EOIN COLFER ARTEMIS FOWL IL CODICE ETERNITY (Artemis Fowl. The Eternity Code, 2003) Alla famiglia Power con sincero affe...
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EOIN COLFER ARTEMIS FOWL IL CODICE ETERNITY (Artemis Fowl. The Eternity Code, 2003) Alla famiglia Power con sincero affetto. PROLOGO ESTRATTO DAL DIARIO DI ARTEMIS FOWL. DISCHETTO 2. IN CODICE. Nel corso degli ultimi due anni gli affari da me intrapresi hanno prosperato senza interferenze da parte dei miei genitori. In questo periodo ho venduto le Piramidi a un magnate occidentale, falsato e messo all'asta i diari perduti di Leonardo da Vinci, e sottratto al Popolo un consistente quantitativo d'oro. Ma la mia libertà d'azione è ormai agli sgoccioli. Mentre scrivo, mio padre si trova in un ospedale di Helsinki, in convalescenza dopo due anni di prigionia nelle mani della Mafia russa. In seguito alle dure prove subite non ha ancora ripreso conoscenza, ma presto si sveglierà e tornerà a dirigere l'impero criminale Fowl. La presenza in casa dei miei genitori mi renderà impossibile proseguire apertamente le mie varie imprese illegali. In precedenza questo non sarebbe stato un problema, poiché mio padre era perfino più criminale di me, ma ora mia madre è decisa a rimettere i Fowl sulla retta via. Comunque ho ancora tempo per un ultimo lavoretto. Qualcosa che mia madre non approverebbe. E neanche il Popolo, credo. Ragion per cui eviterò di parlargliene. PARTE PRIMA ATTACCO CAPITOLO I IL CUBO EN FIN, KNIGHTSBRIDGE, LONDRA Artemis Fowl era quasi soddisfatto. Da un giorno all'altro
suo padre sarebbe stato dimesso dall'ospedale di Helsinki. Quanto a lui, già pregustava un pranzo sopraffino da En Fin, il miglior ristorante di pesce di Londra, e il suo contatto d'affari sarebbe arrivato a momenti. Tutto secondo il piano. Il suo guardaspalle, Leale, non era altrettanto rilassato. Come al solito, del resto: non si diventa uno degli uomini più pericolosi del mondo lasciando la guardia abbassata. Il robusto eurasiatico si mosse rapido fra i tavoli del ristorante, sistemando gli abituali congegni di sicurezza e controllando le vie di fuga. «Hai messo i tappi nelle orecchie?» chiese al suo datore di lavoro. Artemis sospirò, paziente. «Sì, Leale. Anche se difficilmente potremmo correre pericoli qua dentro. Si tratta di una riunione di lavoro perfettamente legale, e per giunta in pieno giorno.» I tappi per le orecchie erano in realtà filtri sonici spugnosi, smontati dagli elmetti della Libera Eroica Polizia, la LEE Leale si era procurato gli elmetti, un vero capolavoro di tecnologia elfica, poco più di un anno prima, quando uno dei piani di Artemis lo aveva costretto a scontrarsi con una squadra della LEPrecupero. Le spugne erano allevate nei laboratori della LEP ed erano dotate di piccole membrane porose che si autosigillavano appena i decibel superavano il livello di sicurezza. «Forse hai ragione, Artemis, ma gli assassini sono specializzati negli attacchi a sorpresa.» «Forse» replicò Artemis, studiando il menu. «Ma chi potrebbe avere un motivo per ucciderci?» Leale scrutò con aria feroce, come per accertarsi che non stessero complottando qualcosa, i commensali seduti agli altri tavoli del ristorante. Una doveva avere minimo ottant'anni. «Potrebbero non avercela con noi. Jon Spiro è un uomo potente. Ha già mandato in bancarotta parecchie compagnie concorrenti. Potremmo essere semplici vittime occasionali.» Artemis annuì. Come sempre Leale aveva ragione... il che spiegava come mai erano ancora vivi. Jon Spiro, l'uomo d'affari americano che stava per incontrare, era il tipo d'uomo che attira i proiettili. Un miliardario dal passato oscuro e presunti collegamenti col crimine organizzato. Correva voce che la scalata al vertice della sua compagnia, la Fission Chips, fosse avvenuta rubando ad altri i risultati delle loro ricerche. Nessuna prova, naturalmente... non che il procuratore distrettuale di Chicago non ci avesse provato. E a più riprese.
Una cameriera si fermò accanto al loro tavolo con un sorriso smagliante. «Buongiorno, giovanotto. Vuoi che ti porti il Menu dei Piccoli?» Una vena cominciò a pulsare sulla tempia di Artemis. «No, mademoiselle, non voglio affatto il Menu dei Piccoli. Anche se non ho dubbio che la carta su cui è scritto abbia un sapore migliore dei piatti proposti. Quel che vorrei è ordinare à la carte. O non servite pesce ai minorenni?» Il sorriso della cameriera si restrinse di un paio di molari. Il vocabolario di Artemis faceva quell'effetto alla maggior parte delle persone. Leale chiuse gli occhi. E poi il ragazzo si chiedeva chi avrebbe voluto ucciderlo? Tanto per cominciare, la maggior parte dei camerieri e dei sarti d'Europa. «Sì, signore» balbettò la sfortunata ragazza. «Come preferisce.» «Quello che preferirei è una frittura di squalo e pesce spada, con un contorno di verdure e patate novelle.» «E da bere?» «Acqua sorgiva. Irlandese, se l'avete. E senza ghiaccio, dal momento che il vostro ghiaccio sarà senza dubbio acqua di rubinetto congelata, il che farebbe venir meno lo scopo dell'acqua sorgiva.» La cameriera si affrettò a tornare in cucina, ansiosa di sfuggire al ragazzino pallido del tavolo sei. Una volta aveva visto un film sui vampiri, e il non-morto aveva lo stesso sguardo ipnotico. Forse il ragazzo parlava come un adulto perché in realtà aveva cinquecento anni. Felicemente ignaro dello sgomento causato, Artemis sorrise pregustando il pranzo. «Avrai un successone, ai balli della scuola» commentò Leale. «Prego?» «Quella povera ragazza era quasi in lacrime. Un po' di gentilezza non guasterebbe, di tanto in tanto.» Artemis lo fissò stupito. Di rado Leale esprimeva la sua opinione su faccende personali. «Non mi ci vedo, ai balli della scuola.» «Non è questo il punto. Mi riferivo alle tue capacità di comunicazione.» «Comunicazione?» sbuffò il giovane Fowl. «Dubito che esista un adolescente con un vocabolario all'altezza del mio.» Leale stava per spiegargli la differenza fra parlare e comunicare quando la porta del ristorante si aprì. Ed entrò un ometto abbronzato, affiancato da un vero e proprio gigante. Jon Spiro, completo di guardia del corpo.
Leale si chinò sul suo principale. «Attento, Artemis» gli sussurrò all'orecchio. «Conosco di fama quello grosso.» Spiro si fece strada fra i tavoli a braccia tese. Era un americano di mezza età, magro come uno stecco e di poco più alto di Artemis. Negli anni Ottanta si era occupato di compagnie di navigazione; negli anni Novanta aveva accumulato una fortuna in Borsa. E adesso si occupava di telecomunicazioni. Come sempre indossava un completo di lino bianco, e fra polsi e dita aveva abbastanza gioielli da ricoprire d'oro il Taj Mahal. Artemis si alzò in piedi per accoglierlo. «Bene arrivato, signor Spiro.» «Salute a te, Artemis Fowl Junior. Come te la passi?» Quando Artemis gli strinse la mano, i gioielli rumoreggiarono come la coda di un serpente a sonagli. «Bene. Sono lieto che sia potuto venire.» Spiro s'impossessò di una sedia. «Se Artemis Fowl mi telefona per farmi una proposta, corro a vedere di che si tratta anche dovessi camminare sul fuoco.» I due guardaspalle si squadrarono apertamente. L'unica cosa che avevano in comune era la mole. Leale era l'immagine stessa dell'efficienza a basso profilo: completo nero, cranio rasato, il meno appariscente possibile per un omone di due metri e passa. Il nuovo arrivato aveva i capelli decolorati, una maglietta corta all'ombelico e pirateschi cerchi d'argento a entrambe le orecchie. Di sicuro non voleva essere dimenticato, né ignorato. «Arno Tozz» disse Leale. «Ho sentito parlare di te.» Tozz prese posizione alle spalle di Jon Spiro. «Leale. Uno dei Leale» disse con strascicato accento neozelandese. «I migliori in assoluto, a quanto pare. O così si dice. Auguriamoci di non doverlo mai scoprire.» Spiro rise. Una risata che ricordava una scatola di grilli. «Arno, ti prego. Siamo fra amici. Non è il momento di fare minacce.» Leale non ne era altrettanto sicuro. Il suo sesto senso, localizzato esattamente alla base del cranio, ronzava come un nido di vespe. Pericolo in vista. «Allora, mio giovane amico. Passiamo agli affari.» Gli occhi scuri di Spiro erano fissi su Artemis. «In pratica ho sbavato su tutto l'Atlantico. Di cosa vuoi parlarmi?» Artemis aggrottò la fronte. Aveva sperato che gli affari potessero aspettare fin dopo pranzo. «Non vorrebbe ordinare, prima?»
«No. Ormai non mangio più granché. Pillole e liquidi, soprattutto. Problemi alle budella.» «E va bene.» Artemis piazzò sul tavolo una valigetta di alluminio. «Passiamo agli affari.» Aprì la valigetta, rivelando un cubo rosso delle dimensioni di un piccolo giradischi, annidato in un giaciglio di gommapiuma azzurrina. Spiro usò la punta della cravatta per pulirsi gli occhiali. «Che roba è, ragazzo?» Artemis prese il cubo e lo poggiò sul tavolo. «Il futuro, signor Spiro. E con grande anticipo sui tempi.» Jon Spiro si chinò a scrutare il cubo. «A me sembra un fermacarte.» Sogghignando, Arno Tozz lanciò a Leale un'occhiata di sfida. «Le darò una piccola dimostrazione.» Artemis premette un pulsante e il cubo cominciò a ronzare, mentre un paio di lati si ritraevano per mostrare altoparlanti e uno schermo. «Carino» mormorò Spiro. «Mi sono fatto cinquemila chilometri per un minitelevisore?» Artemis annui. «Un minitelevisore, sì. Nonché computer a controllo vocale, telefono e pronto soccorso virtuale. Questa scatoletta può leggere videocassette, dischi laser e DVD; andare on line, usare la posta elettronica, inserirsi nei sistemi operativi di qualunque computer. Può perfino eseguire un'ecografia per controllare il battito cardiaco. Ovviamente è wireless, e la batteria funziona per due anni.» Fece una pausa perché il suo interlocutore assimilasse l'informazione. Dietro le lenti, gli occhi di Spiro erano grandi come piattini. «Vuoi dire che questa scatoletta...» «... renderà obsoleta qualunque tecnologia esistente. Le sue fabbriche di computer non varranno un soldo.» L'americano respirò a fondo, parecchie volte. «Ma come...?» Artemis rigirò la scatola. Un sensore a infrarossi pulsava lentamente sul retro. «Ecco il segreto. Un Omnisensore. Capace di leggere qualsiasi cosa. E se la fonte è inserita nel suo programma, può anche attaccarsi a qualunque satellite.» Spiro agitò un dito con aria di rimprovero. «Ma questo non è illegale?» «No.» Artemis sorrise. «Non esistono leggi contro una cosa del genere. E non ci saranno per almeno due anni dopo la sua uscita sul mercato. Basta
vedere quanto c'è voluto per chiudere Napster.» Sopraffatto, l'americano si prese la faccia tra le mani. «Non capisco. Questo anticipa di anni, no, di decenni la tecnologia attuale. E tu hai appena tredici anni. Come hai fatto?» Artemis esitò. Che poteva rispondere? Che sedici mesi prima Leale aveva sgominato una squadra di agenti LEP e si era impossessato dei loro strumenti di lavoro? E che lui, Artemis, li aveva smontati per costruire quella fantastica scatoletta? Fuori discussione. «Diciamo che sono un ragazzo sveglio, signor Spiro.» Spiro socchiuse le palpebre. «Forse non così sveglio come vorresti farmi credere. Voglio una dimostrazione.» «Mi sembra giusto. Ha un cellulare?» «Certo.» Spiro piazzò il telefonino sul tavolo: l'ultimo modello sfornato dalla Fission Chips. «Presumo che abbia un codice d'accesso?» Spiro annuì con arroganza. «Di cinquecento bit. Il massimo nel suo genere. Non t'inserisci in un Fission 400 senza il codice.» «Vedremo.» Artemis puntò il sensore verso il telefono, e subito sullo schermo apparvero le interiora del cellulare. «Trasferimento dati?» chiese una voce metallica. «Affermativo.» Il lavoro fu portato a termine in meno di un secondo. «Trasferimento completato» annunciò la voce con una sfumatura compiaciuta. Spiro trattenne il fiato. «Non ci credo. Quel sistema costa venti milioni di dollari.» «Gettati al vento» replicò Artemis, accennando allo schermo. «Vuole chiamare casa sua? Spostare un po' di fondi? Dovrebbe tenere in un posto più sicuro i numeri dei suoi conti correnti.» L'americano rifletté a lungo. «È un trucco» affermò alla fine. «Dovevi già sapere tutto del cellulare. In qualche modo, non chiedermi come, eri già riuscito a introdurti nel sistema.» «Una conclusione logica» ammise Artemis. «È esattamente quello che sospetterei anch'io. Proponga qualcos'altro.» Gli occhi di Spiro percorsero il ristorante mentre le sue dita tamburellavano sul tavolo. «Laggiù» disse infine, indicando uno scaffale di videocassette sopra il
bar. «Fammi vedere una di quelle.» «Tutto qui?» «Per cominciare basta e avanza.» Arno Tozz frugò con ostentata sollecitudine fra le cassette, e alla fine ne scelse una senza etichetta e la sbatté sul tavolo facendo fare un salto alle posate d'argento. Soffocando l'impulso di sbuffare, Artemis vi poggiò sopra il cubo. Sullo schermo comparve l'interno della videocassetta. «Trasferimento?» chiese la solita voce. Artemis annuì. «Trasferisci, ripulisci e trasmetti.» Ancora una volta, l'operazione fu completata in meno di un secondo. Un vecchio episodio di una serie televisiva inglese comparve sullo schermo. «Qualità DVD» commentò Artemis. «Il Cubo è in grado di eliminare qualunque difetto preesistente.» «Il cosa?» «Il Cubo» ripeté Artemis. «È così che ho chiamato la mia creazione. Piuttosto ovvio, lo ammetto, però appropriato.» Spiro agguantò la videocassetta e la lanciò ad Arno Tozz. «Controlla» ordinò. La guardia del corpo accese il televisore sul bar e inserì la cassetta. Coronation Street comparve tremolando sullo schermo: lo stesso telefilm, ma non la stessa qualità di trasmissione. «Convinto?» chiese Artemis. L'americano giocherellò con uno dei molti braccialetti. «Quasi. Ancora una prova. Ho la sensazione che il governo mi tenga d'occhio. Potresti controllare?» Dopo una rapida riflessione, Artemis sollevò il Cubo e avvicinò alle labbra l'Omnisensore. «Cubo, individua eventuali raggi concentrati su quest'edificio.» La macchina ronzò. «La scia ionica più forte è ottanta chilometri a ovest e proviene da un satellite USA, codice ST1132P, registrato presso la CIA. Tempo di arrivo stimato, otto minuti. Ci sono anche diverse sonde LEP collegate a...» Artemis lo zittì prima che potesse continuare. A quanto pareva, le componenti elfiche del computer erano in grado di rilevare anche la tecnologia del Popolo. Avrebbe dovuto provvedere. Nelle mani sbagliate, quell'informazione avrebbe messo in pericolo un'intera civiltà. «Che c'è, ragazzo? Non aveva ancora finito. Cos'è questa LEP?»
Artemis scrollò le spalle. «Niente grana, niente informazioni. Un esempio è più che sufficiente. Nientemeno che la CIA.» «La CIA, già... Sospettano che venda segreti militari. Hanno modificato l'orbita di uno dei loro uccellini solo per tenermi d'occhio.» «O per tenere d'occhio me» osservò Artemis. «Forse.» Spiro annuì. «Sembri più pericoloso di secondo in secondo.» Arno Tozz ridacchiò sprezzante. Leale lo ignorò. Almeno uno di loro doveva comportarsi da professionista. Spiro fece crocchiare le nocche, un'abitudine che Artemis trovava rivoltante. «Abbiamo otto minuti, perciò sbrighiamoci a parlare di soldi, ragazzo. Quanto vuoi per la scatola?» Ma Artemis non lo ascoltava, troppo turbato dal fatto che il Cubo avesse individuato le sonde della LEP. Un momento di distrazione, e aveva quasi rivelato l'esistenza dei suoi magici amici esattamente al tipo d'uomo che li avrebbe sfruttati senza pietà. «Prego?» «Ho detto: quanto vuoi per la scatola?» «Per prima cosa, si chiama Cubo. E per seconda, non è in vendita.» Jon Spiro prese fiato. «Non è in vendita? Mi hai fatto attraversare l'Atlantico per mostrarmi qualcosa che non hai intenzione di vendermi? Si può sapere cos'hai in mente?» Le dita di Leale si curvarono attorno al calcio della pistola infilata nella cintura. La mano di Arno Tozz sparì dietro la schiena. La tensione salì di un altro paio di gradi. Artemis unì la punta delle dita. «Signor Spiro. Jon. Non sono un idiota. Mi rendo conto del valore del Cubo. E so che non ha prezzo. Qualunque cifra possa offrirmi, varrebbe il mille per cento in più nel giro di una settimana.» «Allora cosa vuoi, Fowl?» sibilò Spiro. «Cos'è che vuoi vendermi?» «Voglio venderle dodici mesi. Per un prezzo equo, terrò il Cubo fuori del mercato ancora per un anno.» Jon Spiro giocherellò col braccialetto formato dalle lettere del suo nome. Un regalo di compleanno che aveva fatto a se stesso. «Lo terrai fuori del mercato per un anno?» «Esatto. Questo le concederà tempo sufficiente a vendere le sue azioni prima che crollino, e usare i profitti per comprare quelle delle Industrie
Fowl.» «Non ci sono Industrie Fowl.» Artemis sogghignò. «Ci saranno.» Leale gli strinse una spalla. Non era una buona idea punzecchiare un uomo come Jon Spiro. Ma Spiro era troppo impegnato a fare calcoli, torcendo il braccialetto come un filo di perline, per fare caso alla frecciata. «Quanto?» chiese alla fine. «Oro. Una tonnellata» replicò l'erede dei Fowl. «È un bel po'.» Artemis scrollò le spalle. «Ho un debole per l'oro. Non si svaluta. Ed è comunque una bazzecola rispetto a quanto potrebbe rimetterci.» Spiro rifletté. Alle sue spalle, Arno Tozz continuò a guardare fisso Leale, che dal canto suo continuò a battere le palpebre normalmente: se si fosse arrivati a uno scontro, avere le pupille secche sarebbe stato uno svantaggio. Fare a gara di sguardi feroci andava bene per i dilettanti. «Diciamo che le tue condizioni non mi piacciono» disse Jon Spiro. «Diciamo che adesso mi prendo questo giocattolino e festa finita.» Il petto di Arno Tozz si gonfiò di un altro centimetro. «Anche se s'impadronisse del Cubo» replicò Artemis sorridendo «non le servirebbe. La tecnologia usata supera di gran lunga le capacità dei suoi specialisti.» Spiro gli rivolse un sorriso truce. «Sono sicuro che prima o poi riusciranno a capirla. E anche se ci volessero un paio d'anni, per te non avrà importanza. Non dove andrai ora.» «Se andassi da qualunque parte, i segreti del Cubo svanirebbero con me. Tutte le sue funzioni sono codificate sul mio schema vocale. Ed è un codice piuttosto complicato.» Leale fletté le ginocchia, tenendosi pronto a scattare. «Scommetto che i miei uomini riusciranno a decifrarlo. Alla Fission Chips ho radunato una squadra di capoccioni.» «Chiedo scusa se non sono troppo impressionato dalla sua squadra di capoccioni» replicò Artemis. «Finora la Phonetix vi ha sempre battuto.» Spiro scattò in piedi, furibondo. Nel settore telecomunicazioni, la Phonetix era l'unica compagnia le cui azioni fossero regolarmente quotate più di quelle della Fission Chips. «D'accordo, ragazzino, ti sei divertito a sufficienza. Adesso tocca a me. Devo andarmene prima che quel satellite mi localizzi, ma il signor Tozz
rimarrà qui.» Diede una pacca alla sua guardia del corpo. «Sai cosa fare.» Tozz annuì. Lo sapeva. E non vedeva l'ora di farlo. Per la prima volta dall'inizio dell'incontro, Artemis si scordò del pranzo e si concentrò totalmente sulla situazione attuale. Le cose non stavano andando secondo i piani. «Non dirà sul serio, signor Spiro. Siamo in un luogo pubblico, in mezzo a dozzine di persone. Il suo uomo non può competere con Leale. Se insiste con queste ridicole minacce, sarò costretto a ritirare l'offerta e a mettere subito il Cubo sul mercato.» Spiro piantò le mani sul tavolo. «Ascolta, ragazzino» bisbigliò. «Mi stai simpatico. Ancora un paio d'anni, e potevi diventare uguale a me. Ma ti è mai capitato di puntare un'arma alla testa di qualcuno e premere il grilletto?» Artemis rimase in silenzio. «No? Come pensavo. Certe volte è solo questione di pelo sullo stomaco. E tu non ce l'hai.» Per la terza volta dal suo quinto compleanno, Artemis si trovò a corto di parole. Fu Leale a rispondere. Le minacce aperte erano il suo campo. «Non tenti di bluffare con noi, signor Spiro. Tozz sarà anche grosso, ma posso comunque spezzarlo come un fuscello. Dopodiché fra lei e me non ci sarà nessuno. E, mi creda, non le piacerebbe.» Il sorriso di Spiro si allargò sui denti macchiati di nicotina. «Quanto a questo, non direi che non ci sarà nessuno.» Leale provò la sensazione di sprofondare. La stessa che si prova quando si hanno una dozzina di armi puntate addosso. Erano caduti in trappola. Incredibile ma vero, Spiro aveva battuto Artemis in astuzia. «Ehi, Fowl» disse l'americano «com'è che il tuo pranzo non è ancora arrivato?» Soltanto allora Artemis si rese conto di quanto fossero nei guai. Successe tutto in un baleno. Spiro schioccò le dita, e ogni singolo cliente dell'En Fin estrasse un'arma dalla giacca o dalla borsetta. La vecchietta ottantenne sembrava molto più minacciosa con un revolver stretto nella mano ossuta. Due camerieri armati di mitragliette emersero dalla cucina. Leale neanche ebbe il tempo di tirare il fiato. Le dita di Spiro picchiettarono sulla saliera. «Scacco matto, ragazzino. La partita è mia.» Artemis si sforzò di concentrarsi. Doveva esserci una soluzione. C'era
sempre. Però non gliene venne in mente nessuna. Era stato infinocchiato. In modo forse fatale. Fino allora nessun umano lo aveva mai battuto. Del resto, bastava che succedesse una volta. «Adesso vado» proseguì Spiro, infilandosi in tasca il Cubo «prima che il satellite e quegli altri ficcanaso controllino la zona... Non ho mai sentito parlare della LEP, e appena riuscirò a mettere in funzione quest'aggeggio farò in modo che desiderino di non aver mai sentito parlare di me. È stato un piacere conoscerti.» Mentre si dirigeva verso la porta, strizzò l'occhio alla sua guardia del corpo. «Hai sei minuti, Arno. Un sogno diventato realtà, eh? Sarai ricordato come quello che ha eliminato il grande Leale.» Tornò a voltarsi verso Artemis per lanciargli un'ultima frecciata. «A proposito... Artemis non è un nome da femmina?» E sparì, ingoiato dalla calca multicolore dei turisti sul marciapiede. La vecchietta chiuse la porta alle sue spalle. Lo scatto echeggiò nel ristorante. Artemis decise di prendere l'iniziativa. «Dunque, signore e signori» esordì, sforzandosi di non fissare le armi puntate su di lui. «Sono sicuro che potremo trovare un accordo...» «Sta' zitto!» Il cervello di Artemis impiegò un momento per rendersi conto che Leale gli aveva ordinato di stare zitto. E in modo estremamente rude. «Chiedo scusa...» La mano di Leale gli tappò la bocca. «Sta' zitto, Artemis» ripeté. «Questi sono professionisti. Non si tratta con loro.» La testa di Tozz ruotò, facendo scricchiolare i tendini del collo. «Esatto, Leale. Siamo qui per uccidervi. Appena il signor Spiro ha ricevuto la telefonata del tuo principale, abbiamo cominciato a spedire qui la nostra gente. È incredibile che tu ci sia cascato. Mi sa che stai diventando vecchio.» Anche per Leale era incredibile. Un tempo avrebbe sorvegliato il luogo di un appuntamento per una settimana prima di dare la sua approvazione. Forse stava diventando vecchio, ma ora aveva ottime probabilità di smettere d'invecchiare una volta per tutte. «D'accordo, Tozz» disse, spalancando le mani. «Tu e io. Disarmati. Faccia a faccia.» «Che spirito nobile. Suppongo che questo sia il tuo codice d'onore asiatico. Però io non ho nessun codice. E sei matto se t'illudi che sia disposto a
rischiare di farti uscire vivo da qui. A me piacciono le cose semplici: io ti sparo, tu muori. Nessun faccia a faccia, nessun duello.» La mano di Tozz si mosse lentamente dietro la schiena. Che fretta c'era? Se Leale avesse fatto un gesto, sarebbe stato centrato da una dozzina di proiettili. Il cervello di Artemis era in panne. L'abituale torrente di idee si era inaridito. Sto per morire, pensò. Non riesco a crederci. Leale stava dicendo qualcosa. Meglio ascoltare. «Riccardo governò vincendo battaglie vane» scandì la guardia del corpo. «Che cosa?» rise Tozz, avvitando un silenziatore sulla canna della pistola. «Che idiozie dici? Non vorrai farmi credere che il grande Leale sta crollando? Aspetta che lo dica ai ragazzi.» La vecchietta sembrava pensosa. «Riccardo governò... questa la conosco.» Anche Artemis la conosceva. In pratica era l'intero codice vocale per far esplodere la bomba sonica magnetizzata sotto il tavolo. Uno dei trucchetti di Leale. Ancora una parola, e la bomba sarebbe esplosa inviando una solida muraglia di suono attraverso l'intero edificio, spaccando ogni finestra e ogni timpano. Niente fumo né fiamme, ma - a meno di avere i tappi nelle orecchie - chiunque nel raggio di dieci metri sarebbe finito fuori combattimento nel giro di cinque secondi circa. La vecchietta si grattò la testa con la canna del revolver. «Riccardo governò? Sicuro... lo insegnavano le suore a scuola. Riccardo governò vincendo battaglie vane. È uno di quei trucchi mnemonici per ricordare i colori dell'arcobaleno.» Arcobaleno. L'ultima parola. Artemis si ricordò appena in tempo di stringere i denti. Altrimenti le onde soniche li avrebbero frantumati come zucchero caramellato. La bomba esplose in una vampa di suono compresso, e undici persone attraversarono al volo la sala fino a entrare in collisione con qualche parete. I più fortunati colpirono divisori di cartongesso e li attraversarono di schianto. I più sfortunati sbatterono contro muri di mattoni forati. Diverse cose si ruppero. Non i mattoni. Artemis era al sicuro nella stretta robusta di Leale che, puntellandosi contro uno stipite, lo aveva afferrato al volo e stretto fra le braccia. Avevano anche altri vantaggi sugli scagnozzi di Spiro: i loro denti erano intatti, non avevano fratture composte e i filtri sonici avevano salvato i loro timpani.
Lo sguardo di Leale perlustrò la sala. Gli assassini erano tutti a terra, le mani premute sulle orecchie. Sarebbero rimasti stralunati per parecchi giorni. Estrasse la Sig Sauer dalla fondina. «Resta qui» ordinò. «Controllo in cucina.» Artemis tornò a sedersi respirando affannosamente. La sala attorno a lui era un caos di polvere e di gemiti, ma ancora una volta Leale aveva salvato entrambi. Non tutto era perduto. Era perfino possibile che riuscissero a bloccare Spiro prima che lasciasse il paese. Leale aveva un contatto nella Sorveglianza a Heathrow: Sid Commons, un ex Berretto Verde che era stato suo collega quando lavorava a Montecarlo. Una figura robusta gli si parò davanti, bloccando la luce. Leale era tornato dalla sua ricognizione. Artemis respirò a fondo, sentendosi insolitamente turbato. «Leale» cominciò. «Dobbiamo seriamente prendere in considerazione un aumento del tuo salario...» Ma non era Leale. Era Arno Tozz. E stringeva qualcosa in entrambe le mani. Nella sinistra, due piccoli coni di gommapiuma gialla. «Tappi per le orecchie» sibilò attraverso i denti spezzati. «Li metto sempre, prima di uno scontro a fuoco. Una buona idea, eh?» Nella destra, una pistola col silenziatore. «Prima tu» disse. «Poi lo scimmione.» Tolse la sicura, prese la mira e fece fuoco. CAPITOLO 2 SERRATA! CANTUCCIO, STRATI INFERIORI Anche se non era nelle intenzioni di Artemis, l'uso del Cubo per controllare i sistemi di sorveglianza puntati sul ristorante avrebbe avuto conseguenze a lungo termine. I parametri di ricerca erano così vaghi che il Cubo inviò sonde nello spazio profondo e, ovviamente, anche nelle profondità sotterranee. Sottoterra, la Polizia degli Strati Inferiori era ridotta ai minimi termini in seguito alla recente rivolta goblin. Tre mesi dopo il tentato colpo di Stato, la maggior parte dei capoccioni erano stati arrestati, ma nelle gallerie attorno a Cantuccio si aggiravano ancora parecchi sbandati della Mazza Set-
te armati di Nasomolle illegali. Ogni agente disponibile era stato assegnato all'Operazione Pulitura, da completare prima dell'inizio della stagione turistica. L'ultima cosa che il Consiglio desiderava era che i turisti spendessero il loro oro ad Atlantide perché era troppo rischioso attraversare il centro pedonale di Cantuccio. In fin dei conti, il turismo rappresentava il diciotto per cento degli introiti della capitale. Ragion per cui il capitano Spinella Tappo era stata trasferita dalla Squadra Ricog all'OpPul. Di solito il suo lavoro era perlustrare la superficie alla ricerca di chiunque si fosse spinto all'esterno senza un visto. Se anche uno solo di loro fosse stato catturato dai Fangosi, Cantuccio non sarebbe più stato un "cantuccio" sicuro. Per cui fino a quando ogni singolo goblin ribelle non fosse stato rinchiuso a leccarsi le pupille nel carcere di Picco dell'Ululo, i doveri di Spinella erano gli stessi di tutti gli altri agenti LEP: entrare in azione a ogni avvistamento di Mazza Sette. Al momento stava scortando alla Centrale quattro goblin particolarmente turbolenti. Erano stati trovati addormentati in una gastronomia specializzata in insetti, a pancia piena dopo una notte di bagordi. Per loro fortuna Spinella era arrivata un momento prima che lo gnomo proprietario della gastronomia calasse lo squamoso quartetto nella padella sfrigolante. «Mi si è staccata una pellicina, ad ammanettare l'ultimo goblin» si lagnò il compagno del capitano Tappo, succhiandosi il pollice. «Terribile» disse Spinella, sforzandosi di sembrare interessata. Il cellulare della LEP, con i colpevoli ammanettati nel retro, stava percorrendo la magnetostriscia che portava alla Centrale. In realtà non era un cellulare di ordinanza. I Mazza Sette avevano distrutto così tanti veicoli della polizia, che la LEP era stata costretta a requisire ogni trabiccolo motorizzato e con posto sufficiente ad accogliere qualche prigioniero. Perciò adesso Spinella era alla guida di un furgone che di solito vendeva specialità al curry. Gli gnomi dell'autorimessa si erano limitati a dipingere su un fianco la ghianda simbolo della LEP, ad aggiungere un chiavistello allo sportello posteriore e a eliminare i fornelli. Purtroppo non avevano eliminato l'odore. Brucolo si studiò il dito ferito. «Quelle manette hanno bordi taglienti. Dovrei presentare un reclamo.» Spinella si concentrò sulla strada, anche se la magnetostriscia si occupava di sterzare per suo conto. Quello non sarebbe stato il primo reclamo di
Brucolo, e nemmeno il ventesimo. Il fratellino di Grana trovava da ridire su qualunque argomento, a parte se stesso. Comunque, in questa circostanza si sbagliava di grosso: le manette di perspex sottovuoto non avevano bordi taglienti per evitare che a qualche goblin venisse in mente di usarli per bucarle e permettere così che l'ossigeno raggiungesse le mani. Nessuno ci teneva a trovarsi chiuso dentro un furgone insieme a un goblin che sparava palle di fuoco. «So che sembra da frignoni presentare un reclamo per una pellicina, ma certo nessuno potrebbe accusare me di essere un frignone.» «Tu! Un frignone! Quando mai!» Brucolo gonfiò il petto. «In fin dei conti sono il solo di tutta la Squadra LEPrecupero Uno ad aver sfidato quel grosso umano, Leale.» Spinella sbuffò rumorosamente, nella speranza di dissuaderlo dal raccontare per l'ennesima volta la storia della sua partecipazione alla guerra contro Artemis Fowl. Diventava sempre più lunga e più fantasiosa. Nella realtà Leale lo aveva semplicemente lasciato andare, come un pescatore ributta in acqua un pesciolino troppo piccolo. Ma Brucolo si rifiutò di capire l'antifona. «Me lo ricordo bene» esordì in tono melodrammatico. «Era una notte buia...» E all'improvviso, come se le sue parole avessero fatto scattare un incantesimo, ogni luce della città si spense. Non solo: anche l'energia della magnetostriscia venne meno, lasciandoli arenati nella corsia centrale di un'autostrada paralizzata. «Mica sono stato io, eh?» sussurrò Brucolo. Spinella, già fuori dal furgone, non si degnò di rispondergli. Sopra di loro, le strisce luminose che replicavano la luce del sole si stavano lentamente spegnendo. Nella penombra che rapidamente virava verso il buio, scrutò in direzione della Galleria Nord e, come temeva, vide il portellone blindato scivolare verso il basso, le luci di emergenza ammiccanti lungo il bordo inferiore. Adesso sessanta metri di solido acciaio separavano Cantuccio dal mondo esterno. Porte simili stavano calando nei punti strategici di tutta la città. Serrata totale. Solo tre motivi potevano avere spinto il Consiglio a una misura così estrema: alluvione, quarantena... o gli umani. Spinella si guardò attorno. Nessuno stava affogando: nessuno sembrava malato. Ragion per cui dovevano essere in arrivo i Fangosi. L'incubo peggiore del Popolo stava per avverarsi. Le luci d'emergenza si accesero tremolanti sopra di loro, il caldo splen-
dore delle strisce solari rimpiazzato da un arancione spettrale. I veicoli ufficiali avrebbero ricevuto dalla magnetostriscia un impulso energetico sufficiente a raggiungere il deposito più vicino. Ma i proprietari di veicoli civili non furono altrettanto fortunati; loro avrebbero dovuto camminare. A centinaia scesero dalle auto, troppo spaventati per protestare. Le proteste sarebbero arrivate in seguito. «Capitano Tappo! Spinella!» Era Brucolo. Probabilmente voleva presentare un reclamo contro qualcuno. «Niente panico, caporale» disse Spinella, voltandosi verso il furgone. «Dobbiamo essere d'esempio...» Ma il rimprovero le si spense in gola quando vide cosa stava succedendo nel furgone. Ormai tutti i veicoli LEP avevano ricevuto l'impulso energetico d'ordinanza per portare al sicuro se stessi e il loro carico. E la stessa energia avrebbe mantenuto sottovuoto le manette di perspex. Ma dato che loro non usavano un veicolo LEP, non avevano ricevuto nessuna iniezione di energia... e ovviamente i goblin se n'erano resi conto perché stavano tentando di aprirsi un varco col fuoco. Brucolo uscì barcollando dalla cabina, il casco annerito dalla fuliggine. «Hanno fuso le manette e cominciato a lanciare palle di fuoco contro il portellone» balbettò, arretrando a distanza di sicurezza. Goblin. Un piccolo scherzo dell'evoluzione. Prendi le creature più stupide del pianeta e da' loro l'abilità di evocare il fuoco. Se i goblin non la smettevano subito, fra non molto si sarebbero trovati ricoperti di metallo fuso. Un brutto modo di andarsene, anche per chi è a prova di fuoco. Spinella azionò l'amplificatore dell'elmetto. «Voi nel furgone! Smettetela subito. Il veicolo si fonderà e resterete in trappola.» Per un po', la sola risposta fu il fumo che usciva dalle prese d'aria. Poi il veicolo si assestò sui semiassi. Una faccia comparve dietro la griglia e una lingua biforcuta scattò attraverso la rete metallica. «Ci prendi per scemi, elfo? Faremo polpette di questo ferrovecchio.» Spinella spense l'amplificatore e si avvicinò. «Senti, goblin. Voi siete scemi: è un dato di fatto, perciò passiamo oltre. Se continuate a tirare palle di fuoco, il tetto del furgone si fonderà e le gocce vi colpiranno come pallottole uscite da un fucile degli umani. So che siete a prova di fuoco, ma siete anche a prova di pallottole?» Il goblin ci pensò su, leccandosi gli occhi privi di palpebre. «Tu menti, elfo! Ridurremo il furgone come un colabrodo. E poi ci occuperemo di te.»
I pannelli del furgone ripresero a sussultare e deformarsi mentre i goblin tornavano all'attacco. «Niente paura» disse Brucolo, a distanza di sicurezza. «Ci penseranno gli estintori a dargli una calmata.» «Ci penserebbero» lo corresse Spinella «se non fossero connessi alla centralina energetica, che al momento è fuori servizio.» Un furgone vendi-curry come quello doveva rispettare le più severe misure di sicurezza prima di essere autorizzato a mettere una sola ruota sulla magnetostriscia. E fra le suddette misure rientravano diversi estintori capaci di riempire il veicolo di schiuma ignifuga nel giro di pochi secondi. L'aspetto positivo della schiuma era che s'induriva a contatto dell'aria, quello negativo era che l'interruttore era connesso alla magnetostriscia. Niente energia, niente schiuma. Spinella estrasse la Neutrino 2000. «Vuol dire che dovrò azionare l'interruttore personalmente.» Sigillò l'elmetto e salì sul furgone, evitando per quanto possibile di toccare il metallo: in teoria i microfilamenti della divisa LEP erano studiati per disperdere il calore in eccesso, ma non sempre la teoria corrispondeva alla realtà. Distesi supini sul pavimento, i goblin erano impegnati a sparare una palla di fuoco dopo l'altra contro il tetto del veicolo. «Smettetela!» ordinò Spinella, puntando il laser attraverso la rete di metallo. Tre goblin la ignorarono. Uno, forse il capo, voltò la faccia squamosa verso la grata. Spinella vide che aveva le pupille tatuate. Un atto di suprema stupidità che gli avrebbe probabilmente garantito una promozione... se i Mazza Sette non fossero stati sgominati. «Non riuscirai a beccarci tutti, elfo» disse, sputacchiando fumo dalla bocca e dal naso. «E allora uno di noi beccherà te.» Aveva ragione, anche se ne ignorava il motivo. Spinella si era appena ricordata di non poter sparare durante una serrata. Per legge era proibito fare uso di qualunque forma di energia, così da ridurre al minimo il rischio che Cantuccio fosse localizzata. Il goblin notò la sua esitazione. «Lo sapevo!» gracchiò, sparandole contro una palla di fuoco. La rete metallica si arroventò e parecchie scintille rimbalzarono contro la visiera di Spinella. Sopra le teste dei goblin il tetto del furgone s'incavò pericolosamente. Pochi secondi, e sarebbe crollato.
Spinella sganciò dalla cintura una pitoncorda e l'agganciò al lanciadardi sopra la canna principale della Neutrino. Il lancia-dardi funzionava a molla, come un lancia-arpioni vecchio stampo, e perciò non avrebbe messo in allarme i sensori. Il goblin era esilarato, come capita spesso ai goblin prima dell'arresto... il che, fra parentesi, spiega come mai ce ne siano tanti in galera. «Una freccetta? Vuoi punzecchiarci a morte, elfo?» Spinella mirò contro un gancetto che sbucava dal muso dell'estintore in fondo al furgone. «Vuoi stare zitto, per piacere?» disse, e fece fuoco. Il dardo passò sopra la testa del goblin e s'infilò nel gancio; la pitoncorda si tese per tutta la lunghezza del furgone. «Mancato» esultò il goblin, mostrandole la lingua biforcuta. Era un monumento alla stupidità goblin trovarsi intrappolato in un veicolo semifuso durante una serrata, con un agente LEP che gli sparava contro, ed essere ancora convinto di avere la carta vincente. «Ti ho detto di stare zitto!» sbottò Spinella, strattonando la pitoncorda e facendo scattare il gancio. Ottocento chili di schiuma sgorgarono dal muso dell'estintore alla velocità di trecento chilometri l'ora. Le palle di fuoco si spensero e i goblin furono inchiodati a terra dal getto che già si stava solidificando. Il capo fu sbattuto con tanta forza contro la rete metallica da potergli leggere senza problemi le parole tatuate sulle pupille. Su una c'era scritto "Mammina", sull'altra "Pappino". Una doppia di troppo, anche se probabilmente lui lo ignorava. «Oh» fece il goblin. Più per l'incredulità che per il dolore. Non aggiunse altro, perché aveva la bocca piena di schiuma. «Non preoccuparti» lo rassicurò Spinella. «La schiuma è porosa, perciò non soffocherai; ma è anche ignifuga, perciò non riuscirai a bruciarla.» Quando il capitano Tappo uscì dal furgone, Brucolo aveva ripreso a esaminarsi la solita pellicina. Spinella si tolse l'elmetto e passò la manica della tuta sulla visiera per eliminare la fuliggine. In teoria era antiaderente, ma forse era il caso di mandarla in laboratorio per un controllo. «Tutto bene?» chiese Brucolo. «Sì, caporale. Tutto bene. Non grazie a te.» Brucolo ebbe la sfacciataggine di fare l'offeso. «Controllavo il perimetro, capitano. Mica possiamo essere tutti eroi.» Tipico di Brucolo: sempre una scusa pronta. Ma a lui avrebbe pensato
più tardi. Adesso doveva raggiungere al più presto la Centrale e scoprire perché il Consiglio aveva isolato la città. «Secondo me dovremmo rientrare al QG» suggerì Brucolo. «Se gli umani stanno per invaderci, i ragazzi dei servizi segreti vorranno interrogarmi.» «Secondo me, io dovrei rientrare al QG» replicò Spinella. «Tu resti qui e tieni d'occhio i sospetti finché torna l'energia. Pensi di farcela? O quella pellicina ti crea troppi problemi?» I capelli ramati di Spinella erano così impastati di sudore da stare ritti, e i suoi occhi nocciola fissavano Brucolo con aria di sfida. «No, Spinella... capitano. Lascia fare a me. È tutto sotto controllo.» Ne dubito, pensò Spinella, cominciando a correre in direzione della Centrale. La città era nel caos. Tutti si erano riversati per strada e molti fissavano increduli i loro apparecchi di comunicazione improvvisamente silenziosi. Alcuni fra i più giovani esponenti del Popolo, sconvolti dalla perdita del cellulare, si erano accasciati sul marciapiede, scossi da singhiozzi sommessi. La Centrale era presa d'assalto da menti inquisitrici, simili a falene attratte dalla luce. Una delle poche luci di Cantuccio, per la precisione. Ospedali e veicoli d'emergenza continuavano a circolare, ma a parte quelli, il quartier generale LEP era l'unico edificio pubblico ancora dotato di energia. Spinella si fece largo tra la folla e sgusciò nell'atrio. La coda di cittadini inferociti si snodava giù per i gradini e fuori del portone. Tutti avevano la stessa domanda: che fine ha fatto l'energia? La stessa domanda che era sulle labbra di Spinella mentre faceva irruzione nel Centro Operativo, ma preferì tenerla per sé. Erano già presenti tutti i capitani della LEP, più i tre comandanti regionali e i sette membri del Consiglio. «Aaah» commentò il Consigliere Cahartez. «Ecco la nostra ritardataria.» «Ero senza energia di emergenza» spiegò Spinella. «Su un veicolo civile.» Cahartez si raddrizzò il cappello d'ordinanza a cono. «Non c'è tempo per le scuse, capitano. Il signor Polledro ha insistito perché aspettassimo il tuo arrivo prima di dare inizio alla riunione.» Spinella prese posto al tavolo dei capitani, accanto a Grana Algonzo.
