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THOMAS M. DISCH CAMPO ARCHIMEDE (Camp Concentration, 1968) Ora, tu che leggi conosci i miei sogni: vedi se puoi interpretarli per me, o per te, o per i tuoi vicini. Ma stai attento a non confondere il loro significato, perché invece di far del bene, farai del male a te stesso sbagliando nell'interpretare quest'incubo demoniaco. Stai attento anche a non esagerare nel dilettarti con gli aspetti esteriori dei miei sogni, e non permettere che immagini o allegorie ti divertano o ti creino dei nemici. Tu, lascia tutto questo agli sciocchi o ai bambini, e invece cerca di vedere la mia vera sostanza, scosta le tende, guarda attraverso i miei veli, decifra le mie metafore e non sbagliare. Se le cercherai, troverai cose utili a una mente schietta. Le scorie che troverai in me, abbi il coraggio di gettarle via, ma preserva l'oro. Anche l'oro è frammisto a minerale grezzo, nessuno getta via la mela e conserva il torsolo, ma se tu gettassi via tutto giudicandolo inutile cosa mai potrà ancora farmi sognare? John Bunyan: The Pilgrim's Progress PARTE PRIMA 11 maggio R.M., la mia giovane guardia mormone, mi ha procurato finalmente una provvista di carta. Gliel'avevo chiesta per la prima volta tre mesi fa, e adesso non so spiegarmi questo improvviso cambiamento nei miei confronti. Forse Andrée è riuscito a corromperlo. Rigor Mortis lo nega recisamente, ma lui lo negherebbe comunque. Nel corso di qualche chiacchierata di politica, da alcune frasi di R.M., mi pare di aver capito che il presidente McNamara ha deciso d'impiegare bombe nucleari "tàttiche". Forse è proprio McNamara e non Andrée che devo ringraziare per questa carta, dal momento che R.M. si era mangiato l'anima tutte queste settimane, perché al generale Sherman, povero generale Sherman!, era stato negato l'armamento richiesto. Quando, come oggi, R.M. è felice, il suo timido sorriso, quelle sue labbra sottili stirate all'indietro sulla dentatura perfetta che già
sembra delineare un cranio del tutto spolpato, compare all'improvviso, al più piccolo pietoso accenno di umorismo. Perché mai tutti i mormoni che ho conosciuto avevano sempre quel sorriso costipato? Forse perché, da bambini, sono stati educati con particolare severità nell'uso del gabinetto? Questo è il mio diario. Posso essere onesto, in queste pagine. In tutta onestà, non potrei sentirmi in condizioni peggiori. 12 maggio Finora, tutti i diari che ho compilato, non sono stati niente di più che pretesti. Qui, invece, devo ricordarmi di essere preciso nei dettagli fin dall'inizio, prendendo a modello quel sublime "memento" di vita in una prigione, La Casa dei Morti. Dovrebbe riuscirmi facile, in questo luogo, rievocare anche i minimi dettagli; le circostanze esercitano nei miei confronti una tirannia che non avevo più sperimentato dagli anni della mia prima giovinezza. Le durissime ore che ogni giorno precedono la cena sono un Getsemani di paura e speranza. La paura di veder arrivare, ancora una volta, un piatto di abominevoli spaghetti. La speranza che ci sia un pezzo di buona carne in quell'unica mestolata di stufato che ci viene versata nel piatto, oppure una mela come dessert. Peggio della "sbobba" è la corsa alle pulizie, tutto il raschiare e il lucidare le nostre celle per l'ispezione. Le celle sono pulite come un osso spolpato da un cane fino all'ultima briciola e ricordano il sogno di Philip Johnson (i bagni pubblici di Grand Central) mentre noi, i prigionieri, ci portiamo addosso l'incredibile, ineliminabile odore delle nostre carni muffose e sprecate. Ma tra queste mura noi non conduciamo una vita peggiore di quella che ci aspettava fuori da queste mura, se avessimo acconsentito ad arruolarci. Per quanto questa prigione sia spregevole, essa ha il vantaggio di non condurci a una morte sicura, immediata. Non volendo poi citare il vantaggio senza prezzo di trovarci nel giusto. Ah, ma chi siamo noi? A parte il sottoscritto, ci saranno un'altra dozzina di condannati. E com'è ovvio ci tengono accuratamente divisi per impedire che tra noi si formi uno spirito di corpo. I prigionieri, quelli veri, ci disprezzano. Essi hanno un ulteriore vantaggio su quel senso del giusto di cui parlavo prima, essi sono colpevoli. Così il nostro isolamento, il mio isolamento, diviene ancora più completo, assoluto. E ho paura di risvegliare in me la compassione verso me stesso. Ci sono delle sere in cui mi siedo, qui nella cella, sperando che R.M. venga a trovarmi, per discutere con me.
Quattro mesi! E la mia condanna ammonta a cinque anni... Questa è la Gorgone che spunta inesorabile dietro a ogni mio pensiero. 13 maggio Smede: devo proprio parlarvi di lui. Werden Smede, il mio mortale nemico. Smede l'inflessibile, il quale tuttora mi proibisce il privilegio della biblioteca, e mi permette soltanto di leggere il Nuovo Testamento e un libro di preghiere. È come se mi avessero lasciato solo con l'odiato zio Morris durante le vacanze estive di quand'ero bambino, una minaccia usata molto spesso dai miei genitori, ai quali lo zio diceva sempre di tenermi lontano dai libri altrimenti mi sarei rovinato la vista. Smede: calvo, la voce baritonale, e grasso, il grasso tipico degli ex-atleti. Si poteva odiarlo solo per il nome. Oggi ho saputo dalla lettera che Andrée mi scrive ogni mese, o meglio, dalla scarsa superficie leggibile lasciata dal censore (Smede), che le bozze del mio libro Le colline della Svizzera inviatemi qui in prigione perché io le correggessi sono state respinte dall'editore, con una severa concione sui regolamenti ai quali è sottoposta la corrispondenza coi detenuti. Questo è accaduto tre mesi fa. Il libro è stato stampato, ormai, ed è stato perfino recensito. (Sono praticamente convinto che l'uscita sia stata affrettata dall'editore per sfruttare la pubblicità legata al processo). Il censore, come è ovvio, ha sequestrato il ritaglio con la recensione che Andrée aveva allegato. Così, anche la mia vanità ne ha sofferto. Per dieci anni non ho potuto vantare nessun libro al mio attivo, a parte la tesi per il mio dottorato, su Winstanley. Ora le mie poesie sono state pubblicate, e io non posso neppure vedere il libro. Ah, possano gli occhi di Smede cadere in putrefazione come le patate in primavera! Che possa tirare le cuoia tra le convulsioni dell'epilessia malese! Ho cercato di continuare il ciclo delle "Cerimonie". Non posso più farlo. I pozzi sono asciutti, asciutti. 14 maggio Spaghetti. Durante le notti come questa (scrivo questi appunti dopo che hanno tolto la luce principale, utilizzando la lampada da 20 watt che rimane perpetuamente accesa sopra il water) mi chiedo se ho fatto bene la mia scelta, se non sono stato, per caso, un pazzo. È forse così che sono fatti gli eroi? O i
masochisti? Nella mia vita privata non mi ero mai accorto di poter compiere una scelta in grado di coinvolgere così totalmente la mia coscienza. Ma, maledizione, questa guerra è uno sbaglio! Avevo pensato che venire qui spontaneamente, avrebbe corrisposto più o meno alla reclusione volontaria in un monastero di trappisti, e che sarei stato senz'altro capace di sopportare le privazioni che avevo liberamente scelto. Una delle cose di cui ho sempre sentito la mancanza, nella mia qualità di uomo sposato, è stata la vita contemplativa, nei suoi aspetti più astratti. La vita degli asceti mi appariva come un lusso quasi irraggiungibile, un raro fiore dello spirito. Bah! Nella cuccetta sotto la mia un borghesuccio, un mafioso da quattro soldi, spedito qua dentro sotto l'accusa di aver evaso il fisco, ronfa beato. Le molle dei letti cigolano nel buio quasi palpabile. Cerco di pensare ad Andrée. Il nostro insegnante di religione, fratello Wilfred, ci consigliava di pensare alla Vergine Benedetta ogniqualvolta pensieri lascivi si insinuavano nelle nostre menti. Forse con lui il sistema funzionava. 15 maggio Nel mezzo del cammin di nostra vita, proprio così! Il mio trentacinquesimo compleanno e una cartella semipiena di atrocità. Questa mattina, per qualche istante, mentre mi radevo davanti allo specchio metallico, il mio doppio, Louie II, ha preso il sopravvento. Mi ha beffeggiato con fare arrabbiato e insultante, sputando sul vessillo della fede, per non parlare della speranza (già fin troppo diluita di questi tempi...), pronunciando oscenità. Mi ha ricordato quell'estate monotona che fui costretto a trascorrere a quindici anni, quando Louie II era il solo a possedere la mia anima... Monotona? In verità, c'era stata una certa eccitazione nel poter dire a me stesso Non serviam, una eccitazione che si confonde ancora oggi col ricordo delle mie prime esperienze sessuali. E cosa c'è, poi, di diverso nella mia situazione di oggi? A parte il fatto che oggi, prudentemente, posso dire Non serviam a Cesare piuttosto che a Dio. Non ho riferito questi miei scrupoli al cappellano, quand'è venuto a confessarmi. Nella sua innocenza, sarebbe stato capace di schierarsi dalla parte di Louie II. Comunque, ha finalmente imparato a non usare contro di me le magre risorse che gli sono fornite dall'etica religiosa (è un Tomista Irlandese, un perfetto retrogado) e finge di accettare i valori morali che io mi
attribuisco. — State attento, Louis — continua però a ripetermi, prima di assolvermi. — Guardatevi dall'orgoglio intellettuale. Come si fa a distinguere tra il giusto e il voluto? Fra i due Louie? Come si fa, una volta accettato un impegno, a non porsi più domande? (Questo è il problema). E un tipo come R.M., ha forse anche lui gli stessi problemi? Mi dà l'impressione che non abbia mai avuto il più piccolo dubbio, in tutta la sua vita, e i Mormoni dovrebbero avere molte più ragioni per dubitare. Sto diventando cinico. Anche questi pozzi, ormai, si stanno inaridendo. 16 maggio Oggi ci hanno fatti uscire dalla prigione con l'incarico di abbattere e dar fuoco ad alcuni alberi malati. Un nuovo virus, forse uno dei nostri sfuggito al controllo. Il paesaggio all'esterno della prigione, nonostante la stagione, è desolato quasi quanto l'interno. Ogni nostra riserva è stata esaurita dalla guerra che ora sta intaccando il nostro capitale di ogni giorno. Tornati dentro siamo sfilati nell'ambulatorio per ricevere un'ennesima inoculazione. Il dottore mi ha trattenuto dopo che gli altri se ne erano andati. Un momento di panico, forse aveva identificato in me i sintomi di un'altra delle malattie della guerra? No, voleva soltanto farmi leggere la recensione di Le colline della Svizzera! Dio lo benedica. L'aveva scritta Mons per il New Dissent. Il libro le era piaciuto (evviva), anche se aveva qualcosa da obbiettare sulle poesie pagane, e non si era accorta dei numerosi riferimenti a Rilke da me disseminati con tanta cura. Ehi! Mentre leggevo la recensione il buon dottore mi ha iniettato nella coscia qualcosa che mi è sembrato l'equivalente di parecchie migliaia di centimetri cubi di zuppa; ero tanto euforico che sul momento non me ne sono accorto. Una recensione: dunque esisto! Devo scrivere una lettera a Mons, per ringraziarla. Forse R.M. la imposterà per me. Forse mi sarà perfino possibile avere di nuovo una corrispondenza. 17 maggio Quei due finocchi con i quali io e Mafia dividiamo nostro malgrado la nostra cella (notate come abbia detto nostra) non si parlano più. Donny rimane seduto tutto il giorno sulla tazza, canticchiando dei blues. Peter rimane disteso sulla sua cuccetta, pensieroso, il volto contratto in una smor-
fia truce. Ogni tanto, Donny mi rivolge la parola per lamentarsi con me ad alta voce della promiscuità reale o immaginaria di Peter. (Ma, accidenti, quando mai trovano l'occasione pet essere infedeli l'uno all'altro?) Donny è un negro ed è il più giovane dei due, un tipo femmineo anche nella sua petulanza, intelligente, ma futile. Peter, pur avendo ormai trent'anni, è riuscito a conservare un certo vigore fisico, anche se ha il viso coperto da rughe, quasi di seconda mano. Entrambi si trovano qui per detenzione di droga, anche se Peter può vantare un precedente processo per omicidio. Direi quasi che gli sia dispiaciuto esserne uscito assolto. La loro reciproca passione è troppo un prodotto dell'ambiente, per riuscire convincente: se tu fossi l'unico ragazzo rimasto sulla Terra, a parte me stesso... be', chi si sarebbe mosso per primo? Devo ammettere, tuttavia, di trovare tutto questo più appetibile quand'è di seconda mano, in Genet, per esempio. Il mio liberalismo diventa recalcitrante di fronte alla realtà. Comunque, ho riflettuto, è un vantaggio essere piccoli e grassocci come me. Nessuno che sia in possesso delle sue facoltà mentali, cercherebbe di soddisfare le sue libidini su un corpo come il mio. Avevo già pensato qualche tempo fa di scrivere un libro ispirandomi ai grassoni, lo avrei intitolato Quindici pance illustri, il dottor Johnson, Alfred Hitchcock, Salinger, Tommaso d'Aquino, Lauritz Melchior, Buddha, Norbert Wiener, eccetera. Questa notte le molle non cigolano, ma di tanto in tanto, nel russare di Mafia, si inserisce un sospiro di Donny o di Peter. 18 maggio Un'ora intera, questa sera, con Rigor Mortis. L'epiteto è un po' ingiusto: in fin del conti R.M. è la cosa più simile a un amico che mi sia stato possibile trovare in questo posto. Nonostante le sue rigide ortodossie, è un ragazzo serio, un uomo di buona volontà, e i nostri discorsi sono molto più che vacui esercizi di retorica. Per quanto mi riguarda, io sento che, al di là del mio bisogno quasi evangelico di convertirlo, c'è un disperato desiderio di capirlo, perché sono R.M. ed i suoi simili che perpetuano questa incredibile guerra, convinti, con una sincerità della quale non dubito, di compiere un atto di difesa della loro morale. In caso contrario, sono costretto ad accettare le tesi dei nostri neo-machiavellici, i quali sostengono che l'elettorato è soltanto uno strumento ad uso dei politici, fili inconsapevoli che utilizzano i maestri segreti dell'Olimpo di Washington per tessere le pro-
prie tele con la stessa facilità (bisogna ammetterlo) con cui controllano la stampa. Vorrei, quasi, che fosse così. Se convincere fosse così facile, forse le poche voci che si levano reclamando giustizia potrebbero davvero farsi sentire. E invece, né io né gli altri membri del Comitato per la Pace Unilaterale siamo mai riusciti a convincere nessuno della follia e della profonda immoralità di questa guerra, fatta eccezione per quelli che, pensandola come noi, non avevano bisogno di essere convinti, ma soltanto di ricevere da noi qualche ulteriore conferma. Forse Andrée ha ragione, forse dovrei lasciare che la guerra la facciano i politicanti e i propagandisti, i cosiddetti esperti, come amano farsi definire. (Come Eichmann, che era considerato un esperto del problema ebraico: dopo tutto, non parlava l'Yiddish?). Dovrei abbandonare ogni controversia, e dedicarmi esclusivamente alla mia Musa? E la mia anima, allora? Al Demonio? No. Sarebbe davvero molto peggio accettare, anche se ogni opposizione è vana. Guardiamo ad esempio Youngerman: lui accettò, se ne andò tutto solo, soffocando la sua coscienza. Ha trovato forse sostegno nell'ironia? O nella Musa? Quando si sta per parlare in pubblico, e metà del pubblico si alza e se ne va, allora, caro il mio poeta, dove finisce ogni ostentazione d'indifferenza? E il suo ultimo libro, un vero fiasco! Ma Youngerman per lo meno capiva il significato del suo silenzio. Quando io parlo con R.M., sembra che si alteri lo stesso linguaggio: mi convinco di aver afferrato i significati, ed essi mi scivolano via dalle mani come pesciolini in un torrente di montagna. O, per usare una metafora migliore, è come una porta segreta, come quelle che abbondano nei film dell'orrore. Sembrano uno scaffale di libri, ma basta toccare la molla nascosta ed ecco lo scaffale che gira rivelando un rozzo volto di pietra sull'altro lato. Devo cercare di sviluppare quell'immagine. Le ultime parole di R.M.: noi non ci comprendiamo, anzi, temo che sarà sempre impossibile capirci. A volte mi chiedo se la ragione di tutto questo non sia soltanto una: R.M. è un perfetto imbecille. 19 maggio La mia Musa mi ha visitato, prendendo il caratteristico aspetto di un attacco di diarrea, con l'ulteriore condimento di un acuto mal di testa. Auden
ha scritto una volta (forse in una lettera a Byron?) che i momenti migliori di un poeta sono quelli immediatamente successivi a un forte attacco di influenza. Anche se può sembrare un paradosso, non c'è bisogno di aggiungere che non mi sono mai sentito così bene da parecchi mesi. Per celebrare l'avvenimento, ho deciso di trascrivere una piccola poesia (liricamente assai povera ma, mio Dio! quanto tempo è passato da quando avevo scritto l'ultima). Canto del baco da seta Come ho pensato di penetrare nella scatola di legno di cedro? Non è ovvio? Non è il momento giusto. Giovane sono ancora. La rugiada bagna ancora le mie orecchie Le parole non descrivono le mie lagrime e neppure il mio canto. Ascoltalo. Anche le pietre, tacciono, in estasi. Com'è possibile scendere in quelle tenebre lasciando l'anima alle mie spalle? Ascolta il canto delle farfalle e il crepitio di vasi spezzati, penetra nella scatola... No, no, non ho alcuna intenzione di fermarti, o tessitore di farfalle e vasi spezzati. Oh, fermati... (Qui si conclude la parte scritta a mano del diario di Louis Sacchetti. Tutto quello che segue è stato battuto a macchina su carta di formato e tipo diverso. — Il curatore). 2 giugno Sono prigioniero! Sono stato rapito dalla prigione dov'ero legalmente detenuto e trascinato in un'altra prigione dove non dovrei trovarmi. M'impediscono di consultarmi con il mio avvocato. Le mie pretese sono ignorate, con una soavità che mi fa impazzire. Già quand'ero ragazzo, le regole
dei giochi nel cortile della scuola non erano mai valide per me, gli altri le ignoravano e le violavano sempre. Cosa debbo fare? Non so a chi rivolgermi. Non c'è neppure un cappellano in questo posto, o almeno così mi hanno detto. Solo Dio può sentirmi ora, e le mie guardie. A Springfield ero prigioniero per una ragione precisa, per un periodo stabilito. Qui (dovunque io mi trovi) niente è stabilito, non ci sono regole. Li assillo con le mie richieste di venir rispedito a Springfield, ma ogni volta mi cacciano sotto il naso un pezzo di carta firmato da Smede, il quale autorizza il mio trasferimento. Se gli fosse stato possibile, Smede avrebbe autorizzato il mio trasferimento alla camera a gas. Maledetto Smede! Maledetti questi esseri anonimi che mi circondano, con le loro uniformi nere mai viste prima! Maledetto io stesso e la mia pazzia, la quale ha permesso una cosa simile. Avrei dovuto fare il furbo come Larkin o Revere, e fingere una psicosi per evitare di essere arruolato. Ecco dove mi ha condotto tutta la mia sete di giustizia. A questa solenne trombatura! Come se tutto questo non fosse sufficiente, quella mediocre creatura di mezza età davanti alla quale mi trascinano ogni tanto mi ha chiesto di tenere un diario sulle mie esperienze in questo luogo. Un diario? Dice che ammira il mio modo di scrivere, dice che sono uno scrittore assai dotato, lui, quel vecchio consunto... Mio Dio! Per più di una settimana ho cercato di comportarmi come un prigioniero di guerra modello: nome, qualifica e numero dell'assicurazione sociale, ma è come lo sciopero della fame che avevo iniziato nella prigione di Montgomery: chi non riesce a seguire una dieta per quattro giorni di seguito non dovrebbe mai tentare uno sciopero della fame. Per cui, ecco qua il tuo diario, vecchio buco di culo: sai come usarlo, vero? 3 giugno Mi ha ringraziato. Ringraziato! Mi ha detto: — Capisco come voi troviate tutto questo inquietante, signor Sacchetti. — (Signore, adesso sono un signore). — Credetemi, noi vogliamo fare tutto il possibile, qui a Campo Archimede, per facilitare il vostro ambientamento. Questo è il mio lavoro. Il vostro lavoro, invece, è quello di osservare. Osservare e interpretare. Non c'è bisogno che voi cominciate subito. Capisco che ci vuole del tempo per adattarsi a un nuovo ambiente, ma sono convinto che, una volta ambientato, voi troverete la vita, qui, molto più piacevole di quella di Sprin-
gfield, ammesso che Springfield fosse piacevole. Ho letto il diario che voi avete scritto laggiù... — Non lo sapevo — l'ho interrotto, stupito. — Ah, sì — ha continuato. — Il sorvegliante Smede, ha avuto la gentilezza di farmi pervenire i vostri appunti, e io li ho letti con molto interesse. A dir la verità, soltanto per una mia specifica richiesta vi è stato permesso di scrivere quel diario. Volevo un saggio del vostro lavoro, se così si può dire, prima di farvi trasferire qui. Voi avete descritto la vita a Springfield in termini desolanti. Devo dirvi, onestamente, signor Sacchetti, che voi qui non soffrirete nulla del genere. Non dovrete più sopportare quel disgustoso trattamento. Credetemi, voi eravate sprecato in quella prigione, signor Sacchetti. Non era il luogo adatto a una persona del vostro livello intellettuale. Io ho una certa esperienza, in effetti, potrei essere considerato un esperto di R. e S. Non esattamente quello che voi chiamereste un Genio, non oserei giungere a questo, ma un esperto sì. — R. e S.? — Ricerca e Sviluppo, non lo sapevate? La mia specialità è quella di fiutare i nuovi talenti, e in questo campo sono abbastanza noto. Mi chiamo Haast, con due a. — Voi non siete per caso il Generale Haast? — gli ho chiesto. — Quello che ha conquistato quell'isola nel Pacifico? — Avevo subito pensato che l'Esercito fosse riuscito ad acchiapparmi, nonostante tutto. (E per quanto ne so, il pericolo è tutt'altro che scongiurato). Abbassò gli occhi sulla superficie del tavolo. — Sì, ero il generale Haast. Ma sono diventato troppo vecchio, come del resto voi mi avete fatto capire. — Mi guardò risentito. — Troppo vecchio, per restare nell'Esercito. — Aveva pronunciato "vecchio" quasi con disgusto. — Nonostante io abbia mantenuto dei legami con l'Esercito, un ristretto gruppo di amici che rispettano ancora le mie opinioni, dimenticando la mia vecchiaia, mi sorprende che voi abbiate associato il mio nome alle Auaui. Nel 1944 voi non eravate ancora nato. — Ma l'ho letto in quel libro uscito... quando? Nel 1955, mi sembra. — Il libro a cui mi riferivo, e Haast aveva capito, era quello di Fred Berrigan; Mars in conjunction, una relazione leggermente romanzata della campagna delle Auaui. Molti anni dopo l'uscita del libro avevo incontrato Berrigan, durante un party. Un individuo interessante, affascinante, perfino, ma le sue parole sembravano presagire il sinistro evolversi degli eventi. Un mese dopo si era suicidato. Ma questa è un'altra storia.
Il volto di Haast sembrò rischiararsi: — Anche allora avevo buon naso per i talenti. Ma un buon talento si associa troppo spesso col tradimento. Ad ogni modo, non c'è ragione di discutere l'affare Berrigan, ovviamente voi avete già deciso la vostra linea di condotta. Cominciò a descrivermi i vantaggi di cui avrei goduto: la biblioteca era a mia disposizione, avrei ricevuto ogni settimana cinquanta dollari da spendere alla mensa, avrei potuto assistere alla proiezione di film il martedì e il giovedì, e bere il caffè nella hall, ecc. ecc. E soprattutto, dovevo sentirmi a mio agio, libero. Si rifiutò tuttavia, come aveva già fatto prima, di dirmi dove mi trovavo, per quali ragioni mi avessero trasferito, e quando sarei ritornato a Springfield. — Continuate a tenere il vostro diario, signor Sacchetti. È tutto quello che vi chiediamo. — Oh, chiamatemi pure Louie, generale Haast. — Ah, grazie... Louie. E perché voi non mi chiamate H.H. Tutti i miei amici lo fanno. — H.H.? — Un'abbreviazione per Humphrey Haast. Ma questo nome, Humphrey non è bene accetto in questi giorni di libertà... ristretta. Cosa stavo dicendo? Ah, sì, il vostro diario. Perché non lo riprendete dal momento in cui vi è stato portato qui? Desideriamo che il diario sia il più dettagliato possibile. Fatti, Sacchetti... scusatemi Louie, fatti! un genio, come si dice, ha una capacità infinita di sopportare il dolore. Scrivete il vostro diario come se steste spiegando a qualcuno fuori da questo... campo... cosa vi sta succedendo. E voglio che voi siate brutalmente onesto. Dite quello che pensate. Non fatevi nessun scrupolo, nei miei riguardi. — Cercherò di accontentarla. Un pallido sorriso gli apparve sul volto: — Sforzatevi, e ricordatevi sempre una cosa: non scrivete troppo... oscuramente. Non dimenticate che noi vogliamo fatti. Non... — Si schiarì la gola. — Poesia? — Personalmente, non ho niente contro la poesia. Voi potete scriverne quanta volete. Anzi, fatelo, qui troverete un pubblico che saprà apprezzarvi. Ma nel vostro diario dovrete essere chiaro, comprensibile. Vai a farti fottere, H.H.! (Qui non posso fare a meno di ricordare la mia vita di strillone, a tredici anni: avevo un cliente, sulla mia strada, un vecchio ufficiale a riposo. Il giovedì pomeriggio era il giorno di paga, ma il vecchio maggiore Youatt
non scuciva i soldi a meno che non entrassi nel suo vecchio salotto pieno di ricordi e non mi compiacessi di ascoltarlo. C'erano soltanto due cose nei suoi soliloqui: donne e automobili. Sul primo argomento era un po' ambivalente, e si eccitava quando parlava delle probabili ragazzine che frequentavo allora, alternando il discorso con paterni avvertimenti sui pericoli delle malattie veneree. Tuttavia preferiva le automobili. Qui il suo erotismo non era aggravato dalla paura. Conservava le fotografie di tutte le macchine che aveva posseduto nella sua vita e me le mostrava con malcelato piacere, come un vecchio puttaniere che accarezzasse i suoi passati trofei. Ho sempre sospettato che il mio orrore per quest'uomo mi abbia impedito di ottenere la patente fino all'età di 29 anni. Perché lo ricordo? Perché Haast è l'immagine vivente di Youatt. Sono confezionati con la stessa stoffa. Entrambi sempre in gamba. Immagino che Haast faccia i suoi venti piegamenti tutte le mattine, e parecchie miglia sulla sua bicicletta da palestra. La sua faccia rugosa sembra cotta a puntino da una lampada solare. I suoi pochi e sparsi capelli sono tagliati a spazzola. Porta sempre con sé la fede fanatica degli americani che la morte non esiste... la morte. Probabilmente è corrosa dal cancro. Non è vero, H.H.?). Più tardi Mi sono arreso: sono andato in biblioteca (forse la biblioteca del Congresso? È talmente grande) e ho preso a prestito tre dozzine di libri che adesso ornano gli scaffali della mia camera. È una camera, non una cella. La porta rimane aperta giorno e notte, sempre che esistano un giorno e una notte, in questo labirintico universo privo di finestre. Ad ogni modo, se non ci sono finestre sicuramente non mancano le porte: vi sono un'infinità di corridoi che si perdono in lontananza in una luce bianca, alfavilliana, costellati da porte tutte col loro bravo numero in gran parte chiuse. Un vero castello di Barbablù. Le sole porte che ho trovato aperte sono quelle simili alla mia, ma senza inquilino, almeno apparentemente. Sono forse io il primo? Il continuo ronzio dei condizionatori d'aria mi perseguita lungo i corridoi, ed è come una ninna nanna che invita a dormire, diciamo così, la notte. È forse questo un mondo simile a Pellucidar? Mentre esploro le stanze deserte mi sembra di oscillare fra un muto terrore e una silenziosa ilarità, sentimenti che si provano di fronte a qualcosa d'inquietante, ma la cui orribile realtà non si può negare. Sulla mia stanza (volete fatti? Li avrete):
L'adoro. Guardate com'è buia, quasi severa. Le sue bianche pareti non sono bianche ma più simili al chiaro di luna che a una vernice bianca. Quasi smarrisco i sensi mentre la contemplo: è forse gialla? Non lo saprei dire. Sento che H.H. non sarà contento. "Siamo onesti, H.H., queste cose succedono." Per esempio, questa poesia non è certo la stessa cosa di "Ozymandias" ma, modestamente, io mi accontento di molto meno. La mia stanza (facciamo un altro tentativo): Biancastra (in breve, questa è la differenza fra fatti e poesia): un originale disegno astratto ad olio s'intravede su queste pareti biancastre e vi si riscontra quel gusto impeccabile degli interni delle grosse società o del New York Hilton, dipinti dal contenuto neutro come le carte di Rorschach; costosi pannelli di ciliegio emergono qua e là, ricoperti da allegri cuscini cubici a strisce colorate; un tappeto di "acrila" ocra pallido; il lusso supremo degli spazi sprecati e degli angoli vuoti. Suppongo di disporre di cinquecento metri quadrati di pavimento tutti miei. Il letto è nella sua piccola alcova e può essere nascosto con una vaporosa tendina floreale. Si ha l'impressione che le quattro pareti biancastre siano in effetti di vetro, e che ogni lampada nasconda un microfono. Ma perché? Si tratta del tipico interrogativo che ogni topo da esperimenti ha sulla lingua. L'addetto alla biblioteca ha un gusto assai più squisito di colui che si è occupato dell'arredamento. Non c'era una copia delle mie Colline della Svizzera, e neppure due, ma addirittura tre, su quegli scaffali. E nonostante questo, mi ha aiutato a rintracciare una copia del libro di Gerard Winstanley: Puritan Utopist. Ho letto le Colline e mi ha fatto piacere che non ci fossero errori di stampa, anche se le poesie sono state stampate nell'ordine sbagliato. Ancora più tardi
Ho cercato di leggere. Ho preso un libro, ma dopo qualche paragrafo ho perduto ogni interesse. Uno dopo l'altro, ho messo da parte Palgrave, Huizinga, Lowell, Wilenski, un trattato di chimica, le Lettere provinciali di Pascal, e il Time Magazine. (Come avevo sospettato, stiamo usando armi nucleari tattiche: due studenti sono stati uccisi durante una marcia di protesta a Omaha). Non mi sono mai sentito così inquieto dal mio secondo anno a Bard, quando in soli sei mesi cambiai per tre volte facoltà. Mi sento come intontito: ho un vuoto nel petto, la gola secca, e mi vien voglia di ridere. Preoccupante, vero? Voglio dire, cosa c'è di così divertente? 4 giugno Mi sento meglio, questa mattina. Poiché Haast me lo ha chiesto, scriverò un resoconto di quanto è accaduto nel frattempo. Chissà se sarà possibile usarlo contro di lui? Il giorno dopo La canzone del baco da seta, cioè il 20 maggio, mi sentivo ancora male ed ero rimasto in cella mentre Donny e Peter (che si erano nel frattempo riconciliati) e Mafia erano usciti a lavorare. All'improvviso, fui convocato nell'ufficio di Smede per ricevere dalle sue mani un pacco contenente i miei effetti personali. Mi fece controllare il contenuto pezzo per pezzo, assicurandosi che figurassero tutti sulla lista che era stata compilata quand'ero entrato nella prigione. All'improvviso mi sentii tutto eccitato, forse era accaduto un miracolo, c'erano state proteste, magari, o la mia posizione era stata riesaminata dai giudici, e si era deciso di restituirmi la libertà. Smede mi strinse la mano, e io quasi in delirio lo ringraziai. Avevo le lagrime agli occhi. Quel bastardo stava sicuramente divertendosi alle mie spalle. Mi consegnò allora una busta gialla, lo stesso colore della mia pelle dopo il soggiorno in carcere (si trattava sicuramente del dossier Sacchetti) e mi affidò a due guardie in uniforme nera con risvolti d'argento, molto alla tedesca (come usavamo dire), e dal volto duro. Stivali di vitello, cinghie di cuoio, assai simili nel disegno alle briglie dei cavalli, occhiali da sole: tutto, insomma. Peter avrebbe mugolato dall'invidia. Donny dal desiderio. Non dissero una parola, ma si affrettarono ad ammanettarmi. Fui imbarcato in una limousine con le tendine abbassate. Seduto tra i due, posi delle domande, ma non ne ricavai una sola risposta. Nei loro volti di pietra, gli occhi erano puntati in avanti. Poi fui trasbordato su un aereo e qui presi sonno. Quindi, lungo una rotta non contrassegnata neppu-
re dalle briciole di pane, raggiunsi Campo Archimede e la mia piccola confortevole cella, dove la strega cattiva mi dà da mangiare come e quando voglio (è sufficiente suonare il campanello). Sono arrivato qui, così mi è stato detto, il giorno 22. La prima intervista con H.H. è avvenuta il giorno successivo. Hanno cercato in tutti i modi di consolarmi, ma mi hanno fornito soltanto spiegazioni evasive, inattendibili. Come ho già detto, mi sono rifiutato di comunicare con loro fino al 2 giugno. Quei nove giorni li ho passati in uno stato di paranoia, ma con tutte le emozioni improvvise, anch'esso ha finito per trasformarsi, a poco a poco, in una sorta di monotono orrore, e infine in una esitante curiosità. Devo confessare che si ricava un certo piacere da una simile situazione, un castello misterioso è sempre più interessante della vecchia, solita galera. Ma a chi confessarlo? Al vecchio H.H.? A Louie II, la cui immagine non posso fare a meno di contemplare ogni giorno nello specchio? No, fingerò che questo diario sia soltanto per me. Se Haast ne desidera una copia, dovrà procurarmi della carta carbone. Più tardi Continuo a rileggere "La canzone del baco da seta", e mi chiedo se il quinto verso non sia sbagliato. Volevo ottenere l'effetto d'un pathos insincero: forse ne ho ricavato soltanto un vecchio e muffoso cliché. 5 giugno Un pregevole promemoria di Haast mi ha reso edotto che la macchina per scrivere elettrica della mia cella fa parte di un circuito automatico, per cui ogni cosa che batto viene riprodotta da un'altra macchina in quattro copie. H.H. ha dunque il mio diario fresco di stampa. Certo che è un considerevole risparmio di carta carbone. Oggi, il primo indizio di qualcosa che merita di essere ricordato nelle mie cronache. Mentre mi dirigevo verso la biblioteca per avere dei nastri per il mio, pensate un po', B e O ad alta fedeltà, ho incontrato uno degli spiriti che abitano questo mio nuovo inferno, il primo cerchio, se voglio procedere con l'ordine dantesco, ossia il Limbo, e lo spirito, se vogliamo spingere l'analogia ancora più in là, potrebbe essere l'Omero di questo antro oscuro. Un lungo tratto del corridoio era una buia caverna, essendo spente le
lampade fluorescenti, e come se ci fossimo trovati nel cuore di un bosco, questa specie di radura, questo spazio euclideo era spazzato da un vento freddo e costante, probabilmente un difetto del sistema di ventilazione. Lo spirito era lì, impedendomi il passaggio, il volto nascosto tra le mani, le dita che giocherellavano nervosamente tra i capelli bianco-seta; ondeggiava e bisbigliava tra sé. Mi sono avvicinato, ma non è uscito dalla sua meditazione. Allora ho gridato: — Ehilà! Non avendo neppure allora ottenuto risposta, continuai: — Sono nuovo qui. Ero prigioniero a Springfield, un comunista. Sono stato portato qui illegalmente. Dio sa per quale ragione. Si tolse le mani dal viso e mi guardò con i suoi occhi obliqui, attraverso una ciocca di capelli che gli ricadeva sulla fronte. Aveva l'aspetto di un giovane slavo, geniale, simile a un eroe di Eisenstein. Le sue grosse labbra si allargarono in un sorriso gelido, poco convinto, come una luna all'ultimo quarto. Sollevò la mano destra, e mi toccò con tre dita all'altezza dello sterno, come per convincersi che ero lì, in carne ed ossa. Quando se ne fu accertato, il suo sorriso si fece più convinto. — Sai dove siamo? — gli chiesi, ansioso. — Cosa hanno intenzione di farci? I suoi occhi pallidi ruotarono a destra e a sinistra, confusi, o forse impauriti, non avrei saputo dirlo. — In quale città? In quale stato? Ancora una volta sorrise, di un sorriso quasi infernale, mentre le mie parole sembravano acquistare lentamente un significato dentro di lui. — Be', il massimo che ciascuno di noi può intuire è che ci troviamo tra le Montagne Rocciose. È a causa del Time, vedi. — Indicò la rivista tra le mie mani. Parlava con la voce più nasale che avessi mai udito fra quelle del MidWest, un accento che non era stato modificato né dall'istruzione né dai viaggi. Sia nel modo di parlare che in quello di agire era l'autentica incarnazione di un giovane agricoltore dello Iowa. — A causa del Time? — ripetei, alquanto confuso. Gettai uno sguardo al personaggio raffigurato sulla copertina (il generale Phee Phi Pho Phum, della Nord Malaysia, o qualche altro pericolo giallo), come se questa potesse essere la spiegazione. — È un'edizione regionale — continuò l'altro. — Il Time esce in numerose edizioni regionali. È per la pubblicità. Noi riceviamo l'edizione degli stati montani, l'Idaho, l'Utah, il Wyoming, il Colorado... — Li elencava come se fossero le corde vibranti di una chitarra. — Ah, sì, adesso capisco. Un po' lento da parte mia, non è vero?
Tirò un profondo sospiro. Tesi la mano che lui guardò con malcelata riluttanza. (Vi sono ampie zone nel nostro paese dove darsi la mano non è più considerato una buona norma di Galateo, a causa dei germi). — Il mio nome è Sacchetti, Louis Sacchetti. — Ah!... Ah sì. — Mi afferrò la mano convulsamente. — Mordecai aveva detto che saresti venuto! Sono davvero lieto d'incontrarti. Non so esprimere... — S'interruppe, arrossendo, e strappò quasi la sua mano alla stretta della mia. — Wagner — mormorò, come se si fosse ricordato all'improvviso. — George Wagner. — Quindi, in tono amaro: — Ma tu non hai mai sentito parlare di me, immagino. Partecipando a conferenze e congressi, spesso mi è capitato di trovarmi di fronte a questo tipo d'introduzione da parte di piccoli scrittori o assistenti universitari, persone ancora meno importanti di me, così la mia risposta fu quasi automatica: — No, mi dispiace, George. Mi dispiace veramente. Ma sono sorpreso, a dire il vero, che tu abbia sentito parlare di me. George sembrò quasi soffocare: — Ma sul serio, sei... — balbettò... — sei sorpreso che io abbia sentito parlare di te? La qual cosa era a dir poco sconcertante. George chiuse gli occhi: — Scusami — disse, quasi bisbigliando. — La luce è troppo abbagliante per me. — Questo Mordecai che hai appena nominato... — Mi piace venire qui, a causa del vento. Posso respirare di nuovo. Respirare il vento. Qui. — E continuò: — Taci, e potrai sentire le loro voci. In verità il luogo era molto silenzioso, e l'unico rumore che potevo sentire era il muggito dei condizionatori, simile a quello del mare, e il soffio gelido che batteva l'intera lunghezza del corridoio. — Quali voci? — chiesi con una certa trepidazione. George batté le sue bianche ciglia: — Gli Angeli, naturalmente! Pazzo, pensai, e poi mi accorsi che George aveva parlato della mia poesia, la mia parodia delle Elegie di Duino. Che George, un giovane contadino dello Iowa, potesse citare così, casualmente, un verso di una delle mie poesie non ancora raccolte in volume, era per me un fatto molto più sconcertante della semplice supposizione che gli mancasse qualche rotella. — Hai letto quella poesia? — gli chiesi. George assentì, e la ciocca di capelli gli ricadde sugli occhi, quasi per timidezza: — Non è una buona poesia. — No, penso di no. — Le mani di George, che fino a quel momento avevano giocherellato l'una con l'altra dietro la sua schiena, si mossero nuo-
vamente verso il suo viso, raggiunsero la ciocca di capelli e la tolsero dagli occhi, riuscendo a sistemarla in equilibrio sulla testa, come presa in trappola. — Ma è vero, è possibile sentire le loro voci. Voci silenziose. O il loro respiro, è la stessa cosa. Mordecai dice che anche il respiro è poesia. — Le mani ridiscesero lentamente verso gli occhi. — Mordecai? — Ripetei quel nome con una certa urgenza. Allora, come adesso, non potei respingere l'impressione di aver già sentito quel nome, in un altro luogo, in un altro tempo. Ma era come parlare a qualcuno che si trovasse su una barca trascinata via dalla corrente. George si riscosse: — Vattene! — bisbigliò. — Vattene, per favore. Ma non me ne andai, almeno non subito. Restai lì, davanti a lui, anche se George sembrava essersi completamente dimenticato della mia presenza. Dondolava, lentamente su e giù, le caviglie, le piante dei piedi, e poi ancora le caviglie. I suoi capelli sottili ondeggiavano sotto il soffio continuo dei ventilatori. Parlò a voce alta a se stesso, e riuscii ad afferrare soltanto qualche parola. — Combinazione di luci, corridoi, scalinate... Le parole mi parevano familiari, ma non riuscii a capire perché. — Spazi dell'essere, e barriere benedette. Improvvisamente si tolse le mani dal viso e mi guardò. — Sei ancora qui? — mi chiese. E nonostante la risposta fosse ovvia, risposi di sì. Nella semioscurità del corridoio, le sue pupille si erano dilatate ed era questo, forse, che dava l'impressione di una profonda tristezza. Ancora una volta appoggiò le dita sul mio petto. — La bellezza — dichiarò con voce solenne — non è altro che l'inizio del terrore che noi possiamo a malapena sopportare. — E con queste parole George Wagner vomitò l'intera prima colazione, che doveva essere stata particolarmente abbondante, in quel puro spazio euclideo. Quasi immediatamente comparvero intorno a noi le guardie dalle uniformi nere, come chiocce spinte dall'istinto materno. Risciacquarono la bocca a George, pulirono il pavimento e ci ricondussero nelle nostre celle in due direzioni diverse. Mi dettero anche qualcosa da bere, forse un tranquillante. È molto probabile, altrimenti non mi sarebbe rimasta sufficiente presenza di spirito per trascrivere questo incontro nel mio diario. Che strano individuo era George! Un giovane contadino che conosceva Rilke. Un ragazzo di campagna può forse recitare Whittier, o Carl Sandburg. Ma le Elegie di Duino?
6 giugno STANZA 34: acciaio inossidabile (d'ineffabile monotonia), numeri incollati su una porta di legno chiaro, prosaico rettangolo di plastica nera dalle lettere bianche incise (come quelli che nelle banche recano il nome del cassiere su un lato e il numero dello sportello sull'altro). DOTT. A. BUSK Sono stato scortato dentro dalle mie guardie, che mi hanno affidato alla severa tutela di due sedie che con le loro strisce di cuoio nero intrecciate su uno scheletro d'acciaio cromato non sono altro che un'astrazione delle guardie stesse. Sedie alla Harley Davidson. E dipinti che sembrano scelti per far piacere alle sedie, schiacciati contro le pareti, quasi ansiosi di rendersi invisibili. Il dottor A. Busk fa il suo ingresso e mi minaccia con la mano. Devo forse stringerla? No, mi ha soltanto fatto un gesto per dirmi di accomodarmi. Si siede, incrocia le gambe, abbassando l'orlo della gonna, mi sorride. È un sorriso franco, se non gentile, forse troppo sottile, stretto. Ha le ciglia lunghe, le sopracciglia inarcate di una nobildonna del periodo elisabettiano. Quarant'anni? Molti di più, forse. Quarantacinque. — Mi scusi se non vi ho stretto la mano, signor Sacchetti, ma penso che ci capiremo meglio eliminando fin dall'inizio questa forma d'ipocrisia. Voi non siete qui in vacanza, non è vero? Voi siete prigioniero, ed io sono... che cosa? Io sono la prigione. Questo è l'inizio di un rapporto onesto anche se non piacevole. — Per onesto voi intendete che sono libero anche di insultarla? — Impunemente, signor Sacchetti. Occhio per occhio. Qui, oppure, se vi fa più piacere, nel vostro diario. Io ricevo la seconda copia, per cui tutto quello che voi vi scrivete di spiacevole non sarà scritto invano. — Me ne ricorderò. — Nel frattempo vi sono alcune cose che dovreste sapere, sulla nostra attività qui. Ieri voi avete incontrato il giovane Wagner, ma nel vostro diario avete evitato ogni considerazione sul suo comportamento alquanto peculiare... Senza dubbio voi avete riflettuto sull'incontro. — Sicuramente devo averlo fatto.
