Ken Follett
Alta finanza 1977
ORE 6.00. Era stata la notte più fortunata della vita di Tim Fitzpeterson. Lo pensò qua...
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Ken Follett
Alta finanza 1977
ORE 6.00. Era stata la notte più fortunata della vita di Tim Fitzpeterson. Lo pensò quando aprì gli occhi e vide la ragazza che dormiva ancora nel letto accanto a lui. Non si mosse per non svegliarla; ma la guardò quasi furtivamente nella fredda luce dell'aurora londinese. Dormiva distesa sul dorso, con l'abbandono totale di un bambino. Tim ricordò la sua Adrienne quando era piccina. Ma scacciò dalla mente quel pensiero sgradito. La ragazza al suo fianco aveva i capelli rossi che aderivano alla piccola testa come un caschetto facendo risaltare le minuscole orecchie. Tutti i lineamenti erano minuti: naso, mento, zigomi, bei denti. Durante la notte, le aveva coperto il viso con le mani larghe e goffe, aveva premuto dolcemente le dita sotto gli occhi e sulle guance, le aveva schiuso le labbra morbide con i pollici, quasi la sua pelle potesse percepire quella bellezza come percepiva il calore del fuoco. Il braccio sinistro della ragazza era abbandonato sopra la coperta che lasciava esposti le spalle esili e delicate e un seno piccolo dal capezzolo che il sonno rendeva morbido.
Giacevano separati, non si toccavano, sebbene Tim potesse sentire il tepore della coscia accanto alla sua. Distolse lo sguardo e lo concentrò sul soffitto. Per un momento lasciò che il piacere, il ricordo dell'amore lo scuotessero come un fremito. Poi si alzò. Si fermò accanto al letto e si voltò a guardarla. Era tranquilla. La luce rivelatrice del mattino non la rendeva meno incantevole, nonostante i capelli spettinati e le tracce impiastricciate di un trucco elaborato. La luce del giorno gli era meno favorevole e Tim Fitzpeterson lo sapeva. Cercò quindi di non svegliare la ragazza; voleva guardarsi allo specchio prima che lei lo vedesse. Si diresse nudo verso il bagno passando sulla moquette verdescura del soggiorno. Per un attimo vide l'ambiente come per la prima volta e lo trovò disperatamente banale. La moquette si intonava con un divano verde ancora più squallido con cuscini a fiorame sbiadito. C'era una semplice scrivania di legno simile a quella che si trova in tutti gli uffici; un vecchio televisore in bianco e nero; uno schedario, uno scaffale pieno di testi di economia e di diritto, più diversi volumi di Hansard. Eppure gli era sembrato così avventuroso avere un pied-à-terre a Londra. Nel bagno c'era un grande specchio... era un acquisto della moglie, prima di lasciare per sempre la città. Mentre attendeva che la vasca si riempisse, si guardò allo specchio e si chiese cosa c'era in quel suo corpo di uomo non più giovane per suscitare il desiderio di una bella ragazza di... quanti anni? Venticinque? Era un uomo sano, ma non in ottima forma, o almeno non nel senso in cui si usa la frase per descrivere quelli che abitualmente fanno ginnastica o frequentano una palestra. Era basso, tozzo, il corpo appesantito da un po' di grasso superfluo specie su busto, vita e natiche. Aveva un fisico accettabile per un uomo di quarantun anni: ma non era tale da eccitare neppure la più vogliosa delle donne. Il vapore appannò lo specchio, Tim entrò nella vasca. Appoggiò la testa e chiuse gli occhi. Pensò che aveva dormito meno di due ore, eppure si sentiva in forma. La sua educazione avrebbe dovuto indurlo a credere che disagio e malessere, se non un'infermità vera e propria, fossero le normali conseguenze di notti dedicate al ballo, all'adulterio e all'alcol. Tutti quei peccati sommati insieme avrebbero dovuto attirare sulla sua testa la collera di Dio. E, invece, il salario del peccato era delizioso. Prese a insaponarsi languidamente.
Tutto era incominciato durante uno di quegli orribili pranzi: cocktail di pompelmo, bistecca troppo cotta, tutto già risaputo per i trecento membri di un'organizzazione inutile. Il discorso di Tim era stato una denuncia dell'attuale strategia del governo, una delle tante, studiata per far appello alle particolari simpatie politiche dei presenti. Poi aveva accettato di andare altrove a bere un drink con un collega, un giovane e brillante economista, e con due persone del pubblico che gli interessavano vagamente. Erano finiti in un nightclub che normalmente sarebbe stato al di là delle sue possibilità; ma qualcun altro aveva pagato l'ingresso. Una volta entrato, aveva cominciato a divertirsi, al punto che aveva ordinato una bottiglia di champagne, pagandola con la carta di credito. Altre persone si erano unite al gruppo: un pezzo grosso dell'industria cinematografica che Tim aveva sentito nominare un paio di volte; un drammaturgo del tutto sconosciuto; un economista di sinistra che stringeva le mani a tutti con un sorriso ironico ed evitava di parlare della sua professione; e le ragazze. Lo champagne e lo spettacolo avevano infiammato un po' Tim. Ai suoi tempi, a quel punto, avrebbe portato a casa Julia e avrebbe fatto l'amore con lei con violenza..., a volte, a lei piaceva. Ma Julia, ora, non veniva più in città, e Tim, di solito, non andava più nei nightclub. Le ragazze non erano state presentate. Tim aveva cominciato a parlare con quella più vicina, una rossa dal seno piatto con un lungo abito color chiaro. Sembrava una modella e diceva di essere attrice. Tim prevedeva che l'avrebbe trovata noiosa, e che la ragazza lo avrebbe giudicato allo stesso modo. A quel punto ebbe la prima premonizione che quella sarebbe stata una notte speciale: lei sembrava trovarlo affascinante. Avevano incominciato a conversare e si erano isolati gradualmente dagli altri, fino a quando qualcuno aveva suggerito di trasferirsi in un altro club. Tim aveva immediatamente detto che se ne sarebbe tornato a casa. La rossa gli aveva preso il braccio e l'aveva pregato di restare: e Tim, che per la prima volta dopo vent'anni si sentiva galante nei confronti di una bella donna, si era arreso. Mentre usciva dalla vasca si chiese di che cosa avevano parlato così a lungo. Il lavoro di un sottosegretario al Ministero dell'Energia non costituiva certo un argomento adatto per una conversazione durante un cocktail-party. Quando non eta tecnico, era estremamente riservato. Forse avevano diSCusso di politica. Forse lui aveva raccontato aneddoti su note personalità con quel tono impassibile che era il suo unico modO d'essere spiritoso? Non ricordava. Ricordava soltanto il modO come stava seduta la ragazza, protesa verso di lui, con tutto il corpo la testa, le spalle, le ginocchia, i piedi... un atteggiamentO che era insieme intimo e provocante.
Tim asciugò il vapore sulla superficie dello specchio e si stropjcciò jl mento con aria assorta prima di radersi. Aveva i capelli scuri; e se l'avesse lasciata crescere la barba sarebbe stata folta. Il resto della faccia era, a dir poco, comune: il mento sfuggente, il naso appuntito e i due segni gemelli lascìati dagli occhiali che portava da ormai trentacinque anni, la bocca non piccola ma un po' contratta, le orecchie troppo grandi, la fronte alta da intellettuale. Era impossibile guardarla e intuire il suo carattere. Era una faccia allenata a naScondere i pensieri, a non rivelare i sentimenti. Mise in funzione il rasoio elettrico e fece una smorfia per mettere in evidenza tutta la guancia sinistra. Non era brutto. Certe ragazze hanno un debole per gli uomini brutti, lo aveva sentjtO dire (non era in grado di controllare di persona certe generalizzazioni sul conto delle donne), ma Tim Fitzpeterson non rientrava neppure in quella categoria di problematici forturlati. Ma forse era venuto il momento di riconsiderare la categoria cui apparteneva. Il secondo club dove erano andati era uno di quelli dove non avrebbe mai messo piede di proposito. Non amava la musica, e anche se gli fosse piaciuta i suoi gusti non avrebbero incluso il frastuono insistente che sommergeva la conversazione al Black Hole. Comunque, aveva ballato... quei balli fatti di sussulti ed esibizioni che lì sembravano di rigore. Si era divertito, e pensava di essersela cavata piuttosto bene; contrariamente ai suoi timori non aveva attirato gli sguardi divertiti degli altri forse perché molti avevano più o meno la sua età. Il disc-jockey, un giovane barbuto con una T-shirt che ostentava la scritta improbabile "Harvard Business School", aveva scelto una capricciosa ballata lenta, cantata da un americano affetto da raffreddore. In quel momento si trovavano sulla pista piccola. La ragazza si era stretta a lui e lo aveva cinto con le braccia. Allora Tim aveva compreso che faceva sul serio; e aveva dovuto decidere se era così anche per lui. E mentre il corpo caldo e snello della ragazza gli aderiva addosso come un asciugamano bagnato, aveva deciso in fretta. Aveva chinato la testa, perché lei era più piccola, e le aveva mormorato all'orecchio: Vieni a bere qualcosa nel mio appartamento. In taxi l'aveva baciata. Erano anni che non gli succedeva. Un bacio voluttuoso, dato come in un sogno. Le aveva toccato i seni, meravigliosamente piccoli e sodi sotto l'ampio abito da sera; e da quell'attimo avevano faticato a trattenersi fino a quando non erano arrivati. Nessuno dei due aveva più pensato al pretesto del drink. In meno di un minuto si erano ritrovati a letto, pensò Tim con orgoglio. Finì di radersi e cercò la colonia. Trovò una vecchia bottiglia nell'armadietto a muro.
Tornò in camera. Lei dormiva ancora. Tim prese la vestaglia e le sigarette e sedette accanto alla finestra. Sono stato formidabile a letto, pensò. Ma sapeva che non era vero: era stata lei a mostrarsi ricca di fantasia e di inventiva. Era stata lei a suggerire di fare cose che Tim non avrebbe osato proporre a Julia dopo quindici anni di matrimonio. Sì, Julia. Tim fissò distrattamente, dalla finestra del primo piano, la scuola vittoriana in mattoni rossi dall'altra parte della strada, con il modesto campo giochi segnato da sbiadite linee gialle per le partite di pallavolo. Provava ancora gli stessi sentimenti per Julia: se prima l'aveva amata, sentiva di amarla anche ora. Quella ragazza era diversa. Ma non era ciò che si dicevano sempre gli imbecilli prima di impegolarsi in una relazione? Cerchiamo di non essere precipitosi, si disse. Per lei potrebbe essere solo l'avventura di una notte. Non era certo che fosse disposta a rivederlo. Ma voleva chiarire le proprie intenzioni prima di chiederle che possibilità c'erano: fare parte del governo gli aveva insegnato a prepararsi con cura prima di ogni incontro. Aveva messo a punto una formula per affrontare le questioni complesse. Innanzi tutto, che cosa ho da perdere? Di nuovo Julia: grassottella, intelligente, soddisfatta, i cui orizzonti si restringevano inesorabilmente dopo ogni maternità. Un tempo aveva vissuto per lei; aveva comprato gli abiti che le piacevano, aveva letto quei romanzi che la interessavano, e i suoi successi politici gli avevano dato soddisfazioni anche maggiori perché lei li apprezzava. Ma poi il centro di gravità della sua vita si era spostato. Adesso Julia regnava soltanto sulle banalità. Voleva vivere nell'Hampshire, e a lui non dispiaceva; quindi era là che vivevano. Voleva che lui portasse giacche a quadretti, ma lo chic di Westminster imponeva abiti sobri, e Tim li sceglieva grigio scuro e blu, trasgredendo le sue indicazioni. Quando analizzava i propri sentimenti, si accorgeva che poche cose lo legavano a Julia. Forse un po' di affetto; un'immagine nostalgica di lei, con i capelli pettinati a coda di cavallo, che ballava con una gonna attillata. Era amore? Tim ne dubitava. Le figlie? Erano un'altra cosa. Katie, Penny e Adrienne: soltanto Katie era abbastanza grande per capire l'amore e il matrimonio. Non lo vedevano molto spesso; ma Tim era convinto che anche un po' di amore paterno vale moltissimo, e che, comunque, è preferibile dI non avere un padre. In questo campo non c'era spazio per le discussioni: la sua opinione era immutabile. E c'era la carriera.
Un divorzio poteva anche non danneggiare un sottosegretario, ma poteva rovinare qualcuno più in alto. Non c'era mai stato un Primo Ministro divorziato. E Tim Fitzpeterson aspirava a quella carica. Quindi aveva parecchio da perdere... in pratica, tutto ciò che gli era caro. Staccò lo sguardo dalla finestra, e lo rivolse al letto. La ragazza si era girata sul fianco e si era voltata dall'altra parte. Faceva bene a portare i capelli corti... mettevano in evidenza il collo sottile e le belle spalle. La schiena si modellava nella vita esile, e scompariva sotto il lenzuolo sgualcito. La pelle era leggermente abbronzata. C'era tanto da guadagnare. "Piacere" era una parola che Tim aveva modo di usare raramente: ma adesso entrava nei suoi pensieri. Se prima aveva conosciuto il piacere, non riusciva a ricordare quando fosse avvenuto. Soddisfazione, sì... quando scriveva un rapporto articolato ed esauriente, quando vinceva una delle piccole, innumerevoli battaglie nelle commissioni e alla Camera dei Comuni... e la trovava anche in un libro sensato o in un buon vino. Ma il piacere selvaggio provato con quella ragazza era qualcosa di nuovo. Ecco: quelli erano i pro e i contro. La formula stabiliva: adesso tira le somme e vedi che cosa è più importante. Stavolta, però, la formula non funzionava. Alcuni conoscenti di Tim sostenevano che non funzionava mai. Forse avevano ragione. Forse era un errore credere che le ragioni potessero venire contate come biglietti di banca; e stranamente, Tim rammentò una frase di una lezione di filosofia all'università: "La seduzione che il linguaggio esercita sulla nostra intelligenza". Cos'è più lungo... un aereo oppure un dramma in un atto? Che cosa preferisco... Ia soddisfazione o il piacere? I suoi pensieri si facevano confusi. Sbuffò, disgustato, poi si voltò di scatto verso il letto per vedere se aveva disturbato la ragazza. Lei continuava a dormire. Benissimo. Giù per la strada, una Rolls Royce grigia si fermò accanto al marciapiedi, a un centinaio di metri di distanza. Non scese nessuno. Tim guardò più attentamente e vide che l'uomo al volante apriva un giornale. Forse era un autista venuto a prendere qualcuno alle sei e mezzo? Un uomo d'affari che aveva viaggiato tutta la notte ed era arrivato troppo presto? Tim non riusciva a leggere la targa, ma riusciva a vedere il guidatore, un uomo grande e grosso, che faceva sembrare l'abitacolo della macchina piccolo come quello di una Mini. Tornò con il pensiero al suo dilemma.
Che cosa facciamo in politica, si chiese, quando ci troviamo di fronte a due esigenze imperative ma contrastanti? La risposta fu immediata: scegliamo un corso d'azione che, in realtà o in apparenza, soddisfi entrambe le necessità. Il parallelo era ovvio. Sarebbe rimasto sposato con Julia e avrebbe avuto una relazione con quella ragazza. Gli sembrava una soluzione molto politica e molto soddisfacente. Accese un'altra sigaretta e pensò al futuro. Era un passatempo piacevole. Ci sarebbero state molte altre notti trascorse nell'appartamento, e magari due settimane al sole, su qualche piccola spiaggia isolata dell'Africa Settentrionale o nelle Indie Occidentali. Lei, in bikini, era sicuramente sensazionale. Le altre speranze impallidivano, di fronte a quella. Lo sfiorò il pensiero che tutta la sua vita passata fosse stata sprecata; ma sapeva che era un'idea assurda. No, non era sprecata, dunque; ma era come se avesse trascorso la giovinezza impegnandosi in lunghe somme aritmetiche senza aver scoperto il calcolo differenziale. Decise di parlare con la ragazza del problema e della sua soluzione. Lei avrebbe ribattuto che era impossibile, e Tim le avrebbe risposto che la sua specialità era appunto quella di far funzionare i compromessi. Come dovevà cominciare? Cara, voglio rifarlo spesso. Sì, sembrava che così andasse bene. E lei cosa avrebbe detto? Anch'io. Oppure: Telefonami a questo numero. O magari: Mi dispiace, Tim, ma io preferisco le avventure di una notte. No, questo no: non era possibile. Quella notte era stata bellissima anche per lei. Per lei, Tim era qualcosa di speciale. Glielo aveva detto. Si alzò e spense la sigaretta. Mi avvicinerò al letto, pensò; le toglierò delicatamente le coperte e la guarderò nuda per qualche attimo; poi mi sdraierò e le bacerò il ventre e le cosce e i seni fino a svegliarla, poi faremo di nuovo l'amore. Guardò distrattamente dalla finestra, assaporando l'attesa. La Rolls era ancora là, come una lumaca grigia accanto al marciapiedi. Inspiegabilmente gli dava un senso di fastidio. Non ci pensò più e andò a svegliare la ragazza. Felix Laski non aveva molto denaro, sebbene fosse ricchissimo. La sua ricchezza era costituita da azioni, terre, fabbricati, a volte cose più nebulose come la metà di una sceneggiatura cinematografica oppure un terzo di un'invenzione per fare le patatine fritte istantanee. I giornali affermavano che se tutte le sue ricchezze fossero state convertite in denaro contante, contare i milioni sarebbe stato un'impresa, ma Laski faceva puntualmente
notare che trasformare le sue ricchezze in contanti sarebbe stato pressoché impossibile. Si era avviato a piedi dalla stazione di Waterloo alla City perché era convinto che la pigrizia causasse attacchi di cuore agli uomini della sua età. Tanta preoccupazione per la sua salute era ridicola, perché era forse il cinquantenne più in forma che si potesse trovare nella City. Alto più di un metro e ottanta, con un torace che sembrava la poppa di una corazzata, era predisposto a un arresto cardiaco quanto poteva esserlo un torello. La sua figura era imponente mentre attraversava il Blackfriars Bridge nel sole pallido del primo mattino. I suoi vestiti, dalla camicia di seta azzurra alle scarpe confezionate a mano, erano secondo il metro di giudizio della City raffinati. Nel villaggio dov'era nato Laski, gli uomini portavano calzoni di cotone e berretti di tela; e adesso gli abiti lussuosi gli davano un senso di piacere pensando a quanto si era lasciato alle spalle. L'abbigliamento faceva parte della sua immagine di bucaniere. Di solito i suoi affari comportavano rischio od opportunismo, oppure l'uno e l'altro; e faceva sempre in modo che, agli occhi degli estranei, apparissero ancora più abili di quanto lo fossero in realtà. La reputazione di possedere il tocco magico era più preziosa di una banca d'affari. Era l'immagine che aveva sedotto Peters. Laski pensava a Peters mentre superava la cattedrale di San Paolo per raggiungere il luogo dell'appuntamento. Peters era un ometto dalla mentalità limitata; espertissimo nel movimento di contanti: non il credito ma i fondi concreti, il denaro di carta. Lavorava per la Banca d'Inghilterra, fonte suprema di valuta a corso legale. Il suo compito era di dare disposizioni per la creazione e la distruzione di banconote e monete. Non decideva la politica da seguire (questo veniva fatto a un livello più elevato, magari in sede di governo), però sapeva di quante banconote da cinque sterline avrebbe avuto bisogno la Barclays Bank prima ancora che lo sapessero i dirigenti della banca stessa. Laski l'aveva conosciuto al cocktail per l'inaugurazione di un palazzo d'uffici costruito da una banca di sconto. Frequentava quel genere di feste all'unico scopo di conoscere individui come Peters, che un giorno potevano diventare utili. Cinque anni dopo, Peters era diventato utile effettivamente. Laski gli aveva telefonato alla banca e gli aveva chiesto di consigliargli un numismatico da consultare per un acquisto fittizio di vecchie monete. Peters aveva annunciato che anche lui era un mndesto collezionista, e che avrebbe dato volentieri un'occhiata alle monetc in questione, se Laski lo desiderava. Splendido, aveva detto Laski, ed era corso a procurarsi le monete. Peters gli aveva consigliato di comprarle. E così erano diventati amici.
(L'acquisto aveva segnato il punto di partenza di una collezione che adesso valeva il doppio di quanto Laski l'aveva pagata. Questo aveva un'importanza secondaria rispetto al suo vero scopo, ma comunque ne era molto orgoglioso.) Peters era un tipo che si alzava presto, in parte perché gli piaceva, ma anche perché il denaro circolava al mattino, e quindi il grosso del suo lavoro doveva essere sbrigato prima delle nove. Laski aveva scoperto che Peters aveva l'abitudine di bere il caffè in un certo bar, ogni giorno verso le sei e mezzo, e aveva incominciato a raggiungerlo là, dapprima ogni tanto, poi regolarmente. Laski fingeva di avere anche lui l'abitudine di alzarsi presto, e si associava a Peters nelle lodi delle strade tranquille e dell'aria frizzante del mattino. Per la verità amava alzarsi tardi; ma era disposto a fare molti sacrifici, purché vi fosse una probabilità di realizzare il suo piano tortuoso. Entrò nel bar, respirando pesantemente. A, lla sua età anche un uomo in forma aveva il diritto di soffiare dopo una lunga camminata. Il locale odorava di caffè e di pane fresco. Alle pareti erano appesi pomodori di plastica e acquarelli della città italiana dov'era nato il proprietario. Dietro il banco, una donna in tuta e un ragazzo capellone preparavano montagne di sandwich per le centinaia di persone che all'ora di pranzo avrebbero mangiato un boccone in ufficio. C'era una radio accesa da qualche parte, in sottofondo. Peters era già lì, seduto a un tavolino accanto alla vetrata. Laski prese il caffè e un sandwich con wurstel di fegato e sedette di fronte a Peters che stava mangiando una ciambella... era uno di quelli che non ingrassano mai. Laski disse: Promette d'essere una bella giornata. Aveva una voce profonda e risonante, come quella di un attore, con una traccia lievissima di accento est-europeo. Peters rispose: Bellissima. E io alle quattro e mezzo sarò nel mio giardino. Laski bevve un sorso di caffè e guardò il suo interlocutore. Peters aveva i capelli cortissimi, un paio di baffetti e una faccia contratta. Non aveva ancora cominciato a lavorare e già pensava con ansia al momento in cui sarebbe tornato a casa. Laski pensò che era tragico, e per un attimo provò compassione per Peters e per tutti gli ometti che vedevano nel lavoro un mezzo anziché un fine. Il mio lavoro mi piace disse Peters, come se leggesse nel pensiero di Laski. Laski mascherò lo stupore. Però preferisce il suo giardino. Con un tempo così bello, sì. Lei ha un giardino... Felix? La mia governante cura le cassette di fiori sui davanzali. Io non ho hobby. Laski rifletté sul modo esitante con cui Peters l'aveva chiamato per nome di battesimo. Si sentiva un po' in soggezione, decise.
Bene. Immagino che le mancherà il tempo. Deve lavorare parecchio. Così mi dicono tutti. Ma io preferisco passare le ore tra le sei di sera e mezzanotte guadagnando cinquantamila dollari, anziché guardando attori che fingono di ammazzarsi in televisione. Peters rise. La mente più fantasiosa della City non ha fantasia? Non capisco. Non legge romanzi e non va neppure al cinema, vero? Appunto. Vede? Ha una lacuna. Non riesce a empatizzare con la finzione. Succede a moltissimi uomini d'affari intraprendenti. Sembra che sia un'incapacità connessa a un acume particolarmente intenso, come l'udito ipersensibile di un cieco. Laski aggrottò la fronte. Venire analizzato in quel modo lo faceva sentire in svantaggio. Può darsi disse. Peters parve accorgersi del suo disagio. Le carriere dei grandi imprenditori mi affascinano dichiarò. Affascinano anche me replicò Laski. Sono sempre pronto a captare le onde cerebrali degli altri. Quale fu il suo primo colpo, Felix? Laski si rilassò: era un territorio più familiare. Credo la Woolwich Chemical disse. Una piccola fabbrica di prodotti farmaceutici. Dopo la guerra aveva creato una modesta c,atena di farmacie, con lo scopo di garantirsi il mercato. Purtroppo i dirigenti conoscevano benissimo la chimica e malissimo il commercio al minuto, e le farmacie divoravano quasi tutti i profitti della fabbrica. A quel tempo lavoravo per un agente di cambio e avevo guadagnato qualcosa giocando in Borsa. Andai dal mio principale e gli offrii il cinquanta per cento dei profitti se avesse finanziato l'affare. Comprammo la fabbrica e la rivendemmo immediatamente all'ICI all'incirca per la stessa somma che ci erano costate tutte le azioni. Poi chiudemmo le farmacie e le vendemmo una ad una... erano tutte in ottima posizione. Sono cose che non capirò mai osservò Peters. Se la fabbrica e le farmacie valevano tanto, perché le azioni valevano così poco? Perché l'azienda era in passivo. Non pagava dividendi da anni. La proprietà non aveva il coraggio d'incassare le sue fiches, per così dire. Noi l'avemmo. Negli affari è tutta questione di coraggio. Laski incominciò a mangiare il sandwich. Affascinante disse Peters. Diede un'occhiata all'orologio. Devo andare. Una giornata impegnativa? chiese Laski. Oggi è uno di quei giorni... e sono sempre grattacapi. Ha risolto il problema? Quale? I percorsi. Laski abbassò un poco la voce. Il servizio di sicurezza voleva far seguire ogni volta al convoglio un percorso diverso. No. Peters era imbarazzato: era stata un'indiscrezione da parte sua parlare a Laski del dilemma. Per la verità c'è un solo percorso razionale per arrivare a destinazione.
Però... Si alzò in piedi. Laski sorrise e continuò a usare un tono casuale. Quindi la grande spedizione di oggi segue il vecchio percorso diretto. Peters si portò l'indice alle labbra. Sicurezza mormorò. Certo. Peters prese l'impermeabile. Arrivederci. A domani disse Laski con un gran sorriso. Arthur Cole uscì dalla stazione respirando profondamente. Un soffio d'aria calda salì dalle viscere della sotterranea, lo avvolse per un momento e si disperse. Cole rabbrividì leggermente quando uscì per strada. La luce del sole lo colse di sorpresa... Era appena l'alba quando era salito sul treno.L'aria era fredda e dolce. Più tardi sarebbe diventata abbastanza inquinata da mettere fuori combattimento un poliziotto in servizio in mezzo al traffico. Cole ricordava la prima volta che era successo: l'articolo era stato un'esclusiva dell"'Evening Post". Camminò lentamente fino a quando il respiro si calmò. Venticinque anni di giornalismo mi hanno rovinato la salute, pensò. Per la verità, qualunque lavoro gli avrebbe fatto lo stesso, perché tendeva a preoccuparsi e a bere e aveva una notevole debolezza di bronchi; ma lo consolava attribuire la responsabilità alla professione. Comunque, aveva smesso di fumare. Non fumava più... guardò l'orologio... non fumava più da centoventotto minuti; ma contando anche la notte erano otto ore. Aveva già superato diversi momenti a rischio: subito dopo che la sveglia aveva suonato alle quattro e mezzo (di solito fumava una sigaretta al gabinetto), quando era partito in macchina da casa, nel momento in cui aveva innestato la quarta e aveva acceso la radio per ascoltare il notiziario delle cinque; mentre accelerava lungo il primo tratto veloce dell'A12, lanciando al massimo la grossa Ford; e poi quando aveva atteso, in una fredda stazione scoperta della metropolitana, a East London, l'arrivo del primo treno della giornata. Il giornale radio delle cinque non l'aveva tirato su di morale. Lo aveva ascoltato con attenzione mentre guidava, il percorso gli era familiare a tal punto da poterlo affrontare automaticamente, a memoria. La prima notizia veniva da Westminster: il Parlamento aveva approvato la nuova legge sulle relazioni industriali, ma con una maggioranza molto limitata. Cole aveva già sentito la notizia la sera prima alla televisione. Perciò quasi sicuramente l'avrebbero pubblicata i giornali del mattino, e la "Post" non avrebbe avuto niente da raccontare a meno che durante il giorno ci fossero altri sviluppi. C'era un pezzo sull'Indice dei prezzi al dettaglio. La fonte doveva essere una statistica governativa ufficiale, rimasta segreta fino alla mezzanotte; anche in quel caso, i giornali del mattino l'avrebbero pubblicato.
Non era una sorpresa che lo sciopero dei lavoratori dell'industria automobilistica fosse tuttora in corso... difficilmente la vertenza poteva essersi risolta durante la notte. Il risultato dell'incontro di cricket in Australia risolveva il problema della pagina sportiva, ma il punteggio non era abbastanza sensazionale per la prima pagina. Cole incominciò a preoccuparsi. Entrò nella sede dell"'Evening Post" e prese l'ascensore. La redazione occupava tutto il primo piano: era uno stanzone immenso e lungo. Cole entrò a un'estremità: alla sua sinistra c'erano le macchine per scrivere e i telefoni degli stenografi che battevano a macchina le notizie dettate telefonicamente; a destra, gli schedari e le librerie dei redattori specializzati... politica, industria, criminalità, difesa e così via. Cole s'incamminò tra le file di scrivanie assegnate ai redattori ordinari, fino al lungo banco che divideva in due lo stanzone. Più oltre c'era il tavolo a forma di U dei vicedirettori e nella traversa la redazione sportiva... un regno semi-indipendente con un suo direttore e i suoi cronisti. Ogni tanto, Cole accompagnava lì in visita qualche parente curioso e spiegava: Dovrebbe funzionare come una catena di montaggio, ma di solito è una rissa. Era un'esagerazione, ma la frase strappava invariabilmente una risata. Lo stanzone era illuminatissimo e deserto. Come viceredattore capo, Cole aveva a disposizione un settore del lungo banco. Aprì un cassetto, tira fuori una moneta, andò al distributore automatico nella redazione sportiva e premette i pulsanti per ordinare tè con latte e zucchero. Una telescrivente incominciò a ticchettare spezzando il silenzio. Mentre Cole tornava al suo posto con il bicchiere di carta in mano, la porta in fondo si spalancò. Entrò un uomo basso dai capelli grigi che portava un giubbotto imbottito e le mollette da ciclista ai calzoni. Cole salutò alzando la mano. 'giorno, George. Ciao, Arthur. Che freddo cane! George si tolse il giubbotto. Era minuto e magro. Nonostante la sua età, aveva il titolo di Capo dei Ragazzi di Redazione; era il capo dei fattorini. Abitava a Potters Bar e veniva al lavoro in bicicletta. Per Arthur era una prodezza sorprendente. Arthur posò il bicchiere di tè, si tolse l'impermeabile, accese la radio e sedette. La radio cominciò a trasmettere. Bevve il tè guardandosi intorno. La redazione era in disordine: le sedie erano sparse, giornali e fogli di carta giacevano sulle scrivanie, e i lavori di ammodernamento erano stati rimandati nel quadro della politica di economia dell'anno precedente... Pensava alla prima edizione, che doveva essere per strada entro tre ore. Quel giorno il giornale avrebbe avuto sedici pagine.
Quattordici pagine della prima edizione erano già composte ed esistevano sotto forma di lastre metalliche semicilindriche, giù in tipografia. Contenevano pubblicità, articoli di varietà, programmi televisivi e notizie scritte in modo che il lettore non le giudicasse superate... o almeno così si sperava. Restavano l'ultima pagina per la redazione sportiva e la prima pagina per Arthur Cole. Il parlamento, uno sciopero e l'inflazione... erano tutte notizie di ieri. Non poteva sfruttarle molto. Poteva camuffarne una come introduzione a un pezzo odierno, per esempio: "Oggi i ministri hanno tenuto un'inchiesta sulla votazione che ha rischiato di far cadere il governo...". C'era una soluzione del genere per ogni situazione. Il disastro di ieri diventava un servizio per oggi, con un cappellino tipo: "L'alba ha rivelato in tutto il suo orrore...". L'assassinio del giorno prima aveva come formula: "Oggi gli investigatori hanno battuto Londra alla ricerca dell'uomo che...". Il problema di Arthur aveva dato vita a dozzine di cliché. In una società civile, pensò, quando non ci sono notizie non dovrebbero esistere neppure i giornali. Era un vecchio pensiero e lo scacciò con impazienza. Tutti ammettevano che la prima edizione era robaccia, tre giorni su sei. Ma non era una consolazione per Arthur Cole che aveva il compito di produrre l'edizione. Era vice-redattore capo da cinque anni. Durante quel periodo, per due volte era rimasta vacante la poltrona del redattore capo, e per due volte era stato promosso un uomo più giovane di Cole. Qualcuno aveva deciso che il posto numero due era il limite massimo delle sue capacità. Ma lui non era d'accordo. L'unico modo in cui poteva dimostrare il suo talento era sfornare un'ottima prima edizione. Purtroppo, il valore del prodotto dipendeva molto dalla fortuna. La strategia di Cole consisteva nel mirare a un giornale sempre migliore della prima edizione della concorrenza. Pensava di riuscirci: non sapeva se qualcuno della direzione se n'era accorto, ma non se ne preoccupava troppo. George gli arrivò alle spalle e scaricò sulla scrivania un mucchio di giornali. Il giovane Stephen si è dato di nuovo malato borbottò. Arthur sorrise. Che cos'ha? I postumi della sbronza o il raffreddore? Ricordi quello che ci dicevano? "Se ce la fai a stare in piedi, puoi anche lavorare." Ma i giovani di oggi... Arthur annuì. Ho ragione? chiese George. Hai ragione.
Tutti e due avevano incominciato alla "Post" come fattorini: Arthur era diventato giornalista dopo la guerra. George era rimasto fattorino. George disse: Noi eravamo diversi. Avevamo voglia di lavorare. Arthur prese un giornale dal mucchio. George si lamentava spesso dei suoi subordinati, e non era la prima volta che Arthur lo commiserava. Arthur sapeva cosa non andava, nei giovani fattorini di oggi. Trent'anni prima, un fattorino sveglio poteva diventare giornalista: adesso la strada era chiusa. ll nuovo sistema aveva un duplice effetto. I ragazzi più intelligenti continuavano gli studi anziché diventare fattorini; e quelli che lo diventavano sapevano di non avere prospettive, quindi cercavano di lavorare il meno possibile. Ma Arthur non poteva dirlo a George, perché gli avrebbe rammentato il suo fallimento nei confronti del collega. Perciò si dichiarava d'accordo: i giovani d'oggi sono uno schifo. George sembrava intenzionato a insistere con le sue lagnanze. Arthur l'interruppe: E arrivato qualcosa durante la notte?. Vado a vedere. Ma devo fare tutto da solo... Sarà meglio che veda prima le notizie arrivate per telescrivente. Arthur girò la testa. Detestava far pesare il suo rango. Non era mai riuscito a farlo con naturalezza, forse perché non si sentiva gratificato. Diede un'occhiata alla "Morning Star": anche quel giornale aveva aperto con l'approvazione della legge sull'industria. Era improbabile che a quell'ora la telescrivente trasmettesse notizie nazionali. Ma le notizie dall'estero arrivavano sporadicamente durante la notte e spesso in caso di necessità si potevano usare per la prima pagina. Quasi tutte le notti c'era un grande incendio, un massacro, una sommossa o un colpo di stato in qualche parte del mondo. La "Post" era un giornale londinese e non amava aprire con una notizia dall'estero a meno che fosse sensazionale; comunque era sempre meglio di "Oggi i ministri hanno tenuto un'inchiesta...". George gli depositò sulla scrivania un foglio lungo più di un metro. Il fatto che non l'avesse suddiviso, tagliandolo notizia per notizia, era il suo modo di protestare. Con ogni probabilità voleva che Arthur si lamentasse, per potergli far notare che aveva troppo lavoro a causa dell'assenza del fattorino. Arthur cercò a tentoni le forbici sulla scrivania e cominciò a leggere. Esaminò una nota politica da Washington, una cronaca sul Test Match, e un rastrellamento in Medio Oriente. Stava leggendo la notizia di un divorzio hollywoodiano non molto importante quando squillò il telefono.
Sollevò il ricevitore e disse: Redazione. Ho una notizia per la cronaca mondana. Era una voce maschile con un forte accento cockney. Cole fece una smorfia di scetticismo. Non era la voce di un uomo che poteva avere informazioni riservatissime sugli amori dell'aristocrazia. Bene disse. Le dispiace dirmi il suo nome? Lasci perdere. Sa chi è Tim Fitzpeterson? Naturalmente. Bene, sta facendo il fesso con una rossa che deve avere vent'anni meno di lui. Vuole il suo numero di telefono? Sì, grazie. Cole lo scrisse. La faccenda era interessante Se il matrimonio di un sottosegretario stava andando a rotoli; poteva uscirne un bell'articolo, non solo una notiziola nella cronaca mondana. Chi è la ragazza? chiese. ffDiCC di essere attrice. Ma è una puttanella. Provi a telefonare subito a Fitzpeterson e gli chieda di Dizi Disney. La comunicazione s'interruppe. Cole aggrottò la fronte. Strano. Quasi sempre, chi faceva una soffiata chiedeva denaro, soprattutto per una notizia del genere. Scrollò le spalle. Valeva la pena di controllare. Avrebbe dato l'incarico a un cronista, più tardi. Poi cambiò idea. Innumerevoli notizie erano andate perdute per sempre perché erano state accantonate per pochi minuti. Fitzpeterson poteva uscire per andare alla Camera dei Comuni oppure al suo ufficio a Whitehall. E l'informatore aveva detto: Provi a telefonare subito. Cole guardò il numero che aveva scritto e lo compose.
ORE 7.00. Ti sei mai guardato allo specchio mentre lo fai? aveva chiesto la ragazza; e quando Tim aveva ammesso di non averlo mai fatto, lei aveva insistito per provare. Erano in piedi davanti al grande specchio del bagno quando squillò il telefono. Il suono fece sussultare Tim, e lei disse: Ahi! Stai attento. Tim avrebbe voluto ignorare il telefono, ma quell'intromissione esterna aveva soffocato il desiderio. Lasciò la ragazza e andò in camera da letto. L'apparecchio era su una sedia, sotto un mucchio di abiti. Lo trovò e sollevò il ricevitore. Sì? Il signor Fitzpeterson? Era la voce di un uomo di mezza età con accento londinese. Sembrava un po' asmatico. Sì. Chi parla? L"'Evening Post", signore.
Scusi se la disturbo a quest'ora, ma devo chiederle se è vero che sta per divorziare. Tim si lasciò cadere sulla sedia. Per un momento non riuscì a parlare. Mi sente, signore? Chi diavolo le ha detto una cosa simile? L'informatore ha parlato di una certa Dizi Disney. La conosce? Non l'ho mai sentita nominare. Tim stava ritrovando la compostezza. Non si permetta più di svegliarmi la mattina presto per queste stupide chiacchiere. E posò il ricevitore. La ragazza entrò in camera da letto. Come sei pallido disse. Chi era? Come ti chiami? scattò Tim.Dizi Disney. Cristo. Gli tremavano le mani. Le strinse convulsamente e si alzò. Ai giornali è arrivata la voce che sto per divorziare. Devono sentire continuamente cose del genere sul conto di personaggi famosi. Hanno fatto il tuo nome! Tim si batté il pugno sul palmo dell'altra mano. Come l'hanno scoperto? E adesso che cosa posso fare? La ragazza gli voltò le spalle e s'infilò le mutandine. Tim guardò dalla finestra. La Rolls grigia era ancora là ferma, ma vuota. Si chiese dov'era finito il guidatore. Quel pensiero sconnesso lo irritò. Tentò di valutare con freddezza la situazione. Qualcuno l'aveva visto uscire dal nightclub con la ragazza e aveva telefonato a un cronista. L'informatore aveva montato l'episodio per ricavarne un effetto drammatico. Ma Tim era sicuro che nessuno li aveva visti entrare insieme nell'appartamento. Ascoltami bene disse. Stanotte tu hai detto che non ti sentivi bene. Ti ho accompagnata fuori dal club e ho chiamato un taxi. Il taxi mi ha lasciato qui e poi ti ha accompagnata a casa. Chiaro? Come vuoi disse lei, indifferente. Quella reazione lo esasperò. In nome di Dio, ci sei di mezzo anche tu! Credo che la mia parte sia finita. Che cosa vorresti dire? Qualcuno bussò alla porta. Tim disse: Oh, Cristo, no!. La ragazza chiuse la lampo del vestito. Io vado. Non fare l'idiota! Tim l'afferrò per il braccio. Nessuno deve vederti qui, non capisci? Resta in camera da letto. Io aprirò la porta. Se è qualcuno che dovrò far entrare, stattene buona fino a che non sarà andato via. Infilò le mutande e la vestaglia mentre attraversava il soggiorno. C'era una minuscola anticamera, e la porta aveva lo spioncino. Tim spostò il coperchietto e accostò l'occhio alla lente. L'uomo che stava fuori aveva un'aria vagamente familiare. Sembrava un pugile, con ampie spalle e struttura solida da peso massimo. Portava un cappotto grigio con colletto di velluto.Doveva avere poco meno di trent'anni e non aveva l'aspetto del giornalista. Tim tolse la catenella alla porta e l'aprì. Cosa desidera? chiese.
Senza rispondere, l'uomo lo spinse da parte, entrò, chiuse la porta e si diresse verso il soggiorno. Tim respirò profondamente e si sforzò di non cedere al panico. Seguì lo sconosciuto. Chiamo la polizia disse. L'uomo sedette, poi chiamò: Sei lì, Dizi?. La ragazza comparve sulla soglia della camera da letto. L'uomo disse: Preparaci una tazza di tè. Lo conosci? le chiese Tim, incredulo. Lei non gli badò. Entrò in cucina. L'uomo rise. Se mi conosce? Lavora per me. Tim sedette. Cosa significa questa storia? domandò con un filo di voce. Tutto a suo tempo. L'uomo si guardò intorno. Non posso dire che è un bell'appartamento perché non lo è. Me lo immaginavo un po' più lussuoso, capisci cosa intendo dire? A proposito, caso mai non mi avessi riconosciuto, sono Tony Cox. E tese la mano. Tim la ignorò. Cox disse: Come vuoi. Adesso Tim ricordava... Ia faccia e il nome gli erano familiari. Gli pareva che Cox fosse un uomo d'affari piuttosto ricco... ma non ricordava che tipo di affari fossero. Gli pareva di aver visto la foto sul giornale... qualcosa che aveva a che fare con una raccolta di fondi per i circoli giovanili dell'East End. Cox inclinò la testa verso la cucina. Ti è piaciuta? Per amor di Dio mormorò Tim. La ragazza entrò. Portava due tazze su un vassoio. Cox le chiese: Gli è piaciuto?. Tu cosa pensi? ribatté la ragazza in tono acido. Cox tirò fuori il portafogli e contò alcuni biglietti di banca. Ecco qui disse. Hai fatto un buon lavoro. E adesso va' all'inferno. La ragazza prese il denaro e lo mise nella borsetta. Sai, Tone disse, credo che la cosa che più mi piace di te sia il tuo modo di fare. Uscì senza guardare Tim. Tim pensò: Ho commesso il più grosso errore della mia vita. La ragazza, uscendo, sbattè la porta. Cox strizzò l'occhio. E una brava figliola. E una vergogna della razza umana sibilò Tim. Su, non fare così. E soltanto una brava attrice. Forse avrebbe fatto del cinema se non l'avessi trovata prima io. Immagino che tu sia un magnaccia. Un lampo di collera passò negli occhi di Cox, subito represso. Ti pentirai di questa battuta disse fra i denti. Tutto quel che devi sapere su me e Dizi è che lei fa quello che io le dico. Se io dico: Tieni la bocca chiusa, lei sta zitta.
Se le dico: Racconta a quel simpatico redattore di "News of the World" che il signor Fitzpeterson ti ha sedotta, lei glielo racconta. Capisci? Tim disse: Immagino che sei stato tu a informare l"'Evening Post". Non preoccuparti! Senza conferme non potranno far niente. E solo tre persone possono confermare la notizia: tu, io e Dizi. Tu non dirai niente. Dizi non ha una volontà propria, e io so tenere un segreto. Tim accese una sigaretta. Stava ritrovando un po' di disinvoltura. Cox era soltanto un delinquente di basso rango, nonostante il colletto di velluto e la Rolls Royce grigia. Tim aveva la sensazione di potergli tener testa. Se è un ricatto disse, cchai sbagliato cliente. Non ho denaro. Fa piuttosto caldo qui dentro, no? Cox si alzò e si tolse il cappotto. Bene continuò, se non hai denaro, dovremo pensare a cosa altro puoi offrirmi. Tim aggrottò la fronte. Era di nuovo perduto. Cox proseguì: In questi ultimi mesi, sei società hanno presentato offerte per i diritti di trivellazione in un nuovo giacimento petrolifero che si chiama Shield. Giusto?. Tim era sbalordito. Era impossibile che quel delinquente avesse legami con qualcuna di quelle società tanto rispettabili. Sì disse. Ma è troppo tardi perché io possa influire sul risultato... La decisione è già stata presa. Sarà annunciata questo pomeriggio. Non saltare alle conclusioni. Lo so che è troppo tardi per modificarla. Però puoi dirmi chi ha ottenuto la concessione. Tim sgranò gli occhi. Era tutto ciò che voleva? Era troppo bello per essere vero. E, a che cosa ti servirebbe un'informazione del genere? chiese. A niente, per essere sincero. La scambierò con un'altra informazione. Ho un accordo in corso con un tale, vedi. Lui non sa come mi procuro le notizie riservate, e non sa cosa faccio di quelle che passa a me. In questo modo resta con le mani pulite. Capisci? Dunque: chi avrà la concessione? Era così facile, pensò Tim. Due parole, e l'incubo sarebbe finito. Una violazione del segreto d'ufficio poteva rovinargli la carriera: ma se non avesse parlato, la sua carriera sarebbe finita comunque. Cox disse: Se non sai che cosa fare, pensa ai titoli dei giornali. Il sottosegretario e l'attrice. Non vuol fare di me una donna onesta, dichiara piangendo la ragazza.
