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Ernesto Balducci
Storia del pensiero umano Volume terzo
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Ernesto Balducci
Storia del pensiero umano Volume terzo
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Edizioni Cremonese
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Capitolo 1
Pag.
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IL ROMANTICISMO TEDESCO, p. 2 - 1.1 La Germania dell'eta romantica, p. 2 -1.2 La nostalgia dell'archetipo, p. 4 - 1.3 Estetica e religione, p. 7 - 1.4 Le premesse dell'idealismo, p. 9 FICHTE, p. 12 - 1.5 L'idealismo, una rivoluzione, p. 12 - 1.6 L'infinita dell'Io, p. 14 - 1.7 Idealismo etico, p. 15 - 1.8 11 problema di Dio e Ia 'svolta' di Fichte, p. 17 - 1.9 Lo Statn, p. 18 - 1.1 0 La nazi one nella storia dell'umanita, p. 19 SCHELLING, p. 20 - 1.11 L'itinerario filosofico, p. 20 - 1.12 La filosofia dell'identita, p. 22 - 1.13 La filosofia della natura, p. 24 - 1.14 La filosofia dello Spirito, p. 26 - 1.15 L'arte, organo della filosofia, p. 27 1.16 La 'svolta' mistica, p. 28- 1.17 La filosofia positiva, p. 30
Capitolo 2 HEGEL: LA PREPARAZIONE, p. 32 - 2.1 ltinerario formativo, p. 32 - 2.2 La Fenomenologia dello Spirito, p. 36 HEGEL: LO SPIRITO SOGGETTIVO, p. 40 - 2.3 La logica, p. 40 - 2.4 Filosofia della natura, p. 44- 2.5 Filosofia dello Spirito soggettivo, p. 46 HEGEL: LO SPIRITO OGGETTIVO, p. 47 - 2.6 Filosofia dello Spirito oggettivo, p. 47- 2.7 Lo Spirito oggettivo: lo Stato, p. 49 HEGEL: LO SPIRITO ASSOLUTO, p. 51 - 2.8 La filosofia dello Spirito assoluto, p. 51 - 2.9 Lo Spirito assoluto: l'arte, p. 51 - 2.10 Lo Spirito assoluto: la religione, p. 53 - 2.11 Lo Spirito assoluto: la filosofia, p. 53 HEGEL: LA VERITA' COME STORIA, p. 54 - 2.12 Filosofia della storia, p. 54 - 2.13 L' eurocentrismo, p. 55
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L'INGHILTERRA TRA CONSERVAZIONE E RIVOLUZIONE, p. 60- 3.1 La rivoluzione sociale, p. 60 - 3.2) Critica della rivoluzione politica, Burke, p. 61 - 3.3 L'utilitarismo mof;ale. Bentham. Mill, p. 63 - 3.4 Utilitarismo economico. Malthus. Ricardo, p. 66 - 3.5 L'utopia sociale. Owen, p. 70 - 3.6 La reazione romantica. Coleridge. Carlyle, p. 72 LA FRANCIA TRA RIVOLUZIONE E CONSERVAZIONE, p. 74- 3.7 Gli ideologi, p. 74 - 3.8 Tra storia e interiorita: Maine de Biran, p. 77 - 3.9 I tradizionalisti, p. 78 - 3.1 0 11 populism a apo~:::alittico di Lamennais, p. 81 3.11 Gli utopisti: il socialismo di Saint-Simon, p. 82 - 3:12 Gli utopisti: il 'mondo amoroso' di Fourier, p. 84 - 3.13 Gli utopisti: la societa autogestita di Proudhon, p. 86 -3.14 I filosofi del 'giusto mezzo', p. 89
Capitola 4 SCHOPENHAUER, p. 94 - 4.1 Un disertore dell'occidente, p. 94 - 4.2 Derivazione da Kant, p. 95 - 4.3 11 mondo come Volonta, p. 97 - 4.4 Le idee e i concetti, p. 98 - 4.5 La soteriologia, p. 99 - 4.6 Le vie della salvezza: l'arte, p. 100- 4.7 Levie della salvezza: l'ascesi, p. 101 K!ERKEGAARD, p. 103 - 4.8 La metafisica della soggettivita, p. 103 - 4.9 La dialettica qualitativa, p. 107 - 4.10 I tre stadi dell'esistenza, p. 109 4.11 11 paradosso cristiano, p. 111 - 4.12 La malattia 'inortale, p. 112 4.13 11 cavaliere della fede, p. 114 NIETZSCHE, p. 115 - 4.14 Dioniso e Apollo, p. 115 - 4.15 La malattia storica, p. 120 - 4.16 11 rovesciamento dei valori, p. 122 - 4.17 La morte di Dio, p. 125 - 4.18 11 nichilismo, p. 126 - 4.19 La volonta di potenza. Superuomo o oltreuomo? p. 127 - 4.20 L'eterno ritorno, p. 129
Capitola 5 MARX: IL ROVESCIAMENTO DI HEGEL, p. 134 - 5.1 La sinistra hegeliana, p. 134 - 5.2 Dalla riconciliazione alla rivolta, p. 137 - 5.3 L'umanesimo di Feuerbach, p. 139- 5.4 Hegel alla resa dei conti, p. 141 MARX: IL COMUNISMO COME UMANISMO, p. 144 - 5.5 La questione dei 'Manoscritti', p. 144 - 5.6 Critica dell'economia borghese, p. 145 - 5.7 L'aliemtzione religiosa. L'ateismo, p. 147 - 5.8 La dialettica in Hegel e in Marx, p. 149 - 5.9 L'umanismo marxiano, p. 150 - 5.10 11 comunismo, p. 151 MARX: IL MATERIALISMO STORICO, p. 153 - 5.11 11 1845: epilogo e prologo, p. 153 - 5.12 Marx fa parte per se stesso, p. 154 - 5.13 Le 'Tesi su Feuerbach': la filosofia della prassi, p. 156 - 5.14 La base storica delle idee: l'ideologia, p. 157 - 5.15 La sintesi del'Manifesto', p. 159
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VII
MARX: L'ECONOMIA POLITICA, p. 162 - 5.16 La fase scientifica, p. 162 5.17 La teoria del valore, p. 164- 5.18 Aile radici della alienazione: il plusvalore e il fet:kismo, p. 166 - 5.19 Tra scienza ed escatologia, p. 168 ENGELS, p. 170 - 5.20 Marx-Engels, p. 170 - 5.21 II materialismo dialettico, p. 173 Capitola 6
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IN ITALIA: L'EREDITA' DELL'ILLUMINISMO, p; 176 - 6.1 L'Italia e !'Europa, p': 176 - 6.2 Romagnosi: i fattori dell"incivilimento', p. 177 - 6.3 Leopardi: l'eroismo etico, p. 178 - 6.4 Cuoco: il ritorno di Vico, p. 180 6.5 Galuppi: il confronto con Kant, p. 181 IN ITALIA: LA RESTAURAZIONE METAFISICA, p. 183 - 6.6 Rosmini: l'idea dell' essere e Ia nuQva sintesi a priori, p. 183 - 6.7 Rosmini: la metafisica e la morale, p. 186 - 6.8 Rosmini: la societa civile, p. 187 - 6.9 Gioberti: 1' ontologia, p. 188 - 6.10 La formula ideale, p. 191 - 6.11 L'ontologia ,in funzione ideologica: il Primato, p. 191 - 6.12 Gioberti: Ia fase hegeliana, p. 192 IN IT ALIA: IL PENSIERO LAICO, p. 194 - 6.13 Mazzini: dai diritti ai doveri, p. 194 - 6.14 Cattaneo 'le inenti associate', p. 198 - 6.15 L'idealismo partenopeo, p. 200 Capitola 7 COMTE, p. 204 - 7.1 L'utopia della societa organica, p. 204 - 7.2 La Iegge dei 'tre stadi', p. 206 - 7.3 L'Enciclopedia delle scienze, p. 206 7.4 La fisica sociale e Ia 'politica positiva', p. 207 - 7.5 II misticismo umanitario, p. 208 STUART MILL, p. 209 - 7.6 La logica, p. 209 - 7.7 La coscienza come funzione, p. 212 - 7.8 L'utilitarismo qualitativo, p. 213 - 7.9 II liberalismo, p. 214 DARWIN, p. 215 - 7.10 La rivoluzione copernicana della biologia, p. 215 - 7.11 La selezione naturale, p. 218 - 7.12 L'origine dell'uomo, p. 220- 7.13 II darwinismo sociale, p. 221 SPENCER, p. 222 - 7.14 L'evoluzionismo come metafisica, p. 222 - 7.15 L'antropologia evoluzionistica, p. 224- 7.16 L'evoluzione superorganica,p.225 ARDIGO', p. 226 - 7.17 L'evoluzionismo psicologico, p. 226 - 7.18 L'indistinto, p. 228- 7.19 La morale sociale, p. 229 Capitola 8 IL MARXISMO TRA REVISIONISMO E ORTODOSSIA, p. 232 - 8.1 La seconda Internazionale (1889-1914), p. 232 - 8.2 Il revisionismo di Bernstein, p.
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233 - 8.3 L"ortodossia' di Kautsky, p. 235 - 8.4 Il marxismo in Italia: Antonio Labriola, p. 237 - 8.5 Il marxismo in Russia: Plechanov, p. 239 IL MARXISMO RIVOLUZIONARIO, p. 241 - 8.6 Rosa Luxemburg, p. 241 8.7 Lenin, p. 243 - 8.8 Antonio Gramsci, p. 248 - 8.9 Stalin e lo stalinismo, p. 251 IL 'MARXISMO OCCIDENTALE', p. 253 - 8.10 La terza Intemazionale, p. 253 - 8.11 Korsch: il recupero di Hegel, p. 254 - 8.12 Lukacs: storia e coscienza di classe, p. 257 - 8.13 Lukacs: il realismo critico, p. 260 8.14 Bloch: il 'principio speranza', p. 262 ' Capitolo 9
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LO SPIRITUALISMO FRANCESE, p. 267 - 9.1 Il positivismo spiritualista, p. 267 - 9.2 Boutroux: il contingentismo, p. 269 - 9.3 Blonde!: la metafisica dell'azione, p. 271 BERGSON, p. 275 - 9.4 Tempo e durata, p. 275 - 9.5 L'Io: determinismo e liberal, p. 277 - 9.6 Materia e memoria, p. 277 - 9.7 L'evoluzione creatrice, p. 279 - 9.8 Istinto, intelligenza, intuizione, p. 282 - 9.9 Morale e religione, p. 283 IL PERSONALISMO CRISTIANO IN FRANCIA, p. 285 - 9.10 Il clima bergsoniano, p. 285 - 9.11 Maritain: l'umanesimo integrale, p. 288 - 9.12 Mounier: la rivoluzione personalista e comunitaria, p. 291 - 9,13 Marcel: il mistero ontologico, p. 294 - 9.14 Teilhard de Chardin: dall'universo alia persona, p. 297 SARTRE, p. 301 - 9.15 L'esistenzialismo, filosofia dell'impegno, p. 301 - · 9.16 La struttura della coscienza, p. 303 - 9.17 La triplice dinamica della coscienza, p. 305 - 9.18 La ragione dialettica, p. 306 Capitolo 10 IN GERMANIA: LA FILOSOFIA DELLA VITA, p. 310 - 10.1 Il quadro storicoculturale, p. 310 - 10.2 Dilthey: la critica della ragione storica, p. 312 - 10,3 I filosofi della vita, p. 315 - 10.4 Weber: il disincantamento del mondo, p. 318 IN GERMANIA: LA FILOSOFIA DELL'ESSENZA, p. 322 - 10.5 La fenomenologia, p. 322 - 10.6 Husser!: dalla matematica alla logica, p. 324 - 10.7 Husser!: il metodo fenomenologico, p. 326 - 10.8 Husser!: la riduzione eidetica, p. 328 - 10.9 Husser!: intenzionalita e costituzione del reale, p. 329- 10.10 Husser!: la crisi dell'occidente, p. 331 IN GERMANI A: LA FILOSOFIA DELL'ESISTENZA, p. 332 - 10.11 Heidegger: dalle essenze all'esistenza, p. 332 - 10.12 Heidegger: l'esistenza tra inautenticita e autenticita, p. 335- HU3 Il secondo Heidegger: storia e tramonto della metafisica, p. 337 - 10.14 Jaspers: lo scacco della scienza, p. 340- 10.15 Jaspers: lo scacco della filosofia, p. 342 - 10.16 Jaspers: il 'naufragio' nel trascendente, p. 344
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Capitola 11
IX
Pag. 346
L'IDEALISMO ANGLOAMERICANO, p. 347 - 11.1 L'idealismo inglese: Bradley, p. 34 7 - 11.2 L'idealismo americana: Royce, p. 350 IL PRAMMATISMO AMERICANO, p. 352 - 11.3 Una nuova filosofia per una nazione nuova, p. 352 - 11.4 Peirce: il prammatismo logico, p. 355 11.5 James: il prammatismo volontaristico, p. 357 - 11.6 James: l'esperienza religiosa, p. 360 IL NATURALISMO UMANISTICO DI DEWEY, p. 363 - 11.7 II nuovo illuminismo, p. 363 - 11.8 Equivalenza tra esperienza e storia, p. 365 - 11.9 Lo strumentalismo logico, p. 367 - 11.10 La totalita dell'esperienza umana, p. 369- 11.11 Democrazia ed educazione, p. 372 Capitola 12
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CROCE: ITINERARIO, p. 377 - 12.1 Croce e la cultura italiana, p. 377 12.2 Dalla filologia alia filosofia, p. 379 - 12.3 La dialettica dei distinti, p. 381 CROCE: IL SISTEMA, p. 382 - 12.4 L'estetica, p. 382 - 12.5 La logica, p. 385 - 12.6 L'attivita pratica, p. 386 - 12.7 La storia come pensiero e come azione, p. 388 GENTILE: L'IDEALISMO SENZA IDEE, p. 390 - 12.8 Gentile e la cultura italiana, p. 390- 12.9 La riforma di Hegel, p. 392 GENTILE: L'ATTUALISMO, p. 394 - 12.10 La teoria dell'atto puro, p. 39412.11 Logica dell'astratto e logica del concreto, p. 395 - 12.12 Identita tra storia e filosofia, p. 397- 12.13 La pedagogia, p. 398 GENTILE: LE FORME ASSOLUTE, p. 400 - 12.14 La dialettica dell'atto, p. 400- 12.15 Lo Stato etico, p. 402 Capitola 13 LOGICA E MATEMATICA, p. 405 - 13.1 I fondamenti della matematica, p. 405 - 13.2 Russel e la crisi dei fondamenti, p. 409 - 13.3 L'algebra della logica, p. 412 - 13.4 Le geometrie non-euclidee, p. 413 - 13.5 II formalismo di Hilbert e l'intuizionismo di Brouwer, p. 415 LA CRISI DELLA SCIENZA CLASSICA, p. 417 - 13.6 Poincare: il convenzio'!. nalismo, p. 417- 13.7 Avenarius e Mach: l'empiriocriticismo, p. 419 LA NUOVA FISICA, p. 422 - 13.8 La fine dell'universo newtoniano, p. 422 - 13.9 Einstein: la 'relativita ristretta', p. 423 - 13.10 Einstein: la 'relativita generale', p. 426 - 13.11 Valore filosofico della relativita, p. 428- 13.12 La meccanica quantistica e i suoi sviluppi, p. 429 IL POSITIVISMO LOGICO, p. 432 - 13.13 II 'Circolo di Vienna', p. 432 13.14 L'analisi del linguaggio, p. 433 - 13.15 II 'fisicalismo' di Carnap e di Neurath, p. 435 - 13.16 La fase americana, p. 436 - 13.17 Wittgenstein: il 'Tractatus', p. 437 - 13.18 Wittgenstein: i 'giochi linguisti-
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ci', p. 440 - 13.19 Popper: la scienza come 'congettura', p. 442 -13.20 La storicita della scienza, p. 445 Capitola 14
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FREUD: LA PSICANALISI, p. 450 - 14.1 La rivoluzione psicologica, p. 450 - 14.2 Freud prefreudiano, p. 452 - 14.3 La scoperta dell'inconscio, p. 454 - 14.4 La teoria della 'libido', p. 456 - 14.5 La metapsicologia e la 'nuova topica', p. 457 - 14.6 Gli enigmi del mondo, p. 459 - 14.7 Lacan: l'inconscio come linguaggio, p. 462 ADLER: LA PSICOLOGIA INDIVIDUALE, p. 464 - 14.8 L'individuo indivisibile, p. 464 - 14.9 La teoria della 'inferiorita d'organo', p. 466 - 14.10 Il ruolo dell'aggressivita, p. 467 - 14.11 La protesta virile, p. 469- 14.12 Il sentimento comunitario, p. 470 · JUNG: LA PSICOLOGIA ANALITICA, p. 471- 14.13 Comprensione come coinvolgimento, p. 471 - 14.14 La personalita, p. 474 - 14.15 La teoria dei complessi, p. 475 - 14.16 La teoria degli archetipi, p. 477 - 14.17 Anthropos, p. 480- 14.18 Hillman: la psicologia archetipica, p. 481 Capitola 15 SCUOLA DI FRANCOFORTE, p. 485 - 15.1 Storia di un lstituto, p. 485 15.2 Marcuse: l'uomo a una dimensione, p. 488 - 15.3 Habermas: il feudalesimo tecnologico, p. 491 LA PLURALITA' DEI MARXISM!, p. 493 - 15.4 La fine dell'ortodossia, p. 493 - 15.5 Garaudy: dalla scomunica al dialogo, p. 494 - 15.6 Schaff: il personalismo marxista, p. 497 - 15.7 Althusser: il marxismo strutturalista, p. 499 -15.8 Il dibattito marxista in Italia, p. 501 CRISI DEL MARXISMO NELLA NUOVA CONDIZIONE STORICA, p. 503 - 15.9 Il marxismo in un contesto extraeuropeo: Mao-Tse-tung, p. 503 - 15.10 Crisi o dissoluzione del marxismo? p. 506 - 15.11 Il post-marxismo di Kolakowski, p. 507 - 15, 12 Heller: una nuova 'teoria dei bisogni' p. 508- 15.13 Sweezy: il Terzo mondo, nuovo soggetto rivoluzionario, p. 511 Capitola 16 LA LINGUISTICA, p. 514 - 16.1 Scienze umane e semiologia, p. 514 16.2 La linguistica struttu.rale di de Saussure, p. 516 - 16.3 La grammatica generativa di Chomsky, p. 517 L'ANTF,OPOLOGIA CULTURALE, p. 518- 16.4 L'antropologia come scienza umana, p. 518 - 16.5 L'antropologia evoluzionistica, p. 520- 16.6 Il relativismo antropologico, p. 522 - 16.7 L'antropologia sociale, p. 525 16.8 L'antropologia funzionale. Malinowski, p. 530 L' ANTROPOLOGIA STRUTTURALE, p. 534 - 16.9 Tra funzionalismo e strutturalismo. Radcliffe-Brown, p. 534 - 16.10 Levi-Strauss: il metoda
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strutturale, p. 535 - 16.11 Levi-Strauss: i sistemi di parentela, p. 53 8 16.12 .Levi-Strauss: la struttura dei miti, p. 539- 16.13 Foucault: la fine dell'umanesimo, p. 540 IL DETERMINISMO ANTROPOLOGICO, p. 544 - 16.14 L' etologia. Lorenz, p. 544 - 16.15 La sociobiologia. Wilson, p. 546 Capitolo 17
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LA TEOLOGIA PROTESTANTE, p. 550 - 17.1 Teologia e pensiero filosofico, p. 550- 17.2 Harnack: la teologia liberale, p. 553- 17.3 Barth: la teologia dialettica, p. 554 - 17.4 Tillich: la teologia della correlazione, p. 557 - 17.5 Bultmann: la demitizzazione, p. 559 - 17.6 Gogarten: l'avvento della civilta secolare, p. 562 - 17.7 Bonhoefer: il cristianesimo post-religioso, p. 563 LA TEOLOGIA CATTOLICA, p. 566 - 17.8 La restaurazione tomista, p. 566 - 17.9 La crisi modernista, p. 567 - 17.10 Il rinnovamento nella Germania tra le due guerre, p. 569 - 17.11 Il rinnovamento in Francia. Le teologie della realta terrena, p. 570 - 17.12 Rahner: la svolta antropologica, p. 572 - 17.13 Il Concilio Vaticano II: un nuovo inizio, p. 573 ' LE TEOLOGIE ERMENEUTICHE, p. 574- 17.14 Il ritorno alle fonti, p. 57417.15 Ermeneutica e storia, p. 576 - 17.16 Teologia e analisi del linguaggio, p. 577- 17.17 Ricoeur: ermeneutica e simbolo, p. 578 LE TEOLOGIE DELLA PRASSI, p. 579 - 17.18 La teologia della secolarizzazione, p. 579 - 17.19 La teologia politica, p. 581 - 17.20 Le teologie .della liberazione, p. 583 - 17.21 La teologia della liberazione latinoamericana, p. 584 Capitolo 18 L'ISLAM CONTEMPORANEO, p. 589 - 18.1 L'eta coloniale, p. 589 - 18.2 Il pensiero iraniano, p. 592 - 18.3 Il modernismo islamico, p. 594 - 18.4 L'integrismo islamico, p. 596 - 18.5 Le ideologie di tipo occidentale, p. 598 - 18.6 Le vie autonome del pensier;o critico, p. 600 L'INDIA CONTEMPORANEA, p. 602 - 18.7 La duplice memoria, p. 602 18.8 Il ritorno ai Veda, p. 604 - 18.9 L'armonia tra i due mondi, p. 607 - 18.10 Il tradizionalismo rivoluzionario, p. 610 - 18.11 Il pensiero indiano 'occidentale', p. 613 LACINA CONtEMPORANEA, p. 614- 18.12 Contatti tra Cina e occidente, p. 614 - 18.13 I riformisti confuciani, p. 616 - 18.14 L'assimilazione della filosofia occidentale, p. 617- 18.15 L'introduzione del marxismo dialettico, p. 619- 18.16 Da Confucio a Mao, p. 620
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LEGENDA 0 I rimandi intemi al testa sono indicati dai numeri fra parentesi (che non siano quelli cronologici), di cui il prima indica il capitola del volume, il secondo il paragrafo. Quando il rimando e ad uno degli altri due volumi, se ne da indicazione con il numero romano premesso ai due numeri arabi. Per esempio, l'indicazione (II.l2.9) vuol dire: volume secondo, capitola dodicesimo, paragrafo nono. 0 L'asterisco apposto ad un termine in neretto indica che ad esso e dedicata una scheda, collegata all'interno della stesso paragrafo, o, quando il caso lo richiede, in uno dei paragrafi immediatamente successivi. 0 Nella trascrizione dei termini delle lingue non occidentali, per non appesantire il testa, abbiamo seguito il criteria della massima semplificazione, adottando una grafia italianizzata nella misura consentita dall'uso non specialistico. Per i termini cinesi, dato che la riforma con cui, nel 1958, la Repubblica Popolare Cinese ha introdotto nell'insegnamento e nella stampa l'uso dell'alfabeto latina (sistema Pinyin: Mao Zedong, invece che Mao tsetung) ha avuto in occidente scarsa diffusione, ci siamo attenuti al sistema di trascrizione detto Wade-Giles, da noi piit no to. E nei casi in cui sia invalsa in occidente una grafia difforme (ad esempio, Lao tse), l'abbiamo preferita a quella piu rigorosa (Lao tzu).
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Sommario. Con la fine del Settecento, in seguito alla rivoluzione kantiana, la Germania divenne il teatro di una grandiosa esplosione del pensiero filosofico, che a molti sembro come la compensazione astratta delle condizioni di arretratezza sociopolitica in cui il paese si trovava (1.1). L'Atene della Germania romantica e Weimar, in cui 'signoreggia' Wolfgang Goethe, il genio che coniuga tra loro il romanticismo letterario e quello filosofico e pone con chiarezza il problema, lasciato aperto da Kant, del principia di identita tra il mondo della necessita (fenomeno) e quello della liberta (noumeno) (1.2), che Schiller cerco di risolvere nell'esperienza della morale estetica e Schleiermacher nel sentimento religioso (1.3). Con diretto riferimento ai temi filosofici posti dalle tre Critiche kantiane, Jacobi, Reinhold, Schulze e Maimon svolsero un dibattito che servi a preparare le vie all'idealismo (1.4). Il rifiuto della cosa in se da parte di Fichte e l'atto di nascita dell'idealismo: Fichte lo avverti come l'equivalente della presa della Bastiglia (1.5). Tutta Ia realta e riducibile all'Io, il quale non ha dinanzi a se l'oggetto, rna lo pone lui stesso, come proprio limite. Per un verso, l'Io e infinito, rna per l'altro, in quanto pensa se stesso, l'Io si delimita all'interno di se in un io empirico e in un non-io, da origine cioe al mondo della molteplicita ( 1.6 ). Se l'Io tende a determinarsi nelle coscienze finite e le coscienze finite tendono all'Infinito, e perche la profonda natura dell'Io non e ne teoretica ne pratica, rna etica. .Opponendo a se stesso un limite, l'Io lo supera davvero soltanto nell'atto morale. Questa posizione del limite av:yiene ad opera di una immaginazione produttiva che, all'interno dell'Io infinito, pone l'intero universo naturale. E tutto avviene, per determinazioni tra !oro dialetticamente connesse, all'interno dell'Io puro e assoluto (1.7). In una seconda fase della sua attivita, Fichte sviluppa Ia dottrina dell'Io in quanto assoluto, nella cui realta non si ha accesso se non per fede: Ia filosofia si tramuta in mistica di tipo teosofico (1.8). AI posto della chiesa Fichte pone una 'comunita dei dotti' in cui dovrebbe trovare il suo sbocco superiore Ia vita associata, regolata dallo Stato. Lo Stato di Fichte tenta di conciliare le istanze etiche con le esigenze di una borghesia allo stato nascente (1.9). Ma il nucleo vivo del suo pensiero politico e nel concetto di 'nazione' quale vero soggetto storico destinato a raggiungere Ia meta finale della liberta. 0 meglio, non il soggetto, rna una pluralita di soggetti, le nazioni, fra le quali quella tedesca, allora in Iotta contro Napoleone, ha un ruolo primario (1.10). Dall'idealismo di Fichte prese le mosse, per poi seguire una sua strada, Friedrich Schelling, artefice dapprima di un sistema centrato non sui soggetto, come quello fichtiano, rna sull'indifferenza tra il soggetto e l' oggetto ( 1.11 ). Il sistema schellinghiano si pone come luogo di risoluzione dei due opposti 'monismi': quello fichtiano, in cui l'intera realta e dedotta dal soggetto, e quello spinoziano, in cui l'intera realta (anche l'io) e dedotta dall'oggetto: il vero Assoluto e nell'indifferenza tra il Soggetto e l'Oggetto (1.12). Dall'Assoluto cosi inteso, quale primordiale indistipzione tra Soggetto e Oggetto, trae origine innanzi tutto Ia natura, nel cui sviluppo e infatti rintracciabi!e una trama razionale (1.13), che si fara cosciente di se quando l'Assoluto, superando Ia natura, diventera Spirito: Ia naturae Spirito inconscio e lo Spirito e natura cosciente (1.14). La conoscenza dell'Assoluto non potra aversi ne perle vie teoriche ne per quelle pratiche, in quanto in
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ambedue i casi resta insuperata la dualita tra soggetto e oggetto, rna solo in quell'intuizione che conduce l'uomo oltre la biforcazione tra oggettivita e soggettivita, nell'Indistinto originario. Ecco perche l'Arte e il vero organo della filosofia (1.15). In un secondo tempo questo ruolo di organo della conoscenza dell'Assoluto viene attribuito da Schelling alia religione (1.16), e non proprio a quella cristiana, rna all'intero universo religioso, che si identifica con la tradizione spirituale dell'umanita (1.17).
II romanticismo tedesco 1.1 La Germania dell'eta romantica. Se tutti riconoscono agli inglesi il dominio dei mari e ai francesi quello della terra, ai tedeschi si dovra riconoscere «l'impero dell'aria». Questa di Jean Paul Richter (1763-1825) potrebbe non essere sol tanto una. battuta, rna una maniera arguta di porre un problema serio: come si spiega che una delle piu grandiose rivoluzioni del pensiero - quella avvenuta nel quarantennio (tav. 1) che va dalla pubblicazione della Critica della ragion pura di Kant ( 1781) alia pubblicazione della Filosofia del diritto di Hegel (1821)- sia stata compiuta da una nazione sotto tutti gli aspetti molto piu arretrata dell'Inghilterra e della Francia? Il problema se lo posero alcuni protagonisti del 'miracolo' e a lora modo lo risolsero: Friedrich Schiller, ad esempio, sosteneva, nel suo poema sulla Grandezza tedesca (scritto per l'appunto dopa la pace di Luneville, del 1801, disastrosa per la Germania), che la nazione tedesca era stata scelta dallo Spirito per promuovere il perfezionamento della cultura umana, e Wilhelm von Humboldt si dice'\ra convinto che i tedeschi erano stati chiamati a diventare, proprio come i Greci nel mondo antico, lo specchio delle umane possibilita_ Ma forse, invece che appellandosi a misteriose investiture, una risposta piu convincente potrebbe venire da una semplice analisi delle condizioni sociali e politiche della Germania di fine Settecento, quando il terremoto politico della vicina Francia sembro minacciare Ia stabilita del vecchio edificio costruito alia fine della Guerra dei Trent'anni con la pace di Westfalia del 1648. Fu allora, nel 1648, che Ia Germania venne divisa in 350 Stati. Dopa un secolo e mezzo, essi erano rimasti presso a poco tali e quali nel numero, nei confini e nella struttura feudale. L'Aufklarung non ebbe, come invece ebbe l'illuminismo in Francia e in Inghilterra, una vera incidenza nel corpo sociale, resto un fenomeno delle universita_ Ma anche se producevano qua e la qualche libero pensatore, le universita producevano soprattutto una burocrazia seria e numerosa, come richedeva una cosi fitta congerie di Stati. La qualita necessaria ai burocrati era non lo spirito critico, rna un forte sensa etico delloro compito, o meglio - non si dimentichi che la Germania era un paese prevalentemente luterano e cioe 'senza chiesa' - del sacra compito della Stato, strumento di Dio. Questi rappresentanti della razionalita amministrativa erano lontanissimi da ogni idea di rivoluzione, anche nei rari casi in cui avevano salutato con simpatia il trionfo dei giacobini al di la del Reno. Si accesero anche in Germania dei focolai liberali che vagheggiavano Ia razionalizzazione dell'istituto monarchico e in alcuni casi perfino ordinamenti giuridici di tipo democratico, cioe egalitario. Si trattava comunque di focolai dispersi, in dialo-
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go e magari in contrasto l'uno con l'altro, rna, per usare il vocabolario di Jean Paul, a mezz'aria, al di sopra della societa, che restava generalmente ferma alla cultura preborghese. n che spiega, tra l'altro, il grande peso che continuava ad avere in Germania- e lo avra anche ai tempi di Karl Marx- la questione religiosa. La societa tedesca nel Settecento e attraversata da quell'onda di religiosita a carattere sentimentale e intimistico che gli storiografi chiamano pietismo. Le centrali culturali del pietismo erano le universita di Halle e di Tubinga, rna il fenomeno aveva alimentazione spontanea nelle tendenze della societa e sostegni non altrettanto puri rna efficaci nella ragion di stato dei principi. E' in questo complesso intreccio di spinte di diversa natura la spiegazione della polemica anti-illuministica che e il tratto distintivo, se non la rnolla originaria, del movimento romantico. «Liberta, uguaglianza: niente di piu insensato si puo concepire; questo spirito e proprio il piu potente e il piu dannoso che Satana possa mandare sulla terra per corrompere gli uomini» 1 scriveva lungStilling, nel 1793, in un suo saggio antirivoluzionario. Nel pietismo, sotto la veste religiosa, agiva infatti la ripulsa irrazionale degli ideali il cui trionfo era una cosa sola con la rovina della vecchia societa ancora chiusa in se stessa, ostinatamente ignara della nuova eta che l'uomo aveva ragiunto, l"eta della maturita' com'e detto nella definiziow.: kantiana dell'Aufkliirung. Su questa pregiudiziale antimodema si trovava alleato con il pietismo anche il costume delle pratiche e delle dottrine dell' occultismo, che avevano la roccaforte nella Massoneria, specie in quella sua obbedienza che va sotto il nome di Rosacroce. Uno dei bersagli dei Rosacroce, molto attivi in Prussia, era infatti l'illuminismo. Non e un caso che nella stessa primavera del ) 792 il govemo prussiano entro in guerra contro la Francia rivoluzionaria e proibi la pubblicazione della seconda parte dell' opera di Kant, La religione nei confini della ragione. Ma tra le elites illuminate dell'Aufkliirung e la societa, tutta chiusa neUe sue tradizioni, c'e una 'terza Germania', disseminata nelle piccole citta, magari capitali di piccoli Stati. In questi centri, appartati rna vitali, si sviluppa un umanesimo individualistico che, al riparo dai crudi confronti con la realta, costruisce a se stesso un mondo immaginario e lo considera il vero mondo, in cui trovano soluzione le contraddizioni che lacerano il mondo reale. Tra questi piccoli Stati merita particolare menzione il ducato di Weimar. Era uno Stato minuscolo, con meno di 100.000 abitanti. La capitale era un villaggio di 6.000 abitanti, rna era sede della Corte e di una Corte fortunata perche ospito per mezzo secolo Wolfgang Goethe. Poco distante da Weimar (25 chilometri) c'era Jena, che sara l'Atene del romanticismo tedesco. Come a Weimar cosi altrove, nella Corte o nelle universita, il filosofo e i letterati avevano pieno agio di far fruttificare i loro talenti, costruendo nuovi mondi secondo ragione e secondo immaginazione, a condizione che non entrasse in crisi la loro sottomissione al principe. Non si trattava di una sottomissione imposta per arbitrio. Sulla base di un largo consenso, essa sanciva e tutelava l'estraneita della societa ai sillogismi dei filosofi e ai sogni dei poeti. Alia ragione e all'immaginazione non restava, dunque, che sollevarsi nelle sfere dell'astratto, compensandosi cosi delle ristrettezze del concreto con dilatazioni nell'infinito. Come scrive Louis Bergeron, «al potere dello Stato, subito per inclinazione o per rassegnazione, l'elite sfugge preferendo alia riforma
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delle istituzioni il progresso verso la perfezione individuale, sostituto temporale della salvezza personale. E' la scelta esplicita di un Goethe, di uno Schiller, di un Wilhelm von Humboldt che difendono orgogliosamente il primato della vita interiore, il ripiegamento sul campo di battaglia delle idee». 1.2 La nostalgia dell'archetipo. Nell'impossibilita di render canto, in questa sede, sia pure in modo sommario, del romanticismo tedesco nelle sue espressioni letterarie, ci limitiamo a ricordare gli aspetti e i momenti salienti che esso conobbe nel suo centro piu importante, il ducato di Weimar, la cui capitale, dopa che, nel 1775, Wolfgang Goethe (1749-1832) vi si insedio come educatore e poi come 'braccio spirituale' del granduca Karl August, divenne, «grande e piccola come Betlemme in Giudea», meta preferita degli intellettuali tedeschi, e non solo tedeschi. Su invito di Goethe vi giunse Herder nel 1775 e nel 1787 vi fisso la sua dimora Friedrich Schiller, lasciando il suo pasta di professore a Jena, dove era stato suo alunno il poeta Navalis. Fu per opera di Goethe che sulla cattedra di filosofia di Jena si susseguirono Fichte, Schelling e Hegel. A Jena abitavano e si incontravano i fratelli Humboldt e i fratelli Schlegel, Hoelderlin e Tiek. Quando Friedrich Schlegel ruppe i rapporti con Schiller e si stabili a Berlino per fondare, nel 1798, insieme al fratello August Wilhelm, la rivista ufficiale del romanticismo, Athaeneum, pago le conseguenze del suo gesto: dopa due anni la rivista era gia marta. In un frammento autobiografico, scritto quando era gia vecchio, Goethe ricorda con nostalgia !'ultimo decennia del Settecento: «cia che in quello stesso tempo e nel successive mi hanna data i Fichte, gli Schelling, gli Hegel e i fratelli Humboldt e Schlegel andrebbe sviluppato in futuro con sensa di gratitudine». Fu proprio in l}uel decennia che il romanticismo tedesco divenne maturo, superando la semplice polemica contra l'illuminismo e la fase esagitata della Sturm und Drang, il movimento letterario preromantico di cui lo stesso Goethe, con i Dolori del giovane Werther (1774), era stato il maestro riconosciuto. Ci voleva la scossa della rivoluzione francese a favorire, nella cerchia di quegli spiriti di eccezione, con una rapida alternanza di simpatia e di rigetto, la coscienza della propria originalita. Secondo Georgy Lukacs, il momenta risolutivo di questa presa di coscienza e chiuso tra due date: «la prima data decisiva e il 1794, la caduta di Robespierre e la fine dei tentativi di dare alla Rivoluzione francese un compimento democratico-plebeo; la seconda e il 1799, la caduta del governo provvisorio francese, il Direttorio e l'inizio della dittatura militare di Napoleone prima console». Avremo modo di riscontrare i riflessi della parabola della rivoluzione francese nei massimi pensatori del romanticismo. Ma tra le cause che provocarono in profondita questa presa di coscienza, ce n'e una piu direttamente filosofica e del tutto interna alla storia della spirito tedesco: la pubblicazione, nel 1790, della Critica del giudizio di Immanuel Kant (~112.19-22). Nel frammento autobiografico sopra citato, Goethe ricorda l'entusiasmo con cui lesse l' opera del «Vecchio di Koenigsberg», un entusiasmo pari
'l'av. 1 - Quarant'anni del miracolo tedesco. Schema sinottico.
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Avvenlmentl polltlcl
1780 1781 Kant: Critica della ragion pura 1783 Kant: Prolegomeni 1784 Herder: Idee per una filosofia della storia dell'umanitd 1785 Jacobi: Lellere sui/a filosofia di Spinoza 1786-87 Reinhold: Lettere sui/a filosofia di Kan I 1787 Kant: Critica della ragion pratica 1787 Jacobi: Jdealismo e realismo
1781 Schiller: I Masnadieri
1786 Mozart: Nozze di Figaro 1787 Schiller: Don Carlos. M~zart: Don Giovanni
1789 Francia. Inizia Ia rivoluzione
1790 1790 Kant: Critica del giudizio 1792 Schulze: Enesidemo
1791 Mozart: Flauto magico. Morte 1791 Francia: Assemblealegislativa 1792 Francia: guerra contro Ia prima coalizione. Convenzione. Proclamazione della Repubblica. 1793.Schiller: Sulla grazia e dignitd 1793 Francia: Robespierre. ll Terrore
1793 Kant: La religione entro i confini della semplice ragione Hegel: Religione di popolo e cristianesimo. 1794 Flchte: Dottrina della scienza 1795 Schiller: Le/lere sulla 1795 Kant: Per Ia pace perpetua Hegel: Vita di Gesil. Schelling: De/l'io educazione come principia della filosofia. 1796 Fichte: Fondamento del dirillo naturale. Schelling: Lettere filosofiche 1797 Kant: Metafisica dei costumi 1797 Holderlin: lperione Schelling: Idee per una filosofia della natura. Hegel: Lo spirito del .cristianesimo. Frammemo sull'amore. 1798 Fichte: Sistema della dottrina 1798 La rivista Athaeneum. Novalis: Fede e a more morale 1800 1800 Fichte: Lo stato commercia/e. 1800 Novalis: Inni alia nolle Schelling: Sistema dell'idealismo trascendentale. Hegel: Frammento di sistema. 1801 Schiller: !l!aria Stuarda 1801 Schellin&:Esposizione del mio sistema filosotico. Hegel: Differenza fra i sistemi di Fichte e Shelling. Logica jenese. 1802 Hegel: Fede e sapere. Schelling: Bruno. 1803 Schelling: Lezioni sui/a filosofia dell'arte. · 1804 Schelling: Filosofia e religione. 1804 Beethoven: Terza Sinfonia Muore Kant. Schleiermacher traduce Platone. 1806 Beethoven: II Fidelia 1806 Fichte: Introduzione alia vita beata 1807 Fichte: Discorsi alia nazione tedesca. Hegel: Fenomenologia del/o spirito
1810
1812 Hegel: Scienza della logica (I) 1813 Schopenhauer: La quadruplice radice del principia di ragion sufficient e.
1808 Goethe: Faust (prima parte). Beethoven: Sesta sinfonia. F. Schlegel: Sui/a lingua e sapienza degli indiani 1810 M.me de Stae!: Della German;,
1794 Francia: Reazione termidoriana 1795 Francia: II Direttorio
1797 Prussia: sale al trono Federico Guglielmo ITI 1798 Germania meridionale: moti repubblicani.
1801 Pace di Luneville: si dissolve J'impero germanico
1804 Napoleone imperatore. Codice napoleonico 1806 Pace di Presburgo. Confederazione del Reno. Napoleone entra in Berlino. Fine del Sacro Romano Impero. 1807 Pace di Tilsit. La Prussia entra nel sistema napoleonico. Riforme sociali in Germania: fine del feudalesimo.
1812 Campagna napoleonica in Russia 1813 Sconfitta di Napoleone a Lipsia 1814-15 Congresso di Vienna. La Santa Alleanza
1817 Hegel: Enciclopedia. 1818 Nasce Marx. 1819 Schopenhauer: II mondo come volontd e rappresentazione.
1819 Prussia: Svolta reazionaria di Guglielmo ITI 1820 Von Humboldt: Sullo studio comparato delle lingue·
1821 Hegel: Filosofia del diritto.
1821 Muore Napoleone
6 D 1 - II romanticismo tedesco alla freddezza con cui aveva letto, anni prima, la Critica della ragion pura. E' lo stesso Goethe a spiegarci la ragione dell'entusiasmo, condiviso d'altronde dai maggiori rappresentanti del nuovo movimento. Egli aveva sempre sospettato che tra l'arte e la scienza dovesse esserci una stretta parentela, ed ecco che Kant gli dimostrava come «l'arte poetica e lo studio comparato della natura fossero cosi strettamente apparentati, entrambi sottostando ad una medesima facolta di giudicare». Per Kant le due prospettive, quella del giudizio determinante, di cui si avvale la scienza, e quella del giudizio estetico si unificano, si, rna non in una facolta propria dell'uomo. La lora unificazione si da solo in un 'intelletto archetipo' e cioe intuitivo, non vincolato alle nostre necessita discorsive ne aile determinazioni formali delle categorie (II.l2-9). Insomma, nell'intelletto di Dio. Goethe riconosce a se stesso di aver costantemente ricercato, e in certa misura raggiunto, se non l'intelletto di Dio, quel punta di vista unificante che e il 'luogo' trascendentale in cui coincidono Ia potenza produttiva della natura e quella creativa della spirito umano. La dottrina romantica del 'genio' non rimanda anch'essa all'archetipo ipotizzato da Kant? E cos'e il romanticismo filosofico se non la ricerca di quella regione inaccessibile dell'identita, dove l' oggetto e il soggetto, Ia natura meccanica e lo spirito libero so no una sola cosa? L'unita spirituale dell'epoca romantica va riposta, appunto, in questa comune ricerca del principia unificante, condotta o col sentimento, com'e nella natura dei poeti, o con la ragione, com'e neUe regale della filosofia, o con l'uno e con l'altra, in un dosaggio diversissimo che va dalla poesia filosofica di Novalis alia filosofia poetica di Schelling. I poeti e i filosofi sembrano spesso parlare Ia stessa lingua, e anche quando ciascuno usa Ia sua, e cioe quando il concetto si fa astratto e l'immagine si fa pregnante del proprio enigma allusivo, puo comprendere il messaggio solo chi e capace di compiere per suo canto lo scambio delle forme espressive, e cioe di tradurre il concetto in immagine e l'immagine in concetto. La rigorosa tutela della sfera razionale da ogni intrusione, specie da quella dell'immaginazione - Ia 'pazza di casa'- era stata la premura massima dell'eta cartesiana, una premura che in qualche modo aveva ottenuto il suo sigillo nella Critica della ragion pura di Kant. Ma Kant e come Giano, ha due volti. Da una parte, egli determina con rigore i confini entro i quali la ragione domina senza ingerenze, rna dall'altra non pretende che quei confini siano i confini stessi della realta. Anzi, il fondamento incondizionato delle case conosciute dalla ragione sta, per Kant, oltre quei confini, sotto il vela del fenomeno. Alzare il vela e l'aspirazione del romanticismo, cosi come l'ascolto dei messaggi che giungono dalla realta che dietro il vela si nasconde e l'aspirazione della coscienza religiosa. I gradi del conoscere - scienza, filosofia, poesia, mistica - si confondono e si scambiano, governati da una sola Iegge di gravitazione, che non ha nulla in comune con le leggi conoscibili dell' esprit de geometrie. ll romanticismo tedesco non rigetta l'eredita dei 'lumi', rna alla metafora della 'luce' preferisce quella della 'scintilla elettrica', della folgorazione che scaturisce dal centro della realta. D'altronde, l'illuminismo di tipo cartesiano non aveva mai avtito grande udienza in Germania, dove non si era mai del tutto interrotta Ia linea genealogica che potremmo far partire da Meister Eckart (I 12.2). ll mistico domenicano del Trecento aveva posto Dio al punta di incontro tra l'Essere e il Nulla e aveva esaltato la 'scintilla' della divinita nascosta in ogni anima. E, dopa di lui, Paracelso aveva coniugato fede cristiana, tra-
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dizione neoplatonica e naturalismo magico; Keplero aveva fatto tutt'uno dell'astronomia e dell'astrologia, e Jacob Boehme aveva dissolto i principi dogmatici della teologia biblica in un vibrante panteismo. Insomma, il proprio del genio tedesco e stata sempre la volonta di tenere nella stessa mano ambedue le chiavi della conoscenza, e cioe, per tomare alia citazione di Goethe, quella del giudizio scientifico e quella del giudizio estetico, la chiave che apre la porta del giomo e quella che apre la porta della notte. Gli Inni alia notte di Novalis (1772-1801) sono un momenta alto del romanticismo del 'decennia' fatale. E' nella notte che si nasconde il «fiore azzurro» ricercato da Heinrich, il protagonista di un romanzo di Navalis rimasto incompiuto (Heinrich von Ofterdingen). Il «fiore azzurro» e la cifra che spiega tutto. La cifra e in noi: «noi siamo il Segreto». «Un uomo riusci a sollevare il velo della dea di Sais (lside). E che vide? Miracolo dei miracoli, vide se stesso». 1.3 Estetica e religione. Se in Novalis l'identita tra finito e infinito, tra soggetto e oggetto, sgombra di ogni determinazione concettuale e di ogni movimento dialettico, diventava 'idealismo magico' - nel senso che le cose sono pervase da un'anima infinita che solo il poeta, il vero mago, riesce ad evocarenel suo maestro Friedrich Schiller (1759-1805), anche lui poeta, rna dotato di piu sicuro nerbo filosofico, quell'identita viene fondata in un quadro di precisi riJerimenti alia dottrina kantiana della tre Critiche, anzi come suo necessario sviluppo. L'uomo quale risulta dall'analisi di Kant e in se stesso scisso in ragione; volonta e sentimento. La via che puo condurlo a sperimentare la sua radicale unita e la via della morale estetica, e cioe di una morale in cui la sensibilita si adegua spontaneamente alia forma etica e la forma etica unifica in se, senza conflitto, il molteplice sensibile. L'armonia tra liberta e sensibilita, se frutto non della sforzo etico, rna della spontaneita estetica, produce le 'anime belle'. E' quanto Schiller dice nel suo saggio Sulla grazia e la dignitd (1793), scritto nell'intento di correggere il concetto rigoristico del dovere kantiano. Ma il tema era troppo centrale, nel dibattito romantico, perche Schiller non si sentisse stimolato a svilupparlo in una vera e propria visione della storia umana, a partire dall'antica Grecia, dove l'accordo tra natura e liberta sembro realizzarsi una volta per sempre. Mentre il suo amico Goethe, riprendendo il mito di Faust, ne fara una tragica metafora della condizione dell'uomo, destinato a tendere verso l'infinito e ad infrangersi contro i propri limiti, Schiller ritiene possibile attingere la pienezza della felicita, da intendere come riflesso dell'armonia tra natura e liberta, e lo ritiene possibile anche nel mondo moderno, dove le condizioni dell'antica Grecia sono per sempre scomparse. Le Lettere sull'educazione estetica (1795) sono, appunto, oltre che una ricostruzione della storia dello spirito umano sotto la categoria del bello, la proposta utopica di una nuova forma di educazione improntata alla conciliazione tra la necessita e la liberta. Che il 'gioco' possa diventare il momento simbolico del vero fine della storia umana e una intuizione di Schiller destinata a riprendere vigore nelle eta successive (si ritrova perfino in Marx), in particolare nella seconda meta del nostro secolo. · Una seconda via per conciliare, senza far ricorso alia dialettica razionale, i due opposti metodi della necessita e della liberta fu tracciata da un collaboratore dell'Athenaeum di Schlegel, Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher (1768-
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1834), pastore protestante a Berlino. Fu per consiglio di Schlegel che egli comincio a pubblicare, nel 1799, i suoi Discorsi sulla religione. Dopo una parentesi come professore di teologia e di filosofia a Halle, con la fondazione dell'Universita di Berlino (181 0) divenne professore di teologia in questa universita e tale rimase fino alia morte. Si e gia visto come la spinta latente che guidava l'itinerario dello spirito romantico fosse la fuga dai 'lumi' del razionalismo del secolo, in nome di una totalita da raggiungere per altre vie che queUe della ragione. Questa vocazione 'notturna' del romanticismo sara interrotta bruscamente da Hegel, come vedremo. E fu in polemica, per lo pili sottintesa, con Hegel che Schleiermacher nego la possibilita di raggiungere la totalita per le vie della ragione o per quelle della morale: la prima, infatti, cerca di spiegare l'universo attraverso le determinazioni finite, la seconda tende a perfezionarlo attraverso l' esercizio della volonta. La religione non e ne ragione ne volonta, e intuizione e sentimento dell'infinito. Mentre la ragione e la morale non vedono nell'universo altro che l'uomo, la religione vede nell'uomo l'infinito, che nell'uomo si determina rna insieme anche lo trascende. E lo trascende aprendosi all'universo, nei confronti del quale l'umanita nel suo insieme e quello che l'individuo e in rapporto all'umanita. In questa definizione della religiosita Schleiermacher si incontra con Spinoza, peril quale la virtu massima e l'amore per l'universo in quanto questo e una sola cosa con Dio (11.7.7). Ma da Spinoza si distacca, perche la facolta che guida l'uomo all'infinito non e, per lui, la ragione, e nemmeno l'amore intellettuale, e il sentimento puro, privo di ogni altra funzione che non sia quella della pura espansione di se. Voler distinguere nella totalita in cui il sentimento si espande cio che e naturale e cio che e miracoloso, cio che e conosciuto e cio che e rivelato, e perfino cio che e Dio e cio che non e Dio, significa fraintendere la pura essenza della religione, il cui oggetto vero e, appunto, la totalita. Non che diventi inutile Ia chiesa: l'individuo pervaso dal sentimento religioso avverte il proprio limite e, col proprio limite, la necessita di scambiare con gli altri la propria percezione. Da questo scambio di com unicazioni nasce la chiesa. La chiesa di Schleiermacher perde il suo proprio particolarismo, e perfino il suo rapporto con una determinata religione, nel senso che tutte le religioni non sono che determinazioni della religione infinita. AI limite, ogni uomo ha la sua religione, che e vera a condizione che egli sia cosciente della sua finitezza e la trascenda aprendosi alia religione infinita, della quale le singole religioni sono manifestazioni parziali. Schleiermacher tenta anche una tipologia delle religioni, e non per scartarne alcune e accettarne altre, rna per mostrare come, nel loro insieme, esse costituiscano la religione infinita. Ci sono le religioni per le quali il mondo e un caso alla merce degli idoli o del fato; ci sono le religioni che raffigurano le forze fondamentali della natura in divinita distinte, e ci sono religioni - e tra queste il cristianesimo ha il prima posto - nelle quali l' essere e concepito come totalita, in cui si ha, come in Gesu, Ia piena coincidenza tra la finitezza umana e l'infinita della divinita. Questa interpretazione di Gesu Cristo come luogo di identita tra l'infinito e il finito la ritroveremo in Hegel. Ma mentre in Hegel questa identita raggiungeva Ia propria verita nel momento filosofico, che assorbiva in se e superava la religione, in Schleiermacher la totalita realizza se stessa soltanto nel sentimento religioso. Non e che la ragione e
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l'etica vengano da Schleiermacher negate a vantaggio dell'assolutezza autosufficiente del sentimento, anzi esse costituiscono le fasi di una dialettica senza della quale il sentimento si fa vuoto e privo di rapporti veri con la totalita. La Dialettica di Schleiermacher (la sua opera piu importante, uscita postuma) non e derivata dalla dialettica di cui il collega Hegel faceva sfoggio, e ripresa da Platone, dei cui Dialoghi egli offri la traduzione piu prestigiosa degli ultimi secoli. E' facile capire quanto di simile ci sia nella dottrina platonica dell' eros e in quella schleiermacheriana del sentimento: termine questo - e bene rilevarlo - che va inteso nel senso forte del lessico tedesco (Gefuhl) e non in quello convenzionale messo in voga dal romanticismo letterario. In quest'ultima accezione, il sentimento si esplica al di fuori degli ambiti della ragione e della volonta; nell'accezione di Schleiermacher e invece l'identita tra il pensare e il volere, in quanto non si da pensiero che non sia anche volonta di comunicazione e non c'e atto di volonta che non implichi in se una determinazione del pensiero. n passaggio dal pensare al volere e viceversa si da all'interno di un'autocoscienza immediata, che e appunto il sentimento, che ha per oggetto l'essere assoluto. Questa autocoscienza, che e l'essenza stessa della religione, non va identificata con l'Io, che e un'autocoscienza riflessa, circoscritta nelle - determinazioni del pensare e del volere, cosi come non si deve confondere la totalita che le fa da oggetto con il Dio della religione. Sia l'Io che Dio sono determinazidni del sentimento dell'infinito o, come meglio si direbbe, dell'incondizionato, di cui l'Io, Dio, il mondo non sono che determinazioni inadeguate. 1.4 Le premesse dell'idealismo. Lo svolgimento del pensiero di Schleiermacher, nonostante che la sua cattedra fosse accanto a quella di Hegel, resto ai margini della storia maggiore - quella dell'idealismo - che dette un volto definitivo al pensiero tedesco. E per quanto tutte le sistemazioni storiografiche siano da ritenere provvisorie, non c'e dubbio che la stagione romantica, esplosa in Germania negli anni della rivoluzione francese, trovo il suo sbocco naturale in quella metafisica soggettivistica che ebbe per maestri Fichte, Schelling e Hegel. Come vedremo distintamente, la dinastia degli idealisti ha in Kant il padre riconosciuto, cosi come ha la sua problematica di avvio in quell'insieme di questioni che le tre Critiche kantiane non erano riuscite a risolvere. Si e gia detto, sulla scorta di una pagina di Goethe, come il dualismo kantiano tra fenomeno e noumeno avesse svegliato la nostalgia dell"intelletto archetipo', e cioe di un punto di vista che fosse in grado di cogliere l'unita dei due emisferi del reale. L'intera problematica che "collega Kant all'idealismo, e che si svolge negli ultimi due decenni del Settecento, si aggira proprio su questa linea di confine tra fenomeno e cosa in se, tra mondo sensibile e mondo sovrasensibile, tra ragion pura e ragion pratica, tra giudizio determinante e giudizio teleologico. Il primo nome che occorre fare a riguardo e quello di Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819), che nel1785, con una sua Lettera sulla dottrina di Spinoza a Mose Mendelssohn, sollevo un dibattito dalle larghe risonanze. Nel dibattito, oltre che Herder, interverra anche Goethe, per il quale Spinoza era sempre stato il filosofo per eccellenza. La tesi di Jacobi prende le mosse dalla Critica della ragion pura che, a suo giudizio, ha dimostrato definitivamente la non conoscibilita scientifica del sovrasensibile. Ogni tentativo di dimostrare l'esistenza del sovrasensibile non puo concludere che con la identificazione tra Dio e
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mondo, tra incondizionato e condizionato, a tutto vantaggio, naturalmente, del mondo, del condizionato: Dio diventa una sola cosa con la natura. Ogni filosofia che voglia essere fino in fonda razionale non puo che essere a tea. Non c' e che una via per uscire da questa vicolo cieco: il riconoscimento che tantol'esistenza del mondo esterno, da cui deriva la sensazione, quanta resistenza del mondo sovrasensibile sono oggetto di fede. Jacobi si rifa alla parola belief usata da Hume, rna piegandola a un significato che Hume non avrebbe fatto suo. E nemmeno Kant poteva riconoscersi in una 'fede' ridotta a espressione del sentimento (<mel mio cuore c'e luce, rna quando voglio portarla nella mia testa, essa si spegne», diceva Jacobi) e tuttavia capace di generare certezza. Come Kant stesso ricordo, intervenendo nel dibattito, la fede non puo che fondarsi su di un postulato della ragion pratica, e come tale non puo generare vere e proprie certezze, rna solo la verosimiglianza. Kant rimase sempre un rigido tutore dei confini che aveva tracciato alia ragione, non gia per sminuime le possibilita rna per fondarle su basi sicure. Se Jacobi aveva messo in questione, sia pure per via indiretta, i confini tra fenomeno e mondo sovrasensibile, Karl Leonhard Reinhold ( 1758-1823) porto al centro del dibattito il nesso tra rappresentazione fenomenica e cosa in se, aprendo cosi la via all'iclealismo. Difatti, il disconoscimento della cosa in se equivale alia soppressione degli argini posti all'intelletto. E senza quegli argini tutta la realta viene a identificarsi col soggetto. Prima gesuita, poi barnabita e finalmente illuminista massonico in terra protestante, Reinhold divenne professore di filosofia a Jena, dove gli succedera l'amico Fichte, come vedremo. Dapprima antikantiano, divenne poi un divulgatore del criticismo con le Lettere sulla filosofia kantiana (1786-1787). Piu che un fedele espositore, Reinhold e in realta un interprete, che modifica in punti nevralgici il pensiero kantiano. Kant aveva scontato, per cosi dire, la profondita del suo pensiero rinunciando alla pretesa di una unificazione sistematica delle sue parti, corrispondenti aile tre Critiche (al tempo delle Lettere di Reinhold non era ancora uscita la Critica del Giudizio). Succube, piu di quanta allora non sembrasse, dell'impostazione filosofica prekantiana, Reinhold ricerca, tra gli elementi dell'analisi della ragione, un elemento che possa, alia maniera dell"io penso' cartesiano, unificare in se tutti gli altri. Egli e convinto di averlo trovato nella 'coscienza', intesa come facolta della rappresentazione. Ogni rappresentazione e distinta, nella coscienza, sia dal rappresentante (soggetto) che dal rappresentato (oggetto). Forma e materia, soggetto e oggetto sono elementi intrinseci alia rappresentazione, di cui il prima e spontaneita determinante, l'altro e un data che presuppone recettivita sensibile. Ma allora, si da realmente una cosa in se, esterna alla rappresentazione? Reinhold si trova imprigionato nel suo punta di partenza, che e l'analisi della rappresentazione, dalla quale si puo giungere alia cosa in se in quanta rappre-· sentata, rna non alla cosa in se come dato extramentale. Nelle sue mani, la dottrina kantiana, invece che piu semplice e piu trasparente, si faceva piu complicata che mai. n che favoriva evidentemente l'opposizione scettica al kantismo, ferrna piu o meno aile conclusioni dell'epistemologia di Hume. E proprio sulla linea della scetticismo, ebbe grande importanza, nel determinare il trapasso da Kant all'idealismo, uno scritto apparso anonimo nel 1792
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col titolo Enesidemo, il cui autore era Gottlieb Ernst Schulze (1761-1833), che si merit, i filosofi dell' oriente, precursori dei filosofi veri e propri, quelli della Grecia, per arrivare su su fino a Kant, a Fichte, a Schelling e finalmente a Hegel, ultimo filosofo anche nel senso che, dopo di lui, non potra esserci pili spazio per filosofare.
