MARI SANDOZ
LO STRANO UOMO DEGLI OGLALA
Titolo originale dell'opera Crazy Horse Hastings H o u s e Publishers, 10 Ea...
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MARI SANDOZ
LO STRANO UOMO DEGLI OGLALA
Titolo originale dell'opera Crazy Horse Hastings H o u s e Publishers, 10 East 40th Street, New York NY 10016, USA
Tutti i diritti riservati © 1942 Mari Sandoz © 1987 Rusconi Libri S.p.A., via Livraghi 1/b, 20126 Milano
Traduzione dall'inglese di Donatella Tippett Andalò
Questo libro è dedicato a ELEANOR HINMAN che per molti mesi ha lavorato con fede a una biografia di Cavallo Pazzo, per poi desistere e lasciare spontaneamente che fossi io a realizzare un desiderio che era stato prima suo.
INTRODUZIONE
La casa in cui ho vissuto da bambina sorgeva nella regione dell'alto corso del fiume Niobrara - l'Acqua che Corre, come lo chiamavano gli Indiani di una volta - ai bordi della regione denominata Territorio Indiano. Era vicina, o così sembrava (ché allora non c'erano sbarramenti o confini), alle grandi riserve sioux del Dakota meridionale; vicina a Forte Robinson e ai Black Hills: tutti luoghi in cui erano finiti molti degli antichi Indiani cacciatori di bisonti, oltre a numerosi mercanti bianchi e appostatori di trappole per gli animali di cui si vendeva la pelliccia: uomini della Trontiera che avevano accolto con disprezzo l'arrivo del filo spinato e dell'aratro a mano. Avendo alle spalle un passato eroico, gli Indiani sono spesso dei narratori straordinari. Mio padre, Vecchio Jules, li attirava a sé come un tempo li avrebbe attirati una spirale di fumo che si alzasse dietro un gruppo d'alberi, oppure l'aroma del caffè verso sera. Questi vecchi Sioux si sedevano intorno alla tavola della nostra cucina oppure, la sera, intorno ai loro fuochi. Spesso si accampavano proprio dirimpetto a casa nostra. Da loro ho sentito raccontare molti e meravigliosi episodi di caccia ai bisonti, alle pecore di montagna, agli orsi bruni, e delle loro battaglie e scorrerie dal fiume Arkansas al Musselshell, dal Missouri al Green. Quasi sempre però amavano tornare sulle battaglie di quelle che i Bianchi chiamavano guerre sioux, e dall'apogeo che avevano toccato in un fatidico giorno d'estate con la battaglia del Little Big Horn solevano ripercorrere a ritroso la loro storia fino al 1854, allorché il giovane Grattan con un pugno di soldati, un interprete ubriaco e due cannoni, aveva stoltamente messo 7
piede in un pacifico accampamento sioux e non ne era più uscito vivo. Io li ascoltavo, e mi pareva che nella trama degli episodi che narravano ricorresse - come in una treccia una fettuccia colorata - il nome di un Oglala che era appena un ragazzo quando fu ucciso il capo della sua gente. Doveva avere dodici anni, ed era posato, serio, di pelle molto chiara per essere un Indiano, con capelli così morbidi e biondi che lo chiamavano Ricciuto o anche Ragazzo dai Capelli Chiarì. Ma vent'anni dopo sarebbe stato riconosciuto come il più grande guerriero oglala, e il suo nome — Cavallo Pazzo sarebbe bastato da solo ad atterrire i bambini dei Bianchi che avevano invaso la sua terra, nonché i guerrieri più spavaldi dei suoi nemici indiani, i Serpenti e i Crow. Una volta, mentre mio padre parlava con alcuni ospiti, Sioux Brulés che venivano dalla riserva del Rosebud, uno di loro, un vecchio, si accorse che mi ero messa di soppiatto ad ascoltarli. Allora mi prese per mano e mi condusse fin sulla cima del monte che dominava la nostra casa. Lassù, riparandosi con le mani gli occhi bianchicci e sfuocati, con lo sguardo lentamente percorse in lungo e in largo la valle del fiume, poi i precipizi e i profili delle alture, e intanto mormorava tra sé delle parole sioux: le solite sue frasi, mi disse suo nipote, sul modo in cui l'uomo bianco stava cambiando la faccia della terra. Ma dopo un po' vide quello che cercava: laggiù, all'incirca nel punto in cui era piantato il nostro vecchio ciliegio, i Brulés avevano costruito il palco funebre di Orso che Conquista, il capo che aveva voluto la pace e che i Bianchi avevano ucciso. In seguito venni a sapere che, se anche il punto esatto non era proprio quello, certo non doveva essere molto lontano; e che la cima pietrosa del monte su cui ci trovavamo doveva essere molto simile a quella su cui era fuggito il giovane Ricciuto, per digiunare e per cercare un punto di riferimento nella confusione che si era impadronita del suo cuore a causa di quelli che si dicevano fratelli bianchi dell'Indiano, e che invece avevano sparato. Certo è che il giovane Oglala era stato molte volte in quel luogo: era uno dei siti in cui la sua gente si accampava più volentieri, 8
e forse non era lontano nemmeno il punto da cui aveva tirato prugne alla graziosa fanciulla per la quale, divenuto un grande guerriero, un giorno avrebbe rischiato tutto. La sua era davvero una storia appassionante. Evidentemente dovevano essere in molti a giudicarla bella se tante volte avevo sentito dire che il tale o il tal altro (anche qualche scrittore di professione) stava lavorando a una vita di Cavallo Pazzo. Ma dopo queste voci non si era mai visto niente di concreto: forse perché sugli Indiani si era scritto così poco che resistesse a un attento esame, e forse perché Cavallo Pazzo non aveva assolutamente nulla del guerriero sioux adorno di penne e assetato di sangue quale era andato cristallizzandosi nella fantasia popolare. Anzitutto Cavallo Pazzo aveva la pelle chiara e, diversamente dalla maggior parte degli altri Sioux, non aveva interesse per cose come le pitture sul viso e sul corpo, gli ornamenti di penne, il canto, la danza e il racconto delle imprese di guerra. Inoltre, il nome con cui veniva spesso chiamato, il Nostro Strano Uomo, veniva inteso alla lettera da molti dei suoi seguaci e da molti discendenti dei suoi nemici: ne ho trovato tracce chiarissime in documenti militari datati 1876-1877, i quali contengono i rapporti fatti dalle guide al ritorno dal suo accampamento. Anche le guide che partivano dai forti sul fiume Missouri avevano intuito la natura di Cavallo Pazzo, pur non avendolo mai visto incitare i guerrieri restii a battersi in una lotta impari e dura o sostenere da solo una carica di Serpenti, oppure, in tempo di pace, attraversare assorto l'accampamento mentre ogni volto si ravvivava al suo passaggio. Finalmente ho avuto io l'occasione di scrivere la storia di Cavallo Pazzo. Mi ero un po' occupata di storia della Frontiera, avevo fatto parte per alcuni anni del personale dell'Istituto per la Storia dello Stato del Nebraska e avevo lavorato nella redazione della « Nebraska History Magazine » (Rivista di Storia del Nebraska). Poi ho trascorso due inverni negli archivi di Washington per esaminare i Documenti AGO e i dossiers dell'Indian Bureau dal 1840 al 1880 per il territorio a ovest del fiume Missouri. Ho studiato tutto il materiale reperibile nelle biblioteche storiche del 9
Nebraska, del Colorado, del Wyoming e nella Biblioteca del Congresso; nonché tutti i documenti, lettere e manoscritti vari, comprese le interviste costituenti il Fondo Ricker dell'Istituto per la Storia dello Stato del Nebraska. Nel 1930 Eleanor Hinman ed io abbiamo fatto un viaggio di quasi cinquemila chilometri nella terra dei Sioux per identificare importanti località indiane e per vivere in mezzo a questo popolo. I Sioux fermavano i carri presso le nostre tende esattamente come avevano sostato presso la mia casa sull'Acqua che Corre quand'ero bambina. Abbiamo intervistato i pochi, vecchi cacciatori di bisonti ancora vivi, parenti e amici di Cavallo Pazzo quali Penna Rossa, Piccolo Uccisore, Toro Basso e particolarmente Cane, che gli era stato amico fraterno per tutta la vita. Abbiamo fatto bene a compiere quel viaggio allora, perché adesso Cane è morto. L'ultima volta che ci vedemmo fu nel 1931. Ricordo il temporale, i tuoni di quel giorno. Vecchio e cieco, lo rendeva felice credere che fossi stata io a portare la pioggia. « Tornerai ancora in tempo di siccità, vero, nipote mia? », mi disse. « Sono buoni i tuoi passi per le orecchie di un vecchio... ». Molte siccità si sono susseguite da allora, ma non sono più tornata da Cane prima che morisse. Ora il mio libro su Cavallo Pazzo è finito. In esso ho cercato di raccontare non solo la storia dell'uomo ma anche un po' della vita del suo popolo in quel periodo cruciale. A tal fine ho usato le più semplici parole possibili sperando, con il linguaggio, con le immagini e con il ritmo stesso del discorso, di poter dire alcune delle cose dell'Indiano per le quali l'uomo bianco non ha parole; di mostrarne l'indole, nella misura in cui è possibile; di esprimere il rapporto in cui era con la terra, col cielo e con tutto ciò che è tra il cielo e la terra. Spero di esserci riuscita almeno in parte, perché erano un grande popolo, gli antichi Sioux cacciatori di bisonti, e un giorno i loro figli, che percorrono la nuova, dura strada dell'uomo bianco, faranno rifiorire tutta la loro antica grandezza. M.S.
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IL PAESE DI CAVALLO PAZZO
1. 1842 c. (non si conosce l'anno esatto: le fonti oscillano tra il 1840 e il 1845): Cavallo Pazzo, chiamato Ricciuto fino alla soglia dei vent'anni, nasce sul torrente Rapid (Rapid Creek). 2. 19 agosto 1854: i soldati comandati dal tenente Grattan sparano su Orso che Conquista, e il giovane Ricciuto vede questo fatto.
3. Orso che Conquista muore per le ferite riportate. Secondo altri, sarebbe morto alla foce dello Snake oppure nei pressi del torrente Box Butte, entrambi affluenti dell'Acqua che Corre (Niobrara). 4. Una spedizione di guerrieri brulés uccide Logan Fontenelle, capo degli Omaha. Ricciuto uccide una donna omaha. 5. 3 settembre 1855: battaglia dell'Acqua Azzurra. Ricciuto trova una Cheyenne abbandonata. 6. 29 luglio 1857: la cavalleria di Sumner sferra un attacco contro i Cheyenne al fiume Salomon. 7. Estate 1857: Grande Consiglio dei Teton Lakota (Sioux). 8. Ricciuto è tra i guerrieri che combattono contro il Popolo che Vive nelle Case d'Erba e, in seguito alle sue imprese, gli viene dato il nome di Cavallo Pazzo. 9. 20 giugno 1861: combattimento contro i Serpenti. Il figlio di Washakie rimane ucciso. 10. 7 gennaio 1865: i Cheyenne e i Lakota attaccano Julesburg. 11. 14 giugno 1865: insurrezione di Indiani al torrente Horse. 12. 25-26 luglio 1865: Cavallo Pazzo alla testa dei guerrieri-esca nell'attacco contro il ponte sul Piatte. 13. 1, 4, 5 settembre 1865: attacchi contro la colonna di Cole lungo il Powder. 14. 8 e 10 settembre 1865: altri attacchi contro i soldati di Cole in fuga. 15. 21 dicembre 1866: Cavallo Pazzo è tra coloro che attirano Fetterman e i suoi uomini in una trappola mortale. 16. 1 agosto 1867: battaglia di Hayfield. 17. 2 agosto 1867: « Battaglia dei Carri ». 18. 19 marzo 1868: Cavallo Pazzo, Cavallo Americano e Piccolo Grande Uomo attaccano la vecchia stazione di Horseshoe. 19. Cane e Cavallo Pazzo portano le Lance Oglala nella battaglia detta Essi Misero in Fuga i Crow e li Inseguirono fino all'Accampamento. 20. 14 agosto 1872: combattimento contro il maggiore Baker che con la sua scorta proteggeva i periti in rilevamenti topografici della Northern Pacific Railroad, la ferrovia che stava unendo il lago Superiore allo stretto di Puget. 21. 11 agosto 1873: combattimento contro le truppe di Stanley comandate da Custer. 22. 17 marzo 1876: Reynolds assale l'accampamento di Cane e di Due Lune. Gli Indiani riparano nell'accampamento di Cavallo Pazzo.
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23. 17 giugno 1876: Cavallo Pazzo partecipa all'attacco che respingerà Crook dal Rosebud. 24. 25 giugno 1876: battaglia del Little Big Horn. 25. 7 luglio 1876: attacco contro le guide di Sibley. 26. 9 settembre 1876: Slim Buttes.
distruzione dell'accampamento di Piuma di Ferro agli
27. 21 ottobre 1876: Miles fa aggredire gli Indiani di Toro Seduto mentre questi è a consiglio con lui. 28. 25 novembre 1876: distruzione dell'accampamento di Coltello che non Taglia. Gli Indiani riparano nell'accampamento di Cavallo Pazzo. 29. Dicembre 1876: ambasciatori di pace lakota, recanti la bandiera bianca, vengono uccisi da guide crow a Forte Keogh. 30. 8 gennaio 1877: Miles attacca Cavallo Pazzo. 31. 4 settembre 1877: Cavallo Pazzo mette in salvo la moglie accompagnandola dai suoi parenti nell'agenzia di Coda Chiazzata. 32. 5 settembre 1877: Cavallo Pazzo è colpito alla schiena. Ferite da baionetta.
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Desidero ringraziare per il materiale documentario messo a mia disposizione: il dott. A.E. Sheldon e l'Istituto di Storia dello Stato del Nebraska, di cui egli è sovrintendente; il personale degli Archivi Nazionali di Washington, D.C., e in particolare le persone cui sono affidati i documenti del Ministero della Guerra e dell'Indian Bureau; il Dipartimento di Storia del West della Biblioteca Pubblica di Denver; il Centro Bibliografico per la Ricerca; l'Istituto di Storia dello Stato del Colorado; Lawrence K. Fox dell'Istituto di Storia dello Stato del Dakota meridionale; il dipartimento di Storia del Wyoming; il dott. Larson dell'Università del Wyoming, per avermi consentito di prendere in esame il Fondo Grace Hebard; la ora defunta sig.ra Helen Blish, per avermi permesso di consultare il manoscritto di Toro dal Cuore Cattivo che era di sua proprietà; e molti, molti altri, che non ho dimenticato.
Parte prima
IL RAGAZZO DAI CAPELLI CHIARI
1.
MUCCHE SULLA VIA SACRA
La sonnolenza, l'afa di metà agosto pesavano come una cappa di pelliccia sull'alto corso del fiume della Conchiglia (o Piatte settentrionale, come lo chiamavano i Bianchi). Quasi ogni giorno, verso mezzodì, i tuoni addensavano una nuvola nera e andavano a cavalcarla sull'alta vetta del picco Laramie. Ma a valle, lungo il fiume, non pioveva: la pista degli emigranti restava polverosa e non una nuvola ombreggiava le torrette e le luccicanti mura di adobe di Forte Laramie, quella città di soldati che non era se non un'isoletta di Bianchi nel gran mare di terra indiana largo più di tremila chilometri. La piana accidentata su cui sorgeva il forte era ingombra di arnesi appartenenti ai soldati, ai mercanti, agli appostatori di trappole; di tregge e tende indiane; di convogli di merci e di emigranti che nel 1854 sostavano a quell'avamposto occidentale come facevano già da cinque, dieci e più anni. Ma fino a cinque anni prima il forte era stato ancora una «città» indiana; i mercanti bianchi che ne erano i padroni1 avevano sposato le donne dei Lakota - così infatti si chiamano i Teton, cioè i Sioux occidentali, cacciatori di bisonti - e i Lakota erano quasi altrettanto liberi di varcare il portone del forte per entrarvi o uscirne quanto erano liberi di accamparsi, fare scambi, fare la guerra e andare a caccia come a loro piaceva. Fin dall'inizio c'era stata una strada dell'uomo bianco che passava davanti al forte; qualche volta per quella strada erano arrivati anche dei soldati a cavallo, e brillavano al sole le loro sciabole. Ma avevano 1 Nel 1849 l'esercito acquistò dall'American Fur Company (Compagnia Americana delle Pellicce) questo centro di mercato alla confluenza del fiume Laramie con la diramazione settentrionale del Piatte, e lo trasformò in una postazione militare (N.d.T.).
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sempre proseguito... e c'erano acqua, erba e bisonti in quantità, per tutti. Così era cominciata la pista.2 Dapprima era passato un rivolo appena di Bianchi: l'Indiano aveva alzato la mano per dare il benvenuto, si era messo a fumare. Poi aveva osservato l'allungarsi di quella carovana di Bianchi che gli passava davanti tutta l'estate, un giorno dopo l'altro, e che andava sempre nella stessa direzione. Si era stupito non vedendoli mai tornare indietro: eppure dovevano essere gli stessi ogni anno perché era impossibile che ci fossero tante persone al mondo. Le prime volte aveva fatto caso anche alle donne e ai bambini, perché per molto tempo aveva creduto che i Bianchi fossero solo uomini, sebbene avesse sentito parlare delle loro famiglie da qualcuno che le aveva viste: quelle donne con la pelle pallida e malata e il corpo che si sarebbe potuto spezzare in due; e i bambini, anch'essi pallidi, e con i capelli biondi e soffici come l'infiorescenza del pioppo che d'estate fa solletico al naso. Quando ancora passavano in pochi su quella pista, l'Indiano aveva permesso ai Bianchi di usare del suo mercato: si metteva la coperta sulle spalle e fumando la pipa li osservava. Gli stranieri compravano magari una manciata di polvere da sparo o quella che sarebbe stata l'ultima tazza di farina per una donna inferma; oppure facevano ferrare i buoi dalle zampe malate per tre dollari a zoccolo. Spesso i Bianchi abbandonavano dei carri che andavano ad aggiungersi ai già molti disseminati intorno al forte, cose morte come ossa vecchie: e questo perché le bestie che avrebbero dovuto tirare quei carri erano esauste e le montagne erano ancora lontane. Tirando boccate di fumo dalla sua pipa di pietra a cannello lungo, l'Indiano aveva osservato bene tutte queste cose e le aveva trovate molto nuove, molto strane. Ma di 2 È la famosa pista dell'Oregon che gli emigranti - l'A. non usa mai la parola « pionieri » - percorsero dal 1841 in poi. La pista cominciava a Westport sul Missouri nello Stato omonimo, e finiva a Oregon City attraversando quello che per i Bianchi era un territorio unorganized, non organizzato, cioè non ancora ripartito in Stati di forma per lo più rettangolare, e il territorio dell'Oregon, più vasto dello Stato dell'Oregon quale venne a far parte dell'Unione nel 1859 (N.d.T.).
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lì a poco quel rivolo di Bianchi era diventato un grande fiume, largo più di un tiro di fucile, e l'erba e i bisonti avevano cominciato a scarseggiare a tal punto che i cavalli indiani arrivavano tutt'ossa alla stagione della danza del sole, e i cacciatori dovevano viaggiare molti giorni, qualche volta anche sconfinare nella terra dei Crow, per poi portare a casa della carne fresca che bastava appena a riempire una pentola. C'era stata dell'inquietudine per questo e se ne era parlato molto ai consigli. I capi più giovani e i guerrieri, convenuti dalle zone del fiume Cheyenne a nord, dello Smoky Hill a sud, o da altri luoghi distanti dalla strada dell'uomo bianco, erano irritati da quello che vedevano succedere. E quando capi mercanti come Orso che Conquista, Coda di Toro e il vecchio Fumo avevano fatto la voce grossa dicendo che bisognava continuare a stare in pace con la gente che percorreva la pista, gli altri li avevano chiamati Bighelloni Intorno ai Forti e li avevano accusati di aver venduto la lingua all'uomo bianco in cambio del suo zucchero, del suo caffè e del suo whisky. Ma prima che i giovani guerrieri avessero potuto concludere qualcosa di più che grattare ogni tanto del tabacco o delle buone cose da mangiare ai viaggiatori, o rubar loro qualche mulo, erano arrivati i soldati e avevano comprato il mercato indiano sul Laramie. Naturalmente i mercanti bianchi non erano andati via, si erano soltanto spostati un po' più in là, sempre lungo la pista, ma i soldati non erano più partiti. I giovani Lakota più focosi erano rimasti a guardare quello che succedeva, poi ne avevano parlato tra loro con rabbia crescente: i fucili dei Bianchi e i solchi lasciati dalle ruote dei loro carri avevano fatto allontanare i bisonti; inoltre le bestie dei Bianchi mangiavano l'erba degli animali indiani, il fiato dei Bianchi spandeva malattie e gli Indiani morivano a migliaia. Ora poi i soldati avevano stabilito un forte proprio in mezzo a loro. Finalmente si era alzato a parlare un giovane Minneconjou che per le sue imprese di guerra godeva del rispetto di tutti. « Amici miei », aveva detto, « i soldati bianchi che sono penetrati nel nostro paese portandosi dietro i cannoni non sono molti. Direi che in realtà sono pochis19
simi, una boccata di fiato nel mezzo della nuvola nera che formano i nostri guerrieri ». «Hoye! », avevano gridato gli altri, d'accordo con lui. «Hoye! Hoye! ». Era vero, e quello era un giorno adatto per raccogliere le frecce e affilare i coltelli per la guerra. Ma prima che avessero potuto portare la pipa alle altre bande guerriere per averne l'aiuto, i Bianchi avevano indetto il Grande Consiglio del 1851 sul torrente Horse, con molti banchetti, danze e regali: un convoglio intero di regali. Che se poi i capi avessero voluto toccare con penna il foglio della pace, i regali sarebbero aumentati ogni estate, per cinquantacinque anni, l'età di un uomo forte. Ciò nonostante alcuni avevano parlato contro questo patto proprio durante il consiglio. « Non abbiamo niente da vendere per tutti questi regali! », avevano urlato. Ma facilitati da tutte le cose inviate dal governo, i capi mercanti - quelli che se ne stavano con le mani in mano sempre intorno ai Bianchi - l'avevano spuntata; e tutte quelle mangiate avevano infiacchito come puledri nati d'inverno anche alcuni dei giovani più sfrenati. Si erano convinti che i vecchi avevano ragione quando dicevano che la pace sarebbe stata una buona cosa, che la pista era un'inezia, larga appena la distanza tra una ruota e l'altra, e che i soldati erano davvero troppo pochi per costituire un pericolo. Poi, non era forse vero che molti di loro si comportavano da amici e prendevano in moglie delle donne lakota, come già avevano fatto i mercanti?... Ma appena terminato il Grande Consiglio, le porte del forte si erano chiuse in faccia agli Indiani. Soltanto i parenti delle Lakota avevano il permesso di varcarle, se andavano là in pochi. Di frequente una parte dei soldati andava via e altri davano il cambio, e ogni volta qualche Indiana del forte tornava all'accampamento della sua gente recando avvolti nelle coperte i figli avuti dall'uomo bianco. Poi, daccapo, i nuovi soldati andavano nelle tende indiane e lì, intorno al fuoco, ricominciavano i soliti approcci. Essi si sedevano dalla parte degli uomini e tiravano sassolini sulle figlie dei Lakota sedute di là dal fuoco; e qualche 20
ragazza, pur avendo visto che cos'era capitato alle sue sorelle, rilanciava i sassolini a quello che glieli aveva tirati. Poco tempo dopo, queste ragazze andavano a vivere nell'accampamento delle donne situato accanto al forte, e le loro famiglie avevano regali nuovi da mostrare. Ecco come faceva un pugno di soldati nemmeno fissi, con tre o quattro cannoni in tutto, a trovarsi ancora nel territorio indiano. Sembrava che la carta bianca dicesse che essi dovevano non solo proteggere dai giovani selvaggi i viaggiatori della pista, ma dovevano anche mantenere la pace - i n quelle grandi pianure piene di bisonti, che si estendevano dal fragoroso Yellowstone alle dune di sabbia dello Smoky Hill -, mantenere la pace, era detto, fra Lakota e loro alleati (Cheyenne e Nuvole Azzurre)3 e Pawnee a est, Ute, Serpenti,4 Crow, a ovest e a nord. I soldati erano anche i garanti dei diritti dell'Indiano, e dei suoi cavalli, nonché dell'annuale distribuzione di viveri e altri prodotti vari con cui il Grande Padre lo ripagava per aver rinunciato agli onori del sentiero di guerra e permesso che quella pista gli tagliasse in due il paese: la pista detta la Via Sacra, perché chi la percorreva non poteva essere toccato. Ancora una volta, regali e razioni erano in ritardo. I Lakota Oglala e Brulés5 erano già accampati da molto tempo nella valle del Piatte, circa dodici chilometri a est del forte dei soldati. Erano più di quattromila, e le loro mandrie di cavalli, grandi e scure come ombre di nuvole, arrivavano a pascolare fino ai lontani argini naturali. Non mangiavano erba ma le radici dell'erba, che estraevano dalla nuda terra. E nei tre cerchi di tende dipinte compresi tra il fiume e la pista degli emigranti, il terreno era pelato a furia di camminarci sopra. Quel giorno il grande accampamento era tranquillo. Dai pochi fuochi accesi per cucinare si alzavano delle spirali di 3
Più noti col nome di Arapaho (N.d.T.). Più noti col nome di Shoshone. Una parte viveva nella regione del fiume Snake (Serpente) e un'altra più a nord, in quella del fiume Wind (N.d.T.). 5 Due, le meridionali, delle sette suddivisioni dei Teton Sioux. Le altre sono quelle dei Minneconjou, Hunkpapa, Sans Arcs, Due Marmitte e Piedineri. 4
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fumo; le penne delle lance e degli scudi da guerra appesi fuori delle tende, erano immobili. Qua e là un cavallo cercava di schiacciare le mosche che andavano a posarsi sul palo cui era legato, un cane russava, da una culla giungeva la vocina di un bambino. I bambini più grandicelli erano andati al greto sabbioso del fiume; i ragazzi si erano spinti più lontano a cavallo. Le donne, pettinate con cura, indossavano vesti di calicò o di pelle di cervo. Anche molte di loro erano via: alcune erano andate a stendere i vestiti sui formicai per liberarli dai pidocchi e dai lendini presi per essere state a lungo accampate in mezzo ai Bianchi; alcune erano andate fra i cespugli a raccogliere le ultime bacche rimaste sui laurocerasi per poter mettere qualcosa in pentola. Altre si erano sparpagliate su per le nude pareti di roccia a prendere serpenti a sonagli. Li tenevano giù, prigionieri di bastoni biforcuti, poi con coltellacci da macello mozzavano loro la testa; quindi mettevano quel corpo ancora guizzante nella coperta che avevano legata attorno ai fianchi. E poteva anche darsi che una donna, sola, uscisse da una macchia di cespugli fuori mano, camminando adagio e portando avvolto nella coperta un piccolo Lakota appena venuto al mondo, che dopo un giorno o due, come si era sempre fatto con tutti i bambini, avrebbe messo in piedi sorretto dal guardinfante.6 Degli uomini, alcuni erano andati ai negozi di Bordeaux, dall'altra parte della strada degli emigranti. Battevano sulle incudini, oppure da padelle e cerchi di ruote ricavavano punte per le frecce in vista della prossima caccia al bisonte: nude e magre le schiene curve sul lavoro; le lunghe trecce pendenti sul davanti. La maggior parte indossava solo il 4 Un guardinfante è costituito da assicelle di legno oppure da un'intelaiatura di vimini inguainata in pelle, cui è attaccata una specie di borsa che assomiglia a un enorme mocassino dentro il quale il bimbo è chiuso e incappucciato. I guardinfanti erano di solito appoggiati, appesi o legati verticalmente. Un disegno riproduce questo tipo di culla, secondo le caratteristiche che le avevano dato i Sioux Piedineri, in ROBERT H. LOWIE, Indians of the Plains (trad. it. Gli Indiani delle Pianure, Il Saggiatore, Milano 1969, ed. 2, p. 55). Ma si veda in Ferdinand Anton e Frederick Dockstader (L'Arte dell'Antica America, Rizzoli, Milano 1967) il magnifico esemplare di guardinfante kiowa riprodotto a p. 233 (N.d.T.).
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perizoma e calzoni di foggia indiana.7 Qualcuno dei più giovani aveva conchiglie o scaglie d'argento legate fra i capelli; qualche altro sul petto solcato dalle cicatrici fresche della danza del sole portava collane di perline oppure un laccio da cui pendeva uno specchietto.8 Quando le ombre penetravano nelle tende e si prolungavano dall'altra parte, quasi tutti gli Indiani erano tornati agli accampamenti. Allora vedevi qui una donna che faceva un paio di mocassini lavorando con lesina e tendini, là un'altra che scacciava le mosche da un bimbo ancora lattante. Le donne conversavano con cadenza sonnacchiosa: sembravano gallinelle della prateria che guardano i loro piccoli che mangiano. Le più giovani si erano dipinte il viso di carminio e avevano fermato le trecce con strisce di cuoio crudo ornate di perline. Sedevano in cerchio e giocavano. Ognuna a turno agitava una ciotola contenente un certo numero di noccioli di prugna contrassegnati: li lanciava in aria poi, posata a terra la ciotola, la spostava velocemente cercando di riprendere quanti più noccioli poteva. Quella che faceva più punti portava via soddisfatta le puntate delle altre: filze di perline, anelli d'ottone, nastri, tutto quel che era ammucchiato nel centro del cerchio.9 Né gli uomini avevano qualcosa che li tenesse più occupati delle donne. Chi si era accovacciato nella tenda, dopo aver tirato su le pelli più basse della copertura per lasciar passare l'aria secca di quella sera d'agosto; chi poltriva sotto una capannina di rami di pino. Un altro faceva le frecce lisciando indolentemente dei bastoncini con una pietra; un altro tracciando disegni per terra insegnava ai bambini che aveva preso per figli; un altro ancora giocava con quelli più piccoli, nudi, dalle gambe robuste. I più anziani, seduti in circoli poco numerosi, si facevano vento muovendo lentamente i ventagli di ala d'aquila, mentre 7 1 calzoni di foggia indiana coprivano solo le gambe fino all'inguine e si reggevano puntati alla stringa del perizoma (N.d.T.). 8 Gli specchietti servivano anche e soprattutto per le segnalazioni (N.d.T.). 9 Per questo gioco con i noccioli contrassegnati, cfr. Lowie cit., pp. 139 e 142, e fig. 40, p. 140, cui si è fatto ricorso per una traduzione leggermente libera (N.d.T.).
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nell'aria persisteva fragrante il fumo della scorza del salice rosso che usciva dalle loro pipe.10 Qua e là qualcuno, seduto da solo, in disparte, innalzava un canto sacro contro un turbamento del cuore o contro l'incerto futuro che si profilava per la sua gente. Molti dormivano. Ma nell'accampamento più a valle uno sciamano agitava i sonagli e innalzava i suoi canti su Coda di Toro, uno dei capi anziani dei Brulés, che stava morendo. « Ei-i-i! », piangevano le sue parenti, e anche altre donne che, pur non essendo parenti, erano ugualmente sfinite, o per la lunga attesa, o perché non c'era più carne essiccata nei parfleches,n o perché ormai i bambini cominciavano ad avere fame. Da un pezzo sarebbe dovuto arrivare il nuovo padre-agente a distribuire le razioni, ma ancora non si era visto e gli Indiani non erano potuti partire per le zone in cui pascolavano i bisonti: non c'era carne da appendere agli essiccatoi né pelli per cominciare a fare gli abiti invernali. E già le vette dei Monti Bianchi, i monti Big Horn, si stavano incipriando di neve. Se l'agente non si fosse sbrigato, di lì a poco altri sarebbero morti, e non solo tra i vecchi. Dapprima era parso che si potesse ingannare bene l'attesa: avanzava ancora dalla fine dell'inverno qualche pelliccia da portare al mercato del Francese. Là spesso si beveva un po' di «medicina nera» (caffè) e qualche volta c'era da sentire la musica dei violini e degli organetti o da vedere le danze dei figli che i mercanti avevano avuto dalle mogli lakota. C'era stato anche il tempo di osservare i Bianchi che transitavano lungo la pista. Dalla danza del sole e dalla distribuzione di viveri dell'estate precedente 10 Raramente gli Indiani fumavano la sola scorza tritata del salice rosso. Essa è molto amara. Di solito riempivano la pipa di una mistura detta kitinikintiick, composta di due parti uguali di scorza di salice rosso e tabacco in corda tritati (N.d.T.). 11 Borse di pelle, anche da sella, a forma di busta e talvolta finemente decorate, che servivano da recipienti per le carni essiccate e per altri cibi (cfr. Lowie cit., fig. 26, p. 73 e pp. 74-75). Solo le donne e i vecchi montavano cavalli sellati. I giovani, e soprattutto i guerrieri, cavalcavano sempre senza sella. I cavalli da tiro avevano i basti (cfr. GAMBE DI LEGNO, La lunga marcia verso l'esilio, Rusconi, Milano 1987, pp. 7172) (N.d.T.).
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certi Indiani erano rimasti sempre nelle zone dei bisonti; altri non si erano visti da tre anni, dall'epoca del Grande Consiglio. C'erano state molte visite, si era chiacchierato molto del più e del meno, e ancora una volta i pittografi avevano raccontato le storie delle grandi cacce e delle grandi guerre del popolo. Si erano tenute danze sacre, e danze che esprimevano la gioia di ritrovarsi insieme. Vi erano state corse per provare i cavalli nuovi, e i Lakota avevano fatto scommesse ammucchiando le poste ai piedi del vecchio pioppo presso cui sedevano gli allibratori, oppure ai piedi dei pali cui erano legati i cavalli. E la sera i giovani guerrieri, con un coperta indosso, avevano fatto la fila per poter scambiare una parola con una giovane Lakota che magari l'anno prima era ancora una timida fanciulla che per la prima volta si ornava la veste di perline, e ora d'un tratto valeva molti doni e molti cavalli e un mucchio di tempo da dedicarle. Ora però i commerci erano finiti da tempo: non restava neppure una pelle da rubare di nascosto alle donne per andarla a scambiare con un po' di whisky. Anche le visite, le danze, i corteggiamenti: tutto finito. I cavalli avevano rapato tutta l'erba, e ora erano smilzi come quelli degli emigranti. Era tempo di partire per la zona dei bisonti, era tempo di fare un po' di guerra e di razziare cavalli ai Crow o ai Serpenti o, chissà, addirittura ai Pawnee, che ne avevano di buonissimi. Guerre e razzie agli Indiani erano state proibite, ma erano queste le azioni che di un ragazzo facevano un uomo. Quando verso sera cominciava a rinfrescare, quando le donne stavano curve sui fuochi a cucinare e gli uomini stavano fuori a conversare e fumare, qualche vecchio andava a sedersi sul ciglio della pista, a mendicare un po' di tabacco o a brontolare fra sé e sé, quando vedeva passare altri Bianchi per la sua terra. Tutti, anche le donne indaffarate, sospendevano ciò che stavano facendo per scrutare l'orizzonte a oriente, nella speranza sempre che le ruote veloci fossero quelle del carro coperto dell'agente, preceduto e seguito dai cavalleggeri con la divisa blu. Non sarebbe stato il loro vecchio amico Mano Rotta, Fitzpatrick. 25
Era andato a morire di una delle malattie dei Bianchi, in una delle loro città. Perciò i Lakota aspettavano un nuovo padre. Certo però che si faceva attendere! Con l'inverno ormai sui monti, meno numerosa era la gente che andava lungo il Piatte. Erano quasi tutti carri pieni di merci, tranne qualche piccolo convoglio di emigranti. Molto indietro rispetto a un carro di quelli che i Bianchi chiamano Mormoni,12 camminando in fretta appunto perché era rimasto tanto indietro, un uomo mandava avanti una mucca dalle zampe malate picchiandola con un grosso bastone. Giunto all'altezza dell'accampamento brulé, quello più a valle, si vide quasi sbarrare la strada da un gruppo di ragazzi indiani arrivati da sud urlando e schiamazzando al termine di una corsa. Spaventata dal chiasso, la vecchia mucca mandò in alto la coda e fuggì dalla Via Sacra irrompendo proprio nell'accampamento. Si tuffò sotto le pelli sollevate della prima tenda che incontrò e uscì dalla parte opposta con un fagotto infilzato nelle corna. Fatto crollare un palo reggiscudi piantato a terra, continuò quel suo galoppo forsennato investendo paioli e recipienti e inciampando nelle corde legate ai picchetti delle tende. Le vecchie le corsero dietro strillando e starnazzando, i bambini urlarono, i cani abbaiarono e anche gli uomini andarono a vedere a che fosse dovuto tutto quel trambusto. I guerrieri del gruppo della Volpe, l'akicita incaricata di far rispettare l'ordine nel cerchio campale, uscirono di corsa dalle loro tende. Il padrone corse dietro alla mucca fino ai bordi dell'accampamento, ma alla vista di centinaia di Indiani ebbe paura, e prese ad agitare il bastone contro di loro indietreggiando passo passo - come fa qualche volta un danza12 Da Council Bluffs (Iowa), poco più a nord del punto in cui il Piatte sfocia nel fiume Missouri, incominciava la pista dei Mormoni (Mormori Trail). Risaliva il Piatte costeggiandone la sponda sinistra o settentrionale, e da Forte Kearny a Forte Laramie correva parallela al fiume e alla pista dell'Oregon che però restava sulla sponda meridionale del Piatte (cfr. DAVID LAVENDER, The American West, Penguin Books, 1969, pp. 224-225). Il mormone avrà guadato il fiume in qualche punto. I suoi correligionari si stanziarono nello Utah fondando Salt Lake City nel 1847. Lo Utah fu ammesso all'Unione solo nel 1896, dopo che i Mormoni rinunciarono alla poligamia (1890) (N.d.T.).
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tore heyoka13 - in direzione del convoglio dei carri. Quando udì uno sparo partito dall'interno dell'accampamento, si voltò e fuggì incespicando, come era incespicata la mucca, nei profondi solchi lasciati dalle ruote dei carri lungo la pista. Le donne, vedendolo fuggire, gli risero dietro. I vecchi Brulés che erano sul ciglio della Via Sacra, udito lo sparo, alzarono il capo e si tolsero la pipa di bocca drizzando le orecchie. Riposta quindi la pipa nella lunga borsa frangiata di pelle di antilope, stirarono i ginocchi irrigiditi, si assestarono la coperta sulle spalle e andarono a vedere che cosa avesse combinato la mucca. Era probabile che si preparasse qualche guaio. La mattina successiva la moglie di Orso che Conquista sellò il cavallo al marito, e il capo lakota partì per il forte dei soldati con vari altri sottocapi della sua tribù. Questa partenza, in un giorno afoso e polveroso, e tutto per una vecchia mucca, era stata giudicata una grande sciocchezza. Senonché Bordeaux aveva lasciato i suoi negozi per andare ad avvertire gli Indiani che il mormone andava facendo discorsi cattivi denunciando ai soldati la perdita della mucca. « Spazzeremo via quei musi rossi come fossero serpenti! », non faceva che ripetere. Bordeaux, che da molto tempo faceva il mercante nel 13 Appartenente alla casta oglala degli heyoka, uomini che hanno avuto visioni degli Esseri del Tuono. Più avanti, a p. 261 (vedi anche nota 3), si descriverà una loro cerimonia; in JOHN G. NEIHARDT, Alce Nero parla (Adelphi, Milano 1968) un intero capitolo, il XVI, è loro dedicato. « Un po' di Follia in Primavera / Giova perfino al Re, / Ma Dio sta col Clown », dice Emily Dickinson (in Selected Poems and Letters, a cura di Elémire Zolla, Mursia, Milano 1961, p. 105, poesia 83, 1333). E funzione salutare, liberatrice, hanno i buffoni heyoka, non dissimile da quella, tutta secolare però, dei buffoni delle corti medievali. Fanno tutto comicamente a rovescio, e forse il loro nome è proprio l'inversione dello « Hoka bey! » («Carica! ») che gridavano i guerrieri quando si lanciavano all'assalto. Con Zolla (cfr. la sua Prefazione a F. KAFKA, Confessioni e Immagini, Mondadori, Milano 1960, p. 11) si può dire che anch'essi sono « simboli della condizione animalesca dell'uomo che non sa attingere direttamente alla fonte della vita ». Ora, paragonando il mormone a un heyoka, l'A. vuole metterne in risalto la comica goffaggine; ma se un heyoka indietreggia, nel suo mondo alla rovescia vuol fare intendere che avanza. Il mormone è un heyoka diabolico. Indietreggiando, manderà avanti i soldati (N.d.T.).
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territorio indiano e che aveva sposato una Brulée, gli aveva pompato un boccale d'acqua fresca e gli aveva offerto dieci dollari per la mucca, tra l'altro così mal ridotta che non sarebbe mai riuscita ad arrivare viva al Lago Salato con tutte quelle montagne da valicare. Ma il mormone di dollari ne voleva venticinque, e diceva che avrebbe ancora reclamato al forte contro quei ladri e predoni di Indiani. Tutta la questione era ovviamente di una stupidità unica, aveva ammesso il Francese, ma forse era opportuno che Orso che Conquista andasse a parlare col capo dei soldati. Ecco perché il Brulé e il suo seguito erano usciti dall'accampamento, diretti a Laramie, lungo la pista. Il sole scottava e il capo si era messo il cappello da ufficiale che gli aveva mandato il Grande Padre14 in occasione del Grande Consiglio (Orso che Conquista gli aveva poi tolto la calotta per avere più aria). Sul cappello aveva un'unica penna. Si era messo anche la giacca da ufficiale regalatagli in quella stessa occasione: essa ormai era piena di buchi e all'Indiano, magro e asciutto, andava larga, come in primavera un orso sta largo nella sua pelle. Ma egli aveva l'impressione che ai soldati facesse piacere che se la mettesse. Davanti alla sella aveva la sua bella coperta blu di capo, legata con strisce ornate di perline bianche. Sul petto gli scendevano due lunghe trecce fasciate con pelo di pantera, così pesanti che nemmeno gli sobbalzavano mentre cavalcava in mezzo a due suoi sottocapi. Lungo il grande accampamento e alla staccionata di Bordeaux si erano radunati in molti per vederlo passare e fargli un gesto amichevole di saluto. Alcuni altri però dicevano che la cavalcata gli avrebbe fruttato dei vantaggi personali: carte di cinabro per le sue donne, caffè e zucchero per le feste con gli amici, e chissà quali altri favori segreti... Orso che Conquista, dei Brulés - detto anche Capo Orso o semplicemente Orso - era stato uno dei primi capi lakota della zona del fiume della Conchiglia (il Piatte) ad aiutare, " I l presidente degli Stati Uniti. Dal 1850 al 1853 fu Millard Fillmore
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in cambio di compensi in natura e di favori, i rappresentanti di una ditta del commercio delle pellicce contro quelli di un'altra. Non era passato molto tempo e la ditta svantaggiata era andata dal Grande Padre a lamentarsi perché aveva avuto scontri con gli Indiani, era stata derubata di cavalli e di pelli, dei Bianchi avevano rischiato di perdere la vita: tutta una situazione di cui erano responsabili l'American Fur Company e il capo indiano che questa ditta aveva tirato dalla sua parte. Orso pertanto aveva la reputazione di uno che i Bianchi si potevano fare amico prima ancora che essi venissero al Grande Consiglio e chiedessero ai Lakota di eleggere un unico grande capo - come il Grande Padre era il capo dei Bianchi - in modo che il capo indiano e il capo bianco potessero parlare insieme a nome dei rispettivi popoli. Gli Indiani non avrebbero voluto neppure sentirle queste parole, e si erano coperti il viso con i ventagli di ala d'aquila per celarlo a colui che le aveva pronunciate. Non era facile attuare quello che si chiedeva: i Lakota non erano come i Bianchi, uomini che obbedissero ai comandi come giumente da tiro. Oggi potevano dar retta a questo, domani a quello, oppure potevano anche non dar retta a nessuno: erano uomini liberi. Ma quando era stato chiaro che il Grande Padre non recedeva dalla sua posizione, i ventiquattro capi dei Lakota cacciatori di bisonti, compresi quelli che vivevano nelle regioni dello Yellowstone e del Missouri, si erano seduti in circolo per vedere quello che si poteva fare e ognuno si era portato il bastoncino dipinto da mettere in mano a colui che riteneva degno della carica. Avevano fumato e tenuto consiglio per molto tempo, ma tutto era stato come il vento che fa muovere la cima degli alberi senza portare niente. Per gli Oglala c'era ancora di mezzo il vecchio rancore che li divideva da quando il nipote del vecchio Fumo, il giovane Nuvola Rossa, e i suoi seguaci avevano ucciso Toro Orso, capo della gente Orso. Gli Indiani del nord, i Minneconjou, gli Hunkpapa e gli altri, avevano detto di non avere alcun bastoncino per un Bighellone Intorno al Forte, per un capo mercante. Perfino alcuni Brùlés avevano cer29
cato di dire che quell'elezione di un unico grande capo era tutta una cosa senza senso; che essi seguivano un capo quando la situazione lo richiedeva, così come gli voltavano le spalle appena lo giudicavano opportuno. Finalmente il capo dei soldati (che si chiamava Mitchell) aveva detto che, se gli Indiani non riuscivano a eleggere un capo, ci sarebbe riuscito lui, e il capo sarebbe stato Orso che Conquista, dei Brulés. Le sue parole furono per le orecchie degli Indiani come quella pioggia che viene giù ma non bagna niente. I settentrionali erano troppo lontani perché la cosa li interessasse. Gli Oglala erano divisi, come una grande roccia spaccata in due. E quei Brulés cui non piacevano i capi mercanti sapevano che Orso che Conquista era molto potente di voce e di braccio e che aveva molti fratelli sia di sangue sia adottivi (uomini in gamba come Foglia Rossa, Coda Chiazzata e Mento Lungo), tutti importanti nelle akicita, nei gruppi guerrieri: trenta ne aveva, di fratelli così. I Bianchi dunque l'avevano spuntata, avevano avuto il capo di carta che volevano. Ma i Lakota avevano continuato a vivere più o meno come sempre, perfino dalle parti del fiume della Conchiglia, dov'erano i soldati. E pareva che pochi ricordassero che quando finalmente era stato firmato il grande trattato, non un Oglala aveva toccato la penna. Imbruniva, e i lampi a nord-ovest parevano baleni di cannonate lontane, la sera in cui Orso che Conquista tornò dalla città dei soldati chiamata Laramie. Fece sosta all'accampamento oglala e seguì il vecchio banditore che gli faceva strada alla tenda del consiglio, al centro del cerchio tribale. Qui i capi erano seduti davanti a un fuoco il cui fumo denso teneva lontane le zanzare. Il capo era assorto quella sera, preoccupato delle cose che sarebbero potute accadere; desiderava parlare soprattutto con Brutta Ferita della gente Orso e con Uomo i cui Nemici hanno Paura del suo Cavallo, detto Uomo della Paura, capo degli Hunkpatila, cui apparteneva un tempo la maggior parte dei seguaci di Fumo. Ma nella tenda consigliare erano raccolti anche uomini più anziani, come lo stesso Fumo, e costoro avevano diritto a 30
particolari riguardi. Perciò Orso che Conquista piegò il suo corpo magro per sedersi nel circolo, nel posto che gli Oglala gli avevano fatto e, dopo che la pipa fu fumata in silenzio, egli potè finalmente parlare della giornata che aveva trascorso a Forte Laramie. Alla città dei soldati si stavano preparando cose da pazzi, disse. Sapevano tutti, no?, della mucca che Cima Dritta, il Minneconjou, aveva ammazzato la sera prima. La mucca era piombata nell'accampamento brulé e quando il proprietario aveva cominciato ad allontanarsi, il Minneconjou e qualche altro l'avevano macellata e mangiata, mangiata - beninteso - come si mangia un mocassino vecchio, ché una bestia così magra e carica d'anni non poteva essere molto migliore di un mocassino. Comunque, l'avevano mangiata, perché da quando aspettavano il loro padre, l'agente, di carne fresca ne avevano vista poca. « Hau! », si alzarono le voci attorno al circolo. Era vero: aspettavano da parecchio e per trovare la selvaggina dovevano andare talmente lontano che poi erano costretti a essiccare la carne sul posto perché non giungesse putrida all'accampamento. Bene, Orso che Conquista era andato a parlare col capo dei soldati per dirgli che il giovane Minneconjou del suo accampamento non aveva avuto intenzione di danneggiare nessuno: l'uomo della mucca l'aveva abbandonata fuggendo e l'Indiano l'aveva macellata. Ma poiché il foglio della pace diceva che ogni volta che sorgevano delle questioni fra gli Indiani e i suoi fratelli bianchi Orso doveva cercare di ristabilire la pace, ecco che egli si era presentato al forte, sebbene un capo anziano del suo villaggio stesse morendo e non fosse una buona cosa tenere consiglio in un momento simile. Dapprima l'ufficiale gli aveva parlato da amico, gli aveva offerto del tabacco da fumare e aveva fatto portare pane, melassa e caffè. Aveva riso della mucca: molte mucche come quella avevano lasciato le ossa ai lupi lungo la pista degli emigranti; se questa volta l'Indiano era arrivato prima dei lupi, la faccenda si poteva sistemare con un paio di pelli oppure con un po' di denaro in risarcimento, dato che la mucca valeva così poco. 31
Ma, a quanto sembrava, anche il capo dei soldati aveva il suo bel daffare per tenere a bada dei giovani turbolenti che parlavano di grosse sparatorie e dicevano di voler fare la guerra. Il peggiore di tutti, come già alcuni sapevano, era quello che essi chiamavano tenente Grattan, quello insomma che non aveva avuto altro che parole cattive per l'Indiano da quando era arrivato dalla città dei soldati a oriente. Poi non era mancato neppure l'interprete dalla lingua biforcuta, quello che torceva le parole del capo come un cattivo cavallo può torcere la corda migliore. « Era Wyuse? ». Sì, era sempre Wyuse, o Lucien, il figlio del mercante venuto dagli Iowa.15 Sebbene Wyuse fosse sposato con una Lakota, gli Indiani avevano ripetutamente chiesto di avere un altro interprete al forte, uno che conoscesse la loro lingua e fosse generoso con loro: un uomo come Antoine Janis, o suo fratello Nick. Invece, era sempre Wyuse, con quelle quattro parole di lakota che sapeva, troppo poche perché essi potessero capire; ubriacone, per giunta, e fastidioso come una spina nel tacco di un mocassino. Quel giorno aveva travisato le parole tanto di Orso che Conquista quanto del capo dei soldati (che si chiamava Fleming), al punto che il Bianco era diventato rosso dall'ira ed era sbottato dicendo che un risarcimento non era sufficiente: bisognava portare al forte Cima Dritta e chiuderlo in prigione. Capo Orso aveva cercato di spiegare che quello non era uno della sua gente ma un ospite, con tutti i sacri diritti dell'ospite. I Minneconjou erano Lakota settentrionali: non conoscevano l'uomo bianco e avevano paura della sua casa di ferro. Col sangue caldo che aveva, se impaurito, Cima Dritta avrebbe potuto creare dei guai. Perché non attendere l'arrivo del loro padre, l'agente? Avrebbe detto lui che cosa era giusto fare. Ma l'ufficiale aveva replicato che non aveva nessuna intenzione di aspettare. Allora Orso che Conquista aveva proposto che il padrone della mucca andasse a scegliersi il miglior cavallo tra i sessanta che componevano la mandria pri15
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Indiani cacciatori e coltivatori, di lingua sioux (N.d.T.).
vata del capo, tutti cavalli giovani e forti, e molti della migliore razza pawnee. Ma l'ufficiale non aveva accettato neppure questa proposta: l'Indiano doveva essere punito. L'indomani dieci o dodici soldati sarebbero andati all'accampamento e Orso che Conquista avrebbe dovuto aiutarli ad arrestare il giovane e a portarlo via. « Ahh-h! ». L'espressione di sorpresa e di preoccupazione fece il giro del circolo, si trasmise a quelli che sedevano dietro ai capi, e alle donne e ai bambini disseminati qua e là nelle tenebre piene di fumo. Era inaudito che dei soldati entrassero in un accampamento lakota per una mucca, una povera mucca che lasciava tracce di sangue dove passava e che aveva la carne stopposa come cuoio crudo! Quando infine Orso si avviò verso casa, anche Uomo della Paura si alzò e andò a cavalcargli a fianco lungo la pista ottenebrata dal temporale. Alle scariche delle saette più forti si vedevano i loro cavalli procedere vicini a passo lento. Il rumore degli zoccoli era attutito dalla polvere prodotta dai carri degli emigranti. Dopo che se n'erano andati, gli Oglala avevano sciolto il consiglio ed erano andati a sedersi davanti a fuochi d'erba più piccoli. Poche parole intercalavano i lievi sibili prodotti dalle pipe, ma pesanti erano le parole di alcuni, come Fumo e altri anziani della sua banda. Era tutta colpa dei guerrieri venuti dal nord, i Minneconjou. Dovevano essere allontanati prima che procurassero dei guai a quelli che volevano vivere in pace. Se al Grande Consiglio fosse stato fatto capo dei Lakota un valoroso Oglala invece di un Brulé, a quest'ora essi sarebbero già stati allontanati da un pezzo. I Minneconjou ospiti non arrivavano nemmeno a venti tende... Dicevano così perché sapevano che fra loro non c'era nessuno abbastanza autorevole, perché gli Oglala erano veramente come una roccia spaccata in due. Dietro gli uomini sedevano le donne, in silenzio. Ogni tanto una aggiustava la coperta sul bimbo che le si era addormentato in braccio. Guardavano lontano, verso il fiume nero oltre il quale erano le terre dei bisonti, lontane dalla Via Sacra e dai soldati. Ma com'era lento il nuovo agente! 33
Anche tra i giovani si faceva un gran parlare dei Minneconjou. Mentre i giovani Oglala e Brulés dovevano andare di notte a fare un po' di razzie contro i nemici, di nascosto perché i loro capi potessero dire di non saperne niente, i Minneconjou erano ancora guerrieri, e muovevano contro i Crow, i Serpenti, gli Hohe16 e i Piedineri17 apertamente, senza ricorrere a sotterfugi, dopo avere, secondo Pantica usanza, attraversato l'accampamento tutti dipinti e ornati di penne, cantando i canti di guerra e facendo lampeggiare al sole la punta delle lance perché tutte le donne li vedessero. L'estate precedente avevano anche scambiato qualche sparo con i soldati del forte: erano invidiati da ogni Lakota che non avesse ancora colpito un nemico. I Minneconjou erano quelli che facevano tremare fino alle frange dei mocassini i vecchi cui piaceva lo zucchero, il caffè e il whisky, i quali temevano di perdere queste cose da rammolliti che i Bianchi avevano fatto conoscere. Un gruppetto di giovani Oglala (Cane, Orso Solitario, il figlio di Uomo della Paura e qualcun altro che aveva già ucciso bisonti ma non aveva ancora mai contato colpi rituali18 sul nemico) erano sdraiati sulla sabbia tiepida di un dosso vicino alla pista degli emigranti. Sulle loro schiene nude arrivava a ondate il fumo dei fuochi dell'accampamento e teneva lontane le zanzare. I lampi si avvicinavano e i tuoni si facevano sentire. Anche questi ragazzi parlavano dei Minneconjou ospiti e di quando anch'essi avrebbero fatto grandi cose come rubare i cavalli ai Pawnee e contare i colpi rituali sui Crow e sui Serpenti. Allora le loro imprese sarebbero state cantate in tutti gli accampamenti assieme a quelle di Nuvola Rossa, Uccisore di Pawnee, Gemello Nero e Gobba; allora le vecchie avrebbero gridato forte i loro nomi, e le fanciulle avrebbero abbassato gli occhi timida16
Più noti col nome di Assiniboin (N.d.T.). Evidentemente non i Sioux Piedineri ma i Piedineri di ceppo algonchino (Siksika) che vivevano nel Montana e nell'Alberta (N.d.T.). 18 Contare colpi rituali sul nemico ucciso (in inglese counting coups) era un grande onore e merito per i guerrieri indiani. Era sufficiente toccare con l'arco o con la mazza il nemico ucciso da un altro (al quale era riservato l'onore dello scalpo) (N.d.T ). 17
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mente, quando anch'essi fossero sfilati in tutta la loro gloria guerriera! « Hoye! », gridarono all'unisono, come facevano i guerrieri quando approvavano, e: «Ragazze!...», dissero, dandosi di gomito e ridendo. E ciascuno pensò forse a quella del cuore, forse alla figlia di Uomo Bianco Giallo o di Molte Antilopi, o alla nipote di Nuvola Rossa... Ma se una ragazza ispirava pensieri teneri a qualcuno, questi non li esprimeva, anzi li copriva con discorsi di guerra. Uno di loro, il figlio di Faccia Cattiva, che non si era sdraiato per non rovinare la casacca di pelle di cervo, non partecipava ai loro progetti. Erano tutte ciance, diceva; non avrebbero potuto compiere neppure una di quelle imprese, perché erano vietate dalla carta bianca firmata al Grande Consiglio: non si poteva rubare i cavalli, tanto meno scendere sul sentiero di guerra; si doveva vivere in pace con i Bianchi, amici degli Indiani: ecco che cosa si doveva fare. « Sentitelo, il Carino! », dicevano gli altri; e ridendo fragorosamente si davano gomitate, si rotolavano nella sabbia. « Sentite che paroline sa dire! ». E in effetti quel ragazzo parlava come si vestiva: ogni giorno si dipingeva, ogni giorno si metteva collane di perline e abiti di pelle di daino ornati di piume, come facevano le Indiane del forte per mettersi in mostra o quei giovani Pawnee di cui i ragazzi avevano sentito parlare, quelli che dietro ogni mocassino si trascinavano un'intera pelle di moffetta con tanto di coda striata e tutto il resto. Certo, non erano di questo genere gli uomini che scalpavano i Lakota né quelli che i ragazzi contavano di colpire un giorno. Perciò, come al solito, Carino fu escluso dalla conversazione sebbene fosse il nipote di Fumo. C'era ancora qualche grande guerriero nella sua famiglia, per esempio Nuvola Rossa, il figlio della sorella del capo, che prendeva molti cavalli e contava i colpi rituali con lo stesso coraggio del vecchio capo. Ma il figlio di Fumo non aveva bisogno della danza del sole o della guerra per imparare a essere forte: la lingua di sua moglie era come un colpo di frusta di cuoio sul collo. Lo svergognava davanti a tutti, e tutti ormai lo 35
chiamavano Faccia Cattiva ché il suo vero nome era stato mezzo dimenticato. Adesso pareva che anche suo figlio, Carino, voltasse le spalle al sentiero di guerra, e ancor prima di aver colpito un nemico. Mentre gli altri ragazzi parlavano delle grandi imprese che avrebbero compiuto, egli attese che si facesse una crepa in quel muro di frasi per inserirsi e domandare se pensavano che l'indomani i soldati sarebbero arrivati con quelle loro belle divise di un blu acceso, quelle che indossavano quando marciavano in riga, su al forte. Forse qualcuno avrebbe avuto la divisa rossa, come ne aveva viste qualche volta... No, divise rosse non ce ne sarebbero state, gli rispose il figlio di Uomo della Paura: quelle se le mettevano i soldati con i cannoni quando dovevano fare grosse battaglie, non quando c'era da andare a prendere un Indiano dall'accampamento di un capo eletto in base alla carta dell'uomo bianco. Una volta egli aveva visto i soldati sparare un colpo contro un branco di antilopi che passava davanti al forte. Un colpo solo di quel cannone, e la pianura era rimasta cosparsa di bestie morte o ferite. Alcune tentavano di trascinarsi via pur avendo le zampe spezzate o sparite del tutto, mentre altre le avevano talmente spappolate e straziate che intorno non si sarebbero più trovati neanche i pezzi. Molta carne, con uno sparo solo. Gli sarebbe piaciuto avere un'arma come quella per la sua gente, ma sarebbe stato difficile trovare le munizioni, e gli Indiani non sapevano farle. No, non sapevano farle, convennero gli altri. Tra i ragazzi che avevano fatto tutto quel parlare ve n'era uno che non aveva aperto bocca: Ricciuto, figlio di Cavallo Pazzo, il sacerdote oglala. Sebbene arrivasse appena a sfiorare con la testa il sacchetto sacro che pendeva dietro l'orecchio di suo padre, Ricciuto aveva già ucciso il suo bisonte ed era arrivato primo cavalcando un cavallo brado catturato alle dune di sabbia. In seguito a ciò il padre gli aveva cambiato il nome di infanzia, Ricciuto, con uno nuovo: Somiglia al Suo Cavallo. Cavallo Pazzo lo chiamava con questo nome, e così faceva anche Alto Osso Dorsale, detto più brevemente Gobba, il guerriero che gli aveva fatto il primo 36
arco. Però molti giovani e tutte le donne, perfino quelle della sua tenda, lo chiamavano ancora Ricciuto. Come al solito, le donne erano molto lente ad ammettere che il bambino si era fatto grande e che bisognava chiamarlo con il nome adatto a uno che diventa grande. Ricciuto era dunque anche lui sdraiato su quell'altura assieme agli altri del suo accampamento, nella tempestosa oscurità di quella sera. Si passava della sabbia da una mano all'altra, e non diceva nulla delle cose che desiderava fare. La sua mamma (che era morta) sebbene da sposata vivesse con gli Oglala, era una Brùlée, sorella di Coda Chiazzata. Era una Brùlée anche la sua seconda madre, secondo l'usanza lakota. Il giorno prima Ricciuto era andato a trovare i parenti brulés e in quell'accampamento gli avevano dato un pezzetto della mucca del mormone: non carne, ma un pezzo di cuoio crudo per ricoprire mazze da guerra. Gli serviva, perché l'ultima volta che erano andati alla città dei soldati, Carino gli aveva strappato via la mazza che aveva infilata nella cintura e gliel'aveva gettata nel fiume Laramie. Dal colpo di cannone di mezzogiorno fino a quello del tramonto, Ricciuto l'aveva cercata sotto la corrente impetuosa: per lui era una mazza preziosa perché gliel'aveva fatta Gobba adoperando il cuoio del suo primo bisonte. Ma non l'aveva più trovata, e così il giorno successivo a quello in cui era successo il fatto della mucca egli aveva fatto due mazze nuove, una per sé e una per il suo amico Cane: aveva tagliato a strisce quel cuoio crudo e con esse aveva fasciato il manico delle mazze e legato la parte di pietra, affilata. Quella sera, nell'oscurità rotta dai lampi, il giovane Ricciuto pensava alle strisce di cuoio che asciugandosi avrebbero stretto sempre più forte la testa della sua mazza da guerra. Gli sembrava una cosa buona che il cuoio si rafforzasse proprio mentre i lampi avanzavano da nord-ovest e gli Esseri del Tuono scuotevano la terra agitando le loro grandi ali. Al ragazzo piaceva che i temporali gli venissero addosso in quel modo: lo facevano sentire caldo e vivo, colmandolo di cose sacre e arcane. Ma mentre era immerso in questi pensieri gli arrivò un remoto scalpitio di zoccoli. Premendo l'orecchio a terra, 37
il ragazzo sentì che veniva da sud e che erano due cavalli, uno montato e l'altro condotto: probabilmente quest'ultimo aveva del carico. Ricciuto sgusciò via. I compagni lo videro correre nella luce rossa dei lampi che si scaricavano sulla loro testa. Sebbene fossero molti i cacciatori partiti a far carne, essi sapevano chi era quello in arrivo. Ricciuto aveva guardato a sud tutto il giorno in attesa di vedere Alto Osso Dorsale, non solo perché voleva raccontargli della mucca del mormone e dei guai che stava causando, ma perché quel guerriero soprannominato Gobba era suo amico. All'imboccatura di un nero canalone Ricciuto si mise ad aspettare; quando i due cavalli lo raggiunsero, montò con un balzo dietro al cavaliere. Faceva così anche da piccolo: con le sue braccia corte cingeva la vita del guerriero, e i due sul cavallo lanciato al galoppo sembravano veramente diventare una persona sola, come i vecchi dicevano di due che cavalcano insieme a quel modo. Gobba non mostrò alcuna sorpresa. « Hau, fratellino! », disse. «Davvero la pancia vuota aguzza l'orecchio!...». « Sì... e, a quanto pare, rende molto efficace la medicina di caccia: ti ha aiutato a trovare due giovani antilopi senza che tu dovessi andare troppo lontano », rispose il ragazzo che, felice per la fortuna arrisa all'amico, aveva detto d'un fiato tutte quelle parole. « Hoye! Tu hai le orecchie del Lakota e il naso fino del lupo... », disse Gobba, ridendo di soddisfazione. Egli aveva passato molto tempo insieme con il ragazzo fin dai giorni del suo primo arco: lo aveva visto crescere come un albero vede crescere dalla terra ai suoi piedi altri virgulti della sua stessa specie. Gli aveva insegnato i segreti della caccia e del sentiero di guerra, sebbene tutti sapessero che la famiglia di Cavallo Pazzo da gran tempo dava solo sacerdoti, che erano anche buoni cacciatori e ottimi guerrieri, quando era necessario che anch'essi combattessero, ma mai uomini che andassero in cerca di onori da decantare nelle danze di vittoria. Al contrario, tutti ne conoscevano l'indole pacifica e la moderazione, il loro continuo interesse per il bene del popolo, le parole sagge e pacate che avevano per quelli che 38
si rivolgevano a loro in tempi cattivi, e il loro potere di vedere oltre la luna successiva. Molti restarono sorpresi quando Alto Osso Dorsale, il grande guerriero minneconjou-oglala scelse il suo fratello minore. Avrebbe potuto scegliere il figlio di una qualsiasi altra famiglia di guerrieri, così come avrebbe potuto prendere in moglie qualsiasi donna a sua scelta, anche se lei apparteneva già a un altro uomo, senza rischiare di provocare discordie e senza neppure doverla pagare con dei cavalli. Ma Gobba non pensava a sposarsi, né si preoccupava che qualcuno lo precedesse nella sua akicita, il gruppo guerriero di cui faceva parte, o che qualcuno lo facesse diventare capo o lo salvasse se fosse stato ferito in combattimento. Quando era nel cerchio campale, dedicava invece gran parte del suo tempo a quello strano ragazzo dalla pelle chiara, dai capelli biondi e morbidi come le piume di una gallinella della prateria, dagli occhi del colore di quelli di un cervo, ma pungenti come le punte di pietra che si usavano per le frecce nella regione dell'acqua bollente,19 a monte dello Yellowstone. Quando i due arrivarono alla tenda di Alto Osso Dorsale, la vecchia20 corse loro incontro gridando di felicità alla vista della carne fresca che si poteva dividere con chi aveva fame. Mentre lei portava via i cavalli, Ricciuto seguì l'amico dentro la tenda. Non gli staccò gli occhi di dosso per tutto il tempo che stette seduto al suo posto davanti al piccolo fuoco. Il rosso riverbero infiammava il naso affilato, il mento e il petto nudo di Gobba, solcato da profonde cicatrici riportate in guerra o causate dallo strappo dei lacci nelle danze del sole.21 Stanco e grave, l'uomo fece la sua fumata, 19 Si deve trattare dell 'Old Faithful Geyser, come oggi viene chiamato. È nel parco nazionale dello Yellowstone, Wyoming (N.d.T.). 20 La vecchia era un membro importante di ogni unità familiare. « Ella era contemporaneamente il poliziotto di famiglia, il guardiano di notte e l'uomo di fatica. Di norma il suo distintivo era una clava, e poteva anche usarla per far rispettare le regole della tenda » (Gambe di Legno cit., p. 69) (N.d.T.). 21 Allusione alla fase culminante della danza del sole. Essa è descritta e spiegata per intero in ALCE NERO, The Sacred Pipe. The Seven Rites of the Oglala Sioux Recorded hy Joseph Brown (trad. it. La Sacra Pipa. I Sette Riti dei Sioux Oglala, redatti e commentati da J.E. Brown, Rusconi, Milano 1986, cap. V) (N.d.T.).
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poi con un mestolo d'osso tirò su dalla pentola della carne bollita, l'offrì al cielo, alla terra e ai quattro punti cardinali, e la mangiò con rumoroso godimento. Seduto discosto dal fuoco, Ricciuto si chiedeva che cosa avrebbe portato il domani. Avrebbe voluto riferire all'amico l'uccisione della mucca, aveva domande da porgli, ma come sempre attendeva che fosse lui a rivolgergli la parola per primo. Si domandava se veramente i soldati avrebbero potuto menar via un Lakota dal suo accampamento. L'estate precedente, quando i Minneconjou avevano passato un brutto momento, egli aveva sentito Uomo della Paura che diceva ai soldati che non potevano farlo, e il capo dei soldati di allora si era detto d'accordo. La carta del Grande Consiglio diceva che soltanto il grande capo poteva arrestare chi procurasse guai agli Indiani e ai Bianchi. Anche questa era una cosa molto difficile da capire per i Lakota, perché per essi i capi erano soltanto quelli che ai consigli e in guerra guidavano quelli che desideravano seguirli: non erano come i capi dei Bianchi, che facevano la guardia ai giovani della loro razza perché non combinassero pasticci. Ma c'era qualcos'altro in quella carta della pace che lasciava perplesso Ricciuto. A chi spettava punire i soldati bianchi del forte quando sparavano su qualche Indiano che, da solo, vagava per i monti a caccia di cervi? Tutti sapevano che succedevano di queste cose, e che le vittime erano soprattutto dei vecchi che con gli anni erano diventati duri d'orecchio e a cui si era annebbiata la vista. Neanche un mese prima ciò era successo al vecchio Piccola Aquila, il Cheyenne ospite del figlio che aveva sposato una Oglala. Dall'accampamento delle donne a Laramie avevano visto i soldati mostrare agli emigranti il suo scalpo, con ancora attaccata la pietruzza blu, che aveva fatto brillare gli occhi delle donne bianche e aveva strappato quei loro strilletti di ribrezzo. Correva voce che i soldati si dessero un gran daffare nella caccia agli scalpi.22 Il giovane Orso Solitario, che aveva 22 In certi periodi più, in altri meno, soldati e non soldati statunitensi e messicani furono pagati per ogni scalpo indiano che consegnavano. L'usanza era invalsa prima nell'Est fin dai tempi della dominazione inglese e dei primi scontri
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parenti nell'accampamento delle donne, aveva sentito dire che qualche volta i soldati prendevano a prestito dei cavalli indiani per non lasciare impronte di zoccoli ferrati; e ancora, che qualche volta si mettevano i mocassini dei Crow o dei Serpenti per far credere che fossero stati di questi Indiani a scalpare. Ricciuto ricordava, per quanto gli consentiva la memoria, che i discorsi di pace dei vecchi capi erano sempre stati ascoltati; ma poteva darsi che un giorno o l'altro i giovani non avrebbero più dato retta. Che cosa sarebbe successo allora? E domani, che cosa avrebbero fatto i soldati a Cima Dritta? Quando ebbe finito di mangiare e di fumare, Gobba si avviò verso la tenda del consiglio e Ricciuto gli andò dietro. Si sentiva un acuto odor di pioggia e già ne cadeva qua e là qualche grossa goccia: gocce isolate come vecchi bisonti sul fianco di una collina. Il silenzio era appena rotto da un sommesso tambureggiare che veniva dal fondo dell'accampamento e da ragazzi e ragazze che danzavano, poche figure scure che si muovevano intorno a un falò. Dispiaciuto che suo padre fosse nella tenda consigliare (nella quale di rado poteva entrare un ragazzo), Ricciuto se ne tornò a con gli Indiani. Si conosce un proclama emanato a Boston il 3 novembre 1755 contro la tribù dei Penobscot: per ogni scalpo di individuo indiano maschile sopra i dodici anni, quaranta sterline (del tempo); per ogni scalpo di donna o di bambino sotto i dodici anni, venti sterline (cfr. VINE DELORIA, Custer Died for your Sins, Collier-Macmillan Ltd, Londra 1969, p. 6). Del 1864 è la strage di Sand Creek. Lì la barbarie bianca raggiungerà il colmo dell'aberrazione. L'A. ne dà raccapricciante notizia a p. 192; se ne ha conferma anche in CLARK WISSLER, Indians of the United States, Doubleday & Co., New York 1967, pp. I l i e 225. Lo scalpo è la capigliatura attaccata alla cute della corona cranica; lo scalp lock vero e proprio è all'incirca dove i nostri monaci fanno la tonsura. L'Indiano praticava un'incisione circolare in questa zona, sollevava una parte della cute con la lama del coltello, quindi finiva di staccare lo scalpo stringendolo fra i denti. Portava lo scalpo all'accampamento e, nel corso di una cerimonia, al guerriero si tributavano gli onori che meritava, poi si procedeva alla liberazione rituale dell'anima dell'ucciso affinché potesse compiere il viaggio che, se degna, l'avrebbe riunita al Grande Spirito, e non avesse cosi influssi negativi sull'uccisore (cfr. Alce Nero cit., cap. I I , nota 15). Quindi il peggior castigo, e destino, che si potesse umanamente riservare a un nemico vile e miserabile era proprio quello di non scalparlo. I Bianchi che scotennavano lo facevano per delle somme irrisorie: nel selvaggio West i veri selvaggi non furono gli Indiani (N.d.T).
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casa. Dalla tenda non filtrava luce. Entrato, udì il respiro del suo fratellino, che dormiva vicino all'ingresso, e della sorella, che dormiva dalla parte delle donne. Ma quella che lui chiamava madre era ancora sveglia e occupava il posto a lei riservato.23 Piano piano le andò a sedersi accanto e rimase zitto per un po'. Alla fine le domandò di Cima Dritta, che cosa gli avrebbero fatto per aver ammazzato una mucca. « Chi può dire?... », rispose la donna. « ...Ma è figlio di Iteyowa. Si comporterà da coraggioso ». Sì, da coraggioso; ma sarebbe stata lo stesso una malvagità, una cosa di cui non si capiva la ragione e che riempiva di terrore. Ricciuto aveva visto i soldati portare via alcuni Indiani con catene pesanti alle mani e ai piedi, e non erano mai più tornati. Gobba l'aveva detto una volta: era molto meglio morire combattendo nelle Pianure piuttosto che vivere nei ferri dei Bianchi.
23 Per la disposizione dei posti rigorosamente riservati ai vari componenti di una famiglia nella tenda indiana, cfr. Gambe di Legno cit., p. 69 (N.d.T.).
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2.
L'ARRIVO DEI CANNONI
Il sole sorse sulle creste accidentate della valle del Platte in un cielo rosso come le braci del fuoco del consiglio. Toccò il crinale sopra l'accampamento oglala, giunse ai vertici affumicati delle tende e velocemente scese sui loro fianchi colorati. Qua e là un cane si stirava, un cavallo impaziente tirava la corda e scuoteva la testa come a indicare le mandrie sulle colline lontane. Tra i giunchi del fiume si destarono i merli e dalla prateria si librarono alti nel sole i cantori del cielo per poi planare obliquamente spandendo il loro canto. Era mattina, ma nessun Indiano ancora calpestava la rugiada che gli avrebbe ammorbidito la suola dei mocassini. Quando il sole ebbe rischiarato tutto l'accampamento, le vecchie uscirono ad accendere i fuochi per far da mangiare. Il fumo si alzava diritto, poi si appiattiva a formare una sorta di foschia che stagnava lungo gli avvallamenti. Dopo aver mandato via a suon di bastonate i cani che si avvicinavano alle ormai magre provviste di carne, le vecchie svegliarono le ragazze e le mandarono a prendere acqua e legna; svegliarono i ragazzi e li mandarono a dare il cambio a quelli che di notte avevano fatto la guardia alle mandrie. Quindi uscirono dalle tende le donne più giovani, in abiti di pelle di cervo con maniche ad ala, i capelli neri ben pettinati, le gote dipinte di carminio, e montarono accanto alle tende i supporti per le lance, gli scudi e le altre insegne dei loro guerrieri. Ora l'accampamento andava animandosi. Ma il cielo striato di nuvole era ancora rosso, di quel rosso lento a svanire che è presagio di un giorno tormentato. Molti uomini, uscendo dalle tende, per prima cosa guardarono a ovest. Cavallo Pazzo, il padre di Ricciuto, e vari altri la cui me43
moria era uno scrigno dei fasti della loro gente, andarono a sedersi accanto a Toro dal Cuore Cattivo, lo « storico » oglala, uno che dipingeva sulle pelli di bisonte i fatti vissuti dal popolo - quelli grandi che determinavano il calcolo degli inverni (anni), e anche quelli meno importanti - per cantarli e ripeterli quando c'erano visite di riguardo o quando tutti si riunivano. Quel giorno qualcosa di brutto stava per succedere nell'accampamento brulé, e non mancava nemmeno il mattino rosso, più cupo ancora, nei suoi presagi, di quello che aveva preceduto l'uccisione di Toro Orso, la lunga battaglia nel cerchio campale, la scissione degli Oglala, la vergogna di cui si erano ricoperti davanti a tutti. Il cielo era rosso anche quella mattina, e aveva portato un giorno dal quale aveva poi preso nome tutto l'anno. Era ancora abbastanza presto, ma già molti cavalli pestavano le mosche presso la tenda di Uomo della Paura. Questi era il capo di una grande famiglia famosa per l'ardimento in battaglia, la saggezza in consiglio, e per aver salvato più volte il popolo fin dai giorni che ormai venivano ricordati soltanto nelle leggende degli eroi: molto prima che i Lakota possedessero cavalli, fin dai tempi in cui vivevano sulle sponde della grande acqua 1 e combattevano contro nemici di cui non restava neanche il nome. Uomo della Paura era alto un metro e novantatré centimetri - come i Bianchi avrebbero misurato la sua statura - ed era conosciuto come uno che parlava con lingua dritta e che non cercava maggiore autorità o più cavalli. Per questo, la sera precedente il consiglio aveva deciso di mandare lui al forte, perché cercasse di impedire ai soldati di venire con i cannoni in mezzo alle donne e ai bambini. Quella mattina egli scelse tre o quattro sottocapi, e insieme si avviarono verso Laramie cavalcando vicini perché dovevano parlare di molte cose. Appena partiti, Ricciuto, il giovane Cane e il figlio di Uomo della Paura li seguirono costeggiando l'altra sponda del Piatte. Anch'essi erano a cavallo e lanciavano urla, impazienti di veder accadere qualcosa. Oltrepassate le case di pietra di Gratiot, dove le razioni che il governo mandava 1
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II lago Superiore (N.d.T.).
ogni anno aspettavano l'agente che doveva distribuirle, erano ormai in vista delle bianche mura di Laramie quando Uomo della Paura fece segno ai ragazzi di tornare indietro. Essi fecero dietro-front e si rituffarono nelle forre e canaloni a nord del fiume, frustando i cavalli per sorpassarsi a vicenda come se si lanciassero alla carica di una battaglia. Ma quando furono abbastanza lontano da non poter più esser visti, tornarono indietro adagio adagio, e fra i cespugli lungo le sponde lasciarono trascorrere pigramente le ore calde, aspettando attenti qualche segnale. Quando il sole ebbe superato la metà del suo corso, si videro sulla pista gli Indiani con diversi Bianchi del forte. C'erano dei soldati con loro: un ufficiale a cavallo, un carro carico di fanteria e altri soldati a cavallo che tiravano due cannoni. Sollevarono una densa nube di polvere sulla Via Sacra. I ragazzi corsero a portare la notizia all'accampamento, ma quelli della tenda del consiglio già la conoscevano: le vedette infatti avevano riferito che stava arrivando quello sbruffone di Grattan con trenta soldati. C'era con lui anche l'interprete: Lucien (o Wyuse, come lo chiamavano gli Indiani), il figlio del mercante. Non contento del whisky già bevuto, aveva trangugiato altro liquido ardente alle case di pietra mentre i soldati caricavano i fucili per trovarsi pronti a sparare. Quasi tutti gli Indiani erano fuori a vedere i soldati che arrivavano da ovest, lungo il crinale. I soldati si fermarono un momento per dare uno sguardo all'ampia vallata gremita di tende divise in tre cerchi campali - gli Indiani avevano circa milleduecento guerrieri - poi ripresero ad alzare polvere, e le donne, che sapevano dei loro cannoni e dei lunghi coltelli,2 corsero a radunare i bambini, a ritirare le lance e gli scudi, ad allentare i picchetti delle tende, prevedendo un combattimento. Un po' prima di arrivare all'accampamento oglala, Uomo della Paura e quelli che lo accompagnavano rallentarono per distaccarsi dai soldati e far capire ai Bianchi che di lì in avanti avrebbero dovuto fare tutto da soli, unici responsabili 2
Le sciabole (N.d.T.).
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di quanto poteva accadere. L'accampamento oglala era come addormentato: quasi tutti erano scomparsi. L'ufficiale lasciò i soldati radunati sulla pista e si diresse da solo verso la grande tenda del consiglio. Qui arrestò bruscamente il cavallo, già con la schiuma alla bocca, e gridò: « Ei, voi, dannati diavoli rossi! Venite fuori! ». La copertura della tenda era parzialmente alzata, ma non scorse il minimo movimento tra quelli seduti in circolo: vide solo una fila di schiene, tutte con una coperta sulle spalle, ma non il minimo segno di vita. Allora chiamò Wyuse. « Di' a questi maledetti Indiani che faranno meglio a stare ognuno nel suo tipi, altrimenti ce li mando io a schioppettate », ordinò e, spronato il cavallo, piantò lì l'interprete ubriaco il quale, agitando un pugno come un Bianco e tenendosi in sella stringendone il pomo con l'altra mano, ripetè in cattivo lakota l'avviso all'accampamento deserto. Ma dall'argine settentrionale ecco venire veloci le mandrie dei cavalli, criniere e code al vento. Incitati dalle urla dei mandriani, i cavalli si tuffarono nel fiume, lo guadarono, poi balzarono all'asciutto, diretti all'accampamento. I soldati del carro li presero di mira gridandosi qualcosa l'un l'altro. Non spararono, però, ché il loro carro si mosse per andar dietro a quel soldatucolo loro capo che aveva fame di un Indiano. Alla staccionata di Bordeaux, poco prima dell'accampamento di Orso che Conquista, Grattan si fermò per chiedere al vecchio Jim di aiutarlo. Ma il Francese, un uomo basso e tarchiato, non volle seguirlo, pur sapendo che l'ufficiale avrebbe potuto creargli molti fastidi, forse addirittura scacciarlo dal territorio indiano con gli altri mercanti. Perciò Bordeaux fece finta di non aver capito e diede risposte confuse, per prender tempo. Che cos'era quel discorso di farlo andare all'accampamento brulé con i soldati armati di cannoni?! Per una mucca?! Quale mucca? Ah, la mucca! Sì, sì, la mucca del mormone... Ma al padrone era stata offerta una buona cifra, molto superiore al valore di quella vecchia carcassa! Come potevano essere così pazzi da portare i cannoni nel campo indiano per così poco? Qualcuno ci avrebbe rimesso la vita. E nell'ac46
campamento brille già molti erano in lutto perché quella notte era morto il vecchio capo Coda di Toro. Le donne e gli uomini già erano pazzi di dolore: sulle braccia si erano fatti dei tagli che ancora sanguinavano, si erano cosparsi il capo di terra... Non era il momento di andare là, neppure per una visita. Insomma, lui almeno, Jim Bordeaux, non ci sarebbe andato. I Bianchi del forte che avevano accompagnato i soldati rimasero alla staccionata del Francese, ma i soldati proseguirono sotto gli occhi degli Indiani che erano lì intorno. I soldati facevano male, e il loro amico Jim fiutava guai, come un cavallo percepisce in anticipo l'arrivo di un temporale. Era sempre stato un uomo di pace quando tirava aria di sparatorie, magari al punto di andarsi a nascondere tra le lenzuola della moglie, come aveva fatto una volta, e per quanto lei avesse insistito niente era valso a farlo uscire di là. Così i soldati dovettero fare a meno di lui, sebbene Uomo della Paura, nella sua ansia di evitare il peggio, avesse caldamente pregato l'amico mercante: quel giorno avrebbero avuto bisogno di un interprete che fosse anche un brav'uomo. Invece avevano solo quell'Iowa ubriaco. E Wyuse stava già facendo del suo peggio cavalcando avanti e indietro davanti all'accampamento dei Brulés per provocarli ancora di più, come facevano i guerrieri prima di un combattimento. Frustava e spronava il cavallo; lanciava gridi di guerra e insulti contro gli Indiani come avesse voluto sporcarli con sterco di bisonte. Ah, gli ridevano in faccia, eh? i suoi nemici sioux: erano superiori, loro; lo guardavano dall'alto della loro montagna innevata!... Ci avrebbe pensato lui a tirarli giù di là! Li avrebbe squartati e gli avrebbe mangiato il cuore. Gli avrebbe fatto le orecchie nuove perché capissero le parole che aveva in bocca! Qualche Brulé lo guardava dalla soglia della tenda, mentre le ultime donne fuggivano con i bambini a nascondersi tra i salici del fiume. Con loro erano anche molti guerrieri. Portavano tutte le loro cose da guerra e scendevano alla sponda del fiume, dietro il cerchio di tende. Là, nella boscaglia dove spesso legavano i cavalli, alcuni, già vestiti del solo perizoma, cominciarono a legarsi i capelli in ciocche spio47
venti sulla fronte, altri a dipingersi con le pitture sacre. C'erano non solo dei Brulés e dei Minneconjou, ma anche degli Oglala, arrivati seguendo il corso del fiume. Altri Oglala venivano a cavallo per la Via Sacra, e tutti potevano vederli: erano Nuvola Rossa, Gemello Nero e suo fratello Senz'Acqua. Altri ancora, i cui calori guerrieri erano già sbolliti, arrivavano pian piano, a piccoli gruppi, parlando tra loro come se andassero in visita. Orso che Conquista era andato incontro ai soldati. La sua faccia larga e assorta non era dipinta; aveva i capelli sciolti e disadorni: né una penna né una striscia di pelliccia. Con un braccio si teneva avvolta intorno al corpo una vecchia coperta da lutto sbiadita. Come già avevano fatto Uomo della Paura, Grosso Guerrigliero e il tozzo Piccolo Tuono dei Brulés, pregò l'ufficiale di non far entrare i soldati nell'accampamento. Si sarebbero seduti e avrebbero fumato da amici con lui, e insieme avrebbero messo a posto le cose, da persone per bene. Ma l'ufficiale non volle accettare. Urlò ai soldati di porsi nello spiazzo al centro dell'accampamento e nel settore in fondo, vicino alle tende degli ospiti minneconjou e vicino alla tenda del capo. Li fece allineare, poi caricò personalmente e puntò i cannoni. Presso i soldati si trovavano alcuni capi e sottocapi. Avvolti nelle coperte, immobili e silenziosi, non reagirono alle reboanti minacce di Grattan, consentendo così ai loro guerrieri di fuggire sempre più numerosi alla sponda. Lì ora cominciavano a venire anche i ragazzini. Furono mandati via tutti, tranne Orso Solitario e il giovane Ricciuto: si sapeva infatti che questi era il seguace di Gobba e che Coda Chiazzata era suo zio per parte di madre. A patto di non dare fastidio, questi due potevano restare e sentire ciò che riferivano le vedette su quello che succedeva nell'accampamento. Orso che Conquista e Uomo della Paura facevano la spola da Cima Dritta ai soldati tentando di convincere il Minneconjou a costituirsi oppure il capo dei soldati ad andare via e aspettare che arrivasse l'agente, che avrebbe detto quel che bisognava fare. Ma era chiaro che Grattan voleva combattere, sebbene Orso gli avesse offerto un buon 48
mulo della sua mandria e avesse mandato in giro il banditore a raccogliere dei cavalli. Il banditore era tornato con cinque bastoncini contrassegnati, corrispondenti ai cavalli di cui si privavano cinque uomini generosi. Li aveva messi ai piedi del capo dei soldati dicendo che vi erano ancora altri proprietari disposti a cederne, ma secondo costoro, cinque erano più che sufficienti per quella vacca mal ridotta, lenta per i molti chilometri che aveva nelle zampe e per il peso degli anni. Ma l'ufficiale non voleva muli o cavalli. Voleva il giovane Minneconjou che era là vicino all'ingresso della sua tenda appoggiato al fucile, arco e freccia nell'altra mano, il petto nudo solcato dalle cicatrici della danza del sole. Ma Cima Dritta non voleva andare con i Bianchi: l'anno prima i soldati avevano ucciso tre della sua gente per una barca sul fiume della Conchiglia; quell'anno, poi, un emigrante aveva sparato contro dei Minneconjou seduti sul ciglio della pista e aveva colpito un bambino alla testa. Il piccolo non era morto ma era stato male per molto tempo e l'accaduto aveva fatto venire il cuore nero a tutti. Cima Dritta sarebbe morto lì dov'era, piuttosto che andare con gente che faceva cose simili. Tuttavia non voleva causare guai e chiedeva ai capi di far andare via tutti e di permettergli di battersi da solo con i soldati. « Ormai sono rimasto solo », disse. « L'autunno scorso i Bianchi hanno ucciso i miei due fratelli. Questa primavera è morto mio zio, l'unico parente che mi restava. Ho le braccia forti, e le mani cariche di armi. Di qui mi porteranno via morto! ». Erano parole coraggiose, chiare, dissero gli Indiani, dirette come se fossero state scoccate da un buon arco. Ma l'interprete non le tradusse bene, né queste né quelle di Uomo della Paura e di Orso che Conquista. Barbugliò invece qualcosa che naturalmente gli Indiani non capirono alla lettera ma molti pensarono che stesse dicendo che Orso si rifiutava di consegnare il Minneconjou. Parole di lingua maligna, biforcuta, che fecero diventare il capo dei soldati ancor più paonazzo e gli fecero gridare che ne aveva abbastanza: gli dovevano dare l'Indiano immediatamente. Con49
tro il consiglio di tutti gli altri, Orso che Conquista disse che avrebbe tentato di accontentarlo, benché come Lakota non avesse alcun diritto di farlo: sarebbe andato dal Minneconjou in veste di nemico. Doveva perciò andare a prendere il suo fucile nella tenda. Wyuse tradusse anche questo da par suo: infatti, appena Orso si fu voltato, l'ufficiale diede un ordine rauco, rabbioso. I suoi uomini saltarono su e puntarono i fucili. Spararono e il fratello di Orso che Conquista cadde a terra, con del sangue che gli usciva dalla bocca. Gli altri capi si sparpagliarono ma Orso non fuggì. Saltava qua e là per non venir colpito, gridando agli Indiani di non perdere la testa, di non assalire i soldati, ché forse ora che avevano ucciso uno che non c'entrava erano contenti. Ma Grattan non ne aveva ancora abbastanza. Puntò personalmente i cannoni e ordinò ai soldati di fare fuoco. Stavolta Orso che Conquista si abbatté al suolo e i cannoni rombarono e i colpi, trapassando la punta delle tende, andavano a finire sulla sponda opposta del fiume. Allora Cima Dritta prese il fucile e sparò in mezzo al fumo nero e puzzolente. Grattan cadde, e prima che toccasse terra gli Indiani gli furono sopra e lo fecero a pezzi, colpendolo con le asce. Contemporaneamente si udì il grido di guerra: era Coda Chiazzata alla testa dei guerrieri che si erano nascosti sulla sponda del fiume e che ora avanzavano mandando una pioggia di frecce sui soldati attorno ai cannoni. Con le lance e le mazze li uccisero e portarono via i fucili, usandoli come clave sugli altri soldati. Qualche soldato riuscì a montare sul carro coperto, qualche altro sugli affusti dei cannoni. Frustarono i muli verso la pista degli emigranti e continuarono a sparare mentre si allontanavano. Ma anche questi pochi caddero quando vennero caricati dai guerrieri. Alcuni Bianchi che erano rimasti fuori della mischia decisero di opporre resistenza e formarono come un'isoletta che coraggiosamente tenne testa agli Indiani per la durata di un sospiro. Morirono anch'essi. Al primo sparo, Wyuse e quello che reggeva le redini del cavallo di Grattan erano fuggiti. Alcuni Brulés li inseguirono e gli Oglala dell'accampamento più a monte tagliarono 50
loro la strada. Con un colpo il soldato venne disarcionato; il cavallo dell'Iowa stramazzò. Wyuse si liberò dalle staffe e corse a nascondersi nella tenda funebre di Coda di Toro. Ma gli Indiani lo inseguirono e lo tirarono fuori da quel luogo sacro: muggiva come una vitella. Fu suo cognato a sferrargli il colpo mortale con la mazza: gli strappò i panni di dosso, gli fece due lunghi squarci - uno per gamba - dalle caviglie alla vita, e lo lasciò là, fuori della tenda funebre. Così finì l'uomo che voleva dare ai Lakota nuove orecchie con cui sentire, che voleva tagliare a pezzi i loro cuori per mangiarseli. Furono una dozzina quelli che lo colpirono con gli archi o i coltelli, ma nessuno volle portargli via lo scalpo. Appena i guerrieri se ne furono andati, Orso Solitario e il giovane Ricciuto sgusciarono fuori dal nascondiglio. Con un senso di nausea e di malessere guardarono Wyuse ridotto a un nudo corpo mutilato. Il sangue gli si era già coagulato negli squarci scuri delle gambe; aveva la faccia stravolta e gli occhi gli uscivano dalle orbite come sassi. Quest'uomo, che in parte era indiano e che i Lakota avevano accettato come uno di loro quando gli avevano dato una moglie, non aveva procurato che guai, guai minori prima di quel giorno, poi il più grosso che avesse avuto il tempo di fare. Ricciuto guardava quel nemico della sua gente e il sangue indiano gli saliva caldo alle orecchie pulsando come un tamburo di guerra e gliele gonfiava. Gli parve per un momento che l'unica cosa da fare fosse uccidere, uccidere Bianchi, molti, per pacificare il suo cuore dopo quel che questo uomo e il capo dei soldati avevano fatto nell'accampamento brulé. Ma immediatamente si sentì grande e potente, così potente da non provare altro che disprezzo per un miserabile come Wyuse. Si strappò via il perizoma e stette nudo davanti agli occhi sbarrati del morto, offendendolo col peggiore insulto che potesse fare un Lakota. Si sentì girare la testa per aver avuto l'audacia di compiere quel gesto che si addiceva di più a un capo in età da tenda di consiglio. Ma dopo un attimo era di nuovo il giovane Ricciuto, magrolino, figlio dodicenne di Cavallo Pazzo, il sacerdote, consigliere e padre di tutti quelli che si ri51
volgevano a lui. Perciò il ragazzo si ricoprì, prima che qualcuno potesse scorgerlo nudo, poi corse al suo cavallo e si diresse all'accampamento oglala. Tutte quelle uccisioni avrebbero senz'altro portato guai. Forse sarebbe scoppiata una grande guerra, e lui doveva stare con la sua gente e aiutarla. Lanciò sempre più veloce il suo cavallo e pareva che l'animale sfiorasse la terra col ventre peloso. Lo seguiva il dimenticato Orso Solitario: fece di tutto per raggiungere l'amico, perché ormai c'era nient'altro da fare. Quando Orso che Conquista era caduto, Uomo della Paura, Grosso Guerrigliero e altri erano accorsi a sollevarlo e l'avevano trasportato sulla sponda del fiume perché non venisse travolto dai guerrieri lanciati alla carica. Videro che aveva diverse ferite e tre gravi: aveva un braccio in frantumi, un ginocchio trapassato da una pallottola, e un'altra pallottola era penetrata in profondità nelle parti morbide del ventre. Perfino un toro di bisonte colpito lì sarebbe crollato. Lo distesero sulla sua coperta da lutto e rimasero attorno al capo di pace voluto dal Grande Padre. Colpito dai fucili dei soldati, era caduto come cade un grande uomo, facendo scudo alla sua gente. Frattanto i guerrieri che avevano inseguito i soldati su per la pista, tornando all'accampamento si erano fermati da Bordeaux per metter le mani sui Bianchi che avevano assistito alla battaglia dai tetti piatti delle case, e che ora erano improvvisamente spariti. « Dove si nascondono oggi i conigli? Scuotete i cespugli, fateli uscire dalla paura! », gridavano i giovani Brulés, cercandoli da una casa all'altra. I loro corpi magri e bruni erano madidi di sudore e striati di pigmento, e i loro volti erano truci. Chi era sporco di sangue, chi aveva legati alla cintura o all'estremità dell'arco scalpi freschi di Bianchi, coi capelli corti. Jim Bordeaux correva dietro agli Indiani torcendosi le mani, prendendo le difese dei Bianchi che essi stavano cercando. Non avevano fatto niente, diceva; erano soltanto venuti dal forte insieme con i soldati come gente che va per la stessa strada. Non avevano alcuna colpa. 52
« Stanno col nemico », aveva urlato il nipote di Orso che Conquista affondando nei letti la sciabola che aveva poco prima portato via a un soldato. Per seguire Gobba, erano capitati là Ricciuto e Cane e avevano sentito Orso Lesto e altri due cognati brulés del vecchio Jim che parlavano per lui e per gli altri Bianchi arringando i giovani guerrieri ormai scatenati. I guerrieri se ne erano indignati ma a Orso Lesto avevano dato retta perché era ancora forte in mezzo a loro, anche se teneva troppo alla pace. Era uno dei più abili a catturare i cavalli bradi nella regione dell'Acqua che Corre, e così l'avevano lasciato dire che essi si comportavano come quei pazzi soldati bianchi, venuti anch'essi a uccidere chi non aveva fatto niente. Quelli che volevano comportarsi da uomini, dovevano piuttosto andare ad aiutare la gente in fuga, aveva detto Orso Lesto. Ma forse gli anni di pace, che i giovani Lakota tanto disprezzavano, li avevano veramente resi tanto deboli di carattere e tanto pazzi da non rendersi conto che quel giorno il popolo correva un serio pericolo e aveva bisogno di uomini veri, non di bambocci che giocavano alla guerra come se si trattasse di scuotere i cespugli per stanare i conigli! I giovani guerrieri se ne erano andati come cani sorpresi vicino agli essiccatoi della carne. Alcuni si erano voltati indietro a guardare con rabbia mista a rimpianto il probabile nascondiglio della loro preda, ma quando poi guardarono in avanti si resero conto che Orso Lesto aveva detto la verità: i Lakota fuggivano come i giovani non li avevano mai visti fare; sulla sponda del fiume c'era una grande folla, come una mandria disordinatamente assiepata: donne, barn bini, vecchi, cavalli, tregge, cani, tutti mescolati. Molti uomini si prodigavano per fare arrivare tutti al fiume. A cavallo, nell'acqua, Piccolo Tuono delimitava con tronchi di salice il guado attraverso la corrente del fiume della Conchiglia. Nell'accampamento brulé era come se fosse passato un gran vento e avesse lasciato in piedi una tenda sola, quella di Orso che Conquista, vigilata da membri della sua akicita e da alcuni membri autorevoli dei consigli lakota, come Uomo della Paura e Grosso Guerrigliero. Davanti all'ingres53
so erano ancora sparsi i corpi nudi dei soldati. I guerrieri li assalirono ancora una volta, Ricciuto con loro: li fecero calpestare dai cavalli, li trapassarono con le lance e con altre frecce. Poi presero al lazo i cannoni, li ribaltarono e li trascinarono per l'accampamento, facendo dei solchi sul terreno duro. Uno lo portarono al punto più profondo del fiume, recisero le corde e non lo videro più. Poi ammucchiarono fascine attorno agli affusti e al carro coperto, vi appiccarono il fuoco e fecero il carosello intorno all'incendio, lanciando gridi e galoppando sempre più veloci appena udirono il tremolo che le donne lungo il fiume facevano arrivare fino a loro. Quando il fuoco si spense, aggirarono il loro campo che si stava spopolando e risalirono il fiume per incontrare dei guerrieri che tornavano da un consiglio con gli Oglala. Lanciarono il grido della carica contro il nemico, contro i Bianchi. « Hop! », urlavano. « Andiamo! ». Piccolo Tuono arrivò di volata alle case di Bordeaux. Gli si leggeva in faccia tutta la gravità delle cose successe in quel giorno non ancora concluso. Sembrava che adesso i guerrieri avessero intenzione di incendiare Forte Laramie. « Fermali, sacré, fermali! », gridò il piccolo Francese spruzzando saliva e sfrigolando come grasso umido di bisonte gettato sul fuoco. « Se non fanno altri danni, può darsi che il Grande Padre li perdoni. Non hanno torto di far la guerra ai soldati che hanno ucciso il loro capo sotto i loro occhi; ma se gli bruciano il forte, il Grande Padre di cannoni ne manda cento. Arriveranno molti altri soldati, tanti come le cavallette d'estate, a far la guerra e a massacrare le donne e i bambini ». « Hau! », disse Piccolo Tuono convenendone con dolore. Sapeva che il fratello mercante aveva detto la verità. Dovevano fare tutto quello che potevano. Riuniti alcuni dei guerrieri più importanti, fece un lungo discorso per trattenerli e dare a Jim e alla sua moglie brùlée il tempo di mandare tabacco, gallette e un barile di melassa nera agli altri ancora irritati come calabroni stuzzicati con un ba54
stone: tutti a cavallo e ridipinti di fresco, cavalcavano in cerchio sferzando i cavalli con le corde da guerra, si lasciavano calare lungo i fianchi degli animali come durante un attacco e lanciavano gridi. Ma Piccolo Tuono riuscì a convincere i loro capi, i quali lo rispettavano essendo egli uomo d'onore e con più anni di loro. Inoltre stava per tramontare il sole e si avvicinava l'ora del pasto serale. Avrebbero potuto raggiungere il forte soltanto a sera inoltrata e, come ogni Lakota sapeva, non era una cosa buona combattere di notte. Ci sarebbero andati domani. Adesso era ora di mangiare. Messi perciò da parte i cavalli, si strinsero intorno alle cose che il mercante aveva preparato. Reggendo i lembi dei perizomi come facevano le donne bianche con i loro grembiuli, li riempivano di tabacco e di gallette, poi intingevano coltelli, bastoni e dita nel barile della melassa e, tiratili su grondanti, ne gustavano il dolce stillicidio. Per combattere c'era tempo domani! Ma i guai non erano ancora finiti, né per Piccolo Tuono né per Bordeaux. Appena si fece buio, i Bianchi nascosti nelle case del mercante vollero tornare a Laramie, rischiando di farsi ammazzare lungo la strada. Orso Lesto e un altro Indiano trovarono un soldato ferito nascosto nella boscaglia. Si stringeva con le mani il ventre ferito da una freccia. Lo portarono da Bordeaux. Ma mentre Jim e Piccolo Tuono ordinarono di portarlo via di lì immediatamente, la moglie di Bordeaux accorse di nascosto in aiuto del soldato: alla sua maniera lakota gli fasciò stretta la pancia con pelle di daino bagnata, gli diede da bere un po' di whisky, gli mise un mantello sulle spalle e lo camuffò con dei rami. Poco prima che tutti i Bianchi si fossero nascosti un'altra volta, altri guerrieri - centinaia, questa volta - si misero a gridare fuori, battendosi la palma della mano sulla bocca per fare il tremolo e modulando la voce in grida alte e sottili come fa la pantera nelle tenebre. Entrarono a forza nella casa del mercante dove l'unica luce era quella di candela. Quando la casa ne fu piena, molti si assieparono fuori tutt'intorno, gridando minacce e pretese. Per convincerli 55
che il loro capo, Orso che Conquista, non era morto, e quindi che non c'era ancora da vendicarlo, alcuni loro condottieri come Coda Chiazzata e Alto Osso Dorsale erano stati fatti entrare nella sua tenda, illuminata solo da poche braci e dallo stoppino vegetale che si consumava lentamente nella ciotola dell'uomo di medicina. Il grande capo era sotto una coperta e perciò non avevano potuto vedere il sangue che perdeva, un sangue gialliccio simile a quello del bisonte colpito all'intestino che il cacciatore ha solo più da inseguire per un breve tratto. Ma aveva gli occhi talmente affondati nelle orbite che si sapeva come sarebbe andata a finire. Per questo, i dieci Bianchi stavano acquattati sotto le pelli dei magazzini di Bordeaux mentre Piccolo Tuono correva dalla tenda del capo ferito alle case del Francese, alla gente che si era ammassata a nord del fiume per paura che arrivassero altri soldati e altri cannoni. « Aspettate », ripeteva ai guerrieri ovunque passasse. «Aspettate... Non si può fare niente finché non si vede quello che accadrà. Fare la guerra contro i Bianchi è una cosa grossa e non si può deciderla con la velocità con cui una palla di piombo vola via dal fucile. Bisogna consultarsi. Aspettate! ». Aspettare, aspettare! Tutti i capi non avevano saputo dire altro per due lune, gli gridarono dietro dei guerrieri. Avevano esaurito le riserve di carne per aspettare un agente che non era venuto. Adesso chi li avrebbe più visti i viveri della distribuzione annua? I loro figli sarebbero morti di fame. «Nessuno morirà di fame! Uccideremo i Bianchi e ci prenderemo i viveri! », promise uno di loro, e gli altri gridarono un alto « Hoye! » stringendo sempre più il cerchio attorno a Piccolo Tuono e al mercante francese: selvaggio il loro volto al lume di candela, tremendi gli occhi cerchiati di pigmento. Il capo brulé, visto come si mettevano le cose, sventolandosi stancamente col suo ventaglio di ala d'aquila, consigliò Bordeaux di distribuire altra roba, tutto quel che volevano, visto che cercavano solo un pretesto di attaccar briga per poter essere liberi di iniziare lo sterminio. 56
Allora Jim Bordeaux distribuì tabacco, zollette dolci, caffè, gallette, uva passa, lardo affumicato e fagioli. Esaurite le provviste, tirò giù dagli scaffali le coperte e i rotoli di calicò e di tela blu; dal retrobottega portò polvere da sparo e cartucce; diede via perfino il suo bestiame e i suoi cavalli. Con le lacrime che gli rigavano le guance scure e pelose, diede via tutto quel che aveva; e quando ebbe perduto tutto e rimase dietro al banco vuoto con accanto solo Piccolo Tuono e Orso Lesto, cominciò a parlare a quella torma di guerrieri dalla faccia nera, che gli venivano contro. Unico Bianco, disarmato e solo, cominciò a parlare a quei guerrieri affamati di lotta. Li adulò, li biasimò, riattizzò tra loro dei vecchi rancori e odii e vecchie discordie: con la sua abile lingua di mercante riuscì a dividerli. Parlò a lungo, e con energia perorò la sua causa e quella di tutti i Bianchi che vivevano nella regione dell'alto Piatte. Per quasi tutta la notte Ricciuto fece la guardia alla mandria di cavalli. I ragazzi a turno sgusciavano di nascosto fino alle case di Bordeaux dove era certo che stavano succedendo molte cose. Ma non era cosa facile, perché l'akicita sorvegliava i mandriani ininterrottamente: quella notte non ci si poteva permettere di perdere nemmeno un cavallo. Dopo una giornata come quella appena trascorsa, i guerrieri dell'akicita erano nervosi: i soldati, qualche Indiano arrivato dall'accampamento delle donne su al forte, o anche uno della loro stessa tribù, sarebbe riuscito con niente a far loro perdere la testa. Ricciuto riuscì a scappare una volta prendendo per un canalone nero sotto la luna dell'ultimo quarto. Si fermò dietro la tenda di Orso che Conquista, dalla parte opposta a quella delle guardie. Una fioca luce rossa filtrava attraverso le pelli tra un'ombra e l'altra degli uomini che vegliavano il capo. Tutto era in una immobilità così assoluta che avrebbe potuto sentire i gheppi piombare sulle zanzare nelle secche del fiume. Si sentiva anche il chiù della civetta, un segnale per i cacciatori che tornavano e non sapevano nulla di quel che era accaduto. Come sfondo a tutto questo, c'era l'eco del chiasso dei guerrieri attorno a Bordeaux. Mentre il ragazzo tendeva l'orecchio, notò nella tenda 57
del capo una figura scura, raggomitolata: una donna (forse la vecchia moglie di Orso che Conquista) con la testa coperta da un manto faceva il lamento per il marito ferito. Una donna si dispera quando vede morire il marito così, non di malattia e nemmeno in battaglia, ma per mano di quelli che lo chiamavano amico. Ancora una volta il sole si alzò, luminoso e caldo, in un cielo bianchiccio venato dal vento. Al posto di mercato il vecchio Jim, rauco, senza più merci, era riuscito a trattenere i guerrieri dall'andare a Laramie finché si era fatto troppo tardi per sferrare un attacco contro il forte. Ora se ne stava sdraiato sulle pelli di bisonte che teneva dietro il banco e russava. Da qualche parte dormivano anche i giovani guerrieri, senza aver fatto danze di guerra né danze di vittoria per gli scalpi presi. Sulla loro gente c'era il segno della morte, e poi era stato troppo facile uccidere i soldati. Gli Indiani a nord del fiume avevano aspettato tutta la notte i segnali di fuoco delle scolte appostate intorno a Laramie, ma non avevano visto nulla, finché il sole, arrivato alle colline, aveva portato i lampeggiamenti di specchio che dicevano buone notizie: sulla Via Sacra non transitavano soldati, dal forte non era uscito niente. Allora i Lakota si misero in movimento sulla larga pista da tregge che portava a nord. Oglala e Brulés insieme formarono un'unica lunga carovana, diretta verso il torrente Rawhide (del Cuoio Crudo). Portarono con sé il ferito, Orso che Conquista: lo sdraiarono su una barella fatta con due lunghi bastoni e una pelle di bisonte, portata a spalle da sei Brulés tra i più alti e i più forti. Davanti a Orso cavalcava la più giovane delle mogli, che conduceva il suo vecchio cavallo da guerra preferito: dalla sua sella pendevano da una parte la lancia e lo scudo, dall'altra il casco di penne piegato nel sacco apposito. Davanti e dietro il capo cavalcavano alcuni membri della sua akicita: una guardia d'onore che spiccava in mezzo ai fuggitivi. Anche questa volta i Lakota viaggiarono secondo il loro costume: quattro capi anziani, i consiglieri, andavano avan58
ti agli altri e sceglievano il punto in cui sostare il tempo di una fumata o in cui piantare il campo per la notte. La sicurezza del popolo era nelle loro mani. Ad essi era affidato anche il fuoco delle due tribù. 3 Li seguivano gli altri capi e alcuni membri dell'akicita incaricata di mantenere l'ordine e di proteggere la treggia funebre di Coda di Toro e la barella del capo ferito. Quindi veniva il popolo: i vecchi, le donne, i bambini, i derelitti e tutte le tregge con i fagotti e le tende. Infine le mandrie di cavalli e, dietro queste, gli uomini armati di mazze infilate nella cintura e pronti in ogni momento a tendere l'arco. Pochi guerrieri possedevano un fucile: erano quasi tutti fucili presi ai soldati il giorno prima. Quelli col fucile facevano da ala e da retroguardia alla carovana; altri ancora venivano mandati in perlustrazione in tutte le direzioni. Di solito il trasferimento di un grande campo era occasione di divertimenti e di incontri: si scherzava, si facevano corse a cavallo, si cantava, le donne chiacchieravano gaiamente o spettegolavano; con i volti dipinti di rosso, i vestiti di pelle di daino frangiati e ornati con motivi di perline, le belle selle con borse appese ai lati che arrivavano fin sotto il ventre del cavallo. I guerrieri andavano avanti e indietro al galoppo: si calavano giù da un fianco del cavallo, poi dall'altro, sfioravano terra e scattavano su di nuovo; cantavano e facevano di tutto perché le donne e le ragazze li guardassero. Quel giorno invece nessuno aveva voglia di cose del genere, neppure i giovani. Il viaggio fu veloce e senza episodi degni di nota: solo ogni tanto un uomo intonava un canto di medicina per tirar su il morale della gente. Giunti sul crinale più alto di là dal fiume, Ricciuto notò che molti, scuri in volto, si giravano a guardare ansiosa5 Ogni banda sioux aveva un « custode del fuoco » il cui tipi era al centro del cerchio campale. « Quando il campo si trasferiva, il custode trasportava il fuoco in un piccolo ceppo acceso; quando si ricostituiva, ogni tenda accendeva il proprio fuoco attizzandolo da quello centrale. Il fuoco veniva ritualmente estinto e, sempre ritualmente, se ne accendeva uno nuovo solo dopo una grande catastrofe o quando era necessario che l'accampamento si purificasse completamente » (Alce Nero cit., cap. II, nota 10) (N.d.T.).
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mente la Via Sacra e il posto di mercato dove erano immagazzinati i viveri del governo. Si allontanavano ormai dalle razioni di tutto un anno, le lasciavano alle loro spalle. Pochi sapevano che quella mattina, di buon'ora, un giovane Indiano era andato alle case di Gratiot per parlare con Salaway, il figlio del mercante che lavorava là, conosciuto da tutti perché aveva passato l'estate ad aspettare la sorella di Bocca Grande fuori dalla tenda. Questi aveva detto a Salaway che essi andavano a nord, ma in seguito qualcuno sarebbe tornato lì a prendere i viveri e, poiché non volevano combattere contro degli amici, speravano che per quell'occasione essi non si facessero trovare lì sul posto. Molte donne però guardavano anche in direzione del forte sul Laramie, sebbene le vedette non avessero segnalato polvere sulla pista, sollevata da cavalli dell'esercito o da ruote di cannoni. Sembrava anzi che i cadaveri dei Bianchi fossero ancora là dove li avevano lasciati, in preda alle mosche, e che nessuno fosse andato a seppellirli o a prenderli. Un giovane Brulé che aveva da poco lasciato Bordeaux disse che Fleming, il capo dei soldati, aveva mandato ad avvertire il vecchio Jim che da quel giorno in poi si sarebbe dovuto difendere da solo come poteva, perché non c'erano più soldati che lo potessero aiutare. Pareva anche che il capo dei soldati di nome Grattan avesse avuto l'ordine di agire con prudenza, di portarsi dietro soltanto venti uomini e nessun cannone, insomma di lasciar correre se il Minneconjou avesse rifiutato di consegnarsi spontaneamente. All'udire queste cose, i giovani guerrieri cominciarono a dire ai quattro venti che la città dei soldati era pressoché sguarnita. Se i Bianchi non erano in grado di portare via i morti, non potevano nemmeno punire gli Indiani. « Verranno... », dissero sottovoce alcuni dei più vecchi, guardando il fuoco. I giovani erano per lo più silenziosi, ma un Brulé che aveva una sorella nell'accampamento delle donne parlò con la foga di uno che sa quel che dice. « Non ci possono dare la caccia », disse a tutti quelli che potevano sentirlo. « Sono pochissimi al forte... Non più di tanti 60
così... », e alzò tutte e due le mani allargando le dita. Gli altri non ebbero difficoltà a credergli: egli aveva detto infatti quello che essi volevano credere. E per tutto il giorno quel segnale si trasmise da un gruppo all'altro: solo tanti soldati quante sono le dita di due mani; possibile grande bottino di cavalli e roba da mangiare; molti colpi rituali e molti scalpi per la danza di vittoria e per dar modo ai giovani guerrieri di prendere moglie. Hau! Benissimo. Forse c'era ancora modo di essere uomini. Ma tutti i capi, e anche molti altri che avevano grande autorità sui guerrieri (uomini come Foglia Rossa, Coda Chiazzata e Gobba), erano contrari ad ogni razzia. Tuttavia qualcuno dei giovani più scatenati voleva partire lo stesso, certo che i Minneconjou, che Accoltellatore aveva cacciato dall'accampamento brulé la notte dopo il fatto della mucca, sarebbero stati ben lieti di dare una mano. I Minneconjou dunque viaggiavano da soli. Ma quello incaricato di raggiungerli e di comunicare la proposta se ne tornò con i passi lenti di chi porta cattive notizie: Cima Dritta e gli altri, già abbastanza mortificati per il fatto della mucca, non volevano rischiare altri guai. Allora i giovani guerrieri non tentarono più con molta convinzione di sfuggire alla guardia dell'akicita, e infine risultarono troppo pochi per dare l'assalto alle spesse mura di adobe della città dei soldati e per affrontarne i cannoni. Quando la carovana raggiunse il Rawhide, si ricominciò a parlare di tornare indietro a prendere le razioni. Essendo molti di questo parere e tutti forti, partirono senza sotterfugi, al tramonto. Alcuni recavano con sé dei cavalli da carico, altri dei sacchi di pelle e delle coperte per metterci dentro o avvolgere tutte le cose che spettavano loro in base al trattato. All'alba del giorno dopo, il giovane Ricciuto cavalcava accanto a Gobba e guadava le acque del Piatte, luccicanti come un coltello. Le case della compagnia delle pellicce erano deserte, Salaway e gli altri se n'erano andati tutti. Gli Indiani avevano appena finito di fare un fumata e di concordare la divisione dei viveri, quando arrivarono al galoppo, su cavalli con la schiuma alla bocca, vari mem61
bri della famiglia di Orso che Conquista, con Foglia Rossa in testa. Dalla cima della scala di pietra della grande casa Foglia Rossa guardò gli Indiani ammucchiati sotto di lui. Era magro, piuttosto alto; aveva indosso una semplice coperta blu, la faccia tirata per i pensieri degli ultimi giorni. Prese a parlare lentamente, pacatamente, un po' a disagio, come un giovane che nei consigli non ha preso molte volte la parola. Ma era fratello del capo ferito e veniva da una dura cavalcata, e i guerrieri non lo contrastarono. Era venuto, disse Foglia Rossa, per avvertirli che suo fratello, Orso, non approvava quello che essi contavano di fare lì, perché a ferirlo era stato un giovane pazzo furioso. Quel posto non era dei soldati ma della compagnia delle pellicce, e quelli della compagnia erano suoi amici fin da molto prima che comparisse un solo soldato lungo il Piatte. Inoltre la compagnia era garante dei viveri annuali come un capo è garante dei prodotti che un mercante porta al suo accampamento. « Sono un guerriero lakota come voi », disse Foglia Rossa scoprendosi il petto pieno di cicatrici, « ma sono anche fratello di capo Orso che è gravemente ferito e che perciò è costretto a parlarvi per bocca mia. Egli dice: non toccate queste cose. Il popolo si è già tirato addosso abbastanza guai. Partite da qui in pace e andate nelle zone di caccia. Sbrigatevi e tornate con tanta carne e tante pelli, ché il duro inverno si avvicina. Così ha detto ». Ricciuto sentì dire da molti che queste erano parole giuste, ma molti altri gridarono: « Hau! » e si strinsero intorno a Foglia Rossa, buttarono giù la porta a spallate, i capi dei guerrieri entrarono nei magazzini e in un baleno presero tutto quel che trovarono e lo consegnarono a quelli di fuori. A metà mattina gli Indiani già tornavano al nord, verso il Rawhide, con i cavalli carichi di sacchi e di fagotti pieni fino all'inverosimile, come quelli che pendevano dalle selle delle donne quando il campo si trasferiva. Le case di Gratiot erano state ripulite: c'era rimasto solo il whisky, nascosto sotto il pavimento. Gli Indiani continuarono a viaggiare, un giorno dopo l'altro: gli Oglala diretti a nord, i Brulés diretti a nord-est, 62
verso l'Acqua che Corre che costeggiarono fino alla foce di quello che essi chiamavano torrente del Serpente. Uomo della Paura e alcuni dei suoi guerrieri migliori, compreso Gobba, andarono con i Brulés e offrirono il loro aiuto a Orso che Conquista. Si spostavano con la velocità massima consentita dalle condizioni del ferito, anche nelle ore più calde. Orso che Conquista andava progressivamente indebolendosi e la polvere da sparo e il piombo gli bruciavano le viscere. Ciò nonostante incitava gli altri, volendo portare la sua gente lontano dalla Via Sacra e dai soldati che sarebbero certamente partiti a dar loro la caccia. Dopo la sparatoria, Cavallo Pazzo aveva aggiunto la sua tenda a quelle dei Brulés perché, nei momenti difficili, era meglio che una moglie stesse con la sua gente. Ricciuto si era reso utile, aiutando le donne a caricare le tregge e occupandosi dei cavalli della sua famiglia. Quando gli era stato possibile era andato con Gobba. Ma sentiva la mancanza degli amici oglala, specialmente di Cane e di quella timida, bella bambina, figlia del fratello di Nuvola Rossa, che l'aveva guardato spesso da sotto le lunghe ciglia quando si era trovato a passarle vicino nell'accampamento. Era stata lei a ornargli di perline la mazza che il figlio di Faccia Cattiva gli aveva gettato nel Laramie: anche per questo Ricciuto l'aveva cercata in acqua per tanto tempo. Ma un giorno la tribù sarebbe stata di nuovo tutta insieme. Adesso le cose da fare erano tante, il tempo libero l'avrebbe trascorso insieme con i cugini brulés. Si era ormai sul finire dell'estate ma la stagione era buona nella zona dell'Acqua che Corre. I cespugli di lauroceraso si curvavano come piume scure per il peso dei loro frutti vermigli. In qualche punto si trovavano ancora attaccate alla pianta le ultime dolci bacche di ribes che facevano la lingua blu. Le prugne selvatiche erano mature. C'era anche selvaggina minuta per la caccia dei fanciulli: anatre, quaglie, chiurli e pollastre della prateria così grasse e pesanti che non riuscivano a sollevarsi con le loro ali. Se si colpiva la chioccia, i piccoli le andavano d'intorno a beccarla incuriositi, come se fosse uno scherzo quella freccia piantata nel petto. I piccoli si potevano uccidere anche con le frecce spuntate e, 63
se presi al cappio, la testa veniva vià come niente. La loro carne, arrostita sulla brace, era così tenera che si divideva in pezzi succulenti prima ancora di essere cotta a punto. I bambini si sbrodolavano sempre, col loro grasso. Invece le galline vecchie si portavano a casa e si mettevano in pentola: stufate con bacche di seferdia e con rape e cipolle selvatiche, erano una bontà. I bambini salivano sui monti e di lassù vedevano cose meravigliose: antilopi che correvano come il vento, a ondate, sull'erba ingiallita; cacciatori che facevano la posta ai cervi fra i cespugli e poi se li mettevano di traverso sui cavalli, la testa penzoloni, dopo aver mozzato le corna sul posto perché erano ingombranti e non c'era tempo per utilizzarle, in quanto la carovana viaggiava veloce. Quando Gobba non era di guardia presso il capo ferito, Ricciuto gli si attaccava alla frangia dei mocassini. Una volta vide Orso che Conquista. Il fanciullo sapeva che la sua vita si stava sciogliendo come la neve quando il chinook vi alita sopra, 4 e che molti erano ansiosi di vedere chi si sarebbe messo il suo mantello. C'era il vecchio Fumo: si sapeva che avrebbe voluto quella carica per il figlio cui aveva già tentato di cedere il suo posto, ma si era visto che Faccia Cattiva non aveva alcun seguito; lo svergognava davanti a tutti perfino sua moglie, una donna dalla lingua così tagliente che neppure un bambino affamato avrebbe osato gironzolare intorno al suo fuoco. Ma c'erano anche altri che aspiravano alla carica di capo di tutti i Teton Lakota inventata dall'uomo bianco. Perfino qualche parente di Orso sperava di trarre profitto dalla sua morte. Accoltellatore già parlava in pubblico di scacciare la famiglia di Orso dall'accampamento brulé. « H a fatto ai Bianchi il segno di pace!... Ha fatto cose cattive pur di piacere a loro! », lo criticavano altri, con la bocca acida come avessero mangiato polvere. Accadeva però che, mentre molti sognavano di diventare 4 IChinook vivevano presso la foce del fiume Columbia. Hanno dato il nome a venti caldi che soffiano da ovest, dal Pacifico al Montana, all'Alberta e anche
più a est (N.d.T.).
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potenti, nemmeno gli amici più intimi varcavano l'ingresso della tenda di Orso per andare a vedere come stesse. Nessuno vi entrava, tranne l'uomo di medicina, i sacerdoti e quelli che accudivano il capo sollevandolo e allontanandolo per un attimo dalla barella. Fu in una di queste occasioni che Ricciuto lo vide. Il ragazzo era così vicino a Gobba che quando questi lo scansò, si acquattò velocemente e vide di tra le gambe dell'amico il ferito; o almeno doveva essere lui: certo però che sembrava uno di quei teschi che si trovano nella prateria, solo che questo aveva ancora la pelle attaccata, gialla. I buchi degli occhi sembravano anch'essi scuri e vuoti come quelli di un teschio, e tutt'intorno si sentiva l'odore della morte. Lontano, sulle scogliere, Ricciuto si sforzò di pensare a ciò che aveva visto quella mattina nella tenda di Orso che Conquista. Era stata una cosa in certo modo sacra... Questo pensiero lo fece correre a prendere il cavallo: voleva andar via da solo. Alcuni ragazzi provarono a seguirlo ma egli li scacciò con rabbia. Si diresse verso un colle lontano dal fiume, su cui Mulo Roano, quello che catturava le aquile per gli Oglala, aveva una trappola di cui si serviva ogni anno. Arrivato, legò il cavallo in modo che potesse pascolare e abbeverarsi, poi si allungò seminudo sui sassi a guardare nel profondo azzurro del cielo. C'erano molte cose su cui doveva meditare, ciò che aveva visto quella mattina alla tenda di Orso, quello che era successo la settimana prima e negli anni passati presso il fuoco di suo padre e insieme con Gobba. Tutto gli sembrò stranamente legato insieme, come perline applicate su una lunga striscia di cuoio, e di queste solo poche rappresentavano le glorie della caccia e del sentiero di guerra. Per tutto il resto del giorno e per tutta la notte il ragazzo rimase disteso al freddo in cima a quel colle dalla vetta a terrazzo. 5 Per tenersi sveglio si ficcava schegge di pietre tra le dita dei piedi e appoggiava la schiena su pile di sassi. Quando gli parve che perfino le braccia gli dolessero 5 È lo Hanblecheyapi, o pianto rituale per implorare una visione. Cfr. Alce Nero cit., cap. IV (N.d.T.).
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dal sonno, si alzò e camminò in cerchio sforzandosi di cantare come sapeva che altri facevano in circostanze analoghe; ma i canti non vennero. Allora si sdraiò di nuovo e rimase così tutto quel giorno e il successivo, finché gli occhi diventarono fori ardenti e si sentì la lingua grossa come una coda di castoro e altrettanto ispida. Tuttavia non gli si avvicinò nemmeno una delle creature della terra, né una cavalletta né una formica, niente. Non vide nemmeno un uccello volare per tutto il vasto cielo. Strano. Gli esseri viventi non gli si avvicinavano quando egli voleva una visione. Allora cominciò a interrogarsi su se stesso. Infine si sedette e nello specchietto rotondo da segnalazione che gli pendeva sul petto cercò le cose di sé che facevano ridere gli altri ragazzi. Cose da Bianchi, dicevano: viso stretto, pelle chiara, e i capelli, specialmente, poco più scuri della peluria di un pulcino della prateria appena uscito dall'uovo, capelli così morbidi che i Lakota chiamavano « ricciuti » i capelli che erano come i suoi. Poi c'erano le cose che nessuno specchio poteva riflettere: il fatto per esempio che non gli piaceva dipingersi né mettersi collane né danzare, come non gli piacevano molte altre usanze lakota. Prima di allora, raramente gli era capitato di fermarsi su queste cose, e quelle poche volte gli era successo con Carino, il ragazzo che i Bianchi della Via Sacra segnavano sempre a dito e coccolavano, cui le donne dei soldati - e anche alcuni uomini - facevano sempre dei regali, perché per tutto l'anno sembrava la primavera in fiore, carico come nessun altro Indiano di collane di perline e aculei, tutto frange, tutto dipinto. E se dietro a Carino c'era Ricciuto, tutti notavano il ragazzo semplice e disadorno e ne parlavano con parole che solo loro capivano. Alcune parole era riuscito a impararle, specialmente questa, che sentiva molte volte e sempre in forma di domanda: « Prigioniera? ». In principio la cosa lo aveva fatto un po' ridere perché tutti sapevano che sua madre era sorella di Coda Chiazzata, il Brulé. Ma da circa un anno quella parola lo faceva arrabbiare. Le donne bianche si accorgevano di essersi sbagliate solo quando lo vedevano 66
infuriato: allora gli davano del selvaggio, che per loro era sinonimo di indiano. Sì, lui era indiano: brulé da parte di madre, e da parte di padre era oglala, con un po' di sangue minneconjou e anche qualche goccia di sangue cheyenne, a quanto gli avevano detto. Ma quel che contava era che, da parte di madre e di padre, egli era un Lakota. Il ragazzo passò sul colle un terzo giorno, sforzandosi di sollevare il suo spirito fino al mondo che è dietro questo: tante volte gli era capitato di sentir dire da altri che ci erano riusciti. Ma a lui quella prova portava solo debolezza e il malessere che si prova non sentendosi adatti a ricevere una visione. Perciò alla fine tornò al cavallo, camminando piano, curvo come un vecchio. Il pezzato era in una conca vicino a un grande pioppo che proiettava un'ampia ombra circolare.6 Ma si sentì male, gli girava la testa, e allora andò a sedersi ai piedi dell'albero, con la schiena appoggiata al tronco. Il vento cantava una fresca canzone tra le foglie e gli sfiorava i capelli che si erano sfilati dalle trecce. Era quasi buio quando sentì che qualcuno lo scuoteva. Reagì istintivamente dimenando le braccia e, destatosi, vide che era suo padre, con Gobba. Erano tutti e due molto arrabbiati: Dov'era stato?! Era il momento giusto per correr via da solo, quando poteva darsi che nelle vicinanze ci fossero razziatori crow e pawnee o addirittura dei soldati? Tutti in ansia per il capo moribondo, nessuno sapeva dove si fosse cacciato, e se non avessero visto il suo cavallo... Quando disse che era andato a digiunare per ricevere una visione, suo padre e Gobba si adirarono ancor di più. A digiunare per ricevere una visione, senza essersi preparato, senza essersi sottoposto al rito della capanna su6 II wagachun o « albero frusciarne » (pioppo della specie cottonwood, Populus sargenti, a ramatura molto più ampia dei pioppi nostrani, di qui la sua « ampia ombra »). Per i Lakota, albero sacro forse più di ogni altro. Nello stormire delle fronde sentono le preghiere che anch'esso innalza al Grande Spirito; la foglia ricorda la forma dell'abitazione conica degli Indiani delle Pianure; la sezione del tronco mostra una stella a cinque punte, simbolo della presenza di Wakan Tatika, del Grande Spirito. È anche l'albero che viene ritualmente tagliato e rizzato al centro della capanna allestita per la danza del sole (N.d.T.).
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datoria, 7 senza la guida di uno sciamano, senza nemmeno dire alla famiglia dove andava? ! Tornato alla tenda, Ricciuto mangiò un po' di zuppa, poi lo mandarono subito a dormire. Obbedì senza fiatare, offeso perché tutti lo trattavano come se fosse ancora un bambino. Si allungò sotto le pelli del giaciglio e ripensò al sogno che aveva avuto ai piedi del pioppo. 8 Qualcuno avrebbe potuto spiegarglielo, ma per il momento non volle parlarne con nessuno: non erano stati gentili con lui. La mattina dopo, all'alba, il banditore venne a chiamare Cavallo Pazzo e Uomo della Paura. Questi erano stati accanto al capo ferito fin quando sembrava essere passata l'ora notturna in cui si muore. Ma adesso l'ora di capo Orso era venuta; gli altri capi oglala erano già al suo capezzale insieme con i capi brùlés. Entrati nella tenda, Orso che Conquista chiamò accanto a sé Uomo della Paura, con una voce che si udì a malapena, lui che spesso aveva fatto tremare l'accampamento con boati che facevano fuggire sulle colline perfino i cani.
Alce Nero cit., cap. I l i , e Gambe di Legno cit., cap. IV) (N.d.T.). la costante preghiera, la meditazione, l'umiltà o « povertà » o abbandono dell'io, per far posto al Divino che si può rivelare anche tramite un essere piccolo come una formica, giacché - come dice Alce Nero - l'Indiano sottoponendosi al rito « si fa più piccolo della più piccola formica ». Sono parte integrante di questa incubazione il digiuno e il fumare la pipa cerimoniale in solitudine, seminudi, sulla cima di un monte. La fondazione ortodossa dello spazio sacro, circolare, avviene con un rito al quale l'asceta non partecipa. Qualcuno per lui fa una buca sulla vetta prescelta, vi depone un'offerta di tabacco e vi pianta un palo con altre offerte in cima. Da questo palo, dieci passi a ovest ne pianta un altro, quindi uno a nord, uno a est e uno a sud (in quest'ordine) ripartendo sempre dal centro. L'asceta potrà muoversi, molto lentamente, e fermarsi, solo lungo le due vie a croce che congiungono i pali opposti e che s'incontrano nel palo centrale, cosi: dal centro - a ovest - al centro, a nord - al centro, ecc. Ma lo sciamano quasi esorta a dormire nelle ore notturne perché dormendo si potrebbe sognare e nel sogno ricevere la visione. L'asceta allora si distende col capo contro il palo centrale e i piedi verso est. Ha dunque il capo a contatto del tappeto di salvia a terra e del legno che unisce il cielo alla terra, e ha il corpo verso la direzione del sole nascente, quella da cui si riceve la sapienza. Non a caso Ricciuto ha la visione dopo che si è appoggiato al pioppo e si è addormentato. L'aver ricevuto la visione pur in mancanza dei riti prescritti è il segno della sua elezione al sacro (N.d.T.).