Il dottor A. Busk torse gli occhi e sembrò seguire il profilo delle sue labbra. Appoggiò un'unghia rosicchiata sopra una busta fissata con una clip. Ancora una volta il dossier Sacchetti. — Cerchiamo di essere franchi signor Sacchetti. Voi dovete esservi accorto che il comportamento di George non era completamente logico, e dovete avere associato questa incongruità con certe allusioni che il mio collega, il signor Haast, ha fatto quando vi ha parlato delle ragioni per cui voi vi trovate qui. Per farla breve, voi dovete aver sospettato che il giovane George sia il soggetto... uno dei soggetti di un programma sperimentale che viene condotto qui. Non è forse vero? — Sollevò ulteriormente un sopracciglio. Assentii. — Voi non potevate indovinarlo, ma forse vi tranquillizzerà sapere che George è qui volontariamente. Vedete, George ha disertato mentre si trovava in licenza a Taipei. La solita sordida storia tra un soldato e una prostituta. Naturalmente fu catturato e comparve davanti alla corte marziale. Fu condannato a cinque anni di reclusione, una sentenza molto mite. Se fossimo stati ufficialmente in guerra sarebbe finito davanti al plotone di esecuzione. Proprio così. — Quindi è l'Esercito che mi ha fatto prelevare. — Non esattamente. Campo Archimede funziona grazie a una donazione fatta da un istituto privato, anche se per conservare il segreto operiamo nella più completa autonomia. Soltanto uno dei membri dell'istituto conosce la natura delle nostre ricerche. Per tutti gli altri, e per l'Esercito, noi figuriamo sotto la voce generica "Sviluppo degli armamenti". Molti di quelli che si trovano qui, le guardie, io stessa, siamo stati presi a prestito dalle varie specializzazioni dell'Esercito. Le sue conoscenze, le qualifiche, il volto severo, il corpo rigido, la voce dura, mascolina, tutto puntava in una sola direzione: — Voi... una WAC! — esclamai. La donna, annuì, ironicamente. — Così come stavo dicendo, il povero George finì in prigione. Ma non era felice. Come direbbe il mio collega, il signor Haast, non riusciva ad adattarsi all'ambiente del carcere. Non appena ebbe l'opportunità di presentarsi volontario per Campo Archimede, colse l'occasione al balzo. In fin dei conti, oggi l'immunologia richiede un mucchio di esperimenti. Alcune delle nuove malattie non sono affatto piacevoli. Questa è la storia del giovane George. Gli altri soggetti che voi incontrerete potrebbero raccontarvi tutti la stessa storia. — Il soggetto che vi sta di fronte ne ha una completamente diversa.
— Voi non siete esattamente un soggetto. Ma per capire la ragione della vostra presenza, qui, dovete sapere lo scopo di questo esperimento. Si tratta di un'analisi approfondita dei processi di apprendimento. Non ho bisogno di spiegarvi quanto l'istruzione sia importante in relazione allo sforzo difensivo dell'intero paese. In ultima analisi, l'intelligenza rappresenta la risorsa più vitale di una nazione, e l'istruzione può essere considerata come un processo per potenziare l'intelligenza. Tuttavia essa generalmente fallisce, perché la sua funzione primaria contrasta con l'adattamento sociale. Quando un'intelligenza è potenziata, lo è quasi sempre a danno dell'integrazione nella società. Il vostro stesso caso illustra quanto vi ho detto e perciò, dal punto di vista della società, il guadagno è sempre stato minimo. Un crudele dilemma. — È forse compito essenziale delle scienze psicologiche — aggiunse — risolvere questo dilemma, e cioè potenziare l'intelligenza senza viziare la sua utilità sociale. Spero che questo sia chiaro. — Cicerone in persona non avrebbe potuto esprimersi in un latino più limpido. Il dottor Busk aggrottò le sopracciglia, senz'ombra di trucco, e sembrò non capire l'osservazione. Decise quindi che non era il caso di formalizzarsi su una risposta così frivola, non si scompose e continuò: — Perciò stiamo esplorando nuove tecniche educative per gli adulti. In un adulto il processo di socializzazione è ormai completo. Pochi soggetti manifestano cambiamenti importanti nel loro carattere dopo i venticinque anni. Perciò, se riuscissimo a potenziare l'intelligenza a quell'età, e a risvegliare, per così dire, le facoltà creative latenti, potremmo forse sfruttare preziose risorse mentali, ancora vergini. Sfortunatamente ci hanno fornito materiale difettoso... Promuovendo a soggetti sperimentali gli scarti dell'Esercito, introduciamo un errore sistematico nell'intero progetto, poiché per queste persone il processo di socializzazione è stato un fallimento. E in tutta sincerità, penso che questo errore nelle selezioni stia già provocando i suoi effetti nefasti. Spero che ne prenderete nota nel vostro diario. L'assicurai che l'avrei fatto. Non riuscii ad evitare a questo punto, anche se non avrei voluto darle la soddisfazione di vedere quanto aveva stuzzicato la mia curiosità, di chiedere: — Per nuove tecniche educative, presumo che voi intendiate parlare di droghe? — Ah, ah... Allora ci avete riflettuto? Sì, certamente, droghe. Non come voi credete, però. Esistono, come ogni studente sa fin troppo bene, droghe reperibili presso fonti non autorizzate, capaci di potenziare temporanea-
mente le facoltà mnemoniche fino al duecento per cento o di accelerare i processi di apprendimento. Ma la capacità di apprendimento si affievolisce con l'uso continuo di queste droghe, e chiunque le usi giunge assai preso al punto dopo il quale non c'è più ritorno. Esistono numerose droghe di questo tipo e altre, come il LSD, che creano una falsa sensazione di onniscienza. Non credo tuttavia di dovervi descrivere queste droghe. Non è vero, signor Sacchetti? — C'è forse anche questo nel mio dossier! Non avete proprio trascurato niente. — Eh, sì. Praticamente noi sappiamo tutto di voi, signor Sacchetti. Prima di farvi portare qui, possiamo garantirvi che abbiamo esaminato ogni più piccolo particolare del vostro passato, anche i più obbrobriosi. Non ci serviva qui, un comunista qualsiasi, dovevamo assicurarci che fosse anche innocuo. Noi vi conosciamo perfettamente, sappiamo che scuole avete frequentato, cosa avete letto, che amici avevate, chi erano i vostri parenti e dove siete stato dall'istante della vostra nascita ad oggi. Sappiamo perfino in quali camere d'albergo avete dormito durante le vostre visite in Germania e in Svizzera. Conosciamo tutte le ragazze che avete frequentato a Bard e dopo Bard, e cosa siete riuscito a combinare con ciascuna di esse. Non molto, a dire la verità. Conosciamo nei più piccoli dettagli quanto avete guadagnato durante gli ultimi quindici anni, e come avete speso i vostri soldi. In qualsiasi momento, se il governo volesse, voi potreste essere rispedito a Springfield con l'imputazione di aver frodato il fisco. Abbiamo anche tutti i documenti relativi ai vostri anni di psicoterapia. — Avevate dei microfoni anche nel confessionale per caso? — Soltanto dal giorno in cui siete entrato a Springfield. Così abbiamo saputo che vostra moglie aveva abortito... e la vostra tresca con miss Webb. — Molto carina, non è vero? — Piuttosto slavata, direi. Ma ritorniamo al nostro discorso. Il vostro lavoro è molto semplice. Voi avete il permesso di muovervi tra i vari soggetti che si trovano qui, parlerete con loro, dividerete con loro nei limiti del possibile la vita di tutti i giorni. Poi, riassumerete nel modo più completo e conciso i loro problemi, le cause di ogni loro preoccupazione, quello che li diverte, e il vostro parere personale su... come dire?... sull'atmosfera intellettuale, di questo luogo. Credo che questo lavoro vi piacerà. — Forse. Ma perché proprio io? — Uno dei nostri soggetti ha fatto il vostro nome. Tra i candidati presi
in considerazione, voi ci siete sembrato il più adatto a questo lavoro, e per di più, prontamente disponibile. Ad essere onesti, vi confesso che abbiamo avuto qualche difficoltà di comunicazione con i nostri soggetti, ed è stato proprio il loro capo Mordecai Washington, si chiama così, a suggerire che voi foste trasferito qui per fungere da portavoce, da interprete. Non vi ricordate di Mordecai? Ha frequentato la vostra stessa scuola superiore per un anno, nel 1955. — Central High School! Il nome non mi è nuovo, ma non ricordo dove l'ho sentito... forse durante una delle assemblee, ma non era certo un amico. Non ho mai avuto tanti amici, al punto di dimenticarne i nomi. — Avrete quindi le opportunità per riparare a questa omissione. Avete qualche altra domanda? — Sì. Cosa significa la lettera A? Mi guardò stupita. — Dottor A. Busk — spiegai. — Oh, quello.... sta per Aimée. — Quale istituto privato sovvenziona questo posto? — Potrei anche dirvelo, ma non pensa, signor Sacchetti, che sarebbe meglio non saperlo? I nostri soggetti hanno ricevuto precise istruzioni di non discutere certe cose con voi... Perché immagino che voi vogliate lasciare questo posto, non è vero? Il dottor Aimée Busk disincrociò le gambe con un rumore di nylon sfregato, e si alzò: — Le guardie vi riporteranno subito di sopra. Vi vedrò la prossima settimana. Nel frattempo, siete libero di venirmi a chiedere qualsiasi cosa, ma siate ben sicuro di volere una risposta. Buongiorno, signor Sacchetti. Con passo agile, sforbiciando l'aria, lasciò la stanza. Almeno per quel round aveva vinto ai punti. Più tardi Era passata un'ora da quando avevo trascritto nel diario il colloquio col dottor Busk, quando mi hanno recapitato un messaggio di H.H.: "Ne ha trentasette. H.H." Rivalità fra reparti? (Non voglio una risposta a questa domanda). 7 giugno
Pensavo che la mia emicrania, avendo origini chiaramente psicosomatiche, fosse stata esorcizzata dalla psicoterapia, ma l'altra notte ne ho sofferto più di prima. Dove c'era prima una piccola punta di dolore, ora ce n'erano sette. Forse la Busk, da autentica iniziata, ha usato qualche contromagia per neutralizzare la cura del dottor Mieris. O più semplicemente tutto deriva dal fatto che sono rimasto in piedi fino alle due, a scrivere. Non è passato ancora abbastanza tempo per giudicare se la poesia che ho scritto valga davvero il tempo che ho perso. Per quanto, chissà, forse è proprio l'emicrania che stimola le mie facoltà creative. A parte la mia testa, il grande evento della giornata è stato la visita nel primo pomeriggio del leggendario Mordecai Washington. È arrivato così, senza essere annunciato dai guardiani, ha bussato ma non ha aspettato il mio invito ad entrare. — Posso? — Ha chiesto, quando aveva già aperto la porta. Anche dopo averlo visto in viso, e dopo aver sentito la sua voce rimbalzare sulla mia emicrania, non ho riconosciuto questo mio presunto compagno di scuola. A una prima occhiata direi che non è bello. Devo ammettere che i miei standard di bellezza sono etnocentrici, ma credo che neppure i negri lo definirebbero bello. È molto scuro di pelle, con una sfumatura purpurea. Il viso è lungo, ovale, la mascella prominente e le labbra tumide (tuttavia, schiacciate contro il viso piuttosto che sporgenti: labbra verticali, si potrebbero quasi definire), un naso minuscolo e i capelli spettinati alla moda dei Neo-Maori. Un torace che un secolo fa sarebbe stato definito scheletrico, spalle insignificanti, gambe storte, sotto le ginocchia, piedi di contadino. Una voce chioccia, come un Pulcinella, in uno spettacolo di burattini. Gli occhi, tuttavia, sono molto belli (anche se questa concessione è di prammatica per i brutti). Comunque sia, io mi permetto d'insistere che sono occhi straordinari, lagninosi e vivaci nello stesso tempo, i quali danno un'impressione di profondità senza rivelarla, occhi contraddittori. — Stai comodo — ha insistito quando ho cominciato a uscire dal letto. Ha trascinato una sedia attraverso la stanza e si è piazzato accanto al letto. — Cosa leggi? Ah, un libro illustrato. Sei stato qui tutto questo tempo, e nessuno me lo ha detto. L'ho scoperto da George. Peccato, ma il giorno che sei arrivato ero temporaneamente... Ha fatto ondeggiare una mano sopra la sua testa, un gesto vago. (Le sue mani, come i suoi piedi, sono sproporzionatamente grandi. Le dita sono
grosse come quelle d'un lavoratore manuale, ma allo stesso tempo agili, quasi danzanti. I suoi gesti tendono ad essere melodrammatici, quasi a compensare il suo volto inespressivo). — ...defunto. Inerte. Moribondo. Comatoso. Ma adesso è finita. E tu sei qui. Sono felice, io sono Mordecai Washington. Con fare solenne mi ha porto la mano. Non ho potuto fare a meno di percepire una certa ironia nel gesto, come se accettando di stringerla confermassi che avrei lavorato con lui. È scoppiato a ridere, un suono stridulo simile a quello d'un pappagallo, due ottave più alto della sua voce. Era come se un'altra persona ridesse per lui. — Oh, la puoi toccare, non ti trasmetterò nessun maledetto germe. Non in questo modo, comunque. — Non mi è neppure passato per la testa... Mordecai. — (Non sono mai stato capace di usare subito il nome di persone appena conosciute). — Non mi aspettavo che tu ti ricordassi di me. Non prendertela per questo. E non è necessario che mi dia subito del tu. Io mi sono ricordato di te eideticamente, nello stesso modo in cui una persona ricorda una particolare sequenza di immagini di un film dell'orrore. Psyco, per esempio, ti ricordi di Psyco? — Ma sì, la scena del bagno. Ero forse anch'io un Tony Perkins a quell'epoca? Spero che Dio non l'abbia consentito! — Facevi abbastanza paura, ma a modo tuo, naturalmente. Almeno, a me facevi paura. Eravamo nella stessa classe, quella di Miss Squinlin. Ti ricordi di lei? — Miss Squinlin? Sì, odiavo quella donna. — Grassa, sporca... una vecchia bastarda dal viso paonazzo. L'ho odiata molto di più di quanto l'abbia potuta odiare tu, fratello. Mi insegnava inglese. Silas Marner, Julius Caesar, Rhyme of the ancient Mariner. Perdio! Quasi non parlavo più quella maledetta lingua, me l'aveva fatta detestare. — Non mi hai ancora spiegato cosa avevo in comune con Psyco. — Be', diciamo Donovan's Brain, invece. Un cervello in un serbatoio di vetro. Un intelletto da piovra avidamente in caccia di una laurea, capace di rispondere a tutte le domande, pronto a ingoiare tutta la merda che le varie Squinlin gli mettevano sul piatto. Cerebrum sicut Cerberus. — Un ingegnoso gioco di parole guastato dalla pessima pronuncia. — Avresti potuto inchiodare al muro la gente come la vecchia Squinlin non una, ma cento volte. Io, invece, dovevo soltanto restare seduto a inghiottire la loro merda. Sapevo che era merda, ma cosa potevo fare? Non ero in grado di difen-
dermi. Ma quello che veramente mi ha colpito in te, quello che ha cambiato la mia vita è accaduto nell'aprile del '55. Tu e due di quei cervelloni, due ragazze ebree, dopo la fine delle lezioni eravate rimasti a parlare dell'esistenza di Dio. "Dio" lo pronunciavate con quel falso accento preso a prestito dai film di Laurence Olivier. Ero seduto dietro a voi, di cattivo umore, e mi rendevo invisibile agli altri alla mia maniera. Ti ricordi? — Non quel giorno in particolare. Ho discusso molto dell'esistenza di Dio, quell'anno. Ero appena stato illuminato, come si usa dire. Mi ricordo delle due ragazze, tuttavia, Barbara e... come si chiamava l'altra? — Ruth. — Hai una memoria tremenda. — La migliore, mio caro. Ad ogni modo, tornando al nostro discorso, quelle due cervellone avevano tirato fuori quei vecchi argomenti sull'universo simile a un orologio senza l'orologiaio. Poi, quello della causa prima non provocata da altre cause. Fino a quel giorno non avevo mai sentito quella storia dell'orologiaio, e quando sono saltate fuori con quel discorso, mi sono detto: "Ecco questo è quanto ci voleva per il cervello di Donovan". Ma niente: tu le hai smontate pezzo per pezzo. Tuttavia loro non capivano e continuavano a insistere, ma io avevo capito. Tu avevi completamente rivoluzionato i miei concetti. — Mi dispiace, Mordecai, mi dispiace davvero. Uno non si rende conto di come sia possibile avvelenare altre esistenze con errori che riteniamo siano soltanto nostri. Non so come... — Spiacente? Ragazzo mio, io ti stavo ringraziando. Può sembrare uno strano modo di farlo, insistendo per farti trascinare in questo luogo sotterraneo, ma ad ogni modo quaggiù si vive molto meglio di quanto avresti potuto sperare a Springfield. Haast mi ha fatto leggere il diario che tenevi laggiù. Adesso è finita, ma devo ammettere che non ti ho fatto venire qui soltanto per altruismo. Era la mia prima occasione d'incontrarmi con un vero poeta, un poeta con dei libri stampati! Hai proprio sfondato, non è vero, Sacchetti? Difficile dire quali sentimenti si mescolassero in quella domanda: ammirazione, disprezzo, odio, invidia... tutto permeava quanto Mordecai mi diceva, una specie di altezzosa soddisfazione. — Presumo che tu abbia letto Le colline della Svizzera — gli ho domandato a mia volta. Uno scrittore non può resistere alla vanità d'introdurre qualche sua opera nel discorso, alla prima occasione. Mordecai ha scosso le sue spalle strette: — Sì, le ho lette.
— Allora saprai che le mie rozze convinzioni di quei giorni lontani sono diventate ben altro. Dio esiste indipendentemente da Tommaso. La fede è molto di più che una serie d'impeccabili sillogismi. — La tua fede e i tuoi epigrammi possono andare a farsi fottere. Tu non sei più il mio grande fratello. Qui, io sono più anziano di te di due anni, amico mio. E per quanto riguarda le tue ultime convinzioni religiose, ti avrei fatto portare qui comunque, anche se hai scritto delle poesie schifose. Cos'altro potevo fare, se non stupirmi? A questo punto, Mordecai ha sorriso. La sua rabbia si è dileguata non appena espressa. — C'erano delle ottime poesie, anche se schifose. Il libro è piaciuto molto di più a George che a me, e George ne sa molto più di me in questo campo. Tanto per cominciare, è stato qui molto più a lungo. Cosa pensi di lui? — George? Era molto... intenso. Mi dispiace, ma non ero preparato a scoprire così tanto in un colpo solo, e non lo so neanche oggi. Voi siete troppo veloci e liberi, quaggiù, specialmente dopo il vuoto che ho sperimentato a Springfield. — Come all'inferno. Qual è il tuo Q.I.? — Quale significato ha alla mia età parlare di Q.I.? Nel '57 avevo registrato 160 nel corso di un test, ma non saprei dove questo mi collochi rispetto alla media. Ad ogni modo, quale significato può avere un test stampato su un pezzo di carta? La vera questione è come si usa la propria intelligenza. — Lo so. — Mentre diceva questo ho avuto l'impressione che per la prima volta il nostro discorso avesse toccato un argomento che Mordecai era disposto a trattare seriamente. — Qual è Mordecai il tuo lavoro in questo posto? Che cos'è questo posto? Cosa cercano di ottenere da voi Haast e la Busk? — Questo è l'inferno, Sacchetti, non lo sapevi? O forse la sua anticamera. Stanno cercando di comperare le nostre anime, così da usare i nostri corpi per farne salsicce. — Ti hanno detto che io non dovrei sapere niente a questo riguardo, non è vero? Mordecai ha girato gli occhi, e si è diretto verso lo scaffale dei libri: — Siamo oche che Haast e la Busk stanno ingozzando di cultura occidentale, scienza, arte, filosofia, tutto quello che è possibile inghiottire e altro ancora....
Non sono pieno, non sono pieno, il mio stomaco è stato purgato e purgato, e tuttavia non posso trattenere il mio cibo, non posso toccarlo... Oh! Non sono pieno. Mordecai aveva recitato una delle mie poesie. La mia reazione ha ondeggiato tra il compiacimento che avesse scelto proprio quei versi, e che li ricordasse così bene (perché sono versi di cui vado fiero) e il rincrescimento per il tono pungente che aveva usato, non meno pungente, del resto, di quello che avevo usato io. Non ho risposto, né ho fatto altre domande. Mordecai è sprofondato come un pezzo di piombo sulla mia cuccetta. — Questa stanza è un cesso, Sacchetti. Tutte le nostre camere erano così, all'inizio, ma non devi arrenderti. Di' ad Haast che vuoi qualcosa di meglio, di più classico. Digli che queste tendine interferiscono con i tuoi processi mentali. Abbiamo carta bianca, qua dentro, per tutto quello che riguarda l'arredamento. Lo scoprirai presto, approfittane. — Al confronto di Springfield, tutto questo è un prodigio d'eleganza. Non soltanto al confronto di Springfield ma anche di qualunque altro posto dove ho vissuto, a parte un giorno che ho passato al Ritz. — Già, i poeti non guadagnano poi tanto, non è vero? Scommetto che stavo molto meglio di te, prima di arruolarmi. Quei maledetti bastardi! Che errore è stato arruolarsi! — Tu sei arrivato a Campo Archimede nello stesso modo di George, attraverso la prigione? — Sì, Ho aggredito un ufficiale. Ma quel bastardo se l'è voluto. Tutti uguali. Gli ho fatto sputare due denti. Brutto spettacolo. La prigione ancora peggio. Se la legano al dito, dopo una cosa del genere. Così, mi sono dato volontario... sei, anzi, sette mesi fa. Qualche volta penso che dopo tutto non è stata una cattiva idea. Lo dico anche per quello che ci hanno dato, qui. Molto meglio dell'acido. Con l'acido uno pensa di aver provato tutto, non succede spesso che si goda veramente, molte volte si soffrono dolori atroci. Come dice H.H., "un genio ha una capacità infinita di sopportare il dolore". Sono scoppiato a ridere, sia perché mi stordivano la rapidità e i continui cambiamenti della sua retorica, sia perché apprezzavo il suo modo di dire le cose. — Ma è stato un errore. Muto, dovevo restare.
— Muto? Non mi sembra che questo sia mai stato il tuo caso. — Come è vero l'inferno, io non ho mai avuto un Q.I. 160. — Ma questi sono test fatti su misura per i cosiddetti appartenenti alla classe media, come me. Misurare l'intelligenza non è così semplice come prelevare un campione di sangue. — Grazie per averlo detto, ma la verità è che io ero muto come il figlio d'una cagna. E ancora più ignorante che muto. Tutto quello che so adesso, il modo con cui parlo con te, è dovuto alla pal... alla roba che ci hanno dato. — No, non tutto. — Al diavolo, tutto! — Anche lui è scoppiato a ridere, più calmo di prima. — Fa piacere parlare con te, Sacchetti. Sobbalzi ad ogni oscenità che dico. — Davvero? Penso che sia l'educazione ricevuta dalla cosiddetta classe media. Conosco tutte le parole anglosassoni, sulla carta, ma in pratica... è un riflesso. — Quel libro illustrato che hai in mano, hai letto il testo? Stavo sfogliando il secondo volume dei Pittori fiamminghi di Wilenski, quello con le illustrazioni. Il testo si trova nel primo volume. — Avevo cominciato, ma non sono riuscito a continuare. Non mi sono ancora adattato a questo ambiente, e mi riesce difficile concentrarmi. Il volto di Mordecai si è curiosamente irrigidito. Tuttavia, non ha detto nulla, e ha continuato il discorso. — C'è un paragrafo, là dentro, molto interessante. Posso leggertelo? Aveva già prelevato il primo volume dallo scaffale. — Parla di Hugo Van der Goes. Lo conosci? — So soltanto che è stato uno dei precursori della pittura fiamminga. Non credo di aver visto nessuno dei suoi dipinti. — Non potresti. Non ne è rimasto nessuno. Niente che porti la sua firma, ad ogni modo. Si raccontava che verso il 1470 egli impazzì, e nel delirio gridava che era dannato, che il diavolo lo avrebbe portato con sé, eccetera. Viveva in un monastero nei pressi di Bruxelles, a quell'epoca, e i monaci suonavano della musica per calmarlo, come Davide con Saul. Uno dei monaci scrisse una relazione sulla sua pazzia. Vale la pena di leggerla, ma la parte che mi piace di più... Eccola, permetti che te la legga: ...fratel Hugo, infiammando i suoi poteri d'immaginazione, era sottoposto ad allucinazioni e fantasie anche durante il giorno, e
soffriva di conseguenza d'una malattia al cervello. Perché, mi hanno detto, c'è un piccolo organo delicato vicino al cervello, che è controllato dalle forze dell'immaginazione e della creazione; se la nostra immaginazione è troppo vivida, o la nostra fantasia troppo abbondante, questo piccolo organo ne subisce le conseguenze, e se è portato al livello massimo di sopportazione, può causare la pazzia. Se vogliamo evitare di cadere in questo irrimediabile... A questo punto, Mordecai ha avuto difficoltà a pronunciare la parola. ...pericolo, dobbiamo limitare la nostra fantasia, la nostra immaginazione e i nostri sospetti ed escludere tutti quei pensieri inutili e vani che potrebbero eccitare il nostro cervello. Siamo soltanto uomini: e il disastro di cui è stato vittima nostro fratello a causa delle sue fantasie e allucinazioni potrebbe ricadere su di noi. — Non è grandioso? Posso immaginare il vecchio bastardo, la soddisfazione che deve aver provato nello scrivere "Te lo avevo detto, Hugo! Non ti ho forse sempre detto che tutto quel dipingere era pericoloso?" Ad ogni modo, per quale ragione pensi che sia diventato pazzo? — Chiunque può diventare pazzo, non è una prerogativa dei pittori o dei poeti. — Già, riflettendoci su bene siamo tutti pazzi. I miei erano sicuramente pazzi. Mammy, la chiamavamo così, Mammy aveva la mania dello Spirito Santo, e il mio vecchio era pazzo anche senza lo Spirito Santo. Tutti e due i miei fratelli erano dei drogati, così erano anche pazzi, pazzi, pazzi e pazzi. — C'è forse qualcosa che non va? — ho chiesto, alzandomi dal letto e dirigendomi verso Mordecai, che si stava agitando sempre più mentre parlava, finché, scosso da un tremito, gli occhi sbarrati, la mano destra stretta sopra il cuore, la voce interrotta da un rauco sospiro, ha lasciato cadere il libro sul pavimento. Al tonfo del libro ha sussultato, e ha riaperto gli occhi: — Starò bene se mi siedo... un momento. Sono soltanto un po' stordito. L'ho aiutato a sedersi sul divano, e poiché non avevo niente a portata di mano, gli ho dato un bicchier d'acqua che ha bevuto avidamente. Le sue mani strette intorno al bicchiere tremavano ancora. — E tuttavia... — ha continuato con più calma, muovendo le sue lunghe
dita a spatola lungo il bordo del bicchiere — ... c'era qualcosa in Van der Goes. O per lo meno, mi piace pensare che ci fosse. Qualcosa di speciale anche per un artista, una specie di magia, nel senso letterale della parola. Un'abilità dell'assorbire i segreti della natura e insufflarli nelle sue opere. È così, non è vero? — Non lo so. Non credo che sia il mio caso, ma ci sono molti artisti che vorrebbero che fosse così. Ma il guaio è che la magia non funziona. — Come l'inferno — ha aggiunto con calma Mordecai. — Riesci a prenderti gioco di Dio mentre credi ai demoni? — Cosa mai sono i demoni? Io credo nelle forze naturali, le silfidi, le salamandre, le ondine, gli gnomi, allegorie della vera natura. Tu sorridi e ti conforti negli insegnamenti gesuitici che ti hanno dato all'Istituto di Fisica. La materia non ha più misteri per te, come pure gli spiriti. Tutto chiaro, tutto conosciuto, come la cucina di tua madre. Perfino gli struzzi, si sentono a loro agio nell'universo, anche se non possono vederlo. — Credimi, Mordecai, anch'io sarei felice in un mondo di silfidi e salamandre: qualsiasi poeta lo sarebbe. Per che cosa pensi che ci siamo battuti in questi ultimi duecento anni? Purtroppo, siamo stati sconfitti. — Ma tu disprezzi ancora le parole! Per te c'è soltanto un balletto russo, un tintinnio di campane... Ma io ho visto le salamandre abitare nel cuore delle fiamme. — Mordecai! L'idea che il fuoco sia un elemento non ha senso. Un solo trimestre di chimica cambierebbe la tua opinione. — Le fiamme trasformano — ha insistito, esaltandosi. — Sono un elemento di transito per la materia, un ponte fra essa e lo spirito. Cos'altro pulsa nel cuore dei vostri giganteschi ciclotroni? O nel cuore del sole? Tu credi negli angeli, non è vero? Gli intermediari tra questa sfera che ci ospita e quella più remota. Bene, io ho parlato con gli angeli. — La sfera più remota, quella abitata da Dio? — Dio, Dio... Io preferisco gli spiriti che mi sono familiari, le mie silfidi e salamandre che rispondono non appena le chiamo. Due all'aperto valgono bene uno nel bosco. Ma non vale la pena di discuterne. Non ancora. Aspetta finché non avrai visto il mio laboratorio. A meno che non ci accordiamo sul nostro vocabolario, continueremo a bloccarci coi significati sino al giorno del giudizio. — Mi dispiace, di solito non sono così inflessibile. Penso che sia più una questione d'istinto di conservazione che un dissenso ragionato. Mi sarebbe facile farmi trascinare dalla tua retorica. Intendo questo come un compli-
mento, ad ogni modo. — Ti dà fastidio accorgerti che sono più brillante di te, non è vero? — Non ha forse dato fastidio anche a te, Mordecai, quando eri al posto dove mi trovo io adesso, all'epoca in cui mi hai conosciuto? Inoltre... — Ho sorriso, cercando di far buon viso a cattivo gioco — ...non sono proprio sicuro che tu sia più brillante di me. — Oh, lo sono, lo sono. Credimi. Mettimi alla prova se vuoi. Quando vuoi. In qualsiasi campo, ragazzo mio. Forse preferisci un confronto diretto, all'inizio? Conosci le date dei vari re d'Inghilterra, Francia, Spagna, Svezia, Prussia? Oppure vuoi un discorsetto su Finnegan's Wake? o Haikus? — Basta, ti credo, ma c'è ancora un campo in cui posso batterti, superuomo. Mordecai ha gettato indietro la testa in atteggiamento di sfida: — Quale? — Ortoepia. — Okay, d'accordo... cos'è questa ortoepia? — Lo studio di una corretta pronuncia. Lucifero, precipitando dal cielo, non avrebbe potuto essere più stupito. — Ah, così eh?... Ma, accidenti, non ho il tempo di controllare come ogni dannata parola va pronunciata!... Quando dico qualcosa nella maniera sbagliata ti spiacerebbe correggermi? — Presumo che un poeta dovrebbe essere capace di farlo, almeno questo. — Oh, c'è parecchio che abbiamo in programma per te. Devi parlare ancora una volta con George. Non oggi, è all'infermeria. Ha qualcosa, in quella testa, di veramente formidabile, qualcosa come inserire un Dottor Faust in questo ambiente, ma abbiamo aspettato che tu arrivassi. E c'è anche un'altra cosa... — Stranamente, Mordecai è sembrato incerto. — E cioè? — Ho scritto qualcosa, un racconto. Pensavo che forse potresti leggerlo e dirmi cosa ne pensi. Haast mi ha promesso che potrò mandarlo a una rivista dopo che la N.S.A. lo avrà controllato. Ma sono certo che non è buono, voglio dire, in senso assoluto. Qui sembra che piaccia a tutti, ma siamo diventati un gruppo così ristretto, chiuso. Tuttavia, tu hai ancora la testa sulle spalle. — Sarò lietissimo di leggerlo, e ti assicuro che la mia critica sarà la più severa possibile. Di che cosa si tratta? — Tratta di... Cristo, che strana domanda per un poeta... di Van der Go-
es, naturalmente. — Che cos'è la N.S.A.? — National Security Agency. Quelli della censura. Controllano tutto quello che diciamo, e tutto finisce sui nastri, sai, per essere sicuri che non siamo stati un po' troppo... ermetici. — C'era qualcosa di ermetico nel tuo discorso? Mordecai, l'alchimista, ha sbattuto le palpebre: — Abracadabra — ha detto, con un tono pieno di significato. Quindi, rapido come una silfide, se n'è andato. Più tardi Riassumo? Un senso di colpevolezza per aver causato la caduta di Mordecai. Sarà sempre fonte di meraviglia il fatto che le nostre azioni più insignificanti possano produrre gli effetti più impensati, a lunga scadenza. Il monaco che nell'intimità del suo convento commette un errore può pensare che questo rimarrà soltanto suo, e neppure immagina che un secolo più tardi la sua eresia potrebbe aver coinvolto intere nazioni. Forse i conservatori hanno ragione, forse la libertà di pensiero è davvero pericolosa. Ma Louie II si ribella, protesta! Per quanto io faccia, non mi riesce mai di farlo stare zitto. È necessaria tutta la mia buona volontà, a volte, per impedire che la sua voce si levi al di sopra della mia. È sempre lì, nel mio cuore, in attesa di usurpare il dominio della ragione. Ma ciò che sento è molto di più che un senso di colpa. Sì, molto di più, mi sento meravigliato, stupito, come un osservatore dei cieli quando un nuovo pianeta appare ai suoi occhi. La stella del mattino, Lucifero principe delle tenebre, il tentatore. 8 giugno Zu viel, zu viel! Ho parlato tutto il giorno, ho parlato e parlato. Il mio cervello sembra un disco a 33 giri suonato a 78. Fatta eccezione per due o tre soltanto, ho incontrato tutti quelli che sono qui, una ventina circa. Nell'insieme i prigionieri costituiscono un incubo molto superiore a ciascuno di essi preso singolarmente. Le risonanze di questi incontri vibrano ancora intensamente dentro di me, come il ricordo d'una sinfonia dopo un concerto.
Era presto, quando tutto è cominciato, quando una guardia mi ha portato un foglio ancora fresco d'inchiostro, con l'invito a recarmi da George W., all'infermeria. Nessun altro ospedale avrebbe mai potuto rivelarsi così splendido, neppure il Wren di Chelsea. Il suo letto avrebbe potuto essere un'opera del Tiepolo, e i fiori una creazione del doganiere Rousseau. Ci siamo diffusi ancora su Rilke, che George ammira più per le sue concezioni eretiche, che per la sua abilità poetica. Lo ha anche tradotto, da solo. Dei versi piuttosto sconcertanti. Giudicherò più tardi. Ho discusso con lui una sua idea, quella di mettere in scena il Faust, per il quale ha in progetto un teatro modello. Lo costruiranno per lui, quaggiù! (Non ci sono più dubbi: il Campo A. si trova parecchi metri sotto terra). Non riesco a ricordare i nomi di tutti gli altri, o quelli che mi hanno detto. Soltanto uno, Murray qualcosa, un giovane raffinato, dai modi estremamente gentili, non mi è andato a genio, non c'è dubbio che anche lui mi ha ricambiato (ma forse m'illudo, probabilmente non sapeva neppure che ero lì). Ha incominciato un'accanita discussione sull'alchimia, una discussione senza né capo né coda che potrei parafrasare così: "Due galli si accoppiano al buio, dalla loro covata escono dei pulcini dalla coda di drago. Dopo sette volte sette giorni vengono bruciati, le loro ceneri triturate in vasi di piombo consacrato"... al che ho detto: "Merda!", un'espressione che hanno preso molto seriamente. Come ho scoperto più tardi, Mordecai era il più preoccupato di tutti. Più di ogni altro mi è piaciuto Barry Meade. Mi ha sempre fatto piacere incontrare gente più grassa di me. Meade è un fanatico del cinema, e alle 2, quando George deve prendere il sedativo per fare un sonnellino (povero George, è davvero in cattive condizioni ma tutti quelli con cui ho parlato sembrano avere delle idee differenti sulle cause del suo stato) come dicevo, alle 2 mi ha portato in una piccola sala di proiezione, tre livelli più sotto, per farmi visionare un montaggio da lui fatto dei discorsi politici di McNamara mescolati a donne urlanti prelevate da vecchi film dell'orrore. Dall'ilarità all'isterimo. Barry, molto compassato, continuava a scusarsi per delle sfumature, altrimenti impercettibili, che lui considerava errori. Alle 4 e 30 George si è svegliato, ma mi ha ignorato e si è subito concentrato su un libro di matematica. Comincio ad avere l'impressione che, come un bambino in visita a dei parenti che non hanno mai avuto figli per una vacanza, essi si stiano suddividendo il compito d'intrattenermi. Per lo meno, così è avvenuto nel pomeriggio, quando sono stato affidato alle cure di un tizio che mi è stato presentato semplicemente come "il Vescovo".