Hegel: Ia verita come storia 2.12 Filosofia della storia. «E' per me un compito assai interessante e piacevole, scriveva Hegel in una sua lettera del 1822, passare in rivista i popoli del mondo; e non so ancor bene come io debba percorrerli fino a questa nostra ultima eta dell'occidente». E difatti, le Lezioni sulla filosofia della storia furono la sua occupazione pili appassionata nel periodo berlinese. Non a caso. Esse intendono ricapitolare l'intero pensiero hegeliano e proiettarlo nel futuro come un legato per le generazioni avven:ire. Il tema e la razionalita della storia, e cioe Ia coincidenza, nel mondo creato dall'uomo, tra reale e razionale. La storia narra lo svolgimento della ragione secondo il tempo, cosi come Ia natura manifesta Ia ragione secondo lo spazio. E come, per riconoscere Ia razionalita
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della natura, bisogna spogliare i fatti e i dati naturali di cio che hanno di accidentale, cosi, per riconoscere i ritmi e le forme della ragione nel caotico avvicendarsi degli eventi, bisogna farsi largo attraverso le accidentalita e far luce sul dispiegamento del 'teorema razionale' della necessita, che lega i fatti fra loro e l'ilfsieme dei fatti a un fine. II fine e, appunto, quello della perfetta ricomposizione della circolarita razionale, che porta l'Idea al ritomo a se stessa, ricolma delle infinite determinazioni di cui si e arricchita durante il periplo. !ornata a se, l'Idea e lo Spirito autocosciente, e cioe pienamente libero. La liberta in Hegel e la coscienza della necessita, una coscienza che, quando si volge alla fluida sostanza del divenire storico, diventa anche possibilita di autodeterminazioni svincolate dalla catena delle cause e degli effetti. Ma per comprendere il rapporto tra necessita razionale e liberta, bisogna tener conto che, per Hegel, la storia ha come suo soggetto lo Spirito universale, ~d e pertanto, sempre e in tutti i casi, Storia universale (Weltgeschichte). Noi la conosciamo e la esponiamo secondo concetti generali, quali quelli di Stato, societa, feudalesimo, nazione e cosi via, e con riferimento a personaggi come Alessandro e come Napoleone. Ma, attraverso le nozioni generali e i personaggi singoli, e una unica storia che si svolge, quella appunto dello Spirito del mondo (Weltgeist), il quale a sua volta diventa sperimentabile nella sua piu concreta determinazione di Spirito del popolo (Volkgeist). Anzi: di Spiriti dei popoli, in quanto, nella dialettica storica, lo Spirito agisce in una pluralita di soggetti collettivi, ciascuno inteso a raggiungere il massimo di ricchezza, di potere e di egemonia sugli altri, rna tutti insieme guidati dall'astuzia della ragione, strumenti piu o meno inconsapevoli di un disegno universale. L'individuo e convinto di perseguire il proprio vantaggio, e invece non fa che servire un progetto che lo trascende. Si tratta di un progetto che si adempie secondo ragione, in ogni suo momento, anche quando l'individuo, nel suo idealismo, sogna un tempo diverso e inveisce contro la malvagita del tempo in cui vive. Gli individui in cui si vede, in maniera somma, questa coincidenza tra i propri obiettivi passionali e i risultati che sono di un avanzamento universale di un popolo e dell'umanita, sono quelli che Hegel chiama 'individui cosmici', come Alessandro, Cesare, Napoleone. Ad esempio, Cesare sovverti l'assetto tradizionale della Repubblica romana per soddisfare le sue ambizioni personali, e tuttavia, nel servire le proprie ambizioni, egli realizzo un destino necessaria nella storia di Roma e del mondo. Non diversamente, come si e visto, Napoleone anniento, nel suo despotismo imperialistico, i principi della ideologia giacobina che egli avrebbe dovuto servire, e tuttavia, spazzando, come fa un uragano, le strutture fatiscenti del feudalesimo, dilato all'Europa le conquiste della rivoluzione sociale borghese.
2.13 L'eurocentrismo. Ma non dobbiamo dimenticare che, per Hegel, l'organo normale dello Spirito del mondo e lo Stato, o meglio sono gli Stati, le cui forme vanno valutate in rapporto al livello di coscienza storica raggiunto dall'umanita in quel determinato periodo. Gli Stati nascono e muoiono, divorati dal tempo, rna nel loro avvicendarsi progredisce l'essenza dello Spirito del mondo, che e l'uguaglianza e la liberta degli uomini. In questo sviluppo, Hegel riconosce tre tappe fondamentali, I'orientale, la greca e la cristiano-germanica:
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Gli orientali non erano giunti alla conoscenza del fatto che lo Spirito l'uomo come tale - e Iibera e poiche non erano a conoscenza di cio, non erano liberi. Essi sapevano solo che un singolo e libero. Ma proprio per questa Ia liberta di questa singolo e solo arbitrio... Tale singolo e dunque solo un despota, non un uomo liberb. La coscienza della liberta sorse Ia prima volta fra i Greci, pertanto essi furono liberi, rna essi, cosi come i Romani, sapevano solo che alcuni ,sono liberi, non l'uomo come tale .. .I Greci pertanto avevano gli schiavi e tutta la lora vita e il mantenimento della !oro sfarzosa liberta erano in rapporto con l'istituzione della schiavitu... Le nazioni germaniche, sotto !'influenza del Cristianesimo, furono le prime a raggiungere la coscienza del fatto che l'uomo, come uomo, e libero; che e la liberta della Spirito a costituire la sua essenza.
1. Hegel non si preoc~upa di fare malta luce sulla fase orientale dell'organizzazione politica, segnata dal despotismo. Sull'oriente il suo giudizio e sempre sommario e negativo. La storia dei regni dispotid dell'Asia rientra, per lui, nel quadro degli avvenimenti di natura, costretti a ripetersi come le stagioni. 2. La fase grecoromana e quella della democrazia, cosi come fu elaborata e praticata dalla polis greca Solo che, per Hegel, Ia democrazia mal si concilia con l'autentica emancipazione degli uomini, perche la sua base e il suo valore assoluto e la comunita, da cui l'individuo non deve separarsi. Quando emerge, con Socrate, la coscienza soggettiva, e gia all'opera il nemico assoluto della democrazia, l'individuo come soggetto di ogni decisione. Socrate fu messo a morte e non poteva non esserlo, rna in quel momenta la citta rivelo di essere gia interamente posseduta dal principia distruttivo: a spingerla verso la sentenza capitale fu Ia paura. Resta pen) che Socrate era un pericolo. Il pensiero di un soggetto emancipato, infatti, non puo che essere un pensiero astratto, dato che egli non puo piu accettare l'ordine delle case cosi com'e. Solo col cristianesimo il soggetto emancipato pate trovare la forma concreta di organizzazione. 3. La fase cristip.no-germanica trovo il momenta supremo della sua realizzazione con Ia Riforma tedesca, che esalto il momenta della soggettivita contra ogni sopravvivenza pagano-cattolica dell'autorita. Nella Riforma !tro. Questi stati non sono tra loro in rapporto di continuita: tra l'uno e l'altro insorge, come una verticale che taglia I'orizzontale, la presa di posizione verso la Trascendenza. Il peccato e la presa di posizione negativa, lo scegliere i contenuti finiti delle situazioni che si succedono sull'orizzontale. Questa negazione dell'eterno puo essere, a sua volta, negata, e allora abbiamo la scelta positiva. L'istante (altra categoria di gran rilievo in Kierkegaard) che tutto decide e nel punto di incrocio tra l'orizzontale del divenire storico e la verticale della Trascendenza: e in questo punto, di continuo posto dalle due dimensioni, che l'uomo vive la sua salvezza o la sua perdizione. Tra un momento e l'altro del divenire storico, Hegel poneva il luogo di conciliazione della sintesi, ritagliato anch'esso nella orizzontalita dell'immanenza; in Kierkegaard, tra un momento e l'altro non c'e conciliazione possibile se non nella verticale, lungo la quale avviene la trasformazione dell'angoscia in fede.
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4.13 II cavaliere della fede. La dialettica dell'esistenza nei suoi terrmm estremi si svolge, dunque, al di la della sfera etica, e ha il suo luogo di risoluzione nell'istante in cui dall'angoscia si trapassa alia fede nel Dio totalmente altro, resosi accessibile in Gesu Cristo. L' opposto del peccato non e la virtu, e la fede, la quale, a causa del nesso che la stringe al suo opposto, conferisce al peccato una densita che non e di tipo morale, rna esistenziale; il peccato e l'opzione del finito come contenuto dell'esistenza, e ~ggrapparsi del singolo ai modi della finitudine. In tal maniera, egli si illude di uscire fuori dell'orizzonte delle possibilita che generano angoscia e di posare i piedi sulla terra salida delle certezze storiche, scientifiche, razionali. Ma si tratta di una terra tutt'altro che salida: essa nasconde sotto di se il vuoto della perdizione. Solo nel salta della fede il singolo si salva, perche si afferra al principia di tutte le possibilita, che e Dio, per'il quale niente e impossibile. Non che si debbano chiedere a Dio le sicurezze che il finito non ha saputo darci: la zona in cui Dio abita e il rischio, e l'incertezza, e la solitudine del Cristo sulla Croce, 'abbandonato dal Padre'. Questa Dio non puo essere oggetto di dimostrazione, come lo e il Dio dei filosofi. Niente di piu sacrilego di quanta ha fatto Hegel quando ha tradotto gli eventi della fede in concetti del suo sistema, inserendo cosi i momenti della Rivelazione del Dio delle possibilita dentro le maglie della necessita. In tal modo, egli ha svuotato lo scandala della Croce, che invece e il punto saldo della fede ed e Ia misura dell'autentico cristianesimo. Kierkegaard considera se stesso, sui modello di Abramo, un 'cavaliere della fede', che deve abbattere gli idoli e spezzare, con netti fendenti, i legami che soffocano Ia fede dentro le bende della 'cultura cristiana', della 'filosofia cristiana' e della dogmatica. II pascola della fede e l'inverosimiglianza del mistero di Dio, Ia sua totale Diver_sita, che si incontra la dove non giungono i sentieri della ragione. Per Kierkegaard, nessuna mediazione ha sensa tra il singolo e il Cristo: non quella scientifica, messa in atto dall'indagine filologica sui sacri testi, non quella razionale, in uso tra i cattolici o peggio tra gli hegeliani, non quelia storica, che consiste nel ritornare a Cristo lungo i tramiti delle tradizioni custodite dalle chiese. «Non vi sono discepoli di seconda mano», cioe discepoli che entrano alia sequela di C1 isto sulla base delle indicazioni trasmesse dai suoi contemporanei. La fede si accende nell'istante che sta fuori del tempo, dato che, ecco il paradosso, «la verita eterna e nata nel tempo», e quindi attraversa i millenni annullandoli in se. Fuga dalla storia? Nell'analisi di Kierkegaard l'atto di fede consta di due momenti; nel primo, l'uomo, riconoscendo la sua situazione negativa, tende al positivo, si apre cioe al Dio di Gesu Cristo, emergendo dalla durata storica e lasciandosi cadere di dosso il mantello della temporalita; nel secondo, egli ritorna dalla verticale all'orizzontale, come Abramo che discese dal monte insieme ad Isacco per reinserirsi nella sua vita di sempre, con animo diverso. Dentro la ferialita del vivere quotidiano il credente diventa un testimone. Ma questa recupero della temporalita non e tale da ristabilire i valori della storia come se essi avessero in se consistenza, come se la loro trama fosse tessuta, secondo le pretese di Hegel, dalla ragione, in modo che i suoi i passaggi riproducano le articolazioni della logica. Se gli eventi, prima del loro accadere, sono soltanto possibili, e cioe contingenti, una volta accaduti restano tali: an-
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che. il passato e possibile, come dire che non ha nessun carattere di necessita e quindi non puo rientrare in una spiegazione razionale. Perfettamente coerente alia sua scoperta del 'singolo', Kierkegaard rigetta ogni pretesa di costruire una filosofia della storia. L'importanza di Kierkegaard non e, dunque, soltanto nell'aver condotto un implacabile attacco contra l'hegelismo, e anche nell'aver creato, per prima, una filosofia dell'esistenza che nel nostro secolo, nella fase di dissolvimento sia delle visioni sistemafiche del mondo che delle teologie dogmatiche, avrebbe trovato Ia stagione della sua massima fecondita.
Nietzsche 4.14 Dioniso e Apollo. Anche Friedrich Nietzsche*, come sant'Agostino, Lutero e Malebranchc, scopri la propria vocazione leggendo un libra: Un giorno trovai !'opera di Schopenhauer, Il mondo come volonta e come rappresentazione, nella bottega del vecchio Rohn. Non Ia conoscevo affatto: cominciai a sfogliarla. Non so che demone mi suggerisse: comprati il libro,
Friedrich Nietzsche nasce il 15 ottobre 1844 nel villaggio di Rocken, in Sassonia, dove il padre e pasture luterano. Morto il padre, Ia madre si sposta, con Friedrich appena cinquenne e la sorellina Elisabeth, a Naumburg. Nel 1858 egli inizia i suoi studi medi nel Collegia Nazionale di Pforta, terminati i quali, nel 1864, si iscrive, per volonta della madre, alia facolta teologica di Bonn. Interrompe gli studi di teologia e si iscrive a Filologia nell'Universita di Lipsia, dove ha per maestro il grande filologo Friedrich Ritschl e per condiscepolo Erwin Rohde. Nel 1869, non ancora laureato, ottiene, su proposta di Ritschl, la cattedra di filologia greca all'universita di Basi/ea. Non ha successo: alle sue lezioni sono presenti 4 alunni, fra cui un tappezziere digiuno di greco. In compenso, stringe importanti amicizie, come quella con Jacob Burckhardt, col teologo Franz Overbeck e soprattutto con Riccardo e Cosima Wagner, che abitano, in questa periodo, presso Lucerna. Nel 1872 esce il suo prima libra, La nascita della tragedia. L 'anna dopa ha inizio Ia misteriosa malattia il cui sintomo continuo e l'emicrania, che lo costringe a vagare alla ricerca di un cielo clemente, che per lo piil trova in ltalia. Nell'estate del 1876 le prime delusioni su Wagner, col quale rompe clamorosamente nel 1878, con la pubblicazione di Umana, troppo umano (1878). «L 'au tore, scrivera ad un amico, ha cambiato pelle». La salute peggiora e si dimette dall'universitil, che gli concede una pensione annua di 3000 franchi svizzeri. Nel 1882, a Roma, fa conoscenza con Lou Salome, una ventiquattrenne finlandese tanto intelligente quanto ambigua. Ne nasce un idillio di breve durata, nel cui fallimento ha il suo peso anche Ia gelosissima sorella Elisabeth. Per guarire dalla delusione seende da Lipsia a Santa Margherita Ligure dove, nella prima meta del gennaio 1883, compone, quasi ispirato, Ia prima parte di Cosl parlo
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Zaratustra. Seguo;;o anni di continui !J.Ilostamenti e di attivita creativa incalzante. NeZ 1888 soggiorna a Torino e se ne innamora. Il 3 gennaio dell'anno successivo, il prima accesso di demenza. Viene affidato alia madre, a Naumburg e, marta questa nel 1897, alia sorella Elisabeth a Weimar, dove muore il 25 agosto 1900. 1.
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Possiamo distinguere tre periodi nella sua attivita produttiva.· Il periodo che possiamo chiamare wagneriano:
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1872 - La nascita della tragedia 1873 - 1876 - Quattro considerazioni inattuali
2. Il periodo in cui predomina lo spirito scettico, antimetafisico, positivista.· 1878- Umano, troppo umano 1881 -Aurora 1882 - dtill Sfienza
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3. NeZ terzo periodo, all'atteggiamento critico si accompagna una crescente vivacita creativa: 1883- Cosi parlo Zaratustra 1886 - Al di la del bene e del male 1887 - Genealogia della morale 1888-11 caso Wagner Il crepuscolo degli idoli L' anticristo Ecce homo Appunti per la volonta di potenza
Gli ultimi libri escono postumi Finche non lo invade la notte della follia, Nietzsche non conosce nessun successo di pubblico (del Cosi parlo Zaratustra si vendettero, nel 1883, 60 copie!), ma negli ultimi anni del secolo il suo messaggio desta un 'eco crescente. A favorire una certa lettura di que! messaggio fu senza dubbio l'iniziativa della sorella Elisabeth, maritata Forster, un 'accesa germanofila, che ordino i 1067 frammenti scritti dal fratello nell'ultimo decennia di vita cosciente, e da lui destinati alia costruzione del suo capolavoro, con tagli e agg1ustamenti ispirati a un criteria di lettura espresso poi nel titolo dell'opera postuma, La volonta di potenza. Saggio di una trasmutazione di tutti i valori, uscita in forma definitiva nel 1906. E' questa il profilo di Nietzsche di cui si e servito il nazismo per far riconoscere in lui un suo precursore, ma di cui, in antitesi simmetrica, si e servito anche un geniale interprete come Georgy Lukacs nella sua Distruzione della ragione da posizioni ideologiche marxiste (8.12). Solo a partire dal 1956 (l'anno in cui uno studioso di Nietzsche, Karl Schlechta, pubblica i frammenti senza tener canto della manipolazione di Elisabeth) due filologi italiani, Giorgio Colli (nel frattempo defunto) e Mazzino Montinari, hanna avviato un'edizione critica di tutto Nietzsche, che sta uscendo simultaneamente in Germania, in Francia e in Italia e che dovra ricondurre Ia congerie dei frammenti a una piil esatta collocazione, con riflessi importanti, naturalmente, sulla comprensione dell'enigmatico filosofo del superuomo.
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Jortatelo a casa. Cosi feci, contro Ia mia abitudine di non comprare mai un libro avventatamente. A casa mi gettai sui sofa col tesoro conquistato e mi abbandonai all'azione di que! genio potente e cupo.
Era il 1865, !'anna in cui Nietzsche aveva iniziato a Lipsia i suoi studi filologici. La sua vocazione filosofica si scavo Ia propria strada dall'intemo delle questioni filologiche, anzi di una questione che sta a! punta d'incontro tra filologia e storia della cultura, quella sui significato della grecita. Nel libra di Schopenhauer c'e un passo che ha avuto probabilmente una sua efficacia rivelativa sui giovane filologo: Come sull'infuriante mare che, per tutti i lati infinito u.lulando montagne d'acqua innalza e precipita, siede in barca il navigante e se affida al debole naviglio; cosi siede tranquillo, in mezzo a un mondo pieno di tormenti, il singolo uomo, poggiando fidente sui principium individuationis.
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E' il brano riportato da Nietzsche nell'opera che inaugura Ia sua produzione filosofica, La nascita della Tragedia, per definire que! principia apollineo che, nel suo nesso col principia dionisiaco, ci da Ia chiave per intendere, appunto, la grecita. II singolo uomo, che se ne siede tranquillo sui suo naviglio nel mezzo del mare in tempesta, e Apollo, il clio nel quale hanno trovato espressione sovrana Ia fiducia imperturbabile nel principio di individualiia, la saggezza dell'apparenza e Ia bellezza delle forme. II naviglio in cui l'uomo siede tranquillo e fragile: basta che un'onda lo sovrasti, o che il vento investa le sue vele, perche il terrore assalga il navigante. Fuori metafora: quando hanno la meglio le regale con cui mette disciplina e finalismo nella realta facendone una rappresentazione centrata sui suo io ( sui 'principia di individuazione'), l'uomo e partecipe della serenita simboleggiata dagli antichi greci nello 'splendente Apollo'. · Ma la rappresentazione della realta non e la realta. La realta si conosce per immersione; tuffandosi nell'oscura potenza dell'oceano, e cioe nell'infinita della volonta di vivere, l'uomo apre i propri recessi interiori all'impeto degli istinti, e la natura festeggia il ritomo del figlio prodigo riversando su di lui, come sui carro di Dioniso, i fiori e i frutti della terra. «Si tramuti, scrive Nietzsche, l'Inno alia gioia di Beethoven in un quadro dipinto» e si avra la giusta imtmtgine della 'fascinazione dionisiaca'! E' «come se il velo di Maia fosse squarciato e svolazzasse non piu che in brandelli, davanti al mistero dell'Uno primigenio». II caleidoscopio delle immagini con cui Nietzsche descrive, quasi da ebbro, l'uomo dionisiaco, fa pemo su di un problema di ordine storiografico che ha accompagnato la cultura modema fin dalle sue origini: in che consiste la classicita grecolatina? E piu radicalmente: in che consiste la differenza specifica della cultura modema in quanta erede della cultura classica? A suo modo, Nietzsche risponde: andando a ritroso fino alia cultura dell'Ellade, ci si incontra con una soglia,che divide, al suo intemo, !'eta dionisiaca e quella apollinea, !'eta delle origini, che si chiude con la tragedia di Eschilo e di Sofocle, e !'eta della decadenza, che si apre con Euripide e Socrate. Prima, non si e ancora avverato lo stacco tra l'intelletto e la vita, tra la rappresentazione concettuale e Ia volonta di vivere. Per contestare Hegel e tutto cio che Hegel rappresentava, Schopenhauer
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aveva fatto pellegrinaggio sulle rive del Gange, anzi aile sorgenti dei fiumi sacri dell'India, dove nacque Ia cultura protovedica. Nietzsche Jo segue in questa fuga dall' occidente, e anche lui si abbandona al richiamo di quel continente della spirito che sta prima non solo della soglia socratica, rna anche dell'eta della tragedia greca. In una sua lettera all'amico Peter Gast, del 31 maggio 1888, Nietzsche fa questa confessione singolare: Devo a queste ultime settimane l'acquisto di una cognizione essenziale: ho scoperto le 'Leggi di Manu' in una tradu?ione francese, eseguita in India sotto il diretto controllo di eminenti sacerdoti e di eruditi indiani. Questa prodotto, squisitamente ariano, un codice sacerdotale di morale, basato sui Veda, sui concetto delle caste, e su antichissime tradizioni, non pessimista, per quantC':> sempre sacerdotale, completa in modo m~raviglioso le mie idee intorno alia religione. Confesso la mia impressione: tutto il resto che possediamo in fatto di legislazione etica mi pare ormai un'imitazione e talvolta una caricatura di queste leggi: anzitutto l'etica dell'antico Egitto. Ma persino Platone, in tutti i suoi concetti essenziali, mi sembra ormai semplicemente un huon alunno che un bramino abbia ammaestrato!! Gli ebrei mi appaiono come una razza di tschandala (paria) che apprende Ia sua morale dai dominatori; a sua volta una casta sacerdotale se ne impossessa e organizza il popolo. Anche i Chinesi direi che abbiano prodotto il !oro Confucio o il !oro Lao-tse sotto l'impressione di quest'antichissima classica raccolta di leggi. Quanto all'organizzazione mediovale mi pare un procedere a tastoni verso Ia riconquista di quei concetti su cui riposa saldamente l'arcaica societa indoariana, coll'aggiunta di valori pessimistici che trovano Ia !oro origine nella decadenza delle razze. Anche qui gli ebrei appaiono come 'intermediari': non inventarono nulla.
E' bene ricordare Ia data di questa lettera: siamo gia alla vigilia della follia, quando si accentuano in Nietzsche i sintomi di una mania euforica che lo spinge a simpatizzare con le espressioni della spirito radicalmente opposte alia civilta occidentale e al cristianesimo, a cui la lettera allude dove parla degli 'ebrei'. 11 viaggio di Nietzsche verso l'oriente - un viaggio in cui egli incontrera anche l'antico Zaratustra (1.1.23-24), facendone il proprio portavoce - non ha niente di scientificamente fondato, e soltanto la metafora di un altro viaggio, che avrebbe dovuto condurlo idealmente al di fuori della decadenza del mando di cui si era fatto l'araldo apocalittico. Mi sento l'erede di parecchi millenni, aveva scritto l'anno prima, nel 1887. L'Europa odierna non suppone neppure vagamente intorno a che terribili soluzioni si volga la mia persona; a qual ruota io sia avvinto e quale catastrofe, di cui soil nome, senza poterlo rivelare, si prepari per me.
La religione da cui prorompono messaggi come questa e, in apparenza, una religione orgiastica, che afferma la _vita senza nessun frena, alia maniera dei grandi del Rinascimento di cui Burkhardt aveva disegnato a tutto tondo la 'virtu', intesa secondo il codice di uno di lora, Niccolo Machiavelli. II principia dionisiaco e appunto in questa vitalita miticamente recuperata, al di Ia di ogni suo successivo imbrigliamento, in una mistica assolutezza, che e piuttosto un orizzonte della immaginazione che non un luogo della storia. Ma in realta il si rinascimentale aile passioni equivale, in Nietzsche, a una volutta della catastrofe delle strutture portanti della civilta esistente. «lo non sono un uomo, sono
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una dinamite» scrivera neli'Ecce homo. II disconoscimento di ogni limite umano, prima fra tutti quello della morte, equivale formalmente all'affermazione dell'infinito, rna in realta al dissolvimento delle categorie etico-razionali con cui l'uomo si rapporta al mondo. Di conseguenza, l'ottimismo dionisiaco si capovolge in un radicale pessimismo, il cui risvolto costitutivo e la polemica contra l'ottimismo della ragione, che basa il sensa della vita sui compito morale. Socrate, «questa ateniese, spirito maligno e ammaliatore», e il prototipo dell'ottimismo razionale, lui che sui punta di morte disse a Critone: 'Sono in debito di un galla ad Esculapio'. «Queste ridicole e terribili 'ultime parole' significano, per chi ha orecchi: '0 Critone, la vita e una malattia'». L'analogo di Socrate, sui piano della poesia, e Euripide, che rappresenta una societa gia organizzata secondo categorie morali che consentono una razionale distribuzione di identita. Con Socrate ed Euripide nasce l'uomo eticoteorico, l'uomo che costruisce un mondo con le misure della ragione e ne espelle tutto cia che in queUe misure non rientra. Nasce con lora la Grecia di maniera, quella a cui per solito ci si riferisce quando, sulla scia del Winkelmann, si cercano i modelli classici dell'arte e della filosofia. Guarita dalla follia, la Grecia entro allora sotto il segno della serenita apollinea. Da allora, scrivera Nietzsche nella premessa alia seconda edizione de La nascita della tragedia, del 1886, i greci si fecero sempre piu ottimisti, superficiali, istrionici e anche pm smaniosi per Ia logica e Ia logicizzazione del mondo, cioe, a un tempo, 'piu sereni', 'piu scientifici'. Non potrebbe essere forse Ia vittoria dell'ottimismo il predominio della razionalitii, l'utilitarismo pratico e teorico, come Ia democrazia stessa di cui esso e contemporaneo, un sintomo di forza declinante, di vecchiaia approssimantesi, di affaticamento fisiologico, a dispetto di tutte le 'idee modeme' e di tutti i pregiudizi del gusto democratico?
Ecco chiaramente posto il rapporto di continuita tra la Grecia socratica e l'Europa fine Ottocento, con le sue tavole di valori, prima fra tutti la democrazia. C'e stato un momenta, ammette Nietzsche, in cui questa continuita si incrino. Fu quello legato al binomio Kant-Schoperihauer: Alia prodigiosa valentia e sapienza di Kant e di Schopenhauer era riserbata Ia piu ardua vittoria, Ia vittoria sull'ottimismo, celato nell'essenza della logica, e che e, insieme, lo sfondo della nostra cultura. Laddove l'ottimismo, fondandosi sulla sua fede nelle veritates aeternae indiscutibili, aveva creduto alia conoscibilita e alia esauriente penetrazione di tutto !'enigma dell'universo, e aveva considerato lo spazio, il tempo e Ia causalita come leggi del tutto assolute, di valore universalissimo, Kant paleso che queste servono propriamente a niente altro che ad elevare il mero fenomeno, !'opera di Maia, ad ~unica e suprema realta e sostituirlo all'intima e vera essenza delle cose.
Ma, quando scrive la premessa all'edizione della Nascita della tragedia del 1886, Nietzsche ha gia abbandonato questa linea genealogica: Kant e Schopenhauer gli erano stati utili per dire case totalmente nuove e, riconosce Nietzsche, sicuramente estranee al lora pensiera e al lora gusto. La sua teoria della 'decadenza' ha gia subito una decisiva trasformazione.
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4.15 La malattla storica. Prima che Euripide introducesse, nella potente vitalita dei Greci dell'eta della tragedia, il vizio della distinzione tra il bene e il male, tra il lecito e l'illecito, e Socrate quello della pretesa di fermare la verita nel concetto, non era ancora venuta alla luce la qualita della spirito che noi chiamiamo 'sensa della storia'. La storia i Greci la facevano, con potenza plastica, assorbendo nell'attimo vitale il proprio passato, senza bisogno delle fredde e oggettive ricostruzioni della memoria. II rapporto che un uomo o un gruppo ha con il proprio passato e veramente utile quando e quello dell'oblio, dalla cui notte emerge, come mediazione conoscitiva, il mito. Il senso storico e vevuto dopo, come forma specifica della decadenza avviata nell'eta socratica. E' quanto Nietzsche spiega nella seconda delle sue · Considerazioni inattualz: uscita nel1874 col titolo Sull'utilitd e il danno degli studi storici per Ia vita. 11 senso storico, cosi come e stato inteso dalla Grecia classica fino a Hegel, e pili ancora fino agli storici positivisti del secondo Ottocento, e in se stesso nemico della vita, perche presuppone e produce il ripiegamento dell'io, individuale o collettivo, su se stesso, allo scopo di costruire una trama della memoria che abbia gli stessi tratti di oggettivita che la scien7.a costruisce con successo riguardo al mondo fisico. Ci si puo rivolgere al proprio passato in pili modi, e ciascuno di essi, osserva Nietzsche, da luogo a un particolare tipo di storia. Si ha' la storia di tipo monumentale, quando si intende creare qualcosa di nuovo di cui mancano i modelli nel presente e allora si ricercano nel passato. Si ha la storia antiquaria, quando ci si vuole attenere a cio che si venera per abitudine o per tradizione. «Soltanto colui che un'angoscia presente opprime e che vuole a tutti i costi liberarsi dal fardello, ha bisogno della storia critica, di una storia che giudichi e che condanni». Se l'uomo modemo «soffre di debolezza della personalita», cio e dovuto a una saturazione di cultura storica, prodotta dai primi due atteggiamenti. Supponiamo che una di queste 'enciclopedie ambulanti' da noi chiamate persone colte si venga a trovare, per incantesimo, fra i greci dell'eta presocratica: resterebbe inorridito dalla loro incultura e rozzezza; viceversa, se uno di quei greci venisse a trovarsi tra gli uomini d' oggi, cosi stipati di notizie sul passato e cosi scrupolosi nel distinguere queUe esatte da quelle infondate, non saprebbe trattenersi dalle risa. La soppressione degli istinti per mezzo del sensa storico ha reso gli uomini pure astrazioni, ombre vaganti: «nessuno osa pili esporre la propria personalita rna ciascuno prende la maschera di uomo colto, di datto, di poeta, di uomo politico». Si tratta, se giudicati secondo i parametri dominanti, di persone ragionevoli fino, se si vuole, all' eccellenza, «rna solo nel sen so in cui Schiller parla degli uomini ragionevoli: uomini che non vedono cio che anche un bambino vede, che non sentono cio che anche un bambino sente». In cinque riguardi - spiega Nietzsche in un denso passaggio - mi sembra che la saturazione di storia di un'epoca sia ostile e pericolosa per la vita: da un tale eccesso viene prodotto que! contrasto fra esterno e interno di cui si e finora parlato, e da esso la personalita viene indebolita; per questo eccesso un'epoca 9de nella presunzione di possedere la virtu piu rara, la giustizia, in grado piu alto di ogni altra epoca; da questo eccesso gli istinti del popolo vengono turbati, e al singolo non meno che alla totalita viene impedito di maturare; da questo eccesso viene istillata la credenza sempre dannosa
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nella vecchiaia dell'umanita, la credenza di essere frutti tardivi ed epigoni; per questo eccesso un'epoca cade nel pericoloso stato d'animo dell'ironia su se stessa e da esso in quello ancora piu pericoloso del cinismo; rna in tale stato d'animo un'epoca va sempre piu maturando verso una prassi furba ed egoistica, da cui le forze vitali vengono paralizzate e alfine distrutte.
Si puo reagire contra il soffocamento della vita da parte della storia, cioe contra la malattia storica, sviluppando due sentimenti: l'antistorico e il sovrastorico. Il sensa antistorico fu quello che modello la vita dei greci antichi nella loro fase creativa, ispirando loro l'arte del giusto oblio e del mito, chiudendo attorno a loro gli spazi smisurati della realta per concentrare in un orizzonte limitato Ia loro potenza vitale; sovrastorico e il sentimento di colui che distoglie lo sguardo dal divenire, volgendolo a cio che da all'esistenza il carattere dell'eterno e dell'immutabile: all'arte e alla religione. Invece, Ia mentalita scientifica si oppone di sua natura ad ambedue queste possibilita terapeutiche: essa infatti, mentre mira a distruggere criticamente le forze eternizzanti dell'arte e della religione, getta l'uomo nell'oceano del 'divenire conosciuto'. La scienza odia Ia vita. «Nessuno puo dubitarne: la vita e il potere piu alto, dominante, poiche una conoscenza che distruggesse la vita distruggerebbe nel contempo se stessa». Solo se subordina se stessa alle ragioni della vita, Ia storia diventa 'critica' ed assolve un compito positivo: La storia pensata come pura scienza, e divenuta sovrana, sarebbe una specie di chiusura e liquidazione della vita per l'umanita. L'educazione storica e invece qualcosa che e salutare e promette futuro solo al seguito di una forte corrente vitale nuova, per esempio di una cultura in divenire, cioe solo quando viene dominata e guidata da una forza superiore e non quando e essa stessa a dominare e guidare. La storia, in quanto sia al servizio della vita, e al servizio di una forza non storica, e percio non potra ne dovra diven" tare mai, in questa subordinazione, pura scienza, come per esempio lo e la matematica.
In questa tentativo di porre Ia conoscenza storica in una funzione subalterna alla vita, Nietzsche trova spesso occasione di pronunciarsi su di un tema destinato a diventare centrale nella cultura contemporanea, il tema della funzione ideologica della conoscenza. C'e un passo altamente suggestivo in un suo scritto minore, Sulla verita e la menzogna, che fornisce alia sua tesi il giusto senso cosmico-antropologico: In un qualunque remoto angolo dell'universo, diffuso in innumerevoli fiammeggianti sistemi solari, c'era una volta un astro sui quale degli accorti animali trovarono Ia conoscenza. Fu il minuto piu orgoglioso e menzognero della 'storia del mondo': rna un minuto soltanto. Dopo pochi respiri della natura, l'astro si irrigidi e gli accorti animali dovettero perire. In questo modo qualcuno potrebbe metter su una favola, rna non avrebbe con cio tuttavia mostrato a sufficienza come l'intclletto umano appaia nella natura misero, picno d'ombra, fuggevole, senza scopo ed arbitrario. Vi furono delle eternita in cui esso non era; quando sara passato sara come se nicntc fosse accaduto. Poiche per questo intellctto non c'e una piu ampia missione, che conduca al di Ia della vita umana.
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Confinato in cosi minuscola provvisorieta, come potrebbe l'intelletto dell'uomo presumere di pater raggiungere Ia verita in se? Di varcare, cioe, l'orizzonte rappresentativo che Ia volonta di vivere costruisce a se stessa con le proprie mani? Ogni conoscenza non e che in funzione della vita, cosi come storicamente questa si presenta fruibile. Ad esempio, e Ia situazione di classe nella gerarchia sociale che determina i concetti di morale e di diritto. Le nozioni di giusto e di ingiusto, di bene e di male, in uso nella classe dei signori, hanna per scopo di giustificare il !oro possesso, Ia !oro posizione di dominio. E . Ma, soprattutto, al cristianesimo, non in quanta fede in Gesu Cristo, rna, spiega Heidegger, «come apparizione storica c politico-mondana della chiesa e delle sue pretese nella formazione della civilta occidentale>>. Nessuno propriamente ha ucciso Dio: egli e morto per autosoppre~sione, e cioe per un superamento di se stesso dovuto al semplice fatto che la menzogna di partenza si e sviluppata fino al proprio limite, annientandosi per esaurimento.
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4.18 II nichilismo. La morte di Dio e lo svelamento, e quindi la fine, della
«nostra piu larga menzogna», rna e nel contempo la fine di ogni fede metafisica, anche di quella «SU cui riposa la nostra fede nella scienza», perche,. «anche noi uomini della conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici, continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall'incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio e verita e la verita e divina». La morte di Dio e percio l'avvento ultimo del nichilismo, l'epifania di quel puro vuoto che si nascondeva nella storia del pensiero, pur essendone il sensa segreto. Le implicazioni di questa epifania, di cui Nietzsche si considera il profeta, dovranno dispiegarsi, egli dice, nei prossimi due secoli. Se in questi ultimi anni del secondo millennia noi siamo testimoni di una Nietzsche-renaissance, e certo anche per Ia condizione storica in cui siamo, che ci mette nella possibilita di dar riscontro a certe inquietanti divinazioni del profeta del nulla: «... esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? ... ». Invece che aggredire nei suoi contrafforti il grande edificio platonicocristiano, come facevano ai suoi tempi i positivisti, nell'intento di sostituire una nuova fede alla vecchia fede, Nietzsche discende aile fondamenta dell'edificio per verificare che esse non poggiano sulla roccia rna sul vuoto. Il nichilismo non e dunque di per:-se l'esplodere di una crisi, e la condizione normale, anche se latente, dell'uomo post-socratico. In quanta 'stato patologico transitorio', il nichilismo e invece la crisi dell'uomo attuale, che si manifesta come pensiero critico che annulla tutti i significati, morali, religiosi, metafisici del vivere. Non c'e ne alto ne basso, ormai, tutto si equivale, il vero e il falso, il buono e il cattivo. E' cominciato il crepuscolo dei valori, cioe delle verita significative per l'esistenza dell'uomo. Il sole intelligibile si e eclissato, e, mentre la notte investe tutte le cose, fa la sua apparizione tragico-grottesca !"ultimo uomo'. Guardate! Io vi indico !'ultimo uomo. Che cos'e amore? Che cos'e creazione? Che cos'e desiderio? Che cos'e stella? cosl domanda !'ultimo uomo e ammicca. La terra sara allora divenuta piccola e saltellera su di essa !'ultimo uomo, che rende tutto piccolo. La sua schiatta e indistruttibile come Ia pulce sulla terra; !'ultimo uomo vive una lunghissima vita.
E' questa il nichilismo 'compiuto; cioe al suo stadia ultimo, punta di arrivo del nichilismo originario, che ebbe inizio con la scissione socratico-platonica tra realta e verita. Esso ha attraversato la storia, restando per lo piu allo stato latente, emergendo appena di tanto in tanto in quei periodi che, lungo la linea storica, contrassegnano le fasi di decadenza, come la fase alessandrina in rapporto alla Grecia classica, il cristianesimo in rapporto alla Roma imperiale e la Riforma luterana in rapporto al Rinascimento italiano. Ma le forme di questa nichilismo incompleto sono tante. Ad esempio, la morale kantiana, che anch' essa postula un altro mondo, «an cora il vecchio sole, in fonda, rna oscurato dalla nebbia o dal dubbio; l'idea divenuta sublime, pallida, nordica, konigsberghiana». 0 come gli ideali laici degli uomini-pulce che gremivano il proscenio storico in quella fine Ottocento, gli uomini della democrazia e del socialismo, devoti alla Felicita per tutti e al Progresso. Tutta la cultura europea «si muove da lungo tempo in una torturante tensione che cresce di decennia in decennia,
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come protesa verso una catastrofe)), afferma Nietzsche, che considera se stesso «come il primo compiuto nichilista europeo, che pen) ha gia vissuto dentro di se sino all'esaurimento il nichilismo stesso)). E proprio per questa, per aver portato al limite del possibile il nichilismo distruttivo, Nietzsche ribalta il disgusto della vita in una nuova volonta di esistere, in nichilismo attivo. Nel nichilismo distruttivo vengono meno tutte le discriminazioni metafisiche tra il bene e il male, tra il vero e i1 falso e tutto si fa apparenza, come dire rappresentazione del caos, nella quale, dissoltosi il principia di identita, i contrari possono benissimo convivere. Per arrivare a questo nichilismo 'estatico' (nel senso che fa uscire dalle regole dell'identita), bisogna passare dalla semplice constatazione della dissoluzione alia dissoluzione attiva: e Ia prospettiva 'dionisiaca' della gioiosa affermazione dell'unita dei contrari. Il limite di Schopenhauer, come dell'antico Buddha, e di essersi arrestati a! nichilismo distruttivo, mentre l'accettazione del nichilismo vissuto fino al limite della catastrofe genera necessariamente il trapasso a una specie di 'seconda innocenza', che mette al posto dei 'valori morali' nuovi valori, espressi direttamente dalla natura: Perche infatti e ormai necessaria l'avvento del nichilismo? Perche sono i nostri stessi valori precedenti, che traggono in esso Ia loro ultima conclusione, perchc il nichilismo e una logica, pensata fino in fondo, dei nostri grandi valori e ideali, perche dobbiamo prima vivere il nichilismo per accorgerci di que! che fosse propriamente il valore di questi 'valori'. Noi abbiamo bisogno, quando che sia, di nuovi valori
4.19 La volonta di potenza. Superuomo o oltreuomo? L"ultimo uomo', l'uomo-pulce, e il punto d'arrivo del nichilismo passivo. Nietzsche ne aveva sotto gli occhi un campionario che provocava al disgusto e al sarcasmo: erano i democratici e i socialisti. Sono stati ]oro che hanno esaltato Ia morale contro la volonta di potenza: 1. l'istinto del gregge contro i forti e indipendenti, 2. l'istinto dei sofferenti e dei mal riusciti contro i felici, 3. l'istinto dei mediocri contra le eccezioni. Con le loro teorie sull'uguaglianza, essi tentavano il ricatto contro gli uomini superiori e virtualmente miravano a impedire la nascita del 'vero uomo', che potremmo collocare al punto d'anivo del nichilismo positivo. Il vero uomo e chiamato da Nietzsche Uebermensch, tradotto per solito in Superuomo. Per evitare di legittimare l'accezione che dell' Uebermensch hanno dato il fascismo e il nazismo, specialmente il nazismo - due ideologic del 'superuomo' - potremmo anche tradurre il termine tedesco con 'oltreuomo', come fa qualcuno, o, svincolandosi da scrupoli troppo filologici, con 'uomo totale'. Infatti, l'uomo totale, nel linguaggio immaginoso di Nietzsche - che mai come su questo punto tiene in non cale la logica dell'identita - si riempie di una grande varieta di significati, distribuiti tra due estremi: da un lato, !'idea di uomo totale coincide con quella dell'uomo che ha portato a compimento tutte le sue possibilita, dall'altro, esso sembra implicare la fuoriuscita (ex-stasis) dai confini propri dell'umanita e l'inagurazione di una forma di esistenza piu alta, altemativa a quella che oggi e propria dell'uomo, di ogni uomo. Il termine 'superuomo' era entrato in circolo per merito dei discepoli di Hegel, che ne facevano uso per definire la realta di Gesu Cristo. In ogni caso,
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un retroterra messianico il termine nietzschiano sicuramente lo possiede. Probabilmente cade in err6re chi lo riempie di contenuti facendo consistere la differenza specifica dell' Uebermensch nel suo dominio sugli uomini e sulla natura. L'annuncio del superuomo, neUe pagine nietzschiane, sembra evocare un essere in cui avra piena manifestazione quella volonta di potenza che, al di la di tutte le parvenze, e la vera realta dell'universo. E' l'essere uscito da se stesso e divenuto dimentico di se. Questa 'oblio dell'essere' e, secondo Heidegger (10.13), il filo che si svolge nella storia della filosofia e giunge al suo bandolo estremo proprio in Nietzsche. Per quanta sia impossibile definirla in modo univoco, non sarebbe giusto identificare Ia volonta di potenza con una cieca vo' lonta di dominio e di sterminio, come farebbero pensare alcune espressioni di Nietzsche, specie quelle che esaltano gli uomini e le 'razze nobili' alla cui base vi e la 'magnifica bionda bestia che bramosamente ricerca la preda e la vittoria'. Il superuomo sta all'uomo come questa sta all'animale: il 'salto' e un postulato della volonta di potenza, che mira a realizzare se stessa. In quanta tale, il superuomo appartiene al futuro: gli uomini superiori, compreso lo stesso Zaratustra, non sono che i suoi profeti, i suoi Giovanni Battista. Il divario tra l'uomo e il superuomo introduce, perfino nella sponda ultima dell'esperienza umana, la distinzione, anzi l'antagonismo che, secondo Nietzsche, governa la storia intera, tra il volgare e il nobile, tra il gregario e il signore, tra lo schiavo e il padrone. Avendo ripudiato lo strumento espressivo che e il concetto; sospinto da un'ebrezza poetica che non da mai spazio al sereno ragionare, Nietzsche espone i punti saldi della sua escatologia scontando e facendoci scontare l'ineffabilita delle sue tesi. Le nozioni base di Nietzsche hanno un contenuto noetico che non puo essere mediato per via d'intelletto, rna con parabole e metafore, che svegliano e presuppongono una intelligenza immaginativa il cui vero alfabeto sia il sim bolo. Ad esempio, nella nozione di volonta di potenza, il termine volonta e improprio. La volonta di potenza per Nietzsche, come la volonta di vivere per Schopenhauer (4.3), e il vero essere su cui si stende il velo del fenomeno, non e una sottospecie della volonta, e qualcosa di molto piu essenziale, che 'sta sotto' lo spessore psicologico del volere, sta nella stessa struttura biologica del!'uomo, nella sua stessa corporeita intesa quale complesso di impulsi dinamici, come principia dionisiaco. Ma questa intuizione, che gia era al centro della prima opera di Nietzsche, si e fatta, nei frammenti che negli ultimi · anni egli accumula col proposito di comporre il suo capolavoro, molto piu ricca e cangiante. La de'finizione della volonta di potenza, come quella correlativa del superuomo, sembra aprirsi a significati ludici, come se, avendo spezzato in se e attorno a se i vincoli della morale degli schiavi, il superuomo potesse abbandonarsi a una specie di gaudiosa immediatezza, a una vita vissuta con passo di danza. Zaratustra, si e detto, non e il superuomo, rna il suo profeta. Anche lui 'saltella' nel mondo come l'uomo-pulce, rna la sua e piuttosto la danza che traduce, nei suoi movimenti senza scopo, la follia che sola e in grado di 'aprire la Strada al nuovo pensiero'. L'annuncio di Zaratustra e quello dell'uomo che dev'e venire, l'uomo nel quale l'indefinibile volonta di potenza diverra carne e sangue. L'uomo, quello che noi conosciamo, anzi che noi siamo, 'e qualcosa che deve essere superato':
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Che cos'e per l'uomo Ia scimmia? Un ghigno o una vergogna. E questo appunto ha da essere I'uomo per il superuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna... L'uomo e un cavo teso tra Ia bestia e il superuomo.
L'uomo che deve essere superato vive integrato in una societa nella quale vigono principi gerarchici che giustificano il dominio dei forti sui deboli. Questa struttura e anche interna a lui; nel soggetto umano si aggrega una pluralita di principi, tra i quali alcuni dominano sugli altri. Gli uomini esistenti, anche gli uomini superiori che non sono ancora il superuomo, hanno in se un quoziente di schiavitu. II superuomo, invece, e Iegge a se stesso, in quanto ha abolito in se la subordinazione tra i principi soggettivi: la corazza interiore si e spezzata, l'impeto vitale sgorga senza ostacoli e senza costrizioni. La sua vita e come un gioco, simile a quella del divino fanciullo di cui parla Eraclito. 4.20 L'etemo rltomo. Pare che per ·qualche momento Nietzsche abbia pensato di dedicarsi allo studio delle scienze, per fornire un fondamento inoppugnabile aile sue intuizioni che i concetti della filosofia tradizionale non erano in grado di mediare. C'e anche chi suppone che l'idea di superuomo sia stata suscitata in lui dalle teorie evoluzionistiche di Darwin, che in quegli anni tenevano a rumore la cultura europea. Non e certo per caso che Nietzsche abbandono il progetto 'scientifico', posto che l'abbia avuto. Si e gia detto che, nella sua storia del nichilismo, la scienza positivista appare come 1'erede naturale della metafisica e della religione, in quanto anch' essa implica, a suo modo, la fede nella verita, lo sdoppiamento tra i fatti e le interpretazioni. Ma poi, nella nozione stessa di superuomo ogni riferimento a una specie umana piu alta di quella presente sarebbe del tutto incongruo. L'alternativa perorata da Zaratustra non puo ritagliare il proprio modello nel panorama fenomenico della storia, dove han senso il passato, il presente e il futuro e dove dunque ha senso l'idea di progresso. L'alternativa e gia potenzialmente presente nella 'pianta uomo', nei succhi vitali che la pervadono e che potrebbero produrre fiori e frutti, se si togliessero gli ostacoli alia volonta di vivere. Per questo Nietzsche saluto con giubilo l'attimo in cui gli venne l'idea dell"eterno ritorno': i primi d'agosto del1881, a Sils Maria, in Engadina. E' Lou Salome, a cui Nietzsche confido l'illuminazione, che ci ricorda come in quel periodo l'amico fosse vivamente interessato alla filosofia vedantica e in particolare a quella di Shankara (!.9.15.), su cui aveva scritto un'opera il suo condiscepolo Paul Deussen. In ogni caso, l'idea dell'eterno ritorno non era cosi peregrina, perche faceva parte del patrimonio della Grecia e precisamente, per non dire degli stoici, del presocratico Eraclito, da cui Nietzsche aveva preso l'immagine del divenire del mondo come un gioco cosmico del grande fanciullo, Zeus. In un altro frammento, Eraclito dice: «Ouesto cosmo nessuno degli dei lo fece, rna fu sempre ed e e sara, fuoco di eterna vita, che si accende con misura e si spegne con misura)). In un suo appunto del 1881, Nietzsche tenta di ancorare l'idea dell'eterno ritorno aile tesi cosmologiche di natura scientifica Egli dice che, essendo la misura del cosmo determinata, non infinita, anche se praticamente non misurabile, il numero delle combinazioni in cui consiste il suo divenire e anch'esso determinato, non infinito. Se il tempo scorresse lineare e fosse infinito, tutte le
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combinazioni possibili avrebbero gia dovuto darsi. Ne deriva che lo scorrere del_le cose non puo concepirsi che come circolare. Ma, in coerenza con l'insieme delle sue posizioni, Nietzsche non ha insistito su questa linea scientifica. AlIa pari della metafisica, anche la scienza era per lui un'espressione del nichilismo. La rievocazione dell'antico modello cosmologico e, in Nietzsche, un espediente immaginativo per dire altro: una specie di arcana metafora dai molti sensi che a noi tocca trascrivere in un codice razionale. Intanto, nell'idea dell'eterno ritorno e implicita l'esclusione di ogni causa trascendente della realta. II divenire determina se stesso da se stesso: la circolarita dei fenomeni che lo costituiscono inscrive in se stessa la catena delle cause e degli effetti. Non solo. la trascendenza religiosa risulta priva di ogni fondamento, rna anche quella ideologica del socialismo, che ripone nel futuro del mondo la soluzione delle ingiustizie presenti. Cio che e, e gia stato, come e gia stato quel che sara. Immaginarsi un altro mondo, e non importa dove questa alterita si colloca, in cielo o nel futuro, significa concedere ai vinti la consolazione della speranza e cioe significa dare alimento al nichilismo dei deboli. Se tutto ritorna, allora tutto e vano. Questa verita e intesa da Nietzsche come una 'prova', nel senso che essa discrimina i deboli dai forti, i vinti dai signori della terra. Infatti, se tutto ritorna, allora ogni istante gia si e dato, cosi come si dara infinite volte: in ogni istante si concentra la totalita del cerchio. I forti sono quelli che dicono di si all'istante, senza lasciarsi frastomare dalle nostalgic del passato o dalle speranze del futuro. I signori della terra sono gli uomini del si, che acconsentono alia necessita dell'istante avvertendolo in pieno come necessita. Ma se essi dicono si a un solo istante, dicono si a tutta 1'esistenza. Chi dice si a un istante di gioia, dice si anche al dolore che e immanente al cerchio del divenire, e chi dice si all'istante di dolore dice si anche alia gioia immanente al cerchio, perche tutte le cose sono tra loro concatenate, in modo che ciascuna di esse include tutte le altre. I deboli non sanno resistere a questa concatenazione, che sopprime ogni contingenza. Ma la 'religione' dell'etemo ritomo e pietosa con loro, perche non prevede nessuna dannazione: !'inferno dei deboli sara la stessa coscienza della vita fuggitiva. II forte, invece, vive l'ebrezza del meriggio, nel sensa che egli vive l'istante in quanta esso e l'emergenza estatica del circolo eterno, anulus aeternitatis, e percio accetta con ebrezza la prospettiva del ritomo. Non dunque con la rassegnazione degli antichi stoici, maestri di una morale il cui imperative era la conformita al Logos, alia ragione, rna con entusiasmo creative. Infatti il giro delle cose e senza scopo, e vuoto di sensa. Sono gli uomini del si che creano il senso del divenire. · Tutto cio che fu e frammento, enigma, caso spaventevole, finche la volonta creatrice aggiunge: cosi io volevo che fosse, cosi io voglio che sia, cosi io vorro che sia.
A loro modo, dunque, gli uomini. del si vivono secondo la legge dell'amore. Un amore che 'ha per oggetto niente altro che la necessita da cui e governato il passaggio dal passato al futuro, e cioe il Fato. La formula per la grandezza dell'uomo e amor fati; non voler nulla di diverso da quello che e, non nel futuro, non nel passato, non per tutta l'eternita. Non solo sopportare cio che e necessaria, rna amarlo.
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Ed e qui, nell'entusiasmo con cui la volonta assume liberamente il peso di una necessita irrazionale, e qui che si manifesta Ia sostanza dionisiaca del reale, e qui che Ia musica di Schopenhauer-Wagner si tramuta nella Sapienza poetica in cui ogni altra forma di sapere dovrebbe risolversi. A differenza del Sapere assoluto di Hegel, il Sapere assoluto di Nietzsche-Dioniso abolisce, al suo interno, tutte le categorie della logica, come quelle della possibilita, della contingenza o della necessita. L'eterno ritorno non e ne reale ne ideale, ne contingente ne necessario, rna unifica in se, per un paradosso che sconfigge Ia ragione ed apre il varco alia poesia, i contrari logici. Esso e una contingenza necessaria, e insieme caso e necessita, e assoluta incoerenza e assoluta coerenza, e Caos e Cosmos: II Caos universale che esclude ogni attivita orientata a un fine non e contraddittorio con !'idea di un movimento circolare: quest'ultimo non e appunto che una necessita irrazionale.
Incluso nella necessita del cerchio, il Caos non vi trova affatto, alla maniera hegeliana, una riconciliazione con la ragione. II Caos resta Caos e il cerchio resta il cerchio, l'assurdo resta assurdo e il razionale resta il razionale. L'eterno ritorno non e, dunque, che una interpretazione della realta, un cerchio tracciato dall'uomo sull'abisso dell'indefinibile, che resta eternamente quello che e. II circolo e il sigillo posto dall'uomo sui Caos, e la logica dell'essere che cerca di assumere in se, rna senza riuscirvi, il tumulto incoerente del divenire. E' il bambino-Zeus che sulla spiaggia del mare costruisce torri di sabbia e le atterra, con divino capriccio. Quella dell'eterno ritorno e la prospettiva suprema a cui puo giungere Ia volonta di potenza, che in tal modo riesce a sovrastare anche il ritorno inarrestabile del negativo: Imprimere a! divenire il sigillo dell'essere: questa e Ia forma suprema della volonta di potenza. Dire che tutto ritorna e avvicinare al massimo il mondo del divenire a quello dell'essere ...
Risolvere, come ha fatto Hegel, l'essere nel divenire e viceversa, in nome della logica, significa toccare i limiti del nichilismo, come si e detto. «Piu una cosa e conoscibile, piu e lontana dall'essere!)). Col mito dell'eterno ritorno, l'avvicinamento tra le due sfere, quella dell'essere e quella del conoscere, giunge al massimo, rna in modo tale che ogni pretesa della logica di far ponte tra le due sfere viene meno. In quella pretesa rientra anche il principia di identita. Ogni identita e una maschera intercambiabile dentro il gioco universale. Nelle sue ultime lettere. Nietzsche si firma, quasi a voler stringere in unita due maschere contraddittorie, ora 'Dionisio', ora 'Crocifisso'. Appena qualche giorno prima che la luce della sua ragione si spegnesse, aveva scritto a Burckhardt: Caro signor professore, alia fin fine avrei preferito essere un professore di Basilea piuttosto che Dio. Ma non ho osato spingere il mio personale egoismo fino al pur,tto di astenermi percio dalla creazione del mondo.
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Forse la sua follia non fu che un moltiplicarsi delle maschere oltre la misura del tollerabile. Era rimasto vittima della sua impresa, proprio mentre essa stava per ottenere il suo pie no successo. Aveva scritto a Georg Brandes, il 20 novembre 1888: «Vi prometto che fra un paio d'anni avremo messo il mondo a soqquadro. Io sono il Fato».