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E quando Uomo della Paura gli fu vicino, Orso gli disse di ricordarsi sempre del trattato che era stato stipulato al Grande Consiglio. Esso sanciva le cose che appartenevano a tutti i Lakota e ai loro figli, e le cose che il governo mandava in cambio della loro rinuncia a guerreggiare contro gli Indiani nemici e per aver accettato di rispettare la pista degli emigranti come una Via Sacra. In cambio, avrebbero avuto razioni annue per cinquantacinque anni e la protezione dei soldati da ogni nemico, indiano o bianco. « Ma sono stati proprio i soldati a invadere il nostro pacifico accampamento... », ringhiò uno, sforzandosi di soffocare l'ira. Ma Orso non aveva molto tempo per ascoltare... Si era fatto un errore, pochi giorni prima, e lui non voleva che Coda Chiazzata e i suoi fratelli di sangue, Foglia Rossa e Mento Lungo, si vendicassero sui Bianchi dopo la sua morte... Anche certi giovani guerrieri senza cervello, se non li si controllava avrebbero soltanto peggiorato la situazione... Solo peggiorato... Dopo una pausa riprese a parlare, più adagio e così piano che le parole più che suono erano fiato. « Per me adesso è finita », disse. « Al mio posto voglio uno che conoscete tutti: un uomo buono, con molti padri buoni prima di lui. A Uomo della Paura lascio il mio popolo..., tutti i Teton Lakota gli lascio... ». « No! No! Io non ne ho la forza », gridò lo Hunkpatila, e la fiamma gli arrossava le lacrime sulle guance scure. Ma per il grande capo fu come se non avesse detto niente, perché le sue orecchie ormai si erano chiuse.
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3. IL D O N O DELLE ORECCHIE
Il palco funebre di Orso che Conquista fu eretto su un'altura che dominava la valle dell'Acqua che Corre e il luogo in cui i Brulés si accampavano da generazioni. Era costituito da quattro pali piantati in terra, alti quasi quanto un uomo. 1 Su questo piano egli giaceva avvolto nel suo manto, come per il sonno di una notte d'inverno. Accanto gli avevano messo l'arco e lo scudo. Dopo pochi giorni di lutto, quando la gente cominciava a sparpagliarsi, si cominciò a dire che Accoltellatore e i suoi seguaci, aiutati dai Bighelloni del Forte capeggiati da Bocca Grande, volevano scacciare la famiglia di Orso. Tutti sapevano che quello che i caporioni in sott'ordine contavano di fare era male, ma Foglia Rossa e la sua famiglia erano disposti ad andarsene pur di salvare l'unità dei Brulés, che il sangue avrebbe spezzato in due, come era successo per gli Oglala. Il mondo cambiava e i tempi erano incerti e difficili, dicevano i più vecchi sapendo che avrebbero dovuto passare un inverno lontano dai Bianchi del fiume della Conchiglia. Sarebbe stato il primo in vent'anni, da quando cioè gli Oglala avevano lasciato i Black Hills per andare verso sud seguendo Toro Orso che voleva stare vicino ai suoi mercanti; il primo inverno, a memoria dei più vecchi, senza Bianchi e senza i loro viveri. Era certo che i capi dei soldati erano molto in collera e che non avrebbero permesso agli Indiani di tornare alla Via Sacra né ai mercanti di portare merci negli accampamenti indiani. Quando i più vecchi ci pensavano, il futuro appariva loro molto difficile, perché avevano disimparato a vivere senza le cose dei Bianchi. Ma non era solo questione di rinunciare a certi generi ali1
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Cfr. Lowie cit., tav. 19 (N.d.T.).
mentari e a certi articoli di vestiario: il fatto era che sarebbe anche venuto a mancare il ferro per le punte delle frecce e delle lance. Cavallo Pazzo con la sua tenda era tornato fra gli Oglala. Ricciuto sapeva che cosa turbava l'animo della sua gente perché, come sempre, suo padre riceveva coloro che andavano a confidarsi con lui. Inoltre Orso Solitario che, come si è detto, aveva dei parenti nell'accampamento delle donne vicino al forte, gli aveva dato altre notizie sul combattimento. Pareva che solo un soldato fosse sopravvissuto allo scontro in cui era rimasto mortalmente ferito Orso che Conquista; portato al forte da uno degli uomini di Bordeaux, in seguito era morto anche lui. «Hau!». Bene: così non c'era più nessun Bianco che potesse dire di aver partecipato all'uccisione di un capo lakota! Gli altri soldati se ne stavano rintanati nel loro fortilizio. Nessuno mai ne uscì, nemmeno per andare a seppellire i morti. Pagarono Bordeaux perché ci pensasse lui. Egli li avvolse tutti, tranne il capo dei soldati (Grattan), in una grande pelle di bisonte, li fece trainare dai cavalli fino a una lunga fossa, che poi coprì di pietre perché non ci arrivassero i lupi. Non dovette essere una cosa facile seppellire quei Bianchi: già da vivi non avevano un buon odore e dopo morti, poi, erano stati per molti giorni esposti al caldo della Luna in cui le Ciliegie Diventano Nere. 2 C'era dell'attesa anche tra i Lakota della regione del Piatte per vedere come Uomo della Paura avrebbe usato il potere che gli aveva lasciato Orso che Conquista. Era rimasto l'uomo di sempre: cortese e privo del minimo se2 Dal racconto di Alce Nero (op. cit.) si desume il seguente calendario indiano: « Luna del Ghiaccio sulla Tenda » (gennaio), « Luna in cui il Vitello Muta il Pelo in Rosso Scuro » (febbraio), « Luna degli Accecati dalla Neve » (marzo), « L u n a in cui Spunta l ' E r b a » (aprile), « L u n a in cui i Cavalli Perdono il Pelo » (maggio), « Luna che Ingrassa » (giugno), « Luna in cui le Ciliegie Diventano Rosse» (luglio), « L u n a in cui le Ciliegie Diventano N e r e » (agosto), « Luna in cui ai Vitelli Cresce il Pelo » (settembre), « Luna del Cambio di Stagione » (ottobre), « Luna in cui Cadono le Foglie » (novembre), « Luna degli Alberi Scoppiettanti » (dicembre). L'ultimo quarto erano i « Giorni in cui la Luna Morsa si Attarda» (N.d.T.).
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gno esteriore che indicasse la sua carica di capo. Con la coperta blu senz'orlo né bordo buttata sulle spalle, girava per l'accampamento prendendosi cura dei deboli e dei vecchi, come i suoi padri avevano fatto prima di lui. Non aveva mai posseduto molti cavalli, ma riusciva sempre a rimediarne uno o due e li dava a quelli che avevano perduto i loro e che non potevano procurarseli da soli perché sfibrati dall'attesa dei viveri che l'agente avrebbe dovuto distribuire, e dagli stenti e dalla durezza del viaggio all'Acqua che Corre dopo il fatto della mucca. Uomo della Paura pareva immutato; forse era meno espansivo: non parlava mai delle responsabilità che Orso gli aveva lasciate in punto di morte. Ricciuto vide spesso, in quei giorni cattivi, l'alto e sottile Lakota alla tenda di suo padre, seduto nel posto riservato all'ospite: studiava insieme con il sacerdote quello che si sarebbe dovuto fare per il popolo quando altri soldati fossero arrivati per la pista, com'era prevedibile. Un paio di volte mandarono il ragazzo a chiamare Gobba per sapere da lui che cosa avessero in animo i guerrieri, e allora i discorsi dei tre, seri e pacati, duravano fino alle prime luci dell'alba. Il figlio di Cavallo Pazzo li ascoltava da sotto le pelli del suo giaciglio per tutto il tempo che riusciva a tenere lontano il sonno. Il giovane si domandava spesso che cosa sarebbe successo dopo quello che era accaduto giù al Piatte; si domandava anche quale significato potesse avere il sogno che aveva fatto sotto il pioppo. Ma suo padre e Gobba erano stati tanto in collera con lui che egli non ne aveva più parlato. Ora poi quel sogno, paragonato ai problemi della sua gente, gli sembrava così poco importante, una cosa senza capo né coda, come quelle corse sui cavalli bradi che i ragazzi facevano qualche volta. Ma nonostante questa difficoltà di prevedere che cosa attendesse gli Oglala dietro la luna successiva, Ricciuto era molto contento di essere tornato dalla sua gente e vedere di nuovo intorno a sé nient'altro che il cielo e la terra, e le cose degli Oglala; contento di starsene in casa, dove tutto era in ordine, le suppellettili, le pitture della tenda, la 72
pipa, l'arco e gli oggetti sacri del padre appesi al loro posto, dalla parte in cui aveva diritto a sedersi il capofamiglia. La sera Ricciuto amava stare seduto accanto a suo fratello, che stava diventando ormai un giovanotto anche lui: e osservavano la sorella, maggiore di due anni. Se Ricciuto era quasi un guerriero, sua sorella era ormai una giovane donna. Negli ultimi tempi era molto cambiata: faceva dei risolini tra sé e sé, canticchiava mentre cuciva i mocassini e conciava le pelli di cervo. Di notte alzava la testa (appena un po') ogni volta che udiva fuori certi passi che si arrestavano presso la tenda. Non aveva ancora il permesso di uscire. Ricciuto era di poche parole fuori di casa; dentro però era meno taciturno, e a sguardi o a parole talvolta pungeva la sorella anche più di quanto le vecchie Lakota permettevano tra i giovani di una stessa famiglia. « Sembra che nostra sorella abbia fatto le orecchie lunghe... », disse Ricciuto una sera al fratello dandogli di gomito e tirando un sassetto alla sorella seduta al di là delle braci, come aveva visto fare un giovane soldato quell'estate al fiume della Conchiglia. Scoppiarono a ridere: sapevano del giovane guerriero oglala che presto sarebbe venuto ad aspettare fuori della tenda, impalato e paziente come un cedro sulla montagna. Ma quando gli altri presero in giro lui per la stessa ragione, Ricciuto non seppe nascondere gli occhi meglio di quanto avesse fatto la sorella. Arrivò addosso anche a lui qualche sassetto e, un po' per le braci, un po' perché quello che gli avevano detto era vero, diventò rosso. Allora si ritirò nell'ombra e si mise a pensare dove aveva visto la nipote di Nuvola Rossa. Era andato a raccogliere prugne per sé e per i compagni, da mangiare mentre preparavano le frecce per la caccia. L'aveva trovata sotto i susini, insieme con altre donne che riempivano di frutta i sacchi di pelle. Facendo finta di niente, le aveva tirato qualche prugna, rimettendosi poi subito a riempire la faretra delle più mature. Aveva cercato di tirare in lungo il gioco, perché non era mai sicuro di essere riuscito a far volgere dalla sua parte lo sguardo timido della fanciulla. Finalmente una prugna l'aveva colta su una guancia. 73
Lei, trasalita, si era portata una mano sulla guancia e aveva guardato Ricciuto negli occhi. Arrossendo per aver osato tanto, lui aveva abbassato il capo e aveva ripreso a lavorare più di prima, mentre le donne ridevano e lo cacciavano via, perché confondeva quella ragazza e le faceva mettere nel sacco le prugne verdi, le foglie e gli stecchi!... E così era tornato alle sue frecce saltando come un capriolo, mentre il cuore gli batteva come zoccoli scalpitanti sulla terra secca e dura dell'autunno. Gli Oglala erano quasi pronti a partire per la caccia quando arrivarono gli uomini di Richard con due carri carichi delle sue solite merci: stoffe blu e coperte messicane sopra, barilotti di whisky sotto. Era stato proibito dai soldati, ma in quel momento, dissero, nessun soldato avrebbe tentato di acciuffarli. E poi, i mercanti dovevano pur campare in qualche modo. Per molto, molto tempo non avrebbero più portato merci al Piatte. L'ultimo giorno all'accampamento prima di partire per le zone dei bisonti era sempre un giorno di festa e di allegria. Quella volta il giorno incominciò con una mattina tersa e assolata. Quando la calura si fece sentire e sciolse la brina lungo il fiume, l'aria cominciò a ronzare di insetti: quelle mosche che con l'avvicinarsi dell'autunno sembrano intontite, formiche rosse con le ali, simulii in lenti sciami grigiastri, cattivi come la polvere che morde la faccia.3 A giorno avanzato, ora un Indiano ora un altro si recava da solo sulla cima di un monte a cantare i suoi canti di gioia e di ringraziamento o a invocare una caccia proficua, con una penna o due fra i capelli, la coperta stretta intorno ai fianchi. I giovani facevano corse o partecipavano a gare, come centrare con le frecce un anello di vimini, 4 o lanciarsi palle rigonfie di pelli di antilope tra una squadra e l'altra, tra l'entusiasmo dei sostenitori. Quelli che erano ancora 3 La polvere dei terreni alcalini di grandi estensioni delle Praterie pungeva la pelle, si incrostava intorno agli occhi, piagava le palpebre, bruciava la gola. L'acqua ricca di alcali di certe polle era imbevibile per i Bianchi (ma gli Indiani la tolleravano). Cfr. Lavender cit., p. 223 (N.d.T.). 4 Cfr. la fig. 41 in Lowie cit., p. 141 (N.d.T.).
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molto giovani, come Ricciuto e il figlio di Uomo della Paura, avevano formato delle piccole bande e andavano in giro per conto loro in cerca di bersagli: quando trovavano un ceppo d'albero, un monticello di sabbia o di sterco di bisonte, lanciavano a mano delle frecce e il vincitore correva poi a prendersele tutte. I più piccolini si appostavano dietro le tende o in mezzo ai grandi, poi gridando si lanciavano all'assalto dei loro compagni con innocue bacchette di salice. Perfino i cani giocavano quel giorno, si rincorrevano, finivano sotto i piedi della gente, ma senza abbaiare molto perché l'abbaiar di un cane avrebbe potuto rivelare ai nemici la presenza dell'accampamento, e i cani sapevano che questo li avrebbe fatti finire in pentola all'arrivo di un ospite inatteso oppure in occasione di qualche cerimonia speciale, se erano ancora giovani e grassi. Le fanciulle andavano a passeggio in gruppi, indossando abiti di pelle di cervo tinta di bianco, adorni di frange, aculei e perline, e con trecce lunghe fin sotto la vita. E siccome la vigilia della partenza per la caccia, era giorno di festa, si erano messe gli orecchini di ottone o d'argento e altri anelli di metallo nei capelli. Le donne cucinavano in grande. Gli anziani, seduti in circolo, fumavano, spiegavano come si accerchia una mandria e ridevano ricordando episodi di caccia di altri tempi: quello del giovane Alce Magro, per esempio, che aveva voluto fare lo spaccone balzando in groppa a un torello e poi aveva avuto paura a lasciarsi scivolar giù, e siccome nessuno l'aveva seguito con un cavallo, era dovuto tornare indietro a piedi, per chilometri e chilometri. Poi arrivarono i carri cigolanti degli uomini di Richard. Le vedette li avevano avvistati quando erano ancora miglia lontani. Ne avevano annunciato l'arrivo e dapprima si era creduto che li avesse mandati Bordeaux. Forse il loro padre, l'agente, era finalmente arrivato e ora mandava i regali che aveva promesso. Invece erano i carri di Richard, con il whisky nascosto. Si diressero alla tenda di Nuvola Rossa che era parente della moglie del mercante. Ora, nell'accampamento oglala, era inevitabile che la gente si ubriacasse, con le risse e i drammi 75
e le disgrazie di cui talvolta parlavano Cavallo Pazzo e suo fratello Piccolo Falco: un capo brulé che cade da cavallo e si rompe l'osso del collo..., Toro Orso che resta ucciso... Gli Indiani non avevano ancora pelli da vendere ma i mercanti, in cambio di quel che erano venuti a smerciare, accettavano anche cavalli e qualsiasi altro articolo che avessero potuto poi vendere agli emigranti in quel posto chiamato Ponte di Richard, sul Piatte, molto a monte del forte. Oppure si sarebbero accontentati della semplice promessa delle pelli ricavate dalle cacce autunnali: pelli che gli Indiani ancora non avevano ma per le quali già si impegnavano dando i loro bastoncini contrassegnati: nessuno aveva mai mancato di parola. Così quella notte nell'accampamento si udirono canti e schiamazzi al chiaro di luna. Qualche vecchia, prevedendo come sarebbe andata a finire la cosa, prese i bambini piccoli e tutte le armi su cui potè metter mano (in particolare i coltelli, che erano cagione di tanti guai quando c'era di mezzo il liquido ardente) e corse a nascondersi nelle forre buie o in mezzo ai cespugli lungo il fiume. Di lì a poco le risate e i canti cambiarono: gli uomini non riuscivano più a fare un passo senza cadere, gridavano, litigavano, si picchiavano, imprecavano (usando le bestemmie dei Bianchi, perché quelle lakota non erano abbastanza forti), e finalmente cadevano in un profondo sonno, ovunque si trovassero. Cavallo Pazzo, il sacerdote, stava seduto davanti al fuoco di casa sua, scuro in volto e inquieto. L'ingresso della sua tenda era sbarrato, e nessuno aveva il permesso di uscire. Ricciuto avrebbe desiderato andare a vedere quel che succedeva, perché sembrava che una bufera spazzasse via l'accampamento che sarebbe dovuto partire l'indomani per la caccia. Quella notte il frastuono lo destò varie volte: pensò alla nipote di Nuvola Rossa che doveva trovarsi in mezzo ai suoi parenti impazziti dal whisky. Avrebbe voluto sgusciar fuori della tenda e andare a vedere se dov'era lei tutto fosse normale, ma sapeva che non gli era possibile, perché suo padre era sempre seduto lì, stretto nella sua coperta, davanti al fuoco. Nemmeno la madre di Ricciuto dormì quella notte. Era 76
una Brulée, e dieci-quindici anni prima aveva visto i villaggi della sua gente in notti come quella, finché perfino giovani focosi come Coda Chiazzata avevano giurato di non toccare mai più quell'acqua avvelenata dei Bianchi che li stava distruggendo tutti. Ora la donna sperava che in qualche modo le varie sbornie si smaltissero prima di qualche grosso guaio, prima che nel corso di una lite uno si ferisse, un altro morisse, e i parenti ne avessero il cuore cattivo per tutti gli anni di una vita. Era una donna forte, di un popolo guerriero; sapeva tollerare la vista di morti e feriti, ma le violenze e gli insulti tra abitanti di uno stesso accampamento l'addoloravano profondamente, e Ricciuto lo sapeva. Anche da questo nasceva il calore che egli provava per lei, per la donna che chiamava madre, come voleva l'usanza lakota. Avvolta nella coperta, sedeva in silenzio sul lato della tenda che le spettava, al buio, ma la sua ansia per la gente di fuori era profonda come l'oscurità all'interno della tenda. La mattina, Ricciuto ebbe il permesso di uscire. Sull'accampamento sembrava davvero passata una bufera: mantelli, coperte, gambali, mocassini, fermacapelli, perfino dei perizomi si vedevano sparsi in giro... Qui un tegame, là un'acconciatura da guerra con le penne scompigliate e una donna che correva a salvarla. Dappertutto archi, mazze, frecce spezzate. Nella confusione, molti uomini - e anche donne - erano per terra ancora nella posizione in cui erano caduti, la faccia supina, la bocca aperta. Molti mostravano ferite da clava e da coltello, ricevute in risse e parapiglia. E su tutti stagnava un tanfo peggiore di quello della morte. Ma nell'accampamento quella mattina c'era almeno una cosa in ordine: i carri di Richard accanto alle tende piene delle merci che gli Indiani avevano preso alle case di pietra quando Orso che Conquista stava morendo. Sul fianco di una collina, inoltre, c'era una grande mandria di cavalli e di muli, non più custodita dagli Indiani ma dagli uomini di Richard. Quando il sole fu abbastanza alto qualche ubriaco tornò a dar segni di vita, a guardarsi intorno con occhi da malato. Vicino alla tenda di Cavallo Pazzo una vecchia, sola, se77
deva come non deve star seduta una donna, a gambe larghe, tese in avanti (una posa sconcia, anche per una della sua età). Ogni tanto si asciugava le lacrime con la manica logora e non cessava di biascicare lamenti e rimproveri verso i suoi due figli che, ubriachi fradici, erano accovacciati presso un cumulo di pelli e di pali, che erano i resti della sua tenda materna che essi si erano fatti crollare addosso quella notte. D'un tratto la donna si tirò su e, indicando il vecchio Due Antilopi che passava in quel momento, gridò: « Figli ! Guardate il perfido che mi fa piangere ancora adesso, che ha fatto piangere voi e le vostre sorelle quando eravate piccoli! È lui che ha ucciso vostro padre! ». I due si alzarono lentamente per vedere chi indicava e, prima che qualcuno potesse chiuderle la bocca, uno dei figli frugò sotto il mucchio delle pelli, tirò fuori un arco e uccise il vecchio colpendolo alla schiena. La gente accorse immediatamente, chi dormiva si svegliò, e subito ci fu collera e agitazione. Alcuni guerrieri dell'akicita incaricata di mantenere l'ordine al campo accorsero con le armi. Il feritore li vide arrivare e fuggì. Acquattandosi dietro le tende, cadendo e riprendendo a correre, riuscì a raggiungere il fondovalle. I parenti di Due Antilopi presero archi e mazze da guerra, contro di loro insorsero i parenti della vecchia, e in un baleno si accese una battaglia feroce come se dei nemici avessero assalito l'accampamento. Le frecce sibilavano, gli spari echeggiavano nella vallata; poi le due schiere vennero a corpo a corpo con mazze e coltelli. Quando finalmente vennero separate dagli uomini che recavano la pipa sacra, e la polvere e il fumo si dissiparono, il figlio che aveva tentato di fuggire giaceva morto insieme con altri due. Molti altri erano feriti; uno aveva il naso staccato che gli ciondolava da un breve tratto di pelle sopra il labbro superiore. Presso la tenda crollata, la vecchia, passata la sbornia, mandava lamenti disperati per quello che aveva fatto. Grosse Costole e molti altri dalla testa grigia le stavano accanto e le dicevano che era una vecchia stupida, ricordandole che Due Antilopi era sempre stato amico di suo marito, e che quando i Crow glielo avevano ucciso, trent'anni prima, era stato 78
proprio Due Antilopi a riportarle il suo cadavere all'accampamento sull'Acqua che Corre. « Ei-ii! ». La donna non faceva che ripetere il lamento. «Ei-ii! ». Era tutto vero, ma solo pochi minuti prima non le era parso così. « È stato il liquido ardente dell'uomo bianco... ». Sì, il liquido ardente, ammisero tutti, mentre i corpi degli uccisi venivano portati nella tenda funebre avvolti in coperte rosse, e le lamentazioni delle donne diventavano un uragano. In consiglio, le Grosse Pance, i vecchi capi, si scervellavano a pensare quali doni si sarebbero potuti fare ai parenti di Due Antilopi e degli altri, per riconoscere in qualche modo il torto che gli si era fatto davanti a tutti, per ristabilire la pace, ché altrimenti ci sarebbero stati guai seri per chissà quanti anni. Era stato versato sangue lakota sul suolo dell'accampamento, e da quel sangue poteva germogliare il rancore che anneriva i cuori e la vendetta maturata nel silenzio poteva provocare altri morti: nessuno poteva dire quanti, ma ce ne sarebbero stati anche molto tempo dopo quella generazione. Al primo grido di combattimento gli uomini di Richard erano fuggiti. Se l'erano svignata prima al riparo dei salici, poi si erano diretti a cavallo verso il Piatte mentre la gente di Nuvola Rossa aveva avuto il suo daffare a proteggere tutto quel che le apparteneva, eccetto il whisky. Due capi scelti dall"akicita avevano bucato con le frecce il barile pieno e avevano impedito agli Indiani di avvicinarsi, mentre la terra si beveva il liquido. La notte, quando Cavallo Pazzo tornò dal lungo lavoro al capezzale dei morti e dei feriti, si sedette silenzioso, con la coperta sulle spalle. Non appoggiò la schiena 5 come fa chi è sereno e ha il cuore in pace, ma si curvò in avanti, senza una parola di saluto per nessuno. Era un atteggiamento insolito, per lui, e Ricciuto capì che era circondato da 5 Gli Indiani delle Pianure non avevano sedie né sgabelli, usavano però dei poggiaschiena costituiti da un telaio di bastoncini di salice ricoperto di tendini o di una qualche fibra, che si reggeva come un treppiede (cfr. Lowie cit., p. 42 e tav. 15) (N.d.T.).
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molte cose oscure e inspiegabili. Le donne della tenda corsero al paiolo e gli portarono del brodo in un recipiente di corno (corno del montone che vive sui monti Big Horn), che conteneva poco meno di quattro tazze dell'uomo bianco. Cavallo Pazzo mangiò, poi, quando gli ebbero versato il caffè, cominciò a parlare, rivolto un po' al figlio, un po' a se stesso. I tempi erano molto cattivi, disse. Alcune delle cose che i Bianchi avevano portato agli Indiani erano buone: quella medicina nera (il caffè), per esempio, con le zollette dolci dentro..., e scaldandosi le dita intirizzite attorno al recipiente di corno, ne gustava lunghe sorsate. Inoltre, la coperta che facevano i Bianchi era più leggera e più facile da indossare che non il manto di bisonte. Ma qualche volta i fucili e la polvere da sparo erano cattivi, portavano la selvaggina allo sterminio; sempre cattivi erano poi il whisky e le malattie dei Bianchi. In tempi molto lontani i Lakota non avevano avuto nessuna delle cose buone dell'uomo bianco, ma almeno non avevano neppure il barile del liquido ardente. Certo, allora non avevano cavalli, ma non erano neppure costretti ad andare lontano per fare abbastanza carne. Avevano il mais e coltivavano meloni grossi come ventri di bisonte, polposi e dolci, che cuocevano sotto la cenere. Si facevano grandi spedizioni di guerra, e grandi capi erano alla guida del popolo, e si era grandi anche in altre cose. I vasi che faceva la madre di sua madre erano famosi presso le tribù con le quali essi commerciavano, e perfino tra i loro nemici, i Chippewa. Ora probabilmente, fra tutti i Teton, non si trovava più una sola donna che fosse capace di fare anche solo un paiolo da cucina. E, come tutti potevano vedere, erano cattive non solo le cose successe in quel giorno, ché al di sotto di esse ve n'era di peggiori, come l'acqua nera sotto il ghiaccio: i capi correvano dietro ai Bianchi, facevano a gomitate per ottenerne il favore e diventare potenti; vendevano a loro le figlie che sarebbero dovute diventare madri di grandi Lakota, a loro sacrificavano i giovani, che sprecavano coraggio e versavano sangue uccidendosi per il whisky. Una vita operosa spesa al servizio del popolo produceva troppo 80
lentamente onori e cariche, secondo loro; vivere secondo l'antico rigore era troppo duro, insomma, e non rendeva: era come fare molti chilometri nella neve alta per portare le carni ai capi mercanti e ai loro seguaci. Ancora una volta Ricciuto avrebbe voluto raccontare al padre il sogno che aveva fatto sotto il pioppo, ma prima che gli riuscisse di trovare le parole, si udì un nuovo lamento, una voce che si alzava alta e sottile e che si diffondeva per tutto il villaggio. Forse era morto un altro giovane, uno dei feriti, ucciso dal liquido ardente dell'uomo bianco. Ma si trattava della vecchia che aveva causato il sanguinoso scontro: si era impiccata a un albero vicino alla sponda del fiume. La trovarono dei ragazzi, i quali tagliarono immediatamente il cappio ma il suo collo era spezzato: come una palla al fondo di un sacco, la testa le ciondolava da tutte le parti. Il tempo intanto passava: già le oche venivano da nord, dirette al Piatte, e tutta la regione era piena di anatre dal capo verde: un ragazzo che avesse imparato a imitarne bene il verso poteva infilzarne con le frecce quante voleva. Arrostite, si toglievano dal fuoco succolente. In montagna gli alci maschi fischiavano come uccelli, e qualche mattina le pelli della tenda si trovavano bianche di brina. Le donne reclamavano perché i parfleches erano ancora vuoti e piegati. Appena finito il lutto, bisognava partire per la caccia e la maggior parte degli Oglala pensava perfino di poter fare a meno dei riti propiziatori. Altri invece, parlando delle uccisioni avvenute nell'accampamento, dicevano che, senza i rituali digiuni, sacrifici e purificazioni, né la caccia né alcun'altra cosa avrebbe dato i frutti sperati. Alcuni anziani parlavano di qualcos'altro ancora. I carri di Richard avevano risvegliato in loro la voglia delle cose gustate e adoperate lungo la pista degli emigranti. Non contenti che la famiglia di Orso fosse stata scacciata, cominciarono a parlare di eliminare quelli che avevano ucciso i soldati, di decapitarli secondo l'antica usanza lakota, e di portare la loro testa al forte sul Laramie. La guerra è un 81
male per il popolo, dicevano; bisogna fare la pace. Ma da parecchio tempo i Minneconjou erano andati a nord, verso il Missouri, ed era difficile per i vecchi avere la testa di Coda Chiazzata, Foglia Rossa e Mento Lungo. Molto difficile. Ma altri, come Brutta Ferita, Uomo della Paura e Cavallo Pazzo, ascoltando simili discorsi con orecchi pieni di dolore, pensavano che quando i Lakota parlavano di uccidere altri Lakota, era venuto il momento di tenerli occupati con la guerra, o almeno con la caccia. Bisognava mandare a cercare i bisonti, subito, l'indomani. « Senza il digiuno e la danza, senza esserci purificati? », domandarono alcuni, sorpresi che fosse di quel parere anche un uomo come Cavallo Pazzo, un sacerdote. Non c'era tempo per i riti, fu la risposta. L'indomani sarebbero' partiti i battistrada e l'accampamento si sarebbe messo in viaggio. Quella sera tornarono dalla caccia alcuni guerrieri, tra cui Alto Osso Dorsale e Ricciuto. Erano stati a ovest, a due notti di distanza. « È difficile trovare cervi », disse Gobba a Cavallo Pazzo. « Troppi Indiani affamati li stanno cacciando. Cheyenne e Nuvole Azzurre sono senza carne e aspettano l'agente al forte. Ma nostro figlio ha le orecchie buone: schiacciando l'orecchio al suolo, ha sentito vibrare la terra, mentre noi più vecchi abbiamo percepito solo il vento che muoveva l'erba. Allora abbiamo proseguito, e due giorni dopo, la mattina, abbiamo visto che era vero... ». « Ahh-h! I bisonti? ». « I bisonti ». Hau! Bene! Dopo che gli ospiti se ne furono andati, Cavallo Pazzo prese la pipa e uscì nella notte. Salì su un'altura e lassù offrì la pipa a tutte le direzioni, al cielo, alla terra e ai quattro quadranti, e cantò il canto di un popolo affamato che aveva bisogno di una caccia molto grassa: aveva bisogno di nutrirsi e di fare provviste per l'inverno, e aveva bisogno anche di pacificare il cuore con l'ardua fatica della caccia. Da molto tempo il sacerdote si era accorto che quel suo figlio dai capelli chiari aveva qual82
cosa di strano, di singolare; ma da un po' di tempo « vedeva » anche qualcosa di quel che aveva fatto Alto Osso Dorsale quando si era preso con sé quel fanciullo posato, e lo aveva chiamato figlio secondo l'usanza lakota. Un tempo sotto le sue tende c'erano stati grandi condottieri; ma questo era successo in un lontano passato, quando la luce sul popolo sembrava più limpida. Ora, chissà, poteva darsi che ne fosse nato un altro. Allora la sua voce alzò di nuovo un canto che invocava forza, forza e saggezza per poter vedere ciò che doveva fare per quel suo figlio, per prepararlo alle difficili cose che avrebbe dovuto compiere. La via si presentava oscura, tuttavia bisognava percorrerla se si voleva salvare il popolo. Infine la sua voce tacque. Il sacerdote caricò la pipa ancora una volta e rimase seduto a fumare fin quando si alzò la luna morsa a metà e tirò fuori dalle ombre della notte le silenziose tende degli Oglala. Il giorno dopo di buon'ora i membri del consiglio mandarono i battistrada nella direzione prescelta. Poi gli Oglala si misero in viaggio dietro a loro e l'akicita del Corvo, famosa per la sua efficienza durante le cacce, sorvegliò la partenza. I consiglieri imposero un ritmo molto veloce, in modo che la sera la gente avesse voglia solo di dormire. Ci furono un paio di soste per fumare e mangiare, e dare alle donne appena il tempo di andare a estrarre qualche rapa sui pendii sassosi. Nemmeno i fanciulli ebbero molta possibilità di fare a corse o di dare la caccia alle giovani antilopi, ai coyotes o almeno a qualche coniglio. Finalmente una mattina, quando le tende erano ancora montate, il vecchio banditore corse per l'accampamento. Non aveva avuto il tempo di mettersi i calzoni e le sue gambe, in quell'insolita nudità, sembravano ancora più nude, più smilze e ossute. Era molto buffo in quello stato, ma presto le risate si spensero nell'eccitazione e nella fretta suscitate dal ritorno dei battistrada che avevano avvistato i bisonti. Ne apparvero due su un colle, poi altri due su un altro colle: tutti e quattro segnalarono di aver visto molti animali. Le donne gridarono di gioia; uomini con un'accon83
datura di corna di bisonte andarono incontro alle vedette ai bordi dell'accampamento e le accompagnarono alla tenda del consiglio. Qui si sedettero in semicerchio, e la gente si radunò per sentire quel che avevano da dire. Un membro del consiglio riempì la pipa sacra con scorza del salice rosso e la appoggiò su un frammento di bisonte che aveva davanti a sé. Il bisonte infatti è il fratello dell'Indiano: dal bisonte egli trae di che nutrirsi, di che vestirsi, di che ricoprire la casa.6 Accesa la pipa, il notabile l'offrì al cielo, alla terra e alle quattro grandi direzioni, tenendo il sacro oggetto col cannello via via sempre rivolto a ciascuno dei sei Reggitori Invisibili del mondo indiano. Fatto questo, porse la pipa ai battistrada. « Fumate », disse. « La vita del popolo è nelle vostre mani ». In silenzio ciascuno fumò, quindi passò la pipa a colui che era seduto alla sua sinistra. Allora il notabile domandò dove fossero stati e che cosa avessero visto. Rispose il primo e tutti lo ascoltarono attentamente perché aveva fumato e doveva dire la verità. « Abbiamo superato numerose montagne », disse, « fino alla biforcazione del torrente del Lampo e anche oltre. Là abbiamo fumato e abbiamo schiacciato l'orecchio a terra. Abbiamo sentito un rumore sordo e dall'alto di un colle abbiamo visto qualche bisonte ». « Hau », disse il consigliere, ma non molto forte. « Ah, bisonti ne abbiamo visti laggiù, ma pochi. Ci siamo ricordati che qui siamo in tanti e che i parfleches sono vuoti di carne; allora col vento alle spalle abbiamo oltrepassato quella mandria sparuta e siamo arrivati in un altro punto. Qui ci siamo fermati; abbiamo fumato e schiacciato 6 Per queste e altre ragioni il bisonte era il « simbolo naturale dell'universo, la totalità di tutte le forme manifeste. [...] la terra e tutto ciò che cresce da essa, tutti gli animali e anche gli esseri a due gambe » (Alce Nero cit., cap. I, nota 12). « La parte del bisonte corrispondente all'umanità era un pezzo della carne della spalla [sinistra?] » (ibid,, cap. I I , nota 2). Sul significato metafisico della ricerca della preda, della caccia e del macello, cfr. l'edizione francese del libro di Alce Nero, Les Rites Secrets des Indiens Sioux, Payot, Parigi 1953, p. 42, nota 7, nota a cura di Frithjof Schuon (N.d.T.).
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gli orecchi a terra un'altra volta. Ci è giunto un rumore più grosso e dall'alto di un colle abbiamo visto altri bisonti: stavolta di più, ma sempre troppo pochi. Abbiamo fumato una terza volta, e abbiamo sentito il rumore di moltissimi animali al pascolo. Dall'altra parte di un colle la pianura era del colore dei nostri manti invernali: gremita in ogni parte di bisonti ». « Hoye! », gridò il consigliere, questa volta forte e con entusiasmo, perché era bello quel che aveva sentito. E tutti gridarono: «Hoye!» con lui, poi andarono a preparare tutto, per essere pronti quando fosse passato il banditore a strillare con cadenza ritmata che era ora di affilare i coltelli, di far la punta alle frecce e di tirar fuori dalla mandria i cavalli da caccia. «Preparatevi! Svelti! Chi si prepara bene farà molta carne! ». Poco dopo, tutti partirono per la zona dei bisonti, con i guerrieri dell'akicita in testa. Cavalcavano affiancati e formavano un largo fronte per impedire che qualcuno passasse avanti e compromettesse tutto andando a spaventare i bisonti. Gli sconsiderati, capaci di sciocchezze del genere, erano molti, per lo più giovani che avevano passato troppo tempo in mezzo ai Bianchi e che non avevano mai imparato le buone usanze. Ma ogni volta che qualcuno tentava di scivolar via dal gruppo e di scappare avanti, quelli dell'akicita del Corvo l'acchiappavano, lo rimandavano nei ranghi a suon di frustino e, se non bastava, gli distruggevano l'arco. Dietro l'akicita veniva la lunga schiera dei cacciatori, composta da file di cinque, affiancati, ciascuno sul suo cavallo da caccia più veloce. Per ultimi venivano tutti gli altri, donne, vecchi e bambini, protetti alle spalle da alcuni guerrieri per evitare attacchi di sorpresa da parte di piccoli gruppi di nemici crow o pawnee, sempre pronti a piombare sugli indifesi e poi a fuggire. Quando gli Oglala si furono avvicinati ai bisonti, i capi del consiglio scelsero i migliori cacciatori sui cavalli più veloci, e dissero forte che erano giovani in gamba, bravi in guerra e a caccia, e che perciò quel giorno avrebbero ucciso 85
i bisonti per nutrire i vecchi e i malati senza figli e senza nipoti, i bambini e le donne senza uomini (a costoro infatti toccava sempre tutto quel che i cacciatori scelti procuravano). Era un grande onore, e quando Ricciuto vide che Gobba era stato scelto per guidare insieme con altri questi cacciatori migliori, fu molto fiero che egli fosse suo amico; avrebbe voluto far qualcosa per dimostrare di essere degno di lui, ma si sentì un po' stupido e fiacco, mentre Gobba era il guerriero più bravo di tutti. Quando i cacciatori arrivarono in cima al colle da cui si vedevano i bisonti, si spogliarono, rimanendo in perizoma e mocassini. Legate ai fianchi le faretre piene di frecce, montarono sui cavalli senza sella e si divisero in due gruppi. Un gruppo andò da una parte, l'altro dalla parte opposta, col proposito di accerchiare la mandria al pascolo. I bisonti si muovevano adagio. Il rumore che facevano sbuffando dal naso e strappando l'erba era impressionante. Non guardavano in su, ché i loro occhi piccoli erano coperti dai peli del muso: si fidavano del vento e di quelli che vigilavano ai bordi della mandria, i vecchi tori, che per molti anni avevano tenuto lontano i lupi e schivato le frecce. Quando il cerchio dei cacciatori si chiuse, venne dato un segnale e tutti diedero di sprone gridando: « Hoka hey! Carica! ». I bisonti smisero di pascolare, alzarono il muso, tirarono su col naso e a coda alzata cominciarono a correre. Ma da ogni lato ormai fiutavano l'uomo; gli uomini cavalcavano tutt'attorno nel senso del sole. Prima che gli Indiani lanciassero le loro grida e cominciassero a volare le frecce, le bestie presero a girare in tondo, dapprima adagio, poi sempre più velocemente, mentre i cacciatori superavano i vecchi tori e arrivavano alle femmine grasse e ai piccoli. Le corde degli archi vibrarono, le frecce affondarono nella carne giovane, dietro la spalla sinistra dell'animale: qualche freccia penetrò fino alle penne, qualche altra finì tutta dentro senza incontrare ossa. I bisonti stramazzavano, i cacciatori gridavano i loro « Iaihoo! » e l'aria era piena di grida, di polvere pungente e del fetore delle bestie morte. Ricciuto uccise un piccolo bisonte di un anno, poi un altro di 86
due anni, dalle corna ricurve, per il quale gli occorsero quattro frecce e tutta la sua forza sull'arco, prima di aggiungere il suo « Iaihoo! » agli altri. Poi spronò il cavallo verso una grossa femmina che stava caricando il cavallo scalpitante e nitrente del suo amico Cane. La imbottì di frecce sperando di cavarne la grande pelle che sua madre aspettava. Quando finalmente si abbatté morta, i due amici si avvidero che gli uomini si sparpagliavano per inseguire piccoli gruppi di femmine che scappavano. La valle era nera di bisonti morti o morenti: i giovani non avevano mai visto ammazzarne tanti. Qualche cacciatore aveva abbattuto tanti bisonti quante erano le frecce che conteneva la sua faretra. Era trascorso molto tempo dall'ultima caccia: il braccio era forte e il sangue bolliva. Poi i cacciatori tornarono e cominciarono a macellare le bestie. Ognuno sapeva quali e quante bestie gli spettavano, perché le frecce erano contrassegnate. Accorsero le donne con grandi trilli di gioia, e con esse gli uomini che non avevano partecipato alla caccia. Alla luce del sole calante luccicarono i lunghi coltelli che staccavano la pelle dalla bella carne grassa. In mezzo ai macellai vocianti e orgogliosi si rincorrevano i ragazzi, chiedendo qui e là (e ottenendo da qualche donna generosa) pezzi di fegato crudo da mangiare. I più piccoli masticavano pezzi di interiora svuotate, insaporite con una goccia di fiele posata con la punta del coltello. Al tramonto il macello era finito e i cavalli da tiro erano carichi delle carni come di spesse coperte rosse, con sopra legate le ossa da midollo. Poca roba avevano lasciato ai lupi che andavano dietro a ogni mandria. All'accampamento le donne avevano tagliato lunghi pali e bastoni biforcuti e avevano montato gli essiccatoi. Quando arrivarono, i cacciatori scaricarono le carni a mucchi sulle foglie e sui rami avanzati dal taglio dei pali. Le donne affettarono la carne in strisce sottili e larghe quanto una mano e le appesero ad asciugare. Quelli che avevano guidato la caccia si recarono alla tenda del consiglio, e da tutte le direzioni venne gente portando loro in omaggio i migliori tagli di carne, mentre gli uomini cantavano. Per tutto l'accampamento i fuochi divampavano e scoppiettavano: si 87
arrostivano la gobba e le coste, e il buon odore faceva correre a casa i ragazzi rimasti in giro. Al suono dei tamburi, la tribù mangiò, danzò e cantò per tutta la notte canti di gioia e di ringraziamento, oltre ai canti dedicati in particolar modo all'akicita (che aveva impedito agli impazienti di sparpagliare la mandria) e a coloro che avevano procurato tanta carne per i bisognosi. A un certo punto si fece avanti Alto Osso Dorsale e, facendo il giro dell'accampamento illuminato dai fuochi, cantò di uno che viveva in mezzo a loro, che era ancora giovane, eppure era già tra i primi nel trovare i bisonti; uno che non aveva ancora contato un solo colpo rituale, la cui voce non si era mai udita in consiglio e di rado si udiva nel villaggio, ma cui era stato concesso il grande dono, il dono delle orecchie per il bene del suo popolo. Per tutto il vasto accampamento di caccia risuonò la voce del guerriero. Alto ed elegante nei calzoni blu scuro, il lungo perizoma rosso dai bordi adorni di aculei, la voce gli saliva sicura e profonda dal petto solcato di cicatrici, mentre i suoi occhi, e quelli di tutta la gente, cercavano il giovane Ricciuto. Ma Ricciuto si era nascosto nell'ombra fra le tende e al suo posto c'era Carino, spinto dalla madre in piena luce, baldanzoso, tutto perle e pitture come un guerriero che si appresti alla danza di vittoria. Ma Gobba aveva finito di cantare: regalò tre bei cavalli a chi ne aveva bisogno, poi si sedette. Molti gridarono il suo nome per tutto quel che aveva fatto, e molti gridarono il nome del ragazzo che aveva trovato la mandria per quella grande caccia. Faccia Cattiva cantò di suo figlio, che aveva ammazzato un vitello di bisonte, sebbene molti dubitassero che ciò fosse vero, perché nessuno era presente mentre l'ammazzava e nessuno aveva visto l'animale morto. Ma con la moglie alle costole, Faccia Cattiva era costretto a fare quel canto e gli veniva molto male: somigliava al ronzio cupo e collerico di un nido di calabroni prigioniero in una di quelle gabbie di gambi d'erba fatte dai bambini. Era ridicolo, e molti risero ma si moderarono subito perché il povero Faccia Cattiva era dopo tutto un brav'uomo; poi non era l'uni88
co dell'accampamento a ritrovarsi con una moglie simile, quindi trovava chi lo capisse. Fu un bel pranzo. La caccia era stata buona, gli essiccatoi erano carichi e attiravano gli uccelli dalla coda lunga, le gazze, da tutta la regione; i cani sbucavano da sotto le strisce di carne stesa ad essiccare e ringhiavano per spaventarle e indurle a mollare i pezzi che stringevano nel becco. Ma le donne erano sempre di guardia e, appena gli uccelli calavano dagli alberi, con grida e bastoni cacciavano via uccelli e cani. Anche i bambini giocavano a «contar colpi»: rubavano piccoli pezzi di carne dagli essiccatoi e correvano a mangiarli di nascosto. Le donne inseguivano i ladruncoli con il bastone, ma talvolta qualcuna faceva finta di non vedere se un bambino, fatto il giro della tenda di soppiatto, le portava via una fetta di carne infilzandola con un bastoncino. Adesso tutti avevano da fare. Gran parte dello spazio attorno alle tende era coperto di pelli tese a terra, con la parte interna verso l'alto: le donne le raschiavano, le stendevano con gli orbelli e le strofinavano con sego, cervella e altre parti molli mescolate insieme. Quando erano perfettamente asciutte, le accatastavano nelle tende in attesa di qualche mercante. Su una grande pelle si eseguivano delle pitture sacre e poi la si portava ritualmente sulla cima di un colle che dominava la zona della caccia:. là essa veniva restituita alla terra. Mentre le donne conciavano le pelli per fare manti e coperture di tende, gli uomini si facevano nuovi archi e frecce, nuove lance e mazze da guerra, per difendere la tribù e anche in previsione di fare qualche razzia contro i Crow, i Serpenti, i Pawnee, per procurarsi altri cavalli e forse un paio di fucili e un po' di polvere da sparo. Poi, venisse pure l'inverno con le sue bufere! Le tende avreb• bero resistito, i parfleches erano pieni, il popolo era felice. La brutta cosa successa all'accampamento della Donna Impiccata era quasi dimenticata, e così pure l'idea di uccidere quelli che avevano ucciso i soldati. Ma alcuni dei più anziani passavano molto tempo nella piana in cui si era svolta la caccia, raccogliendo tutte le 89
frecce spezzate per recuperarne la punta di ferro. Camminavano adagio e sempre guardando per terra, come nessun Lakota avrebbe dovuto fare. Facevano qualcosa che non avevano più fatto da quando erano stati ragazzi, quando raccoglievano tutte le punte di lancia o di freccia, di ferro o di pietra. Sebbene quelle di pietra appesantissero il volo della freccia, erano tuttavia delle buone punte: le aveva fatte il Ragno e le aveva disseminate sulla terra perché se ne servisse il popolo nei momenti di bisogno, e certo un giorno o l'altro i soldati sarebbero arrivati. I vecchi non dimenticarono neppure di voltare verso est, verso il grande sole, i teschi di bisonte ormai rinsecchiti e quasi bianchi. Era l'ultimo atto di ringraziamento verso il fratello bisonte, perché senza di lui sarebbero sicuramente morti.
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SOLDATI SULL'ACQUA AZZURRA
In novembre (il mese della Luna in cui Cadono le Foglie) i Teton Lakota fecero una spedizione di guerra - la prima della loro storia - contro i Bianchi della regione dell'alto Piatte. In punto di morte Orso che Conquista aveva chiesto a Foglia Rossa e agli altri suoi parenti di mantenere buoni rapporti con l'uomo bianco, ma essi non poterono seguirlo. Appena il popolo parve al sicuro e provvisto di carne sufficiente per l'inverno, e appena anche i cavalli furono bene in carne, Mento Lungo, Foglia Rossa, Coda Chiazzata, il giovane Orso che Conquista e altri due attraversarono l'intero accampamento in tutta la loro pompa guerriera, quindi partirono in direzione della pista degli emigranti. Le donne, vedendoli, cantarono i canti del coraggio come se partissero contro i Pawnee o i Crow. Erano pochi e neppure bene armati, ma erano tra i Brulés più valorosi. In un baleno gli Oglala vennero a sapere della partenza, tramite i familiari di Orso che Conquista i quali, scacciati dai Brulés, si erano rifugiati presso di loro. Ricciuto e i suoi amici sentirono i canti di battaglia che venivano dalle tende dei guerrieri, e seppero dei preparativi e dei piani che si sarebbero messi in atto quando si fosse saputo l'esito della spedizione brulée e come si era svolta. Mento Lungo, Coda Chiazzata e gli altri dovettero fare un bel tratto della via dell'uomo bianco prima di trovare qualcosa perché, in quella stagione, poche ruote sollevavano polvere lungo la pista. Finalmente videro arrivare una di quelle che i Bianchi chiamavano carrozze postali. Si nascosero in un punto alto della sponda, non lontano dal luogo in cui si erano accampati l'estate prima e, quando la carrozza fu a tiro, spararono. Uccisero il cocchiere e l'uomo che accanto a lui reggeva la lunga frusta da muli. Den91
tro la carrozza c'era un terzo uomo: lo lasciarono fuggire con una freccia nella gamba, mentre si dividevano il denaro trovato in una cassetta di ferro. Vi trovarono anche molti foglietti di carta: ne usarono alcuni per fare sigarette, come avevano imparato da certi Messicani; gli altri li buttarono al vento a manciate e si divertirono a vederli volare, come fringuelli bianchi sorpresi in volo da una tormenta di neve. Spesero da Bordeaux una parte delle monete d'oro e d'argento; lì vennero a sapere che anche la carta che avevano buttato era denaro. Era buffo vedere quel loro piccolo fratello francese che, saputo quello che avevano combinato, saltava qua e là urlando: «Sacre! Buttar via cinque, diecimila dollari! ». Quel mucchio di denaro che serviva per la paga dei Bianchi, volato via o bruciato insieme con la scorza del salice rosso e il tabacco..., era una cosa da ridere anche per alcuni Oglala. Ma altri non vi trovarono niente da ridere; videro soltanto che pochi giovani (non molti più di quanti se ne potessero contare su una mano sola) erano scesi alla Via Sacra, avevano ucciso i Bianchi e nessun soldato aveva loro dato la caccia, nemmeno quando si erano fermati con tutta calma da Bordeaux e avevano avuto il tempo di vedere che le ossa dei Bianchi, seppellite dal Francese l'estate prima, erano riapparse dalla terra e le piogge autunnali le avevano lavate. I giovani Oglala parlavano dell'impresa e già pensavano alla primavera, quando sulla pista sarebbero transitati molti carri pieni di merci. I mercanti indiani erano molto preoccupati: se i Brulés non venivano puniti, di lì a poco tutti gli Indiani si sarebbero messi a fare razzie e nessuno più sarebbe stato sicuro; se venivano i soldati e scoppiava la guerra, non ci sarebbe più stato tempo per andare a caccia o per commerciare le pelli. Gli Oglala si rendevano conto della situazione, tuttavia non poterono impedire che i loro giovani si recassero all'accampamento invernale di Piccolo Tuono, situato presso il fiume White Earth, dove avevano luogo i commerci fin dai tempi in cui i primi Francesi erano venuti dal Missouri. Quei giovani videro che i Brulés, col denaro preso dalla 92
carrozza postale, avevano comprato fucili e polvere da sparo; videro le molte cose che altri razziatori brulés avevano portato via dai mercati di Ward e di Guerrier, a monte del forte. Allora era un bene - si dicevano i giovani - che i Bianchi avessero fatto quel guaio l'estate prima! E intanto si accarezzavano lo stomaco come dopo un ricco pasto: a primavera ci sarebbe stata tanta erba e i cavalli si sarebbero rimessi in forma! Hau! Sì, a primavera, colpi rituali e scalpi per tutti. A nord i Minneconjou stavano già portando la pipa di guerra ai Lakota Hunkpapa e Piedineri... Ma alcuni ricordavano che molti dei grandi progetti di guerra contro nemici indiani, fatti nei tempi andati, erano poi sfumati. Forse tutto il parlare che si faceva adesso si sarebbe ridotto a una brezza sulla cima di un colle, come le chiacchiere delle donne sedute insieme a pestare ciliegie e carne essiccata per fare il wasna che i guerrieri si portano dietro nelle loro lunghe spedizioni contro i Crow e i Serpenti... 1 Così l'autunno trascorse lentamente, grasso e paffuto come un cane della prateria. Anche senza le cose dei Bianchi, quello fu a parer di molti il migliore autunno che avessero avuto da molti, molti anni. Non solo c'era una quantità di carne, ma i parfleches erano pieni di prugne secche, di uva di montagna, di bacche di seferdia e di rape raccolte in collina; e ai pali delle tende erano appesi sacchi di pelle pieni delle erbe sacre che le donne adoperavano quando qualcuno si feriva o aveva dolori che non richiedevano l'intervento degli uomini di medicina. Le donne avevano raccolto anche molte altre cose: le terre colorate e la polvere gialla e marrone delle vesce per fare i pigmenti. Tutte quelle che avevano dei bambini piccoli o erano incinte avevano riempito sacchi interi con la lanugine delle piante palustri, per imbottire poi i guardinfanti. Queste e molte altre erano le cose che la terra forniva ai Lakota. I giovani parevano rinati. Le fanciulle invece di sogna1 II wasna si conserva in vesciche di bisonte. Unito a sego di ossi di bisonte, è il cibo sacro nel rito della custodia dell'anima (cfr. Alce Nero cit., cap. I I )
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re i tessuti dell'uomo bianco, ornavano di perline gli abiti di pelle di cervo appena conciata. I guerrieri si facevano archi e scudi nuovi, nuove mazze, nuove lance e addestravano alla caccia e alla guerra i loro cavalli. Tranne le persone molto vecchie, nessuno aveva mai visto i giovani Lakota così indaffarati. Era veramente bello non avere più una Via Sacra o delle case di mercanti per andarvi a poltrire. Le akicita, che avevano perduto molti membri negli anni in cui i guerrieri non avevano avuto niente da fare, ora organizzavano danze e banchetti per attirare i ragazzi più grandi alle loro tende e riempire i posti vuoti. Cane era spesso con quelli del clan della Volpe, cui già apparteneva un suo fratello maggiore, Toro dal Cuore Cattivo. Giovane Uomo della Paura era della Lancia Biforcuta, un clan molto forte, che contava numerosi aderenti tra i Lakota e tra i Cheyenne. Tutte le akicita poi volevano per sé Carino, perché era nipote del vecchio Fumo. Ai canti e ai banchetti nelle tende gremite di guerrieri e piene di fumo e di schiamazzi, Ricciuto preferiva ancora sempre Gobba e l'aria aperta. Prima che le nevi si accumulassero a terra, vennero fatte diverse piccole sortite contro i Crow, i Serpenti e i Pawnee. Qualche volta alcuni guerrieri si portarono dietro le famiglie e le tende, approfittandone per fare un po' di caccia lungo il percorso. Qualche altra volta partirono con i guerrieri anche dei parenti di Fumo e altri Bighelloni Intorno al Forte: però a un certo punto se la svignarono e andarono verso la Via Sacra. All'accampamento delle donne un giorno ne compariva uno, l'indomani se ne faceva vivo un altro: alla fine ve ne erano molti nei pressi del forte ma pareva che nessuno li disturbasse. Alla maggior parte dei capi oglala e a Nuvola Rossa, che dopo la morte di suo padre era cresciuto all'ombra della tenda di Fumo, questo non garbava: se gli uomini si assentavano dagli accampamenti, questi restavano pressoché sguarniti e i soldati avrebbero potuto approfittarne per piombare sulle donne e sui bambini. Inoltre quelli che erano andati a trovare i parenti giù al forte che cosa avrebbero potuto opporre ai cannoni quando fossero arrivati i soldati? Ma altri dicevano 94
che i soldati del forte erano ancora tanto pochi che potevano permettersi soltanto di marciare avanti-indietro e sparare il colpo di cannone al tramonto. Ad ogni modo, i soldati non erano in collera, disse Carino agli altri ragazzi. Per dimostrare di essere stato laggiù personalmente, si fece vedere in giro con tre grossi dischi d'argento legati tra i capelli, monete che gli aveva dato un soldato che conosceva. Quel soldato, disse, gli voleva bene come prima del fattaccio; il suo cuore non era affatto diventato cattivo. Orso Solitario, Ricciuto e il figlio di Uomo della Paura si diedero un'occhiata, fecero una risatina e se ne andarono, lasciando Carino molto arrabbiato e senza parole. « Tu, Orso Solitario, tu non sei niente! », gridò alla fine, scagliando zolle di terra dietro ai tre come avrebbe fatto un bambino. « E quello con i riccioli sembra un Bianco, un albino!... », continuò. L'ultima parola l'aveva imparata dal soldato col quale Carino si era lamentato di quei ragazzi. Carino non sapeva neppure che cosa volesse dire, l'aveva buttata lì per fare impressione. Il figlio di Uomo della Paura però ne conosceva il significato e lo disse ai compagni. Aveva sentito che i mercanti chiamavano albino il bisonte da cui suo nonno aveva tratto una pelle bianca; i mercanti avevano offerto molte merci per quella sola pelle, ma il vecchio capo non aveva voluto cederla, perché era sacra. Forse anche la pelle di Ricciuto valeva molto, disse, scrutandola per scherzo da vicino, accostando il braccio scuro a quello dell'amico, di pelle così chiara e liscia che pareva il seggio di una sella. Orso Solitario rideva. Ciò che volevano i mercanti non era cuoio morbido ma pelliccia. E poi, nemmeno lo scalpo di Ricciuto era del colore sacro (bianco o pressappoco), né i suoi occhi erano rossi. Conclusero che la pelle del figlio di Cavallo Pazzo valeva molto poco per il mercante. Quando si furono stancati di queste amenità presero gli archi e salirono su un colle, per provare ancora una volta la forza delle loro braccia. Raggiunsero una distanza maggiore di una settimana prima, tuttavia era ancora troppo poco per dei veri guerrieri. Sapevano come mandar lontano le frecce...: ci si sdraia sulla 95
schiena, si puntano i mocassini contro l'arco e con tutte e due le mani si tira indietro la freccia. In quel modo, la corda dell'arco canta. Ma come si possono combattere i nemici con quel sistema, sdraiati per terra e con le gambe per aria? C'era di che vergognarsi. Carino li seguì fin sull'altura blaterando sempre con parole imparate dai Bianchi. Gli altri montarono a cavallo e cominciarono a fare l'esercizio del disarcionamento del nemico. Questo lo fece tornare all'accampamento. Un esercizio troppo rude; qualcuno poteva farsi male, disse. Poiché molti Indiani erano andati a stare lungo la Via Sacra, molti, che vivevano là in permanenza, approfittando tra l'altro del fatto che i soldati non guardavano da quella parte, vennero a nord, agli accampamenti, a fare visita e a mangiare la gobba di bisonte arrosto. Portarono delle notizie: il loro padre, l'agente, era finalmente arrivato, dopo quel famoso incidente; aveva saputo quanto era successo nell'accampamento brulé e aveva scritto al Grande Padre dicendo male degli Indiani. Dopo qualche giorno se l'era presa anche con i soldati, e aveva scritto dicendo male anche di loro. C'era qualcuno che cercava di creare dei guai anche al loro amico, Jim Bordeaux: i giornali dell'uomo bianco, per esempio, erano pieni di quei piccoli segni neri parlanti e dicevano un mucchio di bugie su di lui: che aveva aiutato Orso che Conquista a far cadere i soldati nel suo accampamento come in una trappola per le antilopi, e a farli massacrare. Perfino altri mercanti dicevano cose simili. Forse erano invidiosi e temevano che il Grande Padre l'avrebbe preso troppo a benvolere perché aveva energicamente impedito ai guerrieri di uccidere tutti i Bianchi della regione. Queste erano alcune delle cose che raccontavano i Bighelloni, concludendo sempre che per la primavera era previsto l'arrivo di molti soldati, sufficienti perché i guerrieri si ritrovassero con la pancia piena di piombo. Parole simili se le giravano in bocca come zollette di zucchero. Quando Ricciuto disse della gioia con cui quelli facevano previsioni così cattive, suo padre - come faceva sempre 96
quando pensava fumando - produsse una specie di sibilo con il cannello della pipa. « Il coyote », disse, « è contento di azzannare i calcagni del lupo, quando può ». L'inverno fu buono. Le tende vennero piantate lungo le sponde alberate del fiume; c'era possibilità di fare legna senza dover andare troppo lontano e, nelle sere che scendevano veloci, quando Ricciuto e suo padre tornavano dalle loro frequenti cacce, li accoglievano le tende che lasciavano filtrare il bel rosso dei fuochi accesi. Anche Piccolo Falco andava a caccia, ma preferiva gli svaghi invernali: le corse giù per le colline sulle slitte fatte con le costole di bisonte; oppure gli scivoloni e le cadute in mucchio che si facevano ridendo quando, sul terreno ghiacciato, divisi in due squadre, una squadra dava strattoni a una corda di cuoio che l'altra squadra tendeva, finché una delle due perdeva l'equilibrio; oppure le gare con gli snow snakes che sibilando andavano rasenti al ghiaccio o alla neve ghiacciata.2 Tranne qualche appostatore di trappole, i Bianchi che penetrarono nel territorio indiano furono pochi quell'inverno, e non stavano mai da soli: andavano alla tenda di Uomo della Paura, o di Orso Seduto, o di Orso Coraggioso, che riuscivano ancora ad assicurare protezione all'ospite, alla maniera antica, anche se l'ospite fosse stato un nemico crow. Come sempre, i Bianchi facevano qualche regalo alle donne e alle fanciulle, e qualcuno ripartiva con una moglie. L'uomo che voleva chiedere in moglie la sorella di Ricciuto vide che gli occhi di lei si giravano verso un giovane guerriero che si chiamava Uomo della Mazza e che suo padre era più contento così. I Bianchi lasciarono delle trappole di ferro agli Indiani che avevano imparato a servirsene per prendere lontre, castori e visoni. Tornavano a riprenderle in primavera, e si prendevano in cambio una parte delle pelli per loro uso. Essi lasciarono anche un po' di quella polvere bianca che 1 Gli snow snakes (serpenti della neve) sono asticciole o bastoncini con una punta d'osso o di pietra, oppure anche archi senza corda, che i bambini indiani, nonché gli adulti, si divertivano a far scivolare giù per un pendio innevato. Vinceva chi riusciva a mandarli più lontano (Cfr. Lowie cit., p. 144) (N.d.T.).
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fa ammalare a morte i lupi, quando si avvicinano troppo alle mandrie nel periodo in cui le cavalle figliano. « Adoperate come esca la carne di coniglio o di puledro, insomma degli animali che i lupi attaccano », diceva il vecchio Garnier mostrando agli Indiani la quantità di veleno che dovevano nascondere in qualche punto dell'esca di carne col pelo attaccato. « Appena un po', una punta di coltello, e p f u u ! », disse, facendo schioccare le dita. Ma sebbene i cacciatori bianchi si comportassero da amici nell'accampamento, alcuni giovani si tenevano lontani da loro: si tiravano le coperte fin sopra il naso e li guardavano con occhi sospettosi e al tempo stesso ammonitori. Passato l'inverno, rispuntò l'erba e i cavalli riacquistarono forza. La pace con i Bianchi durava ancora: nessuno scendeva sul sentiero di guerra, sulla Via Sacra non passava l'ombra di un soldato. Gli Indiani fecero le loro danze del sole, poi partirono per gli accampamenti estivi. Partì anche l'ultimo dei Bighelloni, ridiscesero alla pista anche le mogli indiane dei Bianchi, la sorella di Bocca Grande andò da Salaway alle case di Gratiot. T u t t o sembrava come sempre. Nel mese della Luna in cui le Ciliegie Diventano Rosse (luglio), un gruppo di Brulés partì per una razzia nella zona del basso Piatte. Era l'epoca in cui gli Omaha abbandonavano i loro campi di mais lungo il Missouri per andare a caccia di bisonti lungo i fiumi Loup ed Elkhorn: probabilmente avrebbero avuto un paio di occasioni per combattere. Alcuni, come Coda Chiazzata e Guscio di Ferro, avevano con loro le mogli, ma la maggior parte era costituita da giovani e ragazzi, compreso qualche Oglala che, alla notizia della spedizione, si era sentito invogliato a partire, nella speranza di conquistare qualche buon cavallo. Partì anche Ricciuto, che era ospite dei parenti di sua madre. Era la prima volta che gli capitava la possibilità di vedere il territorio dei nemici orientali, ed era il primo viaggio che compiva insieme con i suoi parenti brulés, gente che viaggiava lontano. Alcuni guerrieri scesero al grosso villaggio di case di terra dei Pawnee a rubare cavalli; gli altri raggiunsero, una 98
notte, l'accampamento degli Omaha; tagliarono le pastoie ai cavalli migliori e con questi fuggirono. L'indomani molti guerrieri omaha uscirono a seguire le tracce del loro bestiame rubato, e i Lakota ne approfittarono per piombare sull'accampamento. 3 Tre Omaha restarono uccisi. Ricciuto ne colpì uno che correva a nascondersi fra i cespugli. Era sicuro di averlo colpito, perché l'Indiano si era drizzato, quindi era caduto in avanti. Soddisfatto di essere riuscito a uccidere il suo primo nemico, il ragazzo smontò da cavallo e corse a scalparlo. Vide che aveva le trecce: aveva ucciso una donna. Per un attimo esitò. Sapeva che era uno scalpo di valore perché se muoiono le donne invece dei guerrieri, su questi ricade una maggiore vergogna. Cercò quindi di asportare quelle trecce con attaccata la cute, ma quando vide che la donna era giovane, i capelli puliti, lucidi e castani come quelli di sua sorella, si sentì male. Allora se ne andò e lasciò che lo scalpo lo prendesse qualcun altro. Nel frattempo i Lakota si erano ritirati su un'altura, tutti eccetto Coda Chiazzata. Questi montava un cavallo molto veloce e aveva tutto il corpo e il viso coperti di pitture sacre. Si lanciò dritto contro l'accampamento omaha, echeggiarono colpi di fucile, ma egli era così veloce che tutti lo fallirono. Più di una volta ripetè l'assalto, più di una volta passò attraverso il fumo bluastro degli spari. Sua moglie gli faceva il tremolo, ma molti guerrieri agitavano le coperte per metterlo in guardia, gli gridavano di tornare indietro: c'erano dei giorni migliori per morire, combattendo contro nemici più forti che non quegli Indiani coltivatori di mais!... Ma altri, vedendo che la medicina del Brulé quel giorno funzionava a meraviglia, lo acclamavano e lo incitavano a continuare. Finalmente tornò dai suoi, e tutti quanti si diressero verso casa, mentre le vedette omaha li seguivano a distanza per accertarsi che se ne andassero sul serio. I Lakota erano contenti: tornavano con dei cavalli molto belli, avevano contato colpi rituali sui Pawnee e sugli Omaha, avevano J
Attacco sioux contro gli Omaha, estate 1855.
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quattro scalpi omaha. Presero in giro Ricciuto perché aveva lasciato perdere il suo: « In quésto modo non combinerai mai niente, né con gli uomini né con le ragazze », gli dissero, e ci fecero sopra anche una canzonetta: Questo giovane qua Il coraggio ce l'ha, Ma è pazzerello, Non ha un buon coltello. Dapprima Ricciuto diventò di brace, poi si sentì meno a disagio, perché mentre cantavano così ridevano amichevolmente, anche le donne. Non era come quando i Bighelloni del Forte inventavano barzellette su di lui o componevano strofe che poi Carino cantava: Un parente povero abbiamo. Mezzo nudo in giro sen va, Di buono niente da mettersi ha. Una volta Cavallo Pazzo l'aveva sentito; aveva chiamato a sé i ragazzi e aveva raccontato un'antica leggenda, quella del povero che salvò la nazione in pericolo. E forse poteva anche essere un fatto vero, accaduto molto tempo prima, quando gli Oglala non avevano tanti cavalli da poterne distribuire a tutti. C'era dunque un Oglala povero che doveva andare a piedi, mentre la sua gente era a cavallo. Era molto indietro rispetto agli altri, quando a un certo punto arrivarono i nemici. Egli li vide seguire la pista della sua gente e, invece di nascondersi, gli si parò davanti. I nemici che lo assalirono fecero un tale rumore che gli Oglala si accorsero del pericolo, e mentre egli veniva scalpato e fatto a pezzi, le donne e i bambini poterono esser salvati. « È meglio essere buoni piuttosto che essere padroni di molti cavalli », aveva detto Cavallo Pazzo. I ragazzi lo avevano ringraziato, com'era usanza, e se n'erano andati; ma egli sapeva che le sue parole erano deboli per molti di loro, perché non era che un sacerdote, mentre la maggior parte dei Bighelloni aveva interesse solo per il potere e le ricchezze dell'uomo bianco. 100
Ricciuto ripensava a queste cose, mentre i guerrieri brulés si allontanavano sempre più dal luogo in cui era avvenuto il combattimento. Quando le vedette riferirono che gli Omaha che li seguivano erano tornati indietro e che tutto l'accampamento omaha si spostava sul torrente Beaver per la caccia, i Lakota decisero su due piedi di precederli là. Trovarono due Omaha a caccia di alci. Uno dei due fuggì ma l'altro oppose una fiera resistenza. Sebbene cavalcasse un baio molto veloce, smontò e, nascondendosi in mezzo all'erba alta, fece fuoco sui Lakota che si lanciavano alla carica. Il primo colpo andò a vuoto ma a questo ne seguì subito un secondo che prese in pieno un giovane Lakota che tentava di travolgerlo col proprio cavallo mentre ricaricava il fucile. Ma gli altri gli furono sopra, l'uccisero e si presero la sua buona doppietta. Era un Indiano mezzosangue, forse figlio di un mercante bianco e di una Indiana; a giudicare poi da come vestiva, doveva essere importante nella sua tribù. Col suo scalpo, il suo fucile e il suo cavallo, i guerrieri mossero contro l'accampamento omaha. Quando gli Omaha videro quelle cose in mano al nemico reagirono con grida e spari, le donne innalzarono un alto lamento, mentre gli uomini continuarono a sparare. Fu un combattimento lungo, di tre ore. Tutti gli Omaha erano armati di fucile, e quando il cacciatore che era riuscito a fuggire aveva dato l'allarme, le donne si erano messe a scavare buche e fossati tutto intorno al campo per proteggere i loro guerrieri. Degli Omaha rimasero feriti un guerriero e qualche cavallo, mentre diversi cavalli brulés vennero atterrati e un uomo fu ferito. Era abbastanza. Finalmente i Lakota si misero sulla via del ritorno. Guscio di Ferro e Coda Chiazzata fecero un discorso ai guerrieri. Avevano ucciso il figlio di un mercante, e già questo era uno sbaglio; per di più, quasi certamente si trattava del figlio di Fontenelle, che era vissuto al forte sul Laramie quando ancora il forte apparteneva ai mercanti. Grazie alla madre omaha, suo figlio era importante presso questi Indiani: l'anno prima era andato in quel posto che si chiama Washington e là era stato fatto capo. Uccidendolo, probabilmente ci si era tirata addosso l'ira del Grande Pa101
dre, dei soldati, dei mercanti, nonché dei figli dei mercanti. Lungo il tragitto studiarono il da farsi. All'accampamento ricevettero grandi accoglienze e i Brulés prepararono un banchetto. I guerrieri raccontarono come avevano rubato i cavalli e come avevano contato i colpi rituali su un paio di Pawnee; poi regalarono alcuni dei cavalli catturati. Dell'attacco contro gli Omaha parlarono solo con quei pochi che sicuramente non sarebbero andati a parlarne con i mercanti o con le donne del forte. E anche a quei pochi tacquero dell'uccisione del figlio di Fontenelle; dissero invece che Ricciuto aveva ucciso con una freccia una donna omaha nascosta dietro un cespuglio, ma ciò doveva restare un segreto, perché la donna veniva da una riserva e aveva capelli castani che sembravano ereditati da un padre mercante. Se si fosse saputo un fatto del genere ci sarebbero stati disordini nell'accampamento brulé e anche in quello oglala, e forse per far piacere ai Bianchi si sarebbe addirittura giunti a scacciare Ricciuto e la sua famiglia: certi Lakota andavano dietro ai Bianchi come un vitello di bisonte segue la madre!... Quindi i quattro scalpi omaha vennero distrutti. Già si era mandato libero il bel cavallo baio di Fontenelle, col suo marchio del ferro incandescente dell'uomo bianco; lo avevano lasciato libero, ma prima gli avevano spaccato uno zoccolo anteriore perché zoppicasse un po' e non riuscisse a scendere a valle. Poi i muggiti dei tori di bisonte a ovest chiamarono i Brulés alla caccia. Ricciuto andò con loro, sempre molto posato, ma Coda Chiazzata e gli altri ormai lo consideravano un guerriero. Quando le ciliegie diventarono nere, alcuni Bighelloni portarono le notizie di chi era nato, chi era morto, e raccontarono di Vestito Blu che era andata a vivere con quelli accampati attorno al forte: la sua gente l'aveva scacciata, perché per causa sua scoppiavano delle liti e perché avevano scoperto che andava dietro le tende come una donna di tutti. I vecchi ascoltarono fumando, e ci risero sopra. Dare ai soldati una donna come quella equivaleva all'usanza cheyenne di dare ai guerrieri le donne del suo tipo. Erano due modi per proteggere il popolo e 102
per assicurare la carne, perché tutti sanno che quando le donne perdono la virtù, i bisonti spariscono. Ma tutto andava fatto secondo giustizia, perché se si nega a una donna il diritto di lasciare un uomo per andare con un altro, i vitelli di bisonte o non nascono o nascono deboli. « Ah, sì: si sa che anche questo è vero », osservavano i vecchi, "aspettando attenti dei particolari sull'uccisione di Fontenelle. Invece parve che notizie su di lui non ce ne fossero; era però arrivato un nuovo agente, un altro padre, alla Via Sacra: si chiamava maggiore Twiss, un uomo alto, con i capelli come le nevi dei Monti Bianchi. Diceva di sapere chi aveva assalito la carrozza postale, chi era ostile e quindi doveva essere tenuto lontano. Tutti quelli invece che erano per la pace dovevano andare a sud del Piatte e aspettare là nuovi ordini. I giovani Brulés più focosi avrebbero voluto scannare sui due piedi quelli che avevano portato tale notizia, per poi andare a nord e unirsi ai Minneconjou. Fecero un gran chiasso, ma infine Piccolo Tuono riuscì a calmarli. Si diceva che Uomo della Paura avesse portato il suo accampamento dalle parti del padre con i capelli bianchi, ma che il grosso dei suoi guerrieri continuasse a sfruttare tutte le occasioni di contare i colpi rituali e razziare cavalli. Poi anche qualche Brulé andò dal padre bianco, fra cui Accoltellatore, che tutti evitavano come una medicina cattiva da quando aveva scacciato la famiglia di Orso che Conquista. La maggior parte dei Brulés invece ricordavano troppo bene l'ultima volta in cui erano scesi al fiume: quel giorno, invece di conoscere il nuovo agente, avevano perduto il loro capo. Piccolo Tuono era accampato sull'Acqua Azzurra (un torrente che scorre verso sud e sfocia nel Piatte molto a valle di Forte Laramie) quando giunse un messaggero a riferire che molti soldati si erano messi sulla Via Sacra. I Brulés, dopo la buona caccia, avevano gli essiccatoi carichi di carni e le loro donne erano occupate a conciare pelli e a tritare wasna. Tutti sapevano che Piccolo Tuono era per la pace e che la notte dopo il ferimento di Orso che Conquista aveva sudato per tener quieti i guerrieri che volevano scatenare la guerra in tutta la regione dell'alto 103
Platte. Piccolo Tuono perciò al messaggero dell'agente rispose che sarebbe stata una follia trasferire la sua gente in un posto così lontano dalla sua terra per dimostrare ancora una volta di essere per la pace. Jim Bordeaux, che era stato su entrambe le sponde della grande acqua salata,4 avvertì l'amico Guscio di Ferro che i Bianchi erano moltissimi e che non tutti potevano sapere le stesse cose. Ora stavano arrivando molti soldati, a piedi e a cavallo, con i cannoni, e sollevavano una gran polvere lungo il Platte: i Brulés avrebbero fatto meglio a sottomettersi oppure portare lontano dalla pista le donne e i bambini. Ma Guscio di Ferro era un uomo pacifico e calmo, non eccitabile come l'amico francese. Tutti sapevano che il suo cuore era sempre stato buono verso i Bianchi, perciò rimandò indietro Goose con dei regali e con delle buone parole. Jim ci provò ancora, mandando questa volta un suo commesso (un Bianco che aveva sposato una Brulée) a fare al capo un discorso molto forte. Gli Indiani lo ascoltarono, tennero consiglio, e decisero di rimanere sull'Acqua Azzurra ancora qualche giorno per finire i lavori che avevano incominciato: non era una cosa buona, con il caldo di quella luna, trasportare carni e pelli non perfettamente asciutte. Ancora qualche giorno, e sarebbero andati tutti alle colline di arenaria (Sand Hills), dove i soldati non li avrebbero inseguiti. Fu così che, al principio della Luna in cui ai Vitelli Cresce il Pelo, il vecchio Tesson scovò per i soldati 5 l'accampamento brulé. Era vissuto molto tempo con gli Indiani e perciò conosceva tutti i posti in cui essi preferivano accamparsi. Una notte i soldati tagliarono per la prateria a monte del torrente e si nascosero in un canalone, dove attesero l'alba per sferrare l'attacco. Frattanto la fanteria dal Piatte risaliva il torrente e l'accampamento addormentato veniva preso in una morsa.
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L'Atlantico (N.d.T.). Battaglia dell'Acqua Azzurra, 3 settembre 1855.
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Un pomeriggio - il cielo era denso di nubi e si avvicinava un temporale - Ricciuto si dirigeva a cavallo verso l'accampamento sull'Acqua Azzurra. Veniva da nord-ovest e galoppava alla massima velocità consentitagli da un puledro selvatico che si tirava dietro. Aveva voluto accalappiarlo, e vi era riuscito con molta fatica, perché assomigliava al bel cavallo da caccia di Lunga Lancia che un bisonte aveva fatto fuori la settimana prima: un cavallo così bello che egli aveva detto alla moglie di conciarne la coda, perché voleva attaccarla al bastone sul quale (come un fanciullo in groppa al suo pony) danzava nelle cerimonie del vecchio clan del Cavallo. Forse anche quel puledro sarebbe diventato un buon cavallo da caccia. Ricciuto era solo. Per un tratto lo avevano accompagnato quattro giovani Lakota, ma quando avevano visto un gran fumo salire al cielo, in direzione del villaggio di Piccolo Tuono, avevano avuto paura e si erano diretti a ovest, verso l'accampamento dell'agente presso Laramie. Ricciuto invece aveva proseguito, tenendosi lontano dalla vecchia pista da tregge che dall'Acqua che Corre andava a sud, e aveva aperto bene gli occhi, per avvistare eventuali nemici. Via via che si avvicinava all'accampamento sentiva più acuta la puzza del fumo della polvere da sparo, delle pelli e delle carni bruciate. Era a stomaco vuoto e quel cattivo odore gli dava la nausea. L'accampamento doveva essere stato assalito e distrutto, perché solo di lì poteva venire quell'odore. Quando Ricciuto giunse in prossimità dell'Acqua Azzurra era quasi il tramonto e il cielo era solcato da lampi. Dopo aver nascosto i cavalli, salì in cima a un colle che dominava l'accampamento brulé. Sulla valle c'era una nebbia di fumo, ma non era il fumo dei fuochi accesi per cucinare né quello dolciastro che sale dalle pipe in cui brucia il salice rosso. Era piuttosto quel fumo cattivo prodotto dalla distruzione delle cose dell'uomo. Tuttavia l'incendio non doveva essere avvenuto proprio lì, perché l'accampamento era sparito, non c'erano più né tende né tregge né parfleches, i fagotti erano sparpagliati, abbandonati tutt'attorno e lungo il tratto percorso dalla gente fuggita 105
lungo il torrente. Il ragazzo schiacciò l'orecchio a terra e udì che i soldati scendevano al fiume, a piedi e a cavallo, ma non udì alcuno scalpitio di cavalli indiani. Allora scivolò giù dal colle e andò a osservare le tracce da vicino. Miste alle impronte lasciate dai Bianchi vide orme di molti mocassini lakota e di qualcuno cheyenne, per lo più mocassini di donne e bambini. Molti prigionieri... Il ragazzo, cresciuto nella pace della Via Sacra, ebbe un attimo di esitazione, incerto sul da farsi. Ma la sua gente era in pericolo, perciò lasciò il puledro esausto legato con la pastoia, montò sul suo cavallo e inseguì la sua gente, prendendo per canaloni e canyons per non farsi vedere dalle vedette dei soldati. Si arrampicò una volta su per un crinale e dalla cima vide quelli che aveva udito: una lunga, grossa fila di soldati che nel tramonto procedevano verso il Piatte. Gli giungevano il suono attutito di molti passi, lo stridore delle ruote dei carri e degli affusti di cannone sulla terra dura e secca, e le risate dei Bianchi, le stesse che facevano davanti alle giovani donne indiane. Allora sentì battere un tamburo nelle orecchie: quei rumori si trasformarono in una percussione, in un ribollire del sangue furibondo, tanto che avrebbe voluto gridare il suo « Hoka hey! » e avventarsi contro i fucili dei soldati. Ma poi sopravvennero pensieri più freddi, più scaltri, più da Lakota: c'erano molti soldati laggiù, sicuro, ma contro di loro avrebbero dovuto sparare i guerrieri appostati nelle gole o tra i cespugli, tentando così di liberare almeno una parte dei prigionieri. Forse però altri soldati stavano ancora dando la caccia agli Indiani e uccidevano altri indifesi. Corse a prendere il cavallo e tornò al torrente di volata per cercare la sua gente. Quando raggiunse il luogo in cui era stato l'accampamento, era ormai sera e il buio era rotto dai lampi e dallo schianto dei tuoni. Affidandosi al fiuto del cavallo, seguì le tracce dei fuggitivi, i solchi delle ruote, le impronte degli zoccoli ferrati e degli scarponi militari, mescolate alle molte di mocassini e di cavalli indiani che risalivano l'Acqua Azzurra. Ai piedi di una roccia d'arenaria il cavallo si fermò e sbuffò per la puzza di bruciato e il tanfo del san106
gue. Alla luce delle saette, più luminose del sole, mentre i tuoni scuotevano la terra, il ragazzo vide che lì gli Indiani avevano opposto una resistenza che doveva essere stata tremenda, disperata: disseminati per il pendio roccioso vide rotoli di pelli da tenda, parfleches, vestiti, culle e molte altre cose, tutte pestate, lacerate, bruciate; e tra queste cose vide chiazze scure, che erano pozze di sangue, ed altre più scure ancora, che erano cadaveri. Negli sprazzi di luce intermittenti, il ragazzo salì a piedi su per il pendio in mezzo a quel massacro, tirando il cavallo per la briglia. Come se fosse stato uno straniero, non riconosceva nessuno. Quelli che avevano la faccia rivolta al cielo erano diventati grigi come la pietra. Giunto alle cavità poco profonde sparse sulla cima del colle, ebbe la misura della carneficina: bambini fatti a pezzi e squarciati dalle sciabole, molti uccisi dalle pallottole o ridotti in frantumi; donne anch'esse fatte a pezzi o dilaniate, come la roccia e la terra, dall'esplosione delle palle di cannone. In mezzo ai cadaveri i cani si nascondevano come coyotes spaventati. Un lampo rivelò a Ricciuto il vecchio cane che era appartenuto a sua nonna. Allora si rese conto che quei morti in balia del temporale che si avvicinava erano la sua gente, e improvvisamente si sentì male: piegato in due, non potè fare a meno di dare di stomaco più volte. Infine si mise a cercare fra i morti. Presso ciascuno attendeva che un lampo lo illuminasse, e intanto tirava giù le vesti alle donne che i soldati avevano scoperte fino alla testa, lasciando i loro corpi nudi e oltraggiati. Ogni volta temeva di riconoscere una sua parente, forse addirittura la madre di Coda Chiazzata, sua nonna. Poi vide la veste dipinta di celeste, le larghe maniche come ali in volo, della giovane sorella di Lunga Lancia, una delle vergini che avevano abbattuto il pioppo per la danza del sole di quell'estate. Anche a lei avevano tirato su il vestito, e l'avevano scalpata nella parte segreta. Allora gli passò tutta la nausea, passò anche la vampata d'ira, e restò freddo, come è freddo l'uomo che studia con calma una battaglia con anni di anticipo, e aspetta un 107
esito favorevole; come è freddo uno che prepara un'imboscata a un Crow che gli ha ucciso il padre. E mentre Ricciuto era là e ormai dalla prateria giungeva il rombo del temporale, il cielo e la terra e tutte le cose che stanno fra cielo e terra diventarono improvvisamente qualcosa che egli aveva già visto una volta, qualcosa di sacro, che appartiene al mondo che sta dietro a questo. Ricordò allora il sogno di un anno prima ai piedi del pioppo. Ma non era più sogno: era una visione, la visione del sacro cerchio della terra, entro il quale un uomo a cavallo passa in mezzo al tuono e al fuoco del cannone. La visione indicava a Ricciuto la via che doveva seguire. L'aria divenne più densa, si ammassarono le tenebre; la terra fu sferzata dalle saette e i tuoni le rovinarono addosso. Il vento piegava i piccoli abeti del crinale e la bufera li travolgeva come una mandria di bisonti in corsa. Il ragazzo poteva evitare di inzupparsi raggiungendo carponi una delle cavità prodotte nella roccia dalle palle di cannone, ma doveva trovare la sua gente. Balzò sul cavallo stanco e, spinto da quella tempesta che rovesciava giù un'acqua fredda come grandine, seguì il sentiero degli Indiani in fuga, che lo portava oltre l'Acqua Azzurra, nell'accidentata regione a est. La caccia dei soldati era stata inesorabile: la fanteria da un lato della pista, la cavalleria dall'altro. Ma dopo sette-otto chilometri sembrava che i Bianchi si fossero fermati: non restavano che tracce di Indiani che continuavano a fuggire, tracce ormai cancellate dalla pioggia torrenziale. Tuttavia v'erano altri segni del loro passaggio: qui una veste, laggiù una treggia sfasciata, più in là un cavallo morto. Se altri soldati non li avevano attaccati da un'altra direzione, e se gli inseguitori non li avevano accerchiati, gli Indiani ormai potevano essere in salvo. In una gola, poco lontano dalla pista, Ricciuto trovò un bambino. Era morto e il suo corpo alla luce dei lampi luccicava come metallo brunito. Aveva il petto squarciato e la pioggia gli aveva lavato via il sangue. Accanto a lui c'era una massa confusa coperta da un manto dalla quale giungeva un lamento fioco. Ricciuto sollevò un po' il manto e vide una donna con un bambino appena nato. La donna 108
nel vedere quella figura scura sopra di lei, si acquattò come una gallina della prateria, si accartocciò per coprire il piccolo col proprio corpo tutto tremante. Non supplicò neppure di essere risparmiata: aspettava di morire. Quando si sentì chiamare sorella in lakota, lei che non aveva più speranze, alzò gli occhi. «Quello con i capelli chiari! », mormorò, non sapendo come si chiamava il ragazzo. Era Donna Gialla, una Cheyenne da poco tempo ospite dei Brulés. Suo marito era morto più indietro, presso una delle grotte dove aveva cercato di difendere lei e il figlio. Anche il bambino era rimasto ucciso là e lei se l'era portato via finché aveva potuto seguire le tracce della sua gente. Ma poi si era dovuta fermare per partorire il piccolo. E adesso anche questo era morto. Finito di dire queste cose, la donna riprese il lamento, a bassa voce perché la notte poteva essere piena di nemici. Oscillava il busto avanti e indietro esprimendo il suo dolore, tra i lampi e le raffiche di pioggia. Ricciuto le mise il manto sulle spalle, poi tornò indietro per cercare una treggia abbandonata. Ora andava incontro alla bufera e a stento riusciva a governare il cavallo. Distese quindi la donna sulla treggia, legò il manto perché il vento non lo portasse via, e s'incamminò a piedi conducendo il cavallo stanco che non era da tiro e aveva un traino già abbastanza pesante. Costretto ad abbandonare il bambino, ebbe nelle orecchie per tutta la notte il sommesso lamento della donna cheyenne e nel cuore il peso delle cose che aveva visto. Verso l'alba cessò di piovere. Fece pascolare un po' il cavallo e studiò le tracce. Erano più fresche e indicavano che da quel punto i fuggitivi non avevano più proseguito tutti uniti ma si erano sparpagliati come conviene fare quando si fugge. Un po' più avanti scoprì delle profonde e ampie impronte di zoccoli che gli parvero del cavallo americano di suo zio Coda Chiazzata e decise di seguirle. Finalmente le vedette che sorvegliavano il percorso videro lui e la donna e mandarono qualcuno ad aiutarlo. Presso uno dei numerosi piccoli laghi d'acqua dolce della 109
regione delle Sand Hills le impronte riconvergevano in un'unica direzione, come nell'aquila le penne sulla punta delle ali. Là trovarono l'accampamento, ben protetto, immerso nel dolore, sconvolto dall'ira. Il giovane Ricciuto ricevette da mangiare e si riposò; poi gli raccontarono dei molti feriti, dei molti prigionieri, dei molti uccisi. Il giorno prima, la mattina presto, i soldati a piedi con la tromba luccicante e la bandiera a strisce erano stati visti risalire l'Acqua Azzurra. Alcune donne avevano avuto paura e, smontate le tende, erano scappate verso le colline costeggiando il torrente. Una che andava più forte delle altre aveva visto più avanti altri soldati - a cavallo e armati di cannoni - già appostati, pronti a bloccare ogni fuga. Nel frattempo i capi, con Coda Chiazzata e Guscio di Ferro che reggevano bandiere bianche, erano usciti a cavallo dall'accampamento ed erano andati incontro ai soldati. Su un'altura che dominava la riva opposta dell'Acqua Azzurra il capo dei soldati, quello con la barba bianca, che aveva detto di chiamarsi Harney, si era seduto, aveva fumato e tenuto consiglio con loro, mentre i suoi uomini stringevano il popolo da tutti i lati. Ma i capi, non potendo prevedere quel che sarebbe accaduto, avevano parlato come se quel consiglio fosse stato non una trappola ma una cosa buona. Piccolo Tuono aveva ribadito di essere contrario alla guerra e di aver fatto discorsi di pace anche quando Orso che Conquista, il capo voluto dall'uomo bianco, stava morendo a causa delle pallottole dei soldati; aveva impedito che i guerrieri assalissero il forte e facessero la guerra contro tutti i Bianchi della regione dell'alto Piatte. Ma quel capo di soldati era nuovo, e riusciva a dire soltanto che lui era venuto per prendere quelli che avevano ucciso Grattan e i suoi soldati: dovevano consegnarglieli immediatamente. I Brulés gli avevano detto che non potevano perché i Minneconjou erano stati scacciati ed erano andati a nord, nel Missouri, e nessuno sarebbe stato in grado di dire quale Brulé avesse dato o non dato man forte ai Minneconjou per uccidere i Bianchi. Vedendo il loro capo cadere nel bel mezzo dell'accampamento, tutti 110
quelli che erano uomini avevano combattuto, tutti mescolati. Ma Barba Bianca aveva ripetuto che gli si dovevano consegnare gli uccisori, e allora Piccolo Tuono era tornato all'accampamento per dire alla sua gente di prepararsi a combattere, ma aveva trovato i soldati già schierati. Questi avevano sparato e il capo si era accasciato al suolo assieme a molte donne e bambini che lo seguivano. Alcuni erano morti per i colpi d'arma da fuoco; altri erano stati travolti e calpestati dalla cavalleria che li aveva caricati con le sciabole e con i fucili. Vedendo questo, Guscio di Ferro e Coda Chiazzata avevano gettato le bandiere bianche e avevano combattuto a fianco a fianco. Grazie ai loro guerrieri armati di archi e frecce erano riusciti a tenere impegnati i soldati consentendo alla gente di raccogliere i morti e i feriti e di fuggire circa cinque chilometri a monte del torrente. I fuggitivi si erano fermati alla roccia di arenaria: là erano stati circondati e di nuovo assaliti dai soldati a cavallo. I sopravvissuti si erano divisi, erano passati sull'altra sponda e avevano continuato a fuggire verso est scegliendo il percorso più accidentato e lasciando le tracce che Ricciuto aveva scorto. Ma molti erano morti nelle piccole cavità della roccia presa a cannonate, e molti erano stati fatti prigionieri. Ricciuto già sapeva queste cose da quel che aveva visto. Un disastro! Non c'era famiglia, non c'era tenda in cui non mancasse qualcuno, anche in quelle dei capi. Cappello Marrone, colui che « conservava » la storia dei Brulés, era stato catturato; lo stesso era successo alla graziosa giovane moglie di Guscio di Ferro, a suo figlio di appena cinque anni, a sua suocera, e anche a una delle bambine di Coda Chiazzata. I guerrieri avevano dovuto subire senza poter fare niente. Pur non avendo fucili, molti avevano proposto di sferrare un attacco contro i soldati nel momento in cui avrebbero guadato il Piatte nella bufera di quella notte; poi avevano considerato il fatto che anche i prigionieri avrebbero rischiato di rimanere uccisi nel combattimento, e dovevano essere almeno un centinaio (o tanti ne avrebbe contati l'uomo bianco). Quasi altrettanti do111
vevano essere i morti. Un brutto giorno per i Lakota. Ma gli raccontarono anche gli atti di coraggio, in particolare quelli compiuti da Coda Chiazzata. Questi aveva ceduto il cavallo alla moglie più giovane e le aveva detto di mettersi in salvo, ma la donna, invece di seguire il resto della famiglia, si era fermata su un colle e di lassù aveva seguito la battaglia. Suo marito - com'era costume si era recato inerme al consiglio e così aveva dovuto far fronte alla carica dei soldati senza niente in mano. Il primo soldato che gli si era avventato contro aveva tentato di trapassarlo con la sciabola ma Coda Chiazzata, che era alto più di un metro e ottanta ed era molto forte, gliel'aveva strappata di mano, l'aveva disarcionato ed era montato lui sul cavallo sellato. Man mano che i soldati gli venivano contro, egli li aveva passati a fil di sciabola. Qualcuno diceva che ne aveva abbattuti tredici e per ognuno la donna aveva fatto il tremolo per il marito guerriero. Ora Coda Chiazzata giaceva nella sua tenda con quattro ferite: due erano i colpi di pistola che l'avevano passato da parte a parte. Ma egli bramava di vivere, di vendicare la perdita della sua bambina, l'offesa e il dolore che il suo popolo aveva ricevuto. I Brulés riconobbero che in mezzo a loro avevano un grande uomo. Poco tempo dopo fu chiaro che Piccolo Tuono non sarebbe morto e che Coda Chiazzata stava guarendo come se avesse ricevuto solo dei graffi. Molti si erano recati al luogo in cui avevano lasciato i propri morti, avevano prestato loro le cure estreme, e ora tornavano piangendo, con i capelli sciolti e arruffati. Giunsero notizie sui prigionieri: la figlia di Coda Chiazzata era stata ferita ma non era morta; la vecchia suocera di Guscio di Ferro si era fasciata il ventre squarciato con del camoscio bagnato e aveva seguito le orme dei mocassini della figlia. I prigionieri erano stati portati a Laramie lungo la Via Sacra, chiusi in mezzo ai soldati che marciavano cantando: Non abbiamo preso un granchio. Abbiamo scannato Piccolo Tuono 112
E l'abbiamo mandato sull'altra sponda Del Giordano. Prima che arrivassero al forte, vi erano già stati preceduti da dodici guerrieri di Piccolo Tuono, che fingevano di essere là per mercanteggiare. Mentre la colonna dei prigionieri vi entrava dal portale, essi si erano messi presso le mura di adobe e, al passaggio dei cavalli di Harney, agitando le coperte li avevano spaventati e ne avevano fatti fuggire molti. Questa era una notizia piacevole, ma forse ciò aveva disposto male Barba Bianca nei confronti dei Brulés e degli Oglala che lo avevano atteso là pacificamente. Altrettanto pacificamente gli Indiani lo avevano ascoltato al consiglio, ma era stato difficile trattenere i guerrieri quando i suoi soldati, uccisori di donne, si erano avvicinati troppo all'accampamento e quando Barba Bianca aveva sgridato i loro capi come se fossero dei bambini. Aveva detto che nessun Indiano poteva più andare alla postazione militare se non aveva il permesso del capo dei soldati, e che nessun Indiano poteva più avvicinarsi a una bottega: nessun commercio era più permesso. E fin quando non fossero stati consegnati coloro che avevano rapinato la carrozza postale, tutti sarebbero stati considerati nemici. Era stato un discorso duro, e i capi lakota, immoti, si erano guardati l'un l'altro da sotto le palpebre pesanti. Del guaio della carrozza postale erano responsabili i parenti del defunto capo voluto dalla carta dell'uomo bianco. Inoltre, chi poteva ancora credere che i soldati non si sarebbero più buttati sulle donne e i bambini se quei responsabili fossero stati consegnati? I soldati erano già piombati con i cannoni in un accampamento lakota che attendeva pacificamente una distribuzione di viveri, e questo molto prima della rapina della carrozza postale, e tutto per una vacca morta. Giunsero anche altre notizie all'accampamento di Piccolo Tuono sull'Acqua che Corre. Mentre la maggior parte dei Bianchi, compresi alcuni mercanti, diceva che il capo dei soldati aveva smesso troppo presto di combattere, qualche giornale lo chiamava invece Harney Ammazzal i
Squaw, che era il loro modo per dire che aveva fatto male a uccidere donne e fanciulli. Hau!, convennero i capi; ma dei Brulés erano prigionieri al forte, e i soldati si prendevano le donne più giovani, come la bella moglie di Guscio di Ferro! D'altronde, che cosa si poteva fare? Alcuni giovani guerrieri avrebbero preferito morire piuttosto che consegnarsi ai soldati, come voleva Barba Bianca: avendo visto che cos'era capitato a degli innocenti, a della gente che non era accusata di niente, potevano immaginare che cosa sarebbe capitato a dei giovani che avevano ucciso dei Bianchi! « Ma i Bianchi hanno chiuso nella casa di ferro parecchi dei nostri, indifesi e disperati... », incalzavano alcuni. Era vero! E s'avvicinava l'inverno, e i soldati erano molti, e le donne e i bambini avevano paura. Perciò una sera, nella Luna in cui Cadono le Foglie, alcuni guerrieri, dipinti come se partissero per la guerra, o se andassero incontro alla morte, attraversarono l'accampamento diretti alla tenda del consiglio, sotto gli occhi stupiti della gente. Il giorno dopo venne inviato un messaggero al capo dei soldati e quasi tutto il popolo si spostò verso Laramie, ma non come aveva sempre fatto in passato, cioè con l'animo lieto con cui ci si metteva in viaggio per andare a visitare dei parenti all'accampamento delle donne o alle case dei mercanti, a mangiare o a indossare le cose dell'uomo bianco. Ora il popolo andava verso i cannoni dei soldati con ansia e inquietudine. Quando furono nei pressi del forte, Coda Chiazzata, Foglia Rossa e Mento Lungo attraversarono a cavallo l'accampamento, vestiti dei loro abiti cerimoniali più sontuosi. Cantando i canti di morte, fecero un giro, poi partirono in direzione del forte: andavano dal capo dei soldati per dirgli che venivano al posto di quelli che l'agente voleva. Non erano degli sconfitti: volevano morire prigionieri con le loro donne e con i loro bambini. Dopo che ebbero lasciato la gente che, muta, li aveva seguiti con lo sguardo, una macchia scura nella piana di Laramie, le loro donne montarono a cavallo e, formando una breve fila, li accompagnarono alla prigionia, cercando di confortarli fino all'ultimo con la loro presenza. Quando 114
si vide che veramente quei giovani guerrieri andavano a morire, un grande lamento si alzò da tutta la pianura. Non molto tempo dopo, Ricciuto andò ancora una volta ad abitare con la gente di sua madre fuori del forte sul Laramie, su un terreno che solo pochi anni prima era ancora tutto indiano, senza Bianchi che ne sollevassero la polvere o lo arrossassero con sangue lakota. Ricciuto e gli altri erano andati là per rivedere Coda Chiazzata, Foglia Rossa e Mento Lungo prima che venissero portati via, giù per la Via Sacra dell'uomo bianco. Fra i presenti c'era anche Guscio di Ferro, il quale, prima che i soldati gli rapissero il figlio e la giovane moglie che amava, aveva sempre fatto l'impossibile per mantenere la pace. I Bianchi quel giorno perdevano qualcosa su cui avrebbero potuto contare: l'amicizia di un Lakota che occupava un grande posto nel cuore dei guerrieri. Ora, a braccia conserte, egli guardava i soldati mentre conducevano fuori i carri e i suoi fratelli brulés in catene e con ai piedi delle palle più grosse di quelle dei cannoni. Dietro, venivano le loro donne, distrutte dal dolore. Quando furono passati, Guscio di Ferro voltò le spalle al forte e alla Via Sacra e, a passi solenni, passò in mezzo alla sua gente: i Bianchi avevano acceso un'altra lunga, lunga inimicizia. Quando i carri si avviarono, le donne innalzarono un lamento per coloro che andavano verso la terra sconosciuta dei Bianchi, dalla quale nessun prigioniero era mai tornato, e un lamento anche per tutti i prigionieri dell'Acqua Azzurra, di cui nessuno ancora era stato rimandato alla sua gente, malgrado ciò fosse stato promesso nel caso che i giovani si fossero costituiti. Il lamento, iniziato dai Brulés di Piccolo Tuono, si propagò ed echeggiò oltre il Piatte, giungendo fino ai loro parenti sparsi nelle regioni dei fiumi Cheyenne, Powder, Yellowstone, fino a ogni Lakota che avesse ancora sangue nelle vene. Alle orecchie dei guerrieri, anche per il giovane Ricciuto, quel lamento si trasformò in un suono di tamburi di guerra: Meglio morire in battaglia - Meglio morire in battaglia...
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Dopo che i carri se ne furono andati sulla Via Sacra, Ricciuto drizzò il cavallo verso nord, deciso a tornare alla tribù di suo padre e di suo zio. Mancava da un anno e sarebbe stato bello rivedere la famiglia e passare un po' di tempo con gli altri Oglala. Forse ora anche Gobba era tornato dalla visita ai suoi parenti Minneconjou e aveva da raccontare qualche bel combattimento contro i Crow. Ricciuto si domandava anche che ne fosse della nipote di Nuvola Rossa, di quanto l'avrebbe trovata cresciuta, quanto fossero lunghe le sue belle trecce, se le portasse ancora dietro, come una bambina, o sul petto, come una che si è fatta donna. Gli sembrava che fosse passato moltissimo tempo dal giorno in cui, raccogliendo prugne, l'aveva colpita su una guancia con un nocciolo e l'aveva fatta arrossire. Erano successe cose da allora, molte cose che non erano ancora del tutto concluse. Ma ora stava andando a casa, e non era il caso di fermarsi su pensieri che lo riempivano di collera. Conduceva con sé il puledro catturato alle Sand Hills: Piccolo Cervo, l'uomo di medicina, glielo aveva castrato e ora Ricciuto lo portava in dono al fratello che aveva già fama di essere un buon cacciatore e così coraggioso che il loro zio gli aveva dato il proprio nome, Piccolo Falco, assumendone per sé uno nuovo, più adatto a un uomo anziano: Faccia Lunga. Ricciuto era già vicino al filo di fumo che nella sera si alzava dall'accampamento della sua tribù quando sua madre, che era fuori a far legna, lo vide e, come un banditore improvvisato, corse per le tende gridando il nome del ragazzo. Tutti gli andarono incontro e tutti notarono che, pur non essendo grande e grosso, tuttavia in quell'anno trascorso presso i Brulés era cresciuto molto. Notarono anche che era diventato un po' più loquace: ma forse soltanto perché in quel momento aveva tante cose da dire. E davanti al fuoco, quella sera, suo padre scoprì nel ragazzo qualcosa di nuovo: non si vedeva ma sapeva che c'era, come si sa che la linfa sale nell'albero ancor prima che esso metta le foglie.
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5.
IL GRANDE CONSIGLIO DEI TETON
Agli Indiani della regione dell'alto Piatte e del Missouri la notizia dell'attacco all'accampamento dell'Acqua Azzurra giunse come un grido di guerra nell'immobilità di una notte d'inverno. Un intero accampamento in mano al nemico, quasi cento morti lasciati sul terreno, le donne e i bambini prigionieri nella casa di ferro dell'uomo bianco: mai erano stati battuti in quel modo i Teton Lakota. E questo non era accaduto ai selvaggi Minneconjou, o ai parenti di Orso che Conquista, ma a Piccolo Tuono, il grande amico dei Bianchi, e dopo che assieme agli altri notabili aveva fumato col capo dei soldati. Ora il sangue lakota era sparso al suolo come un grande lenzuolo rosso. Durante le soste degli Oglala, molti andavano a sedersi davanti al fuoco di Cavallo Pazzo, a mangiare dal mestolo di corno dell'ospite, a consultare il sacerdote sul da farsi, dal momento che nessun altro li guidava. Dopo la riunione a Laramie, Barba Bianca aveva marciato attraverso il loro territorio ed era giunto fino a Forte Pierre sul Missouri. Gli Indiani avevano frenato i propri guerrieri, pensando che, se il Bianco non avesse trovato nessuno contro cui sparare, avrebbe finito con l'andarsene. Ma non era stato così, e infatti adesso inviava delle staffette per ordinare ai capi di tornare da lui a sentire quel che aveva da dire. Neanche Twiss, il nuovo padre-agente, poteva aiutarli, perché gli ufficiali di Laramie andavano dicendo che aveva consigliato agli Indiani di tapparsi le orecchie quando parlavano i soldati, e che continuava a commerciare con loro accettando pelli e vendendo merci dell'uomo bianco. Quando poi gli avevano ordinato di andare ad abitare al forte si era scoperto che egli dipendeva da un altro capo, che non era neppure un soldato. Così ora cercavano di to117
gliergli il potere che gli aveva dato il Grande Padre. Correva anche voce che, mentre i Bianchi parlavano di pace con i capi di Laramie, quegli stessi Bianchi stavano predisponendosi a far penetrare in primavera nel territorio indiano molte « tregge » cariche di munizioni e molti cannoni. Quell'inverno era rigido, la neve troppo alta per scambiarsi visite. Gli Indiani dovettero riprendere un'usanza che era andata quasi perduta da quando si era aperta la Via Sacra: per comunicarsi le notizie, ricorrevano a messaggeri a piedi, giovani cui piaceva viaggiare, anche se dovevano calzare racchette da neve. Ricciuto fu lieto di veder giungere il messo di uno degli accampamenti brulés. Disse che la sua tribù stava svernando bene dalle parti del torrente Hat: c'erano alci in collina e, verso sud, qualche mandria di bisonti, come una nuvola ghiacciata. Di Coda Chiazzata e degli altri, nessuna notizia; ora i soldati volevano i due giovani che assieme a quelli avevano assalito la diligenza postale. Entrambi erano a letto malati: uno aveva la tosse dei Bianchi, l'altro i piedi congelati. Il capo dei soldati aveva mandato Orso Lesto a prenderli, sebbene vi fosse tanta neve che anche i soldati erano rimasti bloccati a Forte Pierre e non avevano potuto mettersi in viaggio. Guscio di Ferro non poteva farci niente, perché i suoi uomini non avevano né fucili né polvere da sparo, e i prigionieri della sua tribù erano ancora chiusi nel nuovo forte di Barba Bianca sul Missouri. Così avevano dovuto aiutare Piccolo Tuono a convincere i due giovani a costituirsi. Un coraggioso guerriero, figlio di Cuore Nero, aveva sostituito quello che aveva la tosse, e quello con i piedi congelati era stato accompagnato via su una barella da un centinaio tra uomini e donne fino a Laramie, distante quasi centotrenta chilometri a piedi, nella neve fonda, esposti a ogni intemperie. « Ma ha proprio tanto valore questa cosa che i Bianchi chiamano pace? », domandò Gobba. Sembrava che anche i Brulés se lo fossero domandato, mentre su a nord Barba Bianca tuonava che gli Indiani dovevano spostarsi al Missouri immediatamente, e che non gli importava niente se le piste erano intransitabili e i 118
cavalli erano deboli. Finalmente Piccolo Tuono, sebbene grasso e troppo vecchio per una marcia di quel genere, aveva detto che sarebbe andato al Missouri, a patto che gli dessero come interprete il Francese, Janis, che aveva sposato una Brulée. Avevano già avuto abbastanza guai a causa di un interprete cattivo, imposto dai soldati. Così nella luna invernale in cui il Vitello muta il Pelo in Rosso Scuro, Piccolo Tuono e la sua gente erano andati al Missouri, mentre Brutta Ferita era andato avanti, all'accampamento di Uomo della Paura, per ingiungergli di andare anche lui, ché il capo dei soldati lo ordinava. Ma pochi Oglala avevano obbedito e quando si era firmato il nuovo trattato, sulla carta non figurava neppure un nome oglala. Meglio così, pensarono Cavallo Pazzo e suo fratello Faccia Lunga: tanto era un trattato vantaggioso solo per i Bianchi, se diceva che essi potevano aprire un'altra Via Sacra attraverso la terra indiana fino a Forte Pierre e che i capi indiani dovevano riferire ai soldati tutte le malefatte dei loro giovani guerrieri e consegnarli perché venissero puniti. « Come marmocchi... ». Sì, come i bambini dei Bianchi... E se gli Indiani avessero accettato quelle clausole, avrebbero potuto riprendere a commerciare, ma solo al forte, oppure solo con Ward, un uomo che non piaceva neppure alla sua moglie brulée. Bordeaux e gli altri mercanti non potevano neppure smerciare quel che avevano fatto venire da St. Louis dopo la promessa di pace. Nessuno poteva più avvicinarsi alle loro case, e nessun Bianco poteva più recarsi agli accampamenti indiani. Commerciare sarebbe stato come andare a caccia muniti di una sola freccia, e per di più fasulla. Barba Bianca aveva creato una quantità di nuovi capi di carta; a capo di tutti i Lakota aveva posto Costole d'Orso degli Hunkpapa, sebbene tutti sapessero che non è bene sentir ripetere troppo spesso il nome di un uomo, specialmente se viene ripetuto dalla lingua dei Bianchi. L'ultimo capo di carta era stato bruciato presto, ma lo Hunkpapa non vi aveva dato peso. Poiché Uomo della Paura 119
sembrava indifferente a tutto, lo chiamarono ancor più di prima II Nostro Uomo Coraggioso, per dire che non si sbracciava per arrivare al potere. Che Costole d'Orso fosse soltanto un altro capo mercante era vero - stavolta la carica era toccata a un capo mercante del Missouri — ma si diceva che si era comportato bene al consiglio e che, tramite Janis, aveva detto chiaro e tondo che gli Indiani amici dei Bianchi morivano di fame se stavano appiccicati ai forti, che gli agenti rubavano i viveri che sarebbero spettati a loro, e che, se i mercanti venivano mandati via, i bambini indiani non avrebbero più avuto di che nutrirsi. «Barba Bianca è troppo assetato di sangue per fare il capo dei soldati: quando è in collera uccide chi non può difendersi», gli aveva detto Costole d'Orso. «Quando i Bianchi uccisero mio fratello, anche il mio cuore era cattivo; ma io sono un capo e devo pensare al mio popolo. Cercai di non pensare a me anche quella volta ». Harney, sentendosi dire quelle cose, era diventato di brace e aveva ammesso che al Piatte aveva perso la testa e aveva assalito i primi Indiani che aveva trovato. Ah, pur sapendo che erano gli Indiani di Piccolo Tuono suo amico!, avevano detto i capi fra i denti perché nessuno potesse accorgersi di chi aveva pronunciato quelle parole. Era veramente criminale affidare la grande potenza dei cannoni a mani come le sue! Ma sebbene Costole d'Orso avesse avuto la possibilità di dire le cose come stavano, la situazione restò quella di prima. Il trattato era identico al primo che era stato letto agli Indiani: essi lasciarono che le cose che diceva si attuassero, sapendo che i fucili dei soldati erano puntati su di loro e sulla loro gente prigioniera. La sera i capi si riunivano a consiglio senza attirare troppo l'attenzione, e quando finalmente i prigionieri dell'Acqua Azzurra vennero liberati e le truppe si sparpagliarono di nuovo, venne mandata una pipa di villaggio in villaggio. Non era una pipa di guerra ma una più grande: la grande pipa del consiglio dei Teton, che venne mandata in giro per annunciare la grande adunanza che si sarebbe tenuta alle propaggini set120
tentrionali dei Black Hills, presso il Colle dell'Orso (Bear Butte), dodici lune dopo l'estate successiva, nell'anno 1857 secondo i Bianchi. Così quell'inverno venne chiamato « Barba Bianca non Cede ». Alla fine del settembre successivo, la Luna in cui ai Vitelli Cresce il Pelo, Coda Chiazzata e gli altri tornarono dal luogo chiamato Leavenworth, dove erano stati prigionieri. Il capo dei soldati fece adunare la gente a Laramie perché udisse le parole che inviava il Grande Padre. I pochissimi che risposero all'invito erano quasi tutti parenti dei prigionieri liberati o gente che viveva nei pressi del forte, perché per gli altri era il tempo di fare la provvista autunnale di carne e nessuno credeva che i guerrieri prigionieri venissero liberati. Alcuni soldati avevano detto che uno si era suicidato in carcere... Non avrebbero detto la stessa cosa anche degli altri? Ma i Brulés prigionieri tornarono, e la notizia si diffuse velocemente per gli accampamenti autunnali degli Oglala, con molti particolari che li riguardavano uno per uno. « Sono partiti guerrieri, e sono tornati grassi e mosci come Grosse Pance », dicevano quelli che li avevano visti. Era pure vero che uno non era tornato. A quanto si diceva, Coda Chiazzata e Foglia Rossa indossavano la camicia blu dei soldati e ascoltavano buoni buoni le parole del Grande Padre, il quale diceva che quando un Bianco uccide uno che non gli ha fatto niente, gli legano una corda al collo e lo appendono a un albero; diceva che a quegli Indiani si sarebbe potuto fare altrettanto perché avevano ucciso dei Bianchi che non avevano fatto niente contro di loro. Il Grande Padre era molto potente e poteva mandare molti soldati, tanti da impiccare tutti gli Indiani cattivi; ma il Grande Spirito gli aveva detto di aver pietà di quei figli rossi che si erano pentiti e che avevano promesso che non avrebbero più ucciso né rubato. Così ora non avevano più le catene ai piedi, potevano tornare a casa e dire a tutta la loro gente di rigar dritto, perché il Grande Padre non sarebbe stato sempre così generoso. Erano parole buone, pensarono molti, compresi coloro 121
che speravano in un ritorno dei vecchi tempi, quando i carri dei mercanti giungevano agli accampamenti pieni di merci che potevano nascondere un barile di whisky, e si banchettava a base di ghiottonerie e si facevano regali ai capi. Altri però (e non solo i giovani e focosi guerrieri) si domandarono chi doveva punire i Bianchi per aver ucciso gli Indiani che non avevano fatto alcun male a nessuno. Dopo le cacce autunnali, quando gli orsi diventavano grassi e sonnacchiosi, gli Oglala scesero ai Rawhide Buttes (Colli del Cuoio Crudo) dove era stata provvisoriamente organizzata un'agenzia per la distribuzione dei loro viveri. Pochi avevano creduto che ci sarebbe stata ancora una distribuzione: molti quindi si sentirono animati dai migliori sentimenti. Li contrariò solo il fatto che i Brùlés scacciati per avere i viveri fossero dovuti andare dalla loro gente sul fiume White Earth. Ricciuto e suo fratello andarono con loro. Il giovane Piccolo Falco aveva ormai tredici anni: coraggioso fino a rasentare l'incoscienza, procurava molte notti insonni a sua madre. Tre volte l'avevano cacciato da adunanze di guerra e una volta, per seguire tracce di Minneconjou, era finito in mezzo ai Crow. Si era nascosto ma i nemici lo avevano scoperto e assalito. I guerrieri erano riusciti a respingerli, però dopo avevano picchiato il ragazzo con gli archi. Lui se la rideva, perché tanto non potevano costringerlo a tornare a casa, ché avrebbe dovuto attraversare da solo il territorio nemico. Così era tornato con tre cavalli crow e con grandi cose da raccontare a quelli che non si staccavano mai dalle tende. Nell'accampamento brulé i ragazzi videro Bordeaux con i suoi carri del Fiume Rosso a due ruote. Faceva affari come ai vecchi tempi. Ricciuto ne fu sorpreso: si sentì rispondere che ai legislatori del Grande Padre non piaceva il trattato di Barba Bianca, perciò tutto era tornato come prima. Ma la gente non era più come prima. Ricciuto se ne accorgeva: turbati e ansiosi, sedevano in circolo e non facevano che parlare, parlare, mentre c'era tanto da fare con l'inverno in arrivo. E quelli che avrebbero dovuto guida122
re gli altri erano anch'essi prigionieri di quella rete di parole, simile alla rete di tendini che i pesci non vedono in acqua. Piccolo Tuono aveva perduto molto del suo ascendente dopo la battaglia sull'Acqua Azzurra; Guscio di Ferro era amaro come salvia in polvere, e i più giovani facevano discorsi strani, rassegnati. Ricciuto ne sentiva ovunque, perfino nella tenda di Coda Chiazzata. Suo zio parlava di molti, molti Bianchi sulla terra, e diceva che i soldati erano densi come le nuvole di cavallette negli anni cattivi. « È inutile combattere; sono troppi. Dobbiamo mantenere la pace », diceva. Cose simili doveva sentire Ricciuto dal suo posto nel retro della tenda, lontano dal fuoco centrale, ed egli ricordava che l'uomo che le diceva aveva buttato giù da cavallo tredici soldati con una delle loro sciabole. Forse avevano ragione Gobba e Cavallo Pazzo: bisognava attendere che Coda Chiazzata a forza di sudate smaltisse il grasso che aveva accumulato mangiando il cibo dei soldati e ritrovasse il cuore che era suo. Era brutto vedere e sentire un grande uomo ridotto in quello stato: appena potè, il giovane Oglala sgusciò via e andò alla capanna di salice sotto la quale dormivano lui e suo fratello. « Domani torniamo a casa », disse. « Hoye! », disse l'altro, d'accordo, con l'accento dei suoi parenti minneconjou. Era pronto a partire: l'accampamento brulé era come la tenda di un vecchio in cui non viveva più alcun guerriero. Per tutto l'anno i Lakota avevano saputo dei problemi che i soldati creavano ai Cheyenne, malgrado questi avessero tenuto a freno i guerrieri quando avrebbero avuto motivo di scatenarsi per il ritardo con cui giungevano i viveri, per i fatti di Grattan e dell'Acqua Azzurra. Un bel giorno i soldati di Ponte di Richard, a monte di Laramie, ordinarono ai Cheyenne di consegnare quattro cavalli che alcuni emigranti affermavano che gli erano stati rubati. I Cheyenne ne consegnarono tre; Piccolo Lupo disse che il quarto cavallo era suo da molto tempo, molto 123
prima che gli emigranti arrivassero con quei loro dannatissimi carri sulla via che dicevano sacra. « Se cediamo quel che è nostro ogni volta che gli emigranti dicono che è loro, non ci resterà più niente », disse. E quando i soldati tentarono di imprigionare i Cheyenne che erano stati chiamati a discutere, il popolo fuggì senza neppure smontare le tende, ma Fuoco del Lupo fu catturato e un altro rimase ferito. Quella notte i guerrieri furibondi uccisero Garnier, il vecchio appostatore di trappole sposato a un'Oglala, un uomo che conoscevano da anni. Altre cose da pazzi successero in un posto chiamato Forte Kearny, alcune centinaia di chilometri a valle del Piatte. I Cheyenne di laggiù non sapevano nemmeno che i soldati stessero facendo la guerra, e i Bianchi uccisero sei Cheyenne; gli altri fuggirono per evitare guai peggiori abbandonando addirittura i cavalli. I parenti degli uccisi però si vendicarono su alcuni emigranti e allora i capi, dicendo che da tutte e due le parti c'erano dei giovani scervellati che erano causa di molti errori, condussero la loro gente a sud, al fiume Salomon, affinché stesse lontana dai soldati. Era veramente meglio tenere il popolo lontano dai Bianchi! I Cheyenne che avevano cercato di restare presso i forti, come il loro agente e gli ufficiali avevano chiesto, erano diventati un facile bersaglio quando i soldati avevano voluto sfogarsi con le sparatorie. « Strano modo di fare, questo dei capi bianchi. Hanno la bocca piena di discorsi sulla bontà e sui giovani che devono comportarsi bene... Davvero non c'è speranza di capirli! », disse Cavallo Pazzo. « Ahh-h! », convennero i Cheyenne che soggiornavano con gli Oglala. Dovevano andare ad aiutare la loro gente sul Salomon. Ricciuto andò con loro. Laggiù aveva dei parenti; poi molti Cheyenne erano diventati suoi amici dopo la notte in cui aveva trovato Donna Gialla sulla pista dei fuggitivi dall'Acqua Azzurra. In seguito aveva saputo che era una nipote di Ghiaccio, uno dei più validi uomini di medicina dei Cheyenne. 124
L'accampamento sul Salomon era situato in un buon punto, era accogliente e tenuto bene. Il giovane Lakota vi si trovò ottimamente, senza quegli sguardi e quelle parole che gli avversari suoi o della sua famiglia gli rivolgevano nell'accampamento oglala, per lo più figli di Bighelloni, come Carino e i suoi amici. Lì era un ospite. Alle danze, le ragazze, timide, osavano appena guardare dalla sua parte (e così dovevano fare); ma quando suonavano i tamburi ed egli andava verso di loro, si vedeva sempre bene accetto. In quella regione meridionale trovò molte cose, piante e animali, che egli vedeva allora per la prima volta; perfino i venti e le nuvole gli apparivano diversi. Si faceva buona caccia anche quando altrove non era più la stagione adatta, e Ricciuto prese molti di quei volatili che i figli dei mercanti chiamavano tacchini selvatici: a nord era raro vederli, e arrosto erano molto buoni. Non gelò e anche a inverno inoltrato si potè correre a cavallo. Quando finalmente scese la neve, i Cheyenne occuparono il tempo con belle gare di vario genere, talune di velocità. Lo convinsero perfino a cimentarsi in quella degli snow snakes e gli insegnarono come mandare i « serpenti » raso terra: alla fine era diventato così bravo che molti lo volevano nella loro squadra, forse non tanto per la potenza del braccio quanto per la mira buona. Là trovò che gli piaceva stare assieme agli altri perché nessuno faceva caso (o almeno non lo dava a vedere), ai suoi capelli e alla sua pelle chiara, e nessuno trovava strano che fosse di poche parole. Se gli capitava di provare nostalgia per la sua tribù, Donna Gialla lo invitava tramite i suoi fratelli alla grande tenda ospitale in cui essi abitavano, oppure andava da lui lei stessa: una Cheyenne godeva di maggiore libertà di una Lakota. Ricciuto sapeva che poche donne della sua gente erano state guerriere, e che raramente una aveva preso parte alla danza del sole; invece quasi ogni banda cheyenne contava almeno un paio di donne che partecipavano alle cerimonie sacre, che avevano contato i colpi rituali o che avevano portato via dal campo di battaglia un fratello ferito o un suo amico. Qualche volta, al contrario, avevano 125
riportato nella mischia un guerriero del gruppo di Cane Pazzo che si era trovato in difficoltà ed era fuggito. Un tale guerriero aveva giurato di non ritirarsi mai e doveva morire in battaglia se il combattimento si metteva male per lui. Esse infatti avevano temuto che qualcuno osasse intervenire strappandogli via la corda con cui ogni guerriero si cinge, come simbolo del suo onore. Molto più delle Lakota, le ragazze cheyenne andavano in giro senza una vecchia che le accompagnasse, mettendo sempre, naturalmente, la corda d'obbligo, come Ghiaccio, l'uomo di medicina, aveva spiegato a Ricciuto. Il ragazzo sapeva che anche la maggior parte delle donne della sua tribù la portava quando i mariti erano via o se non erano sposate, e l'uomo che violava il significato della corda veniva punito, di solito scacciandolo dall'accampamento. Talvolta non era più necessario punirlo, perché la donna era ricorsa al coltello da carne, in modo che l'uomo non potesse mai più infastidire una donna. Qualcosa del genere si diceva che fosse accaduto al vecchio Piccolo Tasso che viveva da solo ai margini dell'accampamento di Uomo della Paura, compatito da tutti quelli che sapevano ciò che aveva fatto. I Cheyenne potevano fare a pezzi e disperdere le ossa di un uomo che infrangesse il significato di quella corda. Ma fatti simili avvenivano di rado, come Ghiaccio aveva detto a Ricciuto. Erano buoni cacciatori e guerrieri coraggiosi; cominciavano presto a contare i colpi rituali e perciò potevano sposarsi presto, il che è la cosa migliore per tutti, eccetto per quelli che sono destinati alle cose sacre, come Naso Aquilino, per esempio. Sembrava veramente un buon sistema, pensava Ricciuto guardando le donne e le giovanette incedere disinvolte e fiere come guerrieri nell'accampamento primaverile dei Cheyenne. A lui piacevano così, e spesso verso sera andava a sedersi sulla coperta presso il sentiero che portava all'acqua: assieme ai compagni aspettava un saluto, una parola amichevole dalle donne che vi passavano. « Ancora qualche anno perché tu metta carne intorno alle costole », gli disse Ghiaccio, « e faremo di te un buon 126
Cheyenne... », intendendo con ciò che gli avrebbero dato in moglie una delle loro belle giovani. Il ragazzo rise, non vedendo la necessità di diventare più grosso. Quell'inverno sul Salomon l'aveva reso largo e lungo. Quando per le prime cacce arrivarono alcuni giovani Lakota assieme al figlio di Uomo della Paura, lo guardarono sorpresi e vollero fare a lotta con lui per vedere quant'era forte. Ora Ricciuto vinceva più di frequente, non li batteva più soltanto in agilità, scaltrezza e prontezza di riflessi: era diventato anche forte, di quella forza che viene non solo dal coraggio, o dal cuore, ma anche da nervi elastici e resistenti come cuoio crudo. Ma con l'estate un senso di malessere e di irrequietezza pervase l'accampamento: la gente sembrava diventata come i cavalli prima di un temporale. I soldati erano sempre più numerosi sul territorio indiano e sparavano su tutti quelli che trovavano. Fuoco del Lupo, il Cheyenne fatto prigioniero a Ponte di Richard per la faccenda del quarto cavallo, era morto per la tosse e per i ferri alle gambe, sebbene l'agente avesse fatto il possibile per ridargli la libertà di andare a morire dai suoi. Quando alcuni famigliari erano andati a chiedere il suo corpo, erano stati cacciati a schioppettate. I Bianchi volevano proprio la guerra. Ma Ghiaccio e Buio, i due migliori uomini di medicina dell'accampamento, rivolsero al popolo parole di conforto: dissero che potevano salvarsi. Come tutti sapevano, a uccidere erano le palle di piombo che volavano via dai fucili. Ebbene, a tutti coloro che lo desideravano, sarebbe stato dato il potere di fermarle. Così il popolo si adunò e i due sacerdoti celebrarono alcuni antichi riti cheyenne che servivano a infondere coraggio e forza. Ricciuto vide che erano efficaci e che tutto veniva fatto bene, non trascurando nessun particolare. Il popolo seguiva attentamente, bramoso di ricevere il sacro aiuto. Dopo un poco parve davvero che i danzatori si trasferissero in un altro mondo; quindi i suonatori di tamburo, gli aiutanti e il popolo si amalgamarono in un'unica forza. Infine, in unità con i cerchi della terra e del cielo che li contenevano, diventarono 127
un tutto sacro, così come molti piccoli fiumi confluiti in un fiume grande non sono più distinguibili. Poi i due uomini di medicina, dipinti e vestiti ognuno secondo la sua maniera, condussero il popolo a un piccolo lago. Sotto gli occhi di tutti vi immersero le mani accompagnando l'atto con canti e gesti rituali. Chiamarono un guerriero e gli ordinarono di sparare. Egli obbedì e sparò da molto vicino contro le mani alzate di uno e poi contro quelle dell'altro; ma nessuno dei due fu ferito. Vedendo ciò, un trillo di esultanza uscì dalla gola delle donne e quando i due sacerdoti raccolsero i pallini di piombo dalle pieghe delle loro vesti, tutto il popolo, i guerrieri e gli altri, innalzarono inni di lode e di ringraziamento. Poi tutti tornarono al villaggio a banchettare e danzare. Adesso venissero pure i soldati! Ricciuto, dopo aver assistito a tutti questi sacri eventi, si recò da solo sulle colline. Rimase a lungo seduto, avvolto nella coperta, anche quando vide l'accampamento sotto di lui diventare di un rosso acceso alla luce del gran fuoco centrale attorno al quale si muovevano come ombre scure i danzatori; i tamburi erano come lo scalpitare di innumerevoli cavalli in corsa su un terreno che suonava vuoto. Egli pensava ai riti cheyenne cui aveva appena assistito e a quel popolo invaso da una forza che sembrava venire dalla terra e dall'aria. Ah, se questo si potesse portare ad altri, ai Lakota... Ah, se si potesse trasformare il grande cerchio dei Teton Lakota come si erano trasformati i Cheyenne quel giorno: un solo corpo, un unico cuore pulsante! Ma accendere una tale fiamma, scatenare una tale forza, era una cosa che spaventava anche l'uomo più forte. Non si poteva fare niente se i fiumiciattoli non univano la loro potenza, perché senza di loro non era possibile formare un grande fiume. L'indomani, sarebbe partito, sarebbe tornato dagli Oglala e da suo padre, perché la sua visione (anche se fosse stata giudicata di poco conto) diventasse parte del mondo reale che lo circondava, e a tutti si facesse palese, e forse altri seguissero il suo esempio. Ma all'alba Ricciuto si sentì meno sicuro di sé; inoltre i fratelli di Donna Gialla si preparavano a partire per una 128
caccia alle antilopi (caccia che per i Cheyenne consisteva nel sospingere gli animali verso un precipizio per farveli cadere).1 Tornati dalla caccia, Ricciuto ebbe altre cose da fare. Quando finalmente fu pronto a partire, si era già quasi alla fine della Luna in cui le Ciliegie Diventano Rosse (luglio) e al Salomon giunsero cattive notizie, portate da varie famiglie di Cheyenne che fuggivano dal nord: i Cheyenne stavano uccidendo emigranti e soldati a centinaia. Il figlio di un mercante che si trovava all'accampamento lesse ai capi il foglio dell'uomo bianco e lo tradusse in parole che essi potessero capire. Ma nessuno riuscì a capire nulla di quella storia di massacri né delle altre notizie di rapine compiute dai Cheyenne lungo la Via Sacra. Nessuno di loro era più stato da quelle parti dall'epoca dei disordini di Forte Kearny. Era sicuramente un pretesto per uccidere altre donne e bambini. Forse, però, c'era del vero, perché non lontano i nuovi venuti avevano visto dei soldati, e la mattina dopo le vedette riferirono che uno squadrone avanzava di gran carriera verso l'accampamento. Allora gli uomini di medicina condussero al lago i guerrieri cheyenne e gli ospiti lakota (Ricciuto, Giovane Uomo della Paura e gli altri) e ripeterono il rito che li rendeva immuni dai proiettili. Dopo che tutti ebbero immerso le mani nell'acqua, andarono a schierarsi in ordine di battaglia tra il fiume e le alture. Attesero, disarmati, i più valorosi guerrieri cheyenne in prima linea e, molto più indietro, i più giovani, affiancati dai giovani Lakota. I soldati a cavallo arrivarono come avevano detto le vedette, al galoppo, divisi in tre lunghe colonne; le ruote dei cannoni, dietro a loro, sollevavano la polvere della prateria. Dietro ai cannoni venivano i soldati a piedi, molti soldati a piedi, e questi non sarebbero potuti sfuggire: sarebbe stata una gran bella battaglia, con molti colpi rituali per tutti. Quando la cavalleria giunse a una distanza conveniente, le tre file si saldarono e formarono un'unica, ampia riga 1 Gambe di Legno (op. cit., p. 78) descrive brevemente una caccia di questo tipo (N.d.T.).