«Brucolo sta bene?» le sussurrò lui. «Si è graffiato una pellicina.» Grana alzò gli occhi al cielo. «Senza dubbio sporgerà reclamo.» Il centauro Polledro entrò al piccolo trotto, portando con sé una valanga di dischetti. Polledro era il genio tecnico della LEP, e solo grazie ai suoi sistemi di sicurezza gli umani non avevano ancora scoperto il rifugio del Popolo. Ma forse le cose stavano per cambiare. Il centauro inserì rapidamente i dischetti nel sistema operativo, aprendo diverse finestre su uno schermo al plasma che occupava un'intera parete. Dopodiché si schiarì rumorosamente la voce. «Ho suggerito al Consigliere Cahartez di procedere alla serrata sulla base di questi dati.» Il comandante Tubero, della Ricog, masticò uno dei suoi pestilenziali sigari fungini. «Penso di esprimere l'opinione generale, Polledro, dicendo che là sopra vedo soltanto righe e scarabocchi. Senza dubbio significano qualcosa per un equino furbo come te, ma a noialtri farebbe comodo un po' di buon vecchio gnomico.» Polledro sospirò. «Per dirla semplice. Molto semplice. Siamo stati scandagliati. È abbastanza semplice, così?» Lo era. Nella stanza echeggiò un silenzio sbigottito. "Scandagliati" era un vecchio termine marinaro, risalente al tempo in cui si usava il sonar per individuare le navi. Significava essere localizzati. Qualcuno sapeva che il Popolo era là sotto. Tubero fu il primo a recuperare la voce. «Scandagliati. E da chi?» Polledro scrollò le spalle. «Non lo so. È durato pochi secondi. Irriconoscibile e irrintracciabile.» «Cos'hanno individuato?» «Parecchio. Tutta l'Europa settentrionale. Sonde, antenne. Tutte le nostre telecamere. Hanno scaricato le informazioni relative a ciascuna di loro.» La notizia era a dir poco catastrofica. Nel giro di pochi secondi qualcuno o qualcosa era venuto a conoscenza dell'intero sistema di sorveglianza del Popolo nell'Europa settentrionale. «Era umano» chiese Spinella «o alieno?» Polledro indicò la rappresentazione digitale del raggio. «Non ne sono sicuro. Se è umano, è nuovo di zecca. È sbucato dal nulla. Per quanto ne so, nessuno sta lavorando a una tecnologia del genere. Di qualunque cosa si tratti, ha letto i nostri sistemi come un libro aperto, superando tutti i miei codici di sicurezza.» Senza più curarsi del protocollo, Cahartez si tolse il cappello. «Che si-
gnifica, questo, per il Popolo?» «Difficile a dirsi. Sono possibili scenari migliori e scenari peggiori. Il nostro ospite misterioso potrebbe scoprire tutto lo scopribile e fare della nostra civiltà quello che vuole.» «E nello scenario migliore?» chiese Tubero. Polledro prese fiato. «Era quello il migliore.» Il capitano Tubero convocò Spinella nel suo ufficio. La stanza puzzava di sigaro nonostante il depuratore inserito nella scrivania. Polledro era già arrivato, e le sue dita volavano sulla tastiera del computer. «Il segnale è partito da Londra» annunciò il centauro. «Lo sappiamo solo perché, per puro caso, in quel momento stavo guardando lo schermo.» Si scostò dalla tastiera e scosse la testa. «Incredibile. È una specie di tecnologia ibrida. Ricorda i nostri sistemi ionici, ma non esattamente... appena un po' diversa.» «Al momento non m'importa come funziona» disse Tubero «ma chi la fa funzionare.» «Che posso fare, signore?» chiese Spinella. Tubero si alzò e richiamò una mappa di Londra sullo schermo a parete. «Vai là fuori e aspetta. Se ci scandagliano di nuovo, voglio qualcuno sul posto, pronto all'azione. Non possiamo rintracciare questa cosa, ma di sicuro possiamo seguirne il segnale. Se ricompare sullo schermo, ti manderemo le coordinate e ti precipiterai a indagare.» Spinella annuì. «Quand'è la prossima vampa?» Nel gergo LEP, con "vampe" si indicavano le ondate di magma che le capsule al titanio degli agenti Ricog cavalcavano per risalire in superficie. I piloti definivano questa procedura "Scottarsi il Didietro". «Non hai fortuna» replicò Polledro. «Niente vampe per i prossimi due giorni. Dovrai usare una normale navetta.» «E riguardo alla serrata?» «Ho ridato energia a Stonehenge e ai satelliti. Dobbiamo rischiare; devi andare in superficie e dobbiamo tenerci in contatto. Il futuro della nostra civiltà potrebbe dipendere da te.» Spinella si sentì schiacciare dal peso della responsabilità. Negli ultimi tempi, questa faccenda del futuro della nostra civiltà saltava fuori sempre più spesso. CAPITOLO 3
SOTTO GHIACCIO EN FIN, KNGHTSBRIDGE L'esplosione sonica aveva attraversato la porta della cucina, spazzando via come fili d'erba gli utensili di acciaio scintillante. L'acquario si era spaccato, ricoprendo il pavimento d'acqua, perspex e aragoste stupefatte che scorrazzavano fra tutte quelle rovine con le chele sollevate. Camerieri e cuochi erano per terra, legati e narcotizzati ma vivi. Leale non perse tempo a slegarli. Al momento preferiva non avere tra i piedi gente isterica. Avrebbe pensato a loro dopo aver neutralizzato ogni eventuale minaccia. Un assassino incastrato a metà di un divisorio si mosse debolmente. La guardia del corpo ne controllò gli occhi: incrociati e vacui. Nessun problema, lì. Comunque intascò ugualmente l'arma della vecchia signora. La prudenza non è mai troppa... una massima che avrebbe dovuto tenere a mente. Se Madame Ko avesse assistito alla sua esibizione di quel pomeriggio, gli avrebbe fatto cancellare a colpi di laser il tatuaggio ricevuto al momento del diploma. La cucina non nascondeva pericoli, ma qualcosa continuava a disturbare Leale. Il suo sesto senso gli graffiava il cervello come un osso spezzato. Ancora una volta ripensò a Madame Ko, la sua sensei all'Accademia. Scopo principale di una guardia del corpo è proteggere il principale. Il principale non può essere colpito da una pallottola se vi mettete davanti a lui. Madame Ko chiamava sempre "principale" il datore di lavoro. Non ci si affeziona a un principale. Leale si domandò come mai gli fosse venuta in mente proprio quella particolare massima, fra tutte le centinaia che Madame Ko gli aveva martellato nel cranio. Ovvio, in effetti. Perché era venuto meno alla prima legge delle guardie del corpo, lasciando solo il principale. E anche la seconda regola - Non affezionatevi al principale - era finita alle ortiche da un pezzo. Ormai l'affetto che provava per Artemis era tale da offuscare la sua lucidità di giudizio. Per un momento ebbe l'impressione di avere davanti Madame Ko, insignificante in un completo color cachi, in apparenza una modesta casalinga giapponese. Ma quante casalinghe di una qualunque nazionalità sono capaci di colpirti così rapidamente da far sibilare l'aria? Sei una vergogna,
Leale. Una vergogna per il tuo nome. Tanto varrebbe che tu facessi il ciabattino. Il tuo principale è già stato neutralizzato. Leale si mosse come in un incubo. L'aria stessa sembrava volerlo rallentare mentre correva verso le porte della cucina. Sapeva cosa stava per succedere. Arno Tozz era un professionista. Vanesio - un peccato capitale per una guardia del corpo - ma pur sempre un professionista. E in vista di una sparatoria, i professionisti non mancano mai di mettersi i tappi nelle orecchie. Il pavimento sotto i suoi piedi era scivoloso, ma Leale compensò inclinandosi in avanti e premendo con forza la punta delle suole di gomma. I suoi timpani intatti colsero vibrazioni irregolari provenienti dal ristorante. Una conversazione. Artemis stava parlando con qualcuno. Arno Tozz, senza dubbio. Era già troppo tardi. Attraversò la porta di servizio a una velocità che avrebbe fatto sfigurare un campione olimpico. Il suo cervello cominciò a calcolare le probabilità appena le immagini gli raggiunsero la retina: Tozz stava per sparare. Impossibile impedirglielo. Non c'era che una cosa da fare. Senza esitare, Leale la fece. Tozz sollevò la pistola. «Prima tu» disse. «Poi lo scimmione.» Tolse la sicura, prese la mira e fece fuoco. Leale sbucò dal nulla, riempiendo l'intera stanza e lanciandosi sulla traiettoria del proiettile. A distanza maggiore, forse il suo panciotto corazzato lo avrebbe protetto, ma così a bruciapelo la pallottola rivestita di Teflon lo attraversò come un attizzatoio rovente la neve, e gli s'infilò nel petto, un centimetro sotto il cuore. Una ferita mortale. E stavolta il capitano Tappo non era nei paraggi pronta a salvarlo con la magia. L'impeto stesso della corsa, combinato con la forza d'impatto del proiettile, lo mandò a sbattere contro Artemis, inchiodandolo contro il carrello dei dolci. L'unica parte visibile del ragazzo era un mocassino Armani. Il respiro di Leale era spezzato e i suoi occhi avevano smesso di funzionare, ma non era ancora morto. Mentre gli impulsi elettrici del cervello si spegnevano rapidamente, la guardia del corpo si concentrò su un unico pensiero: proteggere il principale. E quando ad Arno Tozz sfuggì un'esclamazione stupefatta, scaricò la Sig Sauer in quella direzione. Se fosse stato in grado di vedere, la sua mira lo avrebbe deluso. Comunque una pallottola centrò il bersaglio, colpendo
Tozz alla tempia e procurandogli un trauma cranico, nonché un'immediata perdita dei sensi. Arno Tozz crollò sul pavimento insieme al resto della sua squadra. Ignorando il dolore che lo attanagliava come una morsa gigantesca, Leale si concentrò alla ricerca di un qualunque movimento. Niente nei paraggi, a parte il ticchettio delle chele delle aragoste. Se avessero deciso di attaccare Artemis, il ragazzo avrebbe dovuto cavarsela da solo. Non poteva fare altro. O Artemis era vivo, oppure non lo era. In ogni caso, lui non era in condizioni di rispettare i termini del suo contratto. Questa consapevolezza portò con sé uno strepitoso senso di pace. Basta con le responsabilità. Per quegli ultimi pochi secondi aveva soltanto la sua vita da vivere. Ma Artemis non era soltanto il principale. Faceva parte della sua vita. Era il suo unico vero amico. Forse Madame Ko non avrebbe approvato quell'atteggiamento, ma ora come ora non poteva farci granché. Nessuno poteva farci granché. Ad Artemis non erano mai piaciuti i dolci. E adesso era sommerso di meringhe, crostate e tiramisù. Avrebbe dovuto gettare il vestito. Naturalmente il suo cervello si stava concentrando su questi fatti secondari per non pensare agli ultimi sviluppi della situazione. Ma un peso morto di quasi cento chili è difficile da ignorare. Per sua fortuna, la spinta di Leale lo aveva mandato a infilarsi nel secondo ripiano del carrello, mentre la guardia del corpo era rimasta stesa sul ripiano superiore, quello dei gelati. Per quanto poteva capire Artemis, il gateau della Foresta Nera aveva attutito l'impatto quanto bastava per evitargli gravi ferite interne. Però non dubitava che sarebbe stata consigliabile una visita al chiropratico. Magari anche per Leale, benché quell'uomo avesse il fisico di un troll. Sgusciò faticosamente fuori dal carrello. A ogni movimento, maligni cornetti alla crema sparavano nella sua direzione. «Davvero, Leale» brontolò «dovrò scegliere i miei soci con maggiore attenzione. Non passa giorno senza che siamo vittime di qualche complotto.» Con sollievo, vide Arno Tozz svenuto sul pavimento del ristorante. «Un altro cattivo eliminato. Bella mira, Leale, come sempre. A proposito... ho deciso che per i futuri incontri d'affari indosserò un panciotto antiproiettile. Questo dovrebbe facilitarti il lavoro...» Soltanto allora notò la camicia di Leale. E quella vista gli tolse tutta l'a-
ria dai polmoni come se fosse stato colpito da un maglio invisibile. Non tanto per il buco nella stoffa, ma per il sangue che ne sgorgava. «Leale, sei ferito... Ma il Kevlar...?» La guardia del corpo non rispose; non ce n'era bisogno. Artemis conosceva la scienza meglio di molti fisici nucleari. Ovviamente la pallottola era troppo veloce perché il panciotto riuscisse a fermarla. E probabilmente era stata rivestita di Teflon per aumentarne la capacità di penetrazione. Una grossa parte di Artemis voleva crollare sul petto della guardia del corpo e piangere come per la perdita d'un fratello. Ma represse con forza quell'istinto. Non era quello il momento di piangere. Doveva pensare, e alla svelta. La voce di Leale interferì con le sue riflessioni. «Artemis... sei tu?» Le parole gli uscirono spezzate di bocca. «Sì, sono io» rispose Artemis con voce tremante. «Non preoccuparti, Juliet ti proteggerà. Andrà tutto bene.» «Zitto, Leale. Sta' fermo. La ferita non è grave.» Leale gorgogliò. Era quanto di più vicino a una risata potesse fare. «D'accordo, è grave. Ma troverò una soluzione. Basta che tu stia fermo.» Con l'ultimo residuo di forza, Leale sollevò una mano. «Addio, Artemis» disse. «Amico mio.» Artemis gliela strinse, ormai incapace di fermare le lacrime che gli scorrevano sul viso. «Addio, Leale.» Gli occhi spenti dell'eurasiatico erano sereni. «Artemis, chiamami... Domovoi.» Quel nome disse due cose ad Artemis. Primo: che al suo compagno di una vita era stato dato il nome di uno spirito protettore slavo. Secondo: i diplomati dell'Accademia di Madame Ko avevano l'ordine di non rivelare mai il proprio nome al principale. Aiutava a mantenere il giusto distacco. Leale non avrebbe mai infranto quella regola... a meno che non avesse più importanza. «Addio, Domovoi» singhiozzò. «Addio, amico mio.» La mano ricadde. Leale era morto. «No!» urlò Artemis. Arretrò barcollando. Non era giusto. Non era così che doveva finire. Chissà perché, aveva sempre pensato che sarebbero morti insieme, affrontando ostacoli insormontabili in qualche località esotica. Nell'eruzione di una nuova Pompei, o sulle rive del Gange possente. Ma comunque insie-
me. Dopo tutto quello che avevano affrontato, Leale non poteva cadere per mano di un qualsiasi tirapiedi di seconda classe. Già in passato Leale aveva rischiato la morte. L'anno prima era stato massacrato da un troll proveniente dalle viscere della Terra, e Spinella Tappo lo aveva salvato usando la magia. Ma adesso non c'erano elfi nei paraggi. Il suo vero nemico era il tempo. Se ne avesse avuto un po' di più a disposizione, avrebbe potuto trovare il modo di contattare la LEP e convincere Spinella a usare di nuovo la magia. Ma non c'era tempo. Leale aveva sì e no quattro minuti prima che il suo cervello chiudesse i battenti. Non abbastanza, neanche per una mente come quella di Artemis... doveva guadagnare altro tempo. O rubarlo. Pensa, ragazzo, pensa. Usa quello che hai sottomano. Artemis si asciugò le lacrime. Si trovava in un ristorante, un ristorante di pesce. Inutile! Inservibile! Forse in un ospedale avrebbe potuto fare qualcosa. Ma qui? Cosa c'era qui? Un forno, lavandini, posate... del resto, anche se avesse avuto gli strumenti adatti, non aveva ancora completato gli studi medici. E poi era troppo tardi per la chirurgia convenzionale... a meno di poter effettuare un trapianto cardiaco in meno di quattro minuti. I secondi scorrevano veloci. Artemis era sempre più frenetico. Il tempo era contro di loro. Il tempo era il nemico. Doveva fermarlo. L'idea gli lampeggiò nel cervello in una vampata di neuroni. Forse non poteva fermare il tempo, però poteva bloccarlo per Leale. Un procedimento rischioso, d'accordo, ma era la loro unica possibilità. Fece scattare col piede il fermo del carrello e cominciò a spingerlo verso la cucina, scostando dalla sua strada assassini gementi. Sentì avvicinarsi parecchie sirene. A quanto pareva, l'esplosione della bomba sonica aveva attratto l'attenzione. Meglio non farsi trovare lì... Le impronte non erano un problema, dato che il ristorante aveva dozzine di clienti. Gli sarebbe bastato svignarsela prima che arrivasse il fior fiore della polizia di Londra. La cucina di acciaio inossidabile era cosparsa di detriti. Pesci guizzavano nei lavandini, crostacei ticchettavano sul pavimento, caviale gocciolava dal soffitto. E sulla parete di fondo faceva bella mostra di sé una parata di congelatori, indispensabili in ogni ristorante di pesce. Artemis puntellò le spalle contro il carrello e lo pilotò in quella direzione. Il congelatore più grosso era del tipo a cassetti. Artemis ne spalancò uno con violenza, sfrattando rapidamente salmone, persici e naselli incastonati
in trucioli di ghiaccio. Criogenica. Era la loro unica possibilità. La scienza di congelare un corpo finché la medicina si fosse evoluta a sufficienza da riportarlo in vita. In genere disprezzata dalla comunità medica, intascava comunque ogni anno milioni di sterline elargiti da ricchi eccentrici ai quali serviva più d'una vita per spendere tutti i propri soldi. Di solito le camere criogeniche erano costruite secondo regole precise, ma Artemis non aveva tempo da perdere con le regole. Come soluzione temporanea, il congelatore poteva andare. Per salvare le cellule cerebrali di Leale era indispensabile mettergli prima possibile la testa sotto ghiaccio. Finché il cervello restava intatto, anche in assenza di battito cardiaco in teoria era sempre possibile resuscitarlo. Avvicinò il carrello al congelatore, lo inclinò, e con l'aiuto di un vassoio d'argento fece scivolare il corpo nel ghiaccio fumante. Ci entrò di misura, piegando appena le ginocchia. Dopodiché lo ricoprì rapidamente di ghiaccio e regolò il termostato su quattro sotto zero, in modo da evitare danni ai tessuti. «Tornerò» disse, rivolgendosi agli occhi spenti dell'amico che lo fissavano attraverso uno strato di brina. «Sogni d'oro.» Le sirene erano sempre più vicine. Davanti al ristorante si levò uno stridio di freni. «Resisti, Domovoi» sussurrò Artemis, e chiuse il congelatore. Uscì dalla porta sul retro e si mescolò ai curiosi. Di sicuro la polizia avrebbe fatto fotografare la folla, perciò non indugiò nei paraggi e nemmeno si voltò a guardare il ristorante. Invece s'infilò da Harrods e si sedette a un tavolo del caffè sulla balconata. Dopo aver assicurato alla cameriera che non stava cercando la mamma e aver esibito denaro sufficiente a pagarsi una tazza di Earl Grey, prese il cellulare e selezionò un numero dalla rubrica. Una raschiante voce d'uomo rispose al secondo squillo. «'giorno. Dite alla svelta, chiunque siate. Al momento ho da fare.» L'uomo era l'Investigatore Capo Justin Barre di New Scotland Yard. E la voce raschiante era dovuta a un coltello da caccia piantato nel gargarozzo durante una rissa in un bar negli anni Novanta. Se Leale non avesse fermato l'emorragia, Justin Barre non sarebbe mai salito oltre il grado di sergente. Era tempo di fargli saldare quel debito. «Ispettore Barre. Qui Artemis Fowl.» «Artemis, come stai? E come sta il mio vecchio amico Leale?»
Artemis aggrottò la fronte. «Per niente bene, temo. Gli serve un favore.» «Qualunque cosa per il grand'uomo. Di che si tratta?» «Ha saputo di un problema a Knightsbridge?» Seguì un breve silenzio, durante il quale Artemis sentì l'inconfondibile suono di un foglio strappato dal fax. «Sì, la notizia è appena arrivata. Un paio di finestre spaccate in un ristorante. Niente di grave. Alcuni turisti sono un po' scombussolati. Volendo credere ai rapporti preliminari, si sarebbe trattato di un terremoto localizzato. Sul posto sono appena arrivate due volanti. Non dirmi che c'entra Leale.» Artemis prese fiato. «Potrebbe tenere i suoi uomini lontano dai congelatori?» «È una richiesta strana. Cosa c'è là dentro che non dovrei vedere?» «Niente d'illegale. Mi creda, per Leale è questione di vita o di morte.» Barre non esitò. «Non rientra esattamente nella mia giurisdizione, ma consideralo già fatto. Devi togliere da lì qualcosa che io non dovrei vedere?» L'ispettore gli aveva letto nel pensiero. «Prima possibile. Mi serviranno soltanto due minuti.» Barre rifletté. «D'accordo. Sincronizziamo i nostri movimenti. La scientifica sarà lì per un paio d'ore. Questo non posso evitarlo. Ma ti garantisco che alle quattro e mezzo non ci sarà più in giro nessuno. Avrai cinque minuti.» «Saranno più che sufficienti.» «Bene. E di' al grand'uomo che siamo pari.» Artemis mantenne la voce controllata. «Sì, ispettore. Glielo dirò.» Se ne avrò l'opportunità, pensò. ISTITUTO CRIOGENICO ERA GLACIALE, C/O HARLEY STREET, LONDRA In realtà, l'Istituto Criogenico Era Glaciale non si trovava in Harley Street. In realtà il suo portone si apriva su Dickens Lane, una viuzza laterale all'estremità sud della famosa Strada dei Medici. Ma questo non impediva al direttore del complesso, la dottoressa Constance Lane, di usare il nome della via a fini pubblicitari. Tutto serve a comprarsi credibilità. Appena le classi superiori vedevano le magiche parole "Harley Street" su un
biglietto da visita, cominciavano a sbavare dalla voglia di far congelare la loro fragile carcassa. Artemis Fowl era molto meno impressionabile. Però non aveva scelta; l'Era Glaciale era uno dei tre soli istituti criogenici di Londra, e l'unico ad avere ancora posti disponibili. Anche se, pensò il ragazzo, il cartellone al neon era decisamente eccessivo: SCONFIGGI IL TEMPO. CAPSULE A NOLO. Insomma. Già l'aspetto dell'edificio fu sufficiente a farlo contorcere. La facciata era rivestita di alluminio sabbiato, e ovviamente studiata in modo da somigliare a un'astronave, con porte del tipo sibilante alla Star Trek. Zero senso artistico. Chi aveva dato il permesso di costruire una mostruosità del genere nel cuore della Londra storica? Un'infermiera, completa di uniforme candida e cuffietta a tre punte, era seduta dietro una scrivania nell'ingresso. Artemis dubitava che fosse una vera infermiera... forse per via della sigaretta stretta fra le unghie finte. «Signorina?» L'infermiera alzò a malapena lo sguardo dalla rivista che stava leggendo. «Sì? Vuoi qualcuno?» Artemis strinse i pugni e si costrinse a mantenere la calma. «Sì, vorrei vedere la dottoressa Lane. È lei il direttore di questo posto, giusto?» L'infermiera schiacciò la cicca in un posacenere traboccante. «Non è per un'altra ricerca scolastica, eh? La dottoressa Lane ha detto basta con gli studentelli.» «No. Non è per una ricerca scolastica.» «Mica sei un avvocato, eh?» indagò sospettosa l'infermiera. «Uno di quei geni che prendono la laurea mentre ancora usano il pannolino?» Artemis sospirò. «Un genio, sì. Un avvocato, no. Io sono, mademoiselle, un cliente.» Di colpo l'infermiera diventò tutta zucchero. «Un cliente! Ma perché non l'ha detto subito! La prego, si accomodi. Il signore gradisce tè, caffè, o forse qualcosa di più forte?» «Ho tredici anni, mademoiselle.» «Succo di frutta?» «Un tè andrà bene. Earl Grey, se ne avete. Niente zucchero, ovviamente, potrebbe rendermi iperattivo.» Infermiera, pronta a incassare qualunque battuta sarcastica da un cliente pagante, guidò Artemis in una sala d'attesa anch'essa in stile spaziale. Tutta specchi e tappezzeria luccicante.
Aveva bevuto metà di una tazza di qualcosa che non era Earl Grey quando la porta della dottoressa Lane si spalancò. «Si accomodi» lo invitò in tono perplesso una donna alta. «Devo camminare?» chiese Artemis. «O usate il teletrasporto?» Le pareti dell'ufficio erano costellate di attestati, lauree e certificati in cornice, ma Artemis sospettava che molti di essi potessero essere ottenuti nel giro di un fine settimana. Lungo le pareti c'erano anche diverse foto di "clienti", e sotto la scritta: "Amor Giace Dormiente". Per un momento Artemis fu tentato di girare sui tacchi e andarsene, ma la situazione era troppo disperata. La dottoressa Lane lo aspettava seduta dietro la scrivania. Era una donna affascinante, con una lussureggiante chioma rossa e affusolate dita da artista. Il camice era firmato Dior. Perfino il suo sorriso era perfetto... troppo perfetto. Artemis lo osservò con più attenzione e si rese conto che quella faccia era interamente opera di un chirurgo plastico. Ovviamente la vita della dottoressa Lane era una lotta contro il tempo. Era venuto nel posto giusto. «Dunque, giovanotto, Tracy dice che desideri diventare nostro cliente?» La dottoressa tentò di sorridere, ma la tensione le stirò la pelle del viso come un palloncino troppo gonfio. «Non personalmente» replicò Artemis. «Vorrei semplicemente noleggiare una delle vostre unità. Per un breve periodo.» Constance Lane tolse da un cassetto un opuscolo informativo e cerchiò in rosso alcuni numeri. «Le nostre tariffe sono piuttosto alte.» Artemis non degnò la cifra di un'occhiata. «Il denaro non ha importanza. Posso effettuare adesso stesso un bonifico on line tramite la mia banca in Svizzera. Nel giro di cinque minuti, lei può avere un centinaio di migliaia di sterline depositate sul suo conto personale. In cambio di una delle vostre capsule per una sola notte.» Era una bella cifra. Constance pensò a tutti i lifting che avrebbe potuto farci. Però era ancora riluttante... «In genere ai minorenni non è permesso affidare parenti vari alle nostre camere criogeniche. È contro la legge...» Artemis si protese in avanti. «Dottoressa Lane. Constance. Quello che intendo fare non è esattamente legale, però nessuno ne soffrirà. Una capsula criogenica per una notte, e lei
diventerà una donna ricca. Domani a quest'ora potrà dimenticarsi di me. Niente corpi, nessun reclamo.» La dottoressa si accarezzò pensosa la mascella. «Una notte?» «Esatto.» Constance tolse uno specchio dal cassetto e studiò con attenzione il proprio riflesso. «Chiama la tua banca.» STONEHENGE, WILTSHIRE Erano due i pozzi LEP che sbucavano nel Sud dell'Inghilterra. Uno finiva dritto a Londra, ma era chiuso al pubblico da quando il campo d'allenamento del Chelsea era stato costruito cinquecento metri sopra il navettiporto. L'altro si trovava nel Wiltshire, accanto a quello che gli umani conoscevano come Stonehenge. In effetti i Fangosi avevano diverse teorie sull'origine della struttura... teorie che andavano da una pista d'atterraggio per astronavi aliene a un centro religioso pagano. La verità era molto meno affascinante. In realtà Stonehenge era stata il centro di spaccio per un cibo basato sulle focacce piatte. O, per usare un termine umano, una pizzeria. Uno gnomo di nome Fogna si era reso conto che parecchi turisti salivano in superficie scordando di portarsi dietro un rifornimento di panini, e aveva messo su un'attività accanto al terminale. Un'operazione di tutto riposo. Volavi fino a uno sportello, dicevi cosa volevi sopra la tua pizza, e dieci minuti dopo ti stavi ingozzando. Naturalmente, quando gli umani cominciarono a parlare per frasi compiute, Fogna dovette spostare la sua attività sottoterra. E poi tutto quel formaggio stava ammollando il terreno. Un paio di vetrine erano addirittura crollate. Era difficile per i civili ottenere il visto per Stonehenge a causa del continuo viavai umano in superficie. Del resto gli hippy vedevano fate ed elfi tutti i giorni senza che la notizia raggiungesse mai le prime pagine dei quotidiani. Nella sua qualità di agente Ricog, Spinella non aveva problemi di visto: le bastava far lampeggiare il distintivo per ottenere un passaggio in superficie. Ma essere un agente Ricog non serviva a niente se non erano previste ondate di magma. E il pozzo di Stonehenge era tranquillo da oltre tre secoli. Neanche una scintilla. Così, in mancanza di vampe da cavalcare, fu co-
stretta a usare una navetta passeggeri. La prima disponibile era superprenotata, ma per fortuna c'era chi aveva cambiato idea all'ultimo minuto e perciò non fu costretta a sloggiare qualcuno. La navetta, un incrociatore di lusso con cinquanta posti, era stata prenotata dalla Fratellanza di Fogna per visitare il sito del loro mecenate. Quegli gnomi dedicavano tutta la vita alla pizza e ogni anno, per l'anniversario del primo giorno in affari di Fogna, affittavano una navetta e facevano un picnic in superficie a base di pizza, birra di tuberi e gelato alla pizza. E naturalmente, per tutto il giorno non si toglievano i loro berretti-da-pizza. Così, per sessantasette minuti, Spinella rimase incuneata fra due gnomi gonfi di birra che cantavano l'inno della Fratellanza: Pizza, pizza, Magna e azzanna, Più la pasta lievita, Migliore è la base! Le strofe erano centoquattordici. E non miglioravano. Spinella non era mai stata così sollevata nel vedere le luci d'atterraggio di Stonehenge. Il terminal vero e proprio era molto esteso e comprendeva tre file di sportelli della dogana, un parco giochi e un duty free. Il souvenir più alla moda del momento era il pupazzo di un Fangoso che diceva "Pace, fratello" quando gli schiacciavi la pancia. Sventolando il distintivo, Spinella si fece largo fra le code alla dogana e s'infilò in un ascensore diretto alla superficie. Di recente, uscire era diventato più facile perché i Fangosi avevano circondato il posto con una cancellata. Per proteggere la loro eredità, o così credevano. Strano che sembrassero più preoccupati del passato che del presente. Spinella si agganciò le ali, e quando la sala controllo le ebbe dato il via, decollò portandosi rapidamente a un'altezza di duemila metri e attivando lo schermo nonostante ci fosse una buona copertura nuvolosa. Adesso niente e nessuno poteva individuarla; era invisibile a occhi umani e a occhi meccanici. Soltanto gli occhi dei ratti e di due specie di scimmie riuscivano a penetrare attraverso gli schermi del Popolo. Accese il navigatore di bordo e gli lasciò il compito di virare per lei. Era bello essere di nuovo in superficie, e per giunta al tramonto. Il periodo del giorno che preferiva. Un lento sorriso le si allargò sulla faccia. A dispetto
della situazione, era felice. Era per fare questo che era nata. Ricog. Col vento contro la visiera e una sfida fra i denti. KNIGHTSBRIDGE, LONDRA Quasi due ore da quando Leale era stato colpito. In genere, fra l'arresto cardiaco e i primi danni al cervello passano quattro minuti, ma quel periodo poteva essere esteso se la temperatura del corpo restava sufficientemente bassa. Per esempio è possibile riportare in vita gli annegati fino a un'ora dopo la loro morte apparente. Artemis poteva solo sperare che la camera criogenica d'emergenza riuscisse a mantenere Leale in stasi fino a quando avesse potuto trasferirlo in una capsula fornita dall'Era Glaciale. Per trasportare i clienti dalle cliniche dove erano spirati, l'Istituto possedeva un'unità mobile fornita di generatore autonomo e ambulatorio. Anche se la criogenesi era considerata un'assurdità da molti medici, il veicolo in sé raggiungeva i massimi livelli quanto a equipaggiamento e igiene. «Queste unità costano quasi un milione di sterline l'una» lo informò la dottoressa Constance Lane mentre erano seduti nell'ambulatorio candido, ai lati di una capsula criocilindrica fissata a una barella con cinghie robuste. «Le ambulanze sono fatte a Monaco su ordinazione, e sono anche corazzate. Quest'affare potrebbe passare sopra una mina e uscirne senza un graffio.» Per una volta, Artemis non era interessato a raccogliere informazioni. «Davvero notevole, dottoressa, ma non potremmo accelerare? Il tempo del mio socio è agli sgoccioli. Sono già passati centoventisette minuti.» Constance Lane tentò di aggrottare la fronte, ma non c'era rimasta abbastanza pelle. «Due ore. Nessuno è mai stato riportato in vita dopo tanto tempo... Del resto, nessuno è mai stato riportato in vita da una camera criogenica.» Il traffico di Knightsbridge era caotico come sempre. C'era una svenditaper-un-giorno da Harrods, e l'isolato era assediato da orde di clienti avidi. Ci vollero altri diciassette minuti per raggiungere l'entrata di servizio dell'En Fin. Erano le quattro e trentasei del pomeriggio e, come promesso, c'era soltanto un agente. L'ispettore Justin Barre in persona montava la guardia alla porta sul retro. A sentire Leale, l'alto poliziotto era un discendente degli Zulu. Non era difficile immaginarli fianco a fianco in qualche terra esotica. Incredibilmente, trovarono un parcheggio davanti al ristorante. Artemis
uscì dal furgone. «Criogenica» disse Barre, leggendo la scritta sul veicolo. «Pensi di poter fare qualcosa per lui?» «Ha guardato nel congelatore?» L'ispettore annuì. «Come potevo resistere? La curiosità è il mio mestiere. Però adesso mi dispiace di averlo fatto. Era un brav'uomo.» «È un brav'uomo» lo corresse Artemis. «Non sono ancora pronto a rinunciare a lui.» Barre si scostò per lasciar passare due infermieri con la divisa dell'Istituto. «Secondo i miei uomini, dei banditi armati hanno tentato una rapina e sono stati interrotti da un terremoto. Se è davvero andata così, mi mangio il distintivo. Presumo tu non possa illuminarmi...» «Un mio concorrente era in disaccordo su una particolare strategia d'affari. Un disaccordo violento.» «Chi ha premuto il grilletto?» «Arno Tozz. Neozelandese. Capelli decolorati, orecchini, tatuaggi sul corpo e sul collo. Gli mancano quasi tutti i denti.» Barre prese un appunto. «Farò circolare la descrizione negli aeroporti. Non si sa mai, potremmo beccarlo.» Artemis si strofinò gli occhi. «Leale mi ha salvato la vita. Quella pallottola era destinata a me.» «Tipico di Leale. Posso fare qualcosa?» «Sarà il primo a esserne informato. I suoi uomini hanno trovato qualcuno sulla scena?» «Qualche cliente e il personale. Li hanno controllati e lasciati andare. I rapinatori erano fuggiti prima del nostro arrivo.» «Non importa. Meglio che mi occupi io stesso del colpevole.» Barre fece uno sforzo per ignorare l'attività in corso in cucina. «Artemis, puoi garantirmi che il ricordo di quanto sto facendo non tornerà a tormentarmi? Tecnicamente, questo è un omicidio.» Non fu facile per Artemis guardarlo negli occhi. «Nessun cadavere, nessun caso, ispettore. E le garantisco che per domani a quest'ora Leale sarà vivo. Gli dirò di telefonarle, se questo può rassicurarla.» «Sì, lo farebbe.» Gli infermieri passarono spingendo la barella: sopra c'era Leale, la faccia coperta da un velo di brina. Il danno ai tessuti gli stava già facendo diven-
tare blu le dita. «Qualunque medico capace di riportarlo indietro dovrebbe fare uso della magia!» Artemis abbassò lo sguardo. «Questo è il piano, ispettore. Questo è il piano.» Nel furgone, la dottoressa Lane si affrettò a iniettare una soluzione di glucosio nelle vene del suo cliente. «Serve a bloccare il collasso delle cellule» spiegò, massaggiando il petto di Leale per metterla in circolo. «Altrimenti, congelandosi, l'acqua nel sangue potrebbe formare schegge capaci di bucare le loro pareti.» Leale era steso in una criounità aperta e dotata di stabilizzatori. Gli avevano infilato una speciale tuta argentea, e sacchetti di ghiaccio erano ammucchiati sul suo corpo come bustine di zucchero in una ciotola. Per Constance era una novità che qualcuno ascoltasse la spiegazione del procedimento, ma quel ragazzino pallido assorbiva i fatti più alla svelta di quanto lei riuscisse a esporli. «L'acqua non si congelerà ugualmente? Questo il glucosio non può impedirlo.» Constance lo fissò ammirata. «Sì, certo. Però in frammenti più piccoli, che galleggeranno senza problemi fra le cellule.» Artemis digitò un appunto sul computer palmare. «Frammenti più piccoli. Capisco.» «Il glucosio è solo una misura temporanea» proseguì la dottoressa. «Il passo successivo è chirurgico: dobbiamo svuotargli le vene e sostituire il sangue con un conservante. Dopodiché abbasseremo la temperatura sotto i trenta gradi. Ma questo va fatto all'Istituto.» Artemis chiuse il computer. «Non ce n'è bisogno. Mi serve solo che resti in stasi per qualche ora. Dopo non avrà importanza.» «Non credo che tu capisca, giovanotto. Le attuali conoscenze mediche non sono in grado di curare una ferita di questo tipo. Se non eseguiamo prima possibile una completa sostituzione del sangue, i tessuti risulteranno gravemente danneggiati.» «Non si preoccupi, dottore.» «Ma...» «Centomila sterline, Constance. Continui a ripetersi questa cifra. Parcheggi il furgone davanti all'Istituto e si scordi di noi. Per domattina ce ne saremo andati. Tutt'e due.»
La dottoressa Lane lo fissò stupita. «Davanti all'Istituto? Non volete neanche entrare?» «No, Leale resta fuori. Il mio... ehm... chirurgo non sopporta i posti chiusi. Ma posso usare il vostro telefono? Devo fare una chiamata piuttosto speciale.» SPAZIO AEREO DI LORIDRA Le luci di Londra si stendevano sotto Spinella, simili a stelle di una galassia turbolenta. Di solito agli agenti Ricog era proibito sorvolare la capitale dell'Inghilterra a causa dei quattro aeroporti che vomitavano in cielo aerei a getto continuo. Cinque anni prima, il capitano Grana Algonzo aveva evitato per un pelo di farsi impalare da un airbus Heathrow-JFK. Da allora, tutti i piani di volo che toccavano città dotate di uno o più aeroporti dovevano passare il vaglio personale di Polledro. «Polledro» disse Spinella nel microfono dell'elmetto. «Ci sono voli in arrivo?» «Fammi controllare. Dunque, vediamo... Fossi in te, scenderei a centocinquanta metri. Fra pochi minuti è in arrivo un 747 da Malaga. Non ti finirà addosso, ma il tuo computer potrebbe interferire con i loro sistemi di navigazione.» Spinella si era appena portata alla corretta altitudine quando il gigantesco jet attraversò urlando il cielo sopra la sua testa. Senza i filtri sonici, si sarebbe spaccata i timpani. «Fatto. Evitato con successo un jet carico di turisti. E ora?» «Ora aspettiamo. Ti chiamerò solo se c'è qualcosa di davvero importante.» Non dovette aspettare a lungo. Polledro spezzò il silenzio radio neanche cinque minuti dopo. «Spinella. Ci siamo.» «Un altro scandaglio?» «No. Qualcosa da Sentinella. Aspetta, ti mando il file.» Un file audio comparve sulla visiera. A occhio, somigliava alla lettura di un sismografo. «Cos'è, la registrazione di una telefonata?» «Non proprio. È uno dei miliardi di file usa-e-getta che Sentinella ci spedisce tutti i giorni.» Il sistema Sentinella era una serie di unità di monitoraggio che Polledro
aveva collegato agli antiquati satelliti americani e russi allo scopo di controllare tutte le telecomunicazioni umane. Ovviamente sarebbe stato impossibile ascoltare ogni telefonata fatta ogni giorno, perciò il computer era programmato per reagire a speciali parole chiave. Se per esempio in una conversazione comparivano le parole "elfo", "cantuccio" e "sottosuolo", il computer segnalava la telefonata. Più parole collegate al Popolo comparivano, più urgente era la segnalazione. «Una telefonata fatta a Londra pochi minuti fa. Strapiena di parole chiave. Mai sentito niente del genere.» «Trasmetti» scandì Spinella, usando il comando vocale. Un cursore verticale prese a scorrere sull'onda sonora. «Popolo» disse una voce distorta. «LEP, magia, Cantuccio, navettiporto, spiritelli, Mazza Sette, troll, stasi temporale, Ricog, Atlantide.» «Tutto qui?» «Non ti basta? Chiunque sia l'autore della chiamata potrebbe scrivere la nostra biografia.» «Ma sono soltanto parole slegate. Non ha senso.» «Ehi, è inutile discutere con me» replicò il centauro. «Io mi limito a raccogliere informazioni. Però dev'esserci una connessione con lo scandaglio. Due cose del genere non capitano per caso nello stesso giorno.» «D'accordo. Abbiamo localizzato la fonte?» «Un istituto criogenico a Londra. Sentinella non è stato in grado di effettuare un riconoscimento vocale. Sappiamo solo che proveniva dall'interno dell'edificio.» «A chi era diretta la telefonata?» «Un'altra cosa strana. Alla sezione Cruciverba del "Times".» «Forse era la soluzione del cruciverba di oggi?» suggerì Spinella speranzosa. «No. Ho già controllato. Neanche una parola relativa al Popolo.» Spinella passò al controllo manuale delle ali. «D'accordo. Andiamo a vedere cos'ha in mente questo Fangoso. Mandami le coordinate dell'istituto.» In cuor suo sospettava che fosse un falso allarme. Ce n'erano centinaia ogni anno. Polledro era così paranoico da aspettarsi l'arrivo in massa dei Fangosi ogni volta che qualcuno pronunciava la parola "magia" nel corso di una telefonata. E con la recente invasione di film e videogame fantasy, capitava spesso che si parlasse di magia. Migliaia di ore erano state sprecate sorvegliando le case da dov'erano partite le telefonate... e di solito veni-
va fuori che si trattava di qualche ragazzino fanatico di computer. Con ogni probabilità, anche quella era il risultato di un cruciverba, o forse si trattava di qualche scribacchino di Hollywood che voleva vendere una sceneggiatura, o magari di un agente LEP in incognito che tentava di telefonare a casa. Comunque, meglio controllare. Si tuffò in picchiata. Andava contro le regole della Ricog, naturalmente. In teoria, tutti gli avvicinamenti dovevano essere controllati e graduali... ma che gusto c'era a volare se non potevi sentire il vento risucchiarti i piedi? ISTITUTO CRIOGENICO ERA GLACIALE, LONDRA Artemis si appoggiò al paraurti posteriore dell'unità mobile criogenica. Strano come potevano cambiare in fretta le priorità di una persona. Stamattina la sua unica preoccupazione era decidere quali mocassini indossare, e ora riusciva a pensare soltanto che era in gioco la vita del suo più caro amico. E la situazione stava precipitando rapidamente. Eliminò un velo di brina dagli occhiali tolti dalla giacca della guardia del corpo. Non erano occhiali normali. Leale aveva una vista perfetta. Quelli erano occhiali speciali, costruiti in modo da ospitare i filtri tolti da un elmetto LEP. Filtri antischermo. Leale se li portava dietro da quando Spinella Tappo lo aveva quasi preso alla sprovvista in Casa Fowl. «Non si sa mai» aveva detto. «Noi costituiamo una minaccia per la sicurezza della LEP, e un giorno il comandante Tubero potrebbe essere rimpiazzato da qualcuno che non ci è altrettanto affezionato.» Artemis non condivideva le sue preoccupazioni. Tutto sommato, il Popolo era pacifico. Non credeva che avrebbero fatto del male a qualcuno, fosse pure un Fangoso, sulla base di crimini passati. In fin dei conti si erano lasciati da amici. O almeno non da nemici. La telefonata avrebbe funzionato... non c'era motivo di pensare il contrario. Parecchi servizi segreti governativi controllavano le linee telefoniche basandosi sull'uso di parole chiave per registrare conversazioni che potevano compromettere la sicurezza nazionale. E se lo facevano gli umani, c'era da scommettere che Polledro era almeno un paio di passi davanti a loro. Inforcò gli occhiali e risalì nella cabina del veicolo. Aveva fatto la telefonata dieci minuti prima. Anche se Polledro si fosse messo subito al lavoro, sarebbero passate minimo due ore prima che la LEP inviasse un agente
in superficie. Altre due ore. Quasi sei da quando il cuore di Leale si era fermato. Il record per una rinascita - due ore e cinquanta minuti - apparteneva a uno sciatore rimasto sepolto da una valanga sulle Alpi. Nessuno era mai stato riportato in vita dopo sei ore. E forse nessuno lo sarebbe mai stato. Lanciò un'occhiata alla cena fornitagli dalla dottoressa Lane. In qualsiasi altra occasione si sarebbe lamentato praticamente di qualunque cosa sul vassoio, ma adesso il cibo doveva servire soltanto a sostenerlo fino all'arrivo dei soccorsi. Prese una tazza di plastica e tracannò un lungo sorso di tè che gli sciabordò rumorosamente nello stomaco vuoto. Dietro di lui la criounità ronzava come un normalissimo frigorifero. Di tanto in tanto il computer emetteva squittii e brusii elettronici mentre la macchina eseguiva qualche auto-diagnosi. La mente di Artemis cominciò a vagate, ricordando le settimane trascorse a Helsinki in attesa che il padre riprendesse conoscenza. In attesa di scoprire quale effetto avesse avuto su di lui la magia del Popolo... ESTRATTO DAL DIARIO DI ARTEMIS FOWL. DISCHETTO 2. IN CODICE. Oggi mio padre mi ha parlato. Per la prima volta dopo più di due anni ho sentito la sua voce, ed è identica a come la ricordavo. Ma non tutto il resto lo è. Sono trascorsi due mesi da quando Spinella Tappo ha usato la magia per guarire il suo corpo malconcio, ma fino a oggi lui giaceva ancora inerte nel suo letto di ospedale. I medici non riuscivano a capire. «Dovrebbe svegliarsi» mi dicevano. «Le onde cerebrali sono forti... anzi, eccezionalmente forti. E il cuore batte come quello di un cavallo. È un mistero; quest'uomo dovrebbe essere in punto di morte, invece ha il tono muscolare di un ventenne.» Naturalmente per me non era un mistero. La magia di Spinella ha revisionato l'intero corpo di mio padre... a eccezione della gamba sinistra, persa quando la sua nave è affondata al largo di Murmansk. Ha ricevuto una trasfusione di vita, nel corpo e nella mente. L'effetto della magia sul corpo non mi preoccupava, ma non potevo fare a meno di chiedermi quali sarebbero state le conseguenze sulla sua mente di tutta quell'energia positiva. Per mio padre un cambiamento del genere potrebbe essere traumatico. È il patriarca Fowl, e la sua vita è sempre
stata imperniata sul desiderio di accumulare denaro. Per sedici giorni mia madre e io siamo rimasti seduti nella sua stanza d'ospedale, aspettando che si risvegliasse. Ormai avevo imparato a leggere gli strumenti, perciò notai subito i nuovi picchi nelle sue onde cerebrali e ne dedussi che in breve avrebbe ripreso conoscenza. Naturalmente mi affrettai a chiamare un'infermiera. Fummo subito spinti fuori dalla stanza per lasciare il posto a una folta squadra medica: due cardiologi, un anestesista, un chirurgo, uno psicologo e svariate infermiere. Ma mio padre non aveva bisogno di cure mediche. Si è semplicemente messo a sedere, si è stropicciato gli occhi e ha balbettato una parola: Angeline. Mia madre è stata fatta entrare. Leale, Juliet e io siamo stati costretti ad aspettare per altri angosciosi minuti finché lei è riapparsa sulla soglia. «Entrate» ci ha invitati. «Vuole vedervi tutti.» All'improvviso ho avuto paura. Mio padre, l'uomo il cui posto avevo tentato di occupare per due anni, era sveglio. Sarebbe stato all'altezza delle mie aspettative? E io delle sue? Entrai esitante. Artemis Fowl Senior era seduto sul letto, la schiena appoggiata ai cuscini. La prima cosa che ho notato è stato il suo viso. Non le cicatrici - ormai quasi completamente guarite - ma l'espressione. La sua fronte, di solito corrugata da pensieri tempestosi, era liscia e rilassata. Per un momento rimasi incerto, senza sapere che dire. Però mio padre non ebbe incertezze. «Arty!» esclamò, tendendomi le braccia. «Sei un uomo, ormai. Un giovanotto.» Corsi da lui, tutti i piani e gli schemi dimenticati. Avevo di nuovo un padre. ISTITUTO CRIOGENICO ERA GLACIALE, LONDRA I ricordi di Artemis furono interrotti da un movimento furtivo sopra di lui. Scrutò fuori del lunotto posteriore e fissò quel punto con più attenzione attraverso gli occhiali speciali. C'era una figuretta rannicchiata sul davanzale del terzo piano: un agente Ricog, completo di ali ed elmetto. Dopo appena quindici minuti! Il suo piano aveva funzionato. Polledro aveva intercettato la chiamata e mandato qualcuno a indagare. Doveva soltanto sperare che quel particolare agente LEP fosse pieno fino all'orlo di magia e
avesse voglia di aiutarlo. Però doveva agire con cautela. L'ultima cosa che voleva era spaventare un agente Ricog: una mossa sbagliata, e si sarebbe svegliato dopo sei ore senza il minimo ricordo di cos'era successo in tutta la giornata. E per Leale sarebbe stata la fine. Aprì lentamente lo sportello e uscì. La figuretta piegò la testa di lato, seguendo i suoi movimenti. Poi, sbigottito, Artemis la vide estrarre una pistola placcata di platino. «Non sparare» esclamò, affrettandosi ad alzare le mani. «Sono disarmato. E ho bisogno di aiuto.» La creatura mise in moto le ali e scese lentamente fino a trovarsi con la visiera al livello dei suoi occhi. «Non avere paura» proseguì il ragazzo. «Sono un amico del Popolo. Ho aiutato a sconfiggere i Mazza Sette. Mi chiamo...» La creatura spense lo schermo e sollevò la visiera. «So come ti chiami» disse il capitano Spinella Tappo. «Spinella!» Artemis l'afferrò per le spalle. «Sei tu.» Spinella si liberò con uno strattone. «Lo so che sono io. Che succede? M'immagino che sia stato tu a fare quella telefonata?» «Sì, sì. Ma ora non c'è tempo. Ti spiegherò più tardi...» Per tutta risposta, Spinella si sollevò a un'altezza di quattro metri. «No, Artemis. Voglio una spiegazione ora. Se ti serviva aiuto, perché non ci hai chiamati sulla tua linea personale?» Artemis si costrinse a calmarsi. «Mi avevi detto che Polledro non teneva più sotto controllo il mio telefono, e poi non ero certo che saresti venuta.» Spinella ci pensò su. «D'accordo. Forse non sarei venuta.» Si guardò intorno. «Dov'è Leale? Ti guarda le spalle come al solito, eh?» A questo, Artemis non ebbe bisogno di rispondere. Bastò la sua espressione per dire a Spinella perché il Fangosetto l'aveva convocata. Artemis schiacciò un pulsante e il coperchio della capsula si sollevò. Dentro c'era Leale, rivestito da un centimetro di ghiaccio. «Oh no» gemette Spinella. «Cos'è successo?» «Ha fermato una pallottola destinata a me.» «Quando imparerai, Fangosetto? Le conseguenze dei tuoi piccoli piani astuti hanno la tendenza a ricadere sugli altri. Specialmente su chi ti vuole bene.»
Artemis non replicò. In fin dei conti non poteva negare l'evidenza. Spinella scostò il ghiaccio che copriva il petto della guardia del corpo. «Quanto tempo fa è successo?» «Quattro ore e un quarto. Minuto più, minuto meno.» Il capitano Tappo finì di scostare il ghiaccio e posò le mani sul petto di Leale. «Quattro ore e un quarto» ripeté. «Non so... Non sento niente, qui. Neanche un guizzo.» Artemis la fissò al di sopra della capsula. «Puoi farlo? Puoi salvarlo?» Spinella fece un passo indietro. «Io? Io no di sicuro. Serve uno stregomedico professionista anche solo per fare un tentativo.» «Ma hai salvato mio padre.» «Era diverso. Lui non era morto. Neanche era in condizioni critiche. Mi dispiace ammetterlo, ma Leale è morto. E da un pezzo.» Artemis sollevò il medaglione d'oro che portava al collo, appeso a una striscia di cuoio. Sul disco spiccava un foro rotondo. Centro spaccato. «Lo riconosci? Me lo hai dato per aver trovato il modo di riattaccarti l'indice. Hai detto che sarebbe servito a ricordarmi la scintilla di decenza che c'è in me. Sto cercando di fare qualcosa di decente, capitano.» «Non è questione di decenza. È impossibile e basta.» Artemis tamburellò le dita sulla capsula. Riflettendo. «Voglio parlare con Polledro» disse alla fine. «Ti sto parlando a nome del Popolo, Fowl» sbottò Spinella. «E non prendiamo ordini dagli umani.» «Ti prego. Non posso perderlo. Si tratta di Leale.» Spinella cedette. In fin dei conti, Leale aveva salvato la loro pelle più di una volta. «Benissimo» disse, estraendo un comunicatore dalla cintura. «Ma non potrà dirti niente più di quanto ti ho detto io.» Artemis si agganciò l'auricolare all'orecchio e si portò il microfono alla bocca. «Polledro? Sei in ascolto?» «Vorrai scherzare» arrivò la pronta replica. «Questo è meglio di una telenovela.» Artemis si fece forza. Doveva essere convincente, o Leale era spacciato. «Chiedo soltanto una guarigione. So che potrebbe non funzionare, ma che costa provare?» «Non è così semplice, Fangosetto. La guarigione non è un procedimento semplice. Richiede talento e concentrazione. Spinella è in gamba, questo
sì, ma per una cosa del genere servirebbe una squadra di stregomedici.» «Non c'è tempo! Leale è in queste condizioni già da un pezzo. Bisogna farlo subito, prima che il glucosio sia assorbito dal sangue. Le dita presentano già tracce di danno ai tessuti.» «E forse anche il cervello?» suggerì il centauro. «No. Ho abbassato la temperatura nel giro di pochi minuti. Il cranio è rimasto congelato fin dall'incidente.» «Sicuro? Non possiamo rischiare di riportare indietro il suo corpo, ma non la mente.» «Sicurissimo. Il cervello è a posto.» Polledro rimase a lungo in silenzio. «Artemis... possiamo anche provarci, però non ho idea di quali potrebbero essere i risultati. L'effetto sul fisico di Leale potrebbe essere catastrofico, per non parlare di quello sulla mente. Un'operazione del genere non è mai stata tentata su un umano.» «Capisco.» «Davvero, Artemis? Sei pronto ad accettare le conseguenze della guarigione? Potrebbero sorgere una serie di problemi imprevedibili. Qualunque cosa esca fuori da quella capsula, dovrai prendertene cura. Accetti la responsabilità?» «Sì, la accetto» fu la pronta risposta. «Molto bene, allora. La decisione tocca a Spinella. Nessuno può costringerla a usare la magia; sta a lei decidere.» Artemis abbassò lo sguardo, incapace di guardare negli occhi l'agente della LEP. «Allora, Spinella... lo farai? Ci proverai?» Spinella scostò il ghiaccio dalla fronte di Leale. Era stato un buon amico per il Popolo. «Ci proverò. Non garantisco niente, ma farò il possibile.» Artemis si sentì piegare le ginocchia per il sollievo. Poi riprese il controllo. Ci sarebbe stato tempo in seguito per le ginocchia molli. «Grazie, capitano. Mi rendo conto che non è stata una decisione facile. Che posso fare?» Spinella gli indicò lo sportello. «Uscire da qui. Mi serve un ambiente sterile. Ti chiamerò quando avrò finito. E qualunque cosa succeda, qualunque cosa tu senta, non entrare per nessun motivo finché non te lo dico io.» Il capitano Tappo sganciò la telecamera dall'elmetto e la poggiò sul co-
perchio della capsula per consentire a Polledro una migliore visuale del paziente. «Bene così?» «Bene» rispose il centauro. «Vedo tutta la parte superiore del corpo. Criogenica. Quel Fowl è un genio... per un umano. Ti rendi conto che ha avuto meno di un minuto per escogitare una soluzione del genere? È un Fangosetto decisamente sveglio.» Spinella si lavò con cura le mani in una soluzione sterile. «Non tanto sveglio da tenersi fuori dai guai. Non riesco a credere che sto per tentare una cosa del genere. Una guarigione dopo quattro ore e un quarto. Dev'essere un record.» «In teoria è una guarigione dopo due minuti, se il cervello è andato subito sotto zero. Ma...» «Ma cosa?» chiese Spinella, asciugandosi rapidamente le dita. «Ma il congelamento interferisce con i bioritmi e i campi magnetici del corpo... cose oscure perfino per il Popolo. Qui c'è in ballo più che carne e ossa. Non so che effetto possa avere su Leale un trauma del genere.» Spinella infilò la testa sotto la telecamera. «Sei sicuro che sia una buona idea, Polledro?» «Mi piacerebbe avere tempo per una discussione accademica, ma ogni secondo costa al nostro amico un paio di neuroni. Ti guiderò passo passo. Per cominciare, diamo un'occhiata alla ferita.» Spinella scostò altro ghiaccio. Il foro d'entrata della pallottola era piccolo e nero, annidato al centro di una pozza di sangue. «Non ha avuto scampo. Appena sotto il cuore. Adesso ingrandisco...» Abbassò la visiera e usò i filtri dell'elmetto per ingrandire la ferita. «Ci sono fibre intrappolate nella ferita. Kevlar, direi.» L'altoparlante trasmise il gemito di Polledro. «Non ci mancava altro. Complicazioni.» «Che differenza fa, qualche fibra? E questo non è il momento di usare il gergo medico. Attieniti al puro e semplice gnomico.» «D'accordo. Eccoti un corso rapido di chirurgia per idioti. Se infili le dita in quella ferita, la magia riprodurrà le cellule di Leale, complete di fibre di Kevlar. Alla fine del processo sarà stecchito come un baccalà, però a prova di proiettile.» Spinella sentì la tensione percorrerle la schiena. «Allora che faccio?» «Lo buchi da un'altra parte, e lasci che la magia si diffonda da lì.» Fantastico, pensò Spinella, lo buco da un'altra parte. È uno spasso, bu-
cherellare i vecchi amici. «Ma è duro come una roccia.» «In tal caso prima dovrai scongelare la zona. Usa la Neutrino... un livello basso, ma non troppo. Se il cervello si scongela troppo presto, lo perdiamo.» Spinella estrasse la Neutrino e la regolò al minimo. «In che punto lo scongelo?» «L'altro pettorale, direi. E tieniti pronta a iniziare la guarigione: il calore si diffonderà rapidamente. Deve tornare in vita prima che l'ossigeno arrivi al cervello.» «Dammi il via» disse Spinella, puntando il laser contro il petto di Leale. «Un po' più vicino. Una quindicina di centimetri, direi. Una vampa di due secondi.» Spinella sollevò la visiera e prese fiato. Una Neutrino usata come strumento medico? Chi l'avrebbe mai pensato? Tolse la sicura e si tenne pronta. «Due secondi, giusto?» «Sì. Via!» Clic. Un raggio arancione di calore concentrato sgorgò dalla canna e si allargò sul petto di Leale. Se la guardia del corpo fosse stata sveglia, avrebbe perso i sensi. Un cerchio di ghiaccio evaporò, e il vapore andò a condensarsi sul soffitto del furgone. «Ora» disse Polledro, la voce resa acuta dall'ansia. «Restringi il raggio e focalizzalo.» Spinella azionò i controlli dell'arma con pollice esperto. Restringere il raggio ne avrebbe aumentato la potenza, ma il laser doveva essere focalizzato in un certo modo per evitare di attraversare il corpo. «Quindici centimetri di diametro.» «Sì, ma sbrigati; il calore si sta diffondendo.» Il colore era tornato sul petto di Leale, e il ghiaccio ancora sul suo corpo si stava squagliando. Spinella schiacciò di nuovo il grilletto, scavando nella carne una ferita a mezzaluna. Dai bordi filtrò una sola goccia di sangue. «Niente flusso sanguigno» commentò Polledro. «Bene.» «E ora?» «Ora infilaci dentro le mani e dagli tutta la magia che puoi. Non lasciarla fluire e basta: spingila dentro.» Spinella fece una smorfia. Quella parte non le era mai piaciuta. Per quante guarigioni avesse eseguito, non avrebbe mai fatto il callo a infilare
le dita dentro le ferite altrui. Affiancò i pollici, dorso contro dorso, e li infilò nel taglio. «Guarisci» sussurrò, e la magia fluì lungo le sue dita. Scintille azzurrine si librarono sopra la ferita e vi si tuffarono, simili a stelle cadenti che scomparissero oltre l'orizzonte. «Ancora, Spinella» la incitò Polledro. «Dagliene un'altra dose.» Spinella obbedì. Dapprima il flusso era denso, una turbinante massa azzurrina, ma s'indebolì con l'esaurirsi della magia. «Basta così» ansimò. «Me ne resta appena per tenere su lo schermo fino a casa.» «D'accordo» disse Polledro. «Adesso fatti indietro, perché sta per scatenarsi l'inferno.» Obbediente, Spinella si appoggiò alla parete. Per qualche istante non successe niente, poi la schiena di Leale s'inarcò e il suo petto sussultò. Spinella sentì scricchiolare un paio di vertebre. «Questo è il cuore che si è rimesso in moto» spiegò Polledro. «La parte facile.» Il corpo ricadde nella capsula, mentre il sangue sgorgava dalla ferita più recente. Le scintille magiche s'intrecciarono a formare una guaina vibrante sul suo torso. Leale sussultò di nuovo, come una perlina dentro un sonaglio, mentre la magia ricostituiva i suoi atomi. Gli uscì vapore da tutti i pori via via che le tossine venivano espulse dal sistema. Il ghiaccio che lo circondava si squagliò in pochi istanti, formando nubi che si condensarono sul soffitto di metallo. Pacchetti di ghiaccio esplosero come palloncini, scaraventando tutt'intorno cristalli gelidi. Era come trovarsi al centro di una tempesta multicolore. «Vai!» ordinò Polledro nell'orecchio di Spinella. «Che cosa?» «Tienilo fermo. La magia si sta diffondendo lungo la colonna vertebrale. Devi tenergli ferma la testa, altrimenti ogni cellula danneggiata potrebbe replicarsi. E sai che non è possibile disfare una guarigione.» Fantastico, pensò Spinella. Tenere fermo Leale. Nessun problema. Avanzò verso la capsula, ignorando i cristalli di ghiaccio che le colpivano la visiera, e afferrò la testa dell'umano. Le vibrazioni le percorsero le braccia e poi tutto il corpo. «Tienilo fermo, Spinella. Fermo!» Spinella si curvò sulla capsula e usò tutto il suo peso per bloccare la te-
sta della guardia del corpo. Ma con quel putiferio non riusciva a capire se i suoi sforzi avessero o no qualche effetto. «Ci siamo!» le gridò Polledro nell'orecchio. «Sta' pronta!» La guaina magica risalì il collo di Leale e gli ricoprì il viso. Scintille azzurre gli centrarono le pupille, risalendo il nervo ottico per infilarsi nel cervello. Gli occhi di Leale si spalancarono, mostrando il bianco. Anche la sua bocca rientrò in funzione, sputando parole incomprensibili in diverse lingue. «Il cervello sta controllando che tutto funzioni» spiegò Polledro. Muscoli e giunture furono controllati allo spasimo, guizzando, tendendosi e ruotando. I capelli crebbero a ritmo accelerato, coprendo la testa rasata. Le unghie si allungarono come artigli e dal mento spuntò una barba arruffata. Spinella non poteva fare altro che restargli aggrappata, sentendosi come un cowboy sballottato da un toro inferocito. Finalmente le scintille svanirono, volteggiando verso l'alto come braci nel vento. Leale si afflosciò, affondando in quindici centimetri d'acqua e refrigerante. Il suo respiro era lento e profondo. «Ce l'abbiamo fatta» sussurrò Spinella, lasciandosi scivolare sulle ginocchia. «È vivo.» «Aspetta a festeggiare» disse Polledro. «C'è ancora parecchio da fare. Non riprenderà conoscenza che fra un paio di giorni, e va' a sapere in quali condizioni sarà la sua mente. A parte il problema più ovvio.» Spinella sollevò la visiera. «Quale problema?» «Guarda tu stessa.» Il capitano Tappo aveva quasi paura di guardare nella capsula. Immagini grottesche le si affollarono nella mente. Avevano forse creato qualche mostruoso mutante? La prima cosa che notò fu il petto di Leale. Il foro della pallottola era scomparso, ma la pelle si era scurita ed era attraversata da una linea rossa che somigliava a una "I" maiuscola. «Il Kevlar» spiegò Polledro. «Dev'essersi replicato in parte. Non tanto da ucciderlo, per fortuna, ma abbastanza da strizzargli i polmoni. Con quelle fibre intorno alle costole, ha smesso di correre la maratona.» «Cos'è la linea rossa?» «Tintura, suppongo. Qualche scritta sul panciotto antiproiettile.» Spinella si guardò attorno. Il panciotto era dimenticato in un angolo: sul petto erano stampate in rosso le lettere "FBI". Al centro della "I" c'era un
foro. «In fondo è un prezzo minimo da pagare per la propria vita» commentò il centauro. «Può fingere che sia un tatuaggio. Di questi tempi vanno forte, tra i Fangosi.» Spinella aveva sperato che "l'ovvio problema" cui si era riferito Polledro fosse la pelle al Kevlar. Ma c'era dell'altro. Se ne rese conto appena il suo sguardo si fermò sul viso di Leale. O per meglio dire, sulla barba che gli spuntava sul viso. «Santi numi» sussurrò. «Ad Artemis questo non piacerà affatto.» Mentre la magia si prendeva cura di Leale, Artemis andava avanti e indietro in cortile. Adesso che il suo piano era in azione, i dubbi cominciavano a sbocconcellargli i bordi della mente come lumache una foglia. Aveva fatto la cosa giusta? E se Leale non fosse più stato se stesso? Dopotutto, suo padre era innegabilmente cambiato. Non avrebbe mai scordato la loro prima conversazione... ESTRATTO DAL DIARIO DI ARTEMIS FOWL. DISCHETTO 2, IN CODICE I medici di Helsinki erano decisi a imbottire mio padre di vitamine, ma lui era altrettanto deciso a non permetterglielo. E di solito un Fowl deciso ottiene quello che vuole. «Sto benissimo» affermò. «Vi prego di lasciarmi un po' di tempo per rifare conoscenza con la mia famiglia.» I dottori si ritirarono, disarmati dalla sua personalità. Quanto a me, i suoi modi mi sorpresero. Di solito l'arma preferita di mio padre non era il fascino. In passato aveva raggiunto i suoi scopi semplicemente eliminando chiunque fosse abbastanza sciocco da intralciargli la strada. Era seduto sull'unica poltrona della stanza d'ospedale, col moncherino della gamba appoggiato su uno sgabello. Mia madre era appollaiata sul bracciolo, risplendente nella sua pelliccia artificiale bianca. Mio padre si accorse che gli fissavo la gamba. «Domani arriverà da Dortmund il dottor Hermann Gruber a prendere le misure per la protesi.» Avevo sentito parlare di Gruber. Lavorava per la squadra olimpica tedesca. Era il migliore. «Gli chiederò un modello sportivo.» Una battuta. Questo non era da lui.