Ricordi il povero, vecchio Tony Lambton?. Stai zitto disse Tim. La società è l'Hamilton Holdings. Cox sorrise. Il mio amico sarà soddisfatto disse. Dov'è il telefono? Tim indicò con il pollice. In camera da letto disse con voce stanca. Cox andò in camera da letto e Tim chiuse gli occhi. Era stato davvero ingenuo, a credere che una ragazza giovane come Dizi potesse innamorarsi di uno come lui. Era vittimauivitt iut l
Rimase a letto con gli occhi chiusi mentre considerava il dolore, lo esaminava e lo giudicava grave ma non invalidante. Poi ricordò la cena della sera prima. La mousse di asparagi era innocua; aveva rifiutato il fritto di mare; la bistecca era ben cotta; e aveva preso il formaggio anziché la torta di mele. Un vino bianco leggero, caffè con panna, cognac... Cognac. Maledizione, avrebbe dovuto accontentarsi del Porto. Sapeva già come sarebbe andata la giornata. Avrebbe saltato la colazione e a metà mattina la fame sarebbe stata terribile quanto il dolore dell'ulcera, e quindi avrebbe mangiato qualcosa. All'ora di pranzo la fame l'avrebbe riassalito e l'ulcera l'avrebbe tormentato ulteriormente. Durante il pomeriggio qualche sciocchezza lo avrebbe irritato in modo irragionevole; avrebbe inveito contro i collaboratori e il suo stomaco si sarebbe contratto a tal punto da renderlo incapace di pensare. Sarebbe tornato a casa e avrebbe preso troppi analgesici. Si sarebbe addormentato, si sarebbe svegliato con il mal di testa, avrebbe cenato, avrebbe preso i sonniferi e sarebbe andato a letto. Se non altro, poteva pensare al momento in cui sarebbe potuto tornare a dormire. Si girò, aprì il cassetto del comodino, trovò una compressa e la mise in bocca. Si sollevò a sedere e prese la tazza di tè. Bevve un sorso, lo inghiottì e disse: Buongiorno, cara. Buongiorno. Ellen Hamilton era seduta sull'orlo del letto gemello, avvolta in una vestaglia di seta e teneva in bilico la tazza sul ginocchio. Si era già spazzolati i capelli. La sua camicia da notte era elegante come tutti gli altri capi del suo ricco guardaroba, nonostante il fatto che lui era l'unico a vederla e che non le sembrava interessato. Con ogni probabilità non aveva imponanza; Ellen non voleva che gli uomini la desiderassero... Ie bastava potersi considerare desiderabile. Derek Hamilton finì il tè, quindi posò i piedi sul tappeto. L'ulcera protestò per quel movimento improvviso e lo fece rabbrividire per il dolore. Ancora? chiese Ellen. Lui annuì. E stato il cognac, ieri sera. Avrei dovuto stare attento. Il viso di Ellen era inespressivo. Immagino che non c'entrino affatto i risultati semestrali di ieri. Derek si alzò e si avviò lentamente verso il bagno, camminando sulla moquette color ostrica. La faccia che vide nello specchio era tonda e rossa, con la testa quasi calva e rotoli di grasso sotto il mento. Si esaminò la barba, tirando di qua e di là la pelle flaccida per mettere in evidenza le setole. Incominciò a radersi. Lo faceva ogni giorno da quarant'anni, e continuava a trovarlo stancante. Sì, i risultati semestrali erano negativi.
L'Hamilton Holdings era in difficoltà. Quando aveva ereditato dal padre l'Hamilton Printing, l'azienda tipografica era efficiente, affermata e redditizia. Jasper Hamilton era stato un vero tipografo, affascinato dai caratteri, appassionato delle nuove tecnologie, innamorato dell'odore oleoso delle macchine da stampa. Il figlio era un uomo d'affari. Aveva preso i profitti dell'azienda e li aveva smistati in affari molto diversificati: importazione di vini, commercio al dettaglio, editoria, cartiere, radio commerciali. E così aveva realizzato il suo scopo fondamentale, trasformare il reddito in ricchezza, e conseguentemente evitare le tasse. Anziché occuparsi di Bibbie, tascabili e manifesti, si era dedicato a liquidità e rendimenti. Aveva acquistato numerose società e aveva continuato a creare aziende nuove fino a costruire un impero. Il successo continuo dell'azienda-madre aveva mascherato per molto tempo la fragilità della sovrastruttura. Ma quando il complesso tipografico si era indebolito, Hamilton aveva scoperto che quasi tutte le altre attività erano marginali, che aveva sottovalutato l'investimento di capitali necessario per portarle fino alla maturazione, e che alcune avrebbero effettivamente dato qualche frutto solo dopo molto tempo. Allora aveva venduto il quarantanove per cento delle azioni di ognuna delle sue società; quindi aveva trasferito le azioni rimastegli a una finanziaria, e aveva venduto il quarantanove per cento anche di questa. Aveva trovato altro denaro e aveva negoziato un fido di sette cifre. Il prestito aveva tenuto in vita l'organizzazione, ma gli interessi saliti rapidamente nel corso del decennio avevano divorato quei pochi profitti rimasti. Intanto, a Derek Hamilton era venuta l'ulcera. Il piano di salvataggio era stato varato quasi un anno prima. Il ricorso al credito era stato limitato nel tentativo di ridurre lo scoperto; i costi erano stati tagliati in tutti i modi possibili, dall'annullamento delle campagne pubblicitarie all'utilizzazione della carta avanzata dalla stampa, che veniva riciclata per la cancelleria. Hamilton aveva imposto l'austerità: ma l'inflazione e la crisi economica avevano un ritmo troppo veloce. I risultati del semestre avrebbero dovuto dimostrare al mondo che l'Hamilton Holdings aveva svoltato l'angolo: invece rivelavano un ulteriore declino. Si asciugò il viso con una salvietta calda, si diede la colonia e tornò in camera da letto. Ellen era vestita; stava seduta allo specchio e si truccava. Riusciva sempre a vestirsi e a spogliarsi quando il marito non era nella stanza, e Derek Hamilton pensò che da anni non la vedeva nuda. Si chiese il perché.
A cinquantacinque anni, aveva forse la pelle grinzosa e la carne flaccida? La nudità avrebbe distrutto l'illusione che Ellen fosse ancora desiderabile? Forse; ma Derek Hamilton sospettava che la causa fosse più complessa. Era legata forse al modo in cui anche lui era invecchiato, pensò mentre infilava le enormi mutande. Ellen era sempre decentemente coperta, perciò non la desiderava mai; e quindi lei non era costretta a rivelare quanto lo trovasse indesiderabile. Quella combinazione di tortuosità e di sensibilità sarebbe stata degna di lei. Ellen chiese: Che cosa intendi fare?. La domanda lo colse alla sprovvista. In un primo momento pensò che Ellen doveva sapere cosa stava pensando e si riferiva a quello; poi si rese conto che stava continuando il loro dialogo sull'andamento degli affari. Mise le bretelle e si chiese che cosa doveva dirle. Non ne sono sicuro rispose finalmente. Ellen si guardò con attenzione allo specchio e si ritoccò le ciglia. Certe volte mi domando che cosa vuoi dalla vita. Derek la fissò, sorpreso. L'educazione ricevuta aveva insegnato a Ellen a usare approcci indiretti e a non fare mai domande personali, perché la serietà e l'emotività rovinavano le feste e facevano svenire le signore. Doveva costarle uno sforzo considerevole chiedere qual era lo scopo dell'esistenza di qualcuno. Lui sedette sul bordo del letto e risposc fissandole la schiena. Devo rinunciare al cognac, ecco. Sicuramente sai che quel che mangi e bevi non c'entra niente. Ellen si diede il rossetto, stirando le labbra per applicarlo meglio. E cominciato nove anni fa, e tuo padre è morto dieci anni fa. Ho l'inchiostro tipografico nel sangue. La risposta fu automatica, come un catechismo. Quella conversazione sarebbe sembrata assurda a un estraneo, ma loro due ne conoscevano la logica. Era una sorta di codice: la morte del padre l'aveva costretto ad assumere la direzione degli affari; e l'ulcera sig,nificava che gli affari lo preoccupavano. Ellen disse: Tu non hai affatto l'inchiostro nel sangue... tuo padre l'aveva, ma tu non sopporti neppure l'ombra della vecchia tipografia. Ho ereditato un'azienda solida, e voglio lasciarne ai miei figli una ancora più forte. Non è ciò che devono fare nella loro vita quelli della nostra classe? Ai nostri figli non interessa affatto quello che gli lasceremo. Michael sta creando dal niente la sua azienda, e Andrew non sogna altro che vaccinare contro la varicella l'intero continente africano. Derek non avrebbe saputo dire fino a che punto sua moglie parlava sul serio in quel momento. Le manovre e le smorfie per truccarsi rendevano illeggibile la sua espressione. Senza dubbio lo faceva di proposito. Tutto quel che faceva, lo faceva di proposito. Lui disse: Ho un preciso dovere. Ho più di duemila dipendenti, e molti altri posti di lavoro sono legati alla solidità delle mie società. Secondo me, il tuo dovere l'hai già fatto.
Hai tenuto in piedi l'azienda durante un periodo di crisi... non tutti ci sono riusciti. Hai sacrificato la salute, le hai dato dieci anni della tua vita e... Dio sa che altro ancora. Ellen abbassò la voce quando pronunciò l'ultima frase, come se fosse pentita di averla detta. Dovrei sacrificarle anche il mio orgoglio? replicò Derek Hamilton. Terminò di vestirsi, e strinse il nodo della cravatta. Ho trasformato una tipografia commerciale in una delle mille aziende più grandi del paese. La mia attività vale dieci volte più di quànto valeva l'attività di mio padre. Io l'ho creata, e spetta a me farla funzionare. Ti senti in dovere di fare meglio di tuo padre. E un'ambizione tanto meschina? Si! La veemenza improvvisa di Ellen era sconcertante. Dovresti desiderare la salute, una lunga vita... e la mia felicità. Se la società fosse prospera, forse potrei venderla. Ma come stanno le cose, non ne ricaverei neppure il valore degli immobili e dei macchinari. Derek diede un'occhiata all'orologio. Devo andare. Scese l'ampia scalinata. L'atrio era dominato da un ritratto di suo padre. La gente pensava che raffigurasse Derek a cinquant'anni, ma in realtà era Jasper a sessantacinque. Il telefono, sul tavolo dell'ingresso, trillò proprio mentre gli passava accanto. Derek non gli badò. Non rispondeva mai alle chiamate al mattino. Entrò nella sala da pranzo piccola... Ia più grande era riservata ai pranzi, e in quel periodo non ce n'erano molti. Il tavolo rotondo era apparecchiato con posate d'argento. Una donna anziana con il grembiule bianco portò mezzo pompelmo in un piatto di porcellana pregiata. Oggi no, signora Tremlett disse in tono irritato Derek Hamilton. Soltanto una tazza di tè, per favore. E prese il "Financial Times". La governante esitò, poi mise il piatto davanti al posto di Ellen. Hamilton alzò gli occhi. Lo porti via, se non le spiace disse in tono scocciato. Serva la colazione della signora Hamilton quando la signora scende, non prima. Sta bene mormorò la signora Tremlett e portò via il pompelmo. Quando Ellen entrò, riprese la discussione nel punto dove l'avevano interrotta. Non credo abbia molta importanza che tu possa incassare cinque milioni o cinquecentomila sterline per la società. In entrambi i casi le cose non migliorerebbero. Dato che non possiamo vivere serenamente, non capisco che scopo abbia la ricchezza. Derek Hamilton posò il giornale e la guardò. Ellen indossava un tailleur color panna, con una camicetta di seta stampata e scarpe confezionate a mano. Hai una bella casa e il personale necessario per mandarla avanti. Hai amicizie qui, e una vita sociale in città, quando vuoi approfittarne.
Questa mattina indossi un vestito che vale qualche centinaio di sterline, e probabilmente non lascerai il villaggio. A volte sono io a chiedermi che cosa vuoi tu dalla vita. Ellen arrossn.. un avvenimento che accadeva di rado. Te lo dirò. Bussarono alla porta. Entrò un uomo di bell'aspetto, con il soprabito e un berretto in mano. Buongiomo, signore, buongiorno, signora disse. Se dobbiamo prendere il treno delle sette e quarantacinque, signore... Hamilton disse: Va bene, Pritchard. Aspetti nell'atrio. Sì, signore. Posso chiedere se oggi le servirà la macchina, signora? Hamilton guardò Ellen. Lei non alzò gli occhi dal piatto quando rispose: Credo di sì, sì. Pritchard annuì e uscì. Hamilton disse: Stavi per rivelarmi che cosa vuoi dalla vita. Non credo che sia un argomento da discutere a colazione, soprattutto quando tu devi scappare a prendere il treno. D'accordo. Lui si alzò. Divertiti. Non correre troppo. Come? Guida con prudenza. Oh. Oh, mi accompagna Pritchard. Derek Hamilton si chinò per baciarle la guancia, ma Ellen girò la testa e lo baciò sulle labbra. Quando lui si staccò, la vide arrossire. Lo trattenne per il braccio e disse: Ti voglio, Derek. Lui la fissò. Vogliò che viviamo insieme a lungo e contenti dopo che ti sarai ritirato dagli affari continuò Ellen in fretta. Voglio che ti rilassi, mangi cibi giusti, e torni ad essere snello e sano. Voglio l'uomo che veniva a farmi la corte con la Riley scoperta, l'uomo che è tornato dalla guerra con tante medaglie e mi ha sposata, l'uomo che mi ha tenuto la mano quando ho partorito i miei figli. Voglio amarti. Hamilton rimase allibito. Non si era mai comportata così con lui. Non sapeva come reagire. Non sapeva cosa dire, cosa fare, dove guardare. Io... devo prendere il treno disse. Ellen recuperò in fretta la compostezza. Sì. Devi andare. La guardò ancora per un momento, ma lei evitò i suoi occhi. Poi disse: Uhm... ciao. Ellen annuì in silenzio. Hamilton uscì. Nell'atrio mise il cappello e lasciò che Pritchard gli aprisse la porta. La Mercedes blu era ferma sul viale e luccicava al sole. Pritchard deve lavarla ogni mattina prima che io mi alzi, pensò Hamilton. La conversazione con Ellen era stata molto strana, pensò mentre si dirigevano alla stazione. Guardava dal finestrino il gioco dei raggi del sole sulle foglie che cominciavano a ingiallire, e riconsiderò mentalmente le scene principali. Voglio amarti, aveva detto lei. Aveva parlato delle cose che lui aveva sacrificato agli affari e aveva soggiunto: e Dio sa che altro ancora. Voglio amare te, e non un altro.
Era questo che aveva inteso dire? Aveva perduto la fedeltà della moglie, oltre alla salute? Forse Ellen voleva semplicemente fargli pensare che lei avrebbe potuto avere una relazione. Questo era più consono al suo carattere. Lei ricorreva alle sottigliezze. Le invocazioni d'aiuto non erano nel suo stile. Dopo i risultati del semestre, Derek Hamilton aveva giusto bisogno di problemi domestici come di un'assemblea dei creditori. C'era qualcosa d'altro. Ellen era arrossita quando l'autista aveva chiesto se avrebbe usato la macchina; e poi, frettolosamente, aveva detto: Mi accompagna Pritchard. Hamilton chiese: Dove accompagna la signora Hamilton, Pritchard?. Guida personalmente la macchina, signore. Intanto io mi rendo utile in casa... c'è sempre tanto da... Sì, certo l'interruppe Hamilton. Non volevo fare un'indagine sulla sua efficienza. Era una semplice curiosità. Signore... L'ulcera fece sentire una fitta. Il tè, pensò Hamilton. Al mattino dovrei bere latte. Herbert Chieseman accese la luce, fece tacere la sveglia, alzò il volume della radio che era rimasta in funzione tutta la notte e premette il tasto di ritorno del registratore. Poi scese pigramente dal letto. Mise il bricco sul fornello e guardò dalla finestra dell'appartamento-studio mentre attendeva che il nastro, con sette ore di registrazione, tornasse al punto di partenza. Era una mattina serena e luminosa. Più tardi il sole si sarebbe fatto sentire, ma per ora faceva freddo. Indossò i calzoni e un maglione sopra la biancheria che aveva tenuto anche a letto e infilò le pantofole. Il suo alloggio era un'unica, grande stanza in una casa vittoriana nel nord di Londra, ormai in declino. I mobili, la stufa e la vecchia cucina a gas appartenevano al padrone di casa. La radio era di Herbert. L'affitto includeva l'uso di un bagno comune e, cosa importantissima, l'uso esclusivo della soffitta. La radio dominava la stanza. Era una potentissima ricevente VHF, costruita con le parti che Herbert aveva scelto meticolosamente in cinque o sei negozi specializzati lungo Tottenham Court Road. L'antenna era sul tetto. Anche il registratore era stato costruito da Herbert. Versò il tè in una tazza, vi aggiunse un po' di latte condensato e sedette al tavolo di lavoro. A parte le apparecchiature elettroniche, c'erano soltanto un telefono, un quaderno a righe e una biro. Aprì il quaderno a una pagina nuova e scrisse in alto la data in corsivo.
Poi abbassò il volume della radio e incominciò a far scorrere ad alta velocità la registrazione di quella notte. Ogni volta che un sibilo acuto indicava una voce registrata, faceva rallentare il nastro fino a distinguere le parole. ... macchina procedere a Hollovvay Road, in fondo, per aiutare un agente... ... Ludiow Road, West Cinque, una certa signora Shaftesbury... sembra una domestica, Ventuno.,. ... l'ispettore dice che se quel ristorante cinese è ancora aperto mangerà pollo con il riso fritto... ... Hollovvay Road, sbrigatevi, l'agente è in difficoltà... Herbert fermò la registrazione e prese un appunto. ... segnalato furto in una casa... vicino a Wimbledon Common, Jack... ... Diciotto, mi senti...? ... tutte le macchine nell'area di Lee possono andare ad aiutare i vigili del fuoco al ventidue di Feather Street... Herbert prese un altro appunto. ... Diciotto, mi senti... ? ff... Non so, prova a darle un'aspirina... ... aggressione con coltello, niente di grave... ... dove diavolo eri finito, Diciotto...? Herbert guardò la fotografia sulla mensola del camino chiuso dalle assi. La foto era lusinghiera: Herbert l'aveva saputo già vent'anni prima, quando lei gliel'aveva regalata. Ma ormai aveva dimenticato. Era strano: non pensava più a lei com'era stata veramente. Quando la ricordava, visualizzava una donna dalla carnagione perfetta e dalle guance dipinte che posava davanti a un panorama sbiadito nello studio di un fotografo. ... rubato un televisore a colori e sfondato una vetrata... Era stato il primo, nel gruppo di amici, a "perdere la moglie", come dicevano. In seguito, altri due o tre avevano vissuto la stessa tragedia. Uno era diventato alcolizzato, un altro aveva sposato una vedova. Herbert si era dedicato al suo hobby, la radio. Aveva incominciato ad ascoltare le trasmissioni della polizia, durante il giorno, quando non si sentiva abbastanza bene per andare al lavoro... il che succedeva piuttosto sPesso. ... Grey Avenue, Golders Green, un'aggressione... Un giorno, dopo aver sentito i poliziotti che parlavano di una rapina in banca, aveva telefonato all"'Evening Post". Un cronista l'aveva ringraziato per l'informazione e aveva annotato il suo nome e indirizzo.Era stata una grossa rapina, un quarto di milione di sterline, e quella sera il servizio era apparso sulla prima pagina della "Post". Herbert si era sentito molto orgoglioso, e lo aveva raccontato in tre può. Poi non ci aveva più pensato. Tre mesi dopo, il giornale gli aveva mandato un assegno di cinquanta sterline. L'assegno era accompagnato da una comunicazione che diceva: "Due feriti nella rapina da duecentocinquantamila sterline" e portava la data del colpo.
... Lascia perdere, Charlie, tanto quella non presenterà denuncia, lascia perdere... L'indomani Herbert era rimasto a casa e aveva telefonato alla "Post" ogni volta che aveva captato qualcosa sulla lunghezza d'onda della polizia. Nel pomeriggio aveva ricevuto la telefonata di un tale che si era presentato come vice-redattore capo; e questi gli aveva spiegato cosa voleva il giornale dagli informatori come Herbert. Era inutile che segnalasse un'aggressione, a meno che fosse stata usata una pistola o qualcuno fosse rimasto ucciso; non doveva curarsi dei furti, a meno che fossero avvenuti a un indirizzo di Belgravia, Chelsea o Kensington; non doveva riferire le rapine se non venivano adoperate le armi o se non si trattava di somme cospicue. ... procedete fino al ventitrè di Narrow Road e aspettate... Herbert aveva capito subito perché non era stupido, e perché il valore che la "Post" attribuiva alle notizie non era molto sofisticato. Ben presto si era accorto che nei giorni in cui si dava malato guadagnava di più di quando andava al lavoro. E poi, ascoltare la radio gli piaceva molto di più che confezionare astucci per macchine fotografiche. E così aveva dato il preavviso in fabbrica, ed era diventato quello che nel gergo giornalistico veniva chiamato "orecchiante". ... è meglio che mi dai la descrizione... Dopo qualche settimana passata da Herbert a lavorare alla sua radio a tempo pieno, il vice-redattore capo era venuto a parlargli a casa... lui non si era ancora trasferito nell'appartamento-studio. Gli aveva detto che la sua collaborazione era molto utile al giornale, e aveva chiesto se accettava di lavorare in esclusiva per loro. Herbert avrebbe dovuto telefonare le sue segnalazioni soltanto alla "Post", non ad altri giornali. Avrebbe avuto un compenso fisso settimanale, in cambio di questo impegno. Herbert non aveva detto di non aver mai avvertito altri giornali, e aveva accettato garbatamente la proposta. ... resta lì, manderemo rinforzi tra pochi minuti... Con il passare degli anni, Herbert aveva perfezionato l'equipaggiamento e imparato a capire molto bene che cosa interessava al giornale. Aveva scoperto che erano sempre contenti di quello che gli passava al mattino; mà poi diventavano più schizzinosi con il trascorrere delle ore, e verso le tre del pomeriggio erano interessati solo da un omicidio commesso in mezzo alla strada oppure da una grossa rapina con morti e feriti. Inoltre aveva scoperto che il giornale, come la polizia, era assai meno interessato a un reato commesso da qualcuno di colore in una zona di colore. Herbert pensava che fosse molto ragionevole, dato che lui, come lettore dell"'Evening Post", non si curava molto di quello che i wogs facevano l'uno all'altro nei loro quartieri; e ne deduceva, esattamente, che la "Post" non se ne interessava perché non se ne interessavano quelli come lui, i lettori del giornale.
Herbert, poi, aveva imparato a leggere tra le righe del gergo poliziesco: capiva quando un'aggressione era trascurabile, quando una denuncia aveva carattere domestico; riconosceva la nota di urgenza nella voce del sergente della sala operativa quando c'era una disperata richiesta di aiuto; e smetteva automaticamente di ascoltare quando i poliziotti si comunicavano via radio gli elenchi interminabili dei numeri di targa di auto rubate. Il trillo accelerato della sveglia uscì dal grosso altoparlante, ed Herbert spense il registratore. Alzò il volume della radio, poi fece il numero della "Post". Nell'attesa che qualcuno rispondesse, sorseggiò il tè. "Post", buongiorno. Era una voce d'uomo. Ufficio stenografi, per favore disse Herbert. Vi fu un altro breve silenzio. Qui stenografo. Salve, qui Chieseman, alle zero-sette-e-cinquantanove. Si udiva in sottofondo il ticchettio delle macchine per scrivere. Salve, Bertie. C'è qualcosa? Sembra essere stata una notte tranquilla disse Herbert.
ORE 8.00. Tony Cox era in una cabina telefonica all'angolo di Quill Street, a Bethnal Green, il ricevitore appoggiato all'orecchio. Indossava il caldo soprabito con il colletto di velluto e sudava. Teneva in mano l'estremità di una catena, fissata al collare del cane che attendeva fuori. Anche il cane sudava. Qualcuno rispose, e Tony inserì una moneta nella fcnditura. Una voce disse: Sì? con il tono di chi non era ancora del tutto abituato ai telefoni del tipo nuovo. Tony fu molto conciso. E per oggi. Provvedi. Riattaccò senza dire il suo nome e senza aspettare una risposta. S'incamminò sullo stretto marciapiedi, trascinandosi dietro il cane. Era una femmina di boxer con un ragguardevole pedigree e il corpo snello e poderoso, e Tony doveva strattonare continuamente la catena per farle tenere il passo. La cagna era forte, ma il suo padrone lo era molto di più. Le porte delle vecchie case a schiera davano direttamente sulla strada. Tony si fermò davanti a quella dov'era parcheggiata la Rolls Royce grigia. Spinse la porta e aprì. Non era mai chiusa. Chi ci abitava non aveva paura dei ladri. Nella casetta c'era odore di cucina. Tony si tirò dietro la cagna, entrò e sedette su una sedia. Sganciò la catena dal collare e diede una pacca sul didietro della cagna per farle capire che era libera.
Si alzò e si tolse il cappotto. Sul fornello a gas c'era un bricco, e su un foglio di carta oleata stava la pancetta affettata. Tony aprì un cassetto e prese un coltello da cucina con venticinque centimetri di lama. Controllò il filo con il pollice, decise che non era abbastanza tagliente e uscì in giardino. Sotto la tettoia c'era una vecchia mola da arrotino. Tony sedette su uno sgabello e azionò il pedale, come aveva visto fare da suo padre molti anni prima. A Tony piaceva fare le cose come le aveva fatte il padre. Gli sembrava di rivederlo: alto e bello, con i capelli ondulati e gli occhi lampeggianti, mentre faceva schizzare le scintille dalla mola e i suoi figli ridevano allegramente. Aveva avuto una bancarella in un mercatino all'aperto: vendeva stoviglie e tegami e vantava le sue mercanzie con voce forte ed echeggiante. Faceva sempre la commedia, fingendo di stuzzicare il negoziante che aveva la bancarella accanto alla sua: Ecco, io ho appena venduto una pentola per mezza sterlina. Quante patate devi vendere per incassare dieci scellini? Adocchiava le donne sconosciute a parecchi metri di distanza e sfruttava senza ritegno il suo aspetto. Devo essere sincero, tesoro diceva a una donna di mezza età con il cappellino in testa, in questa parte del mercato non capitano spesso belle ragazze come lei, questo glielo vendo in perdita, e spero che tornerà. Guardi, guardi... guardi che solido fondo di rame! E l'ultimo. Oggi ho già guadagnato abbastanza, quindi può portarselo via per due scellini, metà di quello che ho pagato, solo perché ha fatto battere il cuore a un vecchio... e lo prenda in fretta, prima che mi penta. Tony era rimasto sconvolto dalla rapidità con cui era cambiato suo padre dopo aver perduto un polmone. I capelli erano incanutiti, le guance s'erano incavate, la bella voce era diventata acuta e lamentosa. Il banco sarebbe spettato di diritto a Tony; ma lui aveva già le sue fonti di reddito e perciò l'aveva lasciato al giovane Harry, il fratello muto, che aveva sposato una bella ragazza di Whitechapel tanto paziente da aver imparato a parlare con le mani. Un muto doveva aver un bel coraggio per mandare avanti una bancarella al mercatn: scriveva sulla lavagna quando doveva comunicare con i clienti, e teneva in tasca un cartoncino con la scritta GRAZIE a lettere maiuscole, che mostrava quando vendeva qualcosa. Però se la cavava bene. Tony gli aveva prestato il denaro per affittare un negozio vero e proprio e per assumere un gerente, e anche in quella nuova attività aveva avuto successo. Il coraggio... era una qualità della famiglia. Il coltello, adesso, era abbastanza affilato. Lo controllò e si tagliò il pollice.
Tornò in cucina succhiandosi il dito. .Sua madre era lì. Lillian Cox era bassa e un po' grassa (il figlio aveva ereditato da lei la tendenza alla pinguedine, ma non la statura) e aveva assai più energia di quanto ne avesse di solito una donna di sessantatré anni. Ti preparo un po' di pane fritto disse. Benissimo. Tony posò il coltello e cercò una benda. Stai attenta alla lama... l'ho affilata troppo. Sua madre gli medicò la ferita; gliela fece tenere sotto il rubinetto dell'acqua fredda contando fino a cento, poi la spalmo con la pomata antisettica, la coprì con la garza e infine l'avvolse con una benda che fissò con una spilla di sicurezza. Tony rimase tranquillo e la lasciò fare. Lillian Cox disse: Ah, sei gentile ad affilarmi i coltelli. Dove sei andato a quest'ora?. Ho portato la cagna al parco. E ho dovuto fare una telefonata. Lei sbuffò. Non so proprio cos'abbia il telefono del salotto, davvero. Tony si chinò sul fornello per aspirare l'odore della pancetta che friggeva. Sai com'è, mamma. Quello l'ascolta la pula. La madre gli mise in mano una teiera. Vai di là e versa il tè. Tony portò la teiera in soggiorno e la posò su una tovaglietta di rafia. La tavola era apparecchiata con la tovaglia ricamata, posate per due, sale e pepe e bottiglie di salsa. Tony sedette vicino al caminetto, dove un tempo sedeva suo padre. Si girò verso la credenza e prese due tazze e due piattini. Ancora una volta ricordò il padre, lo rivide mentre dirigeva i pasti tra sberle e ordini. Giù i gomiti dal tavolo! esclamava. L'unico motivo di rancore che Tony aveva avuto verso di lui era il modo in cui trattava sua madre. Dato che era un bell'uomo, aveva diverse amichette; e a volte spendeva i quattrini per offrir loro il gin, anziché portarli a casa. Allora Tony e suo fratello andavano al mercato di Smithfield e rubavano i ritagli sotto i banchi e li vendevano per pochi soldi alla fabbrica di sapone. E non era mai stato nell'esercito... ma del resto, durante la guerra, molti furbi erano riusciti a evitare l'arruolamento. E adesso cosa fai... torni a letto, oppure versi il tè? Lillian mise un piatto davanti a Tony e gli sedette di fronte. Non importa, ci penso io. Tony prese le posate, tenne il coltello come se fosse una matita, e cominciò a mangiare. C'erano salsicce, due uova, un mucchietto di pomodori in scatola e diverse fette di pane fritto. Tony mangiò un boccone prima di prendere la salsa. Aveva fame, dopo le fatiche di quella mattina. La madre gli passò il tè e disse: Non lo so, non avevamo mai paura di adoperare il telefono quand'era vivo tuo padre, pace all'anima sua. Lui stava attento a tenersi lontano dalla pula. Tony pensò che ai tempi di suo padre non avevano neppure il telefono, ma lasciò perdere. Disse: Sicuro.
Stava così attento che è morto povero. Povero ma onesto. Davvero? Lo sai benissimo, accidenti, e non voglio assolutamente sentir dire il contrario. Non mi piace sentirti imprecare, mamma. Allora non dovresti provocarmi. Tony mangiò in silenzio e finì presto. Bevve fino all'ultimo sorso di tè, poi tolse l'incarto a un sigaro. La madre gli prese la tazza. Ancora un po' di tè? Lui diede un'occhiata all'orologio. No, grazie. Ho un paio di cose da fare. Accese il sigaro e si alzò. La colazione era deliziosa. Lillian socchiuse gli occhi: Cos'hai, il prurito?. Tony s'irritò. Lanciò nell'aria uno sbuffo di fumo. A chi interessa? Oh, be', si tratta della tua vita. Vai, vai, ci vediamo più tardi. E stai attento. Tony la fissò ancora per un momento. Anche se con lui si mostrava arrendevole, era una donna forte. Aveva guidato la famiglia dopo la morte del marito: aveva rimesso insieme matrimoni che andavano a pezzi, aveva chiesto denaro a un figlio per prestarlo a un altro, aveva dato consigli e usato la disapprovazione come arma decisiva. Aveva resistito a tutti i tentativi di convincerla a lasciare Quill Street per traslocare in un grazioso bungalow a Bournemouth: sospettava, a ragione, che la vecchia casa e i suoi ricordi rappresentassero un simbolo potente dell'autorità materna. Una volta c'era stata un'espressione di arroganza regale nel naso arcuato e nel mento aguzzo; adesso era ancora regale, ma rassegnata, come una sovrana che avesse abdicato. Sapeva che era saggio rinunciare alle redini del potere, anche se con rammarico. Tony si rendeva conto che per questo, adesso, aveva bisogno di lui: adesso era il re, e il fatto che lui vivesse con la madre la faceva sentire ancora vicina al trono. Il figlio l'amava perché lei aveva bisogno di lui. Nessun altro aveva bisogno di lui. Lillian si alzò. Bene, allora vai? Sì. Tony si accorse che si era smarrito nei suoi pensieri. Le passò un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé per un momento. Non la baciava mai. Ciao, mamma. Prese il cappotto, accarezzò la cagna e uscì. L'interno della Rolls era caldissimo. Premette il tasto e abbassò il vetro del finestrino prima di prendere posto sul sedile di pelle e di partire. Era piacevole guidare quella macchina per le vie strette dell'East End. Il suo lusso sfacciato, in contrasto con le strade miserabili e le vecchie case prive di dignità, esemplificava la storia della vita di Tony Cox. La gente guardava la macchina... casalinghe, strilloni, operai, teppisti la guardavano e dicevano fra di loro: Quello è Tony Cox... ha fatto fortuna. Tony fece cadere la cenere del sigaro dal finestrino aperto. Sì, aveva fatto fortuna. Aveva acquistato la sua prima automobile per sei sterline, quando aveva sedici anni. Il libretto in bianco del Ministero dei Trasporti gli era costato trenta scellini al mercato nero.
Aveva completato il libretto in ogni parte e rivenduto la macchina per ottanta sterline. In poco tempo era diventato proprietario di una rivendita di macchine usate, e l'aveva trasformata in un'azienda legittima. Poi l'ave-a ceduta, con tutta la merce, per cinquemila sterline, e si era messo nel giro delle aziende fantasma. Con quelle cinquemila sterline aveva aperto un conto in banca e aveva dato, per le referenze, il nome dell'uomo che gli aveva comprato la ditta. Aveva dato al direttore della banca il nome vero, ma un indirizzo falso... lo stesso indirizzo falso che aveva dato all'acquirente dell'azienda. Aveva preso in affitto un magazzino e aveva pagato tre mesi d'affitto anticipato. Aveva cominciato a comprare piccoli quantitativi di radio, televisori e hi-fi dalle fabbriche e a rivenderli ai negozi londinesi. Pagava puntualmente i fornitori, e il suo conto in banca era sempre in movimento. Dopo un paio di mesi era risultato che lavorava un pochino in perdita; ma in compenso aveva un ottimo credito. A quel punto aveva fatto una serie di ordini molto grossi. Le fabbriche cui aveva pagato puntualmente un paio di fatture da cinquecento sterline erano state ben felici di fornirgli merce per tre o quattromila sterline alle stesse condizioni di credito: sembrava proprio che stesse diventando un ottimo cliente. Quando aveva avuto il magazzino pieno di costose apparecchiature elettroniche non ancora pagate, aveva organizzato una svendita. Giradischi, televisori a colori, orologi digitali, registratori, amplificatori e radio erano stati venduti a prezzi scontatissimi, a volte anche la metà del valore al dettaglio. Dopo due giorni il magazzino era vuoto e Tony Cox aveva tremila sterline in contanti dentro due valigie. Aveva chiuso a chiave il magazzino ed era andato a casa. A quel ricordo, Tony Cox rabbrividì. Non intendeva più correre rischi come quello. E se uno dei fornitori avesse avuto un sospetto? Se il direttore della banca avesse visto Tony in un può un paio di giorni dopo? Ogni tanto usava ancora il sistema delle ditte fantasma, ma adesso si serviva di prestanomi che partivano per lunghe vacanze in Spagna non appena scoppiava la bega. E nessuno vedeva mai Tony. Comunque, i suoi interessi si erano diversificati. Possedeva appartamenti nel centro di Londra che affittava a prezzi altissimi a certe giovani signore; gestiva diversi nightclub, ed era persino impresario di un paio di complessi pop. Alcune delle sue attività erano lecite, altre criminose; alcune erano una specie di miscuglio, e altre ancora erano sulla nebulosa linea di confine, dove la legge non è molto sicura di sé e dove non osano avventurarsi gli uomini d'affari rispettabili con una reputazione da difendere. Naturalmente la pula sapeva di lui.
Ormai nessuno poteva più diventare un delinquente di un certo rilievo senza che il suo nome finisse schedato a Scotland Yard. Ma il problema era trovare le prove, soprattutto quando c'era qualche agente pronto a preavvertire Tony nell'eventualità di un'irruzione a sorpresa. Non lesinava mai su quel genere di investimenti. In agosto c'erano sempre tre o quattro famiglie di poliziotti che andavano in vacanza a Benidorm a spese di Tony Cox. Certo, non si fidava di loro. Erano utili; ma tutti pensavano che un giorno o l'altro si sarebbero rimessi a posto la coscienza denunciandolo. Anche un poliziotto corrotto, in ultima analisi, era pur sempre un poliziotto. Perciò tutte le transazioni avvenivano per contanti, e non esisteva una contabilità se non nella mente di Tony; e tutti i lavori che si dovevano fare venivano eseguiti dai suoi collaboratori in base a direttive verbali. Tony tendeva a giocare sempre più sul sicuro: fungeva semplicemente da banchiere. Qualcuno riceveva informazioni riservate e ideava un piano; poi reclutava un delinquente che provvedeva a organizzare l'equipaggiamento e la manodopera. A questo punto i due si rivolgevano a Tony e gli esponevano il piano. Se gli sembrava convincente, prestava loro il denaro per bustarelle, armi, macchine, esplosivi e quant'altro era necessario. Quando avevano portato a termine il lavoro, gli ripagavano il prestito cinque o sei volte, con una parte del loro guadagno. Il lavoro di quel giorno non era tanto semplice. Nel caso in questione era l'ideatore, non soltanto il banchiere. E quindi doveva essere molto, molto prudente. Fermò la macchina in una strada interna e scese. Lì le case erano più grandi (erano state costruite per capisquadra e operai specializati, anziché per scaricatori e manovali), ma non erano in condizioni migliori delle catapecchie di Quill Street. I rivestimenti di cemento erano pieni di crepe, le intelaiature delle finestre erano marce, e i giardinetti davanti alle porte erano più piccoli del portabagagli della Rolls di Tony. Soltanto una metà era abitata: le altre case venivano usate come magazzini, uffici o negozi. La porta alla quale bussò Tony ostentava un cartello, BILIARDI, con qualche lettera smozzicata. La porta si aprì immediatamente per farlo entrare. Strinse la mano a Walter Burden e lo seguì al piano di sopra. Un incidente d'auto aveva reso Walter zoppo e balbettante, e gli era costato il posto di scaricatore. Tony gli aveva dato in gestione la sala biliardo, sapendo che quel gesto non gli costava nulla ma gli avrebbe assicurato l'accresciuto rispetto degli abitanti dell'East End e l'imperitura gratitudine di Walter.
Walter chiese: Vuoi una tazza di tè, Tony?. No, grazie, Walter, ho appena fatto colazione. Tony girò gli occhi sulla sala con aria da proprietario. I tavoli da biliardo erano coperti, il pavimento di linoleum era spazzato, le stecche allineate in ordine. Vedo che tieni bene il locale. Faccio soltanto il mio dovere, Tone. Tu sei stato così generoso con me. Già. Cox andò alla finestra e guardò la strada. Una Morris 1100 blu era parcheggiata qualche metro più in là, dall'altra parte. A bordo c'erano due persone. Tony si sentì curiosamente soddisfatto: aveva fatto bene a essere prudente. Dov'è il telefono, Walter? In ufficio. Walter aprì una porta, fece accomodare Tony e richiuse, restando fuori. L'ufficio era pulito e ordinato. Tony sedette alla scrivania e fece un numero. Una voce rispose: Sì?. Passa a prendermi disse Tony. Cinque minuti. Tony riattaccò. Il sigaro si era spento. Lasciava sempre spegnere il sigaro, quando era nervoso. Lo riaccese con un Dunhill d'oro, e uscì. Tornò ad accostarsi alla finestra. Bene, amico, io vado disse a Walter. Se uno dei poliziotti della macchina blu si facesse venire l'idea di bussare alla porta, non aprirgli. Starò via circa mezz'ora. Non p-preoccuparti. Puoi contare su di me, lo sai. Walter annuì più volte, come un uccello. Sì, lo so. Tony batté la mano sulla spalla del vecchio e attraversò il corridoio, aprì la porta in fondo e scese in fretta la scala antincendio. Girò intorno a una carrozzina arrugginita, un materasso marcio e un relitto d'automobile. Le erbacce spuntavano ostinatamente dalle crepe del pavimento del cortile. Un gatto lurido scappò via. Le belle scarpe made in Italy di Tony si sporcarono di fango. Un cancelletto metteva in comunicazione il cortile con un vicolo. Tony arrivò fino in fondo al vicolo e in quel preciso momento una piccola Fiat rossa con tre uomini a bordo si accostò al marciapiedi. Tony prese posto sul sedile posteriore e la macchina ripartì immediatamente. Al volante c'era Jacko, il primo luogotenente di Tony. Accanto a Jacko c'era Willie il Sordo, che s'intendeva d'esplosivi più adesso di venti anni prima, quando aveva perso il timpano sinistro. Dietro, a fianco di Tony, c'era Peter '"Jesse" James, che aveva due passioni: le armi da fuoco e le ragazze con il didietro voluminoso. Erano uomini in gamba; e tutti facevano parte dell'organizzazione permanente di Tony. Tony chiese: Come sta il ragazzo, Willie?. Willie il Sordo girò verso di lui l'orecchio buono. Cosa? Ho chiesto come sta Billy. Compie diciotto anni oggi rispose Willie. E sempre lo stesso, Tone. Non sarà mai capace di badare a se stesso.
L'assistente sociale ci ha detto che dovremmo farlo ricoverare. Tony schioccò la lingua. Faceva sempre il possibile per essere gentile con il figlio deficiente di Willie il Sordo: le malattie mentali gli facevano paura. Immagino che non siate d'accordo. Willie rispose: Ho detto a mia moglie: cosa ci capisce un'assistente sociale? Questa, poi, è una ragazza di vent'anni. Ha fatto l'università. Be', almeno non è troppo insistente. Jacko interruppe, spazientito. E tutto pronto, Tony. I ragazzi sono sul posto, le macchine sono a posto. Bene. Tony guarda Jesse James. Armi? Un paio di fucili e un'Uzi. Che cosa? Jesse sorrise, fierissimo. Una pistola mitragliatrice da nove millimetri. Israeliana. Andiamo avanti borbottò Tony. Jacko disse: Siamo arrivati. Tony estrasse di tasca un berretto di tela e se lo calcò sulla testa. Hai fatto mettere i ragazzi al coperto? Sì rispose Jacko. Non m'interessa se dicono che è un colpo di Tony Cox, ma non voglio che possano dire di avermi visto. Lo so. La macchina entrò da uno sfasciacarrozze. Il grande recinto era in ordine. Le carrozzerie delle macchine erano accatastate in fila per tre e le componenti erano ammucchiate tutto intorno: colonne di pneumatici, una piramide di assi posteriori, un cubo di blocchi di cilindri. Accanto al cancello c'era una gru e un lungo camion per il trasporto delle macchine. Più avanti, un furgone Ford blusenza scritte, con le ruote posteriori doppie, era affiancato all'impianto di fiamma ossidrica dell'officina. La macchina si fermò, Tony scese. Era soddisfatto. Gli piaceva l'ordine. Gli altri tre attesero in silenzio. Jacko accese una sigaretta. Tony disse: Avete sistemato il padrone dello sfasciacarrozze?. Jacko annuì. Ha fornito la gru, il camion e l'impianto della fiamma ossidrica. Ma non sa a che cosa servono, e l'abbiamo legato per salvare le apparenze. Incominciò a tossire. Tony gli tolse la sigaretta di bocca e la buttò nel fango. Quella roba fa venire la tosse disse, e prese dalla tasca un sigaro. Fuma questi e camperai cent'anni. Tony si avviò al cancello, e i tre uomini lo seguirono mentre aggirava le buche e le pozzanghere, una montagna di batterie, mucchi di alberi di trasmissione e scatole del cambio. Arrivò davanti alla gru. Era piuttosto piccola, montata su cingoli, in grado di sollevare una macchina, un furgone o un camion leggero. Tony si sbottonò la giacca e salì la scaletta che portava alla cabina. in alto. Sedette ai comandi.Le vetrate gli permettevano di vedere ogni punto del recinto triangolare.
Da un lato c'era un viadotto della ferrovia, con gli archi di mattoni occupati da magazzini. Sul lato adiacente, un muro molto alto separava lo sfasciacarrozze da un campo giochi e dal vecchio cratere lasciato da una bomba. La strada passava invece lungo la parte anteriore, e curvava leggermente seguendo l'ansa del fiume che scorreva pochi metri più in là. Era una strada ampia, ma poco trafficata. Al riparo del viadotto c'era una baracca fatta di vecchie porte di legno che sosteneva un tetto di carta catramata. Gli uomini dovevano essere là dentro, intruppati intorno a una stufa elettrica, intenti a bere tè e a fumare nervosamente. Era tutto a posto. Tony provò un senso di euforia viscerale: l'istinto gli diceva che tutto sarebbe andato bene. Ridiscese dalla gru. Di proposito tenne la voce bassa, usando un tono casuale. Il furgone non segue sempre lo stesso percorso. Ci sono molte strade possibili per andare dalla City a Loughton. Ma questo punto è su quasi tutti i percorsi, giusto? Devono passare di qui, se non vogliono fare il giro da Birmingham o Watford. Ogni tanto, però, seguono un percorso diverso. Se oggi fosse così, dai una gratifica ai ragazzi e rimandali a casa fino alla prossima volta. Jacko disse: Sono già stati avvèrtiti. Bene. C'è dell'altro? I tre tacquero. Tony impartì le istruzioni finali. Tutti devono avere la maschera. Tutti devono mettere i guanti. Nessuno deve parlare. Li guardò uno ad uno, per accertarsi che avessero capito. Poi disse: Bene, riportatemi indietro. Nessuno parlò mentre la Fiat rossa ripercorreva le viuzze strette e ritornava al vicolo dietro il biliardo. Tony scese, poi si appoggiò alla portiera e parlò attraverso il finestrino aperto. E un buon piano e se farete quello che dovete fare, funzionerà. Solo un paio d'incognite... gli uomini a bordo e le precauzioni di sicurezza. Restate calmi, ce la faremo comunque. Tacque per un momento. Non sparate con quella pistola mitragliatrice della malora. Si avviò lungo il vicolo e rientrò nella sala biliardo dall'ingresso posteriore. Walter stava giocando a uno dei tavoli. Si raddrizzò quando sentì aprirsi la porta. Tutto bene, Tone? Tony andò alla finestra. Gli sbirri sono stati buoni? La Morris blu era sempre ferma nello stesso punto. Sì. Non hanno fatto altro che fumare. Era una fortuna, pensò Tony, che le forze dell'ordine non avessero uomini sufficienti per sorvegliarlo di notte, oltre che di giorno.