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in movimento. Allora gli Indiani mossero adagio incontro ai Bianchi, cantando i canti del coraggio. I soldati puntarono i fucili e i guerrieri alzarono le mani per fermare i proiettili di piómbo, sicuri che li avrebbero fatti cadere a terra come sassetti. In quel momento accadde qualcosa. Invece degli spari, si udirono rimbalzare ordini da diverse parti e squilli di tromba. I Bianchi stavano facendo qualcosa con i fucili; sfoderarono i lunghi coltelli, che balenarono al sole. Puntandoli dritti in avanti, i soldati caricarono gli Indiani. Un guerriero venne disarcionato e trapassato dalla sciabola; la fila di guerrieri dietro a lui si ruppe, e i Cheyenne non poterono far altro che fuggire in tutte le direzioni non avendo né un fucile carico né una freccia all'arco. Ricciuto dovette fare più di dieci chilometri per sfuggire ai soldati. I cavalli erano freschi, allenati dall'ultima caccia, e i soldati non poterono raggiungerli. I Cheyenne lasciarono quattro morti sul terreno, quattro valorosi di nulla colpevoli. Le donne fuggirono dall'accampamento lasciando montate le tende e portandosi dietro solo qualche fagotto. Corsero verso sud. Quando si voltarono indietro, videro il fumo nero che si alzava dal loro villaggio incendiato. Appena poterono, i giovani Lakota partirono per il nord. Sostarono alla tenda di Orso Lesto il tempo di bere del caffè e di raccontare la disgrazia dei Cheyenne. Ricciuto stette seduto nella penombra del retro della tenda e non disse nulla. Tre volte in quattro anni aveva visto distruggere un accampamento indiano: e ogni volta erano andate perdute le tende e molti altri beni. Questa volta aveva assistito al fallimento di una potente medicina, e non si spiegava come. Forse qualcuno era andato a dire alle guide indiane del capo dei soldati che i Cheyenne avevano trovato il modo di proteggersi dai fucili. Ricciuto ora sapeva che erano stati alcuni Brulés a dire a Barba Bianca dov'era l'accampamento di Piccolo Tuono, e che era stato quel Tesson, imparentato con i Lakota, a condurli là... Era sempre qualcuno del suo popolo ad aiutare i soldati. La mattina successiva Ricciuto parti per il nord, diretto al Colle dell'Orso, dove si doveva tenere il Grande Con130
siglio. Là le sette tribù dei Teton Lakota stavano già raccogliendosi in un unico grande cerchio che appariva ampio come l'orizzonte; per le mandrie di cavalli che vi pascolavano, le alture sembravano nere come i Pa Sapa, i Black Hills, che si stagliavano oltre le propaggini collinose; i guerrieri formavano come una foresta di innumerevoli alberi alti e diritti. I Lakota si guardavano intorno e si gonfiava loro il petto alla vista di tutta la loro forza riunita. Avevano ceduto troppo facilmente; forti com'erano, avevano lasciato morire le donne e i bambini sotto i colpi di cannone e di fucile dei Bianchi penetrati fin negli accampamenti; i loro amici, i Cheyenne, erano morti a piccoli gruppi perché erano pochi e nessuno li aiutava. Presto anche lì sarebbe stato come all'est, dove i Bianchi stavano già premendo e avevano passato il Missouri e chiudevano gli Indiani nelle agenzie (fazzoletti di terra, grandi quanto un'isola in mezzo a un grande lago, da cui nessuno poteva uscire quando gli piaceva né per andare a caccia né per andare a trovare un parente). Qualche capo lakota era arrivato fino al grande centro commerciale che si chiamava St. Louis. E si sapeva qual era stato il destino dei Pottawatomi, dei Delaware e degli altri, che erano stati allontanati dalle proprie case e rinchiusi entro le case di tronchi dell'uomo bianco, da cui era vietato uscire. Si sapeva qual era stata la fine dei Kaw, degli Oto e delle altre tribù del Missouri: ridotti alla miseria, non trovavano più selvaggina perché non ce n'era più, e il veleno dei Bianchi, il whisky, sommergeva i villaggi come le alluvioni di primavera: per un boccale di liquido ardente, quegli Indiani davano via perfino le acconciature di guerra e gli oggetti sacri. Venne dunque eretta una tenda da consiglio grande il doppio di una normale. Era fatta di molte pelli dipinte, cucite insieme a ricoprire un certo numero di pali ricavati dagli alti cedri dei Black Hills. Quando si furono riuniti tutti i capi, venne riempita la grande pipa dei Teton e cominciò la lunga fumata. Nell'enorme accampamento si svolsero danze, banchetti e corteggiamenti. Vi furono molti scambi di visite e 131
conversazioni e occasioni di avere notizie di persone note a tutti i Teton fin dal tempo dei primi commerci sul Missouri, e notizie di quelli che erano rimasti uccisi nelle battaglie contro i soldati. Per la prima volta Ricciuto vide i grandi Lakota settentrionali di cui aveva sentito parlare attorno al fuoco d'inverno: il vecchio Hunkpapa Quattro Corni e il guerriero suo nipote, Toro Seduto; Mandan Lungo dei Due Marmitte; Penna di Corvo dei Sans Arcs. Paragonati a questi, alcuni Lakota meridionali apparivano ancora grandi al giovane Oglala: il capo oglala, Uomo della Paura; Un Corno del Nord, il Minneconjou; e quelli che, pur non essendo ancora grandi, lo stavano diventando, come Nuvola Rossa, e il figlio guerriero di Un Corno, Tocca le Nuvole, che era alto più di due metri. E c'era anche Coda Chiazzata: tutti sapevano che il coraggio non gli mancava anche se adesso sembrava uno sceso redivivo dal palco funebre, invecchiato, più calmo, e anche qui sostenitore della pace, ma solo perché i Bianchi erano così numerosi... Questi uomini si muovevano tranquilli per il grande accampamento, e Ricciuto gonfiava il petto per loro, fiero anche perché in mezzo ai Teton riuniti il suo amico Gobba era un forte tra i forti. C'era un'altra cosa che Ricciuto e altri con molti più anni di lui non avevano mai visto prima: i sette grandi accampamenti dei Teton tutti insieme. Oglala, Brulés, Minneconjou, Sans Arcs, Piedineri, Due Marmitte e Hunkpapa: tutti entro il sacro cerchio. Era veramente come Cavallo Pazzo aveva detto al figlio. Come gli Hunkpatila costituivano una delle sette bande oglala, così gli Oglala formavano una delle sette tribù dei Teton; e quello di tutti i Teton non era che uno dei sette grandi fuochi da consiglio della nazione Lakota. Il ragazzo sentiva di essere parte di qualcosa di sacro quando pensava a quel numero sacro (il sette) che si ripeteva: sette bande in un cerchio (Oglala), che era uno dei sette di un cerchio maggiore (Teton), che era uno dei sette dell'ancor più grande cerchio che li conteneva tutti (Lakota). Ahh-h, guardate: i Lakota sono ancora come ai loro 132
giorni migliori!, diceva ognuno mentre i capi uscivano in lunga fila dall'ultima adunanza, insieme, a passi decisi sulla terra che era loro. Avevano fatto il patto di resistere a ogni penetrazione di Bianchi in terra teton. Si sarebbero procurati fucili e polveri; sarebbero stati uniti, perché erano molti. Ricciuto li vide e gli diedero quella sensazione di potenza che aveva provato quando aveva visto per la prima volta, dall'alto, il grande accampamento. I Bianchi potevano essere così numerosi come affermava suo zio, ma un giorno i Lakota si sarebbero levati come una nuvola temporalesca accumulatasi sui Black Hills, e riversandosi sulle pianure avrebbero fatto tremare tutta la terra fino alle acque torbide del Missouri. Forse lui, che veniva ancora chiamato col nome d'infanzia, Ricciuto, sarebbe vissuto abbastanza per vedere quel giorno.
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6.
IL CANTO DI UN NOME BUONO
Quando le prime ghiandaie di montagna formarono uno stormo chiassoso e volarono verso sud, il Grande Consiglio si sciolse e cominciarono le partenze dal Colle dell'Orso. Per primi si avviarono gli Oglala e i Brulés della regione dell'alto Piatte: fecero mezzo giro attorno ai Black Hills, poi si diressero a ovest, per separarsi più tardi a qualche biforcazione della pista da tregge, oppure rimanere uniti negli accampamenti invernali. Quindi partirono i Due Marmitte e i Sans Arcs, i Piedineri e gli Hunkpapa, finché rimasero nel sacro luogo solo i pali della grande tenda che una bufera di neve ancora lontana avrebbe fatto cadere e restituito alla terra che li aveva generati. Cavallo Pazzo e il figlio primogenito viaggiarono da soli senza seguire piste. Ognuno conduceva un cavallo carico, e varie volte il padre sostò a fumare e meditare: il figlio gli rimaneva accanto, tranquillo. Infine scelse un alto monte e, quando giunsero in vetta, vide che era proprio come desiderava: di lassù si dominava tutta una regione che per miglia e miglia si offriva al sole come il fianco di un cavallo pezzato, mentre ai piedi della montagna, proprio sotto di loro, si estendeva una piccola valle, riparata, punteggiata di alberi, solcata da un corso d'acqua. Lassù il sacerdote lakota si sedette e fece una lunga fumata. E fumando tornò con la memoria alle molte cose che gli ricordava quel monte e alla sua giovane moglie brulée che prima di morire gli aveva dato due figli, figli che sembravano diversi da quelli di tutti gli altri Oglala, particolarmente il maggiore che era lì con lui, nei cui occhi e nella cui indole egli, che non solo gli era padre ma era anche sacerdote, aveva da tempo intravisto i segni di un'elezione al sacro. Da vari anni attendeva che il figlio gli parlasse di quel che aveva in 134
animo e ora, parendogli tempo che il figlio si decidesse, altrimenti avrebbe perso il potere, l'aveva portato lassù: perché colui che non si serve del potere che gli viene in giovane età è come un albero che al momento di mettere le foglie resta spoglio. Quando il padre ebbe finito di fumare, pulì minuziosamente la pipa e la ripose nella borsa ornata di perline e di quattro frangiature di crini chiari presi da un cavallo simile a quello della visione in cui egli aveva ricevuto i suoi poteri sciamanici. Venivano dalla criniera di una giumenta saura allo stato brado che per molto tempo e con grande astuzia era riuscita a sfuggire agli accalappiatori di cavalli selvatici e a portare la sua mandria alle Bad Lands (Terre Cattive). Ma un inverno in cui era caduta molta neve, Cavallo Pazzo l'aveva inseguita fino a sfiancarla. Le aveva tagliato solo quella parte della criniera che ricade tra un occhio e l'altro, perché in quel punto sta il potere di vedere oltre il presente. In seguito non era mai stata molto docile ai carichi e alle tregge, ma gli aveva dato dei puledri, e sempre vivi, anche negli anni in cui nessun'altra cavalla ne aveva messi al mondo. Quando era morta la sua giovane moglie, egli era andato a prendere la saura dalla mandria e l'aveva uccisa con un colpo vicino al palco funebre. Gli era sembrato una cosa buona che la madre dei suoi figli avesse accanto a sé la fiera giumenta rossa. In pensoso raccoglimento, il padre lisciò la frangia della borsa da pipa per raccogliere la saggezza con cui doveva parlare al figlio. Infine incominciò. Là, in un punto della valletta sottostante, era il luogo dove Ricciuto era venuto alla luce del sole in un giorno d'autunno come quello. Erano tempi pessimi per i Lakota del fiume della Conchiglia e per tutti i loro parenti. I Brulés erano impazziti a causa del whisky; le tende erano vecchie e strappate perché le pelli nuove, trasformate in manti, venivano vendute in cambio del liquido ardente; i bambini pativano la fame perché nessuno voleva andare abbastanza lontano da garantirsi una buona caccia. Molti giovani Brulés erano morti; altri, come Coda Chiazzata, avevano giurato di non toccare mai più il whisky. Gli Oglala 135
vivevano giorni anche peggiori: erano dilaniati da frequenti dissidi e da scontri armati, e la terra si arrossava del sangue dei fratelli. Da allora non c'era più stato nessuno che avesse avuto la forza di tenerli uniti. Adesso non solo gli Oglala dovevano ritrovare l'antica compattezza, se volevano salvare se stessi e le loro terre, ma tutti i Teton, tutti, avrebbero dovuto unirsi e respingere i fucili e i regali dei Bianchi. « In qualche parte dovrà venir fuori un uomo giusto dai nostri giovani », disse Cavallo Pazzo al figlio. « Uno che non abbia partecipato alle antiche discordie. Non basterà che egli dica parole sagge se non potrà dare al popolo orecchie per sentire e cuore che lo tempri contro il potere che esercita sul popolo l'uomo bianco. Dovrà essere uno le cui grandi imprese siano di esempio ai giovani, grandi imprese in favore del popolo. Ci vorrà un uomo grande e grosso, un uomo molto forte, che il popolo veda ergersi al di sopra degli altri ». Questo disse il padre a Ricciuto il quale, poiché non riusciva a guardarlo in faccia, si alzò e si allontanò di qualche passo, fermandosi sul ciglio della vetta. Si strinse nella coperta e provò un misto di collera e di vergogna per non essere grande e grosso, come suo zio Coda Chiazzata per esempio, o come suo cugino, Tocca le Nuvole, che pareva un albero in mezzo agli altri guerrieri. Ma suo padre non aveva ancora finito. « Forza di braccio e di cuore, pur con tutta la saggezza desiderabile, non basterà », continuò. « Occorre che quest'uomo sia soccorso da una grande visione, tale che lo guidi dritto come la corda dell'arco manda dritta la freccia; occorre uno che raduni in sé tutti i poteri che sono nel popolo ». Il figlio guardò la pianura giallastra sotto di lui: ora si estendeva vasta e vuota come l'intera terra, e davanti a essa egli si sentì davvero piccolo e debole, con il cuore come neve sciolta. Suo padre se ne accorse e gli andò vicino. « È vero che adesso ci vorrà un grande uomo per la salvezza del popolo », mormorò, come parlando a se stesso, « un grandissimo uomo, e molti avranno invidia di lui, molti vorranno la sua morte... ». 136
Ricciuto ancora non rispondeva. Alzò lentamente il volto dall'ossatura minuta, dai lineamenti affilati, e puntò gli occhi all'estremo limite della pianura immersa nelle ombre autunnali, al limite in cui cielo e terra s'incontrano - cielo, terra e tutto quel che vi sta in mezzo - e a un tratto sentì che ne faceva parte, che era parte di tutte le cose che esistono. Via via che ne prendeva coscienza, sentì il potere invadergli il petto. Il ragazzo si voltò, lasciò cadere la coperta e stette dritto davanti a suo padre, come in attesa. Costruirono allora una capanna sudatoria sulla sponda del torrente, digiunarono, e sudando si purificarono. Poi ripresero la conversazione e Ricciuto raccontò tutto quel che potè della sua visione. Dapprima gli si presentò alla memoria sbiadita come un vecchio sogno, annebbiata dalla dimenticanza, ma nel vapore scottante della capanna sudatoria divenne molto più chiara, addirittura più chiara di come l'aveva avuta quando era seduto sotto il pioppo, dopo averla attesa a lungo sul monte, il giorno prima che morisse Orso che Conquista. E così trovò le parole per narrarla, tenendo però per sé quel che, a suo giudizio, l'uomo della visione non avrebbe raccontato: le cose che avrebbero arrecato dolore anzitempo. Raccontò dunque al padre che, spiando tra le gambe di Gobba, aveva visto il capo mortovivo e poi era fuggito sul monte. Sulla vetta cosparsa di ghiaia aveva digiunato e atteso a lungo, aveva lottato per non farsi prendere dal sonno. Gli disse della sensazione di non essere adatto a ricevere una visione, dal momento che nulla giungeva a lui, né una visione né alcunché di vivente. Allora aveva rinunciato ed era tornato al luogo ove aveva lasciato pascolare il cavallo. Gli doleva molto il ventre e gli pareva che tutta la terra gli tremasse attorno. Temendo di cadere da cavallo, aveva aspettato che il malessere passasse, all'ombra del pioppo. Doveva aver dormito perché, incapace di resistere, si era come abbandonato. Quasi subito, aveva visto il suo cavallo legato alla pastoia venire verso di lui, il collo dritto, le zampe libere. Un uomo lo cavalcava, proteso in avan137
ti, e solo la frangia dei mocassini gli ondeggiava nella cavalcata. Non si trattava di questo mondo, che tutti conoscono, ma del mondo reale che sta dietro questo: c'erano il cielo e gli alberi e l'erba mossa dal vento ma tutto avveniva per una legge arcana, in modo sacro. Poi il cavallo montato da quel cavaliere si era mutato in un baio, quindi in uno pezzato di giallo, e via via in altri colori. E sempre sembrava così leggero da galleggiare quasi, e anche il cavaliere era leggero. Indossava dei semplici calzoni blu e una casacca di pelle bianca; non aveva pitture ma un'unica penna fra i capelli castani, sciolti, lunghi fino ai fianchi. Lo scalpo era ornato da qualche perlina e dietro l'orecchio si vedeva che aveva legata una pietruzza marrone. Parlava senza emettere suoni, ma egli, Ricciuto, lo udiva distintamente: diceva cose che non hanno parole. Durante l'intera visione ombre nemiche si affollarono davanti all'uomo, ma egli spingeva il cavallo nel fitto della schiera e tutt'intorno a lui vorticavano delle scie, come frecce o palle di piombo, che però dileguavano sempre prima di colpirlo. Varie volte parve esser trattenuto, quasi immobilizzato, forse da qualcuno della sua gente che da dietro gli afferrava le braccia; ma ogni volta se ne liberava e continuava a cavalcare, mentre alle sue spalle avanzava una nube temporalesca e il tuono era nell'aria. Sul collo dell'uomo aveva visto una breve linea a zigzag che sembrava una folgore, mentre sul corpo, ora coperto solo dal perizoma, la grandine aveva fatto come delle ammaccature. Scomparse queste assieme al temporale, egli continuava a cavalcare e la gente gli si stringeva intorno facendo un grande rumore - alcuni cercavano in ogni modo di afferrarlo mentre sopra la testa gli volava il falchetto dal dorso rosso facendo il suo killy-killy. Ricciuto si interruppe. Suo padre gli disse di proseguire la narrazione ed egli rispose che aveva finito: l'uomo era scomparso e con lui tutto ciò che apparteneva all'altro mondo. Là nella valletta, presso il pioppo, il suo cavallo stava sempre pascolando e impacciato dalla pastoia si muoveva lentamente; posato su un cardo, che si piegava sotto il suo peso, un falchetto dal dorso rosso faceva killy-killy, da138
vanti a lui stavano Gobba e suo padre che lo guardavano spazientiti. Cavallo Pazzo, il sacerdote degli Oglala, stette a lungo in silenzio a meditare su quel che aveva udito. Finalmente parlò al figlio: «Hau! È come vidi quel giorno. Ti è stata data una grande visione e non potrai allontanarne il peso da te. L'uomo sul cavallo è ciò che tu devi diventare... Non hai visto i suoi capelli, così lunghi e chiari... e come pensava...? ». Sì, come pensava... Doveva essere lui, ora Ricciuto se ne rendeva conto, perché sapeva i pensieri dell'uomo senza udir parola. Proprio così, convenne il padre, e quando Ricciuto fosse andato in battaglia avrebbe dovuto soltanto pensare a quella visione per essere come quell'uomo, indenne in mezzo al fuoco nemico. Avrebbe dovuto far sempre come lui: vestirsi come lui, come lui avere un falchetto sopra la testa e una pietruzza dietro l'orecchio. Come quell'uomo, avrebbe dovuto essere il primo in battaglia e il primo del suo popolo, anche se la strada gli fosse sembrata buia e pericolosa, incerta la scelta. Avrebbe avuto bisogno di molto senno e avrebbe dovuto fidare molto nel potere della sua visione, perché è solo dal monte altissimo della morte che si possono vedere tutti i fiumi correre al mare salato. Dopo lo scioglimento del Grande Consiglio dei Lakota al Colle dell'Orso, alcuni Minneconjou e Hunkpapa a caccia di bisonti a ovest dei Black Hills s'imbatterono in un capo di soldati alla testa di molti carri, che disse il suo nome, tenente Warren, e che attraversava quel territorio per conto del Grande Padre. I Lakota erano molto in collera e i guerrieri fremevano dalla voglia di uccidere tutti quei Bianchi. Costole d'Orso e gli altri capi riuscirono a tenerli a freno e dissero all'ufficiale di andarsene immediatamente e di dire a tutti di star lontani dal territorio indiano. Se presumevano che i viveri e le altre cose che distribuivano annualmente li compensassero della venuta dei Bianchi nelle loro terre, allora quelle merci non le volevano; e se le 139
distribuivano per far cessare le guerre contro i Crow, non le volevano lo stesso, perché le guerre sarebbero continuate. In tal modo i Lakota settentrionali diedero un'impressione di forza, ma gli Oglala erano privi di nerbo e molti di loro rimuginavano sulle quisquilie che turbavano i loro accampamenti. Il vecchio Fumo viveva all'ombra della città dei soldati assieme agli altri Bighelloni, ma la sua banda, che adesso si chiamava delle Facce Cattive, era a nord, vicino alle roccheforti del fiume Cheyenne, vicino agli Oyukhpe di Cane Rosso, ai Veri Oglala di Orso Seduto e agli Hunkpatila. Barba Bianca, stizzito per il comportamento indipendente di Uomo della Paura, aveva fatto capo di carta di tutti gli Oglala Brutta Ferita della gente Orso. Il vecchio Indiano aveva lasciato correre ma non aveva fatto il minimo tentativo per avvicinarsi ai consigli degli Oglala settentrionali; era invece andato a sud, da Piccola Ferita, figlio di Toro Orso, per andare a caccia assieme ai Brulés nella zona del fiume Republican su cui i Pawnee avanzavano ancora pretese. Altri soldati risalivano la Via Sacra, e non solo per dare addosso ai Cheyenne ma anche per combattere contro i Bianchi della regione del Lago Salato. Perciò i Mormoni che avevano costruito case e arato campi là dove il torrente Deer confluisce nel Piatte, erano fuggiti ancora più a ovest per unirsi agli altri Mormoni che già si erano insediati nei pressi del lago. Appena avevano sgombrato, il maggiore Twiss aveva trasferito in quel luogo l'agenzia e la sua giovane moglie oglala. Janis, il mercante, parlando con Uomo della Paura aveva riferito che gli ufficiali di Laramie erano molto in collera con l'agente a causa di ciò. Ma l'agente era stato a suo tempo capo di soldati e sapeva come farsi intendere. « Voi non potete fare i caporali con me! », aveva detto, ed essi lo avevano lasciato andare. Cavallo Pazzo e alcuni altri meditavano sulle parole di Janis. Avevano visto i soldati fare cose terribili, cose da pazzi, solo perché colui che essi chiamavano loro superiore le aveva ordinate. Ah, ma questo era diverso, aveva detto Janis. Il mag140
giore apparteneva a un'altra branca del governo, come a un'altra akicita o addirittura a un'altra banda. Forse che qualche Brulé o qualche Minneconjou veniva a dire a Uomo della Paura quel che doveva fare? Gli Indiani risero, e anche le donne che, sedute discoste dal fuoco dietro agli uomini, ammorbidivano a mano le pelli di cervo, con i bambini piccoli accanto. Come non ridere? Neppure il capo più grande di tutti poteva dare ordini a qualcuno! Ma era bello avere un agente come Twiss, dicevano i più vecchi fra un sibilare e l'altro delle loro pipe. Era bello che le razioni venissero annualmente distribuite vicino alle zone dei bisonti e che i mercanti portassero di nuovo agli accampamenti caffè e zollette, fucili e polveri, come ai vecchi tempi, prima che la Via Sacra dei Bianchi passasse in mezzo alle mandrie di bisonti come un coltello che tagli in due un bel manto di pelle. Hau! Ed era bello stare abbastanza lontano dai soldati, così che non potessero venire a controllare tutto quel che entrava, ogni cerchio di botte per fare punte di frecce od ogni manciata di polvere per i fucili. Anche Richard era tornato al ponte sul Piatte, e questo voleva dire buone coperte messicane e altre belle cose fatte dal popolo che viveva a sud. Sì, e anche un po' di whisky per i crampi al ventre. Come diceva sempre quel tracagnotto di Richard dai molti figli, nessuno era tanto forte da impedirgli di vendere quel che gli pareva. Non glielo avrebbe certo impedito il padre dai capelli bianchi che viveva sul torrente Deer e nemmeno il capo dei soldati sul Laramie. Durante l'inverno e la primavera, dunque, gli Oglala andarono alla ricerca di nuovi posti in cui accamparsi e ne trovarono lungo le sorgenti del Powder e del Belle Fourche. Cominciarono così ad andare a caccia in più stretta unione con i Minneconjou e con i Sans Arcs dei Black Hills, e con i Cheyenne settentrionali del Piatte superiore. Lassù la carne era grassa e negli accampamenti salivano i fumi dagli spiedi. Quei fumi avevano avvertito i Crow che era giunto il momento di fare quante più frecce potevano per141
ché erano arrivati gli Oglala, con molti uomini e senza nascondersi, questa volta. Il trattato di pace firmato al Grande Consiglio era stato dimenticato dagli Indiani, come lo avevano dimenticato i soldati più di quattro inverni prima, quando avevano portato i cannoni nell'accampamento brulé per uccidere il capo. L'anno prima alcuni amici di Ricciuto, compreso Cane, avevano combattuto i Crow. Poiché i capi dovevano far finta di non saperlo, non avevano potuto sfilare per l'accampamento come facevano i guerrieri ma erano dovuti andare e tornare di nascosto, di notte. Avevano preso come bottino qualche buon cavallo crow e un paio di quei mantelli di lana bianca col cappuccio che riparavano dalle bufere invernali. Il bottino migliore consisteva nei due fucili nuovi che i Crow in fuga avevano lasciato cadere. Cane aveva preso un cavallo e una lancia crow alla cui estremità era legato un vecchio scalpo lakota. Ma nessuno era morto e nessuno aveva inflitto i colpi rituali, perciò fu niente a paragone di quel combattimento contro gli Omaha in cui era caduto Fontenelle e in cui Ricciuto aveva ucciso la donna, o a paragone del combattimento in cui si era vista una carica alla sciabola distruggere la forte medicina dei Cheyenne contro i fucili dell'uomo bianco. Ma era sempre meglio di quel che potevano raccontare i figli dei Bighelloni, e da quel giorno era cominciata la lunga attesa della spedizione successiva. Alla fine della danza del sole e della caccia estiva, un gruppo di cui facevano parte Cane, Giovane Uomo della Paura, Orso Solitario e Ricciuto, si preparò e partì, alla luce del sole, come era stato convenuto al consiglio del Colle dell'Orso. Cavallo Pazzo e Faccia Lunga confezionarono una borsa da amuleti per colui che al primo era figlio e all'altro nipote; gli procurarono una pietruzza marrone da legarsi dietro l'orecchio e un falchetto dal dorso rosso da mettere in testa quando combatteva. Gli altri guerrieri apparivano ansiosi quanto Gobba che egli andasse con loro perché correva voce che gli fosse stata data una medicina molto forte e volevano vederla alla prova. Ma poco prima che il gruppo partisse, accadde qualcosa 142
di brutto. Ricciuto fu ferito a un ginocchio, non da un nemico ma da un Oglala, e proprio nell'accampamento. Era una disgrazia involontaria e fu dimenticata come si dimentica l'acqua che cade su una pietra, ma qualcuno vi vide l'avverarsi di una parte della visione sacra. Il figlio di Cavallo Pazzo poteva essere colpito soltanto da uno della sua gente. La spedizione partì, sebbene fosse un cattivo segno che a un guerriero succedesse qualcosa prima della partenza. Ma Ricciuto era soltanto un ragazzo, e dovette sopportare tutta la notte i tamburi e le danze e, l'indomani mattina, alla partenza del gruppo, il frastuono delle donne che gridavano questo o quel nome mentre i guerrieri sfilavano a cavallo e poi il loro grido tremulo quando il gruppo si avviò. Ricciuto affondò le orecchie nel guanciale di pelo di lupo. Sapeva rassegnarsi al fatto di dover rimanere a casa, ma tollerava sempre meno che la sua gente manifestasse gioie e dolori con del chiasso. Talvolta pareva che i Lakota non fossero migliori dei Crow, tra i quali, a quanto si diceva, gli uomini urlavano forte quanto le donne per i loro morti. Tutto quel rumore dava l'impressione che i Lakota non fossero coraggiosi; invece lo erano, e Ricciuto lo sapeva. Prima della luna successiva la spedizione rientrò all'accampamento, alla chetichella, perché non avevano trovato né cavalli né occasioni di contare i colpi rituali, ma soltanto solchi di tregge che andavano a nord, sull'altra sponda dello Yellowstone. Aspettando che il ginocchio guarisse, Ricciuto era andato zoppicando qua e là, appoggiato a un lungo bastone con un'estremità biforcuta, che i figli dei mercanti chiamavano gruccia. Aveva passato molto tempo ascoltando il padre di Toro dal Cuore Cattivo, lo « storico » della banda. Da lui aveva imparato la storia della sua gente, come tenere il conto degli inverni, come leggere le pittografie che aiutavano quell'uomo a cantare le grandi imprese degli eroi lakota nelle cerimonie e nei consigli. « U n popolo senza storia è come il vento sull'erba dei bisonti », aveva detto il vecchio guardando le sue paste colorate e i pennelli di penna d'oca e osso. « Hau! Proprio così! », aveva osservato Cavallo Pazzo. 143
Quando le oche e le gru delle colline di arenaria furono andate a sud e poi tornate, gli Oglala seguirono la pista tracciata l'anno prima attraverso il loro nuovo paese, situando gli accampamenti in punti in cui fosse facile rifornirsi d'acqua e legna. Si trasferirono spesso, per la necessità di trovare erba buona per i cavalli e per ragioni d'igiene, e tutto andò bene, senza confusione o litigi. Ora che nessuno più stava appiccicato ai Bianchi della Via Sacra, ora che nessuno più andava in giro a mendicare o ad arraffare qualsiasi cosa su cui potesse allungare le mani, come cani che gironzolano vicino agli essiccatoi, Ricciuto vedeva che molti della sua gente erano ancora come i personaggi dei racconti di suo padre o del pittografo. Forse i Bianchi dei vecchi tempi, come Le Beau e Bridger, che avevano conosciuto i Lakota prima che arrivassero i carri carichi di whisky e si aprisse la Via Sacra, erano nel vero quando affermavano che l'Indiano aveva preso la sporcizia, i pidocchi e l'indolenza dai Bianchi. Strano che ai più indolenti e pidocchiosi venissero fatti dei regali, mentre quelli che vivevano di caccia venivano caricati con i cannoni. Nacquero i rossi vitelli di bisonte; tornò dal sud l'uccello con la coda a forbice (la rondine); i cacciatori di aquile salirono a svuotare le trappole. Passava l'estate e giunse la notizia che su, dalle parti del fiume Heart dove vivevano molti Minneconjou e Hunkpapa, i bisonti erano spariti e la gente mangiava i cavalli. Allora andò da loro un gruppo di Oglala assieme al vecchio Corno del Nord, con cavalli carichi di carni e di pelli per invitare i parenti a venire a stare con loro. Certuni riferirono, al ritorno, di non aver visto neppure lo sterco di un bisonte lungo tutto il viaggio, ma solchi di ruote lungo tutta l'Acqua che Corre fin su al vecchio campo in cui era morto Orso che Conquista, e per tutta la regione in cui tanti dei loro erano morti. I bisonti dileguavano davanti all'ombra dei Bianchi, che diventava sempre più lunga. Ahh-h, pareva davvero che fosse così, dissero i vecchi, e lungo la Via Sacra c'era stata quell'estate una moria di bovini, quella che i Francesi chiamavano epizoozia. Molti carri erano rimasti là dove gli animali erano stramazzati a 144
terra. La pista da Laramie verso ovest era punteggiata di carcasse, che verso l'agenzia sul torrente Deer diventavano più numerose, quindi ancora peggiore era il tanfo che emanavano; invece i pendii che dominavano la pista erano gialli di fiori autunnali, come se niente fosse morto. Alcuni dicevano che quella malattia si sarebbe diffusa per tutto il territorio indiano come le altre malattie portate dai Bianchi; avrebbe ucciso i cavalli e perfino i bisonti. Si diceva pure che su a nord erano già morte così tante antilopi che le praterie bruciate dal sole ne erano cosparse, e i lupi erano talmente grassi che divoravano le carogne stando sdraiati. Ma nei terreni di caccia in cui gli Oglala si erano di recente trasferiti, l'estate era stata buona, calda e un po' polverosa, con molte di quelle figure nel cielo che i mercanti chiamavano miraggi..., laghetti tremolanti e alberi verdi. Di notte c'era la stella con la lunga coda bianca che parlava di cose buone, e veramente i bisonti erano abbondanti fin giù alle biforcazioni del Piatte, dove viveva la gente Orso. Quando i lupi ebbero eliminato il fetore delle carogne, la vita tornò passabile dalle parti dell'agenzia sul torrente Deer: c'era sempre qualche tenda indiana piantata nei pressi, e la gente faceva scambi e visite, poi se ne andava con i viveri annui che le spettavano. Quando cominciò a nevicare, le pelli furono molte, come anche le pellicce di castoro e di lontra, e i mercanti comparvero negli accampamenti come ai vecchi tempi. In ogni accampamento ne arrivarono diversi, perché l'agente dai capelli bianchi aveva concesso numerose licenze, sicché il commercio tornò fiorente. Grosso Pipistrello e un aiutante arrivarono con otto cavalli da carico all'accampamento invernale di Nuvola Rossa sul fiume Wind e tornarono da Richard con venti pelli su ogni cavallo: il carico massimo. Così in ogni villaggio, fin su allo Yellowstone. Là, un giorno, mentre Guerrier distribuiva polvere da sparo in cambio di certe pelli, una scintilla gli cadde dalla pipa nel barilotto delle polveri. Quando gli Oglala vennero a sapere che lo scoppio lo aveva ridotto in mille pezzi, ne furono dispia145
ciuti; ma quello era un mercante dei soldati e perciò non era come il loro. Verso primavera Ricciuto e Orso Solitario trovarono un Bianco morto nella zona del fiume Sweetwater. Non aveva fucile e non aveva portato con sé niente da mangiare, ma in un sacchetto sudicio che sapeva di tabacco e che gli pendeva dal collo c'erano due pezzi di quel metallo giallo che faceva impazzire i Bianchi. Ricciuto aveva visto da bambino grandi convogli di gente che andava a ovest: tutti alle montagne e poi al mare salato, aveva detto Bridger. Pazzi da legare, li aveva chiamati. Molti erano tornati indietro, ma alcuni, si diceva, erano rimasti bloccati dalla neve e si erano mangiati l'un l'altro.1 Questi Bianchi erano davvero gente strana. Di recente avevano cominciato a spingersi per le montagne fin nella terra degli Uomini Neri, gli Ute. Vi andaro1 Ogni anno la costa nord-americana sul Pacifico è battuta dalle bufere che scendono dal golfo dell'Alaska e che interessano anche estese zone dell'entroterra. Nell'inverno 1846-1847 i diluvi furono più precoci, frequenti e disastrosi del solito. Sorpresero un gruppo di emigranti diretti in California, capeggiati da un certo George Donner, poco lontano da quella che in seguito si sarebbe chiamata Cima Donner nella catena della Sierra Nevada, in California. Il convoglio restò diviso in due gruppi. « Quello più avanzato occupò una casa di legno abbandonata e costruì qualche rudimentale capanna sulla sponda del lago Donner; il più arretrato, di cui faceva parte anche la famiglia dello stesso Donner, si fermò otto chilometri più a est in baracche coperte con i teli dei carri e con pelli di bisonte. La neve cadde a larghe falde, inesorabilmente. Difficile procurarsi legna, annotò Patrick Breen nel suo diario, il giorno di Natale. « C i n q u e donne, due fanciulli e dieci uomini, compresi due Indiani di Forte Sutter, fabbricarono racchette da neve con pelle di bue e con i collari dei gioghi. Arrancando fra enormi difficoltà, riuscirono a raggiungere la vetta della catena. Due tornarono indietro; agli altri, tormentati per giunta dall'ambliopia, si congelarono i piedi... Uno impazzi e quattro, fra cui Charles Stanton, morirono. Gli altri, affamati per non aver toccato cibo da cinque giorni, macellarono i morti. Poco dopo un secondo impazzi e uccise i due Indiani per mangiarseli. Perirono sette uomini e un fanciullo — ma nessuna donna — e vennero "consumati", alcuni sotto gli occhi dei famigliari. Dopo trentatré giorni di tregenda, i sopravvissuti trovarono un accampamento indiano e furono salvati. « A intervalli, partirono gruppi di soccorritori per trarre in salvo le circa sessanta persone rimaste bloccate in montagna. Il primo gruppo fallì, i gruppi successivi riuscirono. Al Iago, e al campo otto miglia più sotto, si constatò una malinconica ripetizione del cannibalismo. Poiché i primi soccorritori non potevano provvedere a tutti, tornarono indietro portando sulle spalle solo i bambini più deboli. In montagna l'orrida morte e la più orrida sopravvivenza continuarono. Alla fine dell'ordalia, la metà dei membri del convoglio era perita » (Lavender cit., p. 260) (N.d.T ).
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no perfino dei Bianchi che avevano sposato donne oglala, come Janis. I Cheyenne avevano trovato molti di quei Bianchi a caccia dell'oro, che si erano sperduti e morivano di fame lungo il fiume Smoky Hill. Avevano dato loro da mangiare e avevano indicato la strada per tornare a casa, ma quelli avevano voluto proseguire, sebbene i capi più saggi avessero detto che quella terra gialla valeva meno delle rape che le donne estraevano dalla terra, perché le rape, almeno, un affamato le può mangiare. Adesso alcuni di quei pazzi per l'oro dovevano venire allo Sweetwater, perché dov'è andato uno, anche se poi è morto, ne andranno altri, portandovi le cose cattive dei Bianchi, spaventando la selvaggina e diffondendo malattie. Già si moriva di quelle macchie puzzolenti nella Valle della Testa di Castoro dove si erano accampati gli appostatori di trappole e figli di mercanti. In giro si sarebbero visti molti Bianchi a caccia d'oro. Ma un combattimento contro i Crow e i Serpenti dava più soddisfazione, dissero i guerrieri. Nella regione a nord accadde una cosa strana: quell'autunno si uccidevano molti bisonti bianchi, più di quanti accadesse una volta di vederne in un'intera vita. Nessuno riusciva a capirne la ragione e, com'era buona usanza per cose così sacre, le loro pelli venivano dipinte e restituite alla terra. La sera di un giorno d'inverno in cui si era sciolta molta neve, Ricciuto ne vide uno. Egli tornava, solo, dalle montagne e aveva sul cavallo un carico di carne fresca d'alce. Il bisonte era su un pendio vòlto a sud, ed era bianco quasi come le pezze di neve che aveva intorno. Ricciuto gli era abbastanza vicino da tentare un buon tiro, ma prima ancora che imbracciasse il fucile, l'animale sollevò la bella testa riccioluta, fiutò il vento e fuggì sul crinale, sollevando con gli zoccoli la neve e la terra scura che stava gelando. Il ragazzo frustò il cavallo carico e inseguì il bisonte, ma trovò solo impronte che lo condussero in una valletta immersa già nella luce del tramonto. Le impronte finivano nel vuoto, come quando il coniglio dalle orecchie lunghe fa dietrofront, corre ricalcando le impronte che 147
ha fatto all'andata, poi balza di lato e si acquatta con occhi aperti e vigili. Ma il bisonte non è piccolo e incapace di difendersi come il coniglio e non ha bisogno di ricorrere a trucchi: quel bisonte bianco doveva essere dunque un animale sacro. Invece di continuare a cercarne le impronte, il giovane Oglala legò il cavallo con la pastoia. Dove finivano le impronte costruì una capannina di rami di cedro, e lì passò la notte, sperando di sognare. Dormì bene: durante la notte fu destato solo un paio di volte dall'ululare dei lupi attirati al suo fuoco dall'odore della carne fresca. Il mattino dopo nevicava: la neve era soffice; l'aria tiepida prometteva il sole primaverile, che sarebbe filtrato liberando i cedri dal peso della neve che li piegava. Le impronte erano scomparse tutte, tutto era ammantato di neve, ed egli non ricordava di aver sognato. Si avviò verso casa. Il giorno in cui tornò al grande accampamento oglala, un banditore fece il giro consueto per invitare tutti alla festa in onore della nipote di Nuvola Rossa, Donna di Bisonte Nero, come adesso si chiamava, che era stata iniziata alla maturità fisica della donna.2 Ricciuto si accertò di aver sentito bene, poi corse a vestirsi per la festa. Per fortuna non aveva insistito nel dar la caccia al bisonte bianco: sarebbe mancato a quel grande momento nella vita della graziosa giovinetta oglala. Negli ultimi anni non aveva avuto molte occasioni di vederla, essendo stato ospite prima dei Brulés poi dei Cheyenne. Ma lei era sempre nel suo cuore, lì egli la ritrovava sempre, come un guerriero prima di addormentarsi mette le armi in un certo posto in modo che, se si sveglia, possa afferrarle nella notte, per ogni evenienza. Ricciuto era un bambino piccolo quando era nata Donna di Bisonte Nero. Ricordava che un giorno in cui la famiglia di lei compiva un viaggio assieme agli altri Oglala, colei che egli chiamava mamma e un'altra donna erano rimaste indietro. In seguito erano arrivate all'accampamento con una creatura che prima non c'era, un'altra figlioletta per il fratello di Nuvola Rossa. Ricciuto aveva considerato quel fagottino come qualcosa che apparteneva alla sua tenda. 2
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Cfr. Alce Nero cit., cap. V I I
(N.d.T.).
Quando la piccola aveva qualche mese ed era chiusa nel guardinfante appeso a un ramo o appoggiato alla tenda mentre la madre raschiava le pelli, egli, spesso interrompeva il gioco per scacciarle le mosche dal viso. Col lungo stelo d'erba che gli serviva da lancia per giocare alla guerra andava a solleticarle gli angoli della boccuccia: lei si svegliava e rideva, e prima ancora di imparare a parlare, imparava a cercarlo con quei suoi occhioni neri. Poi era stata una delle bambine che avevano preso parte al rito nel quale lui era stato chiamato Somiglia al Suo Cavallo, nome che però nessuno aveva mai usato, sebbene fosse stato imposto secondo tutte le regole, con la sfilata attraverso l'accampamento, con il banchetto e il dono di cavalli. Quindi era venuta la stagione in cui egli le aveva tirato i noccioli di prugne e per questo si era lasciato canzonare da sua sorella e da suo fratello, gongolante nel tepore della coperta. Negli ultimi anni si era assentato per lunghi periodi, oppure era successo spesso che quando c'era lui non ci fosse lei. Ma negli ultimi mesi la fanciulla si era fatta grande ed era stata molto sola. Quando la sua banda, quella delle Facce Cattive, e la banda di Ricciuto si erano accampate insieme o abbastanza vicine, egli qualche volta si era seduto lungo il sentiero che portava all'acqua aspettando l'occasione di fare due passi assieme a lei. Ma poi arrivava sempre la vecchia e lo scacciava con tali strepiti e rimproveri che egli fuggiva fingendo di avere molta paura ma dentro di sé rideva. E adesso il vecchio banditore correva per il villaggio annunciando che la nipote di Nuvola Rossa era diventata donna e che tutti erano i benvenuti alla tenda di suo padre. V'era una grande eccitazione: i giovanotti si vestivano di tutto punto, le voci e i rumori andavano tutti in direzione della tenda della festeggiata perché là ci sarebbe stato da mangiare, da ricevere in dono dei cavalli e da vedere una giovane che per la prima volta indossava un bell'abito da donna. Ricciuto si fece strada nella ressa di uomini, donne e bambini e trovò che tutta la parte anteriore della tenda era stata aperta e dietro le braci di frassino, seduta su un mucchio di pelli, vide Donna di Bisonte Nero. Sedeva al modo 149
delle donne, sulle gambe piegate ma con entrambi i piedi dalla stessa parte, e aveva i capelli lisci e brillanti, la scriminatura tinta di carminio come il giovane volto sottile. Il vestito era di pelle di antilope bianca con uno sprone adorno di perline celesti fittamente applicate; i gambali e i mocassini erano ornati allo stesso modo, mentre le maniche ad ala e l'orlo dell'abito erano frangiati. Sul petto aveva molte file di perline azzurre rosse e gialle, e ai polsi bracciali di rame e d'argento. 3 Le era accanto un vecchio che le gridava consigli a voce così alta che tutti lo sentivano: si guadagnava così il cavallo che gli avrebbero dato quale compenso. Le ricordò prima i suoi doveri di figlia e di sorella: doveva onorare il padre e i fratelli maritandosi con un uomo valoroso, che avrebbe fatto parte della loro famiglia; doveva generare loro dei figli prodi; doveva obbedirli in tutto. «Parla un Faccia Cattiva!...», sussurravano tra di loro, ridacchiando, le donne delle altre bande, ricordando i danni che aveva fatto il figlio di Fumo. Ma il vecchio le parlò anche di altre cose, le cose antiche che facevano una buona donna lakota: la diligenza, la modestia, la virtù e un cuore materno nei riguardi di tutti. « Segui in tutto la Madre Terra », le consigliò. « Osserva come essa nutre i suoi figli, come li veste e offre loro riparo, come li conforta col suo silenzio quando si perdono d'animo. Sii come la Madre Terra e sarai una buona Lakota! ». Hau!, assentì il popolo mentre la giovane donna teneva gli occhi bassi. Una volta che li alzò, vide Ricciuto talmente vicino che le guance le si arrossarono sotto il carminio e abbassò la testa. Alla fine del rito, la gente le si strinse attorno per ammirare i bei vestiti nuovi; i giovani le sfilarono davanti, ciascuno con le sue insegne e con gli ornamenti migliori. ' Catlin fece il ritratto di una giovanissima moglie di capo cheyenne (riprodotto in Sul sentiero di Guerra - Scritti e Testimonianze degli Indiani d'America, a cura di Charles Hamilton, Milano, Feltrinelli 1960, p. 48) che potrebbe essere la versione pittorica della descrizione di Donna di Bisonte Nero fatta dall'A (N.d.T.).
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Ricciuto se ne andò, non volendo aspettare il banchetto. A casa si buttò sul letto; affondò la faccia nel pelo di lupo che gli faceva da guanciale, e pensò a cose che gli riempirono il petto di forza e di grandezza. Il giorno dopo Ricciuto e Cavallo Pazzo andarono sulle colline a fumare. Lassù egli parlò a suo padre del bisonte bianco che era scomparso nel nulla. Il sacerdote degli Oglala rimase a lungo assorto, in silenzio. «A quanto pare, ti accadono molte cose strane, figlio mio », disse infine. « Difficile dire che cosa porteranno, ma porteranno del bene se, come il bisonte che hai visto, lavorerai da solo e non cercherai di trarre vantaggi da quel che fai ». Il giorno dopo, Gobba capeggiò una spedizione contro una piccola tribù di Indiani che si diceva fossero imparentati con i Serpenti pur parlando una lingua che aveva subito dei mutamenti. Gli Oglala li conoscevano poco perché raramente si erano spinti tanto a ovest da accamparsi nella regione del fiume Wind, ma i perlustratoti avevano detto che quel popolo viveva in case d'erba: quindi non era un popolo guerriero come gli Indiani che abitavano sotto le tende. Avevano inoltre dei bellissimi cavalli. I guerrieri erano impazienti di provare il loro coraggio contro questi stranieri. Ma il popolo dalla lingua sconosciuta evidentemente aveva delle vedette perché, molto prima che la spedizione lakota raggiungesse le case, i suoi guerrieri cominciarono a sparare dalla cima di una collina. Erano appostati bene, difesi da grossi massi, e sembrava che disponessero di molti fucili. Gobba e i suoi guerrieri fecero vari giri in carosello attorno alla collina lanciando grida e sparando da sotto il collo dei cavalli, ma sembrava che i nemici avessero già visto combattere in quel modo e non sprecarono pallottole sparando su cavalli in corsa e così lontani. Allora Gobba ordinò ai guerrieri di inerpicarsi sulla collina, ma c'erano pochi nascondigli e si rischiava di perdere dei bravi guerrieri prima ancora che giungessero a tiro di freccia. Rinunciato perciò anche all'assedio, fecero qualche altro 151
tentativo di assalto frontale e di accerchiamento, sempre nella speranza che intanto il nemico esaurisse la polvere da sparo. Fu un combattimento faticoso, che durò un paio d'ore. I Lakota persero alcuni cavalli e un guerriero rimase ferito. Uccisero uno o due nemici ma non riuscirono a far fuggire gli altri da dietro le loro difese naturali. Il cavallo di Ricciuto venne atterrato. Saltando giù, egli si ricordò della visione. S'impadronì di un cavallo nemico, lo montò, e stava aspettando il momento in cui si sarebbe tentato un altro accerchiamento quando qualcuno dietro a lui sparò un colpo. Il cavallo, giovane e focoso, si lanciò dritto in avanti salendo la collina e venendo a tiro dei nemici. Come nella visione, Ricciuto cavalcò leggero e incolume tra le frecce e le pallottole che gli volavano intorno e producevano come un vento sul suo petto nudo, andando a colpire le pietre o a far schizzare la ghiaia. Prono sul cavallo, riuscì a tendere l'arco e a conficcare una freccia nel corpo di un guerriero che gli si era parato davanti prendendolo di mira col fucile. L'uomo cadde all'indietro, il cavallo di Ricciuto lo scavalcò e ne schivò un altro, balzando di lato, poi scese la collina all'impazzata. Gli Oglala esplosero in grida di evviva alla vista di quella potente medicina. Gobba galoppò incontro al ragazzo ma, prima ancora di raggiungerlo, Ricciuto aveva già di nuovo voltato il cavallo su per la collina e stava penetrando la muraglia degli spari. Con la pistola che aveva in cintura uccise un altro uomo, che rotolò in un precipizio. Altre grida di esultanza si levarono dai Lakota e a Ricciuto si gonfiò il cuore. Dimentico della sua visione, scivolò giù dal cavallo, completamente allo scoperto, per scalpare i due che aveva ucciso. Stava staccando il secondo scalpo quando venne colpito alla gamba. Il cavallo allo sparo s'impennò e fuggì, ed egli dovette scendere a piedi dalla collina, saltando qua e là mentre i proiettili si conficcavano nel terreno e nei cespugli da una parte e dall'altra. I guerrieri oglala, schierati in semicerchio, stavano a guardare; quelli armati di fucile però sparavano sui nemici che spiavano, tra le rocce, il ragazzo che, dopo tutto quel fuoco, stava ancora correndo. 152
Solo quando raggiunse gli altri egli si ricordò che in mano stringeva dei capelli. Non avrebbe dovuto prendere gli scalpi: li aveva presi ed era stato ferito. Perciò li gettò via e andò dietro una roccia a medicarsi. Gobba si legò quegli scalpi sotto la cintura, con un coltello estrasse dalla gamba del ragazzo la punta della freccia; poi gliela fasciò stretta con un pezzo di pelle preso da un cavallo morto. Era abbastanza per quel giorno, dissero i guerrieri, e si avviarono verso casa lasciando il nemico sulla collina. La schiera si fermò fuori dell'accampamento e mandò avanti un uomo ad annunciare il ritorno. Allora avanzarono i due che avevano scudi e lance, seguiti dai guerrieri in file di quattro che stringevano le armi, alcuni con l'acconciatura da guerra fatta di penne. Per ultimo entrò il ragazzo che tutti chiamavano Ricciuto, così, senza pitture né penne, solo un falchetto dal dorso rosso in testa e una pietruzza marrone mezzo nascosta dietro l'orecchio. Quella sera ci fu una grande danza di vittoria perché quattro nemici erano stati uccisi, i guerrieri avevano contato otto colpi rituali, si erano impadroniti di qualche buon cavallo e non avevano avuto morti. Le loro gesta vennero narrate dettagliatamente e ciascuno fu lodato per quel che aveva fatto. Solo Ricciuto non volle raccontare le sue imprese. Due volte lo spinsero dentro il cerchio della folla adunata e due volte si tirò indietro. Quindi si fece la danza degli scalpi e i danzatori furono guidati dalla madre di Ricciuto, unica donna che avesse due scalpi legati al suo bastone. Molti occhi erano rivolti verso il ragazzo, che adesso aveva diciassette anni ma contava ancora poco tra i guerrieri, molti occhi benigni: occhi fieri quelli di Gobba e di suo padre, occhi entusiasti fino all'adorazione quelli di suo fratello, occhi teneri e non più tanto timidi quelli di Donna di Bisonte Nero. Ma c'erano occhi che rivelavano invidia per quel giovane dai capelli chiari, e anche questi Ricciuto non li avrebbe più potuti dimenticare. Quella notte non dormì. Non gli doleva la gamba, anzi, non gli faceva male, fasciata con bende immerse in un bagno di erbe che suo padre aveva cotte in un vaso di pietra, all'antica, senza toccare ferro né altro metallo; ma c'erano 153
tante cose cui pensare, soprattutto al fatto che si era dimenticato che non doveva prendere scalpi. A che serviva avere avuto una grande visione se poi, al primo combattimento, la scordava? La mattina successiva non si sentì ancora bene. Giaceva così immobile che perfino suo fratello credette che dormisse. Quando tutti si furono alzati e furono usciti senza far rumore, Ricciuto finalmente prese sonno. Si svegliò che il sole era quasi a picco e gli diedero un mestolo di brodo. Entrò Cavallo Pazzo e prese la sua coperta da cerimonia, quella con le perline applicate lungo la fascia centrale, che mostravano tutte le cose sacre della sua santa visione. Avvolto nella coperta, con sul petto le trecce celate dalla striscia di pelliccia che si attorcigliava loro intorno per tutta la lunghezza, con incedere solenne, il sacerdote fece il giro dell'accampamento innalzando un canto che tutti potessero udire: Mio figlio si è battuto contro un popolo Di lingua sconosciuta. È stato coraggioso. Per questo Un nuovo nome gli do: Il nome di suo padre E di molti padri prima, Un grande nome. Cavallo Pazzo si chiami. E dietro al padre andarono tutti quelli che vollero rendere omaggio al giovane coraggioso. Quando i primi giunsero alla tenda in cui egli sedeva si era già formata una lunga fila doppia; alla fine parve che ci fossero proprio tutti: giovani, vecchi, grandi uomini, uomini saggi, tutte le donne, tutti i bambini, e tutti cantavano e si rallegravano. Si mangiò e si danzò tutto il giorno fino a notte inoltrata, perché gli Oglala avevano un nuovo guerriero e tutti lo avrebbero chiamato col grande nome di Cavallo Pazzo.4 4 Tashunko (N.d.T.).
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Witko.
Per
« Pazzo » si
deve
intendere che
« si
impenna »
Parte seconda
IL GLORIOSO GUERRIERO
1. TEMPI GRASSI PER IL POPOLO
Quattro inverni erano trascorsi da quando gli Oglala avevano lasciato il forte sul Laramie e la Via Sacra, ridotta a un fiume di polvere dai viaggiatori bianchi. Erano stati anni buoni, gli Indiani si erano sentiti pervasi da una nuova forza, la forza che veniva dalle grasse costate di bisonte arrostite sulla fiamma e dai gridi di guerra che echeggiavano liberi nelle terre dei Serpenti e dei Crow. Quando era finalmente arrivato, il nuovo agente, il maggiore Twiss, aveva cercato di distogliere i soldati dal proposito (poi attuato) di attaccare l'accampamento brulé sull'Acqua Azzurra ; in seguito aveva parteggiato per Uomo della Paura e gli altri quando Harney, bollato con l'epiteto di Ammazza-Squaw, era tornato al forte con la schiera delle donne e dei bambini catturati, devastati dal dolore, infermi e feriti. Aveva udito Barba Bianca prendersela con i capi lakota e aveva visto il maggiore di questi capi (Uomo della Paura) affondare la faccia nella coperta e imporsi di star zitto. Ma poco tempo dopo si erano udite parole forti sia contro i capi dei soldati sia contro gli Indiani, colpevoli di vendere il loro popolo in cambio del favore dell'uomo bianco. Accoltellatore, colui che aveva scacciato la famiglia di Orso che Conquista, non aveva più potuto vivere in mezzo alla sua gente, e uno che era un semplice guerriero si era strappato via il perizoma in consiglio davanti al Brulé, esibendo in faccia ad Accoltellatore la sua nudità, presenti Indiani e Bianchi. Ma adesso gli Oglala erano lontani dai capi dei soldati e da tutto quel parlare, giusto o ingiusto che fosse. L'agente era diventato un vero padre, come uno di loro. I carichi di merci giungevano negli accampamenti e i Crow venivano respinti verso lo Yellowstone dalle zone dei bisonti dell'al157
to Powder: i guerrieri non davano loro respiro, li costringevano a muoversi di continuo senza concedere pace e tempo per procurarsi carne e pelli. Ma anche qualche buon Lakota era morto in queste guerre contro i Crow: Grosso Crow, per esempio, che molto tempo prima si era guadagnato questo nome per un atto di coraggio compiuto contro quei nemici. Alla fine dell'anno di lutto per la sua morte, Scudo Nero, suo padre, aveva portato ottanta famiglie lakota in altrettante tende nel bel mezzo del territorio crow e là aveva spazzato via tutti i guerrieri nemici. Il giovane Cavallo Pazzo era tornato con una bella lancia sacra e un buon cavallo baio da combattimento, ma quel che gli era piaciuto di più era il modo in cui Scudo Nero aveva portato la pipa. Sebbene si stesse preparando a vendicare il figlio prediletto, scherzava, aveva sempre qualcosa da raccontare, cantava per rincuorare i guerrieri durante il lungo viaggio. Ed erano tornati con fucili, cavalli, casacche da cerimonia decorate di perline e di aculei, acconciature da guerra, e perfino la ciotola di legno del sacerdote e l'involto contenente gli amuleti, che costituivano le sue insegne. « Brutto giorno per la medicina dei Crow », aveva detto qualcuno. Hau!, avevano fatto coro gli altri. I nemici erano sparsi per la prateria come lupi avvelenati e più nessuno poteva tornare dalla sua gente a spiegare la sconfitta, e nessuno avrebbe avuto per le loro ossa la cura che si ha per il teschio del bisonte, che viene voltato con le orbite verso il sole. Mentre gli altri parlavano del combattimento, il giovane Cavallo Pazzo era rimasto seduto nella penombra, contento che certe cose fossero state fatte come le avrebbero approvate suo padre e altri che avevano rinunciato alle cariche guerriere. Forse lui avrebbe dovuto essere un po' più come gli altri giovani, tutti assetati di onori per salire di grado nelle akicita, per prender moglie. Di colpi rituali, specie i più onorifici - quelli inferri ai nemici prima di sparare Cavallo Pazzo ne aveva contati, ma i cavalli conquistati di solito li dava via, non tenendo mai per sé più di due buoni cavalli da caccia e due o tre da guerra. Naturalmente, 158
avrebbe potuto servirsi anche di quelli di suo padre, che ora si chiamava Bruco, e di quelli di suo zio Faccia Lunga, ma le loro mandrie non erano mai state cospicue, specialmente da quando molti avevano cominciato a venire al nord dall'accampamento delle donne presso Laramie, dove i soldati li avevano privati di tutti i cavalli da treggia con cui trasportare le vecchie pelli a toppe sotto cui vivevano. Il giovane guerriero sapeva che secondo alcuni egli avrebbe dovuto procurarsi in maggiore quantità le cose che rendono importante un uomo nell'accampamento, specialmente agli occhi dei Facce Cattive, la gente di Donna di Bisonte Nero. Sua madre e altri già gli avevano detto che un uomo entrava spesso nella tenda della famiglia della ragazza, sotto gli occhi dei giovani guerrieri. Naturalmente quelli che facevano la fila fuori si stizzivano, ma quello li scavalcava perché era padrone di molti cavalli ed era imparentato bene: era fratello di Gemello Nero e parente del vecchio Fumo. Uno come Senz'Acqua non poteva venir buttato in un fiume ghiacciato, a morire intrappolato sotto la lastra di ghiaccio, come sarebbe successo a un guerriero qualunque che non avesse avuto la pazienza di aspettare. Sembrava però che quando c'era Senz'Acqua, Donna di Bisonte Nero guardasse da un'altra parte e che suo padre e i suoi fratelli non avessero fretta di maritarla. Perciò quando le due bande erano insieme, Cavallo Pazzo andava alle danze per poter guardare la bella giovane, o le passava davanti quando lei lavorava le pelli con le donne o faceva il gioco dei noccioli di prugna con le amiche, senza far chiasso, ma compostamente, come si addice alle giovani donne di una famiglia oglala per bene. Egli era stato un paio di volte nella grande tenda di suo padre e là aveva preso parte al gioco della mano. Al culmine del gioco, quando ci si accalorava per indovinare in quali mani fosse il nocciolo, aveva udito la risata argentina della ragazza e poi l'aveva vista abbassare la testa per timore di parere sfrontata. Un paio di volte Cavallo Pazzo l'ebbe per un momento nel cerchio del suo manto: non si parlarono molto; le domandò se suo fratello era tornato, e ne ebbe in risposta un « no » garbato, ma detto così piano da udirsi appena. 159
Gli bastava averla vicina, sentire il profumo della ierocloe sul suo vestito, sentirla respirare timida e con un po' d'affanno sotto le pieghe del manto che, tenuto sollevato dal braccio che tendeva l'arco, copriva lui e copriva lei. Sì, doveva anche lui procurarsi cavalli e onori, tutti gli onori che la sua medicina gli consentiva, anche se costavano fatica ed erano poco appariscenti. Diverse bande oglala erano vicine al territorio dei Serpenti, per cui non potè mancare qualche piccola razzia contro di loro. Verso la fine della Luna che Ingrassa (giugno), tornarono veloci i perlustratoti ad annunciare che avevano trovato un grosso accampamento di Serpenti sullo Sweetwater: Washakie e tutta la sua banda cacciavano i bisonti, e con loro c'erano anche diversi Bianchi. I Lakota partirono immediatamente. Erano poco numerosi perché molti erano a caccia o ai mercati, ma si allearono con alcuni Nuvole Azzurre e Cheyenne. Quando lo seppe, Cavallo Pazzo era ospite dei Cheyenne, e partì anche lui. I guerrieri, non essendo tutti di una medesima tribù, erano impazienti di lanciarsi avanti per superarsi a vicenda, e l'akicita faticò a farli restare al riparo nelle valli strette in attesa dei perlustratori. Quando seppero da costoro che l'accampamento era ancora nel punto in cui era stato avvistato e che i cavalli erano vicini e sorvegliati da pochi mandriani, forse perché là c'erano anche dei Bianchi, mangiarono del wasna per non essere traditi dall'odore del fuoco, dormirono un po', poi quando la notte si assottigliò a oriente mossero contro i Serpenti. Il sole, sorgendo sul villaggio presso lo Sweetwater, fece luccicare le lance dei guerrieri lakota che avanzavano. Le tende erano ancora addormentate ma alcune vecchie erano già fuori ad attizzare i fuochi per cucinare il primo pasto. Visti i nemici, corsero per l'accampamento gridando: « I Sioux! Arrivano i Sioux! ». Ma i guerrieri lanciati al galoppo oltrepassarono l'accampamento e puntarono sui cavalli al pascolo. Gridando e agitando le coperte giunsero a prenderne quattrocento prima che fossero raggiunti dagli spari dei Serpenti destati 160
dal sonno. Quando i razziatori ebbero indirizzato la mandria in corsa verso una catena di monti oltre la quale si estendeva lontana la terra lakota, Cavallo Pazzo e sette-otto altri rallentarono e si nascosero dietro rocce e alberi per tenere impegnati i Serpenti il più a lungo possibile, indietreggiando lentamente davanti al crescente fuoco nemico. Diverse volte il giovane Lakota si spinse contro gli avversari, calandosi sempre giù dal cavallo per sparare. Uno che gli era vicino venne colpito ma la corda da guerra gli tenne le ginocchia legate alla groppa del cavallo e l'animale lo portò fuori tiro. Un Cheyenne perse il cavallo, ne prese un altro e riuscì a fuggire prima che i Serpenti gli fossero addosso. Ormai la mandria era talmente lontana che non si vedeva più. Quelli che erano rimasti indietro poterono raggiungerla e lasciare l'accampamento nella valle brulicante come un formicaio scompigliato, con i guerrieri che correvano a prepararsi all'inseguimento e le donne che piangevano i morti. Di lì a poco Cavallo Pazzo e gli altri voltandosi videro piccole nubi di polvere alzarsi dietro a loro lungo il tracciato della loro fuga. I Serpenti non sopraggiungevano compatti ma ognuno lanciava il cavallo alla massima velocità. La grossa mandria aveva fatto rallentare i razziatori e dopo qualche chilometro un Serpente raggiunse da solo gli otto che erano fra lui e la mandria. Uno contro otto, invece di fuggire, costui frustò il cavallo e si scagliò contro i guerrieri. Questi lo circondarono, egli estrasse due pistole e riuscì a uccidere un Oglala con ciascuna pistola prima che le loro lance gli si conficcassero in corpo. Il primo che volle dargli il colpo rituale vide che era il figlio di Washakie, Il grande capo dei Serpenti. Era morto da valoroso, e il suo era uno scalpo pregiato da portare alla danza. Altri Serpenti sarebbero senz'altro venuti a vendicarlo. Infatti ne vennero altri, col vecchio capo in testa, e sembrava che ci fosse tutta la nazione con lui. Si preparava un combattimento che si sarebbe protratto tre ore consecutive. Ripetute volte raggiunsero la mandria sfiancata e una volta si infiltrarono di lato e si ripresero alcuni dei loro cavalli, ma nel pomeriggio i razziatori raggiunsero una zona 161
in cui crescevano fitti degli alberi fruscianti sul Little Beaver. I Serpenti la presero d'assalto varie volte ma poterono soltanto mostrare il loro coraggio e sfidare il nemico a uscire dal nascondiglio. Per primo uscì un Cheyenne, ma un fuoco incrociato di buoni fucili gli abbatté il cavallo. Un'altra pallottola gli tagliò la stringa che gli sosteneva il perizoma ed egli dovette ritirarsi a saltelloni come un'antilope dalla coda lunga coprendosi davanti col lembo rosso anteriore mentre quello posteriore gli penzolava dietro. Era molto buffo ma per poco non succedeva che i compagni lo dovessero trascinare via per impedire che il nemico lo scalpasse. Altri si lanciarono fuori per evitare che i Serpenti si avvicinassero, ma fu Cavallo Pazzo che fece la cosa mai vista, la pazzia, come gli gridarono irati i guerrieri più maturi: «Torna indietro! È cattiva medicina! ». Ma egli doveva andare avanti perché là, in un brago di bisonte, aveva visto un cavallo ferito. Da quando era stato colpito, si lamentava come una donna e continuava a scalciare e tentava di alzarsi. Quando i Serpenti videro il giovane Oglala lanciarsi fuori a piedi, credettero che egli volesse ficcarsi in quella buca per bersagliarli di là. Allora cominciarono a strisciare verso di lui mentre i Lakota gli gridavano altri avvertimenti. Ma lui con un solo colpo di mazza finì il cavallo, poi tornò indietro veloce e a zigzag come un lampo, mentre le pallottole colpivano tutt'intorno a lui. Un guerriero serpente stava correndo intorno al pioppeto su un bel sauro. Era molto coraggioso: buttato tutto sul fianco esterno del cavallo, si teneva stretto puntando un piede contro quel fianco, e sparava col fucile poggiato sul dorso del cavallo, non accorgendosi di aver dietro l'Oglala. Un colpo di mazza, e finì a terra. Cavallo Pazzo gli prese il fucile e la corda da guerra, balzò sul sauro sudato e scivoloso e si diresse agli alberi lasciando lo scalpo agli altri. Non aveva nemmeno estratto la pistola. « Oggi la tua medicina è potente », gli disse un guerriero anziano, « ma la dovresti usare per cose più importanti che non finire un cavallo azzoppato ». Cavallo Pazzo non ribatté e riprese il suo posto di corn162
battimento. Quando una nuvola eclissò la luna, tutti filarono via senza far rumore. Gli accampamenti presero il lutto: tre Lakota, un Cheyenne e un Nuvole Azzurre erano morti; in compenso c'erano molti bei cavalli e molti scalpi per la danza di vittoria, compreso quello del figlio di un capo. Quando un'altra luna si vide a levante, sottile come un arco teso, due Bianchi che provenivano dai Serpenti si fermarono dai Facce Cattive prima di tornare da Richard. Dissero che Washakie, il giorno di quella battaglia, aveva perso la pazienza col figlio maggiore, un capo guerriero, perché aveva aspettato che si raggruppassero alcuni dei suoi invece di precipitarsi ad affrontare i razziatori lakota appena avevano sferrato l'attacco. « Che razza di figlio ho messo al mondo », aveva gridato, « che se ne sta a ciondolare per le tende mentre altri stanno già cercando di respingere i razziatori! Perfino io, che sono un vecchio, ne ho ucciso uno! ». A parole così taglienti e gridate in quel modo, il figlio, svergognato davanti a tutti, aveva frustato il cavallo ed era partito da solo nella polvere della pista fresca. Il vecchio capo aveva tentato di richiamarlo, poi gli era corso dietro, in tempo per vedere le lance lakota conficcarsi nel suo corpo. Ahh-h, fecero alcuni dei più vecchi, manifestando il loro compatimento. E così fecero sapere a Washakie, tramite i due Bianchi, che lo scalpo era stato dipinto di rosso in onore del morto e che veniva custodito per il padre. Era tremendo perdere un figlio così. Cavallo Pazzo udì ripetere la storia del giovane capo guerriero nella tenda di suo padre. Bruco osservò che non gli pareva una cosa buona tentare di scaldare il sangue a un giovane con parole che lo svergognavano. « Queste parole infiammano quelli di carattere fiero e di animo coraggioso come prende fuoco l'erba secca autunnale quando ci butti sopra della brace; mentre lasciano i codardi freddi come pietre immerse nell'acqua ». Ma Bruco pensava più a suo figlio che al figlio di Washa163
kie, e si domandava perché mai egli non avesse aspettato il momento delle danze nell'accampamento dei Facce Cattive, o almeno non avesse scambiato qualche parola. Forse perché non gli piacevano i riti funebri né il chiasso della danza di vittoria; o forse perché, strano com'era, non aveva fatto nulla di quel che avrebbe voluto sentir ripetere davanti a Donna di Bisonte Nero: eppure, arrivato al suo diciottesimo inverno, aveva già raccolto più onori di quelli che la maggioranza degli uomini riesce a portare al proprio palco funebre. Poi c'erano il nuovo fucile e il sauro da guerra con cui era tornato. Dovevano essere dei Serpenti. Ma altri pensieri ancora si affacciavano alla mente del padre e non per la prima volta: forse, attraverso qualche sacro segno che non gli aveva rivelato, al figlio era parso di capire che doveva vivere senza una moglie. Bruco non era certo che ciò fosse saggio, però Naso Aquilino, il grande guerriero cheyenne, aveva fama di trarre il suo potere proprio dal suo voto di non prendersi nessuna donna. Oppure, forse si ripeteva quel che era successo riguardo alla visione: suo figlio aveva lasciato passare molto tempo prima di parlargliene. Notizie di combattimenti, di cavalli rubati, di scalpi e colpi rituali attrassero agli accampamenti settentrionali molti giovani Brulés Orso e perfino alcuni Bighelloni, sicché a un certo punto si poterono contare più di trecento tende, ciascuna con sette-otto persone, e molte capannine di rami sotto le quali trovavano riparo di notte i giovani guerrieri sempre pronti a scendere sul sentiero di guerra. Da questi nuovi venuti si apprese che i mercanti a sud dicevano che l'agente dai capelli bianchi aveva fatto voltare da un'altra parte il Grande Padre perché non vedesse la guerra contro i Crow, temendo che agli Oglala trasferitisi al nord venissero sequestrate le merci e ci rimettesse anche lui. Deon, che aveva passato molto tempo in mezzo agli Indiani, disse che al sud i mercanti erano furiosi perché l'agente in un rapporto contro di loro diceva che si portavano via più pelli del giusto, imbrogliando gli Indiani col boccale di whisky, perfino mettendo del sego rappreso 164
e annerito sul fondo del secondo e del terzo boccale per ridurre la misura. Ad ogni modo, i Bighelloni ebbero modo di constatare che la gente che viveva al nord era più ricca di tutte le altre. I parflecbes scoppiavano tanto erano pieni di carne, le colline erano nere di cavalli come terre bruciate, gli accampamenti erano pieni delle merci dell'uomo bianco. E, agli occhi dei meridionali, le tende nuove e dipinte di fresco, gli ottimi archi e fucili, le belle coperte, e il fatto che in quasi ogni tenda anche gli oggetti d'uso comune fossero decorati di perline, dicevano forse più di tutto il resto che c'era del benessere. E difatti era vero: chi va a caccia di bisonti mangia bene, quando mangia; chi invece va dietro ai Bianchi è come chi va a caccia di conigli: ha fame anche quando mangia. Gli Oglala del nord nuotavano realmente nel grasso, e se anche il Grande Padre avesse loro tagliato i viveri annuali, i guerrieri avrebbero preso tutto quel che volevano dalle lunghe file di carri che transitavano lungo la Via Sacra. Mentre si facevano questi discorsi, giunse la notizia che adesso il Grande Padre non era più quello di prima ma uno nuovo.1 Il vecchio non era morto, né i Bianchi si scannavano fra di loro: soltanto, ne volevano uno nuovo. La notizia suonò strana a Cavallo Pazzo e agli altri giovani guerrieri, ma non a Bruco o a suo fratello Faccia Lunga che ancora conservavano la medaglia d'argento conferita loro quarant'anni prima da un Grande Padre, un altro ancora. Da allora molti ne erano succeduti: i Bianchi sono molto volubili. Però al nuovo Padre non garbava il loro agente e l'aveva sostituito con un altro, uno che i Lakota non conoscevano, che più in là di Laramie non si spingeva. Ma il loro vecchio amico, il maggiore Twiss, era rimasto: aveva portato la moglie oglala e i figli al fiume Powder e viveva, onorato e tranquillo, in mezzo agli Indiani. E pensare che, i primi ' Dal 1861 al 1865 il presidente fu Abraham Lincoln (N.d.T.).
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tempi, parlava di chiudere i Lakota nelle riserve e di insegnar loro a coltivare il mais e ad arare la terra!... Arare la terra! Gli Oglala ridevano, addentando la bella carne succulenta e grassa delle costate. E così venne l'inverno dei Molti Bisonti, quello che per i Bianchi fu il 1861, l'anno in cui la Via Sacra sembrò un lungo fiume nero di gente in viaggio. Molti andavano in cerca del metallo giallo, molti andavano alle miniere per star lontani dalle spedizioni di guerra nelle quali, a quanto si sapeva, i Bianchi lottavano contro i Bianchi.2 Ma quell'anno ci fu qualcosa di veramente nuovo e strano lungo la Via Sacra: i cavi parlanti.3 Gli Indiani videro erigere degli alti pali e poi tirare dei cavi da una cima all'altra, e avevano udito quella specie di canto che veniva da dentro. Dapprima avevano frustato i cavalli cercando di correre più forte del bel suono e, sentendolo sempre là, avevano abbattuto con le asce alcuni pali per vedere di trovarlo. Ma appena i pali erano caduti, non si era sentito più niente. Il canto era svanito. Il capo dei soldati si era arrabbiato. I cavi parlanti e tutto il resto erano una medicina potentissima e non bisognava toccarli, aveva detto. Al torrente Deer c'era una casa e dentro la casa c'era una cosa che faceva un rumore simile a quello che fa sui tronchi l'uccello dal capo rosso.4 Era azionata da un Bianco che si chiamava Collister, un ometto piccolo come un ragazzino, cui gli Oglala volevano bene. Aveva perfino fatto provare quell'apparecchio a Uomo della Paura, l'aveva fatto parlare col vecchio Fumo che viveva nell'accampamento delle donne a Laramie. Lo Hunkpatila aveva trovato qualcosa d'interessante da domandare, qualcosa che lui e Fumo erano i soli a sapere: dove avevano trovato nascoste delle merci quella volta che erano andati a caccia insieme? Ed era rimasto di sasso, come se una mazza da guerra l'avesse colpito in mezzo agli occhi, quan2 3
La guerra di Secessione (N.d.T.).
II 24 ottobre 1861 venne infatti completata la linea che univa telegraficamente la California agli Stati dell'Est con il congiungimento dei cavi a Salt Lake City (N.d.T.). 4 II picchio (N.d.T.).
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do dopo circa un'ora era giunta la risposta: « Sull'Acqua che Corre, alla foce del torrente Box Butte ». « L'omino e i suoi fili sono una medicina davvero potente! », aveva detto il capo quella sera agli altri che con lui erano seduti attorno al fuoco. L'aveva detto con un tono fermo, senza acredine, ma con un po' di reticenza. Chi mai poteva dire dove finisse la magia dei Bianchi? Cavallo Pazzo, seduto nella penombra, l'aveva sentito e si era domandato se fosse veramente necessario che il loro Uomo Coraggioso passasse tanto tempo assieme ai Bianchi, anche se erano Bianchi buoni. Passata la notte più lunga dell'inverno, arrivò Bissonnette dal torrente Deer a inaugurare gli scambi stagionali. Al solito, uno dei suoi uomini andò al mercato con le pelli e tornò agli accampamenti con gli articoli di cui c'era domanda: del nastro rosso per una giovane sposa, oppure dei dollari d'argento per i guerrieri che con un martellino li trasformavano in dischetti e se li mettevano fra i capelli. Spesso Toro Seduto, l'Oglala,5 chiedeva che l'uomo dei fili parlanti gli mandasse altri di quei fogli con i segni neri, i giornali, perché stava imparando a leggere. Aveva perfino imparato a scrivere l'ordinazione di sua mano: prendeva un proiettile di piombo, poi scriveva su una strisciolina di carta strappata dal bordo di un giornale vecchio: «Voglio fogli bianchi e neri » e firmava disegnando una testa d'uomo dalla cui bocca partiva un filo che teneva in alto un bisonte seduto sulle zampe posteriori, che era il modo indiano di scrivere Toro Seduto.6 Molti mercanti, come Bordeaux e Richard, mandavano i figli sul Missouri alle scuole dell'uomo bianco. Quelli che tornavano venivano qualche volta dagli Indiani quando c'era da contare le pelli e le merci. Raccontavano cose meravigliose di quel lontano paese e di buon grado spiegavano quel che dicevano i giornali. Da essi gli Indiani 5
li grande Toro Seduto era uno Hunkpapa (N.d.T.). Si può vedere in Neihardt cit., p. 198, il modo indiano di scrivere « Alce Nero », analogo a questo descritto per « Toro Seduto » (N.d.T.). 6
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appresero della guerra che si facevano i Bianchi, una guerra grande, con molti morti. Era forse a causa di quella guerra che la maggior parte dei soldati era andata via, si dissero Uomo della Paura e Bruco; adesso i soldati lungo la Via Sacra erano troppo pochi e non avrebbero potuto rompere la pace un'altra volta. Ma i giovani guerrieri ci vedevano anche qualcos'altro: la buona occasione per andare a fare un po' di razzie, per esempio tra i Serpenti e gli Ute, appena fosse arrivata la primavera, e lo dissero anche in un consiglio a cui erano presenti Bissonnette, Deon e Collister. Ma questa volta furono contrastati da uno che aveva del polso con i giovani più agitati: Un Corno dei Minneconjou. Era vero che gli emigranti e i soldati sparavano, ma era anche vero che c'erano degli Indiani cattivi e questi si tiravano addosso i soldati, e chi ci rimetteva erano le donne e i bambini. I Bianchi erano moltissimi, avevano fucili che colpivano più lontano di qualunque freccia, e avevano cannoni che facevano tremare la terra. « Gli amici bianchi che sono qui seduti assieme a noi sono anch'essi parte della nazione bianca, sono parenti di quelli che voi vorreste uccidere! », disse il capo. I guerrieri lo stettero a sentire senza ribattere, ma non avevano capito questa storia dei Bianchi. Per loro, i Bianchi lì presenti erano tanto diversi dai soldati e dagli emigranti quanto i Lakota erano diversi dai loro nemici indiani. Tuttavia diedero retta al vecchio capo, anche perché si poteva sempre fare la guerra contro i Serpenti e i Crow, che erano molti. Sì, erano ancora bei tempi per i guerrieri, con tanti cavalli da rubare, tanti colpi rituali da contare. Bei tempi anche per chi non poteva prendere scalpi. Tra una caccia e l'altra, tra una razzia e l'altra, Cavallo Pazzo si faceva le cartucce per il fucile con il piombo dei mercanti, con pezzi di ferro faceva le punte per le frecce. Le sue asticciole aiettate erano di due tipi: un tipo per la caccia, con la punta legata in modo che fosse nello stesso senso della cocca all'estremità d'impennaggio; e un tipo per la guerra, con la punta legata in senso trasversale rispetto alla cocca, 168
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in modo che la freccia potesse conficcarsi facilmente tra le costole del nemico. Di sera, se la sua banda era accampata abbastanza vicino a quella dei FacCe Cattive, saliva a cavallo e andava a fare la fila assieme a una dozzina di altri giovani fuori della tenda di Donna di Bisonte Nero. Si ricordava sempre della prima volta in cui l'aveva avuta per un po' vicina, sotto il suo manto. Ed era sempre del parere che ormai non poteva più lasciarla andare. Ma anche altri aspettavano e protestavano in modo alquanto sguaiato. « Su! Andiamo a liberare la Lakota prigioniera della coperta di Cavallo Pazzo! », gridavano. Però nessuno osava importunarlo. Una volta la vecchia della tenda gli strappò via la coperta perché si stava trattenendo troppo. Fu un momento imbarazzante per Cavallo Pazzo, che si sentì ridicolo; tuttavia tornò ancora a quella tenda e stette più composto di prima, quasi senza parlare, e la ragazza era contenta che vi rimanesse poco tempo, perché così non avrebbe più provato l'imbarazzo di quella volta. Dopo qualche tempo Nuvola Rossa fece sapere in giro che avrebbe guidato una grande spedizione contro i Crow. Molti vollero andare con lui perché sapevano che era forte, e Nuvola Rossa decise di parure con Gemello Nero e Senz'Acqua assieme ai loro seguaci Facce Cattive, Gobba e alcuni Minneconjou e Hunkpatila. Cavallo Pazzo e Piccolo Falco li seguirono: il fratello maggiore montava il sauro preso ai Serpenti e gli aveva arrotolato e legato in alto la coda, come si faceva quando si andava in guerra; il minore montava invece un baio molto veloce. Erano due magnifici giovani, questi due fratelli: Piccolo Falco, il temerario, pelle liscia, trecce di un castano scuro fasciate in pelliccia di donnola, la faccia un po' dipinta, perline attorno al collo e un bracciale d'argento al di sopra del gomito; l'altro, il maggiore, più magro, pelle più chiara, una penna ritta in mezzo ai capelli lunghi e sciolti, nessuna pittura in faccia, sempre serio, quantunque stesse imparando a scherzare e a raccontare qualcosa che facesse sembrare meno lungo il viaggio; storielle, comunque, di cui non avrebbe mai avuto bisogno per tener su di morale suo fratello: 169
Piccolo Falco non sapeva nemmeno cosa fossero noia e malinconia. Bruco guardò con fierezza, dalla soglia della tenda, i figli che sfilavano per l'accampamento dietro al condottiero. Quando imboccarono la pista - i fucili di traverso sulla groppa del cavallo, gli archi e le faretre a tracolla, immobili - le donne fecero il tremolo: erano davvero due bei giovani Lakota, e le ragazze li guardavano, e di recente era sembrato che perfino Cavallo Pazzo avesse occhi per loro. Quando raggiunsero i Facce Cattive, questi furono contenti di vedere che Gobba aveva portato dei bravi guerrieri, alcuni più esperti, altri più giovani, ma tra i più giovani ve n'erano di valore provato: Giovane Uomo della Paura, Orso Solitario e i due figli di Bruco, uno così incurante del pericolo che faceva fermare i battiti del cuore, l'altro già famoso e che poteva già vantare più colpi rituali di molti membri più anziani della spedizione. La medicina di Cavallo Pazzo era così potente che il giorno si sarebbe chiuso bene per tutti: se c'era lui, nessuno sarebbe finito ferito o morto in mano al nemico. Si sedettero formando un ampio doppio circolo a fumare, parlare e mangiare un po' del wasna che si erano portati dietro in vesciche di bisonte. Si ripromisero di fare una bella battaglia. Ma quando furono pronti a riprendere il viaggio, Senz'Acqua si teneva una guancia in mano lamentando un gran dolore a un dente. Questo voleva dire che non poteva partecipare alla battaglia, perché la sua medicina erano le due zanne dell'orso grigio, e il male che aveva era un avvertimento: tutti ricordavano quel guerriero che era andato in battaglia con un gran dolore a una mano e che era rimasto ucciso, perché aveva come medicina la zampa anteriore del coda-chiazzato, del procione lavatore. Allora Senz'Acqua tornò indietro, e gli altri proseguirono: Nuvola Rossa in testa, in mezzo ai suoi Facce Cattive. Era un grande guerriero, di solito tornava con più cavalli di chiunque altro: i più giovani gli stettero vicino per sentire quello che diceva, i canti che faceva: sarebbe stato bello saper fare le cose che faceva lui e come le faceva lui. 170
Due settimane dopo, la spedizione ritornò, con colpi rituali, scalpi e grandi fatti da raccontare. Avevano assalito un grande accampamento da caccia dei Crow, avevano ucciso un capo anziano e avevano inseguito quella banda crow fin nella loro terra, oltre il Powder, poi oltre il Tongue, poi oltre il Little Big Horn. Ma Cavallo Pazzo non volle fermarsi nel villaggio dei Facce Cattive: non voleva partecipare ai festeggiamenti, non voleva dire quanti nemici aveva ucciso, quanti colpi rituali aveva contato o come avevano fatto, lui e Piccolo Falco, a trarre in salvo un Lakota ferito. Se ne andò invece di nascosto, dileguò fra i salici lungo il fiume, senza dire nemmeno una parola a Gobba o a suo fratello. A casa si seppellì sotto le pelli del suo giaciglio e non volle nessuno vicino a fargli domande o a portargli da mangiare. Sua madre e la vecchia della tenda presero il loro lavoro di mocassini e andarono da una parente, e anche Bruco se ne andò, dopo aver incrociato alcuni rami davanti alla soglia per indicare che nella tenda non c'era nessuno. Il giovane guerriero venne così lasciato solo a pensare a quello che era avvenuto. Ciò era male; un altro Lakota sarebbe andato su una collina a cantare la sua tristezza e il suo dolore al cielo. Ma Cavallo Pazzo poteva solo nascondere la faccia nel pelo di lupo, incapace di dimenticare che mentre con gli altri combatteva contro i Crow, Donna di Bisonte Nero si era sposata. Se l'era presa Senz'Acqua, e quel suo male al dente era stato solo un pretesto per non partire. Era stato lui a portar via la ragazza dalla sua tenda. Cavallo Pazzo l'aveva saputo, prima ancora di tornare al villaggio, dal cugino di lei che era tra quelli andati incontro ai guerrieri che tornavano. « Qualcuno ha camminato sotto la coperta », aveva detto Veste da Donna, quello che una volta si chiamava Carino; e benché il figlio di Faccia Cattiva non avesse nessuna parte nella faccenda, Cavallo Pazzo l'avrebbe ucciso solo perché era stato lui a portare la cattiva notizia; gli avrebbe mozzato la gola col coltello e si sarebbe poi scaldato le mani nel suo sangue. Adesso i rami incrociati sulla soglia dicevano che quel171
la tenda doveva essere lasciata in pace, e molti nell'accampamento interruppero il lavoro o il gioco per parlare di quello che era stato combinato mentre il giovane guerriero era assente. « Ah, non c'è da meravigliarsene », disse uno che aveva delle figlie non maritate. « Senz'Acqua è un uomo promettente, uno che accrescerà il potere della famiglia di Donna di Bisonte Nero ». « Hau! », avevano continuato altri. « Ma lei è nipote di Nuvola Rossa e ha in mano molte cose ». « Giusto! È proprio la nipote di Nuvola Rossa, ed essendo una Faccia Cattiva ha sulla palma della mano il prurito del potere », disse la vecchia Fa la Tenda, e se ne andò a far legna portando via di lì il suo ampio deretano. Su una cosa le donne erano d'accordo: che era un matrimonio « confezionato » da un solo uomo. Avevano visto tutti quel che Nuvola Rossa faceva per consolidare il suo potere, come quegli alberi che mandano le radici in un terreno su cui altri alberi hanno già disegnato le loro ombre. Attirava tutti quelli che poteva, per ingrossare il numero del popolo che ora si chiamava Facce Cattive. Perfino il giovane Cane raramente ora piantava la sua tenda vicino a quella dei suoi amici. Certo, sua madre era sorella di Nuvola Rossa, ma pareva che anche suo fratello maggiore, Toro dal Cuore Cattivo, da tempo pittografo di tutti gli Hunkpatila, si stesse allontanando. E con quale astuzia certe cose venivano fatte! Nuvola Rossa partiva per una grossa spedizione di guerra e al suo ritorno Senz'Acqua, fratello di Gemello Nero, che nei consigli contava parecchio, era dei suoi. Adesso Veste da Donna poltriva sotto la tenda di Nuvola Rossa seduto su una pelle dipinta, poltriva nella tenda di un grande guerriero, così che tutti potessero vedere i suoi bei vestiti, e solo perché il vecchio Fumo era suo nonno. Queste cose si dicevano le donne, e anche molti uomini la pensavano allo stesso modo, anche se si esprimevano in un altro modo: il capo carnefice stava imparando a uccidere senza versare a terra una sola goccia di sangue, dicevano. 172
Ma Cavallo Pazzo non sapeva nulla dei discorsi che circolavano per l'accampamento. Giaceva nella tenda di Bruco e pensava a quello che era successo. Ci pensò per giorni interi, o così gli parve, ma alla fine dovette rendersi conto che fuori non si sentiva anima viva. Si alzò e, uscendo, inciampò nei rami incrociati davanti alla soglia: allora capì perché non aveva più sentito nessuno. Le lacrime, insolite negli occhi di questo Oglala, gli rigarono le guance magre. Non era frequente che un padre lasciasse la tenda così: ecco un gesto da vero Lakota, ed egli doveva essere un figlio degno di tanto padre. Mise cartucce e polvere da sparo nella sua sacca da guerra, montò a cavallo e si diresse a nord, ancora una volta contro i Crow. Nessuno lo sentì mai parlare di quell'impresa, ma tornò con un altro fucile, che regalò a Piccolo Falco, con uno di quegli aggeggi con vetri che vedono lontano, che i capi dei soldati portavano sempre con loro, e con due scalpi crow che gettò ai cani. Poi salì su un monte con le pelli della capanna sudatoria e al ritorno riprese il suo posto nell'accampamento. Nessuno ebbe l'impressione di scorgere in lui alcunché di diverso. Ma Senz'Acqua si tenne alla larga da lui e gli tenne lontano anche Donna di Bisonte Nero. Una sera, tornando da caccia, Cavallo Pazzo vide quella giovane moglie che, sola, coglieva salvia e altre erbe aromatiche. Quando lo vide di lontano, la donna si coprì la faccia con la coperta, ma quando il cavallo di lui le si fermò accanto ed ella non sentì parole di collera o di disprezzo, abbassò la coperta. « Dovevo farlo, per mio padre e per i miei fratelli », disse lentamente, torcendo la pianta di salvia e non osando guardarlo in faccia. « Ricordi la prima cosa che mi disse il vecchio, alla mia festa? Che dovevo dare ascolto a mio padre e ai miei fratelli, in tutto». Cavallo Pazzo si ricordò anche di un'altra cosa, qualcosa che le donne dicevano quel giorno senza farsi sentire: « Parla un Faccia Cattiva! ». Ma non doveva dire nulla che potesse ferirla, non doveva parlare contro nessuno. « Io vorrei che tutto fosse buono fra noi », disse. « Ho fatto voto 173
di fare in modo che tutto sia buono. Non può esserci collera nel mio cuore, neppure involontaria». Questo disse e se ne andò. La donna restò a guardarlo allontanarsi. Poi, impulsivamente, buttò via tutto quello che aveva raccolto e messo nella coperta, anche la salvia fragrante, gettò via tutto, il più lontano possibile. Andò a casa e disse a SenzAcqua che voleva delle cose nuove, cose dei mercanti: bracciali d'argento e stoffa celeste per farsi un vestito e molti, molti denti d'alce per ornarlo. Questo voleva, e subito!
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UN'ALLUVIONE DI BIANCHI
Forse era giunto il momento di dire addio alla selvaggia libertà che gli Oglala avevano goduto lontano dai Bianchi. Dei messaggeri vennero ad avvertirli che dovevano scendere a Laramie per ricevere le razioni annuali e per sentire quel che aveva da dire il capo dei soldati. Ancora una volta, gli Indiani andarono ad aspettare un agente che sarebbe venuto su per la Via Sacra, sarebbe stato con loro per qualche giorno e, presa la paga, sarebbe fuggito via come un coyote sorpreso in mezzo ai polli dei Bianchi. Mentre i Lakota aspettavano, ebbero modo di vedere le nuvole di polvere sollevate da molti nuovi soldati che andavano a ovest, dove i Serpenti facevano delle incursioni contro i viaggiatori della pista e distruggevano i cavi parlanti. I pochi guerrieri oglala che erano venuti a Laramie avrebbero voluto essere altrove; la maggior parte, però, era rimasta a nord con i Minneconjou e teneva lontani i Crow dalle mandrie dei bisonti. Come in passato, alcuni soldati si recarono in visita agli accampamenti: tra loro ve n'era uno che si chiamava Caspar Collins, figlio di un capo di soldati. Questi dunque andò a far conoscenza dei guerrieri che erano al nord, e Cavallo Pazzo e gli altri lo presero in simpatia, lo invitarono a caccia e gli mostrarono con quanta prudenza, con quali espedienti e precauzioni (frutto di una lunghissima esperienza) prendessero la selvaggina. E poiché egli si informava non per deriderli ma perché era convinto che aveva soltanto da imparare, gli Indiani gli illustrarono anche le loro costumanze. Gli dissero che cosa ci si attendeva da un uomo e che cosa da una donna, e quali regole governassero la vita nella tenda. Caspar trovò che molte cose della vita degli Indiani erano buone. Un Indiano non parla mai direttamente con la madre 175
di sua moglie né la suocera si rivolge mai direttamente a lui. « Fosse così anche da noi! », aveva detto Collins, e gli Indiani avevano domandato come mai non facessero così anche i Bianchi, se trovavano che era meglio. « Voi non conoscete le nostre donne! ». « Ma è un segno di grande rispetto », avevano fatto osservare al giovane capo di soldati, che era scoppiato a ridere, da amico. Gli Oglala ormai lo consideravano quasi uno di loro e Collins imparò la loro lingua e il linguaggio a gesti prima di andare allo Sweetwater, a far la guerra contro i Serpenti. Sapendo delle imboscate che avvenivano da quelle parti, Holladay si era affrettato a levarsi dalla Via Sacra con tutte le sue diligenze postali veloci come il vento, e aveva attraversato tutto il territorio lakota, sebbene i montanari bianchi e altri che conoscevano gli Indiani dicessero che tanto i Lakota quanto i Cheyenne erano pacifici e che i cavalli di Holladay si dovevano fermare perché non ce la facevano più. Non era forse véro che quei carri postali avevano seminato lungo la pista grossi sacchi di lettere e balle di giornali? Gli Indiani se li erano presi e il vento se li era portati via. Era vero anche che qualche cavallo non legato (come poi si era saputo) era stato messo in fuga da giovani selvaggi indiani o dai ladri bianchi, quelli che i Lakota chiamavano Uomini Grigi. La pista venne comunque riaperta presto, ma le vedette indiane avevano osservato dalla cima dei monti che bastava una piccola razzia, quale sapevano farla anche i Serpenti, a fermare i Bianchi. Buono a sapersi, e da tener presente. Quell'anno avvennero anche altre cose che gli Oglala dovevano tener presenti. Costole d'Orso, che Harney aveva fatto capo di tutti i Teton, era stato ucciso. I trattati non venivano rispettati, avevano detto gli Indiani del Missouri, ed essi non volevano più saperne del trattato di pace anche se ciò voleva dire rinunciare ai viveri che prometteva. L'agente aveva persuaso il vecchio capo a prendere un po' di roba per i suoi Hunkpapa, nel tentativo di fare ingelosire e affamare altri. Perciò i Sans Arcs lo avevano ucciso. 176
Non era affatto giusto che fossero i Bianchi a conferire cariche, dissero gli Oglala. Aveva fatto bene il loro Uomo Coraggioso a voltar le spalle al potere che gli era stato proposto. Giunse anche un'altra cattiva notizia: i soldati muovevano contro dei loro lontani parenti: i Santee del Minnesota.1 Non passò molto tempo e alcuni Santee giunsero al Missouri orgogliosi di mostrare degli accampamenti pieni di cose dell'uomo bianco e di donne e bambini prigionieri. Ma avevano perso la loro terra, molti erano stati uccisi o fatti prigionieri; i soldati li stavano inseguendo. Incapaci di distinguere un Santee da un Teton, ora i soldati sparavano anche sugli Indiani amici che vivevano dalle parti del Missouri. Gli Oglala erano al di fuori di tutto questo, ma vedevano che i Bianchi che erano tra loro sapevano quel che succedeva, e anche quelli che vivevano da molto tempo nel territorio indiano ora si guardavano intorno con un sospetto mai visto, che eccitava i guerrieri più focosi. Cavallo Pazzo si recò a est in visita dai Bighelloni, giungendo fino alle case di Bordeaux, per fiutare di persona il vento che tirava da quelle parti. Il vecchio Francese gli disse che stavano arrivando altri soldati, lì, nella terra dei Lakota, e non dove si nascondevano i Santee o dove i Cheyenne avevano ricominciato a procurare guai. Lungo il ritorno l'Oglala notò che piccoli reparti militari erano già di guarnigione in vari punti della Via Sacra, perfino nei pressi di luoghi poco importanti come il torrente Deer. Qui fece visita a Due Facce e ai suoi amici oglala. Mentre era nella tenda del capo ove un mercante bianco stava facendo festa, arrivò l'omino dei fili parlanti. Faceva freddo e Collister si era messo una cappa da cavalleria che gli avevano regalato i soldati perché la sua era logora. Quando i guerrieri lo videro arrivare vestito così, si coprirono gli occhi con le coperte e non gli rivolsero una parola di saluto. Senza farci caso, l'omino si diresse alla 1 I Santee (Nakota o Sioux centrali) erano stati concentrati in una riserva lunga e stretta lungo il fiume Minnesota, dal lago Big Stone ai pressi di New Ulm. Capeggiati da Piccolo Corvo, insorsero nel 1862. Un altro loro capo, nel 1863, fu Inkpaduta (N.d.T.).
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tenda del capo, ma qui perfino il mercante fece finta di non vederlo e guardò per terra, ma la sua faccia bruciata dal sole impallidì improvvisamente come quella di una donna bianca malata quando Due Facce e quelli che aveva intorno emisero di gola un suono rabbioso e presero le armi. Fuori, i guerrieri, fucili in mano, si serravano alla soglia della tenda. L'omino parve accorgersi di aver fatto qualcosa di storto, ma non tentò di fuggire. Rimase invece dritto in piedi, davanti al capo furibondo: non più alto né più grosso di un fanciullo, tuttavia dritto come un uomo. « Hau, cola! », disse forte, che tutti lo sentissero, chiamando « amico » Due Facce, come se tutto fosse normale. Aveva dimostrato del coraggio, e a poco a poco l'Oglala smise collera e odio. Le labbra gli si atteggiarono in un sorriso e, « Hau, cola! », rispose. Fece accomodare il Bianco nel posto dell'ospite, di fronte all'entrata della tenda, gli prese entrambe le mani e lo salutò con riguardo, cioè incrociando le braccia: prima il braccio destro del capo su quello dell'ospite, poi viceversa. Con questo segno di omaggio, l'omino uscì dalla tenda. Lì fuori lo attendevano i guerrieri. Ma ormai anche a costoro la collera era sbollita, e ridevano mostrando i denti bianchi, amici come prima. Poco dopo uscirono anche il mercante e Cavallo Pazzo. « È mancato poco che oggi là dentro un Bianco venisse stupidamente ucciso », disse il mercante. Circa un'ora prima, alla piccola guarnigione del torrente Deer, un Indiano e un soldato erano venuti alle mani. A questi due altri si erano uniti, e alcuni Indiani erano stati presi a pugni e colpiti col calcio dei fucili. Tornato a casa, Cavallo Pazzo raccontò al padre la scena cui aveva assistito: i guerrieri avevano preso fuoco come un bosco di cedri, per un amico venuto con una cappa da soldato. Bruco disapprovò tale animosità causata soltanto dal modo di vestire; Piccolo Falco invece ne rise e col coltello che stava affilando su una pietra da mola fece il gesto di scalpare. Si preparavano grandi giorni, e lui voleva essere pronto. 178
Cavallo Pazzo, che aveva visto vecchi, donne e fanciulli dilaniati dalle cannonate, abbassò gli occhi. Calzava i mocassini cheyenne che gli aveva mandato Donna Gialla, colei che, abbandonata lungo la pista dopo il massacro dell'Acqua Azzurra, aveva atteso la sua ora col figlio ucciso da una pallottola in petto. Anche la figlioletta di Coda Chiazzata in seguito era morta, sebbene il soldato che l'aveva presa si fosse dimostrato molto buono con lei. Sì, pensava Cavallo Pazzo, il sentiero di guerra era una gran bella cosa per i giovani guerrieri, ma egli avrebbe fatto in modo che Piccolo Falco non dovesse mai vedere donne e bambini sparsi per terra come animali da macello. Finiti gli ultimi scambi, gli Oglala discussero ancora se non fosse il caso di tener lontani i giovani dalla Via Sacra. I soldati arrivati dopo lo scoppio della guerra dell'uomo bianco nel sud, erano diversi da quelli che c'erano prima. Parlavano come Grattan, il piccolo capo di soldati che aveva fatto una brutta fine. Gettavano via molto presto le loro uniformi, o le vendevano, e si mettevano casacche di pelle di daino con frange. Usavano speroni spagnoli, montavano cavalli indiani, dicevano di voler prendere scalpi e far mordere la polvere ai pellirosse. « Come se gli Indiani fossero lupi... », aveva detto l'omino dei fili parlanti al torrente Deer. Gli Indiani avevano fatto il gesto con cui intendevano dire che non erano d'accordo. Per loro anche il lupo era un fratello, perché eliminava le carogne che avrebbero avvelenato l'aria e perché ripuliva i luoghi dove si erano accampati. Questi nuovi soldati erano davvero gente strana, strana anche per i Bianchi, si dicevano gli Indiani, rifacendosi a quanto era capitato a una donna alle case dei mercanti sul torrente Deer. Le era morto il bambino della malattia che dà le macchioline (il morbillo) e, seduta a terra, lo cullava avvolto nella sua coperta, lo piangeva come fanno tutte le donne. Dei soldati passando la videro. « Maledizione! », si gridarono l'un l'altro. « Guarda quella squaw sioux che vorrebbe fare come una donna bianca! », e lo dissero forte, come anche altre cose, senza 179
pensare che certi Indiani conoscevano molte parole dell'uomo bianco. Questi soldati nuovi! Chi li capiva?! Sembrava che nessuno di loro avesse genitori o che nessuno li avesse cresciuti. Erano per giunta degli scriteriati: uscivano dal forte soli, oppure in gruppi di due-tre, e così accadeva che molti di quegli sbruffoni che parlavano di prendere scalpi non tornassero più. E se non li si trovava almeno cadaveri, c'era da pensare che avessero fatto anch'essi come molti altri, cioè avessero disertato e fossero fuggiti con i cercatori d'oro. I più anziani videro il pericolo di queste novità e decisero di trasferire gli accampamenti invernali oglala sulle sponde alberate del Belle Fourche. Ma poco prima che cadessero le prime nevi, cinque Crow penetrarono di nascosto nell'accampamento e scalparono un ragazzo da vivo. I guerrieri si misero sulle loro tracce e ne presero tre; gli altri due si persero in una tormenta che sopravvenne improvvisa, rapida come i lampi che balenavano nel suo infuriare. Cavallo Pazzo non fece nulla: la sua medicina si era indebolita da quando aveva preso i due scalpi dopo che Senz'Acqua aveva sposato Donna di Bisonte Nero. Quei due scalpi non gli erano serviti a niente perché egli era ancora col cuore a terra. Ma lungo il ritorno gli accadde di trovarsi d'un tratto tagliato via dagli altri. Intorno aveva solo del biancore e dentro e fuori si sentiva caldo come se la bufera non lo toccasse. Fu allora che si avvide di una strana cosa: la neve non gli andava vicino. Durò solo per poco, poi di nuovo scariche di lampi, tuoni che per metà erano vento; di nuovo anch'egli fu nella neve turbinante e, dritto davanti a sé, intravide il cavallo da guerra che aveva seguito. Ma dentro si sentiva ancora caldo, e il cuore era tornato buono. Quando raggiunsero gli accampamenti, Deon stava portando, nella tormenta che gli soffiava in faccia, cinque grossi carri alla tenda di Nuvola Rossa. Arrivava appena in tempo per non farsi precedere sulla pista da quella che doveva essere una tormenta di medicina, perché neppure la donna della tribù che prevedeva il tempo l'aveva anticipalo
ta. Ora nell'accampamento c'erano tutti, i guerrieri, i cacciatori e i mercanti. Uomo della Paura aveva Hank Clifford e Orso Coraggioso aveva Nick Janis: perciò, stabiliti i prezzi delle merci che si sarebbero scambiate, Deon mandò il banditore ad invitare tutti alla tenda di Nuvola Rossa, a far festa e a vedere le sue merci. Cavallo Pazzo non ci andò: ora lo si vedeva di rado in una tenda di Facce Cattive, e non a causa della donna — che era stata come una stella riflessa nell'acqua e svanita alla prima brezza - ma perché si stava operando una nuova divisione in seno agli Oglala che avevano parteggiato con Fumo nei disordini creati da Toro Orso. Era una divisione che avveniva lentamente (quale si sarebbe potuta osservare in una mandria di cavalli bradi), in cui i più intraprendenti andavano a unirsi alle bande dei Facce Cattive. Cavallo Pazzo invece era spesso seduto davanti al fuoco di Clifford o di Janis, e ascoltava dai più anziani della sua gente episodi di guerra e di caccia avvenuti in tempi lontani; oppure era fuori nella neve in cerca della nube di fiato di una mandria di bisonti o di tracce di alci. Varie volte fece la medicina del tuono-della-neve: una cosa segreta, aveva detto Bruco, che risaliva a tempi antichissimi. Perché il tuono era sempre stato di grande aiuto per il popolo, ma la medicina del tuono-della-neve veniva conferita a pochissimi dalle bufere invernali, che erano come quelle estive e uccidevano con le nevicate soffocanti, ma annunciavano tutta la nuova vita della primavera che si approssimava. « Va', figlio mio, va' nella neve e saprai tu che cosa fare. Nessuno può dirtelo, e nessuno può dire che valore avrà la tua opera, a meno che non ti sia dato un segno. Tu appartieni al popolo ». Al disgelo di metà inverno giunsero visite: alcuni Santee e Minneconjou dal nord e numerosi Cheyenne dallo Smoky Hill. Portarono cattive notizie riguardo ai piani dei soldati per la primavera. Cavallo Pazzo le udì e scese al Piatte meridionale, dalle bande di Piccola Ferita e di Coda Chiazzata, a constatare di persona come stessero le cose. Al ritorno, suo padre lo stette a sentire, quindi lo accompagnò alla tenda di Uomo della Paura. 181
Là, parlando piano e pacato come al solito, egli disse in quale difficile situazione si trovava il popolo del sud. Quell'estate i Bianchi erano stati tanti come formiche, lungo la strada che costeggiava lo Smoky Hill e tagliava in due i pascoli dei bisonti.2 Alla stagione delle cacce erano arrivati dei cacciatori e si erano piazzati contro vento con grossi fucili, le cui canne erano rette da bastoni forcuti. I loro spari avevano sterminato intere mandrie. Poi ai bisonti avevano infilato un bastone nel naso per tenerli fermi, vi avevano agganciato delle corde, legate all'altra estremità ai cavalli, i quali tirando avevano asportato le pelli. Tutta la carne era rimasta ai lupi, con la gobba e la lingua. L'aveva già saputo, disse Uomo della Paura, ed era male fare una cosa del genere al loro fratello bisonte. Sì, e nelle città dei soldati - a quanto era stato detto a Cavallo Pazzo - le pelli essiccate, in pile poste una accanto all'altra, formavano una fila lunga come il crinale che è dall'altra parte del Belle Fourche. Aspettavano che i carri le portassero a est, ove pareva che finissero tutte le buone cose del territorio indiano: i castori, i bisonti e forse ora perfino la terra. I guerrieri avevano infatti saputo che i vecchi capi cheyenne due anni prima avevano firmato una carta con la quale avevano ceduto ai Bianchi quasi tutti i loro territori di caccia. Perciò nei villaggi laggiù stagnava un forte odor di piombo, e i giovani portavano la pipa da una banda all'altra sebbene i vecchi predicassero ancora che i Bianchi erano molti. « Ma se non combattiamo saremo polvere sotto le loro ruote... ». Era vero, e forse laggiù i soldati avrebbero fatto in modo che ciò si avverasse molto presto. Gli Oglala avevano saputo anche che il capo dei soldati di Laramie stava cercando di ottenere nuovi fucili del tipo che i mercanti chiamavano a retrocarica, come quelli dei cacciatori venuti a uccidere i grosse teste con corna.3 « Hoye! », avevano gridato i guerrieri dopo averli visti 2 5
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La pista di Santa Fe (cfr. Lavender cit., pp. 162-163) (N.d.T.). bighorn (Ovis canadensis), oppure i bisonti (N.d.T.).
all'opera. Un fucile così lo si poteva ricaricare dal cavallo in corsa. Poi c'era l'altro fatto, che non era più visto di buon occhio un soldato che prendesse in moglie una Indiana. Collins, il padre del giovane Caspar cui piaceva frequentare gli accampamenti, aveva inviato ordini precisi al torrente Deer e agli altri fortini; così, ancora una volta, le Indiane sarebbero tornate dalla loro gente portandosi i bambini avuti dall'uomo bianco. Quando cominciò a far caldo e i giorni si allungarono, gli Oglala si unirono per la danza del sole. Si fecero feste e visite, e vi fu molto lavoro per i membri dei consigli e i sacerdoti come Bruco e Alce Nero,4 i quali prestavano la loro opera per la purificazione di coloro che avevano voti da adempiere od ordalie cui sottoporsi, e per i preparativi della grande cerimonia con cui i Lakota si rafforzavano e si propiziavano cacce abbondanti e molti scalpi. Cavallo Pazzo non prese parte alla danza: il suo petto rimase liscio e senza cicatrici. Tuttavia vi assistette, e quasi ogni giorno ebbe occasione di vedere Donna di Bisonte Nero. Lei qualche volta portava il figlioletto sulla schiena, avvolto nella coperta, oppure nel guardinfante che appendeva al lungo corno della sua sella da donna. Molti la guardavano quando passava sul suo lustro cavallo pezzato, e il suo vestito di pelle di daino era il più bianco; le sue ghette adorne di perline erano le più belle dell'accampamento. Era diventata una donna adulta, dal passo fiero; ora con i suoi occhi sosteneva lo sguardo di Cavallo Pazzo senza timore di farsi vedere. Una volta, davanti a molti attorno a un fuoco acceso per le danze, lo canzonò perché non si era ancora sposato. « Hau! Non è bello che abbia sempre la vita facile e libera. Deve lavorare, e pagare il mercante anche per delle merci da donna », disse Senz'Acqua ridendo. « Vieni al mio villaggio, là ne abbiamo qualcuna che fa per te ». Cavallo Pazzo non vi fece caso e non disse niente. Allora 4
II padre del più celebre Alce Nero (N.d.T.).
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saltò su il più gaio Piccolo Falco e domandò alle donne se volevano lui invece di suo fratello che non parlava mai. Sarebbe stato un marito molto utile per qualcuna. Ah, sì che lo sarebbe stato!, dissero le donne, così forte che il giovane Lakota, a sentirsi ben accetto con tanta franchezza, si trasse un po' più vicino a suo fratello. Quando la luna fu così lucente che al suo chiarore quelli che vivevano lontano potevano vedere la strada di casa, la tribù riunita per la danza del sole si disperse. Gli Oglala dovettero andare a sud per attendere un'altra volta il loro agente. I guerrieri invece, dal momento che i soldati erano tanto occupati, avevano altri piani. A sud i soldati davano la caccia ai Cheyenne e li tenevano in continuo movimento: perfino le donne erano furiose, come orse cui hanno molestato i piccoli. A nord, i soldati che braccavano i Santee avevano trovato gli amici Yanktonais alla Collina della Pietra Bianca (White Stone Hill) e si erano buttati su di loro. Al fiume Bear, dall'altra parte delle montagne, a ovest, avevano distrutto a metà inverno un accampamento di Bannock e di Serpenti. Ne avevano uccisi più di duecento, tra cui molte donne e bambini, lasciandone in vita pochi, che dovettero nascondersi nella neve. Grosso Pipistrello, il mercante, che conosceva quella regione, disse che i soldati avevano addotto come motivo che alcuni di loro, penetrati in terra bannock, erano stati uccisi: e quindi era toccata a questi Indiani la stessa sorte di quelli dell'Acqua Azzurra. Dopo, i soldati avevano detto che ciò sarebbe servito di lezione. « La lezione di non permettere mai più che i soldati si avvicinino alle donne e ai bambini! », aveva detto Cavallo Pazzo come una furia. Bruco aveva alzato gli occhi dalla lunga pipa. « Mio figlio fa la voce grossa nella tenda di sua madre », osservò senza infervorarsi. Il guerriero si ritirò nella penombra e le donne, per confortarlo, fecero il mormorio dall'altra parte del fuoco. Avevano realmente guai e soldati da tutti i lati, come una marea che si alza tutt'intorno a un'isola. Lì, nella loro terra, un certo Bozeman aveva piantato una fila di picchetti 184
che andava da sopra lo Yellowstone al Piatte, una fila dritta come la traiettoria di un proiettile attraverso il cuore dei loro territori di caccia. Poi aveva formato un grande convoglio di carri e di gente a cavallo che voleva andare alle miniere d'oro del nord, di là dalla terra crow, e li aveva avviati su per la pista dei mercanti verso il fiume Powder seguendo però i paletti freschi invece di andare per la strada che aveva consigliato Bridger e che passava per la terra dei Serpenti.5 Gli Indiani l'avevano lasciato in pace perché Bozeman era da solo e pareva che se ne andasse dal loro paese. Inoltre non sapevano ancora che cosa volessero dire quei paletti per terra. Ma ora dei segnali di fumo salivano al cielo e chiamavano a raccolta i guerrieri degli Oglala, dei Minneconjou e dei Cheyenne settentrionali. Al torrente Lodgepole, 240 chilometri dell'uomo bianco sopra il Piatte, il convoglio di Bozeman si trovò un mattino circondato di Lakota. Fuori tiro, i guerrieri erano a cavallo immobili come le colline, e quando uno doveva lasciare il suo posto nella fila un altro lo sostituiva, perché ve n'erano molte centinaia, e sui crinali a fumare c'erano molti anziani. Cavallo Pazzo lo sapeva, e ancora una volta si sentì forte in mezzo al suo popolo. Non si fece alcun movimento ostile contro i Bianchi: di giorno li tennero bloccati là e di notte accesero i fuochi tutt'intorno al convoglio. L'assedio durava già da una settimana, e le donne bianche piangevano e gli uomini imprecavano al vento. Finalmente due del convoglio fuggirono verso il Piatte. Gli Indiani li lasciarono andare, poi, dalle segnalazioni, appresero che avevano raggiunto la Via Sacra e che avevano usato i cavi parlanti. Ora stavano per arrivare sessanta soldati a cavallo per sbloccare gli emigranti e farli arrivare allo Yellowstone. La notte seguente i segnali di fuoco chiamarono altri guerrieri: vennero da ogni parte, cavalcando notte e giorno e senza nascondersi: alzavano nubi di polvere come trombe di vento sulla terra bruciata dal sole. Intorno ai Bianchi 'Bridger aveva trovato un passaggio a ovest dei monti Big Horn (N.d.T.).
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circondati, i crinali nereggiavano di Indiani a cavallo e ancor più numerosi erano quelli nascosti lungo il tragitto dei soldati. Un corriere lakota arrivato dai forti disse che i soldati avevano l'ordine di ricondurre i Bianchi al Piatte. Qualche Indiano credette che ciò fosse un trucco per dividere i guerrieri facendoli tornare ai rispettivi accampamenti. Quando Uomo della Paura disse che orecchie oneste odono solo la lingua diritta, Nuvola Rossa, Gobba e Strada Grande studiarono un piano che contentasse tutti. « Fidiamoci del capo dei soldati e ritiriamo i guerrieri in modo che egli possa raggiungere i Bianchi. Ritiriamoli ma lasciamoli sempre lungo la linea dei paletti. Se i Bianchi tenteranno di proseguire, noi saremo pronti ». E così fecero. Arrivarono i soldati e riportarono indietro il convoglio. Bozeman e altri sette fuggirono di notte a cavallo verso lo Yellowstone. Gli Indiani li lasciarono andare: per otto pazzi, non volevano dare ai soldati il pretesto di rimanere nel loro territorio. Al termine della caccia estiva gli Oglala e alcuni Minneconjou capeggiati da Tocca le Nuvole mossero contro i Crow. Tornarono con trecento bei cavalli ma ai Crow ne erano rimasti ancora in numero sufficiente per inseguire i predoni. Cavallo Pazzo fu come al solito tra quelli che proteggevano la fuga e varie volte tornò indietro da solo per affrontare i Crow. La prima volta gli uccisero il cavallo ma egli cadde in piedi, col fucile pronto, mentre i Crow incalzavano lanciando gridi. Mirò contro colui che li precedeva tutti non nel punto su cui un uomo si siede, come si faceva in un combattimento in corsa, ma in un altro, perché voleva il velocissimo pezzato che portava quel guerriero in battaglia. Colpito, il Crow gettò in alto le mani, si inarcò all'indietro mentre il cavallo gli sfuggiva da sotto e la corda da guerra gli si dipanava dalla cintura. Cavallo Pazzo corse ad afferrare la corda che strisciava a terra e, sotto una grandinata di pallottole e di frecce, raggiunse i compagni. Quando tornò indietro per una seconda carica, i Crow si fermarono, timorosi della sua medicina; ma alcuni tagliando per scorciatoie lo sorpassarono e, appostati 186
dietro rocce, prepararono un'imboscata ai Lakota. Prima che questi riuscissero a resingerli, i Crow ne avevano uccisi cinque; così, al termine della spedizione, si vide che ne mancavano otto. Dopo qualche giorno Cavallo Pazzo cominciò a capire come mai il Crow che aveva ucciso fosse tanto avanti rispetto agli altri; il pezzato che gli era appartenuto faceva mangiare la polvere a tutti gli altri cavalli oglala, e Cavallo Pazzo vinse la buona pistola che Senz'Acqua scommise con lui se il cavallo del giovane Oglala avesse battuto il suo castrato di un color fumo bluastro. Cavallo Pazzo avrebbe preferito non gareggiare, ma poi aveva dovuto accettare, non perché gli interessasse la pistola ma perché alcuni lì presenti gli avevano detto in tono stizzito: « Sei tu l'uomo che si lascia portare via tutto dal Faccia Cattiva? ». Alla fine si era infilato la pistola nella cintura e aveva legato il cavallo vicino alla sua tenda. Di lì a poco non fu più possibile fare le corse perché la neve cadde prima del solito e distese sulla terra un manto così spesso e bianco che nessuno osò andar fuori senza ungersi e dipingersi la faccia di scuro contro le scottature del sole. Nella Luna in cui Spunta l'Erba giunse la notizia che un'ennesima volta veniva proibito il commercio con tutti eccetto che con i Bighelloni, sebbene gli Oglala del nord non avessero preso parte ad alcun combattimento contro l'uomo bianco. Si diceva che avessero chiuso nella casa di ferro anche il mercante di Laramie e che agli altri fossero state requisite armi e munizioni. Pareva che fosse tornato l'ufficiale di nome Mitchell. Costui infatti mandò a chiamare i capi degli Oglala meridionali e dei Brulés, ma allorché questi scesero al Piatte egli non si fece trovare: al suo posto c'era un piccolo capo di soldati, che grugniva come un orso grigio che attacca dopo essere stato colpito agli intestini. Ma i suoi grugniti si persero come quelli degli orsi nei canyons, perché grugnirono anche i capi. « La pista dello Smoky Hill che passa in mezzo ai nostri bisonti deve essere chiusa, i cacciatori devono essere mandati via, e anche i soldati! ». 187
I Bianchi non fecero niente, perciò gli Indiani dovettero andare tutti a Laramie. Era molto lontano per loro, tuttavia Coda Chiazzata e i Cheyenne si misero in viaggio. Tre volte si tenne consiglio senza combinar nulla. I guerrieri però combinarono qualcosa. I Cheyenne cominciarono a fare razzie sulla pista degli emigranti e insieme a dei Lakota uccisero delle persone al torrente Plum e fecero dei prigionieri. Nell'estate dell'anno col numero 1864, gli Oglala del nord erano lontani da questi fatti: erano dalle parti del Tipi dell'Orso - o Torre del Diavolo, come chiamavano i Bianchi questo colle 6 - ma vennero ugualmente a sapere che i soldati avevano ucciso dei Cheyenne e che gli emigranti avevano paura e sparavano su chiunque avesse una penna fra i capelli, anche se era un amico. I soldati erano ancora in forze nella zona del Missouri e un gruppo numeroso di Minneconjou e Hunkpapa che volevano star lontani da loro vennero nella terra degli Oglala e scesero a vedere la Via Sacra di cui avevano sentito tanto parlare. Vi trovarono un convoglio di emigranti e fumarono e mangiarono con loro: sembravano brava gente, magari un po' timorosi. Stavano mangiando quando arrivò da nord un messaggero e disse che il capo dei soldati del Missouri aveva ucciso alcuni loro parenti e poi ne aveva conficcato le teste in cima a dei pali. Questa notizia li fece diventare molto cattivi: uccisero degli emigranti, bruciarono dei carri, portarono via tutto quello che volevano - comprese due donne 7 e una bambina - quindi tornarono velocemente a nord per portare aiuto al loro popolo. Cavallo Pazzo ne rimase turbato: adesso sarebbero sicuramente arrivati altri soldati, e poi a lui non piaceva che si 6 Poco più a nord-ovest dei Black Hills. L'A. chiama Bear Butte (Colle dell'Orso) l'altura presso cui si tenne il Grande Consiglio dei Teton, e Bear Lodge (Tenda, o Tipi, dell'Orso) il colle oggi chiamato Devil's Tower (Torre del Diavolo). All'origine del nome Bear Lodge è una leggenda narrata da Gambe di Legno in op. cit., p p . 52-53. La singolarissima roccia si può vedere nella Encyclopaedia 'britannica, v. 23, voce « Wyoming », tav. I (NJ.T.). 7 La signora Larimer e la signora Fanny Kelly, giugno 1864.
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prendessero prigioniere delle donne bianche. Fin da quando era bambino e le donne degli emigranti lo guardavano e poi si domandavano: « Prigioniera? », aveva detestato il suono e il significato di quella parola. Infatti comparvero presto altri soldati che andarono ad aggiungersi a quelli che c'erano già e per combattere i Lakota si fecero aiutare dai nemici di costoro, i Pawnee: molti Pawnee, che indossavano giubbe militari da sotto le quali si vedevano i lembi del perizoma. Sicché quando una trentina di Minneconjou capeggiati da Un Corno mossero verso Laramie, Cavallo Pazzo andò con loro. Un giorno gli Indiani videro un grosso reparto di soldati rientrare al forte dopo un giro di esplorazione. Videro anche che lasciavano i cavalli nello spiazzo sabbioso del forte in cui facevano le esercitazioni. Era un giorno calmo, caldo, col sole a picco: quasi tutti i Bianchi erano all'interno dei caseggiati e le guardie erano all'ombra. Allora Cavallo Pazzo e vari altri che conoscevano il forte per averlo frequentato da ragazzi, guidarono la carica. I Lakota piombarono sulla guarnigione e spararono in aria agitando pelli di bisonte. Prima ancora che i Bianchi avessero il tempo di sparare un colpo, tutti i cavalli erano in fuga verso il nord in un turbinio di nitriti, di polvere e di zoccoli scalpitanti. Passò più di un'ora prima che le vedette rimaste indietro vedessero partire i soldati che venivano a riprendersi i cavalli. Per un tratto si portarono dietro anche un cannone; in seguito dovettero rimandarlo al forte perché faceva perdere troppo tempo. Tutto il pomeriggio e tutta la notte gli Indiani galopparono verso nord tenendo la mandria compatta; anche i soldati andavano forte, ma non li raggiunsero mai. La seconda notte gli Indiani arrivarono sulla loro terra: allora si divisero, sapendo che i soldati non si sarebbero divisi per inseguirli, per paura delle imboscate. Ogni tanto una vedetta scoccava una freccia dalla vetta di un monte e la mandava a conficcarsi in mezzo ai soldati per tener loro desta la memoria. Alla fine i Bianchi si fermarono e tornarono indietro molto più veloci di quando avanzavano.
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Nella Luna in cui le Ciliegie Diventano Nere (agosto), il vecchio agente dai capelli bianchi, il maggiore Twiss, sostò alla tenda di Uomo della Paura mentre tornava a casa da Forte Laramie. Aveva con sé le sue mogli e i suoi figli, tutti vestiti a nuovo e con l'aria di essere in salute. Disse che con i capi dei soldati aveva parlato della guerra che l'uomo bianco faceva a sud: essi lo avevano guardato sbalorditi perché dimostrava di intendersi di queste cose, avendolo scambiato, dall'abito e dal viso abbronzato, per un Indiano. Il vecchio rise ricordando quel momento: non avevano fatto caso alla sua barba, quegli ufficiali! Rise anche dei nuovi soldati che avevano preso mogli lakota in cambio dei soliti regali fatti ai loro padri. Ma pareva che le giovani non fossero più come quelle di un tempo: alcune si erano rifiutate di seguire come mogli quei Bianchi che oggi erano lì e domani chissà dove; altre invece avevano accondisceso a seguirli e poi erano rimaste scontente. Un padre oglala, visto che la figlia storceva la bocca, aveva portato lei - nonché il cavallo che gli aveva regalato il soldato - a un accampamento settentrionale. Un'altra aveva preso a graffi e morsi il marito: questi l'aveva lasciata andare e lei era uscita dai suoi quartieri. L'uomo si era fatto rider dietro poi era andato dall'interprete a lamentarsi: « Se ne stava sempre seduta per terra, con quell'accidenti di coperta in testa. Quando cercavo di avvicinarmi, si tirava indietro », aveva detto. « Alla fine le ho tirato via quella stramaledetta coperta, e lei si è messa a graffiarmi e a mordermi come un dannato gatto selvatico... ». Di questi Bianchi che non sapevano concedere un po' di tempo a una ragazza vergine, gli Indiani risero piano, senza aprire la bocca. Rise anche Uomo della Paura, ricordando il trucco con cui aveva giocato la sua moglie più anziana. L'aveva portata con sé a caccia: dopo due giorni si era sentita talmente sola, lontano dall'animazione della tenda in cui era cresciuta, che aveva cominciato ad andargli dietro fino alle trappole per i castori, poi gli si era messa davanti, col volto scoperto e gli occhi bassi per pudore. A questo punto si udì un brontolio di protesta, non for190
te, per non mettere in imbarazzo l'uomo davanti agli amici; era un contenuto brontolio di moglie. « Perché? Ho detto forse che era impudica? », domandò il capo ai presenti. « Sapete tutti quanto sia riservata, non come certune che quando rimbrottano si fanno sentire per tutto l'accampamento anche se mugghia la bufera... ». Hau!, ammisero gli altri. C'era la moglie di Faccia Cattiva, e nemmeno della moglie di Nuvola Rossa si poteva dire che fosse silenziosa come d'inverno una talpa. Era risaputo che molti scendevano sul sentiero di guerra solo perché in casa non avevano pace... Tuttavia sposare i soldati non era sgradito solamente alle giovani Indiane, disse il maggiore Twiss. Anche il capo dei soldati rendeva difficili queste unioni, non permettendo più che le merci venissero portate all'accampamento delle donne, sicché questo ormai era deserto. Tanto meglio, perché quei giovani Bianchi che sapevano solo uccidere non sarebbero mai stati grandi padri di un grande popolo. Pur in mezzo a tutti questi guai, la maggior parte degli Oglala era ancora in pace quando, finita l'estate e passati i patemi procurati dagli Indiani, le piste degli emigranti vennero riaperte. Gli Indiani lasciarono perfino passare un convoglio di carri lungo la via del fiume Powder, la stessa su cui avevano bloccato Bozeman. Ma più a nord le cose non andavano bene. Uomo della Paura tornò da un viaggio recando notizie di frequenti scontri: i soldati davano la caccia a tutti e i guerrieri reagivano inferociti. Un grosso convoglio era rimasto bloccato a lungo a est del Little Missouri. Gli emigranti avevano un cannone e avevano costruito un fortino di terra, però avevano dovuto ugualmente tornare indietro, di fronte alla furia degli Indiani, e avevano lasciato sulla pista uno scatolone di pane duro in cui c'era del veleno per i lupi: molti erano morti in seguito ai crampi spasmodici. Uomo della Paura era andato a prendere la prigioniera che si chiamava signora Kelly, che i Minneconjou e gli 191
Hunkpapa avevano rapito quell'estate sulla Via Sacra e portato a nord. Ma i Bianchi dei forti settentrionali avevano voluto che la donna fosse portata là, essendo quei forti molto più vicini, come più vicini erano i posti di mercato dei suoi rapitori. Da quanto aveva potuto capire vedendola e sentendo parlare di lei, lo Hunkpatila riteneva che le donne dei Bianchi fossero veramente fragili e sciocche, e che ancora più sciocchi fossero gli Indiani che le volevano. «Può darsi che non siano tutte come quella», osservò sua moglie. «Mi auguro che sia come dici tu, per il bene dei miei amici bianchi». Ma improvvisamente giunsero notizie così cattive che fecero dimenticare tutte quelle del passato: era accaduto qualcosa di molto grave a sud, qualcosa che da molto tempo si sentiva sospeso come un fumo sulla prateria. I Cheyenne meridionali avevano avuto tre grandi uomini di pace. Uno era stato ucciso in primavera mentre stringeva la mano a un capo di soldati. Gli altri due, Pentola Nera e Antilope Bianca, avevano fatto di tutto per dimenticare e mantenere la pace, ma ogni volta che erano riusciti a tener buoni i guerrieri, i soldati avevano sparato su altre donne e bambini. Ora, nel periodo delle cacce autunnali, con i Cheyenne e i Nuvole Azzurre che avevano voluto seguirli, i due capi erano andati in un luogo che il loro agente aveva indicato per terra disegnando una mappa schematica: un punto sul torrente Sand. Là erano stati trovati dai soldati. Dapprima gli Oglala vennero a sapere che erano stati uccisi tutti, poi seppero anche il nome di molti che conoscevano e appresero il modo tremendo in cui erano stati massacrati: uomini, perfino dei vecchi, cui mancavano le parti di uomo; donne scalpate nelle parti segrete e gli scalpi esibiti nei saloons di una città chiamata Denver; altre sventrate, i feti tirati fuori. Fra queste, Donna Gialla. Quando Cavallo Pazzo udì queste cose, fu come se il petto gli prendesse fuoco. Tutti gli sforzi per mantenere la pace in quei dieci anni seguiti alla morte di Orso che Conquista, i trattati di pace, lo star lontani dai Bianchi, tutto 192
aveva dato quel risultato. Quando i messaggeri ebbero finito il rapporto, l'Oglala uscì da solo nel freddo invernale ed errò per le colline. Una volta vide l'aquila chiazzata roteargli sopra la testa e poi calare improvvisamente. Nulla. Dopo non restò che una penna rotta che vagolava giù. Non c'era bisogno di segni per sapere quello che bisognava fare: i fatti parlavano chiaro. A Forte Laramie il vecchio Fumo, tanto attaccato alla pace dei Bianchi fatta di gallette e melassa, giaceva avvolto nella coperta sul palco funebre. Cheyenne e Lakota meridionali, tutti i Brùlés di Coda Chiazzata nonché gli Oglala Orso venivano al nord a chiedere aiuto, non come cani allontanati a frustate dalla carne stesa a seccare, ma come uomini infuriati oltre ogni dire, che bruciavano e uccidevano dove passavano. Bene, adesso era la guerra per tutti: una guerra all'ultimo sangue. Laggiù, nell'accampamento che Cavallo Pazzo vedeva dall'alto della collina, vivevano molti, donne, vecchi e fanciulli incapaci di difendersi, che sarebbero potuti morire prima che tutto fosse finito; e lontano, più a valle del fiume, vivevano Senz'Acqua e Donna di Bisonte Nero che ora portava un altro bambino sulla schiena e nemmeno questo era figlio di Cavallo Pazzo. Ma quel giorno egli si sentì soprattutto un guerriero lakota, uno in mezzo a così tanti che sembravano una foresta. Tali e tanti ne aveva visti al consiglio del Tipi dell'Orso. Molti, e coraggiosi. Venissero pure i soldati.