Mia madre gli scompigliò i capelli. «Smettila di scherzare, tesoro. È dura per Arty, lo sai. Era solo un bambino quando sei scomparso.» «Non proprio un bambino, mamma» ho detto. «In fin dei conti avevo undici anni.» Mio padre mi sorrise affettuosamente. Che fosse questo il momento di parlare fra noi, prima che il suo buonumore svanisse per essere rimpiazzato dall'abituale atteggiamento scontroso? «Padre, le cose sono cambiate dalla tua scomparsa. Io sono cambiato.» Annuì con aria solenne. «Hai ragione. Dobbiamo parlare di affari.» Giusto. Gli affari. Questo era il padre che ricordavo. «Troverai il patrimonio di famiglia in buona salute, e confido che approverai il portafoglio di azioni. Nel passato anno finanziario ha reso il diciotto per cento. Una cifra notevole, considerate le attuali condizioni del mercato; non ti ho deluso.» «Sono io ad averti deluso, figliolo» replicò Artemis Senior «se pensi che conti correnti e azioni siano tanto importanti. Devi averlo appreso da me.» Mi attirò più vicino. «Non sono stato un padre perfetto, Arty; anzi. Ero troppo impegnato con gli affari. Mi era sempre stato insegnato che era mio dovere governare l'impero Fowl. Un impero criminale, come entrambi sappiamo. Ma una conseguenza positiva del rapimento è che ho riesaminato le mie priorità. Voglio una nuova vita per tutti noi.» Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Uno dei ricordi più ricorrenti era la sua voce che mi ripeteva il motto di famiglia: "Aurea est potestas": "La ricchezza è potere". E adesso eccolo che voltava le spalle ai più sacri principi dei Fowl. Cosa gli aveva fatto la magia? «La ricchezza non è così importante, Arty» proseguì. «E nemmeno il potere. Abbiamo tutto quello che ci serve. Abbiamo noi stessi.» Ero sbalordito. Non del tutto sgradevolmente, però. «Ma papà... avevi sempre detto... Non sei più tu. Sembri un uomo nuovo.» Mia madre si unì alla conversazione. «No, Arty. Non un uomo nuovo. L'uomo di un tempo. Quello del quale m'innamorai e che sposai prima che l'impero Fowl esigesse tutta la sua attenzione. Ma ora finalmente mi è stato restituito; siamo di nuovo una famiglia normale.» Guardai i miei genitori; sembravano così felici. Una famiglia? Com'era possibile che i Fowl diventassero una famiglia normale?
Fu richiamato bruscamente alla realtà dal pandemonio all'interno del furgone. Il veicolo sussultava sui semiassi e da sotto gli sportelli filtrava una guizzante luce azzurrina. Ma Artemis non cedette al panico. Aveva già assistito a una guarigione. Hanno prima, quando Spinella si era riattaccata l'indice, la magia di rimbalzo aveva spaccato una tonnellata di ghiaccio... e si era trattato soltanto di un dito. Quanti danni avrebbe potuto provocare il sistema di Leale per riportarlo in vita? Il fracasso proseguì per diversi minuti, facendo esplodere due ruote del furgone e distruggendo le sospensioni. Per fortuna l'istituto era chiuso per la notte, o la dottoressa Lane gli avrebbe messo in conto le riparazioni. Finalmente l'uragano magico si placò e il veicolo si assestò come una cabina delle montagne russe alla fine del giro. Spinella aprì lo sportello e si appoggiò sfinita al telaio. Sembrava distrutta. Un pallore malsano si era steso sulla sua carnagione color caffè. «Allora?» domandò Artemis. «È vivo?» Spinella non rispose. Una guarigione complicata ha come conseguenze nausea e fatica. Il capitano Tappo respirò a fondo parecchie volte. «È vivo?» ripeté Artemis. Spinella annuì. «Vivo. Sì, è vivo. Ma...» «Ma cosa, Spinella? Dimmelo!» Spinella si sfilò l'elmetto, che le scivolò fra le dita e rotolò sul selciato. «Mi dispiace, Artemis. Ho fatto meglio che ho potuto.» Probabilmente la cosa peggiore che potesse dire. Artemis salì sul furgone. Acqua e cristalli colorati rendevano scivoloso il pavimento, sbuffi di vapore uscivano dalla griglia rotta dell'aria condizionata, e il tubo al neon sopra la sua testa guizzava come un lampo imbottigliato. La capsula criogenica era inclinata e perdeva fluido dai giroscopi. Un braccio di Leale ricadeva oltre il bordo, proiettando sulla parete un'ombra mostruosa. Il pannello degli strumenti era ancora in funzione, e Artemis vide con sollievo che l'icona del battito cardiaco pulsava con regolarità sullo schermo. Leale era vivo! Spinella ce l'aveva fatta! Però qualcosa la preoccupava. Qualche problema. Gli bastò guardare dentro la capsula per capire di che si trattava. I capelli che coprivano la testa della guardia del corpo erano pesantemente striati di
grigio: quando Leale era stato congelato, aveva quarant'anni; l'uomo appena scongelato ne aveva minimo cinquanta. Forse qualcuno di più. Leale era invecchiato in poco più di quattro ore. «Almeno è vivo» disse Spinella alle sue spalle. Artemis annuì. «Quando si sveglierà?» «Un paio di giorni. Più o meno.» «Com'è successo?» chiese il ragazzo, scostando dalla fronte di Leale una ciocca grigia. «Non ne sono sicura. È Polledro l'esperto.» Artemis accese il trasmettitore. «Qualche teoria, Polledro?» «Non ne sono sicuro. Però sospetto che la magia di Spinella non fosse sufficiente. La guarigione ha assorbito parte della forza vitale del tuo socio. Una quindicina d'anni, a giudicare dall'aspetto.» «Si può rimediare?» «Temo di no. Non si può disfare una guarigione. Se può consolarti, probabilmente vivrà più a lungo. Però non potrà riavere la giovinezza. Soprattutto, non possiamo sapere in che stato è la sua mente. La guarigione potrebbe avergli ridotto il cervello peggio di un disco smagnetizzato.» Artemis sospirò. «Cosa ti ho fatto, vecchio amico?» «Non c'è tempo da perdere» intervenne Spinella. «Dovete andarvene da qui, tutt'e due. Sono sicura che il rumore avrà attirato l'attenzione. Hai un mezzo di trasporto?» «No. Siamo arrivati su un volo passeggeri. Poi abbiamo preso un taxi da Heathrow.» Spinella scrollò le spalle. «Mi piacerebbe darti un passaggio, Artemis, ma ho già perso abbastanza tempo. Sono in missione. Una missione importante, e devo rimettermi al lavoro.» Artemis si allontanò dalla capsula. «A proposito della tua missione...» Il capitano Tappo si voltò lentamente. «Artemis...» «Siete stati localizzati, giusto? Qualcosa ha superato le difese di Polledro?» Spinella tolse dallo zaino un grosso telo mimetico. «Dobbiamo andare da qualche parte a fare quattro chiacchiere. Un posto tranquillo.» I successivi quarantacinque minuti furono per Artemis una macchia confusa. Spinella avvolse i due umani nel telo mimetico e se li agganciò alla Cintoluna, che riduceva il loro peso a un cinquantesimo del normale.
Ma anche così, le ali meccaniche fecero fatica a sollevare tutti e tre nel cielo notturno. Spinella dovette aprire il gas al massimo per innalzarsi a soli centocinquanta metri sul livello del mare. «Adesso accendo lo schermo» annunciò. «Cercate di non agitarvi troppo. Non vorrei dovervi sganciare in mezzo all'oceano.» Dopodiché svanì, e al suo posto si librò una luccicante chiazza di stelle a forma di Spinella. Le vibrazioni trasmesse attraverso gli anelli della cintura facevano battere i denti di Artemis. Così avvolto nel telo e solo con la faccia esposta all'aria, si sentiva come un insetto in un bozzolo. Dapprima fu quasi piacevole sorvolare la città e guardare le auto sfrecciare sull'autostrada. Ma poi Spinella trovò un vento dall'Ovest e si tuffò nelle correnti d'aria al di sopra del mare. Di colpo l'universo di Artemis diventò un uragano di raffiche taglienti. Accanto a lui, Leale era afflosciato nel suo bozzolo mimetico. Il telo assorbiva i colori dell'ambiente circostante, riflettendone ogni sfumatura. Non era una riproduzione perfetta, questo no, ma quanto bastava per sorvolare inosservati di notte il mare d'Irlanda. «Questo telo è invisibile al radar?» chiese Artemis nel microfono. «Non vorrei che qualche top gun coi nervi tesi mi scambiasse per un UFO.» Spinella rifletté. «Hai ragione. Forse, per non correre rischi, dovrei scendere di quota.» Due secondi dopo, Artemis rimpianse amaramente di avere interrotto il silenzio radio perché Spinella eseguì una picchiata mozzafiato verso le onde scure sotto di loro, seguita da una frenata all'ultimo momento. «Siamo abbastanza bassi per i tuoi gusti?» s'informò, con una traccia di divertimento nella voce. Sfiorarono la cresta delle onde, gli spruzzi scintillanti contro il telo mimetico. Quella notte il mare era agitato, e Spinella ne seguì le ondulazioni, abbassandosi e risalendo a ritmo con le onde. Un branco di balenottere avvertì la sua presenza ed emerse nella tempesta, eseguendo un balzo di trenta metri buoni fra una cresta e l'altra prima di scomparire sott'acqua. Niente delfini, oggi. I mammiferi più piccoli avevano cercato rifugio dalla furia degli elementi nelle insenature e nelle baie della costa irlandese. Spinella passò accanto alla chiglia di un traghetto, così vicino da sentire la pulsazione del motore. Sul ponte, torme di passeggeri vomitavano al di sopra della ringhiera, mancando per un pelo i viaggiatori invisibili. «Magnifico» borbottò Artemis. «Non preoccuparti.» La voce di Spinella emerse dal nulla. «Ci siamo
quasi.» Superarono il porto di Rosslare e seguirono la costa verso nord, sorvolando i monti Wicklow. Pur stordito com'era, Artemis non poté fare a meno di stupirsi della loro velocità. Quelle ali erano fantastiche. Con un brevetto del genere si potevano fare soldi a palate... Stopordinò a se stesso. Era stato proprio il suo immischiarsi con la tecnologia del Popolo a mettere nei guai Leale. Rallentarono quanto bastava da permettergli di riconoscere la zona. A est, Dublino era un alone di pulsante luce gialla. Si allontanarono dalla città, dirigendosi verso nord, finché al centro di un'ampia chiazza buia si stagliò un edificio inondato di luce bianca da una serie di faretti: la dimora avita di Artemis, Casa Fowl. CASA FOWL, DUBLINO, IRLANDA «Adesso spiegati» ordinò Spinella dopo che ebbero messo a letto Leale, sedendosi sul primo gradino dello scalone. Generazioni di Fowl la fissavano accigliati dai ritratti a olio sulle pareti. Il capitano della LEP attivò il microfono dell'elmetto e lo posizionò sul vivavoce. «Registra tutto, Polledro. Ho la sensazione che avremo voglia di riascoltarlo daccapo.» «È cominciato» esordì Artemis «con un incontro d'affari oggi pomeriggio.» «Va' avanti.» «Dovevo incontrare Jon Spiro, un industriale americano.» Nelle orecchie di Spinella risuonò un ticchettio. Senza dubbio Polledro stava eseguendo un controllo su questo Spiro. «Jon Spiro» disse quasi all'istante la voce del centauro. «Un tizio poco raccomandabile, perfino per la scala di valori umana. Da trent'anni i servizi segreti dei Fangosi tentano di incastrarlo. Le sue compagnie provocano un disastro ecologico dopo l'altro. Ed è solo la punta dell'iceberg: spionaggio industriale, sequestri di persona, ricatti, legami col crimine organizzato. Tutto il repertorio.» «È lui» annuì Artemis. «Dunque, avevo un appuntamento col signor Spiro.» «Che volevi vendergli?» indagò Polledro. «Uno come Spiro non attraversa l'Atlantico per prendere un tè.» Artemis si accigliò. «Veramente non volevo vendergli niente. Volevo
offrirgli di tenere fuori dal mercato una tecnologia rivoluzionaria. Per il giusto prezzo, naturalmente.» «Quale tecnologia rivoluzionaria?» chiese gelido Polledro. Artemis esitò. «Ricordi gli elmetti che Leale ha preso alla Squadra Recupero?» «Oh no» gemette Spinella. «Ho disattivato il meccanismo di autodistruzione e ho usato chip e sensori per costruire un minicomputer... il Cubo. E ho aggiunto un blocco per impedirvi di prenderne il controllo nel caso lo aveste individuato.» «Hai fornito la tecnologia del Popolo a un delinquente come Jon Spiro?» «Non gliel'ho fornita! Se l'è presa.» Spinella gli puntò contro un dito. «Non atteggiarti a vittima, Artemis. Non ti si confà. Che credevi? Che Jon Spiro ti avrebbe lasciato giocare con qualcosa in grado di renderlo l'uomo più ricco del pianeta?» «Dunque è stato il tuo computer a individuarci?» chiese Polledro. «Sì. Senza volerlo. Spiro ha chiesto una prova del suo funzionamento, e i circuiti del Cubo hanno individuato i raggi del satellite LEP.» «Non è possibile bloccare ogni altro sondaggio futuro?» chiese Spinella. «I deflettori di Cantuccio non servono contro la nostra stessa tecnologia. Prima o poi, Spiro scoprirà l'esistenza del Popolo. E se questo accade, non credo che uno come lui ci lascerà vivere in pace.» Spinella lanciò ad Artemis un'occhiata piena di sottintesi. «Mi ricorda qualcuno.» «Io non sono come Jon Spiro. Lui è un assassino a sangue freddo!» «Aspetta di crescere» sbuffò Spinella. «Ci arriverai anche tu.» Polledro sospirò. Metti nella stessa stanza Artemis Fowl e Spinella Tappo, e prima o poi scoppia una rissa. «D'accordo, Spinella» intervenne il centauro. «Cerchiamo di comportarci da professionisti. Per cominciare, revocherò la serrata. Dopodiché dobbiamo pensare a recuperare il Cubo prima che Spiro riesca a svelarne i segreti.» «Abbiamo tempo» lo rassicurò Artemis. «Il Cubo è in codice.» «Che tipo di codice?» «Ho inserito nel sistema un Codice Eternity.» «Un Codice Eternity» disse Polledro. «Sono impressionato.» «Non è stato difficile. Ho inventato un linguaggio nuovo di zecca, perciò Spiro non avrà punti di riferimento.» Spinella cominciava a sentirsi tagliata fuori. «E quanto ci vorrà a deci-
frare questo Codice Eternity?» Artemis inarcò un sopracciglio. «Un'eternità, è ovvio. In teoria, almeno, anche se con le risorse di Spiro... Comunque parecchio.» Spinella ignorò il suo tono supponente. «Allora siamo a posto. Non c'è bisogno di dare la caccia a Spiro se quello che ha in mano è solo una scatola piena di circuiti inutili.» «Tutt'altro che inutili» la corresse Artemis. «Solo lo studio dei chip indirizzerà gli scienziati al suo servizio in direzioni estremamente interessanti. Però su un punto hai ragione: non c'è bisogno di dare la caccia a Spiro. Appena si renderà conto che sono vivo, verrà a cercarmi. Dopotutto, sono l'unico in grado di liberare il completo potenziale del Cubo.» Spinella si prese la testa fra le mani. «Insomma, da un momento all'altro una squadra di sicari potrebbe entrare qui sparando all'impazzata. È in momenti del genere che farebbe comodo qualcuno come Leale.» Artemis impugnò il cellulare. «Non c'è un solo Leale in famiglia.» CAPITOLO 4 IN FAMIGLIA Per il suo diciottesimo compleanno, Juliet Leale aveva chiesto e ricevuto un completo da judo lavorato a maglia, due coltelli da lancio e un video del Campionato Mondiale di Lotta ScassaOssa... oggetti che abitualmente non figurano nella lista dei desideri di una normale adolescente. Ma Juliet Leale non era una normale adolescente. Juliet era fuori dell'ordinario sotto diversi aspetti. Per prima cosa era capace di colpire un bersaglio in movimento con qualunque arma possibile e immaginabile; per seconda, poteva scaraventare la maggior parte delle persone molto più lontano di ogni più azzardata supposizione. Naturalmente non aveva imparato tutte queste cose semplicemente guardando filmati di lotta libera. Il suo addestramento era iniziato all'età di quattro anni. Ogni giorno, dopo la scuola materna, Domovoi Leale accompagnava la sua sorellina al dojo di Casa Fowl per insegnarle le diverse arti marziali. A otto anni, Juliet era cintura nera in sette discipline. A undici era al di sopra di qualsiasi cintura. Per tradizione, al compimento del dodicesimo anno tutti i maschi della famiglia Leale si iscrivevano all'Accademia per Guardie del Corpo di
Madame Ko; dopodiché passavano sei mesi l'anno imparando il mestiere e gli altri sei proteggendo un principale a basso rischio. Di solito le giovani Leale andavano a servizio di svariate famiglie danarose sparse per il mondo, ma Juliet aveva deciso che avrebbe combinato entrambe le cose passando metà dell'anno al fianco di Angeline Fowl e l'altra metà affinando le proprie abilità marziali nel campo di Madame Ko. Era la prima femmina della famiglia Leale a essersi iscritta all'Accademia, e la quinta in senso assoluto ad aver superato l'esame fisico. Il campo non restava mai nello stesso paese per più di cinque anni. Leale aveva completato l'addestramento in Svizzera e Israele, ma la sua sorellina dovette trasferirsi sugli altopiani Utsukushigahara in Giappone. Il dormitorio di Madame Ko era quanto di più lontano dal lusso di Casa Fowl. In Giappone Juliet dormiva su un pagliericcio, non possedeva che due vestiti di cotone grezzo, e mangiava soltanto riso, pesce e frullati di proteine. La giornata iniziava alle cinque e mezzo, quando lei e gli altri studenti si facevano una corsa di sette chilometri fino al più vicino ruscello per catturare qualche pesce a mani nude. Dopo aver cotto e offerto il pesce al loro sensei, gli studenti si caricavano in spalla un barile vuoto di novanta litri e risalivano la montagna fino a raggiungere il confine delle nevi eterne. Dopo aver riempito il barile di neve, lo facevano rotolare fino al campo base e pestavano la neve a piedi nudi finché si scioglieva e poteva essere usata per il bagno del sensei. Soltanto allora iniziavano l'addestramento vero e proprio. Le lezioni includevano Cos Ta'pa, un'arte marziale sviluppata dalla stessa Madame Ko e particolarmente adatta alle guardie del corpo, il cui scopo principale non era l'autodifesa ma la difesa del principale. Gli accoliti studiavano anche armamenti avanzati, tecnologia informatica, riparazione veicoli e tecniche di negoziazione per il rilascio degli ostaggi. Per il suo diciottesimo compleanno Juliet era in grado di smontare e rimontare a occhi chiusi il novanta per cento della produzione mondiale di armi, guidare qualsiasi tipo di veicolo, truccarsi in meno di quattro minuti e, a dispetto della sbalorditiva mescolanza di geni asiatici ed europei, scomparire dovunque in mezzo alla folla come un'indigena. Suo fratello era molto fiero di lei. L'ultima tappa dell'addestramento era una simulazione sul campo in ambiente sconosciuto. Se avesse superato l'esame, Madame Ko le avrebbe fatto tatuare sulla spalla un diamante blu. Il tatuaggio, identico a quello di
Leale, simboleggiava non solo la resistenza dell'allievo ma anche le molte sfaccettature del suo addestramento. Negli ambienti delle guardie del corpo, chiunque esibisse quel tatuaggio non aveva bisogno di referenze. Per la prova finale di Juliet, Madame Ko aveva scelto la città tunisina di Sfax. La sua missione era accompagnare il principale nel tumultuoso mercato della città, la Medina. In teoria una guardia del corpo avrebbe sconsigliato il principale di avventurarsi in un'area così densamente popolata, però Madame Ko fece presente che di rado i principali ascoltavano i buoni consigli ed era perciò meglio tenersi pronti per ogni evenienza. E come se Juliet non si sentisse già abbastanza sotto pressione, Madame Ko in persona aveva deciso di rivestire il ruolo del principale. In Africa settentrionale il caldo era soffocante. Socchiudendo gli occhi dietro gli occhiali da sole avvolgenti, Juliet si concentrò sulla figuretta che trotterellava in mezzo alla folla davanti a lei. «Svelta» latrò Madame Ko. «O mi perderai.» «Se lo sogna, Madame» replicò Juliet impassibile. Madame Ko tentava semplicemente di distrarla facendo conversazione. Come se non ci fossero già abbastanza distrazioni. Collane d'oro scintillanti pendevano da dozzine di bancarelle; tappeti sventolavano da traverse di legno, fornendo la copertura perfetta per un eventuale sicario. Gli indigeni la stringevano da ogni parte, ansiosi di dare un'occhiata più da vicino a quella straniera attraente, e il terreno era infido: un passo falso poteva avere come conseguenza una caviglia slogata e la bocciatura. Juliet esaminò automaticamente ogni informazione, agendo di conseguenza. Piantò con fermezza una mano sul petto di un ragazzo sogghignante, schivò una pozza oleosa che rifletteva strisce multicolori, e seguì Madame Ko nell'ennesimo vicolo. Di colpo, un uomo le si parò davanti. Uno dei tanti venditori. «Tengo bei tappeti» le disse in un francese incerto. «Tu vieni. Io mostro.» Madame Ko continuò a camminare. Juliet tentò di seguirla, ma l'uomo le bloccò la strada. «No, grazie. Non m'interessa. Vivo all'aperto.» «Divertente, mademoiselle. Fatto battuta io divertito. Ora vieni e vedi tappeti di Ahmed.» La folla cominciò a voltarsi verso di loro come i tentacoli di un organismo gigantesco. Madame Ko era sempre più lontana. Stava perdendo il principale!
«Ho detto di no. Sparisci, Uomo dei Tappeti. Non costringermi a spezzarmi un'unghia.» Il tunisino non era abituato a prendere ordini da una ragazza, e per giunta i suoi amici lo stavano guardando. «Fai buono affare» insisté, indicando una bancarella. «Meglio tappeti a Sfax.» Juliet tentò di sgusciare via, ma la folla la bloccò. Fu a questo punto che Ahmed si giocò qualunque simpatia Juliet avrebbe potuto provare per lui. Fino allora non era stato che un innocente indigeno nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma poi... «Vieni» disse, mettendo un braccio attorno alla vita della biondina. Non una delle sue idee migliori. «Mossa sbagliata, Uomo dei Tappeti!» In un baleno, Ahmed era finito dentro il tappeto più vicino e Juliet era sparita. Nessuno riuscì a capire come fossero andate le cose finché rividero la scena sullo schermo grazie alla videocamera di Kamal il pollaiolo. Al rallentatore, i tunisini videro la ragazza prendere Ahmed per il bavero e per la cintura, sollevarlo di peso e scaraventarlo contro la sua bancarella. Quella, annunciò un orefice, era la Fiondata, una mossa resa popolare dal lottatore americano Papà Cinghiale. I venditori risero tanto che parecchi finirono disidratati. Fu l'evento più spassoso dell'anno. La ripresa vinse perfino un premio nella versione tunisina dei Ridi tu che rido anch'io. Tre settimane dopo, Ahmed si trasferì in Egitto. Ma torniamo a Juliet. L'aspirante guardia del corpo scattò come una velocista, schivando mercanti allibiti e sterzando in un vicolo sulla destra. Madame Ko non doveva essere lontana. Poteva ancora salvare la situazione. Juliet si sarebbe presa a schiaffi. Era esattamente il tipo di trucco contro il quale suo fratello l'aveva messa in guardia. «Attenta a Madame Ko» le aveva detto. «Per una prova sul campo è capace di escogitare qualunque cosa. Ho sentito dire che una volta a Calcutta scatenò un branco di elefanti solo per distrarre un allievo.» Il guaio era che non potevi esserne sicuro. Il mercante di tappeti poteva essere al soldo di Madame Ko, o un civile innocuo che per caso aveva messo il naso dove non avrebbe dovuto. Il vicolo era così stretto da obbligare la gente a muoversi in fila indiana. File di lunghi vestiti zigzagavano all'altezza della sua testa; gutras e abayas penzolavano molli nella calura. Juliet si curvò per scansare il bucato e
girò attorno a passanti che ciondolavano attorno alle bancarelle, mentre tacchini sbigottiti saltellavano lontano dal suo percorso per quanto lo consentivano le funi cui erano legati. Di colpo sbucò in una piazzetta in penombra circondata da case di tre piani. Ai balconi erano affacciati uomini che fumavano pipe ad acqua all'aroma fruttato. Sotto i suoi piedi, uno scheggiato mosaico di valore inestimabile mostrava una scena di terme romane. E al centro della piazza c'era Madame Ko. Rannicchiata a terra, con le ginocchia strette al petto. Era stata assalita da tre uomini. E non si trattava di mercanti. Tutti e tre indossavano una tuta nera e mostravano la sicurezza e la precisione di professionisti bene addestrati. Quello non era un esame. Stavano davvero tentando di uccidere il suo sensei. Juliet era disarmata. Introdurre armi nel paese poteva costare una condanna a vita. Per fortuna anche i suoi avversari sembravano disarmati, però mani e piedi erano senza dubbio sufficienti per il lavoretto che avevano in mente. Doveva improvvisare. Inutile tentare un attacco diretto. Se quei tre avevano atterrato Madame Ko, in un combattimento regolare non avrebbe avuto una sola possibilità. Doveva tentare un'azione non molto ortodossa. Cominciò a correre verso di loro, e strada facendo afferrò una corda da bucato. Il gancio resistette un secondo prima di schizzare fuori dall'intonaco. La corda lo seguì come una scia, appesantita dal carico di sciarpe e tappeti. Juliet sterzò a sinistra per quanto le permetteva l'altro gancio ancora al suo posto, e puntò verso gli uomini. «Ehi, ragazzi!» gridò, non per spacconeria, ma perché il trucco avrebbe funzionato meglio se avessero avuto la testa diritta. Gli uomini alzarono lo sguardo appena in tempo per ricevere in faccia una massa di pelo di cammello fradicio. Tappeti e biancheria si avvolsero intorno a loro, e il cavo di nylon li centrò esattamente sotto il mento. Finirono a terra nel giro d'un secondo. E Juliet si accertò che ci restassero con un pizzicotto alle terminazioni nervose sulla nuca. «Madame Ko» gridò, frugando in mezzo al bucato alla ricerca della sua sensei. L'anziana donna stava tremando nel vestito verde oliva, il viso nascosto da una sciarpa. Juliet la aiutò a rialzarsi. «Ha visto che mossa, Madame? Li ho stesi alla grande. Scommetto che non avevano mai visto niente del genere. Improvvisazione. Leale dice sempre che è quella la chiave. E sa, penso che il mio ombretto li abbia di-
stratti. Verde Luccico. Non manca mai...» S'interruppe di botto. Aveva un pugnale puntato alla gola. Il pugnale era stretto da Madame Ko... che in realtà non era Madame Ko, ma un'altra piccola orientale con un vestito verde oliva. Un'esca. «Sei morta» disse la donna. «Sì» concordò Madame Ko, sbucando dalle ombre. «E se tu sei morta, anche il principale è morto. Hai fallito.» Juliet s'inchinò profondamente, unendo le mani. «È stato uno sporco trucco, Madame» disse, sforzandosi di mantenere un tono rispettoso. La sua sensei rise. «Naturalmente. Come la vita. Che ti aspettavi?» «Ma quegli assassini, gli ho fatto un c... li ho eliminati alla grande.» Madame Ko accantonò la protesta con un gesto. «Pura fortuna. E meno male che non erano assassini, ma tre diplomati dell'Accademia. Cos'era quella buffonata con la corda da bucato?» «Un trucco di lotta libera...» «Poco affidabile. Hai avuto soltanto fortuna. E nel nostro lavoro la fortuna non basta.» «Ma non è stata colpa mia. Quel tizio al mercato... mi aveva bloccato. Alla fine ho dovuto stenderlo.» Madame Ko le batté un dito in mezzo agli occhi. «Zitta, ragazza. Pensa, una volta tanto. Cos'avresti dovuto fare?» Juliet s'inchinò di un altro centimetro. «Avrei dovuto eliminarlo subito.» «Esatto. La sua vita non è niente, confronto a quella del principale.» «Non posso uccidere gente innocente come niente fosse!» Madame Ko sospirò. «Lo so, bambina. Per questo non sei ancora pronta. Hai tutta l'abilità necessaria, però manchi di determinazione e concentrazione. Forse l'anno prossimo...» Juliet si sentì sprofondare. Suo fratello aveva guadagnato il diamante blu ad appena diciott'anni. Il più giovane diplomato nella storia dell'Accademia. Lei aveva sperato di eguagliare il suo record, e invece avrebbe dovuto ritentare fra dodici mesi. Era inutile continuare a protestare. Madame Ko non cambiava mai idea. Una giovane studentessa dell'Accademia emerse da un vicolo portando una valigetta. «Madame» disse inchinandosi. «Una chiamata per lei sul satellitare.» Madame Ko prese il telefono e ascoltò con attenzione per parecchi secondi.
«Un messaggio da Artemis Fowl» disse alla fine. Juliet moriva dalla voglia di raddrizzarsi, ma questa sarebbe stata un'imperdonabile infrazione del protocollo. «Sì, signora?» «Il messaggio è: Domovoi ha bisogno di te.» Juliet aggrottò la fronte. «Vorrà dire che Leale ha bisogno di me.» «No» replicò Madame Ko senza traccia d'emozione. «Voglio dire: Domovoi ha bisogno di te. Ripeto le esatte parole che mi sono state dette.» All'improvviso Juliet sentì il sole batterle sul collo e le zanzare ronzarle nelle orecchie come trapani. L'unica cosa che voleva fare era raddrizzarsi e correre fino all'aeroporto. Leale non avrebbe mai rivelato il suo nome ad Artemis. A meno che... No, impossibile. Neanche osava pensarci. Madame Ko si accarezzò il mento, pensosa. «Non sei pronta. Non dovrei lasciarti andare. Sei troppo coinvolta per essere una guardia del corpo efficiente.» «Per piacere, Madame.» La sua sensei soppesò il problema per due eterni minuti. «Molto bene» decise alla fine. «Vai.» Juliet era scattata prima ancora che l'eco della parola si fosse spento nella piazza... e il cielo aiutasse il mercante di tappeti che avesse tentato di sbarrarle la strada. CAPITOLO 5 LA SCIMMIA E IL FERRAIOLO GUGLIA SPIRO, CHICAGO, ILLINOIS, USA Un Concorde trasportò Jon Spiro dall'aeroporto di Heathrow a quello di Chicago, dopodiché una limousine lo condusse in centro e fino alla Guglia Spiro, una lancia di cristallo e acciaio che s'innalzava per ottantasei piani dominando il profilo di Chicago. Le Industrie Spiro occupavano i piani dal cinquanta all'ottantacinque. L'ottantasei ospitava la residenza personale del miliardario, accessibile tramite ascensore privato o elicottero. Elettrizzato al pensiero del piccolo Cubo chiuso nella ventiquattrore, Jon Spiro non aveva chiuso occhio per tutto il viaggio. Il direttore del suo programma di ricerche fu altrettanto elettrizzato quando seppe cos'era in grado
di fare quella scatoletta dall'apparenza insignificante, e trottò via in tutta fretta per andarne a svelare i segreti. Sei ore più tardi rientrò trottando in sala riunioni. «Quest'aggeggio è inutile» annunciò lo scienziato, che rispondeva al nome di dottor Pearson. Spiro fece roteare l'oliva nel bicchiere di Martini. «Non penso proprio, Pearson. Anzi, so per certo che serve a parecchie cose. Forse, tutto sommato, sei tu a essere inutile.» Era di pessimo umore. Arno Tozz aveva appena telefonato per informarlo che Fowl era sopravvissuto. E quando Spiro era di pessimo umore, le persone tendevano a sparire dalla faccia della Terra... se erano fortunate. Pearson si sentiva addosso lo sguardo del terzo occupante della sala. Neanche quella era una persona da fare arrabbiare. Se Jon Spiro avesse deciso di scaraventarlo fuori dalla finestra, quella donna non avrebbe esitato a testimoniare sotto giuramento che si era gettato nel vuoto di sua spontanea volontà. Ragion per cui, Pearson scelse ogni parola con particolare cura. «Quel congegno...» «Il Cubo. È così che si chiama. Te l'ho già detto. Perciò usa il nome giusto.» «Senza dubbio il Cubo ha un potenziale enorme. Però l'accesso è in codice.» Spiro gli lanciò contro l'oliva. Un'esperienza umiliante per il vincitore di un Premio Nobel. «E tu decifralo. Perché credi che ti paghi?» A Pearson balzò il cuore in gola. «Non è così semplice. Il codice... è inattaccabile.» «Fammi un po' capire...» disse Spiro, appoggiandosi allo schienale della poltrona di cuoio. «Sborso duecento milioni di dollari l'anno per il tuo settore, e non riesci a decifrare uno stupido codice inventato da un ragazzino?» Pearson si sforzò di non pensare al tonfo del proprio corpo sul marciapiede. La sua vita, o la sua morte, dipendevano da quello che avrebbe detto ora. «Il Cubo è attivato da un comando impostato sugli schemi vocali di Artemis Fowl. È impossibile decifrarlo.» Spiro rimase in silenzio: era un invito a continuare. «Ne avevo sentito parlare. È stato teorizzato da diversi miei colleghi. Si
chiama Codice Eternity. Ha milioni di possibili varianti, e non solo: si basa su un linguaggio sconosciuto. A quanto pare, il ragazzo ha creato un linguaggio noto soltanto a lui. Non sappiamo a cosa corrisponda in inglese. In teoria, è impossibile perfino l'esistenza di un codice del genere. Mi dispiace, signor Spiro, ma se Fowl è morto, il Cubo è morto insieme a lui.» Jon Spiro s'infilò un sigaro all'angolo della bocca. Senza accenderlo. I suoi dottori glielo avevano proibito. Con estrema educazione. «E se invece fosse vivo?» Pearson sapeva riconoscere un salvagente quando gliene veniva gettato uno. «In tal caso sarebbe molto più facile spezzare lui che il codice.» «D'accordo, genio» ringhiò Spiro. «Sparisci. Meglio per te, se non sai cosa succede ora.» Pearson si affrettò a radunare gli appunti e a uscire dalla sala, facendo del suo meglio per non guardare la donna seduta davanti al tavolo. Se non avesse saputo cosa sarebbe successo ora, si sarebbe potuto illudere di avere la coscienza pulita. E se non la guardava, non avrebbe potuto riconoscerla in un confronto all'americana. «A quanto pare, abbiamo un problema» disse Spiro. La donna annuì. Era vestita completamente di nero. Giacca e pantaloni neri, camicetta nera, scarpe nere col tacco a spillo. Perfino l'orologio era nero. «Sì. Il mio genere di problemi.» Carla Frazetti era la figlioccia di Spatz Antonelli, il boss locale per conto della famiglia Antonelli. E Carla agiva da tramite fra Jon Spiro e Antonelli, probabilmente i due uomini più potenti di Chicago. Spiro aveva imparato alla svelta che gli affari collegati alla Mafia hanno la tendenza a prosperare. Adesso Carla si esaminò le unghie perfette. «Direi che la soluzione è una sola: rapire il giovane Fowl e fargli sputare il codice.» Spiro masticò furiosamente il sigaro spento. «Non è così semplice. Quel ragazzo sa guardarsi le spalle. Casa Fowl è una fortezza.» Carla sorrise. «Parliamo di un ragazzino di tredici anni, giusto?» «Ne avrà quattordici fra sei mesi» replicò Spiro, sulle difensive. «E ci sono altre complicazioni.» «Tipo?»
«Arno è fuori gioco. Non so come, Fowl gli ha spaccato tutti i denti.» «Ahi» commentò Carla, con una smorfia. «A malapena riesce a stare in piedi, figuriamoci organizzare una cosa del genere.» «Peccato.» «Per la precisione, il ragazzo ha messo fuori gioco i miei uomini migliori. Ha spaccato i denti anche a loro. Mi costerà una fortuna. No, mi serve un aiuto esterno.» «Ha intenzione di stipulare un contratto con noi?» «Esatto. Ma devono essere le persone giuste. L'Irlanda è un piccolo mondo. Certa gente si nota a chilometri di distanza. Ci vuole qualcuno che passi inosservato e sappia convincere il ragazzo a seguirli fin qui. Una bazzecola.» Carla gli strizzò l'occhio. «Tutto chiaro, signor Spiro.» «Avete tipi del genere sottomano? Che sappiano sbrigare l'affare senza attrarre l'attenzione?» «Per come la vedo io, a lei servono una scimmia e un ferraiolo.» Spiro annuì. Conosceva il gergo della mala. La scimmia apriva qualunque porta e il ferraiolo maneggiava le armi. «Ne abbiamo un paio perfetti sul nostro libro paga. Posso garantire che in Irlanda passeranno inosservati. Però costano.» «Sono in gamba?» Carla sorrise. In un incisivo aveva incastonato un piccolo rubino. «Sì» replicò. «I migliori.» IL FERRAIOLO SALONE DI TATUAGGI MAKKIA D'INKOSTRO, CENTRO DI CHICAGO Mocassini McGuire si stava facendo fare un tatuaggio: un teschio a forma di asso di picche. L'idea era sua, e ne andava fiero. Così fiero che avrebbe voluto farselo tatuare sul collo. Inky Burton, l'esperto di tatuaggi, era riuscito a fargli cambiare idea obiettando che questo avrebbe aiutato gli sbirri a identificarlo meglio di un cartellino con sopra scritto il suo nome. Alla fine, Mocassini si era arreso. «Vabbè» aveva detto. «Allora fammelo sul braccio.» Mocassini si faceva un tatuaggio nuovo per ogni lavoro portato a termi-
ne. Non aveva più molta pelle che conservasse il colore originario. Perché Mocassini McGuire era in gamba, nel suo lavoro. In realtà, Mocassini si chiamava Aloysius e proveniva da Kilkenny, una città dell'Irlanda. Il soprannome Mocassini se l'era trovato da solo perché gli sembrava più da gangster di Aloysius. Per tutta la vita aveva sognato di essere un gangster come quelli che si vedono al cinema, e si era trasferito a Chicago dopo il fallimento del tentativo di organizzare una Mafia celtica. I mafiosi di Chicago lo avevano accolto a braccia aperte. In effetti, uno di loro tentò di stringerlo in un abbraccio stritolante. Mocassini spedì lui e i suoi sei compari all'ospedale. Niente male, per un tappo di un metro e cinquantadue. Otto ore dopo essere sceso dall'aereo, Mocassini era sul libro paga della Mafia. E adesso, due anni e parecchi lavoretti più tardi, era il ferraiolo di punta di Frazetti. Le sue specialità erano la rapina a mano armata e la riscossione debiti. Non il lavoro più normale per tipi della sua altezza. Del resto, Mocassini non era un tipo normale. Ora si appoggiò allo schienale reclinabile. «Ti piacciono le mie scarpe, Inky?» Inky si asciugò il sudore che gli colava negli occhi. Con Mocassini bisognava pesare le parole. Anche la domanda più innocente poteva nascondere una trappola. Una risposta sbagliata, e ti ritrovavi a fare quattro chiacchiere con san Pietro. «Sì. Come si chiamano?» «Mocassini!» scattò il piccolo gangster. «Mocassini, scemo. Sono il mio marchio di fabbrica.» «Oh sì, mocassini. Me n'ero scordato. Forte, avere un marchio di fabbrica.» Mocassini controllò il lavoro sul braccio. «Non hai ancora finito?» «Quasi. Ho già disegnato i contorni. Devo solo preparare un ago nuovo.» «Non è che mi farà male, eh?» Certo che ti farà male, imbecille, pensò Inky. Sto per ficcarti un ago nel braccio. Ma a voce alta disse: «Non molto. Ti faccio un po' di anestesia locale.» «Sarà meglio» ringhiò Mocassini. «O sarai tu a sentire male.» Nessuno minacciava Inky tranne Mocassini McGuire. Era Inky a eseguire tutti i tatuaggi per i ragazzi della "famiglia". Era il migliore dello Stato.
Fu allora che la porta si aprì ed entrò Carla Frazetti, la sua nera eleganza fuori posto nel locale squallido. «Salve, ragazzi» disse. «'giorno, signorina Carla.» Inky diventò paonazzo. Non erano molte le signore che entravano nel Makkia d'Inkiostro. Mocassini schizzò in piedi. Perfino lui rispettava la figlioccia del boss. «Signorina Frazetti. Poteva telefonarmi. Nessun bisogno di venire in questa topaia.» «Non c'è tempo. È una faccenda urgente. Devi partire subito.» «Mi consideri già partito. Per dove?» «Irlanda. Tuo zio Pat sta male.» Mocassini aggrottò la fronte. «Zio Pat? Non ho uno zio Pat.» Carla batté la punta di una scarpa affusolata. «È malato, Mocassini. Molto malato, se capisci cosa voglio dire.» «Oh, ci sono. È malato. E io devo andarlo a trovare.» «Esatto. Perché è molto malato.» Mocassini usò uno straccio per togliersi l'inchiostro dal braccio. «Sono pronto. Andiamo all'aeroporto?» Carla lo prese sottobraccio. «Fra poco, Mocassini. Prima dobbiamo passare a prendere tuo fratello.» «Ma io non ho fratelli.» «Sì che ce l'hai. Quello con le chiavi della casa di zio Pat. È una vera scimmia.» «Oh» disse Mocassini. «Quel fratello.» Mocassini e Carla salirono sulla limousine e puntarono verso l'East Side. La mole dei grattacieli americani lasciava ancora Mocassini senza fiato. A Kilkenny non c'era un solo palazzo che superasse i cinque piani, e lui stesso era sempre vissuto in una casetta a schiera in periferia. Naturalmente si sarebbe ben guardato dall'ammetterlo con i suoi colleghi mafiosi. A loro beneficio si era inventato una vita da orfano, dentro e fuori vari correzionali. «Chi è la scimmia?» chiese. Carla Frazetti tirò fuori uno specchietto e si passò dietro le orecchie i capelli corti. «Uno nuovo. Lance Escava. È irlandese, come te. Un'utile coincidenza. Niente visti, niente scartoffie, niente complicazioni. Soltanto due piccoletti che tornano a casa per le vacanze.»
«Come sarebbe, due piccoletti?» sbottò Mocassini. Carla chiuse di scatto lo specchietto. «A chi credi di parlare, McGuire? Di certo non con me. Non con quel tono.» Mocassini impallidì, vedendosi passare davanti tutta la sua vita. «Mi scusi, signorina Frazetti. È quella storia del piccoletto. Me la sento ripetere da sempre...» «Come vuoi che ti chiami, la gente? Stanga? Sei un tappo, Mocassini. Rassegnati e falla finita. È per questo che sei così in gamba nel tuo lavoro. Il mio padrino dice sempre che nessuno è più pericoloso di un piccoletto con qualcosa da dimostrare.» «Già, suppongo che sia così.» Carla gli diede una pacca sulle spalle. «Sta' allegro. Confronto alla scimmia, sei un vero gigante.» La notizia ringalluzzì notevolmente Mocassini. «Davvero? Quant'è basso Lance Escava?» «È basso. Non so i centimetri esatti, ma un po' più basso e dovrai cambiargli i pannolini e portarlo in giro in passeggino.» Mocassini sorrise. Sarebbe stato uno spasso, questo lavoro. LA SCIMMIA Lance Escava aveva conosciuto giorni migliori. Meno di quattro mesi prima viveva in un attico a Los Angeles con più d'un milione di dollari in banca, ma ormai i suoi fondi erano stati bloccati dal Dipartimento della Giustizia e lui si era ridotto a lavorare per la Mafia di Chicago. E Spatz Antonelli non era famoso per la sua generosità. Naturalmente Lance poteva sempre lasciare Chicago e tornare a Los Angeles, ma sapeva che la polizia di quella città lo aspettava al varco. In effetti per lui non esisteva un cantuccio sicuro né sopra né sotto la terra, perché Lance Escava era in realtà Bombarda Sterro, nano cleptomane e ricercato dalla LEP. Molto tempo prima Bombarda aveva deciso che una vita da minatore non faceva per lui e aveva messo a frutto in altro modo i suoi talenti: per la precisione, alleggerendo i Fangosi dei loro beni e rivendendoli sottobanco al Popolo. D'accordo: introdursi in casa altrui senza permesso significava giocarsi la magia, ma questo non preoccupava Bombarda. I nani non ne avevano comunque granché, e lanciare incantesimi gli aveva sempre lasciato lo stomaco sottosopra. I nani hanno svariate caratteristiche fisiche che li rendono ladri perfetti.
