Terry Brooks. IL VIAGGIO DELLA "JERLE SHANNARA". L'ULTIMA MAGIA.
Traduzione di Riccardo Valla. Copyright 2002 by Terry ...
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Terry Brooks. IL VIAGGIO DELLA "JERLE SHANNARA". L'ULTIMA MAGIA.
Traduzione di Riccardo Valla. Copyright 2002 by Terry Brooks. This translation published by arrangement with the Ballantine Publishing Group, a Division of Random House Inc. Copyright 2002 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano. Titolo dell'opera originale: (The Voyage of the Jerle Shannara. Book Three. Morgawr". Prima edizione: Novembre 2002. Seconda edizione: Dicembre 2002.
"A Owen Lock per la consulenza editoriale, l'amicizia e l'incoraggiamento che non mi ha mai fatto mancare quando ne ho avuto bisogno".
1. La figura uscì dall'ombra dell'alcova con una tale rapidità che Sen Dunsidan le fu quasi addosso prima di accorgersi della sua presenza. Il corridoio che portava alla camera da letto era buio e le poche lucerne appese alle pareti proiettavano solo incerti aloni di luce giallastra. Il chiarore delle fiammelle non gli fu di alcun aiuto e il ministro della Difesa non ebbe la possibilità né di fuggire né di difendersi. «Una parola, per cortesia, ministro.» L'intruso era nascosto dal mantello, la testa coperta dal cappuccio. A Sen Dunsidan fece venire in mente la Strega di Ilse, ma fu subito certo che non si trattava di lei. Era un uomo, non una donna: la sua altezza e la sua mole non gli permettevano di essere altro, e il tono della voce era aspro e mascolino. La minuta e flessuosa Strega dalla voce calma e musicale era lontana. Si era presentata a lui la settimana precedente, prima di partire sulla "Black Moclips" per seguire il druido Walker e i suoi compagni fino a una misteriosa destinazione. Tuttavia l'intruso, ammantato e incappucciato nella stessa maniera, era comparso proprio come lei, di notte e senza farsi annunciare. Il ministro si chiese subito che legame ci fosse tra i due. Nascondendo la sorpresa e la paura che gli opprimeva il petto, Sen Dunsidan annuì. «Dove preferisci condividere con me quella parola?» chiese. «La tua camera andrà bene.» Il ministro della Difesa era un uomo robusto, di alta statura e nel pieno della virilità, ciò nonostante si sentiva in condizioni di inferiorità rispetto al nuovo venuto. Non si trattava solo dell'altezza: il suo disagio era anche dovuto alla sensazione di potere che si irradiava da quell'uomo. L'intruso trasudava una forza e una sicurezza che di solito non si incontravano nei comuni mortali. Sen Dunsidan non gli chiese come fosse riuscito a superare il muro di cinta attentamente pattugliato. Non gli chiese come fosse riuscito a salire senza problemi fino all'ultimo piano del suo alloggio. Erano domande oziose. Si limitò ad accettare il fatto che l'intruso era capace di questo e probabilmente di molto altro, e fece quello che gli veniva suggerito. Passò davanti a lui con una sorta di inchino rispettoso, aprì la porta della stanza e fece segno all'uomo di entrare.