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Sommario. L'itinerario filosofico di Karl Marx inizia in diretto rapporto col gruppo della 'sinistra hegeliana', che di Hegel accetta il metoda dialettico, rna non il sistema (5.1). Le posizioni che piu sollecitano la riflessione di Marx sono queUe di Arnold Ruge, di Max Stirner, di Bruno Bauer e di D.F. Strauss (5.2), rna decisiva fra tutte e quella di Ludwig Feuerbach, che nella sua analisi del fenomeno religioso aveva fatto uso del concetto hegeliano di alienazione: l'illusione religiosa, alia pari di quella dell'idealismo hegeliano, ha la sua radice nella proiezione dei bisogni reali dell'uomo in un mondo immaginario (5.3). Da questa linea parte Marx nella sua critica alla concezione hegeliana dello Stato, nella quale si ha la stessa inversione tra soggetto e predicato che Feuerbach aveva messo in luce nell'illusione religiosa Nella Stato liberale, l'emancipazione dell'uomo non e reale, e astratta. L'emancipazione reale si avvera allivello dei rapporti economici e il suo metoda non e la critica, e Ia rivoluzione operata dal proletariato (5.4). Allo studio dei rapporti economici il giovane Marx si dedica con un orientamento ancora prevalentemente antropologico (5.5). L'economia borghese ha il difetto di essere troppo poco scientifica, perche parte da alcuni dati che fa passare per essenziali all'economia mentre sono propri di un particolare sistema, quello capitalistico. II lavoro e, nel sistema capitalistico, un lavoro alienato (5.6). Ed e proprio nel lavoro alienato che ha radice l'alienazione religiosa di cui aveva parlato Feuerbach: per superarla non basta la critica, ci vuole il mutamento dei rapporti economici. Soppresse le condizioni di sfruttamento, finiscono insieme la religione e l'ateismo (5.7). E' questa il modo con cui Marx usa la dialettica di Hegel. nella quale, invece, l'alienazione veniva data per necessaria, come una sola cosa con l'oggettivazione dell'Idea (5.8). E' in virtu del proprio metoda dialettico che Marx respinge sia l'Idea come principia da cui derivare la natura (come in Hegel), sia la natura come principia che genera l'Idea (come in Feuerbach); la verita dell'uomo e che in lui natura e coscienza sono in costante reciprocita. E' qui l'umanesimo di Marx (5.9). II fattore che turba il rapporto tra coscienza e natura e !'assetto concreto delle forze produttive, basato sui principia della proprieta privata (5.10). II 1845 e l'anno in cui Marx fa i conti in modo definitivo con la sinistra hegeliana e, superata la fase umanistica, determina in modo scientifico l'oggetto della sua riflessione (5.11). Attraverso un'appassionata polemica contra Bauer, Stirner e Proudhon, egli precisa in modo definitivo Ia sua identita, che ha i suoi 'luoghi' essenziali nel materialismo storico e nella dottrina scientifica della rivoluzione (5.12). Anche con Feuerbach Marx regola i conti, stabilendo in undid tesi i punti di consenso e di distacco da lui: il distacco e soprattutto nella dottrina della prassi (5.13). II materialismo storico consiste nella spiegare ogni fase della societa mediante l'analisi dei rapporti tra base produttiva e ideologia, tra struttura e sovrastruttura (5.14). Questa feconda riflessione trova la sua vigorosa sintesi nel Manifesto (5.15). I fallimenti del 1848 portano Marx a intraprendere un grandioso programma di ricerca di economia politica, che sbocchera nel Capitale, in cui egli clara una ragione
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scientifica dell'alienazione che per l'avanti aveva analizzato nel suo aspetto antropologico (5.16). Il vizio di fondo dell'economia classica capitalistica e, per Marx, nella determinazione del valore della merce (5.17). L'economia classica trascura un'elemento essenziale nel processo produttivo, Ia forza lavoro, che entra sui mercato a! pari della merce ed e l'elemento occulto che determina, nel mercato, il plusvalore. A questa mercificazione della forza lavoro corrisponde un atteggiamento soggettivo, che e il feti,cismo (5.18). Da questa analisi scientifica derivano in Marx due atteggiamenti contraddittori per quanto riguarda Ia visione dello sviluppo storico: da una parte, Ia rivoluzione appa- · re come una necessita governata dalla dialettica strutturale, dall'altra, essa richiede Ia volonta organizzata del proletariato. L'instaurazione del comunismo avverra per gradi (5.19). Meritano attenzione i rapporti tra Marx ed Engels al livello della produzione filosofico-scientifica. In sintesi, si puo dire che il marxismo come visione scientifica della societa e opera di Marx e il marxismo come filosofia della natura e della storia (come materialismo dialettico) e opera di En9.els (5.20). Ma nonostante il suo tentativo di trasformare, col materialismo dialettico, I insegnamento di Marx in una specie di metafisica deterministica, Engels resta sostanzialmente fedele alle tesi che fra struttura e sovrastruttura non ci sono rapporti di dipendenza, rna di reciprocita (5.21).
Marx: il rovesciamento di Hegel 5.1 La sinlstra hegellana. ll principio costitutivo dell'hegelismo - l'identita tra il reale e il razionale - veniva fatto valere da Hegel e dai suoi discepoli piu diretti non come una critica alle realta concrete del presente, in nome di una razionalita in cui esse avrebbero potuto leggere il proprio dover essere, rna, al contrario, come una legittimazione del presente, in ultima istanza della monarchia prussiana, uno dei pilastri della Santa Alleanza. Hegel considerava se stesso come l'umile servitore dello Stato, con il compito di rendere esplicita Ia razionalita che nello Stato aveva carne e sangue. L'ondata rivoluzionaria del 1830 aveva svegliato in lui fastidio e malinconia. Il fastidio aveva per oggetto la 'saccenteria del dover essere', e cioe la presunzione diffusa che per rimediare ai mali del tempo si dovesse ricominciare da capo; Ia malinconia evaporava, per cosi dire, dalla stessa pretesa del suo pensiero di essere ormai un pensiero compiuto, il cui senso era di porre un sigillo sulla realta nella quale finalmente l'idea aveva chiuso il ciclo dell'identita con se stessa. Scomparsi nel 1831 Hegel e nel 1832 Goethe, lo Stato prussiano rimaneva come vuoto di quell'altera coscienza di se che era riuscita a contenere gli spiriti nel con sen so all' ordine esistente. La rivoluzione di Parigi del 1830 aveva scosso irrimediabilmente i prest1pposti politici della Restaurazione, della Santa Alleanza e del romanticismo conservatore. Nella grande cattedrak hegeliana si dissolse lo spirito di devozione e prese inizio il clamore del dibattito intemo. E' questo il clima inquieto della Berlino che Karl Marx· conosce nel 1836. Un anno dopo, il10 novembre 1837, egli scrive al padre: Avevo letto dei frammenti della filosofia di Hegel, la cui grottesca ed aspra dialettica mi infastidiva. Volevo ancora una volta immergermi in quel mare, rna con la ferma intenzione di trovare nella natura spirituale la stessa necessita e concretezza della natura materiale, di non ricorrere piu agli artifizi dialettici, bensi di esporre la pura perla alia luce del sole.
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Questa ambivalenza nei rapporti con Hegel, Marx la manterra fino alia fine: Io sono discepolo di Hegel, confessera nel Capita/e. Tuttavia mi sono preso Ia liberta di adottare verso il mio maestro un atteggiamento critico e di fargli subire un cambiamento profondo.
Karl Marx nasce a Treviri il 5 maggio 1818 da un padre di idee liberali che, per sottrarsi alle misure antisemite del governo prussia no (1815), si era convertito dall'ebraismo (nella sua famiglia come in quella di sua moglie c'erano stati rabbini) al protestantesimo. Nel battesimo aveva cambiato il nome di Hirschel in quello di Heinrich. Nel 1824 Karl e gli altri cinque fratelli vengono battezzati, la madre fara il passo l'anno seguente. Studia filosofia e diritto prima a Bonn e poi a Berlino, rna e a lena che si laurea, nel 1841, con una tesi sulla Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro. Vorrebbe ottenere una cattedra di professore, rna Bruno Bauer, l'amico a cui si appoggia e che e !'anima della sinistra hegeliana, viene espulso dall'insegnamento. Marx sceglie la strada del giornalismo (1842) e diventa redattore capo della Gazzetta renana (Rheinische Zeitung), di tendenze democratiche rivoluzionarie (borghesi), che guadagna in prestigio e in lettori, rna viene chiusa dal governo prussiano perche troppo spinta nella critica allo Stato (1843). Celebrato il matrimonio con Jenny von Westphalen, si trasferisce a Parigi (ottobre 1843), dove ha contatto con gli esponenti delle prime organizzazioni operaie. Insieme a Ruge pubblica (1844) il primo (e ultimo!) numero degli Annali francotedeschi (Deutsch-franzosischer Jahrbiicher), dove appaiono (tra le altre firme, quelle di Heine e di Engels) due suoi saggi: Per la critica della filasofia del diritto di Hegel. Introduzione e La questione ebraica. Incontra Engels (settembre 1844) e con lui frequenta la Lega dei giusti, una organizzazione .comunista clandestina formata soprattutto da emigrati tedeschi. Conosce Proudhon. Le sue posizion~ sempre piil radicali, lo portano a rompere con Ruge e ad impegnarsi in serie ricerche economico-politiche: gli appunti accumulati durante queste ricerche saranno pubblicati postumi, nel 1932, col titolo: Manoscritti economico-filosofici del 1844. Insieme ad Engels compone La sacra famiglia, un pamphlet contra Bruno Bauer. Espulso dal governo francese su pressione di quello prussia no (1 845), Marx si rifugia a Bruxelles, dove si fa piil intenso il suo sodalizio con Engels. Qui compone le Tesi su Feurbach e lldeologia tedesca, che sara pubblicata anch'essa soltanto nel/932. Le sue posizioni teoriche, ormai del tutto autonome, lo portano a rifiutare sia il rivoluzionarismo settario, sia l'utopismo piccolo-borghese di Proudhon, contra il quale scrive la Miseria della filosofia (1847). In tanto insieme ad Engels riorganizza Ia ,Lega dei giusti, denominandola Lega dei comunisti. La Lega affida ai due leaders il compito di redigere un Manifesto. Scritto da Marx, il Manifesto del partito comunista viene pubblicato nel febbraio 1848. Il governo helga lo espelle, rna nello stesso tempo (marzo 1848) egli e invitato dal governo provvisorio uscito dalla rivoluzione parigina del febbraio. La rivoluzione scoppia anche in Germania e in aprile Marx e a Colonia, dove risuscita Ia Gazzetta renana (Neue reinische Zei- .
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tung), con la bandiera della democrazia. La controrivoluzione ha il sopravvento e Marx, espulso dalla Germania (1849), si rifugia a Londra, dove riprende l'organizzazione della Lega dei Comunisti e scrive alcuni saggi sulfa rivoluzione del 1848, che saranno raccolti in seguito col titolo Le lotte di classe in Francia. Si ritira sempre piu dalla vita attiva e, in mezzo a difficolta familiari di ogni genere (quattro figli gli muoiono di stenti), alle quali riesce a far fronte grazie alia generosita dell'amico Engels, intraprende, al British Museum, un grandioso programma di studio a carattere prevalentemente economico. Nel frattempo, pubblica Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte (1852), le Rivelazioni sul processo dei comunisti a Colonia (1853 ), Lineamenti fondamentali della critica dell' economia politica (185 9), Teorie sul plus valore (1862-1863 ). Nel 1864 nasce la Intemazionale (Associazione Internazionale dei Lavoratori), di cui Marx scrive lo Statuto. Ma non intende distrarsi dal suo lavoro: «io credo, egli scrive, di fare qualcosa di piu importante per Ia classe operaia che tutto cia che io potrei fare persona/mente in un qualsiasi congresso». NeZ 1866 intraprende Ia stesura del I libra del Capitale, che sara pubblicato nel 1867 ad Amburgo. Durante la guerra del 1870, scrive due Indirizzi sulla guerra franco prussiana e, l'anno dopa, fallita l'esperienza della Comune di Parigi, La guerra civile in Francia. La prima Internazionale entra in crisi a causa del dissenso tra Bakunin e Marx, che ne fa trasferire Ia sede a New York. Gli ultimi suoi scritti sana del 1875: Appunti sul libra di Bakunin 'Stato e anarchia' e Critica del programma Gotha (a Gotha si tenne, nel 1875 un congresso di unificazione del partito socialista tedesco). La malattia gli impedisce di portare a termine il suo capolavoro: i libri II e III del Capitate saranno pubblicati da Engels, sulfa base dei manoscritti e delle indicazioni di Marx. Muore nel1883.
Ai tempi della lettera al padre, Marx faceva parte di un Club di giovani hegeliani, con sede in un caffe della Franzosische Strasse, dove si lego d'amicizia con alcuni protagonisti della cosiddetta 'sinistra hegeliana'. Fu uno di loro, D.F. Strauss, a far uso per prima di questa denominazione, tratta dal linguaggio parlamentare della Francia di Luigi Filippo. L' esistenza di una sinistra comportava, naturalmente, anche l'esistenza di una destra (e di un centro, che perc:'> ebbe identita piuttosto sfumata), formata da hegeliani di stretta osservanza. Il pensiero del Maestro gia conteneva in se potenzialmente questa divaricazione, che piu tardi uno della sinistra, Friedrich Engels, identifichera con la contraddizione tra sistema e metoda. La destra era il sistema, per cosi dire. Essa condivideva di Hegel il fastidio per 'la saccenteria del dover essere' e l'appagamento per l'approdo raggiunto dall'Idea, che, sul piano teorico, significava conciliazione tra religione e filosofia - conciliazione di cui erano segno visibile le categoric teologiche che, sulla scia del Maestro, i vecchi hegeliani usavano largamente - e, sul piano concreto, significava la celebrazione della Stato prussiano come epilogo oggettivo della storia universale. Che in tal modo la storia fosse giunta, per cosi dire, a consumare se stessa, non turbava
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gli hegeliani dogmatici, per i quali la compiuta identita tra il reale e il razionale veniva a· dire che l'assetto concreto delle cose riposava solennemente sulle fondamenta della Ragione. Il fatto che alcuni giovani intellettuali del regno di Prussia, specie quelli della Renania, a diretto confine con la Francia, mostrassero entusiasmo per la rivoluzione democratico-liberale, con cui Parigi aveva posto fine alia Restaurazione, era un brutto sintomo che andava represso. Ma Hegel non puo essere identificato col suo sistema, obiettavano i giovani della sinistra. Lo stesso Hegel aveva osservato, una volta, che la sua formula sull'identita tra reale e razionale poteva anche voler dire che il reale doveva cercare il senso di se nella ragione, modificandosi, se il caso, fino a incarnarne le leggi. E' il principia fondamentale della dialettica che ogni sintesi, in quanto razionalmente determinata, diventi essa stessa il termine di una negazione, a partir dalla quale si apra · la prospettiva di un piu alto pun to di conciliazione tra la realta e la ragione. In parole sintetiche: il sistema e, in Hegel, conservatore, la dialettica, e cioe il metodo, e rivoluzionario. La mistificazione alia quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel scrivera Marx nel Capitale - non toglie in nessun modo che egli sia stato il prjmo ad esporre ampiamente e consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica stessa. In lui essa e capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico.
5.2 Dalla riconciliazione alia rivolta. II rovesciamento non avvenne di colpo, nella testa di Marx, rna fu il risultato di un travaglio che fini per disperdere il gruppo della sinistra hegeliana nel cui seno aveva avuto inizio. II tratto comune di quel gruppo era il rigetto dell'identita tra Stato ideale e Stato reale, che nel concreto era lo Stato prussiano, uscito dalla bufera napoleonica con tutti i crismi della Restaurazione, primo fra tutti il riconoscimento del cristianesimo come proprio apparato ideologico. L'ambizione dei giovani hegeliani era di poter integrare nello Stato prussiano le conquiste della rivoluzione democratico-liberale che avevano preso forma, a partire dal 1830, nella Francia di Luigi Filippo. Un loro portavoce di prestigio era Amold Ruge (1820-1880), direttore degli Annali di Halle, da lui fondati nel 1838 a Halle, nella cui universita era professore. La tesi di Ruge e che lo spirito della liberta ha trovato in Francia, con la rivoluzione, la sua forma politica, e in Germania, con la filosofia di Hegel, la sua forma metafisica. Bisogna ormai liberare Hegel da se stesso mediante la critica del suo sistema, condotta in nome del presente, dato che, come Hegel stesso insegno, «il presente e la cosa suprema)). Le speranze di Ruge e dei suoi collaboratori (tra i quali figura Ludwig Feuerbach) si ravvivano quando sale al trono il giovane Federico Guglielmo IV, che invece imprime allo Stato un irrigidimento reazionario. La censura si fa piu implacabile. Ruge tenta di salvare il suo periodico cambiandogli titolo (dal 1841 si chiamera Annali Tedescht), finche non arriva, nel gennaio 1843, l'ordine di sospendere le pubblicazioni. E' in questa fase che Ruge ha contatti con Marx, a Parigi, in vista di una ripresa della pubblicazione del suo periodico col nuovo titolo di Annali francotedeschi. E difatti, il fascicolo esce (ed e un fascicolo doppio), rna per una sola
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volta, nel febbraio d~l 1844. Dopo questo labile incontro, le vie dei due giovani hegeliani prendono direzioni diverse, e alia fine addirittura opposte. Ruge non riuscira mai a superare gli orizzonti di una critica illuministica alia Stato e alia religione. ll suo merito e di aver sostenuto la necessita di una critica alia religione come prolegomena ad ogni critica politica, e di averla sostenuta come una esigenza posta implicitamente dallo stesso Hegel con Ia riduzione della fede cristiana al concetto filosofico. Nella stessa linea di individualismo rivoluzionario si muove, rna portando al limite le premesse, Max Stimer ( 1806-1856), il teorico del solipsismo anarchico. Anche in lui ha peso determinante Ia convinzione che Hegel sia l'ultimo dei filosofi, dopo il quale filosofare non ha piu alcun senso. Infatti, Hegel ha portato a compimento razionale Ia visione dell'uomo come soggetto dotato di un che di divino, di superiore a lui, chiamato, appunto per questo, a una missi6ne che - poco importa Ia qualifica - e sempre da intendere come un valore che sta oltre l'individuo, come un'esistenza ha il senso di se nell'essenza. Ma ormai, o Ia storia si ferma, o si riconosce che l'unica realta e l'individuo inteso come singolo, senza nessuna sovrastruttura, ne religiosa ne razionale. E' il tema dell' opera di Stirner L 'unico e la proprietil, che uscira dopo 1'eclissi della sinistra hegeliana, nel 1845. Marx riconoscera a Stirner il merito di una riduzione all'assurdo dell'ideologia della societa borghese. Nel suo 'movimento a trottola sui tacco speculativo', Stirner, dice Marx, assolutizza il privato e Ia proprieta privata, fino a dissolvere ogni necessita sociale e statuale. II libro di Stirner si apre significativamente con un motto di Bauer: «L'uomo so!tanto ora e scoperto». La vicenda di Bruno Bauer ( 1809-1882) e forse quella in cui maggiormente si inscrive Ia combustione e Ia riduzione in cenere del sapere teologico all'interno d.ella sinistra hegeliana. Come professore di teologia, egli parte da destra, difendendo le tesi di Hegel contro le deviazioni che serpeggiano tra i suoi giovani eredi e che avevano trovato voce nella Vita di Gesu, di D.F. Strauss. La sua svolta avvenne nel 1839 ed ebbe Ia manifestazione piu clamorosa con un libello del 1841, intitolato La tromba del giudizio universale contra Hegel ateo e anticristo. Ultimatum Fingendosi un ortodosso scandalizzato dalle dottrine di Hegel, Bauer dimostra che, nella sostanza, Hegel aveva combattuto il cristianesimo non meno di Voltaire, anzi in modo incomparabilmente piu decisivo, perche aveva identificato la religione di Cristo con un momento della storia dell'autocoscienza umana. Con la filosofia hegeliana, la coscienza dell'uomo torna in se stessa, come Ulisse torno a Itaca, per liberarsi di tutte le sue armature e per affidarsi soltanto alia forza implacabile del suo arco teso. n punto d'arrivo della filosofia e la coscienza critica, che incenerisce nel proprio fuoco ogni pretesa di sistema. Tutto questo implica, secondo Bauer, l'abbandono da parte dello Stato di ogni rapporto con la religione cristiana e, per i cristiani, il superamento della loro fede in una coscienza umanitaria, sgombra di ogni residuo teologico. Nessuna tolleranza per le minoranze ebraiche: esse non potevano trovare piena cittadinanza nello Stato se non abbandonando il proprio particolarismo mitico, in pieno ossequio alla ragione critica: obiettivo, questo, da cui erano molto piu lontani che gli stessi cristiani.
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A deterrninare questa centralita della questione religiosa all'interno del ' gruppo hegeliano era stata, come si e accennato, l'opera di David Friedrich Strauss (1808-1874), La vita di Gesu, del 1835. Strauss non fa che svolgere la tesi hegeliana che la religione, e in modo sommo il cristianesimo, e 1' espressione mitica di quella stessa verita che Ia filosofia esprime in forma concettuale. Cristo non e che il prodotto mitico della fede delle prime comunita cristiane, un prodotto che ormai vela del tutto il nucleo storico originario, e cioe la vita di un grande genio religioso che attribui a se stesso l'adempimento delle promesse del Dio biblico. La verita nascosta dentro l'involucro del Gesu mitico, l'Uomo-Dio, e che l'umanita e Dio sono Ia stessa cosa. In sostanza, l'operazione di Strauss andava in senso opposto a quella seguita da Hegel, che era salito dalla rappresentazione religiosa al concetto, per trovare qui Ia verita definitiva. Strauss invece ridiscende dal concetto alia rappresentazione religiosa per mostrarne l'infondatezza, e quindi per mostrare la necessita che Ia coscienza si liberi dalle bende del mito che le rendono impossibile Ia liberta. Le ripercussioni del libro di Strauss furono profonde e durature. Come spiega Roger Garaudy, «dissociando filosofia e religione, egli conduceva gli hegeliani di sinistra verso l'ateismo, dissociando Ia logica e la storia, e rendendo in tal modo alla storia Ia sua propria realta e Ia sua autonomia, conduceva gli hegeliani di sinistra a non circoscrivere il compito della dialettica, alia stessa maniera di Hegel, nella comprensione di cio che e, rna a estendere all'avvenire il movimento dialettico dell'idea, che Hegel aveva bloccato al presente. Ormai, per i giovani hegeliani - e sara questa Ia prima grande svolta della filosofia dopo Hegel - l'hegelismo non e piu una soluzione, rna un programma, e Ia loro parola d'ordine e la realizzazione della filosofia. La filosofia non e piu, come in Hegel, armonia con se, riconciliazione col mondo, e una rivolta contro il mondo». Dalla riconciliazione alla rivolta: ecco un primo aspetto del rovesciamento di Hegel.
5.3 L'umanesimo di Feuerbach. Se il rovesciamento dell'hegelismo ha inizio in Strauss e terrnina in Marx, il punto di rottura del vecchio equilibria e l'inizio del nuovo, e cioe il passaggio dall'idealismo al materialismo, si ha in Ludwig Feuerbach*, partito anche lui come hegeliano di destra e anche lui convinto che «la dottrina hegeliana, secondo cui Ia natura, o la realta, e posta dall'idea, non e altro che l'espressione, in termini razionali, della dottrina teologica». Ebbene (ed e questa Ia tesi di fonda del pensiero di Feuerbach), «l'inizio della filosofia non e Dio, non e Assoluto, non e l'essere come predicato dell'Assoluto o dell'Idea: l'inizio della filosofia e il finito, il determinato, il reale». L'intero sistema di Hegel si regge sui principia che Ia natura e una 'alienazione' della Spirito, e lo Spirito che si dissocia da se, oggettivandosi. Il vero punto di partenza e proprio l'opposto: e la natura che si aliena nello Spirito. Hegel si pone da un punto di vista che costruisce il mondo, io da un punto di vista che presuppone il mondo come esistente e che vuole presupporlo come esistente; egli discende, io salgo. Hegel pone l'uomo sulla testa, io lo pongo sui propri piedi, riposanti sulla geologia.
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Se si parte dall'uomo con i piedi in terra (>. In fondo, anche Proudhon restava succube di residui teologici, nel senso che applicava direttamente le categorie morali alia realta sociale, mescolando le carte dell'essere con queUe del dover essere. Ad esempio, accettando la dialettica come schema di lettura della societa, egli si dimenticava che i due termini, la tesi e l'antitesi, andavano tenuti ben saldi, perche proprio dal loro contrasto avrebbe dovuto nascere lo scatto del superamento rivoluzionario. Invece Proudhon discriminava moralisticamente i poli della dialettica in buono e cattivo, e superava il loro contrasto con la semplice eliminazione del cattivo.
156 D 5 - Marx: il materialismo storico Con la critica a Proudhon, Marx aveva portato a termine, ..almena in linea formale, la costruzione della sua dottrina scientifica della rivoluzione. Aveva cioe completato il disegno delineato, due anni prima, nelle Tesi su Feuerbach. 5.13 Le 'Tesi su Feuerbach': la filosofia della pras,sl. Quando Engels pubblico le 11 Tesi, ne rivelo anche l'origine e ne sottolineo l'importanza: «Sono appunti per un lavoro ulteriore, buttati giu in· fretta, non destinati in nessun modo alla pubblicazione, rna d'un valore inestimabile come il prima documento in cui e deposto il germe geniale della nuova concezione del mondo». A parte l'enfasi comprensibile, non c'e dubbio che neUe brevi righe non solo e nettamente formalizzato il distacco di Marx da Feuerbach (di cui, appena mesi prima, ne La sacra famiglia aveva celebrato l'elogio), rna e vigorosamente enunciato il trapasso, che e poi il nucleo essenziale del pensiero marxiano, dalla filosofia come contemplazione del mondo alla filosofia come sua trasformazione, come prassi. ll nucleo sara svolto con ampiezza ne L 'ideologia tedesca, stesa proprio nei mesi successivi, nelle cui pagine Marx tornera ripetutamente su Feuerbach con un giudizio critico pili circonstanziato, e forse meno drastico, com'e giusto in chi si accinge ad accogliere in eredita quanta c'e nel patrimonio di pensiero che sottopone a giudizio. C'e una ragione che permette a Marx di collocare anche Feuerbach nel banco degli imputati posthegeliani: «A nessuno di questi filosofi, dira ne L 'ideologia, e venuto in mente di ricercare il nesso esistente tra la filosofia tedesca e la realta tedesca, il nesso tra la lora critica e il lora proprio ambiente naturale». Essi avevano disatteso, ne Feuerbach fa eccezione, la grande lezione di Hegel nella Fenomenologia, la lezione del metoda storico-dialettico. Anche il materialismo di Feuerbach, nella sua apparente radicalita, rimane interno alla cultura borghese, nel sensa che l'uomo vi viene rappresentato in astratto, e non nel concreto rapporto vicendevole tra uomo e uomo e tra uomo e natura, insomma, non come 'essere sociale'. Ma mentre degli altri hegeliani Marx si Iibera con la disinvoltura con cui si puo sgombrare il tavolo da fogliacci ormai usati, di Feuerbach egli non si Iibera, lo integra e, integrandolo, lo assume. Si sa che, sul piano empirico, Feuerbach continuo a vivere e anche a scrivere, rna nella storia del pensiero si puo dire che egli e morto nel febbraio del 1845 per rinascere sotto altro nome, quello di Marx, e proseguire cosi la sua funzione rivoluzionaria. Possiamo distinguere le Tesi in tre gruppi (con qualche intersecazione interna), tutti e tre connessi, quasi con funzione esegetica, alla tesi n. 11: «i filosofi hanna soltanto diversamente interpretato il mondo; si tratta di trasformarlo). 1. Nel prima gruppo (tesi 1, 2, 5, 8), di carattere gnoseologico, viene svolta una nozione centralissima nel pensiero marxiano, e cioe Ia nozione di prassi Nella prassi si integrano a vicenda Ia conoscenza e l'azione. Marx non nega affatto le attivita della spirito (anche se questa termine egli lo ha lasciato cadere del tutto), anzi, in qualche modo, le suppone, nel sensa che respinge sia Ia concezione idealistica del conoscere, che assorbe l'oggetto nell'attivita del soggetto fino a fame un prodotto del soggetto, sia Ia concezione del materialismo volgare, quello di cui Feuerbach resta prigioniero, Secondo cui e l'oggetto che modifica il soggetto nell'atto intuitivo. Nella conoscenza si da non un oggetto separato dal soggetto, rna Ia compresenza di ambedue nel momenta dell'espej
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rienza. La quale, a sua volta, non va intesa, secondo la tradizione empirica, come una modificazione del soggetto da parte dell'oggetto. Essa e, di sua natura, interna a un progetto, e, per cosi dire, prospettica, e dunque si identifica con l'azione. Va da se: con l'azione dell'uomo sociale, proteso a modificare il mondo, cioe con •l'azione lavorativa, nella quale l'uomo da la misura reale del suo potere sui mondo. Solo chi trasforma il mondo lo conosce. 2. II secondo gruppo (tesi 4, 6, 7, 9, 10), di carattere antropologico, illustra i limiti del ribaltamento feuerbachiano della teologia in antropologia: sono i limiti connessi alla_ ,gnoseologia 'contemplativa', di cui abbiamo appena detto. Feuerbach rivela che l'essenza religiosa ha origine nell'essenza umana, in quanto mostra che il mondo religioso nasce da una scissione dell'uomo da se stesso. Ma non avverte che l'essenza umana e, a sua volta, non l'individuo come tale, bensi l'individuo in quanto appartiene a una determinata forma sociale, che trova senso nel quadro dei rapporti di produzione. I misteri del misticismo trovano la loro soluzione razionale con la prassi che trasforma i1 mondo, e non con la conoscenza critica. 3. Un terzo gruppo (3, 9, 10) illustra i1 primato della prassi sociale. Nella prassi rivoluzionaria, l"educatore' e l"educato' sono la stessa cosa, nel senso che per trasformare la coscienza si devono trasformare le circostanze, e cioe l'ambiente sociale, e per trasformare l'ambiente sociale si deve trasformare la coscienza. La reciprocita e tale, che non si puo attribuire il primato a nessuno dei due momenti. In modo inequivocabile, Marx prende le distanze sia dai materialisti, che ritengono che si debba trasformare l'uomo soltanto agendo sulle strutture, sia dagli utopisti, che mirano allo stesso scopo attraverso una riforma morale della societa. II materialismo 'volgare', quello, cioe, che agisce sulle circostanze materiali senza rendersi conto che esse sono gia un prodotto dell'uomo, e del tutto omogeneo alla societa borghese, mentre il nuovo materialismo, quello dialettico, che connette tra loro, nella prassi, l"educatore' e l"educato', e cioe il mondo soggettivo e quello oggettivo, conduce a una societa umana e a una umanita sociale. E' proprio all'approfondimento di questo nesso dinamico tra le strutture economiche, da una parte, e i rapporti sociali, dall'altra, che Marx si dedica,· insieme ad Engels, a quella riflessione intensa e feconda di cui e documento L 'ideologia tedesca.
5.14 La base storica delle idee: l'ideologia. La struttura embrionale della nuova concezione del mondo trovo il suo dispiegamento nei due fascicoli de L 'ideologia tedesca, il cui tema costante, all'interno della scorribanda polemica della quale abbiamo gia reso conto, e la spiegazione materialistica della storia, nella quale i1 materialismo e strutturalmente connesso al metodo dialettico. Per convenzione storiografica, i1 termine dialettico restera riservato al materialismo sviluppato dall'ultimo Engels (5.21) e il termine storico servira a specificare i1 materialismo di Marx. II termine ideologico, come si e visto (3.7), era entrato in uso agli inizi del secolo con una accentuazione spregiativa che rimane, sia pure in un diverso registro di significati, anche in Marx. In seguito, fuori e dentro la stessa area marxista, il termine 'ideologia' acquisto il significato neutro di 'concezione del
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mondo' (il marxism a, in questa sensa, e anch' esso ideologia), rna in Marx esso ha un significato negativo, determinabile in due distinte accezioni. Nella prima il termine significa coscienza falsa, ne piu ne meno che l'alienazione religiosa; nella seconda, che sara usata da Marx in seguito, nel Per una critica dell'economia politica, esso indica quell'insieme di forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche e filosofiche che, nella rappresentazione che la classe dominante si fa della storia, appare come causa motrice del divenire, mentre ne e solo il prodatto. In ambedue i casi, si tratta di un'anomalia del conoscere che si spiega soltanto con le anomalie della base materiale della coscienza. Il motore della storia e infatti, per Marx, nella sviluppo del processo reale di produzione, a partire dalla produzione materiale della vita immediata, in cui gli strumenti sono ancora quelli offerti dalla natura. Con gli strumenti artificiali si modifica la base produttiva, e di conseguenza si modificano i rapporti sociali e, in terza istanza, si modifica la coscienza. I rapporti sociali e la coscienza non sono pen) soltanto dei prodotti, essi agiscono a lora volta sui sistema di produzione e lo modificano, secondo una reciprocita dialettica che mette al sicuro da ogni piatto materialismo. I filosofi tedeschi e, al di sopra di tutti, Hegel riducono la ·storia reale a un susseguirsi di concetti e di avvenimenti spirituali. E' vero il contrario. E' vera che a determinare la storia degli uomini e il susseguirsi. dei regimi di produzione, di fronte ai quali l'uomo non e libero di scegliere. Essi sono 'dati', anche se poi, sulla base della situazione economica e sociale, gli uomini riescono a mutare quei dati e quindi a spostare a livelli diversi il conflitto dialettico. E sono proprio gli uomini in quanta forze produttive che creano le ideologie, il cui tratto comune e di essere separate dalla base reale della societit Questa spiegazione dell'origine delle ideologie e interna a una distinzione che ci introduce nel punta chiave della visione marxiana della storia: la distinzione tra struttura e sovrastruttura. Data una societa, e sempre possibile stabilirne la struttura: e il sistema di produzione piu il sistema dei rapporti sociali prodotti da quel sistema di produzione. Lo sviluppo delle forze di produzione e sempre accompagnato da un parallelo sviluppo dei rapporti sociali connessi alia divisione del lavoro. Le tappe di questa sviluppo sono caratterizzate da forme diverse di proprieta: tribale, demaniale, feudale, corporativa, capitalistica. La sovrastruttura e l'insieme delle forme ideologiche, sia coscienziali che istituzionali, giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, che riflettono e legittimano la struttura esistente. Ecco perche le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioe, Ia classe che e Ia potenza materiale dominante della societa e in pari tempo Ia sua potenza spirituale dominante. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti come idee.
La storia si comprende non gia mettendo in rapporto tra lora gli aspetti della sovrastruttura, rna, al contrario, mostrando come ai mutamenti della struttura rispondano sempre, anche se non in modo meccanico, i mutamenti della sovrastruttura. E' questa il materialismo storico, che potremmo definire ./
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un rnetodo di comprensione della storia nel quale Ia chiave fondamentale di lettura e l'analisi dei rapporti di produzione, e cioe della base materiale di una societa: La morale, Ia religione, Ia metafisica e ogni altra forma ideologica e le forme di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano oltre Ia parvenza 'della lora autonomia. Esse non hanna storia, non hanna sviluppo, rna gli uomini che sviluppano Ia lora praduzione materiale e le lora relazioni materiali trasformano, insieme con questa lora realta, anche il lora pensiero e i prodotti del lora pensiero. Non e Ia coscienza che determina Ia vita, rna la vita che determina la coscienza.
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Questo metodo di lettura del divenire storico ci porta a comprendere come le rivoluzioni non siano il prodotto volontario di questo o quel gruppo sociale, rna il risultato inevitabile di un processo oggettivo a struttura dialettica. La molla della storia e il rapporto tra i modi di produzione e i rapporti sociali esistenti: tipico il caso della Francia di fine Settecento, dove Ia produzione era ormai di tipo mercantile e industriale, mentre i rapporti sociali riflettevano il sistema economico della societa feudale, Ia cui sovrastruttura era formata da tre ordini, il clero, l'aristocrazia e la borghesia. La nuova classe, omogenea ai nuovi metodi di produzione, Ia borghesia, riusci a scuotersi di dosso con violenza il dominio delle altre classi, rna ci riusci perche quel dominio era ormai desueto, era diventato un ceppo per il dinamismo dei nuovi modi produttivi. Nel sistema di produzione industriale, la classe rivoluzionaria e il proletariato, la cui origine e il cui sviluppo e, alia fine, il cui trionfo hanno il carattere della necessita. E questa per il nesso dialettico proletariato-proprieta borghese: il proletariato produce la proprieta privata, che e di per se, nel suo illimitato sviluppo, la negazione del proletariato, il suo annientamento, e, a sua volta, Ia proprieta privata dei mezzi di produzione produce di sua natura il proletariato, cioe proprio l'elemento dell'annientamento della proprieta. Come si vede, il nesso e dialettico: proprieta e proletariato si implicano a vicenda e si negano l'un l'altro. La dialettica, vera molla della storia, funziona dentro un quadro di illimitata evoluzione, di sviluppo verso il meglio, che e il presupposto illumini~tico della storicismo marxiano. Le rivoluzioni sono, di loro natura, scatti verso il meglio, passi in avanti verso uno stadio assoluto e definitivo. Sia pure ribaltato, troviamo qui l'a priori hegeliano dello sbocco positivo della storia, del divenire come permanente passaggio dal finito all'infinito. II soggetto di questo passaggio dalla societa disumanizzata del capitalismo borghese alla societa finalmente Iibera dalle alienazioni e i1 proletariato. Questa investitura rivoluzionaria deriva al proletariato dalla logica immanente allo sviluppo produttivo, nel senso che nella fase capitalistica e legge l'espropriazione dei produttori, cioe dei lavoratori i quali non possono non avere di mira l'espropriazione degli espropriatofi. Nel far questo, Ia classe proletaria persegue, si, il suo interesse, rna anche !'interesse universale, a causa di una coincidenza oggettiva tra gli obiettivi della classe e gli obiettivi del genere umano. 5.15 La sintesi del 'Manifesto'. E' attomo a questa idea messianica - qualcuno ha chiamato in causa le reminiscenze rabbiniche di casa Marx sui 'servo
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sofferente' di Isaia - sottoposta a un poderoso sforzo di trasformazione in idea scientifica, che si costruisce Ia grande sintesi del Manifesto, nella quale rientrano, rna nella loro forma piu compiuta e disposti in ordine organico, i concetti che siamo andati esponendo nella ricostruzione dell'itinerario intellettuale di Marx. Il Manifesto non e un'opera da collocare, quale nuova tappa, sulla linea di una ricerca in sviluppo, e un opera d"occasione', perche commissionata a Marx e ad Engels dalla 'Lega dei giusti', con sede a Londra. Marx si trovava allora in esilio a Bruxelles, impegnato con un gruppo di comunisti tedeschi, collegati con associazioni simili, compresa la lega londinese che, alia fine del 1847, chiese a Marx e ad Engels di riordinare le idee programmatiche che circolavano in opuscoli tra gli associati. Marx ed Engels cominciarono col convincere la 'Lega' a denominarsi 'dei comunisti' e a mutare il motto: 'Tutti gli uomini sono fratelli' nel nuovo grido di battaglia: 'Proletari di tutto il mondo, unitevi'. Agli inizi del 1848 il Manifesto era gia stampato. E' bene dire che ebbe scarsa diffusione, e comunque non esercito nessuna influenza nei disordini dell"anno rivoluzionario'. Esso si fece strada lentamente, e solo alia fine del secolo arrivera ad imporsi iniversalmente come 'bibbia' della rivoluzione operaia. Piu che un riassunto, vorremmo darne qui una succinta esposizione dei concetti chiave, che nel loro insieme offrono una immagine completa del pensiero di Marx nel momento culmine della sua fase filosofica, prima che avvenisse Ia specificazione economicistica della sua ricerca. 1. La storia di ogni societa finora esistita e storia di lotte di classi. Come piu tardi spieghera Engels, questa Iegge non va applicata ne aile societa anteriori all'invenzione della scrittura ne ad ogni possibile futura societa. La nozione di Iotta di classe e sicuramente desunta da Hegel, rna e evidente Ia differenza tra Ia dialettica classistica di Marx e quella hegeliana del padrone e del servo (2.2): la Iotta all'ultimo sangue e, in Hegel, costitutiva della realta sociale in quanto tale, mentre in Marx la Iotta, in quanto intema al processo produttivo, non e un evento fondatore, e storicamente conseguente alia societa economica, quanto si voglia rudimentale. La dinamica storica, a partire dai primordi della civilta, va nel senso di una progressiva semplificazione, il cui cuimine e nella societa industriale, che vede schierati in due opposti campi la borghesia e il proletariato. 2. La borghesia industriale e il prodotto di una lunga serie di trasformazioni di modi di produzione e di scambio e, a sua volta, nella sua volonta di progresso economico, essa ha prodotto se stessa ingaggiando una Iotta contro la classe feudale, con un ruolo, dunque, eminentemente rivoluzionario. La dove e giunta la sua espansione, i vincoli dell'industria e del commercio si sono sostituiti al sistema feudale e patriarcale, laicizzando cosi il mondo della produzione. Tutto cio che vi era di stabilito e di rispondente ai vari ordini sociali si evapora, ogni cosa sacra viene sconsacrata e gli uomini sono finalmente costretti a considerare con gli occhi liberi da ogni illusione la loro posizione nella v'ita, i loro rapporti reciproci.
L'indole propria della borghesia industriale e infatti nel mutare di continuo gli strumenti di produzione, e di conseguenza i rapporti di produzione e i rap-
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porti sociali. Di qui l'internazionalismo della borghesia capitalistica, che abbatte tutte le frontiere, crea il mito della 'patria' e se lo lascia alle spalle. 3. II risvolto di questo epico slancio rivoluzionario e la potenza distruttiva della borghesia, che tutto sacrifica al profitto: riduce la famiglia a «Un semplice rapporto di affari» e trasforma «il medico, il giurista, il prete, il poeta, lo scienziato in suoi operai salariati». Anche lo Stato non e che una sovrastruttura politica al servizio della classe dominante, e «un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese». 4. Ma, come l'apprendista stregone, la borghesia non riesce a dominare le immani forze produtive accumulate dalla societa modema; cosicche essa prepara con le sue stesse mani la propria morte. Ad esempio: il potere di acquisto non riesce ad aumentare tanto da assorbire la crescente produzione dell'industria, e questo genera crisi periodiche, che e possibile superare solo con la distruzione degli stessi strumenti produttivi. Le crisi di superproduzione si aggraveranno fino a causare la rottura inevitabile. Ma oltre che le armi per la propria morte, la borghesia capitalistica produce anche gli uomini che dovranno maneggiarle, gli operai modemi, i proletari. 5. L'uso sempre piu diffuso delle macchine rende sempre meno utili le abilita del lavoratore e lo riconduce a pura forza lavoro, la quale, a sua volta, viene trattata come semplice merce, soggetta, alla pari di ogni merce, alia Iegge del mercato. Di qui, non solo l'impoverimento progressivo del proletariato, rna anche l'appiattimento sulle condizioni proletarie delle classi intermedie, disgregate e retrocesse dalla crescente concentrazione del capitale: il capitalista piu forte distrugge il capitalista piu debole. Ma i proletari non tardano a prendere coscienza della propria forza, si coalizzano per le loro rivendicazioni, clapprima su basi settoriali, e poi, in conseguenza di una presa di coscienza politica, su basi di classe. 6. Nasce cosi il proletariato, la sola classe autenticamente rivoluzionaria. La grande industria, infatti, finira col distruggere le altre classi per alimentare il suo prodotto diretto, il proletariato. Quella proletaria e, sulla linea storica, !'ultima rivoluzione possibile, perche il suo valore e universale e definitivo. Abolendo con la rivoluzione i vecchi rapporti di produzione, il proletariato «aholisce anche le condizioni d'esistenza dell'antagonismo di classe e le classi in generale, e quindi anche il suo proprio dominio di classe». 7. La societa post-classista e la societa comunista, nel senso che la sua caratteristica sara l'abolizione della forma capitalistica della proprieta, il cui principia costitutivo e lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. Nella societa borghese, illavoro vivo, quello dell'operaio, non e che un mezzo per aumentare il 'lavoro accumulato', il capitale; nella societa comunista, illavoro accumulato sara solo un mezzo per sviluppare e promuovere l'attivita vitale degli operai. 8. In quanto superamento (nel senso hegeliano di Aufhebung) dell'antagonismo borghesia-proletariato, la societa comunista conservera in se quanto di positivo ha prodotto la cultura borghese, che diverra patrimonio del proletariato. Si muove in questo senso il fenomeno del trapasso degli intellettuali dalla parte del proletariato. 9. Proprio perche costruito sulla inevitabilita dei processi obiettivi, e dunque proprio perche scientifico, il comunismo si differenzia dalle varie forme di socialismo corrente, da quello feudale a quello cristiano, da quello utopistico di
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Saint-Simon a quello borghese di Proudhon, tutti piu o meno invischiati nella ideologia della classe dominante e incapaci di assegnare al proletariato quel ruolo a cui la storia stessa lo ha destinato. 10. Come il capitale, anche la Iotta contro il suo dominio non puo che essere intemazionale. Ma siccome «il proletariato di ogni paese deve fare i suoi conti anzitutto con la propria borghesia», anche la rivoluzione avra un avvio nazionale. Le lotte nazionali dovranno tenersi collegate tra loro, cosi come collegati tra loro sono i regimi di sfruttamento delle nazioni. «Con lo sparire dell'antagonismo fra le classi all'intemo della nazione, scompare l'ostilita fra le nazioni stesse». Nel movimento rivoluzionario i comunisti non sono un partito distinto, sono i portatori di una conoscenza scientifica del processo storico, e quindi rappresentano sempre !'interesse del movimento complessivo.
Marx: I' economia politica 5.16 La fase scientiftca. fl fallimento dei tentativi rivoluzionari del 1848 apre, nella vita di Marx, un lungo periodo di estraneazione dalla politica attiva e di un grandioso programma di ricerca, che acquista ai nostri occhi i tratti dell'impresa titanica, se si pensa che egli doveva altemare le strenue sedute al British Museum (dalle 9 di mattina aile 7 di sera) e le visite al Monte di Pieta, tallonato dalla malattia sua e dei suoi, dalla miseria e dai fomitori in credito. Senza un soldo in tasca, Marx indagava i segreti meandri del capitale e ne ricostruiva, autodidatta di genio, la genesi e lo sviluppo epico. Riempiva quaderni e quademi, vagheggiando in cuor suo la sua 'Divina Commedia', il capolavoro che vedra la luce, in mille copie, ad Amburgo, nel 1867: Il capita/e. Critica dell'economia politica. Si trattava solo del I libro. Negli anni successivi, tra difficolta di ogni genere, porto avanti I' opera con un II e un III libro, che pero rimasero informi e inediti, fino a che Engels non li riordino e pubblico, rispettivamente nel 1885 e nel 1894. Gli appunti preparatori, in cui aveva accumulato e interpretato una enorme massa di dati, rimasero inediti fino al 1939-41, quando vennero pubblicati a Mosca col titolo Lineamenti fondamentali (Grundrisse). La parte di questi appunti dedicata all'analisi della merce, l'aveva fatta pubblicare lo stesso Marx a Berlino, nel 1859, col titolo Per la critica dell'economia politica, con una Prefazione molto importante, anche in ragione del suo taglio autobiografico. Una cosi immensa mole di lavoro ha, come suo tema di fondo, il capitale, nella sua genesi, nella sua struttura e nei suoi riflessi sociali e politici. Si tratta dunque di un tema oggettivo, che certo ha a che fare con l'uomo, le sue passioni, i suoi ideali, rna viene assunto nella sua delimitazione di modello composito, govemato da leggi assimilabili a quelle che govemano i processi fisici. Ecco perche si e potuto parlare di un Marx scienziato che prende il posto del Marx umanista, di un Marx che, mettendo in secondo piano la sovrastruttura giuridica e politica della societa, colloca nel proprio raggio visivo la struttura del sistema di produzione in base al quale gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volonta. A indizio di questa mutazione di Marx, potremmo indicare il correttivo da lui apportato alia formula .I
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famosa de L 'ideologia tedesca: «Non e la coscienza che determina la vita, rna e la vita che determina la coscienza». Tredici anni dopo, nel 1859, egli ripete la formula, rna sostituendo la parola 'vita' (Leben) con la parola 'essere' (sein). Ma questo innegabile cambiamento d'angolo d'osservazione e di linguaggio non basta a dar ragione a chi sostiene la tesi della 'frattura' (5.11). C'e tra il Marx 'umanista' e il Marx 'scienziato' il nesso di una medesima idea centrale, quella di alienazione, anche se il termine, nella fase scientifica, non compare piu. Il mutamento di linguaggio si spiega con la premura, sempre piu viva in lui, di non offrire alle spinte interclassiste del socialismo tedesco il supporto di un linguaggio dalle assonanze moraleggianti e di educare la classe operaia a una riflessione improntata alia serieta scientifica. Eppure, anche in questa fase, l'intento di Marx non e quello dello scienziato puro. La sua poderosa e complessa analisi del fatto economico e volta alla scoperta delle radici strutturali dell'alienazione, che egli identifica, da una parte, col ruolo che ha nell'economia capitalistica il valore di scambio, e, dall'altra, col fatto che tutta la produzione del profitto, Iegge suprema del sistema, si basa sulla vendita della forza-lavoro da parte della classe operaia. Il Marx economista illustra, per dir cosi, ex parte objecti, dalla parte dell'oggetto, quell'alienazione che il Marx giovane aveva illustrato ex parte subject~ dalla parte del soggetto. Ed e proprio sulla linea di questa esigenza di oggettivita, lungo la quale lo sbocco rivoluzionario del capitalismo acquistava l'evidenza di un ritmo di natura, e proprio su questa linea che Marx incontra di nuovo la necessita del metodo dialettico come unica via della ragione per comprendere il reale, senza cadere nella piatta razionalita di cui clava spettacolo il trionfante positivismo. La razionalita positivistica, infatti, portava a ritenere che lo sviluppo della scienza avrebbe assicurato per conto suo la redenzione della classe operaia dalla miseria (7.5). Un motivo, anche questo, per affidarsi al dinamismo dell'oggetto, alle sue intime virtualita, con una subordinazione all'esistente che incontrava il plauso delle nuove classi dirigenti. Al contrario, per Marx, come egli disse nell' Indirizzo di saluto nell'Internazionale del 1864, «sulla falsa base presente, ogni nuovo sviluppo delle forze produttive dellavoro, inevitabilmente, deve tendere a rendere piu profondi i contrasti sociali e piu acuti gli antagonismi sociali». Agli occhi di Marx la base sociale presente e 'falsa', non per effetto di un 'errore' che si sarebbe potuto evitare, rna perche essa e un momento necessario di un processo · dialettico che richiede e pre para il suo superamento mediante la negazione di se stesso. Niente di piu insipiente, ai fini della rivoluzione, che il volontarismo anarchico di Bakunin, al quale sfugge, appunto, il ritmo della necessita dialettica, che e la forza, rna anche la debolezza mortale, del capitale. Agisce potentemente in Marx l'immagine hegeliana della realta come 'totalita organica', che puo essere compresa non con la logica meccanicistica della causa e dell'effetto, rna con la logica dialettica, che scompone il reale mediante la determinazione delle sue forme finite e lo ricompone nell'unita sintetica, raggiunta mediante la negazione della negazione. Ad esempio, quando un Mazzini ('Teopompo', lo chiamava sarcasticamente Marx), o qualunque altro teorico romantico della rivoluzione parlava del 'popolo', Marx respingeva il termine, a dispetto delle sue utilizzazioni sinceramente rivoluzionarie, fino a che non se ne fosse superata l'astrazione recuperandolo dal basso mediante la
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nozione di classi sociali e, a loro volta, queste non fossero state raggiunte a partire dagli elementi semplici da cui risultano, come il lavoro salariato, il capitale e cosi via. E' da qui, da questi dati concreti, che occorre intraprendere il viaggio conoscitivo fino ad arrivare finalmente di nuovo alla popolazione, rna questa volta non come ad una caotica rappresentazione di un insieme, bensi come a una totalita ricca, fatta di molte determinazioni e relazioni.
E' per questa via che si conquista razionalmente la necessita di una forma storica come il capitalismo. Che non e, pen), in Marx, una necessita eterna, immanente, cioe, all'Idea nel suo naturale svolgimento, e una necessita storica, totalmente calata .nella contingenza, destinata ad essere superata per sempre. 5.1 7 La teoria del valore. II trapasso da una critica prevalentemente antropologica del capitalismo a una critica scientifica avvenne sulla base di una ricerca sulle origini del capitale, condotta sui testi della cosi detta 'economia classica', quella che si sviluppo in Inghilterra a partire da Adam Smith per concludersi con David Ricardo (3.4). Questa dottrina economica veniva detta classica per distinguerla da quella della nuova generazione, i liberisti - tra di essi primeggiava John Stuart Mill (7.8), i cui Principi di economia politica apparvero nel 1848 - che si occupavano del sistema capitalistico quasi fosse una conquista per sempre e senza la potenza critica dei suoi pionieri. L'autore con cui Marx piu direttamente si confronta e Ricardo, perche con la sua teoria del 'valore di scambio' egli aveva imboccato una strada giusta: sarebbe bastato arrivare fino in fondo, non solo per capire quale sia la meccanica costitutiva del capitalismo, rna anche per prevederne, con oggettivita scientifica, l'inevitabile crollo. In pochi casi come in questa appare chiaro che le conclusioni di una analisi sono predeterminate da una posizione pregiudiziale di natura non scientifica. Per Ricardo, il sistema economico sotto i suoi occhi aveva i tratti perenni della natura, dilatati e resi piu complessi dalla congiuntura della rivoluzione industriale, rna da sempre presenti nei rapporti tra gli uomini, da quando essi sono diventati rapporti di mercato. La proprieta privata dei mezzi di produzione - si tratti della terra o della fabbrica -, la destinazione di quei mezzi all'aumento del profitto, la possibilita di avere a disposizione, dietro un compenso salariale, un contingente di lavoratori erano, per l' economia classica, dei dati del tutto scontati. Allo stesso modo, erano da considerare senza rilevanza alcuna incidenti di margine come la disoccupazione, la creazione di monopoli, la sovraproduzione, e cosi via: la regola della libera concorrenza avrebbe, per conto suo, ricondotto negli argini della ragione simili dolorose evenienze. Per Marx, invece, il sistema non aveva nessun carattere di necessita, se non quello che gli derivava dall'essere una tappa nel cammino storico della specie. Hegel considerava il momenta dell'economia come una fase dell' estraneazione del soggetto, una fase che non richiedeva nessun intervento rivoluzionario, dato che la ricomposizione dell'unita dello Spirito avveniva nel momenta stesso in cui, negando l'oggetto, la ragione toma a se stessa. Marx, invece, vede nel sistema capitalistico un passaggio necessaria rna superabile, e superabile non fuori della sfera economica, nella mente, rna
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dentro lo stesso orizzonte del fenomeno economico. E contro Ricardo e gli economisti liberali egli vede nella forma-lavoro capitalistica non un dato originario della vita sociale, rna I'effetto di alcune scelte che potevano e dovevano essere modificate. La natura non produce da una parte possessori di denaro o di merci e dall'altra puri e semplici possessori della propria forza lavorativa. Ouesto rapporto non e un rapporto risultante dalla storia naturale e neppure un rapporto sociale che sia comune a tutti i periodi della storia.