Possono slogarsi le mascelle e ingoiare parecchi chili di terra al secondo, assorbendone tutte le sostanze minerali e poi espellendoli all'estremità opposta. Hanno anche sviluppato l'abilità di bere attraverso i pori, una caratteristica utilissima nel caso che crolli una galleria: i loro pori si trasformano in ventose che risucchiano umidità, uno strumento indispensabile nell'armamentario di qualunque ladro acrobata. Per finire, i peli dei nani sono un reticolo di antenne viventi, simili alle vibrisse dei gatti e capaci di fare qualunque cosa: dall'intrappolare scarafaggi a lanciare onde sonar contro le pareti di una miniera. Nel sotterraneo mondo del Popolo, Bombarda era stato una stella in ascesa... finché il comandante Julius Tubero non aveva messo le grinfie sul suo fascicolo. Da allora aveva trascorso più di trecento anni dentro e fuori la prigione. Al momento era ricercato per aver rubato diversi lingotti d'oro dal riscatto di Spinella Tappo. Ragion per cui adesso era costretto a farsi passare per un umano e ad accettare qualunque lavoro gli fosse affidato dalla Mafia di Chicago. C'era comunque qualche rischio, a farsi passare per un umano. Per esempio, la sua taglia attirava l'attenzione di chiunque abbassasse lo sguardo. Ma Bombarda aveva appreso in fretta che i Fangosi riescono sempre a trovare un buon motivo per diffidare praticamente di chiunque: altezza, peso, colore della pelle, religione... qualunque cosa. In un certo senso, era quasi più sicuro essere davvero "diverso". I guai maggiori glieli procurava il sole. I nani sono terribilmente sensibili alla luce, con un tempo di scottatura inferiore ai tre minuti. Per fortuna il suo lavoro si svolgeva soprattutto di notte, ma quando era costretto a uscire di giorno doveva spalmarsi ogni centimetro di pelle esposta con crema protettiva a lunga durata. Aveva affittato un seminterrato in un palazzo del diciannovesimo secolo. Era piuttosto scalcinato, ma la cosa non lo infastidiva affatto. Per cominciare, eliminò le assi del pavimento della stanza da letto e versò due tonnellate di terriccio e fertilizzante sopra le fondamenta marcite. Quanto alle pareti, erano già coperte da chiazze di muffa e di umidità, perciò non c'era bisogno d'interventi in quel settore. Nel giro di poche ore, il posto brulicava d'insetti e Bombarda poteva starsene spaparanzato a impalare scarafaggi con i peli della barba. Casa dolce casa. Non solo l'appartamento cominciava a somigliare a una grotta, ma se la LEP fosse venuta a fargli visita, si sarebbe potuto dileguare sottoterra in un batter d'occhio. Nei giorni seguenti avrebbe rimpianto di non averlo fatto appena sentì
bussare alla porta. Quando bussarono alla porta, Bombarda uscì dalla sua tana e diede un'occhiata al videocitofono. Carla Frazetti si lisciava i capelli specchiandosi nel batacchio di bronzo. La figlioccia del Gran Capo in persona? Doveva essere un lavoro grosso. Forse ne avrebbe ricavato abbastanza da potersi trasferire in un altro Stato. Ormai abitava a Chicago da quasi tre mesi, ed era solo questione di tempo prima che la LEP fiutasse le sue tracce. Non che avesse intenzione di lasciare gli Stati Uniti. Se proprio devi vivere in superficie, tanto vale farlo in un posto fornito di tivù via cavo e ricconi a volontà da derubare. Schiacciò il pulsante del citofono. «Un momento, signorina Frazetti, mi sto vestendo.» «Sbrigati, Lance.» La voce di Carla scaturì raschiante dall'altoparlante scadente. «Qui sto facendo le ragnatele.» Bombarda s'infilò una vestaglia ricavata da vecchi sacchi di patate: trovava stranamente confortante la loro somiglianza con le uniformi delle carceri sotterranee. Si ravviò rapidamente la barba per sloggiarne eventuali insetti e aprì la porta. Carla Frazetti entrò decisa in soggiorno e si accomodò sull'unica poltrona nella stanza. Dietro di lei, al di sotto del raggio d'azione della telecamera, comparve un tizio bassotto. Bombarda prese un appunto mentale: regolare la telecamera. Ora come ora, un elfo avrebbe potuto evitarla come niente, anche senza bisogno di schermatura. Il tizio guardò Bombarda di traverso. Tipico comportamento da gangster. Essere un delinquente è un conto, ma che bisogno c'è d'essere scortese? «Non ce l'hai un'altra sedia?» chiese il tappo, seguendo in soggiorno la signorina Frazetti. Bombarda chiuse la porta. «Non ricevo molte visite. Voi siete i primi, per la precisione. Di solito, quando c'è qualche lavoretto, Bruno mi telefona e io passo da lui.» Bruno il Cacio era il locale supervisore dell'Organizzazione. Dirigeva i suoi affari da un deposito di auto rubate. Leggenda voleva che in quindici anni non avesse mai lasciato la scrivania durante le ore di lavoro. «Notevole, questo posto» sbuffò Mocassini. «Muffa e insetti. Mi piace.» Bombarda passò con affetto un dito su una chiazza verdognola di umidità. «Questa era proprio dietro la carta da parati. Incredibile, quello che la
gente vuole nascondere.» Carla Frazetti tolse dalla borsetta un flacone di Bianchi Petali e ne spruzzò attorno in abbondanza. «Basta con i convenevoli. Ho un lavoro per te, Lance.» Solo a fatica Bombarda mantenne la calma. Era la sua occasione. Forse, dopo, avrebbe potuto sistemarsi per un pezzo in qualche bel posticino umido. «Il genere di lavoro che se va bene intaschi un sacco di grana?» «No» rispose Carla. «È il genere di lavoro che se va male sei tu a rimetterci.» Bombarda sospirò. Che fine aveva fatto l'umana gentilezza? «Perché proprio io?» domandò. Carla Frazetti sorrise, e il rubino brillò nella penombra. «Ti risponderò, Lance. Anche se non sono abituata a dare spiegazioni alla bassa forza. Specialmente non a una scimmia.» Bombarda deglutì. A volte si scordava di avere a che fare con gente spietata. Mai molto a lungo, però. «Ho scelto proprio te, Lance, per l'ottimo lavoro che hai fatto con quel Van Gogh.» Bombarda sorrise modestamente. Disattivare l'allarme del museo era stato un gioco da ragazzi. Non c'era neanche un cane. «E perché hai un passaporto irlandese.» Uno gnomo fuggiasco nascosto a New York gli aveva fornito documenti irlandesi preparati su una fotocopiatrice rubata alla LEE Gli irlandesi erano sempre stati gli umani preferiti da Bombarda, perciò aveva deciso di diventare uno di loro. Doveva immaginarselo che la cosa l'avrebbe messo nei guai. «Il lavoro si svolgerà in Irlanda, ed entrare nel paese potrebbe comportare qualche problema... ma non per voi due. Per voi sarà come una vacanza pagata.» Bombarda accennò a Mocassini. «E il tappo chi è?» Le palpebre di Mocassini si strinsero ancora di più. Bombarda sapeva che sarebbe bastata una parola della signorina Frazetti perché quell'uomo lo uccidesse all'istante. «Il tappo è Mocassini McGuire, il tuo socio. Il ferraiolo. Questo è un lavoro per due. Tu aprì le porte. Mocassini prende il bersaglio e lo porta qui.» Prende il bersaglio. Bombarda sapeva cosa significava e non aveva in-
tenzione di farsi coinvolgere. Un conto era rubare, un altro rapire la gente. Però non poteva rifiutare il lavoro. L'unica cosa da fare era sganciarsi dal ferraiolo alla prima occasione e puntare verso uno degli stati del Sud. Aveva sentito dire che le paludi della Florida erano niente male. «E chi sarebbe il bersaglio?» chiese, fingendo che la cosa gli importasse. «Questa è un'informazione riservata» ringhiò Mocassini. «E fammi indovinare... a me non serve conoscerla.» Carla Frazetti estrasse una foto dalla tasca della giacca. «Meno sai, meno ti sentirai in colpa. Questa è l'unica informazione che ti serve: la casa. Per ora abbiamo soltanto questa foto; potrai fare tutti i controlli che vuoi quando sarete sul posto.» Bombarda prese la foto. E quello che vide lo colpì come un attacco di gas gnomesco. Casa Fowl. Dunque il bersaglio era Artemis. Il tappo psicotico aveva il compito di rapire Artemis. Frazetti avvertì il suo disagio. «Qualcosa non va, Lance?» Non tradirti, si disse Bombarda. Non farla insospettire. «Be'... mi sa che sarà una rogna. Il posto dev'essere zeppo di allarmi e telecamere. Non sarà facile.» «Se fosse facile, me ne occuperei di persona» replicò Carla. Mocassini si fece avanti, guardando Bombarda dall'alto del suo metro e cinquantadue. «Che c'è, nanetto? Troppo difficile per te?» Bombarda dovette prendere una decisione fulminea. Se Carla Frazetti non lo avesse ritenuto all'altezza del lavoro, sarebbe andata a cercare qualcun altro. Qualcuno che non avrebbe avuto problemi a far entrare un delinquente in Casa Fowl. E questo Bombarda non poteva permetterlo. Il ragazzo gli aveva salvato la buccia durante la ribellione goblin, ed era quanto di più vicino a un amico che avesse... Patetico, a pensarci bene. Doveva accettare il lavoro e assicurarsi che non andasse a buon fine. «D'accordo, nessun problema. Ancora non hanno costruito un palazzo dove Lance Escava non riesca a entrare. Mi auguro solo che Mocassini sia all'altezza del lavoro.» Mocassini lo agguantò di scatto per il bavero. «Che vorresti dire, Escava?» Di solito Bombarda evitava d'insultare chiunque avesse la pistola facile, ma ora poteva essere utile far passare Mocassini per una testa calda. Anche perché aveva intenzione di addossare a lui la colpa del fallimento del piano. «Be'... un conto è una scimmia tappo, ma un tappo ferraiolo? Quanto
puoi essere in gamba, a distanza ravvicinata?» Mocassini lo lasciò andare e si aprì bruscamente la camicia per esibire il petto tatuato. «Ecco quanto sono in gamba, Escava. Conta i tatuaggi. Contali!» Bombarda lanciò alla signorina Frazetti uno sguardo che diceva: E lei si fida di questo tipo? «Basta!» ordinò Carla. «Il testosterone qua dentro comincia a puzzare peggio dei muri. Questo è un lavoro importante. Se voi due non riuscite a lavorare insieme, mi cercherò un'altra squadra.» Mocassini si riabbottonò la camicia. «Tutto a posto, signorina Frazetti. Lavoreremo insieme. Consideri il lavoro già fatto.» Carla si alzò, spazzando via dall'orlo della giacca un paio di millepiedi. Gli insetti non la infastidivano: aveva visto di peggio, nei suoi venticinque anni di vita. «Lieta di saperlo. Lance, infilati qualcosa e prendi i tuoi attrezzi. Ti aspettiamo in macchina.» «Cinque minuti» sottolineò Mocassini, puntando un dito contro il petto di Bombarda. «Poi veniamo a prenderti.» Bombarda li guardò uscire. Era la sua ultima occasione per svignarsela. Poteva aprire un tunnel a morsi nelle fondamenta e saltare su un treno diretto a sud prima che Carla Frazetti si rendesse conto della sua scomparsa. Prese seriamente in considerazione l'ipotesi. Quel tipo di cose andava contro la sua natura. Non che fosse cattivo; semplicemente non era abituato ad aiutare il prossimo senza ricavarne qualcosa. E aiutare Artemis Fowl era un atto totalmente altruista. Bombarda rabbrividì. Una coscienza era l'ultima cosa della quale avesse bisogno. Di questo passo, sarebbe finito a vendere biscotti per beneficenza. CAPITOLO 6 ATTACCO A CASA FOWL ESTRATTO DAL DIARIO DI ARTEMIS FOWL. DISCHETTO 2. IN CODICE. Mio padre aveva finalmente ripreso conoscenza. Ne ero sollevato, naturalmente, ma le sue ultime parole continuavano a echeggiarmi nella testa.
"La ricchezza non è così importante, Arty" aveva detto. "E nemmeno il potere. Abbiamo tutto quello che ci serve. Abbiamo noi stessi. " Possibile che la magia lo avesse trasformato a tal punto? Per scoprirlo, dovevo assolutamente parlargli a quattr'occhi. Così, alle 3 del mattino seguente mi feci accompagnare da Leale alla Clinica Universitaria di Helsinki con una Mercedes a nolo. Mio padre era ancora sveglio. Stava leggendo Guerra e Pace alla luce della lampada sul comodino. Appena mi vide, chiuse il libro. «Ti aspettavo, Arty. Dobbiamo parlare. Ci sono diverse cose da chiarire, fra noi.» Mi sedetti impettito ai piedi del letto. «Sì. Sono d'accordo.» Nel sorriso di mio padre comparve una sfumatura di tristezza. «Così formale. Anch'io mi comportavo allo stesso modo con mio padre. A volte penso che non mi conoscesse affatto, e temo che la stessa cosa possa accadere a noi. Perciò voglio parlarti, figliolo, ma non di conti in banca. Non di azioni o di titoli. E nemmeno di compravendite. Non voglio parlare di affari. Voglio parlare di te.» Come avevo temuto. «Di me? Direi che al momento dovresti essere tu al centro dell'attenzione.» «Forse, ma non posso sentirmi tranquillo se non lo è tua madre.» «Non lo è?» gli feci eco, come se non sapessi dove voleva andare a parare. «Non fare l'innocentino, Artemis. Ho telefonato ad alcuni dei miei contatti europei. Sembra che ti sia dato da fare, in mia assenza. Parecchio da fare.» Scrollai le spalle, incerto se prendere quell'osservazione come un rimprovero o una lode. «Non molto tempo fa sarei stato molto colpito dai tuoi trucchi. Ancora minorenne, e già così audace. Ma ora, parlando da padre, ti dico che le cose devono cambiare. Devi recuperare la tua infanzia. Tua madre e io desideriamo che, alla fine delle vacanze, torni a scuola e lasci a me gli affari di famiglia.» «Ma padre!» «Fidati. Sono in affari da più tempo di te. E ho promesso a tua madre che d'ora in poi i Fowl righeranno diritto. Tutti i Fowl. Ho l'occasione di ricominciare daccapo, e non la sprecherò per pura e semplice avidità. Adesso siamo una famiglia. Una vera famiglia. D'ora in poi il nome dei Fowl sarà sinonimo di onore e di onestà. D'accordo?»
«D'accordo» dissi, e gli strinsi la mano. Ma... e il mio incontro con Jon Spiro? Decisi di procedere secondo i piani. Un'ultima avventura... e poi i Fowl sarebbero potuti essere una vera famiglia. In fin dei conti Leale sarebbe stato al mio fianco. Cos'è che poteva andare storto? CASA FOWL Leale aprì gli occhi. Era a casa. Artemis dormiva su una poltrona accanto al letto. Il ragazzo sembrava invecchiato di cent'anni. Non c'era da stupirsi, dopo le ultime avventure. Ma ormai quella vita era finita. Per sempre. «Qualcuno a casa?» chiese la guardia del corpo. Artemis si svegliò all'istante. «Leale! Sei di nuovo fra noi.» Leale si puntellò a fatica su un gomito. Molto a fatica. «È una sorpresa anche per me. Non mi aspettavo di vedere te, o chiunque altro, mai più.» «Tieni, amico mio» disse Artemis, riempiendo d'acqua un bicchiere sul comodino e tendendoglielo. «Riposati.» Leale bevve lentamente. Era stanco, ma in modo diverso dal solito. Gli era già capitato in passato di sentire la fatica delle battaglie, ma questa era una stanchezza più profonda. «Cos'è successo, Artemis? Non dovrei essere vivo. O, se lo fossi, dovrei provare una rilevante dose di sofferenza.» Artemis andò a guardare fuori dalla finestra. «Tozz ti ha colpito. Una ferita mortale. E dato che Spinella non era nei paraggi per salvarti, ti ho congelato e ho aspettato che arrivasse.» Leale scosse la testa. «Criogenica? Poteva venire in mente solo ad Artemis Fowl. M'immagino che tu abbia usato uno dei congelatori per il pesce.» Artemis annuì. «Spero di non essere diventato in parte una trota d'acqua dolce...» Ma quando Artemis si voltò a guardarlo, non sorrideva. «Ci sono state complicazioni.» «Complicazioni?» «La guarigione è stata particolarmente difficile. Polledro ci aveva avvertito che per il tuo fisico lo sforzo poteva essere eccessivo, ma io ho insistito...»
Leale si mise seduto. «Va tutto bene, Artemis. Sono vivo. Qualunque cosa è meglio dell'alternativa.» Mordendosi le labbra, Artemis prese dall'armadio uno specchio dal manico di madreperla. «Fatti forza e guarda qui.» Leale si fece forza e guardò. Irrigidì la mascella, si massaggiò le borse sotto gli occhi. «Per curiosità... quant'è che sono rimasto fuori combattimento?» chiese alla fine. SUL BOEING 747 Bombarda aveva deciso che il modo migliore per boicottare la missione era punzecchiare Mocassini fino a farlo uscire di senno. Del resto far uscire di senno la gente era una sua specialità che non riusciva a esercitare quanto gli sarebbe piaciuto. I due ometti erano seduti fianco a fianco su un 747, guardando le nuvole sfrecciare sotto di loro. Prima classe: uno dei vantaggi di lavorare per gli Antonelli. «Allora, Ciabattine...» esordì Bombarda, sorseggiando una coppa di champagne. «Mi chiamo Mocassini.» «Oh sì, Mocassini. Che storia c'è dietro i tatuaggi?» Mocassini arrotolò una manica per esibire un serpente turchese con gocce di sangue al posto degli occhi. Un'altra delle sue idee. «Me ne faccio uno dopo ogni lavoro.» «Oh» disse Bombarda. «Anche se imbianchi una cucina?» «Non quel tipo di lavoro, scemo.» «E che tipo di lavoro?» Mocassini digrignò i denti. «Devo sillabartelo?» Bombarda arraffò una manciata di noccioline da un vassoio di passaggio. «Macché. Mai stato a scuola. Basta che parli chiaro.» «Non puoi essere così idiota! Spatz Antonelli non assume gli idioti.» Bombarda gli rivolse un ammicco untuoso. «Sicuro?» D'istinto, la mano di Mocassini tastò la giacca alla ricerca di un'arma di qualche tipo. «Aspetta che il lavoro sia concluso, furbacchione. E poi faremo i conti.» «Sognatelo, Stivaletti.» «Mocassini!»
«Come ti pare.» Bombarda sparì dietro una rivista. Troppo facile. Il piccoletto era già fuori di testa. Un altro paio d'ore, e avrebbe avuto la bava alla bocca. AEROPORTO DI DUBLINO, IRLANDA Bombarda e Mocassini superarono la dogana irlandese senza problemi. In fin dei conti stavano semplicemente tornando a casa per le vacanze. Non avevano certo l'aria di una banda di gangster pronti a tutto. Neanche a pensarci. E quando mai si è sentito dire di nanerottoli che lavorano per la Mafia? Mai e poi mai. Forse per questo erano così in gamba. Comunque, il controllo dei passaporti fornì a Bombarda un'altra occasione per mandare in bestia il suo compagno. L'agente dietro il banco stava facendo del suo meglio per non notare l'altezza di Bombarda, o meglio la sua bassezza. «Allora, signor Escava, in visita alla famiglia?» Bombarda annuì. «Esatto. La famiglia di mia madre è di Killarney.» «Oh, davvero?» «O'Dawy, per essere precisi. Ma cos'è uno sketch fra amici?» «Divertente. Dovrebbe calcare le scene.» «Buffo che l'abbia detto...» L'agente soffocò un gemito. Ancora dieci minuti e il suo turno sarebbe finito. «In realtà era una battuta sarcastica...» precisò. «... perché il mio amico, il signor McGuire e io abbiamo una parte nella Pantomima di Natale. Biancaneve, sa...? Io sono Dotto e lui è Mammolo.» L'addetto ai passaporti si sforzò di sorridere. «Magnifico. Il prossimo...» «Naturalmente» aggiunse Bombarda, a voce abbastanza alta perché lo sentisse l'intera fila «il signor McGuire è praticamente nato per fare Mammolo... se capisce che voglio dire.» Mocassini esplose peggio d'una bomba. «Razza di mostriciattolo!» urlò. «Io ti ammazzo! Sarai il mio prossimo tatuaggio. Il prossimo!» Mentre il suo socio scompariva sotto una mezza dozzina di agenti, Bombarda schioccò la lingua. «Attori» commentò. «Sono così ipersensibili.» Lasciarono andare Mocassini tre ore più tardi, dopo un'accurata perquisizione e una sfilza di telefonate al parroco della sua città natale. Bombar-
da lo aspettava nell'auto noleggiata in anticipo, un modello speciale con acceleratore e freno sopraelevati. «Il tuo caratteraccio sta mettendo seriamente a rischio l'operazione» lo accolse il nano senza battere ciglio. «Se continui a perdere il controllo, sarò costretto a chiamare la signorina Frazetti.» «Guida» ringhiò il ferraiolo. «E facciamola finita.» «D'accordo. Ma è la tua ultima possibilità. Un'altra sceneggiata del genere e mi vedrò costretto a staccarti la testa a morsi.» Soltanto allora Mocassini fece caso ai denti del socio. Erano blocchi di smalto simili a lapidi, e sembravano troppi per una sola bocca. Per un momento si chiese se Escava fosse in grado di mettere in atto la sua minaccia... Ma no, decise fra sé. Aveva solo i nervi scossi dopo l'interrogatorio dei finanzieri. Però c'era qualcosa nel sorriso del nano. Uno scintillio che lasciava intuire poteri segreti e spaventosi. Poteri che avrebbero fatto meglio a restare segreti. Bombarda si occupò di guidare sulla superstrada mentre Mocassini faceva un paio di telefonate con il cellulare. Fu semplice per lui contattare qualcuno dei suoi vecchi soci e organizzare la consegna di una pistola con silenziatore più due cuffie, da lasciare in un sacchetto della spesa dietro il cartello di uscita per Casa Fowl. I soci di Mocassini accettavano perfino carte di credito, perciò non ci fu neanche bisogno del solito mercanteggiare da macho che di solito accompagna le transazioni al mercato nero. Una volta in possesso dell'arma, Mocassini si sentì di nuovo sul ponte di comando. «Allora, Lance» ghignò «hai già pronto un piano?» Bombarda non staccò gli occhi dalla strada. «Macché. Mi pareva che il capo fossi tu. I piani sono di tua competenza. Io mi limito a trovare il modo di entrare in casa.» «Esatto. Il capo sono io... e credimi: quando avrò finito di parlare con lui, l'avrà capito anche il signorino Fowl.» «Il signorino Fowl?» chiese Bombarda con aria innocente. «Siamo qui per un ragazzino?» «Non un semplice ragazzino» rivelò Mocassini, venendo meno agli ordini ricevuti. «Artemis Fowl. L'erede dell'impero criminale Fowl. Ha dentro la testa qualcosa che interessa molto alla signorina Frazetti. E nostro compito è fargli capire quant'è importante che venga con noi e vuoti il sacco.»
Le mani di Bombarda strinsero con più forza il volante. Avrebbe già potuto fare la sua mossa, ma il fatto è che non bastava mettere Mocassini fuori combattimento; doveva convincere Carla Frazetti a non mandare un'altra squadra. Artemis avrebbe saputo cosa fare. Doveva parlargli prima che entrasse in scena Mocassini. Gli sarebbero bastati un cellulare e una visitina in bagno. Peccato che non si fosse mai preso il disturbo di procurarsi un cellulare, ma del resto non aveva mai avuto bisogno di chiamare nessuno. Senza contare che con Polledro non si era mai abbastanza cauti. Quel centauro sarebbe stato in grado di localizzare il frinire d'un grillo. «Meglio fermarsi a fare provviste» suggerì Mocassini. «Potrebbero volerci giorni per controllare il posto.» «Macché. Lo conosco già. Ci ho fatto un girò quand'ero giovane. Sarà una passeggiata.» «E perché non l'hai detto subito?» Bombarda rivolse un gestaccio a un camionista che occupava tutt'e due le corsie. «Lo sai com'è, quando si lavora su commissione. La paga è calcolata sulla difficoltà del lavoro. Se avessi detto che c'ero già entrato me l'avrebbero dimezzata.» Su questo, Mocassini non ebbe niente da obiettare. Era la pura verità. Sempre meglio esagerare le difficoltà del lavoro. Qualunque cosa, pur di spremere qualche altro bigliettone al datore di lavoro. «Insomma, possiamo entrare là dentro senza problemi...» «Posso entrarci io. Dopodiché ti aprirò la porta.» Mocassini s'insospettì. «Perché non posso venire con te? Sarebbe meglio che ciondolare nei paraggi in pieno giorno.» «Primo: non mi metterò al lavoro prima che faccia buio. Secondo: sicuro, puoi venire con me... se non ti dispiace strisciare dentro la fossa biologica e risalire nove metri di fognature.» Al solo pensarci, Mocassini dovette abbassare il finestrino. «D'accordo. Dopo vieni ad aprirmi la porta. Però ci teniamo in contatto via radio. Se qualcosa va storto, voglio saperlo subito.» «Signorsì, capo» disse Bombarda, infilandosi l'auricolare in un orecchio peloso e agganciando il microfono alla giacca. «Non vorrai perderti l'occasione di spaventare un ragazzino.» Il sarcasmo sorvolò sibilando la testa di Mocassini. «Esatto» replicò l'uomo di Kilkenny. «Io sono il capo. E tu non vuoi
farmi perdere quest'occasione.» Bombarda dovette mettercela tutta per evitare che gli si arricciassero i peli della barba. I peli dei nani sono estremamente sensibili all'umore altrui, in particolare all'ostilità. Che si riversava fuori da ogni poro del suo compagno. E qualcosa gli diceva che i loro rapporti non sarebbero migliorati. Parcheggiarono accanto al muro di cinta della proprietà Fowl. «Sicuro che è questo il posto?» chiese Mocassini. Il nano puntò un dito tozzo sul cancello di ferro. «Vedi dove c'è scritto Casa Fowl?» «Sì.» «Significa che il posto è questo.» Neanche a Mocassini poteva sfuggire una frecciata esplicita come quella. «Meglio che mi fai entrare là dentro, Escava, o...» Bombarda gli mostrò i denti. «O che cosa?» «O la signorina Frazetti ne sarà estremamente contrariata» concluse Mocassini, rendendosi conto di non essere all'altezza di una battaglia verbale. Fra sé decise che avrebbe dato una lezione a Lance Escava appena possibile. «E noi non vogliamo contrariare la signorina Frazetti» concluse Bombarda. Saltò giù dal sedile sopraelevato e andò a recuperare l'attrezzatura nel baule. Nella borsa aveva alcuni strumenti da scassinatore non molto ortodossi, forniti dal suo aggancio gnomesco di New York. Però non credeva di doverli usare. Intendeva ricorrere a tutt'un altro metodo per entrare nella casa. Batté le nocche sul finestrino del passeggero. Mocassini lo abbassò. «Che c'è?» «Ricorda: resta qui finché vengo a prenderti.» «Questo mi suona come un ordine, Escava. Mi dai ordini, ora?» «Chi, io?» Bombarda sorrise, rivelando la piena estensione della sua dentatura. «Dare ordini? A te? Non sia mai.» Il finestrino risalì ronzando. «Meglio così» bofonchiò Mocassini quando fra lui e tutti quei denti ci fu una lastra di vetro corazzato. Dentro Casa Fowl, Leale aveva appena finito di radersi e rasarsi la testa. Cominciava a somigliare di nuovo a se stesso. Un se stesso più vecchio.
«Kevlar, eh?» ripeté, esaminando la striscia di pelle più scura sul petto. Artemis annuì. «Alcune fibre erano rimaste nella ferita, e la magia le ha replicate. Secondo Polledro respirerai più a fatica... però non sei a prova di pallottole... a parte quelle di piccolo calibro.» Leale si riabbottonò la camicia. «È cambiato tutto, Artemis. Non posso più guardarti le spalle.» «Non ho bisogno di essere protetto. Spinella aveva ragione. Le conseguenze dei miei piani di solito ricadono sugli altri. Appena avremo sistemato Spiro, mi concentrerò sulla mia educazione.» «Sistemare Spiro? Lo fai sembrare facile. Jon Spiro è un uomo pericoloso. Pensavo che l'avessi capito.» «L'ho capito. E credimi, non commetterò più l'errore di sottovalutarlo. Ho già in mente qualcosa. Riusciremo a recuperare il Cubo e a neutralizzare il signor Spiro... sempre che Spinella accetti di aiutarci.» «Dov'è Spinella? Devo ringraziarla. Un'altra volta.» Artemis guardò fuori dalla finestra. «È andata a completare il Rituale. Indovina perché.» Leale annuì. Il loro primo incontro con Spinella era avvenuto mentre lei eseguiva il Rituale per rigenerare il proprio potere in uno dei luoghi sacri del Popolo. Anche se "incontro" non era il termine che avrebbe usato lei. Rapimento, casomai. «Dovrebbe tornare entro un'ora. Fino allora faresti meglio a riposarti.» «Posso riposarmi più tardi. Ora come ora devo controllare i dintorni. È improbabile che Spiro abbia messo insieme una squadra così in fretta, ma non si può mai sapere.» Si diresse verso il pannello collegato alle telecamere di sicurezza esterne. Chiaramente, ogni passo gli costava fatica. Con i polmoni circondati di Kevlar, anche solo salire le scale sarebbe stata una maratona. Leale suddivise lo schermo in modo da vedere in simultanea attraverso tutte le telecamere. Dopodiché ne ingrandì una in particolare. «Guarda un po' chi è venuto a trovarci» commentò. Artemis lo raggiunse davanti allo schermo. Un piccoletto stava rivolgendo gesti sconci alla telecamera che controllava la porta sul retro. «Bombarda Sterro» disse il ragazzo. «Proprio il nano che volevo vedere.» Leale trasferì l'immagine sullo schermo principale. «Forse. Ma perché lui vuole vedere te?»
Teatrale come sempre, Bombarda insistette per farsi offrire un panino prima di passare alle spiegazioni. Purtroppo per lui, fu Artemis a prepararglielo. Emerse dalla dispensa con qualcosa che somigliava a una specie di esplosione su un piatto. «È più difficile di quanto credessi» si giustificò. Bombarda spalancò le mascelle e ingurgitò l'intero montarozzo in un colpo solo. Dopo una lunga masticata, s'infilò una mano in bocca per recuperare un pezzo di tacchino arrosto. «La prossima volta mettici più mostarda» suggerì, scuotendo le briciole dalla camicia e azionando inavvertitamente il trasmettitore. «Prego» disse Artemis, piccato. «Dovresti essere tu a ringraziarmi, Fangosetto» replicò Bombarda. «Sono venuto fin qui da Chicago per salvarti la pelle. Di sicuro varrà quanto un pidocchioso panino.» «Chicago? Ti ha mandato Jon Spiro?» Il nano alzò le spalle. «Può anche essere, però non direttamente. Io lavoro per gli Antonelli. Naturalmente non sanno che sono un nano magico; mi credono semplicemente il miglior ladro in circolazione.» «In passato il procuratore distrettuale di Chicago ha collegato gli Antonelli a Spiro. O meglio, ci ha provato.» «Sarà come dici tu. Insomma, il piano è questo: io m'introduco qui, faccio entrare il mio socio, e lui ti invita ad accompagnarci a Chicago.» Leale era appoggiato al tavolo. «E dov'è il tuo socio?» «Fuori del cancello. È un tipo nervoso. A proposito, grand'uomo, lieto di trovarti vivo. Sottoterra correva voce che fossi morto.» «Lo ero» disse Leale, dirigendosi in sala controllo. «Però adesso sto meglio.» Mocassini estrasse dal taschino della giacca la piccola agenda dove annotava ogni frecciata di sicuro effetto usata in situazioni pericolose. Le battute fulminanti erano il marchio di fabbrica di un gangster in gamba... almeno a quanto si vedeva al cinema. Sfogliò le pagine con un sorriso compiaciuto. È tempo di chiudere i conti. Per sempre. Larry Ferrigamo. Banchiere. 9 agosto. Temo che il tuo hard drive stia per essere cancellato. David Spinski. Hacker. 23 settembre. Lo faccio per spianare l'impasto. Morty il Fornaio. 17 luglio.
Roba tosta. Magari un giorno o l'altro avrebbe scritto le sue memorie. Stava ancora ridacchiando quando sentì la voce di Lance nell'auricolare. Dapprima pensò che parlasse con lui, ma non ci mise molto a capire che il suo cosiddetto socio stava vuotando il sacco al loro obiettivo. «Dovresti essere tu a ringraziarmi, Fangosetto» diceva Escava. «Sono venuto fin qui da Chicago per salvarti la pelle.» Salvargli la pelle! Quel piccolo idiota faceva il doppio gioco... ma per fortuna si era scordato del microfono. Mocassini uscì dall'auto e la chiuse a chiave con cura. Se gliel'avessero rubata avrebbe perso i soldi del deposito, e la signorina Frazetti li avrebbe detratti dalla sua commissione. Accanto al cancello principale si apriva una porticina. Lance Escava l'aveva lasciata aperta. Mocassini la varcò e percorse in fretta il viale, tenendosi al riparo degli alberi. Intanto, Lance continuava a farfugliare. Spiattellò tutto il loro piano al giovane Fowl, e senza neanche una miserabile minaccia di tortura. In modo del tutto spontaneo. Aveva sempre lavorato per il ragazzo! E non si chiamava Lance, ma Bombarda. Che razza di nome era, Bombarda? Bombarda, che a quanto pareva era un nano magico. La faccenda diventava sempre più strana. Forse i nani magici erano una specie di banda. Però non sembrava proprio il nome di una banda. Di sicuro non il tipo di nome in grado di spargere il panico nei cuori della concorrenza. Risalì rapidamente il viale, superando un filare di betulle, un campo da croquet e due pavoni che zampettavano impettiti sulla riva di un laghetto. Si stava chiedendo dove fosse l'entrata di servizio quando avvistò un cartello: CONSEGNE SUL RETRO. Grazie mille. Controllò ancora una volta pistola e silenziatore, e si avviò in punta di piedi sul sentiero di ghiaia. Artemis tirò su col naso. «Cos'è quest'odore?» La testa di Bombarda sbucò da dietro lo sportello del frigo. «Sono io, temo» biascicò, ruminando un'inverosimile quantità di cibo. «Crema solare. Disgustoso, lo so, ma senza puzzerei molto di più. Come una fetta di prosciutto abbandonata su una roccia nella Valle della Morte.» «Un'immagine affascinante.» «Noi nani siamo creature del sottosuolo. Perfino durante il regno della Dinastia Foglietta vivevamo sottoterra...» Foglietta era stato il primo re elfico. Durante il suo regno, il Popolo e gli umani avevano condiviso la superficie della Terra.
«... Essere fotosensibili rende difficile vivere qua sopra. A dirla tutta, sono un po' stufo di questa vita.» «Ogni tuo desiderio è un ordine» disse una voce. Quella di Mocassini. Era fermo sulla soglia della cucina e stringeva in mano un pistolone. A merito di Bombarda, va detto che si riprese rapidamente. «Pensavo di averti detto di aspettare fuori.» «Vero. Però ho deciso di entrare lo stesso. E indovina un po'. Nessuna fossa biologica, niente fognature. La porta sul retro era spalancata.» Quando pensava, Bombarda aveva la tendenza a digrignare i denti. Sembravano unghie che graffiassero una lavagna. «Ho avuto una botta di fortuna. Naturalmente l'ho colta al volo, ma purtroppo sono stato interrotto dal ragazzo. Avevo appena guadagnato la sua fiducia quando sei arrivato tu.» «Piantala con le scuse. La tua trasmittente è in funzione. Ho sentito tutto, Lance. O dovrei chiamarti Bombarda, il nano magico?» Bombarda finì di deglutire il cibo semiruminato. Ancora una volta la sua lingua lunga lo aveva messo nei guai... ma forse poteva anche tirarlo fuori. Forse sarebbe riuscito a sganciarsi la mascella e ingoiare quel tappo d'un assassino. Ai bei tempi aveva digerito di peggio. Una rapida scarica di gas gnomesco sarebbe bastata a fargli attraversare la stanza... sempre che la pistola non lo centrasse prima dell'atterraggio. Mocassini gli lesse nel pensiero. «Forza, piccoletto» sogghignò. «Provaci. Vediamo fin dove arrivi.» Anche Artemis stava riflettendo. Sapeva che per il momento non era in pericolo di vita. Di sicuro quel tizio aveva l'ordine di non fargli del male. Però Bombarda era in pericolo e non c'era nessuno in grado di salvarlo. Anche se Leale fosse stato presente, era comunque troppo debole. Spinella era chissà dove a completare il Rituale. E lui stesso non era al meglio delle condizioni fisiche. Avrebbe dovuto negoziare. «So perché sei qui» cominciò. «I segreti del Cubo. Ti dirò tutto, però non fare del male al mio amico.» Mocassini agitò la pistola. «Tu farai tutto quello che voglio io, e quando lo vorrò io. E magari frignerai come una bambina. A volte succede.» «Benissimo. Ti dirò tutto quello che vuoi sapere. Basta che non spari a nessuno.» Mocassini ingoiò un sogghigno. «Come no. Benissimo. Tu vieni via con me calmo e tranquillo, e io non faccio male a una mosca. Parola d'onore.»
Leale entrò in cucina proprio in quel momento: aveva l'affanno e il viso lucido di sudore. «Ho controllato lo schermo. Lauto è vuota, l'altro dev'essere...» «Proprio qui» concluse Mocassini. «Lo sanno tutti tranne te, nonno. Da bravo, non fare movimenti improvvisi e forse non ti verrà l'infarto.» Artemis vide gli occhi di Leale guizzare attorno alla stanza. Cercando una soluzione. Un modo per salvarli. Forse il Leale di ieri ci sarebbe riuscito, ma il Leale di oggi aveva quindici anni di più e ancora non si era del tutto ripreso dalla guarigione magica. Era una situazione disperata. «Potresti legare questi due» suggerì Artemis. «E dopo ce ne andiamo con tutta calma.» Mocassini si tirò una manata sulla fronte. «Che idea! E magari dopo mi suggerirai qualche altro modo per perdere tempo, neanche fossi un dilettante.» All'improvviso sentì un'ombra cadergli sulla schiena, e voltandosi vide una ragazza ferma sulla soglia. Un'altra testimone. Carla Frazetti avrebbe dovuto pagargli gli straordinari. Tutto in quel lavoro era andato storto fin dall'inizio. «Da brava, signorina. Unisciti agli altri. E niente stupidaggini.» La ragazza gettò indietro i capelli e batté le palpebre coperte di uno scintillante ombretto verde. «Io non faccio stupidaggini» disse. La sua mano scattò e, sfiorando appena la pistola, sfilò abilmente l'otturatore. L'arma era ormai inutilizzabile, tranne che per piantare chiodi. Mocassini arretrò di scatto. «Ehi. Attenta. Non voglio farti male per sbaglio. Questa pistola potrebbe sparare.» Così pensava lui. «Indietro, ragazzina» ordinò, agitando l'ormai inutile ferraglia «altrimenti...» Juliet gli fece dondolare l'otturatore sotto il naso. «Altrimenti cosa? Come pensi di spararmi, senza questo?» Mocassini fissò allibito il pezzo di metallo. «Ma quello...» E poi Juliet lo colpì in pieno petto con tanta forza da mandarlo a sbattere contro il tavolo della colazione. Lo sguardo di Bombarda andò dall'ometto atterrato alla ragazza. «Ehi, Leale. La tiro un po' a casaccio, ma secondo me questa è tua sorella.» «Hai ragione» disse la guardia del corpo, abbracciando Juliet. «Come
hai fatto a indovinare?» CAPITOLO 7 I PIANI PIÙ ACCURATI CASA FOWL Era tempo di riunirsi a consulto. Quella sera il gruppo si sedette intorno a un tavolo, davanti ai due schermi che Juliet aveva portato dalla sala controllo. Polledro si era inserito nella loro frequenza per trasmettere immagini dal vivo del comandante Tubero e di se stesso. Con suo grande disappunto, Bombarda era ancora lì. Stava tentando di scucire ad Artemis una qualche ricompensa quando Spinella era tornata e lo aveva ammanettato a una sedia. Il fumo del sigaro di Tubero annebbiava lo schermo. «A quanto pare c'è la banda al completo» disse, usando il dono delle lingue per farsi capire da tutti. «E sapete una cosa? A me le bande non piacciono.» Spinella aveva piazzato l'elmetto al centro del tavolo in modo da inquadrare tutti gli occupanti della stanza. «Posso spiegare, comandante...» «Sì, scommetto di sì. Ma ho la sensazione che la tua spiegazione non mi convincerà e per la fine del turno avrò il tuo distintivo nel cassetto.» «Un momento, comandante» intervenne Artemis. «Spinella... il capitano Tappo è qui solo perché l'ho ingannata.» «Davvero? E come mai è ancora lì? Si è fermata per pranzo?» «Non è il momento di fare del sarcasmo, comandante. Abbiamo un problema grave. Potenzialmente disastroso.» Tubero sbuffò una nube di fumo verdastro. «Quello che voi umani vi fate l'un l'altro non ci riguarda. Non siamo la tua polizia personale, Fowl.» Polledro si schiarì la voce. «Siamo coinvolti, ci piaccia o no: è stato Artemis a localizzarci. E non è questo il peggio, Julius.» Tubero fissò il centauro. Polledro lo aveva chiamato per nome. Doveva essere una faccenda molto seria. «Molto bene, capitano. Prosegui il tuo rapporto.» Spinella aprì un file sul computer palmare. «Ieri ho risposto a un allarme inviato da Sentinella in seguito a una telefonata eseguita da Artemis Fowl, un Fangoso ben noto alla LEP per la par-
te svolta durante la rivolta Mazza Sette. Il socio di Fowl, Leale, era stato ferito mortalmente da un altro Fangoso, Jon Spiro. Artemis ha richiesto il mio aiuto per riportarlo in vita.» «E tu ovviamente ti sei rifiutata di farlo e, come da regolamento, hai richiesto assistenza tecnica per eseguire uno spazzamente.» Spinella avrebbe giurato che lo schermo si stava surriscaldando. «No. Tenendo conto dell'aiuto fornito da Leale durante la rivolta goblin, ho eseguito la guarigione e sono venuta qui con entrambi gli umani.» «Non dirmi che li hai portati lì a volo?» «Non avevo scelta. Li ho avvolti in un telo mimetico.» Tubero si massaggiò le tempie. «Un piede. Bastava che spuntasse fuori un piede, e domani ci saremmo ritrovati tutti su Internet. Spinella, perché mi fai questo?» Spinella non replicò. Che poteva dire? «C'è dell'altro. Abbiamo in custodia uno degli scagnozzi di Spiro. Un tipaccio.» «Ti ha visto?» «No. Però ha sentito Bombarda dire che era un nano magico.» «Nessun problema» intervenne Polledro. «Gli facciamo uno spazzamente-bloccatutto e lo rispediamo a casa.» «Non è così semplice. È un sicario. Potrebbe tornare qui per finire il lavoro. Penso che serva una rilocazione. Nessuno sentirà la sua mancanza.» «D'accordo» disse Polledro. «Addormentatelo, spazzategli la mente ed eliminate qualunque cosa possa restituirgli la memoria. Dopodiché trasferitelo da qualche parte dove non faccia danni.» Il comandante cercò di calmarsi sbuffando nuvole di fumo. «Va bene. Adesso dimmi tutto di questa localizzazione. E se il responsabile è Fowl, significa che l'allarme è rientrato?» «No. L'altro umano, Jon Spiro, ha rubato ad Artemis la tecnologia del Popolo.» «Che Artemis aveva rubato a noi» sottolineò Polledro. «Questo tizio, Spiro, è deciso a scoprirne i segreti usando qualunque mezzo» proseguì Spinella. «E chi conosce questi segreti?» chiese Tubero. «Artemis è il solo in grado di far funzionare il Cubo.» «Cosa sarebbe un cubo?» Polledro prese la parola. «Artemis ha messo insieme un microcomputer usando avanzi di tecnologia LEP. Per noi è roba superata, ma per gli uma-
ni rappresenta un balzo in avanti di una cinquantina d'anni.» «Ragion per cui vale una fortuna» concluse il comandante. «Ragion per cui vale una fortuna» concordò Polledro. Bombarda drizzò le orecchie. «Una fortuna? Esattamente che tipo di fortuna?» Per Tubero fu un sollievo potersela prendere con qualcuno. «Chiudi il becco, detenuto! La cosa non ti riguarda. Piuttosto concentrati sui tuoi ultimi minuti di libertà. Domani a quest'ora starai facendo la conoscenza del tuo compagno di cella, e mi auguro che sia un troll.» Bombarda non batté ciglio. «Datti una calmata, Julius. Ogni volta che c'è Fowl di mezzo, tocca a me pararti il didietro. Non ho dubbi che anche stavolta finirò incluso in qualunque piano Artemis abbia in mente. Probabilmente per fare qualcosa di assurdamente pericoloso.» La carnagione di Tubero passò dal roseo al paonazzo. «È così, Artemis? Hai in mente di utilizzare il detenuto?» «Dipende.» «Da cosa?» «Dal fatto che lei mi dia in prestito Spinella.» La testa di Tubero sparì dietro una nuvola di fumo. La punta rossa del sigaro ricordava un treno a vapore in uscita da una galleria. Parte del fumo fluttuò fino allo schermo di Polledro. «Non butta bene» commentò il centauro. Finalmente Tubero si calmò abbastanza da parlare. «Darti in prestito Spinella? Signore, dammi pazienza. Hai idea della quantità di regole che sto ignorando solo per parlare con te?» «Parecchie, m'immagino.» «Una montagna, Artemis. Una montagna. E lo faccio solo per quella faccenda dei Mazza Sette. Se questa storia si risapesse, come niente mi ritroverei a dirigere la pulitura fogne in Atlantide.» Bombarda ammiccò allo schermo. «Mi sa che questo non avrei dovuto sentirlo.» Il comandante lo ignorò. «Hai trenta secondi, Artemis. Vediamo se riesci a convincermi.» Artemis si alzò e si piantò davanti allo schermo. «Spiro ha in mano la tecnologia del Popolo. È poco probabile che sia in grado di usarla, però metterà i suoi scienziati al lavoro sulla funzione ionica. Quell'uomo è un megalomane, senza il minimo rispetto per la vita o per l'ambiente. Quali macchinari spaventosi potrà costruire con la tecnologia
del Popolo? Ed esiste anche la possibilità che finisca per scoprire Cantuccio. Se questo dovesse accadere, la vita di ogni creatura sul pianeta, e sotto il pianeta, correrà un rischio gravissimo.» Tubero fece scivolare la sedia fuori del raggio della telecamera; dopo un momento riapparve sullo schermo di Polledro e sussurrò qualcosa all'orecchio del centauro. «Non butta bene» commentò Spinella. «Come niente potrei ritrovarmi sulla prossima navetta diretta a casa.» Artemis tamburellò le dita sul tavolo. Sarebbe stata dura sconfiggere Spiro senza l'aiuto del Popolo. Dopo un po', il comandante riapparve sul proprio schermo. «È una faccenda seria. Non possiamo correre il rischio che questo Spiro ci scandagli un'altra volta. Per quanto minimo, esiste comunque. Dovrò mettere insieme una Squadra Recupero al completo.» «Una squadra al completo?» protestò Spinella. «In città? Comandante, sa come sono quelli del Recupero. Potrebbe venirne fuori un disastro. Prima lasci fare un tentativo a noi.» Tubero ci pensò su. «Per organizzare la squadra ci vorranno quarantott'ore, perciò questo è tutto il tempo che hai. Posso coprirti per un paio di giorni. Sterro può aiutarvi, se vuole; a lui la scelta. Potrei lasciar cadere un paio di accuse, ma dovrà comunque farsi dai cinque ai dieci anni per la faccenda dei lingotti. Non posso fare di più. Se fallite, interverrà il Recupero.» Artemis rifletté un momento. «Molto bene.» Tubero prese fiato. «A una condizione.» «Me l'immaginavo» disse Artemis. «Vuole sottoporci tutti allo spazzamente, esatto?» «Esatto. Stai diventando un problema sempre più grosso per il Popolo. Se vuoi il nostro aiuto, tu e i tuoi amici dovrete accettare di sottoporvi allo spazzamente.» «E in caso contrario?» «Passeremo direttamente al piano B, e vi ripuliremo comunque il cervello.» «Senza offesa, comandante, ma c'è un problema tecnico...» «Ci sono due tipi di spazzamente» intervenne Polledro. «Uno bloccante, che elimina interi periodi. Spinella potrebbe eseguirlo con l'attrezzatura che ha nello zaino. E uno di precisione, che cancella soltanto ricordi specifici. È un procedimento più complicato, ma ci sono meno rischi di un calo
del QI. Quello che eseguiremo su tutti voi sarà uno spazzamente di precisione. Dopodiché eliminerò dal tuo computer tutti i file relativi al Popolo. Inoltre mi servirà il tuo permesso per eseguire un controllo in Casa Fowl e verificare che non ci siano in giro cimeli del Popolo. E il giorno dopo ti sveglierai senza un solo ricordo del Popolo.» «Stiamo parlando dei ricordi di quasi due anni.» «Non ne sentirai la mancanza. Il tuo cervello ne inventerà di nuovi per riempire i vuoti.» Per Artemis non era una decisione facile. La sua conoscenza del Popolo gli riempiva ormai un'ampia parte della mente; d'altro canto non poteva continuare a mettere a rischio la vita di chi aveva attorno. «D'accordo» disse finalmente. «Accetto l'offerta.» Tubero lanciò il sigaro in un inceneritore. «Bene, allora. Affare fatto. Capitano Tappo, mantieni sempre un canale aperto.» «Sì, signore.» «Spinella?» «Comandante?» «Fa' attenzione. La tua carriera non sopravviverebbe a un altro colpo.» «Capito, signore.» «E... detenuto?» Bombarda sospirò. «Dici a me, Julius?» Tubero si accigliò. «Hai chiuso, Bombarda. Non ce la farai a scappare di nuovo, perciò preparati a cibo freddo e mura robuste.» Bombarda si alzò e voltò le spalle allo schermo. Chissà come, la patta posteriore dei suoi calzoni da lavoro si aprì per mostrare al comandante la visione completa del suo posteriore. Nel mondo gnomesco, come in molte culture, mostrare il didietro è il massimo degli insulti. Il comandante Tubero interruppe la comunicazione. In fin dei conti, a un'ingiuria del genere non c'è replica. OVEST DI WAJIR, KENYA, AFRICA ORIENTALE Mocassini McGuire si svegliò con un mal di testa atroce. Così atroce che si sentì in dovere di trovare qualche paragone, nel caso avesse dovuto descriverlo in seguito. Era, decise, come se un porcospino nervoso gli zampettasse dentro il cranio. Niente male, pensò. Dovrei scriverlo nell'agenda... E poi pensò: che cos'è un'agenda? Il pensiero successivo fu: e io chi so-
no? Scarpe... qualcosa a che fare con le scarpe. Succedeva sempre così, dopo un trapianto di memoria. La vecchia identità restava nei paraggi per un po', tentando di riaffermarsi, finché gli stimoli esterni la spazzavano via. Si sedette, e il porcospino impazzì, conficcando gli aculei in ogni centimetro quadrato del tenero tessuto cerebrale. «Oh» gemette Mocassini, stringendosi fra le mani il cranio dolorante. Che significava? Dov'era? E come c'era arrivato? Si guardò le braccia. Per un istante, il suo cervello le vide ricoperte di tatuaggi, ma l'immagine svanì rapidamente. La pelle era intatta. La luce del sole gli investiva le braccia come un lampo bianco. Tutt'attorno c'erano cespugli e terra rossastra che sfumava verso lontane colline violacee. Il disco dorato del sole apriva crepe nel suolo dal quale si levava una tremolante foschia di calore. In lontananza, due figure correvano solcando le increspature roventi con l'eleganza di gazzelle. Erano due giganti, alti minimo due metri e dieci. Ognuno portava uno scudo ovale di pelle, una lancia e un cellulare. Capelli, collo e orecchie erano adorni di perline multicolori. Mocassini saltò in piedi. Piedi, notò, infilati in sandali di cuoio. I corridori preferivano scarpe da ginnastica. «Aiuto» gridò. «Aiutatemi!» Subito i due cambiarono direzione e puntarono verso di lui. «Jambo, fratello. Ti sei perso?» chiese uno. «Mi dispiace» rispose Mocassini in perfetto swahili. «Non parlo swahili.» I due si scambiarono un'occhiata. «Capisco. Come ti chiami?» chiese l'altro. Mocassini, disse il cervello di Mocassini. «Nuru» disse la sua bocca. «Bene, Nuru. Unatoka wapi? Da dove vieni?» Le parole gli uscirono di bocca più veloci del pensiero. «Non so da dove vengo, però so che voglio venire con voi. Vivere nel vostro villaggio. È quello il mio posto.» I guerrieri kenioti abbassarono lo sguardo sul piccolo straniero. Aveva il colore sbagliato, è vero, però sembrava un tipo a posto. Il più alto sganciò il cellulare dalla cintura di pelle di leopardo e compose il numero del capo villaggio. «Jambo, capo, parla Bobby. Gli spiriti della terra ce ne hanno mollato un altro.»
Ascoltò un momento e poi rise, squadrando Mocassini da capo a piedi. «È piccolo, sì, però sembra forte e ha un sorriso più largo di una banana sbucciata.» Mocassini sorrise con entusiasmo perfino maggiore, nel caso questo fosse un punto a suo vantaggio. Chissà perché, non desiderava altro che andare nel loro villaggio e vivere una vita produttiva. «Bene, capo, lo porto a casa. Può avere la vecchia capanna del missionario.» Chiuse la comunicazione e riagganciò il cellulare alla cintura. «Bene, Nuru. Sei dei nostri. Seguici, e cerca di tenere il passo.» Ripartirono al piccolo trotto. Mocassini, da quel momento noto come Nuru, li seguì di corsa, i sandali di cuoio che gli schiaffeggiavano i piedi. Doveva assolutamente procurarsi un paio di scarpe da ginnastica. Cinquanta metri sopra di loro, il capitano Spinella Tappo si librava dietro il suo schermo, registrando l'intero episodio. «Rilocazione completata» annunciò. «Il soggetto è stato adottato con successo. Nessun segno apparente della personalità originaria. Comunque, per precauzione sarà tenuto sotto controllo a intervalli mensili.» All'altro capo della linea c'era Polledro. «Eccellente, capitano. Torna subito al navettiporto E77. Se ti sbrighi, potresti riuscire a prendere la navetta della sera e a tornare in Irlanda nel giro di un paio d'ore.» Spinella non se lo fece ripetere. Capitava di rado di avere il permesso di volare a tutta velocità. Mise in azione il radar per evitare eventuali poiane in avvicinamento e sistemò il cronometro sulla visiera. «Bene» disse. «Vediamo se stavolta riusciamo a battere il record di velocità.» Un record, fra parentesi, stabilito da Julius Tubero ottant'anni prima. PARTE SECONDA CONTRATTACCO CAPITOLO 8 ESCA, AMO E LENZA ESTRATTO DAL DIARIO DI ARTEMIS FOWL. DISCHETTO 2. IN CODICE.
Oggi hanno preso a mio padre le misure per la protesi. Durante l'intero procedimento ha continuato a scherzare come se gli stessero prendendo le misure per un abito nuovo. Devo ammettere che il suo buonumore era contagioso, e mi sono scoperto a cercare scuse per entrare nella sua stanza d'ospedale e starmene seduto in un angolo ad ascoltarlo e godermi la sua presenza. Non è sempre stato così. In passato, per essere ammesso nel suo studio avevo bisogno di un motivo valido. Di solito non era disponibile; e quando lo era, aveva poco tempo. Ma ora mi fa sentire il benvenuto. È una sensazione gradevole. A mio padre è sempre piaciuto spargere perle di saggezza, ma adesso si tratta più di saggezza filosofica che finanziaria. Ai vecchi tempi avrebbe richiamato la mia attenzione sulle ultime quotazioni dei titoli di Borsa comparsi sul "Financial Times". "Guarda, Artemis" avrebbe detto. "Tutto crolla, ma l'oro resta stabile. Perché non è mai abbastanza. E mai lo sarà. Compra oro, ragazzo, e tienilo al sicuro. " Mi piace ancora ascoltarlo, però mi riesce più difficile capirlo. Il terzo giorno dopo che aveva ripreso conoscenza, mi sono appisolato sul suo letto d'ospedale mentre lui sì esercitava a camminare. Al mio risveglio, l'ho trovato che mi fissava pensoso. «Posso dirti una cosa, Arty?» Annuii, perplesso. «Mentre ero prigioniero ho riflettuto su come ho sprecato la mia vita accumulando ricchezze, senza curarmi delle sofferenze che procuravo alla mia famiglia o a chi mi circondava. Nella vita, un uomo ha poche possibilità di cambiare le cose. Di agire nel modo giusto. Di essere un eroe, se vuole. E io lo voglio.» Non era il genere di massime che ero abituato a sentire da lui. Era la sua personalità originaria, o l'effetto della magia? O una combinazione di entrambe? «Finora ho sempre evitato di farmi coinvolgere. Avevo sempre ritenuto impossibile cambiare il mondo.» Vidi ardere una nuova passione nel suo sguardo intenso. «Ma ora è tutto diverso. Le mie priorità sono diverse. Intendo approfittare di quest'occasione per diventare l'eroe che ogni padre dovrebbe essere.»
