconosceva le mosse degli uomini nei casi di omicidio. Sì, quello era un grosso regalo. Anniversario. Compleanno. Nascita di un figlio. L'uomo non avrebbe badato a spese per l'oggetto giusto. Si avvicinò lentamente, ma con decisione, a Marty. Non fargli fretta, ma piuttosto aiutalo. «Sta cercando qualcosa in particolare?» chiese. Marty era così intento a guardare la vetrinetta che per un momento non rispose. «Ah, sì», disse alla fine. «Vorrei una catena d'oro sottile con un pendente. Una pietra rossa montata in oro. Capisce?» «Certo», disse la signora, arrotando la «r» alla maniera slava. «Abbiamo un bell'assortimento. Immagino che si tratti di un regalo speciale.» «Naturalmente.» «Lei vorrà un oggetto di qualità. Aspetti che le mostro qualcosa.» Da un cassetto sotto la vetrinetta tirò fuori un vassoio con pendenti attaccati a catene d'oro. Due o tre erano in linea di massima quello che Marty voleva. «Ecco alcuni bei pezzi», disse la donna. «Va da sé che tutto quello che noi trattiamo è garantito al cento per cento.» «Lo so», rispose Marty. «Ho già fatto acquisti qui, in passato.» Studiò con cura i gioielli. La sua mente riandò al passato. Papà aveva fatto economie per tanto tempo per comperare quel pendente alla mamma. E lei a malapena gli aveva detto grazie. Non era grosso come quello di sua sorella, aveva bofonchiato. Però lo aveva messo. Lo aveva messo quella sera, quel cinque dicembre. Come dondolava quando lei aveva alzato il martello sopra la testa. Come dondolava avanti e indietro, appeso alla catenina. Lo sguardo di Marty si fermò su un oggetto. «Questo è carino», disse. Chiedi il prezzo, rammentò a se stesso. Fa' che sembri un acquisto del tutto normale. «Ehm, che prezzo ha?» La signora prese il gioiello. «Questo viene centoventicinque dollari, più le tasse.» Sorrise a Marty, come se volesse fargli capire che era d'accordo con la sua scelta. Era sempre d'accordo sulle scelte superiori ai cento dollari. «Va bene», disse Marty. Tirò fuori la carta di credito e la gettò sul banco. Mettila in conto. Tanto la fattura non sarà mai pagata. La collana fu messa in una confezione regalo bianca e legata con un nastro blu dietro richiesta di Marty. Samantha l'avrebbe indossata alla festa.
Ogni cosa stava andando a posto. Marty tornò in ufficio e, come aveva fatto spesso durante quel periodo rituale, chiuse a chiave la porta e ordinò che non gli passassero telefonate. Poi prese carta e penna e scrisse un'altra lettera all'unica persona che avesse significato qualcosa per lui nei suoi quaranta anni di vita, alla persona di cui avvertiva ancora la presenza ogni volta che camminava: Caro papà, Il giorno si avvicina. Non è magnifico? C'è stato qualche fastidio con Sam, però. Forse sa che ho inventato molto di quello che le ho detto, ma mi ama. Sto facendo tutto quello che posso per te. Un giorno staremo insieme. Il tuo affezionato figlio, Frankie P.S. Ho i treni. Mise la lettera nella cassaforte. Poi tolse la mandata alla porta e schiacciò quattro volte il pulsante del citofono. Pochi istanti dopo entrò Lois. «Lo», disse Marty, «so che lei ha una famiglia numerosa e deve fare un sacco di compere per Natale. Ascolti, prima delle vacanze si prenda due o tre giorni di permesso. Scelga lei quali.» Lois rimase veramente commossa per il pensiero. «Grazie», disse con calore. «Grazie tante.» Marty sorrise, quasi arrossendo. Gli faceva proprio piacere fare cose del genere. «Va bene, va bene», rispose. «E, un'altra cosa. Lei mi è stata di molto aiuto e so che a volte io sono esigente.» «Oh, no, per niente.» «Lo sono, lo sono.» Marty si mise una mano in tasca e tirò fuori una banconota. «Io non saprei che cosa comprarle. Faccia lei. Si prenda qualcosa che le piaccia.» Porse a Lois la banconota. Erano cento dollari, e Marty si sentì splendido. Il primo dicembre passò. E così anche il due dicembre. Mentre Spencer Cross-Wade penava sulla sua indagine che non procedeva, Martin Shaw si preparava a compiere l'ultimo rito prima del giorno fatale. Primo passo: la telefonata a Samantha dall'ufficio la mattina del tre dicembre. La voce preoccupata, lievemente dispiaciuta.
«Sam», disse Marty, «sai che cosa mi capita?» Samantha stava seduta fra le tavole per la cena che erano già arrivate, ma i cui piani di metallo non erano stati ancora ricoperti con le tovaglie. Aveva già sentito prima quel tono di voce. Annunciava cattive notizie, contrattempi. «Cos'è che non va, Marty?» chiese. «Un piccolo problema a St. Louis», rispose Marty. Sedeva alla scrivania, molto teso, facendo attenzione a ogni parola. «Uno dei nostri clienti laggiù ha dei guai legali ed è un pasticcio che riguarda le pubbliche relazioni. Bisogna che ci vada. Oggi stesso.» «Marty!» «Ehi, non preoccuparti per la festa. Sarò di ritorno in ventiquattro ore. Nessun cliente può farmela perdere.» «Be', questo è un sollievo. Per un minuto...» «Sam, tu vieni prima degli affari.» Per un istante fu il vecchio Marty, gentile e sentimentale, affettuoso e premuroso, l'uomo che Samantha desiderava riemergesse in un modo o nell'altro dai veli di mistero che l'avevano avviluppato. «Dove alloggerai?» chiese, prendendo una matita. «Ancora non lo so. Ed è probabile che non sia rintracciabile per la maggior parte della giornata. Il mio cliente non risponde in ufficio e si è rinchiuso in un albergo per evitare la stampa. Dovrò stare con lui. Mi metterò in contatto appena possibile.» «D'accordo.» «E, Sam... gli impiegati qui non conoscono la vera ragione del mio viaggio. Vogliamo tenere la faccenda sotto controllo. Sai, la gente parla. Ho detto loro che dovevo avere un rapido abboccamento. Se dovessi telefonare in ufficio, ricordatelo.» «Lo ricorderò», promise Samantha. «Tesoro, mi dispiace che tu debba partire così, proprio prima della festa.» «Già, anche a me. Sai, volevo essere a casa stasera per dare una mano. Non vedevo proprio l'ora. Accidenti a questi babbei... con tutti gli avvocati che hanno penseresti che dovrebbero star fuori dai guai.» Aveva un tono genuino, pieno di emotività, una voce tremante, carica di rabbia. «Non prendertela», gli disse Samantha. «Sarai di ritorno domani, amore. Mi occuperò io di tutto. Stai tranquillo.» «Lo so», disse Marty. «Ascolta, non strafare. Capito? Non deve essere il Ballo alla Casa Bianca.»
«Starò attenta», assicurò Samantha. «Tanto più...» Si fermò. Per poco non menzionava il bambino. «Tanto più cosa?» chiese Marty. «Tanto più che c'è un ristoratore che fa tutto il lavoro.» Salva per un pelo, pensò Samantha. Marty le mandò un bacio per telefono, una cosa che faceva raramente. Era un gesto affettuoso, commovente, giusto, dato il momento. L'ottimismo di Samantha tornò a galla. Forse i suoi segreti erano segreti buoni, per una buona causa, qualcosa di cui essere fieri. Forse. Sempre forse. Ma Samantha gli restituì il bacio. L'aereo della United scese su St. Louis nel primo pomeriggio e Marty poté contemplare il grande arco che era il simbolo della città. Fu a terra pochi minuti più tardi, entrò nel terminal e aspettò. Non andava in città. La sua segretaria gli aveva prenotato il volo per St. Louis a nome, naturalmente, di Martin Shaw. Ma Marty, quando era arrivato all'aeroporto La Guardia, aveva comperato un altro biglietto, pagando in contanti, a nome di Frank Nelson. Era il suo tributo, il suo omaggio al nome di famiglia, il suo gesto di deferenza verso papà. Il biglietto che aveva comperato era per un volo da St. Louis a Omaha. Lì, a St. Louis, guardò il suo orologio, già regolato sull'ora di Omaha. Erano le tredici e cinquantacinque. Il volo per Omaha partiva alle quattordici e trenta. Adesso era Frank Nelson. Di nuovo Frank Nelson. Si sentiva benissimo. Con il cuore era a casa e presto lo sarebbe stato anche fisicamente. Si assicurò di avere nella tasca della giacca gli occhiali da sole. Ne aveva bisogno per sicurezza. Qualcuno su un volo per Omaha avrebbe potuto riconoscere la sua faccia anche se era passata una generazione da quando aveva vissuto lì. Andò all'imbarco delle American Airlines e salì sul Boeing 727 che lo avrebbe portato a «casa». Marty sentì che il cuore gli balzava in petto quando i reattori sollevarono in aria l'aereo che puntò verso ovest, verso Omaha. Si guardò intorno, adocchiando, oltre i sedili, gli altri passeggeri. Chi poteva indovinare? Chi poteva sapere quello che passava nella sua mente? Come avrebbero reagito se avessero saputo che sull'aereo c'era un pluriomicida? Che cosa avrebbero detto se qualcuno avesse raccontato loro che in quel momento si stava celebrando un rituale... un rituale che si sarebbe concluso con il massacro di una donna innocente in un appartamento di New York? «Qualcosa da bere, signore?» gli chiese la hostess, mentre spingeva il
carrello di servizio giù per il corridoio. «No, grazie», rispose Marty. Aveva altro da pensare. Guardò fuori del finestrino mentre il grigio della città si mutava nel verde della campagna, chilometri di verde, centinaia di chilometri di verde, il verde del Midwest dove egli era cresciuto, dove era stato segnato per tutta la vita. «Abita a Omaha?» gli chiese l'uomo vicino a lui. Era un uomo anziano con baffi folti e grigi che avevano bisogno di essere curati. «Oh, no», rispose Marty. «Sono di passaggio.» «Ah.» Il Boeing ebbe un improvviso sobbalzo — un vuoto d'aria — e l'uomo trattenne il fiato, ponendo fine, così pensò Marty, alla breve conversazione. «Brutto salto», commentò l'uomo, dimostrando a Marty che si era sbagliato. «Già.» «Quanto tempo ha vissuto a Omaha?» chiese l'uomo. Marty si voltò bruscamente verso di lui. «Come fa a sapere...?» «Non si riscaldi così. Lo sento dalla sua voce. Mi bastano poche parole. Non può toglierselo completamente. Forse lei vive all'Est.» «Sì.» «Lo sapevo. Quando vanno all'Est cercano di togliersi l'accento. Male, giovanotto. Omaha è una grande città. E lei dovrebbe esserne orgoglioso.» Strizzò un occhio a Marty con aria di rimprovero. «Ne sono orgoglioso», rispose Marty. Sentì che doveva dirlo. «Sono venuto via quando ero giovane e l'accento con il tempo si è cancellato.» «Già», disse il vecchio. «Io ci ho vissuto tutta la vita e per me non c'è un altro posto.» Stupendo, pensò Marty. Un campanilista. Non voleva cambiare posto per non rendere evidente il suo disagio, ma non voleva neppure continuare quella conversazione. «Di che zona è?» chiese l'uomo. Adesso si era voltato completamente dalla parte di Marty e Marty poteva vedergli bene gli occhi arrossati dal bere e sentire nel suo fiato le zaffate di scotch. «Zona nord», rispose Marty, poi si affrettò a tirare fuori dalla tasca del sedile di fronte la rivista della compagnia aerea. «Anch'io», disse il campanilista. Cristo, pensò Marty, mi ci voleva anche questa. E poi sentì un brivido
corrergli lungo la schiena. Ehi, questo tipo magari mi riconosce. Forse mi ha visto da bambino. Forse gli sembro una faccia familiare e sta cercando di inquadrarmi. Potrebbe riconoscermi anche con gli occhiali da sole. «Ma guarda», rispose Marty, sfogliando la rivista. «Come si chiama?» Marty smise per un attimo di leggere. La cosa stava diventando seria. «Harvey», rispose. «Len Harvey.» «Io mi chiamo Durant.» «Salve, Mr. Durant.» «Va in quella zona della città?» Rifletti alla svelta, pensò Marty. Devo togliermelo di torno. «Non subito», disse. «Oh, peccato. Avrei potuto darle un passaggio.» «Grazie», rispose Marty. «Davvero molto cortese. Cortesia di Omaha.» «Siamo fatti così», disse Durant. «Lei è simpatico.» «È molto gentile a dirlo.» «Mi piacerebbe darle un passaggio dovunque debba andare. Non ha importanza. Cortesia di Omaha.» «Oh, non potrei mai accettare.» «Certo che può.» «No, sul serio. Devo incontrare delle persone. Per lavoro.» «D'accordo», rispose Durant. «Volevo rendermi utile. Conto di incontrarla nella nostra zona della città.» Marty non rispose. Cerca di ragionare, pensò. Questo vecchio è senza dubbio un ubriacone. Non è un pericolo. Anche se lo incontri di nuovo, che cosa può fare? Può scocciare. Ecco che cosa può fare. Può mettere i bastoni fra le ruote a un assassino. Marty giurò che avrebbe fatto di tutto per evitarlo. Quello a Omaha fu un atterraggio brusco. Marty scese dall'aereo davanti a Durant e camminando in fretta lo perse fra la folla. Durant andò nella zona riconsegna bagagli, Marty no. Teneva sempre in ufficio una ventiquattrore con quanto gli poteva occorrere per un paio di giorni. Se l'era portata nella cabina dell'aereo. Addio, Mr. Durant, pensò. Spero che tu beva un bel po' nei prossimi giorni e che dimentichi tutto. Marty andò al banco del noleggio auto e usò di nuovo la sua carta di credito. «Ha preferenze?» gli chiese la ragazza in uniforme blu che stava dietro il
banco. «Una Buick Century», rispose Marty. La ragazza consultò il terminale. «Di quel tipo non ne abbiamo più», disse. «Posso darle una Chrysler LeBaron.» «Va bene», rispose lui. Mostrò patente e carta di credito, e un pulmino lo trasportò fino al parcheggio. L'auto era un ultimo modello, a due porte, blu, con il portacenere del cruscotto mancante. Marty conosceva la strada. C'era già stato altre volte prima, così come conosceva le strade che portavano a posti come Elkhart, Indiana, ed Evanston, Illinois... città che aveva usato per costruirsi un falso passato. Guidava piano e con attenzione. Non era il momento di avere un incidente o di attirare l'attenzione di un vigile di Omaha. Alcune gocce di pioggia cominciarono a cadere sul parabrezza e accrebbero subito la sua prudenza. Controllò il livello del serbatoio. Pieno. Non avrebbe avuto bisogno di fare benzina durante la sua permanenza lì. Accese la radio. «E ora le notizie del giorno per gli agricoltori...» Cambiò stazione. Frank Sinatra. Una canzone degli Anni Cinquanta, trasmessa da un'emittente nostalgica. Quella era l'atmosfera giusta. In compagnia di quella musica Marty fece tutta la strada verso il suo vecchio quartiere. Il vecchio quartiere. Case con i tetti sporgenti. Alcune vicine le une alle altre. Alcune in gruppetti isolati. Un senso di campagna, sebbene fosse solo a pochi chilometri dal centro di Omaha. Non un quartiere nel senso di un isolato dopo l'altro, con strade parallele e file di negozi. Quella era più che altro una zona, uno stato mentale... una strada principale e qualche traversa senza luci. C'era una fila di negozi, compreso un supermercato e un magazzino di ferramenta, e l'inevitabile bar dove amavano attardarsi dopo il lavoro i ragazzi di una locale fabbrica di componenti per aerei. Era uno di quei quartieri desolati che qualsiasi persona rispettabile e ambiziosa desiderava abbandonare, e dove però finiva sempre per tornare, perché faceva parte di un paesaggio che sembrava non cambiare mai, non seguire mai le correnti, non aggregarsi al mondo moderno. Città anonima, USA. Marty vide la casa... con quello strano spiovente verde dagli orli rosa che mamma aveva preteso, separata dalle altre, su una collinetta senza alberi. Abbandonata.
In parte sprangata con assi. Casa. 14 «Sono qui. Sono qui, Frankie.» Marty ricordava la voce. Stava nel medesimo posto, accanto alla casa. Papà aveva preso l'autobus per tornare... la macchina si era rotta e non c'erano soldi per ripararla. «Frankie, dove sei?» La voce era allegra. Era sempre stata allegra, anche nei momenti più difficili. Ora Marty corse verso il davanti della casa, come aveva fatto quel cinque dicembre. «Ciao, papà.» Ricordava di aver detto questo. Papà teneva fra le braccia la grossa scatola di cartone. «Buon compleanno, Frankie.» Frankie aveva capito subito che cosa c'era nella scatola. Non aveva fatto altro che parlare di treni, treni, treni. E papà gli aveva promesso: «Per il tuo prossimo compleanno, potremo permetterceli». Se l'era messo in testa e aveva comperato i treni, anche se sapeva di non poterseli permettere. Un'auto rotta nel garage e treni elettrici nuovi fiammanti fra le braccia. D'accordo, papà era sempre stato un sognatore, un uomo senza senso pratico. «Vieni dentro, Frankie», aveva detto. Marty salì gli scalini. La casa era chiusa, come lo era stata per anni, era il luogo di un assassinio, invendibile. Non poteva entrare, ma poteva guardare dentro. Dio, tutto era rimasto come un tempo. I vandali non avevano mai toccato quella casa. Correvano voci di spettri, di spiriti che le si aggiravano intorno, proteggendola. Strano come la gente creda a queste cose. Ricordò. La porta si era aperta. Ed ecco mamma. Non sorrideva. Non sorrideva mai. Aveva visto la scatola con i treni ed era esplosa. «Fannullone!» aveva urlato. Aveva detto quello di papà, in faccia a lui. Marty non voleva pensare al resto proprio in quel momento. Voleva solo guardare attraverso le finestre e ricordare i bei tempi... le battaglie con i cuscini fra papà, lui e Jamie, il fratello più piccolo; papà che suonava il suo vecchio banjo e cantava le canzoni di guerra di quando era stato in Europa; papà che faceva quelle telefonate, quelle interminabili telefonate per trovare un lavoro. C'era ancora l'attacco del telefono alla parete del soggiorno,
ma l'apparecchio, notò Marty, non c'era più. E c'era ancora un vecchio cuscino polveroso per terra, proprio nel punto dove era rimasto la sera del cinque dicembre. Sì, tutto era proprio al suo posto... perfino il vecchio televisore RCA modello Trenta. Gli spettri erano bravi protettori, rispettosi guardiani nella notte. Bene. Nulla avrebbe contaminato ciò che papà aveva toccato. Poi, Marty udì dietro di sé qualcuno che parlava a scatti. «Ehi, sta cercando qualcosa, signore?» Si girò. Incredibile, ma non aveva sentito l'auto fermarsi. Era una macchina della polizia di Omaha e il poliziotto al volante lo guardava da dietro gli occhiali da sole a specchio. «Sto solo curiosando», rispose Marty, cercando di sorridere, e avendo come unica protezione gli occhiali da sole. Ma subito si rese conto che la sua risposta era ridicola, tale da suscitare più che deviare i sospetti. «Mi piace la zona», proseguì. «Questa vecchia casa è in vendita?» Il poliziotto si strinse nelle spalle. «Dovrebbe andare dall'assessore della contea, figliolo.» Era più giovane di Marty, ma sottolineò il «figliolo». «Quella vecchia casa ha una storia alle spalle.» «Cioè?» «Una signora ha fatto fuori il suo vecchio, lì dentro.» «Gesù.» «Una grossa faccenda... risale agli Anni Cinquanta, mi pare.» «Una storia piuttosto sinistra.» «Già. Nessuno la vuole, quella casa. C'è un'agenzia immobiliare a circa un chilometro giù per quella strada — Fratelli Calman — se vuole avere altre informazioni.» «Grazie», disse Marty. «Le sono molto grato.» «Bene», concluse il poliziotto e si allontanò. Pensa un po', rifletté Marty: c'era un poliziotto a dieci metri, mentre lui compiva il più profondo rituale della sua stagione di morte, e quel tipo non aveva sospettato niente. Questo si chiamava pianificare. Marty decise di fare una passeggiata nella zona fino alla vecchia scuola elementare, con il terreno da gioco erboso pieno di ragazzini che imparavano i rudimenti del rugby, fino alla sala Avery dove aveva passato alcuni dei suoi momenti più felici recitando, e fino alla casa del dottor Marsh. Si fermò davanti a quest'ultima — era di legno e mattoni e adesso apparteneva a un dentista — e fissò la porta. Marsh aveva tentato l'impossibile per salvare papà. Era stato una delle brave persone.