Da questa relativizzazione della forma capitalistica deriva, per Marx, lanecessita di ridefinire i momenti in cui si articola il processo produttivo, in modo da integrare nella definizione la componente di storicita che ne spiega il sorgere e il deperire. Questo slittamento di significato, che in Marx subiscono i termini messi in uso dalla economia classica, si avverte subito fin dalla nozione-chiave, quella di merce. L'originalita dell'economia classica era stata proprio nell'identificare lo spazio economico non con la ricchezza in senso generico, rna con la merce. II suo errore, secondo Marx, e solo nel ritenere questa identita tra spazio economico e merce un dato assoluto, mentre essa vale soltanto all'intemo del sistema produttivo capitalistico, e cioe del sistema nel quale la ricchezza si presenta come una 'immane raccolta di merci' e la merce singola si presenta come la sua 'forma elementare'. Ecco perche, dice Marx, «la nostra indagine - quella de II Capitale - comincia con l'analisi della merce». Una analisi complicata, perche la merce, in apparenza cosa semplicissima, e invece non e pronunciato dalla mente, come gli altri giudizi, con atto libero. La mente umana ne e semplicemente testimone, nel senso che e l'Ente a pronunciarlo, nell'atto stesso in cui si fa presente. L'idea di creazione afferma che le esistenze sono nell'Ente come in loro causa prima, rna, in quanto effetti, esse sono in se e dipendono da se, come sostanze e cause seconde. Nella confusione tra la sostanza prima e le sostanze second e. tra la causa prima e le cause seconde, sta I'errore del panteismo. L'idea di esistente indica derivazione e dipendenza (ex-sistere), indica cioe «la realta propria di una sostanza attuale, prodotta da una sostanza distinta, che la contiene potenzialmente in quanto e atta a produrla». Ecco perche la comprensione dell'esistente puo aversi solo in rapporto a una causalita immanente, che, nell'ordine reale, e principia di ogni cosa contingente e, nell'ordine ideale, principia della sua intelligibilita. Ma la formula ideale sdoppia se stessa in un'altra formula, che porta a compimento, nella riflessione, il senso implicito nei rapporti tra l'esistente e l'Ente e da fondamento all'etica, cosi come la prima formula da fondamento all'ontologia: l'Esistente ritorna all'Ente. Dal punto di vista formale, e fin troppo chiara, in questa dottrina del ritorno dell'esistente all'ente, la dipendenza di Gioberti dal neoplatonismo, specie da quello cristianizzato da Scoto Eriugena. Ma nell'uso che egli ne fa, la formula del 'ritorno' serve a Gioberti per ribaltare, in una fervida accettazione del concetto tutto moderno della storia come progresso, la valenza sostanzialmente tradizionalistica della prima formula. In netto distacco dal pessimismo storico della tradizione neoplatonica di qualsiasi tipo, Gioberti non solo riconosce legittimita a queUe discipline, come la psicologia, la cosmologia, l'estetica, la politica, che hanno illoro ambito specifico nelle cause seconde, dotate ciascuna di una sua autonomia, rna si spinge a celebrare l'uomo in quanto creatore di storia, artefice di un ciclo creativo potenzialmente infinito, iniziatore di una 'seconda creazione', di un 'nuovo cosmo'_ 6.11 L'ontologla ln funzione ldeologlca: ll Primato. II ruolo che Gioberti attribuisce alla 'Parola' nell'intuito originario porta allo scoperto il sottinteso ideologico della sua gnoseologia. Come la religione cristiana, cosi, sebbene in modo diverso, la filosofia e per Gioberti un di~corso in atto di Dio rivolto agli uomini. Potremmo anche chiamarla filosofia profetica, dato che il suo intento e di portare alla luce della riflessione il piano provvidenziale di Dio a cui devono ispirarsi i programmi d'azione degli uomini politici, che, nel nostro caso, sono poi gli uomini del 'partito guelfo'. Di qui l'afflato biblico delle pagine giobertiane, destinate, nelle intenzioni dell'autore, a incidere sulle masse e, di fatto, divenute per qualche anno fonte di ispirazione di larghi strati sociali che solo il verbo religioso poteva mobilitare alla causa italiana. Ma la concretezza profetica non e la stessa cosa della concretezza politica: la prima, pur adottan-
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do il linguaggio dell'immaginazione, ritaglia il proprio messaggio nel profondo della coscienza morale, l'altra costruisce i propri progetti a partire dall'analisi del reale. Nel caso di Gioberti, Ia tensione verso il concreto storico, risente, pili che dell'afflato profetico, di sua natura alieno da indicazioni programmatiche troppo addossate al gioco delle forze in campo, di un progetto ideologicopolitico, costruito col metodo delle generalizzazioni approssimative e delle deduzioni razionali che, senza i dovuti riguardi per il principia critico connaturato alia ragione, manomettono, secondo misure prestabilite, i termini stessi della . realta empirica. Quando pubblica il Primato, Gioberti ha gia svincolato se stesso da ogni legame con i maestri che un tempo aveva ammirato, da Rousseau a Mazzini, perche tutti viziati, a suo parere, di soggettivismo, in quanto facevano derivare l'autorita politica non dall'Ente rna dall'esistente. La sovranita non deriva ne dalla moltitudine ne dal principe, deriva dall"intelligenza sociale', dall'Idea, che si incarna nello Stato. Di qui la formula: il sovrano fa il popolo e il popolo diventa sovrano. La sovranita parte dal potere e, attraverso i sudditi, ad esso ritorna. Ecco perche i soggetti primi del Risorgimento italiano non possono essere che i detentori del legittimo potere. E' vero che, su questo punto, le idee di Gioberti non restano ferme: due anni dopo il Primato, e cioe nei Prolegomeni del 1845, pienamente deluso dal re e dal clero, le sue preferenze si spostano sulla classe media, proprio come insegnavano i liberali. Ma il momento alto della sua opera pili famosa, quello che in questa sede pili ci interessa, e nella coniugazione tra la formula ideale e la filosofia della storia. Come la filosofia dipende geneticamente dalla religione, cosi, sui piano storico, Ia civilta del genere umano trova nella religione il suo principia creatore. Ma, tra quante religioni ci sono state, solo il cristianesimo ha un diretto e costante rapporto col Verbo primitivo manifestatosi in Cristo. E, a sua volta, il cristianesimo sussiste nella sua pienezza solo nella chiesa cattolica, che pertanto puo essere definita come la stessa Idea «ohiettiva, estrinsecata e resa sensibile». Di qui una catena di equazioni: «Parola e Idea, Idea e chiesa, chiesa e genere umano sono nozioni indivise>>. Ecco perche l'Italia fu sede di tutti i grandi cicli di civilta, da quella pelasgica a quella della Magna Grecia, a quella romana; essa doveva essere la sede del principia primo di tutte le civilta, la chiesa, anzi il Papato. Con l'eta moderna, l'Europa «rinnovo il dissidio delle nazioni e delle stirpi gia composto dagli influssi cattolici». Dopo tre secoli di tante lacerazioni, culturalmente imputabili a Lutero e a Cartesio, «bisogna rifondare una seconda volta la civilta europea, richiamandola aile sue cristiane e cattoliche origini». E come il primo ciclo delle nazioni si puo definire con la formula «L'Italia crea l'Europa», i1 secondo puo esprimersi con la formula «L'Europa torna all'Italia». Un compito, questo, che, Secondo Gioberti, dovra riempire di se tutto il prossimo millennia, rna che intanto richiede la ricomposizione dell'Italia come nazione attorno al Papa. · 6.12 Gioberti: Ia fase hegeliana. Durante il suo breve secondo esilio (18491852) a Parigi, Gioberti, oltre a rimettere a fuoco, dopo la tumultuosa parentesi politica, la sua ideologia, accogliendo largamente la tesi di fondo del liberalismo, attende a dar compimento af suo originario programma filosofico, che
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prevedeva lo sviluppo delle implicazioni metafisiche della prima formula: l'Ente crea l'esistente. Dell'Ente in se si occupa Ia teologia, dell'esistente si occupano tutte le discipline che hanna per oggetto le attivita dell'essere finito. Il nesso che stringe tra loro l'Ente e l'esistente, e cioe l'atto creativo, e gravida di una problematica molto affine a quella che Hegel aveva risolto nel quadro della identita tra il reale e il razionale, tra l'esistente e l'Ente, tra il finito e l'infinito. Ed e soprattutto con Hegel che Gioberti si misura, accumulando foglio su foglio, in vista di un'opera a cui avrebbe voluto affidare, in forma compiuta, il nucleo centrale della sua intensa attivita speculativa. E invece la sua Protologia usci postuma, con tutti i segni, anche formali, dell'opera non filtrata da una revisione, e perfino con quel tratto della scrivere per se stesso, che e il gusto esoterico del linguaggio. E forse qui Ia ragione della disparita dei punti di vista fra gli interpreti dell'ultimo Gioberti. I due punti di vista che riassumono in se tutti gli altri sono, da una parte, quello cattolico, che Iegge !'ultimo Gioberti come una confutazione dell'identita tra finito e infinito, che e la pietra di volta dell'hegelismo, non conciliabile con !'idea di creazione; l'altro e quello degli hegeliani, i quali, invece, ritengono la difesa giobertiana del dogma della creazione come un incongruo tentativo di evitare tutte le conseguenze del tema di fonda della Protologia, che e l'identita tra il pensiero e l' essere. L'equivoco si annida gia nella posizione dell'argomento principe della Protologia, che e «l'analisi del principia costitutivo della spirito umano e della cognizione che abbiamo dell'essere nella stato immanente del nostro pensiero». Si e gia vista come, per Gioberti, il pensiero dell'uomo e costituito dall'atto in cui l'Essere gli si disvela. Questa fase del soggetto finito, '!'intuito' passivo determinato dall'azione della causa prima, non e transitoria, come se si limitasse all'attimo in cui l'Essere suscita nell'uomo l'attivita del pensare. E' invece una fase permanente, che accompagna il pensiero, in tutto il suo svolgimento, come la condizione stessa della sua attivita: e, cioe, immanente. Nessuna confusione tra l'Essere-oggetto e l'esistente-oggetto, che anzi, in base all'atto costitutivo di questa dualita, resta insuperabile l'alterita tra i due 'oggetti', anche se, - ed e qui il vincolo unificante, - nel pensiero dell'esistente l'Essere rimane in quanta Idea e in quanta principia a priori di ogni conoscenza. L'uomo e libero e attivo nella riflessione, e passivo, invece, e determinato nell'intuito che rende possibile Ia riflessione. Per Hegel, l'essere e pensiero; per Gioberti, l'essere crea il pensiero. Per Hegel, l'infinito e reale solo nel finito; per Gioberti, il finito e altro dall'infinito, ne si puo dire che ne e un limite, perche l'infinita di Dio non va intesa alia maniera estensiva, rna intensivamente. Dio e l'infinito intensivo. Nessuna dialettica, dunque, tra Dio e l'uomo. La dialettica - e qui l'ammirazione di Gioberti per Hegel e dichiarata - riguarda in tutta Ia sua estensione il mondo creato in quanta tale: «Ia dialettica e nel cosmo e nell'uomo, non in Dim>. Mentre !'idea di creazione esclude, gia di per se, l'identita dei due termini, Dio e cosmo, nel sensa che il prima trae dal nulla l'altro, Hegel ha posto tra di essi Ia relazione di identita: di qui il suo panteismo. Ma una volta sgombrato il campo da ogni insidia del monismo metafisico, Gioberti riconosce che nell'ordine finito ha pieno vigore l'identita tra il reale e Ia trama logica che ne costituisce l'intelligibilita. E questa trama logica si costruisce proprio mediante
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l'unita dei contrari. Il vero non e nei termini della relazione, e la relazione stessa, che e percio infinita, anche se i suoi termini sono finiti, necessaria, anche se i suoi termini sono contingenti. Ma questo accoglimento della dialettica trova un limite nella 'formula ideale', in cui risiede la definizione della totalita, nel suo duplice movimento discensivo e ascensivo. Per questo, Gioberti, in coerenza con la matrice neoplatonica della sua visione della totalita, designa le categoric della sua dialettica con termini desunti da Platone. La relazione in cui si coglie la razionalita del reale si dice metessi (cosi Platone chiamava la partecipazione delle cose alia razionalita delle idee); la difformita delle cose da Dio, pur nella rassomiglianza che esse conservano con la loro ragione prima, si dice mimesi (che in greco significa, appunto, rassomiglianza). Si potrebbe dire che la metessi e l'essenza, la mimesi e il fenomeno; la metessi e l'intelligibile, la mimesi e il sensibile. Sullo sfondo della formula, la mimesi e la spinta centrifuga, che disperde le cose nella molteplicita e nella regressione di morte; la metessi e la spinta opposta, del ritomo a Dio. La metessi sta prima delle cose, come loro possibilita razionale (e l'Idea della Logica hegeliana), e sta dopo la molteplicita delle cose, come loro ideale riunificazione in Dio (e l'unita hegeliana tra l'Idea e la Natura nello Spirito assoluto). In mezzo, ci sono la natura e la storia, nelle quali agisce il contrasto tra mimesi e metessi, in vista di una finale riconciliazione, che Gioberti chiama palingenesia, doe palingenesi, ri-creazione di tutte le cose. Nel descrivere il processo dialettico della storia, Gioberti subisce senza remore la suggestione hegeliana. Il corpo e mimesi, l'anima e metessi. La femmina e mimesi, il maschio e metessi. E, nella gerarchia delle razze, quella pelasgica (come dire, l'italica) e metessi, mentre, al limite opposto, quell~ nera, e mimesi: «La stirpe nera e la piu degenere delle tre schiatte umane, la meno intelligibile, la meno intelligente, la meno atta alia civilta». Ci sono, dunque, nel cattolicesimo di Gioberti, tutti i crismi del progressismo eurocentrico borghese, dissimulati, come gia in Hegel, dalla celebrazione del cammino storico dell'uomo verso la petfezione. Un cammino senza fine, perche la palingenesi e un orizzonte lontano dall'uomo come l'infinito e lontano dal finito. Ci imbattiamo, cosi; in un paradosso che merita sottolineare: una cosi piena identita tra religione cattolica e religione del progresso era, in realta, molto piu subalterna alia provvisoria ideologia del tempo di quanto non lo fosse, ad esempio, l'intransigente tradizionalismo dei 'gesuiti', contro cui l'ultimo Gioberti volse la sua polemica, piu passionale che ispirata, o di quanto non lo fosse lo stesso Rosmini, che Gioberti impietosamente giudicava, nella vita come nel pensiero, ((I' ultimo prete del medio evo».
In I tali a: il pensiero laico 6.13 Mazzini: dal dirittl ai doveri: A parte il mito del 'primato',- che pen'> rimasto nella tradizione italiana, fino al cataclisma della seconda guerra mondiale, come il rivestimento di una infantile volonta di potenza - il corso della storia d'Italia non si discosto di molto, nei suoi esiti, da quello auspicato da Gioberti. La rivoluzione 'borghese' ci fu, e ci fu soprattutto per opera di Cavour, sotto l'egida delta monarchia sabauda. Intransigente avversario di
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Gioberti, prima, e poi di Cavour fu Giuseppe Mazzini•, ai cui occhi l'autore del Primato altro non era che un «faccendiero dello spediente e del falso». Eppure ambedue avevano conosciuto l'esilio, presso a poco negli stessi anni. Anzi, come si e detto, Gioberti, quando nacque la 'Giovine Italia', si riconobbe negli ideali dell'agitatore genovese. A separarli sempre di piu fu il diverso apprezzamento dei pdncipi con cui si deve affrontare la realta della storia: relativi come tutto cio che rientra nei processi dell"esistente', per Gioberti, assoluti come l'imperativo categorico, per Mazzini. Anche la matrice culturale dei due massimi ispiratori del Risorgimento era stata presso a poco la stessa: Ia reazione all'illuminismo, in quanto individualismo basato sui primato dei diritti del cittadino. In Francia, questa reazione aveva trovato voci diverse, anche se concordi su questioni essenziali, in un Lamennais (3.1 0) e in un Saint-Simon (3.11), che alia rivoluzione rimproveravano di aver scatenato una spinta disgregatrice, avversa ad ogni principia associativo e, piu universalmente, a una visione unitaria del genere umano. II tema sansimoniano della nuova epoca
Giuseppe Mazzini nasce a Genova nel 1805. Dalla rigorosa religiosita giansenistica della madre riceve un'impronta spirituale che non verra mai meno. Si affilia alla carboneria nel 1827 e nel 1830 viene arrestato. Sceglie l'alternativa dell'esilio e si stabilisce a Marsiglia, dove fonda l'organizzazione Ia 'Giovine Italia' per rompere con gli 'uomini del passato; e cioe con l'individualismo elitario dei carbonari, e per stabilire, in forza di un ideale morale, un rapporto vivo tra rivoluzione e popolo_ La strategia dell'organizzazione e quella della guerra partigiana per bande. Fallito il primo tentativo della spedizione in Savoia e dell'insurrezione a Genova, si rifugia in Svizzera, dove, nel1834, fonda Ia 'Giovine Europa: Espulso anche dalla Svizzera, si reca a Londra, dove, nel 1839 ricostituisce la 'Giovine Italia' che si era disgregata da cinque anni e che e ora impostata, in modo piu deci.m, sulla partecipazione degli operai, pur nel netto rifiuto delle dottrine socialiste. La sua influenza subisce un arresto durante Ia fase moderata del nostro Risorgimento, egemonizzata da Gioberti Fallita Ia guerra regia e divampata Ia riscossa delle correnti democratiche, viene chiamato a far parte del triumvirato della Repubblica romana (marzo 1849). Tomato a Londra dopo Ia caduta dellaRepubblica, reagisce alle spinte contrastanti della sua organizzazione dando vita al 'Partito d'Azione: messo a dura prova da tentativi insurrezionali andati a vuoto e dal crescente prestigio di Cavour. A Londra, dove per lo piu risiede, si occupa attivamente delle organizzazioni operaie. Prende parte con Marx alia Prima Internazionale (1864), di cui pen) non condivide l'impostazione classistica. Non accetta Ia nuova realta italiana nata per opera di Cavour e di Garibaldi. NeZ 1872 rientra clandestinamente in Italia con falso nome e muore a Pisa nel marzo dello stesso anno. , Mazzini non ha lasciato nessuna opera sistematica. II suo scritto piu importante, dedicato agli 'operai italian( e Dei doveri dell'uomo (1841-60).
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organica, destinata a sostituire l'epoca' critica, e quello lamennesiano della tradizione come processo vitale, con cui il genere umano trasmette la ricchezza del passato alla generazione presente, si sciolgono, in Mazzini, in una tensione romantica il cui genere espressivo non e la filosofia, e l'eloquenza_ Di qui la difficolta nel determinare il suo pensiero in concetti chiari e distinti. Tra le cnunciazioni perentorie del suo progetto morale e i programmi d'azione che dovrebbero tradurlo, si distende un'argomentazione di respiro universale che pen'> non riesce mai a raggiungere le articolazioni logiche del discorso oggettivo e criticamente fondato. Certo, quello di Mazzini e un pensiero laico, nel sensa che rigetta sia i dogmi della religione positiva sia le prospettive della trascendenza metafisica, in nome di una religiosita immanentistica che ha per unica sorgente la coscienza dell'uomo e per ultimo orizzonte l'umanita riscattata da tutte le schiavitli. Il fascino di queste idee e tutto nella personalita del profeta in cui si incarnano e nell'avventura storica che se ne ispira e che, ad un certo punta, ha cessato di apparire come lo svolgimento di una singolare biografia per diventare il Jato perqente, rna nobile e rigoroso, di una vicenda nazionale in cui hanna avuto Ia meglio gli uomini di altra stoffa, gli uomini del realismo e del compromesso. II destino di Mazzini non poteva essere che un fallimento. Un uomo come Karl Marx, anche lui a suo modo a servizio dell'utopia, lo chiamava per schema 'Teopompo', inviato da Dio, alludendo certo, oltre che al timbro sacerdotale del suo discorso, anche alla sua ostinazione carismatica. Ne seppero qualcosa perfino i vescovi cattolici convocati da Pio IX («l'ultirno dei Papi» pronostico Mazzini) nel Concilio Vaticana I ( 1870). «ll vostro dogma - li apostrofo Mazzini - si compendia nei due termini Caduta e Redenzione; il nostro nei due: Dio e Progresso ... Noi crediamo nella Spirito, non nel Figlio di Dio ... Voi credete in un Eden collocato alla culla dell'Umanita e perduto per colpa dei nostri primi parenti; noi crediamo in un Eden verso il quale Dio vuole che l'Umanita, attraverso errori e sacrifici, innoltri sempre di pili». Un simile laicismo pentecostale e senza dubbio quanta di pili estraneo ci sia stato, in eta moderna, nella storia del pensiero italiano. E difatti non ebbe seguito. Dovendovi individuare alcuni nuclei pili riducibili al processo della ragione filosofica del suo tempo, potremmo limitarci ai seguenti: 1. I due criteri per raggiungere la verita sono la tradizione e la coscienza. La tradizione senza la coscienza conduce all'immoralita e al dispotismo; la coscienza senza la tradizione conduce all'anarchia. La sintesi tra coscienza e tradizione ci da la rivelazione del vera, su cui si basa l'educazione progressiva dell'umanita. «Dio e Dio, scrive Mazzini arieggiando il Carano, e l'umanita e il suo profeta». Dio non abita nella trascendenza, si incarna successivamente nell' umanita: la Iegge del progresso e appunto la Iegge del Dio che vive nella coscienza stessa dell'umanita. Questa idea della rivelazione progressiva accomuna, neli'Ottocento, correnti di pensiero tra lora diverse, come l'idealismo hegeliano, il romanticismo filosofico e letterario e i1 positivismo. 2. Dal positivismo sansimoniano Mazzini deriva la religione dell'umanita. 01tre che i due principi appena esposti, la tradizione e il progresso promosso dalla coscienza, la Iegge di Dio nella storia ne comporta un terzo: .l'associazione. «L'associazione e la sintesi, la divina sintesi, e la leva del mondo, il solo strumento di rigenerazione che sia dato all'umana famiglia». L'associazione del-
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l'uomo con l'uomo si esplica in tre sfere progressive: la famiglia, la nazione, l'umanita. L'uomo trova la propria verita solo se si mette in rapporto con queste tre sfere, perche solo cosi egli comp_rende che la sua vita e una missione e la sua Iegge e il dovere. Nella rivoluzione francese, invece, aveva trionfato 'il principia individuate', la cui Iegge e il diritto. 11 dovere e sintesi, il diritto e analisi. L'analisi e «stromento di pura critica». «Essa uccide, non genera»; promuove la latta dell'individuo per la difesa dei suoi diritti e percio e incapace di tradurre in atti quel pensiero sociale che peraltro le due rivoluzioni francesi dell'89 e del 1830 avevano intravisto. La religione del progresso dell'umanita e invece fondata sul dovere dell'individuo di sacrificare i suoi interessi per il bene superiore della famiglia, della nazione, del genere umano. 3. L'ideologia dei diritti porta con se fatalmente i1 materialismo, e eioe l'identificazione dei fini della vita con gli interessi dell'individuo. Per questa, Mazzini avverso sempre il socialismo e in particolar modo quello scientifico, con cui ebbe modo di scontrarsi ai tempi della prima Internazionale. Al comunismo, Mazzini, in un messaggio rivolto 'agli operai italiani' nel 1871, rim provera tre 'negazioni' in cui si esprime il suo rnaterialismo. La negazione di Dio, senza il quale «progresso e moralita non sono piu che fatti transitori senza sorgente» fuori che quella degli istinti; Ia negazione della patria, senza la quale vien meno il punta d'appoggio per operare a vantaggio di se e dell'umanita; la negazione della proprieta, senza la quale viene meno ogni altro stimolo al lavoro che non sia quello della mera e bruta sopravvivenza, data che la proprieta (una volta sottratta al disordine capitalistico) e il segno visibile del compimento della missione dell'uomo di trasformare e padroneggiare la natura. Anche se respinse la riduzione della nozione di popolo a quella di classe operaia, Mazzini, specie a partire dagli anni della seconda fase della 'Giovine Italia', non cesso mai di proporsi una rivoluzione sociale che fosse contestuale a quella politica. Proprio per questa si oppose costantemente alla linea moderata e liberale, come dire borghese, del nostro Risorgimento. Egli dette vita, in Inghilterra, ad associazioni di operai italiani (le prime, nella storia del nostro movimento operaio), volte alla difesa e alla rivendicazione dei diritti all'interno del mondo del lavoro. Ma, convinto che la divisione di classe fosse una deviazione conseguente alle menomazioni del principia associativo, egli subordinava il riscatto sociale a quello politico, e riponeva piena fiducia nella possibilita che le classi medie potessero spontaneamente accogliere le giuste richieste dei lavoratori. 4. Questa fiducia esprimeva, oltre che la sua presa di distanza dalla Iotta di classe, il suo punta di vista sulla rivoluzione, che doveva avere, si, come soggetto il popolo, rna non sarebbe avvenuta se non come risultato di un apostolato educ.ativo di grande respiro. Non si dimentichi che, per Mazzini, anche gli atti insurrezionali erano momenti dell'educazione delle masse, espressioni e incentivi, diremmo oggi, di una rivoluzione culturale. Per essere efficace, e per sottrarsi aile illusioni del classismo materialistico, la rivoluzione doveva essere condotta, in perfetta intesa tra lora, dalle moltitudini, dai ceti medi e dagli intellettuali. Proprio per questa sua dottrina sulla pedagogia delle masse come momenta rivoluzionario, Mazzini ha conosciuto, in questi ultimi decenni, una certa popolarita in seno ai movimenti di liberazione del Terzo Mondo.
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6.14 Cattaneo: 'le menU associate'. A suo modo, Mazzini rientra nel clima della restaurazione metafisica, anche se in lui Ia realta trascendente, a cominciare da Dio, si discioglie per intero nel compito storico dell'uomo, diventando come Ia cifra sacra della sua universalita. II pensatore che invece, pur rassomigliando a Mazzini nella passione morale e perfino, entro certi limiti, nel progetto politico, compie in modo netto il ribaltamento della metafisica in scienza positiva e dell'idealismo romantico in un realismo morale nutrito dalla lezione dei fatti, e Carlo Cattaneo*, l'alunno prediletto di Romagnosi. La sua aderenza alia lezione dei fatti e tale che lo porta a liberarsi anche di quel residuo metafisico che e possibile riconoscere in Romagnosi, e precisamente del suo metodo di render conto della concreta realta della storia a partire da principi anteriori ad essa. Perfino nel risalire, sulla scia del maestro, all'insegnamento di Vico, Cattaneo resta fedele al suo metodo positivo, rigettando della Scienza Nova Ia nozione di una 'comune natura delle nazioni' e quella conseguente di 'storia ideale ed etema'. Cattaneo si rivela, c.osi, come l'iniziatore, nel nostro paese, di quell'illuminismo che affida alla novita delle scoperte scientifiche Ia possibilita di una conoscenza sempre piu profonda dell'uomo, di una progressiva transizione dell'uomo dalla barbaric alia civilta. Vedremo subito, comunque, che anche riguardo all'idea di civilta il realismo antropologico di Cattaneo giunge a conclusioni sorprendentemente nuove peril suo tempo. Per quanto riguarda, invece, l'illuminismo di ascendenza cartesiana, il cui riflesso sociopolitico era l'individualismo giacobino, Cattaneo lo rifiuta, colpenCarlo Cattaneo nasce a Milano nel 1801. Laureatosi in giurisprudenza a Pavia, nel 1824, entra a far parte del gruppo dei discepoli del Romagnosi, a cui resta vicino fino alla sua morte (1835). In difesa del maestro, entra in polemica, nel 1836, con Rosmin~ del quale mette in ridicolo « le vecchie ministre d'Elea» e cioe il ritorno all'ontologia. Le sue ricerche e le sue produzioni hanna per oggetto temi tecnico-scientifici, nella prospettiva dello sviluppo economico e, a partire dal 1840, le culture romanza e indoeuropea. Nel 183 9 fonda il periodico 'II politecnico, repertorio mensile di studi applicati alla prosperita e cultura sociale', che resta in vita fino al 1844. La rivoluzione del 1848 lo vede come protagonista nel comitato di guerra milanese, nel quale si oppone alle tendenze filosabaude, in nome di una repubblica federale. Fallito il '48, dopa una breve sosta a Parigi per ragioni propagimdistiche, si ritira a Castagnola, nei pressi di Lugano, dove resta fino alta morte, avvenuta nel 1869. Era venuto in Italia nel '60 per conquistare Garibaldi, vittorioso nel napoletano, al suo ideate federativo. Non si era recato invece, pur avendo accettato la candidatura, a prendere il suo pasta nel parlamento subalpino, riunitosi in quello stesso anna 1860. Tra le sue opere piu importanti, Le interdizioni israelitiche (1836), Dell'India antica e modema (1845), Dell'insurrezione di Milano (1848), La citta considerata come principia ideale delle istorie italiane (1858), Psicologia delle menti associate (1863) e il Corso di filosofia, uscito postumo.
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dolo nelle sue premesse prime, quelle inscritte nella gnoseologia dell"io penso', alia quale si era opposto, con argomento incontestabile, Gianbattista Vico. Chi si rinserra «nella solitudine della sua coscienza», con Ia pretesa di conoscere in se Ia natura 'dell'uomo a prescindere da ogni riferimento agli altri, disconosce che la verita dell'uomo, anche semplicemente come soggetto pensante, e nel contesto storico-sociale in cui vive. Questa identita tra la verita e il fatto si arricchisce in Cattaneo della recente lezione di Saint-Simon, - che aveva ripreso la dottrina vichiana della 'storia ideale', liberandola pen) dalla Iegge dei corsi e ricorsi e inserendola nella prospettiva lineare del progresso - e di quella di Hegel, che aveva arricchito l'idea di progresso con quella del compito che nel progresso hanno le singole nazioni, ciascuna delle quali rifrange in se un aspetto dell'idea infinita. Se per Vico la filosofia doveva assumere a suo oggetto non la natura fisica rna la storia in quanta prodotto dell'uomo, per Cattaneo, che aveva ormai sotto gli occhi il dispiegamento del sapere in una moltitudine di discipline differenziate, la filosofia doveva ridursi ad essere «il nesso comune di tutte le scienze, l'espressione piu generale di tutte le varieta, la lente che adunando li sparsi raggi illumina ad un tempo l'uomo e l'universo». Vana e dunque la pretesa metafisica di Platone o di Kant di stabilire la verita sulla natura dell'uomo, senza tener conto se si tratti del cannibale o dell'europeo civilizzato. Tra il cannibale e il pensatore europeo si interpone una innumerevole serie di varieta dovute ai diversi tempi storici e alle diverse appartenenze etniche. Quale sara allora, nell'ordine conoscitivo e in quello morale, la 'natura umana? Non si compie un errore fatale quando si oggettiva in una astratta natura quel che invece e un prodotto di una determinata civilta? Noi non possiamo afferrare lo spirito umano - scrive Cattaneo in una pagina in tutti i sensi esemplare - non possiamo scrutarne l'essenza, non possiamo conoscerlo se non in quanto si manifesta con gli atti suoi e le sue elaborazioni. Se lo assumiamo quale Ia tradizione di molti secoli, ossia l'educazione, l'ha reso in noi, ci avventuriamo a mutilare le sue attitudini primitive, a confonder cio ch'e essenziale in lui con cio ch'e variabile e fortuito. E' dunque mestieri studiarlo in quante piu situazioni e piu diverse si possa. Quando avremo contemplato il poliedro ideologico nel massimo numero delle innumerevoli sue facce, allora i tratti comuni ad esse tutte ci segneranno Ia sua natura fondamentale e costante; li altri indicheranno il variato campo della sua perfettibilita. Ora codesti tratti stanno sparsi nelle istorie, nelle leggi, nei riti, nelle lingue; e da questo terreno tutto istorico ed experimentale deve surgere l'intera cognizione dell'uomo, Ia quale indarno si cerca nelle latebre della solitaria coscienza. Lo studio dell'individuo nel seno dell'umanita, l'ideologia sociale, e il prisma che decompone in distinti e fulgidi colori l'incerta albedine dell'interiore psicologia.
In questa passo, che risale al 1839, e gia chiaramente enunciata Ia dottrina che Cattaneo esporra nella sua piu importante opera filosofica, la Psicologia delle menti associate, del 1863. L'uomo singolo - ecco in sostanza la 'psicologia delle menti associate' - e incomprensibile se le sue idee, le sue azioni, i suoi comportamenti, i prodotti insomma della sua cultura non vengono situati nella societa in cui egli vive ed opera. La sensazione individuale non si svolge mai per conto suo, si connette subito con la 'sensazione sociale', e cioe con
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quel concreto modo di sentire e di rappresentarsi il mondo che e proprio della societa in cui l'individuo cresce. Da queste premesse prende sviluppo in Cattaneo una riflessione sull'idea di progresso, che ci appare oggi straordinariamente attuale. II tema vichiano della storia come unico luogo di lettura della verita dell'uomo si dilata in lui in una prospettiva non piu rigidamente eurocentrica, consapevolmente opposta a quella consacrata da Hegel e molto simile a quella resa oggi comune dall'antropologia culturale. Quando su l'immortale esempio di Vico, discopritore della nuova scienza, i minori ingegni avranno dato opera a dicifrare le altre particolari formule delle istorie dei popoli progressivi, e delli stanziali e dei retrogradi, allora, nel riassunto delle conclusioni, avremo frutto esperimentale e verace d'una scienza, alia quale non si puo pervenire per via delle arbitrarie preconcezioni e del metafisico romanzo.
Certo, il Cattaneo condivide l'idea che l"incivilimento' e prerogativa dell'uomo europeo, rna in lui l'idea si fa problematica, si compone col principia della pluralita delle civilta e della infondatezza del metoda di chi fa del modello europeo l'unico criteria di comprensione della storia dell'umanita. I saggi che egli ha scritto sulla lingua sanscrita e su L 'India antica e mode rna risen tono, e vero, delle sue intelligenti letture di quanto in Germania e in Francia si andava scrivendo sull'argomento, rna Ia 'simpatia' che egli rivela in queste perlustrazioni ci da il segno che Ia sua intelligenza, per quanto sostanzialmente conforme all'ideologia del progressismo borghese ottocentesco, era in grado di trascenderla criticamente, in virtu di un afflato umanitario del tutto restio aile facili evaporazioni misticheggianti di un Saint Simon e del positivismo del suo tempo. 6.15 L'idealismo partenopeo. Compiute, secondo le regole non profetiche rna lungimiranti dell'empirismo cavouriano, l'unita e l'indipendenza del paese, e scomparsi o rimasti ai margini i maggiori protagonisti dell'eta eroica del Risorgimento, a dare il tono alla cultura della nuova Italia fu un gruppo di filosofi napoletani, il cui tratto comune era l'ispirazione hegeliana. Uno di !oro, Silvio Spaventa (1822-1893), era stato alunno di Galluppi, che, come si e visto (6.5), aveva introdotto per primo in Italia Ia conoscenza di Kant e aveva adottato, per suo canto, l'impostazione filosofica del criticismo. D'altra parte, le condizioni sociopolitiche del meridione favorivano quella spinta aile compensazioni ideali che abbiamo gia vista operante, con effetti incomparabilmente piu ricchi, nella Germania prenapoleonica. II tema etnocentrico di una filosofia italica, a cui avrebbe attinto addirittura lo stesso Platone durante le sue peregrinazioni in Magna Grecia, dove gia prosperavano la scuola eleatica e quella pitagorica, era stato ripreso da Vincenzo Cuoco nel suo romanzo Platone in ltalia, che ebbe grande fortuna in Europa, rna aveva un suo lontano, prestigioso precedente in Giambattista Vico. II Primato di Gioberti aveva ravvivato questa mito, favoleggiando addirittura di una matrice pelasgica della filosofia antica e quindi della filosofia in assoluto. Restava da spiegare perche, da alcuni secoli, l'Italia fosse rimasta estranea al fecondo dibattito filosofico europeo, che ulti-
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mamente aveva trovato in Germania il punto d'arrivo e di universale irradiazione. La lezione di Cattaneo, cosi avv~rsa a simili manipolazioni apologetiche della storia, era rimasta e rimarra a l'ungo senza eco nel nostro paese. Al contrario, lo Stato nazionale appena costruito, e per di piu in contrasto con la chiesa che continuava ad esercitare nella societa una sua egemonia mal conciliabile con i principi stessi dell'ordinamento giuridico della Stato modemo, richiedeva un fondamento ideologico che gli desse coesioue morale e gli garantisse il consensa dei cittadini_ Il modello giacobino, col suo inguaribile individualismo, non era adatto allo scopo quanta lo era la dottrina hegeliana dello Stato etico, e cioe di uno Stato del tutto autonomo dalle istituzioni religiose rna dotato di una sua propria religiosita. Sono queste le condizioni sociopolitiche che spiegano Ia facilita con cui avvenne I'innesto di Hegel nella tradizione italiana per opera della scuola partenopea e l'incidenza che questa scuola (il termine va inteso in sensa lato) ebbe nei primi passi della nostra vita nazionale. Ne e un esempio Francesco De Sanctis ( 1818-1883), il maggiore storico della nostra letteratura, che in un suo famoso saggio aveva fatto conoscere Schopenhauer nel nostro paese e che, soprattutto nella sua Storia della Letteratura, offri, con largo uso di schemi hegeliani, un modello di ricostruzione della nostra storia nazionale destinato ad esercitare, sui livelli medi della nostra cultura, un durevole influsso. Fu proprio De Sanctis, in qualita di Ministro della pubblica istruzione, a chiamare, nel 1861, come professori all'Universita di Napoli Augusto Vera, che aveva trascorso gran parte della sua vita in Francia e in Inghilterra, e Bertrando Spaventa, fratello di Silvio e come lui fervido militante, insieme a Luigi Settembrini, nei gruppi dei patriotti partenopei. Augusto Vera (1813-1885) aveva conosciuto il pensiero tedesco, durante il suo soggiorno parigino ( 183 5-1852), tramite l'interpretazione deform ante che ne aveva fatto Cousin (3.14). L'interesse di Vera si era concentrato soprattutto sulla Logica hegeliana, di cui tento una lettura conciliabile con Ia sua professione di fede cattolica. L'idea hegeliana veniva ad avere in lui il ruolo che in Platone e nel neoplatonismo aveva il mondo intelligibile contrapposto al mondo sensibile e temporale, di cui rappresentava, rna senza nulla concedere al momenta negativo cosi importante nella dialettica hegeliana, l'orizzonte della totalita. Secondo Vera, il luogo in cui avviene la sintesi tra l'Intelligibilita dell'idea e il concreto e il pensiero dell'uomo, anzi, come spieghera Giovanni .Gentile (12.10), che in Vera riconoscera un suo precursore, l'atto del pensiero in quanta atto. Ma di gran lunga piu importante, nel gruppo dei filosofi napoletani, e Bertrando Spaventa (181 7-1883 ), anche perc he egli ricopri ruoli di primo piano nei ministeri della Destra e nel parlamento di piu legislature. Convinto che non si da unita nazionale se essa non e animata anche da una specifica coscienza filosofica, Spaventa si propane, secondo il metoda hegeliano della Fenomenologia, di ricostruire il percorso della filosofia italica come risvolto razionale delle vicende politiche della penisola. La filosofia del mondo modemo nasce italiana. Campanella precede Cartesio, Bruno precede Spinoza, e finalmente Vico, che porta a sintesi il soggettivismo del prima e l'oggettivismo del secondo, ha gia in se tutti i temi che saranno svolti dal pensiero tedesco. Finalmente, nel secolo in cui l'Italia risorge come nazione, il pensiero italico,
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rifugiatosi fuori della sua terra, vi ritoma. Antonio Rosmini, con Ia sua dottrina della conoscenza, e il nostro Kant, cosi come Gioberti, con Ia sua filosofia della storia intesa come perenne creazione, e il nostro Hegel. Inutile confutare questa ricostruzione storica, il cui impianto ideologico nazionalistico e fin troppo scoperto. Bastera anticipare che essa avra uno sviluppo, nel nostro secolo, per opera di due hegeliani di ben altra statura, Benedetto Croce e Giovanni Gentile. E bastera ricordare che, proprio com'e nella natura dei pensatori in cui l'Idea prende il posto delle cose, lo Spaventa fu in politica uno strenuo conservatore. E' vero, il marxista Antonio Labriola fu suo alunno. Ma anche Marx fu, in qualche modo, alunno di Hegel.
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Sommario. Durante Ia trasformazione industriale della Francia, Comte si propane di costruire una filosofia adatta a riconciliare i conflitti sociopolitici in una societa organica analoga a quella medioevale (7.1). Non si tratta di un progetto volontaristico, perche esso risponde alia Iegge che ha guidato il corso dell'umanita nei suoi tre stadi successivi: il teologico, il metafisico, il positivo (7.2). La caratteristica di quest'ultimo e che Ia conoscenza, lasciatisi aile spalle i problemi metafisici, si limita alia constatazione dei fatti e delle !oro relazioni costanti, secondo un metoda che permette finalmente di partare a maturazione le singole scienze e di organizzarle tra !oro secondo il criteria della crescente complessita e della decrescente generalita (7.3). La scienza rimasta in ritardo sulle altre e la 'fisica sociale', che ha per oggetto le istituzioni permanenti della societa e le leggi che presiedono al suo sviluppo: su questa scienza dovra basarsi la 'politica positiva' (7.4). E' qui che si rivela l'omogeneita tra Comte e Ia classe borghese, premurosa di ordine e di espansione, anche se nella sua ultima fase Comte si abbandona a un misticismo umanitario aperto a un futuro profondamente diverso dal presente (7.5). L'inglese John Stuart Mill estende la riforma positiva anche alia logica, che egli Iibera dal formalismo per basarla sull'induzione (7.6). Per tal via, egli supera i limiti dell'associazionismo sensistico, sia sui piano gnoseologico che su quello etico: la coscienza e, per lui, una 'funzione' permanente (7.7). E cosi egli modifica anche il criteria della morale utilitaristica, combinando al calcolo della quantita del piacere quello della qualita, fino a recuperare il valore della virtu (7.8). Allo stesso principia ottimistico della coincidenza tra interesse individuale e interesse comune si ispira il suo liberalismo, che ha lasciato una profonda impronta nell'indole della democrazia inglese (7.9). Nel quadro della filosofia positivistica ebbe un'incidenza rivoluzionaria la teoria di Darwin sull'origine delle specie, eleborata a partire .da un ricca raccolta di dati e da influenze di non pochi precursori (7.10). Alia base di questa teoria, c'e il principia della selezione naturale, secondo cui la varieta delle specie viventi e dovuta alla trasmissione delle variazioni biologiche favorevoli nella Iotta per la vita e alia eliminazione dei tipi meno adatti (7.11). La specie umana non fa eccezione. Le stesse facolta mentali derivano da modificazioni dell'istinto sulla base della massima utilita della specie (7.12). Gli stessi principi Darwin applica alia societa del suo tempo, fomendo in qualche modo legittimazione alle forme nascenti di imperialismo (7.13). Ma l'evoluzionismo come filosofia e opera di Spencer, che, in anticipo su Darwin, pone il principia del passaggio dall'omogeneo all'eterogeneo alia base della spiegazione dell'intera realta cosmico-storica (7.14). Partendo dalla biologia, egli mostra Ia continuita tra fisiologia e attivita psichiche, tra queste e le attivita intellettuali e morali, in una prospettiva di ulteriore, infinito miglioramento della specie umana (7.15). In questa prospettiva globale, acquista rilievo l'evoluzione 'superorganica', e cioe quella della societa, nella quale ha Ia sua garanzia il perfezionamento dell'individuo, vero fine dell'evoluzione (7.16). ll positivismo ha avuto una sua versione italiana con Ardigo, che, in coerenza con la tradizione filosofica del nostro paese, rifiuta l'associazionismo sensistico, in nome del data originario dell'esperienza interiore, preliminare alia distinzione tra l'io e il mondo estemo (7.17). Polemico con Ia dottrina spenceriana dell'Inconoscibile, Ardigo riconduce
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tutta Ia realta a fino alia 'santita' d'incontro tra il morale, con forte
una medesima Iegge, che attraversa la natura, Ia coscienza, e giunge morale (7.18). Egli crede di garantire Ia liberta collocandola nel punto caso e Ia necessita, te.nendo in primo piano il carattere sociale della sottolineatura del momento pedagogico (7.19).
Comte 7.1 L'utopia della societa organica. Nell'ultima lezione del suo Corso, Augusto Comte•, pur elogiando il sistema industriale, si mostra del tutto consapevole delle conseguenze negative della specializzazione sfrenata, causata dalla divisione tecnica del lavoro e, contrariamente al suo maestro Saint-Simon che auspicava e prevedeva la collaborazione tra industriali e produttori (3.11), si rende conto che la specificita della forma industriale capitalistica e proprio nel radicale antagonismo fra capitalisti e operai. Questa consapevolezza della irrevcrsibilita, peraltro carica di futuro, della nuova societa tecnologico-industriale gli fa escludere l'idea sansimoniana di correttivi parziali al sistema, e lo impegna nella costruzione di una filosofia (e in seguito di una vera e propria religione!) capace di sottrarre le relazioni industriali all'anarchia ed al conflitto e di regolarle secondo le leggi morali dell"armonia universale': Il nuovo regime potra essere instaurato soltanto dopo che sara stato concepito, prodotto, adottato un nuovo sistema di idee morali e politiche: Ia sola rivoluzione che ci compete e una rivoluzione filosofica, un mutamento di sistema nelle idee; Ia rivoluzione politica, ossia il rnutamento delle istituzioni, puo venire solamente dopo.
Augusto Comte nasce a Montpellier nel 1798, da famiglia cattolica e monarchica; dal 1814 al 1816 studia matematica e ingegneria presso !Ecole polytechnique. Nel clima della restaurazione postnapoleonica, egli condivide con intellettuali come Fourier, Saint-Simon, de Maistre, l'esigenza di una ricostruzione dell'ordine intellettuale e sociale sconvolto dalla rivoluzione. Sin dal 1817 diviene segretario e discepolo di Saint-Simon e lo aiuta nella stesura delle opere Del sistema industriale ( 1822) e Il catechismo degli industriali (1824). Ma gid nel 1822, con Ia pubblicazione da parte di Comte del Piano delle opere scientifiche necessarie per riorganizzare la societa, que! rapporto si incrina, per il peso che questi accorda alia riforma intellettuale. Nel 1824 si ha Ia completa rottura, con la pubblicazione del Sistema di politica positiva. I contrasti col maestro hanna Ia !oro parte in una grave depressione nervosa, che nel 182 7 lo conduce a un tentativo di suicidio. Dopa un breve periodo di insegnamento (di matematica) presso !'Ecole (vi aveva sempre aspirato), ne viene estromesso per i suoi contrasti col mondo accademico. Dal 1830 al 1842 si dedica quindi esclusivamente al Corso di filosofia positiva, in 6 volumi, mantenuto dai generosi sussidi di seguaci ed ammiratori che si fanno ben presto numerosi, specie in Inghilterra, grazie a J. Stuart Mill. Nel 1845 ha inizio un breve rna intenso rapporto sentimentale ed intel-
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lettuale con Clotilde de Vaux. Cia sposato, rna con il matrimonio andato a monte, Comte vive presso Clotilde, senza che essa gli conceda mai il suo amore, per un anno («l'anno senza pari») dal 1845 al 1846, quando Clotilde muore. Da allora, Comte le dedica una devozione eterna. Tre i suoi «angeli custodi»: Clotilde, Ia «sposa del cuore», Ia madre Rosalia, la figlia Sofia, che lo assiste con totale dedizione. A Clotilde attribuisce l'ispirazione umanitaria che va emergendo nella seconda fase del suo pensiero (che e all'origine del radicale dissidio con Stuart Mill) e che informa le sue ultime opere: il Sistema di politica positiva o trattato di sociologia che istituisce la religione dell'umanita (185154), il Catechismo positivista (1852) ed il Calendario positivista ( 1860, postumo), nel quale vengono stabilite le festivita e le regale del culto della nuova religione positiva. Muore a Parigi nel1857. Il programma di 'riorganizzazione' della societa procede di pari passo con la costruzione di una scienza sociale, che viene denominata 'sociologia', Ia quale, pero, per l'ambiente socio-culturale in cui matura (in Francia l'industrializzazione si avvia in ritardo), piu che presentarsi come proposta interpretativa della realta industriale, ha l'aspetto di un'incursione utopica in un possibile futuro in cui Ia societa industriale sara una 'societa organica', e cioe una societa nella quale si sara saldamente costituita un'armonia spontanea tra l'insieme e le parti del sistema sociale. L'utopia di una societa organica trae forza da un modello medioevale, non assolutizzato alia maniera di de Maistre (da cui pure e ripreso), rna storicizzato e relativizzato perche inserito nel quadro della successione storica sansimoniana fra epoche organiche ed epoche critiche. Il vigore storico della societa medioevale fu dovuto all'unione del 'potere spirituale, o papale e teologico', col 'potere temporale, o feudale e militare', Ia cui scissione, che ne avvio poi Ia decadenza, fu dovuta, nell'ambito civile e politico, all' 'affrancamento' dei comuni (con lo sviluppo della 'capacita industriale, o delle arti e mestieri') dalla proprieta terri era feudale; nell' ambito 'spirituale', invece, alia 'proclamazione del principia della liberta illimitata di coscienza' (iri seguito alia Riforma protestante ed alia introduzione delle 'scienze positive' in Europa da parte degli Arabi), che sostitui il 'potere di dimostrazione' al 'potere di rivelazione'. , All' epoca attuale, sostiene Comte, spetta il com pi to di non prolungare ulteriormente il 'regno della dottrina critica' che, per quanta abbia avuto un ruolo storico benefico (in Comte ha moho peso Ia teoria del progresso storico di Condorcet), e tuttavia all'origine dello 'smembramento generale del corpo politico' e del 'completo isolamento degli spiriti', dal momenta che non ha saputo fomire un criteria unitario che ricostruisse su nuove basi la societa. Da qui l'esigenza di un piano di organizzazione sociale, con una fase 'teorica o spirituale', che sviluppi !'idea madre del piano, cioe il nuovo principia, secondo il quale debbono essere coordinate le relazioni sociali e la formazione del sistema di idee generali destinato a servire di guida alia societa; ed una successiva fase 'pratica o temporale', che affronti poi il «modo di ripartizione del potere e l'insieme delle istituzioni amministrative piu conformi allo spirito del sistema>>.
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7.2 La Iegge dei 'tre stadi'. II positivismo sociale comtiano ha una fondazione storica, in quanto presuppone· che il corso storico sia retto da una interna legalita da scoprire sulla scorta delle indicazioni gia fomite da Montesquieu, che pen) aveva semplicemente accostato i fatti, in base ad ipotesi, invece di connetterli, e da Condorcet, che nel cammino progressivo dell'umanita aveva intravisto Ia concatenazione delle fasi successive secondo leggi naturali. La 'Iegge dei tre stadi' costituisce una sorta di 'compendia storico generale' dello spirito umano, perche caratterizza, da un lato, Ia successione storica dei sistemi sociali, dall'altro il complessivo processo gnoseologico dell'umanita, nonche quello relativo alle singole discipline scientifiche. I primi due stadi (o 'stati'), quello 'teologico o fittizio' e quello 'metafisico o astratto', entrambi 'transitori', rna 'preparatori', individuano altrettante forme sociali e di pensiero. Nella prima fase, quella teologica, le forme sociali e di pensiero si fondano sui principia di autorita e sulla avida e rassicurante ricerca di cause prime e finali per spiegare i fenomeni, dapprima feticisticamente assunti come prodotti di potenze esterne rna simili all'uomo e successivamente spiegati in termini politeistici e monoteistici. Nella seconda fase, quella metafisica, si affermano gradualmente i principi razionalistici, che tentano di spiegare l'origine dei fenomeni in modi non del tutto soprannaturali, rna facendo ricorso a entita o astrazioni personificate. Lo stadio metafisico ha accompagnato la nascita della civilta moderna, decomponendo gradualmente il sistema teologico con un piu diretto esercizio della ragione, rna nell'epoca attuale lo spirito umano e ormai maturo per rinunciare alle «ricerche assolute che non convengono che alia sua infanzia» e a limitare i suoi sforzi al campo, «d'ora in avanti rapidamente progressivo, della vera osservazione, sola base possibile delle conoscenze veramente accessibili, saggiamente adattate ai nostri bisogni reali». Nella fase scientifica o positiva, finalmente, e compito degli scienziati, avverte Comte nella prima lezione del Corso, scoprire e ridurre al minimo numero possibile le leggi naturali invariabili cui tutti i fenomeni sono assoggettati, tenendo conto della regola fondamentale secondo cui «ogni proposizione che non e strettamente riducibile alia semplice enunciazione di un fatto, particolare o universale, non puo presentare nessun senso reale ed intelligibile». L'aderenza comtiana ai fatti non conduce, d'altra parte, a un piatto empirismo acritico, sovrastato dalla caotica molteplicita dei fenomeni che si presentano all'osservazione: sulla scia di Hume, Comte ritiene, infatti, che Ia vera scienza consista nelle relazioni costanti istituite fra i fatti, i quali, «per esatti e numerosi che possano essere, fomiscono sempre solo indispensabili materiali» per organizzare una 'previsione razionale', capace poi di dispensare dall'indagine diretta: «vedere per prevedere», sulla base della Iegge di uniformita naturale, diventa quindi Ia formula comtiana. 7.3 L'Enciclopedia delle scienze. Ne emerge una concezione relativistica della conoscenza, che rinuncia programmaticamente alia soluzione dei problemi fondamentali della tradizione metafisica, e cio in linea col principia utilitaristico del pensiero borghese e scientifico-tecnologico. Questa consapevole autolimitazione del pensiero ai fatti ed aile loro relazioni costanti non diventa, co-
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me di recente ha scritto Marcuse, una «filosofia della rassegnazione» che impone a se stessa dei limiti nella sua produttivita teoretica e pratica: anzi, la proposta comtiana di una filosofia positiva, intesa come sistema generale delle concezioni umane aventi per oggetto, nei vari campi disciplinari, la coordinazione dei fatti osservati, si propone come filosofia 'costruttiva' dell'intero sapere scientifico e sociale. Il risultato piu duraturo del positivismo di Comte e l'individuazione di una unita metodica nelle procedure scientifiche, in base alla quale egli ritiene di poter fomire una genirchia enciclopedica (che perfeziona il progetto illuministico) delle scienze, che mette in luce, da un lato, il graduale e differenziato passaggio allo stadio positivo dell'unico metodo scientifico, dall'altro, l' ordine logico che connette le varie discipline (e che coincide con l'ordine storico da esse seguito per giungere aBo stadio positivo) secondo la 'complessita crescente' e la 'decrescente generalita' dei loro rispettivi oggetti. Il quadro delle scienze individuato va dalle scienze piu generali e astratte, indagate con il metodo deduttivo, come la matematica e l'astronomia, a quelle via via piu complesse, per le quali si ricorre a metodi specifici, come l'induttivo-sperimentale (fisica e chimica), il comparativo (biologia), lo storico (fisica sociale o sociologia). L'analisi matematica occupa il primo posto, insieme storico e sistematico (da notare che Comte rifiuto l'idea milliana di una preliminare logica delle scienze, distinta dalle metodiche impiegate dalle singole scienze nel corso delle ricerche). La matematica, isolata dall'osservazione della natura e limitata al puro calcolo, e una scienza puramente strumentale o di metodo, applicabile solo ai 'corpi bruti', i soli che presentino il grado di «semplicita e di fissita necessaria perche possano essere ricondotti a leggi numeriche)). Segue l' astronomia che, emancipatasi dalle ipoteche astrologiche, si dedica allo studio delle masse stellari dotate di forza di attrazione; viene poi la fisica, che, superata la fase magica, si occupa delle proprieta dei corpi (quantita, forza, qualita); delle modalita di composizione di materie qualitativamente diverse, rna con un grado minore di capacita di previsione dipendente dall'impossibilita di usare in quel campo la matematica, si interessa la chimica, una volta liberatasi dalle scorie alchimistiche. Infine, la biologia studia la vita come condizione dell'organizzazione della materia organica, nelle due versioni, fisiologica (che scopre la funzione conoscendo l'organo) e anatomica (che scopre l'organo conoscendo la funzione). Da notare che e proprio questa riduzione, senza residui, della funzione all'organo che conduce Comte alla negazione della psicologia come scienza autonoma. 7.4 La fisica sociale e Ia 'politica positiva'. Mentre per le scienze sopra enumerate lo stadio positivo e stato raggiunto, lo stesso pero non puo dirsi per la fisica sociale, nella quale le considerazioni teologiche e metafisiche hanno ancora largo campo: e allora necessaria, per la piena affermazione della filosofia positiva, colmare quella lacuna, dando vita a una 'statica sociale', che si soffermi sulle strutture sociali permanenti (famiglia, proprieta privata, linguaggio, religione, poteri spirituali e temporali) e a una 'dinamica sociale', che dia conto delle leggi che presiedono allo sviluppo della societa umana. Per la riuscita di questo compito e necessaria pen) dotarsi di un esprit d'ensemble, piu che di un esprit du detail: Comte ricorre cosi all'analogia biologica, grazie alla
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quale e possibile considerare la societa come un insieme organico che tende alia sua conservazione. Reintroducendo nella scienza sociale il metoda deduttivo, egli parla allora di 'inversione' del procedimento razionale ordinaria sopra delineato. La fisica sociale procede non dal particolare all'universale, rna dal generale al particolare: Tutte le classi dei fenomeni sociali si sviluppano simultaneamente e sotto !'influenza le une delle altre, di modo che e assolutamente impossibile spiegarsi il procedimento seguito da ciascuna di esse senza aver preliminarmente e generalmente compreso il modo di procedere dell'insieme.
La 'politica positiva', a sua volta, si deve uniformare ai tempi e ai ritmi del cammino della civilta: i soggetti individuali e collettivi devono assecondare, una volta individuatele con l'ausilio del inetodo positivo, le tendenze che vengono emergendo dal corso storico: Ogni azione politica e seguita da un effetto reale e duraturo quando si esercita nello stesso senso che Ia forza della civilta, quando si propone di operarne i mutamenti che questa forza attualmente ordina. L'azione e nulla o, per lo meno, effimera in ogni altra ipotesi. La politica positiva non deve piu pretendere di governare i suoi fenomeni piu di quanto le altre scienze governino i !oro rispcttivi fenomeni. Le scienze hanno rinunciato a questa ambiziosa chimera che ne caratterizzo l'infanzia, per limitarsi ad osservare i \oro fenomeni e a connettcrli. II progresso della civilta non avviene secondo una linea retta. Esso si compone di una serie di oscillazioni progressive, piu o meno estese e piu o meno lente, al di qua e al di Ia di una linea media. Queste oscillazioni possono essere. rese piu corte e piu rapide con istituzioni politiche fondate sulla conoscenza del movimento medio, che tende sempre a predominare. ·
E' questa fonda di realismo progressivo, diremmo, a spingere Comte a contrastare ogni accelerazione storica (egli penso agli esiti anarchici della 'direzione critica' illuministica, che aveva, a suo parere, troppo prolungato la sua azione) e a renderlo critico sia, in un prima tempo, del sansimonismo, sia, all'indomani della pubblicazione del Manifesto, dell"utopia del comunismo', anche se del comunismo, da lui distinto dalle 'numerose aberrazioni' indotte dalla 'nostra anarchia spirituale', egli riconobbe l''attitudine' a favorire l'affermazione della sociabilite (obiettivo ultimo della filosofia positiva), pur deprecandone le tendenze a muoversi su di una strada essenzialmente politica. 7.5 II misticismo umanitario. Filosofia sostanzialmente conservatrice quella comtiana, e stato detto da piu parti. Il giudizio e da condividere solo se ci si ferma ad alcune formule piattamente meccanicistiche sulla legalita dello sviluppo storico, oppure immediatamente politiche (si pensi a quella secondo cui solo il 'credo' positivo puo «soddisfare i poveri, rassicurando i ricchi»), fondamentalmente estrinseche rispetto al discorso comtiano; ovvero, come pure e stato prevalentemente fatto, qualora si istituisca una netta cesura fra il Comte scienziato (quello del Corso, per intenderci), di cui si ando progressivamente appropriando la borghesia francese, in ascesa dopa i sussulti rivoluzionari del 1830 e del 1848, e il Comte 'mistico' (del Sistema), ormai preda dell'infatuazione sentimentale ed emotiva seguita al suo rapporto con Clotilde de Vaux.
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Certo, le forme dell'immaginazione sociologica di Comte sono legate al suo tempo e alla sua particolare sensibilia\: cosi e per la sua 'sociocrazia', rigidamente quadripartita fra i filosofi, depositari della ragione, le donne, organa del sentimento interiore, capace di «far prevalere Ia socialita sull'individualita», gl'imprenditori, 'organa della nutrizione dell'organismo' e garanti dell'ordine, i proletari, 'organi dell'energia' e garanti del progresso. Lo stesso puo dirsi per le forme pili esteriori della 'religione dell'umanita', scandita da un calendario che riproduce, additandole come oggetti di culto e di pratiche rituali, le categoric fondanti Ia filosofia positiva: si pensi alla pedante suddivisione fra 'feste statiche' (matrimonio, paternita, filiazione, fraternita, domesticita), celebranti gli istituti della socializzazione, e 'feste dinamiche', deputate al ricordo delle fasi percorse dalla civilta umana e che preludono alia 'festa dell'avvenire'. E tuttavia, dall'ultima fase del pensiero comtiano, cui devono aver contribuito le speranze di rifondazione socio-culturale mosse dal 1848 («Ia situazione repubblicana assicura al positivismo la piena liberta che esige il suo compito attuale», scrive nel 1848 nel Discorso preliminare sull'insieme del positivismo), non puo non ricavarsi l'impressione di un progetto pienamente laicizzato di ricostruzione sociale e civile, nel nome di un'Umanita elevata a 'Grande Essere', che non e «un essere assoluto, isolato, incomprensibile, come quello dei teologi, Ia cui esistenza non comporta nessuna dimostrazione e respinge ogni confronto reale». ll Grande Essere rappresenta !'opera delle generazioni passate, presenti e future, che via via si affaticano nella formazione della civilta umana: nella sua adesione al Grande Essere, l'individuo non fa altro che conformarsi ai modelli di vita proposti dalla memoria della specie, perche informati al dovere pili alto - le vivre pour autrui (il vivere per gli altri) - fonte della piu grande felicita e principia della pili alta forma di dignita. Nella religione dell'Umanita viene in qualche modo esaudito anche il desiderio umano d'immortalita, in quanta, una volta perduta la consolazione egoistica dell'immortalita individuale, si acquisisce la speranza (foscoliana, potrebbe dirsi) di 'sussistere in altri', attraverso le nostre opere, assunte nel patrimonio intellettuale e morale dell'umanita.