Anche all'interno ardevano alcune lucerne, ma l'illuminazione era poco più forte che nel corridoio, e l'uomo si portò subito in una zona d'ombra. «Siedi, ministro, e ti dirò cosa voglio.» Sen Dunsidan si accomodò su una sedia dall'alto schienale e accavallò le gambe con tranquillità. Aveva superato la paura e la sorpresa del primo momento. Se l'altro avesse voluto fargli del male, non si sarebbe preoccupato di presentarsi al suo cospetto. Voleva qualcosa dal ministro della Difesa della Federazione, perciò non aveva motivo di preoccuparsi. Almeno per ora. Le cose potevano cambiare se non avesse fornito le risposte cercate dal misterioso visitatore. Ma Sen Dunsidan era un maestro nell'arte di dire agli altri quello che sì aspettavano di sentire. «Una birra fresca?» chiese all'uomo. «Prendila tu» rispose la figura incappucciata. Sen Dunsidan ebbe un attimo di esitazione, sorpreso dall'insistenza nella voce dell'altro. Poi si alzò e raggiunse il tavolino accanto al letto dov'erano posati il secchiello del ghiaccio contenente la brocca della birra e alcuni boccali. Mentre versava la birra, tenne gli occhi fissi sul recipiente. I lunghi capelli chiari, che portava sciolti sulle spalle tranne sopra l'orecchio, dove erano acconciati in treccioline come voleva la moda del momento, gli nascondevano il viso. Non gli piaceva quello che stava succedendo. Aveva appena ripreso fiducia in sé, ma già subentravano i dubbi. Meglio fare attenzione con quell'uomo, usare la mano leggera, si disse. Tornò alla sedia e si accomodò di nuovo, sorseggiando la birra. Si voltò nella direzione in cui aveva visto nascondersi l'altro, una presenza pressoché indistinguibile nella penombra. «Ho un favore da chiederti» disse a bassa voce l'intruso. Sen Dunsidan annuì e sollevò la mano per invitarlo a parlare. L'uomo si avvicinò un poco. «Ti avverto, ministro. Non pensare di tenermi buono con qualche promessa che non intendi mantenere. Non sono venuto fin qui per perdere tempo con gli sciocchi che pensano di potermi accontentare con vuote parole. Se mi accorgerò che mi inganni, ti ucciderò e la cosa finirà lì. E' chiaro?» Sen Dunsidan fece un profondo respiro per tranquillizzarsi. «Chiaro.» Per qualche istante, l'intruso non disse altro, poi si portò nella zona illuminata. «lo sono il Morgawr. Sono il maestro della Strega di Ilse.» «Ali.» Il ministro della Difesa annuì. Non si era sbagliato quando gli era parso che il loro modo di comparire fosse identico. La figura incappucciata si avvicinò ancora un po'. «Tu e io stiamo per diventare soci, ministro. Un nuovo accordo, per sostituire quello che hai stretto con la mia allieva, Lei non avrà più bisogno di te. Non verrà più a farti visita. Ma ci verrò io. Spesso.» «Lei lo sa?» chiese Sen Dunsidan, a bassa voce. «Lei sa molto meno di quello che crede» rispose il Morgawr, con voce cupa. «Ha deciso di tradirmi, e sarà punita per la sua infedeltà. Le infliggerò il castigo che merita quando la troverò. La cosa non ti riguarda, a parte il fatto di sapere che non la rivedrai mai più. Per tutti questi anni sono stato io la forza dietro di lei. Ero io a darle il potere di stringere alleanze come quella che condivideva con te. Ma lei ha abusato della mia fiducia e ha così perso la mia protezione. Non ha più alcuna utilità per me.» Sen Dunsidan bevve un lungo sorso di birra e posò il boccale. «Mi perdonerai se rimango scettico. Non conosco te, ma conosco lei. So cosa è capace di fare. So cosa succede a coloro che la tradiscono, e non voglio diventare uno di loro.» «Forse faresti meglio ad avere paura di me» rispose il Morgawr. «Ci sono io adesso davanti a te.» «Può darsi. Ma la Signora Nera ha la capacità di saltare fuori quando meno te l'aspetti. Portami la sua testa, e sarò più che lieto di stringere un nuovo accordo con te.» La figura ammantata rise piano. «Ben detto, ministro. Hai dato una risposta diplomatica a una domanda difficile. Ma ritengo che tu debba riflettere meglio. Guardami.» Spostò il cappuccio per rivelare la propria faccia. Era il viso della Strega di Ilse, giovane, liscio e minaccioso. Sen Dunsidan trasalì a dispetto di se stesso. Poi la faccia della giovane cambiò,
