Diana Hamilton
Complice La Luna Impulsive Attraction © 1987 Harmony Collezione n. 1256 del 13/5/1997
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Diana Hamilton
Complice La Luna Impulsive Attraction © 1987 Harmony Collezione n. 1256 del 13/5/1997
1 Susanna Bryce-Jones era annoiata e nervosa. Erano due stati d'animo che non le erano congeniali e perciò la disorientavano. Non era una ventenne scervellata e irrequieta, ma una donna adulta, piena di buonsenso e sempre padrona di sé. Dal momento che era molto più alta della media, riusciva a scorgere da lontano Edmond che conversava con un gruppo di invitati in smoking. Lui, almeno, sembrava divertirsi, pensò rabbiosamente Susanna prendendo un altro bicchiere di vino bianco dal tavolo del buffet. Il terzo o il quarto... aveva perso il conto ormai. La noia e il nervosismo la inducevano a sorseggiare un bicchiere dopo l'altro e visto che di solito non beveva molto, cominciava a sentirsi a disagio e anche un pochino ribelle, cosa decisamente strana in lei che era sempre molto attenta a come si comportava e teneva in grandissimo conto l'opinione altrui. Edmond si era sentito onorato, parole sue, quando erano stati invitati a quel ricevimento. Tutti quelli che contavano qualcosa a Much Barton, una cittadina di campagna non lontana da Birmingham, sarebbero stati presenti. Il fatto che anche loro fossero stati invitati voleva dire che erano entrambi arrivati, si era pavoneggiato. Lei, la prima direttrice di banca che Much Barton avesse mai avuto, e lui, un giovane e ambizioso commercialista che di recente aveva aperto uno studio sopra la biblioteca comunale, erano ufficialmente entrati a far parte dell'alta società della cittadina. Non che Susanna non volesse partecipare a quel ricevimento, ma era stata molto meno entusiasta di lui dell'invito. Il che non era poi troppo sorprendente, visto che solo il lavoro riusciva veramente a interessarla. Non aveva mostrato una particolare esultanza nemmeno per il suo recente fidanzamento con Edmond! Ma ormai era lì da due ore e non ne poteva proprio più. Fra l'altro, nel salone faceva un caldo insopportabile. Sospirando, Diana Chiloton
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Susanna lanciò un'occhiata colma di desiderio verso le portefinestre spalancate sulla tiepida serata di giugno e si domandò se sarebbe riuscita a scivolar fuori senza farsi notare. Purtroppo uno dei grandi svantaggi dell'avere un fisico da amazzone è che tutti, ma proprio tutti, ti notano! Comunque ce la fece e pochi minuti più tardi usciva sulla terrazza e tirava un sospirane di sollievo sentendo la fresca brezza della sera accarezzarle la pelle accaldata. Tenendo ancora stretto in mano il suo bicchiere di vino, scese i gradini che conducevano a un prato all'inglese. Non sarebbe rimasta fuori a lungo, promise a se stessa, ma solo quel tanto che bastava per rinfrescarsi e scacciare il malumore. I padroni di casa non dovevano accorgersi della sua assenza, altrimenti chissà che cos'avrebbero pensato di lei. Edmond, poi, avrebbe giudicato il suo gesto un'imperdonabile villania e avrebbe avuto ragione. Quanto a sua madre, se avesse saputo che cos'aveva fatto sua figlia avrebbe dato in escandescenze. Mentre camminava appoggiò male un piede e un lieve gemito di dolore le sfuggì dalle labbra. Le sue scarpe nuove, delle ballerine di vernice con il tacco basso, visto che con il suo metro e ottanta superava già Edmond di un paio di centimetri, le facevano vedere le stelle. Bevve un sorso di vino per farsi coraggio, poi se le tolse e quando posò i piedi scalzi sull'erba soffice emise un sospiro di sollievo. Mm, così andava molto, molto meglio! Dopo un altro sorso di vino si sentì meglio ancora e a metà del prato posò il bicchiere su un tavolino di ferro battuto laccato di bianco, si tolse la giacca e la lasciò cadere sull'erba. «Tienila su tutta la sera» le aveva raccomandato sua madre. «Almeno non ti metterai troppo in mostra.» Guardandosi al chiaro di luna, Susanna dovette ammettere che sua madre aveva ragione. Una volta tolta la giacca, il corpetto del suo vestito da sera nero, trattenuto soltanto da due minuscole spalline, metteva davvero in mostra... troppa grazia! Ma del resto, pensò cupamente, lei ne aveva addosso davvero troppa. Per consolarsi riprese il bicchiere di vino e lo svuotò del tutto, prima di posarlo di nuovo sul tavolino. Poi continuò ad avanzare lungo il prato. Non che le dispiacesse essere alta e piena, intendiamoci. La sua taglia non le creava alcun problema, rammentò a se stessa con fermezza. C'era venuta a patti fin dall'età di tredici anni, quando sua madre, che non era mai riuscita a capacitarsi di aver messo al mondo una figlia tanto diversa Diana Chiloton
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da lei, snella e minuta, l'aveva presa da parte e le aveva detto in tono solenne: «Purtroppo, cara, per farti strada nella vita non potrai mai contare sul tuo aspetto. Per fortuna hai un cervello di prim'ordine. Usalo». E Susanna lo aveva usato. Aveva smesso di badare alle occhiate di compatimento che le lanciavano le sue compagne di scuola e al totale disinteresse dei ragazzi e si era gettata anima e corpo nello studio. Dopo aver concluso brillantemente le scuole superiori, si era laureata in Economia e Commercio con il massimo dei voti e aveva bruciato le tappe della carriera arrivando a soli ventotto anni a ricoprire l'incarico di direttrice della filiale di Much Barton della Shire Counties Bank. Niente male, come risultato. Proprio niente male. Perciò nulla giustificava il malumore e l'irrequietezza che all'improvviso le erano piombati addosso. In fin dei conti aveva tutto quello che voleva. Un buon lavoro con ottime prospettive. Una casa tutta sua. Un fidanzato saggio, affidabile e di bell'aspetto che sarebbe diventato il migliore dei mariti. Un autentico colpo di fortuna a sentire sua madre, visto che nessuno, ma proprio nessuno, si sarebbe potuto aspettare che un uomo s'innamorasse dell'intelligente ma insignificante Susanna Bryce-Jones! Ma Edmond mi ama?, si domandò arrivando davanti a un cancelletto nella staccionata che circondava il giardino degli Anstruther. O le aveva chiesto di sposarlo solo perché era l'unica figlia di genitori molto ricchi? Probabilmente non lo avrebbe mai saputo, decise. E sulla scia di quel pensiero deprimente alzò il saliscendi del cancelletto e lo spalancò. Alle sue spalle stavano la casa illuminata a giorno degli Anstruther, un ricevimento noioso ed Edmond. Davanti a lei un bosco che il chiaro di luna rendeva argenteo e molto, molto allettante. Non c'era confronto, ammise oltrepassando il cancelletto e chiudendoselo alle spalle. Era decisamente meglio rimanere lì fuori ancora per un po', che ritornare a quel terribile ricevimento e aspettare che Edmond fosse pronto a riaccompagnarla a casa. Oltretutto, lui non avrebbe sentito la sua mancanza. Susanna non era il tipo di donna per cui gli uomini si preoccupano o si angosciano. E, stranamente, nemmeno lei sentiva la mancanza di Edmond. Anzi, era contenta che non fosse lì al suo fianco. Edmond non amava stare all'aria aperta. E il buffo era che fino al giorno prima Susanna era stata convinta che non piacesse neppure a lei. Invece adesso scopriva che le piaceva moltissimo. Diana Chiloton
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Quando udì il rumore dell'acqua, batté addirittura le mani dalla gioia e si mise a correre a piedi nudi fra gli alberi finché non ne scoprì la fonte: un ruscello che scorreva placido e che al chiaro di luna scintillava come un diamante. Susanna di solito non agiva mai d'impulso, ma quella era una sera speciale, decise mentre si lasciava cadere sulla riva coperta di muschio, si toglieva le calze ed entrava nel ruscello. Seguì la corrente e quando l'acqua le arrivò alle ginocchia, sollevò la gonna e scoppiò in una risatina di gioia. Le sembrava di essere tornata bambina, anzi, di essere diventata la bambina che non era mai stata, visto che la sua infanzia, trascorsa perlopiù in solitudine, non era stata particolarmente felice. Quella notte doveva essere incantata per aver trasformato una seria e assennata direttrice di banca in una bimba spensierata, decise allegramente. A mano a mano che procedeva l'acqua diventava sempre più profonda e all'improvviso, con un abbandono quasi pagano, Susanna lasciò ricadere la gonna senza preoccuparsi del fatto che si sarebbe inevitabilmente bagnata. Poi alzò le braccia, si tolse l'una dopo l'altra le forcine e si sciolse i lunghi capelli castani, liberandoli dal severo chignon in cui li raccoglieva sempre e lasciandoli ricadere in morbide onde sulle spalle. «Magnifica! Superba!» La voce maschile che aveva pronunciato quelle parole era rauca e carezzevole, ma procurò a Susanna un tale choc da farla ritornare del tutto... be', quasi del tutto! sobria. Lasciò cadere di botto le braccia, le incrociò sul petto in un istintivo gesto di difesa e si voltò verso la direzione da cui le era giunta la voce. Subito una figura si staccò dal folto degli alberi uscendo dall'ombra, e a Susanna si mozzò il fiato. Se quello che le stava davanti, illuminato dal chiaro di luna, era un uomo in carne e ossa e non un prodotto della sua immaginazione ancora offuscata dal vino, allora era senza dubbio l'uomo più bello che avesse mai visto. «Dimmi... dimmi chi sei» mormorò con una voce tanto rauca che nemmeno lei la riconobbe come la propria. Scuotendo lentamente la testa, lui avanzò verso la riva muovendo il suo fisico superbo con una grazia e una scioltezza sorprendenti, poi parlò di nuovo. «No, dimmi chi sei tu» la esortò. «Quando ti ho visto camminare nell'acqua mi sono chiesto se tu non fossi una dea. Forse Venere... o Giunone... scesa dal cielo per mescolarsi una volta tanto a noi comuni mortali.» Diana Chiloton
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«Sono... sono Susanna» rispose lei rendendosi conto che nulla al mondo avrebbe potuto indurla a nascondergli il suo nome. «Vieni qui, Susanna» le ordinò lo sconosciuto dolcemente. Lei obbedì senza un attimo di esitazione, avanzando fino alla riva come ipnotizzata, come se fosse guidata da un filo invisibile. Lo sconosciuto le tese le mani per aiutarla a uscire dall'acqua e lei le afferrò, beandosi del loro calore e dello strano incanto che li univa. Per un lungo istante si guardarono in silenzio e Susanna notò con gioiosa meraviglia che l'uomo era più alto di lei di almeno una dozzina di centimetri. Una specie di gigante, quindi, ma il suo fisico possente aveva un che di sinuoso che lo faceva somigliare a un felino. E i capelli biondi che gli ricadevano in ciocche ribelli sulla fronte e che il chiaro di luna rendeva argentei sarebbero potuti essere una criniera... «Sei bella» le bisbigliò lui all'improvviso. Susanna gli credette perché quel complimento, che nessuno le aveva mai rivolto, faceva parte della magia di una notte di plenilunio in cui le zucche si trasformavano in carrozze e le ragazzone scialbe in magnifiche principesse. «Ma adesso spiegami che cosa ci facevi nel mio frigorifero.» L'assurdità di quelle parole e la risata argentina di Susanna ruppero l'incantesimo e lei non seppe se esserne felice o dispiaciuta. Felice, immaginava nel complesso. Almeno era la dimostrazione che non era matta o ubriaca... non del tutto, comunque. Quello sconosciuto era un uomo in carne e ossa, non la reincarnazione di un antico e selvaggio dio dei boschi, e lei non era una principessa delle favole, ma solo l'insignificante Susanna Bryce-Jones, che era fuggita da un ricevimento noioso, aveva sguazzato in un ruscello e incontrato un uomo che parlava per enigmi. «Non ho il frigorifero a casa» le spiegò lo sconosciuto lasciandole andare le mani e allontanandosi. «Perciò quando voglio far raffreddare il vino lo metto qui.» Mentre parlava si era accovacciato vicino alla riva e quando si raddrizzò, dopo aver frugato per qualche istante fra le felci, aveva in mano una bottiglia di vino. «Beviamocela insieme, Susanna» la esortò con una punta di malizia nella voce. Lei ebbe un attimo di esitazione, poi una sorta di eccitazione, la sfida dell'ignoto, la speranza che la magia esistesse davvero da qualche parte... tutto congiurò a farle accettare il suo invito. L'indomani sarebbe Diana Chiloton
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ridiventata la Susanna piena di buonsenso di sempre, ma quella sera era fatta per sognare. «Sì» mormorò scostandosi dal viso una ciocca di capelli con mano tremante. «Ma non mi hai ancora detto il tuo nome.» «È tanto importante per te saperlo?» le domandò lui sorridendo. «Le brave ragazze non bevono bottiglie di vino con gli sconosciuti» gli fece notare ricambiando il sorriso. «Allora devi esserti lasciata sfuggire gran parte delle cose belle che la vita aveva da offrirti, Susanna. Comunque, mi chiamo Jackson. Jackson Arne. Vieni» la esortò tendendole una mano. «Dove?» chiese lei prendendola senza un attimo di esitazione. «A casa mia.» «A far che?» gli domandò, ma invece di risponderle Jackson la guardò a lungo in silenzio per poi esclamare: «Mio Dio, sei veramente magnifica!». Allungò lentamente una mano a sfiorarle con delicatezza la linea del collo, le spalle nude, la curva dei seni, lasciandosi dietro una scia infuocata. E quando all'improvviso si voltò e imboccò un sentiero fra gli alberi, Susanna avvertì una sensazione di perdita tanto intensa che le venne voglia di piangere. «Non è lontano» le assicurò lui lanciandole una occhiata da sopra la spalla. «Ma non capisco perché dobbiamo andare da te» protestò Susanna restando ferma dov'era. «Possiamo rimanere qui.» «No, meravigliosa Susanna, non possiamo» ribatté Jackson voltandosi a guardarla. «Perché qui non ci sono né il cavatappi né i bicchieri, mentre a casa mia sì. E poi il tuo vestito è molto bagnato. Vorrai senz'altro asciugarlo prima di tornare a casa. A proposito, dimmi dove abiti.» Prima che lei avesse il tempo di replicare, si girò di nuovo e ricominciò a camminare soggiungendo allegramente: «Scusa, dove vivi non sono affari che mi riguardino. Non sei obbligata a dirmelo, se non vuoi». «Abito a Mallow Cottage» replicò ugualmente Susanna, mentre i suoi piedi s'incamminavano lungo il sentiero come se fossero dotati di volontà propria. «È appena fuori da Much Barton, sulla Ludcote Road. Mi ci sono trasferita solo tre settimane fa. Abitavo a Londra, prima. Ma poi sono stata promossa e mi è stata affidata la direzione della filiale di Much Barton della Shire Counties Bank... e sarei dovuta andare ad abitare con i miei genitori. Loro vivono a Ludcote, a venti miglia di distanza, e naturalmente Diana Chiloton
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io avevo bisogno di essere vicino al mio lavoro e volevo essere indipendente... E...» S'interruppe di botto rendendosi conto all'improvviso che stava blaterando e raccontando a uno sconosciuto la storia della sua vita, due cose che non aveva mai fatto prima. Lui non fece commenti e percorsero il resto del tragitto in silenzio. L'uomo camminava spedito e Susanna faticò non poco a stargli al passo. Aveva il fiato corto quando arrivarono al limitare del bosco e lui le annunciò indicandole un cottage al centro di una piccola radura: «Eccoci arrivati. Come ti avevo detto, non era lontano». «E' casa tua?» gli chiese lei ansimando. «Non ne sono il proprietario, se è questo che vuoi sapere. Ci abito da qualche tempo, tutto qui. Entriamo, vieni.» Adesso che erano usciti dal bosco e potevano camminare affiancati, Jackson le mise un braccio intorno alle spalle per guidarla verso il cottage. Non c'era nulla di provocante o di sensuale nel suo gesto, eppure un brivido caldo le corse lungo la schiena. Non aveva mai provato nulla di simile, pensò stupefatta, sconvolta dalle reazioni del proprio corpo. Ma del resto quella era una notte magica, in cui tutto poteva accadere. Lo aveva capito fin da quando aveva messo piede nel bosco. E ne era stata ancora più convinta quando lui le aveva rivolto la parola e le aveva detto che era bella. Se Jackson avesse cercato di fare all'amore con lei, non lo avrebbe respinto. Anzi, nello strano stato d'animo in cui si trovava, lo avrebbe probabilmente incoraggiato. Non che lui le avesse mancato di rispetto fino a quel momento, intendiamoci. Non aveva fatto nulla a cui lei potesse trovare qualcosa da eccepire. E non sapeva se esserne delusa o no. Be', certo che no! Era una brava ragazza, dopotutto. Ed era fidanzata con Edmond, perciò non avrebbe dovuto pensare in quel modo a nessun altro uomo. E se Jackson le aveva fatto dei complimenti che nessun altro le aveva mai rivolto e la faceva fremere d'eccitazione con il più innocente dei tocchi, mentre Edmond, il solo uomo che l'avesse mai baciata, la lasciava del tutto indifferente, non per questo lei avrebbe dovuto buttargli le braccia al collo. L'interno del cottage era immerso nell'oscurità, ma subito Jackson, muovendosi con disinvoltura nel buio, prese un fiammifero e accese una lampada a petrolio. Fu allora che Susanna vide per la prima volta il suo viso. Lo conosceva da pochissimo, eppure si era già accorta che non era un uomo comune. Anche la sua bellezza era fuori dell'ordinario. Non Diana Chiloton
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somigliava per nulla al principe azzurro delle favole. Niente lineamenti classici e regolari, ma zigomi pronunciati, un naso aquilino col setto leggermente deviato, la mascella pronunciata e una bocca generosa e sensuale. Un viso che sprigionava calore, forza, senso dell'umorismo, determinazione. Non si scusò per il disordine incredibile che regnava nel soggiorno. Susanna sarebbe morta di vergogna se qualcuno fosse entrato in casa sua e l'avesse trovata in quello stato. E si sarebbe dovuta sentire imbarazzata per lui, ma stranamente non lo era affatto. «Ti troverò qualcosa da metterti addosso intanto che il tuo vestito si asciuga» le annunciò Jackson mentre s'inginocchiava davanti all'enorme camino e accendeva un bel fuoco scoppiettante. Poi, prima che lei avesse avuto il tempo di replicare, salì gli scalini di legno che portavano al piano superiore, più che altro un soppalco ricavato nell'alto soffitto, e scomparve oltre una porta. Ritornò dabbasso nel giro di pochi minuti con in mano una vestaglia di seta. «Mettiti questa mentre io cerco dei bicchieri puliti» le disse gettandola con noncuranza sul divano ingombro di libri. «Faccio in un attimo.» Uscì da una porta che doveva condurre in cucina e Susanna approfittò della sua assenza per togliersi il vestito bagnato e indossare la vestaglia che lui le aveva portato. Era sua, non c'erano dubbi. Aveva lo stesso profumo della sua pelle ed era enorme, tanto che dovette rimboccare le maniche e girarsi due volte la cintura intorno alla vita. Per la prima volta nella sua esistenza si sentì piccola e fragile. Era una bella sensazione, che le diede leggermente alla testa. Le aveva detto di chiamarsi Jackson Arne. Aggrottò la fronte domandandosi dove avesse già sentito quel nome. Le sembrava vagamente familiare, ma dopo essersi frugata inutilmente nella memoria per qualche secondo, rinunciò a risolvere quell'enigma e stese ad asciugare il suo vestito sul piano malridotto dell'unico tavolo della stanza. Quando Jackson ritornò, reggeva in mano la bottiglia stappata e due bicchieri e le rivolse un'occhiata d'approvazione. Poi appoggiò i bicchieri sulla mensola sopra il camino, li riempì e gliene porse uno. Susanna lo prese, se lo portò alle labbra e bevve un sorso dell'eccellente vino bianco ghiacciato che conteneva. Le parve molto più buono di quello Diana Chiloton
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che aveva bevuto dagli Anstruther, ma forse dipendeva soltanto dal luogo e dalla situazione in cui si trovava in quel momento. «Mettiti pure comoda» la esortò Jackson sgombrando il divano dai libri. Susanna si sedette e provò un'atroce fitta di delusione quando lui, invece d'imitarla, andò a mettersi davanti al camino. «Mi piacerebbe proprio sapere che cosa ci facevi a mollo in quel ruscello» osservò allegramente. Poi, quando lei si portò di nuovo il bicchiere alle labbra, notò il solitario che portava all'anulare sinistro e soggiunse con una punta di sarcasmo nella voce: «Sola». «Oh, Edmond» replicò Susanna comprendendo alla perfezione la sua allusione e scrollando le spalle. «L'ho lasciato a un ricevimento noioso. Lui si stava divertendo e, comunque, non sarebbe mai venuto con me nel ruscello. Non avrebbe mai fatto una cosa così... stupida, ecco.» Si fermò per dargli il tempo di fare qualche commento sull'aggettivo che aveva scelto per definire il suo colpo di testa, ma lui non disse nulla. «Parlami di te» la invitò invece dopo qualche secondo di silenzio. Con un sospiro di soddisfazione Susanna scoprì che non chiedeva di meglio e appoggiandosi comodamente allo schienale replicò: «Dimmi che cosa vuoi sapere». «Una cosa qualsiasi. Tutto. Quel poco o quel tanto che hai voglia di dirmi. Basta che parli.» Lei obbedì e cominciò a raccontargli della sua infanzia, trascorsa nella tenuta di campagna che suo padre aveva acquistato subito dopo la sua nascita. Per consolarsi di non aver avuto un figlio maschio, forse, o almeno una figlia che somigliasse a sua moglie. Ma visto che lei, Susanna, non era né una cosa né l'altra, il padre l'aveva praticamente ignorata fino a poche settimane prima, quando si era fidanzata con Edmond e lui aveva intravisto la possibilità di avere un nipotino. Non che le fosse mai importato particolarmente di avere l'approvazione di suo padre, beninteso. Era una donna indipendente, lei. Aveva un buon lavoro, ottime prospettive di carriera e una casa tutta sua. E aveva acconsentito a sposare Edmond perché era affidabile, equilibrato e gentile e perché lei voleva formarsi una famiglia, visto che non era del tutto sicura che il lavoro le sarebbe bastato. Le sarebbe piaciuto avere cinque o sei bambini, ma Edmond era stato categorico: non più di due e non subito. Jackson non aveva fatto commenti durante il suo monologo, tanto che a un certo punto lei si era domandata se avesse smesso di ascoltarla quando Diana Chiloton
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si era accorto che quello che gli stava raccontando era insulso e noioso. Le aveva riempito di nuovo il bicchiere, però, che adesso era ancora una volta vuoto, il che significava che aveva scolato da sola quasi tutta la bottiglia. Se stava cercando di farla ubriacare, pensò confusamente mentre la stanza cominciava a vorticarle intorno, c'era riuscito alla perfezione. «Alzati in piedi, Susanna, per piacere.» Lì per lì la sua richiesta le parve molto strana, ma poi si disse che probabilmente le sembrava tale solo perché non riusciva più a pensare con lucidità a causa dell'alcol. Chissà, magari stava soltanto suggerendole che era arrivato per lei il momento di tornare a casa. O forse voleva solo sapere se riusciva a stare in piedi... Ci riusciva. A malapena, ma ci riusciva. Jackson la guardò in silenzio per qualche istante, poi le ordinò: «Adesso appoggia tutto il tuo peso sul fianco destro e piega appena il ginocchio sinistro. Sì, così va bene... Brava! Ora alza le braccia e intreccia le mani dietro la nuca sollevando i capelli». Susanna fece tutto quello che lui le chiedeva per il semplice fatto che non aveva la forza di protestare. Poi, con un'improvvisa intuizione, vide con gli occhi della mente che aspetto doveva avere in quel momento, con il viso troppo largo incorniciato dai capelli scompigliati, i seni generosi puntati verso il soffitto e un fianco in fuori. Furibonda, si domandò se quel Jackson Arne non fosse per caso un pazzo. Be', lei lo era senza dubbio. Solo un improvviso attacco di follia poteva spiegare perché lo aveva seguito fin lì mettendosi in quell'assurda situazione. Magari era un malintenzionato, pensò con un brivido di apprensione. Le aveva detto che quel cottage non era suo, che ci abitava solo da qualche tempo. Ma per quel che ne sapeva lei poteva averlo occupato abusivamente. E poi c'erano molti altri dettagli che non deponevano a suo favore: il disordine in cui viveva, gli indumenti vecchi e logori che indossava. Lo strano modo in cui la stava guardando... come se si stesse chiedendo in quanti pezzi avrebbe potuto tagliarla. Quanto a lei, la testa continuava a girarle come una trottola e cominciava a sentirsi davvero male. Sfinita, lasciò cadere le braccia e lui esclamò: «Bene! Proprio bene. Perfetto. Ti voglio, Susanna». Lei boccheggiò. Sapeva che doveva sembrare un'idiota, e un'idiota ubriaca per di più!, ma non poteva farci niente. Ti voglio erano parole che Diana Chiloton
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non richiedevano alcuna spiegazione, e l'immagine che le avevano suscitato nella mente le evocava sensazioni niente affatto sgradevoli. Ma proprio bene per che cosa? Era una perfetta che cosa?, si chiese con sgomento. Una perfetta imbecille a essersi messa in quella terribile situazione, si rispose all'istante, e si avvicinò vacillando al tavolo per prendere il suo vestito ancora umido. Poi si guardò intorno alla ricerca delle scarpe e si sentì morire quando ricordò di averle lasciate nel prato degli Anstruther. Oh, mio Dio! Non sarebbe mai riuscita a ritrovare la strada per andarle a riprendere e a percorrere a piedi il miglio che la divideva da Mallow Cottage, non nello stato in cui si trovava. Sempre ammesso, naturalmente, che quell'uomo che all'improvviso le sembrava tanto inquietante le permettesse di uscire dalla porta. «Devo andare a casa adesso, signor Arne» affermò facendo un immenso sforzo per riacquistare il controllo. «Grazie per il vino, ma devo proprio andare.» Era fiera della dignità con cui era riuscita a pronunciale quelle parole, ma rovinò tutto inciampando nei libri che Jackson aveva buttato a terra e finendo di nuovo sul divano, distesa questa volta. «Non mi sembri in condizione di andare da nessuna parte» osservò lui in tono divertito. Si stava prendendo gioco di lei e gli occhi le si riempirono di lacrime di umiliazione, mentre il mento cominciava a tremarle. Si stava comportando in modo infantile, lo sapeva, ma non poteva farci niente. «Vieni, Susanna» la esortò Jackson in tono gentile aiutandola a rialzarsi. La testa le girava talmente che non riuscì a resistere alla tentazione di appoggiarla contro il suo torace ampio e caldo. E mentre lo faceva pensò confusamente che avrebbe dovuto far appello a tutto il suo buonsenso se voleva uscire indenne da quella sconvolgente situazione. Il guaio era che non gliene restava più nemmeno una briciola, di buonsenso! E poi lui le aveva detto che la voleva, e aveva tutta l'aria di essere un uomo che otteneva sempre quello che desiderava.