C'erano parecchie persone in giro, molte andavano a fare le compere di Natale. Marty riconobbe qualcuno dei vecchi tempi, ma nessuno lo riconobbe dietro quegli occhiali scuri. Comunque nessuna di quelle persone significava qualcosa per lui. Non sentiva nessuna necessità viscerale di parlare con loro, nemmeno dei vecchi tempi, quelli di prima del 5 dicembre 1952. Quella gente non aveva fatto nulla per lui, dopo che mamma aveva ucciso papà. Se ne erano stati alla larga. Per strada avevano evitato Frankie e il fratello. Non erano stati gentili come dovrebbe essere della gente che va in chiesa. A un tratto Marty sentì un nodo alla gola. Sapeva perché. Proprio girato l'angolo c'era il cimitero. Cominciò a sentirsi più vicino a papà. Il feretro era passato per quella strada piena di buche e la gente era rimasta a guardare dalle finestre. Non era normale un corteo funebre con le auto della polizia, ma quello era stato un funerale speciale, il funerale della vittima di un omicidio. La polizia era intervenuta nel caso che qualche pazzoide disturbasse la famiglia. Alcuni tuttavia erano venuti, con i loro occhi maliziosi e le dita puntate. Frankie aveva sentito uno di loro gridare che papà doveva essere stato un uomo cattivo. Non era vero. Il vecchio cimitero era maltenuto. Molta gente era andata via da Omaha, lasciandosi dietro delle tombe, senza pagare le rate per la manutenzione, affidandosi alla generosità delle chiese e alla buona volontà della direzione del cimitero perché fosse tributato il dovuto rispetto ai resti di madri, padri, spose e figli. Un certo rispetto c'era, ma c'erano anche ristrettezze economiche, e così l'erba non era tagliata, alcune lapidi erano rovesciate e le scritte oscene su un monumento non erano state cancellate. Marty era furioso. Papà non avrebbe dovuto riposare in un posto come quello. Si meritava di meglio. Si meritava una tomba in collina con alberi di olivo tutt'intorno, un'erba liscia come quella di un campo di golf, con aiuole fiorite e dolci brezze. Ecco quello che meritava papà. Marty digrignò i denti. Aveva il denaro per trasferire papà, ma non poteva. Per trasferire una salma ci voleva un ordine del tribunale. Avrebbe dovuto rivelare la sua identità e rovinare tutto. Persino un contributo anonimo per la manutenzione della tomba di papà avrebbe potuto sollevare sospetti. Perciò le cose dovevano rimanere come erano, almeno per un certo tempo. Non c'era nemmeno un custode. Marty superò il cancello rotto, arrugginito e si fermò per un attimo a guardare quel luogo deprimente. Ricominciò a camminare facendo la stessa strada che aveva fatto in quell'amaro giorno di dicembre del 1952. Sentì l'erba scricchiolare sotto i piedi. Non
era affatto calpestata perché era difficile che qualcuno venisse al cimitero, specie quando faceva freddo. Un cane nero balzò da dietro una lapide e cominciò ad abbaiare. Marty rabbrividì. Non aveva collare né targhetta. Un randagio, e dall'aria cattiva. Marty cercò di sorridergli. Quello continuò ad abbaiare, poi alla fine si voltò e corse via. Marty riprese a camminare. Sentì il vento, e questo fece scattare nella sua mente un'immagine quasi fotografica di quel giorno del 1952 al cimitero. Lì, alla sua sinistra, c'era la tomba di Al Ryder. Ricordava che nel 1952 vi era stata stesa una bandiera americana, subito dopo che la salma di Al era tornata dalla Corea. Era una delle poche tombe ancora ben tenute. I suoi genitori dovevano essere ancora vivi, pensò Marty. E poi... Papà. Stretta fra tante altre c'era una piccola, sottile lapide, la meno costosa che fosse stato possibile trovare, allora. Adesso era inclinata con un angolo di quindici gradi e la base sembrava che stesse per uscir fuori dalla terra. L'iscrizione era in parte coperta da sporcizia, ma ancora leggibile: JOHN ALBERT NELSON, 1916-1952. Non era vissuto abbastanza, si disse Marty. Si guardò intorno. Se qualcuno l'avesse visto, avrebbe potuto insospettirsi. Ma non c'era nessuno. Il luogo era deserto. Così Marty si inginocchiò riverente accanto alla tomba ignorando la lapide vacillante. Come giaceva papà? Se lo chiedeva ancora, come se lo era chiesto al funerale di papà, sebbene ormai, da adulto, sapesse che le salme vengono sepolte a faccia in su. Ma sempre? C'era una legge che lo imponeva? La bara di papà era stata chiusa durante il servizio funebre, perciò chi poteva saperlo? Forse il becchino lo aveva messo a faccia in giù. E ancora una volta Marty si chiese se ci fosse un'espressione sul volto di papà, e se fosse quello sguardo strano che aveva avuto proprio prima che accadesse. «Ti piace il montacarichi per i tronchi, Frankie?» Marty sentì la voce di papà. Era così chiara, così viva, come portata dal vento che soffiava sulle tombe. «È il nuovo montacarichi per tronchi. Automatico. In negozio mi hanno fatto vedere come funziona. Però stai attento a non perdere qualche tronco. Capito?» Marty ricordò di non aver mai perduto nessuno di quei tronchi. Anche quando aveva dovuto abbandonare i treni, quando era andato per il mondo, si era portato dietro i tronchi... perché papà gli aveva detto di non perderli mai.
«Papà, forse dovrò stare via per un pezzo», sussurrò, guardando la tomba. «Ma tornerò. Lo sai che tornerò. Noi stiamo dimostrando che mamma non l'ha fatta franca, vero? Lo stiamo proprio dimostrando.» Si sporse in avanti e cercò di raddrizzare la lapide, ma non era forte abbastanza. Tutto quello che poté fare fu di togliere lo sporco. «Voglio che tu riposi tranquillo, papà. Ho tutto sotto controllo. Gioco con i treni. Risponderò perfino agli auguri di Natale per te. E questa volta ho quell'RCA modello Trenta. Adesso abbiamo delle cose che si chiamano videoregistratori. Riproducono i nastri dei programmi televisivi. Mi sono procurato un vecchio nastro di Doug Edwards. Ricordi che lo guardavi sempre? Lo metterò su la sera del cinque dicembre... per te, papà.» All'improvviso, la visione di Samantha attraversò la mente di Marty, ma tutto quello che egli vide sotto i capelli biondo rame fu la faccia di sua madre, e tutto quello che udì fu la voce urlante di sua madre. La trasformazione di Samantha nei contorti meandri della sua psiche stava cominciando. «Ti sono venuto meno una volta, papà», disse. «Ti sono venuto meno quel 5 dicembre 1952. Avrei dovuto salvarti, ma non ci riuscii. Mai più ti verrò meno di nuovo.» Si alzò e fece un passo indietro. «Addio, papà. La prossima volta che ti vedrò sarà tutto finito.» E lasciò il cimitero. 15 Lo sbattere del metallo contro il metallo risuonava nell'appartamento degli Shaw mentre i facchini portavano dentro le ultime tavole e sedie per la festa del cinque dicembre. Samantha e Lynne osservavano con la convinzione che l'impresa sapesse quello che faceva. Tuttavia Samantha, che aveva una piantina in mano, di quando in quando indicava la sistemazione di qualche pezzo particolare. Non sapeva che cosa dovesse sentire. Che cosa si sente in una situazione simile? Una grande festa alle porte, un marito innocente di un orrendo delitto, lo stesso marito avvolto nel mistero, e ancora, dall'altra parte, sempre quel marito in procinto di diventare padre. Mentre sulle tavole cominciavano ad apparire le tovaglie, Samantha a poco a poco sentì che ogni inibizione la abbandonava cedendo il posto a un senso di attesa. Era naturale. Le feste portano con sé una diversa atmosfera psicologica. Inoltre Lynne
era il tipo da riscaldare l'ambiente. Ancora non sapeva niente del trauma riguardante il passato di Marty. Samantha si era limitata a dirle che la ricerca dei vecchi amici di Marty non era approdata a nulla... che era risultato troppo difficile trovarli e troppo caro farli venire. Lynne ci aveva creduto. «Da questa parte», ordinò Samantha, e un facchino cambiò direzione e scaricò una tavola rotonda in mezzo al soggiorno. Non disse una parola. «Credo che te ne abbiano mandata una rotta», sussurrò Lynne, vedendo che un operaio stava cercando di far stare in piedi una tavola traballante. Samantha lo guardò, quello le restituì lo sguardo e, sempre senza una parola, la piegò e la sostituì con un'altra. Una parte del mobilio era stata addossata alle pareti del soggiorno, il resto era stato portato nell'appartamento di Lynne. «Ha un'aria così... commerciale», commentò Samantha, mentre i facchini stavano quasi terminando. «Aspetta e vedrai», disse Lynne. «Io per la mia galleria ho quattro ricevimenti al mese. Lascia che comincino a mettere i pezzi insieme e tu ti ritroverai il Waldorf nel tuo soggiorno.» «Pensi che piacerà a Marty?» chiese Samantha. «Gli piacerà. A chiunque piace una festa in suo onore. È lo stile americano, piccola.» Samantha sapeva che in quel momento Marty stava tornando in volo a New York, proprio un giorno prima della festa. Aveva parlato con lui la sera prima, quando l'aveva chiamata da un albergo di St. Louis. Era sceso in un albergo per garantirsi un'assoluta credibilità fino all'ultimo. Marty Shaw non trascurava niente. Certo che gli sarebbe piaciuta la festa, rifletté Samantha, proprio come aveva detto Lynne. E forse — ma solo forse — avrebbe scelto quella sera particolare, la sera del cinque dicembre, per rivelare i suoi segreti. Sarebbe stato meraviglioso chiarire ogni mistero la sera della festa. Certo, questo rientrava esattamente nei progetti di Marty, ma la sua interpretazione era alquanto diversa. «Mrs. Shaw?» Samantha udì la voce e si voltò. Un giovane, piuttosto basso, sulla ventina, stava davanti alla porta che era stata spalancata dai facchini. «Sì?» «Nick Auerbach, della Dimension Video. Il portinaio mi ha lasciato salire.»
«Ah, sì», disse Samantha con il suo sorriso sempre gentile. Ci mise qualche secondo per inquadrare il nome, poi capì che era quell'Auerbach che doveva fare le riprese della festa e che era venuto a dare un'occhiata all'appartamento per studiare le inquadrature. «La prego, entri», lo invitò. «Il posto è tutto suo.» Auerbach non aveva con sé attrezzature video... ma solo un taccuino e una matita. Samantha gli mostrò l'appartamento ed egli fece degli schizzi, annotò delle misure, la disposizione dei tavoli e il colore delle pareti. Quando ebbe finito, sedette con Samantha a uno dei tavoli. «Avrei bisogno di qualche informazione», le disse. «Per esempio?» «Per esempio se ci sarà qualche cerimonia od offerta di doni.» «Oh, no, niente del genere», rispose Samantha. «Scusate un momentino», intervenne Lynne. «Non ci stiamo dimenticando qualcosa?» Samantha non capì di che cosa stesse parlando Lynne, la quale le indicò il ventre. Samantha si sentì una sciocca per esser serio dimenticato. «Sicuro», disse ad Auerbach. «Farò un annuncio. Una cosa speciale. Dovrò farle un segno per avvertirla?» «Gliene sarei grato», rispose Auerbach. Samantha era sorpresa per la sua giovinezza. Si era aspettata un uomo più anziano. Non aveva capito che Auerbach era uno studente universitario che faceva quel lavoro nel tempo libero. Le fece molte altre domande. Samantha aveva un elenco di persone alle quali bisognava fare i primi piani? Voleva anche «interviste» con gli ospiti? C'erano argomenti da evitare? C'erano cose o persone che non dovevano figurare? Dal tono si capiva che aveva più esperienza di quanto Samantha avesse immaginato. Auerbach sapeva che le feste erano avvenimenti molto politici, che le videocassette dovevano riflettere il giusto punto di vista, mostrare la gente nella luce voluta dal padrone di casa. La videocassetta era la versione moderna dell'album di nozze, le cui fotografie venivano spesso selezionate in modo che questo o quel familiare figurasse bene... o male. «Le piacerebbe una piccola trama?» chiese alla fine Auerbach. «Una trama?» rispose Samantha, mentre il rumore dell'ultimo tavolo che veniva sistemato sottolineava le sue parole. «Sì. A volte i clienti ci chiedono di includere inserti riguardanti il passato di una persona... in questo caso suo marito. Sa, se lei avesse vecchi an-
nuari o album o anche filmini fatti in casa...» Mio Dio, pensò Samantha, questo tipetto ha fatto centro, non è così? Una trama. Sarebbe un bello scherzo. Certo, potrebbe imbastirci una storia... se riuscisse a trovarla. Fu lì lì per dirglielo, ma non lo fece. «No, mio marito è molto riservato, su queste cose», rispose. «Preferirei farne a meno.» «D'accordo. Naturalmente potremmo farlo solo nei titoli di testa.» «Non capisco.» «Solo un testo in cui si parli del suo passato, che scorre sullo schermo. La città natale. L'università. Gli amici. Cose del genere.» Samantha non sapeva se ridere o piangere, o fare entrambe le cose. «Penso che sarebbe meglio farne a meno», disse. «Come vuole», ribatté Auerbach. «Tuttavia potrebbe venirne fuori un nastro molto freddo. Solo un mucchio di gente che chiacchiera.» «Correrò il rischio», gli disse Samantha. «La festa sarà vivace. Penso che avremo tutto il calore che occorre.» «A sua disposizione», disse Auerbach. Se ne andò dopo pochi minuti. I facchini finirono di mettere le tovaglie sulle tavole e Samantha vide quell'eleganza di cui Lynne aveva parlato. L'appartamento assunse un tono formale, una vivacità unita a uno stile perfetto. Samantha immaginò come sarebbe stato il resto: i coperti, i centri, il servizio d'argento, l'orchestrina da un lato. Sarebbe stata una festa da ricordare. Tutto si sarebbe risolto. Doveva. L'auto della polizia correva per le strade di Manhattan con le luci di emergenza e a sirene spiegate. Le altre auto si spostavano per lasciarla passare. Al volante era seduto un giovane poliziotto. Spencer Cross-Wade stava dietro, insieme con Arthur Loggins. CrossWade teneva nella mano destra una grossa busta marrone e la teneva stretta come se contenesse un segreto di stato. Nessuno dei due uomini parlava o faceva un gesto. Sedevano immobili, inespressivi, riflettendo su ciò che era appena accaduto, sul modo in cui l'avrebbero spiegato e a che cosa avrebbe condotto. Cross-Wade era imbarazzato e umiliato come mai si era sentito prima, nemmeno nei giorni più neri di quella faccenda. L'auto svoltò in Central Park West e si diresse verso i quartieri alti. Adesso Cross-Wade temeva quello che stava per accadere. Mentalmente studiò le frasi da dire e in silenzio ripassò tutto punto per punto. Sapeva
che in quell'imbarazzo c'era un raggio di speranza, ma gli dispiaceva per Samantha, perché sarebbe stata lei a sopportare l'impatto dell'ultimo bollettino. Si fece annunciare dal portinaio con il citofono. A tutta prima, Samantha fu sorpresa di sentire che era tornato. Per un momento, in effetti, si chiese se fosse proprio lui. Allora Cross-Wade prese il microfono e le confermò, con il suo tono inconfondibile, che aveva bisogno di vederla per «affari di polizia». Lui e Loggins si affrettarono verso l'appartamento. Samantha aprì. Non aveva mai visto Cross-Wade così cupo, così cereo, così agitato. Era per Marty. Non poteva essere altrimenti. «Prego», disse con nervosismo. Gli investigatori entrarono. I facchini e Lynne erano già andati via. «Mi dispiace di doverla disturbare», mormorò Cross-Wade. «Capisco», disse Samantha. Sedettero tutti e tre, sentendo che non era quello il momento per chiacchiere banali. Cross-Wade si voltò quasi di scatto verso Samantha, sempre stringendo nella mano la busta marrone. «Mrs. Shaw», disse, «capisco che lei sarà sorpresa di vederci.» «Sì», convenne Samantha. «Sono sicuro che lei avrebbe preferito non vederci tornare mai più.» «Be', in un certo senso.» Samantha scrutò la faccia di Cross-Wade e vide il suo disagio. «Immagino che abbiate trovato qualcosa su Marty», disse, «qualcosa che getta luce sul suo passato. E immagino che non sia niente di buono.» «Lei è molto acuta», rispose Cross-Wade. Samantha sospirò. «Avevo sperato che i suoi segreti fossero buoni segreti. Che cosa ha fatto, ha rubato del denaro?» Cross-Wade si rese conto che Samantha non aveva capito. Era convinta che avessero scoperto qualche errore di poca importanza, qualche peccato veniale. «Può dirmelo», continuò lei, visto che egli non rispondeva. Si sentì improvvisamente abbattuta. L'euforia che aveva provato mentre venivano sistemate le tavole per la festa scomparve. «Avrei preferito scoprirlo dopo la festa, comunque voglio saperlo.» «Mrs. Shaw», disse Cross-Wade, «prima di parlarne, voglio essere sicuro di una cosa. Potrei vedere un'altra volta la sua camera da letto?»