La sorveglianza dalle nove alle cinque era utilissima, perché gli permetteva di crearsi alibi senza limitare di molto le sue attività. Un giorno o l'altro avrebbero incominciato a pedinarlo ventiquattr'ore su ventiquattro. Ma lui lo avrebbe saputo con adeguato anticipo. Walter indicò con il pollice il tavolo da biliardo. Vuoi fare una partita? No. Tony si staccò dalla finestra. Oggi ho parecchio da fare. Scese la scala e Walter lo seguì zoppicando. Ciao, Walter disse Tony mentre usciva per la strada. Arrivederci, Tony disse l'altro. Dio ti benedica, figliolo. La redazione si animò improvvisamente. Alle otto era silenziosa come un obitorio, e la quiete era spezzata solo dal ticchettio della telescrivente e dal fruscio dei giornali che Cole stava leggendo. Adesso tre stenografi pestavano sui tasti, un fattorino fischiettava una canzone pop e un fotografo con la giacca di pelle discuteva di una partita di calcio con un viceredattore. I giornalisti arrivavano alla spicciolata. Arthur Cole aveva notato che quasi tutti seguivano una routine la mattina presto: uno prendeva il tè dal distributore automatico, un altro accendeva una sigaretta, un terzo apriva il "Sun" a pagina tre per vedere le solite foto di ragazze nude; ognuno usava la sua gruccia consueta per incominciare la giornata. Cole pensava che fosse utile lasciare ai collaboratori qualche minuto per mettersi tranquilli prima di iniziare a lavorare. Contribuiva a creare un'atmosfera d'ordine e di lucidità. Il redattore capo, Cliff Poulson, la pensava diversamente. Con quei suoi occhi verdi e sporgenti e quel suo accento dello Yorkshire, amava dire: Non toglierti la giacca, ragazzo. La sùa passione per le decisioni fulminee, la sua fretta perpetua e la sua fragile aria di bonomia creavano un'atmosfera frenetica. Poulson era un maniaco della velocità. Ma a Cole non risultava che un articolo avesse mai perso un'edizione solo perché qualcuno si era corìcesso un minuto per pensarci sopra. Kevin Hart era lì ormai da cinque minuti. Leggeva il "Mirror" e si appoggiava con il fianco al bordo di una scrivania. I calzoni dell'abito a righe avevano una piega impeccabile. Cole gli gridò: Chiama Scotland Yard, Kevin, per favore. Le segnalazioni di Bertie Chieseman erano sulla scrivania: un fascio di foglietti. Cole si guardò intorno. Quasi tutti i cronisti erano arrivati: adesso era il momento di farli lavorare. Passò in rassegna le segnalazioni, ne infilzò qualcuna su uno spuntone di metallo acuminato e distribuì le altre ai giornalisti con brevi raccomandazioni. Anna, un agente si è trovato in difficoltà in Hollovvay Road... telefona alla stazione di polizia più vicina e senti cos'è successo. Se è una storia di ubriachi, lascia perdere. Joe, l'incendio nell'East End... controlla con i vigili del fuoco.
Un furto a Chelsea, Phillip. Da' un'occhiata all'indirizzo sulla Guida Kelly, caso mai ci abitasse un personaggio famoso. Barney... Ia polizia ha inseguito e arrestato un irlandese dopo una visita in una casa di Queenstown Street, Camden. Telefona a Scotland Yard e chiedi se ha qualcosa a che vedere con l'IRA. Un telefono interno squillò. Cole sollevò il ricevitore. Arthur Cole. Hai qualcosa per me, Arthur? Cole riconobbe la voce del redattore addetto alle fotografie. Al momento rispose, sembra che il pezzo forte sia il voto di ieri sera ai Comuni. Ma ne hanno già parlato ieri alla televisione! Mi hai chiamato per chiedermi qualcosa o per dirmi qualcosa? Be', allora dovrò mandare qualcuno a Downing Street a fotografare il Primo ministro. C'è altro? Niente che non figuri sui giornali del mattino. Grazie, Arthur. Cole riattaccò. Non era piacevole aprire con un pezzo del giorno prima. Stava facendo il possibile per aggiornarlo... due giornalisti telefonavano a destra e a sinistra per sentire le reazioni: rastrellavano le opinioni dei loquacissimi parlamentari di secondo piano, ma non quelle dei ministri. Un giornalista di mezza età con la pipa in bocca chiamò: Ha appena telefonato la signora Poulson. Oggi Cliff non verrà. Ha la dissenteria. Cole gemette. E come ha fatto a prendere la dissenteria a Orpington? Una cena a base di curry. Va bene. Questa era buona, pensò Cole. Prometteva d'essere la giornata più fiacca del mese, e Poulson stava male. Con l'assistente redattore-capo in vacanza, Cole era abbandonato a se stesso. Kevin Hart si avvicinò. Niente da Scotland Yard disse. E stata una notte tranquilla. Cole alzò la testa. Hart aveva ventitré anni, era altissimo, e aveva i capelli biondi, ricci e lunghi. Cole represse uno scatto d'irritazione. E ridicolo disse. A Scotland Yard non hanno mai una notte completamente tranquilla. Cos'è successo al loro ufficio stampa? Dovremmo pubblicare un servizio... "La prima notte senza reati a Londra dopo mille anni" osservò Hart con un sorriso tronico. Cole si irritò di tanta leggerezza. Non prendere mai per buono quel genere di risposta da Scotland Yard disse in tono freddo. Hart arrossi. Lo imbarazzava sentirsi fare la predica come un novellino. Allora ritelefono. No disse Cole. Era riuscito a far capire a Hart l'inghippo. Voglio che prepari un articolo. Sai, quel nuovo giacimento petrolifero nel Mare del Nord? Hart annui. Si chiama Shield. Sì. Più tardi il Ministero dell'Energia annuncerà chi ha ottenuto la licenza per lo sfruttamento.
Fai un pezzo d'attesa, da pubblicare fino a che avremo l'annuncio ufficiale. Breve storia del giacimento, quello che vorrà dire la concessione per coloro che l'otterranno, i fattori che determinano la decisione del ministro. Nel pomeriggio potremo togliere il pezzo e sostituirlo con la notizia fresca. Va bene. Hart si avviò verso la biblioteca. Capiva di avergli dato un lavoro idiota come punizione; ma sembrava rassegnato, pensò Arthur. Per un momento fissò la schiena del ragazzo. Gli dava sui nervi, con quei capelli lunghi e quei vestiti. Era troppo sicuro di sé... ma del resto i giornalist dovevano avere una notevole faccia tosta. Cole si alzò e andò al tavolo dei viceredattori. L'assistente capo aveva davanti il pezzo d'agenzia sull'approvazione della Legge per l'Industria, le notizie e i commenti messi insieme dai cronisti di Cole. Arthur guardò da sopra la spalla; aveva scritto su un blocco: UN PARLAMENTARE RIBELLE ANNUNCIA: "PASSO AL LIB" Il giornalista si grattò la barba e alzò la testa. Che te ne pare? Sembra un pezzo sul Women's Lib commentò Cole. Non mi piace per niente. Non piace neppure a me. Il giornalista strappò il foglio, l'appallottolò e lo gettò in un cestino metallico. C'è qualcos'altro di nuovo? Niente, ho distribuito le segnalazioni appena adesso. L'uomo barbuto annuì e guardò pensieroso l'orologio che pendeva dal soffitto di fronte a lui. Speriamo di pescare qualcosa di decente per la seconda edizione. Cole si chinò e scrisse sul blocco: UN PARLAMENTARE RIBELLE DICHIARA: "PASSO AI LIBERALI Così è più chiaro disse, ma non cambia molto. L'altro sorrise. Vuoi il mio posto? Cole tornò alla sua scrivania. Annela Sims si avvicinò. L'incidente in Hollovvay Road è finito in niente. Un branco di schiamazzatori, nessun arresto. Va bene disse Cole. Joe Barnard posò il ricevitore e disse: L'incendio non è stato gran che, Arthur. Nessun ferito. Quanti abitavano nella casa? chiese Cole. Due adulti e tre bambini. Allora scrivi: Famiglia di cinque persone scampa alla morte. Phillip Jones disse: L'appartamento dove c'è stato il furto è di Nicholas Crost. Un violinista famoso. Benissimo disse Cole. Telefona alla stazione di polizia di Chelsea e chiedi che cos'hanno rubato. Già fatto rispose Phillip con un gran sorriso. E sparito uno Stradivari. Anche Cole sorrise. Bravo. Scrivi il pezzo, poi vai sul posto e vedi se riesci a intervistare il maestro. Il telefono squillò e Cole sollevò il ricevitore. Anche se non l'avrebbe mai ammesso, si divertiva molto.
ORE 9.00. Tim Fitzpeterson non aveva più lacrime: e piangere non serviva a nulla. Era sdraiato sul letto, con la faccia affondata nel cuscino. Ogni movimento era una sofferenza.
Si sforzava di non pensare: la sua mente scacciava i pensieri come un locandiere che rifiuta i clienti in soprannumero. A un certo punto il cervello si spense completamente. Sonnecchiò per qualche istante, ma l'evasione dalla sofferenza e dalla disperazione fu brevissima; tornò a svegliarsi. Non si alzò dal letto, non voleva far nulla, non poteva andare in nessun posto, e non si sentiva di affrontare la gente. Riusciva solo a pensare alla promessa di piacere, rivelatasi così falsa. Cox aveva avuto ragione quando gli aveva detto in modo volgare: E stata la notte più divertente della tua vita. Tim non riusciva a scacciare il ricordo del corpo snello e fremente della ragazza... ma adesso quei ricordi avevano un sapore spaventosamente amaro. Gli aveva mostrato il Paradiso e poi aveva sbattuto la porta. Naturalmente aveva finto l'orgasmo; ma non c'era stato nulla di simulato nel piacere di Tim. Poche ore prima aveva pensato alla prospettiva di una nuova vita, esaltata da un tipo di rapporto sessuale di cui aveva dimenticato l'esistenza. Adesso gli era molto difficile immaginare che il domani avesse ancora uno scopo. Sentiva il chiasso dei bambini che gridavano, strillavano e litigavano giocando, e invidiava l'assoluta banalità delle loro vite. Si vedeva come uno scolaretto con il blazer nero e i corti calzoni grigi, mentre percorreva cinque chilometri a piedi lungo i viottoli di campagna del Dorset, per raggiungere la scuola preparatoria, una scuola con un'unica classe. Era l'allievo più intelligente, ma questo non significava molto. Comunque gli avevano insegnato l'aritmetica e gli avevano trovato un posto alle elementari. Alle elementari si era trovato benissimo, lo ricordava. Era stato il capobanda, quello che organizzava i giochi e le ribellioni in classe. Fino a quando non aveva dovuto mettere gli occhiali. Ecco: stava cercando di ricordare quando nella vita si era sentito altrettanto disperato, e adesso lo sapeva. Era stato il primo giorno che era andato a scuola con gli occhiali. I ragazzini della sua banda erano rimasti dapprima sconcertati, poi avevano riso e infine avevano assunto un atteggiamento sprezzante. All'ora della ricreazione era stato seguito da un codazzo che cantilenava: "Quattrocchi, quattrocchi!". Dopo la refezione aveva cercato di organizzare una partita di calcio, ma John Willcott aveva detto: "Non è un gioco per te". Tim aveva rimesso gli occhiali nell'astuccio e aveva dato un pugno in testa a Willcott. Ma Willcott era grande e grosso e Tim, che in precedenza aveva sempre dominato con la forza della personalità, non era un combattente. Era finito in bagno a cercare di fermare il sangue che gli usciva dal naso mentre Willcott sceglieva le squadre.
Aveva cercato di rifarsi durante l'ora di storia, lanciando contro Willcott palline di carta intrise d'inchiostro sotto gli occhi della signorina Percival. Ma la signorina Percival, che di solito era molto indulgente, quel giorno aveva deciso di optare per le maniere forti e aveva spedito Tim dal direttore. Mentre tornava a casa si era azzuffato di nuovo, aveva perso e si era strappato il blazer. Sua madre aveva preso il denaro dal gruzzolo che Tim stava mettendo da parte per comprarsi un kit per costruire una radio, e aveva dato fondo a sei mesi di risparmi. Quello era stato il giorno più nero nella vita del giovane Tim: e le sue qualità di leader erano rimaste nell'ombra fino a quando era andato al college e si era iscritto al partito. Una sconfitta in una rissa, un blazer strappato, una sfuriata del direttore: Fitzpeterson si augurava che adesso i suoi problemi non fossero più seri di così. Un fischietto risuonò nel campo giochi di fronte all'appartamento, e il chiasso dei ragazzini cessò all'improvviso. Anch'io potrei mettere fine ai miei guai con la stessa rapidità, pensò Tim. Quell'idea era allettante. Per cosa vivevo fino a ieri? Un incarico importante, la mia reputazione, il successo nel governo: ma tutte queste cose oggi avevano perduto di valore. Il fischio che proveniva dal campo giochi voleva dire che erano le nove passate. Tim avrebbe dovuto presiedere, in quel momento, una commissione per discutere la produttività dei diversi tipi di centrale elettrica. Com'è possibile che provassi interesse per una cosa tanto insignificante? Pensò al progetto che aveva accarezzato per molto tempo, una proiezione del fabbisogno energetico dell'industria britannica fino all'anno 2000. Ma in quel momento non provava più il benché minimo entusiasmo. Pensò alle figlie: lo terrorizzava il pensiero di affrontarle. Tutto assumeva un sapore di cenere. Che cosa contava chi avrebbe vinto le prossime elezioni? Le sorti della Gran Bretagna erano determinate da forze che sfuggivano al controllo dei suoi dirigenti. Fitzpeterson aveva sempre saputo che si trattava di un gioco; ma ormai i premi non gli interessavano più. Non c'era nessuno con cui potesse parlare. Nessuno. Immaginava il dialogo con sua moglie. Tesoro, sono stato uno stupido e ti ho tradita. Mi sono lasciato sedurre da una puttana, una bella ragazza compiacente, e sono stato ricattato... Julia si sarebbe raggelata. La vedeva assumere una espressione di disgusto mentre sfuggiva ogni contatto emotivo. Lui avrebbe teso la mano per toccarla, e Julia avrebbe detto: Non ti azzardare. No, non poteva dirlo a Julia... non poteva dirglielo almeno fino a quando le sue ferite non si fossero rimarginate... e non credeva di poter sopravvivere tanto a lungo.
Chi altro c'era? I colleghi sottosegretari avrebbero detto: "Buon Dio, Tim, vecchio mio... mi dispiace terribilmente...". E subito avrebbero cominciato a prepararsi una posizione di difesa per il giorno in cui sarebbe scoppiato lo scandalo. Sarebbero stati attenti a non associarsi alle sue iniziative, a non farsi vedere troppo spesso in sua compagnia; sarebbero stati addirittura capaci di fare un discorso sulla moralità per crearsi adeguate credenziali puritane. Non li odiava per ciò che avrebbero fatto, lo sapeva: la sua prognosi era basata su ciò che avrebbe fatto lui in una situazione identica. Il suo agente era diventato quasi un amico, in un paio di occasioni. Ma era giovane e non poteva capire quante cose importanti dipendevano dalla fedeltà in un matrimonio che durava da vent'anni. Molto cinicamente, gli avrebbe consigliato d'insabbiare l'intera faccenda e non avrebbe tenuto minimamente conto del danno gravissimo che era stato fatto a lui come uomo. Sua sorella, forse? Una donna ordinaria, sposata con un falegname... Aveva sempre provato un po' d'invidia per Tim. Avrebbe sguazzato, in una faccenda del genere. Tim non voleva neppure pensarci. Suo padre era morto, sua madre era vecchia e rimbecillita. E lui era senza amici. Che cosa aveva fatto della sua vita, per ritrovarsi così, senza qualcuno che gli volesse bene indipendentemente dal fatto che avesse ragione o torto? Forse si trattava di un impegno reciproco, e lui si era ben guardato di coltivare legami che non fossero solo superficiali e che non potessero essere tagliati in ogni momento. Non poteva chiedere appoggio a nessuno. Poteva contare soltanto sulle proprie risorse. Che cosa facciamo, si chiese stancamente, quando perdiamo le elezioni con un margine schiacciante? Ci riorganizziamo, prepariamo un programma per gli anni da passare all'opposizione, incominciamo a lavorare dalle fondamenta, usiamo la nostra rabbia e la nostra delusione quali combustibili per la battaglia. Cercò dentro di sé coraggio, odio e rancore che gli permettessero di negare la vittoria a Tony Cox; e trovò soltanto vigliaccheria. Altre volte aveva perduto battaglie e subìto umiliazioni, ma allora era un uomo e gli uomini hanno sempre la forza per continuare a lottare, no? La sua forza era sempre derivata da una certa immagine che aveva di se stesso: un uomo libero, solido, fidato, leale e coraggioso, capace di vincere con orgoglio e di perdere con garbo. Tony Cox gli aveva mostrato un'immagine nuova: un uomo tanto ingenuo da lasciarsi sedurre da una ragazza scema, così debole da tradire un segreto alla prima minaccia di ricatto, atterrito a tal punto da strisciare sul pavimento implorando misericordia. Strinse convulsamente le palpebre, ma l'immagine continuò a invadergli la mente. Non l'avrebbe mai più abbandonato, per il resto della sua vita. Ma la sua vita non doveva necessariamente durare a lungo. Finalmente si mosse.
Sedette sull'orlo del letto e si alzò. Il lenzuolo era macchiato di sangue, il suo sangue... un promemoria vergognoso. Il sole si era spostato nel cielo e adesso brillava fulgido attraverso la finestra. Tim avrebbe voluto chiuderla, ma era uno sforzo troppo grande. Uscì zoppicando dalla camera da letto, attraversò il soggiorno e andò in cucina. Il bricco e la teiera erano dove li aveva lasciati lei dopo aver preparato il tè. Aveva lasciato cadere alcune foglioline sul piano di formica, e non si era presa il disturbo di rimettere nel piccolo frigo la bottiglia di latte. La cassetta del pronto soccorso era in un pensile in alto, chiuso a chiave, dove non potevano arrivare i bambini. Sall su uno sgabello. Prese la chiave sopra il pensile. Aprì l'antina e tirò giù una vecchia scatola di latta con sul coperchio una veduta della cattedrale di Durham. Scese dallo sgabello e posò la scatola. Dentro vi trovò garze, un rotolo di bende, fasce, pomata antisettica, acqua d'aneto, un tubetto d'Ambra Solare e una grossa boccetta piena di sonniferi. Prese le compresse e avvitò di nuovo il tappo. Poi da un altro pensile prese un bicchiere. Continuava non fare tante cose: non aveva messo via il latte, non aveva pulito le foglie di tè sparse, non aveva riposto la scatola del pronto soccorso, non aveva chiuso l'anta del pensile dei bicchieri. Non era necessario, e doveva continuare a ripeterselo. Portò il bicchiere e le compresse in soggiorno e li mise sulla scrivania. Sulla scrivania c'era soltanto un telefono: metteva sempre in ordine quando finiva di lavorare. Aprì il mobile-bar sotto il televisore. Lì c'era il drink che aveva pensato di offrire alla ragazza. C'erano whisky, gin, dry sherry, un buon cognac e una bottiglia ancora intatta di cau de vie prunes che qualcuno gli aveva portato dalla Dordogna. Tim scelse il gin, sebbene non gli piacesse. Ne versò ùn po' nel bicchiere sulla scrivania, quindi si sedette. Non aveva la forza di volontà necessaria per attendere, forse anni e anni, la vendetta che gli avrebbe restituito il rispetto per se stesso. Tuttavia, in quel momento non poteva far del male a Cox senza farne ancora di più a se stesso. Se avesse smascherato Cox, avrebbe smascherato anche Tim Fitzpeterson. Ma i morti non soffrono. Poteva distruggere Cox, e poi morire. Date le circostanze, sembrava l'unica cosa da fare. Derek Hamilton era atteso alla stazione di Waterloo da un altro autista, questa volta con una Jaguar.
La Rolls Royce del presidente era stata sacrificata nel quadro della politica di economie; purtroppo i sindacati non avevano apprezzato il gesto. L'autista si toccò la visiera del berretto e gli aprì la portiera. Hamilton salì senza pronunciare una Parola. Mentre la macchina partiva, prese una decisione. Non sarebbe andato subito in ufficio. Mi porti da Nathaniel Fett... sa dove? Sì, signore rispose l'autista. Attraversarono il ponte di Waterloo e svoltarono in Aldwych, dirigendosi verso la City. Fett e Hamilton avevano frequentato entrambi la Westminster School: Nathaniel Fett senior aveva saputo che là suo figlio non avrebbe sofferto per il fatto di essere ebreo, e lord Hamilton aveva pensato che quella scuola non avrebbe trasformato il suo in un imbecille d'alto bordo... per usare l'espressione di sua signoria. I due ragazzi venivano da ambienti in apparenza molto simili. Entrambi avevano padri ricchi e dinamici e madri molto belle; entrambi appartenevano a famiglie intellettuali dove i politici andavano a cena; entrambi erano cresciuti in mezzo a buoni quadri e a una quantità sterminata di libri. Tuttavia, quando la loro amicizia si era consolidata e i due giovani erano andati a Oxford (Fett al Balliol, Hamilton al Magdalen), nel confronto la famiglia Hamilton aveva un po' sfigurato. Derek aveva finito per considerare superficiale l'intelligenza di suo padre. Il vecchio Fett era capace di discutere con distacco di pittura astratta, di comunismo e di be-bop jazz, e poi farli a pezzi con la precisione di un chirurgo. Lord Hamilton aveva le stesse concezioni conservatrici, ma le esprimeva con i cliché tonanti di un discorso alla Camera dei Lord. Derek, sul sedile posteriore della Jaguar, sorrise tra sé. Era stato troppo duro nel giudicare il padre: forse i figli lo erano sempre. Pochi uomini erano stati più esperti in fatto di scaramucce politiche; l'abilità del vecchio gli aveva dato un potere autentico, mentre il padre di Nathaniel era stato troppo saggio per acquisire una vera influenza negli affari di stato. Nathaniel aveva ereditato quella saggezza, e aveva fatto carriera. L'agenzia di cambio era stata per sei generazioni proprietà dei figli primogeniti che si chiamavano tutti Nathaniel Fett; ma il settimo l'aveva trasformata in una hanca d'affari. Tutti si erano sempre rivolti a Nathaniel per chiedere consigli, già dai tempi della scuola. Adesso i consigli riguardavano fusioni e acquisizioni societarie ed emissioni di azioni. La macchina si fermò. Hamilton disse: Mi aspetti, per favore. Gli uffici di Nathaniel Fett non erano imponenti: la sua azienda non aveva bisogno di dimostrare la propria ricchezza. C'era una piccola targa, sulla strada, davanti a una porta poco lontana dalla sede della Banca d'Inghilterra. L'ingresso era fiancheggiato da un bar e da una tabaccheria.
Un osservatore distratto avrebbe pensato a una società assicuratrice o armatoriale non troppo prospera: ma non avrebbe potuto sapere per quanto spazio si estendeva la sede. L'intemo era più comodo che opulento, con l'aria condizionata, l'illuminazione a luci soffuse, e i tappeti invecchiati bene che si fermavano a qualche centimetro dai muri. Lo stesso osservatore distratto avrebbe pensato che i quadri appesi alle pareti erano costosi, e avrebbe avuto nel contempo ragione e torto. Erano costosi, ma non erano appesi alle pareti. Erano incastrati nella muratura, dietro a vetri blindati... sopra la carta da parati pendevano soltanto le false cornici. Hamilton fu ammesso subito nell'ufficio di Fett al piano terreno. Nathaniel era seduto su una poltrona e leggeva il "Financial Times". Si alzò per stringere la mano al visitatore. Hamilton disse: Non ti ho mai visto seduto a quella scrivania. Ha una funzione puramente decorativa?. Accomodati, Derek. Tè, caffè, sherry? Un bicchiere di latte, per favore. Se non le spiace, Valerie... Fett fece un cenno alla segretaria, e quella uscì. La scrivania... no, non la uso mai. Tutto quello che scrivo, in realtà lo detto; niente di quello che leggo è troppo pesante perché non possa tenerlo in mano. E allora, perché dovrei sedere a una scrivania come un impiegatuccio d'un romanzo di Dickens? Dunque è qui veramente per decorazione. E qui da molto più tempo di me. E troppo grossa per passare dalla porta e troppo preziosa per farla a pezzi. Credo che le abbiano costruito l'ufficio intorno. Hamilton sorrise. Valerie gli portò il latte e tornò a uscire. Lui lo centellinò e studiò il vecchio amico. Fett e l'ufficio si armonizzavano: entrambi erano piccoli ma non grotteschi, scuri ma non tetri, rilassati ma non frivoli. Fett aveva un paio di occhiali dalla montatura pesante e i capelli imbrillantinati. Portava la cravatta di un club, un segno di accettabilità sociale: era l'unica cosa che avesse di ebraico, pensò ironicamente Hamilton. Posò il bicchiere e chiese: Stavi leggendo un articolo che parla di me?. Gli stavo dando un'occhiata. Una reazione prevedibile. Dieci anni fa, risultati del genere da parte di una società come l'Hamilton avrebbero avuto ripercussioni su tutto, dall'audience televisiva ai prezzi dello zinco. Oggi è solo una delle tante conglomerate in difficoltà. C'è una parola per descrivere questa realtà: recessione. Hamilton sospirò. Perché lo facciamo, Nathaniel? Prego? Fett era un po' sconcertato. Hamilton scrollò le spalle: Perché ci ammazziamo di lavoro, perdiamo il sonno e rischiamo patrimoni?. E ci facciamo venire l'ulcera? Fett sorrise, ma il suo atteggiamento era sottilmente cambiato. Gli occhi si erano socchiusi dietro le.lenti spesse; si liscia i capelli ispidi sulla nuca con un gesto che Hamilton riconobbe come difensivo.
Si stava chiudendo nel suo ruolo di consigliere prudente, un consigliere amico ma obiettivo. La sua risposta, comunque, fu misurata e casuale. Per far quattrini. Per quale altra ragione, se no? Hamilton scosse la testa. Il suo amico doveva essere sempre invitato due volte prima di avventurarsi dove l'acqua era più profonda. E una concezione economica degna della quinta classe elementare disse in tono irridente. Avrei guadagnato di più se avessi venduto la mia eredità e avessi investito il ricavato in buoni postali. Molti di coloro che possiedono grandi aziende potrebbero vivere nel lusso per il resto della loro vita, se facessero così. Perché conserviamo i nostri patrimoni e cerchiamo di incrementarli? E l'avidità, o il desiderio del potere, oppure lo spirito d'avventura? Siamo tutti maniaci del gioco d'azzardo? Fett disse: Immagino che tutte queste cose te le abbia dette Ellen. Hamilton rise. Hai ragione, ma mi addolora che tu mi creda incapace di queste riflessioni. Oh, non dubito che tu faccia sul serio. Ma Ellen ha l'abitudine di dire quello che tu pensi. Comunque, non staresti a ripetermelo se non avesse fatto vibrare una corda nel tuo intimo. Fett s'interruppe per un momento: Derek, stai attento a non perdere Ellen. Si fissarono per un momento, poi entrambi distolsero gli occhi. Vi fu un silenzio. Avevano raggiunto il limite estremo dell'intimità ammessa dalla loro amicizia. Dopo un po', Fett disse: Nei prossimi giorni potremmo ricevere un'audace offerta di acquisizione. Hamilton era sorpreso. Perché? Qualcuno potrebbe pensare di comprarti a prezzo di saldo, mentre sei depresso e scoraggiato per i risultati semestrali. E tu che cosa consiglieresti, allora? chiese pensierosamente Hamilton. Tutto dipende dall'offerta. Ma con ogni probabilità ti direi di aspettare. Oggi dovremmo sapere se hai ottenuto la concessione per quel giacimento petrolifero. Lo Shield. Sì. Se l'otterrai, le tue azioni saliranno. Ma continueremmo a non promettere grandi profitti. Comunque, sarebbe il materiale ideale per qualcuno che mirasse a comprare l'azienda per smantellarla e venderla pezzo per pezzo. Interessante mormorò Hamilton. Un amante del gioco d'azzardo farebbe l'offerta oggi, prima dell'annuncio del ministro. Un opportunista la farebbe domani, se ottenessimo la concessione. E un investitore autentico aspetterebbe fino alla settimana prossima. E un saggio risponderebbe di no a tutti. Hamilton sorrise. Il denaro non è tutto, Nathaniel. Buon Dio! E un'affermazione tanto eretica? No, affatto. Fett era divertito e i suoi occhi brillavano dietro le lenti. Tutto sta a vedere se il ministro ritiene che la concessione debba andare come premio a una società già redditizia, oppure come cima di salvataggio a una in difficoltà. Uhm. Né l'uno né l'altro, sospetto. Ricorda, noi siamo solo a capo del consorzio: quello che conta è il pacchetto totale.
La sezione Hamilton, che ha il controllo, dà come apporto i contatti nella City e l'esperienza del management. Noi provvediamo a raccogliere il denaro necessario per lo sviluppo, anziché metterlo di tasca nostra. Altri, n,el gruppo, offrono la competenza tecnica, l'esperienza nel settore petrolifero, le strutture per il marketing e così via. Quindi hai una buona possibilità. Hamilton sorrise di nuovo. Socrate. Che c'entra Socrate? Faceva sempre in modo che fosse l'interrogante a rispondere alle proprie domande. Hamilton si alzò pesantemente dalla poltrona. Devo andare. Fett l'accompagnò alla porta. Derek, a proposito di Ellen... spero che non ti sia offeso per quello che ho detto... No. Si strinsero la mano. Apprezzo molto il tuo giudizio. Fett annuì e aprì la porta. Qualunque cosa tu faccia, non lasciarti vincere dal panico. Okey-dokey. Mentre usciva, Hamilton ricordò che non usava quell'espressione ormai da trent'anni. Due agenti motociclisti parcheggiarono i loro mezzi ai lati dell'entrata posteriore della banca. Uno di loro appoggiò un documento d'identità alla finestrella accanto alla porta. L'uomo che stava all'interno lesse con attenzione il documento, quindi prese un telefono rosso e-pronunciò qualche parola. Un furgone nero privo di contrassegni avanzò tra le due motociclette e si fermò con il muso accostato alla porta. I finestrini laterali erano protetti all'interno da una rete metallica, e i due uomini a bordo indossavano uniformi del tipo adottato dalla polizia, con elmetti e visiere trasparenti. La carrozzeria del furgone non aveva finestrini, anche se nel retro c'era un terzo uomo. Altri due agenti motociclisti si fermarono dietro al furgone completando il convoglio. La saracinesca d'acciaio della banca si alzò adagio senza far rumore, e il furgone entrò in un breve tunnel illuminato a giorno da tubi fluorescenti. Più avanti, il percorso era bloccato da un'altra saracinesca identica alla prima. Il furgone si fermò e la saracinesca che dava sulla strada ridiscese. Gli agenti motociclisti rimasero fuori. Il conducente del furgone abbassò il vetro del finestrino e, attraverso la rete metallica, parlò in un microfono montato su un'asta. Buongiorno disse allegramente. In una delle pareti del tunnel c'era un'ampia vetrata antiproiettile; dietro la vetrata un uomo in maniche di camicia parlò in un altro microfono. Le sue parole, potenziate dall'altoparlante, echeggiarono nello spazio limitato. Parola d'ordine, prego. Il guidatore, che si chiamava Ron Biggins, disse: Obadiah. Il controllore che aveva organizzato il trasporto di quel giorno era diacono della chiesa battista. L'uomo in maniche di camicia premette un pulsante rosso sulla parete imbiancata che gli stava dietro, e la seconda saracinesca si alzò. Ron Biggins borbottò: Rompiscatole e rimise in moto il furgone. Appena passato, la saracinesca si riabbassò. Adesso il furgone si trovava in un ambiente senza finestre, nelle viscere dell'edificio.
Quasi tutto lo spazio del pavimento era occupato da una grande piattaforma girevole. Ron portò meticolosamente il furgone sui segni indicatori e spense il motore. La piattaforma sussultò, il furgone girò lentamente di centottanta gradi e si fermò. Gli sportelli posteriori, adesso, erano di fronte all'ascensore in fondo al locale. Mentre Ron osservava attraverso lo specchietto, le porte dell'ascensore si aprirono e ne uscì un uomo con la giacca nera e i calzoni a righine. Aveva in mano una chiave e la teneva protesa come se fosse una torcia elettrica o una pistola. Aprì gli sportelli del furgone, che furono spalancati dall'interno. La terza guardia scese. , Altri due uomini uscirono dall'ascensore reggendo una cassetta metallica dalle dimensioni di una valigia. La caricarono sul furgone e tornarono indietro a prendere il resto. Ron si guardò intorno. Lo stanzone era spoglio: le due entrate, tre linee parallele di tubi fluorescenti e una griglia per l'aria condizionata. Era relativamente piccolo e quasi rettangolare. Ron immaginava che soltanto pochi dipendenti della banca ne conoscessero l'esistenza. L'ascensore, presumibilmente, comunicava soltanto con il sotterraneo blindato e la porta d'acciaio che dava sulla strada non aveva nessuna connessione apparente con l'ingresso principale, oltre l'angolo. La guardia che era scesa, Stephen Younger, si portò sul lato sinistro del furgone; e il compagno di Ron, Max Fitch, abbassò il vetro. Stephen disse: E un carico grosso, oggi. Per noi non cambia niente disse Ron in tono seccato. Tornò a guardare lo specchietto. Le operazioni di carico erano terminate. Stephen disse a Max: Al tizio, qui, piacciono i western. Sì? Max era incuriosito. Era la prima volta, e l'impiegato con i calzoni a righine non gli era sembrato un fan di John Wayne. Come fai a saperlo? chiese. Sta' a vedere. Ecco che arriva. L'impiegato si avvicinò al finestrino dalla parte di Ron e disse: Avanti, muoviamoci!. Max scoppiò in una risata e cercò di nasconderla. Stcphen girò intorno al furgone e risalì. L'impiegato lo chiuse a chiave. I tre dipendenti della banca sparirono nell'ascensore. Per due o tre minuti non successe niente. Poi la saracinesca di acciaio si alzò. Ron accese il motore ed entrò nel tunnel. Attesero che la saracinesca interna si chiudesse e che quella esterna si aprisse. Un momento prima che ripartissero, Max disse al microfono: Arrivederci, simpaticone. Il furgone uscì sulla strada. I motociclisti della scorta erano pronti.
Si piazzarono, due davanti e due dietro, e il convoglio si diresse verso est. Quando arrivò a un grande svincolo in East London, il furgone si immise sull'A11. La manovra fu osservata con attenzione da un uomo grande e grosso che indossava un cappotto grigio con colletto di velluto, e che entrò immediatamente in una cabina telefonica. Max Fitch disse: Indovina chi ho appena visto. Non ne ho idea. Tony Cox. Ron gli lanciò un'occhiata, senza capire. E chi sarebbe? Era un pugile. E bravo, anche. L'ho visto mettere cappao Kid Vittorio a Bethnal Green Baths, una decina d; anni fa. Un vero diavolo. Max aveva sognato di diventare detective, ma non aveva superato il test d'intelligenza della polizia e così era passato ai servizi di sicurezza. Leggeva montagne di gialli e si cullava nell'illusione che l'arma più potente di un investigatore fosse la deduzione logica. A casa sua, era capace di trovare nel portacenere un mozzicone di sigaretta sporco di rossetto e di annunciare grandiosamente di aver motivo di credere che fosse venuta in visita la vicina, la signora Ashford. Non riusciva a stare fermo sul sedile. Nelle cassette ci sono vecchie banconote usate, vero? Sì rispose Ron. Allora dobbiamo andare all'impianto di distruzione nell'Essex disse orgogliosamente Max. Giusto, Ron? Ron fissava accigliato le due staffette che precedevano il furgone. Era l'unico che sapeva dove dovevano andare. Ma non pensava al percorso, e neppure al lavoro da compiere o a Tony Cox, l'ex pugile. Stava cercando di capire perché sua figlia si era innamorata di un hippie. L'ufficio di Felix Laski in Poultry Street non aveva targhe con il nome. Era un vecchio palazzo che stava spalla a spalla con altri due di stile diverso. Se fosse riuscito a ottenere il permesso di demolirlo vi avrebbe costruito un grattacielo. e avrebbe guadagnato milioni di sterline. Invece l'edificio era un esempio del modo in cui era bloccata la sua ricchezza. Comunque pensava che a lungo andare le pressioni avrebbero fatto saltare le restrizioni urbanistiche: e quando c'erano di mezzo gli affari era un uomo paziente. Quasi tutto l'edificio era dato in affitto, e quasi tutti gli inquilini erano piccole banche straniere che avevano bisogno di un indirizzo nei pressi di Threadneedie Street: e i loro nomi erano belle in mostra. La gente tendeva a presumere che Laski fosse azionista di tutte quelle banche, e lui incoraggiava l'equivoco in tutti i modi che non comportassero però un'aperta menzogna. E comunque, una delle banche era effettivamente sua. L'arredamento era funzionale ma modesto: vecchie, solide macchine per scrivere, schedari sgualciti, scrivanie di seconda mano, moquette lise. Come tutti gli uomini affermati di mezza età, Laski amava spiegare i suoi successi per mezzo di aforismi, e uno dei prediletti era: Io non spendo mai. Io investo. Era più vero di altri detti dello stesso tipo.
La sua unica casa, una piccola villa nel Kent, era cresciuta di valore da quando l'aveva comprata poco dopo la guerra; i suoi pasti erano spesso consumati in compagnia di possibili clienti, e finivano sul conto spese; e persino i quadri che possedeva e custodiva in una cassaforte, non appesi alle pareti, erano stati acquistati perché il suo mercante d'arte gli aveva assicurato che si sarebbero apprezzati. Per Laski, il denaro era come le banconotegiocattolo del Monopoli: lo voleva, ma non per ciò che poteva comprare, bensì perché era necessario per continuare il gioco. Anche se il suo tenore di vita non era elevato, un maestro delle elementari o la moglie di un bracciante agricolo avrebbe potuto pensare che viveva in un lusso sfacciato. Il suo ufficio era piccolo. C'erano una scrivania con tre telefoni, una poltroncina girevole, due poltrone per i visitatori e un lungo divano sistemato contro la parete. Lo scaffale accanto alla cassaforte a muro conteneva decine di grossi volumi sul fisco e sul diritto societario. Era una stanza priva di personalità: non c'erano foto di persone care sulla scrivania, non c'erano fotografie alle pareti, non c'era un buffo portapenne di plastica regalato da un nipotino affettuoso, o un posacenere portato a casa da Clovelly oppure rubato all'Hilton. La segretaria era una ragazza efficiente, grassa e portava le gonne troppo corte. Laski soleva dire: Quando fu distribuito il sex-appeal, Carol era da un'altra parte, a procurarsi razioni extra d'intelligenza. Era una battuta spiritosa, tipicamente inglese, del genere che i membri del consiglio d'amministrazione si raccontano alla mensa dirigenti. Carol era arrivata alle nove e venticinque e aveva trovato il cestello "out" sulla scrivania del principale già pieno di lavoro. Laski amava comportarsi così: serviva a impressionare i dipendenti e a neutralizzare ogni competitività. Carol non aveva preso le carte prima di preparargli il caffè. E Laski apprezzava anche questo. Era seduto sul divano, nascosto dietro il "Times", con la tazza del caffè posata sul bracciolo della sedia, quando Ellen Hamilton entrQ. Ellen chiuse la porta senza far rumore e si avvicinò in punta di piedi sulla moquette; e Laski non la vide fino a quando gli abbassò il giornale davanti agli occhi. Il fruscio improvviso lo fece sussultare. Signor Laski disse. Signora Hamilton! replicò lui. Ellen si sollevò la gonna fino alla cintura e disse: Dammi il bacio del buongiorno. Sotto la gonna Ellen portava un paio di calze con giarrettiere senza mutandine. Laski si sporse e strusciò la faccia contro il pelo pubico crespo e profumato. Il cuore gli batteva più forte; e si sentiva deliziosamente depravato, come la prima volta che aveva baciato la vulva di una donna. Poi si rilassò sul divano e la guardò. Quello che mi piace, di te, è come riesci a far sembrare il sesso una cosa oscena disse.
Piegò il giornale e lo lasciò cadere sul pavimento. Ellen si abbassò la gonna e disse: Qualche volta mi vengono le voglie. Laski sorrise con aria saputa e la guardò attentamente. Era sulla cinquantina, molto snella, con i seni piccoli e appuntiti. I segni dell'età erano nascosti dall'intensa abbronzatura che Ellen manteneva per tutto l'inverno sotto una lampada a raggi ultravioletti. I capelli erano neri, lisci, ben tagliati; e i fili grigi che spuntavano ogni tanto venivano cancellati molto in fretta in un lussuoso salone di bellezza di Knightsbridge. Indossava un completo color panna, molto elegante, molto costoso e molto inglese. Laski le passò la mano all'interno della coscia, sotto la gonna dal taglio perfetto. Con intima insolenza, le insinuò le dita tra le natiche e si chiese se qualcuno avrebbe creduto che la pudica moglie dell'onorevole Derek Hamilton se ne andava in giro senza mutandine perché Felix Laski potesse palparle il didietro quando ne aveva voglia. Ellen si dimenò piacevolmente, quindi si scostò un poco e gli sedette accanto sul divano dove, in quegli ultimi mesi, aveva realizzato alcune delle sue fantasie erotiche più scatenate. Laski aveva pensato che la signora Hamilton dovesse essere un personaggio secondario del suo piano grandioso: e invece aveva scoperto che era un premio extra molto gradevole. L'aveva conosciuta durante un party all'aperto. I padroni di casa erano amici degli Hamilton, non suoi: ma aveva ottenuto l'invito simulando un interesse finanziario per la società del suo ospite, un gruppo che si occupava d'ingegneria leggera. Era una calda giornata di luglio. Le donne sfoggiavano abiti estivi, gli uomini giacche di lino. Laski aveva un vestito bianco. La sua figura alta e distinta e l'aria vagamente straniera colpivano l'attenzione... e to sapeva. Gli invitati più anziani potevano giocare a croquet, i giovani a tennis, e c'era una piscina a disposizione dei bambini. I padroni di casa non facevano mancare lo champagne e le fragole con panna. Laski si era doverosamente informato sul conto dei suoi ospiti, e sapeva che non avrebbero potuto permettersi di organizzare quella festa. Comunque lo avevano invitato, sia pure con riluttanza, e solo perché lui aveva insistito. Perché una coppia a corto di quattrini doveva dare una festa senza scopo per tutta quella gente che non poteva esserle utile? La società inglese non finiva mai di sconcertarlo. Oh, ne conosceva le regole e ne capiva la logica. Ma non sarebbe mai riuscito a spiegarsi perché la gente stava al gioco. La psicologia delle donne di mezza età... ecco, quella la capiva meglio.
Prendendo la mano di Ellen Hamilton aveva accennato un lieve inchino; e aveva scorto un lampo nei suoi occhi. Questo, più il fatto che il marito era ingrassato mentre lei era rimasta bella, bastava ad assicurargli che avrebbe accettato di flirtare. Una donna come lei doveva sicuramente chiedersi spesso se riusciva ancora a ispirare desiderio in un uomo. E se poteva ancora godere del piacere sessuale. Laski si era impegnato a recitare la parte dell'ammaliatore europeo con ostentata sfacciataggine. Le andava a prendere la sedia, chiamava i camerieri perché le riempissero il bicchiere e la toccava, con discrezione ma spesso: la mano, il braccio, le spalle, il fianco. Era inutile ricorrere alle sottigliezze, lo sapeva: se Ellen Hamilton voleva essere sedotta, tanto valeva farle sapere con la massima chiarezza che era disponibile; e se invece non voleva essere sedotta, niente le avrebbe fatto cambiare idea. Quando Ellen aveva finito le fragole, lui non le aveva neppure assaggiate: era un segno di classe rifiutare qualcosa che faceva venire l'acquolina in bocca, aveva cominciato a manovrare per allontanarla dalla casa. Erano passati da un gruppo all'altro, indugiando dove la conversazione era interessante e sganciandosi in fretta dove sentivano solo pettegolezzi. Ellen l'aveva presentato a diverse persone, e Laski l'aveva presentata a sua volta a due agenti di cambio che conosceva di sfuggita. Avevano guardato i bambini che sguazzavano nella piscina, e poi Laski le aveva sussurrato all'orecchio: Ha portato il bikini?. Lei aveva riso. Si erano seduti all'ombra di una grande quercia e avevano guardato i giocatori di tennis, che erano noiosamente professionali. Avevano passeggiato lungo un sentiero che si snodava in un boschetto curatissimo; e quando erano arrivati lontano da occhi indiscreti, Laski le aveva preso il viso tra le mani e l'aveva baciata. Lei aveva schiuso le labbra, gli aveva insinuato le mani sotto !a giacca e gli aveva affondato le unghie nel petto con una forza che lo aveva sorpreso. Poi si era staccata da lui e aveva guardato lungo il sentiero, da una parte e dall'altra. Laski si era affrettato a chiedere: Verrai a cena con me? Presto?. Presto aveva risposto Ellen. Avevano raggiunto gli altri e si erano separati. Lei se n'era andata senza salutarlo. L'indomani Laski aveva preso una suite in un albergo di Park Lane, e là le aveva offerto la cena e lo champagne, quindi l'aveva portata a letto. E in camera da letto aveva scoperto d'essersi sbagliato completamente sul suo conto. Si era aspettato che fosse affamata ma facilmente accontentabile. Invece aveva constatato che Ellen aveva gusti sessuali bizzarri almeno quanto lui. Durante le settimane successive avevano fatto tutto quello che possono fare insieme due persone; e quando restavano a corto di idee, Laski faceva una telefonata, e arrivava un'altra donna che schiudeva loro nuovi orizzonti.