luccicando come se fosse un miraggio, e divenne quella dello stesso Sen Dunsidan, spigolosa e dura, con occhi azzurri penetranti, lunghi capelli chiari e un sorriso che pareva pronto a promettere qualunque cosa. «Noi due ci assomigliamo molto, ministro» commentò il Morgawr. La faccia cambiò di nuovo. Un'altra prese il suo posto. Era di un uomo più giovane, ma Sen Dunsidan non l'aveva mai vista. Una faccia indefinibile, anonima, priva di connotati particolari o interessanti. «E' la mia vera faccia, ministro? Adesso mi sono davvero rivelato a te?» Il Morgawr fece una pausa. «O sono così?» La faccia tremolò e cambiò fino a divenire qualcosa di mostruoso, un muso di rettile con il naso piatto e due fessure per occhi. Una faccia segnata dal tempo, coperta di scaglie grigie e ruvide, la bocca larga e senza labbra che si apriva per mostrare file di denti appuntiti. Gli occhi velenosi, pieni di odio, brillavano di un fuoco verde. L'intruso sollevò di nuovo il cappuccio e la sua faccia scomparve nell'ombra. Sen Dunsidan sedeva immobile. Aveva perfettamente capito il messaggio. Quell'uomo possedeva una magia potentissima. Come minimo, poteva cambiare forma, ma di sicuro era capace di fare molto di più. Era un uomo che amava dare prova del proprio potere, come anche Sen Dunsidan, e certamente avrebbe usato quel potere nel modo che gli fosse parso più utile, «Ho detto che ci assomigliamo» sussurrò l'intruso. «Entrambi sembriamo una cosa mentre in realtà siamo tutt'altro. Io ti conosco. Conosco te come conosco me stesso. Faresti qualsiasi cosa per accrescere il tuo potere nella gerarchia della Federazione. Tu ti concedi piaceri proibiti agli altri uomini. Desideri quello che non puoi avere e trami per procurartelo. Sorridi e fingi amicizia quando in realtà sei il serpente temuto dai tuoi avversari.» Sen Dunsidan continuò a sorridere, da politico consumato. Cosa voleva da lui quella creatura? «Ti dico questo non per farti montare in collera, ministro, ma per evitare che tu ti sbagli sulle mie intenzioni. Sono qui per aiutarti a realizzare le tue ambizioni, in cambio dell'aiuto che puoi dare a me. Desidero seguire la Strega di Ilse nel suo viaggio. Desidero essere presente quando lotterà contro il druido, come di sicuro succederà. Desidero trovarla quando si sarà impadronita della magia che cerca, perché intendo portargliela via, e poi toglierle la vita. Ma per ottenere tutto questo, mi occorrono una flotta di navi volanti e gli uomini per equipaggiarla.» Sen Dunsidan lo guardò incredulo. «Quello che mi chiedi è impossibile.» «Niente è impossibile, ministro.» Le vesti nere frusciarono debolmente mentre l'intruso attraversava la stanza. «Quello che voglio io è forse più impossibile di quello che vuoi tu?» Il ministro della Difesa ebbe un attimo di esitazione. «E cosa sarebbe?» «La carica di primo ministro. Prendere il comando della Federazione una volta per tutte. Dominare la Federazione e di conseguenza le Quattro Terre.» Molti pensieri si rincorrevano nella mente di Sen Dunsidan, ma tutti si riducevano a uno solo: l'intruso aveva ragione. Sen Dunsidan avrebbe fatto qualunque cosa per diventare primo ministro e comandare il Consiglio della Federazione. Perfino la Strega di Ilse aveva saputo di questa sua ambizione, anche se non l'aveva mai detto in quel modo, con parole che suggerivano come la meta potesse essere vicina. «Anche questo mi sembra impossibile» rispose con prudenza. «Non capisci bene quello che ti dico» replicò l'intruso. «Ti sto spiegando perché risulterò un alleato migliore della piccola Strega. Chi c'è fra te e la tua meta? Il primo ministro, che gode di ottima salute. Occuperà quella carica per anni, prima di ritirarsi E poi c'è il suo successore designato, il ministro del Tesoro Jaren Arken. E' più giovane di te e altrettanto forte e spietato. Aspira a essere ministro della Difesa no? Vorrebbe avere la tua posizione nel Consiglio.» Nell'udire quelle parole, Sen Dunsidan si sentì prendere da una gelida collera. Erano vere, naturalmente, dalla prima all'ultima. Arken era il suo peggior nemico, un uomo infido e sfuggente come un serpente, un rettile a sangue freddo, dalla testa ai piedi. Sen Dunsidan avrebbe voluto vederlo morto, ma non aveva ancora trovato il -modo di eliminarlo. Aveva chiesto aiuto alla Strega