Samantha fu sorpresa. «Perché?» «È importante.» Senza dire una parola, Samantha condusse Cross-Wade nella camera da letto. L'investigatore non ebbe nemmeno bisogno di entrare. «Sì», disse, dopo aver dato un'occhiata in giro, «abbiamo ragione.» «A proposito di che?» chiese Samantha. Prima di rispondere, Cross-Wade scortò Samantha verso il divano e sedette accanto a lei. «Signora», disse, «come sa, dopo aver ricevuto quelle cartelle mediche, avevo chiuso l'indagine su suo marito. Era la decisione giusta.» «Certo.» «Ma, come capita con la burocrazia, certe procedure andarono avanti automaticamente. Avevo chiesto alle autorità di Omaha fotografie della casa di Frankie Nelson, dentro e fuori. Mi mandarono le foto dell'esterno, ma dimenticarono quelle dell'interno. E così, la scorsa settimana, richiesi le fotografie dell'interno. Sono arrivate oggi e le ho qui.» Sollevò la busta marrone. «E allora?» chiese Samantha. Lentamente, con aria cupa, Cross-Wade aprì la busta. Dentro c'erano alcune fotografie in carta lucida che egli porse gentilmente a Samantha. Lei le guardò. Sbarrò gli occhi. «Oh, mio Dio», sussurrò. Colta da un panico improvviso, alzò lo sguardo su Cross-Wade. «Oh, buon Dio!» Cross-Wade si limitò ad annuire. Era d'accordo con la sua reazione. Samantha studiò ancora una volta le fotografie, una in particolare. Vi si vedeva una camera da letto nella vecchia casa dei Nelson... sistemata esattamente come Marty aveva sistemato la camera da letto dell'appartamento. Su una parete c'era una vistosa cornice identica a quella che Marty aveva appeso nella loro stanza. Anche lì il mobilio bloccava le finestre e i radiatori. La stessa strana disposizione. E in un'altra foto c'era il televisore RCA modello Trenta, vecchio, polveroso, ma riconoscibile. Samantha scosse la testa, colpita, sgomenta, spaventata. «Non capisco», disse. «È evidente», rispose Cross-Wade. «Ma... ci sono le cartelle mediche.»
«Lo pensavamo anche noi.» «Lo pensavate?» Cross-Wade aveva un'aria infelice. «Mrs. Shaw», spiegò, «lavoro nella polizia da abbastanza tempo per sapere che non tutti nel nostro mestiere sono completamente attendibili. È vero, abbiamo ricevuto delle cartelle mediche con su scritto Frankie Nelson. Le confrontammo con quelle di Marty e non andavano d'accordo. Ma se guardiamo la sua camera da letto e poi queste foto della casa dei Nelson, la verità balza agli occhi. Perché le cartelle mediche non combaciavano? Ho il sospetto che ci abbiano mandato delle cartelle sulle quali per errore era stato scritto il nome Nelson. Qualcuno si è sbagliato. Mrs. Shaw, suo marito è Frankie Nelson.» Samantha si alzò lentamente e tornò nella camera da letto. Cross-Wade e Loggins la seguirono senza dire una parola. Samantha guardò la stanza, poi le foto che teneva ancora in mano. «Perché lo avrebbe fatto, Marty?» chiese, accettando i crudi fatti. «Perché avrebbe sistemato la stanza nella stessa maniera?» «Direi che questo fa parte di un rituale», rispose Cross-Wade. «Forse è il riflesso di un attaccamento alla sua infanzia, all'infanzia quale era prima...» «Prima che egli vedesse la madre assassinare il padre», continuò Samantha. «Temo che questa sia la situazione.» Samantha abbassò il capo. «Un assassino», mormorò con amarezza. «Credevo che avessimo superato questo ostacolo. Mio marito è un assassino.» Sentì che le forze le venivano meno e andò a sedersi sul letto. «Non riesco a crederci.» «È umano», le disse Cross-Wade con un tono di voce carico di schietta comprensione. Sapeva di aver fatto fare a Samantha un viaggio sulle montagne russe, dapprima sospettando di Marty, poi scagionandolo, poi accusandolo di nuovo. Era stata una cosa crudele, anche se involontaria. «Mi rendo conto che è stato molto difficile per lei», proseguì. «Lei è coraggiosa. Dovrà essere coraggiosa ancora per un po'.» Samantha sapeva di che cosa stesse parlando Cross-Wade. Era il quattro dicembre. «Immagino di essere un bersaglio», disse. «Il suo bersaglio.» «Dobbiamo supporlo. È tutto nella sua mente. Lei non è più sua moglie. Ora...» Cross-Wade esitò. Stava cercando di penetrare negli incerti meandri della psiche anormale di Marty Shaw. «Ora», proseguì, «lei è diventata sua madre.» Samantha si limitò a fissarlo. «Sua madre», ripeté. «Non è bello? Ho due
figli... e uno ha un martello e una catena.» Cross-Wade e Loggins si scambiarono un rapido sguardo; ognuno dei due avrebbe quasi voluto prendere su di sé il dolore di Samantha. «Bene», chiese Samantha, «che cosa vuole che faccia?» «Voglio che ci aiuti a fermare suo marito», rispose Cross-Wade. «Io? Fermare lui? E perché non lo arresta per gli altri delitti?» «Perché», sospirò Cross-Wade, «ancora non abbiamo uno straccio di prova concreta che colleghi suo marito con quei delitti. Le prove sono indiziarie. Abbiamo bisogno di qualcosa di solido.» «E io devo aiutarvi.» «Sì», disse Cross-Wade. «Mrs. Shaw, so che cosa le passa per il capo. Questa è la fine del suo matrimonio.» Di nuovo, come in altre occasioni, le lacrime cominciarono a riempire gli occhi di Samantha. Cross-Wade aveva descritto così bene la realtà. «Sì», disse piano. «Vorrei tanto lasciarla in pace, non tormentarla in queste tristi circostanze», proseguì Cross-Wade. «Ma non possiamo affrontare suo marito prima della festa e accusarlo. Egli non ammetterebbe mai nulla e potremmo mandare in fumo l'intera indagine.» «E allora come farete?» «Le chiediamo di andare avanti con la festa come se niente fosse accaduto, e di lasciare che egli si scopra domani, il suo giorno cruciale, il cinque dicembre.» «Gesù.» «So che è difficile, ma dobbiamo andare sul sicuro. È per la sua stessa sicurezza. Marty è una minaccia per lei... e per il piccino.» Queste parole andarono a segno. Samantha dovette considerare ciò che Cross-Wade voleva che ella considerasse. Il piccolo. Qualcosa poteva accadere al piccolo, se Marty non veniva fermato, se sfuggiva alla giustizia. Adesso voleva tanto quel piccino. Anche se non poteva dividerlo con Marty, quel Marty che aveva creduto di conoscere, lo voleva lo stesso. Ormai era parte di lei. Doveva proteggerlo. «Avremo l'appartamento completamente sotto controllo», continuò Cross-Wade. «Sarà collegato con i nostri più moderni apparecchi di ascolto. Noi staremo in fondo al pianerottolo nell'appartamento momentaneamente vuoto. Se qualcosa dovesse succedere qui, interverremo in pochi secondi. Tutto verrà registrato. E potremo arrestare Marty.» «Cercherà di uccidermi?» chiese Samantha, scossa all'idea della scena.
«Non gli permetteremo di arrivare fino a quel punto. Conosciamo il nostro mestiere.» «Non credo che lo farà durante la festa», disse Samantha. «Nemmeno io lo credo», convenne Cross-Wade. «Sono sicuro che si muoverà dopo che gli ospiti se ne saranno andati, ma prima della mezzanotte del cinque. Comunque, lo terremo sotto sorveglianza per l'intera giornata. Anzi, metteremo in atto un'ulteriore protezione. La mattina, prima che Marty esca per andare a lavorare, verrà qui un operaio dei telefoni con il pretesto di riparare un circuito. In realtà, sarà uno dei nostri uomini.» Samantha guardò l'orologio, la mano le tremava e le braccia, per la prima volta, erano madide di sudore freddo. «Sarà tutto finito in poco più di trentadue ore», disse. Nascose il volto fra le mani. «Marty uscirà dalla mia vita.» «La cosa non mi dà nessun piacere», le assicurò Cross-Wade. «Ma spero di poter contare sul suo aiuto.» «Sì», mormorò Samantha. La rabbia che l'aveva presa la prima volta che erano nati dei sospetti su Marty ricominciò ad affiorare. Egli l'aveva tradita. L'aveva tradita perché era diverso da quello che lei aveva creduto. «Vi aiuterò», promise, con un tremito nella voce. «Lei è una gran donna», disse Cross-Wade. Parlarono ancora per qualche minuto e poi Cross-Wade telefonò al comando e ordinò che venissero installate nell'appartamento di Samantha le apparecchiature per l'ascolto. Ordinò anche che venisse ripresa la sorveglianza di Marty non appena questi fosse tornato in città, e avvertì che una squadra di uomini doveva passare tutta la giornata del cinque dicembre in un appartamento sul piano di Samantha; gli uomini dovevano tenersi pronti a intervenire in ogni istante. Poi tornò da Samantha, che intanto era andata nel soggiorno con Loggins. Sedeva sul divano e guardava i preparativi per la festa, tutta quella allegria inutile e senza senso. «Signora», le disse Cross-Wade, «sarà meglio che mi riprenda le fotografie. Non vorremmo che suo marito le scoprisse.» Samantha non si era resa conto di tenere ancora le foto in mano. Le porse a Cross-Wade, il quale notò subito che un lato della busta era gualcito e quasi bucato dalla stretta della mano di Samantha contratta dal terrore. «Ora dovete andare?» chiese Samantha, che non voleva restare sola. «È necessario», rispose Cross-Wade. «Dobbiamo fare dei preparativi.» «Sì, preparativi», si lamentò Samantha. «Sempre preparativi.» «Mrs. Shaw», le disse Cross-Wade con gentilezza, «nel mio lavoro ho
visto molte donne che si sono ritrovate all'improvviso senza i loro compagni. Di solito c'era un omicidio di mezzo. Ho visto la loro disperazione, il loro senso di vuoto. Ma c'è un domani. Mi creda. La ferita non guarisce mai completamente, ma c'è un miglioramento. Anche ora, lei deve pensare al domani. Per il bambino.» Samantha sentiva a malapena le parole di Cross-Wade, tanto era frastornata dal colpo che aveva appena ricevuto. Era un uomo così per bene, così premuroso, così diverso dallo stereotipo del poliziotto duro e indifferente. Ma per ora l'unico «domani» che contava era il cinque dicembre. «La ringrazio per le sue parole», gli rispose. «In questo momento mi riesce difficile pensare.» Cross-Wade annuì con comprensione. «Rimarremo in stretto contatto», disse. «Dovremo sistemare le apparecchiature qui dentro prima che suo marito torni a casa. Non appena l'orologio batterà il primo rintocco del cinque dicembre i nostri uomini dovranno essere in grado di ascoltare tutto... anche mentre dormite.» «Capisco.» «Le facciamo i nostri migliori auguri, Mrs. Shaw.» Poi Cross-Wade e Loggins se ne andarono. Samantha sentiva solo il silenzio. Ancora una volta tutto era cambiato. Nel giro di pochi minuti la sua speranza che i segreti di Marty fossero dei buoni segreti era stata annientata. I suoi segreti non erano buoni segreti. Erano la peggiore specie di segreti. Vide l'orrore di quello che la aspettava... guardare i poliziotti mentre lo portavano via, rispondere alle domande insinuanti di Lynne e degli altri amici e dei vicini, i mormoni, le congetture su di lei e sulla sua parte in quella brutta faccenda. Avrebbe dovuto trasferirsi. Su questo non c'era dubbio. Avrebbe dovuto rinunciare alla vita che aveva sognato per anni. E avrebbe dovuto affrontare di nuovo la solitudine. Si guardò il ventre e si chiese se il piccino aveva modo di sapere che qualcosa non andava. Una volta aveva sentito dire che i piccoli in gestazione avvertono le tensioni della madre. Ma questo gli avrebbe fatto male? Ne avrebbe avuto qualche danno psicologico che sarebbe emerso in seguito? Il piccino avrebbe finito per dare a lei la colpa di ciò che era accaduto a suo padre? Mio Dio, pensò Samantha, la cosa potrebbe ripetersi. Forse il piccino avrebbe incolpato lei, come Marty incolpava sua madre.
A un tratto Samantha fu presa dal pensiero terrificante che avrebbe potuto aver paura di suo figlio. Questo non può succedere, continuava a ripetersi come aveva già fatto prima. Doveva esserci una via d'uscita. Da qualche parte doveva esserci un barlume di luce. Forse... ma solo forse Cross-Wade aveva fatto un altro sbaglio. Il suo lato razionale non lo credette nemmeno per un momento, ma una parte di lei lo credette per sopravvivere. Esausta, sprofondò nel sonno. 16 Cinque dicembre Il giorno arrivò. Se Marty avesse potuto fare a suo modo, sarebbe stato inciso sulla lapide di Samantha. Se Cross-Wade avesse potuto fare a suo modo, sarebbe stato scritto su un encomio solenne per aver risolto un caso difficile. Se Samantha avesse potuto fare a suo modo, sarebbe stata una data come un'altra... perché lei voleva che quell'incubo finisse. La giornata era fredda, con una gelida pioggia intermittente che penetrava nelle ossa e rendeva penosi anche due passi fuori casa. Tom Edwards aveva avuto ragione. Non era la giornata adatta per servire gelato come dessert. Quando Marty e Samantha si svegliarono, la pioggia batteva contro le finestre dell'appartamento degli Shaw. Marty si avvicinò ai vetri e guardò fuori verso la grigia foschia che confondeva il profilo degli edifici di New York. «Magnifica giornata!» esclamò e sorrise a Samantha. Lei lo guardò con aria scettica, decisa a recitare la parte che Cross-Wade le aveva chiesto di sostenere. «No, davvero!» disse Marty. «Al diavolo il tempo. Questa è una grande giornata per tutti e due!» Samantha si costrinse a sorridere. «Hai ragione. Buon compleanno, amore!» Si buttò giù dal letto per andare a baciarlo in un modo che qualsiasi uomo avrebbe ricordato. Dio, pensò, che aberrazione. Quest'uomo è un mostro e io lo bacio. Eppure, sentiva ancora qualcosa per Marty dentro di sé. Non riusciva a
cancellarlo. Ed era una specie di tortura. Il campanello della porta suonò. Marty corrugò la fronte. «A quest'ora?» chiese, evidentemente seccato che quel giorno magnifico venisse guastato proprio all'inizio. «I custodi hanno perso l'abitudine di annunciare la gente?» Si avviò verso la porta. «Oh, aspetta», intervenne Samantha. «Credo di sapere chi è.» «Qualcuno per la festa?» «No. La società dei telefoni ha chiamato ieri per dire che c'è qualcosa che non va sulla nostra linea. La donna che ha chiamato mi ha detto che avrebbero potuto venire anche presto.» Marty si strinse nelle spalle e proseguì verso la porta. «Chi è?» chiese. «Società dei telefoni», rispose una voce, confermando la storia di Samantha. Marty aprì. Fuori c'era un operaio alto e muscoloso che esibiva un tesserino della società dei telefoni. «Riparazione», disse. «Abbiamo telefonato.» «Va bene», rispose Marty. L'uomo entrò e andò a lavorare nella sala da pranzo. Samantha si sentì per il momento al sicuro. Marty tornò in camera da letto, deciso a risuscitare lo spirito della mattinata, come era prima dello squillo del campanello. «Sai», disse a Samantha, «non mi sento quarantenne. Al massimo mi pare di avere quindici anni.» Sul viso gli apparve un sorriso malizioso. «Ho perfino i miei trenini elettrici.» «Marty», disse Samantha con aria scherzosa, «per favore, non tirarli fuori durante la festa.» Marty sembrò offeso. Anche quella era una finta, si capisce. «Perché no? Pensavo di farci giocare un po' tutti.» «Marty... no.» «E va bene, no. Il festeggiato non ha quello che vuole. Il festeggiato potrebbe mettersi a piangere.» «Prima che tu ti metta a piangere», intervenne Samantha, «che cosa vuoi per colazione?» «Bistecca», rispose Marty. «Vuoi una bistecca per colazione?» «Perché no? Ehi, ti porto fuori e ti faccio vedere io dove servono bistecche a quest'ora.» «Scordatelo. Ce l'ho in casa.»
«Non scherzare!» «Una volta mi hai detto che secondo te un compleanno non era perfetto senza una bistecca per colazione. Me lo sono ricordato, amore.» Adesso toccava a Marty precipitarsi a baciare Samantha. «Non so che cosa avrei fatto se non ti avessi trovato», disse. «Saresti morto di fame.» Fingevano entrambi in modo magnifico, Samantha per una buona causa, Marty per una causa cattiva. Ed entrambi erano preoccupati. Qualcosa poteva andare storto. Samantha sapeva che la sua vita avrebbe potuto finire in un attimo di violenza. Samantha poteva sapere più di quanto egli pensasse, Marty se ne rendeva conto, e il suo piano per ucciderla avrebbe potuto fallire. Inconsciamente, Samantha continuava a guardare verso una griglia dell'aria condizionata dove gli uomini di Cross-Wade avevano piazzato uno dei microfoni. Strano, ma si preoccupava di dire qualcosa di imbarazzante, qualcosa che potesse far ridere i poliziotti che stavano nell'appartamento vuoto in fondo al pianerottolo. Anche chi è in pericolo di morte ha un suo orgoglio. «Vado a preparare» comunicò a Marty, che cominciava a sbottonarsi il pigiama. «Aspetta un secondo», disse lui. «Qualcosa non va?» Marty smise di sbottonarsi e si avvicinò alla scrivania. Aprì un cassetto e ne tirò fuori l'astuccio che aveva preso dal gioielliere. «E questo che cos'è?» chiese Samantha. «Bene, mia cara», rispose Marty, «di recente mi è capitato di riflettere... e tu sai quanto questo sia pericoloso.» «Certo che lo so.» «Perciò... ecco qua.» Marty porse l'astuccio a Samantha. «Marty... grazie», disse lei, veramente sorpresa. «Non avresti dovuto farlo.» «Lo desideravo. Lo meriti.» «Sono così... così sorpresa.» «Ehi, dimentica la sorpresa e aprilo.» Per un attimo, Samantha quasi dimenticò l'orrore della situazione. Era un gesto così all'antica, così romantico, così tipico del Marty che lei aveva conosciuto. Un regalo il giorno del suo compleanno... per lei. Ma perché? Perché si dava tanta pena se aveva progettato di ucciderla? Quali motivi
agivano sulla sua strana mentalità? Aprì l'astuccio, come aveva aperto tanti altri regali di Marty da quando lo conosceva, togliendo con cura il nastro e mettendolo da parte come se ci fosse una buona ragione per conservarlo. Poi tolse la carta e la piegò. Guardò il pendente attaccato alla sottile catena d'oro. «Marty, è bellissimo.» «Pensavo che ti sarebbe piaciuto.» «Piaciuto! Ne sono entusiasta!» «Sei sicura? Se non è proprio di tuo gusto posso sempre prenderti qualche altra cosa.» Samantha si chiese che cosa pensassero i poliziotti che ascoltavano quella specie di teleromanzo. L'uomo stava parlando di cambiare un regalo per una moglie che di lì a poco sarebbe stata cadavere. «Non provarci nemmeno a riportarlo indietro!» disse lei. «Mettitelo», le chiese Marty. «Subito.» Samantha andò allo specchio e si mise al collo il pendente che scendeva sulla camicia da notte. Per un po' né lei né Marty dissero nulla; si sentiva solo il rumore della pioggia. «È perfetto», disse alla fine Samantha. Marty non aprì bocca. Se ne stava alle spalle di Samantha e sorrideva. Era un sorriso vago, molto distante. Samantha lo vide nello specchio. Non ricordava che Marty avesse mai sorriso in quel modo. Di solito il suo sorriso era aperto, schietto, risoluto, quasi esplosivo. Questo sembrava più interiore che esteriore, un sorriso che rifletteva un pensiero intimo. Samantha continuò a guardare quel sorriso come se fosse un indizio che ella non riusciva a decifrare. Marty, attraverso il sorriso, fissava l'immagine di Samantha nello specchio. Sì, quella era mamma. Certo che lo era. I lunghi capelli biondo rame. Il pendente al collo. Peccato per mamma. Peccato per la persona che era. Peccato che mamma dovesse essere punita, e punita definitivamente. «Lo metterò questa sera», promise Samantha. «Mi farebbe piacere», rispose Marty. «Su di te fa una gran figura.» Samantha si voltò verso Marty. «E allora la vuoi quella bistecca?» «Certo», rispose Marty. Ma aveva sempre quello strano sorriso. Samantha si tolse con precauzione il pendente e lo rimise nell'astuccio dove sarebbe rimasto fino a sera. Poi andò in cucina a preparare la colazione speciale per Marty, qualcosa che aveva in mente fin da quando aveva pensato alla festa.