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3. IL GRANDE ANNO
Stava accadendo una cosa grandiosa, che nessuno aveva mai visto ma che gli Indiani del nord sapevano vera perché i messaggeri avevano portato la notizia, e il messaggero che non riferisce con lingua diritta stramazza al suolo come un cavallo sfinito e le sue ossa rimangono a imbiancare la prateria. I messaggeri dunque avevano riferito che dal sud tutti salivano verso il Powder, Cheyenne, Nuvole Azzurre e tutti i Lakota del sud. Anche i capi che come Pentola Nera per molto tempo avevano creduto nella pace ora venivano al nord, e in testa a quella moltitudine cavalcavano i membri dei consigli con la pipa di guerra. Adesso su ogni pista sarebbe corso sangue. Li videro avvicinarsi ogni giorno di più: passavano un fiume dopo l'altro, come si arrampicassero sui rami di un unico grande tronco. Primi i Lakota, ospiti di riguardo perché per primi avevano accettato la pipa; li seguivano novecento tende, o famiglie: seimila persone, nel freddo di gennaio (la Luna del Ghiaccio sulla Tenda). C'erano anche dei Bianchi, i Bent e altri figli di mercanti, poiché ora ritenevano che il loro posto fosse con la gente delle loro donne. II primo grosso attacco di questi Indiani contro i Bianchi avvenne nei pressi di Julesburg,1 una cittadina così chiamata dal nome del mercante che l'aveva fondata. Mille guerrieri scelti mossero contro i soldati seguendo l'antichissimo ordine d'avanzata, con i portatori della pipa, le vedette e l'akicita che doveva mantenere la disciplina tra i giovani sfrenati: lo stesso ordine con cui un tempo i Lakota avevano mosso contro i Ree, gli Hohe e i Mandan, e 1
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7 gennaio 1865.
perfino contro i Chippewa, quando non avevano che pochi cavalli ed erano i cani a trainare le tregge. Al fortino, i guerrieri-esca indussero i soldati a uscire e a inseguirli, ignari dell'imboscata che li attendeva alle colline. Senonché i giovani Indiani non seppero aspettare che i soldati giungessero a tiro delle loro frecce o dei loro fucili a corto tiro. Si lanciarono alla carica e fecero fallire quello che sarebbe stato un buon accerchiamento. Invece di far cadere in trappola tutti i Bianchi, dovettero accontentarsi di quattordici soldati e quattro civili che si erano uniti ad essi. Poi gli Indiani invasero i magazzini della guarnigione e caricarono tutto il bottino che poterono sui cavalli da tiro. Alcuni guerrieri galopparono per la prateria srotolando lunghi teli di stoffa rossa che il vento portava via; misero in fuga grosse mandrie; presero al lazo i cavi parlanti e i pali che li reggevano, poi, frustati i cavalli, li fecero cadere e se li trascinarono dietro. E questa volta i soldati non uscirono più dal fortino per combattere. Quando i capi del nord vennero a sapere che l'accerchiamento era fallito, osservarono con amarezza che i giovani di allora erano bravissimi se si trattava di razziare cavalli, prendere scalpi e contare i colpi rituali a tutto vantaggio personale; ma se si trattava di combattere per il popolo, valevano poco o niente. Dietro ai capi, i guerrieri stavano a testa bassa, perché la freccia del biasimo diretta contro quelli del sud colpiva anche loro. In paragone, sembrava che gli Indiani precedentemente fossero stati quasi dei pacifici: avevano soffocato sotto le coperte da lutto l'ira per il massacro di Sand Creek. I Bianchi che vivevano in mezzo a loro dissero che l'attacco non era stato sferrato da soldati come quelli dei forti, che essi conoscevano, ma da soldati improvvisati che, per non essere chiamati a combattere nella Guerra di Secessione, accendevano guerre nel territorio indiano. I guerrieri catturarono alcuni di questi soldati sulla pista degli emigranti e fra le loro cose trovarono scalpi presi a Sand Creek e perfino alcune parti asportate da Indiani e Indiane oltraggiati. Con le mazze da guerra fecero a pezzi quei soldati. Tutta 195
la notte negli accampamenti si udirono altre lamentazioni funebri; il giorno dopo cominciò la strage. Adesso era la guerra contro ogni Bianco. Pentola Nera, che ancora voleva la pace, tornò a sud con quello che restava della sua banda. Gli altri dilagarono nella regione del Piatte e andarono a colpire come tre grandi dardi: i Cheyenne puntarono a nord-ovest, i Lakota a nord-est, i Nuvole Azzurre al centro. Uccidendo, scalpando e incendiando devastarono le fattorie, le stazioni di diligenze, la Via Sacra. I soldati fuggivano e tornavano ai forti, oppure formavano cerchi e si nascondevano dietro le bocche dei cannoni fino al momento in cui potevano fuggire. Ogni notte i tamburi di vittoria rombavano nel grande accampamento; rossa contro il cielo, la luce dei falò attorno ai quali si danzava, sembrava un incendio nella prateria. Al Piatte gli Indiani attraversarono la pista sabbiosa e il fiume ghiacciato seguiti da mandrie di cavalli e bovini rubati in così gran numero che decisero di tenere solo i migliori e abbandonare quelli scadenti e quelli indocili. Cavallo Pazzo era là. Partì con numerosi altri che avevano parenti tra quelli del sud per aiutarli a trasferire le mandrie, ed ebbe modo di constatare che Bruco non si era sbagliato a proposito di Coda Chiazzata: ora che il Brulé aveva smaltito il grasso dell'uomo bianco, i guerrieri lo seguivano ancora una volta attaccati alla frangia dei suoi mocassini. Cavallo Pazzo partecipò al secondo attacco contro Julesburg, aiutò a caricare i cavalli da tiro, e vide bruciare le case e i covoni di fieno con nuvole di fumo grandi come quelle che gli Esseri del Tuono addensano d'estate. In marzo (la Luna degli Accecati dalla Neve) raggiunsero gli Oglala sul Powder. Allora fecero la cerimonia dell'offerta della pipa da guerra e la festa di benvenuto, con grande mostra delle cose che avevano portato. Non tutto però, a quanto si diceva. Non vennero mostrate le due prigioniere che i Cheyenne nascondevano nelle tende perché pareva che gli Indiani del nord non approvassero il fatto di prenderne. Erano questi i Cheyenne che una volta avevano chiesto agli uomini di pace del Grande Padre alcune 196
donne bianche, insieme alla farina e al caffè promessi dal trattato. Finita la festa, il grande accampamento si suddivise in accampamenti minori che si disposero lungo il fiume. I giovani costruirono dei recinti di pali per rinchiudervi di notte i cavalli pregiati, mentre i cavalli ribelli e quelli da tiro andavano fuori con i mandriani, i quali facevano al tempo stesso da vedette, perché i Crow si sarebbero potuti ricordare che, in un grosso accampamento, spesso ci si fida troppo della propria forza e non si prendono le necessarie misure di difesa. I razziatori infatti vennero diverse volte, ma sempre furono inseguiti. I Cheyenne, per snidare quattro che si erano nascosti in una grotta, accesero un fuoco e mandarono tutto il fumo dentro la grotta finché i quattro Crow, intossicati, dovettero uscire e furono uccisi. « Come moffette, orsi in letargo », aggiunsero ridendo. Era veramente bello vedere un così lungo tratto della sponda del fiume costellato di tende: tale vista dava un impeto di forza primaverile non solo ai giovani guerrieri, ma a tutti. Molti andavano da un campo all'altro soltanto per il piacere di guardare, di sentire il numero. Cavallo Pazzo era spesso dai suoi parenti brulés e anche dai Cheyenne, ora che la sorellina di Donna Gialla era diventata alta come un alberello frusciante: fuori della tenda di suo padre infatti si scorgevano molte orme di mocassini. Accanto alla tenda c'erano anche molte offerte di cavalli, ma nessuna era stata accettata. La fanciulla era stata ferita al viso nella battaglia di Sand Creek: ora in quel punto c'era una cicatrice che sembrava un incavo, come se uno avesse premuto con la punta del dito sulla sua guancia tonda, e quando rideva l'incavo diventava più profondo. Ai giovani la fanciulla piaceva anche così, anzi l'avevano chiamata Valle Amena, e facevano una lunga fila per poter stare un po' con lei: ma se nella fila c'era anche Cavallo Pazzo, lei non aveva occhi che per lui. « Ci ha riportato nostra sorella una volta », diceva. « Deve entrare per primo ». Perciò le accadeva spesso di trovarsi sotto il manto del giovane Lakota. Cavallo Pazzo giungeva al punto di an197
darla a guardare alle danze e di gironzolare attorno alla tenda della famiglia di lei come aveva fatto giù al Salomon, otto anni prima. Se ne erano accorti in parecchi; i più anziani dicevano che era ora che il giovane dai capelli chiari prendesse moglie, che non era bello che un uomo fosse libero di andare in giro come un lupo d'inverno. Ma perché non una Oglala, o almeno una Lakota? Per il giovane dai capelli chiari questi discorsi erano come il vento sui ceanoti. Ammetteva di essere spesso con i Cheyenne, ora dai parenti di Piccolo Grande Uomo e di Gemello Nero, ora nella tenda di Valle Amena: dopo tutto, la fanciulla era una buona amica, era una con cui un uomo di poche parole poteva passeggiare per il cerchio campale, con cui si poteva stare seduti davanti al fuoco della tenda, o in piedi entrambi, avvolti nella coperta per qualche momento di confidenza. Ma egli non provava alcun desiderio per lei come donna. « Le cose cattive fatte dai soldati... Un uomo ne resta come evirato per tutto il tempo che la memoria gli stagna fredda nel cuore... », gli disse una sera un uomo di medicina cheyenne, vedendo le cose come stavano. Forse era vero, perché ormai nemmeno più gli occhi di Donna di Bisonte Nero gli davano quel senso di lievitante pienezza che aveva provato un tempo. Per quanto i mandriani tenessero gli occhi aperti, giungevano sempre notizie di ruberie di cavalli compiute dai Crow. La famiglia di Gemello Nero, avendo perso alcuni dei suoi migliori cavalli da caccia e da guerra, decise di fare una spedizione per vendicarsi, e Cane e Cavallo Pazzo chiesero di parteciparvi. Il giorno prima della partenza, Senz'Acqua diede una festa nella sua tenda: siccome veniva data senza secondi fini, il giovane Oglala decise di recarvisi. Tornato dalla terra dei Crow, Cavallo Pazzo vide che i vari cerchi campali si erano trasferiti ciascuno per conto proprio in cerca di pascoli freschi. I Cheyenne erano a due giorni di distanza, e con essi la sorella di Donna Gialla. Ma non gli importava: nella tenda di Senz'Acqua il giovane Oglala aveva udito Donna di Bisonte Nero cantare una ninna-nanna ai suoi due bambini. Ne aveva visto il volto arros198
sato dal riflesso della fiamma, ne aveva incontrato lo sguardo penetrante mentre gli porgeva il mestolo di corno di montone. Non era affatto tenuta a curvarsi sulla pentola, ma in onore degli ospiti si era assunta le mansioni della vecchia della tenda, perché si sentissero i benvenuti. Senz'Acqua disse che la moglie faceva bene a trattare così gli ospiti perché i Crow le avevano rubato il pezzato che ella cavalcava alle cerimonie, il più bel cavallo da donna nella banda dei Facce Cattive, e sperava di riaverlo. I guerrieri non tornarono con la mandria rubata, ma in seguito Cavallo Pazzo frequentò spesso l'accampamento di Senz'Acqua. Schegge, un giovane uomo di medicina capace di vaticinare dai sogni che faceva dormendo col capo appoggiato su una pietra, Schegge dunque gli preparava la sacra medicina che gli doveva proteggere i cavalli da guerra affinché restassero incolumi come colui che li cavalcava. Poiché gli Indiani si aspettavano delle rappresaglie per la razzia di bestiame che avevano compiuto, che segnava la Via Sacra come un incendio annerisce il suolo, gli Hunkpatila inviarono delle « orecchie » per scoprire quel che si diceva intorno a Laramie, particolarmente in mezzo al nuovo corpo di polizia indiana che Bocca Grande aveva costituito con Bighelloni vestiti da soldati, ma con i perizomi sotto le giacche, e armati di buoni fucili, perché dessero la caccia al loro stesso popolo. Queste spie riferirono che la grande guerra tra i Bianchi che si era combattuta a sud era finita: gli ufficiali di Laramie parlavano di respingere tutti gli Indiani a nord del Missouri e di erigere fortini nel territorio in cui vivevano adesso, proprio nel bel mezzo delle zone dei bisonti. I guerrieri non aspettarono. Alcuni, al torrente La Prelle, vicino alla Via Sacra, già sparavano contro i soldati. Quando un grosso reparto militare andò a scacciarli con fucili a retrocarica, gli Indiani si ritirarono verso le forre e i soldati tornarono al torrente Deer. Forse non erano quelli i soldati che volevano mandare gli Indiani sull'altra sponda del Missouri. 199
Al principio di maggio (la Luna in cui i Cavalli Perdono il Pelo) gli Indiani raggiunsero il Tongue per la caccia al bisonte e per un Grande Consiglio nel quale studiare la guerra da combattersi nell'estate. Si tenne una danza degli scudi nell'accampamento dei Cheyenne meridionali con la partecipazione delle akicita delle due tribù cheyenne del sud e del nord. I guerrieri si adunarono attorno al grande fuoco al centro dell'accampamento, e ogni gruppo guerriero si dipinse, si vestì e danzò secondo la sua maniera: i Volpe eseguirono la danza trotterellando e girando gli occhi furbescamente da una parte e dall'altra, e anche gli altri (i Cane, i Raspatori d'Osso, i Detentori del Corvo e gli altri) danzarono secondo il modo particolare dell 'akicita cui appartenevano, lanciando grida, battendo i tamburi e facendo tintinnare i sonagli che avevano alle caviglie. Dopo la danza, i capi delle akicita annunciarono che a metà estate si sarebbe sferrato un grande attacco contro il Ponte sul Piatte. Fino a quel momento, però, non si poteva fare alcuna spedizione di guerra, perché i cavalli avevano bisogno di acquistare forze. Inoltre stava venendo da Laramie l'ufficiale di nome Moonlight: veniva a cercare i Cheyenne e aveva con sé cinquecento cavalleggeri e numerosi cannoni. La sua guida era il vecchio montanaro Bridger, e gli Indiani facevano bene a stare con gli occhi aperti. Partì un gruppo di perlustratoti di cui faceva parte anche Cavallo Pazzo. Videro la lunga colonna di cavalleggeri, di carri e cannoni risalire il Piatte nottetempo - così che nessuno potesse vederli - e andare verso ovest, verso il fiume Wind: là i Bianchi trovarono solo neve e tornarono indietro con i cavalli esausti perché non avevano voluto seguire il passaggio scoperto da Bridger. Delusi, i guerrieri fecero alcune razzie prima di tornare a casa; rubarono ventidue cavalli ma persero alcuni uomini validi. Tuttavia ciò fu sufficiente a spaventare i Bianchi e a non farli avventurare più lungo la pista: i carri procedevano soltanto in convogli considerevoli, e protetti dai soldati. Poi Moonlight fece una cosa molto cattiva. Due Oglala amici dei Bianchi, Due Facce e Piedenero, che avevano por200
tato a Laramie una Bianca prigioniera,2 ora erano appesi fuori del forte. Come stormi di merli in autunno, le notizie giunsero fitte e fecero rumore. I due, saputo che la donna era dai Cheyenne, avevano promesso di riportarla al forte, per averne in cambio dei fucili e così avevano fatto (come i soldati dicevano che bisognava fare): ma erano finiti appesi con corde attorno al collo. Strano modo di fare: perfino i Bighelloni ammettevano che il capo dei soldati era cattivo e il whisky dei mercanti lo incrudeliva; prima aveva impiccato un Cheyenne che degli emigranti accusavano di aver rubato i loro cavalli, e adesso aveva impiccato i due Oglala. Gli Indiani ce l'avevano con Due Facce perché l'estate prima, a quanto dicevano i giornali dell'uomo bianco, aveva riferito ai soldati che si stava mandando la pipa da una tribù all'altra per una grande guerra contro di loro: addirittura la si portava anche agli Ute, ai Serpenti e ai Piedineri. Probabilmente era tutta una storia inventata per formare una grande armata di soldati che spingesse gli Indiani ancora più indietro e per far guadagnare un mucchio di soldi a quelli che con i carri trasportavano le merci; restava il fatto però che Due Facce aveva compiuto parecchie visite al forte, e là gli avevano dato delle razioni e un pezzo di carta che, mostrato ai soldati che incontrava, diceva loro che egli era un buon Indiano. « Ah sì, così lui e i suoi capi sono veramente quelli che i Bianchi chiamano buoni Indiani », disse Cavallo Pazzo, e ricordò il giorno in cui alla tenda di Due Facce era arrivato l'omino dei fili parlanti con la palandrana da soldato. Quel giorno l'Oglala aveva salvato la vita al Bianco. Pareva che i guai fossero incominciati l'estate prima quando i carri di Bordeaux e di altri mercanti avevano sostato alle biforcazioni del Piatte. Qualche Indiano aveva portato via un po' del loro bestiame e i soldati partiti all'inseguimento avevano trovato per terra il pezzo di carta che Due Facce aveva ricevuto qualche giorno prima. Perciò quella primavera quando egli era andato a riportare la donna bianca, Bocca Grande e la sua polizia indiana avevano 2
La signora Eubanks.
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messo lui e altri nella casa di ferro con le catene ai piedi, perché la prigioniera aveva raccontato che le erano state fatte delle brutte cose prima dai Cheyenne e poi da Due Facce, dopo che egli l'aveva presa. « Ma chi è quel fesso che riporta una donna ai soldati, se veramente le ha fatto delle brutte cose?! », osservarono i più anziani. « E il pezzo di carta? », domandarono altri. Si diceva che egli non sapesse niente dei giovani che avevano rubato il bestiame di Bordeaux. Insieme ad altri due, egli era andato in cerca di bisonti perché la sua gente aveva fame. Forse era vero. Comunque, nessuno si poteva avvicinare all'impiccato per tentare di tirarlo giù, perché là c'era sempre un soldato armato di baionetta. Tutti coloro che facevano la Via Sacra e gli Indiani che commerciavano con i Bianchi avevano potuto vedere i tre impiccati leggermente oscillare al vento. Sembravano tutti e tre uguali, finché la grossa palla di ferro che solo il Cheyenne aveva legata al piede gli staccò del tutto la gamba che rimase a terra, essendo la palla troppo pesante perché i lupi riuscissero a portarla via. Ancora una volta gli Indiani del nord dissero: « State lontano dai Bianchi ». Ma si facevano discorsi di pace perfino al Powder, dove molta gente del sud aveva nostalgia dei Bianchi e delle loro buone cose. Sapendo che a Laramie c'era una tendopoli di soldati - le tende erano venute su come nella prateria le vesce dopo una tempesta - questi avrebbero desiderato tornare a sud, ma giunse un messaggero con una notizia che dissipò quei discorsi come un vento squarcia la nebbia mattutina: tutti gli Indiani di Laramie, tanto i Bighelloni quanto le mogli indiane dei soldati, dovevano discendere il Piatte fino al posto chiamato Forte Kearny. Bordeaux e gli altri mercanti dovevano sloggiare anch'essi con le merci e le famiglie, e altrettanto dovevano fare le guide di montagna bianche che erano venute a vivere nella guarnigione in quegli ultimi due anni, in cui gli scontri con gli Indiani erano diventati più frequenti: insomma, erano in tutto circa mille e cinquecento persone 202
e poca cavalleria le avrebbe scortate. Il piccolo capo dei soldati sarebbe stato Fouts, quello con la faccia rossa, che strillava sempre e non piaceva nemmeno quando non puzzava di whisky. I Bianchi dicevano che i soldati dovevano proteggere la gente, ma gli Indiani sapevano che l'avrebbero soltanto incitata ad andare più svelta verso la terra dei nemici pawnee, senza fucili, senza archi e la maggior parte a piedi. Gli Indiani del nord mandarono alcuni a mescolarsi in mezzo a coloro che si trasferivano; nel frattempo formarono un'orda di guerrieri, e non solo guerrieri come Cavallo Pazzo, Gobba e Cane, ma uomini come Coda Chiazzata, Nuvola Rossa e Un Corno del Nord: perché tutti avevano dei parenti tra coloro che venivano ammassati come bestie e incamminati lungo il fiume, come i bisonti pezzati dell'uomo bianco.3 Quando i guerrieri giunsero alle colline a nord del Piatte, le vedette riferirono che la gente era furibonda: non potevano dimenticare i parenti che stavano ancora appesi a Laramie né gli altri uomini della piccola banda di Due Facce che venivano dietro a tutti, spinti dai soldati a cavallo, sempre con le catene ai piedi, le grosse palle di ferro in mano, anche quando camminavano. C'era anche la donna bianca che era stata la loro rovina: andava sul carro davanti agli Indiani che arrancavano nella polvere sollevata dalle ruote dei carri dei mercanti e dei montanari, mentre le donne indiane avevano fagotti e bambini sulla schiena, e solo qualcuna era a cavallo ma di giumente vecchie, piagate dalla sella, che tiravano tregge cariche di bambini malati e di vecchi. Altre cose ancora facevano infuriare la gente. « Se i ragazzi si mettono a correre saranno legati alle ruote e frustati », aveva detto Fouts; e quando la pista passava sull'orlo del fiume i soldati spingevano i più piccoli nella piena delle acque primaverili, e poi ridevano a vederli nuotare come cagnolini. I padri soffocavano la loro rabbia nelle co3 Così gli Indiani chiamavano probabilmente i bovini di razza per esempio frisona (N.d T.).
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perte, mentre le madri si nascondevano la faccia. Altri, poi, durante la marcia prendevano le fanciulle e le giovani donne, oppure le tiravano fuori dalla tenda durante la notte. Anche queste cose dovevano sopportare i Lakota. « Uccidiamo questi soldati bianchi », si sussurravano i giovani l'un l'altro, coprendosi la bocca con la mano perché certuni osavano ancora non essere del tutto contro i Bianchi, certuni che gironzolavano sempre in mezzo ai soldati o che speravano di diventare potenti. Ma i giovani impazienti erano tenuti a freno dai più anziani. « Aspettate », li consigliavano. « Aspettate che arrivino a un punto da cui è pericoloso tentare di passare il fiume, così non potranno inseguirci e travolgere coi cavalli le donne e i bambini. Abbiate pazienza ancora un poco ». Finalmente la gente si accampò sul torrente Horse, vicino al punto in cui quattordici anni prima si era tenuto il Grande Consiglio e si era firmato il patto di pace. Là gli Indiani fecero festa mangiando carne di cane con un gran battere di tamburi e un gran chiasso che permise, di notte, ai guerrieri di passare il fiume e di raggiungere quelli del nord per studiare un piano insieme. Tra gli altri vi erano i figli di alcuni che erano stati per molto tempo amici dei Bianchi: i figli di Due Facce, di Piedenero e del vecchio Piccolo Tuono, il Brulé. La mattina dopo, Cavallo Pazzo e altri, muniti di vetri che vedono lontano, si avvicinarono strisciando a un punto da cui si vedeva l'accampamento e fecero i segnali convenuti ai guerrieri che li attendevano. I carri dei Bianchi e i soldati si avviarono, ma le tende indiane sul torrente Horse rimasero dov'erano. Fouts e alcuni soldati tornarono indietro per dire agli Indiani di spicciarsi. Vedendoli arrivare, le donne e i bambini andarono a nascondersi in mezzo ai salici, dove già erano nascosti i cavalli. Gli uomini intanto si disponevano in fila per farsi contare dai Bianchi, facendo però una gran confusione e nascondendo sotto le coperte pistole e archi prestati dai settentrionali, pronti ad usarli contro chi li avesse traditi o contro i soldati. Come sempre, l'ufficiale cavalcò avanti e indietro davanti agli Indiani, li insultò con improperi da uomo bian204
co e ancora una volta i giovani non seppero frenarsi. Partirono due spari: Fouts cadde e tutti i suoi uomini spronarono i cavalli e fuggirono gridando aiuto verso i soldati che si allontanavano con i carri.4 A questo punto una brutta cosa accadde in mezzo agli Indiani: si accese una rissa che sfociò in spari, e alcuni si abbatterono al suolo. Gli uomini si divisero, chi ad aiutare le donne e i bambini in un punto in cui erano stati piantati dei pali nel fiume, chi ad uccidere le guardie dei prigionieri e caricarle sui cavalli insieme alle palle di ferro: intanto i guerrieri armati di fucile si schieravano sotto il comando dei figli di Piccolo Tuono e di Due Facce per respingere i soldati. E quando coloro che non erano in grado di difendersi ebbero passato il fiume e vennero tolti i pali serviti al guado, i guerrieri si scagliarono contro i soldati e li mandarono dove i carri si erano disposti in cerchio. I Bianchi erano dentro questo cerchio e si facevano scudo di alcune famiglie indiane. I guerrieri, per non rischiare di uccidere dei loro parenti, tornarono indietro e seguirono la loro gente che si dirigeva velocemente verso il nord su per le colline, già talmente lontana da sembrare formiche nere in movimento. Due volte piansero le donne indiane, quella mattina: una volta quando i soldati tentarono di passare il fiume e di nuovo quando si alzò il fumo dall'accampamento sul torrente Horse, in cui le tende e tutte le masserizie bruciavano. Ora un fioco lamento si levava dalla gente più anziana, ma uomini valorosi come Gobba e i suoi giovani guerrieri li proteggevano alle spalle, mentre avanti li attendevano gli Indiani del nord con molti cavalli carichi di pelli e di tende e una grossa mandria di bovini che i giovani avevano accerchiato e portato via durante la notte. Di lì a poco sarebbero arrivati nella regione dove pascolavano ancora dei bisonti, sufficienti a sfamare tutti. La mattina successiva arrivò un figlio di mercanti. Disse che quando Fouts cadde colpito a morte i soldati erano 4
1 4 giugno 1865.
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fuggiti perché avevano i fucili scarichi. Tutto quello che seppero fare per vendicare il loro capo e le cinque guardie uccise fu scannare e scalpare il povero prigioniero mutilato della banda di Due Facce che si trovava in un carro. Giunti alle dune di sabbia, gli Indiani si sparpagliarono per confondere le piste e rendere difficile l'inseguimento. Cavallo Pazzo li osservò da un'altura pensando ai quattro Lakota che non avrebbero mai più cavalcato insieme alla loro gente: ai quattro che giacevano tra le tende incendiate sul torrente Horse. Erano i vecchi capi oglala e brulés del partito della pace e che erano ancora per la pace fino al giorno prima: e avevano pagato con la morte, ma erano ugualmente uomini degni di rispetto e non si sarebbe mai dovuto pronunciare il loro nome. Ora i parenti li piangevano, ma piano, e la gente seguiva i figli dei morti come se la sparatoria non ci fosse mai stata. Dapprima parve che nessuno inseguisse gli Indiani, ma poi il capo dei soldati che si chiamava Moonlight si mise in marcia, molto lentamente, con la cavalleria. Quando nei pressi del fiume White Earth, nel punto in cui la pista diventava più larga, fece riposare i suoi uomini, gli Indiani gli fecero fuggire i cavalli. Lo fecero senza correr pericoli perché l'ufficiale, invece di far inseguire i razziatori, fece allineare in fila serrata i pochi che avevano salvato i cavalli e si nascose dietro quella specie di parete. Cavallo Pazzo non aveva mai visto una cosa del genere, come non aveva mai visto quello che vide poco dopo: una lunga fila di soldati che lasciava il territorio indiano portando le selle sulle spalle. Per la prima volta da quando i Cheyenne erano morti a Sand Creek, rise di gusto. Ancora una volta i Bianchi abbandonavano le loro fattorie e si rifugiavano a Laramie e ai fortini della Via Sacra. Alla confluenza tra il Lodgepole e il Powder i capi adunavano i guerrieri per un grande attacco da sferrarsi nello stesso tempo in cui i Minneconjou e gli Hunkpapa inviavano contro Forte Rice una spedizione di guerra capeggiata da Toro Seduto. Era una nuova strategia, questa che i Lakota stavano sperimentando, e parve molto ingegnosa ai 206
figli di Bruco quando ne parlarono prima di prendere sonno. Quando i Cheyenne ebbero finito la cerimonia della tenda di medicina e i Lakota la loro danza del sole, si misero tutti in viaggio. Piano piano il grande accampamento (più di mille tende) risalì il Powder. I puledri ingrassarono sull'erba che diventava sempre più lunga e più nutriente, e febbrilmente ci si dedicò a far pallottole, specialmente i Cheyenne, che avevano più fucili perché da più tempo combattevano contro i Bianchi. Si diedero gli ultimi tocchi alle cose da guerra - le lance, gli scudi, le acconciature - e i pochi uomini che ricordavano gli antichi modi per renderle sacre compirono i riti e ricevettero in dono molti cavalli. Anche Cavallo Pazzo ottenne una nuova medicina da Schegge, il sacerdote dell'accampamento di Senz'Acqua: una delle pietruzze da cui riceveva sogni rivelatori. Il guerriero oglala la legò alla coda del veloce baio che aveva preso ai Crow e che non voleva perdere. Quando tutto fu pronto, i guerrieri fecero a cavallo il giro del grande accampamento cantando i canti di guerra: brillavano gli scudi dipinti di fresco e le lance lampeggiavano; quelli che li avevano, reggevano i fucili. Avanti a tutti erano Naso Aquilino e Lupo Gibboso in testa ai Cheyenne; in testa ai Lakota Nuvola Rossa, Strada Grande e Gobba. Mille guerrieri e duecento donne cheyenne uscirono dall'accampamento e si diressero al Piatte, preceduti, secondo l'antica usanza, dagli uomini che reggevano la pipa. Verso la fine di luglio (la Luna in cui le Ciliegie Diventano Rosse) raggiunsero il Ponte di Richard, dove la Via Sacra s'inoltrava verso nord tra le montagne che degradavano al fiume. Lì la pista passava un ponte che sembrava un millepiedi che collegasse una sponda con l'altra. Le vedette riferirono che presso la staccionata sulla sponda meridionale c'era un attendamento di soldati nuovi, con mandrie di cavalli e muli poco lontano. Allora gli Indiani si allontanarono di vari chilometri per decidere il da farsi, e si mossero molto adagio per non farsi tradire dalla polvere che altrimenti avrebbero sollevato. Scelsero dodici uomini da impiegare come esche, uno dei Bent con i Cheyenne e 207
Cavallo Pazzo con i Lakota. Costoro dovevano attirare i soldati fra le colline, dove i guerrieri li avrebbero attesi, appostati in canaloni e in cavità formate dall'erosione, trattenuti dalle akicita delle due nazioni. Mentre alcuni muniti di cannocchiali si arrampicavano in cima al crinale con l'ordine di segnalare quello che vedevano, gli altri si preparavano alla battaglia: tiravano fuori dalla borsa gli indumenti da guerra, li offrivano al cielo e alla terra, compivano gli atti propiziatori, cantavano inni sacri. Cavallo Pazzo si dipinse su una guancia il segno della folgore, tratto dalla sua medicina del tuono, quindi sparse sul baio un po' di terra presa da un mucchietto fatto dai gopher, perché lo aiutasse a trarre in inganno il nemico (così infatti riesce a sopravvivere il gopher, che non ha difese). Poi partì con i guerrieri-esca: tre gli rimasero vicino, gli altri si disposero nelle gole lungo il tragitto per correre in aiuto se il combattimento si fosse fatto arduo per così pochi. I guerrieri-esca si avvicinarono al fiume lentamente; videro dov'erano le mandrie e si diressero là. Ogni tanto uno rimaneva indietro, come se gli mancasse il coraggio: allora gli altri facevano finta di incitarlo a proseguire. Oppure si lanciava avanti verso la mandria con una coperta per spaventare le bestie. Di lì a poco vennero fuori alcuni soldati a cavallo:5 gli zoccoli ferrati scalpitarono sul ponte; dietro, il rumore sordo delle ruote dei cannoni. Gli Indiani scoccarono qualche freccia sui soldati, si gridarono avvertimenti l'un l'altro poi, quando le pallottole cominciarono a schizzare sabbia troppo vicino, a poco a poco si ritirarono. Cavallo Pazzo e un Cheyenne opposero un po' di resistenza mentre gli altri frustavano i cavalli (ma al tempo stesso li trattenevano, fingendo che non ce la facessero a fuggire); contemporaneamente dovevano stare attenti perché sapevano che molti reparti di cavalleria avevano in dotazione fucili che sparavano molti colpi uno dietro l'altro. Allontanatisi dal ponte circa due chilometri, i soldati ricorsero ai cannoni: saltavano in aria nubi di terra dove le bombe an5
Battaglia del Ponte sul Piatte, 25-26 luglio 1865.
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davano a colpire e l'eco si ripercuoteva da una collina all'altra. La cosa andava bene, perché nessuno era stato colpito, ma i guerrieri in attesa temettero di non avere occasione di combattere. Ruppero le file delle akicita, si arrampicarono sulle colline per andare a guardare e in breve ne accentuarono i profili come una foresta. A tale scempiaggine Cavallo Pazzo si sentì ribollire dall'ira. Naturalmente, i soldati si ritirarono e ai guerrieri-esca venne dato il segnale di tornare. Ma essi non avevano fatto tutta quella strada per niente: corsero di nuovo al fiume e alla mandria che era dall'altra parte, mentre Naso Aquilino, Nuvola Rossa e gli altri mandavano Lupo Gibboso, il grande guerriero cheyenne, a ordinare loro di tornare indietro. Per quel giorno la medicina era stata cattiva: l'indomani avrebbero ritentato. Ma dall'altra parte del fiume c'era una quantità di bestiame; inoltre arrivava per la Via Sacra un altro reparto di cavalleria, poco numeroso, cui si sarebbe potuto dare una buona lezione prima che raggiungesse la staccionata. Sicché Lupo Gibboso passò il fiume insieme ai guerrieri-esca, passò come il lampo in mezzo ai soldati in divisa blu che fuggivano di qua e di là, e puntò verso la mandria. Accorsero alcuni fanti con i loro fucili a canna e tiro lunghi. Lupo Gibboso, che quel giorno si sentiva particolarmente forte, si scagliò in mezzo al fuoco nemico, colpì un ufficiale col frustino e giunse quasi alle mura. Cavallo Pazzo, accortosi di non avere più vicino il Cheyenne, si voltò a cercarlo e, nel trambusto e nel fumo degli spari, intravide l'azione folle e coraggiosa che l'altro stava compiendo in mezzo a tanti nemici. Gli gridò di tornare indietro, ma proprio in quel momento l'anello di fuoco attorno a Lupo Gibboso rimase come sospeso: egli si lasciò scivolare da cavallo e finì in mezzo a dei cespugli. I soldati gli si strinsero da ogni parte come acqua attorno a una roccia, e nemmeno Cavallo Pazzo con la sua forte medicina riuscì a trarlo in salvo: gli si appressò zigzagando, fidando nella fortuna, ma il suo baio venne colpito ai ginocchi sicché egli dovette seguire gli altri e la piccola mandria che avevano messo in fuga. 209
Sulla collina i capi erano furiosi per tutti gli errori che si erano commessi: i guerrieri non avevano rispettato gli ordini delle akicita; i guerrieri-esca erano andati dietro a pochi cavalli e muli, come se una piccola razzia fosse stato lo scopo della spedizione. Avevano fatto più di trecento chilometri con mille guerrieri, per quel risultato? Cavallo Pazzo era nero, in collera con se stesso. Sapeva che dovevano imparare ad agire insieme, altrimenti sarebbero stati perduti; tuttavia quando aveva visto che la loro operazione era stata rovinata, e che di là dal fiume c'era possibilità di fare un po' di guerra, anche lui era stato debole e aveva dimenticato. Ora Lupo Cieco, padre di Lupo Gibboso, sul pendio del colle, piangeva con le donne la perdita del figlio guerriero. Ai primi chiarori dell'alba Cavallo Pazzo e diversi Cheyenne andarono con il vecchio padre a riprendere il cadavere. C'erano volute molte ferite per far cadere Lupo Gibboso. Da un profondo buco nel petto usciva un pezzetto di nervo, come se la ferita fosse stata provocata dalla freccia di un Serpente, forse una freccia di Mitch Seminoe, il figlio del mercante che viveva là e che era stato ricevuto con gli onori dovuti quando era andato all'accampamento lakota a chiedere lo scalpo del figlio di Washakie. Ora ci si ricordò che Ghiaccio, il Cheyenne, prima del combattimento aveva fatto la medicina a prova di proiettile per il suo popolo, ma la condizione perché fosse efficace era che non si portasse metallo alla bocca, nemmeno un cucchiaio. Lupo Gibboso, ricaricando la pistola sul cavallo in corsa, si era messo il proiettile fra i denti mentre versava la polvere nella canna. Ormai era un altro giorno. Al sorgere del sole la grande schiera si divise in gruppi: uno si nascose nella macchia di cespugli alla foce del torrente un po' più a valle del ponte, mentre altri gruppi, di cui facevano parte molti Cheyenne, si nascosero dietro le colline a monte del ponte. La cavalleria uscì un'altra volta, venticinque soldati comandati da un ufficiale di grado inferiore su un cavallo grigio, focoso e indocile alla briglia. Ancora una volta gli Indiani mandarono avanti dei guerrieri-esca ma i soldati, 210
invece di inseguirli, si disposero in fila per quattro e si lanciarono al galoppo sulla Via Sacra, verso il crinale che nascondeva i Cheyenne appostati. A un segnale i tre-quattrocento Lakota nascosti fra i cespugli uscirono e attaccarono il fianco destro dei soldati, mentre i Cheyenne appostati sul crinale tagliarono per una valletta e attaccarono il fianco sinistro. Si alzò un gran polverone, partirono colpi, i cavalli mandavano alti nitriti e i guerrieri colpendo il nemico gridavano: «Coup! Coup!». Allora una quantità di soldati a piedi attraversarono il ponte tirandosi dietro un cannone e si sparpagliarono dal fiume all'argine naturale come una coda d'aquila aperta, sparando molti colpi per consentire alla cavalleria circondata di ritirarsi. L'ufficiale sul cavallo grigio si lanciò in mezzo ai Lakota che ora erano quasi al crinale. Gridava qualcosa e, quando fu vicino, i guerrieri smisero di sparare, gli si misero di lato e gridarono a loro volta delle parole. Allora Cavallo Pazzo e Giovane Uomo della Paura videro che era il loro amico Caspar Collins e che Nuvola Rossa e gli altri cercavano di fermarlo gridando: «Torna indietro, ragazzo! Torna indietro! », mentre egli guidava i suoi soldati dalla divisa blu al varco che i Lakota gli avevano aperto. Ma di là dai Lakota c'erano i Cheyenne, e questi non conoscevano il giovane ed erano inferociti per la perdita di Lupo Gibboso. L'ufficiale gridò anche a loro un saluto amichevole ma questo si perse nel tumulto dei Cheyenne che assalivano i soldati. Non potendo adoperare i fucili perché avrebbero solo ucciso la loro stessa gente, questi Indiani ricorsero alle lance dalle punte aguzze e le mandarono a conficcarsi nei soldati, altri ne disarcionarono e uccisero con le mazze da guerra, e li calpestarono. Alla fine una metà dei soldati era morta. Allora l'ufficiale ordinò ai superstiti di ritirarsi al ponte mentre con la pistola, su quel focoso cavallo grigio, tentava da solo di tener testa ai Cheyenne. Mostrava grande coraggio: i guerrieri si fermarono per stare a vedere e non infierirono più contro di lui. Ma un soldato ferito che era stato abbandonato cominciò a gridare: « Non lasciatemi qua! Non lasciatemi! ». L'ufficiale 211
tentò di passare in mezzo agli Indiani per andare a salvarlo. Il cavallo grigio, eccitato e tenuto a briglia stretta, sembrava un puledro selvaggio la prima volta che gli si monta in groppa. Scalciando all'indietro, impennandosi e scalpitando in aria, poi scagliandosi avanti tutto su un fianco e galoppando all'impazzata lungo il crinale, portò l'ufficiale sull'altro versante. Così scomparve alla vista e piombò in uno sciame di Cheyenne appostati. Intanto sull'argine i Lakota assalivano la cavalleria in ritirata con molte grida, e respingevano verso il ponte anche la fanteria. Ma a un certo punto cominciarono a rombare i cannoni: colpirono in più punti la sponda nord del fiume facendo volare terra e cespugli; quindi alzarono il tiro e colpirono anche il fianco delle colline, ma gli Indiani frustarono i cavalli e si ritirarono. Cavallo Pazzo e alcuni altri vollero andare a vedere che fine avesse fatto l'ufficiale. Quando arrivarono in vetta al crinale videro che i Cheyenne avevano preso il cavallo grigio e lo tiravano con corde di cuoio crudo: alcuni lo frustavano da dietro mentre altri a cavallo stavano a guardare. Dei soldati, miratori scelti, cominciarono a sparare in mezzo a loro dal ponte ma ad ogni colpo i guerrieri scivolavano giù, nascondendosi dietro il fianco dei loro cavalli, poi risalivano in groppa. Bent era con loro, assieme ad altri che conoscevano le parole dell'uomo bianco. Gridarono improperi e fecero gesti di insulto verso i soldati, mentre i Cheyenne sventolavano gli scalpi che avevano preso. Cavallo Pazzo rimase a guardare per un po', quindi scese al fiume dove alcuni stavano riparando i cavi parlanti che gli Indiani avevano tagliato. Combatté per un certo tempo, poi vide che tutto si riduceva a sparare su qualche Bianco nascosto; allora si ritirò e risalì il fiume per raggiungere il punto in cui si diceva che i Cheyenne avessero circondato un piccolo convoglio di carri. Forse era là che il suo amico bianco e i soldati volevano andare per portare aiuto. Era un gran peccato che un uomo così coraggioso fosse morto. Gli Indiani, che non l'avevano mai visto prima in sella al 212
cavallo grigio, si domandavano chi gli avesse dato quell'animale che gli aveva preso la mano. Per tutte le colline a nord del fiume Cavallo Pazzo trovò piccoli gruppi di guerrieri che fumavano e si riposavano, parlando di quel che era successo. Pochi momenti prima avevano visto alzarsi sulla Via Sacra una nube di fumo: dovevano essere i Cheyenne. Quando Cavallo Pazzo fu abbastanza vicino da sentir l'odore di bruciato, si vide venire incontro dei guerrieri con cavalli che portavano enormi carichi. « Sì, è stato un bel combattimento », dissero. La mattina presto le vedette avevano segnalato che dei soldati venivano giù per la Via Sacra e allora una quantità di Cheyenne era andata ad appostarsi. I cinque carri si erano disposti in cerchio come per un combattimento, mentre alcuni correvano verso il fiume incitando i muli. I guerrieri si erano lanciati là, mentre i soldati avevano preferito perdere le bestie e cercare di raggiungere il cerchio di carri. Un guerriero aveva catturato la cavalla con il campano al collo e tutti i muli l'avevano seguita come anatroccoli dietro la madre: così tutti i giacche-blu erano rimasti a piedi. Poi era arrivato Naso Aquilino e aveva stretto i tempi del combattimento: mandò quelli armati di fucile a porre l'assedio al convoglio strisciando a terra, mentre egli si preparava a dare l'assalto con i guerrieri a cavallo. La sua medicina era forte. Condusse i suoi all'assalto, e mentre quelli che strisciavano a terra cercavano di non farsi pestare troppo, piombò come un uragano all'interno del cerchio, scavalcando i timoni dei carri, gli uomini e tutto. Tutti i soldati rimasero uccisi, eccetto due o tre che trovarono scampo fuggendo al fiume giù per un canalone. Così i Cheyenne presero i fucili, gli scalpi, e, dai carri, tutto quello che vollero. Poi appiccarono il fuoco. La notte si fece una grande danza nell'accampamento di guerra e molti raccontarono gli atti di coraggio che avevano compiuto. Molti indossavano uniformi dell'esercito: un Cheyenne danzava con la bella giacca blu del giovane Caspar. Avevano preso ventotto scalpi, più cavalli, muli, merci, fucili. Nessuno ricordava di aver mai contato tanti 213
colpi in un sol giorno. Ma l'indomani le vedette riferirono che stavano arrivando lunghe colonne di soldati, e allora la maggior parte si avviò verso il Powder. Erano stanchi di combattere e volevano andare a caccia. Qualcuno già diceva che si era fatto molto poco, pur essendo in tanti. Coloro che erano di questo parere (per lo più Cheyenne) scesero alla Via Sacra per fare qualche altra razzia. I Cheyenne rimproveravano ai Lakota che, se i Facce Cattive e gli Hunkpatila non avessero lasciato andare la cavalleria perché l'ufficiale era loro amico, essa sarebbe stata tutta sterminata. Quelli non erano tempi per farsi il cuore tenero! Cavallo Pazzo non si trattenne a lungo a sentire questi discorsi. Tornò di volata all'accampamento di Senz'Acqua per dire a Schegge che la medicina del suo baio si era dimostrata efficace. Quando nelle tende del consiglio venne narrata la battaglia del ponte, i ventagli di ala d'aquila dei capi oglala frusciarono rabbiosi per quello che l'impazienza dei giovani aveva sciupato: prima Julesburg, poi il torrente Horse, e ora il Ponte sul Piatte, tutto nel giro di tempo in cui a un vitello di bisonte cresce il pelo. Due volte si era studiata una spedizione di guerra secondo le antiche regole e tutte e due le volte non si erano ottenuti i risultati voluti, solo perché non si era saputo aspettare. Su a Forte Rice la spedizione di Toro Seduto aveva avuto lo stesso esito: anche là i giovani guerrieri avevano dimenticato la legge che governa tutte le creature della terra, che i giovani devono seguire i vecchi. «Ma i vecchi devono guidare! », sbottò Faccia Lunga. «Ci sono due modi di prendere la mira, ma tutti e due richiedono vista buona per fare centro! ». « Hau! Hau! », convenne Uomo della Paura. Il loro fratello aveva ragione. I guerrieri giovani erano indisciplinati, ma forse alcuni di coloro che avrebbero dovuto comandarli si erano rammolliti dai giorni della Via Sacra; erano rammolliti o completamente scaduti agli occhi dei giovani, come quelli di cui si erano sbarazzati al torrente Horse. «Certo, quelli erano scaduti da tempo!...», borbottò 214
Orso Seduto, dalla pancia rotonda come un barile di whisky. Giusto, ribadì Uomo della Paura, ma i posti che essi avevano lasciato vacanti dovevano essere riempiti. C'era bisogno di nuovo vigore: forse era opportuno rinnovare l'assetto dei capi e fare la cerimonia degli indossatori di casacca. Si parlò molto tra la gente di quello che venne annunciato, e i più anziani ricordarono come andavano diversamente le cose ai loro tempi, prima che arrivasse il flagello del whisky, allorché i più giovani si domandavano a chi di loro sarebbe toccato l'onore della casacca. Secondo uno che era vissuto a lungo nell'accampamento delle donne, la cosa era semplice: il padre doveva designare il figlio: Uomo della Paura, Orso Coraggioso, Orso Seduto, Faccia Cattiva..., avevano tutti un figlio. Il figlio di Faccia Cattiva?! Quello no! Qualunque altro, ma non Veste da Donna. Quello scimunito con la casacca?! Mai! Ma prima che si potesse tenere la cerimonia dei capi accaddero molte cose. Arrivarono dei messaggeri e riferirono che i Bianchi dicevano che nella battaglia al Ponte sul Piatte gli Indiani avevano bruciato vivi gli uomini del piccolo convoglio. Vivi? I Cheyenne non bruciavano i vivi, Cavallo Pazzo lo sapeva. Erano tornati con gli scalpi e per prenderli avevano dovuto prima uccidere. Era diverso dall'incendiare un accampamento indiano pieno di donne e bambini feriti. Certi Bianchi erano furibondi anche per un altro motivo, per l'uccisione del giovane Collins. Era stato destinato a quei soldati sullo Sweetwater, ma non avrebbero dovuto ordinargli di andare a combattere, e su un cavallo che faceva quel che voleva. Gli Oglala furono tutti d'accordo nel dolore: avevano voluto bene al giovane Bianco, lo avevano visto con piacere nell'accampamento in compagnia di Gobba, di Nuvola Rossa, di Cavallo Pazzo: parlavano tra loro come fratelli. Si diceva che quel giorno al forte scarseggiassero le mu215
nizioni (anche le palle da cannone) e che per questo gli Indiani avrebbero potuto conquistarlo facilmente. I guerrieri si misero a ridere. Sì, per adoperarlo magari come trappola per le antilopi! Che se ne facevano di case circondate da un muro alto due volte un uomo? Il messaggero da Laramie portò notizie di nuove tensioni. Le tende dei soldati che per tutta la primavera si erano addensate come nuvole bianche in un giorno di vento, venivano tutte caricate su dei carri diretti al nord, ma molti soldati non volevano partire, perché si erano arruolati solo per la guerra contro i Bianchi che avevano schiavi negri; allora gli ufficiali li avevano chiusi in prigione oppure avevano puntato i fucili su di loro. Una grande armata stava penetrando nel territorio indiano; il capo dei soldati che si chiamava Connor diceva che sarebbero stati uccisi tutti gli Indiani maschi sopra i dodici anni.6 «E chi riuscirà a prenderci?», domandarono i giovani guerrieri. I Pawnee con le giacche da soldato, forse. Connor se li portava dietro come spie e come perlustratori : avevano l'ordine di scovare tutti quelli che potevano, e i cavalli che avessero catturato sarebbero stati tutti loro. Avevano già ucciso dei Bighelloni che tentavano di raggiungere i posti dei Bianchi, solo per rubare dei cavalli. Questo fece adirare Coda Chiazzata e i suoi parenti: le ultime donne pawnee che avevano fatto prigioniere le avevano rimandate a casa su buoni cavalli, con il volto dipinto di rosso e con fagotti pieni di regali. La prossima volta le avrebbero tagliate a pezzi così piccoli che nessuno sarebbe mai venuto a sapere che fine avessero fatto. Ma le donne lakota videro solo una cosa: un grande esercito che avanzava su di loro. Anche la madre di Cavallo Pazzo si chiese se non sarebbe stato meglio ritirarsi in un posto più sicuro. Ma tutti i suoi uomini le avrebbero risposto: «Noi siamo molti», tutti occupati a tenere consigli, a studiare piani, a preparare fucili, frecce e coltelli! ' Spedizione del fiume Powder.
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Questa volta, o l'uomo bianco o l'Indiano, uno dei due doveva sloggiare. Quando la lunga colonna di soldati fu a soli due giorni di distanza e i guerrieri erano pronti a tendere l'imboscata, i Bianchi piegarono verso il Tongue e si buttarono sui Nuvole Azzurre, che non solo non li avevano molestati ma avevano tenuto a freno i guerrieri, e i Pawnee portarono via i loro cavalli. I guerrieri Nuvole Azzurre riuscirono a riprenderne la maggior parte ingaggiando un combattimento in corsa, poi riportarono la gente negli accampamenti sul Powder. I Cheyenne, che erano sempre stati pacifici, alzarono gli occhi dalle pipe. « È pericoloso stare in pace quando tutt'intorno è guerra », disse Lupo Cieco. Pareva che quei Bianchi non volessero fare la guerra ai Lakota: continuarono ad andare al nord, oltrepassando i Monti del Lupo (Wolf Mountains), e allora il popolo partì per la caccia ai bisonti. Ma un giorno i cacciatori si precipitarono all'accampamento sul Torrente della Donna Pazza, gridando: «Arrivano altri soldati, da un'altra direzione!», mentre giungevano segnali che dicevano: « Soldati in marcia fanno il giro dei monti del fiume Powder. Molti carri e cannoni ». I banditori corsero per gli accampamenti, le mandrie vennero portate in fretta all'interno dei cerchi campali, ogni guerriero prese al volo il primo cavallo che gli andava bene, come si fa nei momenti di pericolo. Cavallo Pazzo e suo fratello corsero a casa dall'accampamento di Senz'Acqua. La piccola banda di Faccia Lunga era più indietro, presso una sorgente la cui acqua guariva i crampi al ventre, perché della sua gente numerosi erano ammalati. Ma i due figli di Bruco vennero a sapere della battaglia quando era già finita, mentre bevevano il caffè con le zollette dolci che i Cheyenne avevano portato. Avevano trovato molti carri disposti in cerchio e molti soldati, ma non avevano potuto far molto, con quel po' di polvere da sparo di cui disponevano, contro i buoni fucili e i cannoni dei Bianchi. 217
Dopo molti giorni, due Bianchi erano venuti a parlamentare con Nuvola Rossa e con Coltello che non Taglia, e questi avevano detto ai Bianchi di andarsene subito dalla regione del Powder, senza spaventare i bisonti; I soldati avevano abbandonato un carro pieno di provviste, ma di munizioni nemmeno l'ombra. Raggiunti da un altro gruppo di Indiani, erano di nuovo rimasti bloccati nel convoglio disposto in cerchio. Gli Indiani ne avevano uccisi tre e avevano preso dei buoni muli e dei buoni cavalli. Infine i Bianchi uscirono dalla regione verso sud, passando per i Pumpkin Buttes. « Ahh-h, così va bene! », disse Faccia Lunga a suo fratello Bruco. Era ormai tempo di fare le cerimonie dei capi. Il popolo si adunò alla foce del Little Powder, e vi furono festeggiamenti, danze e visite, come sempre quando ci si riuniva, con molto da mangiare e con i giovani a casa. Poi dal nord arrivò un Minneconjou: avevano combattuto contro un altro reparto di soldati vicino alla foce del Powder, e i Bianchi si erano comportati come il serpente grigio con la testa a punta di freccia, che ha lunghi denti ma si fa stuzzicare perfino da un bambino e finisce col morire. I vecchi Indiani risero: « Hau! Si sono visti dei Bianchi proprio così! ». « Ma se i soldati non vogliono combattere, perché prendono la strada lunga e difficile? », si domandava il Minneconjou. Era impossibile enumerare le pazzie dell'uomo bianco. Ma i Minneconjou, sapendo che i soldati non potevano stare nel territorio lakota, li avevano inseguiti. Era venuta giù una pioggia gelida che si era trasformata in ghiaccio: molti cavalli e muli non si erano più mossi. Un Indiano ne aveva contati più di duecento, morti, e per ogni cavallo morto i soldati avevano dovuto bruciare altrettante selle, briglie e carri, con tutto il carico. Ora stavano venendo da quella parte. «Da questa parte?! Ma sono dappertutto? ». Sì, risalivano il Powder in duemila, comandati da uno 218
che si chiamava Cole. I capi rimandarono la cerimonia e, a piccoli gruppi, i guerrieri scesero al fiume incontro ai soldati. Cavallo Pazzo si unì a dei Cheyenne capeggiati da Naso Aquilino. Presero ottanta cavalli con relative selle, che trovarono legati ma non sorvegliati in una macchia di cespugli. Hoye! I Bianchi erano proprio come il serpentello a punta di freccia, pensò l'Oglala mentre aiutava a portar via la mandria. Ma non potevano far molto contro i soldati perché erano senza munizioni. Naso Aquilino, incurante del pericolo, si era esposto a cavallo in mezzo alle due schiere. Dopo molti giri avanti e indietro sotto grandinate di proiettili che gli cadevano ai piedi, il suo cavallo era stato colpito a morte, ma egli non era stato ferito, perché si era messo l'acconciatura da guerra fattagli da Ghiaccio. Il guerriero aveva anche un'altra medicina, e Cavallo Pazzo lo sapeva: gli veniva dal non prendere donna e lo aiutava a difendere tutto il popolo, come un uomo difende la propria tenda, come un marito e padre difende la moglie e i figli piccoli. Dopo alcuni giorni un'altra pioggia gelida fece morire quattrocento e più cavalli dell'esercito: ora il fumo dei carri incendiati sembrava una montagna. Pur non osando attaccare, i guerrieri armati di arco e frecce rimasero alle calcagna dei soldati come lupi dietro ai bisonti. Ogni tanto Cavallo Pazzo, Cane e Orso Solitario piombavano su di loro costringendoli ad andare più in fretta, impedendo loro di cacciare qualche bestiola per sfamarsi e ai loro cavalli superstiti di mangiare l'erba dei cavalli indiani. Alla fine le bestie stramazzavano al suolo come colpite da una delle epidemie dei Bianchi e i soldati, per mangiare, uccidevano i cavalli e ne trasportavano le carni fuggendo, scalzi e affamati, verso sud. Un giorno in cui i guerrieri si dimostrarono molto decisi il capo dei soldati abbandonò a terra quasi tutti i viveri che gli restavano e fuggì. Così scompariva la grande armata che da tre direzioni era venuta a pestare l'erba e a spaventare la selvaggina. I Bianchi avevano ucciso qualche Indiano ma erano partiti lasciando gli accampamenti pieni di cavalli e di muli, e i guerrieri con molti fucili, buoni, raccolti dove gli uomini 219
esausti li avevano lasciati cadere. Anche Cavallo Pazzo ne aveva preso uno: era il suo primo fucile a retrocarica. Hau! Quello era il grande capo dei soldati che voleva uccidere tutti gli Indiani sopra i dodici anni! C'era da ripensare a quello che aveva risposto il Francese agli emigranti che gli chiedevano come fanno gli Indiani a fare i mestoli di corno di montone: « Prima si prende il montone! ». Ancora una volta le tregge si misero in viaggio per raggiungere il luogo in cui si dovevano tenere le cerimonie dei capi. I capi costituivano una specie di casta che non aveva niente a che fare con quella antichissima di cui parlavano gli «storici»: questa era un'istituzione nuova, che risaliva al tempo in cui i nonni di Cavallo Pazzo, Roccia Nera e Cane, erano ancora uomini validi tra quelli che ora si chiamavano gli Oglala del nord. Si era visto allora che le usanze di quando coltivavano il mais in villaggi stabili non erano più valide dopo che il popolo aveva cominciato a dedicarsi alla caccia. Erano come il vecchio involucro scuro di cui il bruco si libera quando si trasforma in quella bella creatura che vola. Perciò, con l'aiuto di un grande sacerdote vissuto tra i Piedineri, alcuni capi oglala avevano istituito la nuova casta dei notabili, che dovevano consigliare e governare il popolo in tutti i momenti della sua nuova vita: quando era accampato o era in viaggio, quando andava a caccia o faceva la guerra. Erano previsti sette capi anziani, uomini sopra i quarant'anni (talvolta soprannominati Grosse Pance), e quattro capi più giovani nel pieno delle loro forze: i consiglieri (o capi-che-indossano-la-casacca), reggitori del popolo, con aiutanti scelti per periodi più brevi, come una caccia, una spedizione di guerra oppure un inverno. Gli anni passati sulla Via Sacra, però, avevano fatto crollare l'intera casta, così come erano crollate anche altre cose che invece si sarebbero dovute salvare. Adesso però il popolo doveva essere forte, e uomini forti dovevano reggerlo. Gli Hunkpatila, gli Oyukhpe e i Veri Oglala erano d'accordo. Di tutti gli Oglala del nord, soltanto i Facce Catti220
ve si tennero indietro, incerti: forse, come era nei loro diritti, avrebbero fatto una casta loro propria, a parte. « Se tutto non va a finire in mano loro, non sono mai d'accordo », certuni lamentavano. Ad ogni modo, alla fine vennero anche i Facce Cattive (ancora speranzosi, malignavano alami). A una cerimonia come quella, perfino un nemico crow sarebbe stato il benvenuto. Così finalmente fu fatto il grande accampamento della cerimonia, circolare come circolari sono tutte le cose sacre, e aperto a est. Venne montata una grande tenda consigliare decorata con tutti i simboli sacri del popolo: era una tenda abbastanza grande e, quando le pelli erano tirate su, tutti potevano vedere e sentire quello che vi si svolgeva. Quando venne il grande giorno, tutti uscirono dalle abitazioni e seguirono attentamente quel che facevano gli aiutanti dei Grosse Pance, a cavallo: quattro volte fecero il giro completo dello spiazzo interno dell'accampamento, e ogni volta si fermarono per scegliere un giovane dal popolo. Ogni volta le donne fecero il tremolo, gridando il nome di Giovane Uomo della Paura degli Hunkpatila poiché era stato scelto, e via via quello degli altri: Spada, figlio del capo oyukhpe Orso Coraggioso, e Cavallo Americano, figlio di Orso Seduto dei Veri Oglala. Quindi, passati davanti al figlio di Faccia Cattiva, al nipote di Fumo, a quel Veste da Donna che non aveva mancato di mettersi in mostra sfoggiando un nuovo vestito di pelle di daino, gli aiutanti passarono in mezzo ai guerrieri per raggiungere Cavallo Pazzo che assisteva confuso tra gli altri. Suo padre non era un capo, era solo un sacerdote, e tuttavia l'esultanza che seguì alla sua scelta fu dieci volte maggiore delle volte precedenti, perché tutti sapevano che egli non cercava mai di trarre vantaggio da quel che faceva. Anche i guerrieri esultarono: da tempo egli si era distinto in mezzo a loro ed era una cosa buona che finalmente qualcuno fosse scelto per quello che aveva fatto e non perché suo padre era un Grossa Pancia. I giovani, sui migliori cavalli, furono scortati alla tenda consigliare che, con le pelli arrotolate in su, sembrava un fungo dipinto. Il popolo li seguì in massa, prima i guer221
rieri e i ragazzi, poi tutti gli altri, tutti desiderosi di vedere i quattro prescelti, introdotti all'interno e fatti sedere sulle belle pelli nuove, stese per terra al centro. Da un lato erano i capi anziani e i grandi capi in semicerchio attorno a Uomo della Paura, il più grande di tutti. Di fronte, i giovani guerrieri prescelti con i rispettivi padri alle spalle. Dietro a questi e tutt'intorno c'erano le donne e gli altri figli della loro famiglia. Si fumò e si mangiò carne di bisonte e di cane, cacciagione, e tutti i cibi sacri indiani. Poi un vecchio, famoso per la sua saggezza, si alzò e parlò ai giovani dei loro doveri in tempo di guerra e in tempo di pace: dovevano mettersi alla testa dei guerrieri sia nell'accampamento sia nei trasferimenti da un campo all'altro; dovevano preoccuparsi che l'ordine fosse mantenuto, che nessun atto di violenza venisse commesso, che i diritti di ciascuno fossero rispettati. Per ottenere questo dovevano usare saggezza, generosità e fermezza in tutte le cose: prima consultarsi, poi consigliare, infine imporsi. Se non venivano obbediti dovevano colpire, e se questo ancora non bastava, dovevano uccidere. Ma non dovevano mai prendere le armi contro uno della loro gente senza aver prima riflettuto e senza essersi consultati, e sempre con prudenza e con giustizia. Chi vive da solo può fare ciò che vuole, ma chi vive in mezzo agli altri deve piegare la testa per il bene di tutti. Senza condottieri energici il popolo perisce, la nazione si spezza in tante piccole bande incapaci di difendersi. L'uomo è un essere egoista, in balia delle passioni, semiselvaggio: senza disciplina e senza controllo, diventa pericoloso e incurante della legge. Tutti lanciarono grida di assenso. Vennero portate le sontuose casacche nuove. Le avevano fatte, rispettosi di tutta la loro sacra complessità, gli uomini più anziani, appositamente per i quattro giovani che le avrebbero di lì a poco indossate. Ciascuna era fatta con due pelli di big-horn con ancora attaccati gli speroni dell'animale. Le zampe anteriori formavano le maniche, le posteriori non erano cucite e pendevano sciolte ai fianchi. Sullo sprone e lungo le maniche c'era tutta un'applicazione di aculei che formavano delle bande, e motivi di uomini, ca222
valli, armi, oltre alle cose sacre della visione dell'uomo cui era destinata la casacca. Le maniche erano frangiate di capelli, una ciocca per ogni impresa guerresca: cavalli catturati, una ferita ricevuta, un prigioniero o uno scalpo preso, un coup, un amico tratto in salvo, o qualche altra cosa di grande.7 « Si dice che ce ne siano più di duecentoquaranta su quella del giovane dai capelli chiari... », mormorò una vecchia, ma le occhiatacce delle altre la zittirono. Le casacche vennero fatte indossare e a ognuno venne appuntata poco più su della nuca un'unica penna d'aquila, orizzontale, come la linea in cui la terra tocca il cielo. Un uomo ancora più vecchio del precedente si alzò a parlare dei nuovi doveri che attendevano i quattro, doveri più pesanti di quelli già detti. « Portate queste casacche, figli miei », disse, « e siate generosi. Aiutate gli altri, sempre. Non pensate mai a voi stessi. Abbiate cura dei poveri, delle vedove, degli orfani e di tutti quelli di poco potere: aiutateli. Non pensate male degli altri e ignorate il male che altri vorrebbero farvi. Molti cani potranno venire ad alzare la zampa presso la vostra tenda: voi guardate dall'altra parte e non permettete che il vostro cuore ne serbi memoria. Non date sfogo all'ira, nemmeno se i parenti vi giacessero davanti insanguinati. So che è difficile tutto ciò, o figli, ma abbiamo scelto voi perché avete un grande cuore. Assolvete con gioia questi doveri, e di buon grado. Siate generosi, forti e coraggiosi nell'assolverli, e se vi si parerà davanti un nemico, affrontatelo intrepidamente, perché è meglio morire nudi da guerrieri che vivere paludati con un cuore d'acqua nel petto ». Una grande, crescente esultanza salì dal popolo per la nuova forza che riceveva da quei giovani pieni di valore. E mentre il popolo cantava le loro lodi, ciascuno dei quattro considerava l'onore che gli era stato conferito nel modo che gli era naturale. Giovane Uomo della Paura era come 7 Una stupenda casacca dei Sans Arcs simile a questa descritta ma in pelle di cervo si può vedere in Anton-Dockstader cit., p. 231 (N.d.T.).
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lo si sarebbe potuto vedere nella sua tenda in un giorno qualsiasi, perché i membri di quella grande famiglia accoglievano gli onori con semplicità. Cavallo Americano sedeva diritto, le spalle e la testa alte come se gli si fossero staccate, e intanto si guardava intorno per accertarsi che a nessuno sfuggisse la sua gloria. Spada, con l'espressione di rispetto e di gratitudine con cui guardava i sette capi, mostrava di accogliere il riconoscimento della propria autorità in modo diverso da tutti gli altri. Solo uno sedeva immobile, con le spalle curve, gli occhi fissi davanti a sé, imbarazzato di essere tanto salito di rango, pur sapendo la gioia che dava alla sua famiglia e a Gobba, il suo padre guerriero, il suo amico da sempre. Una volta che l'Oglala alzò gli occhi, vide Donna di Bisonte Nero che lo fissava: non fissava uno dei quattro consiglieri del popolo; fissava lui uomo. Alcuni se n'erano già accorti e coprendosi la bocca con la mano dicevano che almeno questa volta una donna dei Facce Cattive aveva sbagliato nella scelta di un grande uomo da portare alla propria famiglia. Ma Cavallo Pazzo vide solo che Donna di Bisonte Nero aveva il figlio più piccolo sulla schiena; l'altro sarà stato da qualche parte in mezzo alla folla. Anche il loro padre Senz'Acqua era là, facevano tutti parte del popolo che egli doveva proteggere, perché uno che indossa la casacca difende tutto il popolo, difende ogni singolo, da qualsiasi cosa possa fargli del male. Il primo a lasciare l'accampamento della cerimonia fu Veste da Donna, furibondo. Partì insieme ai Facce Cattive mentre Nuvola Rossa, il loro capo, andava dai Brulés di Foglia Rossa, i familiari di Orso che Conquista che erano stati scacciati. Nuvola Rossa era loro parente per parte di padre: Uomo Solitario infatti era un Brulé prima di sposare una Oglala. La luna successiva furono creati altri due indossatori di casacca, e ancora una volta Nuvola Rossa vide preferire a sé due uomini più giovani: Strada Grande e un proprio nipote, Cane. Tuttavia era chiaro ormai che quelli non si consideravano più Facce Cattive ma un nuovo ramo settentrionale degli Hunkpatila. Ma perché mai doveva es224
sere turbato il cuore di Nuvola Rossa?, si domandavano alcuni. Era seguito dai guerrieri, molti dei quali avevano abbandonato il loro accampamento per stargli vicino. Altri non avevano difficoltà a convenirne. Cavallo Pazzo andò a vedere l'amico d'infanzia che riceveva la casacca. Ascoltando per la seconda volta i doveri che pesano su colui che la indossa, sentì che avrebbe voluto avere il coraggio di Uomo della Paura, che aveva saputo dire di no quando gli avevano offerto un onore molto più grande.
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4.
I CENTO IN MANO
Era l'autunno dell'anno Tre Uomini Sono Appesi al Forte (1865). Le prime lievi nevicate avevano imbiancato la regione del fiume Tongue, poi si erano sciolte. Appannate di ghiaccio, le dolci bacche di seferdia erano ancora attaccate alla pianta grigiastra: le donne battevano le piante con i bastoni e le bacche cadevano sulle pelli stese a terra. Un sole caldo faceva essiccare le carni. Un giovane Hunkpapa venne dal nord a trovare il fratello che aveva sposato una donna della famiglia di Gobba. Cavallo Pazzo lo invitò alla tenda consigliare per sentire che notizie aveva. Erano più o meno uguali a quelle che avrebbero potuto fornire gli Oglala: i soldati sparavano sugli Indiani. « Tutto quello che possono prendere lo prendono! », ammise Uomo della Paura preoccupato, e via via gli fecero eco tutti gli altri seduti intorno al fuoco. « Ma adesso qui non è più così facile per loro, perché tutto il popolo è unito. Ci sono anche quelli che erano giù al forte, e i Cheyenne e i Nuvole Azzurre ». « Sì, ciò nondimeno i soldati sono arrivati sulla nostra terra come formiche in fuga davanti ai mocassini invernali », osservò Bruco. Hau! Li avevano trovati, appunto come formiche, anche dalle parti dello Yellowstone e li avevano derubati di alcuni buoni cavalli. Nello stesso tempo il Grande Padre mandava un uomo da un forte all'altro del Missouri con una nuova carta di pace. « Come la vecchia che tenta di acchiappare il cane con un pezzo di carne in una mano e col coltello da carne nell'altra », rise Uomo della Paura. Avevano sentito dire che sul Missouri c'era Veste Nera, quello che si chiamava De Smet 226
e che al Grande Consiglio aveva posato la mano sul capo dei bambini. Gli Oglala lo ricordavano come un uomo buono, un uomo di religione, ma quasi tutti i bambini che aveva toccato erano morti delle malattie dei Bianchi. Veste Nera, disse lo Hunkpapa, si era dato da fare perché gli Indiani sottoscrivessero un altro trattato di pace, ma perfino i più anziani ne avevano abbastanza di sentir parlare di pace. Soltanto i Bighelloni del Missouri si erano recati al consiglio. All'inizio l'avevano presa sul ridere, ma ora sapevano che il trattato di pace permetteva ai Bianchi di aprire strade nel territorio indiano e di costruirvi dei forti. Di lì a poco la carta sarebbe stata portata anche al sud, a Laramie, e con i loro regali i Bianchi si sarebbero accaparrati il consenso di almeno qualche Bighellone. Era una notizia veramente brutta, questa che portava dal nord il loro amico. Prima che la luna si oscurasse gli Oglala seppero che l'inviato di Toro Seduto aveva detto il vero. I Bianchi offrivano molto a chi avesse convinto gli Indiani ad accettare un altro trattato, ma perfino i figli dei mercanti avevano paura, anche se a loro il denaro faceva molto gola. Finalmente, quando il fumo e le scintille uscivano dall'apertura all'apice delle tende e ai cacciatori si gelavano le trecce, Bocca Grande e una parte della sua polizia indiana, che però in quell'occasione non si era messa le giacche dell'esercito, vennero col tabacco. Il giovane Piccolo Falco vide dalla soglia della tenda paterna il banditore che li accompagnava alla tenda consigliare. « U n capo bighellone che viene dai suoi col fucile dell'uomo bianco è capace di tutto! », disse forte mentre quelli passavano. Cavallo Pazzo gli era accanto e lo lasciò dire, perché molti, anche più grandi di suo fratello, si facevano avanti con gli archi, pronti a rimandare nella neve gli uomini appena arrivati. Ma Uomo della Paura e Coda Chiazzata, nonché Nuvola Rossa e Gobba, dissero che bisognava accoglierli come ospiti e ascoltarli come appartenenti al loro stesso popolo. Venne acceso un gran fuoco nella tenda consigliare, rosso come una nuvola al tramonto, così divampante che le 227
pelli ne lasciavano trasparire la fiamma e tutto l'accampamento poteva vederla. E in quella tenda i capi lasciarono cadere nel vuoto le proposte del Bighellone: soltanto Orso Lesto accettò il tabacco offerto a coloro che si sarebbero recati a Laramie. Ciò non sorprese Cavallo Pazzo e gli altri, perché il Brulé era sempre vissuto vicino ai Bianchi prima che gli Indiani si rivoltassero contro Fouts. Per non fare la fine degli altri capi che per sostenere la pace erano finiti stecchiti a terra, aveva aiutato gli Indiani fuggitivi, ma quell'inverno da racchette da neve gli sembrava molto duro lontano dalle case di legno e dal caffè bollente di suo cognato, Jim Bordeaux. In gennaio (la Luna del Ghiaccio sulla Tenda) Orso Lesto e i suoi Brulés firmarono il trattato che regalava ai Bianchi una strada e dei fortini nella regione del Powder. Correva voce che avessero detto al capo dei soldati che anche gli Oglala l'avrebbero sottoscritto, e che Nuvola Rossa aveva scacciato Grosse Costole per poter diventare lui il capo. Era un discorso che la gente non capiva: non si diventa capo scacciando un altro. E gli Oglala non sarebbero andati dai Bianchi nemmeno se fosse morto di fame il doppio dei cavalli che possedevano, nemmeno se tutti i cacciatori fossero tornati accecati dalla neve. Ma il ghiaccio non si scioglieva, dal paese dei Chinook non veniva vento, neppure dopo l'inizio della stagione in cui di solito le oche tornano all'Acqua di Medicina. Fu un inverno lungo e duro, specialmente per coloro che avevano le malattie dei Bianchi. Quando l'aria si fece appena appena tiepida, Coda Chiazzata mandò a dire al capo dei soldati di Laramie che sua figlia era morente e che avrebbe desiderato deporla accanto al palco funebre del vecchio Fumo. A Cavallo Pazzo dispiacque molto veder partire lo zio. Ora che indossava la casacca, aveva meno tempo per assentarsi dagli Hunkpatila; tuttavia diverse volte si era fermato nell'accampamento brulé e aveva portato della selvaggina appena cacciata, un fagiano o un coniglio, per la cugina che giaceva pallida e gialla come il fiore notturno che sbiadisce appena spunta il sole. Vi capitò dopo la notte tremenda in cui era parso che la ragazza morisse. Coda 228
Chiazzata sembrava impazzito: la furia per la malattia che gli portava via la figlia sembrava venirgli da sotto i piedi, facendolo sembrare, lui che era già alto, ancora più alto, come un albero pare allungarsi quando il vento lo assale. « La tosse dell'uomo bianco si porta via le nostre famiglie! », gridava al cielo, dove vivono il lampo e il tuono, i fratelli dell'uomo invaso dall'ira. «Elude la vigilanza dei guardiani degli accampamenti, penetra strisciando nella tenda addormentata, e noi siamo disarmati contro di lei! ». Ma dopo poco tempo il capo brulé era tornato a sedersi al suo posto, avvolto nel mantello invernale come se il freddo venisse dal fuoco. Sapeva che il potere dei Bianchi era perfino nelle loro malattie. Era un errore fare affrontare alla figlia, con la tosse che aveva, un viaggio attraverso quella desolazione invernale, nel freddo che lacerava i polmoni e faceva uscire dalla bocca fiotti di sangue vermiglio, il sangue del petto. Davvero, i Bianchi erano talmente tanti che non si potevano combattere tutte le loro cose. Mentre lui parlava, le donne della tenda lamentavano le cose tremende che colpivano tutta la famiglia. Cavallo Pazzo le sentiva e restava in silenzio, non osando dire allo zio quello che doveva. Capiva che a quell'uomo sconvolto dal dolore non si poteva chiedere di restare, e quando giunsero alcuni uomini di Orso Lesto inviati dall'agente, il capo partì e con lui i valorosi guerrieri brulés di cui i Lakota avrebbero presto avuto bisogno. In seguito si seppe come Coda Chiazzata fosse stato accolto al forte sulla Via Sacra. La ragazza era morta lungo il viaggio e il padre l'aveva distesa sulle groppe di due cavalli bianchi legati vicini. Giunto presso Laramie, il capo dei soldati e i suoi uomini gli erano andati incontro facendosi precedere da un portabandiera che recava un vessillo colorato. La povera giovane era stata deposta su un carro scortato dai soldati a cavallo con due cannoni. Al forte l'avevano messa in una grande cassa foderata di piume di petto d'anatra, poi l'avevano portata al palco funebre che sorgeva accanto a quello del vecchio Fumo, e tutti i soldati, tutta la gente che viveva al forte l'aveva accompagnata. A 229
nord, Cavallo Pazzo meditò su quello che i Bianchi avevano fatto per la morte della figlia di un Lakota. Ricordava la giovane, com'era prima della malattia: bella come le acque luccicanti al sole dei torrenti di primavera quando la neve si scioglie, e mossa dallo stesso impeto dei torrenti che straripano, quando il marito della sorella aveva fatto quello che talvolta facevano alle loro mogli gli emigranti della Via Sacra, quando l'aveva colpita coi pugni. « Che cosa sei allora, una delle donnette dei Visipallidi? », aveva detto alla sorella. Ora suo padre l'aveva portata là, alla Via Sacra, la via da dove era venuta la causa della sua morte, da dove continuavano a venire tante altre cose cattive per tutti. Cavallo Pazzo ci pensava e sentiva la rabbia ribollirgli in petto, come quando metti pietre scottanti nell'acqua; perciò uscì nella notte, ché fuori il cielo era alto e c'era spazio per un uomo infuriato. La neve dei pendii vòlti a sud cominciò a essere percorsa da rivoli e quando fu disciolta completamente gli addetti ai cavalli bruciarono la terra per far spuntare l'erba fresca. Appena le mandrie ebbero riacquistato forza, Cavallo Pazzo condusse i suoi uomini a caccia; quindi mosse contro i Crow, e li scacciò dalle terre dei bisonti sul Tongue, in cui erano sconfinati per inseguire gli animali che le bufere spingevano a sud. L'erba si allungava; i piccoli di bisonte, ancora gialli, correvano con zampe incerte in mezzo alle madri al pascolo; le oche delle nevi facevano il nido sull'Acqua di Medicina. Eppure il cuore di Cavallo Pazzo era come un masso in un profondo canyon, su cui il sole non batte mai, ed era così dal giorno in cui suo zio era partito. Adesso aveva appreso che trecento donne e bambini lakota dell'accampamento presso Laramie erano stati caricati su dei carri e mandati al Missouri perché i soldati non volevano più mantenerli, sebbene quasi tutti i bambini fossero figli loro. Adesso chi avrebbe pensato a quegli infelici, così lontani dal loro popolo, senza nessuno che li aiutasse con un po' di carne o una buona parola? Poi un giorno arrivarono all'accampamento di Faccia 230
Lunga tre giovani Brulés: avevano fucili, vestivano da danza e montavano cavalli da guerra. Dissero che volevano stare con Cavallo Pazzo. Ebbero una tenda e una vecchia che li accudisse. Dopo un paio di giorni spiegarono il motivo della loro venuta: avevano seguito Coda Chiazzata a Laramie quando sua figlia era morente, ma ora egli firmava il trattato delle strade e dei fortini come un Bighellone qualsiasi. Naso Aquilino, il Minneconjou che era andato con lui, si era adirato per i discorsi di pace del Brulé: dipinto in viso come per la guerra, si era alzato in consiglio e, lasciando scivolar giù la coperta e scoprendo così il petto pieno di cicatrici, aveva teso la mano in cui stringeva una pipa e poi l'altra in cui stringeva delle frecce: questi Bianchi, che erano venuti a depredarli, che cosa volevano? La pipa o le frecce? Ma i Bianchi incaricati delle trattative di pace conoscevano poco o niente le usanze indiane. L'interprete non si era preoccupato di spiegare quel gesto di sfida: perciò i Bianchi dissero che erano venuti per la pace e che avrebbero preso la pipa. Naso Aquilino ne fu molto sdegnato, ma a chi chiede la pipa bisogna dargliela. Così i capi si lasciavano abbindolare. Sembrava che altri, giù alla Via Sacra, facessero discorsi da rammolliti promettendo di mantenere la pace fino al nuovo consiglio che si sarebbe tenuto in estate; e ora i Bianchi dicevano agli emigranti che gli Indiani avevano venduto la pista del Powder, quindi potevano transitarvi sicuri per arrivare prima ai posti dell'oro. « Non dovete far altro che seguire i paletti di Bozeman dal Piatte allo Yellowstone, lungo il versante orientale dei Monti Big Horn », dicevano. « Tutto il tragitto è buono per i carri ». Alcuni Bianchi, due dei Richard e il figlio di un altro mercante, portarono i carri delle loro merci fino alla confluenza del Clear col Powder e là costruirono delle case con zolle di terra messe una sull'altra. Ancora una volta i Cheyenne andarono a sedersi là e stettero a guardare come avevano fatto sei anni prima quando i Bianchi erano andati a costruire una casa e a piantare mais presso il 231
Torrente della Donna Pazza. Strana gente. Si inginocchiavano insieme a terra come fa l'alce, che ha il collo corto, quando bruca l'erba da poco spuntata: giungevano le mani e dicevano delle parole nella loro lingua, tutti insieme, con le ginocchia a terra. Erano un po' buffi, ma poi gli Indiani avevano saputo che quello era il loro modo di rivolgersi al Grande Spirito - o di pregare, come essi dicevano - e si vergognarono di avere riso. Comunque, anche quei Bianchi erano stati scacciati, perché quella era terra indiana e c'era buona selvaggina. Lo stesso succedeva ora a questi nuovi Bianchi, e anche ai figli dei mercanti, sebbene i Richard fossero parenti di Nuvola Rossa. Prima ancora che avessero finito di caricare i bagagli, gli Indiani avevano riportato le zolle di terra delle loro case nei punti in cui le aveva messe la Madre Terra, con le radici in giù e l'erba in su, verso il cielo. Quasi non passava giorno senza che qualcuno venisse al nord a raccontare dei bei regali che venivano distribuiti a Laramie: fucili e munizioni, e molte altre cose, ma soprattutto fucili e munizioni, e solo per aver toccato la penna. Così, nella Luna che Ingrassa (giugno), Uomo della Paura andò a Laramie e ci andò anche Nuvola Rossa. Ma non Gobba, né Bruco né Cavallo Pazzo. Questi e molti altri rimasero al Powder, chi a digiunare e a compiere i riti della capanna sudatoria, chi in montagna a far medicina da solo, nella speranza che gli Indiani a Laramie sapessero resistere al potere dei regali dell'uomo bianco. Era successa una cosa strana al consiglio, prima che i capi partissero: due volte si era udita una voce gridare forte: « Ricordate Costole d'Orso e Orso che Conquista! Non vive chi vuole essere capo di tutti i Lakota! ». Ogni volta le guardie erano corse fuori, ma non avevano trovato nulla. Nella tenda tutti avevano guardato Uomo della Paura e Nuvola Rossa, i due che sarebbero andati a parlare con gli uomini della pace. Il primo, il loro Uomo Coraggioso, in passato, sull'Acqua che Corre, la notte in cui era morto Capo Orso, aveva rifiutato la carica. Doveva essere un altro perciò quello che aspirava al potere, lì, in mezzo a loro. 232
Gli Oglala mandarono dunque uomini di senno e con orecchie acute come quelle del cervo, alle sedute del consiglio. Altri, come Piccolo Grande Uomo, correvano avanti e indietro con le notizie in bocca, come l'uccello con la coda a forbice vola portando nel becco il fango per il nido. Dicevano che erano già arrivati molti carri pieni di regali e che da qualche parte doveva esserci una falla perché nell'accampamento oglala gocciolava del whisky, sebbene nessuno fosse in grado di spiegare la cosa al capo dei soldati. La sera che Bruco e Cavallo Pazzo vennero a saperlo, rimasero a discutere fino a molto tardi. Uomo della Paura e Coda Chiazzata non erano uomini da scaldarsi la pancia col liquido ardente; ma altri non erano forti quanto loro, ed era difficile dimenticare che il padre di Nuvola Rossa, molto tempo prima, era morto a causa del whisky. Il giorno dopo però giunsero buone notizie: Nuvola Rossa non intendeva vendere il territorio, nemmeno in cambio di tutto lo zucchero e di tutto il caffè del Grande Padre, tanto meno per il barile nascosto del mercante. La prima cosa su cui gli Oglala avevano voluto veder chiaro riguardava le munizioni; poi Nuvola Rossa e Uomo della Paura avevano voluto che ogni singola clausola del trattato venisse loro spiegata, perché non volevano che poi un giorno saltassero fuori delle novità, come era capitato ai Cheyenne della regione dello Smoky Hill. Quando avevano sentito che la carta di pace parlava di una strada del Powder, si erano alzati entrambi, stringendosi nelle coperte, per andare via. Poi il Bianco che presiedeva il consiglio li aveva convinti a tornare indietro, con parole tenere e concilianti. Non era una strada nuova, quella di cui si parlava: era quella vecchia, già abbastanza calpestata. Ah! Ma allora, avevano fatto tutto quel viaggio per parlare di una strada vecchia? Sì, e per ricevere la loro parte dei doni che il Grande Padre aveva voluto inviare, avevano detto i Bianchi. Tabacco, caffè, zucchero, coperte, calicò, coltelli, asce: tutto per loro, se avessero voluto toccare la penna. Ma dov'era questa vecchia strada, dove portava?, avevano domandato gli Indiani. Essi conoscevano solo la pi233
sta del Powder, quella tracciata molto, molto tempo prima dagli zoccoli dei bisonti e dai pali delle tregge indiane: insomma, la pista che passava attraverso i loro territori di caccia. Nel bel mezzo dell'adunanza si era vista avanzare su per la Via Sacra una gran nube di polvere e, avvolti nella nube, molti, molti soldati: alcuni formavano una banda musicale, poi c'erano cannoni e lunghe file di carri pieni zeppi, tirati da muli. Tutti quei soldati, tutti quei carichi, venivano a fare la guerra in un posto in cui si stava discutendo la pace? ! Dei Bighelloni si recarono in visita alla nuova tendopoli e domandarono al capo dei soldati che si chiamava Carrington dove fosse diretto. Forse perché non era al corrente delle discussioni in consiglio, o forse perché era un Bianco che non contava molto e aveva il cuore forte e la lingua schietta, fatto sta che aveva risposto senza tanti giri di parole che andava al Powder a costruire fortini. Ah, così!, pensarono fra sé i Bighelloni, ma non dissero niente, perché erano vissuti per molto tempo in mezzo ai soldati e ai cannoni. Ma quando le loro scatole di gallette e di melassa stettero per finire, portarono la notizia all'accampamento oglala. Allora le cose si misero veramente male al consiglio: i capi del nord dissero ai Bianchi che essi erano la copia esatta di quelli che avevano già conosciuto in altre trattative di pace; come quelli, tentavano di imbrogliare gli Indiani con la lingua che mente. « Il Grande Padre ci manda dei regali, parla di comprare una nuova strada, e intanto il capo dei soldati viene a rubarcela prima che gli Indiani abbiano il tempo di dire sì o no! », tuonò Nuvola Rossa. E di nuovo si strinse nella coperta, ma stavolta in un altro modo, e come lui fece Uomo della Paura. Con gli altri che lo seguivano alla frangia del mocassino, Nuvola Rossa uscì a grandi passi dalla tenda del consiglio e si mise sulla via del ritorno. Per oltrepassare il ramo asciutto (Dry Fork) del Powder, i Bianchi avrebbero dovuto combattere. « Hoye! », gridarono i guerrieri quando udirono la sfida. « Hoye! Hoye! ». Non avevano paura. L'anno prima, 234
il capo dei soldati Connor era venuto a nord con tremila uomini, molti dei quali a cavallo, e non aveva potuto fare niente. Adesso ne veniva un altro con solo settecento soldati a piedi, di cui molti sapevano solo suonare, guidare i muli e spaccare la legna. Alcuni inoltre si erano portati con sé le fragili mogli. Gli Indiani conoscevano molti posti adatti alle imboscate e ai combattimenti tra il Piatte e lo Yellowstone, e non c'erano soldati a cavallo che potessero dar loro la caccia. «Via! Andiamo!», disse Cavallo Pazzo ai guerrieri. « Formiamo un muro potente contro i soldati! ». Ma nemmeno Nuvola Rossa era pronto a combattere. Le ciliegie erano quasi rosse e la luna si ingrassava a poco a poco, avvicinandosi il tempo della danza del sole, danza che bisognava fare prima di cominciare una grande guerra. Cavallo Pazzo, Orso Solitario e qualche Faccia Cattiva rimasero a sud per tener d'occhio le lunghe colonne di carri e uomini che penetravano nella loro terra. Al Dry Fork, dove Carrington si fermò per costruire un fortino, fecero fuggire la mandria del mercante e aiutarono alcuni Indiani che tornavano a riprendersi le loro donne adescate dai soldati. Persero un cavallo da tiro stanco morto, carico di regali ricevuti a Laramie. Quando i soldati si rimisero in marcia verso il nord, gli Indiani ogni tanto fecero sparire un cavallo, un mulo, o un uomo: giusto per rinfrescare la memoria ai Bianchi. In luglio (la Luna in cui le Ciliegie Diventano Rosse) i soldati raggiunsero la foce del Piney, sotto la parete scura dei Monti Big Horn. Cavallo Pazzo e Orso Solitario seduti su una vetta osservarono i Bianchi che montavano l'accampamento e cominciavano a erigere una palizzata alle pendici dei monti, lontano dal punto in cui potevano procurarsi il legname da costruzione e lontano da pascoli; ma forse avevano delle ragioni da Bianchi che gli Indiani non potevano sapere. Allora i perlustratoti si accamparono e qualcuno rimase sempre in vedetta in cima a un monte, mentre Nuvola Rossa mandava in giro la pipa di guerra. Prima che nei vari accampamenti avessero termine le danze del sole, Cavallo Pazzo vide dei Cheyenne recarsi in 235
visita ai soldati per domandare se volevano la pace o la guerra. Bridger mostrò il forte a Coltello che non Taglia e agli altri capi, e Carrington sparò un colpo di cannone: bastava il rumore a mettere un uomo fuori combattimento. Gli dissero che Bordeaux e altri mercanti parlavano per la pace, ma che Nuvola Rossa rimaneva saldo come una roccia; adesso il suo cerchio campale era il doppio di quando, infuriato, aveva abbandonato il consiglio, e perfino i figli dei Bighelloni e i Brulés di Coda Chiazzata venivano al nord. Nuvola Rossa diceva di voler fare la guerra, e questo era quanto i giovani volevano sentire. Partiti di là, i Cheyenne sostarono all'accampamento di un mercante di nome Gasseau che era andato dietro ai soldati. Una sera stavano fumando e si difendevano dall'aria pungente di montagna con un boccale di whisky, quando d'un tratto si videro circondati da un gruppo di Lakota, i quali vollero sapere tutto quello che avevano detto e visto al fortino. Coltello che non Taglia e gli altri non ebbero difficoltà a rispondere: dissero del cannone, e che i Bianchi intendevano restare, sebbene qualcuna delle loro donne avesse paura. Mostrarono con orgoglio tutti i regali ricevuti dal piccolo capo bianco, e aggiunsero che a Laramie ve n'erano ancora molti per quelli che andavano a toccare la penna. « Pazzi! », urlarono i Lakota. « I soldati che spararono sui vostri parenti a Sand Creek non vi hanno insegnato niente della perfidia dei Bianchi? ». E colpirono i Cheyenne in faccia con gli archi gridando: « Coup! Coup! », come se fossero dei nemici. All'alba tornarono e uccisero il mercante e i suoi sei uomini; la moglie lakota e i figli li lasciarono fuggire a nascondersi in mezzo ai cespugli. Il giorno dopo i guerrieri contarono altri coups, questa volta sui Bianchi del convoglio di carri : presero due scalpi e i centosettantaquattro muli che andarono dietro alla cavalla col campano. Queste azioni erano avvenute a breve distanza dal forte chiamato Phil Kearny, ma i soldati non ne uscirono per dar la caccia agli Indiani. Sembrava che il piccolo capo bianco non desse peso a queste cose, come un orso grigio non dà 236
peso alle formiche che gli corrono su per le zampe. Quando il forte fu ben avviato, mandò alcuni dei suoi uomini a costruirne un altro alla foce del fiume Big Horn, vicino alla terra dei Crow. Gli Indiani li lasciarono passare, e così pure permisero che dei Bianchi portassero una grossa mandria di bisonti pezzati fino alle miniere d'oro. Da gente che viveva al Piatte avevano saputo che quelli non si sarebbero fermati nel territorio, e nessuno voleva quella carne puzzolente quando c'erano ancora tanti grassi bisonti. Finite le danze del sole, l'accampamento di guerrieri vicino al Piney s'ingrossò, poi si suddivise in unità più piccole, e alla fine i soldati decisero di mettere il naso fuori solo quando erano in numero considerevole; di solito portavano con sé un cannone. Tuttavia molti di essi rimasero uccisi o persero molti cavalli. Ogni convoglio che veniva dal Piatte veniva attaccato, e uomini come Strada Grande, Gobba, Giovane Uomo della Paura, Cavallo Pazzo, guidavano le spedizioni di guerra spingendosi fino a Forte Reno sul Dry Fork e, qualche volta, fin presso Laramie. Prendevano tutti i fucili e tutte le munizioni che potevano. Talvolta aiutavano quelli di Nuvola Rossa stando appostati sui crinali che dominavano il forte sul Piney: scrutavano con le lenti che vedono lontano, inviavano segnalazioni con gli specchi e col fumo, facevano fuggire i cavalli dei soldati sventolando le coperte o accerchiando la mandria, e questo perché agli accampamenti di guerra si sapesse tutto quello che i soldati stavano facendo. La notte, piccoli fuochi di bivacco bruciavano sulle colline, grida di guerra si alzavano sotto il fortino, frecce incendiarie finivano oltre la staccionata, e alcuni tornavano con scalpi giovani. Qualche volta invece quel silenzio assoluto veniva rotto all'improvviso da un grido di civetta o da un ululato di lupo: era un silenzio che faceva impazzire perché tutti sapevano che i guerrieri si muovevano furtivamente attorno a quella piccola sacca di Bianchi isolata in un gran mare di Indiani. Da un momento all'altro Nuvola Rossa avrebbe potuto ordinare ai guerrieri di attaccare. Ma i Facce Cattive non organizzarono alcuna grossa spedizione contro il forte, perciò gli altri poterono continuare 237
con le loro razzie. Un giorno Cavallo Pazzo e i suoi Hunkpatila sostarono all'accampamento di Senz'Acqua sull'ansa del Tongue con i cavalli e i fucili catturati ai soldati. Dopo il pranzo e la fumata furono invitati a trattenersi per la danza serale. Ancora una volta Donna di Bisonte Nero e le sue amiche canzonarono l'Oglala indossatore di casacca. Ma come?! Vecchio scapolone! A ventiquattro anni non si faceva ancora avanti, se ne stava solo mentre gli altri danzavano e danzavano con le ragazze, si divertivano a cantare l'antico canto hidatsa di corteggiamento che faceva arrossire le fanciulle e ridere le vecchie. Ancora un poco e Cavallo Pazzo sarebbe stato come un vecchio toro di bisonte che se ne sta solo su un colle, così scorbutico che perfino i merli, pur così golosi di larve e di acari, non gli vanno a piluccare la schiena. Bisognava proprio cercargli una moglie. Lui però doveva procurarsi dei cavalli! Non si poteva chiedere a una donna di prendersi uno che la valutava tanto poco da non dar nulla in cambio di lei... Ma egli non cercò di difendersi da quella vecchia storia. Rimase in silenzio, accanto a Donna di Bisonte Nero. Finalmente le donne se ne andarono parlando fra loro come galline della prateria schiamazzanti. Andavano a evacuare all'altro capo della macchia di susini e là, facendosi schermo con le coperte, continuarono a spettegolare come donnette su quell'Hunkpatila dai capelli del colore del posteriore dell'alce, che l'estate aveva ancora scoloriti, quello Hunkapatila che così spesso compariva nel loro accampamento. Non era nemmeno grande e grosso, come avrebbe dovuto essere un capo lakota; al contrario, era smilzo come un giovane guerriero e, a vederlo cavalcare a fianco di Tocca le Nuvole, sembrava un ragazzino. Non cantava, non danzava, come deve fare un Lakota; non si sottoponeva mai all'ordalia della danza del sole per darsi forza e coraggio. Era senza dubbio forte in combattimento, ma non tornava mai con scalpi che le donne potessero agitare alla danza, né raccontava mai di coups o di altre sue imprese. Era veramente un Uomo Strano. « Porta molto onore e molto potere alla nazione », disse la vecchia Fa la Tenda. 238
Le altre non osarono contraddire questa donna, che era una delle poche Oglala che avesse fatto la danza del sole, ma avrebbero desiderato che Cavallo Pazzo fosse un po' più come i grandi Lakota, come il vecchio Acqua Rossa per esempio, che aveva fatto l'amore con una giovane moglie quando i suoi nipoti avevano già figli propri. Oppure come suo zio brulé, Coda Chiazzata, un uomo che parlava da far saltare il cuore come un'antilope! Ma il loro Uomo Strano non si sarebbe mai preso il soprannome di Parla con le Donne, come spesso veniva chiamato Chiazza. Parlavano anche di Donna di Bisonte Nero, che rimaneva indietro con il giovane indossatore di casacca. « Senz'Acqua certe cose le prende male. Nasceranno guai », disse Perlina Azzurra. « Senz'Acqua è un uomo forte. Non fa caso se una donna rimane indietro a parlare con un altro, con uno che le scacciava le mosche dal guardinfante quand'era bambino », osservò Fa la Tenda. « Nasceranno guai », si ostinò a ripetere Perlina Azzurra; ma lei era solo una che prevedeva il tempo, non una che vedeva le cose prima che succedessero, perciò gli altri risero. Cavallo Pazzo leggeva nei volti della banda di Senz'Acqua, sapeva di che cosa parlavano le donne, ma né la gente e nemmeno un marito seccato potevano impedirgli ora di attraversare l'accampamento in compagnia di Donna di Bisonte Nero, di dirle parole che l'orecchio di lei gradiva: che bello rivederla, come la trovava bene... E di dirle in silenzio le cose per le quali non c'erano parole, cose del passato e del tempo a venire. A casa, Cavallo Pazzo venne a sapere che gli Hunkpatila e i Facce Cattive avevano indetto un Grande Consiglio per sentire i messaggeri di Laramie, fra cui questa volta c'era anche un cognato di Bordeaux, oltre a Veste da Donna, che era lì solo per far numero. I messaggeri dissero che l'agente desiderava che Uomo della Paura, Nuvola Rossa e Foglia Rossa portassero laggiù il popolo: il Grande Padre voleva che vivessero in pace e desiderava do239
nare loro le buone cose dei Bianchi: l'inverno sarebbe venuto presto, ed era profondamente addolorato per la sorte toccata alle donne e ai bambini nei combattimenti. « Addolorato come all'Acqua Azzurra! », urlò Cavallo Pazzo ai messaggeri brulés. Ma si acquietò immediatamente, perché là erano morti dei suoi parenti e non si può parlare di queste cose. Molti che erano stati dei Bighelloni prima della fuga al torrente Horse, e che avevano voglia di whisky e di regali, dissero: «Hau! Hau! ». Ma gli altri non risposero nulla, e quando i messaggeri dissero che i soldati avrebbero dato la caccia a tutti quelli che non si fossero presentati, la collera serpeggiò in mezzo ai capi e ai guerrieri seduti alle loro spalle, mentre i volti scuri si accendevano di furore alla fiamma del grasso di bisonte buttato sulla brace. I messaggeri si trattennero vari giorni negli accampamenti sul Tongue, mangiarono le grasse costate arrosto e presero tutte le informazioni che poterono. In seguito, Cavallo Pazzo e gli altri vennero a sapere che, tornati a Laramie, avevano riferito delle grosse sciocchezze: che Cavallo Pazzo comandava un'akicita della banda di Nuvola Rossa, mentre non era nemmeno uno dei Facce Cattive; che Uomo della Paura non voleva gruppi guerrieri, mentre proprio suo figlio era valente condottiero di uno dei gruppi; e che il capo hunkpatila era scavalcato dai guerrieri che volevano la guerra, mentre era vero esattamente il contrario, e cioè che erano i Bianchi ad andarsela a cercare lassù dove, proprio in base al trattato di pace che essi avevano stilato, non avevano alcun diritto di mettere piede. I messaggeri dissero anche che, a loro, Nuvola Rossa aveva parlato di pace: ciò preoccupò molto Cavallo Pazzo perché sapeva che, quell'estate, il capo dei Facce Cattive si batteva più a parole che a fatti, e che da un angolo della bocca gli usciva un certo discorso mentre dall'altro angolo gli usciva il discorso opposto. Ma tutto, tranne ciò che concerneva Nuvola Rossa, era poco più di un ululato di coyote nella notte; era proprio il genere di discorsi che poteva fare uno come Veste da Donna. L'estate era stata buona a nord: negli accampamen240
ti erano entrati più viveri dell'uomo bianco di quanti il popolo ne avesse mai visti prima; alcuni provenivano dagli scambi con i Bighelloni ma la maggior parte dalle razzie. Avevano perfino della roba che non potevano mangiare, come quel carico di carne grassa che i Bianchi chiamano bacon, che era gialla e puzzava. Chi era stato all'accampamento delle donne diceva che soltanto i soldati riuscivano a mangiarla, come quell'altra cosa piena di vermi, la farina. « Ah! », esclamò Piccolo Falco, con la foga di uno che ha fatto una scoperta. « Ecco perché i soldati sul Torrente della Donna Pazza setacciavano la farina con un sacco grigio prima di cucinarla! ». «Ecco perché erano così mosci che anche tu avresti potuto portar via i loro scalpi! », lo canzonò Orso Solitario. I guerrieri risero, e rise anche Piccolo Falco, perché tutti sapevano che tra i giovani era quello che prendeva più scalpi. Soltanto suo fratello Cavallo Pazzo era stato più in gamba di lui, alla sua età. Era proprio vero, convenne Gobba sputando sulla pietra da mola e affilando il coltello da scalpi: quei soldati nuovi non ci tenevano a vivere. Aveva sentito dire che i nuovi erano poco più che ragazzini: non avevano mai visto un Indiano, mai sparato un colpo. « Sarà come sparare ai conigli stando seduti », si dissero quelli che non avevano ancora contato colpi rituali. Avevano ancora i denti candidi, e in faccia gli si leggeva la baldanza. Ma Bruco giudicava che la debolezza dei Bianchi aumentasse l'avventatezza dei giovani Indiani. E lo disse una sera, fumando la pipa, premendo col pollice nel fornello di pietra rossa, dopo aver raccontato un assalto cui aveva assistito l'ultima volta che era andato vicino al forte sul Piney. Ma non disse che sapeva che anche Piccolo Falco era tra i guerrieri. Gli Indiani avevano perduto due valorosi sotto la staccionata, e nessuno era potuto andare a riprenderli prima di notte. Era una pazzia avventurarsi così vicino al forte difeso dai cannoni, cui facevano la guardia 241
uomini armati di fucile che camminavano avanti e indietro lungo le mura. Uomo della Paura era d'accordo con Bruco. Il pensiero che anche uno solo della sua gente morisse lo sconvolgeva. « Ma non è meglio morire in battaglia piuttosto che stare a guardare i soldati che mettono le radici nel nostro paese come i salici lungo il fiume?! », si domandavano i giovani l'un l'altro, ma non troppo forte, perché volevano bene al vecchio Bruco e l'Hunkpatila era il loro Uomo Coraggioso, e non bisognava metterlo in imbarazzo contraddicendolo. Sebbene i Lakota sapessero che Bridger e Beckwourth del forte sul Piney erano grandi amici dei Crow, Uomo della Paura e Nuvola Rossa si erano recati in visita dai capi di questo popolo e i Crow avevano gradito i doni degli ospiti lakota, com'era usanza comune delle due nazioni, anche in tempo di guerra. Ma in quella particolare circostanza i discorsi erano stati ben più seri di quelli fatti altre volte sui combattimenti, sugli scambi e sul rilascio dei prigionieri. Gli Oglala avevano portato ai Crow la pipa di guerra per sancire un'alleanza che avrebbe scacciato i Bianchi dal territorio indiano. Assieme ai Cheyenne e ai Nuvole Azzurre, essi avrebbero sferrato un poderoso attacco contro i due forti, e ci sarebbero stati fucili, muli e scalpi per tutti. I giovani Crow non aspettavano altro, tuttavia non si concluse nulla, forse perché lì Beckwourth (che aveva sangue negro ed era vissuto molti anni insieme ai Crow) contava ancora qualcosa. La visita non era ancora finita quando alcuni Cheyenne andarono a Laramie di nascosto a spettegolare come le vecchie quando lavano al fiume. Dissero che c'erano molte cose che i soldati dovevano sapere: tutti i rifornimenti, tutto il bestiame della via del Powder erano stati sequestrati dagli Indiani, e molte bande guerriere muovevano contro il Piatte. Dissero anche che Uomo della Paura era prigioniero di Nuvola Rossa perché voleva andare a Laramie con loro Cheyenne. « Per aver riferito queste cose e aver firmato il patto 242
di pace con cui cedevano la via del Powder, hanno avuto molti regali », disse il messaggero da Laramie. « Per aver fatto tali sciocchezze, avrebbero dovuto riceverne molti di più », rispose Cavallo Pazzo. C'erano altre notizie: Foglia Rossa voleva riportare la sua banda (la banda del defunto Orso che Conquista) da Coda Chiazzata; i soldati avevano bisogno di fucili e munizioni, inoltre cercavano altri messaggeri per far cadere nella rete con le solite lusinghe quelli che essi chiamavano ostili. Quelli del nord si domandavano come i Bianchi potessero ancora sperare di persuadere qualcuno ad andare a Laramie quando là non c'era più cacciagione e nessuno si preoccupava di sfamare gli Indiani. Perfino Coda Chiazzata diceva che, se la sua gente voleva vivere di caccia, doveva andare dov'erano i bisonti, cioè nella regione del Powder. Inoltre i giovani tra gli amici dei Bianchi compivano quasi altrettante razzie a sud di Laramie quante i cosiddetti ostili ne compivano a nord. Fu un Cheyenne, parente di Donna Gialla, a fare un viaggio sotto la pioggia autunnale per portare all'accampamento di Senz'Acqua una notizia che interessava Cavallo Pazzo: i capi dei soldati avevano un nuovo piano per porre fine alla guerra sul Powder; pur continuando a parlare di pace, contavano di inviare da Laramie una grande armata contro Nuvola Rossa: i soldati sarebbero partiti di notte per non dare agli Indiani di laggiù la possibilità di inviare messaggeri al nord. I soldati prevedevano di spazzar via il popolo al Tongue come avevano fatto all'Acqua Azzurra e a Sand Creek. «Ah, così!...», disse Cavallo Pazzo. «I soldati vorrebbero farci cadere in trappola come hanno fatto con gli Indiani loro amici. Vedranno se è altrettanto facile prendere quelli che chiamano ostili ». « Hoye! », gridarono i guerrieri. Venissero pure i soldati: intanto loro si sarebbero divertiti intorno al detestato forte sul Piney, perché le cacce autunnali erano finite e i cavalli erano molti e forti. Quando le nevi imbiancarono i fianchi di Cloud Peak e gli altri monti intorno a Forte Kearny, gli Oglala richiama243
rono le varie bande di cacciatori sparse qua e là. Così si formò un grande accampamento di circa mille tende, che vide uniti ai Lakota i Cheyenne del nord e alcuni Nuvole Azzurre. Ancora una volta mossero insieme contro i Bianchi. Risalirono il Tongue e il torrente Prairie Dog e, giunti a non molta distanza dal forte, si fermarono. Al principio della Luna degli Alberi Scoppiettanti (dicembre) sferrarono il primo attacco. Al solito, alcuni guerrieri vennero mandati avanti come esche; gli altri si nascosero dietro ai crinali mentre Nuvola Rossa e altri con i cannocchiali guardavano da un'altura, pronti a dare il segnale. Ma non se ne fece nulla. I guerrieri-esca tornarono indietro di corsa per trovarsi in un buon punto al momento in cui si sarebbe cominciato a combattere, ma i soldati reagirono come un lupo con una zampa nella tagliola: pareva avessero fiutato il pericolo nel vento. Ancora una volta i guerrieri non seppero attendere. Contarono qualche coup, presero alcuni scalpi, alcuni muli e fucili, ma non successe niente che somigliasse a una grande battaglia. Cavallo Pazzo quel giorno combatté in mezzo ai Facce Cattive. Tornato a casa, si sedette taciturno nella penombra della tenda di suo padre a domandarsi come si sarebbe mai potuto concludere qualcosa: perfino i guerrieri-esca temevano che un altro si prendesse più scalpi, i guerrieri continuavano a uscire prima del tempo come una scatola di munizioni caduta nel fuoco, sparando delle gran schioppettate e facendo un mucchio di chiasso, ma quasi sempre a vuoto. Due settimane dopo, gli Indiani decisero di ritentare. Questa volta sarebbero stati guidati da Gobba, l'OglalaMinneconjou. Ancora una volta i guerrieri sarebbero stati un'orda, come al Ponte sul Piatte e a Julesburg, con i portatori della pipa a piedi avanti a tutti, e Cavallo Pazzo, Cane, Giovane Uomo della Paura e Cavallo Americano a frenare l'impeto degli sconsiderati. Adesso si sarebbe visto se questi indossatori di casacca sapevano imporsi e impedire ai giovani di mandare a vuoto un'ennesima imboscata. La sera della vigilia, nell'accampamento, Gobba parlò ai guerrieri con fermezza. Si disse felice di comandare dei 244
giovani così valorosi, ma dovevano ricordare che i fucili e le munizioni erano pochi: perciò tutti dovevano agire insieme, nello stesso momento, quando i soldati fossero stati molto vicini; dovevano poi circondarli, come facevano con i bisonti. L'anno prima, un buon piano era fallito due volte per colpa di quelli che non sapevano aspettare. Volevano continuare a comportarsi come ragazzini che giocano alla guerra con bacchette di salice? Se era questo che volevano, allora dovevano rassegnarsi a perdere tutto, bisonti, case, famiglie. I guerrieri ascoltarono in silenzio e a testa bassa, perché si vergognavano. Gobba proseguì spiegando il piano della battaglia. I soldati non dormivano, disse. Ormai lunghe lune di combattimenti li avevano messi sul chi vive; inoltre sapevano che i guerrieri del Powder erano moltissimi. La spedizione doveva poter contare su un buon condottiero di guerrieri-esca, uno che fosse scaltro e temerario, ma prudente al tempo stesso e molto attento agli altri; uno sul cui valore nessuno avesse dubbi, perché così l'avrebbero seguito a costo di qualsiasi pericolo; uno che facesse venire ai soldati la fame del suo scalpo. Questi doveva essere Cavallo Pazzo. Con Cavallo Pazzo al comando dei guerrieriesca, e se gli altri guerrieri avessero aspettato il segnale che egli, Gobba, avrebbe dato personalmente, quella sarebbe stata una luna di sangue per i soldati sul Piney. « A quanto si sa, il piccolo capo di soldati Fetterman va dicendo laggiù che con cinquanta soldati può passare a fil di sciabola la nazione lakota!... ». Allora i guerrieri fecero il grande rumore, e pareva di sentire il bramito degli alci maschi in combattimento. Gobba e gli altri rimasero in ascolto e videro che era buono. Questa volta l'accerchiamento sarebbe riuscito. Poi i guerrieri si strinsero intorno a Cavallo Pazzo: si offrivano tutti di andare come esca. Più indietro, in attesa di recarsi con lui alla tenda, erano Cane e il gaio, giocherellone Orso Solitario, il cui cavallo finiva sempre nelle buche dei tassi, quello che attirava le pallottole come l'aroma del caffè che bolle attira le visite alla tenda. Una volta una pallottola gli aveva fatto volar via una ciocca del suo 245
scalpo; due volte gli era partita la stringa del perizoma, entrambe le volte sotto gli occhi di molti, sicché era dovuto correre a nascondersi imbarazzato come una verginella. Ma tutti sapevano che sorte ben peggiore era toccata ai suoi nemici: le frecce del suo arco non si accontentavano mai della stringa del perizoma; i suoi cavalli potevano azzopparsi nelle buche dei tassi, ma la sua mandria era una delle migliori e più cospicue tra quelle dei giovani Oglala. I tre amici attraversarono insieme il suolo ghiacciato dell'accampamento. Erano contenti. Questo combattimento contro i soldati sul Piney sarebbe stato un gran combattimento, come aveva detto Gobba. Quando Cavallo Pazzo vide che solo più in qualche tenda c'era il fuoco, mentre la maggior parte era già immersa nel sonno della notte, uscì dalla propria e salì su un colle dietro il campo. Il corno sottile della luna era tramontato, le stelle apparivano basse e come bianche di freddo, i lupi ululavano forte come prima di un temporale o di una grande caccia. L'Oglala rimase lassù a lungo, a pensare al bisonte bianco che aveva seguito in un giorno d'inverno, in una bufera di neve, e all'uomo della visione della sua infanzia che cavalcava illeso. Malgrado le pallottole tutt'intorno, il nemico fosco davanti, la gente che lo afferrava alle spalle, egli continuava a cavalcare illeso. Era da poco passata la metà della Luna degli Alberi Scoppiettanti e la regione era a tratti sotto la neve come un cavallo pezzato, quando la spedizione risalì la valle del Prairie Dog fino al torrente Peno. Qui i Minneconjou decisero di chiedere, a uno dei loro che vaticinava dai sogni, quale sarebbe stata la loro sorte. Gli insaccarono la testa in una coperta nera, lo fecero montare a cavallo e lo mandarono per le colline. Egli governava il cavallo, lo mandava da una parte o da un'altra, secondo ciò che gli era apparso in sogno. Poco dopo tornò gridando che aveva catturato dei soldati. Avendo ammesso che purtroppo erano pochi, i Minneconjou gli voltarono il cavallo, glielo frustarono e, per tre volte, egli dovette ripetere la cavalcata. Finalmente tornò lanciando grida di vittoria: aveva preso più nemici di 246
quanti potesse stringere con tutte e due le mani. Cento nelle mani. « Hoye! Hoye! », gridarono dalla gioia i guerrieri, dopo aver atteso a lungo quel segno nel vento freddo. Fecero dei regali al sognatore, poi si sedettero a fumare e a studiare i piani. Prima dell'alba, alcuni guerrieri avrebbero mosso contro l'accampamento dei taglialegna nel bosco oltre il forte. I Bianchi di là avrebbero chiesto aiuto con ripetuti spari e allora i soldati sarebbero usciti dal forte a soccorrerli. Quello era il momento in cui i guerrieri-esca dovevano funzionare alla perfezione, sviando i soldati e attirandoli ai monti, dove i guerrieri li aspettavano. Dato il piano, moltissimo dipendeva dall'efficienza dei guerrieri-esca, ma questi potevano contare su un condottiero fortissimo, disse Gobba. Hoye! La mattina dopo i guerrieri si misero in movimento nel primo grigiore dell'alba di un giorno d'inverno. I loro fiati si fondevano in una nuvola che li avvolgeva mentre costeggiavano il torrente Peno, ghiacciato, fino ai cespugli alle diramazioni del torrente, alla fine della catena dei monti Lodge Trail. Cavallo Pazzo montava un baio dalla testa macchiata di bianco come la parte inferiore delle zampe. Il cavallo era di Piccolo Falco ed era fin troppo veloce per un combattimento. A quella guerra egli non andò seminudo, com'era suo solito, ma così com'era già vestito, con la coperta stretta in vita da una cinta per difendersi dal freddo. Aveva il falco dal dorso rosso sul capo, il sassolino dietro l'orecchio, e su una guancia la pittura della folgore. Aveva avuto cura di fare al cavallo la medicina da esca spargendogli sopra un po' di terra presa da un mucchietto fatto dal gopher che lavora in segreto. Anche lui se ne era cosparso. Quel giorno i soldati dovevano essere intrappolati. Col fucile in mano e quattro cartucce pronte, l'arco a tracolla, la mazza nella cintura, egli condusse i guerrieri-esca oglala e cheyenne dove la pista del Powder tagliava il torrente Piney, non lontano dal forte. Alcuni nascosero i cavalli nelle gole, perché i soldati inseguono più facilmente un Indiano appiedato. E così, acquattati dietro i cespugli 247
sulla sponda del torrente, la schiena esposta al vento grigio, essi aspettarono. Ora anche tutti gli altri guerrieri erano pronti. Il gruppo numeroso che doveva attaccare il convoglio accampato nel bosco si era avviato molto prima, e l'imboscata alle forche del Peno, alla fine della catena dei Lodge Trail, andava secondo i piani. Ai Cheyenne, in quanto ospiti, venne offerto di scegliere. Essi scelsero il sud-ovest, il lato più caldo, e gli Oglala e alcuni Nuvole Azzurre andarono con loro. I Minneconjou e gli Hunkpapa si appostarono invece sulla parte nord del crinale, dov'erano neve e ghiaccio. Da una vetta Gobba osservò queste manovre senza staccare gli occhi dalle lenti che vedono lontano. Finalmente si udirono vari colpi, sparati uno dietro l'altro, e questo era il segnale con cui quelli del bosco chiedevano aiuto ai soldati. La bandiera sulla collina delle segnalazioni dominante il forte si mosse, e i soldati cominciarono a uscire dall'ampio portale. Prima ne uscirono una quantità a cavallo, in file di quattro, poi li seguì molta fanteria. Nessuno si prese la briga di contarli, ma sembravano veramente i cento che il sognatore minneconjou aveva riportato tra le mani. Appena tutti i soldati furono usciti dal forte 1 per andare a soccorrere il convoglio nel bosco, Cavallo Pazzo condusse fuori del nascondiglio i suoi guerrieri-esca facendoli sfilare dietro ai cespugli del torrente vicino al forte: i cespugli erano radi, perciò li si poteva vedere benissimo. Si udirono grida tra i soldati, molti indicavano col dito. Il piccolo capo di soldati si fermò, guardò verso il torrente e dal forte partì una cannonata che disarcionò uno dei guerrieri-esca e sparpagliò gli altri inducendoli a scoprirsi. Gridando e ululando come impauriti, corsero tutti alle colline e alle ravine, soprattutto quelli senza cavalli, saltando e zigzagando come se avessero paura di perdere la vita e lo scalpo. Allora la cavalleria e la fanteria li inseguirono, con i fucili spianati, dimentichi del convoglio che dovevano andare a soccorrere. ' Battaglia di Forte Phil Kearny, o Massacro di Fetterman, 21 dicembre 1866.
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Mentre Gobba segnalava ai guerrieri del bosco di tornare indietro, Cavallo Pazzo, Naso Grosso il Cheyenne e vari altri andavano avanti e indietro sul pendio, di fronte ai soldati. Le pallottole facevano schizzare terra e pietre tutto intorno a loro, il fumo degli spari era blu nell'aria fredda. Prima uno, poi un altro, si scagliarono contro i Bianchi gridando, sventolando la coperta come per spaventarli, e così tennero impegnati i soldati mentre gli altri si allontanavano. Cavallo Pazzo lasciò dunque che i suoi guerrieri-esca venissero lentamente sospinti su per la pista da tregge che correva lungo il crinale. I soldati a cavallo si fermarono diverse volte, forse per farsi raggiungere da quelli a piedi, o forse perché avevano paura. Ma il piccolo capo di soldati era quel Fetterman che voleva passare a fil di sciabola la nazione lakota, perciò i guerrieri-esca li facevano sempre rimettere in marcia. Anche i due Bianchi che non erano soldati ma stavano con questi, tutti e due cacciatori abilissimi con i loro fucili a molti colpi, continuavano ad avanzare. Varie volte Cavallo Pazzo dovette smontare dal baio: una volta per fare finta di legare più stretta la corda da guerra, un'altra per esaminare uno zoccolo del cavallo, poi per mettersi a camminare conducendo a tratti l'animale per la briglia e dando strattoni al morso perché i soldati credessero che volesse fuggire. Una volta gli parve che si fossero fermati tutti e stessero per tornare indietro: allora si sedette dietro un cespuglio, come fosse ferito o esausto, e accese un focherello mentre i compagni andavano avanti e lo lasciavano solo. Degli spari cominciarono a schizzargli intorno molto vicini: uno gli sorvolò la testa gridando come una creatura morente, ma finì sul terreno ghiacciato. Eppure egli rimaneva là presso le poche braci, sapendo benissimo che i soldati avrebbero visto il fumo. Finalmente lo assalirono e allora fuggì a gambe levate. Balzò a cavallo, frustò e volò nella direzione in cui erano andati gli altri. Si tuffò sulle ultime propaggini dei Lodge Trail, verso le diramazioni del Peno, mentre i soldati lo inseguivano velocemente. Quando anche la fanteria ebbe oltrepassato l'imboccatura della trappola, e non si era visto né udito un guerriero o un 249
cavallo di tutti quelli nascosti, Cavallo Pazzo divise i suoi per prepararli a un attacco incrociato. A un segnale, i guerrieri uscirono dai nascondigli dai due versanti della catena e corsero all'assalto gridando: « H o p ! Andiamo!». Il capo dei soldati diede l'alt, tentò di riportare indietro i suoi uomini, ma ormai era troppo tardi: i Minneconjou avevano già sfondato su un fianco; Falco del Tuono contava un coup colpendo un soldato in viso con l'arco. I Cheyenne e gli Oglala sopraggiunsero dall'altra parte. Due soldati a cavallo caddero, gli altri si fermarono tentando di organizzare una resistenza, mentre quelli a piedi corsero a un punto roccioso del pendio facendo un fuoco tremendo per coprirsi a vicenda. Sbuffi di fumo bluastro uscivano dai lunghi fucili. Ma l'impeto dei guerrieri spinse la cavalleria ancora più su della truppa appiedata, che venne assalita dagli Indiani: Cane e Orso Solitario con gli Oglala e i Cheyenne da una parte, i Minneconjou dall'altra. Le due schiere parevano una marea ribollente che stringeva i Bianchi in una morsa. Molti soldati caddero sotto i colpi di mazza o calpestati dai cavalli, ma altri continuavano a ricaricare le armi e i due Bianchi continuavano a far fuoco con i fucili a molti colpi. Tuttavia gli Indiani erano uno sciame e nugoli di frecce annerivano il cielo. Ripetutamente qualcuno si spinse ad assalire i soldati trincerati dietro le rocce. Mangia Carne, il Minneconjou, tentò per primo e trovò la morte. Ora i guerrieri-esca erano dove si combatteva, e Cavallo Pazzo ripete il tentativo del Minneconjou. Mentre ci provavano dei Cheyenne, egli adoperò due delle sue cartucce mirando a due soldati che facevano capolino. Uno venne colpito, saltò su e cadde in avanti scivolando per il pendio ghiacciato. Un giovane Indiano si lanciò a piedi in mezzo al fumo degli spari e, afferrato il fucile del soldato, colpì questi alla testa col calcio; poi venne giù di corsa sventolando il bottino e gridando come un pazzo: « Ho un fucile! Ho un fucile! ». Intanto i guerrieri continuavano l'accerchiamento delle rocce annerite dal fumo dietro cui si nascondevano i soldati. I cavalli scavalcavano e scansavano il ghiaccio sui pen250
dii, e non erano certo un bersaglio facile. Vibravano le corde degli archi, rimbombavano i fucili. Si udivano lamenti e grida, e i nitriti intollerabili dei cavalli feriti. Appena cadeva un guerriero, qualcuno da dietro lo trascinava via: il sangue gelava appena sgorgato. La sparatoria continuò, poi a un certo punto parve che i fucili in mezzo alle rocce tacessero: un vento più forte portò via il fumo. Proprio mentre Gobba stava dando il segnale di un'ultima carica, tre guerrieri si scagliarono su per il pendio contro i soldati a cavallo; gli altri mandarono grida e incitarono i cavalli con archi o fucili. In questa fase un altro Indiano venne colpito, ma riuscì a tenersi stretto alla corda da guerra che aveva arrotolata nella cintura, e poi qualcuno Lo portò via. Gli altri continuarono la carica mandando una tempesta di frecce. Senza affatto rallentare i cavalli in corsa, presero da terra le frecce scoccate in precedenza e le utilizzarono un'altra volta. I soldati a cavallo cominciarono a indietreggiare su per il ripido crinale ghiacciato, ma sempre sparando: chi voltandosi da cavallo, chi tirando l'animale per la briglia e facendosene scudo. Erano un gruppo sparuto ma si mantennero compatti, mezzo perduti nel fumo dei loro fucili. Gli Indiani non riuscirono a sfondare il muro di fuoco. Ma a un certo punto parve che ci riuscissero, e allora, per dare ai compagni il tempo di guadagnare terreno, un soldato coraggioso rimase indietro a coprirli: urlò improperi agli Indiani e sparò con la pistola e il fucile ricaricando il più velocemente possibile, finché un Minneconjou corse su a cavallo e quando fu a tiro gli conficcò una freccia in petto. Nel bel mezzo del combattimento il guerriero si fermò a prendergli lo scalpo perché quel Bianco era stato molto coraggioso. Ormai i cavalli dell'esercito erano come impazziti dal frastuono e dalle frecce che avevano in corpo: mandavano alti nitriti di spasimo e, quelli che ancora potevano, si slanciavano in avanti o davano strattoni per liberarsi, e i guerrieri smettevano di combattere per andarli a prendere. In vetta al crinale i soldati lasciarono fuggire insieme gli ultimi rimasti, e tutti i giovani Indiani corsero gridando a 251
inseguirli. Non avrebbero dovuto farlo, e Gobba e Cavallo Pazzo tentavano di impedirlo gridando: «Hoka hey! Ricordatevi dei vostri parenti rimasti a casa indifesi! ». Ma nessuno volle tornare indietro finché l'ultimo cavallo non venne catturato. Intanto i soldati si erano arrampicati e appostati in mezzo a delle rocce presso la vetta. Lassù c'era appena spazio per loro, inoltre l'accesso, troppo ripido per i cavalli, era anche lastricato di ghiaccio da tre lati. Allora Gobba ordinò di salire a piedi e di concludere la battaglia lassù, perché si avvicinava una bufera e il vento sferzava. « Con i soldati a piedi c'è voluto poco », disse; « lassù sarà più dura. Facciamola finita! ». «Facciamola finita!», ripeterono gli indossatori di casacca, poi i guerrieri. Allora i cavalli vennero messi da parte e gli Indiani circondarono il monte e lo strinsero d'assedio arrampicandosi su per i pendii. L'aria fredda pungeva i corpi accaldati: procedevano a testa bassa, fucili o archi in mano, lasciando scie di fiato. I soldati avevano dei buoni fucili a retrocarica e potevano sparare a intervalli brevissimi, ma gli Indiani continuavano a salire: saltavano su, mandavano una freccia in vetta, poi riprendevano a strisciare; quelli che avevano portato via ai soldati pistole o munizioni per i fucili, sparavano solo quando erano sicuri di colpire. Giunti molto vicini ai Bianchi, Gobba e Cavallo Pazzo gridarono: « Hop! Su! », e per primi irruppero nel cerchio dei soldati brandendo le mazze, affondando i coltelli, imitando il verso rauco dell'orso grigio infuriato. Così cadde anche l'ultimo Bianco: sopravvisse solo un cane che corse in mezzo alle rocce, raggiunse la pista e fuggì verso il forte. Cavallo Pazzo lo vide voltarsi indietro molte volte durante la corsa, e si domandò come mai nessuno si fosse accorto che c'era anche un cane, prima che tutti i Bianchi giacessero al suolo. Ma gli altri non avevano tempo per cose del genere. Strappavano via ai soldati i fucili, le pistole, le munizioni, le giacche blu. Trovarono pochissime cartucce, in compenso però molte altre cose, come quegli oggetti di ferro, ro252
tondi e viventi, che dicono al Bianco che ora è; cose come denaro, pezzi di carta chiamati lettere, libriccini, l'immagine di una donna pallida come malata. Le vedette segnalarono che dal forte uscivano altri soldati. Sicché, dopo che fu sfilato ai soldati l'ultimo paio di pantaloni e l'ultimo anello, gli Indiani scesero a valle per fare le tregge su cui sdraiare i feriti gravi e i morti: dieci valorosi Lakota, due Cheyenne e un Nuvole Azzurre. Non molti, per i cento caduti nelle loro mani. Finito il combattimento, Cavallo Pazzo non si era trattenuto in vetta, perché si avvicinava una tormenta e il vento grigio mordeva il naso e gelava le mani. Non riusciva a trovare Orso Solitario: nessuno l'aveva più visto, né Cane né Gobba né nessun altro. Orso Solitario doveva essersi perduto da qualche parte dopo la prima carica contro la fanteria, in cui Cane l'aveva visto al suo fianco. Raccolti i feriti e i morti, gli Indiani corsero verso l'accampamento per non farli gelare, e Cavallo Pazzo continuò a cercare l'amico dietro ogni cespuglio, in ogni canalone. Non poteva credere che avesse abbandonato il combattimento e fosse andato a casa, perché Orso Solitario era incapace di una cosa simile. Inoltre il suo cavallo aveva una pallottola nella spalla ed era giù, al torrente ghiacciato. Povero Orso Solitario, coraggioso e generoso, ma così sfortunato! Ora gli altri soldati venivano lungo il crinale, numerosi quanto i primi, con un carro e forse anche un cannone. Perciò la maggior parte dei guerrieri si fermò, mentre gli altri portavano via sulle tregge improvvisate i feriti coperti con le giacche e i mantelli da soldato per ripararli dal vento gelido. In cima al crinale i soldati si fermarono, si divisero in gruppetti come animali disorientati. Guardavano in giro, e probabilmente si domandavano degli altri Bianchi. Sotto di loro, la valle era gremita di Indiani che li dileggiavano, con gesti di insulto al modo indiano e anche in certi modi imparati dai Bianchi, e in lakota e in inglese li sfidavano a venir giù a combattere. I soldati non si mossero e (forse perché sembrava che avessero un cannone, ma soprattutto 253
perché faretre indiane e fucili erano quasi vuoti), gli Indiani furono costretti a lasciarli andare. Frattanto Cavallo Pazzo, aiutato da Gobba, continuava a cercare l'amico Orso Solitario. Il cielo diventava sempre più nero e la neve era nel vento. Finalmente lo trovarono in mezzo a un gruppetto di cespugli, talmente radi che nessuno avrebbe potuto sperare di nascondersi là dietro. Il guerriero era riverso. Quando Cavallo Pazzo lo voltò vide che aveva le mani e la faccia già bianche per il congelamento, e sul petto lacerato da un proiettile aveva un grumo di sangue ghiacciato. Cavallo Pazzo lo sollevò e Orso Solitario aprì gli occhi trovando ancora la forza per accennare un tenue sorriso, quasi vergognandosi un poco della sua cattiva fortuna. Morì tra le braccia dell'amico; Gobba, lì accanto, piangeva. Ma Cavallo Pazzo non pianse per quest'uomo ucciso dai Bianchi sulla sua terra: aveva il cuore gelato e nero di un'ira che si sarebbe placata solo quando altri Bianchi, molti più di quelli sparpagliati nudi sul crinale, fossero morti.