Si sedette sul letto accanto a me. «E tu, Arty? Sarai al mio fianco in questo viaggio? Quando verrà il momento, saprai cogliere l'occasione e comportarti da eroe?» Non seppi cosa rispondergli. Non conoscevo la risposta. Ancora non la conosco. CASA FOWL Per due ore Artemis rimase chiuso nel suo studio, seduto a gambe incrociate su una stuoia. Di tanto in tanto esponeva un'idea a voce alta, in modo che un registratore digitale accanto a lui potesse prenderne nota. Leale e Juliet sapevano che non era il caso di disturbarlo. Quello era un momento cruciale per la loro missione: Artemis aveva la capacità di visualizzare un qualsiasi scenario e calcolarne i probabili esiti. Era uno stato quasi onirico, e ogni distrazione avrebbe potuto disperdere le sue idee come fumo. Finalmente riemerse dalla stanza, esausto ma soddisfatto, con tre CD in mano. «Studiateli» disse. «Contengono tutti i dettagli del vostro compito. Imparatene a memoria il contenuto e distruggeteli.» Spinella si rigirò il suo fra le mani. «Un CD. Com'è pittoresco. Noi li teniamo nei musei.» «Nello studio ci sono diversi computer» proseguì Artemis, ignorandola. «Usate quelli che preferite.» «Niente per me?» chiese Leale, l'unico rimasto a mani vuote. Artemis aspettò che gli altri si fossero allontanati. «Preferisco darti le mie istruzioni a voce» cominciò. «Non voglio correre il rischio che Polledro le recuperi dal computer.» Con un sospiro, Leale si sedette su una poltrona di pelle accanto al camino. «Non verrò con voi, vero?» Artemis si sedette sul bracciolo accanto a lui. «No, vecchio amico. Ma ho per te un compito importante.» «Lascia perdere, Artemis. Ho saltato a pie pari la crisi della mezza età. Non c'è bisogno d'inventare un lavoro solo per farmi sentire utile.» «No, Leale. È realmente un compito d'importanza vitale. Riguarda lo spazzamente. Se il mio piano avrà successo, dovremo subirlo tutti e tre. E dato che non vedo modo di evitarlo, devo assicurarmi che qualcosa sopravviva ai controlli di Polledro. Qualcosa capace di risvegliare i nostri ricordi del Popolo. Una volta Polledro mi ha detto che uno stimolo abba-
stanza forte può riuscirci.» Leale cambiò posizione sulla poltrona e fece una smorfia. Il petto continuava a dargli problemi. Normale, in fondo. Dopotutto era resuscitato da appena due giorni. «Qualche idea?» «Dobbiamo preparare diverse false tracce. Polledro si aspetterà di trovare qualcosa.» «Naturalmente. Un file nascosto nel server. E potrei spedirti una e-mail. Così appena controlli la posta, scarichi tutte le informazioni del caso.» Artemis gli tese un foglio. «Senza dubbio saremo affascinati e interrogati. In passato ce la siamo cavata usando occhiali a specchio, ma stavolta non sarà così facile. Dobbiamo ricorrere a un altro metodo. Eccoti le istruzioni.» «È possibile» commentò Leale dopo averle lette con attenzione. «Ho un contatto a Limerick. Il migliore del paese per questo tipo di lavoro.» «Eccellente. Metteremo su disco tutto quanto sappiamo del Popolo. Documenti, filmati, mappe. Ogni cosa, compreso il mio diario. Ho scritto l'intera storia.» «E dove nasconderemo il disco?» Artemis sollevò la moneta bucata che portava al collo appesa a una striscia di cuoio. «Direi che è quasi della stessa misura di un microdisco, ti pare?» Leale prese la moneta e se l'infilò in tasca. «Di sicuro lo sarà tra breve.» Fu Leale a preparare il pranzo. Niente di speciale. Rotolini primavera vegetariani, seguiti da risotto ai funghi, e crème caramel per finire. Bombarda optò per una zuppiera di vermi e scarafaggi sminuzzati e marinati in vinaigrette di acqua piovana e muschio. «Avete preso visione dei vostri file?» chiese Artemis quando si riunirono in biblioteca. «Sì» rispose Spinella. «Però mi sembra che manchino alcuni pezzi cruciali.» «Nessuno di voi conosce l'intero piano, ma soltanto le parti che lo riguardano. È più sicuro così. Abbiamo tutto quello che ci serve?» Spinella versò sul tappeto il contenuto dello zaino. «Un equipaggiamento LEP completo, incluso telo mimetico, minimicrofoni e iricam, e cassetta del pronto soccorso.» «Abbiamo anche due elmetti LEP intatti e tre laser... ricordi dell'asse-
dio» aggiunse Leale.«E naturalmente un prototipo del Cubo.» Artemis passò il cellulare a Bombarda. «Molto bene. In tal caso, tanto vale cominciare.» LA GUGLIA Jon Spiro era seduto nel suo lussuoso ufficio e fissava depresso il Cubo sulla scrivania. Tanti credevano che fosse facile, essere lui. Il che dimostrava quanto poco capissero. Più soldi hai, più sei sotto pressione. Solo in quel palazzo c'erano ottocento impiegati, e tutti si aspettavano che li pagasse. Volevano aumenti salariali, assistenza medica, asilo nido, pausa caffè, paga doppia per gli straordinari, e perfino una percentuale sui dividendi, santi numi! A volte sentiva la mancanza dei bei tempi, quando gli impiegati rompiscatole venivano gettati fuori dalla finestra e festa finita. Di questi tempi, se gettavi qualcuno fuori da una finestra, niente niente telefonava al suo avvocato durante la caduta. Il Cubo era la risposta alle sue preghiere. Un affare da una-volta-nellavita, la bacchetta magica. Se fosse riuscito a metterlo in funzione, il suo solo limite sarebbe stato il cielo. Letteralmente. Avrebbe avuto ai suoi ordini tutti i satelliti del mondo. Il completo controllo di satelliti spia, laser militari, telecomunicazioni e, soprattutto, stazioni televisive. Avrebbe potuto dominare il mondo. L'interfono ronzò. «Il signor Tozz, signore» annunciò la segretaria. Spiro schiacciò un pulsante. «Bene, Marlene, fallo entrare. E digli che farà meglio ad avere la coda fra le gambe.» In effetti, quando Tozz spinse le doppie porte ed entrò, sembrava piuttosto a disagio. Bastavano le porte a mettere soggezione. Spiro le aveva recuperate dalla sala da ballo del Titanic, ed erano un esempio perfetto dell'assurdità del potere. Arno Tozz appariva molto meno spavaldo che a Londra. Del resto è difficile fare gli spavaldi quando hai la faccia piena di lividi e la bocca piena soltanto di gengive. Spiro trasalì alla vista delle sue guance incavate. «Quanti denti hai perso?» Tozz si toccò cauto la mascella. «Sciusci canni. Il densciscia disce che sci sciono fannumae le ghenghive.» «Ben ti sta. Insomma, Arno! Ti consegno Artemis Fowl su un vassoio d'argento, e tu combini un pasticcio. Dimmi com'è andata. E lascia perdere
i terremoti. Voglio la verità.» Tozz si asciugò la saliva all'angolo della bocca. «Nollo sciò. Calscioscia è escploscio. Non sciò che. Una bomba, forscie. Peò Leale è motto. L'ho prescio in pieno. Non può esscesciela cavata.» «Zitto!» scattò Spiro. «Mi stai facendo venire il mal di testa. Prima ti metti la dentiera e meglio è.» «Le ghenghie scia'anno abbascianna gua'ite ogghi pome'igghio.» «Zitto, ho detto!» «Sciuscià, ca'o.» «Mi hai messo in una situazione difficile, Arno. A causa della tua incompetenza, sono stato costretto a rivolgermi agli Antonelli. Carla è una ragazza furba, e potrebbe decidere di chiedermi una percentuale. Mi costerebbe miliardi.» Arno fece del suo meglio per mostrarsi distrutto dal rimorso. «Piantala con quell'aria da cane bastonato, Tozz. Non mi fa effetto. Se quest'affare va a rotoli, non perderai solo qualche dente.» «I sciuoi sciegniati scianno ià lavo'anno al Cubo?» chiese Arno per cambiare argomento. «No.» Spiro giocherellò con un braccialetto d'oro. «Fowl lo ha cifrato. Un Codice Eternity o roba del genere. Quell'idiota di Pearson neanche è riuscito a darci una sbirciata.» Proprio in quel momento, con eccellente effetto drammatico, una voce scaturì dal Cubo. «Signor Spiro?» disse. «Chiamo dall'Irlanda. Mi sente, signor Spiro?» Jon Spiro non era tipo da spaventarsi con facilità. Ancora non esisteva film dell'orrore capace di scomporlo, ma quella voce lo fece quasi cadere dalla sedia. La qualità era incredibile. A chiudere gli occhi, c'era da giurare di avere qualcuno di fronte. «Vuole che risponda?» «Zitto, ho detto! E poi non so come rispondere a quest'affare.» «La sento, signor Spiro» disse la voce. «Non deve fare niente. Lei parla e l'apparecchio fa il resto.» Sullo schermo del Cubo, notò Spiro, era apparso un ondametro digitale che reagiva a ogni sua parola. «Bene, allora. Siamo in comunicazione. Chi diavolo sei? E come sei riuscito a far funzionare questa scatola?» «Mi chiamo Lance Escava, signor Spiro. Sono la scimmia mandata qui da Carla Frazetti. E non so di che scatola parli; io la sto chiamando da un
normalissimo telefono.» «Chi ha fatto il numero?» «Un marmocchio che tengo per la collottola. Gli ho fatto capire quant'era importante che mi mettessi subito in contatto con lei.» «Come sapevi di dover parlare con me? Chi ti ha detto il mio nome?» «Il solito marmocchio. Appena ha visto cos'ho fatto al ferraiolo, si è messo a cantare come un fringuello.» Spiro sospirò. Se il ferraiolo era fuori uso, avrebbe dovuto pagare un sovrapprezzo agli Antonelli. «Che gli hai fatto?» «Niente di troppo grave. Ma per un pezzo non punterà nessuna pistola su nessun marmocchio.» «Perché hai ritenuto necessario eliminare il tuo socio, Escava?» Seguì un breve silenzio mentre Bombarda ricapitolava mentalmente la presunta sequenza degli eventi. «Ecco, signor Spiro, è andata così... Avevamo istruzioni di scortare il marmocchio negli Stati Uniti, ma di colpo Mocassini si è messo a dare in escandescenze e a sventolare in giro la pistola. Non mi è sembrato il caso, e l'ho convinto a darsi una calmata. Con la forza, ovviamente. Comunque il marmocchio se l'è fatta sotto e ha spifferato tutto quello che volevo sapere. Così adesso eccomi qui a fare conversazione con lei.» Spiro si stropicciò le mani. «Bravo, Escava. Ci sarà un premio per te. Provvederò personalmente.» «Grazie, signor Spiro. È stato un piacere, mi creda.» «Il giovane Fowl è con te?» «Proprio qui accanto. Palliduccio, ma senza un graffio.» «Passamelo» ordinò Spiro, senza più traccia di depressione nella voce. «Sono qui, signor Spiro.» Nella voce di Artemis c'era un tremito inequivocabile. Spiro strinse con forza il pugno, come se dentro ci fosse il collo del ragazzo. «Non siamo più così strafottenti, eh? Te l'avevo detto: non hai il fegato per questo lavoro. E adesso se non mi dici tutto quello che voglio sapere, ordinerò a Lance di conciarti per le feste. Ci siamo capiti?» «Sì.» «Bene.» Spiro azzannò un grosso sigaro cubano. Però non lo accese. «Su, parla. Com'è che si mette in funzione il Cubo?» La voce di Artemis sembrò diventare ancora più tremula. «Non è così semplice, signor Spiro. Il Cubo ha un Codice Eternity. Da qui posso acce-
dere ad alcune funzioni base: telefono, MP3 player eccetera, ma per disattivare completamente il codice e liberare il potenziale del Cubo è indispensabile per me avercelo davanti. Se potesse portarlo qui o comunque farmelo avere...» Spiro sputò il sigaro. «Di', Fowl, mi hai preso per scemo? T'illudi di convincermi a riportare in Europa questa meraviglia? Scordatelo! Se devi disattivare il codice, sarà qui che lo farai. Nella Guglia Spiro!» «E i miei strumenti? Il mio laboratorio?» «Qui ci sono tutti gli strumenti che ti servono. E anche un laboratorio. Il migliore del mondo. Lo disattiverai qui, quel codice.» «Come desidera.» «Esatto, ragazzo. Come desidero. E ora desidero che sali sul tuo jet e ti scaraventi a Chicago. Troverai un elicottero ad aspettarti all'aeroporto.» «Presumo di non avere scelta.» «Esatto. Non ce l'hai. Ma se fai il bravo, forse ti lascerò andare. Hai sentito tutto, Escava?» «Forte e chiaro, signor Spiro.» «Bene. Faccio conto su di te perché il ragazzo arrivi qui sano e salvo.» «Lo consideri già fatto.» Il Cubo tacque. Spiro ridacchiò. «Mi sembra il caso di festeggiare» annunciò, schiacciando il pulsante dell'interfono. «Marlene, manda su un bricco di caffè... non quella schifezza decaffeinata, però. Caffè vero.» «Ma signor Spiro, i medici hanno detto...» S'interruppe, rendendosi conto di chi erano gli ordini che stava mettendo in discussione. «Chiedo scusa, signore. Subito, signore!» Spiro si appoggiò allo schienale della poltrona e intrecciò le dita dietro la testa. «Vedi, Tozz? Andrà tutto bene nonostante la tua incompetenza. Ho quel ragazzo in pugno.» «Scì scignioe. Fannaascico, scignioe.» «Zitto, buffone. Parli come un cartone animato.» «Scì. Molscio dive'enne, scignioe.» Spiro si leccò le labbra, pregustando il caffè. «Certo che, per essere un genio, quel ragazzo è un credulone. Fa' il bravo e forse ti lascerò andare? Si è ingoiato esca, amo e lenza.»
Tozz si sforzò di ridere. Non un bello spettacolo. «Sì, sciogio' Spiro. Escia, amo e lenscia.» CASA FOWL Artemis riagganciò il telefono, il viso arrossato dall'eccitazione. «Che ve ne pare?» chiese. «Ha abboccato» rispose Leale. «Esca, amo e lenza» aggiunse Bombarda. «Hai un jet? M'immagino che dentro ci sarà anche una dispensa.» Leale li accompagnò in auto all'aeroporto di Dublino. Il suo ultimo compito in quella particolare operazione. Spinella e Bombarda erano rincantucciati sul sedile posteriore, nascosti dai vetri affumicati. I due Leale occupavano il sedile anteriore, entrambi in un completo Armani nero. Juliet aveva ravvivato il suo con una cravatta rosa e un ombretto sbrilluccicante. La somiglianza era evidente: lo stesso naso stretto e le stesse labbra carnose, gli stessi occhi guizzanti come palline di roulette. Sempre in guardia, sempre vigili. «Non ti servono armi tradizionali» disse Leale. «Usa il toaster della LEP Non va caricato, spara a volontà in linea retta e non è letale. Ne ho consegnato a Spinella un paio presi dalla mia armeria.» «Bene, Dom.» Leale imboccò l'uscita per l'aeroporto. «Dom. Era un pezzo che nessuno mi chiamava così. Essere una guardia del corpo diventa il tuo mondo. Ti scordi di avere una vita tua. Sei sicura di volere proprio questo, Juliet?» Juliet finì di legarsi i capelli e in fondo alla treccia infilò un anello di giada. Molto decorativo e molto pericoloso. «Dove altro potrei malmenare la gente... a parte su un ring di lotta libera? Per il momento, mi va bene fare la guardia del corpo.» «Naturalmente» proseguì Leale abbassando la voce «è contro le regole che tu lavori per Artemis. Conosce il tuo nome, e penso che ti sia perfino un po' affezionato.» Juliet si batté sul palmo l'anello di giada. «È una soluzione temporanea. Non sono ancora la guardia del corpo di nessuno. A Madame Ko non piace il mio stile.» «Non mi stupisce.» Leale accennò al fermaglio. «Dove hai trovato quel-
lo?» Juliet sorrise. «Una mia idea. Una sorpresina per chiunque sottovaluti le donne.» Leale s'infilò nel parcheggio. «Ascolta, Juliet» disse, prendendola per mano. «Spiro è pericoloso. Guarda cos'è successo a me... e modestamente ero il migliore. Se questa missione non fosse vitale per gli esseri umani e per il Popolo, non ti permetterei di andare.» Juliet gli accarezzò il viso. «Farò attenzione.» Quando uscirono dalla Bentley, Spinella si schermò e si librò sopra di loro e sopra la folla di uomini d'affari e vacanzieri. Bombarda si era spalmato un altro strato di crema solare e puzzava tanto da respingere chiunque fosse tanto sfortunato da capitargli sottovento. Leale toccò Artemis su una spalla. «Andrà tutto bene?» Il ragazzo scrollò le spalle. «Sinceramente non lo so. Senza di te, ho l'impressione che mi manchi un braccio.» «Juliet saprà proteggerti. Ha uno stile insolito, ma è pur sempre una Leale.» «Questa è l'ultima missione, vecchio amico. Poi non avrò più bisogno di guardie del corpo.» «Peccato che Spinella non abbia potuto affascinare Spiro attraverso il Cubo.» Artemis scosse la testa. «Lo sai che non funziona così. Anche se fossimo riusciti a stabilire un collegamento video, al Popolo serve un contatto diretto per affascinare una mente forte come quella di Spiro. Non voglio correre rischi. Quell'uomo dev'essere eliminato. Anche se il Popolo lo sottoponesse allo spazzamente e lo rilocasse, potrebbe comunque fare danni.» «E il tuo piano? Mi sembra piuttosto complicato. Sicuro che funzionerà?» Artemis strizzò l'occhio; un insolito sfoggio di frivolezza. «Sicuro» disse. «Fidati. In fin dei conti sono un genio.» Mentre Juliet pilotava il jet al di sopra dell'Atlantico, Spinella occupò il sedile del copilota e si guardò attorno ammirata. «Bell'uccellino» commentò. «Sì, non è male» ammise Juliet, inserendo il pilota automatico. «Ma non
certo all'altezza di quello che avete voi... giusto, fatina?» «La LEP non crede nelle comodità. Nelle navette c'è spazio a stento per far dondolare un puzzoverme.» «Sempre che qualcuno ci tenga a far dondolare un puzzoverme.» «Vero.» Spinella la fissò. «Sei cresciuta parecchio, in due anni. L'ultima volta che ci siamo viste eri poco più di una bambina.» Juliet sorrise. «In due anni possono succedere molte cose. Ho passato la maggior parte del tempo lottando contro omoni pelosi.» «Dovresti assistere a uno dei nostri incontri di lotta: due gnomi forzuti che si affrontano a zero G. Uno spettacolo notevole. Ti manderò una cassetta.» «No che non lo farai.» Spinella si ricordò dello spazzamente. «Hai ragione» disse. «Non lo farò.» Nell'area passeggeri, Bombarda stava rievocando i suoi momenti di gloria. «Ehi, Artemis» disse, ingurgitando caviale. «Ti ricordi di quando quasi staccai la testa a Leale con una sgassata?» Artemis non sorrise. «Me ne ricordo, Bombarda. Sei stato il bastone fra le ruote di un piano altrimenti perfetto.» «In realtà fu un incidente. Ero nervoso. Neanche mi ero accorto di avere il grand'uomo alle spalle.» «Ora sì che mi sento meglio. Battuto da un problema intestinale.» «E ti ricordi di quando ti ho salvato la pelle nei Laboratori Koboi? Possibile che tu non sappia cavartela, senza il mio aiuto?» Artemis si portò alle labbra un calice di cristallo pieno d'acqua minerale. «Si direbbe di no... però aspetto quel giorno con ansia.» «Meglio che ti prepari, Artemis» annunciò Spinella uscendo dalla cabina di pilotaggio. «Atterriamo fra trenta minuti.» «Bene.» Il capitano Tappo riversò il contenuto dello zaino su un tavolino. «Vediamo... cosa ci serve ora? Microfono a vibrazione e iricam.» Ripescò una specie di cerotto rotondo, ne staccò lo strato adesivo e lo premette sul collo di Artemis. Dove subito assunse lo stesso colore della pelle. «Latex mimetico» gli spiegò. «Praticamente invisibile. Forse potrebbe accorgersene una formica che ti si arrampicasse sul collo, ma a parte que-
sto... È anche a prova di raggi X. Capterà ogni sussurro nel raggio di dieci metri, e lo spedirà al computer del mio elmetto. Purtroppo non possiamo rischiare un auricolare, si noterebbe troppo. Noi ti sentiremo, ma tu non potrai sentire noi.» Artemis deglutì, e sentì il microfono muoversi insieme al suo pomo d'Adamo. «E la iricam?» «Arriva.» Spinella tolse una lente a contatto da un piccolo flacone. «Quest'affanno è una meraviglia. Alta risoluzione, qualità digitale, registrazione, nonché varie opzioni di filtro, incluso ingrandimento e termosensibilità.» «Cominci a parlare come Polledro» commentò Bombarda, succhiando un osso di pollo. Artemis fissò la lente. «Sarà anche una meraviglia, però è nocciola.» «Certo che è nocciola. I miei occhi sono nocciola.» «Lieto di saperlo, Spinella. Ma i miei sono azzurri. Non funzionerà.» «Non guardarmi così, Fangosetto. Sei tu il genio.» «Non posso andare là dentro con un occhio azzurro e uno nocciola. Spiro potrebbe accorgersene.» «Dovevi pensarci mentre stavi a meditare. Adesso è un po' tardi.» Artemis si strofinò il dorso del naso. «Hai ragione. Sono io il genio. Pensare rientra fra le mie responsabilità, non fra le tue.» «Era un insulto, Fangosetto?» Bombarda sputò nella spazzatura l'osso ormai ripulito. «Sai, Arty, ti confesso che un intoppo ancor prima di cominciare non rafforza esattamente la mia fiducia. Spero che tu sia davvero così intelligente come continui a ripetere.» «Non ho mai detto a nessuno quanto sono intelligente. Metterei troppa paura a tutti. D'accordo, rischieremo la lente nocciola. Con un po' di fortuna, Spiro non se ne accorgerà. In caso contrario, m'inventerò qualcosa.» Spinella si piazzò la lente sulla punta di un dito e gliela fece scivolare sotto la palpebra. «È una decisione tua, Artemis» disse. «Mi auguro solo che in Jon Spiro tu non abbia incontrato qualcuno in grado di tenerti testa.» ORE 23, AEROPORTO O'HARE, CHICAGO
Spiro era venuto ad accoglierli di persona all'aeroporto. Sopra l'immancabile completo bianco indossava un pesante cappotto col collo di pelliccia. La pista era illuminata da lampade alogene e le raffiche delle pale dell'elicottero facevano sventolare il cappotto. Tutto molto cinematografico. Manca solo la musica di sottofondo, pensò Artemis scendendo la scaletta mobile. Seguendo le istruzioni, Bombarda esibì la sua migliore aria da gangster. «Muoviti, marmocchio» ringhiò in modo più che convincente. «Non vogliamo fare aspettare il signor Spiro.» Artemis stava per rimbeccarlo con una battuta pungente, ma si ricordò in tempo di doversi comportare come un "marmocchio atterrito". Non sarebbe stato facile. Per Artemis Fowl era dura fare sfoggio d'umiltà. «Muoviti, ho detto!» ripeté il nano, sottolineando l'ordine con uno spintone che quasi lo spedì addosso a un sogghignante Arno Tozz. Ma quello di Arno non era un ghigno normale. I suoi denti erano stati sostituiti da una dentiera su ordinazione, dalle punte così affilate da essere aguzze, che lo faceva somigliare a un incrocio fra uno squalo e un essere umano. Tozz si accorse che Artemis la fissava. «Ti piace? Ne ho anche altre. Una è tutta piatta. Per stritolare.» Un ghigno cinico cominciò a formarsi sulle labbra di Artemis, prima che si ricordasse della sua parte e lo sostituisse con un'esibizione di labbra tremanti. Aveva deciso di basarsi sull'effetto che di solito Leale aveva sulla gente. Non che Spiro ne fosse particolarmente colpito. «Bella recita, ragazzo. Ma perdonami se dubito che il grande Artemis Fowl possa crollare così facilmente. Arno, controlla l'aereo.» Tozz annuì bruscamente e salì sul jet. Juliet, in divisa da hostess, stava raddrizzando le foderine dei poggiatesta. Nonostante tutte le sue capacità atletiche, aveva qualche difficoltà a non cadere dai tacchi. «Dov'è il pilota?» ringhiò Tozz. «Il signorino Artemis ha pilotato l'aereo personalmente» cinguettò Juliet. «Ha preso il brevetto a undici anni.» «Davvero? È legale?» Juliet esibì la sua espressione più innocente. «Non lo so, signore. Io servo solo le bibite.» Tozz grugnì, affascinante come sempre, e perlustrò in fretta l'interno del jet. Alla fine decise di credere a quanto gli aveva detto la hostess. Buon per
lui, perché in caso contrario sarebbero successe due cose: primo, Juliet lo avrebbe pestato col fermaglio di giada; secondo, Spinella, che era nascosta e schermata dentro un armadietto sopra la sua testa, lo avrebbe steso con la sua Neutrino 2000. In realtà si sarebbe potuta limitare ad affascinarlo, ma dopo quello che aveva fatto a Leale, una scarica neutrinica sembrava più appropriata. Quand'ebbe finito, Tozz si affacciò al portello. «Non c'è nessuno, a parte una stupida hostess.» La cosa non meravigliò Spiro. «Me l'aspettavo. Ma qualcuno dev'esserci. Credimi o no, Escava, ma Artemis Fowl non è tipo da farsi fregare da un mezza cartuccia come te. È qui perché vuole esserci.» La deduzione non colse Artemis di sorpresa. Era naturale che Spiro fosse sospettoso. «Non so di che parla» replicò. «Sono qui perché quest'orribile ometto ha minacciato di spaccarmi il cranio. Altrimenti perché crede che sarei venuto? Lei non può usare il Cubo, e io potrei costruirne un altro senza problemi.» Ma Spiro non si fece impressionare. «Sì, sì, ragazzo. Ma lascia che ti dica una cosa. Quando hai deciso di venire qui, hai azzannato un boccone troppo grosso per te. La Guglia ha il miglior sistema di sicurezza del pianeta. Là dentro abbiamo roba che l'esercito se la sogna. Quando le sue porte si chiuderanno alle tue spalle, sarai solo. Nessuno verrà a salvarti. Nessuno. Capito?» Artemis annuì. Aveva capito benissimo. Ma questo non significava che fosse d'accordo. Forse Jon Spiro aveva roba che l'esercito se la sognava, ma Artemis Fowl aveva roba che gli umani neanche si sognavano. Un elicottero li trasportò rapidamente in centro e fino alla Guglia, dove atterrò sulla pista in cima al grattacielo. Artemis conosceva i comandi dell'elicottero e non ebbe difficoltà a rendersi conto che col vento di Chicago non doveva essere un atterraggio facile. «Le raffiche devono essere spaventose, a quest'altezza» disse con aria indifferente, sapendo che ogni sua parola sarebbe stata registrata dall'elmetto di Spinella. «Dillo a me» gridò il pilota, sovrastando il fracasso delle eliche. «A volte superano i cento all'ora.» Spiro grugnì e fece un cenno a Tozz, che si protese e tirò una manata all'elmetto del pilota.
«Zitto, imbecille!» latrò Spiro. «Perché non gli dai anche la mappa dell'edificio, già che ci sei?» Si voltò verso Artemis. «E nel caso che te lo chieda, Arty, non esistono mappe. Chiunque vada a curiosare al Catasto, scoprirà che il file è misteriosamente scomparso. Soltanto io ne possiedo una copia, perciò è inutile che i tuoi tirapiedi perdano tempo a fare ricerche su Internet.» Non era una sorpresa. Artemis aveva già eseguito lui stesso un'accurata ricerca, pur non aspettandosi che Spiro fosse tanto sbadato. Quando scesero dall'elicottero, si premurò di puntare l'iricam verso ogni congegno di sicurezza riconoscibile. Leale gli aveva detto più volte che anche dettagli in apparenza insignificanti, come il numero di gradini di una scala, potevano essere vitali. Un ascensore li portò dalla pista a una porta con la serratura in codice. Telecamere a circuito chiuso erano piazzate strategicamente in modo da controllare l'intero tetto. Spiro si avvicinò alla serratura. Artemis sentì una puntura nell'occhio mentre l'ingrandimento entrava in funzione. Nonostante la distanza e le ombre, poté leggere il codice di accesso senza problemi. «Mi auguro che l'abbia visto anche tu» bisbigliò, sentendo il microfono vibrargli sulla gola. Arno Tozz piegò le ginocchia, portando i suoi incredibili denti a un centimetro dal naso di Artemis. «Parli con qualcuno?» «Chi, io? E con chi dovrei parlare? Siamo a ottanta piani d'altezza, nel caso non te ne fossi accorto.» Tozz lo agguantò per il bavero, sollevandolo dalla pista. «Forse hai un microfono addosso. Forse in questo stesso momento c'è qualcuno che ci ascolta.» «Come potrei avere addosso qualcosa, idiota? Quel nanerottolo non mi ha perso di vista per tutto il viaggio. Mi ha accompagnato perfino al gabinetto.» Spiro si schiarì rumorosamente la gola. «Ehi, Signor-Testa-Calda, se quel ragazzo finisce di sotto, tanto vale che lo segui perché per me vale più di un esercito di guardie del corpo.» Tozz ridepositò Artemis sulla pista. «Non sarai sempre così importante, Fowl» sussurrò minaccioso. «E quando le tue quotazioni crolleranno, mi troverai ad aspettarti.» Un ascensore a specchi li trasportò all'ottantacinquesimo piano, dove il
dottor Pearson li aspettava insieme ad altri due scagnozzi muscolosi. A giudicare dall'espressione, pensò Artemis, quei due non dovevano essere dei geni. In effetti, erano quanto di più vicino a un Rottweiler bipede si potesse ottenere. Probabilmente utilissimi per spaccare le cose e non fare domande. Spiro ne chiamò uno con un cenno. «Pecto, sai quanto si fa pagare Antonelli se perdi uno di loro?» Pecto ci pensò su. Muovendo le labbra. «Sì, ecco... Venti carte un ferraiolo e quindici una scimmia.» «Se sono morti, giusto?» «Morti o incapac... incatap... fuori uso.» «Bene» disse Spiro. «Voglio che tu e Pata andiate da Carla Frazetti e le diciate che le devo trentacinque carte. Verserò la somma sul suo conto alle Cayman entro domattina.» Bombarda era comprensibilmente curioso, oltre che preoccupato. «Trentacinque? Ma io sono vivo. Le deve solo un ventone per Mocassini... o gli altri quindici sono il mio premio?» Spiro sospirò con un'aria dispiaciuta quasi convincente. «Così va il mondo, Lance» disse, tirando a Bombarda un pugno scherzoso su una spalla. «Questo è un grosso affare. Gigantesco. Più soldi di quanti tu possa immaginare. Forse sai qualcosa, o forse no. Ma non correrò il rischio che tu faccia una soffiata alla Phonetix o a uno qualunque dei miei concorrenti. Sono certo che capirai...» Bombarda stirò le labbra, esibendo una sfilza di denti simili a lapidi. «Eccome se capisco, Spiro. Capisco che sei un serpente doppiogiochista. E pensare che il marmocchio mi aveva offerto due milioni di dollari per lasciarlo andare.» «Facevi meglio ad accettare» commentò Arno Tozz, spingendolo fra le robuste braccia di Pecto. Il nano continuò a strillare mentre lo trascinavano in corridoio. «Sarà meglio che mi seppellisci in una buca profonda, Spiro. Molto profonda.» Gli occhi di Spiro si socchiusero, diventando due fessure. «L'avete sentito, ragazzi. Prima di andare da Frazetti, seppellitelo in una bella buca profonda.» Il dottor Pearson guidò il gruppetto verso la camera blindata. Prima di entrare nell'area di massima sicurezza, attraversarono una piccola antica-
mera. «Sali sulla sensopedana, per piacere» disse Pearson, rivolgendosi ad Artemis. «Non vogliamo cimici, qui. Specialmente non elettroniche.» Il ragazzo obbedì. La pedana cedette come una spugna sotto i suoi piedi, spruzzandogli getti di schiuma sulle scarpe. «Disinfettante» spiegò Pearson. «Uccide ogni virus che potresti aver raccolto. Al momento sono in corso alcuni esperimenti biotech. Estremamente sensibili alle malattie. E la schiuma ha anche il vantaggio di disattivare qualunque congegno-spia nascosto nelle scarpe.» Uno scanner si mosse sopra la testa di Artemis, inondandolo di luce purpurea. «Una mia invenzione» spiegò Pearson. «Unisce raggi termosensibili, X e metal detector. In parole povere, scompone il tuo corpo in diversi elementi e li mostra su questo schermo.» Una replica 3D di Artemis comparve su un piccolo schermo al plasma, e il ragazzo trattenne il fiato pregando che l'attrezzatura di Polledro fosse davvero invisibile come sosteneva il centauro. Sullo schermo, una luce rossa pulsò sulla sua giacca. «Ah-ah.» Il dottor Pearson si avvicinò e staccò un bottone. «Cos'abbiamo qui?» Lo aprì, mostrando un piccolo chip, completo di microfono e minibatteria. «Molto astuto. Una microcimice. Il nostro giovane amico voleva spiarci, signor Spiro.» Ma Jon Spiro non si arrabbiò. Anzi, fu ben lieto di avere l'opportunità di pavoneggiarsi. «Hai visto, ragazzo? Sarai anche un genio, ma sorveglianza e spionaggio sono la mia specialità. Niente mi sfugge. E prima te ne rendi conto, prima la faremo finita con queste schermaglie.» Artemis scese dalla pedana. L'esca aveva funzionato, e le vere cimici non avevano suscitato la minima reazione nel sistema. Pearson era in gamba, ma Polledro lo era di più. Si guardò attorno con attenzione. Ogni centimetro della superficie metallica conteneva un congegno di sorveglianza o di sicurezza. Da quanto poteva vedere, una formica invisibile avrebbe avuto problemi a intrufolarsi qui. Per non parlare di due umani, un elfo e un nano... sempre che il nano fosse sopravvissuto a Pecto e Pata. Bastava l'ingresso della camera blindata a fare impressione. Molti caveaux delle banche sembrano impressionanti, tutti cromature e tastiere, ma di
solito è solo roba che serve a far colpo sugli azionisti. Lì non c'era uno spillo di troppo. Sulle doppie porte al titanio brillava una serratura computerizzata ultimissimo modello. Spiro digitò un'altra complicata serie di numeri, e i battenti spessi un metro si spalancarono mostrando una seconda porta. «Immagina d'essere un ladro» declamò Spiro, da attore consumato «e chissà come sei riuscito ad arrivare fin qui, superando telecamere e porte. Poi immagina di aver chissà come ingannato i laser, la sensopedana, indovinato il codice e aperto la prima porta... una cosa impossibile, comunque. Fingiamo anche che tu abbia disattivato una mezza dozzina di telecamere... e perfino allora, perfino dopo tutto questo, ti resterebbe ancora da fare questo...» Salì su un piccolo cerchio rosso davanti alla porta, posò il pollice destro su una piccola piastra, mentre con l'altra mano si sollevava la palpebra sinistra, e con voce chiara e forte disse: «Jon Spiro. Sono il boss, perciò apriti alla svelta.» Quattro cose accaddero. Uno scanner retinico filmò il suo occhio sinistro e passò l'immagine al computer, un altro scanner-gel rilevò l'impronta del pollice, e un analizzatore vocale controllò accento, timbro e intonazione della voce. E soltanto dopo che il computer ebbe controllato tutte queste informazioni, gli allarmi si disattivarono e la seconda porta si spalancò su una camera blindata. Al centro della quale, inserito in una speciale colonna di acciaio e incastonato in una teca di perspex, si trovava il Cubo. Minimo sei telecamere lo inquadravano da varie angolature, e due guardie massicce formavano una barriera umana davanti alla colonna. Spiro non seppe resistere a una frecciata. «A differenza di te» disse «io ho cura delle mie proprietà. Questa è l'unica camera blindata del genere in tutto il mondo.» «Guardie vive in una stanza ermetica. Interessante.» «Questi ragazzi sono allenati a vivere ad alta quota. Inoltre si danno il cambio ogni ora, e per resistere hanno bombole d'ossigeno. Che credevi? Che avrei messo una presa d'aria in una camera blindata?» Artemis si accigliò. «Non c'è bisogno di rigirare il coltello, Spiro. Sono qui; ha vinto. Possiamo sbrigarci?» Spiro premette la sequenza finale nella tastiera inserita nella colonna e i pannelli di perspex si ritrassero, permettendogli di togliere il Cubo dal suo nido di polistirolo.
«Non le pare di stare esagerando?» commentò Artemis. «Nessuna di queste misure di sicurezza è realmente necessaria.» «Non si sa mai. Qualche concorrente senza scrupoli potrebbe tentare di sottrarmi la mia conquista.» Artemis colse al volo l'occasione per un sarcasmo calcolato. «Ma su, Spiro. Crede che potrei fare irruzione qua dentro? Magari insieme ai miei amici elfi?» Spiro scoppiò a ridere. «Puoi portare con te tutti gli elfi che vuoi, Arty; ma a meno d'un miracolo, il Cubo resta dov'è.» Anche se suo fratello era nato all'altro capo del mondo, Juliet era americana di nascita e adesso era contenta di essere di nuovo a casa. Il traffico di Chicago e il coro ininterrotto di milioni di voci la facevano sentire a suo agio. Amava i grattacieli, la sopraelevata e le battute scherzose dei venditori ambulanti. Se mai avesse avuto l'occasione di sistemarsi, sarebbe stato negli USA. Sulla costa ovest, però, in qualche posto con tanto sole. Per il momento lei e Spinella stavano girando intorno alla Guglia dentro un furgoncino dai vetri oscurati. Spinella era nel retro, seguendo i movimenti di Artemis trasmessi dall'iricam alla visiera dell'elmetto. A un certo punto sollevò il pugno con aria trionfante. Juliet si fermò a un semaforo rosso. «Come va?» «Niente male.» Sollevò la visiera. «Stanno portando via Bombarda per seppellirlo.» «Forte. Proprio come aveva detto Artemis.» «E Spiro ha appena invitato gli amici elfi di Artemis a entrare nel palazzo.» Questo era un punto cruciale. Il Libro proibiva al Popolo di entrare nelle case umane senza invito. Adesso Spinella era libera di entrare e fare un macello senza violare le regole. «Eccellente» commentò Juliet. «Ci siamo. Potrò dare una ripassata al tizio che ha sparato a mio fratello.» «Calma. Quel palazzo ha il sistema di sicurezza più sofisticato che abbia mai visto.» Finalmente Juliet trovò un parcheggio davanti all'ingresso principale della Guglia. «Il tuo amico equino non avrà problemi, giusto?» «No... però in teoria non dovrebbe aiutarci.» Juliet puntò un binocolo sulla porta. «Lo so, ma tutto dipende da come
glielo chiedi. Un tipetto in gamba come Polledro... ha solo bisogno di un piccolo incoraggiamento.» Tre figure emersero dalla Guglia. Due omaccioni in nero e un tappo dall'aria nervosa. I piedi di Bombarda mulinavano più rapidi che in un ballo irlandese. Non che avesse la minima speranza di fuggire. Pecto e Pata lo tenevano più stretto di due tassi che si contendono un osso. «Ecco Bombarda. Sarà meglio tenersi pronte a fornire aiuto. Per precauzione.» Spinella s'infilò l'imbracatura e premette il pulsante di apertura delle ali. «Li seguirò a volo. Tu tieni d'occhio Artemis.» Juliet trasferì la trasmissione su un computer palmare ricavato da un elmetto del Popolo. Il punto di vista di Artemis riempì lo schermo. «Pensi davvero che Bombarda abbia bisogno d'aiuto?» chiese. Ronzando, Spinella divenne invisibile. «Chi, lui? Vado solo a controllare che non faccia troppo male ai due Fangosi.» Dentro la camera blindata, Spiro aveva finito di recitare la parte dell'ospite cortese. «Lascia che ti racconti una storia, Arty» disse in tono soave, accarezzando il Cubo. «C'era un ragazzino irlandese che si credeva pronto a giocare con i grandi. Così sfidò un uomo d'affari molto serio.» Non chiamarmi Arty, pensò Artemis. Mio padre mi chiama Arty. «Ma l'uomo d'affari non ne fu affatto contento e reagì molto male, e per quanto riluttante il ragazzino fu trascinato nel mondo reale. Ora il ragazzino sarà costretto a fare una scelta: dirà all'uomo d'affari quello che lui vuole sapere, o metterà in pericolo mortale se stesso e la sua famiglia? Allora, Arty, che cosa scegli?» Spiro stava commettendo un grosso errore. Per gli adulti era difficile rendersi conto che quel tredicenne pallido poteva realmente costituire un pericolo. E Artemis aveva deciso di sfruttare al massimo il suo vantaggio vestendosi come un normale adolescente invece che con i soliti completi di sartoria. Sul jet si era anche esercitato a sgranare gli occhi con aria innocente, ma è difficile sgranare gli occhi quando te li ritrovi di colore diverso. Tozz gli tirò una botta fra le scapole. «Il signor Spiro ti ha fatto una domanda» ringhiò, facendo ticchettare la dentiera. «Sono qui, giusto?» replicò Artemis. «Farò quello che vuole.» Spiro mise il Cubo su un tavolo d'acciaio al centro della camera.
«Quello che voglio è che disattivi il codice e metti subito al lavoro questo Cubo.» Artemis avrebbe voluto poter sudare a comando, così la sua ansia sarebbe sembrata più genuina. «Subito? Non è così semplice...» Spiro lo afferrò per le spalle e lo fissò negli occhi... o almeno ci provò. «Perché no? Digita il codice e festa finita.» Artemis puntò sul pavimento gli occhi spaiati. «Non si tratta di una semplice parola in codice. Un Codice Eternity è pensato per essere irreversibile. Devo ricostruire un intero linguaggio. Potrebbero volerci giorni.» «Non hai appunti?» «Sì. Su dischetto. In Irlanda. Quel nanerottolo non mi ha lasciato portare niente con me.» «Possiamo accedere al tuo computer on line?» «Sì, ma i miei appunti sono soltanto su disco. Potremmo tornare in Irlanda... Diciotto ore fra andata e ritorno.» «Scordatelo. Fino a che ti tengo qui, sono io che comando. Va' a sapere che accoglienza mi aspetterebbe in Irlanda! Resteremo qui. Per tutto il tempo che ci vorrà.» Artemis sospirò. «Come vuole lei.» Spiro rimise il Cubo nella teca di perspex. «Dormi bene, ragazzo, perché domani dovrai pelare quest'aggeggio come una cipolla. Se non vuoi fare la stessa fine di Lance Escava.» La minaccia non preoccupò eccessivamente Artemis. Dubitava che Bombarda corresse grossi pericoli. In effetti, se qualcuno era nei guai, quelli erano Pecto e Pata. CAPITOLO 9 BASTONI NEGLI INGRANAGGI IL CORTILE DI UN CEMENTIFICIO ABBANDONATO, SOUTH CHICAGO Jon Spiro non aveva assoldato Pecto e Pata per le loro capacità intellettuali. Il colloquio di lavoro che avevano sostenuto comprendeva un'unica prova. A un centinaio di aspiran-
ti-guardie-del-corpo era stata consegnata una noce e chiesto di romperla in un qualunque modo. Solo due c'erano riusciti. Pecto le aveva urlato contro per diversi minuti e poi l'aveva spiaccicata fra le mani gigantesche. Pata aveva scelto un metodo più discutibile: l'aveva piazzata sul tavolo, acciuffato l'intervistatore per il codino e usato la sua fronte per spaccare la noce. Entrambi erano stati assunti su due piedi e si erano rapidamente affermati come i più sicuri luogotenenti di Arno Tozz per lavoretti in città. Non avevano il permesso di uscire da Chicago perché questo implicava la lettura di una mappa... qualcosa che a nessuno dei due riusciva molto bene. Al momento Pecto e Pata stavano fraternizzando sotto la luna piena mentre Bombarda scavava una fossa a misura di nano nel cortile di un cementificio abbandonato. «Sai perché mi chiamano Pecto?» chiese Pecto, flettendo i pettorali per fornire un indizio. Pata aprì un sacchetto delle patatine che ruminava di continuo. «Non lo so. È un diminutivo?» «Tipo?» «Non lo so.» Questa era una frase che Pata diceva spesso. «Francis?» Perfino al suo socio sembrò un'idea idiota. «Francis? Che c'entra Pecto con Francis?» Pata scrollò le spalle. «Mio zio si chiamava Robert, ma tutti lo chiamavano Bobby. Neanche questo ha molto senso.» Pecto sbuffò. «Sta per pet-to-ra-li, scemo. Pecto è il diminutivo di pettorali, perché ho il petto tutto muscoli.» Nella sua buca, Bombarda gemette. Ascoltare simili idiozie era quasi peggio che dover scavare una fossa usando una pala. Fu tentato di scordarsi del piano e dileguarsi sottoterra, ma Artemis non voleva esibizioni di poteri magici a quello stadio del piano. Se fosse sparito, e i due imbecilli se la fossero data a gambe senza essere stati affascinati, la paranoia di Spiro sarebbe salita a dismisura. In superficie, Pata era ansioso di proseguire il gioco. «Indovina perché mi chiamano Pata» disse, nascondendo il sacchetto di patatine dietro la schiena. Pecto corrugò la fronte. Era sicuro di conoscere la risposta... «Non dirmelo» bofonchiò. «Adesso ci arrivo...» La testa di Bombarda spuntò dalla fossa. «È perché mangia sempre patatine, scemo! Pata mangia le patatine. Voi due siete i Fangosi più zucconi che abbia mai conosciuto. Perché non mi ammazzate e la fate finita? Al-
meno non sarò più costretto a sentire le vostre farneticazioni.» Pecto e Pata lo fissarono a bocca aperta. Con tutto quel lavorio mentale si erano praticamente scordati di lui. Inoltre non erano abituati a sentire la futura vittima dire qualcosa di diverso da: "Oh no, vi scongiuro, no." «Che vorresti dire con farneticazioni?» indagò Pecto, portandosi sul bordo della fossa. «Voglio dire tutta la faccenda Pata-Pecto.» Pecto scosse la testa. «No, voglio dire: che vuol dire la parola "farneticazioni"? Non l'ho mai sentita.» Bombarda fu entusiasta di spiegarglielo. «Significa idiozie, spazzatura, sciocchezze, vaneggiamenti, stupidaggini, assurdità, cretinate, fesserie. È abbastanza chiaro?» Pata riconobbe l'ultima parola. «Fesserie? Ehi, ma è un insulto! Ci stai insultando, tappo?» Bombarda unì le mani in un beffardo gesto di preghiera. «Evviva! Finalmente hai visto la luce.» I forzuti non sapevano bene come reagire a un vero e proprio insulto. Solo due persone li insultavano con regolarità e restavano in vita: Arno Tozz e Jon Spiro. Ma quello faceva parte del lavoro... li ignoravano e basta. «Dobbiamo restare a farci insultare?» chiese Pecto al socio. «Mi sa di no. Forse dovrei telefonare al signor Tozz.» Bombarda mugolò fra sé. Se la stupidità fosse mai diventata un crimine, quei due sarebbero stati i nemici pubblici numero uno e due. «Quello che dovreste fare è ammazzarmi. Era questa l'idea generale, esatto? Farmi fuori e festa finita.» «Che dici Pata? Lo ammazziamo e festa finita?» Pata ruminò una manciata di patatine all'aroma di bistecca. «Già. Vero. Gli ordini sono ordini.» «Fossi in voi, però, non mi limiterei ad ammazzarmi» interloquì Bombarda. «No?» «Certo che no. Dopo che ho insultato a sangue la vostra intelligenza? No, mi merito ben di peggio.» Quasi si poteva vedere il vapore uscire dalle orecchie di Pecto mentre tentava di mettere in moto il cervello. «Giusto, tappo. Ti faremo ben di peggio. A noi non ci insultano nessuno!»
Bombarda non si prese il disturbo di correggergli la grammatica. «Giusto. Ho una linguaccia, e mi merito la fine peggiore.» Seguì un breve silenzio, mentre Pecto e Pata tentavano di trovare qualcosa di peggio della solita pallottola in fronte. Bombarda concesse loro un minuto, poi azzardò un cortese suggerimento. «Fossi in voi, mi seppellirei vivo.» Pata inorridì. «Seppellirti vivo? Ma è orribile! Urleresti a più non posso. Di sicuro dopo mi verrebbero gli incubi.» «Prometto che me ne starò buono. E poi me lo merito. In fin dei conti vi ho definiti un paio di Cro-Magnon ipersviluppati dal cervello monocellulare.» «L'hai fatto?» «Be', l'ho fatto ora.» Pecto era il più impulsivo dei due. «D'accordo, signor Escava. Sai che faremo? Ti seppelliremo vivo.» Bombarda si portò le mani al viso. «Che orrore!» «Te la sei cercata, amico.» «L'ho proprio fatto, eh?» D'impeto, Pecto recuperò una pala di riserva dal bagagliaio dell'auto. «Nessuno può definirmi ipersviluppato croma gnomo dal cervello monoculare.» Bombarda si distese gentilmente nella fossa. «No. Scommetto di no.» Pecto cominciò a spalare terra a ritmo frenetico, la giacca tesa sui muscoli palestrati, ricoprendo completamente Bombarda nel giro di pochi minuti. Pata era sottosopra. «Che cosa orribile. Orribile. Quel povero nanerottolo.» Ma Pecto non mostrò segno di rimorso. «Se l'è voluta. Chiamarci... con tutti quei nomi.» «Però l'hai seppellito vivo! Proprio come in quel film dell'orrore. Sai... quello con tutte quelle cose orribili.» «Mi sa che l'ho visto. E alla fine c'erano tutte quelle parole che salivano sullo schermo?» «Sì, quello. A dirti la verità, secondo me le parole l'hanno sciupato.» Pecto pestò con forza la terra smossa. «Non preoccuparti, socio. In questo film non ci sono parole.»