Nell'appartamento vuoto in fondo al corridoio, quattro uomini di CrossWade erano in ascolto. Tutti portavano la fondina sotto l'ascella. Tutti avevano le chiavi dell'appartamento di Samantha, fatte durante la notte nell'officina del Dipartimento di Polizia. Se udivano qualcosa di sospetto, potevano essere accanto a Samantha in venticinque secondi, sebbene, con l'«operaio» nell'appartamento, era improbabile che la loro presenza venisse richiesta durante la mattinata. Due di loro avevano chiavi inglesi da stagnino e gli altri due utensili da falegname. Per quel che ne sapevano gli inquilini del palazzo, stavano facendo dei lavori di riparazione. Marty cominciò a vestirsi e inevitabilmente ripassò nella sua mente i dettagli della giornata. Il martello, la catena, il nastro di Doug Edwards, il biglietto per Roma per la mattina seguente. Tutto era in ordine. Il demone aveva preso in mano le redini. Il 5 sul calendario dell'orologio bastava per far scattare l'appassionato desiderio di vendetta che egli provava ogni anno in quel giorno. Quello era il solo anniversario che contava, la sola data importante nella sua sciagurata, tormentata esistenza. Si sentì vicino a papà, più vicino di quanto non si fosse mai sentito da quando papà se ne era andato, nel 1952. Sì, c'era sempre una parte di Marty/Frankie che avrebbe voluto che egli si fermasse, che riprendesse la vita normale del fortunato uomo di affari di New York. Ma quella parte non riusciva ad aver ragione del demone, di quel lato incandescente della sua psiche che lo spingeva a vendicarsi il cinque dicembre. Inevitabilmente, tornò con il pensiero alla sua prima vittima, quella sorridente bibliotecaria dai capelli biondo rame in un sobborgo di Filadelfia che una sera era uscita dalla biblioteca e più tardi era stata trovata morta in un boschetto a due isolati di distanza. Come si era sentito esaltato da quel primo tributo a papà, come si era sentito potente quando aveva capito che poteva cavarsela non solo una volta, ma molte volte. Di recente aveva riflettuto che, seguendo un piano accurato, avrebbe potuto cavarsela anche con l'assassinio di Samantha. Ma inevitabilmente la polizia lo avrebbe tenuto d'occhio e l'istinto di sopravvivenza che lo aveva mantenuto in libertà per sei anni gli aveva consigliato di fare quel viaggio a Roma, di cambiare i connotati e di ricominciare con una nuova identità. Fra poche ore non sarebbe stato più Martin Everett Shaw. «Questo sì che è il modo di cominciare una giornata», disse, entrando in cucina e annusando l'odore della bistecca che si cuoceva sulla griglia. «Dovrei compiere quaranta anni più spesso.»
Era tutto così normale, così tipico, per nulla diverso, in realtà, da una qualsiasi scena domestica di uno spettacolo televisivo o di un film degli Anni Cinquanta. Marty e Samantha consumarono la colazione, turbata solo da un incidente... Samantha rovesciò una tazza piena di caffè che si versò sul pavimento. «Nervosismo», spiegò lei. «La festa.» Era una mezza bugia. Era sì nervosismo, ma non era per via della festa che Samantha aveva rovesciato la tazza. Era l'immagine di Marty che brandiva un martello e una catena. Dopo colazione, Marty indossò un cappotto di lana marrone e uscì per andare in ufficio. Fuori, in un'auto senza contrassegni, e al di là della strada sul limitare del Central Park, c'erano uomini in borghese dell'ufficio di Cross-Wade. Alcuni di loro, su una vecchia Chevrolet Impala, blu, seguirono il taxi di Marty fino in centro, dove altri uomini in borghese, appostati fuori del palazzo dell'ufficio, lo osservarono entrare. Era la solita routine di Marty, riferita con ogni particolare a Cross-Wade che coordinava le operazioni dal suo ufficio. Marty prese l'ascensore, percorse come il solito il pianerottolo, aprì la porta e alzò una mano in gesto di saluto. Poi la normalità della mattinata svanì. «Sorpresa!» Era un cliché, ma era spontaneo. Il personale aveva voluto offrire a Marty una festa prima della festa, riservata alle persone dell'ufficio. Gli uffici rigurgitavano di stelle filanti, addobbi di carta, palloncini, tavoli con cibarie e una grande scultura di ghiaccio raffigurante la testa di Martin Everett Shaw. Marty, prima ancora di entrare, fu soffocato dai baci delle segretarie e dalle pacche più contenute degli impiegati. «Mio Dio!» esclamò, colto di sorpresa, «che cosa avete fatto, gente?» «Un allenamento per stasera», disse qualcuno, e questa frase diede il tono al resto della giornata. Non sarebbe stato sbrigato molto lavoro, ma tutti erano sicuri che Marty non ci avrebbe fatto caso. E Marty non ci fece caso. Una volta passato il cinque dicembre, non avrebbe mai più visto quella gente. Una squadra di sorveglianza della polizia in un edificio dall'altra parte della strada, armata di binocoli telescopici ben nascosti, riuscì a vedere dentro le finestre della ditta di Marty e a informare Cross-Wade della festa a sorpresa.
Leonard Ross, il vicepresidente di Marty addetto alle relazioni con i mezzi di informazione, un giovanotto brillante sulla trentina con la barba ben curata e una voce eccezionalmente profonda, chiese silenzio mentre Marty sorrideva ai presenti. «Gente, posso avere la vostra attenzione?» gridò Ross, alzando il braccio destro e tendendo il suo nuovo blazer blu firmato da Pierre Cardin. «Anche io come voi non vedo l'ora che la festa cominci, ma ho bisogno di un minuto del vostro tempo.» Con un gesto invitò Marty a restare accanto a lui. Il personale composto da dieci donne e otto uomini smise di parlare e prestò attenzione a Ross, i cui occhi chiari, il fascino ben studiato e il tono autorevole erano l'ideale in simili circostanze. Ma poi qualcuno cominciò a cantare Buon Compleanno e quasi subito tutti si unirono al coro. Non era ciò che Ross aveva voluto, ma sarebbe stato di cattivo gusto fermarli. Allora si mise a dirigere il coro. «Molto bene», disse, quando la canzone ebbe termine, «siete stati bravissimi. Proprio bravi. E adesso, ci siete tutti?» I presenti si voltarono uno verso l'altro e qualche impiegato cominciò a contare le teste. «Sembra di sì», disse Marty. «Non c'è nessuno nel bagno dei maschietti o delle femminucce?» chiese Ross. «Se c'è qualcuno, vuol dire che ha cose più importanti da fare», commentò scherzosamente Marty. Tutti scoppiarono a ridere. Il personale si raccolse a semicerchio, aspettando che Ross ricominciasse a parlare. «Marty», cominciò finalmente Ross, «so che questa è stata una sorpresa per te. E forse la mattina non è il momento migliore per una festa. Ma i ragazzi e le ragazze lo volevano tanto.» «Ve ne sono molto grato», rispose Marty. «E poi», continuò Ross, «dobbiamo trangugiare queste cibarie prima della grande festa di stasera.» «Giusto!» gridò qualcuno. Altre risate. «Marty», continuò Ross, «i nostri volevano dimostrarti il loro rispetto, la loro lealtà e il loro affetto. Tu sarai pure il capo, ma per noi sei sempre stato un buon amico.» Marty sorrise con modestia mentre nella stanza esplodeva uno scrosciante applauso. «Così abbiamo organizzato questa piccola festa per contribuire alla cele-
brazione del tuo quarantesimo compleanno, con l'augurio di festeggiarne almeno altri ottanta...» Ancora applausi. «... e che i nostri introiti aumentino sempre durante tutto questo tempo.» Tutti risero, Marty più di ogni altro. Ross gli diede una pacca sulla schiena e qualcuno scattò una foto con una Polaroid. Poi Marty fece un passo avanti per parlare. «Sono colpito», disse. «Non credevo che qualcuno mi volesse bene.» Sapeva come strappare la risata. «Voglio ringraziarvi sul serio. Avere la vostra fedeltà significa molto per me. È stata una lunga lotta dalla scuola di giornalismo, passando per il servizio militare e per un sacco di lavori che preferisco dimenticare. Ma sono orgoglioso di questa ditta, orgoglioso di quello che facciamo e orgoglioso di lavorare con tutti voi. Non limitiamoci a festeggiare il mio quarantesimo compleanno. Festeggiamo i nostri successi ora e in futuro.» Fu un ottimo discorsetto e gli applausi furono calorosi. Ci fu anche qualche urrà, segno sicuro che erano state dette le cose giuste. I presenti cominciarono a muoversi per attaccare le cibarie, ma ancora una volta Ross alzò la mano destra. «Aspettate un minuto. Per favore. Tutti. Solo un minuto. Abbiamo una cosina per Marty.» Il chiacchiericcio cessò. Tutti si voltarono dalla parte di Ross. Marty sembrava di nuovo sorpreso. «Marty», disse Ross, «non potevamo lasciarti andare senza darti un pegno concreto del nostro affetto e della nostra stima. Carol...» Carol, una segretaria alta e bionda che lavorava per Ross, entrò in fretta nell'ufficio di Ross e ne uscì dopo pochi istanti con un pacco grande e piatto, avvolto in carta regalo con un nastro blu e il numero 40 scritto da un lato in color rosso. «Be', questo non dovevate farlo», disse Marty. «Marty», rispose Ross, «abbiamo pensato che se qualcosa nel tuo ufficio doveva ricordarti questa circostanza, non poteva essere che questo. Speriamo che ti piaccia.» Porse a Marty il regalo. «Be', grazie», disse Marty, sapendo che mai più avrebbe messo alcunché nel suo ufficio. «Lo apra!» gridò qualcuno. «Subito!» Con un gran sorriso, Marty cominciò a scartare il regalo. L'imballo venne via a poco a poco accompagnato dal fruscio della carta. Finalmente apparve l'angolo di una cornice. Poi un poco di più. Poi il retro
di un quadro. Le ultime carte caddero. Marty aveva sotto gli occhi il retro del quadro, perciò lo voltò. «Magnifico!» esclamò, scuotendo la testa come se traboccasse di commozione. «È magnifico. È qualcosa da tenere da conto. Rimarrà con me per il resto della mia vita.» Guardò il ritratto di Samantha con i capelli biondo rame che scendevano mollemente sul grazioso, innocente collo. Il volto era illuminato dal dolce sorriso di chi si aspetta una vita di felicità e di amore. «Lo abbiamo fatto fare da un pittore», spiegò Ross. «Una volta che eri in viaggio abbiamo preso quella piccola foto di Sam che hai in ufficio e gliela abbiamo data. Lui ne ha fatto una copia.» «Bellissimo», ripeté Marty. «È a olio», lo informò Ross. «Splendido. Voglio appenderlo oggi stesso. Poi porterò Sam a vederlo. Domani. Dopo la festa. Sarà il culmine perfetto di un momento meraviglioso. Le piacerà molto.» «Lo speriamo», disse Ross. C'era quasi da ridere, pensò Marty. Che articolo ne sarebbe venuto fuori dopo la scoperta del corpo di Samantha... IL MARITO ASSASSINO AVEVA AVUTO IN DONO IL RITRATTO DELLA MOGLIE PRIMA DI MASSACRARLA. Era sicuro che il quadro sarebbe stato riprodotto dai giornali. «Me lo porto subito in ufficio», annunciò. «E di nuovo grazie a tutti voi, dal profondo del cuore. E adesso, divertitevi!» Marty sollevò il quadro in modo che tutti potessero vederlo, poi entrò nel suo ufficio mentre il personale si precipitava verso i tavoli con i rinfreschi. Una volta dentro, chiuse la porta dietro di sé. Per rispettare la promessa di appendere subito il quadro, tolse un piccolo mosaico dalla parete nord e lo sostituì con il quadro. Poi fece un passo indietro e lo esaminò. «Papà», mormorò, «questo è un grande presagio. È come se una forza misteriosa avesse fatto capire a quegli stupidi là fuori che Samantha non rimarrà a lungo in questo mondo. Che scena, papà. Che scena stupenda.» Marty tornò alla festa, ma non riuscì a togliersi di mente l'ironia di quel ritratto. E quel pensiero ricorrente gli fece cambiare idea. «Sai», disse a Ross mentre sorseggiavano un Bloody Mary, «credo che stasera me lo porterò a casa, quel ritratto. È così bello che voglio che tutti alla festa lo vedano.» «Questo è un gesto molto gentile», ribatté Ross. «Darà entusiasmo agli
impiegati.» «Giusto», disse Marty. «Entusiasmo.» Mentre la festa andava calando di tono, Marty tornò nel suo ufficio, di nuovo solo. Cominciò a preparare le cose che gli occorrevano per compiere l'ultimo rito previsto per quella sera. Aprì la cassaforte e ne tirò fuori il martello e la catena che ripose nella borsa sotto alcune carte dell'ufficio. Prese anche la videocassetta del vecchio notiziario di Doug Edwards e la mise sul martello e sulla catena. Infine prese il biglietto per Roma per il sei dicembre e lo mise in uno scomparto laterale della borsa, che aveva una serratura. Poi fece scattare la serratura. Avrebbe tirato giù il ritratto, decise, solo prima di uscire per andare a casa. Portarlo a casa sarebbe stata l'ultima cosa che avrebbe mai fatto per rendere felice Samantha. L'orologio segnava il trascorrere delle ore. Nulla avrebbe più potuto fermarlo, ormai. Erano le dieci e quarantacinque quando posò la borsa in un angolo dell'ufficio e uscì nell'anticamera, dove indugiavano ancora alcuni impiegati. «Gran giornata», disse loro. «Giusto», rispose uno di loro, «e poi gran serata.» «Oh, sì», replicò Marty. «Sarà qualcosa che ho sempre sognato.» «Sembra che lo dica con tutto il cuore», osservò una giovane segretaria. «Oh, è così», rispose Marty. «Questa serata viene diritta dal cuore.» Il tempo di Samantha era quasi passato. L'appartamento era tutto un cicaleccio. C'era il ristoratore, i fattorini, il fioraio, l'incaricato dell'orchestrina... e poi arrivò anche Auerbach, che sistemò le sue videocamere con la pomposità di un sedicente artista di cinema. Samantha fu fatta sloggiare dalla cucina dai cuochi che cominciarono a prepararsi per il banchetto. L'amministratore del caseggiato venne su diverse volte per chiedere se poteva fare qualcosa, ben sapendo che non c'era nulla che egli potesse fare, ma sapendo anche che il farsi vedere gli avrebbe fruttato una mància. Spencer Cross-Wade comparve subito dopo l'una. Osservò l'appartamento — tavole coperte da eleganti tovaglie e centri, un piccolo palco per l'orchestrina in quella che era stata la camera da pranzo, luci colorate al posto delle normali lampadine — e per un momento tutto questo gli rammentò una elegante cena inglese. Sembrava incredibile che ciò fosse il preludio a un assassinio. Vestito in abiti civili, Cross-Wade non si distingueva da tanti altri che entravano e uscivano e solo Samantha sapeva che era un inve-
stigatore. Andarono in camera da letto per parlare in privato. «Bei preparativi», disse Cross-Wade, sapendo che qualsiasi cosa dicesse per cominciare la conversazione sarebbe stata goffa e forzata. «Grazie», rispose Samantha. «Peccato che sia tutto inutile.» Cross-Wade pensò che, date le circostanze, sembrava notevolmente calma. Indossava un vestito da casa in seta rosa e aveva i capelli pettinati all'indietro. Era decisa a fare tutto con stile, quale che fosse l'orrore che dominava la sua mente. «Speriamo che ne venga qualcosa di buono», disse Cross-Wade, «non fosse altro che assicurare un uomo alla giustizia.» Samantha abbassò gli occhi. Perché quell'«uomo» doveva essere Marty? «Volevo parlare con lei per pochi minuti», le spiegò Cross-Wade. «Per darle le ultime istruzioni.» «Mi dica.» «Le hanno fatto sapere dove sono tutti i microfoni?» «Sì.» «Abbiamo anche degli uomini con le telecamere in un appartamento della Fifth Avenue al di là del parco. La distanza è grande e le immagini potrebbero risultare sfocate. Si accerti che le tende qui rimangano aperte.» «Saranno aperte», lo rassicurò Samantha. «A tutti piace la veduta.» «Bene. Gli uomini con le telecamere stanno in contatto con quelli che si trovano qui. Così saremo garantiti in due modi. Se sentiamo o vediamo qualcosa, possiamo agire.» «È molto rassicurante», disse Samantha. Faceva del suo meglio per assecondare Cross-Wade, ma si sentiva intontita. Tutto questo le scivolava addosso, faceva parte del brutto sogno che ella voleva sparisse, il brutto sogno che ancora pensava potesse, per un miracolo, non essere vero. «Chi chiude a chiave la porta, la sera?» chiese Cross-Wade. «Di solito lo faccio io.» «Bene. Dopo la festa faccia finta di chiudere il chiavistello, ma lo lasci aperto. Mi segue?» «Credo di sì», rispose Samantha. «Non vuole che Marty sospetti che faccio qualcosa di insolito.» «Esatto.» «Ora», proseguì Cross-Wade, «mi ascolti bene, per favore. Come le ho detto, possiamo ascoltare quello che succede e, se siete vicini a una finestra, possiamo vedere. Ma se state in questa camera da letto dopo la festa logicamente le tende saranno chiuse.»