2 «Va bene, Penny» disse Susanna rivolgendo un sorriso forzato alla sua segretaria. «Fa' pure accomodare il signor Harding.» Diana Chiloton
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Penny uscì e lei si premette le mani sulle tempie doloranti. Quella mattina si era svegliata con un terribile mal di testa e un enorme senso di colpa. Non riusciva proprio a capire come si fosse potuta comportare in modo tanto stupido, la notte prima. Proprio lei, fra tutti! Doveva gettarsi quell'episodio alle spalle. Cercare di dimenticarlo come se non fosse mai accaduto. Ma prima di ogni altra cosa doveva affrontare Edmond e chiedergli scusa. Era da quando aveva messo piede in ufficio alle otto e mezzo del mattino che si aspettava una visita o una telefonata di Edmond. E la sua concentrazione, già messa a dura prova dalla violenta emicrania, ne aveva risentito. Comunque non aveva nessuna intenzione di raccontare al suo fidanzato che cos'era accaduto esattamente la notte precedente. Saperlo sarebbe stato troppo umiliante per lui. All'ingresso di Edmond nella stanza si alzò lisciando automaticamente le pieghe della gonna grigia che indossava. Il grigio scuro snelliva talmente tanto, continuava a ripeterle sua madre. Ma su di lei non sembrava funzionare. E comunque Edmond riusciva sempre a farla sentire grossa, anche se probabilmente non ne aveva l'intenzione. Jackson invece l'aveva fatta sentire fragile per la prima volta nella sua vita... «Allora, Susanna, dove sei andata ieri sera?» le chiese lui in tono di rimprovero entrando subito in argomento. «Ho passato uno dei quarti d'ora più imbarazzanti della mia esistenza nel tentativo di spiegare la tua scomparsa agli Anstruther.» «Mi dispiace» cominciò lei rimettendosi a sedere, mentre Edmond occupava la poltroncina rossa davanti alla scrivania e accavallava le gambe stando bene attento a non gualcire i pantaloni stirati alla perfezione. «Faceva un caldo da morire e sono scivolata fuori per un attimo per prendere una boccata d'aria.» «Io non lo chiamerei un attimo, Susanna» osservò lui freddamente. «Non sei tornata affatto. Io sono rimasto ben oltre i limiti della cortesia e quando la signora Anstruther, che ormai stava mettendo in ordine, ha trovato la tua borsetta dietro un cuscino ho dovuto fingere che tu mi avessi pregato di porgerle le tue scuse. Le ho detto che ti era venuto un forte mal di testa ed eri andata a casa. Ma spiegami perché non sei tornata, se avevi intenzione di rimanere fuori soltanto un attimo.» Susanna fece appello a tutto il proprio autocontrollo per mantenere Diana Chiloton
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un'espressione composta, ma non era mai stata tanto agitata e disperata in vita sua. Quanto avrebbe voluto poter spiegare tutto a Edmond, parlargli dell'improvvisa irrequietezza che si era inspiegabilmente impadronita di lei inducendola a gettare al vento la sua abituale cautela e lasciandola in balia del folle incanto di una notte di plenilunio! Ma lui non avrebbe mai capito. Non avrebbe potuto, del resto. Il suo comportamento era incomprensibile perfino a lei. O peggio ancora, l'avrebbe condannata senza appello. E lei non si sarebbe sentita di biasimarlo. «Perché mi sono allontanata più di quanto avessi intenzione di fare» replicò, mentre un rivolo di sudore le correva lungo la schiena incollandole la camicetta di seta bianca alla pelle. «Subito fuori del giardino degli Anstruther c'è un bosco; ci sono entrata, ho trovato un ruscello e ci sono caduta dentro. A quel punto ero troppo bagnata per ritornare al ricevimento. Mi dispiace, ma non avevo nessun modo per fartelo sapere. Potevo solo confidare sul tuo tatto per spiegare la mia assenza.» Quella spiegazione avrebbe dovuto placarlo, decise, poi si accigliò rendendosi conto all'improvviso che Edmond non aveva accennato nemmeno una volta al fatto che la sua scomparsa lo avesse preoccupato, che fosse stato in ansia per lei. Ma prima che avesse il tempo di rimuginarci sopra, lui ribatté acidamente facendola ripiombare nella disperazione: «Il mio tatto, come lo definisci tu, è stato sufficiente quando si è trattato di coprire la tua scomparsa. Ma è servito a ben poco quando la signora Anstruther mi ha telefonato stamattina per comunicarmi che aveva trovato le tue scarpe sul suo prato e la tua giacca su un cespuglio». «Oh!» mormorò Susanna avvampando per l'imbarazzo e la vergogna. «Io non... non so che cosa dire.» Digli che le hai gettate al vento insieme alle tue inibizioni, le suggerì una vocina maliziosa, ma lei, che quel pomeriggio era lucida e completamente sobria, la mise a tacere. «Proprio non capisco» sospirò Edmond scuotendo la testa. «Non è da te comportarti in un modo simile.» Lanciò un'occhiata all'orologio che portava al polso e soggiunse: «Adesso devo proprio scappare. Ho avuto una giornata frenetica e ho un appuntamento con un cliente alle quattro e mezzo». Si alzò raddrizzandosi la cravatta, che era perfettamente a posto, prima di continuare: «Ho detto alla signora Anstruther che stasera saremmo passati a prendere le tue cose, così potrai scusarti personalmente con lei. Potremmo mangiare un boccone insieme prima, se ti va. Vengo da Diana Chiloton
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te alle cinque e mezzo e...». «No» lo interruppe Susanna con fermezza. «Devo lavorare fino a tardi» mentì. «Domani verrà un incaricato dell'ispettorato per controllare il sistema di sicurezza. E lunedì prossimo comincio due settimane di ferie. Non ho proprio tempo, stasera.» Lo avrebbe avuto, invece. Ma non vedeva l'ora di tornare a casa, fare un bel bagno caldo e prendere due aspirine con una tazza di tè bollente. L'idea di trascorrere una serata con Edmond e di dover rispondere alle domande maliziose della signora Anstruther la riempiva d'orrore. «Oh, be', il lavoro viene prima di tutto» convenne lui avviandosi verso la porta. Non sembrava particolarmente deluso o comunque non lo dava a vedere. «Vorrà dire che andrò io a prendere le tue cose e m'inventerò qualche altra scusa per blandire la signora Anstruther. A proposito, ho la tua borsetta in macchina, ma te la darò un'altra volta, se non muori dalla voglia di riaverla.» Susanna scosse lentamente la testa. La verità era che non voleva rivedere mai più le sue ballerine di vernice nera, la sua giacca e la sua borsetta da sera. Le avrebbero ricordato troppo quello che era accaduto la notte precedente e lei, invece, aveva bisogno di dimenticarlo, perché se non se lo fosse tolto dalla mente avrebbe passato il resto della sua vita a vergognarsi di se stessa, domandandosi esattamente che cos'era successo fra il momento in cui Jackson Arne aveva aperto il portone di Mallow Cottage e quello in cui si era svegliata quella mattina fra le lenzuola gualcite del suo letto, completamente nuda. Susanna percorreva sempre a piedi la breve distanza fra la banca e la sua nuova casa, l'ultimo di una fila di quattro cottage in stile Tudor ristrutturati da poco. Possedeva una macchina, ma la usava molto di rado e la teneva parcheggiata nel posteggio di un garage poco lontano. High Street, la via principale di Much Barton, era praticamente deserta alle quattro e mezzo di quel pomeriggio, e Susanna l'attraversò spostandosi sul lato in ombra, visto che il caldo sole di giugno non migliorava affatto il suo terribile mal di testa. Ma la consolava il pensiero della tranquilla serata che l'aspettava e la convinzione che l'indomani, senza dubbio, sarebbe ritornata quella di sempre e i traumatici avvenimenti della notte precedente avrebbero cominciato a svanire dalla sua mente. Se solo fosse riuscita a ricordare con esattezza che cos'era successo... Diana Chiloton
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«Come ti senti oggi, Susanna? Scommetto che hai un gran mal di testa.» Se l'era ritrovato accanto all'improvviso, come se fosse sbucato dal nulla, e si fermò per un attimo, sconvolta. Ma subito riprese a camminare a passo di marcia, con le labbra serrate e il viso in fiamme per una miscela esplosiva di umiliazione, rabbia e imbarazzo. «È un pezzo che ti aspetto» continuò Jackson allegramente, come se lei lo avesse salutato con entusiasmo invece d'ignorarlo. «Durante l'attesa mi sono domandato più volte se non fosse il caso di entrare e di chiedere alla tua segretaria di vederti, ma poi mi sono detto che il tempo che saresti stata disposta a concedermi non mi sarebbe bastato.» Che incredibile faccia tosta!, pensò Susanna arrossendo ancora di più e lanciandogli una sprezzante occhiata in tralice. Indossava la stessa camicia senza bottoni e gli stessi jeans attillati che portava la notte precedente. Alla luce della lampada a petrolio le erano sembrati piuttosto malconci, ma adesso le parevano in condizioni addirittura pietose. Erano logori e coperti da una patina grigiastra che sembrava polvere. Se fosse entrato in banca conciato in quel modo, gli uomini del servizio di sicurezza lo avrebbero immediatamente messo alla porta, decise distogliendo in fretta lo sguardo. «Sei diversa, oggi» soggiunse lui in tono divertito. «Immagino che sia perché stai recitando la parte della perfetta direttrice di banca. Ma io ti preferivo com'eri stanotte.» A quelle parole, pronunciate da Jackson con tanta spavalderia, Susanna si fermò di nuovo di botto. Doveva assolutamente liberarsi di lui. Aveva visto un lato della propria personalità di cui perfino lei, fino alla notte precedente, aveva ignorato l'esistenza. Un lato di cui adesso, a mente lucida e del tutto sobria, si vergognava da morire. Quasi lo odiava per essere stato testimone della sua debolezza, per averla vista sguazzare ubriaca in un ruscello, per averla sentita blaterare cose senza senso sulla sua esistenza terribilmente noiosa. E se lui pensava che il piccolo... incidente della notte precedente gli desse il diritto di importunarla in piena luce del giorno nel bel mezzo di High Street, allora si sbagliava di grosso! Much Barton era una città piccola, contava solo seimilasettantaquattro abitanti e tutti si conoscevano. E se fosse arrivato alle orecchie di Edmond che lei era stata vista con quel vagabondo... hippie... o qualunque cosa fosse, si sarebbe ritrovata a dover dare un'incredibile quantità di spiegazioni! «Signor Arne...» Jackson la stava ancora divorando con gli occhi, Diana Chiloton
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accidenti a lui! E doveva ammettere che aveva degli occhi magnifici, maledizione! Erano verdi come smeraldi e ammiccanti... Occhi da Peter Pan in un viso da titano. E i suoi capelli ricci, che gli cadevano in ciocche ribelli sulla fronte, alla luce del giorno parevano d'oro. «Dimmi, Susanna» la esortò, ma lei aveva del tutto dimenticato che cos'aveva intenzione di dirgli. Uno strano calore l'aveva invasa e la stava avvolgendo tutta, costringendola a tenere gli occhi incatenati a quelli di Jackson, come se nelle sue iridi ci fosse un qualche importantissimo messaggio da decifrare. Poi si diede della sciocca rammentandosi con fermezza che quello che era accaduto la notte prima era stato soltanto un terribile sbaglio e che doveva sbarazzarsi di Jackson Arne e fargli capire in modo inequivocabile che non voleva più avere nulla a che fare con lui. «In realtà, signor Arne, non abbiamo niente da dirci» replicò con fermezza. «Mi vergogno di dover ammettere di essere stata... ecco... un po' brilla quando ci siamo incontrati nel bosco, ieri sera. Altrimenti non mi sarei mai sognata di venire a... a casa sua.» «Ma io ho molte cose da dirti, Susanna» ribatté Jackson in tono soave, infilando i pollici nelle tasche dei jeans con un gesto che, lei non poté fare a meno di notarlo, esaltò la sua virilità. «Mi creda, vorrei con tutto il cuore che quello che è avvenuto la notte scorsa non fosse mai accaduto...» ribadì lottando contro la meravigliosa e insolita sensazione di sentirsi piccola e fragile davanti a un uomo. Il fatto era che lei non era piccola e fragile, maledizione! Era Jackson che la faceva sentire così, ma la realtà non poteva essere cambiata. «Ma tu non sai che cos'è avvenuto esattamente la notte scorsa» le fece notare lui in tono suadente. «Puoi fare delle ipotesi e magari anche azzeccarci, ma non potrai mai essere sicura di aver colto nel segno.» «Sei un bastardo! Un lurido ba...» «Ehi, calma, signorinella! Prima d'insultarmi faresti bene a ricordare che l'unico che può raccontarti per filo e per segno che cos'è accaduto stanotte è il sottoscritto. Io c'ero, eccome se c'ero!, e non ero svenuto, credimi.» «Allora me lo dica, per favore, signor Arne» replicò Susanna in tono angosciato avvampando di nuovo fino alla radice dei capelli. Si vergognava da morire, ma doveva assolutamente scoprire, per se stessa e per Edmond, che cos'era avvenuto durante la notte e quell'uomo era davvero la sola persona che potesse dirglielo. Diana Chiloton
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«Mi chiamo Jackson» le ricordò lui con un guizzo malizioso negli occhi. Era evidente che si stava divertendo alle sue spalle e Susanna era furibonda, ma si consolò dicendosi che doveva sopportarlo solo per pochi minuti ancora, il tempo necessario per strappargli l'informazione che voleva. «Dimmelo, per favore, Jackson» borbottò appiccicandosi un sorriso sulle labbra. «Così va meglio.» Con una mano sorprendentemente delicata, viste le sue dimensioni, Jackson le alzò il mento costringendola a guardarlo negli occhi e soggiunse: «Ti dirò tutto se e quando acconsentirai ad ascoltare e ad aderire a una mia proposta». «Ma questo è un ricatto!» gemette Susanna. Poi, detestandosi per la debolezza che stava dimostrando, continuò in tono più fermo: «Sapere quello che è successo non m'interessa a tal punto da lasciarmi ricattare. Mi preme soltanto che non accada più». «Ma forse il tuo Edmond non la pensa allo stesso modo.» Nello sbigottito silenzio che seguì a quella minaccia Susanna prese in considerazione tutte le alternative che aveva a disposizione. Simulare uno svenimento e crollare a peso morto sul marciapiede, per esempio. Urlare per chiamare un poliziotto... ma non erano mai nei paraggi quando qualcuno aveva bisogno di loro. Confessare tutto a Edmond battendo in volata Jackson Arne e togliendo le frecce al suo arco. Il guaio era che non sapeva esattamente che cosa avrebbe dovuto confessargli! «Pensaci sopra, dolcezza» la incoraggiò lui allegramente. «Mi farò vivo di nuovo quando ti sentirai meglio. Devi essere a pezzi, poverina! Dici di essere stata già brilla quando ci siamo incontrati nel bosco. E da me hai bevuto più di mezza bottiglia di vino.» Scosse lentamente la testa alzando gli occhi al cielo e solo con un immenso sforzo di volontà Susanna resistette alla tentazione di prenderlo a schiaffi. «Arrivederci, dolcezza» concluse lui e si allontanò nella direzione opposta alla sua. Le mancava ancora mezzo chilometro per arrivare a casa e lo percorse a passo di marcia, accaldata e infuriata, spaventando perfino il povero signor Potts, il suo vicino di casa, che era in giardino a potare le sue rose. Solo dopo aver fatto un bagno caldo, essersi messa in vestaglia e aver inghiottito due aspirine riuscì a calmarsi, ma continuò a domandarsi con ansia che cosa fosse successo la notte precedente. A tormentarla, naturalmente, era la possibilità che Jackson le avesse Diana Chiloton
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usato violenza approfittando del suo stato d'incoscienza. Dopotutto al cottage le aveva detto esplicitamente che la voleva! Quel pensiero la sconvolgeva, e non solo per la vergogna e l'umiliazione, ma anche, si rese conto all'improvviso con sgomento, per il rimpianto di non ricordare quello che aveva provato fra le braccia di Jackson. Sospirando andò a sedersi sul dondolo nel portico sul retro e guardando in direzione della radura in cui si trovava il cottage dove viveva Jackson, riandò con la mente per l'ennesima volta agli avvenimenti di quella notte. Dopo averla aiutata a rialzarsi dal divano, lui l'aveva sollevata di peso e le aveva bisbigliato all'orecchio: «Andiamo, Susanna. Ti porto a casa». Lei aveva mormorato qualcosa contro il suo torace, parole confuse a proposito del fatto che non aveva le scarpe, e Jackson le aveva sfiorato con le labbra una guancia accaldata sussurrando in tono rassicurante: «Sta' tranquilla, dolcezza. Non devi preoccuparti di nulla. Andrà tutto bene. Hai detto che abiti a Mallow Cottage. Non è lontano da qui e ci arriveremo in un baleno». Poi si era avviato verso la porta, l'aveva aperta ed era uscito nella radura. Sentendosi la protagonista di una favola, Susanna si era rannicchiata contro il suo petto e gli aveva intrecciato le braccia intorno al collo senza alcun pudore. Avevano attraversato il bosco in silenzio e all'improvviso Jackson non le era più sembrato inquietante e minaccioso, anzi. Si stava prendendo cura di lei, la stava portando a casa, ed era tutto meravigliosamente diverso da qualunque altra cosa le fosse mai capitata prima. Era il genere di avventura in cui si trovavano coinvolte le bionde belle e snelle... non le ragazzone insignificanti come Susanna Bryce-Jones! E Jackson doveva essere incredibilmente forte perché non si era mai fermato e non era stato nemmeno a corto di fiato quando l'aveva depositata sui gradini di casa e aveva esclamato: «Eccoci arrivati! Se mi dai la chiave, apro la porta». «Non ce l'ho» aveva ribattuto Susanna ridacchiando come una sciocca. «L'ho lasciata nella mia borsetta da sera, che è rimasta dagli Anstruther.» «Capisco» aveva replicato lui, e invece di rimproverarla o di mettersi a brontolare come avrebbe fatto Edmond, aveva cominciato a fare il giro del cottage alla ricerca di una finestra aperta. Susanna gli era trotterellata dietro stando attenta a non inciampare nella sua vestaglia, che era decisamente troppo lunga per lei. «Ho una chiave di riserva» aveva aggiunto. «La tengo sotto...» Aveva agitato una mano in Diana Chiloton
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direzione del portico, ma non aveva finito la frase perché, senza il sostegno di Jackson, la testa aveva ricominciato a girarle come una trottola. «Dimmi dove la tieni, dolcezza» l'aveva esortata gentilmente lui mettendole un braccio intorno alle spalle e ritornando sul portico. «Dimmelo.» «Sotto il vaso con i nasturzi» rammentava di aver cercato di replicare senza biascicare troppo le parole. Poi si era appoggiata a una delle colonnine del portico e si era lasciata lentamente scivolare a terra ridacchiando di nuovo. E da quel momento in poi, buio completo. Per quanti sforzi facesse, non riusciva a ricordare nulla da allora a quando si era svegliata quella mattina nel suo letto. Nuda. Comunque le sembrava molto improbabile che Jackson si fosse limitato ad aprire il portone, farla entrare in casa e andarsene. Nello stato in cui si trovava non sarebbe stata in grado nemmeno di salire le scale, figuriamoci se si sarebbe potuta spogliare e infilare a letto. E poi quella mattina la sua vestaglia era scomparsa. Dunque lui doveva averla portata con sé quando se n'era andato. E prima di metterla a letto le aveva tolto anche il reggiseno e gli slip. Al pensiero delle sue mani che la denudavano fece un balzo sulla sedia, sconvolta da un misto d'indignazione, vergogna e disperazione. «Mio Dio, cara! Non ti ho mai visto in questo stato.» Udendo la voce di sua madre Susanna si voltò a guardarla. Non aveva sentito il rombo della macchina che si avvicinava né il rumore dei suoi passi lungo il vialetto lastricato, ma adesso Miranda Bryce-Jones, elegantissima come sempre, era in piedi a meno di un metro da lei e la guardava con la fronte aggrottata. «Lily Anstruther mi ha telefonato per dirmi che ieri sera al suo ricevimento non ti sei sentita bene. Così sono venuta a trovarti mentre mi recavo a un bridge dai Clooney per vedere di persona come stavi.» Senza aspettare l'invito di sua figlia, Miranda entrò in casa e soggiunse: «Posso fermarmi solo cinque minuti, cara. Giusto il tempo di bere un gin and tonic, se hai l'occorrente per prepararlo». «Certo che ce l'ho» replicò Susanna con una noncuranza che non provava affatto, avviandosi verso la cucina e sentendosi più goffa che mai, come le accadeva sempre in presenza di sua madre. A quell'ora, pensò con sgomento mentre Miranda si sedeva su una delle due poltrone foderate di cintz del soggiorno, Lily Anstruther doveva aver raccontato a tutta la Diana Chiloton
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contea quello che era accaduto la sera prima. Non beveva mai il gin perché non le piaceva, ma ne teneva sempre in casa una bottiglia per Edmond e per quando sua madre andava a trovarla. Ma il solo vederla, dopo la sbornia della notte prima, le fece venire la nausea. «Lily mi ha detto che hai lasciato la tua giacca e le tue ballerine di vernice sparpagliate nel suo bel giardino, cara» continuò Miranda quando lei ritornò in soggiorno e le porse il suo drink. «Ho ribattuto che in tal caso ti eri evidentemente sentita male e che aveva fatto bene a telefonarmi. "Lily mia cara", le ho spiegato, "mia figlia è sana come un pesce. Non si sente mai male, a meno che non mangi del cibo avariato." Ho pensato che questo l'avrebbe messa a posto a dovere, capisci! Il buffet dei suoi ricevimenti ha sempre lasciato molto a desiderare, come so per esperienza personale. Ma adesso sono ansiosa di conoscere la tua versione di quello che è successo. Non posso credere che tu ti sia comportata davvero in un modo così villano!» «Temo di averlo fatto, invece» sospirò Susanna lasciandosi cadere sull'altra poltrona foderata di cintz. «Morivo dal caldo, le scarpe mi facevano male e la giacca era troppo stretta sotto le ascelle e...» «Troppo stretta! A me sembrava che ti stesse a pennello, invece. Ma forse avrei dovuto consigliarti l'abito da sera di chiffon blu. Almeno non avresti potuto lasciarne in giro dei pezzi! Ma continua a raccontarmi che cos'è successo...» Susanna sospirò di nuovo, poi diede a sua madre la stessa versione degli avvenimenti che aveva propinato a Edmond quel pomeriggio. Alla fine aggiunse che sperava che tutta la faccenda si sgonfiasse in fretta e Miranda convenne: «Anch'io, cara, anch'io. Ma c'è un'altra cosa che devi dirmi... e poi devo proprio scappare o arriverò in ritardo al mio bridge. Voglio sapere che cosa ti ha dato Lily da bere». «Vino» replicò Susanna distogliendo lo sguardo da quello di sua madre per non farle capire che aveva toccato un tasto delicato. «Vino bianco. C'erano bicchieri dappertutto e ci si serviva da soli.» «Capisco. Probabilmente si trattava di un vino di pessima qualità. Il che, unito alla dubbia provenienza delle vivande del buffet, spiegherebbe la tua improvvisa indisposizione. Accennerò di sfuggita al vino, la prossima volta che parlerò con Lily, così le tapperò la bocca una volta per tutte. Non credo proprio che voglia che tutta la contea venga a sapere che avvelena i Diana Chiloton
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suoi ospiti.» Con un sorriso smagliante e l'espressione compiaciuta di chi ha finalmente trovato il modo di risolvere un brutto pasticcio, Miranda si alzò e si avviò verso il portone. Imitandola, Susanna la raggiunse, la precedette e lo spalancò. E subito le mancò il fiato, come se qualcuno le avesse dato all'improvviso un pugno nello stomaco. Perché in piedi sui gradini del portico, a nemmeno un metro da lei, c'era Jackson Arne. Mentre lo osservava con gli occhi spalancati, ammutolita dallo stupore, lui avanzò, varcò la soglia e ignorando completamente Miranda le porse il suo abito da sera nero reggendolo per le sottili spalline. «Sono venuto a riportarti questo, dolcezza» le annunciò allegramente. «L'hai lasciato sul pavimento del mio soggiorno la notte scorsa.» Susanna rimase immobile e in silenzio, ma se avesse potuto dare libero sfogo a quello che provava, avrebbe cominciato a urlare e non avrebbe smesso finché qualche anima buona non avesse avuto pietà di lei e non l'avesse portata in un luogo tranquillo, lontano dall'orribile incubo che la sua vita era diventata all'improvviso.