Stuart Mill 7.6 La logica. Fu lo stesso John Stuart Mill*, in una lettera a Comte del 1841, a confessare che era stata la lettura del Piano comtiano, fatta nel 1828, a determinare Ia sua uscita dalla 'setta benthamista', che pure, come Comte riconosce nella risposta, aveva dato allo studio dei fenomeni sociali un'impostazione molto vicina al punto di vista positivo. L'utilitarismo di Bentham e di suo padre James (3.3) appariva al giovane Mill troppo asfittico, chiuso com'era nel suo impianto fondamentalmente giuridico-normativo e nella sua pretesa di derivare, in modo rigidamente deduttivo, regale e istituzioni dall'unico principia, intuitivamente evidente, della «massima felicita del maggior numero possibile di persone». L'esigenza di Mill era di introdurre nella nozione di felicita una componente non edonistica rna sentimentale. Era stata proprio questa esigenza
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John Stuart Mill nasce a Londra, nel 1806, da James Mill (3.3). Riceve dal padre una precocissima educazione intellettuale: a otto anni egli Iegge gia correttamente, in originale, i classici greci e Iatini. Dopo un viaggio di studio in Francia per tutto il 1820, da inizio ben presto alia sua attivita pubblicistica, seguendo l'indirizzo del padre, di cui segue le orme come funzionario della Compagnia delle Indie fino al suo scioglimento (1858). Nel periodo 1829-31 si colloca Ia crisi esistenziale ed intellettuale, che lui stesso considero salutare nella sua Autobiografia (uscita postuma nel 1873): leggendo Coleridge, Carlyle, Saint-Simon, Comte, egli pone in crisi il razionalismo utilitaristico paterna e benthamiano e comincia a elaborare l'idea di un nuovo utilitarismo, che, prendendo in esame l'intera natura umana, compt·esi i sentimenti e le passioni, sia capace di guidare l'uomo verso il perfezionamento individuale e sociale. Segue una nuova fase di impegno giomalistico, che, specie dalle colonne della nuova rivista radicale 'The London review', lo vede in prima fila in una serie di battaglie civili e politiche, quali Ia Iotta per l'estensione del suffragio elettorale, per Ia tutela delle minoranze, per l'uguaglianza dei sessi, per il controllo responsabile delle nascite, per Ia redistribuzione della ricchezza sociale. Nel contempo egli viene maturando il suo atteggiamento revisionistico nei confronti del benthamismo (il suo saggio Osservazioni sulla filosofia di Bentham del 1833 esce anonimo). La morte del padre, nel 1836, Iibera Mill da una tutela intellettuale ingombrante. Svanite le illusioni politiche, in seguito al compromesso fra whigs e tories che segnera poi l'intera eta ·vittoriana, egli si concentra nella composizione del suo capolavoro, il Sistema di logica raziocinativa e induttiva con una esposizione dei principi d'evidenza e dei metodi di investigazione scientifica, che pubblica ne/1843. Nel 1851 corona con il matrimonio il rapporto iniziato venti anni prima con Harriet Taylor, alla cui ispirazione e collaborazione egli attribuisce il merito del suo famoso saggio Sulla libertft (1859), in cui vengono fissate le frontiere invalicabili delle liberta individuali di fronte al potere pubblico. A que[ rapporto Mill e anche debitore per le sue battaglie in difesa dei diritti delle donne e per il suffragio femminile: si pensi ai suoi interventi parlamentari durante La sua breve esperienza alia Camera dei Comun~ tra il 1865 e il 1868, e all'opera Sulla soggezione delle donne (1869), un testo che circola molto in tutta Europa. Nei Principi di economia.politica (1848) e nelle Considerazioni sui governo rappresentativo (1 861) egli evidenzia i possibili campi di intervento per una politica riformatrice, sia sui piano sociale che su quello istituzionale. Opera di notevole impegno teoretico sono invece Utilitarismo (1861-63), Esame della filosofia di sir W. Hamilton e A. Comte e il positivismo, entrambe del 1865. Postumi uscirono, nel 1874, i Tre saggi sulla religione, in cui questa viene assimilata alia speranza in un mondo idea/e. Muore in Francia, ad Avignone, nel1873.
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a fargli apprezzare l'impresa comtiana di una ricostruzione del sapere. Solo che la riforma propugnata da Comte doveva, secondo Mill, investire in via preliminare le modalita del discorso scientifico, che andava emancipato dal peso eccessivo concesso alia logica della coerenza formale (e quindi sillogisticodeduttiva) rispetto a quello riservato alia logica della induzione, o, come dice Mill, della 'inferenza'. Nel suo Sistema di logica, Mill distingue preliminarmente tra una concezione tradizionale (di ascendenza aristotelica e scolastica) della logica come teoria della argomentazione sillogistica, che si cura solo delle regale che govemano il procedimento deduttivo (ossia «l'applicazione di un principia genenle a un caso particolare>>), e Ia sua idea di una logica come «scienza della prova o dell'evidenza>>, garantita da procedimenti induttivi o inferenziali radicati nell'esperienza: Oggetto della logica.. e quello di accertare come perveniamo a quella parte della nostra conoscenza (che e di gran lunga la maggiore) che non e intuitiva; e con quale criterio possiamo, in oggetti intrinsecamente non evidenti, distinguere fra cose provate e cose non provate, fra cio che merita e cio che non merita l'assenso.
Dopa l'esame della dottrina dei nomi e delle proposizioni, preliminare e indispensabile per delimitare il campo delle questioni formulabili, Mill concentra la sua attenzione sull'uso e sulla funzione delle proposizioni generali nel ragionamento, cercando di mostrare come la loro evidenza, apparentemente intuitiva nel sillogismo, vada pasta in discussione. Nel sillogismo «tutti gli uoinini sono mortali; il duca di Wellington e un uomo; dunqtie il duca di Wellington e mortale>>, la mortalita di Wellington viene ricavata da una premessa maggiore che appare infondata se non si ricorre all'osservazione di singoli casi individuali, che confermano via via la mortalita della specie umana. Ouello che pertanto sembra un passaggio dal generale al particolare si manifesta, in realta, come un passaggio da alcuni particolari osservati a un nuovo particolare, che ci si aspetta si conformi ai casi precedenti sulla base dell'assunto humiano dell"uniformita del corso della natura': cia che accade una volta, tomera ad accadere ogni volta che si presentino circostanze simili. Che ne e, a questa punto, delle proposizioni generali contenute nella premes~;a maggiore? Mill le considera come asserzioni abbreviate, riassuntive, doe, dei casi effettivamente osservati, le quali tuttavia contengono anche l'insieme dei 'casi non osservabili o suscettibili di osservazioni analoghe, e cia non per una petizione di principio, secondo cui tutto cia che e detto nella premessa maggiore si ritrova in tutti i soggetti, rna perche la premessa maggiore di un sillogismo e, secondo Mill, una semplice «formula per fare inferenze>> ragionando da «caso particolare a caso particolare)). «La conclusione non e una inferenza tratta dalla formula, ma una inferenza tratta secondo la formula)): l'inferenza allora consiste nel passaggio diretto dalla premessa minore («ll duca di Wellington e un uomo))) ad una conclusione («ll duca di Wellington e mortale))) non contenuta nella precedente proposizione: la conclusione non e, insomma, una pura trasformazione verbale, rna amplia il campo dell'informazione. La deduzione sillogistica, a rigore non indispensabile nel procedimento di inferenza reale, diventa una sua riprova nel momenta in cui le inferenze, per essere legittimate, «devono essere presentate
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in forma generalizzata»: ecco che allora la deduzione diviene la «garanzia collaterale della correttezza della generalizzazione stessa». II modello del metoda ipotetico-deduttivo milliano ricalca «quello universalmente accreditato dalla scienza moderna», rna da particolare rilievo alla compresenza di massime generalizzazioni, ottenute con «l'aiuto o la garanzia di metodi induttivi rigorosi» e successivamente sottoposte a verifica sperimentale. Tale modello subisce qualche modifica quando viene applicato all'ambito delle scienze sociali, nelle quali la serie delle variabili in gioco e talmente ampia da impedire . E nel 1858, proprio mentre attendeva a una sua poderosa opera sull'evoluzionismo (vi rinuncio proprio in seguito al fatto che raccontiamo), Darwin ricevette dall'Indonesia iln saggio di Alfred R. Wallace (1823-1913), anche lui un naturalista in viaggio di ricerca, nel quale la teorla dell'evoluzione in base alla selezione naturale era esposta in modo chiaro ed esauriente. ' Le prime avvisaglie del mutamento di prospettiva sull'origine delle specie viventi si ebbero, come a suo tempo abbiamo documentato (Il.8.11), durante l'illuminismo, in reazione alla grandiosa opera di sistemazione gerarchica degli esseri viventi proposta con grande successo d·allo svedese Carlo Linneo. Al fissismo di Linneo si opposero non pochi philosophes - ricordiamo Diderot, Maupertuis, d'Holbach e soprattutto Buffon - in nome della storicita della terra e degli esseri viventi, naturalmente senza quell'apparato di documentazione che sara la carta vincente di Darwin. La tesi di Buffon, che si dia una 'temporalita' nella comparsa degli esseri sulla terra, ebbe successo anche per una ragione non propriamente scientifica rna ideologica: essa metteva in crisi la concezione creazionista della natura, punto fermo delle chiese e della cultura tradizionale. II nonno di Charles, Erasmus, medico, fisiologo e poeta, era stato reso celebre da una sua Zoonomia, in cui si riecheggiano non pochi temi dell'evoluzionismo giacobino. II quale ebbe il suo teorico geniale, anche se confuso, in Jean Baptiste Lamarck (1744-1829), un naturalista un po' troppo versatile, a giudizio del suo collega George Cuvier (1769-1832), che invece, studioso accuratissimo e ligio alle ideologie del potere, rimane come il pili celebre sostenitore del creazionismo e della fissita della specil. Lamarck ottenne celebrita (rna perse anche le grazie dell'imperatore Bonaparte)' con la sua Filosofia zoologica, del 1809, e poi, dal 1815 al 1822, con la sua Storia degli animali invertebrati. Alia base della 'filosofia' lamarckiana c'e, si, il materialismo meccanicistico del secolo dei lumi, rna c'e anche, quale concessione incongrua al romanticismo, l'idea dell'evoluzione per cause interne: «La vita con le sue forze, egli scrive, tende continuamente ad accrescere la massa dei viventi, a dilatare le dimensioni delle parti che li compongono, fino ad un termine stabilito». Forse anche a causa di questi pasticci metafisici, Darwin non ebbe mai stima di Lamarck, i cui scritti giudicava, lui cosi moderato nel linguaggio, «vera spazzaturm>. Sta di fatto, pero, che con Lamarck le basi dell' evoluzionismo scientifico sono gia poste, nel senso che e solidamente dimostrata la trasformazione delle specie a causa delle modificazioni della crosta terrestre e a causa dell'eredita delle variazioni acquisite. Apertamente confessata, invece, e !'influenza avuta su Darwin dalle teorie di Malthus. Fu proprio nel leggere il Saggio sui principia della popolazione (1.4), nel 1836, che Darwin ebbe l'intuizione della spiegazione evoluzionistica come l'unica capace di render conto di quanto egli aveva osservato durante i suoi viaggi, in particolare nelle colonie britanniche, la cui economia si basava sull'allevamento e sulla selezione del bestiame. Fu combinando i principi del liberismo economico con le regole degli allevatori di bestiame domestico che Darwin formula la teoria della selezione naturale. Queste dipendenze non de-
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vono, comunque, fare ombra sulla originalita str:aordinaria della sua teoria. Essa e il frutto di una sterminata raccolta di dati e di osservazioni sperimentali, condotte a partire dagli anni '30. In quella teoria trovano la loro logica confluenza: la demografia e l'economia politica, che mettono in relazione, sulla scia di Malthus, la tendenziale sovrappopolazione con la scarsita delle risorse; la nascente antropologia, che svela i nessi tra razze e culture; la geografia, che mostra la distribuzione delle specie nei vari continenti; l'anatomia comparata, che permette di individuare le analogie fra le strutture dei diversi organismi; l'embriologia, che documenta in specie diverse embrioni simili; la paleontologia, che rivela gli elementi di somiglianza e di affinita fra specie estinte e specie esistenti; la geologia, che descrive le stratificazioni della crosta terrestre, introducendo, fra l'altro, una dimensione temporale molto pili estesa e complessa rispetto a quella della storia umana. Con un cosi ricco ventaglio di approcci sperimentali, Darwin tenta una reinterpretazione dei meccanismi insiti nell'economia naturale, lasciando da parte il Jato metafisico del problema biologico, e cioe l'indagine sulle cause della vita o Ia relazione fra la scienza della vita, la medicina e le scienze fisiche. 7.11 La selezione naturale. Il punto di attacco della costruzione darwiniana e Ia contestazione della staticita delle specie, quale emerge dal Systema naturae di Linneo, cioe dell'idea delle·specie come prodotti immutabili di atti distinti di creazione, nel quadro di una concezione finalistica della natura. A cio egli oppone l'ipotesi che le «forme attuali di vita discendano, attraverso un vero e proprio processo generativo, da forme che le hanno precedute)). In quest'ottica, egli presta maggiore attenzione, rispetto a quanto facdano i biologi sistematici, alle differenze fra gli individui all'intemo di quella che viene ritenuta una specie, perche quelle differenze sono «spie di minime varieta>> che possono condurre a una nuova specie. Darwin tematizza, dunque, la variabilita delle specie, cercando di penetrarne le leggi, senza curarsi delle cause. Nell'Origine delle specie egli prende le mosse dalle 'variazioni allo stato domestico' (utilizzando una miriade di osservazioni ed esperimenti compiuti da lui stesso e da molteplici allevatori e coltivatori con cui era in rapporto), gim.i.gendo alia conclusione che l'uomo compie una 'selezione cumulativa' delle variazioni che la natura evidenzia, facendole convergere verso direzioni a lui convenienti. Analogamente, nel mondo naturale, la Lotta per La vita, originata dal divario tra la crescita in progressione geometrica della popolazione e la crescita in progressione aritmetica delle risorse ambientali (e la Iegge di Malthus), presiede al meccanismo della seLezione naturale, secondo cui qualsiasi variazione, anche se lieve, qualunque ne sia l'origine, purche risulti in qualsiasi grado utile ad un individuo appartenente a qualsiasi specie, nei suoi rapporti infinitamente complessi con gli altri viventi e col mondo esterno, contribuira alia conservazione dell'individuo e, in genere, sara ereditata.
La selezione naturale, ovvero Ia conservazione delle variazioni favorevoli e la eliminazione di quelle nocive, serve a Darwin per contrapporsi, da un lato, all'idea lamarckiana della continua produzione, per generazioni spontanee, di
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forme nuove e semplici (nel quadro dell'innata e inevitabile tendenza di tutti gli esseri viventi verso la perfezione), dall'altro, all'ipotesi catastrofistica di Cuvier, secondo cui l'evoluzione del mondo naturale e dovuta a improvvise modificazioni della sua struttura, causate da cataclismi naturali. A questo proposito, Darwin e disposto a riconoscere il proprio debito metodologico con la 'modema geologia' di Charles Lyell (1767-1849), in base alla quale le trasformazioni geologiche devono essere spiegate (e anche qui e evidente la polemica· contro il 'catastrofismo') riferendosi alle cause che continuano a modificare la crosta terrestre (erosione dei venti e delle acque, azione vulcanica), e non pensando a improbabili eventi sconvolgenti, ritagliati sull'immagine biblica del diluvio universale. Nell"economia della natura' darwiniana (da notare che il termine 'ecologia' fu coniato, in ambito darwinistico, da Haeckel) le condizioni della selezione naturale sono molteplici. 1. Egli si sofferma preliminarmente sulla ereditarietit dei caratteri acquisiti, rna il suo e piu un postulato sulla trasmissione delle variazioni che una teoria genetica sulla tendenziale stabilita della trasmissione dei caratteri ereditari, che sara elaborata, nel 1866, da Gregor Mendel ( 1822-1884). In sec on do luogo, valgono, per Darwin, altri fattori come: l'isolamento geografico della specie, che impedisce il dissolversi dei nuovi caratteri emersi attraverso incroci; I'ampiezza di una regione in cui maggiori sono le possibilita di diffusione di una specie e dove piu dura e la lotta per l'esistenza, anche fra individui della stessa specie, bisognosi degli stessi alimenti ed esposti agli stessi pericoli; la divergenza dei caratteri, che, aumentando l'adattabilita all'ambiente, accresce le possibilita di sopravvivenza. 2. Un posto particolare Darwin assegna aHa selezione sessuale (cui dedica molto spazio ne L 'origine dell'uomo), in base alla quale, alcuni individui di un solo sesso, generalmente quello maschile, hanrio avuto Ia meglio nella Iotta con i rivali, e hanno cos) permesso che un numero maggiore di discendenti ereditasse la loro superiorita.
Un'ipotesi, questa, derivante dalla constatazione che alcuni caratteri sono limitati a un solo sesso (e quindi presumibilmente connessi alla riproduzione) e che si sviluppano solo nella maturita e solo nella stagione degli amori; che i maschi, poi, sono piu attivi nel corteggiamento e piu attraenti. La selezione sessuale e tuttavia inglobata da Darwin all'intemo della selezione naturale, la quale «dipende dal successo di entrambi i sessi, a tutte le eta, in relazione aile condizioni generali di vita» ed e finalizzata al «generale benessere della specie». 3. Nella originaria teoria darwiniana, quella che potremmo definire come la variabilita prevalentemente endogena delle specie necessita di tempi biologici estremamente lunghi, tali, cioe, da con tenere l' «infinita catena di varieta che colleghino, attraverso una serie di passaggi minutissimi», le varie forme di vita, e cio per escludere nella serie evolutiva ogni soluzione di continuita che potesse fomire spazio alle teorie creazionistiche o anche a quelle, piu 'Iaiche', di Lamarck o di Cuvier, che tendevano a mettere in primo piano !'influenza dell'ambiente per giustificare l'apparire di sempre nuove forme vitali. All'ipotesi darwiniana di una storia terrestre dilatata ad alcune centinaia di milioni di an-
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ni fu pen) opposto da William Thompson Kelvin ( 1824-1907), nel 1862, che il sole non poteva esistere da piu di cinquecento milioni di anni e che percio il periodo in cuj la temperatura terrestre poteva aver consentito lo sviluppo della vita doveva essere ridotto a circa venti milioni di anni. Darwin conseguentemente accelero i tempi evolutivi, sottolineando, piu di quanto prima non avesse fatto, }'influenza dei cosidetti fattori lamarkiani, coll'affiancare alia selezione naturale, «agente principale dei mutamenti», l'azione diretta dell'ambiente sulle modificazioni degli organismi (in particolare in rapporto all'uso o al disuso degli organi), nonche gli effetti ereditari delle abitudini contratte in particolari contingenze ambientali. 7.12 L'origine dell'uomo. Nella chi usa de L 'origine delle specie - «quando contempleremo ogni prodotto della natura considerandolo come qualcosa che abbia avuto una storia, ... le nostre classificazioni diventeranno... delle genealogie>> - era gia prefigurato l'epilogo de L 'origine dell'uomo: «l'uomo, con tutte le sue nobili qualita, ... porta impressa nella sua struttura fisica l'impronta indelebile della sua infima origine». L'uomo discende, insieme con altri mammiferi, da un progenitore comune. Guardando alia storia naturale in modo unitario, noi rintracciamo un'unica genealogia: l'uomo non e quindi frutto di un atto separato di creazione. Anche riguardo aile facolta mentali, non vi e alcuna differenza fondamentale (se non di grado) tra l'uomo e i mammiferi superiori. Afferma paradossalmente Darwin: «se non fosse che l'uomo ha classificato se stesso, non avrebbe mai pensato di creare un nuovo ordine per collocarvisi»! Nella scala delle facolta mentali (dall'emotivita, alia curiosita, all'imitazione, ali'attenzione, alia memoria, fino a giungere alia immaginazione, al linguaggio, all'astrazione, ali'autocoscienza ) ci sono, quindi, solo differenze di grado: gli istinti piu complessi sono frutto della selezione naturale di variazioni di azioni istintive piu semplici; anche i primi barlumi di intelligenza, dice Darwin, si sviluppano attraverso la moltiplicazione e il coordinamento di azioni nate su base istintuale. Certo, il sensa morale rappresenta la piu elevata forma di distinzione tra uomo e animale: rna la coscienza morale, intesa come capacita di correlare, valutandole, le azioni passate e future e i motivi che le originano, non e una forma a pribri, bensi il frutto di 'impulsi primari', quali l"istinto sociale' e la 'simpatia' che sottopongono «alia nostra attenzione l'approvazione e la disapprovazione degli altri» (e qui vale, per Darwin, la tradizione, tutta scozzese, della 'morale della simpatia' di Hume e Smith). In seconda istanza, la coscienza morale risponde, come aveva insegnato Bentham, al «principio della massima felicita per il maggior numero», rna, contrariamente a quanta avviene nelie teorie utilitaristiche, in cui quel principia e insieme motivo della condotta e criteria di valutazione, in Darwin esso perde ogni connotazione intenzionale e inteliettualistica, ed appare come la traduzione di emozioni e impulsi consolipati dall'istinto o dalla lunga abitudine e trasmessi ereditariamente. Su questo punta, egli condivide l'idea di Spencer (7.15) che la condotta giusta o sbagliata non ha sempre e solo Ia propria base nella esperienza individuale di utilita, rna si struttura sulla base delle esperienze utili alia specie, via via accumulate e trasmesse.
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7.13 11 darwinismo sociale. Anche nel mondo umano, e anche negli stadi piu avanzati della civilta, vige la selezione naturale, incentivata dal rapido tasso d'incremento della popolazione che, «sebbene conduca a molti danni ovvii, non deve essere troppo diminuito in alcun modo)): altrimenti verrebbe meno Ia competizione sociale, che premia i piu dotati nella Iotta per la vita e favorisce lo sviluppo delle attivita economiche e Ia diffusione dello spirito imprenditoriale: Senza accumulazione di capitale le arti non potrebbero progredire, ed e soprattutto mediante illoro potere che le razze civilizzate ... stanno ora ovunque estendendo illoro rango, in modo da prendere il posto delle razze inferiori.
II discorso di Darwin e quindi, in questo caso, organico all'ideologia del capitalismo imperialistico inglese, e anzi e fortemente critico nei confronti dell'impegno sociale e umanitario dei filosofi radicali alla Stuart Mil/,., che propugnano la limitazione delle nascite e una avanzata legislazione sociale. Egli parla, si, di contenimento delle nascite, rna limitatamente ai membri piu deboli della societa che, non potendo «evitare la poverta per i propri figli, dovrebbero evitare il matrimonio)), per non compiere un danno sociale propaganda Ia 'debolezza' della lora genia. Anche riguardo alla politica sociale dello Stato egli e ugualmente critico, perche le istituzioni assistenziali, originate dal nosq:o istinto di simpatia, non hanno altro effetto che quello di arrestare o di ritardare 'il processo di eliminazione' dei caratteri negativi della specie umana. Sono qui le premesse di que! 'darwinismo sociale' che avrebbe raggiunto i suoi sviluppi estremi dopo la morte del grande scienziato, il quale, pur in mezzo a furiose polemiche, tenute vive soprattutto dagli ambienti ecclesiastici, non perse mai la sua serenita, astenendosi dallo svolgere dalle teorie le implicazioni filosofiche e religiose. Divenuto da credente pieno di zelo, com'era agli inizi della sua carriera, tranquillamente agnostico, si astenne sia dall'accettare le provocazioni polemiche, sia dall'avallare gli sviluppi volgarmente antireligiosi che alcuni suoi seguaci dettero alle sue dottrine. D'altronde, questa sua signorile superiorita era resa piu facile dalla corrispondenza che i suoi principi avevano con l'ideologia della classe dominante, bisognosa di supporti culturali conformi al suo dinamismo imperialistico. Infatti, a differenza del glaciale pessimismo di Malthus, il messaggio implicito (rna nemmeno troppo) nelle opere di Darwin, specie ne L'origine dell'uomo, e attraversato da una prospettiva sostanzialmente ottimistica sul futuro della specie, a condizione che questo futuro resti affidato ai. ceti sociali 'selezionati' dall'evoluzione. Contro quanto sostenevano i filosofi radicali degli inizi del secolo, non basta l'educazione a trasformare un uomo. «Ogni darwinista deve sostenere che tra gli esseri umani ci sono differenze congenite neUe capacita intellettuali)), osserva Bertrand Russell. E prosegue, dicendo che Darwin «COn l'accentuare l'ereditarieta, diminui la fede degli uomini nell'onnipotenza dell'educazione e vi sostitui la convinzione che alcune razze siano per essenza superiori aile altre. Cio, a sua volta, porto ad una accentuazione del nazionalismo. E il riconoscere la guerra come mezzo di concorrenza sciolse il connubio tra concorrenza economica e pacifismo che era sempre stata una unione male as.~ortita, poiche
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il compagno naturale del pacifismo e Ia collaborazione». E' bene, ricordare in ogni caso, che sarebbe ingiusto addossare a Darwin gli smarrimenti ideologici di tutti coloro che, nella scienza o nella politica, in buona o mala fede, si facevano forti del suo nome.
Spencer 7.14 L'evoluzionismo come metafisica. A partire dal terzo ventennio dell'ottocento, Ia cultura dominante in Europa riconobbe nell' evoluzionismo di Herbert Spencer*, formatosi per via autonoma rispetto a Darwin e accolto sulle prime con freddezza, il proprio retroterra filosofico, Ia cui proiezione ideologicamente piu funzionale allo slancio creativo della borghesia industriale era l'equazione tra evoluzione e progresso. A Spencer si deve se Ia temia generale dell'evoluzione come quadro fondamentale della ricerca biologica (da Lamark a Darwin) si trasformo in 'evoluzionismo', e cioe in una visione del mondo che fa dell'evolu7~one il principia di spiegazione della realta tutta. Una chiara definizione di questo principia egli Ia fomi due anni prima che Darwin pubblicasse L 'Origine delle specie, in un saggio del 1857, intitolato significativamente Il progresso, sua Iegge e sue cause. Sia che si tratti dello sviluppo della terra, dello sviluppo della vita alia sua superficie, dello sviluppo della societa, del govemo, dell'industria, del commercia, dellinguaggio, della letteratura, della scienza, dell'arte, sempre al fondo di ogni progresso e Ia stessa evoluzione che va dal semplice al complesso attraverso differenziazioni successive. Dai piu antichi mutamenti cosmici di cui vi sia traccia, fino agli ultimi risultati della civilta, noi vedremo che Ia trasformazione dell'omogeneo in eterogeneo e l'essenza stessa del progresso.
Herbert Spencer nasce a Derby in Inghilterra, nel 1820. Dopo un curriculum di studi tecnico-scientifici, durante i quali si era soffermato, come capita anche a Darwin, sui Principi di geologia (1830-33) di Lyell, lavora per qualche tempo come ingegnere ferroviario. Lasciata fa professione nel 1846, e redattore della rivista 'The Economist' dal 1848 al 1853, pubblicando scritti di economia e di teoria politica, ai quali da una prima sistemazione nella Statistica sociale (1850), dove il paradigma evoluzionistico e gia operante, anche se il termine evolution viene adoperato, e per fa prima volta nella storia del pensiero filosofico, nel 1857, nel saggio Progresso, sua Iegge e sua causa. Ma e nei Primi principi (1862) che viene formulato il concetto di evoluzione, definita come « un'integrazione di "materia e una concomitante dissipazione di movimento; durante Ia quale la materia passa da una omogeneita indefinitq e incoerente ad una eterogeneita definita e coerente». Sulfa base di quest'assunto, Spencer organizza un monumentale Sistema di filosofia sintetica, di cui verranno via via a far parte, oltre che i Primi principi, vera e propria premessa metodologica, i Principi di biologia (1864-67), i Principi di Psicologia (1a ediz. 1855, 2a ediz. 1870-72),
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Principi di Sociologia (1877-96), i Principi di etica (1879-93). Ne risulta una concezione unitaria della realtd, che viene vista ottimisticamente proiettata (coerentemente con l'ideologia ufficia[e dei ceti benpensanti inglesi dell'etii vittoriana) verso un perfezionamento biologico, etico e socia[e: un 'idea, questa, che solo parzialmente viene scalfita, nell'ultimo Spencer, dalle implicazioni della seconda Iegge della termodinamica (Ia Iegge sull'entropia), che sembra intaccare Ia fede illimitata in un progresso senza scosse e senza limiti, a partire dal principia della dispersione dell'energia e della conseguente degradazione dell'ordine naturale; cosi come dagli sviluppi aggressivi e militaristici del capitalismo inglese, che spingono ver,~o uno statalismo tendenzialmente coercitivo e illiberale (che fa rimpiangere a Spencer l'epoca del liberismo e del liberalismo classici, come appare da L'uomo contro lo Stato, del1884). La sua Autobiografia, nella quale viene tracciato con dovizia di particolari il suo sviluppo intellettuale, esce un anna dopa la sua morte, nel 1904, · in due ponderosi volumi.
Spencer aveva tratto il suo princ1p10 di evoluzione universale dalla legge dello sviluppo enunciata da Karl Ernst von Baer (Storia della sviluppo degli animali, 1828 e 1837), secondo la quale gli animali si rassomigliano tutti all'inizio del loro sviluppo, quando non sono che dei piccoli ovuli, e solo nel processo della loro crescita appaiono fomiti di organi differenziati. Ebbene, secondo Spencer, questo passaggio progressivo dall'omogeneita all'eterogeneita di struttura e la legge di tutta la realta. A livello cosmico, la massa nebulosa originaria si e trasformata nei soli e nei pianeti dalle pili svariate dimensioni; al livello della Terra, agli inizi ci fu una massa in fusione che nel raffreddarsi ha dato origine alle forme attuali del pianeta. E nel pianeta, la vita si e anch'essa manifestata in modo sempre pili eterogeneo col passar del tempo. Lo stesso processo ha vissuto l'umanita, sia come specie sia come societa che dalla condizione primitiva di aggregato omogeneo e passata alia eterogeneita delle classi sociali e delle divisioni fondate sulla diversita delle funzioni. I monarchi erano, alle origini, preti, soldati e re, cosi come ciascuno dei loro sudditi era costretto a tutte le fonne di lavoro; l'evoluzione ha comportato divisioni di poteri e di mansioni. Perfino nel linguaggio si e dato il passaggio dal sistema di espressioni omogenee al sistema complesso di verbi attivi e passivi e di verbi ausiliari: un sistema in cui «la lingua inglese e superiore a tutte le altre». Larga parte del successo spenceriano e della sua acclimatazione nella cultura filosofica e teologica dominante (si pensi, per contrasto, alle feroci polemiche e al duro ostracismo riservato alle teorie darwiniane) si deve alla conciliazione, pili formale che sostanziale, che Spencer cerco di stabilke tra scienza e religione: la vera funzione della religione e di affermare il carattere imperscrutabile e misterioso dell'universo e delle sue leggi, di cui non deve presumere di fomire una conoscenza positiva; la scienza, da parte sua, ccmscia del «Ca· rattere necessariamente relativo della nostra conoscenza», si adopera per estendere sempre pili la conoscenza del relativo, rna senza mai pretendere di includere l'Jnconoscibile nel proprio ambito. Conciliazione formale, si diceva.
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Pili che di intesa e di collaborazione tra le due forme di conoscenza, si potrebbe parlare di stato di non belligeranza: Spencer pensa, kantianamente, ad una distinzione di compiti che, diversamente dall'andazzo scientistico di tanta parte del positivismo europeo, lasci liberta di movimento alla ricerca scientifica nel quadro di un relativismo agnostico, che rinuncia programmaticamente a indagare il noumeno, e cioe l'Inconoscibile. Vero antidoto sia contro lo scientismo che contro il riduzionismo scientifico e la filosofia, alia quale spetta il compito di dare una rappresentazione sintetica della realta, riducendo a unita l'insieme dei fenomeni e dei principi formulati nei diversi settori d'indagine e mostrando, nel contempo, l'unilateralita dei singoli approcci disciplinari; essa e «la conoscenza del pili alto grado di generalita» che pua essere estratto dalla considerazione unitaria delle verita scientifiche: proprio per questo la filosofia assume come suo materiale i principi piu generali, e cioe l'indistruttibilita della materia, la continuita del movimento, la persistenza della forza.
7.15 L'antropologia evoluzionistica. II primo campo di applicazione della 'ipotesi evolutiva' (Spencer pubblica nel 1852 un saggio omonimo, molto apprezzato da Darwin) fu la biologia, nella quale egli vede manifestarsi i progressivi adattamenti degli organismi aile condizioni ambientali: e l'esercizio continuato di reazioni determinate degli esseri viventi agli stimoli esterni a produrre la differenziazione degli organi, che poi viene trasmessa per via ereditaria. Insomma, la funzione crea l'organo. L'ipoteca lamarkiana e moho evidente anche nell'insistenza di Spencer sulla teoria ereditaria dei caratteri acquisiti, rispetto all'idea darwiniana della selezione naturale di variazioni anche casuali che spontaneamente si producono (che pure Spencer accetta, chiamandola «sopravvivenza del pili adatto»). Principia inforrnatore della biologia spenceriana e il nesso tra perfezionamento biologico e differenziazione degli organi e delle funzioni: cia e tanto pili vero riguardo all'uomo e alle sue facolta. A tal proposito, egli teorizza la continuita pili assoluta tra attivita fisiologica e attivita psichica. In quest'ultima egli vede il progressivo coagularsi delle impressioni indotte dalla molteplicita degli stimoli esterni, grazie a una struttura percettiva originaria, che funziona nell'individuo come un a priori, rna che risulta da categoric e da predisposizioni mentali che la specie umana e venuta producendo, selezionando e trasmettendo per eredita biologica. In tal modo, egli critica l'empirismo associazionistico (che non poteva spiegare l'attivita di correlazione delle sensazioni del soggetto conoscente, se non negando il proprio assunto di base), senza d'altra parte cadere nell'innatismo, in quanto i principi associativi sono, in Spencer, a priori rispetto all'individuo, rna a posteriori rispetto alia specie, sono, cioe, il prodotto o l'accumulazione nell'individuo di una serie indefinita di esperienze della specie, via via selezionate e trasmesse ereditariamente. L'approccio evolutivo conduce Spencer a una 'secolarizzazione della morale', in quanto gli permette di fondarla su basi naturalistiche: designando infatti come 'buono' cia che e utile e conforme al fine, egli rileva che nella coscienza della specie umana rimangono impresse le azioni utili per la specie stessa, le
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quali poi sono continuamente sottolineate per rinforzare quella memoria selettiva dei comportamenti vantaggiosi senza la quale si bloccherebbe l'evoluzione. Secondo Spencer, non esiste, quindi, un' opposizione insuperabile tra egoismo e altruismo, nell'ambito di una accezione unitaria della condotta umana, che «comprende tutti gli adattamenti di azioni agli scapi»: egli dissolve, cosi, ogni scala di valore o di priorita temporale tra l'istinto egoistico e l'istinto altruistico, che sono considerati dotati della medesima forza originaria. L'uso di 'buono' o di 'cattivo' non nasconde alcun significato prescrittivo: buona e la «condotta che giova alla vita, e cattiva quella che le fa ostacolo». Questa concezione dinamica della natura umana, come unico complesso biologicoculturale, oggetto di una vera e propria 'fisiologia morale', si pone in opposizione all'utilitarismo di Bentham e di Stuart Mill, attento solo agli effetti immediati delle azioni. Nonostante la correzione milliana dell'aritmetica morale benthamiana grazie alla combinazione del principia individualistico di utilita col principia di giustizia, Spencer non riesce a vedere nessun principia direttivo che ci metta in condizione di stabilire sempre cio che produce «la piu gran somma di bene sui male>>. Egli giunge cosi a .una 'morale relativa', cui non si puo chiedere altro che di individuare via via cio che appare «il minima dell'ingi ustizia)). Ma il relativismo etico spenceriano non giunge ad esiti scettici, dal momenta che alia morale relativa e giustapposta, con un consapevole riferimento a Kant, una morale assoluta, che fomisce un 'codice ideale' di condotta, un criteria regolativo che orienti l'umanita lungo il suo viaggio da uno stato patologico della moralita ad uno fisiologico, nel quale, superata finalmente la fase transitoria della moralita «impregnata dal disagio del mancato adattamento» all'ambiente, «male ed immoralita spariranno)) e «l'uomo diventera perfetto». 7.16 L'evoluzione superorganica. L'uomo si trova all'apice dell'evoluzione organica. AI di la di essa, si trova l'evoluzione 'superorganica', che ha il proprio campo di manifestazione nella sviluppo delle societa umane. Spencer utilizza qui, a piene mani, l'analogia biologica (arrivando addirittura a paragonare il sistema dei trasporti al sistema vascolare), rna, ciononostante, traccia una linea distintiva tra ambito biologico e ambito sociale: mentre nell'organismo biologico le parti sono finalizzate al funzionamento dell'intero, nella societa sono le singole unita individuali ad avere la preminenza rispetto all'organizzazione sodale, che ha come scopo costitutivo il benessere dei singoli. In questa principia individualistico, di ascendenza liberistica e utilitaristica, sta un forte elemento di distinzione rispetto all'organicismo sociale di Comte, di derivazione giacobina e statuale. Dall' omogeneita indifferenziata dell' orda primitiva aile differenziazioni funzionali della complessa societa industriale, la civilta umana si e progressivamente adattata all'ambiente esterno, traducendo via via in sistemi consolidati l'originario 'timore dei morti' (sistema religioso), il 'timore dei viv_i' (sistema regolativo o politico), l'insieme delle attivita di produzione e di distribuzione dei beni (sistema nutritivo). Le forme sociali prevalenti, cui l'interazione di quei sistemi ha data luogo, sono, per Spencer, quella militare, caratterizzata da un accentramento autoritario del potere, da una cooperazione forzata degli individui, da una produzione in funzione militare, da un clero gerarchiz-
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zato e da una religione di tipo vendicativo; e quella industriale, improntata a una piena autonomia contrattuale e politica dei soggetti sociali, a una democrazia diffusa, a una produzione in funzione civile, a una piena autonomia della sfera religiosa. Egli considera le due forme sociali come tendenzialmente escludentisi, vedendo incarnata la prima nella Germania bismarkiana e la seconda nella societa capitalistica inglese, di cui vede d'altra parte i rischi involutivi connessi all'egoismo esasperato della ricerca del profitto. Ma la sua fiducia neUe modaliti;; autonome di sviluppo del capitalismo, grazie al conflitto fisiologicamente espansivo delle classi sociali (da non turbarsi con altre forme di intervento dello Stato), gli impedisce di cogliere appieno gli sviluppi in senso aggressivo e D;lilitaristico del capitalismo coloniale inglese. Curiosamente, pen), le categoric spenceriane di sistema militare e sistema industriale hanno avuto un destino diverso: perche non rintracciarle al fondo dell'odierna espressione di 'complesso militare-industriale', con la quale si designano i sistemi socioeconomici che hanno originato la corsa agli armamenti delle grandi potenze americana e sovietica? Vero e che, a differenza di Comte, in cui la sociologia assorbiva nelle proprie leggi anche la morale, in Spencer il compito della sociologia e di descrivere lo sviluppo percorso, fino al momento, dalla societa e non di prevederne scientificamente lo sbocco finale: le mete e gli idcali dello sviluppo sono fuori della sua portata, mentre sono la sfera propria dell'etica. La caratteristica dello stato presente e il contrasto tra egoismo e altruismo. L'evoluzione morale va nel senso di una progressiva coincidenza tra la soddisfazione del singolo e la felicita altrui. Non e da escludere, in prospettiva, la nascita di un terzo regime, dopo quello militare e quello industriale: esso potrebbe porre, alla base della collaborazione degli individui, non i motivi egoistici, rna quelli altruistici, non l'obbligazione coattiva, rna la spontaneita. Col completo adattamento allo stato sociale, quell'elemento della coscienza morale, che e espresso dalla parola obbligazione, scomparira del tutto. Le azioni pili elevate, richieste per lo svolgimento armonico della vita, saranno fatti cosi comuni come lo sono ora quelle azioni inferiori a cui ci spinge il semplice desiderio.
Ma opesto SQirag}io di utoQia non deve ingannarci: l'ideologia del progresso proposta da Spencer e, nel suo insieme, profondamente reazionaria, ostile non solo al patemalismo della carita cristiana, rna anche alle prospettive del socialismo. II suo successo straordinario si deve anche a questa sua funzionalita nei confronti del capitalismo in espansione. Non a caso, le sue fortune si dissolsero alia fine della ,~elle epoque, con la catastrofe della prima guerra mondiale.
Ardigo 7.17 L'evoluzionismo psicologico. Se Spencer aveva tratto dalla biologia il suo principia evolutivo del passaggio dall'omogeneo all'eterogeneo, Roberto Ardigo • lo desume dalla normale esperienza psicologica del conoscere: o la filosofia - cosi egli dice - e psicologia (ed allora viene detta 'filosofia positiva'),
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oppure e 'metafisica bella e buona', spiritualistica 0 materialistica che sia, incapace sempre di pervenire all'unita inscindibile fra soggetto ed oggetto, all"unita psico-fisica', che puo essere colta, nel concreto, dall'esperienza psicologica. Egli si pone, cosi, nel solco di quella tradizione psicologica italiana di orientamenta associazionistico, come quella di Romagnosi (6.2), che, riformando il sensismo francese e inglese, non e disposta a risolvere in chiave immediatamente psico-fisiologica il processo gnoseologico, decisa a salvaguardare il principia di un'autonoma attivita interna della coscienza, intesa in senso funzionale e non sostanziale, capace di combinare e trasformare ('chimicamente', potrebbe dirsi) le impressioni sensibili:
Roberto Ardigo nasce a Casteldicone (Cremona) nel 1828. Avviato al sacerdozio (per il quale, dira pili tardi, aveva sempre manifestato «una inclinazione viva»), dopa aver compiuto gli studi teologici nei seminari di Milano e di Mantova, in quest'ultima citta viene ordinato sacerdote nel 1851. Dopa una brevissima esperienza di studio a Vienna, interrotta per l'insorgere di disturbi nervosi, si stabilisce a Mantova, dedicandosi all'insegnamento in seminario delle materie piu disparate. Nominata nel 1863 canonico della cattedrale di Mantova, passa a insegnare filosofia nel ginnasio pubblico. Gli studi filosofici lo rendono via via piu critico nei confronti della tradizione teologico-metafisica cattolica. Anche se egli affermera in seguito di non aver mai letto alcun libra di Comte e solo parzialmente Mill e Spencer, risulta permeato dal diffuso spirito positivo europeo. Nel suo Discorso su Pomponazzi, letto nel suo Iicea mantovano nel 1869, egli ne compie l'elogio come di Iibera pensatore. L'opera, che suscita enorme sealpore, anche perche utiliz?.ata in sensa anticlericale nel dibattito intorno a Roma capitale, viene immediatamente messa all'indice e Ardigo e sospeso a divinis. La rottura e completa: ne/1871 Ardigo sveste l'abito ecclesiastico. Continua a insegnare a Mantova fino a quando, nel 1881, il ministro dell'istruzione lo chiama a Padova, alia cattedra di Storia della filosofia, dove insegna fino al 1909. Da li si diffonde Ia 'filosofia positiva' ardigoiana, che permea di se l'intera cultura filosofica italiana di fine secolo. Nel 1913 e nominata Senatore. Muore suicida nel1920. Oltre all'opera fondamentale, La psicologia come scienza positiva (1870), ricordiamo La formazione naturale nel fatto del sistema solare (1877), in cui il processo di formazione della coscienza viene inserito nel piu ampio contesto naturalistico dell'evoluzione cosmica; L'inconoscibile di H. Spencer e il positivismo (1 883), in cui l"inconoscibile' spenceriano viene considerato un puro limite del pensiero umano che aspira comunque a una progressiva estensione del suo dominio; La morale dei positivisti e Ia Sociologia (1878-86), che mostrano come il concetto di idea/ita etica, prodatto dall'impulsivita psico-fisiologica delle idee, si muti in ideale sociale e civile attraverso i processi di formazione della persona/ita che si svolgono nell 'ambito della societa civile.
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La fisiologia non puo condurre se non ad un certo punto, oltre il quale non serve che l'osservazione diretta del pensiero, quale si presenta nella coscienza... L' esame degli organi cerebrali puo pres tare degli indizi... La coscienza attesta il fatto psicologico della associazione delle idee; e con cia dice al fisiologo: eccoti un tema di studio.
Nella nota espressione ardigoiana, «il fatto e divino e il principia e umano», che, riassumendo i suoi presupposti 'positivi', subordina all'irrefutabilita del dato le teorie e i sistemi scientifici, si rinvia quindi al 'fatto psicologico della sensazione', inteso come primwn assolutamente preliminare allo stesso atteggiamento scienttfico. Nella sensazione sono inclusi, come facce della stessa medaglia, 'il me' e' 'Il non me', cioe l'interiorita della coscienza e la esteriorita del mondo fisico, che non vanno percio intesi come mondi opposti, rna come fatto unico ed inseparabile. Viene cosi tolto il dualismo di relativo e assoluto, di sostanza e fenc)meno: nella sensazione, esperienza interna ed esperienza esterna confluiscono, strutturandosi in 'autosintesi' ed 'eterosintesi', sorta di funzioni mentali che, prendendo il posto del soggetto e dell'oggetto metafisici, vanno a costituire l'io e il mondo esterno: esse appaiono, insomma, come funzioni della 'sostanza psico-fisica' che si presenta come un tutto reale indivisibile .. ancora informe innanzi che, per l'abitudine del riferimento all'interno e all'esterno, siasi distinta e scissa (nella) rappresentazione del me (psichica) e del fuoti dime (fisica).
Nella sensazione si ha quindi la 'confluenza ritmica' (che si ripete, cioe, con una certa tipicita) tra le impressioni direttamente provocate dall'oggetto esterno sull'organo di senso e i dati associativi accumulatisi sulla base delle passate esperienze; rna quel processo non si traduce nella forma meccanicistica di una pura registrazione passiva. Grazie ad una intrinseca 'dinamica della psiche' (per la verita piu postulata che dimostrata), Ardigo fluidifica l'associazionismo, passando da un'associazionismo meccanico ad uno dinamico, capace cioe di vedere il prodotto mentale come sintesi eccedente rispetto ai puri dati associativi: «Ia forza indistinta dell'ambiente si trasforma nell'anima cosciente». Per Ardigo, e Ia via psicologica che apre l'accesso aile strutture ed al meccanismo di svolgimento dell'intero mondo naturale: il processo di distinzione delle sensazioni, attraverso cui una porzione progressivamente crescente della natura viene sperimentata e cosi sottratta all'ambito indistinto della natura non ancora sperimentata, ripete l'indefinita potenzialita attiva di distinzione deija natura dall"indistinto originario' (dalla formazione del sistema solare alla formazione delle societa umane). Si tratta di un ritmo che non risponde ad alcun piano provvidenziale, ne ad alcuna superiore razionalita, rna risulta da un «semplice lavoro meccanico» che tuttavia non e rigidamente predeterminato, rna e aperto a sviluppi imprevisti ·e contingenti: l"indistinto' e «infinito e avente infinita virtuaiita». 7.18 L'indistinto. L'evoluzione come Iegge universale e quindi concepita da Ardigo sul modello psichico del passaggio dall'indistinto al distinto della coscienza, e non su quello fisico-fisiologico, sostanzialistico, del passaggio dall'o-
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mogeneo all' eterogeneo spenceriano: Lo stesso Spencer confessa di essere stato condotto al suo concetto dell'omogeneo, come antecedente della formazione naturale, dai dati delle scienze fisiologiche, mentre io sono venuto a quello dell'indistinto dallo studio del fenomeno cogitativo.
Da qui la presa di distanza ardigoiana dai rischi metafisici connessi alia posizione spenceriana: l'Indistinto non rinvia, come in Spencer, a nessun residua Inconoscibile, rna solo a qualcosa di lgnoto, che non trascende l' esperienza, rna che e suscettibile di essere scomposto e chiarito nei suoi elementi costitutivi e quindi puo diventare conosciuto. Ne deriva un'affermazione decisa d'immanentismo, coerentemente con la sua costante polemica anti-teologica. La filosofia ardigoiana e stata pasta, in ambito idealistico (si pensi all'aspro giudizio di Gentile), su di un piano addirittura prefilosofico, per la sua incapacita di elevarsi al di la del crudo dommatismo della certezza immediata del fatto; mentre in ambito positivistico essa e stata considerata, nella sua farraginosa costruzione sistematica, una variante delle metafisiche del positivismo evoluzionistico. Ma forse l'originalita di Ardigo e nella posizione realistica che abbiamo cercato di delineare, una posizione che salvaguarda l'attivita unificante e distinguente della coscienza rispetto alle sensazioni, nel quadro di un'unita naturale di cui la coscienza e parte costitutiva: le forme della mente, che si strutturano sulla base dell'esperienza, non fanno altro che riprodurre l'universale ritmo di distinzione delle forme naturali. L' esito ultimo dell' effusione immane delle forze che Ia natura dispone e consuma e l'essere santo che lavora per fare il bene.
La 'santita' della vita e frutto dell'evoluzione sociale che con le sue norme e sanzioni induce negli individui una 'idealita anti-egoistica' che li fa aspirare alla giustizia. Da notare che l'affermazione di un simile ideale sociale colloca Ardigo in una prospettiva anti-utilitaristica (avvicinandolo all'ultimo Stuart Mill), nonche anti-cristiana ed anti-kantiana, per il suo rifiuto di qualsiasi approccio individualistico all'etica. 7.19 La morale sociale. Ardigo tenta di attenuare l'implicito determinismo della visione evoluzionistica facendo uso della categoria del caso: l'universo cosi come e non e che il prodotto dell'incontro, in un dato punta del tempo, di innumerevoli serie causali. Necessaria e determinata e ciascuna di quelle serie; casuale e invece il ]oro incontro, e quindi anche il prodotto del loro incontro. In questa sensa, il pensiero umano e casuale, n~n necessitato. II pensiero che oggi troviamo nell'umanita, e un pensiero che si e formato per Ia continuazione di accidentalita infinite, succedutesi e aggiuntesi a caso le une aile altre; per cui a tutto. diritto si puo chiamare, esso, il pensiero complessivo di tutta l'umanita, una formazione accidentale, ne piu ne meno della forma bizzarra di una nuvoletta, che in cielo porti un tratto, prima che sfurrii, il vento e indori il sole.
La stessa combinazione tra la serie delle concatenazioni causali e Ia casua-
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lita del loro incontro serve ad Ardigo per fondare la liberta della coscienza morale. La liberta dell'uomo, cioe Ia varieta delle sue azioni, e l'effetto della pluralita delle serie psichiche o degli istinti, se cosi vogliono chiamarsi. E che, se e immensamente piu che negli altri animali, cio dipende unicamente dal fatto che Ia complessita della sua costituzione psichica, sia per Ia disposizione intima, sia per i rapporti col di fuori, si presta ad un numero di combinazioni immensamente maggiore.
La vita morale ha senso solo se e inquadrata in una sociologia organicistica, attenta alia 'costituzione della societa civile' (considerata nel suo ruolo propulsive) e al progressive adeguarsi di quest'ultima all'ideale della 'giustizia'. Un momenta essenziale di questa attenzione finalizzata alia giustizia e la pedagogia positiva, che deve farsi carico della trasmissione al corpo sociale di orientamenti socialmente legittimati, capaci di rintuzzare gli eventuali comportamenti devianti. Ne risulta un notevole appannamento del concetto di responsabilita individuale nell'agire etico, a vantaggio dell'idea di responsabilita sociale, di cui, con una sensibilita sociologica e psicologico-sociale forse inaspettata per l'epoca di Ardigo, vengono indagati i modi della socializzazione e dell'interiorizzazione (per esprimerci con termini del dibattito socio-psicologico del '900); laddove evidente appare il successo della filosofia ardigoiana, anche per le sue immediate implicazioni politico-sociali, in una fase della storia italiana in cui preminenti, dopo l'unificazione politica, erano le esigenze di stabilizzazione e di omogeneizzazione sociale. Tuttavia, (:oerentemente col rifiuto di un rigido determinismo nella evoluzione naturale e sociale, da considerarsi invece aperta a sviluppi imprevedibili grazie alla creativita umana, il fatto che la societa dia sostegno e fondamento all'idea di giustizia non esclude che l'umanita possa farsi promotrice di possibilita di perfezionamento umano e sociale che vadano al di la delle linee evolutive tracciate e prevedibili. In questa modo Ardigo lasciava aperta la porta al mutamento sociale, anche radicale, rna sottolineando sempre, per es. di fronte al socialismo - ridotto, in maniera a dire il vero semplicistica, a puro determinismo economico - la 'primalita' della «attitudine psichica della dinamica sociale», che «genera i fatti come quello economico e gli altri, ... rna creandosi cosi poi degli ambienti nuovi, che reagendo su di essa, vi determinano atteggiamenti ulteriori)), creativamente aperti sui futuro.
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0 Sommario. La determinazione del marxismo come dottrina univoca (almena nelle pretese) e successiva a Marx, e coincide con Ia storia ideologica della seconda Internazionale, nell'ultimo scorcio dell'Ottocento, in pieno clima positivistico (8.1). Rientra nel quadro di questa scolastica marxista il 'revisionismo' di Bernstein, che affida l'avvento della societa comunista aile graduali riforme da perseguire all'interno del sistema borghese (8.2). A lui si oppone, in nome dell'ortodossia marxista, Kautsky, che, con una impostazione evoluzionistica della visione della storia, considera il comunismo come il portato della crisi inevitabile, e per lui evidente, del s'istema borghese (8.3). In polemica col revisionismo, rna alieno, nel contempo, dalle rigidezze deterministiche di Kautsky, e l'itali;mo Labriola, chc approfondisce con originalita il materialismo storico, da lui detto 'genetico' (8.4). Nella stesso periodo si forma, in Russia, il prima nucleo di marxisti, fra i quali primeggia Plechanov, che, ritenendo non separabili il materialismo storico e quello dialettico, da al marxismo una forte accentuazione deterministica (8.5). Fra i sostenitori della necessita della rivoluzione, emerge Rosa Luxemburg, che, rifiutando Ia strategia del compromesso con Ia societa borghese, pone al centro dell'iniziativa rivoluzionaria l'azione delle masse, e plaude alia rivoluzione sovietica, senza pen) aderire a! rigido centralismo di Lenin (8.6). Ma e solo con Lenin che il marxismo diventa realta storica. Unendo all'attivismo spregiudicato un'intensa riflessione teorica, Lenin sviluppa alcuni temi di fonda: Ia dottrina della conoscenza come rispecchiamento, Ia costruzione del partito rivoluzionario, con particolare attenzione al ruolo degli intellettuali, J'analisi della fase imperialistica del capitalismo, Ia funzione della dittatura del proletariato (8.7). Prcnde avvio, in questa periodo, Ia riflessione di Gramscj, svolta poi nel carcere fascista. Distanziandosi dal centralismo di Lenin, Gramsci affioa l'esito rivoluzionario alia progressiva egemonia culturale della classe operaia, organizzata in 'consigli' e munita di uno strumento, il partito, da intendere come 'intellettuale collettivo' (8.8). Ma sui piano storico, il marxismo rivoluzionario segue altre vie. Presentandosi come vera interprete di Lenin, Stalin fonda una rigorosa ortodossia sui materialismo dialettico, trasformato in visione totalitaria della natura e della storia, da far valere, anche con atti di forza, contra tutti i deviazionismi (8.9). Del centralismo ideologico staliniano e strumento inflessibile il Komintern (Ia terza Internazionale) che condiziona lo sviluppo del marxismo tra le due guerre, provocando Ia contrapposizione (o il cedimento) dei 'marxisti occidentali' (8.10), come Korsch, che rifiuta il domma leniniano della conoscenza come rispecchiamento e propone un marxismo ricongiunto alia sua matrice hegeliana (8.11). A Hegel (di cui rivaluta la fase giovanile) si rifa anche Lukacs, che elabora una visione della storia centrata sulla coscienza di classe, una coscienza che il proletariato e in grado di esprimere da se, senza attenderla dall'esterno, e che sola puo contrastare il processo di reificazione intrinseco a! capitalismo (8.12). Su questi principi Lukflcs costruisce i canoni estetici del realismo critico, in base ai quali recupera anche la grande arte borghese, che, se realistica, e omogenea alia visione della realta di cui la classe operaia e portatrice (8.13). In modo del tutto originale, rna ispirato anch'esso a! rapporto Hegel-Marx, Bloch svolge di Marx il nucleo utopico, identificandolo col 'principia speranza', che e anche Ia matrice dell'esperienza religiosa dei popoli, in specie di quella ebraico-cristiana (8.14).