«Sì.» «E suo marito potrebbe agire in silenzio.» «In che modo?» «Avrà un martello e una catena. Può darsi che non facciano rumore quando li tira fuori.» Un brivido percorse la spina dorsale di Samantha. «E allora voi che potrete fare?» chiese con un certo nervosismo. «Dipendiamo da lei. Non appena lei intravede un'arma, o solo un gesto sospetto da parte di Marty, voglio che dica queste parole: 'Sento che mi sta venendo mal di testa'. Naturalmente, se lui ha l'arma in mano, lei afferri la prima cosa che trova nella stanza. Ci metteremo pochi secondi ad arrivare. Grideremo. 'Polizia! Fermi tutti!' Questo lo bloccherà e sposterà la sua attenzione su di noi.» «Lo spero proprio», mormorò Samantha. «Signora, le garantisco», disse Cross-Wade, «che se pensassi che c'è qualche rischio per lei, non glielo lascerei fare. Ma per garantire ulteriormente la sua sicurezza, ho portato qualcosa.» Cross-Wade si frugò in tasca e tirò fuori un sottile cilindro lungo quanto il palmo di una mano con una piccola valvola rossa a un'estremità. «Questo si chiama Mace. Sono sicuro che ne ha sentito parlare.» «Ricordo il nome», rispose Samantha. «Produce l'effetto combinato di un gas lacrimogeno e di un gas nervino», le spiegò Cross-Wade. «Vorrei che lei lo nascondesse nel suo abito. Se dovesse trovarsi alle strette, lo spruzzi sul volto di suo marito. Lo fermerà, mi creda.» «Le credo», rispose Samantha, terrorizzata all'idea di dover usare quell'arma. «Inoltre», continuò Cross-Wade, «lei deve continuamente tenere d'occhio suo marito. È chiaro?» «Sì. Chiarissimo.» «E voglio dirle ancora questo: se dovessimo fare irruzione, la prego di buttarsi a terra. Lo so che non è da signora, ma è per la sua sicurezza.» Se non fosse stata così atterrita dalla situazione, Samantha si sarebbe divertita per il modo di parlare forbito di Cross-Wade. «Se ci sarà un arresto», continuò Cross-Wade, «dovranno essere seguite certe procedure. La prego di osservare tutto il meglio che può. Lei potrebbe essere una testimone.» Samantha scosse il capo, del tutto sgomenta. «Ancora non riesco a con-
vincermi che questo stia succedendo davvero», disse. «Mi sento come un robot, controllato da altre persone.» «Mi spiace», rispose Cross-Wade, «se le do questa impressione...» «Oh, no. Non volevo dire questo. Apprezzo tutto quello che sta facendo... lei e l'ispettore Loggins e il sergente Yang. Se non fosse per voi...» Si fermò. Rifletté che il suo assassinio non si presentava facile. «Domani a quest'ora», disse Cross-Wade, «confido che lei sarà libera. E dopo di ciò, signora, le auguro una vita felice.» «Grazie», rispose Samantha. Poi Cross-Wade le baciò la mano. Si mossero per lasciare la camera da letto, e Cross-Wade era ancora sbalordito per il coraggio di Samantha. Poi, come se fosse inevitabile, notò che le mani di lei diventavano ceree e il corpo cominciava a tremare. L'intontimento che sentiva cedette il posto alla crudezza della situazione. Cross-Wade le prese gentilmente un braccio. «La comprendo», disse piano. Non furono necessarie altre parole. Lei gli si avvicinò ed egli poté sentire il singhiozzare sommesso. «Si sieda», le consigliò. «Non si faccia vedere così.» Samantha si sedette sul letto, cercando di frenare i singhiozzi, cercando di controllare la collera. «Perché?» chiese, quasi in un sussurro. «Perché proprio io?» Cross-Wade sospirò. «Perché chiunque altro?» rispose. «Perché chiunque altro?» 17 Marty tornò a casa alle diciotto e trenta. Samantha si era ripresa e aveva ritrovato in tempo la forza per andare ad accoglierlo sulla porta. Era uno spettacolo: l'abito lungo di velluto blu faceva un meraviglioso contrasto con gli altrettanto meravigliosi capelli biondo rame e il pendente che Marty le aveva dato luccicava intorno al collo. Non aveva mai avuto un aspetto migliore. Sì, quello era uno spettacolo... un superbo, brioso spettacolo che Samantha avrebbe dato una volta per tutte. «Sei magnifica», disse Marty, fermo sull'uscio. Samantha si limitò a sorridere. Si fece da parte in modo che Marty potesse vedere come il suo appartamento era stato trasformato per il grande avvenimento che era in progetto da settimane. Samantha guardò un drap-
peggio nella stoffa del suo abito. Il Mace era nascosto lì sotto. «Ehi», fece Marty, che non si decideva ad entrare. «Questo è il paese delle meraviglie. Oh...» Venne avanti per abbracciare Samantha come non aveva mai fatto prima. Chiunque li avesse visti avrebbe pensato che erano una coppia innamorata, senza dubbi né paure, senza seri problemi. Ma anche per Marty quello era uno spettacolo e come attore non era da meno di Samantha. «Sono contenta che tu sia felice», disse Samantha. «Non c'è una parola per dirlo», rispose Marty. Samantha non sospettava nulla, si rassicurò. «Ho qualcosa per te», aggiunse. Samantha parve sorpresa. «Per me? Nel giorno del tuo compleanno?» Gettò uno sguardo sul pendente. «Ancora?» «Non è proprio da parte mia», le spiegò Marty. Uscì sul pianerottolo dove aveva lasciato il ritratto, di nuovo incartato, appoggiato a una parete, e lo portò in casa. «Quelli dell'ufficio mi hanno offerto una festa a sorpresa, questa mattina. Mi hanno dato questo.» Portò dentro anche la borsa, chiuse la porta e cominciò a scartare il ritratto come aveva fatto quella mattina. L'incarto si aprì facilmente. Samantha guardò tutta eccitata il ritratto. «Marty, questo ti hanno dato?» «Proprio così.» «Trovi che mi somigli?» «È perfetto. Un magnifico lavoro. Ti piace?» «Certo che mi piace. È stato molto carino da parte loro. Dove lo mettiamo?» «Nel mio ufficio. L'ho portato a casa stasera perché tu e tutti gli altri poteste vederlo. Ma domani mattina sarà appeso dietro la mia scrivania.» Aveva sentito bene? Cross-Wade, Loggins e gli altri giù in fondo al pianerottolo avevano sentito bene? Marty aveva veramente detto che avrebbe riportato il ritratto in ufficio l'indomani mattina? Samantha si sentì nauseata. Quell'uomo era del tutto partito. Che cosa era quella, una forma di sadismo? Di autocompiacimento? «Starà bene dietro la tua scrivania?» chiese Samantha. «Ho già fatto la prova», rispose Marty. «Sta benissimo.» Una piacevolezza, pensò. Uno scherzetto prima della morte. «Mettiamolo lì, in quell'angolo, in modo che tutti possano vederlo», suggerì Samantha. «Voglio far sapere a tutti che te lo ha regalato il tuo personale.» «Bene.» Marty mise il ritratto proprio dove voleva Samantha. Poi tornò
indietro, prese la borsa e fece per portarla in camera da letto. Samantha lo teneva d'occhio, proprio come le aveva chiesto di fare Cross-Wade. Notò che stringeva forte la borsa. Si capisce, pensò. Ecco perché Cross-Wade non era riuscito a trovare le armi del delitto nell'appartamento. Marty le teneva con sé, nella borsa. Doveva essere così. Fissò la borsa, poi distolse lo sguardo, temendo che Marty potesse accorgersene. «Vuoi che ti porti io la borsa?» chiese, sperando che Cross-Wade, in ascolto, capisse. «Ehi, ma che cosa sei, il mio cameriere?» chiese Marty. «Certo che no.» «Cercavo solo di essere utile al festeggiato. Quella borsa sembra pesante.» «Solo carte dell'ufficio, Sam.» Prima di entrare in camera da letto Marty si fermò a guardarsi intorno ancora una volta. «Non ce la faccio ad aspettare. E tu?» «Nemmeno io», ridacchiò lei. «Mi do una ripulita e mi cambio.» Marty portò la borsa in camera da letto e chiuse la porta. Samantha studiò il ritratto. Aveva una buona rassomiglianza. Se il matrimonio non fosse stato distrutto, sarebbe stato bene dietro la scrivania di Marty. Sarebbe stato così romantico, così perfetto. Marty ne avrebbe parlato ai visitatori. Sarebbe diventato un argomento di conversazione e un cimelio di famiglia. Ma ora probabilmente sarebbe finito nel deposito della polizia come una delle prove dell'ultimo giorno di Marty. I camerieri, i suonatori, Auerbach, l'uomo della telecamera e il barista erano andati a cenare, ma quando Marty fu pronto cominciarono a tornare alla spicciolata. Gli ospiti erano attesi per le diciannove e quarantacinque. Samantha diede un'occhiata agli ultimi preparativi e sostituì alcuni fiori appassiti con quelli di scorta che aveva in cucina. Le pietanze erano già cotte e dovevano solo essere riscaldate. Samantha aveva ordinato il piatto favorito di Marty: carne e patate con insalata verde. Così andava sul sicuro. Il primo vero accenno di movimento fu dato dai suonatori che accordavano gli strumenti. Samantha sentì un brivido improvviso, come se quella fosse davvero una festa. Si sentì quasi come se sognasse, come se facesse finta, come se cercasse di rendere il più possibile indolore la realtà. Sapeva che nella stanza da letto c'era un pluriomicida e che lei era la sua vittima, mentre lì c'era una festa. Per alcuni intensi secondi ella immaginò una festa molto diversa, affollata da ospiti molto speciali... i parenti delle donne che Marty aveva ucciso
nella sua psicotica furia vendicativa. Non sarebbe stato magnifico? Non sarebbe stato giusto? Non sarebbe stato perfetto se costoro avessero potuto vedere Marty portato via? Il suono del campanello riportò Samantha alla realtà. Erano solo le diciannove. Possibile che qualcuno fosse tanto scortese da arrivare in anticipo? Andò alla porta. Il campanello era il segnale per l'orchestra che attaccò Gary, Indiana, da The Music Man. Il direttore aveva pensato che sarebbe stato opportuno suonare qualcosa che ricordasse lo stato in cui Marty era nato. Samantha aprì la porta. Era Tom Edwards con un sorriso smagliante. «Ho pensato che potevo rendermi utile», annunciò. Quel tipo era straordinario. Se in quel periodo c'era una persona che dava sollievo a Samantha, quella persona era Tom, con la sua serietà quasi candida e vecchio stile, con la sua sola apparizione. «Sei grande», gli disse Samantha, facendolo entrare. «Ma non voglio il tuo aiuto. Devi solo rilassarti.» «Io? Impossibile.» Fu sbalordito, come lo era stato Marty, dall'addobbo. «Ehi, questa sì che è classe», fece. «Quando arriva la Regina fammi segno, vuoi?» «Lo farò», rispose Samantha. «Ma la riconoscerai dalla coroncina.» L'orchestra terminò il motivo, poi tacque. Era stato un falso allarme. Per un solo invitato non era necessaria tanta musica. Nonostante quello che gli aveva detto Samantha, Tom andò in giro a raddrizzare qualche coperto o segnaposto, a sistemare dei fiori e in genere a mettere qualcosa in ordine. Samantha gli gettò un'occhiata dalla cucina, osservandolo al lavoro. Provava uno strano attaccamento per lui. Marty si lavò e si fece la barba, pieno di aspettativa. Aveva nascosto la borsa sotto il letto pensando che Samantha non se ne sarebbe mai accorta. Dopo essersi pettinato indossò un abito blu. Era il suo unico vero compromesso della serata. Avrebbe voluto indossare pantaloni cachi e una camicia scozzese come le altre sere in cui aveva ucciso. Era ciò che papà aveva indossato quella sera del 1952. Ma questa volta, alla festa, non avrebbe potuto farlo. Era fuori discussione. Uscì dalla camera da letto e vide Tom. «Ehi», gli gridò, «che fai qui?» «Sono in avanscoperta», rispose Tom. «Be', piantala. Bevi qualcosa.» Marty gli corse incontro e gli diede una pacca sulla schiena. «Credi che permetterò al mio migliore amico di spol-
verare i mobili?» «Oh, stavo solo dando una mano.» Samantha uscì dalla cucina. «È stato un tesoro», disse. «Senza Thomas, sarei finita in pezzi.» «Comincio a diventare geloso», minacciò Marty. «Non mi vanno tutti questi buoni sentimenti.» Tom fece l'occhietto a Samantha. «Penso che sappia di noi due.» Scoppiarono tutti a ridere mentre gli ultimi camerieri rientravano. Auerbach, senza dir niente, mise in funzione la sua telecamera e fece alcuni primi piani di Samantha e Marty che si preparavano per la festa. Diciannove e ventotto. Il telefono squillò. Samantha andò a rispondere. «Oh, mi dispiace», rispose a chi aveva chiamato. «Sono certa che Marty sarà molto dispiaciuto. Spero che si rimetta presto.» Riattaccò. Era la prima e unica disdetta, il direttore di un giornale del New Jersey, non uno dei migliori amici di Marty. «Probabilmente è una scusa», fu la reazione di Marty. «Non va mai alle feste. In effetti non mi aspettavo che venisse.» Alcuni invitati arrivarono prima, ognuno con un buon motivo. «Vengo direttamente dal lavoro», disse uno. «Non potevo aspettare», disse un altro. Il più onesto disse: «Perché ciondolare giù all'ingresso?» L'orchestra attaccò una fantasia da A Chorus Line e il livello del cicaleccio della piccola folla aumentò. Auerbach piazzava la sua telecamera sotto la faccia di tutti e Samantha cominciò a pensare che forse aveva commesso un errore a ingaggiarlo. Diciannove e quarantacinque. Era l'ora. Adesso la musica più insistente era il suono del campanello. La festa crebbe di tono mentre gli amici di Marty cominciavano ad arrivare. Lui era raggiante. Samantha era splendente. Nessuno avrebbe potuto immaginare che cosa passava per le loro menti. Nessuno avrebbe potuto sospettare che ogni parola veniva registrata in fondo al pianerottolo. Nessuno avrebbe potuto sapere che ogni movimento, ogni gesto veniva osservato attraverso dei binocoli dall'altra parte di Central Park. Tre grandi tavole erano coperte di cibi e vino, con camerieri che dispensavano quelle squisitezze. L'orchestrina suonava a tutto spiano mescolando motivi di spettacoli con i Beatles, esaudendo le richieste e dando alla serata un tono assolutamente festoso. In un angolo del soggiorno cominciarono ad ammucchiarsi i regali e Marty si rese conto che prima della fine della festa avrebbe dovuto aprirne più di trenta. Fece in modo che ogni ospite
vedesse il ritratto di Samantha. Una signora, la moglie di uno dei più grossi clienti di Marty, fu particolarmente colpita dall'abbondanza della capigliatura di Samantha nel ritratto. «Bello!» esclamò. «Non mi ero resa conto che i capelli di Samantha dessero così sul rosso.» «Biondo rame», rispose Marty. Quella sera, in particolare, il colore doveva essere giusto. «Sì, biondo rame», disse la signora. «Una sfumatura deliziosa.» Venti e trentasei. Adesso c'erano nell'appartamento più di settanta persone che mettevano a dura prova il sistema di condizionamento. Marty andò ad aprire una finestra, lasciando uscire un po' di fumo e di aria viziata. «La cena è servita», annunciò il capocameriere e la gente cominciò a prendere posto, portandosi il bicchiere, elogiando l'appartamento e porgendo il volto alla onnipresente telecamera di Auerbach. Doveva essere una grande festa in onore di Marty, ma per molti in quel soggiorno era una cena di lavoro... un'occasione per trovarsi con gente del mondo dell'informazione, delle pubbliche relazioni e con altri che avrebbero potuto favorire una carriera. In un momento diverso Marty avrebbe notato, addirittura studiato, le manovre diplomatiche, i tentativi per attirare l'attenzione di qualcuno, le pacche sulla schiena e i falsi complimenti. Ma ora riusciva solo a ripassare mentalmente il modo in cui avrebbe assalito Samantha. Sapeva che l'avrebbe fatto mentre lei era a letto. Sarebbe stato più facile, più rapido e forse più silenzioso. A un tratto Marty sentì una manata sulla schiena. Si voltò di scatto e vide la faccia sorridente di Leonard Ross. «Una festa spettacolosa», disse Ross. «Assolutamente spettacolosa. E grazie per aver portato a casa il ritratto. È piaciuto a Samantha?» «Moltissimo», rispose Marty. «E anche a tutti gli altri. È stato davvero il fatto del giorno, Len.» Ross diede un'altra manata sulla schiena di Marty. Sentiva di aver fatto con il principale una mossa giusta per la sua carriera. Poi andò a sedere al suo tavolo e Marty prese posto sulla piccola pedana in fondo al soggiorno. Samantha sedeva accanto a Marty e Tom Edwards accanto a Samantha. Sul palchetto c'erano anche Lynne e il marito. Samantha aveva voluto che Lynne stesse al posto d'onore, considerato tutto il lavoro che aveva fatto. Quando tutti ebbero preso posto, Tom Edwards cominciò a battere con un cucchiaio sul suo bicchiere da vino. «Posso avere la vostra attenzione, prego?» chiese. Per Marty era quasi una replica della festa a sorpresa di
quella mattina. Nella stanza si fece silenzio. Era nella tradizione. Perfino Auerbach cercò di essere discreto, tenendosi in disparte mentre inquadrava la pedana. Tom si alzò. Poi sollevò il suo bicchiere di vino. «Vorrei proporre un brindisi», disse. Tutti si alzarono. «A Marty nel suo quarantesimo compleanno.» Bevve. Tutti bevvero. «E ora», proseguì, «a Samantha, senza la quale Marty sarebbe solo un tipo qualsiasi.» Risate. I presenti bevvero ancora, poi applaudirono. «Posso rispondere?» chiese Marty. «No», gridò qualcuno. Gli scherzi erano cominciati. Tutti capirono che sarebbe stata una serata divertente. «Reclamo il diritto dei diseredati», annunciò Marty. «Pretendo di essere ascoltato.» «Discorso!» gridò qualcun altro. «Così va meglio», rispose Marty. «Anche io vorrei proporre un brindisi. A tutti voi, miei buoni amici, che avete reso questa serata così meravigliosa.» Bevve e tutti gli altri lo imitarono, un po' impacciati nel brindare a se stessi. «E c'è ancora un brindisi che devo fare», disse Marty. Nella stanza si fece silenzio mentre il sorriso svaniva dal volto di Marty. Tutti pensarono che volesse dire qualcosa di serio, magari sui suoi genitori, sui suoi difficili inizi, su qualche mentore segreto. Ma, invece, si voltò lentamente verso Samantha e sollevò il bicchiere. «Poco più di un anno fa c'era un vuoto nella mia vita», disse. «Poi è venuta questa signora a riempirlo. Senza di lei questo quarantesimo compleanno sarebbe stato molto solitario, del tutto privo di significato. Con lei, non potrei essere più felice. A te, Sam.» Alzò il bicchiere. C'erano degli occhi umidi nella stanza, compresi quelli di Samantha. In fondo al pianerottolo Spencer Cross-Wade, Arthur Loggins, il sergente Yang e altri due agenti erano in ascolto, circondati dal ricco e vistoso arredamento della casa che stavano usando. «Disgraziato», esclamò Cross-Wade. «Quell'uomo la tratta come spazzatura.» «Mi chiedo che cosa stia pensando lei», disse Loggins. «Che cosa vuoi che pensi? Il marito brinda a lei, eppure fra qualche ora
cercherà di ucciderla. Questo è un piccolo esercizio per lui, una piccola distrazione. Immagino, Arthur, che perfino agli assassini piaccia divertirsi.» «Sì, signore.» Ma Samantha in effetti non era preoccupata per la contorta ironia del brindisi di Marty. Ormai aveva cancellato quell'aspetto di lui, il medesimo aspetto che gli aveva fatto portare a casa il ritratto. Pensava solo al tempo. Erano le ventuno. Fra poco più di tre ore tutto sarebbe finito. Qualcuno cominciò a cantare Perché è un bravo ragazzo e tutti si unirono al coro. L'appartamento rimbombava di voci festose. L'orchestrina accompagnò il motivo. L'atmosfera si riscaldò sempre più mentre gli ospiti aspettavano la ricca cena a base di roast beef, il cui profumo fluttuava nell'appartamento. Ma ci sarebbe stata ancora un'altra cosa, prima della cena. «Posso avere la vostra attenzione, prego?» La voce era più debole delle altre e, per quanto Samantha cercasse di controllarla, aveva una sfumatura di nervosismo. I suoi amici pensarono che fosse per l'eccitazione della serata. Gli invitati si zittirono a vicenda e nella stanza si fece di nuovo silenzio. «Ho qualcosa da dire», annunciò Samantha. A differenza di Tom e di Marty non si alzò. «Questa è la serata di Marty», continuò. «È un tipo meraviglioso e, come avete appena sentito, un marito molto speciale... più speciale di quanto possiate mai immaginare.» Applausi. «In effetti è così speciale che sarebbe un'ingiustizia se ci fosse un solo Marty.» «Come no!» gridò qualcuno. «Sapevo che sareste stati d'accordo. E allora ho pensato che era il momento di fare qualcosa in proposito. E l'ho fatto, con l'aiuto di Marty.» Alzò rapidamente il bicchiere, fece un gran sorriso e si voltò verso Marty. «A te... paparino.» Per un attimo ci fu un silenzio assoluto. Samantha si morse un labbro come sopraffatta dall'emozione, decisa a recitare sino in fondo. La faccia di Marty era sbalordita, inespressiva. Tutti i presenti lo guardarono mentre Auerbach riprendeva l'espressione attonita del suo viso. Poi venne la reazione. «Ah!» e «Meraviglioso!» e «Congratulazioni!» Il vociare riempì la stanza. E poi, un lungo applauso. Finalmente sul viso di Marty apparve un sorriso accattivante, deliziato.