Presumo che i suoi vestiti eccentrici gli abbiano guadagnato il soprannome. Mi ha spiegato in quale modo la società si sia evoluta, in questo luogo. In poche parole, è stato così: Mordecai è l'indiscusso Zar di un'anarchia benevola. Il Vescovo è venuto al Campo A. non dalla prigione, ma da un ospedale psichiatrico militare dov'era rimasto per due anni, colpito da amnesia totale. Mi ha descritto in maniera affascinante, divertente e terrificante, i suoi molteplici tentativi di suicidio. Una volta aveva anche bevuto un quarto di litro di vernice al piombo. Più tardi, mi ha battuto agli scacchi. Ancora più tardi, Murray qualcosa ha messo su della musica elettronica (è sua? Qualcuno dice di sì, qualcuno dice di no). Nelle condizioni in cui mi trovavo, mi è parsa ottima. E ancora, e ancora... Troppo, ripeto. E cosa si presume che salti fuori da tutto questo? Perché dar vita a questo splendido mostro? Sincronizzatevi di nuovo domani. 9 giugno L'indomani, questo devo proprio dirlo, in cui sembra manifestarsi in pieno il trionfo dell'utopia. Mi sento vuoto, in questo domani, come una maschera di cartapesta, rugosa, dalle grandi occhiaie e la bocca che sembra schernire. La verità, forse, la verità autentica è che la maschera non sia vuota e che io non abbia il coraggio di guardare cosa si nasconde dietro di essa, di seguire la rapida oscillazione delle immagini davanti agli occhi, che la mente-inferiore trasmette alla mente-superiore. Oggi mi sento male, stupido e sconfitto. Oggi sono malato. Visitatori sì, parecchi, Mordecai, Meade, un biglietto di George, ma voglio restare nella mia solitudine. Non sono me stesso, oggi. E chi allora? Sono stato per troppo tempo lontano dai raggi vivificanti del sole, questo è il mio problema. E, ahimè, non sono capace di collegare due pensieri, facendone uno solo. 10 giugno Molto meglio, grazie. Sì, ti fa sentire bene. Ora, ancora una volta posso guardare il lato illuminato della sconfitta. Fatti: Ancora una volta sono andato a trovare H.H. Dopo essermi abituato al
pallore della pelle dei prigionieri e delle guardie, il volto abbronzato di H.H. (una lampada solare: un po' come una fetta di pane bianco tostato) mi è sembrato più che mai un insulto all'ordine naturale delle cose. Se questa si chiama salute, che mi colga la peste! Si è chiacchierato di varie cose, senza grande importanza. H.H. ha lodato la mia industriosità e il mio diario in generale, ma tuttavia ha contestato quello che ho scritto ieri, giudicandolo troppo soggettivo. Se dovessi cominciare a pensare soggettivamente un'altra volta, devo semplicemente avvertire una guardia, e mi sarà subito portato un tranquillante. Non possiamo permetterci di sprecare una giornata preziosa, vero? E così e colà, i vari meccanismi bene oliati della sua banalità, hanno continuato a battere il più prevedibile dei percorsi, per poi chiedermi: — Così avete incontrato Sigfrido? — Sigfrido? — ho chiesto, perplesso, pensando che fosse un soprannome di Mordecai. Ha ammiccato: — Sì... il dottor Busk! — Sigfrido! — ho ripetuto ancora più stupito. — Perché? — Sapete, come la linea Sigfrido. Imprendibile. L'ho ingaggiata proprio per questo sapendo quant'è fredda. Di solito, non sarebbe consigliabile avere delle donne tra i piedi in una situazione come questa, dovendo lavorare con degli stagionati G.I., molti dei quali negri. Ma con Sigfrido non fa alcuna differenza. — Sembra che voi parliate per esperienza — constatai. — WAC! — esclamò, scuotendo la testa. — Alcune non ne hanno mai abbastanza, altre, invece... Si piegò in avanti, in tono confidenziale: — Non scrivetelo nel vostro diario, Sacchetti, ma il fatto è che lei beve ancora regolarmente il suo cherry. — No! — protestai. — Non interpretate male tutto quello che vi ho detto. Sigfrido è un'ottima lavoratrice, conosce il suo mestiere come nessun altro e non permette mai ai suoi sentimenti personali d'interferire col suo lavoro. Gli psicologhi, abitualmente, tendono a diventare sentimentali, vogliono sempre aiutare la gente. Busk non è così, se ha un difetto, è la mancanza d'immaginazione. A volte è un po' limitata nel suo modo di pensare. Troppo... voi mi capite, convenzionale. Voi non dovete equivocare, però, io rispetto la scienza come tutti... Approvai con la testa, per confermargli che avevo capito ciò che inten-
deva dire. — Senza la scienza non avremmo mai avuto le onde radio, i cervelli elettronici, il krebiozene, gli uomini sulla Luna. Ma la scienza è soltanto uno dei tanti modi di vedere le cose. Naturalmente, non permetto che Sigfrido ne parli direttamente ai ragazzi... — (Così Haast chiama le sue cavie) — ...ma penso che, comunque, essi intuiscano l'ostilità. Fortunatamente, sono riuscito a impedire che ciò frenasse il loro entusiasmo. La cosa più importante che Busk ha capito perfettamente, è che seguano il loro corso. Essi devono allontanarsi dalle vecchie correnti di pensiero, trovare nuove strade, esplorare. — Ma cos'è esattamente, che Busk non approva? — domandai. Ancora una volta H.H. si chinò in avanti, in tono confidenziale, grattandosi gli angoli rugosi e abbronzati degli occhi: — Non c'è alcuna ragione per cui io debba dirvelo, Sacchetti, lo scoprirete abbastanza presto parlandone con i ragazzi. Mordecai farà la sua parte nell'Opus Magnum. — Veramente? — replicai, assaporando la credulità di Haast. Sembrò scosso, come una roccia vibrante alla prima luce del sole, da questo mio scetticismo. — Sì, lo farà. So cosa state pensando, Sacchetti. Voi state pensando la stessa cosa del vecchio Sigfrido, voi siete convinto che Mordecai sia riuscito ad incantarmi. Che m'abbia preso in giro, come si dice da alcune parti. — C'è sempre una possibilità — insistei. Quindi, per alleviare la ferita: — A voi piacerebbe che io fossi insincero, non è così? — No, no, qualsiasi cosa ma non questo. — Si rilassò nuovamente sulla sedia, con un sospiro, lasciando che le rughe raccolte dalla concentrazione dei suoi pensieri si distendessero nuovamente sul suo viso, come increspature sulla superficie della sua fatuità. — Il vostro atteggiamento non mi sorprende — continuò — dopo aver letto la sua relazione su Mordecai. Avrei dovuto capire... Molta gente, sulle prime ha la vostra stessa reazione, non lo sapevate? Pensano che l'alchimia sia una forma di magia nera. Non si rendono conto che si tratta in realtà d'una scienza, la sola scienza, ancora oggi, che non ha paura di prendere in considerazione qualsiasi elemento. Voi siete forse un materialista, Sacchetti? — Non... non direi esattamente questo. — Ma è quello che la scienza è diventata oggi. Materialismo puro e nient'altro. Provate a parlare con qualcuno di fatti soprannaturali... intendo dire, di fatti superiori alle scienze naturali, chiuderanno gli occhi e si tap-
peranno le orecchie. Essi non hanno la più pallida idea degli anni di studio e di ricerca, e delle centinaia di volumi... Sono convinto che intendesse dire "e dello sviluppo che..." ma si era fermato in tempo. — Avete notato — proseguì cambiando però discorso — che avete citato più di una volta Tommaso d'Aquino nel vostro diario. Bene, quando avete smesso di pensare che Tommaso fosse un alchimista? Egli era un alchimista, e il suo maestro, Alberto Magno, un alchimista ancora più grande. Per secoli, le migliori menti d'Europa hanno studiato le scienze ermetiche eppure oggi c'è qualcuno come voi o Busk, pronti a trinciare giudizi e a dichiarare, senza la più piccola preoccupazione d'informarsi, che tutto è soltanto superstizione. Ma chi è il vero superstizioso? Chi spara giudizi senza prove? Eh? Ditemi, avete mai letto un libro sull'alchimia, uno solo? Ho dovuto ammettere che non avevo letto un solo libro sull'alchimia. Haast trionfava: — E tuttavia voi pensate di essere qualificato a giudicare un lavoro di secoli, l'opera di dotti me-ra-vi-glio-si? — C'era qualcosa di simile a un'eco di Mordecai nel modo in cui aveva pronunciato quest'ultima parola, e in verità in tutto il suo lungo discorso. — Accettate un mio suggerimento, Sacchetti. — Potete chiamarmi Louie, signore. — Sì, è quello che volevo dire... Louie. Aprite la vostra mente, e tenetela pronta ad accettare altri modi di pensare, più freschi, più nuovi. Tutte le grandi scoperte della storia umana dai tempi di Galileo fino a Edison... — (ecco nuovamente affiorare Mordecai) — ...sono state compiute da persone che hanno avuto il coraggio d'imporre le proprie diversità di opinione. Ho promesso di essere aperto e ricettivo, ma H.H., ormai trascinato dal suo discorso, non ha mollato. Ha demolito un milione di uomini di paglia e ha dimostrato con una logica di ferro che gli ultimi tre anni della disastrosa campagna di Malesia erano stati causati dall'incapacità di alcuni palloni gonfiati di Washington, di cui però non ha fatto i nomi, di accostarsi al problema da un punto di vista diverso. Tuttavia, a mano a mano che gli ponevo domande sempre più precise, è diventato sempre più reticente e obliquo nelle risposte. Mi fece capire che non ero ancora pronto a condividere i misteri. Sin dai tempi del servizio militare, Haast aveva conservato una fede incrollabile nell'efficacia dei segreti: far conoscere qualcosa a più persone significava svalutarne il valore. Non nutro più alcun dubbio sulla fedeltà con la quale Berrigan ha ricostruito la figura del generale Uhrlick nel suo Mars in Conjunction (che non è
disponibile, come ho avuto modo di constatare, nella nostra biblioteca) e posso ora capire perché Haast, pur avendo cercato di rovinare Berrigan con ogni mezzo, gridando ai quattro venti l'accusa di calunnia, non abbia osato trascinarlo in tribunale. Quel vecchio pazzo credulone ha diretto la campagna di Auaui per un intero anno leggendo l'oroscopo! Auguriamoci che la storia non si ripeta una seconda volta, speriamo che Mordecai, sia pure con raffinata astuzia, non stia rivivendo il ruolo fatale di Berrigan. Più tardi Da sottolineare: sto leggendo un libro d'alchimia (anzi un solo libro d'alchimia). Haast si è affrettato a mandarmelo non appena ho lasciato il suo ufficio. Si tratta del libro di René Aleau, Aspects de l'alchimie traditionelle, accompagnato da una traduzione telescritta racchiusa in una cartella con la scritta TOP SECRET. È abbastanza piacevole a leggersi, come una lettera scritta da un eccentrico, quel tipo che comincia così: Caro Direttore, probabilmente Lei non oserà pubblicare questa lettera, ma... 11 giugno Le prove del Faust: una delusione, un piacere, e quindi un orrido precipitare verso la realtà. Davvero, non saprei dire cosa mi fossi aspettato da George W. in qualità di regista. Probabilmente qualcosa sul tipo delle favolose (e probabilmente mai esistite) produzioni "underground" di Genet, all'inizio degli anni '60. Ma la sua sceneggiatura del Faust si è rivelata nulla più di un modesto miscuglio del Living Theatre con le lambiccate geometrie di Wieland Wagner e Bayreuth. Naturalmente, quando il pubblico consiste unicamente degli attori momentaneamente non impegnati in scena e del sottoscritto col copione nella buca del suggeritore (inutile, poiché anche alla prima prova tutti conoscevano perfettamente la loro parte), un proscenio è del tutto superfluo. Ma presumere che certe soluzioni esagerate servano ad arricchire un'opera tragica è segno d'una profonda confusione mentale, e forse anche di
un atteggiamento reazionario. L'inferno, è senza dubbio un luogo di tenebre e nebbie eterne, ma la Scozia non ha bisogno di questi attributi. Così, sembra (e sono lieto di poterlo dire) che anche i nostri giovani geni possano sbagliare. Questo giudizio è tuttavia basato su oltre vent'anni di fanatismo teatrale indiscriminato e a volte deludente. Ciò che meraviglia nel Faust di George è che né lui né alcun altro dei prigionieri hanno mai avuto occasione di assistere a uno spettacolo teatrale. Film, sì, e più di una volta George ha introdotto delle tecniche cinematografiche, usandole nel modo sbagliato. Comunque, questi sono tutti discorsi. Appena hanno cominciato a recitare, ho dovuto abbandonare tutte le mie precedenti considerazioni e lasciar posto soltanto a un'ammirazione incondizionata. Prendendo a prestito una frase di Mordecai: gli attori meritano le massime lodi. Ho perso l'occasione, molto tempo fa, di vedere Richard Burton in quel ruolo, ma non credo che sia stato molto meglio di George Wagner. La voce di Burton avrebbe risonato certamente più nobile, nell'ultimo soliloquio, ma sarebbe riuscito a convincere gli astanti che davanti a loro si trovava in carne ed ossa quel grande studioso medievale, perseguitato da Dio, maledicente Dio, fatalmente ed eroicamente alla ricerca dell'ultimo anello del sapere? Burton sarebbe forse riuscito a trasformare il sapere in una cosa orrenda e velata di mistero, della quale cadere succubi, come nella scena iniziale, quando Faust dice sospirando: "Dolce scienza analitica, tu mi hai stregato?" Quando George ha detto questo, ho sentito le mie arterie dilatarsi per ricevere, anch'esse stregate, il dolce veleno. La parte di Mefistofele era interpretata da Mordecai, molto meno efficace nella versione di Marlowe che in quella di Goethe, anche se non si sarebbe potuto immaginare che Mordecai riuscisse a tanto. Ha recitato il «Perché questo è l'inferno e io non ne sono ancora uscito» con una grazia agghiacciante, come se questa disperata confessione e condanna irrevocabile non fosse altro che un epigramma, una citazione senza conseguenze di Sheridan o Wilde. Oh, potrei continuare a lungo con le lodi, mettere in risalto una frase, una parola, ma la conclusione sarebbe sempre la stessa, dovrei descrivere come nell'ultimo atto Faust, in quegli ultimi istanti d'agonia prima che l'inferno lo divori, abbia cessato improvvisamente di essere Faust. Ancora una volta, e con terribile violenza, George Wagner ha vomitato anche l'anima sul palco. Quasi soffocando, tra i singhiozzi, coi piedi che sdrucciolavano sul palcoscenico in una specie di danza isterica, finché le guardie sono in-
tervenute per riportarlo all'infermeria, lasciando a mani vuote i demoni in attesa tra le quinte. — Mordecai — ho chiesto allora — cosa succede? È ancora ammalato? Cosa c'è che non va in lui? E Mordecai, freddamente, identificandosi ancora col personaggio, mi ha risposto: — Perché me lo chiedi? Questo è il prezzo che un vero uomo deve pagare per avere accesso alle porte del sapere. Ecco quello che succede a mangiare le mele stregate. — Vuoi dire che... la droga... la droga che vi hanno dato può fare anche questo? Ebbe un pallido sorriso e alzò la grossa mano per staccare le corna che gli ornavano la testa. — E che cavolo? — strillò Murray Sandemann (questo è il soprannome dell'entusiasta di alchimia). — Perché non rispondi a questa domanda da culo? — Zitto, Murray — ordinò Mordecai. — Oh, non preoccuparti per me... Io non glielo dirò di certo. Non sono stato io, dopo tutto, a farlo portare qui. Ma adesso che è qui, non è forse un po' troppo tardi per preservare la sua innocenza? — Chiudi il becco! — Voglio dire — concluse Murray. — C'è forse qualcuno che si è preoccupato quando noi abbiamo mangiato le mele stregate? Mordecai si voltò a guardarmi. E suo volto era quasi invisibile nella luce caliginosa del palco. — Vuoi una risposta alla tua domanda, Sacchetti? Perché d'ora in avanti, se non vuoi risposte farai bene a non porre domande. — Voglio la risposta — dissi, e all'improvviso mi sentii in trappola, obbligato a mostrare più coraggio di quanto ne avessi in realtà (non è forse così che è caduto Adamo?). — Voglio saperlo. — Stiamo morendo tutti — dichiarò Murray Sandemann. Mordecai assentì, con un rapido movimento del capo, il solito viso neutro da giocatore di poker. — Stiamo morendo a causa della droga che ci hanno dato. La pallidina. Corrode il cervello. Impiega nove mesi, qualche volta di più, qualche volta di meno. E per tutto questo tempo, mentre il tuo cervello si spappola, la tua intelligenza cresce. Finché... — La mano sinistra di Mordecai si abbassò con un gesto elegante a indicare il vomito di George.
12 giugno Un'intera nottata a tavolino, a scrivere, scrivere, scrivere. La mia reazione alla rivelazione è stata quella tipica, mi sono ritirato dentro me stesso, ho nascosto la testa nella sabbia e mi sono messo a scrivere... Mio Dio, quanto ho scritto! Coi pentametri di Marlowe ancora riecheggianti nell'atmosfera buia e pesante, niente mi è sembrato possibile, se non la composizione di versi sciolti. Non mi ero più dedicato a questo tipo di poesia fin dai tempi delle scuole superiori. Adesso, il farlo mi dà una sensazione di appagamento quasi insostenibile: mentre le energie mi abbandonano riesco a battere alcuni versi perfettamente incolonnati, verso il fondo della pagina. È come accarezzare una pelliccia: Maturo come una gabbia di colombe, il fanciullo venduto calpesta frammenti di terracotta scricchiolanti ad ogni passo. Puzza d'olio consacrato, a cavallo di una capra... Non ho la più pallida idea di cosa voglia dire (la nebbia è fitta), anche se il titolo (oscuramente) è Hierodulo. Uno hierodulo, l'ho scoperto la settimana scorsa consultando l'enciclopedia, è un tempio per gli schiavi. Mi sembra proprio di essere un Coleridge maledetto da Dio, un Coleridge che non ha mai ricevuto visitatori da Porlock, che lo risvegliassero dalla sua trance. Tutto è cominciato in maniera abbastanza innocente, quando ho rispolverato quelle sciocche poesie cerimoniali che avevo composto un anno fa, ma il solo rapporto con queste pietose stupidaggini è la parte iniziale, quando il sacerdote entra nel tempio-labirinto: ...girando a destra, girando a sinistra, contemplando occhi belli come quello di un dio. Il sangue vibra nella pozza... quindi, nel giro di dieci versi, l'opera degenera (o si esalta?) in qualcosa che supera tutte le mie capacità di riassumere, o quanto meno di analizzare. Qualcosa di pagano, non vi è dubbio, forse anche di eretico. Non oserei mai farla pubblicare sotto il mio vero nome. Pubblicare! Sono troppo inebriato per sapere se questa maledetta poesia potrebbe sostenere l'urto della critica, e tanto meno essere pubblicata. Sento, però, in questo momento, ciò che si prova quando si è scritta una
buona poesia, quando sembra che nulla di quanto si è scritto prima possa reggere il confronto. Per esempio, questa è la descrizione dell'idolo: Sgrana i tuoi occhi nella pelle nera e liscia, la mandibola ingioiellata che riusciamo appena a scorgere... Mentre, nel vuoto, avvelenato hierodulo, morente bisbiglia il pensiero degli dèi. Però, quanto vorrei che avesse bisbigliato con me... Centodieci versi! Davvero, mi sembra che sia passata più di una settimana da quando ho cominciato a lavorarci sopra, ieri pomeriggio. 13 giugno George Wagner è morto. La bara sigillata, appesantita da quei lembi di pelle che non servono alla clinica, è stata calata dentro una fenditura della roccia scabra. Un mausoleo tutto nostro. Io, gli altri prigionieri e le guardie, siamo stati presenti alla sepoltura, ma non c'erano né Busk né Haast e neppure un cappellano. Pensavate che ci fossero cappellani a Ravensbruck? Con mio grande imbarazzo (quello degli altri era ancora più grande) ho recitato alcune preghiere, vuote, tristi e pesanti come il piombo. Non sono mai arrivate lassù... sicuramente giacciono da qualche parte, sul pavimento rugoso della cripta. Laggiù, dentro all'ipogeo della cripta, malamente illuminato, si possono intravedere venti nicchie scavate irregolarmente, riservate ai prigionieri (come le file dei letti-bara in un monastero cartesiano), l'invincibile fascino del "memento mori". Ho sospettato che sia stato un impulso morboso, più che un senso di pietà per i morti, a creare questo cimitero. Intanto che gli altri uscivano dalla cripta per rientrare nella calma geometrica del nostro mondo di corridoi, Mordecai ha appoggiato una mano sulla parete di roccia (una roccia che emana calore come se fosse viva, e non gelida, come chiunque potrebbe aspettarsi) e ha detto "Breccia". Ero convinto che avrebbe detto "Addio". — Su, muovetevi — ha ordinato una delle guardie. Ho vissuto abbastanza qua dentro per distinguere le facce: la guardia che aveva parlato era Occhio di Roccia. I suoi compagni erano Assiduo e Scoreggia.
Mordecai si è fermato per raccogliere da terra un pezzo di roccia della grandezza di un pugno. Assiduo ha avvicinato di scatto la mano alla fondina. Mordecai è scoppiato a ridere: — Non cerco d'incitare nessuno alla rivolta, amica guardia, sul serio. Voglio soltanto prendere questo pezzo di breccia per la mia collezione di rocce. — E così dicendo se l'è messa in tasca. — Mordecai — ho detto allora. — Per ciò che riguarda quanto mi hai riferito dopo la recita... Quanto tempo ci vorrà prima che tu... quanto tempo credi di... Mordecai, già sulla soglia, si è voltato, il suo profilo stagliato contro la vaga luminescenza del corridoio. — Questo è il mio settimo mese — ha detto, con voce piatta. — Anzi, sette mesi e dieci giorni, il che mi concede ancora cinquanta giorni, a meno che io non sia un prematuro. — È sceso al di là dello scalino, ha girato a sinistra ed è scomparso alla mia vista. — Mordecai! — ho gridato, cominciando ad inseguirlo. Occhio di Roccia mi ha bloccato la strada. — Non adesso, signor Sacchetti, se non vi dispiace. Voi avete un appuntamento col dottor Busk. — Scoreggia e Assiduo mi hanno affiancato. — Se vuole seguirci? — Davvero una cosa poco intelligente, per non dire molto stupida quella che avete fatto. — Aimée Busk aveva già ripetuto quella frase due o tre volte, con voce grave, — Oh, non mi riferisco alle vostre domande sul povero George, perché, come voi avrete notato, non ci sarebbe stato possibile tenervi all'oscuro di questo molto a lungo. Speravamo, vede, speravamo di scoprire un antidoto. Ma abbiamo scoperto invece che il processo, una volta iniziato, è irreversibile. Ahimè! No, non parlavo di questo. Perché nonostante tutte le proteste che voi potreste sollevare circa il trattamento inumano cui siete sottoposti, vi sono ampi precedenti storici... Ogni ricerca nel campo della medicina, ogni progresso è stato ottenuto grazie al sangue dei suoi martiri. Si fermò soddisfatta del suo discorso. — E allora per quale motivo mi avete fatto venire qui? Cosa volete rimproverarmi? — Per quella vostra piccola, ingiustificata, stupida ricerca in biblioteca. — Voi osservate tutto. — Naturalmente. Mi scuserete se fumo. Grazie. — Infilò una Camel mezzo accartocciata in un bocchino che un tempo doveva essere stato trasparente, ma ora aveva acquisito lo stesso colore bruno del suo indice e medio. — Comunque, anche se avessi guardato nel Who's who non adesso, ma
dopo essere stato rilasciato, dovete ammettere che non avrei avuto difficoltà a ottenere l'informazione. Quello che ho trovato nel Who's who (non ci sarebbe ragione per non menzionarlo a questo punto) è l'identità dell'istituto che ha ingaggiato Haast con la carica di vicepresidente effettivo della Research & (in questo punto del manoscritto del diario di Louis Sacchetti sono state cancellate due righe. L'editore) — Poca fiducia? Un espediente? — disse il dottor Busk con voce gentile. — Se così fosse voi vi avreste contribuito nella stessa misura in cui vi ho contribuito io stessa. Ma, forse, è una questione di morale. Noi abbiamo cercato di incoraggiarvi, in modo che il vostro lavoro non ne soffrisse, evitandovi inutili ansietà. — Così, fin dall'inizio, non avete mai avuto la più piccola intenzione di farmi uscire da Campo Archimede? — Mai? Oh, voi state drammatizzando. Certo che vi lasceremo uscire un giorno. Quando le opinioni coincideranno, quando l'esperimento avrà giustificato se stesso agli occhi del nostro reparto P-R. Allora potremo farvi ritornare a Springfield. E poiché siamo quasi certi di poter raggiungere i risultati voluti nel giro di cinque anni, o forse cinque mesi, voi dovreste esserci riconoscente per avervi dato la possibilità di trascorrere qui parte del vostro tempo, in un luogo che è il fulcro del progresso, piuttosto che a Springfield, dove voi vi annoiavate tanto. — Be', devo proprio ringraziarvi per avermi dato la possibilità di assistere a tutti i vostri assassinii, non è vero? — Be', naturalmente, se voi la vedete così... Ma dovreste sapere, ormai, signor Sacchetti, che il mondo non la pensa come voi. Se voi cercaste di suscitare uno scandalo intorno a Campo Archimede, vi trovereste circondato da gente che non vi ascolterebbe affatto, come non vi hanno ascoltato durante il vostro processo. Oh, vi troverete sempre qualche paranoide come voi disposto ad applaudire i vostri discorsi, ma in generale nessuno prende sul serio i disertori come voi. — In generale la gente non prende sul serio la propria coscienza. — Un'ipotesi differente, ma che si accorda agli stessi fatti, non è vero? — Busk sollevò un minuscolo sopracciglio con fare ironico, e quindi (come se quello fosse stato lo scatto di una molla) sollevò anche tutta se stessa dalla poltroncina di cuoio.
Si passò le mani sul vestito grigio a pieghe, come per stirarlo, traendòne un lieve crepitio elettrostatico. — Nient'altro, signor Sacchetti? — Voi avevate promesso, quando ne avevamo parlato per la prima volta, che mi avreste spiegato nei particolari l'azione di questa droga, questa pallidina... — L'ho detto e lo farò. — Si sedette nuovamente sulla poltroncina di cuoio, piegò le labbra in una specie di sorriso da maestra di scuola, e cominciò: — L'agente che causa la malattia... ma è giusto chiamarla malattia, considerando il bene che se ne ricava?... È un piccolo germe, una spirocheta, parente prossima del treponema pallidum. Voi ne avete sentito parlare, qui, col nome di pallidina, un nome che non indica la vera natura dell'agente: esso, infatti, dopo aver infettato l'ospite, si comporta, al contrario di altri farmaci, come un'entità vivente capace di riprodursi. Essa è in effetti un germe. "Voi forse avete già sentito parlare del treponema pallidum? O come a volte è chiamato della spirocheta pallida? No? Be', lo riconoscereste subito dai risultati. Il treponema pallidum è l'agente della sifilide. Ah, adesso lo riconoscete vero? Il vecchio shock si fa sentire, eh? "Il tipo di germe col quale abbiamo a che fare nel nostro caso è un po' particolare. Un discendente del sottogruppo noto col nome di "varietà Nichols" isolato nel 1912 dal cervello infetto di un sifilitico e mantenuto in vita da allora nel circolo sanguigno dei conigli. Innumerevoli generazioni di treponema Nichols si sono succedute nei conigli di laboratorio, e sono state sottoposte a costanti indagini scientifiche con un senso, si potrebbe dire, di reverenza, specialmente dopo il 1949, quando due americani, Nelson e Mayer, svilupparono il T.P.I., il primo metodo sicuro per diagnosticare la malattia. Questa, col passare degli anni si è molto modificata. Il treponema del giovane George è diverso dal treponema Nichols, quanto questo può esserlo dal treponema pallidum. "Non dovrebbe stupirvi l'apprendere che le Forze Armate hanno svolto di gran lunga più ricerche nel minuscolo mondo delle spirochete di qualsiasi altra istituzione. Molti uomini valorosi sono stati sconfitti attraverso i secoli da questo piccolo nemico, fino al giorno in cui, durante la seconda guerra mondiale, fu scoperta la penicillina. Ma anche allora le ricerche non furono abbandonate. "Circa cinque anni fa un gruppo di ricercatori dell'Esercito stava indagando sull'effetto, naturalmente sui conigli, delle radiazioni impiegate co-
me agente terapeutico, nei casi in cui la penicillina non poteva essere usata o (circa il 3 per cento) non aveva alcun effetto. Allora fu constatato uno strano fenomeno: l'esperimento sembrava aver prodotto un nuovo tipo di conigli, non in senso genetico, ma piuttosto una successione di conigli i quali, da una generazione all'altra, si 'passavano' il sangue e con esso il treponema. Un gruppo di conigli manifestò non soltanto la tipica orchite, ma sembrò aver acquisito, nonostante i danni arrecati dalla malattia, un'astuzia fuori del comune. Parecchie volte questi conigli fuggirono dalle gabbie. Il loro comportamento nelle 'scatole di Skinner' superò ogni record precedente. Io mi occupavo allora dei test, e posso garantirvi che si trattava di risultati incredibili. Questo portò naturalmente alla scoperta della pallidina. Dovettero passare ancora tre anni, però, prima che fosse possibile utilizzare praticamente la scoperta. Tre anni! "All'esame microscopico, la pallidina assomiglia molto a qualsiasi altra spirocheta. Possiede, come suggerisce il suo nome, una struttura a elica, con sette spire: normalmente, tuttavia, il treponema pallidum è più grosso, e salvo casi particolari ha sei anelli. Se volete vederne una, sono sicura... no? Guardate sono graziosissime. Si spingono avanti distendendo la loro cellula nel senso della lunghezza, come una piccola fisarmonica, quindi si contraggono. Molto carine. Come le silfidi, è scritto sui libri. Ho trascorso parecchie ore soltanto ad osservarle, mentre si muovevano nel plasma nutritivo. "Sì, è vero, ci sono molte altre differenze fra il treponema pallidum e la pallidina. Ma cosa determini queste differenze, forse una forma particolare di attività, non siamo riusciti a scoprirlo. La sifilide, nei suoi ultimi stadi, è conosciuta per i suoi attacchi al sistema nervoso centrale. Per esempio, quando le spirochete sono riuscite ad installarsi nel midollo spinale, e per questo possono impiegare anche vent'anni dopo l'infezione iniziale, si ha la famosa tabes dorsalis, la quale può essere molto dolorosa. Voi non conoscete la tabe? Be', è vero che oggi non se ne sente più parlare molto. Incomincia con un tremito alle gambe, quindi le articolazioni si gonfiano, per poi, in un certo senso, liquefarsi al punto da non poter più sopportare nessun peso. Infine, il 10 per cento di coloro che ne sono colpiti diventano ciechi. "Questa è la tabe, ma quando le spirochete riescono a raggiungere il cervello, per osmosi, a quanto pare, piuttosto che attraverso la linfa, risalendo lungo l'albero della vita, allora si ha una paralisi parziale, con una patologia molto più interessante. Parecchi casi assai noti dovrebbero interessare
il suo spirito d'artista: Donizetti, Gauguin e, non ultimo, il filosofo Nietzsche, che usava firmare le sue ultime lettere, scritte in un manicomio, con lo pseudonimo 'Dionysius'." — Anche qualche poeta? — ho chiesto. — Effettivamente è stato proprio un poeta a dare il nome alla malattia: Fracastoro, il quale ha scritto nel 1530 un'elegia pastorale, in versi latini, in cui celebrava il pastore Syphilis, malato d'amore. Io non l'ho mai letta, ma voi, se volete... Ci sono poi i fratelli Goncourt, l'abate Galliani, Hugo Wolff... Ma il supremo, l'immortale esempio di cosa possa compiere il treponema pallidum è Adolf Hitler. "Adesso, se la spirocheta non provocasse nient'altro, nel cervello umano, a parte questa disintegrazione culminante con la pazzia, Campo Archimede non esisterebbe. Ma è stato detto da persone molto note (anche se generalmente non si occupavano di medicina) che la neuro-sifilide ha spesso degli effetti benefici che si contrappongono a quelli nocivi, e che perciò i geni artistici che ho nominato (e potrei aggiungerne molti altri) non erano soltanto vittime, ma anche beneficiari della spirocheta. "In sostanza, si tratta di definire l'esatta natura del genio. La miglior definizione che io conosca che comprende tutti i dati di cui disponiamo, l'ha data Koestler. L'atto di un genio è l'accostamento di due distinte sfere di riferimento, o matrici, la cui giustapposizione genera un nuovo talento. Il bagno di Archimede ne è soltanto un piccolo esempio: fino a quel momento nessuno aveva associato la possibilità di misurare la massa di un oggetto mediante lo spostamento dell'acqua. Il problema per un ricercatore moderno, è cosa sia successo nel cervello di Archimede nel momento in cui egli ha gridato 'Eureka!' Sembra ora accertato che avvenga una specie di scomposizione: la mente si disintegra e le vecchie categorie rimangono per qualche tempo allo stato fluido..." — Ma è proprio qui — obbiettai — in questo ricombinarsi in modo diverso delle categorie disciolte, l'essenza del genio. Non è la scomposizione che conta, quanto la nuova combinazione che ne consegue. I pazzi hanno il cervello scomposto proprio come i geni! Un sorriso enigmatico si dipinse sul volto del dottor Busk, dietro un velo di fumo di sigaretta: — Forse quella linea sottile che divide la pazzia dalla genialità è soltanto fortuita: forse il pazzo ha soltanto la sfortuna di trovarsi dal lato sbagliato. Ma ho capito cosa vuol dire, e posso senz'altro rispondervi. Voi vorreste insinuare che il genio è costituito soltanto per l'uno per cento d'ispirazione, e che il lungo processo anteriore, il quale conduce al
momento dell'"Eureka!" è cruciale nella formazione del genio. In breve, la sua educazione attraverso la quale egli si rende conto della realtà che lo circonda. Ma cosa sono l'educazione e la stessa memoria, se non un riassunto di tutti i momenti geniali di una cultura? L'educazione è sempre stata la scomposizione di vecchie categorie e la loro ricomposizione in un modo migliore. E, strettamente parlando, chi ha una memoria migliore del catatonico, il quale risuscita una parte del suo passato dall'insieme totale, cancellando completamente il momento presente? Potrei arrivare a dire che lo stesso pensiero è una malattia del nostro cervello, una condizione degenerativa della materia. Se i geni si sviluppassero in forma continua, invece di essere delle eccezioni, non servirebbero a nulla! I geni nel campo delle matematiche sono generalmente finiti all'età di trent'anni, al massimo. La mente si difende contro il processo disintegrativo della creatività, diventa come una gelatina, in cui le nozioni un poco per volta cristallizzano e si trasformano in sistemi inalterabili, che si rifiutano di essere ulteriormente scomposti e ricombinati. Pensate a Owens, il grande autonomista dell'era vittoriana, il quale semplicemente non riusciva a capire Darwin. È semplicemente una lotta per la sopravvivenza. "E poi pensate a cosa succederebbe se il genio incontrollato continuasse ad evolversi, per scatenarsi nel caos delle libere associazioni. Sto pensando a quell'eroe di voi letterati, James Joyce. Conosco un buon numero di psichiatri che avrebbero senz'altro considerato Finnegan Wakes (sic) come una Bibbia ufficiale della pazzia, e avrebbero spedito in manicomio il suo autore. Un genio? Oh, sì. Ma tutti noi persone normali abbiamo il buon senso di capire che un genio è una malattia sociale, e si devono prendere i necessari provvedimenti contro di esso. Mettiamo allora i nostri geni di un tipo o dell'altro in un recinto, e li isoliamo per non restarne infettati. "Nel caso in cui vogliate ulteriori prove di quanto sto dicendo, non dovete far altro che guardavi attorno. Qui abbiamo geni dappertutto, a portata di mano, e di che cosa si preoccupano? A quale nobile scopo dedicano le loro eccezionali intelligenze? Studiano una chimera, l'alchimia! "Oh, sono certa che nessuno, neppure lo stesso dottor Faust, ha mai studiato con tanta attenzione le scienze ermetiche, dedicandovi tutta la sua intelligenza. Come Mordecai ha l'abitudine di ricordare, i migliori intelletti di molti secoli, i più astuti indovini e oracolisti, hanno speso l'intera esistenza ad elaborare i più complicati arabeschi mentali. È un'assurdità abbastanza profonda, da suggestionare anche le menti più elette. Ma nonostante tutto si tratta di una cosa priva di senso, come voi, io e lo stesso Mordecai
Washington sappiamo benissimo." — Haast non sembra pensarla così — replicai con dolcezza. — Sappiamo benissimo che Haast è pazzo — disse Busk, spegnendo la sigaretta che stava fumando contro il bocchino di plastica. — Oh, non direi proprio — risposi. — Perché legge il vostro diario come faccio io. Voi non potete rimangiarvi quello che avete scritto. Voi avete già detto quello che pensate delle idee di Mordecai e del modo in cui ha influenzato Haast. — Forse sono di più ampie vedute di quanto abbia pensato. Mi riservo ancora di giudicare le idee di Mordecai, se non vi dispiace. — Voi siete più ipocrita di quanto pensassi, Sacchetti. Credete a quello che volete e raccontate pure ciò che volete, vero o falso che sia. Per me, non fa alcuna differenza. Ad ogni modo, avrò uno scambio di vedute con quel ciarlatano tra non molto. — Come mai? — chiesi. — È tutto in programma. Vedrò di farvi avere un posto di prima fila per l'incontro. — Quando sarà? — Alla vigilia di mezza estate, quando altrimenti? Più tardi Mi è arrivato un messaggio da Haast: Molto bene, Louie, difendete i vostri diritti! Faremo vedere una cosa o due a quella cagna, la prossima settimana. Vogliate credermi. Cordialità H.H. 15 giugno Eccovi qua il vostro vecchio amico Louie II (meglio noto come Louisallo-specchio) con un carico di buone notizie per tutti voi che soffrite di ansietà e di angina, per quelli che si rodono il fegato e per i timorati di Dio, per gli psicosomatici e per i semplici astigmatici. Potete gettare via la "paglia". Perché, miei cari simili, miei cari fratelli, nulla esiste, se non un vuoto dolorante al centro delle cose, alleluia! E nemmeno c'è più il dolore, il giorno è lungo e il vuoto pieno di felicità.
Questo è il segreto posseduto dai nostri antenati, è la verità che ci renderà liberi. Recitatelo tre volte al mattino, e tre volte alla sera: Dio non esiste, non è mai esistito, e non esisterà mai, il mondo non avrà mai fine, amen. Vorresti forse negarlo, vecchio adamita, Louie I? Allora lascia che ti ricordi il tuo stesso poema, quello in cui dicevi di non poter capire. Io capisco: l'idolo è vuoto; le sue parole sono un'impostura, Baal non esiste, amico mio, ma soltanto un bisbiglio interiore che mette le sue parole sulle tue labbra. Un guazzabuglio altamente antropomorfico. Prova a negarlo! (Avanti, negalo!) Non c'è compassione né intelligenza, ragazzo mio! E... oh, oh... quelle preziose, servili poesie che hai scritto leccando il culo dorato del tuo cosiddetto Dio-padre? Tutta merda, vero? Accumulatasi per anni e anni come (Agostino, non è vero?) se tu avessi cercato di smuovere una montagna un sasso alla volta e, una volta gettato via l'ultimo granello, l'eternità non aveva neppure compiuto un battito delle sue ciglia. Ma tu, scoreggia di passero, tu non hai neppure sfiorato le montagne. Le Colline della Svizzera e... se scrivessimo il seguito? Gli Stronzi del Vaticano? Oh, oh, sento in lontananza la tua moderata protesta. Soltanto il folle dice nell'intimo del suo cuore che non c'è Dio. Il saggio, invece, lo dice a voce alta. Più tardi, molto più tardi Non sento alcuna necessità di spiegare. Penso di essermi sentito molto misero ieri, e avant'ieri. Mi sembra di aver già scritto in questo diario di essermi convinto che il dottor Mieris fosse riuscito a guarirmi dalle mie emicranie. Avevo pensato che mi avesse guarito anche da quegli scherzi ben descritti da quanto ho detto più sopra. Penso Pensato Pensante Il suolo non più solido sembra sprofondare sotto i miei piedi, e anche se ho riacquistato il controllo di me stesso, non credo che durerà a lungo. Mi sento svuotato, affaticato dai suoi eccessi, e mi duole la testa, è tardi. Ho girovagato per i corridoi, lunghi, interminabili. Ho ripensato a quello che mi ha detto Busk, finché non sono stato costretto a prendere seriamente in considerazione le cose ben più gravi avanzate da Louie II. A lui non rispondo, il diavolo ed io siamo entrambi troppo buoni teologi, in senso tautologico.
Il silenzio grava qua dentro, ma un silenzio carico di significato, quasi un'ammissione di sconfitta. Solo e abbandonato senza grazia: soltanto questo conta. Oh Dio, ti prego, semplifica queste equazioni! 16 giugno Morituri te salutamus ha detto Mordecai aprendo la porta sogghignando, al che non ho potuto fare altro che rispondere sollevano il pollice verso l'alto. — Quid nunc? — mi ha chiesto chiudendo la porta, una domanda alla quale mi sono sentito ancora più incapace di rispondere. In verità, lo scopo della mia visita era stato quello di evitare di dover porre a me stesso la domanda. "E adesso, che cosa?" — Carità — ho risposto. — Per quale altra ragione cercherei d'illuminare il buio della tua cella? — Parole fatali, le quali non hanno fatto altro che rabbuiare ulteriormente l'ambiente. — Una base caritatevole — ha risposto Mordecai — neutralizza gli acidi del dubbio. — Ricevi anche tu una copia del mio diario? — gli ho chiesto. — No, ma di frequente mi vedo con Haast, e siamo preoccupati per te. Vedi, tu non scriveresti niente nel tuo diario che tu voglia tener segreto, perciò non c'è ragione di fare quella faccia. Il tuo problema, Sacchetti, è l'orgoglio intellettuale. Ti piace tirar fuori una cantata tutte le volte che senti un tremito interiore, ossia una sollecitazione spirituale. Ora, io suggerisco che tu, se proprio devi perdere la fede, vada una volta per tutte da un dentista e te la faccia togliere. Se continui a tenerla in quel posto, ti farà soltanto male! — Ma io sono venuto qui per interessarmi ai tuoi problemi, Mordecai, voglio riuscire a dimenticare i miei. — Oh, d'accordo, accomodati, fa' come se fossi a casa tua. Ci sono abbastanza problemi per tutti e due. — Lanciò un fischio acuto e chiamò: — Opsi! Mopsi! Cottontail! Venite qui a stringere la mano al vostro nuovo piccolo fratello! Si voltò nuovamente verso di me: — Posso presentarti i miei familiari, le mie tre fonti di luce? Tre conigli saltarono fuori dall'angolo più buio e caldo della stanza (illuminata soltanto da due candele sistemate su un tavolo accanto alla parete opposta, e da una terza candela che Mordecai teneva in mano) e si avvicinarono con cautela, saltellando. Uno era bianco candido, gli altri due bian-
chi e neri. — Opsi — invitò Mordecai — stringi la mano al mio amico Donovan. Mi accovacciai, e il coniglio tutto bianco fece due balzi in avanti, annusò perspicacemente, si sollevò sulle zampe posteriori e tese la zampa anteriore destra, che io strinsi tra il pollice e l'indice. — Come stai, Opsi? — domandai. Opsi ritirò la zampa pelosa dalla mia stretta e fece un salto indietro. — Opsi? — chiesi a Mordecai. — Si tratta di un'abbreviazione per Opsimath, che sta per "uno che ha cominciato tardi a imparare nella vita". Siamo tutti degli Opsimath, qua dentro. Avanti, Mopsi, tocca a te adesso. Uno dei conigli bianconeri si avvicinò. Quando si alzò a sua volta sulle zampe posteriori, potei vedere quelle che sembravano mammelle sotto la sua pancia, e per giunta di una grandezza sproporzionata. Le indicai a Mordecai. — È l'orchite, infiammazione dei testicoli. È il prezzo che pagano per essere così intelligenti. Lasciai cadere di colpo la zampa di Mopsi, facendolo fuggire insieme ai suoi compagni fino all'angolo buio della stanza. — Ma no, non preoccuparti per i germi. Soltanto se metti la mano in bocca... le spirochete hanno bisogno di calore e di posto umido per proliferare. È quello che rende le malattie veneree così... veneree. Puoi disinfettarti sul mio lavandino, ma prima lasciami chiamare Cottontail. Deve sentirsi molto insicuro, adesso che lo hai respinto. Con riluttanza strinsi la zampa anche a Cottontail. Subito dopo mi lavai con sapone e acqua fredda. — Dov'è Peter? — chiesi, risciacquandomi le mani una seconda volta. — È stato portato via da McGregor — rispose Mordecai dall'angolo buio. — I conigli non durano a lungo come noi, due o tre settimane e poi... pfiu! Rientrando nella stanza più grande dal bagno vivacemente illuminato, per qualche istante non vidi più nulla. — Dovresti provare la luce a gas, Mordecai. Una meravigliosa invenzione in quest'epoca di modernismi! — Infatti, uso il gas nei giorni in cui i miei occhi possono sopportarlo, ma non oggi. Oggi una luce più intensa percuoterebbe la mia tenera gelatina come una grandinata di spilli. Vuoi che ti parli delle altre malattie che mi affliggono? Sei disposto a commiserarmi? — Se ti può confortare.
— Sì, un conforto egiziano. Durante i primi due mesi non ho registrato niente di memorabile, in confronto ad ora, un po' di gonfiori, irritazioni, ascessi in bocca, niente che un esperto ipocondriaco non potesse riuscire a procurarsi da solo. Poi, al terzo mese, un attacco di laringite che ha coinciso con un crescente entusiasmo per le matematiche. Un hobby molto conveniente per i muti, non è vero? Subito dopo, il mio fegato cominciò ad andare in putrefazione, e il bianco dei miei occhi diventò giallo. Da allora ho vissuto mangiando purè di patate, frutta bollita, qualche pasticcino e altre schifezze consimili. Niente carne, naturalmente, niente pesce e niente liquori. Non che i liquori m'interessino particolarmente. Voglio dire, non ho bisogno di altri stimolanti mentali oltre a quelli che ho già dentro di me, non è vero? Durante la successiva epatite, provai il mio primo impulso irresistibile verso la letteratura. Imparai così il francese e il tedesco, e scrissi quel racconto che non ti ho ancora fatto vedere. Non lascerai questa stanza senza portarlo via con te, hai capito, Sacchetti? — Stavo giusto per chiedertelo. — Al quarto mese ero già ridotto a un'intera scuderia ai malattie. Provo difficoltà a descriverle, perché, viste in prospettiva, si confondono e si accavallano. Gli ascessi in bocca continuarono, perché incominciava sempre qualche nuova malattia, e poi ci sono stati anche attacchi improvvisi che sono scomparsi nel giro di un giorno o di un'ora. Con tutti i sintomi che ho registrato ne avrei abbastanza per esaurire l'Encidopedia della patologia di Hasting. — E la religione e l'etica? — Anche quello. — Ma quando? Quando sei riuscito a imparare tutto questo? Non capisco... Dove hai trovato il tempo? Come hai fatto a imparare tutto... in sette mesi? — Mettiti comodo, Sacchetti, e ti dirò tutto. Ma prima fammi un favore, allungami quel thermos sopra il tavolo. Bravo. Ormai i miei occhi si erano abituati alla semioscurità della camera, e riuscii a raggiungere il tavolo senza inciampare. Un thermos trasudante era appoggiato sopra una cartella con la scritta TOP SECRET, del tipo di quella che Haast mi aveva mandato. Il fondo bagnato del thermos aveva disegnato un cerchio sul cartone. — Grazie — disse Mordecai, prendendo il thermos e sturandolo. Era ripiegato su un divano di seta a strisce, sostenuto da alcuni minuscoli e soffici cuscini. Uno dei conigli bianchi e neri era venuto ad accoccolarsi tra le
sue gambe. Bevette dal thermos, rumorosamente. — Te ne offrirei, ma... — Grazie lo stesso, non ho sete. — Capisci, la questione non è come faccio, ma in che modo posso fermarmi. Non ci riesco, in realtà, e questo fatto, da solo, è una buona metà della mia pena. Nei miei peggiori momenti, quando vomito con la testa nel boccale, la gelatina del mio cranio continua a fermentare senza neppure accorgersi di quanto sta accadendo al resto del mio corpo. O più precisamente è indifferente, quasi uno spettatore. M'interesso di più al colore del mio vomito, o alla chimica degli acidi del mio stomaco, che alle sofferenze del mio intestino. Rifletto, speculo, immagino in continuazione. Il mio cervello non si arresta mai, proprio come il cuore o i polmoni. Anche in questo momento, mentre parlo con te, la mia mente viaggia, vortica, cercando di unire tutti i fili staccati dell'universo in un unico nodo. Non si ferma mai, la bastarda! Ogni notte ho bisogno di un'iniezione per dormire, e quando dormo sogno incubi in technicolor, terrori, per quanto ne so, del tutto originali. Una cosa soltanto, tuttavia, blocca questo processo, almeno per un breve periodo. Quando ho un attacco. Allora non provo niente per un'ora. — Hai anche attacchi? — A intervalli regolari. Sono i dolori del parto con cui mi preparo a consegnare il mio spirito al nulla. L'aortite. La mia aorta non è più elastica e, per quanto ne so, anche la valvola sta partendo. Durante ogni attacco, il sangue ha un rigurgito nel ventricolo sinistro e il vecchio pendolo (come lo chiamiamo qui con un certo affetto) accelera per compensare. Ma molto presto... pfiu! Un altro piccolo coniglio entra nella lista della scienza. — Appoggiò due manone nere sul coniglietto accoccolato sulle sue gambe. — Non è forse patetico? Durante tutto questo tempo, senza sollevarmi dal cuscino sul quale ero seduto, avevo fatto vagare silenziosamente il mio sguardo (libero all'improvviso come una capsula Gemini perforata, che ha perso tutta l'aria con un solo, rapido whuppus) sulla stanza di Mordecai. Larga come la mia, imbottita di oscurità, dava l'impressione d'una profondità infinita dalla quale emergevano qua e là parvenze di mobili. Scaffali si stendevano lungo tutte le pareti fino a toccare il soffitto, eccettuata quella dove si trovava il divano. Da essa, tuttavia, pendeva una copia della pala d'altare di Gand, le differenze dall'originale erano benevolmente mascherate dall'oscurità. Accanto al tavolo da lavoro, sovraccarico di oggetti (esso occupava tutto
lo spazio che nella mia camera serviva a rifare il letto) si trovava una struttura meccanica, o forse una scultura, alta un metro e venti, circa, la quale consisteva di numerose sbarre metalliche che sporgevano all'insù, e dalle cui punte pendevano altrettante sfere metalliche, che scintillavano alla luce delle candele. Al centro della struttura s'intravedeva un grande globo che emanava riflessi dorati: tutti gli elementi della struttura erano contenuti in una sfera immaginaria, delimitata da due cerchioni d'acciaio. — Quella — spiegò Mordecai — è la mia orrery. L'hanno fabbricata secondo le mie istruzioni. I particolari movimenti di tutte le lune e dei pianeti sono regolati da sub-sub-sub... eccetera, circuiti radio miniaturizzati, incorporati nella struttura. Sembra uscito dalle pagine di Popular Elettronica, non è vero? — Ma a cosa serve? — Rispecchia la natura, non basta forse? Mi sono dilettato con l'astrologia, a suo tempo, ma anche allora aveva soltanto un significato simbolico. Per il lavoro più serio c'è un osservatorio, di sopra. Ah, ho visto un lampo nei tuoi occhi? La grande fuga? Dimenticatelo, Sacchetti. Noi non andiamo mai al di là di un piccolo planetario, dove le immagini del telescopio vengono ritrasmesse in circuito chiuso. — Hai detto "a suo tempo". Vuoi forse dire che non ti interessi più di astrologia? Mordecai sospirò. — La vita è molto breve, troppo breve, non c'è posto per tutto. Pensa a tutto quello che non ho mai conosciuto, ai canti alla cui musica non potrò mai danzare... Andare in Europa, ah, quanto l'ho desiderato, vedere tutte le cose che ho letto sui libri! Cultura. Ma non era scritto nel mio destino. Ho sempre invidiato quel viaggio che hai fatto in Europa, tutti quei posti dove mi sarebbe piaciuto andare: Roma, Firenze, Venezia, le cattedrali inglesi, Mont St. Michel, l'Escoriai, Bruges e... indicò il dipinto dalla cornice dorata, raffigurante l'angelo sanguinante alle sue spalle — ... Gand. Dappertutto. Ma tu, maledetto bastardo, dove sei andato invece? In Svizzera, e in Germania! Dio Cristo, cosa diavolo sei andato a fare da quelle parti? Cosa diavolo ci trovi, nelle montagne, dico! Foruncoli sulla faccia della Terra. E poi, per quel che si trova a nord delle Alpi... Be', io sono rimasto per quattro anni proprio fuori Heidelberg, e per quanto mi riguarda, l'Europa si ferma al Reno. La miglior prova di questo è che mi sono goduto ogni minuto, ogni bevuta di birra quand'ero in libera uscita. Eccettuati i momenti in cui i locali guardavano troppo attentamente il colore della mia pelle: allora mi sembrava di essere un reduce da Buchenwald...