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II marxismo tra revisionismo e ortodossia 8.1 La seconda Internazionale (1889-1914). Fu solo dopo la morte di Marx che nacque il 'marxismo', inteso come insieme di dottrine ben determinate, consegnate, a loro volta, a un corpo di opere che ne dovrebbero assicurare il significato autentico. Ma gia qui si rivela l'ambiguita del termine. Come abbiamo visto, non pochi scritti fondamentali di Marx sono stati pubblicati postumi, alcuni addirittura nel quarto decennia del nostro secolo (5.5). E poi, l'insieme delle opere di Marx non contiene affatto una dottrina univoca. Marx era ben lontano dal considerare le proprie posizioni teoriche come un organismo "dottrinale con cui confrontarsi a prescindere dalla prassi politica. Tanto piu era lontano dal far suo il termine 'marxismo'. «lo non sono marxista», disse una volta (eravamo nel 1882) a.l genero Lafargue, alludendo, per la verita, a un'ala del movimento operaio che si rifaceva al suo nome per legittimare le proprie posizioni settarie. Per designare il suo pensiero egli usava il temine 'socialismo materialistico critico'. Sara Karl Kautsky, massimo esponente del partito socialdemocratico tedesco, segretario e amico di Engels (rna Marx lo aveva giudicato «mediocre» e «saccente») a dare l'avvio a una determinazione oggettiva della teoria marxista che solo oggi, dopo un secolo, sembra conclusa. Kautsky fonda la rivista Die Neue Zeit (II tempo nuovo), destinata a svolgere un incomparabile ruolo culturale, proprio l'anno della morte di Marx, il 1883. Ma com'e nella natura del marxismo, il dibattito al suo interno piu che una vicenda fra intellettuali fu il riflesso teorico dei contrasti che accompagnarono fin dalle origini Ia seconda Internazionale. Fu allora che la corrente marxista del movimento operaio comincio a prevalere nei confronti delle altre, come quelle degli anarchici, dei proudhoniani e degli utopisti di vario genere, scongiurando, cosi, il fallimento che proprio in seguito aile lacerazioni ideologiche fra Marx e Bakunin aveva provocato la fine della prima Internazionale, nel 1872. Le condizioni sociali erano ormai diverse. Nel quadro di un'Europa sempre piu industrializzata, a cui si aggiungevano ormai anche gli Stati Uniti, il movimento operaio conobbe una rapida crescita e, con la crescita numerica, anche una piu viva esigenza di raccordi internazionali. Agli occhi di Engels e dei leaders del movimento operaio in Germania, questa esigenza offriva l'occasione per spezzare I'isolamento ideologico in cui versava la socialdemocrazia tedesca, sulla quale, dopo il sanguinoso epilogo della Comune di Parigi (1871), si erano ormai addossate le speranze del socialismo mondiale. Fu cosi che tra il 1889 e il 1891 nacque la seconda Internazionale, sulle prime come semplice quadro di coordinamento e poi, sulla spinta della maturazione dei partiti operai, come organismo di dibattito e di produzione ideologica, e cioe come 'intellettuale collettivo'. Cosi, ad esempio, quando, nel Congresso di Londra del 1896, si doveva rispondere al problema di chi avesse il diritto di diventar membro dell'Internazionale, il Congresso rispose fissando due condizioni: la sostituzione della proprieta e della produzione socialista alla proprieta e alia produzione capitalista; il riconoscimento dell'azione legislativa e parlamentare della democrazia borghese. Le due condizioni significarono praticamente il rigetto, a destra, dei riformisti e, a sinistra, degli anarchici. Attra-
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verso simili determinazioni teorico-operative, prendeva forma, in concreto, l'incontro tra la dottrina marxista e la realta della Iotta di classe, che per l'avanti erano restate, nonostante tutto, in dimensioni storiche diverse e quindi estranee l'una all'altra. In tal modo, il marxismo divento un fattore di formazione delle masse e di elevamento del livello di coscienza degli strati operai e popolari. Era fatale che, cosi divulgato, il marxismo contraesse l'impostazionc schematicamente ottimistica propria della cultura del tempo, che sul quadrante della storia civile era il tempo delle conquiste coloniali, delle invenzioni scientifiche e delle conseguenti rivoluzioni tecnologiche. Ecco perche il marxismo della seconda Internazionale sara di tipo positivistico, cioe fortemente influenzato dai modelli ideologici divulgati dal darwinismo (7.13) e dall' evoluzionismo spenceriano (7.16). Il socialismo - il sol dell'avvenir - appare come lo sbocco naturale e necessaria delle tendenze evolutive dell'eta capitalistica, come l'inevitabile conseguenza dei processi di accum ulazione descritti da Marx nel Capitale ( 5.19). Cosi contagiato dallo spirito del tempo, il socialismo, oltrechtY programma di emancipazione sociale e politica, diventa, svolgendo un orientamento gia avviato da Engels, una vera e propria concezione del mondo, che inquadra e spiega unitariamente la storia della natura e·la storia dell'uomo, dalla nascita del protozoa al trionfo del socialismo. E tuttavia, come stiamo per verificare analiticamente, il marxismo della seconda Internazionale non fu del tutto dominato dal determinismo positivistico, nemmeno nell'area dei marxisti 'ortodossi'. Nel suo ambito, si danno tensioni di carattere etico (anche all'insegna di un 'ritorno a Kant'), si sviluppa una rivalutazione della dialettica hegeliana, e soprattutto si fa vivacissima l'incidenza della tendenza 'rivoluzionaria', rappresentata da leaders di enorme prestigio, come Rosa Luxemburg e Lenin o come, in un'altra area o in un momenta diverso, Antonio Gramsci. Questi contrasti precipitano quando, nel 1914, i gruppi dirigenti della maggior parte dei partiti socialisti si schierano, spezzando le tavole di bronzo dell'internazionalismo, con le rispettive borghesie nazionali, in occasione della prima guerra mondiale: nel Reichstag tedesco i socialdemocratici votano i crediti di guerra. Contro questa atteggiamento si scaglia Lenin, che Iancia la parola d'ordine della 'guerra imperialistica' e, nel 1917, si pone a capo della Rivoluzione d'ottobre in Russia. Si apre un processo che portera alia formazione, nel 1919, di una nuova organizzazione del movimento operaio: la terza Internazionale (Komintern), di ispirazione sovietica. 8.2 II revisionismo di Bernstein. Negli ultimi decenni dell'Ottocento, il contrasto piu vivace, in seno al marxismo, fu quello tra 'revisionisti' e 'ortodossi'. L'ispiratore di maggior rilievo del prima schieramento fu Eduard Bernstein, • la cui opera di revisione della dottrina di Marx fu cosi radicale, da guadagnarsi gli attacchi, anche virulenti, degli ortodossi e dei rivoluzionari, e cioe delle correnti di cui intendiamo tracciare, in questa capitola, un panorama preciso, anche se sommario. Oggi che le posizioni di Bernstein sono tornate di attualita, e possibile riconoscere che il suo tentativo era, di liberare le intuizioni vitali di tvlarx e di En-
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gels dagli elementi caduchi e dogmatici con cui esse si intrecciano, nella loro opera. Del resto, nella fase piu matura della !oro produzione, essi si erano avveduti dei rischi connessi a una concezione deterministica della svolgimento della storia e delle leggi che governano Ia societa: (... ) In una lettera a Conrad Schmidt - scrive Bernstein - datata 27 ottobre 1886, Friedrich Engels ha acutamente dimostrato in che modo certe istituzioni sociali si trasformino, da prodotti della sviluppo economico, in fattori sociali che acquistano una loro autonomia di movimenlo, e come questi, a !oro volta, reagiscano su quello e possano spingerlo avanti, arrestarlo o indirizzarlo per altre vie (... ). II materialismo storico dunque non nega affatto che i fattori politici e ideologici abbiano un movimento autonomo. Esso contesta unicamente il carattere incondizionato di questa movimento autonomo ....
Eduard Bernstein nasce a Berlino nel 1850. Come esponente di rilievo del partito socialdemocratico tedesco, nel 1878, a causa delle leggi eccezionali antisocialiste allora in vigore, deve espatriare. Rifugiatosi a Zurigo, pubblica, col suo futuro avversario Kautsky, l'autorevole rivista Sozialdemokrat. Espulso dalla Svizzera nel 1888, si rifugia a Londra, dove diviene amico e segretario di Engels, di cui sara esecutore testamentario. Rientrato in Germania nel 1902, Bernstein viene piu volte eletto deputato. Sostenitore di una politica rifonnistica e revisionistica, e tra colora che nel 1914 votano i crediti di guerra, sostenendo che Ia socialdemocrazia tedesca deve assumere un responsabile atteggiamento nazionale e patriottico di fronte ai compiti posti dalla guerra. E' Ia fine dell'internazionalismo proletario teorizzato dalla seconda Internazionale socialista, destinata ormai a scontare una rottura irrimediabile e Ia conseguente scissione. Dopa la Rivoluzione d'Ottobre, Bernstein (autore oltre che de I protagonisti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia (1893), di opere quali Per Ia storia e la teoria del socialismo e Ferdinand Lasalle) polemizza aspramente con il leninismo e critica le caratteristiche che va assumendo il nuovo stato sovietico. L 'elaborazione politica e teo rica di Bernstein ha un effetto dirompente e diviene, per molti, oggetto di scandala. Bernstein (che, nonostante le critiche e le opposizioni incontrate, manterra sempre un certo seguito e prestigio all'interno della socialdemocrazia tedesca) espone le sue tesi piu note in una serie di articoli, pubblicati tra il 1896 e il 1898 su Die Neue Zeit; in seguito tali articoli, il cui contenuto e ampliato e riveduto, vengono pubblicati nel volume I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, che puo essere considerato un autentico manifesto del 'revisionismo: Dopa Ia prima guerra mondiale, prende parte attiva alia formazione della Repubblica di Weimar. Muore w1 mese e mezzo prima dell'ascesa a! potere di Hit{er, ne/1932.
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All'interno di una visione della storia non deterministica, il socialismo non puo dunque essere un qualcosa di 'necessaria', ne di inevitabile', come ritiene il marxismo 'evoluzionistico' della seconda Internazionale; esso puo essere solo 'desiderabile', auspicabile da un punto di vista etico. Tesi questa largamente condivisa dall'indirizzo di pensiero neokantiano (1 0.1 ), che tendeva a sottolineare nuovamente il valore ed il peso del momenta soggettivo ed etico nel comportamento umano e nella dialettica sociale. Al contrario, la dialettica di origine hegeliana, proprio perche sottolinea gli elementi di ambiguita, di non-scelta e di duplicita presenti nell'uomo e nella storia, e considerata da Bernstein co· me l'«elemento infido del marxismo)). Per preparare nuove e piu accettabili condizioni di vita per il p'roletariato e gli altri ceti popolari, c'e una sola via da seguire, senza ambiguita: scartata ogni ipotesi rivoluzionaria (anche se ai proletari viene riconosciuto, in linea di principia, una sorta di estremo 'diritto alia rivoluzione'), non resta che una leota, graduale trasformazione sociale interna alla stessa societa borghese. E' Ia via della riforma della societa, che presuppone, sul piano politico, un lavoro all'interno delle istituzioni borghesi, che puo anche trasformarsi in vera e propria colla borazione. Respingendo l'ipotesi della costruzione della societa socialista per mezzo della dittatura del proletariato, Bernstein esalta il valore della democrazia, che e «... al tempo stesso, mezzo e scopo. E' il mezzo della Iotta per il socialismo ed e la forma della realizzazione del socialismm>. Proprio perche fa sua la struttura democratica della societa borghese e si propane non di distruggerla, rna semplicemente di fornirle un ordine nuovo, il movimento socialista non viene piu a contrapporsi alia migliore tradizione borghese ed al liberalismo; rna anzi vi si riallaccia positivamente. All'ipotesi democratica e 'gradualistica' cosi delineata, fa da corollario teorico la contestazione di alcuni temi del pensiero marxiano, come la previsione di un progressivo impoverimento del proletariato e la scomparsa tendenziale dei ceti medi dalla societa. Bernstein infatti (e si e trattato, in questa caso, di una visione storicamente lungimirante) sostiene che i ceti medi e le piccole-medie aziende tendono non a scomparire, rna a permanere, e in akuni casi ad acquisire importanza. 11 'revisionismo' di Bernstein giunge fino ad attribuire all'economia capitalistica Ia capacita di regolare, limitare e addirittura eliminare le proprie crisi. 8.3 L"ortodossia' di Kautsky. 11 socialismo non puo porsi come compimento e proseguimento del liberalismo, rna come suo superamento; limitarsi a una revisione del capitalismo, equivale ad attribuirgli la capacita di rigenerarsi e quindi a fame l'apologia: e questa l'argomento di fondo su cui si svolge Ia polemica antirevisionistica di Karl Kautsky,• considerato il fermo custode dell'ortodossia marxista e, sul piano del giudizio storico, il vero e propho organizzatore culturale del marxismo, specie attraverso Ia sua rivista Die neue Zeit. Pur respingendo la tesi, attribuita a Marx erroneamente, dell'impoverimento assoluto della classe operaia, Kautsky e coiwinto, con Marx, che il capitalismo non puo non portare ad un sostanziale peggioramento delle condizioni sociali dei proletari e degli altri lavoratori. Gli stessi strati intermedi della societa possono sopravvivere solo a prezzo della loro subordinazione alla logica e
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al predominio del grande capitale. 11 sistema capitalistico non puo dunque che approdare a uno stadia in cui si ponga oggettivamente l'esigenza del passaggio a un ordinamento diverso, di tipo socialista. Un tale approdo, nella concezione kautskyana (in un'ottica completamente rovesciata, rispetto alle posizioni di Bernstein) e ritenuto necessaria, sostanzialmente inevitabile. Due, pero, sono le implicazioni di questa marxismo 'oggettivo': la posizione attendista del proletariate, che dovrebbe accumulare forze ed acquisire una propria autonomia ideologica ed organizzativa, in attesa dell'avvento della nuova societa; una lettura della storia in chiave sostanzialmente evoluzionistica. E' bene ricordare che Kautsky era giunto al marxismo non attraverso Hegel, rna attraverso Darwin. La 'Iotta per la sopravvivenza', che Darwin pone alIa base dell'evoluzione biologica, ben si raccorda, per Kautsky, alla Iotta di classe. Ecco perche l'approdo al socialismo non e un postulate etico, come vorrebbero i neokantiani, rna il portato necessaria di un processo storico che si tratta di assecondare, sviluppando nella classe operaia indistruttibili istinti comunistici. Tali istinti, che si contrappongono agli 'istinti individualistici' del tutto inefficaci per l'emancipazione del proletariate, devono essere sollevati a una visione complessiva dei rapporti di classe e dei meccanismi di funzionamento della societa, visione che i proletari, da soli, non possono raggiungere. «La coscienza socialista - scrive Kautsky - e un elemento importato dall'esterno e non un qualcosa che si formi spontaneamente». A «portare)) alla classe operaia dall' esterno Ia «coscienza socialista», sono colora che in base al loro ruolo hanna Ia capacita di una lettura complessiva delle dinamiche sociali e di interpretazione del 'fine' e del 'sensa' della sviluppo storico. Sono gli intellettuali. Ripresa da Lenin (8.7) nel Che fare?, questa concezione sara gravida di conseguenze per lo sviluppo e le sorti del movimento operaio. L'attribuzione di un ruolo, in qualche modo preminente (anche se non egemonico), agli intellettuali che, teoricamente, dovrebbero porsi al servizio del proletariate, per rendergli chiari i fini e gli obiettivi politici, sara infatti - secondo l'interpretazione di molti critici della tesi leninista di diretta derivazione kautskyana - all'origine di molte deviazioni autoritarie e verticistiche dei movimenti di ispirazione Karl Kautsky nasce a Praga, nel 1854. Nel 1875 diviene membra del Partito socialista austriaco. Rifugiatosi a Zurigo, vi fonda, insieme a Bernstein, il giornale Sozialdemokrat (1880-1881). NeZ 1881, a Londra, diviene segretario di Engels e nel 1883 fonda, a Stoccarda, Ia rivista Die Neue Zeit. La rottura con Bernstein avviene nel congresso socialdemocratico del 1891, ma le posizioni dei due leaders si avvicineranno al momenta della scoppio della prima guerra mondiale, quando Kautsky sara in violenta polemica con Lenin. Durante Ia repubblica di Weimar, ricopre cariche pubbliche. NeZ 1934 si rifugia prima in Cecoslovacchia e poi a Vienna, dove e arrestato dai nazisti nel 1938. Fuggito ad Amsterdam, vi muore poco dopa. E' autore di numerosi saggi, tra i quali La questione agraria, La via del potere, Le dottrine economiche di Carlo Marx, II programma di Erfurt, La rivoluzione sociale, La concezione materialistica della storia.
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marxista. Va detto comunque che Kautsky non intende affatto attribuire agli intellettuali un ruolo predominante nella Iotta per il socialismo: nella sua visione, tocca al partito operaio unificare la componente proletaria (con il portato della sua esperienza di Iotta) e quella intellettuale (capace di produrre teoria). Feroce critico del revisionismo, Kautsky non e tuttavia un sostenitore della via insurrezionale al socialismo. Proprio in ragione della sua visione evoluzionistica della storia (di cui il socialism a e una tappa ineludibile ), egli si oppone alIa presa violenta del potere, che ammette, se mai, in condizioni diverse da quelle dell'Europa occidentale (ad es. nella Russia zarista). E come rigetta Ia violenza, cosi rigetta ogni idea di dittatura del proletariato. n socialismo, pur comportando l'abolizione della proprieta privata, dovra essere non solo ), dovra tendere a superare il livello di coscienza puramente rivendicativa, per condurre gli sfruttad verso una coscienza politica e una visione complessiva dei rapporti sociali. La· maturazione della coscienza
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politica non puo dunque avvenire spontaneamente: essa, sostiene Lenin, riprendendo la concezione di Kautsky (8.3), deve essere portata alla classe operaia dall' esterno. La coscienza di classe puo essere portata all'operaio solo dall' esterno, cioe dall'esterno della Iotta economica, dall'esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni. II solo campo dal quale e possibile attingere questa coscienza e il campo dei rapporti di tutte Ie classi e di tutti gli strati della popolazione con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di tulle Ie classi.
Il compito di elaborare la teoria socialista all'esterno della sfera immediata dei rapporti di produzione, sostiene Lenin in accordo con Kautsky, appartiene agli intellettuali: e una posizione che, esposta nel Che fare? (1902), suscitera molte polemiche e si attirera molte critiche, non solo da parte degli esponenti piu tradizionalisti e moderati della secunda Internazionale, rna anche da parte dei teorici e dirigenti rivoluzionari, come Ia Luxemburg, - lo abbiamo gia visto - e come, per un certo periodo, Lev Trockij (1879-1940), che peraltro sara a fianco di Lenin durante Ia Rivoluzione russa del 1917. A loro giudizio, la posizione di Lenin, a partire dalla giusta esigenza di un'organizzazione rivoluzionaria fortemente e rigorosamente caratterizzata dal punto di vista teorico e politico, rischiava di dare spazio a forme di autoritarismo e di verticismo, sia all'intemo del partito, sia nel rapporto tra dirigenti rivoluzionari e classe operaia. Questa polemica sui partito divise i socialdemocratici russi in una componente bolscevica (in russo 'di maggioranza') ed in una componente menscevica ('di minoranza'). Lenin si pose a capo della componente bolscevica, che puntava fortemente su un esito rivoluzionario della Iotta politica in Russia. II fallimento del tentativo rivoluzionario del 1905, in cui molto avevano operato i bolscevichi, getto nel disorientamento le file socialiste. Lenin intraprende un programma di intenso approfondimento critico, convinto della necessita di purtare avanti una serrata e argomentata polemica contro il neokantismo e l'empiriocriticismo la cui influenza sui movimento operaio e molto forte. E' a questu scopo che egli pubblica uno dei suoi testi piu significativi dal punto di vista filosofico: Materialismo ed empiriocriticismo (1908). In polemica con i marxistf che, come Bogdanov, paiono accogliere le posizioni di Mach e Avenarius (13.7), Lenin sostiene che J'alterhativa che si ha di fronte e netta: o si segue la linea del materialismo o si finisce per accogliere una visione idealistica. Rifacendosi ad Engels, Lenin sostiene che nell'analisi del reale il 'datu primordiale' da cui partire e la materia; la coscienza, il pensiero, Ia sensazione costituiscono invece un dato 'secondario'. Il concetto di materia non e messo in questione dalle scoperte di fine secolo (come quella delle particelle subatomiche), che sembrano in qualche modo rendere 'evanescente' e non piu definibile la materia stessa. Tali scoperte possono a! piu mettere in crisi chi ha una visione metafisica, immutabile, dogmatica del materialismo, ma non possono metteme in dubbio il dato fondamentale, quello dell'esistenza reale e oggettiva della materia, al di la delle nostre percezioni e sensazioni. Infatti «il mondo fisico esiste indipendentemente dagli uomini e dall' esperienza umana», anzi, esso esisteva «in epoche in cui non pot eva esservi ness una socialita», ness una «organizzazione» dell' esperienza urn ana.
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Sbagliano dunque, e cadono in una impostazione idealistica, colora che, riprendendo le tesi di Mach e di Avenarius, riducono il mondo ad una unita indissolubile di soggetto ed oggetto, che le sensazioni possono gradualmente disvelare. Tale impostazione «idealistica, radicalmente falsa» conduce fuori dal materialismo, apre la strada all'agnosticismo e restituisce dignita e credibilita alla stessa visione religiosa del mondo. Coloro che seguono l'indirizzo di Kant e di Hume (compresi, fra questi ultimi, Mach e Avenarius) chiamano «metafisici» noi, i materialisti, perche riconosciamo Ia realta obiettiva, che e per noi un dato dell'esperienza, perche riconosciamo che Ia fonte delle nostre sensazioni e obiettiva, indipendente dall'uomo. Con Engels, noi materialisti chiamiamo agnostici i seguaci di Kant e di Hume, perche negano Ia realta obiettiva delle nostre sensazioni (... ). Per il materialismo le nostre sensazioni sono l'immagine dell'unica e ultima realta obiettiva, ultima non perche sia conosciuta a fondo, rna perche non c'e e non puo esserci altra realta all'infuori di quella.
Nella visione materialistica leniniana, espressa in Materialismo ed Empiriocriticismo, il problema gnoseologico e inquadrato e spiegato con Ia teoria del rispecchiamento. La conoscenza avviene tramite il rispecchiamento della realta estema, oggettiva, nel cervello umano, tramite le sensazioni. Naturalrhente essa non ha un carattere assoluto e definito una volta per tutte, rna procede attraverso perfezionamenti e aggiustamenti cui contribuisce Ia conoscenza scientifica, in una permanente dialettica tra verita definitivamente acquisite e verita relative. E' cosi che Lenin prende Ia distanza da quegli scienziati che, per la difficolta di definire una 'verita assoluta' acquisita una volta per tutte, tendono a rimettere in discussione Ia stessa natura oggettiva del reale e a sviare nell'idealismo. La polemica che Lenin conduce in Materialismo ed empiriocriticismo va inquadrata nella particolare importanza che egli attribuisce alia 'Iotta teorica'. Non esistono teorie filosofiche o scientifiche che possano non essere sottoposte al giudizio politico. Esiste una teoria borghese (come l'idealismo, neUe sue varie versioni) e una teoria proletaria (il materialismo). Anche se ha costituito storicamente un potente strumento di demistificazione a livello teorico, questa impostazione ha avuto un ruolo funesto nell'eta staliniana, quando sono state piegate alia logica della 'verita rivoluzionaria', dogmaticamente definita, anche le piu genuine esigenze della ricerca scientifica: si pensi all'aberrante imposizione delle teorie pseudoscientifiche dell'agronomo Trofin Lysenko (n. 1898), che oppose una sua genetica materialistica a quella classica, basata sulla ereditarieta cromosomica, definita da lui come «reazionaria, metafisica idealistica e sterile». Gli scienziati fedeli alia genetica furono condannati da Stalin come nemici del popolo e, in alcuni casi, puniti con Ia prigione. La problematica filosofica trattata in Materialismo ed empiriocriticismo e ripresa e sviluppata nei Quaderni filosofici, un'opera costituita da una raccolta di riflessioni e note sistematiche, pubblicata postuma nel 1933, che ha come suo principale argomento Ia dialettica, intesa come Iegge fondamentale che regola e pervade tutta Ia realta, non solo Ia realta estema all'uomo, rna lo stesso funzionamento del pensiero umano, che e parte integrante della realta su cui riflette. · ·
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E' proprio su questo punto che le concezioni del materialismo dialettico, per la loro capacita di leggere il movimento e le contraddizioni del reale, si distinguono dal materialismo volgare, che finisce per avere una visione statica e metafisica del mondo. Riproponendo la sua teoria del rispecchiamento, Lenin chiarisce il carattere dialettico del rapporto tra oggetto e pensiero, all'interno del processo di conoscenza, e sostiene che il rispecchiamento della natura nel pensiero dell'uomo e da concepire non come 'morto', 'astratto', senza movimento e senza contraddizioni, rna nell'etemo processo del movimento del porsi e del risolversi delle contra~dizioni.
C'e chi ha voluto vedere una frattura tra il Lenin 'materialista' di Materialismo ed empiriocriticismo ed il Lenin piu spiccatamente hegeliano dei Quaderni. E' certo che, pur all'interno di una sostanziale continuita d'intenti tra le due opere, nei Quaderni fi/osofici si notano accenti nuovi: nuova e senza dubbio l'accentuazione con cui il mondo oggettivo viene riproposto come una realta segnata da' un carattere profondamente unitario e tuttavia mossa e dominata dalla contraddizione. In questa quadro, ha particolare rilievo la prass~ assunta come criteria capace di superare gli opposti unilateralismi teorici del razionalismo e dell'empirismo. Anche in questa caso, la riflessione di Lenin e in stretto rapporto con i problemi suscitati nel movimento operaio dalla condizione storica. Come Materialismo ed empiriocriticismo era stato scritto per mettere riparo allo sbandamento provocato nel movimento operaio dal fallimento della rivoluzione del 1905, cosi i Quaderni filosofici, con Ia loro riflessione sulla dialettica, sulle sue spinte interne e le sue leggi, nascono nella situazione di grande movimento determinata dallo scoppio della prima guerra mondiale, dal fallimento e dalla divisione della seconda Internazionale e dalle vicende della Rivoluzione d'Ottobre. Ed e alle esigenze poste dalla situazione storica che cercano di dare risposta altre importanti opere leniniane, come Imperialismo, fase suprema del capitalismo e Stato e Rivoluzione. La prima delle due opere esamina il sistema capitalistico nel suo trapasso dalla fase della Iibera concorrenza a un assetto di tipo monopolistico. Un ruolo fondamentale e assolto, in questo trapasso, dal sistema bancario, che rende sempre pit) stretta Ia dipendenza del capitale industriale dal capitale bancario. La tendenza capitalistica non tanto ad esportare merce, quanta ad esportare capitale, introduce un numero crescente di paesi all'interno del circuito capitalistico e determina una sempre maggior dipendenza dei paesi poveri da quelli piu dcchi, in una spirale drammatica che rende piu deboli coloro che deboli gia sono. Questa fase del capitalismo e la fase dell'imperialismo: . L'imperialismo e il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo in cui si e formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, J'esportazione dei capitali ha acquistato grande importanza, e incominciata Ia ripartizione del mondo fra i trusts internazionali, ed e gia compiuta Ia ripartizione dell'intera superficie terrestre fra i piu grandi paesi capitalistici.
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Polemizzando con la teoria dell'ultraimperialismo di Kautsky (8.4), Lenin sostiene che la tendenza delle potenze imperialistiche e quella della contrapposizione reciproca e della Iotta per l'accaparramento dei mercati internazionali in cui ha origine la guerra. E' qui che si precisa, neUe sue sottili distinzioni, la dottrina leniniana sulla guerra. In caso di guerra interimperialistica, i rivoluzionari non devono sostenere le borghesie delle rispettive nazioni, rna trasformare la «guerra imperialistica nella guerra civile» dei praletari di ogni paese contra le classi dominanti. In polemica con la Luxemburg, Lenin sostiene che e sbagliato dire che nella fase imperialistica del capitalismo non si devono piu appoggiare guerre nazionali: le guerre delle popolazioni coloniali contra le potenze imperialistiche sono guerre giuste; altrimenti «... dovremo dichiarare ai popoli oppressi che la lora guerra contra le nostre nazioni e impossibile». Come pure, nel caso (che e quello che storicamente si verifichera) della vittoria del socialismo 'in un paese solo, e giustificabile la guerra di difesa contra l'aggressione imperialistica. Con i compiti posti dalla rivoluzione vittoriosa, Lenin e i bolscevichi dovranno misurarsi: ed e sulle tematiche della Stato (dell'atteggiamento da assumere nei confranti della Stato borghese, delle caratteristiche di un nuovo Stato rivoluzionario) che Lenin si cimenta, in Finlandia, pochi mesi prima della Rivolu7ione di Ottobre, scrivendo Stato e Rivoluzione. Ogni Stato, questa Ia tesi leniniana, e la dittatura di una classe sull'altra: Ia democrazia borghese - contra quanta sostengono i menscevichi, Plechanov e Kautsky - e pur sempre oppressione e dittatura della borghesia sui praletariato. La macchina della Stato borghese, che pure si puo tatticamente sfruttare (ad esempio, partecipando alle elezioni e utilizzando il parlamento come una tribuna di propaganda), non puo essere trasformata e modificata in meglio; essa deve essere semplicemente distrutta. Alia dittatura borghese deve sostituirsi, secondo l'insegnamento di Marx (5.19), la dittatura del praletariato. Nella dittatura del proletariato, saranno i lavoratori a usare il lora potere e gli strumenti della coercizione sugli appartenenti alle vechie classi dominanti; e tuttavia lo Stato proletario non dovra essere un vera Stato, bensi un semistato, che gradualmente dovra estinguersi, quando dalla fase del socialismo (prima tappa della costruzione di una nuova societa) si passera al comunismo. C'e, in questa parte dell'opera di Lenin, un afflato utopico che non ha riscontro in altri scritti. Su di un punto egli e molto chiaro: Noi ci assegniamo come scopo finale Ia soppressione dello Stato, cioe di ogni violenza sistematica ed organizzata, di ogni violenza esercitata contro gli uomini in generale. Abbiamo Ia convinzione che gli uomini si abitueranno ad osservare le condizioni elementari della convivenza sociale senza violenza e senza sottomissione.
Nella societa comunista, dice Lenin in una sua celebre espressione, «anche le cuoche potranno governare». E' questa Ia parte delle previsioni leniniane che decisamente rnm si e avverata: in URSS, nella societa nata dalla prima rivoluzione socialista, lo Stato e andato non verso una sua estinzione rna verso un rafforzamento drastico dei suoi aspetti coercitivi.
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8.8 Antonio Gramsci. Ad una poslZlone altamente originale, all'interno del marxismo rivoluzionario, da voce Antonio Gramsci*. L'originalita di Gramsci si era manifestata in un articolo, og-gi spesso citato, scritto dopo la Rivoluzione d'Ottobre, intitolato molto significativamente La Rivoluzione contra il Capitale. Si tratta di un testo in cui Gramsci esalta l'evento rivoluzionario verificatosi in Russia come una rivincita del marxismo creativo contra gli schemi positivistici ed evoluzionistici di colora che avrebbero considerato impossibile Ia rivoluzione in un paese in cui non si era avuto un sufficiente sviluppo capitalistico: «i fatti - egli scrive - hanno superatp le ideologic. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali Ia storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi)). Si tratta di una significativa anticipazione dei motivi di quel pensiero che Gramsci andra sviluppando durante gli anni del carcere. Nella elaborazione teorica del rivoluzionario italiano c'e, infatti, un dato costante: l'accentuazione delle caratteristiche antipositivistiche ed antimeccanicistiche del marxismo. In quanto 'filosofia della prassi', il marxismo non e, per Gramsci, una concezione metafisico-materialistica, rna una teoria capace di inquadrare l'agire umano nel divenire storico. Le teorie vanno, dunque, relativizzate e interpreta-
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Nato a Ales, in Sardegna, nel 1891, Antonio Gramsci aderisce al movimento sociahsta durante il periodo in cui e studente a Torino, diventandone, in breve tempo, uno degli esponenti piu in vista; in seguito (1919) fonda !Ordine Nuovo (insieme a Tasca, Togliatti e Terracini), rivista che sostiene la necessita di sviluppare e fortificare i Consigli Operai, quali organismi fondamentali della democrazia proletaria. I Consigli hanna a Torino, nel 1919-1920, un effettivo sviluppo e danno vita ad un combattivo movimento. Nel 1921, Gramsci e tra i fondatori, a Livorno, del Partito Comunista d'Italia e, come rappresentante dei comunisti italianL partecipera a Mosca al IV Congresso del Komintern. In Italia intanto avanza il fascismo che, dopa il colpo di stato di Mussolini, consolida le sue posizioni fino a dar vita a un regime brutalmente totalitario: nel 1926 Gramsci e tra gli antifascisti arrestati e, nel giugno del 1927, viene condannato a 20 anni e 4 mesi di prigione. Dopa alcuni anni di carcere e confino, nel 1933, si consente a Gramsci, gravemente ammalato, di trasferirsi in clinica: lo stato di salute, gia fortemente co.mpromesso, Ia conduce a morte ne 1 193 Z Durante il processo, il procuratore del regime mussoliniano che sostiene che «bisogna inzpedire al cervello di quest'uomo (Gramsci) di funzionare per vent'anni)), non puo irnmaginare che avverra tutto il contrario: in carcere, infatti, il rivoluzionario italiano comporra, con tenacia e intelligenza, i suoi appunti (note di filosofia, cultura, politica) che, editi, nel secondo dopoguerra, col titolo di Quaderni del Carcere, avrebbero rivelato in Gramsci uno dei pensatori marxisti piu aperti e piil originali del XX secolo.
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te nel processo di trasformazione storica: non puo esistere, ad esempio, una 'concezione scientifica' nel senso in cui ne parla il marxismo di orientamento positivistico, che pare voler sottrarre la lineare progressione della 'scienza' al mobile gioco delle sovrastrutture. Il mondo esterno e la realta non possono essere ne descritti ne concepiti indipendentemente dall'uomo: Per sfuggire al solipsismo e nello stesso tempo aile concezioni meccanicistiche che sono implicite nella concezione del pensiero come attivita ricettiva e ordinatrice, occorre porre la questione 'storicisticamente' e nello stesso tempo porre a base della filosofia Ia 'volonta' (in ultima analisi l'attivita pratica e politica), rna una volonta razionale, non arbitraria, in quanto corrispondente aile necessita obiettive storiche (... )
Emerge qui Ia concezione gramsciana di uno storicismo assoluto in cm mquadrare i processi politici e culturali e le concezioni filosofiche, che non vanno analizzate astrattamente, rna poste in relazione alia prassi umana e storicamente constestualizzate. Ne deriva che non puo darsi una filosofia della natura concepita engelsianamente, dal momento che «la materia non e da considerare come tale, rna come socialmente e storicamente organizzata per la produzione, e quindi le scienze naturali come essenzialmente una categoria storica». Porre l'accento non sulle 'cose' rna sugli uomini e sulla !oro 'prassi', che relativizza gli stessi processi di conoscenza e le stesse concezioni che si hanno del reale, porta evidentemente a rimettere in discussione non solo le concezioni interne al marxismo di tipo positivistico, rna la stessa 'teoria del rispecchiamento' nella conoscenza (8.7). Una conseguenza molto importante dell'impostazione storicistica di Gramsci e che non si possono giudicare le diverse filosofie e concezioni del mondo inquadrandole come superate, astraendo dalla situazione storica in cui esse hanno operata, svolgendo spesso - nel tempo in cui si sono manifestate- un'evidente funzione progressiva. Nel pensiero gramsciano non esiste nessun rapporto di meccanica dipendenza fra struttura e sovrastruttura, anzi, al momenta sovrastrutturale (in quanto capace, nelle diverse situazioni storiche, di organizzare le forze sociali) e attribuita molta importanza. La battaglia politica e, per Gramsci, anche battaglia culturale, Iotta delle idee: si sbaglia, dunque quando si parla di teoria come 'complemento', accessorio della pratica, di teoria come ancella della pratica. Pare giusto che anche questa questione debba essere impostata storicamente, e cioe come un aspetto della questione politica degli intellettuali. Autocoscienza critica significa storicamente e politicamente creazione di una elite di intellettuali: una massa umana non si 'distingue' e non diventa indipendente per 'se senza organizzarsi .. e non c' e organizzazione senza intellettuali.
Alia questione della Iotta politica, che e, insieme, Iotta culturale, Gramsci connette il tern a - centrale nel suo pensiero - dell' egemonia. Si ha egemonia di una classe, quando essa riesce ad imporre all'insieme della societa, tramite i propri intellettuali, i suoi valori e Ia sua concezione del mondo. Allo stesso modo che la borghesia ha imposto come universali i propri valori, cosi il proletariato deve saper elaborare e rendere vincente un proprio sistema di valori, conquistando, a sua volta, l' egemonia nella societa. II concetto di egemonia, in
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Gramsci (come il dibattito teorico-politico a lui successivo ha confermato, richiamandovisi di frequente), e molto importante: vi si puo, infatti, individuare una concezione che inquadra il potere di una classe (e quindi anche il futuro potere della classe operaia) non come puro dominio imposto dalla forza, ma come ricerca paziente del consenso. L'egemonia intesa gramscianamente, se non e interpretabile in senso pluralistico. e comunque inquadrabile in una concezione che vede l'affermazione della dittatura proletaria come ·fatto democratico-rivoluzionario, basato sul sostegno attivo e sulla partecipazione convinta di larghe masse. Nella conquista dell'egemonia, la classe operaia trova uno strumento essenziale in quello che Gramsci (richiamandosi a Machiavelli) chiama il 'moderno principe', capace di guadagnarsi un ruolo dirigente nella societa: il partito comunista, che viene definito come un elaboratore collettivo di teoria, un 'intellettuale collettivo'. Che il partito debba avere un ruolo di formazione intellettuale nella sua azione e in Gramsci espresso chiaramente: Che tutti i membri di un partito debbono essere considerati come intellettuali, e una affermazione che puo prestarsi allo scherzo e alia caricatura; pure, se ci si riflette, niente di piu esatto.
La funzione del partito e, infatti, «direttiva, organizzativa, cioe educativa, doe intellettuale». Per Ia conquista dell'egemonia, Ia classe operaia deve basarsi sull'apporto degli 'intellettuali organici', cioe di quegli intellettuali (gli intellettuali, in Gramsci, che usa il termine in un'accezione molto pili ampia, non sono solo coloro che fanno un lavoro puramente intellettuale) che, collegandosi strettamente al proletariato, ne sappiano esprimere i valori e veicolarli all'interno della societa. II proletariato, riunendo teoria e prassi, favorisce anche la collaborazione degli intellettuali (intesi qui in senso pili specifico) con i 'semplici' della societa. Nella specifica situazione italiana, gli intellettuali (e qui Gramsci chiarisce il rapporto con un grande intellettuale che molto lo ha influenzato, Benedetto Croce) dovranno elaborare una cultura basata su di un nuovo storicismo, che rigetti quello che si e espresso idealisticamente nel pensiero di Croce. Croce, dice infatti Gramsci, ha avuto il grande merito di sprovincializzare gli intellettuali italiani, ma li ha contemporaneamente sradicati dalla loro base sociale, 01ientandoli sia in senso anticattolico, sia in senso antimarxista. Nella conquista dell'egemonia, il ruolo del 'moderno principe' e importante, ma per Gramsci non e il fondamento della futura dittatura proletaria, che va piuttosto individuato nel Consiglio di fabbrica. La dittatura proletaria puo incamarsi in un tipo di organizzazione che sia specifico dell'attivita propria dei produttori, e non dei salariati, schiavi del capitale. II Consiglio di fabbrica e Ia cellula prima di questa organizzazione.
Nell'accentuare il valore della diretta auto-organizzazione della classe nei consigli egli si differenzia da Lenin e si avvicina a Rosa Luxemburg. II problema delle affinita e delle differenziazioni tra Lenin e Gramsci e stato a lungo dibattuto, e tuttora non e pienamente risolto. E' certo che tra le
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impostazioni di Lenin e quelle di Gramsci si possono trovare elementi di comunione ed elementi di diversita: sia Gramsci che Lenin hanno combattuto il riformismo e il parlamentarismo e hanno creduto che il passaggio al socialisrilo dovesse basarsi su di una 'rottura rivoiuzi"onaria'; entrambi hanno creduto nell'importanza del ruolo del partito nell'attuazibne di tale rottura rivoluzionaria; rna, proprio sui ruolo del partito, sulla funzione degli intellettuali, sulla stessa concezione del potere, nonche su questioni filosofiche niente affatto secondarie, ci sono fra i due diversita tutt'altro che irrilevanti. Se rimane aperta Ia questione del rapporto tra il pensiero di Lenin e l'impostazione di Gramsci, quest'ultima appare invece chiaramente e radicalmente alternativa rispetto alia versione staliniana del marxismo-leninismo, che, dagli anni '20 in poi, si andava affermando all'interno del movimento operaio. Niente di comune; infatti, tra una concezione che mette al centro Ia categoria del dominio e un'altra che fa invece riferimento agli elementi di consenso e di democrazia indispensabili all'intemo di un processo rivoluzionario orientato, come Gramsci lo vuole, alia «riforma intellettuale e morale)> della societa. 8. 9 Stalin e lo stalinismo. Alia morte di Lenin, i problemi che il giovane Stato russo della prima rivoluzione socialista si trova di fronte sono enormi. A livello internazionale, l'ostilita delle potenze capitalistiche non accxnna a diminuire, mentre l'auspicata sollevazione del proletariato dei paesi occidentali o non si e verificata o non ha ottenuto successo (anzi, in Europa, sta soffiando il vento della reazione di destra e si annuncia Ia tragedia di cui saranno portatori i regimi fascisti). Sul piano interno, il nuovo regime deve combattere contro l'arretratezza del paese e contro Ia resistenza che il nuovo ordinamento sociale incontra in settori non irrilevanti della popolazione. Sui modo di affrontare questi drammatici nodi, nel partito bolscevico non c'e unita. AI rilancio della rivoluzione sui piano internazionale si contrappone Ia tesi staliniana, secondo cui il socialismo si puo costruire anche in un solo paese. Sui piano interno Trockij, sostenitore di una industrializzazione accelerata del paese, si scontra con Nicolaj Bucharin ( 1888-1938), che ritiene si debba invece lasciare spazio e ruolo ai contadini. In questa difficile situazione, nel 1924 diviene primo segretario del partito Josif Vissarionovic Giugasvili, detto Stalin (1879-1953), nonostante il parere contrario espresso da Lenin prima della morte. Stalin, alleatosi a Bucharin per sconfiggere Trockij e l'opposizione di sinistra, combatte poi lo stesso Bucharin, accusato di deviazionismo di destra. ll suo nome, legato certamente all'industrializzazione dell'URSS (rea]izzata con costi umani molto elevati) e alia sua trasformazione in paese sviluppato, e destinato, tuttavia, a rimanere nella storia come sinonimo di centralizzazione estrema del potere, di autoritarismo, di repressione generalizzata di ogni forma di opposizione. La collettivizzazione forzata delle campagne comporta Ia soppressione fisica di migliaia e migliaia di kulak (contadini ricchi) mentre i processi degli anni '30 portano praticamente all'eliminazione di tutta quanta Ia 'vecchia guardia' leninista. Quando Stalin muore, nel 1953, l'URSS - vinta Ia guerra antinazista - e ormai un grande e sviluppato paese, e, sotto il suo rigido controllo, altri paesi
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dell'Europa orientale hanna ormai un regime di 'democrazia popolare', rna i costi umani pagati lungo la strada appaiono ormai altissimi. Nel forte regime costruito da Stalin e impossibile ritrovare qualche traccia del progetto leniniano di Stato e Rivoluzione. Lo stalinismo rimarra, per lo stesso movimento comunista internazionale, una grave eredita di cui non gli sara facile liberarsi definitivamente. Oltreche sui piano politico, lo stalinismo ha avuto un peso sul terreno della elaborazione teorica e della 'battaglia delle idee'. Come vedremo tra poco, mentre nell'ideologia sovietica ufficiale sopravvivono ostinatamente alcuni capisaldi della 'ortodossia' teorica fissata nel periodo di Stalin, le correnti piu originali e piu creative del marxismo internazionale avranno, come loro prima obiettivo, quello di combattere il dogmatismo di derivazione staliniana. Fu Stalili. infatti, a stabilire con autorita i canoni dell'ortodossia contra i diversi tipi di 'deviazionismo'. Non aveva pretese di originalita. La sua unica pretesa era di essere il piu fedele interprete del pensiero di Lenin, che si sforzo di esporre in maniera piana e comprensibile. La critica antidommatica ha notato come, in realta, nelle opere staliniane sia presente non solo un notevole scolasticismo, rna anche un forte irrigidimento di alcune linee di tendenza effettivamente presenti in Engels e in Lenin. Nelle Questioni del leninismo, Stalin riafferma la possibilita di costruire il socialismo in un paese solo e ribadisce la necessita della dittatura del proletariato, saldamente diretta dal partito comunista, cui devono essere subordinati, come 'cinghie di trasmissione' verso i lavoratori, i vari organismi di massa: i sindacati, la gioventu comunista, i soviets. Nel suo stile caratteristico, Stalin enumera gli elementi costitutivi, i pilastri della dittatura proletaria: Dunque: i sindacati, in quanto organizzazione di massa del proletariato, che collegano il partito alia classe, soprattutto nel campo della produzione; i soviets, in quanto organizzazioni di massa dei lavoratori, che collegano il partito a questi ultimi, soprattutto nel campo dell'attivita statale; Ia cooperazione, in quanto organizzazion~ di massa, principalmente dei contadini, che collega il partito aile masse contadine (... ); Ia Federazione giovanile, in quanto organizzazione di massa della gioventu operaia e contadina, chiamata a facilitare all'avanguardia del proletariato l'edificazione socialista della nuova generazione (... ); e infine il partito, in quanto forza dirigente fondamentale nel sistema della dittatura del proletariato, forza chiamata a dirigere tutte queste organizzazioni di massa.
La caratteristica fondamentale di questa struttura piramidale della societa sovietica viene seccamente indicata da Stalin: «nessuna decisione importante delle organizzazioni di massa del proletariate viene presa senza le direttive del partito». Su questioni di natura strettamente filosofica, Stalin si sofferma in un breve e significative testa, Materialismo dialettico e materialismo storico, in cui sono portate aile estreme conseguenze alcune teorie, di derivazione engelsiana (5.21), a pro~osito della concezione del materialismo. La visione materialistica del marxismo si applica sia alla natura sia alla storia: si ha, nel prima caso, il materialismo dialettico, nel secondo, il materialismo storico. Materialismo dialettico e materialismo storico (in sigla, Diamat), costituiscono insieme una vi-
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sione strettamente unitaria della realta. Tra la visione materialistica della natura e la visione materialistica della storia c'e un processo di derivazione, di filiazione: la seconda viene fatta discendere logicamente dalla prima, dando per scontato che nella natura operino meccanismi in qualche modo analoghi (in ragione della dialettica) a quelli che agiscono nella societa: Contrariamente alia metafisica, la dialettica considera la natura non come un ammasso casuale di oggetti, di fenomeni staccati gli uni dagli altri, rna come un tutto coerente unico, nel quale gli oggetti, i fenomeni sono organicamente' collegati fra di loro, dipendono l'uno dall'altro e si condizionano reciprocamente. (Come nella natura) gli oggetti e i fenomeni implicano delle contraddizioni interne, poiche hanno tutti un lato positivo e un lato negativo, un passato e un avvenire, elementi che deperiscono ed elementi che si sviluppano nella societa ... La storia cessa di essere un cumulo di contingenze, giacche Ia storia della societa si presenta come uno sviluppo della societa secondo leggi determinate e lo studio della storia della societa diventa una scienza. Se e vero che i legami reciproci della natura e il !oro reciproco condizionamento rappresentano delle leggi necessarie allo sviluppo della natura, ne deriva che i legami e il condizionamento reciproco tra i fenomeni della vita sociale rappresentano, essi pure, non delle contingenze rna delle leggi necessarie dello sviluppo sociale.
Della visione materialistica Stalin difende e riprende la teoria leniniana del rispecchiamento, la tesi (pure leniniana) della realta materiale come dato primario e della coscienza individuale e sociale come dato derivato. Tesi questa, che, nata da un'interpretazione particolare del principia secondo cui la coscienza deriva dalla realta esterna, ne accentua la portata deterministica, relegando in secondo piano il ruolo della soggettivita umana: un ruolo su cui si tornera invece a riflettere all'interno delle correnti creative e antidommatiche del marxismo.
II 'marxismo occidentale' 8.10 La terza Internazionale. Nel marzo del 1919, per impulso di Lenin e in clima di febbre rivoluzionaria, nasce la terza Internazionale. Ne sono membri tutti i partiti comunisti disposti a collocarsi nella prospettiva della dittatura del proletariato, sotto la forma del potere def soviets, cioe dei consigli operai. L'anno successivo, la nuova Internazionale (che sara detta anche Komintern) fa sua l'analisi leniniana dell'imperialismo e individua le tre forze che dovrebbero realizzare la 'repubblica internazionale dei soviets': il movimento operaio dei paesi industrializzati, i movimenti di liberazione dei popoli oppressi e la Russia sovietica. E naturalmente e in Russia, il primo Stato proletario, che risiede il Comitato esecutivo dell'Internazionale, il Komintern. Comincia allora un rigido centralismo ideologico, che avra nello stalinismo la sua ortodossia e la prassi disciplinare per renderla effettiva, non solo nell'URSS, rna in ogni parte del mondo.
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In questa sede non interessano gli sviluppi piu propriamente politici di questa nuova fase del comunismo, interessano i riflessi che essa ha, al di fuori del conformismo dogmatico, nella riflessione filosofica che si rifa al marxismo e ne sviluppa, con liberta di interpretazione, il patrimonio dottrinale. In questo quadro merita attenzione quello che Maurice Merleau - Ponty chiamo 'marxismo occidentale'. Adottiamo la categoria di riferimento in senso molto ampio, per indicare pensatori diversi tra loro, rna accomunati dal tentativo di delineare una ricerca teorica fuori dalle piste ufficiali tracciate dall' ortodossia staliniana. Proprio per questa loro insubordinazione, essi conosceranno l'emarginazione e la vera e propria persecuzione, intrecciate in qualche caso a dei soprassalti di autocritica, nei quali saranno fin troppo evidenti gli effetti di un autoritarismo introiettato senza nessun riguardo per i movimenti del pensiero fedele aile proprie leggi. Nessuno puo negare, comunque, che uomini come Korsch, Lukacs, Bloch abbiano portato contributi molto fecondi, non solo allo sviluppo del marxismo, rna, piu in genere, a una trasformazione della cultura occidentale, almeno in quei settori che, -anche se non marxisti, seppero accogliere ed integrare in se questo o quell'elemento della loro riflessione critica. Tanto piu che essi, sebbene abbiano avuto il momento di massima fioritura nel periodo tra le due guerre, hanno continuato a svolgere il loro compito critico, in stretto contatto con le nuove provocazioni culturali, anche dopo l'ultima guerra, anzi, anche dopo la fine dello stalinismo. In rapporto aile questioni proprie della loro tradizione ideologica, i marxisti occidentali hanno alcune tematiche comuni, come la polemica contro le concez.ioni leniniane circa il problema gnoseologico, la contestazione, della dialettica della natura di derivazione engelsiana, l'importanza della categoria hegeliana della totalita, connessa con la valorizzazione piena della visione dialettica della realta, ed hanno finalmente una certa inclinazione all'afflato utopico e umanistico. Un sigillo paradossale a questa loro affinita di orientamenti possiamo trovarlo nei provvedimenti che, in modi e tempi diversi, furono presi nei !oro confronti dai tutori dell'ortodossia, in nome di alcuni dogmi storiografici: il carattere intrinsecamente reazionario dell'hegelismo; la netta diversita tra il Marx giovane, ancora inficiato di umanesimo soggettivistico, e il Marx maturo, accum una to aile posizioni engelsiane del materialismo dialettico, e finalmente il valore scientifico, nel senso positivistico del termine, della dottrina marxista. II caso piu clamoroso fu l'accusa contro Lukacs e Korsch, sollevata il 25 luglio 1924 dalla Pravda, che mise in luce soprattutto, in ambedue gli 'eretici', il rifiuto della tesi leniniana della coscienza-riflesso e cioe dell'«accordo della rappresentazione con gli oggetti che si trovano fuori di essa». Nello stesso anno, la terza Intemazionale, presieduta da Zinoviev, pronuncio la condanna formale. E' utile ricordare che anche il .socialdemocratico Kautsky, in coerenza con Ia sua dottrina della rivoluzione come prodotto oggettivo del processo capitalistico (8.3), riprovo la deviazione hegeliana di Lukacs e di Korsch. 8.11 Korsch: il recupero di Hegel. Nella concezione leniniana, come si e visto, i consigli operai (i soviets) devono sempre rapportarsi al ruolo dirigente del partito; ecco perche nel nuovo Stato sovietico non si e realizzata l'egemonia
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operaia: e questo il giudizio di Karl Korsch•, per il quale l'egemonia operaia potra davvero realizzarsi compiutamente solo se alia rivoluzione sovietica si aggiungeranno altre rivoluzioni, nell'ottica del perseguimento di una rivoluzione proletaria su scala mondiale. I consigli operai, che dovranno essere il soggetto di tale processo rivoluzionario (un soggetto che Korsch e accusato - da parte dei comunisti ortodossi - di sopravvalutare con ingenuita spontaneistica) non sono concepiti come organi di partecipazione all'interno della societa borghese. I 'diritti di compartecipazione' interni alla societa borghese trovano infatti il loro limite invalicabile nella natura classista di tale societa. Essi dunque non possono essere sviluppati oltre iJ limite tollerato dagli interessi di profitto della societa capitalistica. Per questa ragione oggettiva, essi sono costretti a impostare, in un'ottica rivoluzionaria, il problema del superamento dell'ordine sociale borghese, aspirando a porre tutti i rami dell'industria... sotto il controllo e, alia fine, anche sotto l'esclusiva amministrazione della classe proletaria, organizzata dal punto di vista economico e politico.
Ecco perche Korsch critica aspramente (in Marxismo e filosofia) il materialismo volgare, il determinismo e l'economicismo che sembrano pervadere quel tipo di marxismo che fa della realta economica la sola che conti nel processo storico. Tutto il resto (le strutture statali e giuridiche e le sovrastrutture ideali), nota Korsch, sembra essere solo un pallido e quasi meccanico riflesso di questo fondamentale aspetto del reale. In questo senso, osserva il teorico tedesco, si va verso una visione scissa, non unitaria della realta, per cui se, da un lato, esiste «Ia realta sociale» come «la sola a non essere in alcun modo ideologica», dall'altro abbiamo «la pura ideologia, assolutamente priva di oggetto e del tutto irreale». Tali concezioni non hanno niente a che vedere, secondo Korsch, con l'originale pensiero marxiano, cui non puo certo ricondursi la teoria del rispecchiamento, che vede l'ideologia, la coscienza, la cultura come un semplice risultato dei rapporti sociali. Contro tali posizioni, Korsch rivendica la necessita di una interpretazione
Karl Korsch, nato a Tasted nel 1886, aderisce inizialmente al partito socialdemocratico indipendente di Kautsky, ma, nel 1920, quando esso si scinde in due tronconi, aderisce al partito comunista tedesco. La sua militanza nelle file del movimento comunista 'ufficiale' non e destinata, tuttavia, ad avere lunga durata: dopa aver diretto Ia rivista Die Internationale, nel 1926 viene espulso dal partito comunista per le iesi esposte in quella che e forse Ia sua opera principale: Marxismo e filosofia (1923). Differentemente da Lukacs, Korsch non ritratta minimamente le proprie posizioni, che si vanno, anzi, progressivamente radicalizzando. La sua elaborazione teorica, che passa per la pubblicazione di opere come II materialismo storico ( 1929) e Karl Marx (1938), approda aile Dieci tesi sul marxismo oggi, dove viene approfondita Ia critica al marxismo cosi come si e storicamente espresso. Muore a Cambridge, nel Massachussets, ne/1961.
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unitaria del reale, che riconnetta, marxianamente, Ia cntiCa dell'ideologia alia critica dell'economia politica. La dialettica materialistica non puo infatti staccare l'uno aspetto dall'altro: entrambi fanno parte, socialmente e storicamente, di una stessa totalita concreta. Concetto centrale, questo, nell'elaborazione korschiana, ispirata dall' esigenza, di evidente ascendenza hegeliana, del recupero eli una visione unitaria della storia. La contrapposizione eli Korsch alia teoria leniniana del rispecchiamento e netta. La visione materialistica del r:eale, cosi come e esposta da Lenin in Materialismo ed Empiriocriticismo (poi ripresa e 'volgarizzata' nel leninismo della terza Internazionale), evitando di concepire il processo sociale come totalita reale, e riducendo il dato culturale e ideologico quasi a una pseudo-realta, finisce per regredire a una visione sostanzialmente idealistica, quasi metafisica, del reale, che si limita a sostituire a quell'unico principia ispiratore che e lo spirito, l'altro principia che e Ia materia. Tali posizioni rischiano di impostare il dibattito in maniera vecchia e superata, riportandolo al punto in cui era prima di Hegel e del criticismo di Kant. Dunque, osserva Korsch seccamente,
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Ia filosofia materialistica di Lenin, che e Ia base ideologica su cui si regge Ia teoria leninista, non e Ia filosofia rivoluzionaria del proletariato adeguata all'attuale fase di sviluppo.
Per altri aspetti, tuttavia, Korsch si riallaccia fortemente alia ispirazione rivoluzionaria eli Lenin, specialmente del Lenin di Stato e Rivoluzione. E' un'ispirazione radicale, utopica, che porta Korsch a concludere, consentendo con Lenin, che il marxismo e il movimento proletario da esso ispirato postulano Ia distruzione, non solo dello Stato borghese, rna di ogni forma di Stato. Un'impostazione analoga va data, secondo Korsch, al problema della filosofia: il marxismo non e una filosofia; anche se e nato dalla riflessione filosofica, esso si pone il compito di superare ogni filosofia, di giungere al superamento della filosofia in quanta tale. Porsi il problema del superamento della filosofia non vuol significare espungere Ia riflessione razionale e sistematica dal pensiero umano: si tratta, se mai, di andare oltre Ia filosofia, in quanta visione alienata del reale. II nocciolo di razionalita presente nella filosofia dovra, comunque, non solo essere conservato, rna arricchito e portato a un livello superiore, nell'ambito di un pensiero umano che si sviluppi piu intensamente e riccamente, in un contesto di generale superamento della alienazione. In Dieci tesi sui marxismo oggi, Korsch giungera e relativizzare lo stesso marxismo, anzi lo stesso contributo di Marx allo sviluppo del movimento operaio e socialista. II marxismo, egli sostiene, non puo piu avere la pretesa del monopolio della rappresentanza degli interessi proletari e della rivoluzione socialc della classe operaia. Lo stesso Marx, il cui apporto e stato certo fondamentale per lo sviluppo del movimento socialista, va vista solo come uno dei f ondatori di tale movimento, alia pari con Blanqui, Bakunin, i socialisti utopisti. Condizionato dalla situazione particolare della Germania e dell'Europa centrale, Marx ha sbagliato ad assumere Ia societa inglese quale modello per lo sviluppo di altre societa. II che non comporta, per Korsch, Ia liquidazione del pensiero eli Marx, rna Ia sua ripresa in, termini non dogmatici, nella prospettiva di una Iotta radicale per un assetto pianificato della societa, dit-etto dalla classe operaia.
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8.12 Lukacs: storia e coscienza di classe. E' opinione di molti che il pili grande pensatore marxista dopo Marx sia stato Gyorgy Lukacs·. Certo e, in ogni caso, che egli e stato il teorico che pili di ogni altro ha animato il dibattito culturale della prima meta del nostro secolo. Una volta, Thomas Mann disse che «solo quando Karl Marx avra letto Friedrich Holderlin, la Germania trovera Ia propria strada». Egli voleva dire che Ia vera risoluzione del conflitto intemo all'anima tedesca chiedeva la conciliazione tra razionalita scientifica e impulso romantico. A parte il pronostico sulla Germania, si potrebbe dire che Lukacs (ungherese, rna di cultura tedesca) e appunto il Karl Marx che ha letto Holderlin, e cioe e il marxista che ha portato alia luce Ia soggettivita intrinseca al marxismo e l'oggettivita sociale intrinseca a ogni opera d'arte. Non per nulla Ia sua attivita letteraria prende le masse dall'analisi strutturale dell'opera d'ar-
Gyorgy Lukacs nasce a Budapest nel 1885. Fin dagli anni dell'Vniversita si occupa di questioni letterarie e di attivita teatrale. Dopo Ia laurea, nel 1906, prosegue i suoi studi in Germania, a Berlino e a Heidelberg, dove ha contatti con i massimi pensatori del tempo, come Dilthey, Simmel e Husser! ed ha rapporti di amicizia con Max Weber e Thomas Mann. Le sue prime pubblicazioni, L'anima e le forme ( 1911) e la Teoria del romanzo (1916), riflettono gli interessi sociologici e letterari di questa periodo. Tomato a Budapest nel 1915, fa parte di un gruppo di intellettuali che, in opposizione alla guerra imperialistica, si alleano con il movimento operaio: nel 1918 aderisce al Partito comunista ungherese e l'anno successivo diventa commissario per Ia cultura popolare nell'effimera Repubblica comunista di Bela Kun. In esilio in Austria e in Germania, raccoglie le sue riflessioni in tre opere: Storia e coscienza di. classe (1 923), Lenin (1924), Mose Hess e Ia dialettica idealista (1926). La . prima di queste opere gli procura, come si e detto (8.1 0), la condanna della terza Internazionale. Contrariamente a Korsch che - come abbiamo visto - respinge con fermezza le accuse degli ortodossi, Lukacs non solo non difende apertamente le posizioni espresse nell'opera 'condannata: ma finisce per accettare Ia condanna medesima e per riconoscere Ia validita delle posizioni leniniane espresse in Materialismo ed empiriocriticismo. Anzi, egli stesso si autocritica per le posizioni assunte e ad una rivalutazione piena di Storia e coscienza di .classe non giungera mai. Molto piu tardi, quando lo stesso periodo staliniano sara ormai concluso da tempo, (in una prefazione a una edizione di Storia e coscienza di classe, del 1967) conferma ed esplicita pienamente i motivi della sua autocritica. Nel 1933 Lukacs si stabilisce in URSS. Finita Ia guerra, torna a Budapest come professore di Storia dell'arte e di estetica. Partecipa alia vita politica, ma se ne ritira nel 1951 per disaccordo con Ia linea staliniana. Nel 1956 partecipa alia rivoluzione ungherese, fallita Ia quale viene deportato in Romania. Ma 1'anno successivo, nel 1957, viene reintegrato nel suo ruolo ·universitario e, dieci anni dopo, nel Partito. Muore nel 1971, mentre attende alla Ontologia dell'essere sociale, che sara pubblicata postuma.