Poi egli si piegò da un lato per baciare Samantha. «Baciala di nuovo!» gridò Leonard Ross. Lo fece. L'orchestrina attaccò a suonare. Era un momento splendido, pieno di calore e toccante. Ma Samantha si sentiva svuotata. Quel momento non significava niente, niente, solo che un bambino non avrebbe avuto un padre. Marty sentì esplodere dentro di sé il caos. Lo nascose. Sapeva nascondere tutto. Ma questo era un fulmine, una maledizione, la peggiore notizia possibile. Era qualcosa che mamma avrebbe fatto. Un bambino? Il suo bambino? Dentro quella donna? No, non doveva aver sentito bene. Sì, aveva sentito bene. Certo che aveva sentito bene, e adesso sorrideva e persino baciava mamma. Tutto era cambiato. Tutto. Non sarebbe stata solo Samantha a morire. Sarebbe morto anche il bambino. Ma era importante? Un piccolo feto era qualcosa di cui dovesse preoccuparsi? Sì. Perché era il primo discendente diretto di papà. Avrebbe avuto il sangue di papà, forse i suoi lineamenti. Forse i suoi occhi sarebbero stati i dolci occhi di papà, forse la sua voce sarebbe stata la voce di papà. Forse sarebbe stato generoso come lo era stato papà. Forse, guardandolo in faccia, Marty avrebbe visto papà. Per la prima volta da quando la follia schizofrenica da calendario lo prendeva, Marty era lacerato. Egli doveva uccidere Samantha. Samantha era mamma. L'aveva sposata perché suscitava nella sua mente l'immagine di mamma, perché era l'ideale per la parte che aveva previsto per lei... la parte della sua ultima vittima. Sarebbe stata un'oscenità, un tradimento di tutto quello che aveva promesso a papà nelle sue lettere, durante la visita al cimitero, lasciare che Samantha scampasse in quel cinque dicembre. Ma c'era il bambino. Avrebbe offeso papà uccidendo il suo diretto discendente? Papà sarebbe stato in collera più che orgoglioso? Come sarebbe stato bello se papà avesse trovato il modo per fargli capire i suoi desideri. Ma Marty sapeva che era impossibile. Doveva decidere da sé. Sentì le pacche sulla schiena. Quella gente gli dava sempre pacche sulla schiena, ma adesso aveva un motivo particolare. Rimase sulla pedana con
il sorriso stampato sulla faccia, stringendo mani tese, ricevendo baci da signore bene intenzionate, accettando sigari. «Grazie», continuava a dire, rispondendo al coro di congratulazioni. «Grazie, è davvero meraviglioso.» Dentro di sé continuava a ribollire. «Grazie. Sì, è stata proprio una sorpresa. No, non ho in mente nessun nome. Non ancora.» Auerbach gli piazzò la telecamera sulla faccia e Marty accentuò il sorriso. «Questa è la serata più felice della mia vita», disse al microfono di Auerbach, registrando così per sempre la sua insincerità. Odiava Samantha. La odiava più che mai. Voleva ucciderla, voleva vedere la vita uscire dal suo corpo. Ma adesso ella portava il sangue di papà. Tutto era cambiato. Ma lo era davvero? 18 Solo il tempo contava, adesso, per Marty. Finire quella festa, far andar via quella gente, arrivare alla fine del cinque dicembre. Ma era ancora sconvolto dall'annuncio di Samantha e non sapeva bene che cosa fare. Sorrise, salutò, chiacchierò, ascoltò sfilze di battute infantili che sembravano non finire mai, però i suoi occhi si fissavano continuamente su due punti ... il ventre di Samantha e il suo orologio d'oro. Leonard Ross, sempre più odioso, si accorse che ogni pochi minuti guardava l'orologio. «Ehi, devi andare da qualche parte, Marty?» chiese Ross. Marty scosse la testa con un'aria di scherzosa malinconia. «Stavo osservando come il tempo passa in fretta», rispose. «Vorrei che tutto questo non finisse mai.» «Avrai i ricordi», disse Ross. «Potrai raccontarli a tuo figlio.» «Questo mi commuove, Len.» Erano le ventidue. «Tesoro, non è meraviglioso?» chiese Samantha, continuando a recitare la sua parte, a recitarla per i microfoni nascosti tra i fiori, in un radiatore, nelle lampade, perfino sotto la sua sedia sul palchetto. «Più che meraviglioso», rispose Marty. «È una storia che racconteremo a nostro figlio.» Non capitava spesso che Marty ripetesse ciò che dicevano gli altri, ma in quella circostanza non vide il bisogno di essere originale. «Domani mattina voglio cominciare a pensare al lato economico», conti-
nuò, rivolto a Samantha che era bloccata contro un angolo del soggiorno. «Questo ragazzino non avrà di che preoccuparsi.» Era sincero. Se decideva di non uccidere Samantha, pensare al futuro del piccolo era esattamente quello che avrebbe fatto. Nessun figlio suo avrebbe passato quello che lui aveva passato. Nessun figlio suo avrebbe dovuto lottare. Suo figlio avrebbe avuto una certa sicurezza, un lavoro pronto... e un padre che si sarebbe preso cura di lui. E la cosa più importante era che questo ragazzo non avrebbe dovuto vivere con una psicosi che lo avrebbe costretto a uccidere delle donne che rassomigliavano a sua madre. Se a Samantha fosse stato concesso di vivere, se il piccolo fosse vissuto, Marty sarebbe stato un padre in grande stile. Ventidue e trenta. Cominciò a sudare. Poco, dapprima, solo qualche goccia sulla fronte, poi il viso sembrò traspirare da ogni poro come se avesse appena finito di correre o di pedalare sulla cyclette. Samantha, che ora stava parlando con degli amici, gli gettò un'occhiata e se ne accorse. Si sganciò dagli ospiti e si avvicinò a Marty, che stava riposandosi su una poltrona vuota. «Marty, qualcosa non va?» gli chiese. «L'emozione», rispose Marty. «Lo sai, queste cose ti coinvolgono.» «Ti senti bene?» «Certo. Benone. Solo un po' affaticato, questo è tutto.» Adesso alcuni amici si erano fatti intorno con aria preoccupata. «Vuoi un sorso d'acqua?» chiese uno di loro. «Oh, no, sto benissimo», rispose Marty. Non voleva attirare su di sé quel tipo di attenzione. Voleva sembrare normale, rilassato, felice. Si voltò verso Samantha e sorrise. «Dovrei essere io a chiedere a te come ti senti.» «Magnificamente», rispose Samantha. «Bene, però non sarebbe male se ti sedessi. Stai respirando per due, lo sai.» Lei sorrise e sedette accanto a Marty. Lui avvicinò la sedia e le mise un braccio intorno alle spalle. «Continuerai a occuparti di me quando il bambino sarà nato?» chiese, facendo in modo che altre persone udissero la domanda. «Neanche un poco», scherzò Samantha. «Già, è quello che sospettavo. Al padre non ci pensa nessuno.» «Ma, Marty», disse qualcuno, «pensa ai conti che avrai il privilegio di pagare.» «Ci penso», rispose Marty ammiccando. «Se è una ragazzina, avrò biso-
gno di un secondo lavoro.» E così continuarono le risate, ma anche il sudore di Marty. Un sudore dovuto all'indecisione, allo scombussolamento di un rituale che era diventato sacro per lui. Ventidue e cinquantatré. «Forse dovremmo far levare le tende», disse a Samantha. Il giorno dopo era lavorativo e alcuni invitati che abitavano in periferia se ne erano già andati, altri avevano l'aria stanca. Sembravano buone ragioni per concludere la festa, ma il tempo era la vera ragione. Il cinque dicembre sarebbe finito fra sessantasette minuti. In effetti Samantha non voleva che la festa finisse. Avrebbe voluto che il tempo si fermasse perché sapeva ciò che sarebbe successo quando gli invitati fossero andati via, quando lei fosse rimasta sola con Marty. Non rispose alle parole di Marty e fece finta di essere distratta da qualche invitato chiacchierone. Allora Marty si avvicinò a Tom Edwards, che era impegnato a discutere di vini francesi con uno dei baristi. «Tom», gli disse, «sarà meglio chiudere bottega. Ti dispiacerebbe dare il la un po' ad alta voce?» «Certo», rispose Tom. Tom sempre pronto a rendere un servizio. Poi, guardando dall'altra parte della stanza vide sulla faccia di Samantha un'espressione che non aveva mai visto prima. Era più che stanchezza e certamente non era la fatica di una donna in stato interessante. Non riusciva a capirla, ma gli occhi di lei sembravano più grandi del solito, lo sguardo vitreo e solo in parte a fuoco. Alla fine giudicò che l'emozione doveva averla sfinita. Andava tutto bene. Ma Samantha era terrorizzata. Adesso era ossessionata dal tempo. Erano le ventitré. «Festa meravigliosa», disse Tom ad alta voce a un amico, mentre si appoggiava il soprabito su un braccio. «Ma si sta facendo maledettamente tardi e domani mattina bisogna andare a lavorare.» In realtà egli si trattenne, ma l'accenno necessario era stato fatto. Ognuno capì che la festa volgeva al termine. L'esodo cominciò e Marty gettò un'occhiata all'angolo dove erano ammucchiati i regali. Dio, si disse, non abbiamo aperto i regali! Eppure lo aveva previsto. Aveva pensato che avrebbe preso un po' di tempo, ma la festa era andata avanti così in fretta. Nessuno aveva detto niente. Non fino a quel momento. Ma egli se ne preoccupava e sudava. E se qualcuno gli a-
vesse chiesto di aprire i regali e si fosse seduto a guardare? Marty avrebbe potuto rifiutarsi di farlo? Decise di mettersi accanto alla porta con Samantha, letteralmente strappando l'attenzione degli invitati dalla pila di regali, molti dei quali erano avvolti con la carta di negozi di lusso della Fifth Avenue. Ma, puntuale come un orologio, un tale che si occupava di pubblicità notò la dimenticanza. «Ehi, non abbiamo aperto i regali!» annunciò. Ma gli altri ospiti erano stanchi e nessuno raccolse quel grido di guerra. «Grazie», continuava a dire Marty agli ospiti che sfilavano per andarsene. «Ricorderò sempre questa serata.» La sua recita continuava. «Anche io la ricorderò», ripeteva Samantha a ognuno. Anche la sua recita continuava. I componenti dell'orchestrina se ne erano andati e così pure la maggior parte dei camerieri. Samantha era rimasta d'accordo che le tavole e il resto della roba l'avrebbero portata via l'indomani mattina. Ventitré e tredici. Rimanevano solo pochi ritardatari e fra questi Leonard Ross. Non poteva essere diversamente, pensò Marty. Ross stava cercando di far colpo, di far vedere che si era tanto goduto la festa da non aver voglia di andarsene. Quell'uomo stava diventando insopportabile con le sue macchinazioni. Probabilmente era stata un'idea sua quella di far dipingere il ritratto e probabilmente meditava di tirare in ballo l'argomento subito, durante il primo colloquio a quattr'occhi nell'ufficio di Marty. Marty gli si avvicinò. «Len», disse, «se facessi a modo mio, terrei qui un paio di voi — gli amici più intimi, voglio dire — fino a tardi. Invece devo mandarti a casa. Non voglio che tu, con il tempo che fa, ti buschi qualche malanno.» Ross non poté far finta di niente. Con l'espansività di un diplomatico lasciò andare un'ultima valanga di lodi e di ringraziamenti e alla fine partì. Alle ventitré e diciannove rimaneva solo Tom Edwards. Se ne stava disteso su una poltrona che era stata spostata su un lato del soggiorno, con un Manhattan nella mano destra e l'aria completamente distrutta. Samantha capì perché voleva essere l'ultimo ospite ad andarsene: egli provava un interesse possessivo per Marty e per la festa. Aveva assistito alla creazione e si sentiva come uno della famiglia, più che come un amico. Poiché Samantha provava gli stessi sentimenti, non c'era nulla di stonato in quell'indugiare di Tom. In effetti, Samantha si avvicinò e si buttò su una poltrona accanto a lui. «Quando comincia il divertimento?» chiese Tom.
«Ah, ah», rise Samantha. «Se non hai avuto la tua parte, Thomas, farai bene a cercarti un altro baraccone.» «Queste sono parole bellicose.» Marty li raggiunse. «Che cos'è quella che sento, una discussione?» «Tom vuole spassarsela ancora», rispose Samantha. Marty le sorrise scherzosamente. «Be', se non fossi sposato...» Continua, pensò Samantha. Attore fino in fondo. E continuerà fino a che Tom non sarà andato via. Non deve fare insospettire Tom. «È stata una grande festa», disse Tom. «Marty, non ho mai visto la gente divertirsi tanto.» «Mi fa molto piacere», rispose Marty. «Naturalmente il merito è dell'architetto qui presente.» Indicò con un gesto Samantha, come se la presentasse. «Be', anche Tom e Lynne hanno fatto la loro parte», ricordò Samantha a Marty. «Non ce l'avrei fatta da sola, non così bene.» «Certo che ce l'avresti fatta, come ce l'hai fatta», ribatté Tom. «Alle cose importanti hai pensato tu, Sam. Sei un fenomeno.» Marty guardò l'orologio e poi gli diede un'altra occhiata nervosa. «Sarà meglio che me ne vada», disse Tom, «se non voglio fare il rompiscatole.» «Oh, no», esclamò Marty. «Stavo solo guardando che ora è. La notte è giovane. Resta ancora un po'.» Sta scherzando, pensò Samantha. Erano le ventitré e ventiquattro. «No, sono proprio stanco», disse Tom, lasciandosi andare a un grande e poco compito sbadiglio. «Volevo solo essere l'ultimo ad andarsene. Mi dà un senso di grande importanza.» Con qualche difficoltà si tirò su dalla poltrona. «Domattina alle nove aspetto un cliente. Un dirigente della IBM che è stato trasferito a New York. Aspetto di vedere che faccia farà quando gli dirò i prezzi degli appartamenti che gli sto mostrando.» «Da dove viene?» chiese Marty. «Da Denver. Avrebbe dovuto rimanerci. Bene, gente, è stata una serata memorabile. Avete regali da scartare per tutta la notte. Se non vi piace il mio, datemelo. A me piace.» «Mi piacerà senz'altro», fece Marty. Tom baciò Samantha. «Non me ne importa niente se diventa geloso», disse. «Alla padrona di casa do sempre un bacio. Che altro sennò?» «Tom, stai attento nell'andare a casa», si raccomandò Samantha. «Andiamo a giocare a tennis, questo fine settimana?» aggiunse Marty.
«Sì, perché no?» Marty aprì la porta e Tom uscì. «Sabato», disse. «Benone», rispose Marty. Tom andò all'ascensore che arrivò quasi subito e sparì. Adesso Samantha era sola con l'uomo che amava, con l'uomo che temeva. Nell'appartamento in fondo al pianerottolo, Cross-Wade e i suoi uomini stavano raccolti, in un'atmosfera di nervosismo, attorno a un piccolo altoparlante nero che trasmetteva i suoni provenienti dall'appartamento degli Shaw. Cross-Wade era in comunicazione, attraverso una linea telefonica, con gli osservatori dall'altra parte del parco, che tenevano i binocoli puntati su Marty e Samantha, ma egli sapeva che di lì a poco, quando fossero state tirate le tende, i loro rapporti sarebbero cessati. Per qualche momento, dopo aver chiuso la porta alle spalle di Tom, né Marty né Samantha dissero una parola. Marty si guardava intorno con un'aria quasi di nostalgia per le belle ore appena trascorse. Samantha osservava ogni sua mossa, ogni sua occhiata per scoprire da un segno, da un gesto, che il momento infernale era arrivato. Ma non vide nulla. Lei non poteva saperlo, ma Marty non aveva ancora deciso. Erano le ventitré e trentuno ed egli ancora non aveva scelto fra il ruolo di padre e quello di carnefice. A un tratto si precipitò verso Samantha. Per un istante ella ne fu spaventata, ma poi si rese conto che sul suo viso c'era un sorriso caldo e dolce e che i suoi occhi erano pieni di lacrime. La abbracciò, poi si ritrasse e la guardò come aveva fatto il giorno in cui si erano sposati. «Che cosa posso dire?» chiese. «Come posso ringraziarti?» «Marty, non devi ringraziarmi.» «Sì, invece, Sam. Non ho mai avuto niente di simile. Non c'è mai stato nessuno che mi abbia dato qualcosa di simile.» «Adesso mi stai ringraziando», rispose Samantha. «Certo. E mi terrò attaccato a te, anche», disse Marty. «Sono poche le persone a questo mondo che hanno dei matrimoni felici, e si dà il caso che io sia una di quelle.» Non finiva mai, pensò Samantha. Avrebbe recitato fino all'ultimo. «Voglio fare quel viaggio», proseguì Marty, «se per te va bene. Voglio dire...» «Sono sicura che andrà bene, comunque chiederò al dottore.» «Spero che sia una bambina.»