Germania! — Mordecai concluse il suo sermone con tanta veemenza che il coniglio spaventato sgusciò via dal suo grembo. — Allora sognavo una vacanza nel Mississippi. Per cui, mi sono trovato immerso nella descrizione degli anni che avevo trascorso a Fullbright, piacevole ma di cui non è necessario riferire con troppi particolari in questo diario, e ad una precisazione quasi consapevole delle ragioni per le quali avevo deciso di lasciare l'Europa per la Germania, ragioni letterarie e musicali, riconoscendo tatticamente la distinzione tra Germania ed Europa. — Rilke, Schmilke! — esclamò Mordecai, quand'ebbi finito. — Puoi benissimo leggere libri anche qui. Devi ammettere che il fascino della Germania di questo secolo è il fascino dell'abominazione. Tu ci vai per annusare una zaffata del fumo ancora sospeso nell'aria. Dimmi una cosa, hai fatto un salto a Dachau, oppure no? Gli confermai che c'ero stato di persona. Volle che descrivessi la città e il campo: lo accontentai. La sua bramosia di particolari era superiore a quanto la mia memoria avrebbe potuto soddisfarlo, anche se mi stupii, sinceramente, per la quantità di dettagli che riuscii a mettere insieme: era passato molto tempo dalla mia visita. — Te l'ho chiesto — spiegò Mordecai, quando finalmente si convinse di aver prosciugato la mia memoria — soltanto perché ho sognato assai spesso dei campi di sterminio, in questi ultimi tempi. Una preoccupazione comprensibile, non è vero? Anche se vi è soltanto una piccola analogia con la nostra piccola dimora di quaggiù. A parte il fatto che sono anch'io un prigioniero e porto con me il marchio dello sterminio, non posso lamentarmi. Nessuno si lamenta. — Un prigioniero? Anch'io ho questa sensazione, a volte. — No, in verità intendevo dire: marchiato per il macello. La differenza è che io ho avuto la sfortuna di intravedere l'ordine di esecuzione, mentre invece molte persone andavano ai forni crematori convinti di recarsi a prendere un'altra doccia. — Scoppiò in una rauca risata, girandosi sul divano per vedermi meglio, poiché ora mi trovavo sull'altro lato della stanza, accanto all'orrery. — Non è soltanto la Germania — continuò. — Non è soltanto Campo Archimede. È l'intero universo. Tutto questo dannato universo è un maledetto campo di concentramento. Mordecai si gettò di nuovo lungo disteso, tossendo e ridendo contemporaneamente. Urtò il thermos mezzo pieno il cui contenuto si sparse sul tap-
peto persiano che copriva il pavimento a piastrelle. Lo raccolse, e lo trovò vuoto e lo scagliò con una bestemmia sul lato opposto della stanza, incrinando il pannello di un paravento dipinto che isolava un angolo. — Per favore, premi il pulsante alla porta, Sacchetti? Ho bisogno di un po' di quell'acqua zuccherata che qui chiamano caffè... Bravo. Schiacciai il pulsante, e quasi subito comparve una guardia in uniforme nera (era Scoreggia) spingendo un carrello carico di caffè e pasticcini. Mordecai scelse con estrema cura. Un altro inserviente mi allungò tre coppe piene di carote crude tagliate a fette. Mordecai spinse il mucchio informe dei libri e dei fogli di carta sull'orlo del tavolo, riuscendo a fare un po' di spazio per i piattini e il vassoio con le paste. Azzannò un grosso pasticcino al cioccolato, facendo schizzare la crema fino al lato opposto del tavolo, su alcuni fogli pieni di numeri. — Continuo a desiderare che siano pieni di carne — disse a bocca piena. Intanto i tre conigli erano saltati sul tavolo e stavano addentando con discrezione le carote. Anche al lume di candela potevo distinguere le tracce degli escrementi che avevano lasciato sul tavolo, proprio sulle cartelle con la scritta TOP SECRET. — Fai come se fossi a casa tua — disse ancora Mordecai, afferrando un pezzo di cheescake. — Ti ringrazio, ma in verità non ho molta fame. — Non far caso a me, allora. Io ne ho molta. Mi sforzai quanto più potei di non badargli, e per farlo era necessario che indirizzassi la mia attenzione su qualche altra direzione. Così, durante due tazze di caffè e quattro paste ebbi modo di farmi un'idea di ciò che si trovava sul tavolo. L'elenco qui di seguito non comprende quello che si trovava all'esterno del cerchio di luce delle tre candele, e qualsiasi altra cosa si trovasse sotto la sua superficie. Dunque vidi questo: Alquanti libri di alchimia: la Tabula smaragdina, A golden and blessed casket of Nature's marvels di Benedictus Figulus, le Opere di Geber, Nicolas Flamel di Poisson, eccetera, molti al limite estremo di conservazione; Una tabella di numeri casuali; Tre o quattro testi di elettronica, il grosso volume DNA Engineering di Kurt Vreden, il ragazzo-prodigio dell'istituto di Tecnologia della California con l'etichetta dattiloscritta CONFIDENZIALE sulla copertina di cartone; Numerose tavole a colori strappate dai libri d'arte di Skira, per la mag-
gior parte raffiguranti lavori di pittori fiamminghi; tuttavia c'era anche un ingrandimento della Scuola di Atene di Raffaello, e una stampa consunta dell'incisione in legno del Dùrer, la Melancholia; Un teschio di plastica, molto decorativo, con occhi di rubino artificiale; Una biografia di Rimbaud scritta da Enid Strakie, e una edizione delle Pleiadi con le sue opere; Il quarto volume dell'Enciclopedia di Hasting, sulle cui pagine Mordecai (o uno dei suoi conigli?) aveva rovesciato una bottiglia d'inchiostro; Il Trattato di logica filosofica di Wittgenstein, con tracce del medesimo inchiostro sulla rilegatura di cuoio. (Nel fare questo inventario mi viene in mente l'uso che faceva Lutero dei calamai); Alcuni steli di achillea millefolium; Un discreto numero di cartelle di diversi colori: arancione, bruno, grigio, nero, bianco, verde, con etichette malamente battute a macchina, difficilmente decifrabili alla luce fioca, a parte la più vicina, il Libro delle spese di G. Wagner, dalle cui pagine (forse a guisa di segnalibro, forse parte integrante di esso, non saprei) usciva un foglio di pergamena con un rozzo disegno eseguito con inchiostri di differenti colori, non molto migliore come qualità a un qualsiasi graffito da gabinetto pubblico. La porzione del disegno che riuscivo a intravedere rappresentava un uomo barbuto e incoronato, con in mano un grande scettro, sul quale s'innalzavano una sull'altra sei corone. Il re era in piedi sopra un piedistallo che cresceva come un fiore da un rampicante che s'intrecciava sulla sua testa formando una specie di grata. Fra gli interstizi di questa grata v'erano altre sei teste d'uomo, rozzamente disegnate, e accanto ad ogni testa una lettera dell'alfabeto, dalla D alla I. La parte sinistra della testa del re, col suo rampicante, proseguiva nella parte del disegno nascosta dal libro. E in cima a tutto quanto, pile di appunti stenografici di Mordecai, tra i quali spuntavano altri disegni ancora più rozzi di quello appena descritto. Qui finisce la lista. Fatta eccezione per qualche occhiata affettuosa indirizzata ai conigli (i quali, finito il loro self-service, avevano cominciato ad annusare il vassoio delle paste) Mordecai si era ingozzato tranquillamente di pasticcini. Tuttavia, dopo un ultimo tortino di fragole, ritornò loquace. — Per te fa troppo caldo, qui. Dovrei smorzare la fornace quando ricevo qualcuno, ma il guaio è che allora rabbrividisco. Vuoi vedere un autentico uovo filosofale? Nessun alchimista può farne a meno. Tu sì, naturalmente. Vieni, proprio per te, oggi, toglierò il velo al mistero.
Gli andai dietro verso il lato della camera nascosto dal paravento e notai come il calore aumentasse, avvicinandoci. Il paravento, infatti, nascondeva un forno tozzo e basso, accanto al quale l'aria raggiungeva la temperatura da sauna. — Ecco qua! — gridò Mordecai. — L'athanor! Prese da uno scaffale appeso alla parete due maschere dalle superfici grossolane e me ne porse una: — Queste servono nel momento in cui si apre la camera nuziale — spiegò, il volto impassibile. — Devi scusare il mio athanor: è elettrico, non è proprio comme il faut — (che Mordecai pronunciò "cam-il-fut") — devo ammetterlo, ma è molto più facile in questo modo mantenere un fuoco vaporoso, digestivo, continuo, non violento, sottile, aereo che non corrompe e compenetra. Qui noi perseguiamo i fini tradizionali dell'alchimia, ma mi sono preso alcune libertà per quanto riguarda i sistemi da usare. — Adesso se vuoi infilarti quella maschera posso farti vedere l'interno del ventre della madre, come lo chiamiamo in gergo. Frammenti di vetro colorato schermavano gli occhi della maschera. Quando me l'infilai, grazie alla semioscurità della stanza non vidi più nulla. — Ecco — annunciò Mordecai, e il coperchio della fornace scivolò sul fianco con un rumore metallico, rivelando una cavità luminescente nella quale spiccava un oggetto oblungo alto una sessantina di centimetri, il quale irradiava una fioca luminosità: l'uovo filosofale (o, più prosaicamente, un alambicco). Era interessante come poteva esserlo un fornello olandese, al quale più o meno assomigliava. Il coperchio si chiuse, e mi affrettai a togliermi la maschera dal viso grondante sudore. — Un fuoco di legna avrebbe fatto ben altro effetto — dichiarai. — Il fine giustifica i mezzi. Questo funzionerà. — Uhmm... — bofonchiai, ritornando sul mio cuscino dall'altra parte della camera, dove la temperatura era soltanto di 33 confortevoli gradi. — Funzionerà — insistette, seguendomi. — Ma cosa credi di cucinare nel tuo pentolone? Sei proprio convinto di cambiare metallo vile in oro? A parte qualche interiezione poetica, a cosa servirà? Esistono molti altri elementi, ai giorni nostri, più rari dell'oro! Non è una pura ambizione donchisciottesca la ricerca della pietra filosofale in quest'epoca post-keynesiana? — Ho posto l'identica domanda ad Haast qualche mese fa, quando l'e-
sperimento era appena in fase di progettazione. Di conseguenza, l'Opus Metallico è soltanto il primo passo del nostro cammino. Il nostro scopo finale è la distillazione di un elisir per nostro mutuo vantaggio... — Mordecai sorrise. — Un elisir di lunga vita. — Credevo che fosse l'elisir della giovinezza. — Questo è naturalmente ciò che affascina Haast. — E in qual modo conti di produrre questa pozione? Immagino che la ricetta sia un segreto ben custodito! — Per alcuni particolari sì. Anche se potrebbe essere trovata leggendo attentamente i testi di Gerber e Paracelso. Ma sei proprio sicuro di volerla conoscere, Sacchetti? Rischieresti la salvezza per scoprirla? Oppure dovrei rischiarla io? Raimondo Lullo dice: "Giuro sulla mia anima che se tu la rivelerai sarai dannato". Naturalmente se ti accontenti di una descrizione vaga... — Qualunque cosa Iside sia pronta a svelare. — L'uovo filosofale, il grande vaso che hai visto nell'athanor, contiene un elettuario disciolto nell'acqua, che per novantaquattro giorni è stato esposto alternativamente al calore dei fuochi tellurici durante il giorno e alla luce della stella Sirio durante la notte. Strettamente parlando, l'oro non è un metallo: è luce. Sirio è stata sempre considerata particolarmente efficace in operazioni di questo tipo, ma in passato era difficile catturare la luce di Sirio allo stato puro, poiché la luce delle stelle vicine finiva sempre per adulterarla, togliendole le sue particolari proprietà. Qui, usiamo un radiotelescopio per assicurare la giusta omogeneità. Hai notato le lenti saldate nella parte posteriore dell'uovo? Esse servono a focalizzare il raggio puro sullo sposo e la sposa, all'interno, lo zolfo e il mercurio. — Ero convinto che tu cercassi la luce di Sirio, ma mi stai parlando di onde radio. — Ancora meglio. È soltanto la debolezza umana che ha portato a una distinzione tra la luce e le onde radio. Se fossimo abbastanza spirituali, potremmo percepire anche le onde radio. Ma ritornando al nostro discorso, fra quarantanove giorni, alla vigilia della mezza estate, apriremo il sepolcro e l'elisir ne uscirà distillato. Ma non dovresti ridere, sai? Rovini l'effetto. — Devi proprio scusarmi, cercherò di non farlo, ma tu sei talmente esperto... Continuo a pensare a Ben Jonson. — Tu pensi che non sia serio. — Terribilmente serio, e l'effetto scenico è molto migliore di qualsiasi
cosa George abbia ideato per il Doctor Faustus. Quelle bottiglie coi feti sugli scaffali! Il calice.. è consacrato, naturalmente? Mordecai annuì. — L'avrei giurato. E quegli anelli che porti oggi... Anelli massonici, non è vero? — Molto antichi. — Agitò le dita con orgoglio. — Hai proprio organizzato un grande spettacolo, Mordecai, ma come farai per le repliche? — Se non andrà bene questa volta, non dovrò preoccuparmi delle repliche! La data si avvicina. Ma funzionerà, porca miseria! Non ho la più piccola preoccupazione. Scrollai la testa, non sapendo che dire. Non riuscivo a decidere se Mordecai si fosse immedesimato nella sua splendida ciarlataneria al punto di crederci, o se tutto ciò non fosse piuttosto un elemento necessario a qualcosa di più complesso. Cominciai addirittura a chiedermi se, col tempo, non sarebbe riuscito a convertirmi alla sua follia, se non con la ragione, semplicemente con l'esempio della sua incrollabile fede. — Perché ti sembra così ridicolo? — insisté Mordecai, il volto serio, inesorabile, privo d'espressione. — È tutto un miscuglio di fatti concreti e fantasia, di pazzia e di analisi rigorose. Quei libri sul tuo tavolo, ad esempio, il Wittgenstein e il Vreden. Tu li hai letti veramente, non è vero? — Assentì. — E io ti credo. Ma cos'è allora quel tuo blaterare demoniaco alla Byron, quel pasticciare con le pentole da cucina, le bottiglie coi feti. — Be', io cerco di fare del mio meglio per aggiornare l'alchimia, ma il mio atteggiamento verso la scienza pura, quella con la S maiuscola, è già stato descritto un secolo fa da un alchimista, Arthur Rimbaud: Science est trop lente. La scienza è troppo lenta, Sacchetti, molto più lenta per me che per lui! Quanto tempo mi resta? Un mese, due. E anche se avessi gli anni, a disposizione, che differenza farebbe? La scienza dormicchia fatalmente, inchiodata alla seconda legge della termodinamica: la magia è libera di comportarsi come un obiettore di coscienza. Il fatto è che io non provo molto interesse per un universo nel quale so che dovrò morire. — E questo equivale a dire che hai scelto una illusione. — Oh, no, non ho scelto una illusione! Ho scelto una via di scampo. Ho scelto la libertà! — Sei proprio nel posto migliore per trovarla. Fremente, Mordecai rotolò giù dal divano dove si era appena disteso, e
cominciò a girare per la stanza, gesticolando: — Questa è esattamente la ragione per cui la mia libertà è ancora più grande. La cosa migliore che possiamo aspettarci in un mondo imperfetto e limitato come il nostro è che la mente sia libera, e Campo Archimede è attrezzato per offrirti quest'unica libertà, e nessun'altra. Forse posso anche capire l'Istituto per gli Studi avanzati di Princeton, che mi dicono sia organizzato quasi come Campo Archimede... Qui, vedi, posso disprezzare tutto; altrove, uno finisce sempre per accettare tacitamente il mondo che lo circonda, abbandonando la lotta, cessando di opporre resistenza anche agli errori più gravi, di combattere il brutto... E così uno finisce per compromettersi senza speranza di redenzione. — Sono tutte sciocchezze e sofisticherie. Stai sperimentando delle teorie per nutrire il tuo orgoglio. — Ah, tu leggi nel mio animo, Sacchetti, ma nonostante tutto c'è una ragione per le mie stupidaggini e sofisticherie. Fai del tuo Dio cattolico il guardiano di questo universo-prigione, e ne otterrai esattamente le argomentazioni di Tommaso, prive di senso, sofistiche: egli dice che soltanto sottomettendoci al suo volere saremo liberi. Mentre invece, come Lucifero ben sapeva, come anch'io so e come tu stesso hai intuito, uno è libero soltanto voltandogli le spalle. — E tu sai a qual prezzo? — La punizione per il peccato è la morte, ma la morte è simile al premio per la virtù. Perciò c'è bisogno di ben altri spauracchi. L'inferno, forse? E perché mai? Questo è già l'inferno, e io ci sono dentro! In Dante non c'è nulla che possa ancora spaventare quelli di Buchenwald. Perché il vostro santo papa Pio non ha mai protestato presso i nazisti per i forni crematori? Non per prudenza o codardia, ma piuttosto a causa di uno spirito corporativo; Pio ha intuito che i campi di sterminio, tra le innumerevoli realizzazioni di noi mortali erano le più vicine al grande disegno di Dio, God è un Eichmann alla decima potenza. — Oh, davvero! — esclamai. — Perché ci sono dei limiti a tutto. — Sì davvero! — insisté Mordecai. Cominciò a muoversi ancora più rapidamente per la stanza. — Rifletti sul principio fondamentale dell'organizzazione di un campo, cioè, al fatto che non ci dev'essere alcun rapporto tra il comportamento dei prigionieri, le ricompense e le punizioni. Ad Auschwitz quando facevi qualcosa di sbagliato eri punito, ma avevi le stesse probabilità di essere punito anche quando facevi quello che ti avevano detto, e perfino quando non facevi niente di tutto. È evidente che Dio ha or-
ganizzato i suoi campi sullo stesso modello. Ti citerò soltanto una riga dell'Ecclesiaste (una riga che mia madre pensava avesse un significato speciale nella sua vita): "C'è sempre un uomo giusto che muore a causa della sua probità, e un uomo cattivo che prolunga la sua vita attraverso la sua cattiveria". La saggezza non serve, come non serve la giustizia, il pazzo muore come muore il savio. "Noi distogliamo gli occhi dalle ossa annerite dei fanciulli, fuori dai forni crematori, ma cosa mi dici di un Dio che condanna i fanciulli alle fiamme eterne? E in ogni caso, l'errore è sempre lo stesso, una nascita sbagliata. Credimi, Sacchetti, un giorno Himmler sarà canonizzato. Dopo tutto, Pio lo è già stato. Te ne vai, Sacchetti?" — Non intendo star qui a discutere con te, e tu mi lasci poca scelta. Quello che dici è... — Osceno? Per te, forse, ma non per me. Se rimani un altro po' tuttavia, ti prometto di essere più moderato. E ti farò un regalo. Ti farò vedere dove si trova Campo Archimede. Non nei disegni dell'Onnipotente, ma su una mappa. — In che modo l'hai scoperto? — Al modo di un marinaio, grazie alle stelle. Vedi, un osservatorio, anche se controllato a distanza, può sempre servire a qualcosa di più prosaico. Siamo nel Colorado, ti faccio vedere. Prelevò da uno scaffale in alto un voluminoso foglio arrotolato e lo distese sul tavolo. Una dettagliata carta topografica dello stato copriva l'intera superficie. — Ecco, noi siamo qui — disse indicando col dito. — Telluride. Era una grossa città mineraria agli inizi del secolo. La mia teoria è che per accedere al campo bisogna utilizzare uno dei vecchi pozzi minerari. — Ma se le tue osservazioni sono state compiute attraverso un circuito televisivo, come fai ad essere così sicuro che il telescopio si trovi esattamente sopra di noi, e non a centinaia, o addirittura a migliaia di chilometri di distanza? — Non si può mai essere sicuri di niente, ma credo che sarebbe troppo complicato, e senza ragione. E inoltre c'è quel frammento di roccia che ho raccolto dal pavimento delle catacombe, l'altro giorno. Conteneva tracce di silvanite, un tellururo con tracce d'oro. Perciò siamo in una miniera, situata da qualche parte. Scoppiai a ridere, anticipando il mio scherzo: — Far qui l'Opus Magnum non è come portar nottole ad Atene.
Mordecai non rise (non era poi una gran battuta) e disse: — Zitto, sento qualcosa. Dopo un lungo silenzio, bisbigliai: — Che cosa? Mordecai, il viso nascosto tra le enormi mani, non rispose. Mi ricordai allora del mio primo incontro con George Wagner, lungo il tratto di un corridoio senza luce, mentre ascoltava la voce dei fantasmi. Un tremito scosse il corpo di Mordecai, che poi si rilassò. — Un terremoto? — suggerì sorridendo. — No, no, soltanto una piccola infiammazione dei miei poteri immaginativi, come fratel Hugo. Ma adesso devi dirmi con tutta onestà e verità cosa pensi del mio laboratorio. Ti sembra adeguato? — Certo è molto bello. — Potresti desiderare una cella migliore dove passare la tua prigionia? — insisté. — Se fossi un alchimista, no. Ti sembra che non manchi nulla, proprio nulla? — Da qualche parte ho letto — dissi, cautamente (perché non riuscivo a capire la ragione di queste insistenti domande) — che alcuni alchimisti del sedicesimo o del diciassettesimo secolo avevano nei loro laboratori organi a sette canne. La musica spinge le vacche a fare più latte! Pensi che potrebbe aiutare il tuo lavoro? — Musica? Io odio la musica! — esclamò Mordecai. — Mio padre era musicista jazz, e così i miei due fratelli maggiori. Insignificanti come musicisti, ma era la loro vita. Quando le prove li lasciavano liberi, suonavano dischi o ascoltavano la radio. Mi era impossibile aprire la bocca o emettere il minimo suono, altrimenti mi assalivano a male parole. Non parlarmi di musica! I negri hanno un senso naturale del ritmo, si dice, così quando avevo tre anni mi costrinsero a prendere lezioni di tip-tap. Facevo schifo, e odiavo il tip-tap, ma avevo questo senso naturale del ritmo, capisci... e allora dovetti continuare. Il maestro ci faceva visionare dei vecchi spezzoni di film di Shirley Temple, e dovevamo imparare le sue esibizioni fino all'ultimo sorriso, fino all'ultimo battito di ciglia. A sei anni, mia madre mi portò al teatro locale, dove si svolgeva il concorso per i nuovi talenti. Mi vestì come un angioletto, tutto luccicante e variopinto. Il mio numero era intolato I'll Build a Stairway to Paradise, la conosci? Scrollai il capo. — Comincia così... — prese a cantare una canzone con voce rauca, da pappagallo, e battendo i piedi sul tappeto.
— Figlio di una cagna! — gridò interrompendosi. — Come posso combinare qualcosa con questo maledetto straccio? — Si piegò, afferrò le frange del tappeto ricamato e lo strappò via dal pavimento a piastrelle, trascinando e rovesciando tutto quello che si trovava sopra. Dopo di che, cominciò a cantare con voce stridula e a danzare la sua grottesca esibizione: I'll build a stairway to Paradise, with a new step every day.. Prese a dimenare nell'aria le sue braccia, senza tuttavia sincronizzarsi col canto. La sua danza si trasformò in uno sconclusionato scalciare. — I'm going to get there at any price — strillò, gettando entrambe le gambe in avanti e ricadendo sulla schiena. Il canto degenerò in un grido di dolore, mentre le sue braccia e le gambe continuavano ad agitarsi nel vuoto. Batté la testa con violenza contro le piastrelle del pavimento. L'attacco era appena cominciato, quando le guardie irruppero nella stanza col medico di turno. Mordecai fu calmato e imbottito di sedativi. — Adesso deve lasciarlo solo per qualche ora — disse l'ufficiale delle guardie. — Qui c'è qualcosa che devo prendere, se aspetta soltanto un secondo... Mi accostai al tavolo e trovai la cartella col TOP SECRET che avevo notato prima, quando Mordecai mi aveva mostrato la mappa. L'ufficiale considerò la cartella con occhi dubbiosi. — Lei è autorizzato a prenderla? — chiese. — Si tratta di un racconto che ha scritto — spiegai, tirando fuori le pagine dattiloscritte dalla cartella e mostrandogli il titolo, Ritratto di Pomponiano. — Mi ha chiesto di leggerlo. Distolse gli occhi dal dattiloscritto: — D'accordo, d'accordo ma per l'amor di Dio non la mostri a me! Mi allontanai col dottore e le guardie. Perché mai, tutte le volte che sono stato con Mordecai, non appena me ne sono andato ho l'impressione di aver dimenticato qualcosa? Più tardi Mordecai mi manda un messaggio. Dice che non si è mai sentito così bene.
17 giugno Proviamo sempre un grande piacere e una gran pena dopo aver visionato una nuova opera. Meravigliosa parola, opera. La recente intrusione di Louie II in queste pagine può risultare, almeno per un aspetto, vantaggiosa: mi ha consentito (o meglio, obbligato) a riesaminare i miei passati lavori con maggior chiarezza, a rendermi conto di quanto fossero puttanate, e di quanto lo siano... ancora. E comprendo in questa mia sentenza anche il mio recente sfogo rodomontesco, Hierodulo. Inoltre, a parte il mio attuale lavoro, ho avuto delle visioni del mio Opus Magnum in parte ispirato dalle eresie blasfeme enunciate ieri da Mordecai. Dunque, mi sono letto il Ritratto di Pomponiano, che si è rivelato molto superiore a quanto mi aspettassi, e tuttavia curiosamente deludente. Penso che ciò sia dovuto al fatto che è stato scritto sotto il continuo controllo dell'autore, con una trama elaborata in maniera tanto meticolosa, e il linguaggio talmente studiato, che alla fine mi ha lasciato insoddisfatto. Speravo in un cri de coeur, uno scritto non obbiettivo, un'occhiata intima sul vero Mordecai Washington. Stevenson avrebbe potuto scrivere questo "Ritratto" come un'appendice di "A Lodging for the Night" (a parte il fatto che sono quarantamila parole, quasi la lunghezza di un romanzo). In ogni caso, vale la pena descriverlo, tanto più che oggi non ho nient'altro con cui riempire il mio diario, a parte qualche dettaglio di secondaria importanza. Ecco perciò di che si tratta: Ritratto comincia nel monastero di Rouge-Cloitre, dove Van der Goes, impazzito, viene curato dai confratelli per una "infiammazione alla testa". I loro rimedi alla malattia sono alternativamente dolci e crudeli, tutti nell'identico modo inefficaci. Van der Goes muore in preda al terrore di essere posto di fronte all'ineluttabilità della sua condanna. Una volta sepolto (la cerimonia è preceduta da un bellissimo sermone) uno straniero arriva a notte fonda, scava la terra appena battuta e ne estrae la bara, l'apre e restituisce la vita al corpo del defunto. Hugo, veniamo a sapere, aveva venduto la propria anima per: 1) un giro turistico lungo l'intera penisola italiana, per poter ammirare i quadri più famosi, le opere di Masaccio, Paolo Uccello, Piero della Francesca, ecc, conosciute nelle Fiandre solo per sentito dire o attraverso riproduzione; 2) tre anni di supremazia assoluta come pittore. Era la sua ambizione non soltanto superare
i grandi maestri del nord e del sud, ma anche rivaleggiare in spirito creativo con l'Onnipotente. Le visite di Van der Goes a Milano (qui c'è una breve scena, assai realistica, del suo incontro col giovane Leonardo da Vinci), a Siena e a Firenze, occupano la parte principale della vicenda. Vi sono lunghe discussioni tra Hugo, il suo infernale compagno e gli altri artisti del tempo sulla natura e sullo scopo dell'arte. La tesi iniziale di Van der Goes è quella sostenuta comunemente: e cioè che l'arte debba rispecchiare la realtà. Non sa decidere quale sia il modo migliore per ottenere questo risultato, se attraverso la perfetta riproduzione microscopica e i toni splendenti della scuola fiamminga, oppure la maestria italiana dello spazio e la plasticità delle forme. Gradualmente, tuttavia, a mano a mano entra in possesso dell'abilità che gli era stata promessa, egli giunge a una sintesi tra questi due stili, adesso la sua preoccupazione non è più quella di voler riprodurre la realtà, ma (istigato dal demonio) egli intende piegarla ai suoi voleri. L'arte diventa allora magia. Ma solamente nella sua opera suprema (mentre il terzo anno sta per finire), il ritratto a cui il titolo si riferisce, egli arriva a soddisfare le sue mire soprannaturali, e anche in quell'istante, mentre il demonio lo sta trascinando con sé all'inferno, al lettore rimane il dubbio che la catastrofica conclusione della vicenda non sia una conseguenza della magia evocata da Hugo, ma piuttosto un inganno del demonio. E abbiamo, anche, un tiepido episodio romantico sulla linea di Faust e Margherita, intessuto nella vicenda. La descrizione dell'eroina mi ha quasi fatto soffocare: essa è modellata, almeno nelle sue apparenze esteriori, nel dottor Busk. Come meravigliarsi, perciò, che riesca così poco convincente, come episodio romantico! Quindi, in breve: il racconto mi è piaciuto, e penso che chiunque abbia una propensione per i romanzi di pittori indemoniati dovrebbe trovarlo di suo gusto. Più tardi Fatta eccezione per l'ora che ho trascorso insieme agli altri prigionieri nella sala comune, per la cena (lo chef deve appartenere alla Cunard Line), ho lavorato tutto il giorno, e anche metà della notte a qualcosa di... più grande, di cui ho avuto una prima intuizione in mattinata. Si tratta di un
dramma, il mio primo tentativo in questa forma d'arte, e se la pura velocità fosse un'indicazione del suo valore, esso dovrebbe essere meraviglioso. Ho già scritto una buona metà del primo atto! Ho quasi paura a riverlarne il titolo. Una buona metà di me stesso è ancora recalcritrante, sono come Bowdler quando gli venne messa di fronte una copia del Pasto nudo. L'altra parte annaspa davanti all'audacia soverchiante di quanto ho compiuto. Il supplizio di Tantalo! Adesso lo dico (o non è meglio tacere?): AUSCHWITZ: Una commedia L'infiammazione alla testa di Mordecai dev'essere contagiosa. Angeli e ministri della grazia, difendetemi! Credo di essere posseduto! 18 giugno Il Mondo Quotidiano nei suoi elementi: Gli orologi. Gli orologi dei corridoi, smisurati, pronti ad annunciare il loro marchio di fabbrica sforzandosi di essere neutrali, ansiosi di non generare ansia, come gli orologi degli edifici pubblici. Tuttavia le loro minuscole lancette non si muovono col lento, impercettibile ritmo scandito dagli altri indicatori del tempo, ma con un improvviso, nervoso scatto di mezzo minuto, "quantum" temporale. La lancetta è una freccia, ma una freccia che ha assunto un movimento rotatorio invece che lineare: prima lo schiocco, poi il colpo, sicuro: quindi per un attimo si arresta, vibrando sul bersaglio. Si è riluttanti a chiedere l'ora a un simile strumento. L'assoluta mancanza di simboli naturali. Un elenco di ciò che manca: il sole, e fenomeni collegati; i colori, a parte quelli con cui abbiamo ricoperto le nostre pareti, o che indossiamo, e che non abbiamo bisogno d'immaginare per constatarne l'esistenza; automobili o navi o carrozze od ogni altro visibile mezzo di trasporto (andiamo ovunque, qui, con gli ascensori); la pioggia, il vento, ed ogni altro simbolo arbitrario del clima; un paesaggio (come ci apparirebbe lussureggiante anche una prateria del Nebraska anche se completamente deserta fino all'orizzonte); un paesaggio marino, un cielo! Alberi, erba, terriccio, vita, qualsiasi vita a parte le nostre effimere esistenze. Anche qui, simboli naturali che si potrebbero ancora riconoscere tra noi, cose antiche e semplici, porte, sedie, fruttiere, caraffe, vecchie paia
di scarpe. Si può pensare che alla fine anche quel poco che ci circonda finirà per svanire. (Questa è soltanto una mia conferma di un'osservazione di Barry Meade). Le imposizioni della moda. Come per una parodia dell'ampia libertà che godiamo in questo luogo, i prigionieri si danno al più intemperato e assurdo dandismo, avidi non tanto di vestirsi bene, ma piuttosto di essere più avanti di quanto His o Time presentano come il non plus ultra. Parrucche, speroni, ciprie, profumi, costumi da bagno e completi da sciatore, qualsiasi cosa. Poi, subito dopo essere sbocciati, questi fiori appassiscono; l'estate del mattino diventa l'asceta del pomeriggio, in una grigia divisa confezionata in casa, più severa di quelle che un penitenziario oserebbe imporre ai propri detenuti. Il dandismo, sono convinto, è l'espressione di una lamentevole solidarietà col mondo esterno e col passato e anche una reazione ad esso: il segno d'una disperazione la quale indica che tale solidarietà non può essere raggiunta. Le arti culinarie. Il cibo, qui è incredibilmente buono. Oggi, per esempio, da una immensa scelta di prime colazioni, ho sperimentato banane fritte, uova sbattute in una salsa di pomodoro molto pepata, salsicce, saltimbocca e un cappuccino. A mezzogiorno ho mangiato con Barry Meade e il Vescovo nella cella di quest'ultimo: ho scelto una mezza dozzina di ostriche, un'insalata di melone, fettuccine al ragù e risotto al dente, asparagi marinati e, per dessert, una dame bianche in crema acida e granatina. Se un banchetto al mondo ha mai richiesto dello champagne, era senz'altro questo, ma poiché i miei compagni non volevano e non potevano bere, mi sono accontentato di una bottiglia d'acqua minerale marocchina, Oulmes (se non posso avere champagne, voglio almeno costringere qualcuno a lavorare sodo). La cena è l'occasione migliore per un contatto sociale diretto con la maggior parte dei prigionieri: nessuno infatti mangia in fretta. Fra le varie eccellenti possibilità ho selezionato una zuppa di tartaruga, un antipasto di animelle; un'insalata alla Cesare, una trota arcobaleno cotta su legno autentico; rehmedaillon con salsa di mirtilli; carote ai ferri, piselli con mandorle e una curiosa patata "soufflée". E per dessert una doppia razione di Wienerschmarm (sono ingrassato come non mai: finora nella mia vita, non avevo mai avuto possibilità di mangiare tanto, senza preoccuparmi per la mia linea. Gli altri prigionieri mi considerano un prodigio, poiché essi non hanno più appetito di quanto possa averne un condannato a morte, e per la maggior parte sono mortalmente ammalati. L'abbondanza di questi banchetti è quasi perversa).
Le celle. Capriccio e costo sono i soli elementi comuni. Il Vescovo, per mantenersi in linea col carattere sacerdotale, si è circondato di grandi mobili di tipo ecclesiastico; Meade, ha una stanza piena di trofei dell'Esercito della Salvezza (ne sta ricavando un film); Murray Sandemann possiede delle antichità della Bauhaus, con tanto di certificato; e io, per finire, ho accettato il consiglio di Mordecai, e mi sono deciso a far cambiare l'arredamento della mia stanza per adeguarlo ai miei gusti. Le pareti della mia stanza sono state denudate; io dormo su un giaciglio spartano e ho a disposizione soltanto un tavolo e una sedia, cercando di rivestire le pareti con la mia immaginazione, nel tentativo di decidere quello che vorrei vedervi. Con mio vivo disappunto ho scoperto che mi piacciono così come sono. L'ora delle visite. Qualunque cosa sia stata scritta in questo diario, nessuno in realtà trascorre molto tempo con qualcun altro. Nella sala da pranzo e in altre zone si sopporta ancora una conversazione promiscua, ma è considerata cattiva educazione rivolgersi a qualcuno nei corridoi, in biblioteca, eccetera. Gli inviti portati dalle guardie, nei quali si specifica l'ora e la durata delle visite, fanno parte del costume locale. Tutti sono amaramente consci di quanto il tempo sia limitato. Tutti possono vedere la lancetta del tempo correre a scatto verso il suo bersaglio. Continuerò questo discorso domani, forse. Più tardi Ho portato a compimento il primo atto di Auschwitz. Il secondo progredisce rapidamente. 19 giugno Il Mondo Quotidiano nei suoi elementi (continua): Film. Martedì e giovedì sera. La scelta viene effettuata per votazione, secondo una lista di titoli alla quale tutti (non io, però) possono contribuire. L'ha vinta la maggioranza, In pratica, ogni settimana vengono proiettati un film nuovo e una ripresa. Scelta di questa settimana: un impressionante frammento della Commedia di Fellini, che ha finalmente ottenuto il beneplacito della Corte Suprema; e poi il film di Griffith tratto dagli Spettri di Ibsen: lo stesso attore ha interpretato la parte del padre donnaiolo e del figlio malato. Alla conclusione dell'ultima bobina un filtro giallo viene inserito nel proiettore (o forse, più semplicemente, la pellicola è ingiallita) e
l'eroe soffre di un attacco di atassia locomotrice: il tutto non è male, ma snerva. Dopo gli Spettri alcune commedie musicali degli anni '40, e un noiosissimo documentario sulla pesca delle trote in un lago scozzese. Perché? Non certo perché i membri del campo l'avessero scelto all'unanimità (nessuno protestava, però). Forse si trattava di un altro tentativo, abortito, di non perdere i contatti col mondo esterno. Ulteriori passatempi. Dopo la dipartita di George non c'è stato nessun ritorno di fiamma per il teatro (anche se Auschwitz, non appena finito, con tutta probabilità sarà messo in scena), ma occasionalmente uno dei prigionieri dà una lettura pubblica dei suoi ultimi lavori, anche questa una forma di spettacolo, o happening, come si direbbe altrove. Ho assistito soltanto una volta a una di queste sedute, che ho trovato ancora più noiose del noiosissimo Vacanze in Scozia di cui ho parlato più sopra: si trattava di un testo di alchimia in versi eroici, composto da uno dei nostri giovani geni. Sport. Sì, proprio sport, ho detto. Mordecai, qualche mese fa, ha inventato una elaborata variante del croquet (in parte basata sulla descrizione che ne fa Lewis Carroll), che può essere giocata con squadre da tre a sette giocatori. Ogni venerdì sera c'è una partita fra i Colombiani e gli Unitali (le denominazioni delle due squadre non sono così simpatiche come possono suonare sulle prime. Esse sono ispirate alle correnti di pensiero che rivaleggiano quaggiù sulla natura e le origini della sifilide. I Colombiani sostengono che la spirocheta è stata importata dal nuovo mondo, ad opera dei marinai di Colombo, cosa che troverebbe conferma nelle grandi epidemie del 1495, mentre gli Unitali credono che tutte le apparenti varietà delle malattie veneree si identifichino in un'unica origine, che essi chiamano treponematosi, spiegando la sua apparente molteplicità con le differenze sociali e climatiche, e con le abitudini di vita dei singoli individui). Anormalità. Nulla di cui sorprendersi, poiché la selezione dei prigionieri è basata appunto sulla mancanza di legami familiari o di una vita sociale. In questo campo c'è davvero una sorta di spirito comunitario, ma è sempre una comunicatività fra fuorilegge, fredda e distaccata. L'esaltazione dell'amore, i piaceri più moderati ma più duraturi della filoprogenitura, e la felicità di costruirsi anno per anno una vita, rendendola significativa per noi stessi, tutte le esperienze normali dell'uomo sono ad essi negate, non ne esiste la più piccola possibilità. Proprio ieri Meade osservava con rammarico: "A tutte quelle ragazze che non ho lasciato alle mie spalle... Che peccato!" Il loro genio, anche se sotto alcuni aspetti è una ricompensa, serve soltanto ad aggravare le distanze che li separano dalla gente normale per-
ché, anche se potessero guarire ed essere rilasciati dalle viscere di Campo Archimede, non si troverebbero più a casa propria nel mondo. Qui, in questi antri sotterranei, hanno imparato a vedere il sole; lassù, nel mondo della luce, gli uomini guardano ancora le ombre sulle pareti delle caverne. Più tardi Finito il secondo atto. E oggi, Mordecai ha avuto un attacco ancora peggiore. Forse sarà necessario posporre l'Opus Magnum. O, come lo chiama Murray S. pieno di rispetto, il Grande Affare. 20 giugno Mordecai si è rimesso, e tutto procede secondo la tabella di marcia. Ho smarrito la mia capacità di diffondermi nei particolari. Ora c'è soltanto l'attesa. Più tardi Metà dell'atto terzo. Fantastico. 21 giugno Ancora più fantastico: è finito! Ci sarà molto da ritoccare, naturalmente, ma è finito. Grazie a... Grazie a chi? Agostino dice, nelle sue Confessioni (I, 1): "Può accadere che il supplicante invochi un altro al posto di colui che intendeva chiamare, e questo senza saperlo". Un pericolo nell'arte come nella magia. Be', se è al Diavolo, che debbo Auschwitz, allora colgo l'occasione per ringraziarlo su questo mio diario, e dargli quanto gli spetta. Sto scrivendo questo a pomeriggio inoltrato. Ho ancora un po' di tempo prima dell'ora di cena. Ho pensato di raccontare in breve quello che potrebbe rivelarsi un grande frammento narrativo, se la serata sarà così ricca di eventi come la giornata sembra promettere. Dopo avere scritto le ultime righe di Auschwitz, nei primi momenti di euforia, non ho più sopportato queste pareti nude, più ricche di orribili suggestioni di un Rorschach (non sono forse state lo schermo sul quale ho
proiettato le immagini della mia deludente commedia?). Sono uscito incespicando nel dedalo dei corridoi, imbattendomi nel suo cuore nascosto, o per lo meno nel suo Minotauro Haast, il quale, anche lui euforico per le ragioni più improbabili, mi ha invitato ad accompagnarlo nel piccolo tempio, quattro livelli più sotto, che era già stato il palcoscenico del Faust e che sarà la catacomba dei misteri solenni di questa notte. — Eccitato? — mi ha chiesto, anche se in realtà era una constatazione più che una domanda. — Non lo siete forse anche voi? — Nell'Esercito, un uomo deve imparare a vivere nell'eccitazione. Inoltre, poiché sono più che convinto dei risultati... — Un leggero sorriso ironico, indizio di un'incrollabile fiducia, gli ha increspato le labbra. Mi ha fatto segno di seguirlo nell'ascensore. — No — ha continuato — la vera eccitazione non comincerà finché alcuni ufficiali, in certi uffici del Pentagono, non avranno notizia di quanto sono riuscito a fare. Non c'è bisogno di far nomi. È noto che negli ultimi vent'anni una piccola ma potente cricca a Washington ha gettato via miliardi di dollari, tasse pagate dai contribuenti, per esplorare lo spazio esterno. Mentre lo spazio dentro di noi non è stato neppure sfiorato. — Visto che non abboccavo, ha insistito: — Vi starete chiedendo a cosa mi riferivo, con l'espressione "lo spazio dentro di noi"? È un concetto stimolante. — Si tratta di una mia idea, e si riferisce a quello che vi stavo spiegando l'altro giorno a proposito del materialismo della scienza ai giorni nostri. Vedete, la scienza accetta soltanto fatti, mentre la natura ha due aspetti, uno materiale e l'altro spirituale. Proprio come ogni essere umano ha due componenti, un corpo e un'anima. Il corpo è il prodotto dell'oscura, tenebrosa terra, ed esso appunto, afferma l'alchimia, dev'essere schiarito, sbiancato, anzi dev'essere reso candido e schietto come una spada scintillante. Quasi come se cercassero l'elsa di questa simbolica spada, le mani di Haast si agitavano nell'aria. — Ora, lo scienziato materialista non dispone dei necessari strumenti introspettivi, la sua attenzione è totalmente rivolta allo spazio esterno, mentre un alchimista è sempre conscio dei rapporti tra il corpo e l'anima, e della loro importanza, e perciò molto più interessato all'esplorazione dello spazio interiore. Potrei scrivere un intero libro su questo argomento... se soltanto avessi il vostro dono con le parole.