Ellen faceva tutto con l'impegno di una bambina che si trova in un luna park dove l'ingresso alle giostre è gratuito. Ora Laski la guardava, seduta accanto a lui sul divano nel suo ufficio, e mentre rievocava quei ricordi si sentiva inebriato da un sentimento che la gente, normalmente, avrebbe chiamato amore. Le chiese: E che cosa ti piace di me?. Che domanda egocentrica! Ti ho detto quello che mi piace di te. Su, accontentami, dimmelo. Ellen gli guardò l'inguine. Prova a indovinare. Lui rise. Vuoi un caffè? No, grazie. Vado a far compere. Sono venuta giusto per una palpatina. Sei una vecchia baldracca svergognata. Che cosa strana stai dicendo. Come sta Derek? Un'altra cosa strana. E depresso. Perché me lo domandi? Laski alzò le spalle. Quell'uomo mi incuriosisce. Come può avere una gemma come Ellen Hamilton e lasciarsela scappare tra le dita? Lei distolse gli occhi. Parliamo d'altro. D'accordo. Sei felice? Ellen distolse gli occhi. Sì. Spero soltanto che duri. Perché non dovrebbe? ribatté Laski in tono leggero. Non lo so. Ti ho conosciuto, e faccio l'amore come... come... Come una coniglia. Cosa? Fai l'amore come una coniglia. Ellen rise. Che vecchio sciocco! Ti amo per il tuo modo di essere prussiano e corretto. So che lo fai solo per divertirmi. Dunque: ci siamo conosciuti, facciamo l'amore come due conigli e tu non credi che durerà. Non puoi negare che l'intera faccenda ha l'aria di non essere duratura. Vorresti che fosse diverso? chiese cautamente Laski. Non lo so. Era la sola risposta che Ellen poteva dargli, e Laski se ne rendeva conto. Poi lei soggiunse: E tu?. Laski scelse con cura le parole. E la prima volta che ho l'occasione di riflettere sulla stabilità o meno della nostra relazione. Smettila di parlare come se stessi leggendo il rapporto annuale agli azionisti. Sì, se tu smetti di parlare come la protagonista di una novella romantica. A proposito dei rapporti agli azionisti, immagino che sia questa la causa della depressione di Derek. Sì. Lui pensa che sia l'ulcera a farlo star male, ma io so che non è vero. Credi che sarebbe disposto a vendere? Vorrei che lo facesse. Ellen fissò Laski. Tu compreresti la società? Può darsi. Lei continuò a fissarlo a lungo. Laski sapeva che stava soppesando le sue parole, i suoi possibili moventi. Era una donna intelligente. Ellen decise di lasciar perdere. Devo andare disse. Voglio essere a casa per pranzo. Si alzarono. Laski la baciò, le passò le mani su tutto il corpo con familiarità sensuale. Ellen gli mise un dito in bocca, e lui lo succhiò. Ciao disse lei.
Ti telefonerò. Quando rimase solo, Laski si accostò alla libreria e fissò il dorso dell'Annuario dei Consiglieri d'amministrazione, senza vederlo. Ellen aveva detto: "Spero soltanto che duri", e adesso lui sentiva il bisogno di riflettere. Quella donna aveva un modo di dire le cose che lo faceva pensare. Aveva una mentalità sottile. Che cosa voleva, dunque... il matrimonio? Aveva dichiarato di non sapere che cosa voleva e, anche se difficilmente avrebbe potuto dare un'altra risposta, Laski aveva la sensazione che fosse sincera. Quindi, io cosa voglio? Pensò. Voglio sposarla? Sedette alla scrivania. Aveva parecchio da fare. Premette il tasto dell'intercom e parlò a Carol. Chiami a nome mio il Ministero per l'Energia, e si faccia dire esattamente a che ora comunicheranno il nome della società che ha ottenuto la concessione per lo sfruttamento dello Shield. Senz'altro disse Carol. Poi mi chiami la Fett & Co. Voglio parlare personalmente con Nathaniel Fett, il titolare. Certo. Laski fece scattare il tasto. E si chiese ancora una volta: Voglio sposare Ellen Hamilton? Di colpo la risposta gli era chiara e lo lasciava sbalordito.
ORE 10.00. Il direttore dell"'Evening Post" nutriva l'illusione di appartenere alla classe dirigente. Figlio di un impiegato delle ferrovie, aveva salito molto in fretta la scala sociale, nei vent'anni trascorsi da quando aveva lasciato la scuola. Quando sentiva bisogno di sicurezza, rammentava a se stesso che era membro del consiglio d'amministrazione dell'Evening Post Ltd., era un personaggio che faceva opinione, e il suo reddito lo collocava nei primi nove posti occupati dai capifamiglia che guadagnavano di più. Non sarebbe mai diventato così importante se le sue opinioni non avessero coinciso esattamente con quelle del proprietario del giornale; non si rendeva conto che la classe dirigente è definita dalla ricchezza anziché dal reddito. E non sospettava che il suo abito pret-à-porter di Cardin, il suo accento volutamente raffinato e la casa con quattro camere da letto a Chislehurst lo bollavano, agli occhi prevenuti dei tipi cinici come Arthur Cole, come un povero diavolo che aveva fatto strada, ancora più chiaramente che se avesse portato un berretto di tela e le mollette da ciclista ai calzoni. Cole entrò nell'ufficio del direttore alle dieci in punto, con la cravatta e le idee egualmente in ordine, e un elenco battuto a macchina. Immediatamente si rese conto di aver sbagliato. Avrebbe dovuto arrivare in maniche di camicia e con due minuti di ritardo, per dare l'impressione di aver lasciato controvoglia il suo posto di combattimento in redazione
allo scopo di fare a un personaggio meno indispensabile di lui un rapido riepilogo di quello che succedeva nei settori veramente importanti. Ma quelle cose gli venivano in mente sempre troppo tardi: non era un politicante d'ufficio. Sarebbe stato interessante vedere in che modo gli altri dirigenti avrebbero fatto il loro ingresso per partecipare alla riunione del mattino. L'ufficio del direttore era moderno. La scrivania era bianca e le poltrone venivano da Habitat. Le veneziane riparavano dalla luce del sole la moquette azzurra, e gli scaffali alluminioe-melamine avevano le ante con i vetri fumé. Su un tavolo a lato c'erano tutti i giornali del mattino e un mucchio delle edizioni dell"'Evening Post" del giorno prima. Il direttore era seduto alla scrivania. Fumava un sigaro sottile e leggeva il "Mirror". A Cole bastò vederlo per provare il desiderio di una sigaretta. Come surrogato, si mise in bocca una mentina. Gli altri entrarono in gruppo: il redattore responsabile della fotografia, con i capelli lunghi che molte donne gli avrebbero invidiato; il capo redattore sportivo, con la giacca di tweed e la camicia lilla; il capo redattore attualità, con la pipa e un perpetuo sorrisetto ironico sulle labbra; e il responsabile della distribuzione, un giovane dall'immacolato abito grigio che aveva cominciato vendendo enciclopedie porta a porta ed era arrivato al vertice in soli cinque anni. L'ingresso teatrale all'ultimo momento fu compiuto dal vicedirettore capo, responsabile per l'impaginazione del giornale, un uomo basso con i capelli tagliati cortissimi, le bretelle, e una matita infilata dietro l'orecchio. Quando tutti furono seduti, il direttore buttò il "Mirror" sul tavolo laterale e accostò la sedia alla scrivania. La prima edizione non è ancora uscita? No. Il vicedirettore diede un'occhiata all'orologio. Abbiamo perso otto minuti perché si era rotta la carta della bobina. Il direttore girò lo sguardo sul responsabile della distribuzione. Questo avrà conseguenze? Il responsabile della distribuzione consultò l'orologio. Se si tratta soltanto di otto minuti e se vi rimetterete in pari con la prossima edizione, non succederà niente di grave. Il direttore osservò: Mi sembra che la carta si strappi tutti i giorni. La colpa è della cartaccia che stiamo usando disse il vicedirettore. Be', dovremo continuare a usarla fino a quando il giornale tornerà in attivo. Il direttore prese l'elenco degli articoli che Cole gli aveva posato sulla scrivania. Qui non c'è niente che possa far salire le vendite alle stelle, Arthur. E una mattina tranquilla. Però con un po' di fortuna, prima di mezzogiorno avremo una crisi di governo. Al diavolo. Il direttore continuò la lettura dell'elenco. Mi piace il pezzo sullo Stradivari. Cole passò in rassegna l'elenco, accennando rapidamente a ognuno degli argomenti. Quando ebbe finito, il direttore disse: Non c'è niente che faccia colpo. Non mi va di aprire tutti i giorni il giornale con una notizia politica.
Dovremmo occuparci degli eventi quotidiani dei londinesi, per citare il nostro slogan pubblicitario. Non possiamo trasformare lo Stradivari in un violino da un milione di sterline?. E un'ottima idea disse Cole. Anche se non credo che valga tanto. Comunque possiamo tentare. Il vicedirettore commentò: Se non lo vale in sterline, proviamo a parlare di dollari. Il violino da un milione di dollari. Trovata eccellente disse il direttore. Cerchiamo in archivio la foto di uno Stradivari, e intervistiamo tre famosi violinisti chiedendo cosa proverebbero se perdessero il loro strumento preferito. Poi tacque un momento. Voglio dare molto rilievo anche alla concessione per il giacimento petrolifero. Alla gente interessa il petrolio del Mare del Nord... dovrebbe essere la salvezza della nostra economia. Cole disse: L'annuncio verrà dato alle dodici e mezzo. Nel frattempo pubblicheremo un pezzo generico d'attesa. Attento a quello che scrivi. La nostra società madre è una delle contendenti, caso mai non lo sapessi. Ricorda che un pozzo di petrolio non comporta una ricchezza immediata... prima ci vogliono anni e anni d'investimenti massicci. Naturalmente. Cole annuì. Il responsabile della distribuzione si rivolse al vicedirettore. Facciamo preparare le locandine sul furto del violino e l'incendio nell'East End... La porta si aprì di scatto e il responsabile della distribuzione smise di parlare. Tutti si voltarono e fissarono Kevin Hart fermo sulla soglia, rosso in viso ed eccitato. Cole represse un gemito. Hart disse: Scusate se interrompo, ma credo che questo sia un colpo grosso. Quale? chiese il direttore in tono blando. Ho appena ricevuto una telefonata di Timothy Fitzpcterson, il sottosegretario del... So chi è l'interruppe il direttore. Che cosa ha detto? Sostiene di essere ricattato da due individui, Laski e Cox. Sembrava molto sconvolto. E... Il direttore lo interruppe di nuovo. Hai riconosciuto la voce? Il giovane cronista trasalì. Evidentemente si era aspettato una reazione immediata di panico, non una specie d'interrogatorio. Non avevo mai parlato con Fitzpeterson ammise. Cole intervenne. Questa mattina ho ricevuto una soffiata anonima decisamente diffamatrice sul suo conto. Ho provato a controllare... e lui ha smentito. Il direttore fece una smorfia. Questa storia puzza disse. Il vicedirettore annuì. Hart sembrava ancora più avvilito. Cole disse: Bene, Kevin, ne discuteremo quando esco. Hart uscì e chiuse la porta. Un tipo eccitabile commentò il direttore. Non è stupido disse Cole, ma ha molto da imparare. E tu istruiscilo disse il direttore. Dunque, passiamo alle fotografie... Ron Biggins pensava alla figlia. E sbagliava.
Avrebbe dovuto pensare al furgone che stava guidando, e al carico di svariate centinaia di migliaia di sterline in cartamoneta... sporche, lacere, sgualcite, scarabocchiate, buone soltanto per l'impianto di distruzione che la Banca d'Inghilterra aveva a Loughton, nell'Essex. Ma era comprensibile, la figlia è più importante della cartamoneta; era figlia unica, una regina, e quindi tutta la sua ragione di vivere. Dopotutto, pensò Ron, un uomo passa la vita a crescere la figlia, nella speranza che quando questa avrà l'età giusta potrà affidarla a un uomo solido e fidato, capace di aver cura di lei come l'aveva il padre. Non certo a un lurido sfaccendato, un capellone che beve e si droga... Come? chiese Max Fitch. Ron si scosse. Ho parlato? Borbottavi rispose Max. Stai pensando a qualcosa? Può darsi, figliolo disse Ron. Forse sto pensando a un omicidio... Ma non era vero, e lo sapeva. Accelerò leggermente per mantenere la distanza regolamentare tra il furgone e i motociclisti. Però c'era mancato poco che prendesse per il collo quel maiale quando gli aveva detto: Io e Judy vogliamo provare a vivere insieme per un po', tanto per vedere come va, capisce?. E l'aveva detto con disinvoltura, come se proponesse di portarla al cinema. Il giovanotto aveva ventidue anni, cinque più di Judy... grazie a Dio lei era ancora minorenne e obbligata a obbedire al padre. Il ragazzo, che si chiamava Lou, stava seduto in salotto con un'aria nervosa, una camicia indescrivibile, un paio di jeans sporchi sostenuti da una elaborata cintura di cuoio che sembrava uno strumento di tortura medievale e i sandali che mettevano in mostra i piedi luridi. Quando Ron gli aveva chiesto cosa faceva per vivere, aveva risposto che era un poeta disoccupato, e Ron sospettava che si drogasse. Dopo che Lou aveva parlato di convivere con Judy, Ron l'aveva buttato fuori. Da quel giorno erano incominciate le liti. Dapprima aveva spiegato a Judy che non doveva andare a vivere con Lou perché avrebbe dovuto serbarsi pura per il marito; e lei gli aveva riso in faccia e aveva detto che aveva già dormito con Lou almeno una dozzina di volte, quando raccontava di essere ospite di un'amica a Finchley. Ron aveva replicato che allora molto probabilmente era incinta, e Judy gli aveva risposto che non era scema, e prendeva la pillola da quando aveva compiuto sedici anni e sua madre l'aveva portata al consultorio familiare. Quel giorno, poco c'era mancato che Ron picchiasse la moglie, per la prima volta in vent'anni di matrimonio. Ron aveva chiesto a un suo amico che era nella polizia di informarsi sul conto di Louis Thurley, anni ventidue, disoccupato, di Barracks Roads, Harringey.
Nel casellario risultavano due condanne: una per possesso di canapa indiana al Festival di Musica Pop a Reading, e un'altra per furto di generi alimentari da Tesco's in Muswell Hill. Quelle informazioni avrebbero dovuto essere sufficienti.Avevano convinto la moglie di Ron; ma Judy aveva replicato che sapeva già tutto. Drogarsi non avrebbe dovuto essere considerato un reato, aveva dichiarato; e in quanto al furto, Lou e i suoi amici si erano semplicemente seduti sul pavimento del supermercato a mangiare pasticcio di maiale preso dagli scaffali fino a quando li avevano arrestati. L'avevano fatto perché pensavano che il cibo avrebbe dovuto essere gratis per tutti, e perché erano affamati e al verde. Sembrava convinta che quel modo di pensare fosse del tntto razionale. Visto che non riusciva a farla ragionare, Ron le aveva proibito di uscire la sera. Judy l'aveva presa con molta calma. Avrebbe fatto come voleva suo padre; ma fra quattro mesi, appena compiuti diciotto anni, sarebbe andata a vivere nell'appartamento-studio di Lou, insieme ai suoi tre amici e alla ragazza che si sbattevano tutti quanti. Ron era disperato. Da otto giorni quel problema lo ossessionava, e ancora non riusciva a trovare un modo per salvare la figlia da una vita infelice... perché sarebbe finita così, senza ombra di dubbio. Era successo già altre volte. Una ragazza sposa l'uomo sbagliato, e va a lavorare mentre lui sta a casa a guardare le corse dei cavalli alla televisione. Ogni tanto lui fa qualche colpetto per pagarsi le birre e le sigarette. La ragazza mette al mondo dei figli, il marito si fa beccare e finisce al fresco per un po', e lei si ritrova a tirare avanti senza un marito e con il modesto aiuto dell'Assistenza Sociale. Ron avrebbe dato la vita per Judy, le aveva già dedicato diciotto anni, e lei voleva soltanto buttar via tutto ciò che il padre rappresentava e sputargli in un occhio. Ron avrebbe pianto, se avesse ricordato come si faceva a piangere. Non riusciva a smettere di pensare, e ci stava pensando, quel giorno, verso le dieci e sedici minuti. Fu per questo che non si accorse subito dell'imboscata. Ma la sua mancanza di concentrazione non cambiò di molto quello che accadde nei pochi secondi successivi. Svoltò sotto l'arcata di un viadotto ferroviario e si immise in una lunga strada curva, con il fiume sulla sinistra e uno sfasciacarrozze sulla destra. Era una giornata limpida e quindi, mentre seguiva la curva, non ebbe difficoltà a vedere il grosso camion per il trasporto macchine, carico di veicoli malconci e disastrati, che entrava con difficoltà dal cancello dello sfasciacarrozze. In un primo momento sembrò che il camion si togliesse di mezzo prima che lo raggiungesse il convoglio.
Ma evidentemente il camionista non aveva calcolato bene l'angolazione, perché si spostò di nuovo e bloccò completamente la strada. I due motociclisti che precedevano il furgone frenarono e Ron si fermò dietro di loro. Uno degli agenti abbassò il cavalletto della moto e saltò sul predellino della cabina per gridare qualcosa al camionista. Il motore del camion rombava fragorosamente, e nubi di fumo nero uscivano dal tubo di scappamento. Segnala una sosta imprevista disse Ron. Comportiamoci secondo il manuale Max sganciò il microfono a mano. Mobile a Controllo Obadiah. Ron stava guardando il camion. Trasportava un bizzarro assortimento di veicoli. C'era un vecchio furgoncino verde con la scritta "Coopers Family Butcher" dipinta sulla fiancata, una Ford Anglia accartocciata e senza ruote, due maggiolini Volkswagen uno sopra l'altro; e sul ripiano superiore una Ford australiana e una Triumph che pareva nuova. Il tutto sembrava in equilibrio precario, soprattutto le due Volkswagen strette in un abbraccio rugginoso come due insetti accoppiati. Ron guardò di nuovo la cabina: il poliziotto faceva segnali al camionista perché si togliesse dal percorso del convoglio. Max ripeté: Mobile a Controllo Obadiah. Rispondete, per favore. Dobbiamo essere piuttosto bassi, così vicini al fiume, pensò Ron. Forse la ricezione è pessima. Guardò di nuovo le macchine sul trasporto e si accorse che non erano legate. Era molto pericoloso. Da dove poteva essere arrivato con un carico di rottami non fissati? E all'improvviso comprese. Dai l'allarme! gridò. Max sgranò gli occhi. Come? Qualcosa piombò con un tonfo sul tettuccio del furgone. Il camionista balzò dalla cabina e si avventò sull'agente. Alcuni uomini con il volto mascherato da calze da donna scavalcarono il muro di cinta dello sfasciacarrozze. Ron lanciò un'occhiata allo specchietto e vide che i due motociclisti dietro al furgone venivano sbalzati a terra. Il furgone sobbalzò e poi, incomprensibilmente, parve sollevarsi in aria. Ron guardò sulla destra e vide il braccio di una gru che si protendeva al di sopra del muro. Strappò il microfono dalla mano di Max mentre uno degli uomini mascherati si avvicinava correndo. L'uomo lanciò contro il parabrezza un oggetto piccolo e nero, come una palla da cricket. Il secondo che seguì trascorse così lentamente scandendo una serie di immagini, come un film visto fotogramma per fotogramma: un casco che volava nell'aria, una mazza di legno che piombava sulla testa di qualcuno, Max che afferrava la leva del
cambio mentre il furgone s'inclinava, il pollice di Ron che premeva il pulsante del microfono mentre la sua voce diceva: Obadiah, allar.... Poi la piccola palla da cricket colpì il parabrezza ed esplose, lanciando nell'aria una pioggia di frammenti di vetro, e infine venne la violenta onda d'urto e Ron sprofondò nel buio e nel silenzio. Il sergente Wilkinson sentì il segnale Obadiah trasmesso dal convoglio, ma lo ignorò. Era stata una mattinata indaffarata, con tre grossi ingorghi stradali, un inseguimento attraverso mezza Londra per dare la caccia a un pirata della strada, due incidenti gravi, un incendio in un magazzino, e una dimostrazione improvvisata in Downing Street da un gruppo di anarchici. Quando arrivò la chiamata, il sergente stava prendendo una tazza di caffè e un panino al prosciutto dalle mani di una ragazza delle Indie Occidentali e le chiedeva: E tuo marito non dice niente perché vieni al lavoro senza reggiseno?. La ragazza, che aveva il seno abbondante, rispose: Non se ne accorge e rise. L'agente Jones, dall'altra parte della console, ribadì: Hai colto l'allusione!. Wilkinson chiese: Che cosa fai stasera?. La ragazza rise. Sapeva che il sergente non faceva sul serio. Lavoro rispose. La radio disse: Mobile a Contro!lo Obadiah. Rispondete, per favore. Wilkinson chiese: Un altro lavoro? Quale?. Faccio la ballerina a go-go in un può. Lavori in topless? Perché non vieni a vedere? ribatté la ragazza, e si allontanò spingendo il carrello. La radio disse: Allar... poi si sentì un tonfo soffocato, come una scarica elettrica o un'esplosione. Il sorriso sparì immediatamente dalla faccia di Wilkinson. Fece scattare un interruttore e parlò nel microfono. Controllo Obadiah, parlate pure, Mobile. Non ebbe risposta. Wilkinson chiamò il supervisore, in tono concitato: Capo!. L'ispettore "Harry" Harrison si affrettò a raggiungerlo. Si era passato le mani tra i capelli un po' radi, e adesso aveva l'aria più frastornata di quanto lo fosse in realtà. Tutto sotto controllo, sergente? chiese. Credo di aver ricevuto un allarme da Obadiah, capo. Harrison scattò: Come sarebbe a dire... credo?. Wilkinson non era certo diventato sergente ammettendo i propri errori. La comunicazione era quasi incomprensibile, signore disse. Harrison prese il microfono. Controllo Obadiah a Mobile, mi sentite? Passo. Attese qualche istante, poi ripeté il messaggio. Non ebbe risposta. Si rivolse a Wilkinson: Una comunicazione quasi incomprensibile e poi hanno cessato di trasmettere. Dobbiamo considerarla una rapina. Ci mancava solo questo. Aveva l'aria di un uomo con il quale il destino era stato non soltanto ingiusto ma anche vendicativo. Wilkinson disse: Non mi hanno neppure comunicato la posizione. Si voltarono tutti e due verso la gigantesca carta topografica di Londra. Wilkinson disse: Hanno preso la strada del fiume.
L'ultima volta che si sono messi in contatto erano ad Aldgate. Il traffico è normale, quindi dovrebbero essere più o meno a Dagenham. Magnifico commentò Harrison in tono sarcastico. Rifletté per un momento. Dia l'allarme a tutte le macchine. Poi ne distacchi tre dal servizio di pattuglia in East London e le mandi in perlustrazione. Avverta l'Essex, e chieda a quei fannulloni se sanno quale somma c'è a bordo del furgone. Su, si muova! Wilkinson cominciò a chiamare. Harrison rimase in piedi dietro di lui per qualche istante, riflettendo. Dovremmo ricevere una telefonata molto presto... qualcuno avrà visto cos'è successo borbottò. Rifletté per qualche altro istante. Ma se quei delinquenti sono stati così furbi da mettere fuori uso la radio prima che i ragazzi potessero dirci di più, lo sono abbastanza per fare il lavoretto in un posto tranquillo. Vi fu un silenzio un po' più lungo. E alla fine Harrison disse: Personalmente, non credo che abbiamo molte speranze. Tutto stava andando a meraviglia, pensò Jacko. Il furgone con le banconote era stato issato al di sopra del muro e calato a fianco dell'attrezzatura della fiamma ossidrica. Le quattro moto della polizia erano state buttate a bordo del trasporto, che era entrato nel grande cortile. Gli agenti erano distesi in fila, ammanettati mani e piedi, e i cancelli erano chiusi. Due dei ragazzi, che portavano gli occhialoni sopra le calze da donna usate come maschere, aprirono un grosso varco nella fiancata del furgone della banca, mentre un altro furgone blu senza scritte veniva accostato a marcia indietro. Un grande rettangolo d'acciaio cadde, e una guardia in uniforme balzò a terra con le mani sopra la testa. Jesse l'ammanettò e la fece sdraiare a terra accanto ai motociclisti della scorta. L'apparecchiatura della fiamma ossidrica fu spinta via rapidamente; altri due uomini salirono a bordo del furgone e cominciarono a scaricare le cassette, che venivano sistemate sul secondo veicolo. Jacko lanciò un'occhiata ai prigionieri. Erano tutti un po' malconci, ma niente di serio. Erano tutti coscienti. Jacko sudava sotto la maschera, ma non osava toglierla. Poi arrivò un grido dalla cabina della gru, dove stava di guardia uno dei ragazzi. Jacko alzò la testa. Nello stesso istante sentì il suono di una sirena. Si guardò intorno. Non poteva essere vero! Il piano era imperniato sul fatto che riuscissero a mettere fuori combattimento le guardie prima che avessero il tempo di chiedere aiuto via radio. Imprecò. Gli uomini lo guardavano in attesa di ordini.
Il trasporto era fermo dietro a una catasta di pneumatici, in modo che le motociclette bianche non fossero visibili. I due furgoni e la gru avevano un aspetto piuttosto innocente. Jacko gridò: Tutti al riparo!. Poi ricordò i prigionieri. Non c'era tempo di trascinarli al coperto. Posò lo sguardo su un telone impermeabile. Lo tirò sui cinque stesi a terra e si lanciò dietro un carrello. La sirena si avvicinò. La macchina correva a velocità sostenuta. Jacko sentì lo stridore delle gomme quando girò sotto l'arcata del viadotto, e poi l'urlo del motore quando la macchina toccò i centodieci in terza prima di cambiare. Il suono divenne più forte e poi, di colpo, il tono della sirena cambiò, e cominciò ad allontanarsi. Jacko trasse un sospiro di sollievo; quindi sentì la seconda sirena. Restate giù! gridò. Passò anche la seconda macchina; poi ne sentì una terza. Lo stesso stridore di pneumatici sotto l'arcata, la stessa accelerata in terza dopo la svolta... ma questa volta la macchina rallentò davanti al cancello. C'era un grande silenzio. Jacko aveva la faccia insopportabilmente accaldata sotto il naiion. Si sentiva soffocare. Sentì un suono, come d'un paio di stivali, contro il cancello. Uno dei poliziotti si stava sicuramente arrampicando per dare un'occhiata. In quel momento Jacko ricordò che c'erano altre due guardie nella cabina del furgone. E pregò il cielo che non rinvenissero proprio in quel momento. Che cosa stava combinando il poliziotto? Non aveva scavalcato il cancello, ma non era neppure ridisceso dalla parte della strada. Se fossero entrati a dare un'occhiata, sarebbe stato un disastro. No, non farti prendere dal panico, si disse. Siamo in dieci, possiamo tener testa a tre o quattro sbirri. Ma ci sarebbe voluto un po' di tempo, e poteva darsi che avessero lasciato in macchina uno di loro; e quello avrebbe chiesto rinforzi via radio... Jacko aveva la sensazione che tutto il denaro gli sfuggisse tra le dita. Avrebbe voluto sbirciare oltre lo spigolo del carrello, ma sapeva che era inutile. Quando se ne fossero andati, lo avrebbe capito dal rombo della macchina. Che cosa stavano facendo? Lanciò un'altra occhiata al furgone della banca. Gesù; uno degli uomini si muoveva. Jacko alzò l'arma. Probabilmente ci sarebbe stata una sparatoria. Oh, Cristo borbottò. Dal furgone venne un rumore... un urlo rauco. Jacko balzò in piedi e girò intorno al carrello, con il fucile spianato. Non c'era nessuno. Poi sentì la macchina ripartire con uno stridore di gomme. La sirena rientrò in funzione e dopo qualche secondo si perse in lontananza.
Willie il Sordo, che si era nascosto dietro la carcassa arrugginita di una Mercedes taxi, lo raggiunse. Si avviarono insieme al furgone. Willie disse: Divertente, eh'?. Sicuro rispose Jacko in tono acido. Meglio della televisione. Guardarono nel furgone. L'autista gemeva, ma non sembrava molto malridotto. Scendi, nonno disse Jacko attraverso il finestrino sfondato. La pausa per il tè è finita. La voce ebbe un effetto calmante su Ron Biggins. Fino a quel momento si era sentito stordito e spaventato. Gli sembrava che l'udito non funzionasse più molto bene, aveva male alla testa e quando si toccò il viso sentì qualcosa di viscoso. La vista di un uomo con la faccia mascherata da una calza di nailon fu illuminante. Un agguato molto efficiente... Ron era impressionato dal modo in cui si era svolta l'operazione. I rapinatori conoscevano il percorso e gli orari del furgone. La collera lo assalì. Senza dubbio, una percentuale del bottino sarebbe finita sul conto in banca segreto di un poliziotto disonesto. Come quasi tutti coloro che appartenevano alle forze dell'ordine e ai servizi di sicurezza, Ron odiava gli sbirri corrotti ancora più dei delinquenti. L'uomo che l'aveva chiamato nonno aprì la portiera infilando la mano attraverso il vetro sfondato del finestrino per far scattare la sicura interna. Ron scese, e quel movimento gli provocò dolore. L'uomo era giovane: sotto la calza si vedevano i capelli lunghi. Indossava jeans ed era armato di fucile. Diede a Ron una spinta sprezzante e disse: Allunga le mani, nonno. Fra un minuto potrai andare all'ospedale. Il dolore alla testa di Ron parve ingigantire contemporaneamente alla rabbia. Represse a stento l'impulso di prendere a calci qualcosa, e s'impose di ricordare come doveva comportarsi in caso di rapina: Non opporre resistenza, collabora, consegna il denaro. Siamo assicurati, e per noi è più importante la tua vita. Non cercare di fare l'eroe. Incominciò ad ansimare. La sua mente, stordita dall'urto, confondeva il giovane armato di fucile con lo sbirro corrotto e con Lou Thurley che gemeva addosso all'innocente, virginale Judy in un lurido letto di un appartamento-studio; e all'improvviso sentì che era stato quell'uomo a rovinargli la vita, e che forse doveva assolutamente diventare un eroe per riconquistare il rispetto dell'unica figlia; e i delinquenti come lo sbirro corrotto con la calza di nailon in testa, lo sbirro che andava a letto con Judy ed era armato di fucile, erano sempre stati quelli che avevano rovinato l'esistenza della brava gente come Ron Biggins.
Quindi avanzò di due passi e tirò un pugno sul naso del giovane sbalordito; quello barcollò, premette i due grilletti del fucile, e anziché ferire Ron colpì un altro uomo mascherato che gli stava vicino, questi urlò e stramazzò al suolo. Ron sbarrò gli occhi, inorridito, nel vedere il sangue, fino a quando il giovane lo colpì violentemente alla testa con la canna dell'arma, e Ron perse di nuovo i sensi. Jacko s'inginocchiò a fianco di Willie il Sordo e gli strappò dalla testa i brandelli della calza di nailon. La faccia di Willie era un orrore, e Jacko impallidì. Di solito Jacko e quelli come lui infliggevano ferite alle loro vittime usando corpi contundenti; perciò non aveva mai visto una ferita d'arma da fuoco. E poiché i programmi di addestramento di Tony Cox non includevano lezioni di pronto soccorso, Jacko non sapeva che cosa fare. Comungue, era capace di pensare in fretta. Alzò la testa. Gli altri gli stavano intorno, sbigottiti. Jacko urlò: Muovetevi, bastardi fannulloni!. E quelli scattarono. Tornò a chinarsi su Willie: Mi senti, amico?. Willie contrasse la faccia, ma non riuscì a parlare. Jesse venne a inginocchiarsi dall'altro lato di Willie. Dobbiamo portarlo all'ospedale disse. Jacko ci aveva già pensato. Mi serve una macchina rubata disse. Indicò una Volvo blu parcheggiata a pochi passi. Quella di chi è? Del padrone dello sfasciacarrozze rispose Jesse. Perfetto. Aiutami a caricare Willie. Jacko lo prese per le spalle, Jesse per le gambe. Lo portarono alla macchina mentre continuava a gemere, e lo adagiarono sul sedile posteriore. Le chiavi erano nel quadro. Uno degli uomini chiamò dal furgone della banca. Tutto fatto, Jacko. Jacko gli avrebbe spaccato volentieri il muso perché aveva pronunciato il suo nome, ma era troppo indaffarato. Chiese a Jesse: Sai dove andare?. Sì, però tu dovresti venire con me. Lasciamo perdere. Porterò Willie all'ospedale, e poi ci vedremo alla fattoria. Riferisci a Tony quello che è successo. Mi raccomando, guida piano, fermati ai semafori, rallenta alle strisce pedonali, comportati come se stessi facendo l'esame di guida, chiaro? Sì rispose Jesse. Tornò correndo al furgone predisposto per la fuga e controllò gli sportelli posteriori. Erano chiusi a chiave. Strappò dalle targhe la carta che era servita a impedire alle guardie di vedere il numero... Tony Cox pensava sempre a tutto. Si mise al volante. Jacko avviò la Volvo! Qualcuno aprì il cancello.
Gli altri uomini stavano già salendo sulle loro macchine e si toglievano i guanti e le maschere. Jesse uscì con il furgone e svoltò a destra. Jacko lo seguì e svoltò nella direzione opposta. Mentre accelerava diede un'occhiata all'orologio. Le dieci a ventisette. Era durato in tutto undici minuti. Tony aveva ragione: aveva detto che sarebbero stati lontani, al sicuro, nel tempo che un'auto della polizia avrebbe impiegato per andare dal comando di Vine Street all'Isle of Dogs. Era stato un lavoro magnifico... a parte il povero Willie il Sordo. Jacko si augurò che potesse vivere tanto da spendere la sua fetta del bottino. Era ormai vicino all'ospedale. Aveva già pensato a come si sarebbe comportato, ma aveva bisogno che Willie non fosse in vista. Will disse, ce la fai a stenderti sul tappetino?. Non ebbe risposta. Si guardò alle spalle. Gli occhi di Willie erano ridotti in un tale stato che le parole "aperti" e "chiusi" non avevano più significato. Il poveraccio doveva essere svenuto. Jacko tese il braccio e lo tirò giù dal sedile. Willie cadde con un tonfo. Entrò nel recinto dell'ospedale e si fermò nel parcheggio. Scese e seguì i cartelli che indicavano Pronto Soccorso. Davanti all'entrata trovò una cabina telefonica. Aprì l'elenco e trovò il numero dell'ospedale. Lo compose, infilò una moneta nella fenditura e chiese il Pronto Soccorso. Un telefono, su un banco poco lontano dal punto dove si trovava, squillò due volte, e l'infermiera rispose. Un momento, prego disse, e posò il ricevitore sul banco. Era una donna grassa, sui quarantacinque anni, con la candida uniforme inamidata e l'aria stanca. Scrisse qualcosa in un registro, poi riprese il ricevitore.Pronto Soccorso, desidera? Jacko parlò a voce bassa senza staccare gli occhi dall'infermiera. C'è un uomo con ferita d'arma da fuoco su una Volvo nel parcheggio dell'ospedale. L'infermiera impallidì. Qui fuori, vuol dire? Jacko s'irritò. Sì, vecchia vacca addormentata, nel suo ospedale. E adesso si muova e vada a prenderlo! Avrebbe vo}uto sbattere il ricevitore; ma si trattenne, e abbassò la forcella con un dito. Se poteva vedere l'infermiera, anche l'infermiera poteva vedere lui. Continuò a tenere il ricevitore accostato all'orecchio mentre la donna posava il suo, si alzava, chiamava una collega e usciva nel parcheggio. Jacko si avviò lungo un corridoio dell'ospedale e uscì da un'altra porta. Si fermò a guardare dall'entrata principale e vide che stavano portando una barella nel parcheggio.
Aveva fatto tutto il possibile per Willie. Adesso aveva bisogno di un'altra macchina. A Felix Laski piaceva molto l'ufficio di Nathaniel Fett. Era accogliente, arredato con sobrietà, il posto più adatto per concludere affari. Non aveva nessuno degli accorgimenti che Laski aveva adottato nel suo per acquisire certi vantaggi psicologicn.. per esempio, la scrivania accanto alla finestra che gli lasciava in ombra il viso, le poltroncine un po' malferme per i visitatori e le preziosissime tazzine da caffè che la gente temeva sempre di far cadere. Nell'ufficio di Fett regnava un'atmosfera di un club per.presidenti di grosse aziende, e senza dubbio era un effetto voluto. Laski notò due cose mentre stringeva la mano magra di Fett. Innanzi tutto c'era una grande scrivania, in apparenza usata assai poco; in secondo luogo, Fett portava la cravatta di un club. Quella cravatta rappresentava una scelta un po' strana per un ebreo, pensò; ma poi, riflettendo, si rese conto che non era per nulla strana. Fett la portava per la stessa ragione per la quale Laski indossava un magnifico abito gessato, confezionato in Savile Row... Era come un distintivo che annunciava: Anch'io sono inglese. Ecco, pensò Laski: anche dopo sei generazioni di Fett banchieri, Nathaniel è ancora un po' insicuro. Era un'informazione che poteva tornare utile. Fett disse: Si accomodi, Laski. Gradisce un caffè?. Bevo caffè tutto il giorno. Fa male al cuore. No, grazie. Un drink? Laski scosse la testa. Rifiutare quelle piccole manifestazioni di ospitalità era uno dei suoi sistemi per mettere l'ospite in posizione di svantaggio. Disse: Conoscevo molto bene suo padre prima che si ritirasse dagli affari. La sua morte è stata una perdita molto grave. E una frase che si usa per tante persone, ma nel suo caso è vera. Grazie. Fett sedette su una poltrona di fronte a Laski e accavallò le gambe. Dietro le grosse lenti, gli occhi erano imperscrutabili. E stato dieci anni fa soggiunse. Tanto tempo? Era molto più anziano di me, naturalmente, ma sapeva che venivo da Varsavia, come i suoi antenati. Fett annùì. Il primo Nathaniel Fett attraversò l'Europa con un sacco d'oro e un asino. E io feci lo stesso percorso con una moto rubata ai nazisti e una valigia piena di Reichsmark che non valevano nulla. Tuttavia la sua ascesa è stata molto più fulminea. Era una frecciata, e Laski se ne rese conto. Fett gli stava dicendo: Noi saremo ebrei polacchi arrampicatori, ma siamo molto meno arrampicatori di te. L'agente di cambio era un degno avversario in quel gioco pericoloso; e con gli occhiali che nascondevano ogni espressione non aveva bisogno di luce alle spalle. Laski sorrise. E tutto suo padre.
Non si sapeva mai cosa stava pensando. Lei non mi ha ancora dato qualcosa cui pensare. Ah. Dunque i convenevoli erano finiti, pensò Laski. La prego di scusarmi se la mia telefonata era misteriosa. E stato molto gentile a ricevermi con un preavviso tanto breve. Mi ha detto che aveva una proposta di sette cifre da fare a uno dei miei clienti: come potevo non riceverla? Gradisce un sigaro? Fett si alzò e gli offrì una scatola che aveva preso da un tavolino. Grazie disse Laski. Indugiò un po' troppo a lungo prima di scegliere; e poi, mentre tendeva la mano per prendere un sigaro, disse: Voglio comprare l'Hamilton Holdings da Derek Hamilton. Il tempismo era perfetto, ma Fett non tradì la minima sorpresa. Laski aveva sperato che la scatola gli cascasse di mano. Ma naturalmente Fett sapeva che lui avrebbe scelto proprio quel momento per lanciare la bomba; anzi, aveva creato il momento proprio per tale scopo. Fett richiuse la scatola e, senza parlare, accese il sigaro a Laski. Tornò a sedere e accavallò le gambe. Un'offerta di sette cifre per la Hamilton Holdings. Un milione di sterline. Quando un uomo vende l'opera di tutta la sua vita, ha diritto a una cifra tonda. Oh, capisco la sua considerazione psicologica disse Fett in tono sufficiente. Non è comunque una proposta del tutto inaspettata. Come? Non intendo dire che stavamo aspettando proprio lei. Aspettavamo qualcuno. I tempi sono maturi. L'offerta è considerevolmente superiore al valore delle azioni all'attuale prezzo di mercato. Il margine è più o meno giusto disse Fett. Laski allargò le mani con le palme verso l'alto. Lasciamo da parte le schermaglie disse. E un'offerta molto alta. Comunque inferiore a quello che sarà il valore delle azioni, se il consorzio di Derek otterrà la concessione petrolifera. E questo mi porta all'unica condizione che intendo porre. L'offerta deve essere accettata entro stamattina. Fett diede un'occhiata all'orologio. Sono quasi le undici. Pensa davvero che, anche se Derek fosse interessato... si potrebbe concludere entro un'ora? Laski batté la mano sulla borsa. Ho già fatto preparare tutti i documenti necessari. Non avremmo neppure il tempo di leggerli... Ho anche una lettera d'intesa con i vari punti dell'accordo. Mi accontenterò di questa. Dovevo immaginare che fosse preparato. Fett rifletté per un momento. Naturalmente, se Derek non otterrà la concessione petrolifera, le azioni scenderanno, con ogni probabilità. Amo giocare d'azzardo disse Laski con un sorriso. Fett continuò: In questo caso, lei venderà le proprietà della società e chiuderà i rami che non rendono. No, affatto mentì Laski. Credo che la società potrebbe essere redditizia nella forma attuale, ma con una direzione nuova. E probabile che abbia ragione. Bene, è un'offerta raglonevole, e mi sento in dovere di sottoporla al mio cliente. Non faccia il difficile.
Pensi alla sua percentuale su un milione di sterline. Sì disse freddamente Fett. Parlerò con Derek. Prese un telefono dal tavolino. Derek Hamilton, per favore. Laski aspirò una boccata di fumo dal sigaro nascondendo la sua ansia. Derek, sono Nathaniel. C'è qui da me Felix Laski. Ha fatto un'offerta. Vi fu un breve silenzio. Sì, certo, no? Un milione, cifra tonda. Tu... d'accordo. Siamo qui. Come? Ah... Capisco. Fett rise, un po' imbarazzato. Dieci minuti. POsa il ricevitore. Bene Laski, lui verrà qui. Leggerò i suoi documenti mentre lo aspetteremo. Laski non seppe resistere all'impulso di chiedere: Allora gli interessa?. Può darsi. Ha detto qualcosa d'altro? Fett rise di nuovo, con la stessa aria imbarazzata. Immagino che non ci sia niente di male a riferirglielo. Ha detto che, se le cede la società entro mezzogiorno, alla stessa ora vuole avere in mano i quattrini.
ORE 11.00. Kevin Hart trovò l'indirizzo che gli avevano dato in redazione e parcheggiò la macchina entro le righe gialle. Lui possedeva una Rover di due anni con il motore V8. Era scapolo, I"'Evening Post" pagava gli stipendi regolamentari dei giornalisti, e quindi era molto più ricco della maggior parte dei giovani ventiduenni. Lo sapeva, e ne era soddisfatto; ma non era abbastanza vecchio per imparare a nascondere la soddisfazione... per questo gli uomini come Arthur Cole lo detestavano. Arthur era uscito dalla riunione con il direttore molto irritato. Si era seduto alla scrivania e aveva assegnato una quantità di incarichi al solito modo; quindi aveva chiamato Kevin e l'aveva invitato a sedere... segnale sicuro al quale sarebbe seguita una sfuriata. Ma Arthur l'aveva colto di sorpresa: non aveva parlato del fatto che era piombato nell'ufficio del direttore, bensì della notizia che aveva portato. Com'era la voce? aveva chiesto. Kevin aveva risposto: Un uomo di mezza età, con l'accento delle Home Counties. Sceglieva le parole. Forse un po' troppo... come se fosse ubriaco o molto sconvolto. Non è la voce che ho sentito io stamattina aveva mormorato Arthur. Quella era più giovane e aveva l'accento cockney.