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te, e non per nulla, fin dai primi passi, egli rivela un particolare interesse per Hegel, il filosofo della totalita, della conciliazione tra soggetto e oggetto, un interesse che lo accompagnera per tutta la vita. AI centro della sua opera principale, Storia e coscienza di classe, c'e il rapporto tra Hegel e Marx sotto il profilo del problema della dialettica. Il metodo dell'analisi dialettica, secondo Luk~cs, puo esse.re applicato esclusivamente nell'indagine del processo storico sociale, perche solo all'intemo dei processi storico-sociali si da Ia vitale interazione soggetto-oggetto, in assenza della quale parlare di dialettica sarebbe puro non-senso, In polemica con gli empiristi e con i 'marxisti volgari', che leggono ogni fenomeno come factum brutum, Lukacs rivendica Ia possibilita e Ia necessita di interpretare Ia storia come un processo unitario: >. Tale conoscenza «prende le mosse dalle determinazioni semplici e pure che sono - nel mondo capitalistico - immediate e naturali, per procedere, a partire da esse, alia conoscenza della totalita concreta». La considerazione dialettica della totalita «e l'unico metodo per cogliere la realta. La totalita concreta e quindi la categoria autentica della realta». Da tale impostazione derivano conseguenze che vale Ia pena di inquadrare per comprendere appieno il carattere innovativo e antidommatico del pensiero di Lukacs. Prima fra tutte, una interpretazione non schematica del rapporto strutturasovrastruttura, dove Ia seconda (all'interno di un processo storico e sociale che va letto in modo unitario) non puo pili essere vista come pura derivazione dai fattori economici e materiali della societa: ne consegue una forte rivalutazione del ruolo della cultura, della battaglia delle idee, della soggettivita. In secondo luogo, non ha senso Ia frammentazione delle diverse scienze (economiche, storiche, ecc.) che interpretano il reale: tutte devono essere ricondotte a unita quali settori dell'unica scienza, storica e dialettica, che cerca di interpretare la totalita del processo storico. La scienza borghese, osserva Lukacs, studia i fatti e i fenomeni della societa dal punto di vista dell'individuo, che coglie solo aspetti parziali della realta. La totalita concreta puo essere colta solo da un soggetto che, a sua volta, sia un qualcosa di totale. Soggetti del genere sono, indubbiamente, le classi sociali. Solo la classe puo penetrare, mediante Ia prassi; Ia realta sociale e mutarla nella sua totalita. Protagonista della storia e, dunque, Ia coscienza di classe. Una coscienza di classe che non va pero intesa, fenomenicamente, come Ia somma del modo di sentire e di pensare dei singoli individui che compongono la classe. Infatti «l'agire storicamente significativo della classe come totalita viene determinato da questa coscienza e non dal singolo». Lukacs sembra qui idealizzare la coscienza di classe come un fattore impersonate e sovrapersonale. Nella misura in cui la coscienza viene riferita all'intero della societa si riconoscono queUe idee, sentimenti, ecc. che gli uomini avrebbero avuto in una determinata situazione di vita, se fossero stati in grado di cogliere pienamente questa situazione (... ). Ora, la coscienza di classe e la reazione ra-
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zionalmente adeguata che viene in questo modo attribuita a una determinata situazione tipica del processo di produzione.
Non sempre una classe e in grado di cogliere pienamente una situazione storica, ne di avere, di fronte ad essa, una reazione adeguata: lo provano le dolarose esperienze delle rivoluzioni proletarie fallite, nei primi anni '20. Ne tutte le classi possono giungere a una vera coscienza ·di classe. A una vera coscienza di classe non puo, ad esempio, giungere la borghesia, incapace di oltrepassare una visione parziale e limitata della realta. Prendere atto fino in fondo delle contraddizioni che caratterizzano l'ordinamento sociale borghese vorrebbe infatti dire, per la borghesia, rendersi conto della necessita del loro superamento e quindi accettare il carattere transitorio del capitalismo medesimo. Solo il proletariato, in quanta classe che non basa la sua esistenza sullo sfruttamento, e che non puo tendenzialmente accettare di sopprimersi come tale, e in grado di giungere a una coscienza storica pienamente dispiegata e di valore sostanzialmente universale. Per giungere a tale pienezza, tuttavia, il proletariato deve compiere un cammino lungo e tormentato, che comporta Ia Iotta, non solo contra i suoi avversari di classe, rna contro Ia rassegnazione e la degradazione che l'influsso dell'ideologia borghese induce al suo intemo. La Iotta non va quindi diretta solo contro la borghesia; essa e «anzitutto una Iotta del proletariato con se stesso, con gli effetti distruttivi e degradanti del sistema capitalistico sulla sua coscienza di dasse»'. All'intemo di tale cammino, la coscienza di classe del proletariato trova la sua oggettivazione nel partito rivoluzionario. La concezione del partito esposta dal filosofo ungherese si differenzia notevolmente da quella di Kautsky e di Lenin. Pur volendo evitare ogni forma di eccessiva fiducia nell'azione spontanea delle masse (che veniva di solito imputata aile concezioni luxemburghiane), Lukacs non ritiene che la coscienza debba essere portata alla classe operaia dall'esterno, da parte degli intellettuali rivoluzionari. Coerentemente con la sua impostazione teorica, Lukacs vede la coscienza di classe come qualcosa di immanente allo sviluppo storico, un qualcosa che, dunque, nessuno puo calare dall'alto. Pur non sottovalutando il ruolo politico-organizzativo del partito, il pensatore ungherese vede quindi nella classe il soggetto principale del processo storico. Molto importante, nel discorso lukacsiano, e la tematica della reificazione, che riprende e amplia l'analisi sviluppata da Marx nel Capitale (5.18), per cui, nel mondo capitalistico, i rapporti sociali mercificati fra colora che partecipano alla produzione si presentano come rapporti tra case. L'eliminazione del carattere personale del lavoro e la dissoluzione del prodotto unitario del processo produttivo conducono alla scissione tra soggetto e oggetto nella produzione: lo stesso lavoratore diventa una sorta di appendice meccanizzata e reificata all'interno del processo produttivo, che si svolge indipendentemente dalla sua coscienza e che egli, complessivamente, non padroneggia. Il processo di produzione e di divisione del lavoro perde, dunque, il carattere dell'intero e si presenta nei suoi singoli, frammentari momenti attraverso i quali e impossibile attingere aHa totalita. L'eliminazione del carattere personale e creativo del lavoro si connette, del resto, ai fenomeni di spersonalizzazione presenti in tutti i campi della vita sociale.
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La condanna della terza Internazionale non incontro in Lukacs la sdegnosa reazione che incontro in Korsch. Egli entro in una fase di penose reticenze, di abili dissimulazioni e di reiterate autocritiche (una del 1932, un'altra del 1937) che sono rimaste per sempre, anche dopo la fine di Stalin, non ritrattate, anzi, in certa misura, esplicitamente riconfermate. I punti essenziali del suo ripensamento sono il rapporto tra coscienza e oggetto, la categoria della totalita e il concetto di alienazione. Sui primo punto egli riconosce la validita della dottrina leniniana del rispecchiamento; sui secondo, egli ammette di avere errato assegnando rilevanza centrale alia categoria hegeliana della totalita invece che alia sfera economica; sui terzo, si incolpa di aver fatto tutt'uno tra alienazione e oggettivazione mentre, in un corretto marxismo, l'oggettivazione si fa alienazione solo se si realizza in ambito capitalistico. Le conseguenze di quest'ultimo fraintendimento, dice Lukacs, sono evidenti: se ogni oggettivazione e alienazione, allora si arriva all'esaltazione esistenzialistica della soggettivita, proprio come hanno fatto i filosofi che egli critichera nella sua Distruzione della ragione. E' facile capire perche la lettura dei Manoscritti economico filosofici '44 di Marx (5.5), pubblicati per la prima volta nel 1932, abbia prodotto in lui una commozione «sconvolgente)): essi contengono una precisa chiarificazione degli ultimi due dei tre errori che egli aveva ritrattato. «Mi fu chiaro, commenta Lukacs, che dovevo ancora una volta ricominciare dall'inizio». E difatti, anche per tenersi al sicuro dalla sorveglianza staliniana, si impegna (eravamo negli anni '30) nello studio di Hegel, componendo un'opera, Il giovane Hegel, che verra pubblicata solo dopo la guerra, nel 1948. La tesi di fondo dell'opera e che Hegel, fin dai giovani anni, lungi dall'essere - come volevano i marxisti ortodossi - uno spiritualista reazionario, ebbe una comprensione profonda della rivoluzione francese, !etta da lui come una irreversibile rivoluzione della borghesia. Se poi egli dette della rivoluzione e dei suoi effetti storici universali una versione idealistica, fu per le condizioni arretrate in cui si trovava allora la societa tedesca. Sta il.fatto, comunque, che a Hegel si deve la visione della storia come processo unitario, governato dalla razionalita dialettica. Se cosi stanno le cose, e chiaro che Hegel ebbe, nei confronti di Marx, il ruolo del precursore. Questo schema di interpretazione della storia del pensiero ritorna, rna con accentuata durezza, ne La distruzione della ragione (1954), che, partendo dalla distinzione netta tra razionalismo e irrazionalismo e dalla identificazione dell'irrazionalismo con la premessa ideologica dei fascismi europei, assegna a pensatori come Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche la responsabilita di una oscura complicita con i processi di degenerazione e di decadenza della ragione e della societa borghese. 8.13 Lukacs: il reallsmo critico. Dopo le sue disavventure con la terza Internazionale, Lukacs si dedico soprattutto alia critica estetica, componendo opere di straordinaria ricchezza, come i Saggi sul Realismo, II marxismo e la critica letteraria, Thomas Mann e Ia tragedia dell'arte moderna (1953), Contributi alla stona dell'estetica (1959), fino alla monumentale Estetica (1953). Riallacciandosi alia originaria ispirazione del suo 'marxismo occidentale', Lukacs non crede che l'arte, in un periodo rivoluzionario, debba partire, per dir cosi, da zero. La cultura del proletariato eredita quanto di meglio ha
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espresso precedentemente l'arte borghese e quanto di meglio hanno espresso, per millenni, i piu creativi fra gli artisti e gli scrittori. Che e come dire, che la rivoluzione proletaria continua e sviluppa la rivoluzione borghese; del resto, non e forse vero che, sui piano teorico, Marx continua, in parte, pur rovesciandola e cambiandola di segno, I' opera di Hegel? Nella teoria lukacsiana dell'arte e della letteratura, l'assunto di base e che sia la scienza che l'arte riflettono la stessa r~alta oggettiva. II rispecchiamento estetico e tuttavia radicalmente diverso da quello scientifico. La scienza ha il compito di giungere, attraverso una serie di casi particolari o singolari, a una universalizzazione il piu possibile completa e comprensiva, mentre l'arte deve (al di la delle categorie di universalita e singolarita) rappresentare il particolare, (che e come dire la totalitd, colta in una sua parte significativa, forma estetica genuina di un determinato contenuto). In definitiva, l'arte e piu vicina alia vita che non la scienza, la quale «astraendo - nel meccanismo di generalizzazione - i vari momenti particolari ed individuali» rischia di assumere una caratterizzazione marcatamente adialettica. L'arte e «piu vicina alia vita» in quanto essa non separa fenomeno ed essenza, proprio perche si occupa del particolare, senza annullarlo nella ricerca di leggi e definizioni generali da sovrapporgli. Nel riprodurre un particolare della realta, l'arte non potra tuttavia rifarsi a un particolare qualunque, bensi a un particolare tipico. Specifica, infatti, Lukacs: «Realismo significa, a parer mio, la riproduzione fedele di caratteri tipici in circostanze tipiche». Fare riferimento al tipo o al tipico non significa rifarsi a qualcosa che ha a che vedere con la media statistica. Esso e, anzi, tutto il contrario: la 'media' (che Lukacs definisce come caput mortuum del processo evolutivo della societa) esprime infatti la banalita e la quotidianita; per questa strada non ci si solleva verso i «grandi e seri» problemi della vita e della societa. Nel tipo devono esprimersi in «contraddittoria unita, tutti i tratti salienti di quella unita dinamica in cui la vera lettera,tura rispecchia la vita». E dunque solo se «lo scrittore sa e intuisce esattamente e sicuramente che cosa e essenziale e che cosa e secondario, egli sara in grado, anche sui piano letterario, di configurare, a partire da un destino individuale, il destino tipico di una classe, di una generazione, di un'epoca intera». II tipo e in qualche modo un 'modello', la rappresentazione di un personaggio, delle sue vicende, dei suoi sentimenti in modo che attraverso la loro particolaritd essi sappiano gettare luce sulle tendenze di fondo, sui conflitti, sui moti significativi di una societa in un determinato periodo storico. A Lukacs non interessa una rappresentazione quale che sia, superficiale o, per cosi dire, fotografica della realta: per questa strada si arriva, anche partendo dalle migliori intenzioni, solo al naturalismo. La visione di Lukacs e invece orientata verso un realismo che sappia, intenzionalmente e selettivamente, cogliere il senso profondo e le implicazioni del pezzo di realta che vuole rappresentare. Nella valutazione dell'opera d'arte, in coerenza con questi principi, grande rilievo assumono le considerazioni di tipo contenutistico. II rapporto di uno scrittore con la sua opera d'arte e complesso e va analizzato attentamente. Sarebbe sbagliato, ad esempio, voler dedurre il carattere (progressivo o reazionario) di un'opera d'arte dalle opinioni politiche soggettivamente espresse dal suo autore. II caso di Balzac e, per Lukacs, evidente: pur dichiarandosi cattolico-
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tradizionalista e legittimista, egli riesce ad esprimere, con grande e crudo realismo, il travaglio e le contraddizioni della sua epoca. Si ha, nella concezione lukacsiana, una sostanziale convergenza tra realismo ed umanesimo popolare; Balzac, Stendhal, Tolstoj («specchio della rivoluzione russa») sono i 'realisti' per cui egli dimostra Ia massima considerazione. 8.14 Bloch: il 'principio speranza'. Nel gruppo dei marxisti occidentali, Ernst Bloch* si distingue per la sua originalita, che lascia un segno anche nel suo stile, in cui predominano il tono alto e magniloquente, quasi da profeta biblico, e insieme l'estro del paradosso e il guizzo dell'ironia. Le sue qualita nativamente 'eretiche' hanno riscontro perfino nei suoi interessi storiografici, dove hanno il primo posto le eresie cristiane, considerate come punte emergenti di una dinamica storica che coinvolge, nel moto verso l'adempimento delle speranze, perfino Ia materia. · Alcuni spunti fondamentali del marxismo originale e creativo di Bloch risalgono ad elementi acquisiti nel corso della sua formazione (elementi di derivazione biblica, improntati a un inequivocabile senso di escatologia messianica) e nel corso delle sue esperienze giovanili, che lo avevano avvicinato all'espressionismo e aile avanguardie artistiche. n suo e un marxismo accentuatamente utopico, che vuole inserire (o recuperare) all'interno della visione del socialismo scientifico (che per Bloch rimane un orizzonte ben definito ed acquisito: il suo pensiero non comporta, certo, una regressione aile impostazioni dell'utopismo pre-marxiano) gli elementi di quella utopia concreta che caratterizza, in molte sue manifestazioni, l'uomo storico. Recuperando le originali connotazioni umanistiche del Marx giovane, Bloch assegna una funzione centrale al principia speranza, impulso fondamentale che proietta l'uomo verso la costruzione Ernst Bloch nasce a Ludwigshafe, nel 1885. Laureatosi a Wiirzburg, frequenta Lukacs e Jaspers. Durante la prima guerra mondiale si rifugia in Svizzera, dove scrive Lo spirito dell'Utopia (1918); aderisce al marxismo e parlecipa alla Repubblica tedesca dei Consigli In seguito, dopo l'avvento del nazismo, per motivi politici e razziali (Bloch e di origine ebraica) e costretto ad emigrare, prima in vari paesi europe~ poi negli Stati Uniti Dopo la seconda guerra mondiale, si stabilisce a Lipsia, nella Repubblica Democratica Tedesca, dove comporra alcune delle sue opere piu importanti: Soggetto-Oggetto, Delucidazioni su Hegel (1 949); Avicenna e la sinistra aristotelica (1952) ed il ponderosa Principia Speranza, composto dal 1954 al1959. E' la pubblicazione di questa testa, insieme alle critiche che egli formula nei confronti del socialismo di ispirazione sovietica, che gli procura da parte delle autorita della Repubblica Democratica Tedesca - l'accusa di deviazionismo e idealismo. Nel 1961 Bloch lascia [a Germania dell'Est per stabilirsi a Tubinga, nella Repubblica Federate Tedesca. Nell'Vniversita di Tubinga, insegnera per molti ann~ componendo altre fondamentali opere quali.· Ateismo nel Cristianesimo ( 1968) ed ll problema del materialismo: storia e so stanza (1972). Muore a Tubinga nel 1975.
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del futuro. Compito del marxismo non e soltanto di tener ferma Ia critica negativa dell' economia capitalistica o di sviluppare positivamente il progetto. di una economia socialista. Lungi dal lasciarsi ridurre a puro rivendicazionismo economico, il marxismo deve farsi interprete delle aspirazioni umane verso il regno della libertd. Il marxismo non e all'altezza dei propri compiti se rimane chiuso in una visione piattamente positivistica, dimenticando I'elemento utopico che storicamente, nell'arte, nella religione, nella filosofia si e espresso in forme che non solo non vanno disprezzate o ignorate, rna vanno recuperate e rielaborate, quali espressioni dell'ansia verso il nuovo e verso il futuro. La tensione verso il futuro, verso qualcosa di radicalmente nuovo (qualcosa, cioe, che non puo essere facilmente previsto ne predeterminato) inducono ad una visione ottimistica del reale, non basata pero sulla fiducia in deterministiche leggi scientifiche (come nel caso delle concezioni positivistiche ed evoluzionistiche), ne sulla credenza filosofica o religiosa in un qualche Essere perfettissimo posto nell'aldila. Quello a cui Bloch allude e l'ottimismo militante, fondato sulla speranza, che e certa nel suo aspetto soggettivo, rna anche esposta autenticamente al rischio. Il fondamento filosofico di tale ottimismo militante Bloch lo ricerca in Hegel, che per primo ha tentato il superamento di una visione contemplativa della storia, legata esclusivamente al passato, col mettere a fuoco - tramite Ia dialettica - Ia storia come processo che va avanti. Ma anche nella dialettica hegeliana va eliminato l'aspetto contemplativo che in essa si annida, in quanto il reale vi e considerato come un qualcosa di gia concluso, che il pensiero deve solo ripercorrere e «ricordare)), facendo coincidere Ia fine del processo con il suo inizio. A svelare il carattere contemplativo della dialettica idealistica e il marxismo, in quanto unita vivente di teoria e prassi, e proprio per questo portatore delle istanze dell'uomo artefice della propria storia. La 'totalita' dialettica nel marxismo non si configura come gia prestabilita e chiusa in se, rna come aperta al novum: dunque, come totalita utopica. All'interno di questa sua originale impostqzione dialettica, Bloch ridiscute i concetti di progresso e di tempo. L'idea di progresso e certo fondamentale anche per Bloch, purche non se ne abbia una concezione ingenuamente lineare. Progresso non e infatti un semplice spostamento in avanti. Si puo avanzare anche verso qualcosa che non ha necessariamente connotazioni positive, come, per l'uomo, una malattia che progredisce o, per la societa, uno sviluppo di tipo imperialistico. Rientra nel 'progresso pervertito' anche uno sviluppo delle forze produttive cui Ia sovrastruttura non solo non tiene dietro «rna e talvolta persino contraria, con particolare danno per Ia cultura)). Ma come l'idea di progresso, va sottoposto a critica anche il tentativo (rintracciabile in pensatori come Spengler o Toynbee) di definire cicli culturali chiusi per ogni civilta: da questa impostazione al razzismo, egli avverte, il passo e breve. Rappresentare Ia storia universale come una successione di periodi e senza dubbio moho piu facile che rappresentarla nella contemporaneita di luoghi e nella pluralita delle sue voci; questa concetto topografico esige, infatti, perlomeno quando si presenta come storico-universale, un multiversum, anche nel tempo.
264 08- Il'mar;dsmooccidentale' II soggetto indivisibile della storia deve, cioe, essere rintracciato in piu tempi e in piu luoghi, nella pluralita delle esperienze e delle culture. Trova senso, qui, la critica per ogni impostazione culturalmente eurocentrica: Per essere giusti verso il gigantesco materiale extraelu-opeo, non si puo piu lavorare secondo una linea retta, senza curve nella serie (... ). Le vive culture extraeuropee possono essere rappresentate, secondo un concetto storico-filosofico, senza violenza europeizzante o anche soltanto senza il tentativo di livellamento di quel che hanno prodotto per la ricchezza della natura umana.
La contestazione della linearita del concetto di progresso si accompagna alIa ridefinizione del concetto di tempo. Anche il tempo non puo essere visto come un indifferenziato ed indifferente continuum: e vero, dice Bloch, esiste il tempo orario, caratterizzato da una costante ed uniforme densita, sempre monotamente uguale a se stessa, rna, accanto ad esso, esiste il tempo storico, che corrisponde piu a criteri qualitativi che non a criteri quantitativi. II tempo storico, di densita variabile, non puo essere, infatti, misurato con criteri piattamente quantitativi: istituendo un suggestivo paragone, chi potrebbe infatti dire che il tempo in cui l'acqua, per migliaia di anni, batte le stesse fredde pietre, in cui le onde battono sempre allo stesso modo sulla riva, sia davvero piu lungo e piu denso del breve anno russo 1917 ? All'interno di questa visione del mondo, assolutamente non lineare, non deterministica ne evoluzionistica, Bloch si pone il problema concreto di un 'senso' della storia, di un 'eschaton' come punto finale del progresso, ossia di un humanum verso cui tendere, senza che esso sia gia «garantito dal risultato umano gia manifesto». Questa tensione verso la realizzazione piena dell' homo absconditus, che ognuno porta in se, non e monopolio esclusivo del marxismo o del socialismo scientifico. II marxismo, anzi, per Bloch, deve essere capace di rivalutare quanta di vivo hanno espresso altre culture, quanta ha espresso la stessa religione. Nella convinta rivalutazione che Bloch compie del momento religioso puo rnisurarsi il grado di eterodossia da lui raggiunto rispetto al marxismo scolastico e tradizionale, che inquadra la religione come alienazione, come 'oppio del popolo'. In realta, osserva Bloch, Marx non ha mai aderito a tale visione semplificata del fenomeno religioso: La frase dell'oppio del popolo sta in un contesto molto piu profondo di quanta non vogliano e non tollerino i marxisti volgari; essi l'hanno staccata, isolandola completamente.
Nel testo di Marx (5.7), egli precisa, si leggono altre e ben piu articolate definizioni, per cui «la miseria religiosa e insieme l'espressione della reale miseria e la protesta contro di essa», ed anche: «Ia religione e il sospiro della creatura oppressa, l'anima di un mondo senza cuore». Accanto alla dimensione dell'alienazione sta, dunque, in ogni genuina esperienza religiosa, la dimensione della protesta contra uno stato di cose intollerabile: una protesta da riprendere e valorizzare. E' giusto, comunque, rilevare che la valorizzazione blochiana della religione resta pur sempre profana e mondana: nel momenta religioso egli ricerca, orizzontalmente, il momenta escatologico (della speranza in un mondo nuovo, proiettato nel futuro del mondo) e non il momento della trascendenza (la dimensione verticale proiettata verso un Dio trascendente o un'esistenza ultraterrena).
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In quest'ottic;l, che pervade Ateismo nel cristianesimo. Per una religione dell'esodo e del Regno, Bloch propane una lettura escatologica della Bibbia, in cui, tolti gli elementi che fanno di Dio un sovrumano ed onnipotente Monarca, risaltino invece tutti gli elementi che profeticamente annunciano Ia liberazione dei diseredati e degli oppressi. E' questa il 'filo rosso' che va fatto risaltare nella lettura del testa biblico, dove, invece che la trascendenza divina, va ricercata «Ia trascendenza senza trascendere», ossia l'anelito dell'uomo ad essere veramente uomo, e cioe ad essere come Dio. E l'utopia religiosa (che non si contenta di vedere le cose come sono, rna cerca di vederle per come saranno) apre un importante spiraglio in questa direzione: nella direzione di un 'avvento' pienamente umano, quando «cio che e implicata nel concetto di Dio diventera finalmente uomo!». Nel rintracciare nel testa biblico la prospettiva escatologica della liberazione, Bloch propane un incontro tra marxismo e cristianesimo non basato su un banale 'dialogo' o su un compromesso: un incontro tra un cristianesimo purificato dagli elementi alienati e 'teocratici' e un marxismo Iiberato dalle pastoie del meccanicismo e del positivismo. Va detto che l'impostazione di questa marxista 'teorico della speranza' ha ispirato effettivamente, come vedremo, vari teologi e pensatori cristiani, sia cattolici che protestanti (17.19), tra cui Wolfhart Pannenberg e Jiirgen Moltmann, il quale ha elaborato, prendendo spunto dalle posizioni blochiane, una teologia della speranza. L'interesse di molti pensatori cristiani per Ia dimensione escatologica della fede, che Bloch ha posto in evidenza, ha procurato, anche fra i credenti, consensi e simpatie all'eterodosso pensatore marxista. Ma questi applausi teologici non devono far dimenticare che la concezione di Bloch resta saldamente basata sull'ateismo: nel momenta stesso in cui egli appassionatamente esalta il cristianesimo e Ia religione, li secolarizza in modo radicale_ In ultima istanza, il principia dinamico che percorre tutta !'opera di Bloch e schiettamente materialistico. Aile origini della realta onnicomprensiva, c'e la materia, come 'fondamenta totale del mondo'. La concezione di Bloch e, comunque, ben diversa da quella espressa da Engels nella Dialettica della· natura, in cui Ia realta materiale appare costituita da ripetitiva meccanicita. In Bloch, Ia materia e intesa «come possibilita reale orientata a tutte le forme che sono latenti nel suo gremho»; essa e, dunque, gestazione del futuro e del nuovo. I termini di natura e futuro, di materia e di anticipazione non andranno pili tenuti separati, in nome di una autentica ontologia, che non e «ontologia dell'essere fino ad ora esistente, rna ontologia dell'essere del non ancora esistente». Recuperando un antico concetto aristotelico, Bloch, in sostanza, vede la materia come qualcosa che puo potenzialmente dispiegarsi, svilupparsi, cambiare, proiettandosi in avanti, in una continua tensione verso il cambiamento e la trasformazione e verso la realizzazione di possibilita inedite. E' in questa tensione che hanna illoro vero posto l'uomo e la sua storia. Ridursi a leggere tale processo, ricco di potenzialita, in maniera piattamente positivistica ed evoluzionistica significa, per Bloch, rinchiudersi all'interno di quel marxismo dommatico, che egli chiama corrente fredda del marxismo, in contrapposizione a quella corrente calda a cui e stato proprio lui a fornire uno dei pili stimolanti contributi.
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Sommarlo. Nel panorama sociale, egemonizzato dalla borghesia, prende rilievo, nella Francia di fine Ottocento, lo spiritualismo degli inizi del secolo, dei tempi di Biran e di Cousin, coniugandosi, pen), con il metodo positivistico, tanto che viene definito 'spiritualismo posivista' (9.1). Una critica puntuale a! concetto positivistico di Iegge di natura e quella svolta da Boutroux, che mette in luce l'incapacita del determinismo a render conto della realta, i cui fenomeni non hanno, tra !oro, un rapporto di causalita meccanica, rna di contingenza (9.2); che le leggi scientifiche, e, piu in genere, l'intelligenza cartesiana siano inadeguate alia realta lo mostra anche Blonde! nella sua analisi dell"azione', e cioe della dinamica della volonta, che integra in se i determinismi e li sorpassa fino a toccare le soglie della trascendenza religiosa (9.3). Anche Bergson accetta del positivismo il punto di partenza, e cioe l'analisi dell'esperienza, rna per superare gli schemi 'spaziali' dell'intelligenza, che e in grado di misurare il tempo quantitativa, di cui si serve Ia scienza, rna non quello proprio delle sfere vitali, che e un tempo qualitativo, la durata (9.4). In base a! concetto di durata, Bergson distingue un io di superficie, soggetto agli stessi automatismi dell'universo fisico, e un io profondo, il cui modo di essere e, invece, Ia liberta (9.5). L'analisi della struttura fisiopsichica dell'uomo conduce Bergson allo stesso risultato dualistico: Ia materia e la memoria, che e una sola cosa con Ia durata (9.6). Applicando all'universo lo stesso schema, Bergson ripropone, in modo originale, la tesi evoluzionistica: la ramificazione delle specie viventi non e spiegabile ne con criteri meccanicistici ne con quelli finalistici, rna con Ia dinamica creativa dello 'slancio vitale' (9.7). Corrispettiva al duplice aspetto della realta, Ia materia e lo slancio vitale, e Ia conoscenza umana, che e istinto e intelligenza, rna e anche, quale espressione unitaria di ambedue, intuizione. E' l'intuizione il vero organo della metafisica (9.8). Dualistica e anche Ia visione bergsoniana della societa, che e 'chiusa' 0 'aperta', e della religione, che e 'statica' 0 'dinamica': a quest'ultima appartiene l'esperienza dei mistici, specie cristiani (9.9). , Nel quadro della problematica di Bergson prende avvio, sviluppandone Ia critica al positivismo rna rifiutandone l'ambiguita metafisica, il personalismo francese di ispirazione cristiana (9.1 0), che ha in Maritain il suo iniziatore. Maritain recupera la metafisica di Tommaso d'Aquino, attualizzandone Ia dottrina della persona e quella delle competenze metafisiche della ragione, in diretta polemica con Ia filosofia moderna, iniziata da Cartesio con il suo declassamento della ragione a ruoli strumentali. Su queste basi, Maritain costruisce un suo 'umanesimo integrale', di grande risonanza all'interno della cristianita aile prese con Ia minaccia del marxismo (9.11). Meno legato a presupposti metafisici, rna ugualmente impegnato nel superamento critico del marxismo, e piu in genere delle provocazioni della rivoluzione tecnologica, e il personalismo di Mounier, che si propone come programma una rivoluzione personalista e comunitaria. (9.12). Da tutt'altre premesse parte Gabriel Marcel, che recupera il senso della persona attraverso l'analisi dell'esperienza interiore, di continuo aperta al dilemma tra l'essere e l'avere: l'autenticita dell'esistenza passa attraverso la corporeita, che Ia apre all'universo (9.13). Ed e proprio dall'universo, indagato, pen), secondo i metodi della scienza e nel quadro della concezione evoluzionistica, che parte Teilhard de Chardin per trovare il senso del tutto nel fenomeno umano e il senso del fenomeno umano nel formarsi della coscienza e nella sua tensione verso una 'supercoscienza' (9.14).
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II clima in cui si svolge il personalismo e quello reso minaccioso dai totalitarismi di ogni tipo. E' questa Ia congiuntura storica dell'esistenzialismo come risposta agli smarrimenti della coscienza individuale, e in particolare dell'esistenzialismo di Sartre, che esprime non un'esigenza di fuga rna di impegno storico (9.15). Alia sua base c'e l'analisi della coscienza, identificata col 'nulla' in rapporto al mondo delle cose, rna un nulla attivo, in cui si ricostmisce di continuo lo spazio della libertfJ. (9.16). La liberta si manifesta, pen'>, come ordinata a! nulla: di qui l'angoscia. Un'angoscia che trova alimento anche nel fatto che l'esistenza e sempre esistenza per l'altro, ed e in questo rapporto strutturale che essa rischia di diventare oggetto dell'altro, di degradarsi a mera oggettivita. A questi due scacchi se ne aggiunge un terzo, l'estremo: l'uomo e sempre in tensione perche mira alia coincidenza tra l'in-se (l'essere) e il per-se (Ia coscienza), una coincidenza che potrebbe darsi solo in Dio, che pero non c'e: l'uarno e una passione inutile (9.17). E' con questa dialettica del fallimento che Sartre si confronta col marxismo, di cui cerca di colmare una lacuna, quella della soggettivita (9.18).
Lo spiritualismo francese 9.1 II positivismo spiritualista. Nella prima meta dell'Ottocento, durante la stagione degli ideologi, prima, e poi durante quella dei positivisti, non era venuta meno, anzi si era irrobustita la corrente di pensiero a cui aveva dato voce originale Maine de Biran (3.8) e che, in un secondo tempo e con ambizioni di stampo hegeliano, si era installata, con Victor Cousin, nei centri direttivi della vita culturale del paese. Abbiamo gia vista come, sia in politica che in filosofia, la linea di Cousin fosse quella del 'giusto mezzo' (3.14) e come, proprio per questa, essa abbia incontrato anche in Italia l'attenzione che i pensatori tedeschi, da Kant a Hegel, non erano riusciti ad avere. Nel quadro delle correnti dominanti in Europa, il ruolo di Cousin fu quello svolto in Italia da Galluppi e, con tanto maggior successo, da Rosmini: assumere le istanze contrapposte del sensismo e dell'idealismo, per armonizzarle in una dottrina che, da una parte, contra il sensismo, desse fondamento valido alla conoscenza metafisica e, dall'altra, contra l'idealismo, salvasse le ragioni del concreto, prime fra tutte quelle della liberta individuale nei confronti della statalismo. Naturalmente, in Francia il confronto con gli opposti schieramenti fu piu vivace e piu fecondo, anche perche piu rispondente ai condizionamenti del contesto storico. Fra questi, occorre ricordare la 'necessita politica', cresciuta di pari pas so con I'egemonia dei ceti borghesi imprenditoriali, le cui richieste, in termini istituzionali e ideologici, erano il rafforzamento della Stato nel suo duplice ruolo di garante del libero mercato e di strumento di espansione economica e, in termini piu direttamente culturali, la giustificazione della liberta intesa come slancio creativo. La borghesia del Secondo Impero, perduti i fremiti individualistici dell'eta giacobina, anche se non conservava nostalgie per la cultura prescientifica, chiedeva un supplemento d'anima al dinamismo della nuova fase della rivoluzione industriale, che associava il fervore creativo della tecnica e l'ardimento degli investimenti finanziari su scala mondiale. Il vecchio sensismo, coevo all'individualismo politico, aveva lasciato libero passo, in Francia, al positivismo tecnocratico, rna, come si e vista (7.1 ), il positivismo coltivava il miraggio di una pianificazione troppo disponibile alle gestioni centralizzate.
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Ci sarebbe voluto un positivismo capace di combinare la mentalita scientifica e Ia competenza creativa, Ia razionalita della macchina e l'intraprendenza del soggetto umano: insomma, per dir tutto secondo categorie filosofiche che ormai ben conosciamo, il meccanicismo e il finalismo. Ci sarebbe voluto un 'positivismo spiritualista'. L'ardita espressione, che associa tra !oro due termini gia ritenuti inconciliabili, si ritrova in uno scritto che potremmo considerare il manifesto ufficiale della nuova fase del pensiero francese, il rapporto di Felix Ravaisson (18131900) su La filosofia in Francia nel secolo XIX, del 1887: Da molti segni e lecito prevedere come poco lantana un'epoca filosofica il cui carattere generale sara il predominio di cio che potremmo chiamare un realismo o positivismo spiritualista, il cui principia generatore sia Ia coscienza che lo spirito prende, in se stesso, di un'esistenza dalla quale egli riconosce che ogni altra esistenza deriva e dipende e che altro non e che Ia sua stessa azione.
Erano stati proprio Maine de Biran e Victor Cousin a considerare lo spirito come un 'principia vivente', e cioe come un principia Ia cui natura non si esaurisce cartesianamente nel cogito (col suo corrispettivo estemo della quantita estesa), per2he ha Ia densita qualitativa della monade leibniziana. Non per nulla Ravaisson, autore di un saggio sulla Metafisica di Aristotele (1846), trova il fondamento piu autorevole del suo 'positivismo spiritualista' nel filosofo che, distaccatosi da Platone, la cui 'idea' non basta a spiegare il movimento della natura, subordina i fenomeni a un principia primo che e insieme vita, pensiero e causalita pura. II legame della materia nei suoi vari gradi - fisico, chimico, biologico, psichico, psicologico - ·e assicurato, in Aristotele, da una finalita immanente, che vibra dal basso in alto, dalla pietra al cervello umano, e trova Ia sua sintesi nell'uomo, che infatti e dotato di tre anime, rna e unificato da quella razionale, che riduce a unita Ia molteplicita delle sostanze. Que! che mancava ad Aristotele, e sulla sua scia agli scolastici, era Ia comprensione della coscienza come interiorita, vale a dire come soggettivita capace di porre atti da se stessa in se stessa, e dunque come principia creativo di un ordine non riducibile aile regale matematiche della distinzione e della chiarezza. Gli spiritualisti positivi mirano, per dir cosi, a correggere Cartesio con Pascal e viceversa, ottenendo, appunto per questa, una larga udienza nella cultura francese, che per lo piu aveva vissuto le due grandi eredita secentesche con anima divisa. Non solo, rna il nuovo spiritualismo, come i suoi due precursori dell'inizio del secolo sopra ricordati, e in grado di far vibrare di fede religiosa Ia tradizione laicista e di laicizzare la tradizione religiosa, di aprire aile ragioni della spirito gli eredi del positivismo socialista e alia ragione della scienza i fautori del puro misticismo. Questa universalita eclettica, pacificatrice delle opposte tradizioni della vita culturale, favoriva, nella Francia imperialistica, anche prospettive di egemonia filosofica oltre le frontiere. «E' sempre la filosofia francese che piu ha meritato della spirito umano - scrivera, nel 1889, il cousiniano Barthelemy Saint-Hilaire - Se il secolo che sta per finire non ha contato alcun filosofo di genio in Europa, siamo noi francesi, possiamo dirlo, che piu ci siamo avvicinati a questa meta».
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9.2 Boutroux: il contingentismo. La via intrapresa dalla reazione spiritualistica acquista significato se si tien canto del contesto in cui nasce e si svolge, che e quello di un positivismo diventato ormai una specie di scolastica, con le sue sicurezze, con i suoi principi generali applicabili ad ogni campo dell'esperienza, compreso quello letterario (si pensi al 'naturalismo' di un romanziere di grande successo come Emile Zola), col suo gusto per gli assiomi adatti a volgarizzarne le dottrine anche ai livelli dell'intelligenza media. E' il 'positivismo del farmacista', quanta mai adatto a diventare, nei nuovi ceti che emergono nella Francia laica, una specie di ideologia del.quotidiano. I maftres a penser di questa periodo sono Ernest Renan (1823-1892), .che nella sua celeberrima Vita di Gesu (1863) applica il metoda positivista al fenomeno religioso, e Hippolite Taine (1828-1893), che con un'opera animata pili dall'afflato oratorio che dall'acume critico, l'Intelligenza (1870), fornisce al gran pubblico un'affascinante Summa del positivismo. Di definizione in definizione, il sapere dell'uomo e ormai in grado, secondo Taine, di ascend ere a un principia che, alia pari dell' ens generalissimum della metafisica medioevale, dia unita e coerenza all'enciclopedia delle scienze. A suo giudizio, esso e stato quasi raggiunto con la formulazione della Iegge della conservazione dell'energia. Sembrava vicina ad avverarsi l'ipotesi che era stata avanzata dal grande astronomo Pierre Simon Laplace (1749-1827): Un'intelligenza che, in un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui Ia natura e animata e Ia situazione rispettiva degli esseri che la compongono, e che fosse tanto vasta da sottoporre tali dati all'analisi, abbraccerebbe in una sola formula i movimenti dei piu grandi carpi dell'universo e quelli del minima atomo: nulla puo essere incerto, e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente al suo sguardo.
II postulato di Taine e, appunto, una specie di meccanica universale, capace di rendere ragione, con Ia chiarezza del principia di identita, di tutti i fenomeni. Che cos'e lo spirito? «Un flusso e un fascia di sensazioni e d'impressioni che, visti da un'altra faccia, sono un fascia e un flusso di vibrazioni nervose». «L'uomo e un teorema che cammina»; Ia virtu «e un prodotto, come il vino e l'aceto»; Ia storia e <mna geometria di forze», simili a quelle che governano Ia natura: «se mai potessimo misurare ed esprimere tali forze, potremmo dedurne, come da una formula, le proprieta della civilta futura». Un'epistemologia cosi povera di sensa critico prestava il fianco aile reazioni delle correnti di pensiero che non sapevano rinunciare al principia della coscienza come un a priori, evidente a se stesso nell'intuizione di st\ sintesi non riducibile agli elementi empirici che ne costituiscono il contenuto. Nella coalizione delle tendenze spiritualistiche, doveva avere particolare fortuna, nella secunda meta del secolo, quella che Ravaisson aveva chiamato del 'positivismo spiritualista', appunto perche accettava del positivismo il metoda dell'osservazione dei fatti su cui hanna fondamento le scienze, e trovava, proprio nell'analisi dei fatti, il punta d'appoggio per dimostrare Ia necessita dell' a priori spirituale. E' appunto questa Ia tesi che Emile Boutroux ( 1845-1 921) discusse nel 187 4 per l'esame di dottorato e che, pubblicata col titolo La contingenza delle leggi
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di natura, doveva dargli una fama europea, tenuta viva successivamente da un'intensa attivita di propaganda e di approfondimento teorico: particolarmente importante, tra i suoi scritti, L 'idea di Iegge di natura, del 1895. Il tema centrale della tesi di Boutroux, che viene denominata, appunto, 'contingentismo', e il rapporto tra necessita e contingenza, che il Taine aveva risolto a favore della necessita, mostrandosi propenso perfino all'ipotesi metafisica che l'esistenza dell'essere sia deducibile dalla sua stessa possibilita. Boutroux lo nega. I possibili sono molti, e tutti pretendono in ugual mpdo l'esistenza, mentre il reale e uno solo e, appunto per questo, presuppone un dato nuovo, l'atto per cui, tra i molti possibili, solo uno se ne realizza. Quest'atto e contingenza, non necessita. Ma la contingenza non e solo a questo livello metafisico, essa si ritrova all'interno delle varie forme del reale, dai cristalli, in cui la materia prende le sue pili elementari determinazioni, fino alla vita e, al vertice, fino alla coscienza. In questa gerarchia di forme, quella superiore presuppone, e vero, la scala delle forme inferiori, rna non ne e il puro e semplice prodotto, perche presenta, nei loro confronti, qualcosa di assolutamente originate e imprevedibile. Se e vero che cio che e superiore non si spiega senza cio che e inferiore, che la biologia, ad esempio, non si spiega senza la chimica, e vero anche che l'inferiore non basta a spiegare il superiore. Gil\ Ia fisica, considerando il lavoro come superiore al calore,. ricorre chiaramente alla nozione di qualita. La chimica si fonda sui postulato che esistano e si conservino elementi di diversa specie. L'atto riflesso della biologia non e una semplice reazione meccanica, perche ha Ia proprieta di assicurare Ia conservazione, J'evoluzione" e Ia riproduzione di una determinata organizzazione. La reazione psichica e ·qualcosa di piu, poiche tende a procurare all'individuo Ia scienza delle cose, cioe Ia conoscenza delle leggi, e quindi una facolta illimitata di utilizzarle per fini da lui stesso posti. Infine, in sociologia, l'azione dell'ambiente non basta a spiegare i fenomeni; bisogna considerare anche l'uomo, con Ia sua facolta di simpatia per gli altri uomini, con le sue idee di felicita, di progresso, di giustizia e di armonia.
Questa contingenza non si rivela solo nei passaggi da un grado all'altro del reale, e anche all'interno di ciascuno di essi, nel senso che ciascun fenomeno, visto nel suo proprio ordine, non e il prodotto puro e semplice degli elementi che lo costituiscono, e una sintesi la cui identita non sta nella somma dei suoi elementi, cosi come l'acqua non e Ia pura somma di idrogeno e ossigeno. Di qui l'incongruenza del modello meccanicistico in base al quale la scienza postula, nel mondo dei fenomeni, la permanenza, e quindi la possibilita di previsione. II mondo dei fenomeni e irriducibile alla quantita. Nell'intimo del suo stesso impero si afferma, come una realta primordiale e originaria, l'azione di un principio di cangiamento assoluto, di creazione vera e propria.
Questo principia di cangiamento si fa sempre pili scoperto, man mano che si ascende dalle forme pili elementari a quelle pili elevate dell'essere. Del tutto infondata e, dunque, la pretesa positivistica di giungere a formulare una Iegge che riduca a unita le leggi delle diverse scienze: tra le leggi di un tipo e le leggi di un altro c'e uno iato che non consente di passare dalle inferiori aile supe-
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riori con un processo di continuita. Si pensi anche al rapporto, cosi fondamentale nella scienza moderna, tra matematica e meccanica celeste. Perche i corpi celesti si attirano, come ha spiegato Newton, in ragione della loro massa? Puo la matematica dimostrare la necessita di questa attrazione? Del resto, la stessa matematica, modello e misura del mondo della necessita, non si basa forse su premesse che vengono date, rna non dimostrate come necessarie? La geometria di Euclide non e che una delle geometrie possibili ( 13.14). Dun que: da un lato le matematiche sono necessarie solo in quanto ammettono postulati, la cui necessita e indimostrabile, e cosi Ia loro necessita e, in conclusione, soltanto ipotetica. D'altra parte, l'applicazione delle matematiche alIa realta e e sembra non poter essere altro che approssimativa. In queste condizioni, che cos'e la dottrina del determinismo? Una generalizzazione ed un passaggio allimite.
Ma allora, che valore hanno le scienze? Nel loro insieme, esse rappresentano un sistema di «relazioni astratte tra termini nessuno dei quali rappresenta un essere vero e proprio)). Tra quelle 'relazioni', una sola ha il carattere di necessita, il principia logico di identita (A=A), che e, per l'appunto, anche Ia relazione piu impotente, in ragione della sua astrattezza, a farci conoscere Ia realta. II compito delle scienze e di raggiungere non una verita teoricamente fandata delle cose, rna solo una verita praticamente utile, e cioe una loro rappresentazione che ci consenta di esercitare su di esse il nostro potere. E cosi Boutroux approda a una conclusione che coincide con quella di molti altri pensatori della stesso periodo o di poco successivi, come, in Germania, Mach e Avenarius, negli Stati Uniti, James e Dewey, in Italia, Benedetto Croce, e con quella che, all'interno della stesso mondo degli scienziati, e dunque per vie interne alia stessa razionalita scientifica, si stava affermando, come vedremo in un apposito capitola, tra la fine del secolo scorso e gli inizi del nostro.
9.3 Blondel: Ia metafisica dell'azione. II superamento del positivismo mediante l'analisi dei dati primi della coscienza si ritrova anche nei propositi di una corrente di pensiero che si e soliti chiamare 'filosofia dell'azione' e che ebbe Ia sua espressione piu clamorosa e piu feconda ne L Azione di Maurice Blonde!*. Formatosi, anche lui, in quella Scti.ola norm ale di Parigi che negli ultimi decenni del secolo era diventata il centro piu vivace del confronto tra le due anime della cultura francese, anche Blondel, alla pari di Boutroux, confuta come dommatica la pretesa della scienziato di applicare le leggi della meccanica a tutti gli ambiti dell'esperienza umana, nella presunzione che il simbolismo quantitativa, di cui queUe leggi fanno uso, riproduca fedelmente la realta. Lo scienziato non e in grado di dare di nessun fatto, per quanta minima, una spiegazione esauriente, perche ogni fatto indagato dalla scienza e gia esso stesso una costruzione mentale, un'azione dello spirito. E' questa il paradosso roesso a fuoco, con grande foga, da Blonde}: la scienza presume di far da fondamenta alla nostra azione, mentre e proprio la nostra azione che la rende possibile e di continuo la supera. Nel linguaggio di Blondel, il termine 'azione' ha un significato pregnante, che implica, in una sintesi che e il sensa stesso del dinamismo umano, la spontaneita e la riflessione, la realta e la conoscenza della realta, la persona morale
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e l'ordine universale, la vita interiore .dello spirito e le sorgenti superiori a cui essa si alimenta. Dato primo della coscienza, l'azione resta impenetrabile all'intelletto, nel senso che non puo essere espressa per mezzo di concetti chiari e distinti, dato che, lungi dal sovrastarla, i concetti sono funzioni della sua dinamica, la cui scaturigine prima e il cui ultimo approdo stanno al di fuori del perimetro della coscienza. Nella seconda edizione (193 7) del suo capolavoro, Blondel paragona I'azione «al propagarsi del moto in un mezzo elastica, in seguito ad una scossa iniziale che suscita una serie di onde propagantisi indefinitivamente in cerchi concentrici». Ogni onda, grazie a una spinta iniziale che resta misteriosa, sgorga dalla precedente e rinvia alia successiva, in ragione delle sue intime 'deficienze'. Di onda in onda, di rinvio in rinvio, si giunge all'ultima onda, l'«onda esotica e suprema» che e la realta soprannaturale. Non e possibile render conto del succedersi di questi cerchi concentrici partendo dall' idea dell'azione. Que] che conta nella dottrina di Blondel e che per cogliere la molla che provoca l'inesauribile movimento dell'azione, bisogna calarsi al suo interno. La molla e la contraddizione tra la 'volonta volente' e la 'volonta voluta'. La volonta volente (anche la tradizione antica e medioevale parla di una voluntas ut natura) e una inclinazione fondamentale, che determina necessariamente l'inquietudine, l'aspirazione, lo slancio verso il suo fine supremo. Questo movimento congenito alia volonta volente si specifica nella volonta voluta, nei fini particolari e successivi, che sono per noi come i mezzi Maurice Blondel nasce a Digione nel 1861, in un ambiente familiare intensamente religioso. Fin dai suoi primi studi mostra interesse per il pensiero di Maine de Biran. NeZ 1881 entra nella Scuola Normale di Parigi, dove ha tra i maestri Emile Boutroux.. NeZ 1882 da inizio alla preparazione della sua tesi di dottorato, L'Azione. Saggio di una critica della vita e di una scienza della pratica, che discutera nel 1893, suscitando subito vari contrasti, sia nell'ambiente cattolico che in quello laico, a causa· del rapporto di necessita che essa sembra porre tra l'analisi filosofica e la fede reiigiosa. Nel 1896 e nominata professore di Filosofia all'universita di Ai.x en Provence, dove restera fino al192Z Chiamato in causa da piii parti durante il dibattito teologico suscitato dal modernismo, quando questa movimento e condannato dalla chiesa ( 1907), egli si chiude in una vita di rice rca molto appartata che interrompe raramente fino a che, nel 1934, non da inizio alla pubblicazione della sua trilogia -II pensiero (2 volumi); L'Essere; L'Azione (2 volumi, nei quali e rifusa la prima Azione, del 1893) - coronata da tre volumi su La filosofia e lo spirito cristiano, !'ultimo dei quali esce postumo, nel 1951. Era morto ne/1949. La 'trilogia' ha ambizioni sistematiche, rna non fa che riproporre in tre distinte prospettive il metoda e le conclusioni de L'Azione del 1893, che resta in ogni caso !'opera blondeliana penetrata efficacemente nello svolgimento del pensiero contemporaneo. Ecco perche e a quest'opera che si limita Ia nostra esposizione.
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o le occasioni per compiere il nostro destino, il cui senso pieno e di giungere a mettere in equazione queste due volonta, l'iniziale e Ia finale. L'errore della psicologia positiva e di analizzare, guardando indietro, le condizioni dell'atto (la volonta voluta) dopo che esso si e compiuto, per dedurne Ia connessione necessaria tra le 'cause e l'effetto. Ma il senso pieno dell'atto e al di la della sua determinazione concreta, e nell'infinito che Ia volonta volente ha di mira, anche quando, nel fine particolare che ha realizzato, essa ci si presenta come volonta voluta. L'atto volontario va dunque dall'infinito all'infinito, perche vi ~ . causa efficente e causa finale. La liberta, lungi dall'escludere il determinismo, ne esce e se ne serve; il determinismo, lungi dall'escludere la liberta, la prepara e la produce.
Inutile chiedere alla ragione di rendere conto, con i suoi strumenti, dell'intera serie delle realizzazioni della volonta; il primo e !'ultimo anello, come si e detto, sono fuori della sua presa, e dunque e fuori della sua presa la volonta volente, che li percorre tutti e che e come l'a priori in cui trovano sintesi i contenuti via via pili ricchi che le danno concretezza. Essa e, infatti, in ogni suo momenta, volonta dell'infinito; l'infinito agisce in lei come esigenza fin dal centro oscuro e misterioso dal quale essa emerge, integrando in se tutte le tendenze del mondo organico, ivi compreso quel pensiero ignaro di se che c immanente alla stessa organicita del corpo e, attraverso il corpo, al mondo intero. Ecco perche in ogni nostro atto volontario c'e pili di quanta vi ha deposto l'intenzione: nella zona prerazionale della volonta, c' e molto di pili di quanta c'e neUe zone della pura intenzionalita. Infatti, ogni atto effettivo dice di noi quanta noi ignoravamo di noi stessi, e il testimone palese delle nostre aspirazioni pili segrete, lo specchio che ci da l'immagine visibile di cio che noi siamo e che trova nell'azione l'occasione e il mezzo di attuarsi. Ogni at to che emana dall' organism a umano e anche, fuori di noi, un organismo di segni, un simbolo espressivo della vita soggettiva: proprio per questa esso chiama in causa gli altri. L'azione non si realizza che per gli altri e con gli altri, anche se, nell'intenzione, essa non mira che a un fine egoistico. L'onda sorpassa di necessita l'orizzonte individuale e coinvolge Ia societa. Questa moto espansivo si realizza in tre tappe concentriche: la famiglia, in quanta comunita che funziona come un organismo prolifico la cui fecondita e data dalla stessa unione; la patria, che non e un semplice prolungamento della vita domestica, rna una superiore famiglia delle famiglie, che porta alia luce cio che c'e di metafisico nella volonta profonda; 1' umanitd, che da adem pimento pie no a questa volonta nella sua esigenza di coinvolgere nd proprio dinamismo l'altro, non in quanta amico o nemico, fratello o compatriota, rna semplicemente in quanta uomo. Ma nessun orizzonte empirico puo chiudere il cerchio dell'azione, che tende ad essere cio che veramente e, a includere, cioe, nei propri risultati quell'infinito che e, a tergo, la spinta a priori del suo movimento. Siamo aile soglie tra l'opzione etica e l'opzione religiosa, e cioe alle soglie del trascendente, il cui riflesso l'azione scopre nel suo stesso espandersi. E' qui che Blondel inserisce nella propria fenomenologia i dati di fatto dell' esperienza religiosa, dalle forme pili grezze della superstizione a quelle pili raffinate della religione naturale.
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Nella sua esigenza di captare l'infinito nel finito, per dominarlo ed esserne allo stesso tempo, dominato, l'uomo lo assume nella serie delle cose per collocarlo, 'in una specie di vertigine', fuori della serie, dando cosi il segno di un'indigenza che e, nel contempo, impossibile sopprimere e impossibile soddisfare per via naturale. «Ouanto e artificiale ogni religione naturale, altrettanto naturale e l'attesa di una religione». L'antinomia cui approda l'azione peril semplice svolgersi delle sue implicazioni non si risolve se non passando dal piano fenomenologico a quello ontologico, in virtu di una scelta che non ha niente di soggettivo, fondata com'e sull'oggettivita dei motivi razionali. Io posso, se voglio, adottare interamente la mia finitudine, rifiutando, non senza una segreta disperazione, la grazia che mi chiama. Ma l'insufficienza della mia filosofia puo anche portarmi ad adottare la filosofia dell'insufficienza e ad entrare nella sfera, quella religiosa, in cui l'iniziativa sia rimessa al trascendente. Qui sta l'essenza della fede cristiana; un'onda 'esotica e suprema' irrompe, in senso contrario, nelle ondulazioni concentriche suscitate sul mio specchio d'acqua dall'incalzare della volonta volente: esotica, perche viene appunto dal di fuori dell'ultimo cerchio; suprema, perche viene dall'alto. E tuttavia, quest'onda si inserisce nell'operare umano senza menomarne Ia liberta, anzi adempiendone ii postulato piu profondo. E' soprattutto su questo punto, in cui il metodo dell'immanenza giunge a interferire sia con la trascendenza ontologica, sia con quella teologica, che la filosofia blondeliana dell' azione ha suscitato, fin dal 1893, un dibattito destinato a durare fino a questi ultimi decenni. Sulla prima frontiera, che separa la fenomenologia deU'azione e la trascendenza ontologica dell'essere, Ia problematica, affrontata di nuovo da Blondel nella sua trilogia apparsa tra gli anni '30 e gli anni '40, non e dissimile da quella apertasi in Italia nel dibattito tra Rosmini e Gioberti (6.1 0) circa Ia possibilita di passare dall' ordine logico all' ordine ontologico. Sulla seconda, il dibattito provoco, in seno alia teologia cattolica, un duplice schieramento, raggiungendo toni aspri ed esiti drammatici durante la crisi modernista, di cui dovremo occuparci in seguito (17.9). Blonde} e i teologi favorevoli al metodo dell'immanenza cercarono di dissolvere l'ambiguita del concetto di soprannaturale, che fa da cerniera tra le conclusioni della filosofia dell'azione e la forma di sapere fondata sulla fede che ha per oggetto sia !'ordine della grazia, gratuitamente concessa da Dio alla natura per redimerla ed assumerla nella sua stessa vita, sia l'evento storico in cui l'iniziativa si e manifestata, e cioe l'Incarnazione, la Morte e la Resurrezione di Cristo. Nellinguaggio di Blonde!, il termine soprannaturale ha due significati. Esso designa, innanzitutto, il trascendente, Ia cui esigenza si rivela nella struttura integrale dell'uomo nel momento in cui Ia volonta volente e la volonta voluta postulano una loro compiuta coincidenza. Per indicare questo 'soprannaturale' in senso ampio, Blondel usa anche il termine 'transnaturale'. In secondo luogo, il termine designa proprio quell'ordine della grazia che eccede di per se le possibilita della natura. La tesi specifica di Blonde} e che questa eccedenza non sarebbe assimilabile dall'uomo se essa non fosse anche il principia stesso del suo svihtppo. Quel che ha ragione di fine, deve essere anche, sia pure oscuramente, al principio dell'azione, sua causa prima e sua prima norma. «Se la nostra natura non e in casa sua nel soprannaturale, i1 soprannaturale e in casa sua nella nostra natura». II punto delicato e inevitabilmente problematico del metodo del-
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l'immanenza blondeliano e proprio in questa saldatura, in questa s~ecie di sintesi a priori tra la partecipazione primordiale all'infinito, che e Dio, e il dono ulteriore, di sua natura gratuito, divenuto disponibile all'uomo con l'evento cristiano.