«Perché?» «Perché ti somiglierà.» «E se sarà un bambino... somiglierà a te... ti sembra tanto male?» «Molto meglio il primo caso», rispose Marty. Aveva gli occhi ancora inumiditi. «Ragazzi, che sorpresa! Che serata! Ehi, mi iscriverò a quel corso... sai, quello dove insegnano ai padri come essere utili durante il parto.» «Bene. Ho tutte le informazioni», ribatté Samantha. Poi Marty diventò a un tratto malinconico. «Vorrei avere una famiglia con cui dividere tutto questo», disse. «È l'unica cosa che mi manca.» Samantha gli sì avvicinò lentamente e gli mise le braccia intorno al collo. «Capisco», sussurrò. «Ma almeno noi costruiremo una famiglia unita... proprio qui.» Non riusciva a credere che stesse pronunciando quelle parole. Perché Marty insisteva a continuare su quel tono? Faceva parte di qualche rituale indispensabile, una recita che doveva aver luogo prima dell'assassinio? «È vero», rispose Marty. «Costruiremo la nostra famiglia. Forse sabato, dopo che avrò giocato a tennis con Tom, potremmo andare a comperare carrozzine, passeggini e roba del genere.» «Mi sembra un po' presto.» «Per mio figlio?» «Andremo a far spese», acconsentì Samantha. Ventitré e trentacinque. «Penso sia meglio che papà vada a dormire», disse Marty, tornando a guardare l'orologio. «Domani in ufficio mi aspetta una giornata pesante.» «Metto via solo qualche cosa», annunciò Samantha. Marty andò in camera da letto con la mente ancora in subbuglio. Gli piaceva parlare del piccino, ma gli piaceva anche la vendetta. Decidi, ordinò a se stesso. Decidi. Ma decidere era un inferno. Gettò un'occhiata sotto il letto per accertarsi che la borsa fosse ancora lì. Ma questo non lo aiutò a prendere una decisione. Ventitré e trentotto. Meccanicamente, cominciò a svestirsi, posando gli abiti in ordine su una sedia. Poi, altrettanto meccanicamente, si infilò il pigiama e aspettò che arrivasse Samantha. Lei sopraggiunse un minuto più tardi e fu sorpresa di vedere Marty pronto per andare a letto. Anche questo faceva parte del rituale? «Devi essere proprio stanco», disse. «Pensavo che avresti avuto abbastanza adrenalina nel sangue da stare su tutta la notte.» «Ce l'ho l'adrenalina», rispose Marty. «E forse non riuscirò a dormire.»
«Vuoi un po' di latte caldo? Ti farà bene.» «No, non è questo il modo di finire una festa.» Improvvisamente, Samantha vide che Marty si avvicinava al letto e si piegava. Solo allora notò che la borsa era sotto il letto. Il cuore cominciò a batterle in petto mentre vedeva Marty che la prendeva. Lentamente, egli la tirò fuori, poi cominciò ad aprire la chiusura lampo. Vi frugò dentro. Samantha era pronta a dire le parole che avrebbero fatto precipitare Cross-Wade nell'appartamento. Si guardò intorno. Se era arrivato il momento, avrebbe afferrato la lampada di ottone che stava sul comò, oppure avrebbe preso il Mace. Marty continuò a frugare nella borsa. Samantha udì il fruscio delle carte e delle clips. Poi, la sua mano cominciò a ritrarsi lentamente. Samantha intravide qualcosa di nero. Marty ne tirò fuori il suo pettine. «Non riesco a trovare il pettine che tengo nel bagno», spiegò. «Ho cercato dappertutto.» Samantha emise un profondo, straziante sospiro di sollievo... un sollievo temporaneo, ma pur sempre un sollievo. «Che cosa c'è?» chiese Marty. «Oh, niente, solo che comincio a sentire l'effetto di tutte le emozioni.» «Sam, siediti. Per favore. Ti trovi in un momento delicato.» E Samantha andò verso il letto e sedette. Erano le ventitré e quarantaquattro. Sapeva che fra sedici minuti tutto sarebbe finito. Che cosa stava aspettando Marty? Egli rimise la borsa sotto il letto. «Non ho visto l'altro pettine», disse Samantha. «Forse l'hai infilato nella tasca di una giacca per sbaglio.» «Sì, è probabile», rispose Marty, mentre davanti allo specchio metteva a posto qualche capello in disordine. Poi si voltò. «Fra poco il mio compleanno sarà passato», disse, quasi come un ragazzino che non fosse mai cresciuto. «Lo so», rispose Samantha. «Non vorrei proprio che finisse. È così importante per me.» Ci siamo, pensò Samantha. Istintivamente, si alzò dal letto e si avvicinò senza parere alla lampada da tavolo. «Perché vai lì?» chiese Marty. Nella sua voce c'era un filo di nervosi-
smo. «Solo per muovermi», rispose Samantha. Stava insospettendosi. Lei lo sentì. «Perché non vieni a sederti vicino a me?» Che cosa dire? Pensaci in fretta. «Marty, mi si è addormentata una gamba. Voglio solo sgranchirla.» «Non ti si erano mai addormentate le gambe prima.» «Forse è il bambino. La gravidanza fa strani effetti.» «Bene.» Sembrava convinto, ma c'era uno strano sguardo ostile nei suoi occhi. Adesso la paura tornava a crescere nell'animo di Samantha. La prossima volta che avesse frugato nella borsa, lo sapeva, non sarebbe stato per cercare un pettine. Alzò lo sguardo verso la griglia dell'aria dove c'era il microfono. Cross-Wade era in ascolto. Doveva aver notato che il tono di Marty stava cominciando a cambiare. Ventitré e quarantasei. «La gamba va meglio?» chiese Marty. «Un po'.» «Bene. Molto bene.» «Bene», disse Cross-Wade ai suoi, «prepariamoci alla carica.» Uno degli uomini andò alla porta dell'appartamento e la socchiuse. Cross-Wade e Loggins si toccarono le fondine, di cui sbottonarono le fibbie, augurandosi di non dover usare le pistole. «Gesù», mormorò Cross-Wade. «Non ha aperto la serratura. Le avevo detto di farlo. Il loro appartamento è ancora chiuso.» Egli aveva la chiave, ma sapeva che se non trovava via libera avrebbero perduto secondi preziosi. Era turbato, quasi in preda al panico. Si era rimpromesso solennemente di proteggere Samantha e qualcosa già stava andando storta. Ora doveva decidere: aspettare che Marty colpisse, o entrare subito e impedire un delitto, ma rinunciando alla flagranza di cui aveva bisogno. Per qualche altro momento rimase in ascolto davanti all'altoparlante. «Adesso mi sento molto meglio», disse Samantha, cercando ancora di recitare, e ancora chiedendosi fino a che punto Marty voleva andare avanti in quel modo. «Voglio che tu abbia cura di te», rispose Marty. «Tu porti un carico prezioso.»
«Questo lo so.» «Vieni a sederti qui.» E adesso che cosa poteva dire? Ventitré e quarantasette. Si avvicinò lentamente al letto. E poi, come se ci fosse della telepatia fra lei e Cross-Wade, ricordò. «Aspetta un secondo. Non ho chiuso la porta.» «L'ho chiusa io», disse Marty. «Sei sicuro?» «Certo che sono sicuro. Dopo che è uscito Tom.» «Sarà meglio che controlli.» «Sam, ti ho detto che l'ho chiusa.» «Marty, eri tutto emozionato. Hai saputo che cosa è successo oggi?» «No.» «Non volevo dirtelo, non subito prima della festa. Conosci Mrs. Klein del piano di sopra?» «Sì.» «Qualcuno è entrato nel suo appartamento. Rapina. L'hanno percossa.» Samantha sospirò come avrebbe fatto ogni brava attrice. «Non aveva chiuso la serratura.» «E allora andrò a controllare», disse Marty. «Marty, non trattarmi come un'invalida!» Era il tono perfetto, e Marty rimase sorpreso, tanto sorpreso che Samantha poté uscire dalla camera da letto prima che egli avesse una qualche reazione. Si voltò con un sorriso affettuoso, per ammansirlo. «Sono solo incinta», disse piano. Marty non fece nulla. Samantha andò alla porta d'ingresso, armeggiò con la serratura come le aveva detto Cross-Wade e la lasciò aperta. Per Cross-Wade, che ascoltava attentamente, ella era appena diventata una specie di santa. Ventitré e quarantotto. Samantha tornò in camera da letto e sedette accanto a Marty. Era un rischio, ma sentì di essere in grado di controllare la situazione. Con la porta aperta, Cross-Wade era a pochi secondi di distanza. Marty sembrava perso nei suoi pensieri, e lo era davvero. Ancora non aveva preso una decisione. «Un soldino per i tuoi pensieri», disse Samantha. «Stavo pensando a dei nomi», rispose Marty, mentendo. «È un po' presto», disse Samantha. «Ma mi diverte.»
«Già. Be', se è un maschietto, si chiamerà Martin Everett Junior», stabilì Samantha. «A questo ci tengo.» «Mi piace», rispose Marty. «Se non altro inaugurerei una tradizione di famiglia.» «E se è una bambina?» chiese Samantha. «Non lo so.» «Nessuna idea?» «Proprio no. Non ancora.» «Che ne dici del nome di tua madre?» suggerì Samantha. Marty sembrò irrigidirsi. «No», disse. «Non il nome di mia madre. Non mi è mai piaciuto.» Un altro segno, pensò Samantha. La fissazione di Marty con la sua vera madre. Stava arrivando. Egli aveva varcato il limite. Era una questione di minuti, o secondi. Cross-Wade pensava le stesse cose. Alle ventitré e quarantanove lui, Loggins e un terzo uomo uscirono sul pianerottolo, si avvicinarono alla porta di Samantha e rimasero fuori, pronti a scaraventarsi dentro. Adesso ascoltavano la conversazione con dei piccoli ricevitori muniti di auricolare. «Che ne dici del nome di mia madre?» chiese Samantha. Marty si strinse nelle spalle. All'improvviso era diventato di malumore. «Perché deve essere proprio il nome di una madre?» «Non è obbligatorio.» «Che ne dici di Ruth Lenore?» «È molto carino», approvò Samantha. «Lo hai pensato adesso?» «A mio padre piaceva quel nome. Una volta mi disse che se avessi avuto un sorella si sarebbe chiamata così. Ruth Lenore. Mi piace.» «Anche a me. Se è una bambina, Marty, quello sarà il suo nome.» «Sei sicura?» «Sicurissima.» «Papà ne sarebbe stato felice.» Era vero. Papà ne sarebbe stato felice. Egli avrebbe voluto una bambina e parlava sempre di chiamarla Ruth Lenore. Per Samantha, era ancora un altro segnale. Adesso Marty era il ragazzino che aveva adorato suo padre. Ventitré e cinquantuno. «Non è giusto», continuò Marty. «Papà avrebbe dovuto avere la sua bambina.» «Peccato che sia morto così giovane», osservò Samantha con compas-
sione. «Sarebbe stato molto buono con quella bambina», continuò Marty. Sembrava che fissasse il vuoto, che scivolasse in un altro mondo. Sebbene fosse sicuro che Samantha non lo sapeva, stava parlando del suo vero padre, del padre di Frankie Nelson, non del padre inventato nelle fole che aveva raccontato a Samantha e a tutti gli altri. «Scommetto che sarebbe stata la bambina più a modo della città», continuò. «Papà avrebbe fatto in modo che lo fosse.» Samantha era sempre più spaventata dall'espressione sulla faccia di Marty, dal suo monologo morboso. Con una mano tastò il Mace per essere sicura che fosse ancora al suo posto. Poi si alzò, si avvicinò di nuovo alla lampada da tavolo. Questa volta egli non ci fece caso. Erano le ventitré e cinquantadue. Sul pianerottolo, Cross-Wade era certo che il momento fosse virtualmente arrivato. «State pronti», sussurrò a Loggins e all'altro poliziotto. «Le avrebbe comperato abiti e nastri», cantilenava Marty. «Meraviglioso papà. Era sempre così buono con me.» «Ne sono sicura», rispose Samantha. Sapeva abbastanza delle teorie di Cross-Wade sulle condizioni di Marty per dargli spago con abilità. «Ti ho raccontato della volta che mi portò a cavalluccio per tutto un parco giochi?» «No.» «Lo fece. E aveva anche la schiena malandata. Ma voleva farmi divertire. Mamma non c'era. Lei non veniva mai ai parchi giochi. A papà piacevano tutte quelle cose. Come i treni elettrici. Gli piacevano i treni elettrici. Era difficile poterseli permettere. Sai, i tempi erano duri.» «Me l'hai detto.» Ventitré e cinquantatré. «E invece mi comprò i treni. Proprio come quelli che ho comperato io. I migliori. Papà voleva sempre le cose migliori per me. Voleva che quando fossi diventato grande andassi all'università. Mi dispiace che non mi abbia visto laureato.» Si fermò. Guardò l'orologio. Poi tornò a guardarlo come se studiasse l'ora. «Vieni qui», disse. Samantha non si mosse. «Vieni qui.» Cross-Wade udì e mise una mano sulla maniglia girandola leggermente. Samantha rimase ferma.
«Hai paura di me?» chiese Marty. Senza aspettare la risposta, si alzò lentamente e cominciò ad avvicinarsi a Samantha. Lei gettò un'occhiata alla lampada da tavolo. Marty si avvicinò. La strinse fra le braccia. Ventitré e cinquantaquattro. La tenne così per un minuto intero, senza dire una parola. Ventitré e cinquantacinque. «A papà sarebbe piaciuto vedere il nostro bambino», disse alla fine. «Senza dubbio.» Si voltò e andò nella stanza da bagno. Chiuse la porta. Per un po' Samantha sentì scorrere l'acqua. Poi Marty uscì. Andò verso il letto. Samantha vide che guardava la borsa, per terra. Era pronta a dire le parole che avrebbero fatto arrivare Cross-Wade. Ventitré e cinquantotto. Marty sorrise a Samantha e le mandò un bacio con le labbra. «Grazie per la magnifica serata», disse, «e per un magnifico bambino.» Ventitré e cinquantanove. Senza una parola si infilò nel letto e chiuse gli occhi. Samantha non riusciva a credere ai suoi occhi. Il cinque dicembre era passato nella storia. Martin Everett Shaw aveva deciso. 19 Samantha continuò a fissare Marty. Poi guardò l'orologio sul comò. Era mezzanotte e un minuto. Era passato. Era passato. Sentì che ogni muscolo del suo corpo si distendeva. Le parve che una metà del peso fosse evaporata dalle ossa. E si sentì di nuovo completa. Le vaghe speranze che l'avevano sostenuta durante i momenti di orrore che aveva vissuto erano state esaudite. Marty non era un assassino. Ancora non sapeva chi fosse, ma non era la versione adulta di quel patetico ragazzino di Omaha. Spencer Cross-Wade, ammesso l'errore delle cartelle mediche, era stato evidentemente fuorviato da qualcos'altro. Sì, c'erano tutte quelle prove — la somiglianza fra la stanza di Omaha e quella camera da letto — ma le prove a volte possono ingannare, Samantha lo sapeva. Glielo aveva detto Cross-Wade. Nel caos di quel momento ella non era in grado di spiegare tutte le contraddizioni, tutti gli indizi che portavano a Marty. Sapeva solo che lui era disteso lì, innocuo, la mattina del sei dicembre, come un uomo innocente che aspetta di diventare padre.