3 «Accompagnami alla macchina, per piacere.» La voce di sua madre sferzò Susanna come un getto d'acqua gelata e dopo aver fulminato con lo sguardo Jackson e aver ricevuto in cambio da lui uno sfavillante sorriso, corse dietro a Miranda. «Voglio sapere chi è quell'uomo!» le sibilò a denti stretti quando arrivarono alla sua auto. «Ehm... Jackson Arne.» «E che cosa ci faceva con il vestito che indossavi al ricevimento degli Anstruther? Come mai lo avevi lasciato sul pavimento del suo soggiorno? Ma no, non dirmelo. Non voglio saperlo.» Sua madre era fuori di sé dalla collera, lo si capiva benissimo, e Susanna azzardò timidamente, parlando a voce bassissima per non dare all'uomo odioso che le stava guardando dalla soglia la possibilità di assistere alla lite che lui stesso aveva fomentato: «Posso spiegarti e...». «No!» la interruppe sua madre con veemenza. «Non voglio che tu lo faccia. Non voglio ascoltale i disgustosi dettagli della tua vita sessuale. Inorridisco al solo pensiero. Ma sbarazzati di lui. Subito!» Salì in Diana Chiloton
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macchina, ma prima di avviare il motore l'ammonì attraverso il finestrino aperto: «Te lo ripeto, Susanna. Sbarazzati di lui. Per sempre. Se Edmond viene a sapere di questo tuo peccatuccio, romperà il fidanzamento. E farà in modo che tutti ne conoscano il motivo. In quel caso, mia cara, nemmeno io riuscirei a escogitare qualcosa per proteggerti. Diventerai lo zimbello di tutto il vicinato, il bersaglio di pettegolezzi senza fine. Perfino la tua posizione alla banca diventerebbe insostenibile». Mentre ascoltava il rombo della macchina di sua madre che si allontanava, Susanna ricacciò indietro le lacrime che le erano salite agli occhi. Tutto quello che Miranda le aveva detto era vero. E tutti i suoi problemi, inclusa la feroce emicrania che continuava a tormentarla, avevano un unico responsabile: Jackson Arne! L'ultima cosa che avrebbe voluto fare in quel momento era affrontarlo, pensò voltandosi e ritornando verso il portico. Ma doveva farlo, perché la sola via d'uscita dalla situazione impossibile in cui era andata a cacciarsi consisteva nell'estorcergli la verità sulla notte precedente. Poi avrebbe saputo come comportarsi. Se Jackson si era limitato a spogliarla e a metterla a letto, avrebbe raccontato tutto a Edmond. Era un uomo giusto, equilibrato e razionale. Si sarebbe arrabbiato, naturalmente, e lei non lo avrebbe biasimato, ma alla fine sarebbe riuscito a considerare quell'increscioso episodio per quello che era: un momentaneo attacco di follia dovuto a cause sconosciute che non si sarebbe mai più ripetuto. E se invece Jackson Arne aveva approfittato delle sue condizioni, avrebbe dovuto restituire l'anello a Edmond e dirgli che ci aveva ripensato. Sua madre non sarebbe stata contenta, ma non ci sarebbe stato altro da fare. Jackson non era più sul portico. Mentre Susanna parlava con Miranda era entrato in casa e adesso se ne stava appollaiato su uno degli alti sgabelli della cucina. Sembrava del tutto a suo agio, come se fosse a casa sua, e lei dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo per non lanciargli contro il primo oggetto pesante che le capitava a tiro. «Molto bene, signor Arne, si è divertito abbastanza» affermò con una freddezza che era ben lontana dal provare. «Ha perfino convinto mia madre che sono una donna perduta, perciò lasciamo perdere gli scherzi e parliamo d'affari.» «Tua madre!» ripeté lui inarcando le sopracciglia. «Ma non vi somigliate affatto.» Diana Chiloton
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«Le figlie non devono per forza somigliare alle loro madri» replicò Susanna piccata, per nulla felice che le venisse ricordato che somigliava alla sua affascinante mamma come un danese somiglia a un barboncino. «No» convenne Jackson annuendo. «Ma tua madre ha veramente superato se stessa mettendo al mondo un capolavoro come te.» «L'avevo pregata di piantarla con gli scherzi» gli ricordò Susanna, ferita dal suo sarcasmo. «Ma io non stavo affatto scherzando» protestò lui accarezzandole il corpo con lo sguardo. «E, credimi, quando ho deciso di riportarti il vestito non sapevo che ti avrei trovata con qualcuno, tanto meno con tua madre. Pensavo solo che ti avrebbe fatto piacere riaverlo, perché magari volevi metterlo stasera per darti di nuovo alla pazza gioia.» «Non mi do mai alla pazza gioia» replicò Susanna in tono sprezzante. «Non dirmi che stanotte è stata la prima volta per te» osservò Jackson con fare allusivo. «La prima e anche l'ultima!» sbottò lei prendendo il vestito nero dallo sgabello su cui Jackson l'aveva appoggiato e buttandolo nella pattumiera. Non voleva vederlo né tanto meno indossarlo, mai più! «Mmm» commentò Jackson scendendo dallo sgabello e andandosi a mettere proprio dietro di lei. «Sei veramente in uno stato pietoso.» E prima che Susanna avesse il tempo d'intuire le sue intenzioni, le posò le mani sulle spalle e cominciò a massaggiarla. Lei s'irrigidì e trattenne perfino il fiato nel disperato tentativo di lottare contro il calore che l'aveva invasa. «Rilassati» la esortò Jackson continuando a massaggiarla. «Sei troppo tesa, dolcezza. Avanti, lasciati andare. Sai, non sopporto l'idea che la ragazza adorabile che ho conosciuto stanotte non venga mai fuori dalla prigione in cui una certa direttrice di banca l'ha rinchiusa...» Susanna chiuse gli occhi, sopraffatta dal desiderio di voltarsi fra le sue braccia e di offrirgli le labbra, ma li riaprì di scatto inorridita. Sarebbe stata una pazzia! Jackson Arne era una minaccia, una minaccia terribile per la sua esistenza tranquilla e ordinata, per l'immagine di sé che aveva costruito con tanta fatica nel corso degli anni, mattone sopra mattone, per il controllo totale che aveva sempre avuto sul suo corpo. Permettergli di toccarla, anche solo di avvicinarsi a lei, era pura follia. «Mi tolga le mani di dosso!» «Certo» convenne lui lasciando cadere immediatamente le mani lungo i fianchi e scrollando le spalle con noncuranza. «Se alla signora piace essere Diana Chiloton
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tesa...» «La mia tensione svanirà come neve al sole quando mi avrà detto che cos'è successo stanotte dopo che ho perso i sensi» replicò Susanna in tono glaciale. «Ti ho portato di sopra e ti ho messo a letto» le rispose Jackson sornione. Dopo avermi tolto la biancheria intima di dosso!, pensò lei con sgomento. «Non essere così sconvolta, dolcezza» la esortò Jackson come se le avesse letto nel pensiero. «Non c'è nulla di cui vergognarsi in un bel corpo.» Un bel corpo, come no! Si stava facendo beffe di lei, ne era convinta, ma ignorò il suo sarcasmo e gli ordinò seccamente: «Mi dica che cos'è successo dopo». «Davvero non te lo ricordi?» ribatté Jackson in tono provocante. «Stento a crederci, se penso a tutte le donne che mi hanno confessato che sono indimenticabile.» «Me lo dica. È importante.» «Quanto importante, dolcezza?» «Non mi chiami così!» «Non vedo perché non dovrei, dal momento che è proprio quello che sei.» «Oh!» sbottò Susanna alzando gli occhi al cielo in un moto di esasperazione. «Se ne vada da qui!» gli ingiunse poi, fuori di sé dalla collera, indicandogli la porta. Da quando aveva incontrato quel buffone che non prendeva nulla sul serio, non faceva che perdere le staffe. Proprio lei, che aveva fama di essere una delle persone più equilibrate del mondo! «No, Susanna» rifiutò lui in tono minaccioso non accennando minimamente a muoversi. «Non me ne andrò finché non mi avrai detto perché è tanto importante per te.» «Devo sposarmi a Natale, perciò può immaginarselo benissimo da solo» ribatté lei fulminandolo con lo sguardo. «Ah, sì» convenne Jackson dando un'occhiata sprezzante al solitario che lei portava all'anulare sinistro. «Edmond, naturalmente. Immagino che il tuo fidanzato non sarebbe contento se dovesse venire a sapere quello che è accaduto ieri notte. Specialmente se...» Fece una breve pausa a effetto, poi Diana Chiloton
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soggiunse: «Capisco il tuo punto di vista, dolcezza. E spero che tu comprenderai il mio. Sempre che adesso tu sia disposta ad ascoltarmi». Lei annuì con un sospiro rassegnato. Tanto, sapeva già che cosa l'aspettava. Jackson le avrebbe detto che si trovava momentaneamente a corto di liquidi e che perciò... In altre parole il suo comportamento irresponsabile della notte precedente l'aveva resa il bersaglio ideale per un disgustoso ricatto. «Ho tentato di fartelo capire stanotte, ma tu eri... be', poco lucida, diciamo» continuò lui in tono allegro. «Perciò ci proverò di nuovo. Ti racconterò per filo e per segno che cos'è successo dopo che ho finito di spogliarti, se tu acconsentirai a posare per me.» «Posare per te!» ripeté Susanna stupefatta passando istintivamente al tu. «Di mestiere faccio lo scultore, dolcezza» le spiegò Jackson sorridendo. «E di recente ho ricevuto una commissione. Una grossa commissione. Fino a stanotte non avevo la più pallida idea di come realizzarla, perché di solito scelgo io i soggetti delle mie sculture. Ma non appena ti ho visto camminare al chiaro di luna in quel ruscello, la mia mente ha cominciato a lavorare con tanta rapidità che mi è parso di vedere il marmo prendere forma sotto i miei occhi. E ho subito capito che ti volevo, che dovevo averti. Sei proprio la modella ideale.» Tutto quadrava adesso, pensò Susanna con sgomento. La polvere che copriva i suoi vestiti. L'intensità con cui la guardava. La strana posizione che le aveva chiesto di assumere quella notte. Ma la cosa che la feriva di più era la consapevolezza che quando lui l'aveva definita magnifica e superba, quando le aveva detto che la voleva, non si era riferito a lei come donna, ma come potenziale modella. «Immagino che ti abbiano commissionato una statua a grandezza naturale di una lottatrice» commentò in tono sprezzante, nel disperato tentativo di nascondere l'umiliazione che provava. Ma invece di ridere come si era aspettata che facesse, Jackson ribatté accigliandosi e rannuvolandosi in volto: «Non sminuirti. Devi esserci abituata. Lo fai talmente bene! Ma dimmi che accetti, che poserai per me. Ti prometto che non ti ruberò molto tempo. Avrò bisogno di te solo per i bozzetti iniziali. Saranno sufficienti due sedute di tre ore ciascuna». «No.» Ora Susanna non si sentiva più minacciata da Jackson, ma da se stessa. Rivederlo, posare per lui, concedergli il tempo di cui aveva bisogno per i Diana Chiloton
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suoi bozzetti, avrebbe voluto dire diventare sempre più vulnerabile, esporsi a emozioni sconvolgenti che voleva e doveva ignorare. Adesso sapeva che tutto quello che lui aveva fatto la notte prima era stato portarla in braccio al piano di sopra, spogliarla e metterla a letto. Non aveva fatto all'amore con lei. Non l'aveva mai desiderata, mai voluta, se non come modella per una statua di marmo. No, non era accaduto nulla di sconveniente quella notte. Ormai ne aveva la certezza. «Pensaci bene, Susanna» insisté lui strappandola bruscamente ai suoi pensieri. Lei sobbalzò, lo guardò, forse per l'ultima volta, e disse la prima cosa che le venne in mente: «Sai, credevo che quella patina grigiastra che hai sui vestiti fosse sporcizia... Pensavo che... che non facessi mai il bucato...». «È polvere di marmo» le spiegò Jackson in tono divertito. «Non riesco mai a mandarla via del tutto. Ormai fa parte di me.» «Già» mormorò lei con un filo di voce guardandolo di nuovo e notando con una stretta al cuore quanto fosse attraente. Non riusciva a credere di essere stata tanto sciocca da pensare che un uomo del genere avesse potuto trovare desiderabile una come lei. Se non avesse avuto tanta voglia di piangere, ci avrebbe riso sopra. «Dici di non voler posare per me. Dunque non t'interessa più sapere che cos'è successo stanotte. Non importa più né a te né a Edmond sapere se ho fatto all'amore con te o no, se mi hai tenuto fra le braccia, sé ti è piaciuto o...» «Smettila, Jackson» gli intimò lei stancamente. «Le tue minacce non servono a nulla, non mi fanno più paura. Tanto so benissimo che non è successo niente di quello che dici. Non mi hai mai desiderata, mai voluta... Non in quel senso, almeno.» «Se fossi in te non ne sarei tanto sicura» protestò Jackson con voce improvvisamente rauca prendendole il mento fra le mani e costringendola a guardarlo negli occhi. «Non so come fai a dire che non ti ho desiderata fin dal primo momento che ti ho vista. Mi meraviglio che tu non abbia capito quale paradiso sarebbero state le tue curve voluttuose nel mio letto. Comunque, se vuoi una dimostrazione di quello che provo per te, sono pronto a dartela.» E dopo aver pronunciato quelle parole strinse Susanna a sé, chinò la testa e premette le labbra sulle sue in un bacio mozzafiato. Per una frazione di secondo lei cercò di resistergli, poi il desiderio ebbe il sopravvento e schiuse le labbra ricambiandolo con una passione di cui Diana Chiloton
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non si sarebbe mai creduta capace. Non aveva mai sperimentato nulla di tanto meraviglioso in vita sua e avvertì una terribile sensazione di perdita quando lui, all'improvviso, la respinse e arretrò di qualche passo mormorando con voce roca: «E ora prova a dirmi che non ti voglio. Prova a dirmi che non sono impazzito dal desiderio quando ti ho spogliata, quando ho tenuto il tuo magnifico corpo nudo fra le mie braccia... Ma ti avverto, se lo farai sarà una spudorata menzogna». Si voltò e si avviò verso la porta, ma prima di uscire si girò di nuovo e soggiunse in tono beffardo: «Ripensa alla mia proposta, dolcezza. E non t'illudere... Ti voglio e ti avrò. Finirai per cedere, vedrai». Poi se ne andò e Susanna lo seguì con lo sguardo finché non lo vide scomparire oltre la siepe che divideva il suo giardino dal sentiero che conduceva alla radura, stordita da quello che era appena accaduto. Per la prima volta nella sua vita un uomo la trovava desiderabile e glielo aveva dimostrato senza ombra di dubbio. Ma lei non sapeva se esserne felice o terrorizzata.
4 Tutti i venerdì all'ora di pranzo Susanna ed Edmond s'incontravano al Dog and Duck, l'unico pub di Much Barton, mangiavano un boccone e discutevano dei loro progetti per il sabato e la domenica. Susanna aveva sempre atteso quell'appuntamento con un certo entusiasmo, ma quel giorno mentre usciva dalla banca e si avviava verso il pub, aveva i nervi tesi come corde di violino. Non vedeva Edmond da tre giorni, cioè da quando era venuto nel suo ufficio a chiederle spiegazioni il pomeriggio successivo al ricevimento degli Anstruther, ma non era una cosa insolita visto che erano entrambi sempre molto occupati. E non aveva più visto nemmeno Jackson. Quello che lui le aveva detto prima di andarsene l'aveva convinta che si sarebbe fatto vivo di nuovo per chiederle se aveva cambiato idea sulla sua proposta. Ma si era sbagliata e forse era quello il motivo della sua tensione. Per non parlare del fatto che, dopo che lui l'aveva baciata con tanta passione, non era più tanto sicura che la notte in cui l'aveva portata nella sua stanza, spogliata e messa a letto non fosse accaduto nulla. E la sconvolgeva il pensiero che avrebbe potuto aver tradito il povero Edmond inconsapevolmente, senza nemmeno ricordarlo. Diana Chiloton
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Quanto al bacio... be', quello non contava. All'inizio Jackson l'aveva colta alla sprovvista e se poi lei lo aveva ricambiato... pazienza! Presto lo avrebbe dimenticato. Doveva dimenticarlo se voleva sposare Edmond senza rimpianti come aveva deciso di fare. Per fortuna dal lunedì successivo avrebbero avuto inizio due settimane di ferie. Ne sentiva proprio il bisogno. Il che, a ben pensarci, era un'altra stranezza. Dal momento che era una ragazza piena di buonsenso, aveva sempre riconosciuto che tutti hanno bisogno di una pausa di tanto in tanto per mantenere la loro efficienza al massimo livello durante il resto dell'anno. Insomma, aveva sempre considerato le ferie più un dovere che un piacere. Ma ora, per la prima volta nella sua vita, le aspettava con ansia. Edmond era riuscito a occupare un tavolo d'angolo, impresa non facile visto che il Dog and Duck era sempre affollatissimo all'ora di pranzo. Sedendosi sulla panca al suo fianco Susanna abbozzò un sorrisetto cauto perché si sentiva in colpa e non sapeva se lui fosse ancora seccato per il modo in cui si era comportata al ricevimento degli Anstruther. Ma Edmond la ricambiò con il suo solito sorriso, gentile e un po' insulso. Le porse subito il menu, inutilmente, visto che lei prendeva sempre quiche e insalata e lui bistecca e patate al forno. E aveva già ordinato da bere per entrambi: un boccale di birra chiara per sé e un succo d'arancia senza zucchero per lei, che era perennemente a dieta ma senza alcun successo. «Per me quiche e insalata, grazie» gli disse come faceva ogni venerdì. E come ogni venerdì lui ribatté: «Io invece penso che prenderò bistecca e patate». Guardandolo farsi largo fra la gente che affollava il locale per andare a ordinare al banco, Susanna si domandò come avessero potuto sprofondare in una routine tanto noiosa dopo solo otto mesi di conoscenza e dieci settimane di fidanzamento. Sembravano già una vecchia coppia sposata. Molto vecchia. Non c'erano più sorprese né eccitazione fra loro. Ma la cosa non avrebbe dovuto preoccuparla. Non l'aveva mai preoccupata, fino ad allora. In una vita ordinata e tranquilla, quella che entrambi volevano, non c'era posto né per l'eccitazione né per le sorprese. L'eccitazione portava scompiglio e le sorprese potevano anche essere spiacevoli. Quando Edmond ritornò e le sfiorò accidentalmente la coscia con la propria mentre si rimetteva a sedere, Susanna non provò nulla. Nemmeno Diana Chiloton
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il più piccolo fremito. Fece la riprova prendendogli una mano fra le sue, gesto che senza dubbio l'avrebbe stupito e anche infastidito perché odiava le manifestazioni d'affetto in pubblico. Ma notò solamente che la sua mano era sudata, probabilmente perché, vestito com'era in giacca e cravatta, moriva di caldo in quel locale affollato. E a parte questo, anche stavolta non provò assolutamente nulla. Ricordando le sensazioni che l'avevano invasa quando Jackson l'aveva baciata, Susanna si sentì morire per il senso di colpa. Lasciò subito la mano di Edmond e cominciò a frugare nella borsa fingendo di cercare qualcosa per poter mascherare la confusione e nascondere il rossore che le imporporava le guance tutte le volte che pensava a Jackson Arne. Una confusione e un rossore che aumentarono quando, alzando lo sguardo, lo vide entrare nel locale come se la sua mente lo avesse evocato. Facendosi largo fra gli avventori che affollavano il locale, inconfondibile perché di un'intera testa più alto e di gran lunga più massiccio di tutti i presenti, lui avanzò inesorabilmente verso il loro tavolo. Sorrideva spudoratamente e al solo guardarlo le gambe le divennero di gelatina, tanto che fu felice di essere seduta perché, se non lo fosse stata, sarebbe senz'altro caduta. «Salve, Susanna» la salutò allegramente quando ebbe raggiunto il loro tavolo. Grazie al cielo non l'aveva chiamata dolcezza!, pensò confusamente lei. Se l'avesse fatto, non avrebbe saputo che spiegazioni dare a Edmond. «Volevo sapere se hai ripensato alla mia proposta.» Jackson aveva pronunciato la parola proposta come se si fosse trattato di qualcosa d'immorale e Susanna si sentì addosso lo sguardo perplesso e seccato di Edmond mentre replicava con una noncuranza che era ben lontana dal provare: «Temo proprio di no». «Di quale proposta si tratta, Susanna?» le domandò Edmond, e per tutta risposta lei chinò la testa imbarazzata. «Tu devi essere Edmond» osservò Jackson senza distogliere gli occhi dalla testa china di Susanna. Lei non rialzò lo sguardo, non osando puntarlo sul suo torturatore. Perché questo era Jackson per lei! Di giorno e di notte, nel sonno o da sveglia, lui la tormentava insinuandosi di soppiatto nei suoi pensieri e nei suoi sogni. Diana Chiloton
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«Il tempo sta per scadere, sai» continuò Jackson con una punta di minaccia nella voce di cui soltanto lei si accorse. «Ma sono disposto a concederti qualche altra ora.» Poi, dopo aver pronunciato quelle parole e con immenso sollievo di Susanna, si allontanò e andò a sedersi su uno degli sgabelli davanti al banco, in attesa di essere servito. Al suo passaggio parecchie teste si voltarono confermando quello che lei già sapeva: che era un uomo che non passava inosservato. «Chi diamine era quel tizio?» le domandò Edmond accigliandosi, mentre arrivava un cameriere con le loro ordinazioni. «Uno scultore, mi pare di aver capito» replicò lei in tono evasivo. «E qual è la proposta a cui si riferiva?» insistette Edmond coprendosi di tovaglioli di carta per non macchiarsi la camicia e i pantaloni. «Che cosa intendeva quando ti ha detto che era disposto a concederti ancora qualche ora?» In fretta e furia Susanna si ficcò in bocca un gigantesco pezzo di quiche. Non sapeva come avrebbe fatto a inghiottirlo perché le si era chiuso lo stomaco. Ma Edmond avrebbe senz'altro capito che non poteva parlare con la bocca piena e lei avrebbe avuto il tempo di pensare alla risposta da dargli. «L'ho incontrato in High Street un pomeriggio» affermò infine tenendo gli occhi incollati alla foglia di lattuga che decorava la quiche per resistere alla tentazione di guardare Jackson. «Mi ha chiesto di posare per lui, solo per alcuni bozzetti preliminari per un lavoro che gli è stato commissionato» soggiunse curvando le labbra in un sorriso forzato e sperando di dargli l'impressione che niente di quello che gli stava dicendo avesse il minimo interesse per lei. «Che faccia tosta!» commentò Edmond in tono disgustato. «Spero che tu l'abbia mandato all'inferno come merita. Comunque dammi retta, se mai dovesse tornare alla carica, parlane con il sergente Wainwright. È un tipo in gamba... Wainwright, voglio dire, e agirà con discrezione tenendo nel debito conto la posizione che occupi a Much Barton. La gente perbene dovrebbe poter camminare indisturbata per le vie della propria città senza essere infastidita da simili individui! Ma adesso mangia, cara. Non hai quasi toccato cibo e dobbiamo sbrigarci.» «Non ho fame» ribatté Susanna, chiedendosi con sgomento come poteva Edmond non capire che non era la richiesta di Jackson di posare per lui a Diana Chiloton
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sconvolgerla al punto di perdere l'appetito come un'adolescente alla prima cotta, ma l'uomo in sé. Poi si diede della sciocca. La risposta era talmente ovvia! Edmond non poteva capirlo perché lei non glielo aveva detto né avrebbe mai potuto dirglielo. Anche perché non lo capiva a fondo nemmeno lei. «Senti, Edmond, stavo pensando che sarebbe fantastico se tu riuscissi a prenderti qualche giorno di vacanza, la settimana prossima» gli si rivolse impulsivamente. «Come sai, comincio le ferie lunedì e potremmo andarcene da qualche parte noi due soli. Potresti spostare qualche appuntamento, farti sostituire da Fletcher... Ti prego!» Non sapeva bene perché, ma all'improvviso aveva l'impressione, nonostante fino a pochi giorni prima avesse pensato di conoscerlo tanto a fondo da accettare di passare il resto della sua vita con lui, di non conoscerlo affatto e trascorrere qualche giorno insieme lontano da Much Barton le sembrava d'importanza vitale. Intendiamoci, sapeva molte cose di lui: quali erano i suoi gusti, quanto bene voleva a sua madre, che era rimasta vedova piuttosto giovane e lo aveva cresciuto da sola, che era moderatamente ambizioso e molto ragionevole. Ma ignorava del tutto quali fossero i suoi pensieri. E poi non poteva certo avere la certezza di conoscere lui, se all'improvviso le sembrava di non conoscere nemmeno se stessa. «Francamente, Susanna, sono molto stupito dalla tua richiesta» ribatté Edmond con un sospiro. «Sai che è fuori questione. Non sono ancora dodici mesi che mi sono messo in proprio e Fletcher è con me solo da sei. Se la cava bene, ma non posso ancora affidargli degli incarichi di responsabilità. Rammenterai senz'altro che ne abbiamo già discusso. Inoltre avevi intenzione di sistemare la camera degli ospiti per quando la mamma verrà a trovarci dopo che saremo sposati. E abbiamo la nostra luna di miele che ci aspetta, in gennaio! Ma adesso sbrigati o arriveremo entrambi in ritardo al lavoro.» Soffocando l'improvviso impulso di tirargli addosso quello che rimaneva della sua quiche e di dirgli che non pensava, e non aveva mai pensato con particolare entusiasmo alla loro luna di miele, che avrebbero trascorso a Birmingham a casa della signora Harding, Susanna balzò in piedi e stando bene attenta a non guardare in direzione del banco per vedere se Jackson c'era ancora, precedette Edmond fuori del locale. Il giorno seguente Susanna si alzò di pessimo umore, con la sgradevole Diana Chiloton
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sensazione che più nessuna cosa al mondo l'avrebbe soddisfatta o le sarebbe piaciuta. Mallow Cottage, per esempio. Fino a pochi giorni prima era stata entusiasta della sua nuova casa, ma adesso le sembrava troppo piccola. E pensava con angoscia alle lunghe visite che la madre di Edmond avrebbe fatto loro dopo il matrimonio, quando lui si sarebbe trasferito a vivere lì lasciando il suo monolocale in centro. Non l'attirava affatto nemmeno la prospettiva di avere a cena i suoi genitori ed Edmond, quella sera, tanto che pensò di chiamarli per annullare l'invito. Ma avevano combinato quella cena dieci giorni prima e non ne ebbe il coraggio. Secondo i programmi avrebbero dovuto mangiare in giardino, ma quella mattina il tempo era cambiato e verso mezzogiorno era cominciato a piovere. Perciò avrebbero dovuto ripiegare sul tavolo del soggiorno. Apparecchiò con molto anticipo e con grande cura per non incorrere nei rimproveri di sua madre, che era una vera maniaca del galateo, poi andò in cucina a preparare la cena. Le piaceva molto cucinare e preparare qualcosa di elaborato l'avrebbe aiutata a tenere la mente occupata, cosa della quale sentiva di avere un disperato bisogno, ma avrebbe scontentato i suoi ospiti. Suo padre era perennemente afflitto dall'ulcera, sua madre mangiava pochissimo nel timore di rovinarsi la linea ed Edmond si teneva sempre leggero a cena, perché aveva paura di fare indigestione e di non riuscire a dormire. Sogliole alla mugnaia con margarina anziché burro e una macedonia di frutta per dessert sarebbero stati l'ideale per tutti. Ma quando finì di prepararli mancavano ancora due ore all'arrivo degli ospiti. Ciondolò un po' per casa, poi fece un lungo bagno e si lavò i capelli pensando a Edmond e al loro futuro insieme. Non perché non potesse farne a meno, ma perché il solo modo che aveva a disposizione per impedire a Jackson di occuparle la mente era concentrarla su qualcos'altro. Preferibilmente su qualcosa di sgradevole e... Mio Dio!, pensò inorridita. Dunque era così che considerava Edmond e il loro futuro insieme. Come qualcosa di sgradevole. Ma no, certo che no! Non avevano mai finto di provare l'uno per l'altro un'attrazione fatale, ma si volevano bene e avevano gli stessi scopi nella vita: il successo nel lavoro, un'esistenza tranquilla, due bambini. E soprattutto si rispettavano a vicenda. Diana Chiloton