Quando risalirono sulla Chevrolet, Pata era ancora sconvolto. «Sai, quando è reale è molto più reale che al cinema.» Ignorando un segnale di divieto di accesso, Pecto imboccò l'autostrada. «È per via dell'odore. Al cinema mica senti gli odori.» Pata tirò su col naso. «Certo che alla fine Escava era proprio terrorizzato.» «Ci credo!» «Perché ho visto che piangeva. Gli sussultavano le spalle come se ridesse, però di sicuro piangeva. Insomma, che razza di matto riderebbe mentre lo seppelliscono vivo?» «Di sicuro piangeva.» Pata aprì un sacchetto di patatine all'aroma di pancetta. «Già. Piangeva di sicuro.» Bombarda rideva tanto che il primo boccone di terra gli andò di traverso. Che imbecilli, quei due! Del resto era una fortuna che fossero due imbecilli, altrimenti avrebbero potuto scegliere loro il metodo più appropriato per eliminarlo. Una volta sganciata la mascella, scavò diritto per cinque metri e poi piegò a nord, verso il riparo di una serie di magazzini abbandonati, mentre i peli della sua barba inviavano impulsi sonar in tutte le direzioni. Non si era mai abbastanza cauti, nelle zone edificate. Fauna selvatica a parte, i Fangosi avevano l'abitudine di seppellire di tutto nei posti più improbabili. Tubi, fosse biologiche, barili di rifiuti tossici... Non c'è di peggio che trovarsi in bocca qualcosa che non ti aspetti, specialmente se è del tipo che si contorce. Era bello scavare di nuovo. I nani erano nati per quella vita. In breve Bombarda riprese il ritmo abituale: riempirsi la bocca di terra, macinarla fra i denti, respirare attraverso il naso ed espellere il materiale riciclato all'altra estremità. Quando le sue antenne pelose lo informarono che in superficie non c'erano vibrazioni, riemerse usando gli ultimi residui di gas gnomesco per spararsi fuori dalla buca. Spinella lo agguantò al volo a un metro da terra. «Affascinante» commentò. «Che posso dirti?» fu la replica imperturbabile. «Sono una forza della natura. Sei rimasta quassù tutto il tempo?» «Sì. Pronta a intervenire nell'eventualità che le cose ti sfuggissero di
mano. Hai organizzato uno spettacolo niente male.» Bombarda si scrollò l'argilla dai vestiti. «Un paio di raffiche neutriniche mi avrebbero risparmiato parecchia fatica.» Il sorriso di Spinella avrebbe fatto concorrenza a quello di Artemis. «Non rientrava nel piano. E noi dobbiamo attenerci al piano, giusto?» Senza aggiungere altro, lo avvolse in un telo mimetico che agganciò alla Cintoluna. «Stai calmina, sì?» disse ansioso Bombarda. «Noi nani siamo creature del sottosuolo. Non ci piace volare; neanche ci piace saltare troppo in alto.» Spinella regolò la velocità al massimo e puntò verso il centro della città. «Rispetterò i tuoi sentimenti come tu rispetti quelli della LEP.» Bombarda impallidì. Buffo, ma quella piccola elfa gli metteva molta più paura di due omaccioni di un metro e ottanta. «Spinella, se ho fatto qualcosa che ti ha offesa, ti chiedo scu...» Non finì mai la frase, perché l'accelerazione improvvisa gli ricacciò le parole in gola. LA GUGLIA Arno Tozz accompagnò Artemis nella sua cella. Era piuttosto comoda, con tanto di bagno privato e televisione. Mancavano soltanto due cose: una finestra e una maniglia sulla porta. Tozz allungò un colpetto sulla testa di Artemis. «Non so cos'è successo in quel ristorante di Londra, ma se provi a rifarmi uno scherzo del genere, ti rivolto come un calzino e ti strappo a morsi le budella.» Digrignò i denti aguzzi per sottolineare le proprie parole e si chinò per sussurrargli all'orecchio: «Non m'importa cosa dice il capo.» I denti ticchettavano a ogni sillaba. «Non gli sarai utile per sempre, perciò, al tuo posto, sarei molto gentile con me.» «Se tu fossi al mio posto» replicò Artemis «allora io sarei al tuo, e in tal caso mi nasconderei da qualche parte ben lontano da qui.» «E perché?» Artemis fece una pausa drammatica prima di rispondere. «Perché Leale sta venendo a cercarti. E non è affatto contento.» Tozz indietreggiò di scatto. «Impossibile. L'ho visto cadere. Ho visto il sangue.» Artemis sogghignò. «Non ho detto che è vivo. Ho detto solo che sta ve-
nendo a cercarti.» «Cerchi solo di confondermi. Il signor Spiro mi aveva avvertito.» Arretrò verso la porta senza staccargli gli occhi di dosso. «Non preoccuparti, Tozz. Non ce l'ho in tasca. Hai ore, forse perfino giorni, prima che arrivi.» Arno Tozz sbatté la porta con tanta forza da far vibrare il telaio. Il sogghigno di Artemis si allargò. Ogni brutta giornata ha il suo raggio di sole. Artemis entrò nella doccia, lasciandosi schiaffeggiare dal getto di acqua calda. A essere sinceri, era un po' ansioso. Un conto era formulare un piano nella sicurezza della propria casa, un altro infilarsi nella tana del leone per metterlo in atto. E anche se non lo avrebbe mai ammesso, negli ultimi giorni la sua sicurezza aveva subito un duro colpo. A Londra, Spiro lo aveva battuto in astuzia. E lui era caduto in trappola con la stessa ingenuità di un turista che si avventura in un vicolo buio. Artemis conosceva fin troppo bene i propri talenti. Sapeva d'essere un cospiratore nato, abile nell'organizzazione di schemi e complotti. Negli ultimi tempi, però, le sue vittorie erano state offuscate dai sensi di colpa... e ancor più dopo quello che era successo a Leale. Era andato così vicino a perdere il vecchio amico che solo pensarci lo metteva a disagio. Ma d'ora in poi le cose sarebbero cambiate. Suo padre lo avrebbe tenuto d'occhio, aspettandosi che facesse le scelte giuste. In caso contrario, Artemis Senior sarebbe stato capacissimo di privarlo della possibilità di scegliere. Ricordava le sue parole. E tu, Arty? Sarai al mio fianco in questo viaggio? Quando verrà il momento, saprai cogliere l'occasione per essere un eroe? E Artemis ancora non conosceva la risposta a quella domanda. Dopo la doccia si avvolse in un accappatoio col monogramma del suo carceriere. Non solo le lettere dorate gli ricordavano la presenza di Spiro, ma una telecamera a circuito chiuso lo seguiva dappertutto. Doveva concentrarsi sull'arduo compito d'introdursi nella camera blindata e riprendersi il Cubo. Aveva previsto buona parte delle misure di sicurezza e si era preparato di conseguenza. E anche se alcune erano inattese e decisamente ingegnose, lui aveva dalla sua la tecnologia del Popolo e, sperava, anche Polledro. Il centauro aveva ricevuto l'ordine di non aiutarli, ma Artemis era sicuro che se Spinella gli avesse presentato la cosa nel modo giusto, non avrebbe saputo resistere a una simile sfida.
Si sedette sul letto e si grattò il collo con aria indifferente. Come promesso, il rivestimento di latex era sopravvissuto alla doccia. Era consolante sapere di non essere solo nella cella. E dato che il microfono funzionava sulla base delle vibrazioni vocali, per trasmettere non aveva bisogno di parlare a voce alta. «Buonasera, amici» bisbigliò, dando le spalle alla telecamera. «Tutto procede secondo il piano... dando per scontato che Bombarda sia tornato sano e salvo. Aspettatevi una visita dei tirapiedi di Spiro. Di sicuro i suoi uomini controllano le strade intorno alla Guglia, e credere che i miei aiutanti siano stati eliminati dovrebbe infondergli un illusorio senso di sicurezza. Il signor Spiro mi ha gentilmente offerto una visita guidata del palazzo, e mi auguro che abbiate registrato tutto quanto possa essere utile a completare la nostra missione. O lo scasso, come credo lo chiamino da queste parti. Allora... ecco cosa dovete fare.» Continuò a bisbigliare con voce lenta e chiara. Era essenziale che seguissero le sue istruzioni alla lettera, o l'impresa rischiava di finire in un disastro, esplodendo come un vulcano. E lui era seduto proprio sopra la bocca di quel vulcano. Pecto e Pata erano di buonumore. Non solo avevano ricevuto dal signor Tozz un premio di cinque bigliettoni ciascuno per essersi sbarazzati di Lance Escava, ma era stato loro assegnato anche un altro compito. Le telecamere esterne della Guglia avevano individuato un furgone nero parcheggiato davanti all'ingresso principale. Era lì da più di tre ore, e un controllo dei nastri lo aveva mostrato mentre girava intorno al palazzo per un'altra ora e passa alla ricerca d'un parcheggio. Il signor Spiro aveva ordinato di controllare i veicoli sospetti, e quello lo era di sicuro. «Andate a dare un'occhiata» aveva ordinato Tozz «e se dentro c'è qualcuno che respira, chiedetegli perché respira davanti a questo palazzo.» Era il genere di istruzioni che Pecto e Pata preferivano. Nessuna domanda da fare, nessun congegno complicato da far funzionare. Semplicemente apri lo sportello, terrorizza chiunque ti trovi davanti, chiudi lo sportello. Facile. Mentre scendevano in ascensore continuarono a tirarsi l'un l'altro pugni scherzosi sulle spalle fino ad avere gli avambracci intorpiditi. «Stasera tiriamo su un sacco di grana, socio» disse Pecto, massaggiandosi il bicipite per ristabilire la circolazione. «Altroché» annuì Pata, pensando a tutte le cassette di Tom&Jerry che avrebbe potuto comprarsi. «Di sicuro ci sgancia un altro premio. Minimo
cinque bigliettoni. Che messi insieme fa...» Seguì un lungo silenzio, mentre entrambi contavano sulle dita. «Un sacco di grana» concluse Pecto. «Un sacco di grana» concordò Pata. Juliet continuava a tenere il binocolo puntato sull'ingresso principale della Guglia. Sarebbe stato più semplice usare l'Optix inserito nell'elmetto del Popolo, ma purtroppo negli ultimi due anni la sua testa era cresciuta troppo. E non era l'unica cosa a essere cambiata. La ragazzina allampanata di un tempo era diventata una vera atleta... ma non una perfetta guardia del corpo: in lei c'erano ancora diverse grinze da stirare. Grinze della personalità. A Juliet Leale piaceva divertirsi; non poteva farne a meno. La sgomentava l'idea di starsene impalata con aria seria dietro qualche tronfio politicante. Sarebbe impazzita di noia... a meno che Artemis le chiedesse di restare con lui per guardargli le spalle. Era impossibile annoiarsi al fianco di Artemis Fowl. Ma una soluzione del genere era improbabile. Artemis aveva detto e ripetuto che questa era la sua ultima impresa. Dopo Chicago avrebbe rigato dritto. Sempre che ci fosse stato un dopo Chicago. Anche questo lavoro di sorveglianza era una lagna. Starsene tranquilla non rientrava nella natura di Juliet. La sua tendenza all'iperattività le aveva fatto fallire più di una prova nell'Accademia di Madame Ko. «Devi essere in pace con te stessa, ragazza» le diceva sempre la piccola giapponese. «Trova un punto tranquillo dentro di te e concentrati su quello.» Di solito Juliet doveva soffocare uno sbadiglio quando Madame Ko attaccava con la sua saggezza Kung-Fu. Invece Leale ci andava a nozze. Non faceva che trovare il suo punto tranquillo e restarci. Per la precisione, ne usciva solo per disintegrare chiunque minacciasse Artemis. Forse per questo lui aveva il tatuaggio blu e lei no. Due figure robuste emersero dalla Guglia. Sorridevano e si tiravano pugni sulla spalla l'un l'altro. «Capitano Tappo, ci siamo» annunciò Juliet. «Ricevuto» replicò Spinella dalla sua postazione al di sopra della Guglia. «Quanti?» «Due. Grossi e scemi.» «Ti serve aiuto?» «Negativo. Me li rigiro come voglio. Puoi scambiarci due parole quando
torni giù.» «Bene. Arrivo fra cinque minuti, appena avrò parlato con Polledro. E mi raccomando: non lasciargli segni addosso.» «Ricevuto.» Juliet spense la ricetrasmittente e passò nel retro del furgone per nascondere l'attrezzatura sotto un sedile pieghevole... nel caso i due forzuti riuscissero miracolosamente a metterla fuori combattimento. Era poco probabile, ma suo fratello l'avrebbe fatto comunque. Poi si tolse la giacca firmata e si piantò in testa un berretto da baseball, spingendo la visiera sulla nuca. Dopodiché sgusciò fuori dal finestrino posteriore. Pecto e Pata attraversarono la strada e puntarono verso il furgone sospetto. In effetti, con quei finestrini oscurati appariva molto sospetto, ma loro non erano eccessivamente preoccupati. «Che ne pensi?» chiese Pecto. Pata strinse i pugni. «Penso che è inutile bussare.» Pecto annuì. Era così che funzionava. Pata stava per scardinare lo sportello quando una ragazza spuntò da dietro il cofano. «Cercate il mio papà?» cinguettò. «Lo cercano tutti, sapete, ma lui non c'è mai. Proprio mai. In senso spirituale, cioè.» Pecto e Pata batterono le palpebre all'unisono. Il che, nell'universale linguaggio dei corpi, significa "uh?" La ragazza era un interessante incrocio asiatico-caucasico, ma a giudicare dall'espressione dei due forzuti tanto valeva che avesse parlato greco. "Spirituale" aveva quattro sillabe, santiddio! «È tuo il furgone?» ringhiò Pata. La ragazza si arrotolò la treccia fra le dita. «Per quanto chiunque possa dire sua qualunque cosa. Un mondo, un popolo... giusto, fratello? Sai com'è... il concetto di proprietà è un'illusione, eccetera. Forse non possediamo neanche i nostri corpi. Forse siamo soltanto i sogni a occhi aperti sognati da uno spirito superiore.» Pecto decise di averne abbastanza. «È tuo il furgone?» urlò, stringendole il collo fra pollice e indice. Non avendo abbastanza aria per parlare, la ragazza si limitò a un cenno d'assenso. «Così va meglio. Dentro c'è qualcuno?» Stavolta il cenno fu di diniego. «Quanti siete in famiglia?» insisté Pecto, allentando la stretta d'una fra-
zione. «Sette» sussurrò la ragazza, usando meno aria possibile. «Papi, mami, due nonni e i tre gemelli: Bo, Mo e Jo. Sono appena andati a comprare il sushi.» Pecto sorrise soddisfatto. Tre gemelli più due nonni non avrebbero costituito un problema. «Bene. Entriamo ad aspettarli. Apri lo sportello, ragazza.» «Sushi?» intervenne Pata. «È pesce crudo, vero? L'hai mai mangiato, socio?» «Sì» rispose Pecto, senza mollare la presa sul collo della ragazza mentre lei armeggiava con le chiavi. «Una volta l'ho comprato al supermercato.» «Era buono?» «Abbastanza. L'ho fritto per una decina di minuti. Non male.» La ragazza aprì lo sportello ed entrò, seguita dai due forzuti. Per salire a bordo, Pecto le mollò per un momento il collo. Un grosso errore. Nessun mercenario con un po' di sale in zucca permetterebbe mai a un prigioniero slegato di precederlo in un veicolo sconosciuto. La ragazza inciampò come per caso e cadde in ginocchio. «Sushi» stava dicendo Pecto. «È buono, con le patatine fritte.» L'istante successivo il piede della ragazza scattò all'indietro e lo colpì in mezzo al petto, facendolo crollare a terra boccheggiante. «Ooops.» La ragazza si rialzò. «Chiedo scusa.» Per un momento Pata ebbe l'impressione di sognare a occhi aperti: era impossibile che una principessina del genere avesse steso novanta chili di muscoli e aggressività. «Tu... tu...» farfugliò. «Noooo. Manco a pensarci.» «Pensaci» disse Juliet, piroettando su se stessa come una ballerina. Il fermaglio di giada che le fissava la treccia ruotò, caricandosi di forza centrifuga, e colpì Pata in mezzo agli occhi come un sasso scagliato da una fionda. Il forzuto barcollò all'indietro e atterrò di schianto sul divano. Dietro di lei, Pecto tentava di riprendere fiato. Le sue pupille smisero di roteare e si concentrarono sull'aggressore. «Ciao ciao» trillò Juliet, chinandosi su di lui. «La sai una cosa?» «Cosa?» disse Pecto. «Non si frigge il sushi» rispose lei, colpendogli di piatto le tempie col palmo della mano. La perdita di coscienza fu immediata. Bombarda emerse dal bagno abbottonandosi la patta posteriore. «Mi sono perso qualcosa?» domandò.
Spinella si librò a una cinquantina di metri sopra il centro di Chicago, il cosiddetto Loop, dalla curva della ferrovia sopraelevata che racchiudeva l'area. Per prima cosa doveva passare la Guglia ai raggi X per ricavarne una mappa tridimensionale. Secondo, voleva parlare con Polledro a quattr'occhi. Individuò un'aquila di pietra appollaiata sul tetto di un palazzo che risaliva all'inizio del ventesimo secolo e le atterrò sulla testa. Si sarebbe dovuta spostare dopo pochi minuti, o le vibrazioni dello schermo avrebbero disintegrato la roccia. La voce di Juliet le risuonò nell'orecchio. «Capitano Tappo, ci siamo.» «Ricevuto. Quanti?» «Due. Grossi e scemi.» «Ti serve aiuto?» «Negativo. Me li rigiro a piacere, questi due. Puoi scambiarci due paroline quando torni.» «Bene. Sarò giù in cinque minuti, appena avrò parlato con Polledro. E... Juliet, non lasciargli lividi addosso.» «Ricevuto.» Spinella sorrise. Era una sagoma, quella Juliet. Una vera Leale. Imprevedibile, però. Perfino durante un appostamento non riusciva a stare zitta per più di dieci secondi. Nessuna traccia della disciplina di suo fratello. Una tipica adolescente spensierata. Una ragazzina. Non avrebbe dovuto fare quel tipo di lavoro. Artemis non aveva il diritto di coinvolgerla nei suoi piani pazzeschi. Ma in quel ragazzo c'era qualcosa che ti faceva accantonare tutti i dubbi. Per causa sua, negli ultimi diciotto mesi aveva lottato con un troll, gli aveva guarito l'intera famiglia, si era tuffata nell'Oceano Artico, e ora si preparava a disobbedire a un ordine diretto del comandante Tubero. Aprì un canale per la CabOp della LEP. «Mi senti, Polledro?» Niente per svariati secondi, poi la voce del centauro risuonò nell'auricolare dell'elmetto. «Spinella. Resta dove sei. La linea è disturbata; adesso regolo la lunghezza d'onda... Parla. Di' qualcosa.» «Prova. Uno due. Uno due. Tre tozzi troll trottano turbolenti tra le torri.» «Bene. Limpido come il cristallo. Come te la passi, nella Terra di Fan-
go?» Spinella abbassò lo sguardo sulla città. «Niente fango, da queste parti. Solo cristallo, acciaio e computer. Ti piacerebbe.» «Macché. In perizoma o in giacca e cravatta, i Fangosi restano Fangosi. La sola cosa buona che hanno è la televisione. Da noi non fanno che trasmettere repliche. Quasi mi dispiace che il processo ai generali goblin sia finito. Li hanno dichiarati colpevoli di tutte le accuse, grazie a te. La sentenza è il mese prossimo.» «Colpevoli. Grazie al cielo. Finalmente le cose possono tornare alla vita normale.» Polledro sbuffò. «Normale? Se volevi una vita normale, mi sa che hai scelto il lavoro sbagliato.» Aveva ragione. Spinella non aveva avuto un minuto di vita normale da quando era stata trasferita alla Ricog. Ma la voleva davvero? Non era forse questa la ragione del suo trasferimento? «Allora, perché questa chiamata?» chiese Polledro. «Nostalgia di casa?» «No» rispose Spinella. Ed era vero. Non aveva avuto il tempo di pensare a Cantuccio da quando Artemis l'aveva coinvolta nel suo ultimo intrigo. «Mi serve il tuo consiglio.» «Davvero? Non è che per caso stai chiedendo il mio aiuto? Credo che il comandante Tubero abbia detto testualmente «dovete cavarvela da soli». La legge è legge, lo sai.» Spinella sospirò. «Sì, Polledro. La legge è legge. Julius sa meglio di noi cosa fare.» «Giusto. Julius lo sa meglio di noi» concordò Polledro. Però non sembrava convinto. «E probabilmente non potresti aiutarci comunque. I sistemi di sicurezza di Spiro sono molto avanzati.» Polledro sbuffò... e lo sbuffo di un centauro è degno d'essere sentito. «Come no. Che roba usa? Qualche lattina e un cane? Sai che paura.» «Magari. In quel palazzo ci sono congegni mai visti. Complicatissimi.» Un piccolo schermo a cristalli liquidi si accese tremolando in un angolo della visiera. Polledro stava controllando il panorama. In teoria non avrebbe dovuto farlo, però era curioso. «Non credere che non sappia cos'hai in mente» le disse agitando un dito. «Non capisco di cosa parli» replicò Spinella, tutta innocenza. «Probabilmente non potresti aiutarci comunque. I sistemi di sicurezza di Spiro sono molto avanzati... Cerchi solo di stuzzicare il mio ego. Non sono
uno sciocco, sai?» «D'accordo. Forse è proprio così. Vuoi la pura verità?» «Ma davvero? Adesso mi dirai la verità? Una tattica insolita, per la LEP.» «La Guglia è una fortezza. Non possiamo farcela senza il tuo aiuto... lo ammette perfino Artemis. Non ti chiediamo attrezzatura e nemmeno qualche spintarella magica. Solo qualche consiglio via radio, magari un piccolo controllo video. Tieni la linea aperta, nient'altro.» Polledro si grattò il mento. «Non potete farcela, eh? Perfino Artemis lo ammette.» «Non possiamo farcela senza Polledro» ha detto. Parole testuali. Il centauro si sforzò di mascherare la soddisfazione. «Hai qualche filmato?» Spinella sganciò il computer palmare dalla cintura. «Artemis ha girato qualche video dentro la Guglia. Ora te lo mando.» «Mi serve una mappa del posto.» Spinella mosse la visiera a destra e a sinistra per mostrare a Polledro dove si trovava. «Ecco perché sono quassù. Per passare il palazzo ai raggi X. Avrai la mappa sullo schermo fra dieci minuti.» Sentì uno scampanellio nell'auricolare. Il messaggio era arrivato alla Centrale. Polledro aprì il file. «Codici di accesso. Bene. Telecamere... Nessun problema. Aspetta che ti faccia vedere cosa ho escogitato per imbrogliare i sistemi a circuito chiuso. Percorro i corridoi... Dum de dum de dum. Camera blindata. Ottantacinquesimo piano. Cuscinetti a pressione, pedane antibiotiche. Sensori di moto. Laser a impulsi termici. Telecamere idem. Riconoscimento vocale, controlli di retina e impronta digitale.» Fece una pausa. «Notevole, per un Fangoso.» «Dillo a me» concordò Spinella. «Molto più che qualche lattina e un cane, eh?» «Fowl ha ragione. Senza di me siete persi.» «Allora ci aiuterai?» «Sia chiaro che non prometto niente...» tergiversò Polledro, assaporando il momento. «Sì?» «Ma terrò una linea aperta. Se però succedesse qualcosa...» «Capisco.»
«Nessuna garanzia.» «Nessuna garanzia. Ti devo un sacchetto di carote.» «Due sacchetti. E una cassa di succo di scarafaggio.» «Affare fatto.» «Sentirai la sua mancanza, Spinella?» chiese all'improvviso il centauro. La domanda colse alla sprovvista il capitano Tappo. «La mancanza di chi?» chiese, anche se già conosceva la risposta. «Del giovane Fowl, naturalmente. Se il suo piano funziona, gli ripuliremo la memoria. Niente più complotti spericolati né avventure mozzafiato. Sarà una vita tranquilla.» Anche se la telecamera dell'elmetto era a senso unico e il centauro non poteva vederla, Spinella distolse lo sguardo. «No» rispose. «Non ne sentirò la mancanza.» Però i suoi occhi dicevano il contrario. Spinella eseguì attorno alla Guglia diversi giri a varie altezze, fino ad avere dati sufficienti per un modello 3D. Poi inviò una copia del file a Polledro e rientrò nel furgone. «Ti avevo detto di non lasciargli segni» disse, chinandosi sui forzuti atterrati. Juliet alzò le spalle. «Niente di grave, fatina. Mi sono fatta trascinare dall'impeto della battaglia. Un'iniezione di scintille blu e sarà come nuovo.» Spinella passò un dito sul livido circolare in mezzo alla fronte di Pata. «Dovevi vedermi» continuò Juliet. «Bang bang, e li ho stesi. Non hanno avuto scampo.» Dal dito di Spinella si staccò una scintilla azzurrina che cancellò il livido come un panno umido passato sul cerchio lasciato su un tavolo da una tazzina di caffè. «Potevi stordirli con la Neutrino.» «La Neutrino? E che gusto c'è?» Il capitano Tappo si tolse l'elmetto e la fissò accigliata. «Non siamo qui per divertirci, Juliet. Questo non è un gioco. Pensavo te ne rendessi conto, dopo quello che è successo a tuo fratello.» Il sorriso di Juliet sparì. «Lo so che non è un gioco, capitano. Ma forse questo è il mio modo di affrontare le cose.» Spinella continuò a fissarla. «Allora forse questo non è il lavoro adatto a te.»
«O forse sei tu che sei nel ramo da troppo tempo» ribatté Juliet. «A sentire Leale, un tempo eri piuttosto scalmanata.» Bombarda emerse dal bagno, dove si era chiuso per spalmarsi di crema solare. Anche se adesso era notte fonda, non intendeva correre rischi. Se, com'era probabile, il piano fosse andato a rotoli, la mattina seguente lo avrebbe visto in fuga chissà dove. «Che succede, signore? Se state litigando per me, vi avverto che non frequento femmine al di fuori della mia specie.» La tensione si sgonfiò come un palloncino bucato. «Neanche me lo sogno, palla-di-pelo» disse Spinella. «Caso mai sarebbe un incubo» rincarò la dose Juliet. «Io non frequento nessuno che viva in una fogna.» Bombarda non si scompose. «Lo so che vi sforzate di negare l'evidenza. Faccio quest'effetto, alle femmine.» «Non ne dubito» sogghignò Spinella, aprendo un tavolino pieghevole e mettendoci sopra l'elmetto. Accese il proiettore e la mappa 3D della Guglia, un reticolato di fosforescenti linee verdi, roteò a mezz'aria. «Fate attenzione. Ecco il piano. La Squadra Uno apre un buco sulla parete dell'ottantacinquesimo piano. E la Due entra dalla porta sul tetto.» Indicò le entrate battendo un dito sullo schermo del computer palmare. Una pulsazione arancione comparve sulla mappa fluttuante. Polledro ha acconsentito ad aiutarci. Ci accompagnerà via radio. Juliet, tu prendi il palmare. Puoi usarlo per comunicare con noi strada facendo. Ignora i simboli gnomici; ti spediremo qualunque file sia necessario. Però usa l'auricolare. Non vogliamo che il computer si metta a squittire nel momento sbagliato. La piccola scanalatura sotto lo schermo è un microfono i ipersensibile, perciò non c'è bisogno di strillare. Juliet agganciò il minicomputer allo stringipolso. «Come sono composte le squadre, e quali sono i loro obiettivi?» Spinella entrò nell'immagine 3D e il suo corpo fu circondato da fasci di luce. «La Squadra Uno si occuperà delle telecamere e di sostituire le bombole di ossigeno delle guardie nella camera blindata. La Due andrà a prendere il Cubo. Semplice. Ci muoviamo a coppie. Tu e Bombarda. Artemis e io.» «Fuori discussione.» Juliet scosse la testa. «Io devo stare con Artemis. Mio fratello gli resterebbe incollato, e io intendo fare altrettanto.» Spinella uscì dalla mappa. «Non funzionerebbe. Tu non puoi volare, e nemmeno arrampicarti sulla Guglia. Dev'esserci uno del Popolo per squa-
dra. Se non ti va, protesta con Artemis la prossima volta che lo vedi.» Juliet aggrottò la fronte. Era sensato. Ovviamente. Come tutti i piani di Artemis. Ora capiva perché non le aveva rivelato l'intero piano in Irlanda. Sapeva che avrebbe avuto da obiettare. Era già abbastanza brutto averlo perso di vista nelle ultime sei ore. E fra poco, in una fase cruciale della missione, Artemis non avrebbe avuto al suo fianco un Leale. Spinella rientrò nell'ologramma. «La Squadra Uno, cioè tu e Bombarda, risalite la Guglia ed entrate all'ottantacinquesimo piano facendo un buco nel muro. Da lì, agganciate questo al cavo di una telecamera.» Mostrò un pezzo di filo di ferro contorto. «È un concentrato di fibre ottiche» spiegò. «Permette di controllare a distanza qualunque sistema di trasmissione. Una volta agganciato, Polledro può inviare ai nostri elmetti la schermata di ogni telecamera nel palazzo. E può anche far vedere agli umani quello che vuole. Dopodiché sostituirete le bombole d'ossigeno con quelle piene della nostra mistura speciale.» Juliet intascò il piccolo congegno. «Io entrerò dal tetto» proseguì Spinella. «E andrò dritta da Artemis. Appena la Squadra Uno ci darà via libera, andremo a prendere il Cubo.» «La fai sembrare facile» disse Juliet. Bombarda scoppiò a ridere. «Fa sempre così. E mai una volta che sia vero.» SQUADRA UNO, ALLA BASE DELLA GUGLIA Juliet Leale era stata addestrata in sette tipi di arti marziali, aveva imparato a ignorare il dolore e la mancanza di sonno e poteva resistere a torture fisiche e psicologiche. Però niente l'aveva preparata a quello che avrebbe dovuto sopportare per introdursi nella Guglia. Il palazzo non aveva angoli appartati, ma era circondato da un viavai continuo su ogni lato, e quindi lei e Bombarda furono costretti a iniziare la loro scalata dal marciapiede. Juliet spostò il furgone e lo parcheggiò in doppia fila più vicino al muro che poteva. Dopodiché uscirono dal tettuccio apribile avvolti in un telo mimetico fornito da Spinella. Juliet, agganciata alla Cintoluna di Bombarda, gli batté le nocche sull'elmetto. «Puzzi.» «Per te, forse» replicò lui «ma per una femmina della mia specie rappresento l'essenza di un maschio in buona salute. Sei tu che puzzi, Fangosetta.
Per me, puzzi peggio di una puzzola avvolta in un paio di calzini usati per un paio di mesi.» La testa di Spinella sbucò dal tettuccio apribile. «Smettetela!» sibilò. «Tutt'e due. Nel caso ve ne siate scordati, non abbiamo molto tempo. Juliet, il tuo prezioso principale è chiuso da qualche parte lassù e aspetta che io mi faccia viva. E le quattro sono già passate da cinque minuti. Le guardie cambieranno fra meno di un'ora, e io devo ancora finire di affascinare i due scimmioni. Abbiamo appena cinquantacinque minuti. Non sprecateli a litigare.» «Perché non puoi portarci in volo fino al cornicione?» «Tattica elementare. Se ci dividiamo, almeno una squadra può farcela. Se restiamo insieme, uno fallisce, tutti falliscono. Dividi e conquista.» Le sue parole fecero tornare seria Juliet. La fatina aveva ragione, e lei ci sarebbe dovuta arrivare da sola. Era successo di nuovo: perdeva la concentrazione nei momenti vitali. «D'accordo. Muoviamoci. Starò zitta.» Bombarda s'infilò le mani in bocca, risucchiando dai pori ogni traccia di umidità. «Reggiti forte» disse, dopo essersi tolto le mani di bocca. «Si sale.» Piegò le gambe possenti ed effettuò un salto di un metro e mezzo, attaccandosi alla parete della Guglia e tirandosi dietro Juliet. Il problema con la Cintoluna era che, oltre a essere senza peso o quasi, non riuscivi più a coordinare i movimenti e a volte ti veniva anche la nausea. Le Cintolune erano state inventate per trasportare oggetti inanimati, non elfi vivi, e di sicuro non esseri umani. Dato che nelle ultime ore Bombarda aveva evitato di bere, i suoi pori, ormai grandi come capocchie di spillo, aderirono avidamente alla superficie liscia della Guglia, risucchiando rumorosamente l'umidità. Evitando le finestre fumé, Bombarda si mantenne rigorosamente sulle travi d'acciaio: anche se avvolti nel telo mimetico, ne spuntavano comunque abbastanza arti da farli individuare. In realtà il telo non rendeva invisibili: semplicemente, le migliaia di microsensori che lo componevano, analizzavano e riflettevano l'ambiente circostante... ma bastava uno scroscio di pioggia a renderlo inutilizzabile. Bombarda cominciò ad arrampicarsi a ritmo sostenuto, le dita di mani e piedi che si aggrappavano attorno a ogni minimo appiglio. E dove non c'erano appigli, i suoi pori s'incollavano alla superficie liscia mentre i peli della barba si allargavano a ventaglio sondando la facciata dell'edificio.
«Che ha la tua barba?» chiese Juliet, incapace di trattenersi. «Cosa fa? Cerca appigli?» «Vibrazioni» grugnì Bombarda. «Sensori, corrente, uomini.» A quanto pareva, non aveva intenzione di sprecare energia a formare frasi compiute. «Un sensore ci centra. Abbiamo chiuso. Telo mimetico o no.» Juliet non lo biasimò per essere di poche parole. Avevano ancora parecchia strada da fare. E tutta in salita. Quando lasciarono il riparo dei palazzi vicini, il vento le sollevò i piedi, facendola svolazzare come una sciarpa avvolta al collo del nano. Di rado si era sentita così impotente. Non aveva il minimo controllo su niente. In una situazione del genere, l'addestramento ricevuto contava meno di zero. La sua vita era nelle mani di Bombarda. Continuarono a salire, un piano dopo l'altro, mentre il vento li strattonava con dita avide, minacciando di scaraventarli nel vuoto. «Parecchia umidità. Quassù. Vento» ansimò il nano. «Non reggerò ancora molto.» Juliet passò un dito lungo il muro e lo ritirò viscido di rugiada. Scintille crepitavano sul telo mimetico mentre il vento umido mandava in corto circuito i microsensori. Intere parti smisero di funzionare, creando un bizzarro effetto di componenti elettroniche apparentemente sospese nella notte. Per giunta tutto l'edificio sembrava ondeggiare... forse quanto bastava per scrollarsi di dosso un nano stanco e la sua passeggera. Finalmente le dita di Bombarda si strinsero sul cornicione dell'ottantacinquesimo piano. Una volta raggiunta la stretta sporgenza, il nano puntò la visiera sull'edificio. «Questa stanza non va bene» annunciò. «Troppi sensori. Dobbiamo spostarci.» Zampettò sul cornicione col passo sicuro di uno stambecco. Era la sua specialità, in fin dei conti. I nani non cadono mai. A meno che qualcuno li spinga. Juliet lo seguì con maggior cautela. Nemmeno l'Accademia di Madame Ko l'aveva preparata a questo. Finalmente Bombarda trovò una finestra di suo gradimento. «Bene» disse, e la sua voce suonò tesa nell'auricolare di Juliet. «Qua dentro c'è un sensore con la batteria scarica.» I peli della barba s'incollarono alla finestra. «Niente vibrazioni, il che significa zero attività elettrica e zero conversazione. Sembra sicuro.» Versò sul vetro corazzato poche gocce di lucidaroccia gnomesco. Che lo sciolse all'istante, lasciando sul tappeto una chiazza spumeggiante. Con un
po' di fortuna, durante il fine settimana nessuno ci avrebbe fatto caso. «Che schifo» commentò Juliet. «Puzza quasi quanto te.» Senza perdere tempo a restituire l'insulto, Bombarda ruzzolò al sicuro nella stanza e controllò il lunometro sulla visiera. «Le quattro e venti. Siamo in ritardo. Muoviamoci.» Juliet volteggiò oltre il varco e atterrò con grazia sul pavimento. «Tipico dei Fangosi» borbottò Bombarda. «Spendono milioni per la sicurezza, e poi l'intero sistema fa cilecca per colpa d'una batteria scarica.» Juliet estrasse una Neutrino 2000, tolse la sicura e regolò l'energia. Una spia luminosa passò dal verde al rosso. «Ancora non siamo arrivati a destinazione» disse, dirigendosi alla porta. «Ferma!» sibilò Bombarda. «C'è una telecamera!» Juliet si bloccò. Si era scordata delle telecamere. Erano dentro da meno di un minuto, e già aveva commesso un errore. Concentrati, ragazza, concentrati. Bombarda puntò la visiera sulla telecamera e subito il filtro ionico dell'elmetto ne evidenziò la traiettoria come uno scintillante flusso dorato. Superarla era impossibile. «Niente da fare» annunciò. «Il cavo passa dietro quell'aggeggio.» «Nessun problema. Basterà che ci stringiamo dietro il telo mimetico» disse Juliet, arricciando il naso alla sola idea. L'immagine di Polledro comparve sullo schermo del minicomputer. «Puoi anche farlo. Ma purtroppo in questi casi il telo non funziona.» «Perché no?» «Le telecamere ci vedono meglio degli umani. La telecamera scompone ogni immagine in pixel. Se andate in quel corridoio dietro il telo, sullo schermo apparirete come due idioti dietro un telo.» Juliet lanciò un'occhiataccia allo schermo. «C'è qualcos'altro, Polledro? Pensi che il pavimento si dissolverà in una pozza d'acido?» «Ne dubito. Spiro è in gamba, ma non quanto me.» «Non puoi inserirti nel circuito, cavallino? Mandargli un falso segnale per un minuto?» Polledro digrignò i denti equini. «Mai qualcuno che mi apprezzi. No, non posso inserirmi nel circuito a meno di trovarmi sul posto, come durante l'assedio di Casa Fowl. Ecco a che serve il congegno che hai in mano. Dovete cavarvela da soli.» «Posso tirare giù la telecamera con un colpo secco.» «Negativo. Anche se una raffica della Neutrino basterebbe a metterla
fuori uso, di sicuro scatenerebbe una reazione a catena nell'intera rete. Tanto varrebbe fare la serenata ad Arno Tozz.» Juliet tirò un calcio frustrato al battiscopa. Stava fallendo al primo ostacolo. Suo fratello avrebbe saputo cosa fare, ma al momento si trovava dall'altra parte dell'Atlantico. Solo sei metri di corridoio li separavano dall'obiettivo, ma tanto valeva che fossero un chilometro cosparso di schegge di vetro. Poi vide che Bombarda si stava sbottonando la patta posteriore. «Fantastico. Ora il piccoletto deve fare la pausa-vasino. Non mi sembra il caso, sai...» «Ignorerò il tuo sarcasmo» disse Bombarda, stendendosi a terra «perché so cosa Spiro può fare a chi non gli sta simpatico.» Juliet gli si inginocchiò accanto. Non troppo vicino, però. «Mi auguro che la tua prossima frase cominci con "Ho un piano".» Il nano puntò il didietro contro la telecamera. «In effetti...» «Non dirai sul serio.» «Assolutamente. Sappi che ho a disposizione una considerevole potenza di fuoco.» Juliet non riuscì a trattenere un sorriso. Quel piccoletto era il nano del suo cuore. Metaforicamente parlando. «Se facciamo ruotare la telecamera di una ventina di gradi sul supporto, avremo via libera fino al cavo.» «E pensi di riuscirci con... la forza eolica?» «Esatto.» «E il rumore?» Bombarda le strizzò l'occhio. «Silenziosa, ma letale. Sono un professionista. Basta che mi strizzi il mignolino quando te lo dico.» Nonostante l'arduo addestramento su alcuni dei terreni più difficili del mondo, Juliet non era ancora pronta a farsi coinvolgere in un'offensiva ventosa. «Devo proprio? Così a occhio sembrerebbe più un'operazione per un uomo solo.» Bombarda fissò il bersaglio a occhi socchiusi, spostando di conseguenza il posteriore. «Questo è un tiro di alta precisione. Serve un artigliere che schiacci il grilletto, così posso concentrarmi sulla mira. Per noi nani la riflessologia è una scienza esatta. Ogni parte del piede è collegata a una parte del corpo. E il mignolino sinistro è collegato a...»
«Va bene» lo interruppe rapida Juliet. «Ho afferrato.» «Allora sbrighiamoci.» Quando Juliet gli sfilò lo stivale sinistro, i calzini tagliati lasciarono libere cinque dita pelose che si dimenavano con un'agilità ignota a qualsiasi piede umano. «Non c'è un altro modo?» «Ne hai qualcuno da suggerire?» Juliet strinse cauta il dito, e gli arricciati peli neri si divisero gentilmente per consentirle l'accesso alla nocca. «Ora?» «Aspetta.» Il nano si leccò l'indice e lo sollevò, studiando le correnti. «Niente vento.» «Non ancora» borbottò Juliet. Bombarda perfezionò la mira. «Bene. Ora.» Juliet trattenne il fiato e strizzò. Per rendere giustizia al momento, sarà meglio descriverlo al rallentatore. Le sue dita strinsero la giuntura. La pressione provocò una serie di sussulti che percorsero la gamba di Bombarda. Il nano si sforzò di mantenere la mira nonostante gli spasmi. La pressione gli si accumulò nell'addome ed esplose attraverso il varco posteriore dei calzoni da lavoro con un botto soffocato. L'unico paragone che venne in mente a Juliet era stare accovacciata accanto a un cannone. Un missile di aria compressa attraversò la stanza, circondato da un'increspata foschia di calore. «Troppa carica» grugnì Bombarda. La palla d'aria compressa salì a spirale verso il soffitto, perdendo strati come una cipolla e colpendo infine la parete un metro sopra il bersaglio. Per fortuna l'onda d'urto raggiunse la telecamera, facendola ruotare come un vassoio su un bastoncino. I due intrusi attesero col fiato sospeso che si fermasse. Il che accadde dopo una dozzina di giri. «Allora?» chiese Juliet. Bombarda si sedette sul pavimento e controllò attraverso la visiera le emissioni ioniche. «Un colpo di fortuna» annunciò. «Un grosso colpo di fortuna. Si è aperto un varco.» Richiuse la patta posteriore fumante. «È passato un pezzo dall'ultima volta che ho lanciato un siluro.» Juliet si tolse di tasca il filo di ferro contorto e lo agitò davanti al minicomputer in modo che Polledro potesse vederlo. «Basta attaccare quest'affare a un qualunque cavo? Tutto qui?»
«No, Fangosetta» sospirò Polledro, a suo agio nel ruolo di genio incompreso. «Quello che hai in mano è un complesso esempio di nanotecnologia, completo di microfilamenti che agiscono da ricevitori, trasmettitori e morsetti. Ovviamente trae l'energia dal sistema stesso dei Fangosi.» «Ovviamente» sbadigliò Bombarda. «Per fortuna, il suo multisensore non ha bisogno di entrare in contatto con tutti i cavi. Ti basterà agganciarlo a uno di quelli video.» «E quali sarebbero?» «Be'... tutti.» Juliet sbuffò. «In parole povere, basta attaccarlo a un qualunque stupido cavo?» «Puoi anche metterla così» ammise il centauro. «Ma avvolgilo stretto. Devono penetrare tutti i filamenti.» La ragazza tese una mano verso l'alto, scelse un cavo a casaccio e ci avvolse attorno il filo di ferro. «Va bene così?» Seguì una breve pausa mentre sullo schermo al plasma del centauro cominciava ad aprirsi una finestra dietro l'altra. «Perfetto. Abbiamo occhi e orecchie.» «Allora muoviamoci» sbottò Juliet. «Inserisciti nel circuito.» Polledro sprecò un altro minuto prezioso per impartire l'ennesima lezione. «Non devo soltanto inserirmi nel circuito, signorina. Devo cancellare completamente la vostra presenza dai filmati della sorveglianza. In altre parole, le immagini che appariranno sui loro schermi saranno esattamente come dovrebbero essere... però voi due non ci sarete. Dovete solo fare attenzione a non fermarvi mai, o diventerete visibili. Tenete sempre qualcosa in movimento, fosse pure solo un dito.» Juliet controllò l'orologio digitale sul computer. «Le quattro e mezzo. Dobbiamo sbrigarci.» «Bene» concordò Bombarda. «La centrale della sicurezza è a un corridoio di distanza. Prendiamo la scorciatoia.» Juliet proiettò la mappa a mezz'aria. «Lungo questo corridoio, due svolte a destra, e ci siamo.» Bombarda le passò accanto e si fermò davanti alla parete. «Ho detto la scorciatoia, Fangosetta. Pensa lateralmente.» Si trovavano in un ufficio dirigenziale, completo di vista mozzafiato e pannelli di pino dal pavimento al soffitto. Bombarda ne staccò uno e batté le nocche sul muro. «Cartongesso» annunciò. «Nessun problema.»
«Niente detriti, tappo. Artemis si è raccomandato di non lasciare tracce.» «Non preoccuparti. Non mi sbrodolo mai quando mangio.» Sganciò la mascella, spalancò la bocca a centosettanta gradi e azzannò la parete, sbriciolandola. «Un po' o acchiut'o» commentò. «Diffi'i'e 'a inghioie.» Tre morsi dopo, entrava nell'ufficio accanto senza lasciarsi dietro una sola briciola. Juliet lo seguì, sistemando il pannello di pino in modo da coprire il foro. Quest'altro ufficio era molto meno lussuoso, il semplice cubicolo scuro di un vicepresidente. Niente vista mozzafiato e semplici scaffali di metallo. Che Juliet risistemò in modo da coprire il nuovo ingresso. Bombarda s'inginocchiò davanti alla porta e incollò al legno i peli della barba. «Una vibrazione regolare all'esterno, perciò niente conversazione. Il compressore, probabilmente. Direi che siamo a posto.» «Bastava che chiedessi a me» sbuffò Polledro nell'auricolare. «Ho la copertura per ogni telecamera del palazzo. Più di duemila, nel caso vi interessi.» «Grazie dell'informazione. Possiamo andare?» «Sì. Nessuno nelle vicinanze, a parte una guardia nell'atrio.» Juliet tolse dallo zaino due piccole bombole grigie. «Bene. Ora tocca a me. Tu resta qui. Non ci metterò più d'un minuto.» Socchiuse la porta e sgusciò cauta nel corridoio. Sul pavimento si allungavano strisce fosforescenti in puro stile aeroportuale, ma, a parte questo, la sola luce veniva dalla scritta USCITA sopra le porte antincendio. La mappa sul minicomputer le mostrò che mancavano venti metri alla guardiola del sorvegliante. Dopodiché poteva solo sperare che la rastrelliera dove tenevano le bombole di ossigeno non fosse chiusa a chiave. Del resto perché avrebbe dovuto esserlo? Le bombole d'ossigeno non costituiscono un bottino appetibile. Almeno avrebbe avuto un buon preavviso se qualche guardia avesse per caso deviato dal solito giro. Percorse il corridoio a passi felpati, silenziosa come una pantera, e quando arrivò in fondo si stese a terra e allungò il naso oltre l'angolo. La postazione della sicurezza era davanti a lei. E proprio come Pecto aveva rivelato sotto fascino, le bombole di ossigeno usate dalle guardie nella camera blindata erano infilate in una rastrelliera di fronte al tavolo del sorvegliante. Al momento, lì c'era soltanto un tizio impegnato a guardare una partita di pallacanestro su una tivù portatile. Strisciando sulla pancia, Juliet avan-
zò un centimetro dopo l'altro fino a trovarsi esattamente sotto la rastrelliera. La guardia, concentrata sulla partita, le dava le spalle. «Che diavolo?» esclamò d'un tratto l'uomo, grosso più o meno quanto un frigorifero. Aveva appena notato qualcosa sullo schermo del circuito chiuso. «Muoviti!» sibilò Polledro nell'auricolare. «Cosa?» «Muoviti! Sei sugli schermi.» Juliet agitò le dita dei piedi. Aveva scordato di doversi muovere di continuo. A Leale non sarebbe mai successo. Sopra di lei, la guardia ricorse al buon vecchio metodo di riparazione rapida, assestando un colpo secco allo schermo. La figura sfocata sparì. «Sempre interferenze» bofonchiò. «Stupida tivù satellitare.» Una goccia di sudore scivolò lungo il naso di Juliet mentre si raddrizzava cauta e sostituiva le due bombole di ossigeno. Anche se non era esatto chiamarle "bombole di ossigeno" dato che dentro non ce n'era traccia. Controllò l'ora. Poteva essere già troppo tardi. SQUADRA DUE, SOPRA LA GUGLIA Spinella si librò a sei metri sopra la Guglia, in attesa del via. Liniera operazione la innervosiva. C'erano troppe variabili. Se la missione non fosse stata così importante per il futuro del Popolo, non avrebbe mai accettato di parteciparvi. Il suo umore non migliorò col passare del tempo. I componenti della Squadra Uno si stavano dimostrando veri dilettanti e bisticciavano come una coppia di adolescenti. Anche se, in effetti, Juliet era poco più di un'adolescente. Quanto a Bombarda, non sarebbe riuscito a trovare la sua infanzia in un'enciclopedia. Il capitano Tappo seguì la loro avanzata sulla visiera, trasalendo a ogni nuovo sviluppo. Finalmente, e contro tutte le aspettative, Juliet riuscì a sostituire le bombole. «Via» disse Bombarda, sforzandosi di usare uno stile militaresco. «Ripeto: pronti al via, codice rosso o giù di lì.» Spinella chiuse la comunicazione a metà dell'attacco di ridarella del nano. Se ci fossero stati problemi, Polledro avrebbe potuto comunque contattarla tramite la visiera. Sotto di lei la Guglia puntava verso lo spazio, simile a un razzo gigante-
sco, e la foschia che si addensava attorno alla sua base accresceva quell'impressione. Spinella calò leggera sulla pista degli elicotteri. Poi richiamò sulla visiera il filmato dell'ingresso di Artemis nella Guglia e lo rallentò là dove Spiro digitava il codice di accesso della porta sul tetto. «Grazie mille, signor Spiro» ridacchiò premendo i tasti. La porta scorrevole si aprì e luci automatiche si accesero a illuminare la scala. C'era una telecamera ogni sei metri. Zero angoli ciechi. Ma a Spinella non importava, perché nessuna telecamera umana sarebbe mai riuscita ad attraversare uno schermo magico... a parte quelle dotate di un'altissima velocità di inquadratura-per-secondo. Perfino così, si sarebbe dovuta bloccare l'inquadratura per poter vedere il Popolo. Soltanto un umano ci era mai riuscito. Un irlandese che all'epoca aveva dodici anni. Scese al volo la scala, attivando un filtro Argo sulla visiera per individuare gli eventuali raggi laser. Anche un elfo schermato aveva massa sufficiente a bloccare un raggio laser, fosse pure per una frazione di secondo, e far scattare tutti gli allarmi del palazzo. La scena davanti a lei fu avvolta da una nube purpurea, ma niente raggi. Però era sicura che nella camera blindata le cose sarebbero state ben diverse. Proseguì a volo fino alle porte d'acciaio dell'ascensore. «Artemis è all'ottantaquattresimo piano» la informò Polledro. «La camera blindata all'ottantacinque e l'attico di Spiro all'ottantasei, dove sei ora.» «Le pareti?» «Secondo lo spettrometro, i muri divisori sono per lo più intonaco e legno. Però nelle stanze chiave sono di acciaio corazzato.» «Fammi indovinare: la stanza di Artemis, la camera blindata e l'attico di Spiro.» «Esatto, capitano. Ma non disperare. Ho trovato la scorciatoia ideale. Ora te la spedisco.» Spinella aspettò un momento finché l'icona di una penna d'oca lampeggiò nell'angolo della visiera, informandola che c'era posta in arrivo. «Apri» ordinò. Una matrice di linee verdi comparve sulla visiera. La strada da seguire era indicata da una linea rossa. «Segui il laser, Spinella. Può farcela anche un'idiota. Senza offesa.» «Figurati. Però se non funziona mi offenderò da non credere.» La linea rossa la portò dentro l'ascensore e fino all'ottantacinquesimo piano, e poi fuori dall'ascensore e in corridoio. Provò la porta di un ufficio alla sua sinistra. Chiusa. C'era da aspettarselo.
«Dovrò abbassare lo schermo per aprire la serratura. Sei sicuro che non comparirò sullo schermo?» «Ovviamente.» A Spinella sembrò quasi di vedere Polledro mettere il broncio. Abbassò lo schermo e prese un Apritutto dalla cintura: il sensore avrebbe spedito una radiografia della serratura al computer e selezionato il pezzo giusto. Naturalmente funzionava solo con le serrature a chiave, che i Fangosi insistevano a usare nonostante la scarsa affidabilità. La porta si aprì in meno di cinque secondi. «Cinque secondi» commentò Spinella. «A quest'affare serve una batteria nuova.» La linea rossa andava al centro dell'ufficio e poi curvava a destra e in basso, attraversando il pavimento. «Fammi indovinare. Artemis è qua sotto?» «Sì. Addormentato, a giudicare dalle immagini che arrivano dalla sua iricam.» «Hai detto che la cella è di acciaio corazzato.» «Vero. Però non ci sono sensori nelle pareti e nel soffitto. Ti basterà farci un buco.» Spinella estrasse la Neutrino 2000. «Tutto qui?» Scelse un punto accanto a un condizionatore d'aria e sollevò la moquette. Comparve un opaco pavimento di metallo. «Niente tracce, ricordi?» disse Polledro nel suo auricolare. «È essenziale.» «Ci penserò dopo» replicò Spinella, regolando il condizionatore su "espulsione". «Al momento devo tirarlo fuori di lì. Abbiamo una tabella di marcia da rispettare.» Regolò la Neutrino, concentrando il raggio in modo da tagliare il metallo. Un fumo acre si alzò dallo squarcio, per essere subito sputato all'esterno dal condizionatore. «Artemis non è il solo con un po' di cervello» borbottò fra sé, il sudore che le scorreva sul viso nonostante l'aria condizionata fornita dall'elmetto. «In questo modo non scatterà l'allarme antincendio» commentò Polledro. «Ottimo.» «Si è svegliato?» chiese Spinella prima di tagliare l'ultimo centimetro di metallo. «Occhi sgranati e coda ritta, per dirla in centauriano. Di solito è l'effetto che fa un laser che ti taglia il soffitto sopra la testa.»
«Bene.» Il capitano Tappo tagliò l'ultimo pezzo. Il quadrato di metallo si contorse, appeso a una strisciolina di acciaio. «Non farà parecchio chiasso?» chiese Polledro. Spinella guardò cadere la lastra metallica. «Ne dubito.» CAPITOLO 10 DITA E POLLICI CELLA DI ARTEMIS FOWL, LA GUGLIA Artemis era immerso in meditazione quando il primo raggio laser tagliò il soffitto. Si districò dalla posizione del loto, si rimise il maglione e sistemò diversi cuscini sul pavimento. Pochi istanti dopo, servirono ad attutire la caduta di un riquadro di metallo. La faccia di Spinella comparve nel varco. Artemis accennò ai cuscini. «Sapevi che l'avrei fatto.» Il capitano Tappo annuì. «Tredici anni, e già così prevedibile.» «Presumo che avrai usato il condizionatore per eliminare il fumo.» «Esatto. Mi sa che cominciamo a conoscerci fin troppo bene.» Si tolse una pitoncorda dalla cintura e la calò nella stanza. «Fai un nodo in fondo e sali a bordo. Ti do un passaggio.» Artemis obbedì, e pochi secondi dopo era fuori della sua prigione. «Polledro è con noi?» fu la sua prima domanda. Spinella gli tese un piccolo auricolare cilindrico. «Chiediglielo tu stesso.» Artemis inserì nell'orecchio quel miracolo di microtecnologia. «Ti ascolto, Polledro. Stupiscimi.» Sottoterra, il centauro si stropicciò le mani. Artemis era l'unico che si appassionasse davvero alle sue spiegazioni. «Questo ti piacerà, Fangosetto. Non solo ho cancellato dal video la tua fuga e il buco nel soffitto, ma ho anche creato un simil-Artemis.» «Un simil-Artemis? Davvero? E come hai fatto?» «Semplicissimo» rispose modestamente Polledro. «Possiedo copia di centinaia di film umani. Mi è bastato estrapolare dalla Grande Fuga la scena di Steve McQueen chiuso in cella d'isolamento e cambiargli i vestiti.» «E la faccia?»