— Già, i libri! — ho esclamato, affrettandomi a calmare i suoi ardori. — Esistono cose molto più importanti dei libri. La Bibbia dice: "Non c'è scopo a scrivere tanti libri", una vita attiva può essere molto più utile alla società di... — Non c'è bisogno che voi mi diciate questo, Sacchetti. Non ho gettato via la mia vita in una torre di avorio. Ma tuttavia il libro che ho in mente non sarebbe un volumetto insignificante e ordinario. Potrei dare una risposta a molti dei problemi che angustiano i grandi pensatori d'oggi. Se volete dare un'occhiata ad alcuni dei miei appunti... Visto che non c'era modo di fermarlo, ho fatto buon viso e sorridendo ho detto: — Sarebbe interessante. — E forse voi potreste suggerirmi il modo di migliorare la forma. Voglio dire, di renderli intelligibili al lettore medio. Ho assentito, rassegnato. — E forse... Quest'ultimo giro di vite mi è stato risparmiato: eravamo arrivati all'entrata del santuario, e quasi sbattemmo contro il dottor Busk. — Voi siete un po' in anticipo — le ha detto Haast. La sua improvvisa effusione amichevole era scomparsa di colpo, come una chiocciola che si ritiri nel guscio, alla vista di Aimée Busk, castamente abbigliata in un abito grigio-verde, pronta alla carica sui suoi tacchi di ferro. — Sono venuta a ispezionare l'equipaggiamento che sarà usato durante la seduta, col suo permesso. — Ci sono già due esperti di elettronica che stanno esaminando ogni singolo circuito. Ma se voi pensate che abbiano bisogno del vostro parere... — Si è inchinato rigidamente. Aimée Busk lo ha preceduto nel teatro, salutandolo militarmente. Le scene del primo e dell'ultimo atto del Dottor Faust non erano state ancora smontate, così i grandi scaffali e la scala avvolti nella penombra servivano da sfondo per il nuovo dramma. Un leggio scolpito in forma d'aquila o angelo sosteneva un grosso volume rilegato in cuoio, un vero libro, non dipinto come quelli sulle scene. Era aperto su una pagina piena di simboli cabalistici, una scrittura simile a quella che avevo osservato sul tavolo di Mordecai, ma se questo fosse un ulteriore tocco teatrale alla scena non saprei dirlo. Ogni cosa si accordava comunque a una tradizionale rappresentazione del Faust, anche se gli elementi che vi erano stati aggiunti, successivamente, sembravano più in tono con un film dell'orrore, forse una versione
giapponese di Frankenstein. C'erano grandi sfere colorate simili a ornamenti per l'albero di Natale, e qualcosa che avrebbe potuto essere un telescopio ripescato fra i residuati bellici: la parte più larga era puntata introspettivamente sul pavimento. C'era una batteria di indicatori, nastri e luci colorate, in omaggio al culto della cibernetica. Ma la più felice ispirazione dei progettisti di questa scenografia era un paio di asciugacapelli, dai quali uscivano a profusione come da una cornucopia, ciuffi di cavi elettrici. Due tecnici della N.S.A. stavano ispezionando il groviglio di fili all'interno dei "sedili della morte" (come li chiamavano), piccoli e di color arancio, plastificati e cromati, mentre il Vescovo li sorvegliava per impedire che sconnettessero il circuito. Hanno salutato Busk con un cenno del capo, non appena l'hanno riconosciuta. — Dunque — ha detto la donna — come vanno le nostre scatolette nere? Sono pronte a trasformare ogni cosa in oro? Uno dei tecnici ha sorriso impacciato: — A quanto sappiamo, dottore, possono fare soltanto una cosa: ronzare. — A me sembra — ha continuato il dottor Busk, rivolgendosi a me e fingendo d'ignorare Haast — che quando ci si accinge a fornire una dimostrazione pratica di magia, siano sufficienti un cerchio disegnato col gesso e un pollo morto. Al massimo, un tavolo a tre gambe. — Non c'è bisogno di prendere in giro — ha ribattuto Haast, scuro in volto. — Quando sarà il momento, vedrete. La gente si è presa gioco di Newton allo stesso modo, perché anche lui studiava astrologia. Sapete cosa rispose? "Signor mio, io l'ho studiata, voi no". — Newton come altri geni del suo calibro, era un imbecille. La pazzia è sinonimo di genio, ma trovo sorprendente che un uomo come voi, tutto d'un pezzo, debba andare così lontano per scoprire gli elementi della sua neurosi. Specialmente considerando il vecchio detto: "Una volta morsicato, due volte pauroso". — Non voleva discutere, in realtà, ma soltanto punzecchiare, come un picador. — State forse accennando alle Auaui? Quello che tutti sembrano dimenticare a proposito di quella campagna, è che io l'ho vinta. In barba alle malattie, ai tradimenti dei miei uomini, l'ho vinta. In barba alle menzogne che sono state dette su di me e anche, lasciatemelo dire, ai più sfavorevoli oroscopi che mi siano mai capitati, l'ho vinta! Arricciando il naso, pregustando quasi l'odore del sangue, la donna l'osservava con attenzione, quasi scegliendo il punto più adatto dove piazzare la successiva pallottola.
— Non sono stata giusta — ha replicato, cautamente — perché sono certa che Berrigan ha avuto molta più responsabilità di voi in tutto quello che accadde laggiù, stando a come si giudicano oggi le responsabilità. Per favore, accettate le mie scuse. Con tutta probabilità era convinta, e anch'io lo ero, che questo lo avrebbe fatto tacere, pronto per l'entrata in scena dei banderilleros, ma non è stato così. Haast si è diretto verso il leggio e qui, come leggendo i geroglifici del libro, ha risposto: — Dite pure quello che volete. Busk ha sollevato un sopracciglio, perplessa. — Dite quello che volete... c'è sempre qualcosa in tutto questo! — Haast ha calato rumorosamente un pugno sul leggio. Quindi, col suo inimitabile tono da catechista, ha citato un epigramma dal libro di Berrigan: — "Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante possa concepirne la tua filosofia". Perché mai stupirsi che quest'uomo riesca a vincere tutte le battaglie? Non riconosce la sconfitta. Busk ha stretto le labbra e si è allontanata in tutta fretta. Quand'è sparita, Haast si è voltato sorridendo verso di me. — Be', l'abbiamo fatta vedere al vecchio Sigfrido, no?... Accettate il mio consiglio, Louie, non mettetevi mai a discutere con una donna. Questi episodi canonici, per tradizione servono di preludio a eventi molto più terribili: Amieto si prende gioco di Polonio, il Folle propone indovinelli. Il portinaio ubriaco fradicio si trascina lungo tutto il palco per rispondere a colui che ha bussato alla porta. Più tardi Certo non pensavo che la catastrofe arrivasse così presto. La commedia è finita, e credevo che fossimo soltanto alla metà del secondo atto. Non c'è altro da fare, adesso, che raccogliere i cadaveri dal palco. Come sempre, ero seduto al mio posto molto prima che s'innalzasse il sipario, anche se non ero arrivato prima di Haast, il quale, quando sono entrato, stava infastidendo gli addetti ai ventilatori, che non sembravano funzionare a dovere. Si era rasato l'inizio d'una barbetta e aveva indossato il suo doppiopetto nero. Anche se di taglio recentissimo, il vestito sembrava antiquato. Nel visitare Stoccarda, all'inizio degli anni '60, avevo notato come tutti gli uomini d'affari indossassero abiti modellati secondo lo stile della loro giovi-
nezza: per essi e per Haast, era sempre il 1943. Quei pochi prigionieri che non recitavano un ruolo attivo nei riti giunsero poco dopo, alcuni vestiti formalmente, altri nei loro eclettici arrangiamenti, ma sobri. Non si sedettero tutti insieme, in un blocco chiuso, ma si sparsero qua e là nell'uditorio una volta ai loro posti, il teatro sembrò più che mai vuoto. Busk ostentava un vestito particolarmente indicato a un funerale. Prese posto dietro di me e subito dopo cominciò a fumare una Camel dopo l'altra. In pochi minuti fummo avvolti da una nuvola di fumo, a causa del cattivo funzionamento dei ventilatori. Mordecai, il Vescovo e una piccola commissione di censori, ostiari, ecc. (qualcosa come il primo atto della Tosca all'Opera House) arrivarono per ultimi, o meglio entrarono nella sala con pompa religiosa. Il Vescovo era circonfuso d'oro nei suoi paramenti simbolici alla Matisse, nonostante anche lui suggerisse qualcosa di funereo. La sua mitra era d'un nero profondo. Mordecai aveva esercitato una certa macabra economia nella scelta del suo costume, per la cerimonia: era lo stesso completo di velluto nero con un collare dorato che George aveva indossato per il Faust. Decisamente, gli sarebbe servita una lavatina a secco, ma anche se fosse stato perfettamente pulito non era certo adatto a Mordecai. Così acconciato, Mordecai era ridotto a una uniforme macchia nera. Per di più il taglio dell'abito metteva in evidenza il suo magro torace, la schiena curva e le gambe storte, il suo modo di camminare sgraziato e la sua scarsissima eleganza in generale. Assomigliava, su grande scala, a uno dei patetici gnomi di Velàzquez: la ricchezza del costume serviva soltanto ad accentuarne la grottesca figura. Non c'era dubbio che Mordecai volesse proprio questo effetto. L'orgoglio lo spingeva ad esibire la sua bruttezza come qualcosa di splendido. Haast gli corse incontro, afferrandogli (con estrema cautela) una mano: — Questa è un'occasione storica, ragazzo mio. — La sua voce era roca e rivelava il profondo desiderio di atteggiarsi a protagonista. Mordecai scosse la testa, respingendo la mano di Haast. I suoi occhi brillavano d'una luce intensa, insolita anche per lui. Mi ricordai degli occhi dolenti di Hugo Van der Goes, nel Ritratto di Pomponiano. Avido di luce, il suo sguardo non cessava di seguire il sole. Il Vescovo, seguito da due assistenti che reggevano reverenti la sua cappa rilucente, precedette Haast lungo i quattro gradini che conducevano al palco. Mordecai si era soffermato tra le file di sedie, studiando le facce dei presenti. Quando i suoi occhi incontrarono i miei, si socchiusero, rapidi e
divertiti, per un attimo. Si mosse lungo la fila finché non fu davanti alla mia sedia, si chinò e bisbigliò: Adesso voglio che gli spiriti aiutino, che l'arte incanti. Il mio destino è disperazione a meno che non sia aiutato dalla preghiera. Si raddrizzò, incrociando le braccia sul suo abito di velluto nero macchiato, come soddisfatto di se stesso. — Sai chi ha detto questo? Vedo che non lo sai, ma dovresti. — Chi mai? Avanzò verso i gradini, salì sul primo e si voltò: — È lo stesso che ha detto anche: Spezzerò il mio bastone, lo seppellirò sotto molte miglia di terra... Completai la citazione, interrompendolo: — È l'addio di Prospero alle arti magiche: E così profondo che non vi giunga il suono affonderò il mio libro — Non ancora — concluse Mordecai con un battito di ciglia. — Non ancora. Haast, il quale era in attesa di Mordecai accanto al leggio, produsse un suono stridente, come del cellophane strappato: — Ehi, voi due, cosa vi state raccontando? Non si deve parlare adesso, dobbiamo preparare le nostre menti, svuotarle completamente per la grande esperienza spirituale che le attende. Non capite che siamo sull'orlo di un abisso? — Ma io lo so, lo so. — Mordecai superò d'un balzo i tre gradini, quasi incespicando attraversò il palcoscenico di corsa e prese posto sotto ad uno degli asciugacapelli simili a meduse. Subito Sandemann cominciò a fissare i numerosi fili alla sua testa con dell'adesivo. — Sono muto — disse Mordecai. — Cominciamo. Haast rise, deliziato. — Insomma, non intendevo dire questo, tuttavia... — Si voltò verso i pochi spettatori: — Prima di cominciare, signori e signore, ci sono due o tre cose che vorrei dire a proposito del grande passo
che stiamo per intraprendere. Quindi, cominciò a leggere dal dattiloscritto che aveva in mano. Busk si chinò in avanti, per mormorare drammaticamente: — Scommetto che il vecchio gerontofobo va avanti per mezz'ora. Ha paura del suo esperimento, ha paura... Haast andò oltre le previsioni di Busk di ben quindici minuti. Pur congratulandomi con me stesso per la precisione di questo particolare, darò soltanto una brevissima sintesi del suo discorso. Haast, per prima cosa, parlò della soddisfazione che provava per avere avuto la possibilità di essere un benefattore dell'umanità, e dicendo questo ha citato altri benefattori venuti prima di lui: Gesù Cristo, Alessandro, Henry Ford e il grande astrologo moderno Carl Jung (pronunciato con una "j" dolce). Descrisse quasi con affetto il terrore e l'angoscia della vecchiaia, dimostrando come la società soffra per la continua perdita dei suoi cervelli migliori a càusa del sistema pensionistico e della morte. Rivelò il principio che permette all'anima di restare sempre giovane (tenere la mente aperta ed essere sensibile alle idee nuove); ma confessò che il fatto di non poter accompagnare la sua anima con un corpo eternamente giovane era stata la disperazione dei suoi ultimi anni. Quindi in questi ultimi mesi, con l'aiuto dei suoi giovani colleghi (qui indicò con un gesto rapidissimo Mordecai), aveva riscoperto il segreto, già noto per secoli a pochi privilegiati, ma che sarebbe stato presto se non di dominio universale - almeno disponibile per quei membri della società che più meritavano di usufruirne: La Vita Eterna. Quando si concluse, ero un po' intontito dal fumo e dal caldo soffocante. Sul palco, il caldo doveva essere ancora più intenso, poiché Haast e il Vescovo erano lucidi di sudore. Mentre Haast prendeva posto a sua volta sotto un asciugacapelli, dopo essere stato solidamente fissato alla sedia con delle cinghie, il Vescovo avanzò verso il leggio e ci pregò di unirci a lui in una breve preghiera, composta appositamente per l'occasione. Busk si alzò in piedi: — Continuate pure a pregare fino a mezzanotte, questo è il vostro spettacolo. Ma posso chiedere, poiché sembra che disponiamo di parecchio tempo, qual è lo scopo di tutti quei meccanismi? Gli alchimisti dell'era classica hanno senz'altro usato qualcosa di molto più semplice. Quando ho fatto la stessa domanda ai nostri tecnici, questo pomeriggio, mi è stato impossibile ottenere una risposta, e neanche loro sembravano capirci qualcosa. Perciò spero che almeno voi... — Non è affatto semplice quanto voi ci chiedete — rispose il Vescovo,
con una gravità ridicolmente affettata. — Voi cercate di afferrare in pochi momenti quello che l'umanità non ha ca pito per innumerevoli secoli. É forse l'anacronismo dell'elettronica che vi sorprende? Ma non sarebbe un atteggiamento miope, il nostro, se non ci avvalessimo di tutte le risorse della scienza? Pur rispettando la saggezza dei nostri antenati, non c'è alcuna ragione di disprezzare il virtuosismo della tecnica d'oggi. — Ma sì, sì... ma a cosa serve, cosa fa? — Sostanzialmente... — un aggrottare di sopracciglia — sostanzialmente amplifica, anche se in un altro senso si potrebbe dire che accelera. Nella sua forma tradizionale, quella conosciuta da Paracelso, l'elisir opera lentamente. Una volta che è stato assorbito dalla circolazione sanguigna, esso comincia a penetrare le tre meningi, la dura madre, l'aracnoide e la pia madre. Soltanto quando le meningi sono state completamente trasformate dall'elisir - la durata di questa fase è in relazione diretta con l'età o le condizioni di salute del soggetto - soltanto allora il vero processo ha inizio. Ma, ovviamente, noi non potevamo permetterci di aspettare con filosofica pazienza. Dovevamo accelerare l'azione dell'elisir, ed è questa la ragione per cui voi vedete tanti strumenti. — Come funzionano? — Oh, ma questa domanda ci porta in un campo molto più complesso. Primo, gli impulsi alfa... vale a dire, lo strumento che viene ora preparato per il signor Mordecai, registra e analizza i suoi modelli encefalografici. Queste registrazioni vengono a loro volta trasformate in... — Finiamola con questi discorsi oziosi — tuonò Haast, spingendo via Sandemann che stava fissando una corona di cavi alle sue tempie intrise di sudore. — Ha già sentito più di quanto dovesse. Dio Cristo onnipotente, voi non avete alcun senso di segretezza! Se ricomincia a parlare esigo che le guardie la facciano uscire dalla sala, capito? Ora continuiamo. — Ancora una volta, Sandemann prese ad applicare dei fili al corpo di Haast con nastro adesivo, con la metodicità nervosa di un barbiere che stesse radendo un cliente impaziente. Mordecai, gli occhi nascosti sotto l'asciugacapelli, si puliva gli interstizi tra i denti con un'unghia. Noia? Tensione nervosa? O soltanto una posa? Senza vedere i suoi occhi, non potevo interpretare questo atteggiamento. Con voce squillante il Vescovo cominciò le sue preghiere le quali (ci fece notare) erano state adattate da un'orazione di Nicholas Flamel, un alchimista del quattordicesimo secolo. — Iddio Onnipotente, Signore delle onde di luce, da cui fluisce come il
sangue da un cuore che batte tutto il nostro bisogno, imploriamo la Tua infinita pietà. Fai che possiamo dividere con Te l'eterna saggezza che circonda il Tuo trono, che ha creato e perfezionato tutte le cose, che le conduce al loro completamento o alla loro distruzione. Tua è la saggezza che governa le arti celesti e occulte. Fa, Abbas, che la Tua saggezza getti la sua luce sulla nostra opera, che noi possiamo procedere senza errori in quella nobile arte cui abbiamo dedicato i nostri spiriti, alla ricerca di quella pietra miracolosa... Qui, uno degli assistenti, inginocchiato su un lato del palcoscenico, suonò un campanello d'argento. — La Pietra dei Saggi... Due scampanellii in coro. — La Pietra più preziosa, che Tu, nella Tua Saggezza, hai tolto da questo mondo tellurico, ma che puoi rivelare ai Tuoi eletti. Tre scampanellii in coro, sempre più solenni, e in quell'istante le porte si aprirono di colpo e l'uovo filosofale, che sembrava più che mai una gigantesca pentola, fu portato nella sala su un carrello elettrico. Quattro assistenti lo sollevarono sul palco. Busk si chinò in avanti, azzardando un sorriso ironico. — Ai riti esoterici preferisco sempre una onesta neurosi. — Ma c'era nelle sue parole un inequivocabile sfumatura d'insincerità, quasi a indicare che il confusionario discorso del Vescovo stava esercitando il suo influsso anche su di lei, specialmente su di lei. Intontito dal fumo delle Camel e in preda a un doloroso attacco di ulcera allo stomaco, smarrii il filo della preghiera e osservai attentamente lo scoperchiamento dell'uovo, che avveniva sul palco proprio sopra di me. Soltanto quando questa operazione fu finita, i viscidi incantesimi del Vescovo uscirono dalle tenebrose circonvoluzioni latine per trasformarsi in altri incantesimi, in buona lingua nostrana... — ... e come il Tuo unico Figlio è allo stesso tempo uomo e Dio; come il Tuo unico Figlio, nato senza peccato e non soggetto al dominio della morte, ha scelto di morire perché noi fossimo liberi e potessimo vivere eternamente gloriosamente il terzo giorno; così il Carmot, l'oro filosofia), senza peccato, sempre identico a se stesso, sempre radioso, capace di sostenere ogni accusa e tuttavia pronto a morire per i suoi fratelli ammalati e imperfetti, il Carmot, nato gloriosamente ancora una volta, li libera, li prepara alla Vita Eterna, e li arricchisce di quella perfezione che è propria dell'oro puro. Così ora noi, nel nome di Gesù Cristo, Ti chiediamo che questo cibo degli angeli, che questa miracolosa pietra miliare del Paradiso, sia messa al
suo posto per tutta l'eternità, per governare e regnare con Te perché Tuoi sono il Regno, il Potere e la Gloria, per sempre e sempre. Anche la stessa Busk si unì alla comune risposta: — Amen. Porgendo lo scettro a un adepto, il Vescovo si avvicinò al famoso uovo e ne estrasse la bottiglia di terracotta, che era stata messa a calcinare nelle sue viscere per quaranta giorni e quaranta notti. Come ad un segnale, tutte le luci furono spente, soltanto un punto luminoso restava, quello focalizzato dal cosiddetto telescopio (questa luce, mi dissero più tardi, proveniva grazie a un procedimento non meglio specificato dalla stella Sirio). Il Vescovo versò il contenuto fangoso della bottiglia in un calice che fu riempito fino all'orlo e quindi esposto alla pura luce di Sirio. A questo punto i prigionieri sul palcoscenico e in platea perpetrarono il loro plagio più audace. Essi, infatti, cominciarono a cantare l'inno eucaristico di Tommaso d'Aquino, O esca viatorum: O esca viatorum o panis angelorum, o manna caelitum... Giunto all'apice di questa cerimonia raffazzonata qua e là, il Vescovo si volse e offrì il calice alle labbra assetate di Haast, quindi a quelle di Mordecai, entrambi così carichi di apparati elettrici che potevano a stento piegare il collo per bere. Mentre trangugiavano la poltiglia, il Vescovo recitò la sua propria esecrabile traduzione dal latino dell'Aquinate: — "O cibo dei pellegrini! Pane degli angeli! Manna di cui tutto il firmamento si nutre! Appropinquati, e con la tua dolcezza sazia questo cuore che da sempre ti ha atteso". Infine la tenebra avvolse anche l'ultima traccia di luce, e cominciò l'attesa in quell'atmosfera calda, immobile, per quello che tutti temevano, anche il più miscredente, anche il più illuso. Fu la voce di Haast, stranamente alterata, a rompere per prima il silenzio: — Fate luce! Luce! Funziona, lo sento, sento il cambiamento! Tutte le luci si accesero di colpo, abbaglianti. Haast era in mezzo al palco, dopo essersi strappato dal capo la corona di cavi elettrici. Del sangue gli gocciolava lungo le tempie e il volto abbronzato e sudato, luccicante sotto le lampade come un toast appena imburrato. Tremava visibilmente; spalancò le braccia e gridò esultante: — Guardate, bastardi! Guardatemi, sono giovane, giovane di nuovo, il mio corpo vive! Guardate!
Ma non era Haast al centro dei nostri sguardi. Mordecai che per tutto il tempo non si era mosso, ora con estrema lentezza sollevò la mano destra fino agli occhi. Un gemito, quasi di speranza straziata, uscì dalle sue labbra, a rievocare il più miserabile dei terrori cui siamo sottoposti noi mortali e quando il suo corpo irrigidito non poté più trattenere quanto aveva in gola, gridò a voce altissima: — Nero! Tutto Nero! Nero! Ogni cosa accadde quasi senza transizione: il suo corpo si afflosciò sulla sedia, anche se i fili che lo stringevano da ogni parte gli impedirono di cadere sul pavimento. Un dottore dell'infermeria aspettava nel corridoio: la sua diagnosi fu fulminea, quasi come la morte di Mordecai. — Ma come? — gridò Haast. — Come ha potuto morire? — Un'embolia, direi. Non mi sorprende. A questo stadio anche la più piccola eccitazione sarebbe stata sufficiente. — Il dottore si voltò nuovamente verso Mordecai, ora disteso sul pavimento, scomposto nella morte come nella vita, e gli chiuse gli occhi spalancati. Haast sorrise: — No, voi mentite, non è morto! Non può essere morto, non può! Ha bevuto anche lui l'elisir, è stato restituito alla vita, è rinato candido e puro! La vita è eterna. Busk si alzò in piedi, ridendo in tono sprezzante: — Giovinezza! — Lo guardò come per prendersi gioco di lui: — È vita eterna, non è vero? — continuò. — È così che funziona il vostro elisir di giovinezza? — Si fece strada tra le sedie e uscì dal teatro, con la sicurezza di un toro che abbia sconfitto l'incanto del torero. Haast spinse via il dottore dal corpo di Mordecai, e appoggiò la sua mano sul cuore immobile. Il suo mugolio era la copia identica di quello che aveva preceduto il collasso di Mordecai. Sempre con gli occhi chiusi si alzò, e cominciò a parlare come un sonnambulo, quindi con voce sempre più acuta: — Prendetelo, portatelo via da questa stanza. Crematelo! Portatelo subito alla fornace e bruciatelo, bruciatelo finché non ne siano rimaste soltanto le ceneri! Oh, il nero traditore! Adesso anche io dovrò morire, e tutto per colpa sua. Non sono più giovane, era un trucco. È sempre stato un trucco. Maledetto lui. Maledetto, maledetto, maledetto, maledetto per sempre! — E ad ogni maledetto Haast dava un altro calcio al cadavere, alla testa e al petto. — Vi prego, pensate alla vostra salute! Haast si allontanò di scatto, quasi impaurito, non appena il dottore lo toccò. Incespicando camminò all'indietro, cercando il leggio con la mano. Quando l'ebbe trovato, vi si appoggiò con calma, ma sistematicamente,
Haast cominciò a strappare le pagine del libro, gettandole a terra. — Menzogne — disse, spiegazzando la grossa carta. — Ancora menzogne, tradimenti, inganni. Curiosamente, gli altri prigionieri sembravano essersi dimenticati del corpo di Mordecai, che le guardie, prontamente accorse, aevano già gettato sullo stesso carrello che aveva portato nell'auditorium l'uovo filosofale. Quest'ultimo, comunque, era dopotutto un comune forno olandese. Presi il fazzoletto di tasca per asciugare il sangue dal suo viso, ma le guardie mi afferrarono per le braccia e mi trascinarono fuori. Haast continuava a strappare il libro. 22 giugno Nel cuore della notte mi sono svegliato e ho registrato, in una stenografia semincosciente, l'incubo che mi aveva strappato al sonno, quindi sono ripiombato nel torpore, desiderando che l'incoscienza mi riafferrasse, come alla fine di un pensiero, ma sono rimasto immobile, disteso, vuoto e prosciugato, gli occhi fissi nel buio impietoso. Questo, ora che ho rielaborato i miei appunti, è stato il mio sogno: Aleggiava un odore nauseabondo, come un frutto marcio. Mi avvidi che proveniva da un foro al centro della camera. Un uomo molto grasso era in piedi in fondo al buco, tra mucchi di roccia sbriciolata. Aveva la chierica, era un monaco. Il suo cappuccio e la sua veste erano bianchi: un domenicano. Afferrò la corda che gli circondava la vita e mi lanciò un cappio. Tirarlo fuori dal buco fu un compito quasi impossibile. Alla fine, tuttavia, eravamo entrambi seduti sull'orlo del fosso, ansimanti. — Di solito posso fluttuare — spiegò il monaco. — All'altezza di un cubito, naturalmente. Pur essendo un uomo così grosso, pareva stranamente immateriale, quasi vaporoso. Le mani grassocce assomigliavano a guanti di gomma gonfiati fino a scoppiare. Pensai: "Louie, se non stai attento finirai presto per essere anche tu così grasso". — E questo è soltanto uno dei miracoli. Potrei menzionarne molti altri. Quantum sufficit, come ha detto Agostino. C'è un posto dove posso sedermi? — La mia sedia, ma temo sia piuttosto... inadeguata. Forse il mio letto? — E qualcosa da mangiare. Un po' di pane qualche aringa. Colpì le mol-
le del letto con un grosso pugno. — Sono venuto qui per lasciare un messaggio, per cui non mi fermerò a lungo. Ho schiacciato il pulsante accanto alla porta. — Un messaggio per me? — Un messaggio di Dio. — Si accomodò sulle lenzuola spiegazzate. Il cappuccio lasciava intravedere soltanto la metà inferiore del suo viso, dove avrebbe dovuto trovarsi la bocca. — Ne dubito — dissi, con la maggior gentilezza possibile. — Dubitare di Dio? Dubitare che esista? Che stupidaggini! Naturalmente tu credi in Dio, tutti ci credono. Io stesso ho provato la sua esistenza in tre differenti maniere. Primo: se non esistesse tutto sarebbe diverso, il sotto sarebbe sopra, la destra sarebbe la sinistra. Ma noi vediamo chiaramente che non è così. Ergo, Dio deve esistere. Secondo: se Dio non esistesse, nessuno di noi sarebbe qui, ora, in attesa che arrivi qualcosa da mangiare. Terzo: dobbiamo soltanto guardare i nostri orologi per essere certi che esiste. Che ore sono? — Son le tre e qualche minuto. — Oh mamma mia, essi sono in ritardo! Sei in gamba con gli indovinelli? Perché l'iperdulia prega per la Pia Madre? — Perché un corvo è uno scrittoio — mugolai in risposta, mentre prendeva forma in me un'invincibile noia per il mio ospite. Non so se mi avesse sentito, ma se mi sentì, non afferrò la mia allusione. — Non lo sai! Eccone un altro: un mio insegnante ha detto: «Ti chiamano il bue muto». Ma io ti dico che un bue muto può muggire così forte che il suo muggito può riempire il mondo. Chi sono io? — Tommaso d'Aquino. — San Tommaso d'Aquino. Avresti dovuto indovinarlo subito. Sei forse muto? — Non troppo, paragonato ad altri. — Paragonato ad altri. Ma se ti paragoni a me? E Dio è perfino più furbo di me. Egli si trova al culmine della catena degli esseri. Egli è il Primo Essere Immateriale, e poiché l'intelligenza è frutto dell'immaterialità, ne consegue, come la notte e il giorno, che Dio è il Primo Essere Intelligente. Hai letto Dionisio? — Spiacente, non l'ho letto. — Ma dovresti. È lui che ha scritto che ogni ordine di esseri celesti ha appreso la scienza divina da una mente più alta. Per esempio, io sto insegnando a te. Abbott Sugar amava particolarmente Dionisio. Cosa ho detto appena adesso?
— Cosa? — Puoi ripetere quello che ti ho appena detto? Non puoi. Se non sei capace d'intendere cose tanto semplici come posso comunicarti il messaggio? Sentii bussare alla porta. Era il carrello col caffè, ma completamente trasformato: non più cromo lucente, ma oro scintillante, ed era tempestato di pietre preziose. Tre piccoli angeli, non più grandi di quelli che si vedono nei giardini, lo fecero passare attraverso la porta, uno spingendolo e gli altri due tirandolo. Mi chiesi perché mai non volassero e se, per caso, le loro ali non fossero aerodinamicamente inadatte, osservazione che avevo letto da qualche parte, in una rivista scientìfica. Uno dei cherubini tolse dal fondo del carrello un vassoio pieno di piccoli pesci marci. Li sistemò in modo molto decorativo su una terrina, che porse al santo, il quale aveva già teso le mani in forma di coppa per riceverla, circonfuso di beatitudine. Mentre il cherubino mi passava accanto, la punta delle sue ali mi sfiorò il viso. Non erano piume, bensì una bianca peluria delicata. — Un miracolo. Ogni pasto è un piccolo miracolo, non lo sapevi? Specialmente le aringhe. Sono morto mangiando aringhe miracolose. — Agguantò con le dita tre pesciolini e li sospinse dentro la penombra del cappuccio. — Un venditore ambulante si presentò al monastero con un carico di sardine... Ah, ma le aringhe sono un'altra cosa! Cosa pensi che accadde allora? Guarda nell'ultima cesta... — Un'altra boccata di aringhe, sparì all'ombra del cappuccio senza che per questo l'aneddoto si interrompesse: — ...ed ecco, era piena di aringhe! Un miracolo, ma se mai ce n'è stato uno. Se si eccettua il fatto, come risultò poi, che le aringhe erano guaste ed io morii tre giorni dopo, tra i dolori di stomaco più atroci che si possano immaginare. Non lo trovi fantastico? La storia della mia vita riempirebbe un libro. Vi sono cose che stenteresti a credere. Anche se c'è molto poco di... — Si schiarì la gola e porse la terrina vuota ad uno degli angeli — ... di natura carnale. Poiché dall'età di vent'anni non ho più sperimentato alcun impulso della carne. Non una sola volta, il che mi ha molto facilitato lo studio. Un altro dei cherubini si era accostato col vassoio dorato dei pasticcini, dal quale l'Aquinate scelse un "eclair" al cioccolato. Soltanto allora notai la penosa infiammazione che aveva provocato il rigonfiamento del piccolo scroto e costringeva la creatura a camminare curiosamente, trascinando i piedi. Il mio ospite notò il mio sguardo. — Orchite — fu il suo commento, mentre affondava i denti nell'"eclair",
facendo schizzare la crema dalla parte opposta — infiammazione dei testicoli. Dal greco "orchis" ossia testicolo, da cui deriva anche la parola "orchidea", a causa della forma dei suoi tuberi. Tutto si riassume in una sola parola: sesso, S-E-S-S-O. Questi pasticcini sono eccellenti. Una volta consumato l'"eclair", prelevò personalmente dal vassoio una fetta di dolce al formaggio. — Tu, ovviamente, hai letto di mio fratello Rinaldo, il quale, su ordine di mia madre, mi fece rapire e portare nella torre di Roccasecca, dove fui tenuto prigioniero per impedire che seguissi la mia vocazione? Rinaldo aveva deciso di immedesimarsi nella parte del Tentatore, e mandò una giovane donna nella mia cella, una ragazza bionda dal fascino considerevole, cosa che non ho potuto fare a meno di notare neppure quando l'ho cacciata fuori con una torcia ardente. Ho poi marcato a fuoco la porta col segno della croce, per impedire il suo ritorno, e fu allora che la bontà divina mi concesse la felice esenzione alla quale ho accennato. Questa è la storia che è sempre stata raccontata, ma esiste un seguito della vicenda che non è conosciuto da tutti. Rinaldo tentò di far crollare la mia volontà con più di un espediente. A quell'epoca ero considerato assai ben dotato fisicamente. Ero magro come perfino tu, Sacchetti, lo eri un tempo, e mi muovevo con la grazia di un leopardo. Ma in quella prigione, chiuso tra quattro mura, ero impossibilitato del tutto. Leggevo la Bibbia e il Maestro delle Sentenze, scrissi uno o due opuscoli non molto importanti, e pregai; ma anche, di necessità, mangiavo. La fame è un impulso ancora più forte della carne, e ancora più vicino alla nostra natura animale. Mangiavo quattro, e talvolta anche cinque volte al giorno. Carni deliziose, salse delicate e i dolci più squisiti che si possano immaginare, molto meglio di questi: erano preparati in una cucina che era stata allestita all'unico scopo di confezionare i miei pasti. Una volta o due ho rifiutato di mangiare, gettando tutto dalla finestra, o sparpagliandolo sul pavimento della cella, ma allora Rinaldo mi rifiutava il cibo per tre, quattro, cinque giorni, finché non giungeva il venerdì o qualche altro giorno di astinenza, e allora mi venivano offerti i piatti migliori e i più invitanti. E io non potevo, non potevo proprio resistere, né allora né mai. Dopo essere fuggito da Roccasecca, scoprii che durante tutti i giorni di astinenza del calendario ero tormentato da una fame atroce. Non potevo pregare, non potevo leggere, non potevo pensare finché la mia fame non fosse stata saziata. Per questo, dunque, mentre con gli anni l'intelligenza immateriale cresceva, il mio Corpo materiale continuava a espandersi, il mio aspetto fisico, a causa della crapula si è ingrossato, magnificato, fino
a... questo! — Scostò il cappuccio, rivelando quello che una volta doveva essere stato il suo viso: la ghiottoneria lo aveva invaso al punto da cancellare qualsiasi apparenza di un volto, a parte il vago accenno a una mascella e un mento che circondavano come un anello di lardo l'orifizio della bocca. Più che un volto, la polpa grassoccia del suo viso ricordava un immenso deretano, in cui gli occhi erano soltanto rughe. — E adesso immagino che vorrai anche tu dei dolci. Oh, ho visto con quanto desiderio hai guardato il vassoio. Mopsi, il nostro tempo è alla fine, porta il messaggio al signor Sacchetti. Mentre i suoi due compagni mi afferravano per le braccia, costringendomi a inginocchiarmi, il terzo cherubino si avvicinò, facendo vibrare il suo piccolo naso e agitando spasmodicamente le sue ali pelose, come il battito di un cuore malato, quasi pregustando quello che stava per accadere. Portò le sue manine grassottelle alla ferita a forma di fiore del suo scroto, dal quale trasudava il pus, e ne estrasse un'ostia sottile ricoperta da una scrittura indecifrabile. — Temo... temo di non capire. — Ma tu devi inghiottirla, naturalmente — spiegò Tommaso d'Aquino. — Poi la tua capacità d'intendere sarà simile a quella di Dio. Il cherubino spinse il frammento di pane (che esalava la stessa puzza uscita poco prima dal pozzo) nella mia bocca. Travolti da un'irresistibile emozione, gli angeli cominciarono a cantare. O esca viatorum, O panis angelorum, O manna caelitum, Esurientes ciba, Dulcedine non priva Corda quarentium. Mentre il dolce nauseabondo mi riempiva la bocca, il messaggio, come un lampo caduto sull'olio miracoloso, mi abbagliò con la sua verità insostenibile. Come avevo fatto a non saperlo? Ero in grado di leggere perfettamente i nostri nomi scritti a lettere gigantesche azzurre e oro, chiari come in un libro: primo George Wagner, quindi Mordecai e tutti gli altri prigionieri in monotona successione e alla fine della pagina, anche il mio.
Il dolore, però, non consisteva in questo, bensì nella certezza che io già sapevo. Sapevo fin dal momento del mio arrivo a Campo Archimede. Tommaso d'Aquino si rotolava sul pavimento dal gran ridere. Uno stomaco da maiale quasi senza gambe, che pompava il sangue in quella grassa testa globulare. Il suo schiamazzo riempì la stanza cancellando il soave cantico dei cherubini, ed io mi svegliai. Più tardi Sottoposto ad adeguata pressione, Haast mi ha confermato ciò che in ogni caso non è più possibile nascondere, quello che in tutti questi giorni non mi è stato detto a causa, anche, della mia disperata e deliberata cecità. Ora che lo so, ora che so di saperlo, mi sento sollevato, allo stesso modo di un assassino che abbia ascoltato un verdetto sul quale non potevano esserci dubbi: Colpevole. E con la stessa certezza, la condanna: Morte. No, non si trattava di un sogno, e il messaggio era autentico. Fin dal 16 maggio sono stato infettato con la pallidina. Qui, tutti ne erano al corrente, fuorché il sottoscritto; ma anch'io, pur non volendo prestare orecchio ai bisbigli che riempivano il vuoto intorno a me, l'avevo sempre saputo. PARTE SECONDA (Le note che qui seguono, distanziate tra di loro, sono riprodotte nello stesso ordine in cui compaiono nel diario di Louis Sacchetti, che è poi l'ordine nel quale sono state scritte. A parte questo, disponiamo soltanto di dati interni di riferimento per datarle. Così il primo accenno a Skilliman, nella dodicesima nota, suggerisce che questa, e le annotazioni successive, non potevano risalire a prima del 9 agosto. Allo stesso modo possiamo concludere, con quasi assoluta certezza, che i tre appunti conclusivi, quelli che cominciano con "Noi camminiamo sempre di più, sempre di più nel suo giardino", i quali occupano la maggior parte di questa sezione del diario, sono stati scritti verso la fine di questo periodo, prima che Sacchetti ricominciasse il lavoro su una base più regolare, e dovremmo forse aggiungere "intelligibile"? Questo ci permetterebbe di fissare il 28 settembre come data ultima di queste "fantasticherie", come verranno chiamate dallo stesso autore più tardi. Parecchio del materiale che segue non è di Sacchetti, ma laddove lui stesso non ha citato la fonte, e di solito non se ne preoccupa, non abbiamo pensato di farlo noi, se
non altro perché il compito sarebbe stato molto arduo e di scarso interesse, se non per pochi specialisti. Tra le sue fonti, possiamo comunque citare: la Bibbia, Tommaso d'Aquino, la Cabala, alquanti testi di alchimia, compresa la seconda parte del Romanzo della Rosa, Richard - e George - Wagner, Bunyan, Milton, de Lautrémont, Rilke, Rimbaud e un gran numero di poeti moderni. L'editore). "Eccessiva introspezione, poca attività. Concentrarsi sulla vivida descrizione delle cose reali". È giusto, lo so. La mia unica scusante è che l'inferno è buio. Il ventre di una balena, o di una fornace? «Sentì voci dolenti e un affannarsi avanti e indietro, cosicché a volte aveva l'impressione di essere fatto a pezzi oppure calpestato come fango nelle strade». Quindi, più tardi: «... proprio quando era già sull'orlo del pozzo fiammeggiante, uno dei malvagi gli si avvicinò da dietro, silenzioso, e bisbigliando gli suggerì molti dolorosi pensieri blasfemi, che egli si convinse prendessero origine dalla sua stessa mente. Non ebbe l'accortezza di chiudere le proprie orecchie, né quella d'indagare da dove provenissero questi pensieri blasfemi». Bunyan. È nostra convinzione che l'arte riscatti il tempo. In realtà, l'arte serve soltanto a far passare il tempo. «Ciò che Dio ha voluto, ha fatto». Una terribile verità. «La sua vita prese allora ad assomigliare a un bicchiere d'acqua, come quello, appunto, nel quale egli avrebbe lavato i suoi pennelli. Dal rimescolio di vari colori, un colore soltanto: quello del fango». Ritratto di Pomponiano. A causa della tinozza di legno uno crede subito nell'angelo lì vicino, l'angelo che suona il violoncello. Quanto Mordecai ha detto del Ritratto: «È noioso, ma è proprio la noia
che lo rende interessante. Non faccio apposta ad essere noioso, ma piuttosto permetto che i brani noiosi cadano dove vogliono». E in un'altra occasione: «L'arte deve corteggiare il tedio. La vita tranquilla di un uomo è un'altra natura morta». Do not earn, do not spend, do not worry, friend: lime must have an end. Hurry! Hurry! Qua dentro, all'inferno, è possibile scegliere unicamente tra un freddo polare o il calore più torrido. "Fra questi due stati di natura essi fuggono continuamente avanti e indietro poiché, dall'uno, l'altro appare sempre come un sollievo paradisiaco". Un giudizio di Skilliman su Haast: «Una mente così disordinata che gli sarebbe difficile perfino mettere in ordine le lettere dell'alfabeto». Quindi, anche l'alfabeto cade in sfacelo come se qualche cattivo ragazzino urlante cercasse di abbattere un castello di cubi di legno dipinto. Il volto infantile di Skilliman. La parabola del Pumpkin e dell'Hollyhochs Nel mezzo dei suoi hollyhochs la primavera aveva seminato un intellettuale pumpkin. Gli hollyhochs erano meravigliosi, ma essa sapeva che il pumpkin sarebbe stato più utile. Non maturò fino a ottobre, ma a quell'epoca gli hollyhochs erano già stati mangiati. «Ho conosciuto un uomo che ha scritto sette eccellenti poesie in una sola notte». «Sette in una notte! È difficile a credersi». Mancandoci la scienza, non avremmo queste file di pietre tombali. Essa (la scienza) è un velo sopra le labbra aperte e le parole non pronunciate. Anche i dannati mostrano reverenza all'altare. La lamentazione di Amfortas è ora anche la mia.