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Si rispettavano. Forse era proprio quello il problema, la radice del suo nervosismo, decise all'improvviso domandandosi come potesse rispettarla ancora Edmond quando, dopo quello che era accaduto con Jackson, lei aveva perso il rispetto di se stessa. Non era mai stata tanto confusa in vita sua e se non voleva crollare, doveva assolutamente riprendere il controllo della situazione. D'impulso, mentre frugava nell'armadio alla ricerca di qualcosa da mettersi per la cena, decise che quella sera avrebbe dato il meglio di sé. Si sarebbe vestita e truccata con più cura del solito, avrebbe civettato con Edmond, cosa che non faceva mai, non avrebbe parlato di lavoro per non annoiare suo padre e avrebbe cercato di essere all'altezza della brillante conversazione di Miranda per farle piacere, ma anche per farle capire che sua figlia non era noiosa come pensava lei. Purtroppo nessuno dei vestiti che possedeva l'avrebbe mai fatta sembrare attraente, concluse tristemente dopo averli passati in rassegna. Erano tutti di ottima qualità e fattura perché sua madre, che aveva un gusto eccellente, insisteva sempre per accompagnarla quando andava ad acquistarli, il che peraltro accadeva molto di rado. Ma i modelli e i colori, scelti perché snellivano, sembravano fatti apposta perché chi li portava passasse inosservato. Alla fine scelse un vestito di lana leggera, verde scuro. Il modello a sacchetto avrebbe nascosto le sue forme troppo abbondanti, o almeno lo sperava!, e la stoffa calda l'avrebbe protetta dal freddo di quella giornata piovosa. Quanto ai capelli, che ormai erano asciutti, rimase a lungo davanti allo specchio nel tentativo di trovare un'acconciatura più femminile del suo abituale chignon. Il risultato finale fu più buffo che bello, ma non se ne preoccupò. Alla fine cenarono in giardino. Quando erano arrivati i suoi ospiti aveva smesso di piovere e un bel sole caldo aveva fatto capolino nel cielo e sua madre, mentre l'aiutava a sparecchiare la tavola in soggiorno affermò: «Staremo più comodi fuori. Si annuncia una bella serata e questa stanza è davvero troppo piccola per ricevere». «Be', è colpa tua» sbuffò Susanna, stizzita oltre ogni limite per la fatica di dover spostare tutto, asciugare il tavolino e le sedie del giardino e per Diana Chiloton
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non avere il tempo di cambiarsi un vestito che sarebbe stato l'ideale per la giornata fredda e piovosa che era stata, ma che era decisamente troppo pesante per la serata calda che si annunciava. «Non capisco che cosa vuoi dire» ribatté Miranda, stupita per il tono di voce della figlia. «Quando stavo cercando casa, tu ed Edmond avete detto che avevo bisogno di qualcosa di piccolo» le spiegò Susanna con un sospiro. «È facile da tenere in ordine» affermò Miranda. «È vero, lo abbiamo detto. Ma ciò non toglie che Mallow Cottage sia forse un po' troppo piccolo. Comunque va molto meglio della vecchia fattoria stile Tudor su cui avevi messo gli occhi tu. Ma adesso sbrighiamoci, cara, o papà ed Edmond finiranno per spazientirsi. Tu occupati dei bicchieri, e io penso al resto.» E così nulla era andato come aveva previsto, pensò Susanna mentre versava il caffè in giardino a conclusione della cena, con i raggi del sole che le battevano sulla schiena facendola sudare copiosamente. Lungi dal civettare con Edmond, com'era stata sua intenzione, e far colpo su Miranda, aveva detto a malapena due parole nel corso dell'intera cena e la sua irritazione era aumentata a dismisura. Le chiacchiere di Miranda le erano sembrate insulse, le buone maniere di Edmond insopportabili, l'improvvisa attenzione di suo padre per lei nauseante. Il guaio era che nessuno di loro la considerava un individuo dotato di una ben precisa personalità, con i suoi sogni e le sue aspirazioni. Per sua madre era qualcosa da manipolare, per Edmond una futura brava moglie, per suo padre colei che poteva dargli il tanto sospirato nipote maschio. E se alla Susanna di un tempo, che aveva puntato tutto sul lavoro e delegato di buon grado gli altri aspetti della sua vita nelle mani di sua madre e di Edmond, tutto questo bastava, alla nuova Susanna non bastava più. Tanto che il cuore le fece una capriola in petto quando, all'improvviso, vide Jackson Arne scavalcare con un balzo la siepe del suo giardino. Sorridendo, lui cominciò ad avanzare, poi si fermò di botto quando si accorse che non era sola. Per la prima volta da quando l'aveva conosciuto Susanna si accorse che era incerto sul da farsi, e solo quando ricominciò ad avanzare si rese conto di aver trattenuto il fiato. All'improvviso capì con una certezza che la lasciò sbalordita, che se si fosse voltato per tornare da dov'era venuto, non glielo avrebbe permesso, ma gli avrebbe gridato di rimanere. Diana Chiloton
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«Buonasera, signor Arne» lo salutò quando lui ebbe raggiunto il tavolo, trattenendo a stento una risata nel vedere le reazioni dei suoi genitori e di Edmond alla sua improvvisa comparsa. Sul viso di Miranda si dipinse una violenta collera, su quello di Edmond l'indignazione, su quello di suo padre il sospetto. Quanto a lei era assolutamente deliziata. Perché Jackson, con indosso soltanto un paio di calzoncini corti ricavati da un paio di vecchi jeans tagliati all'altezza della coscia, era bello da mozzare il fiato. «Mi stia bene a sentire, giovanotto...» lo apostrofò Edmond in tono stridulo arrossendo come un tacchino. «Spero che tu vorrai unirti a noi per il caffè, Jackson» lo interruppe Susanna in tono soave, sorprendendo se stessa. Un tempo non avrebbe mai avuto il coraggio di fare una cosa del genere, ma quelli erano il suo caffè, la sua cena e la sua casa, maledizione! Era ora che impugnasse saldamente le redini della propria vita privata e per cominciare un momento valeva l'altro. Intanto Jackson continuava a fissarla e non degnava nemmeno di uno sguardo gli altri, anche se doveva aver riconosciuto senz'altro sua madre e il suo fidanzato. Certo che ce ne voleva del fegato per ignorare l'aperta ostilità di una delle coppie più in vista della contea e del loro futuro genero! Ma di fegato uno come Jackson Arne doveva averne da vendere. «Grazie, ma non posso fermarmi» ribatté lui sorridendo. «Sono venuto soltanto per chiederti in prestito un chilo di tè, se ce l'hai.» «Un chilo di tè?» interloquì Miranda allibita. «Questa, poi!» Ma Susanna ignorò lo sprezzante commento di sua madre, si alzò in piedi e dopo aver invitato Jackson a seguirla si avviò verso la porta di servizio. Pochi secondi più tardi, contenta come una pasqua di aver preso l'iniziativa una volta almeno nella sua vita infischiandosene totalmente di quello che i suoi genitori ed Edmond si aspettavano da lei, se la chiudeva alle spalle e faceva un sorrisone a Jackson. «Mi dispiace» mormorò lui in tono mortificato. «Come avrai probabilmente capito, ero venuto a chiederti di nuovo di posare per me. Ma non sapevo che avessi ospiti. Non voglio né sconvolgerti né metterti in imbarazzo, credimi.» Sembrava davvero preoccupato e a Susanna venne voglia all'improvviso di abbracciarlo e di assicurargli che tutto andava per il meglio, che lei non Diana Chiloton
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era né sconvolta né imbarazzata. Stranamente si sentiva più in sintonia con lui che con qualunque altra persona al mondo, pensò mentre replicava allegramente: «Ti prendo subito il tè». «No, lascia stare» la fermò Jackson scuotendo la testa. «Il tè era solo una scusa, l'unica che sono riuscito a escogitare sui due piedi.» «E me ne hai chiesto un chilo, per di più!» «È pazzesco, lo so» convenne lui con un guizzo malizioso negli occhi. «Ma tu mi fai quest'effetto, dolcezza.» Lentamente allungò una mano, le sfiorò la guancia con la punta delle dita, poi le tolse a una a una le forcine con cui lei aveva puntato i capelli prima di cena. «Hai dei capelli meravigliosi» commentò alla fine con voce roca. «Non dovresti tenerli raccolti. E a quanto pare nessuno ti ha mai detto che il tuo splendido corpo esige colori vivaci e stoffe fluttuanti, che lo esaltino e non lo mortifichino. No, non chinare la testa» le ingiunse prendendole il mento fra le mani e costringendola a guardarlo negli occhi. «Sto dicendo la verità, credimi.» E come se volesse enfatizzare le proprie parole, avvicinò la bocca alla sua e la catturò in un bacio dolcissimo. Folle di eccitazione e in preda a sensazioni meravigliose mai sperimentate prima, Susanna gli si abbandonò completamente chiudendo gli occhi e cingendogli il collo con le mani. Ma subito Jackson si sciolse dalla sua stretta e l'allontanò con delicatezza da sé sussurrando con voce roca: «Questo non è né il momento né il luogo adatto, dolcezza. Rammenta i tuoi ospiti. Immagino che non vorresti essere colta in flagrante dal tuo Edmond!». Il tono lievemente beffardo con cui aveva pronunciato le ultime parole riportò subito Susanna alla realtà. «No, hai ragione» convenne scuotendo la testa. «Torniamo in giardino, vieni. Te li presento e poi sarà meglio che tu te ne vada.» Lo precedette fuori della cucina con le gambe ancora vacillanti e i suoi genitori ed Edmond alzarono di scatto la testa fulminando entrambi con lo sguardo. In seguito non seppe mai se fu in quel momento che prese la decisione destinata a cambiarle la vita o se, senza rendersene conto, l'aveva presa già da molto tempo. In ogni caso suonò molto sicura di sé quando dichiarò: «È con vero piacere che vi presento Jackson Arne, scultore e mio vicino di casa. Ho appena acconsentito a posare per lui».
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5 «I casi sono due» affermò Edmond con asprezza raddrizzandosi e togliendosi con un fazzoletto il terriccio dai pantaloni. «O sei impazzita o ti ha costretto con la forza. Senti, se ti ha fatto delle pressioni non hai che da dirlo e ci penseremo tuo padre e io a sistemarlo a dovere.» Susanna lo fissò senza vederlo, poi spostò lo sguardo sui contenitori di bulbi ormai vuoti sparpagliati sul prato ripensando alle parole di Edmond. Pressioni. No, Jackson non gliene aveva fatte. Quando aveva deciso di posare per lui, non le era nemmeno passata per la mente la sua minaccia di non rivelarle mai, altrimenti, quello che era veramente successo la notte in cui si erano incontrati. Non che non le importasse più, ma in quel momento non ci aveva neppure pensato. «Non hai ascoltato una sola parola di quello che ti ho detto!» l'accusò Edmond nel tono brusco che aveva usato con lei da quando era passato a prenderla per portarla alla serra a scegliere i bulbi. «I tuoi genitori, soprattutto tua madre, erano sconvolti.» «Non capisco perché» mormorò Susanna, ma mentiva. Miranda sapeva che per qualche ragione, una ragione che non aveva voluto conoscere, il suo vestito aveva passato la notte a casa di Jackson. E la logica conclusione era che ce l'avesse passata anche lei. «Non c'è niente di reprensibile nel posare per un artista. Anzi, è decisamente lusinghiero. Inoltre sono contenta di poter aiutare uno scultore sconosciuto a emergere. Non si sa mai, potrebbe diventare famoso, un giorno, e il fatto che io abbia posato per uno dei suoi primi pezzi ci darebbe qualcosa di cui vantarci da vecchi. Comunque mi ha detto che si tratta di una grossa commissione, probabilmente la prima che riceve, e immagino che si tratti di qualcosa d'importante. Non deve essere facile guadagnarsi da vivere scolpendo il marmo, a meno che uno non abbia ormai raggiunto una certa notorietà.» «Sei troppo tenera» sbottò Edmond continuando a pulirsi i pantaloni con gesti stizziti. «Non l'avrei mai pensato di te. Proprio tu, fra tutti, esporti al ridicolo mescolandoti a quel fannullone, quel buono a nulla, quel... quel...» «Perdigiorno?» gli suggerì Susanna quando gli mancarono le parole. «Proprio così! Almeno ne sei consapevole. Ma dimmi, quando avrà luogo la prima seduta?» le domandò in tono sprezzante. «Domani pomeriggio.» Diana Chiloton
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«Dovevi cominciare a sistemare la camera degli ospiti per la mamma, domani» le fece notare lui, paonazzo dalla collera. «Dovevo. Ma adesso non più. Jackson è passato stamattina di qui, mi ha proposto domani pomeriggio e io ho acconsentito.» «E tu hai mandato a monte i tuoi progetti senza un attimo di esitazione!» sbottò Edmond cominciando a camminare avanti e indietro per il giardino. Poi si voltò, ritornò vicino a Susanna e soggiunse in tono sospettoso: «A quanto pare, quello scultore da strapazzo ha preso l'abitudine di venirti a trovare. Quando gli gira scavalca la tua siepe come se ne avesse tutti i diritti del mondo e... hop! eccolo qui. Quante volte c'è già stato?». «Non dirmi che sei geloso» osservò Susanna stupita. «Certo che no!» ribatté Edmond in tono sprezzante. «Non essere sciocca. E' un problema che non avrò mai, con te. Ma non vorrei che gli permettessi di girare indisturbato per casa. Possiedi un piccolo patrimonio fra argenteria e soprammobili e i tipi come lui hanno le mani svelte.» Dunque non aveva paura che Jackson le rubasse la virtù, o il cuore, o entrambi, perché pensava che nessun uomo potesse essere attratto da lei. Ma poteva essere attratto dalle sue posate d'argento o dai suoi pezzi di porcellana antica. Un commento senza dubbio rivelatore di quali fossero i sentimenti che Edmond provava per lei, pensò Susanna disgustata. «È stato qui un paio di volte e non è un ladro» replicò furibonda, chinandosi a raccogliere i contenitori sparpagliati sul prato perché Edmond avrebbe potuto leggerle in faccia che stava ricordando che tutte le volte che Jackson era venuto a Mallow Cottage aveva finito per baciarla. Tutte, tranne quella mattina. Era di fretta perché stava andando a trovare suo padre, e non appena si erano messi d'accordo per l'indomani se n'era andato. Ma nei pochi minuti in cui si era trattenuto l'attrazione fra loro era stata palpabile come sempre. «Be', ti ho detto tutto quello che dovevo dirti. Molto francamente, Susanna, mi hai deluso. Ma se tu sei tanto cieca e sciocca da farti coinvolgere da quel fannullone, me ne lavo le mani. Non ho nessuna voglia di mettermi a litigare per un motivo così futile, perciò dirò a tua madre che ho fatto del mio meglio per cercare di farti ragionare e non ci sono riuscito.» Dunque c'era Miranda dietro lo sfogo di Edmond, decise Susanna mentre lui si allontanava risentito. Avrebbe dovuto capirlo subito. Sua madre non era una sciocca e non poteva non essersi accorta della Diana Chiloton
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prorompente sensualità di Jackson. Inoltre era presente quando lui le aveva riportato il vestito e doveva essere diventata matta domandandosi se Edmond Harding, così un buon partito!, avrebbe finito per scoprire la leggerezza che sua figlia aveva commesso. Edmond non avrebbe mai approvato che lei posasse per Jackson, non le avrebbe mai dato la sua benedizione, ma non avrebbe mai nemmeno fatto una simile scenata se non fosse stato montato da Miranda. E Susanna non era né cieca né stupida come Edmond aveva sostenuto. Sapeva perfettamente che cosa l'aspettava. Jackson era evidentemente un artista squattrinato ed era comprensibile che avesse colto al volo l'opportunità di ottenere i servigi gratuiti di una modella adatta per quella sua prima, importante commissione. E benché la trovasse davvero desiderabile, quella che provava per lei era soltanto un'attrazione di breve durata, non impegnativa. Non appena non avesse più avuto bisogno di lei, se ne sarebbe andato dimenticandola. Sì, lo sapeva fin troppo bene, pensò mentre gettava nel bidone dei rifiuti i contenitori dei bulbi e rientrava in casa per prepararsi una tazza di tè. E una parte di lei continuava a ripeterle che era una pazza a mettere a repentaglio il suo futuro con Edmond per i baci di uno spensierato dongiovanni che aveva probabilmente fatto all'amore con più donne di quante ne potesse ricordare. Lei ed Edmond stavano bene insieme. Era solo dal suo incontro con Jackson Arne che lei era diventata irrequieta e aveva cominciato a irritarlo e ferirlo. Ma il fatto era che nessun uomo prima l'aveva mai guardata con desiderio, lusingandola e inducendola a domandarsi se non si fosse per caso sbagliata nel giudicarsi scialba e insignificante. E la cosa le aveva dato alla testa. Comunque una soluzione per salvare capra e cavoli c'era, decise facendo appello al buonsenso di cui andava tanto orgogliosa. Avrebbe posato per Jackson come gli aveva promesso, ma non appena fosse arrivata da lui, l'indomani pomeriggio, gli avrebbe detto che non doveva mai più toccarla neppure con un dito né tanto meno baciarla, altrimenti se ne sarebbe andata. Nonostante la lezioncina che si era auto inflitta, la mattina seguente Susanna si svegliò piena di eccitazione per quello che il pomeriggio le avrebbe riservato. Anzi, era talmente elettrizzata che decise di andare a Diana Chiloton
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fare la spesa a piedi anziché in macchina per calmarsi un po', tanto più che era una splendida giornata. Magari, pensò mentre si preparava, dopo la spesa avrebbe potuto anche fare un salto da Edmond e invitarlo a cena per quella sera in segno di pace. L'idea non la entusiasmava, ma sentiva che era suo dovere fare qualcosa. Dopo essersi infilata uno chemisier blu scuro, alzò automaticamente le braccia per raccogliersi i capelli, ma poi le riabbassò lentamente. Li avrebbe lasciati com'erano, sciolti sulle spalle. Era d'accordo con Jackson: stava meglio così. La facevano sembrare più giovane, meno severa, più femminile. Quella decisione migliorò ulteriormente il suo umore e lei si avviò verso il centro con il morale alle stelle. Uscita dal supermarket stava ripercorrendo High Street, quando i vestiti esposti nella vetrina dell'unica boutique della cittadina attirarono la sua attenzione. Miranda non era cliente di quel negozio perché giudicava gli articoli che vendeva troppo appariscenti, ma Susanna non era più disposta a lasciarsi influenzare dalle opinioni di sua madre. Perciò vi entrò e, con un certo imbarazzo prima, con crescente eccitazione poi, frugò sulle mensole e sugli attaccapanni provando tutto quello che trovò della sua taglia e uscendone due ore più tardi con una mezza dozzina di pacchetti, parecchi soldi in meno sul conto corrente e il cuore in tumulto dalla gioia. Aveva ficcato il suo chemisier blu nella borsa della spesa, sotto un cavolfiore, dopo aver deciso di tenere addosso uno dei suoi nuovi acquisti, un completo composto da una gonna di chiffon con dei fiori gialli su uno sfondo verde acqua e da un top attillato, di un verde appena più scuro di quello della gonna, che le lasciava le spalle nude e aveva sul davanti un profondo scollo a V che si fermava proprio all'attaccatura dei seni pieni. Sentendosi più allegra e più femminile di quanto non si fosse mai sentita in vita sua, salì di corsa le scale che conducevano all'ufficio di Edmond, con le guance arrossate e gli occhi scintillanti per una nuova consapevolezza... quella del suo potenziale di donna attraente, perfino desiderabile. Le occhiate che le lanciarono Fletcher e la segretaria furono incoraggianti, ma il commento di Edmond no. «Mio Dio!» esclamò inorridito. «Come ti sei combinata? Sembri una zingara.» Diana Chiloton
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«Non dirmi che il mio nuovo look non ti piace!» esclamò lei facendo una giravolta davanti alla sua scrivania. «Non so che cosa ti abbia preso, ultimamente» borbottò Edmond arrossendo per l'imbarazzo. «Scusami, ma non posso dedicarti molto tempo. Aspetto un cliente fra cinque minuti. Perciò, se sei venuta a dirmi qualcosa d'importante, fallo subito.» Fu in quel preciso momento che Susanna capì che non poteva sposarlo. Forse in cuor suo lo aveva sempre saputo, ma si era lasciata influenzare dagli altri. Tutti quelli che conosceva, e i suoi genitori in particolare, avevano gridato al miracolo quando Edmond aveva chiesto la sua mano. Ma ora le erano cadute le bende dagli occhi e capiva che, se fosse diventata la signora Harding, si sarebbe votata all'infelicità. Grazie a Jackson aveva scoperto una nuova Susanna che non si sarebbe mai potuta accontentare dell'esistenza prevedibile e noiosa che avrebbe vissuto con Edmond. Non s'illudeva che per la nuova Susanna la vita sarebbe stata facile, anzi. E non sapeva nemmeno con esattezza quello che voleva. Ma quello che non voleva lo conosceva con assoluta certezza. «Effettivamente una cosa molto importante da dirti ce l'ho, Edmond» ammise con un sospiro. «Non posso più sposarti. Mi dispiace, ma è stato tutto un terribile sbaglio.» Quel pomeriggio, mentre attraversava la radura diretta al cottage di Jackson, Susanna si domandò se lui avrebbe notato che non portava più l'anello di Edmond. La scena che era seguita al suo clamoroso annuncio non era stata piacevole e sapeva che ci sarebbero stati degli strascichi. Ma la scacciò dalla mente. Il pomeriggio era troppo bello per rovinarlo pensando a quello che avrebbe detto sua madre quando avesse saputo che aveva rotto il fidanzamento. Sentiva confusamente che avrebbe dovuto provare senso di colpa, rimpianto o almeno tristezza per quello che aveva fatto, ma aveva solo l'impressione che le fosse stato tolto un immenso peso dalle spalle. L'attendeva un futuro molto diverso da quello che aveva sempre immaginato. Non sapeva in che direzione andasse né come avrebbe fatto ad affrontarlo da sola, ma aveva tutte le intenzioni di goderselo. Era quasi arrivata al cottage, quando Jackson comparve sulla soglia Diana Chiloton
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facendosi schermo con una mano per proteggere gli occhi dal sole accecante. Ancora una volta non indossava nulla se non i calzoncini ricavati dal vecchio paio di jeans e il cuore le si fermò per un attimo in petto, poi ricominciò a battere come un forsennato perché in vita sua non aveva mai visto nulla di tanto perfetto. Quanto a lui, accettò la sua nuova immagine senza battere ciglio, il che non era poi così sorprendente, visto che era stato lui a suggerirla. Susanna gliene sarebbe stata grata per sempre, ma sapeva anche che adesso doveva procedere con i piedi di piombo, se non voleva soffrire. Incontrandosi, si sfiorarono appena le mani in segno di saluto, poi Jackson dichiarò: «Se non ti dispiace, vorrei mettermi subito al lavoro. Sono giorni che muoio dalla voglia di disegnare la tua immagine». Lusingata, Susanna stava per dirgli che per lei andava bene, quando rammentò un particolare molto importante e mentre varcavano la soglia del cottage mormorò: «Veramente, prima ci sarebbe una cosa...». «Dimmi di che cosa si tratta, dolcezza» la esortò lui inarcando un sopracciglio. «Del nostro patto» gli rispose quietamente Susanna. «Ah, sì!» convenne Jackson in tono divertito. «Tuttavia, visto che sei una direttrice di banca, immagino che tu sappia tutto su come funzionano i contratti in cui uno dei contraenti ha il coltello dalla parte del manico. Ti dirò quello che vuoi sapere dopo che avrò fatto tutti gli schizzi che mi servono.» «Ma mi avevi promesso che me lo avresti detto, se avessi acconsentito alla tua richiesta! Mi hai chiesto di posare per te e io ho accettato, perciò...» «Allora non ho formulato il mio ultimatum con la precisione con cui avrei dovuto» ribatté Jackson scuotendo la testa. «Ma resta il fatto che, se ti dicessi adesso quello che vuoi sapere, nulla t'impedirebbe di uscire da quella porta. E allora non avrei più potere contrattuale» concluse posandole le mani sulle spalle e guardandola dritto negli occhi. Se solo tu sapessi!, gemette Susanna interiormente quando, a quel semplice contatto, un brivido di eccitazione le corse lungo la schiena mozzandole il fiato. Altro che potere contrattuale! A Jackson sarebbero bastati un bacio o una carezza per convincerla a fare tutto quello che voleva. Ma non avrebbe mai dovuto scoprirlo! Diana Chiloton
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Comunque gli aveva dato la sua parola che avrebbe posato per lui e non era certo tipo da rimangiarsela. «Tu non ti fidi di me» lo accusò in tono piatto seguendolo in una stanza più piccola del soggiorno che conteneva soltanto un paravento, un tavolo su cui si trovavano disposti in bell'ordine blocchi da disegno, matite e carboncino, una sedia e una pedana. «Tu invece vorresti che io mi fidassi.» «Ma certo!» sbottò lei, ferita. «Allora te lo dirò.» «Non ce n'è bisogno» replicò Susanna in tono sostenuto distogliendo lo sguardo dal suo. «Comprendo il tuo punto di vista.» «Ce n'è bisogno eccome, invece. Perché solo così ti dimostrerò che mi fido di te. Non è accaduto nulla, dolcezza, te lo giuro. Ti ho spogliato perché pensavo che avresti dormito meglio senza niente addosso. Poi ti ho infilato a letto e ti ho rimboccato le coperte. Ho preso la mia vestaglia e me ne sono andato. Niente altro.» Susanna si voltò di scatto perché all'improvviso le si erano riempiti gli occhi di lacrime e non voleva che lui se ne accorgesse. Aveva sempre saputo, una volta svanito il primo momento di panico, che Jackson non avrebbe mai fatto nulla di così meschino come fare all'amore con una donna priva di sensi. Non era quel tipo d'uomo. Ma il punto era che Susanna avrebbe voluto che avesse fatto all'amore con lei. E quello che la terrorizzava più di ogni altra cosa era che lo voleva ancora. «Spero che tu sia soddisfatta, adesso» continuò Jackson allegramente. Poi le sollevò con delicatezza il manto di capelli che le copriva il viso e le bisbigliò all'orecchio con una punta d'ironia nella voce: «Puoi sposare il tuo Edmond con la coscienza a posto, se proprio vuoi». «C'è... c'è anche un'altra cosa che dobbiamo chiarire prima di cominciare» balbettò Susanna allontanandosi perché sentire il suo alito caldo sulla pelle la stava facendo impazzire. «Devi... devi smettere di baciarmi.» «Non capisco perché, visto che piace tanto a tutti e due» protestò Jackson in tono divertito. «A meno che... Ma certo! È davvero imperdonabile da parte mia non essermi reso conto subito della situazione. Al nobile Edmond non può certo garbare che la sua futura moglie baci un altro uomo. E traendone piacere, per di più! Ecco perché non mi sono mai Diana Chiloton
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garbati i legami troppo impegnativi... Tolgono tutto il bello della vita. Ma forse tu non sei d'accordo, dolcezza. Forse Edmond non è poi così noioso come sembra. Forse i suoi baci ti piacciono tanto quanto ti piacciono i miei. Forse anche le sue carezze ti accendono un fuoco dentro, ti fanno correre più forte il sangue nelle vene...» «Smettila!» sbottò Susanna fremente di collera. «Pensa pure quello che ti pare. L'importante è che mi lasci in pace.» Sentiva di odiarlo, in quel momento, e non aveva nessuna intenzione di rivelargli che aveva rotto il suo fidanzamento con Edmond. «Giù le mani, insomma» replicò Jackson. «D'accordo. Allora non rimane altro che metterci al lavoro.» Era in collera anche lui e Susanna se ne domandò il motivo, sconcertata. Proprio non capiva perché la semplice richiesta di tenere giù le mani dalla donna di un altro uomo dovesse farlo arrabbiare tanto. Comunque una cosa era certa: Jackson doveva continuare a credere che lei fosse ancora fidanzata con Edmond, che la sua richiesta di tenere giù le mani fosse dettata dal senso di colpa invece che dalla paura di abituarsi ai suoi baci e alle sue carezze fino a non poterne più fare a meno. E a soffrire da morire quando lui, inevitabilmente, se ne sarebbe andato.