E che cosa ti ha detto? Kevin lesse la trascrizione stenografica: Sono Tim Fitzpeterson, e vengo ricattato da due individui, Laski e Cox. Voglio rovinare quei due bastardi, quando non ci sarò più. Arthur aveva scosso la testa con aria incredula. Tutto qui? Gli ho chiesto come lo ricattavano, e lui ha risposto: Dio, siete tutti eguali, e ha riattaccato. Kevin si era interrotto, aspettandosi una sgridata. Ho sbagliato a fare quella domanda? Arthur aveva alzato le spalle. Sì, ma non so quale altra potevi fare. Aveva preso il telefono e composto il numero, poi aveva passato il ricevitore a Kevin. Chiedigli se ci ha telefonato durante l'ultima mezz'ora. Kevin aveva ascoltato per qualche secondo, poi aveva posato il ricevitore. Dà il segnale di occupato. Niente da fare. Arthur si era tastato le tasche per cercare le sigarette. Hai deciso di smettere aveva detto Kevin. Sì, appunto. Arthur aveva cominciato a rosicchiarsi le unghie. Vedi, l'arma più efficace nelle mani di un ricattatore, nei confronti di un uomo politico, è la minaccia di spifferare qualcosa ai giornali. Quindi i ricattatori non ci telefonerebbero sicuramente per raccontare come stanno le cose: butterebbero via il loro asso di briscola. Ma per la stessa ragione, dato che la vittima ha una paura pazza dei giornali, non ci telefonerebbe per dirci che la ricattano. Aveva detto, con l'aria di chi perviene a una conclusione definitiva: Ecco perché credo che questa storia sia fasulla. Kevin l'aveva intcrpretato come un commiato. Si era alzato in piedi. Allora torno a occuparmi del pezzo sul petrolio. No aveva detto Arthur. Dobbiamo controllare. E meglio che tu vada a bussare alla sua porta. Va bene. Ma la prossima volta che ti viene in mente d'interrompere una riunione con il direttore, mettiti seduto e conta fino a cento. Kevin non aveva saputo reprimere un sorriso. Sicuro. Ma più ci pensava, e meno gli pareva che la storia stesse in piedi. Durante il tragitto in macchina, aveva cercato di ricordare tutto ciò che sapeva di Tim Fitzpeterson. Era un moderato e non si metteva molto in vista. Aveva una laurea in economia e la fama d'essere intelligente; ma non sembrava un tipo abbastanza vivace per offrire materia prima ai ricattatori. Kevin ricordava una foto di Fitzpeterson con la famiglia, una moglie scialba e tre figlie goffe, su una spiaggia spagnola. In quella foto, l'uomo politico sfoggiava un orrendo paio di calzoncini cachi. A prima vista, il caseggiato davanti al quale si era fermato Kevin sembrava inverosimile per un nido d'amore. Era una costruzione color grigio sporco che risaliva agli Anni Trenta e si trovava in una via secondaria di Westminster. Se non fosse stata così vicina al Parlamento, si sarebbe ridotta a uno slum. Entrando, Kevin notò che i proprietari avevano nobilitato l'edificio con un ascensore e un portiere; senza dubbio spacciavano i vari alloggi per "appartamenti di lusso". Sarebbe stato impossibile, pensò Kevin, tenere lì una moglie e tre figli; o almeno, era quanto pensava un uomo come Fitzpeterson.
Di conseguenza l'appartamento era un pied-à-terre, e dopotutto poteva darsi che Fitzpeterson vi organizzasse orge omosessuali o feste a base di droghe. Smettila di fare ipotesi, si disse. Tanto, fra un minuto saprai la verità. Non poteva evitare il portiere: la guardiola era piazzata proprio di fronte all'unico ascensore. Era un uomo cadaverico, con la faccia pallida e scavata; sembrava essere incatenato lì dentro e non uscire mai alla luce del giorno. Quando Kevin si avvicinò, il portiere posò un libro intitolato Come guadagnare il vostro secondo milione di sterline e si tolse gli occhiali. Kevin indicò il volume. A me piacerebbe sapere come guadagnare il primo. Nove disse il portiere, in tono paziente e annoiato. Come? E la nona persona che dice la stessa frase. Oh. Scusi. Poi mi domanderà perché lo leggo, e io le risponderò che me l'ha prestato un inquilino, e allora lei dirà che le piacerebbe conoscerlo. E adesso, visto che possiamo saltare tutto questo, in che cosa posso esserle utile? Kevin sapeva come ci si doveva comportare con i tipi che si credevano furbi. Alliscialo per il verso del pelo, si disse. Che numero è l'interno del signor Fitzpeterson? chiese. Ora glielo chiamo. Il portiere allungò la mano verso il telefono. Un momento. Kevin tirò fuori il portafoglio e scelse due biglietti di banca. Vorrei fargli una sorpresa. Strizzò l'occhio e posò il denaro sul banco. L'uomo prese il denaro e disse, a voce alta: Certo, signore, se è suo fratello. Cinque C. Grazie. Kevin andò all'ascensore e premette il pulsante. La strizzata d'occhio era stata forse più efficace dei quattrini, pensò. Entrò nell'ascensore, premette il bottone del quinto piano, ma tenne aperta la porta. Il portiere stava allungando la destra verso il telefono interno. Kevin disse: Dev'essere una sorpresa, ricorda?. Il portiere riprese il libro, senza rispondere. L'ascensore salì scricchiolando. Kevin ebbe la sensazione di conoscere già ciò che avrebbe scoperto, gli succedeva ogni volta che stava per bussare a una porta a caccia di notizie. Non era una sensazione sgradevole, ma si mescolava sempre alla preoccupazione di non far centro. Il pianerottolo dell'ultimo piano era abbellito da un riquadro di moquette sintetica e da alcuni acquerelli sbiaditi, privi di gusto. C'erano quattro appartamenti, ognuno con un campanello, una buca per le lettere e uno spioncino. Kevin fisso la porta SC, trasse un respiro profondo e suonò. Non ebbe risposta. Dopo gualche istante suonò di nuovo, poi accostò l'orecchio all'uscio per ascoltare. Non si sentiva nulla. La tensione lo abbandonò, lasciandolo un po' depresso.
Si chiese che cosa poteva fare. Attraversò il pianerottolo, si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Dall'altra parte della strada c'era una scuola, e un gruppo di ragazzine giocava a pallavolo nel cortile. Dal punto dove si trovava, Kevin non riusciva a capire se erano abbastanza cresciute per essere desiderabili. Tornò alla porta di Fitzpeterson e premette ancora il campanello. Il rumore dell'ascensore che stava salendo lo fece trasalire. Se era un vicino, avrebbe potuto chiedergli... Rimase sbalordito nel veder uscire dall'ascensore un poliziotto alto e giovane. Si sentì in colpa. Ma, con sua grande sorpresa, il poliziotto lo salutò.Lei dev'essere il fratello del signor Fitzpeterson disse. Kevin rifletté fulmineamente. Chi gliel'ha detto? chiese. Il portiere. Kevin l'incalzò con un'altra domanda: E come mai è qui?. Sono venuto a informarmi se sta bene. Stamattina non si è presentato a una riunione, e ha il telefono staccato. Dovrebbero avere le guardie del corpo, questi sottosegretari, ma purtroppo... Il poliziotto guardò la porta. Non risponde? No. Pensa che possa essersi... sentito male? O che abbia dovuto uscire d'urgenza? Kevin disse: Stamattina mi ha telefonato e sembrava molto scosso. Sono venuto per questo. Era un gioco molto pericoloso, il suo, e lo sapeva: ma non aveva ancora mentito, e comunque era troppo tardi per tirarsene fuori. Il poliziotto disse: Forse dovremmo farci dare la chiave del portiere. Non era quello che voleva Kevin. Mi chiedo se dovremmo sfondare la porta. Mio Dio, se sta male ed è lì tutto solo... Il poliziotto era molto giovane e inesperto, e la prospettiva di sfondare una porta doveva apparirgli solleticante. Pensa che la situazione pOssa essere tanto grave? chiese. Chi lo sa? E poi, per una porta... i Fitzpeterson non sono certo poveri. Giusto, signore. L'agente non ebbe bisogno d'altri incoraggiamenti. Provò a dare una spallata. Una spinta energica... Kevin gli si mise accanto. Colpirono simultaneamente l'uscio, ma fecero più chiasso che altro. Kevin commentò: Non è come al cinema. Poi si morse la lingua... era un commento impertinente e fuori posto. Il poliziotto sembrò non aver capito. Riproviamo disse. Questa volta ce la misero tutta. Lo stipite si spaccò, metà della serratura cadde sul pavimento e la porta si spalancò. Kevin lasciò entrare per primo l'agente, e lo seguì nel corridoio; quello disse: Non c'è odore di gas. In questi appartamenti è tutto elettrico disse Kevin, tirando a indovinare. C'erano tre porte, nel piccolo corridoio. La prima dava in un minuscolo bagno: Kevin intravvide una fila di spazzolini da denti e un grande specchio. La seconda era aperta, e rivelava la cucina.
Sembrava che qualcuno vi avesse frugato di recente. Varcarono la terza porta, e videro subito Fitzpeterson. Era seduto alla scrivania, con le braccia ripiegate sotto la testa come se si fosse addormentato mentre lavorava. Ma sulla scrivania non c'era altro che il telefono, un bicchiere e una boccetta vuota. La boccetta era piccola, di vetro marrone, con il tappo bianco e un'etichetta scritta a mano... il tipo di boccetta nella quale i farmacisti consegnano i sonniferi. Sebbene fosse giovane, il poliziotto reagi con encomiabile prontezza. Signor Fitzpeterson, signore! chiamò a voce alta. Senza fermarsi, attraversò la stanza e infilò la mano sotto la vestaglia per sentire se il cuore batteva. Per un momento, Kevin restò immobile. Finalmente il poliziotto annunciò: E ancora vivo. Poi sembrò prendere in pugno la situazione. Indicò a Kevin di avvicinarsi a Fitzpeterson. Gli parli! disse. Estrasse una radio portatile dal taschino della giacca e si mise in comunicazione con il suo comando. Kevin strinse la spalla dell'uomo politico. Il corpo sembrava stranamente inerte, sotto la vestaglia. Sveglia! Sveglia! gridò. Il poliziotto finì di comunicare via radio e lo raggiunse: L'ambulanza sarà qui da un momento all'altro disse. Facciamolo camminare. Sollevarono Fitzpeterson, reggendolo ciascuno per un braccio, e cercarono di farlo camminare avanti e indietro. Kevin chiese: E così che ci si comporta in questi casi?. Lo spero. Avrei dovuto stare più attento, a scuola, durante le lezioni di pronto soccorso. A chi lo dice! Kevin smaniava di arrivare a un telefono. Gli sembrava già di vedere il titolo: HO SALVATO IL SOTTOSEGRETARIO. Non era un tipo insensibile, ma sapeva da molto tempo che l'articolo destinato a renderlo famoso sarebbe stato probabilmente una tragedia per qualcun altro. Adesso era accaduto, e intendeva sfruttare l'occasione prima che gli sfuggisse dalle dita. Si augurava che l'ambulanza arrivasse in fretta. Fitzpeterson non reagì ai tentativi di farlo camminare. Il poliziotto disse: Gli parli. Gli dica chi e. Il gioco stava diventando un po' pericoloso. Kevin degluti con uno sforzo e disse: Tim! Tim, sono io!. Gli dica il suo nome. Kevin fu salvato appena in tempo dall'arrivo dell'ambulanza.Gridò, per farsi sentire nonostante l'urlo della sirena: Portiamolo sul pianerottolo. Trascinarono oltre la porta il corpo esanime. Mentre attendevano davanti all'ascensore, il poliziotto auscultò di nuovo il cuore di Fitzpeterson. Accidenti non sento niente mormorò. Arrivò l'ascensore e ne uscirono due infermieri. Il più anziano diede un'occhiata a Fitzpeterson e chiese: Troppi sonniferi?. Sì rispose il poliziotto. Allora niente barella, Bill.
Teniamolo in piedi. Il poliziotto si rivolse a Kevin. Vuole andare con lui? Era l'ultima cosa che Kevin desiderava. Preferirei restare qui a telefonare disse. Gli infermieri erano entrati nell'ascensore, e sostenevano Fitzpeterson. Andiamo disse il più anziano, e premette il pulsante. Il poliziotto prese la ricetrasmittente, e Kevin rientrò nell'appartamento. C'era il telefono sulla scrivania, ma non voleva che il poliziotto potesse ascoltare. Forse c'era una derivazione in camera da letto. Vi entrò. C'era un Trimphone grigio sul comodino accanto al letto. Chiamò la "Post". Ufficio stenografi, per favore... qui Kevin Hart. Questa mattina il sottosegretario Tim Fitzpeterson è stato ricoverato d'urgenza all'ospedale dopo aver tentato il suicidio. Punto, a capo. L'ho trovato in stato comatoso dopo che mi aveva detto virgola in una telefonata isterica virgola di essere vittima di un ricatto punto. Il sottosegretario... Kevin s'interruppe. E ancora lì? chiese lo stenografo. Kevin tacque. Aveva appena notato il sangue sulle lenzuola sgualcite e si sentiva male. Che cosa ricavo dal mio lavoro? Derek Hamilton aveva continuato a rivolgersi quella domanda durante tutta la mattina, mentre l'effetto degli analgesici cessava e il dolore dell'ulcera diventava più acuto e più frequente. Aveva incominciato male la giornata: un incontro con un direttore finanziario, e questi aveva proposto un programma di tagli delle spese che equivaleva più o meno a dimezzare l'intera attività. Il piano non andava assolutamente: avrebbe migliorato la liquidità, ma avrebbe distrutto ogni possibilità di ricavare profitti. Ma Hamilton non vedeva alternative, e quel dilemma lo esasperava. Aveva gridato all'amministratore: Io le chiedo d'indicarmi una soluzione, e lei mi dice di chiudere bottega!. Un simile comportamento nei confronti dei dirigenti era inammissibile, e lo sapeva. L'amministratore si sarebbe senza dubbio dimesso, e sarebbe stato impossibile dissuaderlo. E poi la sua segretaria, un'imperturbabile signora che parlava correntemente tre lingue, l'aveva infastidito con una quantità di dettagli banali, e Hamilton aveva alzato la voce anche con lei. Vista la sua posizione di segretaria, forse pensava che subire delle sfuriate facesse parte del suo lavoro: ma non era comunque una giustificazione. E ogni volta che Hamilton inveiva contro se stesso e il personale e l'ulcera, si sorprendeva a domandarsi: "Che cosa ci faccio, io, qui?". Passò in rassegna le possibili risposte mentre la macchina copriva la breve distanza tra il suo ufficio e quello di Nathaniel Fett.
Il denaro come incentivo non andava trascurato così facilmente come a volte fingeva di trascurarlo. Era vero, lui ed Ellen avrebbero potuto vivere del suo capitale, o anche degli interessi di quel capitale. Ma i suoi sogni trascendevano una vita agiata. Il vero successo negli affari voleva dire uno yacht da un milione di sterline, una villa a Cannes, una brughiera tutta sua per la caccia al gallo cedrone e la possibilità di comprare i Picasso che gli piacevano anziché guardarne le riproduzioni nei libri d'arte. Quelli erano i suoi sogni... o lo erano stati. Adesso era probabilmente troppo tardi. La Hamilton Holdings non avrebbe dato profitti sensazionali per tantì anni ancora. Da giovane aveva aspirato al potere e al prestigio. E aveva fallito. Essere il presidente di una società traballante, anche se enorme, non dava nessun prestigio; e il suo potere era vanificato dalle restrizioni volute dagli amministratori. Non capiva che cosa intendeva la gente quando diceva di trovare soddisfazione nel lavoro. Era un'espressione strana, ed evocava l'immagine di un artigiano che ricavava un tavolo da un pezzo di legno, o di un contadino che portava al mercato un gregge di agnelli ben pasciuti. Gli affari erano diversi: anche se si aveva un discreto successo, c'era sempre qualche motivo di frustrazione. E per Hamilton non esisteva altro che gli affari. Anche se avesse voluto, non aveva la capacità di costruire tavoli o allevare pecore, scrivere libri di testo o progettare palazzi per uffici. Pensò ancora una volta ai suoi figli. Ellen aveva ragione: nessuno dei due faceva conto sull'eredità. Se avesse chiesto il loro consiglio, gli avrebbero sicuramente risposto: "E tua... spendila!". Ma era contrario al suo modo di essere sbarazzarsi dell'azienda che aveva portato ricchezza alla sua famiglia. Forse, pensò, dovrei disobbedire all'istinto... ascoltarlo non mi ha reso felice. Si chiese per la prima volta che cosa avrebbe fatto se non avesse più dovuto andare in ufficio. La vita di campagna non lo interessava. Andare al può con un cane al guinzaglio come il suo vicino, il colonnello Quinton, lo avrebbe annoiato. I giornali non lo interessavano... ormai leggeva soltanto le pagine finanziarie e, se non avesse più avuto la sua azienda, anche quelle gli sarebbero apparse stucchevoli. Amava il suo giardino, ma non si vedeva a strappare le erbacce e a dare il fertilizzante tutto il giorno. Quali erano le cose che facevamo quando eravamo giovani? Ora, si rendeva conto che Ellen e lui avevano trascorso moltissimo tempo senza fare assolutamente nulla.
Avevano fatto lunghe corse con la sua macchina a due posti e a volte s'erano incontrati con qualche amico per un picnic. Perché? Perché salire in macchina, fare chilometri e chilometri, mangiare un panino e tornare indietro? Erano andati agli spettacoli e nei ristoranti, ma soltanto di sera. Eppure aveva sempre pensato che i giorni liberi da trascorrere insieme erano così pochi. Bene, forse era venuto il momento, per lui e per Ellen, di cominciare a riscoprirsi a vicenda. E un milione di sterline sarebbe stato sufficiente ad appagare qualcuno dei suoi sogni. Avrebbero potuto avere una villa... magari non a Cannes, ma comunque nel sud della Francia. Avrebbe potuto comprare uno yacht, abbastanza grande per il Mediterraneo e abbastanza piccolo per pilotarlo personalmente. La brughiera per la caccia al gallo cedrone era fuori questione; ma forse gli sarebbe rimasto abbastanza denaro per acquistare un paio di quadri decenti. Quel Laski voleva comprarsi un grosso grattacapo. Ma sembrava che i grattacapi fossero la sua specialità. Hamilton sapeva poco sul suo conto. Non aveva un'estrazione sociale rispettabile, non aveva un'istruzione adeguata, non aveva una famiglia. Ma aveva intelligenza e denaro liquido, e nei momenti difficili queste cose contavano più dell'estrazione sociale. Forse Laski e la Hamilton Holdings erano fatti l'uno per l'altra. Era strano, quello che Hamilton aveva detto a Nathaniel Fett. Riferisci a Laski che se vuole la società entro mezzogiorno, per quell'ora voglio avere in mano i quattrini. Era un'eccentricità, chiedere il pagamento sull'unghia come il proprietario di un negozio di liquori di Glasgow. Ma sapeva perché l'aveva fatto: se Laski avesse potuto sborsare la somma, l'affare si sarebbe concluso; altrimenti, no. Incapace di prendere direttamente una decisione, Hamilton aveva lanciato in aria una moneta. Adesso, si augurava che Laski riuscisse a racimolare il denaro in tempo. Derek Hamilton non voleva più tornare in ufficio. La macchina si fermò davanti alla porta di Nathaniel Fett, e Hamilton scese. Bertie Chieseman aveva focalizzato che il vantaggio d'essere un "orecchiante", era che potevi fare praticamente di tutto mentre ascoltavi la radio della polizia. E la tragedia, dal suo punto di vista, era che lui non aveva molte cose che desiderava fare. Quella mattina aveva già spazzato la moquette, sollevando la polvere che poco dopo sarebbe ricaduta comunque, mentre l'etere era pieno di messaggi privi d'interesse sul traffico in Old Kent Road. Si era fatto la barba al lavabo nell'angolo, con il rasoio di sicurezza e l'acqua calda dell'Ascot; e nella stessa stanza aveva fritto una fetta di pancetta per la colazione.
Chieseman mangiava pochissimo. Aveva chiamato l"'Evening Post" una sola volta, dopo il primo rapporto delle otto, per segnalare che era stata mandata un'ambulanza in un caseggiato nei pressi di Westminster. Il nome del paziente non era stato fatto nella trasmissione, ma Bertie aveva dedotto. in base all'indirizzo, che poteva trattarsi di un personaggio importante. Spettava alla redaiione telefonare al servizio ambulanze e chiedere il nome; e se al servizio lo sapevano, avrebbero fornito quell'informazione. Spesso il personale dell'ambulanza non faceva il suo rapporto fino a che il paziente non veniva ricoverato all'ospedale. Ogni tanto Bertie parlava con i cronisti, e chiedeva loro come utilizzavano le segnalazioni che lui passava e come le trasformavano in notizie. Conosceva piuttosto bene la meccanica del giornalismo. A parte l'episodio dell'ambulanza e i problemi di traffico, c'erano stati soltanto casi di furti nei negozi, piccoli atti di vandalismo, un paio di incidenti, una dimostrazione senza importanza in Downing Street e un mistero. Il mistero era in East London, ma questo era tutto ciò che Bertie sapeva. Aveva captato un allarme a tutte le auto della polizia, ma il messaggio successivo non era stato molto esauriente; alle macchine era stato raccomandato di cercare un furgone blu senza contrassegni, con un certo numero di targa. Forse era stato rubato con un carico di sigarette; o forse era guidato da qualcuno che la polizia voleva interrogare. Bertie aveva sentito usare la parola "Obadiah", ma non sapeva cosa significasse. Subito dopo l'allarme, tre macchine erano state distaccate dal servizio regolare di pattuglia per dare la caccia al furgone. Ma questo non significava molto. La cosa poteva anche non essere importante... magari stavano cercando di rintracciare la moglie di un ispettore della Volante che era scappata con un altro: Bertie sapeva che a volte capitava anche quello. D'altra parte, poteva essere qualcosa di grosso. Ora stava aspettando di captare altre informazioni. La padrona di casa salì mentre Bertie era occupato a pulire la padella con l'acqua calda e uno straccio. Si asciugò le mani sul maglione, e tirò fuori il libretto dell'affitto. La signora Keeney, in grembiule e bigodini, fissò con aria di soggezione l'apparecchio radio, sebbene lo vedesse ogni settimana. Bertie la pagò, e la signora Keeney firmò il libretto, poi gli porse una lettera. Non so proprio perché non ascolta un po' di bella musica gli disse. Bertie sorrise. Non le aveva mai detto come usava la radio, dato che era vietato ascoltare le comunicazioni della polizia. La musica non mi piace molto disse. La signora Keeney scosse la testa con fare rassegnato e uscì. Bertie aprì la lettera.
Era il suo assegno mensile, spedito dalI"'Evening Post". Aveva avuto un periodo buono: l'assegno era di cinquecento sterline. Inoltre questi soldi non erano soggetti a tasse e Bertie non riusciva a spendere tutto quello che guadagnava. Il suo lavoro lo costringeva a vivere in modo molto semplice. Passava tutte le serate al può, e la domenica andava in giro con la macchina, il suo unico lusso, una Ford Capri nuova. Visitava una quantità di posti, come un turista: la cattedrale di Canterbury, il castello di Windsor, Beaulieu, St. Albans, Bath, Oxford; aveva visitato zoo-safari, ville maestose, monumenti antichi, cittadine storiche, ippodromi e parchi di divertimento, sempre provando lo stesso piacere. Non aveva mai avuto tanto denaro in tutta la sua vita. Ne aveva abbastanza per comprarsi tutto ciò che desiderava e per mettere qualcosa da parte. Mise l'assegno in un cassetto e finì di lustrare la padella. Stava per metterla via quando la radio crepitò, e un sesto senso gli suggerì di ascoltare con attenzione. Giusto, un Bedford blu a sei ruote. Alpha Charlie London due zero tre Mother. Che cosa? Segni particolari? Sicuro, se controllate l'interno vi accorgerete che ha davvero qualcosa di speciale... sei grosse cassette piene di biglietti di banca usati. Bertie aggrottò la fronte. Il radio-operatore del comando stava scherzando, senza dubbio; ma quello che aveva detto significava che il furgone cui davano la caccia portava a bordo una grossa somma. E un furgone come quello non spariva per puro caso. Qualcuno doveva averlo rapinato. Bertie sedette al tavolo e prese il telefono. Felix Laski e Nathaniel Fett si alzarono quando entrò Derek Hamilton. Laski, l'aspirante compratore, e Hamilton, il venditore, si strinsero la mano come due pugili prima di un incontro. Laski notò, sorpreso, che lui e Hamilton portavano abiti identici, blu gessati. Avevano addirittura lo stesso modello di giacca, doppiopetto a sei bottoni e senza spacchi. Ma la figura tozza di Hamilton toglieva eleganza allo stile. Addosso a lui, anche l'abito più bello sembrava un pezzo di stoffa drappeggiato intorno a un mucchio di gelatina. Laski sapeva, senza bisogno di guardarsi allo specchio, che il suo vestito sembrava molto più lussuoso. Si disse che non doveva sentirsi superiore. Un atteggiamento sbagliato poteva rovinare una trattativa. Lieto di rivederla. Hamilton disse.
Hamilton gli rivolse un cenno. Come va, signor Laski?. La poltroncina scricchiolò sotto il suo peso. A Laski non sfuggì quel "signore". Hamilton era disposto a usare il cognome e basta soltanto con i suoi pari. Laski accavallò le gambe e attese che Fett, il mediatore, aprisse le trattative. Studiò Hamilton con la coda dell'occhio. Era sicuramente stato un bell'uomo, da giovane: aveva la fronte alta, il naso diritto e gli occhi d'un azzurro vivo. In quel momento appariva rilassato, con le mani intrecciate sulle ginocchia. Ha già deciso, pensò Laski. Fett disse: Per la cronaca, Derek possiede cinquecentodiecimila azioni dell'Hamilton Holdings SpA, una società finanziaria quotata in borsa. Altre quattrocentonovantamila azioni appartengono a varie persone, e non esistono azioni che non siano state collocate. Signor Laski, lei si offre di acquistare quelle cinquecentodiecimila azioni per la somma di un milione di sterline, a condizione che il contratto di cessione porti la data di oggi e sia firmato entro mezzogiorno. O che venga datata e firmata allo stesso modo una lettera d'intenti. Appunto. Laski non ascoltò mentre Fett precisava le formalità in tono asciutto. Pensava che con ogni probabilità Hamilton meritava di perdere la moglie. Una donna vivace e ardente come Ellen aveva diritto a una vita sessuale molto piena. "Eccomi,qui" pensò. "Rubo a quest'uomo la moglie, gli porto via il risultato di tutta una vita di lavoro, e lui riesce ancora a mettermi in imbarazzo chiamandomi signore." Come penso stava concludendo Fett, l'accordo si può fare nei termini delineati dal signor Laski. I documenti sono a posto. Rimane solo da sapere se Derek venderà, e a quali condizioni. E si assestò sulla poltrona con l'aria di chi ha completato un rito. Hamilton guardò Laski. Quali sono i suoi progetti per il gruppo? chiese. Laski represse un sospiro. Quella specie d'interrogatorio non aveva senso. Si sentiva in diritto di raccontare a Hamilton un mucchio di menzogne, e lo fece. Il primo provvedimento sarebbe una cospicua immissione di capitali disse. Quindi un miglioramento dei servizi direzionali, una rivoluzione al massimo livello nelle società operative, e una ristrutturazione dei settori che rendono meno. Nulla avrebbe potuto essere più lontano dalla verità, ma se Hamilton voleva leggersi il copione partendo dall'inizio, Laski era disposto ad accontentarlo. Ha scelto un momento difficile per fare la sua offerta. Non proprio disse Laski. Il giacimento petrolifero, ammesso che tocchi alla società"sarebbe un di più. Ma quello che io conto di acquistare è un gruppo fondamentalmente sano che sta attraversando un periodo difficile. Farò in modo che diventi redditizio senza manomettere le infrastrutture.
E la mia specialità. Sorrise per schermirsi. Nonostante la mia reputazione, a me interessa dirigere aziende vere, non trafficare in titoli. Notò l'occhiata ostile di Fett: il mediatore sapeva che stava mentendo. E allora, perché ha fissato mezzogiorno come scadenza? Sono convinto che le azioni della Hamilton saliranno parecchio, se otterrà la concessione. E questa potrebbe essere, per me, l'ultima occasione per acquistare a un prezzo ragionevole. Mi pare abbastanza giusto osservò Hamilton, togliendo l'iniziativa a Fett. Ma anch'io ho fissato un termine. Lei che cosa ne pensa? Sono perfettamente d'accordo mentì Laski. Per la verità, era molto, molto preoccupato. Non pensava che Hamilton volesse vedere "i quattrini in mano" al momento della firma dell'accordo. Laski aveva previsto di pagare un acconto quel giorno, e il saldo al momento dello scambio del contratto definitivo. Ma sebbene la richiesta di Hamilton fosse eccentrica, era del tutto ragionevole. Quando la lettera d'intenti fosse stata firmata, Laski avrebbe potuto servirsi delle azioni, vendendole oppure usandole come garanzia per ottenere un prestito. Avrebbe potuto sfruttare quelle azioni, ad un prezzo gonfiato grazie al petrolio, per ottenere il denaro necessario alla copertura dell'acquisto iniziale. Ma era caduto nella trappola che lui stesso aveva teso. Aveva indotto Hamilton in tentazione con la prospettiva di una conclusione rapida, e il vecchio aveva abboccato... fin troppo. Laski non sapeva che cosa avrebbe fatto, perché non possedeva un milione di sterline... avrebbe dovuto raschiare il fondo del barile per poter versare le centomila dell'anticipo. Tuttavia, sapeva che c'era qualcosa che non doveva fare: non poteva lasciarsi sfuggire quell'occasione. Perfettamente d'accordo ripeté. Fett disse: Derek, forse sarebbe opportuno che noi due discutessimo un momento.... Non direi l'interruppe Hamilton. A meno che tu abbia intenzione di dirmi che la proposta è irta di trabocchetti. No, affatto. In questo caso... Hamilton si rivolse a Laski. Accetto. Laski si alzò e gli strinse la mano. Hamilton sembrava leggermente imbarazzato da quel gesto: ma Laski ci teneva. Gli uomini come Hamilton potevano sempre trovare in un contratto qualche clausola che offrisse loro una scappatoia: ma non ammettevano di rinnegare una stretta di mano. Laski disse: I fondi sono depositati presso la Cotton Bank della Giamaica... filiale di Londra, naturalmente. Immagino che questo non presenti nessun problema. Estrasse dalla tasca un libretto di assegni. Fett aggrottò la fronte. La banca era molto piccola, ma rispettabile.
Certo, avrebbe preferito un assegno su una banca associata alla stanza di compensazione; ma a quel punto non poteva sollevare obiezioni senza aver l'aria di voler creare ostacoli. E Laski sapeva che se ne rendeva conto. Laski compilò l'assegno e lo consegnò a Hamilton. Non capita spesso a un uomo di intascare un milione di sterline disse. Hamilton sembrò diventare più gioviale. Sorrise: E non capita spesso che un uomo lo spenda. Laski continuò: Avevo dieci anni quando il nostro gallo morì, io andai con mio padre al mercato per comprarne un altro. Costava circa... oh, tre sterline. Ma per la mia famiglia quella somma rappresentava il risparmio di un anno. L'acquisto di quel gallo fu più meditato di tutti gli affari finanziari che io ho concluso dopo, compreso questo. Sorrise. Sapeva che i suoi due interlocutori si sentivano a disagio nell'ascoltare l'episodio, ma non gli importava affatto. Un milione di sterline può non essere niente: ma un gallo può salvare dalla fame un'intera famiglia. E vero mormorò Hamilton. Laski tornò ad assumere il suo atteggiamento abituale. Se permettete, vorrei telefonare alla banca per avvertirla dell'assegno. Certamente. Fett lo accompagnò alla porta e disse: Questo ufficio è vuoto. Valerie le passerà la linea. Grazie. Quando tornerò potremo firmare le lettere. Laski entrò nell'ufficio e sollevò il ricevitore. Sentì che la linea era libera, e sbirciò per assicurarsi che Valerie non stesse ad ascoltare. La segretaria era allo schedario. Laski compose il numero. Cotton Bank della Giamaica. Qui Laski. Mi passi Jones. Un attimo di silenzio. Buongiorno, signor Laski. Jones, ho appena firmato un assegno da un milione di sterline. In un primo momento Jones non rispose. Poi mormorò: Gesù. Ma non le possiede. Comunque lei convaliderà l'assegno. E la Banca d'Inghilterra? La voce di Jones stava diventando rapidamente più acuta. Non abbiamo contanti a sufficienza per depositarli! Ci penseremo quando sarà il momento. Signor Laski, questa banca non può autorizzare iì trasferimento di un milione di sterline dal suo conto presso la Banca d'Inghilterra ad un altro conto per la semplice ragione che non possiede un milione di sterline da accreditare. Non credo di poterle spiegare la situazione in termini più chiari. Jones, chi è il proprietario della Cotton Bank della Giamaica? Jones aspirò rumorosamente. Lei, signore. Appunto. Laski tolse la comunicazione ORE 12.00. Pcter "Jesse" James sudava.
Il sole di mezzogiorno era molto caldo e l'ampio parabrezza del furgone lo potenziava: i raggi gli bruciavano gli avambracci nudi e carnosi e gli scottavano le gambe attraverso i calzoni. La temperatura stava diventando insopportabile. E a parte questo era terrorizzato. Jacko gli aveva ordinato di guidare piano. Era una raccomandazione superflua. A un chilometro e mezzo dallo sfasciacarrozze si era trovato imbottigliato in un traffico pesante, e aveva dovuto procedere a passo d'uomo per una buona metà della parte meridionale di Londra. Non avrebbe potuto correre neppure se lo avesse voiuto. Aveva aperto i due sportelli scorrevoli del furgone, ma non era servito a niente. Non c'era vento quando il veicolo stava fermo, e quando si muoveva c'era soltanto una brezza leggera, satura di gas di scarico. Jesse pensava che guidare doveva essere un'avventura. Era innamorato delle automobili da quando a dodici anni aveva rubato la prima, una Zephyir-Zodiac con le alette fuoriserie. Gli piaceva scattare ai semafori, affrontare le curve a tutta velocità e spaventare a morte gli automobilisti della domenica. Quando un altro guidatore si azzardava a suonare il clacson, Jesse urlava improperi e agitava il pugno, e sognava di sparare a quel bastardo. Teneva sempre, sulla sua macchina, una pistola nel vano portaoggetti. Ma non aveva mai avuto occasione di usarla. Ma non era per nulla divertente guidare con a bordo un patrimonio in banconote rubate. Bisognava accelerare gradualmente e frenare con dolcezza, segnalare quando ti accostavi al marciapiedi, rinunciare ai sorpassi e lasciare attraversare i pedoni agli incroci. Jesse pensava che un comportamento troppo corretto avrebbe finito per destare sospetti: un poliziotto un po' sveglio, vedendo un giovanotto guidare un furgone come se fosse un vecchio rimbambito all'esame di guida, avrebbe fiutato che qualcosa non andava. Arrivò a un altro incrocio dell'interminabile South Circular Road. Il semaforo scattò dal verde al giallo. L'istinto suggeriva a Jesse di premere l'acceleratore e andare. Sospirò rassegnato, lasciò dondolare il braccio dal finestrino come uno stupido, e si fermò prudentemente. Doveva cercare di rilassarsi... Ia gente nervosa commetteva errori. Doveva dimenticare quel denaro e pensare a qualcosa d'altro. Aveva macinato migliaia di chilometri in mezzo al traffico esasperante di Londra senza venire mai fermato dalla polizia: perché quel giorno le cose avrebbero dovuto andare diversamente? Nemmeno la pula riusciva a sentire l'odore del denaro che scottava.
Venne il verde e Jesse ripartì. La strada si incanalò in una zona commerciale, dove i camioncini delle consegne erano allineati lungo i marciapiedi e una serie di attraversamenti pedonali rallentava il flusso delle macchine. I marciapiedi stretti erano affollati da gente che girava per fare compere e da venditori ambulanti che offrivano oggetti di bigiotteria scadenti e coperture per le assi da stiro. Le donne indossavano abiti estivi... Il caldo, almeno, offriva quel vantaggio. Jesse cominciò a fissare le magliette attillate, gli abitini deliziosamente sciolti e le ginocchia nude mentre copriva pochi metri alla volta. Gli piacevano le ragazze con il didietro voluminoso, e scrutava tra la folla in cerca di qualcuna da spogliare con gli occhi. La vide a una cinquantina di metri di distanza. Portava un maglioncino azzurro in acrilico e un paio di calzoni bianchi attillati. Probabilmente era convinta di essere grassa, ma Jesse era pronto a giurarle che non era vero. Aveva un reggiseno di modello antiquato che le modellava le tette come due siluri; e i calzoni a vita alta si allargavano sui fianchi abbondanti. Jesse la sbirciò, sperando di veder dondolare le tette. E dondolavano. Come gli sarebbe piaciuto andarle alle spalle, abbassarle piano piano i calzoni e poi... La macchina che lo precedeva avanzò d'una ventina di metri e Jesse la seguì. Era una Marina nuovissima con il tettuccio in plastica. Forse avrebbe potuto comprarne una, con la sua parte del bottino. La coda delle macchine si fermò di nuovo. Jesse tirò il freno a mano e cercò con gli occhi la ragazza prosperosa. Non la individuò fino a quando il traffico non si rimise in movimento. La vide nell'attimo in cui innestava la marcia: stava guardando la vetrina di una calzoleria e gli voltava le spalle. I calzoni erano così aderenti che Jesse individuava le mutandine, due linee diagonali che puntavano alla biforcazione delle cosce. Gli piaceva molto, quando vedeva le mutandine disegnate sotto i calzoni: lo eccitava quasi quanto un sedere nudo. Le abbasserei le mutandine, pensò, e... Ci fu l'urto dell'acciaio contro l'acciaio. Il furgone.si fermò di colpo e Jesse fu buttato in avanti, contro il volante. Le portiere scorrevoli si chiusero. Prima ancora di guardare, sapeva cosa aveva fatto, e il sapore della paura gli diede la nausea. La Marina che lo precedeva si era fermata prima del necessario, e Jesse, troppo assorto a guardare la ragazza dai calzoni attillati, l'aveva tamponata. Scese dal furgone. Il guidatore della Marina stava già esaminando i danni.
Guardò Jesse rosso di rabbia: Maledetto bastardo sibilò. Cosa sei... cieco o stupido? Aveva un accento del Lancashire. Jesse non gli badò. Guardò i paraurti dei due veicoli, incastrati in un bacio d'acciaio. S'impose di non perdere la calma. Mi dispiace, amico. La colpa è mia. Ti dispiace! Quelli come te non dovrebbero avere il permesso di circolare! Jesse fissò l'automobilista. Era basso e grasso, e portava un decoroso doppiopetto. La faccia tonda era il ritratto della sacrosanta indignazione. Aveva l'aggressività facile degli uomini bassi, e il modo tipico di tenere la testa inclinata all'indietro. Jesse l'odiò a prima vista. Sembrava un sergente maggiore. Jesse avrebbe voluto tirargli un pugno in faccia o, meglio ancora, sparargli in fronte. Capita a tutti di sbagliare disse con forzata gentilezza. Scambiamoci nomi, indirizzi e tutto quanto è necessario. E un colpo da niente, non facciamone peT forza un dramma. Era la frase che non avrebbe mai dovuto dire. L'uomo diventò ancora più rosso. Non te la caverai così disse. Le macchine che li precedevano erano ripartite e gli automobilisti dietro di loro si stavano spazientendo. Alcuni suonavano il clacson. Uno scese dalla macchina. Il guidatore della Marina stava annotando sul taccuino il numero di targa del furgone. Era il tipo d'uomo che tiene sempre in tasca un notes e una matita, pensò Jesse. L'uomo chiuse il taccuino. Questo è un caso di guida imprudente e pericolosa. Telefonerò alla polizia. L'automobilista della macchina dietro di loro gridò: Perché non vi togliete di mezzo, così noialtri potremo andare avanti?. Jesse intùì di aver trovato un alleato. Io lo farei anche subito, amico, ma questo qui vuole chiamare il tenente Kojak. L'uomo piccolo e grasso agitò l'indice. Conosco, i tipi come te! Guidano come teppisti e poi fanno pagare i danni all'assicurazione. Ti sistemo io, cocco. Jesse avanzò d'un passo, strinse i pugni... ma si trattenne. Il panico lo stava prendendo. La polizia ha già abbastanza da fare disse in tono implorante. L'altro socchiuse le palpebre. Si era accorto della paura di Jesse. Lasciamo decidere a loro se hanno qualcosa di meglio da fare. Si guardò intorno e adocchiò una cabina telefonica. Tu aspetta qui disse, e si voltò. Jesse gli afferrò la spalla. Adesso era veramente spaventato. Questo non ha niente a che vedere con la polizia! disse. L'uomo si girò e si scostò bruscamente di dosso la mano di Jesse. Non ti permettere, specie di punk... Jesse l'afferrò per il bavero e lo sollevò. Te lo dò io, il punk...
All'improvviso si accorse che intorno a loro si era radunata una piccola folla di curiosi. Una dozzina di persone, quasi tutte casalinghe con la borsa della spesa. La ragazza dai calzoni attillati era in prima fila. Jesse si rese conto che stava sbagliando proprio tutto. Decise di tirarsene fuori. Lasciò andare il guidatore della Marina e salì sul furgone. L'altro lo fissò, incredulo. Jesse riaccese il motore e fece marcia indietro. Con uno schianto metallico, i due veicoli si staccarono. Il paraurti della Marina penzolava, e il gruppo ottico posteriore era fracassato. Cinquanta sterline per la riparazione, dieci se il lavoro te lo fai da solo, pensò insensatamente. L'uomo grasso si piazzò davanti al furgone, agitando l'indice con fare imperioso. Tu resti qui! gridò. La folla stava diventando più numerosa, via via che la lite si faceva più spettacolare. C'era un momento di pausa nel traffico che veniva dalla direzione opposta, e le macchine che seguivano il furgone incominciarono a sgranarsi, superando il luogo dell'incidente. Jesse innestò la prima e fece rombare il motore. L'uomo non si scostò. Jesse cambiò marcia con uno scossone e il furgone balzò in avanti. Troppo tardi, l'uomo grasso si buttò verso il marciapiedi. Jesse sentì un tonfo sordo mentre sterzava. Una macchina che lo seguiva frenò con un grande stridio di pneumatici. Jesse cambiò marcia e sfrecciò via senza guardarsi indietro. La strada sembrava stretta e opprimente come una trappola; correva ignorando gli attraversamenti pedonali, sbandava e frenava. Cercò disperatamente di riflettere. Aveva rovinato tutto. Il colpo era andato splendidamente, e Jesse James era andato a sbattere con il furgone. Un carico di cartamoneta buttato via per una bottarella da cinquanta sterline. Pazzesco. Stai calmo, si disse. Non sarebbe finita fino a quando non lo avessero sbattuto al fresco. C'era ancora tempo... purché riuscisse a pensare. Rallentò e lasciò la strada principale. Era inutile attirare di nuovo l'attenzione. S'infilò in una serie di vie interne, mentre si chiedeva cosa doveva fare. Cosa sarebbe successo, ora? Uno dei presenti avrebbe telefonato alla polizia, soprattutto se lui aveva investito l'uomo grasso.
Il numero di targa del furgone era scritto sul taccuino, e anche qualcuno dei presenti doveva averlo notato. Sarebbe stato segnalato un investimento da parte di un pirata della strada, e il numero sarebbe stato comunicato via radio alle macchine della polizia. Tutto questo avrebbe portato via da un minimo di tre minuti a un massimo di un quarto d'ora. Altri cinque minuti, e avrebbero trasmesso anche una descrizione di Jesse. Com'era vestito? Calzoni blu e camicia arancione. Pazzesco. Che cosa avrebbe detto Tony Cox, se fosse stato presente? Jesse ricordava la sua faccia grassa, e gli sembrava di sentire la sua voce: Devi dire a te stesso quale è il problema, chiaro? Jesse disse a voce alta: La polizia ha il mio numero di targa e la mia descrizione. Pensa che cosa devi fare per risolvere il problema. Cosa diavolo posso fare, Tone? Cambiare la targa e il mio aspetto? Allora fallo, giusto? Jesse aggrottò la fronte. Il pensiero analitico di Tony non andava oltre. Dove diavolo poteva trovare altre targhe, e come poteva montarle? Era semplice, ovviamente. Raggiunse una strada principale e la percorse fino a quando arrivò a un garage. Si fermò nel cortile. Tutto bene, pensò. Dietro le pompe c'era un'officina. Un'autocisterna stava scaricando dall'altra parte. L'addetto al distributore si avvicinò pulendosi gli occhiali con uno straccio bisunto. Mi metta cinque sterline disse Jesse. Dov'è il gabinetto? Dietro l'angolo. Jesse si avviò nella direzione indicata. Un marciapiedi di cemento girava intorno al garage. Trovò una porta rotta con la scritta "Uomini" e passò oltre. Dietro il garage c'era un piccolo spiazzo dove alcune macchine abbastanza nuove che dovevano essere riparate stavano in mezzo a portiere arrugginite, fiancate ammaccate e macchinari rotti. Jesse non trovò quello che cercava. L'entrata posteriore dell'officina era accanto a lui, ed era abbastanza larga per far passare un autobus. Non aveva senso comportarsi furtivamente. Jesse entrò. Impiegò un momento per abituare gli occhi al buio. Nell'aria c'era odore di olio da macchina e di ozono. C'era una Mini su un ponte a altezza d'uomo, con le interiora che penzolavano oscenamènte. L'estremità anteriore di un camion articolato era collegato a un tester Krypton. Sulle zeppe c'era una Jaguar senza ruote. In giro non si vedeva nessuno. Jesse diede un'occhiata all'orologio; erano a mangiare, senza dubbio.
Si guardò di nuovo intorno. E vide quello che gli occorreva. In un angolo, su un bidone, c'era una coppia di targhe commerciali, rosse e bianche. Andò a prenderle. Si guardò intorno ancora una volta, e rubò altre due cose: una tuta pulita appesa a un piolo, e un pezzo di spago lurido che stava sul pavimento. Una voce chiese: Cerchi qualcosa, fratello?. Jesse si voltò di scatto, con il cuore in gola. Un meccanico negro con la tuta sporca stava dall'altra parte dell'officina, appoggiato alla candida fiancata della Jaguar. Stava mangiando e aveva la bocca piena. La chioma dal taglio afro ondeggiava mentre masticava. Jesse cercò di nascondere le targhe con la tuta. Il gabinetto disse. Devo cambiarmi. E trattenne il respiro. Il meccanico alzò il braccio. Là fuori disse. Inghiottì e diede un altro morso all'uovo che stava mangiando. Grazie Jesse si affrettò a uscire. Prego disse il meccanico. Aveva l'accanto irlandese. Un negro irlandese? Questa era una novità. L'addetto al distributore stava aspettando accanto al furgone. Jesse salì e buttò sul sedile posteriore la tuta e quello che nascondeva. L'uomo sbirciò incuriosito il fagotto. Jesse disse: La mia tuta penzolava fuori dal portellone posteriore. Dev'essere lurida. Quanto fa?. Di solito facciamo pagare cinque sterline per cinque sterline di benzina. Non mi ero accorto della tuta. Neppure io me ne sono accorto per ottanta chilometri. Avevo detto cinque sterline, vero? Sicuro. Il gabinetto è gratis. Jesse gli diede cinque sterline e ripartì in fretta. Adesso era un po' fuori dal suo percorso. Meglio così. La zona era più tranquilla di quelle che aveva attraversato prima. Ai lati c'erano case unifamiliari piuttosto vecchiotte, un po' lontane dalla strada fiancheggiata da ippocastani. Jesse vide una fermata dell'autobus della Green Line. Aveva bisogno di un posto tranquillo per fare il cambio. Guardò di nuovo l'orologio. Doveva essere trascorso un quarto d'ora dall'incidente. Non aveva tempo per i dettagli. Svoltò al primo incrocio. La strada si chiamava Brook Avenue. Lì le case erano bifamiliari. Aveva bisogno di un punto meno esposto, in nome del cielo! Non poteva cambiare le targhe sotto gli occhi di sessanta casalinghe ficcanaso.