Nie zu hoffen dass je ich konnte gesunden Un Sebastiano, ferito dalla freccia del Tempo. Così ha detto Meade: «Ma sotto un altro aspetto, Skilliman non è poi così cattivo. I suoi occhi, per esempio, sono molto simpatici, se ti piacciono gli occhi». Questo scherzo mi riconduce, ai limiti della memoria, ai tempi della scuola superiore. Povero Barry, sta letteralmente cadendo a pezzi, quasi che il suo corpo stia aspettando con impazienza l'autopsia. E più tardi ha detto: «I miei sensi stanno perdendo il loro tocco infallibile». Oggi Skilliman in un attacco di nervi ha inventato questo distico dal titolo: THE EARTH It's be more perfect as a smooth sphere with God's good oceans everywhere. «Strani uccelli, dalle alte spalle, i becchi ricurvi, stavano ritti e immobili in mezzo al fango guardando da un lato». Mann. «Questa è democrazia. Questo è umorismo.» Vito Battista. Una nuova iscrizione per la porta dell'inferno: QUI TUTTO FINISCE. Nelle nostre scuole un giorno si studierà Himmler. L'ultimo dei grandi Chiliasti. I paesaggi del suo mondo interiore susciteranno soltanto una piacevole sensazione di orrore (e quindi di Bellezza). Considerate che i manoscritti delle sue atrocità da molti anni sono già stati offerti a noi tutti come intrattenimenti teatrali. La Bellezza è soltanto l'inizio... Sempre e sempre, stiamo camminando nel suo giardino. Chi, se mi met-
tessi a gridare, mi udirebbe? Silenzioso rovesciamento! (Chirico) L'orrore ha sorriso agli angeli... spaventosamente. Noi che abbiamo aspettato solo questo, possiamo ammirare l'illusione. "Perché sembra proprio simile al fuoco!" Qui, chi c'è mai che possa rispondere al cielo? Un'anima: è un fatto, accade. Malato dal gran fantasticare, dal formare parole dal muto significato. Accade a tutta l'eternità. Chiamano ogni giorno, dall'uno all'altro. Labbra obbligate a usare il cervello, contro ogni delicatezza. Giuramenti e sospetti immondi, oh, fra i più immondi! Sì, il mattino si ferma! Oh, e le notti? Le notti tormenteranno ed ecciteranno. La bramosia della vergogna è di fronte a noi e c'inibisce. Allora rosicchiamo e mordicchiamo le estremità della sporcizia. Ci lascia, come sulle ali del vento... dove non c'è vento. Cala lungo le fredde, oscure strade (i pezzi di carbone scoppiettano al calore). Essi si affrettano avanti e indietro lungo i marciapiedi dorati, verso l'orizzonte che si alza. Un'illusione. E, dentro, giungla di arterie, dove lo Spirito scorre. L'incanto ricade su se stesso, estinguendosi con un soffio possente. Ragazzi che aspettano in fila la morte, mormorando pazientemente. Il loro sangue ruscella dentro di me. Valli scoscese che lo Spirito ha abbandonato come un condor ingozzato di cibo. Roccaforti di questo universo prigione; truppe lanciate (a preferenza) ad affrontare ogni Terrore. O quello che Lucifero ha sussurrato alcuni di questi giorni, al mattino. Il peccato della morte trae a salvamento i figli di Davide. La speranza è come un mondo paludoso sotto un cielo di sangue. Isole della notte nella selvaggia preistoria. Cardini di cellule fangose. L'inferno si propaga, senza gioia, frutto dell'esperienza dei morti. (Sussurri: Oh, le debosciate falangi dei morti!) O Mefistofele! Quei campi di sterminio: grassi, gonfiati, fiorenti in modo esorbitante. Radici che succhiano gli umori del suolo, secondo il grande piano dell'Onnipotente. (Soltanto lui può). Dio? Dio ci ha F----ti; e qui tra i fiori ondeggianti, i principi dell'organizzazione mentale. Questi uccelli strani che esistono tra il comportamento e la ricompensa. Ritti tra il fango, guardano a qualcosa di sbagliato, gli occhi leggermente obliqui, come in una vecchia incisione sul legno. «Tu sei punito con le canne dei bambù» dice. «Devi fare come ti è stato detto... Senti il suo cuore battere contro il Dio che aveva organizzato que-
sto campo». Ecclesiaste. I miei visceri vengono calpestati come il fango nella strada. I miei arti sono deformati e prostrati. Si muovono velocemente, avanti e indietro, su e giù! "Ho inghiottito una dose mostruosa di --------!" Orribili borborigmi mi fluttuano dentro come "pesci". È l'inferno, il castigo eterno, dove egli pensò di avere udito i Demoni dell'Amore discutere in tono cadenzato: La causa dell'esistenza delle cose. Si fermò sperduto, come errando in un labirinto, meditò: ah! Ecco, noi esistiamo! L'amore di Dio non si arresta alla bocca del fiume. Baci. La bandiera si abbassa con scopi eterei. Smetti di esistere, avvicinati dolcemente per svanire. Lo vuoi? Noi creeremo l'oro, i rimedi, i giuramenti. Visiteremo le viscere della terra. Sogneremo delle tre meningi. O Pia Madre, grembo della natura, accetta la nostra iperdulia! (La Pietra Nascosta si trova grazie alla Rettificazione, un lavoro silenzioso, segreto. Versando goccia a goccia il vetriolo nell'ano della Terra). PARABOLA DEL SOLE E DELLA TERRA Tutto solo, arriva il re e s'infila nel parenchima. Nessun altro allora si avvicina alla mia pelle, eccetto la guardia, R. M., una creatura umile. La Pia Rugiada lo bagna, sciogliendo strati successivi di oro battuto. Lo offre ai funghi velenosi. Tutto entra allora. Si toglie la pelle. È scritto: io sono il dio Saturno. L'epiteto del peccato. Saturno lo prende e lo rovescia (Hoa). Tutte le cose sono Hoa. Egli, una volta che gli è stato dato, discende nella materia già pronta. O come è caduto! (Seduto, sopra una roccia). Così è anche il suo naso, il suo mantello di velluto fine e quelle noiose escrescenze... le narici. Che differenza fa? Giove lo tiene per venti giorni. Ecco ora la luna, la terza Amata. (Una vita d'Amore per vivere, epigrammaticamente). Essa tiene il naso per venti giorni. La famiglia è all'interno. "Microprosopus" è una causa, bianco come un'efflorescenza salina. Così: lo spirito discende con amore in una bella veste bianca. Guardiamo l'abisso delle sue narici. Non uno, ma quaranta giorni, e qualche volta quaranta, anche se poteva darsi, così, che fossero quaranta. Il suo sole è giallo. Ora spunta un sole meraviglioso. Pensa (saggezza): Heil! Una contrada dove la bontà non dipende dal trasudare dell'abbondanza, Isenheim! Illumina queste zone in modo più concreto che l'udito o la distanza. Un vio-
loncello! I pelosi pozzi del mondo hanno scacciato la notte. Origine: è il sole che mantiene l'armonia fra tutte queste strane implicazioni, anche se l'anno canta l'anno. Mai lasciare che l'alfabeto runico penetri nelle acque stagnanti delle pozze, prive dell'essere. Distruttore! Una parte dell'oro era il latte nel parco (il parco di Dio, quando a loro fu data la scelta fra l'immobilità e la conoscenza di sé. I draghi alati non avranno più gli occhi scagliosi). Con sofferenza, con strazio egli udì. Procediamo così al terzo Articolo: Obiezione prima: Sembrerebbe che Dio non abbia mai notato questa terribile virulenza. Siamo divisi tra il parere di Agostino il quale dice che (Dio) sarebbe rimasto assieme per tante miglia con lo Straccivendolo, che il suo "veleno" non avrebbe potuto distruggere più nulla. Domanda: cosa dovremmo fare per rimediare, quand'Egli soffocherà? Obiezione seconda: Per di più, governando il Dubbio tramite la sua bontà, uno dei cattivi è buono. Non c'è nessuno qui (e c'è qualcuno) che bisbigliando suggerisce canti negri. Provoca il bene, il vero pazzo che dice: «Malvagio sii tu, mio S----re!» O nell'Anello ("Oro. È questo che volevi?"). Obiezione terza: Per di più, se (Dio) bestemmiasse, apprezzerebbe Egli così tanto questi doni? (Offerti così liberamente). Chiederebbe la nostra latria? L'atto della corruzione non è riuscito, poiché Egli fa sì che una cosa sia generata da un'altra. Non placet! Il corpo di un "suino" (porco) non può distruggere niente. Domande? A questa io do la mia risposta: qualcuno ha tenuto quel pennello nell'acqua fangosa. Questo dev'essere permesso. Tuttavia è stato dimostrato che per necessità naturali anche Lui, Lui in persona, vomita su di me (ogni giorno). Frammenti e strati sottili d'oro ne vengono rimossi, ma la sua natura non può cambiare. E quindi, cosa accadrà a noi? Conosco l'osmosi, e anche il fatto che la cellula-fango è raddolcita da "Uvetta Simbolica". Scavando una strada dentro di me per quegli ombrelliferi ceppi che (Dio) ha creato. Fai attenzione! I pozzi e i trabocchetti piacciono al Signore. Li mantiene quaranta giorni e quaranta notti. Io sono LUI STESSO. "Essi sono la ragione dell'Eden, se Lui fosse stato libero di darlo a loro". Su, guarda: il groviglio d'un avvenimento interiore! Prefazione intollerabile! Che egli non possa distruggere tutto in un colpo solo! La giusta pausa di ciò che porta al nonessere. Gli scorpioni, come il
grande maestro Dürer ha dimostrato, non possono distruggere nulla. Perciò venite, piccoli teneri fratelli, a guizzare ancora! Presentatevi al sangue del Flegetonte! Ah, come brucio bene adesso. Andate, ospite! Attraverso tutti i miei talenti! Voi, adesso, udite: ora voi sentite i flagellanti "piccoli invisibili dolori". Non sprecherò le mie lanterne e il mio olio. Distruzioni. Sarebbe così confortevole come il "morto". Pallida Venere, Pia Madre, accetta queste poche spirochete. Singhiozzando, ho contemplato un simulacro di Satana, tutto d'"Oro" fascinariorum. Osmotico minerale grezzo; e tuttavia si sospetta la sua intrinseca magia. (Vi fa essere discreti). Ramificata, la colonna di fluido blasfemo risale la sua spina (dorsale), e vi porta la putredine. La marea crescente del pus non sarà facile da estrinsecare. Oh, quanto sono diventato lurido. La sanguisuga mi divora. Il Dio Porco, Amore, nel dare vita a simili creature ha rimosso le croste della lebbra. Verità; falsità. Può egli "distruggere" la sua grazia? No, non le acque dei fiumi. Ma, come abbiamo detto più sopra, questi tessuti su un mucchio di letame sono contraddizioni enormi nella fede Cattolica. Le vie dei Pellegrini l'hanno portata lungo una "strada". Secondo Ps. CXXXIVG l'odio immortale brucia con ogni fiamma. Questa è la dottrina dell'A----: vedi il suo trattato On Annihilation: "Egli governa. Fa quello che vuole". Qui, questo "niente" è una causa (molto personale). Il velleitarismo di tutti i suoi atti. Quell'arcata possente, Anastomosis, foresta primitiva dell'essere essenziale che noi chiamiamo Sangue del Cuore. Assordante esso discende su tutto quello che si protende verso il non-essere; discende, ed il Terrore è in agguato accanto ad esso, nato dal Nulla e abitatore del Qui-ed-Ora. Questo è lo spirito latteo al quale poniamo tali domande. La Sfinge ammicca. Il suo giardino si risveglia, ma essa esita. E ancora. È immane, qualcosa di smisurato. Senza pregiudizi per il Creatore del Tutto, potrebbe chiamarsi il Verme dell'Acqua. Dobbiamo avventurarci più in là, sotto il lillà divino, verso i "Padri" (Faust). E senza pregiudizio per i suoi palmi pelosi, noi ne siamo respinti con odio e disdegno. I pollici sui nostri nasi. Vegetazione, ruscelli, nervature, vibrazioni. Il verde riflette anche il più crudele fra loro (Dio). Il suo potere calcifica la radice polverizzata. Ripara i loro becchi ritorti. O Pupazzo del Male, distruggi! Distruggi tutti e tutto. Frammenti; reti che convergono nel segno del Veleno; pesci. Possa (la
causa) essere benedetta tre volte. La violenza di miriadi di cavatappi animati. Squiffy with thirst in German lands among the cheering flagellants... Congregazioni di penitenti verso il loro destino. Come l'A----ha detto, poiché Dio è diventato vecchio, ci sono stati questi cambiamenti. Un vuoto universale? Bontà? No, egli danza. Se gli arrecasse piacere farlo, Egli distruggerebbe la causa e la ragione e provocherebbe il... Penitente. Riflettete sulla proliferazione della "Causa". Avete qui questo fardello spinale putrefatto che vi dà la possibilità di conoscere "Dio". Poi estendete un dito sporco, rugoso, fino all'interno del cerebro e... Gra netiglluk ende firseiglie blears. Gra netiglluk ende firseiglie. Netiglluk ende firseiglie blears. (Dio). 1 I fatti prima di tutto. Haast ha minacciato di togliermi ogni privilegio nell'uso della biblioteca e della sala da pranzo se non mi limiterò ai fatti. Posso fare a meno della biblioteca. 2 Io ho comunque tassativamente rifiutato di tenere un diario. Anche se i giorni che mi rimangono sono numerati, non mi sottometterò al loro numeratore. 3 Mi sento molto peggio. Ho fitte lancinanti ai fianchi e alle articolazioni. Ho saltato la metà delle mie cene. Il mio naso e la mia bocca sanguinano. I miei occhi mi fanno male e la mia vista in questi ultimi giorni si è offuscata. Devo portare gli occhiali. Inoltre sto diventando calvo, ma non sono sicuro che anche di questo debba essere ritenuta responsabile la pallidina. Ritengo di essere molto più acuto. Tuttavia, non mi sembra di esserlo. Mi sento alternativamente isterico e sonnolento, depresso e maniaco,
caldo e freddo. Mi sento come se mi trovassi all'inferno. Ma nei laboratori del dottor Busk (attualmente liberi) ho ottenuto considerevoli risultati con i diversi test psicometrici. 4 Il dottor Busk non lavora più a Campo Archimede. Per lo meno, ne è scomparsa qualsiasi traccia. In realtà, nessuno l'ha più vista dal giorno della morte di Mordecai. Ho chiesto ad Haast una spiegazione della sua scomparsa, ma H.H. si è abbandonato a delle iterazioni ripetitive (tautologie): se n'è andata perché ne s'è andata. 5 Ognuno dei prigionieri dei quali ho finora parlato è morto. L'ultimo ad andarsene è stato Barry Meade, il quale è sopravvissuto per quasi dieci mesi. Non ha mai perso la ragione ed è morto crepando dalle risate leggendo un libro sulle frasi pronunciate dai grandi uomini sul letto di morte. Poco dopo la sua morte ho scritto quei brani di diario che hanno tanto preoccupato Haast e che hanno provocato la sua ultima vigorosa richiesta di attenersi ai fatti. 6 — Cos'è mai un fatto? — gli ho chiesto. — Un fatto è ciò che è accaduto. Il modo con cui scrivevate della gente di qui e quello che pensavate di loro. — Non penso a loro, tuttavia. Non penso a questa gente, se appena posso evitarlo. — Accidenti, Sacchetti, voi sapete quello che voglio! Scrivete qualcosa che io possa capire. Non questo... questo... Questa roba che voi scrivete è positivamente antireligiosa, ed io non ne capisco una parola, non sono un uomo di religione, ma con questo... voi siete andato troppo in là. Cominciate a scrivere un diario intelligente, razionale, o dovrò disinteressarmi di voi, mi avete capito? — Skilliman vorrebbe cacciarmi via? — Vorrebbe che voi foste eliminato, la considera un'influenza sovversiva. Voi non potete negare di esercitare un'influenza sovversiva.
— Cosa ve ne fate del mio diario? Perché continuate a tenermi qui? Skilliman non mi vuole. I vostri ragazzini non vogliono essere corrotti da me. Tutto quello che io chiedo è una caraffa di vino, una pagnotta e un libro. Non avrei mai dovuto dirlo, perché proprio questo ha fornito ad Haast il pretesto per spostarmi. Nonostante tutto il mio cervello, sono sempre lo stesso topo, nella stessa scatola, e devo premere sempre lo stesso bottone. 7 Haast è cambiato. Sin dalla notte del grande fiasco è diventato più moderato. Quella patina fanciullesca tipica degli uomini d'affari americani ha abbandonato il suo volto, lasciandosi alle spalle un rimasuglio di stoicismo. Il suo passo si è fatto più pesante. Non cura più il vestire. Trascorre lunghe ore seduto al suo tavolo con gli occhi fissi nel vuoto. Che cosa vede? Senza dubbio la certezza della sua morte, nella quale fino ad ora non aveva mai creduto. 8 A causa di quest'ultimo fatto ho un debito verso le guardie. Ora mi giudicano come uno della classe eletta. Si confidano con me. Assiduo non è contento dei compiti che deve svolgere nell'ambito del suo lavoro. Pensa che ci sia qualcosa d'ingiusto. Come l'Hans della mia commedia, Assiduo è buon cattolico. 9 Auschwitz è stata pubblicata. Fin da quando l'avevo completata, avevo pensato alternativamente che non valesse niente, che fosse addirittura demoniaca, anche se mi era sembrata eccellente in certi momenti di entusiasmo, mentre la scrivevo. Fu in uno di questi momenti di dubbio che chiesi ad Haast se potevo inviare il manoscritto a Youngerman, al Dial-Tone. Per pubblicarla, buttarono per aria mezzo numero della rivista. Ricevetti una lettera molto cordiale in cui mi si davano notizie di Andrée e degli altri amici. Avevano pensato le cose più fantastiche di me, dopo che tutta la corrispondenza era stata respinta da Springfield con la scritta SCONOSCIUTO. Avevano insistito, telefonando, ricevendo la più semplice delle risposte: Il signor Sacchetti non è più qui!
Mi è arrivata anche copia di alcune tra le mie opere più brevi pubblicate, ma niente delle più recenti, dopo che il computer addetto ai codici della N.S.A. ha dato un parere INCERTO su questi miei tentativi letterari. Haast non è solo. 10 St. Denis non è soltanto il patrono di Parigi, ma anche quello dei sifilitici. Non c'è dubbio. 11 Un fatto, cos'è mai? Ho domandato con sincerità. Se 10. è un fatto, è perché tutti sono d'accordo che St. Denis è il patrono dei sifilitici, un fatto provocato dal consenso di molti. Le mele cadono al suolo, cosa che può essere dimostrata, più spesso che no, attraverso l'esperienza. Ma immagino che nessuno dei due incarni il tipo di fatto che Haast vuole da me. Se una cosa rappresenta un fatto dovuto soltanto al consenso del pubblico, non ha molta importanza se io lo cito in questo luogo, mentre fatti che siano allo stesso tempo dimostrabili e nuovi sono talmente rari che la scoperta di uno solo di essi è sufficiente a giustificare una vita intera spesa nel tentativo d'individuarlo. (Non la mia, tuttavia). E allora, dunque, cosa mai ci rimane? Poesia... i fatti dell'intimo, i miei fatti. E sono proprio questi fatti che ho offerto seriamente e in buona fede. E allora cosa otteniamo? Menzogne? Una mezza poesia di mezze verità? 12 Haast mi ha fatto arrivare un appunto: "Semplici risposte a semplici domande. H.H." Allora, per favore, ponga le domande. 13 Una nuova nota di Haast. Mi prega di dire di più a proposito di Skilliman. Come Haast dovrebbe sapere, non c'è altro argomento che eviterei più volentieri, se potessi. E allora, i fatti. E un uomo sulla cinquantina, moderato e fornito d'una considerevole intelligenza naturale. È un fisico nucleare che i liberali come
me definirebbero un tipo essenzialmente tedesco. Ma questo tipo, ahimè, è internazionale. Circa cinque anni fa, Skilliman ha goduto di una posizione abbastanza di rilievo nella Commissione per l'Energia Atomica. Il suo lavoro più notevole in seno all'organizzazione è stato lo sviluppo di una teoria che proponeva la impossibilità di accertare test nucleari che fossero stati compiuti in caverne di ghiaccio, sotto un particolare tipo di costruzione. Questo avvenne durante un periodo di moratoria nucleare. I test furono compiuti, e la Russia puntualmente li registrò, insieme alla Cina, alla Francia, Israele e (ignominia) Argentina. Risultò che le caverne di ghiaccio proposte da SkiUiman possedevano al contrario un effetto amplificante, piuttosto che schermante. Fu questo errore che portò al recente e disastroso susseguirsi di test, e Skilliman restò senza lavoro. Comunque, trovò assai presto un'altra occupazione nella stessa corporazione nella quale Haast è direttore della R e S. Nonostante una cortina di sicurezza fitta come quella del Vaticano, anche lassù avevano cominciato a circolare voci sulla reale natura delle ricerche condotte a Campo Archimede. Skilliman aveva insistito per avere dei particolari che gli erano stati rifiutati. Insisté ancora, ecc. ecc. Alla fine fu deciso di farlo partecipe della nostra piccola atrocità, ma unicamente se avesse accettato di abitare con noi. Quando arrivò, Meade ed io eravamo gli ultimi superstiti della pallidina. Non appena si rese conto della natura della droga e fu convinto dei suoi effetti, insistette per esserne contagiato. 14 Mi sembra giusto, qui, ricordare un curioso episodio storico. Uno scienziato del diciannovesimo secolo, Aurias-Turenne, aveva elaborato la teoria che il cancro e la sifilide fossero l'identica cosa, e che una persona, attraverso una particolare tecnica di sifilizzazione, avrebbe potuto garantirsi con una breve cura la perenne immunità dalla malattia. Si scoprì, quando Aurias-Turenne morì nel 1878, che il suo corpo era letteralmente ricoperto di cicatrici: egli aveva usato su di sé le sue stesse tecniche di sifilizzazione, introducendo cioè pus sifilitico nelle ferite che si praticava sul corpo. 15 In tal modo, con l'entrata in scena di Skilliman, l'esperimento è passato
alla seconda fase. Si cominciano a ottenere quegli effetti che si speravano all'inizio, vale a dire l'incanalamento delle varie indagini in quell'Apocalisse che noi chiamiamo "ricerca pura". Skilliman è assistito da dodici "quats" (come li chiamiamo qui, con un disprezzo così totale che perfino le vittime devono ammirarlo). Si tratta di studenti o assistenti che hanno accettato volontariamente di ricevere la pallidina. Così tutti conosceranno queste superbe apoteosi di genio, anche noi che ci fermiamo su questo lato del Giordano. Sono lieto da parte mia di essere stato liberato dalla tentazione. Mi chiedo se non avrei ceduto. Sulla sommità della montagna, mentre guardo le distese senza fine di dobloni d'oro, posso ancora sentire la voce del Tentatore: «Tutto questo può essere tuo». Poesia. Punto e basta. 16 E ancora un fatto, uno dei più rari. Sforzandosi di scoprire se esisteva una sola malattia venerea (la gonorrea era allora confusa con la sifilide), Benjamin Bell, uno studioso di Edimburgo, nel 1793 inoculò la malattia ai suoi allievi. Un uomo più cauto, ma non più simpatico di Aurias-Turenne. 17 Un appunto di H.H.: Cosa mai c'è d'importante a proposito di AuriasTurenne? Mi chiede anche cosa voglio dire con la frase «Anche noi che ci fermiamo su questo lato del Giordano». I motivi dell'importanza di Aurias-Turenne e il mio aneddoto sul dottor Bell sembrano motivati, per estensione, dalla stessa urgenza faustiana di abbeverarsi alle Fonti del Sapere a qualsiasi prezzo, cosa che si applica anche al nostro dottor Skilliman di Campo Archimede: il dottor Skilliman, date le sue quasi mille speranze di vedere il paradiso, è pronto a dilapidare il suo bene più importante, la sua vita sulla Terra. E tutto questo unicamente per accrescere il proprio sapere su una condizione patologica: nel caso di A-T, la sifilide; nel caso di Skilliman, il genio. Per quanto riguarda il Giordano, posso indirizzarvi al Deuteronomio (capitolo 34) e a Joshua (capitolo 1).
18 Per quanto riguarda il carattere di Skilliman. Invidia la fama altrui. Non può parlare di persone che ha conosciuto nella sua vita pubblica, senza far trapelare chiaramente il suo risentimento per le loro capacità e i loro successi. I vincitori dei premi Nobel lo fanno andare in bestia. Non riesce più a leggere una sola monografia nel suo campo di ricerca, poiché il pensiero che è stato qualcun altro a scriverla gli risulta insopportabile. Più la sua ammirazione si concentra su qualcosa di valore, più digrigna i denti. Ora che la droga comincia a fare il suo effetto anche su di lui (sono passate sei settimane, più o meno) ci si accorge della crescente emozione che lo attanaglia. La sua gioia è quella di uno scalatore che riesce a valicare le barriere che hanno arrestato i suoi predecessori. Si ha quasi l'impressione di sentirgli dire i nomi: «Lì c'era Van Allen». O «qui ho superato Heisenberg». 19 Il carisma di Skilliman. La nostra, lo vogliamo o no, è l'epoca del lavoro di équipe. Fra una generazione, insiste Skilliman, la cibernetica sarà abbastanza progredita da consentire il ritorno del genio isolato, sempre che riesca a ottenere un finanziamento sufficiente a coprire le spese della falange di computer autoprogrammati che gli saranno indispensabili. A Skilliman gli altri non piacciono, ma poiché sono necessari ai suoi fini, ha imparato a usarli, come anch'io, un tempo, ho appreso con riluttanza a guidare l'automobile. Ho l'impressione che abbia appreso queste tecniche sui rapporti col prossimo da un manuale di psicologia, poiché quando comincia a urlare istericamente con qualcuno dei suoi subordinati, sembra dire a se stesso: "Adesso un po' di rinforzo negativo". E nella stessa maniera, quando loda fa pensare alle carote. La miglior carota che io abbia a disposizione, è semplicemente l'opportunità di parlare con lui. Quando dà spettacolo di pura devastazione, è del tutto inavvicinabile. La sua vera forza però è costituita dall'abilità di accorgersi dei difetti degli altri. Maneggia le sue dodici marionette così bene, perché ha selezionato con cura degli uomini che vogliono essere maneggiati. Ogni dittatore sa che non c'è mai stata scarsità di simili uomini.
20 Si direbbe che la mia influenza su H.H. sia stata più ampia di quanto pensassi. Il suo ultimo memorandum assomiglia a una nota di rigetto di una rivista: «La vostra descrizione di Skilliman non è abbastanza concreta. Com'è fisicamente? Come parla? Che tipo di persona è?» Se non lo conoscessi fin troppo bene, mi verrebbe il sospetto che anche lui abbia preso la pallidina. 21 Com'è, fisicamente? È un individuo che la natura avrebbe voluto magro, e che è grasso suo malgrado. Se non fosse così povero di membra, potrebbe essere descritto molto efficacemente come un ragno, in sostanza, il ventre come un otre e membra cortissime. È calvo, ma coltiva l'inutile vanità di pettinare i lunghi fili sparsi che gli pendono lungo le tempie dopo aver percorso buona parte del suo lucido, desolato cranio. Grossi occhiali ingrandiscono i suoi occhi punteggiati di blu. Rudimentali i lobi delle orecchie, che io mi sorprendo spesso ad osservare, in parte anche perché so che questo lo irrita. Una intrinseca inconsistenza, come se la sua carne fosse fatta per la maggior parte di burro e potesse essere affettata senza arrecare alcun danno al vero, al metallico Skilliman che si nasconde all'interno. Il corpo esala un cattivo odore (lo stesso burro diventato rancido). Una tosse cattiva, da fumatore. Un'unica, eterna pustola sotto il suo mento, che lui chiama "foruncolo". 22 In che modo parla? Fa sentire una leggera, residua inflessione: Texas modificato dalla California. L'inflessione si accentua quando parla con me. Credo che io per lui debba rappresentare la Grande Società dell'Est, la maligna cabala del liberalismo che molto tempo fa respinse la sua domanda d'iscrizione ad Harvard e Swarthmore. Ma voi volete sapere in realtà quello che dice non è vero? Dividerei la sua conversazione in questo modo: A. - Considerazioni che esprimono interesse per la sua ricerca o per quelle altrui. (Esempio: "Dobbiamo sbarazzarci dei vecchi concetti che
portavano al bombardamento indiscriminato dell'individuo. Dobbiamo piuttosto combattere per un concetto più generalizzato di bombardamento, una specie di guaina luminosa. Io l'immagino come una specie di aurora"). B. - Considerazioni che esprimono il suo disprezzo per la bellezza, accompagnate da abbastanza candide ammissioni del suo desiderio di distruggerla, dovunque si trovi. (Il miglior esempio di questo atteggiamento è una citazione che Hans Yost, il capo della gioventù nazista, aveva incisa a fuoco su una targa di legno di pino, dietro la sua scrivania: "Dovunque io oda la parola cultura, tolgo la sicura alla mia Browning!"). C. - Considerazioni che esprimono il disprezzo verso i suoi colleghi e i suoi amici. (Ho già valutato l'opinione di Skilliman su Haast. Perfino dietro la schiena dei suoi più leali quats, egli è pronto a bollarli, oltre a scaraventargli il suo disprezzo in faccia, se non eseguono alla lettera le sue istruzioni. Un giorno quando Schipansky, un giovane programmatore, dichiarò in un momento di stanchezza, dopo aver fallito una prova: «Ho tentato, davvero ho tentato», Skilliman rispose: «Ma non ci sei riuscito, eh?» Un'osservazione abbastanza innocente, ma che nel caso di Schipansky era fin troppo calcolata. Se Skilliman ha un difetto è che, come De Sade, non può resistere alla tentazione di ferire). D. - Considerazioni che esprimono disprezzo e odio per la sua stessa carne, o per quella degli altri, indifferentemente. (Esempio: una sua battuta sull'effetto della pallidina sul "meccanismo somatico di Rube Goldberg". Un esempio migliore: la sua preferenza per il gioco di parole scatologico. Una volta ha tenuto sulle spine tutti i commensali della sala da pranzo pretendendo di non capire più la differenza tra mangiare e cacare). E. - Considerazioni e concetti che sono il frutto di un'intelligenza vasta e indomabile. Anche se cerco di mettere insieme numerosi particolari, non posso usare contro di lui tutto quello che dice. (Per essere giusti, un esempio conclusivo: egli stava cercando di analizzare lo strano fascino esercitato dai laghi, dai serbatoi e dalle superfici d'acqua in genere. Ha osservato che soltanto qui la natura si presenta a noi con uno spettacolo di piani euclidei che si estendono senza limiti apparenti. Rappresentazione di quella sottomissione finale alla legge di gravità che è sempre operante nelle cellule dei nostri tessuti. Da qui, è passato ad osservare che la grande conquista dell'architettura è semplicemente l'impadronirsi del concetto di piano euclideo, rimanendo ai suoi bordi. Un muro è un fenomeno notevole poiché è un corpo d'acqua... in piedi su un lato).
23 Quale specie mai di persona è? Adesso temo, dovrò abbandonare il regno della fattualità. In verità, tutto quello che ho scritto su Skilliman non sono tanto fatti, quanto valutazioni, e anche non molto imparziali. Vi sono poche persone, nella mia vita, che non mi sono piaciute, e Skilliman occupa un posto predominante tra esse. Potrei dire perfino che l'odio, se questo non fosse allo stesso tempo poco cristiano e scortese. Dichiarerò perciò che è un individuo cattivo, e mi fermerò qui. 24 Haast ha risposto: «Non accetto questo». Ma allora, H.H., che cosa vuole? Ho già sprecato più parole soltanto per descrivere quel figlio di puttana, di quante ne abbia usate per parlare di chiunque altro, in questo mio diario. Se voi volete che io drammatizzi i miei incontri, dovrete chiedere a Skilliman che mi permetta di rimanergli accanto più a lungo. Gli sono antipatico, come lui è antipatico a me. A parte i pasti (purtroppo la qualità del cibo è parecchio scaduta), ci incontriamo assai di rado, e ci rivolgiamo la parola con frequenza ancora minore! Vi piacerebbe che scrivessi un intero volume su Skilliman? Avete forse abbandonato la vostra fede nei fatti, per giungere a chiedermi questo? Volete forse un romanzo? 25 Un appunto da H.H.: Va bene. Non ha vergogna di se stesso. Ottimo, ecco allora il romanzo: Skilliman o L'esplosione demografica Un romanzo di Louis Sacchetti Malgrado le bizze del bambino, era riuscito a inserire le sue due piccole gambe negli appositi orifizi praticati nella tela che ricopriva il sedile della macchina. Questo gli ricordava uno di quei difficili problemi in cui biso-
gna far combaciare tanti pezzi di legno, come quelli di solito affidati a uno scimpanzè per misurare l'intelligenza. — Ce ne sono troppi di questi maledetti cosi — mugugnò Skilliman. Mina, che in quel momento si stava infilando nel lato destro della macchina, lo aiutò ad agganciare le cinture di sicurezza al piccolo Bill, il loro quarto figlio. Le cinture s'incrociavano sul tovagliolino e sparivano sotto il sedile, fuori della portata delle sue mani. — Troppi cosa? — s'informò la donna. — Bambini — rispose lui. — Ci sono troppi bambini! — Ma è ovvio — rispose lei. — Stai parlando della Cina, non è vero? Lui sorrise, assaporando le parole della moglie, incinta un'altra volta. Sin dall'inizio Skilliman era stato attratto in modo particolare da lei, a causa dell'assoluta incomprensione per qualsiasi cosa lui le dicesse. Non era soltanto ignorante (anche se era stupendamente ignorante): era piuttosto il suo continuo rifiuto a registrare la sua presenza, o la presenza di qualsiasi altra cosa che non fosse in diretto rapporto col suo bovino conforto del momento. Lui l'aveva definito il suo Io istantaneo. Lui coltivava la speranza che forse, un giorno, lei sarebbe diventata come sua madre a Dachau, la quale era stata svuotata di tutto quello che era specificamente umano: intelligenza, carità, bellezza, voluttà, come se qualcuno le avesse tolto un turacciolo, da qualche parte. L'immortale Frau Kirshmayer. — Chiudi lo sportello — disse. Mina lo chiuse. La Mercury rossa uscì dal garage e un piccolo apparecchio radio progettato da Skilliman irradiò un segnale che chiuse automaticamente la porta dell'autorimessa. Skilliman aveva chiamato Mina questa sua piccola invenzione. Nel momento in cui sbucarono sulla strada principale, la mano di lei si tese automaticamente verso il pulsante della radio. La mano di lui l'afferrò per il polso (percepì la tozza estremità dell'osso): — Non voglio che tu accenda la radio — ringhiò. La mano di lei, appesantita dall'anello con lo zircone che le piaceva ostentare, si ritirò: — Volevo soltanto accendere la radio — spiegò, con dolcezza. — Tu sei un robot — le disse lui, e si curvò attraverso il sedile anteriore per baciarle la soffice guancia. Lei sorrise. Dopo quattro anni in America il suo inglese era ancora così rudimentale, che non capì la parola "robot". — Ho elaborato una teoria — disse lui. — La mia teoria dice che la du-
rata media della vita è così breve non soltanto a causa della guerra, come il governo vuole farci credere. Naturalmente la guerra complica le cose. — Complica...? — fece lei, con voce sognante. Fissava le linee bianche sull'asfalto che sembravano continuamente risucchiate dalla macchina, sempre più veloci, finché non riuscì più a distinguere separatamente i singoli tratti, soltanto una lunga linea continua d'un bianco smorto. Skilliman innestò il pilota automatico, e la macchina accelerò ulteriormente. Si spostò verso la terza corsia, dove le automobili erano più numerose. — No, le medie così basse sono l'inevitabile risultato dell'esplosione demografica. — Oh, Jimmy, non fare un'altra volta quella faccia preoccupata. — La gente pensava che le cose si sarebbero sistemate da sole, naturalmente, che la curva avrebbe assunto una forma a S. — La gente? — chiese Mina in tono depresso — Che gente? — Riesman, per esempio — rispose lui. — Ma tutti si sbagliavano. La curva continua a crescere, a crescere all'ennesima potenza. — Ah — lei fece, provando la netta impressione che lui volesse criticarla. — Quattrocentoventi milioni — continuò lui. — Quattrocentosettanta milioni. Seicentonovanta milioni. Novecento milioni. Due miliardi e mezzo. Cinque miliardi. E adesso, questione di giorni, dieci miliardi. Il grafico sale come un razzo Ranger. "Lavoro d'ufficio" pensò lei. "Vorrei tanto che non se lo portasse a casa tutti i giorni". — È una fottuta iperbole. — Ti prego, Jimmy... Non credo che Baby Bill dovrebbe sentire suo padre parlare così. In tutti i casi, caro, non dovresti preoccuparti troppo. Ho sentito alla televisione che il razionamento dell'acqua cesserà la prossima primavera. — E il razionamento del pesce? E quello dell'acciaio? — Ma non è il nostro problema, vero? — Tu sai sempre cosa dire per farmi sentire meglio. — Si curvò sopra Baby Bill, per baciarlo un'altra volta. Baby Bill cominciò a piangere. — Non puoi farlo smettere? — chiese poco dopo. Mina cominciò a vezzeggiare il piccolo, bisbigliandogli qualcosa sottovoce (era il suo unico maschio, le prime tre erano tutte femmine, Mina, Tina e Despina) e cercò di accarezzare le sue piccole braccia che si agitavano
nell'aria, rivestite di flanella. Infine, desolata, l'obbligò a inghiottire un tranquillante giallo (per bambini fino a due anni). — È semplicemente Malthus — ricominciò lui. — Tu ed io stiamo crescendo in progressione geometrica, mentre le nostre risorse aumentano soltanto con andamento aritmetico. La tecnologia fa quello che può, ma l'animale uomo può fare molto di più. — Ti riferisci ancora a quei bambini in Cina? — domandò lei. — Ma allora stavi ascoltando! — Esclamò lui, sorpreso. — Sai, tutto quello di cui hanno bisogno laggiù è il controllo delle nascite, lo stesso che abbiamo noi. Devono imparare a usare la pillola. E gli invertiti, vogliono legalizzare gli invertiti. L'ho sentito alla radio. Te l'immagini? — Una ventina di anni fa sarebbe stata un'ottima idea — lui le spiegò — ma adesso, secondo il grande computer del MIT niente servirà ad appiattire la curva. Per il 2003 essa toccherà i venti miliardi, non importa cosa potrà accadere nel frattempo. È qui che si applica la mia teoria. Mina sospirò: — Parlami della tua teoria. — Dunque: vi sono due necessità di cui ogni soluzione deve tener conto. La soluzione dev'essere proporzionata al problema, cioè ai dieci miliardi d'individui che esistono adesso. E deve entrare in funzione dovunque, nel medesimo istante. Non c'è più tempo da perdere coi test, come quelle diecimila donne sterilizzate in Austria. Non servono a niente! — Una delle ragazze con le quali andavo a scuola è stata sterilizzata. Lo sapevi? Ilse Strauss. Mi ha detto che non le ha fatto alcun male, e gode... beh, lo sai, proprio allo stesso modo. La sola cosa è... lo sai... non sanguina più. — Non volevi sentire la mia soluzione? — Ho pensato che me l'avessi già detta. — L'idea mi è venuta all'inizio del '60, quando ho sentito suonare una sirena della difesa civile. — Che cos'è una sirena della difesa civile? — Non dirmi che non hai mai sentito una sirena in Germania! — si arrabbiò lui. — Ma sì, certo — rispose lei. — Quand'ero ragazza le suonavo sempre, Jimmy. Pensavo avessi detto che ci saremmo fermati da Mohammed. — Hai così urgente bisogno di un "sundae"? — In quell'ospedale il cibo è talmente rivoltante, che questa è la mia ultima possibilità.
— Oh, d'accordo — lui disse. Riportò l'automobile nella corsia della bassa velocità, disinnestò l'automatico e riprese il controllo manuale. Si diresse verso l'uscita del Passaic Boulevard. La gelateria di Mohammed si trovava in una strada laterale, seminascosta in cima a una collina molto ripida. Era una delle poche cose rimaste com'erano negli ultimi trent'anni, anche se a volte, a causa dei razionamenti, la qualità non era più la stessa. — Portiamo dentro anche il piccolo? — chiese lei. — È felice dov'è — rispose Skilliman. — Non ci fermeremo molto — disse lei. Un gemito le sfuggì mentre usciva dall'automobile, e si appoggiò una mano sul ventre gonfio: — Si sta muovendo di nuovo — bisbigliò. — Ormai non manca più tanto — lui disse. — Chiudi quello sportello, Mina. Mina chiuse lo sportello di destra. Lui gettò un'occhiata al freno a mano e a Baby Bill il quale stava placidamente contemplando il finto volante di plastica che adornava il suo sedile. — Arrivederci, mia piccola vittima — bisbigliò Skilliman al bambino. Stavano aprendo la porta di vetro, quando l'uomo dietro il banco gridò: — La sua automobile, signore, la sua automobile! — Indicò freneticamente con un canovaccio la Mercury che aveva cominciato a muoversi. — Che cosa? — Skilliman finse di non capire. — La sua Mercury! — gridò il banconiere. La Mercury rossa stava accelerando lungo la curva, prima lentamente, seguendo la piccola strada laterale verso il congestionato Passaic Boulevard. Una Dodge la colpì sul davanti, a destra, e cominciò a passarle sopra, una Convair che si trovava dietro la Dodge passò a sinistra, colpendo la parte posteriore della Mercury che sotto i colpi acquistò l'aspetto di una fisarmonica. Skilliman, in piedi fuori della gelateria, disse alla moglie: — È più o meno quello che stavo cercando di dirti. Lei domandò: — Cosa? Lui rispose: — Quando stavo parlando di una soluzione. FINE 26 E senza nessuna possibilità di sfuggirgli, si ritorna sempre a un unico,
singolo fatto: la morte. Oh... se il tempo non fosse un elemento così fluido! Allora la mente potrebbe afferrarlo e tenerlo stretto. L'angelo sarebbe allora costretto a rivelarsi nel suo vero aspetto eterno. Ma in tal senso, nel mezzo di questi momenti faustiani, il dolore prenderebbe il sopravvento e il mio unico desiderio sarebbe quello che il tempo accelerasse di nuovo. E così continua, avanti e indietro, su e giù, dal caldo al freddo, e poi rimbalza. Quanti giorni, od ore, sono passati da quando ho inviato la mia piccola favola ad Haast? Lo ignoro. Mi trovo ancora all'infermeria, mentre scrivo questo, e sto molto male. 27 Il peggior momento l'ho dovuto affrontare subito dopo avere scritto Skilliman. Ho provato una fitta leggera, durante la quale devo avere avuto un attacco di quella che si potrebbe chiamare cecità isterica. Mi sono sempre detto che se fossi diventato cieco avrei finito per suicidarmi. Di che cosa si nutre la mente, se non di luce? La musica è, nel migliore dei casi, una specie di zuppa estetica. Io non sono né Milton né Joyce. Secondo quanto ha scritto una volta Youngerman: The eye is mightier than thw ear; the eye can see, the silly ear, can only hear. E a questo io aggiungerei, pieno di speranza: If one were blind one might find some use for ears; the human mind can do peculiar things, my dears. Ma sono troppo ammalato per pensare, per fare qualsiasi cosa. Mi sembra di sentire la pressione esercitata da ogni mio pensiero contro le suture del mio cranio dolorante. Forse una soluzione potrebbe essere trapanarlo. 28
Sul mio comodino c'è una pila veramente imponente di note di Haast. Scusatemi, H.H., se non ho ancora voglia di leggerle. Passo il tempo a osservare un bicchier d'acqua, la trama del lino delle mie lenzuola, desiderando di vedere la luce del sole. Ah, la sensualità della convalescenza! 29 Quanto ha avuto da ridire Haast su Skilliman o l'esplosione demografica! Ha detto che è offensivo. H.H. ha la vera mentalità di un editore. Il fatto che la mia narrazione sia basata su alcuni dati reali (Skilliman ha sposato effettivamente una studentessa tedesca di nome Mina; sua madre è vissuta a Dachau; essi hanno cinque bambini) serve soltanto ad aggravare la mia colpa agli occhi di Haast. ("Aggravare...?" l'eco sognante di Haast). Tieni bene a mente, mio caro secondino, che sei stato tu a chiedermi questa storia, che la mia intenzione era soltanto quella di ampliare la mia tesi per provare che Skilliman è un individuo cattivo, il peggiore, in verità, che abbia mai conosciuto. Skilliman è alla ricerca del Graal in Armageddon. La sua mancanza di amore lo porterà nei cerchi più bassi dell'inferno dantesco, sotto Flegetonte, sotto il bosco dei suicidi, al di là del girone degli incantatori, proprio nel cuore di Antenora. 30 Haast mi ha fatto visita. Sembra preoccupato per qualcosa che non riesco a capire. Spesso s'interrompe nel mezzo di un discorso qualsiasi, e il suo sguardo si fa vitreo nell'improvviso silenzio, come se per suo tramite tutto si sia trasformato in quell'unico istante in cristallo. Cosa gli è successo? Si sente forse colpevole? No, non sarebbe da Haast. Con tutta probabilità si tratta di un disturbo gastrico. (Mi ricordo di qualcosa che si attribuisce a Eichmann: «Tutta la mia vita ho avuto paura, ma non so di che cosa»). Scherzando, gli ho chiesto se si fosse offerto volontario per la pallidina. Anche se ha cercato di scherzarci sopra, rispondendomi con un'altra battuta, mi sono accorto che l'insinuazione lo ha offeso. Poi mi ha chiesto: — Perché? Do forse l'impressione di essere più intelligente di quanto fossi prima?