6 «La dea romana della bellezza e dell'amore... una Venere in slip e reggiseno!» ruggì Jackson. «Sei impazzita?» «Ti prego...» lo supplicò Susanna con un filo di voce. Gli aveva promesso di posare per lui, era vero. Ma non aveva capito che avrebbe dovuto posare nuda. Quando Jackson le aveva detto di andarsi a spogliare dietro al paravento, si era sentita morire dall'imbarazzo. Ecco perché gli aveva fatto la proposta di tenere almeno la biancheria. Una proposta sciocca e puerile che l'aveva fatto infuriare. Fuori di sé, Jackson la fulminò un'ultima volta con lo sguardo, poi marciò verso una porta, la spalancò e uscì sbattendosela alle spalle. Rimasta sola, Susanna fissò tristemente la porta chiusa in una muta richiesta di aiuto. Inutilmente. Solo il suo buonsenso e la sua razionalità potevano dirle che cosa avrebbe dovuto fare in quella situazione. La parte logica della sua mente, quella che vedeva i problemi come equazioni matematiche risolvibili con l'intelligenza, le suggeriva di andarsene. Diana Chiloton
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Subito. Troncare quella relazione, quel coinvolgimento. Stava diventando troppo pericoloso. Poteva sempre offrirsi di pagargli una modella professionista. Contrariamente a Jackson, lei poteva permetterselo e sarebbe stato un modo per onorare la sua parte del patto. Ma il suo cuore le chiedeva di rimanere, di stare con lui, di aiutarlo, di fare quello che poteva. Dibattuta fra le due alternative, era ancora lì sulla sedia, immobile, quando Jackson ritornò nella stanza. Aveva in mano una grande busta marrone e non sembrava più in collera. «Non c'è nulla di cui aver paura, Susanna» le assicurò accovacciandosi accanto alla sedia. «Scusami. Non sarei dovuto saltarti addosso in quel modo. Non sei una modella professionista, lo so, ma io stavo pensando solo che volevo te e il tuo perfetto corpo femminile per la mia Venere. E' stato egoista e scortese da parte mia. Dimmi che mi perdoni.» Susanna annuì in silenzio, ammutolita dalla sua capacità di comprensione e dalla sua dolcezza. «Lascia che ti mostri qualcosa» continuò lui aprendo la busta e tirandone fuori alcune fotografie. Erano tutte istantanee di un meraviglioso giardino ritratto da diverse angolature, e indicando un punto al centro di una di esse Jackson spiegò: «Qui, proprio in mezzo a queste aiuole multicolori disposte ad anfiteatro, un giovane marito francese vuole erigere una statua... una celebrazione dell'amore e della perfezione femminile... in onore della sua adorata mogliettina. Il visconte Hugo de Massin, nientemeno, mi ha commissionato il lavoro. E' un uomo fortunato, il visconte. Non solo ha un titolo nobiliare, ma è anche immensamente ricco». C'era dell'amarezza nella sua voce, come se fosse invidioso della ricchezza e del potere dell'uomo che gli aveva commissionato la statua e gli occhi di Susanna si velarono di lacrime, mentre la compassione per la sua evidente povertà, per la sua esistenza priva di radici le stringeva il cuore. Dubitava fortemente che il visconte Hugo de Massin, nonostante tutta la sua nobiltà e la sua ricchezza, potesse anche solo eguagliare la perfezione fisica e il fascino di Jackson Arne e stava quasi per dirglielo nel tentativo di consolarlo, quando lui si alzò in piedi, rimise le fotografie nella busta e continuò senza più alcuna traccia di amarezza: «Il soggetto e il luogo richiedono qualcosa di speciale, un misto di realismo e di classicismo. Non Diana Chiloton
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è un'impresa facile e non avevo in mente un'idea degna di questo nome finché non ho incontrato te. Vieni con me». Susanna prese la mano che lui le porgeva e lo seguì ciecamente perché quell'uomo aveva il potere di farle fare tutto quello che voleva. «In te ho visto l'ideale di bellezza femminile e di amore che la mia statua dovrà rappresentare. Sei la donna per eccellenza. Magnifica. L'essenza della bellezza femminile creata per l'adorazione di un uomo... divina e pagana al tempo stesso.» Mentre parlava Jackson l'aveva condotta fuori della stanza e della casa, fino a un capannone con il tetto di vetro e un lato aperto. Punteruoli e scalpelli di varie fogge e dimensioni erano ammucchiati su un tavolo di legno in un angolo, ma l'attenzione di Susanna fu subito attratta dall'enorme blocco di marmo poggiato su un piedistallo proprio al centro del locale. «E' qui che rimarrà la tua essenza, Susanna, finché durerà il marmo» mormorò lui illuminandosi in volto nello sfiorare con le dita la superficie della pietra. «Toccala. Senti quant'è liscia, fredda e forte! Cerca, con le tue mani, i segreti che contiene.» Lei obbedì e sorrise quando Jackson le spiegò con il tono orgoglioso che un padre avrebbe usato per descrivere il proprio figlio: «E' marmo italiano, fatto arrivare apposta da Seravezza, in Toscana. Ha viaggiato per miglia e miglia su un autocarro e ha attraversato la Manica in traghetto per venire fin qui». «Immagino che le spese di trasporto siano a carico del visconte» osservò Susanna pensando a quanto dovevano essere state ingenti. «Certo» replicò lui con noncuranza cingendole le spalle con un braccio e conducendola di nuovo in casa. «Gliele metterò in conto. Vieni, ti offro una tazza di tè.» Per essere uno scultore squattrinato, non dava molto peso al denaro, notò Susanna stupita mentre si avviavano verso la cucina. «Quel capannone...» commentò mentre lui metteva il bollitore sul fuoco. «Immagino che sia il tuo studio.» «Esatto» convenne lui senza voltarsi. «È ampio e molto luminoso, ma d'inverno sarà freddo e umido, temo.» «Può darsi, ma non importa, visto che quando verrà l'inverno io me ne sarò andato da un pezzo.» Quella risposta ebbe l'effetto di deprimerla e il suo umore non migliorò Diana Chiloton
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affatto quando lui affermò seccamente, come se si sentisse in dovere di farlo, ma ritenesse che la sua vita privata fosse sua e sua soltanto: «Questo posto non è mio, come ti ho già detto. Appartiene a un mio amico che non ci viene mai e quando ha saputo che stavo cercando un posto per lavorare alla Venere, me l'ha offerto purché pensassi io alle modifiche necessarie per trasformarlo in uno studio temporaneo. Cosa che ho fatto, come hai visto. Lo userò finché mi servirà, poi me ne andrò altrove. Adesso sarai soddisfatta, spero». Sarebbe dovuta esserlo, pensò Susanna tristemente domandandosi con sgomento perché invece non lo era affatto. «Va bene, Jackson» capitolò poi con un sospiro prendendo la tazza che lui le porgeva. «Poserò per te alle... alle tue condizioni. Non mi dispiace, davvero.» «Pensaci bene» ribatté lui guardandola negli occhi. «Voglio che tu ne sia sicura.» «Lo sono» gli assicurò Susanna con un filo di voce. «Bene» concluse lui sorridendo. «Non appena avrai finito il tuo tè, ci metteremo al lavoro. E non sentirti in imbarazzo. Quando lavoro sono completamente professionale. Non ti vedrò come una donna in carne e ossa, molto, molto desiderabile. Vedrò soltanto un sogno nel marmo.» Jackson lavorò per ore senza sosta fermandosi soltanto qualche istante al tramonto per accendere le lampade a petrolio. Dopo i primi cinque minuti l'acuto imbarazzo di Susanna era diminuito. Uscire cautamente da dietro il paravento con indosso soltanto la vestaglia che lui le aveva dato, togliersela con dita tremanti e assumere la posa che lui voleva... la stessa che aveva inconsapevolmente provato la notte in cui lo aveva conosciuto... aveva messo a dura prova il suo coraggio. Ma lo aveva fatto. Per lui. E nemmeno il pensiero di quello che la gente avrebbe detto se fosse venuta a sapere che proprio lei, la direttrice della banca locale, uno dei pilastri della società quanto a rispettabilità, stava posando nuda per uno scultore squattrinato, era riuscito a intaccare la sua determinazione. Naturalmente la professionalità con cui Jackson lavorava le era stata e le era di molto aiuto. Non solo a superare la vergogna, ma anche a sopportare il dolore che lo sforzo di continuare a rimanere in posa le procurava. Per fortuna, visto che per nulla al mondo avrebbe voluto rompere la sua profonda concentrazione lamentandosi. Diana Chiloton
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«Ce l'abbiamo fatta, dolcezza!» esclamò con entusiasmo Jackson nel cuore della notte. «E' stata sufficiente una sola seduta. Sapevo che mi avresti ispirato!» «Dunque non avrai più bisogno di me» mormorò Susanna, mentre uno strano senso di delusione s'insinuava in lei. Probabilmente si trattava soltanto di stanchezza, decise mentre fletteva le braccia indolenzite dalla lunga posa. «No, tu hai fatto la tua parte... e alla perfezione, anche! Alcuni scultori, e io sono uno di loro, preferiscono scolpire con il solo ausilio degli schizzi, senza modelle. È una tecnica particolare che richiede molta fatica, ma per me è l'ideale.» Non sembrava per nulla stanco, pensò Susanna cupamente mentre scendeva dalla pedana, ma solo ansioso di passare allo stadio successivo della realizzazione che non includeva lei. Si sentiva svuotata e depressa e nel tentativo di scacciare quello stato d'animo, subito dopo essersi infilata la vestaglia che Jackson le aveva porto con un sorriso, gli chiese se poteva vedere i suoi schizzi. «Certo» rispose lui scegliendone alcuni e porgendoglieli. «Sono belli» mormorò Susanna in tono ammirato dopo averli guardati per un po' in silenzio, non riuscendo a credere di aver davanti la propria immagine. «Hai davvero un talento eccezionale.» Fece una breve pausa, poi gli suggerì a bruciapelo: «Potresti venderli. Sarebbe un modo per guadagnare qualcosa mentre lavori alle tue sculture. Portali al negozio di articoli da regalo in High Street. Vende con successo opere di artisti locali, ma i tuoi schizzi sono di gran lunga migliori di...». S'interruppe di botto perché Jackson la stava guardando in cagnesco. «Non penso che lo farò, ma grazie dell'interessamento» replicò con asprezza togliendole di mano gli schizzi e posandoli sul tavolo. «Ma forse, quando avrò finito la Venere, te ne regalerò un paio. Per ricordo.» Per ricordo. Quelle parole contenevano una nota funerea e Susanna rabbrividì sentendosi già confinata in un passato morto e sepolto. «Grazie» mormorò appiccicandosi un sorriso forzato sulle labbra. «Sarebbe carino.» Qualcosa nel suo tono di voce dovette sconcertarlo, perché le rivolse un'occhiata interrogativa, e Susanna distolse in fretta lo sguardo nel timore che lui vi leggesse quello che stava provando. «Sei stanca, dolcezza» concluse Jackson gentilmente. «E non c'è da Diana Chiloton
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meravigliarsi, visto che sono...» Guardò l'orologio che portava al polso e continuò allibito: «Sono le quattro del mattino! Hai tutti i diritti del mondo di essere esausta, poverina». «Hai lavorato tutta la notte.» «Abbiamo lavorato tutta la notte» la corresse lui in tono preoccupato. «Forza, vestiti. Ti accompagno a casa. Non riuscirai mai a svegliarti in tempo per andare al lavoro. Mi dispiace.» «Non devo» lo rassicurò lei. «Sono in ferie per due settimane.» «Bene» commentò Jackson con un sospiro di sollievo. «Allora, se nemmeno tu domattina devi alzarti presto, cambieremo programma. Subito dopo che ti sarai vestita mangeremo un boccone insieme e berremo qualcosa. Poi ti accompagnerò a casa.» Si avviò verso la porta soggiungendo allegramente: «Raggiungimi in cucina quando sei pronta». Mentre si rivestiva, Susanna pensò che sarebbe stato molto più saggio da parte sua declinare l'invito di Jackson, tornare subito a casa, bere una tazza di cioccolata e andare a letto. Ma quella era una delle ultime volte in cui lo vedeva, se non l'ultima, e non aveva nessuna voglia di essere saggia. Non lo trovò in cucina, ma in soggiorno, dove aveva acceso un bel fuoco scoppiettante e apparecchiato la tavola con pagnotte di pane integrale, formaggio, pàté, verdure crude in pinzimonio, una ciotola di pesche sciroppate e una bottiglia di vino. Morivano entrambi di fame e divorarono tutto parlando del più e del meno e rilassandosi. Susanna non si era mai sentita tanto a suo agio con un uomo in vita sua e il pensiero che presto non avrebbe più visto Jackson la riempiva di sgomento. Ma lo scacciò con fermezza, decisa a non sciupare quei momenti meravigliosi. Tuttavia fu lui a rovinare tutto osservando all'improvviso: «Sposando Edmond, getterai via la tua vita. Non so come fai a non capirlo, dolcezza». Susanna s'irrigidì e alzando la testa di scatto gli rivolse un'occhiataccia, ma lui la ignorò e continuò imperterrito: «Se lo avessi amato, la sera in cui ci siamo incontrati non avresti accettato di seguirmi fin qui. Non ti sarebbero piaciuti così tanto i miei baci e le mie carezze. Ammettilo e ti risparmierai un mucchio di sofferenza e d'infelicità». «Io non ammetto un bel niente!» borbottò lei chinando lo sguardo perché non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi. «Non ti ha ancora portato a letto...» affermò Jackson con una sicurezza che le mozzò il fiato. «Il che significa che ha del ghiaccio nelle vene, mentre tu non ce l'hai.» Diana Chiloton
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«Hai una mente davvero perversa!» sbottò Susanna balzando in piedi. «Quello che succede fra Edmond e me non ha nulla a che vedere con te. Mi hai baciato, va bene. E allora? Sei un uomo attraente e io, come hai appena detto, non ho del ghiaccio nelle vene. Ed è per questo che ti ho ordinato di tenere le mani a posto, in futuro. Sono fidanzata con Edmond e non ho nessuna intenzione di tradirlo. E sappi, anche se la cosa non ti riguarda, che nemmeno lui ha del ghiaccio nelle vene!» Quelle che gli aveva detto non erano altro che bugie, ne era perfettamente conscia, ma sperava che lui non lo capisse. Perché erano l'unica difesa che aveva. Si girò di scatto avviandosi verso la porta, ma anche Jackson balzò in piedi, la raggiunse, l'afferrò per un braccio e l'attirò verso di sé con uno strattone. «Mi stai facendo male!» protestò Susanna, ma invece di lasciarla andare lui aumentò la stretta. «Non quanto tu ne farai a te stessa se sposerai quell'individuo. Ti rinchiuderai in una prigione con lui. E avrete entrambi tanta paura di fare qualcosa che non sia saggio e perbene che perderai qualunque spirito d'iniziativa tu abbia mai avuto. Invecchierai prima del tempo e non saprai mai che cos'è l'amore.» «Ma senti da che pulpito viene la predica!» sibilò lei a denti stretti. «Come osi parlare d'amore proprio tu, che fuggi come la peste dai legami sentimentali troppo impegnativi nel timore che t'impediscano di godere la vita. Ti odio, Jackson Arne. Ti odio davvero!» Divincolandosi come una forsennata, si liberò dalla sua stretta e corse fuori dal cottage col cuore colmo di angoscia e di paura. Ma non aveva percorso che pochi metri quando Jackson, che si era immediatamente gettato al suo inseguimento, la raggiunse. «Accidenti a te, Susanna!» urlò con voce rauca allungando le braccia e afferrandola per un polso. «Accidenti a te!» Colta alla sprovvista, lei perse l'equilibrio e insieme rotolarono sull'erba bagnata di rugiada. Avrebbe voluto rialzarsi e continuare a fuggire, ma Jackson glielo impedì inchiodandola al suolo con il peso del proprio corpo. Sentendosi perduta, cominciò allora a scuotere freneticamente la testa e a lamentarsi come un animale braccato. «Sta' ferma!» le intimò Jackson con una violenza di cui lei non lo avrebbe mai creduto capace, imprigionandole la testa fra le mani e Diana Chiloton
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chiudendole la bocca con un bacio rabbioso. Ma poi, all'improvviso, il tenore del suo bacio cambiò. Le sue labbra non le sembrarono più animate dalla volontà di punirla, ma da una smania molto, molto diversa. E un desiderio struggente e dolcissimo prese a poco a poco in lei il posto della paura. Smise di lottare per ricambiarlo con tutta la passione di cui era capace. Quando lui, sussurrando il suo nome, insinuò una mano sotto il top cercando e trovando i suoi capezzoli turgidi, intrecciò le dita nei suoi capelli. Mentre premeva istintivamente il corpo contro quello di lui, le sfuggì dalle labbra un gemito di piacere. Nulla le importava in quel momento tranne Jackson, la smania che li consumava entrambi, la naturalezza di quell'amplesso selvaggio e tenero che la completava. L'erba e i fiori di campo su cui erano adagiati erano il più soffice dei letti, la nebbia che li avvolgeva la più calda delle trapunte. E lei era la più felice e la più fortunata delle donne... «Mio Dio, Susanna...» lo udì mormorare con voce tremante, poi lo sentì irrigidirsi, immobilizzarsi e infine allontanarsi da lei. Confusa, sollevò la testa e lo vide in ginocchio a pochi metri di distanza, con il viso fra le mani. Sembrava quasi che stesse piangendo e sconvolta lo chiamò: «Jackson... Jackson, ti prego, non fare così. Dimmi che...». «Maledizione, Susanna!» la interruppe lui, disperato. «Ti voglio da morire. Ma non faccio all'amore con le donne degli altri.» Poi balzò in piedi e mentre si allontanava in direzione del cottage le gridò: «Devi sbarazzarti di Edmond una volta per tutte, se vuoi diventare mia!».
7 Lo amo, pensò Susanna angosciata scendendo sconsolata le scale che conducevano al pianterreno di Mallow Cottage, dopo solo tre ore di sonno irrequieto. Mio Dio, quanto lo amo! Innamorarsi di Jackson Arne era stato uno sbaglio di proporzioni enormi e lei avrebbe dovuto avere il buonsenso di non commetterlo, decise mentre infilava nella presa la spina del bollitore elettrico per prepararsi un caffè. Nemmeno il nuovo completo giallo limone che indossava era servito a rialzarle il morale. Almeno la vecchia Susanna era stata abbastanza contenta, ignara com'era che al mondo ci fosse un'emozione meravigliosa che fa accelerare i battiti del cuore, fa scorrere più velocemente il sangue Diana Chiloton
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nelle vene e trasporta l'anima molto al di sopra della quotidianità, in un luogo incantato in cui i sogni diventano realtà e la magia trasforma i comuni mortali in divinità. Forse sarebbe stato meglio se lei non l'avesse mai scoperta, se fosse rimasta quella che era. No, non sapeva cosa sarebbe stato meglio. La sola cosa che sapeva in quel momento era che Jackson le mancava da morire. E continuava a ripensare a quello che era accaduto all'alba nella radura e alle ultime parole che lui le aveva gridato prima di andarsene. Devi sbarazzarti di Edmond una volta per tutte se vuoi diventare mia! Un attimo prima che le avesse pronunciate, quando aveva creduto che lui stesse piangendo, era stata sul punto di confessargli che l'amava. Ma le parole di Jackson l'avevano bloccata. Diventare sua! Come se fosse un cibo prelibato che lui avrebbe accettato di consumare solo quando avesse avuto la certezza che nessun altro uomo avrebbe potuto avanzare delle pretese in merito. Come se lei non avesse alcuna voce in capitolo. Era balzata in piedi sistemandosi alla meglio i vestiti e piangendo per lo strazio di amarlo e odiarlo al tempo stesso. Si era messa a correre e aveva smesso solo quando era arrivata a casa, senza fiato e sconvolta. Poi si era precipitata al piano di sopra, si era infilata a letto tirandosi le lenzuola sopra la testa e aveva cercato di dormire. Jackson la voleva alle sue condizioni. Non le aveva fatto nessun accenno all'amore né a impegni a lunga scadenza. Ma anche se le avesse detto che l'amava, perfino se le avesse chiesto di sposarlo, non ne sarebbe potuto risultare nulla di buono perché provenivano da mondi troppo diversi. Perciò doveva dimenticarlo, non c'era altra soluzione. Non sarebbe stato facile, ma doveva assolutamente riuscirci. «Dunque sei qui!» Nel sentire la voce di sua madre provenire dalla soglia, Susanna s'irrigidì mettendosi subito sulle difensive, poi si voltò lentamente e ricambiò con freddezza il suo sguardo. «Sto cercando di mettermi in contatto con te da ieri pomeriggio» continuò Miranda accigliandosi. «Non rispondevi al telefono, perciò sono venuta sin qui in macchina, sono entrata e ti ho aspettato fin dopo mezzanotte. Mi piacerebbe proprio sapere dov'eri.» «Fuori.» «Lo so che eri fuori» replicò lei in tono spazientito. «Ma una risposta così generica non mi basta. Vieni, andiamo in soggiorno. In poltrona Diana Chiloton
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staremo più comode.» Rassegnata, Susanna la seguì nell'altra stanza. «Avanti, dimmi dov'eri» tornò all'attacco Miranda non appena si fu seduta. «Avresti dovuto immaginare che avrei cercato di mettermi in contatto con te non appena avessi saputo la novità dal povero, caro Edmond.» «Stavo posando per Jackson Arne» spiegò Susanna con un sospiro, rendendosi conto che l'aspettava una delle mezz'ore più brutte della sua vita. «Ma non puoi aver posato fino a dopo mezzanotte!» «Sì, invece. Ho posato fino alle quattro del mattino, per la precisione.» Miranda rimase per un intero minuto in silenzio, il che era un autentico record per lei, ma la sua espressione oltraggiata era più eloquente di mille parole. E quando finalmente si ricompose, Susanna capì che si trattava soltanto di una finta: in realtà, dentro era ancora sconvolta e infuriata. «Capisco» commentò lentamente accendendosi una sigaretta con un sorriso che non le arrivò agli occhi. «Quel tuo hippie con quella sua aria da macho è davvero molto attraente, te lo concedo. Fin dall'inizio ho avuto dei sospetti sui vostri rapporti. Intendiamoci, mia cara, una scappatella ogni tanto non è poi la fine del mondo, se viene gestita con discrezione, ma tu sei così ingenua, e credo che lui non conosca nemmeno il significato della parola discrezione. E' tipico degli uomini del suo stampo. Appartengono a un altro mondo e non giocano con le nostre regole, capisci. Tutti muscoli, niente cervello e solo una cosa in mente... non so se mi spiego. E spero soltanto che i tuoi giochini con lui non abbiano niente a che fare con la terribile sciocchezza che hai commesso rompendo il tuo fidanzamento con il povero Edmond.» Susanna avvampò fino alla radice dei capelli. Era abbastanza grande per condurre la propria vita come le pareva, senza doverne rendere conto a sua madre! E il modo in cui Miranda stava parlando della sua relazione con Jackson, come se fosse qualcosa di sordido, era insopportabile. «Lo amo!» sbottò. Non intendeva dirlo a nessuno, ma le era uscito di bocca senza pensare, in difesa di entrambi. «E lui non è affatto come lo dipingi tu. E' un uomo meraviglioso, pieno di talento e...» «Non lo metto in dubbio, mia cara» la interruppe Miranda in tono soave. «Sono sicura che è molto dotato... in certi campi. Ma, per dire pane al pane e vino al vino, quel genere di cose non va mai oltre la luna di miele. Diana Chiloton
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Specialmente dopo che cominciano ad arrivare i conti. E nel vostro caso, cara, saresti tu quella che li pagherebbe, mentre lui giocherebbe a fare l'artista, conquistando con il suo fascino qualche altra testolina vuota mentre tu lavori per mantenerlo. Visto che mi sembra di capire che voglia sposarti. Altrimenti il tuo sciocco comportamento con Edmond non si spiega.» «La mia rottura con Edmond non ha nulla a che fare con Jackson» protestò Susanna. Aveva voglia di mettersi a urlare, ma non avrebbe risolto nulla. E poi non era del tutto certa che la sua affermazione fosse vera. «Mi dispiace, mia cara, ma non ti credo. Hai perso la testa per quel fannullone. Non voglio ferire i tuoi sentimenti, ma c'è qualcosa che devo assolutamente dirti. Prova a usare quel tuo eccellente cervello. Chiediti perché un uomo immensamente attraente come quello dovrebbe degnare anche solo di uno sguardo una come te. I tipi come lui non hanno che l'imbarazzo della scelta, dunque perché dovrebbe curarsi di te?... visto che non sei esattamente miss Mondo, come sai benissimo. Se rifletti un attimo su questo, ti renderai conto che il tuo mister Muscolo ha preso bene le sue informazioni e ha scoperto che hai un lavoro ben pagato, una bella casetta e due genitori che un giorno ti lasceranno un mucchio di soldi. Non credo ci sia bisogno che io aggiunga altro.» «No» convenne Susanna, livida di rabbia. Per tutta la vita sua madre l'aveva sminuita, con garbo, ma totalmente. E il rendersene conto, nonostante la sua ferma determinazione a non lasciarsi più condizionare da nessuno e a essere finalmente padrona della propria esistenza, le faceva male da morire. «Hai detto abbastanza. Ma una volta tanto hai capito tutto alla rovescia. Jackson non ha mai nemmeno accennato al matrimonio, perciò hai mancato il bersaglio. E se qualcuno aveva messo gli occhi sulla mia dote, quel qualcuno era Edmond. Sei stata tu a presentarci; era il figlio di tuoi vecchi amici, mi avevi detto. Simpatiche cenette. Pranzi domenicali. Picnic con la famiglia. E le tue continue allusioni a quanto successo avevo nel lavoro, a quanto fossi saggia e attenta nell'amministrare il denaro. E infine la ciliegina sulla torta il giorno in cui gli hai fatto fare il giro della proprietà mostrandogli ogni cosa e facendogli capire che un giorno avreste lasciato tutto a me. Oh, non eri grossolana come io ora ti faccio sembrare. Sai essere molto sottile quando vuoi. Ma il messaggio che gli lanciavi era Diana Chiloton
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forte e chiaro: che buon partito sarei stata per un uomo che poteva sopportare di avere per moglie una donna scialba e insignificante come me.» «Non mi piace il tuo tono» replicò Miranda a denti stretti. «Me ne vado, visto che non sei disposta a ragionare. Ma prima ti dirò due cose su cui riflettere. La prima è che Edmond mi ha dato la sua parola che non ti serberà alcun rancore... e si tratta di una grossa concessione da parte sua, probabilmente più di quanto tu non meriti, a patto che ritorni in te e riprenda il suo anello.» Si avviò verso la porta e prima di uscire soggiunse: «La seconda è che andrò a cercare il tuo signor Arne e gli dirò che, se ti sposa, tuo padre e io lasceremo tutto a tuo cugino Eric. E allora vedrai come se la darà a gambe levate il tuo mister Muscolo!». Veleggiò fuori e Susanna rimase per qualche istante a osservarla in silenzio, ammutolita dallo sbigottimento. Poi riacquistò il controllo e le corse dietro, raggiungendola proprio mentre stava salendo in macchina. Sua madre voleva sempre avere l'ultima parola. Ma stavolta non ci sarebbe riuscita. «Risparmiati la fatica» le consigliò ansimando. «Ti ho confidato quello che provo per Jackson, il che è stato molto sciocco da parte mia, ma a lui non interessa. Mi ha già detto che non è tipo da matrimonio.» Fu una delle giornate più brutte della sua vita. La minaccia di sua madre non la preoccupava. Miranda non era una sciocca. Non avrebbe mai rischiato di rendersi ridicola affrontando Jackson quando ormai sapeva che lui non era interessato a sua figlia. Ma era quest'ultima considerazione a tormentarla... Il resto delle sue ferie si trascinò stancamente. Sistemò la camera degli ospiti, non più per la madre di Edmond, naturalmente, ma perché aveva già comperato l'occorrente e tanto valeva che lo usasse. Piantò altri bulbi in giardino lottando ogni volta con la tentazione di scavalcare la siepe e imboccare il sentiero che portava alla radura per scoprire come Jackson stesse procedendo con la sua Venere e far pace con lui... sempre che fra di loro ci potesse mai essere qualcosa di vagamente somigliante alla pace, cosa di cui dubitava. Ma Jackson non aveva cercato di mettersi in contatto con lei, perciò voleva dire che l'aveva scacciata dalla mente ed era tanto assorbito dal lavoro da non avere il tempo di dedicarle nemmeno un pensiero. Diana Chiloton