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4. FINCHÉ SPUNTERÀ L'ERBA
Quell'anno parve che la primavera non arrivasse mai al Powder, che non spuntasse mai l'erba nuova. Poi, all'improvviso, il sole scottò sui pendii vòlti a sud come i falò attorno ai quali si danzava. Le nevi si sciolsero e le acque precipitarono rombando nei canyons; il ghiaccio si staccò e i lastroni andarono ad accumularsi sulle sponde dei fiumi e dei torrenti in piena. Le oche tornarono al nord sulle ali del vento, e al tramonto le anitre schiamazzarono nelle bassure, trasformate in acquitrini, e nel brago dei bisonti. La mattina presto i vecchi andavano a sedersi al sole, sorridendo con il volto rugoso, come se non avessero più sperato di poter sentire di nuovo la forza della primavera. Anche le donne avevano smesso di lamentarsi di quell'inverno lungo che li affamava tutti, e di brontolare che i parfleches erano vuoti e il brodo lungo. Ora correvano a stendere all'aria le pelli dei giacigli e quelle che facevano da tappeti. Sospendevano talvolta il lavoro per guardare verso i tratti allagati lungo i torrenti dove tra poco i giunchi avrebbero messo i nuovi germogli: non si vedeva l'ora di mangiarne, dopo un lungo inverno in cui ci si era nutriti di sola carne, per lo più essiccata. Gli uomini non erano sempre rimasti a casa a poltrire, ma la caccia non era stata sufficiente, perché il grande accampamento, costituitosi per la guerra contro il forte sul Piney, non si era più frazionato, e dal giorno in cui tanti soldati erano morti si era accumulata moltissima neve e l'inverno era stato il più freddo che i vecchi avessero mai visto. I cacciatori tornavano con mani e piedi gonfi per il congelamento; dicevano che gli alci e i bisonti erano spariti come da una terra morta: i pochi rimasti erano blocchi di ghiaccio nella neve, duri come rocce. Ve n'erano trecento 255
in una gola, si diceva; le tormente soffiavano su di loro, sicché nemmeno i lupi li avrebbero raggiunti prima del disgelo di primavera. Poi l'accampamento si suddivise, ma nemmeno allora la vita divenne più facile. Alcune bande rimasero isolate dalle altre; i cavalli denutriti affondavano o venivano travolti dalla neve: allora bisognava quasi estrarli a forza e aiutarli poi a tirare le tregge. Molti rimasero accecati dalla neve e Strisciante, il guaritore, ne curò tanti che alla fine le sue donne avevano difficoltà a trovare giovani pioppi per nutrire i cavalli con cui veniva pagato. Strisciante sapeva fare una medicina molto potente: spruzzava neve negli occhi degli accecati, cantava il canto della libellula che aveva appreso in sogno, si metteva della neve in bocca e la soffiava sulla nuca dei malati, ed essi vedevano di nuovo. In compenso di tanto, un cavallo non era troppo. I figli di Bruco andavano a caccia quasi tutti i giorni. La loro madre aveva fatto una quantità di mocassini di pelle di bisonte col pelo all'interno, e aveva riempito sacchetti su sacchetti di fuliggine da spalmare sulle guance, per non tornare accecati né congelati. Eppure, sebbene fossero buoni cacciatori, com'era tradizione della loro famiglia, non sempre c'era carne fresca da mangiare. Cavallo Pazzo aveva il cuore che avvampava d'ira, malgrado le lunghe cavalcate al freddo: la morte dell'amico non era stata ancora vendicata, e adesso i Bianchi del forte sul Piney stavano molto attenti. Poi, venuto a sapere che dovevano arrivare molti altri soldati, aveva fatto avvicinare la banda di Faccia Lunga a Forte Reno, in modo da poter tenere d'occhio la pista del Powder. In quella zona non c'erano molti pioppi per i cavalli ed era difficile trovare selvaggina, ma uno che aveva perduto un amico per colpa dei fucili dei Bianchi poteva fare ugualmente una buona caccia lungo quella pista. Quando la banda ebbe esaurito la carne, Cavallo Pazzo andò assieme a suo fratello verso il Torrente della Donna Pazza. A un certo punto i cavalli non ce la fecero più. I due, che ai piedi avevano racchette da neve portate via ai Crow, decisero di continuare a piedi portando ciascuno 256
una pelle, un po' di wasna, i coltelli e gli archi. La regione era brulla e bianca di neve: erano spariti anche i fringuelli 1 che d'inverno consolano col loro canto. Una mattina Cavallo Pazzo scorse le orme di un bisonte che doveva aver camminato da solo in modo sacro sulla neve alta, perché i suoi zoccoli aguzzi non erano affatto penetrati oltre lo strato superficiale della neve. I due fratelli si misero a seguire quelle orme affannosamente (imbrinavano col fiato i loro mantelli di lana), ma trovarono soltanto qualche crine impigliato fra i rami in una macchia di susini. Erano crini chiari, quasi bianchi,2 e Cavallo Pazzo li osservò a lungo, assorto, mentre il fratello gli stava accanto in silenzio. Poi li mise nel sacchetto di medicina che gli pendeva al collo. Ora sapevano che non avrebbero mai trovato il bisonte: tuttavia avevano fatto bene a seguirne le tracce fin lì. Così Piccolo Falco riprese a camminare sulle orme lasciate dal fratello, gaio come sempre, ridente nel vento freddo che sollevava e arricciava piume di neve dai bordi su cui si era accumulata. Quando un sole pallido come ghiaccio iniziò il corso discendente, giunsero in una zona accidentata. In un piccolo canyon punteggiato da qualche albero spoglio, Cavallo Pazzo vide come una massa scura che pareva muoversi. Si acquattò e rimase a lungo a guardare poi, rivolto al fratello, «Alci! », disse. Era vero: era un piccolo branco di alci nella neve fonda, circondato da rocce frangivento. Forse un centinaio. Solo da un lato era possibile avvicinarli di nascosto, ma il vento era sfavorevole. Tuttavia i due Indiani presero da quella parte e riuscirono ad arrivare abbastanza vicino prima che gli animali li fiutassero e si disperdessero sprofondando nei crepacci innevati. I maschi si tuffarono avanti e sollevarono neve più alta delle loro corna a rami. Archi e coltelli pronti, i due cacciatori corsero verso gli alci sbandati, le femmine e i piccoli, per impedire che fuggissero arram' È lo Junco aikeni dalle ali bianche (N.d.T.). Alcuni dicono che un manzo bianco fuggì da una mandria ed errò nella zona nel 1866-1867. 2
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picandosi su per le pareti del canyon. Quando l'ultimo raggiunse la vetta, i due Oglala si voltarono e videro otto corpi scuri, otto alci nella neve insanguinata. Quando arrivò la notte avevano già ammucchiato la carne, l'avevano sepolta sotto più di trenta centimetri di neve e avevano lasciato tutt'intorno odore di uomo per tener lontani i lupi. Accesero un bel fuoco di legna secca, sotto le rocce, al riparo dal vento che si alzava, dove nessun Crow errante li avrebbe trovati. Arrostita un po' di carne, quando l'aria fu dolce e pregna del suo odore, Cavallo Pazzo ne tagliò una parte e l'offrì al cielo, alla terra e alle quattro grandi direzioni. Infine mangiarono e, quando ebbero finito, poterono soltanto distendersi avvolti nelle pelli di bisonte, i piedi verso il fuoco nascosto, e dormire. Dopo quella caccia, la banda di Faccia Lunga potè nutrirsi di carne fresca finché tutto il branco d'alci non venne eliminato. Ma Cavallo Pazzo non andò più a caccia: teneva d'occhio il fortino alle forche del Powder, razziava le mandrie dei soldati, eliminava i corrieri postali, sparava sui cacciatori e sui trasportatori di legname. Non scalpava quelli che uccideva e non li contava, perché nessun numero poteva cancellare la morte di Orso Solitario. Poi, finalmente, ancora una volta i corsi d'acqua furono liberi di scorrere, e con tale piena che a stento si riusciva a guadarli. Prima che l'accampamento di Faccia Lunga si trasferisse al nord, giunsero dei guerrieri di Nuvola Rossa, che avevano svernato dalle parti dello Yellowstone, per vedere se per caso non stessero perdendo qualche buona occasione. Alcuni giorni dopo ne vennero altri, mandati dai Bighelloni e da quelli che vivevano nella regione del fiume Republican: raccontarono di molte razzie compiute sulla Via Sacra, ma cose da poco, e dei meridionali che erano ancora costretti a fuggire davanti ai soldati, sebbene l'estate precedente i loro capi avessero firmato il patto di pace. Era chiaro che tutti quei discorsi di pace erano serviti soltanto a intrappolarli: erano perciò venuti al nord, per sentire che cosa si contava di fare nell'estate. Certo qualcosa di grosso, anche perché gli uccisi di Forte Kearny erano stati soltanto ottantuno e non cento. 258
«Ottantuno, dicono? », domandò Cavallo Pazzo. «Erano cento quelli che il sognatore minneconjou aveva riportato in mano, e non si sta a contare per vedere se i poteri sacri che ci danno queste cose abbiano detto la verità ». Ottanta, novanta, cento..., andava bene lo stesso: erano venuti a dare una mano, dissero i guerrieri del sud. Ma avevano portato pochi fucili e poche munizioni. Era diffìcile procurarsene, dissero. In ogni spaccio, i soldati arrivavano tra i piedi, e qualche volta avevano perfino sequestrato il fucile del mercante per la caccia al bisonte. « Ahh-h! », fece Cavallo Pazzo, fumando la pipa preoccupato. Doveva essere duro vivere da quelle parti, con la selvaggina così scarsa, ora poi che non si era più capaci di andare a caccia col solo arco. Aveva anche sentito dire che presto sarebbero tornati quelli della pace per convincere il resto degli Indiani ad accettarla, con blandizie o velate minacce. « Sì, e con più regali delle altre volte », disse un Brulé. Aveva detto il vero: infatti in aprile (la Luna in cui Spunta l'Erba) tornarono con lunghi convogli di carri, e ancora una volta i Bighelloni fecero i gentili e si presero le cose che secondo i Bianchi avrebbero dovuto spartire con gli altri. Cavallo Pazzo ne venne a conoscenza al ritorno da uno scontro con i Serpenti. Nell'accampamento di Faccia Lunga trovò molti guerrieri venuti dal sud che volevano andare al Powder e speravano che, l'estate, si sarebbe combattuto ancora sul Piney. Poiché tra loro c'era anche Veste da Donna, Cavallo Pazzo tirò dritto: non riusciva a dimenticare che era stato lui a dargli la brutta notizia di un certo matrimonio. Tuttavia doveva parlare a Schegge perché in combattimento aveva perduto un altro buon cavallo da guerra, e nelle borse da sella aveva i denti del branco di alci ucciso nell'ultimo inverno, abbastanza da ornare con molte altre file l'abito di Donna di Bisonte Nero: ne era già quasi tutto coperto ed era il più bell'abito che si potesse vedere indosso a un'Oglala. Chissà, forse pesava quanto il secondo figlio di lei, che era timido come era stata la 259
madre, ai tempi del cerchio campale nei pressi della Via Sacra: timida, ma anche allegra e sorridente. In primavera le trattative di pace si chiusero con un nulla di fatto. Ciò nonostante, i Bianchi continuarono a fare dei tentativi, come cani affamati intorno ai paioli, o come -un lupo attirato da una carogna su un colle. Uomo della Paura e Guscio di Ferro (questi ancora ostile perché i soldati nella battaglia dell'Acqua Azzurra gli avevano portato via la famiglia, compresa la bella moglie) si recarono a parlamentare in giugno. La grande battaglia sul Piney e le molte altre imprese compiute dai guerrieri li mettevano in condizione di trattare da una posizione di forza. Non era la pace che volevano: volevano la chiusura della pista del Powder, volevano fucili e munizioni. Le prime cose che chiesero furono queste. Le bande li stavano seguendo: quando sarebbero stati distribuiti i fucili? Nuvola Rossa faceva parte della delegazione, ma non disse parola. D'altra parte non gli spettava la parola perché non era un capo; ma quando i suoi guerrieri vennero a saperlo, qualcuno si ricordò che egli sapeva fare la voce grossa all'occasione buona, anche se non aveva il diritto di parlare, e che da qualche tempo sembrava che il Faccia Cattiva lavorasse per l'uomo bianco. Ma forse aspettava solo di vedere quanto gli avrebbero dato. Di lì a poco, i giovani che parlavano in questo modo passarono agli Hunkpatila e soprattutto al campo di quello con i capelli chiari, che di certo non muoveva passi di pace in direzione dei Bianchi. Questi nuovi arrivi vennero accolti con danze e feste ma la madre di Cavallo Pazzo li considerò con una specie di ansioso disagio. « Si faranno il cuore cattivo dove le tende sono rimaste vuote... », disse una sera sottovoce dal posto a lei riservato. E poiché le sue parole non aspettavano risposta, i suoi uomini non gliene diedero alcuna. Rimasero in silenzio anche quando Piccola Ferita della gente Orso (gli Oglala del sud) venne a dire che avevano deciso di tornare alla loro terra: da due anni erano lassù, tra quei gran parlatori dei Facce Cattive, disse il capo a Bruco e a Faccia Lunga. Ne avevano abbastanza. Sentendo queste parole, i due anziani fratelli fischiarono 260
nel cannello della loro pipa, ma non reagirono, sapendo che l'uccisione di Toro Orso era ancora un mantello insanguinato che divideva le due genti, del nord e del sud. Ma si sarebbero perduti dei bravi guerrieri. Finite le danze del sole dell'anno 1867, quando i cavalli tornarono grassi e lustri grazie all'erba abbondante che trovavano ovunque, i Lakota e i Cheyenne si accamparono sul fiume Rosebud per studiare un piano d'attacco contro i forti sul Piney e sul fiume Big Horn. Era la prima volta che le due nazioni tornavano insieme da quando i molti soldati erano stati uccisi, e per giorni e giorni si protrassero le danze e i festeggiamenti con la partecipazione di tutti i gruppi guerrieri. Anche gli heyoka, coloro che avevano avuto la visione degli Esseri del Tuono, fecero le cerimonie. Da troppo tempo avevano trascurato i loro Protettori, e in primavera, mentre le antilopi figliavano, uno di loro era stato fulminato da un lampo e diversi cavalli erano stati colpiti. Perciò eseguirono davanti a tutto il popolo le antichissime cerimonie degli heyoka, che consistevano nel fare tutte le cose al contrario: indossarono gli abiti a rovescio oppure col davanti di dietro, cantarono tutti insieme invece che uno alla volta, rabbrividirono sotto il sole, strisciarono nelle pozzanghere invece di scavalcarle, rivolsero le frecce contro se stessi cadendo come morti quando fallivano il bersaglio, presero con le mani la carne che bolliva nei recipienti.3 Il popolo rideva moltissimo di queste cose, si sentiva più forte, come rinato. Eppure i capi erano divisi, come una nuvola improvvisamente stracciata da venti opposti. 3 Cosi Alce Nero spiega il significato e la funzione di una delle loro cerimonie: « Nella cerimonia degli heyoka tutto è alla rovescia, e viene fatto in modo che la gente si senta allegra e felice prima, così dopo al potere riesce più facile raggiungerla. Avete osservato che la verità appare in questo mondo con due facce. Una è triste di dolore, e l'altra ride; ma è la stessa faccia, rida o pianga. Quando la gente è già disperata, forse la faccia ridente è meglio per loro; e quando si sentono troppo bene e troppo sicuri di essere protetti, forse è meglio allora che vedano la faccia piangente. E così penso che questo è lo scopo degli heyoka » (in Neihardt cit., pp. 191-192). E « buffoni sacri » li definisce Elémire Zolla, « i quali fomentano l'umiltà, giungono alla negazione dell'io rendendosi deliberatamente ridicoli » (cfr. I Letterati e lo Sciamano, Bompiani, Milano 1969, pp. 291 e 354) (N.d.T.).
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Non riuscivano a mettersi d'accordo su quale forte dovessero attaccare per primo: chi diceva questo, chi quello. Alla fine Cavallo Pazzo non ne potè più e andò a fare la guerra ai Crow: quando i capi avessero deciso quello che volevano fare, potevano avvisarlo. Finalmente i guerrieri fissarono dei piani concreti: una parte (in maggioranza Cheyenne) avrebbe assalito il forte a nord, mentre gli altri (tra cui molti Minneconjou) avrebbero mosso contro il Forte Phil Kearny, sebbene le munizioni da dividersi non fossero sufficienti. Verso la fine di luglio (la Luna in cui le Ciliegie Diventano Rosse) le vedette riferirono che i convogli del bosco stavano spostandosi un'altra volta verso la sorgente del Little Piney insieme a una cinquantina di soldati, quattrocinque altri Bianchi e le mandrie di cavalli del forte. « Hoye! Scalpi e cavalli! », gridarono i guerrieri. Gobba ne comandava la schiera; Nuvola Rossa e altri guerrieri più anziani andarono come osservatori. Come ombre che si allungano al tramonto, giunsero nella zona accidentata a nord del Big Piney, si accamparono non lontano dalla catena dei Lodge Trail e attesero il grido della civetta che avrebbero fatto i perlustratoti al ritorno. A sera, costoro portarono buone notizie: i tagliatori del bosco avevano piantato le tende ai piedi dei colli lungo il Little Piney; di guardia c'erano dodici soldati. In una piccola prateria a meno di due chilometri, quattordici carri disposti in cerchio tenevano chiusi i cavalli; anche là c'erano tende e venticinque-trenta soldati. Sulle sponde del torrente che divideva i due accampamenti, dei guardiani (sentinelle li chiamano i Bianchi) andavano avanti e indietro. Per questo attacco non era stato studiato alcun piano preciso: si sapeva soltanto che Gobba avrebbe guidato i guerrieri-esca, poi ognuno avrebbe fatto quello che voleva. Era un modo di combattere che poteva andare bene contro i Crow quando si volevano scalpi e cavalli, non contro i Bianchi che venivano a portarti via la terra da sotto i piedi: Cavallo Pazzo cercò di convincerli, ma vedendo che tra i guerrieri c'era già dell'acredine, stette zitto e andò per la sua strada. 262
La mattina dopo, di buon'ora, Gobba portò fuori i suoi sei guerrieri-esca, mentre gli altri rimasero giudiziosamente nascosti più indietro, in mezzo alle colline, finché una sentinella sparò contro i primi.4 Gli Hunkpapa e i Minneconjou più giovani si buttarono sul cerchio dei carri e perciò anche gli altri dovettero seguirli. Alcuni fecero fuggire verso nord la mandria che pascolava, altri invece seguirono Cavallo Pazzo fin sull'altra sponda del torrente, dov'erano le tende dei tagliatori del bosco, e uccisero due uomini prima che potessero fuggire e nascondersi sulle pendici alberate dei colli. Cavallo Pazzo inseguì i fuggitivi ma i guerrieri che aveva con sé si fermarono a scalpare, far bottino e appiccare fuoco. Quando tornò indietro li vide seduti all'ombra a mangiare melassa e gallette... Si era nel pieno del combattimento. I più anziani, come Nuvola Rossa, Passa Volando il Minneconjou, e Ghiaccio il Cheyenne, si erano messi in fila su una collina a osservare, fumare, e forse anche a segnalare qualche piccolo avvertimento. Gobba aveva costretto le sentinelle dei Bianchi a ritirarsi entro il cerchio di carri: uno dei suoi era rimasto ferito ma anche dei Bianchi erano stati colpiti. Ora c'era un unico fronte, quello dei carri, ma i buoni fucili della fanteria impedivano ai guerrieri di procurarsi quei trenta-quaranta scalpi per la danza della vittoria. I guerrieri avevano già circondato i carri, lanciavano frecce da dietro i cavalli oppure si scagliavano frontalmente contro i fucili crepitanti. Caddero in molti e dovettero essere portati via. A questo punto Cavallo Pazzo e Gobba fermarono gli altri: bisognava tentare qualcosa di diverso, di meno rischioso, perché i Bianchi esaurissero le munizioni. Lasciati perciò i cavalli fuori tiro, si prepararono ad attraversare a piedi la ravina che degradava al Little Piney: alcuni fecero la medicina allo scudo, altri alle cose che servivano per il combattimento a terra, per riuscire ad attraversare quel breve tratto di prateria ormai rapata dall'intenso pascolo. 4
Battaglia dei Carri, 2 agosto 1867.
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Appena i soldati ebbero tirato giù i teloni che ostacolavano la visuale, gli Indiani si alzarono come una lunga e larga ondata, e corsero come il vento sull'erba alta. Dipinti e vestiti (per andare incontro alla morte nello stato più dignitoso), tenendo alti gli scudi e le lance, avanzarono cantando i canti di guerra. Zigzagavano, lanciavano frecce, si buttavano a terra negli avvallamenti, si alzavano per avvicinarsi di corsa o per sparare di nuovo. Ma i proiettili dei soldati piovvero così improvvisi e precisi che molti vennero colpiti e dovettero essere trascinati via. Perfino alcuni che avevano scudi di medicina, tratti dal collo del toro di bisonte, vennero feriti prima di avvicinarsi quel tanto da poter fare qualcosa. L'assalto dunque fallì e i guerrieri si sparpagliarono lasciando a terra, morto, un coraggioso e veloce Oglala arrivato troppo vicino ai Bianchi perché qualcuno potesse andare a riprenderlo. « Senza munizioni finiamo al macello come bisonti pezzati! », gridò Cavallo Pazzo, furibondo per il fallimento dell'assalto. « Ah! », osservò uno con una spalla insanguinata. « Quelle che hanno loro sono inesauribili! ». Proprio in quel momento un alto Lakota, Jipala, coperto del solo perizoma e stringendo un grosso scudo di bisonte davanti a sé, si alzò e andò verso i soldati, senza saltare, senza schivare i colpi, ma procedendo dritto e adagio, cantando il suo canto di guerra. Quando fu abbastanza vicino, tese l'arco, saltò in alto e lanciò una freccia dentro il cerchio dei carri, poi un'altra e un'altra ancora, più svelto che se avesse avuto un buon fucile dei Bianchi. I soldati cominciarono a sparargli contro e l'eco degli spari si ripercosse come un tuono contro le colline. Le pallottole arrivavano sempre più vicine, e allora Cavallo Pazzo condusse velocemente dei guerrieri alla carica dalla parte opposta. Ma ormai era troppo tardi: il valoroso Lakota era morto, proprio sotto i carri. La perdita di guerrieri come questo e altri esasperò Cavallo Pazzo e Gobba. Radunarono i guerrieri e li esortarono ad essere più attenti: dei validi combattenti si facevano uccidere da sciocchi. Ma i giovani tentarono altri due 264
assedi a terra e persero un altro uomo, mentre tre rimasero feriti nel tentativo di trarre in salvo un amico. Cavallo Pazzo notò tutto questo, ed ebbe la conferma che arco e mazza non servivano contro i fucili dei Bianchi. Anche con un cuore come quello dell'orso grigio e un braccio come il vento del nord, la mazza e l'arco sarebbero stati come niente contro i fucili. « I feriti stanno diventando troppi », avvertì. Ma i guerrieri fecero un'altra carica a cavallo e arrivarono abbastanza vicini ai carri, che ormai erano ridotti a pezzi, e su cui le frecce erano fìtte come gli aculei di un porcospino, dappertutto, eccetto lungo la fascia mediana, dove dalle tavole di legno abbassate uscivano le canne dei fucili. Le munizioni nemiche erano davvero inesauribili. Inoltre le vedette avevano segnalato che stavano venendo dal forte altri soldati con i cannoni, e questi già si sentivano sul Little Piney: gli osservatori e i consiglieri sulle colline si alzavano e tornavano ai cavalli. Allora la battaglia venne sospesa e i guerrieri portarono via i sei feriti e uno dei morti. Nessuno riuscì ad arrivare a riprendere gli altri cinque. Avevano ucciso alcuni Bianchi e avevano portato via molti muli e cavalli, ma non era stato un giorno dal quale si potesse intitolare l'anno. La sera Cavallo Pazzo, fumando da solo, meditò sulle battaglie degli ultimi due anni e arrivò a chiedersi se i giovani non avessero ragione a perdere la pazienza quando si facevano imboscate e accerchiamenti alla maniera antica. La grande guerra contro i Bianchi non si sarebbe potuta vincere in quella maniera, nemmeno se gli accerchiamenti fossero riusciti sempre alla perfezione come quel giorno alla catena dei Lodge Trail. Dovevano assolutamente procurarsi fucili e munizioni: un buon fucile per ciascuno e abbastanza polvere da sparo da far entrare le pallottole in profondità. Allora avrebbero potuto far la guerra ai Bianchi ovunque li avessero trovati, con la certezza di riuscire a batterli e a respingerli. Ma quando cercava di parlare con gli altri di queste cose, sembrava che non lo capissero. Doveva essere colpa delle povere parole che la sua lingua mandava fuori, sicura265
mente non della certezza che egli aveva in cuore: che se gli Indiani seguivano i modi del passato erano perduti. All'accampamento vennero a sapere che l'attacco contro il forte sul Big Horn si era svolto su un prato: era stata una scaramuccia, con pochi feriti tra i guerrieri delle due spedizioni. Al ritorno, i guerrieri tennero insieme una danza di vittoria, nel corso della quale raccontarono le loro gesta, i coups e danzarono con gli scalpi. Ma Jipala non c'era a narrare la sua coraggiosa avanzata contro i fucili, né c'erano gli altri cinque. Per Cavallo Pazzo perdere un uomo per niente era come perdere uno della sua famiglia. Si schiudevano sui colli i fiori rosa dell'aristolochia serpentaria, la cui radice colubrina aiuta a guarire dai morsi dei serpenti; le giovani antilopi correvano in branchi, e gli Indiani tra poco si sarebbero divisi in bande più piccole. Ancora una volta giunsero dei messaggeri (dieci, questa volta) per persuadere il popolo a partecipare a un consiglio di pace che si sarebbe tenuto in settembre, alla luna piena. Si presentarono tutti azzimati, ciascuno con un bel cavallo nuovo con sella e finimenti da uomo bianco, un fucile, una coperta nuova, gambali, perizoma, giacca da soldato, cappello e camicia: tutta roba regalata dai Bianchi. Per quelli che promettevano di partecipare al consiglio di pace, ogni messaggero aveva portato otto trecce di tabacco avvolte in una pezza rossa legata con un nastro, e nell'astuccio della loro pipa avrebbero trovato uno di quei fogli bianchi in cui si diceva che erano bravi Indiani. « Come Due Facce? Il suo foglio lo fece appendere con una corda al collo... », disse Cavallo Pazzo. Dopo poco tempo arrivò dagli accampamenti sullo Yellowstone un corriere dei Bighelloni. Era tutto entusiasta delle grandi cose viste lassù: gli Hunkpapa di Toro Seduto erano ricchi di muli e cavalli, i parfleches scoppiavano di carne, le pelli accatastate nelle tende aspettavano l'arrivo del mercante. A sud, invece, avevano solo caldo, polvere, culici di bisonti e soldati sempre più numerosi che, armati di fucile, imperversavano nei territori di caccia. A sud del fiume Republican, Capelli Lunghi (quello che si chiamava 266
Custer) aveva dato la caccia agli Indiani: gli Oglala di Piccola Ferita e i Cheyenne meridionali, stanchi di sfuggirgli, lo avevano affrontato in battaglia. Avevano preso scalpi e carabine, ma egli era rimasto in piedi. « Hau! », dissero soddisfatti i settentrionali, ma presentivano che i molti problemi dei loro parenti del sud (donne, vecchi, bambini) si sarebbero moltiplicati. Poi c'era la strada di ferro - la ferrovia dei Bianchi - che si allungava parallela alla pista degli emigranti.5 Certi guerrieri avevano assalito gli operai della ferrovia. Si tenne un altro consiglio di pace e arrivarono gli Indiani del sud, scuri in volto, con i coltelli nascosti sotto le coperte e un gran numero di proteste: i Bianchi uccidevano i bisonti, i loro carri e adesso la nuova strada ferrata facevano fuggire gli animali selvatici: quindi gli Indiani avevano bisogno di fucili e munizioni per non morire di fame. Ricordando il tempestoso consiglio che si era tenuto tre anni prima col capo dei soldati Mitchell, e quello di appena un anno prima in cui Nuvola Rossa aveva lanciato la sfida, quelli del sud fecero la voce grossa, minacciarono e ottennero tutto ciò che volevano. Ma Nuvola Rossa, Gemello Nero e Faccia Lunga mandarono a dire che in quel momento erano troppo occupati per recarsi a Laramie. Un'altra volta, magari, forse l'anno successivo. I Bianchi minacciarono di mandare un grande esercito contro di loro, ma gli Indiani non abboccarono, e a Laramie non si sentì dire che si smontassero tende per mettersi a rincorrere la pace. I guerrieri del Powder erano effettivamente occupati, al punto che per la pista di Bozeman nessuno poteva più transitare, eccetto i soldati, e solo se erano in tanti e sempre a forza di fucilate. Poi venne la stagione in cui le lontre fanno scivoloni sul ghiaccio, e fitto è il pelo dei castori. Qualche mercante riuscì a raggiungere di nascosto gli accampamenti invernali portando solo quello che poteva caricare sul suo cavallo, perché i soldati tenevano 5
La linea ferroviaria Kansas-Pacific
(N.d.T.).
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d'occhio anche i cacciatori. Nelle borse da sella c'era tuttavia un po' di polvere da sparo, un po' di piombo e qualche cosa di luccicante o dai colori sgargianti, per le donne. Donna di Bisonte Nero (che aveva il terzo figlio nel guardinfante) comprò del carminio per le guance e una nuova coperta a righe, e camminò altera per l'accampamento, come si addiceva a una bella e giovane Lakota, moglie di uno che possedeva molti cavalli e che contava parecchio. Ma le donne la seguivano con lo sguardo per un'altra ragione: per le frequenti visite che riceveva dallo Hunkpatila che indossava la casacca; e si domandavano se fossero proprio gli sguardi ostili degli amici di Senz'Acqua a impedire a Cavallo Pazzo di svuotare la tenda del marito di lei e di oltrepassarne la soglia quando lui non c'era. Zampa d'Aquila, per esempio, era stato da poco abbandonato dalla moglie, e tutti si erano meravigliati del coraggio della donna, perché lui era un uomo violento. Invece egli sedeva nella sua tenda a fumare, come aveva sempre fatto; e per dimostrare che non nutriva rancori, aveva accettato i due cavalli che il nuovo amante di sua moglie gli aveva portato. E dopo un po' Zampa d'Aquila aveva fatto visita alla madre di lei, le aveva chiesto di accudirgli la tenda e la donna aveva acconsentito. Ora appariva felice di poter di nuovo parlare con la suocera come con una vecchia zia, e di non doverle riservare soltanto il rispettoso silenzio che si usa con la madre della propria moglie. Ma la donna di Zampa d'Aquila non aveva parenti importanti e facoltosi come Donna di Bisonte Nero. I mercanti arrivati dal sud riferirono delle notizie messe in giro dai Bianchi a proposito della battaglia dei carri. I soldati di Laramie dicevano che alla battaglia avevano partecipato tremila guerrieri di cui erano morti moltissimi: chi diceva sessanta, chi addirittura mille, dieci volte un cerchio campale medio (che voleva dire un centinaio di uomini). I guerrieri si misero a ridere, ma Cavallo Pazzo si domandò perché mai i Bianchi raccontassero queste cose. « Come fanno a dire di queste stupidaggini? Non sanno 268
che siamo gli stessi dell'inverno scorso, quando cento soldati rimasero sul terreno? ». I Bianchi pensavano che gli Indiani fossero stati sorpresi dai fucili a retrocarica che sparavano a ripetizione. «Ma dovrebbero sapere che questi fucili li conosciamo da tempo. Io stesso ne possiedo uno », disse Cavallo Pazzo. «E non sono l'unico. C'è chi ne ha presi ai soldati che sono scappati dalla regione due anni fa. Poi abbiamo due fucili a molti colpi che abbiamo presi ai Bianchi sulla collina sopra il Piney ». Certo, era vero, convennero i mercanti: ma i soldati dovevano pur inventare qualcosa per tenersi su di morale. Appena passato il freddo invernale, molti Indiani del nord scesero a Laramie per un altro consiglio, avendo sentito dire che i commissari governativi avevano un messaggio del Grande Padre e che i giornali dicevano che i forti lungo il fiume Powder sarebbero stati chiusi prima della danza del sole. Perfino i Bighelloni erano contenti, e parlavano a voce così alta negli spacci e dove i soldati potevano udirli che i Bianchi cominciarono a sentirsi come cani bastonati. Un giorno un Bianco sparò a un Indiano e l'uccise. Fu come una lancia scagliata in un nido di vespe: gli Indiani convenuti per il consiglio furono travolti da una ventata di odio: volevano che il soldato venisse loro consegnato, volevano punirlo come avevano sempre fatto i Bianchi quando i giovani Indiani creavano guai (anche da poco, come ammazzare una povera mucca di un mormone). Ma il soldato non fu loro consegnato, e allora i guerrieri si vendicarono su chi transitava per la Via Sacra. Adesso erano veramente gli Indiani a rapinare, non gli Uomini Grigi che i Bianchi chiamavano fuorilegge (quelli che si dipingevano, si mettevano le penne e calzavano i mocassini per farsi prendere per Indiani dai Bianchi che assalivano). Cavallo Pazzo, che era andato al Piatte come semplice osservatore, quando si venne a sapere che l'Indiano era stato ucciso, mise insieme una settantina di guerrieri, compresi Piccolo Falco e Piccolo Grande Uomo, e andò a fare 269
delle razzie prendendo di mira soprattutto le mandrie dei soldati. Dato che i guerrieri di Cavallo Americano che aveva portato con sé erano amici dei Bianchi che vivevano al ranch « Ferro di Cavallo », sulla Via Sacra, lasciò la maggior parte dei suoi uomini dietro un colle, a fumare, e con quelli di Cavallo Americano andò al ranch a fare quattro chiacchiere e a vedere se c'era modo di procurarsi un po' di polvere da sparo. Ma i cani dei Bianchi si misero ad abbaiare e tornarono di corsa alla vecchia stazione quando i guerrieri vi si avvicinarono gridando: «Hau, cola! Hau, cola!», con i denti bianchi che spiccavano sul colore scuro dei volti non dipinti. Anche i Bianchi si misero a correre e sbatterono la pesante porta in faccia ai visitatori, e allora Cavallo Pazzo si allontanò tirando per la briglia il suo pezzato. Piccolo Grande Uomo e i guerrieri di Cavallo Americano invece rimasero là a ridere della paura dei Bianchi e a gridare i propri nomi, ma subito cominciarono a piovere pallottole dai buchi fatti nelle pareti, e due guerrieri caddero da cavallo feriti. Allora tutti si prepararono per una battaglia e si lanciarono gridando contro il vecchio mercato e la vecchia stazione. Giunti in prossimità del luogo, si divisero in due schiere: una, quella di Cavallo Pazzo, circondò il ranch nel senso delle lance dell'orologio; l'altra, quella del basso e tarchiato Piccolo Grande Uomo, lo circondò nell'altro senso. Quando altri due guerrieri rimasero feriti, gli Indiani incendiarono le stalle e uno degli edifici dalla parte del pozzo. I Bianchi uscirono di corsa con dei secchi, ma vennero ricacciati dentro le loro case fatte con muri di tronchi. Nel tardo pomeriggio gli Indiani lasciarono il ranch incendiato e andarono a Twin Springs, a circa cinque chilometri di distanza, a trovare il vecchio francese, Mousseau: aveva sposato un'Indiana e forse avrebbe dato loro qualcosa da mangiare. Quando, a sera, ripassarono davanti al ranch, nei vecchi edifici di tronchi c'era ancora una luce rossa. Piccolo Grande Uomo ululò come un coyote e imitò il verso della civetta, ma nessun Bianco mise il naso fuori, e nemmeno i 270
cani. Dopo un po' gli Indiani stesero le coperte e si coricarono per dormire. All'alba, Cavallo Pazzo vide che i Bianchi c'erano ancora, ma dato che le vedette segnalavano l'arrivo, per la Via Sacra, di alcuni carri scortati da soldati a cavallo, decise di fare allontanare i guerrieri e di nasconderli nelle gole. « Quei Bianchi là andranno via con i carri », dissero i guerrieri, rammaricandosi che la festa fosse finita. Invece non andarono via, e così quel pomeriggio ci fu un'altra bella battaglia in cui Piccolo Falco fece il temerario e Piccolo Grande Uomo lo spavaldo, esponendosi e gridando. Verso sera Cavallo Pazzo aveva localizzato nella casa tutte le aperture da cui potevano uscire le canne dei fucili. Piccolo Falco e altri due si avvicinarono strisciando e appiccarono il fuoco. Il buon odore dei tronchi di abete che bruciavano si sentiva fino al crinale, dove Piccolo Grande Uomo guidava una danza di guerrieri, improvvisando canzoni sui Bianchi che sparano contro gli ospiti. La mattina dopo, gli Indiani non trovarono ossa in mezzo alle ceneri fumanti; trovarono però una buca per terra e questa indicava che i Bianchi si erano scavati una piccola trincea e di notte erano fuggiti. Gli Indiani seguirono le loro tracce. Portavano verso Twin Springs, ma le vedette segnalarono che anche la casa che sorgeva là stava bruciando; Mousseau e la sua famiglia erano andati via, i Bianchi del ranch avevano trovato dei cavalli e ora fuggivano verso Laramie costeggiando il fiume. Piccolo Grande Uomo lanciò un grido e frustò il cavallo, deciso a inseguirli. Gli altri gli andarono dietro ma non sforzarono gli animali, ricordando che per tutto l'inverno avevano mangiato solo erba bruciata dal gelo. Raggiunti i Bianchi, li circondarono e si presero i cavalli e molti indumenti che trovarono nelle borse da sella. Piccolo Falco indossò il suo primo paio di pantaloni da Bianco, dopo avervi tolto il fondo. Vi si sentì molto bene. In tasca trovò un rotolo di carte. Cavallo Pazzo le conosceva: era la paga. « Ci puoi comprare polvere da sparo », disse al fratello. Ora i Bianchi avevano ripreso a fuggire, verso una col271
linetta con un ciuffo di pini sulla cima. Uno, colpito a un occhio, si fermò, e nell'estrarre la freccia si tirò via tutto l'occhio. I guerrieri lo videro e, ammirati da tanto coraggio, non spararono né a lui né a quello che era rimasto indietro per coprirlo. Cavallo Pazzo li caricò per costringerli ad andare dove andavano gli altri Bianchi (era come sospingere una mandria di giovani cavalli bradi e impedire che si sparpagliassero). I Bianchi si nascosero in mezzo a dei cedri che crescevano in una piccola gola; gli Indiani prima scagliarono grosse pietre su di loro poi conficcarono negli alberi delle frecce incendiarie. Insieme alle fiamme si sviluppò un fumo così denso che costrinse i Bianchi a uscire allo scoperto. Il primo a rimanere ucciso fu il coraggioso che si era tirato via l'occhio, e poiché aveva dato prova di tanta forza, molti Indiani vollero dargli il colpo rituale con gli archi o con i coltelli o con le mani. Di lì a poco anche un vecchio con una gran barba corse fuori, ma venne lasciato indietro dai compagni. Cavallo Pazzo lo raggiunse e lo riconobbe: era un vecchio mercante che gli Indiani conoscevano dal tempo in cui aveva lavorato per la Compagnia della Baia dell'Hudson. Vedendolo, l'Oglala provò un senso come di disagio: forse per quel giorno avevano ucciso abbastanza. Ma Piccolo Grande Uomo e i suoi stavano ancora inseguendo gli altri, che adesso erano rimasti in cinque, di cui tre, feriti, non potevano correre molto forte. Poi uno di questi tre si sparò alla tempia. Gli Indiani lo guardarono, gli fecero un giro intorno, senza scalparlo, poi corsero dietro agli altri. I quattro sopravvissuti si fermarono un'altra volta, in un tratto pianeggiante. Piccolo Grande Uomo e i suoi li circondarono. Allora Cavallo Pazzo gridò di smettere. Depose a terra il fucile e il coltello e, con le mani alzate nel segno di pace, si diresse a piedi verso i Bianchi, mentre i guerrieri e soprattutto suo fratello gli gridavano che rischiava di farsi ammazzare. Con i capelli castani senza penne, la faccia scarna senza pitture, incedeva non come un guerriero in battaglia, ma come uno che si reca in visita dagli amici, portando solo la pipa nella borsa di pelle di lontra. Prima ancora che i Bianchi, stanchi e insanguinati, 272
gli puntassero contro i fucili, egli li aveva raggiunti, si era seduto a gambe incrociate e, caricata la pipa, l'aveva offerta. «Troppi uccisi oggi», disse ricorrendo alle poche parole bianche che ricordava e al linguaggio a gesti degli Indiani. E così fumarono e fecero la pace. I Bianchi dissero che erano disposti a dargli le cose che avevano nascosto a Twin Springs quella mattina, se li avesse lasciati andare. Poteva venire con loro a prenderle a Twin Springs, con altri tre dei suoi Indiani, lasciando tutti gli altri ad aspettarlo più indietro. Cavallo Pazzo li guardava e rifletteva: esausti, gravemente feriti, probabilmente con poche cartucce...: quattro Bianchi a piedi, contro i suoi molti guerrieri a cavallo. Eppure lo guardavano dritto negli occhi. «Hau! », disse. «Avete del coraggio! ». Perciò, lasciando Piccolo Falco a tenere a freno i guerrieri più giovani e quello sfrenato di Piccolo Grande Uomo, in un punto in cui lo potevano tener d'occhio, i quattro Indiani e i quattro Bianchi si avviarono a piedi verso Twin Springs. Camminavano adagio, perché i Bianchi erano stanchi e feriti. Nessuno aveva bevuto una goccia d'acqua tutto il giorno: giunti alle sorgenti (Twin Springs), tutti, Indiani e Bianchi, corsero a bere e così, mescolati come si trovarono, si stesero a pancia in giù e bevvero. Un Bianco prese una cuccuma degli Indiani per tirare su l'acqua ma, visto che era ornata di scalpi, si stese anche lui ventre a terra e bevve come gli altri. Cavallo Pazzo sapeva che per un Bianco bere alla stessa acqua alla quale stessero bevendo gli Indiani richiedeva del coraggio e perciò se ne compiacque. Arrivati alle ceneri spente degli edifici, uno dei Bianchi stette a guardia col fucile perché non succedessero guai. Mentre un Indiano saliva in vedetta su un colle, gli altri ammucchiarono le armi a piramide e si sedettero in semicerchio aspettando che due Bianchi tirassero fuori dal nascondiglio caffè, zucchero, fagioli e altre cose, tra cui perfino del tabacco. Un guerriero sentì odor di whisky: guardò giù nella buca e vide il liquido ardente scorrere per 273
terra fuori da un barilotto. Gli Indiani afferrarono delle vecchie scatolette di latta per prenderne un po', ma i Bianchi volevano darne solo al capo. « Porta il barilotto all'accampamento: lo berrete alla danza », dissero a Cavallo Pazzo nella loro lingua e facendo i pochi gesti indiani che conoscevano. Dopo che gli Indiani si furono divisi tutto, se ne andarono. Piccolo Grande Uomo e qualche guerriero più giovane spararono in aria, poi spronarono i cavalli, dispiaciuti di aver perso quattro scalpi. La vedetta che era andata a Twin Springs rimase là ancora un po', e quando vide i Bianchi fuggire di soppiatto protetti dalle tenebre, soffiò nel suo fischietto d'osso d'aquila tanto per farli correre un po'. Poi anche lui raggiunse i compagni. Sciami di gente invasero il territorio dei Lakota cacciatori, con cavalli da tiro carichi di regali, tutte esche per intrappolare gli Indiani e indurli a firmare la carta della pace. Vennero mezzo-sangue, mercanti, Bighelloni; venne perfino padre De Smet, il Veste Nera del Grande Consiglio, ormai vecchio, fragile e malato. Tutti parlavano delle buone cose che conteneva il nuovo trattato: la pista del Powder veniva chiusa per sempre, agli Indiani veniva dato tutto il territorio compreso tra il Missouri e i Monti Bianchi (White Mountains), e tutto questo « finché l'erba crescerà e l'acqua scorrerà... ». « Hau! », dissero i Lakota, molti dei quali erano membri delle bande ostili ma non davano retta a chi diceva che quella carta non dava loro niente che non avessero sempre avuto: dava loro la loro terra. Ma molti speravano che avrebbe dato anche la pace. Così, al principio di maggio, gli Oglala del sud firmarono e si presero i loro regali, compresi fucili e munizioni, sotto gli occhi dei soldati che li guardavano con la faccia lunga. Anche Uomo della Paura, che quel giorno era col suo vecchio amico Piccola Ferita, firmò e poi tornò a nord. Gli altri Indiani non abboccarono subito: dissero che avrebbero aspettato ancora un po', perché dentro i forti del fiume Powder c'erano ancora i soldati, e altri continuavano ad andare avanti e indietro per quella pista odia274
ta. Ma le cose che raccontò la gente di Uomo della Paura erano così allettanti che altri ancora andarono a firmare e tornarono con asce, coltelli, pentole, coperte e fucili, fucili nuovi. Tutti contenti, mostravano queste cose a Cavallo Pazzo, il quale poteva soltanto voltare la faccia da un'altra parte e sfogare la rabbia sui Crow. Ogni volta che tornava a casa, veniva a sapere che altra gente era scesa a Laramie: erano rimaste ferme solo la sua banda e quelle di Nuvola Rossa e di Cane Rosso. A nord, Quattro Corni, Luna Nera e Toro Seduto degli Hunkpapa non intendevano prendere la penna in mano; altri però lo facevano. Finalmente un giorno le truppe uscirono dal forte sul Piney e si lasciarono la porta aperta alle spalle. Si portarono via la maggior parte della roba e il resto lo diedero a Piccolo Lupo e ai suoi Cheyenne. Le donne cheyenne furono molto contente: oltrepassarono le mura di pali e andarono a scegliersi la casa. Ma al loro capo ciò non piacque: i Cheyenne dovevano seguire i bisonti, se volevano mangiar carne: se fossero rimasti fermi in un posto non avrebbero potuto vivere. Diede fuoco al forte finché non rimase che un mucchio di cenere, e Nuvola Rossa fece lo stesso a quello sul fiume Big Horn: così i soldati non avrebbero più potuto tornarvi. Ora la pace era scesa sul territorio indiano come il silenzio dopo un tuono. Pareva che tutti ne fossero molto felici ( tutti eccetto i giovani che non avevano ancora contato colpi sufficienti per prender moglie o che non avevano preso scalpi). Ma Cavallo Pazzo, Cane e molti altri si sedevano a fumare e si domandavano per quanto tempo i soldati sarebbero stati via, dal momento che c'erano tanti Bianchi lungo la Via Sacra che vivevano commerciando sulle armi, mentre ora i loro carri, che servivano solo se c'era una guerra contro gli Indiani, erano vuoti. Si sapeva come andavano le cose a sud. Là la gente che in primavera aveva accostato la penna alla carta della pace continuava ad essere braccata dai soldati. Questi avevano ucciso perfino Naso Aquilino, buon amico di Cavallo Pazzo. Si diceva che il guerriero avesse mangiato in una tenda lakota del pane da una forchetta di metallo, e che non avesse 275
avuto il tempo di purificarsi prima del combattimento. Era stato un grande Cheyenne, uno che aveva rifiutato di essere capo quando glielo avevano proposto, e che desiderava solo di essere un bravo guerriero e un uomo buono. Né si poteva dire che tutto fosse tranquillo fra gli Oglala del nord. I Bianchi dicevano che gli Indiani, con il trattato di pace, avevano riportato una grande vittoria; eppure a ogni consiglio sorgevano animate discussioni tra quelli che volevano vivere di caccia e quelli che preferivano aspettare lungo la Via Sacra i viveri dell'uomo bianco. Su questo punto litigavano anche le donne. Due, intente a lavorare le pelli, si erano accese a tal punto da estrarre dalla cintura i coltellacci da macello. Una cosa vergognosa. E quando il marito di una aveva cercato di calmarla, lei era andata a casa e aveva buttato tutto fuori della tenda. Tutto sotto la pioggia: arco, lancia, camicia da cerimonie, perfino l'acconciatura da guerra e il sacchetto degli amuleti del marito. Alla fine gli aveva scaraventato fuori anche il poggiaschiena. « Alé! », aveva gridato. « Porta tutti i tuoi impicci da guerriero all'uomo bianco. Forse sei ancora abbastanza uomo per una Bighellona, ma non per la mia tenda! ». I capi oglala avevano ancora un altro problema: il Grande Padre continuava a invitare Nuvola Rossa a firmare il trattato. Ma perché, se Nuvola Rossa non era un capo? Allora venne indetto il consiglio per l'autunno, al Colle dell'Orso, l'antico luogo di convegno di tutti i Teton. La tenda consigliare fu come sconvolta da una bufera. Da quando Toro Orso era stato ucciso, e si era dovuto decidere che fare di Nuvola Rossa e dei suoi parenti che avevano preso parte alla congiura contro il capo lakota, non si era più vista una crisi così acuta. Ma questa volta non ci sarebbe stata una nuova scissione. Ci si mise d'accordo e si decise di concedere ai Facce Cattive un altro indossatore di casacca, Gemello Nero, un grande condottiero, e di nominare capo Nuvola Rossa, ma soltanto per parlamentare con i Bianchi riguardo al trattato, e solo a nome della sua gente. « È da molto tempo che non si vede un capo del genere in mezzo ai Lakota. Da quando il popolo passò il Missouri », 276
disse Bruco a Cavallo Pazzo. « E quello fu un capo che piacque solo ai nemici, perciò dovette andare a vivere da loro ». Dopo non molto tempo si tenne un'altra cerimonia. Uomo della Paura e Orso Coraggioso rassegnarono le loro cariche e le cedettero ai rispettivi figli, Giovane Uomo della Paura e Spada. Il giorno prima della cerimonia lo Hunkpatila andò a fumare con i vecchi amici Bruco e Faccia Lunga e disse che erano tempi difficili, la via si profilava scura, come annerita dal fumo di un grande incendio nella prateria: era meglio lasciare ai giovani il comando. Bruco aspirò dalla pipa e disse lentamente: «Forse eri accecato da una cattiva medicina quella notte sull'Acqua che Corre..., la notte in cui morì Orso che Conquista». Uomo della Paura, avvolto nella coperta, non replicò: stringeva il bocchino della pipa fra le labbra forti e affilate e sul volto aveva il rosso riverbero del fuoco della tenda; la sua penna di capo era immobile tra i suoi capelli. Così lo vide Cavallo Pazzo: un uomo forte, un grande uomo, uno che non aveva bisogno di difendersi. Il giorno dopo Uomo della Paura mise il suo manto di capo sulle spalle del figlio. A novembre (la Luna in cui Cadono le Foglie) Nuvola Rossa toccò con la penna il foglio della pace. La guerra, quella che i Bianchi chiamavano la guerra sioux, era finita.
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6.
MOLTE COSE GETTATE VIA
La prima bufera invernale venne in un tiepido pomeriggio e ne sconvolse l'immobilità. Spinse i bisonti, intirizziti e accecati dalla neve, in ogni canyon o gola, e fece affrettare Cavallo Pazzo che tornava a casa dopo essere stato ospite degli Hunkpapa. Aveva nella sacca uno scatolone di polvere da sparo e perline celesti in quantità sufficiente per ornare un bel vestito da donna. Trovò irritazione fra la sua gente. « I commissari del Grande Padre hanno parlato ancora una volta con lingua biforcuta», disse Bruco. I guerrieri invece avevano espressioni molto più taglienti : « I capi si sono venduti per un altro festino a base di gallette e melassa... », dicevano forte perché tutti li sentissero; adesso nessuno rideva, nessuno osava chiamarli pazzi. Dopo i gravi scontri avvenuti al sud nel 1864, era proibito commerciare con gli Indiani. Nel 1868, all'epoca del consiglio, le tende traboccavano di belle pelli e di pellicce. Le donne si lamentavano perché avevano finito il carminio, non avevano più colori per tingere gli aculei e decorare i parfleches, non avevano più perline, né stoffa né lesine né forbici né nessun'altra cosa dell'uomo bianco che si potesse mangiare o che servisse a qualche scopo. Perfino i coltelli da macello si erano assottigliati come fili d'erba, per l'uso. Allora i capi firmarono il trattato e dissero alla gente che l'inverno sarebbe stato buono: ancora una volta sarebbero arrivati nei villaggi i carri dei mercanti pieni di ogni ben di Dio. Ma non si era ancora asciugato l'inchiostro sulla carta del trattato che il capo dei soldati disse che agli accampamenti non si dovevano portare merci di nessun genere e che gli Indiani non dovevano avvicinarsi alle case dei mercanti. 278
Una banda di Oglala, non credendo alle proprie orecchie, andò al Ponte sul Piatte, ma dovette tornare subito indietro portando su una treggia uno dei capi, gravemente ferito dai soldati, che avevano sparato appena gli Indiani si erano avvicinati. «Àhh-h! Fanno male a fare così! », disse Cavallo Pazzo, ma non si mostrò sorpreso. Adesso c'era anche la complicazione dei cavalli rubati. I capi dicevano che tutto il bestiame rubato dopo la firma del trattato doveva essere restituito; i Bianchi però volevano indietro anche quello che era stato portato via all'epoca dell'incendio di Julesburg e della battaglia del Ponte sul Piatte. Cavallo Pazzo rise delle lamentele dei capi: perché in cambio non avevano chiesto le cose che i Bianchi avevano portato via agli Indiani all'Acqua Azzurra e a Sand Creek? Quello che i Bianchi dovevano agli Oglala era ancora molto poco: egli avrebbe cercato di fare in modo che fosse sempre così. Durante l'estate, quando il dolce suono della pace era ancora su tutta la terra, molti figli di mercanti e di soldati vennero al nord a cacciare, a fare visite e a corteggiare le fanciulle degli accampamenti ostili, così snelle e graziose. Gli Indiani diedero loro il benvenuto, perché è bene che stiano insieme i figli di una stessa Madre. Ma poco dopo Cavallo Pazzo scoprì la ragione per cui erano arrivati questi figli di Bianchi: tutti i Lakota che vivevano lungo le piste, come pure le famiglie indiane dei mercanti, dovevano andare in un nuovo posto chiamato Riserva Whetstone, alla confluenza del fiume White Earth col Missouri. Per questa ragione questi giovani erano venuti al nord. Portavano con sé i violini e le canzoni imparate dai padri, e per i giovani Indiani era un gran divertimento ascoltarli. Qualche volta, seduti attorno ai fuochi d'inverno, raccontavano storie di Bianchi e mostravano alcuni dei loro giornali, in cui gli Indiani venivano chiamati selvaggi assetati di sangue, delinquenti, segugi « infernali ». Deon nell'accampamento di Nuvola Rossa cercò di spiegare agli Indiani cosa vuol dire « inferno » (ma nel suo discorso non c'era ombra di parola lakota): l'inferno era catturare le ombre dei 279
morti e tenerle per sempre in un posto che brucia. Bruco annuì col capo, per significare che ne avevano sentito parlare: avevano visto la figura di un uomo con la barba, un manto blu e un cerchio giallo attorno alla testa. A quanto si era capito, il Grande Spirito mandava nelle fiamme le ombre dei Bianchi che non toccavano il legno a forma di croce che egli portava. « È una cosa difficile da capire...: un Grande Spirito che fa una cosa cattiva... ». Ma sui giornali c'era anche dell'altro: una figura rappresentava degli Indiani nudi e dipinti che, impugnando scalpi sanguinanti e mazze da guerra, danzavano intorno a tre bambine legate alla porta di una casa in fiamme. Quelli che sedevano nel circolo se la passarono. Quando la figura giunse nelle mani di Bruco, egli la sollevò alla luce della fiamma per vederla meglio. « Sembrerebbe che siano stati gli Indiani a invadere il paese dell'uomo bianco e a uccidere le sue donne e i suoi bambini, e non i Bianchi a uccidere i nostri », disse infine, passandola al figlio. Ma Cavallo Pazzo non era in vena di prendere filosoficamente una cosa del genere. «Menzogne! Ancora menzogne di Bianchi! », urlò strappando il foglio, pallido dalla rabbia come le donne malate che viaggiavano per la Via Sacra. Seppe in seguito che il giornale era appartenuto al figlio di un capo di soldati che un tempo era a Laramie, uno che si chiamava Garnett. Allora mandò un banditore a invitare il giovane Billy alla sua tenda, e gli diede un buon cavallo pezzato, un animale che avrebbe fatto gola a una ragazza. Poi gli domandò che cosa succedeva lungo le piste. Da diversi anni le cose per i mercanti andavano male, e gli Indiani ne erano al corrente. La strada ferrata era una forte concorrenza nel trasporto delle merci, e gli scambi con gli Indiani si potevano fare solo di notte, di nascosto. Talvolta i figli dei mercanti si univano agli Uomini Grigi, e insieme andavano a compiere rapine o altre nefandezze, con scontri a fuoco e uccisioni. Cavallo Pazzo indicò che già lo sapeva: viveva dagli Hunkpapa un figlio di mercante di quella specie, un certo 280
Afferratore. Si diceva che avesse un conto da saldare con i Bianchi del Missouri perché aveva ucciso qualcuno: per questo era scappato dagli Indiani. Ora viveva nella tenda di Toro Seduto e sparava ai corrieri postali che facevano servizio tra un forte e l'altro del Missouri superiore. Cavallo Pazzo l'aveva visto, appena una luna prima: un pezzo d'uomo, di pelle piuttosto scura, col naso schiacciato come un negro. Fatti del genere accadevano anche nella regione del Piatte: non c'era altro modo per vivere, disse Billy con voce pacata. Qualcuno aveva trovato un po' di lavoro, l'estate precedente: andava dagli Indiani per convincerli a trasferirsi sul Missouri, e in cambio riceveva denaro e premi di vario genere. Perfino Bordeaux e Nick Janis, amici degli Indiani da moltissimo tempo, avevano portato là i figli ed erano felici di averlo fatto. Ma non tutti gli Indiani si erano fatti imbrogliare così facilmente: Coda Chiazzata e altri capi meridionali non si erano piegati finché la loro agenzia alla biforcazione del Piatte non era stata chiusa, ed essi erano stati travolti nelle praterie dalle bufere dopo essersi divisi in piccole bande a nord dell'Acqua che Corre. Alla fine un guerriero aveva conficcato la lancia nel terreno indurito, esclamando che ne aveva abbastanza, e Coda Chiazzata gli aveva dato ragione: non c'era selvaggina in quella terra desolata, e le donne e i bambini avevano molto freddo e molta fame. Dopo che Billy se ne fu andato, Bruco confidò a Cavallo Pazzo di essere preoccupato per la nonna dei suoi figli, la madre di Coda Chiazzata. Le voleva molto bene: un tempo andava perfino a farle visita nella sua tenda, il che era considerato poco rispettoso nei riguardi della suocera. Ora aveva tanto desiderio di sapere come stesse la donna, in quella terra cattiva. «Dobbiamo essere impazziti: lasciare che i Bianchi ci mandino di qua e di là come il loro bestiame puzzolente! », disse il figlio ricordando il giorno in cui, sul torrente dell'Acqua Azzurra, Coda Chiazzata aveva disarcionato tredici soldati, con una delle loro sciabole. Ma ormai era passato 281
tanto tempo, e dopo di allora il Brulé era stato nella casa di ferro dei Bianchi. Di lì a poco arrivarono negli accampamenti dei giovani venuti da Whetstone, e raccontarono le brutte cose che succedevano là: la selvaggina era scomparsa, non si erano mai visti i viveri del Grande Padre; in compenso vi erano molti mercanti di whisky sulla sponda orientale del Missouri, che ogni notte venivano in barca su quella occidentale e i giovani si rovinavano. I Bianchi dicevano che gli Indiani non sarebbero mai andati via di là. Gli Indiani del Powder ascoltavano in silenzio, preoccupati. I commissari del trattato di pace avevano detto che quelli del nord potevano restare al nord, andare a caccia, fare scambi e vivere come avevano sempre fatto, se fossero riusciti a impedire ai giovani irruenti e sconsiderati di assalire e rapinare i Bianchi fuori del territorio indiano. Ora gli agenti e i soldati cercavano di radunarli tutti in quell'isoletta di terra secca circondata dai Bianchi. Ma a non mostrarsi sorpresi dalle notizie dal Missouri non furono soltanto uomini giovani come Cavallo Pazzo. « Uno non va ad attingere acqua in montagna; così non va dall'uomo bianco se vuole sentir dire la verità », sbottò Bruco, ora anche lui sull'orlo della collera. « Ma che ne sarà di tutta quella gente che muore di fame? », continuavano a domandare gli ospiti. « Da molto tempo sappiamo che è meglio morire in battaglia... », avrebbe voluto dire Cavallo Pazzo, ma non disse nulla, perché a che serve dire a una madre che lamenta la morte del figlio che il figlio avrebbe potuto essere salvato? Si avvolse invece nella coperta e uscì, per pensare come avrebbe potuto procurare armi e polvere da sparo: forse conveniva fare un viaggio al nord insieme agli Hunkpapa, e vedere cosa si poteva ottenere dagli Siota, gli Indiani del Fiume Rosso del Nord: 1 erano una massa di ladri, ma polveri ne avevano sempre. 1 Sono gli Hidatsa o Gros Ventres, distinti dagli Atsina o Gros Ventres del Saskatchewan meridionale, cosi chiamati perché vivevano sulle sponde del fiume Big Belly (Grosso Ventre). Gli Hidatsa sono un popolo di ceppo sioux linguisticamente affine ai Crow (N.d.T ).
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Vi furono visite anche da parte della gente di Nuvola Rossa. I suoi guerrieri lo tenevano d'occhio: ricordavano bene quanto fosse stato energico ai consigli circa la pista del Powder: si era rifiutato di firmare finché l'ultimo soldato non se n'era andato di là. Eppure, adesso arrivava anche qualcuno della sua gente. Si erano accampati alle propaggini orientali dei Black Hills, e Nuvola Rossa guardava sempre all'agenzia del Missouri come un mulo dell'esercito aspetta la biada. E anche dopo che la lunga notte dell'inverno era passata, e la caccia era sempre molto misera, ancora si ostinava a non voler tornare all'ovest, sebbene i perlustratoti fossero tornati all'accampamento di volata per avvertire che il fiato delle mandrie dei bisonti era come un nebbione sulle montagne al mattino. Anche Uomo della Paura era andato via dai territori di caccia, per scendere a Lance Creek, vicino alla Via Sacra. Ora chiedeva al suo amico, al capo dei soldati Dye, la carità di permettergli di fare un po' di scambi per sfamare la sua gente. Quando gli era stato domandato che fine avessero fatto alcuni muli rubati, aveva dovuto rispondere che se li erano mangiati tutti, perché avevano fame; e che sebbene le tende fossero piene di pelli conciate con tanta fatica, le donne e i bambini morivano di fame. Il capo dei soldati aveva detto che se fossero andati al Missouri, là avrebbero avuto le razioni. Ma Uomo della Paura aveva risposto, storcendo la bocca: « Alcuni di quelli che mi muoiono di fame vengono proprio di là, perché là non avevano niente da mangiare ». Finalmente il capo dei soldati gli aveva dato il permesso di fare qualche scambio con il giovane John Richard, il quale per questo si era tirato addosso l'invidia degli altri mercanti. Ciò nondimeno i viveri non erano stati sufficienti, perciò quella stagione venne chiamata Inverno di Fame: l'inverno in cui avevano dato a Richard non si sa esattamente se un mulo o due cavalli in cambio di un sacco di farina che era parso chissà che cosa. Man mano che l'erba cresceva e i cavalli riacquistavano forze anche a Whetstone, i guerrieri arrivavano agli accampamenti del Powder. Continuarono a venire anche dopo 283
aver saputo che i Cheyenne di Toro Alto erano stati braccati di qua e di là a sud del Piatte. Se doveva esserci la guerra, essi volevano trovarsi dove si combatteva, specialmente dopo quella cosa tremenda che si era vista in cielo: benché non ci fossero nuvole, il sole si era oscurato. Le donne avevano pianto affondando la testa nelle coperte, e gli uomini erano corsi a scagliare frecce contro lo spettro animale che inghiottiva il sole. Finalmente il nemico era stato scacciato e di nuovo la terra si era rischiarata. Ma nella terra degli ostili, quella era una buona estate: i laurocerasi erano curvi sotto il peso dei frutti che servivano per il wasna, i piccoli di bisonte erano una quantità, mentre gli heyoka divertivano il popolo e infondevano il potere degli Esseri del Tuono. Ma c'era uno che vedeva il domani tenebroso come quando il sole era scomparso, assistendo alla partenza per l'agenzia del Missouri dei Brulés di Orso che Conquista e dei Minneconjou di Un Corno. Quelli che restavano con Cavallo Pazzo, quasi tutti giovani e forti, ora erano di meno: gli accampamenti erano più piccoli, il grande cerchio del popolo si era rotto e i pezzi erano stati dispersi. Poco dopo si venne a sapere che un altro figlio di mercante era andato a vivere in mezzo agli Indiani. Era il giovane John Richard, quello che essi chiamavano Alce Magro. Era con Nuvola Rossa, parente di sua madre, e sembrava che anche lui si fosse rifugiato là perché aveva ucciso un uomo, e non il primo; ma questa volta si trattava di un soldato, ucciso proprio dentro Forte Fetterman, e l'ufficiale di questa guarnigione non l'aveva presa bene. Si diceva che fosse a causa di una delle donne che si pagano, una donna da cattiva malattia. Perciò era andato al nord, prima che qualcuno lo arrestasse. Adesso i Bianchi lungo la Via Sacra dicevano che egli minacciava di spazzarli via, mettendosi alla testa dei guerrieri. I Lakota, perfino Cavallo Pazzo, ne risero. Quante stupidaggini era capace di credere l'uomo bianco! Solo uno che avesse dato prova di valore in molti combattimenti poteva convincere i guerrieri a seguirlo. Alce Magro non era un guerriero ma un figlio di mercante. 284
Tuttavia, a qualcosa poteva servire, pensarono Bruco e Faccia Lunga: era stato nelle scuole dell'uomo bianco, e per di più era vissuto insieme ai Crow per diversi anni. Forse portava il tabacco dell'amicizia ai loro accampamenti... Ma si vide presto che il tabacco di Alce Magro non era per i Crow, ma per Nuvola Rossa. Allora Cavallo Pazzo si recò all'accampamento dei Facce Cattive in visita al suo amico Orso Giallo. Questi aveva maritato le due sorelle al giovane Richard appena era venuto al nord: ne era già pentito, perché sembrava che a quel figlio di mercante piacesse troppo il whisky. Inoltre pensava anche lui alla maniera dell'uomo bianco: che un marito ha il diritto di picchiare la sua donna e buttarla a terra come fosse un guerriero nemico. Ma Orso Giallo aveva ben altre cose da dire a un uomo che sapesse tenere la bocca chiusa, come lo Hunkpatila indossatore di casacca: Richard riceveva dei messaggeri che gli portavano lettere segrete dalla Via Sacra. I Bianchi volevano che Uomo della Paura, Orso Coraggioso e alcuni altri andassero a far visita al Grande Padre; senonché essi avevano dei problemi con lo Hunkpatila, così speravano di mettere gli Indiani uno contro l'altro, promettendo ad Alce Magro che se gli fosse riuscito di convincere Nuvola Rossa ad andare a Washington, l'uccisione del soldato sarebbe stata dimenticata. A questo fine Richard offriva un mucchio di cose, non trascurando di accennare alla possibilità che i Bianchi facessero Nuvola Rossa grande capo di tutti gli Oglala. Oh! Grande capo degli Oglala! Ma se non era nemmeno capo dei Facce Cattive! Era solo un capo guerriero! Ma i Bianchi di queste cose non capivano nulla. Una notte Cavallo Pazzo, tornando da una visita all'accampamento di Senz'Acqua, trovò il padre ancora seduto davanti al fuoco: stringeva la sua bella pipa di pietra e nell'aria si sentiva la fragranza del salice rosso misto a un po' di tabacco. Offrì al figlio il sacchetto del tabacco e mise altra legna sul fuoco. Appena si fece una bella fiamma e potè vedere in 285
faccia il figlio seduto di fronte a lui, disse che aveva avuto visite: due uomini si erano trattenuti lì amichevolmente, avevano discorso del più e del meno e avevano portato notizie del sud e dei soldati della Via Sacra. Si era anche parlato della situazione al nord e, al momento di andarsene, avevano lasciato la lunga treccia di tabacco, che avevano in parte tagliuzzato sulla taglierina di Bruco e fumato insieme a lui. Sapevano che l'avrebbe accettata, perché non si rifiuta un dono già in parte consumato insieme. « Ah! », fece Cavallo Pazzo aspirando dalla pipa carica mentre l'accendeva. Per un po' anche il padre fumò in silenzio, ma si sentiva che non fumava di gusto. Poi riprese a parlare. I due ospiti erano Facce Cattive: Orso in Piedi, fratello di Veste da Donna, dell'accampamento di Nuvola Rossa, e l'altro era un parente di Gemello Nero. Il figlio rimaneva silenzioso. Il fumo che gli usciva dalla pipa restava sospeso intorno al suo volto magro, forte e impassibile come la roccia più alta dei Black Hills. Ma Bruco sapeva che egli capiva la ragione per cui i due erano venuti. « Non permetteranno che tu ti prenda Donna di Bisonte Nero », disse. « È nipote di Nuvola Rossa, moglie del fratello di Gemello Nero, e dicono che non la lasceranno andare ». « Oh! Non la lasceranno andare! », sbottò Cavallo Pazzo, e la collera eruppe dal suo silenzio come una piena travolge una diga costruita dai castori. « Come i Bianchi: vengono a dire quello che gli altri non possono fare. Non sanno che la donna lakota abbandona la tenda quando vuole? Lo sapevano certamente quando il Faccia Cattiva rapì la giovane parente di Toro Orso e la collera del capo offrì a Nuvola Rossa l'occasione di sparargli! E quella non era una donna fatta, una moglie libera di scegliere, ma una fanciulla... ». « È vero, ma una donna fatta che lascia il segno del potere perfino sull'orma dei suoi mocassini non può scegliere la sua strada con leggerezza. Sono venuti ad avvertirmi che 286
una cosa simile non avverrà senza spargimento di sangue». « Spargimento di sangue... tra Oglala? Sono impazziti! Chi è pronto a dividere un popolo perché una donna abbandona la tenda del marito, è pazzo! ». « Non è per la donna, ma per il potere che si porta dietro », disse Bruco pacatamente. « La lotta avverrebbe per questa ragione, come tutte le lotte fra appartenenti a uno stesso popolo. E sono sempre i più deboli a patirne le conseguenze ». I deboli! Pensando a loro, il figlio guardò diritto davanti a sé, nel fuoco che si spegneva. Le donne: come sua madre, che giaceva sotto le coltri del sonno, e si imponeva il silenzio a proposito di questa cosa che sapeva pesare tanto su colui che chiamava figlio. Le donne e i bambini, i vecchi, gli storpi e i ciechi avrebbero sofferto. All'alba, allorché le pelli della tenda lasciarono filtrare un po' di chiarore, Cavallo Pazzo era ancora seduto, avvolto nella coperta, davanti al fuoco spento. Per tutta la notte aveva ripercorso col cuore gli anni della sua vita. Dall'infanzia sapeva che il suo popolo era come una roccia spaccata in due, che non si sarebbe mai più saldata. Ciascuna delle due parti scaricava sull'altra ogni biasimo e responsabilità, e sempre volgeva all'altra il lato in cui era avvenuta la spaccatura. Ma la sua famiglia, con uomini come Faccia Lunga e Bruco, aveva poco o niente a che fare con tutto questo. Erano Hunkpatila e tali erano rimasti. Non avevano mai avuto molta stima per i capi mercanti (Coda di Toro, Toro Orso o Fumo) ma poiché erano persone amichevoli, avevano sempre mantenuto relazioni amichevoli con tutto il popolo. Credevano giusto che chiunque avesse ucciso uno della propria gente pagasse a caro prezzo; ma, anche in questo caso, doveva essere il popolo a decidere. Dapprima Cavallo Pazzo era stato del parere che la sua famiglia fosse meno dilaniata dalle discordie perché imparentata con membri di altre tribù, oltre che con gli Oglala: aveva sangue minneconjou, perfino un po' di sangue cheyenne, e sua madre era una Brulée. Ma la stessa cosa poteva dirsi delle famiglie di coloro che avevano seminato la di287
scordia. Nuvola Rossa, per esempio, non era affatto un Oglala: suo padre infatti era un Brulé, e la madre era sorella di Fumo, uno dei vecchi Indiani Saones. Forse era questa la ragione per cui la famiglia di Nuvola Rossa si dava tanto da fare per acquistare potere tra gli Oglala. E ora quel clan aveva mandato Orso in Piedi, fratello di Veste da Donna, a dire a Bruco cosa dovesse fare suo figlio, ché altrimenti avrebbero spaccato gli Oglala un'altra volta. Un'altra volta..., mentre quelli del nord erano già divisi dai regali dell'uomo bianco, e mentre perfino Nuvola Rossa aveva firmato il trattato di pace e, quasi non bastasse, voleva che il Grande Padre lo facesse diventare ancora più potente. I suoi guerrieri però a poco a poco lo abbandonavano. Alcuni andavano da Gemello Nero e da Senz'Acqua, altri venivano addirittura da Strada Grande e da Faccia Lunga degli Hunkpatila: molti vivevano in misere capannine di rami di salice, pur di non sentir più parlare di pazzie come quelle isolette chiamate riserve. E i Facce Cattive osavano minacciare di dividere ancora di più un popolo già tanto disperso! Cavallo Pazzo non poteva permetterlo. Anche se non fosse stato un indossatore di casacca e non avesse giurato di proteggere il popolo, non avrebbe permesso che qualcuno mettesse in atto un proposito simile. Lo disse al padre, ma in questi termini: che i Facce Cattive non avevano una ragione valida per ricorrere alle armi. Bruco fu d'accordo, tuttavia erano molti a non vedere di buon occhio la relazione del figlio con quella donna. I parenti di Gemello Nero non volevano perdere il prestigio che veniva loro da una donna della famiglia di Nuvola Rossa; e nemmeno i Facce Cattive, anche se sarebbero stati molto più forti potendo contare sullo Hunkpatila indossatore di casacca. Per una qualche ragione sconosciuta, poi, lo stesso Nuvola Rossa si opponeva ostinatamente. Tutte queste cose Cavallo Pazzo le sapeva, e sapeva che esse apparivano molto importanti agli occhi di quelli che ambivano al potere e a possedere grandi mandrie: al potere per esercitarlo nei consigli, e ai cavalli per comprare i seguaci, che altrimenti non avrebbero avuto, in notturni 288
incontri segreti. E tuttavia egli voleva il bene del suo popolo e voleva la donna che aspettava da tanto tempo. Sembrava che ciò che voleva lui e ciò che volevano gli altri non potessero mai coincidere. Si diceva che Alce Magro stesse lavorandosi Nuvola Rossa, raccontandogli che i Bianchi riconoscevano la sua importanza e lo consideravano capo degli Oglala del nord. Ma c'era un'altra cosa che egli si guardava bene dal dire, e che pure entrambi sapevano, e cioè che nei consigli Nuvola Rossa non contava più di un qualsiasi altro guerriero, anzi, a dir la verità, ancora meno di altri, perché molti Oglala del nord vedevano in lui soltanto l'uccisore di un capo. « Vi sono Bianchi che sanno che tu sei un uomo importantissimo..., il più grande Lakota vivente... », diceva Alce Magro in un orecchio a Nuvola Rossa. « Il Grande Padre vuole che tutti lo sappiano. Attende che tu vada a Washington. Forse cerca un capo supremo di tutti gli Oglala. Sarebbe bene andare da lui ». Un Faccia Cattiva capo di tutti gli Oglala! Era una prospettiva che mentre a Nuvola Rossa doveva scaldare il cuore, dava da dire alle lingue di coloro che non dimenticavano che era stato lui a sparare il colpo mortale su Toro Orso già a terra, ferito alla gamba dal fucile di un altro Faccia Cattiva. Tuttavia, in un giorno caldo della Luna in cui i Cavalli Perdono il Pelo, Nuvola Rossa e Uomo della Paura caricarono le loro insegne per andare, insieme ad Alce Magro, prima alla Via Sacra e di là nella lontana città che era il centro del paese dell'uomo bianco e in cui viveva il Grande Padre. In quasi ogni famiglia vi fu qualcuno che caricò le sue cose su una treggia e si accodò ai due. Gli altri rimasero a guardare. Qua e là qualche donna, stretta nella coperta, mandò un fioco lamento, perché sembrava che quella partenza verso il sud fosse un po' come un morire. In seguito si venne a sapere l'accoglienza che i Bianchi di Forte Fetterman avevano riservato ai capi e al figlio di mercante che li aveva accompagnati proprio nel luogo in cui egli aveva ucciso il soldato. Il cielo era nero e tirava 289
aria di tempesta il giorno in cui Uomo della Paura, Nuvola Rossa, Orso Coraggioso e quattrocento tra uomini, donne e bambini avevano raggiunto il fiume Piatte. Fermate le tregge e i cavalli da tiro sul secondo argine, avevano mandato ad avvertire Laramie che John Richard e quelli che dovevano andare dal Grande Padre erano pronti. Allora il capo dei soldati di Laramie era andato loro incontro, mandando a prendere i capi con un traghetto. Era una zattera, e dovette fare molti viaggi sobbalzando e urtando contro la corda sulle acque gonfie e grigiastre del fiume. Alce Magro era rimasto fino all'ultimo sulla sponda settentrionale. Quando anche lui era salito sul traghetto, era cominciato a piovigginare e si sentiva un brontolio di tuoni. Le donne innalzarono un grande lamento per il giovane coraggioso che tornava dai soldati, ora schierati in una fitta riga lungo la sponda. Il figlio del mercante sembrava molto piccolo e scuro, così in piedi sul traghetto. Era voltato dalla parte della gente di sua madre. Prossimo all'altra sponda, si girò verso quelli che fremevano dalla voglia di vendicare il compagno ucciso. Appena la zattera toccò terra, i soldati si fecero avanti, e il lamento sulla sponda opposta tacque improvvisamente. Ma l'ufficiale ordinò ai suoi uomini di tornare ai loro posti e, affiancato da Alce Magro e dai capi, si diresse al forte. Gli Indiani intonarono i canti del coraggio appena li videro oltrepassare la soglia e scomparire alla vista. All'interno del forte, Uomo della Paura si sedette tranquillamente nella sua coperta e disse che dai Bianchi voleva soltanto ciò che essi avevano promesso nel trattato che la firma aveva reso valido finché l'erba fosse continuata a crescere. Sembrava che Nuvola Rossa avesse fatto un bel discorso. Aveva cercato di esprimersi in termini abbastanza facili perché i Bianchi capissero. Pronunciò anche il nome che Veste Nera una volta aveva detto agli Indiani, il nome breve di uno cui il Bianco pareva attribuire tutti i poteri sacri per i quali non esistono parole. Questo Grande Spirito, o come lo chiamavano i Bianchi, aveva messo l'Indiano sulle praterie prima di ogni altro uomo, gli aveva dato le nuvole perché le guardasse e la selvaggina perché se ne cibasse. 290
Aveva fatto soffiare i quattro venti..., anche il vento dell'est, quello che aveva portato i Bianchi, invasori delle terre indiane. I capi volevano andare a Washington per parlare di questo col Grande Padre, disse Nuvola Rossa. Gli avevano inviato molti messaggi, in passato, ma non dovevano essergli giunti, o dovevano essere arrivati a orecchie cattive. Ora sarebbero andati a conoscerlo personalmente; volevano portare con loro il giovane Alce Magro e aprire una porta nella casa del Grande Padre per metterlo dove non avrebbe corso pericoli. Cavallo Pazzo era partito per non vedere Uomo della Paura (l'Uomo Coraggioso della tribù) abbandonare la sua gente per andare dal Grande Padre come un cane corre dietro all'odore di carne più fresca. Niente di buono si poteva ricavare da quel viaggio, perché nulla di quello che volevano gli Indiani si poteva avere a Washington. Ciò che volevano era lì: lì dovevano restare e tenerselo stretto. Eppure il Coraggioso era partito con gli altri, portando tutto il popolo fra le sue mani, come avesse dovuto portare delle pelli a un ricchissimo mercante, uno che vendeva le migliori merci. Soltanto poche settimane prima, Cavallo Pazzo aveva rinunciato a qualcosa che occupava un grande posto nel suo cuore temendo che potesse provocare una nuova scissione fra la sua gente: adesso sembrava che non ci fosse più nessuno da poter scindere. Forse aveva rinunciato troppo presto. Con tali considerazioni che gli cavalcavano a fianco, Cavallo Pazzo era andato contro i Crow. Aveva desiderato che Gobba prendesse parte alla spedizione, ma Gobba era tornato dai suoi parenti minneconjou, infuriato per gli eventi che aveva visto succedere dall'inverno in poi. Egli era contro i trattati di pace e contro Nuvola Rossa che aveva due facce, una per guardare i Bianchi e una per guardare gli Indiani. Dopo aver visto l'opera compiuta dal giovane Richard, era partito dicendo a Cavallo Pazzo che andava dove la gente era ancora lakota. « Avrei in cuore di chiederti di venire con me, ma non 291
conosco parole abbastanza efficaci da riuscire a staccarti dalla donna », aveva detto. « Tu non hai mai pensato che nostra sorella fosse una buona cosa... », aveva risposto l'Oglala lentamente, accennando a un vecchio dispiacere di cui partecipavano entrambi. La spedizione oglala tornò dopo poco tempo con buoni cavalli crow e con la prospettiva di prenderne molti altri. Giunsero notizie dal sud. Bruco disse che Uomo della Paura non era andato dal Grande Padre. All'ultimo momento si era rifiutato, perciò nessun Hunkpatila era andato a Washington ma solo Nuvola Rossa, Orso Coraggioso, Spada, Cane Rosso, Orso Giallo, Toro Seduto l'Oglala, e i loro uomini: venti Indiani, tra cui quattro donne. Si diceva che quasi altrettanti fossero partiti da Whetstone al seguito di Coda Chiazzata, e che il capo brulé vedendo Nuvola Rossa gli avesse detto stizzito: « Gli Oglala hanno forse perduto tutti i loro capi? ». Ma dov'era adesso Uomo della Paura?, domandò Cavallo Pazzo. A quanto si sapeva, era accampato insieme ad altri presso i Rawhide Buttes (i Colli del Cuoio Crudo), e attendeva di sapere le conclusioni dei colloqui con il Grande Padre a proposito di una agenzia e di altre cose. Uomo Coraggioso restava seduto, in attesa di ciò che altri avrebbero fatto! Ce n'era abbastanza perché anche un perdigiorno si sentisse spinto a scendere sul sentiero di guerra. Cavallo Pazzo guidò un'altra spedizione contro i Crow. Questa volta Cane e molti altri gli chiesero di capeggiarne una grande, di portare con sé le tende e qualche donna come cuoca: insomma, una spedizione di guerra e di caccia insieme, come ai vecchi tempi. Cavallo Pazzo accondiscese e, prima della partenza, il popolo conferì a lui e al suo amico Cane un grande onore che da molti anni non era più stato dato a nessuno: non solo ricevettero l'investitura di portatori delle lance dei guerrieri del Corvo (che era già molto) ma venne loro affidata la custodia delle due lance degli Oglala: le due lance che erano presso il popolo da tempo imme292
morabile, certo dal tempo in cui vivevano ancora a oriente del Missouri, pensavano Bruco e il vecchio Toro dal Cuore Cattivo. Nessuno si ricordava come si erano avute: si sapeva soltanto che erano state date al popolo come segno che la sua forza e il suo potere si sarebbero rinnovati come erba in primavera, ogni volta che guerrieri coraggiosi avessero portato le lance in battaglia sul terreno del nemico. Alla partenza, Cavallo Pazzo e Cane le tennero alte. La gente li seguì per un tratto innalzando, per infondere animo, i grandi canti degli Oglala, quelli che un uomo sente soltanto una volta o due in tutta la vita. La schiera si avviò col cuore traboccante di coraggio. Trovarono un grosso accampamento nemico tra i fiumi Big Horn e Little Big Horn, su una terra che i Crow volevano compresa nella loro riserva. Le donne lakota si sedettero su un colle a dileggiare i nemici, mentre i guerrieri li attaccavano. Presero scalpi, buoni cavalli da guerra nonché alcuni di quei magnifici cavalli che le donne crow solevano cavalcare nelle loro cerimonie. Vedendoli, le Lakota innalzarono canti di esultanza per svergognare i Crow. Cavallo Pazzo e Cane portarono le lance per tutto il combattimento: sempre i primi e i più vicini al nemico, sempre gli ultimi a retrocedere dopo gli assalti, dando così prova che il popolo aveva scelto bene. Erano già sulla via del ritorno allorché i Crow raccolsero i guerrieri dispersi, inseguirono i Lakota e vi fu un altro combattimento, stavolta in corsa. I Crow ripresero alcuni cavalli ma persero altri tredici scalpi. Anche i Lakota ne persero qualcuno ed erano disposti a smettere, ma i Crow tornarono così veloci dal loro piccolo capo di soldati, dal loro agente, che Cavallo Pazzo e Cane decisero di inseguirli per un tratto. I guerrieri li seguirono, seguirono le loro lance come vessilli, mentre palpitavano al vento gli scalpi e le penne ad essi legate. Raggiunsero i Crow sotto l'agenzia, sotto il fuoco dei fucili dei soldati. Dopo quest'ultimo combattimento, i Lakota rimasero accampati nei pressi per vari giorni. Andarono a caccia, compirono razzie e addirittura mandarono in mezzo ai Crow delle spie, che tornarono a riferire di averli sentiti raccon293
tare all'agente che i guerrieri lakota che li avevano attaccati erano un migliaio, e che avevano farina e munizioni dell'uomo bianco (e dicendo questo i guerrieri crow avevano fatto segni di rabbia, come se le merci dei Bianchi fossero state solo per i Crow!). Faceva buon sangue ridere di queste cose. Dopo essere rimasti per molti giorni in territorio nemico senza che le lance venissero sfidate, i guerrieri tornarono a casa. Sfilarono per l'accampamento e tennero una lunga danza di vittoria. Molti di quelli che li accolsero venivano da altri accampamenti, e tutta la sera Cavallo Pazzo fu circondato da guerrieri. «Vadano pure dal Grande Padre i capi della pace. I veri Lakota sono sempre questi », disse il giovane Volpe Nera. « tìoye! ». Questa vittoria ottenuta dopo che il cuore gli era caduto a terra fece bene a Cavallo Pazzo, che ricordò un altro giorno di dieci anni prima quando, diciassettenne, aveva ricevuto il nome onorato di suo padre e una fanciulla dei Facce Cattive, fiera di lui, lo aveva guardato dritto negli occhi. La banda di Senz'Acqua si era portata su un torrentello presso la zona in cui si trovava la banda di Faccia Lunga. I capi erano scesi tutti alla Via Sacra per avere notizie del viaggio degli altri capi e per, salutarne il ritorno. Erano in attesa assieme agli altri presso i Rawhide Buttes: più di mille tende. Volevano vendere le pelli, aveva detto Donna di Bisonte Nero. Le era parsa una cosa strana che, con tanti già assenti, altri fossero voluti partire; era anche una cosa azzardata e pericolosa, perché adesso i Crow probabilmente fremevano dalla voglia di vendicarsi. Aveva perciò suggerito di avvicinarsi alla banda di Faccia Lunga, perché la sua fosse più protetta. Hau! Per questa saggia iniziativa Cavallo Pazzo avrebbe convinto le donne del suo accampamento a organizzare una delle loro feste. Alcuni giorni dopo, un'amica di sua madre, che viveva con la gente di Senz'Acqua, fece un grande pranzo. Era stata moglie di un Bianco e sapeva fare il pane molto bene. 294
Preparò anche delle ciambelle fritte, caffè e una grande pentola di mele secche cotte con lo zucchero per le mogli dei capi rimaste senza mariti. Dopo mangiato, le donne si appassionarono a una gara con i noccioli di prugne, in cui si vincevano perline, anelli e un bel cavallo da donna portato via ai Crow, un cavallo chiaro, pezzato. Molti si recarono a vedere cosa succedeva in quella tenda illuminata che nella sera risuonava di gaie risate. Alcuni dicevano che era stato Cavallo Pazzo a portare tutte le buone cose che erano servite alla festa. Ma nessuno pareva essersi accorto che, approfittando delle tenebre, uno era partito a cavallo in direzione dei Facce Cattive accampati ai Rawhide Buttes: Orso in Piedi, il fratello di Veste da Donna, era improvvisamente scomparso. Il giorno dopo, qualcun altro ancora mancava dal cerchio campale: Donna di Bisonte Nero aveva affidato i tre figli a dei parenti ed era partita. Si camminò molto in punta di mocassini da una tenda all'altra per comunicarsi le notizie. Quasi tutte le donne erano entusiaste e persino felici al pensiero di quello che era successo; qualcuna però temeva le possibili reazioni di Senz'Acqua e del clan di Nuvola Rossa, e una o due dicevano che Donna di Bisonte Nero la prima volta aveva scelto colui che riteneva l'uomo più grande di tutti, ma vedendosi ingannata, aveva fatto una seconda scelta... E lo dicevano con asprezza, con la bocca acida come avessero mangiato dell'uva spina verde, e con la lingua aguzza come le spine. Tutti sapevano che Donna di Bisonte Nero era andata con Cavallo Pazzo. Ma egli non l'aveva rapita di notte, come un Serpente venuto a rubare i cavalli. Era andato via con lei, e con altri della sua banda, apertamente, intendendo penetrare nella regione dello Yellowstone per una piccola spedizione di guerra contro i Crow. La mattina i due erano partiti a cavallo sotto la luce di uno splendido sole, e avevano cavalcato in mezzo al gruppo. Cavallo Pazzo indossava come al solito una casacca di pelle di daino bianca e calzoni blu scuro, aveva sulla nuca l'unica penna della sua visione, le lunghe trecce avvolte in strisce di pelliccia di castoro quasi del colore dei suoi capelli. Quel giorno il 295
suo volto magro e privo di pitture era meno serio del solito, e sebbene altri fossero presenti, volgeva spesso gli occhi alla donna che aveva accanto. Malgrado le tre gravidanze, lei era ancora snella e cavalcava col busto eretto. Indossava un abito di pelle di daino, disadorno, come era opportuno quando una donna partiva insieme a dei guerrieri; ma era stato l'uomo che aveva accanto a dividerle i capelli e a farle le trecce, e su una guancia aveva il cerchio dipinto di carminio della donna che è molto amata. Non c'era più ombra della timidezza che Ricciuto aveva visto il giorno in cui le aveva tirato i noccioli, mentre lei raccoglieva prugne assieme alle altre donne sull'Acqua che Corre, o quando la teneva sotto la coperta fuori della tenda di sua madre, e lei si ritraeva dalla sua mano. Ora ella andava con lui come una Lakota adulta va assieme all'uomo che ha scelto: apertamente, senza rimorsi, come era suo diritto. Certo, non avrebbe più potuto partecipare alla danza delle Di Uno Solo, delle donne che avevano avuto solo un marito. Ma molte Lakota onorate erano escluse da quella danza. Né quello che era accaduto fra loro era paragonabile a due sguardi che d'un tratto s'incontrano, ché il loro era stato un guardarsi di lontano per lunghi anni. Adesso lei era una donna, calda e buona come la terra di maggio. La seconda notte del viaggio, il piccolo gruppo arrivò ad alcune piccole bande accampate sulle sponde alberate di un torrente. Furono invitati a una doppia tenda di amici e sedettero a mangiare davanti al fuoco assieme a Piccolo Scudo, fratello di Cane, a Piccolo Grande Uomo e a numerosi altri. Improvvisamente si udì un grido e del trambusto nell'accampamento, e senza un graffio sulla tenda o altro minimo segnale, il telo che chiudeva l'ingresso fu strappato via e Senz'Acqua si erse davanti a loro, gli occhi rossi come quelli dell'orso grigio infuriato. « Amico mio, sono qui! », gridò puntando la pistola contro Cavallo Pazzo. Lo Hunkpatila si alzò di scatto, fece per prendere il coltello ma Piccolo Grande Uomo da dietro gli afferrò il braccio e lo immobilizzò mentre Senz'Acqua sparava. Il lampo dello sparo ferì gli occhi di Cavallo Pazzo, la pallottola si conficcò nella parte superiore della mascella 296
ed egli cadde in avanti finendo dall'altra parte del fuoco. Prima che qualcuno potesse mettergli una mano addosso, Senz'Acqua era sparito. Piccolo Scudo e altri sollevarono il ferito dalle braci e lo distesero sulle pelli. Sembrava morto e mandarono a chiamare il guaritore. Donna di Bisonte Nero era già fuggita, sgusciata fuori della tenda passando sotto le pelli della parte posteriore, ed era corsa da certi parenti a cercare protezione dal marito infuriato. Ma Senz'Acqua non aveva intenzione di sparare ad altri. All'estremità opposta del cerchio campale egli stava dicendo a quelli che l'avevano accompagnato che ora doveva fuggire alla svelta, perché aveva ucciso Cavallo Pazzo. A queste parole anche gli amici si ritrassero da lui, e le loro mogli cominciarono il pianto e il lamento per la morte di un uomo buono. « Cavallo Pazzo è morto! », piangevano. « Il nostro Strano Uomo, ucciso in un accampamento oglala! ». Sì, sì, ammise Senz'Acqua, ma ora doveva allontanarsi prima che gli amici dell'indossatore di casacca venissero a cercarlo. Consegnò la pistola a Orso Giallo perché la restituisse a Toro dal Cuore Cattivo da cui l'aveva presa in prestito pochi minuti prima. « È morto Cavallo Pazzo », disse Orso Giallo al pittografo della tribù. «Ucciso dalla tua pistola... per una donna ». Toro dal Cuore Cattivo sedette in silenzio con l'arma ancora calda fra le mani. Il loro grande guerriero, l'Uomo Strano, era morto, e per una pallottola sparata non da un nemico ma da un Oglala, come la sua visione aveva predetto, e con una pistola presa a prestito da lui, da uno che gli era amico. Che pazzia, dare la pistola a Senz'Acqua! Ma gli era sembrato che non avesse niente di strano. Aveva detto che voleva andare a caccia l'indomani mattina presto. Chi poteva sapere che un uomo come Senz'Acqua non tollerasse che sua moglie fosse andata via con un altro? Adesso si preparavano dei guai: Senz'Acqua non sarebbe mai più stato un uomo importante per i Lakota, Cavallo Pazzo era morto, e gli Oglala del nord erano divisi e sepa297
rati da chissà quanto sangue sul suolo dell'accampamento. Quello era un giorno tremendo per il popolo. Ora il ronzio sordo della collera in fondo all'accampamento era diventato un fragore da grandinata: le donne innalzavano lamenti e canti del coraggio per spronare gli uomini alla vendetta. Anche gli uomini cantavano di guerra e di morte mentre si preparavano ad acciuffare Senz'Acqua. Ma ormai era troppo tardi: preso il primo cavallo che aveva potuto trovare, aveva lasciato il veloce mulo che l'aveva portato là. Non potendo raggiungere il suo padrone, gli amici di Cavallo Pazzo scannarono il mulo. Lo presero a coltellate, lo finirono a colpi di accetta e infine uno gli tagliò la gola facendone uscire fiotti di sangue caldo. Ma tutto questo non fece sì che il volto di Cavallo Pazzo riprendesse colore: era ancora pallido come sego di bisonte. Il guaritore scuoteva la sua ciotola, agitava i sonagli su di lui e cantava il suo canto sacro, ma gli occhi del ferito restavano chiusi. Anche l'accampamento di Senz'Acqua era in subbuglio. Schegge ora veniva accusato di aver fatto una medicina d'amore per far fuggire Donna di Bisonte Nero con Cavallo Pazzo..., qualcosa che era stata messa nella ciotola in cui mangiava la donna, si diceva. Quando i guerrieri si riunirono decisi a uccidere Schegge, Gemello Nero se lo fece condurre alla tenda. Lo sciamano disse di non avere niente a che fare con i guai della donna né con medicine d'amore. Quel giorno egli aveva fatto per lo Hunkpatila la medicina per proteggere i suoi cavalli da guerra, e molto tempo prima gli aveva preparato un piccolo sacchetto di medicina per tener lontane le pallottole dell'uomo bianco. « Cosa hai messo nel sacchetto? », domandò Gemello Nero. Schegge rispose che vi aveva messo soltanto una pietruzza nera che aveva visto in sogno, non più grossa di una perlina colorata, e una delle penne centrali della coda dell'aquila chiazzata che Cavallo Pazzo doveva mettersi quando andava in battaglia. Dall'osso di un'ala della stessa aquila 298
Schegge aveva tratto un flauto per segnali, da portare legato a un laccio. Gemello Nero borbottò qualcosa. Aveva visto Cavallo Pazzo con queste cose allorché egli era stato portatore di lancia nella battaglia che già veniva chiamata « Essi Misero in Fuga i Crow e Li Inseguirono Fino all'Accampamento ». Perciò si dovette lasciare libero Schegge, ma non avrebbe mai più potuto vivere in quel cerchio campale. Gli amici di Cavallo Pazzo non sapevano dove si fosse nascosto Senz'Acqua, ma si diceva che la sua gente avesse fatto una capanna sudatoria per purificarlo dell'omicidio e poi lo avesse portato da Gemello Nero. Suo fratello lo aveva accolto dicendo: « Vieni a stare da me, e se vogliono che combattiamo, combatteremo ». Ora, in tutto il territorio oglala, si diceva che non c'era da meravigliarsi dell'uccisione, perché i Facce Cattive erano sempre stati gelosi di Cavallo Pazzo e della sua autorità sui guerrieri: gelosi del suo ardimento, e anche del suo silenzio, mentre essi divulgavano e gonfiavano le loro imprese di guerra, come le donne soffiano dentro le vesciche di bisonte. Alcuni ricordavano che Nuvola Rossa era stato nero di collera il giorno in cui aveva visto elevare al rango di indossatore di casacca Cavallo Pazzo, che era molto più giovane di lui. E molti dicevano che Nuvola Rossa era andato dai Bianchi proprio perché solo per loro poteva essere un grande Oglala. Gli amici di Cavallo Pazzo erano furiosi: i guerrieri volevano la guerra, volevano che Senz'Acqua venisse loro consegnato per punirlo, mentre qualcuno si sarebbe accontentato di bandire la sua gente. Per un po' di tempo parve che molto sangue sarebbe corso sulla terra lakota. Ma nel frattempo Cavallo Pazzo aveva ripreso a vivere e diceva, a segni (perché la pallottola gli era finita sotto l'angolo del naso e gli aveva tolto la parola) che non dovevano succedere disordini e che nemmeno Donna di Bisonte Nero doveva essere punita. Come Lakota, ella non aveva commesso alcun male. Non doveva essere incolpata della follia di un altro. Allora i guerrieri formarono come un muro di guardia 299
intorno alla tenda del ferito. Nel primo giorno, parve che le cose si mettessero molto male per lui: aveva la faccia gonfia come una vescica di wasna, gli occhi bruciavano del fuoco della malattia. Molte volte cercò di mettersi a sedere. Delirava. Ringhiava di gola come un orso intrappolato: «Lasciami andare! Lasciami il braccio! ». La prima volta che udirono queste parole, quelli che aveva intorno si guardarono l'un l'altro. Ignoravano la sua medicina: Cavallo Pazzo poteva essere ucciso soltanto se uno della sua gente gli immobilizzava il braccio. Visto che stava così male, gli amici non vollero portarlo all'accampamento di Faccia Lunga. Era lontano, dicevano; ma il motivo vero era che se i suoi guerrieri l'avessero visto in quello stato, o se fosse morto là, si sarebbero fatti il cuore cattivo. Allora lo portarono alle poche tende di un altro suo zio, Corvo Chiazzato, separate da tutte le altre. E quando Bruco e Faccia Lunga arrivarono sul luogo del ferimento, nessuno volle dire che cosa e come era successo: dissero solo che Cavallo Pazzo viveva. Era un bene che Piccolo Falco e i suoi amici fossero dalle parti della terra dei Serpenti: chi cercava di pacificare gli animi aveva un compito già abbastanza difficile senza di lui, focoso nella collera e pronto a eccitare i guerrieri. Ma si sapeva che un messaggero era andato a cercarlo: quindi bisognava fare le cose in fretta, prima che il fratello di Cavallo Pazzo tornasse, con quel suo cavallo lanciato e pronto a travolgere tutti come sul sentiero di guerra. Alla fine del primo giorno si potevano distinguere tre fazioni: quelli che non vedevano l'ora di vendicare il ferimento, i seguaci di Senz'Acqua, e quelli che volevano la pace, cioè i tre zii del ferito, Testa di Toro, Ceneri e Corvo Chiazzato. Questi tre, con Bruco e Faccia Lunga, si preoccupavano soprattutto del popolo. Erano molto in collera per quello che era stato fatto al loro nipote e figlio, tuttavia biasimando Senz'Acqua intendevano biasimare anche quelli che per molto tempo l'avevano spinto a compiere un gesto simile. Sebbene fosse stata ancora una volta la gente di Nuvola Rossa a creare guai, essi si adoperarono per la pace, aiutati da Toro dal Cuore Cattivo e da Cane, che tutti cono300
scevano per buoni amici di Cavallo Pazzo. Questi ultimi due dovevano agire con prudenza, essendo imparentati con le parti contendenti; inoltre si sapeva che per ferire era stata adoperata la pistola di Toro. Quando Cavallo Pazzo ebbe superato il terzo giorno, quello critico, gli accampamenti parvero quietarsi un poco. Senz'Acqua possedeva due bei cavalli, un roano e un baio. Regalò questi e un terzo a Bruco per aiutare a guarire la ferita che gli aveva provocato. Poi il vecchio Corvo Chiazzato e altri portarono la donna da Toro dal Cuore Cattivo e la lasciarono nella sua tenda, dicendo che Cavallo Pazzo voleva che non venisse punita, qualunque cosa fosse ancora successa. Toro, noto per essere un uomo calmo e giusto, si adoperò perché Donna di Bisonte Nero tornasse in pace da Senz'Acqua. Fu così che venne accompagnata al suo accampamento immerso nel silenzio, senza una testa che spuntasse da qualche parte e le facesse sentire occhi puntati addosso o la facesse vergognare dell'accaduto. Senza scomporsi, andò a prendere i figli e riprese il lavoro consueto, ma non ebbe più carminio sulle guance, e mise via il bel vestito adorno di denti d'alce, quello con le filze aggiunte grazie al branco in cui si era imbattuto Cavallo Pazzo seguendo le tracce del bisonte bianco. Appena egli parve star meglio, la sua gente lo portò via, in modo che gli altri potessero tenere la danza del sole, ché già era passato il tempo. Ora i capi erano tornati dal loro viaggio, assieme a quelli che li avevano aspettati ai Rawhide Buttes facendo alcuni scambi. Quindi si diede inizio alle cerimonie. Tornato nella sua tenda, colei che Cavallo Pazzo chiamava madre gli cucinò le cose che lo avrebbero rimesso in forze, togliendogli quel pallore da donna bianca. Dopo qualche giorno tornò il messaggero che era andato in cerca di Piccolo Falco e disse che non lo aveva trovato. Nessuno gli credette, perché sembrava che avesse molta paura. Bruco e Faccia Lunga lo fecero venire nella tenda e si fecero dire le cose che aveva viste. Così finalmente si scoprì che i Bianchi che aveva incontrato lo avevano veramente spaventato. Non erano soldati, ma minatori che si facevano chia301
mare «Quelli dei Big Horn», perché volevano andare su quei monti a cercare l'oro. Aiutati dai trasportatori di merci, dai conducenti di convogli tirati da tori e dagli Uomini Grigi, stavano organizzando una società segreta per uccidere gli Indiani, tenerli in un perpetuo stato di nervosismo, impedire la pace e pertanto continuare a percepire la paga per il lavoro che svolgevano, e infine aprire la strada ai cercatori d'oro. Diversi vecchi Bighelloni erano stati uccisi, uno mentre portava un messaggio per i soldati. Era stato trovato a faccia in giù sul bordò di una piccola sorgente dove si era sdraiato a bere, e aveva una pallottola nella schiena. Uccidevano perfino le donne dei mocassini, quelle che riparavano le cose di cuoio dei soldati. Per questo erano state sistemate all'interno dei forti, in ambienti che avevano le pareti. « Tutti Uomini Grigi! Tutti fuorilegge! », disse Bruco con una rabbia per lui insolita. Il messaggero ne convenne. Quella zona era davvero cattiva medicina. Alla fine Bruco e Faccia Lunga lo congedarono, perché è difficile sapere le cose da un uomo che ha paura. Cavallo Pazzo e Cane, inseguendo i Crow fino alla loro agenzia nella battaglia in cui avevano portato le lance, avevano avvistato molti bisonti a nord dello Yellowstone. Così, calmatasi la situazione dopo il ferimento, finita la danza del sole, molti andarono a nord sperando di fare buona caccia e sapendo che avere le mani occupate aiuta il cuore irato a dimenticare. Appena Cavallo Pazzo potè cavalcare, la banda di Faccia Lunga seguì le altre bande partite a far carne, lasciando lungo il tragitto dei segni con teste di bisonti, per indicare a Piccolo Falco e al suo gruppo dove avrebbero potuto raggiungerli. Trovarono la loro gente sulla sponda nord dello Yellowstone, dirimpetto alla foce del Big Horn, in una zona su cui i Crow avanzavano delle pretese. Ma le bande lakota erano molte e accampate vicine: avevano più di mille bravi guerrieri pronti a difenderle, e nessuno aveva da 302
temere. La carne era grassa, e Cavallo Pazzo si era rimesso abbastanza da poter cavalcare e sparare qualche colpo. Poi, una notte, il gruppo di Piccolo Falco giunse all'accampamento, quasi di nascosto, senza far rumore. Due si recarono immediatamente alla tenda di Bruco: avevano le coperte a brandelli, i volti sporchi di tèrra. Una grande sfortuna: Piccolo Falco giaceva sulla nuda terra a sud, ucciso da certi Bianchi cacciatori di Indiani, colpito mentre tornava dalla terra dei Serpenti. Si erano trovati improvvisamente sotto una pioggia di pallottole e, siccome erano in pochi, avevano spronato i cavalli e si erano dati alla fuga, accorgendosi poco dopo che Piccolo Falco non era più con loro. La notte, uno che era tornato indietro l'aveva trovato cadavere sul posto dove era andato da solo all'assalto dei Bianchi. All'udire queste parole, le due donne della tenda incominciarono il lamento, ma piano, e soffocandolo sotto le coperte, perché sapevano che a Cavallo Pazzo non piaceva quest'usanza della sua gente. Il padre si alzò e uscì in silenzio nella notte. Ma Cavallo Pazzo rimase seduto immobile. Piccolo Falco, il suo gaio, coraggioso fratello minore, era dunque morto, vittima delle pallottole dei Bianchi. E lui, lui era rimasto a casa perché aveva una donna per la testa. Ciò era accaduto perché un uomo aveva pensato a se stesso invece che al bene della sua gente, e ora la sciagura si abbatteva su tutta la famiglia, su tutti quelli che volevano bene al giovane Lakota, sempre sorridente. Via via che Cavallo Pazzo si rendeva conto dell'accaduto, un'amarezza grigia come polvere gli si insediava nel cuore, un'amarezza che non si sarebbe attenuata per molto, molto tempo. Il giorno dopo vide Senz'Acqua. Verso sera, mentre rientrava col carico di carne, Cavallo Pazzo aveva notato più avanti il veloce cavallo color pelle di daino di Cima di Mocassino, dorato come la luce del sole sui colori autunnali. Ma poi, accortosi che Cima era ancora intento a spellare, gli aveva detto, sorpreso: «Ero sicuro di averti visto a cavallo... ». Senza alzare gli occhi dal lavoro, Cima di Mocassino aveva risposto che quello a cavallo non era lui ma Senz'Acqua. 303
« Senz'Acqua! », esclamò lo Hunkpatila, dando sfogo a tutto il tormento delle ultime settimane e alla furia per l'uccisione del fratello: « L'avessi saputo! Gli avrei mandato una pallottola in corpo, in restituzione di quella che lui ha sparato a me! ». Scaricò la carne di bisonte, balzò sul cavallo senza sella e corse dietro a Senz'Acqua fino allo Yellowstone. L'avrebbe raggiunto, ma l'altro spinse il cavallo sudato nel fiume e lo fece nuotare fino all'altra sponda. Cavallo Pazzo invece si fermò e, fucile in mano, rimase a guardare il fuggitivo. Il giorno dopo, la tenda di Senz'Acqua e numerose altre lasciarono l'accampamento. Si disse che sarebbero andati a vivere nel sud e che non sarebbero mai più tornati. Molti trassero un sospiro di sollievo. Ora il guaio poteva dirsi passato. Ma dopo pochi giorni i Grosse Pance indissero una riunione dei capi per esaminare ciò che era stato causato da uno degli indossatori di casacca. Ripeterono la formula del giuramento che tutti avevano a loro tempo pronunciato, e Cavallo Pazzo fu giudicato colpevole di averlo infranto con atti che avevano messo in pericolo la pace del popolo, e con l'avere inseguito, armato di fucile, un uomo che era già stato implicitamente perdonato quando si erano accettati i suoi cavalli. Nel cerchio degli anziani nessuno parlò a difesa dello Hunkpatila, perché nessuno era suo padre e invece erano tutti favorevoli alla pace dell'uomo bianco, e imparentati con Gemello Nero o con Nuvola Rossa o con entrambi. Ciò che si disse fu udito solo dai Grosse Pance, ma tutto l'accampamento sapeva quello che stava succedendo, e in ogni tenda la gente sollevava i teli dell'ingresso per vedere che cosa sarebbe accaduto quando i capi si fossero recati da Cavallo Pazzo. Finalmente quattro uomini uscirono dalla tenda del consiglio, come il giorno in cui lo Hunkpatila era stato scelto, ma stavolta erano a piedi e stringevano i fucili, e altri dieci li seguivano, anch'essi armati: Orso in Piedi, fratello di Veste da Donna, i due fratelli di Senz'Acqua, e Facce Cattive tutti gli altri, tranne Giovane Uomo della Paura, il quale riuscì a imporsi e ad aggregarsi. « Non sono solo i Bianchi a dire che sparano sui prigio304
nieri solo quando tentano di fuggire », disse; gli altri non fiatarono e gli permisero di unirsi a loro. Nella tenda di Bruco trovarono Cavallo Pazzo. Gli riferirono la decisione dei Grosse Pance ed egli fece segno a sua madre di dargli la casacca fatta con la pelle dell'ariete di montagna. Ella portò la scatola e la porse al figlio piangendo. Ma Cavallo Pazzo non provava né rammarico né collera per la punizione che gli veniva inflitta, perché era niente a paragone del nero gravame di biasimo che egli si era già depositato in cuore da solo. Dritto, esile, si recò alla tenda del consiglio, libero e solo, come un uomo in lutto in cima a un colle. E Giovane Uomo della Paura si rese conto che la sua presenza non era stata necessaria, perché nessuno avrebbe osato toccare l'amico, tranne di nascosto o di notte. Così Cavallo Pazzo restituì la casacca ai Grosse Pance e, prima ancora che venisse congedato, qualcuno già parlava di farla indossare a Nuvola Rossa. Il Faccia Cattiva aveva fatto grandi cose a Washington, si disse, e aveva lenito la grave discordia con la gente Orso facendo capo Piccola Ferita (come se questi non fosse stato riconosciuto capo molto tempo prima, e dalla propria gente, non dalle chiacchiere del Faccia Cattiva o di altri! ). Nuvola Rossa adesso era un capo importante, il Grande Padre lo vedeva tale, e i capi dovevano rendersi conto che era tempo di onorarlo. Finalmente Uomo della Paura si alzò di scatto. « Ho visto già troppe cose cattive questa sera! », esclamò, e con queste parole si chiuse il consiglio dei Grosse Pance per non tenersi mai più.
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Parte terza
L'UOMO DEL POPOLO
1. IL MATRIMONIO, E LA MORTE DI UN AMICO
Ora più che mai gli Oglala parlavano di Cavallo Pazzo come del loro Strano Uomo. La ferita di Senz'Acqua stava guarendo, ma la cicatrice all'angolo del naso scurita dalla polvere da sparo lo faceva apparire di pelle ancora più chiara. Sembrava che i capelli gli si fossero allungati durante la convalescenza: ora le trecce castane, fasciate con strisce di pelliccia, gli arrivavano fin sotto la cintura. La gente aveva l'impressione che girasse per l'accampamento un po' più spesso per vedere se tutti avevano carne da mettere in pentola, se c'era un cavallo per ogni treggia. Si vestiva con la semplicità di sempre e si muoveva con passo più silenzioso e leggero del vento d'estate. Le donne lo seguivano ancora con lo sguardo sospendendo il lavoro, ma invece di acclamarlo e incoraggiarlo come giovane guerriero lo guardavano con occhi che esprimevano affetto e quasi commozione. C'era poi un altro cambiamento: ora, quando Cavallo Pazzo rientrava la sera da caccia, non si dirigeva più alla tenda di sua madre ma a un'altra tenda, nuova. Anche quella sera, con la luna al primo quarto, entrò chinandosi nella penombra della sua tenda dove una donna lavorava, sola. Appena entrato, ella gli prese l'arco e la faretra e li appese accanto al posto a lui riservato, dalla parte opposta dell'ingresso; poi continuò a fare il pane in silenzio. Cavallo Pazzo si sedette, accese la pipa corta che deve fumare l'uomo decaduto di rango, e pieno di gratitudine e ammirazione si mise a fissare la donna. Era stata davvero coraggiosa a prendersi uno come lui. Egli sapeva che non l'aveva fatto soltanto perché Cane, Corvo Chiazzato e altri erano andati dalla famiglia di lei e gliel'avevano chiesto; e nemmeno perché fosse riuscito a convincerla suo fratello Penna Rossa, cui era molto affezionata. Non era più una 309
bambina. Ormai si avvicinava ai ventotto inverni di Cavallo Pazzo, e da donna matura sapeva trovare il modo di declinare le offerte, i desideri e le proposte degli uomini che non si sentiva di accettare. Cane e gli altri erano andati da lei. Le avevano detto che senz'altro sapeva quanto doveva sentirsi solo Cavallo Pazzo. Le avevano ricordato che non solo egli aveva rinunciato alla donna lungamente sospirata per evitare una guerra intestina, ma era stato anche privato della casacca, e non da quelli che vivevano con lui e come lui secondo le antiche usanze lakota, ma da quelli che erano passati ai Bianchi e si erano messi contro la propria gente. Lei era della banda di Strada Grande, ed era al corrente di quelle gelosie che essi avevano solo ricordato, senza far nomi. Secondo lei, la situazione non si poteva rimediare con una donna nella tenda, ma solo dando sfogo alla rabbia e combattendo da valoroso. Poi c'era la perdita del fratello amato, e anche questa era una ferita che poteva essere sanata solo con la vendetta. Secondo lei, l'uomo che le veniva proposto non aveva bisogno di una donna ma di un buon fucile e di abbondanti munizioni. Quanto a combattere, egli sapeva combattere, avevano replicato. Ma che vita è quella di un uomo che combatte soltanto? Lo sapeva. Ma cosa le provava che quello strano uomo volesse veramente quanto le stavano proponendo? Intendevano forse portarla da lui come si lega un cavallo fuori della tenda di un uomo che crea dei problemi, un cavallo che egli deve accettare se non vuole essere considerato un malvagio che vuole litigare a tutti i costi? Cavallo Pazzo era stato messo al corrente della conversazione e aveva perso la pazienza. Allora si era rivolto alla madre. Aveva già approfittato abbastanza della bontà dei suoi amici e ora non voleva disturbarli più. Voleva che fosse sua madre ad andare da Scialle Nero e le dicesse che egli desiderava moltissimo sposarla, ma doveva sapere che uomo era, in quel momento e sempre: uno di poche parole, e che non cantava e non danzava mai, come invece facevano gli altri Lakota. 310
« Devi dirle che, se decide di vivere con me, deve aspettarsi poca allegria... ». « Scialle Nero lo sa. Anche lei è taciturna », aveva osservato la madre. Ma c'era ancora qualcosa che egli non aveva mai confessato prima: « Dille che se sceglie me, sceglie un uomo che è come morto, perché io non ho desiderio di vivere... ». Aveva parlato come il guerriero il cui cuore può trovare pace solo cercando la morte, un giorno, in battaglia. Nascondendo le lacrime con la vecchia coperta da lutto - il lutto che portava per la morte dell'altro figlio - la moglie di Bruco aveva portato il messaggio a Scialle Nero. Di lì a poco era tornata con un bel paio di mocassini adorni di perline che disegnavano la folgore della visione di Cavallo Pazzo, e li aveva posati davanti al figlio. Scialle Nero aveva accettato. Ora Cavallo Pazzo si appoggiava al poggiaschiena e si guardava intorno con lo strano sentimento che anima l'uomo quando, superati gli anni della foga giovanile e vissuta parte dell'età adulta nella tenda dei genitori, guarda la propria tenda con sentimenti a lui sconosciuti prima, e buoni, perché la donna che vi si muove calma e disinvolta è la sua. L'Oglala assaporò a lungo quella sensazione. Poi sentì il profumo del pane che friggeva nella padella di ferro. « Domani vado al Piatte », disse finalmente. Scialle Nero assentì col capo continuando a pestare il caffè per preparare la cuccuma. Scuoteva il sacchettino di pelle di daino contenente i chicchi, poi riprendeva a tritare col pestello di pietra del wasna. « Sorella mia, vuoi venire con me? », le chiese il marito, e la donna alzò gli occhi scuri, luccicanti dalla commozione di sentirsi chiedere questa buona cosa. Così l'indomani mattina si misero in viaggio tutti e due. Cavallo Pazzo aveva i capelli sciolti, come sempre quando andava in battaglia; la pietruzza mezzo nascosta dietro l'orecchio; il fucile davanti, di traverso sulla schiena del cavallo; un arco e la faretra a tracolla, perché la freccia ha il vantaggio di avere un canto di morte silenzioso. Scialle Nero 311
lo seguiva sul suo pezzato: indossava un abito di pelle di daino fittamente ornato di perline. Aveva borse da sella con lunghe frange, decorate con i motivi caratteristici della sua famiglia. Certo, non era Donna di Bisonte Nero. Ma era meglio essere la seconda di un uomo come quello, piuttosto che la prima di un altro. Quando cavalcava le si leggeva sul vólto dipinto di carminio tutta la fierezza di essere la moglie di Cavallo Pazzo. Conducevano con loro un mulo e uno dei bei cavalli da guerra di Piccolo Falco, con una coperta rossa nuova e un grande sacco di cuoio crudo in cui mettere le ossa del guerriero e portarle in un luogo sicuro. Si avviarono dunque insieme verso il termine occidentale della Via Sacra. Tutto l'accampamento assistette alla partenza: i guerrieri in disparte, silenziosi; le donne per lo più piangendo il morto, ma molte altre cantando i canti del coraggio e gridando il nome di Cavallo Pazzo che, da solo, andava a vendicare il fratello. Il fatto che gli avessero tolto la casacca ora veniva considerato un segno della follia umana: Grosse Pance seduti in circolo, che credono di privare un uomo del suo onore con delle parole pronunciate in una tenda piena di fumo. Un uomo può perdere l'onore, ma non glielo si può portare via. Perciò cantavano: Ey-hii! Ecco, Un guerriero ci lascia. È un valoroso, e molti Ora seduti nelle tende Sono gelosi di lui! Ey-hii! Passata la luna piena e poi l'ultimo quarto, i due tornarono, impolverati ed esausti. Non dissero niente, eccetto che avevano trovato le ossa di Piccolo Falco e, avvolte nella coperta rossa, le avevano deposte su di un palco funebre eretto in un luogo al sicuro dal nemico. Dopo poco tempo gli Indiani ebbero dai Bianchi notizie su sporadiche spedizioni di guerra, sempre nella regione dell'alto Piatte; molti tra quegli stessi che in primavera con un grande convoglio 312
di carri e un cannone erano andati a cercare l'oro sui Monti Bianchi del territorio indiano erano stati trovati uccisi. Già i soldati li avevano scacciati ma i cercatori erano tornati indietro di nascosto, a piccoli gruppi. Adesso si trovava un morto qua, un altro là: nessuno era in grado di dire quanti fossero in tutto. Non erano né scalpati né mutilati, ma tutti, anche quelli uccisi da un colpo di fucile, erano come contrassegnati da una freccia lakota che li aveva trafitti e inchiodati a terra. Nell'accampamento di Cavallo Pazzo non si tennero danze di vittoria né si contarono colpi rituali. Ma colui che si rafforzava e infondeva forza continuava ad aggirarsi per il cerchio campale col silenzio di sempre, senza strappi nella coperta né tagli sulle braccia né altri segni di lutto. Si tenne invece una danza nel corso della quale venne divisa l'intera mandria di Piccolo Falco, comprendente muli e alcuni splendidi esemplari di cavalli americani, e gli animali furono donati a chi ne aveva bisogno. Tutti sanno infatti che si devono ereditare solo le cose che la divisione non diminuisce, come un nome onorato e il rispetto che ha il popolo per una grande famiglia. Dopo la danza si tenne la cerimonia del nome e Faccia Lunga riprese il nome che aveva ceduto al coraggioso nipote ucciso dai fucili dei Bianchi. Da quel giorno si chiamò di nuovo Piccolo Falco. E questo vecchio nome era così adatto allo zio che l'altro suo nome si perse come un sasso che uno si getta dietro le spalle. Anche senza danze di vittoria, i guerrieri sapevano che cosa veniva fatto contro i Bianchi, e ancora una volta guardarono Cavallo Pazzo con occhi ammirati e amichevoli, certi che il proiettile in viso, la privazione della casacca e l'aver preso moglie non avevano affatto indebolito la sua fortissima medicina. «Hop! Andiamo! », si dissero l'un l'altro, e si recarono nella nuova tenda per parlare di guerra. Adesso era tornato .anche Gobba. Dopo che Nuvola Rossa si fu riposato dal viaggio a Washington, andò per tutti gli accampamenti della regione settentrionale, sedette nelle tende consigliari, parlò delle gran313
di cose che aveva viste nella terra dei Bianchi e dei bei regali che aveva portato per tutti quelli che fossero andati a Laramie. Quando si decise a parlare del contenuto del trattato firmato dagli Indiani, la gente si mise ad ascoltarlo sul serio. Gli Indiani potevano continuare a spostarsi da un punto all'altro del territorio in cui già vivevano, disse il Faccia Cattiva, ma ai Bianchi ciò non piaceva, e non avrebbero ricevuto merci o mercanti fin quando non fossero andati a vivere in una riserva. « Che cos'è una riserva? », domandò Bruco. Era un pezzo di terra che andava dal Missouri fino alle propaggini settentrionali dei Black Hills; a sud, non arrivava nemmeno all'Acqua che Corre, e tutto ii tratto compreso fra i Black Hills e i Monti Bianchi (cioè il territorio in cui ora si trovavano le bande del nord) restava tagliato fuori. « Chi le dice queste cose? », domandarono gli Hunkpatila più giovani presenti, senza quasi lasciar finire di parlare il Faccia Cattiva. « Lo dice la carta che i vostri capi hanno firmato, e che sarà valida fin quando l'erba crescerà... ». A queste parole i guerrieri insorsero come una bufera. « A Laramie non ci hanno parlato di nessuna di queste cose! », esclamarono quelli che avevano firmato, compreso Uomo della Paura, che si limitò a convenirne. In mezzo a quel trambusto, Nuvola Rossa non si scompose. Fumava e lasciava uscire il fumo dal naso sottile. Ammise che nemmeno lui aveva mai saputo niente di queste cose nel trattato di pace finché non gliele avevano dette a Washington. «E che cosa ha detto allora il nostro capo "bianco"? », gridò Piccolo Grande Uomo dal suo posto, nelle ultime file. « Si è opposto? No! Sappiamo che ha detto che si poteva fare un'agenzia da qualche parte, per esempio alle sorgenti del nostro fiume Buono (il fiume Cheyenne), permettendo ai Bianchi di arrivare proprio nel cuore della nostra terra! ». « Questo l'ho detto perché tu avessi più regali, imbecille! », rispose Nuvola Rossa con quella sua voce da arringatore. « H o detto ai Bianchi che circa l'agenzia non potevo 314
dire nulla prima di consultarmi con il mio popolo. Ecco perché adesso sono in arrivo tanti bei regali...: perché voi stiate bene e siate ben disposti! ». Era un bel trucco, nulla da dire, pensarono alcuni che erano cresciuti all'ombra dei capi mercanti. Ma non pensavano così i più giovani: «Non staremo più a sentire altre menzogne dei Bianchi! », gridarono. «Nuvola Rossa è diventato un Indiano con la lingua di un Bianco! ». Ora erano i guerrieri ostili a gridare « Hau, Hau! », e uno di essi, Volpe Nera, nonostante fosse ancora troppo giovane e con troppo poca autorità per parlare in consiglio, si fece largo e prima che qualcuno potesse fermarlo si piantò davanti a Nuvola Rossa. « Crede forse, il capo-omicida facciacattiva, che non sappiamo che è andato a dire ai Bianchi che è lui il capo supremo della nazione lakota? Adesso, torni dai Bianchi e riferisca questo! », e con uno scatto il giovane guerriero si strappò il perizoma davanti a Nuvola Rossa. Poi sparì nella notte lasciandosi dietro solo il silenzio seguito a quel grande insulto. Cavallo Pazzo non partecipava a queste adunanze, sebbene qualcuno dei presenti chiedesse sempre che il banditore lo andasse a chiamare; e poiché egli non veniva, qualcun altro parlava a sostegno delle cose che notoriamente l'Oglala voleva, per il bene della sua gente. Ma il maggiore ostacolo era sempre la promessa dei grandi regali che Nuvola Rossa sembrava stringere in mano, promessa che aveva la forza di neutralizzare il parere di coloro che preferivano la vita libera del cacciatore e la terra sgombra da estranei. Le adunanze continuavano ancora quando Alce Magro, il giovane Richard, ritornò al nord per invitare a Laramie gli Oglala, ché due uomini di pace avrebbero distribuito dei bei regali. « Non permetteremo che i capi vadano a farsi abbindolare dalle zollette dolci e dalle lusinghe dei Bianchi! », dissero alcuni dell'akicita. « Cosa vogliono ancora portarci via questa volta? », domandarono altri. Ma molti si domandavano: avrebbero anche regalato del315
le armi? I bisonti stavano diventando scarsi e difficili; c'era bisogno di fucili nuovi per sfamare la gente, respingere i Serpenti e i Crow che sconfinavano nei loro territori di caccia, e anche per quell'altra guerra di cui non si era esplicitamente parlato nel corso delle adunanze. Quando fu il momento di andare a Laramie per incontrare i due commissari, Uomo della Paura lasciò la zona del Powder e si precipitò al vecchio forte portandosi dietro i Minneconjou e i Cheyenne. Era venuto subito, disse ai commissari, perché era felice di vedere i suoi amici visipallidi. Già. E dov'erano le armi? Anche i Bianchi erano felici di vedere il loro amico, e nei carri c'erano tante belle cose per lui. « Devono esserci anche fucili e munizioni, altrimenti i miei guerrieri non saranno soddisfatti e diranno che il vecchio si è fatto prendere per il naso un'altra volta », insistè il capo. Quando Nuvola Rossa fu sicuro che non c'era una nuova carta da firmare, scese anch'egli a Laramie, in un brutto giorno ventoso in cui sventolavano le gualdrappe ricamate delle selle delle donne, ondeggiavano i fagotti e le coperte, le criniere e le code dei cavalli erano imbrogliate e polverose. Una cosa bella a vedersi, dicevano i vecchi; era come ai vecchi tempi, quando era appena incominciata la Via Sacra, la strada lungo la quale sarebbero arrivati i Bianchi. A nord, nella regione del fiume Tongue, Cavallo Pazzo meditava, fumando, le notizie che gli giungevano da Laramie. A quanto si poteva capire, dovevano esserci stati dei dissidi circa un'agenzia, o almeno circa un posto di mercato vicino al forte. « Ai Rawhide Buttes, come Nuvola Rossa si è detto d'accordo a Washington... », ripetevano i commissari, dimostrando che gli Indiani a suo tempo avevano sentito bene. Ma ora il Faccia Cattiva si tirava indietro. Una volta c'era stato un posto di scambi in quella zona: un fulmine l'aveva distrutto, e ciò voleva dire che non era un buon posto. Inoltre i guerrieri avrebbero ucciso il capo che avesse accettato un'agenzia lontana dal forte sul Laramie. Volevano anche i loro vecchi mercanti, Janis, i Richard e altri 316
che conoscevano da lungo tempo; li volevano nelle vecchie case, poco meno di cinque chilometri a ovest di Laramie, sulla sponda meridionale del Piatte. « Allora non è un uomo di parola Nuvola Rossa? », domandarono i Bianchi. Alla fine Uomo della Paura chiuse l'adunanza: « Qui si fa troppo parlare », gridò. « Dateci i regali e lasciate perdere l'altra questione! ». I commissari furono pronti a replicare: «Va bene. Va bene. Parlatene tra di voi durante l'inverno e tornate qua in primavera ». I guerrieri continuarono a ripetere che non avrebbero cambiato opinione ma le loro voci furono coperte dal rumore dei carri pieni di regali che erano entrati nel grande accampamento di cinquemila Indiani. I Bianchi scelsero Nuvola Rossa perché li distribuisse. Nuvola Rossa perciò fece fare quattro grossi mucchi di merci: uno per sé e gli altri tre per Cavallo Americano, Cane Rosso e Uomo della Paura. Dunque anche il vecchio Hunkpatila, colui che Orso che Conquista in punto di morte aveva designato capo di tutti i Lakota, dovette accettare roba dalla mano di un Faccia Cattiva. Al momento della distribuzione sorsero dei disordini, con un gran cavalcare in su e in giù di gente dipinta per la guerra. Un condottiero infuriato sparò a un paio di cavalli ma, con le pance piene, tutto fu presto dimenticato. « Indipendentemente da quanto avviene qui, dobbiamo ricordarci che siamo Lakota», disse al figlio Uomo della Paura, e poiché godevano ancora di molto prestigio anche fuori del cerchio hunkpatila, i Bianchi poterono scrivere al Grande Padre che i capi nutrivano solo dei buoni sentimenti. Tutte queste cose vennero discusse nelle tende dei guerrieri e nei consigli, e molti si domandarono come avesse fatto Nuvola Rossa a diventare così importante laggiù. Era un grande guerriero, ma non si affida a un uomo la cura del popolo solo perché è forte in battaglia. Dopo poco tempo cominciarono ad arrivare negli accampamenti del nord i cavalli carichi dei regali nuovi che 317
fecero ridere gli ostili a crepapelle: coperte che non coprivano, tanto erano corte, pentole di latta che si ammaccavano alla prima caduta o che arrugginivano (mentre agli Indiani servivano pentole di ferro, belle forti, come quelle che avevano portato via ai soldati), e coltelli da macello che tagliavano quanto un osso. Alcuni Indiani erano tornati con cappelli da Bianco cui avevano tolto la calotta, ché altrimenti si sarebbe schiacciata la penna tra i capelli. Qualcuno aveva messo il cappello in testa al cavallo dopo avervi praticato due tagli per farvi passare le orecchie. Per il carattere di Gobba la situazione era tornata insopportabile. Andò da Cavallo Pazzo e gli disse che voleva capeggiare un piccolo gruppo di guerrieri per muovere contro i Serpenti, se l'amico se la sentiva, fisicamente, e se riteneva di potervi partecipare dopo così poco tempo dalle cose gravi che erano accadute. Visto che il vecchio guerriero non vedeva l'ora di combattere, Cavallo Pazzo acconsentì. Dal fiume Wind in avanti il gruppo cavalcò sotto una lunga e lenta pioggia autunnale, senza tuoni che parlassero a Cavallo Pazzo: soltanto un'acquetta noiosa che poi si tramutò in nevischio sulla terra fangosa, bagnò le corde degli archi e rese inutilizzabile la polvere da sparo. Le vedette riferirono di aver visto un grande accampamento di Serpenti situato in una zona argillosa: si affondava nel terreno che la pioggia aveva ammollito e reso scivoloso come se fosse cosparso di grasso d'orso. Ma Gobba, impaziente, volle proseguire. I guerrieri furono divisi in due schiere: Gobba ne guidava una, Cavallo Pazzo l'altra. Così anche Cavallo Pazzo fece segno ai suoi di proseguire, anche se non era del parere e in cuor suo pensava fosse meglio tornare indietro prima di perdere degli uomini inutilmente. Decise di mandare un messaggio all'amico: secondo lui, i cavalli non potevano sostenere un combattimento in quella melma: affondavano fino a tutto lo stinco, scivolavano e cadevano. Gobba lo raggiunse infuriato: « Già una volta hai disdetto un combattimento in questa regione, e quando siamo tornati all'accampamento ci hanno riso in faccia. Abbiamo una reputazione da difen318
dere. Se non te ne importa più, puoi tornare a casa, ma io resto qui e combatto ». « Hoye!, amico mio », replicò Cavallo Pazzo. « Combatteremo insieme, ma se vuoi sapere il mio parere, penso che ce le daranno. Io ho un buon fucile e ne hai uno anche tu, ma guarda i nostri uomini...: hanno soltanto degli archi bagnati. Siamo uno contro dodici, e i nemici hanno fucili a tiro lungo ». Si batterono strenuamente, ma dopo poco tempo i Serpenti misero in fuga gli Oglala protetti nella ritirata da Donnola Buona, Gobba e Cavallo Pazzo, tre che possedevano fucili. Prima uno poi l'altro, questi tre cercarono di fermare gli inseguitori, ma era un'impresa rischiosissima, con i cavalli che scivolavano e cadevano proprio sulla direttiva dei Serpenti che incalzavano da presso. A un certo punto il cavallo di Gobba cominciò a zoppicare, inciampare e cadere. «Bell'affare, adesso! », gridò. « Mi hanno ferito il cavallo a una zampa ». Era stato un bell'affare fin dal principio, pensava Cavallo Pazzo. Ma i Serpenti giungevano a tutta velocità, così gli si lanciò contro, sparando contro quelli in testa, nel tentativo di trattenerli il più a lungo possibile; ma appena ebbe un attimo per guardarsi intorno, vide Gobba circondato, alle prese con nemici da ogni lato. Cavallo Pazzo lanciò il grido di sfida e partì all'assalto, ma ormai era troppo tardi: il vecchio guerriero era stato ferito al petto e gli usciva sangue dalla bocca. Riuscì a passare la pistola all'amico e, abbattutosi al suolo dal cavallo mal ridotto, morì subissato dai nemici. Cavallo Pazzo si lanciò avanti numerose altre volte per tentare di prendere il cadavere, magari dal cavallo in corsa, ma il terreno era talmente appesantito e i Serpenti così decisi a non dargli tregua, che alla fine Donnola Buona gli afferrò la corda da guerra e lo costrinse a ritirarsi, rimproverandolo come una vecchia. Non bastava per quel giorno aver perduto un guerriero come Gobba? Inoltre avevano quasi finito le cartucce e se si fossero trattenuti là ancora un po', qualcuno dei loro guerrieri sarebbe venuto in soccorso e ci avrebbe rimesso la pelle. Allora Cavallo Pazzo raggiunse 319
i suoi guerrieri e li costrinse a viaggiare quasi tutta la sera finché il viaggio divenne silenzioso, sotto la neve. Quando si fermarono per dormire, Cavallo Pazzo restò seduto tutto raggomitolato davanti a poche braci, la pistola in mano, a pensare a Gobba e alla fine che aveva fatto. Il grande guerriero suo amico era stato per lui come un secondo padre, e questo sempre, fin da quando Cavallo Pazzo era bambino e si chiamava Ricciuto e, tenendosi stretto alla stringa del perizoma dell'amico, i due galoppavano sullo stesso cavallo. Ora era morto, ucciso in un momento in cui i loro cuori non erano buoni l'uno verso l'altro. Ecco un'altra cosa che non era mai accaduta, prima che un pazzo uscisse da un accampamento portando con sé la moglie di Senz'Acqua. Dopo qualche giorno Cavallo Pazzo e il suo giovane cognato, Penna Rossa, andarono a prendere il cadavere di Gobba. Trovarono soltanto il cranio e qualche osso: erano arrivati prima i coyotes. Non videro ombra di Serpenti in tutta la zona. Quando si erano resi conto di chi avevano ucciso, essi avevano trasferito l'accampamento in un posto dove i Lakota non sarebbero arrivati. I topi muschiati avevano finito di fare le tane invernali e i bisonti cominciavano ad andare al sud. Qualche volta li si vedeva in lunghe file scure, tutti dietro al primo, e sembravano lunghissime corde sui crinali o attraverso le pianure. Gli Oglala andarono a fare l'ultima caccia dell'anno, poi si recarono negli accampamenti invernali alla foce del Rosebud, vicino ai Minneconjou e ai Sans Arcs sulla sponda meridionale dello Yellowstone. All'epoca del disgelo arrivarono gli Hunkpapa per muovere verso ovest assieme agli altri Lakota, in cerca di pascoli e di selvaggina. Cavallo Pazzo e Cane vennero a sapere altre cose sul figlio di mercante che viveva con Toro Seduto e che gli Hunkpapa avevano chiamato Afferratore. Lo avevano trovato vari anni prima presso le biforcazioni del Missouri. Allora era poco più che bambino; aveva aspettato a mani in alto che i guerrieri lo andassero a prendere. Lo avevano chiamato Afferratore perché aveva tenuto le mani in alto 320
come per afferrare qualcosa. Avevano supposto che fosse mezzo Indiano anche se aveva la pelle grigiastra, le labbra carnose e il naso appiattito come se avesse ricevuto un pugno. Poiché parlava un po' di lakota e si sapeva spiegare col linguaggio a gesti, lo avevano portato da Toro Seduto. Là aveva detto che suo padre era un figlio di mercante di nome Brazeau. «Ah!», aveva detto sorpreso qualche vecchio Hunkpapa. Ci si ricordava di uno con quel nome che aveva sangue negro. Era venuto su per il fiume con una barca molti anni prima e qualche volta i Bianchi lo avevano assunto per frustare quelli che lavoravano per loro alla costruzione dei forti sul Missouri. Dunque Afferratore era suo figlio. Era stato alla scuola dei Bianchi, poi aveva ucciso un uomo ed era dovuto scappare. Da quando viveva con Toro Seduto aveva portato molti giornali, presi ai corrieri cui sparava sulle piste del Missouri, e lettere di soldati che rivelavano alcuni piani militari. Qualche volta era tornato con interi pacchi di giornali, lettere e carte varie dell'esercito. Gli Oglala guardavano Afferratore con una certa diffidenza. Anch'essi avevano dato asilo a un figlio di mercante che aveva ucciso un Bianco, e quando i Bianchi gli avevano promesso che non l'avrebbero punito, si era portato via Nuvola Rossa e i suoi guerrieri. «Ah, Nuvola Rossa! », risero gli Hunkpapa. Toro Seduto non era un Faccia Cattiva a caccia di autorità. Quelli che vennero da Laramie in primavera avevano notizie su Donna di Bisonte Nero: aveva dato alla luce una bambina dai capelli chiari come la peluria di una gallinella della prateria, quasi come la bambina di un Bianco. « Anche Ricciuto era così da piccolo », mormorarono le vecchie. « Spesso i Bianchi lo scambiavano per il figlio di una prigioniera». Chi non sapeva che Senz'Acqua aveva preso una seconda moglie poco dopo il ritorno di Donna di Bisonte Nero? Si diceva anzi che gliel'avesse messa in casa lei, per poter 321
vivere da sola in un'altra tenda, appartata dal resto dell'accampamento. In ogni modo era bello che le fosse nata la bambina, pensavano le donne: almeno le restava qualcosa di buono di quel periodo infelice. Allo Strano Uomo non restava che la cicatrice. Non si riuscì a sapere se egli fosse a conoscenza della nascita della piccola. Ma Cavallo Pazzo lo sapeva; anzi, pareva che la bambina dovesse essere data a lui, e che egli dovesse andare al sud a far valere i propri diritti. Ma poi ricordò che era necessario restare lì, tutti serrati come bisonti per difendere i deboli dai lupi. Se si fosse rotto lo sbarramento di corna, alcuni, forse tutti, si sarebbero potuti considerare perduti. Se avesse tentato di prendere la piccola con sé avrebbe rinfocolato la vecchia ruggine con Gemello Nero e con gli altri parenti di Senz'Acqua, mettendo in difficoltà anche il suo buon amico Cane e la propria famiglia. Poi, quale futuro potevano dare ai figli i padri lakota? Cavallo Pazzo e i suoi compagni guerrieri potevano morire in battaglia sulle Pianure, ma sembrava che i loro figli maschi fossero destinati a marcire in quelle isole che i Bianchi chiamavano riserve, e le femmine a diventare le donne che si pagano, senza paga, dei Bianchi. Pensava a queste cose e guardava Scialle Nero di là dal fuoco. Ora lavorava con movimenti pesanti e si faceva aiutare da una vecchia parente. Anche se Cavallo Pazzo non era più un indossatore di casacca, riceveva molti ospiti: a tutti bisognava offrire da mangiare; inoltre anche sua moglie presto gli avrebbe dato un figlio. Ne avrebbe fatto un guerriero perché prendesse il posto del povero Piccolo Falco. A questo pensiero, Cavallo Pazzo dimenticò le isole dei Bianchi per gli Indiani e decise che avrebbe insegnato al figlio, come Gobba aveva insegnato a Ricciuto, i modi lakota per scampare a una bufera, medicarsi le ferite col fango, cucinare la cena nella pelle del ventre di bisonte piena di carne e di pietre riscaldate per produrre l'ebollizione. Avrebbe portato con sé il figlio perché imparasse a conoscere la natura di tutte le cose: il cielo, l'aria, la terra; e 322
le abitudini di ciascun animale: il bisonte, l'orso, il lupo, e anche degli animali più piccoli, come la volpe, il castoro, il visone, ché anch'essi erano fratelli. Gli avrebbe insegnato a estrarre dalla tana con un bastone a forca uno di questi fratelli minori, e chissà che un giorno padre e figlio non avrebbero preso una moffetta con quel sistema, com'era capitato a Gobba e al piccolo Ricciuto molti anni prima, e le donne li avevano fatti uscire dalla tenda per acclamarli... Sì, avrebbe insegnato al figlio a combattere, a cacciare e a vivere da buon Lakota. Ora diceva spesso al banditore di andargli a chiamare il giovane Alce Nero o qualche altro ragazzo che un giorno da uomo avrebbe dato un vero aiuto al suo popolo. I ragazzi mangiavano dalle ciotole di legno che le donne avevano riempite, e intanto egli raccontava loro dei fatti e un po' li lodava, un po' li provocava, ma con sapienza e con garbo, come si fa con un cagnolino o con un puledro per farseli amici e al tempo stesso rivelare a loro stessi il fuoco che posseggono. I ragazzi sembravano tutti alquanto timidi: si comportavano come se avessero una grande soggezione di quell'uomo che pure era gentile e amichevole verso di loro e che per la gente era strano. Effettivamente, essi percepivano qualcosa di strano intorno a lui, così come è strano l'alce maschio quando cammina, così come sono misteriosi i tuoni. Ma tornavano sempre da lui per farsi raccontare altri fatti, e i loro occhi sfavillavano come il grasso di bisonte buttato sui carboni, mentre la fiamma proiettava le ombre sulla fascia della tenda dipinta con le cose sacre della visione di Cavallo Pazzo, e accendeva anche il dolce viso delle donne. L'Oglala si ricordava del fuoco della tenda di suo padre, quando lui e Piccolo Falco prendevano in giro la loro sorella, tutti e tre seduti attorno al fuoco; e questi ricordi gli tornavano vivi specialmente quando Scialle Nero, come soleva fare sua madre, metteva sulle braci della salvia e della corteccia di ciliegio, ché allora la tenda e tutto l'accampamento si riempivano di quella fragranza, e la gente sapeva che nella tenda di Cavallo Pazzo tutto andava bene. 323
In primavera Nuvola Rossa chiese che tutto il commercio con gli Indiani venisse interrotto a Forte Fetterman sul Piatte e di là fino a Laramie. Rendeya la pariglia, si disse, per gli insulti che aveva dovuto ingoiare nell'accampamento hunkpatila, soprattutto quello del perizoma strappatogli sotto gli occhi. Cercava di affamarli per costringerli a fargli da sgabello in un'agenzia. Ma altri si domandarono se invece non avesse paura di avere fra la sua gente i famosi guerrieri ostili: c'era sempre la possibilità che gli portassero via dei seguaci. Con l'estate giunsero altre notizie su di lui: aspettava l'agente, insieme a Foglia Rossa, Piccola Ferita e gli altri che, scesi da tempo dal Missouri, erano tutti accampati intorno a Laramie, e mangiavano il manzo e la farina del capo dei soldati. Quando finalmente arrivò l'agente, Nuvola Rossa vide che non era quello che gli avevano promesso e protestò. Gli facevano fare una brutta figura davanti al suo popolo, disse; perciò non accettava nessuna agenzia a nord del fiume. Per di più i mercanti lo avevano avvertito che se i Bianchi fossero penetrati anche di poco nel territorio indiano, avrebbero continuato a penetrarvi fin quando non fossero arrivati ai Black Hills. « Hau! », disse Cavallo Pazzo quando lo seppe; era perfettamente d'accordo. L'agente e i commissari di pace, però, ascoltarono Nuvola Rossa con cuore freddo; si tennero i regali in tasca e gli ricordarono che gli erano già stati anticipati regali e autorità per quella faccenda dell'agenzia, e ora parlava con lingua contraria. Alla fine Nuvola Rossa disse che non poteva decidere da solo per tutti i Facce Cattive: doveva andare al nord e consultarsi con Gemello Nero. I Bianchi drizzarono le orecchie, sorpresi: chi era questo Gemello Nero che l'uomo che affermava di essere il capo supremo della nazione lakota doveva consultare? Comunque..., poteva andare, ma gli Indiani non avrebbero ricevuto razioni fin quando non avessero accettato un'agenzia. Quando i capi ebbero fame andarono al sud, uno dietro l'altro, per parlare con il loro nuovo padre e per accettare 324
un'agenzia presso la foce del torrente Horse, quello stesso torrente su cui, meno di una generazione prima, si era tenuto il Grande Consiglio e dove in seguito Fouts e i quattro capi erano stati uccisi. Là, a nord del fiume, fu situata l'agenzia. Quando gli Indiani ostili vennero a saperlo, alcuni guerrieri di Cavallo Pazzo partirono urlando, intenzionati a contar colpi sui capi del partito della pace e perfino su Nuvola Rossa, e a risparmiare soltanto il vecchio Uomo della Paura. Quando poi gli amici dei Bianchi furono mandati tutti alla nuova agenzia e i viveri non arrivarono, i giovani si dipinsero per la guerra, sollevarono della gran polvere per il nuovo accampamento e spararono in aria ridendo dei Bianchi che fuggivano a nascondersi come topi sotto le foglie. Quando finalmente arrivarono i viveri, non permisero che il convoglio destinato a Coda Chiazzata raggiungesse la nuova agenzia, a nord dell'Acqua che Corre. «Nessun Bianco può entrare nel territorio indiano! Hop! », gridarono i guerrieri, Piccolo Grande Uomo e altri, sempre presenti quando tirava aria di guai, come le rondini volano basse quando si avvicina un temporale. E così Coda Chiazzata ricevette quello che gli spettava all'agenzia di Nuvola Rossa, poi andò a caccia al sud, nella regione proibita del fiume Republican. La sua banda era ben fornita di nuove tende di tela, coperte e pentole nuove e di molti indumenti da Bianchi, cappotti pantaloni cappelli, da rivendere ai Bianchi in cambio di munizioni e di whisky. Quando agli accampamenti del nord apparve il primo cavallo carico di roba, gruppi di famiglie si avviarono verso l'agenzia per andare a prendere quelle buone cose prima che il vento portasse la neve. Cavallo Pazzo e gli altri dovettero assistere allo sfaldamento dei vari cerchi campali, come quando la piena distrugge gli sbarramenti di sabbia. Ma alcuni pensavano che fosse inevitabile, ormai, andare a rifornirsi all'agenzia, perché le cacce si facevano ogni anno più difficili. « I bisonti scompaiono... », diceva qualcuno dei più anziani, e per l'ennesima volta raccontava dei tempi andati, 325
quando i bisonti erano veramente un'infinità e ogni anno si riversavano a migliaia nel Chugwater a sud del Piatte. Vivevano ancora uomini che erano stati accampati per giorni interi dove adesso correva la Via Sacra, ad aspettare il passaggio delle mandrie. E alla fine giungeva sempre il rumore sordo dell'immane coltre scura che spazzava la terra per giorni e giorni. Era impossibile che fossero stati uccisi tutti. Evidentemente, il popolo non conduceva una vita retta, e ciò aveva allontanato i bisonti. « Troppe nostre donne sono diventate proprietà comune dei soldati! », diceva qualcuno accalorandosi, come già altri prima di lui. Alcuni ricordavano che negare a una donna il diritto di lasciare il suo uomo quando voleva isteriliva le femmine di bisonte e diminuiva il numero dei vitelli. Ma i più giovani dicevano che i bisonti scomparivano non per questo, ma per i commercianti di pelli che lavoravano a nord e a sud del Piatte. Poi andavano a fondere il piombo nelle pentole e a stampare altri proiettili. Venissero pure dalle loro parti, i Bianchi armati di fucili da caccia al bisonte! Una mattina presto - era quasi autunno - il telo che chiudeva l'ingresso della tenda di Cavallo Pazzo venne sollevato e Scialle Nero entrò, camminando adagio, un po' curva, stringendo una cosa che depose piano piano davanti al marito addormentato. Egli sollevò la schiena e guardò a lungo il fagottino di pelle di daino, poi guardò la moglie rannicchiata nel suo giaciglio, sfinita, pallida, con della terra e dei fili d'erba tra i capelli ingarbugliati. « È una femmina... », gli disse, triste perché ogni uomo vorrebbe un maschio per farne un guerriero. Cavallo Pazzo sollevò la piccola senza scoprirla. « Hau! », disse con tenerezza. « Allora è una figlia, una nuova figlia per gli Oglala. Crescerà e diventerà una grande madre del popolo. Tutti resteranno ammirati dalle sue maniere sacre e sarà chiamata Essi la Temono ». L'inverno fu molto rigido. Certi Indiani congelarono solo per essere andati a piedi da un accampamento all'altro. 326
Le madri brontolavano: non c'era verso di far uscire i figli a procurare un po' di carne fresca; ma se c'era da fare la coda davanti a una tenda, al freddo, per poter parlare con una ragazza, allora sì che uscivano! Ma sotto certi aspetti fu anche un buon inverno, perché quando arrivò la Luna degli Alberi Scoppiettanti (dicembre) gli accampamenti degli Indiani ostili erano così grossi che sembravano tornati i giorni in cui si combatteva contro il forte sul Piney. Perfino Nuvola Rossa e Cane Rosso erano venuti al nord, poco prima che il suolo gelasse. Doveva sentirsi molto solo il loro agente, là al Piatte, dato che, appena distribuite le razioni annue, tutti scappavano via. Con lui erano rimasti soltanto i figli dei mercanti e qualche vecchio Bighellone. Qualcuno lo incolpava di aver rubato i loro viveri, ma altri dicevano che i Bighelloni prima davano via le razioni in cambio di whisky, poi si lamentavano della pancia vuota. Durante l'inverno tutte le cartucce furono ricaricate, quasi tutte con una sufficiente quantità di polvere. Cavallo Pazzo infatti aveva imparato che nessuna medicina è abbastanza potente se la polvere da sparo viene troppo suddivisa. Le pallottole degli Indiani cadevano fuori dalle canne dei fucili, mentre quelle dei soldati stendevano i guerrieri a terra. Tuttavia la polvere da sparo era sempre scarsa e non ci si poteva esercitare a sparare. Perciò molti Indiani erano tiratori mediocri, non quanto la maggior parte dei soldati, ma certo non erano all'altezza dei montanari o di alcuni figli di mercanti. Cavallo Pazzo era andato a caccia con Piccolo Pipistrello, il figlio di Garnier, e gli si era scaldato il cuore a vedere come sparava. Né Bridger né nessun altro erano bravi come quel figlio dei Lakota. Insomma, gli Indiani dovevano assolutamente procurarsi polvere da sparo o preparare le tregge e rassegnarsi ad andare alle agenzie. Allora Toro Seduto fece un patto con gli Siota, gli Indiani del Fiume Rosso del Nord. Questi scendevano da nord con carri a due ruote e andavano all'antico punto di raduno sul fiume Green; qualche volta si spingevano fino alla città di Santa Fé. Ora venivano spesso allo Yellowstone a caccia di bisonti: sui loro carri, 327
seguiti dalle famiglie e da un «veste nera» con la sua santa croce, facevano guerra agli Indiani da fortini di terra, come i Bianchi, armati di fucili ultimo modello e di polveri a non finire. Stipulato il patto, giunsero all'accampamento hunkpapa. Cavallo Pazzo era andato là per procurarsi fucili e munizioni, ma fu tempo gettato al vento perché le loro cinque slitte portarono quasi soltanto whisky. Tornato a casa, vi si trattenne solo il tempo di consumare una ciotola di zuppa e di giocare un po' con Essi la Temono. Le solleticava il nasino con una coda di coniglio appesa a un laccio e la bambina rideva. Il padre se la guardava, e Scialle Nero guardava entrambi sospendendo il lavoro, il volto calmo, felice come la terra in primavera. Ma egli al nord aveva visto qualcosa che lo aveva preoccupato: i Bianchi cercavano di servirsi di Afferratore, il figlio del mercante, come avevano fatto del giovane Richard: in cambio di Toro Seduto, avrebbero dimenticato il suo omicidio. L'Oglala ne parlò con Bruco e con Piccolo Falco il vecchio. « Ahh-h! », fece lo zio arrabbiandosi. Bruco fumava in silenzio e rifletteva. Finalmente disse che Alce Magro era stato fatto a pezzi vicino all'agenzia sul Piatte. Era andato a prendere le due mogli che non vedeva da quando aveva « consegnato » Nuvola Rossa. Quando Orso Giallo, suo cognato, gli aveva detto che erano andate a una danza, Richard, ubriaco, gli aveva sparato. Allora gli Indiani lo avevano fatto a pezzi con i coltelli da caccia e i pezzi li avevano buttati dentro il cerchio campale. « Alce Magro era figlio di una Lakota, ma era cattivo... », ammise Cavallo Pazzo, «...e potrebbero essercene altri come lui ». Ma v'erano altre notizie dal Piatte. Il vecchio agente era già logoro. Ne doveva arrivare un altro. Si era ricominciato a parlare di spostare l'agenzia nei territori di caccia dei Lakota. Sembrava che Nuvola Rossa stesse per andare dal Grande Padre un'altra volta. « Mi domando cos'altro venderà », disse Cavallo Pazzo. Forse era bene che qualcuno andasse giù a vedere quello che succedeva. Ma Piccolo Grande Uomo e i suoi seguaci 328
erano già là. Quando Nuvola Rossa tornò da Washington, i Bighelloni avevano consentito allo spostamento dell'agenzia. Il Faccia Cattiva urlò e strepitò, ma poi si venne a sapere che aveva gridato così non perché fosse contrario al trasferimento ma perché non era stato pagato per consentirvi anche lui. Oh! All'inizio dell'estate gli Oglala respinsero i Crow affamati di carne dalle zone settentrionali dei bisonti, poi raggiunsero i Minneconjou e gli Hunkpapa un po' più a valle della grande ansa dello Yellowstone, per una grande danza del sole che restituisse al popolo forza e coraggio, perché era giunta una notizia allarmante: i Bianchi, a est, misuravano la terra e ora venivano verso di loro. Verso la metà della Luna in cui le Ciliegie Diventano Nere (agosto), degli Hunkpapa arrivarono al galoppo per dire che quattrocento soldati erano a monte del fiume, sebbene nessuno sapesse spiegarsi come ciò fosse possibile.1 Quasi la metà era costituita da soldati a cavallo, ma insieme a loro c'era una quantità di altri Bianchi. Allora mentre i più anziani aiutavano ad allontanare il popolo dai Bianchi, una grossa schiera di guerrieri partì. Cavallo Pazzo li seguiva: gli era stato duro lasciare la tenda, perché la bambina aveva i crampi che vengono d'estate, un'altra malattia portata dai Bianchi. Trovarono l'attendamento presso la foce del torrente Arrow e si appostarono dietro un crinale, vicino alla mandria di buoi e cavalli, pronti a circondarla e a metterla in fuga appena fosse stato abbastanza giorno da poterla seguire. Ma alcuni guerrieri di Toro Seduto scapparono fuori prima della stella del mattino e tornarono a tutto galoppo con appena qualche cavallo, con i mandriani che li inseguivano da presso, con i fucili che rombavano, mentre i soldati, tutti svegli, si davano da fare per ricuperare la mandria. 1 Truppe che scortavano i rilevatori topografici della linea ferroviaria Northern Pacific, estate 1872.