«Avevo una ripresa digitale del tuo interrogatorio a Cantuccio. Le ho messe insieme, et voilà. Il mio simil-Artemis può fare tutto quello che voglio, quando voglio. Al momento dorme, ma fra mezz'ora potrei ordinargli di andare in bagno.» Spinella riavvolse la pitoncorda. «Miracoli della scienza moderna. La LEP sborsa milioni per il tuo dipartimento, Polledro, e tu non sai fare altro che mandare un Fangosetto in bagno.» «Faresti meglio a trattarmi gentilmente, sai. Ti sto facendo un grosso favore. Se Julius lo sapesse, darebbe in escandescenze.» «Il che spiega perché mi stai aiutando.» Spinella si avvicinò alla porta e la socchiuse senza un suono. Il corridoio era deserto e silenzioso, a parte il fruscio delle telecamere e il ronzio dei tubi fluorescenti. Una sezione della sua visiera mostrava piccole immagini trasmesse dalle telecamere di Spiro. Quel piano era sorvegliato da sei guardie. «Bene» disse richiudendo la porta. «Muoviamoci. Dobbiamo raggiungere Spiro prima che cambino le guardie.» Artemis spostò il tappeto per coprire il buco nel pavimento. «Hai localizzato l'appartamento?» «Proprio sopra di noi. Dobbiamo salire e prendergli l'impronta di retina e pollice.» Qualcosa guizzò sul viso di Artemis. «Prendergli l'impronta. Sì. Prima facciamo, meglio è.» Spinella non gli aveva mai visto quell'espressione. Senso di colpa? Possibile? «C'è qualcosa che non mi hai detto?» indagò. La strana espressione svanì, sostituita dalla solita aria impassibile. «No, capitano Tappo. Niente. E comunque ti pare questo il momento adatto a un interrogatorio?» Spinella agitò minacciosamente un dito. «Sappi una cosa, Artemis: se mi inganni ora, nel bel mezzo di un'operazione, non me lo scorderò.» «Non preoccuparti. Io sì.» L'appartamento di Spiro era due piani sopra la cella. Del resto era semplicemente logico corazzare la stessa parte dell'edificio. E dato che a Jon Spiro non andava l'idea che qualcuno lo spiasse, nella sua residenza non c'era una sola telecamera. «Tipico» borbottò Polledro. «I megalomani assetati di potere non amano
che qualcuno scopra i loro sporchi segreti.» «Secondo me, qui c'è qualcuno che parla per esperienza» commentò Spinella, concentrando sul soffitto un sottile raggio della Neutrino. Una parte di soffitto si squagliò come un cubetto di ghiaccio nell'acqua bollente, rivelando l'acciaio. Gocce di metallo fuso caddero sulla moquette mentre il laser affettava il pavimento del piano superiore. Quando il foro fu abbastanza grande, Spinella spense la Neutrino e infilò la telecamera dell'elmetto nel varco. Zero assoluto. «Passare agli infrarossi.» Una fila di completi giacca-e-pantaloni comparve sullo schermo, Bianchi, probabilmente. «Siamo nel guardaroba.» «Perfetto» disse Polledro. «Addormentalo.» «Sta già dormendo. Sono le cinque meno dieci del mattino.» «Allora assicurati che non si svegli.» Spinella riabbassò la telecamera. Poi prese una capsula argentea dalla cintura e la inserì nel foro. «Nel caso t'interessi» spiegò Polledro ad Artemis «la capsula è un Dormisodo.» «Gas?» «No. Onde cerebrali.» «Va' avanti» lo incitò Artemis, affascinato. «In parole povere, replica gli schemi delle onde cerebrali. Chiunque si trovi nelle vicinanze quando la capsula entra in azione, rimane nello stato in cui si trova finché quella non si è dissolta.» «Nessuna traccia?» «Nessuna. E neanche effetti collaterali. Qualunque cifra mi paghino qua sotto, non è abbastanza.» Spinella controllò l'orologio sulla visiera. «Bene. È fuori combattimento... sempre che non fosse sveglio quando ho inserito la Dormisodo. Andiamo.» Tutto nell'appartamento di Spiro era bianco come i suoi vestiti, a parte il foro bruciacchiato nel guardaroba. Spinella e Artemis fecero scivolare gli sportelli scorrevoli di legno bianco e avanzarono su un folto tappeto candido in una stanza che praticamente brillava nell'oscurità. Mobili futuristici... bianchi, naturalmente. Faretti bianchi e tende bianche. Spinella si soffermò a esaminare un quadro che occupava mezza parete.
«Ma per piacere» mormorò. Era un dipinto a olio. Completamente bianco. Sotto, una targhetta annunciava: Fantasma sulla Neve. Spiro dormiva al centro di un enorme futon, perso fra dune di seta. Spinella scostò le coperte e lo fece rotolare sulla schiena. Perfino nel sonno la faccia di quell'uomo era maligna, come se i suoi sogni fossero spregevoli quanto i suoi pensieri. «Che simpaticone» commentò il capitano Tappo, sollevandogli la palpebra sinistra col pollice. La telecamera dell'elmetto fotografò l'occhio e immagazzinò l'informazione. Sarebbe bastato proiettare il file sullo scanner della camera blindata per imbrogliarlo. Replicare il pollice non sarebbe stato altrettanto semplice. Dato che il sistema di controllo consisteva in uno scanner-gel, i microscopici sensori avrebbero cercato le reali creste e spirali del pollice di Spiro. Una proiezione non avrebbe funzionato. Doveva essere 3D. Artemis aveva avuto l'idea di utilizzare un cerotto di latex mimetico, immancabile in ogni cassetta di pronto soccorso della LEP... lo stesso usato per incollargli il microfono alla gola. Sarebbe bastato avvolgerlo un momento attorno al pollice per ottenere uno stampo del dito. Perciò adesso Spinella estrasse un cerotto dalla cintura e ne strappò una striscia di quindici centimetri. «Non funzionerà» disse Artemis. Spinella si sentì sprofondare. Eccoci. Quello che Artemis non le aveva detto. «Cosa non funzionerà?» «Il cerotto. Non ingannerà i controlli.» Spinella scese dal futon. «Non ho tempo da perdere, Artemis. Non abbiamo tempo. Il latex eseguirà una copia perfetta, esatta fino all'ultima molecola.» Gli occhi di Artemis erano fissi a terra. «Una copia perfetta, sì, ma al contrario. Come il negativo di una foto. Creste al posto di volute.» «D'Arvit!» imprecò Spinella. Il Fangosetto aveva ragione. Ovviamente. Lo scanner avrebbe letto il latex come un'impronta del tutto diversa. Le sue guance avvamparono dietro la visiera. «Tu lo sapevi già, Fangosetto. Lo sapevi fin dall'inizio.» Artemis non si prese il disturbo di negarlo. «Mi stupisce che nessun altro ci abbia pensato.» «Allora perché mentire?» Artemis girò intorno al letto e sollevò la mano sinistra di Spiro. «Perché
è impossibile usare un qualsiasi trucco con quel particolare sistema. Bisogna usare il pollice vero.» Spinella sbuffò. «Cosa vuoi che faccia? Che glielo tagli, così possiamo portarcelo dietro?» Il silenzio di Artemis fu una risposta sufficiente. «Che cosa? Vuoi che gli tagli il pollice? Sei matto?» Artemis attese che si calmasse. «In fondo non è che una soluzione temporanea, capitano. Puoi riattaccarlo, giusto?» Spinella sollevò le mani. «Sta' zitto. Chiudi quella bocca. Mi ero illusa che tu fossi cambiato, ma il comandante aveva ragione. Impossibile modificare la natura umana.» «Quattro minuti» insisté Artemis. «Quattro minuti per aprire la camera blindata e tornare qui a riattaccarlo. Spiro neanche se ne accorgerà.» Quattro minuti era il tempo massimo di guarigione concesso dai libri di testo del Popolo. Di più, e non c'era garanzia che il pollice si riattaccasse a dovere. La pelle avrebbe preso, ma muscoli e nervi potevano avere un rigetto. Spinella aveva l'impressione che l'elmetto le stritolasse la testa. «Sta' zitto Artemis, o giuro che ti stendo.» «Rifletti, Spinella. Non potevo dirti la verità. Avresti accettato di aiutarmi, se l'avessi saputo fin dall'inizio?» «No. E non accetto neanche ora.» La faccia di Artemis era bianca quanto le pareti attorno a loro. «Devi farlo, capitano. Non c'è altro modo.» Spinella lo scostò come se fosse un moscone insistente e parlò nel microfono dell'elmetto. «Polledro, hai sentito quest'ultima pazzia?» «Sembra una pazzia, Spinella, ma se non recuperiamo alla svelta il Cubo potremmo perdere molto più di un pollice.» «Non posso crederci. Da che parte stai, Polledro? Neanche oso pensare alle conseguenze legali di un atto del genere.» Il centauro sogghignò. «Conseguenze legali? Qui siamo un tantino al di là di qualunque "legalità", capitano. Questa è un'operazione segreta. Zero rapporti e nessun permesso. Se questa storia viene alla luce, ci ritroviamo tutti a spasso. Un pollice in più o in meno non farà differenza.» Spinella si diresse un getto d'aria fresca sulla fronte. «Sicuro che possiamo farcela, Artemis?» «Sì. Arcisicuro. Del resto non abbiamo scelta.»
«Non riesco a credere che sto anche solo prendendo in considerazione un'idea del genere.» Sollevò cauta la mano di Spiro. L'uomo non reagì, neanche per bofonchiare nel sonno. Spinella estrasse la Neutrino. Naturalmente in teoria era perfettamente fattibile rimuovere un dito per poi riattaccarlo magicamente. Nessuna conseguenza dannosa, e probabilmente l'iniezione di magia avrebbe eliminato qualche macchia di fegato sulla mano di Spiro. Ma non era questo il punto. Non era così che si doveva usare la magia. Ancora una volta Artemis aveva manipolato il Popolo per i propri fini. «Raggio di quindici centimetri» suggerì Polledro. «Altissima frequenza. Serve un taglio netto. E mentre tagli, somministragli un'iniezione di magia. Potrebbe darti un altro paio di minuti.» Per qualche strano motivo, Artemis sembrava affascinato da un punto dietro le orecchie di Spiro. «Mmm» mormorò. «Astuto.» «Che cosa?» sibilò Spinella. «Che c'è, ora?» Il ragazzo scosse la testa. «Niente d'importante. Procedi pure.» Una vampa rossa si riflesse sulla visiera di Spinella mentre un raggio laser concentrato sgorgava dal muso della Neutrino. «Un taglio netto, mi raccomando» ribadì Artemis. Spinella lo fulminò con gli occhi. «Zitto, Fangosetto. Non una parola. E tanto meno consigli.» Artemis indietreggiò. Certe battaglie si vincono ritirandosi. Stringendo il pollice di Spiro fra le dita, Spinella inviò una rapida pulsazione magica nella mano dell'umano. In pochi secondi la pelle si distese, le rughe scomparvero e si ripristinò il tono muscolare. «Filtro» disse al microfono. «Raggi X.» Appena il filtro entrò in azione, ogni cosa diventò trasparente, inclusa la mano di Spiro. Ossa e giunture erano chiaramente visibili sotto la carne. Doveva eseguire il taglio esattamente fra una nocca e l'altra. Sarebbe stata già abbastanza dura riattaccare il dito in tutta fretta, senza doversi preoccupare anche di giunture complesse. Trattenne il fiato e cominciò a tagliare. La Dormisodo avrebbe funzionato meglio di un anestetico: Spiro non avrebbe trasalito né avvertito la minima pena. Eseguì un taglio netto, che si rimarginava automaticamente. Non ne uscì una sola goccia di sangue. Artemis raccolse il pollice e lo avvolse in un fazzoletto preso dal cassettone.
«Bel lavoro» commentò. «Adesso sbrighiamoci.» Ridiscesero all'ottantacinquesimo piano attraverso il buco nel guardaroba. Li aspettavano quasi due chilometri di corridoio sorvegliati da tre coppie di guardie che eseguivano giri continui, secondo un tragitto studiato in modo che una coppia avesse sempre sott'occhio la porta della camera blindata. Quel particolare corridoio era lungo cento metri, e per percorrerlo ci volevano ottanta secondi. Dopodiché un'altra coppia di guardie girava l'angolo. Per fortuna, quella mattina due guardie vedevano il mondo sotto un'altra luce. «Ci siamo» annunciò Polledro all'auricolare di Spinella. «Arrivano i nostri.» «Sicuro che siano loro? Questi gorilla sembrano tutti uguali. Teste piccole e niente collo.» «Sicurissimo. Il bollo è forte e chiaro.» Spinella aveva impresso su Pecto e Pata il bollo di solito usato dai doganieri e dall'ufficio immigrazione: invisibile, ma a guardare attraverso un filtro a infrarossi spiccava arancio vivo. «Bene.» Spinse Artemis in corridoio. «Andiamo. E niente battute sarcastiche.» Un avvertimento inutile. Neanche Artemis Fowl era incline al sarcasmo in un momento così pericoloso. Il ragazzo corse a perdifiato nel corridoio e verso i due omaccioni. Sotto la giacca di entrambi si notava un bozzo sospetto all'altezza dell'ascella. Una pistola, senza dubbio. Bella grossa e piena di proiettili. «Sicura che sono affascinati?» chiese a Spinella, che si librava sopra di lui. «Eccome. Avevano il cervello così vuoto che è stato come scrivere col gesso su una lavagna pulita. Ma se preferisci posso stenderli.» «No» ansimò Artemis. «Niente tracce.» Pecto e Pata si avvicinarono, immersi in una discussione sui meriti di vari cartoni animati. «Capitan Uncino è una forza» diceva Pecto. «Straccerebbe Hulk dieci volte su dieci.» Pata sospirò. «Non capisci il punto. Con Hulk è una questione di valori. Non si tratta solo di stracciare.» Passarono accanto ad Artemis senza degnarlo d'uno sguardo. E perché avrebbero dovuto? Avevano ricevuto da Spinella l'ordine di non vedere
niente di insolito, a meno che qualcuno glielo facesse notare. La prima porta era davanti a loro. Avevano più o meno quaranta secondi prima che arrivassero altre due guardie. Guardie non affascinate. «Poco più di un minuto, Spinella. Sai cosa fare.» Spinella regolò le bobine termiche della tuta in modo che avessero l'esatta temperatura della stanza, così da ingannare il reticolato di raggi laser. Dopo assestò le ali sulla potenza minima: qualunque corrente troppo forte avrebbe potuto attivare la pedana a pressione sotto di lei. Avanzò cauta lungo la parete tenendosi nei punti dove secondo il suo elmetto non erano nascosti sensori. Lo spostamento d'aria fece vibrare la pedana, ma non tanto da attivare l'allarme. Artemis la seguì ansioso con lo sguardo. «Sbrigati. Mancano solo venti secondi.» Spinella borbottò qualcosa d'irriferibile, ma finalmente raggiunse la porta. «Filmato Spiro 3» disse, e il computer le mostrò Jon Spiro che digitava il codice d'accesso. Lo imitò rapida, e sei pistoni rinforzati si ritrassero dentro la porta d'acciaio, permettendole di ruotare sui cardini. Tutti gli allarmi esterni si spensero automaticamente. Adesso avevano davanti la seconda porta. Sulla quale brillavano tre lucine rosse. Gli ultimi tre ostacoli. Lo scanner-gel, il controllo retinico e quello vocale. Per prima cosa Spinella proiettò un'immagine 3D della pupilla di Spiro a un'altezza di un metro e sessantasette. Lo scanner retinico inviò un raggio per leggere la pupilla virtuale e, in apparenza soddisfatto, aprì la prima serratura. Una luce rossa diventò verde. Il passo successivo era usare l'appropriato file sonoro per superare il controllo vocale. Si trattava di un congegno sofisticato, che non poteva essere ingannato da una registrazione. Da una registrazione umana, cioè. I microfoni digitali di Polledro eseguivano copie indistinguibili dall'originale. Perfino i puzzovermi, dai corpi interamente coperti di orecchie, abboccavano al sibilo di accoppiamento emesso dai suoi strumenti. Attualmente stava trattando la vendita del brevetto a un collezionista d'insetti. «Jon Spiro. Sono il boss, perciò apriti alla svelta» uscì dagli altoparlanti dell'elmetto. Secondo allarme disattivato, e seconda luce verde. «Chiedo scusa, capitano» disse Artemis, una sfumatura d'ansia nella voce. «Il nostro tempo è quasi scaduto.» Tolse il pollice dal fazzoletto e, portandosi accanto a Spinella, lo premet-
te sullo scanner. Gelatina verde filtrò nelle volute del dito tagliato. La luce diventò verde. Aveva funzionato. Ovviamente. In fin dei conti era il pollice giusto. Però non successe altro. La porta rimase chiusa. Spinella tirò ad Artemis un pugno sulla spalla. «Allora? È fatta?» «Sembra di no. E prendermi a pugni non mi aiuta a concentrarmi.» Fissò accigliato il pannello. Cosa gli era sfuggito? Pensa, ragazzo, pensa. Spremi le tue famose cellule grigie. Spostò il peso da una gamba all'altra, e il piccolo cerchio rosso cigolò sotto di lui. «Ma sicuro!» Afferrò di scatto Spinella e la tenne stretta. «Non è solo un cerchio rosso» le spiegò in fretta. «È anche sensibile al peso.» Aveva ragione. La loro massa combinata era abbastanza vicina a quella di Spiro da ingannare la bilancia. Un congegno meccanico, è ovvio: un computer non avrebbe mai abboccato. Anche la seconda porta si aprì. Artemis consegnò il pollice a Spinella. «Vai! Il tempo di Spiro è agli sgoccioli. Io ti seguo a ruota.» «E in caso contrario?» «Allora passiamo al Piano B.» Il capitano Tappo annuì lentamente. «Speriamo di non doverlo utilizzare.» «Speriamo.» Ignorando la fortuna in gioielli e titoli al portatore custoditi nella camera blindata, Artemis puntò sicuro verso la prigione trasparente che racchiudeva il Cubo. Davanti alla quale c'erano due omaccioni dall'aspetto taurino. Entrambi avevano una maschera d'ossigeno sul viso ed erano stranamente immobili. «Chiedo scusa, signori. Vi dispiacerebbe lasciarmi prendere il Cubo del signor Spiro?» Nessuno dei due rispose. Nemmeno un fremito di sopracciglia. Senza dubbio a causa del gas paralizzante, estratto da una nidiata di ragni velenosi del Perù, contenuto nelle bombole. Senza più badare a loro, digitò il codice che Polledro gli stava sussurrando all'orecchio, e i quattro lati di perspex si ritrassero nella colonna. Artemis tese una mano verso il Cubo... CAMERA DA LETTO DI SPIRO Spinella rientrò nella camera di Spiro dal solito foro nel guardaroba.
L'uomo respirava regolarmente, e si trovava nella stessa posizione di prima. L'orologio sulla visiera segnava le 4.57. Appena in tempo. Tolse il pollice dal fazzoletto e lo appoggiò al dito, usando il filtro ingranditore inserito nella visiera per zummare sul taglio. Per quanto poteva vedere, le due parti erano allineate. «Guarisci» disse, e scintille magiche le sgorgarono dalla punta delle dita per affondare nei due pezzi del pollice. Filamenti di luce azzurrina li cucirono insieme, e nuova pelle sbocciò dalla vecchia per coprire il taglio. Il pollice fremette e ribollì, sputando vapore dai pori. Intorno alla mano di Spiro si addensò una nebbiolina e il braccio vibrò con violenza, inviando una scossa a tutto il petto ossuto. Per un momento l'uomo inarcò la schiena fin quasi al punto di rottura, e poi tornò a crollare sul letto. Il tutto senza che il cuore saltasse un battito. Alcune scintille vagabonde rimbalzarono sul corpo di Spiro come sassolini su uno stagno, puntando verso l'area dietro le orecchie... la stessa che Artemis aveva esaminato poco prima. Strano. Incuriosita, Spinella piegò un orecchio e vide una cicatrice a mezzaluna che veniva rapidamente cancellata dalla magia. Dietro l'altro orecchio c'era una cicatrice identica. Usò la visiera per zummare sulla cicatrice superstite prima che anche quella sparisse. «Che roba è, Polledro?» «Chirurgia» fu la pronta risposta. «Forse il nostro amico si è fatto il lifting. O forse...» «O forse non è Spiro» concluse Spinella, aprendo un altro canale di comunicazione. «Artemis. Il tizio addormentato non è Spiro. È un sosia. Mi senti? Rispondi, Artemis.» Ma Artemis non rispose. Forse perché non voleva; o forse perché non poteva. LA CAMERA BLINDATA Artemis tese una mano verso il Cubo... e una falsa parete si ritrasse con un sibilo, lasciando comparire Jon Spiro e Arno Tozz. Il sorriso di Spiro era così ampio che avrebbe inghiottito una fetta di cocomero. Il miliardario batté le mani, facendo tintinnare i braccialetti. «Bravo, Arty. Qualcuno qui non credeva che ce l'avresti fatta.» Tozz prese un centone dal portafoglio e lo consegnò a Spiro. «Grazie, Arno. Mi auguro che questo t'insegni a non scommettere mai contro il banco.»
Artemis annuì pensoso. «In camera da letto. Era un sosia.» «Sì. Mio cugino Costa. Abbiamo la stessa forma della testa, perciò sono bastati un paio di taglietti per farci diventare uguali come due piselli in un baccello.» «E poi ha regolato lo scanner in modo che accettasse la sua impronta.» «Solo per questa notte. Volevo vedere fin dove saresti arrivato. Sei un ragazzo notevole, Arty. Mai nessuno era riuscito ad arrivare fin qui, e ci hanno provato un sacco di professionisti. A quanto pare, il mio sistema di sicurezza presenta alcune pecche alle quali dovremo rimediare. Ma come hai fatto a entrare? Non vedo Costa con te.» «Segreto professionale.» «Non importa. Lo scopriremo dalle registrazioni. Ci saranno un paio di telecamere che non sei riuscito a manipolare. Una cosa è certa: non ci saresti mai riuscito senza aiuto. Perquisiscilo, Arno. Deve avere addosso un auricolare.» A Tozz ci vollero meno di cinque secondi per trovarlo. Lo agitò trionfante, e poi lo schiacciò sotto la scarpa. Spiro sospirò. «Sai, Arno... non dubito che quella piccola meraviglia elettronica valesse più di quanto guadagnerai tu in tutta la tua vita. Non so perché continuo a servirmi di te. Proprio non lo so.» Tozz fece una smorfia. Stavolta aveva messo una dentiera di perspex riempita per metà di liquido blu che creava onde macabre a ogni movimento. «Mi dispiace, signor Spiro.» «Sarai ancora più dispiaciuto, mio sdentato amico» interloquì Artemis «quando arriverà Leale.» Tozz fece un involontario passo indietro. «Non mi spaventi con queste fesserie. Leale è morto. L'ho visto cadere.» «Cadere, forse. Ma morire? Se ben ricordo, dopo che tu gli hai sparato, lui ha colpito te.» Tozz si toccò i punti sulla tempia. «Un colpo fortunato.» «Fortunato? Fossi in te, non glielo direi in faccia. Leale va fiero della sua mira.» Spiro ridacchiò. «Il ragazzo ti sta manipolando, Arno. Tredici anni, e ti suona come un pianoforte. Abbi un po' di fegato... in teoria sei un professionista.» Tozz tentò di darsi un contegno, ma era chiaro che il pensiero del fantasma di Leale lo innervosiva.
Spiro estrasse il Cubo dal suo nido. «Mi fai ridere, Arty. Tutte le tue battute da duro non significano niente. Ho vinto di nuovo; sei sconfitto. Per me questo è stato solo un gioco. La tua piccola operazione è stata estremamente istruttiva, anche se patetica. Ma devi renderti conto che adesso è finita. Sei solo, e io non ho più tempo di giocare!» Artemis sospirò, l'immagine vivente della sconfitta. «È stato per darmi una lezione, vero? Per mostrarmi chi è che comanda.» «Esatto. Certa gente ci mette un po' a imparare. Più furbo è il nemico, più grande l'ego. Prima di cedere, dovevi renderti conto di non essere alla mia altezza.» Gli piantò una mano ossuta sulla spalla, facendogli sentire tutto il peso dei gioielli. «Ora apri bene le orecchie. Voglio che sblocchi il Cubo. Basta con le chiacchiere. Non ho mai conosciuto un fanatico di computer che non si lasciasse una scappatoia. Mettilo subito in funzione o smetterò di divertirmi... e, credimi, non ti piacerebbe.» Artemis prese il Cubo fra le mani, fissandone lo schermo piatto. Era la fase più delicata del suo piano. Spiro doveva illudersi di avere ancora una volta battuto Artemis Fowl. «Fallo, Arty. Ora.» Artemis si passò una mano sulle labbra secche. «Molto bene. Mi serve un minuto.» Spiro gli diede una pacca sulle spalle. «Sarò generoso. Te ne concedo due.» Fece un cenno a Tozz. «Stagli alle costole, Arno. Non voglio che il nostro amico organizzi qualche altro trucchetto.» Il ragazzo si sedette al tavolo di acciaio e mise a nudo i meccanismi interni del Cubo. Rapidamente spostò un complicato gruppo di fibre ottiche, eliminandone una parte. Il blocco anti-LEP. Dopo meno d'un minuto si appoggiò allo schienale della sedia. Spiro sgranò gli occhi ansioso, sogni di ricchezza illimitata che gli turbinavano nel cervello. «Buone notizie, Arty. Voglio sentire solo buone notizie.» Artemis sembrava ancora più abbattuto, come se la dura realtà avesse finalmente intaccato la sua baldanza. «L'ho sbloccato. Funziona. Però...» Spiro agitò le mani e i braccialetti tintinnarono come campanelli. «"Però" cosa? Spero per te che sia un "però" piccolissimo.» «Una sciocchezza. Quasi non vale la pena parlarne. Sono dovuto tornare alla versione 1.0; quella 1.2 era collegata direttamente allo schema delle mie onde vocali. La 1.0 è meno sicura e un po' più... capricciosa.»
«Capricciosa! Sei una scatola, Cubo, mica mia nonna.» «Non sono una scatola!» protestò Polledro, che grazie all'eliminazione del blocco era adesso la nuova voce del Cubo. «Sono una meraviglia dell'intelligenza artificiale. Vivo, dunque apprendo.» «A questo mi riferivo» disse stancamente Artemis. Se continuava così, il centauro avrebbe rovinato tutto. Bisognava evitare a tutti i costi di suscitare i sospetti di Spiro. Spiro lanciò al Cubo un'occhiata torva, neanche fosse uno dei suoi tirapiedi. «Cos'è, vuoi fare il difficile?» Il Cubo rimase silenzioso. «Deve chiamarlo per nome» spiegò Artemis. «Altrimenti si rifiuta di rispondere.» «Che nome?» Juliet usava spesso il termine "bah". Personalmente Artemis evitava l'uso di espressioni così colloquiali, però sarebbe stata adatta a quel particolare momento. «Cubo.» «D'accordo, Cubo. Vuoi fare il difficile?» «Farò tutto quello che i miei processori sono in grado di fare.» Spiro si stropicciò le mani con avidità infantile e i suoi gioielli lampeggiarono come increspature sul mare al tramonto. «Bene, mettiamo alla prova questo giocattolino. Cubo, sai dirmi se c'è qualche satellite che controlla il palazzo?» Seguì un breve silenzio. Probabilmente, pensò Artemis, Polledro stava richiamando le sue informazioni su qualche schermo. «Solo uno al momento» arrivò infine la risposta «anche se, a giudicare dai residui ionici, quest'edificio è stato colpito da più raggi del Millennium Falcon.» Spiro lanciò un'occhiata ad Artemis. «Il chip della personalità è difettoso» spiegò il ragazzo. «Perciò l'avevo disconnesso. Posso sistemarlo quando vuole.» Spiro annuì. Non voleva che il suo personalissimo genio del Cubo sviluppasse la personalità di un gorilla. «Che mi dici di quel gruppo, la LEP, Cubo?» domandò. «Mi tenevano d'occhio a Londra. Continuano a farlo?» «La LEP? È una rete televisiva libanese» rispose pronto Polledro, seguendo le istruzioni di Artemis. «Per lo più trasmette giochi a premi. Però non arrivano fin qui.»
«Bene, lasciali perdere, Cubo. Dimmi il numero di serie di quel satellite.» Polledro consultò uno schermo. «Mmm... vediamo. US, registrato presso il governo federale. Numero ST1147P.» Spiro strinse i pugni esultante. «Sì! Esatto. Guarda caso, avevo già quest'informazione. Cubo, hai superato la prova.» Eseguì una piroetta, spinto dall'avidità a un esibizionismo infantile. «Sai una cosa, Arty? Mi sento più giovane di anni! Avrei voglia di mettermi lo smoking e andare al ballo della scuola.» «Ma davvero.» «Non so da dove cominciare. Devo arricchirmi in modo autonomo? O derubare qualcuno?» Artemis si costrinse a sorridere. «Il mondo è la sua ostrica.» Spiro accarezzò il Cubo. «Proprio così. E m'impadronirò di tutte le sue perle.» Pecto e Pata fecero irruzione con la pistola spianata. «Signor Spiro!» balbettò Pecto. «È un'esercitazione?» Spiro scoppiò a ridere. «Ma guarda. Ecco che arrivano i rinforzi. Con un secolo di ritardo. No, non è un'esercitazione. E vorrei tanto sapere come ha fatto il caro Artemis a passarvi davanti.» I forzuti fissarono Artemis come se fosse apparso dal nulla. E per il loro cervello affascinato era proprio così. «Non lo sappiamo, signor Spiro. Non l'abbiamo visto. Vuole che lo portiamo fuori e gli organizziamo un piccolo incidente?» Spiro esplose in una risata. Un secco latrato malvagio. «Ho una parola nuova per voi due imbecilli. Sacrificabili. Voi lo siete e lui no... non ancora. È chiaro? Perciò restate dove siete e fate la faccia feroce, o potrei decidere di sostituirvi con due oranghi depilati.» Poi il suo sguardo si concentrò sullo schermo del Cubo come se nella stanza ci fossero soltanto loro. «Ho ancora una ventina d'anni davanti a me. Dopodiché, per quanto mi riguarda, il mondo può andare all'inferno. Non ho né famiglia né eredi. Nessun bisogno di costruire per il futuro. Spoglierò l'intero pianeta, e grazie al Cubo potrò fare qualunque cosa voglio a chiunque voglio.» «So io la prima cosa da fare» disse Pecto. A giudicare dalla sua espressione, sembrava stupefatto che quelle parole gli fossero uscite di bocca. Spiro s'irrigidì. Non era abituato a essere interrotto. «Cos'è che faresti,
imbecille? Ti compreresti un McDonald?» «No» rispose Pecto. «Attaccherei quei tizi della Phonetix. Sono anni che bagnano il naso alle Industrie Spiro.» Seguì un momento carico di elettricità. Non solo perché Pecto aveva avuto un'idea, ma perché era una buona idea. Che accese una scintilla pensosa negli occhi di Spiro. «La Phonetix. I miei concorrenti di sempre. Li odio, quelli. Niente mi darebbe una soddisfazione maggiore che ridurli in mutande. Ma come?» Adesso fu il turno di Pata. «Ho sentito dire che lavorano a un nuovo progetto supersegreto. Batteria eterna o roba del genere.» Spiro reagì a scoppio ritardato. Prima Pecto e ora Pata? Niente niente, fra un po' quei due avrebbero imparato a leggere. Però... «Cubo» ordinò. «Accedi al database della Phonetix. Copia gli schemi di tutti i loro progetti in fase di sviluppo.» «Impossibile, capo. Quelli lavorano su un sistema chiuso. Il settore Ricerche & Sviluppo neanche ha la connessione Internet. Devo trovarmi sul posto.» L'euforia di Spiro svanì. Si voltò verso Artemis. «Di che parla?» Artemis si schiarì la voce. «Il Cubo non può inserirsi in un sistema chiuso a meno che l'Omnisensore non tocchi il computer o gli sia almeno vicino. Alla Phonetix hanno una tale paura che qualcuno s'inserisca nel sistema da avere praticamente sigillato il laboratorio dove svolgono le loro ricerche. Non solo si trova sottoterra, ma neanche usano la posta elettronica. Lo so perché un paio di volte ho tentato di darci un'occhiata.» «Però il Cubo ha individuato quel satellite.» «Quel satellite stava trasmettendo. E se qualcuno o qualcosa trasmette, il Cubo può rintracciarlo.» Spiro giocherellò con i braccialetti. «Quindi dovrei introdurmi nella Phonetix...» «Non glielo consiglierei» commentò Artemis. «È un grosso rischio per una semplice vendetta.» Tozz fece un passo avanti. «Ci vado io, signor Spiro. Le procurerò quei piani.» Spiro ruminò una manciata di supplementi vitaminici presi da una scatolina fissata alla cintura. «Bella idea, Arno. Davvero. Però non mi va di affidare il Cubo a chiunque altro. Chi sa a quali tentazioni potrebbe cedere? Cubo, puoi spegnere il sistema di allarme della Phonetix?» «Può un nano aprirsi un buco nei pantaloni?»
«E questo che significa?» «Niente. Gergo tecnico. Non lo capiresti. Il loro sistema è già spento.» «E le guardie, Cubo? Puoi spegnere anche loro?» «Nessun problema. Posso attivare a distanza il sistema di sicurezza interno.» «Ossia?» «Bidoni di vapore soporifero dentro il sistema di aria condizionata. Illegale, secondo la legge dello Stato. Astuto, però. Zero postumi, irrintracciabile. E qualunque intruso si risveglia in cella due ore dopo.» Spiro ridacchiò. «Che paranoici. Avanti, Cubo, stendili.» «Sogni d'oro» disse Polledro, con un gusto fin troppo realistico. «Allora, Cubo... adesso tutto quello che sta fra noi e i progetti della Phonetix è un computer in codice.» «Non farmi ridere. Ancora non è stata inventata un'unità di tempo abbastanza breve da misurare quanto mi ci vorrà a scassinarlo.» Spiro si agganciò il Cubo alla cintura. «Sai una cosa? Questo tipo comincia a piacermi.» Artemis fece un ultimo tentativo, in apparenza sincero, per fargli cambiare idea. «Signor Spiro, non penso che questa sia una buona idea.» «Certo che non lo pensi» rise Jon Spiro, avviandosi verso la porta fra un tintinnio di gioielli. «Ecco perché verrai con me.» LABORATORI PHONETIX, ZONA INDUSTRIALE DI CHICAGO Dal suo vasto parco macchine, Spiro scelse una Lincoln anni Novanta con una targa fasulla. La usava spesso per sparire in tutta fretta. Era abbastanza vecchia da passare inosservata, e anche se la polizia fosse riuscita a leggere la targa non ne avrebbe ricavato niente. Tozz parcheggiò davanti all'ingresso principale della Phonetix. Attraverso le porte girevoli di cristallo era visibile un sorvegliante a una scrivania. Arno estrasse un binocolo pieghevole dal cruscotto e mise a fuoco la guardia. «Dorme come un pupo» annunciò. Spiro gli diede una pacca sulle spalle. «Bene. Abbiamo meno di due ore. Possiamo farcela?» «Se questo Cubo è in gamba come sostiene, possiamo essere dentro e fuori in quindici minuti.»
«È una macchina» disse gelido Artemis. «Non uno dei vostri tirapiedi gonfi di steroidi.» Tozz si voltò a guardare Artemis, strizzato sul sedile posteriore fra Pecto e Pata. «Come siamo coraggiosi tutt'insieme.» Artemis si strinse nelle spalle. «Che ho da perdere? In fin dei conti, difficilmente le cose potrebbero andare peggio.» Dietro la porta girevole c'era un'altra porta normale. Il controllo a distanza del Cubo attivò la serratura, e la piccola banda d'intrusi entrò nell'atrio. Nessun allarme suonò, nessun battaglione di guardie si precipitò a bloccarli. Reso audace dal suo nuovo amico tecnologico e dal pensiero di mettere finalmente fuori gioco la Phonetix, il miliardario percorse impettito il corridoio. L'ascensore non offrì al Cubo più resistenza di una staccionata a un carro armato, e in breve Spiro & Co stavano scendendo gli otto piani che li separavano dal laboratorio sotterraneo. «Stiamo andando sottoterra» ridacchiò Pecto. «Dove stanno le ossa dei dinosauri. Lo sapeva che dopo miliardi di anni la cacca di dinosauro si trasforma in diamanti?» Di solito un commento del genere avrebbe costituito un'offesa da lavare col sangue, ma oggi Spiro era di buonumore. «No, Pecto, non lo sapevo. Forse dovrei pagarti in cacca.» Pecto decise che sarebbe stato meglio per le sue finanze tenere la bocca chiusa. Il laboratorio era protetto solo da uno scanner a riconoscimento d'impronta. Niente gel. Per il Cubo fu una bazzecola replicare l'impronta sul pannello e riproiettarla sul sensore. Neanche c'era un codice di supporto. «È così facile!» esultò Spiro. «Avrei dovuto farlo anni fa.» «Un po' di riconoscenza sarebbe gradita» protestò indispettito Polledro. «In fin dei conti sono stato io a farti entrare qui e a eliminare le guardie.» Spiro lo sollevò all'altezza degli occhi. «Non schiacciarti come un rottame, Cubo, è il mio modo di ringraziarti.» «Ma che gentile» brontolò Polledro. Arno Tozz controllò gli schermi nel gabbiotto del sorvegliante. In tutto l'edificio c'erano guardie addormentate stese a terra. Una aveva mezzo panino di segale infilato in bocca. «È davvero magnifico, signor Spiro. La Phonetix dovrà perfino pagare il conto per il gas.» Spiro lanciò un'occhiata al soffitto, dove parecchie telecamere ammicca-
vano nell'ombra. «Cubo, dobbiamo passare a ritirare le registrazioni prima di andarcene?» «Macché» replicò Polledro, da attore consumato. «Ho eliminato le vostre immagini dal filmato.» Artemis era sospeso a mezz'aria, stretto fra Pecto e Pata. «Traditore» borbottò. «Ti ho dato la vita, Cubo. Sono il tuo creatore.» «Forse mi hai creato troppo simile a te, Fowl. Aurea est potestas. La ricchezza è potere. Non faccio che seguire i tuoi insegnamenti.» Spiro accarezzò affettuosamente il Cubo. «Non è adorabile? Come il fratello che non ho mai avuto.» «Ma non lo aveva, un fratello?» chiese Pata, confuso... una cosa abbastanza normale, per lui. «E va bene. È come un fratello che però mi sta simpatico.» Il server della Phonetix si trovava al centro del laboratorio. Un harddrive monolitico, con cavi grossi come pitoni che strisciavano verso le diverse postazioni di lavoro. «Dove hai bisogno di stare, Cubo?» «Mettimi sopra il server, e l'Omnisensore farà il resto.» Spiro lo accontentò, e nel giro di pochi secondi schemi grafici guizzavano rapidi sul piccolo schermo del Cubo. «Li ho in pugno!» esultò Spiro. «Non riceverò più odiose e-mail con le ultime quotazioni dei loro titoli.» «Download eseguito» annunciò Polledro. «Ho incamerato ogni progetto Phonetix per i prossimi dieci anni.» Spiro se lo strinse al petto. «Splendido. Anticiperò tutte le loro "novità" e intascherò qualche milione extra prima di mettere il Cubo sul mercato.» L'attenzione di Arno era concentrata sugli schermi della sorveglianza. «Signor Spiro. Mi sa che abbiamo un problema.» «Un problema? Di che parli?» Il neozelandese diede un colpetto a uno schermo come se questo potesse modificare l'immagine. «Di questo. Un grosso problema.» Il miliardario afferrò Artemis per le spalle. «Che hai fatto, Fowl? Se è uno dei tuoi...» La sua voce si spense prima di completare la minaccia. Aveva appena notato qualcosa. «I tuoi occhi. Cos'hanno i tuoi occhi? Sono di colore diverso.» Artemis gli rivolse il suo miglior sorriso da vampiro. «Per vederti me-
glio, Spiro.» Nell'atrio della Phonetix, la guardia addormentata si svegliò di colpo. Era Juliet. Sbirciando al di sotto della visiera di un berretto preso a prestito, si assicurò che Spiro non avesse lasciato qualcuno a sorvegliare il corridoio. Dopo aver assistito alla cattura di Artemis nella camera blindata, Spinella l'aveva trasportata alla Phonetix per dare inizio al Piano B. Naturalmente non era mai esistito il gas soporifero. E in effetti c'erano solo due sorveglianti. Uno si era concesso una pausa-bagno e l'altro stava facendo un giro ai piani superiori. Ma questo Spiro non lo sapeva. Era troppo impegnato a guardare le simil-guardie create da Polledro russare qua e là nel palazzo. Juliet sollevò la cornetta del telefono e compose un numero. 9...1...1. Spiro avvicinò delicatamente due dita all'occhio di Artemis e ne estrasse l'iricam. La studiò con attenzione, notando i microcircuiti sul lato concavo. «Questa roba è elettronica» sussurrò. «Stupefacente. Che cos'è?» Artemis batté le palpebre per scacciare una lacrima dall'occhio. «Niente di particolare. Non è mai stata qui. Proprio come non ci sono mai stato io.» Una smorfia di puro odio contrasse la faccia di Spiro. «Certo che sei qui, Fowl, e non te ne andrai.» Tozz batté due dita sulla spalla del suo datore di lavoro. Un atto di familiarità imperdonabile. «Capo... signor Spiro. Questa deve proprio vederla.» Juliet si sfilò rapidamente la giacca della Sicurezza Phonetix. Sotto, indossava una divisa dei Corpi Speciali della Polizia di Chicago. La situazione poteva farsi movimentata, e proteggere Artemis era compito suo. Si nascose dietro una colonna e aspettò che esplodessero le sirene. Spiro fissò gli schermi nel laboratorio. Le immagini erano cambiate. Non si vedevano più guardie addormentate, ma una registrazione di Spiro e dei suoi scagnozzi che s'introducevano nella Phonetix. Con una differenza cruciale: non c'era traccia di Artemis. «Che succede, Cubo?» farfugliò. «Avevi detto di averci cancellati dalle registrazioni.»
«Ho mentito. Mi sa che sto sviluppando una personalità criminale.» Spiro lo scaraventò sul pavimento, ma il Cubo neanche si ammaccò. «Polimero iperresistente» spiegò Artemis. «Praticamente infrangibile.» «A differenza di te» ribatté Spiro. Artemis sembrava un fantoccio di pezza, bloccato fra Pecto e Pata. «Non hai ancora capito? Ci siete tutti, nella registrazione. Il Cubo ha sempre lavorato per me.» «Sai che paura. Così siamo stati filmati... Vuol dire che prima di andarcene faremo sparire le registrazioni.» «Non sarà tanto semplice.» Spiro ancora non si era reso conto di essere in trappola. «Perché no? Chi dovrebbe impedirmelo? Tu, forse?» Artemis indicò gli schermi. «Non io. Loro.» Il Dipartimento di Polizia di Chicago arrivò con tutta l'attrezzatura che aveva, più un paio di cosette prese in prestito. La Phonetix era la ditta più importante della città, nonché uno dei cinque più generosi sostenitori del Fondo Pensioni della Polizia. Quando arrivò la chiamata al 911, il sergente di turno mise in allarme tutti i distretti della città. In meno di cinque minuti, un centinaio di agenti in divisa più una squadra dei Corpi Speciali bussavano alle porte della Phonetix. Due elicotteri sfarfallavano sopra di loro e otto tiratori scelti erano appostati sui tetti vicini. A meno d'essere invisibile, nessuno avrebbe potuto lasciare la zona. Il sorvegliante della Phonetix era appena tornato dal suo giro ai piani superiori e aveva notato gli intrusi sul monitor. Pochi istanti dopo notò un gruppo di poliziotti bussare alla porta col calcio dei fucili. Li fece entrare azionando l'apertura a distanza. «Stavo giusto per chiamarvi» disse. «C'è gente non autorizzata in laboratorio. Devono aver scavato un tunnel, perché da qui non sono passati.» La guardia in pausa-bagno fu ancora più sorpresa. Stava finendo la pagine sportive "dell'Herald Tribune" quando due uomini dall'aria feroce e in giubbotto corazzato fecero irruzione nel suo cubicolo. «Documenti!» ringhiò uno, che evidentemente non aveva tempo da perdere con frasi articolate. Il pover'uomo gli tese il tesserino con mano tremante. «Si tenga fuori dai pedi, signore» gli consigliò l'altro agente. Non ebbe bisogno di ripeterlo. Juliet scivolò fuori da dietro la colonna per unirsi alla squadra dei Corpi Speciali. Sventolò la pistola e ruggì come i migliori fra loro, e fu subito
accolta nel gruppo. La loro avanzata fu interrotta da un piccolo problema. Esisteva un'unica via d'accesso al laboratorio. Il pozzo dell'ascensore. Due agenti ne aprirono le porte con un piede di porco. «Ecco il dilemma» disse uno. «Se togliamo l'elettricità, non possiamo farlo risalire. Ma se lo facciamo risalire, mettiamo sull'avviso gli intrusi.» Juliet si portò in prima fila. «Chiedo scusa, signore. Chiedo il permesso di scendere lungo i cavi. Io faccio esplodere le porte giù in fondo, e voi togliete l'elettricità.» Il comandante si rifiutò di prendere in considerazione la proposta. «No. Troppo pericoloso. Quelli avrebbero tutto il tempo di svuotare il caricatore nel pozzo e ridurti un colabrodo... A proposito, tu chi sei?» Juliet si tolse un piccolo passante dalla cintura, lo agganciò al cavo dell'ascensore e saltò nel pozzo. «Una nuova» rispose, e scomparve nelle tenebre. Nel laboratorio, Spiro & Co fissavano ipnotizzati gli schermi, dove Polledro aveva deciso di mostrare quello che stava realmente accadendo ai piani superiori. «Corpi Speciali» guaì Tozz. «Elicotteri. Armamento pesante. Com'è possibile?» Spiro si batté una mano sulla fronte. «Una trappola. Tutto, dall'inizio alla fine. Una trappola. Anche Escava lavorava per te?» «Sì. E pure Pecto e Pata... però loro non lo sapevano. Non saresti mai venuto qui se te l'avessi suggerito io.» «Ma come? Come ci sei riuscito? Non è possibile!» Artemis lanciò un'occhiata agli schermi. «Ovviamente lo è. Sapevo che mi aspettavi nella camera blindata. Dopodiché mi è bastato usare il tuo odio per la Phonetix per attirarti qui, fuori dalla protezione della tua Guglia.» «Se cado io, cadi anche tu.» «Errore. Io non sono mai stato qui, e le registrazioni lo proveranno.» «Ma tu sei qui!» ruggì Spiro, esasperato. «E sarà il tuo cadavere a provarlo. Dammi la pistola, Arno. Voglio ammazzarlo personalmente.» Tozz obbedì, però non seppe nascondere il suo disappunto. Vedendo Spiro puntare l'arma con mani tremanti, Pecto e Pata si affrettarono a scostarsi. Il capo non era famoso per la sua mira.
«Mi ha sottratto ogni cosa!» urlò. «Ogni cosa!» Artemis non si scompose. «Ancora non capisci, Jon. Te l'ho detto. Non sono mai stato qui.» Fece una pausa. «E a proposito del mio nome... Artemis; avevi ragione, a Londra. Di solito è un nome femminile, quello della dea greca della caccia. Ma di tanto in tanto nasce un cacciatore così abile da conquistarsi il diritto di usarlo. Ecco chi sono. Artemis il cacciatore. E ti ho messo in trappola.» Dopodiché, di punto in bianco, sparì. Spinella era rimasta nascosta nel laboratorio in attesa che arrivasse tutta la banda. Aveva ottenuto il permesso di entrare quando si era accodata a Juliet durante la visita guidata dell'edificio il pomeriggio del giorno prima. «Mi scusi, signora» aveva chiesto Juliet alla guida con la sua miglior voce da ragazzina «può entrare la mia amichetta invisibile?» «Sicuro, cara» aveva risposto la guida, sul cui tesserino c'era scritto ROSA. «E anche il tuo orsacchiotto, se ti fa piacere.» Via libera. Naturalmente il giro non comprendeva il laboratorio, ma Spinella non ebbe problemi a forzare i controlli dell'ascensore col suo Apritutto. Dopo la fine dell'orario di lavoro, si librò vicino al soffitto e seguì gli sviluppi del dramma in corso sulla iricam di Artemis. Il piano del Fangosetto era pieno di rischi. Se Spiro avesse deciso di lasciarlo nella Guglia, era la fine. Ma no: proprio come previsto, Spiro aveva deciso di pavoneggiarsi più a lungo possibile, crogiolandosi nella luce del proprio genio folle. Ma naturalmente quello non era il suo genio. Era il genio di Artemis. Il ragazzo aveva orchestrato l'intera operazione passo passo. Era stata una sua idea perfino affascinare Pecto e Pata. Era fondamentale che l'idea d'invadere la Phonetix venisse da loro. Quando la porta dell'ascensore si aprì, Spinella era pronta. Aveva la Neutrino carica e i bersagli già scelti. Ma ancora non poteva entrare in azione. Doveva aspettare il segnale. Artemis la tirò per le lunghe. Melodrammatico fino in fondo. E poi, proprio quando il capitano Tappo stava per mandare gli ordini alle ortiche e cominciare a sparare, il ragazzo parlò: «Ecco chi sono. Artemis il cacciatore. E ti ho messo in trappola.» «Artemis il cacciatore.» Il segnale. Spinella calò a un'altezza di novanta centimetri, agganciò Artemis a una
pitoncorda fissata alla Cintoluna e lo avvolse in un telo mimetico. Chiunque nella stanza avrebbe pensato che fosse svanito. «Su» disse, anche se Artemis non poteva sentirla, e diede gas. L'istante successivo erano al sicuro fra i cavi e le condutture che correvano sul soffitto. Sotto di loro, Jon Spiro diede fuori di matto. Spiro batté le palpebre. Il ragazzo era sparito! Svanito nel nulla! Impossibile. Lui era Jon Spiro! Nessuno batteva in astuzia Jon Spiro! Si voltò verso Pecto e Pata sventolando la pistola. «Dov'è finito?» «Uh?» fecero i due forzuti. In coro perfetto. E senza neanche aver fatto le prove. «Dov'è Artemis Fowl? Che ne avete fatto?» «Niente, signor Spiro. Noi ce ne stavamo qui tranquilli spalla a spalla.» «Fowl ha detto che lavorate per lui. Perciò tiratelo fuori.» Pecto aveva il cervello in fermento. Qualcosa che ricordava da vicino l'impresa di mescolare il cemento con un frullatore. «Faccia attenzione, signor Spiro. Le pistole sono pericolose. Specie dalla parte che spara.» «Non è finita qui, Artemis Fowl» ruggì Spiro rivolto al soffitto. «Ti troverò. Non mi arrenderò mai. Hai la mia parola. La parola di Jon Spiro!» Cominciò a sparare a casaccio, aprendo buchi in computer, prese d'aria e tubi. Addirittura, una pallottola fischiò a un metro da Artemis. Pecto e Pata non capivano bene cosa stesse succedendo, ma decisero di unirsi al gioco. Estrassero anche loro la pistola e si misero a sparacchiare. Tozz non si fece coinvolgere. Aveva deciso che il suo contratto era scaduto. Spiro non se la sarebbe cavata; a questo punto, ognuno avrebbe fatto meglio a pensare per sé. Andò al pannello di metallo che copriva la parete e cominciò a smontarlo con un cacciavite elettrico. Ma quando riuscì a staccarne una sezione, a parte uno spazio di cinque centimetri per consentire il passaggio dei cavi, vi trovò solido cemento. Erano in trappola. Dietro di lui, la porta dell'ascensore scampanellò. Juliet era accovacciata sul tetto dell'ascensore. «Ho preso Artemis» le comunicò Spinella via auricolare. «Ma Spiro sta sparando a più non posso.» Juliet si accigliò. Il principale era in pericolo. «Stendili con la Neutrino.»
«No. Se la polizia trova Spiro privo di sensi, dopo lui potrebbe sostenere che lo hanno incastrato.» «Va bene. Ci penso io.» «Negativo. Aspetta i Corpi Speciali.» «No. Tu blocca le pistole. Io penso al resto.» Versò sul tetto dell'ascensore poche gocce di lucidaroccia gnomesco fornitole da Bombarda, e quello si squagliò come grasso in una padella bollente. Juliet vi saltò dentro, accucciandosi nel caso Tozz avesse deciso d'infilarci dentro un po' di pallottole. «Al tre.» «Juliet...» «Mi muovo al tre.» «Va bene.» Juliet alzò una mano verso il pulsante di apertura delle porte. «Uno...» Spinella estrasse la Neutrino e inserì i quattro bersagli nel sistema di puntamento della visiera. «Due...» Per ottenere una maggiore precisione di tiro, Spinella abbassò lo schermo: le vibrazioni avrebbero potuto deviare il raggio. Per qualche secondo si sarebbe dovuta nascondere dietro il telo mimetico insieme ad Artemis. «Tre...» Juliet schiacciò il pulsante. Spinella fece fuoco. Artemis ebbe meno d'un minuto per fare la sua mossa. Meno d'un minuto, mentre Spinella disarmava Spiro & Co. Le circostanze non potevano definirsi ideali: urla, spari e un generale pandemonio. Ma, del resto, quale momento migliore per mettere in atto quella particolare parte del piano? Una parte vitale. Appena Spinella abbassò lo schermo, Artemis estrasse dalla base del Cubo una tastiera in perspex e cominciò a pestarci sopra. Nel giro di pochi secondi si era inserito nei conti bancari di Spiro... tutti e trentasette, in banche situate dall'isola di Man alle isole Cayman. Aveva i numeri dei conti e accesso a tutti i suoi fondi segreti. Il Cubo eseguì una rapida somma: 2,8 miliardi di dollari, senza contare il contenuto di svariate cassette di sicurezza che non poteva essere trasferito on line. 2,8 miliardi di dollari. Più che sufficienti a fare diventare la famiglia Fowl una delle cinque più ricche famiglie irlandesi.