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E se avesse avuto un briciolo di sale in zucca, anche lei avrebbe dovuto fare lo stesso. Due giorni prima di tornare al lavoro, il tempo peggiorò all'improvviso e cominciò a piovere a dirotto. Purtroppo Susanna aveva il frigorifero del tutto vuoto perciò, anche se non aveva nessuna voglia di uscire di casa, s'infilò il suo vecchio impermeabile grigio, si mise in testa un cappuccio di plastica e affrontò la bufera per andare al supermarket. Ma quando svoltò l'angolo di High Street si pentì caldamente di non essere rimasta a casa a morire di fame. Perché a pochi metri da lei sul marciapiede, magnifico in jeans e giubbotto di pelle nera, c'era Jackson. Non guardava nella sua direzione e lei ne fu felice, perché teneva con fare protettivo un braccio intorno alle spalle della biondina più graziosa che Susanna avesse mai visto. Era minuta e snella, indossava un impermeabile rosso e stivaletti di vernice dello stesso colore e riparava i lunghi capelli biondi ondulati stando sotto il frivolo ombrello rosso che Jackson reggeva per lei. E come se non bastasse, quando si voltò a sorridergli Susanna scoprì che aveva anche un faccino incantevole. Sconvolta dalla gelosia si rifugiò nel supermarket dove, fissando senza vederlo lo scaffale del cibo per gatti, cercò di riacquistare il controllo. Come la maggior parte degli uomini, Jackson Arne preferiva le donne minute, graziose, bionde e attraenti. Mentre lei, Susanna, con il suo fisico prorompente andava bene solo per fare da modella a una specie di Colosso di Rodi al femminile! Comunque, forse vederlo con quella biondina era proprio quello di cui aveva bisogno per tornare finalmente in sé e toglierselo una volta per tutte dalla testa. Sentendosi terribilmente ingombrante e goffa, tornò sconsolata sui suoi passi per prendere un carrello e poi cominciò a spingerlo di malumore fra gli scaffali, senza riuscire a ricordare che cosa doveva comperare. Aveva appena messo nel carrello un pacchetto di caffè di cui non era affatto sicura di aver bisogno, quando una calda voce indolente le bisbigliò all'orecchio: «Mm, a quanto pare stamattina ti sei alzata dal letto con la luna di traverso, dolcezza». Susanna avvampò fino alla radice dei capelli e senza voltarsi schizzò in avanti, zigzagando fra i clienti che affollavano il supermarket. Non poteva sopportare di guardarlo in faccia né di rivedere la deliziosa biondina in rosso che senza dubbio lo teneva a braccetto. Non poteva sopportare gli Diana Chiloton
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inevitabili confronti e le imbarazzanti presentazioni. Non voleva sapere! «Ehi! Quanta fretta.» All'improvviso il braccio di Susanna venne stretto in una morsa d'acciaio che le fece perdere l'equilibrio e il suo carrello ruotò di scatto urtando contro quello di Jackson e bloccando la corsia. Jackson aveva parlato a voce alta, sembrava non avere nessuna intenzione di mollare la presa e molti avventori stavano guardando nella loro direzione con curiosità. «Mi dispiace» si scusò Susanna con una donna che riconobbe come una cliente della banca, e disincagliando il suo carrello da quello di Jackson liberò così il passaggio. Col cuore in tumulto e sollevata perché, almeno!, della biondina non c'era traccia, disse freddamente a Jackson come se lo avesse visto solo in quel momento e non ne fosse troppo contenta: «Salve. Che tempaccio, eh?». «Se vuoi posso risponderti banalmente per le rime, dolcezza» replicò lui in tono divertito. «Ma preferirei domandarti come stai e dirti che ho sentito la tua mancanza.» «Nessuno ti ha chiesto niente» ribatté Susanna muovendo le labbra il minimo indispensabile perché lui potesse udire le sue parole e infilando nel carrello il primo articolo che le venne a tiro. Quanto avrebbe voluto che tenesse la voce bassa! Tutti li stavano fissando. «Allora aiutami a fare la spesa. Questi posti mi confondono. Anzi, scegli tu che cosa mangeremo per cena la prossima settimana. Potrai venire da me quando uscirai dalla banca e cucinare qualcosa per entrambi mentre lavoro; io non ho il tempo di occuparmene. E dopo che avremo mangiato potremo riprendere dal punto in cui eravamo rimasti. Spero che tu abbia già dato il benservito a Edmond e...» «No!» «No che cosa? No, non hai dato il benservito a Edmond? O no, non cucinerai per me la prossima settimana?» «No a entrambe le cose, maledizione!» gemette lei, mentre le vacillavano le gambe e un insostenibile calore la invadeva al ricordo del punto in cui erano rimasti nella radura, all'alba, quasi due settimane prima. Jackson la stava ancora corteggiando in modo sfacciato. Stavolta non voleva una modella, voleva lei. E Susanna doveva resistergli. «Lasciami andare!» gli sibilò tentando di divincolarsi dalla sua stretta. «Se a te non importa di renderti ridicolo davanti a metà degli abitanti di Much Barton che andrà immediatamente a raccontare all'altra metà quello Diana Chiloton
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che ha visto, a me importa, eccome!» «Tu hai paura di compromettere la tua immagine» replicò lui con un tono di voce che non le piacque affatto, ma lasciandola andare. «Hai paura di far vedere a questa gente che la loro perfetta direttrice di banca è un essere umano come tutti gli altri.» «Sparisci!» «Le buone maniere, signorina Bryce-Jones. Le buone maniere» la rimproverò Jackson con un sorriso che la fece infuriare. «E non ho affatto intenzione di sparire.» Era proprio alle sue spalle mentre lei spingeva il carrello lungo la corsia e si chinò a bisbigliarle all'orecchio in tono suadente: «Abbiamo una faccenda in sospeso, tu e io. E nessuno si libera di me finché io non sono pronto ad andarmene». Aveva abbandonato il suo carrello e le si era messo alle calcagna commentando in modo irritante ogni articolo che lei sceglieva, leggendo con la sua voce roboante le etichette, rimettendo con fermezza le confezioni sugli scaffali se pensava che il loro contenuto potesse farle male alla salute. Susanna era mortificata e cercava di far finta che non fosse con lei, ma senza alcun successo. E Tom Griffiths, il gestore del supermarket, continuava a sporgersi dal suo gabbiotto, evidentemente contrariato. Susanna gli fece un tremulo sorriso che non sembrò rabbonirlo e sibilò a Jackson, che non sembrava per nulla preoccupato: «Taci! Se non la smetti, finirai per farci sbattere fuori entrambi». Per tutta risposta lui scrollò con allegra noncuranza le spalle e la seguì alla cassa, prendendo i sacchetti che lei aveva riempito in fretta e senza cura e seguendola fuori del supermarket. Stava ancora diluviando, ma lui pareva non curarsene e nei suoi occhi e nella sua voce c'era quel che di ipnotico a cui Susanna trovava tanto difficile resistere e che fece svanire in parte la sua rabbia quando lui le propose: «Andiamo da qualche parte a bere un caffè. Voglio parlarti». L'idea la tentava, ma sapeva che avrebbe dovuto liquidarlo con freddezza e tornarsene a casa. Fu la prima a stupirsi del flebile: «D'accordo» che le uscì dalle labbra e del piacevole calore che la invase alla prospettiva di trascorrere ancora qualche minuto con lui. La pioggia non sembrava toccare nemmeno lei, adesso, pensò confusamente mentre percorrevano la strada. Era avvolta nel bozzolo caldo del suo amore per Jackson, contro la propria volontà e il proprio Diana Chiloton
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buonsenso. Sarebbe dovuta fuggire, ma i suoi sentimenti per lui erano la sola cosa che le importava in quel momento. E quando una folata di vento le portò via il cappuccio di plastica e lui le intimò allegramente: «Lascia perdere quell'affare orrendo!», non mosse nemmeno un dito nel tentativo di recuperarlo. Non andarono al bar del Feathers Hotel, che era molto in e molto caro, ma in un piccolo e fumoso caffè in una via laterale, senz'altro molto più alla sua portata. Ma era un bel posticino, caldo e allegro, e Susanna ci si trovò subito a proprio agio. Jackson andò al banco a ordinare due caffè e quando ritornò al loro tavolo le chiese se voleva anche una fetta di torta. «Non tentarmi» replicò Susanna con una smorfia, rispondendogli come da anni faceva con tutti coloro che le rivolgevano quella domanda. «Non posso permettermi di diventare più grassa di quanto io non sia già.» «Più grassa!» ripeté Jackson rannuvolandosi in volto e accarezzandola con lo sguardo mentre occupava la sedia davanti a lei. «Tu non sei grassa, dolcezza. Sei giunonica, magnifica. Io non posso sopportare le donne pelle e ossa.» «Ma davvero» commentò Susanna ricacciandosi in gola le parole che le erano salite alle labbra e che si riferivano a una biondina in rosso molto snella... Non voleva dargli quella soddisfazione! «Dimmi come sta venendo la tua Venere» lo esortò invece cambiando argomento. «Nessun problema, spero.» «Assolutamente nessuno. Puoi venire a constatarlo di persona, se vuoi.» «Mi piacerebbe» replicò lei sorseggiando il caffè con una calma che era ben lungi dal provare. «Magari potrei fare un salto da te domattina, se troverò il tempo.» Aveva tutto il tempo del mondo, ma non ci sarebbe andata. Poteva anche essere una sciocca, ma non era pazza del tutto. Ma gli aveva dato quella risposta cortese per nulla perché lui ribatté: «Domattina non ci sarò. Parto oggi con la mia moto per andare a trovare mio padre. Non sarò di ritorno fino a lunedì mattina». «Abita molto lontano, tuo padre?» gli domandò Susanna accigliandosi. «A una trentina di miglia da qui.» «E pensi di andarci in moto con questo tempaccio!» Jackson non sapeva proprio badare a se stesso, pensò preoccupata. Le aveva già detto che non aveva il tempo di farsi da mangiare. E adesso voleva percorrere trenta miglia in moto sotto la pioggia! «Senti, se ti va potrei accompagnartici io Diana Chiloton
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in macchina» gli propose impulsivamente, anche se sapeva che qualunque altro coinvolgimento con lui sarebbe stato un suicidio emotivo. «Non mi fermerei, naturalmente. Saluterei tuo padre e poi ti lascerei là. Non ho molto da fare, solo dovrei venirti a riprendere domenica sera perché lunedì mattina devo tornare al lavoro.» «No, grazie» ribatté Jackson in tono glaciale, sbalordendola. Da come aveva reagito, sembrava che la sua proposta lo avesse infastidito o addirittura offeso. Eppure lei era stata così sicura che avrebbe colto al volo l'opportunità di viaggiare in modo confortevole, una volta tanto! «Se hai finito, andiamo» riprese Jackson seccamente. Stava prendendo le distanze e Susanna capì subito l'antifona, anche se non riusciva a comprendere il suo improvviso cambiamento d'umore. Sarebbe dovuta essere contenta di esser stata salvata dalle nefaste conseguenze della sua offerta precipitosa. Ma mentre camminava al suo fianco lungo le strade bagnate, la tristezza calò su di lei come una cappa di piombo. Aveva cercato di strappargli di mano i sacchetti della spesa, ma lui aveva rifiutato con fermezza dicendo che andava comunque nella sua stessa direzione e che nessuna donna portava carichi pesanti se c'era lui che poteva farlo al suo posto. «Ma come sei galante!» era sbottata Susanna con una punta d'ironia nella voce, ma lui non le aveva risposto e avevano continuato a camminare in silenzio. Quando arrivarono a Mallow Cottage non lo invitò a entrare in casa, ma Jackson la seguì ugualmente in cucina posando la borsa della spesa sul tavolo e osservandola con un'espressione indecifrabile dipinta sul viso. «Non porti più il suo anello» notò all'improvviso, e le dita di Susanna, che si stava sbottonando l'impermeabile, s'immobilizzarono, irrigidite dalla tensione. «N... no» balbettò, mentre Jackson avanzava verso di lei. «Non in questo momento. Era... era troppo stretto» mentì frapponendo quella menzogna fra loro come uno scudo. «L'ho portato a far allargare, ecco tutto.» «Come no!» sbottò Jackson furibondo allungando un braccio e afferrandola per il polso con tanta violenza che lei andò a finirgli addosso sbattendo la testa contro il suo giaccone di pelle. «Lasciami andare!» gli urlò divincolandosi dalla sua stretta. «Non so che cosa accidenti credi di fare, ma...» «Ti voglio dare una lezione, dolcezza» affermò Jackson chiudendole la Diana Chiloton
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bocca con un bacio mozzafiato. Pochi istanti più tardi, mentre lei cercava ancora disperatamente di resistergli sapendo che non poteva permettersi di dargli la risposta che le labbra di lui esigevano, il suo impermeabile scivolò sul pavimento della cucina e le mani di Jackson cominciarono ad accarezzarla dappertutto, lasciando una scia infuocata ovunque si posavano ed eccitandola fino all'inverosimile. D'un tratto non le importò più nulla del futuro e delle conseguenze delle sue azioni. Riusciva a pensare soltanto al presente e alla voglia di fare all'amore con lui. Jackson se ne accorse e mentre le sbottonava la camicetta e insinuava le dita sotto il suo reggiseno stuzzicandole i capezzoli, mormorò con voce rauca: «Mi vuoi tanto quanto ti voglio io. Tu mi appartieni, Susanna, eppure sei decisa a sposare un uomo che non ami e che non saprà mai renderti felice. Dimmi perché». Lei rimase in silenzio e Jackson allora lasciò bruscamente ricadere le braccia lungo i fianchi e fece un passo indietro. «Dunque non hai nulla da dire» commentò in tono sprezzante voltandosi e avviandosi verso la porta. «Allora risponderò io al tuo posto. Tu hai paura di dare, Susanna. Per anni sei stata convinta di non aver nulla da offrire a un uomo e adesso che io ti ho dimostrato il contrario, sei terrorizzata. Ma non t'illudere: prima o poi diventerai mia. Ti voglio. E io ottengo sempre quello che voglio. Non mi arrendo mai!»
8 Susanna aveva appena finito di firmare le lettere che dovevano partire con la posta del pomeriggio, quando Graham, il suo vice, fece capolino dalla porta del suo ufficio. Era di nuovo venerdì pomeriggio, aveva ricominciato a far caldo e Graham aveva l'aspetto di uno che non vedeva l'ora che iniziasse il fine-settimana. «C'è un certo Jackson Arne che vuole vederti, se hai dieci minuti da dedicargli. Non ha un conto presso di noi, ma...» «Fallo accomodare, Graham» lo interruppe Susanna, esteriormente calma, ma con il cuore in tumulto. Non vedeva Jackson dal sabato precedente, ma aveva pensato continuamente a lui e alle parole che le aveva detto prima di uscire dal suo cottage. Graham si allontanò e pochi istanti più tardi Jackson entrava nella stanza Diana Chiloton
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riempiendola con la sua presenza e oscurando tutto il resto, finché Susanna ebbe la sensazione di essere stata trasportata per magia su di un altro pianeta di cui loro due erano i soli abitanti. Con i suoi jeans coperti di polvere di marmo e la sua T-shirt nera sembrava decisamente fuori posto in quell'ufficio tanto convenzionale, ma contrariamente a lei pareva del tutto a proprio agio mentre si metteva a sedere sulla sedia davanti alla sua scrivania. «Voglio fare un investimento per il mio futuro» le annunciò in tono serio, ma con un guizzo malizioso negli occhi. «Nella tua posizione di direttrice di banca dovresti essere pronta a correre un rischio calcolato, immagino.» «Sia più preciso, signor Arne» replicò Susanna con una calma di cui fu la prima a stupirsi, visto che dentro era a pezzi. La consapevolezza che tutto... le sue lusinghe, i suoi baci, l'irruenza con cui era entrato a forza nella sua vita sconvolgendola... tutto questo fosse stato finalizzato alla richiesta di un prestito, le aveva fatto morire qualcosa dentro. «Non mi sembra che abbia un conto corrente presso una delle altre nostre filiali» osservò in tono volutamente formale. «No. Ma ho delle garanzie da offrire: le mie mani, i miei occhi, la mia fantasia, il mio corpo, l'uomo che sono.» «Mi dispiace, ma le banche non lavorano in questo modo» ribatté Susanna distogliendo lo sguardo dal suo perché lui non vi leggesse la delusione e il dolore che stava provando. «Vogliamo qualcosa di più tangibile di un sogno nella mente di qualcuno quando prestiamo del denaro.» «Dunque non pensi che io sia un rischio che valga la pena di correre» insinuò Jackson con una punta di divertimento nella voce. Susanna scosse il capo in silenzio, poi si alzò in piedi per fargli capire che considerava concluso il loro colloquio, ma Jackson, invece di uscire come si era aspettata, le si avvicinò e continuò quietamente: «Non è il denaro della tua banca che voglio, Susanna. Voglio te. Lo sai. Quello che ti sto chiedendo è di gettare ogni cautela al vento e d'investire il tuo futuro nel mio. Ti voglio e intendo averti, perciò farai meglio ad arrenderti subito. Stiamo sprecando un mucchio di tempo prezioso». «Mi... mi stai dicendo che mi vuoi per... per sempre?» gli domandò lei trattenendo il fiato in attesa della sua risposta. «Niente nella vita dura per sempre, dolcezza» replicò Jackson posandole Diana Chiloton
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le mani sulle spalle. «La precarietà è la triste condizione della razza umana. Non chiedermi di rispondere per il futuro, perché non ne sono capace. Tu hai costruito la tua vita su calcoli precisi, equazioni esatte. Stai aggrappata alla tua roccia di buon senso e di sicurezza, ma quello che non riesci a capire è che la roccia è appoggiata sulle sabbie mobili, perché nulla dura in eterno e niente è prevedibile. Tutto quello che possiamo fare, tutto quello che ti chiedo di fare, è riconoscere quello che c'è fra noi. Voglio che tu venga con me, vada dove vado io. Non mi fermo mai a lungo nello stesso posto. Il mio lavoro mi porta dappertutto. Voglio che tu stia con me. Significherebbe abbandonare tutto questo.» Con un gesto della mano liquidò il suo ufficio, la sua scrivania, tutti i simboli della sua posizione sociale prima di concludere: «Segui il tuo cuore una volta tanto, dolcezza, invece della tua testa». «Mi stai chiedendo di gettare al vento tutto quello per cui ho lavorato per venire con te!» sbottò Susanna allibita voltandogli la schiena e andando a mettersi davanti alla finestra. «E chissà dove, poi! Dove ti porta l'umore del momento, immagino. Ti... ti aspetteresti che io vivessi come vivi tu, come una zingara, rimanendo con te finché ti va. La risposta è no, signor Arne. E rimarrebbe no anche se ti mettessi in ginocchio e mi supplicassi.» «Io non supplico» replicò lui seccamente. «Mai.» Le andò vicino, così vicino che il calore del suo corpo le bruciava la pelle attraverso i vestiti. «Non supplico» continuò con voce roca, «ma ottengo sempre quello che voglio. E sono disposto ad aspettare finché non sarai pronta a fidarti di me, pronta a fidarti di quello che ti dice il tuo cuore.» Non lo sentì uscire, ma il vuoto provocato dalla sua assenza le si chiuse addosso come il coperchio di una bara. Allora si nascose il volto fra le mani e scoppiò in singhiozzi, perché Jackson le offriva, per un breve lasso di tempo, le stelle e la luna, e lei era troppo piena di buonsenso per allungare le mani e prenderle. Un'ora più tardi scambiava due parole con la guardia di sicurezza che stava inserendo il dispositivo d'allarme negli uffici e usciva sul marciapiede. La High Street era inondata di sole e i pochi passanti si lamentavano del caldo come la settimana prima si erano lamentati della pioggia. Sentendosi Diana Chiloton
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abbastanza certa di apparire calma, Susanna si fermò a comperare della frutta e delle uova parlando abbastanza normalmente quando le veniva chiesto qualcosa, benché con la mente fosse su un altro pianeta. Era impossibile accettare quello che Jackson le proponeva. Un'offerta nebulosa, una folle fantasia che aveva come unica base il loro reciproco desiderio. Per lui la loro relazione sarebbe durata solo finché non avesse trovato una donna che lo attraeva di più. Ma Susanna lo amava e lo avrebbe amato per sempre. Ecco perché non poteva accettare la sua proposta. Il suo corpo doveva aver assunto il controllo come un pilota automatico, perché non si accorse di essere arrivata a casa finché non si scottò una mano mentre stava versando l'acqua bollente nella teiera. Un gemito di dolore le sfuggì dalle labbra. Aprì il rubinetto dell'acqua fredda e mise la mano sotto il getto cercando per l'ennesima volta di fare il punto della situazione. Jackson la voleva e lei doveva resistergli perché le poche settimane o i pochi mesi che lui le offriva non erano abbastanza. Ma nello stato in cui era, se lui avesse continuato a farle pressioni, allora Dio solo sapeva che cosa sarebbe accaduto. Non poteva fidarsi di se stessa. Perciò quando Edmond entrò all'improvviso dalla porta della cucina fu quasi contenta di vederlo. Finché avesse creduto che lei fosse ancora fidanzata con un altro uomo, Jackson non avrebbe spinto le cose troppo in là. Glielo aveva già dimostrato una volta. «Ti ho riportato le cose che avevi lasciato dagli Anstruther» le spiegò Edmond posando il sacchetto di plastica che teneva in mano. «Te le avrei riportate prima, ma volevo darti il tempo di riflettere. Vorrei parlarti, Susanna.» «Se ti va una tazza di tè, l'ho appena fatto» gli offrì lei, quasi desiderando di non aver rotto il loro fidanzamento e di poter trovare la sua compagnia piacevole come un tempo. Edmond rappresentava la lucidità e la sicurezza. Ma Susanna aveva assaggiato lo champagne e l'acqua minerale non poteva più soddisfarla. «Per me no, grazie» rifiutò Edmond scostando una sedia e mettendosi a sedere, stando bene attento a non gualcirsi i pantaloni perfettamente stirati. «Ma tu fa' pure.» La osservò mentre versava il tè con mani tremanti e soggiunse: «Non ho detto ancora a nessuno, tranne a Miranda, della rottura del nostro fidanzamento. Nemmeno a mia madre». «A lei avresti dovuto dirlo» gli fece notare Susanna con un sospiro Diana Chiloton
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mettendosi a sedere davanti a lui. «Speravo che tu tornassi in te.» «Forse l'ho fatto. Sono tornata in me quando mi sono resa conto che fra noi non avrebbe mai funzionato. Noi non ci amiamo, Edmond. Non sarebbe stato giusto per nessuno dei due.» «Ci rispettiamo e abbiamo molte cose in comune» protestò lui seccamente. «Eravamo convinti entrambi che fosse una base sufficiente per un buon matrimonio. Finché...» Si schiarì la gola, imbarazzato, prima di continuare: «...finché non hai perso la testa per quella... quella specie di scultore. Miranda e io ne abbiamo parlato a lungo. E io sono disposto a dimenticare che tutto questo sia mai avvenuto e a non menzionarlo più». «Non capisco che cosa tu sia disposto a non menzionare più» osservò Susanna accigliandosi. «Che sei andata in scalmane per quel perdigiorno, naturalmente» ribatté Edmond avvampando e distogliendo lo sguardo dal suo. «Questa è una cosa disgustosa da dire!» sbottò lei furibonda. «È solo la verità.» Edmond trovò finalmente il coraggio di guardarla con gli occhi strabuzzati e Susanna non riuscì nemmeno a provare pena per lui. «Se devo essere sincero, non capirò mai perché ti sei comportata così. Pensavo che tu avessi più rispetto di te stessa. Ma Miranda sostiene che avere quel macho intorno ti ha dato alla testa perché una cosa del genere non ti era mai capitata. E pensa anche che presto la novità sbollirà e ti pentirai di avermi lasciato. Perciò ti dico che sono pronto a dimenticare e a perdonarti.» Si alzò in piedi e cogliendola del tutto alla sprovvista fece il giro del tavolo, la costrinse ad alzarsi in piedi e la prese fra le braccia. «Se ti piacciono i cavernicoli, vedrai che anch'io posso accontentarti» ansimò stritolandola e impadronendosi della sua bocca in un bacio violento. Per un attimo Susanna rimase impietrita dallo stupore perché lui non si era mai comportato in quel modo aggressivo durante il loro fidanzamento, poi la sensazione di nausea che già provava si centuplicò. Puntando i pugni contro il suo torace tentò di respingerlo, ma ottenne solo l'effetto di accrescere la sua determinazione. Tuttavia staccò le labbra dalle sue quel tanto che bastava per biascicare: «Anch'io so come divertirmi, vedi». «Fra un minuto vomito» colse l'opportunità per ribattere lei in tono Diana Chiloton
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sprezzante. «Scommetto che stai mettendo in pratica un altro dei consigli di mia madre.» «Non vedo che cosa c'entri, se è questo che ti piace.» «Stai scherzando!» sbottò Susanna furibonda, ma Edmond la zittì con un altro bacio ancora più brutale del precedente. Rendendosi conto che doveva assolutamente fare qualcosa se non voleva star male davvero, lei lo afferrò per le orecchie. Aveva intenzione di tirargliele e torcergliele fino a farlo urlare dal dolore per indurlo a lasciarla andare, ma s'immobilizzò nell'udire una voce che conosceva fin troppo bene dire: «Forse non ho scelto il momento più opportuno per venirti a trovare, Susanna. Spero di non aver interrotto nulla d'importante». Jackson! Il viso di Susanna, pallido per il disgusto, divenne paonazzo mentre Edmond staccava la bocca da quella di lei e i suoi occhi incontravano lo sguardo beffardo di Jackson apparso sulla soglia della cucina. «Niente che non possa essere continuato» affermò Edmond arretrando di un passo e raddrizzandosi la cravatta. «Ci vediamo domani, Susanna. E prenderemo la precauzione di chiudere le porte a chiave.» A bocca aperta e con il cuore in tumulto Susanna guardò il suo ex fidanzato oltrepassare il rivale senza degnarlo nemmeno di un'occhiata e uscire. Jackson non poteva fare a meno d'interpretare nel modo sbagliato quello che aveva appena visto e che aveva sentito dire da Edmond, pensò con sgomento. Ma poi si diede della sciocca. Quel fraintendimento non poteva che tornare a suo vantaggio. Avrebbe rafforzato la convinzione di Jackson che lei stesse per sposare Edmond, indipendentemente dai suoi tentativi di frapporsi fra loro. Un silenzio carico di tensione era sceso nella stanza. E la tensione crebbe in modo intollerabile quando Jackson si staccò dalla soglia e avanzò verso di lei. Lottando disperatamente per non perdere il controllo, per resistere alla tentazione di gettarsi fra le sue braccia e di confessargli tutto, Susanna ricambiò con fermezza il suo sguardo. «Quel bellimbusto non ti farà mai felice» affermò lui in tono di scherno. «Hai proprio una bella faccia tosta, sai!» sbottò Susanna fuori di sé dalla collera. «Fai irruzione nella mia vita, decidi che ti piaccio, mi baci un paio di volte e pensi che questo ti dia il diritto di pontificare sul mio conto! Dichiari, con quel tuo tono arrogante e saputo, che Edmond non potrebbe Diana Chiloton
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mai rendermi felice. Mentre tu, invece...» «Calmati, Susanna» la interruppe Jackson dolcemente posandole le mani sulle spalle. «Io non...» «No, non dire nulla» protestò lei distogliendo lo sguardo dal suo. «Ti sei spiegato alla perfezione. Mi vuoi, ma si dà il caso che io sia fidanzata con Edmond. È lui l'alternativa meno rischiosa. Fine della storia.» «Non è detto.» «Sì, invece. Deve esserlo per forza.» Susanna deglutì nel tentativo di mandar giù il groppo di dolore che le chiudeva la gola, prima di continuare: «Mi chiedi di lasciare tutto, di venire via con te. Ma... ma io non posso farlo. Non so nulla di te, e niente di tutto questo ha senso». «Per me ce l'ha, dolcezza. Ti ho desiderata fin dal primo momento in cui ti ho vista, e non solo come modella. E non dirmi che non si trattava di un sentimento reciproco, perché lo era. Lo è ancora. Ma Edmond è fra di noi e tu lo stai usando come un maledetto scudo!» «Quella che provi per me è solo un'attrazione temporanea» replicò lei in tono piatto trovando finalmente il coraggio di guardarlo negli occhi. «E non voglio essere nei paraggi quando ti passerà. E visto che non intendo parlarne mai più, farai meglio ad andartene.» «Ma io non voglio andarmene» protestò Jackson con voce roca chinando la testa e accostando le labbra alle sue. Istintivamente, come ipnotizzata, Susanna le dischiuse, ma quando la bocca di Jackson fu a un millimetro dalla sua, fece un balzo indietro ed esclamò: «No! Vattene, ti prego. Non voglio... non voglio vederti mai più». «Menti» l'accusò Jackson con veemenza. «Comunque fra un minuto me ne andrò. Ma prima dovrai ascoltare quello che ero venuto a dirti.» «Io non...» «Zitta! Guarda che non ti libererai mai di me, altrimenti.» «E va bene» capitolò lei con un sospiro. «Ti ascolto.» «Così va meglio.» Jackson fece una breve pausa prima di continuare in tono serio: «Ero venuto qui per chiedere la tua mano, dolcezza. Voglio che tu diventi mia moglie. E... No, non temere. Non pretendo che tu mi dia subito una risposta. Pensaci pure sopra. Non ti farò più pressioni, te lo prometto. Adesso la decisione spetta soltanto a te. E quando l'avrai presa, vieni a comunicarmela e io l'accetterò, qualunque essa sia. Sai dove trovarmi». Diana Chiloton
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E dopo averle sfiorato le labbra con un bacio, si voltò e uscì dal cottage senza darle il tempo di replicare.