di Ilse, ma anche se aveva accettato di fargli in cambio altri favori, lei si era sempre rifiutata di uccidere per lui. «Qual è la tua offerta, Morgawr?» chiese il ministro senza mezzi termini, stanco di quel gioco. «Solo questo. Prima di domani notte, gli uomini che ti intralciano il cammino saranno morti. Né colpa né sospetto cadranno su di te. La posizione che desideri sarà tua. Nessuno ti ostacolerà. Nessuno metterà in dubbio il tuo diritto di essere a capo della Federazione. Ecco cosa posso fare per te. In cambio devi fare quello che ti ho chiesto: darmi le navi e gli equipaggi. Un ministro della Difesa può farlo, soprattutto se sta per diventare primo ministro.» La voce del Morgawr si ridusse a un bisbiglio. «Accetta l'accordo che ti offro, così potremo aiutarci a vicenda non solo ora, ma anche in futuro se sarà necessario.» Sen Dunsidan rifletté a lungo sulla richiesta. Bramava essere primo ministro. Era disposto a tutto per quella carica. Ma non si fidava del Morgawr, una creatura non del tutto umana, in possesso di una magia in grado di uccidere un uomo prima ancora che capisse cosa stava succedendo. Non era convinto fino in fondo che fosse saggio accettare la richiesta del Morgawr. Aveva paura della Strega di Ilse: poteva confessarlo a se stesso, anche se non l'avrebbe mai ammesso con altri. Se l'avesse ostacolata e lei se ne fosse accorta, gli avrebbe dato la caccia fino a ucciderlo. D'altro canto, se il Morgawr intendeva distruggerla come aveva detto, allora Sen Dunsidan avrebbe fatto bene a rivedere le sue posizioni. L'uovo oggi, come si era soliti dire, era meglio della gallina domani. Se gli era possibile aprirsi la strada per la carica di primo ministro, la cosa valeva qualsiasi rischio. «Che tipo di navi ti occorre?» chiese con calma. «E quante?» «Accetti l'accordo, ministro? Sì o no. Niente ambiguità, niente condizioni. O sì, o no.» Sen Dunsidan aveva ancora qualche remora, ma non poteva rinunciare a una simile occasione di fare carriera. Tuttavia, quando pronunciò la parola che doveva decidere del suo destino, ebbe l'impressione di sputare fuoco: «Sì». Il Morgawr si mosse come una notte liquida, scivolando ai margini delle ombre mentre attraversava la camera. «D'accordo» disse, «Tornerò domani sera dopo il tramonto per riferirti cosa ti chiedo in cambio.» Poi attraversò la porta e sparì. Sen Dunsidan dormì male, quella notte, assillato da incubi e da insonnia, oppresso dalla consapevolezza di essersi venduto a un prezzo ancora da determinare e che poteva risultare troppo alto. Eppure, nei momenti di veglia in mezzo ai brevi crolli in un sonno inquieto, riflettendo sull'enormità di quanto poteva succedere, non riusciva a fare a meno di sentirsi eccitato. Nessun prezzo era troppo alto, se si trattava di diventare primo ministro. Qualche nave e pochi uomini, entrambe cose di cui gli importava poco, non erano niente al confronto. In realtà, per ottenere il comando della Federazione, avrebbe pagato un prezzo ancora più alto. A dirla tutta, avrebbe pagato qualsiasi prezzo. Eppure, c'era ancora il rischio di un inganno. Poteva essere una chimera evocata per controllare se era disposto a spezzare l'alleanza con la Strega. Quando però si destò e cominciò a vestirsi per raggiungere la sala del Consiglio, gli venne riferito che il primo ministro era mancato. Era andato a dormire e non si era più svegliato. Il suo cuore si era fermato durante il sonno. Strano, viste la buona salute e l'età relativamente giovane, ma la vita riserva sempre qualche sorpresa. A quella notizia, Sen Dunsidan provò un senso di piacere e di trepidazione: osò credere che l'impensabile potesse realizzarsi, che la parola del Morgawr fosse più affidabile di quanto non avesse sperato. "Primo ministro Sen Dunsidan" continuò a ripetersi, nel profondo del cuore, dove celava i segreti più oscuri. Arrivò nella sala del Consiglio e solo allora venne a sapere che anche Jaren Arken era morto. Il ministro del Tesoro, non appena avuta la notizia della morte del primo ministro, era corso via di casa, ansioso di occupare il posto del morto, e, del tutto preso da quel pensiero, non aveva guardato