— Un poco — ho ammesso. — Non vi piacerebbe essere più intelligente? — No — ha risposto — decisamente no. 31 H.H. mi ha finalmente spiegato le ragioni per cui Aimée Busk non è più associata a Campo Archimede. Non è stato lui a licenziarla, ma è stata lei a tagliare la corda. — Non riesco a capire per quale ragione abbia fatto una cosa simile — si è lamentato. — Quando le era stato comunicato che era stata prescelta per lavorare a questo esperimento, era deliziata. Il suo stipendio era il doppio di quanto avesse mai ricevuto prima, e in più aveva tutte le spese pagate. Mi sono sforzato di spiegargli che una prigione può provocare la claustrofobia non soltanto ai prigionieri, ma anche alle guardie, perché tutti si trovano dietro le stesse sbarre. Haast non ha voluto convincersi. — Ma poteva andare a Denver quando voleva. Ma non l'ha mai voluto. Amava il suo lavoro. È per questo che non ha senso. — Forse non lo amava tanto come voi pensate. Haast emise un sibilo lamentoso: — La segretezza! Tutto quello che abbiamo fatto per rendere questo posto a tenuta stagna, e adesso questo! Dio solo sa cosa vuol fare con le informazioni di cui dispone. Le venderà alla Cina! Vi rendete conto di cosa faranno quei bastardi con la pallidina? Non hanno scrupoli. Non si fermeranno di fronte a niente! — Naturalmente avete cercato di ritrovarla. — Abbiamo provato con tutti i mezzi, l'FBI, la CIA... Tutte le polizie di stato sono in possesso della sua descrizione. E tutte le agenzie private delle maggiori città sono state sguinzagliate sulle sue tracce. — Potreste far trasmettere la sua fotografia alla televisione, pubblicarla sui giornali. Haast scoppiò a ridere istericamente. — Non avete trovato la minima traccia da quando è scomparsa? — Niente. In tre mesi e mezzo, neppure una parola. Non riesco più a dormire, tanto sono preoccupato. Vi rendete conto che quella donna ha in suo potere le sorti dell'intero progetto? Potrebbe mandare tutto a monte. — Be', se si è trattenuta dall'esercitare questo potere per tre mesi e mezzo, c'è una buona possibilità che continui a farlo indefinitamente. Un pen-
siero che dev'essere stato di grande conforto, a suo tempo, per Damocle. — Per chi? — Un greco. Se ne andò rimproverandomi con lo sguardo, per avere usato i greci contro di lui. A che servono i greci, nel mondo d'oggi? Quanto sono vulnerabili coloro che governano questo nostro mondo. Ricordo il viso da cagnolino addomesticato del vecchio Eisenhower, la fragilità di Johnson, tutto sbagliato fin dall'inizio. Oggi sono di un umore tutto particolare. Se non mi fermo, finirò anche per aver pietà del buon re Carlo! E perché no? 32 Mi convinco che le pareti lampeggiano. E il mio respiro è più corto. Non saprei dire, in questi momenti, se sia il mio genio, o la malattia, a prendere il sopravvento su di me. Inevitabili modalità dell'in-visibile! 33 Adesso mi sento meglio. O dovrei dire, abbattuto! Già da molti giorni avevo l'intenzione di mettere insieme un piccolo Museo di Fatti, alla maniera di Ripley. Durante il mio ultimo soggiorno all'infermeria ho manifestato un'improvvisa sete di giornali. Ho accumulato un intero dossier di ritagli, dai quali prelevo a caso questi estratti: 34 Credeteci o no: Il reverendo August Jacks, che si trovava prima a Watts, continua a godere d'un fantasmagorico successo popolare nella zona di Los Angeles. Le reti televisive nazionali rifiutano ancora a Jacks la trasmissione del suo "Indirizzo alla Coscienza di un Bianco", che ha catapultato l'ex pastore evangelico nel mondo della fama nel giro di una sola notte.L'"indirizzo" è letteralmente "incendiario". Il rifiuto non ha tuttavia impedito che la maggior parte della popolazione abbia avuto modo di udire l'"indirizzo", o alla radio, o attraverso le reti televisive locali, non affiliate a quella nazionale. Lo studente del secondo
anno dell'Università del Maryland, che la scorsa settimana ha tentato di appiccare il fuoco alla casa da 90.000 dollari che Jacks possiede a Beverly Hills, ha acconsentito ad accettare un'offerta di aiuto legale da parte dello stesso Jacks, dopo aver ricevuto una visita dell'ex pastore negro nella sua cella, nella prigione della contea di Los Angeles. 35 Questo è un fatto: La Trip-Trap e altre importanti case da gioco di Las Vegas hanno deciso di chiudere tutti i tavoli da poker e black-jack, dando in tal modo conferma alle voci di incredibili rovesci subiti da quei casinò a questi giochi. «Qualsiasi sistema usino» ha dichiarato William Butler, proprietario del TripTrap, «è qualcosa che i nostri croupier non hanno mai dovuto affrontare prima. Ogni vincitore sembra usare un sistema diverso». 36 Strano, dite? Ma vero: Adrienne Leverkuhn, compositrice di musica "hard" della Germania orientale, si è recata ad Aspen, in Colorado, dove si è presentata in tribunale per contestare le accuse sollevate contro di lei da un gruppo di persone le quali sostengono che la prima esecuzione della sua Spacial Fugue il 30 agosto di quest'anno è stata la causa diretta delle lesioni, sia fisiche che mentali, da esse subite. Uno degli ascoltatori, il direttore del festival Richard Sard, ha testimoniato che l'esecuzione gli ha rotto i timpani, causandogli una sordità permanente. 37 Meno di una probabilità su un milione: Will Saunders, uno dei vicepresidenti della Northwest Electronics (si dice che fosse uno dei candidati alla presidenza), ha presentato le dimissioni al consiglio direttivo subito dopo la recente suddivisione delle azioni. Egli ha manifestato l'intenzione di costituire una società in proprio, sulla cui natura non è disposto a pronunciarsi. Non nega, comunque, quanto si afferma nel The Wall Street Journal, e cioè di essere in possesso d'un brevetto che potrebbe costituire la base d'un nuovo cinema olografico.
38 Bizzarrie di questo mondo: L'assassino, o gli assassini, di Alma e Clea Vaizey sono ancora oggi ricercati. La polizia di Minneapolis non ha ancora reso noti alla stampa i particolari di questo bizzarro e rivoltante crimine, e si teme che la lettera aperta spedita a tutti i giornali del paese dall'assassino, in cui egli si vanta di aver compiuto un delitto impossibile, risulti, purtroppo, veritiera. Numerosi scrittori di romanzi polizieschi hanno offerto i propri servigi alla polizia. 39 Ben oltre la fantasia d'uno scrittore: Visto che tre riviste di moda hanno dedicato le copertine delle loro edizioni autunnali ai vestiti-di-luce, detti anche Traje de luces, di Jerry Breen, sia nella versione maschile che in quella femminile, consacrando così una nuova tendenza, il successo di questa novità nel modo di vestire è praticamente assicurato. Il vestito-luce non è altro che una trama trasparente di minuscoli elementi fosforescenti, i quali scintillano perennemente cambiando il loro aspetto complessivo con continue variazioni di luminosità, a seconda dei movimenti di chi li indossa. Alcune funzioni intime possono essere programmate per produrre un momentaneo oscuramento durante il quale chi indossa questi vestiti deve dipendere interamente dalle sue risorse. Il signor Breén in un'intervista che vedrà la luce su Vogue ha dichiarato di essere ben deciso di non muoversi dalla sua casa in Cheyenne, nel Wyoming, dove per tanti anni ha disegnato i modelli per conto della I.W. Lyle, la ditta che confezione i Traje de luces. 40 Vero per quanto improbabile: La S.M.U. ha continuato a vincere, rovesciando così tutte le precedenti previsioni. Ultimamente ha sconfitto la Georgia per 79 a 14. Il quarterback Anthony Strether è stato portato in trionfo dallo stadio attraverso tutta la città, dalla folla in delirio. In questa partita, la quarta della stagione, gli esperti hanno contato in tutto sette varianti "backlash" nel gioco di Strether,
portando il totale delle varianti "backlash" nel repertorio della S.M.U. a ben 31. Nell'ultimo quarto di finale l'allenatore Olding ha mandato in campo una nuova formazione a spargere sale sulle ferite già gravi della Georgia. 41 Potreste mai crederci? Un lavoratore del marmo è stato licenziato su precisa richiesta del Rettore dell'Università di Tulane. Costui infatti aveva scolpito questa epigrafe sul marmo, all'ingresso della nuova biblioteca: THE PEN IS MIGHTIER THAN THE SWORD Il Rettore sostiene che il marmista ha deliberatamente ridotto lo spazio fra la seconda e la terza parola. 42 Sono stato sottoposto a un nuovo esame. Campo A ha finalmente trovato un sostituto dopo la fuga della Busk: Robert (Bobby) Fredgren, un gioviale psicologo industriale di puro stile californiano. Come un cestino di fragole d'agosto, "Bobby" sembra essere fatto di puro sole, abbronzato, radioso e immacolatamente giovane. Con tutta verosimiglianza, è così che Haast immagina se stesso nei suoi sogni. Sarà un piacere vedere quell'abbronzatura stingersi a poco a poco negli antri dello Stige. Ma non è soltanto la sua avvenenza che mi repelle. Piuttosto (e molto di più) le sue maniere, qualcosa di mezzo tra il disc-jockey e il dentista. Come un d-j, egli sorride sempre, chiacchierando soave, disco dopo disco di tremule canzoni scacciapensieri piene di cieli azzurri e torte di sole; come un dentista egli sostiene, anche se urliamo, che in realtà non fa male. La sua disonestà può resistere agli assalti più vigorosi, è quasi eroica. Questo è, per esempio, il colloquio che abbiamo avuto ieri: Bobby: — Ora, quando dico "Via", girate la pagina e risolvete i problemi. "Via". Io: — Mi fa male la testa. Bobby: — Louie, voi non collaborate. Ora, io so che voi potete eseguire facilmente e magnificamente questo test, se vi concentrate un poco.
Io: — Ma mi fa male la testa! Sono malato, bastardo che non sei altro! Non sono obbligato a fare i tuoi maledetti test quando sono così malato. È il regolamento. Bobby: — Ricordate soltanto quello che vi ho detto ieri, Louie, a proposito dei pensieri depressivi. Io: — Voi mi avete detto che sono malato soltanto perché penso di esserlo. Bobby: — Ecco che cominciate a ragionare, adesso! Ora, quando dico "Via", girate la pagina e risolvete i problemi. Okay? — (Con un sorriso alla Pepsodent) — "Via". Io: — Vai a farti fottere. Bobby: (senza togliere gli occhi dal suo cronometro). — Proviamo ancora una volta, va bene? "Via". 43 Bobby abita a Santa Monica e ha due figli, un maschio e una femmina. È molto attivo nelle faccende locali, e ha l'incarico di tesoriere nella sezione provinciale del partito democratico. Politicamente, si considera più che altro un liberale. Ha qualche riserva sull'attuale guerra (pensa che dovremmo accettare l'offerta russa di negoziare la cessazione dei nostri attacchi batteriologici per lo meno per quanto riguarda i cosiddetti "Paesi neutrali") ma pensa che i comunisti siano andati troppo in là. Ha degli splendidi denti. È esattamente il prototipo di Sonnlich nella mia commedia. A volte ho l'inquietante impressione di averlo evocato io stesso alla vita, questo mostro soave. 44 Bobby, uomo d'affari modello, il quale perciò è convinto assertore del lavoro di squadra, ha inventato dei test per le sue cavie che devono essere fatti in tandem. Oggi ho avuto la mia prima esperienza di questa catena intellettuale. Devo confessare che mi ha divertito, sotto un certo aspetto. Bobby era raggiante di piacere, si era immedesimato nella parte di un presentatore televisivo in un programma a quiz, tipo Lascia o raddoppia? Quando uno di noi riusciva a rispondere a qualche domanda particolarmente astrusa, quasi applaudiva: — Bravo Louie, sei forte! Sei tremendo!
Ehi, voi del pubblico, non è tremendo? Povero Schipansky (è con lui che sono stato accoppiato per questi esperimenti), non sembra ricavarne alcun piacere. — Cosa crede che sia? — si è lamentato con me. — Una specie di scimmia da baraccone? Il soprannome di Schipansky, detto tra noi, è "Cita". Le sue sembianze, per sua sfortuna, sono simili a quelle d'uno scimpanzé. 45 Una nuova serie di test con Schipansky. Mi sono reso conto l'altra notte mentre stavo scrivendo 44., come in realtà io desiderassi ardentemente che lo spettacolo a quiz continuasse. Perché mai? Perché, mentre in questo periodo la mia mente è particolarmente attiva (ho cominciato a elaborare dei piani per creare un Museo dei Fatti nel vecchio teatro abbandonato di George; sto componendo alcune interessanti poesie in tedesco; e sto perfino elaborando alcuni argomenti piuttosto complicati per confutare LeviStrauss), perché, dunque, dicevo, voglio restare qui a sprecare del tempo utile, un'ora al giorno, quando mi sentirei spinto a fare ben altro? Non è difficile rispondere: mi sento solo. Posso parlare agli altri soltanto negli intervalli. 46 Oggi, nell'intervallo fra un test e l'altro, ho chiesto a Schipansky quale tipo di lavoro facesse con Skilliman. Mi ha risposto con un intricato discorso tecnologico che probabilmente riteneva incomprensibile per me. Ma io gli ho risposto negli stessi termini, e quasi subito Schipansky ha finito per confidarsi con me. Mi sembra di aver capito, dalle sue parole, che Skilliman sta concentrandosi sulla possibilità di mettere a punto una specie di bomba geologica, qualcosa del tipo che era stato sviluppato accidentalmente nel progetto Mohole, ma su scala molto più grande. Vuole innalzare nuove catene montagnose dalla superficie terrestre. La bramosia faustiana è sempre diretta verso altezze vertiginose. Dopo alcuni istanti di silenzio, durante i quali mi sono limitato a digerire l'informazione ricevuta, ho cominciato a toccare le possibili implicazioni morali di una simile ricerca. Uno studente dispone forse dell'apertura mentale necessaria per essere iniziato ai misteri del cataclisma? Schipansky è
ammutolito, ridotto in uno stato quasi catatonico. Sforzandomi di riparare al mio errore, ho cercato di coinvolgere Bobby nella conversazione, ricordandogli i suoi sentimenti, che mi aveva precedentemente confidato, sulla guerra batteriologica. Una guerra geologica non sarebbe forse molto peggiore e assai più irresponsabile? Ho suggerito. Bobby non poteva dirlo, non era nel suo campo specifico. In ogni caso, noi di Campo A siamo interessati soltanto alla ricerca pura. La moralità ha a che fare con l'applicazione pratica della conoscenza, non con la conoscenza in sé. E ha continuato a lungo sullo stesso tono. Ma Schipansky non è uscito dal suo mutismo. Ho decisamente toccato il tasto sbagliato. Così è finito il test di oggi. Quando Schipansky è uscito dall'ufficio, Bobby si è sfogato su di me, com'è tipico della sua natura. — È stata una cosa terribile da parte vostra — mi ha detto, in tono irritato. — Voi avete sconvolto completamente quel povero ragazzo. — Non è vero. — Sì, è vero. — Oh, fatevi coraggio — gli ho detto, battendogli una mano sulla spalla. — Voi vedete sempre il lato più brutto delle cose. — Lo so — ha risposto, con una smorfia. — Cerco di evitarlo, ma a volte non posso proprio farne a meno. 47 Schipansky si è accostato alla mia tavola riccamente imbandita, durante il pranzo: — Se non vi dispiace...? — Era contrito al punto che se gli avessi risposto di no probabilmente si sarebbe suicidato. — Per niente, Schipansky. La compagnia mi fa sempre piacere, di questi tempi. Voi del nuovo gruppo non siete così gregari come le pecorelle che vi hanno preceduto. — Il che era qualcosa di più di una semplice cortesia. Spesso sono solo durante i pasti. Oggi c'erano altri tre quats al tavolo di Schipansky, ma non hanno fraternizzato, continuando a borbottare cifre mentre finivano la loro complicata pizza. — Voi certo mi disprezzate — cominciò Schipansky, immergendo con fare infelice il cucchiaio nella zuppa di spinaci. — Voi dovete pensare che sono privo di cervello. — Dopo quei test che abbiamo fatto insieme? È poco probabile. — Oh, i test! Sono sempre stato in gamba coi test, non è questo che volevo dire. Ma al college le persone come voi... quelli che studiano arte...
pensano sempre che gli studenti di scienze non abbiano un... — Spinse da parte la zuppa di spinaci con la punta gocciolante del cucchiaio. — Un'anima? Accennò di sì con la testa, gli occhi fissi sulla zuppa. — Ma non è vero, anche noi abbiamo dei sentimenti, gli stessi che hanno gli altri. Soltanto, noi forse non li facciamo vedere apertamente. È facile per qualcuno con la vostra cultura parlare della coscienza e di altre cose del... genere. Nessuno vi offrirà mai 25.000 dollari l'anno, una volta ottenuta la laurea. — A voler essere sincero, conosco molti dei miei compagni di corso, poeti e pittori, che hanno guadagnato due volte quella cifra con la pubblicità, o alla televisione. Oggi, tutti possono prostituirsi. Nel caso peggiore, uno può diventare il capo di qualche sindacato. — Mmm... Cosa state mangiando? — chiese, indicando il mio piatto. — Trota brasata al Pupillin. Chiamò con un cenno un cameriere in uniforme nera: — Una porzione di questo anche per me. — Non avrei mai immaginato che fosse stato il denaro a sedurvi — dissi, versandogli un po' di Chablis. — Grazie, non bevo. No, non credo che sia stato il denaro. — Cosa studiavate in particolare a scuola, Schipansky? Biofisica, vero? Non avete mai amato quanto studiavate soltanto per voi? Trangugiò metà del bicchiere di vino che aveva appena rifiutato: — Sì, più di qualsiasi altra cosa. Più di qualsiasi altra cosa al mondo! A volte, non so, proprio non so, non arrivo a capirlo, ma tutti provano lo stesso. Qualche volta è un sentimento così intenso che io... io... non posso... — Io provo lo stesso con la poesia. Con tutte le arti, in verità, ma soprattutto con la poesia. — E la gente?. — La gente viene dopo. — Anche vostra moglie, se fosse il caso? — Anche me stesso, se fosse il caso. E adesso voi vi stupirete della mia faccia tosta a farvi la predica sulla moralità, dopo che vi ho detto quali siano i miei sentimenti, o i vostri. — Sì. — Perché io sto parlando soltanto di quel sentimento. L'etica si occupa di quello che una persona fa veramente. L'Inferno di Dante è pieno di quelli che amavano le cose belle più di quanto avessero dovuto. Schipansky arrossì. — Scusatemi, signor Sacchetti, ma io non credo in
Dio. — E neppure io. Ma vi ho creduto per un buon periodo della mia vita, e perciò voi mi dovete scusare quando lo uso per le mie metafore. Schipansky borbottò qualcosa. I suoi occhi scintillarono per un attimo quando li alzò dalla tavola per fissarmi. Quindi ritornarono alla trota che il cameriere gli aveva appena messo davanti. Quell'attimo era stato sufficiente a farmi capire che aveva abboccato. Quale carriera ho perso, a non essere diventato un gesuita! A parte la seduzione diretta, non c'è lavoro più appassionante che tentare di convenire il prossimo. Più tardi Sono stato costretto a trascorrere quasi tutta la giornata al buio, ascoltando musica. I miei occhi... ah, come soffro l'inconsistenza di questa mia carne! 48 Oggi, senza neppure annunciare, è venuto nella mia camera oscurata per raccontarmi la storia della sua vita. Mi ha dato l'impressione che lo facesse per la prima volta. Sospetto che nessuno gli avesse mai dimostrato il minimo interesse, prima di me. Ed è una storia scoraggiante, monocroma e lineare, che si potrebbe indovinare dai colori delle cravatte che tiene nel cassetto. Figlio di genitori divorziati. La giovinezza di S. era stata molto incerta e irregolare. Molto raramente era rimasto nella stessa scuola per due anni di seguito. Anche se era molto intelligente, aveva avuto la sfortuna di essere sempre il secondo della sua classe, il secondo in tutto. "Essenzialmente, sono un salutatorian" mi ha detto. Lo spirito di competizione era diventato per lui un'ossessione, che lo costringeva ad arrivare con grandi sforzi dove gli altri erano arrivati facilmente. Per una persona così, l'amicizia è impossibile; sarebbe indispensabile una tregua. Adesso, quando infine ha capito di avere sacrificato la sua giovinezza a falsi idoli, sacrifica ancora ad essi la sua vita. Ha ventiquattro anni, ma possiede l'aspetto dell'eterno adolescente, così comune nell'eterno scienziato: un povero corpo nodoso, un volto pallido, tracce di acne, capelli un po' troppo lunghi per poter essere definiti a spazzola e troppo corti per restare
appiattiti sul cranio. Occhi da uovo bollito, i quali suggeriscono malinconia ma non ispirano simpatia, forse a causa degli occhiali alla McNamara. La brutta abitudine di contrarre le labbra prima di cominciare a parlare. Non stupisce il fatto che si mostri risentito da qualsiasi tentativo di apparire decoroso, un po' come il Savonarola. Forza, bellezza, salute, perfino la simmetria lo offendono. Quando gli altri quats guardano lo sport alla televisione, Schipansky lascia la sala. Tipi come Fredgren, i quali non sono altro che fumo negli occhi, finiscono per scatenare in S. il disprezzo e l'invidia, precipitandolo in uno stato di catatonia, che sembra essere la sua principale reazione ad ogni emozione. (Richiamo, qui, la mia descrizione piena di rancore per Fredgren. Mi chiedo se per caso io non abbia descritto Schipansky o me stesso. Assume sempre più l'aspetto di un incubo di me stesso, di quel particolare aspetto di Louis Sacchetti che Mordecai, fin dal tempo dei nostri primi giorni di scuola, aveva definito "Donovan's Brain"). Esistono forse caratteristiche compensatone? La sua intelligenza, forse. Ma no, per quanto abbia spesso trovato motivo di ridere in quello che dice, è sempre lui, personalmente, la causa del mio riso, qualche volta in modo grossolano, diretto, qualche volta solo indirettamente, cosicché la sua intelligenza risulta deprimente come il suo silenzio. C'è qualcosa di narcisistico in quel suo modo persistente di denigrarsi. Auto-abuso, uno potrebbe definirlo. La tragedia dei tipi come lui è che la loro principale attrazione (per alcuni irresistibile) è il fatto di essere così poco attraenti. Sono le labbra di questi lebbrosi che i santi devono imparare a baciare. 49 Fermate le rotative, ho scoperto una sua caratteristica positiva! Oggi mi ha confessato, quasi fosse vergognoso di ammetterlo: «Mi piace la musica». Era riuscito a raccontarmi l'intera storia della sua vita senza rivelarmi che il suo tempo libero era dedicato a quest'unica passione degna di essere menzionata. Entro i limiti dei suoi gusti, S. è competente (Messiaen, Boulez, Stockhausen, et alii), anche se, come c'era da aspettarsi, tutta la sua esperienza viene da registrazioni: non ha mai assistito a un concerto o un'opera. Schipansky non è un animale socievole! E tuttavia, quando ho ammesso di non conoscere Et expecto resurrectionem mortuorum, ha dato prova di un tremendo spirito missionario, trascinandomi in biblioteca affinché potessi ascoltarla.
E questa musica rappresenta davvero un meraviglioso impiego per le nostre orecchie! Dopo Et expecto ho ascoltato Couleurs de la Cité Celeste, Chronochromie e Sept Haikais. Dove sono stato tutta la mia vita? (A Bayreuth). Messiaen è un punto cruciale della musica, come Joyce lo è stato per la letteratura. Concedetemi almeno di dichiarare questo: oh! (Io sono forse l'autore di questo aforisma: La musica, nel migliore dei casi, è solo una forma di zuppa estetica? Messiaen è un'intera cena di ringraziamento). E intanto, il mio lavorò di conversione continua. S. mi ha detto che Malraux aveva commissionato Et expecto per commemorare i morti di due guerre mondiali, e la coerenza del pezzo è tale che non è agevole discuterne la musica senza parlare anche di ciò che essa commemora. Allo stesso modo della maggior parte dei suoi contemporanei, S. ha verso la storia un atteggiamento di irritata impazienza. Le sterminate assurdità della storia non valgono come esempi. Ma è difficile, specialmente col liquido dorato della pallidina nelle vene, conservare questo atteggiamento da struzzi. 50 Un messaggio di Haast. Vuole vedermi. Ma quando mi sono presentato all'appuntamento, era occupato. Nella sala d'aspetto non c'era nulla d'interessante, a parte un libro di Valéry che ho cominciato a sfogliare. Quasi subito ho notato questo passo, pesantemente sottolineato: Spinto dalla sua ambizione di essere unico, guidato dal suo ardore per l'onnipotenza, l'uomo dalla grande mente ha superato ogni creazione, ogni opera, perfino i suoi disegni più elevati, mentre allo stesso tempo ha abbandonato ogni tenerezza verso se stesso e ogni indulgenza per i suoi desideri più intimi. In un istante egli ha immolato la sua individualità... A questo punto, l'orgoglio ha condotto la sua mente, e qui tutto il suo orgoglio si è consumato... (La mente)... percepisce se stessa come privata di qualcosa, nuda, ridotta alla suprema povertà di una forza senza un oggetto... Egli (il genio) esiste senza istinti, quasi senza immagini; e non ha più uno scopo. Non assomiglia a niente. Sul margine, a fianco di questo passo qualcuno aveva scribacchiato:
Il genio supremo ha finito per non essere più umano. Infine Haast ha potuto ricevermi, e allora gli ho chiesto se sapeva chi poteva aver lasciato quel libro nella sua anticamera, sospettando che potesse trattarsi di Skilliman. Non lo sapeva, ma mi ha consigliato di controllare in biblioteca. L'ho fatto. L'ultimo a prelevare il libro era stato Mordecai. In ritardo ho riconosciuto la sua scrittura. Povero Mordecai! Cosa ci può essere di più terribile, o di più umano, di questo terrore di sentirsi improvvisamente non più parte della specie? La sofferenza... la terribile sofferenza che viene creata in questo luogo. 51 Non c'era nessuna ragione urgente per vedermi: Haast voleva soltanto parlarmi per pochi minuti. A quanto pare, anche Haast si sente solo. Eichmann si sentiva probabilmente solo nel suo ufficio per l'emigrazione ebraica. Mentre lo ascoltavo parlare in tono vago, mi chiedevo se Haast sarebbe vissuto abbastanza a lungo per essere processato per i suoi crimini. Ho cercato d'immaginarlo dentro la spettrale gabbia di vetro di Eichmann. Busk è ancora in libertà. Bene per lei. 52 Schipansky mi ha riferito un aneddoto molto indicativo su Skilliman, che risale a circa sei anni fa, mentre Schipansky frequentava un corso estivo sotto di lui, al MIT, sotto gli auspici della N.S.A. Era, mi disse, un corso di aggiornamento sulla tecnica nucleare. Durante una lezione, Skilliman dimostrò il processo conosciuto nel mestiere come "solleticare la coda del drago". Si tratta, appunto, di avvicinare due blocchi di materiale radioattivo i quali a un certo punto, mai raggiunto, dovrebbero toccare la massa critica. S. ha messo in risalto la gioia prorompente di Skilliman durante il pericoloso esperimento. A un certo punto, come per sbaglio, Skilliman aveva permesso che i due blocchi si avvicinassero più del consentito l'uno all'altro. Il contatore Geiger era divenuto isterico, e l'intera classe si era lanciata verso le uscite di sicurezza, ma le guardie non avevano permesso a nessuno di uscire. Skilliman dichiarò allora pubblicamente che avevano tutti ricevuto una dose fatale di radiazioni. Due stu-
denti svennero sul posto. Ma era tutto uno scherzo: i blocchi non erano mai stati radioattivi e il contatore Geiger era stato truccato. Il brillante scherzetto era stato organizzato con la collaborazione degli psicologi della N.S.A., i quali volevano controllare la reazione degli studenti in una situazione reale di panico. Il che serve ad avvalorare la mia tesi che la psicologia è diventata l'Inquisizione del nostro secolo. Fu una conseguenza di quello scherzo che portò Schipansky a lavorare con Skilliman. Egli aveva superato i test della N.S. A. senza mostrare alcuna traccia di panico, paura o ansietà, niente del tutto, ma soltanto una benevola curiosità per l'esperimento. Soltanto un cadavere avrebbe potuto mostrare una reazione d'indifferenza come la sua. 53 Uno scontro verbale diretto con Swagbelly Spiderman, alla conclusione del quale temo di essere stato sconfitto. Schipansky era venuto a trovarmi nella mia stanza e mi aveva chiesto (ovviamente la curiosità ha preso il sopravvento) per quale ragione ero stato così donchisciottesco nell'insistere per essere imprigionato come comunista, mentre (considerati l'età, il peso, e la mia condizione di uomo sposato) avrei potuto evitare di essere arruolato, senza eccessivi problemi. Non ho mai incontrato una persona la quale, alla prima occasione, non mi abbia interrogato in proposito. (Un inconveniente minore della santità è che involontariamente si diventa accusatore e, nello stesso tempo, la cattiva coscienza di chiunque si incontri). Skilliman è entrato, scortato da Occhi di Roccia e Assiduo. — Spero di disturbare — ha detto, con fare scherzoso. — Niente affatto — ho risposto. — Fate come se foste a casa vostra. Schipansky si è alzato: — Mi spiace, non sapevo che doveste... — Siediti, Cita — lo ha rimbeccato Skilliman. — Non sono venuto per vederti scomparire, ma per parlare sia con te che col tuo nuovo amico. Un simposio. Mr. Haast, il nostro direttore, ha suggerito che dovrei avere a che fare più spesso con questo individuo, che dobbiamo fornire tutte le possibilità ai suoi speciali talenti di osservatore. Ho paura di averlo piuttosto trascurato, di non avergli dato troppo credito. Perché (come tu, Cita, mi hai fatto capire) può essere pericoloso. Ho scosso la testa e le spalle: — Le lodi di Cesare... Schipansky era ancora incerto se sedersi o no: — Bene, in ogni caso non avrete bisogno di me...
— Stranamente, sì. E allora siediti. Schipansky è tornato a sedersi. Le due guardie si sono sistemate simmetricamente ai due lati della porta. Skilliman si è seduto di fronte a me, cosicché l'anima contestata si è trovata tra noi. — Allora, di cosa stavate parlando? 54 Intanto che rivedo nella mente la scena, il mondo delle immediate vicinanze, il mondo della macchina per scrivere, la tavola piena di cartaccia, le pareti rivestite di pergamena, si restringono e si allargano ritmicamente, chiuse per un attimo in un guscio di noce e subito dopo estese all'infinito. Gli occhi mi fanno male; la testa e il pancreas sono sommersi dalla nausea, come se fossero farciti di cibo malsano e tuttavia qualcosa impedisca ad essi di vomitare. Stoico, ma non stoico a sufficienza per non lamentarsi, non abbastanza da non volere un po' di comprensione. Muoviti, Sacchetti, finisci quello che devi fare! (Skilliman stava male, oggi. Le sue mani, di solito così poco eloquenti, erano scosse da un tremito continuo. Il foruncolo sotto il mento gli è diventato di un vivido color porpora, e quando comincia a tossire emana un odore sulfureo, come di scoreggia o maionese andata a male. Gioisce in maniera perversa a questi sintomi di decadenza, come se fossero dei punti a suo favore, nel processo intentato al suo corpo traditore). 55 Il suo monologo: — Venite, venite, fateci la morale, Sacchetti, una simile reticenza non è certo da voi. Diteci per quale ragione è bene essere buoni. Conduceteci con un paradosso sulla strada del cielo o della virtù. No? Un sorriso non è una risposta. Non lo accetto. Non accetto sorrisi, paradossi, virtù, non accetto il cielo. Vadano tutti all'inferno. Ma accetto l'inferno. Almeno è possibile credere nell'inferno. L'inferno è quel famoso buco sanguinante al centro di tutte le cose. Voi mi guardate di sbieco, ma è tutto qui, mio caro amico, chiaro e visibile. Detto con altre parole: L'inferno è la seconda legge della termodinamica, è quell'eterno equilibrio congelato che rende una vita troppo lunga simile a una calamità. Un errore universale, tutte le cose avvinghiate insieme e nessun posto dove andare. E l'inferno è
molto di più: è qualcosa che possiamo fare. Questo infine è il suo fascino. "Voi mi credete poco serio, Sacchetti. Socchiudete le labbra, ma non rispondete. Molto meglio così, non è vero? Perché se voi foste completamente onesto, sareste al mio fianco. Cercate di allontanarla, ma è di fronte a voi, la vittoria di Louie II è prossima. "Oh, sì, ho letto le pagine del vostro diario. Ho dato una occhiata ad alcune sue parti, poco meno di un'ora fa. Dove altro pensate che abbia trovato tutta questa eloquenza? Ci sono parti, in quel diario, che voi dovreste far leggere a Cita, perché possa migliorare quella sua lamentevole personalità. Detto fra noi, ho il dubbio che voi lo disprezziate. Sono le labbra di un lebbroso come voi, ragazzo mio, che i santi come Louis devono imparare a baciare. Dio mio, una metafora così freudiana! "Ma noi siamo tutti umani, non è vero? Perfino Dio è umano, lo hanno scoperto col più vivo dispiacere anche i nostri teologi. Parlaci di Dio, Sacchetti, di quel Dio in cui dici di non credere più! Parlaci dei valori umani e spiegaci la ragione per cui dovremmo farne uso. Sia Cita che il sottoscritto siamo entrambi molto poveri di valori. Io ho un po' la tendenza di considerarli come i canoni dell'architettura, come le leggi dell'economia, altrettanto arbitrari. Questo è il mio problema per quanto riguarda i valori: arbitrari o, ancora peggio, fine a se stessi. Voglio dire, anche a me piace mangiare, ma non c'è ragione per cui il burro di noccioline debba essere elevato alla gloria eterna ed immortale del Partenone, per l'amor di Dio! Voi respingete il burro di noccioline, Sacchetti, lo so, ma siete pronto a sbavare al suono di ben altre campane. Pâté de foie gras, fruite braisée, truffes. Voi preferite i valori francesi, ma il suono è sempre lo stesso, una volta che hanno raggiunto le vostre budella. "Parlatemi, signor Sacchetti. Illustratemi qualche valore permanente. Non è rimasto forse nessun lustrino sul trono di Dio che voi avete respinto? E il potere? La conoscenza? L'amore? Sicuramente ci dev'essere qualcuno nella vecchia Trinità di cui valga la pena parlare? "Confesserò che il concetto di potere è un po' problematico, un po' crudo per noi moralisti. Un po' come Dio nel suo aspetto più paterno, o come una bomba, il potere tende ad essere spietato. Il potere ha bisogno di essere qualificato (e rinforzato) da altri valori. Quali? Louis, perché non parli? "Conoscenza, cosa mi dici della conoscenza? Vedo che non vuoi parlare neppure di questo. Uno finisce per nausearsi anche del gusto di quella mela, vero? "Così, ogni cosa finisce per ridursi a una sola parola: Amore, quel biso-
gno di sentirsi il burro di noccioline di qualcun altro. L'ego non aspetta altro che esplodere appassionatamente oltre i suoi stretti confini per spargersi come una pasta sottile sopra tutti. Osserverete, Sacchetti, che ho parlato in maniera molto generale. Quando si parla di amore, è sempre saggio evitare esempi particolari, poiché questi danno l'impressione di essere fine a se stessi. C'è, per esempio, l'amore che una persona ha per la propria madre, un vero paradigma dell'amore umano, ma uno non vi può pensare senza che le labbra gli si contraggano. Quindi c'è l'amore che uno sente verso la propria moglie, ma neppure questo può sfuggire al concetto di Pavlov della ricompensa. Anche se la ricompensa non è più il burro di noccioline. Ci sono altri amori molto più ampi di questi, ma anche i più nobili, i più altruistici, sembrano avere le loro radici nella nostra natura di essere umani. Pensate all'esaltazione di Teresa dietro le mura del convento, nel momento in cui la Grazia celeste è discesa su di lei. Ah, se Freud non avesse mai scritto i suoi libri, come saremmo stati più felici! Dite qualcosa in difesa dell'amore, Sacchetti, prima che sia troppo tardi. "Valori, questi sono i vostri valori! Nessuno di loro non ha altra ragione di esistere se non per tenerci più solidamente attaccati alla vita, per consentire agli ingranaggi di operare uno con l'altro per portare avanti il giro dei giorni, così caro ad essi: i canali alimentari, il mondo roteante dei giorni e delle notti, il circuito chiuso dell'uovo e della gallina... "Onestamente: non ti piacerebbe sfuggirvi qualche volta?" 56 Ancora il suo monologo: — È meglio che Dio sia morto, finalmente. Era un tale pedante! Alcuni studiosi hanno trovato strano che Milton simpatizzasse con i nemici di Dio e non con Dio stesso. Ma non c'è niente di strano in tutto questo. Anche l'Evangelista molto spesso mostra il suo interesse per l'inferno, piuttosto che per il cielo. L'inferno lo attira chiaramente di più. È talmente più interessante, per non dire importante. L'inferno è molto più vicino ai fatti di quanto noi pensiamo. "Sforziamoci di portare la nostra onestà ancora più in là. L'inferno non è semplicemente preferibile al cielo, è l'unica nozione chiara che abbiamo della vita che ci aspetta dopo la morte (vale a dire, uno scopo per cui lottare), l'unica nozione che la fantasia umana sia stata capace d'immaginare. Gli egiziani, i greci e i romani hanno dato origine alla nostra civiltà popo-
landola con le loro divinità, creando con la loro saggezza un piedistallo per il paradiso. Alcuni ebrei eretici hanno ereditato quella civiltà, cambiando gli dei in demoni, e chiamando il cielo "inferno". Oh, hanno cercato di far finta che esistesse un altro cielo da qualche parte, in soffitta, ma è sempre stato uno stratagemma poco convincente. Ma adesso che noi abbiamo trovato le strade che portano in soffitta, ora che possiamo spaziare dovunque vogliamo, in quel vuoto infinito e spopolato, il gioco è finito, completamente, per quel "cielo". Dubito che il Vaticano riuscirà a sopravvivere fino alla fine del secolo, anche se non si dovrebbe mai sottovalutare il potere dell'ignoranza. Oh, non l'ignoranza del Vaticano, per l'amor del cielo! Loro hanno sempre saputo da che parte girare le carte. "Oh, ho disquisito anche troppo del cielo e di Dio! Nessuno dei due esiste. Quello di cui noi vogliamo sentir parlare adesso è l'inferno con i suoi demoni. Non dell'amore, del potere, della conoscenza, ma dell'impotenza, dell'ignoranza, dell'odio, i tre volti di Satana. La mia franchezza vi sorprende? Pensate che io abbia tradito le mie affermazioni precedenti? Niente affatto. Tutti i valori si mescolano impercettibilmente coi loro opposti. Ogni buon hegeliano lo sa. La guerra è pace, l'ignoranza è forza e la libertà è schiavitù. Aggiungete a questo che l'amore è odio, come Freud ha dimostrato nel modo più esauriente. E per quanto riguarda la conoscenza, è lo scandalo della nostra epoca che la filosofia sia stata ridotta ad una scheletrica epistemologia, e di qui ad una ancora più scarna agnoiologia. Ho forse trovato una parola che non sapevi, Louis?" (Bravo!) "Agnoiologia è la filosofia dell'ignoranza, la filosofia dei filosofi. "E per quanto riguarda l'impotenza, perché non permetto che tu, Cita, dica qualcosa in proposito? Ah, guardalo come arrossisce. Come mi odia, e sapendomi senza aiuto cerca di esprimere il suo odio. Impotente nell'odio come nell'amore. Non arrabbiarti, Cita, in fin dei conti è una radice comune a tutti noi. Alla fine, quando tutte le cose saranno compiute, ogni atomo si ritroverà solo, freddo, immobile, isolato, senza la possibilità di toccare nessun'altra particella, incapace di muoversi, kaputt. "Un destino come questo è davvero così terribile? Quando giungerà quel gran giorno, l'universo sarà molto più ordinato a dir poco. Tutte le cose omogeneizzate, equidistanti, tranquille. Mi ricorda la morte, e per questo mi piace. "Adesso mi sovviene: c'è un valore che ho dimenticato di comprendere nella mia lista: la Morte. Ecco qualcosa che ci aiuta a interrompere il faticoso lavoro quotidiano! Ecco un'esistenza d'oltretomba alla quale non è
difficile credere! "Questo è il valore che si offre a te, Cita, e anche a voi, Sacchetti, se avete il fegato di accettarlo. Morte! Non soltanto la vostra morte individuale è probabilmente insignificante, ma anche una morte di dimensioni universali. Oh, forse non la morte fiammeggiante alla fine del tempo, questo sarebbe chiedere troppo, ma una morte che serva a portare avanti la causa in modo quasi percettibile. "Una fine, Sacchetti, per tutta la merdosa umanità. Cosa ne dici, ragazzo mio, sei pronto ad accettarla? "O magari la mia proposta è troppo improvvisa? Non hai pensato di acquistare una intera raccolta di enciclopedie, per caso? Bene, aspetta un po', lascia che l'idea s'insinui nel tuo cervèllo. Posso ripassare tra una settimana, dopo che ne avrai discusso con tua moglie. "Adesso fammi dire, a mo' di conclusione, che nessuno che possieda un po' di cervello non può non essere conscio di desiderare, in cambio di niente, di esserne fuori una volta per tutte. Esserne fuori completamente. Noi desideriamo, con le eloquenti parole di Freud, di essere morti. O, per citare voi stesso: O pupazzo del male, distruggi, distruggi tutto e tutti. La cosa più eccitante, come voi sapete, è che questo è impossibile. È possibile costruire un'arma potente come Dio. Possiamo far esplodere questo piccolo mondo come facevamo esplodere i pomodori coi petardi. Abbiamo soltanto da ideare le armi e consegnarle ai nostri cari governi. Possiamo fidarci di loro. "Dite che ci aiuterete, dite che ci accorderete almeno il vostro sostegno morale! "Come? Ancora muto? Non è divertente parlarvi, Sacchetti, per niente. Mi chiedo che cosa ti ha tanto attratto in lui, Cita. Ora, se siete pronto, credo che ci sia del lavoro da fare." 57 Insieme sono usciti dalla stanza, seguiti dalle guardie, ma Skilliman non ha potuto resistere ed è ritornato indietro per il colpo di grazia: — Non abbattetevi, Louis, era inevitabile che ne uscissi vincitore, perché, vedete, io ho l'universo al mio fianco. Schipansky non era lì, non avrei voluto sconvolgerlo, perciò mi sono permesso una risposta: — È proprio questo che considero volgare. Mi guardò in un modo che mi diede l'impressione che gli fosse caduta la
cresta, poiché si era abituato al mio continuo silenzio, e improvvisamente non fu più un Satana, ma soltanto un uomo di mezza età, con la sua calvizie, dall'aspetto malaticcio tipico di un amministratore non proprio di prima classe. 58 In fine dei conti, com'è conveniente aver pietà dei nostri nemici! Ci risparmiano lo sforzo, molto più faticoso, di odiarli. Sforzo... È uno sforzo perfino dire che "fa male". 59 Non mi sono ancora ripreso. Mi rimprovero per la mia inefficienza al momento del confronto. Il silenzio, anche se è stato molto utile alla causa di Dio, non è mai stato, dopotutto, la mia difesa e il mio scudo. Mi fa male. Ma cosa avrei potuto rispondere? Skilliman ha osato dire tutto quello che noi temevamo, e perfino Cristo alla fine non ha avuto altra risposta per il suo Tentatore se non "Vattene!" Ahimè, Sacchetti, come ci ricaschi sempre... Imitare Cristo! 60 Sono depresso, desolato. Le acque della malattia stanno salendo in anticamera. Non ci sono più sacchetti di sabbia. Osservo dal tetto della mia casa le strade vuote che aspettano l'inondazione. (Salvami, o Dio: le acque sono penetrate nella mia anima. Sto affondando in una palude profonda, dove non è possibile restare in piedi. Sono sommerso dall'acqua, le onde mi travolgono). Per l'ennesima volta sono all'infermeria e guardo il bicchiere colmo d'acqua. Adesso prendo in continuazione le pillole contro il dolore. Nessuno viene a visitarmi. 61 Ancora più depresso. Sono in grado di leggere soltanto un'ora per volta, prima che i caratteri comincino a violentare i miei occhi. Haast è comparso. (Forse a causa del
lamento del solitario?). Gli ho chiesto se qualcuno poteva leggermi qualcosa. Mi ha detto che ci avrebbe pensato. 62 Milton, adesso dovresti proprio ritornare in vita. O meglio, le tue tre figlie. Povero Assiduo, non può leggere versi, non conosce altre lingue e incespica quando si imbatte in parole troppo lunghe. Alla fine gli ho detto di limitarsi a leggere Wittgenstein. C'è una specie di musica nel contrasto fra il modo perplesso e riluttante in cui legge, e le sillabe sibilanti. La mia edizione viene dagli scaffali di Mordecai ed è piena di appunti di suo pugno. Per una buona metà incomprensibili. 63 Sono migliorato... o no? Non saprei su cosa basarmi per capirlo. Sono in piedi un'altra volta, anche se è stato necessario imbottirmi di pillole. Assiduo, sotto la mia direzione, sta costruendo il Museo dei Fatti, secondo il mio disegno. L'intero apparato dell'Opus Magnum era ancora lì, nel teatro abbandonato. Haast l'ha fatto spostare in un'altra stanza, ma ha insistito che ciò fosse fatto col massimo scrupolo e delicatezza. Le superstizioni non hanno cessato di condizionare le nostre azioni. 64 Addenda: Il reverendo Augustus Jacks è stato costretto a rinviare la sua visita alla Casa Bianca a causa d'una improvvisa malattia, non specificata. 65 Una recente acquisizione: Lee Harwood, il noto poeta anglo-americano, ha cominciato a pubblicare una composizione scritta in una lingua da lui inventata. I linguisti che hanno esaminato questi "neologismi" hanno confermato che questa lingua sostanzialmente non deriva da nessun'altra, né parlata, né scritta. Harwood si sta sforzando di fondare una comunità utopistica alla periferia di Tucson,
Arizona, dove la sua lingua possa essere parlata e una cultura possa essere sviluppata intorno ad essa. Già trecento sottoscrittori di dodici differenti Stati si sono offerti per il progetto. 66 Ho fatto circolare degli inviti. L'inaugurazione del Museo è in programma per le 8 di domattina. Gli inviti non erano indispensabili, poiché Haast mi ha assicurato che tutti sarebbero stati ugualmente presenti domani mattina. 67 Il Museo è stato inaugurato e poi chiuso. C'erano abbastanza testimonianze e il mio scopo è stato raggiunto. Il primo a tirare le conclusioni è stato Skilliman. È scoppiato in un attacco di tosse convulsa di fronte alle fotografie dell'uccisione delle Veizey, che l'assassino (o gli assassini) avevano così premurosamente inviato ai giornali. Quando ha ricuperato il fiato, si è voltato verso di me con rabbia: — Da quanto tempo lo sapevate, Sacchetti? — Niente di tutto questo è segreto, dottore. È apparso tutto sulla stampa. — Naturalmente mi ero assicurato tramite Schipansky che Skilliman non leggesse i giornali. A questo punto, molti quats avevano cominciato a capire. Si sono riuniti intorno a noi, bisbigliando. Haast, nel vedere la scritta a mano sulla parete, si è guardato intorno, alla disperata ricerca di un interprete. Skilliman ha cercato visibilmente di moderare la sua irritazione, tentando di darsi un comportamento più civile. — A che epoca risale il primo di questi ritagli, per favore? — La prima esecuzione di Spacial Fugue di Adrienne Leverkuhn, il 30 agosto. Tuttavia il suo caso è uno dei più problematici. L'ho inserita nella mia mostra perché Aspen è così vicina, e perché lei è sicuramente una lesbica. — Naturalmente! — ha esclamato Skilliman, dando sfogo alla sua rabbia. — Che testa di c---- sono stato! — Anche voi? — ho chiesto cordialmente, ma lui non ha apprezzato la mia battuta. Se fosse stato in rapporti un po' più familiari col suo stesso corpo, penso che mi avrebbe colpito.