9 Susanna trascorse una notte insonne e quando si trascinò fuori dal letto, all'alba, non aveva fatto alcun passo avanti nella risoluzione dei problemi che l'avevano tenuta sveglia. Dopo aver infilato la vestaglia, si passò con un gesto di stizza una mano fra i capelli scompigliati e andò giù in cucina. La stanza era in penombra, ma non accese la luce. L'alba grigia si adattava meglio al suo cattivo umore. Si preparò un caffè e lo bevve stando in piedi. La proposta di matrimonio di Jackson l'aveva sconvolta, mandando in mille pezzi il suo preconcetto che un uomo come lui non fosse fatto per quel genere di relazione. Lo aveva ammesso lui stesso, una volta, rammentò domandandosi che cosa gli avesse fatto cambiare idea. Le aveva sempre e solo parlato di desiderio, mai di amore. Considerava forse il matrimonio come il solo modo per portarla a letto senza che il fantasma di Edmond le tormentasse la coscienza? La desiderava così tanto? Sembrava un prezzo piuttosto alto da pagare, ma forse lui riteneva il matrimonio un legame che poteva essere sciolto con facilità quando avesse raggiunto il suo scopo. Non lo avrebbe mai saputo con certezza, pensò aprendo la porta della cucina e uscendo in giardino. I motivi per cui Jackson le aveva proposto di sposarla sarebbero rimasti per sempre un mistero per lei, ma quelli per cui lei aveva respinto la sua proposta non lo erano affatto. Era un estraneo. Non sapeva assolutamente nulla di lui. E sarebbe stata una follia lasciare tutto quello per cui aveva faticato tanto, un lavoro gratificante, una casa sua, una buona posizione sociale, e affidare il proprio futuro nelle sue mani, come secondo lui avrebbe dovuto fare. All'improvviso lo sguardo le corse al di là della siepe, verso la radura. Avrebbe soltanto dovuto attraversare la distesa d'erba bagnata di rugiada per andare da lui... Scacciando inorridita quel pensiero, cercò di calmarsi dicendo a se stessa che tutto quello che doveva fare era... non fare proprio nulla e aspettare! Jackson le aveva detto che all'arrivo dell'inverno se ne sarebbe già andato Diana Chiloton
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da un pezzo. Due, forse tre mesi al massimo, e il cottage nella radura sarebbe stato immerso nel silenzio, freddo, disabitato. Jackson se ne sarebbe andato e lei non lo avrebbe rivisto mai più. A quel pensiero gli occhi le si riempirono di lacrime e pianse a lungo per quello che stava perdendo e gettando via. Solo quando il sole ruppe finalmente la fitta coltre di nebbia, voltò le spalle alla radura e ritornò in casa. La visione del cottage vuoto e della radura circondata da alberi spogli la tormentò per tutto il fine-settimana, sino al mercoledì mattina. Erano le undici quando rimise nella loro cartelletta alcuni documenti che stava cercando inutilmente di esaminare da ore e, camminando come una sonnambula, lasciò l'ufficio e la banca senza accorgersi delle occhiate incuriosite che le lanciavano i suoi dipendenti. Senza sapere dove andava e senza una meta camminò per miglia finché, grazie all'esercizio fisico, la sua mente si calmò e cominciò ad accettare l'inevitabile senza sollevare le solite obiezioni. Amava Jackson e lo avrebbe sempre amato. Qualunque cosa fosse accaduta, ovunque il loro futuro li avesse condotti, lei sarebbe stata al suo fianco. Vivere senza di lui era impensabile e non capiva come mai ci avesse messo così tanto a rendersene conto. La sola cosa che contava era il suo amore per lui. Le immagini del cottage vuoto e della radura d'inverno, che la sua mente le proponeva in modo ossessivo, l'avevano persuasa di quel fatto innegabile. Una volta presa la sua decisione, tornò indietro saltellando dalla gioia. In banca distribuì sorrisi raggianti a destra e a manca, poi andò nel suo ufficio per battere a macchina le proprie dimissioni. Non avrebbe mai potuto continuare a svolgere un lavoro a tempo pieno e di tanta responsabilità dopo aver sposato Jackson. Lui era un vagabondo che andava dove lo portava l'umore del momento. Il matrimonio non lo avrebbe né cambiato né domato, lo sapeva. E sapeva anche che non le importava. Era mille volte meglio un futuro incerto con lui che la sicurezza e la comodità materiale senza di lui. Era questo che Jackson aveva cercato in tutti i modi di farle capire. Be', finalmente l'aveva compreso e non era mai stata tanto felice in vita sua. Per la prima volta nel corso della sua esistenza aveva seguito il suo cuore invece della sua testa e si sentiva meravigliosamente bene!
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Guardandosi nello specchio del bagno, quella sera, Susanna cercò di razionalizzare la propria delusione. Non appena era uscita dalla banca, quel pomeriggio, era corsa con le ali ai piedi al cottage di Jackson, ma non lo aveva trovato. La porta era chiusa a chiave e il blocco di marmo nello studio era coperto da un telo di plastica. Sulla porta del cottage c'era un biglietto fissato con una puntina da disegno che diceva: Se passi di qua, dolcezza, sappi che sarò di ritorno giovedì all'ora di pranzo. In un certo senso le era sembrato che ci fosse una supplica in quelle parole e il suo cuore aveva palpitato d'amore per lui. Forse era stato meglio che Jackson non fosse stato in casa, perché lei aveva un aspetto orribile. Quattro notti insonni di fila l'avevano ridotta uno straccio. Ma quella notte avrebbe dormito e l'indomani, non appena la banca avesse chiuso i battenti, sarebbe corsa da lui in forma perfetta. Inoltre aveva acconsentito con riluttanza a pranzare con sua madre e la signora Anstruther l'indomani al ristorante del Feathers Hotel. Non aveva voglia di andarci, ma quando Miranda le aveva telefonato per invitarla, due giorni prima, la sua mente era così occupata a erigere barriere contro le insistenze del suo cuore che voleva che lei sposasse Jackson, che non aveva avuto la forza di trovare una scusa plausibile per rifiutare. Perciò si lavò i capelli con lo shampoo nuovo e costosissimo che aveva comperato tornando a casa, fece un lungo bagno rilassante, si unse dalla testa ai piedi con un olio profumato e andò a letto a dormire il sonno del giusto e a sognare il giorno in cui sarebbe diventata la moglie di Jackson; allora sarebbe andata ovunque lui fosse andato, incoraggiando il suo notevolissimo talento, vendendo i suoi schizzi per la strada quando fossero stati senza il becco di un quattrino - stando bene attenta a non farsi vedere da lui, naturalmente! - per cagare il loro pasto successivo o un alloggio per la notte. Si svegliò presto, fresca, riposata e piena di eccitazione al pensiero che di lì a poche ore avrebbe rivisto Jackson. Ma prima avrebbe dato la notizia a Miranda. Lo avrebbe fatto a pranzo, alla presenza della signora Anstruther, così entro la mezzanotte tutta Much Barton lo avrebbe saputo. Almeno avrebbe potuto dire a Jackson che tutta la città sapeva di loro e che lei aveva già rassegnato le dimissioni dalla banca, il che lo avrebbe convinto che aveva proprio deciso e che non le importava nulla del Diana Chiloton
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giudizio degli altri. Indossò uno dei soliti tailleur che portava per andare al lavoro, ma si lasciò i capelli sciolti perché a Jackson piacevano così. Al ritorno dalla banca si sarebbe cambiata e si sarebbe messa qualcosa di femminile e di vaporoso, uno dei vestiti che aveva acquistato nella boutique di High Street e che non aveva ancora indossato. Contrariamente alle sue previsioni, la mattinata passò in un lampo, movimentata dalla notizia delle sue imminenti dimissioni. Ma lei non ne fu toccata, nulla poteva toccarla ormai, e quando entrò nel ristorante del Feathers Hotel si sentiva a un palmo da terra. E bella. Miranda e la signora Anstruther erano già arrivate e la stavano aspettando a un tavolo d'angolo, sorseggiando due gin and tonic. «Lily e io abbiamo già ordinato, tesoro» le annunciò sua madre porgendole il menu. «Sei in ritardo. Stavamo cominciando a perdere le speranze.» Era arrivata in ritardo perché si era fermata in profumeria a comperare un nuovo profumo e un nuovo rossetto, ma non aveva nessuna intenzione di dare delle spiegazioni. Chiese al cameriere che vedendola arrivare si era subito avvicinato di portarle un succo di pomodoro, poi replicò con un sorriso raggiante: «Spero che giudicherai la notizia che sto per darti degna dell'attesa, mamma. Sto per sposare Jackson Arne». «Ma, tesoro, è assolutamente meraviglioso!» Se Miranda stava recitando una commedia a uso e consumo della signora Anstruther lo faceva da attrice provetta e Susanna dovette darsi un pizzicotto per accertarsi che non stava sognando quando sua madre continuò: «Mio Dio, ci saranno così tanti preparativi da fare! E tu mi devi promettere, mia cara, di portarlo presto a cena da noi. Molto presto. Dimmi se non è una notizia fantastica, Lily! Intendiamoci bene, non ne sono affatto stupita. Avevo capito da un pezzo che sarebbe andata a finire così». Sì, decise Susanna mentre sua madre continuava a blaterare, era chiaro che Miranda stava recitando quella commedia solo perché non voleva che tutta la città venisse a sapere quanto disapprovava il suo futuro genero. Stava prendendo tempo, aspettando il momento in cui avrebbe potuto parlare a quattr'occhi con sua figlia, e allora si sarebbero scatenati tutti i diavoli dell'inferno. Ma nulla di quello che sua madre le avrebbe detto o avrebbe minacciato di fare avrebbe avuto alcun effetto su di lei. Aveva intenzione di sposare Jackson e niente le avrebbe fatto cambiare idea. Diana Chiloton
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Comunque tirò un sospiro di sollievo quando giunse per lei l'ora di tornare alla banca senza che la signora Anstruther l'avesse lasciata sola con sua madre nemmeno per un istante. Nel pomeriggio uscì un po' prima del solito dall'ufficio e corse a casa perché non sopportava di ritardare il suo incontro con Jackson un minuto più del necessario. Ma trovò il tempo per un bagno veloce per togliersi di dosso la stanchezza della giornata, cospargersi generosamente con il suo nuovo profumo e prepararsi con cura. Quando si guardò allo specchio prima di uscire fu decisamente soddisfatta di quello che vide. Il vestito che aveva indossato era di voile di cotone, senza maniche, scollato davanti e dietro, con un corpetto lievemente blusante e la gonna appena svasata. Il motivo di fiori giallo limone su uno sfondo color avorio le donava moltissimo, facendo risplendere la sua carnagione. Non si era messa il reggiseno perché tutti quelli che aveva erano voluminosi, con ampie spalline che sarebbero sbucate dal vestito. Presto avrebbe comperato della biancheria e delle camicie da notte graziose e sensuali, certa che Jackson avrebbe convenuto che era molto meglio spendere i soldi in quel modo che non metterli da parte per i giorni difficili. Avvertiva una sensualità latente che non aveva mai sperimentato prima mentre si spazzolava i capelli finché non furono lucenti come seta e si metteva il rossetto nuovo e un tocco di ombretto verde sulle palpebre. Poi, scoppiando di gioia, uscì di casa e si avviò verso la radura assolata. Il cottage sembrava un animale addormentato sotto il cielo senza nuvole. Mentre si avvicinava, i soli suoni che rompevano il silenzio erano il canto degli uccellini e il martellare del suo cuore. Poi udì il suono del metallo contro la pietra e capì che lui era ritornato. Facendo il giro del cottage e avviandosi verso lo studio di Jackson, Susanna si sentì all'improvviso incomprensibilmente nervosa. E il vederlo, nudo fino alla cintola, con la pelle abbronzata luccicante di sudore, le fece venire la gola secca. Era talmente perfetto! C'erano forza, grazia, fluidità in ogni suo movimento. E le sembrava impossibile che volesse proprio lei, l'insignificante e assennata Susanna, come compagna della sua vita. Ma lei non era insignificante. Jackson glielo aveva dimostrato in modo inequivocabile e di sicuro non si stava comportando in modo assennato in quel momento, non nel comune senso del termine, almeno. Era bella ai suoi occhi e lo amava, e il resto del mondo poteva andare al diavolo perché Diana Chiloton
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lei, finalmente, sapeva quello che voleva e aveva intenzione di prenderselo, avidamente e con entusiasmo! Gli si avvicinò silenziosamente, o comunque il rumore dei suoi passi fu coperto dal suono del metallo contro la pietra. Jackson non si voltò, ma lei capi ugualmente che si era accorto della sua presenza perché per una frazione di secondo s'interruppe, per poi rimettersi al lavoro con rinnovata energia e maggior concentrazione. Moriva dalla voglia di allungare le braccia verso di lui e di toccarlo, ma era paralizzata da un'improvvisa timidezza. E si domandava con sgomento come mai lui non smetteva di lavorare, non la guardava, non le diceva almeno una parola di benvenuto. Doveva sapere perché era lì! O forse no. In fin dei conti le aveva chiesto di riflettere sulla sua proposta, di prendere una decisione e di andare a comunicargliela. Aveva detto che non le avrebbe più fatto pressioni, che tutto adesso sarebbe dipeso da lei. Per quel che ne sapeva lui, poteva essere venuta lì per dirgli che ci aveva pensato sopra e che non lo avrebbe sposato nemmeno se fosse stato l'ultimo uomo rimasto al mondo! Con il cuore traboccante d'amore al pensiero della sua possibile apprensione, lo osservò lavorare, orgogliosa e anche preda di un certo timore reverenziale. Stava creando un capolavoro, ricavando da quel blocco di marmo una statua magnifica col sudore, l'amore e un'eccezionale sensibilità. E anche se adesso non era famoso, un giorno lo sarebbe stato senza possibilità di dubbio. Impulsivamente glielo disse con un filo di voce e lui rovesciò la testa all'indietro e scoppiò a ridere. C'era un che di sgradevole in quella risata e quando Jackson posò gli attrezzi e si voltò a guardarla asciugandosi il sudore dalla fronte con uno straccio, la sua espressione non le piacque affatto. Non gliel'aveva mai vista prima e all'improvviso ebbe l'inquietante sensazione di avere davanti a sé un estraneo. «Dunque adesso mi consideri un buon investimento, a quanto pare.» Anche le sue parole erano sgradevoli. Le aveva pronunciate con un'amarezza che lei non riusciva assolutamente a capire. Non comprendeva proprio come potesse aver qualcosa da obiettare al suo sincero commento sulla sua fama futura. Rabbrividì e si rannuvolò in volto nel vedere che il viso di Jackson era terreo sotto l'abbronzatura e i suoi occhi erano freddi come non lo erano mai stati. Non sapeva che cosa ci fosse che non andava, ma forse se gli Diana Chiloton
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avesse detto come il suo amore per lui fosse cresciuto a dismisura fino ad avere la meglio sulla ragione e il buonsenso sarebbe ridiventato il Jackson di sempre. Aprì la bocca, ma le parole che stava per pronunciare le morirono in gola quando udì una voce femminile gridare: «Jack, tesoro, se non vieni subito a mangiare butterò il tuo pranzo nella pattumiera!». L'attimo seguente la biondina con cui l'aveva visto in quel giorno di pioggia in High Street sbucò da dietro l'angolo del cottage ed entrò nello studio. Aveva raccolto i lunghi capelli ribelli in uno chignon sbarazzino, reggeva una padella che conteneva un'omelette dall'aspetto non molto invitante, e il suo corpo abbronzato e snello, ma con le curve giuste al posto giusto, era appena ricoperto da un minuscolo reggiseno, da un paio di ridottissimi calzoncini e dal più vezzoso e provocante grembiulino che Susanna avesse mai visto in vita sua. Per qualche istante rimase impietrita dallo choc e dallo sgomento, poi capì che se non se ne fosse andata subito di lì avrebbe potuto fare qualcosa di cui si sarebbe pentita per il resto della sua vita. Come ammazzare qualcuno, per esempio. Muovere le labbra le costò uno sforzo immenso, ma alla fine riuscì a mormorare: «Scusatemi. È evidente che sono capitata in un momento poco opportuno». Poi si voltò e corse via con le tempie che le pulsavano per il dolore e la gelosia. Una bruciante, violenta gelosia. Adesso capiva l'insolita durezza di Jackson, il suo strano comportamento. L'imbarazzo per il fatto che lei avesse scelto proprio quel momento per andarlo a trovare spiegava il suo atteggiamento aggressivo. Lo aveva sorpreso in compagnia di un'altra donna... e faceva male, mio Dio, quanto faceva male! Non aveva mai immaginato di poter provare tanto dolore. «Aspetta!» Aveva percorso soltanto una dozzina di metri quando lui la raggiunse afferrandola per un braccio e costringendola a voltarsi e a guardarlo in faccia. Non si era aspettata che lui le sarebbe corso dietro. Aveva immaginato che si sarebbe vergognato troppo per farlo. Ma il fatto che fosse lì le accese nel cuore un barlume di speranza. In fin dei conti poteva darsi che avesse una spiegazione plausibile da darle. «Io ero... ero venuta a dirti che ti avrei sposato» gli confessò con le lacrime agli occhi. «Avevo perfino dato le dimissioni dalla banca e...» Diana Chiloton
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«Ci credo» la interruppe lui in tono sprezzante, ma Susanna continuò come se non avesse parlato: «E intanto tu... tu te la spassavi con quella ragazza seminuda! E ti avevo già visto con lei, perciò non cercare di spacciarmela per la nuova cameriera». Aveva voglia di pestare i piedi e di mettersi a urlare, ma sarebbe stato infantile. Aveva anche un disperato bisogno che lui la rassicurasse, le dicesse che quella biondina era una tizia che aveva l'abitudine di girare in reggiseno e calzoncini perché aveva qualche rotella fuori posto, ma era sostanzialmente innocua. E anche quello era infantile, perché non poteva essere la verità. E comunque Jackson non era affatto in vena di rassicurarla perché non accennò minimamente alla biondina. Tutto quello che disse, togliendole anche l'ultimo residuo di speranza, fu: «Dimentica che io ti abbia mai parlato di matrimonio. Non voglio vederti mai più. E, a proposito, quando vedi tua madre dille di non disturbarsi a venire fin qui per porgermi le sue scuse. Se lo facesse, potrei scordarmi che sono un gentiluomo». «Ma... io non capisco» balbettò Susanna, sgomenta. «Non... non vedo per cosa mia madre dovrebbe porgerti le sue scuse.» Lui le aveva voltato le spalle e stava ritornando verso il cottage, ma si fermò e girandosi a guardarla con un viso completamente privo di espressione replicò: «Oh, per una cosa da nulla. Lunedì pomeriggio è venuta da me e mi ha ordinato di stare lontano da te. Ha detto che, se tu fossi stata tanto sciocca da sposarmi, lei e tuo padre non ti avrebbero lasciato nemmeno un soldo del loro notevole patrimonio». Le voltò di nuovo le spalle e si allontanò senza darle il tempo di replicare camminando a testa alta come se non avesse una sola preoccupazione al mondo. «Fran, amore mio!» lo udì gridare allegramente Susanna quando fu a un paio di metri dal cottage. «Mangerò quell'obbrobrio che mi hai cucinato se mi prometti qualcosa di buono per dessert!» E dal tono con cui pronunciò le ultime parole si capiva lontano un miglio che non vedeva l'ora di assaggiare quello che la biondina seminuda gli avrebbe offerto al posto del dessert. Non si voltò più a guardarla e Susanna ne fu felice, perché se lo avesse fatto non sarebbe riuscita a nascondergli la sua disperazione. Le gambe non la reggevano più. Cedettero sotto il peso della sua tristezza e lei si accasciò al suolo abbracciandosi le ginocchia e nascondendo il viso nella gonna del suo bel vestito, mentre si dondolava avanti e indietro Diana Chiloton
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abbandonandosi al dolore che le procurava la consapevolezza che a Jackson interessavano soltanto i suoi soldi. Era bastato che Miranda gli dicesse che non avrebbe mai potuto mettere le mani sul denaro di famiglia, perché Jackson la guardasse con odio. Sua madre le aveva detto che quando lui avesse scoperto che non avrebbe tratto alcun guadagno dallo sposarla sarebbe scappato a gambe levate. Ed era proprio quello che lui aveva fatto.