dove metteva i piedi, era ruzzolato giù per gli scalini e aveva battuto la testa contro le statue di pietra in fondo alla scala. Quando i servitori l'avevano raggiunto, non c'era più niente da fare. Sen Dunsidan accolse la notizia con flemma: ormai non si sorprendeva di nulla. Era soltanto compiaciuto ed eccitato. Assunse un'espressione debitamente afflitta e rispose con diplomazia a tutti coloro che lo avvicinarono. E si fecero avanti in molti, ora che gli altri membri del Consiglio si rivolgevano a lui. Passò la giornata a organizzare solenni funerali e orazioni funebri, a parlare a tutti del suo dolore e della grande sciagura che aveva colpito la nazione, e a consolidare il suo potere. Due uomini tanto importanti e attivi erano morti a così breve distanza. Era necessario trovare un uomo forte, che colmasse il vuoto. Si offerse come candidato e promise di fare del suo meglio per coloro che l'avessero appoggiato. Al calar della notte, la gente non parlava più dei morti: parlava di lui. Dopo il tramonto, Sen Dunsidan sedette a lungo nelle proprie stanze, in attesa, chiedendosi cosa sarebbe successo al ritorno del Morgawr. Non c'erano dubbi che sarebbe tornato, dopo aver rispettato la sua parte dell'accordo. Meno certo era quello che gli avrebbe chiesto. Non l'avrebbe minacciato, ma la minaccia era implicita. Se era in grado di eliminare così facilmente un primo ministro e un ministro del Tesoro, non avrebbe incontrato difficoltà a sbarazzarsi di un recalcitrante ministro della Difesa. Sen Dunsidan c'era ormai dentro fino al collo, impossibile tirarsi indietro. Tutt'al più poteva cercare di ridurre il prezzo che il Morgawr gli avrebbe chiesto. Era quasi mezzanotte quando l'incappucciato apparve, scivolando silenzioso nella stanza attraverso la porta, un concentrato di vesti nere e di minacce. A quel punto Sen Dunsidan aveva bevuto vari boccali di birra e se ne stava pentendo. «Impaziente, ministro?» chiese il Morgawr sottovoce, infilandosi subito nell'ombra. «Pensavi che non sarei venuto?» «Non dubitavo affatto del tuo arrivo. Cosa vuoi?» «Quanta fretta! Neppure il tempo per un grazie? Ti ho fatto primo ministro. Manca solo il voto del Consiglio, una formalità burocratica. Quando ci sarà il voto?» «Tra un giorno o due. Benissimo, hai fatto la tua parte. Qual è la mia?» «Navi da guerra, ministro. Capaci di fare un lungo viaggio e di affrontare una battaglia all'arrivo. Navi che possano trasportare uomini e mezzi per ottenere quel risultato e riportare poi indietro i tesori che mi aspetto di trovare.» Sen Dunsidan scosse la testa, perplesso. «Sono navi difficili da trovare» disse. «Tutte quelle che abbiamo sono impegnate sul Prekkendor. Se dovessi portarne via... diciamo... dieci o dodici...» «Una ventina si avvicina di più a quello che ho in mente» lo interruppe il Morgawr. Una ventina? Il ministro della Difesa rimase senza fiato. «Circa venti, allora. Ma l'assenza di tante navi dal fronte verrà notata. Ci saranno domande. Come potrò spiegarla?» «Stai per diventare primo ministro. Non devi spiegare nulla.» Nella voce aspra del Morgawr era comparso un tono d'impazienza. «Prendile ai Corsari, se le tue non bastano.» Sen Dunsidan bevve in fretta un sorso della birra che avrebbe fatto meglio a non bere. «I Corsari sono neutrali, in questa guerra. Sono mercenari, ma neutrali. Se confisco le loro navi, si rifiuteranno di costruirne altre.» «Non ho parlato di confisca. Rubale, poi da' la colpa a qualcuno.» «E gli equipaggi?» chiese il ministro. «Che tipo di uomini ti occorre? Devo "rubare" anche quelli?» «Reclutali dalle prigioni. Uomini che abbiano viaggiato sulle navi e combattuto. Elfi, Uomini della Frontiera, Corsari, quello che trovi. Forniscimene un numero sufficiente a equipaggiare le navi. Ma non aspettarti che te li porti indietro. Una volta usati, conto di buttarli via. Non serviranno più a nulla.» A Sen Dunsidan si rizzarono i capelli. Duecento uomini, gettati via come scarpe vecchie. Danneggiati, consumati, non più adatti all'uso. Cosa significava? Sentì l'improvviso bisogno di lasciare la stanza, di fuggire così lontano da non ricordare più da dove veniva.