Stava per completare la transazione quando gli tornarono in mente le parole del padre. Quel padre che gli era stato restituito dal Popolo... «E tu, Arty? Sarai al mio fianco in questo viaggio? Quando verrà il momento, saprai cogliere l'occasione e comportarti da eroe?» Aveva davvero bisogno di tutti quei miliardi? Certo che sì. Aurea est potestas. La ricchezza è potere. Davvero? Saprai cogliere l'occasione e comportarti da eroe? Dato che non poteva gemere a voce alta, Artemis chiuse gli occhi e digrignò i denti. Bene, se doveva comportarsi da eroe, tanto valeva farsi pagare bene. Dedusse rapidamente il dieci per cento di ricompensa dai 2,8 miliardi, e spedì il resto ad Amnesty International. E rese la transazione irreversibile, per evitare di ripensarci in seguito. Però non aveva finito. Gli restava ancora una buona azione da fare. E il suo successo dipendeva dal fatto che Polledro fosse troppo impegnato a godersi lo spettacolo per accorgersi che qualcuno si era inserito nel suo sistema. Individuò il sito della LEP e ordinò al decodificatore di trovare la password. Ci vollero dieci preziosi secondi per numero, ma finalmente poté tuffarsi nei micrositi della LEP. Quello che gli serviva era in Profili Criminali: il fascicolo completo di Bombarda Sterro. Una volta lì, fu facile risalire al primo mandato di perquisizione della sua tana. Dopodiché ne cambiò la data, trasformandola in quella del giorno successivo all'arresto di Bombarda. Il che significava invalidare ogni successivo arresto o condanna. Un buon avvocato lo avrebbe fatto uscire di prigione in un baleno. «Non ho ancora finito con te, Bombarda Sterro» bisbigliò, disconnettendosi e riagganciando il Cubo alla cintura di Spinella. Juliet uscì dall'ascensore così in fretta da apparire come una chiazza sfocata. Il fermaglio di giada le sfrecciava dietro come l'esca alla fine di una lenza. Leale non avrebbe mai corso un rischio del genere. Lui avrebbe avuto un piano perfettamente logico e sicuro... il che spiegava come mai lui avesse il tatuaggio blu, e Juliet no. Ma forse lei non voleva un tatuaggio. Forse lei voleva una vita sua. Soppesò rapidamente la situazione. La mira di Spinella era stata perfetta. I due gorilla si stavano massaggiando le mani bruciacchiate e Spiro pestava i piedi come un pupo viziato. Soltanto Tozz, che annaspava sul pavimento per riprendere la pistola, poteva costituire un pericolo.
Perfino a quattro zampe, il neozelandese era alto quasi quanto lei. «Non mi dai la possibilità di alzarmi?» le chiese. «No» rispose Juliet, e il fermaglio di giada scattò come il sasso che abbatté Golia. Finì dritto sul naso di Tozz, spaccandoglielo e accecandolo per un paio di minuti. Quanto bastava agli agenti dei Corpi Speciali per calarsi nel pozzo dell'ascensore. Juliet si era aspettata di provare una certa soddisfazione mettendo Tozz fuori gioco, invece c'era solo tristezza. La violenza non le procurava alcuna gioia. Pecto e Pata si sentirono in dovere d'intervenire. Forse, se avessero bloccato la ragazza, il signor Spiro li avrebbe ricompensati. Sollevarono i pugni e conversero su Juliet. «Spiacente, ragazzi» disse lei, agitando un dito «ma ora dovete fare la nanna. Ignorandola, i due continuarono ad avvicinarsi.» «A nanna, ho detto.» Ancora nessuna reazione. «Devi usare le esatte parole che ho impresso loro nel cervello» le ricordò Spinella nell'auricolare. Juliet sospirò. «Se proprio devo... Va bene, signori: Hulk dice di fare la nanna.» Pecto e Pata stavano dormendo prima ancora di toccare terra. Il che lasciava soltanto Spiro, troppo preso dai suoi furiosi farfugliamenti per costituire un vero pericolo. Stava ancora sbraitando quando gli agenti gli misero le manette. «Noi due faremo quattro chiacchiere alla Centrale» disse il capitano a Juliet in tono severo. «Costituisci un pericolo per i tuoi compagni e per te stessa.» «Sì, signore» disse Juliet contrita. «Non so cosa mi è preso, signore.» Lanciò un'occhiata verso l'alto. Una lieve foschia si stava dirigendo verso il pozzo dell'ascensore. Il principale era salvo. Spinella rimise la Neutrino nel fodero e rialzò lo schermo. «Muoviamoci» bisbigliò. Avvolse bene Artemis nel telo mimetico, assicurandosi che non ne sbucasse fuori qualche parte. Era essenziale che se la filassero mentre l'ascensore era vuoto. Una volta che fossero arrivati Scientifica e giornalisti, c'era il rischio che anche un minimo scintillio fosse immortalato su qualche pellicola. Attraversarono al volo la stanza proprio mentre Spiro, che era finalmente
riuscito a calmarsi, veniva trascinato fuori dal laboratorio. «Mi hanno teso una trappola» stava proclamando in tono di sdegnata innocenza. «I miei avvocati chiariranno tutto.» Artemis non seppe trattenersi. «Addio, Jon» sussurrò mentre gli passavano accanto. «Mai sfidare un giovane genio.» Spiro ululò al soffitto come un lupo impazzito. Bombarda li aspettava davanti all'ingresso della Phonetix, facendo rombare il motore del furgone come un pilota di Formula Uno. Era seduto su una cassetta di arance, con un'assicella fissata al piede col nastro adesivo. L'altra estremità dell'assicella era assicurata all'acceleratore. Juliet studiò quel sistema di guida con aria nervosa. «Non dovresti avere il piede libero per poter usare il freno?» «Il freno?» sghignazzò Bombarda. «Che me ne faccio del freno? Mica devo fare l'esame di scuola guida.» Nel retro del furgone, Artemis e Spinella annasparono all'unisono verso la cintura di sicurezza. CAPITOLO 11 L'UOMO INVISIBILE CASA FOWL Raggiunsero l'Irlanda senza troppi problemi, a parte che Bombarda tentò di sfuggire alla custodia di Spinella quindici volte... inclusa una sul jet, dove fu sorpreso in bagno con un paracadute e una bottiglia di lucidaroccia. Dopodiché Spinella non lo perse un attimo di vista. Leale li aspettava sulla soglia di Casa Fowl. «Bentornati. Lieto di vedervi tutti vivi. Adesso devo andare.» Artemis gli poggiò una mano sul braccio. «Amico mio. Non sei in condizioni di andare da nessuna parte.» «Un'ultima missione, Artemis» replicò deciso Leale. «Non ho scelta.» «Tozz?» «Sì.» «Ma è in prigione!» protestò Juliet. Suo fratello scosse la testa. «Non più.»
Per Artemis era chiaro che Leale non avrebbe cambiato idea. «Almeno porta Spinella con te. Può esserti d'aiuto.» La guardia del corpo strizzò l'occhio all'elfo. «Ci contavo.» La polizia di Chicago aveva chiuso Arno Tozz in un cellulare insieme a un paio di agenti. Sufficienti, pensavano, visto che il prigioniero era saldamente ammanettato. Dovettero rivedere la loro opinione quando il furgone fu ritrovato dieci chilometri a sud di Chicago, con gli agenti legati come salami e nessun segno di Tozz. Per citare il rapporto del sergente Lebowski: «Quel tizio ha stracciato le manette come se fossero di carta e ci è venuto addosso con la forza d'una locomotiva. Non abbiamo avuto scampo.» Ma Arno Tozz non fuggì subito. Il suo orgoglio aveva patito una dura batosta, e sapeva che nell'ambiente delle guardie del corpo la notizia della sua umiliazione si sarebbe sparsa in un baleno. Come in seguito Porky LaRue avrebbe scritto nel sito "Soldati a Nolo": Arno si è fatto fregare da un marmocchio col moccio al naso. Tozz era penosamente consapevole che avrebbe dovuto subire battute ironiche da tutti i tipi tosti di sua conoscenza... a meno di lavare nel sangue l'insulto inflittogli da Artemis Fowl. Sapeva di avere poco tempo prima che Spiro rivelasse il suo indirizzo alla polizia di Chicago, perciò impacchettò in tutta fretta un paio di dentiere di riserva e prese la navetta per l'aeroporto O'Hare. Per fortuna le autorità non avevano ancora bloccato la carta di credito delle Industrie Spiro, e Arno la usò per procurarsi un biglietto di prima classe per Londra. Da lì aveva intenzione di andare sulla costa e prendere il primo traghetto per l'Irlanda. Sarebbe semplicemente stato uno dei tanti turisti in visita alla terra dei leprecauni. Non era un piano complicato, e ce l'avrebbe anche fatta se non fosse stato per un particolare: quel giorno, l'addetto al controllo passaporti dell'aeroporto di Heathrow era Sid Commons, l'ex Berretto Verde che un tempo aveva lavorato al fianco di Leale a Montecarlo. Appena Tozz aprì bocca, una serie di campanelli d'allarme squillò nella testa di Commons. Il tizio davanti a lui corrispondeva esattamente alla descrizione che Leale gli aveva mandato via fax. Esatta fino alla dentiera. Piena a metà di liquido azzurrino. Che roba! Commons premette un pulsante sotto il bancone, e nel giro di pochi secondi una squadra della sicurezza aveva preso Tozz in custodia e gli aveva sequestrato il passaporto. Quando il prigioniero fu sottochiave, Commons prese il cellulare e
chiamò l'Irlanda. All'altro capo della linea risuonarono due squilli. «Casa Fowl.» «Leale? Sid Commons, da Heathrow. È arrivato un tizio che potrebbe interessarti. Denti strani, tatuaggi sul collo, accento neozelandese. L'ispettore Justin Barre ci ha mandato la descrizione da Scotland Yard pochi giorni fa; ha detto che forse saresti in grado d'identificarlo.» «È lì?» «Sì. Sottochiave. Gli stanno controllando i documenti.» «Quanto ci vorrà?» «Al massimo un paio d'ore. Ma se è un professionista come dici, un controllo non servirà. Ci serve una confessione per metterlo sottochiave.» «Ci vediamo sotto il quadro delle partenze in Sala Arrivi fra trenta minuti» disse Leale, e riattaccò. Sid Commons fissò il cellulare. Com'era possibile che Leale arrivasse lì dall'Irlanda nel giro di trenta minuti? Non che il "come" gli importasse. Sid sapeva solo che tanti anni prima, a Montecarlo, Leale gli aveva salvato la vita una dozzina di volte. Ora il debito stava per essere saldato. Leale comparve in Sala Arrivi trentadue minuti più tardi. Mentre si stringevano la mano, Sid Commons lo fissò perplesso. «Sembri diverso. Più vecchio.» «È il prezzo delle troppe battaglie» replicò Leale, premendosi una mano sul petto e sforzandosi di contenere l'affanno. «Mi sa che dovrò cominciare a pensare di ritirarmi.» «Posso chiederti come sei arrivato qui?» Leale si raddrizzò la cravatta. «Meglio di no.» «Capisco.» «Dov'è il nostro uomo?» Commons lo guidò verso il retro dell'edificio, oltre le orde di turisti e tassisti che sventolavano cartelli vari. «Da questa parte. Non sei armato, vero? So che siamo amici, ma non posso permetterti di portare armi da fuoco qua dentro.» Leale spalancò la giacca. «Fidati. Conosco le regole.» Salirono di due piani usando un ascensore riservato alla sicurezza, e percorsero un corridoio fiocamente illuminato per quelli che sembravano chilometri. «Eccoci arrivati» disse infine Sid, indicando un pannello rettangolare di cristallo. «È là dentro.» Il cristallo era in realtà un falso specchio. Leale vide Arno Tozz: era se-
duto davanti a un tavolo e tamburellava impaziente le dita sulla superficie di formica. «È lui? È l'uomo che ti ha sparato a Knightsbridge?» Leale annuì. Era lui. La stessa espressione indolente. La stessa mano che aveva premuto il grilletto. «Un'identificazione positiva è già qualcosa, ma si tratta comunque della tua parola contro la sua... e per essere onesti, non sembri molto morto.» Leale mise una mano sulla spalla dell'amico. «Suppongo che tu non...» «No» lo interruppe Commons. «Non puoi entrare là dentro. Assolutamente no. Mi giocherei il lavoro. Del resto, anche se gli strappassi una confessione non reggerebbe in tribunale.» «Capisco. Posso restare comunque? Voglio vedere come andrà a finire.» Commons annuì, sollevato all'idea che Leale non avesse insistito. «Nessun problema. Puoi restare quanto ti pare. Però devo procurarti un tesserino di riconoscimento.» Si avviò nel corridoio, ma subito si voltò. «Non entrare in quella stanza, Leale. Se lo fai, lo perdiamo di sicuro. E poi là dentro è pieno di telecamere.» L'amico gli rivolse un sorriso rassicurante. Una cosa che non faceva spesso. «Non temere, Sid. Non mi vedrai in quella stanza.» «Bene. Ottimo. È solo che a volte, quando hai quell'espressione...» «Sono un uomo diverso, ormai. Più maturo.» Commons scoppiò a ridere. «È ancora lontano, quel giorno.» Girò l'angolo, seguito dall'eco della sua risata. Appena fu scomparso, Spinella abbassò lo schermo e si materializzò accanto a una gamba di Leale. «Telecamere?» sibilò la guardia del corpo con l'angolo della bocca. «Ho controllato la scia ionica. Quaggiù non mi vedranno.» Estrasse un telo mimetico dallo zaino e lo stese a terra. Poi avvolse un pezzetto di filo di ferro contorto attorno a un cavo imbullettato alla parete esterna della cella. «Bene» disse, ascoltando la voce di Polledro nell'orecchio. «È fatta. Siamo a prova di telecamera e microfono. Sai cosa fare?» Leale annuì. Avevano preparato le loro mosse con cura, ma Spinella, da bravo soldato, aveva comunque bisogno di ricapitolare. «Adesso riattivo lo schermo. Dammi un secondo per spostarmi, poi ti avvolgi nel telo ed entri in azione. Hai due minuti prima che il tuo amico ritorni. Dopodiché dovrai cavartela da solo.» «Chiaro.»
«Buona fortuna.» Spinella svanì in uno sbrilluccichio. Dopo pochi secondi, Leale mosse due passi a sinistra, prese il telo e se lo mise addosso. Diventando invisibile a tutti gli effetti. Sempre che non ne sbucasse qualche parte della sua anatomia. Meglio sbrigarsi. Fece scorrere il chiavistello ed entrò nella stanza. Arno Tozz non era eccessivamente preoccupato. Quanto tempo si può trattenere qualcuno solo perché ha una dentiera futuristica? Di sicuro non per molto. Forse, prima di ritirarsi in Nuova Zelanda, avrebbe fatto causa al governo britannico. La porta si aprì di trenta centimetri e subito si richiuse. Tozz sospirò. Il solito vecchio trucco. Fai sudare il prigioniero in solitudine per qualche ora, e poi apri la porta per fargli credere che stiano per arrivare i soccorsi. Così, quando in realtà non entra nessuno, il disgraziato sprofonda nella disperazione. E si avvicina al punto di rottura. «Arno Tozz» sussurrò una voce scaturita dal nulla. Tozz smise di tamburellare sul tavolo e si drizzò di scatto. «Che roba è?» ringhiò. «Un altoparlante nascosto? Questo è un trucco da quattro soldi, gente.» «Sono qui per te» disse la voce. «Sono venuto a pareggiare i conti.» Arno Tozz conosceva quella voce. Se l'era sognata fin da quando il ragazzino irlandese lo aveva avvertito che Leale sarebbe tornato. Assurdo, d'accordo; i fantasmi non esistono. Eppure nello sguardo di Artemis Fowl c'era qualcosa che ti faceva credere a qualunque cosa dicesse. «Leale?» «Ah» disse la voce. «Ti ricordi di me.» Arno esalò un sospiro tremulo, sforzandosi di riprendere il controllo. «Non so che stia succedendo qui, però non ci casco. Che credete? Che me la farò sotto solo perché avete trovato qualcuno con la voce simile a quella di... qualcuno che conoscevo?» «Non è trucco, Arno. Sono proprio qui davanti a te.» «Figuriamoci. Allora com'è che non ti vedo?» «Sei sicuro di non vedermi, Arno? Guarda meglio.» Lo sguardo di Tozz percorse febbrilmente la stanza. Non c'era nessun altro, là dentro. Nessuno. Ne era certo. Però, in un angolo, l'aria sembrava riflettere la luce come uno specchio. «A quanto pare mi hai individuato.» «Non ho individuato proprio niente» balbettò Tozz. «Vedo solo una spe-
cie di foschia. Forse esce da una presa d'aria...» «Davvero?» disse Leale, liberandosi del telo mimetico. A Tozz sembrò che si fosse materializzato dal nulla. Scattò in piedi, scaraventando la sedia contro il muro. «Oddio! Chi sei?» Leale piegò appena le ginocchia. Pronto all'azione. Era più vecchio, è vero, ma la magia del Popolo aveva accelerato i suoi tempi di reazione e aveva molta più esperienza di Tozz. A Juliet sarebbe piaciuto occuparsi di quel lavoretto per conto suo, ma certe cose bisogna farle personalmente. «Sono la tua guida, Arno. Sono venuto per portarti a casa. C'è parecchia gente ansiosa di vederti.» «C-c-casa?» balbettò Tozz. «Che significa, casa?» Leale fece un passo avanti. «Lo sai che significa, Arno. Casa. La tua destinazione finale. Da sempre. Il posto dove hai mandato tanti altri, me compreso.» Tozz puntò un dito tremante. «Sta' lontano da me. Ti ho ucciso una volta e posso farlo di nuovo.» Leale rise. Un suono decisamente sgradevole. «È qui che ti sbagli, Arno. Non posso morire di nuovo. Del resto la morte è una bazzecola... confronto a quello che viene dopo.» «Che viene dopo...» «L'inferno esiste, Arno. L'ho visto... e credimi, lo vedrai anche tu.» Tozz gli credeva, eccome; in fin dei conti, Leale era apparso dal nulla. «Non lo sapevo» singhiozzò. «Non ci credevo. Fosse stato per me, non ti avrei mai sparato, Leale. Eseguivo gli ordini di Spiro. Lo hai sentito anche tu. Ero solo il ferraiolo; non sono mai stato altro.» Leale gli mise una mano sulla spalla. «Ti credo, Arno. Stavi solo eseguendo gli ordini.» «Sì, sì, è così.» «Ma questo non basta. Devi scaricarti la coscienza. Se non lo fai, dovrò portarti con me.» «Come?» chiese supplichevole Tozz, gli occhi arrossati dalle lacrime. «Come faccio?» «Confessa i tuoi peccati alle autorità. Tutti, dal primo all'ultimo... o tornerò a prenderti.» Tozz annuì volenteroso. Il carcere era sempre meglio dell'alternativa. «E ricorda: ti terrò d'occhio. Hai una sola possibilità di salvarti. Se non la usi, mi rivedrai.»
La dentiera schizzò fuori dalla bocca spalancata di Tozz e rotolò per terra. «Non p'eosciupatti. Confiescio. Prommesscio.» Leale risollevò il telo mimetico, e scomparve. «Fallo» disse la sua voce incorporea «o sconterai i tuoi peccati all'inferno.» Uscì in corridoio, ripiegò il telo mimetico e se lo infilò dentro la giacca un attimo prima che Sid Commons ricomparisse col tesserino. I suoi occhi si posarono su Arno Tozz, ancora in piedi, a bocca aperta e occhi sbarrati. «Che gli hai fatto, Leale?» «Ehi, io non c'entro. Controlla i filmati. Di punto in bianco si è messo a parlare da solo, a urlare che voleva confessare.» «Confessare? Così tutt'a un tratto?» «So che sembra assurdo, ma è vero. Fossi in te, farei una telefonata a Scotland Yard. Ho la sensazione che la confessione di Tozz farà luce su un sacco di casi irrisolti.» Commons lo scrutò sospettoso. «Perché mi sembra di intuire che tu sappia più di quanto mi stai dicendo?» «Non ne ho idea. Comunque le sensazioni non sono una prova, e le telecamere mostreranno che non ho mai messo piede in quella stanza.» «Sicuro che non mostreranno altro?» Leale lanciò un'occhiata alla chiazza d'aria scintillante che si librava al di sopra di Sid Commons. «Assolutamente sicuro.» CAPITOLO 12 SPAZZAMENTE CASA FOWL Il viaggio di ritorno da Heathrow durò più di un'ora, a causa di una turbolenza particolarmente vivace e di un vento contrario sopra le colline del Galles. Quando finalmente Spinella e Leale atterrarono a Casa Fowl, la LEP era impegnata ad ammucchiare sul viale l'attrezzatura spazzamente col favore della notte. Leale si sganciò dalla Cintoluna e si appoggiò al tronco di una betulla, massaggiandosi il petto. «Tutto bene?» chiese Spinella.
«È il Kevlar. Torna comodo se ti sparano contro una pallottola di piccolo calibro, però toglie il fiato.» Spinella richiuse le ali meccaniche. «D'ora in poi ti aspetta una vita tranquilla.» Proprio allora Leale si accorse che un pilota della LEP tentava di parcheggiare la sua navetta in garage bottando il parafango della Bentley. «Vita tranquilla» borbottò, puntando in quella direzione. «Magari.» Dopo aver finito di terrorizzare lo spiritello-pilota, Leale andò nello studio, dove lo aspettavano sua sorella e Artemis. Juliet lo abbracciò con tanta forza da lasciarlo nuovamente senza fiato. «Sto bene, sorellina. Il Popolo mi ha revisionato a tal punto che supererò i cent'anni. Resterò ancora un pezzo in circolazione per tenerti d'occhio.» Artemis passò subito agli affari. «Com'è andata?» Leale aprì una cassaforte nascosta dietro una presa dell'aria condizionata. «Bene, direi. Ho tutto quello che c'era sulla lista.» «Che mi dici di quel lavoretto su ordinazione?» Leale depose sei boccette sulla scrivania. «Il mio contatto di Limerick ha seguito le tue istruzioni alla lettera. In tanti anni di lavoro non aveva mai fatto niente del genere. Le ha messe in una soluzione speciale per bloccare la corrosione. Sono così sottili che cominciano a ossidarsi appena entrano in contatto con l'aria, perciò suggerisco d'inserirle solo all'ultimissimo momento.» «Eccellente. Probabilmente sarò il solo ad averne bisogno, ma per precauzione le metteremo tutti.» Leale fece oscillare una moneta d'oro appesa a una sottile striscia di cuoio. «Ho copiato su un minidisco laser il tuo diario e le informazioni sul Popolo, e poi l'ho fatto dorare. Non reggerà un esame accurato, ma ricoprirlo d'oro fuso avrebbe distrutto il disco.» Artemis si legò al collo la striscia di cuoio. «Dovrà bastare. Hai preparato le false tracce?» «Sì. Ti ho inviato una e-mail piena zeppa d'informazioni e ho affittato qualche megabyte in uno speciale sito Internet. Mi sono anche preso la libertà di seppellire una capsula temporale nel labirinto.» Artemis annuì. «Bene. A questo non avevo pensato.» Leale accettò il complimento, però non ci credette. Artemis pensava sempre a tutto. «Sai, Artemis» intervenne Juliet, aprendo bocca per la prima volta. «Forse certi ricordi sarebbe meglio perderli. Per dare un po' di respiro alle
fatine.» «Certi ricordi fanno parte di me» replicò Artemis. Esaminò le fiale sul tavolo e ne scelse due. «Ora mettiamoci queste, tutti quanti. Sono certo che il Popolo non vede l'ora di spazzarci la mente.» I tecnici di Polledro si erano installati in sala riunioni, dove erano occupati a sistemare un carico di elettrodi e fibre ottiche. Ogni cavo era connesso a uno schermo al plasma che convertiva le onde cerebrali in informazioni binarie. In questo modo avrebbe potuto leggere i ricordi degli umani come un libro aperto ed eliminare quelli pericolosi per il Popolo. La parte più incredibile del procedimento era che sarebbe stato lo stesso cervello umano a fornire ricordi alternativi per riempire i vuoti. «Potremmo eseguire lo spazzamente con un'attrezzatura da campo» spiegò quando ebbe davanti i suoi pazienti «ma così avremmo una ripulitura totale. Si cancellerebbe tutto quello che è successo negli ultimi diciotto mesi. Il che avrebbe serie conseguenze per il vostro sviluppo emotivo, per non parlare del QI. Perciò eseguiremo uno spazzamente mirato, per cancellare solo i ricordi relativi al Popolo. Com'è ovvio, per non correre rischi, dovremo anche cancellare completamente i giorni che avete passato in nostra compagnia.» Artemis, Leale e Juliet erano seduti attorno a un tavolo, e gnomi tecnici erano indaffarati a inumidire loro le tempie con batuffoli inzuppati di disinfettante. «Stavo pensando una cosa...» cominciò Leale. «Non dirmelo» lo interruppe il centauro. «La faccenda dell'età, giusto?» Leale annuì. «Sono in parecchi a conoscermi come un uomo di quarant'anni. Non potete spazzare la mente a tutti.» «Ci abbiamo già pensato. Mentre sarai privo di sensi, ti daremo una passata al laser per eliminare un po' di cellule morte. E un chirurgo plastico è già pronto per cancellarti le rughe dalla fronte con una iniezione Rugiapiù.» «Rugiapiù?» «Grasso. Lo si toglie da una parte e lo si inietta dall'altra.» L'idea non sembrò entusiasmare Leale. «Questo grasso... non lo toglierete mica dal mio didietro?» Polledro si dimenò, a disagio. «No, non dal tuo didietro.» «Come sarebbe?»
«Accurate ricerche hanno dimostrato che fra tutte le razze del Popolo, quella dei nani è la più longeva. A quanto si dice, uno dei loro minatori ha battuto il record dei duemila anni. Mai sentita l'espressione: "Liscio come il didietro d'un nano?"» Leale scostò bruscamente un tecnico che stava tentando di fissargli un elettrodo sul cranio. «Mi stai dicendo che il grasso proveniente dal didietro di un nano mi verrà iniettato nella fronte?» Polledro si strinse nelle spalle. «Il prezzo della giovinezza. Certi spiritelli pagherebbero una fortuna per un trattamento Rugiapiù.» «Io non sono uno spiritello» sibilò Leale a denti stretti. «Abbiamo anche un gel speciale per tingerti i capelli» proseguì in fretta il centauro «nonché qualunque tipo di peli tu decida di farti crescere in futuro. E un pigmento colorato per coprire la macchia lasciata dal Kevlar. Quando ti sveglierai, in apparenza sarai di nuovo giovane.» «Astuto» commentò Artemis. «Me l'aspettavo.» Spinella entrò insieme a Bombarda. Il nano era ammanettato e sembrava estremamente depresso. «È proprio necessario» piagnucolò, sollevando le mani «dopo tutto quello che ho passato?» «È in gioco il mio distintivo» replicò Spinella. «Il comandante ha detto che o torno con te, o non torno affatto.» «Che altro devo fare? Il grasso l'ho donato, no?» Leale gemette. «Per l'amor del cielo!» Juliet ridacchiò. «Non preoccuparti, Dom. Non te ne ricorderai.» «Addormentatemi» disse Leale. «Alla svelta.» «Non c'è di che» brontolò Bombarda, tentando di strofinarsi il didietro. Spinella gli tolse le manette, ma gli restò alle costole. «Ci teneva a salutarvi, perciò eccoci qui.» Diede una spinta a Bombarda. «Da bravo, salutali.» Juliet gli strizzò l'occhio. «Addio, Puzzolo.» «Altrettanto a te, Lezzona.» «Attento a non fare indigestione di cemento.» «Questo genere di battute non è divertente» protestò Bombarda con una smorfia. «Chi sa... Magari un giorno ci rivedremo.» «Se mai capitasse» replicò il nano, accennando ai tecnici affaccendati attorno ai computer «grazie a loro sarà la prima volta.» Leale s'inginocchiò per portarsi al suo livello. «Bada a te stesso, picco-
letto. E sta' alla larga dai goblin.» Bombarda rabbrividì. «Non c'è bisogno che me lo dici.» La faccia del comandante Tubero comparve su uno schermo scorrevole approntato da un agente LEE «Cos'è, avete intenzione di fidanzarvi?» latrò. «Non capisco perché la facciate tanto lunga. Fra dieci minuti neanche vi ricorderete il nome di quella canaglia.» «Abbiamo il comandante in linea» annunciò un tecnico. Un annuncio decisamente superfluo. Bombarda alzò lo sguardo verso la minitelecamera montata sullo schermo. «Insomma, Julius. Ti rendi conto che questi umani mi devono la vita? Per loro è un momento importante.» La ricezione difettosa rendeva ancora più acceso il colorito di Tubero. «Non m'importa un accidente dei vostri momenti importanti. Sono qui per assicurarmi che fili tutto liscio. Se conosco bene il nostro amico Fowl, sono sicuro che ha qualche asso nella manica.» «Ma comandante!» protestò Artemis. «I suoi sospetti mi feriscono.» Però non riuscì a nascondere un sorriso. Tutti sapevano che avrebbe provato a nascondere qualcosa per riattivare i ricordi residui; stava alla LEP trovarlo. Sarebbe stata la loro ultima gara. Adesso si alzò e si avvicinò a Bombarda Sterro. «Sai una cosa, Bombarda? Di tutto il Popolo, sentirò la mancanza soprattutto di te e dei tuoi servigi. Insieme, avremmo avuto un brillante futuro.» Bombarda sembrò commosso. «Vero. Col tuo cervello e il mio talento...» «Per non parlare della disonestà di entrambi.» «Nessuna banca del pianeta sarebbe stata al sicuro» completò il nano. «Che occasione perduta.» Artemis tentò del suo meglio per mostrarsi sincero. Era essenziale per il suo piano. «So che hai rischiato la vita tradendo gli Antonelli, perciò mi piacerebbe regalarti qualcosa.» Nella fantasia di Bombarda turbinarono visioni di fondi fiduciari e conti esteri. «Non ce n'è bisogno. Davvero. Anche se ho corso un pericolo mortale.» «Esatto» disse Artemis, sfilandosi dal collo il medaglione dorato. «So che questo non è abbastanza, ma per me significa molto. Avevo pensato di tenerlo, però mi sono reso conto che fra pochi minuti non avrà più nessun
senso per me. Mi piacerebbe che lo avessi tu; e penso che Spinella sarebbe d'accordo. In ricordo delle nostre avventure.» «Però» disse Bombarda, soppesando il medaglione. «Dieci grammi d'oro. Ti sei sprecato.» Artemis gli afferrò una mano. «Non esiste soltanto l'oro, Bombarda.» Tubero allungò il collo, nel tentativo di vedere che succedeva. «Che roba è? Cos'ha dato al prigioniero?» Spinella afferrò il medaglione e lo mostrò alla telecamera. «Una moneta d'oro, comandante. L'avevo data ad Artemis io stessa.» Polledro fissò la piccola medaglia. «In effetti questo ammazza due puzzovermi con uno spiedo. La moneta avrebbe potuto risvegliare qualche ricordo residuo. Improbabile, però possibile.» «E l'altro puzzoverme?» «Bombarda avrà qualcosa da guardare durante il suo soggiorno in galera.» «E va bene. Può tenerlo. Adesso caricatelo sulla navetta e andate avanti col vostro lavoro. Fra dieci minuti ho una riunione del Consiglio.» Spinella condusse fuori Bombarda, e Artemis si rese conto che gli dispiaceva vederlo andare via. Ma soprattutto gli dispiaceva pensare che forse avrebbe perso per sempre il ricordo della loro amicizia. I tecnici calarono su di loro come mosche su una carcassa. In pochi secondi, ogni umano nella stanza aveva elettrodi attaccati alle tempie e ai polsi. Ogni gruppo di elettrodi era collegato a uno schermo al plasma tramite un trasformatore neurale. Ricordi cominciarono a guizzare sugli schermi. Polledro studiò le immagini. «Troppo presto» annunciò. «Calibrateli a diciotto mesi fa. Anzi, no: facciamo tre anni. Non voglio che Artemis progetti daccapo il rapimento che ha dato il via a tutto quanto.» «Bravo, Polledro» commentò Artemis. «Speravo che questo ti sfuggisse.» Il centauro ammiccò. «Non è la sola cosa a non essermi sfuggita.» Sullo schermo, i pixel che formavano la bocca di Tubero si allargarono in un sorriso. «Diglielo, Polledro. Non vedo l'ora di vedere che faccia fa.» Polledro consultò il suo computer palmare. «Abbiamo controllato la tua e-mail... e indovina un po'?» «Dimmelo tu.» «Abbiamo trovato un file sul Popolo che aspettava solo d'essere ricevuto. Abbiamo anche eseguito una ricerchina su Internet. E guarda un po'...
qualcuno col tuo indirizzo e-mail aveva preso in affitto qualche megabyte in un magazzino virtuale. Altri file sul Popolo.» Artemis non batté ciglio. «Dovevo provarci. Sono sicuro che capisci.» «Non hai da dirci altro?» Artemis sgranò gli occhi, l'immagine stessa dell'innocenza. «Assolutamente niente. Sei troppo furbo per me.» Polledro prese un piccolo disco laser e lo inserì in un computer collegato in rete sul tavolo. «Tanto per precauzione, farò esplodere nel tuo sistema un virus che cancellerà soltanto i file sul Popolo, lasciando gli altri intatti. Non solo: resterà nel sistema per altri sei mesi, nel caso che per miracolo tu fossi riuscito a batterci in astuzia.» «E me lo dici perché tanto non me ne ricorderò.» Polledro eseguì un rapido paso doble e batté le mani. «Esatto.» «Guarda un po' cos'hanno trovato sepolta in giardino» annunciò Spinella, rientrando con una capsula di metallo al seguito. Ne riversò il contenuto sul tappeto: una vera e propria collezione di CD e copie del diario di Artemis. Polledro esaminò un CD. «Qualcosa che ti eri scordato di menzionare?» Buona parte della baldanza di Artemis sembrò svanire mentre i suoi legami col passato venivano recisi a uno a uno. «Mi era sfuggito di mente.» «Questo è tutto, presumo. Non c'è altro.» Artemis incrociò le braccia. «E se rispondessi di sì, suppongo che mi crederesti.» Tubero rise così forte che lo schermo sembrò tremare. «Come no, Fowl. Ci fidiamo completamente di te. Come non potremmo, dopo tutto quello che ci hai fatto passare? Se non ti dispiace, gradiremmo farti qualche domanda sotto fascino... e stavolta senza occhiali da sole.» Diciotto mesi prima, Artemis aveva sostenuto con successo lo sguardo ipnotico di Spinella grazie a un paio di occhiali da sole a specchio. Era stata la prima volta che aveva battuto il Popolo. Non sarebbe stata l'ultima. «Bene, allora. Procediamo.» «Capitano Tappo» latrò Tubero. «Sai cosa fare.» Spinella si tolse l'elmetto e si massaggiò la punta delle orecchie per ristabilire la circolazione. «Adesso ti affascinerò e ti farò qualche domanda. Non è la prima volta, perciò sai che la procedura non è dolorosa. Ti consiglio di rilassarti; se
tenti di resistere, potrebbero perfino derivarne danni al cervello.» Artemis sollevò una mano. «Aspetta. Ho ragione di presumere che al mio risveglio sarà tutto finito?» Spinella sorrise. «Esatto, Artemis. Questo è davvero un addio.» Nonostante la tempesta di emozioni dentro di lui, il viso di Artemis restò impassibile. «Bene, allora, ho alcune cosa da dire.» A dispetto di se stesso, Tubero era curioso. «Hai un minuto, Fowl. Poi ci salutiamo.» «Benissimo. Prima di tutto devo ringraziarvi. È stato il Popolo a restituirmi la mia famiglia e i miei amici. Vorrei non doverlo dimenticare.» Spinella gli mise una mano sulla spalla. «È meglio così, Artemis. Credimi.» «Secondo: voglio che ripensiate al nostro primo incontro. Ve ne ricordate?» Spinella rabbrividì. Ricordava fin troppo bene l'essere gelido che l'aveva attaccata quella lontana notte nell'Irlanda del Sud. E il comandante Tubero non avrebbe mai scordato d'essere sfuggito per il rotto delle ali all'esplosione di una carretta del mare. Quanto a Polledro, la prima volta che aveva visto Artemis era stata guardando una registrazione dei negoziati per liberare Spinella. All'epoca il ragazzo era davvero un individuo ignobile a tutti gli effetti. «Se cancellate i ricordi e l'influenza del Popolo» proseguì Artemis «potrei tornare a essere quello che ero. Lo desiderate davvero?» Era un pensiero agghiacciante. L'influsso del Popolo era responsabile della trasformazione di Artemis? E, in tal caso, avevano il diritto di farlo tornare com'era? Spinella si voltò verso lo schermo. «È possibile? Artemis è molto cambiato. Abbiamo il diritto di distruggere i suoi progressi?» «Ha ragione» aggiunse Polledro. «Non avrei mai pensato di doverlo dire, ma in un certo senso il nuovo modello mi piace.» Tubero aprì un'altra finestra sullo schermo. «La PsicoFratellanza ci ha consegnato un rapporto basato sul calcolo delle probabilità. Secondo loro, le possibilità che torni com'era sono irrisorie. Fowl sarà comunque circondato dall'influenza positiva dalla sua famiglia e dei Leale.» «La PsicoFratellanza?» obiettò Spinella. «Argon e i suoi accoliti? Da quand'è che abbiamo cominciato a fidarci di quegli stregomedici?» Tubero aprì la bocca per urlare, ma poi ci ripensò. Una cosa che non capitava spesso.
«Spinella» disse quasi gentilmente «qui è in gioco il futuro della nostra civiltà. Quello di Artemis non ci riguarda.» Le labbra di Spinella si tesero in una linea dura. «Se è così, allora siamo spregevoli proprio come i Fangosi.» Il comandante decise di tornare al suo solito stile. «Ascolta, capitano» ruggì. «Avere il comando significa anche prendere decisioni sgradevoli. E non avercelo significa chiudere il becco e obbedire. Adesso sbrigati ad affascinare quell'umano prima che cada la comunicazione.» «Sì, signore. Come vuole, signore.» Spinella si piantò di fronte ad Artemis e lo fissò dritto negli occhi. «Addio, Spinella. Non ti rivedrò... anche se sono sicuro che tu vedrai me.» «Rilassati, Artemis. E fai un bel respiro profondo.» Quando Spinella tornò a parlare, la sua voce era densa di fascino. «Abbiamo fatto un bel lavoro con Spiro, eh?» Artemis sorrise sonnolento. «Sì. L'ultima avventura. D'ora in poi farò il bravo.» «Com'è che ti vengono in mente certi piani?» Le palpebre di Artemis si abbassarono. «Abilità naturale, suppongo. Ereditata da generazioni e generazioni di Fowl.» «Scommetto che faresti qualunque cosa per salvare i tuoi ricordi del Popolo.» «Quasi...» «E cos'è che hai fatto?» Artemis sorrise. «Qualcosina...» «Di che genere?» «È un segreto. Non posso dirtelo.» Spinella aumentò la dose di fascino. «Dimmelo, Artemis. Sarà il nostro segreto.» Una vena pulsò sulla tempia del ragazzo. «Non lo racconterai a nessuno? Non lo dirai al Popolo?» Spinella lanciò un'occhiata colpevole allo schermo. Tubero le fece cenno di continuare. «Non lo dirò a nessuno. Resterà fra noi.» «Leale ha nascosto una capsula nel labirinto.» «E...?» «Mi ha mandato una e-mail. Però mi aspetto che Polledro la scopra. Servirà a dargli un senso di falsa sicurezza.»
«Ma che furbacchione. E c'è qualcos'altro che dovrebbe trovare?» Artemis accennò un sorriso astuto. «Leale ha seppellito una capsula in giardino, e io ho nascosto un file in un magazzino virtuale. La bomba elettronica di Polledro non lo toccherà. Il provider mi spedirà un promemoria fra sei mesi. Quando lo riceverò, i dati faranno scattare i ricordi residui e forse li risveglieranno completamente.» «Nient'altro?» «No. Il magazzino virtuale è l'ultima speranza. Se il centauro lo trova, allora il mondo del Popolo è perduto per sempre.» L'immagine di Tubero sfrigolò sullo schermo. «Bene. Stiamo perdendo il collegamento. Stendili e spazzali. Registra l'intero procedimento. Non crederò che Artemis sia fuori gioco finché non avrò visto il filmato.» «Forse dovrei interrogare anche gli altri...» «Negativo. Lo ha detto anche Fowl. Il magazzino virtuale era l'ultima speranza. Va' avanti come da programma.» L'immagine del comandante scomparve fra onde di statica. «Sì, signore.» Spinella si rivolse ai tecnici. «Avete sentito. Procediamo. Il sole sorge fra un paio d'ore, e per allora dobbiamo essere tutti sottoterra.» I tecnici controllarono che gli elettrodi fossero al loro posto e tirarono fuori tre paia di sonnomaschere. «Queste le sistemo io» disse Spinella. Passò l'elastico della prima sotto la treccia di Juliet. «Sai una cosa?» le disse. «Fare la guardia del corpo è un lavoro per gente di ghiaccio. Tu hai troppo cuore per riuscirci.» «Tenterò di tenermi stretto questo pensiero» replicò Juliet, annuendo. Spinella le sistemò gentilmente la mascherina sugli occhi. «E io ti terrò d'occhio.» Juliet sorrise. «Ci vedremo nei miei sogni.» Spinella premette un bottoncino sulla sonnomaschera e una combinazione di luci ipnotiche e sedativo somministrato attraverso le ventose stese Juliet in meno di cinque secondi. Dopo toccò a Leale. I tecnici avevano dovuto allungare l'elastico della sonnomaschera perché riuscisse a circondargli il cranio rasato. «Bada che Polledro non si faccia prendere la mano» le raccomandò la guardia del corpo. «Non voglio svegliarmi con quarant'anni di niente nella testa.» «Non temere» lo rassicurò Spinella. «Di solito sa quello che fa.»
«Bene. E ricorda: se mai il Popolo avesse bisogno d'aiuto, sono a vostra disposizione.» Spinella premette il bottone. «Me ne ricorderò» disse piano. Artemis era l'ultimo. Sotto fascino sembrava quasi sereno. Per una volta la sua fronte non era aggrottata e, a non conoscerlo, sarebbe quasi potuto sembrare un tredicenne come tanti. Spinella si voltò verso Polledro. «Sicuro?» Il centauro scrollò le spalle. «Che scelta abbiamo? Gli ordini sono ordini.» Spinella sistemò la mascherina sugli occhi del ragazzo e premette il pulsante. In pochi secondi Artemis si afflosciò sulla sedia, e subito righe in gnomico cominciarono a scorrere sullo schermo alle sue spalle. Ai tempi di Re Foglietta, lo gnomico era scritto in spirali. Uno stile che però faceva venire il mal di testa alla maggior parte degli elfi. «Inizio cancellazione» ordinò Polledro. «Però salva una copia. Un giorno o l'altro, quando avrò qualche settimana libera, voglio scoprire com'è che funziona il cervello di questo giovanotto.» Spinella guardò la vita di Artemis scorrere in simboli verdi sullo schermo. «Non sembra giusto» commentò. «Se ci ha scoperti una volta, potrebbe riuscirci di nuovo. Specialmente se torna a essere il mostro che era.» Polledro continuò a pestare su una tastiera ergodinamica. «Forse. Però la prossima volta saremo pronti.» «È un peccato» sospirò Spinella. «Proprio ora che eravamo quasi amici.» Il centauro sbuffò. «Sicuro. Come si può essere amici di una vipera.» Spinella abbassò di colpo la visiera, nascondendo gli occhi. «Hai ragione. Non potevamo essere amici. Sono state le circostanze che ci hanno avvicinati, nient'altro.» Polledro le batté su una spalla. «Brava ragazza. Sempre in gamba... Dove stai andando?» «A Tara. Voglio farmi un volo. Ho bisogno d'aria fresca.» «Non hai il permesso di volare. Tubero ti strapperà il distintivo.» «Per che cosa?» replicò Spinella, dando gas alle ali. «In teoria, io nemmeno sono qui, giusto?» E filò via, attraversando l'ingresso e schizzando fuori dal portone, per poi innalzarsi rapidamente nella notte. Per un istante la sua figura sottile si stagliò contro la luna piena e poi scomparve, vibrando oltre lo spettro visi-
bile. Polledro la seguì con lo sguardo. Creature emotive, gli elfi. In un certo senso, i peggiori agenti della Ricog. Prendevano tutte le decisioni col cuore. Però Tubero non avrebbe mai licenziato Spinella. Lei era nata per quel lavoro. E poi... chi altri avrebbe salvato il Popolo, se Artemis Fowl li avesse trovati di nuovo? Bombarda entrò nella cella della navetta sentendosi estremamente dispiaciuto per se stesso, e tentò di sedersi sulla panca senza però toccarla col posteriore indolenzito. Un'impresa non facile. Bisognava ammettere che le sue prospettive non erano rosee. Dopo tutto quello che aveva fatto per la LEP, lo avrebbero messo sottochiave per almeno dieci anni. Tutto per qualche miserabile lingotto d'oro. Difficilmente gli si sarebbe presentata la possibilità di fuggire. Al momento era circondato da acciaio e sbarre laser, e così sarebbe rimasto finché la navetta fosse atterrata a Cantuccio. Dopodiché una rapida gita alla Centrale, un'udienza ancora più rapida, e sarebbe finito in un carcere di massima sicurezza finché la barba gli fosse diventata grigia. Il che sarebbe successo di sicuro, se fosse stato costretto a passare più di cinque anni fuori delle gallerie. Però c'era ancora speranza. Una briciola appena. Aspettò d'essere solo, dopodiché aprì con noncuranza la mano destra e si strofinò le tempie con pollice e indice. In realtà stava leggendo il biglietto che aveva nascosto nel palmo... quello che Artemis Fowl gli aveva passato quando gli aveva stretto la mano. Il biglietto diceva: Non ho finito con te, Bombarda Sterro. Quando sarai a Cantuccio, di' al tuo avvocato di controllare la data sul primo mandato di perquisizione della tua caverna. dopo che ti avranno rilasciato, comportati bene per un paio d'anni. E poi riportami il medaglione. Uniti, nessuno potrà fermarci. Il tuo amico e futuro benefattore. Artemis Fowl Junior Bombarda appallottolò il biglietto e se lo ficcò in bocca, dove i suoi molari lo triturarono in un baleno. Sbuffò con forza dal naso. Non era ancora tempo di stappare una bottiglia di Vinverme di Rocca. Potevano volerci mesi, forse addirittura anni,
per ottenere una revisione del processo. Però c'era una speranza. Strinse le dita attorno al medaglione. Uniti, nessuno avrebbe potuto fermarli. EPILOGO DIARIO DI ARTEMIS FOWL. DISCHETTO 2. IN CODICE. Ho deciso di tenere un diario. In effetti, mi stupisce non averci pensato prima. Il lavorio di una mente come la mia dev'essere documentato a beneficio delle future generazioni di Fowl. Naturalmente dovrò custodire questo documento con la massima cura. Per quanto prezioso possa essere per i miei discendenti, ancor più lo sarebbe per gli agenti che di continuo tentano di trovare prove a mio carico. E ancora più importante è tenerlo nascosto a mio padre. Dal suo ritorno dalla Russia non è più lo stesso. Non fa che parlare di nobiltà ed eroismo. Concetti astratti, a dir poco. Per quanto mi risulta, nobiltà ed eroismo non sono accettati da nessuna delle maggiori banche mondiali. Il patrimonio di famiglia è nelle mie mani e io lo proteggerò come ho sempre fatto, escogitando piani ingegnosi. E per lo più illegali. Tutti i piani migliori lo sono. I veri profitti si annidano nelle zone d'ombra al di là della legge. Comunque, per rispetto verso i valori nei quali credono i miei genitori, ho deciso di cambiare il criterio di scelta delle future vittime. Penso che l'ecologia della Terra trarrebbe beneficio dalla bancarotta di parecchie società globalizzate, e ho perciò deciso di aiutarle a percorrere questa strada. Ci andrà di mezzo qualcuno, è chiaro, ma nessuno verserà troppe lacrime per lui. Questo non significa che sono diventato un debole, un moderno Robin Hood. Tutt'altro. Intendo trarre sostanziosi profitti dai miei crimini. Ma non è solo mio padre a essere cambiato. Leale è invecchiato praticamente da un giorno all'altro. Il suo aspetto è quello di sempre, ma per quanto tenti di nasconderlo, i suoi riflessi sono notevolmente rallentati. Comunque non ho intenzione di sostituirlo. È stato un dipendente fedele, e la sua esperienza resta ineguagliabile. Forse, quando avrò bisogno di protezione, potrà accompagnarmi Juliet... anche se ora afferma che la vita della guardia del corpo non fa per lei. La settimana prossima andrà negli Stati Uniti per tentare di entrare in una squadra di lotta libera. Ha scelto
come pseudonimo "Principessa Giada". Posso solo sperare che fallisca l'audizione, però ne dubito. È una Leale, in fin dei conti. Naturalmente ho in corso diverse imprese delle quali posso occuparmi senza bisogno di una guardia del corpo. Recentemente ho sviluppato un programma per computer in grado di trasferire sul mio conto corrente i fondi dai conti bancari altrui. Dovrà essere aggiornato di continuo per mantenersi un passo avanti rispetto alla squadra anticrimine computerizzata. La versione 2.0 dovrebbe essere on line entro sei mesi. Per non parlare della mia abilità di falsario. In passato mi ero dedicato agli Impressionisti, ma ora, chissà perché, sono attratto da soggetti più fantastici, tipo le creature fatate dipinte da Pascal Hervé nella sua serie Mondo Magico. Ma tutti questi progetti sono temporaneamente sospesi, perché oggi ho scoperto d'essere vittima di un complotto. La giornata ha avuto uno strano inizio. Al mio risveglio ho provato una bizzarra sensazione. Per un momento, prima di aprire gli occhi, mi sono sentito soddisfatto, senza più traccia della mia abituale ansia di accumulare ricchezza. Forse l'umore era un rimasuglio di qualche sogno, o forse il comportamento di mio padre è contagioso. Quale ne sia la causa, devo fare attenzione a evitare in futuro simili cedimenti. Considerato l'attuale stato d'animo di mio padre, non è questo il momento di vacillare. Devo essere deciso come sempre. Per i Fowl, il crimine è la strada da seguire. Aurea est potestas. Ma pochi minuti più tardi, mi sono trovato davanti un mistero più grande. Mentre mi lavavo la faccia, un piccolo oggetto mi è caduto da un occhio nel lavandino. Un attento esame in laboratorio ha rivelato che si trattava di una lente a contatto colorata e semicorrosa. Non solo: dietro la lente era stato aggiunto uno strato a specchio. Ingegnoso. Senza dubbio opera di un abile artigiano. Ma a quale scopo? È strano, ma ho la sensazione che la risposta si celi da qualche parte nel mio cervello. Nascosta nell'ombra. La mia sorpresa è aumentata a dismisura quando anche Juliet e Leale hanno scoperto di avere lenti a contatto simili. Lenti così geniali che avrebbero potuto essere una mia trovata... perciò ovviamente lo sconosciuto avversario non va sottovalutato. Comunque non dubito di riuscire a rintracciare il responsabile. Seguirò ogni traccia. A Limerick, Leale ha un contatto che potrebbe riconoscere la mano del fabbricante, e in questo stesso momento è in viaggio per andare a parlargli.
Dunque un nuovo capitolo si apre nella vita di Artemis Fowl Junior. Fra pochi giorni mio padre tornerà a casa con la sua coscienza nuova di zecca. E fra breve sarò spedito in collegio, dove avrò accesso a un patetico centro computer e a un ancor più patetico laboratorio. Il mio fidato assistente sembra diventato troppo vecchio per svolgere compiti impegnativi, e un avversario ignoto installa strani oggetti sulla mia stessa persona. Difficoltà schiaccianti, potreste pensare. Qualunque persona normale tirerebbe giù il battente e sparirebbe dalla circolazione. Ma io non sono una persona normale. Io sono Artemis Fowl, ultimo discendente della dinastia criminale Fowl, e niente e nessuno mi distoglierà dalla mia strada. Scoprirò chi ha inserito nei miei occhi quelle lenti, e gli farò pagare cara tanta presunzione. Dopodiché, una volta sbarazzatomi di questa seccatura, i miei piani procederanno senza altri impedimenti. Scatenerò un'ondata criminale quale nessuno ha mai visto. E il mondo ricorderà a lungo il nome di Artemis Fowl. ECCOTI LA CHIAVE DI LETTURA DELL'ANTICO ALFABETO DEL PICCOLO POPOLO, CHE HAI GIÀ TROVATO NEL PRIMO VOLUME ARTEMIS FOWL, E CHE TI PERMETTERÀ DI LEGGERE ANCHE I TITOLI DEI CAPITOLI... DISEGNATI.
FINE