10 Susanna ritornò a casa camminando come un automa. Non ricordava quanto a lungo fosse rimasta rannicchiata nella radura piangendo tutte le sue lacrime. Adesso non provava più nulla, si sentiva come svuotata e aveva l'impressione di avere una pietra al posto del cuore. Sua madre aveva avuto ragione fin dall'inizio. Jackson l'aveva circuita solo perché aveva preso informazioni sul suo conto e aveva scoperto che un giorno sarebbe diventata una donna molto ricca. Poche parole pronunciate da Miranda avevano annullato tutti i motivi che l'avevano indotto a chiederle di sposarla. Dal momento che sarebbe stata diseredata qualora fosse diventata sua moglie, non voleva più saperne di lei. Era appena entrata in casa che il telefono cominciò a squillare. Sollevò automaticamente il ricevitore e quando udì la voce di Miranda all'altro capo del filo, se ne avesse avuto la forza avrebbe senz'altro riattaccato. «Sono ore che sto cercando di mettermi in contatto con te, tesoro!» esclamò sua madre in tono entusiasta. «Sarei venuta ad aspettarti all'uscita dalla banca, ma papà aveva organizzato una cena importante per stasera e gli avevo promesso che avrei cucinato io. Non ci si può più fidare della signora Hobbs, poverina! Comunque, dovevo assolutamente parlarti prima di andare a dormire. Sapessi come sono eccitata per la meravigliosa notizia che mi hai dato oggi! E anche papà è al settimo cielo, naturalmente.» Susanna sbatté più volte le palpebre decidendo sconcertata che i casi erano due: o era impazzita sua madre o era impazzita lei. Avrebbe voluto chiedere delle spiegazioni a Miranda, ma la donna era talmente euforica che interromperla era impossibile. «Dovrei tirarti le orecchie, però» continuò sua madre allegramente. «Se mi avessi detto subito come stavano le cose, non avrei fatto la figura della Diana Chiloton
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sciocca quando sono andata da Jackson, lunedì pomeriggio. Comunque sono troppo felice per non perdonarti. E non vedo l'ora di cominciare i preparativi per il matrimonio e... Ma che sciocca! Ti starai senz'altro chiedendo come ho fatto a scoprire tutto. Be', quando Lily e io siamo entrate nel ristorante del Feathers Hotel, poco prima di mezzogiorno, c'era anche il tuo Jackson e io mi stavo chiedendo che cosa ci facesse lì, quando Lily è andata a salutarlo e gli ha parlato per qualche minuto. Poi, mentre bevevamo l'aperitivo, mi ha raccontato tutto. Lei e Henry conoscono gli Arne da anni... non intimamente, intendiamoci, ma quanto basta per sapere che il padre di Jackson è un barone. Il tredicesimo barone Arne, nientemeno! Perciò tu un giorno diventerai baronessa, dal momento che Jackson è l'unico figlio maschio. A quanto pare suo padre, sir Bertram Arne, è molto anziano, e sua madre è morta secoli fa, perciò tu in pratica diventerai baronessa subito dopo il matrimonio. E secondo Lily, Arne Hall è un posto unico al mondo, letteralmente pieno di tesori. Beninteso, Lily mi dice che il tuo Jackson non vive esattamente di rendita... anche se tu lo sai benissimo, bricconcella che non sei altro! Certo che nessuno direbbe, guardandolo, che è famoso in tutto il mondo e che con il suo lavoro guadagna soldi a palate. Quel caro ragazzo sembra non avere un soldo in tasca. Ma del resto i nobili possono permettersi di infischiarsene delle apparenze. E poi, non so se sai anche questo, secondo Lily il tuo Jackson non ha voluto nemmeno sentir parlare di matrimonio per anni, con gran dolore di suo padre. Immagino che dal suo punto di vista sia piuttosto comprensibile. È così un buon partito... bello, pieno di talento, ricco ed erede di un titolo. A quanto pare è stato sul punto di sposarsi, una decina d'anni fa. Poi ha scoperto che la ragazza che stava per portare all'altare era più interessata al titolo nobiliare e al denaro che non a lui e ha mandato a monte il matrimonio. Perciò, come vedi, mia cara, sei stata proprio brava a mettergli il laccio al collo.» Miranda si fermò a riprendere fiato, poi continuò in tono concitato: «Ma adesso dimmi se avete già fissato la data. Se non lo avete ancora fatto, io pensavo che i primi di settembre sarebbero l'ideale. E poi, ti prego, porta qui a cena Jackson, sabato sera. E anche sir Bertram, se riesci a convincerlo. Papà e io saremmo lieti di ospitarlo per la notte e poi lo riaccompagneremmo ad Arne Hall la domenica mattina». Susanna deglutì un paio di volte a vuoto e strinse tanto convulsamente il ricevitore che le nocche le divennero bianche. Non c'era da meravigliarsi Diana Chiloton
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che sua madre avesse cambiato atteggiamento nei confronti di Jackson, dopo quello che aveva scoperto sul suo conto. Adesso cominciava a capire anche il perché del comportamento di Jackson nei suoi confronti. Ma voleva esserne sicura. Perciò con una noncuranza che era ben lontana dal provare domandò a Miranda: «Hai parlato con Jackson stamattina, al Feathers Hotel?». «Ma certo! Allora non immaginavo che lui ti avesse chiesto di sposarlo, ma sapevo che vi frequentavate e quando Lily mi ha detto chi era in realtà, sono andata da lui e gli ho chiesto di unirsi a noi. Gli ho anche spiegato che ti stavamo aspettando e che saresti arrivata di lì a poco. Ma lui ha detto che aveva un appuntamento e se n'è andato. Peccato. Avremmo potuto festeggiare il vostro fidanzamento tutti insieme. A proposito, quando sceglierai l'anello? O ti darà un gioiello di famiglia? E non mi hai ancora detto quando sarà il matrimonio. Davvero, Susanna, per una ragazza che ha appena catturato l'uomo del secolo, sei singolarmente taciturna.» La risposta di Miranda alla sua domanda aveva detto a Susanna tutto quello che voleva sapere. Era stata il pezzo finale del rompicapo ed era andato al suo posto con un suono sinistro. «Ho un messaggio per te da parte di Jackson» ribatté con un sospiro. «Dice di non disturbarti ad andare a porgergli le tue scuse. Se tu lo facessi potrebbe dimenticare di essere un gentiluomo.» E riattaccò senza dare a sua madre il tempo di replicare. Come immaginava, il telefono ricominciò a squillare quasi subito e Miranda le chiese in tono cupo, come se non ci fosse stata alcuna interruzione: «Spiegami che cosa intendeva con quelle parole». «Conosci già la risposta» replicò Susanna con asprezza. Non era mai stata tanto stanca in vita sua. Moriva dalla voglia di andare a letto e non le sarebbe importato se non si fosse svegliata mai più. «E prima che tu cominci a ordinare il tuo vestito da madre della sposa, sappi che il matrimonio è stato cancellato. E non voglio mai più sentire una sola parola in proposito da parte tua.» Susanna salutò il signore e la signora Brown, chiuse il portone e ci si appoggiò contro con la schiena tirando un sospiro di sollievo. A quanto pareva, aveva trovato degli acquirenti per Mallow Cottage. Era la terza volta che i Brown venivano a vederlo e sembravano proprio intenzionati ad acquistarlo. Comunque, ormai aveva deciso. Che riuscisse o meno a vendere Mallow Diana Chiloton
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Cottage, la settimana seguente si sarebbe trasferita a Londra, dove avrebbe diviso una stanza con una vecchia compagna di studi in attesa di trovare un appartamento e un lavoro. Per quest'ultimo aveva già delle buone prospettive: il martedì successivo avrebbe sostenuto un colloquio con il direttore di un Istituto di Credito. Si trattava di un incarico più prestigioso e meglio retribuito di quello che aveva ricoperto alla Shire Counties Bank ed era convinta che sarebbe riuscita a ottenerlo. Convinta, ma non molto interessata. Niente sembrava interessarla, ultimamente, non da quando Jackson se n'era andato. Era partito il giorno dopo averle detto di non volerla vedere mai più, in un tardo pomeriggio di luglio. Aveva sentito il rombo di un camion che si avvicinava, con la Venere incompiuta sul pianale, coperta da un telo. Jackson aveva seguito il camion a bordo di una rombante motocicletta, sul cui sedile posteriore c'era la biondina, Fran, che gli stava aggrappata e rideva come una matta. Da allora erano passati due mesi. Lui se n'era andato portandosi via il suo cuore e benché avesse cercato di dimenticarlo non c'era riuscita. La sera di settembre era fredda e Susanna si gettò uno scialle di cachemire marrone sul vestito nero e beige di cotone indiano che indossava e uscì, troppo irrequieta per rimanere in casa. Da quando Jackson se n'era andato si era presa particolarmente cura del proprio aspetto, spendendo in vestiti più di quanto non avesse mai fatto prima e sperimentando trucchi nuovi. Sentiva di doverlo a se stessa e, in un certo senso, di doverlo anche a Jackson. Era stato lui a rivelarle il potenziale che c'era in lei, a farle capire che poteva essere bella, Jackson. Jackson Arne. L'eco del suo nome, il ricordo di lui le riempivano la mente escludendo tutto il resto. Rammentava come, la sera del loro primo incontro, avesse avuto la sensazione di aver già sentito il suo nome da qualche parte. E adesso, quando ormai era troppo tardi, ricordò di aver letto un articolo che parlava di un giovane e promettente scultore in uno dei supplementi domenicali di suo padre. Non ci aveva fatto molto caso perché allora stava frequentando il primo anno di Economia e Commercio all'università e le belle arti non la interessavano granché, tutta tesa com'era a costruirsi un futuro nel mondo della finanza. Non che avrebbe fatto qualche differenza se se lo fosse ricordato subito. Anzi, gli avrebbe detto senz'altro che aveva sentito parlare di lui, che sapeva chi fosse. E Jackson si sarebbe immediatamente messo sulle Diana Chiloton
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difensive perché aveva avuto una brutta esperienza con una donna che lo aveva voluto non per quello che era, ma per quello che rappresentava. Forse le avrebbe fatto lo stesso la corte perché la trovava attraente, ma non le avrebbe mai chiesto di sposarlo. E non appena il suo desiderio per lei si fosse spento, l'avrebbe messa da parte. Intanto era uscita dal giardino e solo quando fu arrivata nella radura si rese conto che stava andando al cottage in cui Jackson aveva abitato per alcune settimane. Era proprio come se lo ricordava, ma Jackson non c'era più. E con lui, dal cottage se n'era andata anche la vita. La porta non era chiusa a chiave e, obbedendo a un impulso improvviso, Susanna entrò, accese uno scoppiettante fuoco nel camino e si rannicchiò sul divano osservando le fiamme. Era stato relativamente facile odiarlo quando aveva creduto che fosse un cacciatore di dote senza scrupoli, dal momento in cui le aveva detto di non volerla vedere più a quello in cui Miranda le aveva raccontato come stavano veramente le cose. Era più semplice convivere con l'odio che con la disperazione. Aveva cercato di odiarlo per aver creduto che lei avesse accettato la sua proposta di matrimonio solo dopo aver scoperto chi era in realtà. Ma aveva un innato senso della giustizia e non se la sentiva di condannarlo. Lei, che pure lo amava, aveva creduto a delle cose orribili sul suo conto, perciò non poteva davvero biasimarlo se lui aveva fatto lo stesso nei suoi confronti. Se solo fosse stato al cottage il mercoledì pomeriggio, quando era venuta a dirgli che accettava di sposarlo! Non sarebbe successo nulla di quello che era accaduto. Era davvero incredibile come ventiquattr'ore potessero cambiare radicalmente un'esistenza. Andare avanti senza di lui sarebbe stato terribile, ma doveva riuscirci. Aveva abbastanza forza di volontà per farcela, decise contemplando le fiamme e rannicchiandosi ancora di più sul divano. Ma per l'ultima volta voleva ricordare, perdersi nei pensieri dolceamari di quello che sarebbe potuto essere e non era stato. Perciò, quando udì lo scricchiolio della porta che si apriva e sentì Jackson pronunciare il suo nome, per una frazione di secondo le parve la cosa più naturale del mondo. Ma poi capì che quella voce non era frutto della sua immaginazione e sgranò gli occhi irrigidendosi. Grazie a lui stava soffrendo e avrebbe sofferto sempre di più. Perché qualunque ragione Jackson avesse avuto per Diana Chiloton
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tornare lì al cottage, non era stato certo per il bisogno di rivederla. Ne era sicura. Probabilmente era venuto per prendere qualcosa che aveva dimenticato quando se n'era andato tanto in fretta e trovarla lì, dove non aveva alcun diritto di stare, lo aveva disgustato, vista l'opinione che aveva di lei. Dal momento in cui aveva pronunciato il suo nome, Jackson non si era mosso. Stava in piedi sulla soglia e sembrava un fantasma. Il fantasma di un amore perduto. Benché non le avesse mai detto che l'amava. Forse non sapeva nemmeno amare. Ma aveva voluto il suo corpo tanto da chiederle di sposarlo. Solo che quello era avvenuto prima che la signora Anstruther e Miranda rovinassero tutto, e adesso era troppo tardi perché Jackson ormai pensava che lei fosse come quell'altra ragazza. Da un momento all'altro le avrebbe chiesto che cosa ci faceva lì e lei se ne sarebbe dovuta andare in fretta perché non sopportava di soffrire ancora di più. Balzò in piedi con il cuore in tumulto avvolgendosi strettamente nello scialle. Si domandò con sgomento quante ragazze avesse portato a letto dall'ultima volta che lo aveva visto. O forse quella biondina, Fran, aveva resistito al suo fianco per tutto quel tempo. Poi capì che doveva dire qualcosa, qualunque cosa, perché il silenzio fra loro era assurdo e insostenibile. «Mi... mi dispiace» mormorò in tono esitante. Poi, facendo appello a tutto il proprio autocontrollo, continuò con maggior fermezza: «Non dovrei essere qui, lo so. Ero di passaggio e...». S'interruppe di scatto rendendosi conto che, dopo aver visto il fuoco acceso, lui non avrebbe mai creduto alle sue spiegazioni. «Comunque ti lascio subito in pace.» Si avviò verso la porta, ma lui non accennò minimamente a scostarsi per farla passare. «Immagino che tu voglia cercare quello che hai dimenticato, di qualunque cosa si tratti» soggiunse incollandosi sulle labbra un sorriso forzato. «Non mi lascerai mai in pace e ho già trovato quello che ho dimenticato.» La voce di Jackson era aspra, tinta di amarezza, e la sua figura imponente, enfatizzata dai jeans e dal maglione nero che indossava, lo rendeva minaccioso mentre avanzava verso di lei riducendo la distanza che li divideva allo spazio di un capello. Diana Chiloton
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Susanna arretrò istintivamente, ansimando, ma le mani di Jackson la afferrarono stringendole i polsi in una morsa d'acciaio. «Può darsi che tu abbia cambiato idea, dolcezza» sbottò furibondo. «Ma io no. Ti voglio ancora. Ho cercato di dimenticarti, ma tu non mi dai pace.» Aveva intenzione di fare all'amore con lei, Susanna glielo leggeva negli occhi e sapeva che, se lo avesse fatto nello stato d'animo in cui si trovava in quel momento, lei sarebbe morta di vergogna e di dolore. Se voleva punirla, non avrebbe potuto trovare un modo migliore. Era tanto vicino che riusciva a sentire il calore del suo desiderio e rabbrividì rendendosi conto all'improvviso che non aveva più la forza di combattere. Le lacrime cominciarono a scorrerle lungo le guance. «Non piangere, Susanna» la supplicò Jackson cambiando improvvisamente tono di voce e attirandola a sé. «Non riesco a pensare con lucidità se lo fai. Sei come un germe di follia nella mia mente. Una follia che non se ne vuole andare, ma aumenta e aumenta finché non riesco a combinare più nulla.» «E... e cosa pensi di fare in proposito?» gli domandò lei con un filo di voce. «Non c'è che una soluzione, Susanna. Dobbiamo sposarci. E parlare, prima.» «Non... non abbiamo più nulla da dirci» protestò lei tentando inutilmente di divincolarsi dalla sua stretta. «Ci siamo già detti tutto... Hai già detto tutto il giorno in cui sono venuta qui e ti ho trovato insieme a quella donna. Fran. L'hai chiamata Fran.» «Fran è mia sorella» ribatté Jackson sedendosi sul divano e costringendo Susanna a fare altrettanto. «È convinta che io non sappia badare a me stesso, perciò era venuta a passare qualche giorno da me per accertarsi che mangiassi abbastanza, cosa che tu avevi rifiutato di fare.» «Non me lo avevi detto!» sbottò lei furibonda. «Mi hai lasciato deliberatamente credere...» «Che fosse la mia amica, lo so» concluse al suo posto Jackson con un'alzata di spalle. «Non vedo perché non avrei dovuto farlo. Volevo farti soffrire come tu avevi fatto soffrire me. Mio Dio, come pensi che mi sia sentito quando sei arrivata qui tutta sorrisi e moine per comunicarmi che ti eri finalmente degnata di accettare la mia proposta di matrimonio? Quando sapevo maledettamente bene che mi avevi sempre resistito, stando Diana Chiloton
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aggrappata con tutte le tue forze al tuo fidanzamento con quell'affidabile e noioso Edmond, e avevi cambiato idea solo dopo aver saputo da tua madre e da Lily Anstruther che ero un partito addirittura migliore di lui!» «Ma...» Susanna avrebbe voluto dirgli la verità, anche se dubitava che lui le avrebbe creduto, ma Jackson le mise un dito sulle labbra zittendola, mentre continuava: «Sto cercando di accettarlo. Non rendermi tutto più difficile dicendomi le cose che pensi io voglia sentirmi dire». Le sfiorò le labbra con un bacio, ma quando Susanna, incapace di resistergli, cominciò a ricambiarlo, si staccò da lei e soggiunse con voce rauca: «Non ce la faccio senza di te. Ci ho provato, ma tu sei entrata nella mia vita e te ne sei impossessata. E alla fine tutto quanto si riduce a una questione di fiducia. Ti avevo fatto deliberatamente credere che non avevo altro da offrirti oltre l'uomo che sono e ti avevo chiesto di fidarti di me. Ma non ho avuto abbastanza fiducia in te da pensare che tu avresti accettato di sposarmi in qualunque circostanza. Ci ho riflettuto a lungo, dolcezza». La strinse fra le braccia nascondendo il viso contro il suo petto mentre continuava: «Sapere che tu avevi accettato di sposarmi solo dopo aver scoperto chi ero in realtà era orribile. Ma il pensiero di vivere senza di te per il resto dei miei giorni lo era ancora di più. Non posso. Ti amo, Susanna. E ti voglio a qualunque costo». Un sorriso sbigottito le illuminò il volto cancellando la tensione delle ultime settimane. Da quel momento in poi tutto sarebbe andato bene, ne era sicura. Tutto quello che doveva fare era dirgli la verità, perché nonostante le avesse appena detto che la voleva a qualunque costo, meritava ugualmente di sapere com'erano andate davvero le cose. «Mi hai messo alla prova e io l'ho superata» replicò accarezzandogli il viso, ubriaca di felicità. «Credimi, l'ho superata. Continui a parlare di fiducia... Be', devi fidarti di me su questo punto.» «Ci sto provando, te l'ho detto. Ma mettiti nei miei panni. Ti rifiutavi assolutamente di lasciare Edmond. L'ultima volta che sono venuto a casa tua, il giorno in cui ti ho chiesto di sposarmi, stavi amoreggiando con lui. Perfino dopo che ti avevo dimostrato oltre ogni possibilità di dubbio che era me che volevi! E sei venuta da me solo dopo che io avevo incontrato tua madre e lei ti aveva detto chi ero. So che deve averlo fatto perché, quando mi ha chiesto di unirmi a lei e a Lily Anstruther spiegando che ti stavano aspettando e che saresti arrivata da un momento all'altro, non Diana Chiloton
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sarebbe potuta essere più carina con me. Mentre tutte le altre volte che ci eravamo incontrati, inclusa quella in cui è venuta qui per ordinarmi di lasciarti in pace, mi aveva trattato come se fossi un appestato. Stavo da cani e non potevo, non volevo credere che tu saresti corsa da me non appena avessi saputo la verità sul mio conto. Invece lo hai fatto. E allora ho capito...» «No, non hai capito nulla» lo interruppe Susanna con fermezza. «Quando ho saputo chi eri veramente, tu mi avevi già detto che non volevi vedermi più. Ho perfino sofferto le pene dell'inferno perché, per qualche ora, sono stata convinta che tu mi avessi chiesto di sposarti solo perché avevi scoperto che un giorno avrei ereditato un mucchio di denaro. Mi hai riferito che mia madre era venuta da te per avvertirti che, se fossi diventata tua moglie, lei e mio padre non mi avrebbero lasciato un soldo, e ho subito pensato il peggio.» «Mi ha fatto preoccupare» ribatté Jackson guardandola negli occhi. «Non per i motivi che lei aveva in mente, ma perché sapevo che ti avrebbe sottoposta al lavaggio del cervello fornendoti una ragione in più per indurti a non rinunciare alla tua sicurezza in cambio dell'amore. Mi ha fatto passare qualche notte insonne a domandarmi se quello che provavi per me fosse abbastanza forte. Ma spiegami che cosa intendi dicendo che hai scoperto chi ero solo dopo essere stata qui.» «Non ho saputo nulla fino a sera, quando mia madre mi ha telefonato. Ero tornata a casa tardi perché ero rimasta ore nella radura, a piangere disperata perché credevo che tu avessi voluto sposarmi solo per il patrimonio che un giorno avrei ereditato. Comunque la mamma non vedeva l'ora di dirmi tutto su di te, come puoi immaginare, e mi ha fatto venire un autentico colpo! Anche se avrei dovuto immaginare qualcosa del genere quando aveva reagito con tanto entusiasmo alla notizia delle mie nozze con te, invece di dare in escandescenze come avevo pensato che facesse.» «Non dirmi che le avevi davvero annunciato di avere l'intenzione di sposarmi prima di sapere chi ero. Addirittura prima di annunciarlo a me!» C'era dell'incredulità nella voce di Jackson, ma anche qualche altra cosa. Qualcosa di indefinibile. Gioia, forse... «Sì» replicò Susanna dolcemente. «Avevo... avevo anche rassegnato le dimissioni dalla banca. Lo avevo fatto il giorno prima, a dire il vero, ed ero venuta da te quella sera stessa, ma avevo trovato un biglietto sulla porta...» Diana Chiloton
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«Ero andato a prendere Fran» gemette Jackson, pensando senza dubbio che se fosse stato in casa nulla di quello che era accaduto sarebbe successo. «Non importa. Non più. Voglio solo dirti che avevo rotto il mio fidanzamento con Edmond ancor prima di venire a posare per te. Il giorno in cui mi hai sorpreso con lui non stavamo affatto amoreggiando. Edmond stava cercando di farmi cambiare idea, tutto qui. Senza riuscirci, naturalmente. Anzi, mi ha letteralmente disgustata.» «Ma perché non mi hai detto che avevi rotto con Edmond?» le domandò Jackson in tono sgomento. «Perché hai lasciato che io continuassi a sbattere la testa contro il muro?» «Perché, a essere sincera, avevo paura» gli confessò lei. «Avevo alle spalle un'intera esistenza di condizionamenti da superare. Mi era stato fatto credere da sempre che tutto quello su cui potevo contare erano la mia intelligenza e il mio buonsenso. E poi tu mi hai indotto a considerarmi diversamente, a vedermi come una donna, una bella donna addirittura. Ma avevo ancora il mio radicato buonsenso da combattere prima di poter ammettere che si può mandare tutto quanto all'aria per amore. E tu non mi hai aiutato affatto. Mi ponevi ostacoli a ogni piè sospinto. Ho dovuto combattere la mia battaglia da sola. No, non mi hai aiutato davvero facendomi credere che eri un vagabondo senza un soldo. Quanto devi aver riso quando ti ho consigliato di vendere i tuoi schizzi per guadagnare qualcosa e ti ho assicurato che un giorno saresti diventato famoso!» «Non ho riso affatto, dolcezza. La tua preoccupazione per me mi commuoveva profondamente e sono stato più volte sul punto di dirti tutta la verità sul mio conto, ma ormai era diventata una questione di principio. Avevo bisogno di sapere che mi avresti accettato a qualunque costo. Perché la notte in cui hai posato per me ho capito che ti amavo. Sono stato attratto da te fin dal primo momento in cui ti ho vista. Quando ti ho veduta camminare nell'acqua al chiaro di luna, ho pensato che tu fossi la donna più bella su cui avessi mai posato gli occhi. Forse ti ho amato fin da allora... e di sicuro non avevo mai corteggiato una donna prima. Ho sempre preso soltanto quello che mi veniva offerto spontaneamente. Non volevo legami né impegni e il corteggiamento mi era sempre sembrato una perdita di tempo, un modo per sottrarre energia preziosa al mio lavoro. E invece mi sono ritrovato a dare strenuamente la caccia a una donna che non voleva saperne di me ed era addirittura fidanzata con un altro! Dovevo Diana Chiloton
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essere innamorato di te, non poteva esserci altra spiegazione. Ma non ho avuto l'acume di capirlo subito. Mi dicevo che ero preoccupato per te, per il modo in cui ti sminuivi e nascondevi la vera Susanna dietro quella compita e rispettabile direttrice di banca alla cui immagine sembravi essere tanto affezionata. E quando finalmente ho avuto il coraggio di prendere atto del mio amore per te, ho capito che avrei fatto una fatica del diavolo a convincerti ad ammettere che anche tu mi amavi e ad accettare di sposarmi anche se pensavi che io non avessi un soldo.» «E tutto perché volevi avere la certezza che io non volessi diventare tua moglie solo per il tuo denaro e il tuo titolo nobiliare visto che... che avevi già vissuto un'esperienza del genere. Dimmi, Jackson. Eri molto innamorato della ragazza che un tempo stavi per sposare?» «Ci aspetta un futuro meraviglioso, Susanna» protestò lui scuotendo la testa. «Non ha senso frugare nel passato, andare a rivangare cose che ormai sono morte e sepolte.» Accostò le labbra alle sue, ma lei, anche se moriva dalla voglia di baciarlo, insistette: «Voglio saperlo, Jackson. Quella donna è indirettamente responsabile dell'inferno che ho passato nelle ultime settimane». «Non mi renderai la vita facile, lo so» sospirò lui in tono melodrammatico alzando gli occhi al cielo. «Me lo diceva sempre mia nonna: non metterti mai con una donna testarda! Io non le ho dato retta e guarda come sono finito. Comunque ti dirò tutto quello che vuoi sapere. Come la gran parte dei genitori, anche mio padre voleva vedermi sistemato con una moglie adatta a me che mi desse dei figli a cui trasmettere il titolo di famiglia. Mia madre morì quando avevo dodici anni e mio padre era abbastanza vecchio da poter essere mio nonno, visto che i miei genitori si erano sposati quando avevano entrambi superato i quarant'anni. Perciò, quando arrivai a quella che secondo lui era un'età da matrimonio, mio padre, con l'aiuto di un paio di zie compiacenti, cominciò a circondarmi di ragazze adatte. Allora io avevo appena concluso gli studi all'Accademia di Belle Arti e non avevo nessuna intenzione di sposarmi. Ma mio padre cominciò a diventare molto insistente e quando Celia venne invitata a trascorrere un fine-settimana di un afoso agosto da noi, ricordo di aver pensato che lei poteva funzionare. Aveva due o tre anni più di me, era molto sofisticata e completamente diversa dalle sciocchine che mi erano state presentate fino a quel momento. Così credetti di essermi innamorato Diana Chiloton
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di lei. Dico credetti col senno di poi. Quando il matrimonio venne mandato a monte, fu solo il mio orgoglio a soffrirne.» «Doveva essere una vera strega» commentò Susanna in tono indignato. «Non esattamente. Era solo fredda, calcolatrice e decisa a sposare un uomo ricco. Ma io ci ho ricamato sopra un bel po'. Era un modo per convincere mio padre e le mie zie a lasciarmi in pace e per potermi dedicare completamente al mio lavoro, che era la sola cosa di cui m'importava veramente. Non dico di essere stato un santo, dopo la fine della mia storia con Celia. Ho avuto parecchie donne, ma nessun legame serio. E non avevo intenzione di sposarmi perché la mia vita mi andava bene così com'era. Ho uno studio ad Arne Hall e una villa a Nizza, con un altro studio. Ti piaceranno entrambi, dolcezza. Ho preso in prestito questo cottage solo perché avevo bisogno di isolarmi. Avevo accettato la commissione da Hugo perché è un caro e vecchio amico, ma non ne ero contento. Perciò avevo bisogno di un posto in cui potessi stare completamente solo a riflettere, senza le orde di amici che mi vengono a trovare quando sono a Nizza o i parenti che mi tormentano a fin di bene quando sono ad Arne Hall. Così sono venuto qui e ti ho incontrato e tu mi hai completamente cambiato la vita. Ti volevo talmente, ti amavo a tal punto, che avevo bisogno di sapere che eri disposta a scegliere me credendo che non avevo niente altro da offrirti oltre il mio amore.» Jackson fece una breve pausa, poi cominciò a sbottonarle la camicetta e soggiunse in tono malizioso: «Ma adesso basta parlare, dolcezza. Nel posto in cui stiamo per andare non avremo bisogno di parole». Chinò lentamente la testa fondendo le labbra con le sue e Susanna gli cinse il collo con le braccia stringendolo a sé. Era arrivato il momento di dare e il momento di ricevere, l'inizio di un nuovo futuro, di un nuovo mondo. «Sì, le parole non servono a niente» convenne. «Dimostramelo, amore mio.» FINE
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