— Ehi, voi due, di che cosa state parlando? — ha chiesto Haast, facendosi largo tra i quats. — Cos'è questo? Perché vi scaldate tanto per dei ritagli di giornale? Devo ammettere che si è trattato di un orribile delitto, ma la polizia finirà per catturare l'assassino al più presto. Forse avete scoperto chi è stato? — L'assassino siete voi, H.H. Ho cercato di spiegarlo durante tutti questi mesi. L'assassino di George Wagner, di Mordecai, di Meade, e molto presto il mio assassino. — Stupidaggini, Louis! — Si voltò verso Skilliman per riceverne un sostegno morale: — È impazzito. Tutti diventano matti verso la fine. — In questo caso, tutti lo raggiungeremo presto — lo interruppe Watson, uno dei quats più coraggiosi — perché è fin troppo chiaro che l'intero paese è stato infettato dalla vostra pallidina. — Impossibile! — dichiarò Haast, incrollabile. — Assolutamente impossibile. I nostri servizi di sicurezza sono... — Improvvisamente, anche Haast fu folgorato dall'intuizione: — Lei? — Proprio lei — risposi. — Aimée Busk. Sì, al di là di ogni dubbio, lei. Scoppiò a ridere, nervosamente: — Non il vecchio Sigfrido? Non state cercando di dirmi che qualcuno è riuscito ad arrivare al suo cherry? Non fatemi ridere! — Se non al suo cherry — ribatté Skilliman — allora sembrerebbe che la linea Sigfrido sia stata assalita sul fianco e sfondata sul retro. La fitta rete di rughe sul viso di Haast si concentrò in una fitta trama di stupore. Che si trasformò in disgusto quando afferrò il significato di queste parole: — Ma chi avrebbe mai... voglio dire... Diedi una scrollata di spalle: — Ognuno di noi potrebbe averlo fatto, immagino. Tutti noi abbiamo avuto delle sedute private nei suoi uffici. Posso garantirvi che non sono stato io. È più probabile che sia stato Mordecai. Se ricordate, l'eroina della sua storia era modellata sulla figura del buon dottore. Inoltre c'era un fugace accenno, nella sua storia, che l'eroina, Lucrezia, era stata appunto buggerata in quel modo... anche se devo ammettere che questo sospetto mi è venuto soltanto a posteriori... — Ah, quel figlio di puttana! Ho avuto fiducia come in un figlio in quel culo-nero-bastardo! 68 C'è voluto del tempo perché Haast si accorgesse che c'era molto di più di
un semplice tradimento personale in tutto questo. Nel frattempo, Skilliman ha continuato a mormorare, soppesando le conseguenze. Sono convinto che la sua prima e più forte reazione è stata quella di sentirsi anche lui buggerato: voleva a tutti i costi essere lui quello che avrebbe messo la parola fine alla nostra Terra. 69 Una precisa richiesta da Haast di essere preciso. Gli ho dato il mio libretto di appunti con i miei calcoli sulle diverse possibilità di diffusione dell'epidemia. Nell'ipotesi che Busk abbia dato inizio alle sue avventure subito dopo aver lasciato il Campo (22 giugno), si può calcolare che i primi frutti della sua semina abbiano cominciato ad apparire verso la metà o la fine di agosto. I miei calcoli sull'estendersi dell'infezione sono basati sull'ultima edizione del Kinsey, e perciò sono probabilmente sbagliati, in quanto troppo ottimisti. Il fatto che la promiscuità (e le malattie veneree) siano più comuni tra gli omosessuali può avere solo accelerato il processo, specialmente durante i primi stadi, quando una rapida disseminazione è cruciale. I fatti del mio Museo mostravano una preponderanza d'indicazioni in quelle aree dove l'omosessualità è più diffusa: arti, sport, moda, religione e delitti sessuali. Un paio di mesi, non più, e una percentuale fra il 35 e il 55 della popolazione adulta sarà sulla via della più travolgente genialità. A meno che il governo non renda subito noti tutti i particolari del caso. Allarmi meno specifici, con generici accenni alle malattie veneree, non avranno nessun effetto, come non l'hanno avuto trent'anni di film d'istruzione militare. Anzi, l'effetto sarebbe ancora minore, poiché oggi abbiamo riposto la nostra fede più sulla penicillina che sui preservativi. La penicillina, triste a dirlo, non ha alcun effetto sulla pallidina. 70 Penso che Haast, ormai, si sia reso conto di tutto questo. Soltanto rivelando il pericolo si può sperare di ottenere qualche risultato. Già adesso, secondo i miei grafici, almeno il cinquanta per cento delle prostitute professioniste si sono beccate l'infezione. L'epidemia avanzerà adesso in progressione geometrica.
71 I miei ritorni all'infermeria a intervalli sempre più frequenti. Il cervello, nel frattempo, prosegue per conto suo. — Di cosa stavo parlando? Ah, sì... Sto divertendomi a speculare su chi possa avere iniziato un romanzo d'amore così improbabile... e perché. Mordecai? E lo avrebbe forse fatto per dispetto, come un'ultima possibilità per rivoltare la schiena alla Grande Puttana Bianca d'America? O forse aveva intuito la reazione di Busk e perciò la sua vendetta era stata molto più universale? E la stessa Busk, per quale ragione avrebbe invitato la piccola sporca spirocheta? Forse qualche pezzo di lei (il suo culo, per esempio) aveva aspettato tutti questi anni il giorno in cui qualche bel negrone l'avrebbe rotto? O forse era stata molto più lungimirante? Era stato forse Mordecai lo strumento necessario, una specie di mediatore fra la desiderata malattia e il suo sangue? Sicuramente c'era qualche elemento faustiano nel suo atto di sottomissione. Forse aveva progettato fin da allora di fuggire da Campo Archimede col suo dono prometeico? Forse Pandora aveva accettato la scatola dallo sconosciuto, così da poterla aprire nell'istante in cui egli l'avrebbe lasciata? Vi aspetto di nuovo su questa lunghezza d'onda la prossima settimana. 72 Per tutta la giornata di ieri non sono riuscito a vedere Haast. Questa mattina si è ancora rifiutato di vedermi. Non c'era nessun indizio alla televisione (niente di nuovo alla Casa Bianca, niente sobbalzi a Wall Street, niente voci che indichino la verità) che si stia preparando un annuncio. Forse il governo non si è ancora reso conto che una notizia del genere non può subire ritardi? Con un 30 per cento di perdite tra i civili, una società industriale non può continuare a funzionare in maniera coerente. E questo non è certo il pericolo più grave. Pensate all'impeto sconvolgente di tutte quelle intelligenze, libere di agire senza controllo. Già si notano delle sfasature nelle grandi istituzioni. Ho, ad esempio, grossi dubbi che il nostro sistema universitario sopravviverà. (O forse sono ottimista?) Le religioni stanno già galoppando in tutte le direzioni (esempio: Jacks).
I cattolici dovrebbero essere per lo meno capaci di mantenere unite le loro file di sacerdoti, grazie al celibato. E altrove? Sono proprio le persone più necessarie a mantenere la stabilità che sono le più esposte all'infezione: le industrie delle comunicazioni, la legge, i governi, la medicina, le scuole. Ma sì, sarà davvero un crollo spettacolare! 73 La mia luce si è spenta; ora comincia la lunga attesa. Assiduo sta diventando rude con me, ora è costretto a prestarmi dei servizi fuori del normale. Esito parecchio a mettere alla prova la sua buona volontà con nuove richieste. Braille? Ma le mie mani tremano. Rimane sempre la visione della memoria. Le mie passeggiate tra le colline della Svizzera (più belle in realtà delle montagne), il giorno che passai tra le rocce con Andrée alla ricerca di agate e conchiglie, il suo sorriso e tutte le cose ancora viventi e radianti d'ogni giorno. 74 Laforgue come ha scritto: Ah, que la vie est quotidienne! Eppure è proprio questa la bellezza della vita. 75 La memoria è anche musica (dev'esserlo, dopotutto la musica è la madre delle muse), la musica che abbiamo sentito e quella che non abbiamo mai sentito. Quella che non abbiamo mai sentito è molto più dolce. Mentre giaccio sul mio letto, al buio, bisbiglio: Brightnee fall from the air; Queens have died young and fairs; Dust hath closed Helen's eye. I am sick, I must die. Lord, have mercy on us!
76 Davvero, non l'ho detto? Non con molte parole. E neppure con una sola parola: cieco. 77 Lentamente sto battendo a macchina, con la mente che vaga altrove. I testi della mia macchina hanno le lettere in rilievo per permettermi di continuare questa mia registrazione. E forse farei meglio a confessarlo, questo mio diario mi appassiona. Mi sento talmente solo che trovo conforto nel continuarlo. 78 Non ho più ricevuto visite da Haast, e né le guardie né i dottori sanno dirmi se si farà qualcosa per evitare un'epidemia su grande scala. Assiduo mi ha detto che la radio e la televisione sono state ora proibite nell'infermeria. Per cause di forza maggiore, devo credergli. 79 Non potrei dire in nessun modo se mi stia guardando. Se lo fa, probabilmente non riuscirò a finire questo paragrafo. Poiché, sia pure a distanza, Assiduo è pronto a simpatizzare e ad ascoltare le lamentele, egli ha finito per diventare il mio torturatore. Ogni giorno spinge la sua crudeltà un po' più in là, con lo spirito dello sperimentatore. Dapprima ho cercato di frequentare qualche luogo pubblico, la biblioteca, la sala da pranzo, ecc, ma ormai è chiaro, dalle risate attutite, dalle forchette che mancano, dalle insinuazioni, che questo è servito soltanto a dargli un ulteriore incentivo. Oggi, mentre mi stavo sedendo a bere la mia tazza di tè mattutina, Assiduo mi ha tolto la sedia. C'è stata una sonora risata. Penso che la mia schiena ne abbia sofferto. Mi sono lamentato con i dottori, ma la paura li ha trasformati in tanti automi. Si sono fatti una regola di non parlarmi mai, fuorché per chiedermi i sintomi della mia malattia. Tutte le volte che domando di vedere Haast, mi rispondono sempre che è occupato. Le guardie, accorgendosi che non ho più alcuna importanza nel-
l'esperimento, ascoltano Skilliman che si burla di me apertamente, a causa della mia impossibilità di difendermi. Mi chiama Sansone e tira i miei capelli. Sapendo che non sono più capace di trattenere in corpo quello che mangio, mi chiede: — Quale tipo di merda credi di mangiare, adesso, Sansone? Quale razza di merda hanno messo nel tuo piatto? Assiduo dev'essere fuori dalla stanza, oppure non sta leggendo quello che scrivo. Ho passato la maggior parte della giornata componendo poesie in francese, per farlo andar via. Ho già scritto queste mie lamentele in altre lingue, ma non c'è stata nessuna risposta. Devo pensare che Haast non si cura più di far tradurre quanto scrivo? Oppure che la mia sorte non gli interessa più. Curioso, come Haast abbia finito per sembrarmi addirittura un amico. 80 Oggi Schipansky è venuto a farmi visita portando con sé altri due quats, Watson e Quire. Anche se niente è stato detto in merito, era fin troppo chiaro che il mio silenzio ha trionfato. (Dandogli abbastanza corda, si può sempre sperare che il Demonio finisca per impiccarsi). L'altro ieri, e anche ieri, avevano detto a Schipansky che ero troppo malato per poterlo vedere. È riuscito a passare senza essere bloccato dalle guardie soltanto dopo avere chiesto l'aiuto di Fredgren e minacciando di scioperare. Skilliman mi ha dichiarato off-limits. Per ottenere che Schipansky potesse visitarmi, Fredgren ha dovuto appellarsi ad Haast, saltando Skilliman. Questa visita, pur essendo la benvenuta, è servita soprattutto a ricordarmi come io stia diventando sempre più estraneo e lontano. Si sono seduti intorno al mio letto, in silenzio, e mormorando delle banalità, come se fossi un loro genitore morente al quale non si può dire nulla e dal quale non ci si può aspettare nulla. 81 Non ho osato chieder loro la data, mentre erano qui. Ho perso il conto dei giorni. Non so quanto ancora legittimamente io possa aspettarmi. Non voglio saperlo. La mia miseria è tale che spero sia presto, piuttosto che tardi.
82 Mi sento un po' meglio. Non molto, comunque. Schipansky è venuto con una nuova registrazione della Chronochromie di Messiaen, dovuta a Sarch. Mentre l'ascoltavo, ho potuto sentire gli ingranaggi della mia mente cominciare a muoversi lentamente verso la realtà. Schipansky non ha detto neppure cinque parole per tutto il tempo. Cieco come sono, ho così poche indicazioni per interpretare un silenzio. 83 Non mi fa visita soltanto Schipanski. Assiduo, anche se ho rinunciato al suo servizio, continua con i suoi scherzi, principalmente durante i pasti. Ho imparato a riconoscere i suoi passi. Schipanski mi ha garantito che Haast ha promesso di tenerlo d'occhio, ma come si fa, dopotutto, a salvaguardare una persona dai suoi guardiani? 84 Spesso, dopo una iniezione contro il dolore, c'è un momento in cui mi sembra di squarciare il velo dell'apparenza. Più tardi, ritornando al mondo della realtà, contemplo le pepite che ho portato con me da quelle infinite distese, e mi accorgo che sono di oro matto. Non chiedetemi chi sto prendendo in giro, sto prendendo in giro me stesso. Dolore... perché la mente, anche adesso, è soltanto una vasca di sostanze chimiche, i suoi momenti di verità unicamente una fase del suo processo di ossidazione. 85 Sono ancora perseguitato da Thomas Nashe. Continuo a recitare i suoi versi come grani di un rosario: Physic himself must fade; All things to end are made; The plague full swift goes by; I am sick, i must die.
Lord, have mercy on us! 86 Schipansky, Watson, Quire e un nuovo adepto, Berness, hanno trascorso la giornata accanto a me, dandosi il cambio. E anche se lo negano, sfidando gli ordini precisi di Skilliman. Per quasi tutto il tempo si occupano delle cose che li interessano, ma a volte mi parlano e leggono qualcosa. Watson mi ha chiesto se, nella mia situazione di vantaggio intellettuale, qualora mi fosse data nuovamente una scelta, propenderei ancora per il comunismo. Non sono riuscito a pronunciarmi, e questo, penso, vuol dire che lo farei ancora. Quante cose facciamo, soltanto per sembrare consistenti! 87 Infine, Schipansky è riuscito a superare quel terrore che gli impediva di confidarsi con me. Fin dalla sera in cui Skilliman ci aveva interrotto, Schipansky si è impegnato in un dialogo alquanto sbilanciato tra se stesso, le eloquenti Forze del Male e le reticenti Forze del Bene. — Ho continuato a dire a me stesso che dovevo trovare una ragione. Ma le ragioni devono sempre essere in coppia, pro e contro, tesi e antitesi, in modo da potersi affrontare perfettamente. Alla fine è stata una considerazione completamente irrazionale a convincermi. Stavo ascoltando Vichers nell'aria del cacciatore, in Die Frau ohne Schatten, e ho pensato: se io riuscissi a cantare così! Penso che sia impossibile, è ovvio, considerando la mia età e tutto il resto. Ma io l'ho desiderato davvero, come non ho mai desiderato nessun'altra cosa prima di allora. E dev'essere stato proprio quello che aspettavo, perché dopo non c'è più stato alcun dilemma. "Se uscirò di qui un giorno, se non dovrò morire, è quello che farò. Studierò l'uso migliore per la mia voce. La consapevolezza di questa decisione mi ha fatto sentire grande. Ora voglio vivere, e il brutto è che non potrò farlo." — Cosa intendete fare per tutto il tempo che dovrete ancora passare qui? — gli ho chiesto. — Ho cominciato a studiare medicina. Ho già inghiottito una discreta quantità di biologia. Non è difficile. Tutto quello che si fa nelle scuole di medicina qui non ha importanza. — E Watson? E Quire, Berness?
— Il progetto è stato all'inizio di Watson. Lui ha l'abilità, che gli invidio, di credere che quello che sta facendo in qualsiasi momento è l'unica cosa logica e morale che va fatta. Skilliman non è riuscito a trascinarlo dalla sua, ed è proprio questa sua testardaggine che è stata di aiuto a tutti noi. Inoltre, adesso siamo in quattro, cinque con voi... È più facile non lasciarsi impressionare da quello che dice, dalle sue continue minacce. — Pensate che ci sia una possibilità? Alcuni istanti di silenzio, e poi: — Mi dispiace, signor Sacchetti, ho dimenticato che voi non potete vedere e ho scosso la testa. No, non molte possibilità. Per trovare una cura dovremo sempre ricorrere al sistema della prova e dell'errore. Ci vogliono tempo, soldi e attrezzature. Ma più di ogni altra cosa, tempo. 88 H.H. mi ha confidato che i dirigenti della sua nefasta organizzazione si rifiutano di ammettere l'esistenza di un'epidemia. Molti dottori che hanno scoperto indipendentemente le spirochete sono stati pagati per stare zitti, o convinti in maniera meno diplomatica. Nel frattempo, le pagine dei giornali diventano ogni giorno più bizzarre. Un'altra ondata di super-assassini ha colpito Dallas e Fort Worth. In una sola settimana vi sono state tre rapine in altrettanti musei, e il consiglio comunale di Kansas City ha assunto Andy Warhol come assessore per i parchi. In verità, bisogna dire che il mondo è alla fine. Non a causa del ghiaccio o del fuoco, ma a causa della forza centrifuga. 89 Un attacco. La paralisi ha bloccato la mia mano destra. Sto battendo questa pagina col mio indice sinistro, un'impresa assai laboriosa. Per buona parte del tempo contemplo l'immensità del buio che mi circonda, oppure apostrofo, alla maniera di Milton, la luce benedetta. 90 I canti, quelli di Nashe o i miei, non mi consolano, ora, più di Muzak. Anche i pensieri più elevati, quasi trapassati dall'agonia, precipitano al suolo fracassando i rami degli alberi. Il cacciatore si avvicina, la preda non
è ancora morta, non proprio. Un'ala si alza, ricade intorpidita e si rialza di nuovo. Non è ancora morta, non proprio. 91 La corruzione dilaga sulla pelle. I polmoni faticano e lo stomaco secerne gli acidi sbagliati. Ogni pasto è nauseante, ho perso 15 chili. Preferisco non camminare. Il battito del mio cuore è erratico. Il parlare mi fa soffrire. Ma, nonostante tutto, ho ancora paura dell'oscurità, di quella scatola buia. 92 Oh, se soltanto fossi un bozzolo! Se soltanto si potesse prestar fede alle vecchie metafore! Se durante questi ultimi giorni potessi diventare un po' più stupido! 93 Skilliman è corso fuori a chiamare le guardie, mentre Quire è corso a cercare Haast. C'è stato una specie di confronto di cui io faccio una breve relazione: Schipansky con i suoi tre amici è venuto al mio capezzale, e con loro c'erano altri due quats. Con questi ultimi due al nostro fianco, gli assistenti di Skilliman erano ormai divisi in due parti uguali, sei contro sei. La conversazione come sempre si è concentrata sulla possibilità di una cura. Oggi dobbiamo aver raggiunto la massa critica, poiché siamo usciti dalle solite soluzioni ispirate alla scienza medica. Fra la dozzina e più di possibili concetti discussi, ce ne potrebbe essere almeno uno capace di fornire una risposta al problema! Questo era basato anche sui disperati ragionamenti di Mordecai e sui suoi progetti alchemici. Abbiamo discusso di studi sul meccanismo delle onde cerebrali e sulle possibilità di registrarle e d'immagazzinarle; dello Yoga e di altri metodi di animazione sospesa, come l'ibernazione, finché non sia stata trovata una cura; e addirittura di viaggi nel tempo e di un equivalente viaggio tra le stelle, allo stesso scopo, e cioè un ritorno in un mondo che, in senso non relativistico, si trovasse nel futuro. Schipansky ha addirittura avanzato la proposta di compiere uno sforzo collettivo per sollecitare una risposta da Dio, poiché, dopotutto, noi stiamo
cercando un miracolo. Il calvo Berness ha suggerito la fuga (!!!!), ma io ho prontamente sollevato l'obiezione che esistono così poche probabilità di agire con un certo margine di segretezza, che un simile progetto potrebbe essere portato a compimento soltanto se le guardie se ne accorgessero fin dall'inizio ma si rifiutassero di prenderlo sul serio. Il tempo sta per finire. Che peccato, volevo arrivare a 100. 94 Chi devo temere, se Dio è la mia luce e la mia salvezza? Dio è la forza della mia vita, perfino i miei nemici mi sono balzati sopra per cibarsi della mia carne, ma sono inciampati e caduti. Anche se un nemico fosse pronto a uscire dal suo accampamento per attaccarmi, il mio cuore non lo teme; anche se mi muoveranno guerra, li affronterò con fiducia. Questo ho chiesto a Dio, qualcosa che ho cercato a lungo: che io possa restare nella casa di Dio per tutti i giorni della mia vita, per ammirare la bellezza di Dio ed esplorare il suo tempio. Sono magnificamente, selvaggiamente, semplicemente, contro ogni aspettativa, felice! Sono travolto dalla gioia, come se un gigantesco rullo mi abbia schiacciato di felicità. Posso vedere, il mio corpo è completo. La mia vita mi è stata restituita, il caro amato mondo, la mia casa non esploderà in un Armageddon senza una sola possibilità di rifiutare il proprio destino! Temo che ora dovrò fornire una spiegazione. Ma ora voglio soltanto cantare! Ordine, Sacchetti, ordine! Un inizio, un corpo centrale, e una fine. Il paragrafo 93, più sopra, cominciava con l'irruzione di Skilliman nell'infermeria, accompagnato da un buon numero di guardie, tra le quali Assiduo. — Ottimamente, mie piccole facce pustolose, è tempo che ve ne andiate. Il signor Sacchetti è troppo malato per ricevere visite. — Spiacente, dottore, ma noi restiamo. Abbiamo il permesso del signor Haast, dovreste saperlo. — Era stato Schipansky a parlare con voce tremula. — Voi sei... dov'è Quire? O uscite da quella porta con le vostre gambe, e subito, o se lo desiderate uscirete uno alla volta, trascinati via dalle guar-
die. Ho espressamente chiesto alle guardie di usare tutte quelle piccole brutalità che in coscienza ritengano necessarie. Qualcuno tolga quella mano disgustosa dalla macchina per scrivere! Fu Assiduo, come era da aspettarsi, ad occuparsi di questo. Cercavo di allontanare la mia mano dalla macchina per scrivere con tutta calma, ma Assiduo doveva trovarsi molto vicino a me (le guardie probabilmente si erano già sparpagliate per la stanza) perché riuscì ad afferrarmi per il polso destro e a trascinarmi via dalla sedia, torcendomi il braccio con gioia selvaggia. (Emise anche un mugolio compiaciuto). Il dolore fu lancinante per parecchi minuti, e non mi lasciò fino alla fine. — Grazie — disse Skilliman. — E ora, signori, per dimostrare... L'arrivo di Haast, insieme a Quire, gli troncò le parole in bocca. H.H. disse, in tono interrogativo: — Mi hanno detto che... — Grazie al cielo siete arrivato, Generale! — esplose Skilliman, improvvisando in qualche modo un tono freddo e distaccato. — Ancora qualche minuto e vi sareste trovato tra le mani un ammutinamento. La prima cosa che dovete fare, prima di parlare con me, è rispedire immediatamente questi giovanotti nelle loro camere. I sei quats lo interruppero con grida di protesta e spiegazioni confuse, ma la voce acuta di Skilliman riuscì a dominare la momentanea turbolenza: — Generale, vi avverto che se non allontanerete questi giovani cospiratori l'uno dall'altro, la sicurezza di Campo Archimede sarà posta in grave pericolo. Se ci tenete al vostro buon nome e alla vostra carriera, seguite il mio consiglio! Haast si limitò a un unico, ambiguo brontolio, ma doveva averlo accompagnato con un cenno alle guardie, perché obbedissero a Skilliman. I quats furono trasportati, tra mille proteste, fuori della stanza. — Penso — cominciò Haast — che voi stiate facendo una montagna di un granello di sabbia. — Si fermò, forse con l'impressione di aver detto qualcosa di sbagliato, come per capire di cosa si trattasse. — Posso suggerire, Generale, che prima di discutere ulteriormente di questa faccenda, voi affidiate Sacchetti al personale medico? Ci sono delle cose che non voglio... che non deve ascoltare. — No! Haast, lui ha delle ragioni ben precise per chiedere questo! Liquidiamo la mia sorte qui, subito, in mia presenza, o il discorso sarebbe inutile. Io sospetto di lui. — Lasciamo perdere quello che lui sospetta! È la sicurezza di questo
luogo che è in gioco. O, se proprio è necessario, lasciate pure che questo cadavere faccia a modo suo, e fatelo venire con noi, di sopra. — Sopra dove? — chiese Haast. — Sopra. Mi avete dato il permesso di salire lassù abbastanza spesso, prima d'ora. Perché esitate, adesso? — Esitare? Io non esito! Soltanto... non capisco. — Non voglio discutere la faccenda in questo luogo! (Anche adesso non sono sicuro di quali fossero le intenzioni di Skilliman, e perché avesse tanto insistito su questo punto, che doveva rivelarsi decisivo anche se in maniera del tutto imprevedibile. Perché, sicuramente, era imprevedibile. Era forse convinto che se avesse ottenuto quello che voleva in questa occasione, avrebbe potuto ottenerlo sempre, anche dopo, in qualsiasi altro caso?). — D'accordo — acconsentì Haast, e il tono accondiscendente della sua voce rivelò la sua età e la stanchezza. Si rivolse alle guardie : — Aiutate il signor Sacchetti a venire con noi, trovategli un cappotto o delle coperte, fa freddo lassù. Questo viaggio fu più lungo di tutti gli altri messi insieme compiuti con i nostri ascensori. Noi sei (Assiduo e altre due guardie erano venuti con noi per impedire la mia fuga) rimanemmo in completo silenzio per tutta la salita, a parte un leggero crepitio nelle orecchie. Una volta fuori dalla gabbia dell'ascensore, Haast disse: — E adesso voi dovete veramente smettere di fare il misterioso e spiegarmi cos'è questa faccenda. Cosa ha fatto Louis di così terribile? — Ha cercato di organizzare una rivolta e ci è quasi riuscito. Ma non è qui che desideravo venire. Saremo più al sicuro... fuori. Le guardie mi agguantarono, le mani sotto le ascelle, attraversammo un pavimento completamente nudo, una porta, un'altra, sentii un soffio sul mio viso... come il respiro dell'amata creduta morta. Inciampai nel discendere tre gradini. Le guardie, poi, lasciarono la presa. Aria! E sotto i miei piedi, qualcosa di molle, cedevole, non l'economico, euclideo cemento armato, ma la strana, insolita sensazione della terra, come un tessuto dai colori variati. Non saprei esattamente descrivere cosa feci in quel momento, se piansi a dirotto o se le lagrime siano discese in silenzio dai miei occhi spenti, o per quanto tempo abbia premuto il mio viso contro la roccia gelida. Ero fuori di me. Provai in tutto me stesso una tale felicità quale non avevo mai provato in tutta la mia vita: questa era l'aria vera, l'au-
tentica roccia di un mondo dal quale ero stato strappato molti mesi prima. Probabilmente stavano parlando da qualche minuto. Non saprei precisare, ora, se sia stato il grido di Haast ("Cosa?") che mi ha ricondotto alla realtà, o il freddo intenso, o semplicemente la consapevolezza del pericolo in cui mi trovavo. — Uccidetelo — aveva detto Skilliman, in tono neutro. — Ora non potete chiedermi di essere più chiaro. — Uccidere... lui? — Mentre sta cercando di fuggire. Vedete? La sua schiena è rivolta verso di noi, ha perduto le coperte nella fuga. Voi siete stato obbligato a sparargli. È una scena assolutamente in regola con la tradizione. Haast deve aver mostrato un'ulteriore riluttanza, perché Skilliman ha continuato a insistere: — Uccidetelo, dovete farlo. Vi ho fatto constatare, logicamente, come la sua continua presenza a Campo Archimede abbia un'unica conseguenza. La sua intelligenza, in continuo aumento, farà sì che molto presto nessuno di noi riuscirà più a capire cosa abbia in mente di fare, quale diabolica tela stia tessendo intorno a tutti noi. Vi ho riferito cosa stava dicendo ai ragazzi, oggi? Parlava di fuggire. Diceva che doveva essere una fuga organizzata in modo tale da riuscire anche se noi avessimo conosciuto perfettamente i suoi piani! Immaginate il disprezzo che deve provare per noi, l'odio. Potevo vedere con la fantasia Haast titubare: — Ma... non posso... non posso... — Voi dovete... dovete! Se non volete farlo voi stesso, date allora ordine a una delle guardie di farlo. Chiedete un volontario. Uno di loro sarà pure disposto ad aiutarvi! Ne sono sicuro. Assiduo si presentò subito, assiduamente: — Io, signor Haast? — Indietro, tu! — esclamò Haast, senza alcuna traccia di debolezza nella voce. Quindi, più calmo, rivolgendosi a Skilliman: — Non permetterò mai che una delle guardie... — Allora, usate la vostra pistola. Se non lo farete subito, non potrete mai essere sicuro di non essere già stato preso nella sua tela. Voi avete creato questo mostro di Frankenstein, tocca a voi distruggerlo. — No, non potrei farlo. L'ho conosciuto per troppo tempo... Ma voi? Voi potreste, se vi dessi una pistola? — Datemela. Vi darò una risposta diretta. — Guardia, dai la tua pistola al dottor Skilliman.
Durante il lungo silenzio che seguì questo scambio di parole, mi alzai, voltandomi per ricevere il vento pungente sul viso. — Bene, bene, Sacchetti: non avete niente da dire? Un paio di versi da lasciare come testamento? Una guancia da porgere? L'intensità della sua voce faceva intuire che non si sentiva troppo sicuro di sé. — Sì, una cosa: devo ringraziarvi. È stato meraviglioso per me trovarmi quassù un'altra volta. È una bellezza inesprimibile. Il vento e... può dirmi, per favore, se è notte... o giorno? Non ci fu risposta, soltanto il silenzio, quindi uno sparo, un altro, sette complessivamente. Dopo ogni sparo la mia gioia sembrò travolgere il mondo. Vivo, ho pensato. Sono vivo! Il settimo sparo fu seguito da un silenzio più lungo. Quindi Haast disse: — È notte. — Skilliman...? — Ha sparato alle stelle. — Letteralmente? — Sì. Sembrava mirasse alla cintura di Orione. — Non capisco. — Louis, voi non eravate un bersaglio sufficientemente grande, in questa disputa, per la sterminata ampiezza del suo disprezzo. — E l'ultima pallottola. Ha forse commesso... — Forse avrebbe voluto farlo, ma non ha potuto. Io ho sparato l'ultimo colpo. — Ancora non capisco. Con una voce da baritono ingrossata dal catarro, Haast accennò il motivo di I'll Build a Stairway to Paradise. — Haast — dissi — voi siete... — Mordecai Washington — mi rispose. Mi avvolse nuovamente le due coperte intorno al corpo, mentre ricominciavo, furiosamente, a pensare. — Meglio ritornare giù, adesso. 95 Elementi conclusivi: Haast/Mordecai mi ha condotto in una stanza non lontana dal vecchio teatro dove, mentre io costruivo il mio Museo dei Fatti, tutto l'equipaggiamento dell'Opus Magnum era stato immagazzinato. Le guardie si stavano
occupando molto più di Assiduo che di me. Ass. stava protestando ad alta voce per il modo alquanto brusco con cui era trattato. L'intero armamentario è stato sistemato nell'identico modo della sera del grande fiasco (come io a quel tempo lo avevo giudicato). Ass. ed io abbiamo preso i posti che avevano rispettivamente occupato Haast e Mordecai. Sospendendo ogni mio tentativo di razionalizzazione, quasi paralizzato non solo nel corpo, ma anche nella mente, ho consentito che mi legassero con le cinghie e applicassero gli innumerevoli fili al mio corpo. Devo essermi reso conto già allora, anche se il pensiero era ridotto a un bisbiglio, di quanto stava per accadere, e devo biasimare solo me stesso per le conseguenze. Ricordo di aver perduto la conoscenza nel preciso momento in cui il pulsante è stato premuto. Quando ho riaperto gli occhi, ho visto... e c'è stato un urlo. Ho contemplato la mia pelle con ammirazione e meraviglia. Posso chiamarla la mia pelle? O forse, per la maggior parte, appartiene ancora ad Assiduo? 96 Elementi conclusivi (seguito): Mordecai mi ha spiegato come, durante il primo mese, a Campo Archimede fosse stato messo a punto dai prigionieri un sistema di comunicazioni segrete, per non destar sospetti. Tutti i loro discorsi di alchimia erano in realtà un codice di complessità più che egizia, complicato per di più da frequenti voli pindarici, completamente fantastici, intesi a creare ulteriore confusione al computer della N.S.A. Una volta stabilito il linguaggio, furono intraprese numerose ricerche, ma la più promettente fu quella alla quale anche Schipansky e gli altri avevano accennato di sfuggita, durante i nostri incontri degli ultimi giorni: la duplicazione meccanica delle onde cerebrali e la loro registrazione su "memorie", sulla base delle ricerche di Frawley a Cambridge. Il problema che ci aveva messi in difficoltà era stato questo : come rimettere in circuito queste registrazioni, una volta "memorizzate?" L'unico contenitore possibile, all'atto pratico, poteva essere soltanto un altro corpo umano. Mordecai e i suoi compagni erano già arrivati a questa conclusione, e anche a un'altra: che, cioè, uno strumento del genere avrebbe dovuto svolgere due operazioni allo stesso tempo, registrazione e riproduzione. In altre parole, un reciprocatore mentale. Il fatto che siano riusciti a sviluppare un simile strumento con un minimo di prove pratiche,
mantenendo per tutto il tempo l'impostura dell'Opus Magnum, disegnandolo in modo da mascherare il suo vero uso anche agli occhi degli esperti di elettronica che lo avevano controllato confermandone l'innocuità, e di avere portato a termine con successo la prima operazione di questo tipo, è la testimonianza più spaventosa dell'effettivo potere della pallidina. (Un'ultima piccola ironia dopo quanto detto sopra. Avevo già visto il diagramma dei circuiti del componente principale del reciprocatore, nascosto alla maniera di Poe nella confusione di carte sul tavolo di Mordecai: era il disegno che avevo trovato nel Libro della spesa di George Wagner, in cui si vedeva un re con la testa circondata da una grata). 97 Ultimi elementi conclusivi: È stata una felice coincidenza che la mente di Haast, trovandosi all'improvviso nel corpo esausto di Mordecai, sia stata travolta dal panico al punto da provocare quasi all'istante un'embolia. Mordecai sostiene che è stata proprio l'idea di essere un negro a ucciderlo. Riflettendo sul fatto che Haast era già morto da tanti mesi, e alle mie numerose visite, mi accorgo che alcuni segni, alcuni cambiamenti avrebbero dovuto farmi intuire ciò che era accaduto , ma complessivamente è stata un'impostura eseguita quasi alla perfezione. Ma per quale ragione? Mordecai mi ha spiegato la necessità di una sostituzione graduale, facendomi notare che non avrebbe potuto esercitare l'autorità di Haast se non si fosse comportato nella sua stessa maniera. Prigioniero, anche dopo essere diventato il guardiano. Un po' alla volta gli altri prigionieri (il Vescovo, Sandemann, ecc.) avevano usato il reciprocatore mentale per infiltrarsi tra il personale di Campo Archimede, scegliendo come corpi a volte i membri del personale medico, a volte le guardie. Una delle più curiose conseguenze del mio arrivo in questo luogo era stato il mio esempio di pacifista: a causa di esso, tre prigionieri si erano rifiutati di accettare la resurrezione; fra essi, Barry Meade. Ognuno ha scelto di morire come voleva il suo destino. E proprio per il timore che io insistessi per sacrificarmi allo stesso modo, Mordecai aveva mantenuto il segreto fino all'ultimo, fino al momento in cui avevo irrevocabilmente ereditato il corpo della mia vittima. Avrei ancora insistito per diventare un martire? Amo talmente questa mia pelle, viva e sana, che non riesco assolutamente a crederlo. Lo avrei fatto? Forse.
98 Nel frattempo, il futuro. La ricerca continua assiduamente per trovare un vaccino. Siamo pieni di speranza, e se anche saremo sconfitti avremo combattuto fino all'ultimo. Per cui, continuiamo a cantare: Avanti, avanti... 99 Ma non è tutto così allegro. C'è anche la paura. Dietro la maschera di Haast/Mordecai si cela la conoscenza di un altro futuro più lontano, di montagne più alte al di là delle cime che ora vediamo, gelide e strane come la morte. Valéry ha ragione. Ora la mente è spodestata, ed è nuda, ridotta alla povertà suprema di essere una forza senza un obiettivo. Esisto, privo d'istinti, quasi senza immagini; e non ho più uno scopo. Non assomiglio a niente. Il veleno non ha due effetti distinti, Genio e Morte, ma uno solo. Dategli il nome che volete. 100 E qui, un bel numero rotondo per concludere. E il 31 dicembre, è finita un'altra stagione. Oggi Mordecai ha detto: — Di quello che può essere terribile, sappiamo poco. Molto di ciò che è bello dobbiamo ancora scoprirlo. Continuiamo a salpare verso l'orizzonte. FINE