«Mi occorrerà del tempo per preparare tutto, forse una settimana.» Cercò di mantenere la voce ferma. «La sparizione di una ventina di navi verrà notata. Gli uomini usciti dalla prigione lasceranno tracce. Devo pensare al modo migliore di farlo. Te ne occorrono proprio così tante per la tua impresa?» Il Morgawr lo fissò. «Non riesci a fare quello che ti chiedo senza contrattare. Perché? Ti ho forse chiesto come fare per eliminare gli uomini che ti impedivano di diventare primo ministro?» Sen Dunsidan capì di essersi spinto troppo avanti. «No, naturalmente no. Solo che io...» «Consegnami gli uomini questa notte» lo interruppe il Morgawr. «Ma mi occorre tempo.» «Li hai nella tua prigione, qui in città. Falli rilasciare subito.» «Ci sono delle regole per il rilascio dei prigionieri.» «Infrangile.» Sen Dunsidan aveva l'impressione di essere finito nelle sabbie mobili e di affondare in fretta. Ma non vedeva il modo di salvarsi. «Consegnami i miei equipaggi questa notte, ministro» disse l'altro, in un soffio. «Fallo tu, di persona. Una prova di fiducia, per dimostrarmi che i miei sforzi per eliminare gli uomini che ti intralciavano il cammino sono stati giustificati. Assicurami che il tuo impegno nel nostro accordo è più che una vuota parola.» «Ma io ...» Il Morgawr uscì con incredibile rapidità dall'ombra e afferrò il ministro per la camicia. «Penso che tu abbia bisogno di una dimostrazione» gli disse. «Un esempio di quello che succede a chi vuole contrattare con me.» Con una mano che sembrava di ferro, sollevò Sen Dunsidan, il quale fu costretto ad alzarsi sulla punta dei piedi. «Stai tremando, ministro» commentò. «Sono finalmente riuscito ad avere la tua attenzione?» Sen Dunsidan si limitò a muovere con energia la testa in segno d'assenso. Era così spaventato che non osava parlare. «Bene. Adesso vieni con me.» Sen Dunsidan respirava affannosamente quando il Morgawr lo lasciò e fece un passo indietro. «Dove?» Il suo interlocutore gli passò davanti, aprì la porta e si girò a guardarlo, dall'oscurità del cappuccio. «Nella prigione, ministro, a prendere i miei uomini.»
2. Il Morgawr e Sen Dunsidan lasciarono l'abitazione del ministro, oltrepassarono il cancello del complesso di edifici governativi e uscirono nella notte. Nessuna delle guardie o dei servitori che incontrarono rivolse loro la parola. Nessuno mostrò di vederli. "Magia" pensò Sen Dunsidan, disperato. Soffocò l'impulso di gridare chiedendo aiuto, perché sapeva che non ne avrebbe trovato. Una pazzia. Ma lui aveva fatto la sua scelta. Mentre attraversavano le strade buie e vuote della città, il ministro della Difesa raccolse i pezzi del suo orgoglio, un frammento alla volta. Se voleva sopravvivere a quella notte, doveva fare qualcosa di più di quanto aveva fatto fino a quel momento. Il Morgawr lo giudicava già un debole e uno sciocco; se l'avesse giudicato anche inutile, l'avrebbe eliminato in un istante. Prese a camminare a lunghi passi e a respirare a fondo, ritmicamente, per chiamare a raccolta tutto il suo coraggio e la sua determinazione. "Ricorda chi sei" si ripeteva. "Ricorda qual è la posta." Accanto a lui, il Morgawr camminava senza guardarlo, senza rivolgergli la parola, senza mai dare l'impressione di avere un sia pur minimo interesse per lui. La prigione era situata in fondo ai baraccamenti dell'esercito della Federazione, a ridosso delle acque tumultuose del Rappahalladran. Era una tenebrosa e formidabile successione di torri e mura di pietra sconnessa. Strette feritoie servivano da finestre e i parapetti dei muri di cinta erano irti di
lunghe lance di ferro. Come ministro della Difesa, Sen Dunsidan faceva regolari visite alla prigione e conosceva tutto ciò che la riguardava. Nessuno era mai evaso. Di tanto in tanto qualche carcerato riusciva ad arrivare fino al fiume, convinto di poter raggiungere a nuoto la riva opposta e poi di dileguarsi nella foresta. Nessuno c'era mai riuscito. Le correnti erano forti e traditrici, presto o tardi i corpi venivano spinti a riva dalle onde e appesi alle mura, dove gli altri prigionieri potevano vederli. Quando erano ormai vicini, Sen Dunsidan trovò il coraggio di avvicinarsi di nuovo al Morgawr. «Che intendi fare, una volta che saremo dentro?» chiese, cercando di mantenere la voce ferma. «Devo sapere cosa dire, se non vorrai essere costretto a ipnotizzare l'intera guarnigione.» Il Morgawr rise piano. «Torni a riprendere la vecchia baldanza, eh, ministro? Benissimo. Voglio