Bergson 9.4 Tempo e durata. Anche l'itinerario filosofico di Henri Bergson* prende avvio da una convinta condivisione del metoda positivistico, in particolare di quello di Hebert Spencer (7.14), rna subito ne yarca i limiti, e non per deviazione, rna per una pili radicale applicazione del principia stesso che sta alla base di quel metodo: l'analisi immediata dei fatti dell'esperienza. La sua tesi di laurea, discussa alia Sorbona nel 1889, e appunto un Saggio sui dati immediati della coscienza, che ha come tema di fondo Ia distinzione tra la vera immediatezza e quella inautentica, di cui fanno uso gli 'scolastici del positivismo'. Lo spazio dell'analisi e quello ormai fissato dalla tradizione degli ideologi: la sfera della percezione. Ma proprio nelle brevi parole introduttive del Saggio, Bergson, da positivista, si apre un varco per superare il proprio positivismo: «Noi ci esprimiamo necessariamente per mezzo di parole e pensiamo, il pili spesso, nello spazio)), ponendo tra le nostre idee «le stesse. distinzioni, nette e precise, la stessa di-
Henri Bergson nasce a Parigi nel 1859, da madre inglese e padre polacca. Per quanta, nei suoi primi studi, siano stati straordinari i suoi successi nelle discipline matematiche e scientifiche, quando entra, nel 1878, alia Scuola Normale egli sceglie i corsi letterari e filosofici, in cui ha per maestro Emile Boutroux e come autore preferito Herbert Spencer. Dopa un periodo di insegnamento nei licei, sostiene Ia laurea di dottorato alia Sorbona, nel 1889, discutendo una tesi in francese, Essai sur les donnees immediates de la coscience, e una tesi in Iatino sulla concezione aristotelica della spazio: Quid Aristoteles de loco senserit. Dopa un periodo di insegnamento nella Scuola Normale, diviene, nel 1900, Professore di filosofia al College de France e vi resta, con crescente successo, fino al 1921. La sua fama era diventata europea da quando aveva pubblicato, nel 1907, ZEvoluzione creatrice. In questa periodo e forse il piu nato dei filosofi del suo tempo e viene insignito di riconoscimenti d'ogni genere, fino al Nobel nel 1928. Negli ultimi anni, crescono i suoi interessi per Ia questione religiosa (nel 1932 pubblica Le due sorgenti della morale e della religione) ed egli si avvicina al cattolicesimo, fino a una aperta professione di fede, che pen) non si trasforma in una richiesta di battesimo perche, ebreo di nascita, non vuole rompere la solidarieta col suo popolo perseguitato. Muore nei giorni della disfatta francese, il3 gennaio 1941.
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scontinuita che v~ e tra gli oggetti materiali». Ecco la falsa immediatezza. Non potrebbe darsi, si: domanda Bergson, che la controversia tra i deterministi e i loro avversari nasca proprio da questa abitudine di esprimere l'inesteso con i termini dell'estensione, la qualita con i termini della quantita? L"imbroglio' si fa chiaro appena si riflette sulla differenza tra il tempo, cosi com~ lo viviamo noi, e il tempo cosi come ce lo rappresentiamo. Si tratta di due tempi, irriducibili l'uno all'altro e che tuttavia, nel nostro linguaggio, vengono tranquillamente omologati, per la semplice ragione che questo procedimento e molto utile alia nostra vita pratica ed e addirittura necessario nella maggior parte delle scienze. Noi concepiamo il tempo riferendoci simbolicamente al movimento di un mobile nella sua traiettoria e cioe secondo una misura spaziale, che ci consente di scomporlo in unita omogenee, come i secondi, i minuti e le ore. Ma questo tempo matematico e altra cosa che il tempo interiore, detto da Bergson 'durata reale'. Solo se riusciamo a isolarla dall'elemento estraneo che la modifica, e cioe dallo spazio, la durata ci appare per quello che e: un ritmo interiore, i cui momenti si compenetrano l'un l'altro, si prolungano gli uni negli altri, in una corrente fluida e indivisibile, che e, a un tempo, varieta di qualita, continuita di progresso, unita di direzione. n vero dato immediato della percezione e la durata, e non quella sua mescolanza con le rappresentazioni spaziali che e invece il normale contenuto della nostra attenzione a noi stessi. La dove c'e «una zona semovente che abbraccia tutto cio che sentiamo e vogliamo: in breve tutto cio che siamo in un dat.o momento», la nostra attenzione ritaglia stati d'animo tra loro distinti, che sfilano su di un substrato rigido e immobile, l'io, come attori sulla scena. Questo equivalente statico della vita interiore e ordinato a soddisfare le esigenze della logica e del linguaggio e, in ultima istanza, le esigenze dell'azione. Ma la vita interiore e la durata stessa, che non si adatta a essere mediata dai concetti matematici di molteplicita e di unita. Il concetto di molteplicita dissolve la durata in un pulviscolo di attimi, l'uno esterno all'altro, l'uno separato dall'altro da quell'abisso dell'infinito matematico di cui si serviva Zenone, nelle sue aporie, per equiparare, con sgomento dei suoi uditori, il movimento e l'immobilita. 11 concetto di unita dissolve anch'esso la durata, perche sostituisce alia compresenza di elementi molteplici un substrato unico e inimobile. La scienza e, certo, padrona di misurare anche la durata secondo il modello spaziale, purche sia cosciente del carattere pratico del suo espediente e riconosca che il mondo che essa costruisce e il mondo deli'artificio, da non confonciere col mondo reale, quello, appunto, della durata. Che si tratti di due mondi diversi si capisce intuitivamente, appena si riflette che, dentro un medesimo giro delle lancette d'orologio, possono svolgersi due durate tra loro incommesurabili, come una siesta sonnolenta e un incontro sconvolgente che cambia il corso della nostra vita. . L'idea di durata e, nel pensiero di Bergson, un'idea chiave, che apre, per tappe successive, l'accesso - ed e di questo che ora dovremo distintamente occuparci - alia comprensione dell' atto libero dell'io, della memoria pura, dello slancio vi tale e finalmente del cammino dell'umanita verso 1' orizzonte add ita to dai mistici.
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9.5 L'Io: determinismo e liberta. La distinzione fra tempo e durata equivale alia distinzione tra un io di superficie, che e una individuazione del sociale e del razionale, un luogo degli automatismi soggetti aile leggi dell'universo, che possono essere espressi mediante il simbolismo spaziale, e un io profondo, che e una stessa cosa con Ia durata, cosi come viene percepita, con immediatezza, dalla coscienza, e che pertanto non puo essere comunicato, dato che ogni comunicazione comporta l'uso di segni comuni, anonimi, e dunque non idonei a esprimere cio che e assolutamente personale, rassomigliabile solo a se stesso. I termini con cui tradizionalmente si definisce questa profondita dell'io, come 'anima' o 'spirito', sono equivoci, perche rischiano di solidificare quel che invece e un flusso costante, vissuto in opposizione allo spazio e al tempo percepito mediante lo spazio. E' questo il modo con cui Bergson riprende e ripropone Ia questione metafisica. II versante metafisico dell'uomo e, appunto, l'io profondo, opposto alia sua cristallizzazione di superficie, e proprio per questo ineffabile, senza 'ragione', dato che, di sua natura, Ia ragione ha presa soltanto la dove e possibile l'uso dei concetti chiari e distinti. I limiti della ragione sono evidenti quando si tratta di render conto dell'atto libero. E' nell'atto libero che l'io profondo ha la meglio sull'io superficiale, sia pure per un istante, risolvendo in se stesso la dualita soggettiva. L'errore del determinismo sta nello spiegare l'atto libero distendendolo nella molteplicita degli stati che lo precedono e facendone come lo sbocco necessaria di una serie causale. E certo, quando, compiuto l'atto, se ne analizza il processo genetico, esso non puo non apparire necessaria. Ma il vizio e in questo tipo di analisi, che fa uso di rapporti quantitativi la dove invece si da la compenetrazione reciproca tra l'atto di liberta e i suoi antecedenti, una compenetrazione che unifica un'infinita congerie di moventi, anche quelli che risalgono all'infanzia o addirittura alia condizione prenatale. Nell'atto libero e presente la totalita degli antecedenti, che pero non lo determinano, anche se gli sono intimamente solidali. In esso, Ia durata si rivela per quel che e: una continua creazione. Solo quando esso viene rappresentato estrinsecamente, secondo gli schemi del tempo spaziale - dei quali fa uso, ad esempio, la psicologia associazionistica di uno Stuart Mill (7.6) -,solo allora esso appare necessitato. Non diversamente che nella dottrina positivistica, anche in quella tradizionale del libero arbitrio si introduce surrettiziamente la logica quantitativa, in quanto la liberta vi viene rappresentata come una scelta tra possibilita numericamente diverse. In sintesi: ogni definizione della liberta e gia una concessione al determinismo, perche «si analizza una cosa, non Ia durata». Definire un atto libero vuol dire, infatti, metterlo in rapporto ad altro, e percio violare la sua indivisibilita, la sua natura di atto creativo. 9.6 Materia e memoria. Le conclusioni del Saggio riproponevano, sia pure in forma non piu sostanzialistica, i problemi tradizionali della dualita tra anima e corpo. Dopo aver isolato la durata dal tempo spazializzato, dopo aver determinato, separandola dai determinismi che vi si innestano, l'azione Iibera in cio che essa ha di proprio, restava a Bergson di rendere ragione dell'altra faccia della realta, del regno della quantita, e cioe della materia, a cominciare dalla materia che e a diretto contatto con Ia durata, e cioe del corpo u'rnano, e piu
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precisamente di quel suo organo che sembra far tutt'uno con i processi psichici, il cervello. Proprio in quegli anni, la psicofisiologia, con la sua teoria delle localizzazioni cerebrali, accreditava la tesi che le circonvoluzioni fossero la sede delle funzioni psichiche. II positivismo si faceva forte di queste conquiste della scienza, fino a ridurre gli stati di coscienza a epifenomeni degli stati cerebrali, mentre lo spiritualismo difendeva con intransigenza Ia tesi della irriducibilita del fisico allo spirituale e viceversa. Bergson si introduce nel dibattito, sviluppando le premesse gia poste nel Saggio, ed espone le sue conclusioni in un'opera complessa e difficile, Materia e memoria (1896). 1. Egli comincia col definire il concetto chiave di tutta Ia sua argomentazione, quello di immagine. Proprio come l'intende il senso comune, l'immagine e <mn'esistenza situata a mezza strada tra la cosa e la rappresentazione», non dunque una cosa indipendente dalla coscienza, come vorrebbero i positivisti, ne una rappresentazione senza Ia cosa, come vorrebbero gli idealisti. 2. L'insieme delle immagini e Ia materia. In questo insieme c'e un'immagine plivilegiata, quella del mio corpo, che, oltre ad essere immagine, ha anche la capacita di agire sulle immagini, come dire sul mondo materiale, ed e pertanto un centro di indeterminazione nel dinamismo universale. E' qui che si precisa una secunda nozione fondamentale, quella di percezione. Essa e, appunto, l'atto con cui il nostro corpo, mediante i\ cervello, si inserisce attivamente nel contesto delle altre immagini. Mentre nella scienza ogni immagine ha un valore stabile in rapporto alle altre, per Ia mla coscienza le immagini hanna valore in base al rapporto che hanno con una certa immagine determinata, il mio corpo in quanto centro di azioni-reazioni. Negli organismi elementari, la reazione segue immediatamente l'azione (e dunque non si danno percezioni); piu ci si avvicina all'uomo e piu Ia reazione 'prende tempo' sullo stimolo, e cioe piu largo si fa il ventaglio delle immagini in rapporto alle quali dovra determinarsi Ia mia azione. E siccome l'ampiezza della percezione misura esattamente l'indeterminazione dell'azione consecutiva, si puo enunciare questa Iegge: «Ia percezione dispone della spazio nell'esatta proporzione in cui l'azione dispone del tempo». Come dire che la percezione e funzionale ai bisogni del corpo. Essa ci da non tanto il disegno oggettivo delle cose, quanto il tracciato della nostra azione possibile sulle cose stesse. Come si vede, le operazioni elementari dello spirito sono, per Bergson, non cognitive, rna utilitarie. 3. La percezione elimina le immagini inutili e le conserva nella memoria. Ed eccoci alia terza nozione fondamentale. La memoria, come sopravvivenza di immagini passate, e, si, il prodotto della percezione selettiva, rna a sua volta guida e ispira la percezione. Bergson chiama questo scambio tra percezione e memoria endosmosi. L'analisi di questo raccordo vitale tra memoria e percezione conduce Bergson a una distinzione divenuta classica, quella tra memoria -abitudine e memoria-ricordo. La memoria-abitudine e l' organizzazione degli atti che nascono dalla ripetizione di un medesimo sforzo o di un medesimo gesto, dalla scomposizione e ricomposizione' di un'azione totale, tanto sul piano motorio che su quello mentale. Si pensi all'automatismo con cui un pianista provetto muove le dita sulla tastiera, senza, nemmeno rendersene con to, o al modo con cui si impara a memona un testa. 0
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La memoria-ricordo e invece quella in cui i fatti del passato restano bene individualizzati e le loro circostanze restano non piu ripetibili nel fluire del tempo: saranno per sempre quello che sono fin dalla loro nasdta. Essi vivono nella penombra della psiche, in attesa di essere evocati, e ad evocarli non e il corpo, con i suoi automatismi (le dita sulla tastiera), rna la mia coscienza, a cui in realta appartengono. Ed anche quando essi, in un momenta di sogno o di rilassamento della riflessione, emergono come di sorpresa, hanno una vivacita che ne rivela l'origine non meccanica. Dunque non c'e e non puo esserci nel cervello una regione in cui i ricordi si fissino o si accumulino. La pretesa distruzione dei ricordi ad opera delle lesioni cerebrali e solo l'interruzione del processo continuo per il quale il ricordo si attualizza.
Per quanto 'teoricamente indipendenti' l'una dall'altra, le due ·memorie sono, nel concreto della vita psichica, tra loro strettamente connesse, cosi come ambedue acquistano senso nell'atto della percezione, che senza la memoria si risolverebbe in un atto puntiforme e non in una conoscenza vera e propria. E' Ia percezione che evoca e raccoglie i ricordi, e li inserisce nello spessore della durata. Come sopra si e detto, la percezione e un rapporto tra i bisogni del corpo vivente e il contesto delle immagini di cui consiste Ia materia. Il corpo fa dunque da intermediario tra la vita della memoria e le necessita dell'azione. E siccome la vita della memoria non e che la durata, e il corpo ne e soltanto lo strumento, ne deriva che, senza lo strumento, Ia durata, e doe lo spirito, non potrebbe agire, rna non e detto che non possa continuare ad esistere. Esaminata come memoria, la durata assume, dunque, una dimensione metafisica: e l'equivalente dell'anima immortale, che viene cosi reintegrata, nel 'positivismo spiritualista' di Bergson, non alia maniera dommatica, rna come una positiva probabilita. 9.7 L'evoluzione creatrice. Fin qui, Bergson ha usato il concetto di durata per definire il flusso indivisibile e ininterrotto dell'io profondo e Iibero, e successivamente per identificare questa flusso con la memoria, intesa come la vita stessa della spirito. E' possibile compiere una terza tappa per applicare i risultati di questa prima indagine all'intero fenomeno della vita cosi come si manifesta nell'universo. In died anni di ricerche in ogni campo e di diretto confronto con l'ipotesi trasformista nelle forme metafisiche che aveva raggiunto in Spencer, Bergson elaboro una sua originale concezione, che espose in un'opera divenuta immediatamente celebre, anche per 11 suo valore letterario, L 'evoluzione creatrice (1907). In sintesi, l'evoluzionismo bergsoniano non e che l'applicazione del concetto di durata all'universo intero, con esiti che dovevano mettere a soqquadro le opposte schiere dell'evoluzionismo positivistico e della spiritualismo metafisico. Dell'evoluzionismo darwiniano (7.11) Bergson accetta l'ipotesi di fonda, divenuta ormai pressoche evidente, che consiste «nel constatare la relazione di parentela ideale tra le forme viventi e nell'affermare che, dove si ha ta_\e rapporto di filiazione logica tra delle forme, c' e altresi un rapporto di successlone cronologica tra le specie in cui tali forme si materializzano>>. Ma le ramificazioni dell'albero della vita non si spiegano, per Bergson, se non si pone, alia sua radice,
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uno 'slancio vi tale' (elan vital), che ha preso, nel tempo, tre direzioni divergenti; quella della materia, quella della vita vegetale, quella degli animali, scissa a sua volta in due direzioni, quella degli artropodi e quella dei vertebrati. Si tratta di uno slancio finito, che come tale puo tornare su se stesso, in una specie di circolarita neoplatonica. Esso suscita delle resistenze a se stesso, rna fa di queste resistenze, e cioe della materia, lo strumento per la sua espansione ulteriore. Mentre nei corpi inorganici il presente non contiene nulla di piu del passato, anzi e il passato, e cio che si trova nell'effetto c'era gia nella causa, l'essere vivente, si tratti pure di un embrione, «implica una sopravvivenza del passato nel presente e quindi un'apparenza almeno di memoria organica». Lo stato del corpo vivente non puo mai venire spiegato compiutamente con lo stato immediatamente antecedente, appunto perche l'impulso che lo sospinge e della stessa natura della durata in cui e imrnerso J'individuo urnano, e lo slancio vitale, che potrebbe anche essere definito come la durata dell'universo. La curva che descrive le successive e irreversibili creazioni, tanto nell'individuo vivente quanto nell'universo, e l'evoluzione, che si dira creatrice per differenziarla da quella dei meccanicisti e dei finalisti, che e invece una evoluzione deterministica, perche totalmente riconducibile alia causa efficiente, per i primi, o alla causa finale, peri secondi. Nell' ipotesi meccanicistica, con la quale il confronto di Bergson e piu diffuso e piu serrato, il passato e l'avvenire sono calcolabili in funzione del presen, te. Un'intelligenza sovrumana, capace di effettuare il calcolo, abbraccerebbe d'un solo sguardo, passato, presente e avvenire. Osservando la nebulosa originaria, una tale intelligenza avrebbe potuto - secondo l'ipotesi di Laplace (9.2) aggiornata dal darwinista Thomas Huxley, nel 1864 - tenendo conto della proprieta delle singole molecole, prevedere le condizioni della fauna della Gran Bretagna nel 1868, con la stessa sicurezza con cui sappiamo che cosa accadra del vapore della respirazione in una giornata fredda. II meccanicismo radicale - obietta Bergson - implica una metafisica, per cui Ia totalita del reale e gia data, in blocco, nell'eternita e per cui Ia durata apparente delle cose esprime ·soltanto l'infermita di un pensiero che non puo conoscere tutte le cose simultaneamente.
Ma anche nell' ipotesi del finalismo radicale il tempo corre inutile, perche ogni passo dell'evoluzione e gia dato nel fine che essa raggiungera nel futuro. Se nella critica al meccanicismo Bergson non si discosta molto da quanto aveva gia detto Boutroux, nella critica al finalismo egli e piu perplesso e piu contenuto, dato che, a suo giudizio, «la dottrina delle cause finali non potra essere mai confutata in modo definitivo». Essa vale, infatti, da un punto di vista retrospettivo, e cioe quando si intende spiegare un avvenirnento presente in base ai suoi antecedenti, rna purche si tenga conto che, in questo giudizio retroattivo, noi proiettiamo surrettiziarnente il presente nel passato, senza tener conto che un avvenimento presente del-tutto diverso da quello che di fatto si e verificato potrebbe benissirno venir spiegato allo stesso modo, rintracciando, cioe, nel passato gli antecedenti adatti a renderne ragione. L'errore di questo procedirnento sta nell'estendere troppo lontano l'applicazione di certi concetti connaturati alia nostra intelligenza, che pensa sernpre in vista dell'azione, rnodellando
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Ia realta secondo un piano da realizzare. Insomma, l'ipotesi finalistica ha il difetto dell'antropomorfismo, pensa al divenire del cosmo come se esso altro non fosse che l'esecuzione di un disegno stabilito da un'intelligenza. Se cosi fosse, ancora una volta tutto sarebbe gia dato, in que! divenire, e il tempo sarebbe solo un segno dei limiti della nostra intelligenza umana, incapace di vedere l'intero dispiegamento in un sol colpo. L'inadeguatezza dei due punti di vista antagonistici e stata espressa, da Bergson, in una pagina di grande chiarezza intuitiva, che merita riportare, anche perche da un segno della eccezionale abilita letteraria del filosofo: Supponiamo che invece di muoversi nell'aria, Ia mia mana debba attraversare della limatura di ferro, che si comprima e resista quanta pili essa procede oltre. A un certo momenta, Ia mia mana avn1 esaurito il suo sforzo; nella stesso niomento, le particclle di limatura si saranno giustapposte e ordinate secondo una forma determinata: Ia forma stessa della mana e di parte del braccio. Supponiamo ora che Ia mana e il braccio siano rimasti invisibili: gli spettatori cercheranno Ia ragione della !oro disposizione nelle particelle di limatura e in forze intrinscche all'ammasso. Alcuni, i meccanicisti, attribuiranno Ia posizione di ogni particella all'azione esercitata su di essa da quelle vicinc; altri, i finalisti, affermeranno che un piano d'insieme ha presieduto aile particolarita di tali azioni elementari. Ma, in realta, c'e stato solo un atto indivisibile, quello della mano attraversante Ia limatura; e gli infiniti moti particolari delle particelle come Ia !oro sistemazione finale esprimono negativamente, in certo modo, tale movimento indiviso, giacche sono Ia forma globale di una resistenza e non una sintesi di azioni positive elementari. E pen), se chiameremo effetto Ia disposizione delle particelle, causa il movimento della mano, potremo, si, affermare che Ia totalita dell'effetto si spiega con Ia totalita della causa; rna a determinate parti della causa non corrisponderanno determinate parti dell'effetto. E cioe, sia il rneccanicismo che il finalismo risulteranno, in questa caso, inadeguati; e si dovra ricorrere ad un tipo di spiegazione sui generis. '
La 'spiegazione sui generis' e, appunto, quella dell'evoluzione creatrice: il movimento indivisibile della mano nella limatura e lo slancio vitalei Ia limatura di ferro e Ia materia che, resistendo alia pressione della slancio vitale, lo suddivide in diverse specie viventi, nella molteplicita degli individui e negli organi di cui ogni individuo e dotato. L'evoluzione della vita non si e svolta, dunque, con un processo uniforme come quello di una palla di cannone, rna si e frantumata come una granata che, per la forza esplosiva della polvere e Ia. resistenza del metallo che le si oppone, si scinde in frammenti, ciascuno dei q uali, a sua volta, si frantuma. Noi siamo nella condizione di dover risalire dai · frammenti al movimento originario, ripercorrendo, una dopa J'altra, le biforcazioni lungo le quali lo slancio originario ha perduto Ia sua unita. La prima biforcazione e quella che ha data origine alia divisione tra le piante e gli animali, i quali a lora volta, si sono suddivisi in artropodi e in vertebrati: lungo Ia linea degli artropodi, lo slancio vitale si e mosso nella direzione dell'istinto, lungo Ia linea dei vertebrati, verso la direzione dell'intelligenza. II flusso che corre lungo le ramificazioni dell'albero della vita rimane uno e indivisibile, rna esso procede in una continuita discontinua, che, senza lacerare il tessuto vivente che unisce tutti gli esseri, lo punteggia di novita creative, in una specie di primavera continuata, lasciandosi
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ai margini, come proprie ricadute, come morti temporanee, la materia che serve allo slancio creativo come suo punto d'appoggio, fino a che non giunge, nell' homo sapiens, a ripiegarsi su di se come pura coscienza. 9.8 lstinto, intelligenza, intuizlone. Se tale e l'origine dell'uomo, allora trova fondamento scientifico quanto Bergson aveva detto sul carattere pratico della conoscenza concettuale, e sul carattere immediato, cioe intuitivo, della percezione della durata, come dire della conoscenza rnetafisica. E' questa diversita tra le due forme di conoscenza che ora va chiarita Alla base della gnoseologia bergsoniana c'e il rapporto tra istinto e intelligenza, che, come si e appena detto, sono i due diversi punti d'approdo delle due vie divergenti dell'evoluzione. L'intelligenza e l'istinto, che in origine si compenetravano, conservano alcunche della loro origine comune: tanto che ne l'una ne l'altro si incontrano mai allo stato puro. Non v'e intelligenza nella quale non vi siano tracce di istinto, ne istinto che non sia circondato da un alone di intelligenza. Questo alone di intelligenza e stato Ia causa di tanti equivoci. Siccome l'istinto e piu o meno intelligente, si e creduto che istinto e intelligenza siano attivita dello stesso ordine; che tra di esse non ci ·sia altra differenza che di complessita e di perfezione, e, soprattutto, che si possa esprimere l'uno nei termini dell'altra. In realta, esse si trovano congiunte solo perche si completano e si completano solo perche son differenti, perche quel che c'e di istintivo nell'istinto e l'opposto di que! che c'e di intellettivo nell'intelligenza.
L'istinto e I'intelligenza sono due soluzioni di adattarnento dello slancio vitale, nate da una medesima tendenza, e non due :tappe su di una medesima linea di evoluzione. Come l'istinto, l'intelligenza e orientata a risolvere i problemi della vita, costituendo, a tale scopo, strumenti non organici, rneccan1ci: ecco perche si trova a suo agio quando si presta a valutazioni quantitative, al selezionamento della parte dalla parte, in una successione nella quale ogni stato resta omogeneo a se stesso. Se in uno· di quegli stati si da un mutamento, l'intelligenza lo scompone ulteriormente in parti, fino ad adattarlo alla propria presa, con un funzionamento che Bergson paragona al meccanismo cinematografico, che difatti rappresenta il movimento mediante una serie di istantanee. Ma in ogni caso, quel .che resta precluso e proprio il movimento vitale, la durata. Niente di male, se l'intelligenza accettasse di restare nei suoi limiti, dentro i quali, come la scienza dimostra, essa e capace di straordinari successi. I guai nascono quando, invece che attenersi al dominio suo proprio, che e quello non delle cose ma d~i rapporti tra le cose, essa pretende di introdurci nel dominio della vita, di passare cioe, con le sue categorie del tempo-spazio che e quantita, alia durata che e qualita. Questo passaggio e possibile alia coscienza umana, rna purche si passi, nell'approccio con la realta, dall'intelligenza all'intuizione. Si e gia visto come l'intelligenza non si distacca mai del tutto dall'istinto. Essa e, dunque, in grado di tornare, non per regressione, rna in modo consapevole, all'istinto. L'intuizione e infatti «l'istinto divenuto disinteressato, cosciente di se, capace di riflettere sul proprio oggetto e di ampliarlo indefinitarnente». La coscienza intuitiva non procede ab extra ma ab intra, in quanto essa e, come l'istinto, 'simpatia', coincidenza piena del soggetto con l'oggetto nella sua individualita, spezzando il ve-
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Io che Ie esigenze pratiche frappongono fra noi e le cose. Come avviene, appunto, nell'arte; Proprio per questa sua capacita di penetrare nell'intimo delle cose, I'intuizione e i1 vero organa della metafisica, cosi come l'intelligenza e I'organo della scienza. Scienza e metafisica si distinguono, dunque, in ragione sia dell'oggetto che del metoda: dell'oggetto, che per la scienza e la materia, per la metafisica e la durata 0, per usare {In termine che per Bergson e equivalente, lo Spirito; del metoda, che per la scienza e l'analisi quantitativa, per la metafisica e la percezione immediata, cioe l'intuizione. E siccome intelligenza e intuizione rappresentano uno sdoppiamento della coscienza, dovuto alia duplice forma assunta dalla realta, l'una conduce all'altra, esse formano un circolo. Ma va da se che, in ragione del diverso valore delle due forme di realta, la. materia e lo spirito, la conoscenza in cui lo slancio vitale tocca il proprio culmine, nel senso che vi giunge a cogliere coscientemente se stesso, e l'intuizione, la cui dilatazione potenziale e senza confini: Essa - dice Bergson - giunge in possesso di un filo: dovra essere essa stessa a vedere se questo fifo sale fino al cielo o se si ferma a qualche distanza dalla terra. Nel primo caso,. l'esperienia metafisica si colleghera a quella dei grandi mistici: ed io posso constatare, per mio conto, che questa e la verita. Nel secondo caso, le esperienze metafisiche resteranno isolate le une dalle altre, senza tuttavia contrastare tra di loro. In ogni caso la filosofia d avra sollevati al di sopra della condizione umana.
9.9 Morale e religione. Come il fuoco, che e al centro della terra, non appare che alla sommita dei vulcani, cosi lo slancio vitale, che di continuo decade nella materia e di continuo l'attraversa, appare, nella sua propria forma, soltanto nell'uomo, e piu precisamente soltanto nell'uomo in quanta e nell'uomo che esso continua, nelle manifestazioni che gli sono proprie, lo sforzo d'invenzione che abbiamo visto agire neU'intero albero della vita. Anche l'uomo e, come tutto l'universo, sottoposto alia dualita, e lo e a tutti i livelli della sua esperienza, anche a quei livelli in cui piu pienamente si esprime la sua coscienza come formazione terminale dell'evoluzione: la morale e la religione. E' questa il tema che Bergson affronto in lunghi anni di ricerca ed espose nel suo ultimo grande lavoro: Le due sorgenti della morale e della religione (1932). Il mondo proprio dell'uomo e la societa, e anche nella societa si da il contrasto tra due 'pressioni', che riproducono il contrasto tra la materia e lo slancio vitale. Viste come prodotto storico, le societa ci si presentano come chiuse l'uha in rapporto all'altra e governate, all'interno, dal principio di coesione, che lascia pochi margini alle libere iniziative. E tuttavia, anche attraverso il corpo sociale si fa strada l'aspirazione a forme di vita che riflettano in se i valori dell'umanita come tale, quali fa liberta, la fraternita e la giustizia. Alla societa chiusa fa riscontro, dunque, come possibilita e come aspirazione, la societa aperta. Nella societa chiusa, l'individuo agisce come parte di un tutto. La legge che esprime questa sottomissione dell'individuo alla societa chiusa e l'obbligazione, che ha la stessa funzione che ha l'istinto nel formicaio o nell'alveare, nei quali l'individuo e indiscernibile dal gruppo a cui appartiene. Diversamente che per Kant, secondo il quale le leggi della societa traducono nel contingente l'assolutezza dell'imperativo categorico, per Bergson le leggi mirano a far interiorizzare dall'individuo gli impulsi biologici della conservazione della vita. La ragione non sta, dunque, alle origini delle leggi, si limita a stabilirne le modalita e
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il coordinamento. La morale dell'obbligazione e, dunque, 'chiusa' in tre sensi: mira a conservare le abitudini sociali, fa coincidere l'individuale e il sociale, e in funzione di un gruppo limitato, e dunque non puo valere per l'umanita nel suo insieme. Ma contra gli automatismi dell'obbligazione preme incessantemente l'aspirazione a una societa aperta, che coincida con l'umanita intera. L'aspirazione non e la risposta a una pressione del gruppo, rna a un appello che sveglia, nel profondo, un'emozione senza oggetto, come il sentimento svegliato in noi dalla musica. Infatti, essa coincide con lo stesso principio della vita e si esprime nell'amore senza confine, che abbraccia l'umanita prefigurando quella societa aperta i cui 'cittadini' sono gia apparsi, di tanto in tanto, nella storia: sono i sapienti della Grecia,,i profeti di lsraele, i santi del cristianesimo. Sono loro i rivelatori della vita, capaci di svegliare in noi lo slancio che nel nostro intima si oppone alia prigionia della morale chiusa. La fecondita della slancio vitale non si rivela, nell'uomo, soltanto con la morale aperta. L'intelligenza, a cui lo slancio vitale ha delegato la facolta di Iibera iniziativa, data la sua intima struttura strumentale, diventa tramite degli egoismi individuali e minaccia di spezzare la coesione sociale. La societa ha bisogno di un contrappeso a questa minaccia, e siccome esso non puo essere fomito dall'istinto, ormai sostituito, e giustamente, dall'intelligenza, a fomirlo sara l'intelligenza stessa con quel residua d'istinto che conserva in se. Di qui la sua 'funzione fabulatrice', mediante la quale provvede a controbilanciare il proprio potere dissolvente. E questo in piu modi. lnnanzitutto, all'idea, imposta dall'intelligenza critica, che Ia morte e inevitabile, l'intelligenza fabulatrice oppone l'immagine di una continuazione della vita dopo Ia morte. In secondo luogo, al carattere imprevedibile del futuro, che potrebbe scoraggiare lo spirito di iniziativa, l'intelligenza fabulatrice oppone Ia sicurezza di una protezione soprannaturale. Finalmente, all'istintivo timore dell'uomo nei confronti della natura, la fabulazione religiosa offre come rimedio la sicurezza che, mediante opportune pratiche magiche, l'uomo puo influire sulla natura molto piu che non con i mezzi della tecnica. Che queste siano le funzioni della religione appare chiaro dall'esame delle societa primitive. Difatti, essa, di sua natura, si afferma a un livello infra-intellettuale, segna cioe una linea di arretramento dello slancio vitale, allo scopo di sottrarre alia disgregazione le acquisizioni raggiunte nel superamento della pura animalita. In questo senso, essa puo giustamente dirsi religione naturale. E puo essere detta anche religione statica, perche la sua risultante e appunto Ia conservazione del gruppo come tale. Ma alia religione statica si oppone, a un livello sovraintellettuale, la religione dinamica, che p~r Bergson e una sola cosa col misticismo. La religione dinamica non e una semplice dilatazione della religione statica, cusi come la morale aperta non e la dilatazione della morale chiusa, quella dell'obbligazione. Il luogo di origine della religione dinamica e lo stesso slancio vitalc, la dove esso varca la soglia dell'inaccessibile, al quale aspira fin dal suo primo momenta. Anche se fa appello a qualcosa che e dentro ciascuno di noi, l'evento mistico accade solo in individui fuori serie, ciascuno dei quali e come una specie a se. Uomini del genere sono apparsi nell'antica Grecia e nell'India, ma soprattutto nell'area della santita cristiana. Fuori del cristianesimo, il misti-
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cismo e rimasto dentro il limite - che appare particolarmente chiaro, secondo Bergson, nel buddismo - della pura contemplazione, senza traboccare nell'azione. Solo per i mistici cristiani, come san Paolo, santa Teresa d'Avila, santa Caterina e san Francesco, l'estasi non e il punta di arrivo, rna il punto di partenza di un'azione volta a trasformare il mondo. Essi sono tutti imitatori, anche se imperfetti, di Colui che ci ha data il Discorso della Montagna, la vera magna charta della religione dinamica. L'esperienza dei mistici ci fornisce l'unico argomento (essendo privi di valore quelli logici) per affermare l'esistenza di Dio. Quale che sia la lora appartenenza alle religioni tradizionali (niente di strano che il mistico si serva dei simboli approntati dalla religione statica) e quale che sia il tempo in cui sono apparsi, i mistici sono accomunati da <mna identita d'intuizione, che si puo spiegare nel modo piu semplice con l'esistenza reale dell'Essere col quale si credono in comunicazione>>. Di piu: quest'Essere, che nella prospettiva seguita nell'analisi del processo evolutivo, potremmo identificare «con lo sforzo creativo che la vita manifesta», nella testimonianza .dei mistici ci appare come Amore, di cui il mondo non e che l'aspetto tangibile. Altrettanto si puo dire della sopravvivenza dell'anima dopa la morte: l'analfsi dell'io profondo l'aveva resa probabile (9.6), la testimonianza dei mistici la rende certa. Ed e alia comparsa di qualche grande figura di mistico che Bergson, nel chiudere il suo ultimo importante lavoro, sembra affidare la liberazione dell'umanita «semischiacciata dal progresso compiuto». La tecnica ha dilatato a dismisura il corpo dell'umanita: ora essa attende «un supplemento d'anima». «La meccanica esige la mistica, cosi come la mistica esige la meccanica.» Qualcuno ha voluto vedere in questa attesa messianica lo svelamento del vizio di fonda del pensiero di Bergson, l'irrazionalismo. Una cosa e certa: Bergson e morto quando gia i forni crematori stavano riducendo in cenere la carne del suo popolo (Bergson era un ebreo) e sull'orizzonte dominava non il mistico luminoso da lui sognato, rna quella specie di messia delle tenebre che e stato Adolf Hitler.
II personalismo cristiano in Francia 9.10 II clima bergsoniano. E' difficile rendersi canto di che cosa abbia rappresentato, nella storia spirituale della Francia, la 'congiuntura J~ergson'. Nei primi anni del secolo, fino alia prima guerra mondiale, le sue lezioni al College de France erano un appuntamento settimanale, che richiamava una porzione eletta della nuova generazione in cerca di una legittimazione filosofica al bisogno di sottrarsi al piatto positivismo dominante e di dare Iibera espansione alle proprie energie creative. In seguito, qualche suo discepolo, uscito dall'incantesimo, riconoscera .che il successo del maestro era dovuto alia troppo stretta rispondenza del suo pensiero ad inquietudini che poco avevano a che fare con l'autentica ricerca della ragione e molto con il processo di sfaldamento della . societa borghese, divenuta scettica sulle prospettive che avevano fatto la sua
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grandezza. Se fosse questa la sede, non sarebbe difficile dimostrare che l' elan vital di Bergson si prestava facilmente a dar forma filosofica e dignita morale a spinte centrifughe, i cui esiti, nella filosofia, nell'arte e nella politica, sarebbero stati tutt'altro che in regola coni principi di un autentico progresso. «La filosofia di Bergson - dice uno di quei discepoli, Henri Massis, che negli anni venti fara parte del gruppo reazionario dell'Action fran~aise di Charles Maurras - cadde con inebrianti novita sul nostro ventesimo anno! Bergson introduceva la liberta! Spezzava il cerchio implacabile dei fenomeni che giravano attorno ai nostri spiriti 'ingabbiati'. D'improvviso, s'apriva dinanzi a noi un mondo nuovo, da cui scaturivano profondita luminose insospettabili. Quanto credevamo di conoscere, usciva -ringiovanito, rinnovato in una specie di chiarezza morale. Ci sembrava di contemplare per la prima volta Ia realta .. _ Ecco i sentimenti che si provava nel leggere i suoi libri. Ma nulla potrebbe rendere l'impressione di visione intima e diretta, lo strano rapimento che si provava ascoltando il filosofo che offriva alla nostra giovinezza il piu raro degli spettacoli umani: lo spettacolo di una creazione)), La pagina di Massis riproduce bene, anche nello stile, lo stato di esaltazione dei seguaci della 'setta bergsoniana'. 01tre Charles Peguy, il poeta-profeta ~he, facendosi cattolico, aveva tramutato il suo socialismo in uno stato di permanente eccitazione messianica, ne fecero parte anche Jacques Maritain (una conquista di Peguy) e Gabriel Marcel, due giovani di sicuro destino filosofico. Nella sua linea portante, lo sviluppo del pensiero di Bergson, cosi come l'abbiamo documentato, aveva obbedito al tentativo di riabilitare la conoscenza metafisica a partire dall'analisi del fenomeno umano e, al di la di esso, del fenomeno della vita in generale. Lo sbocco singolare di questo tentativo fu di una insuperabile dicotomia tra conoscenza intellettiva, irrimediabilmente chiusa dentro i confini dell'utile, senza nessuna presa sul vero, e conoscenza intuitiva, aperta immediatamente sul flusso della durata, rna senza nessuna possibilita di tradurla in concetti comunicabili e dunque, alia fine, senza nessuna possibilita di fondare uno statuto oggettivo dell'esperienza spirituale, da quella religiosa a quella morale e a quella politica. Da una parte, dunque, l'intelligenza omogenea alle sue costruzioni scientifiche e tecniche, che nulla rivelano dell'assoluto, dall'altra, l'intuizione, quasi accecata per troppa luce e resa muta dalla ineffabilita del suo proprio oggetto. Questa ambiguita del pensiero bergsoniano si e rivelata nei riflessi contraddittori che ha avuto nella cultura francese, e in particolare in quella cattolica, che nell'antipositivismo bergsoniano aveva trovato un punto d'appoggio per uscire dal suo stato di segregazione. La critica della scienza offriva armi nuove al vecchio risentimento della tradizione metafisica, costretta, da piu di un secolo, a contrastare dall' esterno il cammino trionfale della nuova metafisica scientista, che atterrava, uno dopo l'altro, i capisaldi della vecchia visione del mondo. Ecco finalmente un filosofo che, con tutte le carte in regola e dall'interno della cittadella positivistica, dimostrava l'inadeguatezza del metodo matematico, invalso fin dai tempi di Cartesio, a raggiungere Ia verita di qualsiasi ordine e grado! La lezione di Bergson portava con se un giudizio globale sui razionalismo moderno non dissimile da quello che il pensiero cattolico, con scarsa udienza, si ostinava a ripetere. E difatti, per molte coscienze il contatto
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con Bergson fu il primo passo di un ritomo alla fede cattolica. Ma la restaurazione metafisica operata da Bergson aveva fragili basi, perche rhancante di una gnoseologia corrisponderite. Uno dei suoi discepoli della prima ora, Jacques Maritain (anche lui un convertito), in uno 'studio critico', dal titolo La filosofia bergsoniana, del 1914, fani un'appassionata requisitoria contro la 'nuova filosofia', diventata di moda perche del tutto omogenea alle debolezze del tempo. «Mentre l'intelligenza, egli scrive, vede tutte le cose nell'idea dell'essere, e comprende il cambiamento mettendolo in rapporto all'essere, la nuova filosofia sopprime l'essere, di cui fa un'illusione concettuale, e gli sostituisce il cambiamenta, che, senza l'essere, e totalmente inintelligibile. Con cio stesso, restano distrutti i principj primi sui quali riposa ogni scienza umana e ogni umano linguaggio: i principi di identita, di ragion sufficiente, di causalita, di finalita, di sostanza, non sono che illusioni dovute alla frantumazione e alle ricostruzioni artificiali della ragione)). E proprio perche confonde il cambiamento con la cosa che cambia, la nuova filosofia «distrugge assolutamente la persona umana: l'io none, rna diviene; none un essere, e un cambiamento continuo)). Sia pure con la suscettibilita da neofita della metafisica, Maritain coglie con chiarezza i limiti del bergsonismo riguardo a una filosofia della persona. II dualismo tra durata e materia porta con se fatalmente l'impossibilita di cogliere l'unita sostanziale del soggetto umano, che non puo essere ridotto, per un verso, alla fluidita dello slancio vitale e, per un altro, al determinismo della materia. La persona e, insieme, immobilita e mutamento, e non perche congiunga in se un elemento fisso e immutabile e una serie di mutazioni che lo modifichino accidentalmente, rna perche, a differenza delle cose, Ia persona resta se stessa nel suo stesso divenire, nel senso che in essa l'essenza si da soltanto nell'atto di esistere, anche se essenza ed esistenza restano astrattamente distinguibili. Con la sua critica al positivismo e al razionalismo, Bergson a~eva condotto avanti Ia pars destruens di una filosofia della persona, rna non aveva gli strumenti epistemologici necessari per intraprendeme la fase costruttiva. Questa limite era tanto piu intollerabile in quanta a postulare una filosofia della persona erano anche le nuove circostanze storiche, in particolare lo scatenamento del collettivismo marxista e del totalitarismo fascista. II personalismo non nasce solo come un tentativo di superare razionalmente le incongruenze storiche della filosofia dell' evoluzione creatrice, rna anche per rispondere a una domanda posta pressantemente dalla crisi sociale e spirituale divenuta particolarmente acuta tra le due guerre. Nel nuovo contesto storico, esso vale come riscossa metafisica contro le filosofie dell'immanenza e insieme come linea di resistenza e di attacco contra le ideologie politiche avverse alla liberta dell'uomo. Una bivalenza, questa, che contrassegna tutti i pensatori della stagione filosofica francese · che stiamo per esaminare. Essi hanno tutti un elemento comune: il riconoscimento del cattolicesimo come il vero luogo della loro identita spirituale, in certi casi raggiunta con un itinerario di conversione. Si tratta, e vero, di un elemento non propriamente filosofico, rna e giusto ricordarlo anche perche serve a fondare un sospetto critico: Ia storia del personalismo, piu che svolgimento di una necessita razionale, non e forse soprattutto una movimentata storia di coscienze? Non per nulla, alia professione cattolica approdo, sul tramonto della sua vita, lo stesso Bergson, l'iniziatore di
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questa stagione. Come disse Pascal - un autore caro a tutti i personalisti - ci sono ragioni che la ragione non conosce. Ed e a queste 'ragioni', non propriamente filosofiche, che il personalismo troppo spesso ci richiama. 9.11 Maritaln: l'umanesimo integrale. Fu nell'ascoltare un corso di Bergson su Plotino che il giovanissimo Jacques Maritain• scopri la propria vocazione filosofica, in risposta a quel bisogno di verita che in lui coincideva, fin da allora, con una tensione mistica il cui postulato profondo non era il sapere, rna il contemplare. Anche lui, come il suo maestro di spirito Leon Bloy, che lo guidera al battesimo nel 1906, era un 'pellegrino dell'assoluto'. Lo spiritualismo bergsoniano servi a strapparlo dalle secche di un razionalismo appiattito sui fenomeno sensibile, rna non poteva dare risposta a domande di portata metafisica. Era nella logica della sua conversione religiosa l'incontro con la filosofia dell'essere, che nella tradizione della chiesa cattolica aveva trovato la sua insuperabile sistemazione con la Summa di Tommaso d'Aquino (1.11.4-8). E nella Summa Maritain trovo quel che non poteva trovare nell'Evoluzione creatrice. Innanzitutto, vi trovo un'idea di ragione, che restituiva al concetto una potenza cognitiva non riducibile al ruolo strumentale che aveva nell'antropologia bergsoniana. E vi trovo un'idea di liberta, che restituiva alla persona umana la Jacques Marltain nasce a Parigi nel 1882, da famiglia protestante, rna di orientamento laicista. /nsieme a Raissa - una ragazza ebrea di origine russa che, divenuta sua moglie, gli restera esemplarmente unita anche nella ricerca intellettuale - frequenta, nel 1900, le lezioni di Bergson, che lo introduce alia conoscenza di Platina, di Pascal e di san Giovanni della Croce. NeZ 1906, i due sposi chiedono il battesimo. Dopa due anni trascorsi a Heidelberg per perfezionamenti in biologia, rientrato a Parigi, egli prende if prima contatto col pensiero di san Tommaso e si Iibera dalla soggezione al pensiero di, Bergson. Nel 1914, esce il suo Saggio sulla filosofia bergsoniana. L'anna· prima aveva data inizio al suo insegnamento nell1stituto cattolico di Parigi Dopa Ia prima guerra, accede al movimento reazionario e nazionalista, dell'Action Fran~aise. A questa periodo risalgono fAntimoderno (1922) e i Tre riformatori (1925). Dopa che il Papa ha condannato il movimento, Maritain se ne dissocia e pubblica, nel 1927, if Primato dello spirituale. Fra il '30 e il '40, pubblica le sue due opere principali· I gradi del sapere (1932) e Umanesimo integrale (1936), raccolta di conferenze tenute a Santander. In que[ periodo prende posizione contra Franco e contra il fascismo e il nazismo. Agli inizi della guerra, Maritain si re9a negli Stati Uniti come docente a Princeton e ·vi resta fino al 1960, salvo la paren tesi in cui e a Roma (1946-1947) come ambasciatore di Francia pres so fa Santa Sede. Marta nel 1960 Raissa, si ritira a Tolosa, presso la Congregazione dei Piccoli Fratelli, e vi muore nel 1973. Sette anni prima, aveva suscitato scalpore il suo libra 11 contadino della Garonna, in cui egli si dissoda dal mota di rinnovamento avviato dal Concilio. Quell'anno segna il declinare di Maritain come ispiratore massimo del pensiero politico cristiano.
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capacita di aprirsi agli appelli dell'essere sovrasensibile, una capacita non riducibile alia pura spontaneita psicologica cosi mirabilmente illustrata dal maestro del College de France. II cosiddetto tomismo di Maritain non si comprende, se non se ne tiene presente questa origine di superamento, nel senso hegeliano del termine, del bergsonismo. Esso comporta, certo, il trapasso dalla fenomenologia all'ontologia, rna non il distacco dai temi bergsoniani del primato dell'intuizione, dell'autonomia e della relativita del sapere scientifico, della immediatezza della coscienza nella percezione dei fenomeni interiori. La vera 'novita' maritainiana e, appunto, nella dottrina della persona (termine che Bergson raramente usa), intesa come individuo sussistente e razionale e, appunto per questo, libero. Come tale, la persona non e una modalita della durata, e unicita dotata di consistenza ontologica, appartiene, cioe, all'ordine dell'essere e non soltanto del divenire. E la ragione e apertura dell'essere relativo all'essere in se e, appunto per questo, disegna possibilita di scelta che trascendono la pura trama dei determinismi e sospingono, di grado in grado, verso una suprema conoscenza unitiva, in cui si consuma il destino della persona. Si apre qui la dialettica, interna all'uomo, tra individuo e persona. L'individuazione insorge mediante la materia, che ci determina in seno a1la infinita molteplicita di cui consiste la natura; l'individuo e, insieme, una parte tra le parti ed e 'altro' nei confronti di ogni individuo: le sue caratteristiche sono, dunque, l'unita interna e l'alterita. La persona conserva unita e alterita, rna sollevandole a una sfera piu alta, nella quale essa non e piu chiusa, come l'individuo in rapporto all'altro individuo, rna aperta aHa comunione, ordinata ad essere se stessa proprio nel suo donarsi all'altra persona. E' a questo livello che la pura spontaneita si trasfigura in liberta, e cioe nella capacita di autodeterminarsi in base alla ragione, che, come si e detto, e potenziale apertura all' essere universale. Gli scacchi della persona si verificano, appunto, nel cuore di questa dialettica, allorche le aspirazioni sue proprie, che sono 'transnaturali' in quanto, sovrastando i determinismi della natura, traducono l'esigenza dell'uomo di determinarsi da se nel suo stesso essere, vengono frustrate dalle condizioni dell'uomo in quanto individuo, legato alle leggi e alle vicissitudini della natura. Diciamo subito, anticipando, che per Maritain il compito della politica e di garantire, nel modo ottimale, le condizioni dell'individuo in quanto tale, e non gia di interferire nella sfera propria della persona, che e quella della liberta. Ricostruita, nella sua unita e nella sua dinamica esistenziale, la struttura del soggetto come persona, Maritain e in grado di stabilire uno statuto della conoscenza, in cui la critica al razionalismo astratto, che presume di cogliere le pure essenze avulse dalla realta, non si capovolge affatto nell' esaltazione della conoscenza intuitiva, che, come in Bergson o nei prammatisti, relega nell'ambito delle costruzioni fittizie i concetti astratti. L'unita oggettiva tra essenza ed esistenza significa intelligibilita del concreto, a· cui fa riscontro l'intenzionalita dell'intelligenza umana, che e capacita di accedere alle verita dell'essere concreto. Nell'atto conoscitivo, l'intelligenza e l'essere si unificano: l'intelligenza, per cosi dire, vede la verita, attua se stessa identificandosi con il suo oggetto. Ecco perche non ha senso la pretesa kantiana di premettere alla metafisica una critica della stessa facolta conoscitiva. «La critica implica una presa di coscienza dello spirito che ritoma filosoficamente sulla sua attivita preliminare di conoscenza», ed e dunque, non anteriore, rna successiva al passaggio dall'in-
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tenzionalita intellettiva all'atto concreto del conoscere, la cui dinamica e guidata dalla stessa articolazione gerarchica dell'essere. In rapporto a questa gerarchia oggettiva, c'e il sapere che riguarda le case sensibili, quello che riguarda l'universo della quantita, e doe la matematica, quello che riguarda l'universo trans-sensibile e doe la metafisica, e finalmente quello che riguarda l'universo trans-intellegibile (per noi), che si ha solo in forme analogiche ed e la contemplazione mistica, il cui supremo adempimento comporta un dono di Dio, Ia grazia, che eleva la capadta contemplativa rendendola, in qualche modo, 'connaturale' al suo Oggetto. II tomismo di Maritain none nel recupero del sistema di san Tommaso nella sua intera architettura, rna nell'ammodemamento critico della dottrina antropologica e gnoseologica stabilita, una volta per sempre, dalla metafisica classica e armonizzata con la fede cristiana dall'autore della Summa. Gia in questa opzione teoretica e implidto un giudizio sulla filosofia moderna, a partire dalla svolta soggettivistica impressale da Cartesio. II clinamen filosofico cartesiano corrisponde a quello di Lutero nella teologia e a quello di Rousseau nella pOiitica: sono questi i tre riformatori contra cui Maritain scrivera, nel 1925, e cioe nella sua fase pili acutamente 'antimodema', un saggio appunto cosi intitolato. Lo spostamento dell'asse della conoscenza dall'oggetto al soggetto non avvenne per puro arbitrio teoretico. Esso rispondeva a un progetto esplicitamente dichiarato da Cartesio: fare della metafisica una scienza preliminare alla tecnica. «Cartesio ha rovesciato l'ordine della conoscenza umana, e fatto della metafisica una introduzione alia meccanica, alla medidna e alia morale». Invece che diventare adulta, come era stato neUe pretese dell'illuminismo, la ragione moderna, una volta entrata nell'orbita del cogito cartesiano, non ha fatto che svilupparne le virtualita di mondanizzazione - e doe di subordinazione del pensare al fare, del contemplare al dominare la natura - mediante una serie di dissodazioni, come quelle tra il corpo e l'anima, tra la natura e lo spirito, tra l'individuale e il sodale, e cosi via. Lo sbocco naturale di queste dissociazioni non poteva che essere l'ateismo come fondamento dell'umanesimo antropocentrico. II limite del quale, a giudizio di Maritain, non e nel suo essere un umanesimo, e nel suo non essere teocentrico, e perdo, per inevitabile conseguenza, nel suo essere un umanesimo alienate. E' questa l'antimodernita di Maritain, che ha potuto, in certi momenti, dar sostegno aile spinte regressive che hanna pervaso, durante la crisi dello Stato borghese, non pochi strati della cultura europea. Ma e bene, a tal riguardo, sottolineare che la condanna maritainiana della modemita e solo un aspetto l'aspetto della denunda - di una costruzione in positivo, nella quale la modemita, intesa come sviluppo di valori, prill!o fra tutti quello della scienza, viene assunta come una conquista per serripre. Insomma, a diversita dei reazionari come Maurras, la modernita non e, per Maritain, di per se negativa, e soltanto ambigua. Sdogliere questa ambiguita e appunto il compito della filosofia dell'essere, intesa come fondazione di un nuovo umanesimo, che integri le acquisizioni dell' eta modema nel teocentrismo della metafisica classica. La denunda maritainiana, contestuale alla sua costruzione di un nuovo umanesimo, che significativamente egli chiama umanesimo integrale, puo schematicament~ articolarsi nell'esame critico di alcuni momenti nodali della
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cultura modema, come la scissione tra politica e morale avvenuta con Machiavelli, tra coscienza religiosa e coscienza civile, con Lutero; tra volonta generale e diritto naturale, con Rousseau, e come l'identificazione hageliana tra il valore e il successo, e la dissoluzione marxista della persona nella classe. E' proprio attraverso queste 'cadute', che nell'eta modema si sono sviluppate la deviazione individualistico-borghese e quella simmetrica del collettivismo comunista. Particolarmente significativo il confronto di Maritain con il marxismo, se si tiene canto che egli elaboro le tesi del suo· Umanesimo integrale agli inizi degli anni '30. Maritain considera il marxismo come una inevitabile e legittima reazione al mondo borghese, e percio anche al mondo cristiano che aveva fatto sua la causa della borghesia. 11 successo di Marx si spiega con la componente religiosa, e piu precisamente escatologica, che ispira il suo messaggto di riscatto sociale (Maritain sottolinea il fatto che Marx era, comunque, un ebreo): L'idea della rivoluzione involge una trasposizione secolarizzata dell'idea del giudizio finale e del regno di Dio. In definitiva, il marxismo non e che una 'eresia cristiana'; cia che chiamiamo umanesimo integrale e capace di salvare e di promuovere, in una sintesi fondamentale diversa, tutte le verita affermate o presentate dall'umanesimo socialista, unendole in modo organico e vitale a molte altre verita.
Proprio perche restituisce alla dimensione religiosa il suo giusto primato, e di conseguenza restituisce la storia dell'uomo alla sua densita laica e temporale, senza spezzare l'unita del finalismo ultraterreno, l'umanesimo integrale e in grado di portare, almena esigenzialmente, al di la del vizio comune dell'uomo borghese e dell'uomo sovietico, in quanta permette di superare la caduta dell'essere nel regno dell'avere, sia privata che pubblico, e di garantire alla coscienza la liberta di aprirsi alla trascendenza. I temi che si intrecciano alla proposta umanistica maritainiana sono molti, e tutti ricchi di riflessi concreti nella cultura e nella prassi politica di quest'ultimo mezzo secolo: basti pensare all'ideologia della terza via tra comunismo e liberalismo, alla quale si sono ispirate le democrazie cristiane di varie parti del mondo. Importante fra tutti e il tema della nuova cristianitd., da costruire sulle ravine del mondo moderno: una cristianita che integri in se, senza manometterla, la dimensione profana dell'esistenza, e quindi Ja Jaicita della vita politica, il pluralismo ideologico e la prassi democratica, che agli occhi di Maritain, come anche del Bergson delle Due sorgenti, e un prodotto storico del cristianesimo. E' la societa. profano-cristiana, da costruire senza nostalgia per la cristianita sacrale del medioevo. Per la forza attrattiva di questa 'ideale storico concreto', in un certo momenta della storia occidentale, la lezione maritainiana e riuscita a inserire nuove energie nella dialettica del progresso sociale e ad aprire un capitola nuovo nel divenire stesso della chiesa cattolica. 9.12 Mounter: Ia rlvoluzione personalista e comunitaria. Proprio durante gli anni '30, quando il pensiero di Maritain era al massimo della sua. tensione e della sua fecondita, e quando l'Europa sembrava travolta dall'esplosione di opposti totalitarismi, il 'personalismo' divenne, sia in filosofia che nell'azione politica, termine tematico e programmatico, per opera di un giovane intellettuale cattolico, Emmanuel Mounter·, che nel 1932 aveva fondato, insieme a un gruppo di amici (tra di essi, come ispiratore marginale, anche Maritain), una
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nv1sta di riflessione e di battaglia politica, Esprit, ancora oggi molto attiva in Francia. Anche per Mounier, il nemico numero uno era il mondo borghese, e anche lui si considerava un 'antimoderno'. Ma piuttosto che rifarsi, come a modello analogico, alia cristianita medioevale, egli si rifaceva al Rinascimento, col proposito di ripeterne il significato emblematico di inizio di un tempo nuovo, quello, appunto, del personalismo. Infatti, la crisi del mondo borghese era, per Mounier, l'ultima tappa della crisi del Rinascimento, una tappa che aveva portato all'estremo limite la mistica dell'individuo, a cui si contrapponeva, proprio in quegli anni, la mistica del collettivismo sovietico. Individualismo e collettivismo fanno da supporto ideologico al capitalismo e al comunismo: «l'uomo si trova nei due opposti campi e, se l'uno scaccia l'altro, perde una meta inalienabile di se stesso». Alia radice delle due alienazioni, c'e la falsa soluzione della dialettica, immanente all'uomo, tra la dimensione individuate e quella personate, una falsa soluzione che lungo i secoli ha prodotto, e via via integrato in se, la scissione tra il privata e il pubblic