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Cavallo Pazzo era furioso. « Tutto compromesso », disse ai suoi Oglala, «perciò state attenti! I soldati hanno fucili a tiro lungo e un mucchio di cartucce. Non serve perdere dei guerrieri validi quando non c'è rimasto nulla da prendere ». Ormai era giorno e gli Indiani si raccolsero su un piccolo crinale per attaccare i soldati nascosti dietro un terrazzamento dell'argine dello Yellowstone. Era una posizione diffìcile e Molti Pidocchi, il primo a lanciarsi fuori, arrivato a tiro, cadde in mezzo all'erba alta. Allora si lanciarono fuori altri due, ma si dovette trascinarli indietro feriti. « State attenti! », avvertì di nuovo Cavallo Pazzo. «Oltre ai soldati ci sono i cacciatori e i montanari! ». Quando il sole cominciò a scottare sulle schiene, Lungo Santo, il Minneconjou dalla potente visione, fece la medicina a prova di pallottola per sei guerrieri. Questi dovevano lanciarsi fuori a cavallo insieme a lui, fare quattro volte (il numero sacro) il giro dei Bianchi, poi andare all'assalto: allora tutti quelli del crinale avrebbero attaccato anch'essi. E così fecero. I sei guerrieri su cavalli veloci fecero i quattro giri attorno alla linea dei soldati avvolta dal fumo della fìtta sparatoria, cantando il canto della visione di Lungo Santo. Uno venne colpito, poi un altro, ma erano forti e continuarono a cavalcare finché altri due vennero feriti. Allora i capi li fecero tornare indietro: quattro feriti su sette era abbastanza. Si fecero ancora altri assalti e una volta Toro Seduto e alcuni suoi guerrieri passarono avanti e si misero a fumare davanti alla linea indiana. Sembrava che i soldati conoscessero quell'Hunkpapa zoppicante: sparavano fitto su di lui. Ma nessuna pallottola lo colse quel giorno. Una volta Cavallo Pazzo si mise a cavalcare lungo la linea dei soldati, nella speranza di indurre qualche Bianco a saltare fuori così che gli altri gli potessero sparare. Cavalcava adagio, come se stesse guardando il paesaggio. Quando i proiettili tagliarono dei peli dalla coda del suo cavallo e scheggiarono la sua lancia di guerriero, gli Indiani gridarono di esultanza. Ma lo Hunkpatila era consapevole dell'inutilità 330
delle sue prodezze: non si poteva sperare di cacciare i Bianchi combattendo in quel modo. I Bianchi capivano solo la pallottola che stecchisce. Mentre il grosso dei guerrieri se ne andava, Cavallo Pazzo aiutava a cercare i feriti in mezzo all'erba alta. Tentò di arrivare al punto in cui era caduto Molti Pidocchi, ma un proiettile gli ferì il cavallo al petto ed egli si salvò fuggendo a piedi: una corsa a zigzag come la folgore sacra. Partiti gli Indiani, le vedette videro che i soldati buttavano Molti Pidocchi su uno dei loro fuochi accesi per cucinare. L'odore di quella cremazione giunse fino alle colline. Cavallo Pazzo tornò a casa per conto proprio. Disse che voleva prendere un po' di cacciagione minuta per Scialle Nero e per la sua bambina malata: qualche gallinella della prateria o qualche beccaccino. Desiderava anche riflettere sul fallimento di quella razzia e di quell'ennesima medicina contro i proiettili. Le vedette lo raggiunsero lungo il viaggio di ritorno e gli dissero che i soldati si erano ritirati, ma Cavallo Pazzo sapeva che non sarebbero sempre fuggiti così facilmente. Quando rientrò all'accampamento, molti Indiani si stavano già preparando ad andare a trovare i parenti all'agenzia, a gustarvi il cibo dei Bianchi e a vantarsi delle belle battaglie che facevano al nord, dei coups contati o dei cavalli rubati. In autunno - le foglie erano già tutte cadute e i bambini mangiavano le dolci drupe dei celtidi - i soldati lasciarono Laramie e andarono all'agenzia di Nuvola Rossa. Qui i Bianchi che vendevano whisky avevano ucciso due Indiani: per vendicarli i guerrieri avevano assediato le case fatte di tronchi. Ma quando i soldati arrivarono, non trovarono guerrieri assetati di vendetta bensì Indiani che fuggivano sui colli lasciando che essi, senza sparare un colpo, si stanziassero in quel posto oglala nel quale nessun soldato avrebbe mai dovuto mettere piede. In quel momento Nuvola Rossa era al nord e faceva la voce grossa contro il progetto di fare un'agenzia ancora più all'interno del territorio indiano. Ma ora non gli credeva più nessuno. Nemmeno i Bianchi, come disse Cavallo Pazzo a coloro che erano venuti a parlargli 331
di questa cosa. Lo avevano trovato che trottava intorno alla tenda con la figlia a cavalluccio: le gambine nude intorno al forte collo del padre, la bambina si teneva stretta afferrandogli i capelli. «Cavallino, cavallino! », gridava alla madre, «cavallino!». I grandi occhi scuri risaltavano nel visino pallido e delicato, incorniciato dai soffici capelli del padre sfilati e scompigliati dalle trecce. Ma era una bambina che si stancava presto e difatti si addormentò tra le braccia del padre mentre egli parlava con i visitatori. Non era sana, e Cavallo Pazzo spesso la teneva così. In fondo al cuore temeva per quest'altro essere che amava. Fu una primavera piena di fiori gialli e nacquero molti puledri pezzati. Le donne che predicevano il tempo ci videro un buon segno per l'estate. Comparvero anche dei bisonti, pochi, ma i cacciatori vennero da tutte le parti come lupi. Scesero dal nord anche gli Slota, e Toro Seduto andò a combatterli perché non si avvicinassero alle mandrie. A monte dello Yellowstone premevano i Crow e i loro alleati. Così, finita la danza del sole sul Rosebud, gli Oglala e alcuni Cheyenne lasciarono il grande accampamento e si diressero al torrente Arrow dove i perlustratori avevano trovato quattrocento tende crow che ospitavano anche dei Bannocks e dei Nez Percés. Lasciato il popolo al sicuro tra i fiumi Big Horn e Little Big Horn, alcuni Oglala fecero una spedizione per scacciare gli intrusi. Ma questi erano troppi. Allora si ritirarono, e i Crow tornarono al loro accampamento da caccia sentendosi al sicuro. Ma proprio lì Cavallo Pazzo e gli altri li attaccarono in forze. La valle brulicava di guerrieri galoppanti e vocianti. Alcuni ebbero l'ardire di spingersi fino alle tende nemiche, ma dovettero accorgersi presto che nell'accampamento le donne crow e nez percées avevano scavato delle buche per i fucili tutt'attorno alle tende. I cavalli erano stati portati tutti su un'isoletta dello Yellowstone, sicché tutto quello che i Lakota poterono fare fu cavalcare avanti e indietro ed esibirsi a vuoto. V'erano diversi Bianchi in quell'accampamento, dipinti e con i capelli tagliati a spazzola secondo la foggia tipica dei Crow. Uno di essi, con una 332
r penna rossa in testa, si lanciò fuori a cavallo come un guerriero e si mise a cantare. Cavallo Pazzo lo guardò col cannocchiale e disse a gesti che l'uomo aveva un fucile lungo e che nessuno doveva avvicinarglisi. Fortunatamente gli ubbidirono, e infatti si scoprì in seguito che quel fucile sparava sette colpi uno dietro l'altro. Ciascuna delle due parti avverse aveva con sé le sue donne. Molte erano vicine ai propri guerrieri e gridavano insulti, facevano gesti offensivi e cantavano i canti del coraggio ogni volta che uno andava a esporsi. Negli intervalli i nemici conversavano come fossero in visita e si informavano su persone che conoscevano (Bridger, Beckwourth, Grosso Pipistrello) o domandavano come mai si vedessero tanti cavalli morti lungo le piste dei Crow. « È l'epizootica », gridò di rimando un Bianco. « Muoiono tutti come mosche, o come le antilopi su al nord, quest'anno ». Alcuni Lakota sapevano cosa volesse dire: avevano già visto le Praterie piene di carogne di antilopi e, una volta, non molto tempo prima, di bisonti morenti. Era un'altra delle terribili malattie che i Bianchi avevano fatto conoscere. Frattanto Cavallo Pazzo aveva visto arrivare Mitch Bouyer, un figlio di mercante della regione del Piatte, e portarsi nella linea crow. Cosa faceva lì? Mitch rispose personalmente: veniva dal Missouri con gli uomini della pace che erano stati a Laramie. Era lì per convocare i Crow alla loro agenzia, dove si sarebbe tenuto un consiglio. « Perderai lo scalpo tra quella gente! », gli gridò un gigante di Lakota. Nella sua akicita era uno di quelli che indossavano l'acconciatura da guerra. Sedeva sul suo cavallo, molto avanzato rispetto ai compagni, senza muoversi né sparare. Agitava solo la mazza da coup davanti al nemico e rideva mostrando i denti bianchi. Le pallottole non lo colpivano. Molti nemici gli si erano avvicinati strisciando. Avevano sparato e avevano constatato che era veramente invulnerabile. « Avvicinatevi di più! », avevano gridato gli Oglala. 333
«Venite a prendervi le donne lakota! Sono molto migliori delle vostre! ». E tutti avevano riso, anche se come storia era vecchia. Ma il sole stava scendendo. Era ora che le donne tornassero all'accampamento. I guerrieri fecero ancora una carica, poi anch'essi si ritirarono. Un gruppo di Crow e di Bianchi seguì i nemici. A sera trovarono alcuni Lakota seduti a fumare, i quali, abbandonando pipa tabacco e fagotti, si diedero alla fuga. Qualcuno ci rimise solo il cavallo ma due persero la vita. Li si trovò in seguito scalpati e mutilati: questo dimostrava che le donne crow non avevano dimenticato i mariti uccisi in quella zona venticinque anni prima, nel corso di una grande battaglia combattuta con frecce e mazze da guerra. Quella notte si udirono pianti funebri nell'accampamento lakota, ma più tardi si tennero delle danze perché avevano preso degli scalpi di valore, compreso quello di un fratello di Cavallo Lungo, un capo. Forte Laramie protestò per quel combattimento. Si diceva che i Crow e Bouyer avessero riferito agli uomini di pace che i Lakota possedevano buoni fucili, dei Winchester, degli Henry, degli Spencer, con cartucce e polveri a non finire. Dovevano avere degli ottimi amici tra i Bianchi, per procurarseli. L'estate i guerrieri di Cavallo Pazzo combatterono un'altra battaglia. Varie volte i perlustratori avevano riferito di soldati che risalivano lo Yellowstone con altri Bianchi. Questi misuravano il terreno per fare un'altra strada ferrata che avrebbe tagliato i territori di caccia lakota.2 Uno dei capi dei soldati era Capelli Lunghi, lo stesso che non molto tempo prima aveva braccato i Cheyenne dalle parti del fiume Republican, e che sul Washita aveva travolto i Cheyenne di Pentola Nera i quali, ben disposti verso i Bianchi, si erano rifugiati là per tenersi fuori dei guai. Capelli Lunghi aveva massacrato donne e bambini e li aveva lasciati sulla neve, come piace fare ai Bianchi. Ora alcuni Cheyenne di Pentola Nera erano con Cavallo 1
Spedizione comandata dal colonnello Stanley, estate 1873.
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Pazzo. Sapevano riconoscere quel capo di soldati perché aveva i capelli gialli. Gli si lanciarono contro come furie, così frementi dalla voglia di combatterlo che non seppero aspettare e rovinarono l'imboscata studiata dagli Hunkpapa e dai Sans Arcs. Perciò non fu una gran battaglia, ma gli Indiani la estesero poi a vari bivacchi, impadronendosi di cavalli e uccidendo qualche Bianco. Uno di questi era un mercante e un altro aveva una di quelle valigie piene di « coltelli » e di boccette che i guaritori dei Bianchi portano sempre con loro. Per diversi giorni quelli dell'accampamento della danza del sole alla foce del Rosebud tennero d'occhio i soldati e la lunga fila di carri coperti di tela bianca che risaliva il fiume seguendone i meandri. Quando furono vicini, il popolo partì, ma Capelli Lunghi con soldati a cavallo e guide indiane lo rincorse e lo braccò tutta la notte finché tutta la gente passò lo Yellowstone su zattere e su fagotti fatti con le pelli delle tende, le donne sedute sopra e gli uomini a cavallo che li tiravano. Capelli Lunghi e le sue giacche blu li seguivano alle calcagna, ma i cavalli dell'esercito non vollero nuotare nelle acque impetuose e profonde. E comunque gli Indiani si fermarono ad aspettarlo sull'altra sponda, dietro alle colline, pronti ad annientarlo prima che riuscisse a fuggire. Il capo dei soldati Custer si accampò sullo Yellowstone. All'alba dell'indomani gli Indiani lo attaccarono dal fiume mentre un drappello di guerrieri si portava ai colli che egli aveva alle spalle. Prima che potessero far molto, il lungo convoglio di uomini e carri prese a risalire il fiume di fretta, non senza aver prima fatto fuoco col cannone sul popolo che guardava dall'alto di un colle, disperdendolo come un fulmine sull'erba secca disperde le antilopi. Ma anche dopo che i soldati se ne furono andati, alcuni guerrieri continuarono a seguirli a distanza, come lupi dietro una mandria di bisonti, piombando su quelli che arrancavano dietro al resto. Altre cattive notizie giunsero sull'agenzia: i Bighelloni avevano permesso che si spostasse più a nord, nel territorio indiano. Molti che pure stavano dalla parte dei Bianchi 335
avevano gridato che non volevano, ma i Bianchi avevano segretamente distribuito un'infinità di regali, dopo di che la notizia più fresca pervenuta agli Indiani ostili era che l'agenzia si era spostata a nord dell'Acqua che Corre, sul fiume White Earth, presso il Crow Butte. Di lì a poco Nuvola Rossa si recò dall'agente, avvolto nella sua coperta di capo, assieme a Cane Rosso e ad altri. Ora che l'agenzia aveva una nuova sede, il Faccia Cattiva voleva i fucili e le munizioni che gli avevano promesso. Gli Indiani del nord ne sarebbero stati così contenti che sarebbero scesi tutti là. Le bande erano undici: voleva quaranta armi per ciascuna, tra pistole, fucili, Winchester, ecc., e munizioni. « Non gliele hanno date? », chiesero quelli del nord. «No... No». Le akicita erano in tumulto laggiù. Volevano governare l'agenzia. Nessun Bianco doveva spingersi a nord del White Earth; le mandrie di bovini dovevano pascolare a sud dell'Acqua che Corre, e solo gli Indiani avrebbero detto dove si potevano tagliare gli alberi. Intanto erano loro a decidere anche altre cose, a quanto pareva, perché quando il mercante non aveva voluto pagare delle pelli di bue a cinque dollari l'una, lo avevano tenuto prigioniero. « Si preparano guai », pensarono alcuni Indiani ostili. « Si preparano altre gallette e melassa », disse Cavallo Pazzo. Visse tutto quell'inverno come in una tenda di tenebre. Scialle Nero andava scomparendo nell'abito di pelle di daino, e quando pioveva o era appena umido tossiva sotto la coperta come se si fosse presa una malattia da Bianchi.
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2. LA MORTE, E LA VIA DEI LADRI
I Teton Lakota ricordavano che molte, molte generazioni prima, quando ancora vivevano a oriente del Missouri, solevano passare questo fiume e spingersi a ovest per cacciare. Quando tornavano ai villaggi nella terra del mais avevano pelli, carne e le altre cose del bisonte. Ma un'estate un grosso gruppo, partito con i fagotti sulle spalle e con le tregge trainate dai cani, non ritornò più. In seguito altri fecero lo stesso. I Teton erano diventati così un popolo di liberi cacciatori nelle Praterie selvagge. Da quando avevano voltato le spalle alla zappa d'osso, poche erano state le volte in cui si erano riuniti tutti insieme. Cavallo Pazzo poteva ricordarne una, quella al Colle dell'Orso, dopo il consiglio con Barba Bianca, cioè con Harney detto Ammazza-Squaw. Allora Cavallo Pazzo era un giovane mingherlino di quindici anni, e quando aveva visto dall'alto il grande accampamento che riempiva tutta la pianura da una sacra direzione all'altra, aveva pensato che certamente i Lakota erano il popolo più grande della terra e il più numeroso. Ora, sedici anni dopo, nel 1873, i Teton tornavano a riunirsi, non solo perché erano stati convocati dalla pipa del Grande Consiglio, ma perché ormai vivevano tutti molto vicini, spesso nello stesso accampamento all'epoca della danza del sole o di altre cerimonie. Adesso però come numero non erano più paragonabili alla nube di una grande tempesta: da ogni banda ne mancavano molti, finiti nelle agenzie dei Bianchi: degli Oglala Orso, dei Brulés, o dei Piedineri, dei Due Marmitte, dei Sans Arcs, pochi erano ancora liberi. Toro Seduto e gli altri avevano abbandonato la loro antica terra percorsa dal Cannonball e dal Grand River, 337
e avevano risalito lo Yellowstone, non solo perché i Bianchi premevano dal Missouri, ma per una ragione ben peggiore: i bisonti erano scomparsi, perfino le schegge delle loro ossa si erano perdute in mezzo all'erba, e si capiva che c'erano stati dei bisonti soltanto dalle cataste di pelli lungo la strada ferrata. I capi ne parlarono a lungo intorno al fuoco nelle tende consigliari. Ora Cavallo Pazzo partecipava sempre alle sedute. Il banditore chiamava lui come chiamava gli altri, ed erano sedute di tutti i Teton ostili perché ora il vecchio clan dei capi si era sciolto, i membri erano andati all'agenzia, ed erano dimenticate le sciocchezze che erano stati capaci di fare. Di solito in queste adunanze c'era sempre uno sciamano che si alzava per dire che sarebbe stato capace di far tornare i bisonti, una volta per mezzo di una medicina segreta, un'altra per mezzo della danza del sole o della danza del bisonte. Un sacerdote arrivò al punto di andare a vivere per un po' in mezzo ai Piedineri per imparare la loro potentissima medicina del bisonte. Quando tornò sapeva tutto: l'origine della cerimonia, i passi, l'acconciatura taurina, le pitture, i canti e i ritmi dei tamburi. Ma quando gli chiesero come andavano le cacce dei Piedineri, dovette rispondere che nei loro accampamenti non arrivava quasi più carne di bisonte. In quei giorni Cavallo Pazzo si assentava spesso. Qualche volta un cacciatore o un appostatore di trappole riferiva di aver visto l'Oglala, solo, da qualche parte, nei boschi o in uno speco in montagna. E una volta i perlustratoti s'imbatterono in una mandria di bisonti e lo videro su un'altura, controvento, poco distante dalle bestie al pascolo, il fucile come addormentato sulle ginocchia. Sembrava il custode di quegli animali. Nella seduta consigliare successiva prese la parola per dire che bisognava tenere i Crow e i Serpenti lontano dai territori di caccia lakota perché le femmine di bisonte giovani erano meno numerose di quelle vecchie e dei tori, il che voleva dire che ogni anno ci sarebbero stati sempre meno vitelli. Sempre di meno. Qualche vecchio gli diede ragione: era di quelli che non 338
volevano credere che non ci fossero più bisonti per gli Indiani: era colpa del popolo che si era smarrito, correndo dietro ai Bianchi quando aveva fame, invece di compiere gli antichi riti che avevano sempre propiziato il ritorno del fratello bisonte. « Hau! », disse Bruco dal suo posto. Ricordava un periodo molto brutto degli anni che i Bianchi chiamavano 1842 e 1843, allorché i cieli avevano tenuto strette le piogge, i fiumi avevano dimenticato quale fosse il loro corso e le uniche nuvole erano state di cavallette. In quei due anni non si era quasi vista ombra di bisonte e la fame aveva spinto i lupi fino ai bordi delle tende, dove non avevano trovato niente. Anche allora gli Oglala avevano dovuto mangiare i cavalli, oppure scendere alle pianure di Laramie a prendere un po' di carne senza sostanza. Ma il popolo aveva fatto le danze e le cerimonie dei bisonti, e le mandrie erano tornate. « Hau! Hau! », dissero i vecchi. Cavallo Pazzo sedeva in mezzo a loro e fissava le braci, vergognandosi di replicare al padre e agli altri con l'argomento che tutti conoscevano: che cioè probabilmente ora non si trovava un solo bisonte in tutte le pianure di Laramie, forse appena qualche toro isolato a più di trecento chilometri di là. E gli Oglala del sud venuti in visita avevano detto che le grandi mandrie dei fiumi Republican e Smoky Hill erano sparite anch'esse. Ce n'era rimasto appena qualche gruppetto, nascosto nei canyons, ed erano bisonti così inselvatichiti che per prenderli ci voleva un mucchio di polvere da sparo. Era sempre questione di polveri. Avvicinandosi l'autunno e il giorno della grande distribuzione annua, dalle agenzie di Coda Chiazzata e di Nuvola Rossa, arrivarono molti « freddacaffè » pieni di belle cose da raccontare sulla vita che vi si svolgeva. Ogni cinque giorni, dicevano allargando le dita di una mano, ogni cinque giorni si andava a prendere le razioni. Poi, ai recinti si gridava ora il nome di un capo ora di un altro e i suoi animali venivano fatti uscire. I guerrieri li cacciavano e li uccidevano come bisonti, solo che queste bestie muggivano forte in corsa e stramazzando al suolo non lo colpiva339
no con altrettanto peso di un bisonte. Ma le donne le macellavano nello stesso modo con i grandi coltelli, e i bambini correvano sempre dietro a loro per farsi dare fette di fegato sanguinolento o pezzi di interiora insaporiti da una goccia di galla. La sera poi i cani si buttavano sulle ossa, ma non solo i cani, anche i lupi e i coyotes, e negli accampamenti tutti erano abbastanza ricchi da potersi permettere di offrire pranzi agli amici. « Quanto vi danno perché ci veniate a raccontare queste storie? », domandò il giovane Volpe Nera. Ma i capi gli ricordarono che non si parla così agli ospiti. Qualcuno del nord scese a controllare di persona se fossero vere tutte quelle meraviglie, e vide che era veramente come avevano detto gli amici dei Bianchi: ogni cinque giorni venivano distribuite le razioni. Però certi viveri riuscivano a mangiarli solo i Bianchi, come quella carne di maiale salata, così gialla e ammuffita che non solo gli Indiani ma anche i cani la lasciavano per terra. La farina poi era scura e piena di vermi; il tabacco, nero e appiccicoso; lo zucchero, come sabbia fra i denti. Gli indumenti erano cenci: le coperte, corte e leggere; i pantaloni si sbrindellavano alla prima lavata. E le mandrie non erano affatto di bovini americani ma di bovini a lunghe corna, di razza spagnola, resi così stopposi dalla lunga, forzata transumanza a nord che perfino i lupi restavano a guardarli seduti sulle alture. Poi l'agente mandò a chiamare i capi e disse che bisognava contare gli Indiani. I guerrieri del nord si opposero. Assalirono il loro « padre » nei consigli e imperversarono a cavallo nudi e dipinti. Ma egli continuò a insistere, man mano che la gente andava da lui per la distribuzione annua. I Minneconjou di Tocca le Nuvole arrivarono in quei giorni agli accampamenti e si lamentarono non solo della situazione all'agenzia ma della strada ferrata che si allungava sempre più, su a nord. Prima avevano perduto il Piatte, a causa di quei treni a carbone così rumorosi e puzzolenti che spaventavano perfino le bestie stupide dei Bianchi. Adesso stavano perdendo anche lo Yellowstone. I giovani Indiani ostili non erano contenti di starsene se340
duti a far niente come gli Indiani delle agenzie, mangiando a quattro palmenti fino ad esaurire i viveri di un'unica distribuzione annua, per poi aspettare a pancia vuota fino alla successiva. Nuvola Rossa e Coda Chiazzata distavano soltanto il viaggio di un buon cavallo, e molti riuscivano ad avere razioni in entrambe le agenzie; le mettevano sui cavalli da carico e le mandavano al nord sulle vecchie piste indiane. Poi, appena tornavano i tempi di magra, i guerrieri cercavano di tenere in continuo allarme gli Indiani amici dei Bianchi, eccitandoli come si stuzzica un nido di vespe con un bastone. Dopo un po' Nuvola Rossa e Piccola Ferita cercarono di aiutare l'agente, ma era difficile perché ormai cadeva la neve, dal Piatte non arrivavano merci e alcuni Indiani dovevano macellare i cavalli. « Strano. I carri merci non riescono a passare, mentre i carri dei cercatori d'oro hanno risalito lo Yellowstone tutto l'inverno », fece osservare Cavallo Pazzo a chi gli aveva portato le notizie. Notizie anche di Nuvola Rossa. Era in collera: si viveva male quell'inverno all'agenzia. Forse stava diventando ostile anche lui: diceva che in primavera, appena spuntava l'erba, ci sarebbe voluta un'altra guerra degli Indiani per buttar fuori i Bianchi. Dopo che l'agente Saville tornò da Washington assieme ai capi cheyenne e arapaho, offrì un grande pranzo ai Lakota e poi disse che dovevano farsi contare. Nuvola Rossa affermò che non l'avrebbe permesso prima che gli avessero dato i fucili promessi in cambio dello spostamento dell'agenzia al fiume White Earth. Cane Rosso, Lupo Alto e molti altri gridarono: « Hau! Hau! », mentre i Bighelloni rimasero muti. Scoppiarono tumulti, le akicita cominciarono a litigare fra di loro, e i Minneconjou di Un Corno decisero di tornare al nord. Poi ci ripensarono e spedirono invece dei guerrieri contro l'agenzia. Era bello avere le famiglie al sicuro e ben nutrite, e al tempo stesso compiere razzie, ed era bello vivere vicino alle piste e al bestiame dei Bianchi. Arrotolate in alto le code dei cavalli, come facevano quando andavano 341
in guerra, prima di ritirarsi presero di mira tutte le finestre dell'agenzia e i Bianchi poterono soltanto rincantucciarsi negli angoli o sdraiarsi sui pavimenti per non venire colpiti. Nessun Bianco rispose agli spari. Si venne a sapere presto di atti di pirateria lungo tutte le piste: soldati trovati morti intorno a Laramie, e corrieri postali caduti in imboscate sulla via che portava da Nuvola Rossa: tutti fatti di cui si diede la colpa ai guerrieri di Cavallo Pazzo. Una notte uno lo svegliò grattando all'ingresso della sua tenda. Era un corriere di Nuvola Rossa: il nipote dell'agente era stato ucciso all'interno dell'edificio di tronchi mentre suo zio si trovava da Coda Chiazzata. Un Minneconjou, col cuore cattivo perché qualcuno era morto, era sparito nelle tenebre. Il giovane Billy Garnett era corso la stessa notte all'accampamento di Nuvola Rossa e di là altri erano stati mandati ad avvertire Piccola Ferita e Uomo della Paura. Tutti e tre adesso erano al capezzale del morente, silenziosi e preoccupati perché quel Bianco era stato il vice agente e di certo sarebbe successo un guaio. Ora i soldati di Laramie si portavano là. Che disastro!, pensò Cavallo Pazzo. Soldati sul White Earth, a pochi passi dai Black Hills, quando già si diceva che là c'era dell'oro... I soldati del Grande Padre nel cuore della terra lakota, perché un Minneconjou dal cuore cattivo aveva ucciso un Bianco! Quanti Indiani erano morti per i fucili dei Bianchi! Cavallo Pazzo stette sveglio tutta notte. Non si scosse nemmeno quando Scialle Nero si alzò per scaldargli un po' di brodo. Poi, sorto il sole sopra la neve, partì a cavallo e dopo due giorni raggiunse il lago gelato chiamato Acqua di Medicina presso cui, in altri tempi difficili, i capi della sua gente avevano fatto molti sogni.1 Su un terrazzo di roccia rossa spazzato dal vento costruì una capanna sudatoria e cosparse il suolo di ierocloe, ma sebbene digiunasse giorno e notte non gli si avvicinò nemmeno un lupo ad ululare. Non ebbe visioni e la notte non fece sogni, ma capì con lu' Il lago De Smet.
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cidità e certezza che gli Indiani all'agenzia non si sarebbero opposti compatti. Fossero stati solidi come una roccia, avrebbero potuto rimandare a Laramie tutti i soldati; ma poi si sarebbero ugualmente sgretolati come argilla. Dopo tre giorni lo raggiunse un uomo sfinito dal freddo e dalla dura cavalcata. Era accaduto ciò che si temeva: i soldati erano penetrati in territorio lakota, da Laramie dritti al White Earth. E gli Indiani, invece di opporsi, avevano combattuto fra di loro, Bighelloni contro ostili, la gente Orso contro quella di Fumo. Quando i soldati avevano montato le loro tende bianche all'agenzia, gli Indiani ostili erano andati al nord dopo aver bruciato covoni di fieno e tratti brulli di prateria. Ma i soldati erano là, con la bandiera, la tromba e i fucili a tiro lungo. E quando mai i soldati se n'erano andati dopo essere arrivati in un posto in quel modo? La vita fu dura al nord quell'inverno. La neve aveva allontanato la selvaggina e gli Indiani non avevano polveri. Alcuni erano andati alle agenzie a chiederne. Poiché non si vedevano tornare, alcuni giovani erano andati loro incontro. Afferratore, che non andava più d'accordo con Toro Seduto e ora viveva con Cane, di solito nell'accampamento di Cavallo Pazzo, si era unito a loro. Possedeva due cartucce in tutto e le sprecò sparando a della selvaggina troppo lontana, sicché quasi morirono di fame prima del ritorno: alle agenzie non avevano trovato né munizioni né cibo. Verso primavera soffiò il chinook e portò con sé visite di figli di mercanti con i giornali dei Bianchi e le cose che dicevano. Cavallo Pazzo e la sua banda appresero da costoro che quell'inverno non aveva affamato solo gli Indiani all'agenzia ma anche molte, molte persone delle grandi città bianche che Nuvola Rossa aveva visitate.2 Se i tempi erano 2 II 1873 fu l'anno del « panico ». Il costo enorme della guerra di Secessione, la spesa eccessiva per la costruzione di linee ferroviarie non tutte indispensabili o dal tracciato non sempre razionale, la moneta fluttuante, il credito inflazionato, gli investimenti a fondo perduto per la ristrutturazione delle industrie e per la trasformazione di terre vergini in terreni coltivabili, furono alcune delle cause principali della « scivolata » economica degli Stati Uniti. Una delle conseguenze più clamorose fu il fallimento di Jay Cooke, il finanziatore della ferrovia Northern Pacific (N.d.T .).
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tanto difficili, molti altri Bianchi si sarebbero riversati a ovest nell'estate, seguendo l'odore dell'oro come l'Indiano va dietro al bisonte. I giornali dicevano anche che Custer, il soldato dai capelli lunghi contro cui avevano avuto a che fare sullo Yellowstone, si stava procurando carri e soldati per penetrare l'estate nei Black Hills. «Nei Pa Sapa?! », esclamò Cavallo Pazzo infuriato. Sì, nei Pa Sapa. Si trattava di procurare del denaro per la ferrovia che risaliva lo Yellowstone. Ci sarebbero stati più di un centinaio di carri coperti di teloni bianchi, un migliaio tra soldati e minatori, una sessantina di guide indiane e cannoni alle due estremità del convoglio. Qualcuno ancora credeva che l'uomo bianco sapesse dire la verità? Finché l'erba crescerà e l'acqua scorrerà, aveva detto il trattato, e anche Nuvola Rossa l'aveva creduto! Nuvola Rossa. Puah! Era quello che incolleriva i guerrieri più di ogni altro, perché li aveva presi in giro, aveva dato a credere che si interessava del loro bene. Gli Indiani ostili tennero un ennesimo consiglio: avrebbero chiesto aiuto alle agenzie. Il coraggio non mancava, ma i guerrieri degli accampamenti del nord avevano solo due buone cartucce a testa, e perfino i più anziani tra loro sapevano che con le frecce e le mazze di altri tempi non potevano far la guerra ai Bianchi che sarebbero venuti. Questo consiglio non finì in chiassose polemiche, che erano come fucili a salve contro la neve, ma si sciolse silenziosamente e ciascuno tornò alla propria tenda. Cavallo Pazzo capeggiò una piccola spedizione contro i Crow che si erano intrufolati nelle mandrie di bisonti, e volle provare una fumata sacra per vedere di salvare il popolo. Ma non ne venne nulla. Così distrussero l'accampamento dei cacciatori crow, razziarono qualche cavallo e tornarono a casa. Avevano lasciato il popolo sul Little Big Horn, all'altezza in cui scorre molto vicino al Rosebud, ma nel frattempo il campo si era spostato e ora i segni sul cranio dei bisonti e i pali piantati lungo il tragitto indicavano che le tregge avevano puntato verso il Tongue. Quando i guerrieri si avvicinarono al fumo bluastro sospeso lungo i crinali, nessuno 344
andò loro incontro, e raggiunto l'accampamento videro che tutta la banda di Cavallo Pazzo aveva le coperte strappate, i capelli scarmigliati e tagliuzzati, le donne avevano il sangue raggrumato sui tagli alle braccia e alle gambe. Bruco, con Piccolo Falco, gli abiti strappati, andò a prendere il cavallo al figlio, le fagiane che aveva portato, e l'arco. Gli avrebbe preso anche il fucile, ma Cavallo Pazzo non era tipo da cedere il fucile facilmente, nemmeno a un padre addolorato. « Figlio, fatti forza, adesso », gli dissero lo zio e il padre accompagnandolo alla tenda. Dentro era buio e freddo: il fuoco si era spento. Poi vide Scialle Nero, con i vestiti laceri, il viso imbrattato di terra, il busto che oscillava in un fioco lamento. Allora capì che era per Essi la Temono. « Sii forte, figlio mio! », ripetè Bruco. Ma Cavallo Pazzo non avrebbe potuto fare niente di inconsulto. Rimase a lungo in silenzio, immobile, sorbendo fino alla feccia l'amarezza che quest'altro dolore gli metteva in cuore. « Com'è successo? », domandò infine, e Bruco rispose che l'aveva soffocata la tosse portata dai figli di mercanti. Le malattie dei Bianchi! Non si vedeva dunque la fine dei flagelli che mandavano contro il popolo. Non solo volevano il fragore e il fuoco della guerra, ma penetravano nella placida penombra delle tende e anche lì colpivano come una freccia in cuore! In seguito gli dissero dove l'avevano portata ed egli vi si recò da solo attraversando una zona in cui notoriamente i Crow solevano annidarsi per piombare sui Lakota solitari. Gli avevano detto che il palco funebre della bambina era stato eretto su un tratto pianeggiante ai bordi di una macchia d'alberi. Un fagottino rosso su un palco funebre. Finalmente Cavallo Pazzo giunse alla valletta. Nel cielo qualche piccola nuvola veleggiava bianca come cigno sull'acqua. All'estremità opposta vide gli alberi e il palco. Ne fu sicuro quando vide appesi ai pali i giocattoli della figlia amata: una raganella di zoccoli d'antilope infilati in una striscia di cuoio crudo, un sonaglio fatto con una vescica piena di sassolini, un cerchio di salice dipinto. E sul palco, sopra la coperta rossa, una bambolina di pelle di dai345
no e il guardinfante ornato dei motivi di perline che si ripetevano sui vestiti che la bambina metteva sempre: motivi antichissimi e tipici della famiglia di Scialle Nero. Il padre non potè più trattenersi. Nascose il viso accanto al corpo della figlia e lasciò che tutto il dolore che aveva chiuso in cuore prendesse il sopravvento, mentre il palco traballava e scricchiolava un poco sotto il suo peso. Il vento morì al tramonto di quel giorno e si rialzò col ritorno del sole. Un'aquila e dietro a lei delle poiane rotearono in alto, e su una cunetta venne a pascolare un gruppo di antilopi. Videro il palco funebre, drizzarono il capo e corsero lì. Fecero qualche giro intorno e, curiose, si avvicinarono. Così fiutarono l'uomo. Allora balzarono via mostrando il bianco della chiazza posteriore. Dopo un po' arrivò un lupo per un basso crinale: coda alzata, naso all'aria. Anche lui fiutò l'uomo e con un salto scomparve nella valletta. E quando fu di nuovo sera, un topolino si arrampicò su per uno dei pali ad annusare la coperta rossa. Ma sentendo un rumore lento che veniva, se ne andava e poi ritornava, smise di fiutare. D'un balzo saltò giù e sparì in mezzo all'erba, spaventato che dov'era l'odore della morte ci fosse anche il segno della vita, il respiro. L'indomani non portò sole, ma soltanto nuvole grigie e una nebbia mista a una pioggia leggera che avvolse il palco. Quando nella nebbia si perdette anche la terra sotto il palco, ci fu l'opaca scintilla di un lampo e il brontolio del suo tuono attutito dalla nebbia. L'uomo l'udì e seppe che era tempo di andare. Così, appena la nebbia si sollevò un poco, andò a cercare il cavallo che aveva lasciato legato con la pastoia; poi mangiò un po' di wasna. Si diresse verso Forte Fetterman, a caccia di Bianchi. E dopo che ne ebbe fatti stramazzare tre da cavallo e ne ebbe inseguito un altro fin quasi allo spiazzo del forte, se ne andò, perché uccidere non gli alleviava minimamente il dolore che aveva in cuore. Tornato all'accampamento, Cavallo Pazzo trovò cattive notizie dai forti del Missouri. Capelli Lunghi (Custer), era veramente arrivato ai Black Hills, al luogo sacro in cui 346
tanti loro padri erano stati sepolti e tanti guerrieri avevano fatto penitenza per ottenere una visione. Ora una larga pista sconsacrava tutto, passando davanti al Colle dell'Orso, sul quale da lunghissimo tempo i Teton solevano tenere i loro raduni. Via dei Ladri chiamarono quella pista gli Indiani, anche quelli delle agenzie, e molti giovani si riversarono a nord perché Capelli Lunghi andava dicendo che c'era oro sotto tutta quella regione, dalle radici dell'erba in giù. L'oro! I più anziani, come Bruco e Piccolo Falco, sapevano, e da molto tempo, che ce n'era. Qualcuna di quelle pietre gialle (yellow stones) era stata portata al Veste Nera, a padre De Smet, quasi trent'anni prima. Egli aveva detto di dimenticarle e di seppellirle molto in profondità, perché la sola vista di una di quelle pietre avrebbe messo fuoco e pazzia nel cervello dell'uomo bianco. Era realmente così. Già si sparava. Custer aveva trovato qualche Indiano ben disposto nei Black Hills e, mentre gli faceva discorsi di pace, le sue guide mandan avevano ucciso il vecchio Accoltellatore e ferito Toro Lento, genero di Nuvola Rossa, prima che questi potessero sgombrare. Sembrava che Alce Nero e la sua piccola banda fossero riusciti a fatica a sfuggire ai Bianchi. Trovandosi a caccia lungo una delle piste indiane, avevano deciso di andare al nord. Quel giorno Schegge, lo sciamano, si era sottoposto a un sudore rituale e aveva udito una voce che gli aveva detto che la banda doveva fuggire immediatamente perché stava per accadere qualcosa di brutto. Sebbene fosse ormai sera, erano partiti per l'agenzia e avevano viaggiato tutta la notte. All'alba avevano appreso da certe vedette che molti soldati erano penetrati nei Black Hills e che era stato versato sangue oglala. « Forse il fatto di sapere che Alce Nero voleva venire da noi ha aiutato lo sciamano a udire le voci », dissero alcuni, perché molti a nord lo consideravano un fomentatore di discordie, e Schegge lo sapeva. Ma l'importante era che Capelli Lunghi aveva scorrazzato per i Black Hills e ora se ne andava senza che uno solo gli avesse sparato. Gli Indiani appiccavano soltanto degli incendi che di notte illuminavano il cielo come enormi astri 347
notturni, mentre di giorno il sole era rosso sangue per il fumo. I cavalli dei soldati avevano fame e la selvaggina era fuggita impaurita. Sarebbe stato meglio attaccarlo ma avevano troppo poche polveri, mentre i carri di Capelli Lunghi erano pieni di munizioni e guardati da molti soldati armati di fucile. Perciò potevano solo dar fuoco alla prateria. Verso settembre i Lakota inselvatichiti cominciarono ad andare alle agenzie e là protestarono per i Pa Sapa, i Black Hills; molti minacciavano di cacciare via tutti i Bianchi venuti a spalare la loro terra. Poi, alla fine di ottobre (la Luna del Cambio di Stagione) l'agente si fece portare dai monti il tronco di un grande albero. Alcuni capi gli domandarono a che cosa gli servisse, e quando si sentirono rispondere che serviva per una bandiera insorsero infuriati: non volevano bandiere nella loro agenzia, né nessun'altra cosa dei soldati. Così i guerrieri assalirono il recinto di tronchi, e con le mazze spaccarono il palo mentre i Bianchi correvano a nascondersi nelle torrette agli angoli del recinto, per sfuggire agli Indiani urlanti. Quando alcuni soldati vennero dal fortino situato sopra l'agenzia, i guerrieri si lanciarono contro di loro, sparando, girando loro intorno come in guerra, atterrando i loro cavalli. Ma Toro Seduto, l'Oglala nipote di Piccola Ferita, e Giovane Uomo della Paura, con un certo numero di Indiani amici dei Bianchi, respinsero i guerrieri a colpi di mazza e di frustino, fecero entrare i soldati nell'agenzia e sbatterono il portone in faccia agli Indiani ostili. Di lì a pochi giorni Cavallo Pazzo venne a sapere che il combattimento provocato dall'asta per la bandiera aveva fatto tornare a galla le vecchie discordie tra il popolo come una piena smuove la sabbia del Piatte. Il giovane Orso che Conquista, il Brulé, colpito da una mazzata, era caduto da cavallo. Due Facce Cattive gli avevano messo un arco sulla gola e, in piedi alle due estremità dell'arco, avevano calcato finché il poveretto era diventato nero. Poi l'avevano frustato, e Cervella d'Orso, cognato di Nuvola Rossa, gli aveva agitato una pistola in faccia gridandogli che doveva morire, tutta la sua banda doveva morire, perché erano ca348
paci solo di creare guai. Se suo padre, il vecchio Orso che Conquista, avesse consegnato il Minneconjou che aveva ucciso la mucca zoppa, non avrebbero mai avuto da combattere contro i Bianchi, non ci sarebbe mai stata una guerra di Lakota contro i soldati. Mai. Ancora una volta Toro Seduto, l'Oglala, era sopraggiunto a cavallo. Col suo coltello a tre lame e a manico ricurvo, si era fatto largo colpendo uomini e cavalli, separando i litiganti e travolgendoli come un gran vento. « Hau! », dissero i guerrieri più anziani ricordando come quell'Oglala soleva mettere in fuga i Crow. Un uomo come quello era sprecato in un'agenzia. Qualcuno domandò che cosa faceva Nuvola Rossa nel frattempo. Nuvola Rossa? Niente. Stava a guardare. Fumava seduto su una catasta di legna dentro il recinto di tronchi, e non aiutava né gli uni né gli altri. I guerrieri che un tempo avevano seguito i suoi mocassini si meravigliarono. Si poteva capire Piccola Ferita, o Uomo della Paura...: uomini di pace per molto tempo, credevano che i bisonti sarebbero scomparsi presto e che quindi convenisse stipulare con i Bianchi i patti commerciali più vantaggiosi e poi farglieli rispettare. Ma Nuvola Rossa! Sembrava che stesse sempre seduto in cima a qualcosa e aspettasse di sapere quanto gli offrivano per farlo scendere. Cavallo Pazzo non era a casa e non sentì raccontare queste cose. Era con dei guerrieri contro i minatori dei Black Hills e tardava a tornare. Dal giorno in cui era partito per la zona in cui la figlioletta giaceva sul palco funebre, la sua famiglia stava in pensiero ogni volta che egli partiva. Scialle Nero cercava di non guardare nella direzione in cui si era allontanato. Era molto dimagrita e lavorava più che mai: essiccava la carne, conciava le pelli, faceva mocassini, cucinava per i molti ospiti che venivano a parlare con lo Strano Uomo degli Oglala. Alcuni venivano da molto lontano, dai popoli che vivevano molti giorni di viaggio a nord del fiume Milk o dal versante occidentale dei Monti Splendenti. Compunti, attendevano di parlare con lui di quello che in quei tempi pessimi si poteva fare per salvare 349
gli Indiani. Spesso Bruco o la madre andava a domandare alla nuora se c'erano notizie del figlio. Sapevano che Scialle Nero sarebbe corsa immediatamente ad avvertirli appena avesse saputo qualcosa, eppure non potevano fare a meno di chiederle. Altri notarono una crescente temerarietà in Cavallo Pazzo, pericolosa in un uomo che presto doveva compiere trentatré anni e che aveva sulle spalle il peso della responsabilità del popolo. Perfino i suoi guerrieri ne parlavano con disagio: ancora scivolava giù dal cavallo per prendere la mira e faceva trovare a ogni pallottola il suo bersaglio. Ma in lui c'erano un ardore e un ardimento nuovi che lo facevano sembrare giovane e spericolato, come quel suo povero fratello il cui nome non veniva mai pronunciato, eccetto quando si intendeva riferirsi allo zio. Ora i nemici lo temevano più di prima. Una Crow prigioniera degli Oglala disse che la sua gente sapeva bene che Cavallo Pazzo aveva un fucile di medicina capace di colpire qualsiasi cosa e che egli era impenetrabile alle pallottole. Doveva essere così, perché era sempre quello che si faceva più sotto, quello che colpiva e uccideva più di ogni altro, e tuttavia i nemici non riuscivano a colpirlo. Quando Cavallo Pazzo tornò dai Black Hills, con alcuni muli carichi di roba dell'uomo bianco, giunsero altre notizie dall'agenzia di Nuvola Rossa: l'agente tagliava i viveri finché gli Indiani non accettavano di farsi contare. Il Faccia Cattiva era saltato su in consiglio e aveva sgridato l'omino, dicendo che i guerrieri glielo avrebbero impedito. Ma Giovane Uomo della Paura e Spada, nipote di Nuvola Rossa, avevano portato la loro gente al fiduciario, e le altre bande li avevano seguiti. Finito il censimento, l'ultimo degli Indiani del nord era fuggito come si fugge da una peste. Quella conta doveva essere una medicina molto potente, se i Bianchi ci tenevano così tanto. In seguito avevano appreso che c'erano più di diecimila Lakota che prendevano razioni all'agenzia, quasi quanti i giorni in trent'anni, disse Afferratore: la vita di un guerriero. Dunque erano così tanti, e tutti erano stati contati (anche se Nuvola Rossa aveva detto che non voleva) e certo 350
erano abbastanza da sbaragliare tutti i Bianchi, se avessero dato ascolto alle sue parole. Sembrava che il Faccia Cattiva non contasse veramente più tanto. L'inverno che per i Bianchi fu quello del 1874-1875 fu pessimo. Freddo, con la neve alta e molti colpiti da ambliopia per essere andati a caccia: Un Inverno di Fame. Ma si soffriva ancora di più nelle agenzie: senza selvaggina, senza carne di manzo o altri viveri. E i viveri che c'erano erano scarsi e cattivi: piccoli sacchi di farina ammuffita, carne di maiale puzzolente come carcasse di bisonti nella prateria. Perfino l'agente diceva che era immangiabile. C'era solo una coperta leggera ogni tre Indiani, e se non ci fossero state le pelli portate da quelli del nord, quelli dell'agenzia sarebbero andati in giro nudi. Pure dal nord veniva parte della stoffa che punteggiava di rosso i monti su cui venivano depositati i morti di quell'inverno cattivo. Alla fine gli Indiani si accamparono tutt'attorno al fortino, vicino agli edifici, nella speranza che il piccolo capo dei soldati si impietosisse delle donne e dei bambini affamati. Macellarono i cavalli vecchi sotto gli occhi dei soldati e lasciarono le loro ossa, spolpate fino all'inverosimile, in luoghi dove si potessero sempre vedere. Si lamentarono dell'agente: non era un piccolo padre per loro. Doveva rubar loro i viveri perché non c'era niente da mangiare, nemmeno la farina affumicata o quel mais sgranato che il capo dei soldati non aveva voluto dare ai suoi cavalli. Al nord gli Indiani non solo non davano tregua ai minatori riversatisi nei Black Hills come piene primaverili, ma facevano la guerra anche contro un grosso numero di Bianchi lungo lo Yellowstone e altri Bianchi isolati, in giacca militare: disertori, li chiamava Afferratore. Questi era quasi sempre all'agenzia di Nuvola Rossa e andava molto d'accordo con gli ufficiali. Costoro volevano indietro i soldati scappati, vivi o morti, e promettevano ricompense agli Indiani che ne avessero consegnati. Correva voce che Nuvola Rossa chiedesse di ritornare a Washington, questa volta per avere un altro agente. Gli Indiani ostili reagirono con occhi gelidi sapendo quanto si stavano accanendo i Bianchi 351
dietro l'oro dei Black Hills. Allora Cavallo Pazzo partì per l'agenzia ma non vi si avvicinò; i suoi guerrieri invece proseguirono e intorno all'edificio e all'accampamento dei Facce Cattive gridarono minacce, bruciarono mucchi di fieno e parlarono forte contro i capi dei Bianchi. Ma non servì, perché Nuvola Rossa era già pronto a partire insieme a Un Corno, Piccola Ferita, Cavallo Americano, Toro Seduto il Buono e molti altri, compreso il giovane Billy Garnett che doveva fare da interprete. I guerrieri ostili, immobili come gli abeti radi in mezzo a cui si trovavano, stettero dunque a guardare dall'alto dei monti l'agenzia e i carri che andavano a sud, verso la strada ferrata. Poi voltarono i cavalli in un turbinio e tornarono a nord. In seguito Cavallo Pazzo ebbe notizie dei capi in procinto di compiere il viaggio. Alla ferrovia avevano trovato molti Bianchi diretti ai Black Hills: non cercatori d'oro più o meno clandestini, ma un grosso gruppo, accompagnato da una scorta militare, che si accingeva ad andarvi alla luce del sole.3 Gli Indiani si arrabbiarono. Dunque il Grande Padre li toglieva di mezzo per mandare i suoi soldati nella loro terra. Forse aveva avuto ragione Giovane Uomo della Paura a rifiutarsi di partire, come si era rifiutato suo padre cinque anni prima, il giorno in cui Alce Magro aveva accompagnato all'est Nuvola Rossa. Poi, giunti a Washington, i capi avevano avuto la sorpresa di vedere che non erano soli: vi erano capi provenienti da tutte le agenzie settentrionali dei Teton Lakota, non solo da quelle di Nuvola Rossa e di Coda Chiazzata. E quando si erano sentiti chiedere di vendere i Black Hills, si erano mostrati sorpresi e avevano risposto che prima dovevano sentire il parere del popolo. Nessuno prima di quel momento aveva fatto loro il minimo accenno su quel punto. Gli Indiani ostili del Powder si misero a ridere, non di gioia, ma come si ride di pazzi che fanno correre seri pericoli al popolo. Dunque i capi non sapevano che sarebbe stato loro chiesto di vendere gli Hills? Avrebbero fatto bene 3
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Spedizione di Jenney, estate 1875.
ad andare agli accampamenti settentrionali quando volevano sapere cosa c'era di nuovo! Sembrava inoltre che il Grande Padre avesse fatto ai capi indiani molti bei regali, tra cui un fucile con rifiniture in argento per Nuvola Rossa e uno con rifiniture in oro per Toro Seduto (detto il Buono perché si era prodigato a disperdere i guerrieri nel disordine provocato dall'asta per la bandiera); e che a Nuvola Rossa e ai suoi seguaci non fosse piaciuto per niente che uno della gente Orso di Piccola Ferita avesse ricevuto quel dono. Ma Nuvola Rossa aveva esposto con molta energia le sue proteste riguardo all'agente e ai furti sulle merci destinate agli Indiani. E ora il Grande Padre mandava dei suoi fiduciari a guardare lo zucchero e il caffè contati due volte (con i sacchi che diventavano sempre più smilzi) o gli armenti di corna-lunghe, anch'essi contati due volte, nascosti dietro un colle o rubati di notte dai cowboys e poi rivenduti dall'agente. Tutti sapevano come andavano queste cose, e i Bianchi a ovest ci ridevano sopra come fosse una barzelletta. Al tempo stesso gli Indiani speravano che quei nuovi fiduciari non venissero a scoprire che qualche volta nei carri, sotto le merci, erano nascosti alcuni fucili e scatole di munizioni, e che Boucher, quello che aveva sposato una figlia di Coda Chiazzata, vendeva fucili a chiunque avesse il denaro per pagarli. Quando i guerrieri ostili, che erano arrivati fin sotto l'agenzia di Nuvola Rossa prima della partenza dei capi, tornarono al fiume Cheyenne, trovarono che Cavallo Pazzo era ancora là e con lui c'era Giovane Uomo della Paura. I due amici avevano parlato a lungo ma i loro volti non esprimevano gioia. Avevano incrociato le mani stringendosele nel saluto di rispetto, poi ciascuno era andato per la propria strada. Prima di riprendere la via del ritorno, Cavallo Pazzo guidò i guerrieri contro le strade dei Black Hills. Razziarono un convoglio e portarono via delle camicie da Bianchi. Prima di indossarle, le legarono ai fucili e le fecero sventolare per un buon tratto finché persero tutto il puzzo di sudore dei Bianchi. Di lontano, dall'alto di un monte, vide353
ro la grossa spedizione in cui si erano imbattuti i capi al momento di partire: era composta di molti carri e di soldati preceduti da una bandiera a colori. Si dirigevano ai Pa Sapa per accertare meglio la quantità d'oro che i monti celavano. I guerrieri, essendo troppo pochi per dare battaglia, tornarono a casa, in tempo per sentire un'altra notizia che stava sconvolgendo tutto il nord come un incendio nella prateria: i Bianchi stavano mandando alle agenzie altri commissari di pace, con grandi quantità di regali, per indurre i capi a vendere i Black Hills. « Sì, a vendere i Pa Sapa », disse Bruco. Adesso ognuno doveva tornare guerriero. Così il popolo fece un po' di caccia in fretta e furia, quindi si allontanò dalle grinfie dei Crow. I guerrieri non potevano più pensare ai coups, agli scalpi e ai cavalli crow! Perfino la preoccupazione di difendere le famiglie era diventata secondaria. Un po' prima del consiglio indetto per arrivare alla stipulazione del nuovo trattato, Tocca le Nuvole e la sua banda giunsero all'accampamento di Cavallo Pazzo: volevano vivere con i guerrieri ostili e combattere al loro fianco sino all'ultimo. La coperta del Minneconjou era vecchia e sbiadita. Non aveva più la penna tra i capelli perché suo padre era morto. Il vecchio Un Corno del Nord era tornato da Washington distrutto dal dolore: aveva cercato di opporsi alla vendita dei Black Hills dando fondo a tutta la sapienza che lo aveva reso famoso come oratore tra i Lakota, aveva detto che non si può vendere la terra, così come non si può vendere il cielo o i quattro grandi quadranti. Ma proprio quando avrebbe dovuto essere più efficace, la sua loquela aveva fallito, perché sembrava che ormai gli Hills fossero irrimediabilmente perduti. Dopo che era tornato, si era seduto su di una vecchia coperta dietro la tenda, e non aveva più voluto mangiare né dormire, come fosse già morto. Dapprima era parso che le sue parole avessero fatto effetto sui Bianchi, invece quando avevano aperto bocca avevano detto soltanto: « Quanto vuoi? Quanto vuoi che ti dia il Grande Padre? ». Allora aveva cominciato a morire, umiliato da quelle parole davanti al proprio cuore. 354
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E forse era morto proprio allora perché, tornato, non si era più alzato da quella coperta, e adesso giaceva sul palco funebre. « Ahh-h! », fece Cavallo Pazzo addolorato, passando la pipa del benvenuto all'ospite, al suo alto cugino. L'indomani arrivò molta gente per invitare gli Indiani all'agenzia di Nuvola Rossa per il consiglio sui Black Hills indetto per settembre. Sebbene molta gente andasse sempre avanti e indietro sulle piste, gli Indiani dell'agenzia fecero credere ai Bianchi che ciò era molto pericoloso e mandarono questo avviso tramite un centinaio di Bighelloni accompagnati dai Richard. I figli del mercante vennero pagati bene e gli Indiani portarono al nord tregge cariche di regali per fare bella figura e ottenere quello che volevano. Ancora una volta i Bighelloni arrivarono con la voglia di arrosto di bisonte fresco, e con la curiosità di vedere se veramente i loro parenti « selvaggi » fossero tanto ricchi di cavalli e di belle cose quanto si diceva. Alcuni dei Minneconjou in lutto avrebbero voluto farli fuori e contare coups su di loro come su nemici, ma videro che Cavallo Pazzo e Strada Grande conducevano gli ospiti nella tenda da consiglio. Tuttavia nessuno si mostrò troppo ospitale verso i Bighelloni, e perfino le donne rifiutarono i loro regali. Solo qualche capo accettò dei sacchetti di tabacco. Il primo che osò accennare alla vendita dei Black Hills provocò una bufera. Che discorso era mai quello: andare incontro a chi vuol rubarti la terra?! Se vengono i ladri, uno prende l'arco e il fucile, non si mette paroline tenere in bocca! Ma ormai quella regione è già perduta, disse qualcuno dei Bighelloni: i Bianchi l'hanno già invasa. Però se i capi settentrionali fossero andati giù, e avessero firmato, tutti sarebbero stati ben ripagati. « Un capo non vende la terra su cui cammina il popolo », disse Cavallo Pazzo agli inviati dell'agenzia. E lo disse col tono fermo e pacato di sempre, così piano che a mala pena fu udito dal grande cerchio di gente riunita. Ma tutti sapevano che gli inviati avevano fallito la missione. Cavallo Pazzo non scendeva a patti. 355
Appena partiti i Bighelloni, i guerrieri si spostarono verso l'agenzia a imperversare sui cercatori d'oro e a badare che i capi non vendessero gli Hills. In un accampamento favorevole ai Bianchi si tenne una danza del sole, per invocare forza sul popolo, ma pochi vi parteciparono. Raccontarono a Cavallo Pazzo un particolare buffo di questa danza: vi avevano preso parte due danzatori, uno senza una gamba e l'altro senza un occhio, mutilati nelle battaglie intorno al forte sul Piney. Ne era venuta fuori una danza a tre gambe e tre occhi... Egli si ricordava di quei due: erano stati dei bravi guerrieri. Ma proprio mentre si tentava, alla meno peggio, di danzare, i capi all'agenzia litigavano sul prezzo da chiedere per i Pa Sapa. Non sapevano mettersi d'accordo nemmeno sul luogo in cui tenere il consiglio. Non sul Missouri, diceva Coda Chiazzata, e neanche da Nuvola Rossa, ma tra la sua agenzia e quella degli Oglala. Sicché quelli che avevano sempre creduto che il Faccia Cattiva avesse un grande ascendente sui Bianchi dovettero constatare che si faceva convincere dal Brulé. Dei commissari che arrivarono, molti furono riconosciuti dai figli di mercanti: alcuni erano fornitori di merci varie e di bestiame, altri avevano altri modi per ricavar soldi dal trattato. Vi erano anche delle donne bianche, e di quelli che scrivono tutto sui giornali e di quelli che afferrano l'ombra della gente e la chiudono in una scatola nera chiamata macchina fotografica. Altra potente medicina, questa, per privare l'Indiano d'ogni forza. Ne sapeva qualcosa Nuvola Rossa, si diceva, che da quando era andato dal Grande Padre nel 1870 aveva perduto il suo potere con i guerrieri e coi Bianchi. Quando videro che tutta la regione era gremita di Indiani, le alture delle praterie coperte di mandrie al pascolo, quelli che si preparavano al consiglio si fecero baldanzosi, certi che tre quarti degli Indiani (quanti ne richiedeva il trattato del 1868) sarebbero stati presenti a Lone Tree (Albero Solitario), la località scelta per la vendita delle terre lakota. Cavallo Pazzo lo venne a sapere dai messi che ogni 356
giorno mandava a sud e che ogni sera tornavano a riferirgli: era come se osservasse la valle del White Earth col cannocchiale per poter studiare dei piani insieme a Strada Grande e a Tocca le Nuvole, sperando sempre che Piccolo Grande Uomo non si muovesse prima del tempo. Il giorno del consiglio, i Bianchi si sistemarono all'ombra della loro tenda da campo con dei soldati in fila alle loro spalle. Mentre gli altri Indiani si stringevano tutt'intorno per guardare, i guerrieri si lanciarono giù dalle colline e in prossimità dell'area in cui si teneva l'adunanza si divisero in due schiere, circondando tutti, comprese la tenda e l'intera scorta militare. Poi arrivarono i capi in fila indiana e si sedettero in semicerchio davanti ai commissari. Finita la fumata, si alzò un Bianco e invocò il Grande Spirito affinché quel giorno il cuore degli Indiani fosse buono. Poi se ne alzò un altro, e non solo chiese i Black Hills ma anche la regione del Powder e quella dei due fiumi Big Horn, il grande e il piccolo. Prima ancora che l'interprete finisse di tradurre la richiesta, un silenzio pesante come un manto invernale cadde sugli Indiani, diffondendosi fino ai colli e lungo i crinali. Due messi corsero al nord, e quella notte Cavallo Pazzo e gli altri rimasero a lungo davanti al fuoco del consiglio. Alcuni guerrieri avrebbero voluto uccidere subito tutti quei Bianchi; altri avrebbero invece voluto uccidere i capi prima che facessero il disastro, perché se il popolo perdeva anche il Powder dove sarebbe andato a vivere? Quella notte rimasero alzati fino a tardi anche i capi indiani a consiglio: molti volevano vendere, perché secondo loro ormai la regione era perduta, e questi volevano in cambio moltissimo denaro. Altri (i capi guerrieri) non volevano vendere affatto. L'indomani, e per i tre giorni successivi, non si tennero sedute. I Bianchi erano là ad aspettare, ma prima non venne Nuvola Rossa poi nemmeno Coda Chiazzata. Finalmente si concordò che entrambi si sarebbero avviati verso l'area dell'adunanza nello stesso momento. Arrivarono finalmente insieme, ma in cuor loro erano ancora divisi. Gli Indiani erano 357
armati, i cavalli a portata di mano, le donne pronte a smontare le tende e fuggire. I commissari sembrava non se ne rendessero conto: restavano a sedere sotto la tenda, i soldati di dietro, la valle piena di Indiani che urlavano e galoppavano, i colli pieni di guerrieri in attesa. Poi, verso mezzogiorno, si sollevò una gran polvere su un crinale e da quella polvere uscirono duecento guerrieri dipinti e addobbati di penne, fucile in mano. Si lanciarono contro la tenda, a un balzo da essa deviarono e la circondarono cantando i canti di guerra e sparando in aria. Infine si fermarono in riga serrata davanti ai commissari. A un segnale, una seconda schiera scese dalle colline, poi una terza, finché migliaia di guerrieri armati stettero là, molti arrivati dagli accampamenti ostili e che non erano più stati in quel luogo da quando ci erano arrivati i Bianchi. Allora Coda Chiazzata portò via i suoi uomini, poi Nuvola Rossa fece lo stesso, imitato dai capi delle agenzie sul Missouri, da quelli dei Minneconjou, Sans Arcs, Hunkpapa, Piedineri, Due Marmitte e anche da alcuni Yanktonai. Fumarono e tennero consiglio fra di loro, tentando di mettersi d'accordo su chi avrebbe dovuto parlare ai Bianchi a nome di tutti. Nessuno voleva farlo: tutti sapevano che i guerrieri ostili avrebbero ucciso il primo che avesse osato parlare di vendere i Black Hills. Per un'ora i capi si consultarono, mentre i Bianchi guardavano gli Indiani galoppare in circolo in un modo che a loro sembrava inutile e disordinato, perché non notavano che ciascuno di quei « selvaggi » aveva un fucile in mano e che tutti stavano facendo un doppio cerchio attorno ai soldati. D'un tratto i guerrieri a cavallo si separarono per lasciar passare Piccolo Grande Uomo arrivato al galoppo su un bel cavallo americano grigio. Aveva il solo perizoma e mostrava fiero il petto nudo e dipinto, pieno di cicatrici e di tagli freschi ancora sanguinanti. Stringendo il Winchester in una mano e nell'altra una cartuccera piena, spronò verso la tenda gridando che era venuto a uccidere i Bianchi che gli rubavano la terra. Gli Indiani videro i commissari del Grande Padre farsi pallidi come donne malaticce, anche perché ora si erano fi358
nalmente accorti della siepe di fucili che circondava i soldati, tutti i Bianchi. Il fiato restò sospeso. Anche i figli di mercanti avevano paura a muoversi, paura di fare un gesto che provocasse uno sparo che desse il via al massacro di quei pochi Bianchi perduti nel nugolo dei guerrieri inferociti. Allora dal cerchio dei capi si alzò un uomo. Era Giovane Uomo della Paura, senza pitture, senza perline, ma solo con la penna nei capelli che indicava il suo rango di capo. Le braccia conserte sulla coperta blu, si erse alto, dritto e muto davanti a tutti i guerrieri. Finalmente disse con la sua voce ferma e pacata: « Tornate alle vostre tende, miei giovani, sconsiderati amici! Tornate alle vostre tende, e non fatevi vedere fin quando non vi si sarà raffreddata la testa! ». Per un attimo, il tempo di alzare un fucile, non si sentì niente, nessuno si mosse: tutti in attesa dello sparo di un guerriero che stendesse lo Hunkpatila. Ma lo sparo non venne. Poi si mosse un intero settore dell'orda indiana. Un gruppo di guerrieri, dietro ai soldati, indietreggiò, poi voltò i cavalli e se ne andò via al galoppo. Lo stesso fece un altro, poi un altro. Infine, in silenzio e ordinatamente, se ne andarono tutti quelli che si erano appostati sulle alture, e poi Piccolo Grande Uomo, col suo fucile e il suo petto sanguinante. Allora se ne andarono anche i capi indiani e i commissari bianchi, a passi svelti e a testa-bassa come vecchierelle, con i soldati tutt'intorno. Dalle alture lungo la strada, neri gruppi di guerrieri li videro partire, ed era una cosa sola quella che si dicevano: che davvero quel giorno Giovane Uomo della Paura aveva visto la morte in faccia. I commissari non tornarono in quel luogo ma convocarono i capi delle varie agenzie all'edificio di tronchi. Ma anche lì fu la stessa cosa inutile. Nuvola Rossa voleva vendere i Black Hills; in cambio voleva sei milioni di dollari e razioni per sette generazioni dopo di lui, e queste cose le diceva con parole di mercanti che i commissari erano in grado di capire. Coda Chiazzata aveva un suo prezzo, e gli altri capi avevano il loro. Ogni giorno che passava, gli Indiani rimasti erano di meno. Quelli del Missouri dicevano che i 359
Poteri della tempesta stavano già spandendo neve nel loro paese, e quindi dovevano tornare. I guerrieri aspettarono la partenza dei commissari, poi anch'essi tornarono a nord, col cuore pesante e scuri in volto perché sapevano che i minatori accorrevano più numerosi che mai nella regione dei Black Hills, e che gli inviati del Grande Padre andandosene si erano voltati per guardare verso i monti dove c'era l'oro. Cavallo Pazzo aveva cominciato ad avviarsi verso casa la sera dopo che Giovane Uomo della Paura si era alzato davanti ai fucili dei guerrieri. Capì che quell'atto di coraggio faceva fallire il consiglio. Pensava con ammirazione al suo vecchio amico allorché vide qualcuno che sembrava un Indiano, solo, seduto su un colle. Si arrampicò su per una gola e potè vedere meglio. Era un uomo, molto vecchio, appoggiato a una duna di sabbia, la testa rivolta verso l'alto, verso il sole che forse non avrebbe più rivisto perché sembrava cieco. Ma il volto gli splendeva, luminoso come il fuoco nella tenda di una nuova moglie. E quando Cavallo Pazzo lo raggiunse, vide che il vecchio aveva solo una gamba e che gli occhi erano davvero bianchi come una punta di freccia di silice. « Hau! Zio! »,4 disse. « Sei Lakota? ». « Ah! Sì », rispose il vecchio con un filo di voce. Era un Lakota, veniva dal Missouri. Era andato da Nuvola Rossa quando alcuni della banda di Piccola Ferita erano tornati nella loro terra. Ma non vi era più pace nelle agenzie di quanta ve ne fosse nella terra in cui era nato e vissuto. Perciò aveva chiesto a della buona gente di portarlo al nord ' C o m e altri popoli, gli Indiani delle Pianure usavano termini indicanti parentela anche nei riguardi di persone con cui non avevano legami di sangue. « La sacralità dei rapporti è uno degli aspetti più importanti della cultura sioux poiché, dal momento che il Creato è essenzialmente uno, tutte le parti contenute nel tutto sono relate... Tutti i rapporti sulla terra sono simbolo del vero e grande rapporto che sussiste fra l'uomo e il Grande Spirito o fra l'uomo e la Terra, intesa come Principio. Usando questi termini quindi i Sioux in realtà invocano o evocano il Principio, e l'individuo o una qualsiasi altra cosa è per loro solo un pallido riflesso di tale Principio ». Così Joseph Epes Brown, in Alce Nero cit., cap. II, nota 5 (N.d.T.).
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con loro. Quand'erano giunti in un punto in cui l'erba era così alta che la barella vi strisciava sopra e un vecchio vi si poteva nascondere, si era lasciato rotolare giù dalla treggia. Era meglio morire lì, sotto il sole, piuttosto che vivere nelle tenebre delle agenzie. Cavallo Pazzo andò a cercare dei tronchi per fare una treggia. Ne trovò lontano da lì; quando tornò, il sole stava tramontando e intorno alla duna di sabbia c'era solo erba alta, ingiallita dall'autunno. Ma il vecchio era ancora lì, steso per terra, gli occhi spenti rivolti al cielo, morto. Cavallo Pazzo rimase a guardarlo e in cuore provò grande gioia per la forza di cui era capace il suo popolo. Molti vecchi Lakota morivano così, fuggendo carponi e strisciando fino ai cespugli, oppure rotolando giù da una treggia. E per un'arcana, sacra ragione, morivano molto presto. Dopo il consiglio fatto per rubare i Black Hills, molte piccole bande, quella di Alce Nero per esempio, lasciarono le agenzie per tornare al nord nel tepore della seconda estate,5 sostando a ogni torrente per fare un po' di caccia, essiccare la carne e conciare le pelli se trovavano bisonti. Quando la banda di Alce Nero trovò un accampamento di Indiani ostili sul Powder, si sistemò all'estremità inferiore di esso, com'era usanza per i nuovi venuti, per poi partecipare di diritto alla vita e ai consigli dell'accampamento maggiore. Ma quando il giovane Alce Nero si recò alla tenda del suo amico guerriero, trovò un mucchio di rami incrociati davanti all'ingresso: voleva dire che nella tenda non c'era nessuno. Probabilmente Cavallo Pazzo era andato contro i Crow, ma nessuno sembrava saper niente; gli dissero soltanto che Scialle Nero era andata a trovare dei parenti, su, nell'accampamento di Strada Grande. La gente era a disagio quando ne parlava: si guardavano l'un l'altro. L'Uomo Strano andava spesso via da solo. Dopo un po' di tempo uscì di nuovo il fumo dalla ten5
Quella che noi chiamiamo «estate di S. Martino» (11 novembre)
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da di Cavallo Pazzo, e il figlio di Alce Nero fu invitato. Ma quasi non si parlava: il guerriero non era in vena di scherzare mentre l'ospite mangiava la carne preparata da Scialle Nero. Era come se l'adulto avesse dei pensieri, e il giovane - che aveva avuto una potentissima visione - andava a riferire al padre che qualcosa di misteriosamente sacro aleggiava intorno alla tenda di Cavallo Pazzo. Quando si capì che l'inverno sarebbe stato lungo e rigido, il grande accampamento si frazionò per la necessità di trovare pascoli e selvaggina. La banda di Cavallo Pazzo, come ora si chiamava quella di Piccolo Falco il vecchio, circa un centinaio di tende, partì assieme alla poca gente di Alce Nero e si fermò sul Tongue. E poiché in quel duro inverno i Crow erano ripetutamente sconfinati a sud dello Yellowstone in cerca di cacciagione, costruirono un recinto per proteggere i cavalli almeno di notte. In quella zona vi erano molti giovani pioppi, e i cavalli riuscirono a superare l'inverno nutrendosi della loro corteccia. Cavallo Pazzo lasciò quasi tutta la caccia agli altri e non si allontanò mai molto dalla tenda perché Scialle Nero non dovesse correre fuori al freddo. Ogni notte la sua tosse sembrava peggiorare, e poiché a gennaio il disgelo non venne, costruì una capannina di pelli sulla treggia, vi mise la moglie e viaggiò nella neve fino all'Acqua di Medicina. Si diceva che molti fossero guariti dalla tosse sudando nel vapore prodotto dal ghiaccio di quel lago buttato sulle pietre riscaldate. Stettero via due settimane, e al ritorno sembrò che Scialle Nero si fosse effettivamente rimessa: cavalcava come una donna sana e tirava un mulo carico di carne fresca. Non erano ancora tornati, però, che già li attendevano brutte notizie. Quelli che erano andati loro incontro dissero che nella tenda del consiglio erano attesi da alcuni messaggeri. Qui Cavallo Pazzo si sentì dire in lakota che bisognava andare all'agenzia alla fine di gennaio (la Luna del Ghiaccio sulla Tenda), altrimenti si sarebbe stati considerati ostili e ci si sarebbe tirato addosso un grande esercito. Altri soldati! Proprio così. E sebbene quei messaggeri fossero uomini 362
forti e su buoni cavalli, avevano impiegato un'intera luna per fare quel viaggio, tra mille difficoltà: ora i Bianchi davano a quelli del nord la metà di quel tempo per scendere da Nuvola Rossa con tutte le famiglie, i vecchi, i deboli e i malati. Cavallo Pazzo fumava mentre Gemello Nero diceva agli inviati quello che dovevano riferire: la neve era troppo alta e i cavalli troppo deboli. Quella ad ogni modo era la loro terra e nessuno aveva il diritto di dire dove dovessero andare o quando. Così si chiuse la riunione. Due giorni dopo si trasferirono sul Powder per parlare con Toro Seduto e i suoi settentrionali circa il modo di procurarsi fucili e munizioni dalla regione del Missouri: con l'erba nuova sarebbero sicuramente arrivati i soldati, e allora si sarebbe combattuto fino all'ultimo.
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2. IL GRANDE ACCAMPAMENTO
In febbraio (la Luna in cui il Vitello muta il Pelo in Rosso Scuro) venne il grande disgelo. Il ghiaccio dei fiumi si rompeva con rumore simile a quello dei fucili dei soldati che già si udiva dagli accampamenti. La neve si sciolse in fretta scoprendo la terra scura in cui il piede affondava come in una palude. In questa stagione tiepida il piccolo gruppo di Alce Nero, anche se in ritardo, partì per l'agenzia come avevano ordinato i messaggeri. Ma gli Indiani ostili rimasero fuori, e ora i partenti si separavano come se lasciassero dei familiari su un palco funebre. L'arrivo dei soldati per le donne e i bambini sarebbe stato tremendo, e molti sarebbero morti. Dunque la banda di Alce Nero partiva, con dispiacere misto a rimpianto per coloro che lasciava, e con incertezza mista a disagio per ciò che la attendeva, perché anche all'agenzia quello era stato un inverno di fame: spesso avevano avuto da mangiare soltanto la carne dei cavalli, e i soldati erano sempre là, e ogni mattina lo sparo dei cannoni scagliava il sole nel cielo. Nelle tende di consiglio non si interrogavano messaggeri e si parlava dei soldati che al Piatte si preparavano per la marcia a nord. Poteva darsi che fossero molti, ma gli Indiani avrebbero potuto sostenere una lunga guerra contro di loro, se avessero avuto fucili e munizioni e se i bisonti non fossero scomparsi del tutto. Ma senza queste cose sarebbero dovuti andare nelle agenzie. Forse allora conveniva andarci subito, prima che arrivassero i soldati. Molti erano di questo parere, ma a costoro gli altri domandavano che cosa potessero aspettarsi dal Grande Padre quando non ci fossero più stati dei guerrieri ostili da convincere con doni a rinunciare alla libertà, dei guerrieri 364
turbolenti da combattere. Chi poteva dire con sicurezza che egli non li avrebbe lasciati morire tutti di fame? Discorsi di questo genere venivano fatti nel cerchio di visi larghi e come scolpiti nel legno, arrossati dalla fiamma centrale. Soltanto uno restava in silenzio: Cavallo Pazzo, ora un po' più scarno, il naso uncinato sopra la cicatrice, gli occhi bassi. Alla fine gli altri si volsero a lui. A che cosa pensava il loro fratello? Perciò dovette alzarsi, dritto e sottile come un giovane guerriero, le trecce lunghissime, la coperta su un braccio. Sì, ammise, i fucili e i bisonti volevano certamente dire la vita per il popolo e soprattutto per coloro che non erano in grado di difendersi, come le donne i vecchi i bambini. Ma anche se la sconfitta fosse stata totale, egli non sarebbe potuto andare in un'agenzia. « Non che io abbia sempre odiato i Bianchi come alcuni di voi, come per esempio Volpe Nera, che dal seno della madre ha succhiato fiele contro di loro (un seno avvelenato da quella lercia malattia dei Bianchi che aveva ucciso i parenti della donna come in una fuga ci si libera dei fagotti), o come Uomo di Ferro, che vide suo fratello uccidere il padre un giorno che il whisky lo aveva fatto impazzire. Per me non è stato sempre così. Da piccolo io ho giocato con i bambini della Via Sacra, non come Veste da Donna o altri infatuati dei Bianchi, ma da bambino con altri bambini. Si era amici. Io insegnavo loro come si fanno dei buoni archi per conigli e quaglie, e quando avevano fame davo loro della carne dagli essiccatoi di mia madre. Ma tutto questo è stato prima che vedessi Orso che Conquista cadere sotto il fuoco dei cannoni, prima di tutte le perfidie, di tutti i delitti che hanno commesso da allora in poi ». Contro quelli che volevano mettersi subito sulla pista dell'uomo bianco non sapeva che dire: molti avano figli piccoli che non avrebbero potuto correre nella neve per sfuggire ai soldati a cavallo, oppure mogli che già in passato avevano cercato scampo dai cannoni e guardavano al futuro con trepidazione. Avrebbe voluto dire a tutti di restare, ma sapeva che ciascuno aveva il diritto di fare come giudicava più opportuno. 365
«Nessuno riesce a combattere se sa che il cuore delle donne è a terra. Ma per me non esiste paese in cui orme di mocassini e impronte di stivali bianchi possano stare insieme, a fianco a fianco ». Gli diedero ragione perché soprattutto le sue ultime parole erano state coerenti e calzanti, oltreché espressive. Solo uno non disse nulla, e Cavallo Pazzo non guardò dalla sua parte per non mettere a disagio l'amico di più lunga data. Perciò quando l'indomani mattina Cane e le sue otto tende partirono, Cavallo Pazzo era già sulle colline. Quel giorno aveva molte cose da ricordare sugli uomini che un tempo erano stati con lui come gli alberi stanno insieme in una macchia: Orso Solitario, morto fra le sue braccia, quel giorno sul Piney; Gobba, il suo padre guerriero, caduto nella battaglia contro i Serpenti; Piccolo Falco, ucciso sul Piatte, solo; Giovane Uomo della Paura, da tempo nell'agenzia. E ora partiva anche l'ultimo, Cane. Seduto su un colle, osservò la piccola banda di Oglala che procedeva lentamente lungo un pendio verso i Cheyenne di Due Lune, presso la foce del Little Powder. Appena i cavalli avessero riacquistato forze, si sarebbero messi tutti sulla lunga strada, ora senza ritorno, che portava all'agenzia. Ma quel giorno ebbe poco tempo per restarsene seduto a pensare ai momenti dolorosi della sua vita. Una vedetta segnalò da una cima verso il Piatte che arrivavano i soldati: lontani, ma arrivavano. Cavallo Pazzo spense la pipa e tornò dalla sua gente. All'inizio della Luna degli Accecati dalla Neve (marzo), Strisciante fece il giro di tutti gli accampamenti per comunicare un messaggio di Nuvola Rossa: « È primavera. Vi stiamo aspettando ». Gli uomini riuniti in consiglio si domandarono cosa volesse dire: il capo dell'agenzia voleva veramente che i guerrieri andassero là, assieme agli uomini che essi volevano seguire; oppure intendeva dire che aspettava qualcos'altro, qualche ribellione da parte dei guerrieri ostili? Non si riusciva nemmeno a capire perché avesse mandato un messag366
gio del genere. Poteva addirittura esservi stato costretto, essendo prigioniero dei soldati. Di lì Strisciante andò all'accampamento cheyenne, contando di tornare all'agenzia assieme a Cane, dimostrando così di aver fatto un buon lavoro e chiedendo un aumento di paga. Ma improvvisamente tornò l'inverno sugli accampamenti del nord, come improvvisamente si era sciolta la neve un mese prima. La banda di Cavallo Pazzo era ben riparata su un torrente a est del Little Powder, ma forse Cane e i suoi erano stati sorpresi dai rigori del tempo sulla strada verso il sud, nelle pianure aperte. Giunse un inviato da un accampamento presso Forte Fetterman: laggiù correva voce che tutta la banda di Cavallo Pazzo fosse stata distrutta e che tutta la sua gente fosse sparpagliata sulla neve. A quelli che si erano raccolti intorno al banditore dapprima venne quasi da ridere, ma subito si resero conto che invece era una cosa molto seria: dato che la banda di Cavallo Pazzo non era stata distrutta, doveva trattarsi di un'altra. E ora una vedetta segnalava da una cima di aver visto molta gente risalire il torrente: camminavano col ritmo stanco di chi è in viaggio da diversi giorni, e avevano soltanto qualche cavallo e qualche treggia. « E successo qualcosa di grave! », gridò Cavallo Pazzo, e mandò il vecchio banditore per l'accampamento a chiedere alle donne di preparar da mangiare. Poi egli partì insieme a molti altri, con cavalli carichi di carni e di pelli, e tregge per i vecchi, i malati e, forse, i feriti. Incontrarono quei poveretti su un lieve pendio: erano preceduti a piedi da Cane e Due Lune, il Cheyenne. Li seguivano, molto arretrati, uomini donne e bambini, molti con i piedi fasciati in pezzi di coperta bagnati fradici, le schiene curve sotto i fagotti. I pochi cavalli ancora utili erano montati da guerrieri che proteggevano i fianchi e il retro aiutando i giovanissimi mandriani a mandare avanti gli animali che non era possibile montare (cavalle vecchie o puledri deboli che sarebbero diventati buoni appena l'erba fosse spuntata) e a spolpare l'armento portato via ai soldati: bestie così mal ridotte che erano cadute tutte lungo il tragitto. Mentre Cavallo Pazzo fumava assieme ai capi, alla gente 367
sfinita e affamata venne distribuito del wasna. Poi i più deboli e i vecchi vennero caricati sulle tregge, e tutti ripresero il cammino. Giunti all'accampamento, gli Oglala andarono incontro ai loro parenti mentre da ogni parte si sentiva gridare: « Venite, Cheyenne! Venite qua a mangiare! ». Dopo che tutti ebbero mangiato a sazietà e si furono asciugati e scaldati, i profughi vennero ospitati nelle tende oglala, e la sera stessa i capi si riunirono per sentire l'accaduto. Ultimo Toro e la sua famiglia avevano lasciato l'agenzia per andarli ad avvertire che i soldati avrebbero sparato a chiunque avessero trovato nella regione settentrionale. Però egli si era trattenuto, mentre gli altri avevano pensato che fossero chiacchiere di Bianchi alle quali nemmeno lui credeva. Quando altri ne erano arrivati per ripetere la stessa cosa, con tende di tela nuova e un po' di munizioni, Cane, Strisciante e il resto avevano tenuto consiglio. Orso Vecchio si era alzato per dire che si trattava di certi Bianchi che cercavano di convincerli ad andare a sud per poter smerciare whisky e altro. Sotto la neve, le radici dell'erba erano forti: i bisonti si sarebbero ingrassati, e nelle mandrie si contavano molti puledri appena nati. L'estate dunque sarebbe stata buona. Avevano cinquanta tende e, così a nord, oltre il Powder in piena, erano al sicuro dai soldati. Comunque potevano trattenersi là ancora un po', perché tutti sapevano che i Cheyenne non erano in guerra con nessuno. I cacciatori avevano visto i soldati dirigersi verso il Tongue. Allora l'accampamento si era trasferito in un canyon alla foce del Little Powder, dove tutti si erano sentiti al sicuro perché là era difficile scoprirli e attaccarli, tanto più che tutt'intorno avevano messo delle vedette. Ma c'era la neve e si gelava dal freddo: nessuno se la sentiva di uscire dalle tende, e forse anche le vedette si erano tenute troppo vicine ai loro fuochi. E così la mattina dopo di buon'ora per tutto il campo si era gridato: « Sono arrivati i soldati! Sono arrivati i soldati! ».' 1 Attacco sferrato da Reynolds il 17 marzo 1876, dalla Spedizione Crook nei Big Horn.
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Era vero: alcuni erano già fra la mandria dei cavalli buoni e l'accampamento. Le donne e i bambini fuggirono gridando ai primi spari, i vecchi si allontanarono zoppicando, mentre le pallottole sibilavano fra le tende. I guerrieri, molti ancora svestiti, tentarono di difendere il popolo, ma erano a piedi e la maggior parte disponeva solo di archi contro i soldati a cavallo armati di fucili a ripetizione. Prima li assalì un gruppo che montava cavalli bianchi, poi, da un'altra direzione, altri su cavalli bai. Le donne si sparpagliarono su per i ripidi pendii con qualche fagotto e i bambini urlanti. I soldati non cessarono di prenderle di mira, e lo stesso fecero anche i figli di mercanti e le guide indiane. Qualche guida gridò parole lakota verso i fuggitivi, e finalmente Cane vide una cosa che lo fece fremere dalla voglia di combattere come fosse un giovane guerriero, lui che era così pacifico: con i soldati c'era Afferratore, quell'Afferratore che aveva trovato ospitalità presso gli Oglala quando Toro Seduto l'aveva cacciato via. Era lui che aveva guidato i soldati a quell'accampamento nascosto, dove c'erano donne e bambini da uccidere. L'Oglala lo attese a lungo dietro una roccia, ma Afferratore si tenne lontano dai fucili indiani. I giovani mandriani avevano sospinto quei cavalli troppo vecchi e malandati che non si erano dati alla fuga, e avevano aiutato la gente a fuggire in groppa a questi. Cane, Due Lune, Ghiaccio e altri armati di fucili cercavano di fermare i soldati. Erano uno contro quattro-cinque Bianchi, ma parve che quel giorno un Indiano valesse per quattro, perché molti soldati restarono uccisi mentre gli Indiani perdettero un uomo solo. Una donna rimase ferita. Una cieca che in un primo momento sembrava perduta, fu trovata in seguito sana e salva nella sua tenda. I soldati l'avevano risparmiata quando avevano incendiato l'accampamento: qualcuno celava un buon cuore sotto la pelle bianca. Perciò il popolo si salvò, ma nell'incendio del campo perse tutto: tende, carni, pelli, parfleches, tutte le suppellettili ornate di perline, scudi e altri oggetti sacri. Dopo aver assistito al rogo si erano avviati verso il villaggio di Cavallo Pazzo il più velocemente possibile: una mar369
cia faticosa nella neve che si scioglieva, il guado del Powder in piena... Ma bisognava andare avanti. Tutto quel giorno i guerrieri rimasero indietro per tener d'occhio la pista. La notte recuperarono molti dei cavalli perduti, ma ne persero poi degli altri allorché furono raggiunti da altri soldati. Questi erano tutti di Tre Stelle, il grosso capo dei soldati che i Bianchi chiamavano Crook. Dei guerrieri si tennero indietro per controllarli: spararono contro i bivacchi notturni e presero la mandria di buoi, quasi tutte bestie denutrite, con vermi sul dorso grossi un dito. Ma gli Indiani ne furono contenti lo stesso, perché non avevano niente da mangiare. Scarse le pelli di bisonte, scarsi gli indumenti, e non si poteva accendere grandi fuochi perché avrebbero incitato i soldati a inseguirli. Di giorno avevano i piedi nel fango, di notte al gelo: alcuni erano sicuri di perderli. Ma ora, dopo quattro giorni, erano finalmente arrivati. Gli Oglala s'infuriarono. Avevano visto Brulés e Cheyenne distrutti e braccati dai soldati, ma mai la loro gente. Adesso era veramente tempo di consiglio di guerra. Nessuno parlò più di andare all'agenzia, nemmeno i Cheyenne che erano venuti al nord solo per fare visite e procurarsi un po' di carne. Per Cane fu come se l'agenzia non fosse mai esistita, o come se non gli fosse mai passato per la mente di andare dai Bianchi. Cavallo Pazzo se ne rese conto e fu felice che Tre Stelle non fosse arrivato più tardi, altrimenti quella gente sarebbe stata perduta. Se il capo dei soldati avesse aspettato che i cavalli potessero fare il lungo viaggio fino alle agenzie di Nuvola Rossa o di Coda Chiazzata, forse la maggior parte degli Indiani sarebbe stata perduta. Invece adesso si potevano mandare dei corrieri alle agenzie per dire ai guerrieri di là: « Venite! Ci sarà da combattere quest'anno. Ci sarà da contare un mucchio di coups, e cavalli americani per tutti! Venite, e portatevi i fucili! ». Ma intanto c'erano molte centinaia di soldati sparsi per il paese con figli di mercanti e guide indiane. Perciò la mattina dopo Cavallo Pazzo e Due Lune portarono la loro gente verso l'accampamento degli Hunkpapa a Chalk Buttes (Colli di Gesso). Avendo sufficienti cavalli, nessuno fu co370
stretto ad andare a piedi, e i vecchi, i feriti e i mezzo congelati furono sdraiati su tregge. Quando arrivarono all'accampamento di Toro Seduto, più grande di quello degli Oglala e dei Cheyenne messi insieme, vennero montate due doppie tende: una per gli uomini e l'altra per le donne cheyenne. Poi vennero le giovanette hunkpapa a due a due, tenendo per il manico delle grandi pentole di carne. Continuarono a portarne finché i Cheyenne furono sazi e rimase carne anche per il giorno successivo. Intanto il banditore cavalcava per il grande accampamento gridando: « Ora i Cheyenne sono molto poveri per colpa dei soldati. Tutti quelli che hanno coperte, pelli e tende in avanzo le diano a loro! ». Ancora una volta le donne e le fanciulle lakota uscirono recando i doni per i Cheyenne. Pelli, indumenti e perfino tabacco e pipe rituali vennero posati per terra davanti agli ospiti, quindi cavalli con selle da carico e tregge. Con tutte queste cose - le schiene curve sotto i pesi - le Cheyenne si recarono nel settore del campo loro destinato. Ogni famiglia ebbe così una tenda : alcune erano piccole ma offrirono eccellente riparo finché non fu possibile andare a caccia e procurare pelli per tende più grandi. Ebbero anche un po' di munizioni. I Gros Ventres che poco tempo prima erano venuti a trovare Toro Seduto, gli avevano venduto tutte le polveri e le armi che avevano. Tornati dal loro agente, gli avrebbero detto che non avevano potuto cacciare perché i Lakota li avevano derubati; e poiché i Lakota avevano fama di essere gente cattiva, che prendeva tutto quello che voleva, l'agente li avrebbe creduti e li avrebbe riforniti un'altra volta di armi e munizioni. Ora questo piano per ottenere armi da Forte Berthold sul Missouri poteva fallire a causa dei cavi parlanti che avrebbero dato la notizia del combattimento contro i soldati. Ma gli Siota avevano armi che avrebbero volentieri dato via a chi li avesse pagati adeguatamente. Quei ladroni degli Siota! Ma non c'era scelta: i guerrieri ostili dovevano assolutamente procurarsi armi e polveri: avendone a sufficienza, avrebbero scacciato i Bianchi dai Black Hills, dicevano i giovani guerrieri. Perfino i più an371
ziani ora sembravano opporsi al dilagare dei soldati. Avrebbero combattuto, e bene. Questi erano i discorsi che si facevano, e. la strada per le isole dell'uomo bianco sembrava veramente dimenticata. Ma se doveva esserci la guerra, allora si doveva lavorare insieme. Il consiglio oglala diede alla propria tribù un nuovo tipo di capo: un condottiero energico e coraggioso che al tempo stesso fosse un padre per il suo popolo, saggio, severo, buono. Il suo era un compito estremamente difficile, ma c'era uno che non avrebbe mai tradito la propria missione, e questi era lo Strano Uomo degli Oglala. Il consiglio affidò questa nuova carica straordinaria a Cavallo Pazzo: carica sulla quale non potevano influire le piccole o le grandi rivalità tra i diversi clans, i passaggi di potere da una famiglia all'altra. Beghe del genere non potevano comprometterla. Lo avvertirono: era una carica a vita, che gli dava un potere che poteva venire tolto soltanto dalla coltre rossa del palco funebre. Appena si seppe, il popolo, adunato fuori della tenda consigliare, acclamò Cavallo Pazzo, che sollevava il cuore da terra. La mattina dopo, altri corrieri vennero inviati alle agenzie di Coda Chiazzata e di Nuvola Rossa. «Venite! », dovevano dire. «Cavallo Pazzo è il capo di noi tutti! ». La notizia fece accorrere i guerrieri. Tutti ricordavano quanto fosse potente la medicina di Cavallo Pazzo. Dopo due settimane i guerrieri ancora continuavano ad arrivare, nella luce del crepuscolo, portando molte notizie: erano tornate le guide di Tre Stelle e i suoi soldati, rientrati a Forte Fetterman con le dita congelate, ora attendevano i rinforzi e il caldo estivo. I Bianchi continuavano a dire che era il villaggio di Cavallo Pazzo quello che avevano distrutto, perché Afferratore aveva riconosciuto cavalli già visti nell'accampamento oglala. « Ah, sì. I cavalli di Cane... ». Ecco tutto quel che sapevano gli Oglala. Ora Tre Stelle (Crook) cercava di procurarsi altre guide tra gli Oglala e i Brulés delle agenzie. A comandare le guide era Toro Seduto, l'Oglala. Ma Nuvola Rossa, Foglia Rossa e altri si opponevano: non era bello che dei giovani dessero la caccia 372
ai parenti. Nemmeno il lupo insegue di nascosto altri lupi. Il nuovo agente era d'accordo con loro, ma sembrava che il capo dei soldati fosse molto arrabbiato, e poi insultava gli Indiani in termini che credeva essi non capissero. Ahh-h! Qual era l'Indiano che non capiva gli insulti? Erano le parole che udiva più spesso dai Bianchi. Ma si diceva anche che Tre Stelle fosse molto arrabbiato per le razioni destinate agli Indiani di Nuvola Rossa: come ci si poteva aspettare che gli Indiani ostili accettassero di andare all'agenzia quando quelli che c'erano già vi morivano di fame? Correva voce tra i figli di mercanti che un'altra grossa schiera di soldati si preparasse a muovere contro gli Indiani ostili, stavolta dai forti sul Missouri. Gli Indiani dovevano spicciarsi: far carne e stare all'erta, ché l'estate sarebbe stata piena di battaglie. I perlustratori riferirono che c'erano bisonti nella regione del Rosebud. Allora gli accampamenti cominciarono a trasferirsi a poco a poco da quella parte, dando ai cavalli il tempo e il modo di riacquistare forze. Il grande fiume di gente indiana si allungava quasi ogni giorno. Prima vi si erano aggregati i Minneconjou settentrionali di Cervo Zoppo, poi i Sans Arcs e via via molte altre piccole bande dalle agenzie più lontane. Verso l'epoca in cui l'erba fu buona arrivarono anche i Lakota Piedineri e alcuni Santee che erano braccati da dieci anni (dal tempo della loro guerra nel Minnesota). Ora venivano chiamati Senz'Abiti, tanto erano poveri, e trasportavano le loro piccole tende e i loro miseri fagotti su tregge trainate da cani. Si erano imbattuti nei soldati venendo da nord-est, e ne avevano visti molti altri lungo lo Yellowstone. Capelli Lunghi poi, quello che i Bianchi chiamavano Custer, si era messo in viaggio da Forte Lincoln sul Missouri. Capelli Lunghi! I guerrieri lo conoscevano bene: i Cheyenne perché a sud aveva sterminato la loro gente, e i Lakota per lo scontro sullo Yellowstone e per la Via dei Ladri che egli aveva aperto e fatto arrivare fino ai Black Hills. Ma gli Indiani dovevano anche tener d'occhio un capo dei soldati che era a sud e che quell'anno aveva già colpito le bande di Cane e di Due Lune. Ora tornava, passando davanti 373
al vecchio forte sul Piney e all'Acqua di Medicina e avvicinandosi al torrente Goose dominato dal Cloud Peak (Cima Nuvola) dei monti Big Horn, alto come un guerriero canuto. Quando il grande accampamento raggiùnse la valle del Rosebud i cavalli erano in forma e tutti si erano potuti fare tende più spaziose. A ogni consiglio i più giovani parlavano di attaccare i soldati di Tre Stelle bivaccanti nel cuore del loro paese. Ma anche Cavallo Pazzo si opponeva: i soldati erano troppo forti sul loro terreno: finché non attaccavano essi per primi, gli Indiani dovevano stare calmi. Una sera il vecchio Alce Nero, mutilato, arrivò dall'agenzia di Nuvola Rossa con qualche tenda. Tornava da suo cugino, Cavallo Pazzo, per combattere fino alla fine, perché sembrava che i capi delle agenzie volessero veramente vendere i Black Hills. Con lui erano dei Cheyenne e molti che fino allora erano stati vicini ai Bianchi: c'era perfino il figlio di Nuvola Rossa, con il fucile rifinito in argento che il padre aveva ricevuto a Washington. Dall'alto dei monti del Rosebud, ciò che si era parato davanti ai loro occhi li aveva fatti restare tutti senza fiato: una valle piena di cerchi campali e di mandrie, un accampamento talmente grande che non si riusciva ad abbracciarlo tutto con un solo sguardo. Nessuno avrebbe creduto esistessero ancora tanti Indiani. Era bello contemplare il loro numero, bello passare davanti alla grande tenda consigliare e vedere quali grandi uomini vi si adunavano: Cavallo Pazzo e Strada Grande degli Oglala; Toro Seduto e Galla, Luna Nera e Corvo Reale degli Hunkpapa; Aquila Chiazzata dei Sans Arcs; Toro Veloce e Tocca le Nuvole dei Minneconjou; Due Lune e Orso Vecchio dei Cheyenne, e perfino il vecchio, famoso guerriero Inkpaduta che ora sedeva tra i pochi Santee e Yanktonai presenti. Dopo poco tempo il grande accampamento prese a risalire il fiume, i membri del consiglio a piedi, secondo l'antica usanza. La sera c'erano pranzi e danze, visite e corteggiamenti. Dai giorni in cui i primi Oglala erano andati via da Laramie, non si erano più visti tanti giovani percorrere l'accampamento sotto la coperta tenuta alta dagli amici guerrie374
ri secondo l'antica usanza nuziale. Soltanto qualche Indiano più vecchio pareva darsi pensiero dei parenti rimasti nelle agenzie, o ricordare che le vedette e i perlustratori erano partiti in due direzioni diverse per controllare il movimento dei soldati. I soldati dell'uomo bianco erano già stati nella loro terra (nell'anno che i Bianchi avevano chiamato 1865) ma erano dovuti andar via. Qualche volta dovevano passare giorni prima che i guerrieri potessero parlare con l'uomo che avevano voluto seguire, perché Cavallo Pazzo spesso si allontanava dal chiasso e dai tamburi, e forse andava a digiunare sperando di ottenere una visione o un sogno che gli dicesse cosa bisognava fare. Se fosse riuscito a diventare parte più integrante della terra, del cielo e di tutto ciò che vive tra il cielo e la terra, forse ci sarebbe stato un modo per salvare il popolo. Si sottoponeva anche ai sacri riti degli antichi: per due giorni interi stette immobile a fissare i lontani Black Hills infestati come da formiche dai Bianchi, che a colpi di piccone e di pala percuotevano le rocce, le fresche e verdi vallate e i pendii rossi di bacche dolci al palato. Ma anche quel sacrificio non fu più di un vento in una gola e, tornando al campo, egli notò che sterco e resti di bisonte erano sempre più rari e che gli alberi non erano più lisciati dal dorso dei puledri che perdevano il pelo. Una volta si spinse fino ad osservare il campo di Tre Stelle: file di tende militari come .una grande zona bianca, un tratto innevato su cui il sole non batte. Là, sotto i suoi occhi, c'erano molti fucili a ripetizione. Avrebbe voluto essere nel luogo della sua prima visione quando era passato incolume attraverso le pallottole di molti nemici. Ma era lontano, dalle parti dell'Acqua che Corre, nei pressi del luogo dove era morto Orso che Conquista, e ora anche là gli stivali dei Bianchi lasciavano profonde tracce. Portò a casa solo la pelle di un vitello della mandria dei soldati. Così, la prossima volta che si fosse lanciato contro i Bianchi, il vento gli avrebbe fatto ondeggiare una nuova cappa da guerra: una pelle rossastra con molte piccole chiazze bianche, come i chicchi di grandine della sua visione del Tuono. 375
Nello splendore della Luna che Ingrassa (giugno), gli Hunkpapa tennero la loro grande danza del sole vicino alle sacre rocce della Medicina del Cervo, dove andavano talvolta i cacciatori a invocare cacce propizie. Là Toro Seduto sacrificò cento pezzetti della sua carne, cinquanta pezzetti della sua pelle grandi quanto un seme d'erba, strappati a ciascun braccio con una punta di lesina e poi tagliati. Lo Hunkpapa cantava mentre gli scorreva il sangue. Poi si sottopose al sacrificio del sole, che consisteva nel fissarlo senza mai distogliere gli occhi fino al tramonto, per poi ricominciare a fissarlo all'alba successiva. Alla fine cadde come morto. Quando tornò a vivere, parlò di una visione: Molti Soldati Piombanti sull'Accampamento. Il popolo udì ed elevò un grande inno di gioia. Quando sul Rosebud non si trovò più da cacciare o pascolare, l'accampamento superò uno spartiacque e giunse al torrente Ash, che sfocia nel fiume Little Horn (il Little Big Horn dei Bianchi). Là, a metà giugno, una sera le vedette cheyenne tornarono di corsa imitando gli ululati del lupo, per indicare un pericolo. « Abbiamo visto che stanno venendo molti soldati! Ci sono Indiani con loro! ». Furono avvertiti gli accampamenti più a valle, e i capi si riunirono nella grande tenda del consiglio cui erano state sollevate le pelli laterali in modo che tutti intorno potessero vederli e sentirli, anche lontano, dov'era buio. Allora i Cheyenne fecero il rapporto. « La valle del Rosebud brulica di soldati di Tre Stelle, venuti dal torrente Goose insieme con Crow, Serpenti e con dei figli di mercanti che abbiamo riconosciuto guardando col cannocchiale: Grosso Pipistrello e Afferratore... ». Afferratore un'altra volta. Toro Seduto l'aveva preso a benvolere come un fratello quando i Bianchi gli davano la caccia, poi Cane e Cavallo Pazzo lo avevano protetto quando lo Hunkpapa aveva scoperto che, istigato dai Bianchi, Afferratore tramava di consegnarlo a loro. E ora portava là i soldati: erano già a meno di un giorno di distanza. « Hop! Corriamo, affrettiamoci! Mandiamo loro incon376
tro il nuovo capo Cavallo Pazzo con i guerrieri », dicevano alcuni. « Voi dimenticate chi resta qui! », gridarono i più cauti, quelli che avevano sempre paura. « Se i guerrieri si allontanano per attaccare i soldati, chi proteggerà l'accampamento? chi impedirà che donne e bambini vengano uccisi? Non dobbiamo dividere la nostra grande forza! ». « Ma volete che i soldati ci attacchino qui, facendo fuggire i disperati verso la prateria aperta, incalzati dai loro cavalli americani?! », domandò qualcuno. « Fate un muro di guerrieri tutt'intorno al popolo! », consigliarono i cauti. I guerrieri si opposero: «Staremo a sentire i vecchi? », gridavano e non volevano calmarsi. « Hoka bey! », gridarono altri cominciando a far ressa verso l'uscita e dando lavoro all'akicita che doveva impedir loro di correre a combattere a piccoli gruppi, come insensati. Dapprima il circolo più interno, quello dei grandi capi, rimase seduto immobile davanti al fuoco come se non stesse accadendo nulla. Si alzò uno e tentò di prendere la parola, ma la sua voce si perse nel chiasso dei guerrieri e nel rumore sordo degli archi e dei frustini dell'akicita sulla pelle nuda. Ma quando i giovani si scaldarono e fecero per uscire, tutti i capi guardarono verso uno stesso uomo; quelli più vicino lo esortarono più efficacemente, e allora Cavallo Pazzo si alzò, più esile che mai, illuminato dalla fiamma, al centro della massa di gente nella penombra. « Aspettate, amici miei », disse ai guerrieri. « Si combatterà molto presto... ». « Hop! Andiamo! », gridò uno dalle ultime file che aveva udito le parole senza sapere chi le aveva pronunciate. Ma la voce pacata di Cavallo Pazzo proseguì e a poco a poco si fece silenzio, prima vicino a lui poi tutt'intorno, come lungo i rami di un grande albero, anche fuori della tenda, nella notte, finché ogni donna e bambino poterono udire o farsi riferire quello che stava dicendo. Prima di tutto, doveva essere ben protetto il popolo. I capi più anziani e i loro seguaci dovevano restare a proteggere quelli incapaci di difendersi, come si era sempre usato, 377
ricordando che poteva darsi che ci fosse da combattere proprio lì, nell'accampamento. La grande visione di Toro Seduto non aveva infatti avvertito che molti soldati si sarebbero riversati nell'accampamento? Ma bisognava ugualmente mandare al Rosebud una forte schiera per scacciare i Bianchi di là. Lui era disposto a guidare questa schiera, se i guerrieri volevano seguirlo. « Hoye! », gli risposero fragorosamente. « Hoye! », e dove poco prima c'era stata furia subentrò un'approvazione cui fece eco tutto il popolo. Gli dava forza sentirli gridare così, ma continuò: ogni uomo doveva pensare attentamente prima di gridare Hoye! Ora nella terra dei Lakota era necessario combattere un nuovo tipo di guerra, una guerra che non aveva nulla a che fare con le piccole battaglie fatte per respingere pochi Crow o Serpenti razziatori, tra una caccia e l'altra, in momenti vari della loro vita. Con i guerrieri bianchi si trattava di uccidere ogni giorno, uccidere di continuo. « Questi soldati del Grande Padre non sono uomini come voi », disse Cavallo Pazzo ai guerrieri. « Non hanno casa da nessuna parte, non hanno moglie ma donne che si pagano, non conoscono i figli. Essi, amici miei, sono venuti a cercarci nel nostro paese per ucciderci. In questa guerra dobbiamo combatterli in modo diverso dai modi che conoscono i Lakota: non per contare molti colpi né per compiere grandi imprese da raccontare nella danza di vittoria. Dev'essere una guerra per uccidere, una guerra definitiva, così che poi si possa vivere in pace nel nostro paese ». Dopo un'ora, mille guerrieri erano pronti a partire con Cavallo Pazzo, due schiere di Cheyenne e tre o quattro di Lakota, che dovevano cavalcare un po' discoste tra loro, ciascuna sotto i propri condottieri. Alcuni avevano fucili, altri soltanto archi e mazze. Molti erano uomini nel pieno delle forze, altri invece erano appena ragazzi o erano uomini che avevano forse combattuto soltanto contro un agente che non voleva dare le razioni: come il giovane figlio di Nuvola Rossa, fiero di mostrare il prezioso fucile del padre. Quando Cavallo Pazzo corse alla sua tenda dopo l'ordine di partenza, Scialle Nero aveva già preparato tutto quan378
to serviva al marito. Prendendo dalla mano di lei le corde dei cavalli da guerra, le gettò la coperta sulle spalle e per un momento la tenne così, tra le pieghe, come una fanciulla che egli stesse corteggiando. Le sollevò il volto e lo fece premere contro il proprio. Sentì che aveva le guance umide. Poi lei andò via: quella notte i guerrieri non dovevano scorgere tracce di tenerezza nel loro capo. Tutti dipinti, ciascuno con le proprie insegne, fucili e punte di lance scintillanti, i guerrieri fecero a cavallo il giro dei grandi fuochi dei cerchi campali, mentre i tamburi rullavano e le donne gridavano la loro grandezza. Con gli altri condottieri cavalcava Cavallo Pazzo: aveva sulle spalle la pelle di vitello punteggiata di bianco, ma in petto gli gravava un peso, come di qualcosa che stesse morendo. Chi poteva dire se mai un'altra spedizione lakota avrebbe fatto il giro degli accampamenti in quel modo?
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4.