Svoltò ancora, e poi ancora... e trovò un vicoletto dietro a una breve fila di negozi. Si fermò. C'erano garage e bidoni della spazzatura, e le porte sul retro, che servivano per la consegna delle merci. Scavalcò il sedile, passò nella parte posteriore del furgone. Era molto caldo. Sedette su una delle cassette del denaro e infilò le gambe nella tuta. Gesù, ce l'aveva quasi fatta. Mi basta un altro paio di minuti, pensò... Era quasi una preghiera. Si alzò, si piegò e finì di indossare la tuta. Se rovinassi tutto, Tony mi farebbe tagliare la gola, pensò rabbrividendo. Tony Cox era una carogna e aveva le sue idee sulle punizioni. Jesse chiuse la lampo. Sapeva bene com'erano le descrizioni dei testimoni oculari. Adesso i poliziotti stavano cercando un tizio grande e grosso dall'aria cattiva e dagli occhi aggressivi, che portava un paio di jeans e una camicia arancione. Chiunque avesse guardato Jesse, ora, avrebbe visto soltanto un meccanico. Prese le targhe. Lo spago non c'era più... doveva averlo perso. Si guardò intorno. Accidenti, c'era sempre un pezzo di corda a bordo di un furgone. Aprì la cassetta degli attrezzi e trovò un grosso spago unto, avvolto intorno al cric. Scese e girò intorno al muso del veicolo. Lavorò con attenzione, per non rovinare tutto con la fretta. Legò la targa commerciale rossa e bianca sopra quella originale, come facevano di solito nei garage quando portavano un veicolo commerciale a fare un giro di prova. Si scostò di un passo ed esaminò il risultato del suo lavoro. Poteva andare. Andò dietro al furgone e ripeté l'operazione con la targa posteriore. Era fatta. Jesse tirò un sospiro di sollievo. Cambia le targhe, eh? Jesse trasalì e si voltò. Il cuore cessò di battere. Quella voce apparteneva a un poliziotto. Era l'ultima goccia. Non gli venivano in mente altre menzogne plausibili, altri sotterfugi. L'istinto l'abbandonò. Non trovò nulla da dire. Il poliziotto si avvicinò. Era molto giovane, con le basette fulve e le lentiggini sul naso. Qualche difficoltà? Jesse rimase sbalordito nel vederlo sorridere. Un raggio di speranza gli penetrò nel cervello terrorizzato. Ritrovò la voce.
Le targhe si erano allentate disse. Le ho fissate meglio. Il poliziotto annuì. Anch'io guidavo uno di questi disse in tono discorsivo. E più facile che guidare una macchina. Ottimi veicoli. Jesse ebbe il sospetto che stesse giocando sadicamente a gatto e topo, e sapesse benissimo che lui era il responsabile dell'incidente ma fingesse di essere all'oscuro per sferrargli il colpo all'ultimo minuto. E tutto facile, quando funzionano a dovere disse. Sentiva il sudore gelido sul suo volto. Be', adesso ha finito. Ora vada, altrimenti blocca la strada. Come un sonnambulo, Jesse salì a bordo e accese il motore. Dov'era la macchina del poliziotto? Aveva la radio spenta? La tuta e le targhe lo avevano tratto in inganno? Ma se avesse fatto il giro intorno al furgone e avesse visto l'ammaccatura causata dal paraurti della Marina... Jesse tolse il piede dalla frizione e si avviò lentamente lungo la strada laterale. Quando arrivò in fondo, si fermò e guardò in tutte e due le direzioni. Nello specchietto laterale vide il poliziotto che saliva su una macchina di servizio. Jesse svoltò nella strada, e perse di vista l'auto della polizia. Si asciugò la fronte. Tremava. Dio, accidenti mormorò. Per la prima volta in vita sua Evan Jones beveva whisky prima di pranzo. E c'eFa una ragione. Aveva un codice di comportamento, e l'aveva violato... sempre per la prima volta. Lo stava spiegando al suo amico Arny Matthews; ma non era facile, perché non era abituato al whisky, e il primo doppio bicchierino gli stava già arrivando al cervello. E la mia educazione, capisci disse con il suo accento musicale gallese. Molto rigorosa. Vivevamo secondo i precetti della Bibbia. Ora, un uomo può sostituire un codice con un altro, ma non può liberarsi dell'abitudine all'obbedienza. Capisci? Certo disse Arny, che non capiva affatto. Evan era il direttore della filiale londinese della Cotton Bank della Giamaica, mentre Arny era un attuario di una compagnia di assicurazioni. Abitavano in due case adiacenti, in falso stile Tudor, a Woking, nel Surrey. La loro amicizia era superficiale ma durava da anni. I banchieri hanno un Codice continuò Evan. Lo sai, i miei genitori rimasero piuttosto sconvolti quando dissi che volevo diventare funzionario di banca. Nel Galles meridionale i ragazzi diventano tutti insegnanti, oppure ecclesiastici, o impiegati della Coal Board, oppure sindacalisti... ma non banchieri. Mia madre non sapeva neppure cosa fosse un attuario disse Arny in tono comprensivo, anche se continuava a non capire. Non sto parlando dei principii della sana attività bancaria...
Ia legge del rischio minore, la garanzia che deve coprire in abbondanza il prestito, gli interessi più alti per una scadenza più lunga... non è a questo che mi riferisco. No. Arny non aveva idea di ciò che intendeva dire Evan. Ma intuiva che l'amico stava per abbandonarsi a qualche indiscrezione, e come tutti quanti nella City amava le indiscrezioni altrui. Ne vuoi un altro? E prese i bicchieri. Evan annuì in segno di assenso e seguì con gli occhi Arny che si avviava verso il bar. S'incontravano spesso nella sala di Pollard's prima di prendere insieme il treno per tornare a casa. Evan apprezzava le seggiole di velluto, la quiete e i baristi vagamente servili. Non aveva simpatia per i può di tipo nuovo che stavano spuntando ovunque nella City: cantine affollatissime, molto alla moda, con musica fragorosa per giovani funzionari capelloni in tre pezzi e cravatte sgargianti, che bevevano la birra a mezzi litri o sceglievano gli aperitivi continentali. Sto parlando di onestà riprese Evan quando Arny tornò da lui. Un banchiere può sopravvivere anche se è stupido, purché sia onesto. Ma se non lo è... Verissimo. Prendi per esempio Felix Laski. E un uomo del tutto privo di onesta. E lui che ha rilevato la tua banca. Sì? con mio eterno rammarico. Devo raccontarti come ha fatto? Arny si avvicinò di più e si fermò con la sigaretta in mano. Certo. Avevamo un cliente, la South Middiesex Properties. Era legata a una banca di sconto che conoscevamo, e noi cercavamo di collocare una somma grossissima di denaro a lungo termine. Per la verità, il prestito era troppo grosso per la Middiesex, però le garanzie erano solide. Be', per farla breve, la Middiesex non onorò i pagamenti. Ma voi avevate le proprietà in garanzia disse Arny. Sicuramente gli atti relativi erano nella vostra camera blindata. Non valevano niente di niente. Avevamo solo copie... e avevano solo copie anche molti altri creditori. Una truffa vera e propria. Sicuro, però loro riuscirono a farla passare per inettitudine. E comunque eravamo nei pasticci. Laski ci tirò fuori dai guai, in cambio del pacchetto di maggioranza. Molto furbo. Più furbo di quanto tu possa immaginare, Arny. Laski controllava la South Middiesex Properties. Sia chiaro, non faceva parte del consiglio d'amministrazione. Ma aveva parecchie azioni, era un consulente, e in quanto alla direzione era molto debole... E così si comprò la Cotton Bank con i quattrini che si era fatto prestare e non aveva restituito. Si direbbe proprio! Arny scosse la testa. Stento a crederlo. Oh, lo crederesti se conoscessi il tipo. Due uomini dall'aria di avvocati sedettero al tavolo vicino con due boccali di birra da mezzo litro ed Evan abbassò la voce. Un uomo completamente privo di onestà ripeté.
Un colpo da maestro disse Arny con un tono d'ammirazione. Avresti potuto raccontarlo ai giornali... se è vero. E chi diavolo l'avrebbe pubblicato, a parte "Private Eye"? Ma è tutto vero, amico. Non esiste bassezza che quell'individuo non commetterebbe. Evan trangugiò un sorso abbondante di whisky. Sai che cos'ha fatto oggi? Non può essere peggio dell'imbroglio della South Middiesex osservò Arny. No? Ah! Evan, adesso, era un po' rosso in viso, e il bicchiere gli tremava nella mano. Parlò lentamente, sottolineando ogni parola. Mi ha ordinato... ordinato, bada bene... di convalidare un assegno scoperto per un milione di sterline. E posò il bicchiere con gesto deciso. Ma... e la Banca d'Inghilterra? Sono state le mie precise parole! I due avvocati girarono la testa, ed Evan si rese conto di aver gridato. Abbassò la voce. Le mie precise parole. E non crederai mai quello che mi ha detto. Ha detto: Chi è il proprietario della Cotton Bank della Giamaica? E ha sbattuto il ricevitore. E tu che cosa hai fatto? Evan alzò le spalle. Quando ha telefonato l'intestatario dell'assegno, gli ho risposto che era coperto. Arny zufolò. Quello che hai detto tu non conta niente F la Banca d'Inghilterra che deve fare il trasferimento. E quando scopriranno che non avete il milione... Io gliel'ho detto. Evan si accorse che stava per mettersi a piangere e se ne vergognava. Mai, in trent'anni di attività bancaria, da quando ho incominciato allo sportello della Barclays Bank a Cardiff... non ho mai convalidato un assegno scoperto. Fino a oggi. Vuotò il bicchiere e lo fissò con aria lugubre. Ne vuoi un altro? No, e non dovresti più bere. Darai le dimissioni? Devo farlo. Evan scosse la testa. Trent'anni. Su, dai, bevine un altro. No disse Arny con fermezza. Devi andare a casa. Si alzò e prese l'amico per il gomito. Va bene. I due uscirono per la strada. Il sole era alto e caldo. Nei bar cominciavano a formarsi le file dell'ora di pranzo. Alcune segretarie carine passarono mangiando il gelato. Arny disse: E un tempo bellissimo, per questa stagione. Magnifico disse Evan in tono tetro. Amy scese dal marciapiedi e chiamò un taxi. Il veicolo nero sterzò e si fermò con uno stridio di gomme. Evan chiese: Dove vai?. Non io... tu. Arny aprì la portiera e disse al tassista: Stazione di Waterloo. Evan salì barcollando e si lasciò cadere sul sedile posteriore. Va' a casa prima di sbronzarti tanto da non farcela a camminare disse Amy e chiuse la portiera. Evan abbassò il vetro. Grazie disse. E meglio che tu vada a casa. Evan annuì. Vorrei proprio sapere che cosa racconterò a Myfanwy. Arny seguì con gli occhi il taxi che si allontanava, poi si incamminò verso l'ufficio. Pensava al suo amico.
Evan era finito, come banchiere. Nella City, la reputazione di uomo onesto si acquisiva lentamente ma si poteva perdere molto in fretta. Evan avrebbe perso la sua, come se avesse cercato di borseggiare il ministro del Tesoro. Forse avrebbe potuto ritirarsi con una pensione decente: ma non avrebbe più trovato un altro posto. Arny, invece, era al sicuro, anche se non occupava un posto al vertice: l'esatto contrario della situazione di Evan. Guadagnava uno stipendio discreto, ma aveva dovuto farsi fare un prestito per i lavori di ampliamento della casa, e stentava a pagare le rate. Adesso intravvedeva un sistema per risolvere il suo problema grazie al colpo di sfortuna di Evan. Si vergognava un po' ma comunque, pensava, peggio di così a Evan non poteva andare. Entrò in una cabina telefonica e fece un numero. Inserì una moneta. "Evening Post"? Che ufficio? Cronaca cittadina. Vi fu un breve silenzio, poi un'altra voce disse: Qui cronaca. Mervyn? Sono io. Qui Arnold Matthews. Salve, Arny. Cosa c'è? Arny trasse un respiro profondo. La Cotton Bank della Giamaica è nei guai. Doreen, la moglie di Willie il Sordo, era seduta tutta rigida sul sedile anteriore della macchina di Jacko, e stringeva la borsetta sulle ginocchia. Era pallida e le labbra erano contratte in una strana espressione di furia e di paura. Era una donna dall'ossatura robusta, molto alta, con i fianchi larghi. Tendeva alla pinguedine perché a Willie piacevano molto le Patatine fritte. Era vestita poveramente, perché a Willie piaceva troppo la birra. Guardava davanti a sé e parlava a Jacko storcendo la bocca. E allora chi l'ha portato all'ospedale? Non lo so, Doreen mentì Jacko. Forse era un lavoretto e non volevano far sapere chi c'era di mezzo, capisci? Io so soltanto che mi è arrivata una telefonata: Willie il Sordo è all'ospedale, avverti la moglie, e bam! Fece un gesto brusco, come per sbattere un ricevitore immaginario. Bugiardo disse Doreen senza cambiare tono. Jacko ammutolì. Sul sedile posteriore della macchina il figlio di Willie, Billy, guardava con aria vacua dal finestrino. Era molto alto, e doveva stare raggomitolato. Di solito gli piaceva andare in macchina: ma quel giorno sua madre era molto tesa, e lui aveva intuito che era successo qualcosa di brutto. Che cosa, esattamente, non lo sapeva: era tutto così confuso. Mamma sembrava arrabbiata con Jacko, ma Jacko era un amico. Jacko aveva detto che papà era all'ospedale, ma non che era malato. E come poteva esserlo? Stava benone quando era uscito da casa quella mattina presto.
L'ospedale era un grande edificio di mattoni vagamente gotico che un tempo era stato la residenza del sindaco di Southwark. Erano state aggiunte diverse altre costruzioni dal tetto piatto, e i parcheggi asfaltati avevano divorato il resto dei prati. Jacko si fermò accanto all'entrata del Pronto Soccorso. In silenzio scesero dalla macchina e si avviarono alla porta. Incontrarono un infermiere delle ambulanze con la pipa in bocca, appoggiato al manifesto contro il fumo sulla fiancata del suo veicolo. Passarono dal caldo del parcheggio al fresco dell'ospedale. L'odore degli antisettici causò un senso di nausea e di paura nello stomaco di Doreen. Lungo le pareti erano allineate sedie di plastica verde, e di fronte alla porta c'era un banco. Doreen notò un bambino con un taglio provocato da un vetro, un giovane con il braccio al collo e una ragazza con la testa fra le mani. Una donna gemette. Doreen si sentì sopraffatta dal panico. L'infermlera delle Indie Occidentali che era seduta al banco stava telefonando. Attesero che finisse, poi Doreen chiese: E ricoverato qui un certo William Johnson? L'hanno portato questa mattina. Liinfermiera non la guardò. Un momento, prego. Scribacchiò un appunto su un blocco, poi alzò gli occhi mentre un'ambulanza si fermava davanti all'entrata. Volete sedervi, prego? disse. Girò intorno al banco e raggiunse la porta. Jacko si scosta per andare a sedersi. Doreen l'afferrò per la manica. Fermo ordinò. Non ho intenzione di aspettare per ore! Resto qui finché quella non me lo dice. Portarono una barella. Il ferito era avvolto in una coperta insanguinata. L'infermiera accompagnò gli inservienti oltre una porta. Una donna grassa e bianca in uniforme entrò da un'altra porta, e Doreen la bloccò. Perché non posso sapere se mio marito è qui? chiese con voce stridula. L'infermiera bianca si fermò, squadrò i tre con un'occhiata. L'infermiera di colore tornò. La bianca chiese: Perché non ha risposto ai signori?. Ho pensato che la vittima dell'incidente, con due arti fracassati, avesse diritto alla precedenza. Ha fatto bene, ma non è il caso di fare la spiritosa. L'infermiera bianca si rivolse a Doreen. Come si chiama suo marito? William Johnson. L'infermiera consultò un registro. Qui il nome non c'è. Poi tacque per un momento. Però abbiamo un paziente non identificato. Maschio, bianco, statura media, mezza età, con ferite da fucile alla testa. Jacko disse: E lui Oh, mio Dio! esclamò Doreen. L'infermiera bianca prese un telefono. Sarà meglio che lo veda, per accertare se è suo marito. Fece un numero e attese un momento. Oh, dottore, sono l'infermiera Rovve del Pronto Soccorso. C'è una donna che potrebbe essere la moglie del paziente con le ferite d'arma da fuoco.
Sì. Certo... Veniamo subito. Riattaccò e disse: Seguitemi, prego. Doreen dominò la disperazione mentre si avviavano nei corridoi. Era ciò che aveva temuto da quando, una quindicina di anni prima, aveva scoperto di aver sposato un delinquente. L'aveva sempre sospettato; Willie le aveva detto che era in affari, e lei non aveva fatto domande perché a quei tempi una ragazza che voleva trovar marito non doveva essere troppo curiosa. Ma non era facile avere segreti vivendo insieme. Una volta quando Billy era ancora in fasce avevano sentito bussare alla porta, e Willie, dopo aver guardato dalla finestra e aver visto un poliziotto, prima di aprire aveva detto a Doreen: Ieri sera, io e Scotch Harry e Tom Webster e il vecchio Gordon abbiamo giocato a poker, qui. Abbiamo cominciato alle dieci e abbiamo tirato avanti fino alle quattro del mattino. Doreen, che era rimasta alzata per metà della notte sola nella casa vuota cercando di far dormire Billy, aveva annuito in silenzio; e quando il poliziotto gliel'aveva chiesto, aveva ripetuto quello che Willie le aveva detto. E da quel giorno non aveva più smesso di preoccuparsi. Quando si tratta soltanto di un sospetto, puoi dire a te stessa di stare calma: ma quando sai che tuo marito è in giro a rubare in una fabbrica, in un negozio o magari in una banca, non puoi fare a meno di chiederti se mai tornerà a casa. Non sapeva perché era così piena di rabbia e di paura. Non amava Willie, nel senso normale della parola. Era un pessimo marito: stava sempre in giro la notte, portava pochi quattrini a casa, e come amante faceva pena. Il matrimonio, da sopportabile che era j aveva finito per diventare infelice. Doreen aveva avuto due abprti spontanei, e poi era nato Billy; quindi avevano chiuso. Erano rimasti insieme per Billy, e Doreen pensava che non fosse l'unica coppia a comportarsi così. Certo, Willie non si addossava gran parte del peso di crescere un figlio handicappato; però sembrava che la cosa gli causasse abbastanza rimorso per non rompere il matrimonio: E il bambino voleva bene al padre. No, Willie, non ti amo, pensò Doreen. Ma ti voglio e ho bisogno di te. Mi piace averti vicino a letto, e seduto accanto a me a guardare la televisione, e a giocare al biliardo. E se questo è amore, allora ti amo. Si erano fermati. L'infermiera disse: Vi chiamerò appena il dottore sarà pronto. Poi sparì in una corsia e si chiuse la porta alle spalle. Doreen fissò il muro, e cercò di non domandarsi che cosa c'era là dietro.
Le era già accaduto, una volta, di andare all'ospedale, dopo il furto delle paghe della Componiparts. Allora. però. era stato diverso. Erano venuti a casa ad avvertirla: "Willie è all'ospedale, ma non è grave... solo stordito". Aveva messo troppa gelignite sullo sportello della cassaforte, e aveva perso l'udito da un orecchio. Doreen era andata all'ospedale, un altro ospedale, e aveva aspettato; ma almeno aveva saputo che Willie non era grave. Dopo quel lavoretto aveva tentato, per la prima e unica volta, di rimetterlo sulla buona strada. Willie era parso ben disposto, fino a che era uscito dall'ospedale e si era trovato di fronte alla prospettiva di darsi da fare. Era rimasto in casa qualche giorno; e quando si era ritrovato senza quattrini aveva fatto un altro lavoretto. Più tardi si era lasciato sfuggire che Tony Cox l'aveva preso nella sua organizzazione. Willie era molto orgoglioso, e Doreen era furibonda. Da quel giorno lei aveva odiato Tony Cox. E Tony lo sapeva. Una volta era a casa loro e mangiava un piatto di patatine e parlava di pugilato con Willie, quando all'improvviso aveva alzato gli occhi verso Doreen e le aveva chiesto: Che cos'hai contro di me, ragazza? Willie, con aria preoccupata, era intervenuto: Vacci piano, Tone. Non stuzzicarla. Doreen aveva scosso la testa e aveva detto: Sei un delinquente. Tony aveva riso, mettendo in mostra la bocca piena di patatine. Poi aveva detto: Anche tuo marito lo è... non lo sai?. E aveva ricominciato a parlare di pugilato. Doreen non aveva mai avuto le risposte pronte per i tipi furbi come Tony, e quindi non aveva detto niente. Tanto, la sua opinione non contava. Willie non avrebbe mai pensato che se lei aveva antipatia per qualcuno fosse una ragione valida per non portarlo a casa. Era la casa di Willie, anche se toccava a Doreen pagare l'affitto con quello che guadagnava lavorando per una ditta di vendite per corrispondenza. E quel giorno Willie era andato a fare un lavoretto per Tony Cox. Doreen l'aveva saputo dalla moglie di Jacko... Willie non glielo aveva detto. Se Willie muore, pensò, giuro davanti a Dio che la farò pagare a Tony Cox. Oh, Dio, fai che non sia grave... La porta si aprì e l'infermiera si affacciò. Volete entrarc, prego? Doreen entrò per prima. Accanto alla porta c'era un dottore basso, dalla carnagione scura e dai folti capelli neri.
Lei lo ignorò e si avvicinò subito al letto. In un primo momento restò disorientata. La figura in quell'alto letto protetta da una ringhiera metallica era coperta da un lenzuolo fino al collo; e dal mento in su, la testa era completamente fasciata. Doreen si era aspettata di vedere una faccia, di capire subito se era Willie. Per un momento non seppe che cosa fare. Poi pregò e scostò delicatamente il lenzuolo. Il dottore chiese: E suo marito, signora Johnson?. Doreen disse: Oh, Dio, Willie... che cosa ti hanno fatto?. Piegò lentamente la testa e appoggiò la fronte sulla spalla nuda del ferito. Come da molto lontano, sentì Jacko dire: E lui. William Johnson e quindi dare l'età e l'indirizzo di Willie. Doreen si accorse che Billy le era vicino. Dopo qualche istante il ragazzo le mise la mano sulla spalla. La sua presenza la costringeva a dominare l'angoscia, o almeno a rimandarne ogni manifestazione. Si ricompose, si alzò. Il dottore aveva un'aria solenne. Suo marito vivrà disse. Lei cinse con un braccio la schiena del figlio. Che cosa gli hanno fatto? Gli hanno sparato. Pallini da doppietta, a distanza ravvicinata. Doreen strinse convulsamente la spalla di Billy. Era decisa a non piangere. Ma guarirà? Ho detto che vivrà, signora Johnson. Ma non riusciremo a salvargli la vista. Che cosa? Resterà cieco. Doreen chiuse gli occhi e urlò: No!. Si affrettarono a sostenerla; si aspettavano una reazione isterica. Doreen li respinse. Vide davanti a sé la faccia di Jacko e gli gridò: E stato Tony Cox, bastardo!. E colpl Jacko. Bastardo! Sentì il singhiozzo di Billy e si calmò immediatamente. Si rivolse al ragazzo, l'attirò a sé e lo abbracciò. Billy era molto più alto di lei. Su, su, Billy gli mormorò. Il tuo papà è vivo, questo è l'importante. Il dottore disse: Ora è meglio che vada a casa. Abbiamo il numero di telefono, per ogni evenienza. L'accompagnerò io disse Jacko. Il numero di telefono è mio, ma ahito molto vicino. Doreen si staccò da Billy e andò alla porta. L'infermiera l'aprì.Fuori c'erano due poliziotti. Jacko chiese: Cos'è questa storia? e aveva un tono indignato. Siamo obbligati a informare la polizia, in questi casi rispose il dottore. Doreen vide che uno dei poliziotti era una donna. Provò l'impulso di gridare che Willie era stato ferito mentre lavorava per Tony Cox. E Tony sarebbe stato fregato. Ma dopo quindici anni di convivenza con un ladro aveva preso l'abitudine d'ingannare la polizia.
E seppe, non appena quel pensiero le attraversò la mente, che Willie non le avrebbe mai perdonato per aver cantato. Non poteva dirlo alla polizia. Ma adesso, di colpo, sapeva a chi poteva dirlo. Voglio fare una telefonata annunciò.
ORE 13.00. Kevin Hart salì di corsa la scala ed entrò nella redazione dell"'Evening Post". Un fattorino in maniche di camicia e gli zatteroni gli passò accanto con una pila di giornali: l'edizione delle tredici. Kevin arraffò il primo della pila e sedette a una scrivania. Il suo pezzo era in prima pagina. Il titolo diceva: RICOVERATO D'URGENZA UN SOTTOSEGRETARIO. Kevin fissò per un momento le deliziose parole "di Kevin Hart". Poi continuò a leggere. Il sottosegretario Tim Fitzpeterson è stato trovato oggi privo di sensi nel suo appartamento di Westminster. Accanto a lui è stata rinvenuta una boccetta di sonniferi vuota. Il signor Fitzpeterson, sottosegretario al Ministero dell'Energia responsabile della politica petrolifera, è stato portato all'ospedale d'urgenza. Mi ero recato da lui per un'intervista. In quel preciso momento arrivava anche l'agente Ron Bowler, mandato a verificare perché il sottosegretario non si era presentato a una importante riunione. Abbiamo trovato il signor Fitzpeterson accasciato alla scrivania. E subito è stata chiamata un'ambulanza. Un portavòce del Ministero dell'Energia ha dichiarato: Sembra che il signor Fitzpeterson abbia ingerito per errore una dose eccessiva di sonniferi. Sarà fatta un'inchiesta. Tim Fitzpeterson ha 41 anni. E sposato e ha tre figlie. Più tardi, un portavoce dell'ospedale ha annunciato che il signor Fitzpeterson ha superato la fase critica. Kevin rilesse il pezzo. Non riusciva a credere ai suoi occhi. L'articolo che aveva dettato al telefono era stato riscritto fino a diventare irriconoscibile. Si sentiva svuotato e furioso. Quello avrebbe dovuto essere il suo momento di gloria, e un vicedirettore senza spina dorsale aveva rovinato tutto. E la soffiata anonima che Fitzpeterson aveva un'amichetta? E la telefonata con cui il sottosegretario aveva detto d'essere ricattato? I giornali avrebbero dovuto pubblicare la verità, no? La collera di Kevin ingigantì. Non era diventato giornalista per comportarsi da stupido. Le esagerazioni erano una cosa...
Era disposto a trasformare una rissa tra ubriachi in una guerra di bande per pubblicare qualcosa di interessante in una giornata fiacca... Ma l'insabbiamento di fatti importanti, soprattutto quando riguardavano i politici, non faceva parte del gioco. Se un giornalista non poteva insistere sulla verità, chi altri poteva farlo? Si alzò, piegò il giornale e si avviò al banco della cronaca. Arthur Cole stava posando il telefono. Guardò Kevin. Kevin gli cacciò il giornale sotto il naso. Cos'è questa faccenda, Arthur? Abbiamo un uomo politico che viene ricattato e tenta il suicidio, e l"'Evening Post" racconta che ha preso per sbaglio una dose eccessiva di sonnifero. Cole girò lo sguardo alle sue spalle. Barney chiamò. Vieni qui un minuto. Kevin disse: Che cosa sta succedendo, Arthur?. Cole gli lanciò un'occhiata: Vai al diavolo, Kevin disse. Kevin sgranò gli occhi. Cole disse a Barney: Chiama la polizia dell'Essex e vedi se hanno avuto l'ordine di cercare il furgone scomparso. Kevin si allontana, stordito. Era pronto a discutere e a litigare; ma non si aspettava quell'indifferenza. Si sedette, nell'angolo più lontano dello stanzone, voltando le spalle a Cole, e fissa il giornale senza vederlo. Era questo che avevano inteso dire i provinciali irriducibili quando l'avevano messo in guardia contro l'ambiente giornalistico? Era a questo che si riferivano gli arrabbiati di sinistra al college quando sostenevano che la Stampa era una puttana? Non sono un idealista, pensò Kevin. Sono pronto a difendere il nostro sensazionalismo e le nostre tendenze pruriginose, e a sostenere con tanti altri che la gente ha i giornali che merita. Ma non sono totalmente cinico, non ancora, in nome di Dio. Credo che siamo qui per scoprire la verità e per pubblicarla. Incominciò a domandarsi se desiderava veramente essere giornalista. Quasi sempre era una vita noiosa. Ogni tanto c'era un momento di soddisfazione, quando qualcosa andava bene, un pezzo era riuscito e potevi firmarlo; oppure quando scoppiava qualcosa di grosso, e allora ci si buttava in sei o sette sui telefoni, in una gara contro la concorrenza e tra colleghi... qualcosa come quello che stava succedendo adesso, per la rapina del furgone con i quattrini, ma Kevin era tagliato fuori. E nove decimi del tempo passavano nell'attesa: l'attesa che gli investigatori uscissero dalle stazioni di polizia, l'attesa che i giurati tornassero dalla camera di consiglio per comunicare il verdetto, l'attesa che arrivassero le celebrità, l'attesa che succedesse qualcosa d'interessante. Kevin aveva pensato che lavorare in un giornale a Londra sarebbe stato diverso dal giornale della sua locale dove era entrato dopo aver lasciato l'università. Come cronista praticante, si era accontentato d'intervistare consiglieri comunali, di pubblicare le lamentele esagerate degli inquilini delle case popolari e di scrivere pezzi su filodrammatiche, cani persi e qualche piccolo caso di vandalismo.
Ogni tanto aveva fatto qualcosa di.cui era orgoglioso: articoli sui problemi degli immigrati residenti in città, un pezzo molto discusso sugli sprechi dell'amministrazione municipale, diversi servizi di una lunga, complessa inchiesta sulla pianificazione urbanistica. Il trasferimento a Londra, aveva sperato, lo avrebbe portato a occuparsi di vicende importanti su un piano nazionale e ad abbandonare completamente le sciocchezzuole. E invece aveva scoperto che tutti gli argomenti seri, politica, economia, industria, arti, erano affidati a specialisti, e che la fila per ottenere quei posti specializzati era formata da una quantità di giovani svegli e dotati come Kevin Hart. Doveva trovare un modo per diventare qualcuno, qualcosa che costringesse i dirigenti della "Post" a notarlo e a commentare: Il giovane Hart è in gamba... perché non lo utilizziamo meglio? Una buona occasione poteva essere decisiva: una soffiata scottante, un'intervista in esclusiva, un'iniziativa spettacolare. Quel giorno aveva creduto di aver trovato finalmente quel qualcosa, e aveva sbagliato. Ora si domandava se avrebbe avuto un'altra occasione. Si alza e anda al gabinetto. Che altro potrei fare? si chiese. Potrei passare ai computer, o alla pubblicità, o alle relazioni pubbliche, o magari alla direzione di qualche catena di vendite al dettaglio. Ma voglio lasciare il giornalismo da trionfatore, non da fallito. Mentre Kevin si lavava le mani, entra Arthur Cole e gli parlò. Con grande sorpresa di Kevin, gli disse: Scusami. Tu sai come vanno le cose, a volte, in crooaca. Kevin afferra un segmento di asciugamani di carta. Non sapeva cosa dire. Cole si avvicina a un lavabo. Senza rancore? Non sono offeso disse Kevin. Non me la prendo se imprechi, e non me la prenderei neppure se mi dicessi che sono il peggior bastardo di questa terra. Esitò. Non era questo, cia che intendeva dire. Fissò lo specchio per un momento e si butta. Ma quando un mio pezzo esce dimezzato sul giornale, comincio a domandarmi se non farei bene a diventare programmatore di computer. Cole riempì il lavabo d'acqua fredda e se ne spruzza un po' in faccia. Cerca a tentoni una salvietta e si asciuga. Dovresti averlo capito, ma comunque te lo ripeto esordì. Quello che abbiamo pubblicato sul giornale è cia che sappiamo, niente di più. Sappiamo che Fitzpeterson è stato trovato privo di sensi e trasportato d'urgenza all'ospedale e sappiamo che vicino a lui c'era una boccetta vuota, perché l'hai vista tu. Eri al posto giusto al momento giusto, e tra parentesi è una dote importante per un cronista. Ora, che altro sappiamo? Una soffiata anonima ci ha detto che aveva passato la notte con una puttana; e qualcuno ha telefonato affermando d'essere Fitzpeterson e dichiarando di essere ricattato da Laski e Cox.
Ora, se pubblichiamo questi due fatti, non possiamo fare a meno di sottintendere che sono legati alla dose eccessiva di sonniferi, anzi, che Fitzpeterson ha preso i sonniferi perché veniva ricattato a causa della puttana. Kevin disse: Ma l'implicazione è così ovvia che inganniamo i lettori evitando di pubblicarlo!. E se per caso le telefonate fossero fasulle, se le compresse fossero state pillole contro l'indigestione e Fitzpeterson fosse vittima di un coma diabetico? E se noi gli avessimo rovinato la carriera? Non è un po' improbabile? Ci puoi giurare. Kevin, sono sicuro al novanta per cento che la faccenda sta come l'avevi raccontata nel tuo pezzo originale. Ma noi non siamo qui per pubblicare i nostri sospetti. E adesso torniamo al lavoro. Kevin seguì Arthur in redazione. Si sentiva come la protagonista di un film che dice: "Sono così confusa che non so cosa fare!". Tendeva a credere che Arthur avesse ragione; ma aveva anche la sensazione che le cose non sarebbero dovute andare così. Un telefono squilla su una scrivania dove non c'era nessuno, e Kevin anda a rispondere. Redazione. Lei è un giornalista? disse una voce di donna.Sì, signora. Mi chiamo Kevin Hart. Posso esserle utile? Hanno sparato a mio marito e voglio giustizia. Kevin sospira. Una sparatoria sarebbe finita in tribunale, e quindi il giornale non avrebbe potuto ricavarne un pezzo molto fantasioso e brillante. Immaginava che la donna stesse per dirgli chi aveva sparato al marito e poi gli chiedesse di pubblicarlo. Ma erano i tribunali e non i quotidiani a decidere chi aveva sparato a qualcuno. Kevin chiese: Pua dirmi il suo nome, prego?. Doreen Johnson, numero cinque di Yew Street, East Uno. Hanno sparato al mio Willie nella rapina al furgone che trasportava il denaro. La voce della donna s'incrina. E diventato cieco. Poi incomincia a gridare: E stato un lavoro organizzato da Tony Cox, lo scriva!. La comunicazione venne tolta. Kevin pOsa lentamente il ricevitore, sforzandosi di riflettere. In quanto a telefonate, era una giornata infernale. Prese il taccuino e andò al tavolo della cronaca.C'è qualcosa? chiese Arthur. Non lo so rispose Kevin. Ha telefonato una donna. Mi ha dato nome e indirizzo. Ha detto che il marito ha partecipato alla rapina del furgone con i quattrini, è stato ferito e ha perso la vista. E ha aggiunto che si è trattato di un lavoro di Tony Cox. Arthur sgranò gli occhi. Cox? ripeté. Cox? Qualcuno chiama: Arthur!. Kevin alza la testa, irritato dall'interruzione Era la voce di Mervyn Glazier, il capo della cronaca cittadina, un giovane tozzo con le scarpe di nappa spellate e la camicia macchiata di sudore. Glazier si avvicina. Forse avra un pezzo per questo pomeriggio. Pua darsi che salti una banca. E la Cotton Bank della Giamaica, ed è di proprietà di un certo Felix Laski. Arthur e Kevin si guardarono.
Laski? disse Arthur. Laski? Kevin disse: Cristo. Arthur aggrotta la fronte, si gratta la testa e disse in tono perplesso: Ma cosa diavolo sta succedendo?. La Morris blu stava ancora pedinando Tony Cox. Lui la notò nel parcheggio del può, quando uscì. Sperava che non facessero i fessi e non pretendessero di analizzargli l'alito. Aveva bevuto tre mezzi litri di birra e aveva mangiato panini al salmone affumicato. I poliziotti lasciarono il parcheggio qualche secondo dopo la Rolls Royce. Tony non era preoccupato. Li aveva già seminati una volta, quel giorno, e avrebbe potuto farlo ancora. Il sistema più semplice sarebbe stato trovare un rettilineo e premere l'acceleratore. Pera preferiva che non si accorgessero di averlo perso, come era successo quella mattina. Non sarebbe stato difficile. Attraversa il fiume e si trova nel West End. Mentre procedeva in mezzo al traffico si chiese perché la pula si ostinava a pedinarlo. In parte, lo facevano semplicemente per rompergli le scatole. Come si diceva in termini legali? Persecuzione? Pensavano che se l'avessero pedinato abbastanza a lungo si sarebbe spazientito o sarebbe diventato imprudente e avrebbe commesso una stupidaggine. Ma quella era soltanto la giustificazione: il motivo vero era con ogni probabilità la politica di Scotland Yard. Forse il vicecommissario (servizi anticrimine) aveva minacciato di togliere l'organizzazione di Tony Cox al CI e di assegnarla alla Volante, e perciò il (CI lo sorvegliava tanto per poter dire che non lo perdeva d'occhio. Finché non si mettevano a fare sul serio, non c'era da preoccuparsi. Qualche anno prima avevano fatto sul serio. Allora l'organizzazione di Tony era sotto l'occhio vigile del CID, a West End Central. Tony aveva un'intesa precisa con l'ispettore che si occupava del suo caso. Ma una settimana l'ispettore aveva rifiutato la solita somma e aveva avvertito Tony che il gioco era finito. L'unico modo in cui Tony aveva potuto sistemare le cose era stato di sacrificare qualcuno dei suoi soldati. Così, lui e l'ispettore avevano messo nei guai cinque suoi collaboratori di medio livello con accuse di estorsione. I cinque erano finiti in galera, la stampa aveva elogiato il CID perché aveva sgominato la banda, e gli affari erano continuati come al solito. Purtroppo, in seguito l'ispettore si era rovinato perché aveva cercato di far passare per spacciatore uno studente: una triste fine per una carriera promettente, pensava Tony. Entrò in un parcheggio multipiani di Soho. Indugiò all'entrata, impiega più tempo del necessario per ritirare lo scontrino della macchina, e osserva la Morris blu negli specchietti. Uno degli agenti balza a terra e attraversò di corsa la strada per sorvegliare l'uscita pedonale.
L'altro si ferma accanto a un parchimetro a pochi metri di distanza... una posizione che gli permetteva di vedere le macchine che uscivano. Tony annuì, soddisfatto. Salì al primo piano e ferma la Rolls accanto all'ufficio, dove trovò un giovane che non conosceva. Sono Tony Cox disse. Voglio che parcheggi la mia macchina e mi presti una delle vostre che... una che difficilmente verrà ritirata oggi. Il giovane aggrotta la fronte. Aveva i capelli crespi e in disordine, e i jeans macchiati d'olio avevano gli orli sfrangiati. Non posso, amico disse. Tony batté il piede, spazientito. Non mi piace ripetere le cose due volte, figliolo. Io sono Tony Cox. Il giovane rise. Si alza posando un album di fumetti e disse: Non m'interessa chi è.... Tony lo colpì allo stomaco. Il grosso pugno centra il bersaglio con un tonfo molle. Fu come colpire un cuscino di piume. Il giovane si piega in due, gemendo e ansimando. Non ho tempo da perdere, ragazzo disse Tony. La porta dell'ufficio si aprì. Cosa succede? Entra un uomo con il berretto da baseball in testa. Oh, sei tu, Tony. Qualche difficoltà? Dov'eri andato... a fumare nel cesso? chiese bruscamente Tony. Voglio una macchina che non possano collegare a me, e ho fretta. Non è un problema disse l'uomo. Prese un mazzo di chiavi da un gancio appeso alla paratia di asbesto. Ho una bella Granada che resterà qui una settimana. Un'automatica da tre litri, carrozzeria bronzo metallizzato. Non mi interessa niente del colore. Tony prese le chiavi. Là. L'uomo indicò. Penso io a parcheggiare la tua. Tony uscì dall'ufficio e salì sulla Granada. Aggancia la cintura di sicurezza e si avviò. Si fermò a fianco della sua macchina, che l'uomo con il berretto stava parcheggiando. Come ti chiami? chiese Tony. Davy Brewster. Bene, Davy Brewster. Tony fruga nel portafoglio e tirò fuori due biglietti da dieci sterline. Assicurati che il ragazzo tenga la bocca chiusa, d'accordo? Nessun problema. E mille grazie. Davy prese il denaro. Tony se ne andò. Mise gli occhiali da sole e il berretto di tela. Quando uscì sulla strada, vide la Morris blu sulla sua destra. Appoggia il gomito sul bordo del finestrino nascondendo la faccia e sterza con la mano sinistra.
Il secondo poliziotto, che stava dall'altra parte, voltava le spalle alla strada per tener d'occhio l'uscita pedonale, e fingeva di guardare la vetrina di una libreria di testi religiosi. Tony guarda nello specchietto e accelera. Nessuno dei due si era accorto di lui. Facile disse a voce alta. Si diresse verso sud. La macchina era piacevole da guidare, con il cambio automatico e il servosterzo. C'era anche un mangianastri. Tony fruga tra le cassette, trova un album dei Beatles e l'inserì. Poi accese un sigaro. Tra meno di un'ora sarebbe stato alla fattoria a contare il bottino. Era valsa la pena di coltivare Felix Laski, pensa Tony. Si erano conosciuti al ristorante di uno dei club di Tony. I suoi casina vantavano la miglior cucina di Londra. Era inevitabile. Il motto di Tony era: Se servi noccioline, i clienti saranno scimmie. Mentre lui desiderava che i suoi club fossero frequentati da ricchi e non da squattrinati che chiedevano una birra alla spina e fiches da cinque penny. Personalmente la cucina raffinata non gli piaceva. Ma la sera che aveva conosciuto Laski stava mangiando un'enorme bistecca al sangue al tavolo vicino a quello del finanziere. Tony aveva portato via lo chef a Prunier's. Non sapeva che cosa facesse alle bistecche, ma il risultato era sensazionale. L'uomo alto ed elegante al tavolo accanto aveva attirato la sua attenzione: si manteneva bene per la sua età. Era in compagnia di una ragazza che Tony identifica immediatamente per una puttana. Tony aveva finito la bistecca e stava attaccando una montagna di zuppa inglese quando accadde l'incidente. Il cameriere stava servendo i cannelloni a Laski; e chissà come rovescia una mezza bottiglia di Bordeaux. La puttana si alza strillando, e alcune gocce di vino spruzzarono la camicia candida di Laski. Tony intervenne immediatamente. Si alza, lascia cadere il tovagliolo sul tavolo e chiama tre camerieri e il maitre. Per prima cosa si rivolse al cameriere che aveva causato il disastro. Vai a cambiarti. Venerdì passa a ritirare le tue carte. Poi si rivolse agli altri. Bernardo, una salvietta. Giulio, un'altra bottiglia di vino. Monsieur Charles, un altro tavolo, e niente conto per questo signore. Finalmente parlò ai due clienti. Sono il proprietario, Tony Cox. Vi prego di accettare la cena offerta dalla casa, con tutte le mie scuse.
Spero che vorrete ordinare quanto c'è di meglio sul menù, a partire da una bottiglia di Dom Perignon. Laski aveva detto: Sono cose che capitano. Aveva una voce profonda, con un leggero accento. Comunque, è molto piacevole ricevere scuse tanto generose. E sorrise. Il mio vestito non si è macchiato disse la Puttana. Il suo accento conferma il sospetto di Tony circa la professione: proveniva dal suo stesso quartiere di Londra. Il maitre disse: M'sieur Cox, la sala è piena. Non ci sono altri tavoli. Tony indicò il suo. E quello non va bene? Preparatelo, presto. No, la prego disse Laski. Non vogliamo toglierlo a lei. Insisto. E allora spero che vorrà farci compagnia. Tony li guarda entrambi. La puttana, ovviamente, non gradiva l'idea. E l'uomo aveva parlato così per educazione, oppure faceva sul serio? Comunque, Tony aveva quasi finito, e quindi in ogni caso avrebbe potuto lasciare il tavolo molto presto, se le cose non fossero andate per il verso giusto. Non vorrei disturbare... Non disturba affatto disse Laski. E potrà spiegarmi come si vince alla roulette. Certamente disse Tony. Rimase con i due tutta la serata. Si trova subito d'accordo con Laski, e fin dall'inizio fu evidente che quel che pensava la ragazza non contava nulla. Tony racconta vari aneddoti sulla presenza della malavita nel mondo dei club dove si giocava, e Laski, a sua volta, lo ricambia con episodi delle manovre più o meno illecite in Borsa. Laski non era un giocatore, ma amava portare la gente al club. Quando andarono nella sala giochi acquista fiches per cinquanta sterline e le diede tutte alla ragazza. La serata si concluse quando Laski, che ormai era completamente sbronzo, annuncia: Immagino che dovrei portarla a casa e sbatterla. In seguito si incontrarono diverse altre volte al club, sempre per caso, e ogni volta si sbronzarono insieme. Dopo un po', Tony fece capire a Laski di essere gay, e Laski non si scandalizzò: così Tony dedusse che era un eterosessuale dallo spirito tollerante. Tony era molto soddisfatto di aver fatto amicizia con qualcuno della classe di Laski. La scena nel ristorante era stata la cosa più facile: i gesti grandiosi, l'atteggiamento di comando, la cortesia, l'accento volutamente represso. Ma mantenere un rapporto con un uomo intelligente, ricco e abituato a frequentare ambienti quasi aristocratici era davvero una prodezza. Era stato Laski a fare la prima mossa verso una conoscenza meno superficiale. Nelle prime ore di una domenica mattina, mentre erano tutti e due ubriachi, Laski aveva parlato del potere del denaro. Con il denaro sufficiente disse, posso scoprire qualunque cosa nella City... compresa la combinazione della serratura del caveau della Banca d'Inghilterra Tony disse: Il sesso è meglio. Cosa vorresti dire? Il sesso è un'arma migliore.