Cross-Wade stava ancora fuori della porta d'ingresso con Loggins e un altro poliziotto. Adesso il sergente Yang, che era rimasto ad aspettare nel «loro» appartamento, li raggiunse. Nella polizia c'era solo sconcerto. Cross-Wade compativa Samantha, era lieto per lei, ma riconosceva che forse lo schizofrenico del calendario gli era sfuggito. «Non capisco», sussurrò ai suoi uomini, che si sentivano un po' sciocchi a starsene fuori della porta di un uomo innocente. «Tutto portava a lui.» «Tutto era sbagliato», si lamentò Yang. «Forse», rispose Cross-Wade. «Forse no. Potrebbe solo aver deciso di smettere di uccidere, o di saltare un anno o chissà cosa.» «O forse non è lui», disse Loggins. «O forse non è lui», convenne Cross-Wade. «In questo caso da qualche parte una giovane donna è morta stanotte. E io sono il responsabile.» «Non è vero», protestò Yang. «Lo è», insisté Cross-Wade. «È un fatto matematico, sergente. Matematico. E domani dovremo ricominciare tutto da capo. Dalla casella zero.» Cross-Wade fu interrotto dal clic della maniglia. I poliziotti videro che girava lentamente, con esitazione. Compì tutto il giro, poi la porta si aprì. E apparve Samantha. Non fu sorpresa di vedere i poliziotti proprio fuori della porta. Fu sorpresa di vedere Yang. «Non sapevo...» esordì, guardando Yang. «Ho voluto esserci anch'io», rispose Yang. Poi Samantha spostò lo sguardo su Cross-Wade. «Non ho risposte», le disse Cross-Wade, parlando a bassa voce per non svegliare Marty. «Nemmeno io», sussurrò Samantha. Poi gettò le braccia al collo di Cross-Wade, un abbraccio che dimostrava attraverso quale prova essi fossero appena passati. Rimase lì, con la testa sulla sua spalla, mentre lui la cingeva con le braccia. «Mi pare di esserle servito a ben poco», disse Cross-Wade. «Le faccio le mie più sentite scuse.» Gli altri poliziotti si allontanarono per non disturbare quel momento del tutto personale. «So che lei ha fatto del suo meglio», rispose Samantha. «Chi può dire che cosa c'è nella mente di Marty?» «Come si sente?» chiese Cross-Wade. «Non lo so», confessò Samantha. «Sono sollevata, enormemente sollevata. È ovvio. Ma ancora non so chi sia mio marito. E stiamo per avere un
figlio.» «Ho il presentimento che tutte le risposte arriveranno», disse CrossWade. «Spero che la facciano felice.» «Grazie.» «Adesso ce ne andremo. Come le ho già detto, siamo a sua disposizione. Io ho da risolvere questo caso... ancora. Ci lavorerò su.» «Buona fortuna», disse Samantha. Si tolse da sotto l'abito il Mace e lo restituì a Cross-Wade senza un commento. «Buona fortuna, signora. Guarderò sui giornali l'annuncio della nascita.» «Non ce ne sarà bisogno», rispose Samantha. «Lei sarà il primo al quale telefonerò.» «Gliene sono grato, Mrs. Shaw.» Samantha salutò Loggins, il sergente Yang e il quarto uomo che non aveva mai visto. Sentiva una certa attrazione verso di loro, un legame emotivo che la vittima sente sempre verso coloro che si occupano del suo caso. Rimase per qualche istante sul pianerottolo, poi rientrò in casa. Samantha si guardò attorno nell'appartamento buio, rimpiangendo di non aver saputo fin dall'inizio della festa quello che sapeva adesso. Si sarebbe sentita meglio. Avrebbe sentito la pienezza del suo legame con Marty, il senso di completezza che le dava lo stare con lui. Con tutto il mistero sul suo passato, sapere che egli non voleva ucciderla sarebbe stato il più grande sollievo. Tornò nella camera da letto buia. Alla fioca luce che veniva da fuori guardò ancora una volta il viso di Marty così soddisfatto, così contento, così rilassato. Il respiro era regolare, il corpo immobile. Stava sognando? Forse, pensò Samantha. Marty era uno che sognava spesso. E se stava sognando, probabilmente sognava il bambino, le passeggiate per Central Park, le altalene e i recinti di sabbia nel parco giochi, il primo giorno di scuola e le riunioni con gli insegnanti. Marty si sarebbe goduto tutto ciò. Gli avrebbe dato quel senso della famiglia, di cui aveva sempre sentito la mancanza. Samantha tornò facilmente alla convinzione che il passato di Marty, anche se misterioso, fosse nobile, e che tutto sarebbe stato chiarito in un momento importante, con il piccino sulle sue ginocchia. Si spogliò e indossò una camicia da notte blu pallido, la preferita di Marty. Stava per entrare nel letto, ma poi le venne in mente qualcosa, un gesto che, era convinta, avrebbe fatto piacere a Marty. Andò allo scrittoio, sedette e prese un foglio di carta bianco. Sopra ci scrisse: «Ti amiamo tutti
e due». Poi prese il foglio e lo mise sul comodino di Marty. Era sicura che, svegliandosi, lo avrebbe visto. Samantha entrò nel letto e subito sentì il calore dei corpo di Marty accanto a lei. Sapeva che le sarebbe stato difficile addormentarsi, con la mente ancora frastornata dagli avvenimenti incalzanti di quella serata, ma quel calore la confortava, le dava sicurezza. «Buona notte», gli sussurrò, ovviamente senza aspettarsi una risposta, ma sentendo nondimeno il bisogno di dirlo. Sentiva la città, fuori, che andava quietandosi, il traffico diminuiva, i nottambuli si ritiravano. Pensò a Spencer Cross-Wade e al sergente Yang, senza dubbio delusi per non aver preso il loro uomo, e pensò al mistero dell'assassino del calendario ancora uccel di bosco. Ma, inevitabilmente, i suoi pensieri tornarono all'innocenza di Marty e a ciò che questo significava per il futuro. Era mezzanotte e sedici minuti. Samantha si girò da una parte e si addormentò. 20 A mezzanotte e trentacinque Martin Shaw aprì gli occhi. Non si era addormentato. Era rimasto ben sveglio. Ad aspettare. Ad aspettare il momento preciso. Martin Shaw aveva deciso. E adesso avrebbe mandato a effetto la sua decisione. Lentamente, ma senza esitare, scese dal letto e si avviò verso la porta della camera. Samantha, che non riusciva a dormire, lo sentì e aprì un occhio. Vide Marty e pensò che andasse in cucina per uno dei suoi spuntini di mezzanotte. Decise di non seguirlo per dargli modo di rimanere solo con i suoi pensieri e le sue gioie. Lo sentì attraversare l'ingresso e poi fu sicura di sentirlo entrare nel soggiorno. Marty andò nello sgabuzzino dove erano riposti i treni elettrici e cominciò a tirarli fuori. Rapidamente montò un semplice circuito nel soggiorno, un ovale di rotaie lungo circa un metro e mezzo. Sistemò i treni sulla rotaia e girò il commutatore. Samantha sentì i treni. Che cosa gli succedeva? Oppure non gli succedeva niente? Forse neanche lui riusciva a dormire e aveva deciso di divertirsi
con i suoi treni, proprio come altri uomini prendono un libro o la collezione di francobolli o guardano la televisione. Era strano, ma non del tutto allarmante. In effetti, ella concluse che quello era un buon segno: Marty si divertiva. Forse i treni lo facevano pensare al bambino. Treni e bambini vanno d'accordo molto, molto bene. Mentre i treni correvano, Marty li guardava intento. «Ti piacciono i miei treni, papà?» sussurrò, troppo piano perché Samantha potesse udirlo. «Sto facendo un buon lavoro per te?» Tornò in camera da letto, lentamente. Guardò Samantha per essere sicuro che dormisse. Samantha non si mosse. Non voleva che Marty si accorgesse che era sveglia, sempre convinta che quei momenti da solo gli facessero bene. Marty allungò una mano sotto il letto e tirò fuori la borsa. Tirò fuori la videocassetta del notiziario di Douglas Edwards. Samantha aprì un occhio e lo vide. Ma egli portava spesso a casa videocassette. Non voleva dir niente. Marty tornò nel soggiorno con la videocassetta. Samantha lo sentì spostare dei mobili. Non poteva vedere che stava togliendo il vecchio televisore modello Trenta dall'angolo in cui era stato cacciato. L'apparecchio venne sistemato in un mobile nel quale c'era anche il videoregistratore degli Shaw. Samantha riconobbe il rumore dello sportello del videoregistratore che si apriva. Ma ancora non sospettava di nulla. Marty guardava spesso le videocassette. Poi sentì lo sportello che si chiudeva. Ci furono parecchi altri clic mentre Marty girava gli interruttori del videoregistratore e del televisore. Il vecchio apparecchio a valvole cominciò a riscaldarsi e dopo circa trenta secondi il suono arrivò in crescendo. Deve essere un film, pensò Samantha. Non lo era. Udì la voce di un uomo. Stava leggendo le notizie. Riconobbe la voce, ma non riuscì a ricordare a chi appartenesse, per quanto le sembrasse simile a una voce che aveva sentito molto tempo addietro. Douglas Edwards. Ecco chi era. Se ne era ricordata. Rammentò che negli Anni Cinquanta aveva un programma di notizie sulla CBS sponsorizzato dalla Oldsmobile. Lei ogni tanto gli dava un'occhiata sul vecchio televisore in bianco e nero Dumont che i suoi genitori tenevano nel soggiorno. Ma perché Marty stava guardando un vecchio nastro di Doug Edwards? Non era un nostalgico e la storia non era proprio la sua passione. Era, però, un po' fanatico della TV e forse aveva comperato un vecchio nastro per ricordare le origini del mezzo televisivo. O forse stava facendo una ricerca
per un progetto di pubbliche relazioni. Che importanza aveva? Ma perché guardava il nastro mentre i treni correvano? Samantha era stanca e Marty probabilmente traboccava di felicità, e allora qual era la differenza? Marty guardava il nastro, ipnotizzato. Ricordava la voce di Doug Edwards in quella orribile notte. Ricordava il tono pacato, uniforme, il modo di porgere non melodrammatico, diretto. Tutto era pronto. I treni correvano. Sullo schermo del modello Trenta c'era Doug Edwards. Marty si guardò in giro. C'era qualcosa fuori posto? Vide il ritratto di Samantha che Len Ross gli aveva offerto con tante cerimonie a nome del personale. Perché quello stava nel soggiorno? Lo prese e lo mise in cucina, fuori vista. Era pronto per l'ultimo grande rito prima dell'azione. Era mezzanotte e quarantotto. Lentamente Marty tornò in camera da letto. Samantha faceva sempre finta di dormire. Marty andò dalla sua parte. Allungò una mano e prese la sveglietta che stava sul comodino. Samantha avvertì la sua presenza e socchiuse appena un occhio per vedere che cosa stesse facendo. Marty alzò la sveglia. Cominciò a spostare all'indietro le lancette. Indietro esattamente di un'ora. Alle ventitré e quarantotto. Indietro al cinque dicembre. Adesso un brivido di paura che sembrò spaccarla in due percorse la spina dorsale di Samantha. Marty si avvicinò all'orologio dello scrittoio. Lo mise indietro. L'orologio aveva un datario. Samantha con un occhio vide il 6 diventare 5. Perché? Che cosa stava passando per la mente del futuro padre? Impietrita dalla paura, Samantha sentì che Marty lasciava la stanza e si aggirava per l'appartamento. Lo sentì fermarsi diverse volte. La direzione del suono le diceva che cosa stesse facendo. Stava fermando tutti gli orologi. Stava mettendo indietro l'ora. Stava mettendo indietro la data.
Di nuovo... cinque dicembre. No, pensò Samantha, non può essere vero. Non avrebbe fatto niente. Era una sciocchezza. Una stupidaggine. Si trattava solo di una forma di feticismo, qualcosa che lei non comprendeva, forse qualcosa di immaturo e di infantile. Non poteva essere diversamente; ciò nondimeno rimase a letto paralizzata dalla paura. Negli ultimi tempi erano successe tante cose strane. Marty stava in piedi nel soggiorno e osservava ciò che aveva fatto; tutto era a posto. Simile a quella sera del 1952. Più simile delle sere degli altri delitti, che spesso avevano dovuto essere commessi all'aperto. Questo era l'ideale. Questo era come doveva essere. «Spero che tu sia orgoglioso di me, papà», disse. Non parlava a bassa voce e Samantha lo sentì. Che significava questo? «Ho fatto tutto ciò che potevo, papà. Lo senti il programma di Doug Edwards, vero? Certo che lo senti. E ascolta quei treni. Gli stessi che mi regalasti tu, papà. Li ho montati proprio come facesti tu.» Samantha non riuscì a sopportare più a lungo l'incertezza. Scese dal letto e si avviò piano verso il soggiorno per vedere con i propri occhi. «Tutto è uguale, papà», continuò Marty. «È questo quello che ho cercato di fare.» Samantha arrivò sull'uscio del soggiorno e guardò dentro. Marty la vide subito. «Che cosa c'è?» chiese lei. Marty non rispose, ma si limitò a fissarla. «E allora?» insisté lei. Marty guardò un orologio a muro. Segnava le ventitré e cinquantatré. Dopo aver fissato Samantha ancora per qualche minuto, cominciò a muovere le labbra, ma senza articolare alcuna parola. Una strana espressione interrogativa apparve sul suo viso. Poi si udì il suono della sua voce, basso, gentile, quasi riverente. «Mi troverò un lavoro», disse. «Marty, tu ce l'hai un lavoro», rispose Samantha. «Dirigi una società.» Che cosa gli era successo? Che cosa non andava? «Volevo solo che avesse questi treni», continuò Marty. «Li ha sempre desiderati.» «Chi, Marty?» «Non davanti ai bambini, Alice!» «Alice?» chiese Samantha. «Chi è Alice? Marty, di che cosa stai parlando?»
«A Frankie piacciono i treni.» «Frankie?» E allora Samantha ricordò. Frankie Nelson era il nome del ragazzo di Omaha, il ragazzo che, aveva detto Cross-Wade, era diventato l'assassino del calendario. Oh mio Dio, è vero! si rese conto Samantha. E la polizia non c'era più. Non c'era più protezione. Non c'era niente. Era sola con lui. «Non sono un fannullone», disse Marty. «Ho solo bisogno di un intervallo.» «Certo che non sei un fannullone», rispose Samantha. Che altro poteva dire? Bisognava assecondarlo. Forse si sarebbe fermato. «Non davanti ai bambini, Alice!» «Certo che no.» Forse avrebbe dovuto gridare. Però Marty avrebbe potuto essere preso dal panico e prima che qualcuno intervenisse, tutto sarebbe finito. Precipitarsi alla porta? L'avrebbe presa di certo. No, l'unica speranza era una semplice, straziante autodifesa. Samantha era in trappola e lo sapeva. «Forse finiranno per sapere anche di te!» esplose Marty. «Dove hai passato la sera, Alice?» «Marty, che stai dicendo?» «Dove hai passato la sera?» «Qui, Marty, qui.» «Non davanti ai bambini, Alice!» «Mai, Marty.» All'improvviso, Marty cominciò ad arretrare verso la camera da letto. Si fermò. «Vieni con me!» ordinò. «Perché?» «Vieni con me!» Samantha adocchiò la porta d'ingresso. Di mezzo c'era Marty che non l'avrebbe mai lasciata passare. Andò con lui nella camera da letto. «In qualche modo troverò il denaro per i treni», disse. «Certo che lo troverai.» La borsa non era più sotto il letto perché Marty l'aveva tirata fuori per prendere la videocassetta. Era appoggiata contro un comodino. Marty ci si buttò sopra e in un attimo afferrò il martello e la catena. «Oh, mio Dio!» urlò Samantha. La vista delle armi fu la conferma definitiva delle sue paure. Vide uno spazio, un varco per la porta d'ingresso. Scattò. Marty fu più svelto.
La bloccò, la sgambettò. Lei rotolò per terra. «Non farlo!» le ordinò. «Ti voglio qui, mamma!» Samantha balzò in piedi. «Non sono mamma! Sono Samantha, Marty. Non sono lei!» Marty non rispose. Si avventò su di lei. Alzò il martello. Samantha gridò, poi afferrò una lampada e la scagliò contro Marty. Lo colpì, e una punta di metallo gli ferì un braccio. Lui fissò il sangue. «Non sei buona, mamma. Una buona mammina non fa del male al suo Frankie. Tu non sei mai stata buona.» Tornò all'attacco. Lei scivolò attorno ai mobili e finalmente afferrò una sveglia e cercò disperatamente di rimettere avanti le lancette. «È il sei dicembre, Marty. Il sei dicembre.» Marty le scagliò contro il martello e colpì la sveglia che cadde a terra prima che lei potesse rimetterla. Vide un altro varco e vi si precipitò. Lui l'afferrò. Lei si divincolò. Le bloccò la via per la porta d'ingresso. Lei si precipitò verso la cucina. C'erano dei coltelli, lì. Coltelli. Egli la intrappolò in cucina. «Non davanti ai bambini, Alice!» Samantha si avvicinò al cassetto dell'argenteria e lo aprì. Allungò una mano per afferrare un coltello. Rimase impietrita. Non c'erano coltelli. Erano stati usati tutti per la festa e stavano nella lavastoviglie... vicino a Marty. Samantha non aveva niente. Aveva anche restituito il Mace. Non c'era nulla da fare. Di questo era sicura. Marty avanzò lentamente verso di lei. Samantha si addossò a un mobile, troppo spaventata per gridare. Sul volto di Marty apparve uno strano, mistico sorriso. «Papà», disse, «questo è per te.» Alzò il martello sopra la testa. Improvvisamente ci fu un gran tonfo dietro di lui. La porta d'ingresso dell'appartamento si spalancò. Samantha vide solo una macchia, poi un lampo. Le orecchie assordate dall'esplosione. Udì un orribile lamento soffocato.
Il sorriso di Marty si trasformò in un'espressione di stupore. E crollò a terra. «È finito», disse Spencer Cross-Wade, con la pistola d'ordinanza in mano, guardando con compassione Samantha. «Mi dispiace che sia finita così.» Samantha quasi non lo udì. Le sue orecchie erano ancora assordate dal rumore dello sparo. Il trauma ebbe ragione del suo corpo, dei suoi sensi. Quasi non vedeva Cross-Wade che stava in piedi davanti a lei. Ma dopo qualche attimo sentì un braccio di lui attorno alle spalle che la guidava fuori da quella stanza degli orrori. Mentre usciva, abbassò lo sguardo e vide il suo ritratto schizzato dal sangue di Marty che colava sul volto e macchiava i capelli biondo rame che erano stati il simbolo dell'ossessione di Marty. «Sieda», le disse Cross-Wade, quando furono accanto a un divano nel soggiorno. «Cerchi di calmarsi. Adesso è al sicuro. Non c'è più pericolo.» Samantha chiuse gli occhi, tentando di riaversi dal terremoto che aveva sconvolto il suo mondo. Cross-Wade si guardò intorno e vide i treni che ancora correvano e l'immagine di Douglas Edwards che, nel suo granuloso splendore da Anni Cinquanta, appariva ancora sul vecchio modello Trenta. Fermò i treni. Spense il videoregistratore. Ciò che restava del passato di Marty fu d'un tratto immobile. «Come ha fatto a sapere?» chiese Samantha all'uomo che le aveva appena salvato la vita. «Si potrebbe dire l'istinto del poliziotto», rispose Cross-Wade. «Stavo tornando a casa e guardai l'orologio. Improvvisamente mi venne fatto di pensare: qui era il sei dicembre, ma era ancora il cinque dicembre nell'unico posto che contava... Omaha, Nebraska. Sono un'ora indietro. Marty viveva qui, ma in questo giorno la sua mente era tornata al tempo di Omaha.» «Aveva messo indietro gli orologi», sussurrò Samantha. «Già... sul tempo di Omaha. Suo marito voleva una vendetta perfetta. Cercò di ricostruire il più esattamente possibile la sua sera del 1952.» «Non è stato Marty che ha cercato di uccidermi stanotte», insisté Samantha. «È stato Frankie.» «Esattamente.» «Marty lo amerò sempre», disse Samantha. «Spero che lo faccia», rispose Cross-Wade. Si alzò e andò a telefonare all'ufficio del coroner.
Era finita. Il terrore dello schizofrenico da calendario era giunto al termine. Epilogo Marty fu seppellito quattro giorni più tardi. Samantha non aveva mai pensato all'eventualità della sua morte ed egli non aveva lasciato né istruzioni né richieste. Ma ormai Samantha sapeva chi egli era e quali fossero stati i suoi sentimenti. Così fece traslare la salma a Omaha e la fece seppellire nel piccolo cimitero che egli aveva visitato spesso... accanto a papà. Fu sepolto con il suo vero nome, Frank Nelson, inciso sulla lapide. E Samantha si preoccupò che la tomba di papà fosse ripulita e la lapide raddrizzata. Aveva invitato gli amici di Marty ad andare a Omaha con lei, ma capì che il costo del viaggio e lo scandalo che aveva circondato quella morte avrebbe dissuaso molti. In effetti, solo un amico andò... Tom Edwards, il sostegno di Samantha, l'uomo sul quale ella sapeva di poter contare. Egli si occupò di tutto con un'agenzia di pompe funebri di Omaha, si procurò i documenti richiesti e ordinò persino i fiori. Molte delle persone con le quali ebbe a che fare pensarono che fosse un parente stretto di Samantha. Nei mesi che seguirono la morte di Marty, molti amici di Samantha si allontanarono, pensando che anche Samantha fosse invischiata nella saga dello schizofrenico da calendario che era stata dettagliatamente riportata da tutti i giornali. Lynne, per le insistenze del marito, si comportò correttamente, ma senza calore. Ma Tom si dimostrò devoto, premuroso, generoso. Cominciò ad andare a trovare Samantha tutti i giorni, portandola a cena, a volte al cinema o a teatro. L'accompagnò anche dal medico quando la gestazione si avvicinò al termine. Tom e Samantha divennero intimi e in Samantha nacque un profondo sentimento per lui. Egli stava diventando molto simile a Marty, a Marty quale era prima che Frankie prendesse il sopravvento. Forse stava emulando Marty, forse lo aveva idolatrato. A Samantha questo piaceva perché la teneva ancora attaccata all'aspetto di Marty che ella voleva ricordare per sempre. Il bambino, un maschietto, nacque nel tempo previsto. Samantha chiese consiglio a Tom per il nome. Tom ebbe una sola risposta: Martin Everett Shaw, Jr. E così Marty Jr. venne al mondo. Dopo la nascita Tom e Samantha diventarono ancora più intimi; tre o quattro volte la settimana Tom andava a prendere Samantha e Marty Jr. e li
accompagnava a spasso. Era inevitabile: quattordici mesi dopo la morte di Marty, Tom e Samantha si fidanzarono. Subito prima dell'intima cerimonia nuziale, Tom disse a Samantha che voleva andare a visitare la tomba di Marty. Voleva andarci da solo, disse, per rendere omaggio al suo più caro amico, forse per dirgli qualche muta parola. Samantha ne fu commossa. Questo gesto le fece amare ancora di più Tom. Rispettò quel desiderio, e così Tom volò a Omaha e andò al cimitero. Era un giorno gelido e triste quello in cui varcò i cancelli del cimitero. Si avvicinò alla tomba di Marty e rimase lì in piedi. E disse qualche parola: «Ti penso ogni giorno. Nessuno sa che cosa eravamo l'uno per l'altro. Nessuno sospetta. La sposerò presto e continuerò al tuo posto. Farò quello che tu volevi fare... per te e per papà. Te lo giuro solennemente. Verrà il cinque dicembre. Questa volta lei non sa niente. Non sfuggirà. Riposa in pace, fratello mio». Lasciò il cimitero. Due settimane più tardi Samantha Shaw raggiungeva Thomas Edwards in una cappella e diventava la sua legittima consorte. Il giorno dopo, Tom prese la metropolitana per Queens e andò a comperare un martello e una catena. FINE