una stanza dove parlare con il mio futuro equipaggio. Devi farmi portare gli uomini uno a uno, cominciando da un comandante o da qualche altra persona autorevole. E voglio che tu sia presente e assista a quello che faccio.» Sen Dunsidan annuì e cercò di non pensare al possibile significato di quelle parole. «La prossima volta, ministro, pensaci due volte prima di fare una promessa che non intendi mantenere» sibilò il Morgawr con voce dura e tagliente. «Non ho molta pazienza con i bugiardi e gli sciocchi. Tu non mi sembri né l'uno né l'altro, ma sei abile a trasformarti in ciò che ti fa comodo, quando tratti con e' li altri, vero?» Sen Dunsidan non rispose. Non aveva nulla da dire. Fra concentrato su quello che avrebbe dovuto fare una volta entrato nella prigione. Là avrebbe padroneggiato meglio la situazione, si sarebbe trovato su un terreno familiare. Là avrebbe potuto dimostrare la sua utilità a quella pericolosa creatura. Gli uomini di guardia al cancello riconobbero subito Sen Dunsidan e fecero entrare entrambi senza fare domande. Scattarono sull'attenti nelle loro consunte uniformi di cuoio, e aprirono le pesanti porte. L'interno puzzava di umido, di marcio e di escrementi umani: un odore acre e soffocante. Sen Dunsidan chiese all'ufficiale di turno di avere a disposizione una specifica stanza per gli interrogatori, una che conosceva bene, lontana dalle altre e sepolta in profondità nelle viscere della prigione, Un carceriere li accompagnò per un lungo corridoio fino alla stanza da lui richiesta, una grande camera con le pareti che stillavano umidità e le pietre del pavimento sconnesse. Al centro c'era un lungo tavolo con catene e morse di ferro, accanto a una parete c'era una lunga rastrelliera di legno con strumenti di tortura. La stanza era illuminata da una sola lampada a olio. «Aspettami qui» disse Sen Dunsidan al Morgawr. «Devo convincere gli uomini adatti a venire da te.» «Comincia con uno» ordinò il Morgawr, ritirandosi nell'ombra. Sen Dunsidan esitò per un istante, poi uscì assieme al carceriere. Questi era un uomo curvo e zoppicante, che aveva passato al fronte sette ferme di cinque anni, un soldato dell'esercito della Federazione per tutta la vita. Era ferito nel corpo e nell'anima, dopo essere sopravvissuto ad atrocità capaci di far perdere la ragione a uomini meno resistenti di lui. Non aprì bocca, ma sapeva cosa stava per succedere e pareva indifferente. Sen Dunsidan se n'era servito, a volte, per interrogare qualche prigioniero recalcitrante. L'uomo era abile nell'infliggere dolore e nell'ignorare le suppliche dei torturati. Lo era almeno quanto era capace di tacere. Stranamente, il ministro non aveva mai saputo il suo nome. Là tutti lo chiamavano "Carceriere", come se il suo compito fosse sufficiente a definirlo. Percorsero alcuni corridoi e raggiunsero l'ala dove erano situate le celle collettive. Nelle più grandi erano tenuti i prigionieri catturati sul Prekkendor. Alcuni sarebbero stati riscattati o scambiati con soldati della Federazione prigionieri dei Liberi, altri sarebbero morti lì. Sen Dunsidan indicò al carceriere la cella in cui si trovavano coloro che erano imprigionati da più tempo. «Apri.» L'uomo aprì la porta senza proferir parola.
Sen Dunsidan prese una torcia infilata in i-in anello della parete. «Chiudi la porta dietro di me» gli ordinò. «Non aprire finché non ti dirò che sono pronto a uscire.» Poi entrò senza mostrare paura. La stanza era grande, umida, e puzzava per la presenza di troppi occupanti e la poca igiene. Una decina di teste si voltò verso l'ingresso. Altrettanti uomini si misero a sedere sui pagliericci sudici. Qualcuno si mosse per alzarsi. La maggior parte continuò a dormire. «Sveglia!» esclamò il ministro. Sollevò la torcia per farsi riconoscere, poi la infilò in un anello vicino alla porta. Gli uomini si alzarono, brontolando e scambiandosi sussurri. Attese che fossero tutti svegli: un branco di straccioni con gli occhi spenti e la faccia devastata. Alcuni di loro erano lì da quasi tre anni. Molti avevano perso la speranza di uscire. Nel silenzio della stanza si sentiva solo il fruscio dei loro piedi, a testimonianza della loro impotenza. «Voi mi conoscete» disse il ministro. «Con molti di voi ho parlato. Siete qui da parecchio tempo. Troppo. Adesso intendo offrire a tutti la possibilità di uscire. Non dovrete più combattere al fronte. Non tornerete a casa, almeno per qualche tempo, ma uscirete da queste mura e sarete