MOLTI SOLDATI PIOMBANO SULL'ACCAMPAMENTO
La notte si assottigliava a oriente quando Cavallo Pazzo fermò i suoi Oglala per una breve sosta. Non distavano molto dal Rosebud e un vento leggero portava con la fragranza delle rose che riempivano quella valle, un odore d'acqua che eccitava i cavalli stanchi. Ma poco dopo udirono il tenue segnale della civetta di un'altra schiera in arrivo. Allora ripresero a cavalcare: i soldati non dovevano sfuggire. All'alba i guerrieri erano dietro il crinale a nord e ad ovest dell'ansa del Rosebud. Si fermarono, mangiarono wasna e si prepararono per la battaglia. Cavallo Pazzo sciolse le lunghe trecce, si legò il manto di pelle di vitello, buttò della terra sul suo cavallo pezzato. Non lontano, il figlio diciottenne di Nuvola Rossa tirò fuori un'acconciatura da guerra a strascico e se la mise come se fosse un membro dell'akicita in diritto di farlo. I coetanei si scansarono da lui, i più anziani stettero zitti: quel figlio dell'agenzia non tollerava la minima osservazione. Mentre si facevano riposare i cavalli, le vedette andarono a localizzare i soldati. Appena superato il crinale, s'imbatterono nei Crow che venivano su per l'altro versante. Ci fu una sparatoria, un Lakota cadde, due Crow rimasero feriti, e tutti i guerrieri, dimenticando che i cavalli avevano bisogno di riposare, balzarono in groppa, frustarono, e si fermarono in cima al crinale profilandolo di nero contro il chiarore del cielo. Da lassù Cavallo Pazzo vide le guide crow fuggire per il pendio e scendere nella valle del Rosebud brulicante di soldati e di Indiani: 1 tanti che parevano una placida mandria 1
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Battaglia del Rosebud, 17 giugno 1876.
di bisonti ruminanti. I cavalli pascolavano, qua e là si vedevano gruppetti di uomini. Sull'altra sponda del fiume costeggiato di salici, i soldati erano più numerosi. Dietro a loro le colline e un'altra catena di monti, così lontana che un cavaliere laggiù sarebbe parso piccolo come uno degli alberelli sparsi. E tra Cavallo Pazzo e la parete opposta della valle, come nel palmo di una mano adulta, c'erano i soldati. Avrebbe voluto avere una quantità di fucili buoni e guerrieri da riversare a ondate, picchiando come grandine. Appena i fuggitivi crow giunsero a dare l'allarme, i soldati corsero a prendere i cavalli, si allinearono, andarono qua e là a piccoli gruppi. Nel giro di pochi minuti, molta cavalleria e fanteria era in marcia contro gli Indiani ostili. Venivano su a ritmo sostenuto, divisi in colonne. Avevano una bandiera, e l'aria calda portava il suono limpido della loro tromba. Dietro ai Bianchi, le guide indiane non facevano che cavalcare avanti e indietro sollevando della gran polvere. Anch'esse si preparavano al combattimento, ora che i soldati erano andati avanti, e già sparavano contro quelli della loro stessa razza. Cavallo Pazzo riuscì a contenere a lungo i propri guerrieri, poi i soldati divennero talmente tanti e il loro fuoco così fitto e vicino, che decise di farli ritirare dietro le rocce di una seconda catena di monti, sperando in tal modo di tirarsi dietro i soldati. E i soldati abboccarono: smontati da cavallo, si arrampicarono di roccia in roccia. Quando li vide ben sparpagliati, Cavallo Pazzo guidò una carica. Fu un combattimento breve ma feroce: molti uomini caddero, qualcuno colpito perfino da frecce. Poi, da un fianco sopraggiunsero altri soldati, seguiti dai Serpenti. Nel fumo e nella polvere, i Lakota non sapevano distinguere gli alleati dalle guide indiane: allora si ritirarono per un certo tratto per far riposare i cavalli e rendersi conto di come stava andando la battaglia negli altri fronti. I Crow si erano fatti baldanzosi. Quando il giovane Nuvola Rossa perdette il cavallo e fuggì senza prima togliergli la briglia, dimostrando così la sua paura, lo raggiunsero di volata, lo frustarono e, strappandogli il fucile del padre e l'acconciatura da guerra, gli dissero che era un ragazzino 381
e che non aveva alcun diritto di mettersi le penne. Cavallo Pazzo e altri due caricarono quei Crow e trassero in salvo il giovane Faccia Cattiva. Non poterono nemmeno guardarlo in faccia, tanta era la loro vergogna per avere visto uno dei loro giovani implorare in lacrime che i nemici lo risparmiassero. Ormai il sole era alto e si combatteva anche sul fianco opposto della valle. I guerrieri andavano avanti e indietro su chilometri di terreno accidentato. Molti negli assalti compirono atti di coraggio, molti perdettero il cavallo, molti rimasero feriti. I guerrieri traevano in salvo i compagni in difficoltà: i cavalli erano talmente stanchi che il frustino era inutile. Ora gli Hunkpapa davano man forte: giunti per ultimi nella battaglia, avevano cavalli più freschi e fucili ancora carichi. Cavallo Pazzo combatté per un po' assieme a loro. Come sempre, scivolava da cavallo e sparava quasi da raso terra. Quando il pezzato non ce la fece più, montò sul baio e andò sulle colline dove pareva che i Cheyenne stessero facendo una battaglia prodigiosa. In un momento in cui il fumo e la polvere si diradarono un poco, vide la sorella di Capo Appare lanciarsi dove il fratello era rimasto circondato senza cavallo. Col fratello dietro a sé sul suo stesso cavallo, la donna passò zigzagando tra i soldati e sotto una pioggia di proiettili, tornando dai guerrieri esultanti per lei, per il coraggio che aveva dimostrato. I Cheyenne erano veramente un popolo di prodi, pensò Cavallo Pazzo. Ma il cuore più forte e il braccio più lungo, lakota o cheyenne, non erano sufficienti con il solo arco contro quei fucili. I guerrieri stavano dando tutto, ma venivano sempre ricacciati indietro. I più coraggiosi erano costretti a ritirarsi davanti ai proiettili sibilanti tutt'intorno, e per fuggire dovevano ricorrere al frustino. Cavallo Pazzo li precedette ed essi se lo trovarono improvvisamente davanti. «Resistete, amici! Siate forti! Ricordate quelli che avete lasciato a casa! », gridò, e stringendo alto il Winchester come una lancia, si lanciò in mezzo a loro verso i soldati che incalzavano. « Questo è un buon giorno per morire! », gridò voltandosi, mentre la sua cappa svolazzava come ali di pipistrello. « Hoka hey! ». 382
« Hoka hey! », gli fece eco la voce poderosa di Donnola Buona mentre girava il cavallo per seguirlo. E « Hoka hey! » urlarono Toro dal Cuore Cattivo, Orso Nero e Orso Scalciante; «Hoka hey!» tuonarono i guerrieri tutti insieme, scagliandosi contro i soldati tra le rocce e alzando il tiro dell'arco perché le frecce andassero a conficcarsi nei loro cavalli. Quando gli animali terrorizzati riuscirono con impennate e strattoni a liberarsi dei soldati che li tenevano stretti per la briglia, i Bianchi dovettero indietreggiare saltando di qua e di là. Ora anche il Bighellone più giovane poteva vedere che avevano paura. Gli Indiani continuarono a premere sempre di più, spingendosi in mezzo ai nemici, sparando da sotto il collo dei cavalli sbuffanti o proni sul dorso degli animali, finché i Crow e i Serpenti si diedero a una fuga precipitosa dando di frustino e urlando, verso il piccolo gruppo di capi di soldati e figli di mercanti che era intorno a Tre Stelle. Di lì a poco anche i Bianchi si diedero alla fuga come avevano fatto le loro guide. Ma i Lakota non davano tregua: li disarcionavano colpendoli con i fucili scarichi o con le mazze, travolgendoli in corsa senza mai fermarsi, se non per raccogliere le carabine da terra, dalle quali Cavallo Pazzo estraeva le cartucce incastrate. Ributtarono nella valle l'intera armata, come se i Bianchi fossero antilopi sparpagliate braccate da guerrieri. Cavallo Pazzo vide che in questa fase molti soldati restavano feriti, e che molti dimostravano coraggio: in particolare, un piccolo capo dei soldati seduto sotto un albero, la faccia tutta sangue, ancora dava mano alla pistola. Si udì un fragore di trombe e i soldati si ritirarono tutti insieme formando una nuova linea che sarebbe stato difficile sfondare. Inoltre il sole stava calando. Cavallo Pazzo decise di tentare qualcosa di diverso. Fece fare ai guerrieri un largo giro, quindi passarono il fiume e ripresero a scendere sull'altra sponda. Lasciavano camminare i cavalli stanchi per far credere che avevano rinunciato. Come sperava, un gruppo di soldati e di guide crow li vide e si mise a seguirli sull'altra sponda. Allora Cavallo Pazzo ridiventò quello che era stato tanto spesso: rifece da esca, fermandosi 383
ogni tanto dietro ai suoi, passando il fiume per qualche piccola carica contro i soldati, come se volesse rimandarli indietro. Perciò questi allungarono il passo. Come gli Oglala si avvicinarono all'ansa del Rosebud, vennero mandati dei segnali per avvertire gli altri di scendere a quel punto stretto della valle dov'era più facile combattere con i soli archi e i cavalli stanchi. Una fila di guerrieri che si allungava sempre più scese al fiume alle spalle dei Bianchi, che parvero non accorgersi nemmeno dell'arrivo di questi Lakota. Ma prima che i soldati arrivassero alla nuova linea di combattimento, i Crow che li accompagnavano si fermarono e fecero il loro tipico ululato, quasi disumano, indicando che si rifiutavano di proseguire, ché là avanti, dove il crinale si protendeva verso il fiume con rocce e cespugli, i nemici potevano aver trovato un nascondiglio ideale. Quando li raggiunse al galoppo un inviato di Tre Stelle, i soldati girarono al largo dagli Indiani che li seguivano e tornarono indietro di volata, in tempo per colpire la retroguardia dei guerrieri che ancora combattevano. Allora gli Indiani si sparpagliarono. Erano finite le cartucce, anche quelle dei fucili conquistati; i cavalli erano esausti. Era stata dura. La stella del mattino era nel cielo quando i guerrieri rientrarono all'accampamento sul torrente che sfociava nel Little Big Horn. Dal punto in cui si erano fermati per fare le tregge per i feriti avevano mandato al campo i messaggeri con le notizie. I feriti furono portati a casa con solennità, preceduti da due capi anziani di ogni cerchio campale. Dappertutto ardevano i fuochi su cui le donne preparavano da mangiare per i guerrieri affamati. Per qualche famiglia le notizie purtroppo furono cattive: otto uomini, di cui due Oglala, non sarebbero mai più andati all'assalto del nemico. Naturalmente i feriti erano molti di più. Era un peccato anche che il giovane Nuvola Rossa fosse ripartito di nascosto per l'agenzia, come un bambino sgridato, senza l'acconciatura da guerra che si era fatto prestare e senza il bel fucile del padre. Doveva essere triste vedersi tornare un figlio in 384
quello stato. Era stato il gesto di un giovane sciocco e imprudente. La cosa importante era che, in rapporto al numero complessivo dei combattenti, gli Indiani avevano perduto pochissimi uomini, e i soldati non dovevano essere molto allegri. I guerrieri si erano già ristorati quando giunsero buone notizie: Tre Stelle era costretto a trascinarsi dietro cinquantasette uomini, tra morti e feriti così gravi che bisognava trasportarli. Sembrava inoltre che anche i soldati fossero rimasti senza munizioni. Comunque, ora stava sollevando polvere sulla strada che lo riportava al torrente Goose, e non aveva più tanta voglia di Indiani. Quando i banditori comunicarono queste notizie al popolo, perfino la gente in lutto interruppe le lamentazioni funebri per aggiungere agli altri il proprio trillo di gioia. Dopo che i capi ebbero vagliato le notizie e ragionato sulla situazione, Cavallo Pazzo uscì dal grande accampamento e andò a sedersi su una cima per riflettere sulla battaglia. Effettivamente, i guerrieri avevano combattuto come egli aveva chiesto. L'antico modo di combattere dei Lakota, quello destinato a conquistare cavalli, scalpi e coups, quello in cui un uomo si slanciava da solo e faceva cose dell'altro mondo per dimostrare la propria forza, sembrava sorpassato. Il giorno prima la maggior parte erano andati alla carica in gruppi, direttamente sui soldati, scompaginandone le linee, senza che nessuno si fermasse a contare colpi o prendere scalpi prima che il combattimento fosse finito. E avevano ricacciato indietro Tre Stelle. Era l'impresa più grande che i Lakota avessero mai compiuto, e contro soldati veramente venuti per combattere, non intrufolatisi come coyotes nei canyons per paura di farsi vedere. Era stata senza dubbio una battaglia più grandiosa di quella sul Piney, perché il capo dei soldati che comandava là non era certo della levatura di Tre Stelle. Ma restava la visione di Toro Seduto: Molti Soldati Piombanti sull'Accampamento. L'indomani, tutto il vasto accampamento scese al Little Big Horn lasciando montate solo le tende funebri dei caduti 385
lakota. Alle prime alture le donne innalzarono lamenti e si voltarono per darvi un ultimo sguardo. La sera si tenne la danza di vittoria. Soltanto gli scalpi delle guide indiane ciondolarono dai bastoni delle donne: le cuti con i capelli corti dei soldati vennero gettate via, quasi valessero soltanto come lembi di pelle di cavallo. Si danzò anche per i fucili conquistati, di cui molti a canna corta, da sella, alcuni buttati via dai soldati nella mischia che si era formata all'apice del combattimento. Al campo c'era uno (si chiamava Mano Buona) che, avendo aiutato il fabbro dell'agenzia, sapeva riparare i fucili guasti, anche quelli che i soldati avevano spaccato a forza di frustare i cavalli. Il rullo dei tamburi, le danze e i canti durarono tutta la notte. La gente andava da un campo all'altro per ascoltare le gesta del Rosebud. L'entusiasmo maggiore era tra i Cheyenne: là non si faceva che ripetere la storia di Strada del Vitello di Bisonte, la donna che aveva tratto in salvo il fratello. Le danze dei Cheyenne si protrassero per quattro giorni, nel corso dei quali la tribù partecipò alla cerimonia dell'esposizione del sacro teschio di bisonte, con una novità, in quell'occasione: al teschio venne legato uno scalpo. Cavallo Pazzo non prese mai parte alle danze: aveva da studiare nuovi piani. Ordinò alle vedette di seguire Tre Stelle, di sparare sui bivacchi notturni e di tenere i soldati in continuo stato di terrore e di allarme. Inviò dei corrieri ai giovani delle agenzie al nord e al sud per informarli della vittoria e per comprare, col denaro trovato negli astucci da pipa dei soldati, polveri da Boucher e dagli altri che ne facevano commercio clandestino. Una mattina portò sul Rosebud un piccolo gruppo di ragazzi oglala a raccogliere le munizioni sparse per terra: sapeva che spesso i soldati ne traevano manciate dalle giberne, le mettevano per terra a portata di mano, e poi ve le lasciavano, costretti a spostarsi dove si spostava il combattimento. I ragazzi ne riempirono varie pelli di feti di bisonte. Trovarono inoltre un'infinità di bossoli da ricaricare, proiettili di piombo schiacciatisi contro le rocce, molte punte di freccia. Agli zoccoli dei cavalli morti tolsero i ferri. « Non bisogna tralasciare né dimenticare niente, quando 386
c'è tanta scarsità di ferro », diceva, e raccontava a quei ragazzi alcune storie degli antichi fabbricatori di frecce con le punte di pietra: un popolo ormai scomparso e quasi dimenticato, che secondo i Crow era vissuto in caverne nei pressi dello Yellowstone, gente non più alta di bambini di otto anni. « È meglio il fucile... », disse un figlio di Bighellone che cominciava ad annoiarsi. « Il fucile è gli occhi e il cuore che ha dietro », disse lo Hunkpatila, e non parlò più. Nel grande accampamento le bocche da sfamare erano molte. I cacciatori si spinsero a ovest del fiume e tornarono con carne di bisonte fresca. Alcuni sconfinarono anche a ovest del Big Horn, dove le antilopi erano come l'ombra di una grande nuvola che corre sull'erba. Ogni giorno arrivava altra gente dalle agenzie, e quelli che venivano dal nord riferivano di soldati in marcia lungo lo Yellowstone, numerosi come neri grilli canterini. Ma allora bisognava portare donne e bambini in un posto più sicuro: bisognava mettere il fiume tra sé e questi nuovi fucili! Tre Stelle adesso non era un pericolo: andava in montagna a dar la caccia alle capre e, subito dopo la battaglia del Rosebud, le sue guide crow erano tornate a casa in collera. Lo stesso avevano fatto i Serpenti. I suoi soldati ora andavano a caccia e a pesca, ma dovevano sempre estrarre frecce dalle natiche dei cavalli, e così erano costretti a ricordarsi che gli Indiani ostili continuavano a tenerli d'occhio. Sei giorni dopo la battaglia sul Rosebud, il grande accampamento passò sulla sponda occidentale del Little Big Horn. Un vecchio banditore su questa sponda indicò dove dovevano andarsi a situare: i Cheyenne in testa si sistemarono più a valle di tutti gli altri, gli Hunkpapa in coda si accamparono presso la foce del torrente Ash. Tutte le altre tribù si misero tra queste due. Il trasferimento avvenne alla maniera antica: i membri del consiglio avanti a tutti, le donne su selle decorate. I guerrieri cantavano, i più giovani si facevano scherzi e si mettevano in mostra davanti alle ragazze, i bambini correvano avanti e indietro, e lo scal387
pitio delle mandrie di cavalli era come un tuono. A sera, i cinque cerchi campali maggiori e gli altri più piccoli si estendevano sulla sponda per una lunghezza di poco meno di cinque chilometri. Tutto era in ordine come se i Lakota e i Cheyenne vivessero là da settimane. Quella notte ci furono danze dappertutto, non danze cerimoniali ma danze dei giovani per svago e divertimento. I ragazzi andavano in gruppi da un campo all'altro, e cantavano attorno ai tamburi, alla luce dei grandi falò. Poi le fanciulle più graziose sceglievano i partners tra i giovani guerrieri che avevano compiuto grandi cose sul Rosebud, e insieme danzavano. I divertimenti durarono fin quando l'alba non fece svanire le stelle. La mattina dopo si dormì fino a tardi. Appena svegli, molti andarono a fare il bagno nel fiume: uomini donne e bambini guazzarono ridendo nelle acque fresche e rapide del Little Big Horn. Come il sole salendo si fece più caldo, ciascuno andò per conto proprio: chi a spostare i cavalli che pascolavano entro i cerchi campali, chi all'ombra degli alberi lungo il fiume. La maggior parte delle donne tornò alle tende per sbrigare qualche faccenda poco faticosa, come conciare pelli di antilope; qualcuna conversava con le amiche facendo vento e scacciando le mosche dai bambini addormentati; qualche altra, per lo più giovane, prese gli attrezzi e andò a estrarre rape sulle colline a nord del fiume. Molti guerrieri poltrivano all'ombra delle tende, aperte per far circolare l'aria, e conversavano senza infervorarsi del combattimento di pochi giorni prima. Perfino i bambini erano tranquilli. Tutto il grande accampamento era come un cane sdraiato al sole. Ma pochi giorni prima il veggente cheyenne Anziano del Carro aveva mandato il banditore ad avvertire il popolo di tenere pronti sufficienti cavalli, perché in sogno aveva visto arrivare i soldati; e appena il giorno prima uno dei Sans Arcs era andato in giro dicendo che i soldati sarebbero arrivati l'indomani. Poi c'era la visione di Toro Seduto. Ma la gente non era in ansia: le vedette riferivano che Tre Stelle si allontanava sempre più e che i soldati provenienti dal nord erano ancora molto a valle del Rosebud. Perfino 388
Cavallo Pazzo aveva lasciato la tenda per far visite nel campo cheyenne. Ma un Oglala che stava per varcare il crinale diretto all'agenzia di Nuvola Rossa vide per caso della polvere alzarsi come fumo dalle forre oltre il torrente Ash e, sotto la nube di polvere, molti uomini in movimento. Frustò il cavallo, ripassò il fiume e tornò alla sua tenda gridando: « Arrivano i soldati! Arrivano i soldati! ». L'allarme fu come un colpo di cannone nella placida vallata del Little Big Horn. Gli Indiani si scrollarono il torpore di dosso e sciamando corsero immediatamente a prepararsi. Furono avvertiti tutti gli altri campi, i guerrieri corsero a prendere chi le armi, chi i cavalli. Con segnali si fecero rientrare le ragazze che raccoglievano rape. Le donne erano in agitazione per il pericolo che incombeva. Dai campi ora si vedeva il polverone, poco più a monte, su questa sponda: molti soldati su cavalli veloci. Erano già vicini al cerchio superiore, quello hunkpapa. Ora si disponevano in una lunga linea blu di cavalleggeri: un fronte che andava dal fiume alle colline, con all'estremità più alta le guide indiane prese dai Ree. Una fila di fumate uscì dai fucili dei soldati e i proiettili lacerarono le tende; gli echi si ripercossero per tutto il grande accampamento via via che i soldati avanzavano, adagio, sempre continuando a sparare. Prima che sfondassero, le donne presero i piccoli e corsero a valle seguite dai vecchi e dai cani. Anche i Grosse Pance uscirono in fretta, e alcuni andarono a cercare di calmare i terrorizzati, altri rimasero a fare da scudo al popolo dando il tempo ai guerrieri di arrivare con armi e cavalli. Quando le mandrie scesero volando dai colli, i giovani afferrarono i primi cavalli buoni che trovarono, balzarono in groppa e urlando corsero a combattere. Gli Hunkpapa che tenevano impegnati i Bianchi erano già molti, poi arrivarono gli altri Lakota e quindi i Cheyenne. I soldati dovettero smontare e combattere a piedi. Allora i guerrieri si sentirono subito molto forti. Prima presero di petto i Ree: li misero fuori combattimento e li costrinsero, tra l'altro, a lasciare alcuni cavalli hunkpapa che avevano già rubato. In tal modo tutto un fianco della linea nemica ri389
mase scoperto. In mezzo ai Bianchi era rimasto soltanto un mezzo Lakota che quelli del nord conoscevano col nome di Coltello Insanguinato, e su di lui gli Indiani si accanirono come su un Crow sorpreso nella tenda di una donna. Quando Cavallo Pazzo e Strada Grande con alcuni Oglala raggiunsero il campo hunkpapa videro che erano già stati provocati molti danni: alcune tende erano bucherellate ma molte di più erano distrutte, altre bruciavano. Ma più oltre, varie centinaia di guerrieri comandati da Toro Seduto, Luna Nera e Galla, tenevano testa ai soldati. Cavallo Pazzo montava il suo pezzato giallo: aveva il solo perizoma, il corpo dipinto di chicchi di grandine, il segno della folgore in viso, il falco dal dorso rosso in testa. Quando i guerrieri lo videro arrivare, acclamarono e si schierarono per una carica. Ma egli ricordò loro che non dovevano sprecare munizioni e che dovevano tenere bene stretti i fucili ammaccati presi ai soldati del Rosebud. « Coraggio, amici miei! », gridò. « Fate che debbano sparare tre volte più veloci: allora gli si incepperanno i fucili e potrete colpirli con le mazze! ». Lo ripetè più volte, come un altro avrebbe cantato una canzone. Poi tenne indietro i guerrieri e cominciò a cavalcare avanti e indietro davanti ai soldati tirandosi addosso tutto il fuoco, come l'uomo della sua visione, e i proiettili grandinavano intorno a lui ma non lo toccavano. Quando gli spari rallentarono e i Bianchi imprecando si trovarono ad avere a che fare con i propri fucili, gli Indiani si lanciarono all'assalto e la linea dei soldati si ruppe. Corsero come pazzi a nascondersi tra i cespugli e gli alberi vicino al fiume, ma mentre fuggivano i guerrieri ne uccisero molti. Quando però i Bianchi trovarono un nascondiglio, gli Indiani dovettero assediarli strisciando a terra, e così il combattimento rallentò. Ma era come se i soldati non potessero star fermi. Continuavano a saltare fuori e a voltarsi a guardare la via per cui erano venuti. Finalmente rimontarono a cavallo e si ritirarono passando in mezzo ai guerrieri che erano tra loro e il fiume. Ma non c'era guado. Allora diedero di sprone e si tuffarono in acqua dall'alta sponda. Gli Indiani li rincorsero 390
e si tuffarono su di loro. I Bianchi si dimenavano come bisonti finiti nelle sabbie mobili. I colpi di mazza li facevano cadere in acqua. Qualcuno tentava di risalire l'altra sponda, ma i cavalli slittavano e cadevano all'indietro. Gli Indiani lanciavano gli « Yai-huu! », il grido di caccia, ogni volta che colpivano a morte. Ma parecchi Bianchi riuscirono a fuggire e, con il piccolo capo di soldati in testa, si diressero verso una collina. Alcuni guerrieri li inseguirono, altri invece tornarono indietro per finire i soldati sparpagliati, raccogliere i fucili e le cartucce, e radunare i cavalli. Mentre spogliavano i cadaveri, un Cheyenne meridionale si fermò a esaminare attentamente certi segni sulla giacca di un soldato. Erano gli stessi che ricordava di aver visto su un'altra giacca di cui si era impossessato nella battaglia del Washita, dove Capelli Lunghi gli aveva ucciso la madre e la moglie. Allora questi dovevano essere gli stessi soldati! Ed erano morti, lì o nel fiume, come bisonti. Stringendo la giacca azzurra, corse a mostrarla ai compagni, gridando perché tutta la valle del Little Big Horn lo sentisse: « Il mio cuore è in pace! Oggi il mio cuore è contento! », e come pioggia gli scorrevano le lacrime sul viso sporco di polvere. Ma ora un messaggero veniva al galoppo indicando l'altra sponda. Altri soldati! Molti altri soldati. Venivano giù per il crinale proprio all'altezza dei campi più a valle, dove erano fuggiti i vecchi, le donne e i bambini. Due lunghe colonne di soldati seguivano una bandiera a coda di rondine, e la polvere che sollevavano era tale che impediva di vedere il gruppo di cavalli grigi che cavalcavano in mezzo a loro. Era veramente come nella visione di Toro Seduto: soldati sull'accampamento. Cavallo Pazzo capì che la battaglia grossa si sarebbe combattuta laggiù. Bene, venissero pure. Si sentiva molto forte quel giorno, perché i guerrieri si erano comportati come al Rosebud: non avevano cercato coups ed esibizioni, ma avevano combattuto strenuamente, avevano colpito per uccidere. Era questo che aveva messo in fuga i soldati di Tre Stelle e provocato le perdite di quelli che erano arrivati lì oggi. Allora Cavallo Pazzo, 391
Galla e Capo del Coltello chiamarono a raccolta i guerrieri con i fischietti d'osso e li istruirono brevemente sulla carica che bisognava fare contro i soldati che minacciavano i campi inferiori e coloro che vi si erano rifugiati. « Qualcuno resti qui a tener d'occhio quelli sulla collina, gli altri vadano contro i nuovi », disse Galla ai suoi Hunkpapa e si accinse a passare il fiume per muovere contro i soldati. « Ricordatevi chi lasciate a casa! Oggi è un giorno buono per morire! », disse Cavallo Pazzo ai suoi Oglala. Ma non avevano bisogno di sentirsi esortare e incoraggiare. « Hoka hey! », gridarono, alzando i fucili appena conquistati. Andarono dietro agli Hunkpapa mentre Cavallo Pazzo correva a radunare i guerrieri che si trovavano ancora sul primo fronte, e poi a raccoglierne quanti più poteva a valle. Quando arrivarono alle tende danneggiate dei campi inferiori, videro quattro uomini uscire dal fiume sulla sponda opposta e lanciarsi contro i soldati. Erano distanti circa ottocento metri ma sembravano Cheyenne: quattro Cheyenne soli, contro centinaia di soldati distanti dal punto del guado, mentre i Lakota si portavano là a tutta velocità. I quattro cavalcavano affiancati, i cavalli andavano come uno solo, come in una danza. Nello stesso attimo dai loro fucili uscì fumo e i soldati si scompigliarono come se alcuni fossero rimasti feriti. Allora dalla parte dei soldati si vide una lunga fila di nuvolette di fumo, ma i Cheyenne continuarono ad avanzare e a sparare insieme un'altra volta, quattro fucili contro quasi trecento. Era una cosa straordinaria. Cavallo Pazzo frustò per aumentare la velocità del suo pezzato sfinito e raggiungere Scialle Nero che, da vera moglie di un guerriero, già lo aspettava con un cavallo fresco. Si fermò un momento per consultarsi con Toro Seduto e gli altri Grosse Pance che si prendevano cura del popolo, circa le seguenti alternative: una resistenza, una fuga o uno sparpagliamento, se fossero arrivati altri soldati, troppi altri soldati. Bruco e Piccolo Falco e lo zoppicante Alce Nero cercavano di tranquillizzare le donne e i bambini mo392
strando loro tutti i fucili, gli archi e le mazze che avrebbero usato se i soldati si fossero avvicinati. « Hoka hey! », strillò un bambino sulle spalle della madre ansiosa, quando vide Cavallo Pazzo. Le donne l'udirono e fecero il tremolo vedendo che perfino un bambino così piccolo riconosceva lo Hunkpatila. « Hoka hey! », rispose Cavallo Pazzo gettando una manciata di terra accumulata da un geomio sul cavallo da guerra appena preso. Poi si puntò qualche filo d'erba tra i capelli, che erano come folate di neve di una bufera invernale. Quindi portò i guerrieri sull'altra sponda. Ora molti degli Indiani che erano arrivati troppo tardi per combattere sul primo fronte avevano guadato il fiume e andavano su per il crinale contro i soldati, mentre Galla e gli altri sopraggiungevano all'impazzata a costa di monte allacciandosi agli ultimi. Di lì a poco queste due correnti di guerrieri si sarebbero fuse in una in mezzo ai nemici, come era successo nella battaglia sul Piney. Ma i soldati ora si appostavano lungo il crinale in piccoli gruppi: molti erano smontati da cavallo e i guerrieri già li caricavano. Ma quelli si difendevano con una sparatoria che sembrava una tempesta di grandine, mentre una grande nuvola di fumo e polvere si alzava e restava sospesa lungo l'intera catena di monti. Cantando col cuore il canto di guerra dei tamburi rullanti alle sue spalle, dove era rimasto il popolo, il Winchester in mano, l'Oglala condusse i suoi guerrieri sull'altra sponda. Poi fece un largo giro attorno all'estremità settentrionale del crinale dei soldati, salì per una ravina il versante orientale, e in tal modo si accinse a tagliar loro la ritirata. Lungo questa cavalcata gli Indiani gli si erano accodati in numero sempre più grande, finché il suo fresco cavallo da guerra divenne come la punta di una grande freccia che diventava sempre più larga e più lunga, lasciando dietro di sé una scia di polvere. Raggiunsero la cima della ravina proprio quando gli Indiani dalla parte del fiume sospingevano i soldati verso la cresta dei monti. Con grandi urla i guerrieri di Cavallo Pazzo attaccarono alle spalle la linea blu che si ritirava, ricorrendo più che altro alle frecce, alle lance e alle mazze. 393
Erano irresistibili, quel giorno, e i fucili dei soldati scoppiettavano poco più del grasso buttato sul fuoco. I cavalli dei Bianchi, poi, erano terrorizzati: un Lakota cadde in mezzo a loro e lo scavalcarono come fosse stato un cespuglio di salvia o un sasso. La prima carica dei guerrieri sfondò la linea, sterminò cavalli e uomini su quell'altura prima che i soldati potessero formare un cerchio. Alla carica successiva qualche cavallo indiano venne colpito e anche un guerriero, forse due: come dire nessuno, nella battaglia di quel giorno d'estate sul Little Big Horn. Mentre le centinaia di guerrieri giravano in tondo, caricavano e tornavano a girare in cerchio, è probabile che molti atti di coraggio venissero compiuti ovunque, ma nessuno ebbe il tempo di vederli nel fragore assordante dei combattimenti, nella polvere e nel fumo degli spari che oscuravano il cielo come fosse sera. Gli Indiani incontrarono anche alcuni uomini in gamba, su quell'altura: qualcuno, in ginocchio, cercava di sparare con precisione anche mentre gli Indiani si stringevano intorno. Ma era un cerchio che diventava sempre più piccolo, i cavalli e gli uomini morti si ammucchiavano intorno ai soldati via via che i fucili si inceppavano sempre più numerosi e il fiato delle pistole moriva loro tra le mani. Un guerriero coraggioso, seguito da un'intera orda, si lanciò avanti a cavallo e irruppe tra i nemici. I Bianchi vennero così travolti dagli zoccoli e dalle lance, e alla fine parve che non fosse rimasto nessuno vivo in quel mucchio di carne insanguinata. Invece ce n'erano ancora alcuni, che saltarono su tutti insieme e corsero, a piedi, verso la boscaglia del fiume, pur così lontana: i guerrieri urlando li abbatterono come vitelli di bisonte appena nati. Dopo averli colpiti si guardarono intorno per vedere se ve n'erano altri, ma non ve n'erano più. I guerrieri erano ancora a cavallo senza più niente da fare, e quasi non credevano che fosse stato tanto facile; anche due giovani Lakota vennero su dalle forre alle loro spalle, delusi e scontenti di dover rinunciare al compimento dell'opera: avevano dato la caccia a un soldato che era riuscito a fuggire a cavallo, e ora si sentivano come presi in 394
giro perché si era portato la pistola alla tempia e aveva sparato. Ora che tutti i Bianchi erano stati uccisi, ai due giovani era rimasto solo quello che si era ucciso da solo, quindi niente bottino. Era davvero strano che poco prima i soldati fossero stati varie centinaia, e ora d'un tratto non ce ne fosse più uno da uccidere. Anche i cavalli sopravvissuti erano andati via, ma poi, giù a valle del fiume, i ragazzi partiti dagli accampamenti li avevano raggiunti, radunati e portati via. Erano animali talmente esausti che non avevano più paura degli Indiani: si erano fermati e lasciati prendere come di solito non accadeva con i cavalli americani dell'esercito. Dopo che ogni cespuglio venne percosso per snidarne ogni essere umano che vi si potesse nascondere, Cavallo Pazzo tornò al crinale dove tanti erano caduti. Ormai erano stati spogliati tutti. Giacevano nudi, e dove gli indumenti non avevano fatto arrivare il sole erano bianchi come grasso di bisonte. Ora non avevano più niente da difendere e facevano pietà. Il pensiero che tanti fossero morti, e così inutilmente, lo rattristò. Perché erano venuti a sparare sul popolo? Si spostò dall'uno all'altro lentamente per vedere se riconosceva qualcun altro oltre a quello che era morto giù al fiume combattendo con tanta tenacia, quell'omino di nome Reynolds che da ragazzo viveva con la famiglia nella regione dell'alto Piatte. A Cavallo Pazzo era stato detto che un tempo ai Cheyenne era piaciuta la sua sorellina e l'avevano rapita. California Joe, il vecchio montanaro con la barba rossa, era riuscito a convincerli a restituirla alla famiglia. Almeno così si diceva. Tra i morti c'era anche un figlio di mercante: Mitch Bouyer, quello che si era visto in una delle ultime battaglie contro i Crow. Cavallo Pazzo era addolorato per la sua morte ma, se i Cheyenne dicevano il vero, questi soldati erano gli stessi che avevano compiuto la carneficina dell'accampamento invernale sul Washita, gli stessi che tre anni prima erano arrivati allo Yellowstone e che in seguito avevano fatto la Via dei Ladri fin dentro i Black Hills. Del loro capo dai capelli lunghi di nome Custer, dell'uomo dai 395
capelli gialli sciolti sulle spalle, non trovò tracce. Insomma, erano gente cattiva, e il figlio di mercante non avrebbe dovuto essere con loro. Frenando il cavallo all'estremità del crinale, Cavallo Pazzo si fermò a osservare i cerchi campali della sua gente. Le donne vi erano tornate, correndo come formiche a raccogliere tutto ciò che possedevano. Alcune attraversavano il fiume e salivano in fila ai posti di battaglia in cerca dei loro morti e per vendicarsi sui soldati che erano stati la causa di tutto. Cavallo Pazzo si sentiva quasi morto, ma di stanchezza. Si diresse al punto del guado e poi verso casa, e i guerrieri che non avevano potuto combattere accanto a lui gli si appressarono da ogni parte e gli si strinsero intorno. Parlavano tutti delle grandi cose che quel giorno erano state fatte, specialmente dei quattro Cheyenne che erano andati da soli contro le centinaia di soldati, impegnandoli finché gli altri non erano arrivati: quattro contro così tanti... Cavallo Pazzo li aveva visti. Poi c'era Veste che Si Muove, la donna cheyenne che quel giorno aveva portato in combattimento l'asta del fratello ucciso sul Rosebud... C'era Naso Giallo, il prigioniero ute, che si era battuto da valoroso... E i Lakota? Sarebbe stato troppo lungo contarli... Ma la più grande impresa era stata quella di tagliare la ritirata ai soldati. Quella non era stata l'impresa di un uomo solo ma di molti, secondo i piani che erano stati decisi, precisò Cavallo Pazzo. Hau! Ma i piani dell'accerchiamento che avevano funzionato non li aveva fatti un uomo solo...? Ma Cavallo Pazzo non era stato a sentirli. Ricordandosi di aver visto altre sacche di soldati lungo il crinale, tornò a studiare le loro posizioni, particolarmente dove un piccolo capo di soldati, molto coraggioso, aveva a lungo tenuto testa ai guerrieri. Ma anche questi Bianchi adesso erano un mucchio di cadaveri. Sembrava veramente che quel giorno non fosse stato fatto quasi nulla per ricoprirsi di gloria o per acquistare potere personale, ma tutto per proteggere 396
il popolo. Era stata una grande battaglia e tutti dovevano esserne fieri. Ma anche gli Indiani avevano avuto dei morti. Ora i familiari venivano a portarli via con le tregge. Poi negli accampamenti si sarebbero uditi i pianti funebri e i parenti inferociti si sarebbero vendicati sui soldati che aspettavano la loro ora sulla collina sopra il cerchio hunkpapa. Cavallo Pazzo fu sorpreso di ricordarsene solo adesso. Al passaggio del fiume vide un cavallo dell'esercito che versava sangue dalle molte ferite. Avrebbe voluto finirlo, ma non aveva l'arco con sé e, ormai, ogni pallottola in più poteva risultare utilissima. Perciò proseguì fino al suo campo. Scialle Nero era tornata (anche se non era mai andata molto lontano) e corse incontro al marito. Vide che quel sangue misto alla polvere, al sudore e ai pigmenti colorati, non era di Cavallo Pazzo: egli non aveva nemmeno un graffio. Gli portò dell'acqua calda e un pezzo di radice di saponaria, gli diede da mangiare e gli portò un altro cavallo fresco perché potesse andare sulla collina dove c'erano ancora dei soldati vivi. Lungo la strada Cavallo Pazzo vide alcuni giovani guerrieri vestiti da soldati che cavalcavano in colonna per due con tanto di trombe e bandiere. Gli dissero che alcuni Bianchi erano rimasti nascosti fin dalla mattina nella boscaglia nella zona del primo fronte. Quando avevano visto quelle giacche blu, erano usciti dal nascondiglio per poi tornare immediatamente a nascondersi appena si erano accorti che erano indossate da guerrieri, e che questi sparavano con i fucili catturati, che funzionavano di nuovo, dopo che si era riusciti, a forza di battere, a togliere i proiettili appiccicatisi per il calore. Avevano poi sparato contro qualcuno dei soldati della collina che si era avventurato al fiume per prendere acqua. Forse ne avevano feriti o uccisi alcuni: comunque non si erano accaniti molto. Erano così soddisfatti della grande battaglia che non avevano più voglia di uccidere. Salito sulla collina, Cavallo Pazzo constatò che era vero quanto gli avevano detto le vedette: erano arrivati degli altri Bianchi, con dei carichi sui muli, e avevano scavato una 397
trincea su quella collina sassosa, come i geomi scavano sottoterra. Ma nemmeno della trincea parevano soddisfatti, e mentre Cavallo Pazzo a segnali chiedeva dei guerrieri, alcuni soldati uscirono e si avviarono lungo il crinale verso la zona in cui si era svolta la grande battaglia. Si fermarono su una cima e di lassù poterono vedere moltissimi Indiani, fermi, a cavallo, e sopra di loro una nuvola di fumo e polvere trasportata dal vento. C'erano anche dei guerrieri che stavano guadando il fiume; inoltre quelli contro cui avevano già avuto a che fare i soldati della collina si preparavano a tagliare la strada a quelli che ora si trovavano sopra il crinale. Allora il piccolo capo di soldati fece tornare al galoppo i suoi uomini dentro la trincea. Qui gli Indiani li attaccarono. Tentarono di farli impazzire dal terrore come erano riusciti a fare la mattina, e di impossessarsi dei loro cavalli. Riuscirono in qualche buon colpo, ma i Bianchi ora sembravano diversi, molto più forti, e poi avevano un buon posto da difendere. Dopo essersi scagliati all'attacco diverse volte, anche a piedi, gli Indiani, ormai esausti, ritennero che per quel giorno potesse bastare. Quando il sole indugiò rosso sui colli a ovest del Little Big Horn, misero guardie tutt'intorno ai soldati. La maggior parte dei guerrieri tornò ai cerchi campali. Tutte le tribù erano in lutto. Per i venti guerrieri uccisi vennero montate tende funebri e agli uomini di medicina furono affidati i molti feriti. Appena potè, Cavallo Pazzo andò a nascondere la testa sotto le coltri per non sentire le lamentazioni. Si sforzò di dormire per non dover pensare alla battaglia, non riuscendo a spiegarsi come mai non gli sembrasse riuscita come quella sul Piney, dieci anni prima. Eppure i Bianchi uccisi sul Little Big Horn erano molti, molti di più, ed egli non aveva perduto un amico come Orso Solitario: ciò nonostante desiderava quasi che non fosse successo. La sua vita di guerriero era forse finita? La mattina successiva alcuni capi guerrieri salirono a dare un'occhiata ai soldati trincerati sulla collina. Qualcuno era dell'avviso che si dovesse fare una grande carica e finirla subito, quella battaglia; ma altri si opposero adducendo che 398
avrebbero subito perdite gravi e consumato tutte le poche munizioni che avevano. « Aspettate », consigliarono. « Prima o poi i Bianchi dovranno pur scendere per rifornirsi d'acqua ». Anche Cavallo Pazzo era lassù e rifletteva se non fosse il caso di tentare qualche carica, se non altro per constatare quale fosse il grado di combattività dei soldati quel giorno. Ma le vedette segnalarono che un'altra grande armata stava risalendo il fiume: i soldati erano molto più numerosi di quelli contro cui avevano già combattuto, e avevano dei cannoni. Toro Basso e altri si erano già portati a nord e avevano sparato contro i bivacchi di questi soldati, avevano attentato ai loro cavalli per costringerli a rallentare la marcia e dare tempo al popolo di fuggire. Erano già molto vicini. Ancora una volta il grande accampamento si trasferì, in fretta, verso la sorgente del fiume. Ora i cavalli delle donne erano privi di finimenti adorni di perline, non si udivano canti, non era aria di scherzi o di esibizioni. Quando l'ultima treggia superò la zona in cui era sorto l'accampamento hunkpapa, l'erba della vallata cominciò a bruciare e un fumo pallido si alzò dietro al convoglio come una nube temporalesca di mezza estate. Così la lunga fila di gente corse a rifugiarsi nei Monti Bianchi lasciandosi alle spalle i luoghi della battaglia: il crinale cosparso di cadaveri gonfiati dal sole bruciante, la trincea con i soldati vivi. I guerrieri che a questi avevano fatto la guardia si aggregarono agli ultimi della carovana che gradatamente scompariva negli avvallamenti lungo il fiume. La battaglia del Little Big Horn era terminata.
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5.
BASSO IL FUMO DELLA VITTORIA
Verso la Luna in cui ai Vitelli Cresce il Pelo (settembre), Cavallo Pazzo capì che la battaglia del Little Big Horn non sarebbe mai finita. Intorno a ogni fuoco, a ogni fumata, si narravano le imprese di quel giorno, come di un giorno già entrato a far parte delle grandi leggende lakota, mentre era passato da poco ed erano ancora vivi quelli che lo avevano vissuto. Succhiando il midollo dalle ossa arrostite dei pochi bisonti che si potevano ancora cacciare, gli uomini parlavano di quel grande giorno senza considerare quello che era successo un giorno o due dopo. Ormai gli Indiani ostili avevano saputo molte cose tramite quelli delle agenzie. Era stato effettivamente Capelli Lunghi, però con i capelli tagliati, quello che avevano ucciso sul crinale dopo che Cavallo Pazzo l'aveva preso alle spalle salendo su per la ravina. E quel capo di soldati era morto perché aveva disubbidito agli ordini: gli era stato detto di trovare gli Indiani e di tenerli d'occhio fin quando tutti i soldati non fossero arrivati. Ma non era stato capace di aspettare, nemmeno dopo che le sue guide crow gli avevano mostrato il posto sul Rosebud in cui si era tenuta la grande danza del sole, e la più grande pista solcata da tregge che si fosse mai vista. «Moltissimi Sioux..., troppi Sioux! », gli avevano detto i Crow, con ululati che esprimevano terrore. E quando Capelli Lunghi aveva voluto proseguire senza neppure far riposare i cavalli o gli uomini, essi erano fuggiti. Poi c'era la storia che Coltello Insanguinato aveva raccontato a una delle guide ree: Capelli Lunghi avrebbe fatto fuori gli Indiani in un baleno e poi sarebbe diventato Grande Padre. «Grande Padre?!». I Lakota non potevano crederci. 400
Uno che uccideva donne e bambini ovunque andasse non poteva diventare Grande Padre. Ma Coltello Insanguinato, la guida che essi avevano fatto a pezzi nella grande battaglia, aveva detto così, aggiungendo che Capelli Lunghi, nel corso dei tre anni in cui si era servito di lui come guida, gli aveva promesso che quando fosse diventato l'uomo più importante della terra, il Grande Padre dei Bianchi, lo avrebbe compensato generosamente. Quando Cavallo Pazzo tornava col pensiero all'estate, si rendeva conto che era proprio come alcuni avevano temuto: quella sul crinale era stata una vittoria nera. Ora non solo avevano esaurito le munizioni e i Bianchi erano furiosi e umiliati, ma il popolo aveva paura: all'arrivo dei soldati non sarebbe più stato capace di fuggire in ordine sparso, preferendo invece rimanere nascosto in qualche remoto canyon. Insomma, gli Indiani erano diventati più come conigli cui i lupi hanno dato una lunga caccia, che come un orso aggressivo che abbia appena annientato un potente nemico. Era vero che tra i guerrieri giovani ve n'erano alcuni coraggiosi: avevano dato la caccia a tutti i Bianchi che si erano intrufolati da soli nel paese, erano tornati con scalpi e giacche militari e, tra una pioggia e l'altra, avevano dato fuoco alla prateria, sicché ogni giorno di buon tempo era stato annuvolato dal fumo e ogni cielo notturno era stato arrossato dalle fiamme che bruciavano l'erba di cui avevano bisogno i cavalli dei soldati. Alla maggior parte della gente, stanca di combattere, i Black Hills apparivano ora molto lontani. Ma appena il suo pezzato giallo si era rimesso in forze, Cavallo Pazzo era andato contro i Bianchi in quella regione. Di solito si era portato dietro Cane, Toro Basso, Volpe Nera e qualche guerriero dei più giovani, forse alcuni Cheyenne e anche qualcuna delle loro donne. Era tornato spesso con muli carichi di cose portate via dai carri, una volta con due grossi sacchi di pelle pieni di uva passa: quelle «bacche» secche dell'uomo bianco che Cavallo Pazzo non aveva più gustato da quando era piccolo e viveva intorno a Laramie. Aveva mandato il banditore a chiamare i bambini e aveva lasciato i sacchi aperti perché ne prendessero manciate, 401
guardandoli mentre si riempivano la bocca di quegli strani acini dolci. Un'altra volta aveva portato un grande rotolo di stoffa bianca da cui si sarebbero potuti fare dei bei calzoni estivi, ornati di file di perline ai lati o di bande blu con campanellini. C'era anche della stoffa da donna, e un parasole rosso sgargiante per il vecchio Un Solo Mocassino, che era stato ferito gravemente da un orso grigio e qualche volta cadeva come morto dal caldo. Una volta che si era addentrato insieme ad altri nella regione dei Black Hills, Cavallo Pazzo si allontanò da solo, di notte. Appena si fece giorno si mise a osservare da una cima quella che gli appariva come una grande città di tende e di animali al pascolo. Vide che laggiù i Bianchi erano molto numerosi ed erano come gente venuta per restare, con donne e bambini. Contro tanti non poteva far nulla, ma su tutti gli Hills vi erano uomini isolati che scavavano la terra come cani della prateria. A questi dava la caccia, e non col Winchester, il cui grido di guerra avrebbe risuonato fra le rocce, ma con la freccia silenziosa o con la mazza. Fu Cane a ritrovarlo e lo rimproverò per quello che faceva di nascosto dagli altri, per quell'andarsene da solo in una zona gremita di nemici. « Amico mio, non hai più gli anni per fare di queste pazzie, non sei più un giovane guerriero. Adesso tu appartieni al popolo: è per il popolo che devi darti pensiero, non metterlo in trepidazione! ». Cavallo Pazzo lo stette a sentire in silenzio. Aveva ucciso molti uomini in quei pochi giorni, più che dopo la morte del fratello, del giovane Piccolo Falco. Ma in confronto al numero di quelli che non aveva ucciso, ciò che aveva fatto era come presumere di evitare i danni di un'alluvione svuotando con le mani un torrente in piena. Poi erano successe altre cose quell'estate. Alcuni Cheyenne amici dei Bianchi si erano messi sulla pista da tregge partendo dall'agenzia di Nuvola Rossa ed erano stati ricacciati indietro. Una raffica sparata dai soldati aveva ucciso Mano Gialla, il quale era poi stato scalpato sotto gli occhi delle donne e dei bambini atterriti. 1 Questo era avvenuto 1
Intercettazione dei Cheyenne da patte del colonnello Merritt, 17 luglio 1876.
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sul torrente Warbonnet, a un giorno di viaggio dall'agenzia, nel territorio controllato dagli Indiani amici dei Bianchi. Quei Cheyenne non avevano combattuto, non avevano opposto resistenza: erano partiti per cercare di procurarsi un po' di carne, dato che all'agenzia mangiavano poco e l'inverno si prospettava lungo e rigido. Così adesso Mano Gialla, l'amico dei suoi Bianchi, era a terra stecchito senza aver sparato un colpo. Mentre Tre Stelle aspettava il ritorno dei Crow e dei Serpenti, i Cheyenne ostili e alcuni Oglala avevano incontrato nei Big Horn un gruppo di suoi soldati e di guide figli di mercanti, e avevano cercato di parlare con loro da amici.2 Poiché per tutta risposta avevano ricevuto degli spari, li avevano indotti prima a fuggire e poi a trovare riparo in un boschetto. In questo scontro Antilope Bianca, il Cheyenne, era rimasto ucciso e le guide, abbandonando munizioni e cavalli, erano corse di volata da Tre Stelle, a vari giorni di distanza, costrette ad attraversare a piedi e senza viveri una regione molto accidentata. Tra le guide c'era anche Afferratore. In principio gli Indiani lo avevano visto a cavallo, seduto di traverso, come una donna. Poi era smontato, ed essi erano scoppiati a ridere perché aveva la stessa camminata dei soldati che si prendono il brutto male dalle donne che si pagano. Doveva essere stata una marcia lunga e difficile fino al bivacco sul Goose: i soldati e le guide incalzati dagli Indiani, senza il tempo di prender fiato, senza mangiare, e con Afferratore dietro che camminava a gambe larghe sorretto da Grosso Pipistrello. Anche Cavallo Pazzo e Cane ne avevano riso. Afferratore, in cambio dei calzoni da Bianco e della paga del soldato, aveva ceduto il perizoma e le cose che la gente di sua madre gli aveva insegnato. Ma finché era vissuto nelle tende degli Indiani ostili e aveva fatto la corte alle fanciulle lakota non si era preso brutti mali e non era mai stato costretto a camminare in quel modo... 2
Guide di Sibley, 7 luglio 1876.
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Poi, da capo, le vedette avevano riferito che i soldati stavano marciando contro gli Indiani. Allora il grande accampamento si era dovuto frazionare. Si erano tenute alcune danze d'addio e la gente aveva sperato che un giorno i Bianchi se ne sarebbero andati dal paese come avevano già fatto altre volte, e allora ci si sarebbe ritrovati tutti insieme. Ma anche quelli che avevano cercato di non perdersi d'animo provarono una grande tristezza quando la prima tribù, quella cheyenne, si mise in viaggio. Di essa faceva parte anche la banda di Coltello che non Taglia, arrivata troppo tardi dall'agenzia di Nuvola Rossa per poter partecipare alla battaglia contro Custer. I Cheyenne volevano allontanarsi da tutti quelli che si sarebbero potuti chiamare ostili e contavano di trascorrere l'inverno in qualche punto dei monti Big Horn. Via via che sfilavano lungo il Powder incontro al sole mattutino, le donne avevano sospeso il lavoro per dare un ultimo saluto con occhi dolenti agli amici in partenza. Anche tra gli uomini qualcuno li aveva seguiti con lo sguardo, alcuni tra i migliori giovani guerrieri oglala erano corsi a prendere i cavalli e avevano accompagnato i Cheyenne per un tratto. Per Cavallo Pazzo era stato un dolore vederli partire, ma lo consolava il pensiero che le donne cheyenne erano molto brave, non belle come certe Oglala, ma di grande aiuto, di grande sostegno ai loro uomini. Nei giorni successivi, a piccoli gruppi, molti erano voluti tornare alle agenzie. Cavallo Pazzo e Strada Grande non si erano opposti, perché quelli erano Indiani da agenzia. I Lakota rimasti si erano divisi in bande e, come di consueto, verso la fine dell'estate, erano andati verso la zona del Tipi dell'Orso in cerca di buoni pascoli e di occasioni per fare un po' di scambi con i Sioux orientali, magari procurandosi munizioni. Dopo che gli Indiani ostili si erano frazionati, la grande armata formata dai soldati del Little Big Horn e da quelli provenienti dal torrente Goose, si era divisa in due: una parte era andata lungo lo Yellowstone, dove non c'erano Indiani, e l'altra, comandata da Tre Stelle guidato da figli 404
di mercanti, si era messa a seguire le piste fresche. Allora i Lakota avevano incendiato le praterie per cui erano passati, per affamare i soldati e i loro cavalli. Poi era cominciato a piovere e non aveva più smesso: le tregge avevano arato la terra ammollita come fanno i Bianchi coi loro attrezzi prima di seminare. Dalle agenzie erano arrivate altre cattive notizie: là i soldati aumentavano, piccoli capi di soldati facevano da agenti ed erano in arrivo altri commissari per l'acquisto dei Black Hills. Ora si minacciava di affamare gli Indiani per costringerli a farsi chiudere in una riserva sul Missouri o in una zona a sud chiamata « territorio indiano ».3 Una notte era giunto all'accampamento di Cavallo Pazzo un uomo dell'agenzia di Standing Rock, sul Missouri. Disse che Erba, un amico dei Bianchi, aveva preso la parola in consiglio per dire che gli Indiani potevano ancora salvare il loro paese se quelli che vivevano attaccati alle agenzie avessero avuto il coraggio di impadronirsi di tutte le armi, munizioni e provviste che erano nelle agenzie, e di unirsi agli Indiani ostili. « Hau! Hau! », avevano detto alcuni, d'accordo con lui, ma la maggior parte dei capi di quell'agenzia era rimasta muta, a testa bassa. « Guardateli lì, il naso a terra come cavalli sfiancati! », aveva incalzato Erba. « Si può sperare di vincere questa lotta con dei capi simili? ». In seguito i soldati di Tre Stelle avevano attaccato Piuma di Ferro 4 e le sue quaranta tende presso gli Slim Buttes. Molti di quegli Indiani erano dell'agenzia di Coda Chiazzata e stavano compiendo un viaggio difficile intorno ai Black Hills nella speranza di non incontrare soldati e di arrivare all'agenzia prima che la neve riempisse i canyons. Degli uomini, chi era andato a procurarsi un po' di munizioni per la caccia, chi aveva raggiunto l'agente per comuNell'Oklahoma (N.d.T.). 1 Bianchi lo chiamavano Cavallo Americano. Con lui era un certo Naso Aquilino, uno dei Minneconjou di Un Corno favorevoli ai Bianchi (9 settembre 1876). 3
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nicargli il loro arrivo; perciò erano pochi gli uomini presenti nell'accampamento allorché dalla nebbia e tra la pioggia erano comparsi i soldati e avevano sparato. Donne e bambini erano rimasti uccisi, Piuma di Ferro ferito. Poiché aveva dovuto tenere stretti i pezzi del ventre dilaniato, non aveva potuto dare la mano al capo dei soldati. I Bianchi avevano costretto la gente a fuggire dalle tende, poi si erano impadroniti di tutto. Nel mezzo della sparatoria molti soldati si erano messi a rodere la carne essiccata, tanta era la loro fame. Tra le guide c'era anche Afferratore, ma si era tenuto indietro, coi carri. « Aveva paura che qualcuno lo ammazzasse », disse Piccolo Grande Uomo. A molti sarebbe piaciuto vederlo a terra come Coltello Insanguinato, fatto a pezzi, anche se era un mezzo Lakota, per punirlo di aver condotto i soldati a uccidere la gente. Gli Indiani sapevano che Afferratore tra le guide di Tre Stelle era l'unico a conoscere quella zona. Forse aveva paura, perché Piuma di Ferro lo aveva visto per le agenzie del nord quando era un ragazzo e sapeva quello che aveva fatto prima di rifugiarsi tra gli Indiani. O forse il figlio del mercante aveva ancora difficoltà a camminare a causa di quel certo male? Ma Grosso Pipistrello aveva fatto il possibile per aiutare gli Indiani: era andato a dire al capo dei soldati che i suoi stavano sparando sulle donne e sui b a m b i n i rifugiati in una gola. Non contenti, volevano anche appiccarvi fuoco. Allora erano stati fermati e Pipistrello era saltato giù a soccorrere Piuma di Ferro ferito e gli altri disgraziati, pur sapendo che rischiava di farsi ammazzare dagli Indiani inferociti per i morti e i feriti. « Pipistrello è un brav'uomo », disse Cavallo Pazzo quando gli raccontarono l'accaduto mentre si dirigeva a Slim Buttes. Appena aveva avuto notizia dell'attacco, si era precipitato là insieme a Cane, Orso Scalciante e i guerrieri. Ma Tre Stelle aveva mandato un altro migliaio di soldati e gli Oglala, con le poche cartucce rimaste, erano riusciti soltanto a costringere i Bianchi a correre così forte che molti dei loro cavalli affamati erano morti nel fango e quelli che avevano portato via agli Indiani non ce l'avevano fatta a 406
proseguire. La maggior parte dei prigionieri era stata liberata. Forse la loro sorte sarebbe stata molto peggiore se gli stessi soldati non fossero stati tanto indeboliti dalla marcia che li aveva quasi fatti morire di fame. I Bianchi infatti avevano subito alcune perdite, ma avevano trovato le cose che i guerrieri di Piccolo Grande Uomo avevano portato al campo di Piuma di Ferro: la bandiera a coda di rondine portata via a Custer e alcune giubbe militari sporche di sangue. Piuma di Ferro era stato lasciato indietro. « Sono sempre gli amici dei Bianchi a rimetterci... », aveva detto prima di morire. Dapprima non aveva voluto che il dottore bianco lo guardasse, nemmeno in faccia: non desiderava vivere. Infine, fasciato in una coperta e con la medicina dell'uomo bianco per lenire il dolore col sonno, si era disteso. A novembre (la Luna in cui Cadono le Foglie) giunse la notizia che i Black Hills erano stati venduti assieme a tutto il territorio a ovest di essi, fino ai monti Big Horn: in breve, la patria dei Lakota. Gli Indiani quando lo seppero andarono da Cavallo Pazzo come bambini appena destati dal sonno. Non poteva essere vero; chi sarebbe stato capace di una follia simile? Poi pensarono che i capi dovevano essere stati ubriacati dal whisky. Ma in seguito vennero a sapere che erano stati chiusi dentro l'edificio di tronchi, gli avevano letto un pezzo di carta, una carta che privava gli Indiani di tutto e li faceva andare o al Missouri o al sud, in quel posto tanto detestato dai Cheyenne, il cosiddetto « territorio indiano ». Era troppo. Anche per un grande amico dei Bianchi come Toro Seduto il Buono, il quale allora si era alzato come una furia: « Che ne sappiamo di questi posti lontani! », aveva gridato. « Vogliamo restare nel nostro paese. È una pazzia volere che noi firmiamo questa carta. Quasi tutti sono a nord e non c'è nessuno abbastanza vicino per poter fare qualcosa! ». Ma i Bianchi e gli Indiani non gli avevano dato retta. Allora aveva fatto uscire a forza i capi da quell'edificio col407
pendoli (anche Nuvola Rossa) col lato piatto del suo coltello a tre lame, e li aveva insultati dicendo che erano dei buoni a nulla, che solo degli inetti erano capaci di vendere le case dei propri figli per fare denaro. Né quel giorno né il successivo si era concluso niente, finché si era venuti a sapere che l'Oglala, infuriato e sconfitto, era andato da Cavallo Pazzo. Allora era stata mostrata di nuovo quella carta, e Hinman, l'interprete, aveva detto sempre di sì a ogni cambiamento voluto dai capi. Tutto si era svolto in un'atmosfera volutamente amichevole, con tanta roba da mangiare e da bere. Ma siccome i capi ancora non si erano decisi a vendere, il portone dell'edificio era stato chiuso e i capi si erano sentiti dire che i figli non avrebbero mangiato fin quando i padri non avessero preso la penna in mano. Perciò avevano firmato. Anche Coda Chiazzata, quando aveva saputo che Nuvola Rossa l'aveva già fatto. Saranno stati in trenta-quaranta in tutto: eppure il trattato del 1868 diceva che non si poteva vendere nemmeno una briciola del territorio lakota se tre quarti degli Indiani non fossero stati presenti e d'accordo. « Vedono che siamo veramente molto pochi », osservò il vecchio Bruco con le lacrime sulle rughe del volto scuro. Prima della luna successiva giunsero altre notizie. Prima ancora che arrivassero i commissari a chiedere i Black Hills, Tre Stelle già mandava in giro un ordine di sequestro di tutti i cavalli e fucili di Nuvola Rossa e della sua banda. Adesso che la faccenda era chiusa, il capo dei soldati aveva la scusa che gli Indiani erano andati via dall'agenzia dopo la firma. Ma qualcuno, vicino ai soldati, era al corrente di questo ordine molto prima della conferenza per i Black Hills.5 Cane Rosso e Foglia Rossa, fratello del defunto Orso che Conquista, erano con i Facce Cattive in quella fredda mattina. Appena alzati dai giacigli, impotenti, con i fucili dei soldati puntati contro, avevano dovuto vedere le odiate 5 Lettera confidenziale di Crook a Merritt, 25 settembre 1876. Copialettere 28, del Dipartimento del Piatte.
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guide pawnee portarsi via i loro cavalli, frugare i fagotti per vedere se nascondevano fucili e munizioni, e bruciare alcune tende. E tutti, Nuvola Rossa e il resto, erano dovuti andare all'agenzia mentre i Pawnee in divise da soldato lanciavano insulti contro i guerrieri lakota ora che non avevano più niente in mano. Erano andate perdute perfino le galline bianche della moglie di Nuvola Rossa. All'agenzia avevano trovato alcuni commissari del Grande Padre che già conoscevano, venuti questa volta per portare i capi nel «territorio indiano»: erano quegli stessi che, con parole mielate, nemmeno una luna prima, avevano promesso che, se gli Indiani avessero acconsentito a vendere i Black Hills, sarebbero stati benvoluti e protetti. Invece erano già dei prigionieri ambulanti. Anche Tre Stelle si trovava nell'agenzia: voleva arruolare dei giovani Oglala, anche Facce Cattive, perché lo aiutassero a perseguitare i loro parenti del nord. E in una riunione aveva detto a Nuvola Rossa che Coda Chiazzata era stato fatto capo delle due agenzie, anche di quella oglala. « Ahh-h! Dev'essere dura da ingoiare, dopo che uno ha aiutato i Bianchi per tanti anni!... », dissero i guerrieri ostili. Già. Dopo tanti anni il grande guerriero oglala di un tempo non contava più di uno che non avesse neppure cavalli per le proprie tregge. E in tale stato lo avevano ridotto proprio quelli che a Washington gli avevano conferito un grande potere. Potere sugli amici dei Bianchi, beninteso, sulla loro agenzia, sulle razioni annue e perfino sulla pentola del vecchio Uomo della Paura; ma anche potere su quelli del nord, tanto da distruggere il clan dei capi, privare della casacca Cavallo Pazzo e togliergli anche Donna di Bisonte Nero: un potere che per una via o per l'altra raggiungeva ogni tenda oglala, come vi entra l'umidità dopo una lunga pioggia o il freddo di una bufera. Ora, per una sola parola uscita dalla bocca sommersa nei baffi dell'ufficiale, tutto quel potere si era dileguato. Ma Bruco, Strada Grande, Gemello Nero, quelli che conoscevano Nuvola Rossa da molto tempo, raccontarono molti fatti che dimostravano che trafficone fosse, che campione del doppio gioco. Avendo a che fare con quel Faccia 409
Cattiva, non poteva darsi che un giorno Tre Stelle dovesse ammettere di essere un bambino nel guardinfante? Alla banda di Cavallo Pazzo interessavano anche le notizie dal nord. Miles, l'ufficiale che gli Indiani chiamavano Giacca d'Orso, costruiva un forte sullo Yellowstone, proprio alla foce del Tongue, come un cannone puntato sul cuore del popolo. Gli Hunkpapa furono i primi ad accorgersene e gli attaccarono un convoglio. Presero molti muli ma lasciarono andare gli uomini quando questi fecero dietro front per tornare a valle. Nel giro di pochi giorni Toro Seduto ebbe altri scontri con i soldati. Allora prese Grossi Calzoni, un altro figlio di mercante che aveva da saldare dei conti con i Bianchi, e gli fece scrivere una lettera (che poi lasciò legata a un palo nella prateria) in cui domandava a Giacca d'Orso perché fosse venuto nella terra degli Indiani a spaventare i bisonti. Cavallo Pazzo accolse la notizia con un certo disagio. A lui non piacevano questi figli di mercanti, sapessero scrivere o no. Prima Alce Magro aveva consegnato Nuvola Rossa, poi Afferratore si era messo a fare la corte a Toro Seduto; adesso spuntava questo Grossi Calzoni o Johnny Brughier che fosse. Giacca d'Orso si comportò come gli altri capi di soldati che l'avevano preceduto: lesse la lettera e accettò di incontrare Toro Seduto. Mentre fumavano e parlavano, i suoi soldati assalivano gli Hunkpapa. Gli Hunkpapa la scamparono, ma dovettero correre e persero molte tende, molti cavalli e molte provviste di carne per l'inverno. « Non ci si può fidare a portare questi capi di soldati vicino al popolo », disse Cavallo Pazzo a quelli seduti con lui intorno al fuoco. « Hau! Ma premono da ogni lato, e i bisonti scarseggiano », si lamentò uno che aveva dei figli piccoli da sfamare. « Tra un po' non si troverà più un bisonte da nessuna parte, solo soldati... E Giacca d'Orso promette di trattarci bene se ci lasciamo prendere... », disse un altro. E molti erano d'accordo con lui. Gli uomini erano come cavalli malati, quell'inverno. 410
Avevano proprio la testa penzoloni, pensava Cavallo Pazzo. Ma ci fu qualcuno che si oppose fieramente al proposito di rinunciare a tutto, una che sedeva nella fila delle donne. « È meglio morire in battaglia! », gridò costei, e lo gridò forte e con tale impeto che a Cavallo Pazzo si gonfiò il cuore a sentirla. Finché fosse rimasto tanto vigore nelle donne, non sarebbero stati battuti. La mattina dopo andò al Tongue e fece sparire la mandria di buoi dei soldati. Era carne puzzolente, ma almeno per un po' la pancia non si sarebbe incavata. Verso la fine della Luna in cui Cadono le Foglie (novembre) arrivarono le vedette dai loro punti d'osservazione lungo la vecchia Via Sacra. I soldati, parte a piedi, parte a cavallo, venivano a nord da Forte Fetterman per una nuova guerra. Indossavano palandrane di pelle di bisonte e cappucci di pelliccia. Tre Stelle non era riuscito a reclutare un centinaio di guide indiane dalle agenzie meridionali, tuttavia, tra figli di mercanti, Lakota, Cheyenne e Nuvole Azzurre, ne aveva trovate una sessantina... « Sessanta dei nostri parenti e amici collaborano con i soldati?! ». E molte altre ne aveva prese dai nemici di sempre, dai Serpenti e dai Pawnee. Insomma, aveva più di trecento guide indiane. I Lakota lo avevano appena saputo, quando un'ennesima banda cheyenne arrivò dopo una lunga marcia nella neve, con gli uomini avanti ad aprire la strada ai piedi congelati delle donne e dei bambini.6 Questa volta era la gente di Coltello che non Taglia, quella che era andata ai Big Horn per tenersi fuori dai guai. Avevano perfino mandato ad avvertire l'agenzia che sarebbero tornati là se li avessero trattati bene. Ah! Se i Cheyenne sapessero tener d'occhio i soldati come sanno combatterli, pensò Cavallo Pazzo mentre per la seconda volta in quell'anno andava incontro a questi pro6
Battaglia di Coltello che non Taglia, 25 novembre 1876.
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fughi. Era andata davvero male. Molti erano seminudi, coperti soltanto della pelle verde di un cavallo ucciso; molti avevano mani e piedi congelati; le donne stringevano dei bambini morti. Vide che il vecchio Coltello che non Taglia era col cuore a terra, inondato dal biasimo che egli riversava tutto su di sé. Avevano saputo che i soldati erano in giro, perché le vedette avevano riferito che erano passati sfiorando il loro nascondiglio (un canyon nella regione dell'alto Powder), diretti verso l'accampamento di Cavallo Pazzo. Egli e molti altri si sarebbero voluti ritirare ancora più a sud, ma Ultimo Toro, capo del gruppo guerriero della Volpe, si era ostinato: dovevano tenere la danza per la vittoria riportata su trenta Serpenti scalpati. E così avevano fatto, senza immaginare che il giovane Diga di Castoro era stato catturato dalle guide indiane e aveva rivelato dov'era situato l'accampamento prima di rendersi conto che erano guide dei soldati. La danza era durata tutta notte, con le donne giovani tutte allacciate insieme, come era usanza qualche volta presso i Cheyenne. All'alba avevano udito quattro o cinque spari. Su un crinale avevano visto una quantità di Serpenti; nella valle, Pawnee e soldati, con i guardiani delle mandrie davanti. I danzatori avevano tentato la fuga ma erano ancora legati insieme e caddero a mucchi quando le guide e i soldati si lanciarono all'assalto. Il primo a morire era stato un giovane figlio di Coltello che non Taglia. Era insorto da solo contro i soldati ed era rimasto ucciso. Tutto l'accampamento si era destato, le donne e i bambini erano fuggiti verso le ripide pareti del canyon. Molte erano ancora semisvestite e senza mocassini; la maggior parte degli uomini combatteva nuda nel tentativo di respingere gli aggressori. Molti morirono e molti restarono feriti. Piccolo Lupo venne colpito quattro volte. Si combatté per quasi tutto il giorno, dietro un muretto di difesa che i Cheyenne avevano fatto in tempo ad alzare, ma i cavalli e tutto l'accampamento erano perduti, per non dire delle carni, delle pelli e dei bei lavori di perline che sapevano fare le Cheyenne. Quando tutto era ormai distrutto partirono per il nord. 412
Prima a costa di monte dei Big Horn, poi per l'Acqua di Medicina fino al Tongue. Costeggiarono il Tongue fino al torrente Beaver: undici giorni di marcia continua, con i feriti, i piccoli e i deboli che morivano lungo la strada. Le donne piansero quando ebbero ascoltato il racconto della tragedia e benché i Cheyenne da aiutare fossero molti e gli Oglala tutt'altro che ricchi, nessuno quella notte andò a dormire senza essersi riscaldato e sfamato. Nella tenda del consiglio Cavallo Pazzo traeva boccate dalla sua piccola pipa mentre ascoltava questa storia di guide e soldati comparsi come ombre sulla neve ghiacciata e così silenziosi che le vedette non avevano visto e udito niente. I Lakota intorno a lui erano pervasi da un senso di ansia, come quello che prova una giumenta appena sgravata che fiuti un puma. E Cavallo Pazzo quando lo percepì, soprappensiero, si strofinò in faccia il cannello corto della pipa, senza accorgersi che toccava la cicatrice. Troppe cose gli turbavano il cuore. Dopo che il consiglio si sciolse, si aggirò fra le tende montate per i profughi. L'accampamento era immerso nelle ombre della luna calante e nel silenzio, interrotto solo dai lamenti di una donna i cui piedi congelati erano persi, come la zampa di un lupo impigliata nei ferri di una tagliola. Ma quando un bambino si svegliò dal sonno urlando: « I soldati! Mamma, i soldati! », ogni tenda si animò e le donne misero la testa fuori. Poi si udì la madre che a bassa voce cantava: Dormi, gufetto. I soldati non vengono. Questo è un buon posto. La medicina del Misterioso Protegge tutti. Dormi, gufetto. E cantava da una capannina di salici, così piccola che pareva un vecchio cavallo in riposo nelle ombre del cerchio campale. Cavallo Pazzo andò via alla svelta. Andò verso le colli413
ne, come faceva spesso, anche se qualcuno gli ripeteva che non doveva staccarsi dal popolo, ora che tutti avevano il cuore come una pietra ghiacciata. Fu così che gli accadde di vedere nella poca luce della luna morente che alcune tende oglala venivano smontate. Le donne lavoravano in fretta e in silenzio, le arrotolavano, e gli uomini aiutavano portandole alle tregge già pronte in fondo all'accampamento. Fuggivano a causa di quello che era successo ai Cheyenne: gli Oglala fuggivano, come cani spaventati con la coda fra le gambe, verso le isole dell'uomo bianco dove sarebbero stati privati perfino dei cavalli quando per mangiare fosse rimasta soltanto quella carne. Ma poi pensò che erano come pochi bisonti fuggiti da una mandria circondata, e che altri e altri ancora avrebbero tentato di seguirne l'esempio. Allora chiamò l'akicita e la mandò a riacciuffare i fuggitivi. Quella gente fu riportata indietro, i pali delle tende e gli archi vennero fatti a pezzi, i cavalli uccisi. Era soltanto quello che sarebbe loro accaduto alle agenzie, con la differenza che lì, finché gli altri avessero mangiato, anch'essi avrebbero avuto cibo. Dopo che i Cheyenne si furono un po' rimessi in sesto, tutti presero a risalire il Tongue cacciando lungo il tragitto. Il ghiaccio era spesso, e diverse volte lo si dovette cospargere di sabbia quando il grande campo fu costretto ad attraversarlo in un senso o nell'altro per raggiungere qualche bisonte e procurarsi un po' di carne e qualche pelle, ché molti Cheyenne erano ancora senza casa. La neve era molta e la piccola mandria di buoi che Cavallo Pazzo aveva portato via ai soldati del Tongue era ridotta a pelle e ossa. Così la macellarono. E ogni mattina trovavano stecchiti in quantità sempre maggiore i buoni cavalli dell'esercito catturati nella battaglia dell'estate. Erano animali che non sapevano trovare l'erba raspando la neve con le zampe né sapevano mangiare la corteccia dei pioppi. Da tutti però si potevano almeno trarre delle pelli. Al primo quarto giunsero notizie dall'agenzia di Nuvola Rossa: gli Indiani e i figli di mercanti che facevano le guide per Tre Stelle erano andati da Tre Stelle dopo la batta414
glia di Coltello che non Taglia per dirgli che, se fosse andato via, se avesse smesso di braccare gli Indiani nella neve, avrebbero tentato di convincere i capi ad andare nelle agenzie. Ma in cambio di questo egli doveva promettere di dare agli Indiani agenzie nel loro paese, di non mandarli al Missouri o nel territorio a sud; doveva acconsentire che tornassero sulla loro terra. Si espressero con molta energia, e il generale Crook promise. « Un Bianco che promette... », disse Cavallo Pazzo svuotando la pipa. E gli altri, perfino Toro Seduto l'Oglala, condividevano la sua diffidenza. Certo, è un Bianco che promette, ammisero gli inviati. Però aveva portato via i soldati dal paese degli Indiani, e certamente oltre al loro vecchio padre (il maggiore Twiss) dovevano esserci altri Bianchi buoni. Essi credevano che Tre Stelle fosse uno di questi pochi. Non aveva mai parlato di spazzar via gli Indiani, come avevano fatto Capelli Lunghi e Grattan e Fetterman sul Piney: Tre Stelle amava la pace. Gli Indiani ostili si consultarono a lungo su questo punto e decisero che, anche credendo alla promessa che avrebbero avuto le loro agenzie, era meglio restare al nord, in modo che i Bianchi non se ne dimenticassero. Sarebbero potuti andare da Giacca d'Orso e star lontani da Nuvola Rossa, ché alla sua agenzia c'era puzza di Bianchi in ogni brezza, e continuavano i vecchi dissidi tra Oglala, con l'aggiunta, adesso, della rivalità tra Nuvola Rossa e Coda Chiazzata. Le quattrocento tende di Indiani del Missouri e di Hunkapa che erano andate al forte sul Tongue vivevano bene, erano ben nutrite e nessuno subiva vendette per la battaglia dell'estate. Allora Cavallo Pazzo, Strada Grande, Cane e Cervo Zoppo decisero di mandare degli uomini là, a vedere quello che il capo dei soldati poteva fare per loro. Mandarono alcuni Oglala, capeggiati da Toro Seduto, senza il fucile con le rifiniture d'oro, e alcuni Minneconjou, capeggiati da Toro Aquila che aveva già portato là parte della sua gente, e cui Giacca d'Orso aveva detto che pote415
va andargli a parlare in qualsiasi momento, ma sempre con una bandiera bianca, in modo che non si commettessero errori. Verso la fine della Luna degli Alberi Scoppiettanti (dicembre) questi uomini partirono per il forte alla foce del Tongue. Toro Seduto il Buono in testa, recava una lancia con un drappo bianco. Lo seguivano gli altri in fila, tutti disarmati, conducendo in restituzione alcuni cavalli americani rubati al forte dai giovani guerrieri. Erano otto uomini animati da volontà di pace. Dietro, sul pendio di un colle, attendevano l'esito i venticinque capi dei Minneconjou e degli Oglala, tra cui Cavallo Pazzo, con accanto Toro dal Cuore Cattivo che voleva fare la pittografia di questo grande giorno per il suo popolo. Quando i Lakota si avvicinarono al forte, alcune guide crow accampate all'esterno andarono loro incontro gridando: « Hau! Hau! ». Vi furono strette di mano, e poi spari sugli Indiani in visita da dietro le grandi cataste di legna da ardere. Appena uditi gli spari, quelli che poterono frustarono i cavalli e fuggirono, ma cinque Lakota dovettero essere lasciati là, al suolo, e tra essi Toro Seduto il Buono. I soldati si lanciarono fuori. Spararono sui Crow e gridarono: « Hau! Hau, cola! » ai Lakota, ma Cavallo Pazzo e gli altri si erano già ritirati negli avvallamenti, fuori del tiro dei cannoni che sapevano al forte. Mentre un piccolo capo di soldati tentava di convincerli a tornare indietro, un altro inseguiva i Crow che già fuggivano verso la loro agenzia, prendeva delle loro razioni e le mandava ai Lakota assieme a dodici cavalli crow. Ma Cavallo Pazzo non permise che nessun altro quel giorno si avvicinasse a quel posto: sotto l'insegna che i Bianchi avevano inventato per indicare la pace, cinque uomini avevano perduto la vita. Era abbastanza. Perciò tornarono dalla loro gente che aspettava, non lontano, le buone parole di pace. Quando Scialle Nero vide la faccia del marito, non disse nulla. Si accinse a smontare la tenda e si preparò ad altre peregrinazioni in mezzo alla neve e ad altri scortecciamenti di pioppi per nutrire i cavalli. Gli uomini si prepararono ad altre cacce al bisonte per 416
sfamare le famiglie, e tutti a ricominciare a stare all'erta notte e giorno e a tenersi pronti a fuggire davanti alla cavalleria che la loro stessa gente gli mandava contro. Fu l'inverno peggiore che i vecchi potessero ricordare da quando, in tempi ormai leggendari, il popolo aveva passato il Missouri. Era scesa molta neve dall'autunno, dalla stagione in cui gli alci fischiando corteggiano le femmine e si accoppiano, e via via che il freddo si era fatto più rigido gli Indiani ostili si erano spostati verso il luogo più tiepido che conoscessero: sul Tongue, sotto la confluenza del Torrente della Donna Impiccata, dove gli alti argini naturali li riparavano alle spalle dal vento del nord. La gente era preoccupata e gli sciamani guadagnavano molti cavalli. Uno che si faceva chiamare Capelli Lunghi dal tempo della battaglia sul Little Big Horn, e che affermava di avere operato sullo spirito di Custer, seppe fare medicine particolarmente potenti. Per dimostrare che i proiettili non lo trapassavano, si fece sparare addosso dai guerrieri, poi raccolse da sotto la cintura del perizoma i proiettili di piombo ammaccati e li tenne alti perché tutti potessero vederli. Ma ciò che entusiasmava di più i guerrieri era il suo potere di fabbricare munizioni. Tutta una notte fece medicina nella sua tenda: dall'apertura al vertice usciva il fumo e con esso strani odori sconosciuti, mentre per tutto l'accampamento si udivano i suoi canti e battiti di tamburo. La mattina mostrò otto scatoloni pieni di cartucce, nuove di zecca, adatte ai fucili presi nella battaglia contro Capelli Lunghi. Quando i giovani le videro, gli legarono buoni cavalli fuori della tenda; riempirono i fucili e le cartuccere e andarono via forti e speranzosi. Dopo questo fatto, Cavallo Pazzo andò a isolarsi sulle colline. Aveva già visto quelle cartucce: al principio dell'autunno le aveva ottenute in seguito a un patto con gli Siota, gli Indiani del Fiume Rosso del Nord. Forse era bene che Capelli Lunghi ricorresse a quel sistema per infondere forza e coraggio nel popolo, ma Cavallo Pazzo sapeva che forza e coraggio per sé doveva andarli a cercare altrove. Cavalcò nella neve fino a raggiungere il crinale su cui, molto 417
tempo prima, aveva visto il bisonte bianco. Ma quel giorno non vide tracce di bisonte, semmai di coniglio e di lupo. Nessuna traccia di bisonte. Niente che gli parlasse di niente. Verso sera una nuvola grigia si appressò veloce dal nord, gonfia di vento e di neve. Cavallo Pazzo sentì la forza di quella nuvola e la forza di tutta la terra e del cielo intorno a sé. Se avesse potuto attingere quella forza! Adesso nient'altro poteva salvare la sua gente. Costruì in fretta una piccola capanna sudatoria e si strofinò con la salvia che aveva portato. Finito questo rito, si avvolse nella coperta e si sdraiò in cima al colle sperando di trarre un sogno dalla tempesta. Ma questa se ne andò veloce com'era venuta. Poi non ci fu altro che stelle, l'ululare dei lupi e dei coyotes e una limpida alba fredda. Prima che fosse finito il lutto per l'uccisione degli uomini che si erano presentati sotto l'insegna di pace, giunsero due messaggeri dalle agenzie del nord: i Bianchi volevano che gli Indiani andassero là, dove avrebbero ricevuto da mangiare, da vestirsi e perfino della tela per farsi le tende. I messaggeri giurarono che quanto avevano riferito era vero: lo giurarono sulla punta del coltello, sapendo che sarebbero morti se fossero stati trovati menzogneri. Ma avevano anche un'altra cosa da dire...: il popolo sarebbe stato privato di tutte le armi e di tutti i cavalli. « Hop! », gridarono alcuni giovani guerrieri, saltando su, pronti a contare colpi sugli inviati. I più anziani la presero con più calma ma affermarono che a quella condizione non si sarebbero mai sottomessi, mai, finché avessero avuto vita. Quando uno dei Sans Arcs parlò a favore, Orso Rosso, un altro della stessa tribù, gli si oppose infuriato: la gente onesta che avevano mandato a vedere come si stava nelle agenzie adesso era in prigione, e un fratello (uno dei messaggeri) osava presentarsi per mandarci il resto! « Ma possono veramente pensare, i Bianchi, che noi non sappiamo che c'è ancora posto per altra gente nelle case di ferro, che hanno catene forti, e tante che possono legarci tutti? », gridò. Andò avanti su questo tono, fino a molto tardi. Alla fi418
ne dell'adunanza, i messaggeri avvicinarono le famiglie degli ostaggi per cercare di convincerle a. raggiungere i loro parenti, prigionieri nell'agenzia. Ma Cavallo Pazzo disse che chiunque avesse lasciato il campo sarebbe stato raggiunto e punito. Ciò nonostante, anche dopo questo avvertimento, tredici famiglie si avviarono nell'oscurità bianca di neve. All'alba erano già lontane. Ma, all'improvviso, si trovarono davanti Cavallo Pazzo sul pezzato giallo con molti guerrieri alle sue spalle. Come aveva promesso, ordinò di uccidere i cavalli dei fuggitivi e fece sequestrare fucili, archi e coltelli. Adesso, potevano anche andare dai Bianchi, se volevano. Ma la neve era tanta, e il cammino verso le agenzie del nord troppo lungo per i loro mocassini. Perciò tornarono al campo, ma la mattina dopo ci riprovarono, apertamente, davanti a tutti. Questa volta l'akicita uscì e formò un muro di silenzio tutto intorno a loro. I messaggeri partirono da soli, per poi tornare indietro e ripartire di soppiatto assieme a quattro famiglie degli ostaggi. Cavallo Pazzo li vide partire nelle tenebre e li lasciò andare, malgrado si rendesse conto che, se si fossero fatte un po' di coraggio, altre centocinquanta tende di Minneconjou e di Sans Arcs sarebbero partite. Il popolo doveva essersi veramente sgretolato. Nel bel mezzo delle trattative, i soldati di Giacca d'Orso avevano cominciato a risalire il Tongue: erano molti e avevano due cannoni. Gli accampamenti erano proprio sulla loro strada ma non si mossero. Dove bisognava andare?, chiedeva la gente, ma nemmeno Cavallo Pazzo era più capace di incoraggiarli ad altre fughe. Il primo di gennaio i soldati raggiunsero gli accampamenti inferiori. I guerrieri corsero a respingerli mentre il popolo risaliva il fiume. Dopo due giorni si doveva ripetere la stessa storia: i soldati incalzavano come gazze dietro un cavallo dal dorso piagato, e ora non c'era l'olio nero delle Sorgenti del Veleno per tener lontani gli uccelli dalla coda nera: per tener lontani i soldati non si poteva fare ricorso a niente. Alla fine decisero di sparpagliarsi, di ab419
bandonare i tiepidi canyons della regione del Tongue, ma con la stessa riluttanza con cui gli alci abbandonano i loro luoghi di svernamento. Non valse a nulla. Ancora una volta si udì un grido nella notte: «Arrivano i soldati! », e la gente si mise a fuggire nella nebbia notturna nell'intento di tornare al Tongue e raggiungere, il più velocemente possibile, Cavallo Pazzo che si trovava sul Torrente della Donna Impiccata. I guerrieri frattanto si portavano tra i soldati e gli Indiani, pronti a combattere con le poche munizioni che avevano, con gli archi e le mazze.7 Quando furono tutti pronti, Cavallo Pazzo li raggiunse e li portò su un alto argine a scogliera che dominava il fiume. Sperava di mantenere quella posizione, perché le donne non volevano andare da nessuna parte senza i guerrieri: avevano troppa paura della nebbia, una nebbia che aveva paralizzato di ghiaccioli ogni albero e ogni filo d'erba: un sipario, ora che il ghiaccio incrostava perfino gli occhi. Dall'alta scogliera, di prima mattina, Cavallo Pazzo e i guerrieri videro comparire la fanteria. Era uscita come da una nuvola e ora si piazzava nella valle proprio sotto gli Indiani. Montava le tende e accendeva grandi fuochi per scaldarsi e cucinare. L'aroma del caffè saliva fino ai guerrieri e alla gente alle loro spalle, irrigidita dal freddo, affamata e costretta a non disfare i fagotti per tenersi pronta a fuggire. Quindi cominciarono le cannonate, che la nebbia faceva suonare basse e profonde. Ma pareva che gli Indiani non le temessero più. Le donne, con i bambini legati sulla schiena, stettero a guardare le palle che esplodendo a terra facevano volare il ghiaccio come farina buttata per aria. I ragazzi correvano dove le palle da cannone erano andate a conficcarsi nella terra o nella roccia ghiacciata senza frantumarsi. Il giovane Alce Nero e un altro ne portarono una a Cavallo Pazzo. Egli la esaminò con i due giovani, ricordando uno che aveva parlato di cannoni in quella sera d'estate dopo il fatto della mucca del mormone; e il giorno dopo 7
Attacco sferrato da Miles contro Cavallo Pazzo, 8 gennaio 1877.
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i cannoni erano arrivati nell'accampamento di Orso che Conquista. Ricordò Giovane Uomo della Paura che già allora, vedendo più lontano degli altri, aveva detto che un cannone non sarebbe stato di nessuna utilità agli Indiani perché non avrebbero mai saputo fare le munizioni. Sembrava trascorsa una vita intera da quando quell'amico era passato ài Bianchi. Dopo un po', allorché si sollevò la nebbia e cominciò a cadere una neve grigia, i soldati si avvicinarono passando il fiume ghiacciato. Gli Indiani spararono, ma più che altro mandarono frecce, alte, in modo che andassero a cadere sul nemico. Ma i nemici erano coperti da spesse pelli di bisonte, avevano fucili che colpivano lontano e i loro proiettili costringevano gli Indiani ad acquattarsi dietro le rocce. Dei guerrieri, uno soltanto era pazzo di furore, quel giorno: Grosso Crow, un Cheyenne. Nella disfatta di Coltello che non Taglia aveva perduto dei familiari, tra cui delle donne, che però erano state fatte solo prigioniere. Egli marciava avanti e indietro lungo la scogliera, tra gli Indiani e i soldati, incurante del pericolo. Le estremità pennute della sua acconciatura da guerra strisciavano sulla neve. Stringeva un fucile della battaglia del Little Big Horn. In principio i proiettili scheggiarono solo pezzi di roccia intorno a lui, infine lo colsero ed egli cadde. Qualcuno lo trascinò via, nella neve turbinante mista al denso piombo. Con lance e frecce, e usando i fucili scarichi come clave sui soldati che si facevano sotto nella tormenta, i guerrieri tennero impegnati i Bianchi finché le donne riuscirono a risalire il Tongue e a rifugiarsi sullo spartiacque, verso il Little Big Horn, con Cavallo Pazzo, Cane e due Cheyenne come retroguardia. Numerosi soldati caddero in questa fase di combattimento ravvicinato, ma non ci fu tempo per contare colpi e prendere scalpi o altro, se non munizioni. Finalmente anche i guerrieri si ritirarono nella tormenta. La neve cadde in tale quantità che ricoprì le loro impronte e, grazie alla neve, i soldati non seppero, e per molto tempo, che gli Indiani erano andati via dal Donna Impiccata. Per tutta la notte viaggiarono nel gelido vento del nord, 421
e anche il giorno successivo. I cavalli si sentivano tirare la coda come avessero dei pesi; il sole era pallido come latte di giumenta congelato. Lungo il tragitto morì Grosso Crow. La sua morte, sommata a quella di due Lakota, fece salire a tre le perdite totali. Tre sole, contro quelle molto più alte dei soldati. Ma nessuno parlò di fare una danza di vittoria. E quando le vedette vennero a riferire che Giacca d'Orso stava tornandosene al forte, gli Indiani continuarono la marcia senza avere il coraggio di fermarsi. Se i soldati avevano potuto attaccare l'accampamento di Cavallo Pazzo, dove mai si sarebbe più stati al sicuro? Perciò continuarono il loro cammino su una regione che, sotto la neve, era nera per gli incendi dell'estate precedente: senza alberi, e quindi senza legna, e senza erba né per i cavalli né perché vi si potesse trovare selvaggina. Non si vedeva nemmeno una traccia di coniglio. Al Tongue era passato qualche bisonte: non era stato facile ammazzarlo. Comunque, con tutte quelle bocche da sfamare, non c'era rimasta più carne. Gli Indiani mancavano anche di altre cose, adesso: le tende erano annerite e a toppe, i mocassini erano da buttare. Quasi tutti gli indumenti e i calzoni da Bianco erano finiti: gli uomini erano tornati a mettersi dei perizomi di pelle di antilope come facevano prima che giungessero i mercanti nella regione dell'alto Piatte, ben sessantanni prima. Le donne avevano finito il carminio; finito anche il pigmento di terra rossa. Ma se delle altre cose si poteva ancora fare a meno, non si poteva stare all'infinito senza mangiare. Cavallo Pazzo li levò da quella terra bruciata e li portò verso l'alto Little Big Horn. Qui vennero a sapere che i soldati imperversavano a nord dello Yellowstone dando la caccia agli Hunkpapa di Toro Seduto. Le donne li commiseravano, parlandone fra di loro a bassa voce. La banda di Cavallo Pazzo non stette tranquilla nemmeno in quel posto: ogni pochi giorni bisognava dar da mangiare ai messaggeri che arrivavano dalle agenzie a nord e a sud per convincere gli Indiani ad andarsi a mettere accanto a qualche forte militare. Poi un giorno le vedette segnalarono l'arrivo di molta gente, gente che, da come cavalcava, sembrava indiana. 422
C'erano anche donne e cavalli da carico. Era Spada, dall'agenzia di Nuvola Rossa. Spada era fratello di uno che aveva indossato la casacca con Cavallo Pazzo. Ora portava trenta persone. Quando furono vicini all'accampamento, le donne corsero loro incontro gridando: «Parenti! Parenti! ». Cavallo Pazzo sentì nella loro voce una gioia che sembrava spenta da tempo. Quando anche lui andò ad accogliere gli ospiti, uno dei primi, se non il primo, che vide fu Veste da Donna: maestoso, a cavallo, nella coperta ornata di perline, i calzoni con una lunga baghetta ai lati di un colore argenteo, come se dovesse andare a una grande cerimonia. Quella sera si banchettò con i viveri mandati dall'agente: caffè, zucchero e la farina per il pane fritto da aggiungere alla carne del bisonte che Cavallo Pazzo aveva avuto la fortuna di trovare. Così gli ospiti non ebbero la sensazione di essere venuti a trovare dei pezzenti. In seguito, all'adunanza, Spada disse che non erano venuti a spiare o a mettere il naso. Si erano offerti di venire dal reparto di Cappello Bianco, il piccolo capo delle guide che i Bianchi chiamavano Clark. Avevano saputo che i parenti ostili erano in difficoltà, e l'agente li aveva mandati a invitare Cavallo Pazzo all'agenzia. Se avesse accettato, là per la sua gente ci sarebbero state razioni, coperte e indumenti. Poi, volendo, sarebbero potuti ripartire, perché era vero, sul serio, che per quelli del nord si sarebbero fatte delle agenzie nella loro terra, se fossero stati ai patti. Questa era un'offerta più vantaggiosa di quella che facevano i Bianchi del Missouri, migliore anche della proposta di Giacca d'Orso. Inoltre, verso quest'ultimo, alcuni condottieri nutrivano seri dubbi: come fidarsi a portare la gente da lui, dopo tutto lo sparare che quell'inverno avevano fatto i suoi soldati e le guide crow? Tuttavia Cavallo Pazzo non volle accettare, nemmeno quella volta, il dono del tabacco avvolto nella pezza rossa. Disse a Spada e agli altri che prendeva atto con piacere che la sua gente aveva amici disposti a fare un viaggio nella neve per aiutarla, ma egli non poteva dire ciò che ciascuno doveva fare. 423
« Andate da Cane e da Strada Grande, e sentite che cosa intendono fare », concluse, e poi si sedette, il volto impassibile come la pietra chiara delle rocce settentrionali, le trecce fasciate di lontra immobili sul petto. Non molto tempo prima dell'arrivo di questi ospiti, Cavallo Pazzo era stato all'accampamento degli Hunkpapa. In un lungo colloquio con Toro Seduto, i due capi avevano passato in rassegna tutti gli eventi e tutti gli aspetti della situazione venutasi a creare dopo le battaglie dell'ultima estate. Era stata veramente come avevano temuto: non un'estate di grande vittoria, ma un'epopea a dispetto della quale si era chiuso il cerchio intorno agli Indiani. Era scattata la trappola. Ora, come alle antilopi, non restava loro che farsi prendere dopo il salto nel baratro, e il baratro erano le agenzie, dove i giovani diventavano fannulloni e ubriaconi, le giovani diventavano donnacce, dove i bambini morivano di fame e avvizzivano all'ombra dei cannoni, e dove perfino i commissari del Grande Padre erano ladri, perché rubavano la terra degli Indiani. Ma ormai la trappola si era chiusa. La vita libera era finita. Anche dagli Hunkpapa c'era stato chi aveva detto così! «Finita! Finita! », aveva tuonato Toro Seduto, con una voce in cui era parso di sentire le cateratte dello Yellowstone. Niente era finito per quelli che erano ancora Lakota! Andassero con lui al nord, nella terra della Nonna.8 La Nonna sì che parlava con la lingua dritta di una buona madre, e i suoi soldati davvero non uccidevano donne e bambini! « Hau! Hau! », avevano detto tutti quelli raccolti intorno al fuoco consigliare degli Hunkpapa. Ma l'Oglala presente era stato zitto. Il lungo peregrinare di quell'inverno nella neve alta, nel freddo che pungeva il naso e bruciava il petto, aveva riportato la tosse nella sua tenda, e nemmeno sudare sulle rive dell'Acqua di Medicina era stato un rimedio. Su, in quella terra che i Bianchi chia* La regina Vittoria
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(N.d.T.).
mavano Canada, le lune nevose erano molto più lunghe e anche le notti d'estate erano fredde e piovose. Ecco perché Cavallo Pazzo era rimasto muto mentre gli altri parlavano di emigrare nel paese che chiamavano terra della Nonna. Tornato dalla sua gente, lo avevano notato più taciturno che mai. Non pochi, quell'inverno, erano preoccupati dal comportamento di Cavallo Pazzo, da quel suo isolarsi sulle colline innevate. Ne parlavano, specialmente quelli che temevano di perderlo in qualche inopinata e inopinabile maniera. Qualcuno si rivolse anche a Bruco, ma che poteva farci lui? « Può darsi che mio figlio si debba preparare a una cosa difficile...», aveva risposto con tristezza. «Oggi i Lakota sono rimasti in pochi ». Allora i timorosi credettero di dover fare un favore a Cavallo Pazzo. Pensarono che forse, con una graziosa mogliettina a fianco, non si sarebbe più allontanato da loro. Certo, egli non poteva pagarla, perché così tanti avevano avuto bisogno del suo aiuto quell'inverno, ma ciò era secondario. Dopo essersi guardati intorno, decisero per una parente di Strada del Vitello di Bisonte, la giovane Cheyenne che al Rosebud aveva tratto in salvo il fratello. La ragazza era graziosa: aveva quindici anni e se ne andava in giro libera e fiera come una vera Cheyenne. Prima, però, bisognava sentire Scialle Nero, dissero alcuni Oglala timorosi, perché aveva dimostrato del coraggio accettando di montare una tenda per l'uomo spogliato della casacca. Allora andarono da lei, e la donna li ricevette e li ascoltò, soffocando la tosse sotto la coperta. Non li lasciò nemmeno finire di parlare e fece il segno del consenso. Quando portarono la ragazza, Scialle Nero le offrì del cibo e le diede il benvenuto. Poi uscì a far legna, per non essere lì al ritorno di Cavallo Pazzo. Rendendosi conto allora di quello che le avevano organizzato, la ragazza rimase seduta ad aspettare, tremando un po', malgrado la coperta, come avesse timore di restare sola nella tenda con lo strano Oglala. Scialle Nero se n'era accorta, ma non poteva farci niente; sicché prese l'ascia e tirando la vecchia cavalla scese lungo il fiume. 425
Quando tornò, nella neve rossa al tramonto, Cavallo Pazzo uscì ad aiutarla a scaricare la fascina e la mandò a casa a scaldarsi. Nella tenda non c'era nessuno. « Sei stata fuori molto », disse lui, entrando e appendendo l'ascia al suo posto. « Abbiamo avuto una visitina da parte di una Cheyenne, ma non è potuta restare. Ci saranno danze e canti dalla sua gente stanotte, per il combattimento che abbiamo fatto contro i Crow, e lei porterà un'asta con uno scalpo preso da un giovanotto cheyenne... ». « Oh, non sarà tornata sola! », disse Scialle Nero, temendo che la ragazza fosse stata accolta male. « Non l'ho mandata via io! », disse il marito. « È fuggita tra le tende quando mi ha visto entrare... », e rideva un po' raccontandolo. Era la prima volta dopo tanto tempo che mostrava un leggero desiderio di ridere. Ma dopo un momento gli era già svanito, aveva già dimenticato, e sedeva davanti al fuoco senza quasi toccare il mestolo di brodo. Quella notte, a causa delle lunghe ore passate al freddo, la moglie tossì più del solito. La mattina dopo si presentò un'altra donna alla tenda di Cavallo Pazzo, una che aveva perduto sia il marito sia il giovane figlio guerriero in una delle battaglie dell'anno precedente. Era muta come un'ombra, sembrava che non le fossero rimaste più parole. Ma in poco tempo fu come se fosse sempre stata la vecchia di quella tenda: andava a prendere l'acqua e la legna, ed era fiera di tornare con quei pesi al fuoco onorato della sua nuova famiglia. Giunse un altro inviato di Giacca d'Orso. Sembrava che i due grandi capi di soldati, Miles e Crook, stessero veramente dandosi da fare per gli Indiani ostili. Quella volta fu Grossi Calzoni, il figlio di mercante, ora interprete nel forte sul fiume Tongue, a portare due cavalli carichi di viveri e delle Cheyenne liberate. Ma né Strada Grande né Cane vollero toccare i regali. Cavallo Pazzo era sulle colline, e i capi dovevano aspettare il suo ritorno prima di prendere decisioni. In ogni modo, una cosa potevano dirla anche senza di lui: se tutti i cavalli, tutti i fucili, e perfino tutti i coltelli, dovevano essere consegnati una volta arri426
vati al forte, potevano sapere come avrebbero potuto vivere? Poi partirono, più numerosi stavolta, gli inviati di Tre Stelle: un piccolo capo di soldati con duecentocinquanta tra Indiani e figli di mercanti sotto Coda Chiazzata. Portavano parole buone e molte tregge cariche di roba. Comunque non arrivarono tutti all'accampamento di Cavallo Pazzo: Coda Chiazzata si fermò per fare un po' di caccia a ovest dei Black Hills, e gli altri si frazionarono, diretti a vari accampamenti. Il gruppo più numeroso andò da Cavallo Pazzo: erano brave persone e molto tempo prima egli li aveva considerati amici. Fecero di tutto per essere convincenti: dissero che i giorni della selvaggia libertà erano finiti, perduti i Black Hills e i territori di caccia, i milioni di bisonti delle Praterie erano cumuli di ossa bianche, i teschi con le orbite rivolte al sole calante. Perciò erano venuti, con quel freddo rigido, mandati dall'agente e da Tre Stelle, i quali avevano promesso le agenzie sul loro onore. Se fossero andati giù, avrebbero ricevuto razioni e indumenti, poi sarebbero tornati al nord. Questa era una buona proposta, pensarono gli Indiani ostili, e guardarono in direzione dello Hunkpatila sempre misterioso. Poteva negare che erano ridotti a vestirsi di cenci, che avevano freddo e fame; poteva dubitare che il capo dei soldati parlasse da persona onesta, ora che dietro di lui c'era Coda Chiazzata, fratello di sua madre? Ma mentre quelli intorno a lui pensavano così, lo Hunkpatila ricordava tutti quelli che erano morti per essere stati vicini ai soldati, da Orso che Conquista, caduto sulla soglia della sua tenda più di vent'anni prima, ai capi con la bandiera bianca, uccisi alle porte del forte sul Tongue poco tempo prima. I messaggeri fecero visite a molta gente, e Cavallo Pazzo tornò sulle colline, dove tanto spesso lo trovavano i cacciatori e le vedette, lontano dal fuoco della sua tenda. Lo invitavano a tornare a casa con loro, ma egli non accettava mai: qualche volta invece era lui a indicare dove avrebbero potuto trovare tracce di bisonti o forse un nemico crow. 427
Quella volta fu il vecchio e zoppicante Alce Nero a trovarlo, solo su un'altura, nel vento e nella neve che gli turbinavano intorno. Cavallo Pazzo lesse il dolore e l'ansia sul volto rugoso dell'amico. « Zio », disse, « prendi atto di come mi comporto, ma non preoccuparti. Per me ci sono grotte e cavità in cui vivere, e forse qui le Potenze mi aiuteranno. C'è poco tempo, e devo pensare al bene del mio popolo ». E Alce Nero, che era un uomo santo, se ne andò in silenzio.
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5.
NELL'ISOLA DELL'UOMO BIANCO
Il tepore di maggio (la Luna in cui i Cavalli Perdono il Pelo) era sulle pianure dell'alto White Earth e sulle rocce che si stagliavano qua e là come pareti contro il vento. Su una sponda, discosta dagli alberi che seguivano il corso del fiume, c'era l'agenzia di Nuvola Rossa. Là viveva il « padre» degli Oglala e teneva le razioni chiuse a chiave all'interno delle alte pareti di tronchi che nessuno poteva scalare. A ovest, a meno di due chilometri, sorgeva la città di soldati chiamata Forte Robinson; a est, solitario, oltre i pendii verdeggianti dell'ampia valle del fiume, si ergeva il Crow Butte. A nord si allineavano colli biancastri con in cima alberi sparsi: tra gli alberi, cavalieri indiani scuri e immobili, come gli alberi. Disseminati sul suolo ondeggiante nei pressi dell'agenzia e del forte, gli Indiani erano migliaia; a gruppetti, come bisonti ruminanti, stavano seduti per terra o a cavallo, e aspettavano senza far niente. Guardavano i colli, ché di là sarebbe giunto il segnale circolare che indicava l'arrivo di molte persone. Il sole era passato da poco sopra la testa allorché si notò del movimento sui colli e un'animazione a valle, tra la gente, contenuta dalla polizia indiana in divisa blu. Poi, là dove la pista da tregge affondava nella valle, si stagliarono contro il cielo degli uomini a cavallo. Quando si avvicinarono al forte, seguendo una linea serpentina, si vide che in testa a tutti c'era il piccolo capo di soldati Clark, Cappello Bianco. Assieme a lui c'erano anche Nuvola Rossa e i suoi subordinati, oltre ad alcuni soldati. Poi nessuno: un lungo spazio vuoto, o pieno solo di polvere. E finalmente venne l'uomo che gli Oglala dicevano strano, e per poterlo vedere più da vicino la gente fece ressa. Coloro che non lo avevano mai visto mostrarono sorpre429
sa. Per essere un guerriero, era basso, meno del metro e ottanta dell'uomo bianco, ed era asciutto come un giovane guerriero. Ma tutti sapevano che era Cavallo Pazzo perché non aveva pitture né alcunché di visibile che indicasse la sua grandezza. Aveva solo una penna sulla nuca. Sulla disadorna casacca di pelle di antilope pendevano le lunghe trecce fasciate di pelliccia; in un fodero, al ginocchio, aveva il Winchester. Accanto a lui, e formando una fila diritta, cavalcavano, dipinti, con i caschi di penne e gli indumenti frangiati, i suoi capi: Piccolo Falco, Strada Grande, Cane e Piccolo Grande Uomo, che in certo modo spiccava più degli altri. Li seguivano i guerrieri, quindi in lunga carovana, dai colli fin sull'altopiano ancora più a nord, uomini donne e bambini con tregge fagotti cani e cavalli. Alla piccola guarnigione, tutti uscirono a vedere il selvaggio condottiero che per tanti anni era stato il terrore dei Bianchi; che nel giro di otto giorni aveva sconfitto due dei loro capi più importanti, Crook e Custer. Tutti volevano vederlo nel momento in cui avrebbe consegnato il fucile e il cavallo per diventare un freddacaffè come gli altri. Ma tra i capi di soldati presenti ve n'era uno cui non garbava ciò che gli diceva il cannocchiale che teneva incollato agli occhi. « Per Dio! », disse a quelli che aveva vicino. « Ma questa è una marcia trionfale, non una resa! ». Mentre i guerrieri si avvicinavano al piccolo forte, dove tutti i soldati con la giubba blu erano ad attenderli, cominciarono a cantare, e ai guerrieri si unirono via via anche le donne e i bambini, finché tutta l'ampia vallata del White Earth e i colli che spiccavano contro il cielo settentrionale furono avvolti dall'inno di pace dei Lakota. Gli Indiani sfilarono lentamente davanti al forte: i guerrieri dipinti con le loro armi, le donne su cavalli dai finimenti decorati, i bambini sulle tregge, i traini delle tende e infine le mandrie di cavalli. Quindi il popolo oltrepassò il forte seguendo il proprio capo. I Lakota fecero un mezzo giro intorno all'agenzia e si fermarono su un ampio tratto pianeggiante, sgombro di curiosi. Su un lato, come in attesa di ordini, erano allineate a cavallo tutte le guide indiane che avevano portato i soldati a nord contro gli Indiani 430
ostili. Lì si fermò Cappello Bianco, e mentre molti degli Indiani d'agenzia premevano per farsi più vicino - Senz'Acqua, Veste da Donna e i fratelli di questi in testa - incominciò la cattiveria, il sequestro delle armi e dei cavalli. Prima i cavalli. Furono contati, mille e settecento, e dati alle guide indiane. E ora Cavallo Pazzo e tutta la sua gente capirono come mai nelle agenzie avevano tanti buoni amici, tanta gente disposta a fare volentieri un viaggio al nord, nella neve, per convincerli ad andare là. Anche uomini come Giovane Uomo della Paura e Spada portarono via i cavalli dei loro amici e le giumente da tiro delle donne, quando i soldati glieli diedero. E intanto quelli che avessero osservato Nuvola Rossa l'avrebbero visto impassibile guardare diritto davanti a sé ricordando il giorno in cui soltanto qualche mese prima lui, che pure per tanto tempo era stato capo dell'agenzia, era stato « smontato » in modo analogo: gli avevano tolto l'autorità di capo e gli avevano messo nel cuore un nero che gli sarebbe rimasto a lungo. Perduti i cavalli, i Lakota montarono le tende formando il consueto accampamento, circolare come circolari sono tutte le cose sacre, aperto verso il sole nascente. Poi furono contate le persone: centoquarantacinque tende, duecento e diciassette uomini adulti, ottocento e ottantanove persone in tutto, esclusi quelli che avendo cavalli più forti erano arrivati prima, e quelli che avevano preferito andare a vivere nell'agenzia di Coda Chiazzata, come Tocca le Nuvole e perfino Bruco, il padre di Cavallo Pazzo. Finito di contare, Clark disse poche frasi che, tradotte da Billy Garnett e da Afferratore, vollero dire che voleva le armi, tutte le armi. Prima andò da Cavallo Pazzo e da suo zio, Piccolo Falco. Quando i guerrieri videro che il sequestro delle armi dei due capi era avvenuto con molta semplicità e senza ombra di opposizioni, anch'essi deposero le loro. Qualcuno tentò di non consegnare proprio tutto: furono pochi guerrieri, ma gli Indiani d'agenzia che li avevano accompagnati fin là dalle sorgenti del Powder avevano tenuto gli occhi aperti e al momento buono parlarono. Così furono presi centodiciassette pezzi, tra pistole, fucili 431
ad avancarica, fucili a retrocarica, carabine portate via ai reparti di cavalleria, e alcuni Winchester. Qualcuno mise dei bastoncini per terra, dicendo: « Amico, questo lungo è il mio fucile, questo corto la pistola. Manda a prenderli nella mia tenda». Era una cosa dura da sopportare, ma i Lakota fecero buon viso e si lasciarono disarmare. I due interpreti tradussero e quando non lo fecero bene Cappello Bianco, che capiva un po' di lakota, corresse col linguaggio a gesti che sapeva. Appena potè togliersi di lì, Cavallo Pazzo andò nella tenda. Mentre fuori, nella calda sera, le donne erano intente a cucinare e ringraziavano le parenti che venivano con doni per la pentola, la ciotola e la padella, egli stette dentro, solo, seduto al suo posto, stringendo nel palmo della mano la piccola pipa, spenta. Ora che era fatta, non aveva che da guardarsi indietro, come l'uomo che ha appena attraversato un fiume pericoloso e, ancora bagnato, si volta a guardare la terra che si è lasciato alle spalle per sempre per una nuova, che gli appare fredda, brulla ed estranea. Ebbe molto da pensare nei giorni successivi, appena cominciò a vedere che c'erano altre cose oltre i bei discorsi e i tanti regali, e queste gli davano un senso di malessere. Una volta pensò di andare a piedi fino all'Acqua che Corre, al monte su cui era salito quando Orso che Conquista stava morendo. Ma adesso era molto tardi per cercare un aiuto, questo lo sapeva: senza più fucili e cavalli, con soldati da tutte le parti. Inoltre sentiva che se avesse tentato di recarsi là, sarebbe stato seguito, non dai soldati, ma dagli Oglala, dagli Oglala d'agenzia. Non sapeva spiegarsi perché lo avrebbero seguito, ma lo sentiva. Pensavano che fosse un uomo dal cuore come il vento di primavera, che oggi soffia in una direzione e domani in un'altra? E questo senso di disagio e di malessere gli rimase. Ripetutamente dovette cercare di superarlo, come una donna ricorre alle proprie mani quando con gli utensili non riesce ad ammorbidire un lembo ostinato di una pelle di antilope. Era stato dopo che Coda Chiazzata era andato a nord e poi gli aveva mandato i messaggeri, dopo insomma che aveva 432
messo la sua parola dietro alla promessa di Tre Stelle di dare a quelli del nord un'agenzia nella loro terra: solo dopo di allora gli Indiani ostili avevano accettato di venire a sud invece di andare da Giacca d'Orso. I Cheyenne di Coltello che non Taglia si erano avviati per primi e i loro cavalli malandati avevano trainato le tregge nella neve fonda. Gli altri invece avevano aspettato, ma appena la neve si era sciolta, tutti gli Oglala e i Minneconjou di Tocca le Nuvole erano partiti per il sud, separandosi per la necessità di trovare pascoli e selvaggina, ma tutti volgendosi a guardare con tristezza quella regione settentrionale. Alle sorgenti del Powder avevano incontrato Nuvola Rossa. Li attendeva con cavalli carichi di regali, assieme a un gruppo numeroso che comprendeva vecchi mercanti come i Janis, e molti amici e parenti degli Indiani ostili, tra cui anche Giovane Uomo della Paura. Là si erano accampati tutti insieme per la notte, e il vento del sud si era impregnato del buon aroma del caffè bollente. Dopo che erano stati distribuiti i regali e si era fatta la fumata rituale, Nuvola Rossa aveva preso la parola. Sembrava molto invecchiato, troppo per i soli sei anni trascorsi nell'isola dei Bianchi. Alcuni che lo avevano visto appena l'anno precedente dicevano che la rabbia lo aveva fatto invecchiare, rabbia per quello che gli avevano fatto i Bianchi nell'autunno, voltando le spalle al capo che essi stessi avevano creato e trasferendo il suo potere e perfino la sua agenzia nelle mani forti di Coda Chiazzata. Tuttavia, malgrado l'amarezza, Nuvola Rossa aveva pronunciato parole buone. « Va tutto bene », aveva detto. « Non abbiate timori. Venite giù ». I capi si erano sentiti rassicurati. Soltanto Cavallo Pazzo era rimasto in silenzio e si era domandato cosa volesse dire quell'improvviso benvenuto da parte di Nuvola Rossa. Prima il Faccia Cattiva non aveva mai avuto fretta di riceverli all'agenzia: sì, aveva fatto vedere che ci teneva, ma sotto sotto aveva scavato come una talpa per fare il sentiero tutt'altro che spianato. Era andato a invitarli perché ora non aveva più niente da perdere? Niente da perdere. O molto da guadagnare. 433
Cavallo Pazzo aveva tratto boccate dalla piccola pipa e non aveva cercato di sciogliere l'ambiguità. Fosse stato come suo zio brulé, Coda Chiazzata, o come Nuvola Rossa e gli altri Facce Cattive, non avrebbe avuto pace fin quando non fosse riuscito a sapere di più circa tale sconcertante mutamento; fin quando, per esempio, non fosse venuto a capo della conversazione segreta tra il piccolo capo di soldati, Cappello Bianco, e Nuvola Rossa, presente il solo interprete, Billy Garnett. Billy era giovane, e per un Lakota astuto sarebbe stato facilissimo venire a sapere cosa si erano detti i due. La conversazione aveva avuto luogo allorché Spada e gli altri erano tornati dall'accampamento ostile. Cappello Bianco aveva mandato a chiamare Nuvola Rossa e l'aveva fatto accomodare nel suo piccolo ufficio al forte, non nell'ampia sala del consiglio. Tramite Billy, si era detto dispiaciuto che il capo dell'agenzia fosse stato messo da parte da Tre Stelle e tutto fosse andato in mano a Coda Chiazzata: dispiaciuto, sì, perché quando avevano dovuto arruolare delle guide, dei Brùlés uno solo era stato disposto a mettersi la giubba, mentre lo erano stati molti della gente di Nuvola Rossa. Certo, il Grande Padre era inquieto perché il figlio di Nuvola Rossa aveva partecipato alla battaglia del Rosebud e là aveva perduto il fucile che era stato regalato al padre. Ma Cappello Bianco sapeva cosa prova un padre quando il figlio va in cerca di pericoli. Anche suo padre, per esempio, aveva voluto che egli si sistemasse e si sposasse invece di andare a vivere in mezzo agli Indiani; aveva speso del denaro per il figlio e non voleva vederlo andar via. Ma un padre non può tener legato il figlio, può soltanto rovinarsi il cuore per lui. Ora Cappello Bianco desiderava tirare Nuvola Rossa fuori dei guai che il figlio gli aveva procurato. Sembrava che Cavallo Pazzo fosse disposto a venire nell'agenzia e Coda Chiazzata stava facendo un viaggio nella neve per andarlo a prendere. Cappello Bianco voleva che Nuvola Rossa partisse in fretta e lo portasse via al Brulé, lo portasse lì e poi lo convincesse ad andare a Washington a esternare i caldi sensi della sua amicizia e a chiedere 434
un'agenzia che non fosse né sul Missouri né nel territorio indiano a sud. Allora Cappello Bianco sarebbe andato dal suo amico Tre Stelle e avrebbe fatto il possibile perché Nuvola Rossa tornasse a ricoprire la sua carica di grande capo di tutti gli Oglala. «Grande capo di tutti gli Oglala...», aveva ripetuto il Faccia Cattiva riflettendo con la pipa in mano. Sì. Cappello Bianco si sarebbe prodigato in questo se Nuvola Rossa fosse andato a prendere Cavallo Pazzo. Tra tutti i capi delle guide avrebbe avuto il grado più alto, avrebbe potuto scegliere i suoi uomini, avrebbe avuto tutte le razioni di cui aveva bisogno. Gli Indiani che fossero tornati con Nuvola Rossa avrebbero avuto bovini e razioni di ogni genere, quelli con Coda Chiazzata niente. Nuvola Rossa era rimasto avvolto nella coperta e aveva continuato a riflettere. Tre Stelle era un capo di soldati potente, avrebbe potuto fare grandi cose per coloro che non gli si mettevano contro. Ma era anche vero che questo piccolo capo di soldati che gli camminava davanti su e giù, nel modo irrequieto tipico dell'uomo bianco, era appunto un piccolo capo cui sarebbe piaciuto moltissimo diventare grande. Forse si poteva ancora fare qualcosa. « Hau! Va bene », aveva detto Nuvola Rossa col trasporto di chi è soddisfatto. Perciò avevano fumato e avevano fatto regali al giovane Billy per aiutarlo a dimenticare tutto ciò che aveva tradotto. Dopo tre giorni Nuvola Rossa e un centinaio di uomini con cavalli carichi e tregge erano partiti per il nord e, facendo solo le soste indispensabili, avevano raggiunto gli Oglala alle sorgenti del Powder. Tutto era andato come voleva Cappello Bianco, e quando gli Indiani erano giunti all'incrocio tra la pista da tregge e la carrareccia che congiungeva Laramie ai Black Hills, e ancora qualcuno parlava di prendere la via che portava all'agenzia di Coda Chiazzata, si erano visti venire incontro dei soldati e Cavallo Americano con la sua polizia indiana che portavano dieci carri di razioni e cento capi di bestiame. Cavallo Americano, che non cessava mai di pensare solo ai suoi interessi, aveva fatto allineare i suoi cinquanta uomi435
ni e il piccolo capo di soldati sulla via degli Indiani ostili. Arrivati, costoro avevano regalato un cavallo a lui e a ciascuno dei suoi uomini nonché uno all'ufficiale, il quale, ignorando l'usanza indiana, era rimasto sbalordito. Poi Cavallo Pazzo aveva stretto la mano al Bianco: dall'uccisione di Orso che Conquista era la prima volta che toccava, non da nemico, la mano di un capo di soldati. Ma ormai era finito il tempo di combattere. I Lakota si erano accampati in quel punto e vi erano rimasti tre giorni: si erano riposati, avevano mangiato e danzato. Poi erano ripartiti verso Forte Robinson. A circa tre chilometri di distanza, Cappello Bianco con altre guide e soldati era andato loro incontro per scortarli all'agenzia. Nel punto in cui si erano incontrati, i capi si erano di nuovo seduti in fila, e poiché Cavallo Pazzo non possedeva un casco di penne da mettere in capo a Cappello Bianco come si usava fare al momento della resa, era stato Cane a porgere il proprio all'ufficiale, oltre a dargli anche la propria casacca da guerra, la pipa e la sacchetta del tabacco adorna di perline. Era un momento che bisognava ricordare. Poi avevano parlato e Cavallo Pazzo aveva detto che c'era un posto alle loro spalle che si chiamava torrente Beaver. Egli voleva la sua agenzia nell'ampia pianura a ovest delle sue sorgenti. L'erba era buona per i cavalli, e c'era selvaggina. Quando avessero fatto là l'agenzia, egli avrebbe accettato di andare a Washington per parlare col Grande Padre. Veramente era un altro il posto che avrebbe preferito, un posto vicino ai monti Big Horn, nella regione del torrente Goose. Ma se proprio non poteva avere quello, la pianura sul Beaver sarebbe andata bene. Prima l'agenzia, poi a Washington. « Hau! », avevano confermato i suoi capi. Adesso la libertà era un ricordo. Di notte Cavallo Pazzo andava a dormire con i fucili dei soldati puntati sulla sua gente. E il mattino, quando il sole si alzava, rosso dietro il Crow Butte, egli era già fuori, nel cerchio del suo accampamento, a vedere se le donne avessero da cucinare, ad accertarsi che nessuna famiglia fosse stata saltata nella distri436
buzione delle razioni, inquieto che le donne ora dovessero portare la legna sulla schiena dalle lontane colline. Ora anche i suoi Oglala non avevano più cavalli dei Senz'Abiti. Dopo due giorni dal loro arrivo, avevano più viveri di quanti non ne avessero avuti dal giorno in cui erano fuggiti dal Torrente della Donna Impiccata davanti ai soldati di Giacca d'Orso. Il loro agente fiduciario aveva distribuito razioni per una settimana e aveva mandato un uomo per mostrare loro come si trasformava la farina in pane fritto. Avevano avuto anche pantaloni, camicie e coperte da uomo, e qualche rotolo di tessuto colorato per i vestiti da donna: roba per lo più scadente, che nessun mercante avrebbe mai osato offrire agli Indiani, ed era molto meno di quanto promesso. Tuttavia ricevevano molti regali dai parenti e ciò li faceva sentire un po' meglio; inoltre l'agente diceva che presto sarebbero arrivate altre forniture. Quando fu il momento di firmare per quello che avevano ricevuto, nessuno degli Indiani del nord volle toccare la penna. Perché firmare? Tutta quella roba non spettava forse loro di diritto? non era forse quanto doveva ripagarli di tutta la terra che era stata loro tolta? E poi, chi poteva sapere se le carte da firmare non contenessero cose che gli Indiani non capivano? Di lì a poco vennero a sapere che mentre il capo dei soldati del forte si doleva col Grande Padre che per gli Indiani del nord non riceveva sufficienti razioni, pentole, coperte e teli da tenda, anche l'agente gli scriveva dicendo che la banda di Cavallo Pazzo era scontenta e non cooperava: volevano sapere sempre la ragione per cui avrebbero dovuto fare questo o quello, come spiegò agli Oglala il vecchio Provost. E su, allo Yellowstone, Giacca d'Orso si lagnava che Tre Stelle gli aveva portato via i suoi Indiani con promesse che non aveva alcun diritto di fare, e che gli Indiani ostili andavano all'agenzia solo per ingrassare e prendere le razioni e le munizioni, ma contavano di scappare e di ricominciare a combattere. « A che servono le munizioni senza i fucili?... E quanto può andare lontano uno che scappa a piedi? », domandava Piccolo Falco il vecchio. 437
Negli accampamenti indiani si parlava di tutte queste cose e di molte altre. Ma Cavallo Pazzo aveva altro da fare e da pensare. In principio cercò ogni giorno di trovare qualcuno con cui parlare dell'agenzia che gli avevano promesso per il suo popolo. Mancava sempre qualcosa o qualcuno: ora l'agente, ora Tre Stelle o il Grande Padre. Nemmeno Nuvola Rossa aveva tempo per starlo a sentire. Ma il capo del forte incoraggiava il capo ostile a recarsi spesso da lui. Potevano esserci notizie che lo riguardavano...; in caso contrario, avrebbero sempre potuto parlare da amici. Poi c'era la tosse di Scialle Nero. L'indomani del suo arrivo, Cavallo Pazzo chiese che gli mandassero l'uomo di medicina dei soldati perché visitasse sua moglie. Gli Indiani lo conoscevano per un brav'uomo, uno che aveva fatto del suo meglio per aiutare i feriti degli Slim Buttes. « Ah, la tua medicina è potente... », aveva detto Piuma di Ferro al dottore bianco appena il sonno aveva cominciato ad alleviargli il dolore al ventre maciullato. Il Bianco dalla valigetta di pelle andò dunque a parlare con Scialle Nero. Giunse a cavallo, assieme alla moglie che sedeva sul cavallo in una posizione molto buffa per gli Indiani del nord. Alcuni pensarono che avesse una gamba sola, ma altri dissero che era semplicemente seduta di traverso. Doveva essere stato seduto così Afferratore, quando aveva quel certo brutto male... Ma coloro che ricordavano i tempi della Via Sacra dissero che non era una malattia quella che faceva cavalcare le mogli dei Bianchi in quella posizione, bensì la vergogna di avere le gambe. « Oh! », fecero le donne indiane stupite, e corsero a vedere la Bianca, così bella sul suo cavallo, il viso coperto da una trina nera sottile come fumo, una penna verde sul cappellino. Videro dentro la tenda suo marito presso Scialle Nero. C'era anche una figlia di mercante che faceva da interprete e spiegava che quel battere del dito del medico sul petto, quel suo auscultare appoggiando l'orecchio alla schiena, facevano parte dei modi di medicina del Bianco. E mentre traduceva, la graziosa fanciulla volgeva i grandi occhi neri verso il condottiero ostile il quale badava a lei 438
solo nella speranza che fosse d'aiuto per la propria moglie. Così Scialle Nero si lasciò fare le cose che dovevano giovarle, e Cavallo Pazzo ebbe un altro amico tra i Bianchi. Qualche Indiano pensava che avrebbe dovuto rivolgersi ai guaritori della sua razza, e poco dopo ci furono anche alcuni che dissero che cominciava a far caso agli occhi spavaldi delle figlie di mercanti che gironzolavano per l'agenzia, e in particolare a quelli delle figlie di Lungo Joe Larrabee, una guida dei soldati. La prima volta che Cavallo Pazzo si recò all'agenzia vide qualcos'altro: un odio furibondo e bruciante sulla faccia di un ragazzino che immediatamente riconobbe: era il figlio di Senz'Acqua. Poi un mezzogiorno, tornando da una fumata sul Crow Butte, passò dietro all'agenzia e vide Donna di Bisonte Nero seduta all'ombra di un albero, sola come al solito, mentre lavorava di lesina e tendini. La donna si alzò e si coprì il volto con la coperta, come chi non desidera farsi vedere. Allora Cavallo Pazzo passò davanti a lei in rispettoso silenzio, ricordando tutto ciò che c'era stato fra loro. Sul pendio giocava una bambina di sei-sette anni: Cavallo Pazzo la guardò apertamente. Era proprio di carnagione più chiara degli altri: gli ricordò Piccolo Falco da bambino. Ma non la sentiva come figlia, non come Essi la Temono, le cui ossicine erano rimaste là lontano, al nord. Poco prima che tutto il suolo dell'accampamento di Cavallo Pazzo fosse pelato, giunsero di nascosto, dal nord, due Oglala. Cercarono la sua tenda e gli portarono cattive notizie. Cervo Zoppo, capo della piccola banda di Minneconjou che non aveva voluto finire in un'agenzia, era morto. Non ucciso in campo aperto, ma mentre parlava con Giacca d'Orso, sotto una bandiera bianca. Ecco, si ripeteva l'infamia, ancora una volta! Dopo che i messaggeri ebbero mangiato e si furono ristorati nella sua tenda, dal lato degli ospiti, Cavallo Pazzo uscì e si andò a sedere su un'altura per meditare la notizia in solitudine. Ecco, un altro giusto era stato ucciso dal capo dei soldati che aveva una quantità di Lakota e di Cheyenne all'ombra dei suoi cannoni nel forte del Tongue. E anche lì dove ora 439
viveva lui c'erano molte migliaia di persone, e nessuno poteva allontanarsi più di cinque chilometri dal forte. Anche se ci si fosse potuti fidare dei soldati, era un male vivere così ammucchiati, non solo perché gli accampamenti, a non spostarli, dopo un po' mandavano cattivo odore, ma perché la gente non aveva niente da fare, e allora parlava, tramava, litigava. E non litigava forte e davanti alla tenda, come facevano i Bianchi, ma in silenzio, coprendosi la bocca con la coperta o tenendosi tutto dentro. Tornato alla tenda, Cavallo Pazzo vide che i due inviati erano partiti e che al loro posto si erano seduti Cappello Bianco e alcuni altri. Stavano andando a una danza sacra in un accampamento di Bighelloni ed essendo sulla strada, si erano fermati da lui: volevano che andasse con loro, gli avevano portato un cavallo. Molti sarebbero andati a quella danza. Cavallo Pazzo ne era al corrente: era una danza ridotta a spettacolo per alcuni ospiti degli ufficiali, col sacerdote dipinto in modo da sembrare uno stregone e disposto a mandar fuori la voce, a emettere canti come ululati e a tirare fuori oggetti dall'aria per lo stupore e il denaro di chi lo stava a guardare. E se anche non fosse stato uno spettacolo del genere, sarebbero state danze dei figli di mercanti, col whisky e i cazzotti, oppure, di giorno, le corse a cavallo delle guide. Ma Cavallo Pazzo sapeva che gli toccava tenersi buoni gli ufficiali, perciò accettò di andare con Cappello Bianco. Per tutta la prima settimana gli ufficiali e l'agente gli fecero molte visite. Cominciavano con colloqui amichevoli e finivano con interrogatori, anche se non formali, sulla battaglia di Custer: chi c'era, se dei soldati erano stati fatti prigionieri, se gli Indiani avevano avuto dei Bianchi a dirigere la battaglia, e chi aveva ucciso Capelli Lunghi... Mai un accenno alla loro agenzia o a quando sarebbero potuti tornare sulla loro terra, come era stato promesso. Cavallo Pazzo non era il solo a sentirsi a disagio. Presto i capi dei soldati cominciarono a parlare bene di Cavallo Pazzo, l'ostile. Lo giudicavano un uomo amabile, tranquillo e modesto, uno che aveva molto a cuore il 440
benessere del suo popolo. Secondo loro, deponeva bene anche il fatto che non avesse in simpatia gli uomini delle immagini, quelli con la scatola nera che avrebbero voluto afferrare la sua ombra come avevano afferrato quelle di Nuvola Rossa e di altri.1 Passò poco tempo, ed essi non 1 In PIERO PIERONI, I Grandi Capi Indiani (Vallecchi 1964, p. 158) si p u ò osservare il ritratto fotografico di un Indiano che la didascalia lascia presumere si tratti di Cavallo Pazzo. Di corporatura non gigantesca, capelli non corvini, carnagione certamente non scura, questo Indiano è ritratto seduto, le gambe avvolte in una coperta. Indossa una giacca di lana chiara, sbottonata, forse a doppio petto e con un cappuccio. Ha un fazzoletto al collo stretto da una clip. Sotto le mani magre, incrociate in grembo, trattiene senza impugnare quella che s'indovina essere una pipa a cannello lungo (a prima vista sembra invece una corda che gli leghi i polsi e di cui qualcuno fuori campo regga l'altra estremità). I capelli, non lunghissimi e senza penne, sono divisi da una scriminatura in mezzo: una banda, la sinistra, sembra sia stata accorciata e pareggiata da poco ed è fasciata da un nastro pesante; l'altra è sciolta. Contro l'ipotesi che si tratti di Cavallo Pazzo sono i particolari della pipa lunga (secondo l'A., l'Oglala ne avrebbe fumata sempre una piccola dopo che gli tolsero la casacca) e dei capelli (che non sono raccolti in lunghe trecce). Resta poi l'affermazione dell'A. - basata, si presume, su testimonianze (vedi anche p. 499) - secondo la quale Cavallo Pazzo non aveva simpatia per i fotografi, ciò che, anche senza testimonianze, sarebbe verosimile oltreché lodevole. D'altra parte, se è vero che l'Oglala venne considerato indegno di continuare a indossare la casacca e dovette fumare una pipa corta, è anche vero che in seguito la sua autorità tornò ad essere indiscussa tra gli Indiani ostili, al punto che gli Oglala istituirono per lui una nuova carica, quella di capo a vita (vedi p. 372). È estremamente improbabile che egli fosse stato condannato a fumare per sempre solo la pipa corta dell'umiliazione. Ciò lo avrebbe escluso, pur non essendo un assassino (c/r. Gambe di Legno cit., p. 90), dalle fumate collettive attorno al fuoco del consiglio per esempio, che avevano sempre un carattere di ritualità. Inoltre, come avrebbe potuto offrire una pipa corta a Tocca le Nuvole per dargli il benvenuto? {vedi p. 355). È lecito quindi presumere che, almeno dopo essere stato socialmente « riabilitato », Cavallo Pazzo fosse libero di fumare anche la pipa a cannello lungo. I capelli dell'uomo della fotografia certo non sono lunghissimi, almeno sul davanti, ma neanche troppo corti per un Indiano; e se non fosse così ingoffato da panni chiaramente non suoi (la giacca che indossa potrebbe essere una di quelle delle guide, o una di quelle distribuite nelle agenzie), apparirebbero più lunghi sulle spalle leggermente cascanti. Ma la maestà e dignità che s'irradiano dal volto sono di una qualità rara, ammirevoli anche se si potesse inconfutabilmente dimostrare che non sono di Cavallo Pazzo. È il volto di un uomo invecchiato anzitempo, che sta vivendo la tragedia della sua gente come nessun altro, e che pure ha saputo porre fra la tragedia e se stesso una distanza incommensurabile. È in attesa solo della propria fine: non la cerca ma è pronto. Gli occhi infatti - severi, buoni, lunghi sotto una fronte altissima - fissano un punto che solo lui vede e dal quale aspetta un segnale. Parafrasando Emily Dickinson, si potrebbe dire che le uniche Notizie che lo interessino sono quelle che riceve quotidianamente dai Bollettini dell'Immortalità (poesia 827). La bocca sembra fatta per stare chiusa, comunque per dare pochi ordini. Però
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andarono più da lui per fargli domande ma per sedersi davanti al suo fuoco - cosa che non facevano con nessun altro Indiano - a conversare di caccia e anche di guerra, come fanno i capi dei soldati quando si incontrano. Il primo a mostrarsi preoccupato per quest'amicizia che si andava formando fu Afferratore (o Grouard, come adesso si faceva chiamare ripetendo che era nato in una qualche città sul mare salato e che non aveva sangue indiano e nemmeno negro). Ora parlava dei suoi crucci stirando il labbro carnoso. Aveva visto Cappello Bianco nella tenda di Cavallo Pazzo la sera dopo l'arrivo degli Indiani ostili. Quella sera Afferratore si era infuriato perché le donne del nord gli avevano riso dietro quand'era passato per l'accampamento. « Oh! Guardate Afferratore! », si erano gridate l'un l'altra. «Adesso ha ripreso a camminare bene!». Dopo tutto, forse non era stato il brutto male a farlo camminare in quel modo buffo quando i Cheyenne avevano costretto le guide a tornare a piedi dai soldati, ma i calzoni da Bianco che gli sfregavano sulla carne. Ma quando avevano visto che Afferratore andava ad alzare il telo d'ingresso della tenda di Cavallo Pazzo, erano ammutolite. Dopo di lui vi erano entrati anche Cappello Bianco e un altro ufficiale, ed egli aveva visto Cavallo Pazzo accoglierli come amici. Usciti di lì, Afferratore aveva fatto un certo discorso a Cappello Bianco: lo aveva consigliato di non andare alla tenda di quell'Indiano ostile senza la sua protezione: era pericoloso. Clark si era messo a ridere. «Oh, andiamo!», aveva detto. Non passò molto tempo e altri che gironzolavano per l'agenzia notarono l'espressione benevola con cui gli ufficiali salutavano Cavallo Pazzo o ne parlavano; e notarono non è serrata: complemento del labbro superiore, sottile ma non affilato, è l'altro, più carnoso e prominente. La fronte, gli occhi, il naso, la bocca sono in un rapporto così interiormente armonioso, che si è tentati di leggere questo volto come per carpire un segreto. Deve essere difficile, ma non è impossibile, mettersi dalla parte del proprio destino (N.d.T.).