Usando il sesso, a Londra posso scoprire tutto quello che voglio. Be', io ne dubito disse Laski, che era abituato a controllare i suoi impulsi sessuali. Tony alza le spalle. D'accordo. Accetto la sfida. In quel momento Laski aveva fatto la sua mossa. La concessione per il giacimento petrolifero Shield. Scopri a chi andrà... prima che il governo dia l'annuncio ufficiale. Tony vide il guizzo negli occhi del finanziere e intuì che quella conversazione era stata accuratamente pianificata. Perché non mi chiedi qualcosa di difficile? ribatté. I politici e i funzionari statali sono troppo facili. Mi basta. Laski sorrise. D'accordo. Ma anch'io ho una sfida per te. Laski socchiuse gli occhi. Sentiamo. Tony disse la prima cosa che gli venne in mente. Scopri il programma delle consegne delle banconote usate all'impianto per la distruzione della cartamoneta della Banca d'Inghilterra. Non mi costerà neppure un soldo disse Laski con tono sicuro. Era cominciato tutto così. Tony sorrise mentre guidava la Ford attraverso South London. Non sapeva come avesse fatto Laski a mantenere il suo impegno; ma, per quanto riguardava lui, era stato uno scherzo. Chi conosce l'informazione che ci interessa? Il sottosegretario. Che tipo è? Quasi un verginello... un marito fedele. Se la spassa con la moglie? Mica tanto. Cadrà nella trappola più antica del mondo? Naturalmente. Il nastro finì e Tony lo girò. Si chiese quanto denaro c'era nel furgone... centomila? Forse addirittura un quarto di milione. Se fosse stato molto di più, sarebbe stato imbarazzante. Non si poteva entrare nella Barclays Bank con sacchi pieni di banconote usate da cinque sterline senza destare sospetti. Centocinquantamila sterline sarebbero state l'ideale. Cinquemila per ciascuno dei ragazzi, qualcosa per le spese, e cinquantamila sterline aggiunte di nascosto agli incassi delle varie attività lecite. I casinò erano utilissimi per riciclare i proventi illegalj. I ragazzi sapevano cosa fare di cinquemila sterline. Pagavano qualche debito, compravano una macchina di seconda mano, versavano qualche centone su ognuno dei due o tre conti in banca che possedevano, regalavano un cappotto buono alla moglie, facevano un prestito alla suocera, passavano una serata al può. E tutto era andato. Ma se gli davi ventimila sterline cominciavano a farsi venire idee pericolose. Quando manovali disoccupati e uomini che sono soliti arrangiarsi con qualche lavoretto qua e là parlavano di ville nella Riviera francese, i rappresentanti della legge cominciavano a insospettirsi.
Tony sorrise tra sé. Dovrei forse preoccuparmi perché ho troppo denaro, pensò. Ma i problemi dovuti al successo mi piacciono. Non contare le tue pollastre prima di averle sbattute, diceva a volte Jacko. Poteva darsi che il furgone fosse pieno di logore monetine da mezzo penny destinate alla fusione. Quello sì sarebbe stato da ridere. Era quasi arrivato. Tony incominciò a fischiettare. Felix Laski sedeva nel suo ufficio. Guardava il teleschermo e strappava a striscioline una busta commerciale. La TV a circuito chiuso era l'equivalente moderno del vecchio nastro della telescrivente. E Laski si sentiva come un agente di cambio in preda alle preoccupazioni, che si vedeva in qualche vecchio film sul tracollo del 1929. Lo schermo trasmetteva continuamente notizie della Borsa e movimenti dei prezzi di titoli, merci, valute. Non si era ancora parlato della concessione petrolifera. Le azioni della Hamilton il giorno prima erano scese di cinque punti e le contrattazioni erano limitate. Finì di distruggere la busta e buttò i pezzetti in un cestino. L'annuncio doveva essere dato già da un'ora. Prese il telefono blu e compose il centoventitrè. Al terzo suono saranno le tredici e quarantasette e cinquanta secondi. L'annuncio era in ritardo di oltre un'ora. Chiamò il Ministero dell'Energia e chiese dell'ufficio stampa. Gli rispose una donna. Il segretario di Stato è stato trattenuto da impegni. La conferenza stampa avrà inizio appena arriverà, e l'annuncio verrà dato immediatamente. Al diavolo i vostri ritardi, pensò Laski. In questa storia io ho in gioco un patrimonio. Premette il tasto dell'intercom. Carol? Non ebbe risposta. Carol! urlò. La ragazza entrò. Mi scusi. Ero allo schedario. Mi porti un caffè. Subito. Laski prese dal cestello della corrispondenza in arrivo una cartelletta intitolata "Precision Tubing" Rapporto sulle Vendite I trimestre". Era una normale indagine spionistica su un'azienda che pensava di acquisire. Secondo la sua teoria, era opportuno fare colpi del genere quando una depressione si stabilizzava. Ma la Precision aveva la capacità potenziale di espandersi? Laski aveva qualche dubbio. Guardò la prima pagina della relazione; la prosa indigesta del direttore alle vendite lo fece rabbrividire e buttò in disparte il fascicolo. Quando affrontava un rischio e perdeva, sapeva rassegnarsi con obiettività. Ma si sentiva sconvolto quando qualcosa andava storto per ragioni sconosciute.
Sapeva che non sarebbe riuscito a concentrarsi su nulla se prima non fosse stata risolta la questionc dello Shield. Si assestò la piega perfetta dei calzoni e pensò a Tony Cox. Aveva in simpatia quel giovane delinquente, nonostante la sua ovvia omosessualità, perché vedeva in lui quella che gli inglesi chiamavano un'affinità di spirito. Come Laski, Cox era arrivato dalla miseria alla ricchezza grazie alla decisione, l'opportunismo e la spietatezza. E come lui, anche Cox cercava di migliorare i suoi modi da esponente della classe inferiore; Laski ci riusciva meglio, ma solo perché si stava impegnando da molto più tempo. Cox avrebbe voluto diventare come Laski, e ci sarebbe riuscito... prima dei cinquant'anni sarebbe divenuto un distinto gentiluomo della City. Laski si rendeva conto che non c'era una ragione valida al mondo per fidarsi di Cox. C'era il suo istinto, ovviamente; e l'istinto gli diceva che il giovanotto era onesto con quelli che conosceva. Ma tutti i Tony Cox erano abilissimi imbroglioni. Si era inventato tutta la storia di Tim Fitzpeterson? Il teleschermo mostrò di nuovo i prezzi della Hamilton Holdings: era scesa di un altro punto. Laski avrebbe voluto che non usassero quei caratteri da computer, quelle dannate linee orizzontali e verticali... gli facevano male agli occhi. Incominciò a calcolare che cosa avrebbe perso se la Hamilton non avesse ottenuto la concessione. Se avesse potuto vendere subito le cinquecentodiecimila azioni, avrebbe perso non più di qualche migliaio di sterline. Ma non sarebbe stato Possibile venderle tutte al prezzo di mercato. Un prezzo tuttora in discesa. Avrebbe avuto una perdita di ventimila sterline al massimo. E sarebbe stato un brutto colpo a livello psicologico, che avrebbe danneggiato la sua reputazione di vincitore. C'erano altri rischi? Quasi sicuramente, l'uso che Cox intendeva fare delle informazioni fornitegli da Laski doveva essere poco pulito.Comunque, dato che Laski non ne sapeva nulla, non avrebbe potuto essere condannato per complicità. C'era pur sempre la legge britannica sui segreti di Stato... era meno rigida se confrontata con quelle in uso nell'Europa orientale, ma era pur sempre temibile. Era considerato un reato ottenere da un dipendente statale dati confidenziali di qualunque genere. Dimostrare che Laski avesse fatto una cosa simile sarebbe stato difficile, ma non impossibile. Aveva chiesto a Peters se lo attendeva una giornata impegnativa, e Peters aveva risposto: E uno di quei giorni. Allora Laski aveva detto a Cox: E per oggi. Solo se Cox e Peters fossero stati indotti a testimoniare, Laski sarebbe stato condannato. Ma Peters non si rendeva neppure conto di aver rivelato un segreto, e nessuno avrebbe pensato di domandarglielo.
E se avessero arrestato Cox? La polizia inglese aveva i suoi sistemi per far parlare la gente, anche se non usava le mazze da baseball. Cox avrebbe potuto dire di aver avuto le informazioni da Laski, e allora la polizia avrebbe controllato i movimenti di Laski quel giorno, e avrebbe scoperto che aveva preso il caffè con Peters... Era una possibilità decisamente remota. Laski era molto più preoccupato per la conclusione dell'affare Hamilton. Squillò il telefono. Sì? rispose Laski. E la Banca d'Inghilterra... il signor Ley disse Carol. Laski schioccò la lingua. Molto probabilmente è per via della Cotton Bank. Gli dica di parlare con Jones. Si è già messo in contatto con la Cotton Bank, e il signor Jones è andato a casa. E andato a casa? D'accordo, rispondo io. Sentì la voce di Carol: Le passo subito il signor Laski. Laski? La voce era acuta, l'accento strascicato e aristocratico. Si. Qui Ley, della Banca d'Inghilterra. Come va? Buon pomeriggio. Senta, vecchio mio... Laski roteò gli occhi nel sentire quella frase. Lei ha emesso un assegno piuttosto grosso intestato a Fett & Company. Laski impallidi. Mio Dio, l'hanno già presentato? Be', sì, ho pensato che l'inchiostro non doveva essere ancora asciutto. Ora, vede, è un assegno della Cotton Bank, e, come lei saprà benissimo, la povera, piccola Cotton Bank non è in condizioni di coprirlo. Mi segue? Certo che la seguo. Quel disgraziato parlava come se si rivolgesse a un bambino e non c'era nulla che irritasse di più Laski. Evidentemente non sono state ottemperate le mie disposizioni per provvedere i fondi relativi. Tuttavia, devo ammettere che i miei dipendenti potrebbero aver pensato di avere un po' più di tempo a disposizione. Mmm. Per la verità è sempre meglio avere i fondi pronti prima di firmare un assegno, capisce, tanto per stare sul sicuro, non le sembra? Laski rifletteva rapidamente. Dannazione, non sarebbe successo niente se l'annuncio fosse stato dato all'ora fissata. E dove diavolo era Jones? Forse avrà intuito che l'assegno è il pagamento del pacchetto di maggioranza della Hamilton Holdings. E ritengo che quelle azioni potrebbero costituire una garanzia... Oh, santo cielo, no l'interruppe Ley. No, assolutamente. La Banca d'Inghilterra non ha la funzione di finanziare le speculazioni sul mercato azionario. Forse no, pensò Laski; ma se l'annuncio fosse stato dato, e tu sapessi che adesso la Hamilton Holdings ha i diritti di sfruttamento di un pozzo di petrolio, non faresti tante storie. Poi pensò che forse alla Banca d'Inghilterra sapevano come stavano le cose, e che la Hamilton non aveva ottenuto il pozzo: perciò era arrivata la telefonata. Si irritò. Senta, siete una banca disse. Pagherò gli interessi per ventiquattr'ore... La Banca non è abituata a operare sul mercato del denaro. Laski alzò la voce. Sa bene che posso coprire l'assegno senza difficoltà, se mi si lascia un po' di tempo! Se lo protesta, ci rimetterò la reputazione.
Ha intenzione di rovinarmi per un lurido milione di sterline e un'assurda tradizione? La voce di Ley divenne gelida. Signor Laski, le nostre tradizioni esistono specificamente allo scopo di rovinare chi firma un assegno senza essere in grado di onorarlo. Se non sarà possibile coprirlo entro oggi, chiederò all'intestatario di ripresentarlo. Questo significa, in pratica, che lei ha un'ora e mezzo per depositare un milione di sterline in contanti qui in Threadneedie Street. Buongiorno. Maledetto disse Laski, ma la comunicazione s'era già interrotta. Sbatté il ricevitore con tanta forza da incrinarlo. La sua mente era un turbine. Doveva esserci un sistema per trovare immediatamente un milione... no? Il caffè era arrivato mentre stava telefonando. Non si era accorto che Carol era entrata. Bevve un sorso e fece una smorfia. Carol! gridò. La segretaria aprì la porta. Sì? Rosso in viso e tremante di rabbia, Laski buttò nel cestino metallico la delicata tazza di porcellana che s'infranse rumorosamente. E urlò: Questo schifo di caffè è freddo!. Carol girò sui tacchi e scappò via.
ORE 14.00. Il giovane Billy Johnson stava cercando Tony Cox, ma continuava a dimenticarlo. Era uscito in fretta di casa dopo che erano tornati dall'ospedale. Sua madre urlava, c'erano alcuni poliziotti che andavano e venivano, e Jacko era stato portato via per collaborare alle indagini. I vicini e i parenti che continuavano ad arrivare accrescevano la confusione. E a Billy piaceva la calma. Nessuno pensava a preparargli il pranzo o a prestargli attenzione; quindi mangiò un pacchetto di biscotti alls zenzero e uscì dalla porta posteriore, dicendo alla signora Glebe, tre porte più in là, che sarebbe andato dalla zia a guardare la televisione a colori. Incominciò a riordinare le idee mentre camminava. Camminare lo aiutava a pensare. Quando era perplesso, poteva guardare per un po' le macchine, i negozi e le persone, riposandosi così la mente. Si avviò verso la casa della zia, fino a quando ricordò che in realtà non voleva andarci; l'aveva detto semplicemente per evitare che la signora Glebe facesse storie. Doveva pensare bene dove sarebbe andato. Si fermò, guardò la vetrina di un negozio di dischi, lesse meticolosamente i nomi delle copertine sgargianti e cercò di abbinarli alle voci che aveva sentito alla radio. Aveva un giradischi, però non aveva mai il denaro per comprare i dischi che gli piacevano, e i gusti dei suoi genitori non gli garbavano. Alla mamma piacevano le canzoni sentimentali, a papà i pezzi bandistici, e a Billy il rock-androll.
Conosceva solo un'altra persona che apprezzava il rockand-roll, Tony Cox... Ecco. Doveva cercare Tony Cox. Si avviò in quella che, secondo lui, poteva essere approssimativamente la direzione di Bethnal Green. Conosceva molto bene l'East End: ogni strada, ogni negozio, tutti i vecchi crateri delle bombe, i lotti abbandonati, i canali e i parchi... ma lo conosceva frammentariamente. Passò davanti a un cantiere di demolizione e ricordò che la nonna Parker aveva abitato lì e aveva continuato a starsene ostinatamente seduta sotto il portico mentre le vecchie case tutte intorno venivano abbattute, fino a quando aveva preso la polmonite ed era morta, togliendo all'amministrazione comunale il pensiero di trovarle una sistemazione. Billy aveva seguito la storia con interesse: era come un teleromanzo. Sì, conosceva ogni tratto del paesaggio di East London; ma non riusciva a connettere mentalmente le varie parti. Conosceva Commercial Road e conosceva Mile End Road, ma non sapeva che si incontravano ad Aldgate. Nonostante tutto questo, quasi sempre riusciva a trovare la strada di casa, anche se a volte impiegava più tempo del previsto; e se si perdeva veramente, la pula lo riportava a casa con la macchina. Tutti i poliziotti conoscevano il suo papà. Quando arrivò a Wapping aveva dimenticato di nuovo la destinazione; ma pensò che probabilmente stava andando a vedere le navi. Entrò attraverso una breccia nella recinzione, la stessa da dove era passato con Snowy White e Tubby Toms il giorno che avevano preso un ratto, e gli altri gli avevano detto di portarlo a casa alla mamma, perché sarebbe stata contenta e l'avrebbe cucinato per il tè. Naturalmente, la mamma non era stata affatto contenta: aveva spiccato un salto, aveva lasciato cadere un sacchetto di zucchero e aveva urlato, e più tardi aveva pianto e aveva detto che non dovevano prendere in giro Billy. Spesso gli facevano qualche scherzo, ma a lui non dispiaceva perché era bello avere amici Continuò a girare pcr un po'. Aveva l'impressione che quando era piccolo lì ci fossero state molte più navi. Quel giorno ne vedeva una sola. Era grossa, bassa sull'acqua, e sulla fiancata aveva un nome che Billy non riusciva a leggere. Gli uomini stavano srotolando un tubo che andava dalla nave a un magazzino. Per un po' si fermò a guardare, poi chiese a uno degli uomini: Cosa c'è dentro?. L'uomo, che portava un berretto di tela e un giubbotto senza maniche, lo guardò. Vino, figliolo. Billy era sorpreso. Dentro la nave? E piena di vino? Sì, ragazzo. Chateau Morocco, produzione di giovedì scorso. Tutti gli uomini risero. Billy non comprese, ma rise lo stesso.
Gli uomini continuarono a lavorare per un po'; quindi quello al quale aveva parlato chiese: E tu cosa ci fai qui?. Billy rifletté per un momento, poi disse: L'ho dimenticato. L'uomo lo fissò attentamente e mormorò qualcosa a uno degli altri. Billy sentì una parte della risposta: ... sarebbe capace di caderci dentro. Il primo uomo entrò nel magazzino. DQPO qualche minuto arrivò un poliziotto del porto, e chiese agli uomini: E questo il ragazzo?. Quando annuirono, il poliziotto si rivolse a Billy: Ti sei perso?. No disse Billy. Dove devi andare? Billy stava per rispondere che non doveva andare in nessun posto, ma gli sembrava sbagliato. All'improvviso ricordò: A Bethnal Green. Bene, vieni con me e ti indicherò la strada giusta. Billy, che preferiva sempre adottare la linea della minor resistenza, si affiancò al poliziotto e si avviò verso il cancello. Dove abiti? In Yew Street. Tua madre sa dove sei? Billy pensò che il poliziotto era come la signora Glebe e che quindi era meglio dire una bugia. Sì. Vado da mia zia. Sei sicuro di conoscere la strada? Sì. Erano al cancello. Il poliziotto lo fissò con aria dubbiosa, e decise. Bene, allora vai. Non venire più a gironzolare nel porto... è meno pericoloso se ti fermi fuori. Grazie disse Billy. Quando non sapeva come comportarsi, ringraziava. S'incamminò. Adesso ricordare gli era più facile. Papà era all'ospedale. Sarebbe rimasto cieco e la colpa era tutta di Tony Cox. Billy conosceva un cieco... anzi due, contando Squint Thatcher, che era cieco solo quando andava a suonare la fisarmonica. Ma l'unico cieco vero era Hopcraft, che viveva solo in una catapecchia puzzolente sull'Isle of Dogs e girava con un bastone bianco. Papà avrebbe dovuto portare gli occhiali scuri, camminare molto lentamente e battere il bastone sul marciapiedi? Questo pensiero sconvolgeva Billy. Di solito tutti pensavano che nulla lo potesse sconvolgere perché non piangeva. Era così che da piccolo aveva scoperto di essere diverso, si faceva male e non piangeva. A volte la mamma diceva: Sente le cose, ma non lo dimostra mai. E papà replicava che, tanto, mamma si agitava per due. Quando succedevano cose davvero brutte, come lo scherzo con il ratto che gli avevano giocato Snowy e Tubby, Billy si sentiva ribollire e voleva fare qualcosa di drastico, urlare per esempio... ma non capitò mai. Aveva ucciso il ratto, e questo l'aveva calmato un po'. L'aveva tenuto fermo con una mano e con l'altra gli aveva battuto un mattone sulla testa fino a quando aveva smesso di contorcersi. Avrebbe fatto lo stesso a Tony Cox. Poi ricordò che Tony era più grosso di un ratto... anzi, era più grosso di lui.
Il problema lo sconcertò, e quindi lo scacciò m P Il tP Si fermò in fondo a una strada. Nella casa d'angolo c'era un negozio al piano terreno... uno dei vecchi negozi che vendevano tante cose. Billy conosceva la figlia del padrone, una ragazza carina dai capelli lunghi di nome Sharon. Un paio di anni prima Sharon aveva lasciato che le toccasse le tette, ma poi era scappata via e non aveva più voluto parlargli. Per giorni e giorni Billy non aveva pensato ad altro che a quelle cose tonde e morbide sotto la camicetta di Sharon, e a quel che aveva provato nel toccarle. Alla fine aveva capito che l'esperienza era stata una delle belle cose che non succedono mai due volte. Entrò nel negozio. La madre di Sharon era dietro il banco. Portava una tuta sintetica a righe colorate. Non lo nconobbe. Billy sorrise e disse: Salve. Desideri? La donna era un po' a disagio. Billy chiese: Come sta Sharon?. Bene, grazie. Adesso è fuori. La conosci? Sì. Billy girò lo sguardo sull'assortimento di generi alimentari, ferramenta, libri, articoli vari, tabacco e pasticcini. Avrebbe voluto dire: Una volta ha lasciato che le tpccassi le tette. Ma sapeva che non andava bene. Una volta giocavo con lei. Pareva che quella fosse la risposta attesa dalla donna. Sembrava più rilassata. Sorrise e Billy vide che aveva i denti macchiati di marrone, come quelli di suo padre. Poi gli chiese: Ti serve qualcosa?. Si sentì uno scalpiccio giù per le scale e Sharon entrò nel negozio dalla porta dietro il banco. Billy rimase sorpreso: sembrava molto più vecchia. Aveva i capelli corti e le tette molto voluminose ondeggiavano sotto la maglietta. Le gambe erano lunghe, inguainate nei jeans. Ciao, Ma' disse e fece per correre via. Billy disse: Ciao, Sharon!. Lei si fermò e lo guardò. Un lampo le passò negli occhi. Oh, ciao, Billy. Devo scappare. Se ne andò. La madre era molto imbarazzata. Scusami... avevo dimenticato che era ancora di sopra... Non importa. Anch'io dimentico tante cose. Bene, che cosa desideri? ripeté la donna. Voglio un coltello. L'idea era nata all'improvviso nella mente di Billy; ma aveva capito subito che era giusta. Non aveva senso battere una pietra sulla testa di un uomo grande e grosso come Tony Cox... avrebbe reagito. Quindi bisognava piantargli un coltello nella schiena, come facevano gli indiani.
E per te o per tua madre? Per me. A cosa serve? Billy sapeva che non doveva dirle la verità. Aggrottò la fronte e rispose: Per tagliare tante cose. Lo spago e così via. Oh. La donna si voltò verso la vetrina e prese un coltello con la custodia, come quelli dei boy-scout. Billy tirò fuori dalla tasca dei calzoni tutti i soldi che aveva. Non sapeva contare il denaro, e lasciava sempre che fosse il negoziante a prendere la somma necessaria. La madre di Sharon guardò e disse: Ma hai solo otto pence. Non bastano? Lei sospirò. No, purtroppo. Allora posso avere qualche bubblegum? La donna rimise il coltello in vetrina, quindi prese un pacchetto di gomme da masticare da uno scaffale. Sei pence. Billy le offrì la manciata di monete, e lei ne prese alcune. Grazie disse Billy. Uscì sulla strada e aprì il pacchetto. Gli piaceva mettere le gomme in bocca tutte in una volta. Riprese a camminare masticando soddisfatto. Aveva di nuovo dimenticato dove stava andando. Si fermò a guardare alcuni uomini che scavavano una buca sul marciapiedi. La sommità delle loro teste era all'altezza dei piedi di Billy. Notò con interesse che le pareti della buca cambiavano colore con la profondità. Prima c'era il marciapiedi, poi una sostanza scura che sembrava catrame, quindi terra bruna, e infine argilla bagnata. Sul fondo c'era un tubo di cemento nuovo. Perché mettevano i tubi sotto il marciapiedi? Billy non riusciva a immaginarlo. Si sporse e domandò: Perché mettete quel tubo lì sotto?. Un operaio alzs) la testa, lo guardò e disse: Lo nascondiamo perché i russi non lo vedano. Billy annuì come se avesse capito. Dopo un momento proseguì. Aveva fame, ma c'era qualcosa che doveva fare prima di tornare a casa per pranzo. Pranzare? Aveva mangiato un pacchetto di biscotti perché papà era all'ospedale. E questo era collegato alla sua presenza a Bethnal Green: tuttavia non riusciva a stabilire un nesso. Svoltò a un angolo, guardò il nome della strada sul cartello e vide che era in Quill Street. Adesso ricordava. Era lì che abitava Tony Cox... al numero diciannove. Avrebbe bussato alla porta... No. Non sapeva perché, ma sentiva che doveva entrare furtivamente dall'ingresso posteriore. C'era un vicolo, dietro la fila di case a schiera. Billy proseguì e arrivò dietro la casa di Tony. Il bubblegum aveva perso tutto il sapore; perciò se lo tolse di bocca e lo buttò, prima di aprire il cancello silenziosamente e di entrare di nascosto.
Tony Cox procedeva lentamente sulla strada sterrata e tutta solchi, più per riguardo alla propria comodità che al legittimo proprietario della macchina "presa a prestito". Il viottolo, senza nome, conduceva da una strada secondaria a una fattoria con stalla. La stalla, la casa vuota e cadente e il mezzo ettaro di terra sterile appartenevano a una società che si chiamava Land Development Ltd., e a sua volta la società apparteneva a un maniaco del gioco d'azzardo che doveva a Tony Cox una somma considerevole. Ogni tanto la stalla veniva utilizzata per immagazzinarvi lotti di merci danneggiata da incendi e acquistate a prezzi irrisori, e quindi non era inconsueto che un furgone o una macchina si fermassero sull'aia per scaricare o caricare. Il cancelletto in fondo al viottolo era aperto, e Tony entrò. Non c'era traccia del furgone blu, ma Jesse stava appoggiato al muro della fattoria e fumava una sigaretta. Si avvicinò per aprire la portiera a Tony. Non è andato tutto liscio, Tony annunciò immediatamente. Tony scese dalla macchina. Il denaro è qui? Nel furgone. Jesse indicò la stalla con un movimento della testa. Ma non è andata liscia. Entriamo... qui fuori è troppo caldo. Tony spalancò la porta della stalla ed entrò. Jesse lo seguì. Un terzo dello spazio, sul pavimento, era occupato da casse d'imballaggio. Tony lesse le etichette di due o tre: contenevano uniformi residuate delle forze armate. Il furgone blu era di fronte alla porta. Tony notò le targhe commerciali legate con lo spago sopra quelle normali. Che cosa ti è venuto in mente? chiese, incredulo. Accidenti, Tony, aspetta di aver sentito quello che ho dovuto fare. Be', e allora dimmelo! Ecco, ho bocciato... niente di serio, ho tamponato un'altra macchina. Ma il tizio è sceso dalla macchina imprecando e voleva chiamare la polizia. Così me la sono filata. Lui s'è piantato in mezzo alla strada e l'ho investito. Tony imprecò a voce bassa. La faccia di Jesse, ora, tradiva la paura. Ecco, sapevo che la pula mi avrebbe cercato. Mi sono fermato in un garage, ho fatto il giro per andare al cesso e ho fregato due targhe commerciali e questa tuta. Annuì precipitosamente, quasi per approvare quanto aveva fatto. E sono venuto qui. Tony lo fissò sbalordito e scoppiò a ridere. Pazzo d'un bastardo! sghignazzò. Jesse tirò un respiro di sollievo. Ho fatto del mio meglio? La risata di Tony si spense. Pazzo d'un bastardo ripeté. Vai in giro con un mucchio di quattrini che scottano a bordo del furgone e ti fermi... Gonfiò il petto e riprese a ridere. Ti fermi a un garage per fregare una tuta! Anche Jesse sorrise, non per il divertimento ma per la gioia del pericolo scampato. Quindi ridivenne serio. Ma c'è una brutta notizia. Cazzo, che altro? L'autista del furgone ha cercato di fare l'eroe. Non l'avrai ammazzato? chiese ansioso Tony. No, gli ho dato solo una botta in testa. Ma nella confusione, Jacko ha sparato con la doppietta... e ha colpito Willie il Sordo.
Alla testa. E conciato male, Tone. Oh, accidenti. Tony si lasciò cadere su un vecchio sgabello a tre gambe. Oh, povero vecchio Willie. L'hanno portato all'ospedale? Jesse annuì. Per questo Jacko non è alla fStoria. Lo ha portato lui. Non so se è arrivato vivo... Era così grave? Jesse annuì di nuovo. Oh, accidenti. Tony rimase in silenzio per un po'. E scarognato, Willie il Sordo. Ha già un orecchio andato, il figlio subnormale, la moglie sembra un orco... e adesso anche questo. Fece schioccare la lingua, tristemente. Gli daremo una parte doppia, ma questo non gli guarirà la testa. Si alzò. Jesse aprì il furgone. Era un sollievo essere riuscito a dare le brutte notizie senza provocare la furia di Tony. Tony Cox si fregò le mani. Bene, diamo un'occhiata. Nel retro del furgone c'erano nove cassette d'acciaio grigio. Sembravano tozze valigie metalliche, ognuna con le maniglie laterali, ognuna chiusa da una doppia serratura. Erano pesanti. I due uomini le scaricarono, una ad una, e le allinearono al centro della stalla. Tony le guardava avidamente. La sua espressione rivelava un piacere quasi sensuale. E come la favola di Alì Babà e dei quaranta ladroni, amico. Jesse prese da una borsa nell'angolo dell'esplosivo al plastico, fili e detonatori. Vorrei che ci fosse qui Willie, a fare i fuochi artificiali. Tony disse: Io vorrei che fosse qui, punto e basta. Jesse si preparò a far saltare le serrature delle cassette. Applicò l'esplosivo gelatinoso intorno alle serrature, inserì detonatori e fili, e collegò ognuno dei minuscoli ordigni al comando a stantuffo. Tony, che lo stava osservando, disse: Mi sembra che sai quello che fai. L'ho visto fare tante volte da Willie. Jesse sogghignò. Forse diventerò l'artificiere dell'organizzazione... Willie non è morto l'interruppe bruscamente Tony. A quanto ne sappiamo. Jesse prese il comando e, tirandosi dietro i fili, uscì dalla stalla. Tony lo seguì. Porta fuori il furgone disse Tony. Caso mai s'incendiasse la benzina, capisci? Non c'è nessun pericolo... Non hai mai fatto questo genere di lavoro e io non voglio correre rischi. Va bene. Jesse chiuse gli sportelli posteriori e fece uscire il furgone sull'aia a marcia indietro. Poi aprì il cofano e usò i morsetti a coccodrillo per collegare il comando alla batteria. Trattieni il fiato disse, e premette lo stantuffo. Si sentì un'esplosione soffocata. Rientrarono nella stalla. Le cassette erano allineate con i coperchi che penzolavano aperti. Hai fatto un buon lavoro disse Tony. Le cassette erano piene.
Le mazette di banconote erano allineate in cinque strati di venti per dieci: mille mazzette per cassetta. In ogni mazzetta c'erano cento biglietti di banca. Centomila per ognuna delle cassette. Le prime sei contenevano banconote da dieci scellini, scadute e prive di valore. Tony disse: Cristo. La settima conteneva biglietti da una sterlina, ma non era completamente piena. Tony contò ottocento mazzette. Anche la penultima conteneva banconote dello stesso taglio, ed era piena zeppa. Tony disse: Così va meglio. Ci siamo quasi. L'ultima era piena di biglietti da dieci. Tony mormorò: Dio ci aiuti. Jesse sgranò gli occhi. Quanto fa, Tony? Un milione e centottantamila sterline, figliolo. Jesse lanciò un grido di gioia. Siamo ricchi! Ricchi sfondati! Tony si oscurò. Credo che dovremmo bruciare tutti i biglietti da dieci. Ma cosa stai dicendo? Jesse lo fissò come se fosse impazzito. Come, bruciarli? Sei diventato scemo? Tony si girò, l'afferrò per il braccio, strinse. Ascolta. Se vai al Rose and Crown, chiedi un bicchiere di birra e un pasticcio di carne e paghi con un biglietto da dieci... e continui a farlo tutti i giorni per una settimana filata... che cosa penseranno? Penseranno che ho fatto un colpo. Mi fai male al braccio, Tone. E quanto tempo ci metterebbero, quei luridi ficcanaso, a correre a rifischiarlo alla polizia? Cinque minuti? Tony lo lasciò. E troppo, Jesse. Il tuo guaio è che non pensi. Tutto questo denaro bisogna tenerlo in qualche posto... e se lo tieni in qualche posto, la pula può trovarlo. Per Jesse, quel punto di vista era indigesto. Ma non si posson buttar via i quattrini. Allora non mi ascolti, vero? Hanno in mano Willie il Sordo, giusto? Il loro autista dirà che Willie ha partecipato all'agguato, giusto? E sanno che Willie fa parte della mia organizzazione, quindi sanno che il lavoro l'abbiamo fatto noi, giusto? Puoi scommettere la testa che stanotte verranno a casa tua a sventrare i materassi e a rivoltare i filari delle patate. Ora, cinquemila sterline in biglietti da una potrebbero essere i risparmi della tua vita, ma cinquantamila in biglietti da dieci ti incriminerebbero, giusto? Non ci avevo mai pensato disse Jesse. Non bisogna eccedere. Immagino che tutti quei quattrini non si possano nascondere. Chiunque può avere una serata buona alle corse dei cani; però se i soldi sono troppi, dimostra che hai fatto un colpo, capisci? Adesso era Jesse che lo spiegava a Tony, come per dimostrare che aveva capito. E così, giusto? Sì. Tony non pensava più alle prediche. Stava cercando di farsi venire in mente un sistema infallibile per sbarazzarsi di un'enorme quantità di denaro che scottava. E non puoi andare alla Barclays Bank con più di un milione di sterline per aprire un libretto di risparmio, vero? Ci sei arrivato disse Tony, sarcastico. All'improvviso lo fissò. Ah, ma chi può andare in banca con una pila di quattrini senza destare sospetti? Jesse non capiva. Nessuno. Davvero? Tony indicò le casse da imballaggio con gli indumenti residuati delle forze armate. Aprine un paio.
E vestiti da marinaio. Mi è appena venuta un'idea geniale. Una riunione con il direttore, il pomeriggio, era una rarità. A volte il direttore diceva: La mattina ci si diverte, il pomeriggio si lavora. Fino all'ora di pranzo si dedicava alla produzione del giornale. Alle due era ormai tardi per fare qualcosa di significativo; il contenuto del quotidiano era più o meno definitivo, quasi tutte le edizioni erano state stampate e distribuite, e il direttore passava a occuparsi di quelle che chiamava le scocciature amministrative. Però doveva stare in ufficio, nell'eventualità che qualcosa d'inaspenato richiedesse una decisione al massimo livello. E Arthur Cole era convinto che fosse appunto un caso del genere. Cole sedette di fronte all'enorme scrivania bianca. Alla sua sinistra c'era il cronista Kevin Hart, e alla sua destra Mervyn Glazier, responsabile della cronaca cittadina. Il direttore finì di firmare un mucchio di lettere e alzò la testa. Cosa c'è? Cole disse: Tim Fitzpeterson sopravviverà, l'annuncio della concessione petrolifera è stato posticipato, i banditi che hanno rapinato il furgone con il denaro sono scappati con più di un milione e la nazionale sta vincendo per settanta a nove. E poi? E poi sta succedendo qualcosa. Il direttore accese un sigaro. Per la verità, non gli dispiaceva affatto quando le scocciature amministrative venivano interrotte dalla possibilità di un colpo giornalistico. Sentiamo. Cole disse: Ricorderai che durante la riunione di stamattina, Kevin è piombato qui, un po' sovreccitato per la telefonata di qualcuno che diceva d'essere Tim Fitzpeterson. Il direttore sorrise con indulgenza. Se i giornalisti non fossero sovreccitati da giovani, come sarebbero da vecchi? Be', può darsi che Kevin avesse ragione di dire che era qualcosa di grosso. Ricordi i nomi dei due che avrebbero ricattato Fitzpeterson? Cox e Laski. Cole si rivolse ad Hart. Continua, Kevin. Hart disaccavallò le gambe e si tese verso il direttore. E arrivata un'altra telefonata. Una donna che ha dato nome e indirizzo. Ha detto che il marito, William Johnson, ha partecipato all'assalto al furgone, è stato ferito e accecato, e che il colpo era stato organizzato da Tony Cox. Il direttore esclamò: Tony Cox? Hai controllato? All'ospedale c'è un William Johnson con ferite d'arma da fuoco alla faccia. E accanto al suo letto c'è un investigatore della polizia ad aspettare che riprenda i sensi. Sono andato dalla moglie, ma non ha voluto parlare. Il direttore, che in gioventù era stato cronista di nera, disse: Tony Cox è un pesce molto grosso. Sono pronto a credere qualunque cosa sul suo conto. Un gran brutto affare. Continua. Cole intervenne. Adesso tocca a Mervyn. C'è una banca nei guai disse il responsabile della cronaca cittadina. La Cotton Bank della Giamaica... è straniera, con una filiale a Londra.
Fa molti affari in Gran Bretagna. E, comunque, è di proprietà di un certo Felix Laski. E come fai a saperlo? chiese il direttore. Che la banca è nei guai, voglio dire. Ecco, ho avuto una soffiata da un mio informatore. Ho telefonato alla Banca d'Inghilterra per controllare. Naturalmente non hanno voluto darmi una risposta chiara, ma quello che hanno detto tende a confermare la segnalazione. Riferiscimi esattamente quello che vi siete detti. Glazier tirò fuori il taccuino. Stenografava centocinquanta parole al minuto e i suoi appunti erano sempre immacolati Ho parlato con un certo Ley, che a quanto sembra si occupa della cosa. Io lo conosco perché... Salta la pubblicità, Mervyn l'interruppe il direttore. Lo sappiamo tutti che sei ben ammanigliato. Glazier sorrise maliziosamente. Chiedo scusa. Per prima cosa gli ho chiesto se sapeva qualcosa della Cotton Bank della Giamaica. Mi ha risposto: "La Banca d'Inghilterra sa molte cose di tutte le banche che operano a Londra". Io ho chiesto: "Allora saprà qual è al momento la situazione della Cotton Bank". E Ley: "Naturalmente. Ma questo non significa che glielo riferirò". lo ho detto: "Sta per colare a picco... è vero o falso?". Lui ha risposto: "Passo". E io: "Andiamo, Donald, non stiamo giocando a Mastermind... qui c'è di mezzo il denaro di tanta gente". Ley ha risposto: "Sa bene che non posso parlare di queste cose. Le banche sono nostre clienti. Dobbiamo rispettare la loro fiducia". lo ho detto: "Sto per pubblicare la notizia che la Cotton Bank è sul punto di chiudere. Può dirmi o no se è vero o falso?". E lui: "Le dico che prima deve informarsi scrupolosamente". E tutto. Glazier richiuse il taccuino. Se la banca fosse stata a posto, l'avrebbe confermato. Il direttore annuì. E un tipo di ragionamento che non mi è mai piaciuto, ma in questo caso è probabile che tu abbia ragione. Batté il sigaro sul grosso portacenere di vetro. E questo a cosa ci porta? Cole riepilogò la situazione. Cox e Laski ricattano Fitzpeterson. Fitzpeterson tenta il suicidio. Cox organizza una rapina. Laski fallisce. Scrollò le spalle. Sta succedendo qualcosa. Che proponi di fare? Scoprire la verità. Non è il nostro mestiere? Il direttore si alzò e andò alla finestra, come per prendere tempo per riflettere. Regolò le veneziane, e l'ufficio divenne un tantino più luminoso. Strisce di sole apparvero sulla moquette azzurra e misero in risalto i motivi intagliati. Il direttore tornò a sedere alla scrivania. No disse. Lasceremo perdere, e vi spiego il perché. Uno: non possiamo predire il fallimento di una banca, perché la nostra predizione, da sola, sarebbe sufficiente per farla crollare.
Già il fatto di chiedere informazioni sulla sua solidità basta a mettere in agitazione la City. Due: non possiamo cercare di scoprire gli autori dell'assalto al furgone. E compito della polizia. E comunque, qualunque cosa scoprissimo, non potremmo stamparlo per non pregiudicare il procedimento giudiziario. Voglio dire, se noi sappiamo che si tratta di Tony Cox, deve saperlo anche la polizia; e la legge dice che se sappiamo che è imminente o probabile un arresto, la faccenda passa suò judice. Tre: Tim Fitzpeterson non morirà. Se ci mettiamo a girare Londra facendo domande sulla sua vita sessuale, in un batter d'occhio ci saranno interrogazioni in Parlamento a proposito dei cronisti dell"'Evening Post" che cercano di gettar fango sui politici. Questo genere di cose è meglio lasciarlo ai fogliacci domenicali. Appoggiò le mani sulla scrivania. Mi dispiace, ragazzi. Cole si alzò. Va bene, torniamo a lavorare. I tre giornalisti uscirono. Quando tornarono in redazione, Kevin Hart disse: Se lui fosse il direttore della "Washington Post", Nixon starebbe ancora vincendo le elezioni con un programma ispirato alla legge e all'ordine. Nessuno rise.
ORE 15.00 Ho in linea la Smith & Bernstein per lei, signor Laski. Grazie, Carol. Me la passi. Pronto, George? Felix, come va? Laski adottò un tono sorridente. Non fu facile. Benone. Il tuo servizio è un po' migliorato? George Bernstein giocava a tennis. Assolutamente no. Sai che ho insegnato a giocare a George junior? Sì. Adesso mi batte. Laski rise. E come sta Rachel? Non è dimagrita. L'altra sera stavamo proprio parlando di te. Rachel ha detto che dovresti sposarti. E io: "Come, non lo sai? Felix è gay". E lei: "Gaio? Perché, la gente gaia e allegra non può sposarsi?" Allora io le ho detto: "No, significa che è omosessuale, Rachel". Ha lasciato cadere il lavoro a maglia. Mi aveva creduto, Felix! Ci pensi? Laski rise di nuovo, forzatamente. Non sapeva per quanto tempo avrebbe potuto continuare la finzione. Ci sto pensando, George. Al matrimonio? Non sposarti, non sposarti! Mi hai telefonato per questo? No, ma è un pensierino che mi ronza nella mente. Allora cosa posso fare per te? Mi serve un milione di sterline per ventiquattr'ore, e ho pensato di proporti l'affare. Laski trattenne il respiro. Un attimo di silenzio. Un milione.
Da quanto tempo Felix Laski è sul mercato finanziario? Da quando ho imparato a ricavare un grosso profitto da un giorno all'altro. Vuoi rivelarmi il segreto? D'accordo. Dopo che mi avrai prestato quella somma. Senza scherzi, George: puoi farlo? Certo che possiamo. Qual è la tua garanzia? Uh... normalmente non chiedi una garanzia per un prestito di ventiquattr'ore. Laski strinse convulsamente il pugno intorno al ricevitore. E vero. E normalmente non prestiamo somme simili a banche come la tua. E va bene. La mia garanzia è rappresentata da cinquecentodiecimila azioni dell'Hamilton Holdings. Un attimo. Vi fu un silenzio. Laski evocò l'immagine di George Bernstein: un uomo tarchiato con la testa voluminosa, il naso grosso e un sorriso perpetuo, seduto a una vecchia scrivania in un ufficio davanti alla cattedrale di San Paolo, intento a controllare le cifre del "Financial Times" mentre le sue dita volavano sulla tastiera di un computer. Bernstein riprese a parlare. Alla quotazione odierna non bastano, Felix. Oh, andiamo, è una pura formalità. Sai che non ho intenzione di fregarti. Sono il tuo vecchio amico Felix. Laski si asciugò la fronte con la manica. lo sarei d'accordo, ma ho un socio. Il tuo socio dorme così profondamente che secondo qualcuno è già morto. Un accordo del genere lo sveglierebbe anche se fosse nella tomba. Prova a chiederlo a Larry Wakely, Felix. Forse lui potrà fare qualcosa per te. Laski si era già rivolto a Larry Wakely, ma non lo disse. Senz'altro. Facciamo una partita questo weekend? Con piacere! La voce di Bernstein aveva un tono sollevato. Sabato mattina al club? Dieci sterline a partita? Mi spezzerà il cuore portartele via. A sabato, allora. Ciao, George. Stammi bene. Laski chiuse gli occhi per un momento, con il ricevitore penzolante. Aveva previsto che Bernstein non gli avrebbe prestato quella somma: ma ormai stava tentando di tutto. Si massaggiò il viso. Non era ancora sconfitto. Premette la forcella e sentì il suono della linea libera. Compose un numero con una matita rosicchiata. L'apparecchio squillò a lungo. Laski stava per riattaccare quando rispose una voce di donna. Ministero dell'Energia. Mi dia l'ufficio stampa. Attenda. Un'altra voce femminile. Ufficio stampa. Buonasera disse Laski. Sa dirmi quando il segretario di Stato darà l'annuncio della concessione petrolifera... Il segretario di Stato è in ritardo perché trattenuto da altri impegni. La sua redazione è già stata informata, e c'è un comunicato d'agenzia. La donna riattaccò.