di nuovo su una nave. La proposta vi interessa?» L'uomo che, come sapeva, era il portavoce del gruppo, fece un passo avanti. «Che intenzioni hai?» gli chiese. Si chiamava Darish Venn, era un uomo della Frontiera e aveva comandato una nave dei Liberi nella guerra sul Prekkendor. Si era distinto molte volte in combattimento, ma infine la sua nave era stata abbattuta e lui era stato catturato. Gli altri lo rispettavano e si fidavano di lui. Come ufficiale più alto in grado, aveva diviso i compagni in gruppi e assegnato loro incarichi minimi: piccole cose per chi era in libertà, ma importanti per chi era incarcerato là. «Comandante» lo salutò Sen Dunsidan, con un cenno del capo «Ho bisogno di uomini disposti a viaggiare fino all'altra sponda dello Spartiacque Azzurro. Un viaggio lungo, che costerà la vita ad alcuni. Una missione pericolosa, non lo nego. Non ho marinai da inviare, né i fondi per assumere mercenari tra i Corsari. Ma la Federazione non ha bisogno di voi. Coloro che accetteranno di partire alle condizioni che offro saranno accompagnati da soldati della Federazione perciò saranno garantite un po' di protezione e di disciplina. Ma soprattutto uscirete di qui e non vi tornerete più. Il viaggio potrà durare un anno, forse due. Sarete padroni della vostra nave a patto che portiate a termine la missione.» «Perché ci fai questa offerta adesso, dopo tanto tempo?» chiese Darish Venn. «Questo non posso dirvelo.» «Perché dovremmo fidarci di te?» chiese un altro, senza mezzi termini. «Perché no? Che importanza può avere questo particolare, se vi fa uscire di qui? Se volessi danneggiarvi, potrei farlo con grande facilità. A me servono alcuni marinai che vogliano compiere un viaggio. Voi volete la libertà. Lo scambio mi pare equo, per entrambi.» «Potremmo prenderti prigioniero e avere in cambio la libertà senza dover stringere alcun accordo con te!» obiettò l'uomo, in tono minaccioso. Sen Dunsidan annuì. «Vero. Ma quali sarebbero le conseguenze? Pensate che sia entrato qui e mi sia esposto a rischi senza nessuna protezione?» I prigionieri bisbigliarono animatamente tra loro. Sen Dunsidan li guardò senza battere ciglio. Si era già esposto a rischi peggiori di quello, e non aveva paura di loro. Il Morgawr e quello che avrebbe potuto fargli nel caso di insuccesso lo spaventavano molto di più. «Ci vuoi tutti?» chiese Darish Venn. «Tutti coloro che accettano di venire. Chi non accetta rimane qui. A voi la scelta.» S'interruppe per qualche istante, come per riflettere. Poi sollevò la testa leonina e annuì tra sé. «Posso fare un patto con te, comandante» disse infine. «Se vuoi, ti mostrerò la mappa del luogo in cui intendiamo recarci. Se sei d'accordo, sei arruolato e puoi raggiungere la tua nave. Se non accetti, torni qui e riferisci agli altri.»
L'uomo della Frontiera annuì. Forse era troppo stanco e intorpidito dalla prigionia per riflettere con lucidità sulla proposta, o forse non vedeva l'ora di uscire. «D'accordo,vengo.» Sen Dunsidan batte alla porta e il carceriere la aprì. Il ministro fece segno al comandante di precederlo e uscì dopo di lui dalla cella. Il carceriere chiuse la porta e Sen Dunsidan udì il rumore dei passi di coloro che, dall'interno, correvano alla porta per ascoltare. «Qui in fondo al corridoio, comandante» disse a voce alta il ministro, perché gli altri carcerati potessero udirlo. «E facciamoci portare anche un boccale di birra.» Percorsero i corridoi diretti alla stanza dove li attendeva il Morgawr, e nel silenzio del carcere si udì solo l'eco dei loro passi. Nessuno parlò. Sen Dunsidan lanciò un'occhiata all'uomo della Frontiera. Era alto di statura, con spalle robuste, ma il carcere l'aveva smagrito e gli aveva curvato la schiena. Il viso era affilato, la pelle pallida incrostata di sporcizia e coperta di piaghe. I Liberi avevano cercato varie volte di farselo restituire, ma la Federazione conosceva bene il valore dei buoni comandanti delle navi volanti e preferiva tenerlo in una cella, lontano dai campi di battaglia. Quando giunsero alla stanza dove li attendeva il Morgawr, Sen Dunsidan aprì la porta a Venn, fece segno al carceriere di aspettare fuori e al comandante di entrare e si chiuse la porta alle spalle. Venn si guardò attorno, soffermò gli occhi sugli strumenti di tortura e le catene, poi rivolse al ministro un'occhiata interrogativa. «Che cosa significa?» chiese. Sen Dunsidan si limitò ad alzare le spalle e a rivolgergli un sorriso disarmante.