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pure che i giovani Indiani d'agenzia che il primo giorno lo avevano solo seguito con lo sguardo, ora lo seguivano anche con i mocassini. Ancora una volta Veste da Donna dovette vedere che la sua gente si stringeva intorno all'uomo dai capelli chiari, anche Giovane Uomo della Paura e altri che al nipote di Fumo non avevano mai dato il peso che egli credeva di meritare. Era tuttavia una guida, e qualcuno dei piccoli capi di soldati gli voleva bene: forse poteva servirsi del condottiero ostile per avvicinarsi ancor più al cuore di quegli ufficiali di basso grado, particolarmente ora che l'agenzia non aveva un proprio capo. Non che Nuvola Rossa fosse cieco a quanto stava accadendo: perfino Cappello Bianco che gli aveva promesso di aiutarlo, andava dall'Indiano ostile in amicizia. Stringendosi nella coperta, il Faccia Cattiva si dirigeva arrabbiato alla sua tenda dove le nuove galline bianche della moglie si appollaiavano sul suo poggiaschiena o montavano sulla scatola in cui conservava la sua acconciatura da guerra. Una sera rimase a riflettere a lungo, con la pipa fredda. Finalmente mandò a chiamare i suoi parenti, parenti speciali come Veste da Donna e i suoi fratelli, e Senz'Acqua. Come il fetore di una carogna di cane si diffonde per un accampamento in un pomeriggio caldo, così cominciò a circolare la voce che c'era un piano per fare di Cavallo Pazzo il grande capo di tutti. E come è difficile trovare e trascinar via una carogna di cane, così fu,difficile risalire a chi avesse messo in giro una storia simile ed estirpare la fandonia. Prima ancora che qualcuno mostrasse di sapere chi aveva dato il via a quel mormorio, giunse la notizia che Cappello Bianco licenziava la maggior parte delle guide di cui si era servito nell'inverno e arruolava duecentocinquanta guide nuove, molte raccolte in mezzo agli Indiani ostili. Ancora una volta Afferratore lo mise in guardia contro l'Oglala, ma il capo dei soldati aveva problemi d'altro tipo con Cavallo Pazzo. Questi non voleva indossare la divisa di soldato: voleva la sua agenzia. Tuttavia, nell'attesa, gli uomini erano costretti a passare il tempo senza far niente. Come guide, almeno, avrebbero ricevuto un cavallo e una carabina Sharps ciascuno, e se non 443
altro potevano correre dietro al fischio delle antilopi in fuga. Così Cavallo Pazzo e venticinque suoi seguaci decisero alla fine di arruolarsi. I loro compiti sarebbero stati simili a quelli di u n ' a k i c i t a : dovevano mantenere l'ordine intorno all'agenzia, dovevano dare la caccia a chi creava problemi e ai giovani guerrieri che fossero scappati per andare a compiere qualche piccola razzia. Ora le guide e i figli di mercanti corsero al forte più numerosi: dicevano che era rischioso e pericoloso armare gli Indiani ostili. Inoltre l'ultimo inverno Tre Stelle aveva loro promesso che avrebbero fatto carriera nell'agenzia, che sarebbero stati considerati al di sopra di quelli che fossero riusciti a portare lì dal nord. Il capo dei soldati rispondeva che voleva mostrare che si fidava degli Indiani ostili, che voleva trattarli tutti nello stesso modo. Sollevò un vespaio. Le vecchie guide protestarono infuriate dalla gelosia. Anche Billy Garnett era fra questi, e alcuni dicevano che c'era per far piacere a sua sorella. Costei stava ricamando un motivo a fiori su un panciotto per Afferratore, ed era risaputo che questi preferiva che gli Indiani del nord se ne stessero oziosi intorno alle loro tende (prigionieri sotto ogni aspetto, anche se non erano tra i ferri) perché altrimenti avrebbero creato dei guai. «Guai per Afferratore... », dicevano quelli che sapevano che egli aveva ucciso un uomo nel Missouri. Il tempo passato tra i Bianchi gli insegnava che gli Indiani sarebbero stati capaci di tirare fuori quella faccenda per danneggiarlo, anche se a suo tempo lo avevano accolto come un figlio. Forse era questa la ragione per cui era stato nell'agenzia di Coda Chiazzata finché era venuto il momento di mandare delle guide al nord. Ma anche là era malvisto dai figli dei mercanti, dalla famiglia di Bordeaux e compagnia, per esempio. Ma dagli ufficiali andavano anche alcuni Indiani: Veste da Donna, Senz'Acqua e Nuvola Rossa in persona con Cane Rosso sempre dietro. Arrivavano con la faccia lunga e parlavano di Cavallo Pazzo come di un uomo pericoloso. Ma gli ufficiali li mettevano in ridicolo, e presto corsero altre voci sulla possibilità che lo Hunkpatila venisse fatto 444
capo di tutti, anche dei Brulés. Cosa avrebbe detto Coda Chiazzata quando gli avessero comunicato che suo nipote si sarebbe seduto su di lui? E come l'avrebbe presa il figlio di colui che Orso che Conquista aveva designato quale capo di tutti i Lakota?, si domandava il clan di Nuvola Rossa, ricordando tutto d'un tratto che esisteva e contava anche Giovane Uomo della Paura. Ma Cavallo Pazzo si dava da fare per ottenere l'agenzia per la sua gente, inquieto che nemmeno fosse servito indossare la divisa per far piacere a Cappello Bianco, ignaro che questi aveva promesso a Nuvola Rossa che l'avrebbe ricostituito capo di tutti gli Oglala. Una cosa piuttosto apprese Cavallo Pazzo dai figli e dalle figlie dei mercanti che ciondolavano intorno al forte: sembrava che un grosso capo dei soldati di nome Sheridan stesse sbraitando che voleva rinchiudere tutti i capi ostili, portarli via o addirittura ucciderli, come aveva fatto con i capi santee catturati dopo la guerra nel Minnesota. « Ma Tre Stelle ha promesso che non sarà fatto del male ad alcuno », si disse. « Promessa di Bianco... ». Sì, poteva darsi che anche quella facesse la fine di tante altre promesse. Ma intanto qualcuno sapeva quando sarebbe arrivato Tre Stelle? Verso la fine di maggio si venne a sapere che all'agenzia di Coda Chiazzata erano a corto di razioni e che le guide avevano visto molti bisonti a nord. La gente guardava in quella direzione con occhi affamati, perché il manzo era cattivo anche nell'agenzia di Nuvola Rossa, oltre ad essere molto scarso. Mai prima di allora quelli del nord avevano patito la fame nella stagione in cui l'erba è alta. Ora, dopo quasi un'intera luna sprecata, Tre Stelle aveva annunciato il suo arrivo. Coda Chiazzata fu uno dei primi a giungere nel luogo in cui si doveva tenere il consiglio, e Cavallo Pazzo andò a fargli una visita. Il Brulé era ingrassato, era di nuovo pesante come il giorno in cui era tornato dalla prigione dell'uomo bianco, vent'anni prima. Ora era avvolto da un manto di freddezza circa l'esito del consiglio. 445
Lui che era capo di due agenzie doveva chiedere il permesso al Grande Padre per spostarsi di qualche chilometro. Perciò Tre Stelle, che lo aveva messo in alto, per lui valeva quanto un altro capo dei soldati, uno dei tanti. Finalmente arrivò il giorno. Gli ufficiali al seguito di Tre Stelle si piazzarono su un'altura a sud dell'agenzia e una folla d'Indiani si dispose ai lati lasciando sgombro lo spazio di fronte ai Bianchi. Qui le guide, con le giubbe da soldato sul perizoma, eseguirono le esercitazioni che aveva loro insegnato Cappello Bianco. Su cavalli di razze diverse Cavallo Pazzo di nuovo sul suo pezzato giallo - cavalcarono in belle linee dritte, girarono, andarono alla carica, girarono di nuovo, turbinarono in cerchio all'interno di altri cerchi. Finita l'esibizione, i guerrieri si ritirarono; i capi si portarono davanti ai Bianchi, smontarono e andarono a salutare quello che era chiamato Tre Stelle. Il capo dei soldati tenne a lungo stretta fra le sue la mano di Cavallo Pazzo, guardando l'esile e dritto guerriero dai capelli castani e dai lunghi occhi chiari. La faccia barbuta dell'ufficiale sembrava dura come una roccia sopra una macchia d'alberi spogli. Durante la lunga stretta di mano il Lakota pensava ai due attacchi subiti dai due pacifici accampamenti cheyenne e a quello nel quale Piuma di Ferro aveva trovato la morte agli Slim Buttes. Ma infine pensò anche al bel giorno sul Rosebud. Forse anche il Bianco se ne ricordava, perché sembrava che, sotto i baffi, la sua bocca si atteggiasse a un lieve sorriso. « Hau, cola! », disse una seconda volta, poi lasciò andare il nemico di ieri e si volse agli Indiani non ostili che aspettavano la sua attenzione. Il Grande Consiglio si tenne su un tratto pianeggiante meno di tre chilometri a sud-est dell'agenzia, dominato dal Crow Butte. C'erano sì, nei pressi, le tende bianche di molti soldati, ma quel giorno almeno nessuno era chiuso entro spesse pareti come quando i Black Hills erano stati « venduti ». I capi raggiunsero a piedi, in fila, i loro posti in cerchio: Oglala, Brulés, Minneconjou, Cheyenne e Nuvole Azzurre. 446
Davanti a questo cerchio presero posto su sedie pieghevoli la barba e gli occhi grigi di Tre Stelle, gli altri ufficiali e Billy Garnett, l'interprete. Finita la fumata, si alzò Giovane Uomo della Paura per dare il benvenuto al fratello bianco a nome di tutti i capi indiani. Molti, disse, erano venuti lì a fare agli Indiani discorsi con la lingua biforcuta; molti avevano tentato di ingannarli per persuaderli a lasciare quella regione. Ma i capi che erano stati nel territorio indiano a sud avevano visto che là perfino gli alberi crescevano cavi, e altri che erano vissuti sul Missouri sapevano qual era la situazione lassù e nemmeno là volevano andare. « Quando l'inverno scorso avete visto le guide, esse vi hanno detto che cosa volevamo, e voi avete promesso di aiutarci. Noi abbiamo comunicato agli Indiani di Cavallo Pazzo che qualora fossero venuti giù avremmo avuto un'agenzia nella nostra regione. Noi ci sentiamo umiliati davanti ai parenti settentrionali perché quest'agenzia non c'è. Ma ora voi siete qui e teniamo a ricordarvela in modo che non ve ne dimentichiate ». Allora Tre Stelle si volse verso gli Indiani ostili, verso Cavallo Pazzo. Ma questi non voleva parlare. Allora si alzò Piccolo Falco e parlò per lui. Gli ufficiali si guardarono l'un l'altro, sorpresi che un Indiano potesse avere una voce così bella. Sì, lui era un Indiano ostile, disse il vecchio Oglala, e fiero di esserlo. Gli Indiani ostili avevano vissuto sulla terra che era loro seguendo le antiche e buone usanze insegnate dai grandi della loro gente, mangiando dei frutti e degli animali della Terra e non andando in cerca di guai. Ma i soldati avevano continuato a invadere il loro paese facendosi strada con i fucili. Cos'altro potevano fare gli Indiani se non diventare ostili? Non erano stati loro a fare la guerra nella terra dei Bianchi, erano sempre stati i Bianchi a premere, a falciare donne e bambini, e incendiare gli accampamenti, a prendersi tutto. Poi, nella Luna del Ghiaccio sulla Tenda (gennaio), avevano visto arrivare le guide e sentito chiedere di smettere di combattere. Se fossero venuti giù, il grande capo dei sol447
dati Tre Stelle li avrebbe aiutati ad ottenere un'agenzia nella loro terra. «Ma ora... », Piccolo Falco fece una pausa per dare uno sguardo agli Indiani che aveva intorno, «...ora», disse, « che siamo qui, ci viene detta una cosa molto cattiva: che i Bianchi vogliono mandarci da un'altra parte, in una terra che non è la nostra...». Le braccia conserte sul petto, il vecchio Oglala piantò gli occhi su Tre Stelle finché le guance del Bianco diventarono ancora più rosse sotto la barba e la pelle screpolata dal vento delle Pianure, e finché all'interprete non fu ingiunto di dire all'Oglala di concludere. « Concludo. Concludo », disse l'Oglala senza farsi impressionare e senza alterare il suo tono pacato. « C'è solo una cosa che voglio aggiungere. Noi vorremmo sapere se voi siete quello stesso Tre Stelle di cui ci hanno parlato le guide, se siete voi il Bianco che parla con la lingua diritta ». Su tutti, ostili e ben disposti, cadde il silenzio. Molti temevano le conseguenze che avrebbe potuto avere un discorso così franco ed energico. Poi, prima che lo facesse qualcun altro, si alzò a parlare Cane Rosso, a nome di Nuvola Rossa. Guardò gli Indiani uno per uno, con la mano alzata per chiedere attenzione, poi disse: « H a parlato uno degli Indiani dell'agenzia, e uno della gente di Cavallo Pazzo. Ora vogliamo che il capo dei soldati dia una risposta prima che altre cose vengano dette. A dire troppe cose si rischia di confondere l'uomo bianco ». Perciò si alzò Crook: gli occhi grigi erano duri e stizziti, ma riuscì ad articolare parole abbastanza moderate. Prendeva atto con piacere che gli Indiani del nord si comportavano tanto bene nelle agenzie. Non era stato lui o gli altri soldati a voler fare la guerra agli Indiani: il Grande Padre, che doveva essere obbedito, aveva dato degli ordini. E gli Indiani avevano sempre sparato quando loro erano arrivati. «Era il paese degli Indiani!», gridò uno mentre gli altri gli facevano segno di star zitto, vedendo che Tre Stelle sembrava un cane con uno scoiattolo in bocca quando si avvicina un altro cane a portarglielo via. 448
Ma dopo l'interruzione riprese a parlare, ammettendo che aveva pur detto alle guide che li avrebbe aiutati. « Quando a nord non ci saranno più Indiani ostili fuori delle agenzie, andremo a Washington insieme e io chiederò aiuto al Grande Padre. Adesso c'è un nuovo Grande Padre, non quello che alcuni di voi hanno conosciuto. È molto occupato, ma noi ci andremo quando avrà più tempo. E nella luna della caccia di fine estate vi lascerò andare al nord come ho promesso ad alcuni. Andrete al nord e tornerete qui senza procurare guai a nessuno, e avrete il tempo di trattenervi là anche per essiccare le carni per l'inverno ». « Hau! Hau! », gridarono gli Indiani, fra cui alcuni settentrionali. Pochi furono quelli che, con Cavallo Pazzo, si avvidero che Tre Stelle stava scaricandosi di dosso la promessa dell'agenzia per sobbarcarsi una promessa molto meno onerosa: quella di una caccia e di un viaggio dal Grande Padre quando il Grande Padre avrebbe avuto tempo. Ora Cavallo Pazzo si sentiva veramente a terra. Dopo il consiglio ci fu un pranzo all'inizio del quale Falco di Ferro, un uomo celebre per la sua conoscenza della storia del popolo, compì la cerimonia. In silenzio offrì il primo pezzo di carne al cielo, alla terra e alle quattro grandi direzioni. Quindi parlò dei grandi Lakota dei tempi delle cacce al bisonte e del tempo presente e dei tempi a venire, quando tutti avrebbero camminato in pace, accanto all'uomo bianco, lungo la buona strada nuova. Poi l'akicita servì il cibo, e ai capi dei soldati, come ospiti d'onore, porsero la pentola cerimoniale col cane cotto. Tre Stelle pulì la ciotola di legno, ma Cappello Bianco passò la propria, e un dollaro, all'Indiano che gli sedeva alle spalle. Si rise molto di questo, che l'uomo che era sempre con gli Indiani non avesse ancora imparato a mangiare quello che essi mangiavano con altrettanto gusto del suo capo, il quale invece raramente andava a sedersi davanti al loro fuoco. Finito il pranzo, Tre Stelle si recò alla ferrovia per incontrare il grande capo dei soldati Sheridan che andava al nord passando per il territorio indiano. Si diceva che contava di costruire altre postazioni militari intorno al Powder. 449
Gli Indiani di Cavallo Pazzo raccolsero la voce in silenzio. Poi, quasi all'improvviso, venne perpetrata un'altra infamia: i Cheyenne vennero deportati al sud. Avevano fatto di tutto per compiacere i Bianchi che mettevano loro fretta, avevano affrontato la neve alta per scendere all'agenzia, avevano mangiato i cavalli rinsecchiti lungo la strada, invece di aspettare che l'erba crescesse, come invece avevano fatto altri. Ora, non avevano ancora finito di riempire i ventri incavati, e già dovevano ripartire per andare in quel territorio indiano in cui - molti lo sapevano - la terra era come ferro, i corsi d'acqua erano morti da tempo, e solo gli alvei asciutti restavano a ricordare che un tempo là l'acqua aveva tagliato la terra. Nel loro accampamento si erano alzati lamenti, ma poi i Cheyenne erano partiti. I soldati conoscevano indubbiamente il sistema per far fare alla gente quello che essi volevano. Cavallo Pazzo li vide partire, circondati di soldati da ogni lato perché nessuno si azzardasse a tornare indietro, e pensò ai pochi rimasti ancora liberi o quasi, al nord. Lo confortava sapere che Strada del Vitello di Bisonte, la giovane coraggiosa della battaglia del Rosebud, era là. Era proprio vero: un popolo non è mai sconfitto se il cuore delle sue donne non si è ridotto in polvere. Ma che altro si può fare se non arrendersi, quando non c'è niente da dar da mangiare ai bambini? Dopo il Grande Consiglio, Cavallo Pazzo parve come paralizzato, come il vecchio Lupo Bianco, ridotto a un cumulo di carne su una coperta. Tutto quello che riuscì a fare fu scambiare qualche frase col padre e con Tocca le Nuvole prima che questi tornassero all'agenzia di Coda Chiazzata. Li consultò se non fosse più conveniente per la sua gente andare a vivere là, dove si faceva tutto attraverso un uomo solo e non c'erano file di orme di mocassini per andare quasi ogni giorno dall'agente o dal capo dei soldati a lagnarsi di qualcosa o a cercare il modo di diventare potente. C'erano inoltre tanti Bianchi cattivi intorno a Nuvola Rossa: ladri, assassini, rapinatori (i cosiddetti Uomini Grigi). Non era solo il fatto che rubavano i cavalli indiani, ma avevano sempre la bottiglia del whisky in mano e nuo450
cevano ai giovani, tanto ai figli dei mercanti quanto ai figli degli Indiani. Cavallo Pazzo contava di parlare dell'agenzia brulée col suo amico, l'ufficiale di Forte Robinson. Ma Cappello Bianco aveva un gran daffare: addestrare le guide, presenziare a corse di cavalli, danze, banchetti e distribuzioni di manzo... Era sempre ovunque si adunassero gli Indiani. Era sempre con qualcuno degli Oglala più giovani: doveva imparare a conoscere l'Indiano, diceva, e faceva domande sugli accampamenti, i consigli e le guerre. Solo dopo si venne a scoprire che scriveva direttamente al Grande Padre i fatti che veniva a conoscere. « Come un giovane che cerchi di farsi strada origliando alle pelli delle tende e riferendo quello che ha sentito ai vecchi capi! », disse Piccolo Falco. Le tregge di Bruco avevano appena grattato un po' di polvere dirette all'agenzia di Coda Chiazzata, quando Cappello Bianco venne a sapere del colloquio che Cavallo Pazzo aveva avuto col padre, della sua insofferenza verso Tre Stelle e riguardo a ciò che avveniva lì, della sua speranza di godere un po' della pace dell'agenzia brulée. Allora il piccolo capo di soldati parlò con alcuni del suo seguito, poi fece chiamare la vecchia guida franco-indiana Joe Larrabee e chiese notizie della figliola, la graziosa giovane che aveva fatto da interprete tra il dottore e Scialle Nero. « Ma è una che si mette i fiori, i fiori di perline... È una figlia di mercante, come diciamo noi », disse Lungo Joe, usando questo fatto come scusa. « Cavallo Pazzo è di pelle più chiara di lei. Be', e che differenza fa? Tu hai sposato un'Indiana purosangue ». « Ma mia figlia è la donna, e quello che sposerà dovrà far parte della famiglia di lei... ». «Ma non fa parte della tribù di sua madre, come suo fratello? ». « Non è la stessa cosa », insistette la guida. « E poi questo Indiano non ha niente per pagarla...». Cappello Bianco se ne andò con aria soddisfatta. Forse con la spesa di qualche cavallo dell'esercito si sarebbe ottenuto che Cavallo Pazzo fosse contento di continuare a vivere nell'agenzia oglala. 451
Ma nella tenda dello Hunkpatila c'erano altre novità che lo turbavano: la notte tardi, degli uomini erano andati a sedersi davanti al suo fuoco basso e gli avevano portato le notizie che avevano appreso dal telegrafo e dai giornali dei Bianchi: ora i soldati facevano la guerra contro i Nez Percés: quelli sparavano e i guerrieri rispondevano al fuoco. Ahh-h! Una tribù di amici dei Bianchi, sempre in pace con loro! Se nemmeno le donne e i bambini dei Nez Percés potevano sentirsi al sicuro, gli altri facevano bene a tenere gli occhi aperti. Cavallo Pazzo si tenne il più possibile lontano dai Bianchi: poteva allontanarsi dall'agenzia al massimo cinque chilometri, e di cinque si allontanò, insieme agli altri Oglala del nord e anche alcuni di altri accampamenti. Quando la luna cominciò a ingrassare, verso l'epoca della danza del sole, quasi tutti gli altri, compresi i sanguemisto e i Bianchi, portarono da lui le tende e i carri coperti per poter assistere alla danza del sole che quelli del nord celebravano secondo gli antichi riti. Cavallo Pazzo sapeva la vera ragione per cui erano venuti, ma diede a tutti il benvenuto e l'akicìta indicò agli ospiti dove potevano andarsi ad accampare, dove rifornirsi di acqua e legna e dove far pascolare i cavalli. Quando venne il giorno della danza, tutte le tende indiane erano unite in un unico grande accampamento: erano state montate molto vicine l'una all'altra, eppure il cerchio campale si estendeva per più di tre chilometri. Al centro era stato piantato l'albero sacro; era stato spianato e pulito il terreno tutt'intorno, era stata costruita la capanna sacra con ventotto pali lungo una circonferenza e altrettanti a raggera a formare il tetto, convergenti sul pioppo centrale. Cappello Bianco volle seguire tutto: la scelta del pioppo, il taglio eseguito ritualmente, il trasporto all'accampamento, il taglio dei rami, i colpi che gli infersero i guerrieri come fosse un nemico, il primo colpo vibrato più forte dal guerriero che doveva essere il più valoroso per tutto l'anno, 452
anche se i Lakota non avevano più nemici contro cui combattere. Poi ci fu la rappresentazione di una battaglia. Fu scelta quella del Little Big Horn, e i guerrieri di Cavallo Pazzo fecero la parte degli Indiani mentre gli Indiani amici dei Bianchi e alcuni figli di mercanti interpretarono i soldati di Capelli Lunghi. Ma, iniziato il combattimento simulato, ai guerrieri il sangue si scaldò troppo, e invece di adoperare gli archi per toccare appena i « nemici », gridarono: « Hoka hey! » e colpirono forte e adoperarono anche le mazze che avevano infilato nella cintura. Allora le guide e i figli di mercanti fecero fuoco con le pistole e fecero fuggire gli Indiani disarmati dalla pista della danza. Questi trovarono dei fucili e tornarono all'assalto. Ora si sparava sul serio, e le donne strillavano. Se uno solo fosse stato colpito a morte, sarebbe successa una strage. Cappello Bianco se ne rese conto e corse al galoppo a fermare le sue guide, ma arrivò che lo scontro si era già concluso. Era arrivato prima Cavallo Pazzo, e tra il fumo e i proiettili, si era messo tra le due parti contendenti. Alzando la mano nel segno di pace, aveva gridato: « Amici, state sparando alla vostra stessa gente! ». Si fermò tutto, l'aria immobile come prima dei lampi. Sembrava che la gente non respirasse nemmeno per la paura che un proiettile trovasse la via per conficcarsi nell'uomo degli Oglala: perché lì c'erano sicuramente alcuni che avrebbero sparato se fossero stati sicuri che nessuno avrebbe potuto dire chi era stato: ma temevano che gli Indiani di Cavallo Pazzo li avrebbero fatti a pezzi, come un orso adirato sbrana il coniglio che gli capita tra le grinfie. Il resto della danza si svolse normalmente: alcuni fissarono il sole, altri danzarono con agganciati al petto i lacci pendenti dalla cima dell'albero sacro, altri ancora danzarono fino a farsi staccare dalla schiena i teschi di bisonte agganciati nella pelle e legati a corde di cuoio crudo. I Bianchi guardavano con attenzione il sacrificio dei danzatori, impallidendo o animandosi ciascuno secondo la propria natura, ma vollero vedere tutto. Cappello Bianco parlò 453
spesso dell'ascendente che Cavallo Pazzo aveva sui guerrieri, non solo su quelli ostili ma anche sui giovani Indiani delle agenzie, quando si erano infervorati nella guerra non più recitata di poco prima. Quella del capo indiano era un'autorità di cui non aveva mai visto l'eguale, disse il Bianco, e alcuni notarono che aveva la bocca acida come avesse mangiato prugne verdi, perché era abbastanza chiaro che gli sarebbe piaciuto poter dire che quei giovani erano i suoi. Cavallo Pazzo non si trattenne mai molto a guardare le danze. Inoltre adesso c'era una nuova donna nella sua tenda: la diciottenne figlia di Joe Larrabee. Era graziosa, una delle più graziose tra le figlie dei mercanti, e Lungo Joe aveva sperato di combinarle un matrimonio più vantaggioso, per sé, non tale che gli fruttasse solo qualche cavallo. « Aspetta. Se la cosa riesce, sarai pagato bene », gli aveva promesso Cappello Bianco. E appena Lungo Joe aveva avuto i cavalli, l'Oglala si era portato via la giovane sul suo pezzato. Alle mogli degli ufficiali egli doveva piacere moltissimo: ora più che mai si spingevano a cavallo fino agli accampamenti dei settentrionali con la speranza di vedere il grande capo guerriero e la sua giovane seconda moglie. Si chiacchierò molto durante i ricami, le gare con i noccioli di prugna o nelle code che si facevano per la distribuzione settimanale delle razioni, ovunque le donne si trovassero insieme. Alcune Oglala del nord pensavano che Cavallo Pazzo avrebbe fatto meglio a scegliersi una moglie tra la sua gente o, se non una Oglala, una tutta indiana. Ma le Indiane più acclimatate con la vita dell'agenzia dicevano che non erano molte le figlie di mercanti (le giovani che si ornavano gli abiti con motivi floreali) che sposavano Indiani puri. Se lo facevano, era perché altri partiti le avevano scartate e stavano diventando vecchie. Cavallo Pazzo quindi era privilegiato. «Hoh! », fecero quelle del nord sentendo simili sciocchezze: di figlie di mercanti ve n'era quante se ne voleva, ma c'era un solo Cavallo Pazzo su tutta la terra. Alcuni Indiani ebbero l'acuta sensazione che Cavallo 454
Pazzo, prendendo la seconda moglie, aveva inghiottito l'esca di una trappola mortale. Intuivano che doveva esserci qualcosa sotto. Ma come?! Gli agenti e gli altri Bianchi non vedevano di buon occhio gli Indiani con più di una moglie, parlavano addirittura di costringerli a ripudiare le altre e tenersene solo una (cosa che per i più anziani era difficile da capire) e ora un capo dei soldati si era incaricato di trovare una seconda moglie per Cavallo Pazzo! Fu la stessa giovane a dirlo. Le piaceva fare e ricevere visite, conversare. Anche Lungo Joe aveva la lingua sempre occupata e non badava a mordersela se qualcosa non gli andava. « Un'altra donna, per distoglierlo dal suo popolo quando questo ha più che mai bisogno di lui... », disse Piccolo Falco a Bruco nella tenda di questi, buia affinché nessuno venisse a scoprire che il fratello era partito senza permesso dall'agenzia di Nuvola Rossa. « Ah, ma è cosa da poco, e se potesse dargli almeno un po' di gioia... Può darsi che il Misterioso non abbia più molto tempo», disse il padre lentamente. E Piccolo Falco, ricordando la santa medicina del fratello, non parlò più di ciò che lo turbava. Nessun turbamento sembrava invece sfiorare la tenda di Cavallo Pazzo. Ora Scialle Nero aveva più tempo per riposare: non aveva carni da essiccare, né pelli o manti da conciare, né tende da smontare in fretta per fuggire nella neve. Grazie alla buona medicina dell'uomo bianco, il viso le era tornato se non florido almeno più pieno, come doveva essere quello di una Lakota. Mentre Scialle Nero passava il tempo applicando perline assieme alle amiche, Cavallo Pazzo, all'ombra di un ramo di pino accanto alla tenda, ascoltava quello che la nuova moglie gli raccontava delle cose dell'uomo bianco che conosceva e le notizie che ella gli portava tornando dalle visite ai parenti, dallo spaccio o dalle danze. La giovane, infatti, come moglie lakota, era libera di andare dove le piaceva. Qualche volta tornava con dei giornali, e i giornali parlavano della via di ferro, della ferrovia, che voleva diminuire la paga ai dipendenti; allora questi scioperavano e i 455
soldati li prendevano a fucilate. Cavallo Pazzo pensava che davvero i Bianchi non erano mai sazi di uccidere, a costo di fare la guerra anche contro la loro stessa gente. Ma, a quanto si poteva capire, qualcuno si lagnava anche che i soldati non sparassero con sufficiente entusiasmo: anzi, passavano dalla parte degli operai e in alcuni luoghi li aiutavano. Anche questo era difficile da capire. Altra cosa incomprensibile era che nell'agenzia oglala non ci fosse farina da distribuire. Il nuovo fiduciario era arrivato da poco: non poteva averla già rubata. Comunque, la farina non c'era: forse l'agente, che per molti anni era stato « padre » dei Serpenti e non aveva alcuna simpatia per i Lakota, stava escogitando il sistema per affamarli. Non gli sarebbe stato molto difficile, senza parfleches di carne essiccata, senza vesciche di wasna e con scarse possibilità di cacciare. La zuppa si faceva sempre più lunga. Così, poiché le razioni non arrivavano, Cavallo Pazzo chiese un colloquio per tornare sull'argomento della sua agenzia. Sembrava veramente che i meschini progetti di Cappello Bianco stessero andando in fumo e che Lungo Joe dovesse dire addio agli altri cavalli che gli avevano promesso. Ma c'era un'altra cosa che avrebbe potuto far dimenticare allo Hunkpatila l'agenzia che aspettava: la caccia. Verso la fine della Luna in cui le Ciliegie Diventano Rosse (luglio) fu indetto un consiglio nell'agenzia di Nuvola Rossa per ascoltare il messaggio di Tre Stelle concernente appunto la caccia. Vi si recarono settanta capi oglala: una parte veniva dagli accampamenti settentrionali, gli altri erano caporioni di Lakota amici dei Bianchi. Clark lesse il comunicato: tutti quelli che volevano partecipare alla caccia al bisonte potevano partire appena tutto fosse stato predisposto. Potevano stare fuori quaranta sonni (giorni), ma dovevano recarsi direttamente ai territori di caccia, senza provocare disordini lungo il viaggio, e poi tornare puntuali. « Hau! Hau! », gridarono gli Indiani, e così forte che quasi nessuno fece caso al fatto che alcuni, dei più anziani, avevano la bocca piena di silenzio. Tre Stelle aveva scritto anche altre cose. Il Grande Pa456
dre era disposto a ricevere a Washington diciotto Indiani che avessero da sporgere lamentele circa l'agenzia sul Missouri. Scegliessero dunque gli uomini migliori, quelli che più si davano pensiero per il loro popolo. I diciotto dovevano prepararsi a partire a metà settembre, la Luna in cui ai Vitelli Cresce il Pelo. Il dottor Irwin, il nuovo padre-agente, promise di distribuire le carni di tre buoi e caffè e zucchero per il pranzo dopo l'adunanza, appena gli Indiani avessero deciso dove farlo. Si alzò Giovane Uomo della Paura. Disse che i suoi amici e parenti settentrionali erano lì già da alcune lune e non avevano mai ricevuto viveri sufficienti per poter offrire agli altri un grande pranzo. Riteneva giusto che l'onore di offrirlo toccasse finalmente a Cavallo Pazzo e al proprio cugino, Piccolo Grande Uomo. Nessuno l'aveva previsto. Il silenzio accolse le parole dello Hunkpatila. Molti esternarono il loro assenso, ma alcuni anziani rimasero immobili e muti. Finalmente Nuvola Rossa e la sua ombra, Cane Rosso, raccolsero le coperte e uscirono. Nessuno propose un altro posto per il pranzo, e così venne stabilito che si sarebbe tenuto da Cavallo Pazzo. Quando ogni luce si spense negli accampamenti quella sera, due Indiani, nascondendo il viso nelle coperte, andarono a picchiare al portone dell'agenzia. Non se ne sarebbero andati prima di aver parlato con l'agente. Quando questi andò ad aprire vide emergere dalle tenebre molti altri Indiani d'agenzia, alcuni dei quali erano importanti. Allora mandò a chiamare l'interprete e li fece entrare nel suo ufficio. Qui, al lume di una lampada a petrolio, ascoltò una lunga serie di lagnanze circa il consiglio del pomeriggio: la banda di Nuvola Rossa e altre erano molto scontente del fatto che il pranzo l'offrisse Cavallo Pazzo. Lui, l'agente, era arrivato da pochi giorni e non era al corrente della situazione. Cavallo Pazzo non era altro che un guerriero selvaggio: era stato espulso dal clan dei capi perché causava disordini tra il popolo. Ora i capi delle loro bande non volevano andare da lui. Lo consideravano un pericolo per i giovani, e ostile ai Bianchi. 457
L'agente degli Oglala, un uomo dai capelli bianchi, era sorpreso da ciò che sentiva: gli era stato detto infatti che gli ufficiali, compreso Tre Stelle, nutrivano simpatia verso quel capo settentrionale. Gli Indiani borbottarono qualcosa e fecero il gesto che voleva dire « bambini », ma all'interprete dissero che Cavallo Pazzo non era un capo: l'autorità che gli era stata conferita era di nuovo tipo, essi non vi avevano avuto voce e quindi per loro non valeva niente. Egli non parlava con la gente, non rideva, non cantava, non danzava come fa ogni Lakota dal cuore buono. Essi erano certi che se lui e la sua banda di centoquaranta guerrieri fossero stati armati per la caccia, sarebbero scesi sul sentiero di guerra e avrebbero ucciso molti Bianchi. Naturalmente egli non accennava minimamente a tutto questo, perché era un uomo segreto, intorno al quale non si riusciva mai a sapere nulla, taciturno, sempre solo, senza rispetto per i più anziani dell'agenzia. Mentre parlavano, gli Indiani vedevano che l'ex agente dei Serpenti ascoltava con interesse. Allora lo incensarono: al loro nuovo padre dicevano solo ciò che era vero, perché lo rispettavano e onoravano per i suoi capelli bianchi. Se gli Indiani ostili fossero insorti, essi avrebbero fatto l'impossibile per aiutarlo. Perciò non si pranzò nella tenda di Cavallo Pazzo, e l'indomani, quando venne l'ordine di Tre Stelle di consentire agli Indiani di fare scambi per procurarsi le munizioni per la caccia, l'agente si oppose inviando messaggi col telegrafo, e prima parlò come se Cavallo Pazzo stesse preparando un'insurrezione - quando un guerriero doveva pagare quattro cavalli per un fucile comune! - poi disse che tutti gli Indiani gli erano contro, anche suo zio Coda Chiazzata. Ora negli accampamenti indiani le voci filtravano come sabbia sollevata da una tempesta di vento. E si diceva che a picchiare alla porta dell'agenzia erano stati gli amici di Nuvola Rossa, gente che odiava Cavallo Pazzo o che aveva paura di lui. 458
«Ah! Forse Cane Rosso e Senz'Acqua e Afferratore, o qualcuno dei loro amici... ». « C'è chi dice che c'era anche un fratello di Veste da Donna ». Ma sì: Nuvola Rossa e la sua nidiata di freddacaffè. Tutti avevano da dire contro Cavallo Pazzo e contro la caccia, e nessuno di loro voleva partecipare al pranzo. «Anche quando Giovane Uomo della Paura era per Cavallo Pazzo? Giovane Uomo non combina complotti ». No, ma qualche volta toglieva la luce ai vecchi gelosi; e adesso sembrava che Cavallo Pazzo fosse riuscito a ottenere che gli Indiani potessero andare a caccia, pareva che andasse a Washington e forse avrebbe veramente ottenuto un'agenzia al nord per la sua gente. Ma se gli altri lo giudicavano cattivo, perché non lo lasciavano fare? Perché non lo lasciavano andar via di lì? Chissà. Era tutto così complicato, così confuso: come una banda in viaggio travolta da una bufera, o come l'odore della pantera. Molti andarono da Cavallo Pazzo a dirgli queste cose, e quello che parlava più forte di tutti era Piccolo Grande Uomo. Poi la seconda moglie tornò da una visita e disse che, in effetti, era stato Nuvola Rossa quello che più energicamente di tutti si era opposto al pranzo, e che Coda Chiazzata si opponeva alla caccia, come pure la sua ombra, Orso Lesto. Avevano parlato contro di lui tutto un giorno e una notte: avevano detto che gli Indiani ostili non sarebbero mai ritornati dalla caccia. «Ah! Mio zio brulé è vissuto in mezzo ai Bianchi così a lungo che ha dimenticato che un Lakota mantiene una promessa, anche a costo di rimetterci la vita», disse Cavallo Pazzo stringendo la pipa a cannello corto. Nel giro di una settimana fu chiaro che i vecchi Indiani d'agenzia l'avevano spuntata: le loro calunnie erano arrivate a tutti, Cappello Bianco, gli agenti, gli ufficiali del forte, Tre Stelle e perfino il Grande Padre. Sicché la vendita delle armi e delle munizioni fu chiusa. « Si può andare a caccia senza un fucile? », dicevano ar459
rabbiati quelli che andavano a comprare. I mercanti scuotevano il capo e mostravano gli ordini ricevuti. Mostrarono anche un giornale che riportava molte notizie di insurrezioni indiane: Indiani affamati che compivano razzie dalla terra degli Apache a sud fino al nord, dove ormai i guerrieri di Toro Seduto passavano il confine canadese per combattere insieme ai Nez Percés nella valle dello Yellowstone. Vi erano altre notizie sui soldati che sparavano contro quelli che i Bianchi chiamavano scioperanti delle ferrovie, e su grossi ufficiali che volevano ridurre gli Indiani all'impotenza assoluta in modo da poter concentrare tutti i soldati contro gli scioperanti. « La chiamano rivoluzione », disse a Cavallo Pazzo il vecchio John Provost, genero di Alce Nero. Era un po' come se gli Indiani volessero sbarazzarsi di tutti i capi e delle akicita, e creare una pericolosa confusione (ciò che non poteva essere, perché un Indiano segue soltanto chi gli piace). Diceva anche che i Bianchi dei Black Hills offrivano centocinquanta dollari per ogni scalpo indiano, e che invocavano l'aiuto dei soldati. «Ma non c'è nessun Indiano lassù, non c'è quasi più nessun Indiano fuori delle agenzie... Si contano sulle dita! », disse Cavallo Pazzo. Sì, ma i fornitori dell'esercito volevano rifare il mucchio di denaro che avevano guadagnato con le spedizioni degli ultimi due anni. Avrebbero fatto un chiasso simile a quello di una guerra indiana per impedire che i soldati venissero ritirati, e avrebbero ottenuto che se ne mandassero molti altri. Era veramente impossibile capire questi Bianchi che maneggiavano il denaro, così come era impossibile capire i Lakota dopo che erano vissuti in mezzo ai Bianchi.
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7.
LA SUA COPERTA ROSSA
L'avviso che non sarebbero più partiti per la caccia fu per i guerrieri del nord come una sferzata in viso. Avevano sperato di avere presto qualcosa da fare, di allontanarsi per un po' di tempo dall'isola nel gran mare di Bianchi. Anche le donne ne furono deluse, tanto quelle che avevano già sofferto freddo e fame nelle agenzie quanto quelle che non erano mai andate incontro all'inverno - nemmeno quello tremendo dell'anno precedente, al nord - senza un po' di carne nei parfleches. Per Cavallo Pazzo e per i suoi sottocapi fu un'ennesima promessa non mantenuta, questa volta proprio da Tre Stelle e dagli altri Bianchi sotto i cui fucili gli Indiani erano costretti a vivere. La volta successiva si sarebbero sentiti dire che non potevano avere l'agenzia promessa e che dovevano andare tutti sul Missouri. Impossibile dire quello che sarebbe successo allora, perché a questo i Lakota si sarebbero opposti con tutte le loro forze. Dai suoi amici del forte la moglie Larrabee raccolse la voce che i Bianchi avevano paura di trasferire gli Indiani finché in mezzo a loro c'era Cavallo Pazzo. « Là chiacchierano proprio come fanno le vecchie mentre lavano al fiume... », disse Cavallo Pazzo e uscì piantando in asso la giovane moglie. « Che cosa intendono dire? », le domandò Scialle Nero appena il marito se ne fu andato. La ragazza alzò gli occhi dallo specchio che aveva in mano. « Intendono dire che se lo leveranno dai piedi... », disse, tornando poi ad ammirare i nuovi cerchietti d'argento che aveva alle orecchie e che Cavallo Pazzo non aveva nemmeno notato. «Forse quando andrà a Washington...». « Ey-i-i! », pianse sottovoce Scialle Nero, soffocando il lamento sotto la coperta. 461
La settimana dopo la chiusura del commercio delle munizioni si fecero poche danze, poche corse con i cavalli negli accampamenti. Anche i guerrieri dei Bighelloni si sentivano ingannati: stavano senza far niente, non parlavano, e con occhi cupi sotto le sopracciglia depilate si voltavano a guardare i Bianchi che passavano. Quando Billy Garnett tornò dal nord con le guide, ricevette delle razioni per fare un po' di festa con i vecchi capi ostili, Cavallo Pazzo, Piccolo Grande Uomo e numerosi altri, e per riuscire a capire come avessero reagito. I capi, compreso Cavallo Pazzo, accettarono l'invito. Allo Hunkpatila non dispiaceva quel giovane che aveva vissuto parte dell'infanzia assieme agli Indiani nella regione del Belle Fourche. Cavallo Pazzo decise di dimenticare che Billy, al nord, aveva fatto da guida ai soldati: vivendo in mezzo ai Bianchi, senza possibilità di procurarsi delle pelli, bisognava pure che in qualche modo si guadagnasse la paga! C'era molto da riflettere: lì si vendeva se stessi, invece delle cose che si sapeva fare; quando Cavallo Pazzo avesse avuto la sua agenzia, avrebbe dovuto rivolgersi ai grandi Poteri per attingere la saggezza necessaria a percorrere questa nuova via. Da Billy ricevettero piatti di latta pieni di carne cotta col riso e con le cipolle selvatiche delle colline, caffè forte zuccherato e pane scuro fritto. Mangiarono bene e parlarono liberamente. Piccolo Grande Uomo, al solito, fece un po' il gradasso a proposito della caccia. Cavallo Pazzo si espresse nel consueto tono pacato. Non era stato ancora detto che non potevano andare a caccia. Poteva darsi che fossero soltanto delle voci: all'agenzia c'erano troppe vecchie, alcuni avevano il perizoma ma erano ugualmente donne vecchie. E siccome non avevano niente da fare tutto il giorno ed erano a mani vuote, si riempivano la bocca di parole. Chiese a Billy di spiegargli alcune cose dei Bianchi. Per esempio, prima di andare a Washington, voleva imparare a mangiare con la forchetta. Allora Billy gliene diede una ed egli l'adoperò: gli altri risero di questa bizzarria. La punta di un coltello da caccia valeva la forchetta per tirare 462
su la carne, col vantaggio che il coltello uno l'aveva sempre a portata di mano, nella cintura. Ma Cavallo Pazzo parlava seriamente di queste cose. Voleva sapere cosa succedeva e cosa facevano gli Indiani durante il viaggio a Washington, per renderlo meno tedioso, come si dormiva. Billy, che era stato a Washington due anni prima, gli spiegò tutto, e l'Oglala lo ascoltò con attenzione e parve soddisfatto. Quando i capi fossero partiti, egli avrebbe portato Billy con sé, perché il giovane conosceva tanto le usanze lakota quanto quelle bianche, e parlava con lingua diritta... Ma con i Bianchi le cose non andavano bene. Giunsero degli inviati nell'accampamento di Cavallo Pazzo sul torrente Little Cottonwood e dissero che dovevano portarsi vicino alla banda di Nuvola Rossa per un Grande Consiglio. L'Oglala ascoltò e fece il gesto per indicare che aveva sentito ma non quello che voleva dire approvazione o accettazione. Ora sapeva che la caccia promessa sarebbe stata negata, ma gli sembrava una ragione troppo debole per andarsi a mettere vicino al Faccia Cattiva, che si era rifiutato di pranzare nella sua tenda, o per indire un Grande Consiglio. Dovevano essere notizie circa la sua agenzia al nord quelle che i Bianchi avevano da comunicare. Con la promessa di Tre Stelle ridotta in frantumi, chi poteva dire cos'altro si poteva fare? Il nuovo ordine venne preso in esame durante la consueta fumata serale dei capi al centro dell'accampamento, mentre le donne erano occupate a fare da mangiare. Quelli che intendevano recarsi al consiglio dovevano aver passato il torrente per l'ora della partenza, disse Cavallo Pazzo. Quelli invece che ne avevano abbastanza di stare a sentire delle chiacchiere potevano rimanere lì con lui. « Non ci vai? », domandò Cane preoccupato. « Ahh-h! Questo non è il momento di mettersi contro i soldati. Tutti quelli che vogliono bene alle loro mogli e ai loro figli passino il torrente con me. Tutti quelli che vogliono farsi ammazzare assieme alle loro famiglie rimangano pure dove sono! ». 463
Queste parole ebbero l'effetto di un lampo caduto proprio in mezzo a loro. Non avevano mai sentito parlare di un pericolo simile: di soldati che venissero a puntare i fucili contro di loro, lì, nell'accampamento, ora che non avevano cavalli per fuggire né un posto in cui rifugiarsi, e la maggior parte dei guerrieri era disarmata. Ma per calmarli Cavallo Pazzo disse: « Se il nostro amico sapesse che esiste la possibilità di un simile disastro, vorrebbe dire che l'ha tenuta nascosta agli altri ». Ma Cane non voleva arrendersi. « Il disastro è molto vicino», ripetè. Pochi giorni dopo, Cavallo Pazzo mandò a chiamare lui e il vecchio Falco di Ferro per mostrare loro due sigari e un coltello nuovo in un fodero di cuoio che due grossi capi di soldati di nome Bradley e Randall gli avevano regalato. Gli sembrava che gli avessero stretto la mano in un brutto modo, e non gli piacevano i regali e nemmeno i discorsi che gli avevano fatto. Il coltello poteva voler dire guai in arrivo. Quando gli avevano chiesto di andare a Washington, aveva risposto che voleva andarci ma doveva riflettere se era meglio partire prima o dopo che la sua gente avesse l'agenzia promessa. Quando Cavallo Pazzo aveva loro chiesto della caccia, si erano guardati, e ancora una volta egli aveva avuto la percezione di qualcosa di fosco. «Non è stato ancora stabilito niente a proposito », avevano detto. Cane studiò a lungo l'amico: era seduto in modo strano, aveva il coltello in mano. « Fratello mio, che cos'hai oggi? Sei strano », disse. « C'è stato uno screzio fra noi, e mi domando se ciò vuol dire che sarai mio nemico nel caso che io passi sull'altra sponda del torrente ». Cavallo Pazzo rise, ed era raro sentirlo ridere, ma specialmente negli ultimi tempi. « Io non sono un Bianco », disse. « Solo i Bianchi stabiliscono le regole per gli altri, soltanto loro dicono: "Se state di qua da questa linea è pace, ma se passate di là vi uccideremo tutti". C'è ancora spazio, amico mio. Accampati dove ti pare ». Perciò Cane se ne andò, ma era turbato da pensieri simili a una coperta nera. Qualche giorno dopo, Cappello Bianco 464
gli fece offrire un pranzo, in modo che i due ufficiali che erano già stati da Cavallo Pazzo potessero parlare con lui un'altra volta. Ma l'Oglala non vi andò. « Di' al mio fratello che gli sono grato », disse al messaggero. « Ma alcuni hanno detto in giro per l'agenzia troppe cose cattive su di me e sui capi dei soldati. Se accettassi, non ne verrebbe niente di buono, ora ». Cane riferì queste parole agli ufficiali e aggiunse che gli dispiaceva molto ma Cavallo Pazzo aveva una potentissima medicina. Forse ora qualcosa lo metteva in guardia. Quando gli chiesero che cosa poteva dire sulle voci che lo Hunkpatila stesse preparando un'insurrezione, Cane disse che non credeva a quelle voci. Per tante volte quante sono le dita aveva sentito l'amico fraterno ripetere: « Io sono venuto qui perché voglio la pace. Non verrò meno alla parola data ». Cavallo Pazzo era un uomo coraggioso, non aveva bisogno di parlare con la lingua biforcuta. « Sì, basta così. Va bene. Ha già avuto da parlare e rispondere a troppa gente. Non ronzategli tanto intorno», disse a Cappello Bianco quello chiamato colonnello Randall. « Lasciatelo in pace ». Ma nessuno fu lasciato in pace. Per due settimane altre storie volarono avanti e indietro: alcuni ora dicevano che gli ufficiali che gli avevano regalato il coltello avevano effettivamente offerto a Cavallo Pazzo di elevarlo al di sopra di ogni altro. La gente che formava il Congresso di Washington aveva detto che non c'era denaro per dare da mangiare agli Oglala e ai Brulés se non si trasferivano al Missouri. Cavallo Pazzo sarebbe stato fatto grande capo di tutti se non si fosse opposto a portare là gli Indiani. « Lo Strano non venderà la sua gente per il potere! », era l'opinione prevalente fra quelli del nord. Ma nessuno riusciva a sapere da Cavallo Pazzo quanta parte di vero avesse la storia. « I capi di soldati sono venuti a complicare le cose... », si limitava a rispondere. Perfino Lungo Joe se ne andò dalla sua tenda imprecando contro quel suo genero indiano dalla bocca cucita. Il Grande Consiglio non si tenne. Se ne tenne invece uno 465
piccolo nell'ufficio di Cappello Bianco, con Cavallo Pazzo, Tocca le Nuvole e i loro sottocapi seduti sul pavimento da una parte, gli Indiani dell'agenzia per tutto il resto della stanza. Grouard e Louis Bordeaux, figlio del vecchio Jim, furono gli interpreti: due uomini che facevano sempre a pugni tra loro, perfino alle danze. Interprete dei Lakota era Afferratore. Cappello Bianco parlò molto dei Nez Percés (dunque era vero che dalla loro regione erano penetrati nella valle dello Yellowstone): egli voleva che Cavallo Pazzo e alcuni suoi seguaci andassero al nord come guide. Gli Indiani non manifestarono ombra di sorpresa. Cavallo Pazzo si rifiutò col tono fermo e pacato di sempre: la sua gente aveva slegato la coda ai cavalli prima di venire lì, aveva finito di combattere, voleva vivere nella pace che era stata promessa. Ma gli sembrava che i Bianchi non volessero quella pace. Prima ai suoi Oglala era stato chiesto di consegnare cavalli e armi, e lo avevano fatto. Poi di arruolarsi come guide, e anche questo avevano fatto. Infine di dimenticare la caccia al bisonte promessa. Quando gli avevano fatto voltare la testa verso Washington, come un cavallo col morso dell'uomo bianco in bocca, aveva guardato da quella parte. Ora il Grande Padre e Tre Stelle e Cappello Bianco stavano cercando di sporcare la faccia della sua gente col sangue della guerra. Ma gli Oglala erano stanchi di combattere. Volevano sì andare a nord, ma a caccia. Cavallo Pazzo parlò fino alla fine senza accalorarsi, ma intorno a lui lo approvarono rumorosamente così tanti che Cappello Bianco diventò paonazzo. « Non potete andare a caccia! C'è la guerra, al nord », gridò. «Ecco perché cerco di raccogliere guide: per mandare via dalla regione quelli che sono scesi sul sentiero di guerra! », e se la prese con quelli che aveva davanti con la voce rauca e violenta dei Bianchi, anche ufficiali. Come aveva fatto Harney, più di vent'anni prima, subito dopo aver massacrato le donne e i bambini dei Brulés. Ma Harney almeno era un grosso capo di soldati, non uno piccolo come questo qui, Cappello Bianco, e non aveva avuto un Afferra466
tore che col suo cattivo lakota faceva sembrare ancora più pesante la strapazzata. Finalmente Cavallo Pazzo alzò la testa. « Siamo venuti qui per stare in pace », disse. « Siamo stanchi di fare la guerra e di parlare di guerra. Dai tempi in cui Orso che Conquista era ancora con noi non ci sono state dette che menzogne dai Bianchi. Non avete fatto altro che frodarci. E qui è la stessa cosa. Ciò nonostante, faremo quello che ci viene chiesto, e se il Grande Padre vuole che combattiamo, andremo al nord e combatteremo finché non ci sarà più rimasto un solo Nez Percé ». Afferratore tradusse tutto questo nella lingua di Cappello Bianco. Disse tutto molto in fretta e cambiò soltanto due parole dell'ultima frase, dicendo: « ...andremo al nord e combatteremo finché non ci sarà più rimasto un solo uomo bianco », e mentre alterava tutto con quelle due sole parole, guardava i capi con quei suoi occhi tondi e neri. Ma nessuno dei capi era in grado di capire quello che aveva combinato, solo Bordeaux, che cercò di protestare. Ma Cappello Bianco, troppo furibondo per starlo a sentire, con un gesto gli impose di sedersi e gridò a Cavallo Pazzo molte cose che, dal suono, dovevano essere cattive. Gli Indiani si stupirono della strana collera che avevano provocato le frasi giuste e buone di Cavallo Pazzo, ma prima che uno degli interpreti traducesse gli insulti di Clark, Tre Orsi, degli Indiani di Nuvola Rossa, saltò su a dire che, se quello dai capelli chiari aveva voglia di uccidere, lo si uccidesse. Cavallo Pazzo lo guardò non poco sorpreso: « Il sangue caldo deve farti un gran rombare nelle orecchie. Chi ha parlato di uccidere? ». Ora tra i due interpreti era scoppiata una lite, la furia a stento repressa. « Tu parli con lingua biforcuta! », diceva Bordeaux, ma in lakota perché Cappello Bianco non capisse: non voleva perdere la paga che gli dava il capo dei soldati. «Bastardo d'un Indiano!... Sei uno di quelli che cercano sempre di mettermi nei guai », gli rispose Afferratore, e uscì sbattendo la porta. Ora Bordeaux, il figlio del mer467
cante, si era chiuso nel silenzio tipico dell'Indiano quando scoppia una lite, specialmente se davanti a un Bianco. Silenzio era tutt'intorno all'ufficiale, come un anello di ferro. Allora mandò a chiamare Garnett. Dopo pochi minuti entrò il giovane Billy, per cercare di chiudere quell'adunanza. Cappello Bianco ricominciò e domandò a Cavallo Pazzo di cambiare idea e andare al nord con le guide e alcuni soldati. « Ho già detto che andremo a combattere. Porteremo con noi alcune tende e alcune donne e al tempo stesso faremo un po' di caccia ». « Macché! Noi andiamo in guerra! Come si fa a combattere con le tende e le donne dietro?! ». « Noi siamo riusciti a fare qualche buona guerra con tutto il popolo dietro... », ricordò Cavallo Pazzo all'ufficiale. « Non le voglio! Non ve le potete portare dietro! », ripetè Cappello Bianco ricominciando a sbraitare. Cavallo Pazzo si strinse nella coperta. « Questa gente quanto a combattere non capisce niente », disse ai suoi uomini. « Torniamo a casa. Si è già parlato troppo ». Gli Indiani lo seguirono in fila. Cavallo Pazzo lasciò la stanza per primo, per ultimi i due metri di Tocca le Nuvole, che dovette abbassare la testa per passare per la porta. Quando i Minneconjou tornarono all'agenzia di Coda Chiazzata, vi si era già sparsa la voce che si andava al nord con Cavallo Pazzo per combattere finché l'ultimo uomo bianco non fosse stato ucciso. Subito dopo di loro arrivò Cappello Bianco e ripetè la stessa storia di persona al loro agente. Si tenne anche là un'adunanza, con Bordeaux e Afferratore di nuovo come interpreti. Tocca le Nuvole e gli altri dissero agli ufficiali che non capivano cosa volesse dire Cappello Bianco: Cavallo Pazzo non aveva parlato affatto di combattere contro i Bianchi. Ora, siccome Clark affermava che Cavallo Pazzo aveva detto così, essi potevano solo pensare che era lui la fonte della calunnia. Là Bordeaux era circondato da molti parenti e si sentiva più disinvolto che non da Nuvola Rossa. Perciò disse a 468
Grouard davanti a tutti che erano state le sue menzogne a causare il malinteso: Cavallo Pazzo aveva detto che avrebbero combattuto contro i Nez Percés finché non ne fosse rimasto più uno, e Grouard aveva cambiato: gli aveva fatto dire che avrebbero combattuto contro i Bianchi finché non ce ne fosse rimasto più uno. « Sei sempre tu, con la tua lingua biforcuta! », disse Tocca le Nuvole ad Afferratore. « Non ti basta aver mentito ai Bianchi su te stesso, ora menti anche su quelli che ti hanno aiutato ». Voltando le spalle a quel figlio di mercante come a una cosa spregevole, il Minneconjou ripetè ai soldati tutto quello che era stato detto al consiglio, mentre gli altri Indiani e Bordeaux facevano segni e gesti di assenso. Gli ufficiali dissero che credevano alla parola di Tocca le Nuvole perché avevano imparato a volergli bene e a rispettarlo. Ma Cappello Bianco lo contraddiceva sempre con quelle sue maniere spropositate, finché fu chiaro che era veramente un piccolo uomo che si dava arie di importanza davanti agli altri, e forse lo avrebbe fatto anche davanti a Tre Stelle un giorno o l'altro. Nemmeno quando Afferratore ammise che doveva essersi sbagliato, Cappello Bianco volle mutare registro. Quella notte il Minneconjou andò dal cugino a parlargli dell'accaduto. Cavallo Pazzo ne era al corrente e pensava che fosse un'altra delle molte menzogne che escono dai posti dei Bianchi, come in primavera i serpenti a sonagli escono dall'arenaria sgretolata. « È stato Afferratore a cambiare quello che avevi detto tu, a farti dire che avresti fatto la guerra ai Bianchi invece che ai Nez Percés ». « Afferratore! E Cappello Bianco gli ha creduto... », disse lentamente Cavallo Pazzo. « Sembra proprio che il piccolo capo di soldati si lasci riempire le orecchie dalla polvere che sollevano i perturbatori ». Ma di lì a pochi giorni sarebbe arrivato Tre Stelle. Gli avrebbero detto le cose come stavano e gli avrebbero chiesto il permesso di fare un po' di caccia. Tocca le Nuvole caricò la pipa pensosamente, doman469
dandosi chi fosse veramente il suo cugino-amico. Cavallo Pazzo sapeva di quali scogli fosse cosparso il cammino che gli restava da percorrere, eppure se ne stava li, seduto, a parlare tranquillamente di una cosa dopo tutto di non grande importanza per il popolo, come una caccia. Quando il Minneconjou se ne fu andato, Cavallo Pazzo si avviò verso una roccia. Aveva fatto un mezzo giro intorno alla tenda quando un uomo con una coperta in testa dileguò passando dalla parte opposta. L'Oglala lo vide e si fermò un momento. C'era sempre qualcuno che fiutava le sue orme quei giorni, come lupi dietro a un toro ferito. Dovevano essere molti quelli che volevano nuocergli, forse farlo uccidere; ma nessuno aveva il coraggio di sparargli, nemmeno protetto dalle tenebre. Si diceva che Senz'Acqua si fosse offerto di portare il suo scalpo ai capi di soldati per cento dollari dell'uomo bianco..., quel Senz'Acqua che era balzato sul primo cavallo ed era volato a vivere nell'agenzia quando lo aveva visto arrivare. Sì, se i Bianchi lo volevano morto, dovevano trovare qualcun altro, oltre a Senz'Acqua, che volesse guadagnarsi i loro dollari. Quella notte Cavallo Pazzo fece un altro sogno, uno dei molti che aveva fatto in quel mese. Sempre un'aquila chiazzata volava alta sulle rocce a nord dell'agenzia di Nuvola Rossa. Ma quella notte l'aquila piombò a terra, ai piedi di colui che sognava. E sotto l'ala aveva conficcato un coltello di ferro, il sangue le riempiva i mocassini... Strana cosa, un uccello con i mocassini... Mocassini indiani, con perline applicate sulla linea spezzata della folgore sacra. La storia di Cavallo Pazzo che diceva di voler scendere sul sentiero di guerra era arrivata lontano per mezzo dei cavi parlanti, e già pervenivano ordini del Grande Padre e dei suoi ufficiali, ordini che venivano piegati e richiusi davanti agli occhi del popolo intorno al forte. La gente non faceva che parlare, forse più di prima. Come minimo, sarebbero arrivati altri soldati; ma chi poteva dire quali altre infamie covassero sotto quella nuova segretezza? Quando arrivò Tre Stelle per il consiglio, Lee, il capo 470
dei soldati dell'agenzia brùlée, gli andò incontro per spiegare la faccenda di Cavallo Pazzo a lui e al generale Bradley di Forte Robinson. Tre Stelle lo ascoltò, quindi fece loro ripetere tutto a Cappello Bianco, ma questo ufficiale continuava a dirsi certo che Afferratore aveva tradotto fedelmente. Seguì una discussione molto animata, che gli interpreti udirono e riferirono negli accampamenti indiani. Cappello Bianco lasciava che gente molto perfida si impossessasse della sua ombra, dissero gli Indiani del nord. E anche alcuni degli Indiani dell'agenzia la pensavano così, oltre ai figli di mercanti, che conoscevano la lingua biforcuta di Afferratore e quello che aveva fatto quel giorno all'adunanza. Tre Stelle parve molto felice di sapere quello che era accaduto. « Se ci dovessimo sbagliare, sarebbe la perfidia più vile verso gli Indiani », disse. Ciò nonostante, giunsero da Laramie molti nuovi soldati a cavallo. Finalmente arrivò il giorno del Grande Consiglio. Era da molto passata l'ora in cui tutto il popolo si sarebbe dovuto riunire, quando Penna Rossa, fratello di Scialle Nero, corse all'accampamento di Cavallo Pazzo e, smontato agilmente da cavallo, corse a grattare al telo d'ingresso della tenda gridando: « Fratello, fratello! Sei ancora lì? È successa una cosa molto brutta! ». Cavallo Pazzo era in casa. « Siediti, fuma e calmati, figlio mio », gli disse. Ma il giovane non ci riusciva. Si guardò intorno. La tenda era buia. Vide che non c'erano estranei: non c'era nessuno, all'infuori della sorella e del cognato. E la Larrabee? È andata via, disse Cavallo Pazzo, senza aggiungere altro. Allora Penna Rossa disse ciò che l'opprimeva a quello che per lui era ancora l'uomo misterioso degli Oglala: quel giorno, nello spaccio dell'agenzia, aveva udito una voce cattiva. Era andato da Garnett per capire se era fondata, e Billy gli aveva confermato che era vera. Perciò era corso subito lì per mettere il cognato sull'avviso. Sembrava che quel giorno Grosso Pipistrello e Garnett avessero preceduto gli altri al luogo fissato per il consiglio, seguiti da Tre Stelle e da Cappello Bianco, con i soldati 471
davanti, di dietro e ai lati. Dopo un tratto di strada avevano incontrato Veste da Donna, il quale aveva detto che Cavallo Pazzo e sessanta dei suoi Indiani si sarebbero recati al consiglio e, dando la mano a Crook, lo Hunkpatila lo avrebbe ucciso, mentre i suoi guerrieri avrebbero ucciso tutti gli altri Bianchi. Piccolo Lupo, la guida oglala, aveva origliato alla tenda di Cavallo Pazzo, aveva udito questo piano e lo era andato a riferire al fratello, Orso Solitario, il quale a sua volta lo aveva detto a Veste da Donna. « Piccolo Lupo, il Lakota che ha combattuto con noi sul Little Big Horn, e che ho ospitato tante notti nella mia tenda, è stato capace di dire una simile malvagità? », disse Cavallo Pazzo sorpreso. Era stato proprio Piccolo Lupo. Cappello Bianco sarebbe voluto tornare indietro immediatamente, ma Tre Stelle aveva voluto sapere se Veste da Donna era uomo di cui ci si potesse fidare, se era sincero. Billy, non volendosi assumere la responsabilità di una risposta in quel momento così critico, aveva detto che preferiva rispondesse Grosso Pipistrello. E Pipistrello aveva detto che, sì, Veste da Donna era uno che diceva il vero, senza però aggiungere che era suo cugino. Né vi era stato uno solo che dubitasse di una voce venuta da tanto lontano e passata per la bocca di tre uomini, da Piccolo Lupo a Orso Solitario a Veste da Donna. Crook voleva proseguire. Diceva che, partito da un posto, era sempre arrivato al luogo prefisso. Ma Cappello Bianco si opponeva energicamente: avevano perduto un eroe per colpa di Cavallo Pazzo, quando Capelli Lunghi era stato ucciso, e non volevano perderne un altro. Allora Billy venne mandato al consiglio per avvertire che Tre Stelle non vi avrebbe partecipato, dovendo andare alla ferrovia. Gli avevano dato una lista di Indiani da portare immediatamente a Forte Robinson, ma in segreto, in modo che Cavallo Pazzo non se ne accorgesse (questo era facile, perché il capo oglala non era presente). Infatti, disse Cavallo Pazzo. Piccolo Falco dall'alto di una collina aveva aspettato di veder arrivare da Forte Robinson il carro con i soldati; poiché non l'aveva visto arri472
vare, essi non ci erano andati. Non ci si va a sedere in mezzo ai nemici per niente. Ma Penna Rossa aveva altre cose da dire. Al luogo del consiglio Garnett aveva preso da parte Cavallo Americano e gli aveva riferito l'ordine degli ufficiali, aveva preso i capi e le guide e nel giro di mezz'ora questi si erano trovati tutti al forte. « Ahh-h! I vecchi freddacaffè oggi fremono come giovani guerrieri », osservò Cavallo Pazzo. Là, davanti a Tre Stelle, a Clark e agli Indiani amici dei Bianchi, Veste da Donna aveva ripetuto l'accusa contro Cavallo Pazzo, e poi avevano studiato un piano per prendere il suo accampamento. «Ey-i-i! ». Scialle Nero si mise a piangere e uscì. I due uomini sapevano che andava a cercare dei cavalli: cavalli per fuggire. «Venire contro la nostra gente!...». Cavallo Pazzo si guardò intorno come se la tenda fosse tutto l'accampamento e stesse per sopraggiungere la tenebra di una lunga notte. « Non ha fatto niente... ». No. Eppure gli Indiani dell'agenzia erano decisi a muovere contro di loro, e con i fucili. Crook aveva dato ordine di distribuire munizioni agli Indiani. Penna Rossa non sapeva quanti sarebbero stati in tutto, ma ogni capo aveva scelto alcuni seguaci, e Cappello Bianco offriva cento dollari e un sauro a quello che avesse ucciso Cavallo Pazzo. Ancora una volta Senz'Acqua si era fatto avanti, e Clark aveva detto che sarebbe stato un atto di coraggio da compiere per il Grande Padre. «Per il Grande Padre!», ripetè irato Penna Rossa. « ...Quello che ti ha lasciato sul viso il segno del suo proiettile, in un attimo, quando non l'avevi nemmeno visto». «Ma chi sono quelli che vengono contro di noi? », domandò Cavallo Pazzo. Nuvola Rossa, Cane Rosso, Piccola Ferita, Cavallo Americano, Tre Orsi, e altri. « Tutti vecchi amici miei... ». Ma ve n'erano altri, nonché Afferratore, e Giovane Uomo della Paura. 473
Il viso dell'Oglala lasciò trasparire un grande dolore. Anche l'amico d'infanzia... e a causa di una menzogna messa in giro da un uomo che l'aveva sentita da un altro che l'aveva sentita da un fratello che origliava alla tenda... Tre lingue, e l'ultima, quella che avevano sentito i Bianchi, la lingua di Carino. Invero sarebbe stato meglio, pensò Cavallo Pazzo, se avesse lasciato cadere il suo manto là, nella terra settentrionale, piuttosto che essere causa della parte che il suo vecchio amico avrebbe avuto in un complotto così ignominioso. Non restavano che due cose da fare. Cavallo Pazzo alzò lentamente il braccio per prendere il fucile, quello che gli aveva dato Cappello Bianco quando aveva accettato di entrare nelle guide. Lo tenne un momento sulle ginocchia, accarezzando il fodero di pelle di antilope come fosse stata la chioma di una donna. Poi lo consegnò a Penna Rossa e il giovane - gli occhi inondati, accecati di lacrime - lo prese e uscì. Quando se ne fu andato, Cavallo Pazzo si infilò tra gli abiti il coltello che gli aveva dato Bradley e uscì per riaccompagnare dentro Scialle Nero. Ma gli Indiani e i soldati non vennero quel giorno, né Cavallo Pazzo ricevette le solite visite. Solo uno, un amico, venne giù dalle rocce di nascosto per avvertirlo che Tre Stelle aveva dato ordine agli Indiani e ai soldati di catturare Cavallo Pazzo quella notte e poi era partito in fretta per la ferrovia. Allora Alce Nero e Provost e la Larrabee, tutti quelli che avevano detto che Tre Stelle non era diverso da tutti gli altri Bianchi, avevano ragione! Sì, ma da Forte Robinson c'era dell'altro: Coda Chiazzata vi era stato convocato e Bradley, il comandante, aveva mandato a chiamare Garnett per chiedergli cosa c'era di vero circa l'attacco che gli Indiani dicevano di aver deciso contro Cavallo Pazzo. Sembrava non sapesse che la cosa era stata fissata per la notte, con le guide agli ordini di uno del suo forte e i suoi soldati liberi di sparare se incontravano opposizione. 474
Anche l'agente si era recato nel suo ufficio, con Cane. Forse era stato quest'ultimo a informare il comandante su quanto era stato ordito. In ogni modo, quando Bradley si era sentito confermare la tresca da Garnett, era diventato paonazzo come un Bianco quando è irato. « Io non autorizzerò un'aggressione simile contro un uomo come Cavallo Pazzo! Non in questo modo, non di notte! », aveva detto. « Gli sta a cuore la vita come a noi la nostra, e sta ancora più a cuore alla sua gente... ». Perciò Cappello Bianco tramite Garnett aveva l'ordine di fermare gli Indiani. Gli Indiani inoltre dovevano recarsi al forte l'indomani mattina presto. Billy gli stava dicendo che era stato Crook a dare l'ordine, ma il comandante aveva ripetuto di non saperne niente: il generale era partito, e il comandante della postazione era lui. Perciò Billy era andato via. Cane aveva stretto la mano dell'ufficiale tra le proprie. Si era voltato di scatto e, la coperta in testa, aveva lasciato la stanza. L'indomani, verso mezzogiorno, le vedette sulle rocce scorsero una grande polvere sollevata da molte centinaia di uomini a cavallo lungo il fiume White Earth. Vi erano dei capi dell'agenzia, da Nuvola Rossa a Giovane Uomo della Paura, con i rispettivi seguaci, nonché molti Indiani settentrionali, fra cui Strada Grande e i suoi uomini, con diverse compagnie di cavalleggeri e alcuni cannoni. Venivano veloci lungo la pista del White Earth, mentre sull'altra sponda cavalcava la colonna di Clark composta dagli Oglala Orso di Piccola Ferita, da alcuni Nuvole Azzurre e da Cheyenne. Si dirigevano dunque all'accampamento di Cavallo Pazzo. Gli Indiani erano stati armati in misura diversa: tra quelli del nord, pochi avevano un fucile, mentre gli Indiani dell'agenzia e i figli dei mercanti montavano tutti buoni cavalli ed erano armati come i soldati. In principio si videro mescolati, ma dopo un po' gli Indiani di Cavallo Pazzo notarono gli altri raggrupparsi in scaglioni e quindi lanciarsi avanti. Intanto Piccolo Grande Uomo cavalcava da un gruppo all'altro; infine andò dai soldati e poi diretta475
mente al campo di Cavallo Pazzo. Quando tornò indietro, dovette riferire che l'Oglala non c'era più. Ora sessanta-settanta guerrieri armati di scucii, archi e lance, molti seminudi e dipinti per la guerra, si erano raccolti su una vetta dominante il fiume e la pista che menava all'accampamento di quelli del nord. Quando il comando delle colonne in movimento si fu avvicinato, Volpe Nera, vestito di pelle di antilope adorna di perline, con lo strascico dell'acconciatura da guerra che gli arrivava sotto le staffe, scese al galoppo incontro ai nemici cantando: Ho cercato la morte tutta la vita. Oggi vedo solo nubi e terra. Sono tutto cicatrici! Come i suoi guerrieri si unirono al suo canto, Volpe Nera si fermò a braccia conserte aspettando un proiettile dalle centinaia di fucili pronti in mano alle guide. Ognuno vide il suo coraggio, in quel giorno incupito da imprese fiacche e vili, e perfino qualche guida in basso si unì al canto del guerriero, gonfiando il suono e lasciandosene trasportare tanto che pareva volesse unirsi a quelli del nord. Ma prima che accadesse qualcosa, Cavallo Americano salì a portare la pipa. Tenendola alta, nel porgerla a Volpe Nera disse: « Pensa alle donne e ai bambini che hai lasciato senza difesa, amico. Vieni a prendere la pipa! ». Al Lakota non restò che prenderla, e insieme i due si sedettero per terra a fumarla. La cerimonia si protrasse molto, molto a lungo, e intanto i guerrieri di Cavallo Pazzo cavalcavano avanti e indietro, o in cerchio, si lanciavano, dando mostra della loro bravura. Alla fine Cappello Bianco e alcuni altri si spazientirono. Finalmente qualcuno vide in lontananza quattro Indiani che a cavallo stavano valicando una collina. « Cavallo Pazzo! », si misero a urlare le guide, indicando col braccio. Era Cavallo Pazzo che andava a tutta velocità verso l'agenzia di Coda Chiazzata. Con lui erano Scialle Nero, uno che sembrava Ragazzo della Conchiglia, e il giovane guer476
riero Orso Scalciante, fratello di quel Volpe Nera che fumava tranquillamente con Cavallo Americano. Al segno di Cappello Bianco, trenta guide indiane armate, capeggiate da Tutt'Ossa, e altre venticinque capeggiate da Senz'Acqua partirono all'inseguimento del capo oglala, tutte sui cavalli migliori. Duecento dollari dell'uomo bianco venivano ora offerti all'uomo che lo avesse catturato. Senz'Acqua passò in testa e galoppò molto forte, ma Cavallo Pazzo aveva una sua medicina per sfuggire agli inseguitori, quella cui era ricorso tante volte quando aveva dovuto battere in ritirata davanti ai Crow e ai Serpenti. Come soleva fare allora, anche quel giorno, quando si trovò in discesa, lasciò andare i cavalli a tutta velocità, rallentandoli poi e facendoli andare al passo in salita. In tal modo nessuna delle guide, nemmeno Senz'Acqua, riuscì mai per tutto il giorno non solo a raggiungere i fuggitivi, ma nemmeno ad arrivare a tiro. Li videro molte volte: la donna avanti e i tre uomini dietro a lei. Cavallo Pazzo incitava la vecchia giumenta della moglie, Ragazzo della Conchiglia e Orso Scalciante avevano un fucile ciascuno sulla groppa dei rispettivi cavalli: erano gli unici due rimasti di quella nube di guerrieri che una volta l'Oglala aveva condotto contro Tre Stelle e Capelli Lunghi. Ma i fucili erano carichi, i cuori risoluti a proteggere il loro capo e la moglie indiana. Nelle vicinanze dell'agenzia brulée, le guide dovettero constatare che Cavallo Pazzo aveva allungato la distanza fra sé e loro, nonostante che Senz'Acqua avesse sfiancato nell'inseguimento i suoi cavalli fino a ucciderne due, mentre il terzo aveva la schiuma alla bocca e ansimava sotto il frustino. Quando Cavallo Pazzo raggiunse l'accampamento di Tocca le Nuvole, le guide videro che là si cominciava a smontare le tende: le donne si preparavano a fuggire mentre i guerrieri, armati e dipinti, si lanciavano contro gli inseguitori. Ma non si udì sparare un colpo. Senz'Acqua e gli altri riuscirono, a suon di frustino, a portare i cavalli esausti fino all'agenzia di Coda Chiazzata. I Minneconjou cercarono di scacciarli, un guerriero agitò una lancia poderosa facendo l'atto di scagliarla su di loro; ma le guide brulés si interpo477
sero e li tennero indietro finché Senz'Acqua e i suoi poterono oltrepassare la soglia dell'agenzia. Lee, l'ufficiale, mandò a chiamare Cavallo Pazzo e si avviò per andargli incontro portandosi dietro l'agente dei Brulés e Louis Bordeaux. Si videro venire incontro molti Indiani, tra cui molti guerrieri con i caschi di penne e le pitture da guerra. Avanti a questi, tre uomini a cavallo: Tuono Bianco, un Indiano dell'agenzia, e Tocca le Nuvole; in mezzo a questi due, l'Oglala dalla pelle chiara, senza una penna tra i capelli, senza fucile di traverso sul cavallo, soltanto la coperta rossa piegata. Dietro di lui veniva Corvo Nero, un uomo di Coda Chiazzata, il dito sul grilletto. Ma anche i guerrieri che seguivano erano armati, ed erano quasi tutti Indiani del nord. Quando giunsero ai baraccamenti, arrivò al galoppo Coda Chiazzata con alcune centinaia di seguaci. Le due schiere guerriere erano di fronte in semicerchio: furiose, minacciose, pronte a usare i fucili, le mazze e le lance. Nel breve spazio che le separava, l'ufficiale cercò di far capire a Cavallo Pazzo che doveva tornare a Forte Robinson. I Minneconjou insorsero, sfidati immediatamente dai Brulés, mentre i guerrieri delle due schiere facevano ressa per scagliarsi l'uno contro l'altro. Ma tutti, anche quelli che appoggiavano i Bianchi, fecero silenzio e indietreggiarono appena Cavallo Pazzo alzò una mano. E gli ufficiali, vedendo la sua autorità e la facilità con cui controllava i guerrieri inferociti, gli parlarono in termini ancora più amichevoli. Egli era buono con la sua gente, ed essi avrebbero fatto in modo che nessuno gli facesse alcun male, promise il maggiore Lee. L'Oglala non disse nulla. Ma Coda Chiazzata aveva qualcosa da dire. Con la stessa arroganza con cui gli ufficiali un tempo avevano aggredito lui, si piantò davanti al nipote e gli disse: « Nella mia agenzia il cielo è limpido, l'aria immobile e senza polvere. Io sono il capo qui. Ogni Indiano deve ubbidire a me. Dici che vuoi venire qui a vivere in pace. Se rimani, dovrai ubbidire a me in tutto e per tutto. Questo è ciò che volevo dire ». Non accennò minimamente alla parentela che li univa o al fatto che Cavallo Pazzo era un 478
ospite. Ancor meno fece capire se giudicava buona o cattiva la sua venuta. Tutto quello che seppe fare fu parlare da Bianco: deve, dovrai... Quando gli ufficiali chiesero a Cavallo Pazzo di andare con loro all'interno del forte, finalmente aprì bocca e disse che accettava: erano le prime parole che gli sentivano pronunciare. Dentro gli domandarono come mai aveva lasciato il suo accampamento, e allora l'Oglala prese a parlare, a bassa voce, come se per la prima volta dopo lungo tempo si ricordasse le parole. Era rimasto con la sua gente fin quando una grossa schiera di guide e soldati era partita con i cannoni. Cercavano lui, e poiché non voleva che per lui fossero in pericolo le donne, i vecchi e i bambini, era fuggito. Era sceso dal nord offrendo alle Potenze sacre la pipa della pace eterna. Pochi giorni prima gli avevano chiesto di andare a combattere contro i Nez Percés. I suoi Oglala non potevano farlo. Non si devono tradire i giuramenti. Ma alla fine aveva detto che sarebbero andati a combattere, si sarebbero accampati accanto ai soldati e avrebbero combattuto al loro fianco fin quando non fosse stato ucciso l'ultimo dei Nez Percés. Ma non era servito, perché poche ore prima i soldati si erano messi in marcia per farlo prigioniero. Allora aveva portato la moglie malata ai parenti di lei che vivevano lì, nell'agenzia brulée, dove si diceva che regnasse la pace e dove voleva che tutta la sua gente fosse trasferita prima di essere costretto a lasciarla. I capi dei soldati dissero che le sue parole erano buone, ma che doveva tornare a Forte Robinson e ripetere agli ufficiali di quella guarnigione le cose che aveva appena dette. Se lo faceva, davano la loro parola che nessuno gli avrebbe nuociuto e che avrebbero fatto il possibile per aiutarlo a trasferire lì la sua gente. Per quella notte lo avrebbero affidato ai suoi amici, a Tocca le Nuvole, e la mattina dopo di buon'ora si sarebbero messi in marcia con lui per andare all'agenzia oglala. Cavallo Pazzo venne dunque ospitato dagli amici minneconjou. Molti nelle tenebre andarono a sollevare il telo 479
dell'ingresso alla sua tenda. Alcuni mormorando lo misero in guardia contro i pericoli. « Fuggi! », gli dicevano. « Fuggi al nord, da Toro Seduto. Va' nel pacifico paese della Nonna ». Ma andarono da lui anche alcuni dell'agenzia. Uno gli disse che Bordeaux aveva sentito gli ufficiali parlare bene di lui. Quel giorno, dopo che si erano lasciati, Lee e l'agente avevano seguito con lo sguardo Cavallo Pazzo che si allontanava, e avevano parlato seriamente fra loro. Avevano detto che era un uomo forte, che sarebbe stato tanto grande in pace per la sua gente quanto lo era stato in guerra. Egli non era esperto nell'oratoria e nel doppio gioco come i vecchi capi, né ambiva al potere e ai vantaggi personali, ma parlava in modo semplice e schietto e meritava fiducia. Il suo amico, Tocca le Nuvole, era un uomo d'onore e amante della pace. Insieme, i due Indiani avrebbero potuto portare la loro gente molto avanti nella nuova via che correva parallela a quella dei Bianchi. Davanti al fuoco l'Oglala, stremato, ascoltò tutte queste voci. Taceva, e le sue mani erano inquiete, perché nella fretta quella mattina aveva dimenticato la piccola pipa. Di fronte, anche Scialle Nero taceva pensando a quel nord in cui viveva la gente di Toro Seduto e in cui già cadevano le prime nevi. Avrebbe voluto nevi e gelo, quella notte: anche con i peggiori attacchi di tosse, la vita là le pareva migliore. Cavallo Pazzo rimase seduto, avvolto nella coperta, tutta la notte. La mattina, andò in anticipo dagli ufficiali. Voleva che gli permettessero di ritirare la promessa di andare da Nuvola Rossa. Avrebbe preferito che fossero gli ufficiali ad andare là a parlare per lui e per il suo popolo. « Mi è stato detto che accadrà qualcosa di male... », fu tutto quanto riuscì a dire. Ma vide che doveva andare così. Allora decise che sarebbe partito, ma a certe condizioni: né Lee né l'agente dovevano portare i fucili, al comandante di Forte Robinson si doveva riferire tutto quello che era stato fatto e detto nei due giorni all'agenzia brulée; sia Coda Chiazzata sia l'agente dovevano permettere a quelli del nord di andare a 480
vivere da loro, se l'ufficiale diceva che potevano farlo. Tutto questo venne promesso, e un'altra cosa ancora: a Cavallo Pazzo sarebbe stato consentito di spiegare agli ufficiali che le sue parole al consiglio erano state tradotte erroneamente, che lui non aveva affatto parlato di combattere contro i Bianchi. Tutto ciò che voleva era la pace. Gli dissero che avrebbero fatto il possibile per aiutarlo. Allora il gruppo partì. Lee, Bordeaux, Corvo Nero e Orso Lesto nell'ambulanza; poi Tocca le Nuvole e Orso Alto. Dietro questi veniva Cavallo Pazzo: camicia e calzoni blu scuro, una penna nei capelli, la sua coperta rossa, piegata, sulla groppa del cavallo. Al suo fianco cavalcavano sette suoi amici e alcuni Indiani dell'agenzia. Avevano fatto meno di venticinque chilometri quando vennero raggiunti da molte guide di Coda Chiazzata; altre se ne aggiunsero al torrente Chadron, finché furono più di sessanta, tutte con giubbe militari. Cavalcando in mezzo a loro, Cavallo Pazzo capì che da quel momento era prigioniero. A un certo punto lanciò il cavallo verso un colle. Come si era aspettato, le guide lo inseguirono. Non stava fuggendo, disse loro: andava avanti per far abbeverare il cavallo. Ma per tutto il resto del viaggio ricordò il brevissimo tempo che aveva passato, solo, sull'altro versante della collinetta, con la terra, il cielo e i quattro grandi quadranti liberi intorno a lui come lo erano stati tutta la sua vita, finché non aveva permesso che i discorsi allettanti della gente dell'agenzia lo portassero nell'isola dell'uomo bianco. Ma poi sull'altura erano arrivate le guide, i fucili. Allora era tornato in mezzo agli Indiani dell'agenzia, ma dietro, dietro l'ambulanza, come aveva ordinato l'ufficiale. Nei pressi del Crow Butte, Lee mandò un messaggio a Cappello Bianco. Gli domandava dove dovessero andare, se al forte o all'agenzia; e gli diceva le cose promesse a Cavallo Pazzo, in particolare che Bradley gli avrebbe permesso di dare la sua versione dei fatti. Cappello Bianco rispose che Bradley voleva Cavallo Pazzo nel suo ufficio; non il minimo accenno alle promesse fatte. Cavallo Pazzo lesse altri inganni sul volto dei messaggeri, 481
e via via che si avvicinava al luogo pieno di intrighi, di complotti, di frodi, capì che là avrebbe avuto bisogno di molta forza e, come era solito fare quando scendeva in una battaglia difficile, cercò anche allora di pensare all'uomo della sua visione. Ma i tempi e i luoghi delle battaglie ora gli sembravano tanto lontani, tanto remoti. Adesso, lì vicino, alle sue spalle, arrivavano molti Indiani sollevando una grande polvere. Ve n'erano anche davanti, lungo tutto il tragitto. Lo aspettavano torvi, raccolti in gruppi. Forse quelli che cavalcavano più lontano potevano essere i suoi uomini, ma erano pochi, così pochi. Soltanto quando guardò più in alto, e vide le rocce, potè ritrarre il cuore dalle cose presenti e ricordare che, sotto quella parete protettiva, si era attendato un Francese per tutto un inverno ormai lontano. Gli Oglala erano venuti per fare scambi, e Gobba aveva portato Ricciuto a caccia dei piccoli conigli che vivevano tra le rocce. E quando aveva avuto fame e la caccia nella neve lo aveva affaticato", si erano fermati a riposare e avevano arrostito un coniglio ciascuno, infilzati in lunghi bastoni. Gobba gli aveva detto di girare gli spiedi, poi la carne bianca era diventata scura e mandava fuori il grasso con un profumo che gli aumentava il languore allo stomaco. Ma allora tutta la regione apparteneva agli Indiani, e l'amico che allora era con lui era un grandissimo guerriero, uno che avrebbe lasciato cadere il manto cento volte prima di accettare di percorrere una via tenebrosa come la presente. Arrivati al forte, Cane gli andò incontro al galoppo, a torso nudo, il casco di penne infilato frettolosamente, un po' storto. Si affiancò a Cavallo Pazzo, gli strinse la mano, e vide che quel giorno non era nelle migliori condizioni, o almeno non come in quei giorni di guerra in cui la sua medicina era potentissima. Ma cavalcarono a fianco ancora una volta, si sfiorarono i calzoni, e Cavallo Pazzo seppe che non c'era più collera tra loro. Al forte, gli si avvicinò Piccolo Grande Uomo dandosi grandi arie di importanza ora che era della polizia indiana. 482
Gli afferrò il braccio e gli disse: « Cammina! Non hai spirito combattivo. Sei un vigliacco! ». L'Oglala lo lasciò dire ed entrò in un ufficio assieme a quelli che avevano fatto il viaggio nell'ambulanza. Ora gli spazi tra un edificio e l'altro del forte erano pieni di Indiani: da un lato i pochi che erano ancora guerrieri di Cavallo Pazzo, dall'altro le guide dell'agenzia con Nuvola Rossa e Cavallo Americano in testa; tutt'intorno, e poi per la pianura, c'erano altri Indiani, carri e cavalli che andavano tutti verso il forte, mentre cresceva il frastuono, come quando i bisonti sentono l'odore del sangue. Chi non si vedeva da nessuna parte era Veste da Donna, o Afferratore o Cappello Bianco, nessuno di quelli che si erano tanto sbracciati per la cattura di Cavallo Pazzo. Nemmeno c'era Coda Chiazzata, sebbene centinaia di Brulés avessero fatto il viaggio dalla loro agenzia. Mentre Cavallo Pazzo e gli altri aspettavano, Lee andò dal generale Bradley. Disse all'ufficiale che riteneva l'Oglala vittima di un grosso torto; aggiunse che insieme all'agente Burke aveva promesso a Cavallo Pazzo che sarebbe stato ascoltato. Ma Bradley disse che ormai non si poteva più fare niente. Niente? Allora si metteva veramente male? Sì, ammise il generale: molto male. Nemmeno Crook poteva cambiare gli ordini che avevano ricevuto. Al capo indiano non sarebbe stato torto un capello ma ora doveva essere rimesso all'ufficiale di picchetto. « Gli dica che è troppo tardi per un colloquio ». Perciò il maggiore Lee si fece venire una faccia credibile e andò da Cavallo Pazzo per dirgli che ormai era quasi sera e che il generale Bradley aveva detto che era troppo tardi per un colloquio. Ma doveva andare col piccolo capo di soldati e non doveva temere di nulla. « Hau! », dissero gli Indiani e si alzarono. Cavallo Pazzo si alzò per ultimo. Strinse la mano all'ufficiale con amicizia e uscì tra lui da una parte e Piccolo Grande Uomo dall'altra, due soldati dietro e alcuni Indiani dell'agenzia che correvano avanti. Sembrava che sapessero dove andare. Quando attraversarono un tratto all'aperto per entrare in un altro edificio, i guerrieri e le guide fecero ressa da entram483
bi i lati, vociando in un modo che ben presto diventò fragoroso ma non riuscì a coprire del tutto i click dei fucili cui veniva tolta la sicura. Senza scomporsi, la coperta piegata sul braccio come se stesse andando alla sua tenda con due amici, Cavallo Pazzo si lasciò prendere dopo essere passato davanti a un soldato che camminava avanti e indietro con un fucile in spalla, la baionetta inastata, e dopo aver oltrepassato una porta. Solo allora si avvide delle sbarre alle finestre, degli uomini in catene, e si rese conto che era la casa di ferro. Come un orso grigio che si sente una trappola mortale sul collo, l'Indiano balzò indietro estraendo il coltello che teneva nascosto, ma Piccolo Grande Uomo gli afferrò le braccia da dietro. Torcendosi e cercando in ogni modo di divincolarsi, Cavallo Pazzo si fece largo e uscì di lì trascinandosi dietro l'Indiano corporuto fin oltre la porta che dava sull'esterno. I suoi guerrieri gridarono: «Gli immobilizza le braccia, le braccia! », mentre sull'altro lato le guide puntavano i fucili e Nuvola Rossa e Cavallo Americano ordinavano: « Sparate al centro! Sparate per uccidere! ». Ma l'ufficiale di picchetto a colpi di sciabola abbassava i fucili delle guide con la stessa velocità con cui venivano puntati. In mezzo a queste due ali di gente, l'Indiano, come un animale intrappolato, cercava con immani sforzi di divincolarsi ringhiando: « Lasciami andare! Lasciami andare! », ringhiando e grugnendo come un orso inferocito, mentre il coltello mandava ancora lampi nell'ultimo sole. Quando con un potente strattone si buttò tutto su un lato e Piccolo Grande Uomo dovette lasciar cadere una mano, gli usciva sangue da una lacerazione su un braccio. Ma Orso Lesto e altri vecchi Brulés d'agenzia già lo avevano afferrato e lo immobilizzavano gridando, mentre l'ufficiale di picchetto cercava di colpirlo con la sciabola: « Pugnalalo! Ammazza quel figlio di cagna! ». Accorse la guardia e gli affondò in corpo la baionetta, poi la estrasse per colpire la porta, e l'affondò altre due volte. Alla vista dell'acciaio arrossato, si alzò dagli Indiani un rumore che diceva spavento e ammonimento. Cavallo Pazzo tentò ancora una volta di liberarsi dalle grinfie dei 484
vecchi Indiani. « Lasciatemi andare, amici miei », ansimò. « Già mi avete. Sono ferito quanto basta ». A queste parole tutti gli Indiani lasciarono immediatamente la presa, come se d'un tratto avessero molta paura. Liberato, Cavallo Pazzo barcollò all'indietro, si torse in un mezzo giro e cadde a terra, la camicia e i pantaloni già impregnati di sangue. Lo splendore del tramonto svaniva dalla cima del Crow Butte e da tutto il cielo della regione dell'alto White Earth. Il forte alle pendici delle rocce si appiattiva nella prima sera e file di piccole luci gialle apparvero alle finestre prima delle stelle nel cielo limpido. Sembrava che a Forte Robinson non ci fosse più un Indiano, nemmeno Veste da Donna e le altre guide che andavano sempre dietro ai soldati. Quasi tutti quelli del nord, fuggiti lungo il fiume, aspettavano e avevano paura. Gli Indiani dell'agenzia erano tornati ai loro accampamenti per togliersi dai guai. Al forte la guardia era stata intensificata e ora molti soldati camminavano avanti e indietro col fucile sulla spalla perché, anche se le tenebre li nascondevano, si sapeva che vi erano Indiani intorno, tanto guide quanto guerrieri del nord, che non staccavano gli occhi dalla casa chiamata ufficio dell'aiutante. Si diceva che là giaceva, e forse già moriva per la baionetta del Bianco, il grande guerriero lakota. No, non per la baionetta, non a causa del Bianco, andavano dicendo per gli accampamenti alcuni seguaci di Nuvola Rossa. Era stato il coltello, quello che Cavallo Pazzo stringeva nella sua stessa mano, a ferirlo nella lotta. « A ferirlo alla schiena? », domandavano altri, perfino alcuni Indiani amici dei Bianchi e in particolare quelli che ricordavano gli insulti che per anni Piccolo Grande Uomo aveva scagliato su di loro. Ora se ne vedeva la fine grazie alle storie che le volpi dell'agenzia diffondevano nella notte. Ma molti altri erano certi che il loro Misterioso non poteva morire. Troppo potente era la sua medicina. Stava solo facendo quella che i Bianchi chiamano « la commedia »: simulava con i soldati per riuscire a fuggire. Questo lo dicevano coprendosi la bocca con la mano, così piano che 485
neppure loro riuscivano a sentirsi. Si aggrappavano alla speranza, e alcuni andavano a tirare fuori i fucili nascosti sottoterra in previsione del giorno in cui sarebbero serviti. Altri tacevano, ora che era chiaro quanta parte avessero avuto nell'accaduto alcuni degli stessi Lakota, con Veste da Donna, Senz'Acqua, Piccolo Grande Uomo e il mezzo Lakota, Afferratore. E chi poteva dire quanti altri ancora? D'un tratto, ci si ricordò bene delle facce lunghe dei capi delle agenzie; ora perfino alcuni amici dei Bianchi riconoscevano che era stata la gelosia, l'invidia di Nuvola Rossa e di Coda Chiazzata per il prestigio e il seguito riconosciuto a Cavallo Pazzo, a dare il via alle voci secondo le quali egli sarebbe stato fatto grande capo. Forse era proprio così, perché chi le aveva messe in giro se non gli uomini che erano al servizio dei capi delle due agenzie? Non certo i Bianchi, o almeno nessuno li aveva mai sentiti fare discorsi simili. E dov'erano quella notte - si domandavano altri - gli individui che le avevano messe in giro? Alcuni presero i fucili e andarono a cercarli nelle loro tende, ma là non c'erano, i fuochi erano spenti e anche le donne partite: nessuno sapeva per quale destinazione. Molti, riconoscendo che le voci e le calunnie si erano diffuse anche grazie a loro stessi, si coprirono la faccia con la coperta e rimasero muti, specialmente dopo che vennero a sapere che gli ufficiali dicevano che adesso sarebbe stato facile fare andare gli Indiani da un'altra parte. Allora era vero che i Bianchi avevano scelto quel giorno per sbarazzarsi di Cavallo Pazzo e poterli mandare al detestato Missouri! Era probabile, perché al forte si era visto fin dalla mattina un carro pronto a trasportare lo Hunkpatila alla ferrovia e di lì a una casa di ferro in un posto lontano chiamato Dry Tortugas dal quale non si faceva ritorno, a quanto si diceva. Il loro Strano Uomo sarebbe certo morto prigioniero lontano dalla sua gente. Nessuno più di lui le aveva dedicato tanta parte della propria vita. Anche gli Indiani dell'agenzia che erano stati al nord l'inverno precedente ricor486
davano di averlo trovato da solo sulle colline a invocare un segno che gli mostrasse come li potesse salvare. E chi ascoltava le molte parole buone che nella notte si dicevano per il ferito, ricordava che anche il giorno prima pochi, pochissimi erano rimasti al suo fianco, altrimenti i soldati e la gentaglia dell'agenzia non avrebbero mai osato fare quello che avevano fatto. La gente dunque sedeva in cerchio nelle tende oscurate e si sentiva sperduta come bisonti che abbiano perduto il loro toro dietro cui tutti vanno. Di tutti gli Indiani, soltanto Cane aveva visto l'Oglala dopo che era stramazzato al suolo davanti alla prigione: i suoi ultimi guerrieri da una parte, armati più che altro di mazze; dall'altra le molte guide dell'agenzia, armate di fucili dell'esercito, carichi delle munizioni distribuite il giorno stesso per l'aggressione all'accampamento di quelli del nord. E non c'era stato uno, né da una parte né dall'altra, che fosse corso a portare via il ferito: non uno delle dozzine che egli aveva tratto in salvo dal campo di battaglia. Vergognandosi di questo, e vergognandosi della propria debolezza, Cane stette a lungo chinato, a testa bassa, annientato dal dolore. Quando rialzò gli occhi vide che tutti gli Indiani erano andati via e che intorno aveva molti, molti soldati col fucile in mano e nei loro occhi si leggeva solo ira. Avvolto nella coperta rossa distribuita dall'agenzia, Cane attese, immobile, qualunque cosa fosse accaduta. Finalmente spuntò Cappello Bianco e gli disse che poteva avvicinarsi a Cavallo Pazzo. Allora Cane si appressò al ferito. Il coltello era lì accanto, per terra; una scura pozza di sangue rifletteva il sacro cielo. Si chinò per parlargli ma vide che l'Oglala era ferito molto gravemente. Allora lo coprì con la coperta rossa e, a braccia conserte, rimase ai piedi dell'amico. Poi venne Tocca le Nuvole, facendosi largo in mezzo ai soldati col calcio del fucile come stesse aprendosi un varco in mezzo all'erba alta. Anch'egli vide che le ferite erano gravi, e attese accanto a Cane l'uomo di medicina dei soldati. Quando finalmente arrivò, il dottore alzò la camicia 487
zuppa di sangue dalle ferite: una, profonda, attraversava il rene. Guardò i due amici e non disse una parola. Allora Tocca le Nuvole andò a chiedere il permesso di portare via l'Oglala affinché potesse morire in una tenda della sua gente, ma Bradley negò anche questo, non credendo alla parola del dottore che le ferite erano gravissime: disse che, invece che nella prigione, lo potevano portare nell'ufficio dell'aiutante. Quando Tocca le Nuvole chiese il permesso di restare accanto al cugino-amico, gli rispose che poteva restare, ma doveva consegnare il fucile. Senza alterarsi, il Minneconjou guardò il soldato bianco dall'alto dei suoi due metri. « Voi siete molti e io sono soltanto uno, ma mi fiderò di voi », disse. Allora portarono il ferito in una stanza illuminata da una lampada a petrolio. Lo deposero sul pavimento, coperto dalla coltre rossa, e solo Tocca le Nuvole ebbe il permesso di vegliarlo. Il dottore entrò diverse volte portando l'acqua-del-sonno che placò lo spasimo e il ringhiare sordo di Cavallo Pazzo contro i nemici che credeva di avere intorno. Ma non vi erano nemici lì, e nemmeno uno di quelli che per tutta l'estate erano andati in processione alla sua tenda e gli avevano fatto girare la testa in tante direzioni quante ne guarda un danzatore heyoka. Da lui non andò l'agente, né Cappello Bianco né Bradley né Randall né Tre Stelle, che era lontano e si preparava a costruire altri forti al nord e pensava alle sue cacce al bisonte, all'alce e alle capre di montagna. Col passar delle ore, quando le stelle si volsero verso la mezzanotte e non giungeva ancora un buon segnale, nessun segnale, agli Indiani in segreta attesa, molti di quelli del nord non ebbero più orecchie per discorsi di speranza e rimasero seduti, tristi e silenziosi. Qualche donna prese a gemere fra sé e sé, timorosa e piena di presentimenti, perché si sapeva che Cavallo Pazzo non sarebbe mai stato ferito dai nemici se non gli si trattenevano le braccia, come quella sera quando Senz'Acqua gli aveva sparato, e come poche ore prima... Tutte e due le volte era stato Piccolo Grande Uomo a tenerlo stretto. Nella stanza intanto Tocca le Nuvole sedeva sempre ac488
canto al ferito sul pavimento. Ora lì c'era anche Bruco: il volto rugoso del vecchio era seminascosto dalla coperta. Quando aveva chiesto il permesso di vedere il figlio, gli ufficiali gli avevano imposto di consegnare l'arco e il coltello. Sapeva perché glieli chiedevano, ma li consegnò senza protestare: erano ben povere armi per vendicarsi dei dolori di quel giorno. Se Cavallo Pazzo fosse morto non ci sarebbe mai stato un fucile abbastanza buono né abbastanza Bianchi da uccidere, mai abbastanza Bianchi su tutta la terra da uccidere per placare il cuore di un padre per la perdita di un tale figlio. E quando Bruco venne introdotto nella stanza spoglia e poco illuminata in cui vegliava Tocca le Nuvole, si chinò sul ferito dicendo: «Figlio, sono qui...». Ma udì solo il respiro lento e pesante procurato dal sonno di medicina e i passi della guardia sulla ghiaia, fuori, che distoglieva gli occhi dall'ombra del vecchio raggomitolato proiettata sulla parete: un'ombra come quella che Ricciuto aveva visto un giorno, quando una Lakota, la moglie di Orso che Conquista, vegliava il marito moribondo. E a poco a poco la notte invecchiò e col crepuscolo della luna entrò nella stanza il freddo. Mutava il respiro del dormiente. Una volta o due si mosse appena, e ogni volta Bruco gli si accostò. Niente. Poi, lentamente, il guerriero ferito aprì gli occhi e, con una sorta di circospezione, li mosse per la strana stanza dei suoi nemici. « Sono qui », disse Bruco. Allora il figlio lo vide. « Ahh-h! Padre! », sussurrò. « Sono ferite cattive. Di' al popolo che è inutile contare più su di me ora... ». Parve per un po' che volesse dire dell'altro, poi sembrò muovere lentamente la testa nella posizione in cui era quando dormiva. Gli occhi erano spalancati, supini, e una lunga treccia castana gli era scivolata sul pavimento. Piano piano Tocca le Nuvole la stese sul petto dell'amico e ve la tenne con la sua mano grande. E nella luce gialla della lampada i due uomini piansero lacrime come pioggia sulle rocce vive del Powder e dello Yellowstone, dell'antica patria a nord, perché lo Strano Uomo degli Oglala era morto. 489
APPENDICE
CRONOLOGIA (secondo il criterio dell'uomo bianco) DEI PRINCIPALI EVENTI ACCADUTI NELLA TERRA DI CAVALLO PAZZO 1849
Acquisto di Forte Laramie per farne una postazione militare.
1851
Consiglio di Forte Laramie per la stipulazione del Grande Trattato che stabilisce la costruzione di strade e di forti militari, e promette pace alle tribù delle Pianure in cambio di razioni distribuite annualmente.
1854
19 agosto: massacro di Grattan nell'accampamento brulé.
1855
3 settembre: battaglia dell'Acqua Azzurra.
1857
Spedizione di Sumner. 29 settembre: sconfitta dei Cheyenne.
1861
La Guerra Civile induce al ritiro di truppe dalle postazioni della Frontiera. Completata la linea telegrafica con la California.
1863
Apertura della pista di Bozeman attraverso la regione del fiume Powder.
1864
Massacro di Sand Creek.
1865
25-26 luglio: battaglia di Ponte sul Piatte. Spedizione del Powder capeggiata da Connor.
1866
Costruzione dei Forti Reno e Phil Kearny lungo la pista di Bozeman. 21 dicembre: massacro di Fetterman a Forte P. Kearny.
1867
Costruzione della linea ferroviaria Union Pacific attraverso il territorio sioux. 2 agosto: battaglia dei Carri, presso Forte P. Kearny.
1868
19 marzo: attacco di Cavallo Pazzo contro la vecchia stazione sullo Horseshoe. Firma del Trattato del 1868.
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1870
Viaggio a Washington dei capi sioux.
1872
14 agosto, battaglia di Baker.
1873
11 agosto: battaglia di Custer contro i Sioux sullo Yellowstone.
1874
Spedizione nei Black Hills comandata da Custer.
1875
Spedizione di Jenney nei Black Hills. Consiglio di Lone Tree per la vendita dei Black Hills.
1876
17 marzo: battaglia di Reynolds. 17 giugno: battaglia del Rosebud. 25 giugno: massacro di Custer. 7 luglio: combattimento con le guide di Sibley. 9 settembre: battaglia agli Slim Buttes. 21 ottobre: battaglia tra Miles e Toro Seduto. 25 novembre: disfatta di Coltello che non Taglia, dicembre: uccisione dei capi sioux a Forte Keogh.
1877
8 gennaio: Miles attacca Cavallo Pazzo. 6 maggio: resa di Cavallo Pazzo. estate: sciopero degli operai della ferrovia, estate: insurrezione dei Nez Percés. 5 settembre: uccisione di Cavallo Pazzo. autunno: trasferimento dei Sioux dalle agenzie del Nebraska a quelle del fiume Missouri.
BIBLIOGRAFIA (limitata alle più importanti fonti inedite cui si è attinto) INTERVISTE HINMAN-SANDOZ ( 1 9 3 0 - 1 9 3 1 ) CON
Sioux
OGLALA CHE CONOBBERO CAVALLO PAZZO
Cane, amico fraterno di Cavallo Pazzo, circa della stessa età, si arrese con lui, cavalcò al suo fianco l'ultimo giorno. Piccolo Uccisore, fratello di Uomo della Clava, che sposò la sorella di Cavallo Pazzo. Penna Rossa, fratello minore di Scialle Nero, prima moglie di Cavallo Pazzo. Toro Basso, fratello minore di Cane. Carrie Orso Lento, figlia di Nuvola Rossa. Vitello Bianco, guida dell'esercito nel 1876, vide infliggere le ferite da baionetta su Cavallo Pazzo.
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INTERVISTE REPERIBILI NEL FONDO RICKER DELL'ISTITUTO PER LA STORIA DELLO STATO DEL NEBRASKA
Il giudice E.S. Ricker, uno dei primi residenti nel Nebraska nordoccidentale, e per dieci anni impiegato dell'Indiati Bureau, Washington D.C., occupò gran parte dei suoi ultimi anni raccogliendo materiale sugli Indiani delle Pianure, comprese le seguenti interviste del 1906-1907, rilevanti nella storia di Cavallo Pazzo e della sua terra, e accompagnate dalle identificazioni che si riportano qui di seguito: Charles Alien, agenzia di Pine Ridge, biografo di Nuvola Rossa. Alexander Baxter. Herbert Bissonnette, figlio di Joseph B. Louis Bordeaux, figlio di Jim B., nato nel 1850, educato a Hamburg, Iowa, interprete ufficiale all'agenzia di Coda Chiazzata nei disordini del 1877. Sig.ra Julia Bradford, figlia di Hank Clifford. Don Brown, con Crook nell'estate del 1876. John Burdick, con Stanley nella spedizione del 1873. Cavallo Americano, capo oglala. Rev. Cleveland, ministro episcopale nell'agenzia di Coda Chiazzata. Sig.ra Clifford. Charles Clifford, figlio di Hank. George W. Colhoff, membro del Quinto Volontari degli Stati Uniti (un reggimento yankee)-, mandato a ovest per proteggere la Union Pacific nel 1865, vi rimase e sposò una Sioux. John Comegys: con l'armata di Johnston del 1857, svernò con i carri merci a O'Fallon's Bluff. Cen. Augustus Whittemore Corliss, capitano nella spedizione dello Yellowstone del 1873, mandato nell'agenzia di Nuvola Rossa nel 1874. Cornelius A. Craven, guida di Carr, responsabile della mandria di bovini dell'agenzia di Nuvola Rossa nel 1875. Sam Deon: arrivato nella regione dell'alto Piatte nel 1847, visse per molto tempo vicino a Nuvola Rossa. Dr. Charles Eastman. Falco di Ferro, Sioux del nord con Cavallo Pazzo. Falco Rosso, Indiano del nord, stando a quanto detto a Nick Ruleau. Charles Falco Roteante, Sioux. Moses Falco Volante, fratellastro di Volpe Nera.
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Billy Garnett, figlio del cap. Richard B. Garnett, comandante di Forte Laramie tra il 1850 e il 1855, e di una Oglala. James Garvie, mezzo Sioux Sisseton. William Girton, studente per cinque anni a Carlisle. Sig.ra Nettie Elizabeth Goings, sorellastra di Frank Grouard (Afferratore). Sig.ra Janis, vedova di Nick Janis, uno dei primi mercanti. W.R. Jones, con Connor nel 1864. L.B. Lessert, chiamato anche Ben Claymore, Clemow o Clement, arrivato nella regione di Laramie nel 1853. William Denver McGaa. Dave Mears, cognato di Crook e suo capo assistente incaricato dei vettovagliamenti nel 1876. Magloire Alexis Rousseau, dell'American Tur Company nella primavera del 1850, arrivato nella regione dell'alto Piatte nel 1852; sposato a un'Indiana. Nulla Rispetta, fra gli « ostili » del nord. Nuvola Rossa, guerriero dei Facce Cattive e capo dell'agenzia omonima (sfortunatamente il Sioux era quasi cieco all'epoca dell'intervista e molto malandato in salute). Orso in Piedi, Oglala, partecipò alla battaglia contro Custer. Grosso Pipistrello Pourier, nato a St. Charles nel Missouri nel 1843. Arrivato in giovane età nella regione dell'alto Piatte, sposò la sorella di John Richard Jr. R.O. Pugh, all'agenzia di Nuvola Rossa nel corso del primo consiglio per la vendita dei Black Hills. Nick Ruleau, uno dei primi commercianti di pellicce. Jack Russell: a Denver nel 1863; in seguito si associò ai Richard sul Piatte; guida di Crook nella marcia degli affamati del 1876. Frank Salaway: nato nell'Idaho nel 1828, franco-indiano, sposò la sorella di Bocca Grande. Schegge o Orso Incoraggiante, uomo di medicina nell'accampamento di Senz'Acqua. F.E. Server, vicino all'agenzia dei Crow nel 1872, sergente nella cavalleria degli Stati Uniti, diciotto anni di carriera militare. John Shangrau, guida sotto Louis Richard con Crook nella primavera del 1876; nell'agenzia di Nuvola Rossa quando Cavallo Pazzo fu fatto prigioniero nel settembre del 1877.
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A.G. Shaw, nella regione nel 1862 con l'Undicesimo reggimento di cavalleria Ohio per proteggere la tappa Laramie-Passo South ai comandi del col. Collins; sposò una Sioux e visse nell'agenzia di Coda Chiazzata. Shiveley: sposò una Crow nel 1872. Soldato in Piedi, guida incaricata di andare a prendere Cavallo Pazzo all'agenzia di Coda Chiazzata nel 1877. Richard Stirk, arrivato nella regione nel 1870, responsabile della mandria di bovini all'epoca del tumulto per l'asta della bandiera all'agenzia di Nuvola Rossa; guida di Merritt e di Carr nell'estate del 1876. Sig.ra Emma Stirk, sorella di Piccolo Pipistrello Garnier. George Stover: soldato a Forte Rice nel 1866, visse nell'agenzia di Nuvola Rossa. George Sword: n. nel 1847, portò i trenta Indiani all'accampamento di Cavallo Pazzo nel gennaio 1877. William H. Taylor, addetto ai muli di Crook nel marzo 1876. Clarence Tre Stelle, Sioux, nipote di Cima Dritta, il Minneconjou che uccise la mucca del mormone nel 1854. Ben Tibbetts, con Custer nella campagna del Washita e altrove, in seguito macellaio nell'agenzia di Nuvola Rossa. Toro Basso o Bisonte, stando a quanto detto al dr. Walker nel 1906. Henry Twist (Twiss), figlio del magg. Twiss, l'agente che andò a vivere al nord insieme agli Oglala. Dr. J.R. Walker, medico per undici anni nell'agenzia di Pine Ridge. Philip Wells, mezzo Sioux. John C. Whalen, con Cole nel Sedicesimo di cavalleria Kansas nel 1865. DOCUMENTI E LETTERE
Documenti AGO, Ministero della Guerra, Archivi Nazionali, Washington, Copialettere e Dossiers per il periodo 1849-1880, fra cui: Copialettere e Raccolta di Documenti di Forte Laramie. Registro sanitario di Forte Laramie, fino all'autunno 1877. Copialettere sulla Spedizione contro i Sioux, 1856. Copialettere di Camp Sheridan, dal 1874 al 1878. Copialettere e Raccolte di Documenti del Dipartimento del Piatte. Copialettere e Raccolte di Documenti della Divisione Militare del Missouri, comprendenti Dossiers Speciali sulla Guerra contro i Sioux, la Spedizione del Powder, la Banda di Toro Seduto, il Forte McPherson, ecc.
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Documenti dell'Indian Bureau, Archivi Nazionali, Washington: Raccolta di Documenti inerenti alle agenzie per i Sioux dell'Alto Piatte. Raccolta di Documenti dell'agenzia di Nuvola Rossa, 1871-1878. Corrispondenza Collins, 1862-1863. Lettere spedite e ricevute, Forte Laramie e Stazioni dell'Alto Piatte. Copie nella Biblioteca Pubblica di Denver. Lettere Bent. George Bent a George Hyde, 1904-1905, nell'Istituto per la Storia dello Stato del Colorado MANOSCRITTI
Manoscritto Toro dal Cuore Cattivo, desunto dalla pittografia storica degli Oglala da Helen Blish (nell'Istituto Carnegie). Manoscritto Bettelyoun. Prima stesura, della Sig.ra Susan Bettelyoun, figlia di Jim Bordeaux, uno dei primi mercanti nella regione di Laramie, e nipote di Toro Lesto, capo brulé (nell'Istituto per la Storia dello Stato del Nebraska). CHARLES H. SPRING, Campagna contro i Sioux come tenente della seconda Compagnia del XII Reggimento di Cavalleria Volontari del Missouri Spedizione Cole (nella Biblioteca Pubblica di Denver);
NOTE Ferimento e morte di Orso che Conquista. Gran parte dei particolari concernenti gli Indiani è stata riferita da Salaway, una parte da Clarence Tre Stelle e da Cavallo Americano. Quest'ultimo dice che il capo brulé morì sull'Acqua che Corre dopo aver convocato i capi e aver affidato la cura dei Teton Lakota a Uomo i cui Nemici hanno Paura del suo Cavallo (Uomo della Paura). Attacco di Coda Chiazzata alla diligenza postale. Le conseguenze, compreso il trasporto dell'uomo, a piedi, in mezzo alla neve, sono dedotte dai copialettere di Forte Laramie e da quello della spedizione contro i Sioux del 1856. Giovinezza di Cavallo Pazzo. Schegge dice che il soprannome del ragazzo era Quello con i Capelli Chiari. Cane, che lo chiamava Ricciuto, ha detto che nacque nel 1838, ma un controllo delle affermazioni del vecchio induce a spostare la data al 1841-1842. Tuttavia altre fonti dicono il 1844. La verifica degli eventi accaduti nel periodo in cui Ricciuto visse con i Brùlés, la sua partecipazione all'attacco contro gli Omaha e l'ospitalità che trovò poco tempo dopo presso i Cheyenne, viene dalla testimonianza di Cane, dalle interviste rese da Mousseau, dal manoscritto Bettelyoun e dai miei ricordi personali di fatti raccontati da vecchi Indiani. La descrizione della battaglia in seguito alla quale il ragazzo prese il nome del padre mi è stata fatta da Cane e da altri. La visione del giovane Ricciuto e il successivo suo modo di abbigliarsi per le batta-
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glie, le sue « medicine » e il suo contegno si basano sulle interviste rese da Cane, Garnett e Schegge, su miei ricordi e sugli appunti Blish. Tutte queste fonti concordano sul fatto che l'essere diventato un adepto del culto del Tuono non implicò per Cavallo Pazzo alterare i dettami della sua visione, in quanto gli adepti del Tuono andavano in battaglia con il solo perizoma e i mocassini, col segno della folgore dipinta sul viso e chicchi di grandine dipinti sul cavallo come simboli delle Potenze del Tuono e della Tempesta. Descrizioni di Cavallo Pazzo adulto si basano su testimonianze di Cane, Toro Basso, Penna Rossa, Bordeaux, Garnett, Pourier, ecc. A quanto si sa, non gli fu mai fatta una fotografia. Quella che spesso reca la didascalia per cui sarebbe un ritratto di Cavallo Pazzo rappresenta un Indiano di piccola corporatura, pelle molto scura, indossante un casco di penne di tipo classico. Si dice che sia il secondo marito della Larrabee il quale, secondo gli appunti Blish, prese il nome del suo predecessore, pratica piuttosto diffusa tra i Sioux di allora. Accampamenti invernali degli Oglala, 1858-1861. Pourier dice che in quegli anni accompagnò i mercanti di Richard con i carichi agli accampamenti oglala situati nella regione de! fiume Wind. Per questa ragione si è preferita la data di Coutant che pone la grande battaglia contro i Serpenti nel giugno del 1861, invece di quella di Hebard, autunno 1866. Gli Oglala erano vicini ai Serpenti nel 1861, e molto lontani nell'autunno del 1866, impegnati nella guerra sulla pista di Bozeman. Il clan dei capi e gli indossatori di casacca. L'origine e le incombenze come vengono riportate sono dedotte dagli appunti Blish che concordano sostanzialmente con Wissler. La storia del conferimento della casacca agli indossatori del 1865 si basa su Cane, Cavallo Americano e Garnett, i quali erano presenti. Divisioni degli Oglala del nord (tra il 1860 e il 1870). Apprese da Cane, verificate per mezzo di sopralluoghi negli antichi siti campali, identificazioni di condottieri, ecc. La figlia di Coda Chiazzata. Colhoff dice che la sua supposta vicenda d'amore con un ufficiale è una « stupida storia » inventata da un giornalista, e aggiunge che nessuno a Laramie ne sapeva niente prima che comparisse su una rivista. Qualche volta si nomina un certo capitano Livingstone: questi sarebbe stato l'uomo che la ragazza brulée amava. Ma, secondo Heitman, egli era già andato in pensione nel 1862. Andò in Europa e morì nel 1865. Quando la giovane morì, nel 1866, aveva circa diciassette anni. Armi e munizioni dell'armata delle Pianure (in base a quanto riferiscono alcuni ufficiali). I fucili Enfield sono « assolutamente inadatti » lì; c'è bisogno di fucili a retrocarica (Collins, in una lettera del 21 marzo 1863). La cavalleria è arrivata a Laramie con armi di ogni genere o con niente del tutto. Tutto ciò che è stato possibile dare in dotazione è stato distribuito (25 settembre 1866). La cavalleria sta andando a Forte Keamy senza armi adeguate (20 ottobre 1866) (Copialettere di Forte Laramie). Nel Forte Abraham Lincoln non ci sono scorte di riserva di munizioni per moschetti, carabine o pistole (8 luglio 1876) (Raccolte di Documenti della Divisione Militare del Missouri).
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Le munizioni metalliche per fucili e carabine, fabbricate prima del 17 giugno 1874, sono seriamente difettose. Due anni prima erano state prese misure per rimandarle agli arsenali. Ne è proibito l'uso in ogni postazione del Dipartimento (8 agosto 1876) (Raccolte di Documenti del Dipartimento del Piatte). [Sembra che gli ufficiali fossero riluttanti a rimandare indietro le munizioni difettose a causa dei tragici ritardi con cui spesso venivano sostituite con le buone. N.d.A.]. John Richard, Jr. Pourier, marito di una sorella del giovane Richard, dice che John andò dagli ostili dopo aver ucciso un soldato « a causa di una donna di malaffare ». Garnett ricorda che Richard ogni tanto andava a trovare gli ufficiali per ottenere il perdono dal Presidente Grant se fosse riuscito a far andare a Washington i capi oglala del nord. Lance oglala affidate a Cavallo Pazzo e a Cane. Quanto detto nel libro si basa sulle parole di Cane, gli appunti Blish e su quanto è stato raccontato a me personalmente circa le leggende e i fatti eroici compiuti dai portatori delle Lance e circa gli obblighi che quest'onore comportava. Senz'Acqua. La storia di Donna di Bisonte Nero si basa su colloqui avuti con Cane, Toro Basso, Garnett, Schegge e altri, nonché sugli appunti Blish. A quanto pare, gli ufficiali di Forte Robinson non capirono mai la situazione e forse non ne seppero mai assolutamente nulla, perché l'ultimo giorno il tenente Clark parve sorprendersi molto dello zelo con cui si offrì di cooperare uno dei capi delle guide (Senz'Acqua appunto) che mandò a catturare il capo ostile. « Cavallo Pazzo venne immediatamente inseguito, e con tale fervore che Senz'Acqua uccise due cavalli nel tentativo di raggiungerlo e catturarlo », dice Clark in una lettera al Commissario degli Affari Indiani e al generale Crook. In seguito Senz'Acqua inoltrò un reclamo contro il governo per i due cavalli. Frank Grouard, Afferratore. Garnett, la cui sorella sposò Grouard, sentì Gallino (un mezzosangue del fiume Missouri) chiamarlo Prazost (ortografia di Ricker) nell'agenzia di Nuvola Rossa, dicendo che così si chiamava Grouard quando viveva sul Missouri. Nick Janis disse a Garnett di conoscere un ex cuoco di un battello a vapore di nome Brazo (successiva ortografia di Ricker): un uomo di colore con varie mogli indiane, che lavorava per i mercanti del Missouri. La signora Nettie Goings dice che lei e Grouard erano figli dello stesso padre, John Brazeau, un creolo per metà di origine francese, al servizio dell 'American Fur Company a Forte Pierre e imparentato con i Chouteau e i Picotte. Stover afferma che Grouard gli disse di essere cugino della madre di Frank Goings, una donna di colore, e di venire dalle parti del fiume Apple. [I termini indiani indicanti i rapporti di parentela sono piuttosto flessibili e se ne danno varie traduzioni. N.d.A.]. L'episodio delle guide di Sibley si basa su colloqui avuti con Pourier e altri che vi parteciparono. Pourier dice che Grouard era afflitto da una malattia venerea e che continuava a smontare da cavallo e a sdraiarsi. Stover conferma che Grouard vivendo intorno ai fortini divenne un debosciato, un relitto, anche fisicamente. Louis Bordeaux e sua sorella, la signora Susan Bettelyoun, dicono che Grouard ebbe paura quando Cavallo Pazzo lasciò il nord: se ne andò dall'agenzia poco dopo e, quando dovette tornarvi come interprete, tradusse falsità e mentì agli ufficiali per togliersi dai piedi l'uomo che conosceva il suo passato.
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Indiani ostili intenzionati ad arrendersi, primavera 1876. Cane dice che lui e i Cheyenne si stavano preparando ad andare all'agenzia allorché vennero attaccati da Reynolds il 17 marzo 1876. L'attacco ebbe l'effetto opposto sui sopravvissuti perché tornarono all'accampamento di Cavallo Pazzo, decisi a rimanere con lui. « Se non fosse stato per l'attacco sferrato da Crook sul Powder, noi saremmo scesi all'agenzia in quella primavera e non ci sarebbe stata alcuna guerra contro i Sioux », afferma Toro Basso nella testimonianza da lui resa. L'agenzia nel loro territorio. La promessa di Crook circa un'agenzia nel nord appare nelle interviste con Garnett, che fece da interprete al consiglio in cui la cosa venne promessa, e nelle interviste di una dozzina d'altri. Garnett afferma che la promessa venne ripetuta in un secondo consiglio, presenti Mackenzie e Clark. Uccisione dei capi sotto Forte Keogh sul Tongue. Nel rapporto di Miles, in data 17 dicembre 1876, si legge che il giorno prima cinque capi minneconjou recanti la bandiera bianca vennero uccisi dai Crow al forte. Gli Indiani che si erano fermati più indietro (venticinque o trenta) fuggirono. In seguito un messaggero indiano disse che Toro Seduto il Buono, un tempo con Nuvola Rossa, era tra gli uccisi (Documenti della Divisione Militare del Missouri). Toro Basso afferma che otto uomini furono mandati al forte sul Tongue per trattare la pace, ma l'intento fallì allorché cinque vennero uccisi. Promessa di ripristinare la carica di Nuvola Rossa. Garnett, interprete al colloquio segreto fra il tenente W.P. Clark e Nuvola Rossa, ne fa il racconto dettagliato, confermato in seguito dall'offeso Nuvola Rossa allorché venne ancora una volta deposto, intorno al 1880, dall'agente McGillycuddy. Il fatto che era stato Piccola Ferita, degli Oglala Orso, a dar man forte all'agente quel giorno deve aver reso ancora più dura da sopportare questa seconda grande umiliazione inferta dai Bianchi. Blandizie per indurre gli Indiani ostili a scendere all'agenzia. Penna Rossa dice che tanto la delegazione di Spada quanto quella di Coda Chiazzata promisero che gli agenti avrebbero distribuito razioni alimentari e indumenti alla gente di Cavallo Pazzo, e poi l'avrebbero lasciata tornare alla sua terra. Cane insiste sul punto che i Lakota ostili erano già molto prossimi a Forte Robinson quando vennero a sapere che si sarebbero dovuti arrendere. « Coda Chiazzata ci aveva teso una trappola. Dovevo scoprire in seguito che andava raccontando cose non vere sulla vita di guerriero di Cavallo Pazzo ». La Larrabee. Pourier afferma che Clark fece prendere a Cavallo Pazzo la giovane sanguemisto credendo che questo potesse intenerirlo verso i Bianchi. In una lettera, reperibile nelle Raccolte di Documenti del Dipartimento del Piatte, Clark parla di questa unione con una certa personale soddisfazione. Alcune varianti dell'ortografia di Ricker sono Larravee, Larrivee, Larivier, ecc. Gelosia dei capi delle agenzie per il prestigio di Cavallo Pazzo. Garnett, Pourier, Bordeaux e altri raccontano la storia del tradimento come è stata narrata nel libro. Eastman afferma che Veste da Donna era al servizio dei capi gelosi, e nega che Cavallo Pazzo abbia mai complottato
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per far morire Crook. Cane e Penna Rossa concordano. Shaw, che viveva nell'agenzia brulée, dice che Coda Chiazzata parlava « da spaccone » degli Indiani di Cavallo Pazzo ma mai del loro capo, e che quando gli fu domandato cosa sapeva circa una cospirazione per uccidere gli ufficiali, disse: « Sì, c'è una cospirazione, ma i vincitori saremo noi ». Shaw ritiene che temesse che, se Cavallo Pazzo fosse andato a Washington, sarebbe stato fatto grande capo di tutti. (La storia della traduzione calunniosa e delle falsità che portarono alla morte di Cavallo Pazzo è stata pubblicata nel « Nebraska History Magazine », e si trova anche in Byrne, Orso in Piedi, Neihardt e altri). Proteste contro il pranzo offerto da Cavallo Pazzo. L'incidente è documentato da una lunga lettera di Shopp, Agente Speciale dell'Indian Office, al Commissario per gli Affari Indiani, in data 1 agosto 1877 (Raccolte di Documenti dell'Agenzia di Nuvola Rossa). Shopp era presente al consiglio, ed era con l'agente Irwin la sera che si presentarono i protestatari. Arresto e morte di Cavallo Pazzo. Sheridan telegrafò a Crook: « ...Desidero che lei mi mandi Cavallo Pazzo sotto scorta adeguata a questo quartier generale » (5 settembre 1877) (Copialettere della Divisione Militare del Missouri). Il rapporto di Bradley fa piazza pulita delle dozzine di persone che affermano di essere state accanto a Cavallo Pazzo fino alla fine: «Suo padre e Tocca le Nuvole, capo dei San Arcs [sic], rimasero con lui finché morì » (7 settembre 1877) (Copialettere della Divisione Militare del Missouri).
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INDICE
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Introduzione Parte prima
IL RAGAZZO DAI CAPELLI CHIARI 1. 2. 3. 4. 5. 6.
Mucche sulla Via Sacra L'arrivo dei cannoni Il dono delle orecchie Soldati sull'Acqua Azzurra Il Grande Consiglio dei Teton Il canto di un nome buono
17 43 70 91 117 134
Parte seconda
IL GLORIOSO GUERRIERO 1. 2. 3. 4. 5. 6.
Tempi grassi per il popolo Un'alluvione di Bianchi Il grande anno I cento in mano Finché spunterà l'erba Molte cose gettate via
157 175 194 226 255 278
Parte terza
L'UOMO DEL POPOLO 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
Il matrimonio, e la morte di un amico La morte, e la Via dei Ladri Il grande accampamento Molti soldati piombano sull'accampamento Basso il fumo della vittoria Nell'isola dell'uomo bianco La sua coperta rossa
Appendice
309 337 364 380 400 429 461 491