Laski si abbandonò contro la spalliera. Per la prima volta si sentiva spaventato, e questo gli era intollerabile. Era abituato a dominare quel genere di situazioni; gli piaceva essere l'unico a sapere come stavano le cose, a manovrare mentre tutti gli altri si agitavano cercando di capire che cosa succedeva. Non era nel suo stile presentarsi con il cappello in mano per chiedere prestiti. Il telefono squillò di nuovo. Carol disse: C'è in linea un certo signor Hart. Dovrei conoscerlo? No, ma ha detto che vuole parlarle della somma occorrente alla Cotton Bank. Me lo passi. Pronto, qui Laski. Buonasera, signor Laski. Era la voce di una persona giovane. Sono Kevin Hart dell"'Evening Post". Laski trasalì. Mi sembrava che la mia segretaria avesse detto... Be', non importa. La somma occorrente alla Cotton Bank. Sì, ecco, una banca in difficoltà ha bisogno di denaro, no? Non ho nessuna intenzione di parlare con lei, giovanotto. Ma prima che Laski potesse riattaccare, Hart disse: Tim Fitzpeterson. Laski impallidì. Che cosa? Le difficoltà della Cotton Bank hanno qualcosa a che fare con il tentato suicidio di Tim Fitzpeterson? Come diavolo lo sapevano? La mente di Laski era un turbine. Forse non lo sapevano affatto. Tiravano a indovinare... Ianciavano un pallone sonda. Fingevano di sapere qualcosa per vedere se gli altri avrebbero smentito. Laski chiese: Il suo direttore sa di questa telefonata? Uhm... naturalmente no. Il tono del giornalista indicò a Laskl che aveva Colplto nel segno. Insistette. Non so che gioco stia giocando, giovanotto, ma se sentirò altre assurdità del genere, saprò chi le ha messe in circolazione. Hart chiese: Quali sono i suoi rapporti con Tony Cox? Chi? Addio, giovanotto. Laski posò il ricevitore. Diede un'occhiata all'orologio: erano le tre e un qua.,u. Non poteva assolutamente trovare un milione di sterline in un quarto d'ora. A quanto pareva, era tutto finito. La banca sarebbe fallita; la sua reputazione sarebbe stata distrutta; con ogni probabilità avrebbe rischiato un'incriminazione. Pensò all'eventualità di lasciare il paese quello stesso pomeriggio. Non avrebbe potuto portare via nulla. Ricominciare daccapo, a New York o a Beirut? Era troppo vecchio. Se fosse rimasto, avrebbe potuto salvare qualcosa del suo impero, quanto bastava per campare di rendita per il resto della sua vita. Ma che vita sarebbe stata? Girò la poltroncina e guardò dalla finestra. La giornata si andava rinfrescando: dopotutto, non era estate. Gli alti edifici della City gettavano lunghe ombre, ed entrambi i lati della strada sottostante erano semibui. Laski guardò il traffico e pensò a Ellen Hamilton. E proprio quel giorno aveva deciso di sposarla. Era un'ironia della sorte.
Per vent'anni aveva avuto la possibilità di scegliere fra tante donne: modelle, attrici, debuttanti, persino principesse. E quando finalmente ne sceglieva una, andava in malora. Un uomo superstizioso l'avrebbe interpretato come un segnale del destino... non doveva sposarsi. Forse quella possibilità stava tramontando. Felix Laski, playboy milionario, era una cosa. Felix Laski, il fallito, era ben diverso. Era sicuro che il suo rapporto con Ellen non era quel genere d'amore capace di sopravvivere a un disastro di tale portata. Era un amore sensuale, edonistico, ben diverso dalla devozione eterna di cui parlava il Libro della preghiera comune. O almeno era sempre stato così. Laski aveva teorizzato che l'affetto permanente sarebbe venuto più tardi, dal semplice fatto di vivere insieme e di condividere le mille cose dell'esistenza; dopotutto, la frenesia quasi isterica che li aveva uniti era destinata ad attenuarsi con l'andare del tempo. Non dovrei accontentarmi delle teorie, pensò. Alla mia età, certe cose dovrei saperle. Quella mattina la decisione di sposare Ellen gli era parsa una scelta che poteva fare con calma e leggerezza, addirittura con cinismo, pensando a ciò che ne avrebbe ricavato, come se fosse un altro colpo di mano in Borsa. Ma adesso che non aveva più in pugno la situazione, si rendeva conto (e quel pensiero era un colpo terribile) di aver disperatamente bisogno di Ellen. Voleva la devozione eterna, voleva qualcuna che gli fosse affezionata e apprezzasse la sua compagnia e gli toccasse teneramente la spalla mentre passava accanto alla sua poltrona; qualcuna che fosse sempre al suo fianco e gli dicesse: "Ti amo" e invecchiasse con lui. Era rimasto solo per tutta la vita, ed era anche troppo. Dopo aver ammesso quelle verità, Laski si spinse oltre. Se avesse potuto avere Ellen, sarebbe stato disposto a veder cadere il suo impero, saltare l'accordo con l'Hamilton Holdings e crollare la sua reputazione. Sarebbe stato addirittura disposto a finire in galera con Tony Cox, se avesse avuto la certezza di trovare Ellen ad attenderlo quando fosse uscito. Si augurò di non aver mai conosciuto Tony Cox. Laski aveva immaginato che sarebbe stato semplice controllare un delinquente da quattro soldi come Cox. Poteva avere un potere immenso nel suo piccolo mondo, ma non era certo in grado di toccare un rispettabile uomo d'affari. Forse no: ma quando l'uomo d'affari si metteva in società con il delinquente, sia pure in modo informale, finiva d'essere rispettabile. Era Laski, non Cox, a risultare compromesso da quel rapporto. Laski sentì la porta dell'ufficio aprirsi, girò la poltroncina. Tony Cox stava entrando.
Laski lo fissò a bocca aperta. Era come vedere un fantasma. Carol entrò precipitosamente dietro a Cox come un terrier Disse a Laski: L'ho pregato di aspettare, ma non ha voluto.. è entrato!. Non importa, Carol, ci penso io disse Laski. La segretaria uscì e chiuse la porta. Laski esplose: Cosa diavolo sei vénuto a fare? E troppo pericoloso! I giornali hanno già cominciato a chiedermi di te e di Fitzpeterson... sapevi che ha tentato il suicidio?. Calmati. Non strapparti i capelli disse Cox. Calmarmi? E un disastro! Ho perso tutto, e se mi vedono con te finirò in galera... Cox avanzò d'un passo, lo afferrò per la gola e lo scrollò. Chiudi il becco ringhiò, ributtandolo sulla poltroncina. E adesso ascoltami. Ho bisogno del tuo aiuto. Niente da fare mormorò Laski. Stai zitto! Ho bisogno del tuo aiuto e tu me lo darai, altrimenti sì che ti manderò in galera. Tu sai che ho fatto il lavoretto, questa mattina... un furgone carico di banconote. No, non lo so. Cox non gli prestò attenzione. Bene, non so dove nascondere quel denaro, quindi lo metterò nella tua banca. Non dire assurdità ribatté Laski. Poi aggrottò la fronte. Quanto? Poco più d'un milione di sterline. Dove? Fuori,pel furgone. Laski balzò in piedi. Hai un milione di sterline in banconote rubate, là fuori, a bordo di un fottuto furgone? Sì. Sei pazzo. Laski rifletteva precipitosamente. Un milione... come? Banconote usate assortite. Sono nei contenitori originali? Non sono tanto scemo. Le abbiamo trasferite in casse da imballaggio. I numeri di serie non sono in sequenza? Vedo che ci stai arrivando molto lentamente. Se non ti sbrighi, rimorchieranno via il furgone perché è parcheggiato in sosta vietata. Laski si grattò la testa. Come porterai le casse nella camera blindata? Fuori ci sono sei dei miei ragazzi. Non posso permettere che sei dei tuoi delinquenti portino una somma simile nel mio caveau! Il personale s'insospettirebbe... Sono in uniforme... divise residuate della Marina. Sembrano guardie giurate, Felix. E se vuoi fare il gioco delle domande, rimandalo a dopo, d'accordo? Laski decise. D'accordo, muoviti. Fece uscire Cox e lo seguì fino alla scrivania di Carol. Telefoni giù al caveau le disse. Li avverta che si preparino a ricevere una consegna di contanti. Sbrigherò personalmente le pratiche. E mi passi una linea esterna. Tornò in ufficio e chiamò la Banca d'Inghilterra. Guardò l'orologio. Erano le tre e venticinque. Si fece passare il signor Ley. Sono Laski disse. Ah, sì? Il funzionario aveva un tono diffidente.
Laski s'impose di restare calmo. Ho risolto quel piccolo problema, Ley. I contanti necessari sono nel mio caveau. Posso organizzare la consegna immediatamente, come ha suggerito poco fa; oppure può venire a controllare oggi, e alla consegna provvederemo domani. Uhm. Ley rifletté per un momento. Non credo che sia necessario, Laski. Per noi sarebbe una seccatura dover contare una somma simile a quest'ora. Se può farcela consegnare domattina presto, entro domani autbrizzeremo il pagamento dell'assegno. Grazie. Laski decise di strofinare il sale sulla ferita. Mi dispiace di averla fatta irritare, poco fa. Forse io sono stato un po' troppo brusco. Arrivederci, Laski. Laski riattaccò. Stava ancora riflettendo. Calcolò che durante la notte avrebbe potuto mettere insieme centomila sterline in contanti, e Cox sarebbe stato in grado di fornire una somma eguale grazie ai suoi club. Avrebbero scambiato quei contanti con duecentomila sterline in banconote rubate. Era un'altra precauzione: se tutti i biglietti di banca consegnati l'indomani fossero stati troppo sciupati per venir rimessi in circolazione, qualcuno avrebbe potuto notare la coincidenza tra il furto avvenuto un giorno e il deposito effettuato l'indomani. L'aggiunta di denaro in buone condizioni avrebbe placato i sospetti. A quanto pareva, aveva sistemato tutto. Si rilassò per un momento. Ce l'ho fatta ancora una volta, pensò. Ho vinto. Una risata di trionfo gli salì dalla gola. Ora doveva provvedere a sbrigare i dettagli. Doveva scendere nel sotterraneo blindato a tranquillizzare i dipendenti che senza dubbio erano un po' frastornati. E voleva che Cox e la sua banda se ne andassero il più presto possibile. Poi avrebbe telefonato a Ellen. Ellen Hamilton era rimasta in casa quasi tutto il giorno. Le spese di cui aveva parlato a Felix erano un'invenzione: aveva avuto bisogno di un pretesto per andare a trovarlo. Si annoiava moltissimo. Il viaggio a Londra non aveva portato via molto tempo; al ritorno si era cambiata d'abito, si era sistemata i capelli e aveva impiegato molto più tempo del necessario per preparare un pranzo a base di ricotta, insalata, frutta e caffè senza zucchero. Aveva lavato i piatti personalmente perché per quelle poche cose non valeva la pena di usare la lavastoviglie, e aveva mandato di sopra la signora Tremlett a pulire con l'aspirapolvere. Aveva guardato il telegiornale e poi un teleromanzo; aveva cominciato a leggere un romanzo storico e l'aveva posato dopo cinque pagine, era passata da una stanza all'altra della casa per riordinare gli oggetti che non avevano bisogno d'essere riordinati; ed era scesa alla piscina per fare una nuotata, ma poi aveva cambiato idea all'ultimo minuto.
Adesso era nuda, al centro della fresca summerhouse, con il costume in una mano e il vestito nell'altra, e pensava: "Se non riesco a decidermi ad andare a nuotare o no, come potrò trovare la forza di volontà per piantare mio marito?". Lasciò cadere gli indumenti e incurvò le spalle. C'era un grande specchio fissato a una parete, ma non si guardò. Aveva cura del proprio aspetto per scrupolo, non per vanità. Per lei gli specchi non erano irresistibili. Si chiese che sensazione le avrebbe dato nuotare nuda. Erano state cose impensabili, quand'era giovane; e inoltre era sempre stata inibita. Lo sapeva, e non cercava di cambiare, perché in effetti le sue inibizioni non le dispiacevano... davano al suo stile di vita la forma e la costanza di cui aveva bisogno. Il pavimento era deliziosamente fresco. Provò la tentazione di sdraiarsi e di rotolarsi, per godere il contatto delle piastrelle fredde sulla pelle accaldata. Ma calcolò il rischio che Pritchard o la signora Tremlett entrassero e la sorprendessero in quell'atteggiamento. Decise di rinunciare, si rivestì. La summcrhousc era situata piuttosto in alto. Dalla porta si vedeva quasi tutta la proprietà... più di tre ettari. Era un giardino delizioso, creato all'inizio del secolo precedente, ideato con spirito eccentrico e piantumato con dozzine di specie d'alberi diversi. Le aveva dato molto piacere; ma negli ultimi tempi anche quella soddisfazione era impallidita, come tutto il resto. Il giardino era al culmine della sua bellezza nel fresco del pomeriggio. Una leggera brezza faceva sventolare come una bandiera l'abito di cotone stampato. Ellen si era addentrata in un boschetto, dove le fronde filtravano la luce del sole e tracciavano disegni mutevoli sulla terra asciutta. Felix diceva che lei era disinibita, ma naturalmente sbagliava. Ellen aveva semplicemente creato un'area nella propria vita dove la costanza veniva sacrificata alla gioia. E poi, non era più riprovevole avere un amante, purché ci si comportasse con discrezione; e lei era molto, molto discreta. Il guaio era che le piaceva il sapore della libertà. Si rendeva conto di essere in un'età pericolosa. Le riviste femminili che sfogliava senza leggere le ripetevano che a quell'età una donna contava gli anni che le restavano. Constatò che erano troppo pochi e decise di riempirli di tutto ciò che fino a quel momento le era mancato. Le giovani scrittrici emancipate e alla moda l'avvertivano che su quella strada avrebbe incontrato la delusione. Come potevano saperlo? Stavano tirando a indovinare, come tutti gli altri. Ellen sospettava che non avesse nulla a che vedere con l'età.
A settant'anni sarebbe riuscita a trovare un novantenne arzillo che l'avrebbe desiderata, se a quell'età la cosa avesse continuato a interessarla. E non aveva nulla a che fare con la menopausa, ormai superata da molto tempo. Ma ogni giorno trovava Derek un po' meno attraente e Felix un po' più affascinante. Ed era arrivata al punto in cui il contrasto era insopportabile. Aveva fatto sapere a entrambi qual era la situazione, in quel,suo modo indiretto. Sorrise, ricordando che tutti e due avevano assunto espressioni pensierose quando aveva lanciato i suoi ultimatum velati. Conosceva i suoi uomini: ognuno avrebbe analizzato ciò che aveva detto, dopo un po' avrebbe capito e si sarebbe congratulato con se stesso per la propria perspicacia. Nessuno dei due si sarebbe sentito minacciato. Uscì dal boschetto e si appoggiò a uno steccato al margine del prato. Nel pascolo c'erano un somarello e una vecchia cavalla. L'asino era lì per i nipotini, e la cavalla perché un tempo Ellen l'aveva montata per andare a caccia. Per loro andava tutto bene... non si accorgevano d'invecchiare. Attraversò il prato e salì la scarpata per raggiungere la ferrovia abbandonata. Le locomotive a vapore erano passate di lì sbuffando, quando lei e Derek erano giovani, allegri e socièvoli, e ballavano al ritmo del jazz e bevevano troppo champagne e organizzavano feste che non avrebbero potuto permettersi. Si avviò lungo le rotaie arrugginite, saltando di traversina in traversina, fino a che un animaletto piccolo e peloso sbucò dal legno marcio e la spaventò. Scese in fretta la banchina e tornò verso casa, seguendo il ruscello che attraversava il bosco. Non desiderava tornare ad essere giovane e spensierata; ma voleva ancora amare. Bene, aveva messo le carte in tavola, con i due uomini. Aveva detto a Derek che il lavoro stava emarginando sua moglie, e che avrebbe dovuto cambiare abitudini se voleva conservarla. E aveva avvertito Felix che non intendeva essere per sempre la sua amante di lusso. Poteva darsi che entrambi s'inchinassero alla sua volontà, e questo l'avrebbe lasciata di nuovo di fronte al problema della scelta. Oppure, tutti e due avrebbero potuto decidere che erano in grado di fare a meno di lei; e in tal caso non le sarebbe rimasto altro che sentirsi désolée, come una ragazza in un romanzo di Francoise Sagan: e sapeva che questo non le si addiceva. Bene, e se tutti e due fossero stati disposti a fare ciò che voleva, chi avrebbe scelto? E mentre girava intorno àll'angolo della casa, pensò: Felix, probabilmente. Si accorse, trasalendo, che la macchina era ferma sul viale, e che Derek stava scendendo. Perché era tornato a casa tanto presto? La vide e agitò le braccia. Sembrava felice. Ellen gli corse incontro e, piena di rimorso, lo baciò. Kevin Hart avrebbe dovuto preoccuparsi, ma non ne aveva l'energia. Il direttore era stato molto esplicito, quando aveva detto loro di non indagare sulla Cotton Bank.
Kevin aveva disobbedito, e Laski gli aveva chiesto: Il suo direttore sa di questa telefonata?. Era una domanda che veniva formulata spesso dagli intervistati furibondi, e la risposta era sempre un "no" disinvolto... a meno che, naturalmente, il direttore avesse posto un divieto. Quindi, se Laski avesse chiamato il direttore, o addirittura il presidente del consiglio di amministrazione, per Kevin sarebbero stati guai. E allora, perché non era preoccupato? Decise che il suo lavoro gli stava molto meno a cuore di quanto stava succedendo quella mattina. Il direttore aveva buone ragioni per insabbiare la cosa, naturalmente: un comportamento da vigliacchi aveva sempre valide giustificazioni. Tutti sembravano accettare che "E vietato dalla legge" fosse un'argomentazione inconfutabile; ma i grandi giornali del passato avevano sempre violato le leggi, leggi più dure e applicate più rigorosamente di quelle odierne. Kevin pensava che i giornali dovevano pubblicare e affrontare le querele e magari le condanne. Per lui era facile crederlo, dato che non era responsabile di un giornale. E perciò stava lì in redazione, a centellinare un tè preso al distributore e a leggere la colonna dei pettegolezzi del suo giornale, mentre preparava il discorso eroico che avrebbe voluto tenere al direttore. Era la conclusione della giornata, per il quotidiano. Niente al mondo, a meno che fosse un gravissimo attentato politico o un disastro con molti morti, ormai avrebbe trovato spazio. Molti giornalisti, quelli che facevano i turni di otto ore, erano andati a casa. Kevin lavorava dieci ore per quattro giorni la settimana. Il responsabile economico, che aveva bevuto quattro litri di birra Guinness a pranzo, dormiva in un angolo. Una macchina per scrivere solitaria ticchettava pigramente méntre una giovane redattrice batteva un articoletto senza data per la prima edizione dell'indomani. Gli stenografi parlavano di calcio e i redattori componevano didascalie scherzose per le fotografie scartate, e ridevano fragorosamente delle loro spiritosaggini. Arthur Cole camminava avanti e indietro: resisteva alla tentazione di fumare e in segreto si augurava che scoppiasse un incendio a Buckingham Palace. Ogni tanto si fermava e sfogliava le pagine infilzate sullo spuntone, come se temesse di aver trascurato la notizia più sensazlonale della giornata. Dopo un po', Mervyn Glazier abbandonò il suo piccolo regno e si avvicinò. Aveva la camicia fuori dei calzoni. Sedette accanto a Kevin, accese la pipa dal cannello d'acciaio e appoggiò una scarpa sciupata sul bordo del cestino. La Cotton Bank della Giamaica disse come preambolo. Parlava a voce bassa. Kevin sorrise maliziosamente. Anche tu hai trasgredito? Mervyn alzò le spalle. Non è colpa mia se la gente mi telefona per passarmi informazioni. E comunque, se mai la banca è stata in pericolo, se n'è tirata fuori.
Come fai a saperlo? Il mio laconico contatto alla Banca d'Inghilterra. "Ho controllato più attentamente la situazione della Cotton Bank dopo la sua telefonata, e mi risulta che sia finanziariamente in ottima salute." Chiuse le virgolette. In altre parole, c'è stato un salvataggio. Kevin finì il tè e accartocciò rumorosamente il bicchiere di plastica. E tanti saluti. Inoltre ho saputo, da un'altra fonte non troppo lontana dalla Commissione di Controllo della Borsa, che Felix Laski ha acquistato il pacchetto di maggioranza della Hamilton Holdings. Allora non può essere a corto di fondi. La Commissione s'interessa alla faccenda? No. Lo sa, e se ne sta tranquilla." Abbiamo fatto chiasso per niente allora? Mervyn scosse la testa. No, proprio no. Non lo credo neppure io. A Mervyn si era spenta la pipa. La vuotò nel cestino. I due giornalisti si guardarono rassegnati per un momento, quindi Mervyn si alzò e se ne andò. Kevin tornò a rivolgere l'attenzione sulla colonna dei pettegolezzi ma non riuscì a concentrarsi. Lesse per quattro volte un capoverso senza capirlo, poi desistette. Quel giorno era successo qualcosa di molto grosso, e smaniava di sapere di cosa si trattasse; e lo desiderava soprattutto perché aveva la sensazione di essere vicinissimo alla spiegazione. Arthur lo chiamò: Siediti qui un momento mentre io vado in bagno, d'accordo?. Kevin girò intorno al banco e sedette davanti alle file dei telefoni. Non provava nessuna sensazione. Quel compito gli era stato affidato perché ormai era tardi e non aveva più molta importanza. Era semplicemente un giornalista a portata di mano senza niente da fare. L'ozio era inevitabile nei giornali, pensò Kevin. Il personale doveva essere abbastanza numeroso per provvedere a tutto in una giornata frenetica, e quindi era troppo per una giornata normale. In certi quotidiani ti assegnavano cose stupidissime da fare, per non tenerti nell'inattività; scrivere pezzi ricavati da comunicati pubblicitari e dichiarazioni delle autorità locali, roba che non veniva mai pubblicata. Era un lavoro che demoralizzava e faceva perdere tempo; e soltanto i dirigenti più insicuri pretendevano che lo si facesse. Un fattorino arrivò dalla stanza delle telescriventi, portando un lungo foglio di carta con una notizia dell'Associated Press. Kevin glielo prese dalle mani e diede un'occhiata. Lo lesse con un senso crescente di shock e di euforia. Un consorzio capeggiato dalla Hamilton Holdings oggi ha ottenuto la concessione per lo sfruttarrento dell'ultimo giacimento petrolifero nel Mare del Nord, lo Shield. Il segretario di Stato per l'Energia, Carl Wrightment, ha annunciato il nome del vincitore in una conferenza stampa che è stata purtroppo rattristata dall'improvvisa malattia del sottosegretario, Tim Fitzpeterson.
L'annuncio era molto atteso perché avrebbe portato una necessaria boccata d'ossigeno alle azioni un po' traballanti del gruppo della Hamilton, i cui risultati semestrali, pubblicati ieri, erano apparsi deludenti. Si ritiene che lo Shield abbia riserve di petrolio tali da produrre mezzo milione di barili la settimana. I soci del gruppo Hamilton nel consorzio sono la Scan, il colosso della metalmeccanica, e la British Organic Chemical. Dopo aver dato l'annuncio, il signor Wrightment ha soggiunto: Ho il rammarico di comunicarvi l'improvvisa malattia di Tim Fitzpeterson, il cui contributo alla politica petrolifera del Governo è stato così prezioso. Kevin rilesse per tre volte il pezzo, incapace di credere alle implicazioni. Fitzpeterson, Cox, Laski, l'assalto al furgone, la crisi della banca, l'acquisizione... tutto riconduceva, in un grande, agghiacciante circolo vizioso, a Tim Fitzpeterson. Non è possibile disse a voce alta. Cosa c'è? chiese la voce di Arthur alle sue spalle. Vale una ribattuta? La ribattuta era, in gergo, ciò che i profani chiamano Fermate le macchine tipografiche! Kevin gli passò il foglio e lasciò libera la sedia. Io credo disse, che questo indurrà il direttore a cambiare idea. Arthur sedette e cominciò a leggere. Kevin rimase ad osservarlo, impaziente. Avrebbe voluto vederlo reagire, balzare in piedi e gridare: Bloccate la prima pagina! o qualcosa del genere. Ma Arthur Cole rimase imperturbabile. Alla fine lasciò cadere il foglio sulla scrivania e guardò Kevin con freddezza. E allora? chiese. Ma è evidente! ribatté Kevin, animandosi. No. Spiegati. Stai a sentire. Laski e Cox ricattano Fitzpeterson e lo costringono a rivelare chi ha ottenuto il diritto di sfruttamento dello Shield. Cox, forse con la collaborazione di Laski, rapina il furgone e mette le mani su un milione di sterline, le consegna a Laski, e questi se ne serve per comprare la società che ha avuto la concessione petrolifera. E tu cosa vorresti che facessimo? Cristo! Potremmo seminare allusioni, oppure organizzare un'inchiesta, o dirlo alla polizia... almeno questo! Noi siamo gli unici a sapere tutto... non possiamo permettere che quei bastardi se la cavino impunemente. Allora non sai niente? chiese Arthur in tono amaro. Come sarebbe a dire? La voce di Arthur divenne lugubre. La Hamilton Holdings è la società madre dell"'Evening Post". S'interruppe per guardare Kevin negli occhi. Felix Laski è il tuo nuovo principale. ORE 16.00 Andarono a sedersi nella sala da pranzo piccola, uno di fronte all'altro intorno al tavolo rotondo, e Derek Hamilton disse: Ho venduto la società. Ellen sorrise e disse
con calma: Sono così contenta Derek. Contro la sua volontà le lacrime le salirono agli occhi, il suo gelido autocontrollo s'incrinò e cedette per la prima volta dopo la nascita di Andrew. Tra le lacrime vide l'espressione sorpresa del marito, quando comprese che cosa significava per lei. Si alzò e aprì uno stipo. Credo che dovremmo brindare. ' L'ho venduta per un milione di sterline disse lui, sebbene sapesse che non le interessava. E un buon prezzo? Data la situazione, sì. Ma soprattutto è sufficiente per permetterci di vivere negli agi per tutto il resto della nostra vita. Ellen si preparò un gin-e-tonic. Tu che cosa preferisci? Una Perrier, grazie. Ho deciso di rinunciare all'alcol per un po'. Ellen gli porse il bicchiere e tornò a sedere di fronte a lui. Che cosa ti ha fatto decidere? Niente in particolare. L'aver parlato con te, l'aver parlato con Nathaniel. Derek bevve qualche sorso d'acqua minerale. Soprattutto l'aver parlato con te. Quello che hai detto a proposito del nostro modo di vivere. Quando diventerà definitivo? Lo è già. Non tornerò in ufficio, mai più. Derek distolse gli occhi dalla moglie e guardò il prato. Ho dato le dimissioni a mezzogiorno in punto e da quel momento l'ulcera non mi ha più dato fastidio. Non è meraviglioso? Sì. Ellen seguì lo sguardo del marito e vide il sole che rosseggiava tra i rami del suo albero prediletto, il pino scozzese. Hai fatto qualche progetto? Ho pensato che potremmo farli insieme. Derek le sorrise. Però mi alzerò tardi, mangerò tre piccoli pasti al giorno, e sempre a orari fissi, guarderò la televisione e vedrò se riesco a ricordare come si fa a dipingere. Ellen annuì. Si sentiva impacciata, come lui. All'improvviso, tra loro c'era un nuovo rapporto, e procedevano a tentoni, incerti, senza sapere esattamente cosa dovevano dire, come dovevano comportarsi. Per Derek la situazione era semplice: aveva compiuto il sacrificio che lei gli aveva chiesto, le aveva dato l'anima; e adesso voleva che Ellen lo riconoscesse, accettasse il dono con un gesto. Ma per lei, quel gesto avrebbe significato escludere Felix dalla propria vita. Non posso, pensò; e quelle parole le risuonarono nella mente come le sillabe tonanti di una maledizione. Derek chiese: Tu cosa vorresti che facessimo?. Sembrava che avesse intuito il suo dilemma e cercasse di forzarle la mano, di spingerla a parlare di loro due come coppia. Mi piacerebbe che impiegassimo molto tempo per decidere disse Ellen. Buona idea. Derek si alza. Vado a cambiarmi. Salgo anch'io. Lei prese il bicchiere e lo seguì. Derek ne fu sorpreso, e per la verità anche Ellen rimase un po' sconcertata.
Da trent'anni avevano perso l'abitudine di guardarsi l'un l'altro mentre si spogliavano. Attraversarono l'atrio e salirono la scala principale. Lui ansimava per lo sforzo. Entro sei mesi disse, salirò di corsa. Pensava al futuro con tanto piacere, mentre lei lo considerava con timore. Per Derek, la vita stava ricominciando. Ah, se l'avesse fatto prima che le accadesse di conoscerc Felix! Le tenne aperta la porta della camera da letto per lasciarla passare, ed Ellen si sentì mancare il cuore. Un tempo era stato un rito, un segnale, un codice per innamorati. Era incominciato quand'erano giovani. Ellen aveva notato che Derek diventava di una cortesia quasi imbarazzante quando la desiderava, e gli diceva scherzando: Mi apri la porta solo se hai voglia di far l'amore. E da allora, naturalmente, avevano pensato al sesso ogni volta che lui le aveva aperto una porta, ed era diventato un modo per farle sapere ciò che voleva. A quei tempi sentivano la necessità di segnali del genere: adesso lei si accontentava di dire a Felix: Facciamolo sul pavimento. Derek ricordava? Le stava dicendo che quello era il riconoscimento desiderato? Erano passati tanti anni e lui era così cambiato. Possibile? Derek entrò nel bagno e aprì i rubinetti. Ellen sedette davanti alla toeletta e si spazzolò i capelli. Attraverso lo specchio lo vide uscire dal bagno e incominciare a spogliarsi. Lo faceva ancora nello stesso modo: prima le scarpe, poi i calzoni, quindi la giacca. Una volta le aveva spiegato che doveva essere così, perché i calzoni andavano appesi alla stampella prima della giacca, e le scarpe andavano tolte subito per non sformare i calzoni. Ellen gli aveva detto che un uomo appariva molto buffo con la camicia, la cravatta e i calzini. E tutti e due avevano riso. Derek si tolse la cravatta e sbottonò il colletto della camicia con un sospiro di sollievo. I colletti gli avevano sempre dato fastidio. Forse adesso non avrebbe più dovuto preoccuparsi di tenerli abbottonati. Si tolse la camicia, i calzini, la canottiera e finalmente le mutande. Poi cercò nello specchio lo sguardo di Ellen. C'era qualcosa di molto simile a una sfida nei suoi occhi, come se le dicesse: "Un vecchio è fatto così, quindi è meglio che ti ci abitui". Ellen sostenne quello sguardo per un momento, un momento solo. Derek andò in bagno e lei sentì il movimento dell'acqua quando entrò nella vasca. Adesso che lui non era presente si sentiva più libera di pensare, come se prima avesse potuto captare i suoi pensieri. Il dilemma si poneva nel modo più brutale: poteva o non poteva affrontare l'idea di far l'amore con Derek? Qualche mese prima lo avrebbe fatto... anzi, l'avrebbe fatto con piacere. Ma poi aveva toccato il corpo solido e muscoloso di Felix e aveva riscoperto il proprio corpo nella loro relazione.
Si impose di vedere Derek nudo: il collo tozzo, le mammelle grasse con i ciuffi di peli bianco-grigi intorno ai capezzoli, il ventre enorme e il pelo che si allargava all'inguine, e là... be', almeno là, lui e Felix non erano molto diversi. S'immaginò a letto con Derek, pensò a come l'avrebbe toccata e baciata, e a quello che lei gli avrebbe fatto... e all'improvviso si rese conto che avrebbe potuto farlo, e trovarvi piacere per ciò che significava: le dita di Felix erano abili ed esperte, ma le mani di Derek le aveva strette per anni; poteva graffiare le spalle di Felix in uno slancio di passione, ma sapeva di potersi appoggiare alla spalla di Derek; Felix era un bell'uomo e affascinante, ma nel volto di Derek c'erano anni di gentilezza e di conforto, di comprensione e di tenereza. Forse amava Derek. E forse era semplicemente troppo vecchia per cambiare. Lo sentì alzarsi nella vasca da bagno e si lasciò prendere dal panico. Non aveva avuto abbastanza tempo a disposizione, non era ancora pronta a prendere una decisione irrevocabile. Non poteva, così sul momento, accettare l'idea di non sentire più Felix dentro di lei. Era troppo presto. Doveva parlare a Derek. Doveva cambiare argomento, spezare l'atmosfera. Che cosa poteva dire? Lui uscì dalla vasca; tra un momento sarebbe tornato nella camera. Ellen chiese, alzando la voce: Chi ha comprato la società?. La risposta fu incomprensibile. E in quel momento squillò il telefono. Mentre attraversava la stanza per andare a rispondere, Ellen ripeté: Chi ha comprato la società?. E alzò il ricevitore. Derek le gridò: Un certo Felix l aski. Lo hai conosciuto anche tu. Ricordi?. Ellen rimase immobile, in silenzio, con il ricevitore sollevato. Era troppo: le implicazioni, l'ironia, il tradimento... La voce del telefono le disse all'orecchio: Pronto? Pronto?. Era Felix. Lei mormorò: Oh, Dio, no. Ellen? disse Felix. Sei tu? Sì. Ho tante cose da dirti. Possiamo vederci? Ellen balbettò: lo... io, non credo. Non fare così. La voce profonda risuonava come la musica di un violoncello. Voglio che tu mi sposi. Oh, Dio! Ellen, rispondimi. Vuoi sposarmi? All'improvviso lei comprese che cosa voleva; e con la rivelazione venne la calma. Respirò profondamente: No, assolutamente no disse. Posò il ricevitore e rimase a fissare il telefono per lunghi istanti. Lentamente, si tolse tutti gli indumenti e li adagiò in ordine su una sedia. Poi si infilò nel letto ad attendere il marito. Tony Cox era felice. Accese la radio mentre al volante della Rolls tornava lentamente a casa attraverso le vie di East London.
Pensava che tutto era andato bene, dimenticandosi di ciò che era successo a Willie il Sordo. Tamburellava con le dita sul volante al ritmo di una vivace canzone pop. L'aria era più fresca. Il sole era basso, e nel cielo azzu,rro c'erano alcune striature di nubi bianche. Il traffico stava diventando più caotico con l'avvicinarsi dell'ora di punta; ma quella sera Tony era l'incarnazione della pazienza. Era andata bene, alla fine. I ragazzi avevano avuto la loro parte, e Tony aveva spiegato che il resto del denaro era stato nascosto in una banca, e aveva chiarito il perché. Aveva promesso a tutti un altro pagamento entro un paio di mesi, e loro erano stati ben contenti. Laski aveva accettato il denaro rubato molto più facilmente di quanto avesse previsto Tony. Forse quel furbacchione pensava di poterne arraffare una parte: e ci provasse! In seguito avrebbero dovuto inventare un piano per mimetizzare la vera natura dei prelievi che Tony avrebbe effettuato. Non sarebbe stato difficile. Quella sera, niente poteva essere difficile. Tony si chiese come avrebbe passato il tempo. Forse sarebbe andato in un locale gay e avrebbe rimorchiato un amichetto per la notte. Si sarebbe vestito bene, avrebbe messo qualche gioiello di lusso e si sarebbe cacciato in tasca un rotolo di biglietti da dieci sterline. Avrebbe agganciato un ragazzo di qualche anno più giovane e lo avrebbe colmato di premure: una cena meravigliosa, uno spettacolo, champagne... poi l'avrebbe portato nel suo appartamento presso il Barbican. L'avrebbe strapazzato un pochino, tanto per renderlo più disponibile, e poi... Sarebbe stata una notte magnifica. L'indomani mattina il ragazzo se ne sarebbe andato con le tasche piene di quattrini, con qualche livido, ma felice. A Tony piaceva molto rendere felice la gente. D'impulso si fermò davanti a un negozio d'angolo ed entrò. Era un'edicola con arredamento moderno e scaffali per riviste e libri. Tony chiese la scatola più grossa di cioccolatini che avevano. La ragaza al banco era grassa, con la faccia chiazzata e l'aria impertinente. Si alzò in punta di piedi per prendere i cioccolatini, e la tuta sintetica le risall fin quasi al didietro. Tony distolse gli occhi. Chi è la fortunata? chiese la ragazza. Mia madre. Lo racconti a un'altra. Tony pagò e uscì in fretta. Non c'era niente di più disgustoso d'una donna disgustosa. Mentre ripartiva con la macchina pensò: davvero, con un milione di sterline dovrei fare qualcosa di più che far baldoria per una notte.
Ma non desiderava niente altro. Poteva comprarsi una casa in Spagna, ma là faceva troppo caldo. Aveva macchine a sufficienza; le crociere intorno al mondo lo annoiavano; non desiderava una villa in campagna, e non faceva collezioni di nessun genere. Gli veniva da ridere considerando la situazione da quel punto di vista. In un giorno era diventato milionario, e l'unica cosa che gli era venuta in mente di comprare era una scatola di cioccolatini da un chilo e mezzo. Ma il denaro dava sicureza. Se avesse dovuto passare un periodo difficile, e addirittura se, Dio non volesse, fosse finito al fresco, avrebbe potuto provvedere ai ragazzi più o meno a tempo indeterminato. Gestire l'organizzazione poteva essere costoso, a volte. Una ventina di uomini, e ognuno si aspettava qualche soldo ogni venerdì, anche se non avevano fatto nessun colpo. Sospirò. Adesso le sue responsabilità sarebbero state meno pesanti. Ne era valsa la pena. Si fermò davanti alla casa della madre. L'orologio del cruscotto segnava le quattro e trentacinque. Fra poco, sua madre avrebbe preparato il tè, magari con qualche toast al formaggio o un piatto di fagioli stufati, quindi una torta alla frutta o una Battenberg, e per finire, pere sciroppate con latte Ideal. O màgari gli avrebbe preparato il suo piatto preferito... focaccine e prosciutto. Avrebbe mangiato di nuovo più tardi. Aveva semPre avuto un ottimo PPetito. Entrò in casa e si chiuse la porta alle spalle. L'ingresso era in disordine. L'aspirapolvere era abbandonato a metà della scala, un impermeabile era caduto dall'attaccapanni sul pavimento, e c'era una grossa macchia vicino alla porta della cucina. Sembrava che sua madre si fosse dovuta allontanare all'improvviso: e Tony si augurò che non ci fosse qualche brutta notizia. Raccolse l'impermeabile e lo appese a un gancio. Anche la cagna era fuori. Non gli era corsa incontro abbaiando festosa Andò in cucina e si fermò con un piede nel corridoio. Era orribile. In un primo momento non riuscì a capire che cosa fosse. Poi sentì l'odore del sangue. Era dappertutto: sulle pareti, sul pavimento e sul soffitto, sul frigo e syi fornelli e sullo scolapiatti. Un lezzo da mattatoio gli saturò le narici. Si sentì sopraffare dalla nausea.
Ma da dove veniva? Qual era la causa? Si guardò intorno freneticamente in cerca di qualcosa, ma non c'era nulla. Soltanto ii sangue. Attraversò la cucina in due passi e spalancò la porta che dava sul retro. Allora comprese. La sua cagna giaceva sul dorso in mezo al cortiletto di cemento. Aveva il coltello ancora piantato nel corpo... lo stesso coltello che aveva affilato troppo la mattina. Tony si inginocchiò accanto alla carcassa straziata. Sembrava rattrappita come un palloncino perforato. Dalle labbra di Tony uscì una successione di bestemmie. Guardò le ferite e i brandelli di stoffa tra i denti snudati della cagna e mormorò: Ti sei battuta bene, vecchia mia. Andò al cancelletto del giardino e guardò fuori, come se l'assassino potesse essere ancora lì. Vide soltanto un grosso grumo roseo di bubblegum masticato, sputato a terra da un bambino. Evidentemente sua madre era fuori quando era successo, per fortuna. Tony decise di pulire prima che ritornasse. Andò a prendere un badile dal capanno. Fra il cortile e il cancelletto c'era un tratto di terra sterile che il padre di Tony aveva coltivato di tanto in tanto, senza troppo impegno. Adesso era invaso dalle erbacce. Tony si tolse la giacca, tracciò sul suolo un piccolo riquadro e cominciò a scavare. Non ci volle molto tempo per finire la fossa. Era forte, ed era furioso. Piantava rabbiosamente il badile nel terreno e pensava a quello che avrebbe fatto al colpevole, se l'avesse trovato. E l'avrebbe trovato. Quel bastardo l'aveva fatto per dispetto, e quando qualcuno faceva cose del genere doveva vantarsene, prima o poi, altrimenti non ne avrebbe ricavato nessuna soddisfazione. Conosceva il tipo. Qualcuno avrebbe sentito qualcosa, e l'avrebbe riferito a uno dei ragazzi nella speranza di una ricompensa. Per un momento si chiese se poteva esserci di mezzo la pula. Era improbabile: non era il suo stile. Chi, allora? Aveva molti nemici, ma nessuno aveva tanto odio e tanto coraggio da compiere una bravata del genere. Quando Tony conosceva un tipo come quello, di solito lo prendeva al suo servizio. Avvolse il cane morto nella giacca e lo depose delicatamente nella fossa. Poi spalò la terra e spianò la supeffilcie con il badile. Non si dicevano le preghiere per i cani, vero? No. Tony ritornò in cucina. Era spaventoso.
Non ce l'avrebbe fatta a ripulire tutto da solo. Sua madre sarebbe tornata da un momento all'altro... era già un miracolo che fosse rimasta fuori così a lungo. Aveva bisogno di aiuto. Decise di telefonare alla cognata. Attraversò la cucina, cercando di non spargere in giro il sangue. Era davvero tanto, quel sangue, anche per un boxer. Andò in salotto per fare la telefonata. E lei era lì. Doveva aver tentato di raggiungere il telefono. Una sottile scia di sangue andava dalla porta al corpo che giaceva disteso sul tappeto. Era stata colpita una volta sola, ma la ferita era stata fatale. L'espressione d'orrore sul volto di Tony cambiò lentamente. I lineamenti si contorsero come un cuscino strizzato, in un'espressione disperata. Alzò lentamente le braccia e si premette le palme contro le guance. Aprì la bocca. Finalmente le parole gli uscirono dalla bocca, in un muggito taurino. Mamma! gridò. Oh, Dio, mamma! Cadde in ginocchio accanto al corpo e pianse: i singhiozzi lo squassavano, come il pianto di un bambino infinitamente infelice e solo. Fuori, per la strada, una folla si raccolse intorno alla finestra del salotto. Ma nessuno osò entrare. Il City Tennis Club non aveva nulla a che fare con le partite di tennis, ed era invece consacrato alle bevute pomeridiane. Kevin Hart pensava spesso a quella denominazione non plausibile. In un vicolo nei pressi di Fleet Street, incuneato tra una chiesa e un palazzo di uffici, non offriva lo spazio sufficiente neppure per giocare a ping-pong. Se non cercavano altro che una scusa per servire alcolici quando i può erano chiusi, pensava Kevin, avrebbero potuto trovare qualcosa di più credibile come la filatelia o il ferromodellismo. La cosa più vicina al tennis, era un gioco elettronico che mostrava un minuscolo campo da tennis su una specie di teleschermo. Per far muovere il giocatore bisognava girare una manopola. Comunque il club aveva tre bar e un ristorante ed era il posto adatto per incontrare quelli del "Daily Mail" o del "Mirror", che un giorno avrebbero potuto offrirgli un lavoro. Kevin arrivò poco prima delle cinque. Prese mezzo litro di birra alla spina, sedette a un tavolo e cominciò a parlare del più e del meno con un cronista dell"'Evening News" che conosceva vagamente. Ma non metteva molto impegno nella conversazione: dentro stava ancora bollendo. Dopo un po' il cronista se ne andò, e Kevin vide Arthur Cole che entrava e si avviava verso il bar. Con grande sorpresa di Kevin, il vice capo redattore portò il bicchiere al suo tavolo e sedette. Che giornata disse come saluto.
Kevin annuì. Non aesiderava la compagnia di Cole; voleva star solo e cercare di capire che cosa provava. Arthur tracannò metà della birra in un sol sorso e posò il bicchiere con un sospiro di soddisfazione. Non ho avuto il tempo di bere all'ora di pranzo spiegò. Tanto per mostrarsi educato, Kevin disse: Hai tenuto il forte tutto da solo. Sì. Cole tirò fuori un pacchetto di sigarette e un accendino e li mise sul tavolo. Non ho fumato durante quasi tutto il giorno, e mi domando per quanto potrò continuare. Kevin diede un'occhiata furtiva all'orologio e si chiese se non avrebbe fatto bene ad andare da El Vino's. Arthur disse: Molto probabilmente pensi di aver sbagliato a scegliere il nostro mestiere. Kevin trasalì. Non aveva attribuito tanta perspicacia a Cole. E vero. Forse hai ragione. E molto incoraggiante. Cole sospirò. Questo è il tuo guaio. Fai sempre questi commenti spiritosi. Se per fare strada devo leccare gli stivali a qualcuno, allora ho veramente sbagliato mestiere. Arthur tese la mano per prendere le sigarette, poi cambiò idea. Oggi hai imparato qualcosa, no? Incominci a capire che cosa significa, e probabilmente hai acquisito un po' di umiltà. Quel tono paternalistico irritò Kevin. Mi sorprende che, dopo quanto è successo oggi, non ci sia nessuno che sia assillato dal senso del fallimento. Cole rise amaramente, e Kevin si rese conto di aver colpito nel segno. Il senso di fallimento di Arthur doveva essere più o meno permanente Cole disse: Quelli come te appartengono a una razza nuova, e immagino che abbiamo bisogno di voi. Il vecchio sistema... far cominciare tutti dall'ultimo gradino in modo che si facessero strada lentamente... serviva a produrre giornalisti, più che dirigenti. E c'è scarsità di cervelli nella gestione del giornale. Spero che tu resisterai. Vuoi un altro mezzo litro?. Grazie. Arthur andò al bar. Kevin era piuttosto perplesso. Da Cole non aveva mai ricevuto altro che critiche: ma adesso gli chiedeva di restare nel giornalismo e di diventare un manager. Non rientrava nei suoi progetti, ma solo perché non ci aveva mai pensato. Non era ciò che desiderava: a lui piaceva scoprire i fatti, scrivere, lavorare per la verità. Non era sicuro. Avrebbe dovuto pensarci. Quando Arthur ritornò con i bicchieri pieni, Kevin chiese: Se è questo che succede quando mi imbatto in una grossa notizia, come farò a concludere qualcosa?. Arthur proruppe in un'altra risata amara. Credi di essere il solo? Ti rendi conto che io oggi ero il redattore capo? Per te, almeno, ci sarà un'altra grossa notizia. Prese il pacchetto delle sigarette e questa volta ne accese una. Kevin lo guardò aspirare il fumo. Sì, pensò, per me ci sarà un'altra occasione.
Per Arthur, no. fINE..